And if I show you my dark side, you will still hold me tonight?

di Roscoe24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Ciao a tutti! Prima di tutto, vi ringrazio per aver aperto la storia, che spero troviate di vostro gradimento! Questa FF è legata ad altre due precedenti (Broken Souls e If I seem dangerous, would you be scared?), ma penso possa leggersi tranquillamente a se, così come la seconda OS citata. L'ho comunque precisato all'inzio di modo che chi voglia avere una quadro più specifico della situazione, possa farlo! 
Dunque, penso che questo piccolo racconto si concluderà in due capitoli, quindi sarà piuttosto breve! 
Il contesto è la decima stagione e le puntate prese in considerazione sono due: Reichenbach (10x02) e Soul Survivor (10x03), mentre il titolo della storia è tratto dalla canzone "The Final Cut" dei Pink Floyd. 
Detto ciò, visto che non so più cosa aggiungere, vi lascio alla lettura, che spero non vi deluda e - se vi va - fatemi sapere cosa ne pensate! 
A presto! :D 







C’era stato un periodo della sua vita dove le cose andavano per il meglio e, nei momenti in cui sembrava che tutto stesse per peggiorare irrimediabilmente, passava in rassegna quei momenti felici per ricordare a se stessa che al mondo esistono anche cose buone.
Ogni volta che pensava che tutto fosse perduto, che il bene che esiste al mondo stesse per finire dentro ad un enorme, malvagio, buco nero, si ritrovava a pensare a Bobby.
Suo zio Bobby, che con il tempo è più diventato suo padre, nonostante lui insistesse tanto per farle ricordare chi fossero i suoi genitori e chi, di conseguenza, fosse il suo padre biologico. Bobby non lo faceva certo perché voleva prendere le distanze, piuttosto lo faceva per fare in modo che lei non dimenticasse mai suo padre Elijah e, soprattutto, Susan, sua madre – e sorella di Bobby.
La sorella che Bobby ha perso troppo presto e troppo in fretta, in quell’incidente stradale che gliel’ha portata via in un battito di ciglia.
Per questo le ha sempre parlato dei suoi genitori, per fare in modo che la loro memoria venisse onorata.
Sorrideva, nei momenti in cui per farsi forza pensava alla sua infanzia, fatta di giornate passate sull’altalena a gridare Più in alto, zio Bobby, voglio toccare il cielo! e ancora Sulle nuvole, zio Bobby, voglio andare sulle nuvole!
Da bambina, amava le nuvole. Quelle bianche e spumose, che sembrano estremamente soffici. Le amava perché le ricordavano tanto lo zucchero filato, o la panna montata. Per questo desiderava andare sulle nuvole, quando saliva sull’altalena, perché voleva assaggiarle. Immaginava il loro sapore fresco, la loro consistenza densa, come quella del gelato. Dovevano essere esageratamente buone, le nuvole.
Le piaceva ricordare la sensazione di beatitudine e spensieratezza, la profonda e pura gioia che provava ogni volta che lei e Bobby facevano qualcosa insieme: giocare, andare fuori a cena nella tavola calda gestita da Dolores, che gli regalava sempre una porzione di patatine fritte in più; preparare i biscotti, imparare a giocare a scacchi, o a scala quaranta.
Erano quei momenti che la aiutavano ritrovare la speranza. Perché, pensava, se al mondo esistono persone come Robert Singer, allora non può essere un posto così malvagio; allora il bene deve esistere per forza.
Bobby era il bene.
Bobby era speranza, era forza, era la consapevolezza che sarebbe stato al suo fianco in qualsiasi situazione, bella o brutta che fosse.
Bobby era casa, era famiglia, era affetto. Era la colazione a letto la domenica; era il brodo di pollo durante la febbre.
Bobby era stabilità.
Bobby era tutto, per lei.
Quel tutto che le faceva ritrovare speranza quando pensava di non riuscire più a trovarla.
Ma Bobby non c’è più. Gliel’hanno portato via per sempre.
E, da quando lui non c’è più, le cose hanno iniziato a precipitare drasticamente.

La discesa verso quello che può essere tranquillamente definito il baratro cominciò esattamente dentro ad un ospedale, dove uno dei pazienti era Robert Singer, meccanico e cacciatore del paranormale, padre surrogato di Dean e Sam Winchester e Natalie Duvall.
Natalie ricorda esattamente quel giorno. Lo ha scolpito nella memoria a lungo termine così a fondo che può ancora rievocare l’odore della stanza di Bobby, l’aria viziata ed elettrica, il suono costante della macchina a cui il cacciatore era attaccato che monitorava il suo battito cardiaco, debole, ma costante.
Quel suono, seppur accennato, aveva dato ai giovani cacciatori una speranza. La speranza che Robert riaprisse gli occhi, nel pieno delle sue facoltà mentali, e tornasse a impartire loro lezioni di vita. O semplicemente, tornasse il solito severo, burbero, sarcastico Bobby.
Bobby che gli chiamava idioti quando, impegnati nella risoluzione di un caso, a loro sfuggivano cose elementari; Bobby che li sgridava quando tendevano un po’ troppo a guardare solo i loro problemi, riversandoli su di lui, ignorando il fatto che, per quanto fosse un uomo forte, anche Bobby aveva bisogno di essere ascoltato, anche Bobby aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui nello stesso modo in cui lui si prendeva cura dei suoi ragazzi.
Bobby che li ha cresciuti, allevati. Bobby che li ha amati come se fossero tutti figli suoi. Bobby che aveva fin troppa pazienza e che si trovava alle prese con le litigate tra Sam e Dean un giorno si e l’altro pure, e trovava sempre il modo di farli ragionare. Bobby che combatteva contro la testardaggine di Natalie, rivedendo in quella cocciuta determinazione non solo se stesso, ma anche Susan.
Bobby che ha insegnato loro un concetto di famiglia che va al di là del sangue.
Bobby che era la persona migliore del mondo.
Ma poi Bobby aveva chiuso gli occhi, il suo cuore aveva smesso di emettere quel suono flebile e si era fermato, portandosi via anche la minima speranza che albergava nel cuore dei ragazzi.
Nat ricorda chiaramente la sensazione di smarrimento, il colpo basso sganciato dalla consapevolezza che Bobby non c’era più, la pressione con cui la crudeltà della realtà l’aveva schiacciata a terra, facendola sentire impotente, incapace di aiutare l’uomo che l’aveva cresciuta. Lo stomaco le si era stretto in una morsa ferrea, così forte che aveva sentito un impellente senso di nausea farsi strada dalle pareti dello stomaco e salire fino in gola, dove il sapore acido e amaro della bile aveva riempito la sua bocca, improvvisamente secca. Deglutire era stato difficilissimo. Mandare giù quel boccone era stato quasi impossibile, in un primo momento – tanto che le era sembrato di soffocare. La sua sofferenza si era materializzata sotto forma di biglia rivestita di cotone e stava aumentando di volume dentro alla sua gola, impossibile da mandare giù. Era stato in quel momento, dove si sentiva smarrita, in preda ad un attacco doloroso di panico, che Dean l’aveva stretta a se. Era stato quel contatto a farle tornare la mente lucida, a calmarla almeno un po’.
Devi stare tranquilla.
L’uomo aveva appoggiato il mento sopra alla testa di Nat, che finalmente, inglobata dentro a quell’abbraccio, aveva trovato il modo di far uscire quella sofferenza lancinante dalla gola sotto forma di lacrime. Non si sa come, la biglia si era liberata del cotone, come il cambio pelle di un serpente, era risalita fino agli occhi e lì, nei condotti lacrimali, aveva deciso di sciogliersi per fuori uscire in forma liquida.
Aveva pianto, dapprima in maniera silenziosa e poi in maniera quasi isterica, arrabbiandosi con il destino, arrabbiandosi con Dick, che tra tutte le persone malvage che esistono al mondo aveva scelto di uccidere Bobby, che malvagio non era; che non meritava certo di morire in quel modo. E Dean continuava a stringerla, a cercare di calmarla. Le sue parole le arrivavano alle orecchie, ma non riusciva a percepirne il senso. Ricorda solo di essersi focalizzata sulla sua voce, che era così diversa dal solito, così spezzata.
Colma di una rabbia che non voleva mostrarle, scheggiata dalla sofferenza, intaccata dal dolore.
E allora, lei aveva sciolto l’abbraccio, sollevando lo sguardo su di lui e osservandolo attraverso le lacrime, come se il mondo improvvisamente fosse diventato tutto liquido e tremolante. Ma nonostante la vista corrotta dalle lacrime che non volevano cessare di scendere, vedeva distintamente la figura di Dean e, mentre sentiva che le sue lacrime le solcavano il viso e andavano a bagnarle le labbra con il loro sapore salato, notava che invece le labbra di Dean stavano tremando, in preda ad una rabbia e ad una frustrazione che l’avrebbero fatto esplodere da un momento all’altro. Natalie si era velocemente asciugata gli occhi con le maniche del suo maglione beige troppo largo per lei – quelle maniche troppo lunghe che le lasciavano a mala pena le dita scoperte – e aveva afferrato il viso di Dean, facendo si che i loro occhi si incatenassero.
Andrà bene.
Natalie lo diceva per entrambi. Era una bugia a cui entrambi tentavano di credere. A cui anche Sam, rimasto fino a quel momento a fissare il monitor dell’elettrocardiogramma muto di Bobby, voleva credere.
Il minore dei Winchester non si era mosso di un millimetro. Era rimasto immobile, aggrappato alla ringhiera inferiore del letto, stringendola così forte da far diventare le nocche bianche, a fissare il corpo ormai senza vita di Bobby, incapace di accettare fino in fondo la cosa. Sam aveva pianto silenziosamente. Aveva lasciato che le lacrime uscissero discrete e andassero ad accarezzare il mento, per poi cadere, come le gocce di un rubinetto che perde, sulla sua camicia ed essere assorbite dal tessuto.
Dean, per quanto si sforzasse, non riusciva a credere a quelle parole.
Dean sapeva che quelle parole erano una frase fatta, una menzogna a cui aggrapparsi per non impazzire, per non sentire un altro, ulteriore, sgambetto fatto loro dalla vita da andare ad aggiungere alla lista dei precedenti – che raggiungevano un numero discreto.
Dean, quindi, aveva chiuso gli occhi e aveva delicatamente afferrato le mani della ragazza, ancora appoggiate al suo viso, e le aveva abbassate. Le aveva chiesto scusa con gli occhi – Natalie ancora oggi cerca di capire bene il perché – ed era uscito da quella stanza. Nat l’aveva seguito fino all’uscio della stanza di Bobby, dove poi era rimasta a guardare Dean che si avviava verso l’uscita dell’ospedale, assicurandosi prima di lanciare un pugno ben assestato ad una delle pareti di cartongesso che avrebbe lasciato un piccolo cratere. Lo guardava andare via consapevole del fatto che, per quanto avesse voluto averlo lì in quel momento, Dean aveva bisogno di stare solo.
Ha bisogno di sbollire.
Sam le aveva appoggiato una mano sulla spalla e lei si era voltata per guardarlo in viso. Era il viso di un uomo che aveva appena perso tutto. I suoi occhi erano arrossati, il viso era tirato e contratto in un’espressione di profondo, insanabile, dolore – come se fosse stato privato di qualcosa di essenziale, di fondamentale, per la sua sopravvivenza. Come se avesse perso il cuore.
Tutti e tre, in quelle quattro bianche mura che odoravano di chiuso, di cibo cotto al vapore e di disinfettante, avevano perso il loro cuore. Per sempre.
Certo.
Lei aveva annuito e tirato su con il naso, sentendo in agguato dietro agli occhi un’altra ondata di lacrime pronte ad uscire dalla diga per scorrere lungo tutto il suo viso.
Certo...
Aveva ripetuto in un sussurro strozzato, sentendo nuovamente che la consapevolezza di ciò che era realmente successo la schiacciava a terra.
Bobby non c’era più.
Non l’avrebbe mai più abbracciata. Non le avrebbe mai più detto una parola di conforto nei momenti no.
Lei non gli avrebbe più preparato una torta ai mirtilli dopo un’estenuante giornata passata a risolvere casi. Gli piaceva la torta ai mirtilli, era la sua preferita.
Non si sarebbero più scambiati occhiate d’intesa ogni volta che capitavano in una situazione dove la pensavano allo stesso modo.
Non avrebbero più lottato per avere il predominio sul telecomando, perché si sa, in casa Singer chi si accaparrava per primo il telecomando sceglieva quale programma, o film, guardare.
Le immagini della sua infanzia le scorrevano davanti agli occhi come un filmino nostalgico che sarebbe sempre e solo appartenuto ai ricordi. Bobby che le faceva le trecce; Bobby che le leggeva una fiaba; Bobby che si lasciava dare l’ombretto verde acqua sugli occhi.
E adesso, tutte le cose che facevano e che fino a qualche giorno prima rientravano a far parte del loro presente sarebbero andate ad aggiungersi al filmino in bianco e nero della sua infanzia, catalogate come ricordi, momenti già vissuti che non torneranno indietro, che non si ripeteranno, perché Bobby non c’era più. Aveva smesso di respirare; il suo cuore aveva smesso di battere.
Ed era stato in quel momento che, posseduta da un’isterica consapevolezza che non l’avrebbe mai più avuto al suo fianco, era corsa fino al suo letto e si era accasciata sul suo corpo, piangendo e gridando che non voleva lasciarlo, che aveva bisogno di lui.  
Ricorda le lacrime, il mondo appannato. Era diventata sorda a qualsiasi rumore, persino alle sue grida, che percepiva come se provenissero dalla gola straziata di qualcun altro.
Ricorda il panico, il dolore.
Ricorda che Bobby non aveva alzato una mano per accarezzarle la testa e dirle che tutto si sarebbe sistemato. Ricorda, piuttosto, che erano state la braccia di Sam a sollevarla da terra e a portarla lontana da quella stanza, dove ormai era destino che i dottori seguissero la prassi dopo un decesso.
Era stato Sam  che l’aveva stretta a se, il proprio petto contro la sua schiena, e l’aveva trascinata via, parlandole all’orecchio per cercare di calmarla, mentre lei, invece, continuava a scalciare in aria come un animale impazzito.
Calmati, Nat. Devi calmarti!
Lei era riuscita a sentirlo solo quando i suoi piedi avevano ritoccato terra e aveva messo a fuoco il suo viso preoccupato e mortificato. Sapeva benissimo che vederla stare così, per Sam era un colpo basso. Lui le voleva – e vuole – molto bene, e sapeva benissimo quanto Bobby fosse importante per lei.
Natalie, incapace di articolare anche solo una parola, aveva annuito vigorosamente. Sam l’aveva abbracciata, accarezzandole la schiena per tranquillizzarla. L’aveva cullata come si può fare con un bambino terrorizzato dall’uomo nero, o dal mostro che vive nell’armadio. E lei l’aveva lasciato fare, aggrappandosi saldamente alla sua camicia, che si era sgualcita sotto la presa ferrea delle mani della donna. Nat si era lasciata cullare perché il calore di Sam era salutare, il suo odore, così diverso da quello della stanza dove giaceva il corpo senza vita dell’uomo che era stato non solo suo zio, ma anche suo padre, le riempiva le narici e le ricordava momenti tranquilli, momenti passati a giocare al sole da bambini, o le giornate passate a leggere sdraiati sopra ai cofani delle macchine fuori uso, mentre Dean, che quasi sempre si trovava sotto ad una di quelle macchine dichiarate morte da anni, ma che poi puntualmente riusciva a resuscitare, li prendeva in giro – siete proprio due piccoli nerd, diceva sempre, con un sorriso sghembo, che nascondeva una punta d’orgoglio che però si impegnava a celare, e la maglietta fradicia di sudore, piena di macchie d’olio e grasso.
Quello di Sam era l’odore di casa, l’odore intenso e forte del suo migliore amico, di suo fratello.
Stai meglio? Le aveva chiesto.
La mano di Sam vagava tra i suoi capelli, districandoli come un pettine e accarezzandoli con delicatezza.
Natalie aveva tirato su con il naso, prima di annuire contro il suo petto.
Tu..?
La sua voce era ovattata dalla stoffa della camicia grigio scuro che indossava Sam e contro la quale si trovava ancora il suo viso.
Si..
Era una bugia bella e buona. Una grossa, enorme, infinita bugia. Ma non avevano bisogno della verità, in quel momento. Avevano solo bisogno di pensare che, prima o poi, tutto si sarebbe sistemato, che sarebbero riusciti ad accettare quell’assenza senza impazzire definitivamente.

