I misteri del tetraedro

di Pervinca95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 

















Un vento caldo sferzava l'aria pesante, il sole riluceva come una palla di fuoco, il cemento corroso dalle intemperie bruciava al tatto. 
Gea lo sentì quando i suoi palmi ci si schiantarono in seguito ad un'improvvisa caduta. Le gambe non l'avevano sorretta quando le dita di Deimos le avevano lasciato il gomito con un rapido scatto. 
I capelli le erano ricaduti sul viso, appiccicandosi lungo la linea del collo sudato. Teneva le labbra dischiuse per respirare affannosamente, gli occhi ben aperti per la paura, la pupilla dilatata. 
Sentiva la testa vorticare come un ciclone, le tempie pulsare dolorosamente, lo stomaco contrarsi per gli spasmi. Avrebbe voluto vomitare, ma non ci riusciva. Ogni più sottile muscolo si era congelato alla nomina dei due elementi che si stavano avvicinando. 
Di minuto in minuto percepiva la paura solidificarsi ed appesantirle le spalle. 
Una mano forte e larga le agguantò un braccio e la costrinse a staccarsi da terra con uno strattone. Quando si rialzò in piedi, i suoi occhi ambrati offuscati di terrore vennero racchiusi entro due laghi di zaffiro ardente. 
La marmorea mascella del ragazzo era contratta come una morsa, la sua espressione talmente rigida da assomigliare a quella di una statua: fredda, insensibile, impassibile. 
Eppure una nota stonava in quel quadro di brutale glacialità. Una nota che più precisamente vibrava in quelle iridi blu scintillanti. I suoi occhi si muovevano lungo il viso della ragazza come una carezza non data a mano, come per imprimersi nella mente il fatto che lei fosse ancora lì. 
Alzò lo sguardo oltre la sua testa con la celerità di un puma, incagliandolo su una macchina poco distante. 
Strinse l'avambraccio di Gea e la trascinò con sé mentre si recava al suo obiettivo, il passo sostenuto di una marcia militare. Teletrasportò entrambi dentro l'abitacolo, lanciò il lenzuolo che conteneva alcuni viveri nei sedili posteriori ed allungò le mani sotto al volante per armeggiare coi cavi. 
Secondo dopo secondo, la paura della giovane si diffondeva come un manto di nebbia all'interno dell'auto. Deimos ne percepì il sapore acre, quasi di bruciato, sulla punta della lingua. 
Il motore si avviò con un ruggito ascendente, incombendo sul pressante silenzio. 
Il ragazzo impugnò il volante, immise la retromarcia e successivamente schiacciò sull'acceleratore. 
Gea osservò con nostalgia l'insegna sudicia e pericolante del pub dove aveva seguito Deimos una sera. Le sembrava che fosse trascorsa un'infinità di tempo da quel giorno. 
Ogni ricordo di quel momento le ripassò nella mente come una diapositiva, facendole pizzicare il naso ed inumidire le grandi gemme ambrate. 
Dischiuse le labbra per emettere un leggero sospiro spezzato, mentre le case, le strade, gli alberi e le persone sfrecciavano oltre il finestrino. Ed in quel momento le parve che ogni cosa che perdeva di vista le stesse anche sfuggendo di mano. 
Il cuore le si strinse dal dolore.
Mai come in quella circostanza si rese conto che in quel posto non avrebbe messo più piede, che la sua vita, proprio come quella macchina, stava sfrecciando ancora una volta oltre per non tornare più indietro. 





                                                                      *  *  *





Le distese di roccia confinanti con l'autostrada si stendevano per miglia. Il sole le baciava con i tiepidi raggi serali sullo sfondo di un cielo arancione screziato di sfumature vermiglie. 
L'arida terra rifletteva quei colori caldi sul proprio suolo, mentre la brezza mite faceva agitare gli arbusti rinsecchiti che coesistevano con l'ambiente brullo. 
Gli occhi di Gea seguivano distrattamente quello scenario dal finestrino. La sua mente era un groviglio di pensieri, timori, supposizioni e dubbi che s'intersecavano tra loro generando labirinti bui. 
Ogni riflessione la faceva svoltare in un nuovo cunicolo cieco, colmo di punti interrogativi per i quali non possedeva risposte certe, se non speranzose congetture.
Aveva talmente tanta paura da non riuscire a muovere un solo muscolo. 
Da quando erano partiti, due ore prima, non si era ancora mossa dalla prima posizione assunta. Le gambe le dolevano per quella rigidità forzata, così come le braccia, il collo, la schiena. Il suo respiro era leggero e calcolato, come se temesse che facendo troppo rumore uno degli elementi avrebbe potuto avvistarla. 
Un pensiero, fulmineo come una lepre, le corse ai genitori. Avrebbe desiderato sentirsi sussurrare nell'orecchio che andava tutto bene, che loro erano al suo fianco e che non l'avrebbero mai abbandonata. E così si immaginò stretta nell'abbraccio di sua madre e suo padre, un abbraccio tanto caloroso quanto protettivo che non aveva mai ricevuto, ma che aveva sempre agognato. 
Ricordò quelle poche volte che sua mamma le aveva accarezzato i capelli con il cuore stretto in una trappola malinconica. 
Erano ricordi che custodiva come scrigni preziosi all'interno della sua memoria, che la confortavano nei momenti più tetri e solitari. 
Ma, malgrado tutto, sapeva di non essere sola. 
Voltò lentamente la testa e risalì con lo sguardo fino al profilo severo di Deimos, i cui spietati occhi erano incastonati sulla strada.  
Il braccio con cui stringeva il volante era teso ed immobile, i muscoli allungati e sodi come le forme scolpite in una statua di marmo. 
I capelli neri erano smossi dal filo d'aria che penetrava dal finestrino leggermente abbassato. Le ciglia scure quanto il petrolio incorniciavano due zaffiri impenetrabili. 
Il cuore della ragazza incrementò la rapidità dei battiti. 
Si schiarì piano la voce e raschiò la gola con un leggero colpo di tosse. Persino le corde vocali le si erano pietrificate. << Perché non ci teletrasportiamo subito? >> chiese con una profonda nota d'ansia. 
Deimos tacque per dei secondi, poi diede un colpo secco al cambio e superò una macchina. << Devi far sparire la tua traccia progressivamente. Quando saremo abbastanza lontani ci teletrasporteremo altrove. A quel punto saranno disorientati e ricominceranno a darti la caccia. >> 
Quelle ultime parole fecero scendere dei brividi sia sulla fronte che sulla schiena della ragazza. << Che cosa ci ricavo io? >> 
<< Tempo >> rispose secco Deimos. 
Gea osservò la linea marcata e ferrea della sua mascella, dopodiché corrugò la fronte ed assottigliò lo sguardo. << Non hai risposto alla prima domanda >> constatò con sospetto.
<< L'ho fatto >> replicò lui, mantenendo la sua espressione granitica. 
La ragazza rimase in silenzio, gli occhi incastonati sul giovane. 
C'era qualcosa che le aveva omesso volontariamente, in qualche strano e confuso modo lei lo percepiva. 
Qualcosa che aveva a che fare coi due elementi. 
Eppure, se le aveva confessato di non averli mai visti cosa poteva conoscere sul loro conto che già non le avesse riferito? 
Sgranò impercettibilmente gli occhi mentre un presentimento si faceva largo nella sua mente. << Loro non sanno di te >> mormorò. 
Lo sguardo di Deimos rimase immutato. << Sanno che esisto. Ogni elemento è a conoscenza della mia esistenza, anche se il mio potere non è percepibile. >> 
<< E come fanno a sapere della tua esistenza? >> domandò la ragazza, corrugando la fronte. 
Il giovane spostò gli occhi dal cemento scuro e li puntò su di lei, le sopracciglia sollevate. << Tu come fai a sapere che nell'aria è presente ossigeno se non puoi vederlo? >> Cambiò la mano con cui impugnava il volante in contemporanea al movimento dei suoi zaffiri sulla strada. << Ogni elemento viene a conoscenza di me istintivamente. Di solito succede dopo che la trasformazione si è stabilizzata >> spiegò con tono autoritario. 
Gea allungò le gambe, avvertendo un istantaneo sollievo alle articolazioni. Immise le mani tra le cosce ed abbassò la testa per osservarle, assorta nei pensieri. << Se il tuo potere non è percepibile, loro non sanno che sei con me >> constatò riflessiva. << E a rigor di logica non sanno neanche che il tuo secondo potere è il teletrasporto, giusto? >> Alzò il capo e rivolse lo sguardo su Deimos. 
Sentiva di essere estremamente vicina al reale motivo, quello che vigeva sotto tutto il resto, per il quale lui non voleva che scomparissero da quel posto immediatamente. 
Il ragazzo rimase taciturno per una decina di secondi. << Non lo sanno >> ammise infine, sollevando il mento. 
Un piccolo sorriso si fece spazio sulle labbra di Gea. << Quindi se noi scomparissimo all'improvviso loro sospetterebbero che ho un potere in più rispetto a quello derivante dal mio elemento. E con molte probabilità mi darebbero subito la caccia, mettendo a soqquadro ogni stato per rintracciarmi >> ipotizzò, un sopracciglio sollevato in una muta sfida. 
La mascella del ragazzo si contrasse, le sue dita si strinsero con più vigore attorno alla pelle nera del volante. 
<< Invece se il mio potere svanisse progressivamente fino a scomparire del tutto, loro non sospetterebbero nulla. In questo modo, dopo esserci teletrasportati, avrei più tempo per allenarmi. >> Il sorriso di Gea si estese. << È questo il reale motivo per cui non vuoi che ci dileguiamo subito. Temi che potrei diventare un bocconcino ancora più appetibile per quei due. >> 
<< M'importa solo del tuo elemento >> ribatté spiccio lui, il tono brusco e distaccato. 
La giovane continuò ad osservarlo senza perdere il sorriso. Sapeva che stava mentendo, lo aveva intuito dalla sfumatura rabbiosa presente nella sua voce. Ormai aveva imparato a riconoscere la tonalità che assumeva quando si sentiva messo con le spalle al muro dalla verità. 
Con un leggero sospiro, deviò lo sguardo sulla lunga distesa di terra rocciosa fuori dal finestrino. Il sole sembrava renderla infuocata, una sorta di brace ardente priva di fiamme. Le ombre delle montagne si allungavano come arti protettivi sul suolo arido, abbracciando sassi e cespugli spinosi. 
<< Dove siamo diretti? >> chiese a bassa voce. 
Da quando si erano messi in marcia, non aveva prestato molta attenzione ai cartelli lungo la strada. Non aveva la più pallida idea di dove si trovassero. 
<< Dubois, Wyoming. >> Il tono basso e profondo del giovane la fece voltare. 
Ne sapeva quanto prima. Non aveva mai sentito pronunciare quella città prima di allora. 
<< Dov'è di preciso? E quanto ci metteremo a raggiungerlo? >> 
<< È al confine con l'Idaho. Ci vorranno quasi quattro ore per arrivarci. >> 
Gea lasciò andare la nuca contro il sedile e sospirò stancamente. Sebbene la notizia di passare altre quattro ore seduta non la entusiasmasse, preferiva di gran lunga sopportare quella piccola pena che trovarsi ancora vicina ad acqua e fuoco. 
La paura che le spuntassero alle spalle da un momento all'altro le faceva bloccare il respiro in gola. Più miglia avesse messo tra lei e quei due, più si sarebbe sentita tranquilla, ma non al sicuro. Quello era un privilegio di cui non godeva più. 





                                                                      *  *  * 





Oltre il finestrino imperava il buio. Il paesaggio naturale dormiva dentro la coltre di oscurità umida e pesante, nascosto agli occhi stanchi di Gea. 
Da quando il sole era scomparso all'orizzonte, la ragazza aveva tenuto la mente impegnata a contare i minuti in attesa che l'orologio digitale dell'auto registrasse il trascorrere del tempo. 
Ogni tanto si era soffermata a scrutare la posa di Deimos, ed ogni volta aveva provato il desiderio di passargli una mano tra i capelli. Eppure non lo aveva fatto neanche una volta. Si era sempre trattenuta, costringendo il suo braccio a non muoversi. 
In quel modo si erano susseguiti i minuti e le ore. 
Gea decretò che mancassero ancora trenta minuti prima del loro arrivo a destinazione non appena l'orologio segnò le 9 e 25 di sera. 
A quel punto appoggiò le sue spossate gemme ambrate sul ragazzo, il cui sguardo era vigile sulla strada illuminata dai fanali. 
<< Percepisci ancora distintamente i loro poteri? >> gli chiese mentre un brivido freddo le scuoteva le spalle. 
Deimos alzò il mento come per sgranchirsi il collo. << Con meno intensità. >> 
Gea si sporse in avanti, le mani giunte in apprensione. << Che significa? Che sono distanti o che mi stanno inseguendo? >> 
<< Entrambi >> tagliò corto lui, lanciando un'occhiata allo specchietto retrovisore. 
Il cuore della ragazza riprese a battere ad un ritmo incalzante. 
Si sfregò le mani ed inumidì le labbra tutt'a un tratto secche. I muscoli delle gambe le si erano contratti ed irrigiditi come se nelle vene le stesse scorrendo ghiaccio. << Potrei... potrei fermare il tempo, darci un vantaggio e seminarli prima che... >> 
<< No >> la interruppe perentorio Deimos. << Consumeresti energia ed avresti bisogno del tuo punto alfa prima ancora di esserti allontanata dal raggio di percezione di acqua e fuoco. >> 
Gea emise un lungo sospiro dal naso e riattaccò la schiena al sedile. Deimos aveva ragione. Se non potevano teletrasportarsi, lei sarebbe morta per la scarsità di energie. Avrebbe dovuto utilizzare il meno possibile i suoi poteri, soprattutto quelli che non concernevano col suo elemento. Aveva infatti notato che elettricità, la facoltà curativa e quella di fermare il tempo, le risucchiavano le forze con maggiore rapidità. 
In poche parole non poteva far altro che scappare. Quella era l'unica scelta che aveva fin quando non si fossero teletrasportati altrove. 
Inclinò il capo ed osservò il ragazzo per del tempo. 
Se in tutta quella situazione doveva trovare qualcosa che le facesse sfiorare un minimo di rassicurazione, era proprio la sua presenza, il fatto di sapere che lui le fosse al fianco. In un certo senso le trasmetteva una sensazione di protezione. 
Ancora una volta, mentre ricalcava con gli occhi ogni tratto del suo volto, mentre ascoltava il suo respiro regolare e mentre si chiedeva che pensieri stessero sciamando all'interno della sua mente, provò l'impulso di alzare una mano ed accarezzargli i capelli. 
Il cuore iniziò a tamburellarle al ritmo della marcia turca, le guance le presero colore, il suo braccio si sollevò dalle gambe e dirottò verso il ragazzo.  
Quando i suoi polpastrelli incontrarono alcune soffici ciocche nere, il cuore rischiò di scapparle dal petto per l'audacia di quel gesto. 
Gli occhi di Deimos si dilatarono impercettibilmente per la sorpresa, poi la sua espressione tornò ad essere tanto imperscrutabile da mascherare la frequenza con cui il suo cuore aveva preso a picchiare. Una parte dentro di lui era tentata di scostare il capo e scacciarle la mano, un'altra, invece, desiderava godersi quella strana carezza che gli scatenava emozioni tutt'altro che familiari. 
Strinse il volante, in lotta con se stesso. 
Gea deglutì, emozionata per il semplice fatto che lui non l'avesse ancora allontanata. Le sembrava quasi impossibile che le stesse permettendo d'invadere la sua spessa corazza. Così, animata dal coraggio e dall'adrenalina, sostituì la timorosa delicatezza con cui lo stava sfiorando con un tocco più deciso, passando le unghie tra alcuni ciuffi al fine di disciplinarli. 
Deimos, ancora una volta, non si scostò. 
<< Sei stanco? >> gli chiese in un timido sussurro, lo stomaco in subbuglio. 
Il giovane non sviò lo sguardo dalla strada. << No. >> 
Gea lo fissò in silenzio. 
Sapeva che stava mentendo. Era stanco tanto quanto lei, forse di più. Dopotutto erano in auto da oltre cinque ore, le brevi soste agli autogrill non avevano fatto altro che dilatare il tempo di marcia. 
Lasciò ricadere la mano e se la portò in grembo, dopodiché allungò lo sguardo oltre il finestrino nella speranza di vedere qualche luce in lontananza. 
Per il restante tragitto, nell'auto non volò una mosca. Solo il persistente rombo del motore tenne compagnia ai pensieri di Gea, che fluttuavano come pulviscoli nell'aria da una questione all'altra. 
Quando si accorse che Deimos aveva imboccato l'uscita dell'autostrada, si rizzò sul sedile e si sporse in avanti per scrutare l'oscurità con attenzione. 
Circa una decina di minuti più tardi, i suoi occhi scorsero dei lampioni ai limiti di una strada su cui affacciavano varie abitazioni. Ogni lampione, simile ad un fantasma ricurvo, gettava un fascio di luce giallognolo sul marciapiede semideserto. Le case erano per lo più costruite in legno scuro, i tetti spioventi e le verande segnate dal clima. Ad ogni metro spiccava una qualche insegna dai colori sgargianti e dalle forme più varie che invitava i clienti ad entrare. 
Prima che potesse chiedere al ragazzo se fosse quello il posto giusto, le sue gemme ambrate misero a fuoco un cartello su cui era scritto il nome del paese: Dubois. 
Proseguirono lungo la via per altri metri, rallentando man mano che si allontanavano dal centro cittadino. 
<< Cosa stiamo cercando di preciso? >> Gea si voltò a guardare il ragazzo interrogativa. 
Gli zaffiri di Deimos, nel contempo, stavano scavando dentro l'oscurità fievolmente illuminata. << Una strada dove sostare che sia nascosta >> rispose conciso. 
<< Forse dovremmo superare questo paesino per trovarne una >> ipotizzò lei, stringendosi nelle spalle. 
<< Non ho chiesto il tuo parere. >> 
Un sopracciglio di Gea scattò verso l'alto. << Ed io non ho bisogno del tuo permesso per parlare. >>
Le labbra di Deimos si stirarono in un lieve sorrisetto sfrontato. << Sarebbe meglio se tu lo avessi. Eviteresti di dire cose scontate. >> 
<< Mai quanto le tue >> ribatté lei, alzando le mani come per metterle avanti. Immediatamente dopo gli scoccò un'occhiataccia. << Cinque ore di macchina ti hanno reso più odioso del solito, la prossima volta prendiamo il treno, magari ti addolcisce. >> Incrociò le braccia sul petto ed accavallò le gambe nude, per poi inchiodare lo sguardo sulla strada. I nervi le ribollivano sottopelle. 
Deimos lanciò un'occhiata alle sue gambe, un sorrisetto compiaciuto gli increspava gli angoli della bocca. 
Cinque minuti più tardi, dopo essersi distanziati da Dubois, il ragazzo imboccò una strada sterrata contornata da distese di terra brulla. La percorse per svariati metri, fin quando non adocchiò uno slargo in cui sostare. 
Spense la macchina ed aprì lo sportello per far entrare aria fresca, dopodiché smontò per sgranchirsi le gambe. 
Gea accompagnò con la coda dell'occhio i suoi movimenti, alla fine si decise a seguire il suo esempio e a scendere dal mezzo. 
La brezza fresca le raffreddò la pelle, trasmettendole una piacevole sensazione. 
Alzò il capo al cielo, ammirando il suo blu profondo arricchito da punti luce sparsi secondo le costellazioni. Inspirò a pieni polmoni ed immise le mani nelle tasche posteriori dei pantaloncini di jeans. 
Il pensiero che anche acqua e fuoco si trovassero sotto quella sublime vastità le fece accapponare la pelle. Così abbassò lo sguardo e scalciò alcuni ciottoli sulla strada. 
Esattamente come stava facendo con quei sassolini, avrebbe voluto fare con i due elementi che le davano la caccia. Lanciarli lontano e non provare più terrore per la loro presenza. 
Si abbracciò in un gesto protettivo, sospirò piano e risalì in macchina. 
Con delle lente ed impacciate manovre, fece slittare all'indietro il sedile e lo reclinò in modo da potersi distendere. Appoggiò i piedi sul tessuto consunto ed estese il suo raggio visivo oltre il tergicristallo, precisamente sul ragazzo seduto sul cofano. 
Esaminò la linea della sua schiena muscolosa, risalì sulle spalle, poi sui capelli corvini che seguivano il volere della fresca brezza notturna. 
Incuriosita come ogni altra volta, si chiese che cosa stesse pensando e se, magari, in quelle riflessioni tanto nascoste lei possedesse un piccolo ruolo. 
Distolse bruscamente lo sguardo non appena lui si mosse dal posto e procedette verso lo sportello. Finse di studiarsi le gambe con interesse mentre le sue orecchie captavano il rumore del sedile accanto che scivolava verso quelli posteriori e si reclinava. E poi, quando con la coda dell'occhio vide che il giovane si era disteso, provò un'ondata d'imbarazzo, la tensione emozionale che le ingarbugliava lo stomaco. 
Sebbene avessero già dormito assieme, quell'occasione le pareva più intima. Probabilmente perché si trovavano chiusi nello stretto spazio di una macchina, o forse perché sopra le loro teste le stelle sembravano fare da silenziose spettatrici. Qualunque fosse il motivo, le faceva battere furiosamente il cuore. 
Si schiarì la voce e distese le gambe. << Buonanotte >> mormorò. 
Gli occhi di Deimos le furono immediatamente addosso. << Non eri arrabbiata? >> domandò con tono derisorio. 
Gea strinse i denti mentre il suo sguardo si affilava. << Grazie per avermelo ricordato. Buonanotte. >> Si raggomitolò su un fianco in modo da dargli le spalle e racchiuse le mani sotto ad una guancia. 
Per una quantità di tempo inesorabile non si mosse, gli occhi sempre ben aperti malgrado la stanchezza. 
Aveva sonno, eppure il suo cervello non pareva intenzionato a mollare la presa sui pensieri spiacevoli. Le sue preoccupazioni rimbalzavano senza sosta tra i due elementi, i suoi genitori e le amiche che aveva abbandonato senza uno straccio di spiegazione. Poteva sentire la loro delusione fin da lì. 
E poi il pensiero di acqua e fuoco si faceva risentire con marcata prepotenza, accendendo la miccia della paura in lei. 
Chiuse gli occhi provando a calmare il turbinio interno che la assillava. Quando li riaprì, emise un flebile sospiro carico di spossatezza. 
<< Deimos ho paura >> confessò piano. 
Il ragazzo rimase in silenzio, gli zaffiri fissi sul tettuccio sgualcito. << Lo so >> asserì con un tono basso e profondo. Esattamente come era successo per quasi tutto il giorno, percepiva il suo terrore estendersi nell'aria similmente ad una nube di fumo. 
Inclinò il capo per guardarla in contemporanea ai movimenti di lei per girarsi dalla sua parte. 
I loro occhi s'incastrarono come maglie di una catena. La fioca luce della luna proiettava il suo pallido bagliore su un lato dei loro volti, celando il resto nel buio.
Gli zaffiri di Deimos si mossero sul viso della giovane. Ne colsero i segni della stanchezza e della paura, come anche la lucidità afflitta delle iridi castano chiaro. 
Gea calò timidamente lo sguardo sullo spazio che divideva i sedili. Lo fissò in silenzio, mentre nella mente le sciabordavano miliardi di pensieri come onde di un mare tempestoso. << Non sarò mai pronta per uno scontro con loro, neanche se mi dovessi allenare giorno e notte per un altro mese. Saranno sempre dieci gradini al di sopra di me. >> Si morse un labbro per arginare le lacrime che le stavano salendo agli occhi. 
Si sentiva rinchiusa in una trappola mortale. Una trappola dalla quale alla fine sarebbe uscita per trovarsi faccia a faccia con la morte. Era scontato che lei, con le sue sole forze, non avrebbe mai potuto annientare acqua e fuoco. Neanche con l'aiuto di Ninlil. 
Ed intanto scappava, trottando da uno stato all'altro per allungare i suoi giorni. 
<< So di... >> La voce le vibrò pericolosamente. << Di avere i giorni contati. >> 
Quelle parole colpirono il ragazzo nello stomaco, diffondendo un caotico e pungente rimescolio all'interno del suo corpo. Una miccia di nervosismo gli fece serrare la mascella e chiudere le mani in due pugni. Subito dopo le rivolse un'occhiata lapidaria fomentata dalla rabbia. << Piangiti ancora addosso, umana >> sputò sprezzante. << Non ti ho mai vista fare altro >> aggiunse prima di aprire lo sportello con impeto ed uscire fuori. 
Gli occhi di Gea si spalancarono come fanali per quella reazione. Ma ben presto la sorpresa venne schiacciata e spazzata via dalla furia e dal risentimento. 
Non si meritava quel trattamento. Al contrario, avrebbe desiderato una parola di conforto, un barlume di speranza in un mare di concrete negatività. 
Ed invece che cosa otteneva? Cattiverie, solo cattiverie ingiustificate. 
Smontò di macchina e conficcò lo sguardo sulla schiena del giovane. << Non sei tu quello che ha due assassini alle calcagna >> tuonò adirata. << Credi che non sappia di essere la più debole fra i quattro elementi? Credi che pensare alla mia morte mi renda felice? >> Ad ogni parola il suo tono si alzava per la disperazione. << Come fai ad essere così insensibile? >> lo accusò scuotendo il capo, le gemme ambrate assottigliate per lo sforzo di capire. 
Deimos le lanciò un'occhiata indifferente da sopra la spalla. << Hai finito? Sei patetica >> concluse con spietata durezza. 
La ragazza strinse i denti per la rabbia, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi. 
I ciottoli sul terreno presero a rimbalzare come palline di gomma, i cespugli nascosti nell'oscurità si dimenarono come anguille. 
Non aveva nessuno che la comprendesse. Era psicologicamente sola, le uniche parole di conforto le otteneva da se stessa. 
Girò i tacchi e rimontò in macchina, sbattendo lo sportello con foga. Si distese su un fianco e si urlò nella mente tutto ciò che avrebbe voluto gridare al cielo, a Deimos, alla sua famiglia e a se medesima. 
Deimos alzò il naso alla volta celeste per il rumore di un tuono in lontananza. Al di sopra delle nubi scure si articolavano serpenti blu di elettricità. Schizzavano da una parte all'altra come dardi, per poi disperdersi nel vuoto e rigenerarsi. 
Non si interrogò su chi fosse l'artefice inconscia di quello spettacolo. I suoi occhi raggiunsero la figura esile della giovane. La esaminarono per dei secondi, come se si fosse trattato di un intricato labirinto dal quale non riusciva a sfuggire, infine si decise a rientrare nell'auto. 
Si sedette ed adagiò gli avambracci sulle gambe, lo sguardo tagliente proiettato oltre il tergicristallo. << Smettila, umana >> sibilò, infastidito dall'atteggiamento scontroso della ragazza. 
Gea scattò a sedere e girò il capo per infilzarlo con gli occhi. << Siamo tornati all'umana? Ho un nome, accidenti! >> sbottò alzando le mani al cielo. 
Il rombo di un tuono fece tremare il cofano della macchina. 
Deimos la fissò impassibile. << E quindi? >> L'intensità con cui la stava guardando si fece micidiale. << Sei soltanto un'umana che muore dalla paura, debole sotto tutti i punti di vista. >> 
<< È questo quello che pensi? >> lo fronteggiò lei a testa alta. 
Lui alzò un sopracciglio. << Non è forse quello che hai detto tu poco fa? >> 
A quel punto gli occhi della ragazza si dilatarono. Non capiva dove lui volesse arrivare, eludeva le domande più importanti per riportarle su di lei. 
Sviò dal suo sguardo e scagliò il proprio verso l'oscurità. << È una colpa avere paura? >> chiese, il nervoso ancora pregnante nel tono. 
Deimos si distese e trasportò le braccia dietro la nuca. << È una debolezza da dominare >> dichiarò freddo. << Ma tu, evidentemente, non ne sei capace >> aggiunse con una leggera sfumatura di scherno. 
Le stava dando dell'incapace, ancora. Dopo tutto quello che avevano condiviso e vissuto insieme giorno per giorno, lui marcava ancora su quella parola così dolorosa per le sue orecchie. 
Le gemme ambrate le si riempirono di lacrime, ma non permise loro di solcare il confine. Ed intanto le nuvole si addensavano, si agitavano come intrappolate mentre fiordi di scariche elettriche le ammantavano. 
<< Che fai? Piangi? >> Il tono derisorio, pregno d'insensibilità, del ragazzo fu la goccia che fece traboccare il vaso. 
Avvenne tutto in poche frazioni di secondo. 
Tre fulmini squarciarono il panorama deserto, mentre lei si voltava per colpire il giovane con un pugno. Ma lui la bloccò. I loro occhi s'incatenarono. Le afferrò con decisione l'avambraccio e la teletrasportò a sedere sopra di sé. Il colore caldo della terra presente nelle iridi di Gea si mescolò a quello freddo delle profondità dell'oceano negli zaffiri di lui. 
Il silenzio si riempì dei loro respiri: quello affrettato della giovane e quello calmo di Deimos. 
Poi lui allungò un braccio verso il viso di lei e le strinse il mento tra le dita per avvicinarla a sé. << Non hai tempo per essere debole >> sibilò, il tono affilato come una lama. << È tempo di avere coraggio. >> Lo sguardo gli divenne duro quanto una pietra, ma in compenso allentò la stretta attorno al suo avambraccio. << Quello che hai avuto finora. >> 
Bastarono quelle ultime parole, quella piccola confessione concessale per farle dimenare il cuore. Era come venire a scoprire un pensiero che si era fatto su di lei. 
Adesso sapeva che col tempo lui aveva iniziato a reputarla coraggiosa, mentre lei si era sempre considerata una vigliacca. Erroneamente. 
Come aveva sbagliato a ritenersi dieci gradini inferiore ad acqua e fuoco. Ricadeva sempre nell'errore di non stimarsi all'altezza di nulla, forse per abitudine, forse per mancanza di fiducia in se stessa, quando invece avrebbe dovuto credere nelle sue potenzialità e non compararsi agli altri. 
E probabilmente quel ragazzo dagli zaffiri più misteriosi che avesse mai visto, aveva pugnalato e condannato ogni sua debolezza per farle rinnegare ciascuna di quelle, come se non le appartenessero. 
Mantenne ancora lo sguardo incollato al suo, poi allontanò il mento dalla sua mano e, con lentezza, si distese sul suo corpo. 
<< Che fai? Togliti >> le ordinò Deimos, mentre lei appoggiava la testa sulla sua spalla. 
<< No, adesso rimango qui >> ribatté la giovane, un piccolo sorriso si fece largo sulla sua bocca. 
Le nubi arrestarono il loro frenetico dimenarsi, l'elettricità che le avvolgeva si dissolse nell'aria con una spirale di fumo bluastro. 
Il ragazzo si soffermò a scrutare l'espressione più rilassata che addolciva i tratti del volto di Gea. E mentre lei adagiava una mano sul suo petto e chiudeva gli occhi, lui, spinto da un impeto di desiderio, risalì con le dita lungo il suo fianco, lentamente, mantenendo il palmo bene aperto per toccarle la schiena. Alla fine depose mollemente la mano sul suo fianco, le dita sospese nel vuoto. 
Espirò tra i suoi capelli e rimase ad osservarla fin quando non sentì il suo respiro farsi più lento, non vide le sue labbra dischiudersi e la sua espressione mutare in quella di una bambina indifesa. 
Poi spostò lo sguardo sul tettuccio dell'auto, chiuse gli occhi, il calore del corpo di Gea che lo avvolgeva come una coperta. 
Il sonno arrivò a passo felpato, s'intrufolò tra due cuori che battevano all'unisono, mescolò i loro respiri, decretò la pace. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


























