una nuova generazione - il ritorno dei draghi

di Bibliotecaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: 11 anni fa ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 Gufi, lettere, bacchette ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 King Cross binario 9 3/4 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 Quello psichiatra d'un cappello ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 Prime lezioni e manici di scopa ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 Il Quiddich ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 Verso Halloween ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 Sgreti ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 Alberi di natale e guai ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 Dire la verità ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 Aiutare un amico ***
Capitolo 12: *** Cap. 11 Il segreto dei draghi ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 Attesa ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 Il ritorno dei draghi ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 Risveglio ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 Si chiude l'incipit ***



Capitolo 1
*** Prologo: 11 anni fa ***


Prologo 11 anni fa

Era una fredda serata di fine estate quando ritornai dopo tutti quegli anni all’interno di quelle mura testimoni di tutte le mie avventure, amori, esperienze, brutte figure, dolori, gioie, successi, insuccessi e crescita come quelle di milioni di maghi e streghe nel mondo. La scuola, malgrado la restaurazione, non era cambiata: Hogwarts non sarebbe mai cambiata malgrado i tempi oramai fossero cambiati. Mi chiesi cosa spingesse la Mcgranitt a convocarmi a un mese dal inizio dell’anno scolastico ma smisi di corrucciarmi ed entrai nell’ufficio della preside. “Mi ha fatto chiamare professoressa Mcgranitt?” chiesi all’anziana donna vestita d’un lungo abito verde e dal solito cappello a punta. “Oh Harry. Sono passati anni oramai non credo che queste formalità nei miei confronti siano più necessarie.” disse con dolcezza “È una abitudine professoressa o forse è più opportuno preside?” rimanemmo un secondo in silenzio ma poi tornammo seri “Harry, la Cuman prima di morire ha avuto una visione, una vera” mi venne la pelle d’oca “Solo io so della sua esistenza e mi serve il tuo aiuto” fece un profondo respiro. “Cosa dice la profezia?” chiesi. La Mcgranitt estrasse da un cassetto una sfera trasparente, la riconobbi, erano le sfere che erano conservate all’ufficio misteri. Allora la profezia venne pronunciata.

Due volte quattro, due volte quattro.

Quattro dai fondatori discendenti

Quattro dai grandi discendenti.

Due volte quattro, due volte quattro

Quattro creature dalle ombre corrotte

Quattro creature dalle stelle prescelte

Due volte quattro, due volte quattro

Quattro ciò, cambiare dovranno,

Quattro persone in passato crearono

“Cosa vuol dire tutto ciò?” chiesi cupo, le profezie della Cuman avevano sempre portato guai e sofferenza. “Vuol dire che la storia si sta per ripetere. E con qualunque esito finirà il mondo cambierà per sempre.” una nuova guerra è alle porte e io non potrò fare nulla per impedirlo “Cosa posso fare?”

Nota dell’autrice:

Essendo la mia prima storia vi supplico di leggere almeno i primi due capitoli e di darmi delle critiche costruttive, ci terrei molto. Detto ciò: i capitoli saranno molto più lunghi rispetto a questo, la storia è ambientata a trentacinque anni dopo la guerra di Hogwarts, pertanto i personaggi che userò sono per la maggior parte di mia invenzione, l’idea sarebbe di scrivere tutti e sette gli anni a Hogwarts e, in ultimo, tenterò di aggiornare almeno una volta ogni una o due settimane.

Baci Bibliotecaria.

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Capitolo 2
*** Cap. 1 Gufi, lettere, bacchette ***


Cap. 1 Gufi, lettere, bacchette

A svegliare Hanna quel giorno non fu il russare dei suoi due fratelli, il nitrire dei cavalli o la voce di suo padre; bensì uno sbatter d’ali e il becchettare alla finestra. Un gufo dall’aspetto sano stava impazientemente attendendo che qualcuno gli aprisse. La bambina saltò giù dall’immenso letto e corse a tutta velocità verso la finestra, la aprì. Il gufo dopo essersi posato sullo schienale della sedia di suo fratello John lasciò cadere tre lettere sul tavolo. Hanna gli diede un buffetto di ringraziamento unito a un boccone di carne, che normalmente davano a J il gufo di famiglia, ma data l’occasione Hanna non ci vide niente di male. Prese le tre lettere dal sigillo e l’inchiostro verde, dalla calligrafia sottile e spigolosa della preside Mcgranitt e le sfogliò fino a trovarne una in particolare. “PAPÀ” urlò la piccola correndo come un fulmine verso la stanza dei suoi genitori. “Papà, papà, papà!” urlò la bambina mentre saltava con insistenza sul letto dei suoi genitori. “Che c’è?” bofonchiò l’uomo con la voce ancora impastata dal sonno “Papà è arrivata!” urlò la piccola. Allora il padre si alzò di scatto dal letto e abbracciò la figlia. La madre percependo tutto quel trambusto si svegliò “Che succede?” le chiese nel linguaggio dei segni “Mamma andrò a Hogwarts!” disse sia parlando che gesticolando allo stesso tempo. Allora la madre la abbracciò esprimendo tutta la sua gioia. Hanna non poteva crederci, o meglio ci credeva aveva entrambi i genitori maghi ma nonostante tutto era magnifico. Gli occhi color miele e tondi della madre, identici ai suoi, si lasciarono sfuggire una lacrima, ma venne cacciata via da un gesto distratto. “Ci sono tante cose a cui pensare: l’uniforme, i libri, il materiale, la tua bacchetta, i bagagli” disse la sua muta madre. “Calma tesoro! Per prima cosa dobbiamo svegliare i ragazzi e questo richiederà già del tempo” Disse il padre. Hanna non partecipò all’immane impresa di svegliare i suoi due fratelli, scese al piano di sotto per leggere con calma la sua lettera. Ma la sua tranquillità venne interrotta da un richiamo che conosceva bene. Posò la lettera e uscì nel bosco davanti casa, conscia di non poter più aspettare.

Nathaniel uscì cauto dal suo letto per non svegliare sua madre la quale aveva lavorato tutta la notte, sua sorella e il nuovo fidanzato della mamma Dreack un ubriacone violento. Nathaniel e la sua disastrata famiglia vivevano in un minuscolo appartamento sopra a King Cross. Lui aveva solo undici anni e si aspettava di poter finalmente passare qualche ora a rilassarsi prima che la città si svegliasse. Aprì la finestra “Stavi per scappare di nuovo n’è vero ragazzo?” Nathaniel si bloccò, un uomo tanto grosso quanto stupido e ubriacone, dalla faccia da maiale come i suoi modi, lo afferrò violento per un braccio. “Non puoi scappare da me ragazzo! Tu mi appartieni! Come mi appartiene tua sorella e quella troia di tua madre” lo sbatté a terra. Il giovane sapeva cosa stava per accadere ma non accadde mai. Il bambino aprì leggermente gli occhi: un uomo abbastanza giovane pieno di cicatrici, di corporatura muscolosa ma dagli occhi dolci, lo stava guardando apprensivo “Tu sei Nathaniel Galleric?” chiese l’uomo. Il bambino non poté che assentire “Ho una cosa per te” gli porse una lettera. Nathaniel la aprì “Caro signor Nathaniel” iniziò a leggere il bambino “le annunciamo che è stato ammesso alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts…” alzò lo sguardo e solo allora notò che Dreack era immobilizzato come se fosse una statua. “Cosa… cosa…?” “L’ho pietrificato” spiegò con ovvietà l’uomo “Resterà fuori combattimento per qualche ora. Giusto il tempo che tu, tua madre e tua sorella raduniate le vostre cose e veniate con me in un posto in cui quest’uomo non potrà mai più causare problemi e tu potrai iniziare a studiare da mago” concluse “Io cosa!!?!!???” chiese il ragazzo svegliando sua sorella e sua madre. “Chi è lei?” chiese la madre di Nathaniel “Non si preoccupi signora Galleric” le disse l’uomo sorridendo. La donna afferrò un ombrello e se lo pose davanti a mo’ di arma. “Mi dica chi è o giuro che chiamo la polizia!” a quel punto l’uomo sconsolato estrasse una bacchetta di legno, cosa che fece sussultare la madre, e, borbottando qualcosa di incomprensibile, apparve quello che pareva lo spirito argenteo d’un cane. “Mamma cosa sta succedendo?” chiese Emily la sorella di Nathaniel “Significa che la nostra vita migliorerà” disse la madre. Nel giro di mezz’ora i bagagli erano pronti. L’uomo pieno di cicatrici fece cenno d’avvicinarsi. Nathaniel si sentì come risucchiato da un tubo minuscolo in cui gli mancò l’aria, non gli fu ben chiaro ciò che accadde, capì solo che un istante prima era nell’appartamento in cui era cresciuto, un istante dopo in una stanza d’un albergo vecchio stile. “Mamma? Stai bene?” chiese Nathaniel apprensivo. La donna gli fece cenno di sì “Cosa sta accadendo mamma?” chiese Emily. “Nathaniel è ora che io ti racconti la storia di tuo padre.” un brivido percosse Nathaniel. Non sapeva nulla di suo padre, solo che aveva abbandonato la mamma, la notte dopo che aveva scoperto di essere incinta.

“Tutto è iniziato quasi dodici anni fa. All’epoca lavoravo come cameriera in un caffè. Fu allora che conobbi tuo padre. Lui era… era…” lo disse con un sorriso dolce “Diverso. Era così dolce, educato e mi accettava così com’ero. Ci innamorammo l’uno dell’altra. La notte in cui si dichiarò, mi mostro il suo segreto: era un mago, me lo dimostrò mostrandomi il suo patronus, la creatura che l’uomo ha creato con la magia. Io continuai ad amarlo e quella notte o una delle notti che seguirono ti concepimmo. Appena seppe che ero incinta sparì. L’unica cosa che mi disse prima di sparire fu che a undici anni dalla tua nascita le nostre vite sarebbero potute cambiare. A quanto pare si riferiva a questo.” Leila guardò l’uomo “Posso sapere il suo nome?” “Fernand Gastworld guardiacaccia e insegnante di creature magiche di Hogwarts. Nonché addetto al contatto delle famiglie di figli di Babbani. E ora io e te Nathaniel abbiamo molte spese da compiere.” disse l’uomo con tono allegro “Non abbiamo molti soldi” dichiarò la donna “Non si preoccupi troveremo un modo per risparmiare” così dicendo l’uomo invitò la famiglia a uscire dalla stanza e andare verso Diagon Alley.

Hanna corse lungo il viale della strada con una energia da far invidia a un folletto. “Hanna rallenta!” gli urlò il padre ma la ragazza non si fermò, anzi, entrò velocemente dentro allo storico negozio di bacchette “Olivander” anche se oramai il gestore era bensì il nipote del fondatore: Michel Olivander. Appena entrata Hanna riconobbe il suo migliore amico Arthur Hunter. “Arthur!” urlò l’amica giusto in tempo per partecipare all’ennesima esplosione di quella mattina. La bambina tossì vistosamente per il denso fumo bluastro che si era formato, così come il suo amico mentre diceva “Ciao Hanna” “Anche questa direi di no signorino Hunter è la decima che prova oramai” dichiarò Olivander “Arthur ma da quanto è che stai provando?” chiese la bambina “Da almeno venti minuti Hanna” dichiarò l’amico “Su non si scoraggi signorino Hunter lo sento la prossima è quella buona” Arthur sconsolato sospirò. L’uomo iniziò a cercare la bacchetta che aveva in mente e dopo pochi secondi tornò con quest’ultima “Ecco qua, sorbo dodici pollici e mezzo polvere di stelle flessibile. Materiale raro il suo nucleo, vediamo se funziona” Arthur scosse leggermente la bacchetta e una strana energia pervase la stanza “Direi che l’abbiamo trovata signorino Hunter, tre galeoni” Arthur mise i tre galeoni sul tavolo e nel medesimo istante entrò Saleric, il padre di Arthur “Hai finito?” “Sì” rispose il giovane che facendo un breve saluto ad Hanna, uscì “Dunque signorina Uther quale mano usa?” “La destra, ma come faceva a sapere che sono una Uther?” chiese Hanna sorpresa “Conosco la famiglia Uther e solo loro hanno i capelli così rossi con striature dorate e ricci” Hanna si passò imbarazzata una mano in quel cespuglio che erano i suoi capelli. Olivander prese le misure e si perse nel retro bottega. “Eccola” disse ricomparendo tre minuti dopo con la bacchetta che aveva in mente dal fondo del negozio. “Allora sedici pollici” Hanna si sorprese, normalmente le bacchette erano molto più piccole “Otano, corda di cuore di drago rigida.” Hanna la afferrò salda, fece un dolce movimento e percepì la strana energia. “Direi che è quella giusta signorina Uther. Tre galeoni” la bambina pagò e uscì velocemente dal negozio andando a sbattere contro un uomo pieno di cicatrici che si portava appresso un bambino e una bambina. Non si scusò neppure e corse dritta dai suoi genitori.

Guardai la bambina dai folti capelli ricci con un leggero disappunto ma feci finta di nulla e entrai da Olivander assieme a quello che sarebbe stato il mio futuro compagno a Hogwarts: Nathaniel. Fin da quando ci eravamo conosciuti a casa mia si era mostrato gentile con me, ma al contempo distaccato come se non volesse conoscermi. Nel negozio v’era un giovane uomo dai lineamenti aguzzi e i piccoli occhi grigi allegri “Ciao Fernand!” lo salutò quello che doveva essere il proprietario “Ciao mio vecchio amico! Come te la passi?” chiese il guardiacaccia “Ah non mi lamento. Tu piuttosto? I nuovi arrivi ti fanno dannare l’anima? Sono fratelli?” chiese guardando i suoi due nuovi clienti “No, ma ne devo prendere due o tre alla volta se voglio finire in tempo per l’inizio della scuola.” disse Fernand allegro. “Allora chi vuole cominciare?” chiese il proprietario guardando nella mia direzione. Sentii le guance arrossirsi e iniziai a giocare con le mani con fare energico “Mi offro volontario!” urlò Nathaniel allegro “Ah bene! Allora giovanotto che mano usi?” Nathaniel ci pensò un attimo “La destra” l’uomo nel contempo aveva iniziato a prendere delle misure. Sparì tra gli scaffali del suo negozio e ne tornò con tre bacchette “Eccoci qua!” disse porgendogliene una “Suvvia la agiti!” il bambino lo fece ma il risultato fu l’esplosione d’un vaso “Credo sia un no” disse Nathaniel notando lo sguardo del mercante. “Va bene proviamo la prossima betulla, dodici pollici e trequarti, sibilante, nucleo di…” un vento terribile si innalzò “DIREI DI NO!” urlò Michel per farsi sentire. Quando il vento si placò l’uomo agitò la sua bacchetta e in un battibaleno tutti gli oggetti tornarono al loro posto. “Proviamo con questa allora” e gliene porse un’altra più chiara delle altre, la scosse e percepii qualcosa “Eccola la prescelta! Edera, undici pollici, crine d’unicorno, fragile. Tienila bene e non ti tradirà mai… tre galeoni” non potei non notare il disappunto di Nathaniel, insomma una bacchetta costava circa sei pound, non mi pareva un prezzo eccessivo. “Posso sapere il suo nome signorino…?” “Nathaniel Galleric signore” rispose prontamente “Nathaniel?” sussurrò l’uomo “Nome insolito e bello tienitelo stretto” dichiarò “E ora lei signorina…? “Elaine Zannet” dissi timidamente “Parlando di nomi rari!... Quale mano usi?” mi chiese già armeggiando con il metro da sarto “La destra” risposi. Allora Olivander sparì dietro il balcone e tornò poco tempo dopo con un paio di bacchette. Il processo per scegliere la bacchetta fu una cosa lenta ed estenuante con me, giacché temevo che non fossi realmente una strega. “Allora…” disse Olivander con le ultime bacchette “Frassino, crine d’unicorno, fragile, dodici pollici…” me la porse, la agitai, non accadde nulla, niente neanche un’esplosione solo il nulla più assoluto, la appoggiai sconsolata “o… Frassino, piuma di fenice, dodici pollici e trequarti sorprendentemente sibilante” la provai. La mano mi parve formicolare e una piacevole sensazione di calore mi avvolse “Sì! È lei! Tre galeoni!” pagai. Ma non riuscii a distogliere lo sguardo da quella bacchetta tanto cercata. Quando tornai a casa mia zia mi chiese “Hai fatto?” “Sì” risposi.

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Capitolo 3
*** Cap. 2 King Cross binario 9 3/4 ***


Cap.2 King Cross binario 9 ¾
 
Il giorno, infine, era arrivato. Mia zia mi svegliò coi suoi soliti modi, ovvero gettarmi giù dal letto, coperte e cuscino compreso, alle sette di mattina. Mi scacciò fuori casa ad aspettare Fernand dichiarando che non voleva più vedere quello sfregiato in casa. Aspettai per un’ora Fernand ballonzolando da un piede al altro per ingannare il tempo mentre l’agitazione cresceva di minuto in minuto. In fine, alle otto, l’uomo arrivò con Nathaniel appresso “Elaine vieni, presto, il treno partirà tra poco!” disse l’uomo che era comparso dall’altra parte della strada. Mi caricai il borsone su una spalla e trascinai il trolley con la mano libera. Non nego che ero estremamente nervosa: non ero mai stata lontana da casa per più d’una giornata e temevo a lasciarle sola la mia famigli, ma mi avevano assicurato che sarebbe andato tutto bene, quindi decisi di partire ottimista. Una volta attraversata la strada afferrai il braccio del professore e tornò quella sgradevolissima sensazione da vomito che avevo provato quando mi aveva teletrasportato a Diagon Alley. Quando toccammo terra per poco non vomitai “Un po’ verdina eh?” mi prese in giro Nathaniel “Molto spiritoso Nathaniel, davvero spiritoso” ribattei “Dai stavo scherzando Ely e, per favore, chiamami Nath” disse picchiettandomi amichevole sulla spalla “Solo se tu mi chiami Elaine” dissi tirando su la schiena “Andata” disse Nath stringendomi con vigore la mano destra. Fernand mostrò un mezzo sorriso soddisfatto “Molto bene, ora basta che troviate il binario 9 ¾ e troverete il treno. Addio” “Ma…” tentò di fermarlo il moro, però era troppo tardi: Fernand era già scomparso “E adesso?” chiesi. Nath prese i suoi bagagli, uno zaino gonfio da quanto era pieno e un borsone a tracolla, e mi fece cenno di seguirlo, eseguii “Ho vissuto sopra King Cross per molto tempo.” spigò “Posso portarci fino al binario 9. Forse lì troveremo qualcuno che ci saprà indicare la strada” disse sicuro “E come lo distinguiamo un mago da un Babbano?” chiesi scettica “Cerchiamo degli adolescenti con bagagli, se hanno un gufo, un gatto o un rospo meglio, accompagnati genitori senza bagagli, che si aggirano nel binario nove e vestiti non proprio normalmente” disse con semplicità. Con la tecnica di Nath chiedemmo la medesima cosa a bensì sei persone senza risultati, anzi ottenemmo solo un mucchio di occhiatacce e un paio di insulti. Stavo iniziando a perdere la speranza quando notai una bambina dai folti e ricci capelli rossi, un flash mi attraversò la mente; pregai di non sbagliarmi e seguii lei e la sua famiglia fino a una colonna con segnati i numeri 9 e 10, li osservai leggermente in disparte. Dopo aver controllato che nessuno li stesse fissando quello che pareva il più grande dei tre attraversò i due muri a testa alta in tutta fretta. Aprii leggermente la bocca scioccata –Quel tipo ha attraversato il muro…- pensai –Ho trovato quel che cercavo.- Mi avvicinai al gruppetto “Mi scusi!” urlai alla signora dai corti capelli castano scuro striati di grigio, ma questa non si voltò –Probabilmente non avrà sentito- pensai “Mi scusi!” ripetei più forte avvicinandomi ulteriormente. Allora la ragazza dai capelli rossi mi guardò seccata “Che vuoi?” mi fermai a mezzo passo da lei. Guardai oltre il corpo della ragazza: l’altro fratello aveva attraversato il muro con la stessa tranquillità del primo. “Allora?” insistette incrociando le braccia. Mi venne il magone: malgrado avesse la mia stessa età e fosse più bassa di me era inquietante. “Come si raggiunge il binario 9 ¾?” chiesi timida. “Si corre in mezzo ai binari 9 e 10.” Dichiarò pigramente e con ovvietà “Grazie” sussurrai. Allora la ragazza scomparve trascinandosi dietro la madre. Mi voltai e chiamai a gran voce il ragazzo “Nath! Vieni, l’ho trovato!” quando mi raggiunse chiese “Allora come si arriva?” In tutta risposta corsi in mezzo alla colonna chiudendo saldamente gli occhi leggermente spaventata dal finire schiantata contro il muro. Invece mi sentii letteralmente trapassare. Era una sensazione strana: come se stessi correndo a tutta velocità con il vento contrario, era invadente ma allo stesso tempo intima e piacevole. Quando svanì mi fermai e aprii gli occhi; un treno nero simile alle prime locomotive con scritto in rosso 9 ¾ si presentò davanti a me assieme a centinaia di studenti e genitori. Mi sentii stranamente eccitata e mi ritrovai a fare un mezzo sorrisetto. All’improvviso “La prossima volta avvertimi! Mi hai fatto venire un colpo!” mi urlò addosso Nath gesticolando con le braccia agitato. “L’idea era quella.” Risposi ridendo incamminandomi verso il treno “Su andiamo.” lo incitai tirandolo per una mano.
 
La cabina in cui si trovava Arthur era vuota ad eccezione di lui e del suo gufo, Anacleto. Il giovane teneva tra le braccia il suo zaino con il necessario per il viaggio: qualche soldo, la divisa scolastica e un libro. Arthur era uno stecchino, cadaverico con almeno due milioni di lentiggini che si distribuivano per la faccia e la schiena, i folti capelli castano scuro tagliati a fungo gli facevano apparire la testa enorme coprendogli i tratti del viso facendolo apparire sciocco e insignificante, ma era disposto a tutto pur di nascondere i suoi occhi, il sinistro azzurro al centro e grigio chiaro all’esterno, l’altro grigio intenso, gli stessi occhi di sua madre, gli occhi che erano diventati la sua maledizione, in qualche modo. Una voce timida e appena percettibile disturbò i suoi pensieri “Scusa? Possiamo entrare, per favore? Il treno è tutto occupato” “Accomodatevi” disse il ragazzo indifferente. Due bambini della sua stessa età si sedettero l’uno accanto all’altra. Il bambino aveva i capelli neri tagliati a modi folletto, disordinati e folti, era di media statura, la pelle aveva qualcosa di malsano a causa della chiara tonalità spenta, gli occhi erano marrone cioccolata e allegri, le labbra sottili, secche e pallide, il corpo ancora fortemente segnato dall’infanzia ma con già in primi leggeri cambiamenti verso l’adolescenza. La bambina invece pareva avere tredici anni da quanto era alta e dalla espressione seria, seppure dolce, del suo viso, tuttavia il modo semplice e anonimo di vestire, la rotondità infantile del viso e la pelle ancora perfetta, lasciavano capire che fosse più giovane, i capelli lunghissimi d’un biondo acceso erano raccolti in una coda alta, aveva le labbra rosee e carnose, gli occhi erano verde scuro e fuggevoli. Fu il ragazzo a presentarsi per primo “Piacere io sono Nathaniel Galleric, ma chiamami Nath” disse sorridendo in modo amichevole sebbene un po’ forzato “Piacere, io sono Arthur Hunter” rispose il giovane, si strinsero la mano, la presa del moro era salda e sicura. “E tu saresti?” chiese il giovane rivolgendosi alla ragazza “Oh…. Io sono Elaine Zannet. Tanto piacere” la ragazza gli porse timidamente la mano e l’afferrò. La stretta era gentile insicura. In quel preciso istante il treno fischiò e partirono verso Hogwarts. Per buona parte del viaggio nessuno disse nulla: Nath si stava girando i pollici in maniera ossessiva chiaramente annoiato e imbarazzato, Elaine stava leggendo un libro intitolato Tobia: un millimetro e mezzo di coraggio e Arthur leggeva Storie di Hogwats. In altre parole erano entrati in una situazione di stallo fino a ché una cascata rossa entrò travolgendo le regole “Odio i miei fratelli!” esclamò una coetanea dal viso tondo, bassina, muscolosa e con un carattere iroso e lunatico che Arthur conosceva bene. “Ciao Hanna. Cosa è successo?” “Storia breve o storia lunga?” chiese quella seccata gesticolando freneticamente con le mani evidenziando ulteriormente la sua irritazione “Corta.” rispose l’amico ponendo il libro sul sedile “Per farla breve: Arold ha iniziato a limonare con la sua ragazza di turno, Luck ha portato nello scompartimento tutti i prefetti e il capo scuola, in più c’erano tutti gli amici di Arold e hanno iniziato a trattarmi come una bambina di tre anni! E, come se non bastasse, i due gruppi si sono messi a litigare, non li sopportavo più e me ne sono andata. Mi serve una faccia amica Arthur!” come facesse Arthur ad avere un’amica così pazza lo sapeva solo lui. “Siediti.” Disse il castano facendo spazio a lei e al suo gatto rosso e bianco striato chiamato Tigre per il suo carattere in sintonia con la padrona. “Voi chi siete?” chiese Hanna come se si fosse accorta solo ora della presenza di Nath e Elaine. “Quelli che hai investito appena uscita dal negozio di bacchette” dichiarò la ragazza appoggiando il libro “Ah, hai memoria.” disse Hanna sorpresa e imbarazzata dalla memoria della ragazza “Non si dimenticano facilmente dei capelli così: sono magnifici.” Arthur, come Hanna, si sorprese della sua affermazione così franca. Certo i capelli di Hanna avevano delle splendide tonalità rosse e le strisce dorate li rendevano quasi vivi ma cespuglio erano, cespuglio restavano. “Grazie ma…” iniziò la ragazza riconoscendo il viso della giovane. “Sì, ci siamo viste anche al binario 9 ¾” disse tranquilla “Oh scusa ero nervosa” rispose la rossa imbarazzata “L’avevo intuito. Non fa niente.” rivelò l’altra esibendo un sorriso dolcissimo. “E lui è Nathaniel Galleric, ma lui preferisce Nath” lo presentò Elaine voltandosi leggermente verso l’interessato indicandolo con una mano “Piacere Nath” disse il giovane porgendosi verso la ragazza “Piacere Hanna” calò un secondo di silenzio. “Qualcosa dal carrello cari?” chiese una donna grassa e dalla faccia allegra arrivata in quel preciso istante. “Oh sì!” disse Hanna entusiasta e affamata “Voi ragazzi?” chiese lei tirando fuori i soldi “Solo tre cioccorane e una bacchetta di liquirizia.” disse Arthur tranquillo “Io proverò una cioccorana” disse timidamente Elaine. “Io niente grazie” dichiarò Nath ma si notava da un miglio di distanza che aveva l’acquolina in bocca. Arthur e Elaine capirono la situazione e Arthur guardò Hanna come per dirle: -Prendi qualcosa da offrirgli-. Hanna alzò gli occhi al cielo e disse “Sei cioccorane, due pacchetti tutti i gusti più uno, due pacchetti di gomme bolle bollenti, quattro bacchette di liquirizia e tre zucconi di zucca.” I due figli di Babbani si guardarono perplessi. “Che c’è, tanto devo crescere!” disse lei con ovvietà. Alla fine però una cioccorana, una bacchetta di liquerizia e uno zuccone di zucca andarono a Nath, il quale accettò volentieri il pasto gratis anche se si vergognava a dover chiedere l’elemosina. “Sentite ragazzi” bofonchiò Nathaniel ad un certo punto con la bocca piena, deglutì “Mi spiegate la questione delle case? Non ho capito bene le differenze che vi sono tra l’una e l’altra.” confessò “È semplice” iniziò Arthur, il quale aveva letto qualcosa e suo padre gli aveva fatto un testa grande come una casa sull’argomento “Vi sono quattro case: Grifondoro in cui vanno i coraggiosi, i generosi e chi è in cerca d’avventura, Tassorosso in cui vi sono le persone leali, d’animo gentile e chi è legato alla amicizia e alla famiglia, Corvonero in cui vanno gli intelligenti, gli intellettuali e chi ha sete di sapere e, infine, Serpeverde in cui vanno gli astuti, i bramosi di potere, gli impervi ei figli di soli maghi.” “In altre parole” lo interruppe l’amica “A Grifondoro ci vanno gli scavezzacollo, a Tassorosso i nerd, a Corvonero i secchioni e a Serpeverde i figli di papà” “Wow sei incoraggiante Hanna, davvero incoraggiante.” dichiarò Arthur ironica serietà “Dico solo la verità! In altre parole l’unica cosa che cambia è la gente che ci trovi. Io la considero solo una scusa per generare odio tra le case, senza contare della coppa delle case!” andando avanti con il discorso i toni di Hanna erano diventati sempre più alti e nervosi, giacché Nath ed Elaine vennero un po’ spaventati dall’atteggiamento aggressivo-passivo dell’amica. “Non temete è innocua… a meno che non abbia fame” disse l’amico fingendosi preoccupato “Taci Hunter” ribatté Hanna seccata. I quattro giovani parlarono a lungo tra di loro e Arthur iniziò a credere che aveva trovato dei grandi amici. Ad un tratto una ragazza Corvonero con la spilla dei prefetti entrò e disse “Salve. Siamo a meno d’un’ora dall’arrivo vi consiglio d’indossare le vostre divise.” e uscì. “Io e Elaine andiamo al bagno. Voi due cambiatevi pure.” così dicendo uscirono. A Arthur venne il panico: aveva sempre avuto problemi a causa del suo corpo scheletrico e lentigginoso, così iniziò a spogliarsi tentando in ogni modo di nascondersi. “Che c’è Arthur? Non sei mai andato a una lezione di ginnastica?” Oh sì che c’era andato ma aveva sempre ottenuto prese in giro. Così tornò ad allacciarsi i pantaloni nascondendo la faccia coi capelli. Arthur si ritrovò a invidiare Nath: a parte il colore grigiastro della pelle aveva un corpo sano e proporzionato, però in certi punti della schiena v’erano dei lividi e dei segni rossastri anomali che il giovane non riuscì a capire di cosa si trattasse.
Erano nel bagno quando Elaine, che stava ancora tentando di farsi la cravatta, esclamò “È mai possibile!” seccata mollò la cravatta e si passò nervosamente una mano trai capelli scompigliando la coda “Vieni te la faccio io” le propose Hanna. In pochi gesti fluidi e precisi la cravatta nera fu sistemata. “Grazie mille” sussurrò l’amica timidamente “Ma ti pare!” disse Hanna con un sorriso. Le due uscirono dal bagno, il quale venne subito riempito con un altro gruppetto d’amiche probabilmente del quinto anno. “Tu in che casa pensi di andare?” chiese Hanna per parlare un po’ “Non lo so a dire il vero: non mi ritrovo in nessuna delle quattro case.” dichiarò la più alta. Hanna invece riusciva a vederla bene come Corvonero o Tassorosso: i suoi modi erano troppo educati e umili per essere una Grifondoro o una Serpeverde al contrario di lei. “E tu Hanna dove pensi che verrai smistata?” chiese interrompendo i pensieri della amica “O trai figli di papà o tra gli scavezzacollo. Non mi entusiasma nessuna opzione ma tra le due preferisco Grifondoro, almeno lì non ci saranno persone che non pensano solo al sangue” dichiarò Hanna con una certa acidità “Che intendi dire? Trai maghi ci sono nobili?” chiese Elaine confusa “No” si affrettò a spiegarsi l’amica totalmente dimenticatasi che Elaine era una figlia di Babbani “Spesso a Serpeverde si trovano delle persone che si credono superiori alle altre solo perché la loro famiglia è formata solo da maghi. Si fanno chiamare purosangue e chiamano quelli come te, i figli di Babbani,… mezzosangue” disse amaramente “In altre parole razzisti” semplificò Elaine con estremo disprezzo “No, non esattamente… ma una cosa del genere” confermò Hanna mentre entrava nel loro scompartimento, dove i ragazzi erano intenti a legarsi le cravatte e ad abbottonarsi la camicia “Alla faccia che sono le ragazze quelle lente” dichiarò Hanna con una mezza risata quando vide i suoi due nuovi compagni bloccare i loro movimenti a mezz’aria “Non si bussa più?” chiese Arthur diventando rosso in viso per la rabbia e la vergogna. Hanna gli tirò una linguaccia e, facendogli l’occhiolino, si sedette accanto a suo gatto e iniziò ad accarezzarlo per un po’; ma più che accarezzarlo ci stava combattendo, la mano di lei contro le unghie ei denti del gatto. Hanna lo bloccava a pancia all’aria costringendo il gatto ad abbracciare la sua mano con le zampe, mordendola e graffiandola, nel contempo parlava con i suoi compagni del più e del meno. Stava andando avanti così da un po’ quando “Ehi ragazzi guardate!” esclamò Nath che aveva attaccato il naso al finestrino del treno entusiasta. Hanna alzò lo sguardo, un castello dall’aria medievale dalle alte torri e di dimensioni gigantesche si presentava al tramontare del sole sulle rive di un lago: Hogwarts la loro nuova casa.
 
Quando il treno si fermò ci mancò poco che Nath ei suoi amici non venissero investiti e trascinati da quelli del sesto e settimo anno il quali li superavano di almeno quaranta centimetri, ma non era la principale differenza: i loro occhi, il loro modo di fare, i loro tratti, le loro voci ei loro odori era ciò che li distanziava principalmente loro ei ragazzi del primo anno. Grazie a un paio di miracolanti acrobazie e sgusciate in mezzo alle gambe riuscirono ad uscire interi da quella massa confusa di adulti prematuri. Nath da fuori distinse la voce di Fernand che urlava “Primo anno, primo anno da questa parte!” Fernand era lì in testa al treno con in mano una torcia. Nath gli si avvicinò “Ciao Nathaniel, Elaine” disse l’omone sorridendo loro riconoscendoli, come aveva fatto con altri studenti ma il suo sorriso con loro aveva qualcosa di più spontaneo, di più aperto e più sincero. Nath lo capì da come anche dopo che lui ed Elaine risposero all’unisono: “Ciao Fernand” Il professore continuò a guardarli con simpatia. “Bene ora seguitemi! Primo anno!” Continuò il professore cercando di radunare i nuovi studenti agitando la lanterna per attirare l’attenzione. Allora il primo anno costituito da qualche decina di bambini seguirono il guardiacaccia fino al lago dove v’erano delle barche a quattro posti. Nath si sistemò accanto alla rossa mentre lo scricciolo e la stangona si sistemarono nella barca accanto assieme ad altri due del primo anno. La luce suffusa delle lanterne si rispecchiava nelle nere acque del lago creando scintillii, giochi di luce, lasciando intravedere qualche creatura che si muoveva sinuosa sotto le acque del lago e il castello immenso appariva lentamente d’innanzi a loro maestoso in tutto il suo splendore alla tenue luce delle lanterne. Molti studenti iniziarono a bisbigliare e commentare per l’immenso stupore e incanto. Arrivati alla riva Nath e gli altri seguirono Fernand lungo una scala secondaria fino ad arrivare a un ampio corridoio dove difronte vi era la porta per la  sala grande; ad attenderli v’era una donna sui trentacinque che vestiva un corpetto nero sopra ad una camicia bianca con delle maniche larghe, che a Nath ricordava quelle che aveva visto nei film di pirati, dei pantaloni neri di stoffa, degli stivali che arrivavano sopra la coscia del medesimo colore, i capelli neri e ricci erano raccolti in uno chignon tenuto fermo da una matita e tutto era coronato da degli orecchini rossi a mezzaluna enormi. “Benvenuti a Hogwarts a voi del primo anno! Vi prego di aspettare qui per poter essere smistate nelle vostre case. A presto.” così dicendo scomparve dietro la porta assieme al professore di cura delle creature magiche. Lasciando il piccolo gruppo in trepidante attesa

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Capitolo 4
*** Cap. 3 Quello psichiatra d'un cappello ***


Cap. 3 Quello psichiatra d’un cappello

 

Nath si guardò attorno: non c’era nessun volto a lui famigliare aldilà di quelli dei suoi quattro amici. Notò come già nel viaggio in treno si erano formati dei gruppi da due o tre persone ora intenti a chiacchierare tra loro e come altri, i più timidi o sfortunati, se ne stavano da soli in un angolo a rodersi lo stomaco e a dondolare su e giù dai talloni alle punte attendendo frenetici l’arrivo della professoressa. “Nath come ti senti?” chiese d’un tratto Arthur per interrompere l’imbarazzante silenzio che si era formato nel gruppo “Bene” disse il ragazzo indifferente, ma una volta che osservò meglio l’amico non poté far ameno di notare come la domanda fosse rivolta più al interlocutore che a lui: Arthur era tremante e guardava in modo ossessivo la porta come se dovesse uscirne un diavolo da un secondo all’altro. “E tu invece? Hai una faccia.” Gli fece notare il giovane. Tuttavia l’interessato non gli rispose, invece borbottò tra sé e sé “Qualunque casa ma non Corvonero” Borbottò il giovane come se fosse un anatema. Nath squadrò dall’alto al basso l’amico perplesso: Corvonero non gli era parsa la casa con minor possibilità, assieme a Tassorosso, di trovarci bulli, allora perché Arthur si preoccupava tanto di finire lì? Avrebbe voluto comprendere la causa della sua angoscia, ma proprio quando stava per aprire bocca il portone si spalancò. “Wow” sussurrò Elaine con la meraviglia negli occhi appena vide la sala grande: un immenso soffitto prillava delle luci del firmamento, oramai possibile vederle solo nel deserto, nelle alte montagne o in qualche steppa isolata, le candele fluttuavano per la sala come lucciole in volo la loro luce soffusa ipnotizzante illuminava la sala a giorno con i loro movimenti armonici a volte e scoppiettanti altre e quattro lunghi tavoli ricolmi di studenti trepidanti per l’inizio del anno scolastico “È incredibile” sussurrò nuovamente la bionda incantata. Nath si ritrovò a sorridere al commento dell’amica; malgrado superasse tutti di una spalla in quel momento sembrò una bimba di sei anni: dolce e fragile. Tuttavia dopo un istante si ricompose tornado seria, però i suoi occhi continuarono a danzare da un lato all’altro della sala curiosi. Il gruppo d’alunni venne accompagnato dalla professoressa Crezzy davanti al tavolo dei professori, infondo alla sala posto su di una piccola pedana. Davanti al loro, su un semplice sgabello, v’era un vecchio e consunto cappello lì in bella vista come un trofeo. Nath non ne capì l’utilità –Che sia la mascotte?- si ritrovò a pensare. Stavano attendendo che succedesse non si sa cosa da qualche momento quando, tutt’un tratto, il cappello partì a cantare a cappella con un ritmo incalzante e pop che faceva venir voglia di alzarsi e ballare.

 

Diamo il benvenuto a tutti quanti voi!

Nuove generazioni di streghe e stregoni,

quando i tempi stanno per mutare

voi diverrete la nostra speranza

anche se gli ostacoli molti saran

il vostro destino realizzarsi dovrà.

Ma… partiamo dalle cose serie

le vostre case scegliere dovrete.

Non vi illudete, non date la colpa a me

siete voi a scegliere non tocca a me

poiché si può scappare dalle responsabilità

ma non dalla vostra anima.

Per voi tutti amanti dell’avventura,

generosi e forti di cuore

qui c’è Grifondoro il grande leone

per chi desidera amicizia e lealtà

e non si fa abbagliare dall’oscurità

qui v’è Tassorosso l’amico migliore

Per gli amanti della logica e verità

e scava sempre in profondità

c’è il grande e saggio Corvonero

a voi che aspirate grandezza e astuzia

e salite sempre più su

qua v’è Serpeverde grande e fiero

non vi sbaglierete, affidatevi a me!!!!!

 

Un coro d’applausi partì da tutti gli studenti, ma come la preside s’alzò in piedi tutti tacquero “Ben venuti e bentornati a Hogwarts. Quest’anno a quanto sembra il nostro cappello ha voluto cimentarsi con una nuova canzone e non è l’unica novità di quest’anno. Diamo il ben tornato, dopo un anno d’assenza, al nostro professore di difesa contro le arti oscure il professor Jonas Jhonson” vi furono dei leggeri applausi e la preside riprese a parlare “Come sempre il nostro custode il signor Gazza ci tiene a ricordare che è proibito a ogni studente l’accesso alla foresta, ai sotterranei e aggirarsi di notte detto ciò… professoressa Crezzy inizi pure lo smistamento” Con un elegante movimento della mani la donna che prima li aveva accolti afferrò il cappello per la punta e disse “Quando chiamerò il vostro nome vi siederete qui, vi metterò su il cappello e verrete smistati nelle vostre case… vediamo… Salomon Atlants!” Un ragazzo dai corti capelli biondicci e leggermente paffuto comparve da dietro le file di studenti. La professoressa non fece in tempo ad appoggiare del tutto il cappello sulla testa che “Grifondoro!” Athur non ascoltava era troppo preso dal divorarsi le unghie con fare ossessivo sotto lo sguardo perplesso e leggermente preoccupato di Nathaniel posizionato accanto a lui. “Arthur Hunter” A sentire il suo nome al povero ragazzo partì il cuore a mille e solo dopo una leggera spinta da parte di Hanna per farlo muovere, il ragazzo salì sulla pedana tremante. Si sedette sullo sgabello, il cappello gli fu messo intesta e coprendogli interamente la faccia -Dunque leggo intelligenza e talento, c’è insicurezza ma anche forza di volontà in te- Arthur intuendo dove il cappello volesse andare a parare si ritrovò a pensare -Ti prego non mettermi a Corvonero- supplicò Arthur -Questo è ciò che vuoi tu o ciò che vuole tuo padre? Pensi d’avvero che se andassi a Grifondoro come lui potresti sviluppare il tuo vero potenziale?- gli chiese il cappello retorico -No- si ritrovò a pensare Arthur senza neanche accorgersene -Allora è deciso…- “Corvonero!” Arthur si sentì male al solo pensiero di suo padre e della scenata a cui avrebbe dovuto assistere.

 

“Nathaniel Galleric!” urlò dopo un po’ la professoressa. Nath si diresse lì insicuro e si sedette sullo sgabello. Il cappello gli coprì totalmente gli occhi impedendogli di vedere qualsiasi cosa -Dunque!- Nath sobbalzò: non si aspettava che il cappello potesse comunicare telepaticamente -Un giovane pieno di domande, vi è coraggio e forza doti da Grifondoro e lealtà ma tu stai cercando qualcosa non è vero ragazzo, stai cercando il rispetto e vuoi dimostrare a tutti che puoi aiutarli. E… sento qualcosa nel tuo cuore che ho riscontrato tempo addietro in un altro come un’aurea di potere. Credo che sia….- “Serpeverde!” urlò il cappello. Nath si diresse silenzioso verso il tavolo. Lui non apparteneva ad una famiglia di soli maghi, allora perché il cappello lo aveva messo lì? –Forse lui apparteneva ad una famiglia di soli maghi- pensò il giovane mentre si sedeva sul primo posto libero sulla panca.

 

“Hanna Uther” Hanna non ce la faceva più ad aspettare: era una cosa insopportabile essere tra le ultime e poi odiava sentirsi gli occhi di tutti addosso. Si sedette sullo sgabello e il cappello non le coprì neppure la fronte visto che i suoi capelli lo sorreggevano da quanto erano gonfi -Allora… contestatrice, irritabile, testarda…- iniziò ad elencare il cappello -Ehi!- si ribellò Hanna -Per l’appunto… orgogliosa. Ma v’è coraggio, determinazione e la voglia d’aiutare il prossimo, unita ad un forte senso di giustizia direi…- “Grifondoro!” “Come sospettavo” dichiarò a mezza voce la giovane dirigendosi verso il coro festoso dei Grifondoro senza troppo entusiasmo. Appena si sedette suo fratello Arold le diede una pacca sulla spalla “Che vi avevo detto? Grifondoro!... Sgancia Jenny.” disse il giovane a una ragazza che Hanna aveva visto la mattina prima in treno.

 

“Elaine Zannet!” ero l’ultima e tutti mi stavano fissando con fare ossessivo. Ciò non ostante ero abbastanza tranquilla: infondo c’erano tre possibilità su quattro che finissi in una casa con una faccia amica. Mi sedetti, il cappello mi coprì fino a metà gli occhi -Amante delle leggende, di natura curiosa, gentile, introversa, insicura e diffidente del prossimo ma leale e sai essere empatica direi… mmh non è facile: vedo delle paure e molti segreti nel tuo cuore.- mi venne un tuffo al cuore: in effetti chi impediva al cappello di dire in giro i nostri segreti -Non li rivelerai vero?- chiesi preoccupata -Tranquilla nessuno saprà di questa conversazione tra me e te. Ma tu dove vorresti andare?- ci pensai -A dire il vero non lo so. Mi piacerebbe stare con i miei… credo amici, tuttavia non credo che farei la scelta migliore basandomi su questo criterio- pensai -Mi hai detto ciò che cercavo e… malgrado tu abbia un buon cervello….- “Tassorosso!” mi sedetti al tavolo Tassorosso scioccata -Su quattro case dovevo proprio finire in quella in cui non conosco nessuno!?! Questa è sfortuna.- però in fondo non mi dispiaceva troppo: li avrei potuti vedere anche in altri momenti –Appartenere a quattro case diverse non è un ostacolo- mi dissi -… oppure sì?-.

 

Nath si sentiva a disagio in mezzo a tutta quella gente nuova che sembrava conoscersi da sempre. Si era seduto accanto a un suo coetaneo dai capelli biondo chiaro, gli occhi verde grigio, di media corporatura e dai lineamenti leggermente appuntiti ma fino ad ora non gli aveva rivolto la parola e al ragazzo andava bene così visto che non sarebbe stato in grado di tenere una conversazione in quel momento. “Ehi, non ti ho mai visto, di che famiglia sei?” gli chiese il ragazzo lì accanto “Come?” chiese Nath confuso risvegliandosi dai suoi pensieri “Il tuo cognome, i tuoi parenti chi sono?” gli ripeté il biondino come se stesse parlando a un bambino di quattro anni “Io a dire il vero…” tentò Nath imbarazzato “Rispondi!” insistette una ragazza lì accanto sempre del primo anno “Il mio cognome è Galleric” rispose “Galleric? Non l’ho mai sentito.” Disse il ragazzo, Nath pregò che la conversazione si fermasse lì “Forse conosco il ramo di tua madre, qual è il suo cognome?” Quello era il cognome di sua madre ma dire di essere un errore di gioventù non era di certo una buona idea, così rimase zitto. Chinò la testa sul piatto e iniziò a giocare con la forchetta con gli occhi incupiti. “Che c’è sembra tu abbia visto un Mangiamorte!” gli disse il ragazzo stuzzicandolo “Cos’è un Mangiamorte?” domandò Nath atono senza rendersi pienamente conto delle conseguenze di quella domanda “Come non lo sai! Che sei un figlio di Babbani?” esclamò la ragazza attirando l’attenzione di tutti su Nathaniel il quale perse il controllo intuendo dal tono ironico e sprezzante che lo stessero insultando. “Sì sono il figlio d’una babbana. Problemi!?!” urlò il ragazzo sbattendo le posate sul tavolo. Nath si pentì subito d’averlo detto vedendo gli occhi maligni che brillarono in alcuni ragazzi. Tutti i Serpeverde che l’avevano sentito iniziarono a ridere di lui: bisbigliando battute o insulti, guardandolo con ribrezzo. Nath si fece piccolo e cercò d’essere invisibile abbassando lo sguardo ignorandoli, ma lo stuzzicavano e lo deridevano senza sosta obbligando il ragazzo ad erigere un muro che piano piano gli stava sempre più stretto e lo soffocava. Nath alzò lo sguardo in cerca di aiuto. Il giovane notò che non tutti nel tavolo Serpeverde lo stavano deridendo ma nessuno interveniva, vide come alcuni si dimostrassero insofferenti all’ingiustizia che stava subendo –Dunque è così che funziona a Serpeverde: o sai farti rispettare o diventi un niente- pensò il ragazzo. Dagli altri tavoli riuscì a vedere i suoi amici che avevano visto tutto. Arthur aveva affondato la testa nel piatto bloccato dalla paura, i due incrociarono lo guardo un istante e Nath lesse le sue scuse silenziose poiché neanche se lo avesse desiderato sarebbe stato in grado di fare qualcosa. Elaine era bloccata e indecisa come se non sapesse bene cosa volesse fare: un attimo era sul punto d’alzarsi e andare da lui, l’attimo dopo si sedeva scoraggiata. Hanna, invece, pur essendo dall’altro capo della stanza, incrociato lo sguardo del amico si alzò e si diresse verso il tavolo Serpeverde in un modo che preannunciava guai: i passi erano lunghi e pesanti scanditi come i secondi d’un pendolo, le braccia rigide lungo il corpo con i pugni serrati e gli occhi fissi ardenti d’un ira degna di Achille puntati al tavolo Serpeverde. Arrivata al tavolo Hanna poggiò rumorosamente la mano sul tavolo e chiese al limite della sopportazione “Qualche problema?” tutti si voltarono a guardarla “Vattene Uther non ce ne facciamo niente d’una stupida scozzese come te amica di babbani” ribatté il ragazzo di prima “Sta zitto Shadow!” abbaiò la ragazza “Sta alla larga da Nathaniel, e se becco te oi tuoi amici che lo trattate male vi crucio tutti!” ringhiò inquietante. Aveva appena finito di parlare quando la professoressa Crezzy comparve alle spalle di Hanna “Che succede qui?” chiese guardando i ragazzi “Niente professoressa. Stavamo solo parlando.” rispose prontamente il ragazzo biondo. La donna lanciò un occhiata severa e interlocutrice a tutti i presenti “Molto bene. Signorina Uther torni al suo tavolo.” Ordinò la donna “Sì” bofonchiò la rossa seccata. Nath si reimmerse nel piatto conscio d’essere appena diventato il nuovo giochetto dei bulli malgrado l’intervento di Hanna, anzi, forese la ragazza aveva, involontariamente, peggiorato la situazione. -Alla faccia della casa migliore per me!- pensò sconsolato e arrabbiato il moro. Quando i prefetti a fine serata li portarono ai loro dormitori Nath si perse a fissare la fredda e spettrale bellezza di quel luogo. Per quanto l’entrata fosse neutra, un semplice muro di pietra privo di decorazioni, le stanze erano stupende: pareti di pietra bianca e nera, mobili in legno di mogano lucidi, le poltrone e gli arazzi verdi emanava senso d’un freddo e temibile potere, la sala comune era riscaldata da un enorme camino bianco perennemente acceso e in giro v’erano delle poltrone o dei divani verdi dall’aria comoda. Quando entrò nel dormitorio si rese conto che erano sotto il livello del lago: dalle finestre si vedevano gli innumerevoli pesci che vivevano nel lago davanti alla scuola, alcuni di questi Nath li riconobbe, altri dall’aria magici non riuscì a darloro un nome. Nath si posizionò in uno dei letti a baldacchino accanto a una di quelle finestre e iniziò a fissare il lago facendo un bilancio della giornata finché, esausto, si addormentò.