“..Mia madre sarebbe ancora viva, se non fosse per te..”
Natalie, nascosta nel corridoio del bunker, seduta in terra con la schiena appoggiata al muro e la testa infilata tra le ginocchia, rimane ad ascoltare la voce di Dean che ringhia contro suo fratello come se fosse un animale rabbioso. E forse, è quello che è diventato. Un demone rabbioso e rancoroso.
Chiude gli occhi, mentre lascia che altre lacrime le solchino il viso. Piange sempre, da quando è morto Bobby. Le sembra di non avere mai smesso. Ha iniziato con la sua morte e ha continuato, fino ad arrivare a questo momento.
Scaccia l’ultima lacrima con rabbia, con frustrazione, come se fosse lei la colpevole di tutte le disgrazie, di tutti quei momenti dove, contro ogni sua volontà, si trovava a versare lacrime silenziose nel buio della notte contro un cuscino che faticava ad asciugarsi prima del sorgere del sole. Perché, per quanto si sforzasse di non piangere, per quanto si imponesse di non versare lacrime, puntualmente c’era qualcosa più forte di lei che faceva si che i suoi occhi venissero sommersi dalle lacrime.
Appoggia la testa alle ginocchia, picchiando la fronte contro di esse, cercando di pacare le immagini che la sua mente le fa ricordare: la morte di Bobby; Dean in Purgatorio; Sam dentro a quella chiesa, in fin di vita, con il viso sudato e i capelli appiccicati alle guance, determinato a terminare le tre prove per chiudere i cancelli dell’Inferno; la caduta di Castiel e la successiva perdita della sua Grazia.
E poi… e poi il ricordo più recente: la cattura di Dean.
Sono passate poche ore da quando l’hanno recuperato, dopo averlo cercato un’estate intera, ma la sua mente sembra voglia focalizzarsi sul loro scontro.
Le fa rivivere la lotta.
La riporta dentro a quel parcheggio nel retro di un bar, dove Dean aveva messo k.o. Sam, che aveva un braccio ingessato.
La riporta al momento esatto in cui Dean si trova impegnato in un combattimento corpo a corpo con Cole, un militare desideroso di vendetta. Dean aveva ucciso suo padre e lui voleva ricambiargli il favore.
Ma Cole non sapeva a cosa stava andando in contro – perché Dean da qualche mese non era più Dean. Dean era un demone, trasformato dal Marchio di Caino che bramava come unico nutrimento la morte e la violenza.
Caino stesso gliel’aveva trasmesso con lo scopo di poter usare la Prima Lama per uccidere Abaddon, un Cavaliere dell’Inferno.
Il problema era arrivato quando, una volta uccisa Abaddon, non avevano trovato un modo per rimuovere il Marchio, che, trovato un nuovo coinquilino, si era accomodato sull’avambraccio di Dean e l’aveva trasformato nel demone violento che è adesso.
Cole non sapeva niente di tutto questo.
Aveva semplicemente seguito le tracce di Dean Winchester, l’aveva trovato e l’aveva sfidato.
Nat era intervenuta giusto in tempo: nel momento esatto in cui Dean aveva estratto la Prima Lama dal retro dei suoi pantaloni – dove una volta, invece, teneva la pistola – Natalie era arrivata da dietro, facendogli uno sgambetto che lo aveva mandato a terra.
Corri Cole, scappa! Aveva intimato all’uomo con la faccia tumefatta e lo sguardo smarrito. Scappa, adesso!!
Cole, seppur riluttante, aveva obbedito.
Ed era stato in quel momento che Dean si era alzato e si era voltato verso di lei, famelico. Si era aperto in un sorriso tirato, che aveva persino qualcosa di diabolico; nei suoi occhi c’era un scintilla nuova, come un brillio folle – o semplicemente, quello era il brillio tipico di un gatto che gioca con un topo. Era, quello sguardo, carico della consapevolezza della propria onnipotenza. Natalie, ai suoi occhi, non era una minaccia; era solo un giocattolo di gomma lanciato da un padrone al proprio cane per farglielo masticare.
Dean pregustava già la sua vittoria. Il Marchio pregustava già un altro omicidio da cui avrebbe tratto forza.
Ciao, bambolina.
Sai che lo odio, perché mi chiami così?

Aveva cercato di mostrarsi sicura, impavida, nonostante sentisse montare dentro di se un disagio insistente, un pensiero fisso che la tormentava (quello non è più Dean. A mali estremi, estremi rimedi, gioia. Lui colpisce per uccidere, tu per cosa colpisci, tesoro? Sappi che se la tua risposta non comprende niente di mortale, sei fritta!)
Aveva scacciato quella voce nella sua testa. La coscienza sapeva essere alquanto inopportuna e lei non voleva ascoltarla. Ne ora, ne mai. Non avrebbe mai ucciso Dean. Non prima di aver appurato che non esiste nemmeno una minima possibilità di salvarlo.
No. Ucciderlo era fuori discussione.
Perché a me piace. Sembri proprio una bambolina. Così piccola, dolce, versatile. E poi, sei incredibilmente bella. Come le bambole.
Aveva fatto spallucce e si era avvicinato. Il suo passo era così controllato che sembrava una pantera che tende un agguato. Un leone che muove lentamente le scapole mentre si avvicina alla sua preda, ignara di essere stata puntata. La differenza era che Nat aveva capito benissimo che era stata puntata e il suo istinto, malgrado il momentaneo brivido di terrore lungo la schiena che le aveva suggerito di fuggire, le aveva ordinato di combattere (Oggi non è un buon giorno per morire, gioia. Vedi di impegnarti).
Era rimasta immobile, mentre lui continuava ad avvicinarsi. Mentalmente, aveva ricordato le armi che possedeva: spada angelica nascosta nello stivale; pistola nascosta nel retro dei jeans. Beh, non era un granché, in effetti.
Aveva fatto un bel respiro ed era partita alla carica, stufa di aspettare che il suo esecutore (il gatto) perdesse la voglia di giocare con lei (il piccolo topo) e iniziasse a fare sul serio.
Natalie aveva tanti, tantissimi difetti, ma di certo il coraggio non le mancava.
Aveva caricato Dean con la stessa intensità di un toro ad una corrida e lui, da bravo torero, l’aveva schivata per poi afferrarle i capelli e tirarla all’indietro. Nat era finita con la schiena in terra. Un dolore lancinante le era partito dal cuore, come uno spillo elettrico che poi si era disperso in tutto il corpo.
Aveva ringhiato, frustrata, mentre con un colpo di reni si era rimessa in piedi. Dean aveva cominciato a ridere, beffandosi di lei.
So che sai fare di meglio, bambolina.
Dean aveva sorriso, ancora con quel suo sorriso famelico, e si era leccato le labbra. Un gesto che in situazioni normali le avrebbe provocato un brivido di eccitazione, mentre adesso l’unica cosa a cui riusciva ad associare quel brivido che sentiva era terrore. Dean la spaventava. Ma era determinata a non farglielo notare. Si era sistemata in posizione di difesa, così Dean aveva fatto la prima mossa: si era avvicinato a lei scattante come un puma, veloce, estremamente veloce. Ma Nat era addestrata e quindi con la stessa velocità era riuscita a schivarlo per poi afferrarlo per un braccio. D’istinto aveva girato quel braccio dietro la schiena dell’uomo con l’intento di spezzarglielo, ma Dean si era rigirato e con il braccio libero l’aveva afferrata per il collo alzandola da terra. I suoi occhi, adesso, saettavano di rabbia. Dalla gola di Natalie era uscito un ringhio e poi i suoi piedi si erano puntati simultaneamente sul petto di Dean, calciandolo lontano. La spinta aveva fatto si che Dean mollasse la presa e Natalie finisse a terra.
Dean aveva barcollato, mentre si massaggiava la parte lesa e rideva, quasi come se fosse soddisfatto, orgoglioso.
L’ho sempre saputo che sei una tosta. La cosa mi ha sempre eccitato, se devo essere onesto.
Natalie si era massaggiata il collo, prima di rispondergli: Qualsiasi cosa che respira ti eccita, Dean.
L’uomo aveva riso, di nuovo. Come se l’intera situazione lo divertisse, come se per lui fosse tutto un gioco.
Tu sei sempre stata speciale, bambolina.
Senza aggiungere altro, aveva portato la mano dietro la schiena e aveva estratto la Lama, nello stesso, paziente, modo con cui l’aveva estratta qualche minuto prima con Cole.
Natalie, dal canto suo, aveva portato la mano all’interno del suo stivale e aveva estratto la sua spada angelica, scatenando un riso soffocato, seppur derisorio, da parte di Dean.
Sul serio? Sul serio, bambolina? Ti facevo più intelligente.
E io ti facevo meno loquace. Da quando ami parlare durante i combattimenti?

