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di winterlover97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Le dita scorrevano sui tasti del vecchio pianoforte diffondendo nell'aria una melodia struggente e dolce, a tratti malinconica. Terminata la melodia tirai giù il coperchio e, presa la borsa, uscii fuori casa chiudendo la porta a chiave. 
Camminai verso il parco cittadino e mi sedetti su una delle panchine tirando su il bavero della giacca. 

Mi ero trasferita solo pochi mesi prima ed ero riuscita ad ambientarmi bene e a trovare un buon lavoro presso una rivista cinematografica in qualità di addetta alle recensioni e ai piccoli articoli. La vita sociale non mancava, uscivo una volta o due a settimana con i colleghi di lavoro per bere un drink (in genere al mercoledì e al venerdì sera), poi andavo in palestra altre due volte a settimana e uscivo a correre ogni mattina. Non mi definivo una cultrice o fanatica della forma perfetta, però da un paio di anni era diventata un'ottima distrazione contro tutto quello che mi accadeva. 
Mi impediva di pensare.

Decisi di tornare a casa a prepararmi per la solita corsa mattutina. Non appena arrivata, presi un paio di leggins termici, una felpa abbastanza larga, un cappello e infine cuffie e telefono. 
La musica echeggiava nei miei canali uditivi e aumentai il ritmo della corsa percorrendo il sentiero vicino al laghetto. 
Quella mattina, complice il freddo (c'erano solo 8-9 gradi) vi erano solo poche persone in giro per il parco, il più delle quali erano quelle abitudinarie. 
Solo un paio di persone, per l'esattezza tre, erano nuove del contesto: avvolti da una tuta chiara e dall'aria pesante, correvano a ritmo sostenuto. Non me ne curai e andai avanti a correre per la mia strada. 

Terminai il mio giro quotidiano poi ritornai a casa infreddolita e sudata. L'aria tiepida di casa mi avvolse tutto e mi scaldò la punta del naso. Inaspettatamente le dita non erano fredde come il solito, piuttosto erano coperte da una leggera brina, ghiaccio che me le avvolgeva fino alle nocche. 
Rimasi parecchio sorpresa poi decisi, vista l'ora, di andare a farmi una bella doccia e poi dritta in ufficio. 

L'acqua emanava vapore e appannava i vetri della doccia, tanto da poterci scrivere sopra se solo lo si volesse. Finii di insaponarmi poi la riaprii. Finito di sciacquarmi la chiusi e avvolsi il mio corpo nel morbido asciugamano, mentre i capelli in un turbante.  Finito di vestirmi presi la tracolla con il necessario e uscii di casa per la terza e ultima volta quella mattina. Abbassai il cappello fino a coprirmi le orecchie, gelide per il freddo, poi sistemai i guanti, a cui avevo tagliato le punte delle dita mesi prima e mi avviai verso l'ufficio.

Quel mattino il traffico era più intenso del solito, sembrava che le persone si fossero svegliate in ritardo e che si stessero intralciando a vicenda perdendo molto tempo. Aspirai l'aria gelida poi continuai a camminare per la mia strada, facendomi largo tra i passanti. Nel caos, improvvisamente, il conducente di un taxi, di quelli gialli tipici americani che si vedono nei film, aveva perso il controllo del suo mezzo, probabilmente a causa del ghiaccio, e tamponò una macchina parcheggiata con violenza. Quest'ultima si spostò in avanti e investì un idrante. 
Il getto dell'acqua era molto potente. Fu come se fosse esplosa una pentola a pressione. Alzai le mani come per ripararmi il viso dal getto imminente. 
Tuttavia questo non arrivò. 
Una lastra di freddo ghiaccio si era formata di fronte a me e ad altri passanti che erano nei dintorni. Essa era proprio sulle mie mani e la toccavo. 

"Chiamate la polizia presto! Una sporca mutante!"

