White Blood

di Nat_Matryoshka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



- Personaggi/Paring: Naruto, Orochimaru, Kiba Inuzuka, Konohamaru, Choji Akimichi, Sakura Haruno [OrochimaruxNaruto]
- Genere: Avventura, drammatico
- Rating: giallo
- Avvertimenti
: AU, shonen-ai
- Trama (facoltativa): In una città non ben precisata, un bambino sfugge alla miseria e alla fame di una vita randagia per incontrare nuovi compagni, a cui si unirà. Le avventure non mancheranno, e con loro la nascita di un sentimento nuovo e particolare per Naruto, il capobanda.
- NdA (facoltativa):
i personaggi della storia hanno tutti 14-15 anni, ma tra il primo capitolo e il terzo passano due anni; Orochimaru risulta quindi caratterizzato come ai tempi dell’Accademia ninja con Jiraiya e Tsunade.

 

 

 

White Blood

 

Ogni inizio è la fine di qualcosa.

 

 

Non sapeva dov’era, e neppure perché era lì. Sapeva di essere vivo, e basta.
Disteso su uno straccio lacero, nell’angolo di un vicolo buio e poco frequentato, il bambino si riparava dall’umidità, tentando di nascondersi il più possibile dagli sguardi: per sua fortuna, però, faceva troppo freddo perché qualcuno decidesse di passeggiare a quell’ora, e comunque non sarebbe mai saltato in mente a nessuno di inoltrarsi in strade così pericolose.
L’inverno stava finendo, ma notti come quella erano ancora gelide, e il più delle volte portavano la neve o il ghiaccio, facendo somigliare le strade a tanti sentieri di glassa, contornate da casette di marzapane.

Il paesaggio era quello di una favola, con i bambini che correvano per le strade (ben coperti e felici nel loro sfidarsi a palle di neve), e le coppie che passeggiavano mano nella mano, gettando occhiate alle vetrine, sorridenti nonostante i morsi impetuosi del gelo. Ma quello fatto di luminarie e passanti ben vestiti era solo il lato esteriore della città… il lato a cui molti avrebbero desiderato appartenere, e che appariva perfetto, lontanissimo, per coloro che vivevano dietro a quelle quinte dorate e affascinanti.
Il dedalo caotico e claustrofobico dei vicoli si snodava dalla piazza principale e abbracciava quasi tutta la periferia, col suo insieme di palazzoni, discariche e parcheggi sterrati. Più ci si allontanava dal centro, più l’aria diventava fresca e sopportabile, lasciando spazio a zone verdi e meno popolate… ma, nel bel mezzo dell’intreccio delle strade, i rigori dell’inverno e l’afa soffocante dell’estate giungevano intatti e fastidiosi, condizionando il più delle volte l’umore di chi vi abitava.
Il piccolo starnutì, cercando di stringere con i pugni chiusi la coperta sbrindellata che lo copriva a malapena. Dopo aver vagato per giorni, tormentato dal freddo e dalla fame, si era stabilito in quell’angolo con i suoi unici averi: un cappello, una sciarpa spelacchiata di lana marrone, le scarpe troppo grosse e pesanti per i suoi piedi magri, i pantaloni piene di toppe (fatte con quel che trovava e cucite con dello spago) e, appunto, quello straccio che fungeva da coperta.
Aveva mangiato prevalentemente croste di pane vecchio, rubandole nelle cucine dei ristoranti quando il cuoco si assentava, e si era fatto bastare per una settimana le poche verdure trovate quasi intatte vicino alla spazzatura: insomma, si arrangiava.
Aveva sentito dire che al centro, in quel groviglio di strade che chiamavano “La Ragnatela”, era più facile trovare cibo e riparo che in campagna, dove i controlli dell’esercito si rafforzavano e si veniva acciuffati pochi minuti dopo aver rubato anche una semplice mela al mercato. Nei suoi ricordi trovava descrizioni di bambini sporchi, furbi, che si riunivano in piccole bande e si procuravano il cibo lavorando e (talvolta) rubacchiando, per poi nascondersi come topi nelle canne fumarie dei casotti abbandonati, o nei bidoni dell’immondizia.
Il suo piano originario era quello di presentarsi ad uno qualsiasi dei capibanda, e chiedere di essere preso con loro: aveva già esperienza (avendo fatto parte di parecchi piccoli gruppi), e sapeva rendersi utile ai compagni in vari modi. Ora che era arrivato fin lì, però, iniziava a capire quanto fossero vuoti e vaneggianti quei sogni.

 La sera stava scendendo, e lui era più solo di quanto non fosse mai stato prima, tra le strade di campagna.

Il silenzio, solido come un muro, pesava sulle orecchie quasi con violenza, spaventandolo. Era abituato al canto degli uccelli, alle grida dei passanti, allo scorrere del torrente… suoni leggeri ma quotidiani, che lo facevano sentire quasi protetto, e il non udirli lo rendeva vulnerabile.
A peggiorare la situazione, una voce tonante si diffuse nel vicolo:

 “Ah, siete nascosti qui, eh? Uscite fuori, canaglie…”

 
La polizia girava per le strade più o meno ogni giorno, per controllare che nessun bambino fuggiasco le stesse usando come dormitori. Il più delle volte si limitavano a scacciarli con malgarbo, ma si raccontavano storie di ragazzini buttati su camion diretti nelle città vicine o trascinati alla stazione di polizia e costretti a trascorrere la notte in cella. Ragione in più per nascondersi e restare in gruppi, che contavano sull’unione e sulla possibilità di “coprirsi” a vicenda durante le fughe.
Anche prima di scorgere la figura massiccia del militare spuntare nella viuzza, capì che doveva darsela a gambe il più velocemente possibile. Alzatosi di scatto, il bambino ebbe pochi secondi per raccattare i suoi oggetti: non uno soltanto, ma ben due uomini in uniforme fecero irruzione, ferendolo con la luce accecante delle loro torce.

In seguito, gli eventi si succedettero così rapidamente da non lasciargli nemmeno il tempo di respirare.