 

Percepii i raggi del sole penetrare dalle finestre i quali, con la loro tenue luce, mi sfiorarono il volto, affondai le dita nel morbido materasso a baldacchino; le lenzuola profumavano di lana ed erbe aromatiche, tuttavia era l’odore del legno a impregnare quelle stanze. Aprii gli occhi, non ero abituata a quell’ambiente così caldo e accogliente, pareva fosse fatto apposta per le persone tranquille e amanti del confort, il ché non mi dispiacque, però amavo di più la vista della foresta che avevo dalla finestra accanto al mio letto. Guardai il vecchio orologio a pendolo, stranamente silenzioso, infondo al dormitorio, le 6:00 ci sarebbe voluto un po’ prima di iniziarmi a svegliare a un orario normale. Non tentai neanche a riaddormentarmi, scesi dal letto e silenziosamente mi diressi verso il bagno femminile. Lì mi cambiai il pigiama con l’uniforme e mi diedi una rifrescata. Allora non mi restò che aspettare; presi il mio libro e iniziai a leggere in una poltrona della sala comune godendomi ogni singolo istante di tranquillità. Alle sette le campane suonarono e tutti si alzarono, io andai a riporre il libro a seguito, con tranquillità, mi diressi verso la sala grande, nella quale v’erano solo i fantasmi, i quali avevo scoperto essere tutto fuorché spaventosi, e alcuni professori. Mi presi una brioche e una tazza di latte e con quelle feci colazione affamata. Stavo finendo di mangiare quando la professoressa Crezzy mi si avvicinò consegnandomi l’orario. Lo guardai: prima ora incantesimi con Corvonero, seconda pozioni Serpeverde, terza erbologia Grifondoro, quarta trasfigurazione Corvonero e Astronomia Serpeverde. Afferrai l’orario e andai al dormitorio dove avrei preso tutto il necessario. Si preannunciò una lunga giornata

 

Nota dell’autrice:

Per prima cosa mi scuso per la brevità del capitolo e per eventuali errori, ho avuto poco tempo per rileggerlo. In secondo luogo potrei gentilmente chiedervi di farmi una recensione: vorrei sapere cosa ne pensate e se avete domande fatele, ragazzi davvero mi sto rodendo lo stomaco da tre settimane.

Al prossimo capitolo Bibliotecaria.

P.s. Questo capitolo è dedicato a chi, come la sotto scritta, fa fatica a dormire la mattina.

P.p.s. Per impegni personali potrei pubblicare con tre o quattro giorni di ritardo.

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Capitolo 5
*** Cap. 4 Prime lezioni e manici di scopa ***


Cap.4 Prime lezioni e manici di scopa

 

Hanna corse per i corridoi disperata, si era persa tre volte a causa di quelle dannate scale mutevoli. -Perché non potevano fare delle semplici scale?- si chiese mentre volava verso l’aula di trasfigurazione pregando qualche santo che la professoressa Crezzy, la quale, oltretutto, era la direttrice della casa Grifondoro, fosse in ritardo. Infine piombò nell’aula sprangando la porta dalla fretta causando un fracasso incredibile. Per sua fortuna erano presenti solo gli studenti e… -un airone?- pensò un po’ sorpresa la ragazza vedendo l’uccello argenteo dalle lunghe zampe sottili fissarla “Ah che fortuna!” disse la ragazza sollevata gettando la borsa accanto a Nath che gli aveva tenuto il posto senza difficoltà dato che nessuno gli aveva chiesto di stare accanto a lui. Hanna si sedette e a quel punto l’airone iniziò ad ingrossarsi e a ricoprirsi di vestiti e gli occhi neri del volatile divennero il marrone sguardo severo della professoressa Crezzy, la quale si posizionò d’innanzi alla ragazzina. “Wow” esclamò la classe stupita dalla rapida trasformazione della professoressa “Apra il libro a pagina 2” disse fredda la donna “I ritardatari non sono graditi” aggiunse seria “Mi scusi, mi sono persa” dichiarò Hanna diventando rossa di rabbia e vergogna “Non è una giustificazione.” rispose la professoressa distaccata. Appena uscì dall’aula Hanna gesticolò qualcosa che nel linguaggio dei segni voleva dire: “Brutta schifosa” e altre cose poco carine da dire per una signorina. A quel puto la Grifondoro dovette correre a difesa contro le arti oscure dove la aspettava Arthur. Per fortuna lì arrivò in orario. La classe era in subbuglio per il ritardo del professore, ma quando la porta si spalancò rivelando l’autoritaria presenza del professore, calò il silenzio “A voi del primo anno benvenuti a Hogwarts” salutò il professor Jhonson. Il professore aveva il volto coperto da lunghi e disordinati capelli neri con qualche striatura grigia, il corpo avvolto da un pesante pastrano nero-bluastro un po’ vecchio, i suoi passi erano ritmati come i rintocchi d’un orologio, angosciosi e sordi, era abbastanza alto e aveva le spalle leggermente incurvate. Arrivato sul fondo dell’aula posò leggermente le anche sulla cattedra. “Chi mi sa dire” iniziò il professore “perché si studia difesa contro le arti oscure?” Arthur alzò la mano “Signorino Hunter” concesse la parola il professore “La studiamo per riconoscere le arti oscure e saperci difendere di conseguenza” disse con semplicità lo studente “Risposta corretta. Ma lei sa cosa sono effettivamente le arti oscure?” ci fu silenzio e il professore si alzò dalla cattedra “Meglio così. Vi auguro di non scoprirlo mai.” Dopo l’inquietante affermazione il professore iniziò la lezione, ad Hanna quel uomo ispirava esperienza, sembrava che avesse vissuto ciò che spiegava.  L’ora successiva la giovane andò ad erbologia assieme ad Elaine “Buon giorno ragazzi io sono il professor Paciok e sarò il vostro insegnate di erbologia.” Disse il mago presentandosi con un sorriso amichevole e cordiale “Scusi” disse una dei Tassorosso “Ma Paciok non era il cognome di un amico di Harry Potter?” tutti gli studenti lo fissarono speranzosi con gli occhi illuminati. Il professore in risposta fece una faccia indecifrabile a metà tra lo strabiliato e il confuso “Si è sbagliata signorina Frida. Io non ho mai conosciuto Harry Potter.” Tutti gli studenti guardarono le loro piante delusi. La lezione non appassionò per nulla Hanna, anzi non faceva altro se non distrarsi e per poco non si appisolò. Elaine invece pareva interessata oltre che concentrata sulla spiegazione del professore. “Come fa a piacerti la lezione? Io mi stavo per addormentare!” Esclamò la Grifondoro una volta uscite dall’aula, Elaine fece spallucce “A me piace erbologia la trovo una materia interessante. Oltretutto ho il pollice verde a casa tenevamo qualche piantina e spesso mene occupavo.” Hanna guardò un secondo l’amica “Perché non li tieni sciolti?” le chiese cambiando discorso “Non mi piace avere i capelli negli occhi.” rispose semplicemente “perché questa domanda?” domandò la Tassorosso “Così” disse la rossa facendo spallucce. Elaine iniziò a cercare qualcosa nella borsa fin quando non trovò una piccola pergamena “Ora cos’hai? Io devo correre a trasfigurazione.” Hanna estrasse l’orario dal fondo della borsa e lo controllò “Ho incantesimi con Serpeverde e infine pozioni con Corvonero” comunicò la giovane “Allora ci vediamo alla sala grande!” così dicendo Elaine volò alla sua seguente materia salutando l’amica con il braccio mentre si allontanava. Le due ore seguenti furono come le prime per Hanna estremamente noiose. Incrociò i suoi amici all’entrata della sala grande “Allora dove ci sediamo?” chiese Nath evidenziando il problema di appartenere a quattro case diverse “Io boccerei Serpeverde e la mia casa” dichiarò Hanna perfettamente conscia che sarebbe stato come lasciare una fiamma libera in mezzo ad una polveriera. “Non è neppure una buona idea Corvonero non apprezzano i Tassorosso dicono che sono stupidi… ma io non ci credo Elaine… cioè insomma io…” balbettò Arthur velocemente gesticolando frenetico “Ho capito tranquillo.” Disse Elaine alzando le mani e sorridendo bloccando l’eccessiva preoccupazione del giovane “Comunque non ci possiamo sedere neanche al mio tavolo: non sopportano i Serpeverde.” dichiarò la Tassorosso facendo alzare le braccia al cielo a Nathaniel esasperato. “Credo sia meglio pranzare da soli e poi ci vediamo all’entrata e andiamo da qualche parte.” propose la Tassorosso con praticità “Noi ei Serpeverde abbiamo la lezione di volo dopo pranzo.” disse Hanna “Allora io e Elaine andremo in biblioteca a fare i compiti e quando finite raggiungeteci.” disse Arthur. A Hanna non entusiasmò l’idea di mangiare da sola ma non avendo alternative si doveva accontentare.

 

“Ma tu guarda il figlio di Babbani” lo canzonò Braian Shadow, il ragazzo biondo della sera prima. Quel ragazzo non faceva altro se non deriderlo ed erano solo al primo giorno di scuola. Nath strinse i pugni e consumò il suo piatto in silenzio. Appena ebbe finito andò all’entrata dove Elaine si era posizionata dopo aver mangiato “Quel ragazzo” iniziò Elaine guardando l’amico “non dargli peso per ora: se vede che non reagisci si stancherà; tuttavia se continua a insistere fagli vedere che non hai paura di lui.” gli consigliò la ragazza premurosamente “Grazie ma non mi serve un supporto Elaine. So cavarmela da solo.” ribatté il moro irritato incrociando le braccia e voltandosi dall’altra parte. “Fa come vuoi. Io volevo solo aiutarti.” La risposta di Elaine non era irritata anzi non lo stava neppure guardando, invece guardava la sala grande nel suo insieme con sufficienza. “Che cosa stai facendo?” chiese il ragazzo “Niente” rispose la ragazza. Nath decise di lasciar perdere ma stupì di come la giovane apparisse diversa dallo scorso giorno come indurita da qualcosa, fredda e distaccata. “Nathaniel eccomi!” gridò Hanna trotterellando verso di loro “Mangiate in fretta voi due. Elaine noi andiamo a cambiarci tu cosa fai?” chiese Hanna tutta pimpante per la sua prima lezione di volo a scuola “Aspetto Arthur.” Rispose la Tassorosso atona. Si diressero, seguiti da altri studenti, verso gli spogliatoi “Tu hai idea di cosa le sia preso? A erbologia stava bene anzi era allegra.” esclamò Hanna confusa per l’improvviso cambio d’umore dell’amica “Non ne ho idea ma durante l’ora di pozioni le è arrivata una lettera da casa. Probabilmente le sarà venuta un po’ di nostalgia.” Pensò il ragazzo considerandola la risposta più logica.

 

“Buon pomeriggio e ben venuti a voi del primo anno alla prima lezione di volo io sono il professor Gregori!” il professor Gregori era un uomo di bassa media statura, ovvero qualunque ragazzo o ragazza al disopra del terzo anno lo superava di qualche centimetro, aveva i capelli e i baffi bianchi, allungati verso l’esterno, vestiva un vecchio cappotto di pelle morbida, degli occhialoni da pilota simili a quelli della prima guerra mondiale, vecchi stivali consunti, vecchi pantaloni stropicciati e una vecchia maglia bianca. A Nath quel uomo pareva più un viaggiatore del tempo che un mago. Gli studenti erano posizionati in due colonne: l’una difronte all’altra e al fianco destro di ciascuno studente v’era una scopa che pareva un cimerio dalla seconda guerra mondiale. “Allora ragazzi stendete una mano in avanti e dite su!” la scopa del professore venne su all’istante. Dopo che si riprese dal attimo di sorpresa Nath urlò “su” come gli era stato detto e subito la scopa rispose al suo comando, così fece quella di Hanna, la quale esibiva un sorrisetto malizioso in volto che fece gelare il sangue a Nath capendo che quella aveva in testa guai. Guardando gli altri studenti Nath s’accorse che anche Braian aveva afferrato la sua scopa e lo stava fissando con aria sfida, il moro rispose allo sguardo ei due rimasero a fissarsi con rabbia e orgoglio. Avrebbero continuato se non fossero stati interrotti in quel momento dal professore che spiegò loro come muoversi con la scopa. Al fischio del prof, Nath si alzò in aria e iniziò a fare il giro del campo sulla scopa come richiesto. La cosa gli veniva naturale, forse anche troppo per qualcuno cresciuto come un babbano. “Niente male Galleric!” lo incalzò Braian raggiungendolo altezzoso “Ma questa è roba da principianti. Come tela cavi ad alta velocità?” lo sfidò guardandolo negli occhi “Non mi immischiare Braian. Non sono interessato alle tue stupide sfide” rispose Nath che non aveva alcuna intenzione d’accettare qualsiasi cavolata Braian gli proponesse, di tipi così ne aveva conosciuti anche troppi, e non intendeva finire nei guai per qualcosa che di sicuro non valeva la pena. “Ah e non sei neppure interessato a questo?” Braian sollevò una catenina con legato un anello metallico con al centro una pietra nera e ovale con incisa una spirale racchiusa da un ellisse. Nath si tastò sotto la maglia per esserne sicuro. Non c’era: l’anello di suo padre, l’unica cosa che era rimasta di lui a sua madre e lei gliela aveva affidato. Un brivido percosse il giovane quello era tutto ciò che sapeva del suo retaggio, tutto ciò che gli poteva dare una risposta, tutto ciò a cui si poteva aggrappare, non poteva perderlo. “Restituisciglielo subito Shadow! O ti giuro che quado avrò finito con te neanche tua madre ti riconoscerà!” lo minacciò Hanna che era entrata, in quella che i suoi fratelli avevano chiamato, “Modalità furia rossa”. Gli occhi miele parevano essere divenuti d’orati e rilucenti in maniera spettrale, le labbra erano serrate, i muscoli contratti, la voce tremante di rabbia e se non fosse stato che aveva tratti troppo infantili sarebbe stata terrorizzante, però ora faceva solo ridere. E fu quello che Braian, stupidamente, fece causando solo un aumento della rabbia di Hanna “Ti serve una femmina per difenderti Galleri? Se ci tieni a questo anello allora vieni a prenderlo!” il biondo così dicendo partì a tutta velocità e si allontanò dal campo. I due giovani si scambiarono uno sguardo di intesa e si lanciarono al inseguimento. Braian li portò nei pressi dell’edificio scolastico obbligandoli ad aumentare la velocità in uno slalom tra le torri, all’inizio i due inseguitori si trovarono in difficoltà, ma appena capirono come virare velocemente iniziarono a guadagnare terreno. I tre ragazzi continuarono a rincorrersi per alcuni minuti e Hanna stava guadagnando sempre più terreno ogni secondo che passava, era davvero veloce, e Braian non sapeva cos’altro inventarsi. Allora, proprio quando Hanna era a poco meno d’un metro, in maniera del tutto inaspettata lanciò l’anello. Hanna si ripiegò sulla scopa spingendola al massimo della velocità, seguita subito dopo da Nath il quale investì, accidentalmente, Braian facendogli perdere l’equilibrio quel che bastava per disorientarlo. Hanna allungò la mano il più possibile e, con un ultimo sforzo finale, l’afferrò per la catenina “Alla faccia tua Schadow!” urlò la rossa trionfante alzando l’oggetto come fosse un trofeo e voltandosi verso il biondo ancora intento a riprendere l’equilibrio “Hanna!!!” al urlo del amico, la ragazza si voltò. Troppo tardi: due Serpeverde appostati sui tetti l’avevano disarcionata dalla scopa. Hanna era in caduta libera: la ragazza agitava le braccia cercando d’afferrare qualcosa di inafferrabile, gli occhi le iniziarono a lacrimare e il respiro ad accelerare, il vuoto la invase. Nath volò in picchiata senza pensarci, allungò entrambe le mani con disperazione nel tentativo d’afferrare la sua amica ma dovette poggiarle di nuovo sula scopa o sarebbe caduto, ripreso il controllo della scopa si piegò il più possibile su quest’ultima accelerando abbastanza da poter raggiungere l’amica. Una volta vicinissimi i due tentarono più e più volte di afferrarsi saldamente ma sembrava quasi che qualcosa lo impedisse, fosse la mancanza di lucidità o la paura, Nathaniel non lo sapeva, però non avrebbe premesso che succedesse qualcosa ad Hanna. Mancava poco perché si schiantasse allora Nath più determinato che mai riuscì finalmente ad afferrare saldamente la mano dell’amica bloccando la sua caduta. Bloccò la sua impennata con uno strattone della sua scopa facendole riprendere quota, il corpo di Hanna lo spingeva verso il basso e si sentì tirare via il braccio con il quale teneva l’amica ma non mollò la presa. Una volta stabilizzato il volo tirò su Hanna aiutandosi con la spalla, Hanna appoggiò la mano libera sulla spalla dell’amico e si alzò fino al busto, alzò una gamba e si mise a cavalcioni sulla scopa dietro a Nathaniel. Una volta che la complicata procedura finì Nath chiese con il fiatone “Sei caduta dal cielo angioletto?” “Sta zitto Nath.” disse la ragazza. “Sei pesante!” si lamentò il ragazzo massaggiandosi la spalla dolorante per lo strappo che aveva ricevuto dal eccessivo sforzo. Hanna in tutta risposta gli mollò un ceffone amichevole in testa “ZITTO!... E comunque…” così dicendo la giovane gli mise al collo l’anello. Appena Nath sentì l’oggetto metallico al collo portò una mano ad esso stringendolo con forza. “Cerca di non perderlo… posso sapere per cosa sono quasi morta?” domandò Hanna curiosa. Nath guardò prima l’anello poi Hanna, in fine tornò a guardare verso il campo da cui stava arrivando il professor Gregori a dir poco furioso velocissimo sulla sua scopa con la bacchetta in mano “Era di mio padre.” rivelò in fine grave. Hanna non capì, non poteva capire, non sapeva che lui era cresciuto solo con sua madre in tutti questi anni, ne poteva capire cosa significava crescere senza un padre. Appena atterrarono, e durante il tragitto da dov’erano al campo, il vecchio professore fece loro una ramanzina bella e buona “Cosa vi è saltato in mente!?! Non è un gioco! Potevate ammazzarvi! Venti punti in meno a testa! E per punizione laverete gli spogliatoi a fine lezione, e non finisce qui! Non sperate di passarla liscia eh! Aspettate che i professori delle vostre case lo vengano a sapere! Oh passerete le pene dell’inferno!” sbraitò il vecchio che probabilmente dopo una scena del genere aveva perso tre anni di vita “Lo sanno già” Gregori era stato interrotto dal professor Jhonson, il professore direttore della casa Serpeverde, e accanto a lui c’era la professoressa Crezzy, la quale era uno strano mix di furia e preoccupazione, al contrario il suo collega che era stranamente calmo ma assai più inquietante. “Per quanto riguarda Shadow ei suoi due amichetti, Charleston e Silver, venite nel mio ufficio e aspettatemi lì.” Gli occhi del professore erano terrificanti “Per quanto riguarda te Galleric la punizione del professor Gregori mi pare appropriata. Tuttavia… seguimi” Nathaniel si sentiva già morto: il professor Jhonson da quel che aveva sentito era terribilmente severo quando qualcuno combinava un guaio o usciva dalle righe, senza nessuna eccezione, pertanto il povero Nath s’aspettava come minimo che gli avrebbe dato una strigliata come si deve. Però s’accorse che non stavano andando verso il suo ufficio ma verso i sotterranei dove v’era la sala comune Serpeverde -Non mi vorrà far fare le valige vero?- temette il giovane. Si stavano proprio dirigendo alla sala comune Serpeverde quando improvvisamente cambiarono strada e raggiunsero l’aula di pozioni. Il professore gli fece cenno di restare dov’era ed entrò nel aula dicendo “Lena scusami ma potrei avere Baston solo per un momento?” -Cosa? Non mi vorrà picchiare? E no eh! Questo è ingiusto, questo sono… sono… uno studente! Ho i miei diritti!- pensò il giovane però dalla porta uscì un ragazzo del settimo anno alquanto perplesso “Nathaniel Galleric ti presento jr. Oliver Baston. Baston ti ho trovato il cacciatore della squadra” alle parole del professore la faccia di Oliver divenne assurda “Sta scherzando Jhoson!?! Questa mezza cartuccia, figlio di Babbano, malaticcia un cacciatore? Prof vuole che quest’anno perdiamo? Lui è… è…” avrebbe continuato ma “Baston!!!” lo interruppe il professore con un urlo che si sentì fino alla torre d’astronomia “Sì prof?” squittì il capitano della squadra di Qiddich terrorizzato dal ira del professore “Come mi chiamo io?” gli chiese il professore tornato calmo “Jonas Jhonson signore” disse il giovane ancora terrorizzato  “E come si deve rivolgere a me signorino Baston?” chiese l’uomo retorico “Professor Jhonson signore” allora il professore riprese a parlare “Signorino Baston lei dovrebbe sapere che non tollero chi non rispetta i superiori specialmente dopo sei anni che le insegno, né vero?” il diciasettenne accennò un sì “E dovrebbe anche sapere che non accetto chi non porta rispetto verso i più deboli o i diversi. Per tanto ora la smetta di comportarsi da sciocco e mi ascolti.” Baston allora si rilassò un poco “So che non sembra un gran ché” Nath guardò il professore come per dire “Grazie tante eh!” “ma questo ragazzo è riuscito a afferrare e a sostenere una sua compagna che stava cadendo dalla scopa.” Baston studiò il giovane incredulo e questi notando che lo fissava gli fece un sorrisetto furbo “Credo che abbia tutti i requisiti per entrare nella squadra di Qiddich, ma questo lo deciderai tu dopo averlo messo alla prova.” Concluse il professore sotto lo sguardo sorpreso di Nathaniel. Dopo qualche secondo di silenzio Baston balbettò un sì poco convinto, allora il professore se ne andò ei due studenti si ritrovarono da soli a fissarsi. Il maggiore si passò seccato una mano trai capelli “Senti tra una settimana ci sono i provini se riesci a convincermi sei nella squadra. Ti consiglio di dare il massimo. Alla prossima settimana.” Allora il giovane Baston lasciò il povero Nathaniel solo fuori dal corridoio e in stato confusionale si diresse verso la biblioteca.

 

“Secondo voi cosa voleva il professore da Nath?” chiese Hanna una volta narrata l’intera vicenda. “Probabilmente voleva chiedere delle cose a Nath riguardo alla dinamica del brutto scherzo così da poter determinare che genere di punizione conferire a Braian e ai suoi due amici” rispose Arthur parecchio arrabbiato per gli eventi, ma comunque felice che se la fossero cavata. “Nath! Eccoti finalmente!” urlai appena lo vidi. Il ragazzo si avvicinò con fare confuso “Ehi Nath che hai? Hai una faccia di quelle.” chiese Arthur notando come l’amico fosse stravolto: camminava ballonzolando da un piede all’altro con lo sguardo vuoto. “Cosa ti ha detto il professore?” chiesi cercando di smuoverlo “Ehm…” iniziò il moro “Il professore mi ha detto che potrei entrare nella squadra di Quiddich come cacciatore” Arthur e Hanna spalancarono la bocca esterrefatti “Solo non ho idea di cosa sia il Quiddich” dichiarò l’amico. Il castano e la rossa si scambiarono uno sguardo da prima stravolto poi complice “Te lo spieghiamo noi cos’è!” disse il castano il quale, pur non essendo uno sportivo gli era sempre piaciuto il Quiddich. Era una delle poche cose che condivideva con suo padre, anche se lui tifava per i Gallesgrifon e il padre per la squadra avversaria i Redlion e, per dare un quadro completo della situazione Hanna tifava per gli Scotlandyard la squadra della sua scozia, invece io non avevo idea di cosa fosse quello sport. Nath venne sequestrato letteralmente da Hanna e Arthur i quali gli spiegarono in cosa consistesse quello sport. E tutto ciò avvenne tra la bibliotecaria che ricordava loro di stare in silenzio e io che me ne stavo lì in silenzio, data la mia totale ignoranza sull’argomento “Scusate se esisto ma tra poco la cena sarà servita” dissi leggermente seccata “E la biblioteca sta per chiudere” ricordai loro “Certo Elaine hai ragione, andiamo finiamo di spiegarti strada facendo" disse Arthur sbrigativo rivolgendosi a Nathaniel. Capii che non v’era modo per fermare la loro conversazione così mi limitai, come avevo fatto tutto il pomeriggio, ad ascoltarli -È sempre così- pensai mentre raggiungevamo la sala grande.

Nota dell’autrice

Come non detto! In perfetto oraio. Al prossimo capitolo!!!

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Capitolo 6
*** Cap. 5 Il Quiddich ***


Cap. 5 il Quddich

Il giorno seguente finite le lezioni Nath e il resto del quartetto si sistemarono in una parte del cortile, se così lo si può definire visto che comprende una foresta millenaria e svariati ettari di cortili e un lago, vicino alla casa di Fernand, per allenare il moro con la scopa. Gli allenamenti consistevano nel far passare e ricevere la palla dai suoi compagni e esercitarsi con la mira lanciando la palla dove gli veniva indicato dai suoi compagni. A Nath tutto risultò facile quasi come se volare rientrasse nel suo DNA il ché in parte era vero. I giorni precedenti ai provini Nath li passò ad allenarsi coi suoi tre amici e a studiare per i primi test. L’allenamento in qualche modo unificò i quattro ragazzi: divennero più affiatati e iniziarono a capirsi al volo senza bisogno di troppe parole. Hanna e Arthur si conoscevano già da anni ma non avevano mai legato troppo ora invece si sentivano davvero legati e poi la compagnia di Elaine e Nath era piacevole, quei quattro giovani stavano assieme tutto il loro tempo libero e studiavano assieme, persino in classe non si separavano. Il tempo passò in fretta, il mese passò e il giorno dei provini arrivò. Nath quella mattina si svegliò con la nausea e riuscì a ingurgitare qualcosa solo perché Arthur dal tavolo accanto lo obbligava a ingerire il pane e a finire quanto meno due pomodori. “Ma che ti prende?” chiese Arthur a Nathaniel “Te lo dico io che gli prende è nervoso. Ci sono due modi di reagire: o si mangia troppo o non si mangia per niente.” disse Hanna esasperata “Non sono nervoso! Solo non ho fame.” rispose il Serpeverde seccato: odiava che qualcuno si preoccupasse troppo per lui, sapeva cavarsela benissimo da solo.  “Tranquillo Nathaniel” iniziò Elaine abbracciandolo per le spalle “Ti sei allenato moltissimo vedrai che andrà bene” il contatto con la ragazza fece arrossire terribilmente il giovane e lo tese come una corda di violino “G-grazie” balbettò il ragazzo imbarazzatissimo. “Adesso… mangia!” disse Elaine imperativa “Certo mammina” disse Nath masticando di malavoglia un pezzo di pane con delle uova.

 In campo a Nath tremarono le gambe. Tutti erano quantomeno d’un anno più grandi di lui e tutti erano più grossi. Nath pregò che il suo dio che lo aiutasse dato che tutti lo guardavano come se fosse la cena. “Allora sei qui Galleric” Nath si voltò, il professor Jhonson era dietro di lui “S-salve professore. Cosa ci fa lei qui?” chiese il giovane perplesso “Sto solo guardando i provini. C’è solo un posto da cacciatore dovrai stupire Baston.” Lo informò il professore. Nath fece di sì con la testa e con una fifa blu afferrò la scopa e volò in campo posizionandosi al centro assieme agli altri giocatori. Baston era in porta pronto a parare “Allora ascoltatemi c’è un solo posto in squadra. Per tanto voglio che vi dividiate in due squadre e cerchiate di segnare uno di questi tre anelli. Non valuterò solo quanti punti uno riesce a fare ma anche come lavora in squadra con gli altri giocatori. La partita durerà un’ora. Potete iniziare.” Nath venne messo assieme a due facce poco amichevoli ma si decise che doveva fare del suo meglio per far vincere la sua squadra così da poter ottenere il posto in squadra. Ci aveva pensato molto durante quelle settimane e se fosse entrato in squadra di certo i componenti della casa Serpeverde avrebbero smesso di prenderlo in giro e avrebbe avuto una qualche protezione, forse.

 Al fischio di uno dei ragazzi la pluffa iniziò a saltare da una parte all’altra del campo ad una velocità impressionante. Nath faceva un po’ fatica a star dietro agli altri ragazzi ma dopo i primi dieci minuti prese il ritmo e iniziò a giocare sul serio. Nath controllava ogni movimento che la pluffa compiva e la intercettava con facilità e la passava ai suoi due compagni quando notava che era il momento. Nonostante la palla fosse stata lanciata verso la porta sei volte nessuno era ancora riuscito a eludere Baston che si era dimostrato un portiere eccezionale: veloce, agile e pronto di riflessi. Dopo quasi un’ora di gioco tutti erano stanchi: per tutto quel tempo non avevano fatto altro se non volare da una parte all’altra del campo senza interruzioni. Ma Nath era determinato e con un movimento velocissimo si impossessò della pluffa durante un passaggio della squadra avversaria, scansò un bolide con una giravolta, lanciò a pluffa quattro metri di distanza dalla porta, il portiere volò fin al anello allungò le braccia e… punto. Baston era sorpreso quasi non s’era accorto del arrivo di Nathaniel fino a quando non mancavano pochi metri e la pluffa era stata lanciata con molta forza, così non era riuscita ad afferrarla malgrado si fosse qusi buttato giù dalla scopa. “Tempo scaduto!” urlò Jack un altro cacciatore della squadra sorpreso quanto il capitano dall’ottima azione del primino. A quel punto Baston si ritirò coi suoi compagni di squadra per discutere dell’andamento dei provini. Nath si sedette sul prato del campo e iniziò a staccare ciuffi d’erba, ma si stancò quasi subito e iniziò a camminare in tondo quasi fosse un animale in gabbia. Dopo dieci insopportabili ed estenuanti minuti giunse il verdetto. Nathaniel corse fino a raggiungere il resto della squadra “Dopo averci riflettuto è stato deciso che il nuovo cacciatore della squadra di Quiddich Serpeverde è… mi sembra incredibile che sia io a dirlo… Nathaniel Galleric” disse Baston indicando il giovane con la mano “Vai Nath!” urlò Hanna in preda all’euforia dalle balconate. In quel momento il moro desiderò avere una vanga da sbattere addosso alla compagna, ora fissata da tutti i presenti, e poi usarla per seppellirsi. “Bene…” disse il capitano perplesso guardando la rossa “L’allenamento inizia domani alle quattro fino alle cinque e mezza, alle quattro in campo vestito con la divisa alle cinque e mezza si esce dal campo. Chiaro?” domandò retorico il capitano tornando a guardare il giovane “Cristallino” disse Nath con un sorrisetto orgoglioso.

Dopo che si fu cambiato Nath venne letteralmente investito da Hanna “Grandioso Nathaniel! La tua ultima azione è stata favolosa!” urlò la giovane “Hanna…” bofonchiò il giovane “Mi stai soffocando…” disse cercando di liberarsi dalla presa da naconda della Grifondoro. Appena Hanna recepì il messaggio mollò la sua presa al collo dell’amico imbarazzata “Scusa!” squittì “Fa niente…” disse il giovane con la voce gracchiata da quanto Hanna aveva stretto. “Ehi ma tu guarda chi è entrato nella squadra Serpeverde” disse qualcuno alle loro spalle “Fernand… volevo dire professore…” lo salutò Elaine “Ah tranquilla Elaine: fuori dall’orario scolastico chiamami pure Fernand e questo vale per tutti, chiaro?” minacciò il guardiacaccia “Chi ti ha informato che Nath avrebbe partecipato ai provini?” chiese Hanna la quale non aveva informato nessuno dei provini di Nathaniel “Sapete com’è le voci circolano in sala professori e mi sono detto: perché non andare a vedere anzi perché non invitarli a casa mia se c’è da festeggiare? E considerato che sei entrato nella squadra Nathaniel” disse l’uomo dando una gomitata amichevole al giovane “direi che vi è un motivo per festeggiare, su venite.” Disse l’uomo. I quattro amici si guardarono perplessi “Venite!” li incitò ulteriormente l’uomo. Allora il gruppetto si diresse verso la sua casa. La casa del guardiacaccia era al limitare della foresta, piccola, con un orto difronte e dei recinti vuoti, l’interno era piccolo e ordinato, caldo e accogliente, con mobili in legno e un letto comodo “Non c’è una stanza per il professore di cura delle creature magiche?” chiese Arthur notando che quella casa non era esattamente adatta ad un professore “Ci sarebbe, ma da quando il vecchio Hagrid è andato in pensione la scuola non è più riuscita a trovare qualcuno disposto a fare da guardiacaccia, ad eccezione del sottoscritto. Potrei vivere all’interno della scuola ma faccio la maggior parte delle mie lezioni all’esterno e vivere vicino alla foresta semplifica il mio lavoro.” Spiegò il professore “Quindi vivi qui per comodità?” chiese Arthur “Sì. Anche tu e tuo padre vivete in Scozia perché ci sono più draghi.” “Sì è vero” confermò Arthur. “Comunque qui c’è una torta, non l’ho fatta io, l’ho comprata a Hogsmeade” spiegò l’uomo tirando fuori una classica torta al cioccolato “Non avete allergie vero?” chiese il professore con il coltello in mano “Una leggera allergia alle fragole” disse Hanna “Okay perfetto.” Così dicendo tagliò la torta e porse la prima fetta a Nathaniel il quale chiese “Cosa ne avresti fatto se non avessi avuto il posto?” l’uomo sorridendo e disse “Ci sarebbe stata più torta per me.” tutti risero. Erano tutti felicissimi per il risultato di Nath. L’unico problema era che la prima partita sarebbe stata tra tre settimane e contro i Grifondoro la casa rivale numero uno. Ma in quel momento Nath non ci pensò: tutto era così tranquillo che quasi si dimenticò di tutti i suoi problemi e desiderò che quella giornata durasse per sempre. Quando se ne stavano per andare Nath riuscì a prendere in disparte il professore “Perché lo ha fatto?” chiese il giovane grato ma sorpreso dal gesto “Hai avuto una vita complicata Nath, ho pensato che ora ti dovresti godere la pace che ti sei guadagnato” l’uomo non aggiunse altro e Nath non insistette grato per quel dolce gesto.

 

“Allora ascoltatemi bene!” urlò Baston al primo allenamento “Come sapete la prima partita sarà contro i Grifondoro. Il loro cercatore è uno trai più veloci di questi ultimi anni pertanto voi cacciatori dovrete cercare di mantenere un dislivello talmente alto tra il loro e il nostro punteggio che sarà costretto a non catturare il boccino se vorrà vincere e dovremo anche cercare di metterlo fuori gioco con i bolidi, è una strategia rischiosa ma attuabile. Jack per favore aiuta il novellino a memorizzare i nostri schemi d’attacco.” “Certo Baston” rispose il ragazzo del quarto anno. Il cacciatore si voltò verso Nath “Piacere Nath. Allora noi due siamo compagni di squadra! Com’è la nostra struttura d’attacco?” chiese il più giovane con entusiasmo “La nostra è una tattica mutabile: se la squadra con cui ci dobbiamo scontrare è debole in un determinato frangente lo colpiamo su quello. In questo caso i Grifondoro hanno dei battitori patetici, se riusciamo a indirizzare i bolidi al loro portiere è difficile che riescano a bloccarci. Tuttavia hanno degli ottimi cacciatori, e quindi sali su quella scopa e diamoci da fare.” Jack era stato terribilmente calcolatore nella sua spiegazione e la sua presenza inquietava leggermente Nath. Il ragazzo era al quarto anno però aveva una struttura già muscolosa e ben piazzata, forse più simile a quella di un giovane lottatore che d’un cacciatore. Tuttavia si dovette ricredere quando lo vide prendere il volo era molto veloce e agile, un po’ più irruento della media nel modo di giocare dato che tendeva a stare con il fiato sul collo a chi inseguiva e tendeva a scontrarsi con i suoi avversari, ma comunque pulito nei movimenti. Nath faceva davvero fatica a mantenere i ritmi di quei ragazzi e a fine allenamento era tutto un dolore. Infatti quando rientrò alla casa Serpeverde tutto dolorante Braian non perse l’occasione per beffarlo “Ti ha investito un treno Galleric?” gli domandò “No, è l’allenamento. Ma tu piuttosto non dovresti essere dal professor Jhonson a fare le pulizie?” ribatté Nath che come tutti era a conoscenza dei tre mesi di punizione che Jhonson aveva rifilato a Braian e ai suoi complici che adesso odiavano il biondino. In oltre da quando quei tre si erano beccati la punizione nessuno lo infastidiva più. Nath si poteva ritenere di certo soddisfatto.

 

Arthur rilesse il capitolo un'altra volta, non tanto per un reale bisogno ma più per essere certo d’aver compreso tutto. Si strofinò gli occhi con la mano: da qualche giorno aveva il malditesta e non voleva accennare ad andarsene, eppure aveva preso una medicina contro quest’ultimo solo un’ora prima, allora avrebbe dovuto far effetto. Arthur scacciò il pensiero e chiuse il libro. “Elaine mi interroghi?” la ragazza sbuffò “Va bene” lei lo fece e come si aspettava Arthur sapeva già tutto “Tu non hai bisogno di farti interrogare Arthur: conosci a memoria l’intero capitolo!” lo prese in giro Hanna “Vero! avessimo metà della tua intelligenza! Passerei qui metà del tempo che ci passo ora!” scherzò Nath riponendo i libri nella borsa e alzandosi, visto che oramai avevano finito “Ragazzi voi andate, io devo solo finire di fare una cosa e arrivo.” disse Elaine tirando fuori delle schede dall’aria Babbana “Elaine che cos’è questa roba?” chiese Arthur incuriosito “Io e mia zia abbiamo un accordo: io studio le materie Babbane principali in cambio lei mi manda sodi extra. Solo che la matematica non è più così facile e la grammatica è una palla.” dichiarò la ragazza stancamente. “Sei una secchiona Elaine. E per fortuna che sono i Corvonero i secchioni!” la canzonò Nath mentre le scompigliava la coda facendo alzare ciocche da ogni punto “Ah, ah, ah. Sto crepando” disse annoiata cercando di sistemarsi “Fatemi leggere questa scheda e vi raggiungo all’albero” l’albero era questo il modo in cui chiamavano il posto in cui avevano allenato Nathaniel in quelle settimane e quello era diventato il loro luogo di raduno. “Come vuoi! A dopo! Vieni Arthur!” lo chiamò Hanna notando che l’amico era rimasto in dietro “Io… penso che starò con Elaine” Elaine fu sorpresa dalla notizia ma ne fu contenta. “Ti devo avvertire: certe materie sono noiosissime.” Lo informò la ragazza mettendo in mezzo la scheda “Sopravvivrò” disse il ragazzo sorridendo. I due iniziarono a leggere i misteri della geometria assieme e stranamente si divertirono.

“È stato piacevole, studiare così anzi molto piacevole.” Confessò Elaine mentre camminavano verso l’albero “Sì è vero… ahg” si lamentò Arthur preso da una nuova fitta agli occhi “Arthur hai mai fatto un controllo oculistico?” chiese Elaine “Io? Oculistico? Per favore Elaine ho solo gli occhi stanchi tutto qui!” disse il ragazzo però Elaine non ne era convinta.

 

Il giorno della grande partita arrivò. Definire Nath nervoso era un complimento, il povero ragazzo era talmente teso che un blocco di marmo sarebbe stato più malleabile. “Nath sforzati di mangiare.” gli ripeté Jack per l’ennesima volta “Per l’ennesima volta, non ho fame.” Disse il ragazzo alzando le braccia al cielo “Nath cazzo! Mangia almeno una salsiccia e delle uova! Non puoi non mangiare prima d’una partita! E ieri hai mangiato pochissimo, quindi MANGIA!” lo riprese il capitano della squadra alzandosi dal tavolo minaccioso “E tu allora datti una calmata! Un generale tedesco sarebbe meno irritabile!” rispose il ragazzo scocciato scostando lo sguardo “Che c’è Galleric non reggi la tensione?” lo derise Braian “SCADAW ZITTO!!!” lo riprese l’intera squadra che in quel momento voleva tutto fuorché un giocatore turbato e denutrito. Allora Nath s’alzò scocciato dalla troppa tensione accumulata al suo tavolo. All’entrata trovò Elaine con un piatto di uova e un bicchiere d’acqua in mano. “Seguimi” il tono era dolce ma indiscutibile. La ragazza appoggiò il piatto e il bicchiere d’acqua su un muretto e fece cenno a Nath di sedersi. “Togliti la giacca” ordinò “Perché?” domandò il Serpeverde perplesso “Tu fallo e basta” Nath eseguì rimanendo in maglietta. Allora le mani di Elaine iniziarono a salire e scendere lentamente, con energia per la schiena. “Cosa stai facendo?” gli chiese Nath scostandosi “Se non ti calmi darai solo il peggio e la tua squadra perderà. È una tecnica di rilassamento, tu fidati di me.” Nath non sapeva che dire o se e come ribattere. Così l’amica riprese a scioglierli e riscaldare i muscoli e a rilassare la colonna. Le sue mani erano energiche ma al contempo delicate, esperte nei movimenti, massaggiava la schiena del ragazzo sciogliendo i nodi che i suoi muscoli avevano formato e liberando anche il giovane dall’agitazione. Per qualche minuto Nath riuscì a disperdere la tensione e a dimenticare l’angoscia, v’era solo lui e quelle due mani amiche. Improvvamente s’accorse d’essere affamato e quel piatto di uova e toast gli parvo invitanti. Iniziò a mangiucchiare qualcosa e a quel punto con un soffio caldo tra le scapole di Elaine fermò quella calda danza. “Va meglio?” chiese la Tassorosso “Sì…” Boffonchiò Nath tra un boccone e l’altro “Chi ti ha insegnato?” “È stata un amica di mia zia. È un’attrice e prima di ogni spettacolo o provino era sempre tese e non mangiava nulla. Allora una sua amica mi ha insegnato a massaggiarle la schiena.” rispose la Tassorosso tranquilla. “Grazie….” Il giovane deglutì “Senti ho un dolore al collo da una settimana potresti…” “Nath!” lo bloccò l’amica “E va bene!” si arrese l’amico capendo che non lo faceva per ogni piccolo capriccio. I due amici rientrarono nella sala grande e videro avvicinarsi Hanna con un pacco molto lungo e sottile in mano. “Hanna che hai in mano? È un regalo dei tuoi genitori?” chiese Nath curioso “Acqua Galleric” ribatté la rossa “Questo è per te” disse porgendoglielo. Nathaniel afferrò incerto il pacco e lo studiò a lungo “Apri!” lo esortò l’amica. Nath strappò quella carta giallognola tipica dei pacchi e vi trovò dentro un manico di scopa. “È uno scherzo vero? Come ve la siete procurata?” chiese felicissimo il ragazzo “Io, Elaine, Arthur e il resto della squadra abbiamo fatto una colletta. Non sarà la scopa più veloce al mondo ma quanto meno non è vecchia e usurata come le stella della scuola.” disse Hanna “Ragazzi… io” disse voltandosi verso la squadra “Sono senza parole.”

“Credevi veramente che avremmo permesso a un nostro compagno di partecipare a una partita con quella scopa a carbone? No! Ci avremmo fatto la figura degli idioti.” Sebbene le parole del capitano avessero un senso pratico Nathaniel sentì che lo avevano fatto anche per affetto. Nath studiò la sua scopa: una Faierbolt.

 

Mancava davvero poco all’entrare in campo e Nath accanto a Delfina si stava di nuovo perdendo il controllo di sé “Nervoso Nathaniel?” le chiese la ragazza battitrice “Solo un po’”

“Ah rilassati ci sono io a coprirti le spalle. Tu vedi di fare più punti possibili!” lo incoraggiò la ragazza dandogli una pacchetta amichevole sulla schiena.  In quello stesso istante il padiglione si aprì e Nath salì sulla scopa assieme al resto dei suoi compagni. Ad accoglierli in campo vi fu un ululato d’entusiasmo. Nath per un istante vide tutto bianco, lo stomaco gli si serrò, la vista si fece opaca, si sentiva circondato e claustrofobico. “Ricordati di respirare” lo incalzò la compagna. Allora il ragazzino  prese un profondo respiro riprendendo lucidità e si posizionò in cerchio con gli altri Serpeverde. Mentre il professor Gregori ricordava il regolamento le due squadre si lanciavano occhiate infuocate e fulminee che presagivano guai, Nath guardò uno dei cercatori Grifondoro, questi gli lanciò uno sguardo di sfida, Nathaniel in principio sussultò sorpreso ma subito dopo rispose allo sguardo con durezza e determinazione, un fischio. Tutti schizzarono ai loro posti, Nath indietreggiò assieme a Eric verso la difesa visto che i Grifondoro avevano acciuffato la pluffa. Però non fecero in tempo ad avvicinarsi agli anelli che Jack intercettò la pluffa durante un passaggio con una velocità impressionante. Molti Grifondoro si misero all’inseguimento del cacciatore dei Serpeverde, però Nath invece d’avvicinarsi si diresse verso il lato sinistro inosservato. Il giovane raggiunse ben presto la distanza di tiro dagli anelli allora Jack passò la pluffa lanciandola lateralmente mentre si avvicinava pericolosamente al portiere, Nath l’afferrò senza difficolta. Allora il più giovane dei Serpeverde lanciò la pluffa verso gli anelli ottenendo il primo punto, il portiere dei Grifondoro tentò di bloccare l’azione ma non vi riuscì, quando raggiunse l’anello la campana che segnava i punti aveva già suonato. “Sì!” si lasciò scappare Nath per l’entusiasmo, alzando una mano in segno di vittoria. Ma subito si rimise in formazione verso la difesa volando velocemente nella sua zona del campo dove Eric stava cercando da solo di bloccale la pluffa nella sua corsa verso la porta. Da solo Eric non riuscì a bloccare la rapida successione di passaggi ei bolidi venne evitati con facilità. La pluffa venne lanciata ma Baston la bloccò con maestria. Allora la passò a Shara, una delle cacciatrici Serpeverde, che la lanciò a Jack il quale raggiunse all’istante gli anelli. Un bolide venne lanciato nella sua direzione ma riuscì ad evitarlo con una giravolta e durante quest’ultima lanciò la pluffa riuscendo ad attuare un altro punto “Bene ragazzi!” urlò capitano “E voi… muovetevi dannazione! Non dovrebbero avvenire queste situazioni!” sbraitò Baston riferendosi ai battitori, Steve e Delfina, i quali schizzarono verso i bolidi e li lanciarono verso il portiere Grifondoro ma i loro battitori, con un’azione fulminea li bloccarono. Nel frattempo Nathaniel era riuscito ad impossessarsi della pluffa così il capitano Grifondoro iniziò a inseguirlo. Il giovane tentò di seminarlo o di passare la pluffa ma il capitano dei Grifondoro non gli lasciava possibilità d’azione, in oltre sapeva che i due battitori non potevano intervenire poiché avrebbero rischiato di colpirlo, doveva cavarsela da solo. Decise di rischiarsi tutto: volò in pennata a tutta velocità in linea retta seguito dal capitano, raggiunti i sei metri da terra i due si ritrovarono testa a testa, allora Nathaniel bloccò la sua caduta e passò la pluffa a Shara. Però la ragazza non riuscì a raggiungere gli anelli poiché uno dei battitori Grifondoro l’avevano colpita facendola svenire facendola care a terra ma venne salvata dallo sfracellarsi dal intervento del professor Gregori grazie ad un incantesimo. Allo stesso tempo il cercatore dei Grifondoro individuò il boccino e i due cercatori iniziarono l’inseguimento. Contemporaneamente la pluffa segnò alla porta Serpeverde e se il cercatore Serpeverde non recuperava il terreno perduto la squadra rischiava di perdere. Allora Nath tentò di rubare la pluffa ad una cacciatrice Grifondoro: erano testa a testa e Nathaniel cercò d’afferrare la pluffa, però la donna si liberò di Nathaniel con uno spintone che per poco non lo gettò giù dalla scopa. Nath riuscì tuttavia a riprendere quota. Facendo fare un sospiro di sollievo a tutto il palco Serpeverde: poiché perdere un altro giocatore sarebbe stato terribile. Una volta ripreso l’equilibrio, Nathaniel incazzato nero per il brutto scherzo, schizzò in avanti e superandola dall’alto si mise davanti a lei durante un passaggio, la costrinse a fermarsi, e Nath, approfittando della sua distrazione, afferrò la pluffa. Dopo aver guadagnato un po’ di terreno la passò Eric il quale, che non aspettava altro, afferrò la pluffa. Ma il battitore Grifondoro lo prese in peino facendolo cadere nella sabbia e con lui la pluffa. Il gioco venne fermato e, con una mezza imprecazione dei cercatori ai quali mancava davvero poco per raggiungere il boccino d’oro, ricominciò da centro campo. Questa volta la pluffa andò ai Serpeverde i quali tentarono a mantenere il vantaggio ma ogni volta che la pluffa si avvicinava i cacciatori li bloccavano per via della inferiorità numerica. Jack, innervosito dopo che i Grifondoro riuscirono a raggiungere il pareggio, fece un cenno a Nath il quale capì cosa volesse fare. Jack dopo svariati tentativi riuscì ad impossessarsi della pluffa, Nath si posizionò accanto al compagno e con un rapido gioco di mani si passarono la pluffa, allora Nathaniel si allontanò facendo credere in un possibile passaggio lungo. Tutti i Grifondoro si concentrarono su Jack sospettando che avrebbe attuato il passaggio a lunga distanza, battitori e cacciatori lo stavano bloccando. Nel frattempo Nathaniel, velocissimo, raggiunse gli anelli e mentre il portiere si concentrava su Jack, Nathaniel lanciò la pluffa segnando. Il capitano Grifondoro, appena si accorse dell’inganno, furioso incitò il cercatore affinché chiudesse la partita. Nath notò il netto vantaggio trai Grifondoro ei Serpeverde. Il giovane non seppe perché lo fece, ma lo fece “Che c’è ragazzi?” li incalzò il giovane entrato in possesso della pluffa “non avete abbastanza fegato da ammettere che non riuscireste a vincere senza il vostro cercatore?” uno dei battitori gli si avvicinò furioso “Avanti ditelo siete dei perdenti” al urlo del giovane il battitore si preparò a caricare il colpo “Per-den-ti!” scandì il ragazzo allora un bolide venne scagliato in direzione del giovane Serpeverde, all’ultimo secondo Nathaniel si scostò dalla linea di tiro rivelando il suo tranello: il giovane si era posizionato nella linea percorsa da cercatore Grifondoro e il bolide non colpì Nathaniel, ma bensì il cercatore. “Dannazione!” esclamarono i Grifondoro. Allora il cercatore Serpeverde poté afferrare il boccino e la partita venne conclusa con la vittoria dei Serpeverde. Tutta la casa quella sera festeggiò la vittoria della squadra dando parecchie pacche sulla schiena a Nathaniel facendogli i complimenti per la sua splendida idea. Nathaniel quella giornata si era guadagnato una buona fama nella sua casa e intendeva tenersela stretta.