Una vecchia signora stava urlando e quel che era peggio, non fu la sua voce, stridula, bensì che mi stava indicando con le sue dita ossute.
Altre persone la imitarono, poi fuggii di corsa.

Se c'era una cosa che non volevo, di certo è di essere protagonista di una caccia alle streghe, come nel film Salem. Discreto film tra l'altro. 

Strinsi maggiormente a me la borsa e attraversai la strada, dove le macchine stavano andando a passo d'uomo a causa del traffico.
Sentivo le urla dietro di me essere come vicine alle mie orecchie. 
Accelerai il passo correndo per il parco cittadino. Gli anfibi neri calpestavano mozziconi di sigarette, terra, foglie. Il mio cuore batteva all'impazzata a causa dell'adrenalina. 
Tirai su il cappuccio della giacca poi sentii qualcuno prendermi per un braccio, vidi una nube rossa e svenni. 






Angolo autrice...
Ok. So di avere una storia in processo, anzi più di una, però diciamo che ho deciso di imbarcarmi in una long, stavolta su Capitan America. Per ora è solo un prologo. 
Se vi va sentiamoci nelle recensioni! 



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Capitolo 2
*** 1 ***


1

Avevo un gran mal di testa. Mi pulsava e al solo pensiero di sollevare le palpebre lo faceva maggiormente. Mossi le punte delle dita e occhi ancora chiusi, nel mentre sentivo i suoi intorno a me farsi meno ovattati.
Sentivo un odore non troppo pungente, probabilmente sapone di Marsiglia. Voci non troppo vicine a me, poi aprii di scatto gli occhi. 

Il soffitto era bianco, la luce filtrava dalle serande e illuminava in modo tiepido la stanza. Ero stesa in un lettino dalle lenzuola candide e morbide, profumavano di bucato. Profumavano di casa in un certo qual modo. 

Le mie scarpe erano appoggiate a fianco dal letto ed erano state completamente pulite, la giacca invece era appesa ad un appendino attaccato all'armadio. 

Mi sollevai e misi le scarpe poi uscii dalla stanza. L'ambiente era accogliente, qualche quadro qua e là appeso alle pareti, qualche foto incorniciata, nel particolare una bambina sui dieci - undici anni, due ragazzi simili nell'aspetto, alcune foto d'epoca. 
Percorsi tutto il corridoio fino a una porta chiusa dietro la quale sentivo delle voci farfugliare qualcosa a basso volume.

Chiamatemi incosciente, ma a causa della mia curiosità la aprii.

Sei paia di occhi si voltarono verso di me e cessarono di parlare.

Li guardai uno a uno, poi indietreggiai

"Tranquilla, non vogliamo farti male, non c'è bisogno di scappare"

La ragazza dal pullover rosso mi parlò per prima.

"Come faccio a saperlo? Fino a quanto, due, tre ore fa mi volevano linciare, perché 
dovrei credere a voi?"

"Allora perché sei entrata e non sei scappata subito?" Fece il ragazzo di colore.

"Mera curiosità? Dopotutto l'uomo è un animale curioso per natura, senza aggiungere che Ulisse, nella Divina commedia, è stato condannato per questo." Risposi subito.

"Senti, devi stare tranquilla, ok? Sei tra amici." Il ragazzo a fianco a quello di colore parlò. "T abbiamo salvato dal linciaggio e dalla caccia alle streghe"

Mi allontanai un poco, in ogni caso ciò che avverto in questo momento non mi è chiaro. 

"Non mi fido. Chi mi dice che non siate della polizia o altro?"

Ero nervosa.
Troppo

"Credo che abbia bisogno di una dimostrazione di fiducia."
Una nube rossa simile a quella di prima fece sollevare la tazza dal lavello di mezzo metro. Rimasi immobile con una mano appoggiata al muro. 

"Credo sia meglio che ti calmi, qui sta cominciando a far freddo, non tutti siamo super soldati o con qualche potere."