Deimos aprì gli occhi mentre una mezzaluna di sole si affacciava timidamente all'orizzonte. Prima di qualsiasi altra cosa, abbassò la testa per osservare il volto della ragazza sul suo petto. In una mano gli stringeva un lembo della maglietta, l'altra la teneva appoggiata al suo avambraccio. 
Ne poteva sentire il tepore a contatto con la pelle. Una tepore piacevole ed ormai familiare. Il più familiare in tutta la sua vita. 
Continuò ad ispezionarle il viso, inclinando il capo per migliorare la prospettiva. 
Sapeva che, fra tutti gli elementi, lei era la più debole, ma conosceva anche la forza interiore che la spingeva a compiere imprese impossibili per chiunque. Persino per lui. 
Dal punto di vista di pratico allenamento era indubbiamente la più svantaggiata, ma era sicuro che lei, quella fragile e tenace ragazza, avrebbe potuto tenere testa a ciascun elemento. Perché non era debole come le diceva sempre per spronarla a dimostrare il contrario. Era l'umana più forte e coraggiosa che avesse mai conosciuto. 
Alzò lentamente un braccio, liberandolo dalla presa della giovane, per poi avvicinare le dita al suo viso. Con poca delicatezza le tappò il naso, mentre un sorrisetto di crudele divertimento gli increspava gli angoli delle labbra. 
Gea, ancora addormentata, strizzò gli occhi e scosse il capo. Poi aprì la bocca per respirare e issò di scatto le palpebre. 
Prima ancora di collegare cosa stesse succedendo, tirò uno schiaffo alla mano di Deimos, che l'allontanò con sommo spasso. 
Poi la ragazza si tirò a sedere e si guardò intorno, le gemme ambrate ancora velate di sonnolenza. << Dove siamo? >> chiese senza riflettere, aggiungendo subito dopo uno sbadiglio. 
Deimos si passò un braccio dietro la nuca e le incollò i suoi zaffiri addosso. La studiò minuziosamente mentre lei osservava la distesa che gradualmente veniva pervasa dal primo sole mattutino. 
Sdrucciolò con lo sguardo dai suoi ondulati ed arruffati capelli sino alle spalle, poi scivolò sulla curva del seno, sull'addome, la pancia; ammirò come gli stesse seduta addosso, come le sue gambe nude si allungassero ed incastrassero nel piccolo spazio di cui disponeva. 
Nel momento in cui Gea ruotò gli occhi su di lui, Deimos li rialzò rapidamente sul suo viso. << Adesso ricordo >> gli disse sollevando un pollice. << Comunque buongiorno, cuscino >> scherzò con un sorriso. 
<< La prossima volta ti chiuderò nel baule >> esordì il ragazzo in tono serio. 
Un sopracciglio di Gea svettò verso l'alto, ma il sorriso non le scomparve. << Dormito male? >> 
<< Tu che dici? >> 
<< Io dico che hai dormito benissimo >> lo stuzzicò divertita. 
Deimos la trafisse con uno sguardo gelido. 
<< Ok, stanotte dormirò dalla mia parte >> accordò lei alzando le mani in segno di resa. 
<< Avevi forse dei dubbi? >> le chiese alzando un sopracciglio. 
<< No, odioso >> ribatté Gea, scoccandogli un'occhiata truce. << Qual è la fascia oraria in cui sei più simpatico? Sempre che ci sia. >> 
Deimos si mise a sedere ed avvicinò il viso a quello della ragazza, senza sapere di farle istantaneamente palpitare il cuore. << Quella in cui non sei presente >> le rispose con un sorrisino da schiaffi. << E ora togliti, devo guidare. >> 
<< Non dire mai le cose in modo educato >> borbottò mentre si spostava sul suo sedile. << Ti si potrebbe attorcigliare la lingua >> concluse in uno sbuffo, mettendosi a sedere. 
Partirono che il sole non aveva ancora vaporizzato l'umido della notte. 
Imboccarono l'autostrada e procedettero ad alta velocità nella corsia semi deserta, i finestrini abbassati ed il ritmato rombo della brezza a tenere compagnia. 
Dopo circa venti minuti Gea ritirò le gambe sul sedile e le strinse al petto con uno sbuffo. << Ho fame. E dovrei andare in bagno. >> 
<< Tra cinque chilometri c'è un'uscita di servizio >> rispose conciso Deimos. 
La giovane innalzò le braccia. << Sia lodato il cielo, non morirò di fame. >> Si mise una mano sullo stomaco e corrugò la fronte. << Credo mi si sia aperto un buco nero. Al momento potrei mangiare un bue intero, sai, uno bello ciccione. >> Si soffermò a pensare. << E credo che mangerei anche il figliolino del bue ciccione. >> 
Deimos sollevò un sopracciglio e le lanciò un'occhiata. << E la madre? >> 
Gea meditò, per poi annuire con enfasi. << Hai ragione, sarebbe crudele rubarle la famiglia. Vorrà dire che mangerò pure lei. >> Sorrise mentre dirottava lo sguardo sul ragazzo. << Così si ritroveranno tutti nel mio stomaco. >>
<< E vissero per sempre felici e contenti >> commentò lui, osservando lo specchietto retrovisore. 
Gea si portò una mano sul cuore e sbarrò gli occhi. << Non mi dire che hai visto i cartoni Disney. >> Si sporse per cercare i suoi zaffiri. << Lo sai, vero, che potrei morirne? >> 
<< Quindi, se ti dicessi di sì? >> la provocò. 
<< Ti chiederei qual è la tua principessa preferita >> controbatté lei, prima di riservargli un sorrisino scaltro. << Perché so che ne hai una >> affermò agitando l'indice. 
<< Ho tutti i dvd nel mio appartamento. >> 
<< Oddio, davvero? >> 
<< No >> pronunciò secco. Un sorriso spietato gli si pennellò sulle labbra. << Mi hai preso per una ragazzina che sogna il principe azzurro? >> 
Gea lo guardò con aria spavalda. << Tanto lo so che li hai visti. Puoi dirmelo, non ti prenderei in giro. >> 
<< Convinciti pure >> le disse imboccando l'uscita dell'Autogrill. 
La ragazza buttò i piedi sul tappetino. << Davvero non ne hai mai visto uno? >> chiese ad un tono più basso. In realtà se lo immaginava, ma le sembrava così strano che ad un bambino non fosse mai stato permesso di vedere un cartone che faticava a crederci. 
Ma dopotutto lui era Deimos, non un ragazzo qualsiasi. 
<< Mai >> asserì, il tono duro. 
Gea scorse un'ombra oscurare le sue iridi blu, come se stesse ricordando con rabbia qualcosa. Era sicura che si trattasse di un episodio che concerneva con la sua infanzia fatta di dolore e crudeltà. 
A quella vista e al ricordo di ciò che le aveva confessato sul suo passato, le si strinse il cuore. 
Prima che scendessero di macchina, Deimos le diede delle banconote per potersi comprare da mangiare. 
<< Aspetta, devo prendere un cambio di vestiti >> gli disse mentre lui si avviava all'area di servizio. 
Quando si voltò a guardarla, lei gli indicò con la testa l'auto chiusa. 
Deimos estrasse le chiavi dalla tasca e gliele lanciò con una traiettoria precisa, così che Gea poté afferrarle al volo. Dopodiché riprese a camminare verso la sua meta. 
La ragazza spalancò lo sportello posteriore e s'intrufolò per cercare della biancheria e dei vestiti puliti. 
Acciuffò un nuovo paio di pantaloncini, stavolta neri, ed una maglietta monospalla verde militare. 
Richiuse la macchina e si diresse con passo affrettato ai bagni. Aveva urgente bisogno di darsi una sciacquata. Avvertiva l'umido incollato alla pelle, una sensazione che odiava e che la faceva sentire sporca. 
Così sfrecciò nel bagno degli invalidi, dove aveva adocchiato uno spruzzino della doccia. Si tolse tutti i vestiti e s'insaponò con il sapone per mani appoggiato all'ampio pianale del lavandino. Poi si risciacquò in fretta, generando una nuvola di vapore caldo. 
Si rese conto di non possedere un asciugamano soltanto quando arrestò lo scroscio dell'acqua. Con i capelli gocciolanti ed il freddo che iniziava a penetrarle nelle ossa, si maledì per non aver pensato di prenderne uno dalla casa che aveva lasciato il giorno prima. 
Ragionò in fretta su come agire, alla fine afferrò la maglietta che si era levata e la adoperò per tamponarsi. La passò di fretta anche sui capelli che gocciolavano imperterriti, poi si rivestì con il cambio d'abiti pulito. 
Dopo alcuni minuti uscì dal bagno e mise piede nel piccolo supermercato dell'Autogrill alla ricerca di uno spazzolino, un dentifricio ed un pettine. 
Girò a vuoto per un po' prima di incappare in loro. Corse alla cassa e successivamente scappò nel solito bagno per lavarsi i denti e districare i capelli. 
Quando ebbe concluso si sentì decisamente meglio. Il senso di sporcizia che percepiva era svanito, per essere sostituito da un profumo dolce e delicato. 
Rimise piede nell'angusto supermercato ed andò a pararsi davanti ad una vetrina zeppa di dolci e panini farciti. 
Gli occhi le si illuminarono all'istante. Contò i soldi che le erano rimasti e rilanciò un'occhiata alle leccornie esposte. Purtroppo non avrebbe potuto prendere tutta la vetrina. 
Al termine di una lunga lotta interiore comprò due brioches, due panini, una ciambella glassata di cioccolato e una tazza di latte macchiato. 
Uscì dall'Autogrill con le braccia stracolme di cibo ed un sorriso felice stampato in faccia. 
Deimos la stava aspettando appoggiato alla macchina con una mano nella tasca dei pantaloni. Nell'altra teneva un bricco di caffé fumante, al momento adagiato contro la gamba, il braccio steso lungo il fianco in una posa disinvolta. 
Le gemme ilari di Gea incontrarono gli zaffiri impassibili di lui, che la stavano scrutando da quando aveva messo piede fuori dal supermercato. 
<< Ho preso qualcosa anche per te >> annunciò indicandogli un sacchetto col mento. << Dovrebbe essere qua dentro. >> 
Deimos estrasse la mano che teneva in tasca e le prese la piccola busta. La aprì ed ispezionò cosa contenesse con fare dubbioso. 
<< Mentre voi fate conoscenza, io apro la macchina >> pronunciò ironica lei. 
Quando, con non poca fatica, fu capace di spalancare lo sportello posteriore, appoggiò tutto ciò che aveva comprato cercando di riporlo con cura. I vestiti sporchi invece li lanciò sul tappetino. 
Prese posto sul suo sedile tenendo il bricco del latte macchiato in equilibrio con due dita, la busta con la sua gustosa ciambella tra i denti. 
Quando vide il ragazzo salire in macchina, spalancò la bocca sconvolta. Il sacchetto le ricadde sulle gambe. 
<< Non ci credo >> mormorò sgomenta. 
Deimos si voltò a guardarla, il sopracciglio sollevato. << Che vuoi? >>
<< Hai la mia ciambella! >> gridò indicandola fra le sue dita, già divorata per metà. Si portò una mano sulla fronte, come per togliere il sudore, e l'altra sul cuore. << Non ci voglio credere. È un incubo >> bisbigliò scuotendo il capo. << Come ho fatto a sbagliare? >> 
Le sue gemme ambrate si appoggiarono affrante su ciò che rimaneva della sua leccornia. Poi le sollevò su Deimos. << Non è che... >> Indicò la ciambella, l'espressione da cane bastonato. << Mi faresti dare un morsino? >> 
Il ragazzo la stava osservando con un sorriso divertito. 
Si tolse dalla tasca lo spazzolino e il dentifricio che aveva comprato e li lanciò nei sedili dietro, poi ruotò il corpo verso la giovane e frappose tra i loro volti la ciambella. 
<< No >> rispose, schioccando la lingua al palato. Subito dopo inclinò il capo ed affondò i denti sul dolce, gli zaffiri provocatori fissi nelle gemme di lei. 
La giovane affilò lo sguardo, malgrado il cuore le avesse mancato più di un battito. << Sei spregevole >> sibilò stizzita. << Spero ti vada di traverso. >> 
Deimos sghignazzò allettato e si ricompose sul sedile per bere un sorso di caffè. 
Gea nel frattempo puntava la ciambella con la coda dell'occhio. Non si era ancora decisa a gettare la spugna. Ed infatti si protese di scatto verso la mano del ragazzo, che, prevedendo quella mossa, la spostò più lontana. 
Si ritrasse infervorata, non rendendosi conto che i cespugli al limitare dell'autostrada si stavano agitando col suo umore. 
<< Me la pagherai >> minacciò aprendo la busta con le brioches. 
Rimase ad osservarle mentre un'idea le balenava nella testa. Le sue labbra si stirarono subito in un sorriso cordialmente finto. << Ti propongo un affare >> esordì incastrando gli occhi in quelli del ragazzo. << Mezza brioche per la tua metà. Fossi in te accetterei >> aggiunse stringendosi nelle spalle, come se la cosa non le interessasse. 
<< No. >> 
<< Va' al diavolo >> sbottò prendendo un grosso morso del cornetto, le sopracciglia arcuate in un'espressione rabbiosa. << Covunque vei avobimevope >> disse con la bocca piena, guardandolo con aria truce. 
Deimos la fissò inespressivo. << Sei incivile. Ingoia, fai schifo. >> 
<< Vei mu invivil... >> Uno sputo di brioche mangiucchiata le schizzò dalla bocca per planare con un impercettibile tonfo sulla maglietta del giovane. 
Nell'abitacolo piombò il silenzio. 
Deimos teneva gli zaffiri puntati sullo sputo, la mascella contratta. Gea, invece, aveva gli occhi sbarrati per lo shock. 
In simultanea e con lentezza, i loro sguardi si incollarono. Quello di Deimos era freddo e duro, quello di lei sfasato e timoroso. 
La ragazza ingoiò cercando di emettere il minor rumore possibile, poi sbatté velocemente le palpebre. << Forse... andrebbe pulito >> buttò là, il tono incerto. 
Il giovane indurì lo sguardo. << Tu credi? >> sibilò digrignando i denti. 
Gea si morse le labbra per nascondere un sorriso. << Tieni >> disse porgendogli un fazzoletto. 
Lui se lo passò sopra lo sputo con una smorfia schifata, poi lo gettò fuori dal finestrino.  
La giovane trattenne a stento una risata. << Comunque dava un po' di colore, sei sempre vestito di nero >> scherzò guardandolo. 
Deimos la fulminò senza proferire parola. Appoggiò il bricco del caffé nello scomparto delle bibite e si mise in bocca tutto ciò che rimaneva della ciambella, lanciandole un'occhiata di sfida. 
Poi armeggiò coi cavi e fece partire la macchina. 
Durante il viaggio Gea tenne il finestrino abbassato e gli occhi chiusi, in modo da bearsi del vento fresco che le asciugava i capelli e le accarezzava la pelle.  
Deimos ogni tanto si voltava a guardarla per brevi secondi. 
Nel corso delle settimane aveva cominciato ad apprezzare sempre più l'aspetto della ragazza. 
Se dopo un primo impatto l'aveva mentalmente reputata carina, oltre che pietosamente umana, debole, incapace, odiosa e qualsiasi altro aggettivo dall'accezione negativa, adesso gli costava fatica staccarle gli occhi di dosso. Approfittava di ogni momento per osservarla silenziosamente e ricalcare le sue forme. 
Il che il più delle volte lo faceva infuriare con se stesso, perché lui non era mai dipeso da nessuno. Aveva sempre pensato esclusivamente a sé. E invece, da un po' di tempo a quella parte, era diventato dipendente da quella ragazza dagli occhi di cerbiatto. I suoi pensieri, ormai, la stragrande maggioranza delle volte, non riguardavano neanche più se stesso, ma lei. 
Quando sentì Gea stiracchiarsi con deboli mugolii, le scoccò una breve occhiata. Poi la vide allungare le gambe con la coda dell'occhio e raddrizzare la schiena. 
<< Dove siamo diretti oggi? >> gli chiese con un sorriso. Quel giorno la ragazza si sentiva decisamente di buon umore, probabilmente perché stava lottando contro la sua mente per tenere lontano il pensiero di acqua e fuoco. 
<< Baker City, in Oregon >> le rispose telegrafico. 
<< In Oregon vive Ninlil, ma non so dove di preciso >> meditò Gea, grattandosi una tempia con l'indice. 
<< Quando le saremo vicini, ti percepirà >> le assicurò, lo sguardo dritto sulla strada. 
La ragazza si soffermò ad osservare il suo profilo dai tratti marcati. Avrebbe voluto riempirlo di domande, ma sapeva che se lo avesse mitragliato di punti interrogativi lui non avrebbe risposto a nessuna delle sue curiosità. Per quanto fosse enigmatico e sempre imprevedibile, ormai cominciava a conoscerlo bene, sebbene a volte non lo capisse. 
Eppure moriva dalla voglia di chiedergli qualcosa, anche solo per sentire la sua voce che le raccontava di sé.
E così, prima di rendersene conto, le parole le uscirono di bocca. << Come mai conosci tutte queste città? >> domandò appoggiando le suole degli stivaletti sul sedile. 
Si abbracciò le gambe e continuò a fissarlo. 
<< Ho girato molto >> asserì lui conciso. Poi puntellò un gomito contro lo sportello, al limitare del finestrino, e spostò l'altra mano al vertice del volante. 
<< Perché? >> chiese Gea, per poi scuotere il capo. << Cioè, è normale dato il potere che hai, ma... cosa ti ha spinto a voler girare così tanto? >> 
Sapeva che con quella domanda entrava in territorio minato. Ed era a conoscenza del fatto che molto probabilmente non le avrebbe risposto. Si era spinta nella sua sfera privata. Una sfera di piombo senza spiragli di luce. 
Il silenzio accompagnò i minuti successivi, ma Gea persistette a scandagliare il ragazzo nella speranza di scoprire una traccia dei suoi pensieri. 
D'un tratto lo vide stringere i denti, mentre le sue iridi oceaniche si annuvolavano come un cielo in tempesta. Espirò lentamente dal naso e sollevò il mento senza distogliere lo sguardo dalla corsia. 
La giovane sentì il cuore martellarle nel petto ad un ritmo incalzante. Più trascorrevano i secondi, più avvertiva la tensione di un'imminente rivelazione propagarsi nell'aria. 
Eppure quella risposta che tanto desiderava non si decideva ad arrivare. Sembrava imprigionata in una cassa di ferro all'interno del ragazzo.
Si susseguirono altri secondi, che poi divennero minuti. 
Gea sospirò sconfitta ed abbassò le gemme ambrate sulla punta di uno stivaletto. Allungò una mano e ne scrostò dei pezzetti di mota, la mente piena di pensieri. 
Aveva creduto che lui avesse cominciato a fidarsi di lei, che la ritenesse abbastanza importante da conoscere il suo passato. Eppure...
<< Il bisogno di evadere >> sparò all'improvviso Deimos, il timbro marmoreo e basso. 
Gea sgranò gli occhi. Il cuore riprese a batterle furiosamente. 
Alzò il capo di scatto per guardarlo. << Evadere dalla tua vita? >> chiese in un soffio. 
Forse non avrebbe dovuto porgli un'altra domanda, ma lei aveva necessità di conoscere ogni minuscolo pezzo del mosaico che costruiva la sua vita. Era una necessità talmente forte da impedirle di chiudere la bocca. 
Deimos si voltò un attimo a guardarla, gli zaffiri simili a lance di piombo: perforanti e duri. << Fai troppe domande >> troncò brusco. 
La ragazza si morse un labbro e deviò lo sguardo di nuovo sulle sue scarpe. << Almeno mi dici dove sei nato? >> 
Altri secondi di silenzio si susseguirono a quella richiesta. Poi il ragazzo spinse sull'acceleratore e sostituì la marcia. << Isola Southampton >> rispose lapidario. 
Gea strabuzzò gli occhi e buttò giù le gambe. << Sei canadese? Dall'accento non l'avrei mai detto. >> Si passò una mano sul viso ed incollò la schiena al sedile. << Santo Dio, un giorno scoprirò che sei già sposato ed hai cinque figli. >> 
<< Non saprei che farmene. >> 
La giovane ripiombò con gli occhi su di lui. << Quindi tu non vuoi figli, intendo in futuro. >> 
<< No. >>
<< Io invece li vorrei >> ammise con un sorriso, spostando l'attenzione sulla strada. << Almeno due. >> 
Deimos le lanciò un lungo sguardo, dopodiché aumentò la presa sul volante. Improvvisamente sentiva una sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco, come se avesse ingoiato un tizzone ardente. 
Il solo pensiero che qualcun altro avrebbe potuto mettere le mani sulla ragazza, lo riempiva di rabbia. 
<< Pensa a sopravvivere >> sputò freddo, il nervoso contenuto a stento. 
Gea riempì i polmoni con un profondo respiro ed annuì piano. << Già. >> Le sue gemme ambrate si velarono di tristezza mentre le spostava sul paesaggio oltre il finestrino. << Sopravvivere. >> 






                                                                     *  *  *






Quando Deimos spense la macchina era già buio. 
Il cielo pareva una coperta di velluto con miliardi di diamanti incastonati. Il più grande di tutti brillava di una tenue luce rassicurante, mentre una fresca brezza faceva oscillare le invisibili ombre delle fronde.
Entrambi i ragazzi scesero dal mezzo per sgranchirsi le gambe. 
Gea si appoggiò contro il cofano, le braccia allungate all'indietro per ammirare la volta celeste. 
Non le era quasi mai capitato di vedere tante stelle o di osservare il cielo notturno, ma da quando la sua vita era stata stravolta aveva goduto quotidianamente di quell'opportunità. Le sarebbe piaciuto aver approfondito le sue conoscenze sull'astronomia, ma per come era stata assorbita dalla sua precedente routine, non l'aveva mai fatto. 
Inspirò profondamente l'aria fredda della notte, poi smosse l'erba umida sotto la suola dello stivaletto e si guardò intorno, verso la boscaglia oscura che si snodava alla sua destra. Davanti a sé, invece, si estendeva un enorme prato i cui ciuffi d'erba sfavillavano per la luce lunare che si rifletteva sulle gocce di rugiada. 
Le sembrava di assistere ad uno scenario soprannaturale, come se attraverso quei bagliori il cielo e la terra stessero comunicando in una muta lingua. 
Ne rimase incantata, estasiata da tanta bellezza. 
Poi le sue stanche pozze d'ambra individuarono Deimos che usciva dal bosco. 
<< Hai visto? >> gli chiese con un sorriso, indicando il paesaggio. 
Lui non rispose e non sprecò tempo a seguire la traiettoria del dito di Gea. Le teneva gli occhi incollati addosso, e nel frattempo avanzava nella sua direzione. 
Ogni passo era scandito dal flebile lamento dell'erba che si comprimeva. 
Il cuore della ragazza prese a battere con insistenza mentre lui rallentava l'andatura, ormai vicino. 
Le si parò davanti, gli zaffiri che perforavano i suoi occhi. 
Gea si schiacciò contro il cofano, deglutì emozionata e dischiuse le labbra per respirare con leggero affanno. 
I suoni della notte producevano un melodioso sottofondo, la brezza operava da direttrice d'orchestra con la sua capacità di dirottare quei suoni. Le fronde nascoste degli alberi si muovevano come archetti di violino sulle corde del vento, il fruscio dell'erba generato dalle emozioni di Gea scandiva il tempo di quella musica vellutata. 
Poi il ragazzo inclinò la testa e si abbassò su di lei, mentre le palpebre di entrambi si socchiudevano per il languore della vicinanza. 
E intanto che tutt'attorno regnava la quiete, le loro labbra si fusero complici. Si accarezzarono con tocchi morbidi, assaporandosi lentamente in un reciproco scambio di tenerezze. Poi una mano di Deimos scivolò con brama sulla schiena della giovane, le sollevò la maglietta per sfiorarla al di sotto. 
Un fremito di piacere solcò la pelle di Gea. Così si protese verso di lui ed incastrò le mani tra i suoi capelli, intanto che le loro lingue si legavano passionalmente. 
Le sembrò che il suo corpo si stesse liquefando in lava bollente. Faticava a riconoscere dove finisse lui ed iniziasse lei. Tutto le pareva confuso ed al tempo stesso incredibilmente vivido. 
Deimos affondò le dita su un suo fianco, il petto che si alzava ed abbassava con ritmo. 
Con un impeto di frenesia la mise a sedere sul cofano, poi si calò a baciarle la pelle sul collo facendo man mano pressione per spingerla distesa. Lei gli artigliò la maglietta e la strattonò sopra la sua testa, gliela sfilò e la gettò sul tettuccio. 
In quel momento i loro occhi sprofondarono gli uni negli altri. 
Fu come se si fossero incontrati il giorno e la notte. Le gemme della ragazza erano calde e lucide come un raggio di sole, gli zaffiri di lui scuri e misteriosi come il cielo che avevano sopra la testa. 
Una scintilla saettò tra i loro sguardi opposti, per poi dirigersi verso la miccia dei loro corpi. 
Ne divampò un incendio famelico. Gea aprì i palmi sul petto del giovane, ne tastò la pelle incandescente, lui si tuffò sulla sua bocca con brama. 
Ne scaturì un bacio irruento, sempre più voglioso, in cui le loro lingue non si concedevano riposo e le loro mani navigavano incessantemente. 
Scariche di godimento schizzavano tra i loro corpi ad ogni contatto più ravvicinato. 
Poi Gea si sentì posizionare a cavalcioni sul bacino del ragazzo. Si distaccò dalla sua bocca per capire dove fosse. E mentre le labbra di lui le scendevano avide sul collo, rendendole difficile concentrarsi, capì che si erano teletrasportati in macchina, sui sedili posteriori. 
La ragazza socchiuse gli occhi non appena Deimos le fece risalire la maglietta dai fianchi, con lentezza, in modo da ricalcare ogni sua forma ed assaporarla col tatto. Poi anche quella scomparì dalla loro vista. 
Nello stesso istante, Gea fece scivolare le mani sulla sua schiena e lui la premette contro di sé, così da far cozzare i loro corpi. 
Il respiro di entrambi si mozzò, il loro cuore prese a picchiare con forza, i rami degli alberi si mossero come tentacoli. 
Le labbra della ragazza gli lambirono lo zigomo, sdrucciolarono lente fino all'orecchio, ne leccarono il lobo con calcolata flemma, si dedicarono al collo con lo stesso desiderio. 
Deimos le morse piano la spalla mentre con due dita faceva scattare il gancetto del reggiseno. Il cuore di Gea sobbalzò per il surplus di emozioni, la terra vibrò piano. 
Subito dopo si morse un labbro, deliziata dalla bocca del giovane che stava voracemente assaggiando un suo seno. Gli strinse i capelli, espirò assuefatta. 
In quegli istanti le parve davvero di sciogliersi. Sentiva la testa leggera, i muscoli molli ed un fuoco incontrollabile divamparle dentro. 
Deimos alzò la testa e si soffermò ad osservare l'espressione della ragazza. Le loro labbra si scontrarono l'attimo successivo con la stessa violenta fame. 
Con un braccio il giovane gettò a terra tutto ciò che giaceva sui sedili, dopodiché ci distese Gea. Le salì sopra senza staccarsi dalla sua bocca, mentre con le dita vezzeggiava il suo seno. 
La ragazza emise un gemito contro le sue labbra affamate. Prese a graffiargli la schiena, spingendo le unghie nella sua carne per avvicinarlo, i muscoli di Deimos che si contraevano ad ogni tocco. 
Le leccò con ardore un tratto del collo, la clavicola, per poi riscendere sul petto e stuzzicare la parte più sensibile coi denti. 
I loro aliti affannati si mischiarono nella calura dell'abitacolo. I ciuffi d'erba sul suolo si dimenarono come anguille che tentavano di risalire al cielo. 
Gea gettò la testa indietro ed incurvò la schiena mentre un braccio di Deimos l'avvolgeva. 
La loro pelle bollente entrò bruscamente in contatto, così come i loro sguardi. 
Si osservarono intensamente, le bocche dischiuse per respirare, i petti che si alzavano ed abbassavano in fretta, il sudore dei corpi che si fondeva. 
Esclusero il resto del mondo. 
Per entrambi, durante il susseguirsi di quegli istanti, non esistevano che le iridi in cui si stavano riflettendo. 
Deimos si umettò le labbra, gli zaffiri incastonati dentro le gemme lucide della ragazza. 
La sua mente stava formulando talmente tanti pensieri contrapposti da impedirgli di afferrarne uno soltanto. 
E così si lasciò andare all'istinto, al suo volere, ancora una volta. 
Si protese lentamente verso il viso della giovane, il cuore che gli bombardava il petto con battiti sempre più impetuosi. E poi la baciò. Stavolta piano, come se fosse stata una carezza. 
Gea sentì il petto gonfiarsi di amore, lo percepì sbocciare e fluire nelle vene come linfa vitale. Se ne sentì invasa dalla testa ai piedi, così come dall'euforia dell'emozione. 
In quel momento, al di fuori della macchina in cui si mescolavano amore e passione, un piccolo fiore di pesco si generò sul ramo di un faggio. La linfa dell'albero virò tutto d'un colpo verso quel bocciolo appena dischiuso, i cui colori divennero sgargianti e vivi. 
Un lieve bagliore esplose dal tronco, le cui nodose radici emersero dal terreno per dispiegare un labirinto di legno tutt'attorno. Poi la luce scomparve, ripiombò il buio. 
Deimos allungò una mano per portarla sul viso della ragazza, mentre con l'altra scivolava al bottone dei suoi shorts. 
Si sfilarono gli ultimi indumenti, poi lui aprì una bustina coi denti e dopo poco ritornò su di lei, avvolgendola col suo corpo forte e caldo. 
Mentre si scrutavano, Gea gli accarezzò alcuni capelli sulla fronte. A quel tocco, Deimos sentì i muscoli sciogliersi e le palpebre appesantirsi. Così nascose il viso nell'incavo del suo collo e chiuse gli occhi, prendendo a baciarla lentamente sul profilo della mandibola. 
E poi, con la stessa calma, si fece spazio dentro di lei, la riempì, conducendola nei movimenti gradualmente più decisi. 
Si baciarono, ancora, fino ad avere le labbra gonfie e rosse, fino a sentire la pelle scottare sotto i marchi che si erano impressi, fino a fondersi completamente. 
Deimos lasciò che la ragazza lo abbracciasse mentre i loro respiri procedevano verso la regolarizzazione. Affondò la testa nel suo collo ed inspirò il profumo della sua pelle sudata, percependo quella nota dolce che tanto gli piaceva. E nel frattempo si godeva le carezze sfiorate che Gea gli riservava con la punta delle dita sulla schiena, cercando di non dare ascolto ai suoi pensieri. 
Perché si sarebbe dovuto allontanare, avrebbe dovuto lasciarla lì dopo aver ottenuto ciò che desiderava. Dopotutto lui ripudiava quei gesti affettuosi che si scambiavano tra umani. Li trovava disgustosi, svilenti, sinonimi di debolezza, segni di dipendenza nei confronti di un altro essere. 
In ogni rapporto non aveva mai desiderato soffermarsi un secondo di più con nessuna. Avrebbe preferito amputarsi un braccio piuttosto che lasciarsi coccolare. 
Ma la ragazza che al momento lo accarezzava lievemente, gli stava facendo mettere in dubbio tutto. Perché con lei, quei gesti da umani che tanto lo schifavano, non erano disgustosi, ma stranamente piacevoli. 
Gli piaceva sentire quelle dita sottili muoversi tra i suoi capelli, navigare leggere sulla sua pelle, soffermarsi sui muscoli. 
Ed era proprio per questo che avrebbe dovuto allontanarla, perché lui non era umano. Lui non era mai stato quello che stava diventando. Lui non si preoccupava di terzi. Non sapeva neanche cosa fosse la preoccupazione, fino a poco tempo prima. 
Eppure non ci riusciva. 
Al contrario, bramava sentirla protetta sotto il suo corpo, assaporare la sua pelle, percepirne il calore familiare ed averla sotto gli occhi. 
Non sapeva che cosa gli stesse succedendo. Era tutto nuovo e confuso, assolutamente ingestibile. E più si sforzava di ridare controllo a ciò che provava quando la giovane era nei paraggi, più sentiva una maledetta forza attrarlo verso di lei.   
D'un tratto la sentì rabbrividire, così si scostò in tutta velocità. 
Prima che la ragazza potesse capire cos'era successo, le arrivò in faccia la maglietta, poi la biancheria. 
<< Che stai... >> 
<< Vestiti >> le ordinò secco lui. 
Un piccolo sorriso incurvò le labbra di Gea mentre lo osservava rimettersi i boxer. Era quasi certa che lui l'avesse sentita fremere per il freddo. 
S'infilò il reggiseno, la maglietta e le mutandine. I pantaloncini li lasciò da una parte per dormire più comoda. 
Guardò di sottecchi il ragazzo mentre si tirava su la cerniera dei pantaloni, il petto nudo e sodo. 
Il cuore le batté più rapido mentre si schiariva la voce. Aveva una domanda sulla punta della lingua, ma temeva per la risposta. Era anche vero, però, che se non ci avesse provato non avrebbe nemmeno potuto conoscere l'esito. Prese coraggio e lo guardò. << Posso dormire con te? >> chiese piano. 
Gli zaffiri di Deimos le planarono di colpo addosso. << No. >>
<< Perché? >> ribatté lei, spalancando gli occhi con una punta di delusione. 
Lui la studiò intensamente, cogliendo nelle iridi ambrate una tristezza malamente camuffata che attivò una pressante morsa nel suo stomaco, poi riprese ad infilarsi gli anfibi neri come se nulla fosse. << Sbavi >> disse lapidario. 
Gea sorrise e si portò una mano sul petto. << Giuro di non sbavarti. >> 
<< Non credo nei giuramenti. >> 
<< Allora te lo prometto. >> 
Deimos le rivolse un sorrisino sfrontato. << Non credo neanche alle promesse. >>
La ragazza lo fissò stizzita. << D'accordo, hai chiarito il concetto >> proferì prima di alzarsi con l'intenzione di raggiungere il proprio sedile. La prossima volta ci avrebbe pensato come minimo una cinquantina di volte prima di fargli una domanda di quel genere. Insomma, aveva un orgoglio anche lei. 
<< Ti arrendi così presto? >> la canzonò divertito. 
<< Dovrei forse pregarti? >> ribatté lei, allungando una gamba alla ricerca di appoggio. << Non mi vuoi, ottimo, sopravviverò >> aggiunse acida. 
<< Vieni qui >> le ordinò all'improvviso, severo. 
Gea voltò il capo per guardarlo con circospezione mentre il cuore ricominciava a pomparle in fretta. Notò che i suoi zaffiri erano tornati impenetrabili, l'espressione autoritaria di un guerriero. 
Sviò da quello sguardo sollevando il mento con fare altezzoso. << No. >> 
Prima che compiesse gli ultimi movimenti, Deimos la agguantò per un braccio e la strattonò all'indietro, facendola ricadere sui sedili. 
<< Ma che modi sono? >> sbottò Gea, scostandosi i capelli dal viso irritata. 
<< Impara a non farmi ripetere le cose due volte >> pronunciò il ragazzo in tono quasi minaccioso. I loro occhi si incastrarono come maglie di una catena. Oceano e lava liquida. 
<< E tu impara a rispettare un no >> sibilò lei perentoria. 
Le labbra di Deimos si incurvarono in un sorrisetto arrogante che le fece alzare gli occhi al cielo esasperata. 
<< Sei insopportabile >> borbottò mentre si distendeva. << E odioso. >> Un secondo dopo picchiò forte la testa contro lo sportello. << Oddio, che male >> mugolò massaggiandosi la tempia. << E smettila di sghignazzare come una iena >> aggiunse trucidandolo con un'occhiata. 
Con un sorriso compiaciuto, le fece cenno di spostarsi più su un lato. 
Gea sbuffò e smanettò istericamente. << Cosa sei, una balena? Ci entrerebbe pure un mammut obeso >> brontolò mentre si aggiustava sul ciglio. << Più di così c'è solo la morte, quindi non mi chiedere di andare ancora oltre. >> 
<< Va' un po' più in là >> la provocò stendendosi dietro di lei, per poi puntellarsi su un gomito. 
La ragazza ruotò il capo di scatto. << Stai scherzando? >> Poi, notando che lui la stava osservando con un sorrisetto derisorio, abbandonò il nervoso e decise di girarsi totalmente dalla sua parte. 
<< Mm >> mugugnò facendosi più piccola. << Buonanotte, antipatico >> pronunciò adagiando la fronte sul suo petto. 
Deimos abbassò il capo per sondarle il volto. 
Ancora una volta, la sua mente si affollò di pensieri che la riguardavano. Era un meccanismo spontaneo e che gli risultava impossibile da controllare. 
Così, con gli occhi della mente, la rivide sotto di sé, con quelle iridi luminose e calde che lo guardavano, col sorriso che aveva cercato di nascondergli quando aveva sputacchiato sulla sua maglietta, con la tristezza mista a paura che spesso offuscava la consueta vivacità del suo sguardo. Il flusso delle sue riflessioni virò bruscamente sui due elementi che le davano la caccia. 
Senza che accorgersene, strinse i denti e contrasse i muscoli. Ma poi, vedendola che si rannicchiava più vicina al suo petto, quella sensazione che gli aveva indurito i tratti allentò lievemente la morsa. 
La ispezionò in silenzio, mentre i suoi pensieri riconvergevano su di lei. 
Sollevò un braccio e lo dirottò verso una sua gamba. Scivolò delicatamente, con la punta delle dita, a fior di pelle, risalendo verso il fianco, gli zaffiri incantati sulla propria mano. 
Gea scostò il viso per guardarlo nella semioscurità, il cuore impazzito e le tempie martellanti. 
Si accorse che la maschera di piombo che rivestiva quegli zaffiri misteriosi si era leggermente incrinata, rendendo visibile una crepa di inquietudine. E subito dopo rilevò un altro particolare: la mascella debolmente serrata 
Appoggiò il palmo aperto sul suo petto e cercò i suoi occhi. << Cosa c'è? >> domandò, il tono carezzevole come una soffice coperta di lana. 
A quel punto Deimos interruppe il movimento della mano e la guardò. 
Trascorsero i secondi, poi i minuti, senza che il silenzio venisse spezzato, senza che il loro contatto visivo si sciogliesse. 
Deimos si perse completamente in quelle pozze d'ambra, ci sprofondò con tutto il corpo, con ogni pensiero. Le strinse il fianco e si calò piano su di lei, percependo il suo respiro farsi man mano più rapido. Poi premette le labbra sulle sue e chiuse gli occhi. 
Dapprima rimase con la bocca sulla sua, senza muoverla, poi, adagio, la dischiuse. 
Gea sentì le proprie labbra essere accarezzate come il velluto, avvolte e lambite in un bacio che sapeva di emozioni inesprimibili, di una dolcezza nuova e sconosciuta capace di renderlo quasi incerto nei tocchi delicati. 
Alla fine si distanziò, ritrasse il capo per scrutarla ancora una volta. Le vide spuntare un piccolo sorriso di contenuta felicità, poi se la ritrovò appallottolata contro il petto, con un braccio che gli cingeva la vita.  
Ma, di nuovo, non la scostò. La tenne lì, al sicuro, sotto il suo sguardo, finché le palpebre non gli divennero pesanti e il contatto col presente non svanì gradualmente. Poi ci fu solo il buio. Il buio caldo. 







