La setta delle Rose Nere di Horror_Vacui (/viewuser.php?uid=4218)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Un triste ritorno ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Anime fragili ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Debiti ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - La statua della Chimera ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Il Marchio dell'odio ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Le Rose Nere ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - La Stamberga Strillante ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
LA
SETTA DELLE ROSE NERE
by
Horror_Vacui
Prologo
Una profonda
oscurità lo avvolgeva.
Il picchiettio
delle gocce d’acqua, che s’infrangevano sulla
pietra fredda,
rappresentava il solo rumore che riuscisse a udire dopo il battito
accelerato del suo cuore.
Poteva avvertire l’odore della
morte,
mischiato al tanfo delle celle sudice e dell’acqua stagnante
da
chissà quanti secoli.
Il tempo cominciava
a perdere valore e i giorni si stavano trasformando in una lunga
notte senza fine, intervallati da qualche pasto misero e insapore che
persino i topi rifiutavano di mangiare.
Aveva smesso di
temere quei piccoli esserini che minacciavano di rosicchiargli i
piedi nudi quando si arrendeva al sonno.
Esseri oscuri molto
più pericolosi lo privavano ogni giorno della
felicità e della
voglia di vivere, anche se lui aveva deciso di lottare fino
all'ultimo respiro.
Gli serviva una mente fredda e lucida,
così gli
capitava di mordersi i polsi, prendere a pugni il muro dietro di
sé,
qualunque cosa gli permettesse di sentirsi vivo.
All’improvviso il lugubre silenzio fu rotto da un rumore.
L’aveva
sentito tante di quelle volte durante la sua breve esistenza da
riuscire ad identificarlo senza alcun dubbio: catene.
La porta in fondo al corridoio venne spalancata e, a quel rumore
assordante di catene, si unirono dei
penosi
lamenti. Non era raro ascoltare le grida di dolore dei nuovi
prigionieri, ma qualcosa allarmò i
suoi sensi.
La cella venne richiusa senza troppe cerimonie e l'incantesimo per
sigillarla era
già stato pronunciato, eppure gli auror non accennavano ad
andarsene.
Non avrebbe saputo
spiegarne il motivo, ma aveva il brutto presentimento che fossero
lì per lui.
Trattenne il
respiro, stringendosi il più possibile all'angolo dietro la
panca
che da mesi chiamava 'letto'.
La porta che gli precludeva l'accesso
al mondo era di metallo, forse acciaio, e aveva una piccola
finestrella in alto, da cui i carcerieri facevano entrare i
Dissennatori almeno una volta al giorno. Era convinto che fossero
già
andati a trovarlo e il dubbio che fosse passato molto più
tempo di
quel che credeva iniziò a farlo sudare freddo.
Gli auror si
mossero e i loro passi pesanti si fermarono proprio lì,
davanti alla
sua porta. Un alone azzurrino ne circondò
il telaio e poi una
luce accecante lo investì in pieno viso. Cercò di
ripararsi con le
mani da quel fascio luminoso, disorientato come un ratto in gabbia.
«Sveglia
Malfoy, il capo vuole vederti!» disse una voce gracchiante.
Un
secondo incantesimo venne pronunciato e lui si ritrovò i
polsi
stretti nella morsa bruciante delle catene magiche, poi due paia di
mani lo tirarono su e lo spinsero fuori.
Dopo
tre mesi di reclusione, Draco Malfoy metteva piede fuori da quella
prigione, senza conoscere il destino che lo attendeva alla fine di
quel sinistro corridoio.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 - Un triste ritorno ***
Capitolo
1. Un triste ritorno
Harry Potter, diciotto anni appena
compiuti e già eroe del mondo magico, sentì il
freddo pizzicargli le guance mentre il respiro gelido appannava le
lenti degli occhiali. Camminava tra la folla stringendo la mano
guantata di Ginevra, lo sguardo sfuggente e la testa pesante.
L'orrore della guerra non lo aveva ancora abbandonato, un'ombra oscura
lo avvolgeva assorbendo tutte le sue energie. Dopo un primo momento di
sollievo, aveva dovuto fare i conti con la scia di morte lasciata dallo
scontro. Era come se i granelli di felicità, che riteneva la
vita gli avesse riservato, fossero finiti per sempre. Aveva sentito per
notti intere l'alito della follia sul collo, ma la sua mente era stata
temprata dalla tragedia e aveva retto il colpo.
Persino il rapporto con Ginevra era mutato, distorto dal dolore e dal
senso di colpa. I mesi passavano e loro si allontanavano sempre di
più, come barche alla deriva sospinte da due correnti
contrarie. Ogni volta che la guardava rivedeva il volto esanime di
Fred, le lacrime di Arthur e l'immobilità di Molly. Lei non
era solo la sua ragazza, era l'ennesimo componente della famiglia
Weasley che rischiava di mettere in pericolo.
Nessuno osava più dargli del paranoico, ma poteva leggere
l'accusa e il risentimento in fondo a quegli occhi fiordaliso.
«Harry, a che pensi?» gli schioccò due
dita sulla guancia, mentre un sorriso appena accennato le piegava le
labbra screpolate.
«A niente...» disse lui massaggiandosi il volto.
«Sicuro? Stai bene? Vuoi che...»
«Sì, sto bene» rispose seccato,
passandosi la mano libera tra i capelli.
Ogni giorno la stessa domanda e come sempre la stessa risposta giungeva
puntuale, senza possibilità di replica. La ragazza
s'irrigidì infastidita, ma la discussione non era ancora
terminata.
«A quanto pare sì...» riprese a
camminare più veloce, staccandosi da lui con uno strattone
sdegnato.
Avrebbe tanto voluto condividere con Ginny i pensieri che lo
affliggevano, ma sapeva che dopo aver aperto il vaso di Pandora niente
sarebbe stato più come prima e quel sottile filo che li
teneva uniti si sarebbe spezzato.
«Smettila, la gente ci guarda» disse a denti
stretti.
La vide corrugare la fronte e arricciare le labbra, nel tentativo di
trattenere le lacrime che già luccicavano agli angoli degli
occhi.
«Cosa vuoi che me ne importi?!» disse prima di
voltargli di nuovo le spalle e correre via.
Harry sospirò, guardando la chioma rosso fuoco sparire
inghiottita dalla folla, e maledisse mentalmente la sua
impulsività.
Le corse dietro, schivando un gruppo di ragazze e saltando oltre un
grosso baule, ma lei non accennava a fermarsi. Si fece largo tra una
madre, intenta a stritolare la figlioletta in un caldo abbraccio, e un
grosso paiolo poggiato a terra da un viaggiatore distratto. I suoi
riflessi erano migliorati, ma non al punto da riuscire a schivare il
ragazzino che gli si parò davanti in cerca di un autografo.
Già leggeva i titoli dei giornali: “Eroe del mondo
magico investe e schiaccia studente del primo anno”. Molto
comico se non si fosse trattato di lui, ma di un altro eroe. Tipo
Batman.
*
Il freddo della solitudine la fece
rabbrividire, Hermione lo sentì penetrare fino a gelarle le
ossa e si strinse di più nel mantello. Chiuse gli occhi e
fece un respiro profondo per scacciare via i pensieri. Non era il
momento di lasciarsi andare, proprio quando molte paia di occhi
attendevano impazienti un segno di debolezza.
Si sentiva sola e frastornata. L'abbandono di Ron, che aveva preferito
diventare Auror piuttosto che seguirla, e la totale distruzione della
propria vita babbana, avevano scosso le fondamenta su cui poggiava la
sua intera esistenza.
Le notti erano insonni, i giorni deludenti e asfissianti e lei un po'
alla volta stava diventando l'interprete di se stessa.
Aveva sbagliato a far affidamento su poche persone credendo che non
l'avrebbero mai lasciata, ma forse quella era la vita, pochi attimi di
luce e anni bui alla ricerca del più piccolo bagliore.
Per fortuna c'era ancora Harry. Le serate di Grimmauld Place erano
inondate da fiumi lacrime e fazzolettini ma, nonostante avesse
terminato per tutta la vita le riserve di parole di conforto, non si
era mai tirato indietro.
Harry era la costante in un mare di incertezze ed Hermione temeva
l'inevitabile momento del distacco. Il dopo-Hogwarts non le sembrava
più così allettante come prima, quando ogni cosa
era al suo posto, cuore compreso.
Guardò per l'ennesima volta l'orologio e scoprì
che Ginny e il suo amico erano in mostruoso ritardo. Alzò
gli occhi al cielo, incapace di trattenere uno sbuffo seccato e decise
di salire sul treno: tra i suoi piani non rientrava la morte per
assideramento.
Aveva già messo un piede sul
primo gradino, quando una serie di rumori la fecero sobbalzare. Non
sapeva cosa fosse successo, ma molte persone stavano correndo nella
stessa direzione, tra queste parecchie ridevano e si scambiavano
battute, cosa che la convinse a non prendere a cuore la faccenda. Vide però un gruppetto
venirle incontro, in senso contrario al resto della folla. Quando si
avvicinarono ebbe un tuffo al cuore: superbia, eleganza e una chioma
biondo platino.
Draco Lucius Malfoy era appena giunto al binario nove e tre quarti, le
valigie nascoste in chissà quale tasca del mantello nero. Al
suo seguito riconobbe Blaise Zabini e l'odiosa Pansy Parkinson a
braccetto di Theodore Nott.
In un'altra vita quella sarebbe stata la situazione perfetta per dare
inizio ad uno scontro, ma era storia vecchia. Malfoy le
passò accanto senza nemmeno averla notata, molto
più simile al fantasma di sé stesso che al
prepotente ragazzino che le aveva fatto crescere i denti.
La fine della guerra li aveva resi consapevoli del fatto che, da quel
momento in poi, avrebbero potuto vivere da persone
“normali”. Tuttavia qualcuno non riusciva a
coglierne il lato positivo.
Pansy Parkinson, l'unica a non aver perso la propria aura di
superiorità, la guardò disgustata per il tempo di
un battito di ciglia.
Certe abitudini erano dure a morire.
L'aria all'interno del treno era carica
del profumo di pelle dei sedili e dei dolci che la solerte signora
trasportava sul suo piccolo carrello. Ad Hermione venne spontaneo
pensare a Ron e quasi lo vide mentre s'ingozzava di cioccorane,
scoprendosi a rimpiangere persino quel dettaglio insignificante.
Cercava davvero di non pensare a chi le aveva fatto battere
così forte il cuore, ma non c'era nulla che l'aiutasse,
anzi, si sentiva a tratti vittima di un complotto. L'universo sembrava
fosse impegnato a ricordarle che Ronald non sarebbe stato al suo fianco
quell'anno e probabilmente nemmeno in quelli a venire.
Aveva visto Malfoy andare a sinistra, perciò si diresse a
passo di carica dalla parte opposta, in cerca di uno scompartimento
vuoto e accogliente. Sbirciò all'interno di uno scomparto e
si affrettò a nascondere il viso dietro il libro che aveva
in mano: Luna e Neville sedevano uno accanto all'altra, mano nella
mano. Rabbrividì al pensiero di cosa sarebbe accaduto se
fosse entrata là dentro, ossia sguardi imbarazzati, frasi di
circostanza e il goffo tentativo di nascondere una dirompente
felicità. Proseguì oltre, arrivando quasi alla
fine del treno, ma non c'era traccia di Harry e Ginny. Aveva perso le
speranze anche di trovare un luogo solitario, quando vide i suoi amici
dentro l'ultima carrozza.
Ginny, il volto arrossato dal freddo e forse dal pianto, guardava fuori
dal finestrino con il viso appoggiato ad una mano. I capelli rossi e
lisci catturavano la luce grigia proveniente dall'esterno.
Harry, seduto accanto a lei, leggeva il quotidiano con le braccia
poggiate sul tavolino di fronte a sé. Hermione non
poté fare a meno di notare gli occhiali storti sul naso e un
bernoccolo rosso sul sopracciglio destro. Un'altra abitudine di cui non
sentiva la mancanza.
Si avvicinò con passo felpato alla coppia, notando la
brutale differenza con quella che aveva osservato solo pochi attimi
prima. Prese posto di fronte a Harry e biascicò un
'buongiorno' poco convinto.
«Hermione!» esclamò Ginny con enfasi
«Harry, hai visto che è arrivata?»
chiese assestandogli una gomitata tra le costole.
Il ragazzo tossicchiò tenendosi il fianco «Dov'eri
finita? Ti abbiamo cercata
dappertutto.»
«Dov'ero finita io? Vi stavo aspettando accanto alla terza
colonna» ricacciò indietro il veleno. Aveva
già un gatto, non voleva adottarne altri tre.
Ginny poggiò con studiata lentezza le mani sul ripiano,
stendendole fino a raggiungere quelle di Hermione
«L'appuntamento era davanti al terzo vagone,
cioè molti metri più avanti.»
Lo disse con calma, scandendo bene ogni singola parola e guardandola
dritta negli occhi, proprio come faceva quando voleva spiegare qualcosa
a Luna Lovegood.
«Grazie, la prossima volta che avvertirò il
bisogno di sentirmi una svitata sarai la prima a cui manderò
un gufo» due, tre gatti, magari una decina, li vedeva
già appollaiati sul suo divano... ne sentiva già
la puzza.
Da quando Ron era andato via i loro rapporti si era raffreddati, in
parte perché Ginny appoggiava la scelta del fratello e in
parte perché Hermione passava molto tempo da sola con Harry.
Vedere qualcosa di scabroso nel rapporto tra lei e il suo migliore
amico sembrava essere un vizio di famiglia.
Harry si schiarì la voce spruzzando disagio da ogni poro.
«Ragazze...ehm... ecco...»
«Qualcosa dal carrello, ragazzi?» la voce della
signora giunse provvidenziale a salvarlo da quella situazione spinosa.
«Cioccolata!» le guardò ancora una volta
«Molta cioccolata, tanta cioccolata...»
tirò fuori dalle tasche decine di galeoni pronto a svuotare
il misero carrellino di tutte le provviste a base di cacao.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Anime fragili ***
Capitolo
2. Anime fragili
Il treno
frenò stridendo forte sui binari e quando le porte si
aprirono gli
studenti scesero sulla banchina come un rumoroso sciame d'api. Il
castello li attendeva nella sua maestosa imponenza e, se ispirava
fiducia e protezione a chi lo vedeva per la prima volta, non si
poteva dire lo stesso per coloro che vi facevano ritorno. Il ricordo
della feroce battaglia, come una nube nera carica di poggia, oscurava
la luce di tutti gli anni passati insieme tra le mura della
scuola.
Draco
Malfoy, fermo in piedi accanto al suo baule, sentì un
tremito
attraversargli le viscere.
Aveva paura.
Irrazionale
terrore di varcare la soglia di Hogwarts e trovarli in attesa del
loro arrivo, avvolti nei cappucci neri e con le facce coperte dalle
maschere.
Accese un
sigaretta, ostentando la gelida calma che gli era sempre stata
richiesta. Cosa ne sarebbe stato di lui? Si sentiva perso, spogliato
del suo ruolo e privato di una base solida su cui poggiarsi.
Azkaban
era un luogo di non ritorno per i mangiamorte. Solo ai maghi
canterini
era concessa la libertà, ma una volta usciti di prigione le
possibilità di restare vivi erano infinitesimali.
Pansy e
Theodore non avevano fatto domande quando l'avevano visto arrivare e
gli si erano accodati come un tempo, in religioso silenzio. A
differenza degli altri due compagni, Blaise sembrava aver percepito
il suo malessere e non gli aveva tolto gli occhi di dosso per tutta
la durata del viaggio.
I
loro genitori erano stati più furbi e previdenti,
li avevano
tenuti lontani dalle riunioni e dalle missioni ufficiali, evitando
così di comprometterli. Per quanto potente potesse apparire
il
Signore Oscuro, l'unico a credere ciecamente alla sua ascesa era
stato Lucius. Si era esposto fin dall'inizio, trascinando tutta la
famiglia Malfoy nel baratro, senza pensare alle conseguenze, senza
piani di emergenza. Aveva messo a repentaglio la vita del suo erede,
di sua moglie, ed ora entrambi pagavano lo scotto di quelle azioni
sconsiderate.
Suo padre era ancora a piede libero, fuggito subito
dopo la morte di Voldemort, mentre Narcissa era stata ritenuta
complice di ogni efferatezza compiuta dal marito.
Il
pensiero di sua madre, rinchiusa in una cella a marcire, mentre le
altre mogli dei mangiamorte si godevano gli agi dei loro palazzi, gli
fece salire la bile in gola.
Respirò a fondo l'ultima
boccata di fumo e gettò la sigaretta a terra. Aveva affidato
a quel
mozzicone i suoi tormenti e lo pestò per metterli a tacere.
«Draco,
dobbiamo andare» la mano grande e leggera di Blaise gli si
posò
sulla spalla.
Guardò le dita lunghe e scure di traverso, ma
non degnò il loro proprietario di una risposta. Erano le
prime
parole che qualcuno gli rivolgeva quella mattina e scoprì di
non
sentirne la mancanza.
Il dialogo era sempre stato un gioco
pericoloso e non aveva voglia di iniziare una partita contro il suo
avversario più temibile, l'unico in grado di scovare e
recidere i
suoi nervi scoperti. Si sarebbe chiuso in un bieco mutismo piuttosto
che cedere.
Riprese a camminare, mantenendo un'andatura lenta e
rilassata, nonostante il cuore minacciasse di esplodergli in petto.
Blaise era il suo migliore amico, gli aveva fatto visita ad Azkaban
ogni mese nell'unico giorno che gli era concesso e fino ad allora si
era fidato di lui, come fosse sangue del suo sangue, ma da quando era
stato rilasciato temeva che tutto fosse cambiato. La fiducia riposta
in Blaise vacillava, insinuata dal dubbio, ed era certo che il
sentimento fosse reciproco.
Ricorda
Draco, se vuoi sopravvivere non fidarti di nessuno. Mai.
Quelle
parole gli risuonarono in testa come un monito gridato dall'alto
impossibile da ignorare.
Nel frattempo erano arrivati alle
carrozze e, alle occhiatacce risentite di Blaise, si unirono quelle
colme di sdegno e ostilità degli altri studenti, scoccate
come dardi
avvelenati nella loro direzione.
Irrilevanti,
pensò.
Vide i thestral, attaccati alle vetture scure, mentre
brucavano l'erba scuotendo di tanto in tanto le ali carnose.
Dovrei
spedire un biglietto di ringraziamento a mio padre per lo spettacolo,
si disse, disgustato.
*
Il litigio tra Harry e Ginny
era
iniziato a metà strada, lui aveva urtato per caso il succo
di zucca
che lei teneva in mano, rovinando per sempre il suo “grazioso
maglioncino color crema”.
Arrivata sulla banchina,
Hermione aveva preferito lasciarli indietro a risolvere la questione.
Purtroppo, però, quando era da sola diventava più
difficile tenere
insieme i cocci. Pensieri terribili le occupavano la mente,
intrecciandosi in una serie infinita di riflessioni sterili di cui
non riusciva a liberarsi. Aveva detto addio alla sua vita babbana, ai
suoi genitori, per non metterli di nuovo in pericolo, ma non avrebbe
mai pensato di dover rinunciare all'ennesimo pezzetto di cuore.
Ron
non era stato più lo stesso dopo la morte di Fred. Per
quanto si
sforzasse di pensare al futuro, a loro due insieme, felici in un
piccolo appartamento al centro di Londra a condividere ogni momento,
sapeva in partenza che era una stupida illusione. Le premesse
portavano su una strada completamente diversa ed era sempre
più
difficile credere il contrario, tuttavia aveva continuato ad
alimentare la fiamma della speranza nutrendola di bugie.
Erano
passati solo due mesi dalla fine della guerra e in un giorno di fine
luglio Ron era tornato alla Tana dopo un viaggio a Londra, il volto
accigliato e le spalle basse. Non avrebbe mai dimenticato
l'ostinazione con cui il suo ragazzo continuava a guardarsi la punta
delle scarpe, né la sensazione di gelo che le aveva
accarezzato la
schiena facendola tremare. Odiava i silenzi di Ron, non portavano mai
a nulla di buono e così l'aveva rimbeccato, gli aveva urlato
contro,
nel solo modo che conosceva per mascherare le lacrime... e allora lui
aveva parlato, le spalle di nuovo dritte e negli occhi una
straordinaria determinazione.
Sospirò torcendosi le mani e
mordendosi le labbra.
Resisti,
Hermione.
Il
senso del dovere le diceva che era indispensabile per lei, nuova
Caposcuola, presenziare alla cena di benvenuto, ma il corpo le urlava
di correre veloce ai dormitori, dove nessuno avrebbe assistito al
triste spettacolo di Hermione Granger che crollava a pezzi.
Aveva
indugiato un po’ fuori, non badando alla fiumana di persone
che si
dirigeva in Sala Grande, così quando si decise ad entrare la
trovò
quasi al completo.
Non badò molto al brusio che accompagnò il
suo ingresso, ma si diresse impacciata al tavolo dei Grifondoro.
Calì
e Lavanda richiamarono la sua attenzione e prese posto accanto a
loro, pronta a dover ignorare una quantità spropositata di
frecciatine.
«Ma dov'eri finita?!» la voce di Harry la fece
sobbalzare. Non lo aveva visto, troppo presa dal nascondere alle
compagne di casa la propria angoscia, eppure lui era lì
davanti a
lei, da solo.
«I-io avevo bisogno d'aria» disse con poca
convinzione «E Ginny?»
Harry abbassò lo sguardo e prese a
giocherellare nervoso con le posate.
«Aveva bisogno d'aria anche
lei» sospirò senza aggiungere altro.
Il Cappello Parlante
aveva cantato la sua canzone, gli studenti del primo anno erano stati
smistati e dopo l’ultimo ragazzino ci fu una pausa. Un
silenzio
carico di aspettative si protrasse per minuti interminabili,
finché
la professoressa McGranitt, nuova preside di Hogwarts, si
avvicinò
al pulpito dorato.
Harry provò a deglutire più volte senza
successo. Guardò la McGranitt e non poté fare a
meno di pensare a
Silente, ai suoi occhi che si spegnevano dietro l'alone verde della
morte e al suo corpo che precipitava nel vuoto.
Il succo di
zucca gli parve troppo arancione e le posate troppo scintillanti, si
mosse sulla panca come fosse coperta di spine e serrò i
pugni sotto
il tavolo.
Vide davanti a sé Severus Piton, con gli occhi lucidi
e il sangue che a fiotti sgorgava dagli squarci sul petto. Aveva
sacrificato tutto per proteggerlo e lui l'aveva ripagato con odio e
rancore.
Che
ingrato.