 
Nell’attimo esatto in cui uno dei due uomini allungava la mano verso la sua gamba, il ragazzino si divincolò e iniziò una fuga forsennata, trascinando dietro di sé i suoi oggetti personali, che sbattevano e svolazzavano al vento quasi comicamente, come la scia di un aeroplano.
Le strade gli passavano davanti a velocità crescente, confondendo cartelli stradali, automobili e lampioni in un turbinio multicolore stordente, ma non gli importava: l’unica cosa che desiderava era mettere il maggior numero di passi possibili tra lui e i due agenti, che continuavano a stargli alle calcagna con una costanza degna dei migliori cani poliziotto.
Tossendo, ormai senza fiato, si tuffò in una galleria alla sua destra, sicuro di riuscire a scovare un angolo buio dove nascondersi fino al loro passaggio… ma, dopo aver voltato l’angolo, si accorse di aver commesso un grave errore: davanti ai suoi occhi si stagliava un muro, alto e impenetrabile, al di là del quale si intravedevano palazzi e alberi.

 In trappola.

 

Come spesso succede quando si è nei guai fino al collo, è l’istinto a comandare le azioni al posto del cervello. Trovandosi davanti quel muro di mattoni rossastri (anneriti alle estremità, probabilmente a causa dello smog), il bambino non rifletté nemmeno per un istante: i suoi muscoli gli urlavano di scalarlo, aggrapparsi con foga agli interstizi e salire più che poteva, fino ad attraversarlo… e non poté far altro che obbedirgli, nel disperato tentativo di darsela a gambe.

“Sta scappando! Sta scappando! Prendilo da sotto, così lo bloccheremo!”

La confusione aumentò, fino a condurlo ad uno stadio di semi-incoscienza. Prima di battere la schiena e finire a terra, ricordò di aver visto i due uomini buttarsi su di lui, allontanati qualche minuto dopo da un gruppetto (possibile?) di ragazzini, e la sua sciarpa torcersi in una capriola al rallentatore e finire con un volo quasi elegante a terra, descrivendo un disegno sinuoso simile alla coda di una cometa.

 
***

 

“Perché te lo sei portato dietro? Non ci servirà a nulla!”

“Ah, sentilo! Se avessimo pensato la stessa cosa quando ti sei presentato qui piagnucolando, credi che ti avremmo tenuto? Piantala di fare lo spocchioso!”
“Io direi di smetterla, tutti e due. Quando si trova un compagno abbandonato, lo si accoglie e basta. Guardate, si sta svegliando.”

Un cicaleccio sommesso accompagnò il risveglio del bambino, che aprì gli occhi pigramente. All’inizio, credette di sognare: com’era possibile trovarsi disteso su un letto, con un cuscino soffice dietro la testa e una folla di suoi coetanei intorno che lo osservavano con l’espressione curiosa di una scolaresca in visita allo zoo, se fino a poche ore prima era riverso sull’asfalto di una stradina decentrata?

 
[Forse era in Paradiso. Era morto in seguito al trauma cranico, e lo avevano portato direttamente in quello strano Paradiso, dai muri giallo cupo e l’arredamento alla buona..]

 

Il suo sguardo perplesso non passò inosservato. Quello che sembrava il capo, un ragazzino biondo con dei bizzarri graffi su ciascuna guancia, gli sorrise.
“Se ti stai chiedendo dove ti trovi, ti do subito la risposta: sei nella nostra base. Io sono Naruto Uzumaki, il capo delle Volpi Rosse, la banda insediata in questa zona. Loro sono Kiba (un tipo magro, con due segni sulle guance più grossi rispetto a quelli di Naruto e i capelli arruffati), Choji (uno più grassoccio, che sgranocchiava patatine) e Konohamaru (il più basso dei tre, con una espressione corrucciata stampata in viso). Benvenuto fra noi!”

 [Certe volte i sogni sono davvero bizzarri, pensò il ragazzino. Adesso mi sveglierò,e mi accorgerò di essere ancora in quel vicolo, avvolto nella coperta e solo come un cane…]

 “Allora, vuoi dirci almeno il tuo nome? Una presentazione sarebbe d’obbligo, non credi?”

A parlare era stato Kiba, che sembrava in qualche modo il vice di Naruto, forse per i modi spicci e un po’ autoritari. L’ultimo arrivato lo squadrò per un attimo, smarrito, e schiuse le labbra, lasciando uscire una voce sottile e roca:
“Mi.. mi chiamo Orochimaru”.

“Che razza di nome!” esclamò Konohamaru, divertito, lanciando un pezzo di pane all’indirizzo del nuovo arrivato (le buone maniere non erano proprio il suo forte…). “Troppo lungo! Da oggi in poi ti chiameremo Orochi o White, sei così pallido… da quant’è che non mangi?”
Orochimaru raggiunse uno specchio sbreccato nell’angolo della stanza con lo sguardo, e osservò il suo riflesso. Era vero: delle occhiaie marcate gli circondavano gli occhi giallognoli, e le guance incavate indicavano che non toccava cibo decente da parecchio tempo.
“Nessun problema, ti rimetteremo in sesto noi!”
Naruto era il capo della combriccola a tutti gli effetti, e in quanto tale si preoccupava della salute e delle condizioni dei suoi compagni. La casa in cui si trovavano apparteneva ai suoi genitori (morti parecchi anni prima), e ormai veniva usata solo come dormitorio e quartier generale.

 Nella zona vigevano regole ben precise, tra cui la più importante era quella di non fare domande, seguita dal non intromettersi negli affari altrui. Era talmente consueto vedere ragazzini che vivevano per conto loro, guidavano automobili e maneggiavano denaro da non meravigliare più nessuno: la polizia veniva chiamata solo in casi davvero estremi, come aggressioni armate o omicidi. In quel modo, i quattro erano riusciti a riunirsi e a tirare avanti, anche se con delle famiglie disastrate alle spalle: Kiba aveva una sorella sposata, che viveva nella parte “alta” della città (e il marito aveva esplicitamente dichiarato di non volere il cognato tra i piedi); il padre di Choji era disoccupato e gli unici parenti di Konohamaru erano due zii con un figlio piccolo, che però abitavano in un'altra regione… in quanto a Naruto, era completamente solo. Non c’era da stupirsi, quindi, se ogni fuggiasco (anche in condizioni disperate) venisse accolto con calore e benevolenza dai membri del gruppo.
Orochimaru accettò il cibo con un po’ di riluttanza: era pur sempre dotato di un certo orgoglio, e non gli piaceva essere imbeccato e coccolato come il pulcino più piccolo della nidiata. Però doveva riconoscere di essere affamato… e, dopotutto, non era proprio spiacevole trovarsi un tetto sulla testa e qualcosa sotto ai denti dopo settimane di stenti.