Dean aveva assottigliato lo sguardo: Da quando i miei combattimenti sono impari, dolcezza.
Aveva fatto girare la Lama nel palmo della mano e poi, dopo averla afferrata saldamente per il manico, si era avvicinato velocemente a Nat, brandendo la sua arma, che sferzava l’aria.
Questo solo perché Natalie era abbastanza veloce da schivare i colpi, altrimenti non sarebbe certo stata l’aria ad essere sferzata, quanto piuttosto la sua carne ad essere fatta a brandelli. Erano andati avanti per un po’, con Dean che attaccava e Natalie che schivava, incapace di contrattaccare, fino a quando non aveva elaborato un’altra strategia: se avessero continuato così, Dean prima o poi l’avrebbe colpita, così Natalie, all’ennesimo colpo di Dean, si era chinata facendogli un altro sgambetto che, avendolo colto impreparato, lo aveva fatto finire a terra.
Nat, lanciando un grido simile ad un ululato di battaglia, si era chinata su di lui, tenendolo saldamente fermo tra le gambe, e aveva iniziato a colpirlo al viso. Più il dolore alle sue nocche aumentava, più le ferite sul viso di Dean si rimarginavano.
Non sai a cosa sei andata in contro, non è così? le aveva chiesto, afferrandole i polsi all’improvviso. Nat era stata colta di sorpresa a tal punto che non era riuscita a schivare quella presa, ne tanto meno a liberarsi in seguito. Dean stringeva troppo forte. Le faceva male – così tanto da sentire il sangue smettere di affluire alle mani; così tanto che pensava che l’impronta delle dita di Dean sarebbe rimasta impressa sui suoi polsi per sempre.
L’uomo si era alzato senza il minimo sforzo, tenendola saldamente a se. Le gambe di Natalie intrecciate al suo busto, i polsi ancora intrappolati dentro alle sue mani. La cosa buona era che la Lama giaceva ancora a terra.
Tu non sai a cosa sei andato in contro, Dean. Hai almeno una vaga idea in che cosa ti stai trasformando?
Nella sua voce c’era un misto di preoccupazione, accusa e rabbia. Non si sentiva più spaventata da lui, al contrario si sentiva determinata a fargli capire che si era imbattuto in una strada pericolosa, una strada che poteva essere senza via d’uscita, se battuta troppo. Quella in cui Dean si era inoltrato era la via del non ritorno, della perdizione eterna. E Natalie lo sapeva. Lo sapeva e voleva salvarlo a tutti i costi.
Ma Dean non voleva essere salvato, almeno così sembrava. A Dean andava benissimo essere ciò stava diventando e quindi, dopo averla attaccata al muro di quel bar, vicino alla porta che dava sul retro dove loro stavano combattendo, aveva sussurrato al suo orecchio: So benissimo cosa sto diventando. Anzi, cosa sono diventato. E la cosa mi piace. Mi piace, Natalie, tanto quanto mi piacerebbe farti mia, qui, attaccata a questo muro.
Non mi avrai mai in questo modo, Dean. Mai.

L’uomo aveva fatto in modo che i loro occhi si incrociassero e aveva letto dentro allo sguardo di Natalie una punta di disprezzo. Cosa che, in realtà, non gli era dispiaciuta per niente, dal momento che, dietro a quello sguardo, si nascondeva la fierezza rara di una donna caparbia. La fiera bellezza di una donna indomabile.
Non si sarebbe piegata alla sua volontà perché non era lui che voleva. O meglio, era lui, ma non questa versione di se. Natalie era troppo innamorata della versione umana di Dean per poter amare il demone.
Lo so, bambolina. Lo so fin troppo bene.
A questo punto, aveva lasciato i suoi polsi, era uscito dalle sue gambe e le aveva sferrato una ginocchiata nello stomaco, facendola accasciare su se stessa.
Natalie mugolava di dolore con le mani strette al ventre. La fitta che sentiva era così forte che le aveva provocato un conato di vomito; ai lati degli occhi le si erano formate stelline che le oscuravano gran parte del campo visivo. E la sua capacità di reagire… quella era stata ridotta del settanta percento.
Alzati. Era un ordine.
Ma lei non era in grado di alzarsi. Figuriamoci combattere.
Ho detto alzati!!
Dean aveva sferrato un calcio ai suoi piedi, come se volesse intimare ad una bestia di reagire, di ubbidire al suo padrone.
Natalie sentiva solo un forte senso di odio crescere dentro di lei. Non contro Dean, ma contro quello che era diventato. Contro Caino, Metatron, Crowley. Tutti complici nello stesso identico modo nella trasformazione di Dean. Era colpa loro, se lui adesso era così.
Si era alzata, colma d’odio e rancore, e l’aveva colpito con decisione sotto al mento, dando così il via ad uno strano incontro di boxe. Niente armi, solo pugni.
E più Nat colpiva, più associava ai tonfi sordi, provocati dalle sue mani, i visi degli uomini che odiava e che le avevano portato via Dean. Più andava avanti, meno sentiva il dolore che provocavano i colpi andati a segno che sferrava Dean. Solo l’ultimo aveva cambiato la situazione. Solo l’ultimo colpo di Dean, piazzato alla mandibola, aveva fatto si che Nat uscisse da quella bolla  cieca di odio ed entrasse dentro ad uno stato di incoscienza. Dean l’aveva colpita così forte da farle perdere i sensi e, per fortuna, in quel momento esatto, Sam era intervenuto con l’acqua santa e le manette con incisa sopra la trappola del Diavolo.
Dean era nelle mani giuste, adesso.

“..ho passato la mia intera vita a salvare il tuo culo dalle fiamme infernali! Sono stufo, stanco. Ho voluto mollare. Smettere di preoccuparmi per te, per il mondo intero, per Natalie, e lasciare semplicemente che questa mia nuova natura facesse il suo corso.”
La mente di Natalie torna al presente e continua ad ascoltare il dialogo che avviene nella stanza alle sue spalle – quella stanza il cui pavimento è ornato da una gigantesca trappola del Diavolo e da cui Sam l’ha allontanata perché non voglio farti assistere a tutto questo.
Il problema è che lei sentiva di dover assistere perché non assistendovi avrebbe abbandonato non solo Dean, ma anche Sam. Abbandonati a loro stessi, senza un’ancora, un appoggio, un aiuto.
Era stata dietro alle quinte anche troppo. Aveva pianto anche troppo. Perciò, dopo essersi asciugata le lacrime, si alza, decisa. Si passa i palmi delle mani sui jeans e, dopo aver arrotolato le maniche della camicia di flanella nera che indossa, fa la sua entrata in quella stanza, che al primo rumore provocato dai suoi passi, diventa silenziosa. Sam e Dean smettono di parlare.
Gli sguardi di entrambi i Winchester sono su di lei: quello di Sam è preoccupato; quello di Dean è soddisfatto.
“Ti avevo detto di uscire di qui.”
“Ti stavo aspettando, bambolina.”
Natalie, come prima cosa, lancia uno sguardo a Sam, ma non per chiedergli scusa, piuttosto per comunicargli solidarietà: non sei solo in questo casino, Sam. Lo risolveremo insieme.
E poi si avvicina al tavolo colmo di siringhe piene di sangue benedetto. Ne prende una, fa uscire l’aria e si avvicina a Dean, che non le ha tolto gli occhi di dosso nemmeno un secondo. La scruta, la studia. Passa i suoi occhi sul livido alla mandibola, sul taglio pieno di sangue secco sul labbro, sullo zigomo gonfio.
“Non ti riducevi così dai tempi dei mannari, ricordi?”
Natalie tira su con il naso, ignorandolo.
“Ti ricordi quando volevi fare un lavoro da uomini, bambolina? Ricordi quando da ragazzina volevi andare a combattere tutta sola contro i lupi mannari? Te lo ricordi, vero? E i wendigo? Te li ricordi, quanto erano grossi?”
Natalie continua ad ignorarlo. Si posiziona tra le ginocchia aperte dell’uomo, solo per mostrargli che non ha paura di lui. Non ora.
Con la mano sinistra, quella libera, gli afferra i capelli dietro alla nuca e gli tira la testa all’indietro. Dean emette un basso ringhio gutturale, infastidito da quel trattamento.
“E tu, Dean? Tu ricordi quando ancora non preferivi diventare ciò che hai sempre combattuto per evitare di lottare per ciò in cui credi? Ricordi quando eri ancora coraggioso e non un codardo che sceglie la via più facile? Da quando hai deciso che arrendersi è la soluzione migliore?” con decisione infila l’ago nel collo di Dean, premendo lo stantuffo fino in fondo e provocando un grido animalesco da parte dell’uomo, che trattiene il respiro, come se dovesse gestire un dolore insopportabile.
“Per quanto ne sapete tutto ciò potrebbe uccidermi!”
“Ma potrebbe anche salvarti.”
Natalie estrae l’ago e si incammina verso il tavolo per andare ad appoggiare la siringa vuota vicino a quelle già utilizzate da Sam. Sono dieci in tutto.
Chissà se davvero non lo stanno uccidendo.
“Com’è andata l’estate, ragazzi?” Dean dalla sua sedia attira l’attenzione su di se, facendo voltare sia Natalie che Sam nella sua direzione. Passa lo sguardo prima sull’uno e poi sull’altra, con malizia e poi si apre in un sorriso d’intesa – un sorriso inequivocabile: Dean sta revocando l’anno in cui Sam, che era senz’anima, e Natalie sono finiti a letto insieme quando lui non c’era.
“Anche a questo giro avete trovato il modo di consolarvi?” ride, sicuro di se, provocatorio. “Avete condiviso il vostro dolore mentre facevate le capriole? Magari nel mio letto, per sentirmi più vicino!”
“Piantala, Dean!”
“Perché, bambolina? Non vuoi ricordare? È un tabù? Una cosa che vuoi fingere non sia successa per sentirti meno puttana? Cosa vedi quando ti guardi allo specchio, zucchero, mh?”
Natalie rimane in silenzio, ricordando a se stessa che quello non è Dean, che le parole che escono dalla sua bocca sono frutto dell’influenza del Marchio e che questa è solo una provocazione. Una provocazione bella e buona proveniente dalla bocca di una creatura infernale sfacciata e insolente.
“Cosa vedi quando i tuoi begli occhioni incontrano il tuo riflesso? Una puttana o una sadica torturatrice di bambini?”
Natalie gli da le spalle e afferra un’altra siringa. Sam al suo fianco la studia senza proferire parola. Vuole cogliere ogni sua minima reazione per prepararsi ad agire di conseguenza. Se Natalie dovesse reagire alle provocazioni di Dean la allontanerebbe subito. Ma sa benissimo che Nat è intelligente e sa mantenere la calma, quindi la vede reagire nel modo più razionale possibile.
“E tu cosa vedi? Un sadico assassino o la puttanella di Crowley?” fa girare la siringa nel palmo, mentre si avvicina nuovamente alla sedia.
Dean emette uno sbuffo sarcastico: “La puttanella di Crowley? Quell’inglesino ha fatto la spia a voi perché non riusciva a tenermi sotto controllo!” sputa orgoglioso.
Natalie, una volta vicina, lo afferra nuovamente per la nuca, gli tira la testa all’indietro e lo costringe a guardarla in viso. È sottomesso alla sua volontà, in balia dei suoi gesti a cui Dean è obbligato ad obbedire.
“Certo, perché tu sei il principe dei dannati, non è così? Non prendi ordini da nessuno, nemmeno dal re! Un anarchico che ha fatto dell’Inferno la sua terra da liberare dalla monarchia!” infila l’ago nel collo e ripete la procedura di poco prima. Dean ringhia a denti stretti, mentre sente il sangue bollirgli nelle vene. Poi torna a fissarla con aria di sfida, con determinazione – la stessa determinazione che legge dentro alle iridi grigio scuro di Natalie.
“Non voglio liberare l’Inferno. Voglio solo liberare me stesso da ogni catena, da ogni vincolo.”
“No, non lo vuoi.” Natalie molla la presa e si allontana. “Non l’hai mai voluto. Non vuoi essere libero dai vincoli. Tu hai bisogno della tua famiglia!”
“Quale famiglia, quella che tu non sei riuscita a darmi?”
Colpo basso. Persino per Natalie e la sua logica ferrea questo rappresenta un ostacolo difficile da saltare. Le risulta estremamente arduo non perdere il controllo, dopo quell’affermazione. Girata di spalle, chiude gli occhi per trattenere le lacrime. L’impossibilità di avere figli per lei è uno scoglio ancora insormontabile. È un dolore vivo, pulsante. Una ferita impossibile da rimarginare.
Torna a guardare Dean, che la osserva con un ghigno soddisfatto, come se d’ora in poi si aspettasse da un momento all’altro di vederla andare in pezzi come una brocca di vetro che si frantuma sul pavimento.
“No Dean, la famiglia che non hai per colpa tua. Sei tu che mi hai privato della possibilità di diventare madre. Sei tu. È solo colpa tua. Ho deciso di seguire te e Zaccaria ha preso me per riuscire ad attirare la tua attenzione. Non dimenticartelo.”
“Non lo pensi davvero.”
“Adesso basta.” Interviene Sam, “Nat, vatti a curare quel labbro. Ci vorranno dei punti. Per adesso penso abbia abbastanza sangue in circolo per iniziare la cura.” Sam la afferra saldamente per un braccio e la trascina via, fuori da quella stanza. Solo un attimo prima di varcare la soglia Natalie si volta a guardare l’amore della sua vita intrappolato dentro alla rete dei suoi demoni, diventati così reali da averlo trasformato in qualcosa di nero come l’inferno stesso. Il Marchio lo sta consumando, lo trasforma sempre di più e lo allontana ogni minuto che passa dalla sua vera natura.
L’ultima cosa che vede, prima di uscire, è Dean che le fa un occhiolino – gesto a cui lei non sa dare un significato.



