Cenere e Polvere

di Alepotterhead
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Demoni dal passato ***
Capitolo 2: *** La mietitura ***
Capitolo 3: *** Paura ***
Capitolo 4: *** In viaggio ***
Capitolo 5: *** Show ***
Capitolo 6: *** Allenamento ***
Capitolo 7: *** Pronti? ***
Capitolo 8: *** Partenza... ***
Capitolo 9: *** Via! ***
Capitolo 10: *** L'inizio ***
Capitolo 11: *** Buio ***
Capitolo 12: *** Mezze verità ***
Capitolo 13: *** Sola ***
Capitolo 14: *** Prima volta ***
Capitolo 15: *** Pioggia ***
Capitolo 16: *** Incubi ***
Capitolo 17: *** Frantumi ***
Capitolo 18: *** Otto ***
Capitolo 19: *** Alba ***
Capitolo 20: *** Niente ***
Capitolo 21: *** Tilt ***
Capitolo 22: *** Ultimo Round ***



Capitolo 1
*** Prologo-Demoni dal passato ***


E anche quest’anno la Mietitura si è svolta, che i settantaquattresimi Hunger Games possano finalmente iniziare.

I due poveri sventurati a cui devo fare da mentore quest'anno sono evidentemente terrorizzati a morte, anche se hanno tentato di mascherarlo quando le telecamere li hanno inquadrati. Strategia. Lo fanno perché gli è stato insegnato così.

Sono saliti sul palco raccogliendo tutto il loro coraggio, sono saliti sul treno con tutta la loro paura.

Così si devono comportare i tributi favoriti. Coloro che hanno paura, soccombono. Coloro che rifiutano l’allenamento extra, soccombono. Coloro che non fanno ciò che viene ordinato loro, soccombono.

Il mio problema è che non riesco a non affezionarmi troppo, vedo sempre il lato umano, quello che uccide o deve essere ucciso, quello che, in sostanza, rende una persona tale. Coi ragazzi ho sempre avuto un legame speciale, ma dopo più di sessant’anni in cui faccio da mentore è troppo difficile lasciali andare, perderli sempre o quasi, come rientrare di nuovo nell'Arena, mentre tutto quello che desideri è dimenticare, cancellare le cicatrici, eliminare i ricordi che dopo anni e anni ti attanagliano le viscere e ti consumano la ragione…per ciò lascio che siano i mentori più giovani a istruirli e a prepararli psicologicamente, se mai si può essere preparati per una cosa del genere.

In fondo sono una povera ottantenne, cosa potrebbero mai chiedermi? Cosa mai potrebbero volere che insegnassi loro? Pensano che ormai sia arrivata al punto di non capire più nulla, pensano che sia inutile.

Loro non capiscono, nessuno di loro capisce, nessuno che non sia stato nell’Arena può capire: il senso di colpa, la paura, l’ansia, l'orrore che non ti abbandonano mai. Non esiste parola in grado di descrivere tutto questo. Non importa che tu sia un favorito o che sia più grosso o furbo degli altri, perché è la paura che vince, che è più forte di tutto e ti schiaccia senza alcuna pietà.

Come è possibile spiegare che devi uccidere? Uccidere se vuoi vivere? Uccidere lacera l’anima*, vale la pena uccidere e vivere se poi rischi di perdere te stesso, cadere a pezzi? Sei pronto per assumerti i rischi che un’azione del genere comporta? Non si può dire questo a due ragazzini intimoriti, puoi però stargli vicino, supportarli, credere in loro quando nemmeno loro stessi ci credono più, puoi mostrare che tu ci sei, sei lì, per loro, non con vane e vuote parole, ma fisicamente.

Sono anni che non dico più niente, semplicemente perché non è necessario e perché non ho niente da dire, non sono matta, non sono malata, sono stanca, sono preoccupata per i ragazzi che anche quest’anno moriranno, sono…
“Mags!” la voce di Finnick interrompe il mio sproloquio mentale. Sapevo di non potermi nascondere per sempre in quella carrozza del treno, soprattutto sapevo di non potermi nascondere per sempre da lui.

“Ehi Mags eccoti! Ti stavamo cercando ” e mi lancia uno dei suoi sorrisi smaglianti, di quelli che abbagliano gli abitanti di Capitol City, ma che ormai io ho imparato a leggere come il tentativo di nascondere qualcosa di più grande, qualcosa di vero e autentico, qualcosa che doveva essere tenuto nascosto per evitare che ti venisse portato via, in questo caso l’angoscia degli Hunger Games, l’orrore dietro la spettacolarizzazione.

Dietro di lui fanno capolino i due nuovi tributi del Distretto Quattro e una morsa mi attanaglia il cuore, il ragazzo non può avere più di tredici anni, magro, con ricci color sabbia e con gli occhi color del mare pieni di puro panico, la ragazza deve avere quindici anni, lacrime silenziose le solcano il viso e le finiscono tra i lisci capelli chiari, lentiggini le punteggiano le guance e ciò che vedo nei suoi occhi verdi è la cosa peggiore che potessi leggervi… non paura, non ansia, non terrore, ma rassegnazione… questa ragazza ha già accettato il fatto di non tornare a casa, di non poter tornare, è convinta di non riuscire a farcela, la guardo con fare incoraggiante ed è tutto ciò che posso fare per lei.

“Ti stavamo cercando per guardare tutti assieme i filmati delle mietiture negli altri Distretti”. Detesto guardare le mietiture, Finnick lo sa, ma sa anche che è nostro dovere e allora tanto vale farlo tutti insieme una volta sola e togliersi il pensiero. Anni e anni e ancora non mi sono abituata a essere trascinata ogni anno di nuovo davanti alle luci della ribalta e assistere completamente impotente alla mietitura, essere portata come un bagaglio poco gradito sul treno con i trubuti, ogni volta è doloroso, ogni volta mi sembra di essere tornata un tributo. E se è orrendo per me, immagino per i ragazzi.

Le mietiture sono una cosa già terribile di per sé, ma mandarle in onda in diretta è praticamente una cosa disumana, tutti gli occhi su di te nel tuo momento di maggior debolezza pronto a uso e consumo degli avvoltoi che se ne stanno appollaiati nelle loro lussuose e sicure case, tutto questo mi ricorda sempre quando da piccola andavo in barca con mio papà e la sua rete era sempre piena di tanti pesciolini: a me sembravano bellissimi, colorati, guizzanti, ma in realtà erano terrorizzati, tentavano di scappare, ma non potevano, erano in una rete più grande e forte di loro.

Lentamente mi alzo e mi incammino dietro a Finnick, ci dirigiamo nella cabina in cui ci attendono anche altri mentori, già comodamente seduti in attesa, appena arriviamo accendono il mega schermo, ci sediamo in silenzio e guardiamo: dal Distretto Uno e Due ragazzi palesemente allenati e apparentemente sicuri di sé, addirittura il ragazzo del Due, Cato, si offre volontario, niente di speciale per i Distretti che possono permetterselo. Per il resto sfilano una serie di ragazzi più o meno grandi, più o meno minacciosi, più o meno sicuri, più o meno terrorizzati. Mi alzo e mi sposto ancora più vicino ai miei due tributi, cercando di essere la loro nonna, che capisce e non fa domande, cerco di sopperire alle mancanze che già oggi hanno dovuto subire.

Intanto la mietitura continua: l’immagine di una dolcissima e minuscola bambina di dodici anni che campeggia sullo schermo sotto il numero undici mi fa stare male, è troppo piccola, troppo delicata, sta salendo sul palco, ha pelle scura e un sorriso in volto, cosa? Ci vedo bene? È davvero un sorriso, è un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso. Sarà stata anche piccola, ma ha più coraggio di quasi tutte le persone che conosco, questo strappa un mezzo sorriso anche a me.

Siamo quasi alla fine, Distretto Dodici, inquadratura su un’altra dodicenne, con due carinissime treccine bionde e poi l’urlo straziante e disperato “Mi offro volontaria! Mi offro volontaria come tributo!”, la sorella senza alcuna ombra di dubbio.


E i miei demoni ritornano a distanza di sessantacinque anni. Non vedo più lo schermo, sono in mezzo alla gente del Distretto Quattro, sono i Noni Hunger Games e sento il nome di mia sorella. Il nome mi penetra nelle orecchie, nella pelle, nelle ossa, arriva al cuore e inizia a farlo sanguinare. Lì in quel momento non c’è scelta, nessun’altra opzione è tollerabile, faccio l’unica cosa possibile per salvare l’unica di cui mi importi davvero, “Mi offro volontaria! Mi offro volontaria come tributo!”.








*“uccidere lacera l’anima” è una frase tratta da “Harry Potter e il principe mezzosangue” quando si parla di horcrux

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Capitolo 2
*** La mietitura ***


“Mi offro volontaria! Mi offro volontaria come tributo!”

L’ho detto davvero.
L’ho fatto.
Non posso tornare indietro.
Non voglio tornare indietro.

Non ho la presunzione di poter vincere.
Però ho la possibilità di poter salvare la mia sorellina di tredici anni. Mi sta guardando coi suoi occhi grandi ed espressivi che ti scavano sotto la pelle, che leggono direttamente nel tuo cuore. Mi guarda e non dice niente, ma ci capiamo, Lexi è intelligente, capisce che l’ho fatto per lei tanto quanto per me, io non sarei sopravvissuta a vederla nell’Arena, fisicamente avrei ceduto. Mi guarda e non dice niente. Ma in fondo cosa potrebbe mai dirmi? Grazie? Non è il genere di ragazza che ringrazia quando sua sorella si offre al macello al posto suo. Perché è questo che sto facendo. Mi guarda e non dice niente. Non ne ha bisogno. I nostri identici occhi castani si trasmettono tutto quello che è necessario sapere. Lei è salva, il resto è trascurabile.

Continuo a guardarla mentre salgo sul palco, attingo da lei la forza per reggermi in piedi, un doloroso passo dopo l'altro. Non darò a nessuno la soddisfazione di vedermi cedere, non darò l’idea di essere nel panico, mi sono offerta io, dunque si presume che sia pronta.

La verità è che semplicemente non si può essere pronti.Mai. Punto.

Salgo sul palco allestito per l’occasione e attendo che venga estratto il nome dell’altro tributo del Distretto Quattro. Un nome.
Ovviamente pensando che non potesse andare peggio di così, le cose prendono una piega ancora più cupa.
“Il ragazzo che avrà l’onore di essere il Tributo maschile per il Distretto Quattro è….Dave Smith! Dave? Dove sei? Vieni sul palco”. Fantastico. Con tutte le migliaia di abitanti che ci sono nel Distretto Quattro, doveva essere estratto proprio Dave? Credo che ogni tanto l'universo si diverta a prendermi per i fondelli, la situazione è talmente inverosimile che mi viene da ridere, infatti Dave, oltre ad essere un sedicenne alto e muscoloso, è pure mio amico. Davvero davvero fantastico.

Sale anche lui sul palco e viene vicino a me, riceviamo le congratulazioni d'obbligo e prende la parola il sindaco. Mentre il discorso va avanti lento, monotono e identico a quello degli otto anni precedenti, Dave mi guarda e mi sorride. Non capisco se lo fa per farmi innervosire o se è solo idiota. Probabilmente è solo idiota, come quando eravamo soliti andare sugli scogli per prendere i granchi e lui me li lanciava addosso. Sono un paio di anni che ormai non ci vediamo e un anno intero che non ci sentiamo più, in effetti da quando mio padre ha avuto quel misterioso incidente in mare con la sua barca e non è più tornato. Prima eravamo vicini di casa, sulla costa a due passi dal mare, io, Lexi, Dave e suo fratello giocavamo, ci allenavamo e andavamo a scuola sempre insieme, ma quando io e mia sorella ci siamo trasferite più nell’entroterra a casa dei nostri zii, bè non ci siamo più visti, non siamo riusciti a far coincidere i nostri orari, io e Lexi abbiamo cambiato scuola e sede di allenamento e lentamente, inesorabilmente abbiamo smesso di sentirci. Ma un paio di anni di lontananza non possono cambiare il fatto che abbiamo condiviso l’infanzia, siamo andati in vacanza assieme, i nostri padri lavoravano assieme. E adesso andiamo agli Hunger Games assieme. Davvero fantastico. E mi sento in colpa per avergli dato dell'idiota, è sempre stato un ragazzo buono, simpatico e divertente, non si merita gli Hunger Games, nessuno se li merita.
Alla fine del discorso, veniamo portati dentro la sede del sindaco del Distretto, che per il Quattro è uno splendido edificio le cui pareti sono incrostate di conchiglie, ho sempre desiderato attraversare il portico e curiosare nelle stanze, ma adesso che mi hanno condotto davvero dentro, in una saletta, in attesa dell'ultimo saluto ai miei cari, preferirei essere in qualsiasi altro posto. La stanza non è molto grande, senza finestre, praticamente priva di mobili ad eccezione di un divano di dubbio gusto ,rosso con ricami argentei, mi ci siedo di malavoglia, comunque non mi aspetto molte visite.

Arrivano i miei zii e mia sorella. Lexi mi si lancia addosso e mi stringe tanto forte da togliermi il fiato, magari morirò prima di entrare nell’Arena…e quest'idea nemmeno mi dispiace.
“Mags, io…noi…” mia zia ha le lacrime agli occhi e comincia a singhiozzare, mentre io sono pervasa da una strana calma, come se stessi vivendo una situazione extracorporea, mi sembra di assistere alla scena da un angolino, non di viverla in prima persona. “Tuo padre sarebbe orgoglioso della scelta che hai compiuto oggi, hai deciso di sacrificarti per Alexandra e non è una scelta che tutti sono in grado di prendere. Adesso però devi restare concentrata e tornare a casa” zio Loras ha la voce ferma e rassicurante, lo sguardo serio e determinato, in questo momento mi ricorda davvero tanto mio papà, perché crede davvero che possa farcela. Mi abbracciano e mi sussurrano parole rassicuranti, mi vogliono bene, mi aspettano, credono in me. E capisco che ho un vero motivo per tornare a casa, per dover tornare a casa. Ho loro.
Mia mamma non la ricordo perché è morta per dare alla luce la mia sorellina, mio padre è scomparso in mare solo un paio d'anni fa, non sono pronta a perdere anche i miei zii e mia sorella. Mi abbracciano ancora una volta ed escono, mi lasciano sola con Lexi. “Mags, voglio che torni, devi tornare, non hai altre possibilità. Sai la rete che stavamo facendo? Quando tornerai l’avrò finita, te lo prometto, e andremo a pescare come quando eravamo piccole. E andremo a nuotare fino alla baietta del sole, il tuo posto preferito. E vivremo nelle bellissime case sulla scogliera del villaggio dei vincitori, guarderemo il tramonto che colora il mare di arancione tutte le sere e finiremo le sculture di conchiglie che la zia detesta!” sorrideva, ma aveva gli occhi lucidi, stava tentando di convincere se stessa non me, stava parlando a macchinetta per evitare di scoppiare in un pianto che non sarebbe stata in grado di fermare e che avrebbe contagiato anche me, si stava facendo forza per me.

La guardo attentamente, ha paura e si capisce. Fisicamente è una mia copia più piccola, stessi occhi castani, stessi lisci capelli biondi, mi stavo guardando in uno specchio, non potevo mentire all’altra parte di me stessa.
“Lex, senti, io ce la metterò tutta, ma come credi che potrei farcela? Devi farti forza e andare avanti, la vita continua anche se io non ci sarò più, ok?" faccio una pausa e lei non dice niente, mi guarda accusandomi di essermi già arresa e lei non lo sopporta, ma sono io quella dovrà andare nell'Arena "Degli otto vincitori delle scorse edizioni nessuno è del Distretto Quattro e nessuno sotto i sedici anni ha vinto, come posso riuscirci io? Non ho particolari abilità e non sono particolarmente forte per i miei quindici anni, non sono tanto bella o carismatica da accaparrarmi molti sponsor, quindi non farti false illusioni sul mio ritorno e rimanerci male quando tutte le tue speranze crolleranno come un castello di sabbia! E poi c’è Dave! Te lo sei scordata? Sai cosa andiamo nell’Arena a fare? A uccidere. A morire! Meno male che mi sono offerta al tuo posto, saresti entrata nell’Arena per fare amicizia con gli altri tributi! Io non tornerò. Ma tu puoi andare avanti. Devi. Me lo devi” le parole mi sono uscite con più cattiveria di quanto volessi e ora gli occhi di mia sorella non sono più lucidi di lacrime, ma di rabbia, voleva prendere il cuscino del divano e infilarmelo giù in gola, lo si vedeva, ma ciò che dice mi stupisce ancora di più “Va bene, lascia che queste siano le ultime parole che mi rivolgi, perfetto, lo accetto, sono un’idiota, contenta? Adesso sei obbligata a tornare a casa per chiedermi scusa. Vinci!” esce con foga e sbatte la porta dietro di sé.
Sono allibita, mi sento in colpa davvero per averla trattata male con la consapevolezza che non la posso più vedere.
Sono io la vera idiota.

Dopo la drammatica uscita di Lexi, mi sento persa, vuota, ma sento anche qualcosa di diverso, ho davvero voglia di tornare per chiederle scusa, non ho possibilità, ma almeno posso provarci.
Mentre ricaccio indietro le mie lacrime vengo inondata dalle lacrime delle mie amiche che si sono appena catapultate addosso a me. Non fanno nemmeno lo sforzo di mostrarsi forti davanti a me come ha fatto mia sorella. Sono fatte così, ma voglio loro davvero bene. Più che altro mi stringono e tentano di affogarmi con le lacrime, ma tutto sommato sono felice che siano venute a trovarmi, soprattutto quando mi regalano una conchiglia come portafortuna e un pezzo di fune incrostato dal sale per fare i nodi. Anche loro mi vogliono bene. Anche loro vogliono che ritorni.
Quando le saluto, non sono pronta, ma almeno ho qualcosa in cui credere. Le persone che mi vogliono bene sono qualcosa per cui vale sempre la pena di lottare.

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Capitolo 3
*** Paura ***


In un battibaleno vengo scortata al treno e scaricata nella mia cabina per fare non si sa bene cosa.
Mi guardo attorno, la stanza è carina, grande e luminosa, anche se un po’ troppo sovraffollata di tende, copri tavolini, orologi, quadri e ninnoli di vario genere. Tutto si può imputare alla Capitale, ma non che trascuri i dettagli, ma l’unica cosa che mi piace davvero è il letto a baldacchino enorme e soffice, sul quale mi lancio senza troppi problemi.

Sono sola.
La luce filtra calda dalle ampie finestre. Silenzio. Un silenzio talmente profondo da far rumore, da far male alle orecchie. Un silenzio che chiama il mio nome, che mi fa accapponare la pelle…
No, forse questa era solo la mia immaginazione, però devo fare qualcosa, non posso restarmene con le mani in mano chissà fino a quanto, quindi prendo la corda incrostata di sale che mi hanno regalato le mie amiche e che ho usato per farmi una coda ai capelli.


Un nodo, due nodi, tre nodi, li sciolgo.
Un nuovo nodo, un altro, un altro, li sciolgo.
E poi ancora. E ancora.


Se è un buon metodo per tenere le mani occupate, non lo è a sufficienza per non permettermi di pensare.

Odio quello che mi stanno facendo.
Mi stanno privando della libertà di scelta.
Sono obbligata a prendere parte a dei Giochi che di gioco hanno davvero molto poco, sono una cosa mostruosa.
Sono la dimostrazione della potenza schiacciante che Capitol City ha sui distretti dopo i Giorni Bui, con la forza costringe i loro figli a uccidersi l'un l'altro in assenza di regole di concorrenza, mi viene da chiedermi chi è la mente malata che ha inventato una cosa del genere. Questi Hunger Games sono la prova che il controllo della Capitale sul proprio popolo è così inesorabile e inarrestabile, che possono fare qualcosa di così sadico da costringere i figli dei loro nemici ad uccidersi. Perché è questo che siamo no? Nemici.
Nemici perché, più di una decina di anni fa, abbiamo osato dire che le condizioni di vita in cui versavamo non servivano a vivere, ma nemmeno a sopravvivere in modo decente.

E adesso?
Dopo il massacro?
Dopo che solo i Distretti più ricchi e benestanti come l’Uno, il Due e il mio sono riusciti a rimettersi in piedi, guadagnandosi anche il disprezzo degli altri Distretti, perché visti come “collaboratori” della capitale?
Dopo che il Distretto Tredici è stato brutalmente distrutto?
E ora?

Abbiamo perso.
E il prezzo che stiamo pagando è troppo alto.
Lo stanno pagando dei ragazzini innocenti, costretti a uccidersi, e lo stanno pagando tutti colori che sono obbligati a vederci, impotenti. Per Capitol siamo costretti a macellarci per intrattenimento, gli Hunger Games sono un evento televisivo nazionale, un reality show, per i Distretti sono una minaccia cupa e costante.

La cosa davvero preoccupante è che potrebbero continuare per sempre, cent’anni, duecento, mille.
Quanti ragazzi moriranno in tutto? Troppi.
Che colpa hanno? Nessuna.

Era davvero questo l’unico modo per controllare una nazione?

Odio quello che mi stanno facendo.

Devo assolutamente smettere di pensarci. Perché ho una sensazione di amaro in gola e male allo stomaco. Non vorrei essere qui.
Calde lacrime scendono dalle mie guance. Nemmeno mi sono accorta di quando ho iniziato a piangere.
Ripenso a ciò che mi ha portato qui. Mia sorella. Lei è al sicuro. Questo mi dà un po’ di forza, ma non toglie il fatto che ho firmato la mia condanna a morte. Lei è al sicuro a casa, con gli zii, sono felice per lei, ma adesso inizio a capire in cosa mi sono invischiata.
Quando ho sentito il suo nome ho avuto una reazione istintiva, ho preso il suo posto, non ne sono pentita, ma devo accettare l’idea che sto per morire.
E questo mi fa paura.

Capisco anche un’altra cosa, a cui non avevo mai trovato soluzione: il fatto che dei ragazzini diventino assassini. Com’è possibile che sia così facile uccidere? Adesso capisco: paura. Pura paura.

Paura di essere ucciso prima tu, paura di qualsiasi cosa e persona ti circondi, paura dell’aria stessa che respiri, paura.
E allora ti lanci sull’unica certezza che non ti è ancora stata strappata, la sola cosa che sai che puoi fare: uccidere. Con un’altra parola: istinto di sopravvivenza.

Adesso ho ancora più paura, non voglio uccidere, ma devo.
Come me ne esco da questa situazione?

Morire come persona integra o potenzialmente vivere, ma come assassina?

Essere uccisa o uccidere?

La paura rende crudeli, dovrò affrontare ragazzi terrorizzati quanto me, ma che non ci penseranno due volte se la scelta è uccidermi o morire. Cosa mi permetterà di non fare la stessa scelta?
E se mi rifiutassi di stare alle loro regole? Potrei lanciarmi nel bagno si sangue e semplicemente farmi uccidere subito, potrei saltare dalla pedana prima che il conto alla rovescia sia terminato e saltare in aria, potrei suicidarmi. Ma non ne sarei in grado, sono una codarda.
Potrei creare un’alleanza con altri ragazzi e rifiutarci tutti di combattere gli uni contro gli altri, ma Capitol non lo permetterebbe mai, salteremmo in aria nel giro di mezzo secondo e inoltre negli Hunger Games non esistono gli amici, non esistono gli affetti, non c'è spazio per l'amore.

Bisogna saper scegliere e, soprattutto, per vincere bisogna saper perdere, perdere tutto ciò che ti rende umano.
Capisco che non voglio vincere, non a questo prezzo.


Mi fa male la testa, sto pensando troppo, come mio solito. Forse dovrei smettere di pensarci e vedere come evolvono le cose, cosa pretendo di poter fare? Continuare una ribellione morta nove anni fa? Come se una stupida ragazzina negli Hunger Games potesse fare davvero qualcosa, come se potesse essere davvero la differenza. Sono un’illusa.

Inizio a vagare per la cabina come un’anima in pena, ci sono solo cose che non mi interessano, tecnologie, vestiti, stupidi soprammobili. Avverto un senso crescente di disprezzo e di insofferenza, finché un pannello si apre e vedo un bagno enorme, bene, almeno posso lavarmi. Mi dirigo verso la vasca da bagno, la riempio fino all’orlo e mi ci immergo, la sensazione è bellissima, ho sempre amato l’acqua, ma mi viene nostalgia di casa, davvero fantastico, poche ore lontano e già vorrei tornare, vorrei che l’acqua attorno a me fosse fredda e salata, vorrei vedere Lexi accanto a me.

Devo smetterla di pensarci, punto. Niente famiglia e niente amici.

Amici.

Questo mi ricorda un altro bel problema: Dave.
Sarebbe in grado di uccidermi? Io di sicuro non potrei farlo con lui. Quello che mi attanaglia lo stomaco pero  è sapere che probabilmente qualcun altro potrebbe farlo. Potrei perdere anche lui.

Esco in fretta dalla vasca perché mi sembra di svenire. Mi asciugo e vedo che i miei vestiti sono spariti, grandioso! La ciliegina sulla torta di una giornata già particolarmente perfetta.
Torno in camera e vedo biancheria e nuovi vestiti sul letto, sono lieta di constatare che non sono fuxia né verde fosforescente, anche se probabilmente avrei preferito indossare quei colori che andare in giro nuda. Mi vesto velocemente con quella che sembra una tuta grigia e nera, lascio i capelli bagnati sciolti in modo che si asciughino da soli, non mi importa di bagnare tutta la camera. Mentre sto per rilanciarmi sul letto si apre la porta della mia camera.

È Abby, l’accompagnatrice di Capitol assegnata al nostro distretto, è una ragazza carina sui venticinque anni, è vestita con un vestito color acquamarina ricamato con dei minuscoli pesciolini, decisamente in tema col distretto è anche il trucco sul viso che sembra fatto si scaglie di mille pesci diversi,  i capelli sono corti e riccissimi con ciocche dai colori più stravaganti, verde foresta, blu elettrico, rosa tenue, azzurro cielo, rosso fuoco, impossibile capire quale sia il colore originario dei capelli, sono davvero un pugno in un occhio, ma probabilmente lei pensa lo stesso dei miei lunghi capelli biondi.

È venuta ad avvisarmi che devo andare a cena, così la seguo in un’altra cabina dove trovo un banchetto che sarebbe bastato a metà distretto e Dave. Dovevamo cenare insieme? Io non voglio vederlo, maledizione!
Mi siedo senza dire una parola e mi riempio il piatto di cose a caso, giusto per potermi riempire la bocca e non dover parlare, quando Dave sembra essere sul punto di parlare viene anticipato da Abby, grazie al cielo.

“Allora ragazzi, voi siete i fortunati ragazzi del distretto Quattro che quest’anno potrebbero portare gloria e prosperità a casa…”  

l’inizio schifoso di un discorso schifoso, fortunati ragazzi? Ci sta prendendo in giro? Odio la mentalità capitolina. Portare a casa la gloria? Tutti volevano portare a casa la pelle! Mi ficco ancora più cibo in bocca per non dover rispondere in modo pungente, così lei prosegue

“…come sapete gli ex-vincitori diventano i mentori dei nuovi tributi, i quali si occupano preparare un piano e procurarvi sponsor, ma siccome nessuno del Distretto Quattro ha ancora vinto nelle scorse otto edizioni, a voi sarà assegnato uno stratega.
Avrete anche uno staff di preparatori e uno stilista che concorderà la linea da assumere col mentore per presentarvi alla cerimonia di apertura, che si svolgerà domani sera a Capitol City. Dopo la cerimonia andrete al centro di addestramento con tutti gli atri tributi, per una settimana circa, alla fine della quale avrete una sessione di allenamento privata in cui verrete valutati dagli strateghi e riceverete un punteggio da 1 a 12.
Più il punteggio è alto più attirerete sponsor, cosa molto importante! Inoltre per attirare gli sponsor la sera prima della vostra partenza per l’Arena ci saranno le interviste che serviranno per presentarvi in prima persona.
Ecco dovrei avervi detto tutto…. Comunque dovremmo arrivare a Capitol City nel primo pomeriggio di domani e…. Kyran! Dov’è?”

Abby divenne l’agitazione fatta persona, nemmeno le avessero detto che era un tributo

“Dovrebbe già essere qui! Voi non l’avete visto vero? Ok, ok, allora voi ragazzi finite di mangiare e poi raggiungetemi nella sala proiezioni, se tutto va bene riuscirò anche a recuperare il vostro stratega…”
uscì dalla stanza con grazia, lasciandomi sola con Dave e una montagna di cibo.

“Bene bene Mags, è un po’ che non ci vediamo” un sorriso insolente “e adesso siamo compagni di squadra…”
Probabilmente era caduto dagli scogli e aveva subito danni cerebrali molto gravi.

“Compagni di squadra? Ma sei scemo o cosa? Dave, hai capito dove siamo diretti? Hai capito cosa saremo costretti a subire?”

“Bè non sei più la piccola tredicenne di un paio di anni fa, questo è chiaro. Dai, non preoccuparti più del necessario, non hai opzioni, non hai niente. Se ti preoccupi cosa ci guadagni? Di stare peggio e se stai peggio, hai più possibilità di perdere…e loro vincono”.

“Tu credi davvero di poter vincere? Senza preoccuparti minimamente degli altri? Dando tutto quello puoi, guardando gli altri che te lo portano via? Pensi di riuscire a uccidere, a uccidere anche me?”

Con l’ultima frase lo avevo evidentemente messo in difficoltà, perché abbassa lo sguardo ed evita di guardarmi.
“Dai andiamo in sala proiezioni da Abby” dicendo ciò si alza ed esce, non posso far altro che seguirlo fuori dalla cabina…

Comunque ha accuratamente evitato di rispondere alla mia domanda.
 

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Capitolo 4
*** In viaggio ***


Io e Dave non ci scambiamo una parola né uno sguardo mentre veniamo scortati a questa famosa ‘sala proiezioni’.
Appena superata la porta, capisco a cosa deve il suo nome. Infatti un grandissimo schermo occupa praticamente una parete intera, ma ciò che davvero mi stupisce è vedere la figura comodamente sedute sul divanetto. Non c’è traccia di Abby, ma solamente quello che immagino essere Kyran, lo stratega.

Mi aspettavo un vecchietto, magari sadico, a cui non poteva importare di meno di me e Dave, che non si sarebbe minimamente interessato della nostra sorte; invece ciò che vedo è un giovane, decisamente carino e non molto eccentrico, capelli neri e occhi scuri, che appena ci scorge sulla soglia si alza e ci viene incontro, con un mezzo sorriso. Appena si fa più vicino, mi accorgo che i suoi occhi sono viola scuro, profondi e molto concentrati, come se ci stesse studiando, analizzandoci in una maniera non semplicemente superficiale, ci stava guardando nell’insieme, come siamo entrati, come lo stavamo guardando, probabilmente per lui eravamo come cavie da laboratorio.
Un brivido mi percorre la spina dorsale, ma cerco di non darlo a vedere, sostengo spudoratamente il suo sguardo, non mi vedrà cedere. Però non posso fare a meno di pensare che magari mi trovo davvero davanti a un sadico, soprattutto pensando che ho di fronte uno stratega, dunque la cosa si fa molto probabile. Anzi, ancora peggio, uno stratega giovane, o era arrivato lì per il suo bell’aspetto o per doti fuori dal comune, e, sinceramente, le doti di uno stratega non possono far altro che terrorizzarmi.

“Ciao Mags, ciao Dave, io sono Kyran, lo stratega che vi aiuterà a delineare la vostra strada, un piano d’attacco all’interno dei Giochi e che vi darà ottimi consigli salvavita” conclude il tutto con un bellissimo sorriso che me lo rende ancora più insopportabile, sembra aver recitato una frasetta imparata a memoria, ripetuta già chissà quante volte a tributi probabilmente morti.
E io dovrei fidarmi di questo tizio? Contare sul fatto che mi avrebbe mandato aiuto nell’arena? Pff, posso considerarmi più morta di prima.
Lo guardo con tutto lo scetticismo e il disprezzo che posso, lui non fa una piega.
“Vi abbiamo gentilmente chiesto di venire…”  come se avessimo avuto scelta, 
“…per guardare le mietiture degli altri tributi…” orribile, 
“…e iniziare a delineare i tratti dei vostri avversari, in modo da iniziare subito ad organizzarci” grandioso un maniaco del controllo. Un ‘che bello’ per noi!

Ci sediamo sul divano, io faccio in modo di finire vicino a Dave per non dover sopportare più a lungo la vista del mio stratega.
Parte il video che come prima cosa manda in onda il bellissimo e assai istruttivo video di come sono nati gli Hunger Games, come se tutti non lo sapessero già, poi si inquadra il Distretto Uno, i tributi sono due diciottenni, il ragazzo è grosso e muscoloso, la ragazza alta e dai tratti affilati, ma mi pare abbiano un’aria stupida, cosa che viene confermata dal fatto che mentre salgono sul palco sorridono; restava comunque il fatto che erano più grandi e grossi di me.

Distretto Due la ragazza è davvero carina, sui sedici anni, non molto alta ma decisamente atletica,  il ragazzo è un diciassettenne, magro, alto e dall’aria assolutamente letale, chissà perché ma questi due mi fanno molta più paura dei tributi dell’Uno, forse è per lo sguardo che hanno. Non sembrano aver paura, sanno di potercela fare e non si faranno nessuno scrupolo a raggiungere la vittoria, emanano sicurezza allo stato puro, non per niente tre degli otto vincitori scorsi sono del Distretto Due.
Decisamente inizia a salirmi l’asia, non voglio vedere i volti degli altri ragazzi, di cui so per certo che ventitré moriranno, faccio di tutto per non memorizzare i nomi, ma alla fine del video l’unica cosa che mi rincuora leggermente è stato vedere mia sorella e guardare me stessa salire sul palco del Distretto Quattro senza inciampare o mostrare panico.
Tutto il contrario di come mi sentivo e di come mi sento ora.
Kyran ci guarda. Panico all’ennesima potenza.

“Allora? Cosa ne dite? Vi sentite di esprimere qualche commento?” i suoi occhi viola non si allontanavano un solo secondo da noi. Cosa potevo dire? ‘a si, che bello non vedo proprio l’ora di farli fuori tutti quanti, soprattutto la dodicenne del distretto Sei’, piuttosto mi mangio la lingua.
Però esprimere commenti non sembrava un problema per l’altro tributo,  “Direi che gli unici tributi di cui dobbiamo preoccuparci sono quelli dell’Uno, del Due, del Sette e del Dieci, perché sono grandi e ben nutriti, in particolare quelli dell’Uno e del Due perché probabilmente sono anche allenati. Anche se devo dire che quelli dell’Uno sembrano due idioti” sostanzialmente aveva espresso quello che credevo anche io, non lo ritenevo capace di un’analisi così accurata al primo sguardo.

Grandioso, ho sottovalutato Dave per tutti questi anni e me ne devo accorgere proprio quando dobbiamo andare negli Hunger Games.

Kyran sembra soddisfatto della risposta “Più o meno è la stessa opinione che mi sono fatto io, anche se credo che quelli del Tre non debbano mai essere sottovalutati e quelli del Dieci non rappresentino una vera e propria minaccia. Inoltre vorrei vi rendeste conto entrambi che siete visti come Favoriti, come pericolosi, sì, anche tu Mags”   aggiunse dopo aver visto il mio ennesimo sguardo scettico    “Sai perché? Perché ti sei offerta, la maggior parte non capisce che lo hai fatto unicamente per proteggere tua sorella, credono che tu sia pronta, sia letale e sia allenata, e questo pensiero equivale a farvi girare per l’arena con un enorme cartellone rosso al neon con un bersaglio disegnato sopra. Sarete presi di mira per essere eliminati, ma allo stesso tempo sarete temuti, avranno paura di venire a uccidervi anche se lo faranno ugualmente per poter vincere. Il vostro vantaggio è che potete sfruttare questa paura che hanno di voi, per ritorcergliela contro. Un altro lato decisamente favorevole dell’essere visti come potenziali vincitori è che attirerete sponsor e sapete bene che possono fare davvero la differenza, quando si muore per un niente anche ottenere un minimo di aiuto può salvarvi e a questo penserò io, perché il mio scopo è anche quello di vendervi come meglio posso per aiutarvi a sopravvivere…” 

La cosa che mi preoccupa maggiormente è che comprendo la logica di questo discorso, il problema rimane sempre che io non voglio dover uccidere nessuno e che non voglio essere venduta come un giocattolo.

“…bene, detto ciò, procediamo un passo alla volta. Due note generali di sopravvivenza: prima di tutto il bagno di sangue, sarebbe meglio evitarlo, ma probabilmente ci saranno generi assolutamente indispensabili alla sopravvivenza, quindi restate sulle pedane anche dopo che il conto alla rovescia è scaduto, tutti si lanceranno all’assalto, voi studierete la situazione, quando vedete che i tributi di Uno e Due sono occupati, andate e cercate di racimolare quanto più vi è possibile, senza avvicinarvi troppo al centro della Cornucopia, la regola d’oro è mantenere sempre un margine di fuga, inoltre non fatevi scrupoli e uccidete tutti coloro che vi si parano davanti. Il secondo grande problema sarà l’Arena, ovvero il territorio in cui vi ritroverete, generalmente non si tratta di un unico terreno uniforme, ci saranno varie zone ognuna  con le proprie difficoltà. Nelle zone desertiche dovete stare attenti alle escursioni termiche, alle tempeste di sabbia, la prima cosa da fare è trovare o costruirsi un riparo, anche scavando sotto la sabbia se necessario, se dovesse esserci  un territorio artico come quello dell’anno scorso, dovete restare in costante movimento, insensibilità agli arti e pizzicore della pelle sono chiari sintomi di congelamento. Questi sono i due ambienti più estremi, ma ovunque vi manderanno dovete assolutamente preoccuparvi di trovare una fonte di acqua e ricordarvi di accendere il fuoco solo quando non potete essere individuati, quindi niente fuochi di notte per stare al calduccio, ci siamo capiti?”

Se prima pensavo di essere terrorizzata, non era assolutamente vero, aver sentito Kyran che ci parlava di come sopravvivere nell’Arena, questo è stato davvero traumatizzante.
Come essere schiaffeggiati dalla realtà.

“Prima di farvi tornare nelle cabine per andare a dormire dovrei farvi alcune domande… Allora, ditemi, avete abilità particolari?”

Io e Dave ci guardiamo un secondo e rispondiamo in sincrono “No” per poi metterci a ridere.
Per una frazione di secondo siamo tornati piccoli, sugli scogli, con l’acqua salata nei capelli e nessun problema per la testa.
Poi la realtà ci ripiomba addosso, mi faccio coraggio, “Sappiamo pescare, creare reti, arpioni e ami da pesca, sappiamo nuotare e fare nodi, inoltre a scuola era obbligatorio allenarsi con almeno un’arma, io, avendo buona mira, so usare cerbottana e fionda, Dave si allena con l’ascia.”
“Si, ma allenarsi e saper usare un’arma sono due cose decisamente diverse! Lo facevo solo perché era obbligatorio, in fondo non mi è mai piaciuto”.

Kyran sta evidentemente pensando alle nostre parole “E avete avuto il coraggio di dire che non avete abilità? Più della metà dei tributi non sa fare nulla di tutto questo e solo pochissimi sono obbligati ad allenarsi, cosa che decisamente vi avvantaggia, capite ora perché siete a tutti gli effetti ‘Favoriti’? Dunque nella settimana di allenamenti a Capitol direi di concentrarsi sull’imparare il maggior numero di cose che non sapete, di qualunque genere, in quanto ad allenamenti fisici siete pronti. Bene un’ultima cosa, mi pare di aver capito che già vi conoscevate prima della Mietitura, magari siete persino amici, dunque volete gareggiare ed essere allenati separatamente o presentarvi nell’Arena come alleati?”

Maledizione, a questo non avevo  pensato, certo, presentandoci come alleati come di solito facevano quelli dell’Uno e del Due avremmo potuto arrivare molto più in là nei Giochi, ma dopo? Se fossimo rimasti solo noi due? Come sarebbe finita?

“Mags, senti, se per te va bene, potremmo essere alleati!” Dave mi guarda speranzoso, che altro posso fare?
“Per me va bene.” Mi sorride, come se non sapesse che siamo comunque destinati alla morte.
“Perfetto, che l’alleanza del Distretto Quattro abbia inizio! E adesso tornate nelle vostre cabine a dormire e riposarvi, credo che non ci sia più nulla da discutere prima dell’arrivo a Capitol di domani. Quindi fino all’ora di pranzo potete rilassarvi e fare ciò che volete, anche se vi consiglio di dormire perché sarà tutto davvero molto frenetico quando arriveremo. Buonanotte ragazzi”
Mentre io rispondo con un formale “Buonanotte Kyran”, Dave si fonde completamente il cervello con un “Grazie Kyran” e usciamo.


“Grazie? Grazie?! GRAZIE?!?!! Dave ti prego dimmi che non hai appena ringraziato l’uomo che collabora con la nostra morte e probabilmente ha creato le scorse Arene!”

“Forse tu non ti sei accorta, ma ci ha dato dei consigli, ci sta spiegando come rimanere in vita, ci vuole aiutare!”

“Si, come no, ci vuole proprio aiutare!” e scoppio in una risata di scherno.

Rabbuiato entra nella sua cabina e sbatte con violenza la porta. Adesso mi sento uno schifo, proprio uno schifo, ho fatto arrabbiare il mio unico alleato.
Sono un’idiota, cosa che ultimamente mi ripeto molto spesso… tanto che probabilmente lo sono davvero, soprattutto per il fatto che sto bussando da almeno cinque minuti alla sua porta senza sosta e senza la minima risposta. Quando finalmente la porta si apre, vedo che mi sorride. Cosa?

“Credevo fossi arrabbiato con me…Ma se hai questo sorriso forse mi sono preoccupata per niente…”sbuffo.

“Sei tu che mi fai tornare il buonumore, hai sfracassato le mie orecchie per dieci minuti! Ma non ti fanno male le mani dopo aver bussato così tanto?” ghigna.

“Eh in effetti un po’ si” lui ride, viene quasi da ridere anche a me.

È una situazione assurda.

“Ammetti che ti sentivi in colpa per avermi trattato male…” mi lancia uno sguardo strano, tra il divertito e l’insofferente.

“Non è che ti ho proprio trattato male, diciamo che mi hai irritato col tuo comportamento  e ti ho risposto male, questo mi ricorda che è colpa tua!” ma questa volta scoppio a ridere anche io e lui si unisce a me, ma dopo poco la mia risata si trasforma in un pianto a dirotto.

No no no no no no.
Assolutamente no.

Non volevo che mi vedesse piangere, maledizione! Penserà di essersi alleato con una ragazzina piagnucolosa.
Ma non mi sbatte la porta in faccia, mi prende per mano e mi porta in camera sua, ci sediamo sul letto e mi abbraccia.
Sarà una cosa stupida, inutile e nociva perché non dovremmo essere legati, ma è proprio ciò di cui ho bisogno. Mi stringe forte e sento che anche lui trema.
Lo stress, l’angoscia, la paura, la sofferenza, tutto sta uscendo fuori.
All’inizio di questo giorno avevamo tutto, giunti a sera non ci rimane più niente.
Non si può semplicemente descrivere cosa si prova.
È come guardare in un abisso ed esserne risucchiati. Non hai scampo.

Solo io.
Solo lui.
Solo la promessa di morte.




 
 

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Capitolo 5
*** Show ***


Sono sveglia, ma non voglio aprire gli occhi.

Mi sono addormentata in camera di Dave, anche se ‘addormentarsi’ non rende proprio l’idea, visto che sono collassata dopo aver usato anche l’ultimo briciolo di energia per piangere. A tal proposito credo di essermi anche disidratata, non credevo di poter produrre tante lacrime, fatto sta che nemmeno mi ricordo di essermi tolta le scarpe e essermi infilata sotto le coperte.

Mi faccio forza e apro gli occhi, l’orologio sul muro segna le dieci e trenta. Bene, non avremmo avuto poi così tanto tempo da impiegare prima di arrivare a Capitol, colazione, un lunghissimo bagno, il pranzo e poco altro, magari senza nemmeno dover pensare troppo a ciò che ci sta attendendo… scendo dal letto, raccolgo le mie scarpe e mi accorgo che Dave dorme ancora. Ha il viso così rilassato e pacifico, tutto sommerso dalle coperte sembra davvero un angioletto coi riccioli biondi. Mi sento a disagio. Mi ha consolato, ci siamo fatti forza a vicenda, abbiamo dormito nello stesso letto –in cui ci sarebbero state altre due persone, però dettagli-.

Ci siamo avvicinati, non fisicamente, ma emotivamente. Niente di più nocivo, per due ragazzi destinati a morte certa.

Volevo sgattaiolare in camera mia per starmene in pace, ma chissà per quale arcano motivo mi risiedo sul letto e guardo il mio compagno di sventure, pensando ai mille giochi che facevamo da piccoli e ai Giochi che ci attendo adesso.

Mi sento angosciata, ma anche vagamente consapevole che ho già un alleato e che non parto del tutto svantaggiata, ciò che Kyran ci ha detto ieri sera in fondo è vero, siamo messi meglio della maggior parte dei tributi, ma questo significa avere la possibilità di vincere? Non credo sia la stessa cosa…
Mi raggomitolo su me stessa, ancora una volta senza sapere come posso andare avanti…

Probabilmente passa più tempo di quello che credo perché Dave si sveglia.

“Ehi piccola pensatrice, non te lo hai mai detto nessuno che se ti preoccupi ancora un altro po’ ti verranno delle rughe enormi? Dov’è la ragazza allegra e spensierata con un perenne sorriso sulle labbra? Se non la smetti subito di tormentarti credo di doverti sbattere fuori dal mio letto…sai com’è, lo condivido solo con persone simpatiche… ”

La verità è che è lui quello con il sorriso sempre sulle labbra, ma velocemente contagia anche me e mi ritrovo ad afferrare un cuscino per scaraventarglielo contro… cosa che lui ovviamente non può permettere perché all’improvviso mi ritrovo sommersa dai cuscini, letteralmente sommersa!

Riemergo ridendo dalle coperte e dai cuscini e vedo che Dave è seduto sul letto e sta sogghignando “Andiamo a fare colazione?”

“Certo” concordo, lui si alza e si toglie rapidamente maglietta e calzoni e arrossendo mi volto dall’altra parte, che reazione stupida, quante volte l'ho visto in costume in spiaggia? Però non ho proprio potuto farne a meno, mi ha completamente colto alla sprovvista. C'è da specificare che comunque erano anni che non lo vedevo...

“Che c’è?” usa un tono da finto tonto, probabilmente mi sta guardando con uno sguardo totalmente innocente “non sarai a disagio, vero?”

“Bè potevi aspettare che almeno fossi uscita…” cerco di mantenere un po' di contegno.

“Perché? Volevi uscire e rientrare dopo che mi fossi cambiato?”

“No, semplicemente sarei uscita e andata a cambiarmi in camera mia…”

“Ci sono un sacco abiti anche qui, non mi dà fastidio se ti cambi qui, adesso…”

Raccolgo le scarpe ed esco senza guardarlo, ma soprattutto senza degnarlo di una risposta.

E quello che cavolo era?
D’ora in poi non mi farò più domande. Né su Dave, né sui Giochi, nemmeno sul tempo. Basta.

Basta, ho deciso che voglio vivere questa cosa come viene, avendo faticosamente guadagnato a costo di un milione di neuroni bruciati due conclusioni: primo, non avrei ucciso, potrei semplicemente essere più brava degli altri a sopravvivere, invece che essere più brava a uccidere, credo che chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro*, io non voglio uccidere.

Secondo non sarei più crollata, avrei recitato per le telecamere, sarebbe stato tutto finto, così non mi avrebbero potuto portar via niente.

Bene. Ah un’altra cosa, avrei picchiato Dave appena mi fosse capitato sotto tiro.
La vecchia Mags solare di un tempo forse poteva tornare.

Questa conclusione mi fa sentire bene, mi fa sentire un po’ meno controllata, un po’ meno senza via di fuga.

Arrivo alla mia cabina, scelgo un vestitino color corallo, mi cambio e vado a fare colazione, latte con il cioccolato, biscotti, talmente tanti frutti freschi che nemmeno riesco a riconoscerli tutti.

Ci siamo solo io e gli inservienti, non c’è Abby, né Kyran, né Dave, allora mi alzo e me ne torno in cabina e mi immergo nell’acqua bollente.  
Mi sembra di sentire ogni muscolo sciogliersi, chiudo gli occhi e mi rilasso.
Ho detto addio a casa mia, voglio chiudere i miei ricordi in un cassettino della mente, sento di aver raggiunto una sorta di equilibrio. Chiudo gli occhi e mi rilasso, forse per la prima volta da che il nome di mia sorella è stato estratto alla mietitura…

Sono completamente immersa nell’acqua a occhi chiusi, a pancia in su, sento il sole sulla pelle e le onde che si susseguono una sull’altra, sono poco lontano dalla riva e sento molto trambusto. Oggi è domenica, giorno di mercato, per questo un vociare continuo e soffuso mi culla assieme alle onde, ricordandomi improvvisamente che devo comprare del filo per finire la coroncina di conchiglie che voglio fare per il compleanno di Lexi, di sicuro papà saprà quale sarà il più adatto. Poi devo anche passare alla bancarella di Grachel per andare a prendere le nuove corde della mia chitarra e alle undici c’è il ritrovo con gli altri ragazzi per andare alle pozze, adoro quando andiamo alle pozze. Sono davvero una meraviglia che la natura ci ha regalato, una serie di stagni di acqua calda a diversi livelli, collegati anche da scivoli naturali, non vedo l’ora di poterci portare anche Lex, appena sarà un po’ più grande, le piacerebbe davvero da matti.
Ma non ho ancora voglia di muovermi, l’acqua è troppo rilassante per me, rimarrei per ore così….
“Mags!” mio papà? Perché sembra la sua voce? Lo avevo avvisato che sarei andata a nuotare, poi al mercato e alle pozze, tanto Lexi era a casa di un’amica per tutto il giorno…
“Mags!” chissà perché quel tono allarmato, comunque non apro gli occhi, si sta troppo bene qui, ci passerei davvero la vita intera…


“MAGS!” apro gli occhi di scatto e mi metto a sedere, perché mi ritrovo nella vasca da bagno, non in mare, il trambusto che mi sembrava di sentire erano una serie di colpi alla porta del mio bagno, esco velocemente dall’acqua ormai fredda, mi avvolgo un asciugamano addosso e apro la porta.
Fuori trovo Dave con una faccia spaventata, “Perché diamine ti sei chiusa in bagno senza rispondere? Pensavamo fossi scivolata e ti fossi fatta male o peggio ancora che avessi fatto qualche idiozia come suicidarti!” inizia adesso a respirare, anche se affannosamente. Si era preoccupato davvero, ma che senso aveva se tanto dovevamo andare nell’Arena?

“Credo di essermi addormentata nella vasca… non l’ho fatto apposta” le mie parole hanno un tono di scusa, tanto quanto le sue sapevano di rimprovero.
“Comunque ti stavo cercando per andare assieme a pranzo, non posso sopportare Abby e Kyran da solo, adesso che siamo una squadra, dobbiamo sostenerci e darci una mano, giusto?” è tornato il solito Dave, uno dei suoi pregi è che anche se si arrabbia facilmente, poi gli passa subito, non riesce a tenere il broncio.

“Hai ragione, due secondi che mi vesto e arrivo…” chiudo la porta sentendolo borbottare qualcosa che somiglia terribilmente a ‘chissà perché ci troviamo sempre senza vestiti…’, comunque mi vesto velocemente, raccolgo i capelli bagnati in uno chignon ed esco.

Ci dirigiamo in sala da pranzo e veniamo subito accolti “Ragazzi, siete in ritardo, state bene? Avete avuto qualche problema?” Abby indica dove sederci, ma il suo tono leggermente preoccupato, mi ha messo una leggera ansia, che anche lei abbia pensato che avremmo potuto avere un incidente o addirittura causarcelo di nostra spontanea volontà?

Kyran rimane seduto, ghignando, ci osserva  sempre con quegli occhi viola che mi fanno rabbrividire.
Il pranzo si svolge tranquillamente con le allegre chiacchiere di Abby, che tenta evidentemente di metterci a nostro agio, e le divertenti battute di Dave, improvvisamente mi rendo conto di non avere più l‘espressione cupa del giorni precedenti, aver deciso più o meno come comportarsi nei giochi, aver trovato un alleato, sapere di avere Kyran che ci avrebbe in qualche modo aiutato –forse-, mi sta facendo tornare la ragazza di sempre.
Sto tornando alla normalità in una situazione che di normale non ha niente, mi sento quasi bene, nonostante tutto, nonostante tutti.

Abby continua a ripeterci il programma che dobbiamo seguire una volta a Capitol, non capisco se lo fa perché è molto orgogliosa si averlo preparato o perché pensa siamo stupidi e non in grado di capirlo dopo che ci è stato detto una volta sola, ciò mi fa ridere perché mi ricorda terribilmente la mia maestra di scuola che ripeteva le cose fino allo sfinimento…

Ci dilunghiamo talmente tanto a pranzo che quando abbiamo finito siamo a Capitol City… le prime immagini che scorgo dai finestrini sono impressionanti, certo tutti vedono la Capitale in diretta tv, ma tutt’altra cosa è trovarsi lì in mezzo, ti senti così piccolo e insignificante che quasi ti sembra di non esistere, un’emozione simile l’ho provata solo davanti all’immensità del mare del Distretto 4. Roba da togliere il fiato.

Arrivati, so cosa mi attende, sarei stata consegnata al mio stilista e al suo staff per essere preparata per la cerimonia di apertura, ovvero la sfilata dei carri davanti al Presidente, che quest’anno sarebbe stata particolarmente importante –come Abby aveva sottolineato più volte- perché era nato da pochi giorni il figlio del presidente Snow**, quindi avrebbe dovuto essere una doppia celebrazione.

Scesi dal treno, veniamo scortati alla sede in cui risiederemo e dove ci alleneremo prima dei giochi, all’ingresso ci attendono due belle ragazze con un sorriso davvero luminoso, anche grazie al fatto che in ogni dente era incastonato un piccolo diamante, la prima che si dirige verso di me non è molto alta e porta un tubino lilla fino alle ginocchia, dall’orlo del quale parte una lunga gonna di pizzo di una tonalità più intensa di viola, così come viola sono anche alcune ciocche tra i suoi lunghi capelli neri, l’altra si dirige verso Dave, è molto più alta della sua collega, con corti capelli biondi platino, indossa pantaloni e camicetta di un rosa pallido, ricamati con fiori rosso fuoco.
Erano di sicuro le nostre stiliste.

“Ciao, sono Megan, la tua stilista, lei è Sierra, mia amica, collega e stilista di Dave, adesso incontrerete lo staff che inizierà a prepararvi in separata sede, dopo che avremo parlato col vostro stratega, ci ritroveremo tutti insieme per rifinire il look che vogliamo ottenere, ovviamente se non ti dovesse piacere si potrà fare qualche modifica, ma scommetto che lo adorerai, lo adorerete entrambi, non per vantarci, ma siamo davvero brave...” parla molto velocemente, ma con grande entusiasmo, mi piace questa ragazza, anche se è una capitolina che prepara i tributi al macello, però almeno non si è congratulata con me.
Arriviamo a un lungo corridoio, io vengo spinta nella prima porta a destra, mentre vedo Dave sparire lungo il corridoio, mi urla di farmi forza.
Cosa sarà mai? Non dove essere torturata, ovviamente ce la posso fare.

