White Blood di Nat_Matryoshka (/viewuser.php?uid=39154)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
- Personaggi/Paring: Naruto,
Orochimaru, Kiba Inuzuka, Konohamaru, Choji Akimichi, Sakura Haruno
[OrochimaruxNaruto]
- Genere: Avventura, drammatico
- Rating: giallo
- Avvertimenti: AU, shonen-ai
- Trama (facoltativa): In una
città
non ben precisata, un bambino sfugge alla miseria e alla fame di una
vita
randagia per incontrare nuovi compagni, a cui si unirà. Le
avventure non
mancheranno, e con loro la nascita di un sentimento nuovo e particolare
per
Naruto, il capobanda.
- NdA (facoltativa): i personaggi della storia hanno tutti
14-15 anni, ma
tra il primo capitolo e il terzo passano due anni; Orochimaru risulta
quindi
caratterizzato come ai tempi dell’Accademia ninja con Jiraiya
e Tsunade.
White
Blood
Ogni
inizio è la fine di qualcosa.
Non sapeva dov’era, e
neppure perché era lì. Sapeva di
essere vivo, e basta.
Disteso su uno straccio lacero, nell’angolo di un vicolo
buio e poco frequentato, il bambino si riparava
dall’umidità, tentando di
nascondersi il più possibile dagli sguardi: per sua fortuna,
però, faceva
troppo freddo perché qualcuno decidesse di passeggiare a
quell’ora, e comunque
non sarebbe mai saltato in mente a nessuno di inoltrarsi in strade
così
pericolose.
L’inverno stava finendo, ma notti come quella erano ancora
gelide,
e il più delle volte portavano la neve o il ghiaccio,
facendo somigliare le
strade a tanti sentieri di glassa, contornate da casette di marzapane.
Il paesaggio era quello di una
favola, con i bambini che
correvano per le strade (ben coperti e felici nel loro sfidarsi a palle
di
neve), e le coppie che passeggiavano mano nella mano, gettando occhiate
alle
vetrine, sorridenti nonostante i morsi impetuosi del gelo. Ma quello
fatto di
luminarie e passanti ben vestiti era solo il lato esteriore della
città… il
lato a cui molti avrebbero desiderato appartenere, e che appariva
perfetto,
lontanissimo, per coloro che vivevano dietro a quelle quinte dorate e
affascinanti.
Il dedalo caotico e claustrofobico dei vicoli si snodava
dalla piazza principale e abbracciava quasi tutta la periferia, col suo
insieme
di palazzoni, discariche e parcheggi sterrati. Più ci si
allontanava dal
centro, più l’aria diventava fresca e
sopportabile, lasciando spazio a zone
verdi e meno popolate… ma, nel bel mezzo
dell’intreccio delle strade, i rigori
dell’inverno e l’afa soffocante
dell’estate giungevano intatti e fastidiosi,
condizionando il più delle volte l’umore di chi vi
abitava.
Il piccolo starnutì, cercando di stringere con i pugni
chiusi la coperta sbrindellata che lo copriva a malapena. Dopo aver
vagato per
giorni, tormentato dal freddo e dalla fame, si era stabilito in
quell’angolo
con i suoi unici averi: un cappello, una sciarpa spelacchiata di lana
marrone,
le scarpe troppo grosse e pesanti per i suoi piedi magri, i pantaloni
piene di
toppe (fatte con quel che trovava e cucite con dello spago) e, appunto,
quello
straccio che fungeva da coperta.
Aveva mangiato prevalentemente croste di pane vecchio,
rubandole nelle cucine dei ristoranti quando il cuoco si assentava, e
si era
fatto bastare per una settimana le poche verdure trovate quasi intatte
vicino
alla spazzatura: insomma, si arrangiava.
Aveva sentito dire che al centro, in quel groviglio di
strade che chiamavano “La Ragnatela”,
era più facile trovare cibo e riparo che in
campagna, dove i controlli dell’esercito si rafforzavano e si
veniva acciuffati
pochi minuti dopo aver rubato anche una semplice mela al mercato. Nei
suoi
ricordi trovava descrizioni di bambini sporchi, furbi, che si riunivano
in
piccole bande e si procuravano il cibo lavorando e (talvolta)
rubacchiando, per
poi nascondersi come topi nelle canne fumarie dei casotti abbandonati,
o nei
bidoni dell’immondizia.
Il suo piano originario era quello di presentarsi ad uno
qualsiasi dei capibanda, e chiedere di essere preso con loro: aveva
già
esperienza (avendo fatto parte di parecchi piccoli gruppi), e sapeva
rendersi
utile ai compagni in vari modi. Ora che era arrivato fin lì,
però, iniziava a
capire quanto fossero vuoti e vaneggianti quei sogni.
La
sera stava scendendo, e lui era più solo di quanto non
fosse mai stato prima, tra le strade di campagna.
Il silenzio, solido come un muro,
pesava sulle orecchie
quasi con violenza, spaventandolo. Era abituato al canto degli uccelli,
alle
grida dei passanti, allo scorrere del torrente… suoni
leggeri ma quotidiani,
che lo facevano sentire quasi protetto, e il non udirli lo rendeva
vulnerabile.
A peggiorare la situazione, una voce tonante si diffuse nel
vicolo:
“Ah,
siete nascosti qui, eh? Uscite fuori, canaglie…”
La polizia girava per le strade più o meno ogni giorno, per
controllare che nessun bambino fuggiasco le stesse usando come
dormitori. Il
più delle volte si limitavano a scacciarli con malgarbo, ma
si raccontavano
storie di ragazzini buttati su camion diretti nelle città
vicine o trascinati
alla stazione di polizia e costretti a trascorrere la notte in cella.
Ragione
in più per nascondersi e restare in gruppi, che contavano
sull’unione e sulla
possibilità di “coprirsi” a vicenda
durante le fughe.
Anche prima di scorgere la figura massiccia del militare spuntare
nella viuzza, capì che doveva darsela a gambe il
più velocemente possibile.
Alzatosi di scatto, il bambino ebbe pochi secondi per raccattare i suoi
oggetti: non uno soltanto, ma ben due uomini in uniforme fecero
irruzione,
ferendolo con la luce accecante delle loro torce.
In seguito, gli eventi si
succedettero così rapidamente da
non lasciargli nemmeno il tempo di respirare.
Nell’attimo esatto in cui uno dei due uomini allungava la
mano verso la sua gamba, il ragazzino si divincolò e
iniziò una fuga
forsennata, trascinando dietro di sé i suoi oggetti
personali, che sbattevano e
svolazzavano al vento quasi comicamente, come la scia di un aeroplano.