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Capitolo 7
*** Cap. 6 Verso Halloween ***


Cap. 6 Verso Halloween

Hanna quel giorno fece davvero fatica a restare concentrata: oramai mancavano pochissimi giorni a Halloween e, come sempre, quel richiamo allo stato brado si faceva sentire sempre di più. Lei sapeva che quella notte sarebbe dovuta scappare fuori o sarebbe impazzita; già da giorni si sentiva soffocare dentro a quelle mura e sentiva una irrefrenabile voglia di aria aperta. “Signorina Uther si concentri” la riprese il fantasma che insegnava storia della magia per l’ennesima volta.  -Una parola con un mostro che tenta d’uscire- pensò la ragazza nervosa. “Hanna va tutto bene? Sembri malata.” le chiese premuroso Arthur appena il professore si allontanò. “Sto bene, ho solo bisogno di uscire da quest’aula.” disse la ragazza sforzandosi di non evidenziare ulteriormente il suo stato d’animo. A pranzo parlò coi suoi due fratelli. “La natura chiama.” a quella semplice frase entrambi si fermarono “Ti copro io” risposero all’unisono. Hanna non aveva mai detto a nessuno, per volontà sua e dei suoi genitori, questo suo segreto e si era ripromessa di non dirlo mai a nessuno. Quella notte mentre fingeva di leggere nella sala grande sentiva già l’antico richiamo crescere nel suo petto, come se una bestia le stesse mordendo il cuore e lo schiacciasse lasciando uscire tutti i suoi pensieri negativi assieme allo sfrenato desiderio di libertà. Quando suo fratello maggiore le fece segno che era il momento Hanna uscì dalla sala comune per dirigersi ai piani inferiori seguendo il meticoloso percorso tracciato datogli dal altro fratello. Luck e Arold l’anno precedente avevano compiuto una ricerca apposita per risolvere questo problema, e lo avevano trovato. Al primo piano, nascosto da un quadro c’erano le cucine degli elfi domestici e lì v’era una finestra che dava sul giardino, lì la notte v’erano sempre e solo un paio di elfi con i quali i due fratelli Uther avevano un accordo: per ogni uscita notturna di cui non dicevano nulla corrispondeva ad un calzino a testa, il perché del calzino Hanna non lo sapeva, stava di fatto che tutti gli elfi domestici liberi da anni avevano la fissa dei calzini.

Appena fu fuori la ragazza compì una corsa immane verso la foresta proibita l’unico luogo in cui poteva sperare di liberarsi. Una volta sicura d’essere da sola e inosservata prese un profondo respiro e lasciò che la magia facesse il suo corso. La invase un piacevole formicolio e la mutazione avvenne: i suoi peli si allungarono o accorciarono ricoprendola da capo a piedi diventando d’un castano rossastro, il corpo si ingrossò fino a divenire il doppio e lo stesso accadde in larghezza, le unghie divennero artigli, le mani zampe, le orecchie si fecero piccole e tonde, gli occhi divennero più grandi e tondi, i muscoli si ingrossarono e divennero più forti, il suo olfatto accrebbe, la sua vista si fece più sensibile e il suo udito si perfezionò. Quando sentì che il formicolio era scomparso Hanna sapeva che non era più nel corpo di Hanna Uther ma in quello di Uther, l’orsa che di tanto in tanto era costretta a trasformarsi.

Fin da quando era piccola provava un richiamo verso la foresta e lo stato selvaggio, e quando questo desiderio rimaneva insoddisfatto dentro di lei crescevano l’angoscia e l’irritabilità e, se non si trasformava di sua spontanea volontà quando quella sensazione iniziava a diventare consistente, rischiava di trasformarsi in un momento di rabbia o di forte emozione fuori controllo. La giovane orsa dal pelo rossiccio iniziò ad aggirarsi cauta per la foresta. Quando era un’orsa il suo senso dell’orientamento aumentava di molto e riusciva a capire come tornare a casa in qualsiasi condizione si trovasse non ostante tutte le miglia percorse o le avversità climatiche. Hanna temeva questi momenti in cui non era esattamente sé stessa: temeva la sua mancanza di controllo, temeva l’essere in balia dei suoi istinti, temeva di dimenticarsi chi era veramente, temeva di dimenticarsi chi la stava aspettando, poiché quando era Uther c’era solo lei in un eterno presente e questo l’angosciava, poiché se un giorno l’orso avesse prevalso sull’umana sentiva che non sarebbe mai più tornata alla società. Eppure amava potersi trasformare in un orso: amava il non dipendere da nessuno, amava non avere nessuno che dipendesse da lei, amava passare intere ore immersa nella natura, amava correre per i boschi, amava affrontare le sfide che le si presentavano e amava la libertà così profonda nel suo animo che questa forma le donava, poiché come Uther non doveva rendere contro a nessuno per niente. In quei momenti lei era la regina di quei boschi: potente, fiera, incontrastata e sola. Era una guida in quei momenti. Nessun animale le si avvicinava per sfidarla, magico o meno che fosse. Hanna voltò appena lo sguardo verso la sua biancheria che si era strappata durante la trasformazione, questo era una delle cose che la differenziava da un animagus: i maghi che si trasformano in animali mantengono sotto di loro i vestiti, lei invece quando si trasformava strappava sempre ciò che indossava e in oltre per trasformarsi non le serviva né la bacchetta, né una pozione, né una situazione astrologica particolare come ai lupi mannari.

Hanna iniziò a correre, dove non sapeva, sapeva solo che il richiamo era divenuto insostenibile e poi non era corretto chiamarlo richiamo ma desiderio, era un desiderio che, malgrado non lo avrebbe mai ammesso, le procurava una piacevole attesa e un senso in quella sua vita insignificante. L’adrenalina che le donava la corsa era qualcosa che noi umani non possiamo capire del tutto: la giovane sentiva i suoi muscoli contrarsi e stendersi in tutta la loro potenza, sentiva la terra smuoversi dalle sue zampe, sentiva la leggera brezza notturna sfiorarle il muso, sentiva il suo respiro lento, regolare e instancabile, sentiva il suo cuore, una macchina insostituibile, martellarle nel petto senza sosta. Il tempo per lei in quei momenti non esisteva, esisteva solo il presente e ciò che desiderava in quel presente.

Ad un certo punto la giovane si trovò a correre lungo uno stretto passaggio tra due pietre, come in una trincea abbandonata, in cui spopolavano erbe, fiori e ortiche. Quando li vide: delle creature possenti, dalle ampie ali a pipistrello, dalle scaglie dai mille colori, dagli occhi dalle pupille affilate, dalle iridi luminose, dagli artigli ei denti affilati e dai lineamenti longilinei ma al con tempo duri e marcati. -Draghi-. Hanna sgranò gli occhi: i draghi non vivevano in quei boschi da secoli, anzi non avevano mai vissuto qui, forse in un tempo remoto quando non erano ancora giunti i romani, e anche se fosse neanche nelle loro migrazioni si erano mai avvicinati così tanto alla scuola o a qualsiasi altra abitazione dai tempi dei fondatori e in un gruppo così numeroso. C’è n’erano a centinaia, di svariate specie e di svariate età un miscuglio in forme di corpi giganteschi che si muovevano in quei dintorni in un carnevale di forme e colori. Una strana presentimento pervase Hanna, era come se la comparsa dei draghi presagisse qualcosa di ben più grande di quello che la sua mente umana potesse comprendere, però l’orso in lei percepiva chiaramente l’importanza di questo evento anche se non era in grado di dargli un perché, ciò le causava un velo d’angoscia nel cuore, percependo un significato profondo, antico e predestinato in tutto ciò. Tuttavia questo gelido presentimento passò in secondo piano quando una figura incappucciata di nero che impugnava una frusta divisa in tre corde che brillavano come se fossero di ferro nero fuso e vivo, all’estremità d’ogni corda teneva dei lunghi artigli fatti d’un materiale osseo bianco dall’aria estremamente affilata. A vedere l’arma Hanna si sentì assoggettata e in percolo, e quando la voce camuffata della persona raggiunse le orecchie della ragazza l’istinto le suggerì di allontanarsi da lì subito. Però Hanna resistette all’istinto e ascoltò quelle parole che le suonavano di malocchio “Costruite, costruite. Il nido dev’essere pronto per Beltate. Lavorate miei schiavi così il drago d’oro potrà nascere.” La voce che usciva da quel volto coperto era profonda e agghiacciante, le parole sembravano quasi una magia. Hanna sentiva le gambe afflosciarsi e un senso di debolezza per tutte le membra come se quelle parole avessero colpito anche lei. La ragazza si sentì male, v’era qualcosa di malsano in quel luogo e il comportamento dei draghi era del tutto innaturale: stavano costruendo una struttura in legno e fango dalla forma ancora indefinita ma comunque spettrale ma ciò che terrorizzava di più Hanna erano gli occhi di quei draghi erano spenti e tristi. –Questi non sono occhi da draghi- pensò la giovane –sono occhi di schiavi- con questo pensiero Hanna trovò la forza per retrocedere, all’inizio lentamente un passo alla volta terrorizzata all’idea d’essere scoperta poi sempre più velocemente fino a giungere ad una fuga disperata. Quando sorse il sole non era ancora giunta a scuola ma si sentiva sicura lontana dall’influenza di quella creatura incappucciata. La testa le continuava a girare e il fiato le stava venendo meno, probabilmente a causa della malattia che aveva percepito nel cuore di quelle altrimenti magnifiche creature. Tutt’un tratto alle sue orecchie giunse il suono di centinaia di zampe dalle sue spalle, si voltò. Centinaia di agrumantole la stavano accerchiando. Hanna mantenne la calma: non avevano intenzioni violente, lo capiva dal fatto che avessero annunciato la loro presenza. Uno di questi ragni giganteschi assai più anziano degli altri disse “E così questo è l’orso di cui i miei figli e fratelli parlano.” disse la creatura. “Chi sei tu?” chiese Hanna nel linguaggio degli orsi composto da una serie di suoni gutturali. “Io sono Kallekok il capo di questa famiglia erede di Aragog. La domanda però qui è: chi sei tu, Orsa?” disse Kallekok “Sono Uther figlia degli orsi.” si presentò Hanna col nome che le avevano attribuito gli animali la prima volta che si era trasformata, non le avevano mai spiegato bene il perché di quel nome, le avevano solamente detto che questo era il nome che sentivano naturale per lei. “Uther figlia degli orsi ti diamo il ben venuto e siamo obbligati a darti un triste annuncio: per quanto tu cercherai di avere una vita normale gli altri ti imporranno una vita di sofferenza in comunione con due volte quattro.” disse Kallekok “Che significa?” chiese Hanna confusa e irritata “Addio Uther figlia degli orsi. O forse dovrei dire arrivederci.” così dicendo tutte le agrumantole sparirono. Hanna non capiva cosa stesse succedendo eppure percepiva che quell’agrumantola non stava vaneggiando. Confusa corse verso la scuola che in quel momento le parve davvero come il luogo più sicuro al mondo.

 

Non so che mi prese quel mattino, so solo che lo sentii e basta. Come incantata uscii dal dormitorio che era l’alba e corsi fuori con indosso dei vecchi jeans e una maglia, senza le scarpe. Fu qualcosa d’assurdo non avevo mai provato nulla di così forte prima come se una melodia mi stesse attirando verso un punto ben preciso. Corsi verso la foresta come se sentissi che qualcuno chiedesse aiuto. Seguii quell’urlo disperato. Mi bloccai solo un istante al limitare della foresta -Forse dovrei andare a prendere delle scarpe.- pensai stupidamente. Ma sentii nuovamente quel terribile urlo d’agonia e lo seguii ancora. I piedi si ferirono e ben presto sanguinarono ma non mi importava. Allora lo vidi: un enorme drago viola era sdraiato a terra sofferente le ali amputate e gli occhi piangenti. Stava urlando il suo dolore. Quando m’avvicinai però bruciai in un rogo.

Sobbalzai nel letto urlando. Sentivo ancora il fuoco, la pelle che si toglieva e le bolle formarsi. Mi sedetti sul letto e cercai di riprendere il controllo di me stessa, di bloccare quei tremori che avevano invaso il mio corpo. Mi guardai i piedi erano come li avevo lasciati l’altra sera: puliti e privi di ferite. Guardai dalla finestra il sole era oramai prossimo ad innalzarsi. Uscii dal dormitorio e andai in bagno sperando di cancellare l’orribile sensazione che s’era impossessata del mio corpo. Mi sciacquai il volto, mi cambiai, tentai di leggere qualcosa ma non ci riuscivo: la paura mi aveva offuscato la mente e il corpo. Guardai l’orologio erano le sette e mezza. Se ci fosse stata lezione oggi tutti sarebbero già svegli ma oggi era Halloween ed era giornata festiva. Mi accovacciai su una poltrona, le gambe rannicchiate al petto e gli occhi chiusi, lasciai che quella paura scivolasse via come l’acqua dei ruscelli. Concentrai la mia mente su ricordi piacevoli anche se banali: mio zio che mi abbraccia forte, mia zia che mi mette in bocca un cioccolatino, mia cugina che mi arruffa i capelli, il bosco dietro casa mia, il camion dello zio sul vialetto, l’odore della mia stanza, i mio primo Natale a Worldthig, la gita fatta con la scuola prima della fine della quinta e i volti a me più cari. Allora alzai la testa e tirando un profondo respiro cancellai ogni singola preoccupazione e angoscia che mi aveva dato quel sogno così vero.

 

 

Era l’ora di cena, Nath si stava godendo il banchetto di Halloween quando Fernand arrivò tutto trafelato nella sala grande sprangando la porta “DRAGHI!!!” urlò “DRAGHI ALL’ENTRATA CI STANNO ATTACCANDO!!!!” Nath contò esattamente due secondi di silenzio. A seguire il caos più totale dagli studenti. “SILENZIO!!!!” urlò la preside Mcgranitt “Ragazzi per favore niente panico…. Bene” disse soddisfatta “Jonas chiama i cacciatori e di loro di venire seduta stante.” il professore fece un cenno d’assenso e sparì chi sa dove per una porta laterale “I Prefetti e il caposcuola accompagnino gli studenti nei sotterranei. I professori vengano con me.” Tutti i ragazzi si alzarono e, cercando di mantenere la calma, seguirono i prefetti che li avrebbero portarti nei sotterranei. Nath si guardava attorno nervoso alla ricerca dei suoi amici, non riusciva a distinguerli in tutta quella confusione di corpi tutti vestiti di nero. Il silenzio era mortale: nessuno osava parlare per paura che i draghi li sentissero, i loro passi erano delicati e ad ogni scricchiolare di ossa o strisciare di scarpe Nath si tendeva quanto una corda di violino. Fu allora, in quel silenzio inumano, che avvenne, appena usciti dalla porta della sala grande. Vi fu un tonfo terribile come mille casse che cadevano all’unisono: la porta d’ingresso era stata aperta. Ci fu uno stridere d’artigli contro la pietra e dei passi pesanti e veloci lungo i corridoi. Allora dal corridoio principale apparve: un drago bianco, dagli occhi iniettati di sangue e odio. All’inizio non si mosse, nessuno si mosse, quel drago stava aspettando qualcosa, poi come scosso da un tremore il drago si abbatté sugli studenti, i quali urlanti si dispersero alla rinfusa in preda al terrore, i professori crearono uno scudo contro il getto di fuoco lanciato dal drago permettendo agli studenti qualche secondo in più per allontanarsi. “Arthur! Hanna! Elaine!” chiamò Nath a gran voce disperato correndo in mezzo a quella confusione di corpi che fluivano tutti in direzioni diverse e tutti nello stesso luogo. Nathaniel venne spintonato e per quanto tentasse di vedere i volti che lo circondavano non riusciva a distinguerne nessuno. A stento riuscì non cadere a terra e non venire pestato. Il giovane seguì il suo istinto per cercare una via di fuga, spintonando chi gli si parava davanti e tenendo gli occhi aperti qualora il drago decidesse di attaccare. Nath non sapeva bene cosa fare o come comportarsi, una sola cosa gli era chiara: -Non voglio perderli non lo permetterò!- Neppure Nathanil sapeva perché i suoi pensieri fossero rivolti ai suoi amici, sapeva solo che se li avesse persi non sarebbe mai riuscito a perdonarselo. “Qui!” urlò una voce Nath alzò lo sguardo, lo aveva già fatto cento volte in meno d’un minuto sperando che si trattasse di uno dei suoi amici rimanendo deluso per cento volte. Questa volta però riconobbe la inconfondibile chioma rossa di Hanna poco lontana da lui; la ragazza stava spingendo con forza per raggiungerlo, Nath iniziò a fare lo stesso cercando di trovare spazio tra quelle persone prive di controllo, dopo pochi interminabili secondi i due si raggiunsero e iniziarono a correre assieme mano nella mano in direzione opposta al drago “Corriamo via!” gli disse Nath trascinando l’amica su per le scale “No, dobbiamo trovare Arthur e Elaine!” ribatté la Hanna fermandolo “Li cercheremo strada facendo! Ora corri!” ribatté l’altro mentre trascinava la giovane con forza lontana da quel drago che stava lentamente distruggendo la barriera dei professori -E a dio piacendo sopravvivremo a questa notte!- pensò Nath che a fatica portò la sua amica in un corridoio lontano dalla fiammata del drago che era riuscito a infrangere la barriera. Si nascosero dietro ad una statua per riprendere fiato, i loro cuori battevano a mille, le gambe di Nathaniel tremavano e la sua schiena era pervasa da forti scosse, invece Hanna a parte il fiatone non dava segni di paura bensì di profonda preoccupazione. Erano lì nascosti da qualche minuto quando, da dietro un altro corridoio, comparve un altro drago e se non fosse stato per un incantesimo di ghiaccio, partito da chi sa chi, che bloccò il getto infuocato del drago dalle scaglie azzurre sarebbero morti carbonizzati. Nath tirando un sospiro di sollievo trascinò la sua amica su per le scale senza pensare, e, in preda al panico, fece ciò che per istinto uno come lui avrebbe fatto. Hanna dal canto suo si lasciava trascinare perché troppo impegnata nel cercare Arthur e Elaine. La ragazza riusciva a distinguere tutti i volti con chiarezza poiché dannatamente lucida sebbene il pericolo avesse fatto perdere la ragione a chiunque altro. Dopo una rampa di scale infatti riconobbe Arthur. Con uno strattone deviò la corsa di Nathaniel e lo trascinò verso l’amico. Era steso a terra svenuto probabilmente a causa d’una spinta che gli aveva procurato una leggera ferita in testa. Hanna afferrò Arthur da sotto le ascelle e con una mano se lo caricò in spalla. “Come fai a…?” iniziò Nath perplesso dalla forza dell’amica ma venne interrotto dal ruggito d’un altro drago. Nath allora prese di nuovo il controllo dei passi di Hanna e la trascinò su, sempre più su, mentre quel dragone nero li rincorreva a grandi falcate, saltando da una rapa all’altra e aggrappandosi ai corrimano. Nath sbirciò dietro di sé, non vide nessun’altro che era salito come loro  –Se li voglio salvare lo devo fare ora- pensò il ragazzo con il peso incombente della morte alle spalle. Il cuore gli si riempì di paura e continuò a trascinare Hanna la quale teneva in spalla Arthur che stava ricominciando a prendere i sensi. Raggiunto il quarto piano tutte le vie di fuga erano chiuse ad eccezione d’una finestra. Hanna spaventata iniziò a guardarsi attorno capendo che erano spacciati. Ma il Serpeverde li trascinò fino alla finestra senza esitazioni. “Hanna... aggrappati a me” disse Nathaniel una volta spalancata la finestra. Il drago nero era a pochi metri da loro quando Nath afferrò Hanna per la vita e si lasciò cadere nel vuoto trascinando con sé i suoi amici.

 

 

Corsi per il cortile della scuola cercando di allontanarmi da quest’ultima. Ero riuscita ad uscire da lì nascondendomi dietro ad un armatura e, dopo che il drago mi aveva superato, ero fuggita all’esterno. Avevo appena raggiunto il limite della foresta, quando un immenso drago viola mi si piazzò davanti. Terrorizzata iniziai a retrocedere lentamente ma venni bloccata toccando la corteccia d’un albero mentre il drago avanzava sempre di più, acquattato, ringhiante, le fiamme che andavano a formarsi nelle fauci ei sui occhi dorati iniettati d’un malato odio. La paura mi paralizzò e attesi il mio destino. I nostri occhi si incontrarono e avvenne qualcosa: quella luce assassina che avevo incontrato fino ad un istante fa scomparve e al suo posto apparve paura e tristezza. All’improvviso mi sentii io la cacciatrice e non il contrario. Il drago si avvicinò ulteriormente a me fino a sfiorarmi delicatamente con il suo muso, delle immagini mi apparvero: un nido, un albero contorto, una via imbattuta e delle piccole creature che si muovevano. “Attenta!” urlò un uomo catapultandomi nel mondo reale. Vi fu uno schianto e il drago cadde ai miei piedi che si macchiarono di sangue. La creatura cadde a terra con un tonfo sordo, gli occhi guardavano in alto privi di qualsiasi espressione, le fauci semi schiuse, l’odore del sangue invase le mie narici, facendomi sentire male; crollai sulle mie gambe. “Stai bene?” chiese un uomo enorme ma non grasso dai foltissimi capelli castani. “Non lo so” sussurrai appena, ma non mi sentì era già partito alla carica di un altro drago. Guardai la carcassa di quella draghessa mi guardai il petto, il punto in cui mi aveva toccato e sussurrai. “Va bene” scomparii nella foresta. Sapevo che avrei rischiato la pelle e che era una follia seguire quelle immagini così poco chiare, ma sentivo che era la cosa giusta da fare. In qualche modo qualcosa dentro di me mi diceva che ero in debito con quella draghessa.

 

 

Hanna lanciò un urlo ma si interruppe subito, poiché come la sensazione di cadere comparve, essa scomparve, al contrario si sentì come trasportare, sentiva il suo peso e quello dei suoi compagni. Era una strana sensazione: era simile alla scarica d’energia che si prova durante un volo con la scopa ma amplificata in tutto il corpo. Aprì gli occhi miele incrociandoli con quelli cioccolato di Nathaniel concentratissimi e in qualche modo sofferenti. Abbassò lo sguardo, alla ragazza venne un tuffo al cuore: erano a sette metri da terra e stavano volando sorretti da una corrente d’aria. Terrorizzata Hanna aprì la bocca per urlare “Non urlare.” La anticipò Nathaniel “Non ho mai avuto passeggieri prima.” disse con un certo sforzo. Hanna serrò la bocca in un movimento automatico. Si sentiva strana era come se quel vento seguisse la volontà di Nathaniel che li stava conducendo nei pressi della casa di Fernand. Ma tutto ciò era impossibile, giusto? Arthur, che grazie al vento freddo autunnale riprese i sensi, guardò l’amica terrorizzato anche lui sul punto di urlare ma non lo fece rimase a bocca semiaperta, gli occhi sgranati che danzavano dalla Grifondoro al Serpeverde. Hanna si guardò in dietro: distinse cinque draghi che stavano inseguendo chiunque capitasse loro a tiro. C’era qualcosa di strano del loro comportamento: sputavano fuoco ma le fiamme sembravano trattenute in potenza, attaccavano ma da lontano si vedeva che i loro movimenti erano lenti, più che altro ruggivano e graffiavano l’ala ovest del castello, solo l’ala ovest. –Non sembra un attacco di draghi- pensò la giovane osservandolo da lontano. Quando arrivarono nei pressi della piccola baracca Nath li fece abbassare di quota. Il vento sotto di loro scemò via defluendo ai lati, accompagnandoli in una dolce caduta che faceva svolazzare i vestiti ei capelli, Nathaniel appoggiò la punta d’un piede a terra poi toccò all’altro allora il vento scomparve facendo inciampare Hanna a terra, la quale trascinò con sé anche Arthur. “State bene?” chiese Nathaniel mentre respirava lentamente riprendendo fiato. Hanna sgranò gli occhi, si alzò di scatto puntando l’indice verso il moro e urlò “Ma come hai!?!” “Stavi volando!” completò Arthur posizionandosi accanto all’amica “Ma senza scopa!” aggiunse la rossa “È impossibile!” esclamarono i due in coro. “In vece lo è, e io ne sono la prova” disse Nathaniel mentre riprendeva fiato. Fare un volo del genere a Nathaniel non aveva mai portavo via energie, ma con i suoi amici a carico aveva dovuto usare molta più concentrazione per spostare il vento dove desiderasse.

 

 

Mi inoltrai nella foresta seguendo quelle immagini donatemi dalla draghessa. Ad ogni passo mi ripetevo di tronare indietro, di lasciar perdere, che non era un problema mio, ma contemporaneamente quella strana sensazione che avevo nel petto continuava ad urlarmi di andare avanti e mi obbligava a muovere i miei passi. Non so dire come lo trovai, so solo che dopo svariati minuti di cammino lo vidi. Da distante pareva un nido di cicogna gigante: i rami erano intrecciati su di un albero basso ma molto largo, su di esso v’erano anche terra, piume, pelli e ossa. Mandai giù il magone e mi portai una mano al petto terrorizzata però andai avanti. Sapevo che era pazzia, ma mi arrampicai sul l’albero fino a raggiungere il nido. Al suo interno v’era la vita. Al interno del nido c’erano dei cuccioli di drago dai mille colori e dalle mille forme che si attorcigliavano tra loro tentando di rimanere al caldo. Rimasi incantata da quelle creature così piccole e innocenti, e mi stupii che i loro genitori in quello stesso istante, stessero distruggendo parte della scuola. La visione di quei piccolini mi scaldò il cuore provavo empatia con loro: soli, senza nessuno al mondo, abbandonai. Un fruscio, distraendomi da quei cuccioli affamati e spaventati, mi face voltare. Improvvisamente sentii nella mia mente una sola parola: pericolo. Spaventata scesi dal nido con un salto e iniziai a guardarmi attorno tra la selva, sapevo che c’era qualcosa. Studiai le sterpaglie che mi circondavano cercando la causa di quello scricchiolio. Intravidi qualcosa all’improvviso: un’ombra indistinta dietro ad un albero. Compii un passo in quella direzione. Allora un drago verde grande come me uscì dal suo nascondiglio con un balzo e rilasciò il suo getto infuocato su di me. Per istinto alzai la mano.

 

 

Non seppero mai con certezza quanto durò quell’assalto le uniche cose certe erano che l’intera ala ovest della scuola era stata attaccata, che i cacciatori avevano ucciso cinque draghi dei sei avvistati, che nessun umano era morto e che c’erano solo quattro dispersi di cui tre si stavano trascinando verso il luogo di raduno più vicino. Erano tutti scossi, in particolare due erano arrabbiati e uno era triste. Erano Hanna, Arthur e Nathaniel. Il professor Paciok corse verso di loro apprensivo. “Per la barba di Merlino siete vivi!” tornò in dietro correndo e urlando a gran voce “Minerva! Minerva! Stanno bene: Galleric, Uther e Hunter stanno bene!” Ad avvicinarsi però non fu la preside ma bensì il cacciatore che poco prima aveva ucciso il drago viola: Saleric Hunter. Raggiunto il gruppo questo fece un freddo controllo al figlio con lo sguardo, controllò la sua ferita alla testa ed emise un sospiro di sollievo “Allora stai bene.” disse “Sì, sto bene grazie a Nath e Hanna.” disse Arthur indicando i suoi due amici. Allora i due Hunter si salutarono freddamente sotto lo sguardo confuso di Nathaniel e lo sguardo rattristato di Hanna. Appena il cacciatore si allontanò i tre ragazzi rimasero zitti, fissandosi l’un l’altro intenti ad aspettare in imbarazzo che qualcuno proferisse parola. In fine, dopo interminabili minuti, Nath parlò. “Mi dispiace di non avervelo detto prima.” Dichiarò a sguardo basso “Ma avevo paura. Avevo paura che mi avreste rifiutato come amico.” Come concluse il discorso Hanna gli si avvicinò e gli tirò uno schiaffo “Ti odio!” sussurrò la ragazza con rabbia “Hanna!” la riprese Arthur non comprendendo il comportamento eccessivo dell’amica. “No Arthur.” Lo bloccò la ragazza “Io ti odio perché tu non hai un bel niente da nascondere!” urlò la Grifondoro tornado a parlare con Nath “Hanna che…?” chiese Nathaniel decisamente confuso quanto Arthur il quale pur conoscendo Hanna da anni non l’aveva mai vista così: la sua voce tremava e dai suoi occhi erano umidi. –Hanna non piange mai- pensò Arthur –Cosa la porta sul l’orlo delle lacrime?-. “Tu non hai niente da nascondere! Il tuo è un dono bellissimo! Sono io che si trasforma in un orso!” sbottò arrabbiata per un motivo che neppure lei comprendeva. Però appena si rese conto di ciò che aveva detto tutto in lei si bloccò: aveva appena detto ciò che non avrebbe mai dovuto dire a nessuno. “Hanna che vuoi dire con: mi trasformo in un orso?” chiese Arthur guardando l’amica negli occhi. Gli occhi miele si inumidirono ulteriormente ma trattenne le lacrime “Seguitemi” ordinò la ragazza conducendoli dietro a una delle macchine dei cacciatori. Lì si tolse la giacca della divisa e iniziò a spogliarsi “Hanna che stai facendo?” chiese Arthur che nel frattempo era diventato rossissimo, mentre Nathaniel si voltò ma sbirciava un po’ il corpo dell’amica in imbarazzo. Hanna ignorò i due amici e continuò a spogliarsi fino a rimanere in intimo allora iniziò a mutare davanti ai due ragazzi.

I due ragazzi guardarono senza parole il corpo di Hanna cambiare forma senza aver pronunciato incantesimo, bevuto pozione o agitato bacchetta. I loro occhi erano spalancati fissi sulla loro amica. Una volta completato l’incanto Arthur sussurrò “Hanna?” la ragazza ritornò umana senza sforzo e si coprì con la giacca “Tu sei un animagus?” chiese Arthur “No. Riesco a trasformarmi in un orso senza usare la bacchetta.” calò il silenzio per qualche secondo. Nath si avvicinò ad Hanna “Ora capisci perché ti odio?” disse Hanna fissando gli occhi marrone scuro dell’amico “No.” disse il ragazzo “Anzi sono felice di sapere di non essere l’unico con un segreto” disse il ragazzo sorridendo. Hanna gli si buttò al collo e lo strinse forte “Ora però…” iniziò Nath sciogliendo l’abbraccio dell’amica “Dov’è finita Elaine?”

 

 

Aprii gli occhi, il fuoco stava vorticando attorno a me in una spirale, bloccato da uno scudo appena percepibile. Quando le fiamme si diradarono il drago verde mi osservò prima sorpreso poi sospettoso, i suoi occhi giallo-oro mi stavano studiando meticolosi scrutando nei miei occhi verdi. Il drago verde mi girò attorno diffidente continuando a mantenere un contatto visivo tenendo la testa bassa e la coda alta muovedola a modi frusta, come una pantera che studia la sua preda prima di assalirla. Io seguivo con lo sguardo i suoi movimenti senza spostarmi da quel punto. Quando il drago raggiunse il nido coi cuccioli parve rilassarsi un attimo e si posizionò all’interno di questo, però subito dopo tornò a ringhiarmi contro. Allora la fissai dritta negli occhi: vi lessi rabbia e paura, come in me. Allora rilassai lo sguardo e con la voce più dolce che riuscii a fare sussurrai “Non ti farò del male. Ti voglio aiutare…” una parola invase la mia mente “Itranlid” al sentire quel nome, il suo nome, spiccò un saldo atterrando dinnanzi a me avvolgendosi intorno al mio corpo come un serpente. Un pensiero solleticò la mia mente –Come sai il mio nome?- chiese la giovane draghessa ringhiandomi contro “Non lo so. So solo che quello è il tuo nome.” risposi tranquilla. Itranlid iniziò a strusciarsi su di me, i nostri occhi si rincontrarono e allora lo sentimmo chiaramente entrambe: il legame. Era come un dolce calore, un filo invisibile che legava i nostri cuori. Un fiume di emozioni non mie mi investì. Non servirono parole, semplicemente seppimo che da quel giorno i nostri destini erano intrecciati. Ci separammo confuse ma con le idee chiare. Mi voltai e feci per andarmene ma qualcosa mi bloccò. Mi voltai e capii che se non fossi tornata lo avrei rimpianto a vita. “Tornerò appena potrò.” promisi e mi allontanai correndo. Un altro pensiero non mio invase la mia mente –E io ti aspetterò… Elaine- sorrisi dolcemente a sentire il mio nome.

 

 

Erano ore che tutti stavano cercando Elaine. Nessuno studente era stato ucciso ma solo lei era scomparsa. I professori stavano dando di matto e gli studenti stavano avendo le loro reazioni tutte terribilmente forti, gli unici a mantenere una pseudo calma erano i cacciatori che erano abituati a queste situazioni. Ma i tre giovani amici no. Arthur stava calcolando le probabilità che Elaine fosse viva che ogni secondo andavano a scarseggiare, Nath aveva tolto ogni singolo filo d’erba a lui raggiungibile e Hanna era in modalità furia rossa e stava scalciando e lanciando qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Oramai era l’una di notte quando una esile figura comparve da dietro uno dei vivacchi dei cacciatori. “Elaine!” urlò Hanna appena la vide. La rossa corse in contro alla ragazza e nella foga dell’abbraccio la buttò a terra “Sei una stronza! Farci prendere un colpo così?” la rimproverò la ragazza stringendola forte “Chiedo venia. Non accadrà mai più.” le promise solennemente Elaine. “Ma ora potresti lasciare la presa mi stai soffocando” disse la ragazza.

 

Note dell’autrice:

Ora la storia sta entrando finalmente nel cuore. Credo che con questo capitolo sia chiaro: non intendo scrivere la vita normale di quattro studenti a Hogwarts (per quanto possa essere normale frequentare una scuola di magia). Da adesso inizia la loro avventura e neppure io so se sopravvivranno. Vi prego, ditemi cosa ne pensate (seriamente ve lo sto chiedendo in ginocchio!).

Al prossimo capitolo Bibliotecaria.

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Capitolo 8
*** Cap. 7 Sgreti ***


Cap.6 Segreti

Passarono un intera settimana a casa per via delle riparazioni da attuare alla scuola, niente di particolarmente grave, ma comunque ciò avrebbe impedito la possibilità di svolgere le lezioni regolarmente. Così i quattro ragazzi si dovettero separare per un’intera settimana. In quel tempo ragionarono su quello che avevano scoperto e sull’avvenuto. -Forse in certi versi è meglio così- si ripeté Hanna in quella settimana: infondo affrontarsi subito avrebbe potuto spezzare quel sottile legame che si era formato. Passarono il tempo in modi diversi cercando di trovare un modo adatto per spiegarsi tra loro senza trovarne uno. Però la settimana passò e Hanna si ritrovò in stazione in mezzo a centinaia di studenti. Trai tanti riconobbe Arthur e Nathaniel, la stavano aspettando accanto a una delle porte del treno, i bagagli in mano, lo sguardo teso. “Ciao” li salutò Hanna neutra “Ciao” “Ciao” risposero prima Nathaniel poi Arthur. Elaine era rimasta a scuola come alcuni studenti poiché a casa sua c’erano dei problemi di tubature a quanto pareva. Quando i tre trovarono una cabina vuota vi entrarono e in silenzio si sedettero. Hanna si sedette accanto al finestrino e osservò il panorama scorrere via velocemente. Arthur e Nath le erano difronte silenziosi, non proferirono parola per quasi metà del tragitto. “Da quanto tempo riesci a farlo?” domandò faticosamente Arthur rompendo quell’aria tesa formatasi dopo quasi un’ora di silenzio “Da quando sono nata. Riesco a farlo grazie alla mia volontà, la maggior parte delle volte, ma quando provo dei forti sentimenti o non mi trasformo da tanto tempo rischio di farlo in maniera del tutto incontrollata.” rivelò Hanna continuando ad osservare il mondo scorrere via “E tu Nathaniel?” chiese nuovamente il castano stringendo i pugni con i nervi a fior di pelle “Anche io lo faccio fin dalla nascita: impongo il mio volere sul vento concedendomi anche il potere di volare.” Mormorò il moro fissando le sue, improvvisamente interessanti, scarpe. Arthur prese un profondo respiro “Perché non me lo avete detto?” chiese mentre le sue membra vennero scosse da tremori di rabbia “Da te Nath” iniziò il Corvonero “lo posso capire: insomma ci conosciamo solo dall’inizio della scuola, che cosa posso pretendere? Ma tu Hanna?” la voce di Arthur si spezzò “Ci conosciamo dalla nascita! Perché non ti sei mai fidata?” urlò Arthur che a fatica riuscì a trattenere le lacrime. Hanna nascose il suo viso trai capelli un istante, prese un profondo respiro e subito dopo rialzò il capo impassibile con occhi determinati “Avevo paura.” confessò “Avevo paura di questo momento. Avevo paura che non saremo più stati amici. È questa la verità.” Hanna era seria e stava fissando Arthur negli occhi. Il giovane resse lo sguardo dell’amica “Tu Arthur non puoi capire. Se qualcuno lo scoprisse che cosa farebbe? Manterrebbe il silenzio, mi capirebbe, mi accetterebbe? Sono domande prive di risposta. Ci conosciamo dalla nascita, ma è anche vero che solo in questi ultimi mesi abbiamo legato per davvero, o mi sbaglio?” Le parole di Hanna scorrevano impetuose e fecero breccia nel cuore di Arthur che trovò a fatica la forza di rispondere “Sì, hai ragione Hanna. Forse in parte vi capisco: anche io preferirei che certi aspetti della mia vita non venissero a galla. Ma vi giuro che quello che ho scoperto su di voi resterà per sempre un segreto nel mio cuore.” Disse Arthur stringendo la mano al petto come se stesse sorreggendo il peso di quel segreto “Non lo dirò mai a nessuno e non cambierò idea su di voi. Perché voi siete i miei amici e io ci tengo a voi. Strani o meno che siate.” Hanna sorrise dolcemente alle sincere parole di Arthur. Anche Nathaniel sorrise, ma subito gli sorse un dubbio “E ora che si fa?” iniziò Nath “Con Elaine intendo.” alle parole del Serpeverde calò il silenzio “Credete che ci potrà capire?” chiese Hanna. “Non lo so Hanna. Elaine non mi sembra una che mantiene pesi nel suo cuore. Potrebbe non capire.” disse Nathaniel sconsolato “Ma è di animo buono e comprensivo. Se gli dite le vostre ragioni capirà.” disse Arthur poggiando una mano sulla spalla del amico “E tu ci puoi perdonare?” chiese Hanna. Arthur guardò i suoi due amici “Ve l’ho detto e lo ripeto: sì. Per quanto riguarda Elaine… dovete essere voi due a decidere, io non interferirò” li rassicurò il giovane Corvonero portandosi una mano al cuore “Ve lo giuro.” aggiunse.

 

 

Corsi verso il nido quella mattina, come avevo fatto nei giorni precedenti. Percorsi velocemente il tragitto che mi separava da quest’ultimo. Avevo tentato di dimenticarmi di quella notte ma in qualche modo la voce di Itrandil mi raggiungeva sempre e, come un flauto magico, mi attirava a sé. Così decisi di abbandonare la via della logica e seguire la follia che mi diceva di andare da quella giovane draghessa praticamente ogni giorno. “Itranlid, piccoli!” li chiamai una volta raggiunto il nido. Itranlid scese dal nido con un piccolo balzo seguita da numerose piccole teste colorate e curiose che sbucarono dal bordo del nido e poi scesero velocemente giù per quel contorto albero. La giovane draghessa come mi raggiunse iniziò ad annusare la borsa dove tenevo il cibo per lei ei cuccioli.

Trovare le dispense, da cui rubavo un po’ di carne era stato estremamente facile: era stato sufficiente chiedere in giro e, dopo un paio di buchi nell’acqua, ci ero riuscita e poi gli elfi domestici non facevano alcun tipo di domanda sul perché della carne, anzi sembravano quasi contenti di darmela. Con la poca carne che di volta in volta prendevo però potevo appena sfamare i cuccioli e placava l’insaziabile appetito di Itranlid. “Aspetta!” bloccai la draghessa scostando il suo muso con una mano. Tirai fuori i bocconi e glieli lanciai, lei li afferrò tutti al volo con un balzo, e il rimanente lo lasciai ai cuccioli che li divoravano affamati. Li osservai mangiare, litigavano per ogni boccone e se li contendevano con voracità, così i più deboli si dovevano accontentare sempre degli avanzi. “Non credi che dovrei dare della carne a ognuno così cresceranno tutti sani?” chiesi a Itranlid –No, solo i forti possono vivere. Quei cuccioli se non diverranno più forti moriranno di fame- disse indifferente Itandil “È crudele.” risposi –No. Se non moriranno oggi moriranno in una battuta di caccia o come prede, nella natura selvaggia non c’è spazio per i deboli- mi comunicò Itralid con un pensiero secco quasi crudele. Accarezzai due cuccioli così mingherlini da poter sentire le ossa sotto la pelle squamosa. In un certo senso lo capivo il ragionamento di Itrandil, ma alcune volte basta aiutare un po’ i più deboli per scoprire che sono delle incredibili risorse. Mi misi su d’una radice e iniziai a leggere quando Itrandil, ad un cero punto, iniziò a richiamare la mia attenzione con un ruggito e a saltellare sul posto smuovendo un polverone. “Sì, arrivo, arrivo” così dicendo riposi il libro nella borsa da cui estrassi dei vecchi pantaloni e li cambiai con le calze e la gonna della divisa. Allora montai sul dorso di Itrandil con un certo imbarazzo. Stare sul suo dorso era come sedersi su una pietra che traballava, dava insicurezza e mi rendeva nervosa “Perché ti lasci cavalcare?” le chiesi cercando di vincere la paura –Un giorno te lo dirò.- mi rispose enigmatica la draghessa. Con un paio di battiti d’ali potenti, che mi fecero dondolare avanti e in dietro, ci alzammo in volo. Era difficile mantenere l’equilibrio, Itrandil si muoveva a scatti, e la posizione era a dir poco scomoda, poiché, oltre alle fatto che cavalcare a pelo è scomodo, le dure squame mi sfregavano i polpacci, le ginocchia e le caviglie causandomi lividi e graffi che spesso sanguinavano. Però quella che faticava di più era Itradil: portava quasi la metà del suo peso in volo pertanto si muovevamo lentamente e volavamo un po’ troppo bassa. Ciononostante se non facevo un voletto con lei ogni volta che la vedevo iniziava a fare i capricci, mordicchiandomi e a tirandomi la toga con fare irritante.

La prima volta che me lo propose, il secondo giorno che la vidi, io mi rifiutai e lei, in risposta, incominciò tirarmi la toga così forte che per poco non la stappava, saltava intorno a dove mi ero seduta agitando la coda e facendo flebili ruggiti di protesta e, dopo un po’, quando me ne stavo per andare, mi ero ritrovata sollevata di peso per il cappuccio della toga. Solo allora accettai per esasperazione di volare con lei. Il risultato di quel primo volo furono delle calze lacerate, le gambe sanguinanti per lo sfregare con le squame, un forte dolore alle natiche e un ciclo di lavaggio completo per un atterraggio mal riuscito, nel quale Itrandil mi aveva letteralmente catapultata in una pozza di fango. Tuttavia Itrandil da quel giorno continuò ad insistere per fare questi piccoli voletti i quali, malgrado il forte dolore alle natiche e la forte instabilità, erano piacevoli mi facevano sentire lontana dai problemi della vita, della scuola e della famiglia. Però in quei primi tempi avevo sempre paura di cadere, che Itrandil facesse qualche pazzia o che il legame che ci aveva unite si spezzasse portandola a gettarmi via. Era una paura costante che mi perseguitò in quella settimana. Ma quella mattina fu diverso: per la prima volta riuscii a sentirmi salda su quel dorso, riuscii a sentire i movimenti di Itrandil seguendoli e prevedendoli, per la prima volta strinsi il collo di Itrandil non per la paura ma per la gioia, per la prima volta mi sentii in sintonia con lei. Volavamo placide con una leggera e pungente brezza autunnale che ci sfiorava il corpo, le nubi sopra di noi presagivano pioggia ma mi sentivo tranquilla, al sicuro su quel dorso, chiusi gli occhi e lasciai che i miei sensi si aprissero a quel universo. –Allora cosa ne pensi?- mi chiese Itrandil –Resterei qui per sempre- le dissi. Itrandil emise un flebile ruggito e inclinò all’insù le labbra: stava sorridendo. Mi sorpresi, prima di allora non l’aveva mai vista sorridere. Influenzata da quel momento sorrisi anch’io.

 

 

“Secondo voi cosa potrebbe significare questo attacco dei draghi?” chiese Nath mentre il treno si avvicinava sempre di più a Hogwarts. Ora che l’argomento più impegnativo era stato risolto i tre giovani iniziarono a porsi domande su una minaccia ben più seria e reale. “Non ne ho idea però…” iniziò Hanna “Il giorno in cui ci hanno attaccati ero andata nella foresta e ho visto un uomo incappucciato che incitava i draghi a costruire qualcosa. C’è chiaramente un nesso tra questi due fatti.” disse Hanna che ancora si ricordava della malasanità di quel luogo “Sì, è probabile.” disse Arthur “Ma cosa stavano costruendo?” chiese determinato ad approfondire “Ho sentito qualcosa a riguardo di un drago d’oro e la sua nascita. Probabilmente stavano costruendo un nido o qualcosa di simile. Ma devono aver appena iniziato perché non mi sembrava che fossero in alto mare con la costruzione.” rivelò Hanna “Ma non ho capito molto bene.” Confessò. Ma non la si poteva biasimare: in quel momento era in parte sotto l’effetto della magia di quel luogo e quando era un orso faticava ad assimilare informazioni “Aspetta…” iniziò Arthur “hai detto… drago d’oro?” chiese assorto. “Sì, perché? Sai cos’è?” domandò Hanna speranzosa “No, ma non mi è nuovo. Credo che sia importante, mi pare di averne sentito parlare da qualcuno. Ma non ricordo chi.” mentre lo disse Arthur parve assorto, come se una parte di lui fosse altrove. “Qualunque cosa stia architettando quel tipo non mi piace: mentre ero lì ho percepito chiaramente un aura maligna.” I due ragazzi guardarono perplessi la ragazza. Hanna sospirò “Quando sono Uther” “Uther?” chiese Nath “È così che chiamo la me orsa.” Spiegò velocemente Hanna “Comunque… quando sono Uther percepisco molto bene le intenzioni delle persone o animali e le sue erano chiaramente maligne.” Semplificò la ragazza “Non ho intenzione di rimanere in balia d’un pazzo. Dobbiamo fermarlo!” affermò Hanna che in quella settimana aveva deciso che sola o meno avrebbe provveduto a mettere al suo posto quel uomo “Hanna ti rendi conto che i draghi dalla sua parte.” Disse Arthur “E poi quanti erano di grazia?” Hanna abbassò lo sguardo “Un esercito” confessò a mezza voce “UN ESERCITO?” urlò Arthur “E tu vorresti affrontarlo? Finiresti arrostita viva prima di raggiungere il portone.” Disse Nathaniel “Sì ma non possiamo permettere che qualcuno minacci la scuola!” urlò Hanna “Con questo concordo con te.” Affermò Nathaniel “Ma non possiamo di certo affrontare una persona simile così alla leggera. Io direi di cominciare col capire cos’è questo drago doro. Forse in biblioteca troveremo qualcosa.” disse Nath che pur non essendo un amante della lettura doveva ammettere che senza internet non vi era altro modo, e pio anche lui desiderava andare affondo a questa faccenda. “Ma ci saranno seimila libri che parlano di draghi! Hai idea di quanto tempo potrebbe passare e quel pazzo parlavano a riguardo di un giorno preciso. Bethate o roba del genere…” disse Hanna agitando le mani parlando inconsciamente nel linguaggio dei segni “Il fattore tempo non è dalla nostra parte!” disse Hanna già disperata all’idea di dover leggere uno di quei libroni, proprio lei che leggeva solo il minimo indispensabile e in oltre faticava a leggere. “Avanti Hanna si tratta solo di qualche libretto. Cosa vuoi che succeda?” la stuzzicò Nathaniel divertito “Lo sai che sono allergica ai libri!” disse Hanna disperata “Avanti non mi dirai che hai paura di qualche libretto.” la prese in giro Nath troppo divertito dalla faccia che aveva la sua amica. “Ragazzi… ma siete impazziti!?!” urlò Arthur che già da tempo dubitava della sanità mentale della sua amica ma questo gli aveva dato conferma della sua pazzia. “Voi vorreste affrontare un mago, sicuramente più potente ed esperto di noi, con un esercito di draghi, che al massimo ci userà come stuzzicadenti e che è riuscito ad attaccare la scuola?” disse Arthur divenuto paonazzo “Sei libero di non seguirci Arthur.” Affermò Nathaniel “No, ragazzi. Io vi proibisco di fare una cosa del genere! Dovreste dirlo ai professori o ai cacciatori.” “Arthur!!!” lo interruppe Hanna “Non ci crederebbero. E anche se avvenisse, io sarei costretta a rivelare il mio segreto perché non sono in grado di ritrovare quel luogo come sono ora.” Arthur si sentì trafitto “Come ho detto prima” disse Nathaniel “Sei libero di non seguirci.” Arthur si passò esasperato una mano sulla fronte “Vi aiuterò. Ma a delle condizioni: dobbiamo capire contro chi stiamo andando incontro, cosa vuole e perché. E comunque lo attaccheremo solo se strettamente necessario e con in mente un piano a prova di bomba. Chiaro?” gli altri due annuirono inconsci di aver attivato un meccanismo che li avrebbe portati contro qualcosa dei ben più grande.

Quando arrivarono a Hogwarts ad accoglierli v’era Elaine, era sporca di cenere da capo a pedi. “Elaine…” iniziò Arthur confuso “Ma che hai combinato?” chiese il Corvonero confuso. “Ehm… stavo provando un incantesimo ma qualcosa è andato storto, vi è stata una piccola esplosione.” Ironizzò la ragazza “Piccola?” la interruppe Nathaniel “Va bene un po’ più di piccola. E mi sono ritrovata coperta di cenere.” Disse la ragazza che probabilmente aveva cenere anche nelle mutande. La verità era che Itrandil ad un certo punto, quando Elaine stava per andarsene, aveva starnutito e dato fuoco ad una parte degli alberi circostanti. Elaine aveva estino l’incendio grazie ai suoi scudi, che riuscivano ad estinguere e proteggere da qualsiasi fiamma, ma non dalla cenere che si era posata in tutto il suo corpo.

 

 

Qualche giorno dopo i tre ragazzi si ritrovarono chiusi in biblioteca per tre ore usando come scusa una ricerca extra come punizione data, per via del troppo chiasso fatto a lezione, dai Grifondoro e dai Serpeverde nell’ora di pozioni e Arthur si era proposto di aiutare i due amici. Elaine se l’era bevuta e li aveva lasciati alla loro ricerca extrascolastica, dirigendosi verso il suo lavoretto extrascolastico. Oramai i tre giovani avevano setacciato i quattro tomi principali che parlavano di draghi ma a parte un glossario che descriveva ogni specie di drago in cui si accennava qualcosa su un drago estinto quando i romani arrivarono in Inghilterra che lo avevano soprannominato Dracus Auro, tradotto drago doro, per il resto non avevano trovato niente. “Possibile che si trovi solo una nota in questi fottutissimi libri!” brontolò Hanna chiudendo con un tonfo secco l’ultimo volume. “Calmati, abbiamo appena iniziato. La biblioteca è grande e ben fornita, troveremo qualcosa. Nel frattempo continueremo queste ricerche.” disse Arthur porgendo ai suoi due amici tre libri a testa sui draghi e prendendone altrettanti per sé. “Tu sei pazzo! Come credi che troveremo mai qualcosa qua dentro. Dobbiamo restringere il campo!” Sbottò Hanna al limite di una crisi di nervi. “Lo so che non è entusiasmante ma non abbiamo altro modo.” Disse Nathaniel cercando di consolare, senza risultati, Hanna la quale afferrò i tre libri e borbottando cose poco carine si diresse verso il suo dormitorio sperando di trovare quello che cercavano nel giro di due giorni. Nath afferrò distrutto i suoi libri e si diresse verso la sua sala comune dove c’era Baston e gli altri membri della squadra che a breve avrebbero iniziati a parlare di alcuni nuovi schemi per la prossima partita -Evviva!- pensò ironico il ragazzo. L’ultimo a lasciare la biblioteca fu Arthur che si era preso la briga di sistemare i vari volumi e si era segnato in una pergamena i nomi e gli autori dei libri che avevano letto. Appena uscito dalla biblioteca si imbatté nel enorme figura di suo padre “Cosa ci fai qui?” gli chiese l’omone sorpreso di vedere il figlio in biblioteca a un ora così tarda “Mi servivano dei libri. Piuttosto cosa ci fai tu qui?” chiese il figlio convito che suo padre fosse tornato a casa, o ovunque lo portasse il suo lavoro, in fondo erano passati dieci giorni dall’attacco, la sua presenza non sarebbe dovuta essere ancora richiesta. “La preside vuole che io e un gruppo di cacciatori restiamo qui ad Hogwarts per prevenire altri attacchi.” rispose il padre brevemente. Arthur scostò lo sguardo dal padre “Bene” sussurrò e si dileguò, con quella angoscia che da anni caratterizzava il rapporto tra loro due.