All'improvviso
i suoi compagni di casa erano troppo vicini e l'aria nei polmoni
troppo poca. Hermione gli tese una mano attraverso il tavolo e lui si
appigliò a quelle dita fredde, mentre la preside si
accingeva a
parlare.
«Miei cari ragazzi, sono lieta di dare il benvenuto ai
nuovi studenti che quest’anno si apprestano ad iniziare un
lungo e
prospero percorso di crescita personale; spero che impegnerete tutte
le vostre energie affinché possa essere il più
proficuo possibile.
Ci aspettiamo grandi cose da voi! E un bentornato a chi questa scuola
ha già visto crescere. Se uno tra i periodi più
bui della storia è
giunto al termine è anche grazie a voi, che siete rimasti e
avete
difeso tutto il mondo magico dalle insidie delle arti oscure.
Grazie!» la McGranitt finì così per
commuoversi tra gli applausi
scroscianti di tutti gli studenti, alzatisi in piedi per rendere
omaggio alla scuola e a loro stessi.
Il discorso, però, non
era ancora terminato.
«Bene!» batté le mani
«Passiamo alle
novità. Accogliamo il nuovo professore di Babbanologia, il
signor
Brett Dukes!»
L’uomo si alzò di scatto facendo stridere la
sedia e rovesciando il calice addosso al professor Vitious. Chiedendo
mille volte scusa si sistemò gli occhialetti sul naso e fece
un
goffo saluto alla Sala, caduta nel silenzio.
Il signor Dukes
era un uomo sulla trentina, capelli castano scuro ed occhi blu
acciaio, abbastanza alto, il suo fisico faceva pensare a tutto,
tranne che fosse un tale imbranato da non riuscire a mettere un piede
davanti all’altro senza combinare un disastro.
La preside
lo guardò sconcertata, ma per superare il momento di
catastrofico
imbarazzo invitò gli studenti ad applaudire.
Presentò poi la nuova
professoressa di Trasfigurazione, la signorina Green, una donnetta
anziana dall’aspetto severo, che storse la bocca in una
smorfia più
simile ad un ghigno che ad un vero sorriso.
Un posto restava
vuoto.
«Il Ministero ha deciso che quest’anno non ci
sarà
un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure» a queste
parole
esplose un coro di voci, sussurri e lamenti.
«Silenzio!» gridò
la preside, aiutata da un Sonorus.
«Dicevo, non un insegnante
bensì un’intera squadra di Auror! Vi
presento Matthew Turner,
capo-squadrone della settima divisione!» disse indicando
l'entrata
con un ampio gesto della mano.
Un ragazzo poco più che
venticinquenne, impettito e con le mani incrociate dietro la schiena
raggiunse la McGranitt. Sembrava che la divisa gli fosse stata cucita
addosso tanto era impeccabile, senza nemmeno una grinza, i capelli
mossi erano tenuti in perfetto ordine dal gel, mentre dagli occhi
chiari non trapelava nulla. Lasciò correre lo sguardo per
tutta la
sala e poi si soffermò a guardare un tavolo in particolare,
quello
dei Serpeverde.
Draco sentì le viscere torcersi quando quegli
occhi grandi e sporgenti fecero una breve sosta nei suoi.
L'adrenalina si diffuse dalla pianta dei piedi fino alle mani in un
doloroso tremito.
Strinse il tovagliolo mentre il desiderio di
fumare una sigaretta pungeva in fondo alla gola secca.
Matthew
Turner con passo solenne si diresse al centro della sala.
«Buonasera
ragazzi!» tuonò «Il Ministero ha
ritenuto necessario fornirvi
un'istruzione adeguata ai tempi, dunque, da quest'anno e per sempre,
noi Auror ci occuperemo di insegnare a voi, che siete il nostro
futuro, come sopravvivere. Rivoluzioneremo
il modo di intendere Difesa contro le arti oscure! Il corso
includerà
i principi base della lotta corpo a corpo, della scherma e di tiro
con l’arco. Sarete protagonisti di vere e proprie simulazioni
di
situazioni ad alto rischio, perché il Ministero ritiene
obsolete
lezioni affrontate solo su base teorica» appariva calmo,
tuttavia il
modo in cui si alzava sulle punte dei piedi alla fine di ogni frase,
tradiva un certo nervosismo.
«Ci sono domande?» chiese agli
studenti.
L'istinto spinse Draco a rivolgere lo sguardo verso i
Grifondoro, alla ricerca di una ben conosciuta testa piena di ricci,
nella convinzione che la mano di Hermione Granger fosse già
puntata
al cielo. Rimase deluso e allo stesso tempo sorpreso nel vederla
china a contemplare il vuoto di fronte a sé.
«Mi scusi,» una
vocetta squillante spezzò il silenzio inquietante della sala
«mi
chiamo Brenda Sullivan e frequento il quarto anno, appartengo alla
casa Corvonero e vorrei sapere il motivo di questo cambiamento. Credo
che le attività da lei prese in considerazione siano cose da
auror e
credo che dovremmo essere liberi di scegliere dopo la scuola se
praticarle o meno.»
Brenda Sullivan, una ragazzina alta come uno
gnomo e magra come un elfo domestico, il volto nascosto da uno grosso
paio di occhiali e la lingua lunga tipica delle ragazze Corvonero.
Nonostante passasse gran parte del suo tempo sepolta sotto montagne
di libri in biblioteca, non spiccava di certo per qualità,
ma era
conosciuta da tutti in quanto dotata di un talento naturale nel
mettere i puntini sulle i. Non le sfuggiva nulla, la vista da talpa
era compensata da un udito eccellente e da uno spirito polemico senza
rivali, che la cacciava spesso nei guai.
Molti studenti,
incoraggiati da quell'intervento le diedero manforte e lei
gonfiò il
petto, per la prima volta non derisa ma appoggiata dai compagni.
Peccato che quel momento idilliaco non fosse destinato a
durare.
Matthew Turner scattò in avanti e, aggirandosi tra i
tavoli come un lupo famelico in cerca della preda, riprese a parlare:
aveva buttato via la maschera.
«Se pensate... se siete convinti
che sia tutto finito, ho una brutta notizia per voi!» urlava
come un
sergente davanti alle reclute, enfatizzando ogni parola e muovendosi
a scatti, le mani dietro la schiena e un sorriso largo e finto, in
netto contrasto con gli occhi spiritati.
«Viviamo un momento
particolare, quello degli strascichi, quello dei rimasugli, quello
dei ratti di fogna da spedire ad Azkaban!» gridò e
poi batté un
piede imprecando.
«Signor Turner!» lo rimbeccò la preside
con
tono duro, ma lui alzò una mano per tranquillizzarla,
asciugandosi
con l'altra la saliva agli angoli della bocca.
«Per eventuali
chiarimenti mi troverete nell’ufficio destinato al professore
di
Difesa» un leggero cenno della testa e l’auror
prese posto al
tavolo degli insegnanti, indifferente al vociare generale.
La
cena non era durata più delle altre volte, ma a lei era
sembrata
lunga e noiosa come non mai.
Auror a parte.
Sapeva che anche
Harry la pensava allo stesso modo, lo capiva dalle occhiate piene di
sconforto e dal modo in cui giocava con il cibo nel piatto senza
mangiarlo davvero.
Dal canto suo ogni singola portata era
priva di attrattiva e aveva mandato giù solo un piccolo
budino al
cioccolato.
Erano
stati un trio per ben sette anni e ognuno di loro era un elemento
importante a cui non era possibile rinunciare. Prese a torturarsi il
labbro inferiore nel tentativo di trattenere le lacrime di nostalgia
che le inumidivano già le ciglia. Distolse lo sguardo dal
proprio
tavolo e per caso incrociò quello dell'ultima persona che
avrebbe
voluto vedere.
Occhi grigi circondati da segni scuri e
malsani le restituirono un'espressione inquieta. Draco Malfoy
sussultò, come colto in flagrante, e lei si sentì
profondamente
turbata da quel contatto.
L'ultima volta che aveva visto il suo
viso era sulla Gazzetta del Profeta, una foto grande in prima pagina,
accompagnata da un articolo al vetriolo in cui, dopo una breve
parentesi sul processo che aveva stabilito per lui il carcere a vita,
ci si chiedeva cosa avesse indotto i giudici a far cadere le accuse
per effettiva mancanza di prove. Harry lo aveva letto con attenzione
durante il viaggio in treno, ma era certa che non ne avesse parlato
per non far agitare Ginny.
Un'altra conversazione che avrebbero
dovuto tenere in privato.
Guidata da una forza superiore alla sua
stessa volontà, si mise ad osservarlo con attenzione. Era
lui, il
perfetto miscuglio genetico di due delle famiglie purosangue
più
importanti di Londra, capelli chiari e morbidi che ricadevano leggeri
sulla fronte, occhi grigi e pelle diafana, eppure le
sembrava diverso,
quasi irriconoscibile. Ricordava lo sguardo fiero e tagliente, il
mento alzato e la bocca piegata in un ghigno sardonico, una sfida al
mondo circostante, troppo piccolo, troppo infimo e miserabile per
tenere testa all'Ultimo Discendente, il Principe delle Serpi.
La
spavalderia adolescenziale era scomparsa assieme a quel ghigno e al
suo posto Hermione percepiva qualcos'altro. Il Draco Malfoy che
conosceva non avrebbe sussultato, no, lui l'avrebbe guardata con
disprezzo e disgusto. E invece era lì, continuava a
guardarla con
aria smarrita, le mani intrecciate davanti alla bocca come stesse
pensando a qualcosa di molto importante.
Sostenne quello sguardo
stanco senza batter ciglio, incapace di comprende persino le sue
stesse azioni, finché i mantelli degli studenti, che si
alzavano per
la fine della cena, non le coprirono la visuale e ciò che
vide dopo
fu un posto vuoto: era andato via.
La sua nuova stanza
era una singola, privilegio riservato ai soli Caposcuola, e
ringraziò
mentalmente se stessa per essere stata sempre costante e diligente.
Non avrebbe avuto la forza necessaria per ascoltare pettegolezzi,
risatine e pianti notturni.
Infilò il pigiama, pronta a mettersi
a letto, quando due colpi alla porta la fecero sobbalzare. I muscoli
in tensione e i nervi a fior di pelle, afferrò la bacchetta
e la
puntò di fronte a sé.
«Chi è?» chiese, provando a non
sembrare troppo esasperata, ma l'unica risposta che ottenne furono
altri colpi concitati.
Ricopriva una carica importante e non
sarebbe stato poi così strano trovarsi di fronte ad un nuovo
prefetto in difficoltà, ma ormai aveva perso la battaglia
con la
paranoia.
Spezzò il colloportus e quasi le venne un colpo quando
Harry, ancora in divisa, emerse da sotto il mantello
dell'invisibilità. Il cuore le salì in gola,
trasformando l'urlo in
un singhiozzo spaventato, ma l'amico fu veloce e la spinse dentro la
stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
«Harry! Che
diamine stai combinando?!» esclamò in preda ad una
crisi isterica,
ma lui sembrava non sentire, impegnato a lanciare incantesimi di
protezione.
«Hermione,» sospirò affranto, dopo aver
insonorizzato la camera «ho asciugato tutte le tue lacrime,
ascoltato tutte le tue lamentele, subìto i tuoi sbalzi
d'umore...»
si sdraiò sul letto accanto a lei, che nel frattempo si era
seduta a
braccia conserte «...e adesso sono venuto a
riscuotere!» picchiettò
una mano sul materasso invitandola a stendersi.
«E va bene,»
sospirò lasciandosi andare all'indietro «che hai
combinato?»
«Io?
Perché dovrei aver combinato qualcosa?»
«Harry, lasciatelo
dire, sei una vera schiappa nel rapporto di coppia.»
«Sì, è
vero, ma stavolta non ho fatto nulla, giuro!» si difese.
«Ah,
no?» sentì il sopracciglio sollevarsi fino a
raggiungere
l'attaccatura dei capelli.
«No! Io sto solo cercando di...» fece
una pausa ed Hermione alzò gli occhi per poterlo guardare in
volto
«...io voglio vivere una vita normale, capisci? Per quanto mi
è
possibile, s'intende.»
«Lo vogliamo tutti» percepì un'ombra
addensarsi sul cuore ripensando al sorriso di Ron.
«Ginny sta
soffrendo per la morte di Fred, ma c'è dell'altro. Non si
dà pace
pensando al figlio del professor Lupin e più passo del tempo
con
lei, più mi rendo conto che mi ritiene il diretto
responsabile»
infilò le dita sotto gli occhiali per strofinare le palpebre
in un
gesto a cui Hermione era abituata.
«Credevo avessimo già
stabilito che non è colpa tua. Sai, è storia
vecchia, comincia a
puzzare di stantio» disse pizzicandogli il fianco.
«Lei non mi
ha mai accusato direttamente...» lasciò cadere il
discorso.
«Hai
provato a parlarle?» chiese la ragazza in tono paziente.
«Certo
che sì! Non ha voluto» disse tra i denti
«e, prima che tu dica
altro, il bernoccolo che ho sulla fronte ne è la
prova!»
Hermione
si puntellò sui gomiti e notò il grosso
rigonfiamento rossastro
sulla fronte dell'amico.
«Fa male?» gli chiese trattenendo le
risate con scarso successo.
«Oh, Hermione, sai che amo un po' di
sano dolore fisico! A volte sono costretto a provvedere da solo al
mio piacere, mi capita di sbattere la testa al muro o punirmi come
fossi un elfo dom...»
«Ok, ok» lo fermò mettendogli una mano
sulla bocca «ho capito!»
L'amicizia
è un'anima sola che vive in due corpi,
lo aveva letto in un libro una volta, ma non ricordava chi fosse
l'autore, quel che però sapeva, in quel preciso istante, era
che lei
e Harry stavano diventando così simili da assumere gli
stessi
atteggiamenti senza neppure rendersene conto.
Negli ultimi tempi
erano acidi, fragili e incazzati neri, ma anche tristi e giù
di
corda, in una giostra di diverse emozioni che si alternavano seguendo
una logica tutta loro.
Riuscivano a capirsi al volo, bastava uno
sguardo. Con Harry era tutto semplice e immediato, il dolore e la
fatica di un rapporto instabile erano un brutto ricordo ed era facile
mettere da parte le preoccupazioni. I problemi iniziavano
quando
dei fratelli dai capelli rossi entravano nelle loro vite, mettendole
a soqquadro e lasciandoli poi da soli a riordinare i pezzi.
«Harry,
forse dovresti lasciarle del tempo per riflettere...»
«Ma lei
non vuole del tempo per riflettere!» la interruppe balzando
in piedi
«Mi vuole sempre vicino e allo stesso tempo sembra non
sopportare la
mia presenza» la guardò negli occhi attraverso le
lenti storte e
piene di impronte.
«Cosa vuoi sentirti dire?»
Harry
iniziò a girare per la stanza, si passò
più volte le mani tra i
capelli e alla fine prese in braccio Grattastinchi, accarezzandolo
come una furia mentre il povero gatto cercava di divincolarsi senza
successo.
«Metti giù il gatto, adesso»
scandì piano, parola
per parola, sillaba per sillaba, ma lui non la stava più
ascoltando,
troppo preso dal flusso dei suoi pensieri.
«Io non lo so. Dimmi
che ho qualche speranza di vederla di nuovo sorridere. Dimmi che
è
solo un brutto momento e che prima o poi passerà. Non posso
perdere
anche Ginny» Grattastinchi scivolò via dalle
braccia finalmente
molli e arrendevoli del ragazzo.
Vedere Harry sconfitto e
ferito, ancora
una volta.
Non
avere le risposte che lui stava cercando, ancora
una volta.
Si
sentiva impotente. Avrebbe dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma
riuscì solo a restituirgli un volto afflitto e un silenzio
fin
troppo pesante.
Aveva fallito, ancora
una volta.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 - Debiti ***
Capitolo
3. Debiti
Aveva
sempre trovato affascinanti i colori del fuoco morente, l'amalgama
cangiante di rosso, nero e argento che rilasciava gli ultimi sprazzi
di luce e calore; e così, mentre tutti andavano via, lei
amava
restare a guardare quei piccoli tocchetti carbonizzati ridursi in
cenere.
La
aiutava a riflettere, schiarire le torbide acque dei propri pensieri
senza doversi sentire in dovere di parlare, un momento solitario che
non aveva mai condiviso con nessuno.
Pensò
all'ultima volta in
cui era rimasta sveglia davanti alla brace, quando suo fratello era
ancora vivo e il mondo sembrava avere un senso. Era alla Tana, sua
madre stava lavorando ad uno dei suoi caldi maglioni di lana, seduta
sul vecchio divano, mentre i biscotti per la colazione cuocevano in
forno rilasciando un dolce profumo di latte e vaniglia.
Quella
sera, dopo la lite con Harry, aveva atteso che tutti si
addormentassero e poi era scesa in Sala Comune. Nonostante i colori
sgargianti, non riusciva a trovarla accogliente come il salotto
vecchio e rattoppato di casa sua, i ricordi che le suscitava avevano
l'odore della gelosia e del fallimento.
Prese
due cuscini dal divano, li sistemò sul tappeto per potersi
mettere
comoda e si gettò addosso la coperta, poi mise
alcuni rametti nel
braciere solo per il piacere di sentirli scoppiettare.
Per
quanto si sforzasse di apparire forte, c'erano delle crepe nella
sicurezza ostentata con cui affrontava il mondo. E tutte quelle crepe
erano in qualche modo collegate a lui.
Harry.
Un
chiodo
piantato a fondo nel petto, che le faceva sanguinare il cuore da
anni, rendendola sempre più vulnerabile, sempre
più fragile. Si era
innamorata di lui sin dal primo momento, era stato come un caldo
raggio di sole in un giorno di pioggia e, come tale, si era fatto
desiderare per intere stagioni. Presente ma allo stesso tempo
irraggiungibile, non avrebbe mai potuto sostituirlo con nessun altro.
Eppure...
Il
rumore di passi
giù per
le scale la riportarono bruscamente alla realtà. Con la coda
dell'occhio notò la figura immersa nella penombra e si
appiattì
verso il pavimento, calando la coperta il più possibile
sulla testa,
nel timore che fosse una sua compagna di stanza venuta a cercarla.
Aveva chiesto alle sue amiche di lasciarla in pace, ma chi avrebbe
potuto prevedere le mosse di un gruppo di adolescenti
dramma-dipendenti?
Era
vicina, la sentiva respirare mentre la rabbia le montava dentro.
Esasperata uscì allo scoperto, gli occhi spiritati, le
narici
dilatate e la bocca spalancata pronta ad urlare improperi, quel che
vide, però, la sgonfiò come un triste palloncino
babbano.
Stava
lì, in piedi come un pinguino, incapace di trovare un giusta
sistemazione alle mani, che vagavano incerte tra i capelli, gli
occhiali e l'orlo del maglione, gli occhi tristi e colpevoli e l'aria
sorpresa di chi era stato beccato con le mani nella
marmellata.
Perso
il cipiglio, lo squadrò con gelida indifferenza e
tornò sedersi.
Harry non le rivolse la parola ma si appoggiò alla
mensola del caminetto, il più lontano possibile da lei.
Si
meritava una spiegazione, gliela doveva, anche se questo avrebbe
significato donargli l'ultima parte di se stessa, quella che credeva
di poter celare per sempre alla vista di chiunque.
«Non
è colpa tua» disse con la voce arrochita dalle
tante ore di
silenzio.
Il
ragazzo la stava guardando con una tale intensità da
metterla a
disagio, lo stesso che aveva provato nei primi tempi, quando lui era
l'amico di Ron e lei la piccolina di casa Weasley. Deglutì a
fatica,
ma continuò a fissare le fiamme danzanti, raccogliendo i
capelli spettinati in uno chignon abbozzato.
«Il
problema sono io, che non riesco ad accettare di avere delle
debolezze. Tra noi due tu sei sempre stato quello timido e
tenero»
sorrise alle ultime parole «mentre io la ragazza tosta,
coraggiosa... e stronzate del genere.»
Era
convinta di avere un bel discorso pronto - lo aveva ripetuto molte
nella sua mente -, ma, quando era arrivato il momento di parlare, si
era perso in una serie di frasi confuse dalle lacrime e dai
singhiozzi.
«Harry,
mi
dispiace ma non posso più essere forte anche per te, io sono
a pezzi
e ho paura e non so cosa fare...» disse, mentre un
singulto
più intenso degli altri le squassava il petto.
Lui,
che non aveva
detto o fatto nulla fino a quel momento, si inginocchiò e la
abbracciò.
«Ginny,
ti prego,
ascoltami. So di non essere
perfetto, ma questo non significa che tu debba esserlo per me. Ti ho
messa in pericolo e, negli ultimi tempi, ho pensato che
forse sarebbe stato meglio allontanarmi da te e...» a quelle
parole
lei
trasalì e scosse la testa.
Era
disorientata, passata da presunta carnefice a vittima nella frazione
di pochi secondi.
Si
sarebbe aspettata di tutto, ma non un discorso del genere, non da
lui, non dal suo Harry.
Eppure...
«Sei
uno stupido!» lo scansò, alzandosi in piedi
«Io ero qui a
struggermi per te, mentre tu pensavi ad un modo carino per
lasciarmi!»
Harry
la seguì a ruota e poi accolse in silenzio il primo
schiaffo, il
secondo e infine i pugni sul petto, finché Ginny, ansimante
e
scarmigliata, non abbassò le braccia in segno di resa.
«Egoista
e vigliacco, ecco cosa sei» lo superò dandogli le
spalle.
«Hai
ragione!» disse allora lui «Sono uno stupido
egoista.»
La
attirò a sé con decisione e le baciò
la fronte, le palpebre, la
punta del naso e, infine, le labbra. Aveva avuto molti ragazzi, ma
nessuno l'aveva mai baciata come Harry. Non c'era fretta né
irruenza, era come lasciarsi cullare dalle onde in una barca alla
deriva e, anche in quel momento, mentre la stritolava in un abbraccio
soffocante, si sentì nel posto giusto, perfettamente
incastrata nel
suo petto, cuore contro cuore.
Eppure...
non bastava.
«Che
significa?» gli disse una volta recuperato il
controllo di sé.
«Quando
Ron è partito ho creduto che starti accanto fosse ancora
rischioso
e...»
«E
non ti è importato conoscere la mia opinione» gli
carezzò una guancia «Harry, mi renderai mai
partecipe di una tua
decisione?» non
era una domanda, ma un'implicita richiesta.
«Non
è facile, non ho mai amato nessuno come amo te,»
provò a
difendersi «e non riesco a smettere di pensare che, se non
avessi
chiesto aiuto a tua madre quel giorno alla stazione...»