Pochi minuti dopo mi devo ricredere, dopo che Megan mi ha preso le misure e se n’è andata, rimango sola con i preparatori, un ragazzo e una ragazza, vengo spogliata completamente, infilata in una doccia gelida e strigliata per bene, a nessuno sembra importare il fatto che mi sono già lavata stamattina, dopo essere stata quasi scorticata e asciugata, iniziano a fare critiche sul mio corpo, una cicatrice lì, una macchia del sole là, decisamente troppi peli superflui, un neo antiestetico sulla spalla…
Cose di cui non mi sono mai minimamente preoccupata.

Non credevo ci fossero così tante cose da sistemare e che ci impiegassimo così tanto tempo. Mi mettono unguenti ovunque, uno verde sui capelli, che spero vivamente non li faccia diventare di quel colore, uno dall’odore strano sul viso e un altro su tutto il corpo, mentre sembro un mostro ricoperto di alghe mi sistemano le mani e i piedi, vengo nuovamente immersa nella doccia, calda questa volta, ed esco con una pelle liscissima e i capelli ancora biondi fortunatamente, mi fanno indossare biancheria e un accappatoio, mi spuntano un po’ i capelli e mi mettono uno smalto azzurro opalescente, mi avvisano che mi faranno delle ciocche di capelli azzurre, ma che torneranno del colore normale dopo averli lavati.

Dopo quelle che sembrano ore lunghe e interminabili vengo mandata in una accogliente saletta con addosso solo un accappatoio ad aspettare, senza nemmeno aver avuto la possibilità di guardarmi allo specchio, fortunatamente dopo poco mi viene a prendere Abby e mi porta nello studio di Megan e Sierra.

Lo studio è una stanza grande e circolare, con ampie finestre coperte da lunghe tende verdine di pizzo ricamato, tutt’intorno sono disseminati dei manichini con addosso abiti bellissimi, abiti strani e alcuni anche con abiti che sembrano fatti di metallo, una grossa scrivania è piena di stoffe di qualunque materiale e di qualunque colore, cuscini e pouf sono disseminati un po’ dappertutto, un’enorme attaccapanni è ricoperto da una quantità spropositata di cappotti, al centro della stanza c’è un enorme divano rosa su cui erano seduti già tutti, Megan, Sierra, Kyran e Dave che ha addosso anche lui solo un accappatoio, guardandolo bene mi accorgo noto che anche a lui hanno colorato le punte dei riccioli biondi di un bel colore azzurrino, solo che su di lui sembrano delle fiammelle blu, devo dire che gli donano.

Ci sorridono e ci invitano a sederci.
“Bene, possiamo iniziare” Sierra sembra davvero entusiasta e lo stesso si può dire di Megan perché annuisce con vigore alle parole dell’amica.
“Stavamo dicendo che l’Uno e il Due punteranno sulla forza e sulla spavalderia, sul coraggio e l’arroganza dei loro ragazzi, sul fatto che si credono migliori e più dotati, dunque Kyran ci ha detto che per voi sarebbe meglio mantenere un comportamento naturale, semplice, non i soliti favoriti spocchiosi, ma farvi vedere e amare per come siete davvero, quindi abbiamo ideato un look abbastanza semplice, ma di grande effetto, sarete semplicemente bellissimi e anche vagamente temibili, sapete, io e Megan abbiamo una passione per il mondo prima di Panem, abbiamo visto che moltissimo tempo fa credevano nell’esistenza di divinità, in particolare per voi ci siamo ispirate alle divinità greche del mare” Sierra è a dir poco euforica.

“In pratica i vostri abiti ricalcheranno il modello delle tuniche di due divinità, ma invece che essere bianche sembreranno fatte da onde, ma il mare si presenta in molti modi, dunque  sembreranno onde del mare in tempesta sul fondo fino a risalire al mare calmo. Avrete poi due tridenti azzurri e delle corone incastonate di conchiglie, inoltre abbiamo intenzione di montare sul carro che vi porterà dei piccoli congegni che nebulizzeranno dell’acqua, trasformandola in vere e proprie nuvole di vapore, sarà stupendo!” Megan è davvero fiera di ciò che ha ideato e si lancia in una discussione sui dettagli con Abby che pare anche più contenta delle due stiliste.

“Ragazzi che dite? Vi può star bene una presentazione di questo tipo?” Sierra mi sorride, mai mi sarei aspettata che venisse chiesta la mia opinione o che venisse anche solo vagamente presa in considerazione, quindi a mia volta mi apro in un sorriso “Mi sembra davvero un’idea splendida” e sono sincera.

“Davvero è idea molto bella, complimenti” rincara la dose Dave.

“Perfetto, andiamo a prendervi i vestiti così vi cambiate e finiamo di prepararvi, intanto vi faccio portare qualcosa da mettere sotto i denti, che dite?” Megan è così gentile che non posso credere che sia una di quelle che guardando i Giochi si diverte… Com’è possibile che…ALT, niente domande mi ero detta.

“Sarebbe davvero fantastico poter mangiare qualcosa, sto morendo di fame!” la sfacciataggine di Dave non aveva fine, come poteva dire che stava ‘morendo di fame’ quando a breve saremmo stati catapultati senza il minimo scrupolo nei Giochi della Fame?

Megan, Sierra e Abby escono per occuparsi delle ultime cose, Kyran che per tutto il tempo non ha detto nulla si rivolge finalmente a noi “Allora ragazzi, stasera sul carro sorridete e salutate, ma senza esagerare, niente di eccessivo, siate naturali, ma composti. Domani cominceranno gli allenamenti, vi ricordo che in una settimana dovete cercare di colmare le vostre lacune, imparate come fare un fuoco, come riconoscere le piante velenose, studiate i diversi territori, imparate le medicazioni di base, state lontani dalle armi, tanto una settimana per voi non farà la differenza, non dovete imparare a maneggiare armi e acquisire la tecnica in soli sette giorni non è possibile. Per quanto riguarda la sessione privata di allenamento, dovrete cercare di essere fuori dagli schemi, fare qualcosa di innovativo o passerete del tutto inosservati, direi che la tattica del tenere un punteggio basso per non diventare un bersaglio con voi non potrebbe funzionare, perché ormi siete già nel mirino degli altri tributi, dunque meglio tentare di ottenere un punteggio altro per intimorirli e per far sì che io riesca a procurarvi molti sponsor. Infine per quanto riguarda l’intervista non cercate di ricadere in concetti prestabiliti, cioè non decidete a priori ‘mi presenterò come quello simpatico’ o ‘come quello forte e temibile’, fatevi apprezzare per come siete, perché nell’Arena non avrete tempo di fingere, dovrete preoccuparvi della vostra vita non potete preoccuparvi di mantenere una sceneggiata, va bene?” e io che volevo erigere una facciata per non rendere spudoratamente pubblici tutti i miei sentimenti, com’è che tutti i piani che mi facevo Kyran me li mandava in pezzi?
Quel ragazzo metteva avvero ansia a volte. No, non a volte, sempre, insomma è pur sempre uno stratega.

Non abbiamo nemmeno il tempo di replicare che entrano degli inservienti con dei vassoi pieni di ottimi cibi e abbiamo le bocche troppo occupate per rispondere.
Poco dopo tornano le due stiliste con due meravigliosi capi tra le braccia, Megan mi tira dietro a un separé e mi infila l’abito, è vero che è stile tunica, è ampio e raccolto su una sola spalla da un fermaglio a forma di conchiglia, il davanti arriva al ginocchio, mentre dietro è molto più lungo, ma la cosa strabiliante sono le sfumature, il fondo è blu scuro, quasi nero violaceo, che all’altezza delle cosce diventa blu cristallino per poi arrivare a un azzurro ceruleo alla spalla, la stessa tonalità di azzurro delle ciocche dei miei capelli. Dopo aver applicato qualche piccolo ritocco al vestito mi mette un diadema di conchiglie sempre con le tonalità del blu e mi arriccia i capelli, mi fa sedere e mi trucca, alla fine mi porge un paio di infradito nere e finalmente mi porta uno specchio.

Non mi sono mai ritenuta bella, ma in questo momento non ho altre parole per descrivermi, il trucco c’è ma non è eccessivo, il vestito è bellissimo, i capelli sono perfetti.

Esco dal separé sorridendo e vedo Dave che è davvero bellissimo, il suo abito è  diverso dal mio, è anche la sua una tunica sempre con le medesime sfumature spettacolari, ma è tutta della stessa lunghezza e gli arriva alle ginocchia, è stretta in vita da una reticella arrangiata a mo’ di fune e raccolta sulla spalla con lo stesso fermaglio che indosso anche io, la parte spettacolare però è il lungo mantello. Sta davvero bene.

“Wow Mags sei stupenda! Non avranno occhi che per te, davvero bellissima…” Dave mi fa un ampio sorriso, lo dice con così tanta convinzione che riesco ad arrossire anche col trucco, “Anche tu sei davvero bello, sbaraglieremo tutti!” la certezza nella mia voce non sembra appartenere nemmeno a me.

Sentiamo la porta aprirsi e vediamo Abby che porta due tridenti, sono più alti di me e hanno un’aria letale, potrei infilzarci una balena con quei cosi, però sono anche bellissimi, non so di che materiale sono fatti, ma quando me lo porge sento che è molto leggero e mi accorgo che non è semplicemente grigio perla, ma possiede una luminescenza azzurrina.

“Mi raccomando niente scemenze come attaccare altri tributi con questi in mano, ok? Però devo dirvi ragazzi che siete magnifici!!” Abby ha le lacrime agli occhi, Sierra e Megan sembrano davvero soddisfatte  e Kyran…ehi dov’è finito? Abbiamo perso il nostro stratega, ma non c’è tempo per cercarlo, perché dobbiamo iniziare ad andare al cortile di ritrovo per la parata di apertura, mentre camminiamo i nostri abiti mossi dal nostro ondeggiare sembrano quasi liquidi, davvero uno spettacolo.

Nel cortile ci sono già le bighe e i cavalli pronti e, a occhio, anche quasi tutti i tributi che appena entriamo ci fissano, qualcuno anche a bocca aperta. Mi sento leggermente a disagio, ma nessuno si avvicina, probabilmente perché siamogli unici armati. Meglio così, non volevo parlare con gli altri. Mi guardo intorno e vengo attratta dai costumi dei ragazzi dell’Otto, infatti poiché nel Distretto si producono tessuti, sono agghindati come due capitolini, non so se da parte degli stilisti è stata una mossa molto intelligente, insomma i Giochi sono popolari a Capitol City perché loro non vi prendono parte, come reagiranno vedendo due tributi vestiti come loro? Invece i ragazzi del Cinque, facevano quasi male agli occhi, perché erano vestiti di giallo evidenziatore con un’aggiunta di lucine, direi che impersonano davvero l’essenza dell’elettricità, ma fortunatamente sarebbero stati dietro al nostro carro e non sono costretta a guardarli oltre.

Dopo una decina di minuti una voce dall’interfono ci avvisa di prendere posizione sui carri, pronti, partenza, si va in scena. Appena anche il nostro carro parte si attivano i nebulizzatori e formano una nuvola  di vapore dapprima vicino ai nostri piedi, ma man mano che proseguiamo si amplia e sale fino alla cintola, se gli abiti ondeggiavano mentre camminavamo, non erano niente in confronto a come appaiono ora mossi dal vento del carro.
Mi vedo sugli schermi, davvero una cosa impressionante, il fumo, il vestito che ondeggia, il tridente, io e Dave sembriamo appena usciti dalle profondità marine. Sorrido e cerco di lanciare sguardi alla folla, faccio qualche cenno con la mano, senza scompormi troppo, e li sento andare in visibilio, abbiamo l’attenzione di tutti finché non ci fermiamo di fronte al palco presidenziale da cui si erge statuario il presidente che inizia un discorso che non sento perché mi ronzano le orecchie, per tutto il tempo in cui rimango in piedi sulla biga percepisco solo le mie pulsazioni accelerate dalla preoccupazione.


Tutto è già finito, mi portano in camera e mi lancio sul letto avvertendo in colpo solo tutta  l’ansia e la stanchezza della giornata, l’ultima cosa che sento è Abby che mi dice che domani gli allenamenti sarebbero iniziati alle 9.00, dunque avremmo dovuto svegliarci per le 8.00. Probabilmente è molto tardi e ho poche ore per riposare, ma decisamente riesco ad addormentarmi in un secondo.
 
 
 
 
 

















 
 
 
* “Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te.” Citazione di Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male.
**Ho deciso che la carica presidenziale è ereditaria, perché non ce li vedo proprio i capitolini ad andare a un’elezione ed è fuor di dubbio che i distretti non avrebbero diritto di voto, dunque supponendo  che il presidente Snow conosciuto da Katniss abbia circa 65, al tempo degli Hunger Games di Mags doveva essere appena nato. 

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Capitolo 6
*** Allenamento ***


“Sveglia svegliaaaaaaaaaaaaa”

Niente ti penetra nel cervello come la squillante voce di Abby alle otto di mattina. Impossibile non svegliarsi.
Quando apro gli occhi, mi sembra di averli chiusi un momento fa. Com’è possibile?

Mi trascino a fatica verso il bagno e mi lavo la faccia con l’acqua gelata, togliendo i residui di trucco che ero troppo sfinita per sciacquare ieri sera. Mi guardo allo specchio e vedo che i capelli sono tornati lisci, ma continuo ad avere le ciocche azzurre, mi piacciono, mi pettino e mi faccio una coda alta con lo spago incrostato di sale che mi hanno regalato, sa davvero di sale e di casa, mi fa sentire bene. Torno in camera e vedo che ci sono degli abiti piegati sul letto, me li infilo. È una tuta grigia con pantaloni lunghi e maglietta a maniche corte, entrambi grigi e aderenti, di un materiale leggero, ma evidentemente resistente, sul retro della maglietta c’è un numero quattro azzurro bordato di nero. Indosso anche le nere scarpe da ginnastica che trovo ai piedi del letto, qualcosa mi dice che è la divisa da allenamento.

Mi dirigo a far colazione e vedo che c’è solo Abby “Buongiorno cara, vedo che non hai avuto difficoltà ad alzarti e a trovare i tuoi abiti, vieni, siediti” mi sorride caldamente, oggi ha un vestito color caramello decorato con quelle che sembrano vere caramelline.

“Dave?” indago.

“Si è svegliato adesso, tra poco dovrebbe raggiungerci, è stata un’impresa incredibilmente ardua buttarlo giù dal letto” Abby è evidentemente contrariata dal poco controllo del suo tributo.

“Ahahah è vero, mi ricordo che sembrava sempre in coma più che addormentato” non posso fare a meno di ridere, perché quando Dave voleva dormire non c’erano storie, lui dormiva. Anche suo fratello è così, infatti io e mia sorella dovevamo sempre aspettarli per poi correre tutti e quattro come pazzi per arrivare a scuola, praticamente tutte le mattine.

Poco dopo entra in sala anche lui, è vestito esattamente come me, ma ha i capelli tutti scarmigliati e una faccia ancora mezza addormentata.
“Buongiorno” tenta di salutare, ma più che altro quello che ne esce è un mugugno.

“Bene, ora possiamo iniziare la colazione” infatti le buone maniere di Abby mi hanno impedito di toccare anche solo un biscottino.
Dopo l’ottima colazione è ora di scendere al centro di allenamento in cui saremmo rimasti fino alle cinque di pomeriggio circa. Non sono molto preoccupata, spero solo di non dover essere obbligata a parlare con gli altri ragazzi, non voglio conoscerli.

Ci troviamo in una saletta e appena siamo arrivati tutti, gli accompagnatori se ne vanno e veniamo fatti entrare al centro vero e proprio. È davvero enorme, ci sono moltissimi stand in cui andare a esercitarsi, quelli dell’Uno si dirigono subito verso l’allenamento con le spade, anche gli altri si disperdono più o meno rapidamente.

“Allora, dove andiamo?” Dave mi guarda, ma non so cosa rispondergli. Iniziamo a girovagare osservando le varie piattaforme.

“Mmmm non so, direi che possiamo evitare tutti quelli con gli allenamenti da armi e anche questo in cui si imparano i nodi. Magari possiamo andare alla base del pronto soccorso, che dici?”

“Per me va bene, infermiera” sempre il solito.

Mentre ci avviamo verso lo stand prescelto ci accorgiamo di essere seguiti, Dave finge di sistemarsi la maglietta e butta uno sguardo dietro di sé.
“Due” mi sussurra.

Maledizione, era ovvio che sarebbero stati i tributi del Due a importunarci subito.

Arrivati alla base del primo soccorso l’istruttore ci viene incontro “Ciao ragazzi, siete interessati ad apprendere qualche tecnica di soccorso?”
“Certo” ma né io né Dave abbiamo aperto bocca. È stata la ragazza del Due.
Ci voltiamo di scatto e li vediamo dietro di noi.

“Sapete, anche noi vorremmo fermarci qui, non vi crea problemi, vero?” il tono del ragazzo mi sta decisamente antipatico.

“Nessun problema per noi” faccio un sorriso fintissimo, “Ovviamente no” anche Dave sorride.

L’istruttore non percepisce la tensione, è solo felice di avere quattro ragazzi da istruire in un colpo solo.
Inizia a spiegare come individuare i sintomi di avvelenamento, se ovviamente non è un veleno ad effetto immediato. Il suo slogan è ‘riconoscerlo per neutralizzarlo’, mentre lui parla, io e Dave ci sediamo, assumendo una posa rilassata, fingendo che gli altri tributi non ci siano, sforzo vano visto che la ragazza del Due si siede vicino a Dave e il ragazzo si siede vicino a me. Magari lo stesso principio dei veleni poteva valere anche per i tributi del Due, ‘conoscerli per neutralizzarli’, il problema è che io non voglio conoscerli, però se riuscissi a capire come sbarazzarmene…

Non ci rivolgiamo la parola, ma appena l’istruttore finisce di parlare ci dice di dividerci per fare un esercizio in cui ci avrebbe mostrato delle foto e avremmo dovuto riconoscere i vari sintomi, per poi applicare il giusto antidoto.
Quelli del Due sono più veloci, il ragazzo mi trascina a un tavolo e la ragazza trascina Dave in un altro.
Ci vengono date una pila di foto non particolarmente piacevoli da vedere.

“E così tu sei Mags… ti sei offerta per tua sorella…” non è una domanda, è come se stesse facendo mente locale.

“Mi spiace ma non credo di ricordare il tuo nome” cerco di essere piccata.

“Aiden”

“Non ho detto che volevo saperlo”

“Ah che caratterino questa ragazzina” ride.

Lo ignoro e inizio l’esercizio “Avvelenamento alimentare, probabilmente funghi velenosi”, porgo a lui la foto successiva.

“Avvelenamento respiratorio, neurotossina” maledizione ha davvero seguito la lezione.

“Setticemia, avvelenamento del sangue” proseguo.

“Dai non vorrai davvero continuare con questo stupidissimo esercizio? È totalmente inutile!”

“Sei libero di cambiare postazione, non ti tratterrò contro la tua volontà. Avvelenamento cutaneo.” Gli sorrido, come sfidandolo ad andare via.

“Perché ti sei offerta per tua sorella? Credi di avere le capacità per poter vincere? Bè forse si, ma tu e il tuo amichetto potreste davvero avere molte più chances di arrivare alla fine alleandovi con me e Keri”

Bingo, ecco perché ci hanno seguiti,  “Chi scusa?”

“Me e la ragazza del mio Distretto” inizia a irritarsi, forse non sono molto furba a inimicarmi il ragazzo che mi sembra più pericoloso di tutti, ricordo che quado lo vidi salire sul palco alla mietitura mi sembrò il tributo in assoluto più letale.

“Perché vorreste allearvi con me e Dave?”

“Per la stessa ragione per cui dovreste volerlo voi: insieme siamo i più forti”

“ E i tributi dell’Uno? Sono due diciottenni, grossi e forti, non potrebbero essere degli alleati migliori?”

“Ma li hai visti in faccia? Io e Keri li chiamiamo scemo e più scemo. Certo, potrebbero rivelarsi utili in uno scontro di forza bruta, ma nell’Arena non devi essere solo forte, devi essere sveglio. Quindi in base a quello che abbiamo visto i migliori siete voi del Quattro.”

“Quindi sarebbe una mera strategia utilitaristica, quando non vi saremo più utili ci squarcerete la gola nel sonno.” Non è una domanda, è un’affermazione, anche lui lo ha capito.

“Di sicuro non vi voglio come amichetti del cuore, quando la maggior parte dei tributi sarà eliminata, l’alleanza deve sciogliersi, ma non ci permetteremmo mai di compiere un’azione becera come sgozzarvi nel sonno. Il pubblico non si divertirebbe e noi non ne ricaveremmo nemmeno un briciolo di onore.”

“Onore, si, come no…. Perché dovrei fidarmi?”

“Perché non dovresti?”

“Perché gli altri ragazzi del Due, nelle scorse edizioni, non sono stati affidabili”

“Io non sono ‘gli altri ragazzi del Due’”

“Però sei stato allenato allo stesso modo”

“Se è per questo anche tu”

“Sei sempre così irritante?”

“Sei sempre così sospettosa?”

“È già la seconda volta che rispondi a una domanda con una domanda”

“La cosa ti disturba?” sorride. Sorride maledizione! I suoi occhi celesti mi prendono in giro.

Quanto mi irrita questo ragazzo.  Ma la mia pungente risposta  mi muore sulle labbra quando sento la risata di Dave. Mi giro di scatto. Guardo per ben un minuto per essere sicura di non avere un’allucinazione. Sta davvero ridendo, sta ridendo con la ragazza del Due. Non ci credo.

“Avvelenamento da sguardo” Aiden, compiaciuto della propria battuta, si mette a sghignazzare.
Che strategia sta applicando quell’idiota del mio alleato? Non vorrà sul serio allearsi con questi due? Ci ucciderebbero mezzo secondo dopo l’inizio dei Giochi con profonde pugnalate alle spalle.
L’istruttore si avvicina al nostro tavolo e ci chiede se siamo pronti per un’altra lezione: medicazione di base delle ferite. Mi va bene qualsiasi cosa pur di allontanarmi da loro.

Ricomincia la lezione ed è molto più impegnativa della precedente, ma anche molto utile, quindi mi ci dedico con la massima attenzione. I tributi del Due non tentano più di parlarci, ma quando veniamo chiamati per andare a pranzo noto che ci stanno ancora seguendo, sono pochi passi dietro di noi che confabulano tra loro.

“Mi spieghi cosa ci trovi da ridere tanto di gusto con uno tra i tributi più pericolosi?” cerco di tenere bassa la voce.

“Niente di che, stavamo facendo l’esercizio sui veleni, quando a un certo punto mi ha chiesto di diventare alleati, vogliono che ci uniamo entrambi a loro per essere più forti”
“Il ragazzo del Due lo ha proposto anche a me, però ancora non mi hai detto perché ridevi…”

“Niente, mi ha fatto notare che gli altri tributi sono una manica di idioti”

“Ed è proprio per questo che quelli del Due sono in assoluto i più pericolosi” sono scocciata, non lo capisce?

Entriamo nella sala mensa, riempiamo i nostri vassoi di cibo e ci sediamo a un tavolo vuoto, che dopo mezzo minuto ospita i tributi dell’Uno. Di bene in meglio.
“Ciao” ci salutano con fare amichevole, almeno non erano freddi e calcolatori come quelli del Due.

“Ciao” rispondiamo io e Dave abbastanza pacatamente.

“Come va? Non vi abbiamo visto alla piattaforma delle spade né a quella di altre armi…” il ragazzo lascia in sospeso il tono, ma io ho capito, vogliono sapere se sappiamo combattere.

“Sai, non credo abbiamo bisogno di allenarci ancora…” la bugia più grossa della mia vita.

“Eh già, a dispetto di lunghi anni cosa possono fare sei giorni?” anche Dave fa lo sbruffone.

Quelli dell’Uno sembrano vagamente spaventati anche se sono grossi due volte noi, forse è vero che non sono particolarmente furbi.
“Comunque crediamo che potremmo formare un’alleanza, soprattutto per sbarazzarci di quelli del Due”
Com’è che volevano tutti allearsi con noi? Non è una regola che i tributi di Uno, Due e Quattro si devono per forza mettere insieme.

“Possiamo pensarci” Dave sorride e ricomincia a mangiare, i due ragazzi sembrano soddisfatti.

Al tavolo vicino i tributi del Due non ci hanno staccato gli occhi di dosso nemmeno un secondo, probabilmente hanno sentito tutto. Devo assolutamente parlare con Dave.

“Ehm Dave, mi accompagneresti a scegliere la frutta?”

“Cosa c’è? Da sola non ci riesci?”

“Dave” mi guarda e si accorge che è necessario che mi accompagni.

“Ok, andiamo, magari mi prendo un dolce…”

Ci avviciniamo al tavolo con la fruttiera in cui non c’è nessuno.
“Senti, sia l’Uno che il Due vogliono allearsi con noi” inizio con un bisbiglio appena percepibile “Il problema è che non mi fido di nessuno di loro, ma c’è la possibilità che se rifiutiamo entrambi possano allearsi tra loro contro di noi…”

“Ci ho pensato anche io, quindi cosa facciamo?”

“Non lo so, dobbiamo stare attenti, magari guardiamo come si comportano durante gli allenamenti”

“Ok, per ora non neghiamo né accettiamo niente, giusto?”

“Giustissimo” prendo una mela dal cesto e ritorniamo al tavolo.
Il pranzo prosegue tranquillo senza ulteriori chiacchiere, poco dopo è ora di tornare al centro, quando ci arriviamo non sappiamo bene dove dirigerci.

“Allora questo pomeriggio cosa facciamo?” la voce di Aiden mi fa prendere un mezzo infarto, dietro di noi compaiono come ombre i tributi del Due.

“Potremmo decidere noi dato che stamattina siamo andati dove avete scelto voi?” non ricordo il nome della ragazza, forse Kira? Tanto non mi interessa.

“Va bene” acconsente Dave, potrebbe essere una buona mossa per vedere come si comportano, se puntano sulle armi come hanno fatto quelli dell’Uno.

“Abbiamo visto che ha pranzo avete conosciuto Mannaia e Temperino*” Aiden ridacchia

“Intendi i ragazzi dell’Uno?”

“Ovviamente, non mi pare abbiate parlato con altri ragazzi, o mi sbaglio?” quanto è odioso.

“Perché Mannaia e Temperino?” Dave si rivolge alla ragazza.

“Perché il ragazzo è una montagna di muscoli e la ragazza ha i tratti affilati e perché sarebbe troppo difficile impararne i nomi dato che ci siamo già sforzati di imparare i vostri, comunque non potevamo continuare a chiamarli scemo e più scemo, dovevamo distinguerli…” la ragazza non ha un tono duro e ironico come il suo compagno di Distretto, ma potrebbe essere tutta una finta.

“Direi che possiamo andare a imparare come si accende un fuoco… o voi già lo sapete?” lo sguardo di sbieco che ci lancia Aiden è quasi di sfida.

“Per noi va bene” rispondo per entrambi sperando che a Dave vada davvero bene.

Ci dirigiamo tutti e quattro verso la piattaforma scelta e mi accorgo che mentre attraversiamo la stanza gli altri tributi si spostano per farci passare, la maggior parte nemmeno riesce a guardarci in faccia, sono spaventati. Gli unici occhi che abbiamo puntati addosso sono proprio quelli dei ragazzi dell’Uno, se dovessero pensare che ci siamo alleati con quelli del Due, diventeremmo il loro obiettivo primario.
Arriviamo alla postazione, segue una breve spiegazione e poi passiamo subito alla pratica, dobbiamo scegliere i rami adatti e provare ad accendere il fuoco. Mi aggiro per la zona cercano dell’erba secca, un ottimo materiale infiammabile, trovata mi siedo e inizio a far ruotare il bastoncino che ho preso su un ceppo più grande, ma dopo diversi minuti ancora niente, nemmeno un filo di fumo. Soffio, ma ancora niente.

“Devi far ruotare il legno più velocemente” fantastico, Mr. Saccenteria.

“Benissimo, fallo tu allora visto che sei così bravo” sono irritata.

Si siede davanti a me e inizia a fa ruotare il legno, poco dopo sale un filo di fumo. Non è possibile dai! Che nervi.
“Soffia” non so cosa mi spinge a fare quello che mi dice, ma soffio e all’improvviso sale una fiammella che nel giro di poco diventa un bel fuocherello, riceviamo anche i complimenti dell’istruttore che ci porta a provare ad accendere il fuoco con della legna umida, impresa molto più difficile.

“In pratica ti ho mostrato come accendere un fuoco, potresti mostrarmi un po’ di gratitudine”

“Perché?”

“Perché sarebbe giusto”

“Da quando sei un paladino della giustizia?”

“Tu vedi solo quello che vuoi vedere, non sono una persona terribile, sono le circostanze che sono terribili”

“Tu non esiteresti a uccidere un altro ragazzo nell’Arena”

“Certo che no, io ci tengo alla mia vita, ci sono cose che voglio fare, posti da vedere, esperienze da vivere, persone da conoscere. Non dirmi che tu invece ti faresti dei problemi tra scegliere se salvare la tua vita o la vita di un estraneo che vuole ucciderti, perché se scegliessi quella dell’altro non sarebbe la verità, dovresti essere sprovvista dell’istinto di sopravvivenza”

Le sue parole mi sconcertano, ho pensato molto a questo aspetto dei Giochi.
“Io non ho intenzione di uccidere, gli altri sono comunque persone, anche se tentassero di uccidermi, non potrei fare una cosa del genere. Perché lo fanno? Perché sono costretti. Nessuno nasce assassino, le circostante portano ad esserlo, se ci rifiutassimo tutti di ucciderci?”

“Verremmo fatti saltare in aria lo stesso, ma fidati che ci sarebbe comunque qualcuno che vuole iniziare l’attacco per guadagnarci qualcosa, l’uomo è vile, meschino, potrà anche non nascere assassino, ma tra morire e diventarlo, la scelta è ovvia…”

Le sue parole mi fanno uno strano effetto, considero davvero ciò che ha detto, accelero così tanto lo sfregamento del legnetto che accendo il fuoco.
“Direi che stai imparando” non capisco se si riferisce al fuoco o se intende che sto pensando alle sue parole, gli occhi di Aiden sono fissi nei miei, non ho mai visto delle iridi come le sue, non sono fredde, sebbene cerulee, sono consapevoli, si legge che sanno quello che vogliono e vogliono ottenerlo, non vi leggo crudeltà, ma determinazione.

“Bene, avete acceso il fuoco con legna umida, i mei complimenti ragazzi, provate con altri materiali che trovate in giro” l’istruttore è felice e si dirige a vedere come se la cavano gli altri.

Vedo che inizia a raccogliere un cumulo di foglie secche e alcune verdi e si mette all’opera per far spuntare delle fiamme, lui ha le sue convinzioni e io le mie, avremmo potuto allearci? Da quello che ho capito vuole far fuori il più alto numero di tributi possibili, crede che in quattro saremmo più forti di tutti, se io mi rifiuto di uccidere –cosa che gli ho detto chiaramente- non gli sarei servita a niente.

“Aiden, io non ti servo come alleata…”

“Vedo che ti sei ricordata il mio nome” alza lo sguardo da quello che sta facendo e sorride.

“Il punto non è questo”

“Il punto è che ti sbagli”

“Io non ho intenzione di uccidere”

“Questo è quello che pensi ora, ma tutti ti hanno vista quando sei salita sul palco al posto di tua sorella, eri sicura, determinata e tutti meno te sanno cosa significa: quando verrai attaccata ti difenderai con più intensità, più forza e convinzione, perché hai lei che ti aspetta e perché sei qui per scelta non per caso" mi fissa intensamente, poi alleggerisce il tono come se si fosse sbilanciato troppo e adesso cercasse di riprendere le distanze col nemico "...inoltre sei del Distretto Quattro potresti essere utile per moltissime altre cose, pescare o creare trappole con le reti…”

Non so cosa dire. Parlare con questo ragazzo mi destabilizza.
Mi alzo e inizio a incamminarmi verso Dave poco più lontano, vedo che è riuscito ad accendere un gran bel fuoco con la ragazza del Due con la quale sta chiacchierando. Ridono. Keri, il nome che non mi sono ricordata per tutto il giorno riemerge a caratteri di fuoco dalla mia memoria.
“Sei stato davvero bravo! Se non mi avessi aiutata non sarei stata nemmeno in grado di far comparire un filo di fumo”

“E pensa che non ne avevo mai acceso uno, vuoi vedere come intreccio una rete? So fare dei nodi strepitosi”

“Sembra una cosa super difficile…”

“Basta avere un bravo istruttore, ti insegno io!” le lancia un sorriso ammiccante.

Si alzano e cambiano postazione senza girarsi indietro, Dave mi ha lasciato lì, non mi ha cercato, mi sento quasi tradita. Io sono impietrita e probabilmente a bocca aperta, quando sento un braccio che si posa delicatamente sulle mie spalle e un sibilo dell'orecchio.
“E così siamo stati bidonati dai nostri compagni di Distretto, abbandonati soli soletti in mezzo alle sterpaglie incandescenti…dobbiamo stare sttenti a non prendere fuoco”

“Era questo il vostro piano, vero? Dividerci?” me lo scrollo di dosso e lo guardo malissimo.

“Assolutamente no, il piano era riuscire a diventare vostri alleati lavorandovi separati e siccome Keri voleva assolutamente convincere il bambolo biondo, a me sei toccata tu”

Mi sento davvero offesa, sbuffo, lo incenerisco con lo sguardo e tento di allontanarmi, ma lui mi blocca il polso “Aspetta! Intendevo che tra i due saresti stata tu quella difficile da convincere, dai l'impressione di una che sa quello che vuole e sa andare avanti anche da sola. Comunque se proprio ci deve essere un solo vincitore dei Giochi, preferirei fosse uno di noi quattro” mi lascia il braccio e capisco che è sincero.

“Ma perché?” questa ancora mi sfugge, come se il fatto che mi ha praticamente detto che sembro uno degli avversari più temibili non fosse già abbastanza sconvolgente di per sé.

“Perché possiamo farcela, possiamo dimostrare che la collaborazione non è impossibile, non vuoi lasciare che l’Arena ti cambi, giusto? Allora comportati da ragazza intelligente e gioca per vincere, non hai l’aria di una che si sente già sconfitta, anche se hai abbracciato l’idea di poter morire, puoi permetterti di pensare di avere una possibilità”

“Così giunti al punto in cui dovremo sciogliere l’alleanza potrai farmi fuori senza il minimo dubbio?”

“Se dovesse capitare, lo faremo, perché costretti non perché ci piace, non perché ci troviamo gusto, ma perché siamo stati davvero i migliori”

“E a cosa è servito essere i migliori se alla fine tra noi quattro tre devono comunque morire? Magari uccidendoci gli uni gli altri?”

“Sarà comunque servito a restare in vita più a lungo, a dimostrare che la vita vale, che non è facile toglierla come non è facile tenersela stretta, credi voglia uccidere per divertimento? Mi credi davvero capace di tanto? Lo farò perché obbligato e perché meglio morire per mano mia piuttosto che essere torturato dalle diavolerie di Capitol…Non devi decidere adesso, pensaci anche tutta settimana. Ma alla fine capirai che ho ragione” mi guarda, è serio e determinato, le sue parole mi sono arrivate.

Ci devo davvero pensare, “Adesso mi porti alla postazione dei nodi per insegnarmi?” ricompare il tono altezzoso delle prime conversazioni e mi sento quasi meglio, non voglio iniziare ad apprezzarlo, voglio tenermi emotivamente il più lontano possibile da tutti. “Anche meglio, ti insegno a costruire dei favolosi ami da pesca” quindi la butto sul ridere, non so se è una cosa intelligente da fare, ma sento che è la cosa giusta.
Poco dopo veniamo raggiunti da Dave e Keri, la furia che mi aveva assalito vedendoli andarsene assieme è completamente scemata, sostituita dalla comprensione, in fondo non hanno fatto nè più nè meno di quello che abbiamo fatto io e Aiden “Allora sei diventata un asso dei nodi?” non posso trattenermi dal chiedere alla ragazza.

“In realtà ho scoperto di essere un disastro…” sembra davvero dispiaciuta di non aver imparato.

E mi spiace per lei, ecco cosa succede quando ti fanno il lavaggio del cervello, inizi a dispiacerti per i tuoi nemici “Dai ti insegno a fare gli ami da pesca, la cosa positiva è che non puoi essere peggiore di Aiden”

Keri e Dave ridono, Aiden mi incenerisce con lo sguardo “Senti Signorina-Sono-Capace-Di-Fare-Un-Amo-Con-Qualsiasi-Cosa, domani proviamo a fare qualcosa che io faccio da anni e tu no, e poi vediamo chi ride”.

Tutti si cimentano negli ami da pesca e i risultati non sono poi così catastrofici. Dopo poco ci richiamano per avvisarci che l’allenamento di oggi è finito, ci fanno uscire, i nostri accompagnatori ci scortano nei nostri appartamenti. Non salutiamo i Tributi del Due, non dobbiamo essere amici, ci incamminiamo in due direzioni diverse senza guardarci indietro.
Ceniamo con Abby, ma né io né Dave abbiamo voglia di parlare, stiamo pensando a quello che è successo oggi, finiamo di cenare e andiamo ognuno nella propria camera. Mi faccio una rapida doccia calda, mi metto solo la biancheria e una maglietta larga e mi infilo a letto, sono stanca, non fisicamente, ma mentalmente.
Davvero non voglio pensare ancora.

Si prospetta una settimana davvero difficile.









 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*tributo a Johanna che chiama Wiress e Beetee ‘Rotella e Lampadina’, quella ragazza è una forza della natura, la adoro

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Capitolo 7
*** Pronti? ***


“Sveglia svegliaaaaaaaaaaaaaa”

Ho come un senso di déjà-vu, causato dalla voce di Abby, ma davvero non è possibile sia già mattina.
Oggi alzarsi da letto è davvero arduo, piena di sonno mi trascino in giro per la camera per cercare dove ho lanciato la divisa da allenamento, non posso averla già persa.

Mi accorgo che è piegata accuratamente su una sedia e sono abbastanza certa di non averla sistemata io, provo un impeto di pietà per i poveri inservienti che sono costretti a rimettere ordine al mio caos, che devono solo eseguire senza poter dire nulla. Io mi lamento di essere finita nell’Arena, ma che sorte terribile è toccata agli oppositori della Capitale: servire coloro che si è combattuto senza poter dire assolutamente niente…sebbene le rivolte siano state sedate da poco meno che un decina d’anni, ancora se viene pescato qualcuno che professa idee troppo lontane dagli ideali di Capitol finisce come Senza-Voce e quasi senza corpo visto che nemmeno li ho visti mentre riordinavano la camera.

Mi sfilo la maglia larga con cui sono andata a dormire e indosso i vestiti da allenamento che in realtà sono davvero comodi, mi stiracchio per bene e provo a dare un senso ai capelli che sono più scarmigliati del solito. Mentre mi pettino e quasi quasi sento la mancanza delle ciocche azzurre sparite con la doccia di ieri sera, come se aver tenuto il colore del mare sui capelli mi avesse fatta sentire più vicina a casa, forse avrei potuto chiedere a Megan di rifarmele… ma se poi fossi finita in un’Arena desertica o cittadina l’azzurro sarebbe stato come un fuoco di notte: inopportuno e rivelatore.
Bè a pensarci bene l’azzurro si sarebbe visto in qualsiasi ambiente, quindi idea scartata anche perché cose inutili e superflue come questa non avevano mai avuta una grande importanza per me, perché mai avrei dovuto iniziare proprio ora?

Mi dirigo a fare colazione, anche stamattina non mi sorprende affatto trovare solo Abby seduta ad attendermi, oggi sfoggia un corto abito verde foresta e delle foglie sulla testa, di sicuro i suoi capelli di tutti i colori si abbinavano a qualsiasi cosa.

“Buongiorno Abby, scusami, ma volevo chiederti se fosse possibile parlare con Kyran…” devo dar voce ai dubbi che io e Dave abbiamo riguardo alle alleanze, tanto vale parlarne con il nostro mentore.

“Certo mia cara, desideri che lo mandi a chiamare ora?”

“Si, ti ringrazio”

Abby si alza e va da un inserviente che scompare un istante dopo, torna a sedersi e inizia a guardare spazientita l’orologio. Dave è in ritardo, probabilmente sta ancora russando.
Fortunatamente non devo attendere molto a lungo, infatti appena arriva Kyran anche Dave varca la soglia con un cipiglio in volto e le palpebre pensanti dal sonno, ma anche un vago accenno di occhiaie, non mi pare abbia dormito molto…

“Ragazzi volevate parlarmi?” Si siedono e mi accorgo che mi stanno guardando tutti.

“Si, volevo, cioè volevamo un consiglio da te, si insomma sei qui per consigliarci, giusto? Perché se no potremmo fare degli errori di cui potremmo pentirci, compiere decisioni che ci si potrebbero ritorcere contro…” sto parlando a macchinetta, brutto segno, mi sto anche incartando con le parole, bruttissimo segno  “…si insomma i tributi dell’Uno e del Due vogliono essere nostri alleati, cosa dovremmo fare? Se li rifiutiamo potrebbero allearsi tra di loro e sarebbe peggio, ma rischiare un’alleanza con qualcuno di cui non ci si fida è altrettanto pericoloso…”

Non mi sono espressa benissimo a causa di un po’ di agitazione, ma spero che il messaggio sia giunto.

Kyran soppesa le mie parole prima di rispondere “Io non sono qui per dirvi cosa fare e cosa no, io posso solo darvi dei suggerimenti che poi spetta a voi scegliere se mettere in atto oppure no. Ora, venendo al vostro problema, creando un’alleanza potreste durare più a lungo nei Giochi, ma dipende davvero con chi avete intenzione di stabilire questo ipotetico sodalizio, dovete tenere presente che sarà comunque una strategia, che al momento opportuno diventeranno i vostri peggiori nemici. Detto ciò credo possiate fare un’alleanza solo se potete sopportare l’idea che a un certo punto per sopravvivere dovrete per forza eliminarli: ora, mi avete detto che ve lo hanno domandato sia i Tributi dell’Uno che del Due, secondo me la scelta più cauta sarebbe puntare sull’Uno, poiché non mi sembrano molto arguti quindi è meno probabile che tramino contro di voi e fisicamente possono esservi di grande aiuto… in realtà che i tributi del Due in questo caso vi prendano di mira subito non rappresenta un grande problema perché essendo in quattro dovreste riuscire a tener loro testa… La cosa che dovete evitare è che si alleino senza di voi, ovvero un’alleanza Uno e Due per voi sarebbe assai svantaggiosa, quindi evitatela, anche non mettendovi per forza con uno dei due Distretti, ma seminando inimicizia tra loro, in modo che si azzuffino tra loro e che nell’Arena si elimino a vicenda, ecco, questo per voi sarebbe l’ideale, vedete di farlo succedere…” Kyran non mi piace, non mi piace come ragiona,mi mette sempre di più i brividi.

“Ma non è contro le regole azzuffarsi tra tributi prima dell’Arena?” me lo stavo chiedendo anche io.

“Solo se vi scoprono e comunque non sareste coinvolti voi, ma altri tributi…” il suo tono è freddo.

“Non è una cosa un po’ sleale?” non posso fare a meno di esprimere questo dubbio.

“Nessuno vince gli Hunger Games perché è una bella persona, per quello ci sono i concorsi di bellezza. Perché nessuno sotto i sedici anni ha ancora vinto? Perché in otto anni ci sono stati tre vincitori del Due e due dell’Uno? Credete che sia perché sono i favoriti di Capitol, ma vi sbagliate, la verità è che giocano sporco dall’inizio alla fine. Al bagno di sangue sanno dove trovare gli zaini con il necessario, con ciò che serve loro, con ciò che li può favorire, per quello sono i Favoriti, siete i Favoriti. Sto organizzando per far posizionare degli zaini con il necessario per voi in delle zone strategiche specifiche, perché siete due ragazzi potenzialmente interessanti per essere vincitori. La verità è questa ragazzi, accettatela e sfruttatela. Inoltre gli strateghi tendono a far rimanere in vita i tributi più interessanti, anche se non è una regola fissa, cioè coloro che possono offrire uno spettacolo migliore, che possono avvincere l’intera nazione. Avete mai notato che i tributi poco visibili o troppo giovani soccombono al bagno di sangue o gli viene scagliato contro qualunque genere di ostacolo? Le sfilate iniziali, le sessioni private di allenamento e le interviste in diretta non servono solo per darvi visibilità con gli sponsor, servono agli strateghi per individuare le personalità più interessanti e dunque utili allo scopo: divertimento puro e nella sua forma più elevata.”

Sono completamente inorridita, non riesco più a mangiare, ho mal di stomaco.


Era davvero questa la verità? Era davvero questo che ti faceva vincere?
Era tutto finto. È tutto finto. Tutto. Tutto maledettamente pilotato.
Ancora  più di quanto non avessi mai creduto. Sono disgustata.

A questo punto un dubbio atroce mi assale e non posso stare zitta, faccio un paio di tentativi prima che la voce si decida a uscire, ma è comunque un sussurro “Ma allora le mietiture? Sono manovrate?”

“A volte si, se è necessario.”

Mi gira la testa “Necessario?”

“Figli di ex-ribelli particolarmente pericolosi, figli di agitatori, figli di coloro che vogliono abbattere Panem, figli di chiunque possa rivelarsi un problema. Prendersela coi figli è più risolutivo che eliminare i soggetti in prima persona.”

Questa colazione a base della più brutale onestà mi va di traverso.


Vedo che Dave è corrucciato, ma io non posso più reggere la vista del nostro stratega. Mi alzo e me ne vado, sentendo un vago ‘Dove pensi di andare signorina? Gli allenamenti!’, dopo tutto quello che aveva sentito Abby era in grado di dire solo quello? Provo un senso di ribrezzo anche verso Abby, ma mai forte come quello che sento per Kyran che se ne sta seduto tranquillo a parlare di cose terribili come se niente fosse, come se stessimo conversando riguardo al colore delle tendine della stanza.

Sbatto la porta della camera, chiudo a chiave e mi accascio sul pavimento.
Piango.
Mi ero ripromessa che non avrei più ceduto.
Piango ancora di più.
Mi sale la nausea e mi gira la testa.

Perché fanno una cosa del genere? Perché?

Perché avrei dovuto andare avanti? Perché?

Perché avrei dovuto sottostare alle loro regole? Perché?

Tanto valeva lanciarsi giù dalla pedana prima del tempo e saltare in aria.
Sento dei colpi alla porta, più di una voce che mi chiama. Ignoro tutto.
Perché darsi tanta pena per farsi strada nei Giochi? Tanto nemmeno se fossi stata la più forte o la più furba la vittoria sarebbe stata merito mio.

Qualsiasi parvenza di senso avessi trovato per autoconvincermi a tener duro e andare avanti era crollata come un castello di sabbia al sole. Anzi mi sento come si fosse crollato tutto addosso. Mi sembra di essere schiacciata.

Voglio chiudere gli occhi e non doverli più aprire.
Altri colpi alla porta, che vengono prontamente ignorati.

A cosa serviva giocare se alla fine dovevo morire nemmeno alle mie condizioni, nemmeno a causa delle mie scelte, mi dovevo muovere solo come una pedina? Solo a scopo del loro divertimento? Non lo posso permettere. Non lo posso sopportare.

“Sarà comunque servito a restare in vita più a lungo, a dimostrare che la vita vale, che non è facile toglierla come non è facile tenersela stretta…” le parole di Aiden, era un altro contesto, ma mi sono venute in mente ora. Che ci fosse un fondo di ragione?

Perché per gli strateghi era facile togliere la vita a ventitré ragazzini senza nessuno scrupolo?
Perché io invece stavo male solo a penare una cosa del genere?

I colpi alla porta sono cessati, si sono rassegnati, come me.
Passo l’ora seguente in posizione fetale raggomitolata sul pavimento.



Non so cosa mi faccia ritrovare la forza per rialzarmi, ma mi alzo.
E quando mi alzo sono una persona diversa, sono consapevole e questo ha cambiato tutto.

Non ho più niente e ho tutto: avrei giocato e sarei morta quando lo avrebbero deciso loro.
La differenza rispetto a prima però è sostanziale: posso anche essere un pezzettino sacrificabile dei loro Giochi, ma avrei combattuto contro qualsiasi cosa mi sarei trovata davanti, non sarei partita con l’idea di essere già morta, altrimenti loro hanno già vinto.
È importante combattere e ancora combattere, e continuare a combattere, perché solo così il male può essere tenuto a bada, anche se non può mai essere completamente sradicato. È la differenza fra l'essere trascinata nell'Arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell'Arena a testa alta. Forse qualcuno avrebbe detto che non è una gran scelta, ma c'è tutta la differenza del mondo*.

Vado in bagno, ho un aspetto terribile, capelli scarmigliati, occhi rossi e gonfi. Non mi importa. Bevo un bicchier d’acqua e esco dalla stanza, vado nel soggiorno da Abby e le chiedo di accompagnarmi agli allenamenti.
Mentre raggiungiamo il centro di allenamento, mi sorbisco tutta la ramanzina di Abby senza battere ciglio, quando entro al centro tutti si girano a squadrarmi, li ignoro. Vedo Dave e mi affretto a raggiungerlo.

Mi abbraccia. Adesso si che tutti ci fissano a bocca aperta, letteralmente. Può sembrare un gesto assolutamente incredibile nella situazione in cui siamo, ma gli sono grata per averlo fatto.

“Come stai?”

“Mi credi se ti dico che finalmente sto bene? Credevo di aver accettato tutto, ma solo adesso mi sento realmente pronta ad andare fino in fondo”

“Ad andare fino in fondo? Hai deciso che ucciderai?” è evidentemente sconvolto.

“No, non credo di riuscirci, comunque ho capito che non è una cosa che si può scegliere a priori quando sei tranquillo nel tuo letto, quello che intendevo però è che non voglio andare nell’Arena già sconfitta, certo so benissimo che potrei morire subito, ma noi proveremo a sopravvivere, nonostante tutto quello che ci scaglieranno contro. Potranno anche decidere quando eliminarci, ma non possono cambiare il fatto che combatteremo, quella rimane sempre e solo una nostra scelta. È l’unica che possiamo fare, l’unica che possiamo seguire, l’unica cosa che ci rimane. Roviniamogli i Giochi e dimostriamo che noi non siamo facili da manovrare né da uccidere. Ci stai?” la mia voce è densa di speranza, è irragionevole ma è così.

“E me lo chiedi? Certo che ci sto! Mi piace questa tua determinazione”

“Adesso dobbiamo andare dai ragazzi del Due…”

“Perché?”

“Perché voglio conoscere meglio i nostri nuovi alleati”

“Ma Kyran ha detto che sarebbe meglio andare con quelli dell’Uno… ci ho passato tutta la mattina assieme per allontanarli dai tributi del Due”

“Allontanarli? E come ti sono sembrati?”

“All’inizio ho visto che si stavano dirigendo alla piattaforma in cui si stavano allenando quelli del Due quindi li ho intercettati e siamo andati ad allenarci assieme con le armi, diciamo che mi sono sembrati forti, infatti puntano tutto su quello, ma non particolarmente svegli”

“Bene, continuo a credere che dovremmo stare con quelli del Due”

“Perché?”

“Perché anche se non ci fidiamo, siamo i quattro ragazzi più forti assieme”

“Quindi inizi a pensarla come quelli del Due?”

“Non so se è proprio la stessa cosa, credo che assieme possiamo superare molte più avversità, possiamo combattere l’Arena invece che gli altri tributi…”

“Combattere l’Arena?”

“La maggior parte dei tributi muore per cause naturali dovute alle ostilità dell’ambiente, dobbiamo riuscire a sopravvivere, non a vincere”

“Sai credo che tu abbia ragione”

“Quindi Due?”

“Due”.



Ci dirigiamo allo stand di allenamento con le lame in cui si stanno allenando Keri e Aiden.
“Oh ma qual buon vento vi porta qui? Volete allenarvi un po’ contro di noi? Se non sbaglio avevamo parlato di fare qualcosa in cui noi siamo allenati e voi no, o mi sbaglio?” Aiden ghigna, come sempre.

“Più che altro pensavamo di poterci allenare con voi” calco il ‘con’ e la mia allusione deve essere abbastanza chiara perché il ghigno sul viso di Aiden si allarga ulteriormente  e mi fa un occhiolino.

“Lo sapevo”

Impugno una lancia e sento che è terribilmente pesante e anche eccessivamente lunga per la mia statura, la passo a Dave “Mmmm la lancia non è il mio genere…” mi allontano un poco dai ragazzi e mi avvicino a Keri che sta lanciando dei coltelli con una precisione incredibile, inizio a tirarli anche io, non centro nemmeno un bersaglio: e io che ero convinta di avere una buona mira.

“Ruota il polso in questo modo” Keri mi fa impugnare il coltello in una maniera differente “e devi caricare il lancio spostando non solo il gomito, ma anche la spalla…” con questi piccoli accorgimenti va molto meglio, cerco di non farmi distrarre dal clangore delle armi che cozzano l’una contro l’altra a poca distanza da noi e lancio. Forte e rapido, dritto e lineare e il mio coltello vola a tre metri di distanza dal bersaglio più vicino, sento due risate sguaiate dietro di me, “Se avete finito di giocare ai soldatini e non avete di meglio da fare che ridere, mettetevi al posto del bersaglio e vediamo chi ride” le risate cessano.

Sapevo di poterli zittire, ma quello che non mi aspetto è vedere Aiden che cammina spedito verso un bersaglio, lo stacca dal supporto e se lo posiziona davanti al petto con aria di sfida.

Non penserà davvero che io voglia tirargli un coltello? Il bersaglio è un quadrato di legno non molto spesso che lo copre dalla base del collo a metà coscia, vi sono disegnati dei cerchi concentrici via via più piccoli e di vari colori.

“Forza, dai, sto aspettando, non ho mica tutto il giorno… Keri falle vedere come si fa”

La ragazza afferra un coltello e lo scaglia, centro, ne tira un altro, altro centro, ne tira almeno mezza dozzina, tutti sul bersaglio**.
Adesso mi fissano tutti e due sorridendo, anzi tutti e tre perché anche Dave mi guarda e ghigna, pensano che non ho il coraggio di lanciare? Hanno ragione, ma non posso ammetterlo.

Prendo un coltello anche io, lo soppeso e mi viene un’idea: invece che uno solo prendo due coltelli, uno per mano, mi carico come mi ha fatto vedere Keri, faccio una mezza piroetta per dare il senso del movimento e fingo di lanciarli in contemporanea. Keri e Dave trattengono il fiato, Aiden sussulta leggermente e gli scivola un po’ il bersaglio, sta volta tocca a me ridere.

“Aiden, questi due sono pericolosi, pazzi e imprevedibili, mi fanno paura, non so se voglio davvero allearmi con loro…” Keri lo ha detto con un tono scherzoso, ma sotto sotto capisco che un po’ è vero, insomma, è vero che mi sono comportata un po’ da lunatica.

“Si, lo penso anche io, forse dovremmo darcela a gambe e basta”

L’atmosfera si era decisamente alleggerita, quindi procediamo con gli allenamenti.
Dopo la pausa pranzo cambiamo postazione e ci dirigiamo allo studio delle tecniche di sopravvivenza nei vari territori.

Così procedono gli allenamenti per tutto il resto della settimana, stiamo con quelli del Due cercando di imparare il più possibile e di capire come si comportano gli altri tributi, ma devo dire che sono stata prevenuta a giudicare i ragazzi del Due solo dal Distretto di provenienza, non devono diventare miei amici, ma non sono poi così insopportabili. Si certo, a parte quando Aiden apre bocca, però conto sul fatto che nell’Arena il suo pungente sarcasmo avrebbe potuto quanto meno attenuarsi.