 

 

Controllai che nessuno stesse guardando e attraversai il corridoio. Avevo saltato la cena per restare con i draghi ed ero arrivata a Hogwarts che il coprifuoco era già iniziato. Nel silenzio più assoluto mi diressi nella casa Tassorosso pregando di non essere vista. Una volta arrivata sotto le mie coperte mi ripromisi di portarmi dietro un orologio la prossima volta che andavo nella foresta. Era passato un mese oramai dall’attacco dei draghi, e non vi era stato neppure un avvistamento. Mi rigirai nel letto –Non riesci a dormire?- mi chiese Itrandil con il pensiero dal suo nido                  –Neanche tu a quanto sento- controbattei –Io sono un drago, non ho bisogno di dormire quanto voi umani- disse la draghessa. Mi rigirai nel letto –Cosa ti turba?- mi domandò lei notando l’oscurità nel mio cuore. –Non trovo sia giusto tenere allo scuro i miei amici- le dissi tranquilla –Te l’ho già spiegato: se ci scoprissero ci ucciderebbero.- -Itrandil, loro non sono quel genere di persone.- le spiegai placida    –No, voi umani siete tutti uguali! Arroganti, bramosi di potere, crudeli, ciechi verso ciò che vi circonda e sprezzanti della vita e delle sue leggi!- i pensieri di Itrandil mi scossero tutto il corpo e mi fecero fremere il cuore. –Vuoi dire che anche io sono così?- la incalzai –NO! Tu sei la persona a cui sono legata! Tu sei diversa!- tentò di controbattere -Ma resto umana. Itrandil è vero gli uomini sono tutto ciò che hai detto, ma possono anche essere di più.- le spiegai –Penasala come vuoi… notte- mi salutò la draghessa rudemente togliendo il contatto mentale “Buonanotte” sussurrai appena. Chiusi gli occhi. Avrei voluto dire ai miei amici il mio segreto, avrei voluto liberarmi di questo peso, quel peso che mi opprimeva il cuore, che mi stringeva in una morsa, quel peso che si prova quando si hanno dei segreti, dei segreti così grandi che solo condividendoli ne puoi alleggerire il peso, ma temevo ciò che avrebbero fatto i miei amici: mi avrebbero accettata ancora? –La mia testa la sa già la risposta- con questo pensiero mi addormentai. E anche se fosse non avrei detto niente senza il consenso di Itrandil poiché quella che rischiava la vita era lei e quei cuccioli.

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Capitolo 9
*** Cap. 8 Alberi di natale e guai ***


Cap. 8 Alberi di natale e guai

A cena quel giorno non vi era quasi nessuno: l’inizio delle vacanze natalizie aveva portato la maggior parte degli studenti a tornare a casa. La cosa però non era condivisa dai nostri quattro amici: Elaine non voleva lasciare da soli i draghi, Nath e Hanna erano già d’accordo coi loro genitori per restare a Hogwarts e Arthur non avendo nessuno che lo aspettava a casa non aveva nessun valido motivo per lasciare Hogwarts. “Elaine che stai leggendo?” chiese Nath notando come l’amica da oramai tre giorni non si staccasse più da quel libro lo aveva ricevuto il giorno di Natale e da allora non se ne separava più “ “Leggende e miti dell’antico popolo” è molto interessante.” disse l’amica distogliendo gli occhi dal libro per un singolo istante e poi tornare a leggerlo “Lo vedo sono tre giorni che non te ne separi.” disse Nath. Elaine capendo che non l’avrebbero più lasciata leggere mise il segnalibro e chiuse il tomo con un tonfo. “Lo hai preso alla biblioteca?” chiese Arthur notando l’aspetto antico del libro. “No, è un regalo di Babbo Natale” disse Elaine facendo le virgolette “Babbo chi?” chiese Hanna “Babbo Natale. Dai non dirmi che i tuoi non ti hanno raccontato della leggenda dell’omone vestito di rosso che porta i regali ai bambini buoni la notte della vigilia di Natale e carbone ai cattivi, vero?” domandò la Tassorosso “Mai sentito dire. Arthur?” disse Hanna guardando il compagno Corvonero “No. Mai sentito nominare. Nath?” chiese il mingherlino “Sì, è una figura leggendaria della cultura babbana legata ai cristiani. Ma io non ci ho mai creduto oltretutto non ho mai festeggiato il Natale” Spiegò il moro indifferente “Che cosa!?” esclamò Hanna incredula “Non c’è niente di strano: sono ebreo.” Spiegò Nath con indifferenza “Tu sei ebreo?” chiese Elaine sorpresa “Non lo immaginavo” dichiarò. Allora Nath tirò fuori una piccola catenina dorata con un ciondolo dalla forma della stella di David. “E tu Elaine sei cristiana?” chiese il moro con tranquillità, riponendo la catenina sotto la maglia “Sì, ma non sono molto credente. Ho un rapporto con la fede più legato a quando sono disperata e non mi piace andare a messa, io sento la presenza del signore più dentro di me e in ciò che mi circonda che in una casa di pietra.” Ammise la bionda “Io invece posso dichiarami credente e cerco di attenermi alle tradizioni della mia religione. Anche se qui trovare una Sinagoga è come chiedere la luna.” disse il ragazzo ridacchiando “Questo spiega perché non mangi mai il maiale.” scherzò Elaine “Ma che discorsi fate voi due?” chiese Hanna confusa “Parliamo di Teologia.” Disse Nathaniel sorridendo “Teologia?” chiese la rossa confusa “La scienza che studia le religioni.” parafrasò l’amica. “Elaine che c’è nel libro.” chiese Arthur cercando di deviare il discorso a un argomento ai due purosange più comprensibile. “È una raccolta di miti e leggende del popolo Celtico Anglosassone. Sono molto belle ce n’è una che sto leggendo ora che è stupenda: Il drago d’oro. Parla di un drago che…” Mentre raccontava ad Elaine brillavano gli occhi “Me lo presti!” la interruppe bruscamente Arthur anticipando i suoi due amici. “Perché?” chiese Elaine confusa visto che sapeva quanto poco Arthur fosse interessato alla letteratura. “Ehm… mi serve per… una ricerca.” improvvisò l’amico privo di altre idee “Una ricerca? Su quale materia?” lo interrogò Elaine la quale sentiva puzza di bruciato “Storia della magia!” inventò Arthur “Arthur facciamo storia della magia assieme e stiamo studiando i maghi dell’antica Grecia, mi dici che centrano delle leggende sul popolo Anglosassone?” Alla domanda di Elaine Arthur guardò i due compagni terrorizzato i due però gli fecero intuire che non avevano idee. Così cercò una terza via per scoprire la verità “Vedi sto cercando tutte le leggende sui draghi per capire se vi fosse una causa al ritorno dei draghi.” Spiegò incerto il ragazzo. Elaine lo guardò perplesso “Dirlo prima?” disse la Tassorosso “Ehm…” provò a giustificarsi il ragazzo “Ah lascia stare. Te la leggerò io.” Disse la ragazza prendendo il libro e iniziò a leggere.

 

 

Molti anni orsono i draghi non abitavano queste terre, vivevano molte miglia più a nord. Tuttavia un giorno alcuni draghi iniziarono a spostarsi, poiché quelle terre così fredde e isolate non offrivano più nulla a queste immense creature. Uno di questi draghi si stanziò nelle terre a sud della nostra terra; esso aveva le scaglie che risplendevano come l’oro, di grande statura e di nobil sangue. Gli abitanti del luogo terrorizzati da quella immensa creatura chiesero ai loro druidi di scacciarlo. Questi però perono nell’impresa. Molti vi tentarono ma nessuno riuscì nell’intento. E a mano a mano che il tempo passava sempre più draghi andavano a popolare quelle terre. Alcuni erano quasi innocui altri erano devastatori. La gente era terrorizzata, incapace di difendersi da queste creature immuni alla magia e di cui il ferro non doleva affatto. Così iniziarono a stanarli per distruggere le loro uova. Fu così che i draghi divennero sempre più indomabili e causarono sempre più morti a quel antico popolo. La situazione andò in degenerando per molte lune. Finché un giorno una sacerdotessa d’animo nobile decise di andare a parlare con il drago d’orato, il quale era ritenuto il signore di tutti i draghi poiché più forte e saggio di qualunque altro drago. La sacerdotessa quando trovò il drago tentò di parlargli ma i due non si capivano, e il drago, convinto che fosse venuta per ucciderlo, la attaccò scagliandole contro il suo fuoco. La sacerdotessa tuttavia non ne venne intaccata poiché in lei scorreva un potere oramai quasi estinto: il potere di resistere al fuoco. Quando il drago s’accorse che la sua fiamma non aveva avuto alcun effetto si avvicinò alla donna prudente. La sacerdotessa allora si avvicinò a lui. Fu allora che accadde per la prima volta: la sacerdotessa riuscì a legarsi al drago e a comprendere il suo linguaggio. La sacerdotessa lo pregò di non attaccare più il suo popolo. Allora il drago, sapendo che i loro popoli non sarebbero mai riusciti a convivere in pace come loro due fecero in seguito, così si decise di stipulare un contratto magico tra il popolo umano e quello dei draghi; secondo il quale finche un umano avrebbe generato un legame con il drago d’oro o con un suo discendente trai due popoli la pace sarebbe perdurata. Ma col passare del tempo l’accordo venne dimenticato e nessuno riuscì più a legarsi con un discendente del drago doro.

 

 

“Ecco.” disse Elaine una volta conclusa la storia. “Che te ne pare?” chiese rivolgendosi ad Arthur “Credo che sia incredibile. Ma infondo è solo una leggenda.” disse il castano incredulo “Forse è più vera di quel che appare.” disse Hanna guardando i suoi due amici. I tre si scambiarono sguardi complici “Ragazzi cosa mi state nascondendo?” chiese Elaine che da un po’ aveva notato il loro inusuale comportamento ma fino ad ora non aveva dato peso, convinta che fosse solo una sua impressione, però ora era evidente che i loro occhi stessero comunicando silenziosi qualcosa che non doveva essere conosciuto. “Elaine…” iniziò Nathaniel “Sai mantenere un segreto?” le parole uscivano grevi dalla voce del suo amico. La ragazza fece cenno di sì con la testa, era un po’ spaventata da ciò che gli avrebbero potuto dire però c’era qualcosa che le diceva di fidarsi. Allora si alzarono e la condussero in un luogo nascosto da occhi indiscreti. Erano ai margini del lago, vicino alla foresta nascosti dietro un salice piangente che con i suoi rami li copriva da occhi indiscreti. “Cosa mi dovete dire di così segreto?” chiese la ragazza curiosa e un po’ preoccupata ma comunque fiduciosa nei suoi amici. “Elaine… questa è una cosa che non dovrai mai dire a nessuno.” disse Hanna guardandola negli occhi “Lo prometti?” “Hanna non solo lo prometto, lo giuro.” Disse seria Elaine. Hanna fu la prima con velocità iniziò a togliersi gli abiti “Hanna!?!” urlò Elaine in imbarazzo. Ma l’interessata non le diede ascolto e quando rimase in intimo il suo corpo iniziò a tramutarsi fino ad assumere le sembianze di un orso dal pelo rossiccio, quando i suoi grandi occhi miele si aprirono fissarono Elaine con lo sguardo tipico degli orsi: inespressivo, buono ma cattivo, ingenuo ma concentrato. “… Ehm…” iniziò la ragazza confusa, incapace di commentare, alzò il dito verso l’amica la quale le si avvicinò strusciano la sua enorme testa sulla flebile mano di Elaine. La Tassorosso sembrò riprendersi a quel contatto e guardò i grandi occhi miele dell’amica rimasti identici a prima. Allora Hanna ritornò umana e disse “Lo so fa paura.” E iniziò a rivestirsi. Non erano le parole che Elaine avrebbe utilizzato ma era troppo stupefatta per poter reagire. “Ora tocca a me.” Così dicendo Nath venne avvolto da una brezza questa lo spinse verso l’alto così da portarlo a fluttuare fino ad appoggiarsi delicatamente su di un ramo e poi con un semplice gesto della mano generò un vento che fece fare un saltino all’indietro al intero gruppo. Appena Elaine riprese l’equilibrio fissò Nathaniel mentre scendeva placido a terra “Cosa…?” bisbigliò la ragazza confusa. “Impressionante no?” disse Nath quando toccò terra.

 

 

Seriamente non avevo idea di come reagire: se arrabbiarmi, se piangere, se ridere, se preoccuparmi o se compatirli. Rimasi lì a fissare due dei miei tre migliori amici che avevano fatto delle cose assurde persino per un mago. I maghi possono volare, ma con delle scope, i magni possono diventare orsi, ma con l’ausilio di una bacchetta. “Voi potete fare queste cose? È… è… strano.” dichiarai, le loro facce si rattristarono “ma forte.” Aggiunsi quasi inconsciamente. “Questa però non è la cosa più strana.” intervenne Arthur, fino ad ora rimasto zitto “Abbiamo scoperto che un uomo sta creando un nido per far nascere il drago d’oro, quello che era nel tuo libro Elaine. Temiamo che voglia usarlo per qualche scopo malvagio, visto che ha con sé un esercito di draghi, vogliamo risolvere la situazione prima che degeneri.” mi voltai allibita “Cosa intendete fare?” chiesi incredula “Siamo solo quattro studenti del primo anno. Che speranze abbiamo. Non sappiamo neppure se il drago d’oro sia solo una leggenda o se sia mai esistito nulla di simile.” Ribattei “Aspetta hai detto noi?” domandò Nathaniel incredulo “Sì, ho detto noi. Se sperate che vi lasci affrontare un uomo con un esercito di draghi al suo servizio da soli siete in alto mare.” Dissi sicura “Però dobbiamo capire se il drago doro è qualcosa in più d’una leggenda, il mio libro è di una libreria babbana ergo non molto affidabile” spiegai sempre più curiosa di andare affondo a questa questione che forse mi avrebbe fatto capire cosa ci facevano tutti quei cuccioli ed Itrandil nella foresta dato che la mia draghessa quando glielo chiedeva cambiava subito argomento. “Forse ma io conosco qualcuno che potrebbe sapere se è vero o no.” disse Nathaniel sicuro “E chi di grazia?” chiese Hanna scettica “Fernand.” rispose il moro.

Ci dirigemmo verso la casa del guardiacaccia non ché professore di cura delle creature magiche. Durante il tragitto provai a comunicare con Itrandil –Itrandil- la chiamai –Ci sei?- chiesi alla draghessa -Sì, ci sono. Che hai da rompere?- mi chiese la draghessa chiaramente assonnata -Hai visto anche tu quello che ho visto io?- domandai nervosa –No, fammi un riassunto perché voglio dormire- disse lamentosa la draghessa spiegai velocemente alla draghessa ciò che era avvenuto –E con ciò?- mi domandò Itrandil –Ma non capisci? Sono come noi Itrandil: anche loro hanno un segreto da nascondere!- le dissi sorridendo –Non tutti- specificò la draghessa            –Arthur è un bravo ragazzo- provai io -Con un padre cacciatore di draghi.- Aggiunse la draghessa furiosa –Arthur non è suo padre!- urlai mentalmente –Allora non capisci! Lui ha ucciso mia madre! Per colpa tua!- Itrandil chiuse il discorso. –La madre di Itrandil era quel drago viola.- allora capii: quella notte mi sarei dovuta legarmi a lei, non ad Itrandil poiché era quello ciò che stava avvenendo. Solo in quel momento ne presi coscienza e il mio cuore venne schiacciato dal senso di colpa “Elaine tutto bene?” mi domandò Hanna notando il mio umore nero. “Sì, Hanna va tutto bene. Sono solo un po’ sovrappensiero.” Mi giustificai.

 

 

Una mano bussò alla porta del guardiacaccia e professore di cura delle creature magiche “Oh ragazzi che ci fate qui il copri fuoco ci è già iniziato… andate su.” Li incitò il professore, il quale avrebbe preferito non infliggere una punizione ai suoi allievi e amici per quella che poteva essere una semplice visita di cortesia come ogni tanto facevano “Fernand aspetta!” intervenne Hanna bloccando la porta con la mano “Crediamo di sapere perché i draghi sono tornati.” aggiunse la ragazza attirando l’attenzione del professore “Ah, ragazzi questa poi cosa credete di saperne voi di draghi…” commentò il Fernand leggermente divertito ma allo stesso tempo innervosito “Se ti dicessimo Drago d’oro non cambieresti idea?” Alle parole di Arthur il guardiacaccia si irrigidì e iniziò a guardarsi attorno sospettoso “Entrate!” esclamò preoccupato continuando ad occhieggiare l’esterno “Cosa sapete sul drago d’oro?” sbottò arrivando dritto al sodo “Quel che basta.” rivelò Nathaniel tenendo il professore sulle spine procurando al ragazzo un occhiataccia da parte del umomo “Ragazzi seriamente cosa sapete?” Insistette agitato il professore “Sappiamo della leggenda” confessò Elaine, a quelle parole il professore sembrò distendersi un pochino. Ma subito tornò serio “Ascoltatemi ragazzi,” iniziò grave “questa faccenda è molto più complicata di quel che sembra” mentre parlava il professore fece cenno ai ragazzi di accomodarsi attorno al tavolo “Il ministero non sa nulla della leggenda, ed è meglio così. Se qualcuno venisse a sapere di questa leggenda tutto ciò che la vecchia generazione ha fatto per riportare la pace sarebbe vano.” Decretò l’uomo nervoso “In che senso il ministero non sa nulla? Fernand tutta l’Inghilterra sa che i draghi sono ad Hogwarts.” Constatò Arthur incitando in maniera implicita ad andare avanti. Allora Fernand guardò la finestra e nervoso accostò le tende impaurito dalla possibilità di essere spiato “Conoscete la leggenda dei quattro fondatori di Hogwarts?” chiese il professore tornando a sedersi. Due fecero cenno di sì con la testa, altri due accennarono un no “Vi basti sapere che Rawen Corvonero predisse che il mondo magico sarebbe stato stravolto da una serie di eventi che avranno inizio con il ritorno dei draghi” narrò cupo il professore "Ma cosa centra la leggenda?” domandò Elaine che stava faticando molto a seguire il discorso con le scarne informazioni che riceveva dal professore “Il ritorno dei draghi può avvenire solo se hanno una guida, e l’unico drago rispettato da tutti i draghi del nostro continente è il drago d’oro. Sospetto, assieme a molti miei colleghi, che i draghi stiano preparando un nido per farlo nascere.” Sussurrò il professore “Lo state cercando?” chiese Hanna “Sì, ma senza alcun successo ci deve essere qualcosa che ci impedisce di raggiungere il nido.” Spiegò il professore “In poche parole voi professori siete assoggettati da una stupida leggenda?” esclamò incredulo Arthur esterrefatto di questa rivelazione “Arthur noi stessi per i Babbani siamo leggenda, chi ci dice che questa leggenda non sia stata diffusa anche trai Babbani per far credere a tutti che sia solo una favoletta?” lo incalzò il professore, allora il ragazzo si zittì pensieroso “Fernand non ci puoi dire altro, non so…” provò a rabbonificarlo Nathaniel “No ragazzi, la questione riguarda la vita o la morte, promettetemi che vi dimenticherete di questa conversazione.” disse Fernand serio “Ma Fernand, cos’ha il drago d’oro di così speciale?” chiese Elaine innocente sperando che il professore soddisfasse la sua domanda “Si dice che chi lo controlla possa ottenere il controllo dei draghi ma il suo vero potere sta nel sangue: berlo vuol dire ottenere un potere così grande da divenire inarrestabili.” Spiegò il professore “Ma…” provò ancora Nath “Basta ho già detto troppo!” sentenziò il professore. “Vi accompagnerò nelle vostre case e fingeremo che niente di tutto questo sia mai avvenuto.” Decretò l’uomo alzandosi e dirigendosi alla porta. “Fernand…” tentò il Serpeverde. “Nathaniel per favore. Vi voglio un mondo di bene, siete stati trai pochi che hanno ignorato l’orrore di questa faccia.” Disse indicando le lunghe cicatrici bianche sul suo viso “Non voglio fare la parte del professore con voi fuori dall’orario scolastico, ora sono solo un amico che cerca di proteggervi per favore andiamo ad Hogwarts.” Da lì calò il silenzio, l’uomo non emise più un fiato. Però Nathaniel non demorse e si avvicinò a Fernand “Ahm…” tentò il ragazzo “No, Nath! Non dirò una parola in più!” decretò l’interessato “Che novità Fernand da quando ti arrabbi con uno studente?” tutti e cinque si voltarono e videro la professoressa Crezzy con appresso un Braian con l’aria di chi è stato scoperto col dito nella marmellata. “Greta!” esclamò in forma di saluto il professore “Cosa ci fai qui?” “Quello che fai tu. Riporto una di questi pest… studenti!” esclamò correggendosi “alla loro casa comune.” Spiegò la giovane professoressa “Ti posso affidare Nathaniel: non ho voglia di fare il giro del mondo. Piuttosto hai già in mente una punizione?” chiese il professore “No, non ancora.” disse la professoressa “Allora se non ti dispiace io ne avrei una in mente…” nel dire questo a Fernand si tinse un sorriso maligno in volto e si avvicinò alla donna sussurrandogli la sua idea nel orecchio “È un po’ vecchia scuola ma… mi piace!” esclamò la professoressa divertita. “Io però aggiungerei una lettera ai genitori” alle parole della donna Hanna si disperò –Mia madre mi ucciderà!- Arthur desiderò sprofondare –Sono rovinato- Nathaniel sbuffò impercettibilmente –Prima lettera e siamo solo a metà anno… è un record!- a Elaine le si raggelò il sangue un secondo ma non si preoccupò troppo della reazione dei suoi zii. Sadow aprì appena bocca “La lettera è proprio necessaria? E poi quale sarebbe la punizione?” chiese terrorizzato dalla reazione dei suoi genitori “Per una notte dovrete aiutarmi a raccogliere legna nella zona sud della foresta.” Spiegò indifferente il professor Change “Ahah” rise nervoso il ragazzo “Bella battuta professor Change.” disse il giovane sudando freddo “Ti pare che sia uno che scherza?” domandò retorico l’uomo “Sì.” provò il giovane. Questo non spostò d’un centimetro la decisione dei professori.

 

 

La punizione decisa dai professori era stata, a detta del quartetto, troppo severa. “Ma cosa diamine gli è preso a Fernand? In quale epoca crede che siamo? Queste punizioni sono antiche!” esclamò la rossa durante il pranzo mentre torturava il suo povero cibo “Beh, poteva andare peggio. Pensate se a trovarci con Fernand fosse stato il professor Jhonson: altro che gitarella nella foresta, sei ore di ramanzina e venti giorni di punizione. L’ho visto arrabbiato, e, fidatevi, non è uno spettacolo piacevole.” Li consolò Nath “Sia come sia. Sta di fatto che io la ritengo troppo severa.” Hanna continuò a lamentarsi a questo modo per tutta la mattina diventando ad un certo punto anche noiosa. Infatti a metà pomeriggio Arthur perse la pazienza e disse “Hanna…. Taci.” Questo la fece smettere ma tenne comunque il broncio.

La sera quando venne a prenderli la professoressa a Crezzy il quartetto rassegnato si preparò a dover affrontare una lunga nottata. Giunti al limitare del bosco i cinque ragazzi vennero lasciati nelle mani di Fernand “Allora” iniziò il guardiacaccia “Da un po’ di giorni avvengono cose curiose nella foresta. Pertanto fate come vi dico io, non uscite dai sentieri e tutto andrà bene. Seguitemi.” “No” si rifiutò Braian “Signorino Sadow si rilassi: dovete solo aiutarmi a raccogliere della legna, non vi sto chiedendo di inseguire delle bestie feroci.” Spiegò il professore leggermente spazientito “Io non metto piede lì dentro! E poi ci sono…” il povero Serpeverde deglutì “I draghi” a Elaine sfuggì uno sbuffo –Come se una manciata di cuccioli ti potessero mai far qualcosa- pensò la ragazza conscia che i draghi davvero pericolosi erano a chilometri di distanza da dove erano loro “Che c’è Zannet? Lo trovi divertente?” la ragazza si limitò a non rispondere alla domanda del Serpeverde. “Basta Braian, non devi temere andrà tutto per il meglio.” cercò di calmarlo Fernand, senza successo. Il povero Braian fece un lungo respiro per calmarsi e partì assieme al resto della combriccola per la foresta. Oramai era il tramonto, la foresta pareva bruciare. La luce rossa del tramonto si diffondeva delicata nella foresta attraverso i rami e le foglie creando un alternarsi di colonne cupe e ardenti, gli alberi spogli erano scheletri umani e gli abeti erano tinti di rosso e tutto scintillava sulla candida neve. Ma bastò poco perché quella luce scemasse e lasciasse spazio alle tenebre. Il sole era appena calato quando Fernand si chinò a terra appoggiando le dita in una scura sostanza appena più vischiosa dell’acqua “Di nuovo” esalò il guardiacaccia fissando quella sostanza liquida “Fernand cos’è quell’affare?” chiese Arthur spaventato “Questo è sangue di ippogrifo. Di recente ne ho trovati due morti divorati. Questo invece è stato gravemente ferito. È strano: di norma gli altri animali non li attaccano…. Andiamo avanti.” Disse il professore portandoli in un punto in cui il sentiero che stavano seguendo si dividesse in due rami. “Le cataste di legna si trovano lungo questi sentieri. Ci divideremo in due gruppi per fare prima: io andrò con Hanna e Arthur, invece Nathaniel, Elaine e Braian formeranno il secondo gruppo. State sempre vicini, non strafate, la legna pesa molto e non vorrei che vi rompeste una caviglia, e non uscite dal sentiero” li ammonì “Finche state nel sentiero non vi succederà nulla.” “Ma…” “Niente ma, Braian.” così dicendo Fernand si allontanò afferrando Hanna e Arthur per le spalle trascinandoli via dolcemente.

“Siamo rovinati.” disse Nath mentre camminavano per il sentiero “C’è solo una cosa che non bisogna fare nel bosco di notte: dividersi. Siamo destinati a soccombere.” “Smettila Galleric è solo la foresta che vuoi che accada?” disse Braian improvvisamente spavaldo. Il trio si inoltrava sempre di più nella foresta. A Nath non piaceva l’idea di aggirarsi per la foresta con due individui che ne sapevano, a suo giudizio, tanto quanto lui di sopravvivenza ma se Fernand aveva detto che finche non si allontanavano dal sentiero erano al sicuro sicuramente sarebbe stato così. “Aspetta solo che i miei genitori lo vengano a sapere e…” iniziò a brontolare Braian “E cosa? Faranno una lamentela? Che gran cosa! Veramente, non vedo l’ora.” lo prese in giro Nath. “Galleric sta zitto! Con il tuo alito fetido attireresti anche una talpa!” ribatté Shadow “Lo sai che le talpe hanno un ottimo fiuto, vero? E poi non sono io quello che puzza. E con le tue urla attirerai tutti gli animali della foresta.” lo stuzzicò nuovamente “Almeno io mi so difendere. Tu invece sarai il loro pasto.” Controbatté il ragazzo “Lo sai che prendono di mira i più grossi?” infatti Braian aveva il viso più paffuto rispetto a Nath ma si trattava di sottigliezze “Allora sarà la tua amica a essere divorata. È alta come una del terzo anno, se la sbraneranno in un istante.” Disse Braian suscitando, con sua soddisfazione, collera negli occhi di Nathaniel. In quel momento vi fu un frusciare trai rami. I due ragazzi sussultarono “Che c’è hai paura Shadow?” lo stuzzicò il moro con voce tremante “Io, paura? Ah, io non ho paura di niente” disse il giovane facendo la parte del duro “Allora perché non sei a Grifondoro?” chiese retorico il giovane “La volete smettere!” Ordinò Elaine al limite della pazienza. Prima Hanna, adesso loro: era più che normale che non ce la facesse più. “Sì mammina” dissero in coro i due. I quali appena se ne accorsero si guardarono in cagnesco. Elaine riprese a camminare alzando gli occhi al cielo. Per un po’ regnò il silenzio fin quando uno scricchiolare di rami e l’urlo di Elaine irruppe nella notte. “Elaine!” urlò Nath il quale si gettò al imbocco di un buco in cui era appena caduta l’amica. Era finita dentro ad una vecchia trappola probabilmente costruita dai centauri “Sei tutta intera?” chiese l’amico preoccupato “Sì… credo!” ribatté la ragazza. “Chiamate aiuto!” gli ordinò la ragazza. “Conosci qualche formula per segnalare la nostra posizione?” chiese Nath “Non dirmi che non la conosci?” disse l’altro Serpeverde scocciato “E tu la conosci?” chiese Nath. Il biondo fece cenno di no con la testa “Elaine conosci qualche formula per segnalare la nostra posizione?” urlò il giovane all’amica “Ma quando mai ce le hanno insegnate? Cercate i ragazzi per favore! Basta che seguite il sentiero!” Elaine non era preoccupata, solo scocciata “Muovetevi!” incitò i due ragazzi, i quali iniziarono a tornare indietro nella speranza di trovare il resto del gruppo.

I due giovani inizialmente seguirono il sentiero che avevano adoperato durante l’andata ma impazienti di raggiungere Fernand decisero di prendere un scorciatoia tagliando in parallelo per il bosco sperando di fare prima. Invece dopo mezz’ora scoprirono di aver sbagliato direzione e di essere andati sempre più nel fitto della foresta. “Magnifico!” esclamò Nath vedendo per la terza volta lo stesso albero contorto “Ci siamo persi!” concluse alzando le braccia al cielo “Te lo avevo detto che bisognava andare a sinistra.” lo riprese Braian “Ma quale sinistra? Se non abbiamo fatto altro che seguire “Il tuo grande senso dell’orientamento”” gli fece il verso Nath compiendo ampi cerchi in aria “Piano. Sei stato tu a volermi seguire.” ribatte il giovane “Dobbiamo fare in fretta non possiamo lasciare lì Elaine” fece a sua volta il verso Braian rivolto a Nathaniel “Ah, adesso è colpa mia?” controbatté con finto stupore Nathaniel –Viziato, stupido, strafottente, ignorante…- Sarebbero andati avanti così per tutta la notte. Tuttavia i due giovani si interruppero al udire uno zampettare tetro provenire dal grosso albero cavo. Dall’albero comparvero centinaia di agromantule assetate di sangue. “AH!!!” Urlano disperati i due ragazzi; i quali iniziano a correre più veloci che poterono verso quella che speravano essere la direzione giusta. Corsero con tutta l’energia delle loro gambe, ma le agromantule furono veloci e si avvicinarono sempre di più ai due giovani. “Conosci un incantesimo contro i ragni?” chiede Braian terrorizzato guardando Nath “No.” Rispose l’altro guardandolo un secondo. Resisi conto di ciò i due ripresero ad urlare all’unisono sperando di attirare l’attenzione di qualcuno. Nath e Braian cercarono disperati una qualche forma amica: uomo, mago, porco o tasso non aveva importanza, l’importante era uscirne vivi. Nathaniel sentì le sue gambe ribollire d’energia e il sangue pulsare sempre più forte e velocemente nel suo petto, le braccia si muovevano meccanicamente con sforzo, la schiena si inclinò leggermente in avanti, gli occhi si restrinsero focalizzandosi solo sui vari ostacoli. Correva velocissimo –Alla fine anni passati a rubare cibo alle bancarelle sono serviti a qualcosa- pensò il giovane. Stava correndo velocissimo eppure sentire il respiro sempre più affaticato di Braian accanto al lui lo tratteneva. –Giusto, non tutti hanno la mia resistenza- si ricordò in quel momento il ragazzo. Allora, quasi inconsciamente, fece quello che aveva fatto con Hanna ad Halloween: gli afferrò la mano. Con quel semplice gesto l’energia di Nathaniel in qualche modo fluì in Braian facendogli riprendere fiato. Il ragazzo guardò stupefatto coi suoi occhi verde grigio Nath che a sua volta lo guardò coi suoi scuri seri comunicandogli un solo pensiero    –Non ti abbandono- Nathaniel non sapeva perché lo pensava, sapeva solo che si sentiva responsabile in qualche assurdo modo verso Braian, malgrado tutto quello che gli aveva fatto. Corsero per altri tre minuti buoni quando la loro corsa verso la salvezza venne bloccata da un burrone “Merda!” esclamò Nath frenando di colpo “E ora?” si chiese. Braian guardò dietro di sé “Andiamo verso la morte certa,” disse rivolgendosi alle agromantule oramai vicinissime “o tentiamo la sorte?” I due ragazzi si guardarono negli occhi, non furono necessarie parole capirono cosa volevano.

 

 

Hanna e Arthur si stavano caricando silenziosi la legna sulla schiena imitando Fernand. Che per tutto il tragitto era stato silenzioso e serio. I due ragazzi lo fissavano nella speranza di attirare la sua attenzione, ma lui non rispondeva: restava zitto fissando la catasta coperta da un telo a sua volta coperto da un leggero strato di neve. “Perché?” chiese come un filmine a ciel sereno Hanna non sopportando più quel silenzio. “Per proteggervi. Vi siete immischiati in un gioco da grandi. Un gioco fatale. Non voglio che finiate con il rimetterci la vita.” Disse Fernand. Arthur lo guardò bene: non stava parlando come un professore, un conoscente o un amico. Sembrava quasi un… Arthur cacciò quel pensiero dalla testa. –No, no… impossibile-

 

 

Si gettarono dal burrone stringendosi la mano per farsi forza. Rimasero in caduta libera per pochi istanti: Nath allora chiamò a sé i venti generando una corrente che li spinse verso l’albero lì vicino. I due ragazzi sbatterono violentemente contro un abete e aiutandosi con i rami riuscirono a scendere velocemente. Toccata terra ripresero a correre il più lontano possibile sempre tenendosi per mano, quasi che quel semplice contatto potesse proteggerli. Le agrumantole  nel frattempo, che non demordevano, e malgrado si fossero fermate quando i due giovani si erano buttati, ripresero la corsa affamate scendendo in verticale per il burrone neanche fosse ripidissimo. Le gambe di Nathaniel iniziarono a bruciare e la neve, oramai non più un sottile strato ma bensì dieci centimetri, affaticava ulteriormente la sua corsa e quella di Braian oramai allo stremo. Nath sentiva l’infrangersi di quella bianca sostanza sotto il suoi piedi, uno scricchiolio mortale. Il giovane si guardava attorno disperato cercando qualsiasi cosa potesse salvare loro la vita. “La giù!” urlò Braian strattonando il ragazzo. Nath volse lo sguardo nella direzione del biondo: vi era un albero cavo, la loro ultima speranza. Nel brusco cambio di direzione i due slittarono fino al albero. Le agromantule si stavano avvicinando sempre di più. I due ragazzi entrarono nello stretto passaggio e guardarono verso l’alto. “Non possiamo salire!” esclamò Braian. L’albero sarebbe stato perfetto: abbastanza grande la far entrare loro due, non abbastanza da far entrare le agrumantole, abbastanza ampio da permettere ai due giovani di stare dentro assieme ma non abbastanza da far passare un agrumantola, tuttavia non v’era altra uscita e non v’era modo per salire. I due giovani terrorizzati si strinsero sul fono del albero aspettando l’inevitabile. Impercettibilmente Nathaniel iniziò a pregare in ebraico pregando dio che lo salvasse come aveva salvato una volta i suoi antenati dalla schiavitù egizia.

 

 

-Itrandil! Itrandil mi senti!- la chiamai mentalmente –Sì Elaine, che ci fai nella foresta a quest’ora?- chiese la draghessa ancora assopita –Non è il momento, vieni qui ti prego.- la chiamai -Arrivo- disse annoiata. Iniziavo a chiedermi dove potessero essere finiti quei due: oramai era mezz’ora che aspettavo e temevo, giustamente, il peggio. Nel giro di poco Itrandil arrivò e dopo aver scavato un po’ e aver allungato una sua zampa a me, mi portò fuori da quel buco. “Grazie Itrandil” la draghessa rispose con un flebile ruggito. “Ora mi devi aiutare. Sono preoccupata per Nathaniel e Braian: si sono allontanati da troppo tempo e inizio a sentirmi preoccupata. Li puoi trovare?” Itrandil iniziò a fiutare l’aria in cerca del loro odore. Ad un certo punto mi fece capire di averli trovati. Io montai in groppa e mi lasciai trasportare verso il luogo in cui si erano cacciati quei due. Avevamo appena spiccato il volo quando mi resi conto di non aver più rivolto la parola ad Itrandil dopo quel discorso “Itrandil… senti, riguardo a tua madre…” cercai di spiegarmi -Non è colpa tua.- Liquidò lei la questione “Sì, ma…” tentai -Elaine ascoltami: mia madre è morta per colpa sua e di nessun altro. È state lei ad insegnarmi che quando qualcuno muore la colpa è da attribuire solo a chi muore. Cercare vendetta è una stupida cosa umana. Ho sbagliato a prendermela con quello stecchino. Senti non mi fido ancora di loro ma ti prometto che ci farò un pensierino. Ma sappi che se lo diranno ad anima viva senza il nostro permesso giuro che incenerisco loro e chi è stato informato. Tutto chiaro?- disse la draghessa in una via di mezzo tra il dolce, l’arrabbiato e il minaccioso –Ti voglio bene Itrandil: sei un’amica fantastica- La draghessa mi lanciò appena un occhiata indecifrabile e poi sorrise tornando a concentrarsi sul odore del mio amico e quello scemo di Braian. Lo spettacolo che ci si presentò davanti dopo qualche minuto non mi piacque pe niente: delle agromantule stavano accerchiando un albero cercando disperatamente di aprirsi un varco. –Il loro odore termina dentro quel albero- spiegò la draghessa. Improvvisamente un fuoco si svegliò dentro di me e un desiderio entro vorace nel mio cuore. “Itrandil…” quasi non riconobbi la mia voce: era autoritaria, cupa, profonda e gelida “Fuoco!” ordinai. Itrandil, che non aspettava altro, sputò un getto di fuoco abbastanza potente da mettere in fuga le agromantule. “Basta così.” ordinai alla draghessa quando vidi che quei ragni giganti se ne erano andati. Allora usando il mio potere generai una barriera attorno al albero bloccando la corsa delle fiamme. “Lasciami a mezzo chilometro di distanza.” Dissi alla draghessa una volta sicura che il fuoco non si sarebbe espanso ulteriormente.

 

 

Nathaniel rimase immobile abbracciato a Braian era la fine: le agrumantule lo avrebbero divorato vivo dopo aver fatto di lui un involtino primavera. Stava per perdere le speranza quando dal cielo un getto infuocato si abbatté sulle agrumantule –Grazie signore!- urlò il giovane nella sua testa. Le fiamme bruciavano a pochi metri di distanza da loro ma non ne sentivano gli effetti era come se si trovassero a miglia di distanza da quel incendio. Nessuno dei due parlava o si muoveva erano troppo terrorizzati per riuscir ad essere padroni del loro corpo. L’unica cosa che furono in grado di compiere fu serrare gli occhi evitando di rimanere accecati da quel sole notturno. Dopo un tempo a dir poco illimitato il fuoco cessò di espandersi e come soffocato da un aura invisibile si estinse lasciando solo i gusci inceneriti di centinaia di agrumantole, le zampe rivolte al cielo rannicchiate su loro stesse secche e annerite, gli occhi chiusi e la peluria bruciacchiata, altre invece erano distese a terra il cranio fuso dalla gettata delle fiamme, altre ancora invece correvano via disperate con ancora le fiamme a divorarne le carni. Lo spettacolo era agghiacciane, eppure né Nathaniel né Braian riuscirono a distogliere lo sguardo.

 

 

Stavano portando il carico di legname al punto di ritrovo, quando un filo rosso accese la foresta a giorno. Arthur guardò esterrefatto quelle potenti fiamme avvolgere l’aria e illuminare il cielo. Ma subito si spensero lasciando di nuovo al buio della luna nuova. “Da quella parte presto!” ordinò Fernand buttando giù il legname e correndo verso le fiamme che già si stavano estinguendo. Ma Arthur non si mosse: percepiva una strana aura quella notte. “Muovetevi!” li incitò Fernand. Allora Hanna e Arthur seguirono il professore verso le fiamme. “Quello che ha causato le fiamme?” iniziò il castano “Sì Arthur, quello era un drago.” Sussurrò il professore mentre correva per la foresta.

 

 

Dopo lunghi minuti di estremo silenzio in cui si udiva solo lo scoppiettare delle ultime fiamme e il lento respiro dei due giovani, un dolce suono amico riempì l’aria. “Nathaniel, Braian!” i due giovani tirarono finalmente un respiro di sollievo “Nathaniel, Braian voi…” iniziò il professore trovandoli dentro al tronco “cosa state facendo?” chiese Fernand notando come i due si erano accoccolati uno accanto all’altro, stringendosi forte la mano e le spalle. I due interessati si guardarono un attimo al inizio tesi poi scoppiarono a ridere scaricando l’adrenalina. “L’abbiamo scampata bella!” iniziò Braian quando riuscì di nuovo a respirare “È stato incredibile!” fece l’altro “Giurami che non finiremo più in una situazione simile.” continuò Nath appoggiando una mano sulla spalla del biondo “Tranquillo non ho intenzione di rischiare la vita una seconda volta: una mi basta e avanza.” confermò Braian dando una pacchetta amichevole all’altro “Ragazzi lo sapete che vi state abbracciando?” chiese Hanna maliziosa guardandoli dallo stretto passaggio. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo inorridito e si allontanarono l’uno dall’altro rabbrividendo. “Aspetta che tutti lo vengano a sapere!” esclamò Hanna euforica “Non oserai!” fecero in coro furiosi i due interessati “Oh che carini dite le frasi assieme.” li stuzzicò ulteriormente Hanna “Non è vero!” ribatterono in coro, allora i due si scambiarono un sguardo prima omicida poi divertito. “Ragazzi dov’è Elaine?” chiese Arthur preoccupato notando l’assenza dell’amica. “Cazzo! Elaine!” urlò Nath resosi conto solo ora di aver lasciato l’amica in quel buco “Nathaniel modera il linguaggio!” lo riprese Fernand severo “Non ora dannazione! Abbiamo lasciato Elaine in una trappola dei centauri… oh mamma dopo quella lì mi scuoia vivo!” urlò Nath disperato mentre usciva dal tronco cavo. “D’accordo. Vi ricordate dopo quanto è caduta in quel buco e se eravate ancora sul sentiero che vi avevo indicato?” chiese il guardiacaccia leggermente preoccupato “Eravamo sul sentiero che ci hai indicato, è caduta lì dentro dopo circa trequarti d’ora che camminavamo.” spiegò Braian “Molto bene seguitemi.” Ordinò il guardiacaccia ai suoi allievi. Sarebbe voluto restare a controllare i dintorni dato l’evidente passaggio d’un drago ma in questo momento l’incolumità della sua allieva era la priorità: con un drago a piede libero e le agrumantule affamate poi rischiava decisamente di diventare lo spuntino di qualcuno. Però contrariamente alle aspettative dopo poco tempo trovarono Elaine intenta a dirigersi verso di loro a passo di marcia. “Elaine!” esclamò sorpreso e rincuorato il professore “Come sei uscita da quel buco?” chiese Braian sorpreso “Ho i miei trucchi, e da piccola mi arrampicavo spesso.” disse la ragazza stranamente di buon umore. Dopo questo Fernand decise di riportarli a scuola: stavano succedendo troppe cose curiose in quella foresta per i suoi gusti. La via del ritorno fu incredibilmente silenziosa. Nessuno parlava troppo immersi nei loro pensieri. Raggiunta l’interno della, mai tanto rassicurante, scuola i cinque giovani andarono dritti verso le loro rassicuranti stanze.

Una volta nel dormitorio i due Serpeverde incominciarono a parlare “Ehi” lo chiamò Braian in un sussurro “Grazie per questa notte. Senza di te non sarei sopravvissuto.” “No, grazie a te.” ribatté l’atro “Non avrei mai notato quell’albero.” I due si sorrisero e si sdraiarono nei loro letti abbastanza vicini. Ci fu qualche istante di silenzio. Quasi inconsciamente Nathaniel tirò fuori l’anello da sotto il suo pigiama e iniziò a studiarlo come una cosa preziosa “Ehi, perché tieni tanto a quell’anello?” chiese ad un certo punto Braian. Nathaniel non era sicuro di voler rispondere, ma in un certo senso sentiva che quella notte qualcosa era cambiato: il suo modo di rivolgersi a lui, la sua l’apprensione nei suoi confronti e questa domanda fatta con il cuore… Sì quella notte qualcosa si era aggiustato tra loro due. “È l’unica cosa che mi rimane di mio padre.” Disse cupo Nath stringendo l’anello in un pugno “Tuo padre e com’era?” chiese curioso Braian “Non l’ho mai conosciuto. So solo che era un mago e che ci ha abbandonati dopo aver messo in cinta mia madre e… non so…” provò il giovane “Da quando porto con me il suo anello è come se una parte di lui fosse con me.” rispose il moro “Come fai ad essere affezionato a lui se dici che vi ha abbandonati?” chiese Braian non velando un leggero disappunto “Secondo quel che dice mia madre è stato costretto ad abbandonarci ma non so il perché e non credo neanche lei.” “Non sai proprio nulla di lui?” chiese il giovane strabiliato “Prima che ricevessi la lettera per Hogwarts mia madre non mi ha mai parlato di mio padre. E temo che mai lo farà. Quel poco che so non basterebbe neppure a darti una descrizione fisica di lui.” Calò il silenzio Nath stava per addormentarsi, distrutto dagli eventi di quella nottata, quando “Lo sai,” iniziò il biondo facendolo rinsavire “Esistono dei libri con tutti i simboli delle case purosangue di maghi. Se tuo padre è un puro sangue lo potremmo trovare e in quel anello se c’è uno stemma o qualcosa di simile lo potremmo trovare.” alle parole di Braian Nath si alzò improvvisamente sveglio “Davvero?” chiese speranzoso “È solo un ipotesi ma sarebbe plausibile.” disse Braian “Grazie Braian. Lo sai sei meglio di quel che credevo.” disse il giovane “Anche tu.” confermò l’altro. Quelle parole non erano altro che l’inizio di una grande amicizia.

Note dell’autrice:

Lo so: sono in ritardo d’una settimana, sono una persona crudele e imperdonabile. Però questo stramaledetto capitolo non ne voleva sapere di essere sistemato la settimana scorsa, e come lo avevo scritto di getto non mi piaceva così ci ho dovuto rimetterci parecchio le mani. Comunque questo è un capitolo di sette pagine World un po’ mi sarò fatta perdonare.

Comunque, cosa ne dite del cambio fazione di Braian? Ve lo aspettavate o speravate in un Draco Malfoi 2.0?

E cosa ne pensate dei ragionamenti di Itrandil? Lo so che sono un po’ strani e contorti ma è un drago ei draghi nel mondo di Harry Potter sono più simili ad animali selvaggi quindi hanno un modo di pensare diverso da quello umano. (Regina delle giustificazioni assurde al opera)

E ragazzi un’altra cosa…. Escludendo il capitolo uno che vi serve per accedere agli altri capitoli ci sono minimo 25 visualizzazioni per ogni capitolo e una sola recensione e solo nel ultimo capitolo. Ora eliminando eventuali errori di selezione, riletture ecc. ci dovrebbero essere almeno una manciata di persone che leggono, no? Quindi, per favore, ve lo chiedo in ginocchio, *Lo faccio davvero* scrivetemi una recensione, una piccola, anche negativa se vi fa piacere ma vi prego ditemi cosa diamine ne pensate di questi poveri personaggi perché mancano altri 4 capitoli alla fine di questo anno e sebbene vi romperò le scatole con altre sei storie mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questa!

In fine un ringraziamento speciale a Eleos99 per aver messo la prima recensione alla mia storia, un grandissimo abbraccio a lei e a voi altri… niente *Faccio la linguaccia ma subito dopo cedo e sorridendo apro le braccia in un abbraccione virtuale che comprende anche chi se ne sta zitto e non commenta*

Al prossimo capitolo, Bibliotecaria

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Capitolo 10
*** Cap. 9 Dire la verità ***


Cap. 9 Dire la verità
La scuola sarebbe ricominciata a giorni e io non mi ero ancora decisa a rivelare ai miei amici che possedevo un drago, che mi occupavo di lei e di altri cuccioli, e che riuscivo a sentire i pensieri di quest’ultima. Desideravo intensamente liberarmi da questo peso, ma ogni volta che provavo a rivelare questo segreto tutte le paure di Itrandil mi scorrevano impetuose nella mente come un fiume in piena ghiacciando le parole nelle mie labbra; non era una cosa che io o lei riuscivamo a controllare e malgrado la mia volontà ogni volta finivo con una scena muta. Ogni volta che si presentava l’occasione poi tremavo al idea delle loro reazioni ma sapevo che dovevo liberare questo peso dal mio cuore o sarei scoppiata entro breve.
Quel pomeriggio stavo volando con Itrandil ma non ero per niente concentrata, continuavo a fissare il vuoto come se davanti ai miei occhi ci fosse la nebbia. –Qualcosa ti sta turbando Elaine. Continuo a sentirmi il cuore pesante.- mi confessò la draghessa mentre volavamo nascoste tra le nuvole. –Scusa è che non sono ancora riuscita a confessare di te ai miei amici e non so come fare: ogni volta che ci provo le parole si gelano nella mia gola. Non so che fare- confessai sentendomi subito un po’ più leggera –Se non riesci a dirlo fallo vedere.- mi consigliò la draghessa –Mi stai dicendo di portarli qui a vedere te ei cuccioli?- chiesi perplessa –Ovvio stupida!- affermò questa seccata, sorrisi. –Cosa c’è che non va ora?- mi chiese Itrandil innervosita –Niente è che ogni giorno tu mi sorprendi.- la draghessa non mi rispose, continuò a volare placida sopra le nuvole leggermente impettita. Le accarezzai il dorso squamoso con leggerezza, quasi che avessi paura di farle male. Itrandil però stranamente reagì a quella carezza: voltò il muso verso di me e disse. –Lì non sento niente Elaine. Se proprio mi vuoi accarezzare accarezza una zona più sensibile.- con incertezza le sfiorai il naso per poi salire fino alla fronte.
 