«Harry!»
«...probabilmente
la tua famiglia sarebbe stata molto meno coinvolta nella
guerra»
continuò imperterrito distogliendo lo sguardo.
Aveva
provato ad immaginare una vita senza Harry, soprattutto dopo la morte
di Fred. Tutto sarebbe stato diverso, ma non in meglio, ne era certa.
Forse i Weasley sarebbero rimasti solo la numerosa famiglia di un
addetto all'ufficio per l'uso improprio dei manufatti babbani, senza
infamia e senza gloria, o forse il destino li avrebbe comunque
portati verso quella strada, fatta di sangue e di morte. Erano
maghi purosangue, erano Grifondoro da generazioni ed erano
parte del loro mondo, lo stesso minacciato da Voldemort.
L'incontro
con Harry aveva profondamente condizionato la vita di qualcuno, ma
non la loro. Era giunta a quella conclusione a cena, quando l'aveva
vista seduta al tavolo, abbandonata e smarrita in una moltitudine di
persone estranee, e si era sentita una sciocca.
Aveva
dubitato delle buone intenzioni di Harry, accecata dal dolore e dalla
paura di perderlo, ma non si era resa conto di quanto Hermione fosse
in realtà sola.
«Smetti
di mentire a te stesso. Il problema non è più la
mia sicurezza e tu
non puoi continuare a fingere che sia così.» Gli
prese il viso tra
le mani «Allontanarti da me non risolverà la
situazione, lei non
riavrà la sua famiglia e Ron non tornerà
indietro. Credi davvero
che Hermione sarebbe contenta sapendo che tu hai rinunciato a me, a
noi,
a causa sua? Quale
senso potrebbe avere?»
Era
spaventata, incapace di prevedere la reazione del ragazzo, ma quando
lo guardò negli occhi vi lesse gratitudine e tristezza, lo
sguardo
che aveva sempre riservato solo a lei.
«Mi è sempre stata accanto, ci ha salvati
innumerevoli volte e, anzi, sono convinto che senza di lei non avrei
superato nemmeno il secondo anno, ma non è questo il punto.
Siamo amici, lei è la mia migliore amica, la sorella che non
ho avuto e adesso ha bisogno di me. Io ho bisogno di
Hermione, tanto quanto ne ho di te per voltare pagina.» Era
il discorso più lungo che le avesse mai rivolto e
avvertì dal fremito della sua voce quanta fatica dovesse
aver richiesto.
«Tutte quelle morti...» sussurrò infine
dopo una lunga pausa.
«Harry,
mi dispiace non averlo capito prima.»
«Ginny...»
la strinse di nuovo, con molta meno grazia, nascondendo il volto
nell'incavo della sua spalla «Ti prego, perdonami tu,
perché io non
riesco a perdonare me stesso».
*
I
pallidi raggi lunari rischiaravano appena le fronde degli alberi che
la circondavano e una fitta nebbia candida saliva svelta ad oscurarle
la vista.
Era
certa di non essere mai stata in quel posto, ogni cosa però
le
sembrava familiare: il boschetto alla sua sinistra, le alte canne
ingiallite poco distanti e il terreno argilloso sotto i piedi nudi.
Una
folata di vento fece svolazzare la leggera vestaglia che indossava e
allora sentì arrivare il freddo. Non poteva rimanere
lì ferma a
morire assiderata, non era da lei arrendersi, così si fece
coraggio
e prese ad avanzare.
Come
spinta da una forza superiore, si inoltrò nel canneto un
passo dopo
l'altro, e camminò a lungo, per quelle che le sembrarono
ore, senza
trovare una via d'uscita. Cercò d'istinto la bacchetta,
confidando
di trovarla attaccata al fianco, ma non l'aveva con sé.
Colta
dal panico iniziò a correre facendosi largo con le mani,
incurante
dei tagli che le piante secche le procuravano. Il fango era sempre
più vischioso ed era sul punto di cedere, quando
sbucò
all'improvviso in uno spiazzo occupato da uno stagno. Riprese fiato
ed asciugò le lacrime. Non era ancora salva, ma almeno
riusciva a
vedere il cielo e le stelle sopra la sua testa.
Lo
stagno era un placido specchio d'acqua privo di piante e animali. Si
inginocchiò sulle sue rive per guardarlo più da
vicino, ma si rese
conto che non rifletteva nulla, nemmeno la sua immagine.
Si
accorse che però qualcosa stava affiorando sul pelo
dell'acqua. Inorridita
comprese che si trattava del corpo di un uomo. Le dava la schiena e
non riusciva a vederlo in volto, così, sperando fosse ancora
vivo,
d'istinto si allungò in avanti per trascinarlo fuori. Cadde
svariate
volte all'indietro, mentre il corpo dell'uomo scivolava via, ma non
si diede per vinta e tentò ancora. Alla fine, con il fango
alle
caviglie, riuscì a portarlo sulla riva e si stese stremata
accanto a
lui.
Ancora
non aveva idea di dove si trovasse né perché, ma
sapeva di aver
compiuto una buona azione. Si mise a sedere e poggiò una
mano sulla
schiena dell'uomo per verificarne il respiro, ma era immobile e duro
come un sasso.
Di
nuovo quella strana sensazione di urgenza la colse e il bisogno di
conoscere l'identità di quello sconosciuto superò
il freddo e la
fatica. Raccogliendo le ultime forze, si puntellò sulle
ginocchia e
lo girò. Occhi vitrei e bocca spalancata, un volto pallido
devastato
da una smorfia di dolore, l'ultima, prima che la morte calasse la
falce su di lui.
Ron.
Un
urlo squarciò il silenzio del dormitorio femminile di
Grifondoro,
così prolungato e agghiacciante che molte studentesse si
affacciarono fuori dalle loro stanze. Le sentì scalpicciare
allarmate fuori dalla propria porta, ma era troppo sconvolta per
poterle rassicurare.
Era
madida di sudore e respirava a fatica mentre il cuore galoppava
veloce. Scostò le coperte con un gesto deciso e
abbandonò il calore
asfissiante del letto.
Ogni
notte la stessa storia, tutte le sue peggiori paure prendevano forma
in terribili incubi e, spesso, l'ambientazione era proprio la sera in
cui Ron l'aveva lasciata sulla soglia di casa.
Era
buio e lei stava dormendo quando dei rumori provenienti dalla stanza
accanto l'avevano destata. Senza neanche mettere le scarpe era corsa
giù per le scale, diretta verso la porta, e l'aveva
raggiunto appena
in tempo per vederlo smaterializzarsi, lo zaino in spalla e la testa
bassa. Non un bacio o un abbraccio, non gli aveva potuto dire addio.
Perché?
Si chiese
guardandosi allo
specchio del piccolo bagno in camera.
Non
poteva contattarlo, il regolamento non prevedeva l'invio di lettere e
altre “distrazioni” alle reclute. Lui era di
proprietà del
Ministero fino alla fine dell'addestramento e la fase
del
distacco dagli affetti familiari era tra le più importanti
dell'intero corso.
Ron
aveva solo deciso di giocare d'anticipo.
*
Da
quando era uscito da Azkaban la sua posizione era del tutto
compromessa e non c'era luogo o compagnia in cui sentirsi al sicuro.
I vecchi amici lo guardavano con diffidenza e sospetto, aveva perso
per sempre la loro fiducia, ne aveva avuto conferma durante la notte.
Blaise
e Theodore avevano smesso di parlare al suo arrivo in stanza ed erano
stati così bruschi e sgraziati da avergli strappato un amaro
sorriso.
Aveva
offerto una sigaretta a Blaise e lui l'aveva accettata a stento,
mentre Theodore si era rigirato nel letto.
Lo temevano e, in fondo,
doveva aspettarselo.
Quello
non era più il Draco Malfoy che tutti conoscevano, il
ragazzino
vispo e viziato con la puzza sotto il naso aveva perso i pezzi, uno
alla volta, fino a disintegrarsi come legno arso dal fuoco.
Persino
lui stentava a riconoscersi, lo specchio gli restituiva un'immagine
diversa, una pallida imitazione di quel che era stato, una vivida
rappresentazione di quel che era.
Un
uomo? No, un vecchio con la schiena curva, troppo stanco per vivere,
ma con ancora troppi problemi a impedirgli di morire. Aveva
fatto una promessa a sua madre e l'avrebbe mantenuta a costo di
spezzare vite a mani nude.
Il
suo piano avrebbe avuto inizio lì, dove tutto era
cominciato, dove
tutto sembrava finito.
La
Sala Grande era il luogo in cui gli studenti si riunivano per
consumare i pasti, partecipare a eventi importanti... e scambiare una
quantità spropositata di pettegolezzi e maldicenze.
Non
c'era neppure un avvenimento che passasse inosservato, anche la
più
piccola inezia poteva trasformarsi in una storia interessante su cui
ricamare per ore.
Aveva
sempre trovato poco interessante quell'inutile chiacchiericcio, a
volte persino irritante e fuori luogo, ma quella mattina era diversa
dalle altre. Il
ciarlare delle sue compagne di Casa aveva assunto un valore nuovo.
Conoscere
ogni pettegolezzo, la fonte, le successive aggiunte, era diventato
importante, perché in quella massa di notizie sconclusionate
avrebbe
potuto nascondersi un'informazione utile. Il problema, però,
era
passare inosservato, cancellare il segnale di pericolo che pendeva
sulla sua bionda chioma.
Fingersi
annoiato era una pratica affinata negli anni che lo aveva salvato
parecchie volte, da domande scomode, discussioni che non lo
riguardavano e gente mediocre. Gli bastava indossare il broncio,
tenersi la testa con una mano e rigirare la forchetta nel piatto, di
tanto in tanto alzare gli occhi al cielo, sbuffare e il gioco era
fatto. In cella aveva imparato ad essere paziente e silenzioso, un
letale serpente in agguato in attesa della propria preda. Chi avrebbe
mai fatto caso a lui? Forse il primo giorno, magari il secondo e pure
il terzo, ma prima o poi i Serpeverde avrebbero smesso di pensare che
Draco Malfoy tramasse qualcosa e avrebbero abbassato la guardia,
smettendo di schermare la mente o di mormorare sottovoce, e lui
avrebbe avuto finalmente campo libero.
Pazienza,
devo solo avere molta pazienza...
«Pansy!
Pansy! Hai sentito?»
O
forse no.
Millicent
Bulstrode, la faccia rossa come un peperone e il respiro pesante,
arrivò di corsa al loro tavolo, rischiando di schiantarsi
sul
vassoio dei muffin. Aveva attirato gli sguardi curiosi di molti
studenti delle altre Case e, com'era risaputo, ai Serpeverde come
Pansy non piaceva essere notati.
«Stupido
pachiderma! Che hai da strillare?!» la rimbeccò
per questo senza
pietà.
La
ragazza, abituata agli insulti della compagna, si versò un
bicchiere
di succo di zucca e, dopo una lunga sorsata, riprese a parlare.
«Prima
ero al tavolo dei Corvonero, parlavo con Lisa» trattenne a
stento un
rutto «sai, Lisa Turpin, siamo amiche da un po'...»
«Sì,
chi se ne frega!» la interruppe Pansy alzando gli occhi al
cielo
«Non hai altro da dirmi?»
Millicent
annuì e addentò una fetta di torta al cioccolato
come fosse un
bignè. Masticò in fretta e furia,
tracannò altro succo per
mandarla giù e poi, con la bocca ancora piena e impastata
disse:
«Lisa ha sentito dire da Hannah Abbott che Calì
Patil ha detto che
qualcuno stanotte ha urlato!»
Draco
conosceva abbastanza bene Pansy da sapere che i pugni stretti sul
tavolo e le grosse narici spalancate non promettevano nulla di buono.
«Quante
volte ti ho detto di non parlare a bocca piena?!» disse
infatti a
denti stretti, mentre gli occhi a palla minacciavano di uscirle dalle
orbite.
«Sì,
cazzo, Pansy ha ragione, sei disgustosa!» intervenne Blaise
pulendosi il viso dalle briciole sputacchiate qua e là dalla
corpulenta ragazza.
«Senti,
non abbiamo tempo da perdere. Chi ha urlato e dove?» disse
Pansy
perentoria.
Millicent,
che aveva una cotta per Blaise da anni, si pulì la bocca con
un
tovagliolo ancora più rossa in viso di quanto già
non fosse.
«Nel
dormitorio femminile dei Grifondoro, ma non si sa ancora chi
è
stato!» riferì dopo una pausa imbarazzata.
Risatine
e versi di apprezzamento, i volti dei suoi compagni si erano
illuminati in contemporanea, come quelli dei bambini di fronte a un
pacco regalo. Anche Draco si sentì rallegrato dalla lieta
notizia,
non solo perché riguardava gli odiati Grifondoro, ma
soprattutto
perché non sembrava affatto una cosa da poco.
«Uuuh!
Vuoi dirmi che scopano anche loro?» ridacchiò
Blaise, ricevendo una
gomitata da Theo.
«Certo,
idiota! Non te ne sei mai fatto una? Sono delle vere belve!»
«Ma
no, non quel tipo di urlo! Era più un urlo di
terrore.»
Millicent
frenò sul nascere l'entusiasmo dei ragazzi, accendendo
invece quello
delle ragazze.
«La
cosa comincia a farsi interessante! Di sicuro era la Weasley,
avrà
visto Potter nudo, fossi in lei anch'io urlerei»
osservò Daphne
scatenando altre risate.
«Chi
ti dice che a urlare non sia stato proprio Potter?» riprese
Theo
«Chissà cosa nasconde sotto la gonna la piccola
Weasley...»
La
discussione era proseguita su quella scia per parecchi minuti
finché
Pansy non aveva deciso di averne abbastanza di teorie assurde e senza
senso e Draco, per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti, si era
ritrovato a ringraziarla mentalmente.
«Ascoltatemi,
brutti idioti, io so chi è stato»
esordì mentre un sorriso maligno le curvava le labbra.
Fece
una lunga pausa, aspettando che i compagni recepissero la notizia e,
solo quando fu certa di aver catturato l'attenzione di tutti
proseguì.
«Per
me è stata la Granger.» la sicurezza con cui lo
disse fu tale da
risultare convincente persino a Draco.
Hermione
Granger.
L'aveva
vista soffrire, l'aveva sentita gridare, ma non cedere. Per quanto le
ore di tortura sembrassero infinite, la Granger non si era piegata,
ma aveva avuto persino la forza di mentire.
Quelle
urla si erano marchiate a fuoco nella sua mente e, ogni volta che lo
sguardo cadeva per caso sulla Grifondoro, tornavano a farsi sentire.
Per questo e per altri motivi, nonostante lei e i suoi amichetti gli
avessero già salvato la vita, si sentiva ancora
tremendamente in
debito con la nuova Caposcuola.
Era
stata la Granger? A vederla chiunque avrebbe detto di sì. Il
viso
pallido e tirato, le occhiaie scure, i capelli flosci e le spalle
curve. La Sala Grande era troppo impegnata a spettegolare per
rendersi conto che la soluzione era a portata di tutti, ma del resto
non aveva importanza: una sola parola da parte di Pansy e la notizia
si sarebbe sparsa a macchia d'olio.
Sbuffò
lasciando cadere la forchetta nel piatto.
Odiava
sentirsi in debito con qualcuno.
Odiava
sentirsi in debito con la Granger.
Odiava
la Granger.
*
La
notte peggiore da un paio di settimane a quella parte e non poteva
(né voleva) parlarne con il suo migliore amico. Harry
versava in uno
stato di assoluta grazia, con Ginny vicina a tenergli la mano
emanando una nube tossica di cuoricini. Chi era lei per spazzarla
via? La scena sarebbe risultata talmente patetica che per rimediare
avrebbe dovuto impiccarsi nel bagno di Mirtilla Malcontenta.
Tuttavia
non poteva dire di sentirsi ignorata. Aveva peccato di leggerezza
dimenticando gli incantesimi di protezione e si era inconsciamente
esposta a una bufera di escrementi senza precedenti.
Non
si parlava d'altro quella mattina: urla orribili, agghiaccianti,
terrificanti, provenienti dal dormitorio femminile di Grifondoro! Chi
era stato? Una nuova minaccia era in corso?
Il
suo nome non era ancora venuto fuori, ma sapeva che prima o poi
sarebbe stato associato all'intera situazione, bisognava solo
aspettare con calma.
Calì
e Lavanda 'lavoravano' senza sosta, saltando come molle impazzite da
un tavolo all'altro. Avesse avuto un briciolo di energia in
più,
probabilmente avrebbe fatto loro delle domande sull'accaduto,
depistandole per qualche altra ora, ma non era dell'umore adatto per
lanciarsi in sciocche macchinazioni.
Sospirò
affranta, incapace di trovare la tolleranza necessaria a sopportare
chiunque nel giro di almeno tre chilometri, e sollevò gli
occhi dal
libro di Rune Antiche.
In
lontananza Millicent Bulstrode si stava dirigendo verso il proprio
tavolo come un bue muschiato davanti all'erbetta primaverile. Lo
scoop eccezionale era dunque giunto anche ai Serpeverde?
Li
vide sghignazzare e parlare in modo concitato, Nott aveva appena dato
una spallata a Zabini, mentre Daphne doveva aver fatto una battuta
davvero esilarante perché tutti erano scoppiati a ridere.
Tutti,
tranne Malfoy.
Era
seduto accanto alla combriccola ma non era chiaro se fosse lui ad
ignorare loro o viceversa.
Mise
a tacere la vocina che le sussurrava all'orecchio quanto la
situazione apparisse strana, preferendo affidarsi alla logica. Era
normale, dopo tre mesi ad Azkaban chiunque sarebbe uscito
trasformato, senza contare i dubbi che ruotavano attorno alla sua
scarcerazione. Cosa aveva spinto il Ministero a rilasciare l'erede di
Lucius Malfoy, con il padre vivo e in fuga chissà dove?
Si
passò una mano tra i capelli e chiuse gli occhi
massaggiandosi le tempie. Non era più compito suo, anzi,
c'era un'intera
squadra di
Auror a controllare la situazione. In fondo sapeva che le lezioni di
Difesa erano solo la punta dell'iceberg e lei, per una volta, avrebbe
preferito non fare la fine del Titanic.
D'istinto
guardò di nuovo nella direzione dei Serpeverde e
notò due paia di
occhi intenti a fissarla. Pansy Parkinson la stava guardando con
maligna soddisfazione, il che non la sorprese troppo, era abituata a
quel tipo di occhiate. Ciò che però la
sconvolse fu lo
sguardo intenso rivoltole da un'altra persona. Gli occhi grigi del
nemico. Credeva di aver preso un abbaglio la sera precedente e,
invece, Malfoy guardava proprio lei. Che le stesse lanciando
qualche tipo di fattura?
Non
aveva intenzione di scoprirlo. Mise il libro in borsa e si
alzò con
tutta la noncuranza che riuscì a racimolare.
«Dove
vai?» le chiese Harry preoccupato.
«Ho
una riunione con i prefetti prima dell'inizio delle lezioni»
si
giustificò lanciandogli un'occhiataccia.
Se Harry voleva che
le cose
tra lui e Ginny funzionassero davvero avrebbe dovuto smetterla di
usare quel tono apprensivo!
Una
volta fuori respirò con gratitudine l'aria fresca del
mattino e
guardò il cielo limpido con un po' di malinconia. Non aveva
ancora
perso del tutto la ragione, sapeva che quegli sguardi in Sala Grande
significavano qualcosa, restava solo da scoprire chi dei due
Serpeverde l'avrebbe seguita.
La
riunione esisteva davvero e non sarebbe sembrato strano a nessuno che
Hermione Granger avesse deciso di presentarsi con venti minuti
d'anticipo. Il luogo designato era il corridoio principale dove
avrebbero dovuto smistare il traffico di studenti del primo anno.
Mise una mano in tasca a stringere la bacchetta e si
appoggiò ad una
colonna, fingendo di guardare fuori dalla finestra di fronte.
Passarono
alcuni minuti e poi dei passi pesanti e strascicati risuonarono tra
le vecchie mura di pietra. Malfoy girò l'angolo e la
raggiunse in
poche falcate e, a quel punto, non seppe più cosa
aspettarsi. Un
attacco in pieno giorno era fuori discussione, era più
probabile che
la sbeffeggiasse o la ignorasse come aveva già fatto alla
stazione.
«Granger»
la salutò con un cenno del capo.
«Malfoy»
ricambiò il cenno sostenendo lo sguardo minaccioso del
Serpeverde.
«Dov'è
l'aula di Babbanologia?»
Una
domanda secca, priva di sarcasmo o allusioni. Mille congetture
gettate alle ortiche da un atteggiamento così normale da
risultare
atipico. Aprì e chiuse la bocca almeno quattro volte senza
riuscire
a spiccicare parola, troppo confusa per poter rispondere.
«Caposcuola,
ti ho fatto una domanda» la rimbeccò lui
sbuffando seccato.
«Bab-babbanologia?»
fu l'unica parola che riuscì ad articolare, mentre sentiva
la
dignità scivolare lentamente sotto le scarpe.
«Esatto!»
schizzò fuori un fiotto di veleno «Da quest'anno
è materia
obbligatoria, dovresti saperlo.»
«Sì,
certo che lo so!» mentì spudoratamente, nel
tentativo di recuperare
un po' della vecchia Hermione.
Si
era già trovata a quella distanza da Malfoy, ma in genere
era per
insultarlo con più efficacia, non per dargli informazioni
come
fossero due studenti qualunque.
Il
profumo di colonia, misto ad un intenso odore di tabacco, le
penetrò
nelle narici infastidendola. Notò quanto fosse alto e si
sentì per
la prima volta intimorita dalla vicinanza con il ragazzo.
«Allora?
Granger, sei la peggior Caposcuola che Hog...»
«L'aula
è al secondo piano, terza porta a destra»
interruppe sul nascere le
lamentele del ragazzo.
Aveva
ragione, una Caposcuola doveva essere preparata ed efficiente, ma lui
era pur sempre lui. Come poteva pretendere di
iniziare una
conversazione civile di punto in bianco?
«Finalmente!
Credevo avessi perso la voce stanotte» allargò le
braccia in modo
plateale.
Hermione
non recepì subito il messaggio, ma quando la sua mente
riuscì a
mettere insieme i pezzi lui era già in fondo al corridoio,
così,
senza pensarci troppo, lo rincorse e prima che svoltasse l'angolo gli
si piantò davanti.
Colto
alla sprovvista il ragazzo indietreggiò di qualche passo,
mentre
un'espressione di puro sconcerto si faceva strada sul suo viso. Dopo
essersi guardato intorno con aria circospetta la spinse oltre il muro
nel corridoio a sinistra.