 
 
 
 
 
 
 
 
 
* “Era importante combattere e ancora combattere, e continuare a combattere, perché solo così il male poteva essere tenuto a bada, anche se non poteva mai essere completamente sradicato.
Ma finalmente capiva quello che Silente aveva cercato di dirgli. Era, si disse, la differenza fra l’essere trascinato nell’arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell’arena a testa alta. Forse qualcuno avrebbe detto che non era una gran scelta, ma Silente sapeva – e lo so anch’io – pensò Harry con uno slancio di feroce orgoglio – e lo sapevano anche i miei genitori – che c’era tutta la differenza del mondo.”
La mia citazione preferita di ‘Harry Potter e il Principe Mezzosangue’  

** La storia della ragazza del Due che lancia coltelli è ispirata a Clove, come ovviamente tutti hanno capito, volevo renderle un piccolo contributo, mi sembrava corretto specificarlo.

 

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Capitolo 8
*** Partenza... ***


La settimana di allenamenti è già finita. Incredibile.
Perché quando volevo che il tempo rallentasse, sembrava accelerare inesorabilmente?

Sono circa le quattro di mattina e non riesco a dormire, mi rotolo in quell’enorme letto senza sosta.
I battiti accelerati del mio cuore mi tengono sveglia, ma la cosa non mi disturba, chissà per quanto ancora potrò sentirli…

Stamattina ci saranno le sessioni private di allenamento.
Questa sera le interviste.
Domani sarò nell’Arena.
Questo è tutto ciò che so.

Penso di essermi preoccupata così tanto prima che adesso non sento niente. Il vuoto.
Ho una voragine al posto del cuore, non provo paura, solo una cieca determinazione, mi domando se i miei occhi adesso appaiono come quelli di Aiden, se vi si legge la medesima voglia di lottare che ho scoperto in quegli specchi cerulei.

Devo assolutamente riposare, ma non so proprio come superare le Sessioni Private.
Cosa posso fare? Non so fare niente di eclatante per attirare l’attenzione… a meno che non ci sia una piscina a disposizione, allora si che sarei in grado di spiccare.

Io e Dave ci siamo allenati soprattutto con nozioni teoriche, cosa potevamo mostrare all’allenamento di oggi? Quanto sono brava a medicarmi? Quante tecniche per costruirmi un riparo sono capace di eseguire?
Sarei entrata e non avrei fatto niente, avrei passato i dieci minuti a mia disposizione a guardare il soffitto: così mi avrebbero dato quattro e solo per pena, altro che puntare al dodici come ripeteva Kyran.

E il sonno ancora manca, appena chiudo gli occhi vedo le scorse Arene, lande di ghiaccio, città in rovina, praterie, savane. Vedo gli ibridi che vengono materializzati dall’idea malsana di qualche stratega, animali grossi quattro volte la taglia normale, dotati di intelligenza fuori dal comune e programmati solo per eliminarti. Vedo la trappola in ogni fiore, in ogni nuvola, in ogni ramo.

Ma nonostante tutto non riesco a sentire paura, ma non è coraggio, probabilmente è stupidità, perché non sento nient’altro che una forte convinzione a non soccombere come un inutile strumento .

Non posso andare avanti così, devo dormire, ma appena mi sembra di iniziare a scivolare nel sonno sento dei colpi alla mia porta, sono deboli, quasi timidi, nessuna voce mi chiama. L’orologio segna le cinque e venticinque, ci può essere solo una persona che non dorme alle cinque e mezza di questo giorno.

Mi alzo e socchiudo la porta.
“Dave”
“Ah pensavo dormissi…”
“Si certo,  come no” faccio un debole sorriso.
“Posso entrare?” mi rendo conto che io indosso solo una maglietta e lui è a torso nudo, ma per una volta non sono a disagio, sento che nessuno adesso può capirmi, eccetto lui.
“Certo, vieni” apro del tutto la porta e lo lascio entrare.
Ci sdraiamo sul letto e guardiamo il soffitto assieme, non diciamo niente, perché non c’è niente da dire.Stiamo sdraiati ad aspettare.

Ho quindici anni e sto per andare nell’Arena. L’altro tributo è il mio migliore amico. Mi sono offerta volontaria. E non sento niente.
Credo di aver soppresso qualsiasi tipo di emozione, manca troppo poco tempo per cedere di nuovo.
Non me lo posso permettere e non lo voglio permettere.

Mi appoggio a Dave e chiudo gli occhi. Il sonno mi abbraccia anche se per poco tempo.
Quando sento bussare, accompagnato dalle soavi parole “Sveglia svegliaaaaaaaaaaaaa”, so che l’ultimo giorno è iniziato. Mi alzo e vedo che Dave non ha fatto una piega ed è ancora addormentato, per lui alzarsi alle sette di mattina è impossibile. Devo farlo diventare possibile: prendo un cuscino e glielo scaravento addosso ripetutamente, ma non sembra sortire l’effetto desiderato.

Così mi alzo e mi vesto con la divisa che trovo piegata sulla sedia accanto al letto che oggi è completamente nera invece che grigia, il numero sulla schiena però è rosso sangue, noto che c’è anche quella di Dave. Vado in bagno, mi lego i capelli col mio spago di sale, ho delle occhiaie pesanti sotto gli occhi, scommetto che Megan le avrebbe adorate, ma quando sento un leggero russare provenire dal letto mi rendo conto che ho un problema peggiore da risolvere che preoccuparmi delle occhiaie, così riempio un bicchiere di acqua.

Mi sento crudele solo a pensare di fare una cosa del genere, ma è anche assurdamente divertente, torno in camera senza curarmi di non fare rumore, addirittura ridacchiando sotto i baffi.
Mi avvicino al letto e gli rovescio in bicchiere in faccia: Dave sussulta e si mette a sedere spaventato e con gli occhi sgranati, cercando la causa di tale brusco risveglio. Quando mi vede, mentre rido, sbuffa, si lamenta e mi scaraventa addosso più di un cuscino, ma si alza e sempre berciando si infila la sua divisa.

Quando compariamo davanti ad Abby, lei quasi rimane a bocca aperta per lo shock di vedere Dave già in piedi, ma riesce a ricomporsi velocemente e a costruire un bel sorriso per accoglierci “Buongiorno ragazzi” oggi indossa una specie di tailleur violetto con dei pesci e delle piccole conchiglie probabilmente per darci supporto alla sua maniera. Cerchiamo di mangiare qualcosa, ma non è facile quando hai lo stomaco chiuso perché a breve deve essere valutata la tua bravura e prestanza per essere più o meno favorita nei Giochi.

La stanza in cui veniamo tutti riuniti non è molto grande, il che ci costringe a stare tutti seduti vicini, siamo in ordine di Distretto quindi da un lato ho Dave e dall’altro il ragazzo del Cinque che alla sfilata era vestito color giallo evidenziatore, ma adesso vederci tutti in tuta color nero, mi fa capire che siamo solo ventiquattro ragazzi, la cosa che non ci rende ragazzi normali è il numero purpureo che abbiamo sulla schiena, il fardello di dover rappresentare il Distretto agli Hunger Games.

Nella stanza non vola una mosca, mi sembra di far rumore solo respirando e deglutendo, sono tesa al punto che sussulto tutte le volte che parte l’interfono per chiamare un tributo. La fortuna e al contempo la sfortuna è che essendo del Quattro sarei entrata per le Sessioni quasi subito, ma ancora non ho idea di che fare. Quando chiamano la ragazza del Tre e la vedo alzarsi tremante, penso che tra poco toccherà me, anche io farò fatica a sorreggermi sulle gambe?

Dave deve entrare prima di me e lo vedo irrigidirsi sempre di più, non abbiamo parlato di cosa fare alle Sessioni Private, ma so che ha un’idea, cosa che gli invidio profondamente.
Quando l’interfono si accende nuovamente mi stringe brevemente la mano, mi sussurra ‘combattiamo’ e si alza, è sicuro e determinato, di certo non è l’atteggiamento di qualcuno che si è già arreso, anzi, se non fosse stato mio alleato probabilmente lo avrei temuto come avversario, cosa che di sicuro non si poteva dire di me, dal momento che incuto timore tanto quanto un pesciolino rosso.

I minuti passano lenti, sono più che certa che dieci minuti siano già passati, perché ci stavano mettendo così tanto a chiamarmi? Capisco che è davvero tardi quando anche gli altri attorno a me iniziano a bisbigliare, che diamine sta facendo Dave? Che fosse ferito? Non riesco a pensare, sto iniziando ad andare in panico, ma poi lo sento. Il mio nome. Che suono strano. Nemmeno mi sembra che quel nome sia davvero il mio pronunciato dalla voce fredda e metallica dell’interfono. Mags. Mags. M A G S.

Comunque deglutisco e mi alzo, sento che le gambe mi reggono, almeno questo.
Mi dirigo verso la porta oltre la quale sono già spariti sette tributi, chissà cosa avevano fatto, soprattutto Dave. Entro.
La stanza per le Sessioni Private è esattamente come il centro di allenamento, stesse zone, stessi materiali, l’unica cosa che la rende diversa sono le dimensioni, infatti è decisamente più piccola e dalla parete di fondo sporge una tribuna, come una specie di soppalco, in cui sono comodamente seduti almeno due dozzine di strateghi. Ora fin qui niente di straordinario, ma il problema è che nessuno di loro mi degna della benché minima attenzione, ripeto il mio nome e il mio Distretto come mi è stato detto di fare, niente, come fossi invisibile. La cosa mi dà fastidio. Come posso combattere, come posso mostrare che non sono facile da manovrare se gli strateghi se ne stanno comodamente seduti sui loro divanetti color lavanda a bere chissà quale gustosa bevanda e a chiacchierare? La cosa mi dà molto fastidio.

E poi ecco l’idea.
Se loro stavano comodi perché non avrei potuto stare comoda anche io?
Gli strateghi mi ignorano? Benissimo, li avrei ignorati anche io.

So come sfruttare i miei dieci minuti: trascino al centro della stanza un mucchio di legna e foglie verdi, due materassini, due lance, del filo metallico e tanto spago.
Infilzo le lance nei materassini e inizio a creare una rete con lo spago con nodi stretti e sicuri, le mie dita sono velocissime, perché è una cosa che faccio da una vita, quando la rete è sufficientemente grande la appendo ai due capi delle lance con altri nodi e il filo metallico. Dopo che ho creato la mia personalissima amaca appicco il fuoco alla legna secca che diventa subito un bel fuocherello, sono diventata incredibilmente abile a fare il fuoco, non credo di averci impiegato più di mezzo minuto per far compaire le fiamme, sono fiera della mia velocità. Adesso il fumo, tanto tanto fumo.

Quando finalmente gli strateghi si accorgono che qualcosa non va e si girano per guardarmi, io li saluto sorridendo dal centro della stanza sdraiata sulla mia amaca mentre lancio delle foglie verdi sul fuoco.

Foglie che hanno creato un fumo tanto denso da annebbiare la vista e dall’odore acre, ormai la stanza è immersa nella foschia.
Vedo gli strateghi abbastanza scioccati, alcuni fissano il fuoco, altri storcono il naso per l’odore, altri guardano stupefatti la mia posa rilassata e il mio fintissimo sorriso.

Vengo congedata con un secco “Bene, può andare”

Mi alzo, sorrido un’ultima volta e poi non li degno più di uno sguardo, senza spegnere il fuoco esco dalla porta con passo svelto e sicuro.
Alla fine non ho dimostrato di essere forte, non ho fatto vedere quanto ho imparato, ho semplicemente attirato l’attenzione, ho evidenziato che sono imprevedibile e furba, che non sarebbe stato facile ignorarmi, spero sia sufficiente a tenermi in vita.

Appena uscita mi sfugge un sospiro, fortunatamente la saletta in cui sbuco è vuota e nessuno mi sente, non sono sicura di aver fatto la cosa giusta, ma ormai è fatta.

Arriva un inserviente che invece che accompagnarmi in camera mia, come mi aspetto, mi porta da tutt’altra parte, solo a circa metà strada capisco che siamo diretti allo studio di Megan e Sierra.

Ah giusto, le interviste di stasera. Mi sono momentaneamente scordata, pensavo di dover andare subito a vedere quanto schifo ho fatto alle Sessioni private, ma in effetti ha senso che debba aspettare, non sono stata l’ultimo tributo. Quindi mi tocca anche sentire cosa devo mettere stasera.

Entro nello studio e vi trovo Megan seduta sul divano rosa che cuce, mentre Sierra sta sistemando un bellissimo smoking su un Dave dall’aria davvero sofferente.

“Ehi Mags!” il sorriso smagliante della mia stilista mi suggerisce la che la tortura della prova dell’abito sta per iniziare anche per me, infatti mi intima di togliermi la divisa e mi infila un vestito.

Mentre Megan e Sierra praticamente ci lavorano addosso, Dave mi fa la domanda che temevo.
“Allora, com’è andata?”

“Mmmm non lo so, credo di aver fatto una sciocchezza…” do voce ai miei dubbi.

“Cos’hai fatto?” mi lancia un’occhiata indagatrice.

“Se si chiamano Sessioni Private…”

“E dai Mags! A me puoi dirlo”

“Anche io voglio saperlo” Megan smette per un secondo di cucire il pizzo sull’orlo della mia gonna celeste e mi guarda speranzosa.

“Prima Dave”

“Ma te l’ho chiesto prima io!”

“Quanti anni hai? Cinque?” ridacchio.

“Senti chi parla! Quella che non dice niente se non parlo prima io!”

“Mi sembrate entrambi vicini all’età di cinque anni” Sierra ride, ma soprattutto ha ragione.

“Va bene, allora volete sapere cos’ho fatto? Nessuno degli strateghi mi ha degnato di attenzione né quando sono entrata né quando mi sono
presentata, la cosa mi ha dato parecchio fastidio, allora ho deciso fargli vedere che se loro potevano ignorarmi potevo anche io…”

“E cioè? Li hai ignorati a morte? Però, sono colpito…”

“Ho appestato la stanza dell’allenamento di fumo puzzolente e denso, quando si sono finalmente girati per guardarmi mi hanno trovato sdraiata sorridente su un’amaca che mi sono costruita”

“Tu cosa!?!?” Megan è scioccata, Sierra è a bocca aperta, Dave ride di gusto.

“Sei pazza... Vuoi sapere che ho fatto io?” lo sguardo che mi lancia è vagamente preoccupante.

“Che domande, dimmi tutto e soprattutto spiegami perché ho aspettato molto più di dieci minuti”

“Anche quando sono entrato io gli strateghi si stavano bellamente facendo i fattacci loro così ho iniziato a fare un po’ di casino, ho impugnato una lancia e invece che scagliarmi contro i bersagli, mi sono lanciato all’attacco delle altre armi, ho spezzato diversi allestimenti facendo cadere tutto per terra. Un frastuono inimmaginabile. Sono riuscito ad attirare l’attenzione, così ho pensato che avevo bisogno di un bersaglio fuori dal comune per lasciare il segno, così ho intrecciato una rete a quadri abbastanza piccoli con dello spago spesso, l’ho stesa al centro della stanza e riempita con legna e foglie secche, poi ho fissato i quattro capi a un’estremità di un’altra fune e l’ho fatta passare sopra una trave del soffitto in modo da chiuderla e poterla sollevare come bersaglio, solo che prima di farlo sono andato ad appiccare un bel fuocherello, giusto per mostrare quanto sono bravo, ho dato fuoco alla rete piena di sterpaglie e solo quando era per bene accesa l’ho issata e ho iniziato a duellarci contro con la lancia... dopo ciò mi hanno congedato quasi subito e con una certa urgenza, mi guardavano male perché ho messo tutto in disordine e perché il fuoco stava iniziando a salire lungo la fune che sorreggeva la rete e quindi rischiava di raggiungere la trave del soffitto… Quindi credo che ti abbiano fatto aspettare un po’ di più per mettere in ordine. Chissà quanto ha aspettato il tizio del Cinque se davvero hai ammorbato l’aria di fumo, ci avranno messo secoli per far tornare l’aria respirabile…” ridacchia con tutta la naturalezza del mondo. Ma come fa?

Megan e Sierra sono di sicuro sotto shock e si stanno guardando come per cercare di decidere in silenzio come darsela a gambe per allontanarsi da questi due pazzi furiosi.

“Hai fatto una cosa incredibile e pazza” sono davvero ammirata, sapevo che aveva un piano.

“Proprio come te! Sai, secondo me penseranno che ci siamo messi d’accordo per creare scompiglio, siamo stati due combattenti perfetti
però…”

“Bè, in fondo è così no? Poi abbiamo dimostrato di saper maneggiare bene il fuoco nonostante siamo del Quattro”

“Magari dall’anno prossimo metteranno a disposizione una bella piscina”

“Di sicuro farebbe meno danni di quello che abbiamo fatto io e te”

Ridiamo davvero, perché abbiamo già superato un piccolo ostacolo.

“Folli incoscienti tutti e due, secondo me prenderete un punteggio di circa due su dodici, quindi, Megan, tocca a me e te farli risaltare durante le interviste di stasera” Sierra sembrava essersi ripresa e ordina a Dave di passeggiare per la stanza per vedere come cade l’abito. Devo ammettere che è davvero bello, è uno smoking grigio fumo –tanto per rimanere in tema- e coi risvolti della giacca, delle maniche e dei pantaloni celesti, la camicia sotto la giacca è di un indefinibile colore tra il grigio tenue e l’azzurrino.

“Cravatta si o no?”

Megan ci pensa prima di rispondere, ha lo sguardo assorto su Dave, prendono davvero sul serio il loro lavoro, ci si dedicano con tutte le loro forze.
“Assolutamente no”

“Era la risposta che volevo sentire, sei perfetto così, adesso sfilati con molta attenzione il mio bellissimo e pregiato capo”

Tolto e accuratamente piegato l’abito, Sierra propone di andare a prendere qualcosa da mettere sotto i denti, fortunatamente c’è lei che si ricorda di nutrirci altrimenti avremmo iniziato i Giochi della Fame già da una settimana.

“Cammina”

“Cosa?”

“Cammina per la stanza Mags, come ha fatto Dave prima, devo controllare come si muove il vestito e se ti calza a pennello”
Non faccio nemmeno mezzo passo che sento un urletto

“AH! Ferma! Le scarpe!”
Mi vengono mollate in mano un paio di scarpe dello stesso azzurro del mio vestito e dei dettagli sull’abito di Dave, sono carine perché sulla punta ci sono delle piccole conchiglie iridescenti, ma la cosa traumatizzante sono i minimo dieci centimetri di tacco che hanno.

“Non sono capace di camminare coi tacchi”

“Sciocchezze mia cara, ogni donna è in grado. Forza, mettile” mi sorride con fare incoraggiante.
L’idiota che mi ritrovo come alleato ridacchia e mi pare di capire le parole ‘ogni donna, Mags no’
Me le infilo, faccio due passi e perdo l’equilibrio tanto che mi devo aggrappare al divano per non cadere, tento altri due passi, ma appoggio male il piede e storco leggermente la caviglia.

“Ho rischiato a sufficienza, credo che con altri due passi mi romperei l’osso del collo” non sono una che si arrende, ma non voglio morire per questi trampoli.

“Devi allenarti! Sai cosa? Ti presto un paio di scarpe praticamente identiche, così le puoi tenere tutto il giorno. Tanto non devi fare molta strada stasera, sali sul palco e poi ti siedi, ce la puoi fare”

“Io cosa? Mi devo allenare?” avevo programmato di dovermi preoccupare di ibridi, Arene, ferite mortali, armi, tributi assetati di sangue, una nazione sadica, ma alla mia stilista armata di un paio di scarpe col tacco ammetto di non aver proprio pensato.

Mi vengono sventolate sotto il naso un paio di scarpe nere, molto meno elaborate di quelle che indosso, ma con il tacco della stessa dimensione, sono un po’ abbattuta, non posso far si che un paio di scarpe minino la mia determinazione.

“Forza, cammina ancora un po’”

“Secondo me non è una cosa sicura…” Dave è scettico.

“Ma cosa dici? Non si farà male!”

“Non intendevo che non è sicuro per lei, ma per noi! Già fa danni di solito, chissà dotata di un paio di scarpe alte”
Megan sbuffa, ma sorride e mi fa cenno di camminare, io non dico niente, Dave è stato, è e sarà sempre così, è mio amico anche per questo.

E io ci riprovo, gironzolo cautamente per la stanza, un paio di passi, mi fermo, un altro paio e mi fermo, continuo così finché non mi fermo davanti allo specchio, mi guardo: il corpetto dell’abito è a forma di cuore e mi lascia le spalle nude mentre la gonna è ampia e mi arriva al ginocchio, tutto il vestito è celeste, ma non in modo uniforme, ci sono punti più scuri e punti più chiari, sull’orlo della gonna è cucito un bellissimo pizzo azzurro che sembra l’increspatura di un’onda, mentre sul corpetto il pizzo crea degli intarsi elaborati. È davvero un abito molto bello.

“Il pranzo è servito!”
Mi accorgo di essere molto affamata e faccio per dirigermi verso Sierra, ma “Mags! Il vestito! Toglilo immediatamente, non osare avvicinarti al cibo con quello splendore addosso!”
Megan mi aiuta a toglierlo e restituisco anche le scarpe celesti, mi rimetto la divisa con cui sono andata alle Sessioni Private e mi accorgo che è rimasto un po’ di odore di fumo e accorgermene mi fa sorridere.
Ci sediamo tutti sul divano per poter finalmente mettere qualcosa sotto i denti.

“Quando sono uscita ho visto Abby e mi ha detto che dovete incontrare Kyran in sala proiezioni alle tre per vedere il programma coi vostri punteggi, subito dopo verrete accompagnati dallo staff di preparatori perché le interviste saranno subito dopo cena. Qui abbiamo ultimato, quindi appena finito di mangiare siete liberi di tornare alle vostre camere, magari per riposare un po’”

“Si ecco, riposate e fate sparire quelle occhiaie terribili”

Ed è esattamente quello che facciamo, appena finito salutiamo le nostre stiliste che sono state davvero gentili e veniamo scortati al nostro piano, ci dirigiamo entrambi in camera di Dave, come fosse automatico, e ci stendiamo sul letto.
“Credi che abbiamo davvero qualche possibilità?”

“Non lo so Dave…”

“Secondo me si”

“Secondo me ho preso zero”

“Ma va! Zero non possono dartelo, al massimo uno”

“Adesso si che mi sento meglio”

“Eh dai Mags, sai che scherzo”

“Come fai ad avere sempre una battuta pronta e il sorriso sulle labbra?”

“Bè per le battute è puro talento naturale o lo hai o no…”

“E per il sorriso?”

“Puoi sempre scegliere come vedere la realtà, io scelgo di vedere sempre la parte di buono che c’è in ogni cosa”

“E se non c’è niente?”

“C’è sempre qualcosa di buono. Ricordati che c’è una crepa in ogni cosa, ma è da lì che entra la luce”

“E questa frase da dove l’hai tirata fuori?”

“Non mi ricordo, forse me l’ha detto mia nonna”

“Tua nonna è molto saggia”

“E anche un po’ svitata”

Chiacchieriamo fino alle tre meno dieci, momento in cui decidiamo di alzarci e andare in sala proiezioni. Arrivati, troviamo solo Abby, “Kyran si scusa ma ha delle faccende urgenti da sbrigare, mi ha assicurato che comunque troverà il modo per seguire la trasmissione e la pubblicazione dei risultati”

Sono sollevata dall’assenza dello stratega, temevo in momento in cui i suoi cupi occhi viola mi avrebbero guardata per giudicarmi nuovamente.
Ci accomodiamo accanto a Abby e poco dopo parte lo spettacolo, dopo quella che pare un’interminabile introduzione iniziano coi punteggi delle Sessioni: Mannaia dieci, Temperino otto, caspita sono andati molto bene, chissà cosa avevano fatto. Aiden undici, Keri dieci, maledizione com’è che prendevano tutti dei punteggi esorbitanti? Muoio dalla curiosità di sapere che ha combinato Aiden.
Sette per la ragazza del Tre e dieci per il suo compagno.

Ora è il momento della verità, la voce di Adonis*, l’affascinante presentatore che avrei visto di persona quella sera stessa, annuncia il nome di Dave con un voto di undici, il suo trucchetto con la rete infuocata ha dato i suoi frutti. È stato davvero bravo.

Subito dopo viene proiettata l’immagine del mio volto con un voto di…. undici.
Sono stupefatta.  Undici. Non ci speravo. Mi sento sollevata.

Abby si esprime in lodi entusiaste.
Io e Dave ci scambiamo un’occhiata e ci tranquillizziamo.

Alla fine della trasmissione io, Dave e Aiden siamo gli unici ad aver preso undici, Keri, Mannaia, il ragazzo del Tre e quello del Sette dieci, gli altri tributi si aggirano tutti tra il cinque e l’otto.

Appena finita la trasmissione veniamo trascinati nelle grinfie dello staff di preparatori, ma ho la testa da un’altra parte, nemmeno mi accorgo di quello che mi fanno. So solo che mi ritrovo vestita, truccata e pronta in quello che sembra un nanosecondo, ma non mi sono allenata con le scarpe che Megan mi ha prestato e quindi è probabile che cadrò. Sento un po’ d’ansia, perché avrei dovuto parlare davanti a chissà quante persone. E se avessi detto una sciocchezza? O molte?

Siamo già sotto il palco in fila per essere chiamati a salire e al contrario degli allenamenti, sarei andata prima di Dave. Lui è in fila dietro di me e mi stringe la mano. Ho mal di stomaco.
Mi fanno il cenno che indica che devo iniziare a salire. Questa volta sono io che lo guardo e gli sussurro ‘combattiamo’. Però già trovo difficoltà a salire pochi gradini, spero di non svenire.

“Ed ecco a voi la bellissima Mags dal Distretto Quattro!” la voce di Adonis è cristallina e allegra.

Avanzo e non sento le gambe e nemmeno le braccia, spero di non far trasparire tutta l’ansia che sento, sorrido e saluto, perché ho paura che la voce possa non uscirmi, sento un boato di applausi e urla appena entro sul palco invaso da una luce accecante. Il presentatore mi fa cenno di sedermi nella poltrona difronte alla sua, mi accomodo e guardo il mio interlocutore, ha i tratti delicati, la pelle chiarissima da cui spunta un tatuaggio che gli incornicia il volto e gli sottolinea i grandi occhi verdi, i capelli sono castano-ramati, ma l’aspetto più intrigante è la chiostra di denti perfetti, bianchi e drittissimi, mi chiedo se sia una dentiera.

“Bene cara, sei splendida con questo abito, ma dicci, come stai?” il suo sorriso mi destabilizza leggermente.

La verità è che mi sento uno schifo, voglio sprofondare e tornare a casa “Ammetto che sono un po’ in ansia” ho la voce leggermente roca e mi
pento subito di quello che ho detto. Non voglio apparire debole.

“Davvero? Non lo avrei detto, sembri così naturale e tranquilla… Tesoro, devi stare serena, senti come tutti sono già innamorati di te? Fatele sentire!” Un fragore assordante si leva dalla folla, io sorrido, ma mi viene da piangere, “Inoltre hai ottenuto un risultato spettacolare alle Sessioni Private! Undici! Nessuna ragazza aveva mai superato il dieci, quindi ci possiamo aspettare grandissime cose da te… Non è che potresti raccontarci in gran segreto cos’hai fatto? Siamo tutti curiosi”

“Questa è una domanda sleale, non posso svelare le mie armi segrete” sorrido con fare ammiccante, ma la verità è che non è stato niente di eclatante, ho solo dato fastidio, ma devo recuperare quella sicurezza che ho mostrato stando sdraiata sull’amaca, quindi sorrido ancora di più.

“Ah quindi temo che dovremo tenerti d’occhio all’interno dei Giochi! Comunque ci hai già stregato tutti, insomma, hai solo quindici anni e ti sei offerta volontaria, alla sfilata hai catalizzato l’attenzione, hai ottenuto un risultato eccezionale… Io voglio sapere chi sei, regalaci un po’ di Mags, facci conoscere questa ragazza fuori dal comune”

“Il vero segreto è che io non sono affatto una ragazza fuori dal comune, è questo il punto, io non mi sto sforzando di emergere, di sembrare migliore, perché non lo sono.”

Non era la risposta che Adonis si aspettava “Questa ragazza è anche umile, signori e signore! Sei davvero un incanto! Ti va di raccontarci qualcosa sul tuo Distretto?”

“Il Quattro è un posto incantevole, abbiamo una cosa rara e preziosa… il mare. Vedete il mio abito?” Mi alzo per farlo vedere meglio, di sicuro Megan avrebbe apprezzato “Sapete, questo è il colore di quando è calmo e sereno, ma non bisogna fidarsi, perché può tramutarsi velocemente in una tempesta scura, non puoi mai conoscere il mare fino in fondo, devi solo imparare ad apprezzarlo”

“Credo che abbiamo appena parlato col vincitore dei Noni Hunger Games! Salutiamo Mags!”

E questa è la frase con cui finisce ogni intervista, mi alzo faccio un inchino ed esco.
Credo di essere tachicardica, è stata un’intervista brevissima  -come tutte- ma sono esausta.

Kyran mi aspetta sotto il palco.
“Intervista mediocre, niente di che, mi domando come tu abbia fatto a prendere undici alle Sessioni, comunque domani nell’Arena punta a uno degli zaini blu, saranno ai lati della cornucopia” aveva organizzato davvero uno stratagemma per favorirci? Poi mi lascia cadere in mano una pastiglia bianca.

Vuole drogarmi?

“Prendi questa riuscirai a dormire senza  problemi”

“Ma adesso voglio ascoltare l’intervista di Dave”

“Non la considero una cosa necessaria quanto riposare, vai in camera” i suoi occhi mi mettono in soggezione.

Fortunatamente è l’ultima volta che vedo il mio stratega, così gli volto le spalle e lascio che mi accompagnino alla mia stanza, non mi saluta, né mi augura buona fortuna.

Vado in camera mi sfilo con cura l’abito e vado a letto, prendo davvero la pastiglia che mi è stata data, così scivolo velocemente in un buio senza sogni.
 








 
 
 
 
 
 
 
 
 





*Sono passata da Ceasar della storia latina ad Adone della mitologia greca per il nome del presentatore, spero sia un’idea azzeccata. 

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Capitolo 9
*** Via! ***


La prima cosa che penso appena apro gli occhi è che ho dormito troppo e non mi hanno mandato nell’Arena. Poi guardo l’orologio e vedo che sono le sei e un quarto, quindici minuti e sarebbero venuti a svegliarmi. Mi sento molto riposata, quasi indolenzita.

Quindici minuti e sarei stata mandata a prepararmi, poi ci avrebbero caricato su un hovercraft e saremmo giunti all’Arena, considerando che di solito i giochi iniziano verso mezzogiorno, l’Arena era parecchio lontana visto che ci fanno alzare alle sei e mezza.

Decido che la cosa migliore in questo momento è andare a lavarmi i denti, sembra una cosa stupida, ma riesce a tranquillizzarmi. Un’azione normale nel caos. Torno a sdraiarmi sul letto e aspetto…

Alle sei e mezza spaccate la porta della mia camera si apre ed entra Megan con quella che presumo sia la tenuta dell’Arena ordinatamente piegato sul braccio e tra le mani il vassoio della colazione. Non si lamenta per l’orario, mi osserva con sguardo triste e si siede accanto a me, ‘Mi dispiace’ è un sussurro appena udibile, ma lo apprezzo. Mi porge ciò che ha tra le mani, mangio qualcosa e poi mi vesto.

L’abbigliamento è una cosa che mi lascia sconvolta: la giacca termica con cappuccio e gli scarponi che arrivano a metà polpaccio sono neri, ma i calzoncini corti che arrivano a metà coscia e la maglia a maniche corte sono arancioni, non so se mi spiego, a r a n c i o n i.

“La giacca è termica, ma calzoni e maglietta no ed essendo corti, sono abbastanza sicura che sarà un posto caldo, gli scarponi sono impermeabili, quindi sarà caldo e umido”

“Perché arancioni?”

“Non lo so, però fa a pugni coi tuoi capelli biondi”

Sorrido.

“Ti faccio una coda?” il tono è timido.

“Grazie Megan”

Mi pettina e mi raccoglie i capelli in modo ordinato, mi mette un elastico e poi lo copre con il mio spago incrostato di sale.

“Mi è permesso tenerlo?”

“Certo cara” mi sorride “adesso dobbiamo andare”

Camminiamo in silenzio fino a uscire all’esterno, il cielo è ancora scuro, ma si preannuncia una giornata serena. Attraversiamo un piccolo giardino e ci troviamo davanti a due pacificatori, non sono abituata ai pacificatori, nel Quattro ce ne sono pochi, mi chiedono nome e Distretto e una volta registratami mi mandano verso l’hovercraft numero uno, ai piedi del quale sono costretta a salutare la mia stilista, lei ha quasi le lacrime agli occhi, mi abbraccia “Fatti valere, ce la puoi fare”

“Grazie per tutto Megan, davvero. Ringrazia anche Sierra”

“Ce la puoi fare” poi inizia a piangere e mi lascia andare.

Salgo la scaletta e mi fanno sedere in uno dei posti, tutti i tributi in un hovercraft solo non ci sarebbero mai stati quindi siamo divisi, ragazze su uno e ragazzi su un altro, comunque il nostro mezzo di trasporto è abbastanza grande per dodici persone, senza finestre e completamente grigio, tanto che tutto questo grigio fa risaltare le tenute arancioni, chissà perché questo colore tanto vistoso.

Sono seduta tra la ragazza del Tre e del Cinque, che cercano di stare il più possibile lontano da me, nemmeno avessi una malattia contagiosa, mi chiedo se la realtà non sia che hanno paura di me, ma è assurdità. Ci siamo quasi tutte, mancano solo le ragazze del Dieci e del Dodici, mentre le aspettiamo mi accorgo che esattamente di fronte a me è seduta la dodicenne del Distretto Sei e mi sta fissando, continua a fissarmi anche mentre la osservo a mia volta, non ha paura di me come sembrano avere le ragazze del Tre e del Cinque, sembra solo incuriosita, come se stesse cercando di capire con chi ha a che fare. Per avere solo dodici anni ha del fegato, non si è rassegnata ad essere spacciata, lo leggo nei suoi occhi.

Poco dopo partiamo e mentre ci dirigiamo verso la meta ignota, ci impiantano un localizzatore nel braccio che pizzica molto ed emette una vaga luminescenza, adesso non possiamo far altro che aspettare, aspettare e ancora aspettare.

Il viaggio sembra interminabile e sta trascorrendo del silenzio più assoluto, non è che mi aspettassi chissà che grande conversazione, ma mi sto annoiando, così cerco di sporgermi verso Keri al di là della ragazza del Tre, ma la cintura di sicurezza mi tiene premuta contro il sedile.
Sbuffo.
Questo gesto mi fa guadagnare delle occhiate ostili da parte delle ragazze che mi hanno udito, non è uno sbuffo di impazienza, non ho voglia di andare nell’Arena, è semplicemente insofferenza, non sono una ragazza particolarmente paziente.

Quando finalmente sento che l’hovercraft sta atterrando inizio a sentire l’adrenalina, con un po’ d’ansia, inizio a muovermi sul sedile guadagnandomi altre occhiatacce, ma perché le altre sembrano tutte delle statue di sale?  


Finalmente siamo a terra, ci fanno scendere in modo ordinato a distanza di sicurezza le une dalle altre, ci scortano così in un’enorme stanza e mi accorgo che il tetto si sta chiudendo, che fossimo sotto l’Arena? Era uno squarcio di cielo azzurro quello che ho intravisto?

Ci conducono lungo un corridoio, anch’esso completamente grigio e senza nessuna apertura, che mi fa sentire come una fiaccola al buio, il fatto di essere vestita di arancione ancora non mi va giù. Una volta percorso fino alla fine ognuna viene scortata da un pacificatore in una zona diversa, mi fanno entrare in una stanzetta, questa volta completamente bianca, in cui è presente solo una piattaforma circondata da un tubo trasparente.

“Quando senti il comando all’interfono entra e posizionati sulla pedana” detto ciò il pacificatore si gira e si posiziona davanti all’unica porta, deve controllare che non mi dia alla fuga?

Non ha specificato quanto tempo devo aspettare.
Sono agitata e penso a Dave. Sarà già arrivato? È anche lui di fronte a questo orrendo tubo trasparente? Kyran ha detto anche a lui di puntare agli zaini blu?

Faccio un attimo di riassunto mentale su quello che so e che potrebbe servirmi: Megan mi ha detto che l’Arena probabilmente sarà calda e umida, devo evitare il bagno di sangue, la prima cosa da fare è trovare l’acqua, poi un riparo. Ho deciso di allearmi con i tributi del Due, ma non ci siamo messi d’accordo su niente, spero di non essere infilzata con un pugnale se dovessimo trovarci uno di fronte all’altro, in realtà nemmeno abbiamo espresso ad alta voce la nostra alleanza. La cosa mi preoccupa vagamente.

“Tributi prendete posizione”

La voce mi fa sobbalzare e vedo che la pedana si solleva leggermente  e le ante del tubo si aprono. Guardo il pacificatore alle mie spalle, non si muove di mezzo millimetro. Prendo un respiro profondo e faccio i due passi che mi separano dalla piattaforma, sento le gambe di gelatina.

Prendo posizione.

“Cinque secondi rimanenti alla partenza”

Conto mentalmente… Cinque… Quattro… Tre… Due… Uno…Ci siamo.

Le porte si chiudono e la piattaforma inizia lentamente a sollevarsi.

Si apre una botola sopra la mi testa e una cascata di luce piove su di me.

Ci siamo davvero.
All’inizio non riesco a distinguere ciò che mi circonda, appena mi abituo alla luce, rimango senza fiato.

È un paesaggio incredibile. 
A parte il cielo azzurrissimo, tutto è maledettamente verde.

Verde ovunque.
Il prato, i tronchi degli alberi, anche la luce sembra verdognola.

E adesso capisco perché siamo tutti vestiti di arancione, rende impossibile nascondersi.
Il punto cin cui ci troviamo è una piccola radura, siamo disposti in cerchio attorno alla cornucopia dorata, mi guardo attorno, ma Dave non c’è, non riesco a scorgere nemmeno Keri o Aiden … devono essere dall’altro lato della cornucopia, sulla quale campeggia il conto alla rovescia.

Trenta secondi…

Attorno a me tutto è verde. Come un esplosione di piante.

Ventinove.

Ma le piante sono enormi, le radici spuntano gigantesche dal terreno quasi creando un tappeto, senza contare che appare come una fittissima foresta che si estende tutt’attorno alla cornucopia.

Ventotto.

Se dovessi usare una delle parole che ho imparato per descrivere il territorio direi foresta pluviale e mangrovie. Inoltre fa davvero caldo.

Ventisette.

La cornucopia scintilla e vedo che ci sono zaini sparsi ovunque, un po’ di armi, alcune casse contenenti del cibo… sul lato alla mia destra vedo uno zaino blu appena fuori dal centro.

Ventisei.

So dove dirigermi, bene.

Venticinque.

Guardo la pedana su cui sono sospesa, si alza per più di mezzo metro dal suolo.

Ventiquattro.

Perché la pedana è così alta? Nelle scorse edizioni non era così, era appena un gradino. Qualcosa non va.

Ventitré.

Il terreno è regolare, piano e coperto di erba. Forse troppo piano. Non c’è nemmeno un sasso nei dintorni.

Ventidue.

Perché la pedana è così alta? Perché non ci sono sassi? Inizio a sentire il panico.

Ventuno.

Osservo bene gli oggetti sparsi fuori dalla cornucopia.

Venti.

Alcuni sembrano come… non lo so… troppo piccoli? Come se mancassero delle parti, come se fossero rotti.

Diciannove.

Poi capisco e trattengo il fiato.

Diciotto.

Non sono più piccoli, stanno sprofondando lentamente.

Diciassette.

Più sono lontani dalla cornucopia, più sono immersi nell’erba. Che a questo punto credo essere fango.

Sedici.

Abbiamo stivali alti impermeabili.

Quindici.

Appena saltati giù da mezzo metro di pedana, saremmo sprofondati come sassi.

Quattordici.

Devo scendere lentamente, ma una volta giù correre come se non ci fosse un domani. E forse davvero potrebbe non esserci. Devo muovermi alla svelta.

Tredici.

Devo dirigermi sulla destra, stando più all’esterno possibile, per raggiungere lo zaino blu.

Dodici.

Il mio obiettivo è appena diventato non morire affogata nel terreno. Bello.

Undici.

Poi devo infilarmi in quella foresta alla velocità della luce. Sempre se riesco a entrarci in quell’intrico di rami e radici.

Dieci.

I tributi che ho ai lati sono il ragazzo dell’Otto e il ragazzo del Sette. Ricordo che il ragazzo del Sette ha preso dieci alle Sessioni Private, devo tenerlo d’occhio.

Nove.

Però scommetto che il loro obbiettivo è lanciarsi nel bel mezzo della cornucopia. E se sono fortunata, non si sono accorti dell’insidia del terreno.

Otto.

Rimane ancora un grosso problema: il fatto che sono vestita di arancione.

Sette.

Mi chiudo la zip della giacca per coprire almeno la maglietta e inizio a sudare.

Sei.

Alzo anche il cappuccio per coprire i capelli biondi.

Cinque.

Scendere piano. Correre. Zaino. Correre.

Quattro.

Scendere piano. Correre. Zaino. Correre.

Tre.

Prendo un respiro profondo. Ce la posso fare.

Due.

Devo stare calma, niente crisi di nervi proprio ora.

Uno.

Bum.


Che i Noni Hunger Games abbiano inizio.
















 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** L'inizio ***


Bum.
Il colpo di cannone del via ancora rimbomba nelle mie orecchie, ma non ho tempo da perdere.
Non scendo però dalla pedana, mi accuccio e aspetto guardando gli altri tributi.

Quasi tutti sono saltati giù, ma nessuno è sprofondato, forse mi sono sbagliata.
Mi prendo ancora un momento e decido di scendere cautamente e mi rendo conto che è un’idea azzeccata quando iniziano le urla. Alzo lo sguardo verso gli altri tributi, alcuni sono immersi fino alle caviglie in quella che sembrava innocua erba, più si agitano più sprofondano, altri, come il ragazzo dell’Otto che era sulla pedana vicino alla mia, sono immersi fino alla vita, coloro che invece  hanno capito che si devono dare una mossa stanno correndo come fulmini. È il caos: urla, oggetti che vengono lanciati....

Tutti sembrano distratti, nessuno sta facendo caso a me, mi sembra il momento ideale per partire, cerco di ignorare tutto e mi metto a correre come mai ho fatto in vita mia, ma è già un’impresa ardua perché le scarpe fanno effetto ventosa sul prato, come se ci fosse uno strato di acqua, ed è sempre più difficile sollevare i piedi. Sono quasi arrivata allo zaino blu, quando il piede sinistro mi sprofonda per almeno cinque centimetri in quello che effettivamente è fango, come se ci fosse una pozza.

Maledizione, questa non ci voleva.

Mi fermo perché se mi agito rischio di far affondare anche l’altro piede.

Faccio l’unica cosa possibile, mi tolgo lo stivale e sfilo il piede appoggiandolo sul fango freddo e molliccio, bleah, poi con entrambe le mani afferro lo stivale e lo tiro con tutte le mie forze, fortunatamente non è andato molto a fondo e riesco a liberarlo. Ma non ho tempo di rimettermelo perché anche gli altri tributi stanno iniziando a capire come liberarsi, quindi mi fiondo sullo zaino tendendo il mio stivale stretto in mano, lo afferro al volo e inizio a dirigermi verso il fitto della foresta. Appena fuori dal cerchio creato dalle pedane attorno alla cornucopia il terreno inizia a essere meno cedevole, la corsa diventa meno difficoltosa, riesco ad accelerare e mi si sfila il cappuccio dalla testa, ma pochi passi e sarei arrivata al margine in cui inizia la vegetazione.

“MAGS!”

Un urlo lacerante mi fa voltare.

Keri è immersa nel fango quasi fino alla vita.

Maledizione! Tornare indietro sarebbe una cosa completamente folle, da idioti e da masochisti, senza contare l’alto rischio di rimanere coinvolta nel bagno di sangue. Non posso tornare indietro.


Quindi mollo lo zaino e lo stivale che ho in mano e per buona misura mi levo pure l’altro e corro verso Keri.

Sono ammattita, un applauso per me.

Mentre corro per raggiungerla, raccolgo una lancia poco distante.

“Aggrappati e non muoverti, ti tiro fuori io”
Lei la afferra e io inizio a tirare, fortunatamente funziona e inizia a riemergere, meno si muove meglio è, ma le braccia iniziano a dolermi per lo sforzo.

Ho il fiatone, ma le rimangono dentro solo i polpacci, “Togliti le scarpe e cerca di sfilarti”. Funziona.
 È completamente riemersa dal fango.

“Dietro di te!”

“Cosa?” mi aspettavo un grazie.

Poi capisco le sue parole.

Ma sono troppo lenta, non faccio in tempo a girarmi che qualcosa mi sibila accanto all’orecchio.
Non mi ha colpito, qualunque cosa fosse. Che fortuna sfacciata.

Vedo che è il ragazzo del Sette e si sta avvicinando sempre di più per attaccarci, armato di una strana ascia a due lame, se ci avesse colpito con quella cosa, ci avrebbe tranciato a metà senza sforzo.

Non so che fare, sono disarmata e paralizzata dalla paura, ma Keri afferra la lancia che ho usato per tirarla fuori, la scaglia e colpisce il ragazzo a un polpaccio. Il tributo si accascia schiacciandosi le mani nel punto in cui la lancia è penetrata di almeno cinque centimetri, la forza con cui è stata scagliata deve essere stata enorme, il sangue scuro e denso imbratta rapidamente il terreno di un rosso cupo, ma non è una ferita fatale, però riesce a fermare la sua avanzata.

“Cosa guardi? Corriii!!” Keri prende lo zaino rosso accanto a lei, i suoi stivali e inizia a correre come una furia.
Io mi fermo a raccogliere un paio di coltelli li vicino e la seguo a rotta di collo, aggirando il ragazzo colpito, che stava tentando di rialzarsi.

Possibile che provi un senso di dispiacere per lui sebbene abbia cercato di uccidermi? Cos’ho che non va?
Riprendo il mio zaino, le scarpe e iniziamo ad addentrarci nella foresta, per mettere più distanza possibile tra noi e la cornucopia alle nostre spalle.

Le radici sono altissime e i rami fitti, bassi e coperti di liane, tanto che dopo poco abbiamo il viso tutto sudato e graffiato dalla vegetazione che intralcia il nostro passaggio ed essendo scalze ogni passo è una tortura, ma nessuna delle due vuole fermarsi. Le passo uno dei due coltelli che avevo raccolto e continuiamo ad aprirci la strada a fatica, nemmeno mi preoccupo di aver dato un’arma a una mia potenziale avversaria, per ora l’obiettivo è allontanarsi da tutto e tutti.

A un certo punto sentiamo il rombo di un’esplosione. Fortissimo.

“Cosa può essere stato?”

“Non ne ho idea” ma acceleriamo l’andatura.

Poi iniziano i colpi di cannone. Il bagno di sangue è finito.

Bum.

Bum.

Bum.

Bum.

Bum.

Bum.

Bum.

Sette caduti.

Dopo più di un’ora di marcia siamo costrette a fermarci per riprendere fiato, devo assolutamente togliermi la giacca perché fa troppo caldo, si spoglia anche Keri, noto che è completamente ricoperta di fango fino alla vita, ma almeno i suoi pantaloni non sono più arancioni, mentre io sembro una torcia umana, in quel verde.

Solo quando sono seduta su una radice a cercare di recuperare il fiato e a fissarmi i piedi scalzi graffiati dalle piante più grosse che io abbia mai visto che mi vengono in mente Aiden e Dave.

Spero con tutte le mie forze che non siano tra i sette colpi che ho sentito.

“Senti, grazie per avermi aiutato. Per un secondo credevo volessi lasciarmi lì” sono le prime parole che Keri mi rivolge dalla cornucopia.

“Per un secondo l’ho pensato”

“Meno male che hai cambiato idea” Keri non mi guarda mentre parla, ma se non ci fossi stata io, lei non sarebbe qui, e se non ci fosse stata lei, nemmeno io sarei qui.

“Anche io ti devo ringraziare, sai, per il ragazzo del Sette…Ascolta tu ed Aiden avete ideato un piano per incontrarvi?”

“Sono rimasta incastrata nel fango perché mi stavo dirigendo verso dove mi sembrava di averlo visto…ma no. Non ho idea di come trovare i nostri compagni di Distretto”

“Non credi siano… si, insomma… cioè secondo te loro…”

“No, stanno bene, ne sono certa”

Sappiamo di non poter stare ferme a lungo, accanto a noi vediamo scorrere un torrente, il mio primo istinto è buttarmici dentro, ma siamo nell’Arena, sarebbe un’ottima idea per farsi del male.

Ci avviciniamo cautamente, l’acqua non è trasparente, ma nemmeno troppo fangosa e sembra scorrere in modo naturale, prendo un ramo e lo immergo nell’acqua, niente. Intingo un dito del piede, niente. Keri entra con entrambi i pedi, niente.

“Sembra sicuro” il suo tono è di sollievo.
Ci sciacquiamo gambe e volto, adesso va molto meglio.

“Avanziamo nel torrente, così non lasciamo tracce” mi sembra una buona idea anche perché fa davvero caldo e sentire l’acqua fresca sulle gambe potrebbe rendere l’avanzata meno dura.

“Cerchiamo la sorgente per l’acqua da bere?”

“Esatto e se conosco Aiden, lui farà la stessa cosa”

Così avanziamo controcorrente con l’acqua che ci lambisce le caviglie, è abbastanza torbida, ma fresca, per me è sufficiente.

Mentre camminiamo l’acqua diventa sempre più alta finché ormai mi arriva sopra al ginocchio ed è sempre più fangosa, le radici sporgenti sono sempre di più e più grosse contornate da sottospecie di alghe, quasi non si distinguono i margini del letto del fiume.

“Keri, l’acqua non va bene. È diventata alta e limacciosa, non credo ci sia una sorgente, inoltre inizio ad avere male alle gambe…anche se è più faticoso preferisco continuare fuori dall’acqua”

“Lo stavo pensando anche io che la sorgente non c’è, usciamo e riposiamoci un po’ e almeno controlliamo cosa abbiamo negli zaini”
Così ci arrampichiamo su una radice particolarmente grossa.

Un urlo.

Volevo dirle di non gridare, che avrebbe rivelato la nostra posizione, ma prima di riuscire a farlo mi cade lo sguardo sulle sue gambe e poi vedo le mie. Adesso capisco perché sentivo male.

Abbiamo delle sanguisughe attaccate ai polpacci, sono una cosa rivoltante, sono come delle grosse lumache nere, grasse e viscide, che diventano più grosse ogni secondo che passa e pulsano leggermente. Mi siedo, ne prendo una tra pollice e indice e inizio a tirare. Non si stacca. Provo a pugnalarla col coltello, ne esplode un fiotto di sangue, ma ancora non si è staccata. Anche Keri passa a fil di lama le sue, esce solo sangue scuro e viscido che ci cola lungo le gambe e ci schizza ovunque, ma niente da fare, non si staccano, sembrano incollate alla nostra pelle. Io ne ho addosso solo sette o otto, Keri ne ha molte di più, forse perché nell’acqua camminava davanti a me, ma il problema  è che sebbene le avessimo uccise, quelle cose continuavano a far male e a sanguinare come ferite aperte. Ibridi di sicuro. Guardando quelle cose appiccicose e nere che stanno trasformando le nostre gambe in due pezzi di carne sanguinolenta capisco che la soluzione è una sola e l’ho detta appena le ho viste: sono incollate alla pelle.

“Keri…”

“Si, ho capito anche io come fare a toglierle”

“Io non credo di riuscirci da sola”

“Nemmeno io”

“Se io le tolgo a te e tu a me?”

“Ti fidi della ragazza del Due?” finge un tono sconvolto.

“Eh già, hai visto come mi sono ridotta?” riesco a farla ridacchiare.

“Chi inizia?”

“Sono pronta” è una bugia, ma le allungo la mia gamba.

Lei prende il coltello, si appoggia di peso alla mia gamba per tenermela ferma il più possibile e senza incertezza mi taglia via la prima di quelle cose e la striscia di pelle cui era attaccata, un lampo di dolore mi attraversa la spina dorsale come una scossa elettrica, trattengo a stento un urlo.  

“Mi devo fermare? Hai un colore cadaverico…” sembra preoccupata sul serio.

“No, toglile tutte subito, non fermarti. Se non le togliamo subito ci dissangueranno” ho la voce strozzata, ma non ho intenzione di prolungare l’agonia, praticamente le sto dando l’ordine di scorticarmi.

Se non stessi soffrendo, di certo ne coglierei l’ironia.

Ho uno spasmo di dolore tutte le volte che me ne taglia via una, vedo delle macchie nere davanti agli occhi, stringere i denti e sopportare in silenzio è forse la cosa più difficile che ho fatto finora. Appena ha finito mi gira la testa e i miei polpacci sono ampiamente scorticati, sanguinano e pulsano, ma almeno non rischio più di morire dissanguata. Forse.

Prendo un respiro, mi asciugo le lacrime e il sudore dal viso, le gambe mi fanno così male che quasi non le sento più, è possibile o mi si stanno per staccare? Inoltre in bocca percepisco il sapore metallico del sangue, devo essermi morsa nello sforzo di non urlare.

“Adesso levale a me” mi porge il suo coltello e allunga una gamba.

Non sono particolarmente schizzinosa, ma la vista di tutto quel sangue mi fa un certo effetto, comunque cerco di essere decisa come lei, per evitare di farle più male del dovuto, ma tutte le volte che appoggio la lama alla sua pelle lei sussulta, ma stringe le mani attorno alla radice su cui è seduta e sopporta.

Poco dopo ho finito, ne ho levate ben dodici, e nemmeno lei ha espresso un singolo suono anche se le sue guance sono rigate di lacrime. Decisamente non è stata una cosa piacevole, ma da sole non so se ci saremmo riuscite.
“Finito” la sento sospirare pesantemente.

Mi guardo le gambe e vedo che il sangue si sta seccando, bene, se si sta asciugando significa che ho smesso di perderne di nuovo.

Dobbiamo però fermarci almeno finché anche le gambe di Keri non smettano di sanguinare e a me non dispiace fare una pausa, ho schizzi di sangue ovunque, sono insozzata fino ai gomiti, senza considerare lo stato delle mie gambe, ma l’idea di avvicinarmi all’acqua di nuovo non mi ispira particolarmente, forse per la prima vota in vita mia. Credo che anche Keri la pensi così, perché non si muove in direzione dell’acqua, ma resta seduta e fa dei profondi respiri, se qualcuno ci vedesse in questo esatto momento penserebbe che abbiamo appena finito di macellare qualcuno.

“Controlliamo cosa abbiamo a disposizione?”

Apro per la prima volta il pesante zaino blu che ho raccolto con fatica alla cornucopia e mi rendo conto che ho barato, ho accettato l’aiuto sleale che mi è stato offerto, ma la prima cosa che vedo appena lo apro mi fa sentire subito meglio: una borraccia da due litri piena di acqua, da cui prendo un piccolo sorso. Poi vedo che c’è una cerbottana con due dozzine di dardi, Kyran si è ricordato che la so usare, ma con una cerbottana nell’Arena cosa ci faccio? Poi ci sono una corda spessa e una corda più fine, una punta di metallo e sotto ci sono iodio per purificare l’acqua, carne essiccata, gallette di riso, biscotti, tutto liofilizzato o disidratato.  È un ottimo zaino.