 
Saleric, quello stesso pomeriggio, stava osservando i nuovi dati che era riuscito ad ottenere sui draghi quando qualcuno lo chiamò da fuori la sua tenda. Il cacciatore lo invitò ad entrare sapendo già di chi si trattasse. “Volevi vedermi papà?” chiese Arthur titubante scostando appena la tenda per vedere se il padre fosse ben disposto. “Sì figliolo.” disse il cacciatore mettendo da una parte quelle carte. “Dobbiamo parlare di una cosa importante.” Arthur deglutì, quando il padre voleva parlare con lui per lui volevano dire solo guai. Comunque si fece coraggio ed entrò “Siediti” disse Saleric invitando suo figlio a sedersi su uno sgabello accanto al suo. “Papà se è perché eravamo fuori dai nostri dormitori fuori orario sappi che mi dispiace, prometto che non avverrà più.” Cercò di scusarsi Arthur nervosamente temendo l’ira del padre. “No, non ti ho chiamato qui per farti la predica: la punizione che vi hanno conferito il professor Change e la professoressa Crezzy mi pare che siano stati adeguati, farti la paternale sarebbe inutile a questo punto.” Arthur in parte tirò un sospiro di sollievo ma dal altra si sentì ancora più teso “Allora di che si tratta?” lo incalzò il giovane “Ci ho pensato a lungo e credo che sia giunto il momento di iniziare a parlare della questione addestramento.” -Oh no- pensò Arthur che in cuor suo aveva sempre temuto l’arrivo di questo giorno. “Ho deciso che da questa estate ti addestrerai con me nell’arte di cacciare i draghi, parteciperai ad un campo che ti darà le basi fisiche per affrontare il vero addestramento che in futuro completerai in Norvegia appena finirai la scuola. Così potrai diventare il mio erede.” Le parole di Saleric uccisero il cuore di Arthur che si sentì incatenato strinse i pugni “Quindi non posso scegliere.” disse il ragazzo freddo a testa bassa “Hai già scelto tu per me.” “Arthur lo faccio per il tuo bene: sei un Hunter per la miseria! Per ora sarai anche uno stecchino ma lascia passare qualche anno: tuo nonno era più piccolo di te da giovane e guarda che cacciatore è diventato!” disse Saleric consolando a modo suo Arthur, ma non erano queste le preoccupazioni oi pensieri del ragazzo. “Non è questo il punto.” Cercò di difendersi Arthur cercando di spiegare a suo padre ciò che voleva ma suo padre lo bloccò sul nascere. “Arthur io sono un cacciatore, tuo nonno era un cacciatore, il tuo bisnonno era un cacciatore e avanti così per centinaia di generazioni. Tu sei nato per diventare questo!” calò il silenzio Saleric stava aspettando una risposta ma Arthur non riusciva ad esprimersi. “La mamma non lo avrebbe permesso.” Arthur al inizio non si rese neppure conto di aver detto quella frase, era convinto di averla solo pensata. Si rese conto di ciò che aveva detto solo quando la grossa mano del padre lo colpì in pieno volto facendolo cadere a terra rovinosamente. “Non ti azzardare a nominarla!” urlò Saleric con tutta la rabbia che aveva in corpo “È colpa tua se non c’è più!” gli ricordò l’uomo alzandosi del tutto fuori controllo. -È inutile per quanti anni passino non riesce ancora ad accettare la sua scomparsa- pensò il ragazzo rialzandosi per mettersi seduto “Avevo cinque anni!” provò a difendersi il ragazzo “Cosa avrei potuto fare?” gli chiese il castano guardando il padre negli occhi, non lo faceva mai se non quando si parlava della mamma. “Basta!” urlò il signor Hunter distogliendo il suo sguardo mandorla da quello grigio e azzurro del figlio identico a quello della madre. “Tu farai quello che ti dico io. Sono stato chiaro?” lo minacciò il padre continuando a dargli le spalle. “Sì.” rispose atono il ragazzo “Puoi andare.” Decretò Hunter tornando alle sue carte. Arthur uscì di corsa da quella tenda scostando con violenza le stoffe al entrata lasciando in dietro un padre dolorante per il ricordo della moglie morta. Arthur aveva bisogno di stare da solo di liberare il suo pianto di sfogarsi in qualche modo. Ma dove andare? Al dormitorio? No, tutti i Corvonero erano lì a studiare. In cortile? No, i suoi amici lo avrebbero notato. Allora Arthur la vide: la foresta. –Perché no?- si disse –Tanto se muoio faccio un favore a tutti- allora Arthur iniziò a correre verso di essa, vi entrò. Non seguiva una direzione ben precisa: seguiva il suo istinto e si muoveva a caso all’interno di questa scostando felci e rami. Il giovane Hunter sentiva le lacrime che iniziavano a scendere ma non gli importava, voleva solo andarsene, andarsene dove nessuno lo avrebbe trovato.
Non sapeva da quanto stesse correndo. Sapeva solo che ad un certo punto sbatté contro qualcuno “Ahi!” esclamò la persona appena investita da Arthur “Guarda dove vai!” urlò Arthur gettando fuori tutto il suo disprezzo “Che gentilezza, guarda tu piuttosto!” Arthur stava per riprendere a correre quando “Arthur!” esclamò la voce facendo voltare l’interessato “Elaine!” esclamò sorpreso: dalla rabbia non era riuscito a distinguere l’amica. “Che ci fai qui, nella foresta?” chiese il giovane. La ragazza stava per rispondere quando si bloccò, rimase in silenzio per qualche istante restando seria poi afferrò la mano di Arthur e disse questa parola guardandolo negli occhi “Seguimi.” Arthur venne trascinato per la foresta dalla sola, inaspettata, forza di Elaine. Arthur si lasciò trascinare: non aveva né la voglia né la forza di farlo. Inoltre il modo in cui Elaine gli aveva imposto di concentrarsi su di lei lo aveva distratto dal avvenimento appena accaduto. In fine i due giovani si trovarono davanti ad una strana scena: un drago verde alto quanto una persona adulta era intento a giocare con dei cuccioli di drago. “Draghi!” esclamò il giovane terrorizzato irrigidendosi sul posto. Il drago verde iniziò a ringhiare contro il povero Arthur il quale si impietrì subito. “Itrandil!” disse la bionda scocciata riprendendo la draghessa e avvicinandosi a questa con troppa sicurezza “Elaine! Ma che…?” chiese il giovane terrorizzato e confuso “Itrandil calmati questo è Arthur” il drago allora si calmò e iniziò a osservare Arthur curioso. Il drago superò con indifferenza Elaine e tenendo il muso basso avvicinandosi quatto quatto ad Arthur iniziò ad annusarlo e a girargli in torno annusandolo “Ehm…” iniziò Arthur “Questo cos’è?” chiese il bruno a dir poco spaventato. “Arthur questa è Itrandil” iniziò la ragazza leggermente imbarazzata “la mai draghessa” concluse. Al inizio il Corvonero non reagì così la draghessa per svegliarlo gli diede una leccata che lo inzuppo per tutto il fianco destro fino alla testa. Allora come una bomba ad orologeria esplose. “COSA!?!?!” Esclamò il Corvonero “ELAINE CHE SIGNIFICA LA TUA DRAGHESSA? SE È UNO SCREZO NON È DIVERTENTE!” Arthur non era esattamente arrabbiato era solo sconvolto dalle troppe novità. La draghessa sentendo però del aggressività nei confronti di Elaine sgusciò attorno a lei e iniziò a ringhiare contro Arthur “No, non è uno scherzo!” ribatté Elaine fermando, temporaneamente, il ringhiare della draghessa con la mano. “Lei è mia amica! E io le voglio bene! È stata lei a scegliere me! E non mi interessa ciò che credi, io continuerò a volerle bene anche se significa rompere la nostra amicizia.” Elaine era sul punto di piangere da quanto era emozionata. Arthur venne colpito dai sensi di colpa nel vedere la sua amica sul l’orlo delle lacrime “No no Elaine che hai capito!” iniziò il giovane in imbarazzo “Non sono arrabbiato… beh un po’ sì… ma sono soprattutto sconvolto! Insomma un drago non è mica una cosa da tutti i giorni!” fu l’unica stupida cosa che il giovane riuscì a dire prima che l’amica con uno slancio lo abbracciasse. Subito Arthur si sentì sciogliere come se tutto il resto non contasse –Allora Nath non scherzava quando diceva che Elaine sarebbe in grado di rabbonire un assassino con un abbraccio- infatti si sentì al sicuro tra quelle esili braccia che si stavano aggrappando al corpo di Arthur. “Da quanto hai questo drago con te?” chiese Arthur cercando di tornare lucido come suo solito. “Da dopo l’attacco dei draghi ad Halloween.” rispose imbarazzata sciogliendo l’abbraccio “È qui quindi che vai tutte le volte che sparisci?” in effetti i ragazzi trovavano strano che Elaine non si facesse troppe domande sul perché loro sparissero per delle ore in biblioteca e ora la risposta era chiara: lei approfittava di quelle ore per stare con la draghessa. “Sì.” i due si scambiarono uno sguardo “Perché ora?” chiese Arthur “Non so spiegartelo. So solo che solo ora, grazie al appoggio di Itrandil, ho trovato il coraggio.” Spiegò la ragazza. I due amici si scambiarono un occhiata imbarazzata “Credo che tu lo debba dire anche a Nathaniel e Hanna” disse Arthur tornando a fissare quel drago che aveva ricominciato a fissarlo “Sì, lo credo anch’io.” rispose la Tassorosso. “Ehi! La vuoi vedere una cosa davvero forte?” chiese Elaine afferrando la mano di Arthur emozionata, Arthur fiducioso assentì silenzioso leggermente sorpreso “Itrandil…” iniziò Elaine maliziosa, il dragò voltò la testa verso la sua padroncina con uno sguardo altrettanto malizioso “Fuoco!” ordinò la ragazza. Un getto infuocato potentissimo si gettò contro i due ragazzi e Arthur, terrorizzato, si accucciò a terra coprendosi la testa -Morirò così allora?- pensò il giovane già disperato. Tuttavia le fiamme non lo raggiunse mai. Arthur aprì gli occhi titubante: Elaine era in piedi davanti a lui e dalla sua mano fuoriusciva una barriera azzurra e viola. Il ragazzo guardò la sua divisa: da una tasca si intravedeva la bacchetta. “Cosa… come?”  balbettò il ragazzo mentre la barriera si dissolveva assieme alle fiamme. “Non lo so. Lo faccio e basta.” rivelò la bionda. “Arthur?” il ragazzo guardò la giovane poi la draghessa in fine svenne troppo scosso dal evento.
 
 
–Deboluccio il tuo amico- lo canzonò Itrandil “Forse dovevo evitare questa scena.” disse Elaine passandosi imbarazzata una mano in viso. –Ma no? Tu dici?- la derise la draghessa. Riuscii a far rinsavire Arthur solo dopo un quarto d’ora abbondante e solo dopo mezz’ora se la sentì di camminare.
 
 
Durante il ritorno Elaine si decise a chiederglielo “Cosa ci facevi nella foresta?” “Niente” ma persino Arthur si accorse di quanto fasullo fosse il suo niente. Tuttavia Elaine non insistette e si riconcentrò sulla strada per il ritorno. La giovane oramai conosceva quasi alla perfezione quel tratto della foresta e si muoveva con sicurezza tra le radici e gli arbusti. Anche Arthur si muoveva con naturalezza lungo il sentiero come se questa foresta fosse stata sua.
 
 
“Allora ci dite dove ci state portando?” chiese Hanna per l’ennesima volta. Ma puntualmente nessuno le rispose. La ragazza oramai si stava rassegnando quando giunsero davanti a un cespuglio di rami. “Okay…” iniziò Elaine “Quello che state per vedere è a dir poco assurdo. Ma vi prego… cercate di capirmi…” prese un bel respiro e scostò i rami rivelando una piccola radura con un enorme albero contorto “Itrandil.” Vociò Elaine una volta posizionatasi accanto all’albero da cui scese un drago verde che si posizionò accanto a Elaine con fare solenne. “Cosa è quello?” chiese Nath fissando il drago sbalordito “Lei è Itrandil: il mio drago.” rispose la giovane imbarazzata. Hanna non sapeva cosa dire: avrebbe voluto prendere a pugni la sua amica ma era stata lei per prima a nascondere a tutti il suo potere, pertanto non seppe che dire se non la cosa più sciocca “Beh… ben venuta nel club dei tipi strani.” disse la ragazza continuando a fissare il drago a bocca semi aperta leggermente diffidente. Elaine tirò un respiro di sollievo: temeva che i suoi due amici avessero una crisi isterica invece avevano reagito bene. Nath nel frattempo continuava a fissare il drago perplesso cosa che Itrandil interpretò come un segno di sfida e iniziò a mostrare i denti. “Domanda!” esclamò ad un certo punto Nath cercando di distogliere l’attenzione della draghessa da ciò che poteva averla infastidita. “Come hai fatto a domare quell’affare?” chiese indicando Itrandil che si mostrò offesa per il modo con cui la aveva nominata il ragazzo e iniziò a ringhiargli contro. “A dire il vero non lo so:” iniziò Elaine cercando di trattenere la draghessa con delle carezze “è stata una cosa spontanea, magica se vogliamo, a dire il vero non ho fatto niente di speciale.” Hanna osservò la giovane draghessa “E cosa ci fai con un drago?” chiese non riuscendo a capire cosa una ragazza pacifica e poco ambiziosa come Elaine ci facesse con una delle creature più potenti e maestose del mondo magico. “A parte far prendere un colpo a chi lo vede?” aggiunse Arthur malizioso che era ancora un po’ irritato per l’infarto che gli aveva fatto prendere. Elaine guardò la draghessa con fare complice e senza dire nulla saltò sulla sua groppa e pronunciò un'unica parola “Volo.” Con un paio di battiti d’ali potenti Itrandil prese il volo. Nath, preso dalla foga del momento, spiccò il volo con un sorriso furbetto in volto alzando una spirale di polvere. “Mi vuoi fare concorrenza Elaine?” chiese il Serpeverde una volta in aria affianco all’amica posizionandosi sdraiato rispetto al terreno “No! Ho solo voluto rispondere alla domanda di Hanna.” disse Elaine sorridendo. Nath non poté fare a meno di notare come l’amica apparisse diversa in quel momento: i capelli che portava sempre legati in una coda bassa e malfatta oggi erano sciolti e liberi al vento e danzavano disordinatamente, gli occhi e le labbra erano sorridenti e la divisa non era più così ordinata come al solito, la cravatta era allentata, i bottoni della camicia erano stati aperti fino al quarto lasciando vedere la canotta bianca e il seno ancora di modeste dimensioni, il golfino grigio legato in vita svolazzava come un mantello dietro di lei, la gonna lasciata svolazzare incurante che qualcuno le potesse vedere le cosce e le braccia aperte come ad accogliere il vento freddo e pungente di fine inverno. “Che c’è?” chiese la ragazza ad un certo punto. “Niente.” rispose l’altro con un sorriso dolce in volto.
 
 
Nath non lo sapeva ma lo avevo osservato durante quel volo. Aveva un sorriso pieno e sincero in volto di chi sta provando la felicità, i capelli neri disordinati e tirati indietro da vento non nascondevano più i suoi occhi gioiosi e luminosi, la divisa era abbandonata a se stessa la camicia sbottonata per avere libertà nei movimenti, la giacca tenuta aperta svolazzava al vento, delle urla di pura gioia venivano dalla sua voce cristallina e capii che quassù Nathaniel era nel suo elemento. Quasi mi dispiacque quando dovemmo tornare a terra. “Grazie tante voi due!” ci urlò contro la Hanna “Prego” rispose Nath. “Elaine” iniziò Hanna “Un'unica domanda.” –Ecco ora mi ammazza- pensai –Basta che ci provi e la incenerisco- disse Itrandil ringhiando verso Hanna -È un modo di dire!- “La scorsa notte siete state tu e Itrandil a incenerire le agrumantule?” mi chiese Hanna seria. “Beh… ecco… sì.” Dissi imbarazzatissima “Allora non sei tutta acqua e sapone Elaine anche tu hai un lato oscuro.” Disse Hanna stranamente eccitata “Lato oscuro?” feci io “Sono finita in “Star Wars” per caso?” Nath fu l’unico a ridere alla mia battuta, Hanna e Arthur mi chiesero cosa ci trovasse di divertente ma io dissi loro di lasciar perdere. Subito dopo noi quattro tornarono a Hogwarts.
Durante il tragitto Arthur mi chiese “Non hai mai pensato di fabbricare una sella per il tuo drago. Insomma non mi pare che la pelle di drago sia tra le più morbide” constatò notando i due buchi che si erano formati nelle mie calze durante il volo “A dire il vero no.” risposi “Ma in effetti dovrei far qualcosa per non farmi male ogni volta che cavalco Itrandil.” mi dissi. “Forse ti posso aiutare: mio… mi hanno insegnato qualcosa sul lavoro manuale e a casa mia ci sono molte pelli, potresti utilizzare quelle per fare una sella, spedirtele durante l’estate non dovrebbe essere un problema.” mi propose “Sarebbe grandioso! Grazie Arthur!” dissi euforica “Ti pare.” mi rispose con un sorriso gentile.
 
 
Con il ricominciare delle lezioni tutti gli studenti erano entrati in fase depressiva: nessuno aveva voglia, soprattutto quelli del quinto e del settimo, di ricominciare gli studi. Un altro fattore che rendeva orribile quella situazione era la quantità sovrumana di compiti e verifiche concentrati in quelle tre settimane dall’inizio della scuola. Già che il quartetto passava più tempo in biblioteca che all’aperto e il povero Arthur era costretto a dar ripetizioni e spiegazioni ai suoi tre amici, il Serpeverde e la Grifondoro in particolare. Hanna oltretutto iniziava a risentire il richiamo della foresta e diventava ogni giorno sempre più nervosa e intrattabile. La poverina oltretutto stava per entrare in crisi da quanto era stressata dai suoi voti bassi e le richieste pressanti dei professori  e dalle lettere dei suoi genitori. Se non fosse tornata in forma d’orso entro quel mese di sicuro avrebbe dato di matto e i voti scolastici sarebbero improvvisamente passati in secondo piano.
“Non ce la faccio!” sbottò Hanna arrabbiata gettandosi sul libro posto sulle ginocchia. “Sì che ce la fai.” ribatté Nathaniel che era intento a ripassare pozioni prima della verifica “No invece. Io non mi ricordo niente, niente, neppure un ingrediente! Mi dici come faccio ora!?!” urlò la rossa “Prima di tutto rilassati, se continui a essere così nervosa non ti ricorderai davvero niente. Secondo abbiamo ancora l’ora di trasfigurazione prima della verifica di pozioni.” Disse Nathaniel controllando l’orologio nel corridoio “E con ciò?” chiese la ragazza scettica. “Ripasseremo durante l’ora di trasfigurazione.” dichiarò il Serpeverde “Ma sei impazzito?” domandò Hanna consapevole che se li beccavano la professoressa li uccideva “Meglio questo che niente!” sbottò il ragazzo trascinando l’amica verso l’aula. Hanna si sforzò di restare seduta durante quell’ora e cercò di ricordarsi gli ingredienti delle pozioni. Durante il compito tentò persino di copiare dai suoi compagni ma l’esame andò comunque male.
“Sono una frana!” si lamentò la giovane quando venne a sapere il risultato del compito che equivaleva a un cinque tirato “No, non lo sei.” ribatté Elaine che la stava consolando durante la pausa pranzo “Hai solo una forma di deficit d’attenzione.” La giustificò cercando di razionalizzare le difficoltà dell’amica “Deficit di che cosa?” chiese l’altra arrabbiata dal suono di quella strana parola “Deficit d’attenzione” ripeté la ragazza “ce l’ha anche mia cugina. Non è nulla di grave ma questi atteggiamenti iperattivi e la tua scarsa concentrazione in classe sono un sintomo a dir poco classico.” Disse Elaine che di casi come quello di Hanna nella sua vecchia scuola erano la normalità “E cosa dovrei fare cara la mia psicologa?” sbottò Hanna irritata “Io inizierei col fare più spesso tu sai cosa.” disse Elaine alludendo alla sua trasformazione in orso senza arrabbiarsi per la reazione dell’amica “E magari col praticare uno sport. Di solito aiuta.” Hanna si guardò le mani pensierosa “Credi davvero che lo debba fare più spesso?” chiese la rossa “Sei tu ad avermi detto che dopo la trasformazione ti senti sempre più rilassata.” rispose la bionda cercando di guardare la situazione di Hanna in maniera distaccata per trovare la soluzione migliore “Sì ma… io….” Hanna abbassò lo sguardo, stava lottando per non far uscire le lacrime “Cosa?” domandò Elaine abbassandosi fino a poter appoggiare la testa su quella del amica. Hanna la guardò, il viso corniciato da due lunghe lacrime “Ho paura di perdere me stessa. Ho paura di non tornare più me stessa.” Hanna si raccolse le gambe al petto e iniziò a piangere un pianto silenzioso, lento e breve. Elaine la abbracciò con delicatezza senza soffocarla lasciandole il tempo di abituarsi alla sua invasione “Tranquilla… tranquilla… ci sono io.” le sussurrò l’amica. Le due ragazze restarono così fino all’arrivo dei ragazzi. Per allora Hanna aveva smesso di piangere, anzi aveva smesso quasi subito era solo rimasta un po’ in quella posizione per tornare padrona di sé rassicurata dalla delicata protezione del amica.
 
 
Braian e Nath stavano cercando lo stemma di Nath da ore oramai. “Niente! Niente neanche qui!” sbottò Nath arrabbiato “Calmati. Hai idea di quanti stemmi ci siano nella sola Inghilterra?” chiese l’altro “No.” “Duecentoventi, centosei in Galles, trecentodiciotto in Scozia e Sessanta nel nord d’Irlanda.” rispose il biondo “Cosa? Mi prendi in giro?  Tutti questi stemmi?” chiese Nathaniel disperato “Beh… non sono esattamente tutti: vi sono le casate, che sono quelle che ho contato, però anche i simboli dei secondo geniti e le casate formate in avanti del tempo che sono un bel po’ e ovviamente le casate minori oppure stemmi riservati a singoli soggetti detto in breve Nath in realtà saranno circa mille gli stemmi nella sola Inghilterra.” disse Braian minimizzando la cosa imbarazzato, Nath sbatté la testa sul tavolo “Ma come sai tutte queste cose?” chiese il giovane disperato quasi desideroso che non glielo avesse detto “Mio padre me le ha insegnate. Sono felice che i suoi insegnamenti siano serviti a qualcosa… forza riprendiamo.” Il rapporto trai due giovani era passato da pessimo a buono nel giro di due settimane, inoltre avevano scoperto di andare più d’accordo di quanto immaginassero. Al inizio si limitavano a cercare il presunto stemma raffigurato nel anello del padre di Nathaniel: una spirale racchiusa in un ellisse a sua volta attraversato di traverso da una linea che doveva essere una bacchetta. Però durante questi momenti si erano ritrovati a parlare a lungo di tante cose e avevano scoperto svariati interessi in comune: come il volo, anche se volo come lo intendeva Nath era leggermente diverso da quello di Braian, il Quiddich, il calcio, la bicicletta e alcune linee di pensiero simili. Questo aveva lasciato tutti sorpresi, primi tra tutti i due interessati, ma questa nuova amicizia era piacevole, era come se fosse nel loro destino essere amici.

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Capitolo 11
*** Cap. 10 Aiutare un amico ***


Cap. 10 Aiutare un amico
Dal giorno in cui Elaine aveva mostrato ai ragazzi Itrandil le giornate parevano essersi rasserenate: Nath con la scusa di aiutare Elaine nel volo si offriva di accompagnarla nei suoi giri, Hanna durante i loro voli poteva trasformarsi in orso più spesso senza dover uscire di nascosto la notte, Elaine si sentiva in pace con se stessa per aver detto la verità e malgrado la minaccia dei draghi i ragazzi parevano aver temporaneamente dimenticato il problema sebbene le loro ricerche continuassero ad essere infruttuose. L’unico a essere realmente teso era Arthur. Suo padre oramai lo aveva condannato a vivere una vita che non gli apparteneva, e lui si stava rassegnando all’evidenza: non sarebbe mai riuscito ad andare contro suo padre, poiché il desiderio di avere il suo perdono era più grande di quanto gli piacesse ammettere.
Era da quando sua madre era morta che suo padre lo accusava di essere il primo responsabile della sua morte e, malgrado tutti gli altri gli dicessero il contrario, lui si era convinto che le accuse fossero fondate. Ogni giorno quando si guardava allo specchio era come rivedere gli occhi disperati in lacrime della madre che gli dicevano di scappare oppure quelli freddi e vitrei che aveva visto nel istante in cui avevano scostato il telo del obitorio. Era una tortura quotidiana per lui e per suo padre ogni volta che li vedeva, per questo Arthur tendeva a tenere a portare lunghe frange e a tenere il capo chino quando parlava: per nascondere il suo crimine. Per questo suo padre si era voltato: quegli occhi che lo avevano stregato da giovane ora li legava al risentimento più profondo. Oramai non si parlavano da settimane ma Arthur sapeva che l’inesorabile stava avvenendo: sarebbe diventato un cacciatore volente o nolente. Questo poi, soprattutto ora, lo faceva sentire in colpa: Elaine aveva legato la sua vita a quella di un drago, diventare cacciatore in un certo senso voleva dire tradirla.
“Arthur cos’è quella lettera?” gli chiese Hanna quel pomeriggio “Niente” rispose il ragazzo tornando a rigirarsi tra le mani quella busta appena aperta e il foglio di carta appena estratto. In fine era arrivata: la lettera che gli annunciava la sua ammissione al corso estivo per giovani cacciatori. Oramai si stava rigirando quel foglio bianco crema da ore e non riusciva a fare a meno di studiare il sigillo nero, verde scuro e blu della lettera. “Dai fammi vedere.” insistette Hanna allungando le mani. Arthur si congelò e tutte le sue paure lo attraversarono in un secondo “No!” ribatté con ira sottraendo la lettera dalla portata delle grinfie del amica. Però come allontanò la lettera da Hanna delle mani veloci sfilarono la lettera dalle dita di Arthur. Terrorizzato il giovane si alzò di scatto e si tuffò su Nathaniel nel tentativo di riaverla, ma Nath spiccò il volo “Ehi! Ridammela!” urlò arrabbiato il ragazzo mentre il suo cuore accelerava fino a farlo impazzire. Però era troppo tardi Nath era già a penzoloni su un albero intento ad aprire il foglio. “Nath scendi e ridammi quella lettera!” lo sgridò il ragazzo portandosi le mani trai capelli “Al signorino Hunter…” declamò Nath altisonante e divertito. Arthur si sentì morire: Nath stava leggendo la sua lettera e lui non poteva fermarlo in alcun modo. “La informiamo che è stato ammesso al campo estivo per giovani cacciatori…” la sua voce da divertita si fece improvvisamente seria e il sorrisetto beffardo scomparve “La preghiamo di recarsi al 24b Mary Rose Streat Londra. Cordiali saluti il direttore Fair” quando Nath finì di leggere la lettera il moro scese subito dall’albero, gli occhi cupi pieni di sentimenti oscuri. Arthur abbassò lo sguardo cercando di non guardare nessuno negli occhi –Come glielo posso spiegare?-. Sentì dei passi leggeri avvicinarsi a lui e dopo poco tempo l’ombra di Elaine lo sovrastò “Perché?” chiese semplicemente con la voce strozzata da un singhiozzo trattenuto. Arthur alzò appena lo sguardo: Elaine aveva gli occhi lucidi e si stava sforzando di mantenere un atteggiamento composto ma le lacrime stavano minacciando d’uscire da un momento all’altro. “No, Elaine te lo giuro io non…” tentò di difendersi inutilmente ma lei lo interruppe bruscamente “Allora cosa significa quella lettera!?!” gli urlò vomitandogli contro tutto il suo disprezzo. Arthur abbassò lo sguardo incapace di parlare. Come spiegare che era stato mandato là perché non sapeva far valere la sua volontà? “Rispondi!” urlò la bionda oramai sul l’orlo delle lacrime. Arthur abbassò ulteriormente lo sguardo, sentiva gli occhi di Elaine perforargli l’anima e i singhiozzi che stavano accompagnando le sue lacrime. Arthur strinse i denti in una smorfia: tutto dentro di lui stava cercando di far trattenere dentro di sé i suoi segreti ma più ci provava più questi spingevano per uscire gli causava una stretta allo stomaco, un nodo alla gola e gli occhi gli pizzicavano. In fine la verità esplose “È stato mio padre!” urlò continuando a guardare la terra “Lui non…” provò il ragazzo ma le parole gli morirono in gola, prese un profondo respiro “lui mi odia.” Elaine non seppe cosa rispondere: non capiva cosa centrasse l’odio Saleric nei confronti di Arthur con la lettera. Però Hanna, che conosceva Arthur dall’infanzia, capì ciò che intendeva il ragazzo. “No Arthur.” Disse appoggiando una mano sulla spalla di lui “È solo che non è ancora riuscito ad accettare la sua morte.” disse la ragazza serrando la presa con delicatezza tentando di trasmettergli un po’ di forza. “No! Lui mi odia perché gli ricordo lei! E perché è solo colpa mia se lei è morta!” sbraitò il ragazzo oramai rassegnato a dover dire la verità “Arthur eri un bambino cosa avresti potuto fare?” gli disse l’amica cercando di farlo ragionare “Di più.” rispose Arthur “Ma adesso lei non c’entra.” Bofonchiò Arthur “Io dico che c’entra” ribatté Hanna “No! C’entra il fatto che mio padre vuole farmi percorrere una strada che non ho scelto io! E non posso fare niente per evitarlo! Sono destinato a diventare cacciatore che mi piaccia o no! Quindi per favore lasciatemi in pace!” così dicendo si liberò dalla presa di Hanna e scappò via con gli occhi dei tre amici addosso.
 
 
“Hanna per favore fermati!” urlai nel tentativo di bloccare la sua furia.
Quando Arthur se n’era andato Hanna ci aveva spiegato brevemente come la madre di Arthur fosse morta e di come suo padre lo incolpasse e che da allora Arthur cercava disperatamente il perdono.
“No! Io non permetterò che questo accada e se Arthur pensa che noi resteremo da una parte si sbaglia di grosso! Ho intenzione di dire due paroline a suo padre e non intendo fermarmi!” Hanna ora era diventata inarrestabile: i suoi occhi miele stavano bruciando di rabbia ei suoi capelli parevano essersi gonfiati all’improvviso come a testimoniare la sua ira. “Nath ti prego dille qualcosa!" dissi dato che oramai non sapevo più cosa dire per placarla o farla ragionare cieca com’era dalla sua collera. “Io credo che abbia ragione:” tuonò Nath con un tono alla pari di Hanna ma meno esplosivo. “bisogna andare a parlare con il signor Hunter e fargli capire che non può trattare così Arthur!” decretò camminando pesantemente sul terreno. Esasperata da quella situazione mi passai le mani trai capelli raccolti causando uno sfracellamento della coda conscia che se aggredivamo così il signor Hunter non avremmo ottenuto niente. “Ragazzi vi rendete conto che questo non aiuterà Arthur!” provai a farli ragionare “Se noi andiamo lì e diciamo quello che abbiamo da dire, il signor Hunter ci ignorerà e basta! Lo capite sì o no!” urlai isterica. Era inutile: non mi ascoltavano. Eravamo io e Arthur quelli che facevano le cose prima pensando poi agendo, Nath e Hanna invece prima facevano poi pensavano. Mi rassegnai all’inevitabile e li seguii verso l’accampamento dei cacciatori pregando che le cose andassero bene. Non avevo intenzione di lasciarli soli. Se proprio dovevamo andare a sbattere la testa tanto valeva che la sbattessimo insieme. Arrivati alla tenda del padre di Arthur Hanna aprì l’entrata con ferocia dando l’apparenza che fosse entrato un tornado “Lei….” Tuonò avvicinandosi con il dito puntato.
 
 
“Come ha osato” disse Hanna con tutta la furia che aveva in corpo agitando le braccia parlando nel linguaggio dei segni come era suo solito quando sfuriava “Lui non lo voleva! Lui non è un suo burattino! Arthur è Arthur ed è libero di fare le proprie scelte lei non può presumere di poter fare quello che vuole del mio amico, non mi importa se è suo figlio.” Urlò incidendo su ogni punto e sui due aggettivi possessivi facendo tremare sotto pelle sia se stessa che i presenti “Anzi mi importa!” si corresse “Perché dimostra che razza di padre incompetente è lei.” a sentire quelle parole Saleric smise di essere impassibile e mostrò un forte senso d’ira accrescere dentro di lui. “Potrà anche essere il grande cacciatore Saleric Hunter ma come padre fa pena! Non riesce neanche a vedere che Arthur soffre quanto lei per la morte di Ginevra!” quando Hanna pronunciò il nome della madre di Arthur, quel nome che in quella casa era un tabù, Saleric venne scosso dal profondo “Saleric sei un idiota! E di quelli grossi, mi fai schifo!” Hanna prese un breve respiro e il suo tono di voce divenne più controllato “Ora però la tua idiozia porterà Arthur ad andare contro la sua natura. E non posso permetterlo: Arthur ha già sofferto abbastanza per un crimine non suo.” A quel punto Hanna guardò Saleric negli occhi mostrando tutta l’ira che aveva “Quindi ora tu mandi una lettera a quel cazzo di campo e lasci che Arthur decida del suo futuro oppure se la vedrà con me!” urlò Hanna con un esplosione di rabbia finale lasciando ammutoliti tutti per qualche secondo. Hunter non credeva a quel che vedeva: sapeva che Hanna era una tipetta energica, ma non avrebbe mai pensato che avrebbe reagito così che fosse in grado di ferire a questo modo. “Io e te dobbiamo parlare. Vieni un secondo.” Provò a parlarci un attimo Hunter facendogli segno di seguirlo porgendogli la mano “E no è!” si rifiutò Hanna spingendosi in avanti “Non si azzardi a complottare con me.” Lo minacciò ferocemente “Lei lascerà Arthur libero oppure le farò vedere di cosa sono capace.” Lo minacciò la ragazza. Saleric aggrottò un sopracciglio: Hanna lo stava sfidando e non giocava. Per un uomo come Saleric per sconfiggere Hanna sarebbe bastato uno schianto. Ma Hanna era disposta a trasformarsi per far valere i diritti del suo amico e al diavolo i segreti, al diavolo il controllo, al diavolo la paura, avrebbe usato Uther se fosse stato necessario. “Hunter cosa sta succedendo?” chiese la Mcgranit intromettendosi finalmente. I ragazzi la guardarono sorpresi: erano così concentrati su Hanna da non rendersi conto della sua presenza. “Succede che, preside,” riprese Hanna trattenendo per niente il disprezzo nei confronti di Hunter “questo imbecille, vuole mandare Arthur a un cazzo di centro estivo d’addestramento per diventare cacciatore. E Arthur non vuole diventare cacciatore:” spiegò la ragazza “lui non sa cosa vuole ma lo vuole scoprire giorno dopo giorno! Non gli serve che qualcuno gli costruisca una strada per camminare! Arthur il suo cammino se lo crea da solo! E se mi considerate pazza a difendere i suoi diritti allora siete pazzi voi!” la Mcgranit guardò il signor Hunter, che tempo addietro era stato un suo allievo, con un vago senso di disprezzo e delusione, lo sguardo che di norma riservava ai ragazzi che non si impegnavano a scuola, ma era mille volte più penetrante e c’era il disprezzo più assoluto nei suoi occhi.
La Mcgranit era conscia che ora era un uomo ma si chiese se fosse più saggia Hanna con la sua foga adolescenziale di Hunter che pur con controllo stava compiendo qualcosa di sbagliato nei confronti del suo alunno, pertanto qualcuno sotto la sua difesa, ma ciò che disgustava realmente la preside era che quel alunno fosse il figlio di Saleric e conoscendo la sua storia si aspettava di meglio dal cacciatore. “Preside…” iniziò Nath attirando la sua attenzione ma senza mai distaccare gli occhi da Saleric “So che siamo solo adolescenti e non dovremo intrometterci in queste cose.” Spiegò placido “Ma Arthur è nostro amico e noi vogliamo proteggerlo da un padre incapace come questo.” gli occhi di Hunter verdeacqua incrociarono quelli marroni di Nathaniel sfidandolo. Nathaniel a quella sfida silenziosa fece un sorrisetto ironico e malvagio fissando Saleric con tutto il disprezzo e l’ira nei suoi confronti mantenendo quel sorrisetto divertito facendogli capire quanto poco contasse per lui l’ira dello sfidato.
Saleric si sorprese di come il ragazzo non distoglieva lo sguardo. Lo fece sentire a disagio: quegli occhi erano acciaio tagliente che con niente stavano iniettando il disagio a Saleiric che dopo un po’ fu costretto a distogliere lo sguardo generando un sorriso soddisfatto di Nathaniel.
Allora Saleric spostò lo sguardo verso Elaine che era rimasta in disparte e come notò d’essere fissata la ragazza distolse lo sguardo. Aveva gli occhi leggermente rossi ei pugni erano serrati, l’uomo allora si avvicinò a lei: aveva trovato l’anello debole “E tu Tassorosso cosa vuoi dirmi?” la ragazza al inizio non disse niente poi fece un profondo respiro tremante “Che c’è il gatto ti ha mangiato la lingua?” gli chiese beffardo “Hunter…” iniziò la preside ma Elaine alzò la mano per far capire che non le serviva aiuto. Allora alzò lo sguardo, non era né forte né determinato, non possedeva il fuoco di Hanna o il ferro di Nathaniel. Era estremamente calmo ma carico d’odio “Se fa del male a Arthur” iniziò fissando l’uomo negli occhi “lo perderà in vita è una promessa.” la voce tremava ma le parole erano incisive e chiare. Non scossero subito Saleric al inizio non le comprese neppure ma poi Elaine gli mandò uno sguardo caricò di molti sentimenti che si mischiavano tra loro “Riformulo: se segue questa strada Arthur la odierà a vita e si allontanerà da lei per sempre.” Un brivido percosse Saleric ma bastò un suo sguardo truce per far di nuovo vacillare la ragazza “Minerva, non crederà a questi marmocchi?” disse Saleric voltandosi verso la preside allontanandosi finalmente da Elaine che ancora qualche secondo e sarebbe svenuta “Marmocchi a chi scusa?” urlò Hanna ma la preside la bloccò “No Hunter, non sto credendo a dei marmocchi: sto credendo ai migliori amici di suo figlio. Mi sa che dovremmo fare due chiacchere io e lei con la presenza di Arthur al più presto.” si rivolse ai tre ragazzi “Sapete dov’è?” chiese la preside. Hanna era a bocca aperta si sentiva felice e triste allo stesso tempo “Sì!” disse sicura “Portatelo qui per favore.” Decretò la preside tornando a guardare con ribrezzo Saleric.
Appena uscì di lì Hanna prese un bel respiro e annusò l’aria “Hanna che stai facendo?” gli chiese Nath “Shh…” lo zittì lei “Mi devo concentrare” la giovane inspirò numerose volte fino a quando non riconobbe il famigliare l’odore di Arthur provenire dal lago. Allora iniziò a correre seguita dai suoi amici.
 
 
Trovarono Arthur seduto sulla riva del lago intento a lanciare sassolini con sufficienza. Gli occhi erano umidi, i capelli arruffati e le guance rosse. Ad Hanna strinse il cuore: l’ultima volta che lo aveva visto così era stato dopo un brutto litigio con suo padre, improvvisamente si bloccò. L’aveva ridotto lei in quello stato? Un senso di colpa invase la ragazza, era bloccata: non sapeva cosa dire, come comportarsi. Si strinse una mano al livello del cuore. Elaine la superò accarezzandole appena una spalla e si avvicinò lentamente ad Arthur fino a sedersi accanto al lui. Il ragazzo non reagì bene alla presenza di Elaine: si strinse ulteriormente alle sue gambe e affondò ancora di più la sua testa tra le gambe. –Perché siete qui? Mi volete rimproverare? Mi volete dire che sono un debole?- la tempesta che circondava il giovane gli impediva di reagire “Arthur devi affrontare tuo padre.” disse la ragazza pazientemente e dolcemente ma irremovibile “Non posso, non sono abbastanza forte, non sono il figlio che desidera, non sono niente, sono solo un oggetto rotto, un peso. Dovrei mettere fine a tutto.” disse autocommiserevolmente Arthur guardando le increspature che aveva generato nel lago Nero rendendosi conto di quanto precaria fosse la sua vita. “No!” urlò Nath avvicinandosi violento a lui “Arthur tu non sei debole.” Gli urlò mentre lo sollevava da dov’era seduto obbligandolo a guardarlo negli occhi “Sei solo diverso dagli altri. Ma la tua forza non è da meno, devi solo accettare che non sarai mai quello che gli altri vogliono che ti piccia o no! Fallo Arthur va da tuo padre e digliele tutte: che non sei un pacco postale, che non può decidere per te, che cosa vuoi e che hai una voce. Quindi alzati e affronta tuo padre! Non mi importa quali siano i tuoi problemi! Come e perché sia morta tua madre! Questo non ti deve permettere a nessuno di metterti i piedi in testa! Quindi basta piangere come un bambino e si uomo!” urlò Nathaniel strattonando Arthur e spaventandolo, il Serpeverde si beccò un occhiataccia da Elaine e Hanna gli diede un pugno al braccio “Ahi!” si lamentò il ragazzo massaggiandosi la parte lesa.
 
 
Arthur nel frattempo era ricaduto a terra e aveva cominciato a riflettere con il sotto fondo dei rimproveri di Hanna ed Elaine verso Nath –Non sarai mai quello che gli altri vogliono…- si ripeté Arthur “Hai ragione Nath.” disse Arthur alzandosi bloccando le prediche di Hanna ed Elaine lasciandoli a bocca aperta. “Basta! Ora vado….” ma come fece il primo passo si bloccò terrorizzato incapace di proseguire “Se preferisci ti accompagniamo.” disse Elaine sostenendolo con delicatezza. Arrivati alla tenda i quattro ragazzi si separarono. Arthur entrò conscio che questo discorso avrebbe mutato per sempre il suo destino.
 
Hanna non seppe mai cosa si dissero quel giorno ma Arthur ne era uscito libero in fine e anche se ancora pieno di dubbi questo era stato il primo passo per crescere. “Com’è andata?” chiese Nath impaziente una volta che Arthur uscì dalla tenda di suo padre “Non andrò al campo estivo.” disse il Corvonero con un soffio. Non pareva felice aveva l’aria stanca e triste. La sua mente era affollata da troppe novità ed emozioni per potersi godere la vittoria di quel giorno. Arthur guardò il cielo nuvoloso cercando di razionalizzare i suoi problemi. Una goccia di pioggia gli colpì il viso “Sta per piovere” disse placido il ragazzo.
 
 
-La vita va avanti, Arthur. Ogni singolo passo che compirai d’ora in poi deve essere determinato dalle tue gambe. Anche se inciamperai, cadrai o sbaglierai strada sappi che sarà solo per merito tuo come saranno merito tuo i tuoi successi. Ora sei libero, libero dalle catene che ti eri imposto. Ci vorrà del tempo ma imparerai a camminare con le tue gambe, in fono Hogwarts è stata fondata anche per questo: insegnarvi a camminare da soli.- Queste erano state le parole che la preside Mcgranit gli aveva detto prima di uscire, queste parole sarebbero state la sua stella polare per il resto della sua vita, anche se con il tempo dimenticate o sfiorite, due però gli rimasero impresse a vita: sei libero. “Sono libero?” si chiese Arthur mentre rientrava a scuola con le prime gocce che gli bagnavano il viso. Hanna si voltò verso Arthur “Sì amico mio: sei libero.” In quel giorno di luce pioveva.
 
 
Note del autrice:
Se ho offeso qualcuno con questo mio capitolo non era mia intenzione: la storia di Arthur non l’ho ispirata da nessuna persona.
So che molti di voi si stanno chiedendo “Com’è morta la madre di Arthur” ma per il momento non lo racconterò dato che ci vorrebbe almeno un altro capitolo e raccontandolo dal punto di vista di Hanna o di Salleric non avrebbe reso bene. Quindi vi toccherà aspettare che Arthur sia pronto ad affrontare questo suo fantasma.
Al prossimo capitolo, Bibliotecaria!