“Veniamo a noi, White” riprese Naruto, dopo averlo osservato mangiare in silenzio. “Per essere ammessi nel gruppo, è necessario far capire qualcosa di più di sé stessi. Cosa sai fare? Lavori manuali, destrezza, intelligenza fuori dal comune… hai qualche abilità particolare?”
Il ragazzino ci mise un po’ prima di rispondere.

“So afferrare gli oggetti molto velocemente, e correre bene. Un po’ di tempo fa, nella banda in cui mi trovavo, recuperavo le cose che ci portavano via gli altri ragazzini della zona”.

“Perfetto! Ci mancava qualcuno con i riflessi pronti” approvò Naruto, acchiappando anche lui un pezzo di pane. “Tu sarai l’addetto al controllo del movimento e alla sorveglianza, ci sarai molto utile durante gli spostamenti… per adesso, vedi di rimetterti in sesto e far comparire un po’ di grasso intorno a quelle ossa sporgenti, poi inizieremo a parlare di lavoro e mansioni. Ora a dormire, è tardi e abbiamo tutti bisogno di riposo”.
Da quello che Orochimaru poteva desumere, anche in quella casa esistevano ruoli definiti: l’addetto agli alimenti sembrava essere Konohamaru, mentre Choji sistemava gli arredi e teneva puliti i letti e le stanze. Kiba e Naruto erano “le menti”, e si limitavano a dar regole e a coordinare le azioni delle Volpi Rosse.
Fu infatti il ragazzo corpulento a distendere una coperta e un cuscino un po’ sformato sulla poltrona pieghevole destinata al “nuovo”, augurandogli la buona notte e dirigendosi nella stanza in fondo al corridoio, dove i quattro riposavano.

 ***

 
“Era tutta una messinscena quella delle abilità, ammettilo. L’avresti preso lo stesso, anche se non fosse stato capace neppure di acchiappare una mosca”.
Tra le qualità che mancavano a Naruto, la cosiddetta “faccia da poker” spiccava sulle altre con prepotenza. Il biondo tentò di assumere la solita espressione strafottente, ma dovette arrendersi poco dopo.

“Si, è così. Ha in sé qualcosa di strano, di speciale. Dal primo momento in cui l’ho visto, quando ci è passato davanti correndo, ho sentito di doverlo salvare in qualche modo. Forse sono solo pazzo, Kiba… ma sento che adesso il nostro gruppo è davvero al completo.”
Choji si risistemò sull’amaca appesa al soffitto, facendola dondolare pericolosamente da un lato e tirandosi addosso il lenzuolo. “Per essere strano, lo sei. Ma hai ragione: in cinque si sta sicuramente meglio”.

“Come si dice, sarà il futuro a rivelarci se abbiamo fatto bene o no a farlo restare”.
Kiba sbadigliò, con piglio quasi canino, e si sistemò sul letto, terminando lì la discussione.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Spesso i sentimenti nascono

quando qualcosa manca dentro di sé.

 

 

 

Ogni mattina, quando si svegliava e, per prima cosa, osservava il cielo diventare sempre più chiaro dalla finestra, Naruto pensava a come sarebbe stato avere una vita diversa.

Una vita normale, felice, con i suoi stress e tran-tran quotidiani. Una vita in cui l’unica cosa di cui devi preoccuparti sono i voti in pagella, le sgridate dei genitori e gli svaghi del weekend… una vita che può sembrare noiosa per chi la vive, ma per chi è costretto a fronteggiare ogni giorno guai, problemi finanziari e pericoli di ogni genere sarebbe un vero e proprio Paradiso.
Da quando Orochimaru si era unito a loro, molte cose erano cambiate.

Intanto, erano riusciti a trovarsi tutti un lavoro onesto: lui e Choji erano aiuto-commessi nella drogheria all’angolo, mentre Konohamaru aveva ripreso ad andare a scuola (come avrebbe dovuto fare da tempo); Kiba e Orochimaru, invece, facevano dei lavoretti saltuari, cambiando spesso sede e girando un po’ tutto il quartiere. Per la prima volta, Naruto sentiva di avere intorno a sé quasi una famiglia, sebbene non fosse delle più unite e “normali”.

E, dentro di sé, qualcosa cresceva. Qualcosa che fino a pochi mesi prima non esisteva.

 
La presenza di Orochimaru era piacevole e inquietante al tempo stesso: il suo temperamento silenzioso, tranquillo (quasi un po’ freddo) non era semplice da trattare per loro quattro, che erano abituati a strillarsi dietro e far baccano praticamente in ogni occasione, e non mancava di metterli a disagio. Così era solamente Naruto ad avere più confidenza con lui, cementando ulteriormente lo strano rapporto che si andava creando tra i due.
Gli piaceva parlare con White, soprattutto quando si trovavano per caso sul tetto del palazzo, accomunati per un istante dalla stessa volontà di evasione, di altezza; distesi sulla schiena, gli occhi persi tra le nuvole (durante il giorno) o nelle stelle (di notte), avevano iniziato a raccontarsi a vicenda le loro vite, quasi che l’uno desiderasse riversare una parte di sé stesso nell’altro.

 
[Era stato lì, forse, che quella sensazione era nata…?]

 
Alzando la mano aperta verso il cielo (come se volesse trattenerne un pezzo tra le dita), Naruto gli aveva chiesto così, casualmente, se i suoi genitori fossero morti. Si aspettava un silenzio di tomba, o al massimo un’occhiata seccata… e invece lui gli aveva raccontato tutto, non con il solito tono di voce piatto, ma con un’inflessione diversa, quasi sollevata. I suoi lo avevano abbandonato quando era piccolo, e fino ai dieci anni era vissuto con dei vicini nella loro casa in campagna. Poi, spinto dalla volontà di cambiare orizzonti, un mattino si era svegliato e si era incamminato verso la città, trasferendosi in un sobborgo e incontrando i membri della prima banda in cui era stato. Aveva vissuto abbastanza tranquillamente.. ma, in fondo al cuore, gli era rimasto il desiderio di ritrovare i suoi genitori, anche solo per chiedere loro le ragioni di quell’abbandono, i motivi per cui l’avevano lasciato e se n’erano andati senza farsi più sentire.
Dopo quelle chiacchierate, era come se un po’ del peso che li opprimeva si fosse sciolto, dileguandosi misteriosamente insieme alle nuvole: diventava più semplice sorridere, affrontare le azioni più normali senza cattivi pensieri e malumori.