Freddo?
Io non ho affatto freddo.
Poi voltai lo sguardo verso la mia mano. Uno strato di ghiaccio piuttosto sottile si era formato sotto di essa e proseguiva sul muro intero.
Ops.
Tolsi la mano.

"Chi siete?"

"Forse dovresti dire prima te chi saresti e da quanto hai quei poteri" fece il biondo.

"Per tutta risposta potrei dire che mi avete sequestrata e potrei dire che sono come un'ospite da voi." Dissi di tutta risposta.

Sbuffò leggermente e si passò una mano tra i capelli abbassando la testa.

"Capitano Steve Rogers, Sergente James Barnes, Wanda Maximoff, ex marine Samuel Wilson, Scott Lang e Clint Barton." Disse indicandoli uno a uno e pronunciando con difficoltà la parola Capitano.

Ero di fronte a una parte degli Avengers.

Sospirai.

"Abigael Lotris"

Nessuno rise per fortuna. 
Un punto in più per loro.

"Abigael? Non è un nome americano o inglese..." Riflettè Sam

"Sono Islandese, mi sono trasferita qui una decina di anni fa."
Fece una strana smorfia poi Steve prese nuovamente la parola.

"Ok, la situazione 'nomi e presentazioni' è risolta. Rimane da scoprire la questione poteri. Da quanto li hai e come li hai avuti?"

Come possono pretendere che io sappia come ho avuto i miei poteri quando fino a stamattina ero una comune ragazza? 

"Non. Ne. Ho. La. Più. Pallida. Idea. Credo sia una risposta esaustiva." Risposi scandendo le parole una a una in modo deciso.

"Allora cosa puoi dirci riguardo i tuoi poteri?" Riprovò a parlare.
Mi sedetti una sedia vicino a loro.

"Stamane sono uscita a fare una corretta come mia consuetudine. Quando avevo finito mi sono accorta di avere della brina sulla punta delle dita, ma non ci ho dato molto peso. Successivamente, per strada, dopo che una macchina aveva urtato un idrante, istintivamente mi ero portata le mani al viso per coprirmi, però si era come formato un sottile strato di ghiaccio. Il resto lo sapete."

I loro sguardi erano ancora puntati su di me. Li guardai uno a uno, soffermandomi in particolar modo sul ragazzo di fronte a me di nome James: capelli piuttosto lunghi, una felpa nera e al posto del braccio destro, un braccio bionico. Tuttavia non fu questo ad attirare la mia attenzione, bensì i suoi occhi. Erano di un colore tra azzurro e grigio, incredibilmente brillanti anche se solcati dal dolore e stanchi.

Abbassai lo sguardo e il capo sul bordo della felpa torturandolo con le unghie.

"Allora -fece Steve- direi che è fuori discussione che tu torni a casa, perlomeno da sola, quindi starai qui."

Come sarebbe a dire?
Sta scherzando mi auguro.

"Quindi devo anche abbandonare il lavoro... Potrò almeno passare a prendere la mia roba a casa?"
Dissi spazientita.

"Wanda, dato che tu hai molta esperienza nel campo, accompagnala a prendere le sue cose, poi tornate qui. Nel frattempo dobbiamo rintracciare Nat e Bruce. Io provvederò a chiamare T'Challa."

"Me ne occuperò io Capitano, so come contattare Nat in modi anti convenzionali."

"Procedi. E Wanda, sta attenta."

"Certo Steve."

Uscimmo di casa con addosso delle felpe da uomo di colore scuro in modo da coprire la figura e camuffarci. Io per la cronaca, vestita così a strati, stavo letteralmente morendo di caldo

"Senti, Abigael. Come avrai capito, siamo stati anche noi con problemi giudiziari se così si possono chiamare. Steve ha subito un brutto colpo, così come Buck, quindi cerca di non farglielo pesare troppo, in alcun modo. Da un certo punto di vista mi spiace che tu sia come noi, una fuggitiva, da un altro però sono felice, finalmente una ragazza un più in squadra." Disse in modo veloce.