“Cos’hai nel tuo?”

“Coltelli, un telo impermeabile, una borraccia piena d’acqua, del cibo essiccato, tu?”

“Cerbottana, corda, una punta di metallo, cibo e acqua”

Mi restituisce il coltello che le ho dato quando siamo entrate nella foresta e che abbiamo usato per toglierci quelle cose viscide e orripilanti.

“Io ne ho già uno”

“Si lo so, ma adesso io ho i miei, tienili tutti e due tu. Cosa ci fai con una cerbottana? E una punta di metallo?”

“La punta serve per costruire un arpione, quindi devo trovarmi un legno adatto a cui affiggerla, ma con la cerbottana ancora non so…”

“Ma sai usarla?”

“Si”


Bum.


“Hai sentito?”

“Il colpo di cannone? Certo, deve essere morto un altro tributo. A questo punto ne sono morti otto”

“No, non intendevo il colpo di cannone, ma il silenzio”

“Il silenzio?”

“Si, me ne rendo conto solo ora, ma in questo posto c’è troppo silenzio, il colpo di cannone è il primo rumore che abbiamo sentito, l’acqua che scorre non si sente, se non ci muoviamo con ci sono fruscii delle foglie o scricchiolii dei tronchi, non abbiamo incontrato nessun animale né sentito alcun verso, nemmeno un verme nel fango. È tutto fermo, statico, in attesa. Ci sono solo due spiegazioni plausibili…”

Gli occhi di Keri si dilatano leggermente, ha capito dove voglio andare a parare, è sveglia “Hai ragione: o siamo osservate da qualcuno o qualcosa oppure c’è qualcosa nell’ambiente che non va”

“Esattamente come la penso io”

“Quindi dobbiamo spostarci immediatamente, ce la fai a camminare?”

“Certo che ce la faccio, sei tu quella messa peggio, tu ce la fai?”

“Certo”

Questa volta ci infiliamo gli stivali sopra le gambe martoriate per proseguire, anche se è doloroso e siamo ricoperte di sangue, ci issiamo gli zaini in spalla e ci appendiamo i coltelli alla cintura, giusto per averli sotto mano in caso di necessità.

Non esiste un vero e proprio sentiero anche perché il terreno quasi non si vede, quindi cominciamo a spostarci da una radice all’altra, cosa non facile perché sono completamente verdi di muschio e quindi scivolose.

“Mags” non mi piace il tono allarmato della sua voce, non abbiamo camminato poi così tanto, cosa può essere successo ancora?

“Che c’è?”

“Guarda” e indica sotto i suoi piedi.

“Cosa?”

“Da dove spuntano le piante”

“Il terreno è solo un intrico di radici”

“Guarda meglio”

Vedo ciò che stava cercando di dirmi. Sembra un intrico di radici, ma non lo è. È vero che stiamo saltando da un ceppo all’altro, ma sotto di noi non c’è terra, è un ristagno d’acqua scura e fangosa che riflette le radici che sono sospese pochi centimetri al di sopra di essa.

“Queste piante crescono direttamente dall’acqua”

“Già e la cosa non mi piace, ma la cosa peggiore è che mi sembra di essere già stata qui”

“Cosa?”

“Abbiamo girato in tondo”

“Ma è impossibile, siamo andate sempre dritte”

Avanza e si accuccia vicino a una radice “Guarda” la porzione di legno che mi indica è segnata con dei graffi e mi fa vedere come coincidano con le sue unghie. Inizio ad andare nel panico.

“Ma…ma è impossibile, prima c’era il fiume, le piante non spuntavano dall’acqua! E se davvero eravamo sedute qui a levarci quelle cose non dovrebbe essere tutto pieno di sangue?”

“Lo so che sembra assurdo, ma secondo me siamo nello stesso punto di prima”

“Come facciamo ad andarcene?”

“Non so… come sei messa ad arrampicata?”

“In che senso?”

“Sai potremmo salire su un albero e controllare in che punto siamo, per vedere  se manteniamo l’orientamento”

“Ok, si può fare, salgo io che ho le gambe messe meglio”

Mi sorge un dubbio però, non è che appena lascio lo zaino e inizio ad arrampicarmi, lei scappa a gambe levate? O peggio mi attacca?

“Tutto bene, Mags?”

“Si”

Decido di lasciare lo zaino, ma di portarmi i coltelli.

Mi guardo in torno alla ricerca di un albero adatto, una volta trovato la scalata non è difficoltosa, anzi è piuttosto agevole grazie ai molti rami e sporgenze di quelle piante, arrivata in cima butto un’occhiata attorno per vedere come siamo messe, poi scendo rapidamente, Keri e il mio zaino sono ancora lì. Mi sento quasi in colpa per aver dubitato di lei.

“Allora?” il tono di Keri è strano.

“Alle nostre spalle a una buona distanza da noi ho notato una certa carenza di alberi, penso sia la radura della cornucopia, per il resto la vegetazione è pressoché fitta in modo uniforme, secondo me invece dobbiamo proseguire svoltando a sinistra, cioè tenendo la radura della cornucopia alla nostra sinistra perché ho notato che il terreno inizia a essere più in salita, quindi magari riusciamo a sbarazzarci dell’acqua. Sei ancora convinta che siamo nello stesso posto di prima?”

“Si, devo farti vedere una cosa, ma non so come potresti reagire…”

“In che senso?”

“Non voglio spaventarti”

“Siamo nell’Arena…” non ho bisogno di dire altro.

Sospira ed estrae il coltello. Lo estraggo anche io, è un impulso più forte di me, come se non volessi più essere colta impreparata come è successo con il ragazzo del Sette alla cornucopia.

“Non voglio pugnalarti, stai tranquilla” mi sorride e io mi sento in imbarazzo, rimetto via il coltello.

Sto diventando paranoica.

Lei fa una cosa stranissima, taglia una porzione di muschio dalla radice su cui poggiamo i piedi scoprendo una parte di tronco marroncina, poi ci pianta ripetutamente il pugnale.

Per un attimo non succede niente e penso che sia impazzita, ma poi inizia a fluire qualcosa.

Quando mi rendo conto di che cos’è mi sale un conato di vomito.

Faccio quattro passi indietro, mi devo appoggiare al tronco di un albero per non cadere.

“Cos’è?” lo so benissimo cosa sta sgorgando dalla radice, ma non posso crederci.

“Lo sai, lo hai capito, altrimenti non ti saresti ritratta e soprattutto non saresti sbiancata”

Sangue.





“Come hai fatto ad accorgetene?”

“Mentre ti arrampicavi, io ancora guardavo i segni lasciati sulle radici, continuavo a ripassarci le unghie, finché non mi è rimasto del sangue sulle dita. All’inizio credevo di essermi tagliata, ma quando ho capito di non essere ferita e la spiegazione poteva essere una sola”

“Nelle piante scorre sangue” ho una maledettissima paura.

“Non credo che vi scorra dentro, secondo me le piante si nutrono di sangue, lo assorbono, per quello che non ne abbiamo trovato nemmeno una goccia di quello che avevamo lasciato e proprio per questo non abbiamo incontrato animali e c’è tutto questo silenzio”

“Quindi è come essere circondati da enormi piante carnivore?”

“Più come piante succhiasangue, ma il concetto è quello”

“Andiamocene immediatamente” la mia voce è stridula, anche Keri sembra spaventata a morte.

L’Arena non solo tenta di ucciderti in tutti i modi, ma è anche in grado di terrorizzati psicologicamente: prendi due paghi uno.
Anzi, prendi uno e paghi due.

Puntiamo alla nostra sinistra e praticamente corriamo, il cielo inizia a diventare scuro, ma la paura ci sta spronando a continuare, sto tentando di scappare da una trappola, probabilmente finiremo in qualosa di peggiore, ma non riesco a fermarmi anche se mi fa male praticamente dappertutto e ho fame.

La paura vince la fame al primo round.

Sentiamo l’inno di Capitol, ma non riusciamo a vedere il cielo con tutta quella vegetazione, decidiamo di tentare una scalata, anche se le piante ci danno un senso di ripugnanza, così controlliamo anche la nostra posizione.

Vengono proiettati otto volti: la ragazza del Tre, il ragazzo del Cinque, la ragazza del Sei, entrambi i tributi dell’Otto, il ragazzo del Dieci e dell’Undici, la ragazza del Dodici.

Dave è vivo.

Aiden è vivo. 

Mannaia e Temperino sono vivi.

Anche il ragazzo del Sette colpito da Keri lo è.

Io sono viva.  

 

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Capitolo 11
*** Buio ***


Il cielo è blu scuro, senza luna, ma punteggiato di stelle, mi chiedo se siano vere o mere luci artificiali.

Le vedo perché sono ancora in cima ad un albero, i volti degli otto tributi caduti oggi sono appena scomparsi dal cielo, ma io ancora li vedo appena chiudo gli occhi. Ho ancora impressa l’immagine della dodicenne del Sei che mi guardava sull’Hovercraft e adesso è morta, la ragazza del Tre che aveva un abito rosa alle interviste e adesso è morta… Mi sto piantando delle lame nel cervello praticamente da sola, ma non riesco a pensare ad altro.

Morte. Morte. Morte.
E io ho paura.

Vorrei ci fosse Dave accanto a me, non so perché ma so che lui riuscirebbe a tirarmi su il morale, chissà dov’è e cosa sta facendo. È solo? Con Aiden? Con qualche altro tributo? Magari è ferito?

Sospiro e scendo dall’albero, con un interrogativo in più e una risposta in meno.

“Tutto bene? Perché ci hai messo tanto?”

“Stavo guardando il cielo”

“Perché?”

“Perché guardare l’Arena mi fa perdere la speranza”

“Il cielo no? È Arena anche quello”

“Lo so” Keri non capisce, non può capire.

Di notte, se guardi intensamente il cielo, questo sembra il mare. E il mare è casa mia. Quante volte sono stata seduta sul molo a guardare il tramonto diventare notte e vedere mare e cielo trasformarsi e fondersi?

Mi mancano gli zii. Mi manca Lexi. Ma almeno erano al sicuro a casa. Mi manca casa.
Ma Keri probabilmente non ha mai visto il mare, chissà cosa significa casa per lei.

“Dobbiamo riposare almeno un po’, non possiamo sostenere questo ritmo anche per tutto il giorno di domani”

“Hai ragione fermiamoci”

Non ci fidiamo a sederci sulle radici, così ci arrampichiamo su alcuni larghi rami bassi, non cambierà molto, ma ci sentiamo più al sicuro.

“Inizia a riposare” tanto non ho sonno, sono troppo preoccupata, tanto vale che Keri riposi.

“In che senso?”

“Monto io la guardia per le prime ore, poi ti chiamo…”

“Cioè devo dormire, mentre tu stai sveglia e poi facciamo cambio?”

“Adesso sei tu che ti devi fidare della ragazzina del Quattro” la paranoica a quanto pare non sono solo io, per quanto puoi essere preparato, l’Arena ti cambia, fa uscire il meglio e il peggio di te, devi fidarti di tutto e di niente. Ti logora. Ti si insinua nella mente e vi si annida non facendoti mai abbandonare il senso di ansia e paura. Vedo che mi squadra prima di tirare un sospiro.

“Meglio che essere attaccate nel sonno da Mannaia…” Keri si abbandona contro il tronco e chiude gli occhi.

Man mano che il tempo passa il blu della notte si trasforma rapidamente in nero sempre più scuro, non lasciando intravedere praticamente niente. Già la luce che filtrava dalla fitta vegetazione era poca, adesso le tenebre permeano ogni cosa, ma il nero che si viene a creare è troppo compatto e uniforme, palesemente non naturale un brivido mi percorre la schiena e di certo non è per la temperatura fredda dal momento che continua a fare un gran caldo.

Avverto che qualcosa non va, impugno il coltello e strizzo gli occhi, ma riesco solo a intravedere le sagome scure degli alberi o, per lo meno, quelli che di giorno sembravano alberi e che adesso apparivano più come fauci scure. Non mi azzardo nemmeno a pensare di accendere un fuoco per vedere qualcosa, sarebbe stata l’idea più stupida del secolo, mi devo basare sugli altri sensi, quindi mi alzo lentamente e silenziosamente, mi metto in ascolto: il silenzio è cupo e opprimente, sembra entrarmi nel cervello e dilatarsi, quasi fino a farmi male alle orecchie, ma non sento niente. Con un silenzio tanto profondo, se ci fosse stato qualcosa lo avrei sentito di sicuro: è la mia paranoia che aumenta, tutto qui, torno a sedermi. Sono patetica, una stupida ragazzina terrorizzata anche dal silenzio.

Pochi minuti dopo lo sento.

Uno scricchiolio.

C’è qualcosa lì fuori.

Gli scricchiolii aumentano e il mio stomaco si stringe in una morsa dolorosa.

“Keri” è meno che un sussurro, ma lei sussulta, c’è di buono che non fa nemmeno il benché minimo rumore. 

“Vuoi dormire un po’ tu?”

“Shhh, abbassa la voce. Credo ci sia qualcosa”

Si alza e, sebbene non la veda bene, sento che sta tirando fuori i coltelli.

Intanto i rumori sono aumentati. Scricchiolii e spruzzi d’acqua.

Passi.

Passi irregolari.

Qualcuno sta cercando di farsi largo tra acqua e radici.

Il problema è sembrava avanzasse diretto verso di noi. Com’è possibile? Che ci abbiano viste? Magari  ci hanno sentite durante il giorno e adesso ci attacca durante la notte?

Credo mi stia per venire un attacco di panico.

“Tributi…”

“Un paio, mi pare”

Stanno proprio venendo nella nostra direzione, tentiamo di arrampicarci silenziosamente più in alto per sfruttare le fronde come copertura e ci schiacciamo contro l’albero, diventiamo parte stessa dell’albero, parte stessa della notte nera.

“È buio magari non ci vedono” la mia è la speranza di una folle.

“Forse” anche la voce di Keri è leggermente incrinata.

Siamo immobili e tratteniamo persino il fiato.

Poi le voci.

All’inizio credevo fosse un fruscio di fronde, ma sforzandosi si riescono a distinguere a malapena le parole.

“Ethan, fermiamoci, sono stanca” una voce morbida di ragazza, ma strascicata, stanca.

“Smetti di lamentarti o ti strappo la lingua” la voce de ragazzo invece è fredda  e tagliente, sferza il silenzio della notte come una lama di fuoco ed è quasi dolorosa da sentire, non tanto per la voce in sé quanto per il tono con cui è stata pronunciata la frase. Brividi gelidi mi corrono per la spina dorsale.

“Dai fallo, fammi fuori, uccidi la ragazza che ti ha praticamente salvato la vita e poi torna al Sette a spiegare a tutti come hai ucciso la tua compagna di Distretto. È tardissimo, sono stanca e ho mal di gambe, non mi piace camminare in acqua”

“Ma vuoi stare zitta? Stai facendo un sacco di baccano inutile”

“Perché andiamo avanti?”

“Perché adesso tutti dormono e sono vulnerabili”

“Chi ti dice che troveremo qualcuno da questa parte?”

“Il percorso che stavamo seguendo veniva bloccato da ostacoli sbucati dal nulla, non naturali, ora perché dovrebbero deviare il nostro cammino? O stiamo andando incontro a una trappola o ad altri tributi”

“Perché vorremmo imbatterci in uno dei due?”

“Dio, ma perché sei così stupida? Perché se noi non troviamo la trappola, sarà lei a trovare noi e gli altri tributi devono morire tutti, meglio prima che poi”

Sto sudando e probabilmente sto andando anche in iperventilazione, cosa cavolo facciamo adesso? Devo pensare alla svelta.

Come se la situazione non fosse già abbastanza piacevole così, i due tributi si fermano esattamente sotto all’albero su cui siamo appostate.

“Da qui non si passa… Siamo bloccati”

“Grazie, da solo non me ne ero proprio accorto”

“Quindi è qui che troviamo l’ostacolo?”

“E adesso che hai finito di rimarcare l’ovvio, stai zitta, tira fuori la scure e iniziamo a pattugliare la zona, se qualcosa di muove, colpisci”

“E se sei tu?”

“Idiota, ti avviso se sono io, no? Credi di riuscire a riconoscerla la mia voce? Io vado di qua, tu vai di là. Non fare casini”

Si sono divisi, ma non sappiamo chi è andato da una parte e chi dall’altra.

“Mags, sono quelli del Sette, il ragazzo è quello che ho ferito alla cornucopia, si sono separati, prendiamone uno a testa…” il momento che temevo è arrivato.

“Sinistra o destra?”

Keri non risponde subito, sa che sarà completamente casuale.
“È una scelta alla cieca. Vada per la destra”

“Allora io a sinistra. Keri stai attenta”

“Anche tu”

Scendiamo silenziose come ombre, lasciamo tutto ai piedi dell’albero meno le armi, che so di non essere in grado di usare.

La presenza che sentivo vicino a me si è volatilizzata, Keri è già partita all’inseguimento, io non ho il suo sangue freddo, sono una persona che va nel panico.

Seguo lo spostamento d’acqua per capire dove andare, perché camminano in acqua? Loro non sono stati attaccati dalle sanguisughe? Io cammino sulle radici coperte di muschio per attutire i miei passi, finché non sento più niente. E adesso? Come faccio? Il tributo che sto seguendo si è fermato o è uscito dall’acqua.

Poi sento un singhiozzo. E un altro e un altro.

È la ragazza.

Deve essersi seduta e sta piangendo.

Come diamine posso anche solo pensare di attaccare una ragazza di quattordici anni che sta piangendo accucciata su una pianta succhiasangue nel bel mezzo della prima notte agli Hunger Games?

Non posso lasciarla andare via, non posso colpirla.

Ho le mani sudate, il coltello mi scivola un po’ dalla presa.
Mi sono accasciata per terra e sto ferma come una statua, con un coltello in pugno e coperta dal favore del buio, ma non so cosa fare. So che la ragazza è armata di ascia, ma so anche che sta piangendo.

Mentre combatto con me stessa, qualcuno lotta davvero: un clangore di lame, un urlo, frastuono.

“Ethan?” la ragazza tira su con il naso e credo si alzi, perché sento che ricomincia a muoversi per raggiungere il compagno di Distretto, ma sulla strada per raggiungerlo ci sono io, sta venendo verso di me.

'Alzati e colpisci’ cerco di convincermi, ma non ci riesco.

‘Alzati e colpisci’ ma né le gambe né le braccia collaborano.

Devo per lo meno alzarmi, perché la ragazza si sta avvicinando sempre di più, pianto il coltello nella radice su cui sono accasciata e lo uso come leva per alzarmi.

Solo che l’albero non rimane impassibile a quell’attacco da parte mia, ma inizia a tremare sempre più forte, come se volesse scrollarmi via, sono costretta ad aggrapparmi con tutte le mie forze per non essere schiantata lontano, i rami iniziano a frustare l’aria, vengo colpita solo di striscio sul lato destro della spalla ma la forza è tale da togliermi il fiato, la ragazza del Sette urla, si sente un colpo secco, un tonfo sordo, poi più nulla. Deve essere stata colpita.

Bum.

Un colpo di cannone. La ragazza del Sette? Un altro tributo? Dave? Keri?

Ho le mani ferite e mi bruciano le braccia per lo sforzo, non riesco a reggermi ulteriormente all’albero e vengo lanciata via come una bambola di pezza. Atterro in una pozza che spero vivamente essere acqua, ma al buio non posso giudicare, mi rendo conto che l'albero si è fermato di botto, come se non si fosse mai mosso. Ho mal di testa e credo di avere un braccio ferito, ma sento un altro urlo.

Non ho tempo di pensare ad altro, devo raggiungere Keri e farlo al buio è difficile, ma sento i rumori di una lotta in corso. Riesco a intravederli, una figura mi pare stesa a terra mente l’altra è in piedi.

Come capisco chi è chi?

La figura in piedi deve avermi visto o sentito perché si volta e cerca di colpirmi, ma prendere la mira al buio è difficile le mi manca, poi lo vedo sollevare un’ascia a doppia lama per colpire definitivamente il tributo a terra, per poi venire da me.

E in quel momento non penso, lancio.

Il coltello che nemmeno mi rendo conto d avere in pugno parte dalla mia mano praticamente da solo, non penso al gomito alzato, alla forza che devo impiegarci, a prendere la mira.

Il coltello non impedisce alla scure di calare violenta e implacabile, ma penetrando nel braccio ne devia la traiettoria.

Keri urla, il ragazzo del Sette urla.

Io sono allibita, faccio fatica a respirare.

Ho lanciato un coltello e ho colpito una persona, ma non posso pensarci: scatto in avanti, afferro Keri e cerco di rialzarla, è ferita al braccio quindi riesce a rimettersi in piedi a fatica e nel farlo sferra un calcio al tributo che si stringe spasmodicamente il braccio tentando di estrarre il coltello, riesce a farlo barcollare e scivolare in acqua.

Poi corriamo come fulmini, recuperiamo gli zaini che avevamo lasciato sotto l’albero su cui ci eravamo posizionate, gli zaini sono vitali nei Giochi, e ci dileguiamo.

“Non siamo seguite”

“No, direi di no”

“Come va la ferita al braccio?”

“Male, ma posso resistere un altro po’, giusto per allontanarci ancora da quel pazzoide del Sette”

Solo quando il cielo inizia a rischiararsi ci fermiamo: Io sono distrutta, non ho chiuso occhio, Keri ha una bruttissima ferita che le parte dalla scapola sinistra e le arriva fino al gomito.

Ma stanotte c’è stato un solo colpo di cannone.

“Hai ucciso la ragazza del Sette?”

Non lo so, probabilmente è stata colpita da un albero impazzito, è caduta, ha picchiato la testa ed è finita in acqua, ma non sono nemmeno sicura che sia morta.

“Si” non so perché lo dico. Ma è come se l’avessi uccisa io, io ho scatenato la reazione.

“E  hai colpito il ragazzo del Sette mentre tentava di staccarmi la testa”

Questa non è una domanda, ma annuisco.

“Grazie” evita di incrociare il mio sguardo però “Adesso riposati un po’ mentre io mi medico”

“Ce la fai da sola?”

“Si e se anche non ce la facessi davvero non potrei chiederti di aiutarmi, sono già abbastanza in debito così”

Keri si accascia contro un albero, è bianchissima e sta perdendo molto sangue, la ferita è orribile e profonda, come faccio a lasciala lì così?

Con l’unico coltello rimastomi taglio una porzione di muschio e delle liane e glieli passo, inizia a tamponarsi la ferita con il muschio e si fascia la spalla e il braccio con la liana. Non ha un bell’aspetto.

“Smetti di guardarmi preoccupata, sistemati la faccia, il braccio e riposati”

“Cos’ha la mia faccia?”

“Ti sei tagliata”

Mi tasto il volto e sento che ho un taglio che mi percorre la guancia destra fino ad arrivare sotto l’orecchio, nemmeno me ne sono accorta, credevo solo di essere sudata, sinceramente nemmeno mi fa male, non come il braccio che è pieno di tagli, ma sono comunque niente rispetto a quello che ha subito Keri.

Mi sciacquo, i tagli non sono profondi e hanno già smesso di sanguinare, e poi mi siedo, sono distrutta, ho mal di testa e in alcuni punti le croste che mi si erano formate sulle gambe hanno ripreso a sanguinare, quelle si che fanno male. Prima di chiudere gli occhi ho bisogno di mangiare qualcosa, prendo così qualche galletta e un biscotto e bevo un po’ d’acqua, poi raccolgo altre liane per Keri che sembra stare sempre peggio.

“Smetti di preoccuparti, riposati che hai una faccia orrenda”

“Ma..”

“Niente ma! Senti, non hai chiuso occhio e sembri sul punto di scoppiare in lacrime, quindi riposati un po’ perché messe così non riusciremmo ad andare da nessuna parte”

Sconfitta mi siedo, ma non riesco a rilassarmi per prendere sonno, ascoltare il respiro irregolare di Keri, mi fa preoccupare.

È solo per un colpo di fortuna che io sono quella praticamente illesa e lei quella colpita quasi a morte, se avesse scelto l’altra direzione, al suo posto ci sarei o peggio ci sarebbe un colpo di cannone e il mio volto proiettato nel cielo. Possibile che ho avuto solo fortuna? Lei avrebbe fatto quello che io ho fatto per lei?

O mi avrebbe lasciato morire? Un avversario in meno di cui preoccuparsi, no?

Perché io l’ho aiutata? Avrei potuto fuggire e lasciare lei e quello del Sette a scannarsi a vicenda.

Ho colpito un tributo, senza nemmeno pensarci, lui stava per staccare la testa a Keri con un colpo di ascia.

Le persone come me non vincono gli Hunger Games, di solito non superano nemmeno il bagno di sangue.

Ma se non la smetto di arrovellarmi il cervello, non mi addormenterò mai, anche se quando chiudo gli occhi vedo buio e sangue. E questo mi spaventa.

Vorrei essere con Dave.
L’ultima cosa che penso è che se Dave dovesse addormentarsi, nemmeno un colpo di cannone lo sveglierebbe.


 

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Capitolo 12
*** Mezze verità ***


Bum.
Sobbalzo col cuore che martella furiosamente nel mio petto, sgrano gli occhi e scatto in piedi, sono sudata e ho il fiato corto.
Due occhi grandi e scuri mi fissano vagamente preoccupati.

“Mags? Tutto bene?” la sua voce è debole e la cosa non mi piace affatto.

“Io… il cannone” ancora il mio respiro non è regolare.

“Adesso non ha sparato il cannone”

“L’ho sentito”

“Stavi dormendo, credo tu abbia sentito un tuono”

“Un tuono?”

“Si, credo che tra poco pioverà”

Sono disorientata “È molto che si sentono tuoni?”

“Un po’. Il cielo si è fatto più buio, o per lo meno mi è sembrato dalla luce che filtra, e poi sono iniziati i tuoni”

“Per quanto ho dormito?”

“A spanne direi che siamo poco dopo mezzogiorno”

Ho dormito dal sorgere del sole a mezzogiorno, fin troppo.
“Dovevi svegliarmi prima…” mi fermo, perché solo ora registro le sue parole “…in che senso ‘adesso non ha sparato il cannone’?”

“Mentre dormivi c’è stato un colpo”

Il che significava dieci caduti.
Provo ansia e sollievo assieme.
Sono preoccupata per Dave, ma non posso fare a meno di pensare che c’è un tributo in meno. Mi sento una persona terribile per pensare una cosa del genere.

“Keri come va la ferita?”

“Bene” il suo tono secco e deciso non mi piace nemmeno un po’.

“Lasciami vedere, poi te la fascio io per bene”

“Non ti avvicinare” assottiglia lo sguardo con fare minaccioso.

“Non capisco, voglio solo aiutarti” perché è la mia di voce che trema?  

“Se hai energie da sprecare, mettiamoci in marcia, dobbiamo trovare una fonte d’acqua”

Si alza e col braccio sano mi lancia il mio zaino.
Che diamine è successo? Cosa ho fatto?
Mi volta le spalle e inizia a camminare, non posso fare altro che seguirla in silenzio.

Devo smetterla di tremare per ogni cosa, di mostrare tutto il panico che mi assale, devo controllarmi e tirar fuori le unghie perché è l’unico modo per andare avanti. Se non ci fosse stata Keri probabilmente sarei rimasta accovacciata su un ramo a piagnucolare, è lei quella determinata, io sono quella che ha avuto più fortuna che buon senso. E adesso è lei quella che sta male.

Sgrano gli occhi quando capisco cosa è successo, devo davvero aver dormito troppo perché sono paurosamente lenta a comprendere una cosa talmente evidente…‘Se hai energie da sprecare’… crede che curarla sia uno spreco di tempo ed energie, come ho fatto a non capirlo subito? Si considera già spacciata.
Non lo posso permettere.

“Keri, ferma”

Si gira spalancando appena gli occhi, deve essere stato per il mio tono secco.
“Che c’è?” è pallidissima

“Controllo in che direzione avanziamo” e sparisco su un albero, vedo che stiamo mantenendo la cornucopia alla nostra sinistra anche se ormai risulta praticamente alle nostre spalle, a questo punto il terreno inizia a essere in salita. Bene.
Ci impiego molto più tempo del dovuto per farla riposare un po’, quando scendo le dico solo che la strada va bene, poi mi dirigo a prendere nuove liane.

“Adesso mi fai vedere quella dannatissima ferita”

“No”

“Io penso proprio di si”

“E sentiamo, perché di grazia?” il tono è duro, quasi sprezzante.

“Perché stiamo iniziando la salita e sarà faticoso, perché la fasciatura che ti sei fatta fa pena, perché hai una brutta cera, perché se non lo fai ti mollo qui e continuo da sola…” è ovviamente una minaccia a vuoto, non detta con cattiveria, ma l’ho detto ugualmente.

“E allora vattene!” le parole che mi urla contro con rabbia e risentimento mi sconcertano, le percepisco intrise di veleno e mi fanno male, ma non tanto quanto il suo sguardo. Quelli che mi ritrovo a fissare sono gli occhi di una ragazza che sembra aver vissuto già tante, forse troppe, dolorose esperienze e ancora non ha perso la capacità di soffrire, troppo dolore per una sedicenne normale. Ho paura di sapere da dove arriva quella scia di dolore che ora riesco chiaramente a leggere in fondo alle sue iridi, perché sono praticamente certa che non è colpa della ferita né dell’Arena.

Non so per quanto tempo la fisso muta e immobile, ma non posso farne a meno.
La guardo. Mi guarda.

Sta tentando di comunicarmi qualcosa solo con gli occhi, non so cosa, ma fa dannatamente male.
Poi di scatto mi volta le spalle e prosegue.

Perché quando cerco di prendere in mano la situazione non riesco comunque a risolvere niente?
Anzi la peggioro.
Sono un disastro.

Avanziamo per molto tempo nel più perfetto silenzio, finché stremate ci dobbiamo fermare. Andare avanti è faticoso a causa del caldo asfissiante, della salita e delle ferite, se io sto così non immagino pensare cosa provi la mia compagna di sventure.
Ho quasi finito l’acqua maledizione, dobbiamo davvero trovare una sorgente altrimenti saranno grossi guai, altresì noti come disidratazione.

“Lascia che ti aiuti”

“Perché?”

“Perché è giusto, perché lo voglio fare, perché ci tengo”

“Siamo nell’Arena…” so cosa intende, ma non per questo mi lascio scoraggiare.

“Oh non  me ne ero accorta!”

Quasi le strappo un sorriso.
“Sai questa risposta è proprio da Aiden”

“Ehi non offendere!”
Adesso ride apertamente, prima che si trasformi in una smorfia di dolore.

Si accorge che la guardo male e sbuffando inizia a sciogliersi la maldestra medicazione che è riuscita a farsi.
La ferita è brutta, non ci sono altri modi per descriverla.

È uno spaventoso squarcio che parte dalla base del collo e le arriva fino al gomito del braccio sinistro, appena la scopre ricomincia a sanguinare copiosamente, i contorni sono frastagliati e sporchi, deve essere assolutamente pulita e ci vorrebbero anche dei punti. Il problema è: come diamine faccio a procurarmi ciò?

“Fa orrore, vero?”

“No, ma va!”

“Mags, non dire bugie non sei capace. Quanto mi resta prima di morire dissanguata secondo te?”

Sembra parlare del tempo, come fa a mantenere la voce così calma e controllata?

“Tu non morirai dissanguata, non ora, non con me, te lo vieto”

“E sentiamo dottoressa, come dobbiamo procedere?”

“Prima la puliamo per bene” anche se l’idea di toccare quella lesione mi rivolta lo stomaco, tiro fuori la borraccia.

“Spero tu non voglia usare l’acqua della borraccia!” mi guarda come si guarda un mentecatto.

“E cosa dovrei usare?! Tanto tra poco troveremo una fonte, ne sono certa”

“Non se ne parla! Sei impazzita?!”

“Vuoi che la ferita si infetti? È questo che vuoi?”

Silenzio.

“Ecco, quindi non lamentarti”

“Usa la mia”

“Cosa?”

“Usa la mia acqua”

“Ne prendo un po’ da tutte e due, ne uso poca, giusto per vedere come è messa”

La coltellata ripulita dallo sporco e dal sangue incrostato è ancora più brutta da vedersi, caspita non lo credevo possibile.
“Secondo me dobbiamo farla asciugare prima di rifasciarla, altrimenti tutte le volte che dobbiamo rifare la medicazione ricomincerà a sanguinare… ci vorrebbero dei punti. Cerca di stare ferma così per un po’ e vediamo se migliora” cerco di essere incoraggiante.

“Anche secondo me deve seccarsi un po’, ma adesso che facciamo ferme qui?”

Cerchiamo di guadagnarci il necessario per i punti da sutura attraverso gli sponsor e il modo migliore per tenere tutti incollati allo schermo è …
“Chiacchieriamo”

Mi fissa, deve aver capito quello che voglio fare. Mi siedo di fronte a lei e inizio a mangiare qualche biscotto per mettere a tacere il mio rumoroso stomaco.

“Sai… quello che hai detto all’intervista, riguardo al mare nel tuo Distretto… l’hai descritto in una maniera impressionante… è tutto vero?”

“Sì, il mare è imprevedibile, può passare dalla calma piatta alla tempesta nel giro di due battiti di ciglia, la violenza con cui si abbatte sulle coste certe volte è spaventosa, il vento ulula così forte che fa tremare le fondamenta delle case e ti scuote le ossa, la schiuma bianco latte delle onde rotte brutalmente contro gli scogli sembra quasi luminosa, i tuoni rimbombano così forti che li credi in grado si schiacciarti a terra con la loro forza, i lampi che squarciano il buio sono come stilettate dritte negli occhi, ma la cosa davvero impressionante è che il cielo riesce ad assumere mille colori diversi, dal nero pece, al grigio perlaceo, dal grigio plumbeo al nero quasi viola, la cosa meravigliosa è che i colori si riflettono nel mare, ed è bellissimo. Terrificante, ma bellissimo”

“Chissà perché ma credo che tu sia una di quelle persone che quando c’è un temporale stanno sotto la pioggia scrosciante a guardarsi intorno”

Rido davvero di gusto “Ci hai preso in pieno! È una cosa bellissima essere sotto la pioggia e sentire la forza di tutto quello che ti circonda, come se sentissi la vita, la forza scorrere direttamente nelle tue vene. Ti senti estremamente piccolo e insignificante davanti al meraviglioso manifestarsi della forza della natura, ma non puoi far altro che sentirti vivo”

“Wow mi sembra quasi di vederlo” poi sospira “Quanto mi sarebbe piaciuto poterlo  vedere davvero”

Cosa posso dire? Lo vedrai? Non lo rivedrò più neppure io, posso solo tenermi stretto il ricordo.

“Comunque il mare è bellissimo anche quando è calmo, limpido e trasparente, sai, io ho un posto speciale in cui vado quando c’è bel tempo… noi lo chiamiamo ‘le pozze’ sono una serie di piscine naturali all’interno di alcune grotte, è un posto magico quasi fuori dal tempo, l’acqua lì è di un verde incantevole tanto che sembra un prato… ma adesso basta parlare di mare, raccontami qualcosa del Due”

Keri si irrigidisce appena “Non ho molto da dire… Il Due si trova molto vicino alla Capitale, il territorio è pressoché tutto montuoso e quindi è composto da molti piccoli villaggi. Da noi si estrae e si taglia la grafite…” Mentre parla sembra ripetere un testo imparato a memoria, a un certo punto mi accorgo che sembra scrivere qualcosa per terra, incidendo le parole sullo stato di soffice muschio su cui siamo sedute e da come siamo messe posso vedere solo io, quindi è qualcosa che dovrebbe rimanere nascosto, cerco di allungarmi in modo naturale per scorgere meglio.

Addestramento Pacificatori.

Costruzione armi.

Base militare di Capitol City.

Ah. Non deve essere poi il massimo vivere nel Due, anche se è forse il Distretto più ricco in assoluto, mi sembra un posto piuttosto triste e lugubre.

“…. ma la cosa che preferisco è quando nevica”

“Nevica?”

“Non hai mai visto la neve?”

“No, cioè l’ho vista solo in una foto su un libro di scuola”

“Proprio come per me il mare. Comunque la neve a me piace moltissimo anche se deve fare freddo per vederla…” la ascolto rapita e cerco di visualizzare quello che lei mi descrive “…il cielo diventa quasi bianco e il respiro ti si congela, l’aria è come elettrica e quando inizia a cadere la neve sembra sempre esserci una grande calma. Forse perché vedere questi piccoli fiocchi gelati che roteano nell’aria ti rapisce e devi stare fermo in silenzio a guardare mentre si posa a terra con grazia. Si dice che nessun fiocco sia identico ad un altro, lo sapevi?”

“No, mi sembra una cosa bellissima”

“E lo è. Sai, l’anno scorso il giorno del mio compleanno mi sono svegliata e quando ho guardato fuori dalla finestra tutto era bianco, un manto di purissima e immacolata neve copriva ogni cosa, i tetti, gli alberi, le strade… tutto era perfettamente bianco, come un manto che aveva cancellato quello che era stato e dava speranza per quello che avrebbe potuto essere…” credo di essermi persa, ma non oso interromperla “…l’atmosfera sembrava ovattata, soffice, quasi calda nonostante il freddo gelo del tempo . Il problema di abitare in un luogo freddo è che si sviluppano due tipi di persone: le persone neve e le persone ghiaccio. Le prime si sentono scaldate dalla bellezza, giocano a palle di neve, riescono a non perdere il sorriso, chiacchierano e si trovano per bere cioccolata bollente, sono divertenti e luminose come la neve. Le altre invece lasciano che il gelo penetri nel cuore, diventando dure e fredde come il ghiaccio, sembrano perdere sensibilità tanto che ti chiedi se siano in grado di provare qualcosa, di voler bene alle altre persone…” una lacrima le riga una guancia e lo sguardo è perso nel vuoto, nei suoi occhi leggo ancora quel fondo di dolore, tristezza e rabbia che ho visto quando mi ha urlato di andarmene.

Avevo capito che la sua sofferenza era dovuta a qualcosa fuori dall’Arena, ora vorrei chiederle chi l’ha abbandonata, chi è la persona ghiaccio che ha descritto e che le ha spezzato il cuore, vorrei poterle dire che sono sua amica e che di me si può fidare, vorrei non essere nell’Arena per poterla invitare a casa mia al caldo, farle vedere il mare, farle conoscere mia sorella…

Niente di tutto ciò accadrà.

Lei non può essere mia amica, ma in questo momento la sento di doverle essere vicina, così cerco la sua mano e gliela stringo, stiamo così per un po’, finché la luce non inizia a diminuire e si sente un rumore.

Ma è un rumore che ci fa sorridere, è il suono di un paracadute.

Ci voltiamo e vediamo un paracadute arancione atterrare poco lontano: mi fiondo a recuperarlo, ci siamo riuscite, abbiamo ricevuto aiuto.

“Mags aprilo”
Non me lo faccio ripetere due volte.
Disinfettante, bende e filo da sutura. Mostro il contenuto a Keri.

“Niente ago”

“Cosa?”

“Non c’è l’ago per dare i punti”

Perché diamine non c’è? Qualcosa mi dice che c’è la firma di Kyran in uno scherzo del genere.
Sono fumate di rabbia.

“Iniziamo a disinfettare” posso fare solo questo grazie all'idiota del mio stratega. 

“Poi passalo anche sulle tue di ferite…”

E adesso che facciamo? Maledizione!
Abbiamo delle belle ferite lustre, ma siamo ancora messe come prima.

“Mags, non ti preoccupare, proseguiamo col piano, aspettiamo che si asciuga un po’ e poi la fascio”

Mugugno qualcosa, ma davvero non posso credere che quell’antipatico non ci abbia mandato l’ago! Perché sono certa che questa è opera sua.
Cioè si ricorda che so usare la cerbottana e me la procura nonostante sia inutile e non si ricorda di un ago? È assurdo. Che nervoso, per me lo fa apposta, perché mi è toccato uno stratega così…
Trattengo il fiato.

La cerbottana.

Io ho una cerbottana.

Io ho una cerbottana e due dozzine di dardi.

Dardi.

Due dozzine di dardi acuminati.

E all’improvviso sorrido.

“Keri abbiamo l’ago”

Mi guarda stranita e lievemente preoccupata dal mio sorriso.
Cerco nel mio zaino, ne prendo uno e glielo mostro.

Sorride anche lei.

Stacco la piccola coda piumata che è terribilmente pacchiana e capitolina, però la punta è sottile e affusolata, probabilmente di un metallo che non conosco, comunque un ago perfetto, altro che i dardi di legno che usavo a casa.

Lo passo nel disinfettante e prendo il filo da sutura. E adesso?

“Ehm Keri io non ho mai messo dei punti…”

“Non devi essere perfetta, basta che provi, senza anestesia non credo di riuscire a farlo da sola, cioè se non vuoi mi arrangio”

“Provo, però ti avviso che non sono capace di cucire”

Mi sorride fiduciosa e io sto per torturarla, certo il fine ultimo è aiutarla, però rimane il fatto che sarà doloroso. Ogni minuto che passa mi sento una persona sempre peggiore.

Se prima pensavo che tagliare brandelli di pelle fosse la cosa più difficile che avessi fatto, adesso di sicuro il primato spetta a mettere i punti di sutura al calar del sole a una persona sveglia e non anestetizzata.

Non so quanti punti ho messo, direi parecchi, i primi sulla scapola sono brutti e irregolari, ma man mano che scendono verso il gomito sono più sicuri e lineari, non sono poi così male. Guardo Keri che è pallida come un cadavere e ansima pesantemente, gli occhi sono lucidi e sento nelle orecchie ancora l’eco delle sue urla, mi allungo a prendere le bende e le impacchetto per bene il braccio.

“Keri, ho finito, adesso riposa un po’, va bene?”

Annuisce con un secco gesto del capo e si accuccia per terra troppo esausta per fare altro, poco dopo il suo respiro diventa regolare e io mi tranquillizzo.

Ormai è buio e parte l’inno di Capitol, mi arrampico per vedere i volti che mi tormenteranno quando chiuderò gli occhi, ma non posso farne a meno, devo essere certa che tra loro non ci sia Dave.

La ragazza de Sette e la ragazza del Dieci.

Il ragazzo del Sette è ancora in giro allora, l’abbiamo colpito alla cornucopia e la notte scorsa, ma a quanto pare sembra non voler arrendersi.
Sospiro, già dieci caduti in due giorni, praticamente ci stanno macellando, ma questa non è una cosa molto positiva, non vorremmo mai che i giochi finiscano troppo alla svelta. Poveri piccoli abitanti di Capital City senza i loro Giochi.

Quasi mi stupisco dell’acidità dei miei pensieri… e io che mi credevo una ragazza buona e positiva, sospiro di nuovo. La cosa che probabilmente potrebbe giovarci è che adesso ci saranno almeno due o tre giorni di quiete per permetterci di rimetterci in sesto e poter far durare di più i Giochi.

Prima di scendere dall’albero butto un altro sguardo al cielo, ma a differenza della volta scorsa non vedo nessuna stella ad illuminare l’oscurità e sento un altro tuono.

Mi rendo conto solo adesso che sono ore che continuo a sentire tuoni, ma di pioggia nemmeno l’ombra, che strano. Mi rendo conto che le piante non spuntano più all’acqua e il terreno sotto le enormi radici è verde e regolare, come l’area che circondava la cornucopia, che strano.

Non mi sento al sicuro, c’è qualcosa che non mi torna, decido di fare un giro nei dintorni per assicurami che non ci sia nessuno e che nessuno o niente abbia sentito le urla, saltando da un albero all’altro mi guardo intorno per trovare un bastone adatto per montare l’arpione, meglio essere pronti.

Fortunatamente poco dopo ne trovo uno adatto, lo raccolgo e decido di tornare da Keri, ancora vagamente preoccupata mi siedo e inizio a lavorare il bastone con il coltello per poi metterci la punta dell’arpione, mi sento più a mio agio con l’arpione in mano che con i coltelli, un’altra cosa che credevo di non poter pensare.

La luce del mattino arriva quasi troppo presto per i miei gusti, lasciandomi con troppe domande irrisolte, la più preoccupante delle quali è la sensazione che mi dà tenere in mano un’arma che so usare.

Sveglio Keri che mi sgrida per averla fatta dormire tutta la notte, ma pare aver riacquistato un po’ di colore e ne sono lieta.

“Dai proseguiamo”

“Non vuoi dormire?”

“No, non ho proprio sonno, quindi tanto vale muoverci, dobbiamo trovare acqua e cibo” e Dave, perché mi manca terribilmente.

“In questa enorme foresta da incubo non c’è nemmeno un animale”

“Già, me ne sono accorta, la cosa mi inquieta”

E ci mettiamo in marcia su quel terreno sempre più ripido e meno coperto da piante enormi.
Speriamo solo sia un buon segno.















































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Capitolo 13
*** Sola ***



Camminiamo praticamente per tutti i tre giorni seguenti, finché arriviamo a proseguire nuovamente poggiando i piedi sul terreno, il che è una grande conquista, le piante sono sempre enormi, ma più rade, la terra è soffice e leggermente melmosa, ma non si sprofonda anche se calcando forte coi piedi si sente un leggero risucchio, il che vuol dire che la superficie è umida.

L’acqua non può essere lontana ed è questo pensiero che ci sprona a continuare anche siamo a pezzi e al buio.

In questi giorni c’è stato un solo colpo di cannone per il ragazzo del Dodici, avevo previsto una certa quiete, è una strategia atta a rimetterci in forze prima di distruggerci, infatti non abbiamo trovato particolari ostacoli durante la salita, solo una specie di pianta pruriginosa che non è stata difficile da evitare, ma per il resto calma piatta, la cosa inquietante è sapere che ci sono altri dodici ragazzi là fuori pronti ad assalirmi.

In realtà dieci togliendo Dave e Keri, forse nove, ma di Aiden non so che pensare, non si può mai sapere.

“Ehi Doc sono a pezzi, ci fermiamo?”

“Ci puoi scommettere, non ce la faccio più, comunque devi smetterla di chiamarmi così”

“E perché? È vero che sei il mio dottore! Infatti la informo che credo di aver perso un polmone un paio di chilometri più giù, non è che me lo riattaccherebbe con altri fantastici punti?”

Non posso fare a meno di sghignazzare “Certo, ma dovrai andare a recuperartelo da sola bella mia”

“Che crudeltà” e mette su un broncio talmente teatrale da essere buffa.

“Dai accampiamoci che ho sonno”

“Ai suoi ordini Doc, allora il primo turno lo faccio io, ti sveglio tra un po’ per il cambio”

Ci arrampichiamo su un albero e chiudo gli occhi, sono stanchissima, assetata e affamata, ma non ho osato metter mano più di tanto alle scorte perché sembra davvero non esserci altro cibo in questo posto, né frutti, né animali, non oso pensare a cosa possa crescere in terra se nelle radici delle piante scorre sangue, bleah, mi viene la nausea al solo pensiero, quindi niente cena.

Ma al momento sono molto più preoccupata per l’acqua, quella ci serve e con urgenza, perché l’abbiamo finita già praticamente da un giorno e non possiamo resistere a lungo, colpa anche del tempo terribilmente torrido, infatti il cielo continua a essere coperto da nubi creando così una cappa afosa ancora peggiore che se ci fosse il sole e poi tutti quei tuoni logorano i nervi.

La cosa positiva invece è che Keri sembra riguadagnare forza, nonostante le privazioni di cibo e acqua, e stando sempre assieme iniziamo anche a entrare più in confidenza.

Mi accorgo che la sua compagnia mi piace, so di fare una cosa malsana e masochista, ma inizio a vederla come un’amica, inizio a fidarmi davvero, a fidarmi della ragazza del Due, se me lo avessero detto una settimana fa sarei scoppiata a ridere, ma adesso tutto è diverso, forse ero davvero un po’ prevenuta, perché il suo carattere è sagace e acuto in un modo diverso dal sarcasmo bonario di Dave o da quello pungente di Aiden, lei è divertente. “Tu vedi solo quello che vuoi vedere, non sono una persona terribile, sono le circostanze che sono terribili” ah adesso ci si mette anche la mia memoria a tirarmi dei brutti scherzi, proprio le parole di Aiden dovevano tornare a girarmi in testa, come se avere uno stratega sadico che ti guarda le spalle ed essere nell’Arena non fossero già una punizione sufficiente. Meglio cercare di dormire.



Quando apro gli occhi c’è chiaro.
Il primo pensiero coerente è: perché c’è chiaro?
Ma soprattutto perché mi sono svegliata senza che nessuno mi avesse chiamato?  Non dovevamo fare cambio di guardia? Mi volto per chiedere spiegazioni a Keri, ma trovo il vuoto.
Mi guardo intorno. Dov’è?
Ho un momento di panico. Puro panico.
Il mio cervello va in black out per almeno trenta secondi prima di tornare a ragionare coerentemente.
Ok, analizziamo la situazione: magari è andata a perlustrare la zona… ma non spiega il fatto che non mi abbia svegliato all’ora stabilita, quindi potrebbe essere stata attaccata… ma io avrei sentito, non dormo come Dave, magari ha trovato l’acqua, ma ancora non spiega perché mi ha lasciato qui…

Lasciato. Mi ha lasciato qui.  Da sola.
Teoria che trova conferma nel fatto che le sue cose non ci sono, né zaino né armi, niente segni di una lotta furiosa, niente di niente.
Sono sola.
Se ne è andata. Senza una parola.
Certo, non mi ha accoltellato nel sonno, ma chissà perché mi sento ugualmente ferita e fa male, sapevo sarebbe finita così, quello che non avevo previsto è la sensazione che provo, simile a come mi sono sentita quando ero nella saletta del Sindaco subito dopo la mietitura ad aspettare i miei cari, solo che invece che salirmi le lacrime mi sta montando la rabbia.
Magari anche lei iniziava a vedermi come un’amica e ha deciso di lasciarmi, ma non avrebbe dovuto piantarmi così, se voleva rompere l‘alleanza poteva dirmelo e avremmo preso due direzioni diverse, semplice, così invece sa di tradimento e non lo trovo affatto giusto.

Nuovo ordine del giorno: per prima cosa trovare l’acqua e poi andare alla ricerca di Keri per dirgliene quattro, perché se pensa che la lasci andare in giro bella felice dopo avermi mollata da sola su un albero si sbaglia di grosso, adesso che si è rimessa pensa di andarsene da Aiden per farmi fuori? Io mi fidavo e lei se ne è andata come se nulla fosse, superare insieme certe situazioni crea un legame o almeno così credevo. Bene, che vada per la sua strada, tanto la troverò e le farò capire che non è facile sbarazzarsi di me.

Quindi mi metto in marcia con tutta la mia determinazione, proseguo dritta anche se ormai la salita è finita e ora quello che si dipana di fronte a me è un prato umidiccio e pianeggiante costeggiato sempre dalle solite simpatiche piante gigantesche, isso zaino in spalla, coltello alla cintura e arpione ad impugnatura lunga in mano, in questo momento mi sento forte e tutto sommato sto bene, se si toglie lo strato di sporco che mi ricopre da capo a piedi, le gambe piene di croste doloranti, il fatto che non bevo da più di un giorno e ho fame.

Ok forse non sto così bene, ma potrei stare molto peggio, quindi non mi lamento. Devo trovare anche Dave, non posso più avere l’ansia di non averlo sott’occhio, se Keri si dirige alla velocità della luce da Aiden, io farò lo stesso con Dave, non è l’unica a poter contare sul proprio compagno di Distretto.

Sono così persa nei miei pensieri che non mi accorgo di quando il terreno sparisce improvvisamente da sotto i miei piedi, così che mi ritrovo a precipitare.

Spalsh

Grandioso, sono atterrata in una pozza di fango, l’impatto col suolo mi toglie il fiato, ma riesco a rimettermi in piedi, sgocciolando fango come il mostro della palude e con qualche ammaccatura, ma niente di serio. Però se c’è una pozza di fango ci deve essere anche dell’acqua, no? La cosa mi piace.

Mi guardo intorno, devo essere caduta di qualche metro da quello che pare un piccolo dirupo, almeno non sono finita in una trappola e nella caduta non ho perso coltello e zaino, ma ho mollato il mio arpione e non riesco a vedere dove sia finito, inizio ad andare in giro. Qualcosa non mi torna, ci sono erba, cespugli con strani fiorellini, foglie, la vegetazione sembra completamente differente , molto più verde, molto più viva.

Poi si sente. Chiaro e distinto. Un ronzio.

Ne cerco la fonte e infatti vedo che ci sono degli insetti verde brillante che svolazzano sopra la mia testa illuminati da una luce azzurrina, sono una buona presenza, perché se inizia a esserci vita, deve esserci assolutamente acqua e io la voglio trovare. Stupidamente mi metto a sorridere.

Grazie a chissà quale colpo di fortuna riesco a recuperare la mia arma e inizio ad avanzare, imboccando una direzione a caso, ma man mano che proseguo mi sento sempre peggio: inizia a farmi male la testa, vedo le cose fuori fuoco e ho come le vertigini.  Magari sono solo i sintomi della disidratazione, ma non mi sembra di ricordare che si manifestino così improvvisamente, nel giro di un paio di minuti, quindi o mi sta colpendo una sorta miopia fulminante o qualcosa non va.

Decisamente c’è qualcosa che non va quando le gambe mi cedono e mi accascio per terra con la testa che mi scoppia, è il ronzio, è fortissimo ed è dentro la mia testa.

Faccio fatica a respirare, mi sembra di avere degli spilli che tentano di sparami fuori dalla testa, vorrei urlare, ma non ce la faccio, sono come paralizzata, se tento di muovermi il dolore mi squarcia ancora di più e non posso sopportarlo, sono raggomitolata a terra, a occhi chiusi, sprofondata in un cespuglio, ma niente è peggio che essere completamente in balìa del dolore acuto e vibrante che si irradia dalla testa e fa urlare ogni parte del mio corpo, potrebbero infilzarmi diverse volte con una qualsiasi arma e me ne accorgerei a malapena.

Non riesco a respirare, figurarsi se riesco a pensare a come fare per risollevarmi da questa situazione: sono arrivata al capolinea, Mags tributo del Distretto Quattro dodicesimo caduto dei Noni Hunger Games.

E poi il buio.


Buio… dolore… nausea

Il cielo, il cielo azzurro mi sta guardando… poi altro buio… agonia… orrore…

Non si può avere un po’ di pace?

Ancora fitte alla testa…

Uno spasmo, poi due, tre, male ovunque.

Dolore…buio…foglie verdi sulla faccia…paura…morte

Morte, che sia così la morte?

Uno strano stato di incoscienza dolorosa? In cui non si riesce a controllare il proprio corpo?

Male…male ovunque…buio… verde…ancora buio

E poi finalmente silenzio.

E pace.



Allora è vero che il paradiso non esiste. Perché è ancora tutto scuro?
Poi il mondo lentamente torna a fuoco.
Sono sdraiata supina a terra, sto guardando uno squarcio di cielo nero e le verdi fronde degli alberi.

È notte.

Non sono morta.

Non è una riflessione particolarmente profonda ma sono stremata e mi sento debole, non so per quanto devo essere rimasta incosciente o semi incosciente, a spanne direi parecchio considerando che prima di stare male mi ero appena svegliata.