E il merito, lo sapeva bene, era soprattutto di Orochimaru.

 
****

 

 “Tu e White siete fatti l’uno per l’altro, vecchio mio.”

In piedi dietro al bancone della cucina, Kiba e Naruto stavano sbucciando le patate per la cena di quella sera: per la sorpresa, il biondo si conficcò il pelapatate nella mano con cui ne stava reggendo una, facendo schizzare qualche goccia di sangue.
“Co… cosa ti salta in mente, così all’improvviso?!” esclamò, piccato, succhiandosi la ferita. “Credi che io sia… innamorato di lui, o cosa?”
“Sta calmo un po’”- cercò di blandirlo il bruno, lanciando un pezzo di patata cruda al suo cagnolino Akamaru, che aspettava qualche boccone sotto al tavolo- “Non ho detto che tu sia innamorato di lui. Dico solo che siete così carini quando vi appartate a chiacchierare, che sembrate una coppietta! Non c’è nulla di male, sai?”

Per nascondere il rossore furioso, Naruto finse di dover cercare assolutamente qualcosa dentro ad uno degli scaffali, facendo più rumore che poteva con i piatti e le posate. Intanto Kiba continuava a preparare, affettando le carote e parlottando a mezza voce, più tra sé che all’amico:
“Secondo me, fai bene. Con la vitaccia che facciamo, chi ha tempo per le romanticherie e gli impegni con una donna? È tanto meglio starsene ognuno per i fatti suoi, ecco. E non ci trovo nulla di male, nel fatto che tu e Orochi siate così legati..”

Il ragazzo avrebbe voluto probabilmente continuare ad elogiarlo, ma Naruto gli si avvicinò minacciosamente al collo, attaccandosi a meno di due centimetri dal suo viso e fissandolo con espressione truce: “Mi sta bene, ma vedi di non andare a spettegolare con Choji, Konohamaru e soprattutto con i tuoi amichetti dell’ufficio postale, altrimenti sai che saranno guai grossi. E mettiti in testa, una volta per tutte, che non-sono-gay!” esclamò, sillabando con cura le ultime tre parole e sfilandosi il grembiule con foga, per poi gettarlo su una sedia e buttarsi sulla poltrona in salotto.
Conosceva Kiba fin troppo bene, e sapeva benissimo che era una lingua lunga: se non avesse usato quella piccola ma importantissima precauzione, in meno di due giorni la città intera avrebbe saputo che Naruto Uzumaki, invece di correre dietro alle ragazze e corteggiarle, se ne stava tutto il giorno con quello strano ragazzino pallido dallo sguardo pungente. E che i primi a saperlo fossero quei pettegoli rompiscatole dei suoi colleghi postini era la cosa che più lo urtava.

 
Quella sera (come molte altre), si era messo a dormire tardi e di cattivo umore. Il caldo dell’estate in arrivo lo rendeva nervoso, impedendogli di riposare bene e svegliandolo spesso, anche due o tre volte a notte; così finiva per bighellonare in giro per l’appartamento, guardando i suoi compagni dormire e immergendosi in pensieri complessi e tutti rigorosamente senza conclusione.
Maledicendo la sfortuna, la stagione, il costruttore “di quelle topaie” e molte altre persone che col suo malumore non c’entravano proprio nulla, il biondo si era alzato, seduto sul letto e infine incamminato (come sempre) per i corridoi, felice semplicemente per la sensazione di freschezza che gli dava il pavimento a contatto coi piedi scalzi. La sua meta, ovviamente, era il terrazzino.
Avrebbe tirato fuori dal frigo una Coca Cola, un succo d’arancia o quel che aveva da offrirgli, e si sarebbe disteso (come già tante volte aveva fatto) sotto allo stendi panni… libero, tranquillo, rilassato: con la brezza che gli solleticava il viso e gli scompigliava gentilmente i capelli, che altro avrebbe potuto desiderare?

[Non poteva sapere, però, che anche un’altra persona avesse avuto la sua stessa idea, e che in quel momento fosse già all’aperto, nell’identica posizione in cui già Naruto si immaginava…]

 

Orochimaru detestava il caldo né più né meno di Naruto, e come il biondo cercava di sfuggirgli il più possibile. Già non sopportava uscire di giorno, con tutte quelle persone allegre e chiassose che invadevano le strade.. preferiva piuttosto gli spostamenti serali, nelle ore in cui il sole si coricava in un letto di soffici nuvole dorate e lasciava posto all’oscurità e alla calma del buio.
Come sempre, i suoi occhi erano rivolte alle stelle, che sembravano quasi volergli dare il benvenuto col loro brillare vivace. Quando raggiungeva il suo posto preferito, dimenticava totalmente i problemi e la tristezza: era come se la mente stessa decidesse di “archiviarli”, incantata com’era dall’immensità della volta celeste.
Un leggero rumore lo distrasse, facendolo voltare verso la porticina che dava sull’interno del palazzo: una figura non molto alta era appena giunta nel suo “luogo di tranquillità”, guardandosi intorno con aria un po’ stupita. Si trattava proprio di Naruto che, scoperto l’amico nel suo rifugio, vi si diresse con passo rapido.

L’esclamazione fu unanime:

“Anche tu.. qui?!”

 “Abbiamo avuto la stessa idea” commentò Naruto, per sciogliere il ghiaccio, stendendosi a poca distanza dall’amico. “Anche tu non riesci a dormire?”

La pelle chiarissima di Orochimaru brillava alla luce della luna, quasi fosse fatta della stessa sostanza opalescente. Vederlo lì, accanto a sé, con la stessa impossibilità nel prendere sonno, gli faceva venire in mente tante cose… come la vita di una persona, all’improvviso, potesse intrecciarsi con quella di un’altra, senza che nessuno dei due potesse prevederlo, né tantomeno evitarlo, e come fosse semplice (da un istante all’altro), sentirsi indissolubilmente, fortemente legati.