 

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Capitolo 2
*** 2. ***


“Siediti. Vediamo di fare qualcosa per quel labbro.”
Sam, nel salone del bunker, le intima di sedersi ad una delle sedie del grande tavolo in legno che domina la stanza.
“Sam, lascia perdere, sto bene.”
“Siediti.” Insiste, perentorio, mentre fruga dentro ad un mobiletto situato accanto al tavolo. Apre uno dei cassetti e ci immerge le braccia fino ai gomiti. Quando riemerge, tiene tra le mani un kit per il pronto soccorso. Si avvicina alla donna che nel frattempo si è seduta direttamente sul tavolo, reputando l’altezza delle sedie troppo bassa per Sam – sedendosi su una di quelle, il cacciatore sarebbe stato costretto a chinarsi troppo, quindi per acquistare altezza ed evitare a Sam sforzi inutili, Nat ha preferito sedersi direttamente in quel modo.
Sam si ferma davanti a lei e appoggia il kit sul tavolo, alla sinistra di Natalie. Apre la piccola valigetta e ne estrae un batuffolo di cotone e del disinfettante. Natalie segue con gli occhi ogni minimo movimento di Sam, notando persino la piccola ruga di concentrazione che gli si forma al centro delle sopracciglia quando dosa la giusta quantità di alcol etilico sul batuffolo. Quell’espressione le ricorda terribilmente Dean: anche lui fa esattamente la stessa cosa, quando si concentra. Un sospiro preoccupato le esce involontariamente in seguito a quell’associazione di idee, così Sam alza gli occhi su di lei.
“Che c’è?”
“Niente, sono solo preoccupata. Sai che novità.” Fa un gesto con la mano, come se dovesse scacciare un insetto. “Avanti, dammi quel coso.” Allunga una mano, con il palmo aperto rivolto verso l’alto; ma Sam gliela afferra e la sposta delicatamente, iniziando lui stesso a tamponarle il taglio sul labbro.
“Sam,” comincia Nat, trattenendo il fiato dopo aver sentito il pizzico provocato dall’alcol sulla ferita, “sono in grado di farlo da sola.”
L’uomo alza gli occhi dalla ferita alle iridi della donna: “Lo so. Voglio farlo io, però.”
“Perché?”
“Deve esserci per forza un motivo?” Sam torna ad occuparsi del taglio.
Natalie gli blocca il polso, costringendo l’uomo a rivolgere la sua attenzione solo a lei: “Si. So che c’è. Avanti, dimmi qual è.”
Il cacciatore sostiene lo sguardo della donna per qualche istante, prima di sospirare e vuotare il sacco: “Non mi sono preso abbastanza cura di te, quando Dean era finito in Purgatorio. Eri sola, Bobby non c’era più, Dean nemmeno e io.. io che ho fatto, Nat? Sono fuggito.” Abbassa gli occhi su i suoi piedi, abbozzando un sorriso timido, accarezzato da una punta di vergogna.
“Sam,” Natalie gli afferra il mento con l’indice e il pollice, esortandolo ad alzare il viso: “Tu c’eri. E in quel periodo avevi bisogno di Amelia. Lo capisco, intesi? Ti è concesso innamorarti, sai?”
“Non così. Non se significa abbandonarti, abbandonarvi. Dovevo prendermi cura di te, invece che scappare da una sconosciuta. Tu eri, sei, la mia famiglia, la mia sorellina…”
“Sono più grande di te.” Puntualizza lei, sorridendo per alleggerire l’atmosfera.
“Di un mese scarso, se dobbiamo essere pignoli. E poi dai, sei talmente bassa che potresti sembrare mia figlia!” Sam si concede una risata, mentre Nat gli da un leggero colpetto sull’avambraccio, facendogli una linguaccia.
“Sei un po’ stronzo, sai? E poi sei tu che sei esageratamente alto!”
Sam si sistema una sciocca di capelli dietro all’orecchio con ancora un sorriso stampato sulle labbra – un evento raro, se non unico, visto il periodo passato.
“Questo te lo concedo.”
Nat sorride, allargando le braccia: “Vieni qui, forza.”
Sam si tuffa in quell’abbraccio stringendo il corpicino di Natalie a se. Quel contatto gli fa tornare alla mente le parole di Dean.
Cos’è, un tabù? Una cosa che vuoi fingere non sia successa per sentirti meno puttana?
“Nat..”
“Che c’è?”
Sam scioglie l’abbraccio per guardarla dritta negli occhi: “Sai che quello che ha detto Dean lui non lo pensa davvero, vero?”
“A cosa ti riferisci, esattamente? Alla parte dove mi ha dato della puttana, quella dove mi ha chiamata sadica torturatrice di bambini, o mi ha accusata di essere la causa della sua mancata paternità?”  la sua voce carica di sarcasmo cela un dolore difficile da domare, da tenere a bada. Sam lo sa, la conosce fin troppo bene. Nonostante Natalie sappia che ciò che è uscito dalla bocca di Dean non coincida in nessun modo con i pensieri del vero Dean, non significa che non possa sentirsi ferita.
“A tutto, Nat. Lo sai che non pensa una parola di ciò che ha detto, giusto? Il vero lui non pensa niente di quello che l’influenza del Marchio gli ha fatto dire.”
“Lo so, Sam. Sta’ tranquillo.” Abbozza un sorriso, che però non si forma. Quello che doveva essere anche solo un tentativo di sorridere, risulta più il pigro tentativo di un angolo della bocca di alzarsi. Natalie è troppo consumata da tutta questa storia per cercare anche solo di aprirsi in un sorriso forzato. “Per la cronaca: nemmeno io penso ciò che ho detto. Non penso assolutamente sia lui la causa dell’incidente con Zaccaria. L’ho detto solo per non mostrarmi infastidita dalle sue provocazioni.”
“Lo so, Nat. Sta’ tranquilla.” Le fa eco Sam, prima di tornare ad occuparsi delle sue ferite.

La cosa che attira l’attenzione di entrambi, ancora intenti uno a curare e l’altra a farsi curare, è un rumore improvviso, un’eco di passi proveniente dal corridoio.
Entrambi si lanciano un’occhiata allarmata e si sistemano in ascolto. Poi Natalie scende dal tavolo con uno scatto fluido e silenzioso, mentre Sam si avvicina ad un altro cassetto situato nel lato del tavolo opposto a quello dove si trovava il kit di pronto soccorso.
“È Dean.” Mormora Sam, intento a rovistare il più cautamente possibile in mezzo al contenuto del cassetto.
Natalie si avvicina a lui, tenendo stretta in mano la sua pistola, recuperata dal retro dei pantaloni.
“Che vuoi farci con quella?” le domanda Sam, dopo aver estratto dal cassetto le chiavi della stanza che contiene il quadro elettrico.
“Se è riuscito ad uscire dalla stanza, significa che sta tornando umano. Ciò significa che questa volta le ferite non rimargineranno.”
“Non gli sparerai.” La voce di Sam trema un poco, come se una nota di panico avesse pizzicato delicatamente le sue corde vocali.
“Non gli sparerò a morte. Se dovesse essere necessario lo ferirò.”
“E se sbagliassi un colpo?”
“Non sbaglio mai un colpo, dovresti saperlo. Tu meglio di chiunque altro.”  Natalie passa rapidamente gli occhi sulla spalla di Sam, quella a cui, qualche anno prima quando lui era senz’anima, aveva sparato per impedirgli di uccidere Bobby. Anche Sam era fuori di se, anche Sam era influenzato da una malvagità a lui estranea eppure, Nat gli aveva sparato per ferirlo, non per ucciderlo. Non capisce perché Sam sia così preoccupato.
“Pensi davvero che lo ucciderei? Cristo, Sam. Dimmi che mi stai facendo uno scherzo di cattivo gusto!”
Sam sospira: “No, non penso tu voglia ucciderlo. Ma le circostanze..”
“Non esiste circostanza che mi porterebbe a mirare in altri posti diversi dalle gambe o dalle braccia, intesi?” Il suo sguardo è così deciso e determinato che Sam si tranquillizza all’istante. Non ha mai dubitato che Natalie potesse volontariamente uccidere Dean, perché sa benissimo che non lo farebbe, ma possono capitare incidenti, circostanze che non si erano previste e che possono accidentalmente portare a qualcosa di spiacevole, se non mortale.
E se fosse lui ad uccidere voi? Gli suggerisce la sua testa, ma Sam scaccia via quell’eventualità e rivolge la sua attenzione a Nat: “Intesi.”
“Bene. Adesso andiamo a sigillare questo posto.” La donna lancia un’occhiata alle chiavi che Sam ha in mano, avendo intuito il suo piano. Così i due cacciatori si dirigono silenziosamente verso il quadro elettrico.