Mi stava simpatica. 
"Tranquilla..."

Camminammo un paio di metri poi Wanda chiese nuovamente.
"Ma che lavoro fai di preciso?"

"Lavoro da casa principalmente, sono una giornalista, scrittrice in un piccolo giornale qui in città." 

"Anche a me piaceva molto scrivere da piccola. Diverso per Pietro, sempre in movimento" disse in modo quasi amaro.

"Pietro?"

"Mio fratello gemello, in questo momento è in Wakanda a riprendersi delle ferite di un anno fa. Credevo di perderlo, è stato trivellato dai proiettili, è morto, poi il suo sistema ha ricominciato a funzionare e ora si sta rimettendo in sesto."

Non dissi nulla, volevo solo stare in silenzio. 
Non oso nemmeno pensare perdere una persona cara, un fratello.
Credo sia un dolore ineffabile, continuo e duraturo. Per fortuna sul ha dovuto sopportarlo poco a quanto ho capito.
Intanto l'aria fredda penetrava nelle felpe e mi schiariva le idee sul futuro ancora incerto.









Angolo autrice 
Primo capitolo, spero vi piaccia, lo ammetto non è dei migliori e non è molto 'd'azione'
A presto sentirci nelle recensioni!

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Capitolo 3
*** 2 ***


CAPITOLO 2

 

Eravamo riuscite ad arrivare al mio appartamento in tutta tranquillità e senza particolari problemi. Una volta arrivate eravamo letteralmente sgusciate all'interno chiudendoci la porta alle spalle con fare furtivo. Corsi a prendere la valigia in camera e la riempii in fretta e furia, senza curari se le cose fossero piegate o meno. Recuperai le cose necessarie e le misi in uno zaino poi, seguita da Wanda uscimmo dall'appartamento così come eravamo venute.

Fuori, nel frattempo si era alzato il vento, freddo e gelido, che penetrava nella giacca in tessuto tecnico. Detto sinceramente mi sentivo come se fossi braccata, una fuorilegge, però, in fondo in fondo, era strano e folle da ammettere, ma mi stava movimentando le mia giornate.

Entrammo in fretta nel condominio a pochi isolati da casa mia e buttammo letteralmente le cose e i bagagli per terra, che caddero con un tonfo soffocato.

"non vi ha seguito nessuno, vero?" fece Sam con fare preoccupato.

"No, abbiamo fatto il modo che nessuno ci seguisse e di non dare troppo nell'occhio." disse Wanda di rimando.

Nel frattempo Steve, che era in una stanza con la porta socchiusa solamente, tornò in cucina e ci parve sollevato in qualche modo.

"Ho contattato T'Challa." iniziò. Lo sguardo di Wanda sembrò farsi attento. "Tuo fratello si sta riprendendo benissimo, non fa altro che chiedere di te, inoltre, dopo che gli ho spiegato della tua situazione Abigael, ha detto di aver contattato Bruce, tra poco manderà un jet privato pronto a portarci in Wakanda, dove, ha assicurato personalmente che non avremo alcun problema. Natasha è già arrivata pochi giorni dopo lo scontro, non sa nulla del nostro arrivo e nemmeno di quello di Banner." fece con tono a metà tra cupo e speranzoso.

"Quindi ora preparatevi, prendete ogni cosa che avete, non lasciate nulla qui."

L'umore della stanza era passato da momenti di gioia, poi di puro terrore e infine di speranza e dubbio. Non avevano tutti i torti, Bruce Banner è un grande amico di Tony STark e, a quanto mi ha detto Wanda, anche in relazione con Natasha Romanoff.