«Che
vuoi? Sei per caso diventata pazza?!» disse brusco e sulle
spine.
Hermione
era senza fiato, ma non aveva comunque intenzione di lasciar perdere,
perciò mise le mani davanti a sé per fermarlo.
«Spostati,
stupida» sibilò allora il ragazzo tra i denti,
provando a
scansarla.
«Quello
che hai detto prima,» fece un respiro profondo e
raddrizzò le spalle
«a cosa ti riferivi?»
«Merlino,
stai perdendo colpi!» ghignò sardonico,
ricordandole con chi aveva
a che fare.
Lui
era lui, le cose non sarebbero cambiate mai,
neppure se
fossero passati cento anni.
«Mi
piacerebbe, ma sono ancora capace di riconoscere le tue frecciatine,
Malfoy.»
«Allora
saprai di cosa stavo parlando, Granger; anzi, con
l'ultima
domanda hai appena confermato le mie ipotesi. Complimenti!»
mimò un
applauso.
«E
comunque,» proseguì avvicinandosi «ti ho
regalato la cosa più
preziosa di tutte.»
«Che
stai dicendo?!»
«Il
tempo, Granger» disse in tono neutro «Ti sto dando
del tempo per
inventare una scusa valida.»
«M-ma
io non te l'ho chiesto!» strinse i pugni come una bambina
punita
ingiustamente.
«Beh,
ormai è fatta,» fece spallucce «ora sei
in debito con me»
Aveva
pronta in canna l'esclamazione più stridula che il mondo
avesse mai
udito, ma il vociare proveniente dal corridoio principale la
distrasse: c'era un mucchio di prefetti confusi in attesa di
direttive e un fiume in piena di studenti a cui badare.
La
voglia di correre per tutta Hogwarts brandendo un'ascia era forte, ma
non poteva venir meno ai suoi impegni.
«Non
finisce qui! Hai capito?» strepitò, ma Draco stava
già andando via
e si limitò a salutarla con un gesto della mano.
Avrebbe
ucciso dopo Malfoy, magari a cena, tra una portata e l'altra.
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 - La statua della Chimera ***
Capitolo
4. La statua della Chimera
Babbanologia.
Se
un anno prima qualcuno gli avesse detto che avrebbe frequentato il
corso di babbanologia, avrebbe portato il malcapitato al San Mungo.
D'urgenza.
"Malfoy" e "babbano" non potevano
rientrare nella stessa frase, cozzavano, stridevano come unghie sulla
lavagna!
Gli tornavano in mente i discorsi sul sangue che suo
padre gli faceva ogni sera, seduto sulla grande poltrona davanti al
camino. Era una questione di educazione, non poteva stimare i nati
babbani e i sangue misto dopo aver passato tutta la vita a sentir
parlare di loro come di deboli e ignobili imitazioni dei purosangue.
Nessun bambino sarebbe stato tanto nobile d'animo da comprendere
l'errore dietro un'ideologia estremista come quella che aveva mosso i
mangiamorte sulla strada della distruzione.
Non che si fosse del
tutto ricreduto, certo. Benché fosse contrario allo
sterminio di
massa o all'assoggettamento della razza inferiore, continuava a
ritenere i babbani molti gradini più in basso rispetto a lui
o a
qualsiasi altro mago. I babbani erano esseri umani a metà,
incapaci
di estendere la loro energia al di là dei confini del
proprio corpo
e della propria mente. Si circondavano di tristi surrogati della
magia per convincersi di essere la razza superiore e stavano
riducendo l'intero pianeta ad un cumulo di rifiuti tossici per
mantenere quello status illusorio. Lui lo sapeva bene, Lucius non si
era limitato alle parole, ma gli aveva portato molte volte delle
copie di quotidiani babbani per avvalorare le proprie tesi. Dieci
punti a suo padre, era riuscito nel proprio intento.
Babbanologia.
In
un anno molte cose erano cambiate, la sua vita era stata stravolta e
nuove immagini e nuovi ricordi erano associate a quel termine. Come
avrebbe potuto dimenticare le urla, il volto contratto dal dolore e
il cadavere di Charity Burbage divorato da Nagini?
Fu per questo
che, varcata la soglia della classe, alla vista del ritratto della
professoressa sentì le viscere contorcersi e la nausea farsi
sempre
più forte. Asciugò svelto le goccioline fredde di
sudore che gli
imperlavano la fronte e prese posto tra gli ultimi banchi. Era ancora
troppo presto, mancavano più di cinque minuti all'inizio
ufficiale
delle lezioni e lui era stato il solo idiota a presentarsi in netto
anticipo nell'unica aula in cui un Malfoy non sarebbe mai dovuto
entrare.
Trovarla
non era stato così difficile come credeva, anzi, gli era
bastato
affacciarsi all'interno per capire che fosse proprio quella l'aula
in cui la magia era bandita.
Centinaia di sciocche cianfrusaglie
erano ammonticchiate su decine di mensole e scaffali addossati ad
ogni parete della stanza, le foto e i poster appesi negli spazi
liberi erano drammaticamente statici e in fondo, proprio dietro la
cattedra, c'erano dei manichini di diverse dimensioni agghindati con
abiti leggeri e sgargianti. Persino l'odore era strano, non
assomigliava a niente che riuscisse a ricordare, così
pungente
e innaturale,
non riusciva a capire da dove arrivasse.
Su
ogni banco erano stati posti dei semplici cestini di vimini e dentro
vi erano degli oggetti che non aveva mai visto, molti dei quali, neri
e lucidi, riflettevano il sole che entrava dalle ampie finestre
laterali. Ciò che però lo incuriosì fu
un'assurda rappresentazione
di una papera, gialla, con dei grandi e inquietati occhi azzurri. Si
guardò alle spalle per controllare che non ci fosse ancora
nessuno e
la toccò per saggiarne meglio la consistenza. Era morbida e
liscia
e... puzzava. L'avvicinò al naso e si rese conto che l'odore
nauseabondo proveniva da quell'oggetto. Rigirò ancora per
qualche
istante la paperella di gomma tra le mani, senza riuscire a
capacitarsi di quale utilità e quale funzione avrebbe potuto
svolgere nel mondo babbano.
«Ti piace?» Brett Dukes, il nuovo
insegnante, scese le scale del suo piccolo ufficio e si
avvicinò con
aria sorniona alla cattedra.
L'aveva
beccato, com'era potuto succedere? Era così concentrato su
quella cosa da
non aver neppure sentito la porta aprirsi! Gettò la
paperella nel
cestino e quella emise un fischio che lo fece trasalire. L'insegnante
trattenne a stento una risata «Un oggetto molto affascinante,
seppur
così semplice» disse raggiungendolo.
Draco
sfoderò l'espressione più superba del suo
repertorio: ci voleva ben
altro per mettere in imbarazzo un Malfoy.
«Non so a cosa si
riferisca» disse gelido e tagliente.
«Oh, scusa. Devo essermi
immaginato tutto» rispose il signor Dukes con un altro
sorriso
rassicurante.
Diamine, lo odiava già! Avrebbe scommesso ogni
singola goccia del suo sangue che quello era un ex-Tassorosso: il
sorriso sempre stampato in faccia, il tono di voce gentile e pacato e
quel tocco di goffaggine che aveva dimostrato di avere a cena. Era
chiaro che non aveva voluto entrare in contrasto con lui, spinto da
chissà quale intento caritatevole. Che volesse convertirlo
all'amore
per i babbani? Al solo pensiero gli venne spontaneo sbuffare e
passarsi una mano sugli occhi. Tutto, qualsiasi cosa, ma non quello.
Aveva già parecchie cose a cui pensare senza che ci si
mettesse
quell'idiota di un Dukes.
«Mmh, no. Non ero un Tassorosso, mi
spiace deluderti».
Il suddetto "idiota" aveva parlato
con noncuranza, leggendo quelli che avevano l'aria di essere appunti.
Aveva usato la Legilmanzia e lui non se n'era neppure accorto! Per
quanto tempo e fino a che punto gli aveva frugato in testa? Il timore
che avesse potuto scoprire i suoi piani lo fece raggelare, ma non
poteva andare a finire in quel modo.
Si alzò in piedi, pronto ad
affrontare quell'insegnante o presunto tale, quando dalle porte
aperte giunsero le voci dei suoi compagni e nel giro di pochi minuti
l'aula fu piena di occhi e orecchie indiscrete.
Draco lanciò uno
sguardo penetrante in direzione del signor Dukes, ricevendo in cambio
un mezzo ghigno. Qualcosa gli diceva che non fosse finita
lì, ma che
era stato tutto rimandato ad un 'dopo' da definire. Si rimise a
sedere e guardò il posto vuoto di fianco a sé.
Non era abituato ad
essere considerato un appestato, ma anche quella era una cosa a cui
avrebbe fatto il callo molto presto. La sua posizione, però,
gli
permetteva di osservare indisturbato gli altri studenti che lo
avevano raggiunto in quell'antro di futilità.
Grifondoro e
Serpeverde.
Per quanto il corpo docente si sforzasse, non c'era
alcuna possibilità che le due Case andassero d'accordo e le
lezioni
in comune non facevano che peggiorare la situazione. Come avrebbero
potuto amare i Grifondoro quando c'era la Granger che con quel
braccio sempre alzato guadagnava punti a raffica? Già, la
Granger...
non vedeva la testa straripante di ricci della
so-tutto-io.
«Buongiorno! Oh, scusi il ritardo professore,
prometto che non accadrà mai più!»
La Granger che arrivava di
corsa e che provava a mettere insieme una frase di senso compiuto
nonostante il fiatone. Dov'è che aveva già visto
quella scena?
«Non
si preoccupi signorina, non avevamo ancora iniziato. Lei deve
essere...»
«Hermione Granger, signore! Sono la nuova
Caposcuola»
era scattata come una molla sull'attenti.
Brava,
fatti riconoscere...
«Riunione
dei prefetti, eh?» Dukes sistemò gli occhialetti
sul naso, senza
alzare lo sguardo dai propri fogli.
Coglione.
Spero che tu stia sentendo.
«Sì,
esatto» un sorriso e poi le guance le si imporporarono.
Oh,
cielo. Ditemi che non è vero!
«Ah,
immagino! Beh, ma un ritardo non cancellerà la sua nomea. Si
dice
che lei sia la strega più brillante del suo corso».
Un'altra
parola o un altro sorriso smielato e avrebbe vomitato il
caffè nero
appena bevuto. Non poteva credere di aver assistito a quella scena
patetica, era come se stessero flirtando incuranti del resto della
classe. Perché lei sembrava così in imbarazzo e
perché tutte le
altre galline la guardavano scambiandosi battute e risolini?
Osservò
meglio il professore: non se ne intendeva molto di bellezza maschile,
ma eliminando occhiali e abiti da sfigato babbano, forse poteva
risultare attraente alle sue coetanee.
«Ora però si sieda, così
potremo cominciare».
La Granger si guardò intorno spaesata, come
un cucciolo strappato a mamma orsa, finché il famoso
Prescelto la
salutò ridendo dall'alto del suo secondo banco.
Credeva di avere
l'esclusiva della stronzaggine, ma il signor
Salvatore-del-mondo-magico aveva deciso di rubargli anche quel
primato.
D'altra
parte, Draco non aveva niente di meglio da fare e il suo passatempo
preferito gli era appena stato servito su di un enorme piatto da
portata. Allungò la mano e mostrò alla povera,
piccola, ingenua
Caposcuola la triste verità: l'unico posto disponibile era
accanto
al temibile mangiamorte. Lei si sforzò di non dare a vedere
il
proprio disappunto, sedendosi con la stessa aria altezzosa di sempre.
Il signor Dukes stava ancora sistemando decine di piccoli fogli,
quindi perché resistere alla tentazione?
«Pare che
il
processo di beatificazione per San Potter sia ancora lontano»
disse a voce bassa.
Alcuni compagni risero alla battuta, Hermione
invece lo ignorò, tirando fuori dalla
borsa un grosso rotolo di pergamena e una lunga piuma bianca.
«Una
babbana che prende appunti sui babbani in una lezione tenuta da un
mago. Patetico» le sussurrò allora a pochi
centimetri, perché solo
lei potesse sentirlo.
«Un Malfoy costretto a seguire
Babbanologia, ecco cos'è patetico» lo
fulminò con lo
sguardo.
Colpito e affondato. Stava per partire al contrattacco,
ma l'intenzione di ribattere fu stroncata sul nascere dal
professore.
«Bene, adesso che ci siamo tutti, direi che è il
momento di iniziare. Il mio nome è Brett Dukes e sono il
vostro
insegnante di Babbanologia. Al contrario di quanto più della
metà
di voi pensa, la mia materia è molto importante, addirittura
fondamentale per la vita di ogni mago che si rispetti. Non esiste
infatti modo di poter mantenere segreti i nostri segreti se non
conoscendo la cultura della gente da cui ci nascondiamo».
L'aria
bonaria era scomparsa e all'improvviso il professore sembrava molto
più autorevole di quanto Draco avesse immaginato. Era
pacato, ma
allo stesso tempo riusciva ad imprimere forza nella voce e nei gesti
ampi con cui rimarcava ogni concetto espresso.
«Dopo gli ultimi
eventi, il Ministero ha ritenuto fosse giusto istruire le giovani
generazioni sul mondo babbano, per abbattere il muro di pregiudizi e
per aiutarli nel loro percorso al di fuori della scuola» si
appoggiò
di schiena alla cattedra e prese in mano un cestino identico a quelli
a disposizione degli studenti.
«Molti di voi, forse tutti, non
hanno mai seguito neppure una lezione di Babbanologia,
perciò vi
toccherà fare un corso accelerato quest'anno. Con voi il mio
approccio sarà diverso, meno accademico. Qui
dentro» lo sollevò
davanti a sé «troverete tutti gli argomenti che
tratteremo».
Il
famigerato cestino pieno di cianfrusaglie rappresentava un intero
programma di lezioni?
Che
tristezza...
«So
già che ai vostri occhi sembrerà un mucchio
di cianfrusaglie,
ma vi assicuro che non è così» disse,
rivolgendo a Draco
un'occhiata carica di sottintesi.
Era
chiaro ormai che stesse usando la Legilmanzia su di lui, ciò
che non
riusciva a spiegarsi era il modo di fare del professore. Cosa stava
cercando di dirgli?
«Iniziamo con le cose semplici,» prese la
famigerata paperella e la mostrò alla classe
«questa è una
paperella di gomma, un comune giocattolo usato per convincere i
bambini a fare il bagno. Tutte le teorie circolanti intorno a questo
affarino sono false: non controlla la mente, non serve da richiamo
per babbani e, soprattutto, non è una merce di valore. Spero
di non
doverne parlare mai più.» Sospirò
affranto, come se avesse
ripetuto quelle parole per l'ennesima volta.
«Questo tubicino,
invece, è una penna» rigirò la biro tra
le dita.
Molti
Grifondoro si dimostrarono interessati, al contrario dei Serpeverde
che reagirono con sdegno e incredulità di fronte a lo
“sciocco
ritrovato babbano”.
Spostò l'attenzione sulla Granger, che non
smetteva di torturarsi le labbra mentre il rossore delle guance
raggiungeva le orecchie. Una ciocca di capelli era appena sfuggita al
sobrio chignon accarezzandole il collo, lei l'afferrò
distratta
attorcigliandola attorno alle dita e... il tono concitato di Dukes lo
fece trasalire.
«Certo che scrive! I babbani non hanno la magia
dalla loro parte, ma trovano comunque il modo di migliorare la loro
vita attraverso invenzioni ingegnose e la biro rientra tra queste! E
non solo, presto vi mostrerò molti altri oggetti
perfezionati».
«Perfezionati?
Cosa ci trova di così perfetto in questa stupida
penna?» Pansy
espresse l'opinione di gran parte dei Serpeverde con una singola,
disgustata domanda.
«È
leggera, compatta e non necessita di pratica per essere utilizzata.
Grazie al sistema a sfera metallica, non c'è il rischio di
macchiare
la carta come avviene con le normali piume d'oca»
replicò la
Granger con il solito zelo. Odiava il tono squillante che assumeva,
era fastidioso come il miagolare di un gatto intento a difendere il
territorio.
«Ben detto! Cinque punti a Grifondoro!»
proclamò il
professore entusiasta.
«Signorina Parkinson, so che lei nutre una
profonda ostilità nei confronti dei babbani, ma sono certo
che
presto cambierà opinione» disse serio, mantenendo
comunque il
solito tono gentile. Pansy si limitò a gettare la penna nel
cestino
senza controbattere.
Il professore poi proseguì elencando gli
altri oggetti: una lattina di Coca-Cola, un cellulare, un lettore
MP3, un libro tascabile e la pagina di una rivista di moda. La prima,
disse, era una bevanda molto amata dai babbani, ma era anche il
simbolo della loro società basata sul consumo di prodotti.
Il
secondo era il loro mezzo di comunicazione più rapido e
utilizzato... e poi si perse.
Impegnato com'era a schermare la
mente, non avrebbe potuto preoccuparsi anche delle inutili parole del
signor Babbanofilo. La Granger, poi, non era d'aiuto. Lo scorrere
frenetico della piuma sulla pergamena ruvida era una distrazione
sufficiente a fargli perdere il filo del discorso e lei non aveva
smesso di trascrivere ogni parola da quando il professore aveva
iniziato a parlare.
Dukes disse qualcosa come "Vado a
prenderlo, restate lì" e salì nel suo studio.
Nello stesso
istante la Granger poggiò la penna nel calamaio e Draco
sentì i
nervi distendersi.
«Finalmente,» scandì con lentezza
afferrando
la piuma «un altro minuto e le avrei dato fuoco».
Guardò la
ragazza di traverso per analizzarne la reazione. Aveva ancora il viso
arrossato, le labbra di un delizioso rosso ciliegia e gli occhi
castani carichi di disprezzo. Ah, il caro vecchio disprezzo
Grifondoro, era una delle poche cose rimaste immutate.
«Perché?
Vuoi passare alle penne babbane?» lo provocò a sua
volta.
Non
c'era un vero motivo che lo spingesse a infastidire la Granger, a
parte il piacere personale di vederla strepitare in preda a una crisi
di nervi.
Allungò una mano per riprendersi la piuma, ma lui la
allontanò avvicinandola al muro in modo che fosse il
più lontano
possibile da lei.
«Malfoy, non costringermi a fare scenate» gli
intimò a bassa voce, ma Draco ridacchiò per nulla
spaventato da
quella minaccia.
«Sei la strega più brillante di tutta la Gran
Bretagna passata, presente e futura, usa un incantesimo di
richiamo»
la sfidò ghignando divertito.
«Stupido idiota! Non possiamo
usare la magia qua dentro. Ridammela e basta.» Era evidente
quanto
si stesse sforzando per non farsi sentire dagli altri.
«Vedi,
Granger, io non ne posso più di sentirti scrivere e tu non
hai
davvero bisogno di farlo, per cui...» diede un'occhiata alla
piuma
più da vicino, facendola rotolare tra l'indice e il pollice
con fare
annoiato.
Voleva vederla esplodere e riderne fino alle
lacrime, la Granger che conosceva l'avrebbe fatto.
Quella però
doveva essere una copia difettosa della so-tutto-io, perché
invece
di prenderlo a pugni si era limitata ad un grosso sospiro e si era
voltata dall'altra parte, appoggiando il viso alla mano destra,
così
che lui non potesse vederlo.
Era certo che ne avesse almeno un
centinaio in quella maledetta borsetta e allora perché darsi
tanta
pena per un'insulsa piuma? La osservò meglio e vide delle
lettere
incise su un lato: R.B.W.
Oh, com'era scontata e
noiosa!
Rimise la penna nel calamaio senza dire una parola, quando
il professore aprì la porta del suo ufficio e ne
uscì tenendo fra
le mani una grossa scatola nera, la poggiò con un rumoroso
tonfo
sulla cattedra e li guardò entusiasta.
«Che roba è?» Pansy,
voce del popolo eletta all'unanimità.
«Roba?»
Dukes sembrò punto sul vivo «Questo è
un televisore!» esclamò
con enfasi, ma nessuno ebbe la reazione che forse si
aspettava.
«Nessuno
di voi qua dentro sa cosa sia?!»
La mano della Granger si sollevò
prontamente e Draco sentì crescere il desiderio di dare uno
schiaffo
a quelle piccole dita bianche, ma non fu la sola. Per la prima volta
un'altra mano si levò in alto, un evento più che
raro, eccezionale,
tanto che persino lei sembrò stupita dell'accaduto.
«Potter!
Dicci tu cos'è un televisore!»
«Sì, signore. Il televisore è
il centro della vita dei babbani, il loro svago maggiore. È
come le
nostre radio, ma con l'aggiunta delle immagini in movimento. Una
specie di pensatoio a cui migliaia di persone possono accedere
contemporaneamente... e, beh, so che il discorso è
più
complesso...» incespicò sulle ultime parole.
Stupido
Potter.
La
Granger era così fiera di lui in quel momento che quasi gli
venne da
vomitare. Di nuovo. Non aveva mai visto nessuno rallegrarsi per il
successo di qualcun altro e quel sorriso ebete, misto allo sguardo
luccicante di soddisfazione, gli fece rivoltare le budella.
«In
effetti è proprio così ed è per questo
che il televisore sarà tra
gli ultimi argomenti che tratteremo, come ben sai...»
Staccò di
nuovo il cervello, non aveva voglia né tempo di ascoltare
altre
baggianate sul mondo babbano. Di colpo aveva avvertito molte difese
Serpeverde cadere, quindi avrebbe potuto scavare nelle loro menti
indisturbato per un po'. O meglio, avrebbe voluto.
«Signor
Malfoy, la mia lezione sta disturbando le sue erudite elucubrazioni
mentali? Vuole condividerle con la classe? Devono essere davvero
interessanti per averla distratta così a lungo».
Cazzo! Quell'idiota
non sapeva quanto quel rimprovero avrebbe potuto cacciarlo nei guai,
non ne aveva la minima idea.
«Mi
perdoni signor Dukes, ma devo farle notare che sono costretto a stare
qui. Come lei già saprà, ritengo la babbanologia
un inutile spreco
di tempo» si era alzato in piedi, in modo da poter guardare
il
professore dritto negli occhi.
«Quindi per lei tutto questo non
conta?» disse indicando l'aula e gli oggetti intorno a
sé.
«Esatto»
rispose laconico Draco, mentre nella stanza era calato un silenzio di
tomba.