“Sam! Avanti Sammy, andiamo a farci una birra e parliamone!”
La voce di Dean rimbomba tra i corridoi vuoti, ancora illuminati dalle luci al neon attaccate al soffitto e coperte da grate metalliche. Quelle luci non sfarfallano mai e non sono mai oggetto dell’attenzione di qualche insetto. Dentro a quel bunker super sicuro sembra che nemmeno un luogo comune come una luce che lampeggia e a cui una mosca vuole dare attenzioni sia destinato ad avvenire.
Sam e Nat hanno la schiena al muro, nascosti da possibili incontri. I loro occhi puntano a quella fatidica porta, quella dietro la quale si cela il quadro elettrico. Una volta abbassata la leva, il bunker verrà blindato, le luci si staccheranno e non ci sarà possibilità d’uscita.
A quel punto, non sanno proprio cosa aspettarsi. Milioni di domande ronzano nella loro testa. Quella che spicca, però, è sicuramente: Dean ci ucciderà?
Non possono saperlo. O forse, non vogliono pensarci. Non vogliono pensare che il Marchio abbia affondato i denti nella carne di Dean a tal punto da scacciare anche il più piccolo barlume di umanità che viveva in lui. Non vogliono pensare alle conseguenze che ciò comporterebbe: la sua morte. Saranno in grado di ucciderlo, se davvero dovesse trasformarsi totalmente in un demone?
Sam sarà in grado di guardare negli occhi suo fratello, la persona che gli è accanto da quando era in fasce, il bambino che l’ha portato via da una casa in fiamme quando lui aveva solo sei mesi, e ucciderlo con la stessa freddezza con cui ha ucciso tutte le creature che si sono presentate nel suo cammino nel corso di tutti questi anni?
E Natalie..?
Natalie è in grado, dal canto suo, di uccidere l’uomo con cui ha condiviso la sua vita? L’uomo che le ha fatto capire cosa significa amare? Colui che l’ha sempre messa al primo posto, indipendentemente da tutto?
Saranno in grado di uccidere qualcuno così importante per loro, una figura portante nelle loro vite?
La risposta la sanno entrambi: no. No, non ne sono in grado. Ma adesso… adesso l’unica cosa che vogliono fare è sigillare il bunker per impedire che Dean possa uscire. Poi penseranno a come agire.
“Vai!” intima Natalie. “Ti guardo le spalle.”
“Non voglio lasciarti sola in corridoio con Dean che gira libero…”
“Lungi da me voler guastare il tuo animo, ma è più facile sia più pericoloso per te essere lasciato solo in un corridoio con Dean che gira libero, mentre io sono dentro a quella stanza..”
Sam la guarda corrugando la fronte per chiedere spiegazioni.
“Caino ha ucciso suo fratello. Adesso che il Marchio è sull’avambraccio di Dean, è molto probabile voglia ripetere l’esperienza.”
Il viso di Sam si fa triste e pensoso: “Dean non mi ucciderebbe mai.” Sussurra, smarrito. Si rende conto, però, che la teoria di Nat potrebbe avere senso. Dean non lo ucciderebbe mai in condizioni normali, ma il demone? Cosa pensa il demone? Cosa vorrebbe fare il demone a quell’uomo che reputa colpevole della morte di sua madre?
Mia madre sarebbe ancora viva, se non fosse per te.
Dean amava Mary.
Ciò può bastare per fare si che il demone si nutra di questo sentimento per trasformarlo in una vendetta così violenta da provocare un fratricidio? È molto probabile. Se non certo.
“Certo che no..” si affretta a rispondere Natalie, notando le rughe d’espressione formate intorno agli occhi preoccupati e fin troppo impensieriti di Sam. Improvvisamente, sente la forte necessità di mordere quella sua linguaccia lunga e inappropriata. Non era necessario glielo dicesse in modo così schietto. Anzi, non era necessario glielo dicesse affatto. D’altronde, per quanto plausibile possa essere, la sua era solo un’ipotesi, no? Le ipotesi non sono mai certe, quindi perché andare ad angosciare il cuore di un uomo con qualcosa che non è certo?
Sam porta i suoi occhi su di lei. L’espressione pensosa (e impensierita) non lo lascia un attimo. Natalie per una frazione di secondo si chiede cosa possa leggere Sam nel suo, di viso. Leggerà l’ansia che prova in questo momento, o la paura? Preferirebbe di no. Preferirebbe non mostrarsi in preda ad emozioni così forti, ma piuttosto farsi vedere come una roccia solida su cui poter contare, proprio ora che sembra che l’emotività di Sam non riesca ad essere celata. Gli si legge in faccia ciò che pensa, le sue preoccupazioni, le sue angosce e Nat vorrebbe solo essergli di conforto.
“Ce la faremo, Sam.” Gli stringe una mano, “Ne usciremo anche questa volta, vedrai.”
Sam annuisce, anche se i muscoli del suo viso – e di tutto il suo corpo – rimangono tesi come corde di violino. Per quanto voglia credere alle parole di Nat, per quanto abbia davvero bisogno di credere in quelle parole, Sam penserà che tutto andrà bene quando effettivamente tutto si sarà sistemato. Fino ad allora, altro non rimane che entrare in quella stanza e sperare che il loro piano vada a buon fine.


“Non vado da nessuna parte, Sam!”
Natalie sente gridare Dean. La sua voce è più vicina e rimbomba meno della prima volta. Il bunker è sigillato dall’interno. Non ci sono più vie d’uscita, adesso.
Nat si trova a guardare le luci al neon di poco prima, adesso spente. La poca luce che illumina fiocamente il corridoio è dovuta dalle lampadine di emergenza situate ad ogni angolo dei muri, in alto. L’illuminazione, tuttavia, rimane scarsa e grigiastra, come una leggera nebbiolina che permette ancora di vedere, ma impedisce la percezione totale di ciò che si trova tutt’intorno. La cacciatrice trova a chiedersi, viste le attuali condizioni, quanto possa essere stata effettivamente una buona idea ridurre la luminosità di un luogo che, con ogni probabilità, diventerà una sorta di campo di battaglia.
I suoi pensieri, però, sono interrotti da Sam che si posiziona nuovamente al suo fianco. L’uomo fa grossi sospiri e si passa una mano sulla fronte.
“Sam, che c’è?”
“Spero che il mio piano funzioni.”
“Vuoi informarmi o devo indovinare?”
Sam vorrebbe rimproverarla del fatto che il sarcasmo, in situazioni simili a quella in cui si trovano, non serve a un bel niente, ma si trattiene. In situazioni come quella in cui si trovano, nemmeno essere puntigliosi serve a qualcosa.
“Lo rinchiudiamo e poi gli parliamo.”
“Lo rinchiudiamo?”
Sam annuisce con convinzione.
“Vuoi chiudere tuo fratello dentro a quella stanza?”
“Non pensavo la trovassi un’idea tanto da difficile concepire!”
Nat sente un po’ d’irritazione nascere dentro di lei a quell’affermazione, ma lascia perdere: è una situazione troppo anomala per starsela a prendere.
“Dico solo che farlo sentire un animale in gabbia potrebbe non risultare un’ottima idea!”
Sam si morde l’angolo sinistro del labbro inferiore: non l’aveva vista in quel modo. Nat potrebbe avere ragione, ma ormai è tardi. Dean non è stupido. Ha visto le luci fioche e ha intuito che Sam voleva bloccarlo all’interno dell’edificio. Avrà già fatto i suoi conti e li starà già raggiungendo.
Di fatto, l’unica cosa che ormai rimane da fare ai due cacciatori è aspettare l’arrivo di Dean. Rimangono in silenzio con il cuore che pompa nelle vene così forte da sentirlo fin dentro alle orecchie, nei polsi, nei polpastrelli, nelle tempie. Il loro respiro è tenuto a bada solo grazie agli anni di esperienza passati a regolarizzarlo anche in situazioni di imminente pericolo e ansia per non venire scoperti dai mostri di turno. Se così non fosse, se non avessero accumulato tutto questo addestramento, l’aria sarebbe gonfia dei loro sospiri pesanti e angosciati.
Piccole gocce di sudore freddo imperlano le loro fronti e cadono sulle loro guance, silenziose, tracciando perfette linee che terminano al livello delle loro mandibole. I loro muscoli tesi fremono dall’impellente voglia di scattare dettata da quell’istinto primordiale che dall’alba dei tempi viene chiamato istinto di sopravvivenza. Perché un po’ si sentono prede. Due prede messe all’angolo dal loro predatore affamato e desideroso di tenera carne succulenta. Due agnelli costretti dal lupo, a digiuno da troppo tempo e, quindi, feroce come solo la fame più acuta sa far diventare, ad accucciarsi in un cantone ed aspettare il loro imminente, inevitabile, destino.
“Lo salveremo, non è vero?” Sam deglutisce. Il solo pensiero di aver associato a suo fratello l’idea di un predatore mostruoso lo disgusta. È disgustato da se stesso per aver associato un’immagine simile all’uomo con cui è cresciuto e che si è preso cura di lui. Ma – tende a giustificarsi –  l’uomo che si è preso cura di lui, in realtà, è intrappolato dentro a quella creatura che è riuscita a venire fuori e si nutre dei peggiori incubi di Dean per trasformarli in materiale per alimentare sentimenti necessari al Marchio, quali odio e rancore. Dean, sotto questo punto di vista, è un agnello tanto quanto lo possono essere lui e Natalie in questo momento.
“Si Sam, lo salveremo.” Nat, al suo fianco, annuisce e gli stringe forte una mano per qualche istante, prima di lasciarla nell’esatto momento in cui dei passi si fanno estremamente vicini. Troppo vicini.
Dean è a pochi passi da loro e sta entrando dentro alla stanza contenente il quadro elettrico.


Non appena il maggiore dei Winchester varca la soglia di quella stanza, diventata estremamente importante nell’ultima mezz’ora, Sam abbandona la sua postazione per chiudere la porta alle spalle del fratello e fa scattare la serratura. Dean è rinchiuso. O in trappola, se si guarda la cosa dal suo punto di vista.
Il cacciatore, infatti, guarda quella porta serrata e sente montare dentro di se un impellente desiderio di sfondarla. Abbattere quella barriera che lo tiene prigioniero e gli impedisce di portare a termine la sua missione.
Sam deve morire.
Sam morirà. E non sarà certo una misera porta di legno a impedirglielo. Lui, Dean Winchester, cacciatore dal talento innato e principe dei dannati (non gli dispiace rubare il termine utilizzato da Natalie. In un certo senso, trova che gli si addica. Ha mai incontrato un demone in grado di tenergli testa? No. Piuttosto, ha incontrato sempre demoni che lo temevano. Un po’ per la consapevolezza che avesse con se la Lama, un po’ perché sapevano tutti che grazie alle capacità acquisite grazie ad una vita passata come cacciatore, era in grado di usare quell’arma con una destrezza fuori dal comune) non si farà fermare da un ostacolo effimero e futile come una porta.
“Dean..” sente la voce ovattata di suo fratello dall’altra parte della porta. Un moto di rabbia velenosa gli sale dallo stomaco e si propaga per tutto il corpo, fino a salirgli in gola e trasformarsi in un ringhio feroce.
“Ti comporti come se volessi essere curato!!” sputa, iniziando a prendere a martellate il legno della porta. La colpisce con forza, provocando lo spargimento di schegge di legno per tutto il pavimento. E ad ogni colpo assestato con più forza, le schegge saltano con più vigore, come se volessero scappare da quel trattamento ed essere risparmiate da ulteriori violenze.
Solo quando nella porta si provoca un buco abbastanza largo affinché Dean possa avere una visione chiara di ciò che sta al di là della porta – Sam e Natalie – allora continua a parlare.
“Personalmente, mi piace questa malattia!” Con un ultimo, potente, preciso colpo, sfonda quasi del tutto la porta. Prima di uscire definitivamente da quella stanza riesce a vedere Natalie che afferra Sam per un polso e lo trascina via, correndo, diretti verso il corridoio che porta alle stanze.
Un ghigno soddisfatto si forma sul viso del cacciatore, consapevole del fatto che per quanto possano correre, ormai quei due sono in trappola. E, per giunta, si sono intrappolati da soli.
Lascia ad entrambi qualche istante di vantaggio, prima di partire all’inseguimento. Cammina lentamente, pregustando già il momento esatto in cui userà il martello per fracassare la testa di Sam.
Sam, che non ha più scampo.
Sam che è la causa della morte di Mary; Sam che è sempre stato egoista, che ha sempre fatto tutto ciò che gli andava di fare senza che pensasse alle conseguenze che le sue azioni potessero avere su di lui, suo fratello. Quando Sam piagnucolava di voler andare a studiare a Stanford perché non gli andava più cacciare, ha pensato a cosa potesse significare per Dean il suo allontanamento? No! Ha solo pensato a se stesso e se n’è andato. Ha mai pensato a come sarebbe cambiato John? No! Lui non c’era quando suo padre diventava sempre più cupo e le conversazioni tra di loro – al di fuori di quelle sulla caccia – diventavano sempre più rare perché l’assenza del piccolo Sam pesava troppo per entrambi.
Sam si è sempre preso tutto quello che voleva senza pensare alle conseguenze. Sam che non si è mai reso conto che Dean ha dedicato la sua intera vita a crescere un moccioso piagnucoloso, viziato ed egoista.
Quando lui era in Purgatorio, Sam se n’è andato da una donnetta insulsa solo perché aveva visto in lei l’occasione di una vita normale, una via di fuga dalla vita del cacciatore che aveva sempre cercato di evitare.
Per colpa di questo capriccio, lui è rimasto un anno in Purgatorio e Natalie è rimasta sola.
Natalie..
Sam si è preso anche lei.
Non solo ha sempre fatto tutto quello che voleva, ma anche preso l’unica persona di cui a Dean importasse.
Sam si è scopato Natalie.
La sua Natalie.
Sam è la causa di ogni suo male.
Sam deve morire.
“Sam!” grida così forte che la sua voce rimbomba per tutto l’edificio. “Sammy!”
Dean arriva in fondo al corridoio e si guarda intorno, alla ricerca del suo obiettivo.
“Andiamo, Sam!”
Controlla i suoi passi, facendo si che diventino più leggeri e impercettibili. Cammina piano e lentamente, cercando di non provocare rumore.
“La vuoi sapere una cosa, Sam? È arrivata la tua ora.” Continua ad avanzare, rimanendo in ascolto di qualche possibile rumore provocato dai due fuggitivi.
“So come andrà a finire. Tu non avrai il coraggio di uccidermi, ma io… oh, io mi sento benedetto, perché c’è ancora abbastanza demone dentro di me per avere la forza di ucciderti!” grida con astio e con una convinzione che gli fa vibrare le corde vocali di eccitazione. Pregusta già il momento in cui il suo piano giungerà alla fine.
Da quel momento in poi, decide di tacere. La sua voce avrà fatto intuire ai due cacciatori la sua posizione, quindi, rimanendo in silenzio, cambia strada – cercando un altro modo per arrivare alle camere.

