1944

di _Heide
(/viewuser.php?uid=826679)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Leaving ***
Capitolo 2: *** Coming back ***



Capitolo 1
*** Leaving ***


LEAVING

 

Gennaio 1942

I Giapponesi avevano attaccato Pearl Harbor e in meno di un mese il governo americano aveva organizzato ed armato le truppe, pronto per mandare i soldati a proteggere la patria.
Un modo più carino ed onorevole per dire che sarebbero stati mandati a morire e che con poche probabilità sarebbero tornati tutti a casa.
Lydia stava avendo una crisi di nervi, cercava di nascondere l'agitazione dietro a sorrisi tirati e gesti affettuosi, ma lui vedeva le mani tremanti e gli occhi colmi di terrore ogni volta che incontrava il suo sguardo.
Stiles aveva accettato silenziosamente la cosa, non che avesse altre possibilità.
All'inizio era arrabbiato, arrabbiato perché loro ne erano rimasti fuori da tutta quella merda, arrabbiato perché avevano iniziato a reclutare fra i civili.
Poi la rabbia era stata sostituita dalla paura. Paura di non tornare, paura di non riuscire più a vedere quegli occhi verdi che amava così tanto in tutte le sue sfumature, paura di lasciar solo suo padre dopo la morte della moglie, paura di non essere ricordato.
L'aeroporto era pieno di persone che si muovevano rapidamente, altre che si abbracciavano silenziosamente. Le mani che stropicciavano vestiti e divise, le dita che si arpionavano alle anime delle persone che stavano per lasciare e che non avrebbero rivisto per molto tempo, se non per sempre. Occhi pieni di emozioni, pieni di parole non dette e saturi di ripensamenti. Ragazzini troppo giovani che trasportavano borse troppo grandi e con divise che stavano troppo larghe sulle spalle. Madri che cercavano di essere forti per i loro figli, ma che sarebbero cadute a pezzi non appena questi avrebbero svoltato l'angolo.
L'aria – nonostante fossero all'aperto – era pregna dell'odore della paura, del timore e del silenzio. Il rumore lì era assordante, ma il silenzio lo era ancora di più, quello della gente che stava zitta e non diceva niente per non peggiorare le cose. Quel silenzio opprimente che adesso stava separando anche loro due.
Si stavano guardando negli occhi e quello bastava, sì, era sempre bastato. Uno sguardo che per loro era tutto, era mi dispiace, era non lasciarmi e soprattutto era ho paura.
«Promettimi che tornerai.» sussurrò, nell'abbraccio in cui si stavano stringendo.
La sua voce – solitamente allegra e troppo acuta, di quelle che ti scaldano il cuore e che ti fanno sorridere veramente – era ora debole e forzata, come se la stesse tirando fuori con la forza, come se qualcosa la bloccasse dal profondo.
«Te lo prometto.» le rispose Stiles, allontanandosi quel poco che bastava per permettergli di guardare la ragazza dritta negli occhi più verdi che avesse mai visto.
Lei annuì, scuotendo la testa vigorosamente, mentre si mordeva il labbro inferiore cercando di non crollare. Non poteva, non lì davanti a lui. Sarebbe stato l'ultimo suo ricordo mentre lui sarebbe stato laggiù a combattere. Doveva mostrarsi forte ed imprimere nella mente del ragazzo quell'immagine di lei. Lui capì i suoi intenti e le posò una mano sulla guancia, attorcigliando le dita affusolate ai capelli biondo fragola di lei.
«Va tutto bene, Lydia. Va tutto bene.» bisbigliò ad un centimetro dalle sue labbra, prima di unirle con le sue in un bacio dolce e delicato.
Lo stesso pensiero attraversò la mente di entrambi, nonostante non lo avrebbero mai ammesso.
Un bacio d'addio.
Si separarono lentamente, come se questo potesse allontanare la loro divisione. Come se avessero potuto bloccare tutto, fermarsi in quel momento e non andare da nessuna parte. Niente guerra, niente morte e nient'altro. Solo loro due, lì, che si baciavano e si tenevano stretti l'uno all'altra.
L'uno l'ancora dell'altra e viceversa. Si sostenevano a vicenda e si ancoravano alla realtà, insieme.
Un richiamo risuonò forte nel freddo frastuono circostante, quello decisivo.
Lentamente, il braccio di lui abbandonò la vita di Lydia e la mano che le accarezzava la gota, scivolò sul braccio di lei fino a prenderle la mano con quel misto di decisione e delicatezza che usava per toccarla. Per non spezzarla, non romperla e per tenere insieme i pezzi da cui era composta dopo tutte le fratture subite nella sua vita. L'amore che provava per lei che traspariva ad ogni tocco, racchiuso in quella stretta di mano, le dita intrecciate e il respiro mozzato dalle emozioni che si stavano facendo strada in entrambi.
«Un'ultima cosa...» disse, avvicinando le loro mani alle labbra per poter lasciare un bacio delicato su quella candida di lei. «Qualunque cosa.»
«Solo... non dimenticarmi.» pregò guardandola intensamente negli occhi color smeraldo.
«Non lo farò.» rispose, gli occhi che ormai non trattenevano più le lacrime salate che iniziavano a colarle sulle guance arrossate.
«Non ti dimenticherò.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Coming back ***