«Bene. Dieci punti in meno a Serpeverde per la sua
maleducazione, anche se sono certo che i suoi compagni la
accoglieranno come un eroe, nonostante la perdita. Ah, e prima che me
ne dimentichi, stasera verrà qui a scontare la sua
punizione»
proclamò con la stessa flemma, rimettendo gli oggetti nel
cestino e
sistemando alcune pergamene sparse sulla cattedra. Avrebbe condannato
a morte un innocente con la stessa quieta indifferenza, Draco ne era
certo.
«Punizione? E cosa dovrei fare? Scrivere un trattato su un
giocattolo per bambini come i suoi stupidi colleghi?!» disse
senza
pensarci.
«No, dubito che lei abbia le doti intellettuali per
scrivere un trattato di qualsivoglia genere».
Draco serrò
le mascelle incassando la stoccata. Se il piano di non farsi notare
era fallito, poteva comunque arginare i danni.
Potter, come molti
altri, si era voltato a guardarlo con un sorriso si scherno stampato
in faccia, mentre la Granger lo aveva ignorato controllando il
foglietto con l'orario delle lezioni. Non avrebbe saputo dire quale
dei due atteggiamenti odiasse di più, ma era chiaro che
reagire
fosse fuori discussione.
Di
positivo c'era che quella notte non avrebbe dovuto inventarsi una
scusa per lasciare il dormitorio, né avrebbe dovuto
utilizzare
incantesimi di disillusione per girovagare tra i corridoi. Se, dopo
aver scontato la punizione, avesse accidentalmente smarrito
la strada per i sotterranei, avrebbe potuto inventarsi di non
conoscere quell'ala del castello.
Nel
frattempo la lezione era giunta al termine e la Granger
schizzò via
senza nemmeno aspettare l'amichetto del cuore. Diede una rapida
occhiata all'orario delle lezioni: lo aspettava un'emozionante ora di
Erbologia con i Tassorosso.
Si alzò per andarsene ma, anche se la
porta era vicina, gli sembrò di non riuscire a trovarla e,
in breve,
rimase l'ultimo all'interno dell'aula. Chiuse gli occhi un paio di
volte e scosse la testa per scacciare quella fastidiosa sensazione di
confusione e poi si diresse verso l'uscita, ma questa venne
magicamente sbarrata.
«Perché
tanta fretta, Malfoy?»
lo fermò, trattenendolo per un braccio «Noi due
dobbiamo ancora
chiarire i termini della tua punizione».
Draco
sentì la minaccia velata dietro quelle parole, nonostante la
sensazione di smarrimento non lo avesse ancora abbandonato. Scosse di
nuovo la testa e scrollò le spalle per liberarsi dalla
stretta di
Dukes, ma questi sembrava parecchio determinato. La mano corse alla
bacchetta...
«Non
vorrai mica schiantare un professore, giusto Malfoy?»
lo canzonò sfacciato.
Dov'era finito il mite e imbranato
Brett Dukes? Si era lentamente dissolto durante l'ora e, in quel
momento, le ultime tracce stavano scomparendo lasciando il posto
all'uomo spavaldo che lo teneva in trappola.
«Farò
tardi alla prossima lezione, quindi se non le dispiace...»
lasciò
cadere la frase e fece per andare via, ma stavolta Dukes si
parò di
fronte alla porta con uno strano sorrisetto a incurvargli le labbra.
Era alto quasi quanto Draco e non dimostrava più di
trent'anni e,
malgrado il maglione infeltrito, si intravedevano i muscoli definiti
delle braccia e delle spalle larghe. Per quanto si sforzasse di
apparire un noioso topo di biblioteca, non avrebbe mai avuto
l'aspetto di un professore e ora Draco ne stava avendo
conferma.
Giunti a quel punto era inutile continuare a opporre
resistenza. Qualunque cosa Brett Dukes avesse intenzione di fargli
non avrebbe potuto fermarlo in nessun caso. Sospettava che fosse
più
abile di quel che aveva dato a vedere.
«Va
bene,» sollevò le mani in segno di resa
«andiamo
nel tuo ufficio».
«Bravo,
non avevo nessuna voglia di schiantarti»
disse
con una risatina, facendogli strada verso il piccolo studio in cima
alle scale.
«Tu non
smetti mai di ridere?»
«Dovrei?»
lo invitò ad entrare con uno spintone e poi richiuse la
porta dietro
di sé.
Il famigerato ufficio era una stanza spoglia, fatta
eccezione per la scrivania centrale, qualche scaffale di libri e
alcune lampade. C'erano poi la poltrona del professore e altri due
posti a sedere di fronte allo scrittoio. Era strano, perché
in
genere ogni professore arredava il proprio studio in modo molto
personale e lo riempiva di oggetti e libri che potessero servigli
durante le lezioni.
Draco rimase in piedi accanto alla feritoia
nel muro, unica finestra e fonte di luce, mentre Brett, lanciati
diversi incantesimi di protezione e sigillata la porta,
gettò via
gli occhiali e si accomodò sulla poltrona stendendo le gambe
sopra
il tavolo.
«Vuoi restare fermo come una statua ancora per
molto?»
persino il suo accento era diverso, molto più... irlandese?
«Sì!
Mi vuoi spiegare chi sei e che cosa vuoi da me? Vuoi uccidermi?
Torturarmi? Prego,» allargò le braccia
«ma fai in fretta perché
mi sono rotto di questo giochetto del cazzo!»
esclamò
esasperato.
«Mi avevano parlato di te come di un gelido figlio di
puttana e, invece, sei solo una donnetta isterica» si
alzò con un
colpo di reni per fronteggiarlo.
«Di cosa stai parlando?» sibilò
velenoso come un serpente a due passi da lui.
Brett non si lasciò
impressionare dal suo sguardo tagliente, ma accese con calma una
sigaretta presa dall'interno della giacca.
«Risparmiami la
scenata, ti prego,» disse serio «e piuttosto, vedi
di non
costringermi mai più a salvarti il culo, chiaro? Se non
fosse per me
saresti stato scoperto e addio alla copertura, cocco!»
alzò il tono
sventolandogli un dito davanti alla faccia.
«Salvarmi?
Copertura?» un'idea cominciava a farsi strada nella mente del
ragazzo, un'idea difficile da metabolizzare e che gli fece corrugare
la fronte.
«Dai, ci sei quasi, un ultimo sforzo!» disse Brett
con quel suo tono irritante.
Draco passò in rassegna le possibili
ragioni che avrebbero dovuto spingere quello strano individuo a
parlare di "salvargli il culo".
Scartò a priori
l'ipotesi della vendetta, se avesse voluto ucciderlo avrebbe trovato
un modo più discreto e meno compromettente, ma soprattutto
non si
spiegava da cosa lo avesse salvato. Un babbano che si finga mago per
poter insegnare quella stupida materia era fuori discussione, non
avrebbe neppure trovato il castello... poi, l'illuminazione. La
parola chiave era un'altra: copertura.
Le mani tra i capelli, gli
occhi sgranati e la pelle bianca ancora più bianca. Non
voleva
crederci.
«Tu sei il mio contatto?!» quel bizzarro irlandese
privo di tatto, che si fingeva un tranquillo professore di
Babbanologia era il suo unico contatto con l'esterno? Quell'idiota
sbruffone avrebbe dovuto aiutarlo?!
«Sì e non credere che la
cosa mi renda felice, quindi smetti i panni della ragazzina con il
ciclo e... e piantala di darmi dell'idiota! Non sei abbastanza abile
per schermare la tua mente come si deve!» squittì
irritato.
«E
tu smettila di leggere nella mia mente!»
«Sono un Legilmens,
idiota! Cerca di sradicare la convinzione che gli irlandesi siano
stupidi da quella testolina se non vuoi rogne!»
Draco fece un
respiro profondo e prese posto in una delle poltroncine. Continuare a
urlarsi contro non avrebbe portato da nessuna parte e, se quello era
davvero il suo contatto, dovevano imparare a tenere una conversazione
civile.
«Va bene, dimmi quello che c'è da
sapere».
«Tanto
per cominciare, non provare mai più a leggere la mente dei
tuoi
compagni quando sono così vigili e attenti. Per quanto
possano
essere alle prime armi, ti assicuro che non sei abbastanza discreto
da non farti notare. Detto questo,» spense il mozzicone
dentro un
posacenere, sedendosi di fronte a Draco «il mio vero nome non
è
Brett Dukes, ma tu sei ancora in prova e non posso di certo svelarti
la mia vera identità. Ti basti sapere che sono un Auror e
che, se ti
azzardi a fare un passo falso, ti farò il culo e poi ti
regalerò un
biglietto di sola andata per Azkaban, okay?»
«So già qual è la
procedura, non c'è bisogno che me la ricordi»
rispose
stizzito.
«Meglio così! Ora, come avrai intuito, la
punizione è
solo un pretesto per farti uscire indisturbato. Verrai qui, resterai
un po' di tempo e poi ti recherai al quinto piano, alla statua della
chimera».
«Che c'è al quinto piano?» Ricordava
vagamente
quella statua perché era lì che le Corvonero si
facevano trovare
quando avevano un appuntamento. Dicevano che non era troppo lontano
dal loro dormitorio, ma nemmeno così vicino da destare
sospetti.
Brett incrociò le mani sulla scrivania, puntellandosi
sui gomiti, con una buffa espressione simile a quella dei bambini che
abbiano appena commesso una marachella. Doveva aver letto anche
quell'ultimo pensiero.
«Quando la Parkinson ha fatto la sua
stupida osservazione sulle penne babbane, ho approfittato del momento
di distrazione per scavare più a fondo nei suoi pensieri e
ho
scoperto che ha un appuntamento a mezzanotte proprio nei pressi di
quella statua» disse senza nascondere una certa soddisfazione.
«E
non sei riuscito a scoprire altro?» la situazione cominciava
a farsi
seria e lui voleva quante più informazioni possibili per non
farsi
trovare impreparato.
«Solo che deve vedersi con un Corvonero, ma
non ho voluto rischiare oltre. In fondo è compito tuo
svelare il
mistero» schizzò sulla poltrona e
cambiò di nuovo posizione,
mettendo una gamba sul bracciolo.
«Pansy che incontra un
Corvonero dietro la statua della chimera? Potrebbe trattarsi di una
semplice scopata!» strinse i pugni per costringersi a non
urlare.
Brett sbuffò seccato «Un Legilimens non carpisce
solo
informazioni, ma anche emozioni, ricordi, sentimenti. Se ti dico che
c'è sotto qualcosa puoi metterci la mano sul fuoco. In caso
contrario ci penserò io a sistemare la faccenda,
okay?»
Annuì a
fatica, non aveva altra scelta: doveva fidarsi, anche se quello era
l'auror più assurdo che avesse mai incontrato.
«Ovviamente dopo
tornerai di corsa al tuo dormitorio e mi darai tutte le informazioni
domani mattina. Ho letto il tuo orario e so che hai un'ora
buca».
«E
secondo te non è sospetto che Draco Malfoy usi quel tempo
per far
visita al professore di Babbanologia?» chiese con tono di
sufficienza e un sopracciglio alzato fino all'attaccatura dei
capelli.
«Certo! Ma la punizione prevede che tu debba catalogare,
con mezzi babbani, tutti gli oggetti che ci sono in aula e, ti
assicuro, sono davvero tanti. Sarebbe impossibile finire tutto in una
notte, per cui sarai costretto a tornare domani e per chissà
quanti
altri giorni. Quando la scusa non reggerà più ti
farai punire di
nuovo!» ghignò e si accese un'altra sigaretta.
Un raggio di sole
entrò dalla feritoia e colpì le volute di fumo
argenteo che
volteggiavano pigre verso l'alto. Cominciava ad abituarsi all'intenso
odore di tabacco misto ad un fiore che non aveva riconosciuto.
«Rosa
canina» disse tranquillo Brett, incurante della cenere caduta
dalla
sigaretta che teneva mollemente poggiata sulle labbra.
Draco
sollevò gli occhi al cielo «Piantala,
dannazione!»
«Su, su,
mio caro rampollo in disgrazia, non disperare. Farò in modo
di
inserire qua e là qualche lezione di Occlumanzia, sei
contento?» di
nuovo quel ghignò e di nuovo la voglia di farglielo sparire
a suon
di pugni.
«Se questo ti rende felice» mormorò a
denti stretti.
«E comunque vorrei proprio sapere perché con
un'intera squadra di
auror qui a scuola, tu...»
Brett si rabbuiò «Loro non
c'entrano, questo caso appartiene alla mia squadra»
Il
cambiamento d'umore repentino turbò il Serpeverde che si
chiese
quante cose ci fossero ancora da scoprire sugli auror.
«Hai fatto
bene a tirare fuori l'argomento,» spense il mozzicone, prese
una
fiaschetta dal cassetto e ne bevve un sorso «quegli auror non
sanno
chi sono perché non hanno mai avuto la fortuna di
conoscermi. Se lo
sapessero potrebbero mandare all'aria tutta l'operazione».
«Ah
sì? Quindi non vivete tutti nella stessa stanza e non
mangiate tutti
dallo stesso piatto?» scosse la testa con finta
incredulità, ma
Brett ignorò la battuta.
«Matthew Turner è bravo nel suo
lavoro, ineccepibile, porta a termine le missioni come una mortale
macchina da combattimento. Durante la seconda guerra magica ha ucciso
parecchi mangiamorte, sia sul campo che nel corso degli
interrogatori, l'unico problema è che ha qualche rotella
fuori
posto».
Guardò Draco dritto negli occhi: «Stai molto
attento,
Malfoy. Per lui sei solo l'ennesimo falso pentito,
ricordatelo» finì
lapidario e sospirò stiracchiandosi.
«Fammi capire,» si passò
la lingua sulle labbra secche «dovrei credere che tu sei un
auror
basandomi sulle tue parole? Chi mi dice che tu non sia un Legilimens
molto astuto che finge di essere il mio contatto solo per trarmi in
inganno e smascherarmi?»
Senza dire altro l'auror mise una mano
sotto il collo del maglione e ne tirò fuori un pendaglio
d'oro, il
quale scintillò alla luce del sole che ormai aveva inondato
la
piccola stanza. Si trattava di una placchetta su cui era stato inciso
il simbolo del Ministero della Magia, colorato poi con uno speciale
inchiostro opalescente. Suo padre gli aveva spesso parlato di quel
ciondolo, era dato in dotazione solo agli auror che avevano superato
le prove di addestramento. Molti mangiamorte avevano provato a
riprodurne una copia per infiltrarsi nei reggimenti, ma era
impossibile perché solo il Ministero conosceva la formula di
quell'inchiostro. Rubarli era fuori discussione: una volta tolti si
dissolvevano, inviando un messaggio ad un apposito ufficio del
Ministero che aveva la funzione di ritrovare gli auror scomparsi o
dispersi.
Brett lo fece penzolare con sguardo di sfida «Vuoi
dargli un'occhiata più da vicino?»
«Va bene, mi fido» si
arrese. «C'è altro che dovrei sapere?»
«No, per il momento
puoi andare» sventolò le mani davanti a
sé per rimarcare il
concetto.
Draco, ancora frastornato per tutte le informazioni e le
rivelazioni ricevute, si avviò verso la porta ma quando fu
sul punto
di aprirla si rese conto di essersi dimenticato la cosa più
importante.
«Sta bene» disse Dukes, semplicemente.
«Chi?»
si girò a guardarlo e vide un altro sorriso comprensivo sul
volto
del finto professore.
«Tua madre, sta bene».
*
Che
Draco Malfoy avesse detto la verità era già di
per sé un evento
eccezionale, ma che Draco Malfoy avesse addirittura detto la
verità
a Hermione Granger poteva significare solo che l'apocalisse era
vicina. Aveva poca importanza che volesse qualcosa in cambio, la
notizia era comunque talmente sconvolgente che, se avesse voluto
creare un pettegolezzo più grosso di quello che la
riguardava,
avrebbe avuto materiale per mesi interi.
Le supposizioni di Pansy
si erano diffuse tra la prima e la seconda ora, avevano camminato
veloci, di bocca in bocca, per tutto il castello e già
all'ora di
cena tutti sapevano che Hermione Granger urlava nel sonno in preda a
incubi terribili.
Era sorpresa e un po' delusa dalla mancanza di
ricami e merletti intorno alla sua storia, si sarebbe aspettata un
po' più di fantasia, ma probabilmente la presenza di
così tante
testimoni aveva contribuito ad arginare la situazione.
Il suo
piano di saltare la cena e tutti i pasti per i restanti mesi di
permanenza a Hogwarts andò in fumo quando si rese conto che
avrebbe
solo peggiorato la situazione, per cui si fece coraggio e si
inoltrò
all'interno della Sala Grande. L'odore forte e speziato dell'arrosto
e quello dolciastro del pudding le avevano riempito subito le narici
nauseandola. Cercò Harry con lo sguardo tra la folla e
quando lo
vide si sforzò di andargli incontro sorridendo per non
destare
sospetti. Le voci sarebbero rimaste tali solo se lei non le avesse
confermate.
Giunta al tavolo i suoi amici la squadrarono di
sottecchi, incapaci di porle la domanda da un milione di sterline,
quella che tutti gli studenti di Hogwarts bramavano di farle.
Calì e
Lavanda fremevano al loro posto, in attesa del più piccolo
segnale
di disagio da parte della compagna per poter partire all'attacco, ma
lei era troppo scaltra per lasciarsi cogliere impreparata.
«Hey
tu!» puntò il dito contro Harry «Non
credere di averla passata
liscia, te la farò pagare per oggi!»
«Che è successo oggi?»
chiese Ginny addentando un tramezzino.
«Il tuo ragazzo non mi ha
aspettata e si è seduto accanto a Seamus, così a
me è toccato
Malfoy! Ci puoi credere?» si finse oltraggiata, mentre
provava a
riempire il piatto con qualcosa che non fosse troppo unto né
troppo
solido.
«Mi spiace davvero, ma se poi tu non fossi arrivata in
tempo e fosse toccato a me? Addio lezione, bentornata infermeria!
Abbi un po' di cuore».
Lo guardò in cagnesco ancora per qualche
secondo, ma poi scoppiarono entrambi a ridere. Esultò
mentalmente
per il modo in cui era riuscita a simulare quella risata, nonostante
lo stomaco facesse i capricci.
Sto
ridendo, sto mangiando, mi comporto come sempre... dovrei aver
convinto tutti.
«Oh,
senti Hermione, te lo devo chiedere, non ce la faccio
più!» esplose
Calì.
«Dimmi pure» disse Hermione continuando a
ridacchiare.
«Beh, da oggi si vocifera che sia stata tu a urlare
stanotte. Ma non lo faccio per me!» si affrettò a
dire «Non è
giusto che dicano delle falsità su di te,
perciò...»
«Oh, sì
ho sentito una cosa del genere oggi in biblioteca, ma mi dispiace
deluderti, ieri sera stavo facendo la mia ronda notturna».
Grazie
a Malfoy (purtroppo) aveva avuto tutto il pomeriggio per rimuginare
sulla versione migliore da dare in caso di domande dirette come
quella. Tra i compiti dei Caposcuola c'era anche quello di
controllare che gli studenti, Prefetti compresi, fossero tornati nei
loro dormitori dopo cena. Di solito le ronde si protraevano per
qualche ora e quando i Caposcuola andavano a letto tutti stavano
già
dormendo. Era quindi certa che l'avessero sentita rientrare: aveva un
alibi di ferro.
«Ma allora chi è stato?!» delusione,
shock,
paura, tutte queste emozioni attraversarono il volto di una
Calì
sconvolta dalla rivelazione del secolo.
«Non saprei, magari
qualcuno che ha avuto un incubo» fece spallucce.
«Merlino! State
ingigantendo tutta la faccenda. A chi vuoi che interessi?»
era stata
Ginny a parlare, ormai al limite della sopportazione.
«A me
interessa!» saltò su Lavanda «Dopo tutto
quello che è successo
l'anno scorso non voglio ritrovarmi ad utilizzare incantesimi di
difesa, magari nel cuore della notte, perché voi avete
deciso di
lavarvene le mani!»
Catastrofe.
Quando
Ginny e Lavanda iniziavano a discutere civilmente i capelli di
entrambe allacciavano le cinture, pronti a vedersi strappare via
dalle rispettive teste. Non era un odio scaturito da un litigio, ma
un'intolleranza atavica stabilitasi nel momento in cui i loro sguardi
si erano incrociati per la prima volta. Le due erano inoltre agli
antipodi, una frivola e civettuola, l'altra pragmatica e schietta,
non c'era speranza di vederle parlare in modo tranquillo.
«Rimangiati
tutto, stronza» sibilò minacciosa la piccola
Weasley, stritolando
quel che rimaneva del tramezzino.
«Ti piacerebbe!» rispose
sprezzante Lavanda «Sappi che se state nascondendo
qualcosa...»
«Ragazze, smettetela di litigare» intervenne
Neville mettendo un tappo su quel vulcano in eruzione.
Aveva un
inquietante sorriso a trentadue denti e gli occhi sgranati.
«Neville,
stai bene?» chiese incerta Hermione.
«Sì, ma Turner ci sta
osservando e non mi piace per niente. Harry, non voltarti per nessun
motivo».
Da quella posizione lei e Neville avevano la visuale
perfetta sull'auror e il resto degli insegnanti.
Hermione spostò
lo sguardo sulla McGranitt, che stava seduta al centro, poi su
Vitious che era il più vicino a Turner,
all'estremità destra del
tavolo. Era vero, li guardava con insistenza e l'espressione sul suo
viso non era delle più amichevoli.
«Credete che possa
sentirci?» sussurrò Lavanda impaurita, guardando
il piatto con
interesse.
«No, ma muore dalla voglia, ecco perché non
dobbiamo
dargli nessun pretesto per venire qui a indagare» disse
Neville
pacato, tornando a mangiare la sua fetta di torta.
Hermione si
chiese se le voci che circolavano su di lei non fossero arrivate
anche alle orecchie degli auror.
Tutta
colpa di quella faccia da carlino,
pensò guardando il tavolo Serpeverde.
Pansy si godeva il momento
di gloria, ciarlando di come fosse riuscita a smascherare Hermione
Granger. Il suo sguardo, però, venne catturato da una testa
bionda.
La solita odiata testa
bionda.
Per quanto fossero seduti vicini, era evidente che Malfoy
fosse escluso dal resto del gruppo. Doveva aver finito di mangiare da
un pezzo, o forse non aveva neppure iniziato, restava fermo al suo
posto ignorando i suoi compagni di Casa e guardandosi intorno con
aria di sufficienza.
Non poteva credere che Mr. Spocchia avesse
davvero provato ad aiutarla e cominciava a temere che ci fosse sotto
qualcosa. Sì,
ma cosa?