“Si. Odio quando il caldo viene dalla finestra e ammorba tutta la stanza… e poi mi piacciono il buio e il fresco. Si riflette molto meglio…”

Il biondo annuì, non sapendo cosa aggiungere: condivideva perfettamente i suoi pensieri.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, sprofondati nuovamente in uno stato di leggero imbarazzo. Anche chiudendo gli occhi la luce chiara della luna si infiltrava sotto le palpebre facendoli pizzicare, ma in modo piacevole.

“Pensi mai ai tuoi genitori?”

Un istante dopo aver fatto quella domanda, Naruto si diede dell’idiota: cosa gli saltava in testa di chiedergli una cosa così personale? Voleva rovinare tutto il clima di tranquillità, quasi di complicità, che si era creato tra loro due?

[E se Orochimaru si fosse alzato proprio in quel momento, seccato, e se ne fosse tornato di sotto…]

“Saranno morti, sicuramente. Come loro non si sono mai interessati a me, non mi importa più niente di loro. A che serve pensarci ancora?”
Il biondo si tirò su, puntellandosi sul braccio teso e scrutandolo con sguardo di rimprovero: “E ti sembra un modo di arrenderti? Se finisci tutto con un «tanto ormai chissà dove sono..», hai messo fine alle possibilità di ritrovarli! E poi, secondo me, anche se dici così, in realtà vorresti rivederli.. non ho ragione? Eh? Eh?”
Per ribadire il suo punto di vista si era chinato, attaccando il naso a quello dell’amico, proprio come aveva fatto con Kiba quella stessa mattina. Ma lo scopo era tutt’altro…

Gli occhi dorati di Orochimaru scavarono nei suoi, brillando per un secondo con una scintilla divertita. Naruto si alzò in piedi, appoggiandosi con fare teatrale alla balaustra.
“Allegria, allegria! Basta coi musi lunghi.. sei con noi, sei vivo, siamo amici.. che altro desideri? Fammi un sorriso, su!” e, con uno scatto fulmineo, afferrò le mani del ragazzo, trascinandolo in una sorta di danza pazzoide.
Giravano, ridendo e lanciando piccoli strilli liberatori; sembrava non importasse loro nulla dei vicini, dei compagni, di quelli che avrebbero potuto vederli dalle finestre… in quel breve attimo di immortalità, c’era solo posto per le risate e la felicità piena, dominante.

 All’ultimo giro, il biondo perse l’equilibrio, finendo tra le braccia dell’amico, che cadde disteso sul pavimento tiepido.

 
I loro occhi si incontrarono nuovamente, ma questa volta la situazione era totalmente diversa dalle precedenti. Sotto quel cielo palpitante [tanto da sembrare vivo..], due piccole anime si scrutavano, cercando l’una un frammento di sé nell’altra… e cosa importava, in fondo, se qualcuno li avesse visti? Era davvero fondamentale il giudizio del mondo, quando in cuor loro erano felici?
Senza pensarci un attimo, Naruto cinse le braccia intorno alla piccola vita dell’amico, spingendolo su di sé e stringendolo in una morsa ferma, ma dolce, per non lasciarlo andare più via.
Con sua grande sorpresa, lui non si ribellò, né tentò di allontanarlo da sé. Semplicemente, lo sentì posare quelle dita delicate e mingherline sulla sua schiena, accentuando la stretta e respirando il profumo delicato, un po’ selvatico, che Naruto emanava.

Non era da lui, lo sapeva, e prima o poi se ne sarebbe pentito… ma, dopo anni che nessuno lo faceva sentire accettato, sereno, protetto, addirittura amato, come poteva rifiutare quel contatto?

L’Orochimaru di un tempo era forte, distaccato. Non amava le smancerie…

L’Orochimaru che era stato si sarebbe vergognato, allontanato, sentito uno stupido bambino.

Un vero uomo non elemosina affetto. Un vero uomo non si lascia abbracciare così da un amico. Un vero uomo non…

 
Sciocchezze. Tutte sciocchezze… sono un ragazzino, non un uomo.

 
Con un sorriso, il biondo socchiuse gli occhi, godendosi quella situazione nuova, e strana… ma, tutto sommato, piacevole.

Ora che erano davvero vicini… nel bene e nel male, capiva che i suoi sentimenti erano ricambiati.

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Avresti mai pensato a quello che sarebbe potuto succedere..

dopo?

 

 

Dopo quella sera sulla terrazza, le barriere tra Naruto e Orochimaru erano definitivamente crollate.

Era come se, dopo essersi finalmente lasciati andare a quell’impeto di affetto improvviso, fossero diventati più consapevoli di cosa significasse il loro sentimento reciproco: non era più raro vederli abbracciarsi (nei momenti più duri), oppure osservare l’uno che sosteneva e incoraggiava l’altro, guardandolo negli occhi e spronandolo a non arrendersi (era soprattutto Naruto a ripeterlo all’amico). Ormai tutti li consideravano inseparabili, ed erano parecchi a insinuare che Naruto preferisse la compagnia dell’amico rispetto a quella di una ragazza.

“Falli parlare” sospirava Orochimaru, lanciando un’occhiata annoiata ai ragazzini che, fuori dalla bottega del panettiere, avevano accolto la loro uscita con un coro di gomitate e sorrisini. “Quando troveranno argomenti migliori di cui sparlare, ci lasceranno in pace. E poi, neanche mi avessi fatto una proposta di matrimonio o cose del genere…”
Sentendolo parlare a quel modo, il biondo arrossì, girando lo sguardo da un’altra parte. Quei discorsi lo mettevano terribilmente in imbarazzo, anche perché nemmeno lui sapeva ancora come definire bene il loro rapporto.

 
Amore? Se così si può chiamare un sentimento di affetto, stima, generosità, tenerezza reciproca, allora il loro era amore… anche se il termine, ormai abusato, dava un’idea troppo vaga di quello che veramente erano. Amicizia profonda? Si, probabilmente quello era più consono… anche se mancava una delle componenti fondamentali, ossia il motivo per cui due persone possono diventare amiche: stare con Orochimaru, più che un piacere, era una necessità.
Se lui non c’era, mancava qualcosa di fondamentale… un po’ come le due metà di Platone, pensava Naruto (ricordando una vecchia storia che aveva sentito raccontare): era come se, per tutta la sua esistenza, avesse sempre cercato quel qualcosa che avrebbe contribuito a completare il suo essere… e, ora che l’aveva trovato in lui, capiva davvero di non poterne più fare a meno.
Quando si guardava allo specchio, vedeva un adolescente smilzo e alto, con gli occhi troppo grandi e il viso affilato, reso più adulto dalle esperienze passate… ma di quei “segni dell’innamoramento” di cui tutti parlavano, non trovava traccia, e forse non l’avrebbe mai trovata.