Le strade gli passavano davanti a velocità crescente,
confondendo cartelli stradali, automobili e lampioni in un turbinio
multicolore
stordente, ma non gli importava: l’unica cosa che desiderava
era mettere il
maggior numero di passi possibili tra lui e i due agenti, che
continuavano a
stargli alle calcagna con una costanza degna dei migliori cani
poliziotto.
Tossendo, ormai senza fiato, si tuffò in una galleria alla
sua destra, sicuro di riuscire a scovare un angolo buio dove
nascondersi fino
al loro passaggio… ma, dopo aver voltato l’angolo,
si accorse di aver commesso
un grave errore: davanti ai suoi occhi si stagliava un muro, alto e
impenetrabile, al di là del quale si intravedevano palazzi e
alberi.
In
trappola.
Come spesso succede quando si
è nei guai fino al collo, è
l’istinto a comandare le azioni al posto del cervello.
Trovandosi davanti quel
muro di mattoni rossastri (anneriti alle estremità,
probabilmente a causa dello
smog), il bambino non rifletté nemmeno per un istante: i
suoi muscoli gli
urlavano di scalarlo, aggrapparsi con foga agli interstizi e salire
più che
poteva, fino ad attraversarlo… e non poté far
altro che obbedirgli, nel
disperato tentativo di darsela a gambe.
“Sta scappando! Sta
scappando! Prendilo da sotto, così lo
bloccheremo!”
La confusione aumentò,
fino a condurlo ad uno stadio di
semi-incoscienza. Prima di battere la schiena e finire a terra,
ricordò di aver
visto i due uomini buttarsi su di lui, allontanati qualche minuto dopo
da un
gruppetto (possibile?) di
ragazzini,
e la sua sciarpa torcersi in una capriola al rallentatore e finire con
un volo
quasi elegante a terra, descrivendo un disegno sinuoso simile alla coda
di una
cometa.
***
“Perché te lo
sei portato dietro? Non ci servirà a nulla!”
“Ah, sentilo! Se avessimo
pensato la stessa cosa quando ti
sei presentato qui piagnucolando, credi che ti avremmo tenuto? Piantala
di fare
lo spocchioso!”
“Io direi di smetterla, tutti e due. Quando si trova un
compagno abbandonato, lo si accoglie e basta. Guardate, si sta
svegliando.”
Un cicaleccio sommesso
accompagnò il risveglio del bambino,
che aprì gli occhi pigramente. All’inizio,
credette di sognare: com’era
possibile trovarsi disteso su un letto, con un cuscino soffice dietro
la testa
e una folla di suoi coetanei intorno che lo osservavano con
l’espressione curiosa
di una scolaresca in visita allo zoo, se fino a poche ore prima era
riverso
sull’asfalto di una stradina decentrata?
[Forse era in
Paradiso. Era morto in seguito al trauma cranico, e lo avevano portato
direttamente in quello strano Paradiso, dai muri giallo cupo e
l’arredamento
alla buona..]
Il suo sguardo perplesso non
passò inosservato. Quello che
sembrava il capo, un ragazzino biondo con dei bizzarri graffi su
ciascuna
guancia, gli sorrise.
“Se ti stai chiedendo dove ti trovi, ti do subito la
risposta:
sei nella nostra base. Io sono Naruto Uzumaki, il capo delle Volpi
Rosse, la
banda insediata in questa zona. Loro sono Kiba (un tipo magro, con due
segni
sulle guance più grossi rispetto a quelli di Naruto e i
capelli arruffati),
Choji (uno più grassoccio, che sgranocchiava patatine) e
Konohamaru (il più
basso dei tre, con una espressione corrucciata stampata in viso).
Benvenuto fra
noi!”
[Certe volte i sogni
sono davvero bizzarri, pensò il ragazzino. Adesso mi
sveglierò,e mi accorgerò
di essere ancora in quel vicolo, avvolto nella coperta e solo come un
cane…]
“Allora,
vuoi dirci almeno il tuo nome? Una presentazione
sarebbe d’obbligo, non credi?”
A parlare era stato Kiba, che
sembrava in qualche modo il
vice di Naruto, forse per i modi spicci e un po’ autoritari.
L’ultimo arrivato
lo squadrò per un attimo, smarrito, e schiuse le labbra,
lasciando uscire una
voce sottile e roca:
“Mi.. mi chiamo Orochimaru”.
“Che razza di
nome!” esclamò Konohamaru, divertito,
lanciando un pezzo di pane all’indirizzo del nuovo arrivato
(le buone maniere
non erano proprio il suo forte…). “Troppo lungo!
Da oggi in poi ti chiameremo
Orochi o White, sei così pallido… da
quant’è che non mangi?”
Orochimaru raggiunse uno specchio sbreccato nell’angolo
della stanza con lo sguardo, e osservò il suo riflesso. Era
vero: delle
occhiaie marcate gli circondavano gli occhi giallognoli, e le guance
incavate
indicavano che non toccava cibo decente da parecchio tempo.
“Nessun problema, ti rimetteremo in sesto noi!”
Naruto era il capo della combriccola a tutti gli effetti, e
in quanto tale si preoccupava della salute e delle condizioni dei suoi
compagni. La casa in cui si trovavano apparteneva ai suoi genitori
(morti
parecchi anni prima), e ormai veniva usata solo come dormitorio e
quartier
generale.
Nella
zona vigevano regole ben precise, tra cui la più
importante era quella di non fare domande, seguita dal non
intromettersi negli
affari altrui. Era talmente consueto vedere ragazzini che vivevano per
conto
loro, guidavano automobili e maneggiavano denaro da non meravigliare
più
nessuno: la polizia veniva chiamata solo in casi davvero estremi, come
aggressioni armate o omicidi. In quel modo, i quattro erano riusciti a
riunirsi
e a tirare avanti, anche se con delle famiglie disastrate alle spalle:
Kiba
aveva una sorella sposata, che viveva nella parte
“alta” della città (e il
marito aveva esplicitamente dichiarato di non volere il cognato tra i
piedi);
il padre di Choji era disoccupato e gli unici parenti di Konohamaru
erano due
zii con un figlio piccolo, che però abitavano in un'altra
regione… in quanto a
Naruto, era completamente solo. Non c’era da stupirsi,
quindi, se ogni
fuggiasco (anche in condizioni disperate) venisse accolto con calore e
benevolenza dai membri del gruppo.
Orochimaru accettò il cibo con un po’ di
riluttanza: era pur
sempre dotato di un certo orgoglio, e non gli piaceva essere imbeccato
e
coccolato come il pulcino più piccolo della nidiata.