Ma cosa diamine è successo? Mi sento ancora indolenzita, come se mi avessero scardinato gli arti dal corpo, ma a parte la testa un po’ pesante, il dolore è quasi completamente sparito. Tento di mettermi a sedere e mi accorgo di non essere nello stesso punto di quando mi sono accasciata a terra, o per lo meno mi pare di non essere nello stesso punto, ma è assurdo perché non credo di essermi mossa, cioè almeno non di mia spontanea volontà.

Barcollando mi metto in piedi e noto che poco lontano ci sono quegli insettini verdi che ho visto al mattino, solo che sono tutti morti disseminati tra le foglie cadute sul terreno. È un pensiero assurdo ma mi domando se non sia stata colpa loro, mi avvicino cautamente, faccio per prendere il coltello alla cintura per toccarne uno, ma mi accorgo che non ho nessun coltello, fatto strano e assai sospetto.

Comunque raccolgo un legnetto e lo allungo verso l’insetto più vicino, sembra una coccinella, a parte il fatto che è verde ed è grande come il mio pollice, appena lo tocco col legnetto ne esce uno sbuffo di polvere, che a ben vedere mi pare azzurrina. Mi ricordo quando li ho visti svolazzare sopra la mia testa e mi sembravano illuminati da una luce particolare, quasi come se emanassero un alone azzurro. Sono un’idiota, quando mai gli animali normali emettono un alone? E poi stavano svolazzando sopra la mia testa. E io ho anche pensato che fossero una presenza positiva, sì, sono decisamente un’idiota.

Allungo un mano e mi tocco la sommità del capo e come volevasi dimostrare mi rimane altra polvere sulle dita che iniziano a bruciare appena.

Ho capito cosa mi ha causato la crisi, ma com’è che adesso sono lì stecchiti a terra?

E dove diamine è il mio coltello?

Devo accantonare per un momento questi interrogativi, per risolvere un problema ancora più urgente: trovare l’acqua, perché mi sento spossata, quindi decido di andare avanti, anche perché voglio mettere una cera distanza tra me e le coccinelle psicopatiche.

Ma proseguendo, cresce la sensazione di avere un paio di occhi sempre puntati addosso, così di tanto in tanto mi volto di scatto per cogliere di sorpresa qualcosa o qualcuno, ma non vedendo nulla mi sento solo stupida. E paranoica. Molto paranoica.

Mi metto a correre alla massima velocità consentitami dalla stanchezza che provo, perché so che ci deve essere una fonte d’acqua, ci sono il fango, gli insetti, la vegetazione è più verde… sento le lacrime pungermi gli occhi perché sto cercando di autoconvincermi di una cosa che non c’è. Sto per lasciarmi cadere per terra.

E poi all’improvviso compare davanti a me.
Alta, imponente, quasi minacciosa, terrificante e bellissima, piangerei se non fossi a corto di liquidi.
Una cascata.
Un laghetto al centro del quale c’è una cascata scrosciante, anche al buio si capisce che l’acqua è cristallina.

È così bello e perfetto che temo sia un’allucinazione o peggio che sia avvelenata, necessita un sopralluogo, quindi nascondo lo zaino sotto un cespuglio insieme agli stivali, appendo solo la mia borraccia tristemente vuota alla cintura e per buona misura tengo l’arpione in pugno. Mi avvicino cautamente alla riva, faccio rimbalzare qualche sasso sulla superficie e rimango a osservare i cerchi che si allargano sempre di più sull’acqua leggermente mossa dal precipitare della cascata, ma non sono mai stata una persona paziente: non resisto oltre ed entro fino alle caviglie, l’acqua è fresca e incredibilmente piacevole e cosa più importante è che risulta trasparente perché riesco a vedere i miei piedi, quindi magari sta volta riesco a evitare di guadagnare qualche animaletto da compagnia attaccato alle mie gambe.

Evidentemente non dovrei farlo, ma devo raggiungere la cascata, la scusa ufficiale è che è più sicuro raccogliere l’acqua da bere dalla cascata che dal lago, senza contare che posso contare sulla copertura offertami dal buio ed è un’operazione necessaria, la verità è che non vedo l’ora di lanciarmi in acqua.

Entro con calma, fino ai polpacci, pausa, non succede niente. Fino alla vita, pausa, non succede niente. Mi lego l’arpione all’avambraccio per avere le mani libere e fare questo piccolo gesto ha sapore di casa, ma non devo pensarci così senza ulteriori precauzioni mi lancio: i miei piedi si staccano dai ciottoli del fondo e divento senza peso, l’acqua inizia ad avvolgere ogni centimetro di pelle disponibile, prendo una boccata d’aria e mi immergo totalmente.

E resto lì, sott’acqua, ferma, rilassata, sto rinascendo e se non fosse che devo riprendere fiato me ne starei lì per sempre, non sento più male da nessuna parte, nemmeno il senso di spossatezza mi opprime più, ma non posso continuare a starmene con le mani in mano, ho qualche questione da portare a termine, così riemergo e con poche poderose bracciate arrivo ai piedi della cascata, proprio nel punto in cui si schianta nel laghetto ed è uno spettacolo bellissimo.

Prendo la borraccia e la metto direttamente sotto la cascata, appena piena cautamente faccio scivolare poche gocce lungo la gola e mi sembra di provare la sensazione migliore sulla faccia della terra. Continuo a bere e riempire quell’unico mezzo a mia disposizione per conservare l’acqua, ormai ho perso il conto di quanto ho bevuto, è possibile ubriacarsi di acqua? Perché mi sento leggermente euforica, anche in una situazione assurda come questa: sono nell’Arena, nel cuore della notte, seduta in riva a un lago, bagnata fradicia e appena ritornata dal mondo dei morti a causa di stupidissimi insetti dopo essere stata piantata in asso da quella che non solo credevo una mia alleata, ma anche mia amica.

Mi viene quasi da ridere per l’assurdità di tutto, ma mi sento forte, come se sentissi scorrere la vita dentro di me che mi urla di lottare per tenermela stretta, ho letto da qualche parte che nella vita non importa di essere forti, ma di sentirsi forti, di misurarsi almeno una volta, di trovarsi almeno una volta nella condizione umana più antica, soli davanti alla pietra cieca e sorda, senza altri aiuti che le proprie mani e la propria testa*. In questo momento sono io, sola, contro l’Arena, magari ho ricevuto qualche aiutino, ma nonostante tutto sono ancora qui, viva. E mi sento viva.

A questo punto tanto vale sistemarsi del tutto, mi sfilo maglietta e pantaloni e rimasta biancheria mi rilancio in acqua e sfrego con energia i miei luridi vestiti, tentando di eliminare qualsiasi traccia di fango e sangue, ora non rimane che sistemare i capelli, li sciolgo e guardo il pezzo di corda che ho in mano.

Casa. Sale. Persone a cui voglio bene.

Tutte cose a cui non posso permettermi di pensare in questo momento, come se tornare a nuotare non mi avesse portato alla mente pensieri sufficientemente dolorosi.

Quindi mi sciacquo velocemente i capelli e li rilego nella pratica coda alta, esco dall’acqua e stendo i vestiti su una roccia, il caldo dovrebbe asciugarli alla svelta, comunque non mi sento a disagio a starmene in biancheria, tanto è come se stessi girando in costume no? Non mi importa che la nazione intera mi stia a guardare, anzi che guardino pure, soprattutto le gambe martoriate, le braccia piene di escoriazioni, i lividi sulla schiena e le costole sporgenti, che guardino cosa stanno facendo, di cosa sono responsabili.

Recupero lo zaino e, mentre guardo sconsolata i miei vestiti che sono tornati di un bel arancione vivo, mangio qualcosa perché ho come l’impressione che presto mi serviranno energie. Devo decisamente mascherare quell’orribile arancione, la prima cosa che penso di fare è coprirli con delle foglie, ma col caldo che fa collasserei nel giro di poche ore, forse devo solo rassegnarmi ad aggirarmi per la foresta sembrando un capitolino al mercato del pesce, sbuffo, li raccolgo me li rinfilo, bevo ancora la mia deliziosa acqua e mi arrampico su un albero per riposare qualche ora anche se mi sento decisamente bene.



Quando la luce mi sveglia mi sento anche meglio di quando ho chiuso gli occhi, sento una fitta di nostalgia nel non vedere Keri accanto a me, ma mi faccio forza e scendo dall’albero, mi infilo gli stivali, bevo e impugnato l’arpione decido di esplorare i dintorni, tenendo come punto di riferimento il lago, perché non voglio rischiare di rimanere di nuovo senz’acqua. Devo comunque essere molto prudente , perché una zona con l’acqua è decisamente un punto delicato in quanto grande attrattiva anche per gli altri tributi.

Cammino senza una meta precisa, con tutti i sensi all’erta, ho sempre la sensazione di essere seguita e spiata, ma probabilmente come al solito è la mia ansia che mi tiene compagnia, perché guardandomi attorno non vedo la benché minima traccia di ulteriori presenze né tributi né animali, ma osservando attentamente il suolo sembrano esserci delle impronte di stivali.
La scelta giusta sarebbe continuare nella direzione opposta, ma io non sono una persona normale e decido di ignorare quello che il mio buon senso mi sta gridando, così mi metto a seguire quelle labili tacce tra erba e fango. Se devo incontrare un tributo preferisco farlo ora, quando ho riposato, mangiato e bevuto.


Sbuffo, deve essere tardo pomeriggio ormai, ho buttato un intero giorno a seguire tracce che non portano a nulla invece che fare qualcosa di sensato come trovare del cibo, ma quando sto per voltarmi e ritornare sui miei passi per andare alla cascata sento delle voci.

Avanzo cautamente finché sbuco in un piccolo spiazzo in cui mi trovo davanti una scena che non avrei mai voluto vedere: la ragazza del Cinque e Keri pestate a sangue e legate alle radici di un albero e accanto a loro due figure ghignanti che mi fissano.

“Ciao Quattro, ti stavamo aspettando” il sangue mi si cristallizza nelle vene.

Mannaia e il ragazzo del Sette armati fino ai denti.

Oh merda.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
*“Ho letto da qualche parte che nella vita importa non già di essere forti, ma di sentirsi forti. Di essersi misurati almeno una volta, di essersi trovati almeno una volta nella condizione umana più antica, soli davanti alla pietra cieca e sorda, senza altri aiuti che le proprie mani, e la propria testa”
Citazione di Primo Levi tratta dal film ‘Into The Wild’




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Capitolo 14
*** Prima volta ***


 
Calma.

Calma.

Calma.

Respira.

Non mostrare panico.

Rilassa la posa.

Respira.

Non guardare le ragazze legate che ti fissano.

Recita.

Recita bene e sarai salva.

“Ciao”

I due ragazzi rimangono spiazzati.

“Che c’è pensavate fossi muta?” tento un sorriso stiracchiato che deve apparire più come una smorfia.

“Ah che caratterino” Mannaia sogghigna in maniera inquietante.

Il ragazzo del Sette assottiglia lo sguardo “Tu sei la ragazzina che mi ha lanciato il coltello e che ha ucciso la mia compagna di Distretto”

“Però che spirito di osservazione” ok, tecnicamente non l’ho proprio uccisa io, però…

Il ragazzo del Sette fa per scagliarsi contro di me, ma Mannaia lo trattiene.

“Kyle che fai? Lasciami e le stacco la testa” la sua voce è un ringhio.

“No, mi piace. E poi se è riuscita a quasi staccarti un braccio con un coltello è brava”

In effetti devo avergli fatto parecchio male perché ha un braccio avvolto nelle liane e considerando che è il braccio con cui manovra l’ascia a doppia lama deve detestarmi davvero parecchio.

“Non mi ha staccato il braccio, mi ha colpito a malapena…” mi guadagno un’occhiata furente e risentita.

Ok, nuova strategia: far leva su Mannaia, perché evidentemente il ragazzo del Sette mi odia.

“Oh peccato, se vuoi ci possiamo riprovare, magari questa volta riesco a strappartelo davvero…”sputo con astio e appena pronunciate queste parole mi rendo conto che stuzzicarli non è una mossa particolarmente geniale, ma non riesco a tenere a freno la lingua, soprattutto vedendo come hanno ridotto Keri e l’altra ragazza, ok, ammetto che un po’ me le cerco, ma davvero non ci credo che abbiano catturato due altri tributi!
Entrambi mi guardano a occhi sgranati, solo che uno sghignazza e uno sta cercando di farmi fuori col la forza dello sguardo.

“Ehi Quattro ti propongo un patto…” mmm Mannaia che propone patti?

“Dimmi pure” tento un altro sorriso.

“Uccidi quelle due e unisciti a noi”

Ahia. Questo potrebbe essere un eventuale problema, ma appena apro bocca, mi accorgo che l'urlo di indignazione non è il mio.

“Cosa?!?” ah interessante piega della situazione, evidentemente qualcuno non è d’accordo.

“Ethan piantala, non dirmi che non ne vedi le potenzialità”

“È una ragazzina!” mi sento quasi offesa.

“Ti ha quasi fatto fuori due volte, ha già ucciso almeno un tributo e ha preso undici alle Sessioni Private, guardala, ha a malapena qualche graffio… mentre io e te…”

“Zitto!”

“Zitto?!?!?! Non osare Sette! Riesco a staccarti la testa in meno di tre secondi”

“Si certo come no!”

Quindi devono essere messi piuttosto male… la cosa non può che giovarmi. Quando finalmente distolgono lo sguardo da me per insultarsi come due idioti, scatto. Aiutata dalla luce calante, mi infilo con una rapidità inaudita tra gli alberi e mi arrampico sul primo che mi capita, Mannaia pesa tre volte me e il ragazzo del Sette è stato ferito alla gamba alla cornucopia e al braccio, direi che non sono in grado di sopportare una scalata. Che errore da principianti, da Mannaia me lo sarei aspettata, ma da Ethan no, mai distogliere lo sguardo dalla preda. Mentre mi arrampico sempre più in alto inorridisco un momento per il filo dei miei pensieri, prima di tutto ho chiamato il tributo del Sette 'Ethan' e poi mi sono autoconsiderata una preda, mi sale un brivido.

“L’hai fatta scappare!” parole urlate con tanta foga che le percepisco alla perfezione.

“Io!?!?! Sei stato tu!”

“Vai a cercarla!”

“Vacci tu! Sei tu che la vuoi come alleata!”

Che bella coppia quei due, se non fossero crudeli, violenti e pronti a farmi fuori, li troverei buffi. Forse.

“Quattro torna qui!” si certo, come no, chiamami come un cane, se si mette a fischiare giuro che gli lancio l’arpione.

“Si Quattro, se non torni da noi facciamo fuori le tue amichette” è possibile odiare una persona tanto da volerla uccidere? Perché inizio a sentirmi terribilmente frustrata dal ragazzo del Sette, non può davvero far leva sul mio senso di umanità! E mi rendo conto che non posso scappare, devo aiutare le ragazze legate, non mi importa che con la ragazza de Cinque non ho mai parlato o che Keri mi abbia lasciata. Non posso lasciarle con il tributo del Sette, mi fa paura il solo pensiero e loro lo sanno, non so come nè perché, ma hanno capito come ragiono, uno a zero per loro.

Ragazzo che tra l’altro sta passando sotto al mio albero, mi basterebbe allentare la presa dall’arpione e lasciarlo cadere, nemmeno devo lanciarlo con forza o prendere la mira: è esattamente sotto di me, devo allungare il braccio e aprire le dita. Tutto qui.

Allungo il braccio.

Devo solo aprire le dita.

Mags apri le dita e allenta quella maledetta presa.

La differenza tra vivere e morire sta nelle mie dita.
La differenza tra uccidere e essere uccisa.
La differenza tra essere un’assassina e essere un caduto.

Non voglio uccidere.
Non voglio morire.
Non voglio vivere con me stessa sapendo di aver colpito un nemico alle spalle.

Mi viene da vomitare. Tiro indietro il braccio.

L’ho già detto che sono un’idiota?

Inizio a scendere dall’albero.

Idiota due volte.

“Mi stai seccando! Adesso vieni fuori, non puoi nasconderti per sempre. So che sei qui nascosta da qualche parte, altrimenti ti avremmo sentito correre…”

“Ethan io torno dalle prigioniere, se le faccio fuori, magari facciamo uscire Quattro allo scoperto”

“Magari falle urlare…”

Fingi di non aver sentito. Mantieni la calma, si stanno dividendo.

Devo essere rapida, liberare le ragazze e eclissarmi nel bosco alla velocità della luce, hanno capito che non sono il genere di persona che abbandona chi è in difficoltà e lo stanno usando contro di me. Maledizione!

Non sono pronta, ma preso un respiro cerco di tornare nella piccola radura, resto in ombra e osservo Mannaia mettersi davanti alle due ragazze, di spalle, impugnando la spada, non capisco, è convinto forse che io sbuchi di fronte a lui? Diciamo che non è il genio della strategia, ma questo gioca a mio favore: ignorando le imprecazioni del ragazzo del Sette aggiro la radura restando tra gli alberi, cercando di non fare rumore e quasi trattenendo il fiato. Ogni due passi mi fermo per sentire se qualcuno o qualcosa si sta avvicinando, c'è un silenzio troppo profondo, non va bene, se non fanno rumore non posso capire dove sono gli altri, ormai sono quasi alle spalle di Mannaia, scivolo il più silenziosamente verso l’albero dove ci sono le ragazze legate, per un momento mi è parso di vedere un'ombra dietro di me, quindi mi accovaccio a terra e inizio a tagliare le funi che le legano rimanendo il più possibile nascosta. Mannaia sembra non accorgersene, ma la ragazza del Cinque mi fissa con l’occhio non tumefatto e guarda cosa sto facendo senza emettere un suono, ma mi accorgo che Keri è priva di sensi o almeno ci conto, dal momento che non c’è stato nessun colpo di cannone.

“È tornata indietro!”

Fortuna finita. Beccata.

Mannaia di volta di scatto e vede la ragazza del Cinque, ormai libera, scattare in piedi e zoppicare nel bosco, mentre Keri si affloscia a terra.

Maledizione.

Mannaia ringhia e roteando una spada dalla lama sottile, lunga e squadrata* si avvicina minaccioso, nel giro di mezzo secondo mi passano per la testa una serie di improperi coloriti, soprattutto quando sbuca anche il ragazzo del Sette. 

Ok, calma.

Cosa faccio adesso?
Di scappare non se ne parla, come faccio con Keri? Quindi opto per l’unica cosa possibile: prendere tempo per pensare.

Mi appoggio all’albero a cui erano legate le ragazze con cipiglio sicuro, o per lo meno lo spero, e posa rilassata “Uno, Sette, vi stavo aspettando” ripeto le parole che mi hanno rivolto appena arrivata e loro si fermano di botto. Li ho presi in contropiede, ringrazio qualsiasi cosa vegli su di me per il fatto di aver parlato con voce ferma e non con un piagnucolio isterico.
Questo decisamente non è da me, ma loro non mi conoscono, magari se la bevono, cioè anche se hanno capito che non avrei abbandonato le ragazze in difficoltà, magari posso confonderli un po', la confusione potrebbe farmi guadagnare tempo.

“Che cazzo hai fatto?” il tono gelido del ragazzo del Sette mi fa venire i brividi.

“Ho lasciato andare le mie ‘amichette’, non è questo che dovevo fare? Non è per questo che erano qui? Non è per questo che io sono qui?”

“Ti avevo detto di ucciderle!”

“Ops devo aver frainteso”

“Hai appena firmato la condanna a morte”

“Sì, la vostra!” spero non si accorgano che sono tutte minacce a vuoto.

“Ah molto spiritosa, noi siamo due, più grandi, più forti e più furbi, come credi di cavartela?”

Ricominciano ad avanzare lentamente, uno roteando la spada, l’altro con l’ascia a doppia lama, armi troppo pesanti o grosse per essere lanciate, quindi devono avvicinarsi per colpirmi. Ciò significa che devono prima prendermi. Nuovo piano: farli arrabbiare per bene, in modo che scattino entrambi all'inseguimento facendoli dimenticare di Keri.

“Ho i miei dubbi sul ‘più furbi’" rido con fare sprezzante, caspita che ottima attrice che sono "Per non parlare del più forti! Cioè ma vi siete visti? i gattini di mia zia mettono più paura! Però sostanzialmente voi siete due e io sono sola, però io sono piccola, magra e veloce” mi volto di scatto e inizio a correre, pensando che alla zia sarebbero tanto piaciuti dei gattini, magari meno aggressivi di questi due.

Sento un insulto e un gran trambusto, si sono lanciati all’inseguimento, anche se con parecchi secondi di ritardo, devo averli spiazzati per bene.
Piano riuscito.
Falla del piano: come diamine li semino?
Perché mi ficco sempre in situazioni come questa?

Maledizione, maledizione, maledizione!

L’ideale sarebbe tornare al lago e lanciarmici dentro, dal momento che dubito che gli altri tributi sappiano nuotare, ma di sicuro non posso correre per un giorno intero per tornare là, senza contare che inizia a esserci buio.
Opzione uno: li devo affrontare. Non ce la farò mai.
Opzione due: corro finché non svengo io o svengono loro. Non ce la farò mai.
Maledizione.

Affidiamoci alla sorte, o la va o la spacca. Mi fermo, non tento nemmeno di salire su un albero, mi raggiungerebbero prima di essere arrivata a un’altezza sufficiente per essere al sicuro.
Mi raggiungono pochi secondi dopo col fiatone.

“Hai finito di scappare?”

“Ti arrendi alla nostra manifesta superiorità?”

“Si certo, manifesta superiorità” sono io a sghignazzare adesso.

“Ah ti credi tanto furba? Sei una povera piccola idiota che rischia la pelle per delle perfette sconosciute che alla prima occasione ti taglieranno la gola”

“No, non è vero!” la vana speranza di una povera folle.

“Come? Non è vero che sei stata abbandonata dalla tua amichetta?” il suo tono è strafottente e crudele.

“Io non…” poi sono come folgorata “Tu come fai a saperlo?” sputo le parole come fossero acido e fulmino il ragazzo del Sette con lo sguardo.
In compenso lui sogghigna in maniera tanto perfida che mi sale il sangue al cervello, pensa di avermi in pugno perché inizia ad avvicinarsi e solleva l’ascia col braccio sano per vibrare il colpo.

È troppo vicino e sento la paura pompata in ogni punto del corpo insieme al sangue e in questo esatto momento non penso, non ho bisogno di pensare, ho già preso la mia decisione: il braccio si muove da solo, un affondo netto e sicuro, e all’improvviso mi ritrovo a fissare le mie mani. Vuote.
Quando alzo lo sguardo un viso è a pochi centimetri dal mio, incontro due occhi neri, sgranati dalla sorpresa e dall’orrore, il ghigno irriverente sostituito da un’espressione di ribrezzo, da un’espressione di accusa.

Cosa ho fatto?

C O S A H O F A T T O ?

Premo le mani sulla bocca per sopprimere l’urlo di disgusto che provo per me stessa e orripilata osservo la scena che sembra svolgersi al rallentatore così che si possa imprimere a fuoco nelle mie retine, nel mio cervello e nel mio cuore: il ragazzo del Sette, Ethan, boccheggia, perde la presa della sua arma e cade in ginocchio, alza le mani per portarsele al petto dove il mio arpione lo ha trapassato da parte a parte, cerca di estrarlo, ma non sa e non può sapere che l’arpione è fatto in modo da agganciarsi e non essere strappato facilmente. È spacciato. Lo capisce anche lui, perché si volta e allunga una mano lorda di sangue verso Mannaia come in cerca di aiuto, ma l’altro ragazzo sta guardando me, me che ormai sono disarmata e vulnerabile, sta evidentemente valutando se fare i tre passi che ci separano e mozzarmi la testa.

Io fisso il ragazzo del Sette. Il ragazzo del Sette fissa Mannaia. Mannaia fissa me.

Quando gli occhi neri tornano a fissarsi nei miei sono vacui.

E poi cade a terra. Morto.

Bum.

Crack. Qualcosa dentro di me si è rotto per sempre.

E inizio a piangere.

E a tremare.

Mi sento smarrita e sconfitta, mi sembra di perdere il contatto con la realtà.

Tutto si fa appannato e iniziano a ronzarmi le orecchie.

Con tutta la forza che mi rimane faccio i tre passi che mi separano dall’altro tributo.

Lui mi guarda e non dice niente, mi guarda e non mi colpisce, sta cercando di capire cosa succede.

Cado sulle ginocchia di fronte a lui.

Resa. Rotta. Persa.

È la fine. Voglio che lo sia.

Non voglio vivere per ricordare lo sguardo del ragazzo che ho ucciso.

Non voglio uscire dall’Arena perché non sarei più la stessa persona.

Una parte di me è morta quando il buio è calato su quegli occhi neri, profondi e crudeli, ma che forse avrebbero potuto essere redenti.

Guardo Mannaia dal basso verso l’alto, sta alzando la spada che si staglia netta, lunga e scintillante contro il cielo ormai buio. Dico addio alla luce guardando le stelle, chiudo gli occhi e prendo il mio ultimo respiro.

Bum.


















Ecco il colpo di cannone, sono m… aspetta un attimo.

Apro gli occhi. Guardo il mio corpo, sono viva? Che diamine è successo?

In un secondo mi accorgo che Mannaia è di fronte a me, a terra con la gola squarciata, un fiume di sangue lo circonda e arriva fino alle mie mani che stringono spasmodicamente l’erba del terreno.

Sono ancora in ginocchio a guardare la figura a terra, quando sollevando lo sguardo mi accorgo che qualcuno rimane in piedi.

Qualcuno era dietro Mannaia e gli ha tagliato la gola.

Keri?Dave?Il ragazzo del Sette redivivo?Lo spirito dell’Arena?Un ibrido?

Fisso quell’ombra scura come se fosse fatta di fumo, ma è effettivamente reale perché la figura ha in mano un coltello da cui stilla sangue e mi sta sorridendo. E quel sorriso sbieco e irritante lo riconosco.

“So di essere bellissimo, smettila di fissarmi e soprattutto smetti di fare la martire, alzati che dobbiamo andarcene”

Forse ho le allucinazioni, Aiden?

Quando non reagisco, si accuccia vicino a me e si accorge delle lacrime e del tremito, mi afferra per le spalle.

“Mags? Mags che succede? Sono intervenuto troppo tardi? Sei ferita?”

Non riesco a rispondergli. Il mio cervello non connette, il mio corpo non risponde.
Mi dà uno scossone.

“Mags! Mags che hai?!” un altro scossone e la sua voce rimbalza a vuoto nella mia testa.

I suoi occhi azzurri mi fissano preoccupati. Occhi azzurri, azzurro cielo.
Lui parla, ma non riesco a capire le sue parole, riesco solo a guardare i suoi occhi azzurri, così vivi, così determinati.
E poi arriva la consapevolezza di aver capito, come un flash rimetto insieme i pezzi: quando stavo male per gli insetti, mi sembrava che il cielo mi guardasse. Non era il cielo, erano occhi color del cielo. I suoi. La percezione di essere fissata, spiata, seguita costantemente. Ancora lui. Il mio coltello sparito è quello che adesso scintilla di sangue ancora fresco nella sua mano. Lui.

Perché? Perché? Perché?

“Mags dimmi qualcosa”

Ci provo, ma dalla mia bocca non esce nessun suono, credo di essere sotto shock.
Mi prende per le braccia e mi tira in piedi, ma le gambe non mi reggono e ripiombo a terra.

“Dio, non è il momento per crisi isteriche!” sbuffa.

Una persona normale si sarebbe preoccupata da morire, invece lui sbuffa e impreca, ma proprio questa reazione mi fa riprendere il contatto con ciò che mi circonda.
Inizio a regolare il respiro, la testa smette di essere annebbiata “Perché non mi uccidi? Perché non hai lasciato che lo facesse Mannaia?” la mia voce non sembra affatto la mia, è rotta, debole, sembra quella di un’anziana.

Aiden mi guarda storto per almeno un minuto intero, poi mi tira in piedi un’altra volta, questa volta riesco a rimanere in piedi.

“Siamo alleati…” ma non riesco a sentire altro perché la mia attenzione è attirata dalle mie mani: sono rosse e viscide.

Ho deliberatamente assassinato una persona.

L’orrore accantonato momentaneamente a causa dello shock torna a colpirmi tanto violento che mi viene la nausea.

“So cosa stai pensando, smettila, è stata autodifesa”

Alzo lo guardo.

“Tutto questo non è colpa tua, sei stata obbligata, non avevi scelta! No, non osare pensare che avresti potuto evitare di colpire, perché ti stavi solo difendendo. Pura auto difesa. Questo non fa di te una persona orribile, fa di te una persona umana, soggetta all’istinto più antico e fondamentale: la sopravvivenza. Tu non hai sfruttato due ragazze come trappola vivente, hai agito in maniera corretta, ti sembrerà strano ma è così, non hai colpito alle spalle, non hai usato trucchi, hai solo colto l’occasione, chiaro?”

Annuisco con un gesto del capo. Ma sono un’assassina, siamo degli assassini, non siamo giustificabili in nessun modo.

“Adesso guardali…” e indica i tributi a terra.  

È impazzito? Non voglio guardarli perché l’immagine che vedrò rimarrà per sempre nei miei peggiori incubi.

“Guardali!” urla e mi strattona per un braccio e io abbasso lo sguardo.

E sento esplodere qualcosa dentro di me, un senso di profonda ingiustizia, di orrore e di paura, che brucia e mi fa girare la testa. Ma il sentimento che arde più di tutti è l’odio, l’odio profondo che sento nascere per la Capitale che ci ha portato a tutto questo.

“Non è colpa tua, non è colpa mia, non è nemmeno colpa loro” e indica i ragazzi a terra “se ci fossimo incontrati fuori di qui, non ci saremmo mai attaccati. Ci hanno obbligato. Non è stata colpa loro e ne hanno comunque pagato i danni, non volevano essere cattivi, nessuno ritiene di essere cattivo, e pochi prendono decisioni che ritengono sbagliate. Una persona può non apprezzare la propria scelta, ma la sosterrà anche nelle peggiori delle circostanze, perché crede che sia la migliore possibile in quel momento(1)”

Sembra parlare più con se stesso che con me, non capisco dove vuole arrivare, ma una cosa l’ho capita: la colpa è della Capitale, la colpa è del presidente, perché quello che riesco a vedere è che sono solo due ragazzi. Noi tutti siamo solo dei ragazzi, non meritiamo niente di tutto questo.

Il senso di colpa per aver ucciso un altro essere umano si è lievemente attenuato, per far posto a quell’ingombrante sentimento che è l’odio.

E poi mi arriva un ceffone.

“AHIA!”

“Pensavo ti stesse per venire un altro attacco di panico!”

“E mi hai tirato uno schiaffo?!?!”

“E certo, è questo il miglior modo per far passare una crisi”

“Non mi stava per venire una crisi!”

“Disse la ragazza che si stava per farsi tagliare la testa si sua spontanea volontà…”

Apro la bocca e poi la richiudo di scatto. Colpita e affondata. Cosa posso dire? Ha ragione.
In quel momento volevo solo morire, solo dimenticare quello che ho fatto, quello che non sono in grado di sopportare. È facile sceglie di morire, piuttosto che vivere e sopportare il fardello delle proprie azioni, io ho scelto da vigliacca e me ne vergogno.

Aiden raccoglie da terra l’ascia, strappa dal ragazzo del Sette il mio arpione e inizia a camminare spedito, io lo seguo.

“Ehm non avrei dovuto dirlo…”

“Sono delle scuse?”

“Scordatelo”

“Sicuro?”

“Oh stai zitta, preferivo quando piagnucolavi”

“Ehi!”

“Comunque non ti azzardare mai più ad arrenderti, se ti senti sconfitta vincono loro, non lasciare che ti portino via anche te stessa… perché sei in grado di sopportare tutto questo”

“Perché mi dici questo? Perché mi aiuti?”

“Perché è giusto. È buona cosa ostacolare chi commette un'ingiustizia. Se non si riesce a fare questo, è buona cosa non commettere ingiustizie insieme a lui(2). Ma ho come un senso di déjà-vu… non abbiamo già affrontato questa conversazione?”

Ha di nuovo ragione, avevamo già affrontato il tema giustizia nella postazione in cui ti insegnano ad accendere il fuoco.

Questo ragazzo è esasperante. E arguto. E evidentemente fa discorsi contro la Capitale sebbene sia del Due, assurdo. Forse l’acqua che ho bevuto causa potenti allucinazioni. Oppure sono in una realtà parallela. O magari sono morta e devo scontare così i miei peccati, parlare per l'eternità con Aiden. Che orrore.

Però mi sento meno rotta dentro, Aiden ha la capacità incredibile di saper parlare alle persone, la cosa mi turba perché se volesse distruggermi gli basterebbero due parole e io crollerei come sabbia al sole.

“Hai ragione, anche sul fatto che mi sono arresa”

“Perché ti sei arresa?”

“Perché ho guardato la vita spegnersi in una persona a causa mia. Non dire che sono giustificabile, perché evidentemente ho colpito intenzionalmente”

“La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni(3)”

“Sei sicuro di avere diciassette anni? Certe volte sembri molto più vecchio…” sospiro tristemente.

“Mags, hai ucciso, intenzionalmente, l’Arena ti cambierà probabilmente in male. Ma devi accettare tutto ciò e andare avanti. Sempre”

Non sono sicura di potercela fare, non sono sicura di poter accettare il fatto di aver ucciso, posso avere anche tutte le attenuanti del mondo, ma la realtà dei fatti rimane questa.

Sospira lui questa volta “Sono certo che capirai, adesso andiamo da Keri”

“Intanto devi spiegarmi alcune cose…” mi guarda come chi è stato beccato con le mani nella marmellata.

Ah adesso le cose si fanno interessanti.





 
 
 
 



































*Mannaia è dotato di una bella e letale katana.

(1)Troppi problemi a questo mondo sono causati da uomini di indole nobile e mente annebbiata. Nessuno ritiene di essere cattivo, e pochi prendono decisioni che ritengono sbagliate. Una persona può non apprezzare la propria scelta, ma la sosterrà anche nelle peggiori delle circostanze, perché crede che sia la migliore possibile in quel momento.
Tratto da ‘Eldest’di Christopher Paolini

(2)È buona cosa ostacolare chi commette un'ingiustizia. Se non si riesce a fare questo, è buona cosa non commettere ingiustizie insieme a lui.
Tratto da ‘Frammenti’ di  Democrito, V-IV sec. a.c.

(3)La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Karl Marx



 

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Capitolo 15
*** Pioggia ***



“Cosa dovrei spiegarti?”

“Perché mi stavi seguendo”

“Non ti stavo seguendo, sono capitato nella radura al momento giusto” bugiardo per coerenza sempre e comunque.

“Mi credi tanto scema? Quello che hai appeso alla cintura è il mio coltello! Inizia a spiegare dall’inizio forza!” il mio tono non ammette repliche.

Mi guarda di sottecchi come se non sapesse chi ha davanti, come se non fosse lui quello con in mano un’ascia e un arpione, sono io la mina vagante.

“Come sei acida! Allora stavo seguendo Mannaia da un paio di giorni, finché non si è imbattuto in quell’idiota del Sette che era anche messo male, ma invece che scannarsi a vicenda si sono alleati, tutta colpa della lingua biforcuta di Sette, che sarebbe riuscito a vendere carbone al Distretto Dodici, comunque decido di allontanarmi, non volevo attaccarli in inferiorità numerica e non avevo alcun interesse nei loro confronti. Così su una strada presa per evitarli mi imbatto in qualche incauto tributo che invece che guardare dove poggia i piedi continua a borbottare come vecchio a cui hanno rubato il bastone, così che –come era prevedibile- ruzzola giù dalla strada…”

“Ah-ah molto divertente”

“…l’ho già detto che sei acida? Ecco, comunque, stavo dicendo, questo stolto tributo chissà per quale colpo di fortuna non si fa nulla e inizia a camminare bello tranquillo non riconoscendo il pericolo in agguato sopra la sua testa, così, quando viene colpito dalla terribile trappola tesagli dall’Arena, intervengo io, elimino quella grave minaccia e aiuto il tributo, senza farmi avanti a rivendicare il compenso che merito, proprio come un vero cavaliere. Così quando il tributo si riprende inizio a seguirlo e ammetto che non essersi svelato ha portato i suoi frutti, come essere condotto a una splendida fonte d’acqua…e…sai, la prossima volta chiederò a quel tributo se vuole strapparmi i vestiti di dosso per lavarmeli…” mi sorride ammiccante mentre cammina spedito.

“Smettila di fare il cretino! E vai avanti”

“Eh niente, poi hai visto le tracce nel fango e hai iniziato a seguirle, solo che non erano le tracce di Mannaia né dell’Idiota, perché erano troppo piccole, così ho capito che qualcosa non andava che c’era qualcun altro invischiato in questa situazione”

“Ma perché non ti sei semplicemente fatto vedere?”

“Sinceramente non lo so, il mio istinto mi diceva che sarebbe stata una buona idea tenersi nascosti e bisogna sempre seguire l’istinto quando è questione di vita o di morte e ha funzionato, no? Hanno creduto che fossi sola e di avere già praticamente vinto, hanno abbassato la guardia…”

“Si, il problema è che ho creduto anche io di essere sola e sconfitta e sono stati gli attimi peggiori che abbia mai vissuto, perché non sei intervenuto prima?” il mio sguardo è di accusa, ne sono consapevole, ma io ho fatto qualcosa da cui non si torna indietro, per cui non si può chiedere scusa, per cui non posso perdonare nemmeno me stessa, mentre lui stava accucciato dietro un albero?

“Non sapevo se fossi una brava attrice, dovevi avere davvero paura per far cadere in fallo quei due e comunque quando sei scappata credevo volessi seminarli, allontanarli da Keri, non credevo fossi tanto folle da attaccarli, pensa che nemmeno io ho osato, tu hai avuto il coraggio di affrontare una situazione disperata. Sei coraggiosa. Io invece sono rimasto alla radura da Keri che è messa piuttosto male, ma quando ho deciso di raggiungevi, tu avevi appena colpito Sette e credevo volessi colpire anche Mannaia quando ti sei avvicinata a lui. Ho capito che qualcosa non andava solo quando ti sei lasciata cadere a terra”

Sono arrabbiata, perché è intervenuto solo quando gli ha fatto comodo, perché ha sfruttato il mio panico per indebolire gli avversari “Potevi farti vedere! Potevamo ideare un piano assieme, potevamo…”

“Cosa? Potevamo cosa? Evitare di ucciderli? Lasciarli scappare? Diventare amici? Mags piantala! Devi accettare che sei nell’Arena! Perché non puoi semplicemente accettare il fatto che devi uccidere per difenderti? Nell’Arena non puoi salvare tutti, non hai la certezza nemmeno di salvare te stesso!” le sue parole sono crude, secche, sputate quasi con astio, ho fatto arrabbiare anche lui, fantastico. Ma i nostri punti di vista sono completamente divergenti, io non lo capisco, lui non mi capisce, io sono irritata, lui pure.

Provo la forte sensazione di volergli  tirare uno schiaffo e sento quasi un fastidio fisico a vederlo che cammina di fianco a me, mi va il sangue al cervello.

“È questo che dici a te stesso per dormire la notte eh? Come diamine fai a ‘accettare e basta’ una cosa del genere? Come? Perché una persona normale, una con un cuore non ce la fa” sono parole cattive.

“Si vede che sono una persona terribile, un mostro senza coscienza”

“A quanto pare sì” è la rabbia che parla.

Si ferma e mi fissa “Mors tua vita mea*”

Non so cosa abbia appena detto, ma non suona per nulla bene, ci guardiamo in cagnesco per quella che pare un’eternità e poi me lo ritrovo addosso.

Sono a terra, il suo corpo mi schiaccia, mi ha immobilizzato gambe e braccia, mi sento sprofondare nel fango freddo e vischioso, ma soprattutto sento la lama fredda e umida del coltello premuta contro la mia gola tanto forte che se dovessi deglutire mi taglierei di sicuro.

Qualcosa di viscido inizia a colarmi lungo il collo, non penso sia sangue mio, ma nemmeno lo escludo. Considerando la situazione non mi sento in ansia o preoccupata, sono ancora arrabbiata ed è assurdo, non tento di divincolarmi, guardo solo il suo volto, corrucciato dalla rabbia e percorso dalle poche luci della notte.

Si avvicina lentamente al mio volto e sento il respiro delle sue parole che si infrange direttamente sulle mie labbra “Cosa mi impedisce di tagliarti la gola qui e adesso?”

“Niente” non una nota di incertezza trapela dalla mia voce.

Silenzio.

Nessuno movimento, nessun respiro.

Buio.

Silenzio.  

Solo sguardi tanto intensi da bruciare e bucare la pelle, nei suoi si riesce quasi a leggervi la lotta che infuria nella sua testa tra ‘mi alzo’ e ‘le taglio la gola’.

Solo un silenzio tanto profondo da fare riecheggiare parole non dette e paure inespresse.

Solo un ragazzo.

Solo una ragazza.

Solo orrore.

“La compassione non fa vincere” che abbia visto compassione nei miei occhi come ho visto il dubbio nei suoi?

“Chi lo dice?”

“La mia lama sulla tua gola”

“E allora fallo” il mio tono di sfida lo fa vacillare per un secondo e proprio in quel secondo penso che sia davvero in grado di farlo, di far saettare quella lama fredda che sento premere sulla gola.

Però non succede, perché mi trovo d’un tratto libera, infatti si alza, mi volta le spalle e inizia a camminare.
Non ho capito niente di quel che è successo, non so se sono stata più vicina alla morte ora o con Mannaia, e sinceramente non mi importa, mi alzo e ricomincio anche io a camminare, mi vengono i brividi non so se per il fango che sento colarmi giù per la schiena o per altro.

Poco dopo siamo tornati alla radura, dove ancora riversa a terra giace Keri.

Quando mi avvicino mi accorgo che è sveglia, anche se evidentemente troppo debole per alzarsi, ha una ferita alla testa ricoperta da sangue ormai secco, per il resto non sembra avere ferite visibili, ma se nemmeno riesce a mettersi seduta, c’è qualcosa che non va. Così tento di sorriderle, cerco di sopprimere il ricordo di lei che mi ha voltato le spalle nel cuore della notte. Non ci riesco.

Rabbia.

“Aiden sei tornato…”
Poi mette a fuoco anche me e sgrana gli occhi “Mags? Che è successo? Mags sei coperta di fango e…sangue? Mio dio la tua gola, stai bene?”

Si sta davvero preoccupando per me? Perché io davvero non so più cosa pensare, come agire, di chi fidarmi…

Non riesco a dire niente.

“Aiden cos’è successo? Come vi siete trovati? Siete feriti?” non le ha raccontato nulla.

“Ci siamo occupati di un paio di …ehm…problemi, di cui non ti dovrai mai più preoccupare” il sorriso che fa è agghiacciante e io lo odio per questo, perché lui riesce ad accettare qualsiasi azione? Qualsiasi decisione? Non è giusto. Perché non perde il sarcasmo, l’acume e il sorriso? Dov’è il suo senso di colpa?

I miei pensieri sono un vortice confuso, senza capo né coda, senza senso né coerenza, penso a tutto e niente, so solo che sono pensieri guidati dalla paura e dalla rabbia, rabbia verso di lui e di lei.

E soprattutto verso me stessa.

E ho male dappertutto. E ho fame. E mi sento sola. Sola contro il mondo. Mi manca Dave.

Ci sono i tributi de Due e poi ci sono io.

Non c’è un noi.

E questo accresce il mio risentimento.

E mi detesto ancora di più perché mi sento una persona sempre più orribile.

Mi guardo i piedi “Perché lo hai fatto?”

La domanda sembra rivolta a entrambi e proprio per questo non riesco a rivolgere loro lo sguardo.

“Mags….Io…Senti, non…” la sua voce è flebile, sofferente, rotta, ma Keri sta tentando di darmi una risposta.

Aiden invece è un codardo. Sarà anche in grado di uccidere e stare in pace con se stesso, ma non è in grado di affrontare una situazione difficile, perché è complesso relazionarsi con qualcuno se non puoi tagliargli la gola a sangue freddo. Soprattutto se devi spiegare perché hai tentato di tagliare la gola a quel qualcuno.

Ma il punto non è questo.

“Mi hai volontariamente lasciato?”

“Sì”

“Nel cuore della notte?”

“Sì”

“Perché?”

“Perché secondo te?”

“Non avevi più bisogno di me…” queste parole bruciano nella mia gola coperta di sangue, tanto che credo sanguini anche interiormente, sento le lacrime pungermi gli occhi, ma non piangerò davanti a due nemici, mi hanno già visto sufficientemente debole.

“Doc sei un’idiota! Una emerita idiota! Come puoi pensare una cosa del genere? Per aver pensato questo nemmeno ti meriteresti una spiegazione”

Silenzio.

“Me ne sono andata perché mi sono affezionata diamine! E questi sono gli Hunger Games, non possiamo essere amiche”

Dio quanto avevo sperato in una risposta del genere, ma non so se posso fidarmi ancora. Non credo sopporterei un’altra pugnalata alle spalle.

“Come sei finita nelle mani di quei due?”

“Ok, basta. Questo stupido siparietto è durato a sufficienza, sei cieca o cosa? Non vedi che ha bisogno di cure? Di riposare? Smettila di tartassarla di domande” Aiden mi fissa come fossi una bambina troppo stupida per capire qualsiasi cosa. Questo mi manda di nuovo il sangue al cervello, io NON sono una bambina e NON sono stupida. Adesso sono io che scatto verso di lui, lo spintono e gli strappo il mio arpione dalle mani. Mentre è pietrificato per la mia reazione, faccio scivolare la lama sporca lungo la sua guancia, non premendo tanto da ferirlo, ma sufficiente da lasciargli una scia di sangue, ho i nervi a fior di pelle e non deve più avere l’ardire di provocarmi.

“Questo gioco si può fare in due” la mia voce è bassa e cerco di suonare minacciosa, ma non risulto proprio convincente.

Dopo il primo momento di sconcerto  una mano scatta a stritolarmi il polso costringendomi ad allontanare l’arma dal suo volto, mentre l’altra mi ghermisce l’altro braccio. Mi ritrovo di nuovo a una vicinanza spaventosa dal suo volto.

“Stai attenta, non si gioca col fuoco…” brividi.

“Ma al fuoco piace giocare” i suoi occhi sembrano quasi liquefarsi alle mie parole, in perfetto contrasto con il fuoco delle parole, due perfette pozze d’acqua in cui puoi benissimo annegare senza difficoltà. Si crea uno di quei silenzi tanto densi da poter essere affettato, uno di quei silenzi tanto cupi in cui si sentono urlare cose non dette, paura, morte, oppressione, dolore e io mi sento bruciare dai capelli alla punta dei piedi, non so se è il caldo dell’Arena o la rabbia, ma sento come se nelle vene mi scorresse lava incandescente.

“Ma che vi prende?” Keri tenta di sollevarsi, ma rovina a terra.

La situazione si spezza, mi libero dalla presa e mi accuccio vicino a Keri aiutandola a stendersi, i suoi occhi castani mi fissano sinceri e addolorati, ma il tarlo del dubbio mi rode ancora il cervello.

“Che ti hanno fatto?” Aiden anticipa la domanda che stavo per porre io.

“Pestaggio alla vecchia maniera direi, calci, pugni… non volevano uccidermi subito, stavano usando me e la ragazza del Cinque come trappola per Mags, perché avevano paura di lei, volevano toglierla di mezzo.”

Aiden digrigna i denti, io trattengo il fiato. È una cosa orribile, in genere ci si uccide subito, non ci si picchia come dei bruti, perché è inutile. Gli altri devono morire per farti vincere, a che scopo aumentare l’agonia degli altri picchiandoli? Questa non può definirsi strategia, è puro sadismo. E anche stupidità, come facevano ad avere paura di me?

“Adesso stai ferma” vado a recuperare lo zaino che avevo nascosto tra i cespugli e inizio a mettere in pratica le lezioni di medicina e primo soccorso, facendole di tanto in tanto qualche domanda.

È stata colpita alla testa dal manico dell’ascia di Sette, ma fortunatamente si è svegliata quindi forse non ha causato danni eccessivi,  inoltre da quello che capisco deve avere le costole incrinate, causate da calci poderosi e probabilmente ha una caviglia slogata, senza contare la serie di macchie violacee che iniziano a comparire sulla sua pelle.

Sono disgustata.

Disgustata da me stessa, dal fatto che inizio a non sentirmi più in colpa per quello che ho fatto.

Disgustata dai ragazzi che le hanno fatto questo.

Disinfetto la ferita superficiale, Aiden mi aiuta a steccarle la caviglia, le offro un po’ d’acqua, ma non c’è molto altro che posso fare, almeno non conoscendo l’entità dei danni interni.

“Riposati un po’” non può fare molto altro.

“Grazie Doc” non mi viene da ridere dal nomignolo, anzi adesso che la rabbia inizia a scemare, inizio a provare l’istinto di piangere, piangere disperatamente, per calmarmi la guardo finché il suo respiro non diventa regolare e quieto.

È ancora buio, in quel punto imprecisato della notte in cui tutto tace e se stai fermo a occhi chiusi senti di poter sparire, purtroppo io non ho questo privilegio, non posso semplicemente annullarmi nel buio, così fisso la figura che seduta  dall’altra parte del piccolo spiazzo ripulisce l’ascia, faccio qualche passo nella sua direzione, poi mi blocco quando solleva lo sguardo e mi coglie in pieno mentre lo fisso.

“Non sono stanco”

“Nemmeno io”.

Poi mi rendo conto che non voglio stare vicino a lui, non voglio vederlo, non voglio nemmeno sentirlo, faccio dietrofront e mi sistemo all’estremità opposta rispetto a lui, gli lancio un’occhiata prima di sedermi, c’è buio, ma mi sembra stia ridendo.
Che situazione assurda, mi lascio scivolare contro la solida corteccia di un albero, perché all’improvviso sento il bisogno di avere qualcosa di stabile contro cui poggiarmi, perché per il resto non mi rimane niente, assolutamente niente a cui aggrapparmi.

Vengo sopraffatta di nuovo da tutto quello che è successo, come un’ondata e provo un dolore quasi fisico che mi fa mancare il fiato. Tutto l’astio che provavo fino a poco fa sembra defluito dal mio corpo, lasciandosi dietro un grande vuoto e una grande stanchezza. Mi stringo forte le ginocchia al petto e vi affondo la testa, poi le lacrime iniziano a scorrere, non ne posso fare a meno, sono patetica, me ne rendo conto da sola, ma non riesco a controllarmi.

Patetica, patetica, patetica.

Come posso sopportare tutto questo? Il peso dell’Arena mi sta schiacciando, mi sta facendo cadere a pezzi, fisicamente e psicologicamente. Di questo passo non posso reggere ancora a lungo.
Mi sento una ragazzina, una spaurita ragazzina di quindici anni. Voglio tornare a casa. Voglio solo preoccuparmi di andare a scuola e a nuotare, di andare in giro coi miei amici e con mia sorella.

E invece non posso farlo.

In questo momento non mi sento in grado di fare niente.

E non faccio niente. Rimango accoccolata a terra e il tempo passa .

Poi sento un rumore, sollevo la testa dalle gambe e lui è in piedi di fronte a me, mentre il buio inizia a scemare e a schiarirsi.
Mi guarda, apre la bocca e la richiude senza aver emesso un solo suono.
Mi guarda. Lo guardo.

Riabbasso la testa, non ho voglia di stare a sentire niente.
Dopo un po’ alzo lo sguardo e vedo che è sparito, o meglio, è tornato dov’era prima, dall’altro lato dello spiazzo, tanto che forse mi sono immaginata tutto.

Rimango a tormentarmi sulla mia sanità mentale finché ormai la luce si irradia e penetra attraverso le nubi che continuano ad oscurare il sole, ormai il cielo coperto e i tuoni  sono una condizione costante, tanto che nemmeno ci faccio più caso.

Mi alzo svogliatamente da terra, cerco di ricompormi alla meglio, ma sono certa di avere occhi rossi e occhiaie non indifferenti, senza contare il fatto che sono ancora ricoperta di fango, bevo e mangio un paio di biscotti perché ho come la sensazione che il mio stomaco sia tanto vuoto che potrebbe benissimo iniziare a mangiarsi da solo e mi accorgo che mi sono rimaste pochissime scorte, urge trovare una fonte di cibo e al più presto, anche a Keri non avrebbe fatto male avere qualcosa nello stomaco per riprendersi. Forte della convinzione di avere un obiettivo mi metto lo zaino, raccolgo l’arpione e mi dirigo da Keri, o per lo meno tento di andare da lei, perché vengo intercettata.

“Cosa credi di fare?”

“Vado da Keri a discutere il piano del giorno”

“Tu non discuti proprio niente, meno che mai con lei in queste condizioni”

“Ah e immagino che me lo impedirai tu?”

“Ovviamente…  Non la lascerò in mezzo ai tuoi piani strampalati”

Digrigno i denti “Disse quello che mi ha sfruttato come una pedina”

Ah che bel modo di iniziare la mattinata.

“Se non ti piace come agisco puoi anche prendere e andare, grazie” mi sta forse cacciando? Come osa?

“Puoi pendere e andartene tu, che dici?”

“Lei è la mia compagna di Distretto, vattene a cercare il tuo!”

“Si, però sono io che l’ho tirata fuori dalle sabbie mobili alla cornucopia e sei stato tu a proporre un’alleanza o sbaglio? È già finita l’idea del ‘insieme siamo più forti, possiamo aiutarci, resistere all’Arena’ e tutto il resto?”

“Ma tu non collabori! Ti arrabbi, vuoi fare quello che vuoi e non pensi alle conseguenze!”

“COSA? Sei tu che mi fai arrabbiare, tu che vuoi fare quello che vuoi, tu che non pensi alle conseguenze!”

“Hai ragione, tu pensi troppo alle conseguenze, ti addossi tutto il peso del mondo, questo non fa di te una martire, fa di te un’idiota!”

“Certo, qui sono proprio io l’idiota… ma per piacere!”

“Se avete finito forse possiamo iniziare a decidere qualcosa, insieme” Keri è seduta, pallidissima, ma sveglia.

“Non volevo svegliarti, ma qualcuno non è in grado di controllare il proprio tono di voce” mi lancia un’occhiata eloquente, come se non potessi vederlo.

Faccio per rispondergli malamente, ma Keri è più rapida.

“Aiden, non preoccuparti, ho riposato, adesso è più importante decidere cosa fare”

“Io avrei una proposta”

“Oh questa è nuova”

“Aiden…” il diretto interessato sbuffa all’ammonimento della propria compagna di Distretto, ma tace.

Da persona matura quale sono mi limito a guardarlo con sufficienza prima di proseguire.

“Secondo me sarebbe buona cosa tornare al lago con la cascata, è una fonte d’acqua, è a solo un giorno di cammino, è una possibile fonte di cibo ed è una posizione privilegiata per controllare gli spostamenti degli altri. Si, insomma, potremmo stare li finché non ti sei rimessa e poi decidere come spostarci.”

“Mi sembra un buon piano” Keri sorride.

“A me no, l’acqua attira molti tributi, dovremmo stare sempre all’erta, è difficile nascondersi e Keri fa fatica a stare seduta, come pretendi che riesca a camminare un giorno intero?”

“Possiamo procedere con calma, siamo probabilmente il gruppo più numeroso presente nell’Arena, siamo armati… comunque se non ti sta bene, ascoltiamo la tua di proposta che sarà di sicuro migliore”

Silenzio.

“Ah che eloquente silenzio” ghigno trionfante e Aiden mi sta praticamente uccidendo con lo sguardo.

“Mags…” Keri ammonisce anche me, ma io continuo a ghignare.