Lo
avrebbe detto a Harry, se questo non avesse comportato il suo
coinvolgimento diretto nella faccenda. Si era appena liberato di un
grosso fardello, non voleva mettergliene un altro sulle spalle e
Malfoy avrebbe potuto rivelarsi piuttosto pesante.
Tornò a
guardarlo per accertarsi che stesse facendo lo stesso a sua volta, ma
lui la stava deliberatamente ignorando. Brutto segno o magari buono?
Era brava a consigliare gli altri, correggere gli errori le veniva
naturale, ma sbagliare da sola era diverso. Il fallimento era dietro
l'angolo e lei non aveva una Hermione a guardarle le spalle.
Era
così impegnata ad immaginarsi come sarebbe stato avere un
clone di
se stessa come amico, da non accorgersi della bomba finché
questa
non esplose. Lavanda non era mai stata brava a gestire la tensione e
quella sera il pasticcio di carne non doveva aver aiutato il suo
fragile apparato digerente a contenere l'emozione. Ebbe appena il
tempo di vederla gonfiarsi come un rospo, ma non di ripararsi almeno
con un tovagliolo.
«M-mi dispiace!»
Hermione pose una
mano davanti a sé, imprimendo forza su ogni singolo dito
teso, per
bloccare le scuse di Lavanda, mentre il resto del corpo restava
rigido come un pezzo di legno.
Aveva il vomito della ex ragazza
del suo ex ragazzo attaccato ai capelli e su metà del viso.
Non
voleva delle scuse, voleva la bacchetta per compiere uno sterminio di
massa.
*
Draco
uscì di soppiatto dal
dormitorio, risalendo svelto in superficie. Sperava che Prefetti e
Caposcuola non avessero modificato il classico e collaudato giro di
ronda, che aveva studiato con attenzione al sesto anno per potersi
recare nella Stanza delle Necessità. Per quanto riguardava
Gazza e
quella sua gattaccia spelacchiata... chi ne avrebbe sentito la
mancanza?
Giunto al secondo piano, bussò alla terza porta sulla
destra senza ricevere risposta. Provò ad aprirla con
l'alohomora, ma
l'unico risultato fu ricevere una lieve scossa elettrica. Era ormai
sul punto di darle fuoco, quando la porta cigolò sui cardini
e la
mano di Dukes spuntò per attirarlo dentro.
L'aula era appena
illuminata da alcune candele fluttuanti, che orbitavano attorno
all'auror donandogli il lugubre aspetto di un fantasma. Un fantasma
assonnato e molto spettinato.
«Avevi dimenticato l'appuntamento?»
disse Draco allibito.
«Forse,» rispose l'auror sbadigliando «e
comunque sei in ritardo, avresti dovuto raggiungermi subito dopo
cena, testa vuota».
«Ho avuto i miei buoni motivi. La Brown ha
vomitato in faccia alla Granger!»
«Prima cosa, ugh che schifo.
Seconda cosa, non dirlo che se le due cose fossero collegate».
«E
invece lo sono» ghignò beffardo. «Ne
abbiamo riso così tanto che
alla fine siamo finiti a bere in Sala Comune, come se fossimo ancora
vecchi amici».
«E ti illudi che questo significhi qualcosa?»
gli chiese scettico.
«Certo che no! Ma è già un passo
avanti».
«Voglio credere che sia così, è
già tardi e non
abbiamo altro tempo da perdere. Ora, guardami bene negli
occhi»
puntò gli indici verso il suo viso.
«Piuttosto la morte».
«Ah,
come sei schizzinoso! Arriva al quinto piano dalla scala secondaria,
lei userà quella principale. Si vedrà con il
Corvonero vicino alla
statua della chimera e tu dovrai nasconderti proprio lì. È
tutto chiaro? Hai bisogno di una mappa o magari vuoi che ti
accompagni tenendoti per mano?»
«Aspetta! Vuoi che mi nasconda
nel punto esatto in cui si incontreranno?! Forse non sai cosa
significhi nascondersi!» avrebbe ucciso quello sciocco
irlandese
prima di portare a termine il proprio compito.
«Ti
tratterei da adulto, credimi, se solo non fossi davvero un moccioso
viziato» sbuffò spazientito.
«Usa dei cazzo di incantesimi di
protezione! E comunque la statua è davvero enorme,
basterà che ti
sistemi sul lato opposto a quello da cui arriverà la
Parkinson».
Un
ex mangiamorte inglese e un auror irlandese, messi insieme avevano la
carica esplosiva di una pozione preparata da Seamus Finnigan. La loro
collaborazione era iniziata da neppure un giorno e avevano
già
litigato così tante volte da potersele far bastare per il
resto
della vita.
Draco non rispose, intento a schermare la mente carica
di pensieri di morte verso l'auror, e Dukes interpretò a
modo suo
quel silenzio.
«Li conosci, vero? Muffliato, Salvio Hexia...»
prese ad elencare incantesimi di protezione come fossero ingredienti
di una semplice pozione.
«Sì, li conosco, falla finita!»
sbottò stanco di tutte quelle chiacchiere.
Brett non sembrò
prenderla bene, lo spinse fuori senza troppe cerimonie intimandogli
di tornare con delle informazioni utili e poi sigillò di
nuovo la
porta.
Era fuori dall'aula di Babbanologia, ce l'aveva fatta.
Le zampe della
bestia acquattata
artigliavano il massiccio basamento di pietra, tre fauci spalancate
proiettavano le lunghe ombre delle zanne sul pavimento, mentre la
luce lunare metteva in evidenza le scaglie del drago sulla schiena
arcuata e tre file di grossi spuntoni. Le ali semi-spiegate gli
offrirono il rifugio che temeva di non trovare, s'infilò
nell'incavo
tra la statua e il muro, poi recitò gli incantesimi di
protezione e
restò in attesa.
Guardò l'orologio: mancavano poco meno di dieci
minuti alla mezzanotte. Chiuse gli occhi, appoggiò la testa
contro
la parete fredda e fece un respiro profondo. Sentiva il sangue
pulsargli nelle orecchie e le gambe doloranti, ma non era il momento
di farsi prendere dal panico. Il suono di passi leggeri
riecheggiò
nel silenzio del corridoio. Come aveva detto Brett, Pansy era
arrivata dalla scala principale e si era fermata davanti alla
finestra. Riusciva a vederla attraverso le ali della chimera, aveva
la preoccupazione dipinta sul volto e si stringeva nelle spalle
guardandosi intorno senza lasciare il cono di luce. Sobbalzò
e puntò
la bacchetta davanti a sé quando il rumore di altri passi
giunse
dalla scala buia. Era lui, ne ebbe conferma quando vide Pansy
rilassarsi. Indossava il mantello con lo stemma dei Corvonero cucito
sul petto e aveva il cappuccio calato sulla testa.
«Allora?
Quanti sono?» chiese Pansy con l'impazienza che la
contraddistingueva.
«Non quanti speravamo. Ho dovuto usare
l'Oblivion parecchie volte, sono troppo astuti».
«Ti ho chiesto
quanti» sgranò gli occhi verdi con rabbia, il suo
viso contratto
era l'unica cosa che Draco riuscisse a vedere da quella
posizione.
«Nessuno, tranne lei» rispose pacato l'altro.
Sembrava che niente potesse turbarlo.
«Lei?! Ci farà ammazzare
tutti, lo sai» la Serpeverde era sempre più
agitata, tanto che
faceva fatica a mantenere un tono di voce basso.
Quello stralcio
di conversazione, all'apparenza incomprensibile, aveva confermato le
teorie degli Auror e Draco sentì brividi di terrore
percorrergli la
schiena. Un amico in quel momento gli avrebbe fatto comodo, senza
dubbio. Qualcuno di intelligente, in grado di reggere la tensione e
pensare in fretta, qualcuno come...
«Shh! Hai sentito?» sussurrò
Pansy spaventata.
Non l'aveva vista, era giunta lì silenziosa
come un gatto e si era accostata alla stessa ala dietro cui lui era
nascosto. Intravide il profilo dei ricci castani, mentre un passo
alla volta indietreggiava, appiattendosi al muro. Doveva aver usato
un incantesimo, perché le sue scarpe non producevano alcun
rumore,
ma le sarebbe servito a ben poco se quei due l'avessero scoperta.
Ormai si era avvicinata davvero tanto, a Draco sarebbe bastato
allungare la mano per trarla in salvo, ma era rischioso: e se gli
incantesimi non avessero retto? Perché rischiare tutto per
una
stupida Grifondoro ficcanaso?
Pansy, la punta della
bacchetta brillante di luce chiara, stava avanzando nella loro
direzione, seguita a ruota dal Corvonero. Draco prese per mano
Hermione e la attirò a sé un attimo prima che la
Serpeverde
illuminasse il corridoio.
«Ti preoccupi per niente, qui non c'è
nessuno» Draco si maledì per non aver mai prestato
attenzione ai
Corvonero, di sicuro avrebbe riconosciuto quell'insopportabile tono
saccente.
E continuò a maledirsi mentre provava a non ingoiare i
capelli della Grifondoro che gli solleticavano il viso. La stringeva
al petto tappandole la bocca, in modo che non fiatasse e non si
muovesse, perché non sapeva quale degli incantesimi fosse
ancora
attivo.
«Mi sembrava di aver sentito il respiro di qualcuno,
proprio qui, dietro la statua» soffiò Pansy con
tono tremante.
«Ah
sì? Be', ma allora dovremmo controllare» disse il
ragazzo, una nota
maligna ad animargli la voce.
Siamo fottuti, pensò Draco
mentre il Lumos del Corvonero lo accecava.
«Uff, Pansy non sei
per niente adatta. Sicura di essere figlia di un mangiamorte? Sembri
una Tassorosso che viola per la prima volta il coprifuoco!»
ridacchiò dando loro le spalle.
«Ma io ho sentito qualcosa!»
protestò lei come una bambina.
«Sarà stato un fantasma» disse
chinandosi a baciarla.
Hermione fremette tra le sue braccia, forse
disgustata quanto lui da quello spettacolo di lingue e gemiti. Per
loro fortuna, però, non durò molto.
«Devo andare prima
che qualcuno si accorga della mia assenza».
Pansy non rispose, ma
si staccò da lui e sollevò la mano sinistra, in
modo da mostrargli
il palmo, il Corvonero fece la stessa cosa e poggiò la mano
su
quella di Pansy.
«Rózsák
Örokké!» dissero all'unisono e poi
si separarono, ognuno per la sua strada, inghiottiti di nuovo
dall'oscurità.
Draco allentò la presa su Hermione, ma lei non si
mosse, forse troppo scioccata per poter dire o fare qualcosa.
Forse.
«Credo siano andati via» disse con ancora il mento
incastrato fra i suoi capelli.
Hermione trasalì. Lo spazio
era davvero stretto, ma riuscì comunque a girare su se
stessa per
poterlo guardare in faccia: «Tu!»
esclamò fuori di sé.
«Tu!
Tu! Tu! Che ci facevi nascosto qui dietro?!» quasi gli
conficcò
l'indice nel petto.
«Ahia! Dovresti ringraziarmi!» disse
bloccandole i polsi ai lati del corpo.
«Per cosa?» Già, per
cosa? Dirle la verità era fuori discussione, non aveva
bisogno di
San Potter e di tutta la combriccola tra i piedi. Aprì e
chiuse la
bocca un paio di volte senza riuscire ad articolare una frase di
senso compiuto.
«Dimmi almeno perché sei qui!»
esclamò a pochi
centimetri dal suo viso, pestandogli un piede.
«La vuoi smettere
di farmi male?!» mostrò i denti come una fiera
ferita. La ragazza
sapeva difendersi e gli avrebbe fatto un occhio nero se non avesse
parlato, ne era certo.
«Io... io mi trovavo qui per caso».
«Mi
stai insultando, Malfoy. Sei coinvolto, non è
vero?»
«No che
non lo sono! Come ti viene in mente?»
«Continui a insultarmi
e... e lasciami!» si liberò con uno strattone.
«Devo per caso
elencarti tutti i motivi che mi spingono a pensare che tu sia
coinvolto? Sul serio, Malfoy?»
Sputava il suo cognome come fosse
un boccone particolarmente amaro e quel “Malfoy”
ripetuto con
enfasi cominciava a suonare come un insulto. Un orribile insulto. Non
sarebbe stato facile trovare una scusa che potesse convincerla a
lasciarlo in pace, ma, d'altro canto, conosceva bene il nobile animo
Grifondoro, così attento e sensibile ai problemi degli
altri, che
sarebbe bastato toccare i tasti giusti per indurla a desistere.
«Vuoi
davvero sapere perché ero nascosto dietro questa
statua?» disse con
una punta di esasperazione. L'aveva distratta abbastanza per
elaborare una scusa plausibile, era il momento di entrare in scena.
Sospirò con teatralità e abbassò lo
sguardo per poterla guardare
negli occhi.
Lei sembrò sorpresa da quella reazione, forse si
aspettava qualche maledizione e invece lui stava per parlarle con il
cuore in mano, come un tenero grifoncino impaurito. Ripensò
all'espressione terrorizzata di Paciock undicenne e disse:
«Ho
paura, Granger. Sono in una posizione scomoda, i miei compagni mi
odiano e comincio a temere che tramino qualcosa contro di me. Stasera
ho origliato una conversazione tra Pansy e Millicent e quando ho
saputo che sarebbe venuta qui, l'ho preceduta» si
passò una mano
tra i capelli senza interrompere il contatto visivo.
Erano in
penombra, la scarsa luce che filtrava attraverso la statua creava
ombre sui loro visi, ma Draco riuscì comunque a vedere il
lieve
rossore che colorò le guance di Hermione. Avvertì
il suo cuore
battere più veloce, accompagnato dal ritmico alzarsi e
abbassarsi
del seno premuto contro il suo petto. Sapere di averla messa in
imbarazzo lo riempiva di una maligna euforia. Negli anni di scontri
in corridoio l'aveva messa alla prova, curioso di sapere fin dove
avrebbe potuto spingersi prima di vederla crollare. Riteneva ingiusto
che una Nata Babbana come lei fosse migliore di lui in tutto e voleva
distruggerla; ricordava bene la sensazione che gli provocava vederla,
la voglia di schiacciarla come fosse un brutto insetto e si rese
conto di non provare più le stesse cose. O quasi.
Le mise una
mano sulla spalla «Stai bene? Sembri turbata».
«D-dovremmo
uscire, quale che fosse il motivo tu non dovresti essere qui e io
devo finire la mia ronda» disse incerta.
L'aveva convinta ed era
riuscito a farle dimenticare l'ultima parte della conversazione tra
Pansy e il Corvonero. Le avrebbe chiesto di lui, se questo non avesse
significato spostare di nuovo l'attenzione della Grifondoro su
quell'argomento. Ciò che aveva visto meritava di essere
obliviato
senza esitazione, ma lui non era abbastanza bravo con quel tipo di
incantesimo e non era il caso di cancellare la memoria alla Granger,
rischiando di attirare altre attenzioni negative su di sé.
«Sì,
hai ragione. Dopo di te» poggiò le mani sui
fianchi della ragazza e
la spinse oltre l'ala di marmo della chimera. Hermione non
sembrò
apprezzare quel gesto e, anzi si guardò intorno preoccupata
e, dopo
aver sistemato la divisa, lanciò un Homenum Revelio in ogni
direzione.
«Credevo che solo i maghi e le streghe più esperti
sapessero usare quest'incantesimo».
«E infatti io lo sono,
Malfoy» di nuovo sembrò che stesse cercando di
offenderlo.
Lui
ignorò la provocazione, ansioso com'era di tornare nel suo
personale
covo di serpi prima del loro risveglio.
«Be', Granger, non posso
dire sia stato un piacere...» fece per
andarsene.
«Aspetta...!»
Draco, ora giri i tacchi e
te ne vai per la tua strada.
Fece alcuni passi, superò un
grosso arazzo e due armature, ma poi fu costretto a fermarsi quando
si ritrovò la Granger attaccata al mantello.
«Che vuoi?»
utilizzò l'ultimo briciolo di pazienza per non mandarla a
quel paese
assieme a tutta quella pantomima.
«Perché sei così sicuro che
vogliano farti del male?» la luce delle torce accese si
rifletteva
sui suoi ricci castani, illuminandoli di sfumature dorate. Gli
sembrò
sinceramente dispiaciuta.
Povera ingenua Grifondoro, non hai
imparato proprio niente...
«Sono uscito da Azkaban, penso sia
una buona giustificazione».
«Ah... già» disse pensierosa.
«Che
significa quella cosa che hanno fatto Pansy e il suo
ragazzo?».
Stupido idiota! Si sarebbe preso volentieri a schiaffi
se non ci fosse stata la Granger ad assistere. Era ovvio che lei non
avesse dimenticato un bel niente, stava solo aspettando il momento
migliore per parlarne, al sicuro e con la bacchetta a portata di
mano.
«Io... io non lo so proprio».
Per la seconda volta in
un giorno Draco Malfoy aveva detto la verità a Hermione
Granger.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 - Il Marchio dell'odio ***
Capitolo
5. Il Marchio dell'odio
Rimase
immobile a trattenere il fiato sotto il getto d'acqua calda, nella
speranza che quell'odore sparisse. Acqua di colonia, tabacco e menta
piperita. Chiuse gli occhi, spostò i capelli dal viso e si
sforzò
di pensare a qualcos'altro.
Chi era il ragazzo di Pansy? Era un
Corvonero, forse lo conosceva, era convinta di aver già
sentito
quella voce nasale... ma il flusso dei suoi pensieri veniva
interrotto da quel profumo, da quegli occhi grigi e dal martellante
ritmo del suo cuore.
Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si
lasciò andare contro la parete della doccia. Che le avesse
scagliato
una fattura? O magari era vittima di un filtro, lui era sempre stato
bravo con le pozioni.
Sono solo gli ormoni, Hermione. Solo gli
ormoni.
Batté la testa contro le piastrelle per
convincersene, così forte da non sentire che qualcuno stava
bussando.
«Hermione, tutto bene?» la voce ovattata di Harry
giunse da dietro la porta.
«Sì! Hai bisogno di qualcosa?» si
affrettò a rispondere chiudendo l'acqua.
«Che stai
facendo?»
«Harry, ti sembrano domande da fare?»
«Stai per
caso...?»
«La doccia! Sto facendo la doccia!»
gridò. Non aveva
mai avuto molta pazienza, ma forse Ron si era portato via le sue
ultime scorte come souvenir.
«Ah, va bene!» disse spalancando la
porta.
«HARRY!» il ruggito della leonessa fece quasi
tremare
tutta la torre di Grifondoro.
Hermione fece capolino tra le
ante di vetro colorato nella speranza che il suo sguardo uccidesse il
Salvatore del mondo magico.
«Senti lo so che non dovrei
essere qui, però ti devo parlare di una cosa che ho visto.
È
importante!»
«Harry, se non esci entro cinque secondi, ti
trasformo in uno schiopodo sparacoda per il resto dei tuoi
giorni»
provò con tutte le sue forze a mantenere un tono di voce
amichevole.
«Va bene, ma sappi che questo tuo atteggiamento mi
ferisce» le fece la linguaccia prima di andare via.
Se quel troll
di montagna le avesse fracassato la testa con la clava, invece di
sfondare la fila di lavandini, non si sarebbe trovata in quella
situazione.
Chissà, forse avrei vagato per le tubature insieme
a Mirtilla Malcontenta...
Infilò l'accappatoio e uscì dalla
doccia tremando. Non aveva abiti per coprirsi ma una bacchetta per
schiantare il suo migliore amico, così, forte di questa
convinzione,
rientrò in camera, dove Harry la aspettava in piedi accanto
al
letto.
«Ho il permesso di vestirmi o vuoi che...?»
«No, vado
di fretta, Ginny mi aspetta di sotto» si grattò la
testa un po' a
disagio. Parlare di lui e Ginny insieme continuava a metterlo in
imbarazzo.
«E va bene! Su, dimmi cosa hai visto»
alzò le
braccia rassegnata.
«Non sembri molto convinta, sicura di volerlo
sapere?»
«Harry...!»
«Draco Malfoy al terzo piano»
disse allora come se fosse la rivelazione del secolo.
«M-malfoy?
E perché dovrebbe interessarci?»
«Devo ricordarti che
l'ultima volta in cui ho beccato Malfoy a gironzolare per i corridoi
poi ha fatto entrare una schiera di mangiamorte a
Hogwarts?»
Mangiamorte. Nessuno smette mai di essere un
mangiamorte.
«Senti, lo so che...» iniziò a dire, ma
qualcosa le fece perdere il filo. «Cos'è
quella?»
«Di che
parli?»
«Di quella!» indicò Harry con un
movimento circolare.
«La tua faccia, conosco quell'espressione e non promette
nulla di
buono. Quel che fa Malfoy non ci riguarda più, non se
vogliamo
riprendere a vivere... normalmente» incespicò
sull'ultima
parola.
Harry sbuffò, tuffando una mano tra i capelli
scompigliati «Lo so, hai ragione».
Vederlo combattuto
risvegliava in lei l'istinto materno, così non
poté fare a meno di
abbracciarlo.
«Ehi, tutto bene?» le chiese con la faccia
affondata nella spugna del suo accappatoio. Lui era il fratello che
non aveva avuto, l'amico che non si sarebbe mai sognata di incontrare
e tra le sue braccia si sentiva protetta, al sicuro da ogni
pericolo.
«Va' da lei» gli diede un buffetto sul naso.
«A
Malfoy ci penso io e - prima che tu lo dica – no, non lo
affronterò
da sola. Cambierò gli orari della ronda notturna e i turni
dei
prefetti, ok?»
Harry non sembrò affatto rassicurato da quelle
parole, ma forse andava davvero di fretta dopotutto. Le
stampò un
bacio sulla fronte e volò giù per le scale.
Non è finita
qui, me lo sento.
Come poteva esserlo? Aveva assistito
a qualcosa quella sera, doveva
solo attendere le
conseguenze, non aveva neppure il bisogno di cercarle.
L'insolito
atteggiamento di Malfoy non poteva portare a niente di buono, ne era
certa. E non perché si fosse allontanato dai propri compagni
di
Casa, né perché avesse paura di subire delle
ritorsioni.
Ciò
che l'aveva messa in agitazione era il nuovo modo che aveva di
approcciarsi a lei.
C'era qualcosa dietro quello sguardo crucciato
che le aveva gettato addosso una strana inquietudine, a cui non
sapeva dare il giusto peso o collocazione all'interno dei propri
pensieri.
Rózsák
Örokké.
Quelle
due parole, a cui non trovava un significato, le ritornarono alla
mente per ricordarle che il biondo Serpeverde non era l'unico
problema e forse nemmeno il più importante.