Nell'ora successiva siamo stati portati in un aeroporto fuori città, probabilmente uno privato, siamo stati imbarcati sul jet e ora ci siamo girando i pollici stravaccati sulle poltrone in pelle, o meglio, loro si girano i pollici, io ho inviato articoli che dovrebbero bastare per un paio di mesi ai miei colleghi, inoltre ho inviato un email in cui spiego, causa malore in famiglia, che mi dovrò assentare per un po'. Diedi uno sguardo ai miei, se si può dire così, compagni di avventure, soffermandomi su James. Era seduto comodamente e sembrava sentirsi fuori luogo in quell'ambiente, troppo lusso e troppa gente. Conoscevo alla perfezione gente come lui: hanno paura di fari avvicinare, di relazionarsi e si tengono in disparte, passando per quelli che se ne fregano di tutto e di tutti. Ero anche io come lui, anni fa, anzi, diciamo che la mia situazione era ben diversa, io lo facevo solamente perchè non sapevo come pormi nei confronti degli altri, essere amichevole o no? A mala pena conoscevo il mio carattere e a mala pena mi relazionavo in modo decente.

"Sai che è inutile fare così?" gli dissi sedendomi sul sedile a fianco al suo.

Sembrò irrigidirsi un poco.

"Così come scusa?" fece.

Altro atteggiamento tipico, fare il finto tonto e deviare il discorso facendo finta di non capire.

"Estraniandoti. Sai, non fa bene ne a te, ne a chi ti è intorno." risposi.

"Non sai nulla di me." disse di rimando.

"Qualunque sia la tua storia, non credo che io ne abbia il diritto di saperla, inoltre, se ti abbandoni alle paure, se cedi al passato, non potrai mai andare avanti. Riflettici su." dissi di rimando.

Mi fissò come se avessi detto un'eresia, occhiata torva che fece apparire il colore dei suoi occhi tra il grigio e l'azzurro intenso. Tenni lo sguardo fisso nel suo in segno di sfida, poi mi alzai, presi le cuffie dalla tracolla, le attaccai al lettore e mi immersi nella musica. 




 

_______________________________________________________________________________________




 

NEW YORK - SEDE NUOVI AVENGERS

Tony Stark si sedette sulla poltrona togliendosi gli occhiali da sole e massaggiandosi le tempie. Non tollerava la situazione che si era creata dopo lo scontro in cui credeva di aver perso il suo migliore amico. Gli dava maledettamente fastidio il fatto che Capitan Iceberg Rogers, meglio conosciuto con il nome di Steve, non gli avesse detto nulla della situazione del suo migliore amico, inoltre, cosa peggiore, non lo biasimava affatto, aveva protetto un amico, medesima cosa avrebbe fatto lui se fosse capitato.

Aveva riascoltato il messaggio in segreteria talmente tante volte che ormai credeva di saperlo a memoria. Poteva persino sentire nella sua testa la voce del Capitano pronunciare le parole con chiarezza disarmante.

Si tolse la giacca e rimase in gilet e camicia poi andò nel piano interrato dove Rodhes stava facendo riabilitazione e stava riimparando a camminare. 

"Ehi Tony Stank!''

Il suo amico stava bevendo dalla bottiglietta appoggiandosi alla panca.
"Ancora con questa storia?" Rispose Tony.

Non faceva altro che chiamarlo in quel modo da quando, tre settimane prima, un fattorino troppo vecchio e troppo sveglio, gli aveva fatto recapitare il pacco dai fuggitivi.

"Ok ok." Rispose l'altro alzando le mani e stando in piedi con non poca fatica.

"Vedo che sta andando meglio." Fece indicando con un cenno del capo le protesi.

"Si sì, vanno benone, sono molto più leggere delle altre, riesco a sentirle mie quasi. A proposito ho deciso di accettare il lavoro presso l'ufficio reclutamento." 

"Oh bene, sono contento per te..." disse con fare vago.

"Tony." fece con tono cupo.

"Cosa?" ribattè innocente.

"So bene che ti stai adoperando per cercare Steve e gli altri. Lo capisco benissimo."