“Che c’è? Ha detto per mezz’ora che sono un’incompetente! Lasciami gongolare un po’”

“Rimane comunque il fatto che ci sono parecchi rischi e problemi non indifferenti…”

“Vero, ma possono essere superati, possiamo farcela. Adesso dammi il coltello e aiuta Keri ad alzarsi”

“Ah adesso inizi anche a dare ordini?”

“Esattamente”

“Oh ma smettetela! Aiden fa come dice, Mags finisci di stuzzicarlo… Sembrate avere cinque anni, anzi peggio sembrate i miei nonni.”

Riluttante Aiden mi allunga il suo coltello, che in realtà sarebbe il mio, e mi allontano alla ricerca dell’ausilio che ci serve, appena torno vedo Keri in piedi appoggiata a Aiden, bianca come un cadavere, ma in piedi.

“Era ora eh”

Lo ignoro.

“Tieni, ti ho fatto queste, non sono il massimo, ma di sicuro aiutano. Comunque quando sei stanca ci fermiamo, cerca di non poggiare il piede altrimenti non guarisce più”

Le allungo due rami aggiustati alla maniera di stampelle.

Le prova e riesce a muoversi, anche se con difficoltà a causa delle altre contusioni e de terreno poco agevole, però meglio di niente.

“Grazie” ha gli occhi velati di lacrime, non so se per il dolore o per il fatto che la stiamo aiutando ad andare avanti.

“Bene adesso possiamo andare”

E accompagnati dal un tuono più rumoroso che abbia mai sentito ci mettiamo in marcia.

È circa mezzogiorno quando inizia a piovere.
Il problema è che non è pioggia.






 


 
 


 



 
 






*‘Mors tua, vita mea’= la tua morte è la mia vita. Ci può essere un solo vincitore: il fallimento di uno costituisce il successo di un altro. Mai frase fu più azzeccata per gli Hunger Games.

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Capitolo 16
*** Incubi ***



Piove.
Dopo giorni e giorni di tuoni e nuvole, piove.

Ma non è acqua quella che scende dalle pesanti nubi che coprono il cielo dell’Arena.
Sono spine.

Spine grosse come una falange del mio pollice, nere e affilate che si conficcano in qualsiasi superficie disponibile, la cosa terrorizzante sta nel fatto che non cadono come la pioggia, semplicemente dall’alto al basso, troppo facile così. Questa sottospecie di tempesta sembra muoversi anche in masse laterali, ad ondate, in modo da colpire benissimo qualsiasi punto del corpo.

“Mags muoviti! Non startene li impalata!”

Solo quando recepisco le parole sgarbate di Aiden mi rendo conto di essere ferma a fissare quella pioggia tanto strana quanto pericolosa e al tempo stesso spettacolare. Mi riscuoto davvero solo quando inizio a sentire le spine che mi penetrano nelle braccia, nelle gambe, e in quel momento scatto, raccatto dallo zaino la giacca termica e me la infilo, per avere un po’ più di riparo, alzo le braccia per proteggermi viso e testa e mi infilo nel folto della foresta dietro i ragazzi del Due per trovare una qualsiasi forma di protezione, ma a quanto pare la vegetazione non offre alcun aiuto contro la pioggia, anzi più ci addentriamo nel fitto e più sembra aumentare d’intensità.

I tuoni e gli scrosci sono sempre più volenti, sembra una tempesta in piena regola se non fosse che non c’è nemmeno una goccia d’acqua.

“Non riesco ad accelerare e le piante non sembrano creare nessuna copertura” Keri è evidentemente distrutta oltre che abbondantemente ferita.

“Me ne sono accorto anche io” Aiden strappa delle foglie e le usa per coprirsi almeno la testa, lo stesso facciamo io e Keri.

Solo allora ci accorgiamo che anche le piante vengono colpite dalle spine e dai solchi che rimangono nella corteccia, nelle foglie, nelle radici, inizia a stillare sangue. Così che addosso a noi piovono spine e anche gocce di sangue scuro e denso. Aiden è evidentemente sconvolto, gli occhi sgranati e il respiro appena accelerato, probabilmente non si era accorto della natura sanguigna delle piante come me e Keri.

“E adesso?” Keri sembra andare in panico.

Fortunatamente lo sconcerto di Aiden non dura a lungo “Proviamo a costruircelo noi un riparo, perché se dovessimo essere colpiti in testa o sul volto sarebbero guai seri, Keri siediti e cerca di non esporti troppo, Mags taglia le liane e le foglie più grosse, io con l’ascia mi occupo di rami e dei tronchi”

Non c’è bisogno di dire altro, non importa chi ha dato l’ordine, i battibecchi già dimenticati di fronte a una calamità maggiore, purtroppo l’operazione risulta più difficoltosa del previsto, soprattutto perché devo fare tutto con una mano sola, l’altra mi serve per coprirmi la testa e gli occhi. Tutto si complica ulteriormente quando inizia a colarmi sulla faccia il sangue dal mio braccio e dalle foglie che uso per ripararmi gli occhi.

Così mi intralcio da sola e basta, mollo le foglie da sopra la mia testa e uso entrambe le mani per raccogliere liane e foglie, cercando di essere più veloce possibile.  Fatto ciò torno dove c’è Keri lanciando un gemito quando una spina mi entra nella guancia.

“Mags, tutto bene?”

“Si, tu?”

“Si, dov’è Aiden?”

“Non è ancora tornato?”

“No, però mi è venuto in mente che nel mio zaino c’è un telo impermeabile, possiamo usarlo come tetto”

“Ottima idea!” afferro il suo zaino e glielo lancio “Inizia a tirarlo fuori, vado a vedere dov’è Aiden e se gli serve una mano”

Mi fiondo nella direzione in cui mi pareva di averlo visto.

“Aiden!” il mio grido viene coperto da un tuono fragoroso.

“Aiden!” altro tuono.

Ci riprovo almeno una mezza dozzina di volte.
Ora la domanda è: perché gli strateghi non vogliono farmi trovare Aiden?

Avanzo a caso, in quella pioggia nera, dura e implacabile che sta trasformando il verde della foresta in un rosso cupo, mi vengono i brividi e quando decido di tornare in dietro almeno per aiutare Keri, mi accorgo con orrore che non so più da che parte dirigermi.

Non riesco a distinguere in che punto mi trovo, né da dove sono arrivata.
Perfetto.

Sono sola, senza zaino, senza armi, sotto una pioggia di spine e senza avere idea di dove mi trovo.
Davvero perfetto.

Ormai la giacca cade letteralmente a brandelli lungo le mie braccia e quello che mi ritrovo a fissare è la mia pelle costellata da puntini neri accompagnati da sottili rivoletti di sangue, stranamente non sento male, qualcosa non va. Mi guardo le gambe. La pelle esposta tra la fine dei pantaloncini e l’inizio degli stivali si presenta allo stesso modo, le spine sono penetrate nella pelle, ma nemmeno si sentono, per assurdo provo più dolore nei punti scorticati ormai giorni fa appena entrata nell’Arena.

Non so cosa significhi, ma di sicuro non l’hanno fatto per farci un favore. Devo trovare un riparo. Un riparo qualsiasi va bene pur di sfuggire a questa specie di tormenta.

Tento di guardarmi attorno alla ricerca di qualsiasi sporgenza in grado di offrirmi riparo, ma con scarsi risultati, quindi faccio l’unica cosa possibile per ottenere una protezione: mi calo tra la fessura di due radici di un albero, le più grandi che riesco a vedere, e anche se mi ripugna abbastanza, mi accuccio e tento di incastrarmi li sotto. L’operazione è più complicata del previsto, le radici si sollevano da terra meno di quello che credevo quindi lo spazio è decisamente piccolo e il terreno su cui mi sto poggiando è viscido e dalla poca luce che filtra è di un colore inquietante, tanto che devo sopprimere un conato di vomito. Alla fine sono scomodissima, sporca da testa a piedi, ma più o meno sono al riparo. Mi consolo dicendomi che di sicuro è meglio che rimanere fuori sotto le spine, allo scoperto e disarmata.

In questo buco nero e angusto perdo la percezione del tempo, probabilmente anche a causa del fatto che almeno due o tre di volte mi addormento per poi risvegliarmi di soprassalto con gli arti che formicolano a causa della posizione scomoda. La stanchezza inizia a farsi opprimente, nemmeno ricordo l’ultima volta che ho dormito per più di un paio d’ore, ma ciò che inizia davvero a preoccuparmi è il cupo gorgoglio del mio stomaco ormai onnipresente, avvertimento che non posso resistere a lungo alla fame.

Senza sonno e senza cibo da troppo tempo, corro il rischio di accasciarmi a terra svenuta senza nemmeno accorgermene e da lì a essere uccisa senza la minima fatica il passo è breve.

Rimango a rimuginare al buio un altro po’, giusto per essere certa di lasciar passare quella pioggia anomala…


Mi alzo di colpo e sguscio fuori dalle radici in cui ho tentato di ripararmi, la prima cosa che noto è il sole caldo e abbagliante che mi scalda la pelle con un leggero formicolio. Chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo, l’aria sembra essere particolarmente fresca e profumata, ristoratrice per la mia mente annebbiata, ma non tanto per i miei polmoni, infatti sento come un groppo alla gola. Sgrano gli occhi e assorbo ogni più piccolo dettaglio del paesaggio che mi circonda: centinaia e centinaia di fiori, foglie svolazzanti sorrette e sospinte da caldi refoli di vento che mi accarezzano la pelle, colorati uccellini che svolazzano allegri in cerchi inconsistenti contro il cielo terso.

Ho come la sensazione che ci sia qualcosa che non va, ma tutto è troppo bello per preoccuparsi di qualsiasi altra cosa. Inizio a camminare sul prato pianeggiante guardandomi intorno estasiata dalla luminosità del posto. Solo che non avrebbe dovuto essere un prato pianeggiante o mi sbaglio?

Decisamente mi sbaglio, a casa il giardino è sempre pianeggiante. E io sono a casa giusto? Anche se manca il profumo di sale.
Continuo a camminare anche se non ricordo dove di preciso sto andando. E in effetti nemmeno da dove sono venuta.

Mi fermo. Cosa sto facendo?

Ma quei pensieri vengono stroncati sul nascere dalla vista di una casetta che fa capolino nel prato reso multicolore dai fiori. Mi avvio e busso delicatamente alla porta, mi apre una vecchina ingobbita con vaporosi capelli grigi e un dolce sorriso sulle labbra, mi ricorda vagamente qualcuno anche se non riesco a mettere a fuoco chi, mi apre la porta e mi invita a entrare senza dire una parola, mi prende la mano e mi porta in cucina dove la tavola è apparecchiata e ricca di ottimo cibo. La sua mano è grande esattamente come la mia, calda e rugosa, rassicurante e fragile allo stesso tempo, però questo contatto mi fa stare bene, mi sento in pace e mi lascio guidare fino alla sedia.

“Mangia con me” la sua voce è strana, non è calda come il suo sorriso, ma mi offre un cestino con del pane. E solo allora sento di star praticamente morendo di fame, la testa pulsa, mi fanno male le braccia e le gambe e ho il respiro affaticato, la pace di poco prima è completamente svanita. Mentre tendo una mano verso il pane, mi rendo conto che la vecchina è vestita di stracci, puliti, ma pur sempre stracci, non posso portarle via il pane.

Si accorge della mia titubanza.

“Non ti preoccupare, mangia… e poi…resta… resta con me” non riesco a capire cosa mi voglia dire, ma sento di nuovo una sensazione di calore e calma.

“Resta…” e mi offre di nuovo il cibo. Potrei fermarmi davvero, magari ad aiutarla con qualche lavoretto, in fondo me la so cavare, potrei esserle utile. Lei è così gentile con me, io potrei esserlo con lei. Sarebbe corretto.

“Resta…per sempre…” si, voglio restare, voglio aiutare e, forse, mi stavo dirigendo proprio qui.
Anzi di sicuro stavo venendo per portare aiuto.
Sorrido e sento la testa leggera.

“Resta, qui c’è cibo, protezione e indumenti caldi”

Sorrido e allungo nuovamente la mano verso il cestino dal profumo inebriante che mi viene offerto.

Si, è tutto quello che desidero, tutto quello di cui ho bisogno. Per un momento sento qualcosa pungermi la mente, come un ricordo che tenta di venire a galla, che tenta di farsi largo nella nebbia. Ma è un istante ed è già svanito, sono sola, la vecchina è sola. Io aiuto lei e lei me. Nient’altro.

Cibo. Un tetto. Vestiti caldi.  

Prendo un panino e sento il calore che emana arrivarmi fino al cuore, ma mentre sto per addentarlo, lo sguardo mi cade oltre il tavolo imbandito, sul riflesso visibile su un vetro di una finestra semi aperta.

Il vetro riflette la figura di una ragazza semi nuda.

Deve esserle successo qualcosa di orribile perché è solo un ammasso di ossa sporgenti, lividi, tagli, contusioni e una massa aggrovigliata di capelli di cui nemmeno si capisce il colore originale tanto è coperta di sporcizia da capo a piedi. Ma la cosa inquietante, che mi fa venire la pelle d’oca, sono gli occhi, grandi, sgranati, scuri, incavati su quel viso già scarno e cereo, due pozzi scuri che contrastano col pallore inquietante della pelle e risucchiano qualsiasi cosa, che non lasciano scampo e le conferiscono un’aria selvatica da folle omicida.

Torno a concentrarmi sul tavolo apparecchiato, in fondo quella poverina non è un mio problema, io starò per sempre con la vecchina e ci aiuteremo a vicenda. Credo che potrei intrecciare un cesto e mettere su una bancarella con le cose che quest’anziana signora cucina, perché tutto ha un aspetto davvero delizioso.

Se non fosse che mi rendo conto che ho guardato l’immagine in un vetro.
‘Il vetro riflette la figura di una ragazza semi nuda’ è stato il mio primo pensiero.

Riflette.

Abbasso lo sguardo, fissando inorridita quello che è il mio corpo. O quello che ne rimane.

I tagli, i lividi, le ossa sporgenti. Prima non ci avevo fatto caso, ma la mano che regge ancora il panino è ricoperta di terra e sangue. Con uno strillo lo lascio cadere a terra e lo fisso che rotola per la stanza.

Sono io la pazza alla finestra.

L’Arena. Io sono nell’Arena.

Questa è l’Arena.
Ne hanno costruita una anche nella mia mente.

Io non sono qui
fisicamente, perché ricordo la foresta.

In realtà non mi sono proprio ricordata, perché in fondo non me ne sono mai dimenticata davvero, solo che sembravano dettagli insignificanti, mentre adesso ho messo tutto di nuovo a fuoco.

Quello che vedo è tutto finto, finto, finto. Il prato, i fiori, la vecchietta, il cibo… Quello che è vero è la mia immagine, io mezza morta di fame, vedo e sento sotto le mie dita ogni osso, ogni ferita...
Rialzo lo sguardo e quel mondo luccicante, felice e privo di dolore sta cadendo a pezzi, più io acquisto lucidità più tutto si autodistrugge, il prato fuori dalla finestra è diventato nero e bruciato, il fumo che pervade l’aria inizia a penetrare nella stanza, si intravede solo il cielo plumbeo e la dolce signora che avevo davanti è sparita, al suo posto vedo un’altra figura.

Me stessa.

Ma una me stessa bellissima e al tempo stesso terribile: è esattamente il contrario di come sono, lei è vestita con una corazza lucida bronzea e un elmo da combattimento, impugno un tridente in una mano e un arpione a presa lunga nell’altra, io sono praticamente nuda. A lei i capelli scendono da sotto l’elmo lucidi e brillanti, le incorniciano un viso pieno e roseo, su cui campeggia un ghigno micidiale e uno sguardo sanguinario, io assomiglio più a un cadavere che a me stessa.

Se questo è tutto finto adesso mi devo svegliare no? Devo riprendermi dall’illusione.
Quindi quando la me stessa armata carica un colpo non mi muovo.

Enorme errore.

Il tridente saetta e mi squarcia il quadricipite destro, non riesco a trattenere un urlo di dolore e un conato di vomito. La gamba non regge il mio peso e mi affloscio a terra, iniziano a scendermi le lacrime dal dolore.

“Tu mi disgusti” la voce che riverbera nelle mie orecchie è fredda, calcolata, senza scrupoli “sei un essere pietoso, degna solo di strisciare come un verme”. Sputa e si avvicina finché vedo due sandali borchiati di bronzo esattamente di fronte a me “Credo che per essere un verme come si deve, non ti servano gli arti”

A queste parole sollevo la testa, cerco alzarmi e scappare, ma vengo spinta bruscamente a terra. Urlo. Lei mi si appoggia sopra di peso e mi blocca mani e gambe.

Il sottofondo alle mie urla è una risata glaciale, che ti regala una sensazione di freddo al cuore che fa male.

“Oh la piccola Mags crede che urlare o piangere servirà a qualcosa? Sei ancora più pietosa di quello che credevo” all’improvviso ha in mano un’ascia “dimmi, cosa preferisci perdere per prima? Una gamba? Una mano? Qualche dito del piede? Oh suvvia, non fare quella faccia e non ti preoccupare, non sono un mostro, non ho intenzione di amputarti i quattro arti in un colpo solo, sono favorevole a staccarti un pezzo per volta”

Le forze sembrano avermi abbandonato, anzi sembrano concentrate tutte per farmi sentire il dolore dell’armatura di metallo contro il mio quadricipite squarciato. Ero convinta che fosse tutto finto e invece tutto è orribilmente vero, perché sento il fumo della stanza che mi penetra nei polmoni e brucia, il peso di una me stessa sadica su di me e il dolore, un terribile dolore che non può essere altro che vero.

“Tu mi disgusti, sei patetica” un lampo bianco sull’acciaio e un dolore tanto intenso che mi si offusca la vista e smetto di respirare solo per urlare quanto mai in vita mia e singhiozzare inconsultamente, mi sembra di perdere il controllo del mio corpo, ho degli spasmi che mi fanno scattare le gambe e arcuare la schiena, mi mordo l’incavo della guancia e la lingua perché sento il sangue caldo colarmi lungo la gola. Tutto mi fa così terribilmente male che quasi mi sembra di esplodere, ma sfortunatamente non esplodo né perdo i sensi, sono cosciente e straziata dal dolore, vedo la me stessa che ho di fronte con la faccia schizzata di sangue, ma la cosa peggiore è vedere la bramosia con cui lecca via le gocce che le sono arrivate alle labbra. Urlo ancora di più e chiudo gli occhi.

“Quante storie per una mano, la sinistra per giunta, nemmeno fossi mancina…tsk. Sei debole e patetica. Sei un verme che merita solo di strisciare. Patetica”

Patetica, patetica, patetica, sento questa espressione come un eco nella mia testa, mentre le altre parole arrivano alle mie orecchie come da lontano, come se fossi rinchiusa in una bolla di dolore che filtra qualsiasi altra sensazione, udito compreso.

“Vedi di non morire, che dobbiamo divertirci un altro po’, sai i vermi sono anche ciechi, quindi presumo non ti servano nemmeno gli occhi…”

Tanto già tengo gli occhi chiusi, non sarà difficile abituarsi al buio.

Ma il dolore prolunga l’agonia, l’agonia è dolore, è un circolo vizioso, non c’è altra via d’uscita.

Ma io non sono qui. Non sono davvero qui.

Però il dolore c’è. Ed è una tortura.

È l’unica cosa che so, che sento.

Per uscire da quest’incubo devo morire.

Per risvegliarmi nell’Arena devo morire.*

Se non funzionasse almeno il dolore cesserebbe e io voglio che smetta.

Basta, basta, basta.

Apro gli occhi anche se mi costa fatica, ma ormai credo di essere assuefatta dal dolore, tanto che cerco di trarne forza invece che lasciarmi schiacciare, devo concentrarmi, devo vedere la lama che cala per spostarmici sotto al momento giusto.

“Oh guarda chi è tornato tra noi. Ottimo, voglio leggere nei tuoi occhi che hai imparato due lezioni fondamentali prima di diventare un inutile verme. Primo:
io sono il tuo peggior nemico” si avvicina al mio volto e mi ritrovo a fissare ansimante i suoi occhi che sebbene siano dello stesso colore dei miei, siano i miei, sono illuminati da una luce completamente diversa, folle e spietata, e quando apre la bocca l’alito sa quasi di morte e putrefazione e le parole lasciano sulla mia pelle una traccia di paura quasi fisica, “Secondo:  niente è più forte della morte”.

Ma lei e io, io e lei lo sappiamo, sappiamo cosa sta succedendo, io sono lei, lei è me, devo solo tenere le due parti in equilibrio.

È questo che ho capito. E non me lo dimenticherò.

Poi tutto succede alla svelta, lei scatta, si alza, solleva l’ascia e la fa saettare verso il mio avambraccio destro e in quel momento mi sposto esattamente sotto la lama.






Mi sollevo a sedere di scatto e respiro pesantemente come se fossi rimasta sott’acqua per un’eternità. Sono scossa da brividi e mi bruciano gli occhi, le mani mi tremano, soprattutto la sinistra, e mi sento esausta, stremata.

Mi rendo conto che non sono dove dovrei essere, non sono più nascosta sotto le radici, sono in superficie, seduta. Mi sorge il dubbio che ci sia qualche altro trucco, che potrebbe essere ancora tutto finto, probabilmente sono i postumi della violenza psicologica che ho subito, però mi domando come sia potuto succedere, cosa sia stato. Un incubo? Un avvelenamento? Di sicuro non è stato nulla di naturale.

Tento di alzarmi e dopo un paio di tentativi ci riesco, le gambe mi tremano e la coscia destra pulsa tremendamente, ma per il resto riesco a stare in piedi anche con la testa che gira.

Quando porto una mano al capo mi accorgo che sulle tempie, ai due lati, ho due ventose appiccicate, le stacco e guardo quei due dischetti di plastica gialla nel palmo della mano che emettono un lieve bip.

Adesso capisco perché non sono più nascosta nel mio buco, perché non mi sono svegliata quando ho capito che era un'illusione, capisco anche che tutti hanno visto quello che è successo, gli strateghi conoscono le mie paure più profonde, mi hanno manipolato, mi hanno stressato, mi hanno indotto al suicidio, mi hanno distrutto, ma involontariamente mi hanno anche ricostruito, mi hanno dato un’arma per vincere: conosco meglio me stessa, ho affrontato me stessa, mi ha ucciso e adesso l’ho accettato. L’ho accettata: la morte.

Getto a terra quelle ventose, porte che hanno permesso a tutti di vedere la mia anima nuda, le schiaccio con violenza sotto i miei stivali e inizio a mettere ordine in quel caos che rigira nella mia testa.

Prima di cadere nel limbo doloroso ero nascosta, nascosta per sfuggire alla pioggia di spine. Mi guardo le braccia, ho ancora numerose spine infilate sotto pelle, lo stesso vale per le gambe, che mi provocano un leggero prurito. La cosa strana è che partendo dai forellini delle spine sembra essersi formata una specie di rete viola sulla mia pelle, o meglio, sotto pelle, come se il mio sangue avesse cambiato colore o peggio come se qualcosa stesse circolando ancora dentro di me visibile sotto la cute.  Forse le spine erano davvero avvelenate, inizio a toglierle, aiutandomi anche con i denti.

Aiden. Keri.
Mi sento come folgorata. Devo tornare da loro.
Mentre cammino togliendomi le spine dalle braccia mi rendo conto di non provare dolore, non so se è perché effettivamente non fa male o se ho provato un dolore così acuto e logorante nella mia mente che adesso anche il mio corpo si sta adeguando. Perché è fuor di dubbio che io abbia provato davvero dolore, il tremito che non lascia nemmeno un istante la mia mano sinistra ne è la controprova.


Penso incessantemente alla casina della vecchia, se non mi fossi accorta che era un’illusione sarei rimasta lì per sempre? A vivere una vita-non-vita? A ingannare la mia mente un giorno dopo l’altro? Sarei stata in grado di vivere in un’Arena perenne? Se un tributo avesse ucciso il mio cormo mentre ero incosciente, quella semi realtà sarebbe diventata la vera realtà?

Quello che so è che la me stessa che ho incontrato era una proiezione della mia mente, mi ha detto cose che già pensavo, ha fatto leva sulla mia scarsa fiducia e autostima, gli strateghi non potevano saperlo, mi hanno usato come arma contro me stessa, niente di più letale e distruttivo, “Primo: io sono il tuo peggior nemico”, mi ha fatto capire che alla fine dovrò combattere con me stessa, che forse lo sto già facendo, anzi forse è proprio questo lo scopo dell’Arena, metterti di fronte alle parti peggiori di te stessa e obbligarti ad accettarle. Se non le accetti ti autodistruggi. Capisco quanto sono stata vicina all’autodistruzione.
“Secondo:  niente è più forte della morte”. Sbagliato: la speranza è più forte della morte**, sono riuscita ad accettare la morte perché speravo di uscirne, non mi importava di morire davvero o di risvegliarmi nell’Arena, speravo nella morte stessa, la speranza è l’ultima a morire.


Sono così immersa in questi ragionamenti che quasi non mi accorgo della figura stesa a terra.

Mi si blocca il respiro in gola e ne esce un rantolo, il mio cuore perde un colpo, la mano sinistra trena più violentemente.
È bianco come un cadavere, rigido e inerte a terra, con due ventose di plastica gialla contro le tempie e una rete violetta che sembra un ricamo sulla sua pelle. Stanno torturando anche lui.



Dave.







 
 
 
 
 
 

*Come molti di voi avranno capito c’è un riferimento a Inception, io amo quel film.
** ‘La speranza è più forte della morte’ cit. del presidente Snow nel film Hunger Games.


 

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Capitolo 17
*** Frantumi ***



Mi lancio verso quella figura esanime a terra come se ne dipendesse della mia vita, anche per accertarmi che non si tratti di un’illusione. Mi accascio al suo fianco.

“Dave, Dave svegliati” inizio a scuoterlo bruscamente.

“DAVE!” tento si staccare le ventose gialle dalle sue tempie, ma senza successo.

“Dave ti prego!” le mie parole sono un piagnucolìo indistinto.

Gli passo delicatamente una mano sul viso e tra i riccioli biondi, mi rendo conto che il viso è scarno e ha una gamba ferita, non può essere l’ultima volta che lo vedo, no, non può farmi questo, non lo permetterò, le persone non possono andarsene dalla mia vita senza il mio permesso.
Voglio vedere ancora i suoi ridenti occhi verdi e il sorriso che non abbandona mai le sue labbra.

Nemmeno mi ricordo quanti giorni sono che non lo vedo, troppi, decisamente troppi.

“Dave svegliati, alzati”
Temevo che non sarebbe stato così facile, deve sconfiggere l’Arena nella sua mente… e io cosa posso fare?

Se io sono riuscita a svegliarmi, probabilmente anche altri tributi adesso sono svegli e noi qui siamo due bersagli facili, io disarmata e lui inerme. Mi rendo conto all’improvviso che non ho idea di quanti tributi siano ancora in circolazione. Un attimo di panico mi assale, l’ultima volta che ho visto il logo di Capitol e i tributi caduti è stato prima dell’attacco di Sette e Mannaia, quindi contando anche loro ci sono stati tredici caduti, ma con tutto il trambusto che ne è conseguito non saprei dire se mi sono persa qualche altro colpo di cannone, quindi al massimo in giro ci sono altri undici ragazzi, tra cui entrambi i ragazzi del Due.

Sono demoralizzata, mi sento esposta e inutile, non mi piace non avere sotto controllo la situazione.

Mi guardo attorno alla ricerca di quello che potrebbe essere lo zaino di Dave, se ha seguito le indicazioni del nostro mentore, dovrebbe essere entrato in possesso di uno zaino blu. Ma potrebbe anche essere lontano dal punto in cui è caduto vittima del veleno delle spine, io mi sono svegliata in un posto diverso.

Calma, devo stare calma. Sto brancolando alla cieca, come un tonno a cui hanno mozzato la testa.
E io non sono un tonno. E nemmeno un verme. Un brivido mi corre lungo la schiena.
Calma e nervi saldi.

Ok, non posso combattere la battaglia per Dave, ma posso metterlo al sicuro. Lo afferro per le spalle e lo trascino verso l’albero più vicino con gran fatica. Mi arrampico e strappo liane e foglie in quantità, l’operazione richiede più tempo del previsto, le foglie sono incredibilmente dure e ruvide, mai viste foglie così, tanto che mi scortico un po’ le mani, e una volta staccate dal picciolo stillano poche gocce di sangue.
Fatto ciò praticamente seppellisco il mio compagno di distretto sotto quella coltre verde, aiutandomi con dei legnetti che trovo a terra, non è il massimo, ma direi che passa piuttosto inosservato, almeno la divisa arancione non si vede più.

Il secondo passo del mio brillante piano è procurarsi un’arma o qualsiasi cosa possa creare un minimo di protezione. Peccato che non ho assolutamente niente. Prendo a calci un povero sasso mentre cerco di tirarmi fuori da quest’impiccio. Devo assolutamente recuperare il mio arpione e il mio zaino, ma chissà in che punto dell’Arena si trovano e chissà in quale punto mi trovo io.

Sono frustrata. E la mia mano sinistra trema convulsamente, mi chiedo se è solo un riflesso di quello che è successo o se ho perso davvero il controllo totale della mia mano.  Rimirando la mia mano mi accorgo che il viola che rende visibile la rete di vene sulla mia pelle sta lentamente dissolvendosi.

Decido di rischiare a allontanarmi un po’ da Dave, per vedere se c’è qualcuno nei paraggi o cibo o qualche arma abbandonata.

Giro in tondo per quelle che sembrano ore, non c’è niente. Né un suono né anima viva, solo vegetazione. Tutte queste ombre verdi, alte, in cui scorre sangue mi stanno facendo diventare  paranoica, mi sembra di essere seguita, ma non c’è assolutamente niente, solo ombre e l’eco degli incubi che ho in testa.
Quando tornerò a casa non voglio più vedere un albero.

Mi blocco sconvolta dal mio stesso pensiero. Quando tornerò a casa. Non ‘se mai tornerò’, quando.
Ho davvero acquisito tanta sicurezza in me stessa da potermi permettere di pensare una cosa del genere?
Ho smesso di essere un patetico verme.
Mi sono svegliata da un incubo per riuscire a uscirne da un altro.
Ho raccolto tutto quello che mi è rimasto e l’ho buttato.
Ora non ho niente da perdere.
Sono nei Giochi.
Allora giochiamo, ma secondo le mie regole.

Mags ha iniziato a morire al colpo di cannone iniziale.
È morta un altro po’ con gli occhi del ragazzo del Sette.
È morta definitivamente quando mi sono risvegliata.
E l’ho uccisa io.

Tra le mani tremanti ho un legno raccolto senza nemmeno rendermene conto, è più o meno come quelli che ho usato per nascondere Dave, ma questo ha la forma di una ipsilon.
La forma perfetta.
Mi sciolgo i capelli e li sento che mi solleticano la schiena attraverso i brandelli della giacca termica che ho ancora addosso. Guardo quello spago, il profumo di sale si sente ancora, non è particolarmente elastico, ma funzionerà lo stesso. Lo aggancio sul legno come mi è stato insegnato.
Mi tolgo la giacca a pezzi e la strappo del tutto, con una serie di nodi ne faccio delle specie di tasche che mi appendo alla cinta dei pantaloni e inizio a riempirle di sassi.

Inizio a fare qualche lancio di prova. Dopo poco i tiri iniziano a diventare precisi e forti.
La fionda funziona.

Pochi minuti e sono di nuovo da Dave.
È esattamente come l’ho lasciato, lo chiamo di nuovo. Niente.
Mi distrugge vederlo così e non poter far nulla, soprattutto pensando che tutti stanno vedendo la battaglia che infuria in lui, mentre io non so nemmeno se mai si risveglierà.

Devo fare qualcosa di produttivo per non impazzire. Devo trovare cibo.
Questo significa lasciarlo per un tempo più prolungato.

“Dave, ascolta, vado via per un po’, ma torno, tornerò e ci salveremo assieme da questa faccenda. Te lo prometto”

Gli lascio un leggero bacio sulla guancia. Le sue palpebre tremolano appena, ma non si sveglia.

Lo rinascondo e parto senza guardami indietro.

Prendo una direzione a caso e cammino dritta fino a che il cielo si oscura.
Parte l’inno e poi il logo, si vedono il ragazzo del Sei e la ragazza del Nove. Questo conferma che effettivamente non ho sentito ben due colpi di cannone.

Faccio un rapido calcolo: siamo in nove. Temperino, Keri, Aiden, il ragazzo del Tre, io, Dave, la ragazza del Cinque,  il ragazzo del Nove e la ragazza dell’Undici.

Nove.

Tra cui io e il mio migliore amico.

Nove.

Tra cui Keri ed Aiden.

Solo nove.

Dopo il prossimo caduto inizieranno le interviste a casa, ai parenti, agli amici. Inizieranno degli approfondimenti sulla tua vita, sul tuo carattere, ti conosceranno meglio dei tuoi stessi genitori, le scommesse si alzeranno alle stelle.

Nove.


Anche se ormai il buio è quasi totale non mi fermo.
Non mi fido e non voglio fermarmi.
Avanzo ancora e mi imbatto in una figura stesa a terra.
Mi avvicino cautamente. È immobile.
Ha delle ventose gialle alle tempie e la sostanza viola in circolo sotto la cute. A quanto pare le spine piovute dal cielo hanno narcotizzato tutti, quest’anno gli strateghi si sono proprio superati, creare un’Arena nella mente sfruttando contro di te ogni tuo segreto e paura più profonda è decisamente un colpo a effetto, audience garantita.

E per questo li odio. Ma in effetti anche per tutto il resto…

Il tributo a terra è la ragazza del Cinque, la riconosco da quando l’ho liberata dall’albero cui l’avevano legata Mannaia e Sette.
Provo a scuoterla. Niente.
Mi rendo conto che ha la fronte imperlata di sudore. Qualunque cosa le stiano facendo deve essere terribile.


Patetico verme.
Sussulto alla voce che echeggia nella mia mente.

Si, deve essere proprio terribile.

A fianco a lei trovo il suo zaino. È praticamente vuoto, senza acqua né cibo. Ma trovo un coltello dalla lama ricurva e affilata. Me lo rigiro tra le dita.

Se le tagliassi la gola cosa succederebbe?
Le sue torture finirebbero o diverrebbero una condizione perenne? Potrebbe essere un bene? Potrei aiutarla?
“Credi voglia uccidere per divertimento? Mi credi davvero capace di tanto? Lo farò perché obbligato e perché meglio morire per mano mia piuttosto che essere torturato dalle diavolerie di Capitol…”
Le parole di Aiden.
Possibile che quel ragazzo il primo giorno di allenamento avesse già capito tutto?

Continuo a rigirarmi la lama tra la mani, traccio col dito il contorno della lama.
Non sarebbe autodifesa, come quando mi sono trovata davanti al ragazzo del Sette, qui si tratta di un atto pienamente consapevole.
È omicidio.
Può essere attenuato dal fatto che penso sia in buona fede?
Se lo ritengo una speranza? Una via d’uscita?
Le appoggio gentilmente la lama sulla gola.
Ho letteralmente la sua vita nella mia mano, un solo gesto e io sarò tra i primi otto, un solo gesto e potrei liberarla dalla sofferenza, un solo gesto rapido e fluido e sarei più vicina alla vittoria, a casa, a Lexi.
Ho deciso di giocare e questa sarebbe una mossa da giocatore esperto. Ma imposta dalle loro regole.
Ma soprattutto chi sono io per decidere chi deve vivere e chi deve morire? Come faccio ad avere la certezza che quello che sta subendo non sia meglio della morte?
Compassione.
Provo compassione per quella povera ragazza, perchè in lei vedo me stessa.

“La compassione non fa vincere”, bene, dimostrerò a Aiden e agli strateghi che si sbagliano. Questa sarà la mia regola per i Giochi.
Così mi alzo e mi allontano velocemente. Sorridendo.

Sono instabile. Quasi mi sento ubriaca. Probabilmente sto impazzendo. 
Una mentecatta insicura con ampi sbalzi d’umore e perennemente sull’orlo di una crisi isterica, una quindicenne smunta e deperita che ha perso l’essenza stessa di quello che è.
Detta così sembro proprio da rinchiudere in manicomio.
Mi viene da ridere e accelero il passo.

Praticamente mi metto a correre.
È una cosa stupida e inutile, non posso permettermi di sprecare energie.
Ma corro.
L’aria mi scompiglia i capelli sciolti e la sento sulla mia pelle martoriata come una lama fredda.
Ho sempre odiato correre, ma in questo momento mi sembra l’unico cosa che abbia senso.
Inciampo e rotolo a terra.
Rido.
Mi stendo a pancia in su e rido.
Il cielo nero punteggiato di lucine mi copre insieme alle fronde degli alberi.
Rido ancora più forte.
La caduta deve aver ucciso il mio ultimo neurone.
“Sai…” inizio rivolta a quella volta scura sopra di me “…la più grande ironia della vita è che tutto ciò che vogliamo, l’abbiamo già. Abbiamo in grande abbondanza ciò che desideriamo. Forse non credete che nel vostro caso, o per altre persone che conoscete, sia vero, ma è proprio così ed è solo la convinzione che non lo sia a farlo sembrare falso nella nostra esperienza(1). Io avevo tutto e adesso non ho più niente. Voi avete tutto e avete tolto tutto a me. Ci accorgiamo che avevamo tutto, quando è troppo tardi, quando abbiamo svoltato l’angolo e ce ne siamo andati senza la possibilità di tornare indietro…”
Il cielo è un ottimo ascoltatore. Non mi giudica.
“…ah ma non dovete pensare che io non abbia quello che voglio, si insomma, sono ancora viva, no? Cioè preferirei essere a casa, con i miei amici, sapendo che le persone a cui voglio bene sono al sicuro, però non posso lamentarmi in fondo no? Sono viva. La cosa che mi riesce insopportabile però è che non posso sfuggire da me stessa, cioè dalla me stessa che sono diventata. Non posso decidere di smettere di vedermi. O di spegnere il rumore che ho in testa. Se solo poteste sentire quello che penso, impazzireste anche voi ne sono certa…perché in fondo sono pazza no? Provo sempre profondo senso di colpa e immane sollievo, quando agisco o anche semplicemente penso ad un’azione mi sento bene e male, bene perché tento strenuamente di arrivare alla vittoria, male perché per farlo devo scavalcare tutti gli altri e per ‘scavalcare’ intendo eliminare e non è proprio una bella cosa da pensare... Anche se riflettendoci ne ucciderei comunque meno di quanti ne avete già uccisi voi. Come fate a convivere con voi stessi? Non state male? Non provate senso di colpa? Cosa mai abbiamo fatto noi tributi per meritarci questo?” il cielo nero mi fissa muto e immoto “Non si svelano i segreti del mestiere eh? Sapete mi hanno detto che la crudeltà non rende una persona disonesta(2)… quindi potreste anche rivelarmi i segreti dell’onesta crudeltà! Che vi costa? Felici voi e felice io…”
Rido tanto da farmi scendere le lacrime agli occhi. E le sento bollenti sulle mie guance.
“Perché magari voi non lo vedete, ma sto cadendo a pezzi, continuamente, mi infrango e mi ricompongo, ma sempre in modo diverso dalla volta precedente, perché qualche scheggia si perde sempre e alcune parti non combaciano più, tanto che non so se posso fidarmi di me stessa, perché in fondo non mi conosco più… sto cadendo ancora a pezzi, un’altra volta, ma rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il tempo che serve per crollare(3) e voi non mi avete semplicemente fatto crollare, mi avete raso al suolo.”
Ho i crampi alla pancia, non so se per la fame o per le risate isteriche, probabilmente entrambe, e mi tremano le gambe. Quindi rimango stesa a terra e cerco per lo meno di recuperare il fiato.

Quando apro gli occhi vedo tutto arancione. Per un folle istante di insensatezza credo di essere morta, poi mi accorgo che ho sulla faccia il telo di un paracadute. Me lo levo e mi metto a sedere,  c’è il sole sopra di me, non il cielo nero. Devo essermi addormentata, è stato estremamente irresponsabile, ma non avevo programmato di assopirmi, nessuno mi ha attaccato fortunatamente, comunque quello che ora importa è il paracadute che tengo tra le mani. Lo apro con cautela e quando scorgo il contenuto quasi mi viene da piangere.
Pane.
La cosa più semplice del mondo e la cosa che bramo di più.
Un cestino con tre pagnotte fragranti.
Il mio stomaco rumoreggia incontrollato.
Ho appena la forza per rendermi conto che il cestino è identico a quello che mi è stato porto dalla vecchina nel mio incubo.
Ne stacco un pezzo piccolissimo da una e con mano malferma me lo porto alla bocca. La sensazione che provo è indescrivibile, il pane si scioglie letteralmente nella mia bocca. Ne devo mangiare subito un altro pezzetto.
Dopo tre o quattro bocconi mi fermo, devo usare tutto il mio autocontrollo, ma riesco a pormi un freno. Rimetto il pane nel cestino, lo avvolgo nel paracadute e me lo lego alla cintura con la promessa che se riesco a tenerlo nello stomaco nessuno potrà impedirmi di mangiarmelo tutto.

Mi sono procurata un’arma e del cibo. Adesso è ora di tronare da Dave, adesso devo capire come svegliare il mio compagno di Distretto. Mi sono anche allontanata troppo, così inverto la rotta e torno indietro, faccio un altro giro per evitare la ragazza del Cinque, ancora incosciente o sveglia non importa, il mio obiettivo è Dave.

Ogni tanto sbocconcello un po’ di pane, incredibile come mi senta già molto meglio, non capisco se è un effetto placebo o se sono talmente deperita che anche solo mezzo panino riesce a farmi stare meglio. Comunque non mangio più di metà pagnotta anche perché sento i crampi allo stomaco e non voglio correre il rischio di non trattenerlo. Cammino con calma per buona parte del giorno nella pace più completa, quando ormai più o meno ritengo di essere quasi arrivata sento dei rumori alle mie spalle, mi volto di scatto impugnando la fionda.

Dalla vegetazione esce una figura.

“Mags?” la voce incerta, occhiaie scure sotto gli occhi, trema vistosamente, si piega sulle ginocchia come in posizione d’attacco, “Mags sei tu? Sei quella vera?”

Ho bocca e occhi spalancati, cosa può aver vissuto per subire un tale cambiamento? Nessuna battuta, nessun sarcasmo, i suoi occhi cerulei mi sembrano solo smarriti.

“Aiden” abbasso la fionda e mi avvicino a lui piano, perché sembra pronto a scattare “Sono io”

“Questa è l’Arena… i Noni Hunger Games”

Non è una domanda, sta facendo mente locale, sta rimettendo insieme i pezzi.

“Si, siamo ancora nell’Arena, ma siamo ancora vivi” un sussulto lo scuote a queste parole, ma inizio a vedere più lucidità nel suo sguardo.
Sono accanto a lui e quando poggio la mano sul suo avambraccio sento che si rilassa, allenta la posa e respira regolarmente.

“Io, tu e Keri stavamo cercando un riparo, ma le spine… io ho perso i sensi…e quando mi sono riscosso io ho visto… ho fatto delle cose, ma alla fine mi sono accorto che era tutto finto e allora è diventato un incubo” le parole sono uscite tutte attaccate, non ha ripreso fiato nemmeno un secondo, è ancora scosso.

“Si, è successo anche a me”

“Davvero?”

Vorrei rispondergli che sono diversa, che sono morta più di una volta e mi sto ancora ricomponendo, ma non ce la faccio “Mi sono svegliata ore fa dalla specie di limbo in cui ero caduta, lentamente si ricomincia a mettere tutto a fuoco” noto che ha ancora le ventose alle tempie quindi deve essere appena rinvenuto “tu ti sei appena svegliato vero?”

“Si, ho aperto gli occhi e la prima cosa che ho visto sei stata tu mentre passavi davanti a me” doveva essere mezzo svenuto a terra e nemmeno l’ho visto.

Allungo una mano per raggiungere la sua testa, lui trema, ma non si scosta, afferro il dischetto di plastica gialla e tiro leggermente, la ventosa si stacca, allo stesso modo elimino anche l’altra.

“Cosa sono?”  mi prende dalle mani i due dispositivi e li getta a terra.

“Non ne ho idea, ma credo siano telecamere o registratori o qualcosa del genere, per proiettare le immagini mentali indotte dal veleno o una cosa così…”

“Ok, ha vagamente senso…Così tutti hanno visto quello che abbiamo vissuto sotto l’effetto del veleno… ingegnoso e agghiacciante” inizia a tornare se stesso, anche il tono sembra più simile al solito. Si rimira le braccia e vedo anch’io che sono costellate da piccoli punti neri dove ci sono le spine e ben visibile la sostanza viola che circola nelle vene e colora la pelle che ho notato su me, Dave e la ragazza del Cinque. Inizia a togliersi gli aculei dalle braccia. “Quello che non comprendo come capire se questo è un luogo reale, capisci?” mi guarda con quegli occhi sconvolti dai dubbi, non l’ho mai visto così, mi dà una sensazione strana.
“Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non dovessi più svegliarti, come potresti distinguere il mondo dei sogni dalla realtà?(4)"

Sta facendo venire i dubbi anche a me, io ho vissuto esattamente la stessa esperienza che ha sconvolto anche lui. “E allora ci sarà qualche dettaglio che ce lo farà capire, un’illusione non è mai perfetta… dobbiamo stare attenti ai particolari… per esempio potrebbe essere tutto un’illusione perché tu non hai ancora detto niente di sarcastico né di arrogante”

Sorride.

“Allora è di sicuro tutto finto, tu mi stai aiutando e stiamo parlando senza litigare o saltarci addosso… direi che è la prima volta”
Sorrido anche io. Lui sembra più rilassato e più lucido.

“Adesso devo andare da Dave” mi sento quasi in colpa per averlo scordato per così tanto tempo.

“Dave?”

“Si, quando mi sono allontanata era ancora incosciente”

“Keri…” sembra riscuotersi anche lui  “Dov’è Keri?”

“Non l’ho ancora trovata…”

“Andiamo da Dave e poi cerchiamo Keri”

Ci incamminiamo.
Secondo me gli strateghi devono averci posizionati tutti abbastanza vicini quando ci hanno applicato le ventose, nel giro di poco spazio ho trovato Dave, Aiden e la ragazza del Cinque. Anche Keri non può essere lontana. O per lo meno questa è la mia speranza.

“Ah e comunque magari ti va di avere qualcosa di più che una fionda…” e mentre camminiamo mi allunga il mio arpione.

“E questo dove l’hai preso?” nemmeno mi ero accorta che lo teneva in mano.

“L’avevo con me quando ho perso i sensi e l’avevo accanto quando mi sono svegliato assieme all’ascia e lo zaino… dove sono le tue cose?”

“Quando stavamo cercando di costruirci un riparo, ho lasciato tutto da Keri e poi mi sono allontanata per cercarti… non avevo calcolato che non sarei riuscita a tornare indietro”

“Sei venuta a cercarmi?” sembra sinceramente stupito

“Certo, non tornavi e la pioggia di spine era sempre più forte…”

“Ti sei preoccupata?”

“Macché! Da sole non riuscivamo a costruire nulla”

Ridacchia.

La situazione mi sembra più naturale però.



Ritroviamo Dave seppellito sotto le foglie proprio come lo avevo lasciato.

Lo chiamo e lo scuoto, niente.

Mi siedo, delusa.

“Aiden, come stai?”

“Molto meglio, ma non vorrai darmi l’impressione di iniziare a preoccuparti davvero per me, no?” sorride.
Non mi fa ridere, nemmeno un po’, e lui capisce subito che qualcosa mi turba.

Si siede accanto a me.

“Devo chiederti una cosa…” mi mordo il labbro, insicura su come continuare.

“Come ho fatto a svegliarmi?”

Lo guardo allibita, la sua perspicacia mi inquieta, ma annuisco.

“Mi sono ucciso"

Sospiro.

“Anche tu vero?”

Annuisco.

“Non possiamo combattere questa guerra per lui, deve farcela da solo”

“Lo so, ma non mi sento comunque meglio…”

“Vuoi un po’ d’acqua?” mi allunga la sua borraccia.

Un gesto premuroso e spontaneo.

Non posso diventare sua amica… perché tutto deve essere così dannatamente difficile?

Perché non posso solo reagire normalmente senza dover calcolare ogni cosa?

Accetto la borraccia e prendo un piccolo sorso.

Poi prendo metà di uno dei miei panini e glielo caccio in mano.

E stiamo semplicemente così per un po’. In silenzio, senza guardarci, sentendo il sangue che scorre nelle vene, l’aria nei polmoni e la testa nel pallone, sentendo la vita. Chissà per quanto ancora resisteremo.
Ma la cosa che più mi inquieta è che mi sento bene con lui accanto, ed è l’ultima cosa che dovrei provare con un tributo del Due nei paraggi. Maledizione. Prima con Keri e adesso con Aiden: compassione, solidarietà, cameratismo.

Non ce la posso fare.

“Tu mi disgusti, sei un essere pietoso, degna solo di strisciare come un verme”

Ce la devo fare. Non sono debole. Non più, devo dimostrarlo a me stessa, niente più crolli e niente più lacrime. Le stoccate dolorose che provo nel petto me lo ricordano continuamente, soprattutto quando senti risuonare nella mia testa il mio incubo personale, la mia battaglia.


“Mags… sai quanti siamo? Nel senso… in quanti siamo rimasti nell’Arena?” la sua voce quasi mi fa sussultare.

“Nove” ho la voce roca.

Silenzio.

Stava facendo il mio stesso ragionamento. E per una volta sono io che anticipo il corso dei suoi pensieri e quando apre di nuovo bocca, so dove vuole andare a parare.

“Voglio andare a cercare Keri”

“Io resto con Dave”

Si alza e mi guarda dall’alto in basso.

“Quindi…”

“Si” lo blocco senza mezze misure e dallo sguardo eloquente e tristemente consapevole che ci scambiamo so che ha inteso che ho capito cosa voleva dirmi.

Silenzio.

“Quindi speriamo di non doverci rivedere” il suo tono è fermo, ma i suoi occhi non sono particolarmente convinti, è la prima volta che mi sembra di parlare con il vero Aiden e non con una facciata patinata costruita su misura per i Giochi e la Capitale. Ma non potrò mai sapere se la mia sensazione è vera.

“Già”

“Quindi ognuno per la sua strada…”

“Alleanza finita”

“Addio”

“Addio”

Si gira e si incammina.

Appena prima di sparire si ferma un secondo, si volta, mi fa un cenno e mezzo sorriso in segno di saluto, quando ricambio, sparisce.
Spero davvero che le nostre strade non si incrocino mai più.








 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1)”La più grande ironia della vita è che tutto ciò che vogliamo, l’abbiamo già. Abbiamo in grande abbondanza ciò che desideriamo. Forse non credete che nel vostro caso, o per altre persone che conoscete, sia vero, ma è proprio così ed è solo la convinzione che non lo sia a farlo sembrare falso nella nostra esperienza.”
Felici più di Dio, Neale Donald Walsch

(2) “La crudeltà non rende una persona disonesta, così come il coraggio non rende una persona gentile”
Insurgent, Veronica Roth

(3) Rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il tempo che serve per crollare
Il canto della rivolta, Suzanne Collins

(4) “Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non dovessi più svegliarti, come potresti distinguere il mondo dei sogni dalla realtà?"
Dal film Matrix


 

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Capitolo 18
*** Otto ***


Non vedrò più Aiden né Keri, se sarò fortunata, ma la fortuna non è proprio il mio forte in questo momento.
Sento una opprimente stretta alla bocca dello stomaco, la bocca secca e impastata e soprattutto un senso di angoscia estenuante. Un respiro profondo, ce la posso fare, lo posso accettare, posso sopravvivere.

Cerchiamo i lati positivi: ho Dave. Se mai si sveglierà.
Lo guardo, scoraggiata: i riccioli biondi sparsi a terra, gli occhi chiusi, se non fosse per l’espressione corrucciata del viso, sembrerebbe placidamente addormentato.

Sono terribilmente preoccupata, cercare i lati positivi non serve a niente. Per la prima volta mi rendo conto di star perdendo la speranza, sento che le mie sole forze non bastano e la cosa peggiore è che io non ci posso fare nulla. Abbasso lo sguardo su Dave e lo scuoto con violenza, quasi ferocemente. Non un minimo cenno di avermi udito, niente di niente. La prima sensazione che mi invade è la rabbia, cupa, calda e accecante, sento una scarica di energia che mi attraversa, lui non può starsene lì impalato lasciandomi sola in questo marasma, inizio a strappare a mani nude le spine incastrate sotto la sua pelle, ferendo lui e anche me stessa. Ma tanto velocemente mi sono accesa, così rapidamente le forze mi abbandonano, mi sento in colpa, che diritto ho di arrabbiarmi con lui? È forse colpa sua? Mi accascio, esausta.

“Dave” inizio a sussurrargli a un millimetro dalle orecchie “adesso ti svegli, torna da me… torna! Tu sai che dovresti essere qui con me. In questo casino ci siamo finiti insieme e insieme ci aiuteremo a uscirne, perché è così che abbiamo sempre fatto… Sin da bambini, ti ricordi? Quindi adesso tornerai da me…”.

Ho un’idea, a mali estremi estremi rimedi, mi alzo di scatto, afferro il mio arpione e rimiro la punta ben affilata ricordando con quanta facilità è penetrata nel torace del ragazzo del Sette, questo ricordo mi procura solo un lieve tremore alla mano sinistra, ma nessuna fitta dolorosa al cuore.

Così inizio a premere la punta sul palmo della sua mano sinistra finché non compare una gocciolina di sangue violaceo. La chiazza di sangue si allarga, è di un colore innaturale, insano, così viola e melmoso, tanto che scivola dalla mano a terra con estrema lentezza per poi essere rapidamente assorbito dal suolo. Niente. Niente di niente.
Nessuna reazione. Maledizione.

Se nemmeno il dolore fisico riesce a farlo tornare in sé, cosa può riuscirci? Non posso fare a fette il mio unico alleato nella speranza -forse vana- che si risvegli da chissà quale incubo. Lo spintono, lo chiamo, lo minaccio, lo ferisco, tento di trappagli le ventose dalle tempie, ricomincio a strappargli le spine dalla carne. Non cambia assolutamente niente.

Vado avanti a tentativi vani finché le dita sanguinano a tal punto che iniziano a farmi davvero male e nel cielo compaiono il logo e l’inno di Capitol senza però mostrare nessun volto. Siamo ancora a quota nove. Questo pensiero mi fa correre un brivido freddo lungo la schiena.

Serve una strategia, non posso continuare a stare qui ad accanirmi su un corpo inerte, allo scoperto e senza acqua. Soprattutto senza acqua, è un miracolo che non ho ancora iniziato a mostrare i sintomi della disidratazione. Sono così frustrata che inizio a gridargli contro mille improperi per poi accasciarmi su di lui chiedendogli scusa mille e una volte, se non muoio nell’Arena passerò la mia vita in un manicomio, ne sono quasi certa.

E così appoggiata con la testa al suo petto tento di regolare il respiro e sento il suo cuore martellare furiosamente, talmente forte che temo possa esplodere. Mi sollevo un poco e lo guardo in quegli occhi che si ostinano a rimanere chiusi, quasi impercettibilmente mormoro “torna”, è una preghiera che deve sentire solo lui, sento le lacrime pungermi gli occhi, ma non piangerò, non questa volta. Quando il buio ci ingoia e il silenzio si cristallizza accanto a noi , mi accoccolo vicino a lui e seppellisco entrambi di foglie e rametti, a questo punto tanto vale dormire. L’ultima cosa che penso prima di addormentarmi è che se non riesco a svegliarlo entro metà giornata devo lasciarlo per andare alla ricerca di acqua, altrimenti faccio morire tutti e due.