Però doveva riconoscere di
essere affamato… e, dopotutto, non era proprio spiacevole
trovarsi un tetto
sulla testa e qualcosa sotto ai denti dopo settimane di stenti.
“Veniamo a noi,
White” riprese Naruto, dopo averlo osservato
mangiare in silenzio. “Per essere ammessi nel gruppo,
è necessario far capire
qualcosa di più di sé stessi. Cosa sai fare?
Lavori manuali, destrezza,
intelligenza fuori dal comune… hai qualche
abilità particolare?”
Il ragazzino ci mise un po’ prima di rispondere.
“So afferrare gli oggetti
molto velocemente, e correre bene.
Un po’ di tempo fa, nella banda in cui mi trovavo, recuperavo
le cose che ci
portavano via gli altri ragazzini della zona”.
“Perfetto! Ci mancava
qualcuno con i riflessi pronti”
approvò Naruto, acchiappando anche lui un pezzo di pane.
“Tu sarai l’addetto al
controllo del movimento e alla sorveglianza, ci sarai molto utile
durante gli
spostamenti… per adesso, vedi di rimetterti in sesto e far
comparire un po’ di
grasso intorno a quelle ossa sporgenti, poi inizieremo a parlare di
lavoro e
mansioni. Ora a dormire, è tardi e abbiamo tutti bisogno di
riposo”.
Da quello che Orochimaru poteva desumere, anche in quella
casa esistevano ruoli definiti: l’addetto agli alimenti
sembrava essere
Konohamaru, mentre Choji sistemava gli arredi e teneva puliti i letti e
le
stanze. Kiba e Naruto erano “le menti”, e si
limitavano a dar regole e a
coordinare le azioni delle Volpi Rosse.
Fu infatti il ragazzo corpulento a distendere una coperta e
un cuscino un po’ sformato sulla poltrona pieghevole
destinata al “nuovo”,
augurandogli la buona notte e dirigendosi nella stanza in fondo al
corridoio,
dove i quattro riposavano.
***
“Era tutta una messinscena quella delle abilità,
ammettilo.
L’avresti preso lo stesso, anche se non fosse stato capace
neppure di
acchiappare una mosca”.
Tra le qualità che mancavano a Naruto, la cosiddetta
“faccia
da poker” spiccava sulle altre con prepotenza. Il biondo
tentò di assumere la
solita espressione strafottente, ma dovette arrendersi poco dopo.
“Si, è
così. Ha in sé qualcosa di strano, di speciale.
Dal
primo momento in cui l’ho visto, quando ci è
passato davanti correndo, ho
sentito di doverlo salvare in qualche modo. Forse sono solo pazzo,
Kiba… ma
sento che adesso il nostro gruppo è davvero al
completo.”
Choji si risistemò sull’amaca appesa al soffitto,
facendola
dondolare pericolosamente da un lato e tirandosi addosso il lenzuolo.
“Per
essere strano, lo sei. Ma hai ragione: in cinque si sta sicuramente
meglio”.
“Come si dice,
sarà il futuro a rivelarci se abbiamo fatto
bene o no a farlo restare”.
Kiba sbadigliò, con piglio quasi canino, e si
sistemò sul
letto, terminando lì la discussione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Spesso
i
sentimenti nascono
quando
qualcosa manca dentro di sé.
Ogni mattina, quando si svegliava e,
per prima cosa,
osservava il cielo diventare sempre più chiaro dalla
finestra, Naruto pensava a
come sarebbe stato avere una vita diversa.
Una vita normale, felice, con i suoi
stress e tran-tran
quotidiani. Una vita in cui l’unica cosa di cui devi
preoccuparti sono i voti
in pagella, le sgridate dei genitori e gli svaghi del
weekend… una vita che può
sembrare noiosa per chi la vive, ma per chi è costretto a
fronteggiare ogni
giorno guai, problemi finanziari e pericoli di ogni genere sarebbe un
vero e
proprio Paradiso.
Da quando Orochimaru si era unito a loro, molte cose erano
cambiate.
Intanto, erano riusciti a trovarsi
tutti un lavoro onesto: lui
e Choji erano aiuto-commessi nella drogheria all’angolo,
mentre Konohamaru
aveva ripreso ad andare a scuola (come avrebbe dovuto fare da tempo);
Kiba e
Orochimaru, invece, facevano dei lavoretti saltuari, cambiando spesso
sede e
girando un po’ tutto il quartiere. Per la prima volta, Naruto
sentiva di avere
intorno a sé quasi una famiglia, sebbene non fosse delle
più unite e “normali”.
E, dentro di sé, qualcosa
cresceva. Qualcosa che fino a
pochi mesi prima non esisteva.
La presenza di Orochimaru era piacevole e inquietante al
tempo stesso: il suo temperamento silenzioso, tranquillo (quasi un
po’ freddo)
non era semplice da trattare per loro quattro, che erano abituati a
strillarsi
dietro e far baccano praticamente in ogni occasione, e non mancava di
metterli
a disagio. Così era solamente Naruto ad avere più
confidenza con lui,
cementando ulteriormente lo strano rapporto che si andava creando tra i
due.
Gli piaceva parlare con White, soprattutto quando si
trovavano per caso sul tetto del palazzo, accomunati per un istante
dalla
stessa volontà di evasione, di
altezza;
distesi sulla schiena, gli occhi persi tra le nuvole (durante il
giorno) o
nelle stelle (di notte), avevano iniziato a raccontarsi a vicenda le
loro vite,
quasi che l’uno desiderasse riversare una
parte di sé stesso nell’altro.
[Era stato lì, forse,
che quella sensazione era nata…?]
Alzando la mano aperta verso il cielo (come se volesse
trattenerne un pezzo tra le dita), Naruto gli aveva chiesto
così, casualmente, se
i suoi genitori fossero morti. Si aspettava un silenzio di tomba, o al
massimo
un’occhiata seccata… e invece lui gli aveva
raccontato tutto, non con il solito
tono di voce piatto, ma con un’inflessione diversa, quasi
sollevata. I suoi lo
avevano abbandonato quando era piccolo, e fino ai dieci anni era
vissuto con
dei vicini nella loro casa in campagna. Poi, spinto dalla
volontà di cambiare
orizzonti, un mattino si era svegliato e si era incamminato verso la
città,
trasferendosi in un sobborgo e incontrando i membri della prima banda
in cui
era stato. Aveva vissuto abbastanza tranquillamente.. ma, in fondo al
cuore,
gli era rimasto il desiderio di ritrovare i suoi genitori, anche solo
per
chiedere loro le ragioni di quell’abbandono, i motivi per cui
l’avevano
lasciato e se n’erano andati senza farsi più
sentire.