“Non lo sento più.” Sussurra Sam, sporgendosi dal muro per avere una visione di ciò che succede in quei corridoi. Si stupisce di vederli vuoti e sentirli silenziosi.
“Pensi sia uscito?”
“No. Non l’hai sentito? Non ha intenzione di uscire..”
Già. L’hanno sentito entrambi che il suo vero desiderio è fare fuori il caro, piccolo Sammy.
Natalie sospira, cercando di calmarsi. Tutta quella situazione sta diventando sempre più anomala: Dean che si lascia corrompere dalla natura demoniaca e brama la testa di Sam su una picca. È la cosa più assurda che potesse capitargli dal momento che ha passato la sua vita da una parte a cacciare demoni, dall’altra a proteggere suo fratello da qualsiasi pericolo esistente.
Ciò dimostra quanto Dean in realtà non sia Dean.
“Farò un giro di perlustrazione, d’accordo?”
Sam stringe la labbra e contrae il viso in una smorfia contrariata e preoccupata, ma poi annuisce, nonostante sembra lo faccia controvoglia. La verità è che per quanto possa trovare ragionevole che in perlustrazione ci vada Nat, teme lo stesso che Dean possa farle qualcosa. Il fatto che suo fratello voglia uccidere lui, non esclude a priori che non possa ferire anche Natalie. Quindi non è che mandarla a dare un’occhiata lo entusiasmi particolarmente.
“Però fa’ attenzione.”
Natalie gli rivolge un sorrisetto tirato, appena accennato, ma al tempo stesso rassicurante: “Come sempre.”
Il minore dei Winchester rimane a guardare Natalie che si allontana, la sua snella figura che fluttua leggiadra ed incredibilmente silenziosa per quei corridoi. Immagina i suoi occhi che saettano in ogni direzione, le sue orecchie tese per cogliere il minimo rumore sospetto. La segue con gli occhi fino a che non la vede voltare verso destra e scomparire. Natalie sta tornando verso la cucina.
Sam, a questo punto rimasto solo, inizia a pensare a dove potrebbe essersi ficcato suo fratello. Il fatto che rimanga zitto gli fa solo pensare al fatto che voglia nascondersi per tendere un agguato con i fiocchi e si trova a pensare che forse rimanere immobili nello stesso punto per così tanto tempo non è proprio la migliore delle idee. Deve muoversi.
Si sporge verso la direzione dove ha visto sparire Natalie e non vede niente – non sono in arrivo ne lei, ne Dean. Allora si volta nella direzione opposta e lì, nel momento esatto in cui i suoi occhi riconoscono la figura che si trova alle sue spalle, il suo istinto gli ordina di abbassare la testa.
Un fruscio di aria sferzata da un oggetto pesante gli fischia nelle orecchie. C’è mancato davvero pochissimo: cinque centimetri più su, una reazione più lenta da parte sua e Dean gli avrebbe fracassato la testa con un martello.
D’istinto, Sam gli preme il coltello di Ruby – quello con cui hanno ucciso una miriade di demoni, negli anni – alla gola. Con la coda dell’occhio nota che il martello è ancora conficcato alla parete: Dean è disarmato.
Ma non sembra preoccupato della cosa, anzi, fa spallucce e guarda Sam con superiorità.
Poi, dopo aver serrato la mascella, il suo sguardo cambia e viene attraversato da un moto di collera, un’ira inequivocabile: “Fallo.” Ordina Dean, con la voce arrocchita e gli occhi colmi di sfida.
Ma Sam non lo vuole fare.
Sam non vuole tagliare la gola di suo fratello.
Sam preferisce farsi uccidere che compiere un atto simile.
“Fallo.” Ringhia di nuovo Dean. “È tutto nelle tue mani.” Le sue iridi verdi non lo mollano un attimo. Dean non ha paura, ma piuttosto sembra voglia assistere al momento esatto in cui le sue previsioni si manifesteranno: il maggiore dei Winchester sa benissimo che Sam non affonderà mai quel coltello nelle sue carni. Lo sa.
E infatti, quando Sam abbassa l’arma e la getta a terra, Dean alza un angolo della bocca e sul suo viso si forma un sorriso compiaciuto e soddisfatto.
Sapeva che Sam non avrebbe mai avuto la forza di macchiarsi di un delitto simile. Ma lui… lui ce l’ha eccome la forza di farlo fuori. Così, mentre sul viso di suo fratello si dipinge l’espressione di un uomo che ha intuito quale sarà il suo destino e lo accetta, mentre i suoi occhi si bagnano di lacrime e lascia cadere la mano sana lungo il corpo in segno di resa, Dean gli sferra un destro sotto al mento che lo fa barcollare all’indietro. Un gesto che gli ha fatto guadagnare un po’ di tempo e gli permette di riafferrare il martello.
“La vuoi sapere una cosa?” Gli punta il martello addosso, mentre Sam rimane appoggiato ad una parete.
“Ti detesto. Ho dedicato la mia intera vita a te. La mia intera, fottuta esistenza a te e tu non hai mai fatto niente di diverso dal lamentarti che volevi un’altra vita e lasciarmi nella merda quando mi trovavo in situazioni disastrose.”
“Non lo pensi sul serio.”
Un lampo d’odio attraversa gli occhi di Dean e, come se quella frase gli avesse fatto perdere il lume della ragione, afferra il braccio ingessato di suo fratello e lo scaglia con forza contro il muro alle sue spalle. Le grida del minore dei Winchester rimbombano per tutto il corridoio.
“Non lo penso? Non lo penso??” sbraita, furioso. “Sono stato all’inferno, per te. Ho sacrificato la mia vita perché tu potessi riavere la tua, ti rendi conto? E tu cosa hai fatto? Te lo ricordi cosa hai fatto quando qualche anno dopo ero in Purgatorio? Ti scopavi una donnetta scialba e insulsa che era talmente disperata da accettare le attenzioni di un disgraziato come te, anzi che provare a cercarmi!” mentre parla, Dean lascia con la mano libera il braccio di Sam e gli stringe la gola. Avvicina il suo viso e quello del fratello e quando i loro occhi si intrecciano, Dean continua: “Sei la mia rovina. La cosa peggiore che potesse capitarmi!”
Dagli occhi di Sam scendono lacrime silenziose: “Non parlarmi così… non parlarmi così…” la sua voce sembra quella di un bambino ferito dalla persona più importante della sua vita. Si sente come se l’uomo adulto e razionale che fino ad ora ha seguito questo caso e vissuto questa situazione, l’uomo consapevole del fatto che ogni cosa detta da Dean non è frutto dei pensieri del vero Dean quanto piuttosto del demone che vive in lui, fosse sparito e al suo posto fosse emerso un bambino – Sammy a cinque anni che guarda Dean vestito da Superman che cerca di volare e lui, un piccolo e ingenuo Batman che imita il suo fratellone, il suo eroe, cadendo rovinosamente e rompendosi un braccio. E lui è quel bimbo. Il piccolo Sammy che stravedeva per suo fratello maggiore e avrebbe fatto qualsiasi cosa per assomigliargli solo un po’, anche spezzarsi un braccio. È quel bambino che adesso si sente ferito, si sente buttato via come la spazzatura, messo da parte come un gioco brutto e rotto con cui Dean non ama più giocare. Si sente respinto, umiliato. Si sente devastato, rinnegato. Quelle lacrime non sono dell’adulto Sam, ma del piccolo vestito da Batman. Scendono dagli occhi di un bambino che è sempre stato abituato ad essere coccolato da suo fratello e adesso, invece, si sente trattato come la peggiore delle piaghe, delle disgrazie.
Ed è sempre quel bambino che si trova a pensare che se la sua morte potrà in qualche modo far stare bene suo fratello, allora è pronto a morire. È pronto a lasciare che quel martello si conficchi nella sua testa e ponga fine alla sua vita per sempre, se questo potrà davvero far star meglio Dean. Così Sam chiude gli occhi, sentendo le lacrime solcargli il viso e rimanendo in attesa. Rimane in attesa di sentire il dolore, le ossa del cranio frantumarsi a causa dell’urto violento e poi.. poi immergersi nel buio eterno della morte. Aspetta, calmo, in silenzio, e quasi riesce a vederlo Dean: le labbra che tremano di rabbia, gli occhi accecati dall’odio, il braccio destro che solleva il martello, come potrebbe fare un boia che si accinge a tagliare il collo di un giustiziato a morte. Si immagina persino il momento in cui quel martello calerà sulla sua testa, ma poi… poi una voce interrompe la visione. Una voce che conosce troppo bene, che entrambi conoscono troppo bene.
“Fermo!!” è un grido disperato quello che esce dalla gola di Natalie. L’urlo terrorizzato di chi teme di essere arrivato troppo tardi per impedire una disgrazia a cui non voleva assistere, ma a cui, visto il suo ritardo, sarà costretto ad assistere ugualmente. E quando Sam apre gli occhi, la vede correre a perdifiato verso di loro, con i capelli rossi che ondeggiano ovunque disordinati, il viso sudato e le guance arrossate. E, contro ogni logica, contro ogni speranza, riesce ad arrivare prima che Dean decida di infliggere il colpo di grazia e si posiziona tra i due fratelli.
Così piccola, in confronto a loro, ma così imponente, così determinata ad evitare una catastrofe.
“Fermati Dean!” ansima. Il viso rivolto al cacciatore, la schiena rivolta a Sam. “Adesso basta..” continua, mentre allunga una mano per cercare di prendere il polso di Dean per abbassarlo – abbassando così anche l’arma. Ma l’uomo si scansa e indietreggia. La osserva con quel suo solito sguardo ammirato e allo stesso tempo famelico.
“No. Non mi fermerò, bambolina. O ti togli di mezzo o ammazzo anche te. Giuro che lo faccio.”
Natalie non si lascia intimorire. Sostiene il suo sguardo e risponde con voce ferma, dura: “Allora vedi di prendere bene la mira, perché non mi sposto. Ma non sbagliare, Dean. Altrimenti toccherà a me. E non sarà un bello spettacolo.”
Nel momento in cui Dean fa uno slancio verso di loro, però, qualcosa lo blocca da dietro, stringendolo in una morsa ferrea.
“È finita, Dean. È finita!”
Castiel. 
Natalie e Sam rimangono a guardare Castiel che tiene fermo Dean. Gli occhi dell’angelo accesi dell’azzurro della Grazia che alberga in lui – non la propria, purtroppo – mentre quelli di Dean diventano neri come la pece. Un urlo straziante fuoriesce dalla gola di Dean, come se quel contatto con Castiel lo mandasse a fuoco; come se tutto il suo corpo fosse in preda alle fiamme bollenti e ingestibili.
Nat si trova a pensare ad un demone che tenta di entrare in terra consacrata e sente la propria pelle friggere. Autocombustione spontanea dell’epidermide. 
Dean si contrae su se stesso, mentre continua ad urlare. Grida forte, tanto che le sue urla vanno a conficcarsi nelle orecchie di Nat e le lacerano il cuore, portandola a chiedersi quanto possa fargli male tutto questo, quanto Dean stia soffrendo per tutti i trattamenti a cui l’hanno sottoposto.
Sta per chiedere a Cas di smetterla con quella procedura, ma Dean si accascia prima che lei riesca ad aprire bocca.
Il cacciatore ha perso i sensi.