Ma nulla poteva togliere dal volto dell’amico quell’espressione serena, quasi lieta, che lo animava in quei giorni.
 

Parecchie cose nel loro “assetto familiare” erano cambiate: Choji era tornato a vivere con suo padre, che non era più disoccupato, mentre Konohamaru era trasferito dagli zii in pianta stabile, pur tornando a visitarli praticamente ogni weekend. Per quanto riguardava Kiba, invece, era talmente preso dal nuovo lavoro - dog-sitter e apprendista veterinario- da stare pochissimo a casa, trascorrendo quasi tutta la giornata tra studio e parco.
Con tutta quella calma, la casa non sembrava più la stessa… anche se, ormai, Orochimaru e Naruto riuscivano a stare insieme soltanto la sera: la drogheria all’angolo aveva chiuso, ma il biondo era riuscito a trovare impiego come giardiniere presso la villetta degli Haruno, una famiglia che aveva una figlia della sua età.

“La paga è discreta, non posso certo lamentarmi” aveva dichiarato una sera, a cena. “L’unico problema, se così vogliamo definirlo, è Sakura, la figlia… deve essersi innamorata di me, perché non fa altro che seguirmi ed osservarmi mentre lavoro. Le ragazze… che strane, a volte” era scoppiato a ridere, terminando la frase con un lungo sorso d’acqua, non accorgendosi che l’amico lo guardava con un sopracciglio alzato.

****

 

Che un sentimento come la gelosia potesse rodere il cuore di una persona impassibile e fredda come White sembrava impossibile a Naruto, ma l’umore che il ragazzo tenne durante tutta quella settimana lo convinse del contrario: sembrava quasi che tra loro fosse discesa nuovamente quella barriera che li aveva divisi all’inizio, separandoli e rendendo insopportabile l’atmosfera. Lui taceva, o rispondeva a monosillabi, Naruto lo interrogava o tentava di stuzzicarlo con le battutine, ma non ottenevano altro che brevi risate e silenzi imbarazzati. Per fortuna, però, non durò molto: l’affetto che l’uno provava per l’altro sembrava chiudere fuori ogni genere di sfida.
L’unica differenza nel comportamento di Orochimaru, però, era la sua rinnovata freddezza: dopo un po’ lasciava morire quasi tutte le conversazioni, chiudendosi in un silenzio cupo.
Intuendo che il motivo di quel cambiamento fossero i suoi racconti di ciò che accadeva sul lavoro, Naruto decise di non riferirgli più nulla. Si limitava a confidargli i suoi desideri e le sue aspirazioni, trattandolo con la solita esuberanza gentile.
Ormai aveva rinunciato a cercare di dipanare quella matassa incasinata che erano i suoi sentimenti per l’amico: cercava semplicemente di godersi, giorno per giorno, ciò che la vita gli donava.
E, guardando gli uccelli che volteggiavano nel cielo, gli veniva in mente che la loro esistenza era simile alla loro, che sbattevano le piccole ali per conquistarsi a fatica uno spazio in quell’azzurro immenso.

 

****

 

Che le cose si stessero mettendo fin troppo male, Naruto non iniziò a capirlo da subito.

Se ne accorse qualche giorno dopo, quando le premure di Sakura divennero troppo strane e frequenti per essere considerate semplici segni di amicizia, e lo misero in imbarazzo sempre crescente.
Quel giovedì sera, la ragazza aveva insistito per riaccompagnarlo a casa a bordo della sua auto nuova, acquistata dai suoi come regalo per la patente appena ricevuta; durante tutto il tragitto, il biondo era rimasto zitto, nonostante Sakura cercasse di introdurre una qualsiasi conversazione per sentirlo discutere, o infervorarsi su qualcosa. Niente da fare: oltre a due o tre frasi di cortesia, tra i due sembrava non voler nascere nessun tipo di discussione.

 
“Ci siamo.. scendo qui, grazie”.

 

Avevano raggiunto i brutti palazzoni di periferia. In lontananza, i pali della luce disposti in fila sembravano quasi maggiordomi alti e smilzi, tutti in paziente attesa di ricevere il loro padrone in arrivo.
La ragazza uscì con un movimento sinuoso dall’auto, aprendo con fare gentile anche la portiera del ragazzo, che la chiuse alle spalle e si voltò verso di lei. Stava per salutarla con semplicità, augurandole la buonanotte, quando lei lo precedette: gli prese entrambi le mani, piantando i suoi occhi verde lago in quelli azzurri e stupiti di Naruto (troppo sbalordito per ritrarsi, o cercare di fermarla).

“Naruto… ho sempre aspettato per dirtelo, e forse ho sbagliato. Però.. ho bisogno di confessartelo assolutamente, altrimenti combatterei anni col rimpianto di averti lasciato andar via..”

[Sakura..?]

“Io… Naruto, sono innamorata di te. Ti posso sembrare una ragazzina scema, una che si innamora a prima vista, e forse lo sono… ma non posso assolutamente nascondere i miei sentimenti, e non lo farò. Voglio che tu lo sappia..”

[Se sapessi che non posso ricambiarti..]

Le labbra del ragazzo stavano per aprirsi, una frase per ribattere già pronta nella mente e sulla punta della lingua…

Ma lei fu più veloce: le labbra della ragazza (amore disperato? O forse troppo impulsivo?) si chiusero sulle sue, accompagnando il suo gesto inutile, quasi buffo di abbracciarlo per trattenerlo, quasi avesse capito le sue intenzioni di fuga e volesse impedirglielo con tutta sé stessa.
Chiuso in una gabbia senza via di fuga, il biondo riuscì solo a rivolgere gli occhi da un’altra parte, mentre la sua mente lottava per tirare fuori una scusa qualsiasi che lo facesse staccare da lei. Si sentiva così ridicolmente impotente e stupido per quel modo di reagire da non riuscire a fare nulla… era un debole, nonostante avesse sempre pensato il contrario.