Dopo quelle chiacchierate, era come se un po’ del peso che
li opprimeva si fosse sciolto, dileguandosi misteriosamente insieme
alle
nuvole: diventava più semplice sorridere, affrontare le
azioni più normali
senza cattivi pensieri e malumori.
E il merito, lo sapeva bene, era
soprattutto di Orochimaru.
****
“Tu
e White siete fatti l’uno per l’altro, vecchio
mio.”
In piedi dietro al bancone della
cucina, Kiba e Naruto
stavano sbucciando le patate per la cena di quella sera: per la
sorpresa, il
biondo si conficcò il pelapatate nella mano con cui ne stava
reggendo una,
facendo schizzare qualche goccia di sangue.
“Co… cosa ti salta in mente, così
all’improvviso?!” esclamò,
piccato, succhiandosi la ferita. “Credi che io
sia… innamorato di lui,
o cosa?”
“Sta calmo un po’”- cercò di
blandirlo il bruno, lanciando
un pezzo di patata cruda al suo cagnolino Akamaru, che aspettava
qualche
boccone sotto al tavolo- “Non ho detto che tu sia innamorato
di lui. Dico solo
che siete così carini quando vi appartate a chiacchierare,
che sembrate una
coppietta! Non c’è nulla di male, sai?”
Per nascondere il rossore furioso,
Naruto finse di dover
cercare assolutamente qualcosa dentro ad uno degli scaffali, facendo
più rumore
che poteva con i piatti e le posate. Intanto Kiba continuava a
preparare,
affettando le carote e parlottando a mezza voce, più tra
sé che all’amico:
“Secondo me, fai bene. Con la vitaccia che facciamo, chi ha
tempo per le romanticherie e gli impegni con una donna? È
tanto meglio starsene
ognuno per i fatti suoi, ecco. E non ci trovo nulla di male, nel fatto
che tu e
Orochi siate così legati..”
Il ragazzo avrebbe voluto
probabilmente continuare ad
elogiarlo, ma Naruto gli si avvicinò minacciosamente al
collo, attaccandosi a
meno di due centimetri dal suo viso e fissandolo con espressione truce:
“Mi sta
bene, ma vedi di non andare a spettegolare con Choji, Konohamaru e
soprattutto
con i tuoi amichetti dell’ufficio postale, altrimenti sai che
saranno guai
grossi. E mettiti in testa, una volta per tutte, che
non-sono-gay!” esclamò,
sillabando con cura le ultime tre parole e sfilandosi il grembiule con
foga,
per poi gettarlo su una sedia e buttarsi sulla poltrona in salotto.
Conosceva Kiba fin troppo bene, e sapeva benissimo che era
una lingua lunga: se non avesse usato quella piccola ma importantissima
precauzione, in meno di due giorni la città intera avrebbe
saputo che Naruto
Uzumaki, invece di correre dietro alle ragazze e corteggiarle, se ne
stava
tutto il giorno con quello strano ragazzino pallido dallo sguardo
pungente. E
che i primi a saperlo fossero quei pettegoli rompiscatole dei suoi
colleghi
postini era la cosa che più lo urtava.
Quella sera (come molte altre), si era messo a dormire tardi
e di cattivo umore. Il caldo dell’estate in arrivo lo rendeva
nervoso, impedendogli
di riposare bene e svegliandolo spesso, anche due o tre volte a notte;
così
finiva per bighellonare in giro per l’appartamento, guardando
i suoi compagni
dormire e immergendosi in pensieri complessi e tutti rigorosamente
senza
conclusione.
Maledicendo la sfortuna, la stagione, il costruttore “di
quelle topaie” e molte altre persone che col suo malumore non
c’entravano
proprio nulla, il biondo si era alzato, seduto sul letto e infine
incamminato
(come sempre) per i corridoi, felice semplicemente per la sensazione di
freschezza che gli dava il pavimento a contatto coi piedi scalzi. La
sua meta,
ovviamente, era il terrazzino.
Avrebbe tirato fuori dal frigo una Coca Cola, un succo
d’arancia o quel che aveva da offrirgli, e si sarebbe disteso
(come già tante
volte aveva fatto) sotto allo stendi panni… libero,
tranquillo, rilassato: con
la brezza che gli solleticava il viso e gli scompigliava gentilmente i
capelli,
che altro avrebbe potuto desiderare?
[Non poteva
sapere,
però, che anche un’altra persona avesse avuto la
sua stessa idea, e che in quel
momento fosse già all’aperto,
nell’identica posizione in cui già Naruto si
immaginava…]
Orochimaru detestava il caldo
né più né meno di Naruto, e
come il biondo cercava di sfuggirgli il più possibile.
Già non sopportava
uscire di giorno, con tutte quelle persone allegre e chiassose che
invadevano
le strade.. preferiva piuttosto gli spostamenti serali, nelle ore in
cui il
sole si coricava in un letto di soffici nuvole dorate e lasciava posto
all’oscurità e alla calma del buio.
Come sempre, i suoi occhi erano rivolte alle stelle, che
sembravano quasi volergli dare il benvenuto col loro brillare vivace.
Quando
raggiungeva il suo posto preferito, dimenticava totalmente i problemi e
la
tristezza: era come se la mente stessa decidesse di
“archiviarli”, incantata
com’era dall’immensità della volta
celeste.
Un leggero rumore lo distrasse, facendolo voltare verso la
porticina che dava sull’interno del palazzo: una figura non
molto alta era
appena giunta nel suo “luogo di
tranquillità”, guardandosi intorno con aria un
po’ stupita. Si trattava proprio di Naruto che, scoperto
l’amico nel suo
rifugio, vi si diresse con passo rapido.
L’esclamazione fu unanime:
“Anche tu.. qui?!”
“Abbiamo
avuto la stessa idea” commentò Naruto, per
sciogliere il ghiaccio, stendendosi a poca distanza
dall’amico. “Anche tu non
riesci a dormire?”
La pelle chiarissima di Orochimaru
brillava alla luce della
luna, quasi fosse fatta della stessa sostanza opalescente. Vederlo
lì, accanto
a sé, con la stessa impossibilità nel prendere
sonno, gli faceva venire in
mente tante cose… come la vita di una persona,
all’improvviso, potesse
intrecciarsi con quella di un’altra, senza che nessuno dei
due potesse
prevederlo, né tantomeno evitarlo, e come fosse semplice (da
un istante
all’altro), sentirsi indissolubilmente, fortemente legati.