Aveva smesso di
credere al caso da un pezzo e se quei due si erano incontrati nel
buio di un corridoio non era solo per pomiciare.
Nel mondo dei
maghi le parole avevano un certo peso, un valore particolare
sconosciuto ai babbani. Una parola pronunciata da un mago al momento
opportuno poteva fare la differenza tra la vita e la morte.
Con un
colpo di bacchetta asciugò i capelli e si vestì
con in mente solo
il letto e la voglia di spegnere il cervello.
Poggiò la
testa sul cuscino e chiuse gli occhi, mentre Grattastinchi si
acciambellava accanto a lei.
L'ultima cosa a cui pensò prima di
addormentarsi fu il volto impaurito del Serpeverde.
Dannato
spirito Grifondoro... dannato Malfoy.
*
Era
il grande giorno, la prima lezione di Difesa tenuta da un'intera
squadra di auror e a chi era destinata? Al settimo anno di Grifondoro
e Serpeverde. Ovviamente.
Se Silente fosse stato ancora lì
avrebbe potuto provare a captare del sadico umorismo, ma dalla
McGranitt non se lo sarebbe mai aspettato un tale colpo basso.
Aveva
dormito davvero poco, tra un incubo e l'altro, il sonno non era stato
che un semplice intermezzo. Si era trascinata a colazione con la
voglia di vivere sotto la suola delle scarpe e aveva proseguito il
tragitto fino all'aula di Difesa con lo stesso entusiasmo.
Sapeva
quanto potesse essere meschino come pensiero, ma sperava che tutte le
attenzioni di Matthew Turner si sarebbero concentrate sulle Serpi,
magari su Pansy...
«Pensi che ci
metteranno alla prova?» la domanda di Harry le giunse alle
orecchie
come un messaggio lontano e appena udibile, nonostante l'amico fosse
a pochi centimetri da lei.
Gli auror occupavano meno della metà
dei suoi pensieri quella mattina, il resto era tutto dedicato
all'incontro notturno a cui aveva assistito assieme ad uno certo
ragazzo dagli occhi grigi.
Tra lei e Harry non c'erano mai stati
segreti e ora quella piccola omissione di verità le gravava
sulle
spalle come un peso troppo grande da sopportare. Il senso di colpa
l'avrebbe schiacciata prima della fine dell'anno... o del mese. Tutto
stava nella velocità con cui sarebbe entrata in possesso di
nuove
informazioni, perché lo sapeva che sarebbero arrivate prima
o
poi.
Dannato Malfoy!
Come
se avesse ascoltato i suoi pensieri, lui si voltò nella sua
direzione e le lanciò un'occhiataccia.
«Sbaglio o Malferret ci
ha appena riservato uno dei suoi amichevoli sguardi?» disse
Harry
tra i denti dandole una leggera gomitata. Sembrava dire “te
l'avevo
detto”.
«No, non mi pare» mentì spudoratamente,
tanto che
persino Neville, accanto a loro, fu costretto a dedicarle un'occhiata
di biasimo.
L'aula era stata sgomberata, non c'erano più banchi e
sedie ma solo la cattedra e una grossa pedana centrale di forma
circolare, attorno a cui si radunarono gli studenti.
Grifoni
da una parte, Serpi dall'altra, a fronteggiarsi come eserciti prima
di una battaglia.
Hermione guardò di sfuggita Pansy. Se ne stava
in piedi, con le braccia conserte e il solito broncio annoiato
stampato in faccia, un'immagine molto lontana da quella dell'isterica
che aveva avuto modo di vedere la sera prima. Schermò la
mente per
quanto le fosse possibile nonostante il costante affastellarsi di
pensieri... compromettenti.
Stavano
aspettando gli auror da un tempo che sembrava infinito, dilatato dal
mistero e dalle aspettative. Cosa sarebbe accaduto? Erano sospesi
nell'incertezza.
E poi, finalmente, la porta dell'ufficio cigolò
sui cardini, Turner entrò in aula scendendo i pochi gradini
con il
suo personale passo saltellante. Nello stesso momento altre quattro
persone fecero il loro ingresso dalla porta principale e tutti e
cinque si posizionarono in fila davanti alla pedana, nello spazio
lasciato libero dalle due "fazioni".
Un silenzio di
piombo calò sulla stanza e Hermione riuscì a
percepire la tensione
proveniente dai Serpeverde. Molti di loro tenevano lo sguardo basso,
altri appena sollevato come chi si prepari a ricevere uno schiaffo.
Solo alcuni sembravano indifferenti alla presenza degli auror e tra
questi vi erano loro, la vecchia combriccola di attaccabrighe:
Parkinson, Zabini, Nott e Malfoy.
Ciò che emergeva forte e
chiaro, come l'insegna luminosa di un negozio babbano, era che non si
sarebbero piegati a quell'aria di oppressione, che non avrebbero
avuto paura di affrontare le conseguenze delle loro
malefatte.
Mangiamorte. Nessuno smette mai di essere un
mangiamorte.
Ancora una volta quelle parole le rimbombarono in
testa come un duro monito proveniente dall'alto.
Eppure, allo
stesso tempo, non riusciva a mettere da parte il discorso fattole da
Malfoy.
Lui era stato un mangiamorte, ma era anche un traditore
agli occhi di coloro che un tempo chiamava amici. Era solo, molto
più
di quanto non fosse lei, molto più di chiunque altro in
quella
stanza.
«Benvenuti al corso avanzato di Difesa contro le Arti
Oscure!» Turner era salito sulla pedana con un balzo, mentre
gli
altri auror erano rimasti fermi ai loro posti in posizione di
riposo.
Erano tre uomini e una donna, dimostravano la stessa età
di Turner, ma non la stessa delirante euforia.
Quello più a
sinistra, vicino ai Grifondoro, era alto e muscoloso, di carnagione
scura, teneva lo sguardo fisso davanti a sé come un automa
privo di
vita.
Accanto a lui vi era l'unica donna del gruppo. Il viso
squadrato e la testa rasata a zero, al contrario del compagno, li
osservava con un mezzo sorrisetto a incresparle le labbra
sottili.
Gli ultimi due erano gemelli, ma molto diversi da quelli
a cui era abituata. Uno aveva i capelli lunghi fin sopra la spalla,
neri come piume di corvo, e una grossa cicatrice trasversale sul viso
che finiva sull'occhio sinistro, coperta da una benda scura; l'altro
invece sembrava il prototipo del soldato modello, impassibile e
avvolto da un'aura di pericolosa minaccia.
«Come vi ho già
anticipato il mio sarà un corso diverso dagli altri,
rappresenta una
vera rivoluzione all'interno di questo vecchio castello! Avremo
più
ore da passare insieme e le dedicheremo alla pratica, perché
il
mondo là fuori non è quello che si legge nei
libri, non è vero?»
si rivolse direttamente ai Grifondoro.
Harry sostenne lo sguardo
del nuovo professore, senza battere ciglio né degnarlo di
una
risposta.
Turner non sembrò però sorpreso da quella
reazione, ma
anzi quasi soddisfatto.
«Bene, credo sia utile accompagnare il
primo argomento a una dimostrazione concreta. Mi serve l'aiuto di uno
di voi...» lasciò correre lo sguardo tra gli
studenti, con
lentezza, ma era evidente che avesse già scelto la
“vittima
sacrificale”.
«Oh!» un ghigno cattivo si dipinse sul suo volto
angelico «Malfoy, che ne dici?»
Il cuore di Hermione perse un
battito. Vide salire Malfoy sulla pedana con la stessa indifferenza
di sempre, ma il pallore cadaverico del suo viso le fece intuire ben
altro.
«Sì, bravo, mettiti qui al centro dove tutti
possono
vederti».
Malfoy fece quanto richiesto e poi Turner iniziò a
girargli attorno, come un lupo famelico che circonda la preda.
«Come
si riconosce un mangiamorte?» scandì con tono
squillante «Come
facciamo a sapere che l'uomo di fronte a noi, che ci parla, ci offre
una tazza di tè o un bicchiere di whisky non sia in
realtà uno
spietato assassino? E se quello stesso uomo fosse il nostro migliore
amico? C'è l'intuito certo, ma a volte... non...
basta»
A quelle
parole la sicurezza di Malfoy vacillò e il ragazzo si mosse
per
allontanarsi, ma un cenno della mano da parte di Turner e i due
gemelli gli furono addosso.
Provò a divincolarsi, mentre sussurri
spaventati si agitavano tra gli studenti, ma ogni tentativo era
inutile, i due auror erano troppo forti per lui. Gli bloccarono
entrambe le braccia, tendendole e facendo pressione su di esse. Non
sarebbe stato difficile per loro spezzarle come fossero
stuzzicadenti.
«Dicevo, a volte non basta, esistono altri metodi,
ad esempio il Veritaserum, la Legilimanzia, le maledizioni. Tutti
validi, ma a volte irreperibili, lenti o aggirabili. Se non avete
molto tempo a disposizione, la cosa migliore da fare è dare
un'occhiata alla pelle del vostro presunto mangiamorte. Come
già
saprete, non si può cancellare il Marchio Nero» un
colpo di
bacchetta e la camicia di Malfoy sparì.
Draco aveva smesso
di lottare e guardava Turner con disprezzo e disgusto, lo stesso che
avrebbe riservato a un insetto.
Nessun Serpeverde fiatò né mosse
un dito in sua difesa. Hermione allora rivolse la propria attenzione
ai compagni di Casa, ma nessuno sembrava turbato dal trattamento che
gli auror stavano riservando a Malfoy. Era solo, solo contro il resto
del mondo.
«Signor Malfoy! Che bella pelle bianca, perché non
ci
fa vedere la schiena?» i gemelli lo strattonarono,
costringendolo a
voltarsi.
«Esiste un incantesimo che ha lo specifico compito di
migliorare l'aspetto della pelle, di solito lo usano le ragazzine per
coprire i segni dell'acne. A quanto pare anche Malfoy è una
ragazzina nel pieno della pubertà»
ridacchiò maligno, seguito a
ruota dai colleghi, e poi passò la bacchetta sulla pelle
nuda del
Serpeverde.
L'incantesimo rivelò la presenza di numerose e lunghe
cicatrici, i segni di colpi frusta che non erano stati curati con la
magia. Hermione sentì una morsa afferrarle lo stomaco e la
gola e
d'istinto strinse il braccio di Harry. Lui non era scosso quanto lei,
ma era chiaro che quella situazione cominciasse a infastidirlo.
«A
quanto pare papà Malfoy puniva a dovere il suo prezioso
erede!»
l'auror si finse sorpreso «Come? Se farfugli così
non ti
sentiamo... fatelo voltare!»
I gemelli ubbidirono al
comando.
«Mio padre non ha mai usato questi rozzi metodi
medievali. I suoi colleghi ad Azkaban, professore,
invece
ne andavano matti» rispose Draco con l'usuale tono
strascicato. Non
aveva paura, era evidente.
Turner fece una smorfia contrariata «E
tu come ci sei finito ad Azkaban?»
«Conosce già la
risposta».
«Già e, sai, la lezione non è ancora
finita» gli
disse a pochi centimetri dal viso e poi riprese a parlare al resto
della classe.
«Il giovane Malfoy ha passato le vacanze in cella,
lo sapevate? Era un mangiamorte, ha tentato di uccidere Silente, ha
fatto entrare altri mangiamorte nel castello, ha combattuto dalla
loro parte. E allora perché non riusciamo a vedere il suo
marchio?»
Draco, che si era dimostrato calmo fino ad allora,
cominciò a opporre resistenza, come una belva in catene
«Lasciatemi
andare! Non avete alcun diritto di tenermi qui!»
Il più
muscoloso dei due gli sferrò un calcio che lo fece cadere in
ginocchio e allora l'altro gli sollevò il braccio sinistro,
poggiandogli un piede sulla spalla per tenerlo fermo.
«Esiste un
altro incantesimo, è stato creato appositamente dal
Ministero per i
mangiamorte redenti. Solo noi auror conosciamo la formula per
applicarlo e... per toglierlo» infuse una nota di maligno
compiacimento nelle ultime due parole.
«L'unico problema è che
può rivelarsi un'operazione parecchio dolorosa. Il Marchio,
nonostante tutto, continua a bruciare quando entra in contatto con la
magia».
Quella non era una lezione, ma una grottesca farsa e
serviva da monito a tutti gli studenti invischiati con il lato
oscuro, a tutti i mangiamorte presenti che avevano appena odorato
l'aria di Azkaban senza respirarla davvero. La loro libertà
era
fittizia, proprio come il ruolo degli auror all'interno della
scuola.
Turner si sposto dietro Draco, puntò la bacchetta
sull'avambraccio teso e dalla punta di legno scuro uscirono
scintille, che sfrigolarono sulla pelle finché un grosso
sfregio
informe, un'ustione rossastra e rialzata, non apparì chiara
agli
occhi di tutti.
Draco continuava a dimenarsi, lasciandosi sfuggire
pochi lamenti soffocati, il respiro sempre più pesante.
Era un
orrendo spettacolo a cui non era disposta ad assistere. Non le
importava chi fosse quel ragazzo, cosa avesse fatto in passato o cosa
avrebbe fatto in futuro, lei era migliore, lei era superiore ai
metodi usati dai mangiamorte. Gli stessi utilizzati dagli auror in
quello stesso istante.
«Basta!» urlò prima ancora di collegare
la lingua al cervello e in breve tutta l'attenzione fu rivolta su di
lei.
Si sentì quasi sopraffatta dagli sguardi allibiti dei
Serpeverde e da quelli inorriditi dei Grifondoro, ma non si
lasciò
abbattere, non era da lei rinunciare ad una causa persa.
L'auror
sollevò la bacchetta e la guardò come se fosse
un'apparizione, un
raro animale mai visto prima.
«Hermione Granger?!» sbottò a
metà tra l'incredulo e il divertito «Tra tutti i
Serpeverde
presenti non mi sarei mai aspettato che proprio la migliore amica di
Harry Potter si levasse in difesa di un Malfoy!»
allargò le braccia
con enfasi, ricercando approvazione nei volti dei suoi
compagni.
Harry provò a trattenerla per un braccio, ma lei era
già salita sulla piattaforma degli orrori.
«E allora? Cosa crede
che me ne importi?» domandò stizzita.
«Questa non è una
prigione, né una sala interrogatori, questa è una
scuola e lei
dovrebbe essere un professore. Dovrebbe insegnare a questi ragazzi
qualcosa di utile, non trattarli come cavie da
torturare!»
«A
questi ragazzi? Lei non è compresa nel pacchetto
studenti?» la
schernì «Oh, quasi dimenticavo, lei è
un'eroina nazionale! Ha
imparato tutto sul campo e questa» indicò Draco,
ancora
immobilizzato «è una situazione a lei familiare,
dico bene?»
Aveva
ormai perso il tono stucchevole, ogni traccia di divertimento era
sparita per lasciare spazio ad una cupa aggressività.
Hermione
indietreggiò, toccando la bacchetta nella tasca del
mantello.
Quell'uomo, quel ragazzo, non era ostile solo ai Serpeverde. Con la
coda dell'occhio vide che anche Harry era pronto a raggiungerla e,
nonostante tutto, ancora stentava a capire cosa stesse
succedendo.
«Professore! Vedo che non ha perso tempo».
Una
voce calda e profonda giunse dal fondo dell'aula, accompagnata dal
rumore di passi leggeri.
«Adesso capisco perché gli studenti
sono così poco attratti dalla mia
materia...»
«Che vuoi,
Dukes?»
«...cosa vuoi che siano dei comuni oggetti babbani
in confronto a questo!» Brett lo ignorò,
continuando ad avvicinarsi
al palco. «Qual è l'argomento del giorno? Tortura
applicata?»
Turner si passò una mano tra i capelli e
lisciò le pieghe della divisa.
«No, stavo dimostrando agli
studenti come smascherare un mangiamorte» rispose allora
serafico;
la rabbia aveva fatto la stessa fine degli indumenti di
Malfoy.
«Capisco... be' io sono qui per lui»
indicò Draco con
un cenno della testa «Ieri sera non ha portato a termine la
sua
punizione e lo stavo aspettando fuori, quando ho sentito dei lamenti
e delle urla provenire dall'aula. Credevo che tu avessi
bisogno di aiuto, ma a quanto pare mi sbagliavo».
«Esatto, ti
sbagliavi! E ti conviene tornare alle tue cose da babbano, la lezione
non è ancora finita»
Brett sistemò gli occhialetti sul naso e
sorrise, un sorriso diverso dai soliti... gelido.
«Io
dico di sì» sollevò gli occhi su
Turner, due pezzi di tormalina
blu incastonati in una maschera di sfida e ostilità.
«Signorina
Granger, porti Malfoy in infermeria» disse senza distogliere
lo
sguardo.
Turner scoppiò in una risata sguaiata, ma Brett non si
scompose.
«Che cerchi di fare, Dukes?»
«Oh, niente di
particolare, quello che faccio di solito»
«Sarebbe?»
«Insegno»
disse e poi guardò l'orologio «Ma guarda un po'
come passa veloce
il tempo! E il tuo è appena scaduto» sorrise
sornione.
Matthew,
le orecchie rosse come pomodori, i pugni stretti e i denti serrati
alla fine dovette accettare la sconfitta.
«La lezione è
terminata!» disse compiendo uno sforzo titanico.
Il ragazzo con
la benda rivolse un mezzo sorriso a Hermione e poi lasciò
andare
Malfoy come fosse un sacco di immondizia, dirigendosi assieme agli
altri auror verso l'ufficio del professore di Difesa.
La ragazza
non ebbe il tempo di preoccuparsene, Draco giaceva sul fianco, forse
svenuto.
«Be'? Che ci fate ancora qui? Non avete un'altra lezione
da seguire? Tutti fuori!» Brett rimproverò gli
altri studenti che
si stavano accalcando intorno al Serpeverde.
«Tu no,» disse
rivolto a lei «sei Caposcuola e devi aiutarmi a trasportarlo
in
infermeria»
«Non... non vedo il nesso tra le due cose»
protestò
debolmente. Alcuni suoi compagni erano ancora lì e la
accusavano in
silenzio, ma tra tutti quei visi arrabbiati cercò quello di
Harry,
l'unico di cui le importasse davvero. Lui la guardò con
apprensione.
«Fa' attenzione. Ci... ci vediamo più
tardi» disse
e poi seguì gli altri fuori dall'aula.
Si sentì confortata da
quelle parole, almeno Harry non aveva perso l'ultimo pizzico di
umanità.
Una volta che tutti se ne furono andati, si avvicinò a
Malfoy ma questi scattò in piedi facendola sobbalzare.
Era livido
di rabbia, aveva i capelli incollati alla fronte e alcune gocce di
sudore gli scendevano lungo le tempie, il viso era segnato dalla
sofferenza causatagli dall'incantesimo, mentre il braccio era ancora
arrossato. Da vicino riuscì a vedere l'infinità
di piccole
cicatrici chiare che gli segnavano il resto del corpo e di nuovo le
si strinse il cuore.
Non la degnò di uno sguardo, né di una
parola, nessun ringraziamento da parte del Serpeverde. La
scansò
infuriato e, dopo aver recuperato il mantello e la borsa, si diresse
all'uscita a passo di carica.
«Seguilo, ovunque vada, e non
permettergli di scendere nei sotterranei» le disse Brett
quando
furono anche loro fuori dall'aula.
«Perché proprio io?» arrossì
imbarazzata.
«Perché nessuno oserebbe sfidarti» le
fece
l'occhiolino e poi si incamminò nella direzione opposta a
quella
presa da Draco.
«E Malfoy?» gli chiese prima che girasse
l'angolo.
«Andiamo, sei troppo in gamba per lui!»
*
Ferito
e umiliato davanti a quella manica di idioti e soccorso da una
Grifondoro mezzosangue e dal professore di Babbanologia. Se il
fantasma di suo nonno l'avesse visto sarebbe morto un'altra volta,
dissolto per sempre nel nulla.
Non avrebbe mai smesso di pagare
per quel marchio impostogli, per le azioni commesse contro la sua
volontà, per non aver scontato la propria pena ad Azkaban.
Si
aggrappò al pensiero di sua madre, ancora rinchiusa in una
cella
buia e sporca, tenuta sotto scacco da auror senza scrupoli. Il
Ministero aveva deciso, dopo molte accese discussioni, di non
utilizzare più i Dissennatori come guardie della prigione e
questo
un po' lo consolava. Aveva molte più possibilità
di restare viva
mentre lui compiva la propria missione e, se ce l'avesse fatta,
avrebbero potuto andarsene via insieme, in un altro posto, il
più
lontano possibile da Londra.
Una folata di vento scosse le fronde
dell'albero che lo sovrastavano e alcuni raggi di sole penetrarono
attraverso le foglie, illuminandogli il viso. Toccò l'erba e
ne
strappò alcuni fili, respirò l'aria a pieni
polmoni. Stando lì, ai
limitare della Foresta Proibita, dove nessuno studente si avventurava
mai, poteva rimettere insieme i pezzi, riflettere sul da farsi, in
piena solitudine, la sua nuova amica, la più preziosa
alleata.
Peccato, però, che quella volta non fosse solo.
«Puoi smetterla
di nasconderti, i tuoi passi saranno anche silenziosi ma i rami e le
foglie secche che spezzi fanno parecchio rumore. Ribadisco, sei
patetica» disse annoiato.
Hermione gli si accostò con cautela,
mantenendosi ad una sorta di distanza di sicurezza.
«Un altro
passo e potrò vedere quali misteri si celano sotto la tua
gonna»
sospirò stanco, mettendosi a sedere. La guardò di
traverso, aveva
le guance in fiamme e guardava la foresta a disagio, continuando a
sistemarsi i capelli dietro le orecchie, che però sfuggivano
mossi
dal vento.
«Vattene via Granger, non mi accompagnerai in
infermeria»
Lei non rispose subito, ma prese posto sull'erba
accanto a lui, restando in silenzio per un po'.
«Ti ci posso
sempre mandare in infermeria»
«Oh cielo! Era una
battuta?»
«Mai stata così seria» disse laconica,
come se
con la mente fosse da tutt'altra parte.
Provò a sondare i suoi
pensieri, ma incontrò un muro, o meglio, una vera fortezza
difensiva. Stava per raggiungere il limite e se lo avesse
attraversato avrebbe mandato a puttane l'intera operazione.