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Capitolo 12
*** Cap. 11 Il segreto dei draghi ***


Cap. 11 Il segreto dei draghi

Quel giorno di inizio primavera il nostro quartetto si era messo a studiare nello spazio erboso dove era situato il nido dei draghi “Okay, ora basta studiare!” dichiarò Hanna buttando il libro giù dalle ginocchia e stiracchiandosi portando le mani dietro la nuca “Ora dormo!” dichiarò appoggiando la schiena al tronco “Non ci sperare Hanna.” L’interessata aprì pigramente un occhio “Abbiamo ancora una ricerca da fare riguardo il drago d’oro.” gli ricordò Arthur che aveva tirato prontamente fuori i libri su cui cercare informazioni sul drago d’oro sfoggiando un sorriso compiaciuto e causando una esclamazione esasperata dell’amica che già assaporava il suo meritato riposino. Sorrisi a quella scena. Però una strana oppressione si impossessò del mio cuore. Mi portai una mano al petto, per cercare di alleviarla. Mi voltai verso Itrandil capendo che era lei la causa di quella sensazione “Itrandil cosa c’è?” le chiesi apprensiva -Lasciate stare!- disse la draghessa alzandosi da dove si era accucciata seccata spostandosi verso il centro della piccola radura “Che vuol dire Itrandil?” le chiesi. Qualcosa non andava: sentivo chiaramente una strana oppressione al cuore e paura. -Lasciate stare!!- ripeté urlando la draghessa mentre si accucciò prendendo la spinta per spiccare il volo. Mi alzai di scatto “Itrandil!” le urlai, ma lei mi rimase indifferente spiccò il volo e si allontanò velocemente. –Non è da lei- pensai “Itrandil!!!” urlai più forte ma la draghessa era di già lontana allora passai alla mente. Chiusi gli occhi e mi concentrai su Itrandil –Itrandil, cosa dobbiamo lasciar stare?-  le chiesi, spesso succedeva che Itrandil dicesse una cosa intendendone altre mille sotto. –Non capisci?- mi chiese scocciata -Se andrete fino in fondo non ne tornerete vivi!- mi avvisò continuando ad allontanarsi -Elaine ti prego, cerca di capire io non ti posso perdere.- disse la draghessa preoccupata, sembrava che stesse piangendo. –Itrandil io non ti abbandonerò mai- la rassicurai non comprendendo da dove venisse questa sua paura. –Sì che lo farai!- mi urlò, un pugnale mi colpì in pieno petto -Sia che vinci sia che perdi!- Non capivo cosa intendesse la mia draghessa ma era chiaro che era a conoscenza di qualcosa di molto importante riguardo alla costruzione nel cuore della foresta. Non avevamo mai parlato di quella costruzione però era chiaro che la conoscesse visto che ogni volta che la nominavano i miei amici Itrandil diventava inquieta. Però oggi c’era qualcosa di diverso. –Itrandil- provai a parlarle nuovamente –ma sono settimane che leggo libri per fare ricerche sul drago d’oro.- constatai –Perché solo ora ti da fastidio che io faccia queste ricerche?- le chiesi –Le stavi facendo già da tempo e non mi hai detto niente!!!!- meccanicamente mi portai le maini alle orecchie ma non c’era alcun rumore da cui proteggersi. “Elaine cosa è successo?” mi chiese Hanna avvicinandosi a me preoccupata –Pensavo che lo avessi capito.- dissi cercando di difendermi –Elaine… voi umani siete così… così… così idioti! Come faccio a sapere una cosa se non me la dici chiaro e tondo! Sentivo che pensavi spesso a quel posto ma mai al drago d’oro. Elaine sei una stupita! Insensibile! Egocentrica! Sciocca! Umana!- mi urlò addosso la draghessa chiudendo la comunicazione tra noi due. –Itrandil ma quanto sei stupida!- pensai. Com’era possibile che non si fosse mai accorta di nulla. Pensavo che l’avesse capito invece l’aveva scoperto così, e poi mi preoccupava terribilmente il modo in cui aveva appreso la notizia. “Elaine…” mi richiamò Hanna dai miei pensieri “Itrandil mi sta nascondendo qualcosa, e io intendo scoprire cosa.” Decretai. Itrandil doveva avere un buon motivo per aver reagito a quel modo a quella scoperta e io intendevo scoprile quale fosse. “Come? La draghessa è appena fuggita chi sa dove?” mi ricordò la Grifondoro indicandomi il cielo. Alzai gli occhi in un punto indeterminato a est “Io e Itrandil siamo legate:” iniziai chiudendo gli occhi “posso vedere dove si sta dirigendo e raggiungerla appena si sarà fermata. Si potrà anche rifiutare di ascoltare le mie parole ma non può staccarsi del tutto da me.” riflettei ad alta voce. In fatti sapevo esattamente dove fosse Itrandil “Veniamo con te.” disse Nath sicuro alzandosi deciso “No!” li controbattei alzando la mano “Questa è una cosa tra me e Itrandil.” spiegai “Devo essere io a trovarla, a parlarle, a capirla. E poi sono preoccupata per lei: non si è mai allontanata troppo dal nido e con quell’uomo con quei draghi sotto il suo comando in giro….” Scacciai via i pensieri negativi che mi venne spontaneo fare. L’immagine di Itrandil ferita mi perseguitò un secondo “è appena un cucciolo.” Mi portai la mano al petto e guardai la foresta. Avevo deciso: sarei andata a cercarla. Mi incamminai verso il confine della ruadura. “Allora sei sicura di voler andare da sola?” mi chiese Hanna poggiandomi la mano sulla mia spalla. La guardai negli occhi “Sì.” affermai con sicurezza. “Almeno portati questo.” disse Nath estraendo dalla sua borsa un coltello: aveva una apertura a scatto, il manico in metallo con una leggera decorazione composta da linee sottili e una lama piccola ma tagliente. “Tieni, questo ti dovrebbe aiutare se finissi senza bacchetta; i draghi non sono l’unico pericolo in questa foresta.” Disse affidandomelo. Lo ringraziai con un cenno del capo. Mi voltai verso la direzione presa da Itrandil e iniziai a correre.
Era difficile muoversi per il sotto bosco: sembrava che l’intera foresta volesse impedirmi di andare avanti. Gli arbusti ei rovi, che comparivano nel mio tragitto, mi graffiavano le gambe e strappavano le calze, a breve fui coperta di piccoli tagli sanguinanti ma non me ne curai: si sarebbero rimarginati tutti a breve e non avevo tempo per delle stupidaggini, dovevo trovare Itrandil! Le radici spuntavano fuori a tradimento facendomi quasi inciampare di tanto in tanto e qualche volta cadevo rovinosamente a terra ma mi rialzavo subito, l’erba alta e umida d’inizio primavera mi rendeva difficili i movimenti negli spiazzi erbosi che incontravo rallentandomi un po’ la corsa, maledicevo quelle erbacce che mi facevano solo perdere tempo. Le foglie secce cadute nel precedente autunno, ridotte a uno strato di fanghiglia umida e scivolosa, furono la causa d’un paio di cadute ma sopportavo e mantenevo il contatto mentale con Itrandil. Nel contempo il cielo cominciava a imbrunirsi e le ombre si facevano sempre più lunghe e scure, se non mi fossi sbrigata mi sarei trovata sola nella foresta di notte. D’un tratto, dovevano essere passati trenta minuti, sentii un tuonare in lontananza, mi fermai e alzai la testa, gli alberi coprivano il panorama rendendo difficile la visione del cielo, ma l’aria fredda che si stava avvicinando e il vento umido mi presagivano di tempesta. Mi fermai un secondo e cercai di individuare Itrandil. Era ancora in volo: si spostava senza una meta precisa formando linee curve che cercavo in ogni modo di tagliare cercando di diminuire la distanza tra noi. –Forse mi dovrei fermare e aspettare che si fermi- pensai. Tuttavia decisi di ignorare gli avvertimenti nefasti e continuai a correre. Come avevo predetto la pioggia iniziò un’ora dopo, quando ero già immersa da tempo nel oscurità. poco dopo mi trovai difronte ad un altura ripida e fangosa difficile da scalare anche in giornate di sole, ma la pioggia rendeva la arrampicata impossibile; per un istante pensai di arrendermi però mi ricredetti subito ricordandomi che Itrandil rischiava di venir scoperta da quella misteriosa persona e chissà cosa gli avrebbero fatto se l’avesse trovata, non avevo tempo per fare il giro lungo, Itrandil era in quella direzione. Incoraggiata da quel pensiero mi rimboccai le maniche e cominciai a salire. La salita era ardua: l’altura era ripida a tal punto da dover gattonare per mantenere l’equilibrio e se non fosse stato per i numerosi alberi sarei scivolata fino alla base in un istante centinaia di volte a causa del terreno scoperto reso scivoloso dalla sempre più persistente pioggia. Le mani e i piedi erano doloranti e ghiacciati, le braccia e le gambe contratte per lo sforzo erano doloranti e le ginocchia si erano sbucciate superficialmente, simile destino era toccato a mani e avambracci, ma non mi importava: pur di raggiungere Itrandil qualunque cosa. Giunta alla cima, la pioggia era divenuta battente, mi fermai un secondo per riprendere fiato e per controllare dove fosse Itrandil e in che direzione andasse, ampliai la mente e mi concentrai cercando lascia del suo passaggio e la sua presenza. Grazie al cielo si era fermata in un altura però era parecchio lontana da dove ero io ora anche in linea d’aria. Ricominciai a correre, era il buio più totale ormai e con la pioggia facevo fatica a orientarmi e a distinguere gli ostacoli. Estrassi la bacchetta “Lumus” sussurrai una tenue luce bianca e fredda comparve dalla punta della mia bacchetta. La luce era appena sufficiente a non farmi inciampare sui miei piedi e a distinguere un albero da un ombra, il fango mi rallentava la corsa spesso facendomi immergere il piede fino alla caviglia, la pioggia mi aveva bagnata fin dentro le ossa e tremavo per il freddo, ero stanca dalla lunga corsa e assonnata data l’ora tarda ma non mi fermai. Continuai a correre faticosamente per del tempo quando ad un certo punto mi trovai davanti a uno strapiombo mi bloccai appena in tempo per non finirci dentro. Lo osservai: non era molto ampio, ma comunque difficile da superare con un balzo. Cercai di farmi un po’ più di luce con la bacchetta e valutai se fare il giro, lo strapiombo si allungava per diversi metri da entrambe le parti. Decisi per la seconda opzione rimasta: tornai in dietro di qualche passo, presi la rincorsa sfruttando tutte le mie energie e con un urlo superai lo strapiombo, raggiunsi l’altra parte con un ruzzolone in avanti rotolando per un metro sbattendo contro un masso con le costole. Un dolore fulmineo mi accecò “Merda! Cazzo! Che male!” borbottai soffocata dal colpo appena ricevuto. Rimasi così immobile per qualche tempo aspettando che il dolore passasse. Non piansi, non persi il controllo del mio corpo, rimasi ferma aspettando che il dolore lancinante passasse. Dopo qualche tempo si affievolì, provai a toccare la zona lesa, mi faceva male ma non tanto da non riuscire a sopportarlo, tirai un sospiro di sollievo: non avevo rotto le costole. “Itrandil,” volsi lo sguardo al cielo ancora piangente “dove sei? Non dirmi che mi abbandoni pure tu? Mio padre, mia madre, i miei amici, mio zio e ora anche tu non mi vuoi più nella tua vita?” stavo delirando in parte ma sentivo il bisogno di liberare il peso che opprimeva il cuore. “Itrandil io ti amo, in un modo che non so descrivere: non è amore romantico, non è come l’amore famigliare, non è come l’amore dell’amicizia, è diverso. Io sento che senza di te, Itrandil, non potrò più essere me stessa, perché sei diventata una parte di me. Per tanto, se mi stai ascoltando, sappi che non mi lascerò abbandonare di nuovo, né da te né da nessun altro!” così dicendo mi alzai spinta dalla mia energia di riserva e, ignorando il dolore alle costole, ripresi a correre, decisa come poche volte nella mia vita. La pioggia scrosciava fitta fitta, proiettili sugli abiti bagnati e sul viso sporco, il sangue caldo gocciolava dalle ginocchia e il fiato era mozzato, ma andava bene così. Alle due l’acqua finalmente bloccò il suo scrosciare. Alzai la testa al cielo rasserenato, con gli ultimi nuvoloni portati via dal vento, la luna crescente illuminava leggermente la via allora agitai la bacchetta sussurrando “Dox” la bacchetta era sporca di fango quanto me, ma andava bene così. Corsi per altre ore ma più che un correre era divenuto un trascinare di piedi e respiri affannati tra un passo e l’altro, ma andava bene così. Giunsi all’altura mentre la luna calava e portando a fatica un piede davanti al altro raggiunsi il luogo in cui lei si era nascosta –Itrandil…- la draghessa era raggomitolata alla base d’un tasso centenario, lo sguardo triste e sconsolato. Mi inginocchiai accanto a lei. Rimanemmo non so quanto tempo in quella posizione ad aspettare che lei facesse la sua mossa, ma andava bene così. Era una gara di pazienza adesso e io non intendevo perdere arrivata a questo punto.
Ad un certo punto volse pigramente i suoi occhi d’orati verso di me –Non dovevi farlo: guarda come ti sei ridotta.- dalla sua voce pareva che piangesse –Per te questo ed altro Itrandil- dissi inevitabilmente sincera, la draghessa si strinse a sé -Elaine scusami- mi supplicò la cucciola –io ho avuto paura- presi un bel respiro ora capivo la sua paura: la paura del abbandono era una paura con cui convivevo da anni sapevo meglio di tutti cosa volesse dire perdere le persone amate. Tuttavia non potevo lasciarmi intenerire ora dovevo sapere per quale motivo la sua paura fosse così grande. Con estrema pazienza glielo chiesi –Itrandil…. Cosa sai?- allora la draghessa si alzò e portò il suo muso accanto a me, la abbracciai dolcemente e con calore, mi era mancata e le ero mancata –Il drago d’oro è vero,- mi comunicò ancora stretta a me -nascerà il giorno di Beltate in un nido degno di lui nel cuore di questa foresta.- appena finito Itrandil si separò da me. –Con un nido degno di lui intendi la costruzione che ha visto Hanna ad Halloween?- le chiesi la draghessa accennò un sì. Allora con riluttanza glielo chiesi –Itrandil, cosa intendevi dire con: ci separeremo sia che io vinca o che perda?- la draghessa non mi rispose si voltò verso l’albero e iniziò ad incamminarsi per evitare la conversazione –Itrandil- la ripresi, allora continuando a guardare d’innanzi a sé disse questo: -Il drago d’oro nasce solo se qualcuno è disposto a legarsi a lui, per farlo però dovrai spezzare il legame con me- la sua voce nella mia mente risuonava rotta e roca –Se è per questo allora non devi temere: possono legarsi Arthur, Hanna o Nathaniel  a lui.-  cercai di rassicurala ma non funzionò –Impossibile: solo tu hai questo dono Elaine! Non è una cosa che può fare il primo che capita! È un dono concesso a pochissimi umani! Che io sappia lo hai solo tu e quel umano incappucciato.- contemporaneamente uno sbuffo uscì dalla sua gola e un ringhio sommesso riempì l’aria. –Ma non posso legarmi al drago d’oro e a te?- chiesi speranzosa, Itrandil mi guardò con ira –No! Non è possibile! Ci può essere solo un legame alla volta! E in oltre non ci si può legare con chi si vuole! Il legame avviene solo tra animi affini! Come è per noi due e come sarebbe stato con mia madre!- mi urlò arrabbiata. Ora capivo perché aveva reagito così: se predavamo saremo probabilmente morti e mi avrebbe persa, se vincevamo mi avrebbe persa comunque perché non sarei più stata legata a lei. Portandomi una mano al petto mi affiancai a lei –Itrandil- la abbracciai –Io non ti abbandono- il sole in quel momento iniziò a sorgere, l’aurora era giunta e tinse le nuvole di mille colori, avevo sempre amato il sorgere del sole: era il momento in cui metà del mondo si stava addormentando e l’altra metà si stava svegliando, era il premio per la lunga attesa della notte dopo le tenebre. La luce era accecante ma quel dolce calore dopo la notte di fredda pioggia mi pareva una benedizione. Il calore però non era solo aldi fuori era anche aldi dentro di noi, v’era anche un dolce solletico al cuore come una mano calda che l’avvolge e lo accarezza mi lasciai invadere da quel senso di pace.  -Cos’è?- pensai, non era mia intenzione che Itrandil lo sentisse ma avvenne -È il legame: quando ci sentiamo vicine diventa più forte e si manifesta- mi spiegò lei. Le abbracciai più forte il collo e le dissi –Voglio volare con te Itrandil, perché ora so: noi quando siamo vicine possiamo fare molto più di quel che immaginiamo. Tu e io siamo unite per l’eternità Itrandil, qualunque cosa accada, con o senza legame. Non sarà, mai la stessa cosa ma non intendo perderti.- respirammo affondo –I tuoi amici ti stanno aspettando- mi disse lei –Itrandil ora tu hai bisogno di me, non ti lascio.-  la contraddissi salendo in groppa –E se ti dicessi che sono circondati dai centauri?- mi chiese. In un primo momento pensai che scherzasse che fosse una domanda ipotetica poi però percepii che era una domanda seria –Cosa? Portami da loro!- le ordinai, questa eseguì senza discutere e spiccò il volo –Preferisci loro a me.- affermo la draghessa quando prendemmo quota  quella affermazione mi irrito molto –Itrandil, ho passato tutta la notte a cercare di raggiungerti perché ero preoccupata per la tua reazione e che qualcuno ti scoprisse. Ora so che stai meglio, invece i miei amici sono in pericolo, loro ora hanno bisogno di noi due Itrandil…. E qualunque cosa succeda io ti vorrò sempre bene quanto ne voglio a loro, se non di più. E poi mi spieghi come diamine fai a saperlo!?!- le chiesi nervosa –Credo che sia una conseguenza del legame: noi draghi riusciamo a percepire quando gli altri membri del branco sono in pericolo, e loro sono il tuo branco quindi riesco a capire quando sono in pericolo.- spiegò –Ma come fai a farlo?- chiesi perplessa –E che ne so è una cosa che faccio e basta! Siete voi umani quelli fissati con le risposte! Noi draghi, e tutti gli altri animali sani di mente, accettano la loro natura senza porsi tante domande!- spiegò irritata. Scoppiai a ridere –Itandil sei incredibile: un secondo prima dici una cosa saggia e profonda, un secondo dopo vengo a scoprire che non riesci a connettere il mio continuo pensare a quel nido con la ricerca del drago d’oro o che non hai idea di come riesci a fare una cosa che fai da sempre. Però è anche per questo che ti voglio bene, Itandil.- le dissi accarezzando quel dorso duro –E io a te, Elaine.- confessò la draghessa. Non parlammo più per il resto del breve tragitto.
 
 
“Inizio a essere preoccupato davvero tanto: è sera, tra poco si metterà a piovere e Elaine non è ancora tornata!” disse Nath scocciato dalla situazione “Non possiamo fare niente Nath, possiamo solo sperare e aspettare. Elaine poi è coscienziosa si fermerà quando inizierà a piovere.” disse Arthur che pur mantenendo la calma era agitatissimo. “Io dico di cercarla. Hanna tu puoi fiutarla facilmente giusto?” lo contraddisse Nath rivolgendosi alla ragazza.
I tre ragazzi, fregandosene altamente della regola di andare in giro di notte e di entrare nella foresta, erano rimasti lì ad aspettare Elaine convinti che nel giro di qualche minuto massimo mezz’ora sarebbe tornata in groppa ad Itrandil. Tuttavia non era stato così: era passata più di un’ora e di Elaine e di Itrandi nemmeno l’ombra. “Hanna mi senti?” ripeté Nath richiamando l’amica. Ma Hanna era distratta da una strana sensazione che la sua parte orso continuava a percepire, era come se si sentisse osservata. “Hanna!” la richiamò Nath poggiandole una mano sulla spalla facendola sussultare “Eh! Sì?” chiese la giovane riprendendosi “Riusciresti a fiutare la pista di Elaine?” l’interessata ci rifletté un attimo “Beh sì, ma se inizia a piovere potrei perdere la traccia.” disse la ragazza.
Il loro discorso venne interrotto dal sibilio d’una freccia che sfiorò Hanna e andò a conficcarsi nell’albero lì vicino. I tre giovani si voltarono di scatto. Un rombare di zoccoli al galoppo si avvicinava dalle loro spalle allora apparvero: i centauri. I tre giovani estrassero le bacchette spaventati. Hanna era pronta a combattere, si mise in posizione d’attacco lo sguardo serio e combattivo, Nath stava studiando i suoi avversari cercando chi poter attaccare con uno dei pochi incantesimi che conoscevano, Arthur invece era titubante e spaventato e stava facendo rassegna a tutto ciò che sapeva a riguardo dei centauri il che era poco, davvero poco. Quando questi si fermarono uno di loro parò “Voi siete Arthur Hunter, Hanna Uther e Nathaniel Galleric?” chiese un centauro con l’aspetto d’un capo: era anziano ma comunque robusto di corporatura, gli occhi seri e profondi. I tre si scambiarono uno sguardo perplesso, e dopo qualche istante di insicurezza Hanna rispose per tutti “Sì, siamo noi.” Disse abbassando appena la bacchetta –Non hanno cattive intenzioni- pensò la ragazza notando come gli archi fossero tutti disarmati “Ebbene siamo venuti fin qui per avvertirvi: colui che sta piegando i draghi al suo volere ha scoperto questo luogo e sa di voi; non sappiamo come, ma sappiamo che intende distruggere voi e catturare i cuccioli e la giovane drago che li costudisce.” Disse lo stesso centauro avvicinandosi al passo. –Itrandil- pensarono immediatamente i tre giovani –Se Elaine non la trova in tempo sarà la fine.- pensò Arthur conscio che malgrado Itrandil non fosse una sciocca, in fondo nessuno l’aveva notata fin ora, era pur sempre giovane e non era in grado di competere contro altri draghi “Dove sono la cucciola e la signora dei draghi?” chiese un altro centauro leggermente più giovane guardandosi attorno “Signora dei draghi?” chiese Nath perplesso “Quella che voi chiamate Elaine Zannet.” Spiegò autoritario il medesimo centauro “Magari lo sapessimo! Sono sparite tutte e due da ore ma non mi preoccuperei: Itrandil è un drago, insomma, se Elaine finisse nei guai di certo la aiuterebbe.” disse Hanna con ovvietà. “Giovane figlia degli orsi, il drago verde è poco più di un cucciolo ha undici anni come voi e per un drago come quello sono davvero pochi.” la Grifondoro allora si sentì davvero sciocca: in effetti Itrandil raggiungeva appena i due metri d’altezza e quattro o cinque metri di lunghezza, decisamente poco per un drago adulto. “Allora ci aiuterete a trovarle?” chiese Arthur sperando che fossero venuti lì anche per quello “Sì e no.” Disse il capo centauro “Spiegatevi meglio.” chiese il Corvonero rinfoderando la bacchetta “No, non ora: ora bisogna spostare questi cuccioli in un luogo più protetto, se restate qui vi troveranno. Sì: la luna è nascente.” i tre si guardarono perplessi ma intuirono che fosse positivo. “Domanda!” Disse Nath “Perché ci avete scagliato le frecce?” chiese indicando l’oggetto del crimine “Non sapevamo se foste chi speravamo che foste.” spiegò quello con l’aria da capo. “Ah… incoraggiante.” sussurrò Nath. Allora i centauri, ignorando il commento di Nath, presero delle ceste e afferrarono i cuccioli di drago dormienti inserendoli lì dentro. I tre ragazzi afferrarono alcuni dei cuccioli e li misero dentro le borse scolastiche e nelle tasche della divisa. Completata l’operazione si diressero verso un punto indeterminato della foresta, nel contempo aveva iniziato a piovere “Sarà una lunga notte.” disse il centauro più anziano e proprio in quel momento iniziò a piovere. E fu davvero lunga quella notte. “Ora.” ordinò paziente il capo centauro chinando il capo. Subito altri centauri iniziarono a radere al suolo quella radura. “Che fate?” chiese Hanna spaventata “Dobbiamo lasciar credere che vi abbiamo rapiti. Questo è il modo più semplice.” Spiegò il capo centauro afferrando Hanna per il colletto della divisa e portandosela in groppa “Ehi! Mettimi giù!” urlò Hanna “Considerati onorata figlia degli orsi: di norma non permettiamo agli umani di salirci sul dorso come se fossimo cavalli qualsiasi.” Fecero la stessa cosa con Nath e Arthur ma al contrario di Hanna non si lamentarono. Passarono l’intera notte a camminare fino a ché due ore prima dell’alba si fermarono in una radura ben più lontana dai confini della foresta, i tre ragazzi stanchissimi si addormentarono l’uno accanto al altro accanto all’altra.
Poco dopo l’alba un ruggito li riscosse dai loro sogni. Veniva dal cielo, i tre giovani aprirono gli occhi confusi. Un’immensa creatura smeraldo stava scendendo su di loro, aveva enormi ali di pipistrello, zampe artigliate e occhi d’oro che luccicavano alla luce del sole. “Ragazzi!” esclamò la voce sopra la creatura “Elaine…” sussurrò la rossa riconoscendo la voce e l’odore dell’amica. Allora la ragazza apparve in contro luce e, come la draghessa toccò terra, la giovane saltò giù con un balzo agile. “Elaine!” urlò Hanna. Allora anche i due maschi si svegliarono assieme al resto del campo. I quattro amici si riunirono in un abbraccio slanciato stringendosi gli uni agli altri. Ma non furono soli, ad unirsi a quel abbraccio v’era Itrandil che sfiorava la schiena della padrona strusciando dolcemente contro questa. “Mi avete fatto preoccupare: pensavo vi avessero attaccato i centauri.” Disse la ragazza che da quando Itrandil l’aveva avvisata aveva iniziato ad immaginarsi le scene più apocalittiche inimmaginabili “Tu preoccupata?” chiese Hanna perplessa “Hai visto come sei ridotta!?!” chiese l’amica vedendo finalmente per intero l’amica: era ricoperta di fango e il sangue secco appariva in più punti, i capelli erano un groviglio e aveva gli occhi scavati e arrossati. “Sembri una sopravvissuta a un cataclisma!” esclamò la rossa, la bionda arrossì vistosamente ma sorrideva. “I cuccioli!” esclamò d’un tratto preoccupatissima “Sono qui.” la calmò Arthur tirando fuori dalla sua borsa uno scricciolo dalle squame nero bluastre “Il tipo che controlla i draghi ci aveva scoperti da quel che ci dicono i centauri. Ci hanno avvertiti e aiutati a trovare un luogo sicuro per loro.” allora anche i centauri tirarono fuori dalle ceste quei cuccioli “Sono molto giovani.” disse quello più anziano “I più grandi devono essere nati la scorsa primavera.” in effetti alcuni raggiungevano i cinquanta centimetri di larghezza ed erano più grossi di altri che invece riuscivano a stargli dentro la tasca della divisa constatò Hanna “La draghessa smeraldo invece deve avere circa undici anni.” continuò il vecchio centauro.
“Vi ringrazio.” disse Elaine con dolcezza chinando appena il capo “Non ti preoccupare signora dei draghi, se mai ti servisse qualcosa vieni pure a cercarci.” Disse il capo dei centauri, allora tutti loro scomparvero al galoppo verso le loro case situate in un punto ignoto nella foresta. Una volta soli Arthur chiese “Elaine che ore sono?” la ragazza guardò il suo orologio da taschino che teneva nella tasca della divisa “Le 6:30” rispose aprendolo “Credo che dobbiamo tornare a scuola.” disse il Corvonero “Hanna sai tornare a scuola senza seguire il sentiero che abbiamo preso all’andata?” chiese Arthur rivolgendosi a lei. La interessata accennò un sì. Allora iniziò a spogliarsi “Che stai facendo Hanna?” chiese la Tassorosso mettendosi davanti al amica per coprirla almeno in parte dai due ragazzi “Quando muto forma strappo sempre ciò che indosso, se posso cerco di limitare i danni.” spiegò la rossa mentre si toglieva la gonna. “Ma non puoi trovare la via senza mutare?” chiese Nath imbarazzato da quel comportamento “No, mi serve una traccia e i miei sensi in forma umana sono molto più deboli di quelli in forma animale.” spiegò continuando a spogliarsi. “Ma con Arthur ci sei riuscita facilmente.” Disse Elaine “Sì, ma Arthur ha un suo odore, Hogwarts è un miscuglio di odori devo concentrarmi per trovarla.” Chiuse il discorso lei. Quando rimare in mutandine mutò. Annusò l’aria e con attenzione ma facilità trovò la via. Alle sette meno un quarto erano già nella sala grande completamente vuota, Elaine corse ai bagni femminili per cercare di pulirsi almeno un po’, nel frattempo gli altri tre fecero un abbondante colazione aggiungendo una tazza di caffè dato che non avrebbero retto una giornata a scuola dopo una notte in bianco. Il professor Change era l’unico in sala e quando li vide disse loro. “Farò finta di niente ma andate in bagno e toglietevi il fano dalle scarpe.” Consigliò a loro lui. “Fernand ti adoro!” disse Nath contento che almeno un professore stesse dalla loro parte “Siete un caso disperato voi quattro: sparite chissà dove tutti i pomeriggi e oggi vi fate pure una scampagnata nella foresta! Oh cielo, mi farete impazzire un giorno ne sono certo.” Disse il professore tornando alla sua colazione.
 
 
Raggiunti gli spogliatoi femminili aprii l’acqua e iniziai a lavarmi il corpo ei capelli con quei pochi saponi che trovai. Ma ben presto mi arresi perché tutto ciò che avevo trovato era bastato appena a togliere un po’ di fango. Stavo per uscire dalla doccia quando comparve una strana creatura dalle orecchie enormi a pipistrello, incredibilmente bassa, che indossava una strana uniforme blu “Ah!!!” urlai, non tanto per il suo aspetto ma per il fatto che era davanti a me nuda. “Scusi il disturbo e per averla spaventata signorina Zannet, ma le ho portato una camicia, un maglione e una gonna pulita, ho portato a pulire le sue cose, non sono riuscita a trovarle una giacca pulita o delle calze visto che le sue sono ancora bagniate però sono riuscita a spazzare via un po’ di fango dalle sue scarpe e le ho portato dei calzini ei suoi prodotti per lavarsi e asciugarsi.” guardai la creaturina perplessa “Grazie mille… ehm non conosco il tuo nome.” rivelai “Mi chiamo Sally sono un elfa domestica, sono stata aiutata da Fil però abbiamo ritenuto più opportuno per questo contatto una femmina o sarebbe stato troppo imbarazzante.” Disse l’elfa sorridendo timidamente. La cosa era imbarazzante comunque ma pensai che non fosse il caso di risultare scortese “Allora grazie signora Sally e ringrazia anche il signor Fil da parte mia.” dissi piegandomi per prendere i miei cosmetici. In breve mi rilavai e asciugai i capelli che, grazie all’aiuto di Sally, erano tornati lisci e privi di nodi, in oltre la piccola elfa mi aveva aiutato a pulire tutte le ferite e a fasciarle. “Grazie ancora signora Sally.” dissi imbarazzata, ma non ero l’unica a risultare imbarazzata, Sally pareva per qualche motivo nervosa “Signora Sally, qualcosa non v’à?” chiesi con educata apprensione “No, niente signorina Zannet solo che nessuno aveva mai portato tanto rispetto per me.” disse la elfa domestica in imbarazzo “Beh… io penso che qualunque lavoro una persona faccia bisogna portare rispetto verso di loro quindi io semplicemente…. Ma se preferisci che ti chiami Sally a me va bene comunque.” Dissi intuendo che darle del lei ad una persona abituata a servire e ad essere trattata malemente potesse essere imbarazzante. “Oh sì signorina Zannet, Sally va più che bene! Ma ora si sbrighi tra poco comincia l’ora di pozioni a cui deve partecipare. Fil si è preso la libertà di preparale la borsa per oggi.” -Devo un grosso favore a Sally e Fil- pensai “Grazie a tutti e due e buona giornata!” dissi mentre correvo fuori sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi in segno di riconoscimento.
 
 
Passarono giorni e ancora non avevano trovato niente riguardo a Beltate e oramai Nath non riusciva più a concentrarsi abbastanza per riuscire a scoprire qualcosa, lanciò stancamente lo sguardo verso l’orologio “Io devo andare all’allenamento. Vi raggiungo quando ho finito. Ciao.” così dicendo afferrò la sua borsa e si diresse verso lo spogliatoio. La partita contro i Corvonero si stava avvicinando sempre di più con l’arrivo dell’estate, la tensione stava crescendo ei suoi compagni sembravano essere divenuti un fascio di nervi e avevano di nuovo sviluppato una forma di intolleranza nei suoi confronti, probabilmente solo per scaricare la tensione accumulata. Durante l’allenamento quella atteggiamento non si smentì: tutti lo guardavano con occhi malevoli. Questo, unito alla tensione dovuta agli ultimi esami e  la ricerca del drago doro che Itrandil aveva spiegato loro essere importantissima dato che grazie a quel drago quel tizio incappucciato sarebbe stato in grado di controllare tutti i draghi grazie al legame con quest’ultimo, gli impediva di concentrarsi o di lavorare come si deve. Infatti era stanco, faticava a concentrarsi e aveva la testa tra le nuvole, tanto ché a fine allenamento Baston lo riprese minacciandolo. “Nath la partita è vicina. Dov’è il Nath della prima partita, eh!?!” il ragazzo scostò leggermente cupo lo sguardo “Guardami in faccia Nathaniel!” lo riprese Baston, il ragazzo alzò lo sguardo e il capitano si accorse di quanto fosse provato. Fece una esclamazione seccata “Senti, non so cosa ti prenda, ma a me servi concentrato, quindi cerca di staccare la spiana dal resto del mondo quando ti alleni. O giuro che ti farò fare un ora di allenamento un più al giorno.” Nath accennò appena un sì in risposta.
Quando uscì si trovò Braian intento ad aspettarlo, ogni tanto lo sfaceva: stavano un po’ di tempo insieme il tardo pomeriggio o il pomeriggio a seconda di come fossero messi con lo studio, un paio di volte si erano anche venuto a studiare con il resto del gruppo, ma lui aveva confessato di preferir studiare da solo. “Nath verresti con me un minuto?” chiese Braian, pareva nervoso. L’amico lo seguì fino a trovarsi davanti al bagno delle ragazze del secondo piano. “Che ci facciamo qui?” chiese il moro perplesso e terrorizzato all’idea di incontrare qualche ragazza lì dentro “Tranquillo qui non viene mai nessuno.” disse il biondo aprendo la porta con un sorriso triste. Una volta serrata Nath chiese al amico “Allora cosa succede?” Braian non rispose, in qualche modo anche lui pareva provato. Si avvicinò ad una cesta e ne tirò fuori un minuscolo serpente allora il giovane iniziò a sussurrare qualcosa di incomprensibile alla serpe. Questa a quel punto si avvicinò al moro in maniera sinuosa e una volta raggiunto salì sul corpo di Nathaniel, il ragazzo cerò di allontanarla o di scacciarla ma Braian lo fermò “No, non ti farà niente. Io la controllo.” Spiegò il biondo cercando di tranquillizzare l’amico. Nath non capiva il significato delle parole però percepiva qualcosa di strano nel comportamento di Braian: fissava la serpe con occhi strani e concentrati e ogni tanto sussurrava parole sibilanti al giovane incomprensibili. “Braian cosa sta succedendo?” chiese Nathaniel una volta che la serpe gli raggiunse il capo. Braian sibilò qualcosa e allora la vipera si morse la coda condannandosi alla sua stessa rapida morte. Nathaniel sentì la vipera cadere dal suo corpo mota schiantandosi a terra. Rimase disgustato da quella scena e volse uno sguardo confuso al amico, il quale però fissava intensamente con aria triste la vipera. “Nath io parlo il serpentese: l’abilità di parlare la lingua dei serpenti e di imporre su loro la mia volontà. Molti maghi malvagi lo parlavano, primi tra tutti colui che non deve essere nominato e il fondatore della casa Serpeverde.” rispose il purosangue a testa bassa “E cosa v’è di male Braian? Capisci e controlli i serpenti non vi è niente di male.” disse Nathaniel avvicinandosi al amico, ma non riusciva a essere del tutto sincero: lo aveva appena visto far uccidere una vipera così e temeva le ombre che aveva visto nel suo cuore attraverso i suoi occhi così cupi. “Hai visto cosa ho fatto fare a quella creatura.” Lo contraddisse quasi leggendo nella mente di Nath “Non so perché ma sento che dentro di me vi sono solo ombre, non vedo più luce in me.” disse il Biondo raccogliendo il corpo morto della vipera e gettandola giù per il cesso con sufficienza. “Questo non è detto Braian!” affermò Nath con foga più per convincere lui che l’amico stringendolo per le spalle dandogli degli scossoni “Tu puoi essere meglio di così. Senti di aver imboccato un sentiero sbagliato? Allora escine! Puoi essere tutto ciò che vuoi! Puoi essere meglio di tutti quelli che vivono! Che importa se il tuo potere sembra oscuro? Tu, te lo giuro, diventerai il miglior mago che io avrò mai conosciuto.” Dopo queste parole Braian abbracciò Nathaniel “Sei una brava persona Nathaniel, spero che tu non debba mai soffrire.” Nathaniel non seppe cosa fare, rimase qualche secondo in certo se rispondere o no al abbraccio così si limitò a scioglierlo con imbarazzo. “Dai usciamo di qui. Non vorrai che la gente si faccia strane idee su di noi.” Disse mollando un cazzotto amichevole sulla spalla del amico “Quali strane idee?” chiese Braian innocente “Ah… beata ignoranza!” esclamò Nath divertito. I due si scambiarono un sorriso completo. Allora lo capirono: che a loro piacesse o no erano legati da una amicizia indissolubile.
 
 
Hanna aveva oramai aveva cercato d’ovunque ma non aveva trovato nulla su quella dannata festa “Merda!” esclamò esausta “Sono tre settimane che cerchiamo questa dannata Beltate e ancora niente!” allora lanciò il libro sul sottobosco dove ora erano situati i draghi “Lo so Hanna” disse Arthur raccogliendo il libro caduto a terra “È frustrante ma abbiamo iniziato questa cosa e intendiamo finirla da soli. A meno ché non intendi rivelare ai professori la tua capacità di mutare in orso, quella di volare di Nath e che Elaine possiede un drago.” Il quartetto si ammutolì: Arthur aveva finalmente avuto il coraggio di dire ciò che li spingeva a non dire niente a nessuno. Hanna allora prese il libro dalle mani del amico, gli pulì il dorso e ricominciò a leggere. Voltò tre pagine e finalmente apparve “Trovata!” gli altri tre si radunarono intorno a lei “Beltate è una festa celtica che serviva a festeggiare l’arrivo dell’estate, la fertilità del raccolto e la crescita. Attorno ad essa vi erano numerose tradizioni e riti dei druidi, primo tra tutti la unione tra il dio e la dea… Ah!!! Ma perché non scrivono quando avviene!” disse Hanna incavolata “Da qua.” Disse Arthur ad Hanna prendendole il libro dalle mani. “Okay… qui c’è scritto che con molte probabilità Beltate avviene il primo maggio” disse Arthur dopo aver letto velocemente la didascalia “Ma siamo sicuri che avvenga quel giorno?” chiese Nath perplesso “Insomma in quasi tutti i libri che ho letto c’era scritto che le tradizioni celtiche sono state perse o reinterpretate numerose volte.” Pensò Nath ad alta voce “È vero!” esclamò Hanna “Elaine ma Itrandil proprio non sa quando verrà Beltate?” chiese la rossa sorpresa che lo stesso drago che gli avesse rivelato un indizio così importante sapesse dirgli che giorno in cui sarebbe avvenuto “No, gliel’ho chiesto numerose volte ma Itrandil conosce solo ciò che dice la leggenda, non che giorno sarà Beltate.” rispose la Tassorosso “Allora ci dobbiamo affidare al libro.” disse Nathaniel tirando fuori il coltello che Elaine gli aveva restituito il giorno dopo a scuola iniziando a giocarci “Oggi è il tredici aprile, abbiamo un po’ di tempo per prepararci, forse potremmo riuscire a battere quell’uomo e liberare i draghi.” continuò il giovane Serpeverde positivo “Sì ma per farlo ci serve un piano.” disse il Corvonero “E ne ho già uno in mente.” Aggiunse Arthur radunando i suoi amici e la draghessa attorno a sé.
 
Note del ambasciatore(?):
Salve *dice un piccolo esserino vestito con un gilet, panciotto e pantaloni blu e un cappello da gnomo dello stesso colore*
Io sono l’ambasciatore di Bibliotecaria, al momento non è ben disposta. Mi ha lasciato questo messaggio per voi:
“Allora ne sono successe di cose qui, eh?
Allora prima di tutto volevo ringraziare Aregilla per la recensione.
In secondo luogo…. Vi devo comunicare che nelle prossime due settimane potrei avere dei problemi ad aggiornare e che… data la mia inettitudine nel usare il computer potrei pubblicare in ritardo… o anche non pubblicare.
A presto, spero, Bibliotecaria.”
Vi giuro che Bibliotecaria ci proverà è solo che non è sicura di riuscirsi a connettere ad una qualche rete visto che dove va la connessione internet è un optional. Non ha un blocco del autore o altro ha solo problemi tecnici. *In quel momento gli vengono lanciati addosso dei pomodori* Ehi non è colpa mia! Guardate! Bibliotecaria è laggiù! *dice indicando una ragazza con un cappello di paglia e una valigia in mano*
-Traditore!!!!-* gli urla mentre se la svigna con la valigia in mano mentre qualcuno gli lancia contro dei pomodori*

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Capitolo 13
*** Cap. 12 Attesa ***


Cap. 12 Attesa
Nei giorni che precedettero Beltate i quattro giovani erano stati occupati in svariate attività, di cui una solamente li accumunava coi normali studenti: passare ore a studiare per i temuti esami finali ad Hogwarts. I risultati di quegli esami furono i seguenti: Arthur aveva ottenuto voti altissimi in tutte le materie raggiungendo un punteggio trai più elevati del primo anno, Elaine aveva ottenuto buoni voti in erbologia, incanteimi, astronomia e storia della magia sulle altre materie aveva ottenuto voti abbastanza buoni, Nathaniel aveva ottenuto buoni voti solo in pozioni, difesa contro le arti oscure e storia della magia, e in quest’ultima doveva i suoi buoni voti ai bigliettini, le altre materie erano andate tutte appena sufficienti, e Hanna in parte per la sua poca attitudine allo studio e in parte per il poco tempo, aveva ottenuto voti appena sufficienti.
Altra attività che accumunava i quattro ragazzi era la preparazione per il giorno x, come lo chiamava Nath, radunando una serie di piccoli oggetti che sarebbero potuti tornare utili, ma nessuno di loro era certo di quello che sarebbe potuto avvenire quindi sceglievano oggetti molto generici adattabili alle più svariate situazioni. Le altre attività variavano a seconda della persona: Arthur stava preparando una pozione contro le abrasioni, la quale di norma si imparava al quarto anno, e stava preparando una serie di incantesimi per un eventuale fuga rapida grazie ad una piccola collaborazione dei Tiri vispi Weasley, Elaine stava spostando i cuccioli in una grotta lì vicino e preparando provviste sufficienti per l’intera estate da affidare a quest’ultimi dato che non aveva idea se i loro genitori sarebbero mai venuti a prenderli o se lei sarebbe tornata, Nathaniel era preso dagli allenamenti di quidditch in vista della gara oramai prossima contro i Corvonero e Hanna faceva delle ricognizioni attorno al nido per scoprire i momenti in cui i draghi alternavano la guardia e quanti draghi c’erano al servizio di quel uomo incappucciato, ne contò circa un centinaio, ovvero novantanove e mezzo di troppo.
 
“Allora siamo tutti d’accordo? Domani alle sette qui nella foresta.” disse Arthur “Sì” affermarono Elaine, Hanna e Nath assieme “Speriamo solo che non mi succeda niente durante la partita altrimenti siamo nei guai.” borbottò Nath tra sé e sé terribilmente preoccupato il dettaglino cruciale in cui rischiava di venir schiantato a terra da un bolide e rimanere svenuto per una giornata. “Tranquillo, andrà tutto alla grande!” lo incoraggiò Hanna accompagnandolo l’incoraggiamento con un pugno amichevole sul braccio che fece inciampare Nathaniel da quanto era forte. Il ragazzo si massaggiò distrattamente il braccio ancora in ansia per il giorno seguente.
 
Il giorno di Beltate era arrivato e Nathaniel era al limite di una crisi di nervi: aveva le occhiaie, lo stomaco gli si contorceva dal agitazione, una vaga nausea, i capelli più disordinati del solito e stava torturando le povere uova che aveva sul piatto. “Nath ti ordino di mangiare qualcosa.” lo riprese di nuovo il capitano. “Non ci riesco, mi sento lo stomaco serrato e mi viene da vomitare.” Confessò il giovane. “Nathaniel mangia o ti imbocco io!” Decretò Jack alzandosi dalla sedia con furia. “Non ho fame!” Rispose a tono il più giovane guardando il ragazzo del quarto anno negli occhi. “Avanti calmatevi ragazzi.” Si intromise Shara cercando di far risedere Jack. “Abbiamo una partita tra poco e lì vi potrete sfogare finché vorrete.” Insistette la ragazza continuando a tirare Jack per una spalla. Ma Jack ignorò la ragazza e, scostando la presa di lei su di lui, se ne andò dalla sala grande trascinando con sé una cupa aurea. “Jack dannazione!” lo chiamò Eric correndo dietro al suo migliore amico per farlo ragionare ma non fece due passi che l’altro lo fermò. “Lasciami stare Eric!” urlò il ragazzo infuriato. “Ah…. Idiota!” gli urlò contro Eric e così dicendo il cacciatore si sedette accanto a Nath sbuffando. “Non fartene una colpa.” disse Eric lanciando un’occhiata a Nath. “Jack è fatto così. Ha un carattere difficile ma in realtà in fondo… parecchio in fondo,” si corresse il ragazzo “è una brava persona” spiegò Eric “e attira molto le ragazze, giusto Shara?” aggiunse il ragazzo malizioso facendo impettire la menzionata che a quel commento divenne rossa e si voltò di scatto. “Siamo stati insieme solo due mesi!” rispose irritata. Nath rise e si sentì più rilassato ma non riuscì comunque a mangiare poiché aveva una strana morsa al cuore che lo stava stringendo e non riguardava la partita ma una paura ben più profonda.
La partita fu vinta ma non grazie a Nath. Se alla prima partita era veloce e scattante, anche imprudente nelle sue azioni, quel giorno fu lento nei movimenti e nei passaggi, evitava qualsiasi conflitto o sfida.
“Si può sapere che ti è preso!?!” lo aggredì Baston una volta negli spogliatoi. “Non lo so.” disse Nath a testa bassa “Non lo sai!?!” ripeté incredulo il ragazzo “Nathaniel so che hai appena undici anni e so che questa è solo la tua seconda partita, ma se non ti impegni cosa dovrei fare io, eh?! Ti avevo detto di tornare il Nath della prima partita e non lo hai fatto! Cos’è stata la fortuna del principiante!?! Ringrazia il cielo che abbiamo vinto o saresti già fuori dalla squadra!” lo minacciò “Fortuna che dall’anno prossimo non sarai più un mio problema!” aggiunse in fine il ragazzo. Baston, infatti, era al settimo anno e quella era stata la sua ultima partita come giocatore della squadra Serpeverde quindi era comprensibile che volesse uscire con il botto. Soprattutto perché una squadra professionista gli aveva offerto un posto come portiere e non voleva rischiare che vi ripensassero al ultimo. “Baston adesso basta!” lo bloccò Delfina mettendogli una mano sulla spalla. “Abbiamo vinto la coppa per il secondo anno di fila. Lo so che sei stressato per i M.A.G.O. e tutto il resto, anche io lo sono, ma non mi pare il caso di riversare tutto su Galleric!” lo sgridò la ragazza. “E poi non è stata una cosa volontaria! Ti sarai accorto che in questi giorni ha l’aria più malaticcia del solito, no?” Aggiunse la ragazza la quale come tutti aveva notato che qualcosa non andava in Nathaniel in quei giorni. A quelle parole Baston uscì dalla stanza senza dire niente infuriato, in quel istante entrò il professor Jhonson che guardò perplesso Baston che usciva furioso e il resto della squadra giù di corda. “Cosa sono queste facce da funerale?” chiese perplesso “Avete vinto sorridete.” Li incitò il professore che sfoggiò un sorriso d’incoraggiamento, alcuni provarono a fare un mezzo sorriso ma Nath stanco di recitare uscì subito da quella stanza, quasi sbattendo contro il professore e corse verso la foresta ma venne intercettato dal professore di difesa contro le arti oscure. “Che cosa è successo Galleric?” domandò il professore, il ragazzino si voltò. “È successo che sono un idiota! Ecco cosa succede! Sono un idiota incapace!” il ragazzo stava per andarsene quando il professore lo fermò afferrandolo per la spalla. “Galleric sta sera alla sala grande dei Serpeverde facciamo festa, vieni e rilassati, capitano a tutti le giornate storte. Non devi fartene un patema, farai meglio la prossima volta. E non dare troppo peso a Baston” disse il professore che prima di entrare aveva riconosciuto la voce di Baston che urlava “è solo che aveva bisogno di un capro espiatorio per il suo stress e tu sei il più piccolo nella squadra, non le pensa veramente quelle cose.” Gli spiegò il professore. Nathaniel guardò il professore supplichevole. “Mi lasci andare.” E con grande sorpresa di Nathaniel il professore lo fece alzò la mano dalla sua spalla sospirando. Nath corse via sotto lo sguardo del professore.
Quando Nath raggiunse la radura nella foresta si fermò un secondo: era una bella giornata, c’era appena una leggera brezza, il sole riscaldava fin sotto la pelle, l’erba era un po’ alta e in mezzo ad esse v’erano centinai di fiori d’ogni forma e colore quella radura poteva quasi apparire come un locus amoenus. Però quella pace non placò l’animo di Nathaniel il quale strinse i pugni e urlò tutta la frustrazione e la tensione accumulata in quei giorni, assieme alla sua voce un vortice si innalzò attorno al suo corpo facendo alzare tutte le foglie ei rametti i quali si mossero vertiginosamente attorno a lui sempre più velocemente e sempre più lontani fino a raggiungere il confine con la radura dove vennero lasciati cadere assieme a del erba e a dei fiori che si erano strappati a causa del vento. Nathaniel si chinò a metà riprendendo fiato –Che vadano in malora! Tutti!- pensò Nathaniel e con rabbia fece uno strano movimento: un braccio rigido partiva dal alto e veniva abbassato con forza mentre la gamba corrispondente al braccio si piegava e quella opposta si metteva in punta piegandosi leggermente. Da questo movimento generò delle falci di vento le quali strapparono erba e fiori, fecero tremare gli alberi quando si incrociarono con questi e spezzarono i rami più giovani i quali caddero a terra con tonfi secchi. Ad ogni falce che generava Nathaniel pensava ad un volto o ai suoi errori che desiderava distruggere e così scagliò numerose falci ventose così piene di rabbia e odio da assumere un loro calore. Continuò a lanciare quelle falici di vento intorno a sé fino a ché distrutto si fermò e si lasciò cadere a terra sulle ginocchia e poi con tutto il corpo. Lasciò che la terra gli riscaldasse il volto e assorbisse alcune lacrime silenziose e senza accorgersene ripensò alla partita.
Si era accorto che l’arbitro aveva fischiato solo grazie al movimento avvenuto intorno a sé così raggiunse il suo posto in ritardo. Per i primi minuti, finche gli altri giocatori si continuavano a passare ed intercettare la pluffa che passava dalla mano dei Serpeverde a quella dei Grifondoro così velocemente da sembrare una partita a flipper, lui era rimasto a bordo del campo intercettando la palla solo un paio di volte e ogni volta che era capitata in mano sua al passaggio era stata intercettata dai Corvonero. Uno dei cacciatori Corvonero riuscì a raggiungere uno degli anelli, lanciò ma al ultimo Baston riuscì a bloccare l’azione. Passò la pluffa a Eric il quale schizzò in vanti e iniziò a fare una serie di passaggi continui tra lui e Jack riuscendo ad eludere la difesa dei Corvonero, ma la loro azione venne interrotta da un bolide che per poco non buttò Jack giù dalla scopa. “Jack! Sei tutto intero?” chiese preoccupato Eric. Dopo un secondo di smarrimento Jack fece un cenno di indifferenza con la mano ma si vedeva che aveva ricevuto un brutto colpo alle costole infatti aveva il fiato corto ma continuò a giocare. –Tenace…- pensò Nath volandogli appresso per cercare di recuperare la pluffa passata in mano ai Corvonero. Delfina nel frattempo aveva lanciato un bolide contro il cercatore Corvonero che pareva aver riconosciuto il boccino costringendo il cercatore a bloccarsi bruscamente e così perse di vista il boccino, la ragazza esibì un sorrisetto compiaciuto e tornò alla partita. Nel frattempo Nath venne preso di mira dal capitano battitore Corvonero il quale gli lanciò contro una serie di bolidi, e così fu costretto ad evitarli con degli scatti veloci ma Nath era distratto e non guardava dove andava, troppo preso dal cercare di evitare i bolidi, così, senza accorgersene, andò a sbattere violentemente contro Jack il quale, già provato dal colpo precedente, non riuscì ad intercettare il passaggio in atto e la pluffa andò in mano ai Corvonero. “Nath…” iniziò il ragazzo furioso ma Jack non finì la frase poiché dopo un attimo di silenzio perse i sensi. Nath si ritrovò a sostenere un corpo che pesava di venti chili in più di lui e dovette fare un volo veloce fino a terra dove lo lasciò alle cure di madama Cips che era scesa in campo notando lo stato del cacciatore. “Stupido…” borbottò la vecchia “doveva fermarsi questo idiota!” Nath però non restò lì ad ascoltare, riprese il volo e cercò di intercettare la pluffa durante un passaggio ma non vi riuscì “Nath che ti prende! Concentrati!” gli urlò Baston esprimendo inconsciamente il suo pensiero.
Già che gli era perso in quel momento? Si domandò Nath disteso nella foresta. Poi si ricordò. Vedere un ragazzo come Jack svenire gli aveva procurato uno strana immagine: aveva visto lui colpito dalla coda di un drago cadere disteso a terra morto, poiché se lui era riuscito a stendere Jack un drago avrebbe potuto ucciderlo usando la stessa forza.
La partita continuò restando sempre sullo zero a zero poiché i Serpeverde faticavano a raggiungere gli anelli avversari, cosa che invece risultava semplice ai Corvonero, i quali però venivano sempre ostacolati da Baston il quale riusciva sempre a parare. Shara ed Eric stavano anche giocando bene, ma il problema era che i Serpeverde avevano preparato una serie di schemi in cui bisognava essere minimo in tre e senza Jack i loro schemi erano diventati prevedibili e Nath, seppur ci provasse, non riusciva ad attuare nessuno schema in maniera pulita poiché era sempre deconcentrato e i Corvonero se ne erano accorti, così gli stavano col fiato sul collo.
Nath si rigirò sul erba il perché della sua continua distrazione era semplice: il vento, quasi fosse un brutto scherzo, gli faceva continuamente sentire dei potenti sbatter d’ali e la sua mente rimaneva inchiodata a quella sera impedendogli di concentrarsi sul momento presente e questo unito al essere continuamente ostacolato da un bolide o da un cacciatore gli impediva di giocare come in realtà sapeva fare.
Dopo essere stati umiliati dai Corvonero da una serie di rubamenti di palla e intercettazioni, il cercatore Serpeverde, finalmente, individuò il boccino. Allora iniziò una danza a due estremamente contorta in cui si superavano, andavano spalla a spalla tendendo la mano, vorticavano a spirale, si impennavano, andavano in picchiata e si spintonavano.  Alla fine, grazie ad una spinta più poderosa delle altre, cercatore Serpeverde riuscì a liberarsi dal cercatore Corvonero e afferrò il boccino. Tutti esultavano ma Baston, irritato dalla pessima partita in cui aveva dovuto fare tutto lui per la difesa, lo aveva già inquadrato con lo sguardo facendogli capire che avrebbero fatto una lunga chiacchere una volta nello spogliatoio.
“Ho fatto schifo.” Sussurrò Nath addormentandosi.
 
Quando Arthur, Hanna ed Elaine lo raggiunsero, intorno alle sei del pomeriggio, con tutto il necessario per ciò che li attendeva trovarono Nath seduto su a terra appena svegliato, ancora in divisa da cacciatore intento a fissare un punto nel vuoto. Intorno a lui c’erano i chiari segni del suo stato d’animo: le foglie erano sparse d’ovunque tranne che intorno a lui, i fiori appena sbocciati erano stati strappati da potenti raffiche di vento, rami freschi e sottili erano stati spezzati e intorno a Nathaniel si era formata una zona di terra bruciata in cui non vi era neppure l’erba. Ad Elaine gli si strinse il cuore a vederlo così triste e solo intento a lasciarsi annegare dal autocommiserazione. Gli si avvicinò lentamente impaurita dal entrare in quello spazio che era anche una proiezione della sua anima, si avvicinò lentamente, un passo alla volta timorosa ma quando superò il confine della terra bruciata prima gli toccò delicatamente la spalla e poi lo abbracciò forte passandogli un po’ di quella luce che aveva nel cuore. “Non farti nessuna colpa Nath, oggi non potevi restare concentrato sulla partita. È stato un brutto scherzo del destino. E comunque la tua squadra ha vinto quindi basta sentirsi in colpa.” Gli sussurrò dolcemente Elaine, Nathaniel in tutta risposta abbracciò più forte l’amica cercando un po’ di sicurezza in quel tenero abbraccio. “Elaine ha ragione: non fartene una colpa, ora ci serve il nostro Nathaniel forte e concentrato come solo tu sai essere, a noi serve la tua magia.” disse Arthur facendo tornare a Nathaniel un po’ di orgoglio ma allo stesso tempo facendolo sentire di nuovo in colpa. Hanna se ne accorse così decise di intervenire. “E poi per me hai giocato bene, non è mica colpa tua se i tuoi compagni con la puzza sotto il naso non capiscono che alcuni giorni possono andare storti e poi i Corvonero ti stavano più appiccicati della colla, cosa pretendono gli altri i miracoli?  Anche quel tipo… ehm…Jack ha sbagliato: se si fosse fermato una decina di minuti si sarebbe ripreso!” Nath sorrise a quella sincera ma impacciata consolazione di Hanna e si calmò quel che bastava per tornare concentrato ma un gorgoglio interruppe tutti. “Scusate, non ho mangiato niente oggi.” disse il Serpeverde imbarazzato; Arthur allora estrasse una piccola scatolina con del pane e del pollo fritto assieme a una bottiglia d’acqua. “Sospettavo che avresti avuto fame.” il ragazzo mangiò in fretta e con voracità e finì l’intera bottiglia rendendosi conto solo allora di quanto fosse stato affamato. “Grazie ragazzi.” Disse una volta concluso il pasto. “Figurati.” Disse Arthur “Beh, già che siamo tutti qui tanto vale partire.” Disse Arthur già in procinto di incamminarsi. “Non lo fare.” Lo bloccò bruscamente Hanna “Non ci vuole molto tempo per raggiungere il posto e prima che la luna sia al suo massimo splendore bisognerà aspettare la mezzanotte, quindi per ora è meglio se ci rilassiamo almeno un po’.” Consigliò la ragazza e così fecero, ma la decisione non ebbe l’esito desiderato.
Arthur si andò a sedere e iniziò a controllare le medicine che aveva creato e racimolato in quei giorni girandosele e rigirandosele tra le mani più e più volte fino ad averle esaminate tutte con una cura quasi maniacale per poi prendere la bacchetta e farla roteare tra le dita distrattamente. I suoi occhi erano cupi di pensieri, le labbra contratte in una smorfia di dolore, la schiena curva; i dubbi assalivano Arthur che si malediceva per non aver fermato i suoi amici quando erano ancora in tempo. –Se avessi saputo che sarebbe finita così gli avrei fermati…- pensò il ragazzo, ma in fondo lui sapeva che sarebbe finita così. –Allora perché non ho bloccato tutto sul nascere?- si chiese continuando a far roteare la bacchetta.
 