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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3



















Quando Gea sollevò pesantemente le palpebre si rese conto che la sua schiena poggiava contro il tiepido sedile, e non contro un torace caldo.  
Fece leva sui palmi delle mani ed esplorò con lo sguardo oltre i finestrini. 
Il sole illuminava con premura ogni stelo d'erba, i quali risplendevano come punte di smeraldo su un letto di morbido velluto. Gli alberi tutt'attorno imprigionavano la luce nelle loro foglie, permettendo solo a pochi raggi di oltrepassare la cortina di fronde per accarezzare il suolo come le scarpette di una ballerina. 
Un piacevole dolore le strizzò la bocca dello stomaco, per poi discendere nella pancia. D'istinto si coprì l'intricato cerchio attorno all'ombelico. Le sembrò di sentirlo caldo, quasi pulsante come il disperato bisogno di uscire dal veicolo che le stava pian piano montando dentro. 
Spalancò lo sportello in un gesto impetuoso, desiderosa di togliersi i calzini e toccare coi piedi quella morbida erba che le pareva di udir sussurrare. 
Appena le sue dita entrarono in contatto col suolo, una vibrante scarica di sollievo le inondò il corpo, facendole spuntare un sorriso estasiato. 
E così prese ad avanzare. Passo dopo passo, quasi librandosi tra gli steli d'erba che ogni tanto si abbassava a sfiorare con i polpastrelli, seguendo un tragitto tracciato dall'istinto. 
Il cuore le batteva più forte ad ogni metro percorso, mentre l'impellenza di raggiungere la meta le faceva accelerare l'andatura. 
S'immise tra gli alberi, superò le loro solide radici prestando attenzione a non schiacciarle con violenza, deviò più volte, accarezzò ogni tronco percependo lo scorrere della linfa vitale al loro interno. Gli occhi ambrati le saettavano da una parte all'altra con frenesia, l'urgenza nel fiato corto, il motivo attorno al suo ombelico che bruciava come un tizzone estratto dal fuoco. 
E poi lo vide. Il suo istinto lo riconobbe prima della vista. 
Divorò i pochi passi che li separavano, incespicando su un ramo sepolto nel terreno umido del bosco. 
Il cuore le tamburellava con risoluta tenacia, le narici le si dilatarono mentre inspirava a pieni polmoni l'odore di terra fresca e corteccia. Il suo olfatto riconobbe una nota dolce in quel profumo che le risvegliava i sensi: un lieve sentore di pesca.    
Le sue pupille si spalancarono mentre, un piede in successione all'altro, distendeva un braccio in direzione del tronco. 
Alzò lo sguardo sulle sue fronde. I raggi di sole parevano brillare attorno ad una piccola gemma dischiusa, i cui fragili petali viravano dal bianco al rosa pallido. 
Gea chiuse gli occhi nel momento in cui i suoi polpastrelli lambirono la corteccia calda dell'albero. E così non vide la potente luce che si sprigionò da quel lieve tocco, ma la sentì scivolare attraverso il braccio e propagarsi nel corpo, snodarsi ed aumentare d'intensità mentre si attaccava alle sue particelle, mentre si concentrava attorno al suo ombelico. 
Ne voleva ancora. Ne aveva bisogno. Eppure, di secondo in secondo, il dolore cresceva. Lo stomaco le si contorceva come per l'effetto di un pugno, le tempie le pulsavano come martelli pneumatici, il fiato le si strozzava in gola provocandole un bruciore lungo la trachea. 
<< Togli la mano. >> Udì dire da un tono inflessibile e familiare. << Adesso. >> 
Riaprì gli occhi di colpo. La luce bianca le inondò la vista, ma la mano non ne voleva sapere di staccarsi. Ne era calamitata. E la sua mente era talmente annebbiata da non riuscire a ragionare, da non riuscire a capire cosa fare e perché. Sentiva solo quell'energia dolorosa e galvanizzante confluire nel corpo con crescente potenza, quasi rendendola sorda al resto. 
<< Stacca la mano. >> Sentì ripetere a voce più alta, stavolta con una nota nervosa a screziarla. 
Gea si piegò su se stessa, emettendo un lamento strozzato di dolore tra i denti. Le ginocchia le cedettero sotto il peso di quell'energia che continuava ad entrare nel suo corpo.
<< Togli la mano, Gea! >> Quel grido perentorio, pervaso di rabbia ed urgenza, le fracassò i timpani. 
Il suo cuore incrementò ulteriormente la velocità, rimbombandole persino sotto i piedi. E quel nuovo impulso aprì uno spiraglio nella fitta nebbia della sua mente, le smosse delle emozioni più forti di quell'energia che le piegava le gambe. 
Staccò le dita dal tronco. 
La luce si dissolse come un elastico che smette di essere tirato verso il suo estremo. 
Gea rimase inginocchiata a terra, il petto che si alzava rapido per incamerare ossigeno, le palpebre pesanti, la gola in fiamme, lo stomaco accartocciato dal dolore, le linee che circondavano l'ombelico brucianti. 
Udì dei passi farsi più vicini, finché con la coda dell'occhio non vide due anfibi neri sporchi di terriccio. 
<< Come hai fatto? >> le chiese Deimos, la voce più dura del solito. 
<< Cosa? >> tossì lei. 
<< Questo è un punto alfa. Ogni elemento ne dispone di uno soltanto, ed il tuo si trova a miglia da qui. >> Il ragazzo si accovacciò sui talloni e la trapassò col suo freddo sguardo. << Come hai fatto a generarne un altro? >>
Gea inclinò il capo per guardarlo, il collo che doleva ad ogni movimento. << Non lo so >> mormorò rauca. 
Deimos restò a fissarla per una decina di secondi, immobile come una statua ed in tensione come un cavo dell'alta corrente. << Alzati >> ordinò infine, eseguendo lui stesso quel comando. 
La giovane scosse piano il capo. Sapeva che non sarebbe riuscita a muovere un solo muscolo senza ricadere a terra. Le spalle già le tremavano per lo sforzo di sorreggersi. 
<< Se credi che ti porterò sulla schiena, ti sbagli >> l'avvertì severo lui, incrociando le braccia sul petto. La osservò ancora, gli zaffiri che di secondo in secondo s'incendiavano di rabbia, la mascella marmorea. << Hai intenzione di rimanere lì tutto il giorno? >> ringhiò. 
<< Sto... male >> mugolò Gea. 
Deimos si mosse irrequieto, i nervi rigidi che si flettevano ad ogni chiusura a pugno delle mani. << Razza d'idiota >> sputò tra i denti, mentre si caricava sulla schiena la ragazza. 
Quest'ultima abbandonò la testa sulla sua spalla e chiuse le palpebre, troppo stanca per qualsiasi sforzo. 
Il freddo s'insinuò tra le sue ossa come un serpente strisciante, e così si strinse a Deimos quel poco che ancora le consentivano le forze. 
<< Tieni gli occhi aperti >> abbaiò lui, strattonandole un braccio per tenerla sveglia. 
Gea sollevò appena le palpebre, infastidita. << Voglio dormire. >> 
<< Non adesso. >> 
<< E quando? >> 
<< Mai. >> 
La giovane corrugò la fronte. << Io non ti capisco. >> Riabbassò il capo sulla sua spalla e richiuse gli occhi. Emise un flebile sospiro che le scosse il corpo di tremiti. 
<< Continua a parlare >> la esortò secco lui. 
Un mugugno incomprensibile sviò dalle labbra di Gea. Le doleva troppo la gola per riuscire ad articolare un discorso, e la mente era appannata da immagini, pensieri sconnessi, lontani echi, patimento. 
Il ragazzo digrignò un'imprecazione e teletrasportò entrambi alla macchina, troppo furioso per perdere altro tempo a camminare. 
Adagiò bruscamente Gea sul sedile del passeggero e si precipitò a cercare una bottiglietta d'acqua nell'ammasso di scarti sui tappetini posteriori. 
Ne acciuffò una, quasi stritolandola nella mano, la stappò e gettò tutto il suo contenuto in faccia alla ragazza. 
Gea sobbalzò lentamente, aprendo di poco gli occhi con fare sonnolento. Non ebbe neanche la forza di asciugarsi le gocce che le scendevano dal naso, dalle labbra, lungo il viso e giù per il collo. 
Deimos le si parò davanti, porgendole un braccio in modo sbrigativo. << Dammi delle scosse. >> Vedendo che la ragazza lo guardava confusa, abbassò la testa per portarla più vicina alla sua. << Muoviti >> aggiunse a denti stretti. 
<< Perché? Ti farò... male >> biascicò lei, scuotendo pianissimo il capo. 
<< Sbrigati >> sibilò intimidatorio, trafiggendola con un'occhiata dura. 
Si osservarono per qualche altro secondo, poi Gea appoggiò una mano sull'avambraccio del giovane e si concentrò sul richiamare una scossa elettrica di debole intensità. Ciò che ne scaturì, però, andò contro la sua volontà e le sue previsioni nebulose. 
Si dipanò una scintilla scoppiettante che ebbe sfogo con una scossa brutale. 
Deimos strinse la mascella e dilatò appena gli occhi, trattenne il fiato e lo rilasciò in un lungo sospiro dal naso. 
<< Io... non volevo >> balbettò Gea, bianca come un lenzuolo per l'orrore di avergli procurato dolore.   
<< Rifallo. >> 
<< Cosa? >> Gli occhi per poco non le scapparono dalle orbite. << No, no non voglio. Non riesco a controllarmi. Potrei ucciderti >> disse allarmata. Si prese la testa tra le mani e guardò per terra, gli occhi spauriti. << Non riesco a controllarmi >> espirò in un sussurro. Dopo la scossa inferta al ragazzo, la mente le si stava dipanando dall'umida ragnatela che prima tratteneva il caos impedendole di ragionare. 
Deimos le afferrò un polso e lo strinse forte, così da farle alzare gli occhi su di lui. << Dammene un'altra. Solo una ancora >> la incitò, gli zaffiri decisi, i muscoli rigidi. << Ma che sia violenta. >> 
<< Perché vuoi che ti faccia questo? >> gli chiese a voce bassa. 
<< Non ti ho detto di fare domande. Ti ho detto di darmi una scossa. >> 
Gea non staccò gli occhi dai suoi irrequieti. << Prima rispondi. >> 
Per una manciata di secondi lui si limitò a scrutare le sue familiari gemme ambrate, poi le agguantò una mano e se la collocò sull'avambraccio senza tante cerimonie. << Hai assorbito troppa energia, il tuo corpo non è in grado di contenerla senza danneggiare i muscoli e gli apparati vitali. Devi liberartene prima che il cuore smetta di battere per il sovraccarico. >> Digrignò i denti dalla rabbia. << Solo un idiota rischierebbe di uccidersi con le proprie mani mentre fa di tutto per non farsi ammazzare. >> 
Quando il cuore della ragazza iniziò a battere forte, quest'ultima pensò che il sovraccarico fosse alle porte. Ma non per l'energia assorbita, bensì per ciò che lui era disposto a sopportare per salvarle la vita. 
 << Potrei ucciderti >> ripeté con tono basso, stringendo la presa sul suo avambraccio. 
Deimos alzò di scatto gli occhi nei suoi. << Muoviti. >> 
Con un sospiro pieno di tensione, il palmo sudato e la mente invasa di paura, Gea si concentrò di nuovo sul produrre una scarica di bassa intensità. Ma, come prima, il risultato fu l'opposto. 
Il respiro di Deimos si spezzò e poi divenne tremulo, gli occhi chiusi per controllare meglio il dolore. Non emise un lamento, niente che potesse rendere esplicita la sua sofferenza. 
In realtà l'arto sottoposto a quella tortura aveva preso a formicolargli come se miliardi di sottili aghi gli stessero bucando la carne, lo spasimo non si interrompeva o decresceva neanche per un attimo. 
La ragazza ritrasse di scatto la mano. << Mi dispiace >> si disperò, il raccapriccio per ciò che aveva fatto nella lucidità delle sue gemme. << Mi dispiace. >>  
<< Nel tuo corpo circola ancora troppa energia >> asserì Deimos, tenendo il braccio destro, quello usato per sfogare la corrente, steso mollemente lungo il fianco. 
Gea concentrò l'attenzione proprio su quel particolare. << Muovilo >> disse alzando gli occhi su quelli di lui. << Muovi il braccio >> specificò deglutendo lava bollente. 
La paura di ciò che immaginava fosse successo le imperlò la fronte di sudore. 
<< Vestiti, ci teletrasportiamo >> tagliò corto lui, staccandosi dallo sportello per fare il giro della macchina. 
Gea scese dal sedile con un balzo, raccattò i pantaloncini, i calzini e le scarpe e se li infilò in fretta prima di raggiungerlo. 
<< Perché non lo muovi? >> gli domandò in ansia, osservandolo di spalle. << Ti fa male? Dimmi qualcos... >>
<< Dobbiamo andare >> la interruppe, voltandosi per acciuffarle un polso con la mano sinistra. 
La ragazza si scansò in preda alla rabbia e scosse la testa con violenza. << Alza il braccio! >> gridò esasperata, una stretta faglia si aprì vicino ai suoi piedi. << Smettila di sviare il discorso! >> Le fronde degli alberi ulularono, i loro rami si scontrarono generando degli schiocchi simili a spade di legno che si sferravano fendenti. 
Il blu profondo degli occhi di Deimos si fece talmente freddo da apparire trasparente come una lamina di ghiaccio. << Tra poco potrò muoverlo. Adesso no >> rispose tagliente. 
Le pozze ambrate di Gea si sgranarono per il colpo causato dalla consapevolezza di essere lei l'artefice di quella sofferenza. 
La terra iniziò a tremare come le sue spalle, ed i ciuffi d'erba si appiattirono sul suolo in una posa piena di vergogna. 
Odiava il solo pensiero di potergli fare del male, e vedere con i suoi occhi cos'era riuscita a infliggergli la devastava. Tutto perché non era stata capace di staccare la mano dal suo punto alfa, tutto perché era stata avida, perché aveva pensato a se stessa invece che a lui, quando lui non ci aveva pensato due volte a mettere lei al primo posto. 
<< Andiamo >> le ordinò spazientito, allungando di nuovo il braccio sinistro. 
Gea si ritrasse in tutta fretta, impaurita del contatto. << Non mi toccare. I miei poteri sono fuori controllo, non voglio farti male. >> Il terrore di non riuscire a gestirsi e di rappresentare una minaccia per la vita di chiunque si trovasse nei paraggi, le strozzò la gola. 
Si guardò intorno col fiato grosso e lo sguardo allucinato. Si rese conto solo in quel momento che la macchina era scossa dalle onde sismiche che si irradiavano da lei, che i rami degli alberi si contorcevano senza spezzarsi come rampicanti sul soffitto del cielo, che i cespugli sbattevano le foglie da una parte all'altra come fruste, che i sassi saltavano su un terreno a tratti percorso da scariche elettriche. E poi i movimenti di tutto il mondo si interrompevano, riprendevano l'attimo successivo, poi il tempo si congelava ancora, ripartiva. 
<< Mio Dio >> sussurrò Gea, le labbra tremolanti. << Che mi sta succedendo? Non... non riesco a fermarlo. Non so... >> 
<< Finiscila con questi piagnistei >> la interruppe bruscamente Deimos, muovendo un passo deciso nella sua direzione. << Non vedi che più ti agiti più peggiora la situazione? Usa il cervello, controlla la mente, non i poteri >> la spronò col tono di un sergente, gli zaffiri incastonati nei suoi occhi spalancati. 
E poi, di colpo, il ragazzo si voltò a trafiggere un'ombra apparsa dietro la vettura. Ne avvertì il potere con minore nitidezza, essendo che quello della giovane davanti a sé era così fuori controllo da ottenebrare la sua percezione. 
<< Che ci fai qui? >> chiese, l'inflessione scortese nella voce. Gli seccava quell'intromissione e ci teneva a renderlo palese. 
La testa di Ninlil sbucò davanti alle turbinose pozze d'ambra di Gea, che trattenne il respiro per il timore di poterle fare involontariamente del male.
<< Ho sentito il suo potere. È talmente forte che non mi ci è voluto nulla a localizzarla da chilometri di distanza >> rispose al ragazzo. << Che cosa sta succedendo? Si riesce a stare a malapena in piedi >> aggiunse guardandosi attorno con circospezione. Infine piantò lo sguardo su Gea. La scrutò minuziosamente, inclinando la testa di lato. Alcuni ciuffi corti e castani le ricaddero sugli occhi grigio scuro, stretti a fessura per lo sforzo di capire. 
Deimos sputò un'altra imprecazione e scagliò tutta la sua attenzione sulla giovane dai lunghi capelli dorati. << Dobbiamo andare. Finiremo per attirare gli altri due elementi. >> Le afferrò un lembo della maglietta e lo strinse nel pugno, per poi avvicinarla piano senza toglierle gli zaffiri di dosso. Gea alzò il capo e annuì, le labbra dischiuse per lo sforzo d'incamerare ossigeno, la fronte madida di sudore. 
Ninlil si rizzò dritta, sull'attenti, con ampie falcate divorò i metri che la separavano dai due ragazzi. << Vengo con voi >> affermò appoggiando la mano sulla spalla di Deimos. 
Il ragazzo le lanciò solo un'occhiata fredda, poi scomparvero.  





                                                                     *  *  *





Gea si curvò su se stessa mentre muoveva gli occhi per esplorare l'area circostante. 
Era stanca, il tremito le si era intessuto alle ossa come rampicanti di corrente elettrica, la testa le pulsava talmente forte da piegarle le gambe, il respiro sempre più affrettato. 
Sentiva il proprio corpo straziato internamente, prossimo al punto di rottura. 
Deimos le prese il mento fra le dita e le issò il capo in modo rude. I loro occhi si scontrarono, quelli del ragazzo la studiarono con smania. << Rispondi agli attacchi, libererai energia. >> Un angolo delle sue labbra si increspò in un sorrisetto. << Consideralo un allenamento. >> 
Gea annuì accennando un debole sorriso. 
<< Se siete d'accordo mi proporrei io come allenatrice >> intervenne Ninlil, guardando prima uno e poi l'altra. << Prometto che sarò delicata, non voglio farti del male Gea. >> 
Deimos fissò a lungo l'incarnante dell'aria, soppesando cautamente la proposta, poi dirottò tutta la sua attenzione sull'altra ragazza e le rivolse un cenno del mento in una muta domanda. 
Quest'ultima annuì ancora, le mani appoggiate alle ginocchia. Si costrinse a raddrizzare la schiena e a girare il collo verso Ninlil. << Stai attenta però, non riesco a controllare i miei poteri. Potrei farti molto male. >> 
La giovane alzò il pollice con un sorriso amichevole. << Non ti trattenere. >> 
Deimos lanciò un'ultima occhiata di monito a Gea, dopodiché si teletrasportò a metri di distanza da loro, di spalle ad una parete di roccia. 
Quel luogo, in realtà, era un misto di roccia solida e sabbia immacolata, terra granulosa e sconnessa, lava condensata in massi scuri simili a piombo e tufi sparsi a perdita d'occhio. 
Gea si distanziò di qualche passo da Ninlil per sorreggersi ad una roccia. Il dolore che le stava facendo perdere la testa era interno e viscerale. Come se tutti i muscoli e gli organi si stessero spremendo per espellere il sovraccarico assorbito. 
<< Iniziamo >> annunciò l'incarnante dell'aria, d'un tratto seria. I suoi occhi grigi si concentrarono sulla giovane davanti a lei. Registrarono ogni suo sollevamento del petto, ogni suo battito di ciglia, ogni particolare che le potesse tornare utile per sviluppare un piano d'attacco. 
Mosse una mano, dal basso verso l'alto. Un leggero vento caldo si sollevò da terra.  
Gea abbassò le palpebre per un istante, colta da un debole senso di sollievo sulla pelle fredda e sudata. Ma quel piacevole tepore divenne man mano più opprimente. Le vorticava attorno come una parete di vapore tanto densa da non filtrare ossigeno. 
Le sue narici si dilatarono per incamerare aria, la bocca si spalancò con urgenza, gli occhi si sgranarono alla disperata ricerca di uno sfogo. 
Si artigliò la gola con le unghie e tossì violentemente. Quel gesto le sconquassò la cassa toracica dallo spasimo ed un lamento gutturale simile ad un ringhio le rotolò fuori dalle labbra. 
Scosse forte la testa e lanciò un urlo tormentato. Non riusciva a respirare. Gli occhi le bruciavano per quanto erano spalancati dallo strazio. Il cervello faticava a mantenere il contatto con l'esterno, tutto ciò su cui il suo istinto di sopravvivenza era focalizzato era la vitale ricerca di ossigeno.
Deimos, da lontano, serrò le mandibole tanto forte da farle sembrare incollate. Vide la giovane dai capelli dorati cadere sulle ginocchia e scuotere il capo energicamente, poi alle sue orecchie giunsero nuove urla pregne di disperazione. 
Persino da quella distanza avvertiva con estrema perfezione la paura della ragazza. Ne sentiva il sapore amaro e bruciante sulla punta della lingua, quel sapore che aveva sempre apprezzato con crudele goduria. 
In quel momento ne fu nauseato. 
Gea batté un pugno per terra mentre con l'altra si stringeva la gola. 
Sul volto di Deimos si scolpì un mezzo sorriso, perché un attimo più tardi enormi massi si deflagrarono secondo il moto concentrico delle onde sismiche che sfrecciavano al di sotto.
Intorno alla ragazza si innalzò un igloo di roccia che la protesse dalla spirale di vento soffocante. Finalmente inspirò a pieni polmoni, saziandosi d'aria con avidità. 
Ninlil abbassò il braccio e sorrise soddisfatta. Ammirava quella ragazza dai grandi occhi dorati. Era dotata di una forza di volontà e di una tenacia di cui neanche si rendeva conto. Per questo aveva persistito a rendere l'aria più irrespirabile, perché sapeva che non avrebbe mollato. 
L'igloo di pietra si sgretolò lentamente, rivelando la figura di Gea, adesso in piedi con lo sguardo rivolto a lei. 
<< Come ti senti? >> le chiese l'incarnante dell'aria. 
La ragazza abbozzò un sorriso malgrado il respiro pesante. << Pronta a tutto. >> 
Ninlil stese le braccia e si sgranchì le dita con una smorfia scherzosa. << Allora stai in guardia. Arrivo, sorella. >> 
Un istante dopo era scomparsa, dissolta nel suo elemento. 
Gea rimase immobile e trattenne il fiato per prestare attenzione al minimo spostamento d'aria nei paraggi. Attorno imperava il silenzio, eccetto che per il suo respiro ed il battito cardiaco contro le tempie che rischiava di frastornarla. Ma sentiva la mente più sgombra e lucida rispetto ai minuti prima. Più disperdeva energia tramite lo sforzo fisico e mentale, più il suo corpo ed i suoi poteri reagivano ai comandi.
Le sue pupille si dilatarono appena prima che si abbassasse sulle ginocchia per schivare un colpo dietro il collo. Un fulmine squarciò il cielo al battito violento del suo cuore. Si girò in fretta ed afferrò Ninlil per il gomito, torcendole il braccio dietro la schiena per immobilizzarla. 
La giovane col caschetto sorrise e le pestò un piede con forza, successivamente le assestò una manata contro la coscia per liberarsi. 
Gea si ritrasse saltellando sul piede sano e si accarezzò la gamba colpita respirando tra i denti a causa del bruciore. 
Ninlil rise della sua espressione accigliata. << Mi perdoni? >> 
L'altra increspò le labbra in un sorriso furbo e si lanciò di corsa verso la sfidante. Prima che questa potesse scomparire nell'aria, le spalancò una buca poco profonda sotto i piedi in modo da destabilizzarla. 
E così fu. Ninlil perse l'equilibrio e scivolò sul suolo, ma prontamente rotolò di lato e si rialzò per parare il tiro mancino di Gea. Dopodiché svanì nel nulla, mandando nel vuoto il suo calcio. 
Le riapparve alle spalle. Le appoggiò una mano alla base della schiena e sprigionò una palla di vento che la sbalzò per aria. Gea gridò di sorpresa e si schiantò a terra con una tale velocità che Ninlil non fece in tempo a generare una corrente che le ammortizzasse la caduta. Nel cielo terso saettò rapida una scarica elettrica che fece scoppiare un boato nell'ambiente.
Deimos assistette all'impatto di Gea con una disposizione emotiva apparentemente immobile, impassibile. Ma dentro, dentro la sua cassa toracica, il cuore freddo si era fermato per un attimo. Forse più a lungo. Poi aveva ricominciato a battere insieme al lento respiro che gli era uscito dal naso. 
I suoi occhi blu si riempirono del corpo riverso a terra di Gea. Non batterono ciglio finché non la videro issarsi con fatica sui palmi ed alzare un pollice in aria. 
Osservò come, immediatamente dopo, le sue spalle venissero scosse dalle risate sempre più rumorose che si stava facendo. 
Si ritrovò a pensare che la botta le avesse fatto saltare qualche rotella del cervello. 
Ninlil le si accovacciò accanto e la studiò dubbiosa, probabilmente chiedendosi la stessa cosa di Deimos. 
Poi Gea si gettò distesa sulla schiena e portò le mani sulla pancia, continuando a ridere. << I believe I can fly. I believe I can touch the sky >> intonò dondolando le braccia da un lato all'altro. Scoppiò a ridere, trascinando con sé anche Ninlil e facendo spuntare un sorrisetto a Deimos. 
<< Ti senti bene? >> le chiese apprensiva l'incarnante dell'aria. << Mi dispiace, non volevo sbalzarti così. >> Abbassò gli occhi sul suo zigomo sinistro e la guancia, poi scese a controllarle le braccia e la gamba sinistra. << Sei piena di graffi e tagli >> constatò, il tono basso e colpevole. 
Gea scosse il capo. << Non c'è problema. >> Si sollevò a sedere e le sorrise. << Per quanto suoni assurdo, mi sento molto meglio. Dai, continuiamo >> dichiarò energica, alzandosi in piedi con un balzello. Tese una mano verso l'amica, che la stava scrutando con un misto di stupore e stima, e l'aiutò a rimettersi dritta. 
<< Che ne dici di una corsa ad ostacoli? >> propose con un sorriso di sfida. << Gli ostacoli li creeremo insieme via via. >> 
Ninlil annuì con entusiasmo. << Sembra divertente, ci sto. >> 
Si sistemarono l'una accanto all'altra, le ginocchia piegate e le scarpe ben piantante sul terreno di ciottoli che rumoreggiava al minimo movimento. Entrambe si guardarono. 
Gea sentiva l'adrenalina montarle dentro come lava lungo il cono vulcanico. Le spuntò un sorriso ilare, perché quella sensazione le piaceva. Le piaceva da matti, la faceva sentire viva e piena di energia. 
Ninlil le rivolse un sorriso complice. << Perciò... pronti, partenza... >> 
<< Via! >> esclamò Gea, catapultandosi in avanti. 
L'aria le accarezzò il viso, mandandole i capelli indietro e rinfrescandole il collo sudato. Saltò in prossimità di un masso e deviò dinanzi ad uno molto più grosso, poi scese lungo un pendio talmente friabile che perse l'appiglio e lo concluse distesa su un fianco. 
Ma nonostante il bruciore della pelle tagliuzzata, non si perse d'animo e balzò in piedi dandosi la spinta per ripartire. 
Osservò la salita che l'aspettava, anch'essa cosparsa di tufi piccoli e poco saldi sotto le scarpe. Diede un calcio ad alcuni di essi. La parete di tufi si assemblò in una scala a gradoni scura e massiccia. 
La scavalcò a grandi passi e riprese a correre. Adocchiò Ninlil che procedeva spedita poco più avanti, così batté forte un piede al suolo e costruì un muro di roccia sul suo tragitto per sbarrarle la strada e farle perdere qualche secondo. 
Ridacchiò divertita quando l'incarnante dell'aria per poco non ci si schiacciò contro. Quest'ultima si voltò a cercarla con lo sguardo e le sorrise competitiva. Poi, con una devastante folata di vento, distrusse la parete. I pezzi di roccia saettarono per metri e metri prima di sprofondare a terra con brutali schiocchi. 
Gea aggirò una buca di sabbia e divorò la terra sotto i piedi con una corsa sfrenata. Le venne da ridere, perché si stava divertendo. 
Le era sempre piaciuto correre, godere del vento contro la faccia, acquisire consapevolezza della potenza dei muscoli, sentirli fremere e dolere ad ogni passo, riempirsi il petto d'aria fresca. 
Tutte quelle sensazioni, più e meno piacevoli, le avevano sempre dato una carica adrenalinica portentosa. In quei momenti si convinceva di essere abbastanza forte per tutto, di essere invincibile e senza limiti. Di essere più capace di quanto i suoi genitori la credessero. 
Avvertì una pressione contro il petto che la sospinse indietro. Le suole sfregarono contro i sassolini e le ginocchia le si piegarono. 
Ninlil stava cercando di rallentarla. 
E così Gea si mise a correre all'indietro, facendosi condurre da quella ventata dispettosa. Ma d'un tratto ruotò su se stessa e sterzò bruscamente di lato, liberandosi dalla pressione. 
Riprese a correre, mostrando la linguaccia a Ninlil che le stava applaudendo con ironia. 
L'incarnante dell'aria si trovava circa due metri dietro di lei, eppure Gea, per scherzosa vendetta, generò un cratere sul suo percorso. 
Ninlil lo scavalcò affidandosi al proprio elemento. Si librò in aria per poco e ripiombò a terra, adesso molto più vicina a lei. 
Dopo poco furono una accanto all'altra, i loro gomiti quasi si sfioravano. 
Si guardarono, gli occhi accesi di divertimento e complicità. 
Dopodiché Gea focalizzò lo sguardo davanti a sé. Si illuminò a guardare quella distesa baciata dal sole, il modo in cui ogni sasso brillava verso il cielo terso, il modo in cui tutto coesisteva perfettamente, e poi allargò il campo visivo sul maestoso vulcano che si ergeva alla sua destra. Dentro al petto le si espanse un calore dettato dalla gioia. 
Il suo battito cardiaco sembrava accordato su quello della terra. 
E così aumentò. Aumentò. Il suolo tremò per un attimo, come un palpito. Riprese quello successivo. Si rifermò. Poi vibrò di un altro battito. 
Ninlil guardò per terra, impressionata da quell'evento. Deimos si teletrasportò in un altro punto per continuare a seguire Gea con lo sguardo. 
I battiti della terra incrementarono d'intensità, esattamente come quelli della sua incarnante. E poi Gea rise. I sassi saltellarono come pop corn scoppiettante, generando un rumore simile ad una risata. 
Ninlil arrestò il passo per osservare sconcertata l'amica. E questa, proprio in quel momento, proprio mentre il suolo sembrava cantare e rombare, mentre il cielo tuonava note delicate, mentre fili di elettricità cesellavano il terreno lasciando le loro impronte, abbassò un braccio. Con le dita sfiorò i ciottoli, e poi lentamente sollevò la mano davanti a sé. Fu un gesto armonioso, come quello di un direttore d'orchestra che batte il tempo per i suoi musicisti. 
Dalla terra tremolante si generò un trampolino largo e robusto. 
Gea velocizzò il passo, divorò gli ultimi metri sotto le suole consumate. Scalò il trampolino, il cuore impazzito, e si lanciò nell'aria. Continuò a muovere le gambe come se stesse correndo, agitò le braccia nel vuoto. Il vento le schiacciava quasi il respiro, ma questo non le impedì di urlare dall'emozione. 
Si sentiva dannatamente bene. La sua mente era sgombra e lucida malgrado l'azione avventata. Perché possedeva il controllo di sé, dei suoi poteri. Percepiva la sicurezza che le donava la terra, se ne sentiva rassicurata e cullata. 
Un'alta pedana discendente fino al suolo si eresse sotto i piedi di Gea. E così lei scivolò giù piano, dimezzando man mano la velocità per evitare di schiantarsi. 
Quando si fu fermata appoggiò le mani alle ginocchia e si piegò su se stessa, il fiato corto e gli occhi sgranati dal miscuglio di adrenalina e sensazioni che stava provando. 
Ninlil la raggiunse immediatamente e per un po' si limitò a fissarla. Poi scoppiò a ridere e si buttò su di lei per abbracciarla. La ragazza dai lunghi capelli dorati rise e le circondò i fianchi con un braccio. 
<< Adesso crederai che sono pazza >> affermò divertita. 
<< Lo credevo già prima, non ti preoccupare >> scherzò Ninlil, distanziandosi per fare spallucce. Le due risero ancora. 
<< Hai disperso abbastanza energia >> proruppe Deimos, apparso improvvisamente vicino a loro. Sondò i grandi occhi di Gea, trovandoli luminosi e stanchi. 
Quest'ultima gli sorrise felice. << Sono stata brava quindi. >> 
<< Non direi >> la freddò lapidario. Gli zaffiri erano seri e di un blu talmente intenso da  farle sentire quello sguardo persino nelle ossa. << Non ti saresti mai dovuta ridurre in quelle condizioni >> aggiunse in un secco rimprovero. 
Gea non perse il sorriso. << Imparerò. >> 
<< Sarebbe l'ora. >> 
Ninlil li osservava incuriosita, con un piccolo sorriso mentre spostava gli occhi da l'uno all'altra. Pensò che fossero una strana coppia, ma al contempo perfettamente bilanciata. Lui imperscrutabile e duro, lei un libro aperto e sensibile. Lui spietato e freddo, lei compassionevole e dolce. Cozzavano su ogni aspetto, ma da ogni scontro maturavano scintille di sentimenti, e non pretesti d'odio. 
<< Che ne dite di venire a casa mia? >> propose entusiasta. << Vivo nell'Oregon, non troppo distante da dove avete lasciato la macchina. Potrete rimanere quanto volete e nel frattempo avremo la possibilità di fare il punto della situazione sugli altri due elementi. >> 
Gea la guardò con una luce speranzosa negli occhi. << Ma sei sicura di avere posto per noi? >> 
<< Oh sì >> rispose prontamente. << Di questo non ti devi preoccupare. Quando fu costruito il condominio mio nonno comprò due appartamenti sullo stesso pianerottolo, nella speranza che un giorno andassi a vivere accanto a loro. Il vostro sarà un po' piccolo, ma è confortevole. Io vivo con mia nonna nell'altro appartamento. >> Sorrise. << Saremo separati solo da uno zerbino e due metri. >> 
Gea si accese come una lampadina, perciò si voltò a cercare il consenso di Deimos, il quale la stava già fissando. 
<< Sei d'accordo? >> gli chiese con il respiro ancora affrettato. 
<< No >> asserì lui, ignorando la delusione negli occhi della ragazza. << Acqua e fuoco sono sulle vostre tracce, e voi al momento siete come due punti luce sulla loro mappa percettiva. Farvi stare insieme non fa che agevolare la loro ricerca, sapranno dove venirvi a trovare. >> 
<< Percepiscono i nostri poteri anche se siamo separate >> ribatté Ninlil. 
<< Ma con minore intensità, il che dilata il loro tempo di ricerca e favorisce voi >> spiegò il ragazzo, l'inflessione severa. << Potrete incontrarvi solo a miglia di distanza da loro, possibilmente con un oceano di mezzo, come in questo momento. Da qui non possono avvertire la vostra presenza. >> 
Gea si tirò su dritta. << Perché non stabiliamo dei giorni ed un orario in cui trovarci qui? Potremmo allenarci insieme e scambiarci informazioni, magari anche meditare un piano d'attacco. Non potremo nasconderci per sempre, perciò tanto vale sfruttare il tempo che abbiamo a disposizione per diventare più forti. >> Forse era l'adrenalina ancora in circolo che la faceva parlare, ma per la prima volta da che aveva scoperto di essere l'incarnante della terra sentiva di avere una possibilità se solo si fosse impegnata con dedizione e coraggio. La paura dell'insuccesso era ancora lì, proprio dietro l'angolo, ma in quell'istante si costrinse a non svoltare per incontrarla. 
Ninlil soppesò la proposta con brevi cenni del capo. << Sì, ci sto. >> Allungò un braccio verso Gea ed incurvò le labbra in un sorriso. << Non ci arrendiamo. >> 
La giovane dai lunghi capelli dorati le strinse la mano e sorrise. << Combattiamo. >> 
<< Mi piace, sai? Potrebbe diventare il nostro motto >> meditò Ninlil, spiritosa. << Non ci arrendiamo, combattiamo. >> 
Gea rise e rivolse l'attenzione a Deimos. << Ora sei d'accordo? >> 
<< Sì, ad andarmene. >> Un attimo dopo le toccò la spalla e tutti e tre scomparvero. 