"é solo che sono stati i primi veri amici, oltre a te e Virginia, che non hanno voluto nulla in cambio. Che mi hanno visto in modo differente. Oltretutto Pepper ha deciso di avere una pausa, e, detto sinceramente, mi manca da morire."

"Capisco..." fece Rodhes in tono comprensivo.

"Capo." La voce di un agente si fece largo tra i loro pensieri. 

"Si?"

 "Ehm - era lievemente imbarazzato -, scusate per il disturbo, ma volevo avvisarla che la Signorina Potts ha chiesto di lei."

L'attenzione di Ton e lo sguardo parvero risollevarsi.

"Dov'è?"

 

"è nel suo ufficio."

 

"Scusa tanto Rodhes, ma questa non me la posso lasciar sfuggire, ci vediamo dopo. E, ragazzino, due cose: Chiamami Peter Parker e avvertilo di venire qui, inoltre vatti a prendere un caffè."

Torse fuori dalla stanza, non sostò nemmeno di fronte all'ascensore, prese le scale e, fanculo al completo, corse fino a un paio di metri prima del suo ufficio, si fermò di fronte allo specchio, si pettinò in fretta alla bell'è meglio e entrò a passo veloce.

Virginia Potts si sentiva chiara a sufficienza, soprattutto dopo aver scoperto di aspettare un figlio da Tony. Non accettava l'idea di far vivere da sola e di crescere un bebè da sola senza un padre. Ipotesi che la vecchia Pepper avrebbe preso in considerazione, ma che lei, quella nuova, non avrebbe accettato, gli mancava da morire, non solo la parte migliore di lui, ma anche quella per cui si incazzava.

"Ciao."

SI voltò dal paesaggio che stava rimirando, e lo guardò negli occhi. Era dimagrito, smunto, con gli occhi lucidi, ma con quel suo fascino che da sempre lo aveva contraddistinto. 

"Ciao Tony." disse tenendo la mano sul ventre.

"Come stai? Vuoi dell'acqua?" il suo tono era preoccupato e sollevato.

"Sto bene e, a dire il vero, ci ho riflettuto. Parecchio, alla luce di un'altra scoperta che ho fatto." 

Lo sguardo di Tony parve rabbuiarsi, le sopracciglia contrarsi. 

"Non so come dirtelo... hai presente due notti prima che io ti lasciassi?"

"Sì, abbiamo fatto l'amore, ma non vedo il nesso... ah lasciamo perdere, parla." disse breve.

"Ehm, è difficile... accetterò ogni tua possibile reazione, anche la peggiore... aspetto, o meglio, aspettiamo, un figlio, o figlia. Ecco."

Tony sollevò lo sguardo senza dire nulla, come paralizzato, poi si avvicinò alla scrivania, a fianco a lei e si appoggiò alla scrivania. Una miriade di pensieri prese vita nel suo cervello, pensieri a cui non riusciva dare voce. La guardò, notò che il viso era lievemente più tondo e notò la rotondità che tentava di nascondere. 

Poi la abbracciò e la baciò lieve sulle labbra. DI certo un gesto sarebbe stato meglio di mille parole e, a quanto pare, si intesero subito, vista la reazione al bacio da parte di Pepper che ricambiò lasciandosi andare. 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice...

Spero vi piaccia il capitolo, ho deciso di inserire una variante nella storia, come si può notare, spero vi piaccia.

alla prossima

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


capitolo 3

Arrivammo in Wakanda al tramonto ore diciotto locali. Il cielo era tinteggiato in rosa, arancio e giallo con qualche nuvola bianca sparsa. L'aria fresca della sera soffiava sulla pista dell'aeroporto privato scompigliando i capelli della maggior parte di noi. Nonostante facesse caldo fummo avvertiti di tenere i cappucci delle felpe o giacche tirati su in modo tale da non venir scoperti. 