Luglio 1944

Da quando Stiles era partito per quel viaggio, Lydia si era trasferita a casa Stilinski per sostenere il padre del ragazzo. Aveva iniziato con l'andarlo a trovare una volta al giorno per fargli mettere qualcosa sotto i denti, poi aveva aumentato le visite facendole coincidere con gli orari dei pasti e alla fine si era stabilita nella stanza degli ospiti per assicurarsi che l'uomo, preso dalla disperazione, facesse qualche pazzia. Dopo la perdita improvvisa della moglie, l'ormai ex sceriffo aveva iniziato ad aggrapparsi all'alcol, arrivando però ad alzare un po' troppo il gomito.

Il culmine era stato raggiunto a distanza di un anno dalla partenza di Stiles.

Lydia era stata svegliata nel cuore della notte a causa del bussare insistente alla porta di casa sua. La signora Romero, la vicina di casa Stilinski – a meno di un isolato di distanza da casa Martin – aveva percorso in fretta la strada che separava le loro abitazioni per avvisarla che il padre del suo ragazzo era tornato a casa ubriaco fradicio e che urlava cose sconclusionate, rivolgendosi – di tanto intanto – all'ormai defunta moglie. La ragazza era corsa dall'uomo e aveva tentato di calmarlo per una buona mezz'ora finché lui, dopo essersi arreso, era crollato a terra ed aveva iniziato a piangere silenziosamente. Lydia lo aveva portato in camera da letto ed aveva atteso che si addormentasse. Teneva a quell'uomo come se fosse stato suo padre e, per un certo verso, lo era stato. Era sempre stato la figura paterna che le era mancata durante l'infanzia e non l'avrebbe mai abbandonato in un periodo tanto difficile.

Con lo scorrere del tempo, la situazione era migliorata. Non vi erano più crolli improvvisi o nottate in cui l'alcool prendeva il completo controllo dell'uomo.

Non si vergognavano a mostrare le lacrime, quando le notizie della guerra arrivavano fino a lì, mentre alla televisione elencavano i nomi dei caduti appartenenti all'esercito americano. La paura di sentir nominare il suo nome e la gioia quando la lista finiva con la mancanza di esso.

 

Quando aveva sentito quel lieve rumore di passi sincronizzati che percorrevano il vialetto di casa, però, aveva già capito. Quando una mano delicata ma al tempo stesso decisa aveva bussato sul legno della porta di ingresso, ne era già convinta. In fondo, era quello che aveva sempre saputo.

Lo avevano sempre saputo tutti e tre. Stiles non era un guerriero. Era semplicemente il giovane sceriffo di una piccola contea della California.

Uno di quei poliziotti che passano intere nottate davanti ad una lavagna per collegare prove ed indizi e che, sul campo, preferivano convincere una persona ad abbassare l'arma con tante giri di parole piuttosto che fare un inseguimento.

Non avevano mai avuto la certezza di poterlo vedere che varcava la soglia di casa, con il suo solito sorriso strampalato, gli occhi scherzosi e i capelli perennemente spettinati.

Lydia non si sorprese più di tanto, quando, alla porta non trovò il ragazzo.

Non lo era nemmeno quando riconobbe i due ufficiali, con divisa e tanto di medagliette, che le davano la notizia in tono solenne, lo sguardo basso ed il copricapo stretto al petto.

Lei era una ragazza forte. Tenne duro davanti a loro: il mento alto, le spalle dritte e lo sguardo che non mostrava incertezze. A loro, pensò la rossa. Stiles le avrebbe preso il mento fra le mani, l'avrebbe guardata negli occhi verdi e l'ambra dei suoi si sarebbe disciolta in una muta domanda. La sua voce si sarebbe abbassata, non più acuta e strillante, ed avrebbe chiesto con dolcezza «Qualcosa non va?».

Quando chiuse la porta, però, cadde a terra. Il cuore le sprofondò nel petto, lasciandole un vuoto che le impediva di respirare.

Aprì la bocca, cercando di farvi entrare aria ma annaspò. La sensazione di affogare la avvolse, sentì l'acqua entrarle in gola ed invaderle i polmoni e credette di non riuscire più a tornare a galla.

Tornare.

Stiles non sarebbe mai tornato e, come lui, loro non sarebbero mai tornati gli stessi.

L'unica cosa che riusciva a non farla annegare era il ricordo di lui.

Di lui che la pregava di non dimenticarlo. 


 



Doveva essere una OS ma mi è stato chiesto il seguito e... eccolo qui. 
Non mi convince, sinceramente per me poteva finire con il primo capitolo e anche per voi, se volete, ma me l'hanno chiesto e li ho accontentati. 
Spero vi piaccia ♥
Ginevra

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3495397