“Si. Odio quando il caldo
viene dalla finestra e ammorba
tutta la stanza… e poi mi piacciono il buio e il fresco. Si
riflette molto
meglio…”
Il biondo annuì, non
sapendo cosa aggiungere: condivideva
perfettamente i suoi pensieri.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, sprofondati
nuovamente in uno stato di leggero imbarazzo. Anche chiudendo gli occhi
la luce
chiara della luna si infiltrava sotto le palpebre facendoli pizzicare,
ma in
modo piacevole.
“Pensi mai ai tuoi
genitori?”
Un istante dopo aver fatto quella
domanda, Naruto si diede
dell’idiota: cosa gli saltava in testa di chiedergli una cosa
così personale?
Voleva rovinare tutto il clima di tranquillità, quasi di
complicità, che si era
creato tra loro due?
[E se
Orochimaru si
fosse alzato proprio in quel momento, seccato, e se ne fosse tornato di
sotto…]
“Saranno morti,
sicuramente. Come loro non si sono mai
interessati a me, non mi importa più niente di loro. A che
serve pensarci
ancora?”
Il biondo si tirò su, puntellandosi sul braccio teso e
scrutandolo con sguardo di rimprovero: “E ti sembra un modo
di arrenderti? Se
finisci tutto con un «tanto ormai chissà dove
sono..», hai messo fine alle
possibilità di ritrovarli! E poi, secondo me, anche se dici
così, in realtà
vorresti rivederli.. non ho ragione? Eh? Eh?”
Per ribadire il suo punto di vista si era chinato, attaccando
il naso a quello dell’amico, proprio come aveva fatto con
Kiba quella stessa
mattina. Ma lo scopo era tutt’altro…
Gli occhi dorati di Orochimaru
scavarono nei suoi, brillando
per un secondo con una scintilla divertita. Naruto si alzò
in piedi,
appoggiandosi con fare teatrale alla balaustra.
“Allegria, allegria! Basta coi musi lunghi.. sei con noi,
sei vivo, siamo amici.. che altro desideri? Fammi un sorriso,
su!” e, con uno
scatto fulmineo, afferrò le mani del ragazzo, trascinandolo
in una sorta di
danza pazzoide.
Giravano, ridendo e lanciando piccoli strilli liberatori; sembrava
non importasse loro nulla dei vicini, dei compagni, di quelli che
avrebbero
potuto vederli dalle finestre… in quel breve attimo di
immortalità, c’era solo
posto per le risate e la felicità piena, dominante.
All’ultimo
giro, il biondo perse l’equilibrio, finendo tra
le braccia dell’amico, che cadde disteso sul pavimento
tiepido.
I loro occhi si incontrarono nuovamente, ma questa volta la
situazione era totalmente diversa dalle precedenti. Sotto quel cielo
palpitante
[tanto da sembrare vivo..], due
piccole
anime si scrutavano, cercando l’una un frammento di
sé nell’altra… e cosa
importava, in fondo, se qualcuno li avesse visti? Era davvero
fondamentale il
giudizio del mondo, quando in cuor loro erano felici?
Senza pensarci un attimo, Naruto cinse le braccia intorno
alla piccola vita dell’amico, spingendolo su di sé
e stringendolo in una morsa
ferma, ma dolce, per non lasciarlo andare più via.
Con sua grande sorpresa, lui non si ribellò, né
tentò di
allontanarlo da sé. Semplicemente, lo sentì
posare quelle dita delicate e
mingherline sulla sua schiena, accentuando la stretta e respirando il
profumo
delicato, un po’ selvatico, che Naruto emanava.
Non era da lui, lo sapeva, e prima o
poi se ne sarebbe
pentito… ma, dopo anni che nessuno lo faceva sentire
accettato, sereno,
protetto, addirittura amato, come
poteva rifiutare quel contatto?
L’Orochimaru di un tempo
era forte, distaccato. Non amava le
smancerie…
L’Orochimaru che era stato
si sarebbe vergognato,
allontanato, sentito uno stupido bambino.
Un vero uomo non elemosina affetto.
Un vero uomo non si
lascia abbracciare così da un amico. Un vero uomo
non…
Sciocchezze. Tutte
sciocchezze… sono un ragazzino, non un uomo.
Con un sorriso, il biondo socchiuse gli occhi, godendosi
quella situazione nuova, e strana… ma, tutto sommato,
piacevole.
Ora che erano davvero
vicini… nel bene e nel male, capiva
che i suoi sentimenti erano ricambiati.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Avresti
mai pensato a quello che sarebbe potuto succedere..
dopo?
Dopo
quella sera sulla terrazza,
le barriere tra Naruto e Orochimaru erano definitivamente crollate.
Era
come se, dopo essersi
finalmente lasciati andare a quell’impeto di affetto
improvviso, fossero diventati
più consapevoli di cosa significasse il loro sentimento
reciproco: non era più
raro vederli abbracciarsi (nei momenti più duri), oppure
osservare l’uno che
sosteneva e incoraggiava l’altro, guardandolo negli occhi e
spronandolo a non
arrendersi (era soprattutto Naruto a ripeterlo all’amico).
Ormai tutti li
consideravano inseparabili, ed erano parecchi a insinuare che Naruto
preferisse
la compagnia dell’amico rispetto a quella di una ragazza.
“Falli
parlare” sospirava Orochimaru,
lanciando un’occhiata annoiata ai ragazzini che, fuori dalla
bottega del
panettiere, avevano accolto la loro uscita con un coro di gomitate e
sorrisini.
“Quando troveranno argomenti migliori di cui sparlare, ci
lasceranno in pace. E
poi, neanche mi avessi fatto una proposta
di matrimonio o cose del genere…”
Sentendolo parlare a quel modo, il
biondo arrossì, girando lo sguardo da un’altra
parte. Quei discorsi lo
mettevano terribilmente in imbarazzo, anche perché nemmeno
lui sapeva ancora
come definire bene il loro rapporto.
Amore? Se così si può
chiamare un sentimento di affetto, stima, generosità,
tenerezza reciproca,
allora il loro era amore… anche se il termine, ormai
abusato, dava un’idea
troppo vaga di quello che veramente erano. Amicizia profonda? Si,
probabilmente
quello era più consono… anche se mancava una
delle componenti fondamentali,
ossia il motivo per cui due persone possono diventare amiche: stare con
Orochimaru, più che un piacere, era una necessità.
Se lui non c’era, mancava qualcosa
di fondamentale… un po’ come le due
metà di Platone, pensava Naruto
(ricordando una vecchia storia che aveva sentito raccontare): era come
se, per
tutta la sua esistenza, avesse sempre cercato quel qualcosa che avrebbe
contribuito a completare il suo essere… e, ora che
l’aveva trovato in lui,
capiva davvero di non poterne più fare a meno.