Hanna rimase in piedi al limitare della radura fissando in direzione di quel luogo maledetto, la testa alta lo guardo fisso e neutro, le braccia incrociate sotto il petto, le labbra serrate e la mente, sgombra dai cruci della vita quotidiana, era focalizzata solo su quello che stava per avvenire, ma il suo cuore era morso dalla paura la quale però venne lasciata dove era giusto che restasse: nei meandri del suo cuore. Ma la sua inquietudine selvaggia, primordiale e irrefrenabile la stava preparando alla battaglia: il sangue scorreva più lentamente, i respiri si fecero più profondi, i muscoli si rilassarono e la mente si sgombrò piano piano, il suo corpo stava risparmiando energie prima della battaglia. Allo stesso tempo sentiva l’adrenalina e le energie che si stavano accumulando sempre di più. Sentiva il bisogno di trasformarsi, sentiva la necessità di combatte, desiderava il sangue di quella persona incappucciata. La ragazza strinse impercettibilmente le mani alle braccia stressata da quella situazione di riposo che lei stessa aveva proposto. -È stata una pessima idea.- si disse la giovane.
 
Nathaniel si accoccolò su di un ramo e iniziò a giocare con la bacchetta distrattamente guardando di qua e di là cercando di liberare la mente, ma più ci provava più i pensieri lo assalivano e allora li lasciò liberi di passare per la sua mente turbandolo e rendendolo teso. La sua testa gli giocava brutti scherzi mostrandogli immagini disastrose e di morte, ma si impose di rimanere calmo e di riacquisire la lucidità. E lentamente lasciando scorrere i suoi pensieri ci riuscì: la tormenta nel suo cuore fu placata e i suoi pensieri divennero razionali e schematici, più facili da gestire e da controllare. Così le spalle si rilassarono, le mani smisero di giocare con la bacchetta e lo sguardo si bloccò sul vuoto. Un senso di oziosa calma si impossessò di Nathaniel e lasciò che il vento lo colpisse in pieno volto. Si incupì –Stanno arrivando altri draghi.- pensò sentendo degli strani spostamenti d’aria.
 
Chiamai Itrandil la quale aspettava da dietro gli alberi silenziosa e invisibile. Non ci dissimo niente rimanemmo solo a fissarci un istante per poi separare lo sguardo. Adocchiai i miei compagni. Avrei voluto aiutarli, ma non ne ero in grado perché dentro a me v’era solo il dubbio e la paura. Alzai gli occhi ma non vidi l’azzurro del cielo o il bianco delle nuvole, vidi quattro ragazzini che si incontravano per la prima volta in un treno emozionati per l’inizio di un’avventura. –La nostra avventura però si è rilevata diversa da quella che credevamo.- pensai tornando a guardare la terra. Lasciai che i dubbi mi attanagliassero il cuore. Ero terrorizzata: tremavo fin dentro le ossa e sentivo freddo. Sentivo che qualcosa sarebbe andato storto sentivo che saremo morti, sentivo che… -Basta!- mi sgridò Itrandil che sentiva i miei tormenti –Hai già preso la tua decisione, vedi di portarla a termine!- quelle parole mi suonarono ed erano dure ma mi diedero la scossa per risvegliare la mia determinazione.
“Ehi!” iniziò Hanna spezzando il silenzio. “Credo che sia meglio muoverci per via terra. I draghi non riusciranno ad individuarci facilmente in mezzo alla boscaglia.” Consigliò la ragazza distrattamente. “Sì, concordo.” Iniziò Nath “In oltre c’è qualcosa nel vento che è inquietante.” Disse enigmatico. “Che cosa stai dicendo Nath?” chiesi avvicinandomi al albero preoccupata. “Forse è solo la mia immaginazione, ma credo di sentire gli spostamenti d’aria delle ali dei draghi.” Disse preoccupato. “Stai dicendo che stanno arrivando altri draghi?” chiese Hanna preoccupata. “Non ne sono sicuro, è solo un impressione.” Dichiarò posandosi delicatamente a terra rallentato da una dolce brezza. “Allora sarebbe meglio partire adesso.” Propose Arthur. “Se ci muoveremo via terra e se dovremmo stare attenti a gli altri draghi è meglio partire adesso o rischiamo di perderci il momento della schiusa.” Disse alzandosi e smettendo di giocare con la bacchetta. “Bene, allora andiamo.” Disse Hanna felice che qualcuno l’avesse contraddetta: perché erano rimasti lì dieci minuti, ma erano stati dieci minuti d’inferno Ci addentrammo nella foresta consci di andare contro un nemico più grande di noi.
 
 
Note del autrice:
Buon… *mi vengono lanciati addosso una lunga serie di verdure e di frutti. Ma io apro un ombrello che mi difende dalla maggior parte dei colpi fino a ché il fuoco contro di me non si interrompe. Chiudo l’ombrello ma qualcuno mi lancia addosso un cocomero*…giorno. *concludo pulendomi la faccia* lo so vi ho fatti aspettare parecchi per questo capitolo e so che vi aspettavate un capitolo più battagliero ma ho dovuto spezzare questo capitolo altrimenti, secondo me, diventava un tantino chilometrico. E poi non potevo liquidare la partita contro i Corvonero con un semplice “Nath giocò male”. Per il resto spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi perdoniate questo periodo di silenzio. Vi giuro che nel prossimo capitolo vi saranno battaglie!
A presto, Bibliotecaria.

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Capitolo 14
*** Cap. 13 Il ritorno dei draghi ***


Cap. 13 il ritorno dei draghi
Hanna si posizionò in testa al gruppo e affinò i suoi sensi per evitare d’essere notati dalle pattuglie di draghi. Indicava la strada con sicurezza e naturalità facendo passare i suoi amici in percorsi sicuri, nascosti dalle folte fronde. Ogni tanto Nath o Itrandil l’avvertivano della presenza di alcuni draghi ma era un aiuto quasi superfluo poiché lei li percepiva esattamente come loro e anche quando sembrava andare loro in contro in realtà stava conducendo i suoi amici per la via più nascosta. Quando iniziarono ad avvicinarsi scesero in uno strettissimo avvallamento del terreno che formava un sentiero naturale interamente coperto da felci e dalle folte chiome degli alberi del quale ci si accorgerebbe solo se ci si cadesse dentro. In quel tratto Itrandil si dovette acquattare per mimetizzare la sua presenza con la vegetazione; si muoveva piano appoggiando delicatamente le sue zampe al terreno con furtività felina, il collo era abbassato a livello del terreno e la pancia sfiorava appena la terra umida. Fu silenziosissima: non si sentirono rami spezzarsi, terre scostarsi o ruggiti, solo qualche piccolo gorgoglio ogni tanto appena udibile, la furtività della draghessa sorprese molto la Hanna la quale si chiese come fosse possibile che un essere così grosso e pesante fosse anche così discreto e riuscisse ad essere delicato.
Ogni tanto si sentirono volare sopra la testa piccoli gruppi di draghi di cui si accorgevano della loro presenza prima per l’odore, in ultimo per il sordo sbatter d’ali che era possibile udirlo solo una volta che quelle immense creature erano sopra le proprie teste. Ad un certo punto Hanna vide del fango e le venne un idea. “Venite qui.” Sussurrò ai suoi amici, i quali la osservarono perplessi spargersi addosso quella melma viscida e un po’ odorosa. “Hanna… che fai?” chiese Nath disgustato e perplesso. “Nascondo il mio odore. Il fango non farà miracoli ma quanto meno lo confonderà con il terreno.” Spiegò la ragazza passandosi quella poltiglia nelle zone più odorose del suo corpo: ascelle, collo, ventre, viso e cosce e poi sul resto del corpo. I tre compagni la osservarono perplessi un secondo però dovettero constatare che Hanna aveva ragione: se Itrandil poteva fiutare gli altri draghi, anche gli altri draghi avrebbero potuto fiutare loro. Nath fu il primo a farsi avanti e, afferrata una grossa manciata, si spalmò il fango in buona parte del suo corpo non trascurando neppure i capelli e il viso. Lo seguì poco dopo Elaine che si coprì di fango le zone leggermente sudate e sul resto del corpo ne spalmò del altro anche se in quantità meno consistenti. In fine Arthur si sottopose a quella assurda pulizia anche se con molta riluttanza. “Sei sicura che nasconderà il nostro odore ai draghi?” chiese Arthur una volta imbrattato di fango. “Chiediamo al nostro drago.” Disse Hanna. Itrandil fece un paio di rantoli soffocati scuotendo la testa dal basso al alto. “Elaine traduzione.” Chiese Nath che aveva guardato la draghessa senza capire una parola di quel linguaggio preistorico. “Dice che riesce a sentire i nostri odori, ma sono molto confusi con l’odore della terra e poi lei conosce molto bene i nostri odori, per tanto le è più facile riconoscerli. Ma non crede che gli altri draghi abbiano un fiuto così acuto da capire che non siamo parte del paesaggio finche non ci vedono.” Spiegò Elaine riprendendo a camminare. “Ti ha detto tutto questo?” gli domandò Arthur raggiungendola. “Sì.” Rispose con semplicità Elaine. Arthur strabuzzò gli occhi impressionato che così pochi versi volessero dire così tante cose.
Arrivati a un chilometro di distanza incontrarono le prime due sentinelle che Hanna aveva individuato nei suoi giri di perlustrazione: un Dorso Rugoso di Norvegia e un Ungaro Spinato, entrambi quando li aveva visti gli aveva riconosciuto sguardi crudeli e rassegnati che l’avevano terrorizzata un po’. Hanna si voltò verso Nath e gli indicò un punto ben preciso più o meno davanti a loro, Serpeverde capì subito e, dopo aver preso un bel respiro, spinse il vento nella loro direzione. Hanna annusò l’aria cercando di distinguere i numerosi odori e di decifrarne il senso. Dentro al nido erano nascosti la maggior parte dei draghi ma fuori vi erano altre tre sentinelle, oltre all’Ungaro e lo Spinato, ma queste proteggevano l’entrata principale la quale era opposta alla direzione da cui stavano arrivando. Alzò gli occhi al cielo e aguzzò la vista e l’udito: due sbatter d’ali ben distinti davanti a loro si aggiravano in quella zona con ampi cerchi concentrici che racchiudevano un vasto territorio ma non li avrebbero vide e neppure loro sarebbero stati visti grazie alla cupa luce del tramonto che creava lunghe ombre e rendeva tutto confuso. “Proseguiamo.” sussurrò la Grifondoro mentre i suoi istinti da orso la stavano avvertendo sul pericolo sempre più grande e di conseguenza il suo spirito combattivo la rendeva sempre più inquieta ma dovette mantenere la calma e reprimere il suo desiderio di correre verso il pericolo. Dopo qualche metro si trovarono davanti una scena di agghiacciante desolazione: la terra, in quella parte foresta era stata bruciata per ben più di quattrocento metri quadrati circolari la terra era inaridita e sabbiosa e lì di tanto in tanto si distingueva la base d’un tronco spezzato e bruciato, il vento quando passava alzava nubi di polvere come se lì non piovesse da mesi, nel terreno si erano formate delle crepe e non vi era creatura vivente in quei luoghi, quella desolazione era stata voluta per consentire la costruzione di quella che rassomigliava a una torre la quale si elevava al cielo come un cono leggermente piegato verso un punto a nord del cielo ricordando vagamente la forma d’un cappello floscio, era stata costruita con terra e alberi bruciati, sotto la rossa e cupa luce del crepuscolo quella torre aveva un aria spettrale e i fasci rosse che la colpivano da dietro allungavano l’ombra di quel nido, poiché di quello si trattava, così lunga da raggiungere il confine con la foresta. Hanna alzò lo sguardo i due draghi erano davanti a lei alti nel cielo pronti ad uccidere qualunque cosa si muovesse. “E ora come li superiamo?” chiese Nath perplesso “Il cambio di guardia è tra poco.” disse Hanna osservando il sole davanti a lei. Aspettarono per un breve ed interminabile tempo, mai un imbrunire parve così lungo a Hanna. Quando anche l’ultimo raggio di luce rossa sparì dietro agli alberi tutti draghi in volo scesero a terra davanti al entrata principale del nido, Hanna, Arthur, Elaine e Nathaniel erano coperti. “Ora.” sussurrò Hanna. I quattro giovani e la draghessa corsero a perdi fiato fino a raggiungere la torre e lì, guidati da Hanna, si imbucarono in una fenditura, abbastanza grande da far passare Itrandil, abbastanza piccola perché nessuno la notasse. Quel buco misurava un metro in altezza e uno e mezzo in larghezza. I quattro amici si accasciarono a terra e abbassando la testa entrarono di soppiatto nel nido, ma per Itrandil fu più difficile: la draghessa si dovette acquattare a terra, fece entrare prima il collo, poi le zampe anteriori e con quelle dovette spinge per riuscire a far passare la sua mole, dietro le sue zampe spingevano affannosamente e dopo svariate contorsioni del busto e trattenimenti di fiato la draghessa riuscì a passare.
 
Si ritrovavano su una piccola sporgenza su uno strapiombo dove v’era appena lo spazio per muoversi. Quel luogo pullulava di draghi d’ogni forma e dimensione ma nessuno badò a loro, erano tutti impegnati in qualcosa di incomprensibile: erano aggrappati alle pareti della struttura, muovevano il collo in varie direzioni e contemporaneamente emettevano ringhi, rantoli, ruggiti e richiami generando un fracasso infernale e il buio era quasi totale se non fosse stato per qualche debole raggio di luna e uno sputare di fiamme occasionale. “Itrandil dice che stanno cantando per la nascita del drago d’oro.” spiegò Elaine in un bisbiglio. Nath si sorprese: quei suoni erano agghiaccianti, rauchi e spaventosi, non gioiosi e caldi, come ci si aspetterebbe ad una nascita, e poi non avrebbe mai immaginato che i draghi cantassero. Nath guardò verso il basso e vide qualcosa: un flebile luccichio d’orato infondo al nido, cinquanta metri sotto terra. “L’uovo è laggiù.” disse Nath indicandolo. “Dove?” domandò Elaine avvicinandosi a lui stringendo gli occhi. “Lì, infondo.” disse indicando quella che doveva essere la fine dello strapiombo. “Come scendiamo?” chiese Arthur spaventato cercando a destra e a sinistra qualcosa che potesse sembrare un appiglio. “Se voliamo ci noteranno subito.” constatò il Serpeverde. “L’unica opzione è arrampicarsi.” dichiarò il giovane “Con cosa?” chiese Elaine che non era mai stata brava nel arrampicarsi sugli alberi. “Non abbiamo una corda abbastanza lunga per scendere fin lì.” Ribatté la ragazza. Arthur tirò fuori la corda. “Sono dodici metri di corda, meno i tre metri per legarcela alla vita sono nove metri. Come facciamo?” chiese Arthur continuando a cercare qualcosa che gli aiutasse. Nathaniel si guardò attorno. I draghi erano tutti adulti e la maggior parte aggrappati alle pareti con i loro poderosi artigli ma del mago incappucciato nessuna traccia. -Un minuto!- pensò il Serpeverde -Il mago che controlla i draghi deve scendere in qualche modo. E ne dubito che i draghi si facciano cavalcare o che lui si fidi a tal punto di quelle bestie visto che, da quel che dice Hanna, non è un padrone amichevole.- Allora Nathaniel aguzzò la vista verso l’entrata principale e lì, leggermente in ombra, c’erano dei rozzi gradini scavati direttamente nella terra secca e nella roccia salendo e scendendo a chiocciola per la struttura. Il moro allora sporse il collo oltre l’insenatura in cui si erano nascosti, e sotto di loro, a circa dieci metri, c’erano i gradini. “Ragazzi guardate qui.” li chiamò Nath, gli altri tre si sporsero. “Ben fatto Galleric.” disse Hanna dandogli una leggera pacca sulla spalla. “Grazie Uther.” ricambiò l’interessato. “A cosa vi riferite voi due?” chiese Arthur con gli occhi affilati nel tentativo di aguzzare la vista ma non riusciva a vedere nulla solo una serie di ombre indistinte eppure si era abituato al oscurità. “Non le vedi le scale Arthur?” chiese Hanna scettica. “Scale…?” Arthur fece passare un po’ di tempo prima di rispondere. “Ah sì ora le vedo!” esclamò il Corvonero in un sussurro. Elaine rimase un po’ perplessa e confermò il suo sospetto che Arthur avesse problemi di vista, ma non era il momento per quelle cose.
Nath con l’aiuto di Hanna fissò la corda a una pietra e la lanciò giù. Nath fu il primo a scendere, dato che poteva volare nel caso in cui la corda non avesse retto. La corda ruvida gli sfregava le mani, i muscoli delle braccia erano contratti dallo sforzo e si lasciava scivolare giù lentamente per paura di essere scoperto, i piedi appoggiati alla parete, Nath guardava i suoi compagni sopra di lui che lo fissavano apprensivi e quella paura si insinuò leggermente nel cuore del ragazzo, il quale si bloccò un secondo e strizzò gli occhi cercando di placare il suo animo, vi riuscì e continuò a scendere. Quando toccò i scivolosi gradini diede uno strattone di corda e allora iniziò a scendere Hanna. Questa lo fece con naturalezza, senza sforzo, mettendo una mano dietro l’altra, le gambe attorcigliate alla corda e un centimetro alla volta scese con tranquillità arrivò a terra in fatti non era affatto tesa come Nath, anzi era rilassata. A quel punto fu il turno di Arthur, il quale stava tremando come una foglia e più che arrampicarsi stava scivolando su quella corda, giacché quando arrivò ai gradini le sue mani si erano private del primo strato di pelle e arrossate, il ragazzo però strinse i denti e fece finta di nulla, le medicine che aveva le dovevano usare sol per cose serie non per queste sciocchezze. Allora fu il turno di Elaine, ma lei non usò la corda: salì in groppa a Itrandil e, tenendo la corda in mano, scese sul dorso di questa. La draghessa scese arrampicandosi con i suoi artigli, la faccia rivolta verso il vuoto. “Principessina.” la prese in giro Nathaniel porgendole la mano quando scese dal drago, ma ciò che aveva fatto non era semplice come appariva: i muscoli delle sue gambe dovevano essere serrati sul dorso di Itrandil, le braccia dovevano essere posizionate in tensione tra le sue gambe e degli addominali tese per mantenere il busto dritto ed evitare una caduta. Era una posizione più che scomoda e le braccia le tremavano leggermente ma non diede a vedere il suo sforzo e sorrise all’amico.
Allora i tre amici si legarono la corda alla vita e iniziarono la discesa. Gli scalini oltre a essere umidi erano anche friabili, infatti in alcuni punti non c’erano le scale ma degli ammassi di rocce mal messi e più d’una volta i quattro amici si sentirono la terra cedere sotto ai piedi. Oltretutto spesso si dovevano appiattire alla parete per nascondersi alla vista dei draghi, Itrandil, a tal proposito, era rimasta in dietro e faceva un giro più lungo per le pareti della struttura rimanendo nell’ombra, passando relativamente inosservata dai draghi. L’ombra in quella discesa era la loro migliore alleata ma anche la peggior nemica: più scendevano verso il fondo più la luce della luna diminuiva e questo da un lato gli aiutava a passare inosservati, dall’altra rischiava d’ucciderli. Nathaniel fece un altro passo e sentì nuovamente la sicurezza della terra solida, tirò un sospiro ma non fece in tempo a rilassarsi che si sentì tirare da dietro: Hanna era caduta. Nessuno a parte loro quattro lo aveva notato ma i sussulti di Hanna per la paura e il loro rantoli per lo sforzo di tirarla su avrebbero attirato l’attenzione. Per un secondo Nath fu sul punto di essere trascinato giù dal amica, ma riuscì ad afferrare una roccia sporgente e bloccò il peso del amica. Arthur, imitando il suo esempio, si era aggrappato a uno sperone di roccia cercando di bloccare la caduta di Hanna ma il ragazzo già non ce la faceva più a reggere il peso del amica, e la corda alla vita lo stava soffocando. Nel frattempo Elaine aveva afferrato la corda in tensione e aveva iniziato a tirarla aiutandosi con il peso del suo corpo, ma la terra scivolosa le impediva di avere stabilità e riuscì solo ad aiutare Arthur a sorreggere il peso di Hanna. Allora Nathaniel mollò la presa e si lasciò gettare nel vuoto. “Nath!” esclamò Elaine spaventata ma subito si serrò la bocca maledicendosi per aver urlato ma non sembrò che i draghi fossero in allerta infatti il rumore che proveniva dalle loro gole superava di gran lunga quello di Elaine ma alla ragazza la sua esclamazione era parsa come un urlo potentissimo.
Nath si lasciò sospendere nell’aria, una volta stabilizzato il volo portò il braccio dell’amica attorno al suo collo, tuttavia non rimaneva ferma: la corda attorno al suo corpo, pur avendo bloccato la caduta, la stava soffocando e questo la portava a muoversi in maniera disconnessa e disperata come un corpo che annega e non riesce a raggiungere la riva. Nathaniel però non si scoraggiò: con fatica riuscì a bloccare le mani forzute di Hanna e portandole le mani attorno ai fianchi riuscì con una spinta del vento a sollevarsi fino alle scale dove appoggiò la Grifondoro, subito allentò il nodo e allora Hanna riprese a respirare. “Grazie.” borbottò Hanna in un sospiro alzandosi e con un movimento secco si alzò insofferente, ma traballò un secondo e fu costretta a reggersi alla parete in preda alle vertigini ma dopo un istante riprese a camminare. “Hanna piano sei appena caduta…” cercò di bloccarla Arthur prendendola per le spalle. “Non abbiamo tempo per questo: i draghi ci avranno di sicuro sentiti.” Alle parole dell’amica il Corvonero si serrò le labbra e come gli altri riprese a camminare rassegnato sempre con prudenza, ma a maggiore velocità.
A pochi metri dal suolo Nath si accorse di essere stanco, ma non c’era da stupirsi: nell’arco d’una giornata aveva giocato una partita di Quiddich contro avversari tutti più esperti e grossi di lui, avevano camminato per più d’un ora e mezza nel bosco, era sceso da una corda, aveva aiutato Hanna, stava camminando da più due ore per delle scale scivolose e impervie e non aveva mangiato quasi nulla. Non sapeva se avrebbe retto ancora per molto. D’un tratto Elaine lo bloccò e gli indicò un punto in un angolo in fondo al nido, lì nascosto tra le ombre c’era una persona coperta da un folto cappuccio e un pesante mantello nero, nella mano sinistra teneva una frusta con degli strani ganci metallici sul fondo nella destra una bacchetta pareva che stesse aspettando. I quattro si scambiarono uno sguardo, ora si faceva sul serio: d’ora in avanti avrebbero dovuto affrontare il loro nemico apertamente. I ragazzi scesero ancora per pochi giri di rampa ma quei breve tragitto in cui i tre ragazzi si prepararono alla battaglia. Hanna strinse la bacchetta nella tasca della divisa e tese e distese i muscoli al ritmo del suo respiro cercando di reprimere l’orso dentro di lei che stava sempre più combattendo per uscire a mano a mano che si avvicinavano a quel mago. Nathaniel estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloni portandola a livello del petto e iniziò a chiamare il vento attorno alle sue mani, così da essere pronto per il momento dello scontro. Arthur tirò fuori la bacchetta, se la strinse a livello del petto e si sentì invaso dalla paura di morire e iniziò a chiedersi se fosse vero che dopo la morte ci fosse il nulla come aveva sempre sostenuto, ma scacciò quei pensieri e si concentrò sulla imminente battaglia. Elaine strinse la bacchetta sul cuore, cercò il legame con Itrandil, con suo rammarico, lo trovò e comprese come spezzarlo. Giunti ai terra si ritrovarono a pochi metri dalla tetra figura incappucciata che si voltò lentamente e li osservò da sotto il cappuccio. “Tu guarda, quattro mosche nella mia ragnatela.” Nath si stupì: Hanna aveva detto che la voce che aveva sentito le pareva da uomo roca e gracchiante, tutti requisiti che ricordavano una voce maschile, ma questa era acuta, chiaramente femminile e assolutamente non gracchiante. In quel istante Itrandil si buttò accanto a loro ringhiando verso la donna con una minaccia mortale negli occhi d’orati carichi di odio e di risentimento verso quella donna. “Ma tu guarda la fuggitiva, ecco dov’eri finita. Bene quando avrò finito con voi trovare quei cuccioli sarà un gioco da ragazzi.” Itrandil ringhiò ancora di più e dalle sue narici iniziò a uscire fumo. Nathaniel si voltò verso Elaine, anche lei era stranamente tesa, le mani si contorcevano nervosamente, gli occhi guizzavano da una parte all’altra del nido, la bocca era secca e tutti i muscoli erano tesi per qualcosa. Nath volse lo sguardo al centro, lì c’era un uovo dorato a cui si avvicinava sempre di più un fascio lunare, di certo quando il raggio avrebbe raggiunto l’uovo questo si sarebbe dovuto schiudere.
Dall’alto, improvvisamente, aumentarono i rantoli e le luci rosse comparvero per tutta la parete. “Oh! Ma che maleducata!” disse la maga senza nome compiendo una strana contorsione con la mano libera. “Non vi ho ancora presentato i miei amici…” La donna schiccò la frusta e subito centinaia di fiamme si diressero verso di loro; Nathaniel già sentiva il calore delle fiamme sulla pelle che si staccava, per istinto tutti si abbassarono e si coprirono la testa. Hanna, Arthur e Nath si sentivano già morti: nessuno era mai sopravvissuto al fuoco dei draghi. I tre ragazzi sentivano un fortissimo calore circondarli, ma non percepirono altro; prendendo coraggio aprirono la videro. Elaine aveva alzato le mani al cielo e attorno a loro si era formato uno scudo dai colori azzurro, blu e indaco che si mescolavano tra di loro in maniera in forme e al contempo riparava loro quattro ed Itrandil dal calore e dalla luce del fuoco dei draghi.
 
Sentivo chiaramente la potenza di quelle fiamme che mi circondava, le sentivo danzare attorno al mio scudo oppure estinguersi contro di esso, sentivo l’energia di quelle fiamme andare contro la mia sempre più debole protezione. Dopo alcuni minuti i draghi vennero fermati dal suono della frusta. Quando le fiamme si estinsero caddi a terra in ginocchio dissolvendo lo scudo. Non ce la facevo più: non avevo mai creato una barriera così grande e per contrastare una tale potenza di fuoco. A fatica riuscivo a respirare con quell’aria calda e invasa dal fumo. Non mi sentivo più le energie fisiche era come se fossi stata prosciugata. Itrandil mi diede un buffetto con la testa, in qualche modo recuperai un po’ di energie e, appoggiandomi ad Arthur, mi rialzai. Quando il fumo si diradò vidi la donna in piedi a poco più d’un metro da dove la terra era stata carbonizzata, ci scambiammo uno sguardo d’odio e io mi ricomposi appoggiando la mano con la bacchetta su Itrandil per farmi forza. “Una signora dei draghi. Non immaginavo che ti avrei mai realmente incontrata.” Disse quasi divertita. -Realmente…?- pensai, quel dettaglio mi rimase inciso nella memoria. –Perché realmente? Che abbia capacità divinatorie?- mi domandai. “Ma per mia fortuna sono venuta provveduta.” Con quelle parole la donna lanciò un incantesimo. Tutti ci scansammo di lì in tempo per fortuna. Aveva lanciato un incantesimo potentissimo che aveva lasciato una crepa al pavimento da cui usciva del fumo. Mi ritrovai separata dagli altri riversi a terra a causa del onda d’urto, io invece ero stata spostata da Itrandil che mi aveva portata n po’ più vicina al uovo d’oro. La strega puntò il suo sguardo su di me, un brivido mi percorse la schiena. Terrorizzata strinsi più forte la bacchetta ma non avevo idea di come difendermi: tutto quello che ci avevano insegnato fino ad ora erano incantesimi da utilizzare tutti i giorni. “A corto di idee bambina?” si beffò di me la strega capendo la mia incapacità di difendermi. Allo stesso tempo mi lanciò un incantesimo. Era troppo tardi non lo avrei mai schivato. Chiusi gli occhi per istinto ma ciò che sentii fu solo un tonfo aprii gli occhi. “Itrandil…” sussurrai sentendomi venir meno. Lei era lì ferita sanguinante sentivo il suo dolore nella mia mente, l’odore del suo sangue, la fatica dei suoi respiri affannati, il panico mi invase. “No no no no no… Itrandil…” dissi nervosa cercando di bloccare l’emorragia sul ventre spingendo più forte che potevo, ma non funzionava, il sangue continuò a scendere a fiotti. Ricordo bene le mie mani insanguinate di quel sangue così scuro, quasi nero. Nel vederle iniziai a tremare come una piuma sospinta dalla tempesta, la donna scoppiò a ridere divertita e io per poco non scoppiai a piangere. –Elaine…- la voce di Itrandil anche se fievole mi riempì la mente. –Non pensare a me: guarda.- Voltai lo sguardo era quasi il momento, lo sentivo chiaramene dentro di me, quella flebile luce lunare oramai era quasi sul uovo e mi attraeva come una falena. –Fallo Elaine.- Non era una preghiera ma un ordine. Con le lacrime agli occhi baciai il muso della mia draghessa -Un ultimo addio.- le dissi. “Sentimentale…” disse la strega ironica. “Mi dà il volta stomaco…” Mentre diceva questo con tutto il ribrezzo nei miei confronti mi accorsi che la sua frusta era insanguinata: lei non aveva mai puntato a me, aveva sempre puntato ad Itrandil. Sapeva che si sarebbe messa in mezzo, sapeva che mi avrebbe protetta. Una furia mi invase il corpo e una fiamma si accese nel mio cuore. Mi allontanai da Itrandil con calma apparente. Alzai lo sguardo verso la strega che intercettò il mio sguardo e capì la mia minaccia ma ne rimase divertita.
Preferirei dimenticare questo momento, ma lo ricordo troppo bene perché possa essere obliato. Ricordo di aver respirato profondamente e di aver scavato dentro di me fino ad aver trovato come un nodo nel mio cuore, il nodo che mi legava ad Itrandil. La mia volontà fu la spada che tagliò il legame. Mi sentii trafitta. Quanto legarmi ad Itrandil era stato dolce leggero e avvolgente, separarsi fu così doloroso che mi piegai in due, ricordo la mia mente annebbiarsi e un dolore fisico invadere le mie membra. Alzai lo sguardo: anche la mia avversaria aveva aspettato fino al ultimo per spezzare il suo legame con il suo drago. Lessi in lei il mio dolore fisico ma non la mia sofferenza mentale, non la vidi soffrire per essersi separata ma una sadica sete e odio.
“Trattenetela!” urlai ai miei amici, sperando di non chiedere l’impossibile, e con non so quale forza scattai verso l’uovo dorato anche la strega si stava avvicinando a grande velocità. Fu questione di istanti allungai la mano, lei la allungò, lei spiccò un ultimo salto, io lo feci. I nostri polpastrelli stavano per sfiorare quella superfice e già sentivo l’energia di quel uovo. Come lo toccammo, una luce dorata accecante e delle tenebre oscure si espansero in egual misura a fasci tutt’intorno, distolsi lo sguardo infastidita da tutto quel potere. La mia avversaria invece spalancò gli occhi come per assorbire tutta quella energia ingorda di quel immenso potere. Mi sentivo strana: era come se una forza mi tirasse verso quell’uovo e un’altra mi rigettasse, le mani salde sull’uovo erano calde e ricevevano un energia né buona né cattiva, era solo energia. Ne ero imbevuta e anche la strega difronte a me lo era, lo percepivo perché vedevo nel vago luccichio dei suoi occhi la sua bramosia diventare sempre più compiaciuta e grande. Sentivo che quello era solo un assaggio del vero potere del drago d’oro, ricordo che me ne sorpresi perché solo quella energia mi pareva troppa. La donna però, a dispetto di me, non ne era sorpresa anzi pareva felice di assorbire tutta quella energia e che ne bramasse ancora e ancora. Io invece la stavo piano piano rigettando e sapevo che ciò era dovuto alla mia indole debole. Presto mi sarei del tutto ritratta da quel guscio e dalla sua energia e allora sarebbe stata la fine: il drago d’oro si sarebbe legato a lei e chissà cosa avrebbe fatto a quel drago una donna che spingeva un attacco contro a dei semplici studenti. Allora sentii un ruggito e la luce diminuì all’istante. Tutto fu buio.
 
La strega si ritrovò buttata a terra da un’orsa che gli ruggì in faccia. Dopo un attimo di smarrimento quella guardò verso Elaine: la luce non era più accecante ma calda, opaca e avvolgente e le tenebre si muovevano sinuose dentro a quella luce così fioca. Qualcosa era cambiato: era come se l’energia ora fosse più dolce, più calda ma anche più debole e incerta. Ma Hanna non badava a quello ruggì violentemente verso la strega, sollevò la zampa, lanciando un attacco che non andò a fondo. La strega la respinse con un incantesimo e fece cadere Hanna contro la parete. Questa gemendo per il colpo violento si ritrasformò in umana tremante per il dolore e completamente nuda ma non si arrese chiuse la mano a pugno e si alzò spingendo a forza sul terreno.
La strega, sogghignante per lo stato della ragazza, si preparò a lanciare un ulteriore incantesimo quando delle pietre metalliche le colpirono il capo. Erano stati Arthur e Nathaniel. Arthur con un incantesimo di trasmutazione, avevano mutato il fango in ferro, e Nathaniel, con l’incantesimo leviosa le aveva direzionate alla strega. Nathaniel lanciò uno sguardo che tagliava come il gelido acciaio verso la strega e alzò la bacchetta con intenzioni più che evidenti in volto, l’avversaria seccata lanciò uno schiantesimo ma i due giovani si allontanarono subito dal quel punto evitando l’incantesimo. La strega stava per attaccare nuovamente quando Hanna colpì la strega con tutto il suo peso facendola rotolare a terra assieme a lei per qualche metro. La strega, una volta fermata, con ira si rialzò e respinse prontamente un ulteriore attacco di Hanna con un potente incantesimo che fece cadere Hanna a terra un'altra volta.
Nathaniel si levò in aria, la strega sgranò gli occhi stupefatta ma subito si preparò a lanciare un altro incantesimo allora un urlò si elevò. “Pietrificus totalius!!!” A lanciare l’incanto era stato Arthur il quale, approfittando della momentanea distrazione della strega, aveva sperato di coglierla di sorpresa. Ma la strega non si mostrò impreparata ed evocò un semplice incantesimo di protezione, e sogghignando lanciò un ulteriore incantesimo questa volta verso Hanna che si era appena rialzata ed era pronta a ricaricare. Allora la ragazza, priva di bacchetta, venne nuovamente colpita in pieno da un incantesimo.
Hanna quando venne investita da quella luce rossa magica. La prima cosa che percepì fu un dolore lancinante allo stomaco che la fece piegare in due, poi quella energia la sollevò in aria, gli occhi ambrati si inumidirono, con un tonfo venne scaraventata nuovamente contro la parete rocciosa, sbatté la schiena e la testa sulla pietra, ricadde a terra incapace di reagire, la vista le si annebbiò, un rivolo di sangue scese dalla sua testa e chiuse gli occhi priva di forza come morta. Fu questo ciò che Nathaniel e Arthur credettero. I due ragazzi si guardarono stupefatti: non poteva essere vero. La strega nel frattempo rideva divertita.
Allora Nathaniel, colto da una furia cieca, strinse forte la sua bacchetta e con tutta l’ira del suo corpo urlò. “Stupeficium!!!” Non aveva mai usato quel incantesimo, né glie lo aveva mai insegnato, lo aveva solo sentito una volta dai suoi compagni più grandi, ma in quel momento la sua mente era concentrata su un modo per uccidere quella strega; esattamente Nath sentiva il desiderio di uccidere la strega. L’incantesimo colpì la schiena della strega al centro, ma sebbene Nathaniel l’avesse lanciato con tutta la sua forza, l’incanto fece fare appena un passo avanti alla donna. La quale si voltò infastidita.
 
Nel frattempo Arthur era corso da Hanna, aveva le lacrime agli occhi e le sue mani tremavano. “Hanna…” Sussurrò il giovane mentre l’amico lanciava l’incanto, ma Arthur non lo sentiva, non sentiva nulla di quel che gli accadeva attorno: per lui esisteva solo la esile figura inerme di Hanna. Con mano tremante accarezzò i capelli dell’amica e si impregnò del suo sangue. Controllò il cranio del amica: aveva una piccola ferita sulla nuca. –Perdonami Hanna… sono un debole. Non sono in grado di proteggerti.- Si maledisse per la sua debolezza mentre le lacrime scendevano sul suo volto. Hanna aveva salvato Elaine, Nathaniel e lui stesso, Nathaniel aveva salvato Hanna e lui non aveva fatto nulla, non aveva neanche considerato di spalmare l’unguento a Itrandil che giaceva a terra dolorante e sanguinante contorcendosi per il dolore. Poi percepì come un sussulto provenire dall’amica e capì: Hanna era viva, per miracolo, ma viva. Allora Arthur poggiò Hanna a terra con rispetto e si alzò determinato. In quel momento sentì la risata della donna la quale una volta placata parlò.
 
Nathaniel dopo aver visto il fallimento del incantesimo aveva iniziato a lanciare falci di vento contro la strega, ma questa riuscì a schivarlecon facilità, lo bloccò legandolo con delle corde magiche e si voltò camminando tranquillamente verso Arthur. Nath venne invaso dal panico e con frenesia frugò nella tasca sinistra dei pantaloni dai quali estrasse il suo coltello e con frenesia tagliò le corde. “Per essere degli infanti non siete niente male, ma ci vuole di più per battermi.” La strega aveva appena finito di parlare quando Nath si liberò dalla corda e attaccò la donna alle spalle con il suo coltello, ma la strega se ne accorse e colpì Nath con un getto di energia rosso facendolo cadere a terra svenuto. “E ora è il tuo turno.” Disse la donna guardando Arthur minacciosamente. “E dopo spetterà alla tua amica.” Disse la donna guardando in direzione di Elaine. Una luce abbagliante accecò Arthur.
 
Non so dire come accadde, so solo che l’ultima cosa che mi è parsa di sentire è stato un ruggito. Ma dopo non sentii e non vidi nulla. Era tutto così buio lì dentro e freddo e inrumore, era questo ad angosciami più di tutto, il silenzio sovrumano, e temevo terribilmente infrangerlo. Qualcosa però nei meandri della mia mente mi diceva di muovermi. Con sforzo ubbidii a quell’istinto, allora, col risuonare del mio isolato passo, il buio, il freddo e il silenzio si infransero come mille vetri. D’innanzi a me v’era una luce, all’inizio accecante poi divenne sempre più opaca fino a divenire appena un aura. Un drago d’orato dieci volte più grande di Itrandil e mille più maestoso dai grandi occhi d’un caldo marrone, le ampie ali da pipistrello riposte a riposo lungo il corpo, gli artigli di pietra dal aria affilata e i denti avorio affilati come rasoi era d’innanzi a me. “Chi sei?” domandò il suono della sua voce era profonda ed esprimeva una sicurezza che metteva in soggezione anche con quelle due semplici parole. Tremante risposi. “Mi… Mi chiamo…” Mi bloccai sentivo che non era quella la risposta che cercava. Mi aveva fatto una altra domanda, di cui non conoscevo realmente la risposta. Tremavo all’idea di sbagliare a rispondere al quesito, poiché sentivo che quell’essere sapeva tutto di me e che mi stava scavando l’anima. Per qualche istante non riuscii più a ragionare: cercavo di dare un senso a quello che ero. Ma come si risponde ad una domanda simile in poche parole? Così mi persi nel oblio dei miei pensieri, rimanendo immobile scavando nei ricordi  e fu in quelle ombre che una voce mi risvegliò che altro non era che un vago ricordo. –Elaine…- Era una voce che da molto tempo non ricordavo, sepolta nel luogo più occulto del mio cuore. Scacciai quella voce e i ricordi legati ad essa, così tornai alla realtà: Itrandil, Hanna, Nathaniel e Arthur erano lì fuori ad aspettare il mio ritorno, stavano guadagnando tempo per me, stavano combattendo contro una strega per me e io stavo perdendo tempo. Allora alzai il capo, stinsi le spalle, riacquisendo sicurezza, e guardai l’essere d’orato negli occhi. “Io sono io….” nel dirlo mi sentivo stupida ma cercai di essere solenne. “E non so cosa significhi essere me, almeno non del tutto, poiché ci saranno sempre delle parti di me che nasconderò anche a me stessa, e neppure gli altri possono saperlo, poiché nasconderò loro sempre qualcosa di me anche senza volerlo. Pertanto l’unica persona in grado di rispondere a questa domanda forse un giorno potrei essere io, ma per ora posso solo dirti che sono io e che sono diversa da chiunque altro e al con tempo uguale a tutti gli altri.” dissi questo che probabilmente fu il discorso più contorto della mia vita. Finito il discorso mi sentii in imbarazzo, qualcuno rise una risata dolce e di cuore, non c’era né ironia né beffa solo una allegra felicità. “Tu sei tu… Elaine…” pronunciò il mio nome con una tale dolcezza che mi commosse “e sono felice che sarai la mia nuova signora e amica.” Guardai il drago di sottecchi, mi guardava con un dolce sorriso. Però un istante dopo si fece incredibilmente serio. “Come è tradizione ti devo chiedere di fare due scelte. La prima è: quale dono vuoi che io abbia in questa vita?” Mi chiese serio “In che senso?” gli domandai confusa “Ogni drago d’oro oltre a volare, sputare fuoco, la forza e i sensi ampliati ha un altro dono che lo caratterizza fin dalla nascita. Quale vuoi che sia?” Riformulò paziente la domanda. Non mi serviva pensare lo sapevo già ciò che volevo. “Vorrei che tu sappia curare le ferite e malattie di qualunque natura: sia magica che scientifica.” Il drago chinò il capo in segno d’assenso la luce allora aumentò un istante come un bagliore e iniziai a sentire il battito d’un cuore, il suo cuore era antico primordiale ma anche estremamente nuovo eppure famigliare. “La seconda:” Riprese il drago “quale dono vuoi avere tu di speciale? Sai già leggere nella mente dei draghi a cui sei legata e creare degli scudi contro il fuoco e essendo giovane forse un giorno mostrerai qualche altra abilità. Ma ce n’è una che desideri in particolare?” Mi chiese. -Itrandil- Pensai subito a lei. Guardai il drago: se c’era anche solo una possibilità volevo giocarmela. Abbassai il capo e risposi. “Vorrei…. P-potermi legare a più di un drago senza spezzare il legame con loro. Ma non come una padrona con degli schiavi: voglio poter tenere quei legami profondi i quali senti che legano anima e corpo.” Era appena un sussurro e tenevo la testa sempre più bassa, piena di vergogna, conscia che stavo chiedendo troppo. “Come tra te e la giovane draghessa lì fuori?” chiese l’essere facendomi abbassare la testa ulteriormente. “Lo so che è egoistico,” borbottai “e probabilmente contro le regole ma… non posso perdere lei….” nel dirlo una lacrima uscì dai miei occhi. L’artiglio del drago con delicatezza la cacciò via e mi fece alzare lo sguardo. “Se lo avesse chiesto una persona più grande, una bramosa di potere o una con delle ombre non combattute sarei stato sdegnato da una simile richiesta…” abbassai lo sguardo piena di vergogna. “Ma forse sarai degna….” sussurrò dolcemente accarezzandomi con l’artiglio. Lo fissai incredula: aveva accettato la mia richiesta. Una nuova luce potentissima apparve dal nulla, proveniva dal mio cuore. La guardai sorpresa e iniziai a toccarmi quel punto. Poi un dolce calore avvolse il mio animo, una carezza attraversò il mio cuore, percepii qualcosa dentro di me, di nuovo un legame, un legame saldo come la roccia e delicato come un fiore. Mi accarezzai dolcemente il petto lasciandomi avvolgere da quella flebile sensazione. “Ci vediamo dall’altra parte.” Mi salutò il drago richiamandomi alla realtà. Cercai di riconoscerlo in quella luce poiché era successo qualcosa di assurdo: la sua voce era così dolce e acuta, come quella di un bambino. Aguzzai gli occhi cercando di vederlo, ma la luce che era accresciuta in quei momenti mi accecò.
Riaprii gli occhi e nell’ombra vedevo tutto chiaramente: il volto della strega furente, quello di Arthur stupefatto, i corpi di Hanna, Nathaniel e Itrandil pacifici svenuti in un sonno da cui presto si sarebbero svegliati e i draghi sopra di me che fino ad ora non avevano potuto agire dato che se avessero lanciato delle fiamme in quel momento avrebbero potuto danneggiare l’uovo ora mi fissavano increduli. In mezzo a quel buio vidi una luce tra le mie braccia: un piccolo fagottino, con qualcosa da rettile, tutto d’orato, due piccole ali da pipistrello richiuse, la testa appoggiata sulla mia mano, gli occhi chiusi, stava riposando tra le mie braccia. -Grazie per aver curato Itrandil, Hanna, Nathaniel e…- Mi sentii venir meno le energie e caddi a terra addormentata.
 
Svenne, Elaine svenne priva di energia. “Dannazione!” Imprecò la strega. In quel momento i draghi presero il volo e se ne andarono provocando con il loro potente sbatter d’ali l’innalzarsi d’un polverone terribile, i ruggiti e ringhi si espansero nella torre e nella confusione i due maghi si fermarono. “Cosa succede?” Chiese Arthur confuso, più a se stesso che alla donna. “Succede che…” iniziò la donna con un tono a metà divertito a metà arrabbiato “…il drago d’oro è nato e loro non hanno più ragione per rimanere qui.” Spiegò la donna sfogando tutta la sua furia. Tutti i draghi sparirono in pochi secondi. La donna si passò un attimo le mani sopra al cappuccio urlando la sua frustrazione ma poi tornò a fissare Arthur con occhi bramosi di sangue congelando il ragazzo dalla paura.
“Bene” iniziò la strega “siamo rimasti solo io e te marmocchio.” Disse guardandolo con i suoi occhi scuri che scintillavano di odio. A quelle parole Arthur provò secchezza alla gola e deglutì a vuoto, strinse la bacchetta pensando ad una modo per uscire vivo da lì. “Ti ucciderò facilmente.” Lo avvertì la donna. Arthur portò davanti a sé la bacchetta ma la donna lo disarmò subito con un movimento appena accennato. Arthur tremante cercò la bacchetta e scoprì che era finita ai piedi della donna. “Ah…” esclamò la strega annoiata. “così non c’è gusto ad ucciderti.” Disse la donna lanciando la bacchetta ancora più lontana. “Non vali neanche la metà dei tuoi amici…” Disse divertita “Non che loro fossero molto meglio.” Aggiunse guardando Hanna accasciata a terra. “Giocherò un po’ prima di ucciderti.” Disse la donna alzando la bacchetta. “Stupeficium.” Arthur venne scaraventato a terra. Tossì forte per via del respiro mozzato e cercò di rialzarsi, ma un altro incantesimo lo spinse ancora più lontano. Non erano potenti come incantesimi ma causavano comunque dolore. La strega rise divertita dal suo dolore. Allora Arthur risvegliò una parte di sé che dubitava di avere. Provò un forte odio e rabbia e voltandosi completamente verso la strega strinse i pugni e si rialzò. “Bene, quanto meno vuoi morire con orgoglio.” La donna sollevò la bacchetta.
 
Note dell’autrice:
Ebbene il drago d’oro è nato! Bottiglia di champagne!
Sono curiosa. Vi è piaciuto il capitolo? La battaglia? E cosa ne pensate della strega cattiva? Non ve lo aspettavate che fosse femmina, eh?
Per ora non dico altro ci sentiamo al prossimo capitolo,
Bibliotecaria.

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Capitolo 15
*** Cap. 14 Risveglio ***


Cap. 14 Risveglio

Arthur non capì mai bene cosa gli fosse successo in quel momento. Sapeva che provava il terrore più cieco e indescrivibile e rabbia verso quella donna che aveva osato ferire i suoi amici. Tutto intorno a lui si era fatto cupo e quello che lo circondava non erano altro che ombre offuscate dalla nebbia. Solo quella strega senza nome era ben chiara nella sua mente: il sorriso beffardo, il luccichio assassino dei suoi occhi appena intravisto sotto l’ombra del ampio cappuccio e la bacchetta che si alzava mirando verso di lui. Si sentiva perso. Non aveva nulla per difendersi: senza la sua bacchetta poteva solo accettare la sua imminente morte. Però un luccichio metallico colse la sua attenzione: il coltello di Nathaniel. Arthur ne fu attratto. –Se lo raggiungessi potrei difendermi.- Pensò e allora la lama gli parve risplendere di un aura argentea. La strega mosse la bacchetta per preparare l’incantesimo. Fu allora che Arthur, in preda al terrore, desiderò vivere.

Improvvisamente sentì un tremendo dolore al petto. Chiuse la mano a pugno al livello del cuore cercando di sopportare quel immenso dolore. “Siamo debolucci.” Lo beffò la strega. Ma Arthur non la sentì, percepiva soltanto il dolore al petto che si faceva sempre più forte. Era come se qualcosa dentro di lui stesse esplodendo, una energia che a ondate pulsava per essere liberata. Arthur si sentiva trafitto da mille lame e quella sensazione continuò ad aumentare facendolo contorcere dal dolore, il cuore gli stava esplodendo. Sentiva che stava per morire, sentiva che quel energia lo avrebbe ucciso. Sentì quella energia premere sempre di più. Percepiva la vita di quel energia che batteva al ritmo del suo cuore, e piano e piano stava infrangendo una barriera che la separava dal resto dell’anima di Arthur. Dopo lunghi attimi in cui la barriera stava cedendo Arthur venne colpito in pieno da un incantesimo della strega che lo gettò a terra. E come Arthur sentì la durezza del terreno la barriera crollò in mille frantumi e i suoi occhi vennero avvolti dalla nebbia. Vedeva tutto confuso come pervaso da nebbie, eccetto il coltello che in qualche modo gli appariva limpido nella sua mente.