L'astio nei confronti dei mutanti si era a malapena assottigliato, soprattutto dopo la salita a re di T'Challa che ha cercato di calmare gli animi nel modo più diplomatico possibile. Tuttavia le ferite erano ancora aperte. Coloro che avevano perso un famigliare, un amico,un conoscente nella tragedia di pochi mesi prima  in tutto ciò che ha causato, portavano rancore e rabbia. Fu difficile fermare le manifestazioni nate come pacifiche, ma che poi non si rivelarono come tali, per avere una registrazione e internamento dei mutanti, che, come delle prede braccate. Non sapevano come difendersi e nascondersi. Sembrava di essere tornati alla Seconda Guerra Mondiale oppure al periodo delle Grandi Pestilenze, in cui coloro che venivano additati come untori venivano prelevati anche senza prove. Per loro fu difficile stare immobili e fermi di fronte alla violenza inaudita che scorreva davanti i loro occhi: molti di loro, soprattutto i più deboli e poveri venivano prelevati e mostrati in pubblico in una sorta di pubblica diffamazione. 

Ci fecero salire su delle berline tedesche di lusso dai vetri oscurati poi partimmo verso la capitale. Man mano che vi ci avvicinavamo le brughiere lasciavano spazio a case di piccole dimensioni e successivamente alla città vera e propria. Passammo in mezzo al mercato cittadino pieno di colori e profumi, per quanto fu possibile distinguerli. Dentro l'abitacolo l'atmosfera era taciturna e tesa, tutti guardavano fuori dai finestrini oppure in grembo. 

"Siamo arrivati." disse Steve. 


QUARTIER GENERALE AVENGERS

"Ti manca il via vai che c'era grazie ai ragazzi?". 

La domanda di Pepper, che stava seduta comodamente sui divani in pelle bianca dell'ufficio di Stark, gli arrivò come un fulmine a ciel sereno: inaspettata. 

Tony si alzò e si versò dell'acqua nel bicchiere in vetro con mani lievemente tremanti.

"Sì. Mi manca il trambusto e le chiacchierate con loro. Mi mancano e questo mi fa sentire una merda Virginia." Sospirò e sollevo lo sguardo fino a incontrare quello di Pepper.

"Sai, non fraintendermi, ma da un certo punto di vista è stato tutto causato dal tuo orgoglio e dalla tua mania di riparare tutto. Pensi che ogni cosa si possa riparare come fai con le tue armature. Pensi che se una cosa è rotta basti semplicemente cambiare i pezzi. Con le persone non funziona Tony, così come non funziona con i rapporti. Capisco benissimo la tua ira nei loro confronti perché ti hanno nascosto una parte di verità che ti era concesso sapere, tuttavia non puoi andare avanti così. Certo, puoi aiutare Peter Parker, o Bimbo Ragno, o come diavolo si chiama, ad avere una vita pseudo-normale, puoi anche aiutare Rhodes a camminare nuovamente, ma nulla ti porterà ad avere di nuovo loro indietro." 

Tony si sedette nuovamente al suo fianco.

"Sai, durante lo scontro gli ho chiesto il perché, il perché non me lo avesse detto. Con nonchalance mi ha risposto 'È mio amico'.- fece una breve pausa- Mi ha fatto male, non poco, dire che anche io lo ero stato. Non volevo crederci."

"La cosa migliore è parlarci. Anche se non tornerà nulla come prima, sarà un passo in avanti verso una possibile riconciliazione."

Tony estrasse lo smartphone dalla tasca e fissò lo schermo con occhi vacui, poi premette invio.
'RETTIFICA STATO DEI NOMINATIVI DI STEVEN GRANT ROGERS, SAMUEL WILSON, NATASHA ROMANOFF, CLINTON FRANCIS BARTON, SCOTT LANG, WANDA MAXIMOFF, JAMES BUCHANAN BARNES: 
I SOGGETTI, SE AVVISTATI DOVRANNO ESSERE CONSIDERATI, A TUTTI GLI EFFETTI, PARTE DEGLI AVENGERS, GRUPPO NON SUBORDINATO AL GOVERNO O A CHI PER ESSO.'