Quando apro gli occhi non capisco subito cosa c’è di sbagliato, sono appoggiata su Dave e sepolta da foglie da cui penetra una lieve luce, segno che non è poi così tardi, ma qualcosa è diverso. Mi servono parecchi minuti per capire, poi ci arrivo. Il calore. Nell’Arena si muore di caldo, ma questo è diverso, è umano, perché ho un braccio attorno alle spalle. Un braccio non mio, che quando mi sono addormentata decisamente non c’era. Mi metto a sedere producendo una casata di foglie e tanto di scatto che vedo delle enormi macchie nere fiorire nei miei occhi.

Appena recuperato l’uso della vista guardo il corpo accanto al mio, è in una posizione diversa, ma se si fosse svegliato avrebbe avuto il buon senso di svegliarmi o no? Allungo la mano verso l’arpione che durante la notte ho tenuto a portata, silenziosamente lo impugno e col retro gli sferro un colpo nelle costole. A una persona normale sarebbe venuto un infarto colossale tale da farla scattare in piedi e sull’attenti nel giro di mezzo secondo, ma Dave non dorme, lui va in coma, quindi sobbalza leggermente e si sfrega gli occhi e con voce impastata mugugna “Che c’è?”.

L’arpione mi scivola dalle dita intorpidite, perdo la facoltà di parola, il cervello si spegne, trattengo il respiro e il cuore smette di battere per un secondo. Due occhi verdi mi fissano straniti e confusi.

Ecco, sono morta, lo sapevo che non dovevo dormire! Avrei dovuto montare la guardia e invece mi sono messa a dormire, stupida, stupida, stupida. “Mags stai male?” Essere morta però è doloroso, le braccia sembrano pesare un quintale, le gambe pulsano e bruciano ininterrottamente, in sostanza mi sento come se mi avessero preso a pugni, ho sete, avverto crampi allo stomaco e sono ancora nell’Arena. L’Arena. Forse non sono morta.

Poi le parole mi tornano tutte assieme in un’ondata di furia cieca e contro ogni buon senso mi metto a urlare “TU chiedi a me se sto male? Quando diamine ti sei svegliato? Come stai? Io stavo morendo di angoscia! Mi hai fatto preoccupare da morire! E tu tutto bello pacifico con quella voce da ebete mi chiedi se sto male?! Non ti è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di chiamarmi appena ti sei svegliato? Eh?” gli tiro uno schiaffo sul braccio, anche se vorrei tirargli un pugno sulla faccia.

“Ehi! Calmati…”

“Calmarmi? Ero terrorizzata dal fatto che fossi morto! Idiota!”.

Silenzio. Inizio a respirare normalmente, mi siedo accanto a lui.

Prendo un respiro “Spiegati”

“Ehm, so solo che mi sono svegliato stanotte, non so quando di preciso, coperto da una massa di foglie e con te accanto, sono rimasto disorientato, non capivo dove fossi, se era vero, ho avuto bisogno di tempo per mettere a fuoco la situazione, mi è sembrato come di riemergere da sott’acqua e ritornare a respirare dopo essere stato in apnea per troppo tempo… io non ho capito bene cosa è successo, ricordo le spine e ricordo di essere tornato a casa, la vita a casa, era tornato tutto normale, stavo anzi stavamo bene e poi…che…solo che… non era vero, non ero veramente a casa, me ne sono accorto dopo un po’, perché era tutto strano e quando ho capito che era un’illusione…” un brivido lo percorre e lo lascia evidentemente scosso.

“Quando lo hai capito hanno iniziato a succedere cose orribili, vero?”
“Si” i suoi sinceri occhi verdi mi sono mancati da morire, tanto che potrei semplicemente guardarli per ore e stare bene, se non fosse per il fatto che sono pieni di dolore e orrore.

Nessuno dovrebbe mai provare tutto questo. Mai. È disumano.
“È stato lo stesso anche per me” Stacco le ventose dalle sue tempie come ho fatto con me stessa e Aiden, le getto lontano e gli lancio le braccia al collo. Mi stringe forte e quasi mi sento di nuovo intera.

“Mi sei mancata” mi parla senza allentare la presa.

“Anche tu”

“Quanto sono rimasto incosciente?”

“Troppo” “In quanti siamo?”

“Nove”

“Chi?”

“La ragazza dell’Uno, entrambi quelli del Due, il ragazzo del Tre, le ragazze del Cinque e dell’Undici e il ragazzo del Nove”

Ci stacchiamo. Sembra ancora leggermente spaesato, ma molto più lucido di come ho trovato Aiden, si dirige non molto saldo sulle gambe a un paio d’alberi di distanza, raccoglie da un incavo del legno il suo zaino e un arpione identico al mio.

“E il tuo zaino?”

“Perso, tu cos’hai?”

“Praticamente non mi è rimasto niente, ho una borraccia vuota, un’altra punta da arpione, una daga e della corda”

“Quindi se te la senti andiamo alla ricerca di acqua?”

“Si” annuisce e sorride. Il suo sorriso. Come faccia a sorridere in un momento del genere lo sa solo lui, ma il suo sorriso è sempre lo stesso, forse un po’ sciupato, ma colmo dello stesso calore di un tempo.

Due secondi fa volevo prenderlo a cazzotti e adesso sono felice di vederlo. Assurdo. Il mio compagno di Distretto, nonché migliore amico, è vivo, siamo armati e abbiamo un obiettivo.

Siamo disidratati, affamati, affaticati, terrorizzati e disorientati, ma siamo vivi e siamo assieme. Una piccola e labile fiammella di speranza rifiorisce e mi dà sicurezza.

“Ho notato che sei ferito ad una gamba, ce la fai a camminare? Ah ehm e mi dispiace per la mano” Alza la mano e guarda la ferita che gli ho fatto nel tentativo di svegliarlo e solleva le spalle e sbuffa, come se fosse di poco conto.

“Bazzecole, certo che riesco a camminare, quella alla gamba è una ferita superficiale e vecchia, è stato il ragazzo dell’Undici al bagno di sangue, e tu non sei proprio messa bene eh, le hai viste di recente le tue di gambe?” Ridacchio e dopo aver litigato sulla direzione da prendere lentamente ci mettiamo in cammino verso la zona in cui sono certa ci sia il laghetto in cui mi sono imbattuta, tutto questo mi ricorda dolorosamente l’alba dopo che ho ucciso il ragazzo del Sette, in cui io, uno scorbutico Aiden e una Keri ferita facevamo piani per raggiungere il lago con la cascata, prima di essere oppressi dagli incubi che ci hanno avvelenato l’anima.

Mi sembra che siano passati secoli e secoli, un’altra vita, un’altra Mags. Sospiro pesantemente e spinta da non so quale desiderio di comprensione decido di raccontare a Dave sommariamente quello che è successo, da come mi sono fermata ad aiutare Keri all’inizio fino allo scioglimento dell’alleanza con il Due, sorvolando su alcuni aspetti come quello che è successo con Mannaia e il ragazzo del Sette, perché non voglio dirlo ad alta voce.

Dirlo lo renderebbe terribilmente reale e non voglio rivivere niente più del necessario adesso che inizio a non pensarci più, ma soprattutto non voglio che mi veda come quella che sono diventata, voglio che si ricordi di me com’ero prima di entrare in questo inferno. Felice, solare e innocente. Soprattutto innocente. Mi fissa intensamente mentre parlo e sa che non gli ho detto tutto, ma non commenta.

Sto per chiedergli cosa è successo a lui, ma non è quello che voglio sapere davvero, o per lo meno, non come prima cosa.

“Come… come hai fatto a svegliarti?”

“Io mi sono fatto uccidere, quando ho capito che era un’illusione e che ogni altro tentativo era vano, sono giunto alla conclusione che la morte fosse l’unica via d’uscita, se ci pensi ha anche senso che gli strateghi vogliano farti sperimentare la fine, la grande incognita, la paura suprema. Ed è qui che secondo me sbagliano, è una mentalità tipica di chi è ricco, pensano che niente sia peggio della morte quando in realtà esistono fame, povertà, malattie, ma peggio di ogni cosa è essere schiavi delle proprie paure mentali, perché non puoi fuggire, capisci? Tu contro te stesso.”

La sua voce si incrina leggermente verso la fine. Annuisco incapace di aggiungere alcunché, le sue parole sono state fin troppo efficaci.
“Comunque so che mi hai aiutato a uscirne, perché ti ho sentito, ho come percepito lievemente la tua presenza fisica, come se il mio incubo stesse indebolendosi da solo… non capisco, ma grazie”

“L’importante è che tu sia tornato da me” magari avergli levato le spine lo ha reso meno assoggettato a quello che succedeva nella sua testa, rendendolo in grado di percepire ciò che realmente accadeva al proprio corpo, magari l’incubo era progettato con un termine e tutti si stavano risvegliando, insomma non potevano permettere che i Giochi non venissero portati a termine no? Non gli chiedo qual è stato l’incubo da cui è dovuto fuggire, così come lui non lo chiede a me, sono tormenti troppo profondi, che ci toccano troppo intimamente per essere in grado di esporli ad alta voce a un’altra persona, figuriamoci se poi siamo in diretta nazionale, anche se probabilmente tutti hanno visto tutto, cha amarezza.

Quando alzo lo sguardo verso di lui so solo che nei suoi occhi vedo lo smarrimento che ho visto in Aiden e che sento in me, e, ancora una volta, mi chiedo come possano trattarci così e sentirsi in pace con se stessi.

Li odio perché mi hanno spezzato.
Li odio perché hanno spezzato Dave.
Li odio perché è l’unica cosa che mi permette di stare in piedi.
Di tanto in tanto ci fermiamo per riposare le gambe e mangiucchiare un po’ del pane che porto appeso nel paracadute arancione, ma iniziamo a sentire il peso dell’assenza dell’acqua, per lo meno io di sicuro, la testa pulsa dolorosamente e faccio sempre più fatica a muovere le gambe. Di punto in bianco mi racconta che cosa gli è successo in questi giorni, di come ha ucciso il ragazzo dell’Undici alla cornucopia e di come lo vede ovunque vada, di come è riuscito a liberarsi di liane che si avviluppavano lungo il corpo stritolandolo, di come è incappato in un albero dalle voglie esplosive, di come ha visto Aiden squarciare la gola alla ragazza del Dieci.

Volevo dirgli di smetterla, di stare zitto, non volevo che mi si riversasse addosso altro orrore, altro dolore, ma io con lui l’avevo fatto, gli ho raccontato ogni raccapricciante dettaglio di quello che è successo a me e Keri a eccezione dell’omicidio, quindi ritengo giusto che si sfoghi anche lui, è terribile starlo a sentire, ma lo capisco, cerca la mia solidarietà la mia fiducia, ho provato la stessa cosa poco fa.

Solo che a un certo punto mi cedono letteralmente le ginocchia, non lo faccio apposta, ma crollo a terra con un tonfo e inizio a sprofondare tra radici e fango, ma non ho la forza di rimettermi in piedi, mi ronzano le orecchie e sento solo il martellare furioso del sangue nella testa. Mi sento oberata da un peso che mi schiaccia, anche se in effetti non ho nemmeno uno zaino sulle spalle, respiro pesantemente e cerco di recuperare un po’ di forze.

“Mags?” il suo tono allarmato mi mette più agitazione del mio crollo fisico. La testa mi pulsa sempre di più e inizio a vedere le cose fuori fuoco, ma contro ogni logica rassicuro Dave e mi costringo in piedi.
Cerco di sorridergli rassicurante, ma non riesco nel mio intento perché dal suo volto non scompare l’ombra della preoccupazione e così ricominciamo ad avanzare lentamente e con cautela in quella giungla paludosa che ci ostacola a ogni passo. Poi si sente. Un suono che chiunque sia cresciuto nel Distretto 4 è in grado di riconoscere al volo.

Acqua. Acqua scrosciante.

Ci scambiamo uno sguardo e prima di rendercene conto abbiamo accelerato finché ci reggono le gambe e dalla vegetazione folta sbuca un torrente. Praticamente ci fiondiamo dentro appena appurato che l’acqua è chiara e limpida, quindi non corriamo il rischio di trovare qualche simpatico animaletto. Il gelo dell’acqua già da solo sembra rigenerarmi, passa sulle ferite aperte, sulle croste, sui lividi, sulla pelle scottata dal sole e brucia dentro e fuori, scrosta fango e sangue rappreso e già mi sembra di essere rinata.

“Dave beviamo poco e a piccoli sorsi” in realtà lo dico più per me che per lui. Iniziamo così a idratarci, beviamo, dieci minuti di pausa, beviamo, pausa, beviamo, pausa.

Riempiamo le borracce e finiamo il poco pane rimasto, per un paio di volte mi vengono i conati ma riesco a trattenere tutto nello stomaco.

Così ci trasciniamo a riva e ci stendiamo a riposare e asciugare, il sole inizia a calare e proprio mentre mi si chiudono gli occhi dalla stanchezza sento un urlo perforante e agghiacciante. Sembrava anche abbastanza lontano, ma non potevo ignorarlo, perché io quella voce l’ho riconosciuta.

Mi alzo, ma non sento il corpo, afferro l’arpione e inizio a correre verso il punto in cui ho sentito il grido, mi metto a correre e non sento nemmeno male alle gambe, poco dopo sbuco sul ciglio di un dirupo, esattamente il punto in cui il torrente precipita e diventa una cascata che decine di metri sotto si apre in un lago. Dietro di me arriva Dave che mi prende per un braccio come per trattenermi, ma non mi dice niente.

Aguzzo la vista e scorgo tre figure sulla riva, sono troppo lontane per riconoscerle, quello che però si vede è che una è chiaramente riversa a terra in una pozza di sangue mentre le altre due stanno combattendo corpo a corpo. E se l’udito non mi ha ingannato la figura a terra è Keri. Così faccio la cosa più stupida che potesse venirmi in mente, faccio due passi indietro in modo che Dave mi lasci il braccio, rinsaldo la presa sull’arpione e prendo la rincorsa.

“Noooooo! Mags!”

Questa è l’ultima cosa che sento prima di staccare i piedi da terra e iniziare una discesa che a occhio è più di una ventina di metri, mentre cado tento di stare rigida per mantenere la posizione verticale, non vorrei entrare in acqua di pancia, ma il volo sembra durare un’infinità, quando finalmente raggiungo l’acqua, vengo frustata da un muro gelido che mi svuota i polmoni con violenza e mi schiaccia verso il fondo.

Lentamente inizio la risalita per prendere aria, faccio una fatica incredibile per essere una che ha sempre vissuto in acqua, lotto per la risalita contro la forza sta tentando di tirarmi sempre più sotto. Quando finalmente la mia testa sbuca dall’acqua prendere aria fa quasi male, sento un tonfo accanto a me e ne deduco che si sia lanciato anche Dave e che quindi mi beccherò un sacco di insulti, ma non è questa la mia priorità, riacquisto subito una buona lucidità e punto verso la spiaggetta che circonda il lago dove vedo ancora delle figure dimenarsi, non sono velocissima a causa dell’arpione che tengo ancora saldamente in mano e che per fortuna non mi sono conficcata da nessuna parte.

Solo che, quando ormai ho l’acqua che mi arriva al ginocchio e sto correndo verso l’asciutto, metto a fuoco quello che sta succedendo: solo due tributi sono rimasti, Keri riversa a terra in una pozza di sangue e Aiden sopra di lei con il coltello sguainato e puntato contro il petto.

La scena non ha assolutamente senso finché non vedo la lama calare impietosa e implacabile verso di lei.

Bum.

Il mio cervello è lento, ma il mio braccio no, carico il lancio e scaglio il mio arpione con tutta la forza che mi è rimasta.

“Mags!”
Dave non poteva scegliere momento peggiore per fare il buon samaritano, il suo urlo ha catturato l’attenzione di Aiden che alza lo sguardo giusto in tempo per vedermi gettare l’arma, così che scattando con un gesto fulmineo riesce a evitare quasi del tutto il mio attacco.

Quasi, perché non è riuscito completamente ad alzarsi e scansare la traiettoria, infatti il mio lancio gli apre uno squarcio lungo il fianco, non particolarmente profondo, di sicuro non letale, ma decisamente fastidioso. Quado esco dall’acqua, Aiden è ormai sparito nel folto della vegetazione, non perdo tempo a inseguirlo, tanto sono certa che ci rincontreremo.

“Mags! Sei impazzita? Cosa cavolo credevi di fare?” il suo tono è furente, ma non mi importa, lo ignoro. Mi siedo accanto al corpo di Keri, le chiudo gli occhi che erano rimasti aperti in modo inquietante e poi col dito le traccio sulla fronte la sagoma delle onde, l’estremo saluto che si dà ai propri cari nel Distretto Quattro.

Mi alzo ostentando una fermezza e una sicurezza che non ho e mi ributto in acqua, devo pensare alla prossima mossa.

Adesso siamo rimasti solo in otto.

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Capitolo 19
*** Alba ***


“Mags fermati! Stai attraversando tutto il lago a nuoto! Dove vai?” parole intralciate dalle piccole onde che increspano la superficie dell’acqua al nostro passaggio.

Io ostinatamente proseguo, fingo che il rumore della cascata copra il suono delle sue parole e mi sposto proprio verso quell’imponente muro d’acqua. Forse è solo un’idea per farsi ammazzare, sai che risate a Capitol nel vedere una ragazza del Quattro morire affogata, ma se ho ragione potremmo trovare un ottimo rifugio e in questo momento voglio solo stare lontana da tutto, voglio fingere che l’Arena sia un lontano incubo, voglio nascondermi e dimenticare di esistere. Quando sono abbastanza vicina alla cascata noto i tipici mulinelli che si formano a causa del risucchio dovuto alla caduta di una considerevole massa d’acqua, una persona furba ne starebbe alla larga, però io so come affrontarli, nei mulinelli si affoga perché quando ci si cade dentro si tenta in ogni modo si stare a galla, con la testa fuori dall’acqua e la forza che ti tira verso il fondo ti sfinisce fino a riuscire a spingere il tuo cadavere verso il fondo, sotto senza scampo, non ce la farai mai a sopravvivere così, il segreto è assecondare l’acqua, andare sotto, sempre più sotto finché l’energia della corrente che genera il turbine non diminuisce e allora, solo allora, riesci a spostarti nella direzione che vuoi, allontanandoti dal quel vortice letale. Però è incredibilmente azzardato e devi avere un grande fiato.

Una persona furba ne starebbe alla larga, io non sono furba, sono disperata.

Così prendo un respiro profondo e mi ci lancio dritta in mezzo, prima di sparire sott’acqua sento un’imprecazione colorita e so che Dave ha capito esattamente cosa sto facendo e cosa spero di tovare, conto sul fatto che mi segua, nonostante il fatto che potremmo finire dritti contro la nuda roccia.

La forza del mulinello d’acqua è maggiore di quella che mi aspettavo, ma riesco a superarlo e sbuco illesa dalla parte opposta della cascata, dove a circa tre metri da me si staglia un muro di cupe e viscide rocce scure, nessuna traccia di una grotta, di una sporgenza utile o comunque nessun segno che l’acqua declini in una spiaggetta. Maledizione, nel Distretto non abbiamo molte cascate, ma quelle che sono presenti sono piccole, docili e nascondono sempre una piccolo antro accogliente che rende quei luoghi magici e speciali, ma soprattutto lontani da occhi indiscreti, che stupida sono stata a credere anche solo per mezzo secondo di poter fare affidamento sulla mia esperienza.

Una testa bionda e bagnata sbuca di fianco a me. “Tu sei completamente pazza, ma non pazza normale, pazza furiosa!”
Rido completamente priva di gioia perché non sento più niente, sono un buco nero, e nuoto verso la parete, quando poggio le mani sulle rocce mi accorgo che l’acqua inizia a diventare più bassa e se mi metto in punta di piedi riesco a toccare il fondo.

“Sei senza speranza… Allora stiamo cercando una grotta vero?”

Annuisco.

“Allora perlustriamo la parete, io di qui e tu di lì ok?”

Annuisco di nuovo e vedo Dave che parte verso destra con lo zaino fradicio in spalla e l’arpione in mano, mi fa quasi ridere vederlo che nuota, ha un’andatura strana con tutte quelle cose addosso, quasi.

Rivolgo la mia attenzione alla parete che si staglia verticalmente davanti alla mia vista, allungo la mano e traccio cautamente il profilo delle rocce. Speravo di sentirmi un po’ più vicina a casa, acqua, cascate, pietre melmose, ma in realtà qui tutto è stranamente minaccioso, la luce è troppo accecante, c’è troppo verde, c’è troppo caldo e l’acqua non sa di sale. Sospiro pesantemente, ora le opzioni sono due: o mi arrampico o ci giro attorno nuotando.

Se mi arrampicassi e dovessi cadere so che sotto di me ho circa un metro e mezzo d’acqua oltre che rocce aguzze e appuntite pronte a fare la conoscenza del mio corpo. Così, contro ogni buon senso, inizio a salire sulla parete, conficcando l’arpione nella parete e usandolo volta per volta come gradino e leva per issarmi sempre più verso l’alto, la salita è sfiancante anche mentalmente, perché più salgo più perdo la speranza di trovare qualcosa, ma per il resto ciò che attraversa il mio corpo è un cupo nulla. Quando ormai sono quasi decisa a ributtarmi in acqua, eccola.

Mi isso su una rientranza piana e larga poco più di due metri che decorre lungo tutta la parete, non è una caverna, ma è un posto rialzato e nascosto dietro la cascata, inizio a camminare verso la direzione che ha imboccato Dave, infatti poco più in là lo vedo che è circa a metà salita verso la rientranza di roccia, quindi mi siedo appoggio alla parete e lo aspetto. Quando la sua testa bionda sbuca oltre le rocce e mi vede, lancia un urletto e per poco non lascia la presa.

“Mi hai fatto prendere un colpo! Potevi fare rumore o, che ne so, un colpo di tosse! Mannaggia.”

Si solleva del tutto e ci sediamo con le gambe a penzoloni, guardando la cascata che scroscia.

“Saranno cinque metri, invisibile dal basso, abbastanza alto da essere sicuro, non troppo per essere scomodo da raggiungere, se non ti ammazzi sulle rocce, chiaro. O nell’attraversare la cascata. O in qualsiasi altro punto" fa una pausa come per ammirare l'incredibile stupidità con cui ci siamo cacciati in una sitazione tanto pericolosa "Comunque che ti è preso? Si, insomma non sembri molto in te stessa. Stai bene? Mi preoccupi quando non mi dici niente”

Ha ragione, non sto reagendo in maniera normale e non ho detto niente perché non sento niente, sto sopprimendo tutto, se permetto anche a solo una goccia di emozione di attraversarmi il corpo non so cosa potrei fare, mi sembra di morire continuamente.
Però ripensandoci lo so cosa potrei fare, quando vengo sopraffatta da quello che provo, l’ho appena visto, appena sperimentato, lo sto rivedendo al rallentatore nella mia testa, ancora, ancora e ancora. Tutte le volte che mi lascio annientare da quello che succede, attacco. È la seconda volta che uso l’arpione con deliberato scopo omicida, ma la prima volta, con il ragazzo del Sette, è stato per difesa o per lo meno è quello che mi ripeto, mentre ora è stato un attacco, puro e semplice. A pensarci bene contro il ragazzo del Sette ho lanciato anche un coltello, la prima notte nell’Arena, per evitare che colpisse Keri, proprio quando sono andata nel panico e non sapevo più cosa fare.

Keri. Mi sfugge un gemito e mi ricompare davanti alla vista una enorme chiazza di sangue rosso cupo e minaccioso, che imbratta qualsiasi altro ricordo e li affoga.

“Mags?”

Guardo Dave così incredibilmente se stesso.

“Dimmi qualcosa”

Deglutisco un paio di volte, ma non so proprio cosa dire, ho la mente annebbiata e non so bene come gestire la situazione. Esattamente come quando ho ucciso il ragazzo del Sette, Ethan.

“Mags, quelli erano i tributi del Due. La ragazza che hai tirato fuori dalle sabbie mobili, con cui hai affrontato l’Arena, è stata uccia dal suo compagno di Distretto.”

Non è una domanda, è quello che io non ho avuto il coraggio di dire ad alta voce, di dire nemmeno a me stessa. Non capisco come Aiden abbia potuto farlo, non ci credo, alla fine non è quello che credevo fosse, pensavo fosse una persona migliore, ma quello che ho dimostrato è che io non sono migliore di lui e questo mi lascia l’amaro in bocca.

“Mags, io non lo farei mai”

Lo fisso sgranando gli occhi, quest’idea non mi aveva mai attraversato nemmeno l‘anticamera del cervello, finché non l‘ha detto lui, ma forse non sono io quella che teme un attacco.

“Nemmeno io Dave” ed è vero, sono sincera, la mia voce non trema ed è morbida, pensavo che questa sfumatura se ne sarebbe andata per sempre.

“Lo so, mi fido” e mi sorride.

Allungo il braccio e stringo la sua mano nella mia, nessuna parola può competere con quello che mi ha detto.

“Ma non torneremo tutti e due a casa” mi fissa con quei suoi occhioni verdi, sinceri e chiari, ma carichi anche di tormento. Lo so che non torneremo mai a casa assieme, l’ho sempre saputo, non me ne sono mai scordata un secondo e se credevo di averlo fatto l’idea ripiombava su di me pesante come un macigno.

“Ma almeno uno di noi può farcela” se non posso essere io, deve assolutamente essere lui.

E stiamo così, fermi, a guardare il muro d’acqua davanti a noi, a guardare il turbinio delle onde metri e metri sotto di noi, l’elemento che ci ha sempre accompagnato adesso ci protegge o ci imprigiona in una terribile via senza uscita.

Mi sento esausta e mi sdraio sulla nuda pietra, è dura, umida, ma è fresca e mi sento al riparo, due fattori che non sento da prima dell’inizio dei Giochi, Dave si sdraia vicino a me e ancora con la sua mano calda stretta nella mia mi addormento dopo poco. E dormo.

Quando mi sveglio sono intontita e credo davvero di aver dormito troppo, ma ho dormito davvero, senza preoccuparmi per la prima volta, non ero così tranquilla nemmeno quando avevo Keri che faceva la guardia.

Keri.

Mi si stringe lo stomaco. Non c’è più. Andata.

E fa male.

Tutte le volte che nella mia mente compare lei tutto diventa rosso e doloroso.

Ma ancora più doloroso è pensare a Aiden, perché non ne posso fare a meno. Non ci credo che ha ucciso la sua compagna di Distretto. Questo pensiero è semplicemente incompatibile con la mia mente, sento solo male, ma non riesco a mettere a fuoco, non riesco a crederci.

Mi metto faticosamente a sedere accanto a un Dave ancora placidamente addormentato, mi sento male, e non capisco se è perché mi sento uno schifo emotivamente o perché effettivamente il mio fisico sta cedendo. Considerato che almeno non sono disidratata come ieri, dovrei sentirmi meglio, ma il mio corpo la pensa diversamente a quanto pare: mi sembra di avere le gambe e le braccia disarticolate, come se mi avessero preso e tirato al massimo fino a spezzettarmi. Ma ancora peggio, tutte le volte che inspiro mi sembra che mi si stia spaccando a metà la gabbia toracica, con mani tremanti sollevo la maglietta che un tempo era stata arancione brillante e che ormai è uno straccio consunto marrone, quello che vedo mi preoccupa e non sono le innumerevoli escoriazioni e le enormi macchie livide che coprono la mia pelle a mettermi ansia, ma il fatto che riesco a vedermi le ossa, le tocco come se tra loro e le mie dita ci fosse solo un sottile strato di pelle lacero e debole. Per la prima volta penso sul serio al mio aspetto, le gambe sono un disastro, non sembrano nemmeno vere, sono scarne e completamente scorticate fino al ginocchio, piene di ferite, tagli e buchi dovuti alle spine per quel che si riesce a vedere del resto. Le braccia sono messe anche peggio. Devo anche pensare che sono molto più pulita dopo il tuffo nel lago, quindi non oso immaginare che aspetto avessi qualche ora fa. Meno male che almeno non posso guardarmi in faccia, perché so che sarà terribile, con metà faccia sfregiata e chissà che altro, cerco di rimettermi in ordine un po’, non che possa fare molto o che serva a molto, ma almeno tento di legarmi la chioma in maniera minimamente dignitosa, ma tutto quello che ottengo è ritrovarmi in mano una manciata di capelli di un colore non identificato tra il grigio e il marrone. Mi viene da piangere e mi torna in mente l’incubo in cui ho visto la mia immagine trasfigurata nel vetro, e se non fosse stata poi così modificata? Ho un brivido e un tremito alla mano sinistra come ogni volta che ripenso all’incubo e all’amputazione.

Quando inizio a sentire che sto andando in iperventilazione, mi ridistendo, sia per calmarmi che per placare il dolore al petto. Decisamente ho qualcosa che non va, perché è la prima volta che mi sento così male e che ho così paura, quindi è necessario ora più che mai pensare a cosa fare, così mentre aspetto che si svegli Dave per discuterne con lui, chiudo gli occhi e cerco disperatamente di riflettere.

Però nemmeno il buio della mia mente è un luogo sicuro, continuo a vedere cose che tento di dimenticare, sangue, fango, il sorriso di Keri, gli occhi azzurri di Aiden, sangue, il tributo del Sette, sangue…

Non ce la faccio più, continuo a girarmi e rigirarmi inquieta, finché la luce inizia a calare esento una mano calda che mi si poggia sulla spalla.

“Mags?” un sussurro leggero.

“Dave, sei sveglio? ” mi metto a sedere e vedo che anche lui è seduto.

“Mags, hai un colorito terribile” lo so, mi sento davvero male.

“Sto bene davvero Mr. Raggio Di Sole”

“Finché non la smetti di rispondermi così direi che posso stare relativamente tranquillo” sorride, non lo capirò mai, mi arrendo.

“Ora che facciamo?” non dobbiamo perdere tempo.

“Dobbiamo procurarci qualcosa da mangiare, non so tu ma io ho una fame incredibile, in quest’Arena non c’è niente di commestibile, io mi sono nutrito solo con quello che ho trovato nello zaino e quello che mi è arrivato con i paracadute”

“Ti sono arrivati dei paracadute?”

“Si una sola volta, tu hai trovato qualcosa di commestibile?”

“No, anche io sono andata avanti solo con le provviste dello zaino e degli sponsor, non ho trovato niente di niente e comunque non mi fiderei ad assaggiare assolutamente niente che cresce sulle piante di questo posto”

“Già, orribili piante ripiene di sangue, me ne sono accorto”

“La cosa strana è che non ci sono nemmeno animali o per lo meno animali grossi, io mi sono imbattuta in sanguisughe e insetti, nient’altro”

“Io ho scovato una tana di formiche davvero poco amichevoli e una serie di enormi ragnatele di cui fortunatamente non ho incontrato il proprietario, nient’altro”

Silenzio.

“Quindi non ci rimangono molte alternative, o torniamo alla cornucopia per vedere se è rimasto qualcosa o vediamo se riusciamo a recuperare qualcosa dal lago…”

“E… e se ci dividessimo? Uno va alla cornucopia, uno pattuglia il lago?”

Non voglio lasciarlo, l’ho appena ritrovato, ho paura che se ci lasciamo non ci rivedremo più. Ma è anche vero che siamo solo in otto.
Non so che fare.
Sospiro.

“Va bene, chi va dove?”

“Per me è uguale, si, insomma, come vuoi… anche se… credo che dovrei essere io ad andare alla Cornucopia, è più rischioso” si mordicchia il labbro, anche lui è vagamente nervoso, però a questo punto è fondamentale trovare del cibo, dobbiamo essere in forze per arrivare il più lontano possibile. Siamo stremati, inutile negarlo, uno messo peggio dell’altro, qualsiasi decisione prendiamo potrebbe essere l’ultima, io non ce la farò mai ad arrivare alla fine. E questo ultimo pensiero ne fa sorgere immediatamente un altro, io sono troppo debole per arrivare alla fine, ma Dave potrebbe, se rimane più nascosto possibile. Dunque so cosa fare e mi faccio coraggio.

“Vado io alla Cornucopia”

“No Mags, no”

“Senti, mi muovo di notte, sono più piccola e più silenziosa, ho un migliore senso dell’orientamento e tutte le volte che respiro mi sembra di morire” alzo la maglietta per mostrargli i lividi e sento che l’ho sconvolto “non ce la posso fare a trattenere il fiato per provare a pescare, invece tu si” mi riabbasso la maglia e lo guardo. Mi osserva di rimando, l’ombra del sospetto nelle sue iridi è chiaramente evidente anche con la poca luce disponibile.

“No Mags, è troppo pericoloso, meglio se rimani qui a fare quello che riesci, vado io”

“No, non vai da solo”

“E allora andiamoci assieme”

“Hai proposto tu di separarci e abbiamo una borraccia sola, non possiamo andare entrambi e poi non è che qui è sicuro, è l’unica fonte d’acqua prima o poi tutti i tributi arriveranno qui”

“Perché vuoi andare?” il tono è triste, quasi desolato.

“Te l’ho già detto…”

“Invece no, tu vuoi andare, non solo perché sarebbe meglio, quindi: che altro c’è?”

“Credo solo che sia la cosa migliore… per entrambi”

Lo shock attraversa i suoi occhi. Ha capito.

“Mags, tu non morirai, sei troppo furba, sei troppo buona”

Scoppio a ridere, una risata cattiva, quasi sprezzante, che fa male a ogni muscolo e osso del mio corpo “Buona? Io? Ho ucciso, Dave. Ho ucciso dei tributi e ho tentato di uccidere quello che all’inizio era mio alleato e mi hai anche visto. Non sono la Mags che ricordi, non sono buona, non sono furba, sono rimasta invischiata in questo Gioco, ho permesso che le loro regole mi schiacciassero, ho permesso a me stessa azioni che non posso perdonarmi. Sono diventata qualcosa che mi ripugna. Tanto vale aiutarti a vincere, no?”

“Stai dicendo un sacco di idiozie! Pensi che la tua morte mi aiuterebbe? Credi che io sia più innocente di qualsiasi altro qui dentro? Anche io ho ucciso, solo che non permetto che il senso di colpa mi schiacci, non ho motivo per commiserarmi, lo sai cos’è un perdente? Il vero perdente è uno che ha così paura di non vincere che nemmeno ci prova(1). E tu non lo sei mai stata, non sei una perdente. Provaci Mags. Anche se devi fare qualcosa che va contro tutto quello che sei, tutto quello che credi, devi provarci.”

Somiglia terribilmente a un conversazione che ho avuto con Aiden nel centro di addestramento e non sono sicura che abbia ragione, continuo a credere che sia meglio morire come me stessa, piuttosto che vivere come assassina. Però devo convincerlo a lasciarmi andare.

“Non mi sento sconfitta, lasciami andare alla Cornucopia” la fermezza nella mia voce è alimentata dalla ferma convinzione che ormai sono morta, che il mio ultimo respiro sia solo questione di ore e allora tanto vale tentare di pareggiare i conti e all’improvviso so perché non solo voglio, ma devo andare alla Cornucopia, perché non mi terrorizza l’idea di attraversare di nuovo l’intrico della giungla, un’idea folle inizia a solleticarmi la mente, un’idea incentrata su una sola parola, risposte, su un solo nome, Aiden.

“C’è qualcosa che posso dire o fare per convincerti a cambiare idea?”

“No”

“Se non torni entro due giorni vengo a cercarti”

Lo abbraccio, così d’impulso. Non so quanto lo tengo stretto, so solo che fa male, dentro e fuori, non voglio lasciarlo andare arrabbiato con me, non posso avere una litigata come suo ultimo ricordo, nel modo in cui mi è successo con Lexi, so solo che devo andare alla Cornucopia, devo.

“Grazie” mi stacco da lui.

Si gira e prende il suo zaino, tira fuori la daga e la corda, vi lascia dentro la borraccia e la punta uncinata per l’arpione, poi me lo porge e sorride.

“Sei la mia migliore amica, ce la puoi fare” prendo lo zaino, lo isso in spalla e gli stringo un momento la mano.

“Sei il mio migliore amico, vinci per me”

Ci guardiamo, è un attimo in cui le parole si consumano e il silenzio inizia a raccontare cose non dette e sensazioni inespresse, sorridiamo.

Poi una serie di suoni acuti e stridenti coprono anche il rumore della cascata.

E rimbombano chiaramente due colpi di cannone.

L’aria si cristallizza e mi sembra che anche l’acqua ora scorra silenziosamente.

Il mio primo pensiero coerente è che gli strateghi sono riusciti a spezzare anche questo momento. Il mio ultimo momento con Dave. L’addio.

Il secondo è due in meno. Siamo a quota sei.

Non c’è più tempo da perdere, non devo lasciare a Dave il tempo di cambiare idea, cosa che farà di sicuro se lo conosco bene, quindi agisco velocemente, stringo la sua mano forte ancora per un secondo e poi la lascio, guardo i suoi occhi per imprimermeli a fuoco nel cervello, raccolgo l’arpione, prendo la rincorsa e salto accompagnata da una lamentela, forse le ultime parole che gli sento pronunciare.

Mi sembra di venire risucchiata nel vuoto e di cadere per un’eternità senza vedere dove sto andando a finire e, in questo momento, mi viene il panico. Poi lo schiaffo gelido dell’acqua mi riporta alla vita e l’oscurità liquida mi inghiotte. Non vedo assolutamente niente, la poca luce che mi sembrava esserci è svanita come se avessero steso un telo nero tutto attorno a me, questo significa che devo basarmi sul rumore dell’acqua e sulla forza della corrente per capire a che punto sono. Se attraversare i mulinelli è pericoloso, lo è dieci volte di più di notte. Inizio a seguire il flusso dell’acqua e quando inizio a far fatica a contrastarla so è giunto il momento di immergersi, prendo un respiro e nuoto verso un fondo che non vedo, in un’acqua nera come la pece con il corpo che urla di dolore a ogni bracciata e colpo di gambe.

Mi sembra di essere cieca, ma quando sento delle cose viscide accarezzarmi le gambe e iniziare ad avvilupparsi sulle braccia ringrazio il cielo di non vedere nulla, se vedessi qualcosa impazzirei dal terrore, invece così faccio finta che non ci sia niente e mantengo una parvenza di calma, o per lo meno quel minimo che mi permette di andare avanti a muovermi e a trattenere il fiato, però accelero il più possibile e prego in silenzio di non essere divorata, cosa che effettivamente sembra accadere, perchè così come improvvisamente sento questo viscido addosso, tanto rapidamente scompare.

Quando è troppo doloroso trattenere ancora il fiato risalgo in superficie e sento il rumore della cascata alle mie spalle. L’aspetto positivo è che ho superato i mulinelli e che il buio sembra meno denso, quello negativo è che mi sento stremata, l’arpione e lo zaino sembrano pesantissimi, così inizio a nuotare verso la riva in cerca di un minimo di ristoro, inciampo e scivolo un paio di volte prima di riuscire a trascinarmi faticosamente fuori dall’acqua.
Esausta, bagnata, affamata e distrutta mi sdraio a riprendere fiato e inizio a tremare non per il freddo, non per i polmoni e i muscoli che bruciano come fuoco, non perché siamo rimasti solo sei, ma è il pensiero di quando rivedrò Dave di nuovo che mi attanaglia le viscere. Fisso il buio incontaminato sopra di me, non una stella, non la luna, nemmeno una luce fa capolino da quella coltre oscura, ecco perché c’è questo buio così innaturale, chissà perché hanno spento il cielo, forse gli altri tributi sono andati nel panico a non vedere più niente, forse hanno paura del buio. Credo di iniziare anche io ad avvertire una leggera tensione, non tanto per il buio in sé, ma per quello che potrebbe nascondervisi dentro, come quello che ho provato nell'acqua.
Ripensandoci sto andando nel panico anche io, chissà gli altri.

Gli altri tributi. Gli altri sei tributi.

Penso a quelli che erano gli ultimi otto tributi rimasti oltre me e Dave: la ragazza dell’Uno, soprannominata da subito Temperino, nemmeno mi ricordo come si chiama, ma me la ricordo benissimo alla mietitura che saliva sul palco, alta, affilata, con un sorriso ben evidente in volto. Il ragazzo del Tre, che non ricordo di aver mai incontrato di persona, ricordo solo la sua foto che campeggia vicino al numero sette quando stavo aspettando impaziente di sapere che risultato ero riuscita a guadagnarmi con le sessioni private di allenamento. La ragazza del Cinque, che ho aiutato a fuggire da Mannaia e dal ragazzo del Sette e poi ho risparmiato quando l’ho trovata priva di sensi ancora immersa negli incubi. Il ragazzo del Nove, Nolan, di cui ricordo il nome perché lo ritengo particolarmente azzeccato per lui, un ragazzo basso, ma muscoloso, con capelli disordinati riccissimi e occhi leggermente a mandorla. La ragazza dell’Undici, dalla pelle d’ebano e dal sorriso quasi accecante, bè non che abbia avuto molte occasioni di vederla sorridente. E poi il nome che brucia più di tutti, ma è sempre lì presente in ogni mio gesto e ogni mio pensiero, Aiden, impensabile e improbabile alleato del Due che è riuscito a mettermi quasi più in crisi che essere entrata nell’Arena e che alla fine si è rivelato per quello che è: un traditore.

“Non sono una persona terribile, sono le circostanze che sono terribili”

Perché devo sentire la sua voce anche quando non c’è? Perché non posso pensare una cosa cattiva che subito il mio subconscio fa affiorare conversazioni quanto mai inopportune?

Sono attraversata da sentimenti contrastanti e mentre penso e ripenso tanto da bollirmi il cervello, sento un rumore davvero poco rassicurante. Una specie di stridio metallico accompagnato da un risucchio, uno strascichio di una mole imponente, un altro risucchio.

Il buio sembra solidificarsi in una massa enorme, stridio, strascichio, risucchio.

Mi sembra di vedere qualcosa muoversi lentamente, qualcosa che luccica debolmente, stridio, strascichio, risucchio.

Qualcosa che non può essere umano e nemmeno animale, qualcosa di impossibile e improbabile, stridio, strascichio risucchio.

Qualcosa di letale, mandato a uccidermi, stridio, strascichio, risucchio.

Improvvisamente starmene seduta a riprendere fiato e a meditare sul senso della vita non mi sembra più così fondamentale. Mi alzo e cerco di allontanarmi dalla fonte del rumore, arretro un paio di passi e inciampo in un sasso viscido. Stridio, strascichio, risucchio. Mi rimetto in piedi e quello che nel buio mi sembrava un sasso viscido è in realtà un corpo coperto di sangue a cui mancano le braccia.

Stridio, strascichio, risucchio.


E dopo un attimo sto correndo come una pazza nel fitto della palude sentendo l’adrenalina e la paura pomparmi nelle vene come mai prima d’ora, nemmeno mi preoccupo del dolore o di essere silenziosa, perché qualsiasi altra opzione, qualsiasi, sembra meno terrificante di quello che ho sentito e che non ho visto.

E così corro e corro incapace di fare altro finché il cielo non inizia a schiarirsi e solo allora sento il battito del mio cuore attenuare leggermente il suo battito frenetico, cerco uno spazio nella vegetazione per riuscire a vedere quella coltre che fino a poco fa mi rendeva cieca e vulnerabile ora è rosa, arancio, rosso mischiato a resti di grigio e blu. Il sole non sta sorgendo, sta esplodendo.

Chi non crede nei miracoli non ha mai ammirato l'alba.
 
 
 
 






 








 
 
(1) "Lo sai cos’è un perdente? Il vero perdente è uno che ha così paura di non vincere che nemmeno ci prova" Little Miss Sunshine 

A.Curnetta "chi non crede nei miracoli non ha mai ammirato l'alba"

 

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Capitolo 20
*** Niente ***


Solamente l’adrenalina mi ha permesso di correre tutta notte, ma adesso stento a tenermi in piedi mentre proseguo la mia marcia forzata sotto un nascente sole bollente e rosso, che ha colorato il cielo come se fosse il tramonto, sebbene sia appena sorto.
 
Cammino, tendo le orecchie al minimo rumore e sento spasmi di paura attraversarmi tutte le volte che perdo il senso dell’orientamento, attraversare la giungla alla volta della Cornucopia inizia a sembrarmi un’impresa così difficile, se ripenso che appena entrata nell’Arena mi spaventava l’eccessivo silenzio, adesso la ritengo fin troppo rumorosa. Sento qualunque tipo di suono, fischi, schiocchi, fruscii, e anche dei versi, come dei ruggiti profondi e cupi come quelli che emette un animale nascosto quando ti avvicini troppo alla sua tana, la prova definitiva che io e gli altri cinque ragazzi non siamo i soli in questo posto.

E ogni cosa mi ricorda quello che è appena successo, le due morti improvvise, l’incontro con qualunque cosa fosse quel disgustoso essere sulla riva, l’idea che ormai siamo quasi alla fine, che entro due giorni al massimo sarò rispedita in una bara bianca al mio Distretto. Ma almeno sarò a casa.

Il mio corpo va avanti ormai per inerzia, non posso permettermi di fermarmi, perché sono certa di non essere più in grado di rialzarmi, un dolore sordo e opprimente si irradia dal e attraverso il mio corpo, ma riesco a ignorarlo e andare avanti grazie alla forza della disperazione.

Non riesco più a distinguere i rumori che sento davvero da quelli che sono suscitati dal ricordo della notte scorsa, che sembrano essersi annidati nel mio cervello come monito permanente di quello che potrebbe succedermi se mi distraggo anche solo un attimo. Quell’insieme di acciottolio metallico e suoni umidi che sono sintomo di qualcosa che sorge direttamente dalle tue paure più profonde e che si solidifica nel buio. Lo stesso buio che al solo pensiero che deve sopraggiungere mi fa venire la pelle d’oca, perché ho la certezza che con l’oscurità sopraggiungeranno quegli esseri e non ho la minima possibilità di sfuggirgli. Quindi per il momento ringrazio che ci sia il sole anche se brucia ed è di un colore così intenso che genera delle strane ombre all’interno della foresta, radici e liane sembrano per un momento assumere sembianze umane e so con certezza che se vedessi un tributo in questo istante non esiterei un attimo a colpire.
Sulla riva del lago sono crollata un’altra volta e lì vi ho lasciato un ulteriore pezzo di me.

Cammino, ma non sento le gambe, ogni respiro brucia nei polmoni, sono sudata e dopo poco i crampi allo stomaco mi generano dei conati, ma non avendo niente nello stomaco riesco solo ad accasciarmi e a sentire in bocca un sapore acido. Bevo un piccolo sorso d’acqua dalla borraccia che mi ha dato Dave e quando mi rimetto lo zaino in spalla mi sembra pesare molto più di prima.
Devo rialzarmi. Anche se sono e mi sento praticamente morta, piangerei se solo non fossi disidratata.

E così rimetto di nuovo a fuoco i miei obiettivi, ovvero trovare Aiden e ottenere qualcosa di commestibile.

Non mi permetto di pensare al altro.

Ma mentre proseguo inizio a tornare vagamente lucida e mi rendo conto di una cosa: la mia strada viene modificata. Nel senso che mi imbatto più del dovuto in zone invalicabili, cumuli insormontabili o aree non attraversabili. O sto diventando estremamente paranoica o mi stanno incanalando dove vogliono loro e so che possono farlo perché mi ricordo del ragazzo del Sette e della sua compagna di Distretto che una delle prime notti nell’Arena erano stati spinti verso il punto in cui io e Keri eravamo accampate. Nonostante questa orribile consapevolezza, non mi fermo, ma stringo freneticamente l’arpione e continuo a dirigermi verso quello che vogliono farmi trovare, nel bene e nel male.

Dopo quelle che mi sembrano ore sbuco in una radura e non in una qualsiasi, ma quella dove scintilla la Cornucopia, illuminata da un sole cupo e rosso che sembra renderla lorda di sangue, un’immagine davvero suggestiva, peccato non poter fare i complimenti agli strateghi per lo scenario da incubo che stanno creando. La luce brucia così tanto che sembra di essere al tramonto, il cielo è arancione, il sole una palla di fuoco e il prato una massa ardente con al centro un grande falò, sembra che abbiano preso tutto il sangue versato e usato per dipingere un nuovo scenario. Non assomiglia per nulla allo spettacolo che avevo scorto alla prima occhiata appena risalito il tubo di lancio, nessuna traccia di verde, di azzurro e degli altri tributi, adesso le nostre divise arancioni si sarebbero mimetizzate alla perfezione, se solo non fossero lacere e incrostate, che ironia.

Però di sicuro non mi hanno fatto arrivare fin qui per il panorama o perché mi hanno preparato il pranzo, anche se mi piacerebbe pensarlo almeno per mezzo secondo.

Mags, calma e mente lucida. Sono sbucata dalla parte opposta a quella in cui ero posizionata alla partenza, cioè verso la coda della Cornucopia, mi guardo attorno, tutto tace e non c’è nulla sul prato, quindi per vedere se è rimasto qualcosa devo girarci attorno e andare all’ingresso.

Quindi inizio a muovermi cautamente per mettermi all’imboccatura della struttura in modo da vedere se sono rimaste provviste. Mentre mi muovo cerco di essere silenziosa e di badare a dove poggio i piedi dal momento che comunque devo attraversare uno spazio aperto esponendomi, quello che si sente però è il terreno che diventa sempre più morbido e scivoloso, che risucchia i miei stivali intrappolandomi sempre un po’ di più e crea uno spiacevole suono di risucchio quando sollevo i piedi, il che mi ricorda l’orribile incontro vicino alla cascata e che il buio è in agguato. Devo sbrigarmi, ma quasi quasi sono felice di trovare di nuovo le sabbie mobili, almeno sono un ostacolo conosciuto e questo indica che ormai non ci sto più con la testa. Decido che tenersi gli stivali è peggio che rimanerci secca per essere stata individuata a causa del rumore o per non essere riuscita a scappare a causa dello sprofondamento, quindi li sfilo e li appoggio a terra, inoltre prima di inoltrarmi fino alla cornucopia mi tolgo anche lo zaino che mi ha dato Dave con la borraccia, da cui prendo un sorso, e la punta nuova dell’arpione, e senza degnarli più di uno sguardo inizio a procedere veloce e silenziosa, solo che quando finalmente vedo quello che potrei definire come l’imboccatura della Cornucopia mi accorgo che c’è già qualcuno.

È di spalle ed è chinato su una cesta intento a guardare chissà cosa, è un ragazzo e sapendo che sono rimasti Aiden, Dave e il ragazzo del Nove, è di sicuro il ragazzo del Nove. Nolan.

Sono pietrificata.

E inizio a sentire un tremito alla mano sinistra, solo che non è il ricordo dell’amputazione che ho subito nell’incubo che mi hanno indotto, è come un formicolio denso di attesa. E poi la mia stessa voce limpida e glaciale mi risuona nella mente e mi mette i brividi.

Colpiscilo.

Ma è di spalle.

Ok. Chiamalo e quando si volta colpiscilo.

Ma potrei ucciderlo.

Lo scopo non è questo?

No!

Negli Hunger Games o si vince o si muore*.

Non potrei solo chiedergli di farmi vedere se è rimasta qualche provvista?

Ahahahahahahah perché mai dovrebbe farlo?

Perché io non l‘ho attaccato.

Appena ti vede sei morta.

Forse è meglio morire.

Hai promesso che avresti tentato.

Di fare cosa? Vincere? Uccidere?

Tornare.

La voce tagliente come una lama si è trasformata all’improvviso nella voce di mia sorella.



Mia sorella. Il vero motivo per cui sono qui, il vero motivo per cui ho scelto di sopportare tutto questo.
Posso provare, ma mi vorranno bene lo stesso dopo? Accoglieranno un mostro?

Devo essere rimasta ferma almeno un minuto perché sono immersa nel fango fino alle caviglie, così puntellandomi con l’arpione mi libero con uno strattone che genera un suono melmoso e sfortunatamente molto rumoroso.

Il ragazzo si volta con un gesto fulmineo e imbraccia una balestra. Ha un aspetto orribile, praticamente metà della maglietta cade a brandelli e si intravedono delle ferite sotto, le gambe sono incrostate di fango e sangue, come i capelli ricci, ma la cosa inquietante sono gli zigomi così sporgenti sul volto scarno che temo possano schizzargli fuori dalla faccia.

Un basso gemito gli sfugge dalle labbra quando lascia partire il colpo e il rinculo della balestra gli riverbera dalle spalle alle ferite sul torace.
Sono così intenta a squadrarlo che quando capisco cosa ha fatto faccio appena in tempo a gettarmi a terra, ma la freccia mi prende comunque di striscio, lasciandomi un leggero graffio sul braccio sinistro e portandosi via un po’ di stoffa. Non sono sconvolta tanto dal fatto che mi abbia sparato, ma dal fatto che mi sono scansata giusto un istante prima di prendere una freccia diretta al cuore, per essere uno che nel Distretto coltiva solo cerali, il ragazzo del Nove ha una mira impressionante o una fortuna sfacciata.

Ma non posso stare ferma ora, perché in questo istante ho un vantaggio enorme.

La balestra deve essere ricaricata, il mio arpione no.

Scatto in piedi schizzando fango ovunque, i muscoli ululano dal dolore, ma non posso occuparmene perché sto correndo per entrare nella Cornucopia, praticamente volo su quel terreno che di colpo diventa solido e non più cedevole e un istante dopo gli sono di fronte, a meno di mezzo metro mentre lui ancora sta tendendo la corda, è la mia occasione.

Quando tento un affondo però usa la calciatura della balestra per deviare il colpo tanto che finisco per superarlo e conficcare il mio arpione per almeno venti centimetri nel terreno e sento il riverbero del colpo che mi scuote le ossa e mi fa battere i denti, sarà deperito, ma rimane comunque molto più forte di me.

Mi giro immediatamente per non dargli le spalle e mi abbasso appena in tempo per evitare un altro colpo diretto alla mia testa. Diventa tutto uno spostarsi e saltare e voltarsi e chinarsi e rotolare e non distrarsi nemmeno un secondo, perché lui inizia a usare la balestra come una mazza, non ho dubbi che sarebbe in grado di sfracassarmi il cranio con quella cosa. Un dolore lancinante al ginocchio e un suono strozzato proveniente dalla mia stessa gola sono indice che un colpo è andato a buon fine, ma riesco comunque a stare recuperare alla svelta l’equilibrio e a schivare un assalto particolarmente violento diretto al volto, tanto che lui barcolla per quell’istante che mi è necessario per tirare fuori l’arpione da terra e imbracciarlo. Adesso riesco a deviare i colpi più facilmente aiutandomi con l’asta di legno spesso, ma sento ogni singolo doloroso colpo entrarmi dentro, finché ruotando riesco a infilzargli la punta ne piede. Lui lancia un urlo e riesco a fargli cadere l’arma di mano, carico il colpo e lo trafiggo allo stomaco, spingo con tutta la forza che mi resta l’asta nella carne finché mi trovo a pochi centimetri dal suo corpo e sento il meccanismo della punta uncinata fare presa. E il tempo sembra fermarsi, percepisco solo il suo sangue che mi cola lungo braccia e gambe, mentre lui è ancora in piedi e mi guarda con gli occhi leggermente a mandorla che si stanno spegnendo, sono tanto distratta dal non leggervi né disgusto né rabbia nei miei confronti che non mi accorgo che la sua mano stringe ancora una freccia della balestra. Me ne rendo conto quando la sento piantarsi violentemente nella mia schiena, sotto la scapola destra, solo allora il ragazzo stramazza a terra in una pozza del suo sangue dello stesso colore del sole in quell’esatto momento.

Bum.