Quando si guardava allo specchio,
vedeva un adolescente smilzo e alto, con gli occhi troppo grandi e il
viso
affilato, reso più adulto dalle esperienze
passate… ma di quei “segni
dell’innamoramento” di cui tutti parlavano, non
trovava traccia, e forse non
l’avrebbe mai trovata.
Ma
nulla poteva togliere dal volto
dell’amico quell’espressione serena, quasi lieta,
che lo animava in quei giorni.
Parecchie
cose nel loro “assetto
familiare” erano cambiate: Choji era tornato a vivere con suo
padre, che non
era più disoccupato, mentre Konohamaru era trasferito dagli
zii in pianta
stabile, pur tornando a visitarli praticamente ogni weekend. Per quanto
riguardava Kiba, invece, era talmente preso dal nuovo lavoro -
dog-sitter e
apprendista veterinario- da stare pochissimo a casa, trascorrendo quasi
tutta
la giornata tra studio e parco.
Con tutta quella calma, la casa
non sembrava più la stessa… anche se, ormai,
Orochimaru e Naruto riuscivano a
stare insieme soltanto la sera: la drogheria all’angolo aveva
chiuso, ma il
biondo era riuscito a trovare impiego come giardiniere presso la
villetta degli
Haruno, una famiglia che aveva una figlia della sua età.
“La
paga è discreta, non posso certo
lamentarmi” aveva dichiarato una sera, a cena.
“L’unico problema, se così
vogliamo definirlo, è Sakura, la figlia… deve
essersi innamorata di me, perché
non fa altro che seguirmi ed osservarmi mentre lavoro. Le
ragazze… che strane,
a volte” era scoppiato a ridere, terminando la frase con un
lungo sorso
d’acqua, non accorgendosi che l’amico lo guardava
con un sopracciglio alzato.
****
Che
un sentimento come la gelosia
potesse rodere il cuore di una persona impassibile e fredda come White
sembrava
impossibile a Naruto, ma l’umore che il ragazzo tenne durante
tutta quella
settimana lo convinse del contrario: sembrava quasi che tra loro fosse
discesa
nuovamente quella barriera che li aveva divisi all’inizio,
separandoli e
rendendo insopportabile l’atmosfera. Lui taceva, o rispondeva
a monosillabi,
Naruto lo interrogava o tentava di stuzzicarlo con le battutine, ma non
ottenevano altro che brevi risate e silenzi imbarazzati. Per fortuna,
però, non
durò molto: l’affetto che l’uno provava
per l’altro sembrava chiudere fuori
ogni genere di sfida.
L’unica differenza nel
comportamento di Orochimaru, però, era la sua rinnovata
freddezza: dopo un po’
lasciava morire quasi tutte le conversazioni, chiudendosi in un
silenzio cupo.
Intuendo che il motivo di quel
cambiamento fossero i suoi racconti di ciò che accadeva sul
lavoro, Naruto
decise di non riferirgli più nulla. Si limitava a
confidargli i suoi desideri e
le sue aspirazioni, trattandolo con la solita esuberanza gentile.
Ormai aveva rinunciato a cercare
di dipanare quella matassa incasinata che erano i suoi sentimenti per
l’amico:
cercava semplicemente di godersi, giorno per giorno, ciò che
la vita gli
donava.
E, guardando gli uccelli che
volteggiavano nel cielo, gli veniva in mente che la loro esistenza era
simile
alla loro, che sbattevano le piccole ali per conquistarsi a fatica uno
spazio
in quell’azzurro immenso.
****
Che
le cose si stessero mettendo
fin troppo male, Naruto non iniziò a capirlo da subito.
Se
ne accorse qualche giorno dopo,
quando le premure di Sakura divennero troppo strane e frequenti per
essere
considerate semplici segni di amicizia,
e lo misero in imbarazzo sempre crescente.
Quel giovedì sera, la ragazza
aveva insistito per riaccompagnarlo a casa a bordo della sua auto
nuova,
acquistata dai suoi come regalo per la patente appena ricevuta; durante
tutto
il tragitto, il biondo era rimasto zitto, nonostante Sakura cercasse di
introdurre una qualsiasi conversazione per sentirlo discutere, o
infervorarsi
su qualcosa. Niente da fare: oltre a due o tre frasi di cortesia, tra i
due
sembrava non voler nascere nessun tipo di discussione.
“Ci siamo.. scendo qui, grazie”.
Avevano
raggiunto i brutti
palazzoni di periferia. In lontananza, i pali della luce disposti in
fila
sembravano quasi maggiordomi alti e smilzi, tutti in paziente attesa di
ricevere il loro padrone in arrivo.
La ragazza uscì con un movimento
sinuoso dall’auto, aprendo con fare gentile anche la portiera
del ragazzo, che
la chiuse alle spalle e si voltò verso di lei. Stava per
salutarla con
semplicità, augurandole la buonanotte, quando lei lo
precedette: gli prese
entrambi le mani, piantando i suoi occhi verde lago in quelli azzurri e
stupiti
di Naruto (troppo sbalordito per ritrarsi, o cercare di fermarla).
“Naruto…
ho sempre aspettato per
dirtelo, e forse ho sbagliato. Però.. ho bisogno di
confessartelo
assolutamente, altrimenti combatterei anni col rimpianto di averti
lasciato
andar via..”
[Sakura..?]
“Io…
Naruto, sono innamorata di
te. Ti posso sembrare una ragazzina scema, una che si innamora a prima
vista, e
forse lo sono… ma non posso assolutamente nascondere i miei
sentimenti, e non
lo farò. Voglio che tu lo sappia..”
[Se sapessi che non posso
ricambiarti..]
Le
labbra del ragazzo stavano per
aprirsi, una frase per ribattere già pronta nella mente e
sulla punta della
lingua…
Ma
lei fu più veloce: le labbra
della ragazza (amore disperato? O forse
troppo impulsivo?) si chiusero sulle sue, accompagnando il
suo gesto
inutile, quasi buffo di abbracciarlo per trattenerlo, quasi avesse
capito le
sue intenzioni di fuga e volesse impedirglielo con tutta sé
stessa.
Chiuso in una gabbia senza via di
fuga, il biondo riuscì solo a rivolgere gli occhi da
un’altra parte, mentre la
sua mente lottava per tirare fuori una scusa qualsiasi che lo facesse
staccare
da lei. Si sentiva così ridicolmente impotente e stupido per
quel modo di
reagire da non riuscire a fare nulla… era un debole,
nonostante avesse sempre
pensato il contrario.