                                                                      *  *  *





<< Ti posso curare il braccio? >> chiese Gea al ragazzo, mentre procedevano spediti sull'autostrada per Hillsboro. 
Era passata l'ora di pranzo, il sole svettava nel cielo come un imperatore sul proprio trono e una fresca brezza entrava dal finestrino abbassato della ragazza, scompigliandole i capelli che aveva stretto in una bassa coda laterale. 
Era da un po', precisamente un'ora, che non riusciva a staccare gli occhi da Deimos. Per meglio dire dall'unico braccio, quello sano, con cui teneva il volante. L'altro era mollemente appoggiato sul cambio, in una posa disinvolta che non tradiva sofferenza. 
E quella era circa la terza volta che gli riponeva la domanda, solo che lui evitava di risponderle o le scagliava addosso qualche occhiata impassibile e scura. 
Anche quella volta non fu diversa. 
Gea alzò gli occhi al cielo e sbuffò dal naso, per poi voltarsi a guardare fuori dal finestrino. Incrociò le braccia sul petto con stizza, le labbra arricciate. 
Stranamente dopo aver disperso energia non si sentiva affatto debilitata. Stanca sì, ma non priva di forze e poteri come la prima volta. Aveva persino potuto provvedere a guarirsi le ferite causate dallo scontro con Ninlil. 
Ma più di tutto le premeva risanare il braccio malmesso di Deimos. Non poteva sopportare la consapevolezza di avergli fatto del male, seppur senza volerlo. 
In realtà si sentiva in colpa. Perché nel momento in cui lui le aveva ordinato di dargli una seconda scossa lei lo aveva fatto. Aveva, sì, tentato di calibrarsi, ma non si era tirata indietro. Lo aveva esposto ad un pericolo ed un rischio enormi. 
Adagiò la nuca contro il sedile e diede una sbirciata al ragazzo. 
Lo fissò a lungo, chiedendosi che cosa gli frullasse nella testa, quanti passaggi della sua vita le tenesse ancora nascosti. Poi non ce la fece più a trattenersi, la punta della lingua quasi le bruciava. 
<< Sei arrabbiato con me, vero? >> esordì incalzante. << Lo so, sono stata stupida. Avrei dovuto fermarmi e non incamerare troppa energia, ma non ce l'ho fatta. Non riuscivo a ragionare e nemmeno a rendermi conto di quel che stavo facendo. Vuoi che lo ripeta? Sono stata stupida >> concluse con uno sbuffo. << Ora potresti farmi curare il tuo braccio? >> 
<< Almeno lo riconosci >> pronunciò schernente lui. 
L'inflessione nel suo tono accese una miccia nella ragazza, che si sporse dal sedile per infilzarlo con un'occhiata truce. << Ti ho già detto di sì. Ma vogliamo parlare di quanto sia stato idiota tu, invece? Ti sei fatto dare due scosse del tutto inutili. >> 
Un lampo di rabbia saettò negli zaffiri di Deimos. Strinse la presa attorno al volante e contrasse la mascella. << Sì, se si considera per cosa l'ho fatto >> sputò sprezzante. 
Gea ritrasse la testa e sbatté rapidamente le palpebre. Il cuore le stava picchiando forte contro il petto, perché con quelle parole le aveva appena detto che la sua vita era inutile. Per l'ennesima volta, proprio come ai primi tempi. 
<< Intendevo dire che ci saremmo subito potuti teletrasportare altrove, ma grazie. Mi fa piacere notare che la tua opinione è rimasta la stessa. Tipico di un idiota >> commentò raccogliendo le gambe al petto, quasi a voler creare uno schermo dalle sue parole.
<< Se parli tanto per dare aria alla bocca evita di farlo >> disse lapidario. 
<< Perché starei dicendo un mucchio di cavolate? >> ribatté infervorata, indicandosi. << Hai ragione, preoccuparsi per te lo è >> gettò fuori. << Tanto cosa ricevo indietro? Non mi rispondi, eviti persino di guardarmi, quando apri bocca mi insulti. Perché dovrei farmi tanti problemi per te? Se sei contento così, tieniti il braccio in quel modo. >> Spedì lo sguardo oltre il finestrino e si strinse più forte le gambe. 
La rabbia le ribolliva nello stomaco, incendiandole i pensieri. 
Gli era grata per ciò che aveva fatto per lei, ma non tollerava il suo atteggiamento indisponente ora che gli aveva chiesto di sistemargli il braccio. Più lui si comportava in quel modo, più lei si sentiva in colpa. 
Deimos espirò piano, gli zaffiri incastonati sulla strada. Con la coda dell'occhio notò che i frammenti di cemento sulle corsie saltellavano, smossi dall'umore infiammato della ragazza. 
Per un po' non volò una mosca, l'abitacolo era sprofondato nel più teso silenzio. 
Poi, d'un tratto, lui colpì forte il volante con il palmo della mano. << Non sai un accidenti di quello che dici >> sbottò rivolgendole una breve occhiata che avrebbe fatto scappare chiunque. 
Gea sollevò un sopracciglio. << Sai com'è, tu eviti di rispondere ad ogni domanda. >> 
Lo sguardo del ragazzo divenne affilato come la lama di un boa. << E tu non perdi tempo a costruirti una versione dei fatti che sia verità immutabile. >> 
Lei si accigliò ed alzò le braccia, esasperata. << Ho semplicemente detto che non ti saresti dovuto sorbire due scosse se solo ci fossimo spostati altrove. >> 
Deimos scosse il capo con un sorrisetto derisorio. << Sei una gran presuntuosa. >> 
<< Come, scusa? >> La ragazza spalancò gli occhi con palese scetticismo. << Ma ti sei mai sentito? Tu sei il sinonimo in carne ed ossa della parola presuntuoso. >> 
<< Credi di poter giudicare le mie scelte in base alle tue assurde supposizioni? Vuoi insegnarmi come e quando usare il teletrasporto? >> sciorinò lui in fretta e con forte nervosismo, prima di dare un rude colpo al cambio per uscire dall'autostrada. << Non hai capito proprio niente. >> 
Imboccò la corsia di scolo, percorrendola a gran velocità, e prese per una cittadina di cui Gea non fece in tempo a leggere il nome, ma era sicura che non fosse Hillsboro. 
<< Dove stai andando? >> gli chiese ansiosa, guardandosi attorno. 
Lui non rispose, continuò a procedere spedito. 
La ragazza incastrò i grandi occhi sul suo profilo e gettò i piedi sul tappetino. << Ferma subito questa macchina >> ordinò in un sibilo. 
Deimos sembrò non sentirla nemmeno, in compenso pigiò sull'acceleratore e cambiò marcia. Poi, prima che Gea esplodesse in uno sfogo di rabbia, virò verso un parcheggio semivuoto. Immise l'auto in uno dei tanti posti liberi e spense il motore bruscamente, tanto da far balzare la vettura in avanti. 
Staccò le chiavi dal quadro e le lanciò in grembo alla ragazza. << Cavatela da sola >> disse freddo, il blu degli zaffiri quasi nero dalla furia. << Saprai fare le scelte più giuste, non quelle di un idiota. >> Detto ciò, scese di macchina e sbatté violentemente lo sportello. 
Gea ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi prima che il suo cervello, ed in particolar modo il suo cuore, le comandassero di uscire di volata dall'auto. 
Raggiunse un lato del cofano ed incuneò le gemme ambrate sul viso duro del giovane. 
<< Ti stai comportando come un bambino >> sbraitò severa. 
Lui la raggelò con un'occhiata. << Non sono mai stato bambino, non so che significhi comportarsi come un marmocchio >> sputò tra i denti, i muscoli rigidi e tesi. 
Quelle parole colpirono Gea dritte nello stomaco. Per un attimo le fecero persino dimenticare perché fosse tanto arrabbiata. 
Erano parole dure e piene di rabbia, ma più di tutto fragili. Così umane che era certa non gliele avrebbe mai sentite pronunciare. 
Ed invece eccole lì, sospese in un litigio di cui non ricordava più l'origine. 
Abbassò il capo, ma senza dimostrarsi provata da ciò che aveva detto. Sapeva che se solo gli avesse mostrato cosa le stava turbinando nella testa e nella pancia, lui l'avrebbe scambiata per pietà e si sarebbe chiuso a guscio. 
<< Non volevo dire che sei un idiota >> affermò con un sospiro. << Mi dà fastidio sapere di averti fatto del male. Me la sono presa con te perché ce l'ho con me stessa. >> Alzò gli occhi e incontrò quelli di Deimos che la fissavano impassibili, la mascella ancora granitica. 
<< Non avremmo fatto in tempo a teletrasportarci, vero? >> proseguì lei, il tono basso.
Gli zaffiri cupi del ragazzo rimasero taglienti. << Saresti morta prima di toccare un suolo diverso >> replicò secco. 
<< E perché non mi hai fatto disperdere energia con un combattimento immediato? >> 
<< Avresti attirato gli altri elementi come miele >> si sforzò di spiegare, il tono sprezzante di chi detesta ciò che sta facendo. << Rilasciare energia nel mio corpo ti avrebbe temporaneamente tenuto in vita e non avrebbe rappresentato un rischio di localizzazione. >> La trapassò con lo sguardo. << Nessun elemento può avvertire il mio potere o la mia presenza, la tua energia nel mio corpo è nulla alle loro percezioni. >> 
I palpiti della ragazza aumentarono esponenzialmente mentre un nugolo di farfalle le bazzicava nella pancia. 
L'aveva salvata due volte. La prima trasportandola sulle proprie spalle e facendole espellere il potere in eccesso, la seconda proteggendola dagli altri due elementi con il proprio corpo. Nel vero senso del termine. 
A testa bassa, con un piccolo sorriso sulle labbra che non riusciva a nascondere, aggirò l'auto e si avvicinò al giovane. << Mi permetteresti di guarirti il braccio? >> domandò con voce morbida, osservandolo di sottecchi. 
<< Non mi serve il tuo aiuto >> ringhiò lui, i tratti del viso induriti dal nervoso. 
Gea spalancò gli occhi. << Ma io non voglio aiutarti >> dichiarò. << Voglio soltanto correggere un mio errore. >> Sorrise scherzosa e gli diede un colpetto sull'addome. << Dai, non fare il burbero. Oggi ho sbagliato su tutta la linea, non ne ho combinata una giusta. Almeno concedimi di rimediare a qualcosa. >>
Gli zaffiri di Deimos persistettero a guardarla con freddezza. << Ci tieni così tanto? >> gettò fuori spazientito. 
<< Sì, molto. >>
<< Fa' quello che ti pare. Sono stufo di sentirti piagnucolare. >> Voltò la testa da un'altra parte, spedendo il suo imperscrutabile sguardo oltre il parcheggio. 
Gea sorrise mentre lo esaminava di sottecchi, poi appoggiò le mani attorno al suo polso e chiuse gli occhi. Sentì immediatamente l'energia fluirle dal corpo e riscaldare i suoi palmi. Nella mente riusciva quasi a vedere il ponte che li univa attraverso quel potere. 
Quando riaprì gli occhi si sentiva bene. Felice, per meglio dire. Soprattutto quando vide il ragazzo muovere il braccio e sgranchirsi le dita. 
Si alzò sulle punte con un balzello e gli scoccò un bacio sulla guancia, cogliendolo di sorpresa. Deimos spalancò impercettibilmente gli occhi e si girò subito a guardarla. 
Lei sorrideva con una vivace luce nello sguardo. << Grazie >> gli disse, dondolandosi sui talloni. 
Per un attimo il cuore del ragazzo accelerò i battiti. Perché prima che lei subentrasse nella sua vita, nessuno lo aveva mai ringraziato per qualcosa. Era stata lei la prima a fargli conoscere quella parola. L'aveva sentita pronunciare tante volte agli umani, ma non aveva mai conosciuto che cosa fosse davvero la gratitudine. E ora sapeva che pochi la conoscevano sul serio. Perché se quel bagliore che le accendeva lo sguardo era sincera riconoscenza, avrebbe dovuto essere presente in ogni grazie che le sue orecchie avevano udito da lontano. Ed invece non lo aveva mai visto. 
<< E forse dovrei aggiungere un'altra parolina >> proseguì lei, schiarendosi la voce. << Scusa. >> Sorrise, abbassò la testa imbarazzata e poi la rialzò facendo spallucce. << In fondo non credo che tu sia un idiota. >> Lo guardò con aria giocherellona. << Ma molto in fondo, in fondo, in fondo. >> 
Deimos fece scivolare due dita nei suoi pantaloncini e l'attirò di scatto a sé. Un sorrisetto storto si fece spazio sul suo viso mentre la osservava con gli occhi socchiusi e la testa inclinata di lato. 
Gea sorrise divertita ed appoggiò le mani sul suo petto. << Vuoi chiedermi scusa anche tu? Sono tutta orecchi. Non essere timido. >> 
<< Non pronuncerei quella parola neanche in punto di morte >> sentenziò lui, accarezzandole col pollice una striscia di pelle sul ventre. 
La ragazza abbassò per qualche secondo gli occhi sulla sua bocca. Il cuore le stava pompando come quello di un maratoneta dopo venti chilometri di corsa. Le farfalle nello stomaco stavano svolazzando impazzite. 
Deimos calò di poco il capo, fino a sfiorarle col respiro una ciocca di capelli sfuggita alla coda e ricaduta lungo il viso. 
Gea sollevò appena la testa e la inclinò dischiudendo le labbra. << C'è qualcosa che v... >>
<< Sta' zitta. >> La baciò d'impeto, si gettò sulla sua bocca come fosse stata una calamita e lui il polo opposto. Come un affamato sul cibo. Ne succhiò il labbro superiore, baciò appassionatamente quello inferiore, introdusse con prepotenza la lingua come per farle capire che era lui ad avere il controllo di quel contatto. Ed intanto la sua mano restava lì, sul suo ventre caldo, a tastare con carezze ruvide i segni concentrici attorno al suo ombelico, a vezzeggiare la pelle col pollice per sentirla fremere. 
Gea arpionò con forza la sua maglietta, salendo verso il colletto e soffermandosi dietro il collo per sospingerlo verso di sé. Catturò un labbro del ragazzo e lo mordicchiò lievemente, poi si distanziò per riprendere fiato, il cuore che quasi le scappava dal petto. 
Sentì il respiro concitato di Deimos su una guancia, la pancia le dolse per il tripudio di emozioni che scoppiettavano in ogni angolo della sua mente. 
Con gli occhi ancora chiusi, rialzò la testa per baciarlo sul mento, sul profilo della mandibola, sulla bocca. Furono una serie di piccoli baci dati con amore, ognuno contenente una confessione di quel sentimento che le gonfiava il cuore. 
Sull'ultimo delicato bacio, Deimos mosse piano le labbra e lo ricambiò. 
Nella testa della ragazza esplose il caos. Le emozioni erano talmente tante che pensò di collassare come le farfalle nello stomaco, rimaste stecchite da quel gesto inaspettato. Magari non aveva risposto al suo bacetto per amore, ma per lei, qualunque cosa fosse stata, era importante. Perché era stato un gesto tenero, quasi... da coppia. 
Le guance le divennero incandescenti. Aprì gli occhi e sperò che quelli del ragazzo non la stessero guardando. Era troppo imbarazzata per poterlo guardare in faccia. 
Ed invece eccoli lì quegli zaffiri dal taglio profondo, magnetico, capaci di farle sobbalzare il cuore e piegare le ginocchia. 
Si ritrovò a pensare che lui possedesse lo sguardo più bello e penetrante che le fosse mai capitato di vedere. Uno di quegli sguardi che mette soggezione e sembra leggerti dentro, da cui vorresti scappare e al tempo stesso non staccarti mai. E poi c'era quel blu. Quel blu oscuro, misterioso, pieno di segreti come la notte e affascinante come l'opera d'arte di un artista cieco. Lasciava di stucco, con un milione di domande nella testa e mille palpiti nel petto. 
Ed in quel preciso istante, quei perforanti zaffiri la stavano fissando attentamente. 
Gea deglutì imbarazzata ed abbassò il capo, dandogli un colpetto sul petto. << Dovremmo andare >> disse soltanto, schiarendosi la voce. 
Poi si staccò in fretta da lui e sgattaiolò in macchina sotto il suo sguardo divertito. 
Deimos si soffermò ad osservarla mentre lei faceva di tutto per non guardarlo: puliva il cruscotto con colpetti delle dita, controllava la cintura di sicurezza, si rigirava un braccialetto attorno al polso, lanciava occhiate ai sedili posteriori. Poi gli spuntò un sorrisetto non appena la vide farsi aria al viso con ampi movimenti delle mani. E subito dopo lei lo guardò, speranzosa che non l'avesse vista proprio in quel momento.
Lui, in tutta risposta, alzò un sopracciglio. 
Gea sgranò gli occhi, l'ulteriore imbarazzo di essere stata beccata a farsi aria alla faccia dipinto nello sguardo. 
Si accigliò indispettita ed iniziò a borbottare contro la sfortuna che le ronzava attorno come una viscida zanzara. 
Deimos sorrise ancora una volta, divertito nel vederla parlare da sola, chiusa in una macchina e con le braccia strette al petto. E di nuovo pensò che quell'umana, proprio quell'umana dagli occhi così sinceri da sembrare trasparenti, quell'umana che in quel momento si stava appiccicando due bottigliette sulle guance paonazze, sì, proprio lei, fosse bella. 






















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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4






















<< Ricordo poco di ieri. Intendo del momento in cui assorbivo energia >> esordì ad un certo punto Gea, le gambe raccolte al petto ed il mento appoggiato alle ginocchia. 
Il suo sguardo era lontano, rivolto al sole infuocato che screziava la volta celeste di sfumature purpuree. 
Nell'osservare quello spettacolo naturale immaginò che le lingue di fuoco attorno a quella stella incandescente fossero esplose in sprazzi di colore. La sua mente generò foto di fantasia, mostrandole lo scoppiettio del fuoco e le frustate di colore che si libravano da quei sacrifici. Ogni sbavatura rossastra veniva imprigionata e successivamente assorbita dal cielo, proprio come i colori su una tela. E più si seccavano più diventavano scuri, intensi, stimolanti, belli. 
Avevano trascorso quasi tutta la giornata in macchina, erano scesi solo per fare rifornimento e darsi una rinfrescata. E così anche l'Oregon si era tramutato in una puntina su una cartina immaginaria. Un ricordo di passaggio. 
Lo stato di Washington era il nuovo suolo sotto i loro piedi. 
<< Però ti ho sentito >> continuò Gea, piegando la testa per guardare il ragazzo con un sorriso furbo. << Mi hai chiamata per nome. Non negarlo, sarebbe inutile, il mio udito funziona ancora benissimo. >> 
<< Ho notato >> commentò severo lui. << Non sono bastate due volte per farti ubbidire. >> 
La giovane fece una smorfia con la bocca. << Ubbidire. Cosa sono, un cane? >> 
<< No >> rispose Deimos, mentre un sorrisetto maligno gli increspava le labbra. << Solo un'umana >> scandì a mo' di sfida. 
Gea arricciò il naso indispettita e lo fulminò. << Sono indecisa se prenderti a schiaffoni o lasciar perdere. Il buon senso mi dice di mollarti una sberla, quindi ti lascio solo immaginare cosa mi suggerisca la cattiva coscienza. >> 
Il sorrisetto del giovane era ancora lì, indisponente e sfrontato. << Umana. >> 
Lei mosse velocemente un braccio per colpirlo sulla gamba, ma la mano di Deimos scattò prima. Aveva previsto quella mossa fin dal primo momento in cui si era divertito a stuzzicarla. Sapeva che avrebbe reagito.
Le afferrò saldamente il polso e lo strinse senza farle male. 
Il cuore di Gea esplose in una serie infinita di battiti ed il respiro le si mozzò in gola. 
Cercò di liberarsi, anche se non ne aveva la minima intenzione. Ci provò solo per fare scena e non rendere evidente il fatto che si stesse liquefacendo. Perché le piaceva sentire la mano del ragazzo sulla pelle. Le piaceva da morire. 
<< Sei lenta >> la canzonò con un'occhiata di scherno. << E prevedibile. >> 
Gea lo fissò a lungo. Si sentiva in tumulto: la mente leggera e al tempo stesso pesante.
Abbassò le grandi gemme ambrate sulla mano di lui ancora stretta attorno al suo polso. Subito dopo le rialzò. Il cuore non ne voleva sapere di rallentare, era impazzito. E più studiava il volto del giovane, il suo profilo, la sua muscolatura solida, il suo abbigliamento sempre e solo nero, quei capelli sbarazzini adesso un po' più lunghi e mossi sulla fronte, il taglio profondo dei suoi zaffiri... 
<< Accosta >> disse in fretta. Deglutì un bolo di lava, il caldo che le colorava le guance. Si slacciò la cintura con uno scatto secco ed attese che il ragazzo s'immettesse nello slargo adibito ad area picnic. 
Quando lui mise in folle il cambio, incollò la nuca al poggiatesta e le rivolse un'occhiata d'insofferenza, i palpiti della giovane, incredibilmente, furono in grado di aumentare. 
<< Incontinenza? >> la sbeffeggiò seccato. 
Per un po' Gea rimase immobile, le pozze dorate lucide come se fosse stata febbricitante. La sua mente era troppo piena di pensieri per riuscire a focalizzarsi solo su uno. Da una parte era elettrizzata, dall'altra timorosa di commettere un passo falso, di essere respinta. Nello stomaco le volavano stormi di aironi, il respiro era trafelato come dopo una lunga corsa. Poi, a dispetto di tutto, partì. Così, senza perdere altro tempo che non le sarebbe mai stato restituito. 
Scavalcò il proprio sedile e si buttò a cavalcioni su Deimos, picchiando forte il ginocchio contro qualcosa di non ben identificato. Ma non le importava. Invece avvolse la mascella del ragazzo e gli alzò il viso per avventarsi sulle sue labbra. 
Era la prima volta che faceva una cosa simile, che prendeva l'iniziativa con così tanta impetuosità. Il suo cervello era in panne, tutto il suo corpo in fermento, pervaso da scintille e fuoco. Le dita le formicolavano per l'eccitazione.
E, a sua insaputa, anche il cuore di qualcun altro si era trasformato in un fuoco d'artificio da cui venivano sparate raffiche di battiti. 
Per la prima volta lo stomaco del ragazzo si ritrovò a dolere per qualcosa che non fosse vero dolore fisico. Qualcosa di strano glielo stava sconquassando, quello stomaco. 
Le catturò i fianchi con le mani ed affondò le dita nella sua pelle con desiderio. Ed intanto che le loro lingue si cercavano come in una caccia, l'avvicinava a sé, le alzava di più la maglietta per scalare centimetro dopo centimetro quella pelle morbida che lo faceva impazzire. 
<< Prevedibile anche questo? >> gli chiese Gea affannata, cercando i suoi occhi. 
Deimos le passò una mano dietro il collo e la strattonò a sé. Si sporse verso la sua gola ed aprì la bocca per morderla piano. 
La ragazza si schiacciò il più possibile a lui, gli occhi socchiusi e la mente invasa da una nebbia di sensazioni. Quando non avvertì più la pressione dei suoi denti, ma solo quella morbida e sensuale della lingua, non riuscì a trattenere un gemito. 
Le stava leccando e succhiando ogni millimetro di pelle sul collo, e nel frattempo non smetteva di muovere le mani sulla sua schiena, sulla sua pancia, poi giù sulle gambe e di nuovo su. Ogni tocco era deciso e affamato, rovente come quei palmi con cui l'accarezzava. 
<< Ti stai vendicando? >> mormorò lui rauco, afferrandole il lobo coi denti. 
Gea si morse forte un labbro. Con una mano le aveva avvolto l'incavo di un ginocchio, con l'altra si era intrufolato sotto il reggiseno e le stava palpando un seno senza alcuna inibizione. 
Non c'era nessuna delicatezza in quel contatto, eppure quelle lunghe dita ruvide le facevano scoppiare miliardi di scintille dietro le palpebre. Il suo corpo si modellava attorno a quelle mani come morbida creta. 
<< Se anche fosse? >> si sforzò di rispondere. Abbassò la testa e cercò i suoi occhi. 
Il blu delle iridi era torbido come l'acqua di un pozzo su cui si riflette la notte. Erano occhi pieni di lussuria, se ne riusciva quasi a percepire fisicamente l'avidità, il desiderio incontenibile di chi non riesce più ad aspettare. 
Le afferrò il colletto della maglietta e la tirò lentamente a sé, fino a che le loro bocche non furono a pochi centimetri di distanza. Poi su quella del ragazzo si scolpì un sorrisetto sbieco. Fece scivolare la mano lungo la sua pancia, via dal seno, senza dimenticare di assaggiare ogni tratto col tatto. << Nella vendetta non si gioca mai a favore del nemico >> affermò, gli occhi socchiusi incollati alle sue labbra rosse. 
Aveva voglia di baciarle fino a farle diventare gonfie e bollenti, di mordicchiarle e vezzeggiarle con la punta della lingua, di viziarle con le sue attenzioni. 
Si sporse col mento per mettere in pratica ogni suo intimo desiderio, ma prima che ci riuscisse la ragazza si ritrasse. 
Un sorriso dispettoso le incurvò gli angoli della bocca. 
<< E chi ti dice che io stia giocando a tuo favore? >> gli domandò sollevando un sopracciglio. 
In realtà non aveva minimamente premeditato d'interrompere quel momento, ma le sue parole le avevano fatto optare per un ribaltamento della consueta situazione. Per una volta voleva essere lei a lasciarlo a bocca aperta, a decretare la fine e, più semplicemente, ad averla vinta. Voleva dimostrargli che lui non era l'unico a tenere le redini del gioco, ma che se voleva poteva sfilargliele di mano quando desiderava. 
E così sfilò via dalle sue gambe, riprese possesso del suo sedile e si risistemò i vestiti. Su di sé sentiva tutta l'elettricità degli zaffiri ardenti che la stavano trafiggendo. 
Deimos non pronunciò parola, in compenso emise un lento respiro dal naso, quasi minaccioso. 
Il cuore non aveva ancora smesso di stordirlo di battiti. E l'irrefrenabile voglia di lei era addirittura superiore alla rabbia che provava per non averla avuta. 
Le tolse gli occhi di dosso con celerità, poiché vederla con il collo scoperto e rosso di baci, con le gambe nude e le guance rosate non lo favoriva in nessun modo. 
Strinse i denti con forza, lo sguardo rigido e fermo oltre il parabrezza mentre pigiava sull'acceleratore e immetteva la marcia.
Procedettero in silenzio. 
Deimos da una parte che non riusciva a scollarsi dalla mente il piacere della pelle della ragazza sotto le dita, dei suoi gemiti e dei suoi sospiri, di tutto ciò che non gli era stato concesso, lei dall'altra che si malediceva per aver innescato quella miccia, perché ora avrebbe solo voluto saltargli addosso. E nel frattempo si imbarazzava per ogni pensiero che faceva sul ragazzo. 
Dovette addirittura abbassare il finestrino per cercare di raffreddarsi le guance. 
Chiuse gli occhi, il vento fresco che le dava sollievo e refrigerio alla mente. O almeno ci provava, perché il suo cervello non sembrava intenzionato a scollarsi dall'unico protagonista di quei pensieri. Il che contribuiva a renderle più rosse le gote. 
Cercò di pensare ad acqua e fuoco, tant'era disperata. 
E poi ci si metteva quel silenzio che di minuto in minuto le appariva più pesante, a dir poco elettrico. 
Sollevò le palpebre e intrecciò le dita, puntando lo sguardo su di esse. << Tu... >> Si schiarì la voce e corrugò la fronte per concentrarsi. << Hai qualche ipotesi su come io abbia potuto ricreare un punto alfa? >> 
<< Ci stavo pensando >> dichiarò lui, il tono impassibile e freddo come se non fosse successo niente. In verità quella, al momento, era l'ultima cosa su cui stava meditando. Ma non lo confessò e Gea non lo sospettò nemmeno. 
<< E ti è venuto in mente qualcosa? >> 
Per un po' ricalò il silenzio. La ragazza ipotizzò che lui ci dovesse ancora riflettere. 
Non poteva essere più lontana da ciò che stava realmente accadendo nella testa di Deimos. Perché in quel momento lui stava tentando, con non poco sforzo, di fare mente locale sulla domanda che gli era stata posta. 
Quella fatica lo innervosiva.
Era la prima volta che gli tornava difficile focalizzarsi su una questione urgente. 
Alzò il mento ed assottigliò lo sguardo per l'irritazione. << No. >> 
<< No >> ripeté la giovane, guardandolo inespressiva. A quel punto si chiedeva perché ci avesse pensato tanto se la risposta sarebbe stata un secco monosillabo. 
Deimos irrigidì i muscoli delle braccia. Quel che gli stava succedendo era per lui innaturale, privo di disciplina e rigore. Non riusciva a tollerare il fatto di non esercitare controllo sulla propria mente. 
Gea scrollò le spalle vedendo che lui non pareva intenzionato a proseguire il discorso. Sembrava preso da tutt'altro: i suoi occhi erano incastonati sulla strada, ma chiaramente da un'altra parte. Il blu misterioso pareva ribollire di rabbia. 
<< Be', io un'idea credo di essermela fatta >> asserì lei. << Probabilmente l'energia vitale nel mio corpo era scesa sotto una certa soglia, il che rappresentava un rischio per il mio elemento. Questo deve avermi spinta a ricreare un punto alfa. >> 
Ancora una volta, non poteva essere più distante dalla verità. 
Perché quel punto alfa non era sorto nel fitto del bosco per la sua scarsa energia, bensì per il motivo opposto. Erano le sue emozioni la matrice per cui si manifestavano involontariamente i suoi poteri. Più forti esse erano, più forte era la facoltà di generare. Le potenti emozioni che aveva provato durante la loro notte di passione, unite ai sentimenti puri e profondi per quel ragazzo, erano esplosi in un bocciolo pieno di vita sul ramo di un faggio. 
Il suo punto alfa, la matrice della sua energia, si era ricreato a partire dalla matrice dei suoi poteri. Era un circolo perfetto e solo generativo, basato su un equilibrio naturale. 
Se Deimos era la distruzione, lei era la creazione. Apparentemente inconciliabili, eppure strettamente legati. Perché tutto ciò che veniva creato poteva essere distrutto, ma anche tutto ciò che era stato distrutto poteva essere ricreato. L'uno non escludeva l'altro in alcun modo.  
E quella notte, quei due poli tanto distanti quanto prossimi, avevano raggiunto una coesistenza. Dalla distruzione presente in Deimos erano sorte scintille di emozioni tradotte in gesti; gesti che avevano generato altrettante emozioni in Gea, le quali, a loro volta, si erano tramutate in creazione. 
La ragazza ricordò la sensazione dell'energia che le fluiva nel corpo, del dolore misto a piacere che aveva provato. 
Scavò nella memoria per rammentare la prima volta che aveva visto il suo pesco, un pomeriggio di ritorno dalla biblioteca. Lo aveva trovato subito bello, incredibilmente attraente, la sua vista aveva quasi posto una lente d'ingrandimento su di esso. Le aveva mostrato una gemma rosata riparata dai rami, tanto fragile quanto salda nella sua compostezza.
E poi, d'un tratto, un vecchio ricordo le riaffiorò nella mente come un silenzioso serpente. Strisciò davanti ai suoi occhi e si destreggiò tra le sue emozioni, facendole rammentare l'orribile sensazione di trovarsi nel mirino di un cacciatore. 
Ricordò il buio, il suo punto alfa alle spalle e... una voce. Una voce ormai familiare. 
Aggrottò la fronte mentre una spiacevole angoscia le opprimeva lo stomaco. << Deimos io ti ho sognato >> disse. 
Quelle parole catturarono l'attenzione del ragazzo, che le rivolse una breve occhiata. << Che vuoi dire? >> 
<< Sì, la notte in cui è emerso il mio potere >> continuò lei, gesticolando per l'agitazione crescente. << Ero accanto al mio punto alfa, era buio e non riuscivo a vederti, ma tu... tu eri lì. Mi hai parlato, hai detto qualcosa riguardo al mio potere. Ti ho chiesto chi fossi, ma tu hai risposto che la vera domanda era un'altra. >> Scosse la testa in preda alla confusione. << Perché lo ricordo così bene se è stato solo un sogno? E perché ti avrei dovuto sognare? Non può essere una coincidenza, non ne esistono di così precise. >> 
Deimos rimase in silenzio. Gli zaffiri non si distrassero neanche per un secondo dalla strada. Ma le ossa delle sue mandibole divennero più pronunciate, la sua mascella divenne rigida come un blocco di ghiaccio. 
A Gea non sfuggì quel dettaglio. << Cosa c'è? Se sai qualcosa dillo, per favore. Sono stufa di conoscere le cose per metà. >> 
<< Non era un sogno >> confessò lui, il tono impassibile. Buttò un'occhiata allo specchietto retrovisore e spinse sull'acceleratore. Da quei gesti la ragazza capì che era nervoso. Ogni volta che qualcosa lo irritava controllava le corsie, una sorta di riflesso istintivo per assicurarsi di possedere il controllo su qualcosa; subito dopo accelerava, come a voler ribadire la sua totale capacità di gestione. 
Era una reazione dettata dall'esperienza quando sentiva che qualcosa gli stava sfuggendo di mano. 
<< Era un ricordo del precedente elemento terra >> disse poi, senza variare l'inflessione della voce. << Ma il tuo subconscio lo ha modificato in base alla locazione del tuo punto alfa. Il ricordo del tuo predecessore era ambientato altrove, il suo punto alfa era diverso dal tuo. >>
I grandi occhi della giovane erano sgranati, prossimi ad uscirle dalle orbite. Se quella risposta avrebbe dovuto trasformare i suoi punti interrogativi in punti fermi, in realtà non fece che accrescerli.  
<< Perché un suo ricordo sarebbe dovuto finire tra i miei? >> 
<< A volte succede, non c'è una spiegazione. Un rito di passaggio. >> 
Gea esaminò minuziosamente il profilo del ragazzo. Notò che la sua postura era ancora immobile e tesa come se fosse in apnea. 
<< Tu eri nel ricordo >> constatò confusa. << A quando risaliva quel momento? >> 
Deimos gettò un'occhiata veloce allo specchietto. << Tre mesi e mezzo prima che diventassi tu l'incarnante della terra. >> 
La giovane strabuzzò nuovamente gli occhi. << Il mio predecessore ha mantenuto il suo potere soltanto per tre mesi e mezzo? >> Si schiacciò al sedile e spostò lo sguardo davanti a sé. << Mio Dio >> bisbigliò, la paura che le schiacciava la cassa toracica. 
Per un attimo la sua mente fu schermata dal terrore. Non poté fare a meno di contare da quanto tempo detenesse il proprio potere, come se allo scadere dei tre mesi e mezzo anche lei avrebbe fatto una brutta fine. Ma poi ricordò le parole di Deimos e le domande ricominciarono a fluirle in massa nella testa. Le inondarono ogni spazio mentale come se la diga piena di crepe che tratteneva i punti interrogativi si fosse sventrata.
<< Aspetta un attimo >> disse aggrottando la fronte. << Hai detto che se un elemento elimina l'altro, il potere della vittima confluisce nell'assassino. Quindi non è possibile che il mio predecessore sia morto per mano di acqua e fuoco, altrimenti io non dovrei essere qua. È morto per cause naturali >> concluse. 
Il ragazzo spinse sull'acceleratore, dopodiché si aggrappò con forza al volante. << Non è morto per cause naturali >> rivelò serio. << Si è tolto la vita. >> 
Dei brividi saettarono sulla pelle di Gea, facendogliela accapponare. Non riusciva a non tenere gli occhi sgranati e la bocca dischiusa dallo shock. 
Perché in quel momento non era la paura a serrarle lo stomaco, ma il dispiacere e l'orrore di una vita spezzata. La vita del suo predecessore, che, se anche non lo aveva mai visto, sentiva in qualche modo familiare. Perché era stato lui a trasmetterle quel potere enorme, a renderla protagonista di un quadro essenziale. A renderla più protagonista di quanto fosse mai stata nella sua famiglia. 
Una persona sconosciuta le aveva fatto il dono più grande: l'aveva accesa di vita. Perché prima che tutto venisse stravolto, lei non sapeva chi fosse, non sapeva di cosa fosse capace, non credeva in se stessa, viveva giorno per giorno nella sua stessa ombra, secondo una routine piena di limiti imposti dalla mente. 
I suoi genitori le avevano donato la vita, ma non le avevano insegnato a viverla. Quella persona sconosciuta le aveva donato la voglia di vivere, donandole un potere che ogni minuto la faceva confrontare con se stessa. 
<< Lo... lo conoscevi? Era un ragazzo o... >> La voce le si graffiò a causa del magone che le si era conficcato in gola. 
<< L'ho visto la notte in cui ha acquisito il proprio potere. Dall'accento era inglese, ma viveva in Canada. Nel momento in cui si è trasformato ero nei paraggi. Non mi ci è voluto nulla a localizzarlo. >> 
Gea si schiarì la voce. << È il ricordo che ho io? >>
<< Sì. >>
<< Quindi lui aveva raggiunto il suo punto alfa la notte stessa della trasformazione. >> 
<< Sì. >> Gli occhi di Deimos si fecero più profondi, come se dal fondale di quei pozzi blu stessero risalendo a galla immagini e ricordi. << Il suo punto alfa era una rientranza di roccia in cui era sorto un cespuglio di arbusti. >> 
Gea voltò la testa lentamente. << Tu conosci i punti alfa di tutti gli elementi? >> 
La mascella del ragazzo pareva di granito tant'era contratta. << No. I punti alfa sono invisibili alle mie percezioni. Lo stesso vale per ciascun elemento nei confronti di un punto alfa che non sia il suo; non lo percepiscono. Acqua, fuoco e aria non possono conoscere quale sia il tuo a meno che non ti vedano assorbirgli energia con i propri occhi. >> 
<< E cosa succederebbe se un giorno acqua e fuoco mi scoprissero? Potrebbero distruggere il mio punto alfa? >> 
Deimos inspirò forte dal naso e sollevò il mento, gli zaffiri scuri come il piombo. << Sì, potrebbero. Ma non moriresti subito, sarebbe una morte lenta e consapevole. >> Il suo tono si fece man mano più duro e freddo. << Quando avrai bisogno di energie non le troverai. Il tuo corpo verrà annientato internamente dal peso di un potere che per sopravvivere divorerà ogni briciolo di energia che possiedi. Un organo dopo l'altro sopperirà, impazzirai di dolore fin quando il tuo potere non risucchierà anche l'ultimo battito. >> 
Gea boccheggiò d'angoscia e terrore. Perché più otteneva risposte più sentiva il mondo crollarle addosso? Si sentiva frastornata e con mille ombre alle spalle. Eppure non poteva preferire un'ignoranza che le avrebbe sicuramente fatto compiere dei passi falsi. 
La conoscenza richiedeva un prezzo, sempre. 
<< Non dovresti mai rendere palese il tuo punto alfa >> aggiunse il ragazzo, estremamente serio. << A nessuno. >> 
Gea annuì decisa. << Ho capito. >> 
Il pensiero le corse subito all'incarnante dell'aria. Anche se reputava Ninlil un'alleata e un'amica, non poteva fidarsi completamente. Non la conosceva abbastanza bene da essere certa delle sue intenzioni, e anche se l'avesse conosciuta come le proprie tasche non avrebbe potuto essere sicura fin in fondo della sua lealtà. 
Erano ancora troppe le cose che lei stessa le nascondeva, come il fatto di possedere anche un potere curativo e di poter fermare il tempo. Se Ninlil fosse stata a conoscenza di tutto ciò, compresa l'ubicazione del suo punto alfa, le sarebbe stata ancora alleata? 
La lealtà incondizionata era pregio di pochi, l'avidità sfrenata difetto di molti. E lei non possedeva i mezzi per schierare Ninlil in nessuna delle due parti. 
<< Ho un'ultima domanda >> affermò scorrendo con lo sguardo sul ragazzo. << Avevi detto che il potere di ogni elemento si tramanda per morte naturale, ma nel caso del mio predecessore non è stato così. Quindi perché io l'ho ereditato? >> 
<< Se un elemento ne uccide un altro il potere confluisce nel carnefice; lo stesso vale quando un elemento diventa assassino di se stesso, ma in quel caso il potere resta nel proprio elemento. Se terra elimina terra, tutto confluisce in un altro incarnante della terra. >> 
Gea continuò ad osservare Deimos. Esaminò il freddo rigore con cui non distoglieva mai gli zaffiri dalla strada, con cui impugnava il volante e stava immobile sul sedile, come se non fosse di pelle, ma di spine. Ma al di là di ogni aspetto più apparente, notò che qualcosa lo turbava. Un turbamento latente capace d'inasprirgli i duri tratti del volto ed irrigidirlo come una statua. 
<< Che cos'hai? >> gli chiese piano. 
Lui non rispose. Non la guardò nemmeno. 
<< Tu ed il mio predecessore eravate amici? >> provò di nuovo, sperando in una qualche reazione. Aveva notato, infatti, che il suo drastico cambio d'umore era avvenuto nel momento in cui il discorso si era incentrato proprio sul precedente incarnante della terra. 
La bocca di Deimos s'incurvò in un sorriso sprezzante e derisorio. 
Per un po' continuò a tacere, come se non potesse credere alle proprie orecchie. 
<< Amici >> ripeté poi, come se quella parola lo divertisse e nauseasse al tempo stesso. 
<< Ne hai mai avuto uno? >> domandò calma lei, cercando di farlo aprire piano piano. 
<< Non spreco tempo dietro le inutilità. >> 
Gea cacciò una ciocca di capelli con aria scherzosamente altezzosa. << Deduco di essere molto utile alla tua esistenza, allora >> asserì annuendo. << Il che è comprensibile, sono una manna dal cielo che porta solo gioia e benessere. >> 
Deimos le rivolse un'occhiata obliqua, la bocca piegata in un sorrisetto beffardo. << Ridimensionati, umana. >> 
Un secondo dopo la ragazza lo stava fulminando aspramente. << Come distruggere un momento di gloria: la Bibbia secondo Deimos. Prossimamente in tutte le librerie. >> 
Il sorriso del ragazzo si allargò appena. Girò un attimo la testa per guardarla in quegli stizziti occhi castano chiaro che lo stavano mitragliando di occhiatacce. 
Ne era divertito, molto. Ogni volta che s'indispettiva arricciava il naso e stringeva le labbra, la sua espressione mutava in quella di una bambina a cui è stato tolto il lecca lecca, e non in una truce come probabilmente credeva.  
Stese il braccio e le acciuffò il mento in una mano, alternando lo sguardo tra la strada e lei. 
Il cuore di Gea per poco non scoppiò dall'emozione, ma pur di mascherarla gli schiaffeggiò debolmente l'avambraccio. << Mi fai male. >> 
Gli angoli della bocca di Deimos s'incresparono in un mezzo sorriso mordace. Salì con le dita sulle sue guance e le strizzò energicamente. << Hai detto qualcosa? >> la beffeggiò con un sopracciglio sollevato. 
Il cipiglio di Gea si fece più profondo mentre lo infilzava con lo sguardo, la bocca e le guance compresse come una bambina. << Fei pliritoso tome una ciaccia di licciome im falcia >> farfugliò. 
<< Parla bene, sei incomprensibile >> la stuzzicò, spremendole ancora di più le guance. 
La giovane sbuffò sul suo palmo, poi le sue iridi si vivacizzarono furbescamente. << Ne applofillerò pel insulciarti. Vanvo no ciapisci. >> 
<< Provaci >> la provocò lui, rivolgendole un sorrisetto nient'affatto amichevole. << Valgono ancora tutte le regole. >> 
Gea aprì la bocca e si sporse per cercare di morderlo scherzosamente. A quel punto il ragazzo la lasciò andare.
<< Già, dimenticavo >> pronunciò poi lei, sfregandosi i lati della faccia con le mani. << I dieci comandamenti rivisitati in chiave Deimossiana. Ovviamente saranno allegati alla Bibbia secondo Deimos. >> 
Il ragazzo le gettò un'occhiata di monito, sebbene un angolo della bocca fosse increspato. << Hai appena infranto la prima regola. >> 
Gea si portò una mano sul petto ed abbassò la testa con aria avvilita. << Me peccatrice. >> Rialzò il viso e gli sorrise divertita. << Dai, non mi sto prendendo gioco di te. Scherzo e basta >> precisò tirandogli una leggera pacca contro il braccio. 
<< La differenza? >> Le labbra del giovane si stesero in un sorrisino maligno. << Dammi un motivo più valido per non buttarti fuori di qua. >> 
Lei strabuzzò gli occhi. << Come buttarmi fuori? E va bene, vuoi un valido motivo? Te lo darò >> dichiarò risoluta. Le sue pozze d'ambra si animarono di quella certezza mentre incastrava lo sguardo su di lui. 
<< Preferirei che me lo dicessero gli altri, ma per questa volta farò un'eccezione. Un motivo? Sono simpatica >> sparò incrociando le braccia al petto. << Ti rallegro le giornate, ammettilo. >> 
<< Mi vedi allegro? >> 
Gea sventolò una mano come per scacciare una mosca. << Sappiamo entrambi che non mostri troppo le tue emozioni. Ma va bene, questo non ti basta? >> Sospirò e si strinse il ponte del naso tra pollice ed indice. << Non volevo ricorrere proprio a questo motivo, ma mi stai costringendo. Non vedo altra soluzione. >> Sospirò ancora e issò la testa. 
Deimos sollevò un sopracciglio. Ci fu un momento di silenzio.
Alla fine lei scosse il capo, come se le successive parole le costassero dolore, e si appoggiò una mano sul petto. << D'accordo, d'accordo, lo dirò. >> Altra pausa. << So cucinare benissimo. >> 
<< Fuori. >> 
Gea scoppiò a ridere, notando che lui stava rallentando sul serio, e si aggrappò ad un suo braccio. << Non farti del male privandoti della mia cucina. Credi di poter gustare da qualche altra parte i piatti favolosi... >>
<< Immondizia >> la corresse secco lui. 
<< Sì, va bene, dell'immondizia favolosa come quella che ti ho cucinato io? Sii realista. >> 
Un sorriso divertito si propagò sulle labbra di Deimos, che si voltò un attimo per guardarla negli occhi. 
Il cuore gli batté più forte quando sprofondò nel calore di quelle iridi accese d'ilarità. Lo sentì sussultare, quasi, quell'organo. Perché, con la stessa violenza di un pugno, si accorse che tutto, tutto quello, non lo avrebbe trovato da nessun'altra parte. Non con lo stesso effetto che aveva su di lui, non con lo stesso sorriso, non con la stessa espressione burlona, non con gli stessi grandi occhi castani.
E mentre lo pensava si rese conto di un'altra cosa. Si accorse di essere stato tremendamente realista. 