La strega preparò un altro incantesimo con gli occhi luccicanti d’odio.

Il coltello si sollevò da terra con un lento movimento elegante e si mosse silenzioso compiendo cerchi in aria fino a raggiungere la schiena della strega e si posizionò per sferrare un colpo.

“Ultime parole?” Domandò la donna puntando la bacchetta alla testa del ragazzo. Arthur alzò gli occhi stancamente. La strega sussultò spaventata alla vista da quegli occhi vuoti: né la paura, né la rabbia v’era in essi, solo una inflessibile concentrazione. Arthur si alzò placido, lasciando la strega impietrita da quella calma, e bisbigliò una sola parola. “Ferisci.” La donna lo guardò senza capire e preparò l’incantesimo che avrebbe dato il colpo di grazia al ragazzo.

Fu allora che il coltello di Nathaniel colpì la strega alla schiena come una saetta. La donna cacciò un urlo agghiacciante di dolore che si espanse per tutto il nido riecheggiando nelle pareti di quest’ultimo. Il coltello perforò ulteriormente la carne della strega la quale si voltò di scatto pronta ad affrontare un nemico, ma dietro di lei non c’era nessuno, solo una lama che si muoveva a mezzaria sollevata da una forza misteriosa. La donna venne invasa dal terrore mentre il coltello la colpì ancora questa volta alla spalla. Urlò agonizzante. Confusa cercò di capire come fosse possibile che quel ragazzino riuscisse a usare la magia senza bacchetta, poiché nessuno può fare un ampio uso della magia senza essa. Ma finche la sua mente confusa si poneva la domanda il metallo le trapassò le membra e un freddo dolore si espanse nel corpo di quella donna. A seguire il coltello la colpì ancora e ancora, più e più volte con violenza: sulla schiena, ai fianchi, tra le costole, sulle guance, ma mai in punti vitali. L’acciaio non gli concedeva tregua e la donna divenne preda del dolore e della lama. La sua mente era così confusa che a stento riusciva a reggere la bacchetta e d’era incapace di pronunciare alcun incantesimo poiché la sua mente non riusciva a raggiungere un minimo di lucidità che il coltello le perforava la pelle un’altra volta. La strega si protrasse a terra e cercando di difendersi con le braccia dal assalto di quel coltello.

Arthur rimase fermo, impassibile, in piedi. I suoi occhi erano vuoti, avvolti dalla nebbia come se si fosse distaccato dal suo essere umano e fosse diventato qualcos’altro, qualcosa che andava oltre la comprensione umana. E nel frattempo gli urli della donna squarciavano la notte e dilaniavano gli animi svegli eccetto uno che rimaneva d’innanzi a lei impassibile e continuava a muovere il coltello che dilaniava la preda. Questa disperata si inginocchiò e, incapace di reagire, guardò un ultima volta Arthur con odio mandandogli una silenziosa minaccia con il sangue che scivolava sulla sua fronte e zampillava e colava copioso sul suo corpo. In quel momento Arthur si risvegliò da quello stato di oblio. E la donna, approfittando di quel attimo di tregua, fuggì avvolta in una luce magica: si era teletrasportata. Non l’avrebbero rivista per molto tempo.

Il coltello cadde a terra in un tintinnio metallico come Arthur si inginocchiò a terra passandosi una mano sulla fronte confuso. Per un istante non ricordò ciò che aveva fatto. Poi però gli occhi gli si riempierono d’orrore per il crimine commesso come risvegliato da un sogno, anzi da un incubo. Non volle credere a ciò che aveva fatto. Era davvero stato lui a muovere quella lama? Guardò fisso d’innanzi a sé incapace di comprendere cosa gli fosse accaduto. Desiderò che fosse un brutto sogno, desiderò risvegliarsi, desiderò che tutto in torno a lui svanisse. Ma la stanchezza e il trauma per ciò che aveva fatto lo sopraffecero e si addormentò di colpo, privo di forze. Quella notte Arthur aveva infranto un barriera invisibile, una barriera che si era dimenticato di avere o di cui non aveva mai avuto pienamente coscienza.

 

Aprii gli occhi, avevo le vertigini e mi sentivo confusa, ricordo il freddo e l’umidità; dov’erano le calde coperte, l’odore del legno e il respiro delle mie compagne? Mi chiesi ancora preda del sonno. Poi percepii qualcosa tra le mie mani era squamoso ma morbido, caldo e così piccolo. Abbassai lo sguardo, sorrisi con dolcezza. Il piccolo rettile d’orato era ancora raggomitolato tra le mie mani e dormiva come un bambino, cosa che in fondo era. Sentivo il suo respiro regolare tra le mie mani e il suo piccolo cuore battere veloce. Presi un profondo respiro e alzai gli occhi al unico spazio di cielo visibile. –È fatta.- Avevo compiuto il mio compito. Riabbassai lo sguardo e non potei far a meno di pensare che tutto quello che avevamo passato quest’anno era a causa di questo piccolo esserino che pare possedere un potere oltre ogni immaginazione. Eppure a me pareva così fragile e impotente, come un cucciolo appena nato, lo accarezzai dolcemente. Mi sarei presa cura di lui, di Itrandil e dei miei amici finche mi sarebbe stata concessa la forza.

Voltai lo sguardo in direzione dei miei amici, stavano tutti dormendo profondamente, Hanna in particolare russava come un orso in letargo. –Deve essere stata molto provata dalla battaglia.- Pensai alzandomi tenendo la creaturina in un braccio con estrema cura. Le gambe tremarono ed ebbi un attimo in cui pensai di cadere ma recuperai l’equilibrio, sorressi il mio peso e continuai a camminare. Raggiunsi Itrandil che dormiva profondamente, le accarezzai dolcemente la testa e percepii nuovamente quella sensazione di pizzicorino che avevo imparato a conoscere. “Itrandil…” La chiamai per nome e un dolce calore mi avvolse il cuore: il legame era nuovamente stabilito. Potevo di nuovo percepire quel nodo che mi univa a lei. La draghessa aprì un suo occhio d’orato e mi fissò placida, in pace con il mondo. “Ce l’abbiamo fatta Itrandil.” Sussurrai. “Il drago d’oro è nato e tu sei nuovamente legata a me.” Così dicendo l’abbracciai la draghessa che ricambiò con una pigra spinta del capo. Dopo lunghi istanti la voce della draghessa risuonò nelle mia mente.

–Sveglio i tuoi amici?- Chiese alzandosi lentamente con una vaga malizia nella voce. –Sì grazie.- La invitai sorridendo di già per quello che stava per accadere. Allora un ruggito potentissimo si diffuse per il nido e i suoi d’intorni così potente da farmi coprire le orecchie. Il cucciolo tra le mie mani sobbalzò e nascose la sua testa nel mio petto spaventato. Arthur e Nathaniel si alzarono di scatto dallo spaventi. Il primo urlando come se stesse avendo un infarto, il secondo prendendo, letteralmente, il volo librandosi in aria per qualche metro per poi cadere a terra sulle natiche in una esclamazione di dolore. Hanna invece alzò placidamente la testa sbadigliando vistosamente. “Che succede?” Chiese con la bocca impastata dal sonno strofinandosi un occhio. “Dobbiamo tornare a scuo….” Interruppi la frase e mi voltai in imbarazzo per ciò che avevo visto. “Che c’è?” Domandò Hanna seccata dal modo in cui la evitavo. “Hanna… sei beh… nuda.” Dissi diventando sempre più rossa. La ragazza si guardò un attimo con sorpresa e appena si rese conto del suo stato si coprì imbarazzatissima con le mani, mentre i ragazzi si voltavano di schiena rossi come peperoni. Io afferrai il suo mantello della divisa, l’unico suo indumento a essere ancora utilizzabile, e come glielo porsi si coprì il corpo infantile con frenesia. Le sue gote divennero rosse quanto i suoi capelli però, dopo essersi ricomposta un attimo, si alzò cercando di far finta di nulla. “Allora Elaine cos’è successo?” chiese Nath cercando di dimenticarsi di aver visto Hanna nuda, di nuovo. “Giudicate voi.” Così dicendo mostrai il draghetto, che nel frattempo aveva tolto la sua testolina dal mio petto, sollevandolo a modi trofeo finche quest’ultimo sbadigliava. Nathaniel guardò il cucciolo perplesso dal basso facendo una faccia sorpresa e delusa. “Tutto qui?” Chiese fissando il cucciolo come se fosse uno di quei regali da quattro soldi che danno ai supermercati con i punti. “Ehi!” Esclamai irritata. “Che ti aspettavi? Un drago di venti metri, forte e possente. È nato ieri! Dagli un po’ di tempo!” Lo difesi io infastidita. “E poi dovete ringraziare lui se non avete più ferite.” Aggiunsi impettita. “Ma scusa Elaine come avete battuto la strega alla fine?” Mi chiese Nath avvicinandosi. “Ehm… a dire il vero non lo so. Dopo che è nato sono svenuta.” Rivelai in imbarazzo. “Quindi…” iniziò Nath incredulo. “L’ha battuta…” continuò Hanna con lo stesso tono del amico. I due si guardarono perplessi e sorpresi. “Arthur!?!?” Urlarono all’unisono fissando il Corvonero. Arthur si passò una mano imbarazzata trai folti capelli castani esibendo un mezzo sorriso forzato. “Ma come hai fatto?” Lo interrogò l’amica avvicinandosi a lui in tutta fretta “Eh… beh… ecco… io…” balbettò il ragazzo.

 

 

Arthur si sentiva circondato dai suoi tre amici che lo fissavano sorpresi e il giovane si preparò al terzo grado che stava per subire. “L’ho pugnalata con il tuo coltello Nath.” Spiegò in imbarazzo fissando un punto indeterminato nel pavimento sterrato. “Eheh?????” Esclamò il Serpeverde confuso e sorpreso avvicinandosi ancora di più ad Arthur. “Mi aveva disarmato così l’ho pugnalata alla schiena e si è smaterializzata.” Spiegò Arthur ancora confuso da quel che era successo.

Il Corvonero era in netto imbarazzo: Hanna e Nath lo fissavano da dieci centimetri di distanza come se fosse un alieno e Itrandil gli perforava l’anima coi suoi occhi d’orati. “Dunque è ancora a piede libero.” Pensò Elaine ad alta voce mentre fissava la luce proveniente del esterno estremamente seria, Arthur percepì la sua preoccupazione anche da quella distanza. Ma subito cambiò d’umore esibendo una espressine serira e in qualche modo ironica. “Comunque ora ci aspetta una prova molto importante.” Dichiarò la Tassorosso grave. “E quale sarebbe?” Chiese Nath esasperato dato che di duelli ne aveva a sufficienza per la vita in quel momento. “Tornare a scuola prima che qualcuno si accorga della nostra assenza e fare l’esame di Trasfigurazione.” Disse la ragazza. A quelle parole i quattro amici scattando come molle: raccolsero velocemente le cose che si erano sparse durante la battaglia e iniziarono a correre a tutta velocità su per le scale rischiando di rompersi il collo almeno una dozzina di volte. Quando uscirono dal nido si resero conto che il sole si stava elevato tingendo il mondo di viola, arancio e rosso. “O cavoli!” Esclamò Arthur. “Tranquillo sono appena le cinque e mezza ce la facciamo, se corriamo.” Disse Hanna.

I quattro ragazzi corsero come dannati seguiti in volo da Itrandil, la quale li lasciò arrivati alla radura assieme al drago d’oro che venne depositato su di un albero con qualche lamentela da parte del cucciolo che non sembrava ben disposto a lasciare le sicurezza del petto di Elaine. Ma dopo un mezzo rimprovero della signora dei draghi il cucciolo rimase dov’era stato lasciato in silenzio come un bambino in castigo. A quel punto corsero per il cortile della scuola pregando che nessuno li notasse, visto che il sole era praticamente sorto del tutto. Raggiunta la finestra delle cucine i tre scivolarono dentro ad una cucina frenetica che si stava preparando alla imminente colazione. Gli elfi domestici li fissarono increduli allora Hanna intervenne prima che iniziassero le domande. “Se state zitti porto calzini per tutti!” Disse la ragazza pregando di averne a sufficienza visto che la sua scorta e quella dei suoi compagni era stata dimezzata. Da lì ogni uno di loro proseguì per la propria strada fino alla sua casa comune.

 

Arthur dovette fare una corsa terribile su per le scale fino alla sua casa comune. Una volta entrato si rese conto che tutti si stavano per svegliare così se ne andò in bagno per farsi breve doccia così da far sparire le prove della sua fuga notturna.

Nella tranquillità del acqua calda e dei vapori Arthur cercò di riordinare i suoi ricordi. Si ricordava perfettamente della paura provata, della rabbia, del dolore terribile al petto ma ciò che era avvenuto dopo gli era confuso: una serie di immagini orribili gli invadevano la mente. Si strofinò con forza cercando di cacciare via quella orribile sensazione. Arthur sapeva per certo che ciò che era avvenuto non era naturale. Non aveva mai perso il controllo della magia da piccolo se non due o tre volte forse. In oltre quel incantesimo per qualche motivo gli era sembrato diverso dal solito: era come se avesse una natura differente. Lasciò che l’acqua gli scorresse trai capelli, sulla pelle e aprì gli occhi. Vide lo sciampo ai suoi piedi. –Vogli sapere, se è stata davvero una perdita di controllo o no.- Provò a alzarlo ma nonostante la sua grande concentrazione non mosse la confezione d’un millimetro.

Il ragazzo sospirò consolato dal idea che fosse stata solo una comune perdita di controllo. Poi sentì una energia diversa dentro il suo petto, come un fuoco azzurro, e quando riaprì gli occhi si trovò davanti la bottiglia di sciampo sospesa in aria. Sgranò gli occhi incredulo. –Allora… non è stata una perdita di controllò.- Pensò confuso e disperato, in quel istante l’energia azzurra si bloccò. La bottiglia cadde a terra e per poco non urlò dallo spavento.

Appoggiò la mano alla parete afflosciandosi privo di forze. Si sentiva tremante. E solo dopo lunghi attimi composti di respiri affannosi si placò. Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Lasciò al difuori di sé tutto e dopo svariati secondi di silenzio percepì qualcosa, come due energie in sé, anzi le vedeva distintamente. Una era argentea e si muoveva fluida come un liquido dentro di sé e una era azzurra e si muoveva come una fredda fiamma.

Arthur aprì gli occhi. –Forse è solo la mia immaginazione.- Pensò il ragazzo cercando di convincersi che era tutto frutto della sua mente. Eppure qualcosa gli diceva che ciò che stava avvenendo era reale. Si concentrò nuovamente focalizzandosi su quel energia azzurra e la bottiglia di sciampo galleggiò nuovamente a mezz’aria.

 

Nathaniel era entrato nella sala comune come un ladro e sgusciò verso il dormitorio quatto quatto. Tuttavia sentì dietro di sé una cupa presenza, si voltò e si trovò davanti un uomo sulla cinquantina, dai folti capelli scuri disordinati, gli occhi chiari severi e stanchi, vestito di un pastrano nero, lo sguardo contratto dalla stanchezza ma soprattutto dalla furia che lo squadrava dal alto al basso.  “Professor Johnson!” Squittì Nath sentendosi venir meno le gambe. “Nel mio ufficio Galleric ora.” Sentenziò il professore facendo tremare Nathaniel dalla paura. Ne aveva visti di maestri furiosi in vita sua però lo sguardo del professor Johnson lo atterriva almeno quanto lo atterriva lo sguardo di sua madre le poche volte che si arrabbiava, e non era un bello spettacolo. Dai dormitori otto paia di occhi sbirciavano il destino del loro compagno già visualizzandolo morto e sepolto in una bara.

Nathaniel seguì il professore fino al suo ufficio. “Galleric dimmi dove sei stato tutta la notte, ora.” Lo interrogò Johnson perforandogli l’anima coi suoi occhi verdi. “Da Arthur signore.” Inventò Nath sperando che se la bevesse, ma lo sguardo di Johnson era a dir poco scettico. “Da Arthur, davvero?” Disse l’uomo che aveva percepito la bugia a un miglio di distanza. “S-sì.” Rispose tremante Nath. “E come mai hai l’aria di uno che ha passato tutta la notte nella foresta?” Insistette il professore che aveva notato lo strato di polvere e fango che ricopriva Nathaniel. “Dopo la partita mi sono sfogato un po’.” Rivelò Nath per dire almeno un qualcosa di vero. “E ti sei rotolato a terra?” Insistette l’uomo. “Sì. E ho preso a pugni qualche pianta.” Aggiunse Nath. Johnson sospirò. “Quindi sei entrato nella casa comune Corvonero dopo che la squadra Serpeverde ha battuto i Corvonero?” –Merda! Avevo dimenticato la partita…. Ma come cavolo ho fatto!?!?!- Pensò Nathaniel maledicendosi per essere così stupido. “Siamo entrati quando tutti erano già nei dormitori, avendo perso sono andati a dormire presto.” Inventai sperando che avessero fatto davvero così. “Mi vorresti far credere che nessuno tranne Arthur ti ha visto entrare?” Continuò il professore sempre più irritato. “Sì.” Insistette Nath che inconsciamente si stava scavando la fossa da solo. “E qual è la parola d’ordine dei Corvonero?” Insistette Johnson. “Arthur non me l’ha fatta sentire signore.” Continuò Nath. A quel punto Johnson gli si avvicinò d’un passo facendo sentire tutta la sua altezza, che era nella media, ma in quel momento a Nath il professore sembrò un gigante. “E si può sapere dove hai dormito se nessuno ti ha visto?” Disse il professore abbassando leggermente la testa. “Ehm… Nel divano nero accanto alla statua di Cosetta Corvonero.” Disse Nath riesumando una conversazione avuta tempo addietro con Arthur in cui descriveva la casa comune. Il professore lo squadrò con maggior rabbia e scetticismo. “Perché non ti sei lavato lì?” Domandò ancora in un modo che esprimeva inquietudine. “Non ne avevo voglia.” Tagliò corto Nath tremando. Allora il professore disse. “Sei in punizione Galleric: trenta punti in meno ai Serpeverde e fin quando non finisce la scuola la sera andrai in tutti gli uffici dei professori per ripulirli dalle scartoffie, polvere e mettere in ordine le stanze.” Decretò il professore. “Perché scusi? È proibito dormire in un'altra casa comune?” Domandò Nath in un impeto di coraggio che venne fermato dal occhiataccia del professore. “No!” Urlò in professore “È proibito mentire ad un professore che….” Il professore si bloccò trattenendo la sua sfuriata e ciò che avrebbe voluto dire. “Sparisci Galleric. Va a lavarti, fila a trasfigurazione e vedi di fare un prova decente.” Ringhiò il professore “Inizi questa sera da me e vedi di dirmi cos’hai combinato o potrei pensare di prolungare la punizione al anno prossimo!” Lo minacciò scacciandolo. “Grazie signore.” Squittì Nathaniel che sparì a tutta velocità fino a raggiungere la sala comune Serpeverde dove si cambiò in un tempo record. E, dopo una corsa perdifiato, riuscì ad intercettare Arthur poco prima che entrasse alla sala grande e gli riferì ciò che doveva dire se il professor Johnson gli chiedeva qualcosa riguardo alla notte precedente. Arthur lo guardò confuso ed con rimprovero ma dopo un lungo sospiro lo tranquillizzò e gli disse che avrebbe fatto come gli aveva chiesto.

 

Hanna arrivata nella sala comune sgattaiolò nella sua stanza e prese gli indumenti della divisa senza farsi sentire da nessuno. Con il ricambio in una mano e il beauty case nel altra andò in bagno per cambiarsi. Tuttavia una volta in bagno si rese conto che le mancava la voglia, sconsolata si appoggiò al umido muro del bagno e iniziò a pensare a ciò che era successo quella notte.

-Non sono riuscita a proteggerli, non sono riuscita a proteggermi da sola, mi hanno dovuto salvare, certo li ho aiutati a trovare il nido e ho tentato di proteggerli ma non ho fatto altro.- Hanna si sentiva debole e incolpa. Con il suo potere e le sue abilità sentiva di poter fare di più e di voleva fare di più. Se fosse successo qualcosa a loro lei sapeva che non si sarebbe mai perdonata. Guardò distrattamente la sua bacchetta. Il giorno in cui la aveva tenuta per la prima volta tra le mani aveva sentito di poter fare qualunque cosa si sentiva potente e indistruttibile. Ma ora si rendeva conto di quanto in realtà fosse debole: non era riuscita a scalfire quella strega neanche lontanamente, e se non fosse stato per Arthur probabilmente sarebbe stata uccisa. Con questo lugubre pensiero si alzò dal umido pavimento, si studiò allo specchio e per la prima volta si accorse d’essere al minimo del suo potenziale: il suo potere, lo sapeva, gli aveva sempre donato una maggiore prestazione fisica ma non aveva mai pensato di coltivare quel dono, si era convinta che con la sola magia avrebbe potuto abbattere qualsiasi problema. Hanna chiuse gli occhi e guardò dentro di sé: in lei bruciavano due fuochi, uno argenteo e uno rosso poiché in lei v’erano due nature magiche. In quel momento capì che finche avrebbe rinnegato una parte di sé anche l’altra ne avrebbe risentito.

Allora decise. Da quel giorno avrebbe dato il meglio di sé e avrebbe coltivato tutte e due le sue nature: avrebbe iniziato ad allenarsi così che la sua forza sarebbe divenuta tale da poter compensare dove la magia veniva meno e avrebbe studiato più a fondo la magia così da poter compensare dove la sua forza bruta veniva meno. I suoi occhi miele improvvisamente bruciarono d’una energia incredibile. La sua decisione era irrevocabile: sarebbe diventata più forte così da poterli proteggere tutti. “Adesso basta fare la bambina Hanna.” Si impose seria. “Devi diventare più forte per i tuoi amici e per te stessa.” E avrebbe mantenuto quella promessa. Il suo primo passo fu un semplice esame finale di trasfigurazione ma era comunque un inizio.

Note dell’autrice:

Lo so sono in ritardo. *Qualcuno lancia dei pomodori che sopporto stoicamente.* Ma questo capitolo, specialmente la prima parte, era difficile da rendere. E so che sono stata perfida a farvi aspettare così tanto. Spero almeno che il capitolo vi sia piaciuto, è il penultimo.

Se ve lo state chiedendo… sì, ho spezzato di nuovo un capitolo.

Alla prossima settimana, Bibliotecaria.

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Capitolo 16
*** Cap. 15 Si chiude l'incipit ***


Cap. 15 Si chiude l’incipit

Passarono i giorni e alla fine la scuola arrivò alla fine. “Mi raccomando.” Disse Hanna. “Scrivetemi qualche volta.” “Sì, sì.” Disse Nath fingendo disinteresse. “Sono seria se non mi scrivete non vi rivolgo mai più la parola!” Minacciò la Grifondoro puntando il dito contro Nathaniel il quale rispose facendole l’occhiolino. “Senti Elaine…” Cambiò argomento Nath. “tu-sai-chi come li intendi portare a casa?” Gli chiese il Serpeverde. “Beh… Il piccoletto lo porterò qui dentro.” Spiegò la ragazza battendo un paio di volte sulla borsa scolastica dove intendeva nascondere il drago d’oro. “e lady posso-raggiungerti-in qualunque-momento-come-pensi-di-nascondermi-in-un-treno” Disse la ragazza citando le parole della draghessa. “intende raggiungermi una volta a casa.” “E dove la nasconderai? Non è esattamente un fuscello!” Esclamò Hanna. “Nel bosco dietro casa, non sarà la foresta proibita ma almeno si mimetizzerà con la vegetazione.” Spigò Elaine che vivendo in una piccola città non aveva altre alternative. “Io non credo che possa funzionare.” Constatò Nath. “Per caso hai qualche idea migliore?” Lo sfidò Elaine. “Ehm…. No…. ma…” Disse Nath cercando una via di fuga. “Tu cosa ne pensi genio…” Chiese il ragazzo rivolgendosi al Corvonero a cui aveva affiliato il titolo dopo che si era scoperto che aveva preso il massimo punteggio a tutte le prove finali.  Ma il ragazzo non rispose. “Arthur…” Lo chiamò Nath. “Aaaaarrrthuuuuuurrrrr…” Canticchiò a mezza voce il suo nome ma il ragazzo continuò ad ignorarlo; Nath alzò gli occhi al cielo. “Terra chiama Arthur. Rispondi Arthur.” Insistette il Serpeverde. A quel punto intervenne Hanna che si mise accanto al orecchio del Corvonero e urlò. “Arthur!” Il ragazzo fece un sussulto e tornò nel mondo dei vivi. “Ehm… sì? Hanna mi hai assordato l’orecchio!” Si lamentò il giovane. “E che altro avrei dovuto fare?” Disse la ragazza dandogli contemporaneamente dello stupido nel linguaggio dei segni. “Hanna ha ragione.” Affermò Nathaniel. “Si può sapere che hai? È da Beltate che sei sempre con la testa da un’altra parte. Non sarai ancora preoccupato per quella strega vero? Beh, rilassati: non sa i nostri nomi e non sarà così facile trovarci e poi se anche trovasse Elaine lei la caccerebbe via con una certa potenza di fuoco. N’è vero?” Disse il Serpeverde dando uno leggero spintone con il gomito ad Elaine che era rimasta interdetta dal affermazione. “Ehm… credo di sì.” Rispose l’interpellata incerta. “Come credo?” Esclamò Hanna.

“Allora ci vediamo domani ragazzi.” Disse Arthur allontanandosi. “Perché non resti annunceranno i vincitori della coppa delle case.” Disse Nathaniel sorpreso. “Lo dici solo perché sai che sarà la tua casa a vincere.” Disse Hanna scocciata. “Modesti a parte…” Affermò Nath con fare teatrale portandosi la mano destra al cuore e fingendosi commosso. “Egocentrico.” Balbettò Hanna. “Ehi Nath!” L’interessato alzò lo sguardo: Brian si stava sbracciando dal tavolo Serpeverde facendogli notare che gli aveva tenuto il posto per lui. “Sì arrivo!” Urlò il ragazzo facendo un cenno con la mano. “A dopo ragazzi!” Salutò i suoi amici e si diresse da Brian. “Ma tu guardalo: a inizio anno si detestavano ora invece… sembra che siano nati nella stessa culla.” Lo prese in giro Hanna. “È un passo bel avanti.” Disse Elaine. “Sei sicuro di non voler restare Arthur?” Domandò la Tassorosso voltandosi verso l’interessato. “Sì tranquille, non ci metterò molto: devo solo controllare una cosa.” Così dicendo si allontanò di gran lena dirigendosi verso il lago, prima che le sue amiche potessero dire altro. Ci aveva pensato e ripensato in quelle settimane, e dopo aver analizzato per più di mille volte gli eventi di quella notte e del mattino precedente e si era in fine deciso a testare la sua teoria.

 

Nella borsa poteva sentire il peso del coltello da caccia di suo padre, l’aveva rubato apposta per valutare la sua teoria. Forse si stava sbagliando ma non gli importava Arthur sapeva cosa aveva percepito quella notte ed era diverso: era assai più profondo e antico di qualunque altra cosa avesse percepito finora, quel fuoco azzurro non era mera illusione, esisteva! Ad essere sinceri Arthur non sapeva neanche se avrebbe funzionato. Comminò silenzioso fino al uscita della scuola, mancavano ancora dieci minuti al inizio del banchetto di fine anno, per cui aveva tutto il tempo per fare quel che doveva senza generare troppo sospetto. Strinse forte il pugnale del padre e raggiunse la sponda del lago. Faceva insolitamente freddo quella notte per essere maggio e le nebbie si erano alzate sul lago creando un alone mistico. Arthur liberò il pugnale dal fodero con un movimento secco, stava per lanciarlo ma blocco il braccio a mezz’aria. Qualcosa dentro di lui gli disse che non era quello il modo.

Allora si inginocchiò sulle rive del lago e guardò le placide acque scure. Trasse un profondo respiro e sentì fluire la magia nel coltello. Arthur allora accompagnò con una dolce spinta il filo del coltello sulle rive del lago. La lama iniziò a levitare, fece qualche tremolio e giro su se stessa, ma quando la punta sfiorò la superfice del lago questa rimase sospesa e si sollevò a pochi centimetri dalla superfice generando delle increspature nell’acqua. Arthur teneva gli occhi fissi sulla lama, non osava neppure sbatteva le palpebre spaventato dal perdere la concentrazione e spezzare l’incanto. Con un movimento lento e incerto allungò la mano verso il pugnale. Questo all’inizio non si mosse anzi si bloccò del tutto, Arthur percepì una forte energia venire verso di lui. Poi, con una spinta verso l’alto, il pugnale sfrecciò verso Arthur fino a quando non si trovò ad un metro dal ragazzo, l’impugnatura verso di lui, sospeso in aria. Quando l’elsa venne stretta con forza tra le mani di Arthur il ragazzo riprese a respirare e si sentì improvvisamente carico d’energie ma anche stanco, era strabiliato da ciò che era successo. –Dunque non era un sogno!- Il peso di ciò che era successo lo invase. Come lo avrebbe spiegato ai ragazzi? Improvvisamente capì perché avevano faticato a dirgli la verità: avevano paura di rovinare tutto e ora anche lui temeva di rovinare ogni cosa. Però doveva farlo, in qualche modo.

“Magico non è vero?” Arthur si voltò di scatto; dalle nebbie era comparso uno strano vecchio mago: vestiva una tunica grigio-azzurra, era alto, con folta barba bianca e radi ma lunghi capelli bianchi, su una semplice cintura di corda portava dei sacchetti di iuta e una falcetta d’argento, sulla pelle erano dipinti degli strani simboli blu al giovane incomprensibili, sulla spalla destra teneva una piccola cetra di legno legata ad una corda di cuoio e con la mano sinistra si sorreggeva su un bastone da viaggio, la sua pelle era rugosa, consumata e secca e i suoi occhi grigi brillavano alla luce della luna di saggezza. “Sai anche per me è stato il primo incantesimo.” Dichiarò il vecchio tranquillamente avvicinandosi ad Arthur con dolcezza. “Chi è lei?” Domandò il giovane mettendosi sul chi vive. “Ho tanti nomi” Iniziò misterioso. “mio giovane amico. Ma mi puoi chiamare Eoghan*.” Rispose il vecchio enigmatico. “Ti ho cercato per così tanti anni e trovarti qui e ora vuol dire che presto le cose muteranno.” Disse apparendo sempre più strano agli occhi di Arthur, il quale indietreggiò fino a quando non sentì le acque del lago bagnargli i piedi. “Cosa vuoi da me!?! Stammi lontano!” Urlò Arthur sempre più spaventato. “Non devi avere paura di me ragazzo. Io ti voglio aiutare.” Rivelò l’uomo pacato. Benché una parte di Arthur gli urlasse di scappare da lì a tutta velocità urlando che c’era un pazzo dentro la scuola, una parte di lui gli diceva di restare lì e ascoltare le parole di quel vecchio. “E cosa otterresti aiutandomi? Cosa vuoi che io faccia in cambio del tuo aiuto?” Domandò il giovane tastando il terreno ma rimanendo pronto alla fuga. “La domanda” Iniziò il vecchio “Non è ciò che io voglio da te: ma” Il pugnale sfuggì dalle mani di Arthur e iniziò a levitare sul pelo dell’acqua seguendo i quasi impercettibili movimenti della ossuta mano del vecchio. “cosa tu vuoi da me.” Concluse l’uomo continuando a far levitare il coltello sul pelo del acqua esibendo una danza complessa che andò a formare dei complessi nodi celtici. Arthur, dopo essersi ripreso dallo stupore, si voltò esterrefatto verso il mago. “Come hai fatto?” Chiese il giovane tempestivo non nascondendo la sua meraviglia. “Magia ragazzo. Magia ben più antica delle bacchette e delle pozioni. Questa è l’antica magia Celtica.” Rivelò pacato. “Celtica? Non ne ho mai sentito parlare.” Afferò Arthur scettico. “È stata perduta e rinnegata per molti secoli, ma d’ora in avanti le cose muteranno.” Rivelò l’uomo. “Io, se lo desideri,” Disse il vecchi riconsegnando il pugnale tra le mani di Arthur con un semplice gesto della mano. “posso insegnarti a controllarla... Ma se vuoi limitarti a far levitare una lama sul pelo dell’acqua fa pure non ti giudicherò. Poiché la strada per divenire druido è lunga e faticosa.” Concluse il vecchio continuando a fissare il ragazzo. Arthur guardò il pugnale perplesso. Stringendolo poteva sentire l’energia magica che l’aveva pervaso era simile al suo fuoco azzurro ma incredibilmente più forte. Si rivolse al vecchio. “Perché lo faresti?” Arthur non era uno sciocco quell’uomo poteva essere anche un ciarlatano o una persona pericolosa, ma qualcosa nel suo cuore gli diceva che in base a come avrebbe risposto avrebbe capito se fidarsi o meno. E dentro al suo cuore sperava che rispondesse senza abbassare le sue aspettative poiché, malgrado sembrasse un folle da come era conciato, nei suoi occhi vi era qualcosa che gli ispirava fiducia e saggezza. “Perché sono un maestro, e il compito, e sogno, di ogni maestro è trovare un allievo a cui insegnare.” Disse sinceramente il vecchio guardando il giovane dritto negli occhi, allora Arthur quasi senza accorgersene parlò. “Accetto.” Rispose sicuro. “Molto bene, da oggi sarai il mio apprendista druido.” Arthur fece per estrarre la bacchetta ma venne bloccato. “Non ti servirà quella.” Disse l’uomo alzando la mano come per bloccarlo. “Ma continua a seguire questa scuola quella magia fa parte di te e negarti di impararla sarebbe come andare contro natura.” Spiegò. Arthur ripose la sua bacchetta nella tasca della divisa. Il vecchio uomo alzò lo sguardo. “Ora devo andare. Ma prima di andarmene… posso sapere il tuo nome?” Domandò l’uomo avvicinandosi così tanto che Arthur poteva sentire il suo odore di abete e betulla. “Arthur Hunter.” Rispose. “Arthur, eh?” Disse accennando un sorriso divertito. “Un nome di grande prestigio e con un forte potere. Ci rivedremo presto Arthur, mio allievo.” Così dicendo l’uomo venne circondato da placide nebbie e sparì come era apparso: senza un suono, senza essere visto. -Che abbia fatto bene?- Si chiese Arthur. –Insomma da quel che ne so potrebbe anche essere un pazzo.- Pensò il ragazzo. Ma una vocina dentro di lui gli disse che si poteva fidare e, sebbene lo avesse appena conosciuto, si sentiva, in qualche modo, legato a quel uomo.

Arthur tuttavia si tormentò con questo quesito per tutta la notte e tutto il giorno seguente anche in treno. Giacché non riuscì ad affrontare l’argomento coi suoi amici.

Arrivati alla stazione di King Cross Hanna e Nathaniel si dovettero riunire alle loro famiglie. “Ciao Elaine.” Sussurrò Hanna abbracciando l’amica con forza. “Ciao Hanna.” Rispose l’amica stringendola con forza a sua volta. “Mi raccomando non farti scoprire da nessuno, non voglio che tu vada in prigione. Come sopravvivrei altri sei anni senza un’amica.” La raccomandò Hanna. “E noi scusa?” Chiese Nath. “Ah, di amici maschi ne posso avere quanti voglio, ma senza Elaine come sopravvivo? Non posso restare tutto il tempo coi maschi, di già sono un maschiaccio di mio!” Esclamò la ragazza mentre Elaine rideva sotto i baffi. “E tu vedi di non perderti nel bosco.” La raccomandò Elaine dandole delle dolci carezze sulla testa. Si scambiarono un bacetto sulla guancia e allora Hanna andò da Arthur. “Mi raccomando! Se a tuo padre gli viene in mente qualche altra brillante idea scrivimi tempestivamente! Così lo picchio così forte che non si ricorderà neppure il suo nome!” Affermò la ragazza arruffando i capelli al ragazzino il quale, subito dopo, cercò di riordinarli scocciato. “Sì, non ti preoccupare: lo farò, anche se on credo che sarà necessario.” Disse Arthur che si era accorto che da quando la preside aveva parlato con suo padre qualcosa era cambiato nel uomo. Hanna abbracciò forte l’amico e si diresse verso i suoi continuando a salutarli con la sinistra mentre con la destra continuava a dire arrivo nel linguaggio dei segni ai suoi genitori. Nathaniel, nel frattempo, aveva guardato imbarazzatamente Elaine. “Beh allora al prossimo autunno.” Tagliò corto porgendo una mano al amica, ma la ragazza ignorò la stretta di mano e lo abbracciò. “No, zuccone, ci vedremo per prendere il materiale per la scuola e magari ci potremmo organizzare qualche giorno tutti e quattro.” Disse la ragazza stringendolo forte. “S-sì.” Balbettò il ragazzo imbarazzatissimo. –Perché Elaine deve essere timidissima in certi momenti ed in altri deve esprimersi in modo così plateale?- Si domandò il ragazzino sciogliendo delicatamente l’abbraccio. “Allora a presto Elaine.” La salutò Nath. “A presto Nathaniel.” Lo salutò lei. Il ragazzo si voltò verso Arthur. Si scambiarono un sorriso, si batterono il cinque e si salutarono in quel modo. “Vedi di non studiare troppo genio.” Disse l’uno. “Vedi di studiare!” Gli raccomandò l’altro. E così Nath raggiunse sua madre e sua sorella e quest’ultima lo accolse il suo fratellone con un forte e slanciato abbraccio.

“Ah uomini!” Esclamò Elaine dopo aver visto la scena. “Arthur, tuo padre viene a prenderti più tardi se non ricordo male.” Si informò la ragazza. “Sì, a quanto pare hanno scoperto il nido, ma credo che ne rimarranno un po’ delusi.” Disse il ragazzo. “Te le immagini le loro facce? Trovarsi un nido vuoto dopo mesi di ricerca!” Esclamò Arthur ridacchiando. “Già, se sapessero che cosa abbiamo fatto rimarrebbero a bocca aperta.” Disse Elaine. Che già si immaginava le facce di quei cacciatori, grandi, grossi, cupi e in alcuni momenti inquietati, essere deturpate da una smorfia d’incredulità: la bocca semi aperta, gli occhi sgranati e fissi sulla loro squadra.  “Arthur senti ti andrebbe di fare un giretto qui nei dintorni di Londra?” Donadò la ragazza. “Sì, perché no! Tanto mio padre arriverà tra un paio d’ore.” Disse Arthur “Sì, anche i miei ci metteranno un paio d’ore.” Disse la ragazza.

Elaine trascinò Arthur furi dalla stazione e lo condusse per alcuni vicoli stretti fino a raggiungere la zona del ospedale. “Elaine che ci facciamo qui?” Chiese Arthur perplesso. “Siamo qui per la tua visita oculistica.” Annunciò Elaine a braccia aperte. “Elaine te l’ho già detto: non ho problemi di vista. E poi scusa come hai prenotato una visita?” Chiese il giovane confuso. “Ho chiesto a mia cugina di farlo, è lei che ha prenotato la visita.” Spiegò la ragazza. “Ma queste visite costano!” Esclamò il ragazzo. “La prima visita di controllo è gratis, sono le altre che costano, e siamo qui solo per un controllo.” Spiegò la ragazza. “Ma siamo minorenni! Non possiamo andarci da soli!” Protestò Arthur “Oh, cielo Arthur! La presenza di un adulto è consigliata ma non necessaria, la richiedono solo perché si presuppone che i genitori siano più responsabili dei figli! Quindi ora poche storie e andiamo, o perderemo la visita.” Decretò la ragazza. “Tu sei fuori. E non credi che sia illegale?” chiese Arthur confuso “Basta Arthur va lì dentro e fa quella visita! Ti garantisco che è legale.” Gli ordinò la ragazza. Arthur si ritrovò ben presto in una stanza con poca luce a leggere lettere e a indossare strani occhiali con un vecchio e grasso omone come oculista il quale l’unico commento che fece riguardo al assenza dei genitori fu. “Perché non sono potuti venire?” “Doveva lavorare.” Spiegò tempestivamente Elaine. “Ah, okay.” Forse fu il fatto che Elaine apparisse più grande o il fatto che il dottore sembrasse un po’ disinteressato tuttavia non fece ulteriori domande. “Signorino Hunter” annunciò il dottore a fine visita “lei ha un problema astigmatismo. Le consiglio vivamente di iniziare a portare gli occhiali o potrebbe avere gravi problemi in età adulta. Questo è il suo documento.” Disse porgendogli un pezzetto di carta con la solita calligrafia inleggibile dei dottori. “Qui vicino c’è un negozio dove può fare la prenotazione. Ma vorrei parlare con suo padre se è possibile, sa per le solite questio.” Disse il medico. “Mi dispiace, ma adesso proprio non può.” Spiegò Elaine. “Può scrivere queste cose su di un foglio per favore? Glielo consegneremo subito.” Spiegò Elaine. “Va bene… ma se arriva ditegli di salire.” Rispose in certo il medico. Facendo ciò che gli aveva chiesto Elaine.

“Te lo avevo detto che avevi qualcosa.” Lo canzonò Elaine una volta usciti. “Come facevi a sapere che non avrebbe fatto troppe storie?” Domandò Arthur, che anche se non era illegale un dottore si dovrà pur porgere qualche domanda. “È successo anche a me un paio di volte, ma se si tratta di un controllo i medici non si pongono troppe domande.” Spiegò la ragazza. “Arthur eccoti finalmente mi spieghi cos’è questa storia?” Urlò l’uomo esibendo un pezzo di carta con la calligrafia di Elaine. Arthur guardò truce la ragazza che in risposta alzò le spalle. “Ciao papà.” Lo salutò il Corvonero freddamente. “La signorina qui presente mi ha informato che eri qui. Allora cos’è questa storia della visita oculistica?” Chiese l’uomo burbero, irritato probabilmente dal buco nell’acqua di quella mattina. “È stata un idea di Elaine. Non ne sapevo nulla neppure io fino ad ora, ma grazie a questo ora so che soffro di astigmatismo.” Disse il giovane porgendo il certificato al padre. “Oh.” Fu l’unico commento secco del uomo che guardò in credulo quella ragazzina. “È meglio che vada dal oculista dopo. Così le spiegherà meglio la situazione.” Spiegò la ragazza. “E così la smetterà di credere che siamo dei fuggitivi.” Aggiunse con un mezzo sorriso.

“Cos’è Elaine non avevi informato il signore?” Chiese una strana donna sbucata improvvisamente accanto al padre di Arthur il quale sobbalzò sorpreso. “E lei chi sarebbe signora?” Esclamò il signor Hunter. “La zia di Elaine. Mi pare ovvio!” Annunciò la donna. “Ciao, zia!” La salutò Elaine iniziando a raggiungerla con un sorriso allegro. “Ma dopo nove mesi che non ti vedo mi saluti così!?!” Domandò la signora fingendosi offesa abbracciando Elaine in maniera soffocante strapazzandola un po’. “Allora com’è andata? Quel ragazzino smilzo è Arthur vero? Mi pare un po’ infantile. Ma dove sono Hanna e Nathaniel? Vorrei proprio conoscerli! Specie quella Hanna con un caratterino così andrei proprio d’accordo!” E mentre diceva questo continuava a baciare, accarezzare e coccolare la sua nipote senza badare al fatto che metà delle persone lì presenti li fissavano. “Zia dai, mi metti in imbarazzo.” Sussurrò la ragazza che era arrossita di molto. Ma la donna non l’ascoltò e continuò ad abbracciarla come se fosse tornata dal mondo dei morti.

Arthur studiò la donna: vestiva dei vistosi pantaloni all’araba dai mille colori e rattoppati in più punti, sopra aveva una larga maglia giallo e arancio, una fascia teneva su il lunghi capelli castani e grigi pettinati con rasta, trecce oppure tenuti naturali a seconda della zona, portava al collo strane collane con simboli della pace, della marijuana e del om, dai suoi lobi pendevano degli ancora più strani orecchini formati da mille pietruzze che penzolavano su varie catenine ma la cosa che risultò più strana ad Arthur fu lo strano amaro odore che aveva la donna e le sue pupille dilatate.

Quella donna sembrava tutto tranne la zia di Elaine: erano totalmente diverse, l’unico punto in comune forse era la forma degli occhi ma non si assomigliavano per niente. In oltre quella donna sembrava una vecchia hippy svitata, Elaine invece era la persona più calma, introversa, posata e educata che conoscesse. Come faceva quella donna a essere sua zia Arthur non lo sapeva. Ma non aveva ancora visto tutto. Da dietro la donna fece la sua comparsa una tredicenne con tre pearsing, uno sul naso, uno sul sopracciglio e uno sull’ombelico, aveva i capelli neri e lunghi chiaramente tinti, portava un forte mascara nero agli occhi contornato da un ombretto viola scuro, il rossetto viola-nero, indossava leggins neri strappati in più punti e una maglietta rossa larga e scollatissima che lasciava scoperta la pancia e puzzava i sigarette. “Ehi cuginetta bella! Finalmente sei tornata, mi sono mancate le nostre chiacchere serali e il buon odore della tua cucina!” Esclamò la ragazza prendendo il posto della donna che iniziò ad abbracciare Elaine stingendola con forza ma dopo qualche secondo la liberò. “Ciao, Mary.” La salutò Elaine con un dolce sorriso. “Anche a me sei mancata.” Confessò dolcemente. “E comunque cara la mia streghetta sai la novità? Papà è stato scagionato: quel inutile d’un avvocato è riuscito a fare il suo lavoro, dovrebbe essere libero venerdì prossimo e mi ha detto che ha apprezzato molto le tue lettere e che gli dispiace di non aver mai risposto ma quel dannato gufo andava via subito e non aveva il tempo per rispondere. E sai sono riuscita a passare alle superiori. E lo devo a te: se non ci fossi stata tu a darmi delle dritte a gennaio ora sarei bocciata o peggio dovrei studiare per tutta l’estate.” Elaine abbassò lo sguardo e divenne cupa, sembrava che volesse sparire, e Arthur allora capì anche perché non avesse mai detto niente sulla sua famiglia tranne qualche vago riferimento. Anzi ora che ci pensava lui era l’unico ad aver rivelato qualcosa sulla sua situazione famigliare. Arthur non lo sapeva neppure che Elaine vivesse con gli zii. Poi un lampo lo colpì. “Elaine posso parlarti un secondo?” Domandò il ragazzo afferrando la ragazza per un polso trascinandola fuori dalla vista di suo padre. “Elaine senti….” Iniziò il ragazzo in imbarazzo, non aveva mai visto Elaine così cupa e si sentiva a disagio a parlarle. “Che sia chiaro Arthur mio zio è finito in prigione per un errore, è una brava persona, solo che spesso finisce in situazioni ambigue.” Arthur venne spiazzato dalla forte difesa di Elaine ma la comprendeva. “Elaine tranquilla, non volevo parlare di questo.” Disse il ragazzo appoggiando entrambe le mani sulle spalle di Elaine facendo segno di calmarsi. La ragazza si calmò e ricacciò in dietro una lacrima che minacciava d’uscire. “Ti volevo solo chiedere… perché non sono venuti i tuoi genitori?” Domandò il ragazzo. Elaine abbassò lo sguardo e si incupì ulteriormente. “Perché non li ho i genitori: mia zia e mio zio sono i miei tutori.” Spiegò la ragazza con apatia. Arthur si ritrovò spiazzato: Elaine era orfana. Il giovane non sapeva cosa dire o fare, non era bravo in queste cose. Fu Elaine a reagire: alzò lo sguardo e gli fece un triste sorriso come per rassicurarlo e lo abbracciò dolcemente. “Allora ciao Arthur, ci vediamo a settembre.” Così dicendo Elaine tornò dalla sua strana famiglia e Arthur fece lo stesso.

 

Gli alberi comparivano alti dietro la casa, il giardino poco curato era pieno di fiori selvatici e cespugli di rose enormi, l’erba un po’ alta e il garage e la casa avevano la vernice scrostata. Mi era sempre piaciuto vivere in quella casa e avevo sempre amato i miei zii, malgrado fossero un po’ strani, distratti e ogni tanto mia zia sembrasse più infantile di me ma a me piaceva e piace tuttora. “Elaine senti… per festeggiare….” Iniziò imbarazzata mia cugina. “Pasta al forno e maccheroni?” Indovinai io che essendo l’unica in famiglia che riusciva a cucinare qualcosa che andasse oltre la minestra o la carne ai ferri quando c’erano ospiti cucinavo. “Ti adoro Elaine!” Esclamò mia cugina baciandomi. “Senti Mary verresti con me un momento?” Le chiesi appoggiando le valige sul uscio della porta. “Sì, certo.” La condussi dentro al bosco. “Allora che mi dovevi dire.” Domandò. “È una lunga storia.” Spiegai. “Forse è meglio che ti siedi.”

 

Note dell’autrice:

*Eoghan è un nome Celtico che vuol dire: nato dal albero di tasso.

Fine del primo libro! Incredibile ma vero ce l’ho fatta! 130 pagine World e pensare che sono partita dalle 63 che avevo scritto inizialmente, mi posso ritenere soddisfatta.

Allora prima cosa Arthur è un druido! Tadan!!!

Ora mi pare il caso di darvi delle spiegazioni sulle origini dei poteri dei ragazzi o inizierete a credere che aggiungo poteri senza capo né coda. L’idea del druido e dei poteri dei protagonisti l’ho avuta seguendo questo ragionamento: tutti gli incantesimi in Harry Potter sono in uno pseudo latino, di conseguenza la magia che si insegna ad Hogwarts deve avere origine dal impero romano e adiacenti, per tanto dovrebbe esistere anche una magia celtica, greca, tedesca eccetera… ma perché non si accenna mai a questo? Forse è stata dimenticata nei secoli, e se tornasse….? E poi perché ci sono maghi in grado di cambiare il loro aspetto spontaneamente e altri che riescono a parlare con i serpenti? E se non fosse l’unica abilità che riescono ad avere i maghi.

Si lo so è un ragionamento un po’ strampalato ma l’idea è quella. Forse avrei dovuto spiegarvi prima questo dettaglino ma…. Ehi! Meglio tardi che mai.

Non sono sicura che un medico accetti di visitare minorenni non accompagnati, ma se così non fosse consideratelo un diritto d’autore.

Cosa ne pensate della famiglia di Elaine? Sì, sono pazzi ma non sono cattivi, massimo un po’ irresponsabili. E la povera Elaine è orfana. Cavoli, sono proprio cattiva con i miei protagonisti! Di quattro non ce n’è uno con una situazione famigliare normale!

In ultimo per il secondo libro dovrete aspettare fino a Natale *Schivo un paio di pomodori* mi serve un po’ di tempo per scrivere il capitolo finale e rileggerla con calma, e poi vorrei iniziare a buttare giù la traccia per il terzo. Contatterò chi ha segnato la storia tra quelle da ricordare, seguite o preferite quando ricomincerò a pubblicare, per gli altri…. da dopo il giorno di Natale dovreste trovare il prologo. La storia si chiamerà "Una nuova generazione - L'erede di Merlino".

Un bacione a tutti, un grazie a chi mi segue e ringrazio Allergilla e Eleos99 per aver recensito la storia.

A presto, Bibliotecaria.

P.s. In questo momento invidio i miei protagonisti: hanno appena finito la scuola e a me tocca ricominciarla. Ah! Aiuto! È passata solo una settimana e sono già depressa! Va bè stringiamo i denti.

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