                                                                      ***

Uno strano senso di intorpidimento domina il suo corpo. Non appena la sua mente torna cosciente, Dean riesce a percepire i dolori muscolari acuti, eredità lasciata da uno sforzo notevole. In genere, nel suo caso, quei dolori si presentavano ogni mattina dopo un combattimento avuto con una delle tante creature che incrociavano il suo cammino. Adesso, invece, per quanto volesse dire di non ricordare il motivo di quei dolori muscolari così forti, sa benissimo da cosa derivano: la lotta con Natalie; le ore passate legato a quella sedia; il combattimento con Sam.
Sam.
Ricorda il suo viso rigato dalle lacrime e accartocciato dalla sofferenza. I suoi grandi occhi limpidi che lo fissano disperati, affranti.
Dio, che cosa mostruosa gli ha detto. Deve averlo ferito così in profondità che adesso deve provare sicuramente odio nei suoi confronti. E se lo merita. Si merita di essere odiato, dopo le parole che gli ha rivolto, dopo il gesto che stava per compiere.
Tentato omicidio del sangue del suo sangue. Della persona più importante della sua vita; della sua famiglia.
Si sente uno schifo.
Si detesta per quello che ha fatto. Per quello che è diventato. Per quello che probabilmente diventerà di nuovo se non trova un maledettissimo modo per togliere quel fottuto Marchio dal suo fottuto avambraccio. È stato così terribile. Sentire quelle sensazioni a lui estranee albergare nel suo corpo. Per un momento, un fulmineo, fugace, momento, ha quasi pensato che, dal momento che quelle parole uscivano dalla sua bocca, allora forse un po’ le pensava. Ma ragionandoci, nulla potrebbe essere più assurdo di quelle parole: Dean non riuscirebbe ad odiare Sam nemmeno se gli facesse il torto più grande del mondo. E di liti ne hanno avute. Di torti se ne sono fatti. Ma niente di ciò che hanno passato potrà mai fargli provare odio nei confronti di suo fratello. Lui ama troppo Sam per detestarlo. Dipende troppo da lui per accettare anche solo l’idea di perderlo, di separarsene. Per questo, sa che le parole uscite dalle sue labbra altro non sono che l’influenza del Marchio su di lui.
Allora perché non riesce a perdonarsi? Perché si sente disgustato da se stesso?
Perché sai che non era una possessione, la tua. Quella ad essere nera come l’inferno era la tua anima. Quindi perché non pensare che quelle parole siano frutto del tuo più profondo, oscuro inconscio?
No. No. No. No. E ancora no. Che sia stata la sua anima quella ad essere marchiata dall’oscurità infernale non è da mettere in dubbio, la sua non era possessione quanto piuttosto corruzione. È stato corrotto dal Marchio che gli ha mostrato una realtà distorta e non vera pur di fargli commettere l’omicidio che più desidera: quello di Sam.
Al Marchio, evidentemente, piacciono i fratricidi molto più delle altre uccisioni. Ma lui non è Caino e Sam non è Abele.
La storia non si ripeterà.
Piuttosto che uccidere Sam, ucciderà se stesso.
Il Marchio non te lo permetterà. Lo sai.
Allora si allontanerà fino ad arrivare al centro della Terra, se dovesse essere necessario, e lì si incatenerà fino alla fine dei tempi.
Tutto tranne torcere un solo capello al suo fratellino, al suo Sammy.
Deglutisce, sentendo la gola arsa. Si abitua sempre di più alla realtà che lo circonda, tanto che riesce persino ad alzare la testa, nonostante i muscoli posteriori del suo collo – e la cervice in particolare – protestino. Apre lentamente gli occhi, abituandosi piano piano alla luce. Ciò che in un primo momento sono solo ombre, ci impiega qualche istante a trasformarsi in tre sagome distinte: Cas, Nat e Sam.
“Ben tornato, Dean.” Sam lo guarda con gli occhi ancora lucidi, ma felici. Sembra soddisfatto, quasi sereno, nonostante si colga ancora tensione nei lineamenti del suo viso – tensione che scorge anche nei visi di Castiel e Natalie.
“Sembrate preoccupati, ragazzi…”  
Si sofferma sul viso di Natalie. Nota le lacrime che le riempiono gli occhi e il sorriso un poco rilassato rispetto al resto del volto, frutto della felicità di vedere che la cura ha funzionato. La donna gli si avvicina, cominciando a slegare i suoi polsi.
Dean ripensa all’ultima volta che l’ha avuta così vicina e alle cose che le ha detto. E mentre lei si china alla sua altezza e armeggia con le corde, Dean nota la guancia violacea. La sua mente a quel punto torna al momento esatto in cui le ha sferrato quel destro che le ha fatto perdere i sensi; alla ginocchiata in pieno petto che le ha fatto perdere momentaneamente la capacità di respirare – sì, se n’era accorto.
Ripensa al fatto che l’abbia picchiata. Non era un combattimento. Non in quel momento. Lui l’ha picchiata come possono fare i mariti violenti che mettono le mani addosso alla moglie perché la ritengono una loro proprietà e credono che, essendosi in qualche modo comportata male, necessiti di essere punita. Violenza gratuita. Quelli sono la peggior categoria di uomo.  
Il senso di disgusto per se stesso aumenta sempre di più.
La famiglia che tu non hai saputo darmi?
Per non parlare poi di quanto l’abbia ferita pronunciando questa frase. Si sente un mostro.
“Nat..” comincia quando lei gli slaccia anche il polso sinistro. La donna si sistema una ciocca di capelli dietro all’orecchio e alza i suoi meravigliosi occhi su di lui. Gli è mancato quello sguardo gentile e premuroso, che l’ha sempre caratterizzata. Se ci pensa, Nat guardava la sua versione demoniaca con disprezzo. Un sentimento che non ha mai riguardato loro due. Mai. E vedere quegli occhi che osservano il demone spietato associandolo alla sua figura, lo fa stare a pezzi.
Dean ama quegli occhi; ama quello sguardo dolce e affettuoso che gli rivolgono da più di dieci anni. Per questo rinunciarci sarebbe come morire. Non essere più guardato in quel modo, non ricevere più l’attenzione di quel tipo di sguardo lo dilanierebbe nel profondo.
Dean dipende da quello sguardo, da Natalie, tanto quanto dipende da Sam. In due modi diversi, ovviamente, ma pur sempre vitali.
Non può rinunciare a loro, non ne è fisicamente in grado. E sapere che li ha trattati come li ha trattati lo distrugge dall’interno, consumandogli in cuore e lacerandogli l’anima – quella stessa anima che può essere ritenuta dannata sotto molti punti di vista.
“Nat..” la chiama di nuovo, angosciato. E lei, come sempre da quando lo conosce, gli legge dentro. Capisce tutta la sua paura, tutto il suo timore, il terrore che questo episodio possa effettivamente aver cambiato radicalmente ciò che c’era tra di loro. Lei capisce cosa gli passa per la testa e gli sorride. Gli sorride per tranquillizzarlo. Gli afferra il viso tra le mani e gli bacia la fronte.
“Va tutto bene…” gli sussurra. “Siamo sempre qui."
Dean, ancora seduto, la circonda con le braccia, ormai libere, e appoggia il viso al suo petto.
La sente tra le sue gambe, in piedi, che lo culla come un bambino terrorizzato. Sente le sue mani che vagano tra i suoi capelli, accarezzandolo dolcemente. E lui continua a stringerla. La stringe forte, tanto che Natalie sente le dita che affondano nella sua pelle, quasi come se volessero entrarci. Si aggrappa a lei come un condannato a morte si aggrappa all’ultima speranza di vita.
“Saremo sempre qui, Dean.”
Natalie fa un passo indietro e Dean d’istinto stringe la presa: non vuole lasciarla andare, non ancora. Ha bisogno di sentirla ancora così vicina. Di percepirla.
“Guardami, Dean.”
Il cacciatore, ancora con il viso nascosto, fa un cenno di negazione con la testa.
“Avanti, non fare così.” il suo tono di voce è dolce e comprensivo. Vellutato come un sogno.
A quel punto, l’uomo si fa forza e alza il capo. Appoggia il mento al ventre della donna e incrocia il suo sguardo.
“Eccoti…” mormora Nat, studiando il suo viso, i suoi occhi. Vederli di nuovo di quel verde scintillante consapevole che non diventeranno più neri come il carbone la tranquillizza.
“Come stai?” gli domanda, accarezzandogli il viso. Sente ancora le mani dell’uomo allacciate sulla sua vita e li le lascia. Vuole che stiano lì. Vuole sentirsi toccata in quel modo che è così tipico del suo Dean.
“Perché non mi fai una domanda di riserva?”
Natalie fa passare i suoi pollici sulle guance dell’uomo, coperte di una leggera barba ispida.
“Non eri tu, intesi?”
Dean distoglie lo sguardo, incrociando, però quello di suo fratello. Sam è rimasto fino ad ora in silenzio, lasciando ai due il loro spazio.
Ma adesso, che nota che il fratello ha intrecciato il suo sguardo con il proprio, il minore dei Winchester si sente di intervenire: “Non eri tu, Dean.” Fa eco alle parole di Natalie.
A quel punto, Dean scioglie la presa su Natalie e si alza in piedi, colto da una rabbia improvvisa: “Quindi mi scusate, così, con facilità?”
Come possono esserne in grado? Come possono non odiarlo? Come possono provare ancora amore nei suoi confronti? Lui, che amore non merita?
“Non c’è niente per cui tu debba chiederci scusa..”
“Ho tentato di ucciderti! Ucciderti, porca puttana!” urla l’uomo, vagando irrequieto per la stanza.
“E se Nat non mi avesse fermato e Cas non fosse intervenuto nel momento giusto….” Non finisce la frase, incapace anche solo di dare voce a quel pensiero orribile che gli frulla in testa. Non ha la forza di dire ad alta voce il finale di quella frase perché altrimenti diventerebbe tremendamente reale. E lui non vuole renderlo tale.
In quel momento, sente qualcuno che lo afferra per una spalla: Castiel.
L’angelo, rimasto in silenzio fino a quel momento, lo fissa con i suoi profondi ed intensi occhi blu: “Anche Sam ha tentato di uccidere Bobby, ricordi? Se Natalie non l’avesse fermato cosa pensi sarebbe successo? Eppure l’hai perdonato. L’hai perdonato perché sapevi che non era in se. Nemmeno tu lo eri. Perché riesci a perdonare facilmente gli altri, ma trovi così difficile perdonare te stesso?”
Dean abbassa gli occhi: “Perché non sopporto l’idea che qualcuno possa fare del male a voi. E ancora meno sopporto l’idea che quel qualcuno possa essere io.”
“Ma non eri tu, Dean.” Sussurra Natalie, al suo fianco. Gli afferra una mano e fa in modo che le loro dita si intreccino. “Perdonati. Noi l’abbiamo già fatto.”
Dean guarda i visi dei presenti.
Parte da quello di Natalie, poi Cas e infine Sam.
Sammy, il piccolo che voleva la favola della buonanotte, altrimenti si rifiutava categoricamente di dormire. Sammy, che a sette anni voleva leggere libri che avevano parole che lui nemmeno sapeva pronunciare. Sammy, che domandava il perché di qualsiasi cosa.
Dean, perché il sole diventa rosso al tramonto?
Perché si mette il pigiama per andare a dormire,
gli rispondeva prontamente Dean. E Sammy sorrideva, soddisfatto di quella spiegazione.
“Anche tu, Sam? Mi hai perdonato anche tu?”
Sam si avvicina al fratello e lo stringe forte in un abbraccio. Nat e Cas si allontanano di un passo, lasciando ai due un momento per loro.
“Certo, Dean. L’ho fatto nel momento esatto in cui hai aperto gli occhi.”