                                                                       *  *  *





La mattina successiva si rimisero in viaggio alle prime luci dell'alba. 
Gea aveva appena fatto in tempo ad aprire gli occhi, dopo i rudi scossoni del ragazzo per svegliarla, che subito si era riaddormentata. 
Era sprofondata nel sedile con qualche debole lamento e si era rivoltata su un fianco. Deimos si era soffermato ad osservarla per almeno un minuto con espressione neutra, imperscrutabile come la nebbia. Poi aveva acceso il motore ed era partito. Ma non l'aveva più svegliata, aveva invece lasciato che dormisse.
E così, in silenzio e dopo ore, stava ancora guidando. Procedeva spedito, lontano da quelle auree che avvertiva meno distintamente per via della distanza che era riuscito ad interporre. 
Il paesaggio gli scorreva di lato senza che ci prestasse attenzione. Aveva la mente invasa di immagini e vividi ricordi che un tempo aveva seppellito sotto strati d'indifferenza. Era bastata una parola, una frase, che, come un sasso lanciato in uno stagno torbido, aveva smosso il fondale e disseppellito un ricordo che non lo aveva mai toccato. 
Non lo toccava nemmeno ora, ma per qualche incomprensibile motivo adesso ne sentiva il peso gravare sullo stomaco. Come il verdetto di una condanna. 
Amici. Quella parola stonava come una nota sbagliata su un pianoforte scordato. Era un accordo stridente. 
<< Ciao >> sentì mugugnare dalla ragazza, prima che rizzasse il sedile con uno sbadiglio. 
Si girò a guardarla solo per qualche breve istante, ma non rispose. 
Lei si stropicciò gli occhi e si schiaffeggiò le guance, dopodiché diede un'occhiata all'orologio nel quadro di comando e sbatté più volte le palpebre. << Sono quasi le undici? >> Sollevò l'attenzione sul ragazzo. << Da quant'è che guidi? Avrai dormito sì e no cinque ore. >> 
<< Sono abituato a dormire poco >> rispose lui telegrafico. 
<< Oh, questo l'ho notato >> commentò Gea con un'espressione eloquente. Di certo non si era dimenticata di quando lo sentiva rientrare in casa soltanto alle prima luci del giorno. Quel ricordo per lei era più irritante dell'ortica. 
Alle orecchie di Deimos non sfuggì il tono più aspro con cui gli si era rivolta. Il che gli fece spuntare un mezzo sorriso sfrontato che aveva tutta l'aria di essere una provocazione. << Hai notato anche la mia assenza di stanotte, umana? >> 
Gea sgranò gli occhi mentre il cuore le perdeva colpi in successione. Boccheggiò frastornata da quelle parole e dalla sonnolenza non ancora dissipata. 
Poi sentì la rabbia montarle dentro, bruciarle lo stomaco e la mente come una fiamma ossidrica sparata sulla benzina. 
Incrociò le braccia sul petto per trattenersi dal mettergli le mani addosso e scattò col viso verso il finestrino. << Sei un porco >> buttò fuori, il tono inferocito. 
Si sarebbe aspettata di tutto, ma di sicuro non ciò che le sue orecchie stavano udendo. Perché Deimos stava ridendo. Una risata profonda e attraente, rara come la neve in estate e pervasa di sincero divertimento. Se Gea avesse dovuto descriverla non l'avrebbe paragonata ad una cascata liquida, ma a qualcosa di più graffiante e sensuale. 
Ruotò la testa e sollevò le sopracciglia. << Che hai da ridere? >> 
Il ragazzo imboccò l'uscita dell'autostrada. << Sei terribilmente ingenua. >> 
<< E con questo che vorresti dire? >>
<< Credi a tutto. >> 
Il cuore della ragazza palpitò di speranza. << Quindi non te ne sei andato stanotte? >>
Deimos la osservò con la coda dell'occhio, serio. << No. >> 
A Gea scappò immediatamente un sorriso. Non le importava mascherarlo e neanche trattenersi. Era felice. 
Si schiarì la voce e sistemò i capelli in una bassa coda laterale. Si mirò le punte secche mentre il sorriso le scopriva i denti e illuminava le iridi. E Deimos ogni tanto spostava lo sguardo dalla strada per esaminare quel sorriso e quel viso dai tratti delicati. Perché gli piaceva osservarla, specialmente quando lei non se ne accorgeva. 
<< Dove stiamo andando? >> 
I suoi zaffiri schizzarono subito sulla strada quando Gea alzò il mento per guardarlo. Il cuore gli accelerò i battiti.
<< A prendere da mangiare >> rispose freddo, in netto contrasto col calore interno al suo corpo. 
La ragazza annuì. << Ho una certa fame, e poi non vedo l'ora di andare in bagno a sciacquarmi la faccia e i denti. Devo anche comprare dei vestiti nuovi, uno shampoo e un balsamo. I miei capelli stanno diventando fieno per cavalli >> notò con una smorfia. Sospirò mesta e si strinse le gambe al petto. 
<< Non ho capito una cosa >> affermò dopo poco. << Perché continuiamo a spostarci in macchina se ormai ci siamo teletrasportati altrove? A quest'ora acqua e fuoco crederanno che io possieda il teletrasporto o qualcosa di simile. >> 
<< Quando sei sparita dai loro radar percettivi eri con aria. Siete scomparse insieme. Penseranno che per mezzo del suo potere ti sia dissolta anche tu. Ci sono alte probabilità che non sappiano che aria può smaterializzare solo il proprio corpo. >> 
Gea appoggiò il mento alle ginocchia ed inclinò maggiormente la testa. << È per questo che hai stipulato con Ninlil un luogo d'incontro prima che ci si teletrasporti oltre oceano? Vuoi far credere che sia lei a consentirmi di spostarmi >> constatò con un piccolo sorriso. 
Lo sguardo di Deimos rimase inchiodato alla strada. << Questione di strategia >> disse solo, lapidario. 
<< Già >> accordò lei, continuando a guardarlo con un sorriso caldo. 
Forse era come diceva lui, solo un fattore di strategia, ma qualunque cosa fosse la faceva sentire protetta. A volte aveva la sensazione che quegli zaffiri cobalto non la perdessero mai di vista, che le guardassero sempre le spalle. 
Forse era lei che, desiderosa che il suo sentimento fosse ricambiato, s'immaginava quei momenti. Ma ciò non toglieva che negli ultimi tempi lei si sentisse davvero protetta. Non più sola come in un primo momento. 
Le bastava averlo al suo fianco per sentirsi più sicura. 
Deimos s'immise nel parcheggio di un supermercato e con una rapida manovra rubò il posto ad un'auto che aveva appena messo la freccia per occuparlo. 
Spense il motore con un sorrisetto arrogante, poi alzò gli zaffiri sullo specchietto retrovisore per farsi beffa del conducente dell'altra vettura che stava suonando il clacson. 
Gea assistette a quello spettacolo con la bocca spalancata. << Secondo te con che faccia dovrei scendere ora? >> 
Deimos spalancò lo sportello. << Con quella che hai. >>
<< Spiritoso >> sputò lei. Inspirò ad occhi chiusi e buttò fuori l'aria con un movimento delle mani. << Forza, Gea. La colpa non è tua, è lui il maleducato. Nessuno ti prenderà a pugni. >> Issò le palpebre e si decise ad uscire di macchina. Per prima cosa controllò che l'altra auto non fosse ancora dietro la loro o che il suo guidatore fosse sceso per una scazzottata, poi richiuse lo sportello piano, quasi timorosa che troppo rumore avrebbe attirato l'attenzione su di lei. 
<< Ti vuoi dare una mossa? >> la incalzò seccato il ragazzo, affacciandosi dal suo lato. 
<< Sto arrivando, dammi un attimo. Devo prendere lo spazzolino e il dentifricio. >> Raccolse dai sedili posteriori anche quello di lui e glielo mostrò sventolandolo. << Tu sei un feticista dell'alito pesante? >> lo stuzzicò sollevando un sopracciglio. 
<< Mi sono lavato i denti all'alba >> dichiarò severo lui, prima di mostrare un sorriso sinistro. << Con la tua acqua. >>
<< Sei adorabile >> commentò Gea con un'espressione falsamente sognante. Richiuse lo sportello ed insieme s'incamminarono verso l'entrata del centro commerciale. 
Una volta dentro, la ragazza aguzzò la vista alla ricerca di un bagno. Lo trovò quasi subito accanto ad un negozio di videogiochi. 
<< Mi aspetti? >> domandò voltandosi. << Ci metterò pochissimo. >> 
Deimos abbassò gli occhi su di lei, l'espressione rigida. << Hai cinque minuti. >> 
A quelle parole vide la giovane illuminarsi ed annuire con un ampio sorriso, poi si eclissò dalla sua vista in tutta velocità. 
Rimasto solo, calò le mani nelle tasche dei pantaloni e si avvicinò alla vetrina del negozio di videogiochi. Scorse i vari prodotti con disinteresse, chiedendosi che utilità avessero. Gli sembrava ridicolo che gli umani inventassero giochi con scenari surreali, e non, solo per scoprire cosa si provasse a viverli. Si creavano vite alternative senza viversi l'unica reale che possedevano. E ciò li rendeva insoddisfatti, mentalmente deboli e volubili. 
Tutto quello che a lui era stato insegnato ripudiare. La debolezza gli era stata strappata via con la forza e la disciplina, l'insoddisfazione non sapeva neanche cosa fosse. Era stato cresciuto ad ordini e duro allenamento, nessun spazio per i lamenti, nessun spazio per i rimorsi, nessun spazio per i pensieri disfattisti. 
<< Sono stata velocissima >> esordì Gea, balzandogli accanto dopo una breve corsa. 
Deimos scivolò con gli occhi su di lei. Notò che si era legata i capelli in un'alta coda di cavallo e che aveva inserito la maglietta nei pantaloncini, forse per darsi una sistemata. 
Senza dire nulla, ruotò le suole degli anfibi e prese a camminare verso l'entrata del supermercato. 
La ragazza gli si accostò per qualche metro, poi si allontanò per raccattare un carrello. 
<< Da dove cominciamo? >> gli chiese guardandosi attorno. 
C'era abbastanza gente, ma la cosa, invece d'infastidirla come sicuramente avrebbe fatto un tempo, le faceva piacere. Le ricordava la normalità, le mattine in cui andava a fare la spesa da sola o con le amiche. Le ricordava che lei apparteneva ancora a quel mondo, sebbene ne fosse lontana. 
Seguì Deimos in uno dei tanti scomparti di cibo. Alla vista del pane le venne l'acquolina in bocca, così ne prese uno ancora caldo e lo adagiò con delicatezza nel carrello.
<< Cosa te ne fai? >> la freddò lui. 
Gea lo fulminò con un'occhiata. << Me lo mangio, tu non ti preoccupare. >> Abbassò le gemme ambrate sul proprio filone e lo accarezzò come fosse stato un bambino. << Non dare retta a quel cattivone, tu verrai via con me. Niente ci separerà. >> Poi guardò di nuovo male Deimos che stava palesemente dubitando della sua sanità mentale. 
Proseguirono a fare la spesa in silenzio. Ogni poco gli occhi di Gea s'illuminavano davanti a qualcosa da mangiare. Qualunque essa fosse, la prendeva e la riponeva con cura nel cesto. Mentre il ragazzo sollevava una cassa dell'acqua era pure sgattaiolata a procacciarsi una bottiglia di latte fresco ed una di quello a lunga conservazione, oltre ad una confezione di latte e cioccolato da bere con le cannucce. 
Alla vista dei cereali, però, aveva dovuto desistere; il che le aveva procurato non poco dolore. La sua scelta era quindi ricaduta su tre diversi pacchi di biscotti. 
<< Ho dimenticato qualcosa? >> si chiese mentre procedevano verso il reparto abiti, gli occhi fissi sul carrello mezzo pieno. 
<< Di avere un solo stomaco e nessun bagno >> asserì secco il giovane. 
Gea dirottò l'attenzione su di lui e issò le sopracciglia. << Che vorresti dire con nessun bagno? >> 
Deimos le rivolse una debole occhiata, le labbra che si stiravano in un sorrisetto perfido. << Vuoi farmelo dire davvero? >> 
Le guance della ragazza presero fuoco mentre spalancava gli occhi. Subito dopo scosse la testa indignata e sviò dal suo sguardo divertito. << Certo che no, non parlo con te dei miei bisogni fisiologici. Sono cose private. >> Accelerò il passo e s'immise nel corridoio adibito agli indumenti. 
Lasciò il carrello da un lato e si puntellò le mani sui fianchi mentre studiava la mercanzia. Per prima cosa s'impossessò di tre pacchi di calzini corti, successivamente  fece scorta del resto della biancheria intima. 
Deimos si appoggiò con le braccia al corrimano del carrello, gli zaffiri incollati alla schiena di lei. 
La pedinò con lo sguardo mentre si spostava a mirare i pantaloncini. Ne prese tre elasticizzati, due di jeans ed uno nero, dopodiché acciuffò anche un paio di pantaloni da ginnastica grigi. 
Sistemò tutto nel carrello e ripartì alla volta delle magliette. 
<< Puoi anche consigliarmi, se vuoi >> gli disse con una timida occhiata. Non sapeva neanche perché glielo stava proponendo. Poteva benissimo anticipare la sua risposta. 
<< Non voglio. >> 
Lei sospirò paziente. 
Ed intanto lui non le toglieva gli occhi di dosso. La accompagnava in ogni movimento senza che gli venisse a noia, neppure quando stava semplicemente ferma. 
Gli spuntò un mezzo sorriso a metà tra il compiaciuto e il beffardo quando la vide saltellare per raggiungere una gruccia più alta. Ad ogni balzello le si alzava la maglietta sulla schiena e le gambe, rese più toniche dagli allenamenti, si stendevano come quella di una pallavolista pronta a schiacciare. 
Non la aiutò, quel pensiero non gli passò neanche per l'anticamera del cervello. Preferiva godersi lo spettacolo. 
Quando alla fine riuscì nella sua impresa, la vide sistemarsi i capelli e rilasciare un secco sospiro.  
Ripose nel carrello le magliette che aveva scelto ed infine, dopo essersele frettolosamente provate, prese anche un paio di scarpe da ginnastica. 
<< Qui ho finito >> esordì stringendosi l'elastico della coda. << Possiamo pass... >> 
<< Quella marrone >> la interruppe il ragazzo, indicandole con un cenno del capo una maglietta più corta e attillata rispetto a quelle che aveva scelto lei. 
Aveva un colletto circolare sottile, le spalle scoperte e le maniche fino a metà bicipite. Fin dal primo momento in cui ci aveva posato lo sguardo, aveva voluto vedergliela addosso. 
Una piacevole morsa strinse lo stomaco di Gea. Le farfalle cominciarono a svolazzare mentre si avvicinava a prendere la t-shirt per esaminarla. Se la appoggiò al petto per valutare come le stesse. 
<< Mi arriva appena sotto l'ombelico >> notò incerta. << Però il colore è carino. >> 
Era un marrone caldo che le ricordava tanto quello della terra viva riscaldata dal sole. 
E poi era stato lui a consigliargliela. Lui che aveva precedentemente detto di non volerla aiutare nella scelta, ma che invece aveva dimostrato interesse. 
Magari credeva che le donasse e che la rendesse più carina. 
Le guance le presero subito colore, così si affrettò a riporre quella maglietta nel cesto insieme a tutto il resto. 
Si schiarì la voce e cercò di dissimulare l'imbarazzo guardando altrove. << Adesso tocca ai tuoi vestiti. >> 
<< Prendimi due magliette nere ed un paio di pantaloni dello stesso colore >> le ordinò spiccio. << Sbrigati. >> 
<< Così poca roba? >> gli chiese girandosi. 
Deimos la fissò con i suoi freddi occhi cobalto. << Posso tornare qui quando voglio. >> 
Gea alzò un pollice ed annuì, poi s'incamminò per il corridoio, lo sguardo che navigava su ogni prodotto con meticolosa attenzione. 
La emozionava scegliere i vestiti per lui, sebbene si trattasse di una scelta molto limitata. Ad ogni modo la trovava una cosa intima, quasi un permesso da parte del ragazzo ad avvicinarsi. 
Avvistò una pila di t-shirt nere e ci si fiondò. Ne spianò una per guardarla bene ed immaginarsela addosso al giovane. La tirò dai lati per controllare che fosse elasticizzata, nel caso gli fosse andata un po' stretta sul petto. 
Al termine del suo scrupoloso esame, ne imbracciò due col colletto circolare ed una col colletto a V. Immediatamente dopo passò alla ricerca dei pantaloni. Optò per due paia rigorosamente neri che, ad occhio, gli sarebbero tornati bene. Avevano il cavallo un po' basso, ma a lei piacevano ed era sicura che su di lui sarebbero stati perfetti. 
Non le importava poi molto se a lui non fossero piaciuti, desiderava vederglieli addosso.
Tornò indietro con le braccia cariche ed un sorriso sulle labbra. 
Quando depose il bottino nel cesto notò che lui aveva aggiunto una confezione di boxer e due di calzini. 
<< Mancano solo lo shampoo e il balsamo >> esclamò Gea, battendo le mani. << Dovrebbero essere da quella parte. >> Indicò la sua sinistra e schivò per un pelo il carrello che, nella rapida rotazione, le stava venendo addosso. 
Fulminò il ragazzo, le cui labbra erano stese in un sorriso da canaglia. 
Quando entrarono nello scomparto dedicato alla cura del corpo e dei capelli, Deimos si arrestò assieme al carrello e lasciò che lei proseguisse nella ricerca. 
Stese gli avambracci sul corrimano, gli zaffiri fissi sulla giovane, l'espressione seria. 
Gea si soffermò dinanzi ad uno scaffale pieno di saponi di marche diverse. Ogni poco ne prendeva uno, leggeva l'etichetta, ne sentiva il profumo e lo riponeva. 
Voleva una fragranza dolce, delicata, magari di pesca. 
<< Scusa. >> Si voltò di scatto, con la stessa velocità con cui un paio di zaffiri poco lontani si fecero affilati come lame. 
Davanti agli occhi di lei si presentarono le facce sorridenti di tre ragazzi, forse più grandi. 
Uno di loro, coi capelli scuri ed un'aria da sciupafemmine, le indicò la vastità di prodotti. << Il mio amico stava cercando uno shampoo per la sua tipa, saresti così gentile da aiutarci a sceglierlo? >> Si grattò la nuca. << Non sappiamo proprio dove mettere le mani. Ci sembrano tutti uguali. >> 
I due ragazzi alle sue spalle si scambiarono delle risatine. Deimos inspirò forte dal naso e si issò dritto con la schiena, il mento alzato. 
<< Oh, certo >> rispose Gea, incerta sulla veridicità di quel discorso strampalato. << Non è difficile, dipende da che tipo di capelli ha la ragazza. >> 
<< Hai un accento favoloso >> si complimentò il giovane, sorridendole sornione. Subito dopo si passò una mano fra i capelli. << Di dove sei? >> 
La mascella di Deimos ebbe un guizzo infastidito nel momento in cui vide che l'umano le stava ammirando le gambe con compiacimento. 
Lei abbozzò un sorriso. << Iowa. >> 
<< E sono tutte belle come te là? >> 
Per poco la giovane non scoppiò a ridergli in faccia. La divertiva sentire quelle frasi fatte pronunciate con tono languido. E di sicuro la posa del ragazzo non aiutava, pareva accuratamente studiata davanti allo specchio.
Prima che aprisse bocca per rifilargli qualche scusa e defilarsi, l'espressione del ragazzo mutò in una sofferente, poi impaurita. Si prese la testa tra le mani e barcollò sulle ginocchia emettendo lamenti simili a rantoli animaleschi. 
Gli amici lo afferrarono per i gomiti e lo circondarono preoccupati. 
Gli occhi di Gea schizzarono subito su Deimos. Aveva la mascella rigida, la postura apparentemente rilassata e gli zaffiri incastonati sulla sua vittima. 
Lo raggiunse a passo di marcia, il cuore che tamburellava forte dentro al petto. Non sapeva neanche per cosa veramente. Perché lui probabilmente aveva agito per gelosia o perché era in pena per quel ragazzo accasciato a terra? 
<< Lascialo stare >> disse fra i denti, ad un tono basso perché nessuno potesse sentirla. << Deimos, per favore >> aggiunse arpionandogli un avambraccio con la mano. 
Il ragazzo spostò gli occhi sul suo viso. La perforò con i suoi taglienti zaffiri dal blu impetuoso di un oceano in tempesta. Ed in quel momento Gea capì perché le battesse tanto forte il cuore. 
Era gelosia quella che gli incupiva lo sguardo, quella che gli induriva i tratti del volto. Per una volta fu sicura di non aver travisato o immaginato quel che desiderava. Era reale. 
Poi lui le avvolse la mascella con una mano e di scatto le alzò il viso. Per un interminabile attimo si guardarono. 
Gea trattenne il respiro mentre lui spostava l'attenzione sulle sue labbra senza che si attenuasse la rabbia presente in quelle iridi glaciali.
Non le staccò gli occhi di dosso neanche quando si abbassò per baciarla, li tenne aperti finché non la vide calare le palpebre ed abbandonarsi a lui. 
Ma subito dopo lei ritrasse la testa e si girò verso l'altro ragazzo. << Devo vedere se sta bene. Potrebbe aver biso... >> 
Deimos le agguantò un braccio prima che lei si allontanasse. << Sta bene. >> Poi si gettò sulla sua bocca mentre con una mano risaliva fino alla nuca per tenerle ferma la testa. 
A Gea scappò un sorriso, così lui le strinse il labbro inferiore tra i denti e lo morse. Quando la sentì emettere un mugugno di protesta, le tappò la bocca con la propria e la baciò con urgente passione. Ma non c'era solo brama in quel bacio, e Gea lo sentì mentre diventava ebbra di quelle labbra voraci e rudi. C'erano possessione, trasporto, gelosia. 
Non le fece quasi riprendere fiato. Con una mano rovente si era fatto strada sotto la sua maglietta per tenerla aperta sulla base della sua schiena. 
Il cuore di Gea stava superando il personale record di battiti al secondo. Avrebbe voluto avvinghiarsi a lui e baciarlo ovunque, sussurrargli i suoi sentimenti e fargli promesse. Ed invece si vide costretta a distaccarsi per respirare. 
Riaprì gli occhi e li sollevò in quelli del ragazzo. La prima cosa che pensò fu che quegli zaffiri fossero divorati dalle fiamme. Arsi da un fuoco che, paradossalmente, riusciva a farle scendere dei brividi di piacere lungo la schiena. 
<< Prendi quel che devi prendere e andiamocene >> le fiatò sulla bocca, il tono basso e gutturale. 
Gea per un attimo riguardò le sue labbra rese più carnose dai baci. Ebbe la tentazione di ricominciare a baciarle, ma poi si ricordò che erano in un supermercato. 
Scivolò via dalla mano di Deimos e, con la mente annebbiata, si accinse a scegliere shampoo e balsamo. 
Ed intanto lui la guardava. Perché avrebbe voluto racchiuderla tra quello scaffale ed il proprio corpo, piegarsi su di lei e lasciarle marchi sul collo; affondare le dita nelle sue gambe e legarsele attorno ai fianchi per sostenerla meglio mentre le assaporava la pelle. 
La desiderava in modo trascendentale. 
La seguì con lo sguardo mentre tornava verso il carrello con due flaconi in mano. 
<< Ho finito >> disse mostrandogli un sorriso timido. << E dubito che pagheremo, vero? >> 
Le labbra del ragazzo s'incresparono delinquenti. L'afferrò per un passante dei pantaloncini e scomparvero. 





















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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


















Gea osservò fuori dal finestrino con circospezione. Si sporse in avanti con la schiena, il respiro lento e i muscoli in allerta. 
Era notte fonda, una notte calma e mite. Eppure le sembrava di aver sentito qualcosa muoversi là fuori. Come i passi di qualcuno. 
Il cuore le stava scavando la cassa toracica per quanto batteva forte, le dita erano fredde come il ghiaccio.
Un silenzioso alito le sfuggì dalle labbra, eppure riuscì a riempire l'abitacolo in modo assordante.
Aveva il terrore di distogliere gli occhi dall'oscurità anche solo per un istante. 
Avrebbe voluto allungare una mano per chiamare Deimos, ma la paura le impediva di usare un qualsiasi muscolo. E così fece rapidamente scattare lo sguardo sul ragazzo di fianco a lei senza voltare la testa. 
Il sedile era vuoto. Deimos non c'era.
Il sangue le si gelò nelle vene e gli occhi le si sbarrarono come fanali, ma non per la scoperta dell'assenza del giovane. Non ne ebbe il tempo. 
Udì le sicure della macchina scattare e bloccarla dentro. Ed intanto dell'acqua saliva dal tappetino sporco sotto le sue suole. Saliva in fretta, divorando centimetri dopo centimetri come se non vedesse l'ora di ingoiarla. 
Il respiro le uscì spezzato. Immediatamente tirò le gambe sul sedile e cercò di aprire la portiera, le mani tremolanti e lo sguardo fuori di sé. 
E poi arrivò una luce fulminea, tanto improvvisa da costringere il suo istinto a chiuderle gli occhi per lo shock.
Quando li riaprì trovò un muro di fuoco ad avvolgere la macchina. 
I battiti del cuore le si accavallarono per l'elevata frequenza. 
Non riusciva a pensare, solo a guardarsi attorno con folle panico.
Le fiamme viravano dal rosso al blu, si dimenavano come fossero state vive e bramose di riceverla tra le loro lingue ardenti.
Gea gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Calciò come una furia contro lo sportello della vettura per aprirlo. Picchiò sfrenatamente contro il finestrino, urlando e piangendo, e quando abbassò le braccia i suoi polmoni si svuotarono tutto d'un fiato. 
I suoi occhi erano dritti in quelli del suo carnefice. 
Ed il cuore le smise di battere, la testa cessò di pensare, le braccia le cedettero come se fino a quel momento fossero state attaccate a dei fili. 
Quegli occhi erano sorridenti e spietati, ma di un castano caldo, ambrati. Tanto familiari da farle l'effetto di un pugno nello stomaco.
Perché quelli, quelli che le stavano restituendo lo sguardo, lei li conosceva bene. 
Erano i suoi occhi. 