Era uno scemo…

Quando finalmente riuscì a scrollarsi di dosso la ragazza, sentì una strana fitta al torace, un po’ sulla destra. La strada era deserta (a parte qualche rara macchina di passaggio).. nessuno sembrava aver visto quella scena squallida, quindi. Meno male…
Qualcuno, però, dal balcone davanti al marciapiede, aveva seguito l’auto fin dal suo arrivo. Una persona, tra tutti gli abitanti, si era svegliata… una persona che l’aveva atteso sveglia, affacciandosi infine sulla terrazza per attenderlo all’aria aperta…

 Gli occhi di Orochimaru brillarono per un secondo del suo inconfondibile sguardo severo, furioso, nel loro giallo-oro ammaliante, per poi voltarsi indietro.

 

****

 
Sapeva già che non ci sarebbero state spiegazioni.

Orochimaru tendeva a prendersi a cuore ogni cosa, mentre lui era una testa dura della peggior specie: forse si erano attratti reciprocamente proprio a causa di quei caratteracci… fatto stava che, nella situazione attuale, l’unica soluzione accettabile era di porre rimedio al guaio, in qualunque modo avesse potuto farlo.

Voleva litigare? Voleva mani sui fianchi e pugni sventolati sotto al naso? Desiderava forse una bella rissa, di quelle che si iniziano ma non si sa come e quando (e soprattutto se..) finiranno?
Le avrebbe avute tutte!

L’unica cosa che rivoleva, anche dopo un eventuale sfuriata, era la sua amicizia, intatta.

La porta di casa era socchiusa. Brutto segno.. borbottò tra i denti il biondo, infilandosi delicatamente all’interno dell’appartamento e chiudendola, attento sempre a non creare rumori inutili; era già diretto verso la stanza da letto, quando una voce secca lo inchiodò nel passo.

“E’ inutile che tu ci metta tutta questa cautela. Sono già qui.”

La testa di Naruto si girò al rallentatore, in una sorta di moviola che, in qualsiasi altra situazione, sarebbe sembrata anche comica, ma in quell’istante non faceva ridere per niente. I suoi occhi fissarono il viso bianco dell’amico, le sue labbra arricciate e le ciocche di capelli nerissimi che teneva legati all’indietro, tentando di trovare un punto dove soffermarsi.

“Ci hai visti?”

L’esordio era ovviamente dei più stupidi, ma l’altro non ci badò. Giocherellò con finta aria noncurante con una nappina del copri divano, scrutandolo da sotto in su col cipiglio di un serpente che osserva una preda dibattersi.

“Ovviamente si. Che bacio, eh? Ti ci voleva proprio una ragazza, per provare una cosa simile…”

Quelle parole lo colpirono con la violenza di uno schiaffo, ma non riuscirono a cancellare quel pizzico di amor proprio e strafottenza che ancora gli rimanevano. Gli rivolse uno sguardo arrabbiato… e, da quel preciso momento, desiderò fargli male. Un male terribile.

Non sapeva neanche lui perché, ma avrebbe voluto cancellare con la violenza quell’espressione seccata, quel mezzo ghigno divertito: sentiva esplodere dentro di sé un sentimento doloroso e accecante, che mischiava l’amore un tempo provato con la rabbia, l’orgoglio, e chissà quanti centinaia di altri sentimenti…

Sapeva solo di volere che la smettesse. Che soffrisse, come in quel momento soffriva lui.

“Si, hai ragione. Sai, mi chiedevo spesso cosa volesse dire, innamorarsi davvero di una ragazza.. e baciarla, oh si, Kiba mi ha detto che è semplicemente favoloso.. cosa, credevi davvero che provassi qualcosa per te? Che potessi innamorarmi di un ragazzino, di un trovatello capitato per caso nella mia vita, senza essere stato invitato? Mi sa che ti sei fatto troppi film mentali, caro mio.. perché tu sei sempre stato un compagno, niente di più. Un compagno, capisci?

[Se avesse saputo quello che davvero voleva dirgli. Se solo avesse immaginato che, dietro a quelle frasi sprezzanti, c’era la volontà di non vederlo soffrire… di allontanarlo da sé, dopo tutte le idiozie che aveva commesso e che, sicuramente, avrebbe ricommesso in futuro…]

“Benissimo. Non c’è bisogno d’altro, allora… vado a dormire. E ti consiglio, da domani, di trovarti un altro compagno di casa, Uzumaki…”
Naruto si era già sbattuto la porta alle spalle, rompendo la discussione.

 
****

 

Poche ore dopo, quando una piccola ombra sgattaiolò giù per le scale del palazzo (stringendo al petto un fagotto di vestiti), nessuno tentò di ostacolarla. Era libera di andarsene, di fare quel che voleva… protetta dalla notte, che aiuta chi vi cerca conforto, senza fare domande.

Una figura dai capelli spettinati nella penombra della sua stanza si alzò di scatto, svegliata da quel leggero –click! della porta e da un bruciante senso di colpa…

 

 

 

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Voglio ricominciare.

 

 

La strada si ripopolava lentamente, dopo la pausa notturna, ma appariva ancora spoglia e priva di traffico.

Un ragazzo biondo, rapido come un proiettile, scattava tra i marciapiedi e le buche, inseguendo la figura che si allontanava (sempre più rapida), verso il centro, in cerca di chissà che cosa.

Naruto, allenato com’era a destreggiarsi tra ostacoli e fughe di ogni genere, lo raggiunse, anche se quasi senza fiato. Era certo che si trattasse di lui… chi altro avrebbe potuto portarsi dietro i vestiti stretti al petto, come se fossero un tesoro inestimabile?

“Orochimaru… fermati. Fermati!”

Lo scrollò per le spalle, giusto per dargli l’idea di essere serio nelle sue intenzioni. L’amico gli rivolse uno sguardo a metà tra lo sconsolato e l’arrabbiato, ma non era che una pallida ombra del suo vero sguardo furioso.

“Naruto, basta. Ognuno di noi ha preso una decisione, e va rispettata. Sono stati degli anni piacevoli, ma adesso sono finiti… stai certo che rimarranno ben impressi in tutti noi. Ma adesso và, non diventare ridicolo”.