                                                                   ***


Dean è seduto sul letto della sua stanza. La schiena appoggiata alla testata del letto, le gambe incrociate l’una sull’altra, stese lungo la lunghezza del materasso. Tiene in grembo alcune foto e le osserva una ad una, prestando attenzione ad ogni dettaglio.
Dopo la riappacificazione, Sam ha detto che necessitava di una doccia, una dormita e possibilmente anche di una sbronza. Ha ridacchiato, mentre comunicava quest’ultima sua intenzione e poi si è allontanato verso il bagno. Probabilmente, sbronzarsi sarà l’ultima cosa da spuntare nella lista.
Natalie, piena di premure, come sempre, gli ha consigliato di fare lo stesso.
Dovresti riposare anche tu. Fatti una doccia e vai a letto..
Gli ha vietato categoricamente la sbronza. E a lui va benissimo così. È stato così poco in se, in questi mesi, che bere fino a perdere l’uso corretto dei neuroni è l’ultima cosa che vuole fare.
Vuole sentirsi di nuovo padrone di se stesso. Vuole sentire di nuovo il pieno controllo su di se.
(Anche prima  avevi il pieno controllo su te stesso.)
Odia questa voce melliflua che si insinua nella sua testa e gli mostra cose che lui non vuole ne notare, ne sentire. Però non può dare torto alla voce. Sa che ha ragione. Torna a pensare, nonostante le parole dei suoi cari, che alla fine lui non era posseduto. In nessun modo. Era lui stesso il demone, l’incubo da cui le mamme mettono in guardia i bambini; il mostro sotto al letto; l’ombra inquietante che vediamo di notte, sotto ai lampioni, e che pensiamo ci stia seguendo quando siamo da soli e la strada è deserta. Lui era quell’ombra.
Un’ombra oscura con la capacità di terrorizzare chiunque, persino il re dell’Inferno. Anche Crowley lo temeva. Temeva quella sua natura indomabile e ribelle. Aveva paura della sua impulsività instabile, quella dettata solo dall’istinto primordiale di uccidere a sangue freddo per dimostrare la sua superiorità rispetto a qualsiasi avversario avesse abbastanza fegato (o fosse abbastanza stupido) da sfidare Dean Winchester con la Prima Lama stretta in mano.
E se anche Crowley aveva paura di lui, perché lui stesso non dovrebbe temersi?
Perché non dovrebbe essere terrorizzato dall’idea che non esiste un modo per togliere quel dannato Marchio dal suo braccio? Perché non dovrebbe avere paura di tornare demone e uccidere tutti i suoi cari in un raptus di follia cieca e violenta?
Perché l’hanno salvato, quando lui stesso si sente una bomba instabile che potrebbe esplodere da un momento all’altro e creare danni di portata atomica?
Guarda le foto che tiene in mano: in una c’è lui bambino, un piccolo Dean di tre anni in braccio a Mary, con un sorriso luminoso e solare stampato in viso.
“Dio, quanto mi manchi…” sussurra, accarezzando la foto. Chissà cosa penserebbe di lui, se adesso la sua mamma fosse qui. Sposta la sua attenzione ad un’altra foto, sentendo un magone che potrebbe diventare ingestibile salirgli in gola. Piangere come un poppante è l’ultima cosa che vuole fare, in questo momento.
La foto successiva, raffigura lui e Sam. Sono a casa di Bobby, si stanno guardando ed entrambi sorridono. È una di quelle foto che Bobby scattava di nascosto, perché – diceva – così le foto erano più spontanee. Ricorda quel pomeriggio. Stavano parlando e Sam aveva fatto una battuta così stupida che aveva fatto ridere entrambi. Era stato un bel momento. E anche un po’ strano, a dirla tutta, visto che le battute stupide, di solito, le faceva Dean.
La sua attenta analisi delle fotografie viene interrotta dalla porta che si apre delicatamente. Dean vede Natalie fare capolino: si è cambiata e ha fatto la doccia. I suoi capelli sono raccolti in una treccia morbida che tiene di lato e il viso è un poco truccato: Dean lo intuisce dalla mancanza del livido sullo zigomo. Probabilmente, Nat si è coperta con il fondotinta.
“Posso?”
Dean annuisce, tentando di sorridere per mascherare i pensieri oscuri che gli ronzano in testa. Nat si avvicina, con passo leggiadro. Indossa una canottiera rosa tenue che ricade morbida sopra ad una gonna sbarazzina bianca, lunga fino al ginocchio. I piedi nudi non provocano alcun rumore sopra al pavimento. Quando si avvicina al letto, ci sale per andarsi a sdraiare accanto a Dean.
L’uomo si volta alla sua destra per incrociare il viso della donna: Nat ha una leggera riga di eyeliner sopra agli occhi, nota.
“Dove sei stata?” le chiede, incuriosito. Natalie non si trucca quasi mai, così come non indossa quasi mai vestiti che possono essere definiti femminili. Questo perché sono sempre troppo impegnati a risolvere casi e Nat, essendo cresciuta con un cacciatore, ha acquisito l’abitudine di vestirsi come tale: jeans, anfibi e camicie, o comunque magliette comode. Indumenti, quelli, che permettono movimenti fluidi e rapidi e che allo stesso tempo coprano il corpo per proteggerlo da eventuali lame, o denti aguzzi, o ancora artigli.
Quelle volte che indossava qualcosa di diverso dagli abiti da cacciatrice, era per staccare un po’. Per cercare di distaccarsi dal caso. Come se cambiandosi togliesse una specie di divisa da lavoro e indossasse qualcosa che mostrasse un altro lato di se.
Devo ricordare a me stessa che sono anche una donna, non trovi?
E tendeva a vestirsi con cose che non utilizzava spesso, ma che le piaceva indossare di tanto in tanto.
Lui, ad essere completamente onesto, la trova sempre bellissima, indipendentemente da quello che indossa.
“A fare un giro. Ho pensato avreste avuto fame e sono andata con Cas a comprare degli hamburger mentre tu e Sam riposavate.”
“Cas ti ha accompagnata?”
Nat annuisce: “L’ho portato anche in una pasticceria. Volevo comprare un dolce per festeggiare..”
“Il mio ritorno? Non ce n’era bisogno..” la voce di Dean si fa scura, incupita.
“Non essere così egocentrico, Dean.” Dice Nat, con fare scherzoso per cercare di alleggerire l’atmosfera. L’espressione sul viso dell’uomo al suo fianco è fin troppo chiara: parlare di ciò che è successo fa decisamente troppo male. “Qualche giorno fa era il compleanno di Cas, volevo festeggiare come si deve…”
L’uomo si trova a ridacchiare, anche se dentro di lui un profondo senso di disagio gli ricorda che si era dimenticato del compleanno del suo migliore amico. Aveva perso anche la cognizione del tempo, non solo quella della vita.
“E come l’ha presa?”
“Ha detto che nessuna torta sarebbe stata abbastanza capiente per contenere le candeline di tutti i suoi anni. E allora gli ho detto che ne bastava una che valeva per tutte. Ne abbiamo comprata una, dentro alla pasticceria, con un’ape che dice Happy Bee-rthday. A me ha fatto ridere. Cas ci ha impiegato un po’ per capirla..”
“E l’ha capita?”
“Non credo, sai?”
Dean ridacchia, scuotendo la testa. Se lo immagina Castiel che vaga in mezzo ad un negozio pieno zeppo di dolci di cui non conosce praticamente nulla e si guarda intorno spaesato chiedendo informazioni a Natalie praticamente su ogni cosa.
Gli mancava tutto questo. La normalità. La sua famiglia. Il mancato senso dell’umorismo di Castiel, quello troppo spiccato di Natalie – che si trova a ridere anche per le battute meno divertenti. Gli era mancato stare vicino a loro, stare vicino a lei, che lo rende felice anche parlando di torte.
Gli manca la serenità. Sentirsi tranquillo con se stesso, stando al fianco dei suoi cari. Non vuole provare il terrore crescente dentro di se ogni volta che li guarda, temendo il giorno in cui potrebbe trasformarsi di nuovo e ucciderli brutalmente, nel caso il Marchio si impossessi totalmente di lui.
Non vuole arrendersi.
Non vuole e non deve.
Non deve perché farlo implicherebbe abbandonare la sua famiglia, farla soffrire. E lui non vuole.
Non vuole essere la causa della sofferenza dei suoi cari, lui vuole combattere per loro. Garantire la loro salvaguardia.
Vuole assicurarsi che staranno bene. Sempre.
“Nat..” le stringe una mano. La donna al suo fianco, ricambia la stretta. “Ho paura…”
La cacciatrice si gira verso di lui, sedendosi sui propri talloni. Si avvicina per abbracciarlo e Dean la lascia fare, stringendola a sua volta.
“…Ho paura che un giorno potrei farvi nuovamente del male. Ho il terrore che venga un giorno in cui perderò il controllo e darò il peggio di me. È incontrollabile, Nat. La forza che sprigiona questo Marchio quando ho la Lama stretta in pugno è inebriante. Mi fa sentire invincibile, indomabile. Ma mi rende anche schiavo. Sono schiavo di una forza malvagia che non voglio. Io non lo voglio questo affare sul braccio..”
“Lo so che non lo vuoi, Dean. Troveremo un modo per toglierlo, intesi? Ce la faremo. Ce l’abbiamo sempre fatta.”
Natalie lo stringe forte a se e continua: “Mi prenderò io cura di te, capito? Combatteremo l’influenza del Marchio insieme. Ci sono io con te, Dean. Non ti lascerò mai solo.”
L’uomo appoggia la propria fronte su quella della cacciatrice: “Ti ho fatto così tanto male, Natalie..” chiude gli occhi e una lacrima silenziosa gli solca il viso. Alza una mano per andarle ad accarezzare la guancia dove sa che è nascosto il livido. Se lo immagina, violaceo e tondo, che domina sul viso della donna. Così come immagina, sotto alla canottiera, l’altro livido lasciato dalla sua ginocchiata. Rotondo e largo, che domina sul suo ventre.
Viola è il colore del dolore.
Viola è il colore della sua cieca rabbia demoniaca che lo spinge a fare del male a persone che non vorrebbe mai veder soffrire.
“Non eri tu, Dean. So benissimo che non mi faresti mai del male.”
“Ma i lividi che hai sono colpa mia. Le cose orribili che ti ho detto sono uscite dalla mia bocca! Ciò che ho fatto a Sam, ciò che gli ho detto… è tutta colpa mia!”
“Eri influenzato da una forza oscura. Per quanto tu possa essere forte, amore mio, in certe circostanze quelle presenze oscure lo sono di più. Il Marchio è antico come la Genesi stessa, è normale che ti influenzasse in quel modo. Ma abbiamo vinto la prima battaglia, no? Riusciremo a vincere anche la guerra. Troveremo un modo per togliere quel Marchio dal tuo braccio.”
Amore mio.
Lo chiama raramente in quel modo. Natalie, per quanto espansiva, non è avvezza a smancerie – del resto, è stata cresciuta da Bobby, come potrebbe esserlo? – Ma deve ammettere che sentirsi chiamare in quel modo lo fa stare meglio. Gli fa credere che nonostante le cose brutte, lui avrà sempre l’amore di Natalie a dargli forza. Lui sarà sempre amato da una donna straordinaria come lei.
Lei e il suo amore saranno sempre al suo fianco per dargli forza, per fargli sapere che esistono anche cose buone al mondo. Per insegnargli che i mostri esistono e spesso sono più forti di noi, ma con il sostegno di chi amiamo, anche i mostri peggiori diventano facili da battere.
Lei e il suo amore sono lì per dimostrargli che per quanto lui possa mostrare questo latente lato oscuro che vive in lui, lei avrà sempre la forza di stargli accanto, di abbracciarlo lo stesso, di accettarlo lo stesso, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ed è per lei che deve impegnarsi a rimuovere il Marchio. È per lei che deve combattere. Per salvaguardare lei e il suo amore. Per meritarsi quell’amore e darle, di conseguenza, tutto l’amore che lei si merita senza che venga corrotto da forze oscure.
Dean ha sempre avuto i suoi demoni. Dean ha sempre avuto presenze oscure che vivevano in lui. Conseguenza, quella, di una vita passata a cacciare, di un passato fin troppo tormentato. E Natalie l’ha sempre amato lo stesso.
Ma il Marchio… il Marchio non c’entra niente con lui. Il Marchio non fa parte del suo essere.
Il Marchio va rimosso.
E se Natalie è convinta che esiste un modo per rimuoverlo, lui vuole crederci.
Perché si fida di lei.
Si è sempre fidato di lei. E hanno sempre trovato un modo per risolvere qualsiasi cosa.
Natalie ha ragione: ce la faranno anche questa volta.






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Ciao a tutti, ecco il secondo e ultimo capitolo! 
Ci ho messo un po' per scriverlo, ma ho avuto pochissimo tempo, ultimamente. Spero vi sia piaciuto e che non vi abbia deluso!
Il richiamo alla serie, in alcuni punti, è molto evidente anche se ho cercato comunque di mescolarlo alla mia visione della cosa. Anche in questo caso, spero vi sia piaciuto e non vi abbia annoiato, dandovi l'impressione di qualcosa di già visto. 
Ho nominato il compleanno di Castiel (che dovrebbe essere il 19, correggetemi se sbaglio!) perché ho immaginato che il tutto sia sia svolto verso settembre, visto che anche nell'11 stagione, Sam dice qualcosa come "Giusto, dimentico sempre la tua estate d'amore con Crowley".
Inoltre, ho lasciato lo sfondamento della porta quasi uguale alla serie perché, come mi è capitato di dire in precedenza, adoro quando fanno riferimenti a Shining e trovo fantastico il fatto che abbiano fatto fare la parte di "Jack Torrence" ad entrambi i fratelli nei loro momenti oscuri, diciamo così. 
Bene, penso di aver detto tutto! Un enorme e sentito
grazie a chi legge le mie storie - siete davvero tanti, ed è una cosa che mi stupisce sempre e mi fa davvero, davvero, davvero, piacere! Vi ringrazierei ad uno ad uno, se potessi!
Un abbraccio virtuale a tutti, 
Alla prossima! :D 


 

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