Era uno scemo…
Quando
finalmente riuscì a
scrollarsi di dosso la ragazza, sentì una strana fitta al
torace, un po’ sulla
destra. La strada era deserta (a parte qualche rara macchina di
passaggio)..
nessuno sembrava aver visto quella scena squallida, quindi. Meno
male…
Qualcuno, però, dal balcone
davanti al marciapiede, aveva seguito l’auto fin dal suo
arrivo. Una persona,
tra tutti gli abitanti, si era svegliata… una persona che
l’aveva atteso
sveglia, affacciandosi infine sulla terrazza per attenderlo
all’aria aperta…
Gli
occhi di Orochimaru brillarono
per un secondo del suo inconfondibile sguardo severo, furioso, nel loro
giallo-oro ammaliante, per poi voltarsi indietro.
****
Sapeva già che non ci sarebbero
state spiegazioni.
Orochimaru
tendeva a prendersi a
cuore ogni cosa, mentre lui era una testa dura della peggior specie:
forse si
erano attratti reciprocamente proprio a causa di quei
caratteracci… fatto stava
che, nella situazione attuale, l’unica soluzione accettabile
era di porre
rimedio al guaio, in qualunque modo avesse potuto farlo.
Voleva
litigare? Voleva mani sui
fianchi e pugni sventolati sotto al naso? Desiderava forse una bella
rissa, di
quelle che si iniziano ma non si sa come e quando (e soprattutto se..)
finiranno?
Le avrebbe avute tutte!
L’unica
cosa che rivoleva, anche
dopo un eventuale sfuriata, era la sua amicizia, intatta.
La
porta di casa era socchiusa.
Brutto segno.. borbottò tra i denti il biondo, infilandosi
delicatamente
all’interno dell’appartamento e chiudendola,
attento sempre a non creare rumori
inutili; era già diretto verso la stanza da letto, quando
una voce secca lo
inchiodò nel passo.
“E’
inutile che tu ci metta tutta
questa cautela. Sono già qui.”
La
testa di Naruto si girò al
rallentatore, in una sorta di moviola che, in qualsiasi altra
situazione,
sarebbe sembrata anche comica, ma in quell’istante non faceva
ridere per niente.
I suoi occhi fissarono il viso bianco dell’amico, le sue
labbra arricciate e le
ciocche di capelli nerissimi che teneva legati all’indietro,
tentando di
trovare un punto dove soffermarsi.
“Ci
hai visti?”
L’esordio
era ovviamente dei più
stupidi, ma l’altro non ci badò.
Giocherellò con finta aria noncurante con una
nappina del copri divano, scrutandolo da sotto in su col cipiglio di un
serpente che osserva una preda dibattersi.
“Ovviamente
si. Che bacio, eh? Ti
ci voleva proprio una ragazza, per provare una cosa
simile…”
Quelle
parole lo colpirono con la
violenza di uno schiaffo, ma non riuscirono a cancellare quel pizzico
di amor
proprio e strafottenza che ancora gli rimanevano. Gli rivolse uno
sguardo
arrabbiato… e, da quel preciso momento, desiderò
fargli male. Un male
terribile.
Non
sapeva neanche lui perché, ma
avrebbe voluto cancellare con la violenza quell’espressione
seccata, quel mezzo
ghigno divertito: sentiva esplodere dentro di sé un
sentimento doloroso e accecante,
che mischiava l’amore un tempo provato con la rabbia,
l’orgoglio, e chissà
quanti centinaia di altri sentimenti…
Sapeva
solo di volere che la
smettesse. Che soffrisse, come in quel momento soffriva lui.
“Si,
hai ragione. Sai, mi chiedevo
spesso cosa volesse dire, innamorarsi davvero di una ragazza..
e baciarla, oh si, Kiba mi ha detto che è semplicemente
favoloso.. cosa, credevi davvero che provassi qualcosa per
te? Che potessi innamorarmi di un ragazzino, di un trovatello
capitato per caso nella mia vita, senza essere stato invitato? Mi sa
che ti sei
fatto troppi film mentali, caro mio.. perché tu sei sempre
stato un compagno,
niente di più. Un compagno, capisci?
[Se avesse saputo quello che davvero
voleva dirgli. Se solo
avesse immaginato che, dietro a quelle frasi sprezzanti,
c’era la volontà di
non vederlo soffrire… di allontanarlo da sé, dopo
tutte le idiozie che aveva
commesso e che, sicuramente, avrebbe ricommesso in futuro…]
“Benissimo.
Non c’è bisogno
d’altro, allora… vado a dormire. E ti consiglio,
da domani, di trovarti un
altro compagno di casa, Uzumaki…”
Naruto si era già sbattuto la
porta alle spalle, rompendo la discussione.
****
Poche
ore dopo, quando una piccola
ombra sgattaiolò giù per le scale del palazzo
(stringendo al petto un fagotto
di vestiti), nessuno tentò di ostacolarla. Era libera di
andarsene, di fare
quel che voleva… protetta dalla notte, che aiuta chi vi
cerca conforto, senza
fare domande.
Una
figura dai capelli spettinati
nella penombra della sua stanza si alzò di scatto, svegliata
da quel leggero –click!
della porta e da un bruciante
senso di colpa…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Epilogo ***
Epilogo
Voglio
ricominciare.
La
strada si ripopolava
lentamente, dopo la pausa notturna, ma appariva ancora spoglia e priva
di
traffico.
Un
ragazzo biondo, rapido come un
proiettile, scattava tra i marciapiedi e le buche, inseguendo la figura
che si
allontanava (sempre più rapida), verso il centro, in cerca
di chissà che cosa.
Naruto,
allenato com’era a
destreggiarsi tra ostacoli e fughe di ogni genere, lo raggiunse, anche
se quasi
senza fiato. Era certo che si trattasse di lui… chi altro
avrebbe potuto
portarsi dietro i vestiti stretti al petto, come se fossero un tesoro
inestimabile?
“Orochimaru…
fermati. Fermati!”
Lo
scrollò per le spalle, giusto
per dargli l’idea di essere serio nelle sue intenzioni.
L’amico gli rivolse uno
sguardo a metà tra lo sconsolato e l’arrabbiato,
ma non era che una pallida
ombra del suo vero sguardo furioso.
“Naruto,
basta. Ognuno di noi ha
preso una decisione, e va rispettata. Sono stati degli anni piacevoli,
ma
adesso sono finiti… stai certo che rimarranno ben impressi
in tutti noi. Ma
adesso và, non diventare ridicolo”.