“E se potesse tornare tutto come prima? Ricordi quando ti spingevo a non arrenderti.. a desiderare ancora di rivedere i tuoi? Se mettessi la tua energia nel desiderare… di tornare come prima?

[Sono testardo, lo sapevi, no?]

“Ciò che è distrutto totalmente non può rinascere. Basta, ora…”

Perdeva sicurezza mano a mano che cercava delle parole, affannosamente. Naruto si sentì improvvisamente più forte.

“Se qualche frammento ancora è rimasto.. io voglio crederci. Ce la faremo, se vuoi…”

 

Le braccia del biondo si erano fatte avanti per stringerlo, ma il ragazzo non volle piegarsi: aveva preso la sua decisione, come gli aveva già fatto capire molte, troppe volte…

Con un ultimo gesto disperato, di sfida, sgusciò via dalla stretta e si buttò in mezzo alla strada, sicuro di riuscire a sfuggirgli…

 

Se in quel momento entrambi avessero creduto al destino, forse avrebbero sentito una sorta di premonizione per quello che stava per accadere.

Un’auto in corsa folle, guidata molto probabilmente da qualcuno non del tutto sobrio, si stava dirigendo esattamente nel punto in cui si trovava Orochimaru… che, accecato dalle lacrime di rabbia dispettose e bollenti che colavano giù per il suo viso, non si era accorto di nulla: quando il clacson assordante raggiunse i suoi timpani, era già inchiodato dalla paura, troppo irrigidito per compiere alcun gesto.

 

L’ultima cosa che vide, prima di cadere, fu il corpo dell’amico buttato contro il suo, che tentava di proteggerlo dall’urto come una corazza di carne.

 

 

****

 

“Signorina, per favore, porti una brocca d’acqua pulita nella stanza numero 15… e controlli che quel ragazzino amico di Uzumaki non abbia dormito di nuovo raggomitolato sulla poltrona, per favore”.

L’infermiera, graziosa ed efficiente come sempre, eseguì l’ordine chinando il capo. Si era presa parecchio a cuore il caso di quel ragazzetto, investito da un’auto una settimana prima e gravemente ferito alla spina dorsale… si era ripreso, anche se la riabilitazione era stata lunga e difficile.

 

Per fortuna aveva il suo amico, accanto a sé.

 

“Buongiorno ragazzi, è l’ora del cambio della fasciatura!” esclamò, briosa, entrando nella stanza e spalancando le tende. I due ragazzi la osservarono con la coda dell’occhio, ancora troppo impigriti dal sonno per tentare un movimento qualsiasi.

“Orochimaru, visto che stai diventando un infermiere provetto… vuoi provare a cambiargliela tu?” chiese, porgendogli la benda al ragazzo con aria incoraggiante. “Io devo scappare, ho una corsia intera da visitare… Naruto tanto è in buone mani!” e sparì, leggera come era venuta.

Sospirando (ma felice, in fondo al cuore), il moro si apprestò a svolgere il suo “servizio”.

 

“Fai piano, che mi distruggi!”

“Scusami caro, prometto che sarà delicato!”

I due si scambiarono una gomitata e una risatina, dopodiché Naruto si lasciò fasciare, da bravo degente. Era felice, nonostante tutto… nonostante la schiena ormai inservibile, nonostante il dolore e la fatica nel compiere qualsiasi movimento. L’aveva salvato… era riuscito a proteggerlo, come desiderava dalla prima volta che l’aveva visto: tutto il resto poteva aggiustarsi.

“Naruto…potrò mai scusarmi per bene, e ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me?”

Il biondo si fermò un attimo, adombrandosi, ma si riprese quasi subito, tirandogli uno scappellotto:

“Testa vuota! La tua cavolata mi ha fatto giocare la schiena… vabbé, il dottore dice che, tra un annetto, potrò forse camminare di nuovo… però non tutto il male viene per nuocere: adesso dovrai farmi per sempre da infermiera, felice?”

Lo iniziò a tempestare di pugnetti, sghignazzando.

“Cambiare le lenzuolaaa! Imboccarmi!!!! Portarmi a spasso!!! Ahh, ti ci vedo a far tutte queste cose… Orochimaru l’infermierina!”

Tra una risata e l’altra, i loro occhi si incontrarono.

 

“Mi sta bene tutto, baka. Mi basta il tuo perdono… E sapere che erano tutte idiozie, quelle che mi dicesti quella sera.”

 

Crollando la testa all’indietro, verso il cuscino, Naruto guardò un attimo fuori dalla finestra: una poiana volava alta nel cielo, descrivendo ampi cerchi con le larghe ali, senza mai fermarsi a riposare.

 

“Senti… sei stato davvero felice di avermi trovato, quella notte?”

“Ti pare una domanda da fare?!? Se non ti avessi accettato con noi, avrei perso la mia possibilità di conoscere qualcuno che potesse cambiarmi la vita…”

 

Rise tra sé e sé, pensando che, anche per lui e Orochimaru, era venuto il momento di spiegare le ali “da adulti” e provare ad affrontare il cielo, senza la paura di due piccoli uccelli sperduti.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

Che posso dire, se non che sono davvero felicissima?

All’inizio, quando ho saputo che il personaggio che avrei dovuto trattare sarebbe stato Naruto, sono rimasta parecchio perplessa: come metterlo in relazione con un tipo alla Orochimaru, praticamente l’opposto esatto del suo carattere? XD mi è così venuta l’idea di un AU dove fossero bambini, così da poterli “inquadrare” in un’ottica diversa e tentare un piccolo esperimento shonen-ai, che spero vi sia piaciuto ^_^

Non mi aspettavo davvero il primo posto, e mi ha quasi commossa vedere il mio nome sulla lista dei vincitori. Forse è un po’ melenso da dire, ma.. posso davvero affermare di aver realizzato un grande sogno *w*

Ringrazio di tutto cuore le giudici, Ainsel e Compagnescu, per la loro pazienza nell’ascoltarci, giudicarci e concederci proroghe.. XD e faccio tanti complimenti a tutte le altre partecipanti, di cui leggerò volentieri le storie!

 

Dedico questa vittoria a coloro che hanno sempre creduto in me, spronandomi a continuare a scrivere e incoraggiandomi per non mollare, anche nei momenti no: la mia senpai, i miei genitori e tutte le amiche :*

Un bacione grande,

Ino

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