                                                                    *  *  *





Gea si issò di scatto con la schiena, lo sguardo acceso di paura lanciato verso il buio oltre il tergicristallo.
Con lentezza misurata scandagliò il paesaggio, le labbra semiaperte e secche. 
Ricordò il fuoco, le fiamme che divoravano l'auto come fiere pazze di fame. Subito dopo il respiro le si accorciò, abbassò il capo sul tappetino sotto i suoi piedi con spasmodica celerità. 
Era asciutto, non c'era acqua.
Il cuore le batteva come un tamburo, sentiva tutti i sensi in allerta, tesi come soldati in un conflitto a fuoco. Così espirò pesantemente dalla bocca e si passò le dita sudate fra i capelli per rilassarsi. 
Si era trattato di un incubo, soltanto di un incubo. Niente di cui preoccuparsi veramente.
Per un po' si soffermò ad osservare l'orizzonte che si schiariva velocemente, sfumando il cielo di tonalità calde. 
Sospirò di nuovo, rassicurata dalla luce che le permetteva di avere controllo sull'ambiente circostante. Odiava sentirsi prigioniera dell'oscurità, come se quella le si potesse chiudere addosso e soffocarla. 
Ed in quel momento, col cuore ancora in tumulto, era proprio in quel modo che si sentiva: soffocata. 
Balzò fuori dall'auto, si appoggiò con la schiena allo sportello e chiuse gli occhi mentre incamerava l'aria pulita e fresca dell'alba. 
Aveva i nervi a pezzi, era sicuramente per quel motivo che aveva avuto quell'incubo. 
Era stressata, stanca, costantemente in ansia che acqua e fuoco la raggiungessero e preoccupata per i suoi genitori e le sue amiche. 
Quando ripensava alle persone che si era lasciata alle spalle percepiva un peso gravarle sullo stomaco. I suoi genitori avevano forse avvertito le autorità? E le sue amiche, George? Che cosa stavano pensando? 
Avrebbe voluto così tanto raggiungerli, almeno i suoi genitori. E magari abbracciarli, far vedere loro che stava bene, che... non era un'incapace. 
Le lacrime le salirono agli occhi. Voleva i suoi genitori, voleva vederli anche solo per un minuto, un istante. 
In quel momento ne sentiva la necessità in maniera viscerale, soprattutto quando i suoi pensieri si spostavano su acqua e fuoco. 
<< Che stai facendo? >> 
La voce ruvida e familiare di Deimos aggiunse un battito al suo cuore. 
Sollevò le palpebre ed incontrò lo sguardo freddo e circospetto del ragazzo, in piedi poco distante da lei.
<< Dov'eri? >> gli chiese col tono soffocato dalle lacrime trattenute. 
Lui mosse dei passi avanti, la testa leggermente inclinata e gli zaffiri incastonati sul suo viso a coglierne i dettagli. 
Dalla posa rigida e dai lineamenti tesi, si rese subito conto che qualcosa la turbava. 
La ragazza si accorse di quell'indagine sul suo volto, così abbassò il capo e frugò con lo sguardo per terra. << Si sta facendo tardi. Dovremmo and... >> La voce le si ruppe sull'ultima parola, correlata al pensiero di doversi ancora allontanare dai suoi genitori. 
Si morse forte un labbro e tentò di ricacciare le emozioni all'interno del suo cuore. C'era solo un problema: non ne era mai stata in grado. 
E mentre i fili d'erba danzavano sui suoi sentimenti come ballerini, Gea guardò di sottecchi il ragazzo. Lo trovò immobile, ancorato a lei con quel paio di zaffiri foschi e rigidi che conosceva bene. Ma non se ne sentì giudicata, paradossalmente si sentì libera di mostrargli se stessa. 
E così marciò dritta tra le sue braccia, il labbro che tremava e le lacrime che sgorgavano copiose sul suo viso. 
Nell'impatto del suo corpo contro quello del giovane, il cuore di quest'ultimo ebbe un guizzo d'inaspettata sorpresa. Così come i suoi occhi, che per un istante si dilatarono sfuggendo al severo controllo delle emozioni.
Gea gli avvolse le braccia attorno al bacino e nascose la faccia tra le pieghe della sua maglietta. La sentì profumare di caffè, un profumo che fino alla sera prima non aveva addosso e che le rivelava dove fosse stato all'alba.
<< Che stai facendo? >> le domandò duro, osservandole la testa. 
Gli dava fastidio quella vicinanza, ma non per la ragazza, bensì per un dilemma tanto stupido quanto umano. Non sapeva dove mettere le mani. 
Il pensiero di abbracciarla lo nauseava, non avrebbe mai compiuto un gesto tanto compassionevole e ridicolo. E così se ne stava con le braccia severamente stese lungo i fianchi, i pugni rigidi e la mascella contratta. 
Detestava quelle manifestazioni umane, ma ancora di più detestava quella sensazione di dubbio che aveva iniziato a provare in presenza della ragazza. Non si era mai sentito in quel modo, impreparato ad una qualche azione. Aveva sempre saputo cosa fare e come farlo, invece ogni volta quella ragazza dai grandi occhi ambrati rimescolava le carte in tavola e lo confondeva. 
<< Voglio i miei genitori >> bisbigliò lei, tirando su col naso. 
Per un istante la fronte di Deimos si aggrottò per l'inaspettata dichiarazione, poi, mentre ripercorreva i ricordi, le sue labbra si stesero in un mezzo sorriso di spregio. << Vuoi chi ti reputa incapace? O sei stupida o sei masochista. >> 
Gea sgranò gli occhi e si distanziò dal corpo di lui per inchiodarlo con lo sguardo. << Te lo ricordi. >> 
Si ricordava delle sue parole, della sua confessione durante il loro primo momento intimo. Si ricordava, lui ricordava, aveva dato importanza a ciò che gli aveva rivelato. 
Quella consapevolezza le fece tamburellare il cuore e imporporare le guance. 
L'aveva ascoltata. Ascoltata davvero.
In quel momento si accorse che i loro occhi erano rimasti allacciati proprio come quella prima volta insieme. E subito sentì le gambe molli e lo stomaco infestato da aironi che agitavano lesti le ali. 
<< Devo vederli, ne ho bisogno >> gli disse con tono vellutato. << Per favore, devono sapere che sto bene. >>  
<< No >> le rispose intransigente. << Mi servi viva, dei tuoi genitori e di quel che pensano non so che farmene. Sono perdite di tempo inutili per entrambi. >> I suoi zaffiri si fecero più duri. << Impara a pensare di più a te stessa. >>
Gea tirò indietro la testa e dischiuse le labbra mentre incassava il colpo.
Il cuore le stava pompando tanto forte da stordirla. Era doloroso ricordare che per i suoi genitori non era in grado di fare molto, se non nulla. Ma in quel dolore, per la prima volta, si mischiava qualcosa di diverso, di bello. 
Non si sentiva sola, l'unica a dover contrastare quella definizione che da sempre le stigmatizzava la vita. 
Per la prima volta aveva il sentore che qualcuno, la persona che avrebbe voluto più di tutte con sé, fosse al suo fianco. A difenderla. 
Era solo una sensazione, ma bastava per renderle più sopportabile tutto. 
Gea abbassò il capo ed allungò un braccio verso il ragazzo per cingergli con delicatezza un polso. 
Deimos non le staccò gli zaffiri di dosso neanche per un attimo, stese persino lo sguardo sulle loro mani vicine senza provare ad allontanarle. 
<< Ho bisogno di vederli >> ripeté piano lei. << Almeno una volta prima che acqua e fuoco... >> Deglutì per ricacciare un bolo d'ansia; le immagini del suo incubo le rabbuiarono gli occhi. << Prima che mi trovino. >> 
Il giovane restò per un po' in silenzio ad indagarle il volto, poi si piegò lento su di lei, le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio. Gea avvertì il suo respiro caldo sfiorarle la linea del collo. 
<< Scordatelo >> scandì lui serio, e subito dopo, con un movimento secco, ritrasse il polso. 
Lo stomaco di Gea si strinse in una morsa d'afflizione. Gli occhi le si velarono nuovamente, quando alzò il capo delle lacrime le stavano già scavando le guance. 
Deimos deviò la propria visuale con un senso di fastidio crescente, le mandibole sigillate come maglie di una catena. 
<< So che si tratta di una mossa azzardata, ma io devo vederli. Perché... >> Si morse un labbro ed appoggiò un pugno sul petto del ragazzo. << Perché ho paura, va bene? Ho una paura folle di non vederli mai più e di dimenticarmi i loro volti. Mi hanno fatto male, tanto male, ma... >> Scosse la testa e si strinse nelle spalle con un piccolo sorriso. << Ma io li amo, sono i miei genitori. E per loro riuscirei a rischiare la mia vita con una mossa incauta. Perciò ti prego, permettimi di vederli. Anche solo per un istante. >> 
Deimos piombò rapidamente con gli zaffiri cupi su di lei. 
Non la capiva. Come poteva rischiare tanto per chi le aveva segnato negativamente la vita? Perché lo faceva? 
Per lui era inconcepibile. Il perdono non esisteva tra le sue risorse, né quella che la ragazza stava dimostrando proprio in quel momento: la bontà. 
Perché non era la stupidità a spingerla nelle braccia della morte, lei sapeva a cosa sarebbe andata incontro raggiungendo quei due sciocchi umani. Eppure per quella cosa chiamata amore, avrebbe rischiato. 
Il giovane le esaminò meticolosamente il viso delicato segnato dalle lacrime, i grandi occhi pervasi di tristezza e speranza, le labbra rosse e bagnate. 
Alla fine si scostò e prese a camminare verso la vettura. << Non adesso. >> 
Gea lo pedinò con lo sguardo, sentendo un piccolo sorriso spuntare sulle labbra. Si asciugò le lacrime col dorso della mano e strinse l'orlo della maglietta tra le dita in un gesto quasi infantile. << Quindi non è più no? >> 
Deimos si fermò con la mano sullo sportello, le lanciò un'occhiata da sopra il tettuccio della macchina per poi adagiarci mollemente un braccio. << Forse. Ora datti una mossa, abbiamo perso fin troppo tempo >> ordinò severo, prima di calarsi in auto con il sorriso di Gea impresso nella mente.





                                                                       *  *  *





Erano in auto da circa tre ore. 
Avevano varcato il confine dello stato dell'Oregon per spingersi in quello di Washington. 
Gea stava osservando il paesaggio desertico e arido fuori dal finestrino. 
Le piaceva quella terra brulla, di un marrone ardente e di venature rossicce. Era uno spettacolo a cui non avrebbe mai rinunciato volentieri.
Le alture di roccia rossa, imponenti e maestose, sembravano giganti di fuoco ferme nell'atto del riposo. E il cielo, il cielo spiccava su quello spettacolo come se ne fosse stato il protagonista. Spalancava la scena con i suoi fieri cavalli bianchi, leggeri ed eleganti come piume, per fare spazio alla regina: la luce. Ed eccola, lei, che sfiorava l'arido palco scarlatto, dirigeva le ombre, orchestrava il volgere della vita, ammansiva le bestie striscianti. 
Giganti di fuoco, secchi steli di passata esistenza, cemento ardente e terra sconfinata si inchinavano e riflettevano il suo bagliore cristallino. 
Trionfava la luce, trionfava la natura, vigeva l'armonia. Una tanto pura da spezzare il fiato, smuovere le corde del recondito e inondare gli occhi di bellezza. 
La ragazza sorrise alla vista di un falco che, come un pennello su una tela, si librava con fierezza e poesia. Immaginò il vento accarezzargli le soffici piume con la premura di una mano che scorre sui tasti e genera armonia. 
<< Non è stupendo? >> disse piano.
Deimos ruotò per un attimo la testa e seguì la traiettoria del suo sguardo, ma non le rispose. 
Non aveva mai fatto caso alla bellezza di un paesaggio o di un luogo. Non gli era mai interessato, per lui erano inutilità, sprechi di tempo. Contavano le azioni, la praticità, il rigore, la disciplina, l'utile. La distrazione rendeva deboli. Ma la verità era che non aveva mai trovato bellezza in niente.
Quel concetto era affiorato nella sua mente solo per mezzo dell'umana. 
E così i suoi zaffiri scesero sulla figura di Gea in maniera spontanea, la osservarono giusto il tempo di un battito di ciglia prima che lei si voltasse e lui, immancabilmente, dissimulasse.
<< Sai cosa penso? >> chiese lei, proiettando lo sguardo davanti a sé. << Che la vita mi abbia tolto tanto, ma che forse mi abbia regalato molto di più. >> Le sue labbra si allargarono in un sorriso. << Insomma, guardati attorno. Ho messo piede in luoghi incantevoli, li ho potuti ammirare da una prospettiva diversa rispetto a quella di un semplice turista, ed ho imparato tanto di me stessa. Sto viaggiando in più di un senso >> dichiarò con convinzione. << A volte mi faccio così prendere dalla malinconia e dalla paura da non vedere quel che ho guadagnato. Sono umana, dopotutto >> concluse con una scrollata di spalle, per poi lanciare un'occhiata scherzosa al giovane. << Un'umana molto poetica, non trovi? >> 
Deimos le rivolse un debole sguardo di sufficienza e tornò a concentrarsi sull'autostrada. 
In realtà aveva ascoltato con interesse le parole della ragazza. Lo disorientava il modo in cui lei a volte riuscisse a vedere le cose, perché non lo capiva. 
Non gli era mai capitato di dover trovare una chiave di lettura diversa dalla realtà. L'unica cosa su cui gli era stato insegnato meditare era l'azione, quella pratica, non teorica. 
Gea tirò le gambe sul sedile e se le circondò con le braccia. << Prenderò il tuo silenzio come un assenso e dunque come un complimento, perciò ti ringrazio >> scherzò con un inchino simulato con la testa.
Il giovane buttò un'occhiata su di lei per un breve istante. 
C'era qualcosa, dentro di lui, che premeva per uscire. Era come un rigurgito di lava che gli bruciava sulla punta della lingua. 
Era... curioso, sì, curioso di conoscere dei frammenti di vita di quella ragazza. Avrebbe voluto sapere perché si ostinava a cercare i propri genitori, perché puntualmente li perdonava, perché vivesse da sola, perché volesse trovare qualcosa di positivo ad ogni circostanza, perché e ancora perché. 
Ma la vera domanda era: perché a lui interessava? 
Spostò gli zaffiri sullo specchietto retrovisore con un gesto infastidito del capo, le mascelle strette. 
Il punto era che una risposta non ce l'aveva, gli interessava e basta. 
Stava diventando una consuetudine per lui non avere risposte quando si trattava della ragazza. 
Inspirò forte dal naso e aumentò la presa delle dita sul volante. 
Gea lo guardò stranita. << Che hai? Devi andare in bagno? >> chiese innocentemente. 
I muscoli del giovane si rilassarono all'istante. << Non sei degna di ricevere una risposta. >> 
<< Guarda che non c'è nulla di male. Anche a me una volta è capitato mentre ero in autostrada con il pulmino della scuola. Be'... >> si strinse nelle spalle. << In realtà fu piuttosto umiliante chiedere all'autista di fermarsi alla prima stazione di sevizio disponibile, soprattutto se si considera che ero nel bel mezzo di una gita scolastica. Ma adesso siamo solo noi, quindi se dev... >>
<< Non devo andare in bagno >> la interruppe secco.
Gea rimase per una manciata di secondi in un silenzio da confessionale, palesemente stordita dalla brutta figura. << Oh. Ah >> blaterò imbarazzata, annuendo. Subito dopo si schiarì la voce e sistemò dei capelli dietro l'orecchio. << Comunque... ero piccola. Intendo quando dovetti bloccare il pulmino. Ecco, sì, molto piccola. Non vorrei esagerare, ma... quasi in fasce. >> 
Un sopracciglio del giovane si sollevò scettico. << Certo >> disse schioccando la lingua al palato. << Al massimo sarà successo un anno fa. >>
Gea strabuzzò gli occhi. << Come lo sa... >> Si bloccò di colpo, prima di finire l'ultima parola. Le guance le presero fuoco mentre si malediceva per la sua avventatezza. << Hai... hai visto che bella giornata oggi? >> buttò là senza nemmeno sapere cosa stesse dicendo. << Fa proprio caldo >> aggiunse mentre si sventolava il viso paonazzo. 
Deimos si voltò a fissarla con un mezzo sorriso beffardo. 
<< Non dovresti guardare la strada? >> lo reguardì lei accigliata. << Concentrati. >> 
Se solo non fosse stata in compagnia del ragazzo si sarebbe certamente data uno schiaffo. 
Cosa le veniva in mente? Ci teneva così tanto a piacergli e poi si metteva a parlare dei suoi disturbi intestinali. O era idiota o era idiota. 
Il giovane la bersagliò di occhiate divertite finché quelle sue guance rosse non tornarono del solito colorito, poi quegli sguardi fugaci, man mano, si fecero più intensi ed esaminatori. 
Senza che quasi se ne rendesse conto, i suoi zaffiri rimbalzavano dalla strada a lei ad intervalli sempre più stretti. E nel frattempo la sua mente si riaffollava di indesiderati interrogativi sulla sua vita, su ciò che ne era trapelato e su quanto ancora non conosceva. 
Tese i muscoli per quella curiosità seccante.
<< Perché continui a cercare i tuoi? >> domandò subito dopo, diretto. 
Le gemme ambrate di Gea si spalancarono per quella richiesta inaspettata. 
Era stata colta così alla sprovvista da sentire il cuore correre rapido come una lepre ed un insolito formicolio dietro la nuca. 
Era la seconda volta che le faceva una domanda sulla sua vita privata. Era la seconda volta che mostrava interesse nel conoscerla. Eppure quella le sembrava la prima vera volta che provava a saperne di più sul suo conto.
Si guardò le scarpe con timidezza e ne ripulì la punta dal terriccio incrostato. << Perché li amo >> dichiarò con un filo di voce. 
<< Anche se per loro sei un'incapace? >> insistette lui, il tono grave. 
L'indice della giovane continuò a vezzeggiare la scarpa con movimenti lenti, lo sguardo spento dai tristi ricordi incastrato su quell'azione. << Anche. Non riuscirei ad immaginare la mia vita senza di loro. >> 
<< Eppure vivi da sola >> precisò Deimos con la volontà di mettere in discussione le sue parole.
Per lui tutto quell'amore, quella mielosa cosa da umani, era inconcepibile. Così insensata da essere snervante e irrealistica. Solo una stupida illusione a cui gli umani si aggrappavano per dare uno scopo alle loro vite. 
Gea inspirò profondamente e tirò indietro la testa per appoggiarla contro il sedile. Per un po' non parlò. Se ne stette lì, con gli occhi puntati sul tetto interno dell'auto e la mente invasa di ricordi. 
Ad un certo punto si inumidì le labbra e rilasciò un sospiro dal naso. << Era un modo per dimostrar loro che non sono un'incapace. Quando gli ho detto che avrei voluto provare a vivere da sola non hanno fatto resistenze. Non mi hanno trattenuta. >> Gli occhi della ragazza si persero sulla strada. << Erano fieri di me. Per la prima volta forse >> le uscì con tono atono. 
In un attimo quel frammento del suo passato le saettò alla vista. Rivide le espressioni sorridenti dei suoi genitori, l'approvazione nei loro occhi, il modo in cui si erano guardati, con orgoglio. E risentì, risentì il suo cuore che si spezzava.
Si riscosse dall'oblio di quella memoria e schiarì la voce mentre le sue iridi ambrate rimbalzavano da un lato all'altro del tappetino. << Alla fine non c'è molto da raccontare >> disse in fretta, come a voler chiudere quel capitolo prima che le facesse troppo male.
Deimos notò il repentino cambiamento nell'atteggiamento e nella voce della ragazza. Con la coda dell'occhio vide il suo viso farsi ombroso e serio, la sua postura farsi più rigida e curva, come se il peso dei ricordi la opprimesse e lei non riuscisse a contrastarlo. 
Lo innervosì. 
<< Sei patetica >> le disse infatti, spregioso. 
Gea spalancò gli occhi e in un secondo atterrò con lo sguardo sul suo profilo granitico. << Che vuoi dire? >> 
<< Rincorri una delusione per speranza. Non esiste niente di più patetico >> asserì con una smorfia sprezzante della bocca. 
La giovane scosse il capo con decisione, il cuore che batteva forte. << Non devi parlare così di loro. Forse non sono stati dei buoni genitori, ma spero sempre, tutti i giorni, che possano diventarlo, che mi apprezzino per ciò che sono, che... >>
<< Smettila di sperare che tutto cambi se a cambiare sei solo tu >> la interruppe con fredda risolutezza.
Gea sbatté rapidamente le palpebre mentre i palpiti del cuore le salivano fino alle orecchie. 
<< Che vuoi dire? >> chiese sottovoce. 
Gli occhi cobalto di Deimos non si mossero dalla strada. Erano impassibili e tanto glaciali da sembrare che appartenessero ad un essere senza anima. << Che cambiare per essere accettati è patetico >> sentenziò lapidario. 
Le guance della ragazza si riscaldarono come quel muscolo che le stava impazzendo di battiti. 
Anche se i termini con cui lui spesso si esprimeva erano brutali e al vetriolo, lei aveva imparato a leggere tra le righe e a cogliere quel senso che, con parole più dolci, non le avrebbe mai dichiarato. 
Ed in quel preciso istante era come se lui le avesse detto che non sarebbe mai dovuta cambiare per piacere a qualcuno. 
Non era certo una confessione d'amore, ma per lei aveva un'importanza enorme. Era ciò che di più bello le fosse mai stato detto fino a quel momento.  
Sprofondò nel sedile con un piccolo sorriso e ruotò il viso per guardarlo. << Hai ragione, non dovrei cercare di essere qualcun altro per essere apprezzata dai miei genitori. Ma questo non cambierà mai l'amore che nutro per loro, cambierà solo la concezione che ho di me stessa. Forse imparerò ad essere più sicura di me, chi lo sa. >> Si strinse nelle spalle e rilasciò un debole sospiro per scaricare la tensione. 
Poi nell'abitacolo calò il silenzio. 
L'espressione di Deimos era quella di chi aveva appena ascoltato qualcosa di nullo interessante, eppure non gli era sfuggita l'inflessione più rilassata nel tono di lei, non gli era scappato il sorriso che aveva percepito nella sua voce. Aveva prestato attenzione ad ogni minuzia e ad ogni parola. 
Gea intanto lo osservava assorta, sperando che lui non la scoprisse da un momento all'altro. 
Era rimasta colpita da quel che le aveva detto. Aveva intravisto un'altra sfaccettatura del suo modo di pensare e vedere le cose che la rendeva felice. 
Perché più lo conosceva e più voleva conoscerlo, più lo conosceva e più se ne invaghiva. Perdutamente. 




                                                                       *  *  *






Era sera inoltrata quando Deimos slacciò i cavi sotto al volante dell'auto. 
Diversamente da ogni altra volta non si trovavano in un antro nascosto o al limitare di qualche boscaglia, ma in un comune parcheggio nel bel mezzo di un piccolo centro cittadino.
Gea aggrottò la fronte mentre la sua vista si stendeva tra le file di lampioni e le insegne luminose di alcuni negozi ancora aperti. << Che ci facciamo qui? >> 
<< Cerchiamo un posto per la notte. Va' a prendere quel giornale >> le ordinò con un cenno del mento ad indicare un distributore di riviste sul marciapiede. Subito dopo le lanciò una moneta sulle gambe. << Datti una mossa >> la esortò ferreo.
La ragazza alzò gli occhi al cielo. << Agli ordini, capo >> disse ironicamente mentre balzava fuori dalla vettura. 
Corse a prendere un giornale e tornò di volata dal giovane. << Questo va bene per il tuo misterioso scopo? >> chiese porgendoglielo. 
Deimos glielo prese di mano e lo sfogliò celermente alla ricerca degli annunci immobiliari. 
Gea si sporse verso di lui per capire cosa stesse facendo. << Compriamo casa? >> gli chiese dubbiosa, mentre la sua fantasia ed il suo cuore andavano di pari passo. 
In un batter d'occhio si immaginò mentre varcava la soglia di una casetta arredata di tutto punto in braccio a quel ragazzo dagli occhi cobalto, magari vestita con un abito bianco.
La sua romantica fantasia fu interrotta bruscamente da un'altra moneta che atterrava sulle sue gambe. 
<< Va' a farti dare l'indirizzo >> le disse Deimos restituendole un pezzo di giornale con un gesto indolente del braccio. La guardò dritta negli occhi, la testa inclinata verso di lei e la nuca incollata al poggiatesta. << Sbrigati. >>
Gea osservò il frammento di carta su cui si trovava l'annuncio di un monolocale. Sospirò stancamente e scese di nuovo dall'auto per dirigersi alla cabina telefonica. Inserì la moneta e digitò il numero sul foglietto.
Al terzo squillo le rispose la voce di un uomo.
<< Salve, ho letto il suo annuncio sul giornale. Ehm, dell'appartamento. Sì, ecco, io e il mio... >> I suoi occhi saettarono istintivamente oltre il vetro per raggiungere il ragazzo. 
Se ne stava con una gamba vicina al petto, il braccio pigramente abbandonato sul ginocchio, il mento alto e il capo adagiato al sedile. Ma il cuore le traballò soprattutto per quegli occhi; quegli occhi che la stavano fissando da lontano e che in quel momento erano legati ai suoi da un filo invisibile. 
<< È ancora lì? Signora? >> 
Gea mantenne lo sguardo ancorato a quello del giovane. << Sì, mi scusi. Io e il mio... compagno >> sussurrò con un sorriso imbarazzato, per poi guardare a terra timidamente, il cuore impazzito. << Noi vorremmo vedere la casa. Sarebbe possibile domani o dopodomani? Se mi dà l'indirizzo possiamo trovarci direttamente lì. >>
Pochi minuti dopo Gea montò in macchina con un ampio sorriso e un sospiro liberatorio. << Ho l'indirizzo. Mi è dispiaciuto prendere così in giro quel pover'uomo, ma sono troppo contenta di potermi finalmente fare una doccia e di dormire su un materasso. Mi ha detto che la casa viene venduta coi mobili, o con la maggior parte almeno. Comunque domattina, per sdebitarci, gliela lasceremo esattamente come l'abbiamo trovata. Non... >>
<< Mi vuoi dare quest'indirizzo? >> tagliò corto il giovane.  
Lei gli scoccò un'occhiataccia. << Come sei antipatico, santo cielo. Non hai letto su quel giornale che oggi sono diventata santa? Era in prima pagina. >> 
<< Se non la finisci domani sarai nei necrologi. >> 
Gea sbuffò stizzita e carpì con la coda dell'occhio il sorrisetto impudente che gli si era stampato in faccia. 
Incrociò le braccia sul petto e scosse il capo fermamente. << Sei odioso, davvero odioso. >> 