Pepper sorrise e gli prese la mano. 
Tony in cuor suo speró di aver compito la scelta giusta.


STATO DEL WAKANDA.

L'acqua tiepida mi stava ristorando. Dopo il viaggio ero esausta, avevo guardato la camera che mi avevano dato, grande quanto il mio appartamento di New York e con tutti i comfort del caso, la valigia e il portatile che avevo messo sotto carica poco prima. Tutta la mia vita era riassunta in una valigia da 12 litri, un borsone capiente la metà ed i vestiti che avevo addosso.

T'Challa aveva fatto costruire questo posto solamente tre settimane prima nell'eventualità che servisse un rifugio sicuro, o per dirla in termini spionistici, una casa sicura. Era composto di tre piani più il seminterrato, una decina di camere, palestra con spa, piscina, biblioteca, sala relax, sala convegni, cucina e giardino. 
Io l'avrei definito Hotel sicuro, non casa sicura ad essere sincera.

Mi guardai le mani cercando di togliere la brina che si era formata come avevo fatto stamattina in fretta. Mi innervosiva avere qualcosa che era impossibile da controllare. 
Solitamente amavo avere degli aspetti sotto controllo, non dico ogni singolo aspetto, ma alcuni semplicemente. 
Infilato l'accappatoio cercai i vestiti che avevo buttato alla rinfusa poco prima di partire e, una volta asciugata, infilai i jeans neri e la camicia oversize a quadri. Successivamente asciugai i capelli a testa in giù come mio solito fare e scesi al pian terreno dove ci doveva essere la cucina. 

Tagliai la melanzana a fettine sottili e la misi a grigliare, poi passai alle zucchine e alla carne trita. Cucinare mi rilassava in qualche modo, potevo staccarmi dal mondo senza alcun problema. 

"Cosa cucini?"
La bambina, dalla carnagione scura, i capelli acconciati in sottili treccine e gli occhi scurissimi che fissavano con curiosità, si dondolava sulle scarpe 
"Faccio un piatto greco chiamato Moussaka. Come ti chiami?"
"Deela, sono la sorella di T'Challa, e tu chi sei, non ti ho mai vista prima di allora."
"Sono Abigael e sono arrivata qui da pochissimo."
"Sei una delle persone speciali che il mio fratello ospita qui?"
"Se si può mettere su questo piano direi di sì."
"Posso aiutarti a cucinare la cena per gli altri?"
Sorrisi fiebilmente poi la issai sulla sedia in modo da farla arrivare al banco da lavoro. La guardai di sottecchi, aveva negli occhi una strana luce che solitamente poi crescendo si è destinati a perdere. Era spontanea e vivace, non si lasciava fermare dal fatto di essere troppo bassa o di avere le mani troppo piccole per impastare, se ne fregava altamente. 
''Posso chiederti cosa ti ha detto il tuo fratellone su di noi?''
"So che siete persone speciali, che avete fatto del bene e che non devo dare retta alla manifestazioni che ci sono in strada."
"Cosa dicono?"
"Dicono che siete cattivi, ma questo non è vero, altrimenti T'Challa non vi avrebbe aiutato, anzi, vi avrebbe ridotto a fette"
La guardai e sorrisi.
Tutta quell'ingenuità che aveva in lei, tutto quel suo fare le cose in modo semplice e l'incapacità di vedere colori il bianco e il nero. Tutto questo rischiava di essere soppresso con il passare del tempo. Rischiava di diventare un mero involucro pronto solo a fare soldi e a portarne a casa. 














Angolo autrice
Ed eccomi di nuovo qui, mi scuso per l'attesa troppo lunga, ma sono successe molte cose e non avevo nemmeno il tempo per completare il capitolo.
Spero vi soddisfi. Alla prossima

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