“E
se potesse tornare tutto come
prima? Ricordi quando ti spingevo a non arrenderti.. a desiderare
ancora di
rivedere i tuoi? Se mettessi la tua energia nel desiderare…
di tornare come
prima?
[Sono testardo, lo sapevi, no?]
“Ciò
che è distrutto totalmente
non può rinascere. Basta, ora…”
Perdeva
sicurezza mano a mano che
cercava delle parole, affannosamente. Naruto si sentì
improvvisamente più
forte.
“Se
qualche frammento ancora è
rimasto.. io voglio crederci. Ce la faremo, se
vuoi…”
Le
braccia del biondo si erano
fatte avanti per stringerlo, ma il ragazzo non volle piegarsi: aveva
preso la
sua decisione, come gli aveva già fatto capire molte, troppe
volte…
Con
un ultimo gesto disperato, di
sfida, sgusciò via dalla stretta e si buttò in
mezzo alla strada, sicuro di
riuscire a sfuggirgli…
Se
in quel momento entrambi
avessero creduto al destino, forse avrebbero sentito una sorta di premonizione per quello che stava per
accadere.
Un’auto
in corsa folle, guidata molto
probabilmente da qualcuno non del tutto sobrio, si stava dirigendo
esattamente
nel punto in cui si trovava Orochimaru… che, accecato dalle
lacrime di rabbia dispettose
e bollenti che colavano giù per il suo viso, non si era
accorto di nulla:
quando il clacson assordante raggiunse i suoi timpani, era
già inchiodato dalla
paura, troppo irrigidito per compiere alcun gesto.
L’ultima
cosa che vide, prima di
cadere, fu il corpo dell’amico buttato contro il suo, che
tentava di
proteggerlo dall’urto come una corazza di carne.
****
“Signorina,
per favore, porti una
brocca d’acqua pulita nella stanza numero 15… e
controlli che quel ragazzino
amico di Uzumaki non abbia dormito di nuovo raggomitolato sulla
poltrona, per
favore”.
L’infermiera,
graziosa ed efficiente
come sempre, eseguì l’ordine chinando il capo. Si
era presa parecchio a cuore
il caso di quel ragazzetto, investito da un’auto una
settimana prima e
gravemente ferito alla spina dorsale… si era ripreso, anche
se la
riabilitazione era stata lunga e difficile.
Per
fortuna aveva il suo amico,
accanto a sé.
“Buongiorno
ragazzi, è l’ora del
cambio della fasciatura!” esclamò, briosa,
entrando nella stanza e spalancando
le tende. I due ragazzi la osservarono con la coda
dell’occhio, ancora troppo
impigriti dal sonno per tentare un movimento qualsiasi.
“Orochimaru,
visto che stai
diventando un infermiere provetto… vuoi provare a
cambiargliela tu?” chiese,
porgendogli la benda al ragazzo con aria incoraggiante. “Io
devo scappare, ho
una corsia intera da visitare… Naruto tanto è in
buone mani!” e sparì, leggera
come era venuta.
Sospirando
(ma felice, in fondo al
cuore), il moro si apprestò a svolgere il suo
“servizio”.
“Fai
piano, che mi distruggi!”
“Scusami
caro, prometto che sarà
delicato!”
I
due si scambiarono una gomitata
e una risatina, dopodiché Naruto si lasciò
fasciare, da bravo degente. Era
felice, nonostante tutto… nonostante la schiena ormai
inservibile, nonostante
il dolore e la fatica nel compiere qualsiasi movimento.
L’aveva salvato… era
riuscito a proteggerlo, come desiderava dalla prima volta che
l’aveva visto:
tutto il resto poteva aggiustarsi.
“Naruto…potrò
mai scusarmi per
bene, e ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per
me?”
Il
biondo si fermò un attimo,
adombrandosi, ma si riprese quasi subito, tirandogli uno scappellotto:
“Testa
vuota! La tua cavolata mi
ha fatto giocare la schiena… vabbé, il dottore
dice che, tra un annetto, potrò
forse camminare di nuovo… però non tutto il male
viene per nuocere: adesso
dovrai farmi per sempre da
infermiera, felice?”
Lo
iniziò a tempestare di
pugnetti, sghignazzando.
“Cambiare
le lenzuolaaa!
Imboccarmi!!!! Portarmi a spasso!!! Ahh, ti ci vedo a far tutte queste
cose…
Orochimaru l’infermierina!”
Tra
una risata e l’altra, i loro
occhi si incontrarono.
“Mi sta bene tutto, baka. Mi
basta il tuo perdono… E sapere
che erano tutte idiozie, quelle che mi dicesti quella sera.”
Crollando
la testa all’indietro,
verso il cuscino, Naruto guardò un attimo fuori dalla
finestra: una poiana
volava alta nel cielo, descrivendo ampi cerchi con le larghe ali, senza
mai
fermarsi a riposare.
“Senti… sei stato
davvero felice di avermi trovato, quella
notte?”
“Ti pare una domanda da
fare?!? Se non ti avessi accettato
con noi, avrei perso la mia possibilità di conoscere
qualcuno che potesse
cambiarmi la vita…”
Rise
tra sé e sé, pensando che, anche
per lui e Orochimaru, era venuto il momento di spiegare le ali
“da adulti” e
provare ad affrontare il cielo, senza la paura di due piccoli uccelli
sperduti.
FINE
Angolo
dell’autrice
Che
posso dire, se non che sono davvero felicissima?
All’inizio,
quando ho saputo che il personaggio che avrei dovuto
trattare sarebbe stato Naruto, sono rimasta parecchio perplessa: come
metterlo
in relazione con un tipo alla Orochimaru, praticamente
l’opposto esatto del suo
carattere? XD mi è così venuta l’idea
di un AU dove fossero bambini, così da
poterli “inquadrare” in un’ottica diversa
e tentare un piccolo esperimento
shonen-ai, che spero vi sia piaciuto ^_^
Non
mi aspettavo davvero il primo posto, e mi ha quasi commossa
vedere il mio nome sulla lista dei vincitori. Forse è un
po’ melenso da dire,
ma.. posso davvero affermare di aver realizzato un grande sogno *w*
Ringrazio
di tutto cuore le giudici, Ainsel e Compagnescu, per la
loro pazienza nell’ascoltarci, giudicarci e concederci
proroghe.. XD e faccio
tanti complimenti a tutte le altre partecipanti, di cui
leggerò volentieri le
storie!
Dedico
questa vittoria a coloro che hanno sempre creduto in me,
spronandomi a continuare a scrivere e incoraggiandomi per non mollare,
anche
nei momenti no: la mia senpai, i miei genitori e tutte le amiche :*
Un
bacione grande,
Ino
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=351980
|