                                                                         *  *  *





Si erano teletrasportati nell'appartamento da circa un'ora. Gea aveva avuto il tempo di esplorarlo ed esaminarlo con cura, finendo col reputarlo carino e confortevole.
Si trattava di sole due stanze: una abbastanza spaziosa per il soggiorno e l'angolo cottura, la seconda più piccola per la camera. 
La maggior parte dei mobili erano coperti da teli di plastica che ne evitavano accumuli di polvere, ma tutto sommato Gea poté constatare che di sporcizia ce n'era ben poca. Probabilmente, pensò, era stata messa in vendita da poco tempo.
Prima di teletrasportarsi aveva fatto bottino di biancheria pulita, di saponi per corpo e capelli e di un cambio d'abito per il giorno dopo. Ed in quel momento, mentre il ragazzo era fuori a prendere da mangiare, lei stava giusto osservando i vestiti che aveva appoggiato sul letto.  
La sua attenzione era catturata da una maglietta in particolare. Era marrone, di un colore caldo che ricordava tanto quello della terra baciata da sole, e che le aveva fatto battere il cuore per la persona che le aveva detto di prenderla. 
Quel ricordo le fece spuntare un sorriso e tingere le guance di sfumature purpuree.
Era curiosa di scoprire come le stesse.
La prese in fretta e furia, assieme alla biancheria, e sgattaiolò nel bagno a fare la doccia.
Si lavò dalla testa ai piedi per estirpare quella sensazione di sporcizia che percepiva da giorni e che le faceva arricciare il naso. Lasciò che l'acqua le scorresse sui capelli e sul viso come a volersi far scivolare di dosso le preoccupazioni e i pensieri assillanti. 
Quando uscì dalla doccia, avvolta nel lenzuolo del materasso, si cercò allo specchio. 
Aveva gli occhi cerchiati dalla stanchezza e le guance più scavate rispetto ai mesi precedenti, quelli in cui la sua vita scorreva monotona. Qualche livido qua e là sulle spalle e sulle braccia le ricordava quanto la sua routine fosse, invece, diventata insolita e pericolosa. 
Si trovò diversa, pur sempre se stessa, ma con una maturità ed una consapevolezza diverse negli occhi, nel volto. Come se la sua mente avesse trasferito la sua crescita interiore anche sul corpo. 
Il suo sguardo era più deciso, più attento, più cosciente, esprimeva un vissuto percepibile dalla sua intensità. Eppure conservava la vecchia se stessa, quella più ingenua e spensierata. 
Sorrise al suo riflesso, per poi tamponarsi i capelli e vestirsi con un nuovo paio di pantaloncini, stavolta morbidi ed elasticizzati, e la maglietta che le aveva indicato Deimos. 
Quando tornò ad esaminarsi il cuore prese a batterle un po' più forte. 
Dovette constatare che la maglietta le tornava bene, forse meglio di quanto avesse sperato, e che quel colore le donava. L'unica pecca era il fatto che le lasciasse il ventre scoperto malgrado i vani tentativi di abbassarla. 
Era emozionata al pensiero di farsi vedere dal giovane, aveva un groviglio nella pancia e nello stomaco. Mentalmente non poteva che darsi della scema, eppure il suo cuore reagiva di propria iniziativa. 
Quando udì un pugno contro la porta per poco, quel cuore, non le scoppiò per lo spavento. 
<< Esci, devo fare la doccia anch'io >> sentì dire dal ragazzo. 
Gea spalancò la porta con una mano sul petto. << Ma sei pazzo? Sono quasi morta >> dichiarò provata, per poi rendersi conto che lui non la stava neanche guardando in faccia. I suoi occhi cobalto stavano passando in rassegna ogni centimetro del suo corpo con un'espressione seria e vigile. 
In un batter d'occhio le guance le andarono a fuoco e le farfalle nello stomaco morirono per il sovraccarico emozionale. 
Gea si schiarì la gola e tornò rapidamente sui suoi passi per raccogliere le sue cose. << Che hai preso da mangiare? >> chiese nella speranza che quell'improvvisa tensione si spezzasse. 
Quando si voltò a guardarlo, proprio mentre stava afferrando l'ultimo calzino sporco, trovò gli zaffiri di Deimos dritti nelle sue gemme ambrate. 
<< È sul tavolo >> si limitò a dire lui con un lieve cenno del capo. 
La ragazza scappò da quel contatto visivo con alcuni secondi di ritardo. << Ok, vado a vedere. E... ti lascio il lenzuolo. Ok, fai veloce se puoi. Ho fame >> disse abbozzando un sorriso.
Il cuore le tamburellò nel petto mentre gli passava accanto e sbucava nella camera. Nel vedere il letto matrimoniale, dettaglio su cui prima aveva sorvolato, lo stomaco le lanciò delle fitte e la frequenza cardiaca ne risentì con un'impennata.
Buttò la sua roba alla rinfusa dentro un cassetto del comò e attraversò di volata il breve corridoio che conduceva all'altra stanza. 
Quando fu lontana dalla vista del ragazzo si lasciò andare ad un sospiro ansioso. Si appoggiò con il fondoschiena e i palmi ad un bancone della cucina e cercò di calmarsi. 
Aveva il viso in fiamme. 
Possibile che il giovane le facesse sempre più quell'effetto? 
Nei primi tempi non si sentiva arrossire per ogni suo sguardo né il cuore le impazziva per ogni suo avvicinamento. 
Una vocina nella mente le rivelò quello che il suo cuore conosceva già da tempo. 
Era incondizionatamente innamorata di lui, molto più di quanto lo fosse in precedenza. 
Per lei quel ragazzo dai modi scontrosi e gli occhi glaciali era diventato un compagno di vita, un pilastro nella sua esistenza, l'unica persona della quale le interessasse veramente il parere. Teneva a lui più di quanto tenesse a se stessa. 
E mentre diventava sempre più consapevole di quel sentimento, le fronde degli alberi si agitavano, le luci dei lampioni apparivano ad intermittenza, la terra si riscaldava assieme al suo cuore. 
Le venne da sorridere per la felicità. 
Per un attimo si lasciò andare ad una breve risata sommessa e scosse il capo.
Lei che aveva sognato il principe azzurro, un ragazzo dai modi gentili e pacati, capace di dimostrarle amore sia coi gesti che con le parole, alla fine si era innamorata del principe oscuro. 
Rappresentava quanto di più lontano avesse mai immaginato.
Appena udì i passi del ragazzo farsi vicini, sgranò gli occhi e saltò sul posto. 
Non voleva di certo farsi trovare lì, con una faccia da ebete sognante e le guance rosse come un evidenziatore. 
Si guardò frettolosamente intorno e poi si lanciò sulla busta del cibo. 
Quando Deimos entrò nella sala la vide mezza riversa sul tavolo, in una posa simile a quella di un animale che ha atterrato la sua preda.  
Sollevò un sopracciglio guardingo. << Che stai combinando? >> 
Gea forzò un sorriso per niente imbarazzato. << Te l'ho detto che avevo fame. >>
<< Hai mangiato il mio panino? >> le chiese con uno sguardo improvvisamente minaccioso. 
<< No, certo che no >> si difese lei. << Ti stavo aspettando e... nel frattempo li tenevo caldi >> asserì tirando qualche debole pacca al sacchetto. 
Deimos continuò ad osservarla con sospetto, almeno fino a quando non appurò con i propri occhi che il suo panino era intatto. 
Cenarono sul divano, di fronte ad un piccolo televisore a cassettone sovrastato da un'antenna più grossa dell'elettrodomestico stesso. O meglio, il ragazzo ci si era diretto senza proferire parola, col suo cheesburger e la sua birra, Gea lo aveva seguito come una bambina che segue le orme del padre. 
Se ne stavano uno al lato opposto dell'altra: Deimos seduto stravaccato, con un braccio allungato sulla testata del sofà che teneva la birra e Gea addossata ad un bracciolo con le gambe piegate sul tessuto scolorito del divano.
Il ragazzo stava guardando con indifferenza un episodio di una serie TV d'azione, lei invece aveva già finito il proprio panino e se ne stava a fissare il giovane.
E così, mentre lo studiava tanto attentamente da scoprire una piccola cicatrice alla fine del suo sopracciglio destro, nella mente le sciamavano innumerevoli domande sulla sua vita. Una più di tutte, in quel momento, le pizzicava la lingua come la chela di un granchio. 
Voleva saperne di più sul suo passato, sulla sua famiglia. Voleva sentire cose che nessun altro aveva mai udito pronunciare dalla sua bocca.    
E proprio in quel momento, nella breve frazione di attimo in cui pensò che sarebbe voluta essere la sua confidente, la persona che più lo conosceva, quella con cui lui si sentiva se stesso, le tornò alla mente una persona. E le sue domande cambiarono indirizzo, deviarono su un terreno che le faceva sentire il cuore infilzato dagli spilli.
<< Hai più rivisto Brittany? >> gli chiese secca, il tono serio.
Aveva paura della risposta. Una parte di lei avrebbe preferito non indagare per timore di ricevere qualche brutta sorpresa, un'altra invece, la più coraggiosa, la spingeva a cercare risposte.
Deimos si voltò a guardarla con un sorrisetto da schiaffi ad accendergli il blu delle iridi. << Quasi tutte le notti. >> 
Il cuore di Gea perse battiti in successione mentre gli occhi le si sgranavano. Per qualche secondo i suoi pensieri si bloccarono, la sua attività cerebrale andò in panne, ma poi, improvvisamente, si rese conto che qualcosa stonava. 
<< Stai mentendo >> dichiarò incrociando le braccia sul petto con la speranza che la sua osservazione fosse esatta. 
Il giovane sollevò un sopracciglio. << Cosa te lo fa pensare? >>
<< Di solito non rispondi in maniera così diretta, specialmente se ad essere toccata è la tua sfera privata. Sarebbe stato più da te uscirtene con un categorico "sono fatti miei" e lasciarmi crogiolare nella curiosità  >> spiegò Gea con un tono falsamente sicuro.
I suoi occhi ambrati lo tennero sotto mira con ansiosa aspettativa finché non videro il sorrisetto del ragazzo allargarsi di poco, come compiaciuto.
Dentro di sé sospirò di sollievo e ringraziò il cielo.
<< Se non t'importa niente di lei perché l'hai scelta come tua ragazza? Non è una cosa da umani? >> gli chiese assottigliando lo sguardo confusa.
<< Mi era utile per entrare in casa sua e prendere quel di cui avevo bisogno >> le rispose con disinteresse, riprendendo a concentrarsi sulla televisione. 
La bocca della ragazza si spalancò basita. << Tu stavi con lei per derubarla? Puoi rubare ovunque col teletrasporto, a cosa ti serviva lei? >> 
<< Era un fornitore di soldi, cibo e macchine senza telecamere. A volte tornava più utile di un supermercato. >> 
La giovane non riusciva a credere alle proprie orecchie. << Perciò quella volta che le hai detto di lasciare la finestra aperta sei andato a rubare? >>
<< Mai sentito parlare dell'utile e il dilettevole, umana? >> Deimos le scoccò un'occhiata tanto sfacciata quanto il sorriso delinquente che gli accendeva di pericolosità lo sguardo.
L'irritazione e la gelosia per quella dichiarazione avvolsero il cuore della ragazza che, di conseguenza, strizzò le labbra e smise di guardarlo per concentrarsi su altro. 
Odiava il fatto che lui fosse tanto libertino nei rapporti, odiava immaginarlo con una ragazza che non fosse lei, figurarsi quando le confessava delle sue avventure notturne con quella faccia da schiaffi. 
Deimos notò la sua espressione tirata con la coda dell'occhio. << Hai perso la lingua, umana? >> la punzecchiò divertito. 
Un sopracciglio di Gea saettò verso l'attaccatura dei capelli fin quasi a finirci nel mezzo tant'era stizzita. << Non sono interessata alle tue storielle, tutto qua. Ti sembrerà impossibile, ma non sei il fulcro dei miei pensieri. >> E invece sì che lo era, ma in quel momento avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che dargliela vinta. 
Il sorrisetto impertinente del ragazzo divenne spregiudicato. << Cos'è? Fai la gelosa? >> 
Lo divertiva talmente tanto stuzzicarla e beccarsi le sue occhiate truci, proprio come in quel momento, che prima che se ne rendesse conto era diventato il suo passatempo preferito. Ed era la prima volta che nella sua vita si affacciava un'altra persona, che qualche pezzo della sua vita, anche solo un particolare, coinvolgesse qualcun altro all'infuori di se stesso. Ma in quegli istanti di spasso non se ne rese conto, non si accorse che quella giovane dai grandi occhi ambrati di giorno in giorno assumeva un ruolo più centrale nella sua vita.
<< Guarda, mio caro >> attaccò Gea con un ampio gesto della mano. << Mettiamo subito in chiaro le cose. Non sono minimamente gelosa di te e, anzi, ti dirò di più, non so nemmeno cosa sia la gelosia >> affermò sicura. << Ad irritarmi è la tua persona. Comunque... solo per curiosità... >> Si schiarì la voce con finta nonchalance e si attorcigliò i capelli su una spalla per dare un'impressione di sé disinteressata. << Brittany per te non contava nulla? Insomma, non ti piaceva? >> chiese guardandolo di sottecchi. 
Il sorriso insolente di Deimos si estese, mentre un lampo divertito dal controsenso palese nelle parole di lei gli attraversava le iridi cupe, ravvivandole. 
<< No, caro >> riprese Gea, notando quel bagliore nel suo sguardo. << Non è gelosia. Sono una gran pettegola e voglio farmi i fatti tuoi. Forza, rispondi >> lo incitò aprendo e chiudendo la mano. 
<< E a chi lo andresti a spifferare? >> 
<< A me stessa allo specchio. Gradirei una risposta, grazie >> disse con un sorriso falsamente bonario. Subito dopo attaccò a dargli dei morbidi e ripetitivi colpetti col piede sulla gamba. << Sto aspettando. >> 
Deimos la infilzò con lo sguardo. << Togli il piede. >>
<< No >> rispose lei con tono di sfida. << E poi ho fatto la doccia e mi sono messa dei calzini puliti. Fai poco lo schizzinoso. >> 
Un attimo dopo il ragazzo le aveva agguantato la caviglia e gliela teneva sollevata. 
Gea mosse le dita del piede con ironica sensualità e rise divertita. << Vuoi dare un bacetto al mio piedino profumato? Guarda quant'è affascinante. >> 
Il giovane le spintonò via la caviglia con una smorfia schifata. << Mi dà il voltastomaco. >> 
La ragazza si portò una mano sul cuore con un'espressione teatralmente sconvolta. << Oh mio Dio. Non voglio credere che tu l'abbia detto. >> Si alzò dal divano e lo guardò scherzosamente torva. << Io e il mio piede non possiamo accettare un simile spregio. Ce ne andiamo >> sentenziò partendo per la camera col mento sollevato per l'offesa. 
Mentre attraversava il corridoio ruotò un attimo il capo. << A mai più >> disse annuendo decisa. 
Quando riprese a guardare davanti a sé per poco non le venne un colpo. Deimos era lì, sul suo tragitto verso l'altra stanza, con un mezzo sorriso insidioso stampato sulle labbra. << Dove pensi di andare? Devi pulire. >> 
Gea esplose in una risata sardonica. << Scordatelo. Piuttosto tu... >> Iniziò a punzecchiarlo con l'indice sul petto. << Devi ancora rispondere, ricordi? >>
Il giovane le avvolse saldamente il polso per porre fine quel fastidioso picchettamento. E intanto non le staccava gli occhi di dosso che, nella penombra del corridoio, parevano due zaffiri grezzi in una cava buia. << Cosa vuoi che m'importi di quell'umana? >> le disse assieme ad un tono basso e ruvido. 
Il battito cardiaco della ragazza accelerò mentre le guance le si tingevano di rosa. 
Il sollievo per quella risposta le fece sentire le gambe di gelatina e la mente leggera. Percepì distintamente quel peso trasformarsi in polvere e volar via dal suo cuore. 
Avanzò di un piccolo passo e si morse piano un labbro. 
<< Ti importa di qualcuno? >> gli domandò sottovoce, intanto che pian piano, con flemma, si alzava sulle punte. 
Deimos le strinse di più il polso, poi guidò l'altra mano verso un suo fianco scoperto e ci affondò le dita. << Di me stesso. >> 
Sulle labbra della ragazza spuntò un sorriso. Sapeva che avrebbe risposto in quel modo. Un qualsiasi altro responso le sarebbe suonato come un accordo stridente. Non sarebbe stato da lui, dalla persona ruvida di cui si era innamorata. 
<< Come sospettavo >> sussurrò prima di far incontrare le labbra con le sue. 
Gli diede un bacio casto, delicato, senza pretese. Appoggiò lievemente la bocca su quella del ragazzo per qualche secondo, poi si ritrasse piano. 
E fu proprio nell'istante in cui le sue gemme ambrate entrarono in contatto visivo con gli zaffiri di Deimos che qualcosa scoccò nella bolla d'aria che li ammantava. 
Si mossero quasi nella stessa frazione di secondo. 
Lui la spinse freneticamente contro una parete e lei gli cinse il collo mentre i loro respiri si incrociavano e le loro bocche si scontravano. 
Deimos le tolse subito la maglietta e la gettò da qualche parte alla rinfusa. 
Era tutta la sera, da quando le aveva visto indosso quel capo che aveva scelto lui stesso, che non riusciva a pensare ad altro che a toglierglielo. 
La verità era che gli piaceva, gli piaceva da morire il modo in cui le stava.
Gea gli strattonò il colletto della t-shirt e lo costrinse a staccarsi dalle sue labbra per sfilargli la maglietta. Senza perdere altro tempo, Deimos si piegò su di lei e cominciò a costellarle il collo di baci appassionati, rabbrividendo man mano che la sentiva sospirare di piacere. 
Le passò le mani sotto le gambe con urgenza e la issò da terra per trasportarla nella camera da letto. 
<< Se mi lanci ti picchio >> gli sussurrò Gea all'orecchio, il fiato spezzato.
Deimos sorrise mordace prima di compiere esattamente ciò che lei gli aveva imposto di non fare. 
La osservò, sentendosi irrimediabilmente attratto da tutto ciò su cui posava lo sguardo, e provò divertimento per il modo truce in cui lo stava guardando. 
<< Vuoi provare ad essere tu quello lanciato? >> gli domandò Gea scendendo di volata dal letto. << Guarda com'è divertente, soprattutto dopo aver mangiato >> disse piantandosi davanti a lui. 
<< Non riusciresti a spostarmi di un millimetro >> le fece presente il ragazzo. 
Gea si sgranchì le dita e stiracchiò le braccia, poi lo guardò di sottecchi con un che di provocatorio. << Ho i miei trucchetti, caro. >> 
Le labbra di Deimos si stirarono in un mezzo sorriso compiaciuto. Un attimo prima che lei gli sfiorasse l'addome per liberare un piccola scossa, lui le ghermì il polso, la fece ruotare tanto veloce da disorientarla e le bloccò la schiena contro il suo petto. 
Con l'avambraccio destro la teneva stretta a sé. << Hai perso anche stavolta >> le bisbigliò rauco all'orecchio. Poi le morse il lobo e intraprese un tragitto lungo la linea del suo collo con le labbra. 
Il cuore della giovane picchiava contro al petto al ritmo sostenuto di un tamburo. Ma non era solo per il modo in cui la stava baciando o per il fatto che fossero praticamente incollati l'uno all'altra. C'era qualcosa di diverso. Qualcosa di diverso in lui
Aveva sempre i suoi modi bruti e grezzi, ma le sembrava che giocasse di più con lei, che fosse più partecipe allo scherzo, che fosse pure più attento al modo in cui la toccava.  
Sembrò quasi che le avesse letto nel pensiero, perché subito dopo le scostò i capelli dal collo col tocco leggero di due dita.
Gea chiuse gli occhi mentre un brivido caldo le solcava la schiena. << Deimos >> mormorò a fior di labbra. 
<< Mm? >> La bocca del ragazzo indugiò su un lato della sua mandibola mentre la osservava tra le ciglia.
Lei si morse un labbro e sollevò le palpebre pesanti. Sentiva lo stomaco mandarle stilettate di piacevole dolore e la mente tanto leggera da darle l'impressione di poter essere più audace. 
E così, mentre ruotava il viso per cercare gli occhi del giovane, scavò dentro se stessa per trovare coraggio. Deglutì un bolo d'ansia e adrenalina di fronte a quegli zaffiri torbidi capaci di farle aggrovigliare lo stomaco e d'inghiottirla in un vortice di emozioni. 
<< Voglio baciarti >> gettò fuori con un filo di voce, il cuore in folle corsa. 
Nello sguardo di Deimos saettò un lampo di eccitazione accompagnato alla sorpresa. 
Indebolì la presa dell'avambraccio sulla sua pancia e le permise di voltarsi faccia a faccia, coi petti che si sfioravano per il fiato corto.  
Gea lo guardò con imbarazzo mal celato. 
Le sembrava quasi impossibile aver ammesso quel desiderio che le bruciava dentro. 
In quel momento avrebbe voluto essere tanto più audace da confessargli anche quel che provava nei suoi confronti, ma il timore di essere respinta e cadere in pezzi la fece desistere. E così si tuffò sulle sue labbra per esprimerglielo coi gesti, per trasmettergli quel sentimento attraverso una muta dichiarazione d'amore.
Avrebbe voluto interpretare l'ardore con cui lui la stava contraccambiando come una forte risposta al suo sentimento, ma sapeva che per quello avrebbe solo dovuto sperare e, forse, aspettare. 
Deimos la trasportò sul letto, stavolta senza lanciarla, ma solo spingendola a sedere e poi distesa. 
Le slacciò in fretta il reggiseno e tanto più velocemente le sfilò ciò che le restava addosso, per poi seguirla in quella svestizione e ricoprirla col suo corpo. 
E mentre le loro membra si fondevano come un perfetto accordo dove una nota sparisce nell'altra, mentre i loro respiri divenivano un unico alito, mentre i loro cuori battevano i tempi della stessa armonia, mentre la terra vibrava e l'elettricità abbandonava la casa, i loro occhi si fusero in uno sguardo liquido e tanto intimo da renderli inconsapevolmente complici di un legame più profondo di quello fisico. 
Quando il culmine passò, Deimos si abbandonò su di lei sorreggendosi sui gomiti. Seppellì il viso nell'incavo del suo collo per riprendere fiato e ne inalò il profumo dolce della pelle. 
Il suo era l'unico profumo che ricordasse. Non era mai esistito un odore buono, che gli smuovesse ricordi quieti o sensazioni di piacere, nella sua vita.  
Quando Gea prese a passargli le dita calde tra i capelli e ad accarezzargli la linea della spina dorsale, chiuse gli occhi. 
Non ci volle molto perché dentro di lui insorgesse la stessa battaglia che prendeva campo ogni qual volta il dovere entrava in conflitto col suo volere. E non ci volle molto perché il piacere di quel momento gli fosse strappato via. 
Avrebbe voluto odiarla per il caos che gli portava dentro, ma più provava a respingerla e più aveva voglia di cercarla. 
Contrasse la mascella mentre i suoi muscoli divenivano tesi e duri.
Gea percepì quel cambiamento sotto le dita.  Allontanò la mano di scatto per timore che di lì a poco lui scappasse da quel contatto. << La smetto, ok? >> disse piano, con tono morbido. << Ma tu non te ne andare. Non mi lasciare sola, per favore >> sussurrò.
Deimos sospirò forte dal naso e tirò su il capo per scrutare il suo sguardo ambrato. 
Ci lesse una supplica vera, come se ogni pagliuzza dorata di quelle iridi gli stesse chiedendo di restare. 
Le sue mandibole si strinsero ancora più forte. 
Si staccò in fretta dal corpo di lei e rotolò giù dal letto, ma prima che il dovere lo conducesse lontano, il suo volere assunse il comando delle sue proprie azioni. 
Dal ripiano del comò afferrò la lunga maglietta che la ragazza si era portata come pigiama e gliela lanciò. 
Poi, sotto lo sguardo sorridente di Gea, si infilò i boxer e tornò sui passi del letto.
Si distese senza degnarla di un'occhiata, sistemò le braccia dietro la testa ed incastrò l'impenetrabile sguardo sul soffitto. 
La ragazza si posizionò su un fianco e lo osservò per qualche minuto con un tenue sorriso sulle labbra. 
Era tornato da lei, ancora una volta non era fuggito. 
Avrebbe voluto allungare una mano e accarezzargli la fronte, ma sapeva che proprio in quel modo avrebbe finito con l'allontanarlo.
Dopotutto lui non era abituato a quelle manifestazioni d'affetto, era quasi certa che le reputasse da deboli. Ed era proprio quella, la debolezza, che lui non riusciva a concepire.  
Le palpebre le calarono dal sonno, ma si sforzò di tenere gli occhi aperti per poterlo ammirare un altro po'. Poi, senza rendersene conto, cedette alla stanchezza, si addormentò con l'espressione innocente di una bambina che ha ricevuto il regalo dei suoi sogni. 
Fu solo a quel punto che Deimos la guardò. Sondò ogni dettaglio della sua figura, a partire dalle sue gambe scoperte a quella maglietta troppo grande che la faceva sembrare più piccola e fragile, per poi concentrarsi su un ciuffo di capelli che le scivolava sulla guancia, sulle sue labbra dischiuse e rosee, sulla posizione delle mani, una sotto e l'altra sopra al cuscino. 
Più di ogni altra cosa avrebbe voluto odiarla. Avrebbe voluto togliersela dagli occhi e lasciarla alla mercé di chi le dava la caccia. Avrebbe voluto sentirsi odiato e non essere guardato con bontà. 
Avrebbe voluto, avrebbe voluto eppure al tempo stesso non voleva. 
Sei stato educato in un modo, ma questo non preclude il fatto che tu possa cambiare. 
Quelle parole pronunciate in passato dalla ragazza gli risuonarono nelle orecchie come un'eco. 
Girò di scatto la testa e tornò con gli zaffiri, adesso più taglienti, sul soffitto. 
La sua vista fu annebbiata dai ricordi. Ricordi di suo padre: un uomo avido del proprio potere, fautore di una maniacale disciplina, rivestito di una corazza tanto spessa da renderlo vuoto. 
Contrasse i muscoli come sotto sforzo mentre ripercorreva con la memoria gli allenamenti sfinenti a cui si era sottoposto. Risentì il puzzo di bruciato, rivide il fumo che si stirava come un serpente verso il cielo, percepì la pelle arsa da gocce di pioggia incandescente, ascoltò il rombo delle rocce che venivano distrutte per evolvere in armi aguzze, riassaggiò il sapore ferroso del sangue che gli riempiva la bocca, rivide quel colore vermiglio mascherargli la faccia e oscurargli la vista.
E poi ricordò le urla di terrore che si erano alzate al cielo per merito suo. Ricordò gli occhi di chi lo aveva guardato implorante, lo strazio di chi gli aveva chiesto pietà con gesti disperati, artigliandosi la gola e sfiorandogli le scarpe con dita tremanti. 
Strinse talmente forte i denti da risentire il sapore del sangue sulla lingua.
Si alzò da letto e raggiunse lo specchio del bagno. Artigliò i bordi del lavandino e alzò il capo per scontrarsi col proprio riflesso.  
I suoi occhi cobalto gli restituirono lo sguardo di suo padre, lo sguardo di un mostro: freddo, spietato, bestiale, dannato.
Sviò da quella vista con una rotazione secca del capo. E fu allora che i suoi zaffiri caddero di nuovo su Gea. 
Perché era lei che aveva riportato a galla quel frammento del suo trascorso, sotterrato da una coltre di impietosa indifferenza. Era per colpa sua che sentiva quel peso opprimergli lo sterno come la lama di un boia. Era lei la causa di quel seccante senso di condanna che lo faceva quasi sentire in fallo. 
Sei stato educato in un modo, ma questo non preclude il fatto che tu possa cambiare. 
Le mani gli si strinsero a pugno mentre nella sua mente quelle parole si accavallavano alle urla di un passato che lei non conosceva. 
Alla velocità di un battito di ciglia schiantò un pugno contro lo specchio e lo mandò in pezzi. 
Lui non poteva cambiare. 
Chi era maledetto non cambiava. 
Chi era maledetto, restava maledetto.     





































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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

 

 

 

 

Gea si svegliò di soprassalto.

D'istinto piombò con gli occhi sulla porta aperta del bagno, il cuore che batteva forte per lo spavento.

Non ci trovò nessuno al suo interno, solo tante schegge di vetro che sembravano restituirle lo sguardo attraverso il riflesso. 

Si sollevò di scatto dal letto ed entrò con cautela per non tagliarsi con i cocci a terra. Fin da subito notò che la maggior parte di ciò che rimaneva dello specchio era contenuto dentro il lavandino, assieme a lunghe strisce di sangue.

Le gocce ambrate di Gea si sgranarono. Si precipitò d'impeto fuori dal bagno e accorse nel salotto. Accese la luce e ispezionò lo spazio che la circondava con febbrile celerità. 

Lui non c'era. 

Il respiro agitato le si mozzò in gola. 

Lui non c'era. 

Per un po' rimase ferma lì dov'era, restia a muoversi. 

Il naso le pizzicava e le lacrime le pungevano gli occhi.

Perché aveva sperato di non essere lasciata più sola. Aveva sperato che lui la smettesse di fuggire senza di lei. Aveva sperato che lui le permettesse di oltrepassare pian piano la sua corazza.

Aveva sperato di cambiarlo

A quel pensiero issò la testa, mentre una lacrima le scivolava sulla guancia. Nello sguardo una consapevolezza diversa. 

Aveva davvero sperato di cambiarlo? Era davvero quello che lei voleva?

Si ritrovò a scuotere debolmente il capo.

Come avrebbe potuto? Si era innamorata del ragazzo impenetrabile che aveva messo piede in casa sua la notte di un mese prima, aveva perso la testa per quel ragazzo dai taglienti occhi cobalto che l'aveva messa alla prova ogni giorno, imponendole di abbattere i muri che lei stessa aveva costruito attorno a sé. 

No, non voleva cambiarlo. Voleva solo fargli conoscere i valori che non aveva mai appreso. Sperava in quello, lei, di riuscire ad avvicinarsi al suo cuore giorno dopo giorno, passo dopo passo. 

Ma il fatto che lui non fosse lì, accanto a lei, le fece capire che per l'ennesima volta lui le aveva negato l'accesso.

La giovane emise un tremulo sospiro e camminò lenta fino al letto, si sedette con le gambe strette al petto e il mento appoggiato sulle braccia. 

Osservò la tenue oscurità della stanza mentre i pensieri le sciabordavano per la testa facendola sentire in alto mare, sballottolata tra un'onda e un'altra. 

Avrebbe voluto essere più forte, ed invece se ne stava lì: rannicchiata e con le guance rigate da calde lacrime. La bocca dischiusa per respirare e la vista appannata. 

Cercava di trovare un senso a quella nuova dipartita del ragazzo. Voleva trovarlo.

Le era sembrato che avessero raggiunto una complicità diversa, più da coppia. Eppure, come se il destino volesse puntualmente contraddirla, in quel momento le sembrava di essere tornata indietro nel tempo. 

Si asciugò le lacrime con il palmo delle mani e subito dopo tornò a stringersi in un abbraccio, come per volersi incoraggiare. 

Forse era stupida, troppo fiduciosa in un avvenire più roseo, ma non ce la faceva a lasciarlo. Vedeva in lui qualcosa che premeva per uscire e che ogni volta restava soffocato sotto una valanga di detriti, tanti dei quali lei non conosceva.

Vedeva in lui il buono che non gli era stato insegnato vedere. Ne vedeva la bellezza, come quella di un piccolo bocciolo ammaccato.

Tirò su col naso e si asciugò le guance con il dorso della mano, la mente che vorticava senza sosta.

E se in quel momento lui si fosse trovato in compagnia di qualche altra ragazza? 

Il solo pensiero le equivalse ad un pugno nello stomaco, le venne quasi da vomitare. 

Chiuse gli occhi ed espirò piano. 

Per tutta la notte non si mosse dal bozzolo che si era creata né si riaddormentò, sempre in allerta al minimo spostamento d'aria nella speranza che fosse Deimos. 

Ma ogni volta si ritrovò ad abbassare le spalle delusa. 

Alle prime luci dell'alba adagiò stancamente la testa sulle braccia e proiettò lo sguardo oltre la finestra, gli occhi che le bruciavano per il pianto e la notte insonne.

Cercò di concentrarsi sulle sfumature rossastre e arancioni che pennellavano il cielo, e fu così fin quando non avvertì un'asse del pavimento scricchiolare.

Con un movimento tanto rapido da farle vorticare la testa, posò le sue esauste pozze d'ambra sul viso del ragazzo. 

Il cuore le zompò nel petto per l'emozione. 

Deimos era lì, in piedi a qualche metro da lei, lo sguardo impenetrabile e la postura severa. 

Gea balzò dal letto e si precipitò da lui per esaminare i dettagli del suo volto e controllare che stesse bene. Senza pensarci allungò una mano sulla sua guancia e la sfiorò con premura. << Stai bene? >>

Quel gesto inaspettato stuzzicò il cuore del ragazzo, che reagì con un'impennata del battito cardiaco ed una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Il che gli fece contrarre la mascella e tendere i muscoli.

Si scostò di scatto sia da quel tocco caldo che da quei grandi occhi che gli confondevano i pensieri.

<< Dobbiamo andare. Preparati >> comandò spiccio. 

Gea lo afferrò per la mano prima che lui si incamminasse nel salotto, cercando invano un contatto visivo. << Tu stai bene? >>

<< Sbrigati >> rispose duro, scrollandosi le sue dita di dosso.

Gea chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie nel tentativo di snellire un po' della tensione che le schiacciava il petto.

Inspirò a pieni polmoni per farsi forza e si rifugiò sotto la doccia. 

Circa mezz'ora dopo erano in macchina, con un pesante silenzio a fare da protagonista. 

Deimos non aveva proferito una parola neanche per sbaglio, si limitava a guidare e a non guardarla. Gea, invece, non faceva che ispezionare un millimetro dopo l'altro della sua figura.

Così alla fine si decise a buttare giù quell'incomprensibile muro che si era eretto tra loro.

<< Mi dici cosa ti è preso? Perché mi stai ignorando? >> gli chiese piegandosi in avanti per guardarlo in viso. << Sei scomparso nel bel mezzo della notte e ti sei rifatto vivo senza uno straccio di parola. >> 

Deimos tacque per un po'. << Quel che faccio sono affari miei. Non devo darti spiegazioni >> asserì telegrafico.

<< Questo è quello che credi tu >> ribatté Gea irritata. << Mi stai ignorando da un'ora e credi davvero di non dovermi spiegazioni? Si può sapere cosa ti ho fatto? >> 

Il giovane indurì lo sguardo. 

Avrebbe voluto sapere anche lui cosa gli stava facendo quella ragazza. Avrebbe voluto sapere perché diamine non riusciva a odiarla e a togliersela dalla vista una volta per tutte.

Detestava profondamente il modo in cui lei, inconsapevolmente, era riuscita a dissotterrare un ricordo che in quel momento gli gravava sul collo come una spada.

Come se lui avesse dovuto rendere conto a qualcuno delle sue azioni. Quel senso del dovere che non si era mai affacciato alla porta della sua etica. Quel disgustoso senso di colpevolezza che provava quando guardava quell'umana negli occhi. 

<< Deimos? >> lo richiamò lei piano appena vide le sue nocche destre ricoperte di tagli e sangue incrostato. Le ritornarono alla mente i cocci di vetro e le strisce di sangue nel lavandino. 

<< Dimmi qualcosa, ti prego >> aggiunse con tono dolce.

Non ottenne risposta, in compenso il ragazzo svoltò su una stretta strada deserta che segnava il confine di una proprietà agricola. 

Procedette per qualche metro sul suolo sconnesso, finché non intravide la sagoma di una ragazza dai corti capelli sbarazzini che giocherellava col cellulare. 

Gea si voltò con un sospiro, delusa e seccata dal silenzio di lui. Poi, con un cenno della mano ed un sorriso, salutò Ninlil attraverso il finestrino.

Era il giorno dell'allenamento. Qualche giorno addietro avevano stipulato un duplice accordo che prevedeva lo scambio di informazioni su acqua e fuoco e il reciproco aiuto ad affinare le rispettive capacità. 

<< Sembri stanca, Gea >> esordì l'incarnante dell'aria appena vide la sua amica scendere di macchina. << E hai gli occhi gonfi >> proseguì indagatrice. 

Gli zaffiri di Deimos corsero al viso della giovane dai lunghi capelli dorati. 

Solo in quel momento si rese conto delle sue palpebre gonfie e rosse, della luce spenta nei suoi occhi e della generale stanchezza che emergeva da ogni suo movimento. 

La vide arricciare il naso e aprirsi in un piccolo sorriso. << Ho dormito un po' male, niente di che. >> 

Ninlil le accarezzò una guancia e le sorrise. << Quando vuoi, lo sai. >> 

Gea annuì riconoscente. Aveva capito che con quelle poche parole la stava invitando a confidarsi con lei ogni qual volta ne avesse avuto bisogno. 

Ed era bello per lei sapere di avere una spalla su cui appoggiarsi in caso di necessità. 

<< Sbrighiamoci >> s'intromise Deimos, ferreo. Dopodiché colmò lo spazio che lo separava dalle ragazze e scomparvero. 

 

 

 

 

 

                                             *  *  *

 

 

 

 

 

Il terreno era umido, l'aria pesante e satura. 

Una goccia di sudore di Gea scivolò sul suolo mescolandosi alla pioggia.

Ninlil, a breve distanza da lei, era piegata sulle ginocchia per riprendere fiato.  << Ce la fai? >> chiese all'amica. 

La giovane dai lunghi capelli dorati, adesso bagnati e incollati alla schiena, annuì e si issò in piedi. 

Era stremata, muovere anche un solo passo le costava una fatica disumana, ma sapeva di dover resistere. Non c'era spazio per la rinuncia. 

La pioggia cadeva implacabile sui loro corpi, appesantendone i movimenti. 

Ninlil prese a muovere le mani come se volesse riprodurre l'andamento di una ruota. Piano piano si erse una palla d'aria che, per via della sua rapida rotazione, risucchiava l'acqua che pioveva. Proprio come un mulino, la pioggia navigava veloce sulla superficie della sfera, per poi essere scagliata con violenza fino a parecchi metri di distanza.

A Gea arrivarono degli schizzi sul viso che le spezzarono il respiro. Le sembrava che degli spilli le si fossero appena conficcati nella faccia.  

Chiuse gli occhi e si piegò su se stessa per proteggersi da quei dardi d'acqua. Mosse due dita con leggerezza, subito dal suolo si innalzò un muro di pietra che la nascose dagli schizzi e la aiutò a riprendere fiato. 

Era così stanca che le idee cominciavano a scarseggiarle. Faticava a connettere i pensieri e a ragionare su una strategia. 

Il solido muro che aveva generato si frantumò di schianto. Gea ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi prima che una cascata di detriti le piombasse addosso sospinta dalla forza del vento e dalla violenza dell'acqua. 

Un sasso le colpì una tempia, facendole annebbiare la vista. Altri le ricaddero sulle gambe, sulle braccia e dintorno. Ma per quanto il dolore fosse concentrato in ogni punto del suo corpo, era la tempia quella che le faceva persino venire la nausea dallo spasimo.

Deimos rimase immobile, le braccia conserte sul petto e i capelli bagnati appiccicati alla fronte. In quello scenario burrascoso i suoi occhi cobalto spiccavano come quelli di un felino a caccia. 

Era deciso a non muoversi, sebbene i suoi muscoli fossero talmente tesi da sembrare sul punto di scattare. Continuava a fissare la ragazza distesa a terra in attesa che si alzasse, ma più trascorrevano i secondi e più lei restava lì dov'era. 

Avrebbe dovuto sperare che non si rimettesse in piedi, così avrebbe smesso di provare quell'indesiderato senso di condanna. Con lei se ne sarebbe andato via tutto, ogni cosa sarebbe tornata sotto il suo controllo. 

Niente più...

<< Deimos. >> Il debole sussurro del suo nome gli inondò le orecchie. 

Non trascorse neanche un secondo prima che lui si teletrasportasse accanto al corpo riverso della giovane. 

Si piegò sui talloni e inclinò la testa per esaminare il volto di Gea. Ninlil le stava delicatamente spostando una ciocca di capelli dalla bocca per darle modo di respirare meglio. 

L'incarnante della terra intanto se ne stava con gli occhi socchiusi, il respiro affannato e la fronte contratta per il dolore. 

Deimos osservò la striscia di sangue vivo che le ricopriva tutto un lato del viso. I capelli sulla tempia sinistra le si erano impregnati di sangue, così glieli fece rapidamente scivolare all'indietro per rivelare una brutta ferita sporca di terriccio. 

Indurì la mascella a quella vista. 

Un istante dopo si trovavano tutti e tre nei pressi dell'auto, sotto il caldo sole del pomeriggio. Lo sbalzo climatico fece rabbrividire Gea, che si rannicchiò sulla tenera erba in posizione fetale. 

Ninlil cercò lo sguardo di Deimos, che però era troppo concentrato sul l'incarnante della terra per poterla degnare.<< Vado a prendere del disinfettante e qualche garza >> disse agitata. Fece una carezza alla testa di Gea e le sorrise. << Torno subito. Resisti. >>

La giovane dai lunghi capelli dorati aprì appena gli occhi. << Deimos? >> chiamò flebile. 

<< Sono qua >> rispose lui, fissandola. 

<< Mi si è rotta in due la testa? >> 

A Deimos spuntò un mezzo sorriso. << Purtroppo no. >> 

<< Menomale >> disse lei con un lento sospiro, per poi riabbassare pesantemente le palpebre. 

Il ragazzo sollevò i suoi zaffiri sull'elemento dell'aria, riapparsa proprio in quel momento con svariate confezioni tra le mani. 

<< Sono tornata Gea, adesso ripuliamo questa brutta ferita. >> La vide stappare frettolosamente il disinfettante e munirsi di batuffoli di cotone. 

La sua memoria scattò a ritroso come un elastico.

Ricordò quando, tempo addietro, la ragazza dai grandi occhi d'ambra si era impuntata per sterilizzargli un taglio che gli aveva procurato durante un loro combattimento. Ricordò il suo viso concentrato, la sua espressione colpevole e la strana sensazione che aveva provato nel vedere qualcuno che spontaneamente faceva qualcosa per lui. 

<< Trattieni il respiro, brucerà molto >> le consigliò Ninlil. 

Appena le versò una generosa dose di liquido disinfettante sulla ferita, le labbra di Gea tremarono per lo spasimo. 

D'istinto allungò una mano per stringerla attorno a quella di qualcuno. Malgrado il dolore, il cuore le batte più forte quando si rese conto di aver afferrato quella di Deimos. 

E lui non mosse un dito. Non girò il palmo per farlo combaciare con quello di lei, non avvolse le sue dita fredde per infonderle coraggio, non gli passò neanche per la mente, ma comunque non si ritrasse. 

Ninlil, che le stava portando via il sangue col cotone, li guardò da sotto le ciglia con un piccolo sorriso sulle labbra. 

Sebbene lo sguardo di lui fosse impassibile, come se il tenero gesto della ragazza non lo avesse toccato, l'incarnante dell'aria era più che sicura che se le stava permettendo tanto era perché neanche lui poteva farne a meno.

Conosceva poco quel giovane dai taglienti occhi zaffiro, ma osservandolo aveva imparato che non faceva mai nulla per dovere nei confronti degli altri. Non gli importava di essere benvoluto o piacere, quindi ne dedusse che quando permetteva alla ragazza distesa accanto a lui di stringergli il dorso della mano, era perché lo voleva. 

<< Ho quasi finito, Gea >> disse lei, riponendo il disinfettante. Aprì una garza e gliela fece aderire alla tempia, poi la avvolse con una benda per tenerla ferma. << È una medicazione improvvisata, credo che dovresti andare all'ospedale. Probabilmente ti metterebbero dei punti >> aggiunse accarezzandole i capelli. << Mi dispiace tanto. >>

Gea rilassò le spalle, il bruciore stava pian piano scemando. Sollevò stancamente le palpebre e cercò Ninlil con l'altra mano. << Grazie >> disse con un lieve sorriso. << Davvero. >> 

L'incarnante dell'aria sorrise e raggiunse le dita dell'amica per stringerle. << Tornerò a trovarti presto. Adesso devo andare, mia nonna si starà chiedendo che fine ho fatto. Tu riposa, d'accordo? >> 

Gea annuì, grata. << Ti aspetterò. >> 

Immediatamente dopo le sue dita rimasero sospese nel vuoto. Ninlil si era volatilizzata. 

<< Diamoci una mossa >> esordì Deimos, severo. Fece passare una mano sotto il collo della giovane e l'altra sotto le sue ginocchia, così se la caricò tra le braccia per trasportarla alla macchina. 

Il cuore prese a batterle a ritmo sostenuto. Rannicchiata com'era al petto caldo di lui, le sembrava quasi di non sentire più dolore, come se il suo punto alfa si trovasse tra quelle solide . 

<< Apri lo sportello >> le ordinò. 

Gea girò piano la testa ed allungò faticosamente una mano. Dovette usare tutta la sua forza per tirare la maniglia, come se quella pesasse qualche tonnellata. 

Deimos l'adagiò nell'auto con una delicatezza che poche volte gli era appartenuta, e quelle poche volte erano state tutte per la ragazza che aveva di fronte. 

Nel momento in cui si piegò su di lei per reclinarle il sedile, i loro occhi si incontrarono. 

Il freddo blu degli zaffiri di lui si legò alla calda ambra delle gemme di lei.

A Gea sembrò essere trascorsa un'eternità dall'ultima volta in cui i loro sguardi si erano saldati insieme. Dall'inizio della giornata, quello era il primo momento in cui lui non si ritraeva da un contatto visivo.

Ed era così bello poterlo guardare di nuovo in quegli occhi. Era così bello lui. 

Proprio in quell'istante, una goccia d'acqua fresca planò dai capelli di Deimos su una sua guancia. 

Gli occhi del ragazzo seguirono il lento percorso di quella goccia fino alla bocca di lei. Osservarono le sue labbra screpolate e secche, e poi le escoriazioni sul suo mento, i graffi sullo zigomo destro, alcuni ciuffi bagnati incollati al suo esile collo. 

E poi, prima che il suo cervello registrasse l'evento, il suo cuore accelerò i battiti. Perché le dita di lei gli stavano sfiorando la fronte. Con la punta dei polpastrelli gli stava scostando i capelli per scoprirgli il viso. E intanto le sue socchiuse gemme ambrate lo osservavano con una calda luce ed un sorriso sulla bocca.

<< Lo sai che sei bello? >> gli bisbigliò, la voce impastata. 

Uno strano dolore lo colpì allo stomaco. Una specie di fitta capace di scombussolarlo, come se gli avessero appena stritolato qualcosa dentro. Ma non era una sensazione brutta, era solo strana, inconsueta, senza forma.

La vide chiudere gli occhi e poco dopo sentì venir meno il tepore delle sue dita. << Sì, bello >> aggiunse rannicchiandosi sul sedile. 

Restò con gli zaffiri su di lei finché non si addormentò, poi si ritrasse e si tirò su dritto. 

Appoggiò le braccia sulla lamiera della macchina, la testa contro gli avambracci e incatenò di nuovo gli occhi alla ragazza che dormiva tranquilla sotto di lui. 

Era la prima volta che si sentiva rivolgere un complimento. Ogni stupida volta che aveva provato qualcosa di diverso era stato con lei. 

Come se lei stessa fosse la prima volta

La sua prima volta. 

Si chiedeva perché non riuscisse semplicemente a lasciarla lì. Ci aveva provato anche quella notte, e poi era tornato a prenderla. 

Che razza di potere era capace di esercitare su di lui? 

Si era permessa di mettere in subbuglio la sua mente, di fargli quasi provare rimorso per un passato che lo vedeva capace di cose di cui lei non era a conoscenza. 

Ed era questo che odiava. 

Lui non provava rimorso, lui non si faceva scrupoli.

Lui agiva per interesse, senza se e senza ma.

Lui era come suo padre. 

Contrasse i muscoli ed inspirò profondamente, gli occhi chiusi e centinaia di ricordi dietro le palpebre.

<< Deimos. >> Riaprì subito gli occhi a quel rantolo sommesso scappato alle labbra della ragazza. 

Per qualche secondo si limitò ad osservarla, la mente libera come un foglio bianco. 

Appariva ancora più piccola e fragile con quella benda intorno alla testa, i vestiti sgualciti e sporchi e i tanti graffi sulle braccia e sul viso.