Poi realizzo una serie di cose tutte assieme: sono fradicia di sudore e sangue, soprattutto sangue; sto ansimando come se non avessi mai respirato in vita mia; ho una freccia conficcata nella schiena e inizio a sentire davvero un dolore atroce; ho appena ucciso in un combattimento vero e proprio; mi viene da vomitare.

Dopo aver recuperato fiato, con una freddezza che non sapevo di avere, raggiungo il punto da cui sbuca il legno pennato della freccia e lo strappo violentemente. Il dolore mi fa cedere le ginocchia e vedo tutto rosso per una decina di secondi, poi mi rialzo e torco la mia arma dal corpo esanime del mio avversario per estrarla suscitando un’altra pioggia di gocce rosse e scavalco il corpo. Mi dirigo verso le casse accatastate sul fondo della Cornucopia pulendo la lama sulla maglia, o quello che ne rimane per lo meno, senza ottenere alcun miglioramento.

Mi sporgo sulla cassa centrale proprio quella in cui stava guardando il ragazzo del Nove quando l’ho visto e mi si ferma il cuore. È vuota.
E così mi accanisco contro le altre casse.

E si rivelano tutte vuote.

Una rabbia cieca e opprimente cala su di me. Prendo la balestra del ragazzo che ho appena ucciso inutilmente e la uso come aveva fatto lui, solo che prendo a mazzate quelle inutili scatole di legno, urlando come un’ossessa e spargendo pezzi di legno ovunque.

Non so per quanto vado avanti, so solo che sto facendo un rumore e un caos incredibile, sto sprecando energie e fiato, ma mi sto sfogando e non ne posso fare a meno, sono così arrabbiata perché ogni cosa che faccio è sempre più inutile. Sto andando a morte ancora mi illudo del contrario.
Così come ha iniziato violentemente, la mia furia si spenge all’improvviso e mi lascio cadere a terra, stremata, dolorante, ferita dentro e fuori.
Chiudo gli occhi e vorrei non aprirli mai più.

Ma nemmeno questo mi è concesso, perché quando li riapro e mi metto a sedere mi sembra di essere stata tritata dall’elica di una nave, sto dieci volte peggio di quando li avevo chiusi e davvero non pensavo fosse possibile.
Non ho trovato cibo, ho ucciso il tributo sbagliato e sono a pezzi. Che idea stupida venire alla Cornucopia.

Meglio mettersi in marcia e tornare da Dave, anche se la strada sarà più lunga e difficile perché non vorranno mai che torni col mio compagno di Distretto.

Mi alzo in piedi e il mio ginocchio mi dice che è una pessima idea, ma che alternative ho?

Mentre esco dalla Cornucopia mi accorgo che il cadavere del ragazzo del Nove è stato tolto. Strano come non mi susciti nessun orrore come mi è successo con il ragazzo del Sette, forse sono davvero oltre il limite di sopportazione. Fuori sole continua a trasfigurare tutto in tinte rosse, sembra non essere passato nemmeno un minuto da quando sono entrata, l’idea migliore sarebbe tornare da dove sono arrivata, così inizio a dirigermi verso il retro della struttura e tornando sui miei passi noto che i miei stivali e lo zaino sono dove i avevo lasciati, proprio all’inizio della vegetazione folta, ma cosa più incredibile di tutte, accanto a loro c’è un paracadute arancione con appeso un altro piccolo zainetto azzurro. Quasi fosse un miraggio allungo le mani tremanti verso quella piccola ancora di salvezza e solo quando stringo la stoffa tra le dita mi rendo conto che è vero, il suono della zip che si apre mi sembra soave, e quando vedo il contenuto penso di essere sul punto di svenire.

Frutta disidratata, pesce essiccato e schiacciatine. Un barattolino di pilloline rosa. Bende.

Non resisto e mi ficco in bocca due spicchi di mela e un pezzetto di pane cercando di masticare il più lentamente possibile. Non so cosa siano le pillole rosa, ma saranno vitamine o antibiotici, direi quindi che è meglio aspettare di avere qualcosa nelle stomaco prima di prenderle, per quanto riguarda le bende non penso farebbero molta differenza per come sono messa ora, non ho un centimetro quadrato di pelle che non sia un grumo di sporcizia. Mi rinfilo gli stivali sopra i piedi sporchi e graffiati e mi rimetto in piedi, un vago senso di nausea mi attraversa, ma sono più che motivata a tenermi tutto nello stomaco.
E adesso la mia priorità è riuscire a tornare da Dave, trasferisco la borraccia nel nuovo zaino, cambio la punta all’arpione, abbandonando il vecchio zaino e la punta usurata sul prato, e imbocco la strada che mi sembra di aver preso all’andata per tornare alla cascata.

Mentre cammino per la palude attraverso le mangrovie fa sempre più caldo e spostarsi da una radice all’altra è sempre più difficoltoso, inoltre anche la luce rimane di un inquietante colore arancione il che mi ricorda il sangue che scorre dentro gli alberi e mi fa venire i brividi. L’unica cosa positiva è che riesco a trattenere nello stomaco quel paio di bocconi che mi sono arrischiata a mangiare, così decido di assaggiare anche il pesce e mi sembra la cosa più buona sulla faccia della terra.

Continuo a camminare lentamente praticamente trascinandomi per la stanchezza, ho perso il senso del tempo e anche dell’orientamento, l’unico peso che non provo è quello per aver ucciso il ragazzo del Nove.
Sono quasi certa che ormai dovrebbe calare la notte, ma la luce ancora mi illumina la via e per il momento non me ne lamento visto che tremo al solo pensiero delle tenebre e di quello che potrebbero portare con sé. Mentre penso queste cose una freccia mi sibila vicino all’orecchio e allora scatto. Corro a zig zag tra la vegetazione folta e quando trovo un albero adatto mi ci arrampico con immensa fatica, mentre vengo tempestata da frecce. Quando sono sufficientemente in alto e coperta dalla chioma, valuto i danni: sono soprattutto tagli superficiali sulle gambe, ma sono talmente martoriate che squarcio più squarcio meno non cambia molto, la cosa che mi preoccupa è che ho ricominciato a sanguinare dove sono stata colpita dal ragazzo del Nove e mentre cerco di esaminarmi la spala mi accorgo che mi è rimasta una freccia piantata nello zaino. La stacco e la rigiro tra le mani, è una freccia bellissima, lunga, con una punta sottile e completamente verde con un impennaggio che sembra composto di foglie. Penso a quelli che sono effettivamente i miei avversari rimasti, ma per quanto mi sforzi non riesco a mettere a fuoco nessuno di loro, contando anche che con le due morti improvvise in riva al lago non so effettivamente chi sia ancora in vita, ma erano dotati di arco? Sapevano tirare? Possibile che siano riusciti a ricavare le frecce dagli alberi? cosa mi è appena successo?

Sono confusa, sono troppo stremata per andare avanti, ma troppo terrorizzata per fermarmi.

Siccome la situazione sembra essersi placata, scendo lentamente dall’albero, facendo molta più fatica di quando sono salita e rischiando di perdere la presa dall’arpione più di una volta, ma appena tocco il soffice strato di muschio che ricopre le radici della base, una freccia mi arriva dritta nel fianco lasciandovi un segno profondo e sporco, il sangue inizia a scorrere copioso e mi accuccio appena in tempo per schivarne un’altra.

Cerco di capire da dove arrivano, chi le stia tirando, ma non vedo nessuno, non sento niente se non il sibilo delle frecce, in un primo momento inizio a scappare più lontano possibile cercando di non venire colpita, ma è peggio, perché così sento solo la minaccia, così faccio dietro front e inizio a correre in contro alle frecce, in modo che riesco a vederle e a schivarle, cercando di risalire alla fonte.
Dopo poco fortunatamente l’attacco cessa di colpo, senza che io abbia in contrato nessuno. Il che mi inquieta davvero molto, perché vuol dire che o gli alberi hanno imparato a impugnare l’arco o erano gli strateghi che volevano che mi muovessi. Solo che adesso più che muovermi mi trascino.

Mi siedo un attimo, sgranocchio qualcosa e bevo quasi tutta l’acqua, sono in uno stato così pietoso che ingoio anche tre delle pilloline rosa, senza ricordare minimamente a cosa servano, tanto peggio di così di sicuro non può andare. Chiudo un secondo gli occhi, ma ho come il cervello intasato, non riesco a pensare, a respirare, ad andare avanti, appoggio la testa sulle ginocchia e desidero di morire.
Quando riacquisto un minimo di forze per rialzarmi, niente è cambiato, la foresta tace, il sole continua a bruciare il cielo bollente e arancione, il dolore è ancora al suo posto, ma ho come l’impressione che sia trascorso un bel po’ di tempo, è come se gli strateghi avessero congelato il tempo al punto del tramonto per il rush finale. Ma io ho bisogno di riposare, sarà una cosa stupida da pensare, ma non posso affrontare le ultime ore nell’arena in questo stato, però prima di abbandonarmi completamente, torno sui miei passi per un breve tratto e raccolgo mezza dozzina delle frecce che mi sono state lanciate contro, poi mi calo tra lo spazio di due radici, che effettivamente è un posto disgustoso tra l’umido, l’odore fetido di qualcosa che sta marcendo e l’aria afosa, ma sempre meglio che in cima a un albero dove rischio di cadere o alla base di una albero completamente esposta, e chiudo gli occhi.

Quando mi sveglio è per colpa del rumore, qualcuno corre e a giudicare dal chiasso sono più persone…o una molto grossa. Le opzioni sono schizzare fuori e correre alla velocità della luce più lontano possibile, schizzare fuori e affrontare qualsiasi cosa ci sia oppure restarmene nascosta e pregare che non mi trovino di nuovo. Decido di starmene quieta e nascosta, perché davvero non ho la forza di correre ancora.

I passi di avvicinano, dannazione, inizio a sentire un lieve vociare e mi rendo conto che i passi sono scoordinati,  qualcuno è ferito, ma avanzano comunque velocemente.

E poi distinguo le parole.

“Sei sicuro?”

“Si”

“Di qui?”

“No, per di qua, guarda…”

“Dai veloce…”

E poi solo suoni che si affievoliscono.
Le lacrime iniziano a scendermi e briciano più di qualsiasi cosa abbia provato fin ora.

Ho riconosciuto entrambe le voci, sia quella della ragazza che del ragazzo. Non so cosa mi aspettavo ma di sicuro non di sentire Temperino e Dave correre assieme alla ricerca di qualcosa o qualcuno, probabilmente da uccidere.
Avevo una certezza: Dave che mi aspettava al lago. Adesso non ho più nemmeno questo.
Non ho più niente da perdere.
 
Niente.

Esco dal buco che è stato per l’ennesima volta la mia salvezza o rovina. Decido d’istinto che non mi voglio più nascondere e che adesso è il momento di lanciarsi.

Mangio un po’ di tutto e bevo tutta l’acqua, butto giù un altro paio di pillole e poi scaglio lo zaino tra le radici, perché non ho intenzione di tornare o di essere rallentata, impugno l’arpione con una mano e tengo la manciata di frecce con l’altra e avanzo verso la direzione che credo abbiano preso gli altri e dopo una manciata di minuti mi accorgo di dove sono arrivata, il terreno degrada in modo brusco e la vegetazione cambia, c’è molto più fango e verde. E io quel fango me lo ricordo dal momento che ci sono atterrata di faccia. Mi lascio scivolare giù con più grazia rispetto alla prima volta in cui sono precipitata e inizio a cercare tra l’erba e il fango. E poi eccoli lì a terra. Una manciata di puntini verdi, quei maledetti insetti che mi avevano quasi spaccato il cranio dal dolore e che credo contengano veleno; quindi ci passo sopra le punte delle fecce che mi sembrano luccicare di un bagliore più sinistro. O forse è solo il caldo che mi dà allucinazioni, così continuo a camminare certa che da qualche parte arriverò.

Dopo un tempo che mi è parso interminabile mi accorgo di un cambiamento, la foresta si incupisce, sembra vibrare e ringhiare, ma soprattutto mi sembra di essere seguita.

E così rallento l’andatura in modo da essere raggiunta, inizio a zoppicare e ad appoggiarmi all’arpione per camminare, ci aggiungo anche un paio di colpi di tosse e qualche rantolo che sembrano spaventosamente reali, in modo da apparire una preda facile e infatti poco dopo una figura mi taglia la strada.

Il ragazzo del Tre armato di mazza.

Una enorme mazza chiodata placcata in metallo.

Se quella cosa mi prende anche solo di striscio sono morta.

Se prende il mio arpione lo riduce in un miliardo di pezzettini.
 
Sono morta.








































*riadattamento della citazione “Al gioco del trono o si vince o si muore” di Game of Thrones

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Capitolo 21
*** Tilt ***


Ho il cervello in tilt.

Mentre affannosamente cerco una via d’uscita in un vicolo cieco, tengo gli occhi fissi sulla mazza chiodata, quella cosa non può avvicinarsi me.
Lui fissa l’arpione e le frecce che tengo in mano, ma non devono preoccuparlo più di tanto perché inizia ad avanzare lentamente, senza fretta, sa che non sono in condizioni di affrontare un corpo a corpo né di scappare, non con la mia evidente zoppia. Quello che non sa è che è una farsa e che le mie armi sono più pericolose di quello che appaiono. Devo solo riuscire a graffiarlo con le frecce che spero di aver ricoperto di veleno degli insetti.

In tutto ciò però c’è un grande problema: ho passato il veleno sulle frecce e non sull’arpione perché non volevo contaminare la mia arma prediletta, solo che l’arpione si può scagliare, ma le frecce senza un arco come diavolo gliele tiro addosso? Strategicamente sono stata un’idiota.
Devo distrarlo o indebolirlo, magari farlo cadere per poi avvicinarmi e piantargli la freccia nella carne come ha fatto il ragazzo del Nove con me. E qui sorge l'altro piccolissimo problema: la mazza chiodata.

Nel mezzo secondo in cui ho formulato tutta questa serie di problemi da risolvere in un modo che ancora mi è oscuro, lui si è avvicinato troppo, allora mi giro e inizio a correre e dopo un attimo lo sento dietro di me. O si aspettava la fuga o non ha creduto nemmeno mezzo secondo alla farsa della povera vittima indifesa. Addio vantaggio numero uno.
Correre tra fango e radici è una tortura, vado troppo piano, le gambe fanno fatica, le radici sono sempre più spesse e aggirarle richiede sempre più tempo, arranco nel fango e ci sprofondo quasi fino al ginocchio. Niente è sufficiente a farmi guadagnare tempo e in poco tempo mi raggiunge, lo sento sempre più vicino, non ho tempo nemmeno di voltarmi a controllare a che punto sia, quando sento lo spostamento l’aria che precede il tonfo e mi si abbatte la mazza sulla spalla già ferita, sento un crack poco piacevole, ululo per un dolore acuto e lancinante che mi attraversa come una saetta e cado in ginocchio.

Deve essere vicinissimo per essere riuscito a lanciare la mazza e avermi preso, infatti appena caduta mi sento placcare da dietro e finiamo a terra. Lui mi schiaccia e non riesco a rialzarmi, con le mani mi afferra la nuca e mi tiene premuta la testa del fango, oppongo quanta più resistenza sia possibile, ma non respiro, non riesco a sollevare la testa e prendere aria. Le mie mani annaspano, perdo la presa su frecce e arpione, cerco di afferrargli le mani, ma è inutile, non riesco a scalfirlo, a farlo cedere nemmeno di un pochino, le sue gambe attorno a me sembrano d’acciaio, le sue mani sulla mia testa una morsa indistruttibile. Mi sembra di essere in un mulinello e non riuscire a vincere l’acqua, non riuscirò a trattenere il fiato ancora a lungo e poi i miei polmoni si riempiranno di fango putrido e allora sarà finita.
I mulinelli.
Non devo tirare fuori la testa, devo andare ancora più sotto.

All’improvviso smetto di fare resistenza e mi schiaccio ancora più giù sprofondando e facendo perdere l‘equilibrio al ragazzo del Tre, sfrutto questa minima variazione per girarmi e liberarmi della sua presa. Ora io sono sopra ma non avrei mai la forza di tenergli la testa sotto, l’unica cosa che posso fare è recuperare le armi, balzo in piedi e cerco di allungarmi verso le frecce, ma non le trovo, sono impedita dal fango che mi cola copioso dalla faccia e mi finisce negli occhi, così mi trovo subito bloccata coi polsi sollevati sopra la testa schiacciata contro un albero, la spalla geme per questa posizione e un lamento mi sfugge dalle labbra. Sono passata dall’essere schiacciata nel fango a essere schiacciata contro un albero, ma almeno questa volta respiro.
Siccome riesce a tenermi inchiodati i polsi con una mano sola, l’altra cala inesorabilmente prima sullo stomaco, poi sul volto e poi il dolore è così forte che nemmeno capisco più dove si abbattano i pugni. Non ci vedo per la melma che ancora mi sgocciola in faccia e ho le braccia bloccate, ma ho ancora le gambe. Sarà poco fine ma è l’unica cosa che mi resta da fare, quindi scaglio un calcio con tutta la forza che ho al suo bassoventre e so di essere andata a segno quando sento una specie di latrato e la presa che si scioglie dalla mie braccia. A questo punto recupero l’arpione, le frecce devono essere state porte a fondo nel fango e mi giro appena in tempo per vederlo che si rimette in piedi e si allunga verso la mazza chiodata mezza sepolta poco più avanti, cerco di spostarmi il fango dalla faccia per riuscire a prendere la mira, ma la vista non migliora un granché dal momento che mi accorgo di avere un occhio pesto. Comunque devo tirare, non posso permettergli di prendere la mazza. L’arpione appesantito dal fango o dalla mia fatica, lo prende di lato sul braccio portandosi via un po’ di stoffa, pelle e carne, avevo mirato al torace pensando a un colpo mortale, ma quello che ho ottenuto invece sembra un tiro molto più preciso, diretto al braccio che si allungava verso l’impugnatura della mazza. Fatto sta che si ritrae di scatto dandomi modo di arrivare per prima alla mazza; lanciato l’arpione non potevo restare disarmata e quella era la cosa più vicina.

Il ragazzo del Tre sembra essersi spento, si tiene il braccio ferito al petto da cui inizia a sgocciolare sangue scuro che si mischia alla poltiglia marrone che ci circonda e che ci imbratta, senza muoversi, aspetta la fine. E la fine avrà la mia immagine. Mi accorgo che qualcos’altro si mischia al fango e sono le lacrime, le sue.

“Fallo, sono qui” voce tremante e dolce, non avevo mai sentito la sua voce e avrei preferito non sentirla mai. Come può apparirmi dolce?
Sollevo quell’arma mostruosa a fatica e lo guardo, occhi limpidi, ma terrorizzati.

“Ti prego” adesso singhiozza, io tentenno.

Fango e lacrime, le sue, le mie.

Ed è allora che sento uno spintone che mi fa cadere a terra, la mazza mi viene strappata dalle mani. Lo vedo ergersi sopra di me, quando lui la solleva non sembra esserci sforzo nel suo gesto, lo guardo negli occhi e vedo sempre lo stesso sguardo terrorizzato, un animale in trappola farà sempre di tutto per scappare e salvarsi. Vedo la mazza che si abbatte senza pietà, ma io rotolo nel fango e la schivo, prima una e poi una seconda volta.

Da terra gli faccio lo sgambetto e lo faccio finire a terra di nuovo. Io mi alzo e vado a riagguantare la mia arma, la naturale estensione del mio braccio. Nel mentre lui si è rimesso in piedi e mi scruta. È furbo e ha capito benissimo come mettermi nel sacco.

Probabilmente adesso aspetterà che scagli l’arpione, se lo prendo sono viva, se lo manco è la sua occasione per attaccarmi e colpire, e questa volta non ho più trucchetti da giocarmi, ma nemmeno lui ne ha più.

Per uscirne viva devo essere più furba. Per evitare il mio attacco può parare l’arpione con la mazza, può gettarsi a terra se il tiro è alto, può scansarsi se troppo laterale, o mi avvicino per ridurre il suo spazio di manovra, il che vuol dire entrare nel raggio d’azione della mazza, o mi serve un’idea. Mentre giriamo in tondo studiandoci e preparandoci per la prossima mossa mi guardo intorno, fango, mangrovie, radici, rami…

Bene, so quello che devo fare anche se è un rischio incredibilmente stupido da correre, ma so che non ho altre possibilità. Così mi fermo quando vedo quello che fa al caso mio, come in uno specchio anche lui si ferma. Mi pulisco la faccia dal fango, soprattutto dall’occhio buono, soppeso l’arpione e alzo il braccio pronta a caricare il colpo, lui appoggia la mazza vicino ai suoi piedi, pronto a saltare, schivare o fare qualsiasi manovra sia necessaria, sa che la sceneggiata del povero ragazzino disperato non può più funzionare.

Raccolgo le mie forze per il lancio, so che dovrò metterci tutta quella che ho, impegnarmi più di quanto abbia mai ritenuto fattibile. E così lancio. Lui lo vede alto e si butta a terra. Il mio arpione saetta dritto e preciso. Lui si rialza senza un graffio, mi guarda sbalordito, poi solleva lo sguardo e, quando capisce che l’obiettivo non era lui, è ormai troppo tardi. Il ramo sta già precipitando e lo prende in pieno sulla testa.

Bum.

Siamo in quattro.


Sono un guscio vuoto. Sono stanca, mezza cieca, dolorante oltre ogni dire, ma sono viva. Pazzesco.

Ma ho bisogno di riposare, mettere in ordine le idee. Prendo l’arpione e mi allontano da quella che è stata la mia piccola arena fangosa negli ultimi minuti, trovo un grosso albero coi rami grossi e piatti e mi ci arrampico con grande difficoltà e parecchi scricchiolii di ossa. Mi siedo e guardo verso l’alto. Tra le fronde vedo ancora il cielo rosso sangue, impossibile ormai orientarsi nel tempo, è un unico infinito adesso, fatto di dolore e sangue.
Quanto tempo fa ho lasciato Dave? Se il cielo non diventa scuro come ci comunicano chi è morto? Da quando il sole è sorto rosso e onnipresente ci sono stati quattro colpi di cannone, due la notte fonda, uno sicuramente sulla riva del lago dal momento che sono inciampata sul cadavere, ma qualcosa mi dice che anche l’altro è avvenuto lì probabilmente per quella cosa orrenda che faceva quegli strani suoni. Praticamente sono viva per miracolo. Sono stata più vicina alla morte sulla riva del lago piuttosto che adesso. Un brivido freddo mi corre lungo la schiena e mi viene la pelle d’oca al solo pensiero di quello a cui sfuggita per un pelo. Quando ho sentito i colpi di cannone non pensavo che il pericolo fosse così vicino, altrimenti non mi sarei più spostata dalla mia roccia dietro la cascata. Sarei rimasta lì a nascondermi fino alla morte. Ma lo avrei fatto davvero? Con Dave che sarebbe uscito per andare chissà dove? Non credo.

Le altre due morti sono più facili da attribuire, dal momento che sono state opera mia.
Il ragazzo del Nove. Stretta al cuore.
Il ragazzo del Tre. Stretta allo stomaco.

Temperino e Dave sono vivi, li ho visti prima che incappassi nel ragazzo del Tre.
Quindi le due morti sul lago sono tra la ragazza del Cinque, dell’Undici o Aiden, ma qualcosa mi dice che erano le due ragazze, prima di tutto perché erano assieme; Aiden ha ucciso la ragazza del suo Distretto e dubito ne avrebbe accettata un’altra come alleata, ma soprattutto contro una cosa così, anche Aiden sarebbe scappato, è di sicuro abbastanza intelligente da capire che certe cose non si possono affrontare. 

Quindi io, il mio compagno di Distretto che mi ha voltato le spalle, la ragazza dell’Uno di cui non mi sono mai fidata e il ragazzo del Due di cui non mi fidavo, ma poi forse si, perché mi ha salvato la vita, ma alla fine no perché ha assassinato la sua compagna di Distretto che era mia alleata.
Che bel quadretto.

Sento la rabbia che inizia a ribollirmi nelle vene, come è possibile che siamo rimasti noi quattro? Come è possibile che tutto sia precipitato così? Perché Dave era con Temperino? Perché non mi ha aspettato al lago? Sono alleati? Quindi io sono sola? Non ci capisco più niente. Sono arrabbiata, furiosa con tutti, mi sento in balia degli eventi senza poter far nulla, senza riuscire a mettere a fuoco gli eventi.
Poi la rabbia cede il posto al disgusto, non ho appena ucciso, non uno ma ben due tributi? Che differenza fa se Aiden ha ucciso Keri? Alla fine erano tutte persone no? Non dovrei darmi arie di superiorità proprio no.
Guardo le mie mani e stento a riconoscerle, sporche, con le unghie rotte, ridotte all’osso, ma soprattutto sporche di sangue. Sangue sulle mani, sangue nella mia anima e nella mia mente e tutte le lacrime del mondo non potranno mai pulirle, né rendermi la persona che ero prima.

Appoggio la testa contro il tronco solido dell’albero e in questo momento mi pare l’unica cosa solida della mia esistenza. Chiudo gli occhi e respiro profondamente, contro ogni probabilità sono viva, l’aria che mi dilata i polmoni ne è la prova tangibile, ma non provo nessun sollievo a esserlo. Ormai il dolore è una costante, così come la paura, l’insicurezza, la rabbia, è vita questa?

Un unico infinito adesso.
Niente di quello che ero conta più, ho dimenticato la mia famiglia e le sensazioni che mi regalava, qui c’è solo dolore, il mare che avevo dentro si è asciugato, qui c’è solo sangue, ho spezzato le amicizie, qui c’è solo sopravvivenza.
La luce rossa e calda mi infastidisce non poco, ma sono così stanca che il sonno mi vince.


Quando riapro gli occhi non so se dopo minuti o ore, niente è cambiato, il cielo brucia ancora arancione come se fosse il tramonto e il dolore opprimente che sento dove una volta c’era il mio cuore mi schiaccia ancora. Potrei starmene qui ancora un po’ a riposarmi, ma so che, se non un’altra pioggia di frecce, qualcosa mi piomberà addosso per farmi muovere, tanto vale iniziare subito.
Imbocco una direzione a caso e inizio a camminare, fa così cado che mi pento di aver mollato il mio zaino col le proviste e l’acqua, contavo di essere morta ormai e invece sono qui a patire il caldo.
Di bene in meglio insomma.

Sono così intenta a darmi dell’idiota che quasi non li sento.
Quasi, perché stanno facendo un rumore assordante, il clangore metallico avrebbe dovuto mettermi in guardia già da tempo. Sbuco in una piccola radura libera dalle mangrovie e li vedo, Aiden, Dave e la ragazza dell’Uno in un combattimento tutti contro tutti. Spada, arpione e ascia.

Sono impietrita, non so cosa fare, scappare? Restare? Chi devo aiutare? Chi devo uccidere? Cosa faccio?

E poi Dave cade a terra, Temperino alza la scure per abbatterlo, ma dà le spalle ad Aiden che la trafigge da una parte all’altra.

Bum.

Il corpo della ragazza crolla a terra, Dave si scansa giusto in tempo perché non gli finisca addosso, si rialza a fatica e Aiden estrae la spada dal corpo con uno spruzzo di gocce vermiglie che riesco a vedere anche da qui. Ora sono uno di fronte all’altro pronti a darsi battaglia quando Aiden mi vede, abbassa un pochino la spada, sgrana gli occhi e grida il mio nome.
So esattamente cosa vuole ottenere con una reazione cosi esagerata, così inizio a correre verso di loro, ma è troppo tardi, è stato troppo tardi nel momento in cui sono apparsa nella radura.

Dave si gira verso di me, vedo sul suo volto rabbia, tristezza e infine un sorriso. Il suo ultimo sorriso. Perché Aiden non può non sfruttare il vantaggio che gli ha appena dato, infatti appena girato lo sguardo verso di me gli passa la lama sulla gola. Gli si apre uno squarcio da cui esce una cascata di sangue.

Bum.

 

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Capitolo 22
*** Ultimo Round ***


Li raggiungo appena Dave crolla a terra.
I suoi occhi vitrei mi fanno salire la bile in gola e tutto diventa rosso, non sento più nemmeno i miei pensieri, solo il rombo del sangue che mi pulsa nelle orecchie. Mi scaglio contro Aiden con tutta la rabbia che ho, mi sento implacabile. Non importa cosa è stato fatto o detto, importa solo il momento presente, Dave è morto e il suo assassino mi sta fissando, non posso stare con le mani in mano, sono nell’unico infinito adesso che non lascia spazio a nessun altro pensiero, niente nel passato niente nel futuro.

Un attacco frontale non è il massimo della strategia, ma non riesco a pensare ad altro, chiaramente lui riesce a deviare il mio affondo con la guardia crociata della spada. Con una giravolta tento un affondo al fianco che lui para con la stessa facilità di prima. Però noto che pende leggermente da un lato, forse è solo il peso della spada o forse ha una gamba ferita, perciò miro al ginocchio destro roteando l’arma, ma deve aver capito la mia strategia e mi blocca di nuovo con una parata. Non capisco come faccia a contrastarmi con tanta facilità, forse perché sono lenta o perché ci vedo ancora sfuocato.

Non so per quanto ancora vado avanti ad attaccarlo, so solo che per la prima volta cerco di ricordare i pomeriggi in palestra dopo la scuola, le sessioni obbligatorie di allenamento che sicuramente, essendo del Due, avrà fatto anche lui. Favorito contro Favorito.

Solo quando mi manca davvero il fiato cesso il mio assalto furioso, mi allontano di qualche passo e riprendo il controllo della mia mente. Solo allora mi accorgo di due cose, prima di tutto ci vedo sfuocato non solo per l’occhio pesto, ma perché sto piangendo, le lacrime calde mi rigano il volto e i singhiozzi spezzati mi tolgono il fiato più della stanchezza dell’assalto. Secondo, lui non mi ha mai contrattaccato, ha sempre e solo parato i miei affondi.
Mi sfrego gli occhi col dorso della mano e il mondo torna a fuoco, calmo il respiro e punto lo sguardo stracolmo di rabbia verso colui che non posso non uccidere a questo punto, perché se io muoio lui vince.
E io devo vincere non per me, ma per Dave e Keri.

“Combatti!” sputo la parola a metà tra un’imprecazione e una supplica, ma non ottengo risposta.

Aiden mi fissa e io fisso lui. Non capisco perché non si muove e non mi parla, sembra congelato, non trapela nulla da lui, è una maschera d’indifferenza.

“Allora? Hai perso la lingua? Non hai più voglia di combattere? Hi palesemente tratto in inganno Dave per farlo fuori e adesso ti risparmi con la sua compagna di Distretto?” faccio due passi verso di lui e lui arretra.

Scavalco con freddezza il cadavere della ragazza dell’Uno e mi trovo accanto a quello di Dave, corro il rischio di abbassare lo sguardo verso il suo volto un’ultima volta, ignorando Aiden, che potrebbe colpirmi, ma non lo fa. Dave è sporco, emaciato, ma sul suo viso l’ombra di un sorriso.
Ho gli spasmi. Non lo voglio ricordare così. Lo voglio ricordare felice, vivo, nel Distretto Quattro, sulla spiaggia a caccia di granchi, col sale nei capelli e il sole sulla pelle.

Mi chino prendo l’arpione con cui stava lottando Dave e gli sussurro ‘vinceremo…’

Torno a concentrarmi su Aiden che non si è mosso, sul volto una maschera indecifrabile, sembra di guardare un buco nero, nessuna emozione trapela neppure dagli occhi.
Brividi.

“Bene, siamo alle battute finali quindi, esattamente come il tuo piano aveva previsto no?” la mia voce è traboccante di collera, ma lui non reagisce e lo odio per questo. Con la mente volo alla settimana di addestramento quando lui cercava di convincermi all’alleanza, mentre ero ancora convinta che non avrei ucciso nessuno.

“Io non ho intenzione di uccidere”
“Questo è quello che pensi ora, ma tutti ti hanno vista quando sei salita sul palco al posto di tua sorella, eri sicura, determinata e tutti meno te sanno cosa significa: quando verrai attaccata ti difenderai con più intensità, più forza e convinzione, perché hai lei che ti aspetta e perché sei qui per scelta non per caso"


Una risata senza allegria mi sfugge. Ci aveva preso in pieno, che ingenua ero stata, cosa credevo di fare?
Fa un altro passo indietro ma inizia a roteare la spada.

“Forza, non attacchi? Non ci tieni più alla tua vita? Aspetta com’è che avevi detto? ‘Ci sono cose che voglio fare, posti da vedere, esperienze da vivere, persone da conoscere…’ e allora? Tutta qui la grinta con la quale ti batti?” ero antipatica alle mie stesse orecchie e mi detestavo per questo, ma l’odio verso di lui era maggiore e non riuscivo a fermarmi. Non potevo fare a meno di schernirlo, quanto meno per ottenere una reazione, io sono in balia delle mie stesse emozioni e lui è un buco nero, come diamine fa?

“Geniale l’alleanza Due-Quattro, proprio una gran bella idea, se non fosse per l’insignificante dettaglio che hai fatto fuori tutti i suoi membri ad eccezione di uno, l’ultimo, il più spettacolare giusto? Forza vieni a tagliarmi la gola con la spada ancora grondante del sangue di Dave”

Inizio a roteare gli arpioni in entrambe le mani e inizio a vedere qualcosa che si incrina dentro il suo sguardo.
Mi avvicino, si avvicina. Ci studiamo.

“Ti prego spiegami come avevi programmato di uccidere la tua compagna di distret…”

“SMETTILA!” ora è furibondo, gli tremano le mani e vedo pulsare la sua vena sul collo, finalmente una reazione.  

“La devo smettere? Perché? È così uno spasso rimarcare tutte queste scene piacevoli”

“Tu non sai niente, non capisci” ugni parola sembra un insulto e forse lo è davvero “e poi pensi di potermi fare la morale? Le tue mani sono lorde di sangue quanto le mie, se non di più”.

Ghigna con crudeltà, ma dagli occhi trapela dolore e tristezza, l’ho ferito.
“Oh guardatemi sono la piccola povera Mags, io non farò del male a nessuno, prenderò per mano i ragazzi nell’Arena e faremo il falò dell’amicizia. Io salverò tutti! Chiamatemi la salvatrice” mi fa il verso e sputa a terra un grumo di sangue.

“Uau questo è il tuo meglio? L’Arena ti ha smussato la lingua tagliente che ti ritrovavi dopotutto.
Sai una cosa? Io non voglio salvare tutti, perché certe persone non vogliono essere salvate. La salvezza implica un cambiamento. E il cambiamento richiede uno sforzo maggiore dal restare uguali. Occorre coraggio per guardarsi allo specchio e vedere oltre il proprio riflesso*, la persona che ero è stata cancellata dall’Arena, questo sì, e forse sono anche diventata un mostro. Ma io so di poterci convivere, tu puoi dire lo stesso?” gli sorrido di rimando, non può ferirmi, ho un’armatura d’odio e nulla da perdere.

Mi arriva in risposta un ringhio.

E, quando stiamo per scattare come due molle uno contro l’altra, il cielo rosso e bollente diventa nero come la pece nel giro di un battito di ciglia.

Ci congeliamo sul posto accecati dall’oscurità improvvisa, sento solo i nostri respiri mozzati.

So cosa sta per succedere, lo avverto nelle ossa, ma spero di sbagliarmi e per brevi istanti spero che vogliano farci solo combattere al buio per rendere il tutto più eccitante per Capitol, ma poi sento qualcos’altro. Avverto uno spostamento d’aria, che poteva benissimo essere Aiden se non fosse stato per il suono di risucchio melmoso che ha prodotto.

Stridio, strascichio, risucchio.

Inizio a sudare e a tremare, senza capire da che lato sta arrivando: il mostro del lago è tornato.

Stridio, strascichio, risucchio.

Mi viene un conato di vomito, ma lo ricaccio indietro e scappo dal lato opposto a quello in cui mi pare di udire il rumore. Pochi passi e mi schianto contro una superficie liscia e solida, ruzzolo a terra con un tonfo e un ‘ahi’, pochi secondi dopo accanto a me sento un altro tonfo e un’imprecazione. Con tutto lo spazio che c’era proprio dal mio stesso lato doveva scappare?

Impreco anche io e mi rialzo.

“Mags?” l’odio completamene evaporato dalla sua voce.

“Ma chi vuoi che sia?!”

“Non ci fanno scappare”  sento che è in piedi e bussa contro la parete per vedere se ci sono aperture.

“Non mi dire!” il panico mi stava facendo uno strano effetto, un secondo prima volevo tagliargli la gola e adesso volevo nascondermi dietro di lui a piangere. Cioè se solo lo avessi visto, lo avrei fatto per davvero.

Stridio, strascichio, risucchio.

È esattamente questo che intendo quando parlo di infinito adesso nell’Arena, perché qualsiasi cosa tu stia vivendo il secondo successivo può renderlo insignificante, puoi concentrarti su una cosa sola, quello che è stato non può influenzare l’adesso. Cose importanti una manciata di minuti fa non lo è più, Dave con la ragazza dell’Uno, Dave morto, la vendetta su Aiden… è tutto nel turbine nebuloso del passato che non importa più.

Stridio, strascichio, risucchio.

“Un’arena nell’Arena, bello”

“Il sarcasmo non ci aiuta”

Stridio, strascichio, risucchio.

“Ci?”

“Vuoi fare tutto da sola? Prego…”

Borbotto qualcosa che può essere interpretato come alleiamoci o mamma aiuto.

“Non riesco a vedere niente”

Stridio, strascichio, risucchio.

“Da che lato arriva?” la mia voce è sempre più alta, sempre più nel panico.

Stridio, strascichio, risucchio.

“Tieni su le armi, tieni le spalle contro la parete”

Inizio a mulinare gli arpioni completamente alla cieca, non vedo il mio naso figuriamoci le mani armate. Sento la spada di Aiden mulinare a pochi millimetri dalla mia spalla.

“Siamo troppo vicini, rischiamo di ucciderci…” mi rendo conto di cosa ho detto dopo averlo detto, mi raggelo “Cioè intendevo che il buio…”
“…rischia di non farci prendere bene la mira, si avevo capito” la sua voce è dura.

Penso che dovrebbero rinchiuderci in una clinica psichiatrica per la velocità con cui abbiamo cambiato atteggiamento l’uno verso l’altra. Ma in fondo è questo che fanno gli Hunger Games no? Ti demoliscono dall’interno fino a non lasciarti più nulla.

Stridio, strascichio, risucchio.

Inconfutabilmente il suono sorge davanti a noi e io mi sento di gomma, inizio a perdere sensibilità alle braccia e le gambe mi tremano.

Stridio, strascichio, risucchio.

“Aiden…” ho solo paura, voglio andare via, non voglio più stare qui, la mia è una supplica.
“Mags” la sua voce risuona determinata, non piagnucolosa come la mia, come se dicendo il mio nome avesse riacquistato fiducia.

E all’improvviso si accendono delle candele tutt’intorno a noi.
La luce spettrale che si diffonde non è molta, ma sembra una quantità spropositata rispetto a buio completo di prima. Appena i miei occhi si abituano al cambiamento vedo il muro trasparente che ha serrato la radura delimitando un’area circolare grande come la stanza d’addestramento, accanto a me Aiden stringe la spada così forte che le nocche sono completamente esangui, ha lo sguardo spiritato puntato davanti a noi su quello che io non ho il coraggio di guardare.

Stridio, strascichio, risucchio.

Mi sforzo di guardare di fronte a me e all’inizio non capisco cosa sto guardando, poi lentamente i dettagli vengono messi a fuoco: è chiaramente un ibrido, ma è come se avessero preso un animale e ci avessero aggiunto parti metalliche posticce, l’animale originario è alto tre volte noi, nero, lucente di squame, corpo tozzo, quattro zampe massicce alte più di me, una coda, un collo lungo e una testa a metà tra quella di un cane e quella di un orso, solo che dal torace partono altre tre zampe per lato più simili a quelle di un ragno, sono lunghe e affilate come rasoi, scintillano di un bagliore metallico sebbene vi coli sopra una poltiglia nera che imbratta tutto il corpo dell’animale fino a terra.

Stridio, strascichio, risucchio.

Vederlo muoversi e avanzare è raccapricciante, si muove sulle quattro zampe tozze che generano il risucchio quando si staccano dal suolo a causa della pozza di melma nera che l’ibrido rilascia, lo stridio è lo sfregarsi delle zampe metalliche sul dorso, ma quando capisco cosa è lo strascichio sento cedere le ginocchia: sulla coda è presente una lama retrattile dello stesso materiale metallico delle zampe laterali, anch’essa in grado di rilasciare la sostanza nera.

Stridio, strascichio, risucchio.

Ormai è vicino e io sono impietrita dall’orrore. Ancora peggio l’odore mi colpisce come un pugno nello stomaco, sa di rancido e putrefatto, come se la melma trasudata fosse la stessa decomposizione dell’animale.
Mi piego in due e vomito bile che mi brucia la bocca, naso e mi fa lacrimare gli occhi, cerco di darmi un contegno ma i conati mi scuotono.

Respira. Inspira, espira.
Ma ogni respiro è una zaffata pestilenziale e inizia a girarmi la testa.

Stridio, strascichio, risucchio.

Mi rimetto i piedi e porto gli arpioni di fronte a me, in posizione di difesa. Lancio un’occhiata di lato e vedo che Aiden è in piedi e in guardia, verdognolo in volto, ma almeno lui è riuscito a non dare di stomaco in diretta nazionale. Averlo accanto è l’unica cosa che non mi sta facendo urlare e piangere come una bambina di tre anni.
L’ibrido abbassa il muso verso di noi e il ruggito che ne deriva penso sia in grado di staccarmi la carne dalle ossa, mi sento come se mi avessero buttato in una campana e poi suonato per ore. Perdo l’equilibrio.

Stridio, strascichio, risucchio.

Ancora un passo e sarà così vicino che la prossima volta possiamo sentire il ruggito direttamente dallo stomaco. Come risvegliata da questo pensiero balzo in piedi col cervello a mille. L’idea migliore sarebbe scartare di lato, visto che l’unico punto debole del mostro sembra essere la lentezza, solo che siamo stati così a lungo inchiodati dall’orrore che il mostro non è molto lontano nemmeno dalle pareti laterali con cui ci hanno intrappolato.
Lancio un’occhiata a quello che negli ultimi dieci secondi è diventato il mio miglior alleato, che ironia.

“Lato al tre!” eravamo giunti alla stessa conclusione.

“Uno” e mi acquatto

“Due” prendo fiato

“Tre” mi slancio verso destra e sento Aiden fare la stessa cosa a sinistra, scivolo lateralmente contro il muro trasparente per evitare la massa ingombrante dell’ibrido, anche se il muro mi sembra sempre più vicino all’animale e non mi lascia molto spazio di manovra, penso quasi di esserci riuscita quando sento uno scatto sonoro, alzo la testa per vedere cosa è stato, e vedo calare verso di me le zampe metalliche sgocciolanti melma che si stanno allungando per raggiungermi, urlo e accelero. Mi trovo a zigzagare tra una giungla di sette metalliche che tentano di impalarmi e gocce di pece che tentano di soffocarmi.

Miracolosamente mi sembra di essere scapata al pericolo e poi… sbam!
Mi spiaccico contro il muro invisibile di nuovo; sono a pochi passi dalla coda del mostro e l’arena è già finita. Quei maledetti strateghi hanno ristretto l’area a meno della metà dello spazio iniziale per farci fronteggiare quell’abominio di ibrido.
Mi rimetto in piedi, mi giro verso l’ibrido e impreco ancora con veemenza. Certi marinai che conosco sarebbero fieri di me, a questo pensiero quasi mi sfugge un sorriso.
Non faccio in tempo a far altro se non a buttarmi di nuovo a terra, perché dalla coda è partito un missile di pece che si spiaccica contro il muro nel punto esatto in cui mezzo secondo prima c’era la mia testa.

Nel clangore metallico causato da Aiden, che lotta contro le zampe metalliche che non hanno intenzione di farlo passare, avanzo verso la coda schivando palle di pece. Quella dannata cosa va messa fuori uso.
L’ibrido non si è mosso da quando abbiamo scartato di lato per aggirarlo, ma non ne ha bisogno a questo punto, non possiamo andare da nessuna parte, siamo costretti a stargli attorno e sebbene non possa girarsi per inghiottirci siamo alle prese con altre parti altrettanto pericolose di quel mostro.
Sono quasi alla coda quando una palla enorme mi arriva contro e non faccio in tempo a schivarla, salto, ma sento l’impatto dalle ginocchia ai piedi, tanto che mi sposta di parecchio in dietro e atterro a faccia in giù in una pozza di melma, con uno schianto che mi svuota i polmoni e mi fa dolere tutte le ossa.

Avrei preferito ritornare a essere schiacciata nel fango dal ragazzo del Tre, questa cosa nera puzzolente sembra colla e non mi permette di alzarmi. Sono incollata al pavimento con busto e gambe, per lo meno non ho perso la presa sugli arpioni e riesco a muovere le braccia. La coda però non contenta continua a sparare palle di pece che sibilano sopra la mia testa, impedendomi anche solo di provare ad alzarmi.

Alzo un pochino la testa e vedo Aiden in difficoltà, quando lui ha scartato di lato il muro si deve essere spostato parecchio lasciandolo incastrato tra le zampe metalliche che gareggiano con lui, in una lotta decisamente impari. Lui cerca di difendersi come può ma è limitato da un piede incollato a terra dalla pece e altra melma nera colatagli addosso che gli rallenta i movimenti, era evidente che non riuscendo ad aggirare l’animale stava tentando di portarsi sotto il suo busto, alto a sufficienza da farlo passare, per sfuggire alle zampe metalliche, ma vi è rimasto intrappolato dentro.
Ma era bloccato a terra con un piede e non gli restava altro che difendersi allo strenuo delle forze.

Tutta questo schifo di Arena era caratterizzata da fango e melma, bleah che orrore, anche io ho provato a essere mezza affondata nel fango più di una volta senza contare che adesso sono costretta a terra.

Ehi però io avevo già avuto uno stivale bloccato e me ne sono tirata fuori in mezzo secondo, mi maledico mentalmente per essere stata così stupida, il panico non fa pensare lucidamente. La soluzione era così ovvia che chiaramente non ci abbiamo pensato subito. Né io né lui.
Io non sono incollata a terra, i miei vestiti lo sono, lui non è bloccato nella pece, il suo stivale lo è.

Facendo attenzione alle sfere di melma sopra la mia testa mi alzo di scatto con un rumore di stoffa strappata al seguito, mi acquatto in una zona priva di masse oleose e inizio a strisciare verso l’ibrido, mi alzo, rotolo, mi abbasso o salto a seconda dei missili che mi vengono scagliati fino a quando mi trovo di fronte alla coda che sostituisce il comodo spara melma nera con una lama che avevo visto prima e che mi ricorda paurosamente quella di Mannaia.
Di bene in meglio.

Inizio a lottare con tutte me mie forze e cerco di sovrastare il clangore metallico per comunicare con Aiden.
“Stivale! Aiden!” niente non mi sente.
Do fondo a tutte le mie riserve di forze che non credevi di avere e, parando i colpi con un arpione, infilzo nella malefica coda dell’animale l’altro, che penetra tra le lucenti schegge facendo uscire liquido verde.
Un ruggito dell’animale mi scuote e per poco non mi fa cadere di nuovo.

La coda smette di muoversi e le zampe si immobilizzano a mezz’aria, cala un silenzio irreale.
Aiden tira un sospiro nell’avere una tregua e io ne approfitto “Aiden! Lo stivale!” mi guarda senza capire, poi mi vede coi vestiti mezzi strappati e si illumina, veloce come un lampo si sfila la scarpa. Mentre facciamo ciò l’animale si muove, sta cercando di girarsi, basta fronteggiarci per finta, adesso vuole proprio azzannarci e trovarmi faccia a faccia col suo brutto muso è l’ultima delle cose che vorrei.

Adesso lo spazio ristretto è un impiccio per la mole esagerata dell’ibrido che deve girare su se stesso per prenderci, ma noi essendo minuscoli al suo confronto e veloci ci portiamo al riparo sotto il suo enorme torace infilandoci tra le quattro zampe massicce che poggiano al suolo.

“Che facciamo?” panico.
Un ruggito poderoso di frustrazione proviene dall’ibrido.
“Non ne ho idea!” panico su panico.

Continua a muoversi, ma non può raggiungerci, così piega l’ampio collo per guardarci sotto di lui e ci ringhia contro, allunga le zampe meccaniche e la coda, ma nemmeno quelle arrivano a prenderci.

Questa situazione di stallo non può durare ancora molto e di fatti l‘ibrido comincia a rimpicciolirsi, lo spazio sotto il suo ventre diventa sempre meno, proviamo a infilzarlo con spada e arpione, ma risuona solo un clangore argentino, è tutto inutile, è rivestito di metallo.
Cosi quando ormai ci troviamo acquattati rotoliamo fuori uno da un lato e uno dall’altro da quello che per pochi istanti è stato il nostro rifugio sicuro. Appena fuori il mostro ruggisce e comincia a rigonfiarsi, non tanto da tornare alla dimensione di prima in cui potevi essere inghiottito con un solo boccone, ma diciamo che con un morso poteva staccarti la testa benissimo e inoltre con queste dimensioni non potevamo più sfruttare la nostra velocità, in quanto sembrava essere molto più agile.

Probabilmente avevo vinto il premio simpatia perché con un sibilo pestilenziale la testa si gira verso di me, mentre la coda punta dall’altro lato verso Aiden e lo sento iniziare a combattere con la lama della coda.

L’orribile muso dell’ibrido mi scruta, le zampe metalliche laterali stridono, come pregustandosi l’assaggio che daranno alla mia carne, la lingua verdognola penzola dal muso nero, da cui colano gocce di bava cupe come la pece che ci sputa addosso da ogni parte.
Aiden mi grida qualcosa, ma sono ipnotizzata dagli occhi del mostro, non posso fare a meno di stare ferma a fissarli, viola scuro, quasi neri, profondi, sembrano quelli di un animale vero, un abisso di dolore reale, poi un rantolo sale dalle fauci dell’ibrido e mi attacca.
Scarto di lato con un urlo e schivo le zanne per un pelo.

Sento di nuovo Aiden che urla e capisco solo parole sconnesse come ‘carne’ e ‘arpione’, ma al momento la mia maggiore preoccupazione è evitare di essere sgranocchiata dalle zanne lunghe come il mio avanbraccio. Cerco di aggirare la testa in tutti i modi possibili, ma non posso sopravvivere solo schivando quella cosa.

E infatti non ci riesco, capisco di essere finita quando sento le mascelle del mostro chiudersi sulla mia gamba e sollevarmi da terra. Un dolore atroce, lancinante che mi sale lungo la schiena e si impossessa di ogni fibra del mio essere. Mollo l’arpione che si schianta al suolo con un crack, ma non mi importa più di nulla, non c’è altro se non il dolore, io sono dolore, pensavo di aver sofferto ma nulla è paragonabile alle zanne che ti penetrano nella carne. Tutto diventa nero e freddo, urlo come mai prima d’ora, è straziante, prego si svenire per il dolore in modo da essere accolta tra le braccia della morte mentre sono nell’oblio.

Ma ciò non accade, anzi precipito a terra in una fontana di sangue e pece nera tra le schegge della mia stessa arma, il mostro latra in modo raccapricciante e si gira si scatto, dimenticandosi di me. Appena ricomincio a vederci e mettere a fuoco, vedo dinanzi a me un moncone sgocciolante melma nera e liquido verdastro dove una volta c’era la coda e capisco cosa deve aver fatto Aiden.

Il dolore mi dà una lucidità mentale pazzesca, ecco cosa mi stava dicendo, che il rivestimento di metallo probabilmente era solo sul corpo centrale dell’ibrido, che le estremità come il collo e la coda dovevano essere di carne visto che avevo infilzato l’arpione proprio nella coda e che per avere quella mobilità il metallo sarebbe stato d’intralcio.
Magari inconsapevolmente ma Aiden mi aveva salvato di nuovo.
Scaccio questo fastidioso pensiero ragionando sul fatto che anche io lo avevo aiutato.

Cerco di sollevarmi ma è una sensazione atroce, la gamba ferita è così sporca che non capisco nemmeno quanto sia grave il danno…
L’urlo di Aiden mi scuote, mi rimetto in piedi e stringo i denti.

Finalmente riesco a vederlo, è in piedi davanti al muso orrendo del mostro, impugna un bastone spezzato, probabilmente quello che resta dell’arpione che avevo piantato nella coda e con l’altra mano si tiene un fianco da cui sgorga un mare di sangue.

La nostra arma migliore, la spada, giace riversa a terra fuori dalla nostra portata, troppo vicina alle zampe dell’ibrido.

Siamo morti.

L’ibrido ruggisce di nuovo e inarca il collo preparando l’attacco, un attacco da cui Aiden non sarebbe mai scampato. Così faccio la cosa più idiota della lunga lista di cose idiote che abbia mai fatto, inizio a urlare contro il mostro e raccolgo una manciata di schegge di legno che lancio nel moncone della coda.
L’ibrido volge l’enorme muso verso di me, piano distrazione riuscito, falla del piano: ho una gamba mezza mangiucchiata quindi non mi posso spostare velocemente. Merda.

Ho gli occhi di quel coso puntati addosso, si gira completamente verso di me e mi ringhia contro.
Aiden però non ci pensa due volte, appena fuori dal mirino dell’ibrido inizia a scivolare verso la spada, così faccio anche io, tenendo le spalle al muro scivolo trascinando la gamba verso il suo lato.

Pensavo che avremmo potuto fronteggiarlo assieme. Pessima mossa strategica, il mostro si accorge di Aiden e fa calare le zampe metalliche su di lui, gli trapassa una gamba inchiodandolo al suolo senza via di scampo, ma lui è riuscito a impugnare la spada che non usa per combattere le zampe ma che lascia scivolare a terra.
Non capisco cosa ha fatto fino a che la spada non arriva ai miei piedi.
La raccolgo incredula appena in tempo per parare una zampata diretta a me, mi vengono i brividi per il cigolio metallico della zampa contro la lama, quando vedo un’altra zampa metallica calare su di lui, questa volta trapassandogli il petto.

Urlo. Di rabbia, di dolore, di paura, di tutto assieme e mi slancio contro la bocca del mostro, non faccio che un passo che la gamba cede, ma l’ibrido mi viene incontro a fauci spalancate.
Raccolgo tutto quello che sono e che ero, impugno con entrambe le mani la spada e quando vedo l’oscurità della gola del mostro che cala su di me, spingo dentro la spada e cerco di muoverla verso l’alto. Sento i denti penetrare nelle braccia e vedo la punta della lama sbucare in mezzo agli occhi del mostro.
Poi tutto si fa nero, l’ultima cosa che sento è un colpo di cannone misto a un latrato di dolore e non posso essere certa di non essere stata io.
 
 
 
 
 
 
 








 
 
 
 
* è stata un po’ adattata chiaramente, ma la citazione originale è questa: “Sai una cosa? Certe persone non vogliono essere salvate. Perché la salvezza implica un cambiamento. E il cambiamento richiede uno sforzo maggiore dal restare uguali. Occorre coraggio per guardarsi allo specchio e vedere oltre il proprio riflesso. Per scoprire chi saresti dovuto diventare. La persona cancellata dagli eventi della tua infanzia. Eventi che hanno stravolto la traiettoria della tua vita. Trasformandoti in qualcosa di inimmaginabile... o persino di incredibile... Dandoti il coraggio di abbracciare ciò che ti aspetta sin dalla nascita, perché è il tuo desiderio. E capire finalmente. Chi sei...”
dal libro "Batman" di Grant Morrison

 

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