Senza accorgersene, man mano che la guardava, la generale tensione del suo corpo si sciolse. 

Chiuse lo sportello e si teletrasportò al lato del guidatore. Stese lo sguardo oltre il parabrezza, là dove il sole ammantava la terra e cercava di farsi spazio anche nei meandri più bui. Quella luce calda che sgomitava per raggiungere i punti che erano immersi nell'oscurità, come se non accettasse l'idea che il loro posto fosse nell'ombra. 

Guardò di nuovo Gea, il modo in cui il suo petto si abbassava lentamente ad ogni respiro, le sue labbra dischiuse, la sua pelle morbida ed escoriata. 

Poi mise in moto. Si allontanò da quella terra calda e vitale, da quei raggi del sole che lottavano per portare luce nel buio. 

Rientrò nell'ombra.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

Capitolo 7





Quando Gea si risvegliò il sole era già stato sepolto dietro una vasta montagna. Le stelle brillavano come diamanti incastonati in una tela e l'aria era leggera e fresca mentre le accarezzava il viso. 
I suoi occhi si ritrovarono a guardare fuori dalla vetrata accanto al divano su cui era adagiata. 
Pensò di essere morta quando il suo sguardo si allungò sull'immensa distesa di pini, abeti, rocce e fiumi sotto di lei. Era chiusa in una casa, eppure le sembrava di aver scalato un'intera montagna per godere di quello spettacolo mozzafiato. 
Il blu del cielo, con i suoi mille sfavillii, incorniciava uno scenario fatto di natura incontaminata, essenze pure e vita. 
Era uno dei posti più belli che avesse mai avuto il privilegio di vedere. Ed era lì, praticamente sotto i suoi piedi. 
Ruotò gli occhi per studiare lo spazio circostante.
L'unica luce della stanza proveniva da un grande camino in pietra, al cui interno scoppiettavano scintille di vivido fuoco e dove la legna si depositava in cenere.
Il pavimento era in legno, il soffitto a travi e spiovente, e le pareti bianche come lenzuola. Non era un ambiente grande, ma così accogliente e caldo da farle desiderare di non abbandonare più quel posto. 
In tutto questo, cercò Deimos con lo sguardo. Si alzò lentamente dal morbido divano, accusando un momentaneo capogiro, ed ispezionò la piccola baita in cui si trovava. 
Per ultimo salì le scale e si fece strada attraverso una porta socchiusa.
Quando l'aprì rimase senza fiato.
Era la camera da letto più bella che avesse mai visto, ma non per la mobilia, quella era semplice e nel rustico stile di tutta la casa. Era l'enorme vetrata davanti al letto che lasciava a bocca aperta. 
Da lì si poteva godere di una vista aerea su tutta la valle. 
A Gea sembrò di essere su un parapendio e di star facendo una passeggiata nel cielo. Volava con gli occhi in mezzo alle stelle, e poi giù in picchiata tra le insenature delle montagne, e di nuovo su a sfiorare le cime pungenti degli alberi.
Sentiva il battito della terra scandire il tempo assieme al suo. Intrecciati come i fili del disegno attorno al suo ombelico. 
Quando udì la porta d'ingresso sbattere, sbarrò un attimo gli occhi per lo spavento. Poi, al pensiero che si trattasse del ragazzo, si precipitò fulminea giù per le scale.
Se avesse osservato per un altro po' oltre la vetrata, si sarebbe resa conto di come le sue emozioni influissero sullo scenario naturale sottostante. Gli alberi si muovevano tutti secondo lo stesso movimento, come onde di un mare verde e frusciante.
Gea arrestò il passo sul penultimo gradino, le gemme ambrate fisse negli zaffiri di lui.
<< Ciao >> gli disse, il cuore in tumulto.
Avrebbe voluto colmare la distanza che li separava e abbracciarlo, ma si trattenne. 
Se ripensava a quando, invece, avrebbe voluto colmare quella stessa distanza solo per colpirlo con violenza, le scappava un sorriso. 
Deimos rimarcò il viso di lei attraverso un rapido quanto attento sguardo. Le rivolse solo un secco cenno del capo, dopodiché avanzò in direzione del salotto.
Gea aggrottò la fronte. 
Di certo non si aspettava che lui la inondasse di parole o che corresse a stringerla tra le braccia, ma neanche quella totale indifferenza. 
Cercò di non darci troppo peso e lo seguì a ruota. 
<< È un posto bellissimo >> gli disse indicando il paesaggio oltre la finestra. << Dove siamo di preciso? >> 
<< Deer Valley >> rispose laconico, entrando in cucina. 
La ragazza lo pedinò anche stavolta. Si appoggiò coi palmi al bancone al centro della stanza e si dondolò sui talloni mentre lui si riempiva un bicchiere d'acqua dal rubinetto. 
<< Anche la casa è molto bella >> continuò per colmare il pesante silenzio. << C'eri già stato? >> 
Deimos si voltò a guardarla. << Una volta. >> 
Lei annuì mentre tamburellava le dita sul pianale. Non capiva il perché di quel suo atteggiamento tanto scostante. Era dal giorno prima, da quando si era ripresentato all'alba, che le rivolgeva a malapena la parola ed evitava i suoi sguardi. 
In cosa aveva sbagliato? 
Aveva creduto che dopo l'allenamento le cose avrebbero ripreso la solita piega, invece, se possibile, erano persino peggiorate. 
Il ragazzo piantò gli occhi sulle sue dita che picchiettavano contro il bancone, infastidito. << Smettila. >>
<< Mi spieghi cosa ti succede? >> gli domandò, ignorando la sua richiesta. << Cosa ti ho fatto per meritarmi tanta indifferenza? >> 
Lui sollevò un sopracciglio. << Ti aspetti un trattamento diverso solo perché abbiamo condiviso il letto? >> 
Gea tirò indietro la testa senza fiato. Il modo affilato con cui le aveva rifilato quelle sprezzanti parole le trinciò il cuore a metà. 
Le fece più male di qualsiasi altro colpo le fosse stato inferto. 
Sentiva lo stomaco sconquassato, le gambe pesanti e la mente appannata dal caos.
Non poteva credere che stesse succedendo per davvero. E soprattutto in modo tanto repentino. 
Strinse gli occhi e scosse debolmente la testa, non comprendendo la brutale freddezza degli zaffiri che la fissavano. Possibile che fossero tornati davvero indietro nel tempo? 
Sentiva che qualcosa non andava. 
Si passò due dita sulle tempie doloranti, di cui una ancora fasciata, e fece appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi sfuggire neanche una lacrima. << Che cosa ti è successo? >> insisté seria. 
<< Sono sempre lo stesso >> scandì lui, incrociando le braccia sul petto. << Smetti di voler vedere qualcosa di diverso. >> 
<< No, accidenti >> sbottò la ragazza, battendo una mano sul pianale. << Sei tu che devi smetterla di non vedere niente di buono in te. >>
Lo stomaco di Deimos ebbe una fitta. 
Buono. Un termine che non faceva parte del suo vocabolario e che non si sarebbe mai immaginato di sentirsi rivolgere. 
Qualcosa di buono in se stesso... Al solo pensiero gli venne la nausea.
<< La tua ingenuità è imbarazzante >> sputò riluttante.
<< Ah davvero? Eppure ti conosco abbastanza bene da sapere che il tuo atteggiamento è l'anticamera di qualcos'altro. >> Gea si sporse sul bancone, le gemme ambrate ridotte a due fessure. << Da cosa stai scappando, Deimos? >> 
Avvenne tutto in un battito di ciglia. 
Lui si teletrasportò ad un passo da lei; era così vicino che Gea poté sentire il suo respiro agitato sul viso. << Non sai niente di me. E ti conviene restarne fuori >> le intimò minaccioso, lo sguardo talmente affilato da darle quasi l'impressione di esserne graffiata.
Un sopracciglio di Gea scattò in alto. << Altrimenti? >> 
<< Basta >> marcò lui tra i denti. 
La ragazza retrocesse di un passo. << Deimos io non ho paura del tuo passato, e non ho paura di te. >> 
<< Perché credi che non sarei capace di fare le stesse cose? Credi che sia cambiato?  >> la schernì con un sorrisino maligno. << Svegliati, umana. >> 
<< Io non voglio cambiarti >> contrattaccò lei, seria. << E non vorrei che tu diventassi qualcun altro. >> 
Il ragazzo le studiò il volto in silenzio. Le sue pozze ambrate erano ardenti e severe, i suoi morbidi lineamenti tesi. Notò che un serie di graffi le coprivano un lato della mandibola.
<< Allora non provocarmi >> le disse tagliente. << Rispetta i tuoi confini. >>
Gea sgranò gli occhi in un lampo. << Rispettare i miei confini? Sei stato tu a trattarmi come uno zerbino per non si sa quale motivo. Ed io non dovrei permettermi di cercare una spiegazione? >> vociò su tutte le furie.
Il bicchiere nell'acquaio tremò assieme agli altri utensili della cucina, la luce sfarfallò per qualche secondo. 
<< Perché non provi ad essere sincero con te stesso per una dannata volta? >> sbottò da ultimo. 
Nel momento in cui picchiò una mano sul pianale, il boato di un tuono si propagò per la silenziosa valle. 
Deimos strinse la mandibola talmente forte da rischiare di farsi saltare un dente, i suoi zaffiri sprizzavano lampi di rabbia. << Non provocarmi >> ripeté lentamente. 
Gea lo ignorò. Era così arrabbiata da volerlo quasi prendere a schiaffi. << Te lo dico io da cosa stai scappando >> continuò imperterrita. << Da te stesso. È quello che fai sempre quando qualcosa sfugge al tuo controllo. Ma sei... >> 
<< Sta' zitta >> gridò lui, furioso. 
Gea sobbalzò per lo spavento. Non lo aveva mai sentito alzare la voce in quel modo. Avevano discusso tante volte, anche in maniera accesa, ma quella era la prima volta che esplodeva con una tale irruenza. 
Così diverso dai toni graffianti, calcolati e freddi con cui contrattaccava nei primi tempi in cui litigavano. 
<< Sono stanco di sentire le tue assurde supposizioni. Sono stanco di averti sempre tra i piedi >> eruppe lui. << Non hai minimamente idea di quanto ti detesti. >> 
La ragazza accusò ognuna di quelle stilettate con apparente imperturbabilità. 
Per quanto quelle parole le avessero scavato un solco nel cuore, frantumandolo, la rabbia che provava era superiore alla delusione. Voleva spingerlo a parlare, a fargli confessare il reale motivo per il quale aveva issato una corte di ferro tra loro. 
<< Sei stanco delle mie assurde supposizioni? Allora parla tu >> lo invitò con un gesto della mano. << Cosa ti frena? Hai detto di odiarmi, no? Sei libero di vomitarmi addosso tutto il tuo disprezzo. >>
I loro occhi si fusero in uno sguardo turbinoso. 
Gea rimase catturata dall'intensità felina dei suoi zaffiri.
Pensò che snodarsi tra quelle sfumature blu fosse come spingersi nelle profondità dell'oceano, là dove tutto è buio e indistinguibile. Ed una volta scesa era difficile sapere da che parte andare, ricostruire la corrente dei suoi pensieri. 
Ma sapeva che là, in quella fitta oscurità, si celava il suo passato. Un passato dal quale, era sicura, spesso cercava di fuggire. 
Leggeva quello sforzo nei suoi occhi pieni di rabbia e frustrazione, lo intuiva dalla posa rigida del suo corpo, lo esplicitavano i tagli sulle sue nocche. 
E mentre la mente le sciorinava pensieri, il ragazzo la stupì con la sua azione: le diede le spalle e mosse dei passi per allontanarsi.
Si sarebbe aspettata un altro urlo in faccia, un'altra minaccia, ma mai che battesse in ritirata. 
In quel momento capì quanto la questione per la quale stavano discutendo fosse per lui gravosa. Non sapeva di cosa si trattasse, ma il fatto che si ostinasse a tacere le fece capire quanto gli fosse difficile sputare il rospo. 
Gran parte della rabbia che provava si sgonfiò come un palloncino.
<< Tu pensi di non meritare niente di diverso da quello che hai avuto per tutta una vita >> gli disse, il tono fermo e pacato. 
Deimos si bloccò sul posto, le spalle rigide. 
<< E quindi scappi per riassumere il controllo, proprio come hai fatto due notti fa. Ma tu non sei un mostro >> concluse decisa.
Ciò che avvenne dopo si consumò nel fugace spazio tra due secondi. 
Il ragazzo ritornò rapidamente sui suoi passi, le si piazzò davanti e la chiuse tra il suo corpo ed il bancone, le mani artigliate al pianale per bloccarla. 
I suoi zaffiri lanciavano saette di rabbia. Erano così carichi di emozioni da essere la perfetta descrizione di un oceano rimestato dalla tempesta. << La vuoi sapere una verità davvero scomoda al tuo ragionamento? >> le ringhiò ad un centimetro dal viso. << Ho ucciso io il tuo predecessore. Sono stato io. Pensi ancora di conoscermi? Con quanta sicurezza adesso diresti che non sono un mostro? >>
A Gea mancò il pavimento sotto i piedi. Si sentì svenire, crollare come un corpo morto.
A tenerla in piedi furono solo i nervi, perché la mente le si era svuotata. 
Il cuore le batteva all'impazzata, le tempie le martellavano, i palmi le sudavano, lo stomaco le si stringeva come per intimarle di vomitare. 
L'unica cosa che il suo cervello continuava a ripetere era: non è vero, non sta succedendo davvero. È un incubo.
Il dolore che stava provando era devastante. Se l'avessero pugnalata dritta al cuore avrebbe sofferto meno, perché il pensiero che la persona che amava avesse stroncato la vita di un innocente era deleterio. 
Un innocente che aveva sentito familiare fin da subito e a cui lei doveva tanto. 
Le lacrime le riempirono gli occhi. 
Gli doveva quel potere enorme, gli doveva la voglia di vivere, gli doveva ogni goccia di sudore che aveva versato per scoprire se stessa, di cosa fosse capace, gli doveva tutto.  
Non poteva essere vero. Era troppo brutto perché lo fosse. 
<< Che... che dici? Non... >> Le mancò il fiato per continuare, perché nello sguardo in cui si stava specchiando lesse la spaventosa sincerità che non avrebbe mai voluto trovare. 
Non era una bugia. 
Lo stomaco le si compresse di nuovo. Nel terreno della vallata sottostante si spalancò una voragine.
<< Perché? >> chiese, le labbra che tremavano, il volto cianotico. << Perché l'hai fatto? >> Scavò nei suoi impenetrabili zaffiri con urgenza. << Perché, Deimos? >> Il suo tono si alzò di qualche ottava. << Perché?! >> gridò infine, scagliandosi contro il suo petto con dei pugni. 
A quel punto esplose a piangere in singhiozzi così forti da scuoterle le spalle. 
Deimos la sorresse per i gomiti mentre lei si lasciava scivolare a terra, l'espressione fredda. 
<< Perché? >> ripeté lei, coprendosi la fronte con i palmi, la testa appoggiata allo sportello contro cui era appoggiata e lo sguardo perso sul soffitto. << Era innocente. >> 
<< Era debole >> disse lui, seduto sui talloni davanti a lei.
A quel punto Gea atterrò con lo sguardo sul ragazzo. << Debole? >> Quella parola le sdrucciolò sulle labbra tremolanti, come se ripetendola potesse acquistare un significato diverso. << Tu gli hai tolto la vita perché secondo te era debole? >> 
Un singhiozzo le risalì dalla gola. 
<< Davvero, Deimos? Perché era debole? >> 
Il giovane si limitò ad osservarla mentre lei si passava le mani sul viso e veniva scossa da un singhiozzo dopo l'altro. 
<< Esiste qualcosa a cui dai valore?! >> scoppiò la ragazza, inforcandolo con i suoi occhi rossi e gonfi di lacrime. 
Per la prima volta, lo stomaco di Deimos si serrò in una morsa.
<< A cosa dai importanza, eh? Solo al tuo potere, alla forza, al controllo, alla disciplina? Ma spiegami, Deimos, spiegamelo! Cosa sarebbe tutto questo senza la vita? >> urlò picchiando una mano per terra. << Hai idea di che regalo sia aprire gli occhi ogni mattina? Hai mai pensato che disponi del dono più grande in assoluto? O è tutto scontato? >> Buttò gli occhi al soffitto e inspirò dalla bocca mentre le lacrime le planavano sulle gambe. Poi scosse il capo e ripiantò le sue gemme ambrate negli zaffiri di lui. << La vita è un dono che non fa differenze di alcun genere, non importa se sei debole, fragile o solo! >> Batté un altro pugno a terra, la voce rotta dal pianto. << È concessa generosamente e ognuno ha il dovere di rispettarla. >> 
Deimos rimase in silenzio. Lì, appoggiato sui talloni, gli occhi incollati al volto stravolto della ragazza e l'espressione impassibile, come se nulla riuscisse a toccarlo. 
Ma il fatto che ad ogni lacrima che vedeva versare alla ragazza, la sua mascella si irrigidisse, il fatto che il suo stomaco fosse accartocciato come una pallina di carta e che il senso di colpa che nei giorni precedenti si era solo accennato ora lo stesse schiacciando senza che lui gli resistesse, erano una prova che non era rimasto del tutto immune alle parole di lei. 
<< Avevi detto... >> Un singhiozzo strozzato le spezzò il respiro. << Avevi detto che lui si è tolto la vita, che tu non puoi eliminare nessun elemento. >> Aveva un disperato bisogno di sapere che non era vero, che lui non aveva fatto niente di tutto ciò che diceva. Non riusciva a rassegnarsi. Neanche una cellula del suo corpo riusciva a farlo.
<< Ho insinuato il terrore nella sua mente, dopodiché ho distrutto il suo punto alfa. Si è ucciso in preda alla pazzia e al dolore >> confessò il giovane, il tono distaccato. 
Gea sbiancò. 
Sarebbe una morte lenta e consapevole. Quando avrai bisogno di energie non le troverai. Il tuo corpo verrà annientato internamente dal peso di un potere che per sopravvivere divorerà ogni briciolo di energia che possiedi. Un organo dopo l'altro sopperirà, impazzirai di dolore fin quando il tuo potere non risucchierà anche l'ultimo battito.
Il ricordo di quelle parole le spezzò gli ultimi frammenti ancora intatti del suo cuore. 
Le girava la testa, vorticava così forte da farle provare il forte impulso di vomitare. 
Era così assuefatta dal dolore e dalla disperazione che non si rese conto di come le tremassero le labbra e le mani. E con lei anche una larga fetta di terra, molto più estesa di quanto fosse mai stata in precedenza.
In un luogo dopo l'altro si aprirono faglie profonde e strette, esattamente come le tante ferite che le stavano trinciando l'anima.
Strinse i capelli così forte tra le dita da rischiare di strapparseli. << Dimmi che non è vero. Dimmelo, ti prego >> la voce le si spezzò mentre la consapevolezza che, invece, fosse tutto reale la coltellava. 
Il petto e lo stomaco le dolevano come se avesse ricevuto dei calci. E la sua mente, come per un brutto scherzo, non faceva che immaginare un'ipotetica scena in cui il ragazzo che amava guardava implacabile il suo predecessore morire. 
<< Non ti penti di nulla? >> gli chiese, il sapore salato delle lacrime sulla lingua. 
Deimos la fissò dritta negli occhi. 
Che cos'era il pentimento? Lui non era mai tornato sui propri passi, incerto di un'azione. Quando agiva lo faceva con la certezza che fosse la cosa giusta. Giusta per lui, per come gli era stato insegnato ragionare.
E non esisteva il ripensamento, era tutto basato su regole, leggi impartite, confini ben precisi. 
Erano quelle gemme ambrate che stavano mandando tutto all'aria, perché per la prima volta non era più sicuro di cosa fosse giusto o sbagliato. 
Giusto per lui, per come stava ragionando.
<< Non cambierebbe nulla >> asserì soltanto. 
<< Ti sbagli >> replicò Gea, intanto che un singhiozzo le scuoteva le spalle. << Lui non tornerebbe in vita, ma sarebbe ricordato con dignità. >> 
A quel punto lei adagiò la nuca allo sportello dietro di sé ed abbandonò lo sguardo sul soffitto, la testa che le martellava e le lacrime che continuavano a scendere copiose. 
Deimos rincorse il percorso di una di quelle gocce lungo il profilo della sua mandibola, poi spostò gli zaffiri sulle sue pozze d'ambra liquida.
Non le aveva mai visto un dolore tanto grande dipinto sul volto, quella luce spenta, quella fragilità così apertamente esposta. 
E allora provò rabbia. 
Si sollevò rapidamente in piedi, con la medesima velocità con cui Gea sgranò gli occhi nell'intuire la sua volontà di allontanarsi. 
Con notevole fatica, viste le gambe deboli, si tirò su e lo agguantò per il polso prima che lui girasse i tacchi. 
I duri zaffiri di Deimos si incagliarono nelle pozze supplicanti di lei. 
<< Non andartene >> lo pregò, la voce ridotta ad un sussurro. 
Il ragazzo strinse gli occhi e le si avvicinò lentamente per chiuderla tra lui ed il bancone. 
La guardò fissa in volto, inclinando il capo per cercare di capirla. << Cosa c'è che non va in te? >> sibilò, il respiro concitato. << Dovresti urlarmi che sono un mostro, che merito di scomparire dalla faccia di questo pianeta, che... >>
<< No, no >> disse velocemente lei, scuotendo la testa come se non sopportasse quelle parole. Gli prese il viso tra le mani tremule e congelate. << Tu non sei un mostro. Smettila di ripetertelo, smettila di farti del male. >> Un'altra lacrima le solcò le guance.
Detestava il crimine di cui si era macchiato, ma il fatto che lui dovesse conviverci non le dava ugualmente tregua. 
Perché lo vedeva dalla luce colpevole nei suoi occhi, lo aveva capito dal modo in cui aveva voluto tenerglielo nascosto, lo aveva intuito dalla sua risposta: lui era pentito. 
Come doveva essere vivere con un peso di quel genere? Sopportarlo da solo, sforzandosi giorno per giorno di relegarlo in un meandro buio, senza mai concedersi di sbarellare. 
Adesso capiva che il rigore con cui cercava di tenere tutto sotto controllo, quel suo modo di ragionare freddo e implacabile erano una protezione. Perché se si fosse concesso di abbassare la guardia, di far penetrare la luce nella sua mente attraverso le emozioni, il carico del passato lo avrebbe sommerso.
Deimos strinse forte i denti. << Sono uguale a mio padre, identico a chi ho odiato. >> Strinse i pugni sul bancone mentre una caterva di orribili ricordi gli offuscava la vista.
Gli sembrò di sentire puzzo di bruciato e la pelle in fiamme, di percepire i gelidi occhi di suo padre che lo osservavano mentre impazziva di dolore, e poi rivedeva se stesso, anni dopo, mentre ascoltava le urla della sua vittima con lo stesso sguardo di suo padre. Implacabile, mostruoso. 
<< No, Deimos. >> Gea lo accarezzò delicatamente sugli zigomi coi pollici. << Tu non sei lui. >> Le sfuggì un singhiozzo dalle labbra mentre quegli zaffiri la guardavano con la solita perforante intensità, eppure con una sfumatura nuova. Una sfumatura che apriva un varco nella sua interiorità. 
E fu attraverso quel piccolo spazio che intravide una fragilità celata con inclemenza. Vide un bambino piccolo, solo e massacrato di allenamenti. Lo vide seduto in un angolo, con le piccole gambe al petto e la pelle piena di lividi e ferite, senza che un adulto si curasse di lui, gli porgesse una carezza. 
Intravide un dolore così desolante e vivido da pugnalarle il cuore.
Gli gettò le braccia al collo e lo attirò a sé in maniera protettiva. << Tu non sei lui >> ripeté tra le lacrime. 
Da principio Deimos restò rigido, così inesperto di quel genere di dimostrazioni. Poi, però, si lasciò guidare da ciò che provava. E così chiuse gli occhi ed abbandonò la fronte sulla spalla di lei in un gesto del tutto arrendevole. 
<< Perché io l'ho visto >> proseguì Gea, il tono concitato. << Ho visto quanto di buono ci sia in te. E non sono stata io a volerlo vedere, sei stato tu a mostrarmelo. >> Gli accarezzò i capelli, gli occhi persi sul soffitto. << Tu stai ancora permettendo a tuo padre di derubarti della vita. Io... >> Si morse un labbro, le lacrime che sgorgavano senza sosta. << Io lo so che quando fuggi lo fai perché credi di non meritare nulla, neanche una risata. Ma non è così. Tuo padre non ti conosceva, ha voluto farti entrare con la forza il suo stesso vestito. E... e quando scappi dimostri quanto quel vestito non ti calzi, perché tu non sei come lui. Tu sei molto di più, molto più di un potere. >> Lo strinse forte a sé e continuò a dargli quelle carezze che non aveva mai ricevuto. 
Dalle labbra del ragazzo uscì un sospiro tremulo. 
Si sentiva come se qualcuno lo stesse spronando a nuotare contro corrente, ma più avanzava e più si sentiva leggero, un peso dopo l'altro cadeva nelle profondità del mare.
<< Come fai a vedere tutto questo in me? >> le chiese, il tono basso. 
Girò appena il viso, gli occhi ancora chiusi, ed accostò la fronte contro il suo collo. Ne inspirò il profumo, si rifugiò in quel piccolo antro caldo. 
<< Perché guardo te, Deimos >> rispose piano Gea, tirando su col naso. << E non il falso riflesso che ti hanno costretto a vedere. >> 
Pensò che il loro passato fosse, per certi versi, simile. I suoi genitori le avevano inculcato il pensiero di essere un'incapace, sempre un gradino sotto agli altri. Era stata così tanto plagiata da quelle parole che aveva finito per identificarsi come qualcuno che non era. Similmente, ma in maniera più brutale, il ragazzo aveva subìto la stessa violenza psicologica capace di alterare la sua visione di sé.
Passò le dita sulla sua nuca e lo strinse ancora a sé. 
Avrebbe voluto schermare la sua mente e proteggerlo da quel passato che ogni giorno lo feriva. Avrebbe voluto rimpiazzare ogni suo brutto ricordo con uno bello e mostrargli il lato meraviglioso della vita. 
Perché non gli era stato insegnato neanche quel valore, nemmeno quando si trattava della propria di vita. 
Ma come poteva un bambino imparare il valore della vita quando veniva puntualmente portato ad un passo dal perderla? 
Qualcuno si era mai curato del fatto che lui, piccolo e solo, potesse aver paura anche solo di svegliarsi, sapendo cosa lo aspettava ogni giorno? 
E allora capì che crescere in quel modo non faceva vedere la vita come un regalo, ma  come una condanna. 
Un'altra lacrima le scivolò giù per la guancia. Chiuse gli occhi e rifugiò il viso sulla sua spalla mentre lo stringeva forte.
Deimos allungò le mani e le cinse i fianchi, ghermì la sua maglietta come se temesse che lei potesse scomparire. 
Quel che provava in quel momento era la cosa più strana e insolita che gli fosse mai capitata di provare. Gli sembrava di essere entrato in una stanza calda, permea di un calore così piacevole da indurlo a sentirsi a casa pur non sapendo cosa questo significasse, la porta chiusa e al di fuori tutto ciò che lo opprimeva. E solo in quella stanza riusciva a sentirsi leggero, sereno, realmente in pace.
Restarono in quella posizione per alcuni minuti, senza che nessuno dei due muovesse un muscolo per spostarsi. 
<< Deimos? >> lo chiamò ad un tratto lei. 
<< Mm? >> 
<< Io vorrei... vorrei andare sulla tomba del mio predecessore >> gli confessò, la voce incrinata dal pianto. 
Lui allentò la presa sulla sua maglia e si tirò su dritto per guardarla negli occhi. Li trovò rossi e lucidi come uno specchio d'acqua, pieni di quel desiderio che gli aveva appena espresso, pieni di accorata speranza.
E così annuì. 
Scivolò col braccio fino ad avvolgerle il polso, per poi sentire le dita della ragazza che si facevano strada lungo il suo palmo e gli ammantavano la mano in maniera soffice. 
Lo stomaco gli diede una stilettata.
Abbassò gli zaffiri sull'insolita situazione in cui si trovava la sua mano. 
Notò come le esili e fredde dita della ragazza si alternassero alle sue, ne percepì la fragilità e la forza con cui si aggrappavano alla sua mano, quasi come se temesse di cadere. 
Poi sprofondò nelle pozze ambrate di Gea.
Il cuore della giovane impennò ulteriormente di fronte all'intensità di quegli zaffiri che sembravano voler scandagliare i suoi pensieri.
Ma poi lo scenario cambiò. Si guardò intorno mentre il suo cervello registrava quel repentino cambiamento. 
Delle fioche luci proiettavano sbiaditi bagliori su un tappeto d'erba da cui si ergevano innumerevoli lapidi. 
Gea pensò che in quel luogo le lancette avessero smesso di misurare lo scorrere del tempo, complice il chiarore della luna che pareva una ragnatela stesa su tutto lo spazio.
Lasciò che i suoi occhi abbracciassero tutta l'area visibile. Lesse alcuni nomi incisi sulla  fredda pietra delle lapidi, osservò le foto che li ritraevano sorridenti. E pensò che, probabilmente, quando si erano lasciati scattare quelle foto avevano progetti, sogni nel cassetto, la certezza di avere tempo per realizzarli. 
<< Capisci quanto sia preziosa la vita? >> bisbigliò continuando a guardarsi intorno. 
Deimos stese lo sguardo nella direzione di quello della giovane. 
<< Loro darebbero tutto per riaverla >> la sentì dire mentre tirava su col naso. 
Gli zaffiri del ragazzo ispezionarono quel luogo.
Nuvole di umidità si sollevavano dal terreno fresco di pioggia per volteggiare nel buio della notte. Il debole fruscio dell'erba smossa dal vento ed il frinire dei grilli riempivano uno spartito altrimenti vuoto.
E poi vide la foto di un ragazzo dai lineamenti sottili e lo sguardo sorridente. Ricordò quegli stessi occhi che lo guardavano con terrore. 
Indurì la mascella. << È là. >>  
Gea seguì la sua indicazione con la testa. << Ti va se ci avviciniamo? >> Cercò i suoi zaffiri, per poi notare che erano ancora fissi sulla lapide del suo predecessore.
E con questo fece caso anche alla sua postura più rigida, alla tensione che gli attraversava il volto, alla forza del suo sguardo. 
E allora capì che in quel momento la sua mente era assorta in ricordi pieni di dolore. Capì che quei ricordi gli stavano facendo del male. Capì che la mole di quel passato lo stava sommergendo per essersi permesso di provare il senso di colpa. 
Si rifugiò contro di lui e chiuse gli occhi mentre appoggiava la guancia sul suo petto, la mano ancora più stretta nella sua. << Andiamo? >> gli chiese piano. 
Voleva portarlo via da quel dolore, lontano da ciò che lo feriva. 
<< Torniamo a casa >> aggiunse puntellando il mento sul suo torace per guardarlo. 
Deimos abbassò gli occhi in quelli rossi e lucidi della giovane. 
Una sensazione diversa da quella opprimente che stava provando si fece strada dentro di lui. Percepì la tensione mollare la presa, sostituita da un calore strano, capace di propagarsi per ogni centimetro del suo corpo e di farlo sentire più leggero. 
Come se una casa lui ce l'avesse veramente. 
Il tempo di rilasciare un respiro che erano di nuovo nella piccola baita di Deer Valley.
Gea gli sorrise dolcemente nella penombra della camera, per poi incollare la fronte contro il suo petto ed emettere un sospiro stremato. 
Le bruciavano gli occhi come se ci avesse versato gocce di benzina, le doleva la testa e sentiva le gambe pesanti come colonne di cemento armato. 
<< Vai a letto >> le ordinò spiccio il ragazzo.
Eppure, nonostante tutto, il suo cuore non riusciva a non battere più forte per lui. 
<< Solo se vieni anche tu >> gli disse. 
Deimos la esplorò con lo sguardo. 
Nonostante quello che le aveva confessato, lei persisteva a non respingerlo. E più cercava di capirla, più si ritrovava ingarbugliato in interrogativi che non aveva mai avuto per nessuno. 
Come la sua mano. Perché le dita di lei erano ancora avvolte alle sue? Perché non si era ancora ritratto? Non aveva ricambiato la sua stretta, non aveva quasi idea di come si facesse, ma non aveva neanche deciso di scacciarle la mano, con quello strano tepore che al momento gli stava riscaldando il palmo. 
<< Vai a letto >> comandò di nuovo, il tono più basso. 
<< Tu verrai? >> 
<< Vai >> le ripeté perentorio. 
A quel punto Gea emise un sospiro e fece scivolare via le dita da quelle di lui, poi montò sul letto a carponi, lanciò via le scarpe e crollò su un fianco. 
Quella sera i nervi le avevano risucchiato ogni energia. Ma, di nuovo, malgrado la stanchezza il suo cuore accelerò i battiti quando percepì il materasso piegarsi sotto il peso del giovane.  
Si ritrovò a sorridere mentre lo guardava sistemarsi un braccio dietro la nuca, come sempre. 
E così gli rotolò vicina, depose la testa sulla sua spalla e la mano sulla sua maglietta. E si sentì bene, come se fosse finalmente arrivata a casa.
Alzò il viso ed osservò il ragazzo, i cui zaffiri erano inchiodati al soffitto, persi in qualche pensiero. 
Si domandò se stesse ricordando il suo predecessore, che cosa avesse smosso in lui rivedere il suo volto in una foto. 
<< Come sapevi dove è sepolto? >> gli chiese in un sussurro. 
Deimos tacque per svariati secondi, nello sguardo un turbine di immagini. << È l'unico cimitero del paese in cui è morto. >> 
Gea annuì mentre la mente le si ingolfava di riflessioni. Pensò allo strazio che aveva sopportato la famiglia di quel giovane, a tutte le lacrime che forse stavano ancora versando. A quello che aveva dovuto provare sua madre. 
Ed insieme a quel pensiero, pensò ad un'altra di donna. Una avvolta nel mistero.
<< Perché non parli mai di tua madre? >> gli domandò d'impeto.
Deimos si voltò immediatamente a guardarla. 
Ben presto si ritrovò immerso in un lago di colori caldi, una fonduta d'ambra col potere di fargli dolere lo stomaco e scombussolare i pensieri. 
<< Non so chi sia >> asserì secco, prima di risollevare lo sguardo sul soffitto. 
Gea non deviò l'attenzione dal volto del ragazzo. 
Pensò che forse una madre avrebbe potuto dargli il calore che non aveva mai avuto, avrebbe potuto insegnargli che esistevano anche le carezze nel suo mondo fatto di violenza, che esistevano delle braccia da cui poter correre. 
Ma era stato privato anche di quello.
Abbassò la testa e si soffermò a guardare la sua mano sul petto di lui. 
Aveva ancora tante domande sulla punta della lingua, ma così poca forza per porle.
Gli occhi le si chiusero pesantemente. Si costrinse a riaprirli per poter dedicare un altro sguardo alla sua mano su di lui.
Poi, pian piano, sprofondò nel sonno. Si addormentò con quell'immagine dietro le palpebre, con la convinzione che le sue dita non si sarebbero mai allontanate dal suo cuore, che lo avrebbero custodito e protetto giorno dopo giorno.
Deimos percepì il respiro più pesante della ragazza. 
Calò con lo sguardo su di lei e la osservò per qualche minuto.
Esaminò la sua tempia fasciata, il suo viso delicato e piccolo, la sua mano aperta che gli procurava calore nel punto in cui lo toccava.
Inspirò profondamente e si mise a guardare oltre la vetrata davanti al letto, là dove in mezzo al buio risplendevano sprazzi di luce. 
Ripercorse le immagini di quella sera, impresse nella mente come marchi: le pozze ambrate della giovane sgranate e incredule, le sue lacrime, le sue mani che lo stringevano forte a sé, il suo sorriso stanco e poi la foto del ragazzo a cui aveva stroncato la vita. 
Esiste qualcosa a cui dai valore?
Quelle parole gli risuonarono nella mente come un'eco.
Spostò gli zaffiri sulla giovane che dormiva abbracciata a lui, li saldò sulla sua figura ancora una volta, ispezionò ogni centimetro del suo viso come se dovesse riprodurne un ritratto. 
Poi chiuse gli occhi, si concentrò sul lento respiro che le usciva dalle labbra. Esattamente come ogni altra volta che aveva deciso di dormire con lei al fianco, come se quel suono di vita fosse per lui una ninna nanna.
Si addormentò così, nelle orecchie il suo respiro.
Sul cuore, la sua mano. 
Esiste qualcosa a cui dai valore?























 

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