«Si
può sapere che cosa vuoi?» domandò
esasperato balzando in piedi
«Credi che io sia un elfo domestico da salvare? Ti faccio
pena, è
per questo che mi segui, che mi guardi, che mi dedichi minuti del tuo
prezioso tempo? Io sono un fottuto mangiamorte, Granger! Ho fatto
cose terribili e, soprattutto, noi ci odiamo! Sì,
perché tra tutte
le incertezze l'unico punto fermo che mi sia rimasto è
l'odio che
provo per te. Ti ho fatto un favore, sapevo di poter ottenere
qualcosa in cambio ed è successo, il tuo debito è
saldato! Sei
libera di tornare alle tue inutili occupazioni!» si era
sfogato,
aveva detto tutto quello che gli passava per la testa, ma non si
sentiva affatto meglio.
Era come vivere con il collo dentro una
ghigliottina pronta a scattare, non c'era niente che riuscisse a
dargli pace.
La Granger, che era rimasta seduta ad ascoltarlo, si
alzò, lisciò le pieghe del mantello,
riavviò indietro i capelli e
poi gli tirò un pugno dritto sullo stomaco, così
forte che gli fece
mancare il respiro.
«Vaffanculo, Malfoy!»
Il
suo cognome era di nuovo un insulto e aveva visto il disprezzo
riaccendere quei grandi occhi marroni.
Ancora piegato in due dal
dolore, sorrise vedendo la sua schiena e la massa di ricci ribelli
allontanarsi.
Almeno
una cosa era tornata al proprio posto.
*
«Cosa
ti è saltato in mente? Hai rischiato di rovinare
tutto!» abbatté
una cesta piena di oggetti con un calcio. Le ore passate nella
Foresta non erano servite a calmarlo.
«È tutto quello che hai da
dire?» gli domandò Dukes, poggiato sulla cattedra
con le braccia
incrociate al petto.
«Sì, cazzo!»
«Un grazie non mi
farebbe schifo».
Draco fece un respiro profondo, sedendosi
sopra un banco della prima fila. Alla fine aveva saltato tutte le
lezioni, non aveva voglia di rivedere le facce dei suoi compagni,
ancor meno quella della Granger, per non parlare di quella di Blaise.
Il suo migliore amico che era rimasto in silenzio a guardare...
«Che
ti aspettavi? Un po' di sano coraggio Serpeverde? Per loro sei solo
un traditore, dovresti saperlo ormai» gli disse Brett senza
mezzi
termini.
«È sempre un piacere parlare con te» lo
fulminò con
lo sguardo «Conosci i principi base di una conversazione
civile? In
genere si aspetta che sia l'altro a dire qualcosa, non si fruga nella
sua testa»
«Oh sì, ti prego continua, adoro le tue lezioni di
bon ton» disse, un sopracciglio pericolosamente alzato e le
labbra
tese in una smorfia di disapprovazione.
«Se non fossi intervenuto
avrebbe cancellato l'effetto dell'incantesimo e poi ti avrebbe messo
sotto torchio. Ho visto i suoi pensieri, è convinto di
essere un
auror migliore dei suoi superiori e voleva costringerti con la forza
a confessare»
«Confessare cosa?» chiese allibito.
«Qualcosa,»
fece spallucce «qualsiasi cosa per poterti rispedire al
fresco e
buttare per sempre la chiave. E poi, ovviamente, voleva dare una
dimostrazione di forza agli altri Serpeverde e a Harry
Potter!» rise
pronunciando il nome dell'acerrimo rivale di Draco.
«Che c'entra
quell'idiota adesso?!»
«Sai,» gli si avvicinò «dallo
scontro
tra Silente e Voldemort al Ministero, le regole di addestramento sono
molto cambiate e le reclute sono sottoposte a sforzi disumani. Gli
stessi auror sono stati costretti ad adeguarsi alle nuove norme,
perciò credo che il
“successo”» mimò con le dita
le virgolette
«ottenuto da Potter non sia andato giù ai nuovi
auror come
Turner»
«Perfetto!» si passò una mano sugli
occhi «Non avrei
potuto chiedere di meglio di un auror fuori come un balcone e il suo
un fedele seguito di marionette, un auror idiota come
contatto...»
«Idiota? So che puoi fare di meglio» prese
posto sul banco accanto a Draco.
«Sì, ma è inutile sprecare
fiato con te» gli scoccò un'occhiata al vetriolo.
Brett ignorò
l'ultima affermazione e si accese una sigaretta.
«Ne vuoi una?
Sono quelle alla rosa canina» sorrise, stringendola tra i
denti per
non farla cadere.
Draco restò a guardare il pacchetto aperto che
Dukes gli tendeva.
«Ti odio, lo sai vero?» disse
prendendone una.
«E tu sai che leggo nella mente, vero?»
ridacchiò porgendogli l'accendino.
«Sì, non ho dubbi al
riguardo» espirò una grossa boccata di fumo.
«”Ti odio”.
Quante volte l'hai detta questa frase oggi? Non ne combini una
giusta, lasciatelo dire» stese le gambe in avanti fino a
toccare la
cattedra con i piedi, puntellandosi sulle mani per non cadere.
«Se
ti riferisci alla Granger, ti assicuro che ho fatto la cosa giusta.
Stavo diventando il suo nuovo caso umano da salvare. Io! La guerra
deve averle spostato qualche rotella»
«Mmh, ne sei sicuro?»
«Sì,
il passato non si cancella»
«Hai ragione, ma si può sempre
decidere di andare avanti. Secondo me la Granger è l'unica
amica che
ti rimane»
«Amica?! Come fai a sapere sempre tutto quello che
penso e allo stesso tempo non capire un cazzo? Io e lei non siamo
amici e mai lo saremo»
«Va bene, ma resti comunque un incapace.
Visto che di lei non ti importa, perché non sfruttarla? Lo
sanno
tutti che senza di lei Potter avrebbe combinato ben poco. La sua
intelligenza potrebbe tornarti utile, hai mai pensato a questo
zuccone?»
«Oh, certo! Dato che sono un Serpeverde marchiato ed
ex-prigioniero devo manipolare e sfruttare gli altri a mio
piacimento»
«Ehm, fammici pensare... Sì!»
«Che
stronzo! Altro che Tassorosso, tu sei il diretto discendente di
Salazar!»
«Si fa quel che si può. In ogni caso, è
meglio che
tu vada, la scusa della punizione non reggerà a lungo e poi
è quasi
ora di pranzo» scese dal banco e si stiracchiò
come un gatto appena
sveglio.
Anche Draco balzò giù «Non vedevo
l'ora» disse
allontanandosi verso l'uscita.
«Menti sapendo di mentire, tu mi
adori già!»
Si girò e, con tutta la nobile grazia di cui la
natura lo aveva dotato, sollevò il dito medio, scatenando
l'ilarità
del professore.
«Ti amo anch'io!» lo sentì urlare mentre
si chiudeva la porta alle spalle.
Dannato
irlandese!
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 - Le Rose Nere ***
Capitolo
6. Le Rose Nere
Poteva
resistere ad ore di tortura, ma non allo sguardo inquisitore di Harry
Potter.
Da quando aveva provato a salvare Malfoy dalle grinfie
degli auror la sua posizione all'interno della scuola era stata del
tutto compromessa.
Non
c'era luogo, angolo, anfratto, in cui poter stare tranquilla senza
ricevere occhiate di disapprovazione e sentire sussurri sdegnati. La
notizia succulenta aveva fatto il giro del castello, arricchendosi di
merletti e infiorettature, particolari inesistenti, frasi inventate
di sana pianta. L'unico motivo per cui non era stata avanzata
l'ipotesi che avesse una tresca con il Serpeverde era semplice, quasi
banale: lei era la Granger e lui era Malfoy.
Nemmeno
le pettegole più fantasiose riuscivano ad immaginarli
insieme a
condividere la stessa aria, il che era una vera fortuna per entrambi.
Non voleva pensare alle eventuali ritorsioni che un ipotesi del
genere avrebbe potuto generare.
I
suoi amici, invece, sapevano che avrebbe reagito in quel modo anche
se al posto di Malfoy ci fosse stato uno schiopodo; ciò di
cui non
riuscivano a capacitarsi era che avesse saltato tutte le lezioni
successive.
La
brillante Caposcuola, capace di usare la Giratempo per seguire
più
corsi contemporaneamente, che non si presenta alla prima lezione
della nuova professoressa di Trasfigurazione. La scusa che le era
venuta in mente lì per lì, cioè di
aver avuto mal di testa, era
così fragile che non avrebbe convinto neppure Frate Grasso.
Harry
sospettava che c'entrasse direttamente Malfoy, ma lei continuava a
negare. D'altronde non avrebbe mai potuto rivelare a nessuno di aver
speso due ore della propria esistenza a piangere a causa dello
stronzo platinato. Non capitava da circa sei anni e lei stessa
stentava a credere fosse successo davvero, figurarsi dirlo al suo
migliore amico.
Era
passata una settimana da allora e, nonostante gli impegni la
tenessero occupata gran parte del tempo, sentiva ancora un pugno allo
stomaco. Era diventata brava a mentire, ma non abbastanza da farlo
con disinvoltura e senza star male all'idea di nascondere qualcosa ai
suoi amici.
Rilesse
per l'ennesima volta la stesso paragrafo, ma le parole apparivano
come una serie di sillabe a cui non riusciva a dare un significato.
Sbuffò seccata e richiuse il tomo con un tonfo. Anche
studiare in
biblioteca era diventato impossibile con tutti quei pensieri ad
affollarle la mente e tutti quegli occhi puntati sulla nuca.
Raccattò
le sue cose e si alzò, diretta nell'unico posto dove nessuno
l'avrebbe seguita, l'unico in cui riuscisse a trovare pace.
Il
cielo minacciava poggia, ma poche gocce d'acqua non bastavano a
spaventarla.
Si
mosse in fretta, sperando che nessuno la notasse, seguendo un
sentiero che costeggiava la Foresta Proibita, senza inoltrarvisi
davvero. Superò un grosso cespuglio e... tirò un
sospiro di
sollievo. La quercia placida e antica, il prato e la vista del lago
in lontananza, il suo posto segreto.
Nessuna forma di vita nei
paraggi, c'erano solo lei e il suo libro di semiotica magica.
Dalla
notte in cui aveva visto Pansy e il Corvonero misterioso scambiarsi
quel gesto singolare, non aveva pensato ad altro. Ciò che si
erano
detti non prometteva nulla di buono e lei non poteva restare in
attesa di vedere l'ennesima tragedia consumarsi tra le mura del
castello.
Aveva deciso di andare per gradi, come sempre, partendo
dai dati che aveva già raccolto. Le loro parole le
apparivano prive
di senso, mentre il gesto avrebbe potuto avere un significato
universale per i maghi, come la stretta di mano per i babbani.
I
libri a sua disposizione erano pochi o, almeno, non quanti avrebbe
voluto, e tra quei tomi polverosi aveva trovato solo qualche indizio
e riferimento a mani congiunte, ma niente che si potesse ricollegare
alla magia oscura. A volte pensava di dirlo a Harry, ma si era
ripromessa di non parlarne a nessuno finché non avesse avuto
prove
certe. E se si fosse solo trattato di una sua paranoia? No, era fuori
discussione, avrebbe dovuto vedersela da sola.
Prese la coperta
dalla borsa e la allargò sul prato, vi si sedette e poi si
stiracchiò beata, le braccia in alto e un sorriso smagliante
rivolto
al cielo. Si sentiva fiduciosa, quel libro le avrebbe dato le
risposte che stava cercando.
«Si
può sapere che cosa stai facendo?»
La
voce che non avrebbe mai voluto sentire le pose quella domanda nel
tono più annoiato e irritante possibile. Non ebbe bisogno di
voltarsi per capire chi fosse, abbassò lentamente le braccia
preparandosi allo scontro.
«Da
quanto tempo sei qui?» gli chiese a bruciapelo.
«Ah,
Granger, non ti hanno insegnato che non si risponde ad una domanda
con un'altra domanda?»
«Non
ti ho sentito arrivare, quindi dimmi da quanto tempo sei qui»
squittì velenosa.
Draco
era in piedi a pochi passi da lei, le mani in tasca e il mantello
scuro che svolazzava mosso dal vento.
«Oddio
Granger, pensi che ti abbia seguita?!» la schernì
ridacchiando.
«Cos'è,
un'ammissione implicita?» si alzò per
fronteggiarlo.
Lui
sospirò, a metà tra il divertito e il rassegnato,
e si accese una
sigaretta.
«Forse.
Ho bisogno di parlarti» fece una pausa espirando una boccata
di
fumo, il viso rivolto al lago Nero.
«Oh, davvero?» sollevò un
sopracciglio arricciando le labbra con disappunto.
Era sempre più
convinta che lui fosse invischiato in quella storia, anche se non nel
modo in cui si sarebbe aspettata. Non ne faceva parte, ma era sicura
che stesse indagando tanto quanto lei.
«Sì,
davvero. Devi starmi lontana, ti stai cacciando in
qualcosa
che è più grande di te».
“Ah! Lo sapevo.”
esultò
mentalmente.
«A
cosa ti riferisci?» chiese poi, provando a fingersi incredula.
«I
nostri incontri sono sempre meno occasionali, le persone cominciano a
notarlo, soprattutto dopo quel triste spettacolino a lezione di
Difesa. Per non parlare del modo in cui continui a guardare i
Corvonero! Sai, dicono siano piuttosto astuti e intelligenti, quindi
direi che prima o poi il diretto interessato si accorgerà
delle tue
strane attenzioni»
«Cosa?! Ti garantisco che tutti i nostri
incontri sono occasionali. E poi cosa c'entrano i Corvonero? Anche se
fosse non vedo come...»
«Stanne fuori e basta, Granger!» la
interruppe «Lo dico per te e, se ti riesce, non farne parola
con
nessuno» gettò via il mozzicone.
«Intendi
Harry?»
«Intendo
chiunque» rispose guardandola da sopra la spalla, mentre la
brezza
gli scompigliava i capelli chiari, e poi si girò per
andarsene.
«Malfoy,
aspetta!»
Si rese conto di avergli poggiato una mano sul petto
quando Draco la scacciò via in malo modo.
«Sei impazzita per
caso?» la allontanò dandole una leggera spinta.
Fece
un respiro profondo per impedirsi di reagire, doveva restare
calma.
«Forse. E so già che me ne pentirò, ma
anche io ho
qualcosa da dirti»
«Granger, non sarò il tuo nuovo animaletto
schiavizzato da salvare»
«Certo
che no! È solo che...» sbuffò irritata
«sto facendo delle
ricerche. Ciò che è successo quella notte
significa qualcosa e io
devo scoprire di cosa si tratta»
Malfoy parve colpito, ma non
sorpreso.
«C'era
da aspettarselo, avrai già letto tutto sull'argomento
vero?» disse
sprezzante.
«Be' in realtà...»
«Perché me ne stai
parlando, Granger? L'idea che io possa essere dalla parte sbagliata
non ti ha mai sfiorata?»
Si
abbassò in avanti per guardarla dritto in faccia e un ghigno
sardonico gli deformò il viso.
«E
se fossi io il lupo cattivo?»
Vide
il tormento nei suoi occhi grigi, ma sostenne lo sguardo con
fierezza. «No, non lo sei»
«Come fai a esserne certa?»
Hermione non riuscì a trovare una risposta convincente,
aprì e
richiuse la bocca mentre qualche lacrima iniziava a pizzicare gli
angoli degli occhi.
«Come immaginavo» disse amaro e poi,
così come era arrivato, se ne andò via
lasciandola sola con i suoi
dubbi e le sue incertezze.
*
Darò
gran
vantaggio a chi compie imprese di vero coraggio.
Non
amava definirsi apertamente "coraggiosa", pensava fosse da
presuntuosi decantare le proprie doti o presunte tali. Un tempo
però
era certa di esserlo stata, in qualche occasione almeno.
Ora era
diverso: era diventata una pazza incosciente.
Non faceva che
ripeterselo da quando aveva lasciato la propria stanza, nel cuore
della notte, coperta dal mantello di Harry e con un incantesimo a
rendere silenziosi i suoi passi.
Malfoy le aveva chiaramente
chiesto di farsi da parte, ma chi era lui per dirle cosa fare, chi
seguire e spiare? Lei era Hermione Granger, non aveva bisogno del
permesso di un Serpeverde per essere paranoica e inquietante.
Sarebbe
stato tutto molto più semplice con la mappa del Malandrino,
ma Harry
la teneva dentro la federa del cuscino e si era decisa troppo tardi a
fare quella gitarella al chiaro di torcia.
Dire "Oh, ciao
Harry, mi dispiace averti svegliato. Mi serve la mappa per seguire
Malfoy attraverso i corridoi bui e sinistri del castello, scoprire
che cosa ha in mente e se questo ha a che fare con Pansy, il suo
ragazzo Corvonero e i loro potenziali progetti malvagi" non
rientrava esattamente nel suo piano di non-coinvolgimento del suo
migliore amico. Già.
Trattenne un grosso sospiro e spostò il
peso da un piede all'altro. Era davanti all'entrata dei sotterranei
da un pezzo e ancora nessun segno del furetto platinato.
Il vento
fuori ululava furioso e grosse gocce di pioggia si infrangevano
rumorose contro i vetri delle finestre. Gli spifferi d'aria gelida e
i misteriosi scricchiolii, provenienti dall'oscurità dei
sotterranei, la rendevano tesa come una corda di violino,
così,
quando il Barone Sanguinario uscì all'improvviso dalla
parete alle
sue spalle, fu costretta a tapparsi la bocca con entrambe le mani per
impedirsi di gridare. Il fantasma la guardò senza vederla e
si
immerse nella parete di fronte.
Dopo pochi attimi, un rumore di
passi pesanti la mise di nuovo in allerta e sentì il cuore
in
gola.
E poi eccolo, Draco Malfoy, la bacchetta stretta nel pugno,
si guardò intorno un paio di volte e si diresse verso le
scale che
portavano al piano di sopra.
Hermione lo seguì attraverso
il dedalo di corridoi, si muoveva svelto, di tanto in tanto si
fermava dietro una statua o un'armatura e, prima di svoltare un
angolo, controllava che la via fosse libera.
Sospetto, molto
sospetto.
Per lei comunque non era un problema fare qualche
sosta. Non era mai stata un tipo sportivo e tenere il passo del
Serpeverde stava diventando una vera impresa.
Era poi così presa
a seguirlo che non si rese conto di dove stesse andando
finché non
si fermò davanti a una porta e bussò.
Che idiota! Come ho
fatto a non pensarci prima? Hermione, stai perdendo
colpi...
Conosceva
quel posto, conosceva quell'aula e, soprattutto, conosceva l'uomo con
i capelli arruffati e il maglione di traverso che si
affacciò alla
porta sbadigliando.
Brett Dukes. Era abituata a intrighi del
genere, perché non aveva fatto subito due più due?
Il
silenzio era così pesante che avrebbe potuto sentire cadere
un
capello a terra, ma lui non sembrò accorgersi della sua
presenza e,
quando il professor Dukes lo invitò ad entrare, si
accovacciò e
sgattaiolò dentro la stanza poco prima che la porta venisse
chiusa e
sigillata.
Stupida pazza incosciente.
Nell'esatto
momento in cui Dukes aveva iniziato a lanciare incantesimi di
protezione, mentre Draco se ne stava appoggiato ad un banco, con il
fare annoiato di chi è abituato alla procedura, aveva visto
davanti
agli occhi la follia di quel piano: seguire Malfoy, scoprire fino a
che punto fosse coinvolto e poi tornare al proprio dormitorio. Era
semplicemente folle!
«Allora»
esordì Dukes «hai pensato a quello che ti ho
detto? Alla proposta
di fare squadra con lei?»
«Sì,
certo, e non se ne parla. Preferirei tornare ad Azkaban e farmi
mangiare l'anima da cento dissennatori» disse Draco
mortalmente
serio.
«Pff, il solito
melodrammatico! Ti ho già elencato tutti i vantaggi
di...»
«Non
mi interessa! Nemmeno ti immagini quante rogne porterebbe con
sé e
poi non accetterebbe mai le mie condizioni» si strinse nelle
spalle.
Brett sorrise e mosse qualche passo nella direzione di
Hermione, che si pietrificò trattenendo il fiato. Harry
avrebbe
infierito sul suo cadavere, ne era certa.
«Be', perché non
glielo chiediamo?» disse il professore e con un gesto rapido
le
sfilò via il mantello.
Dopo un attimo di smarrimento, Hermione
puntò la bacchetta contro di loro. Aveva peccato di
leggerezza ed
era stata scoperta, non poteva far altro che difendersi fino allo
stremo delle forze.
Tuttavia, l'espressione accigliata di Draco,
quella divertita di Dukes, unite al fatto che nessuno dei due avesse
ancora tirato fuori le bacchette, la fecero sentire...
ridicola.
«Cosa... cosa sta succedendo qui?» si rivolse
direttamente a Draco.
Lui grugnì come un vecchio orso e si accese
una sigaretta, ma non disse nulla.
«La vuoi smettere di fumare
ogni volta che ti faccio una domanda?!» sbottò
innervosita.
Draco
la guardò dall'alto in basso, infuriato come non l'aveva mai
visto
prima.
«Ti avevo detto di starmi alla larga» disse gelido.
«Io
non mi arrendo mai, dovresti saperlo» tese ancora di
più il
braccio, stringendo il legno tra le dita fino a farle sbiancare. Il
ragazzo non si scompose.
«Potter lo sa?» la domanda la colpi
come una freccia in pieno petto.
Aveva mantenuto la promessa non
dicendo nulla al suo migliore amico, ma poteva fidarsi davvero di
Draco e del professore fino a quel punto? Nessuno sapeva che lei si
trovasse lì e non era così presuntuosa da pensare
di riuscire a
cavarsela contro due maghi. Mentendo però avrebbe coinvolto
Harry...
«Wow!»
esclamò all'improvviso Dukes «Ragazza mia, hai il
cervello che ti
fuma» ridacchiò.
«Come?»
era sempre più confusa.
«Ha
agito da sola per non coinvolgere i suoi amici, ha mentito a Potter,
ma non vuole dircelo perché teme che possiamo approfittarne
per
farle del male. Visto Malfoy? Te l'avevo detto che potevamo
fidarci»
Hermione aveva molte altre domande ora, aprì la bocca e
sollevò l'indice della mano sinistra...
«Risparmia il fiato,
Granger» disse Draco, molto più rilassato dopo le
parole del
professore.
«Questo idiota qui è un auror ed è un
Legilmens,
non ci sono barriere mentali che non possa oltrepassare»
sospirò e
si passò una mano sul viso.
Con la coda dell'occhio vide Brett
sorridere a labbra strette, le sopracciglia arcuate verso l'alto e la
testa leggermente piegata in avanti, verso Draco. Lui
sospirò e
grugnì di nuovo, poi spostò lo sguardo su di lei:
era come un
bambino costretto a chiedere scusa per una marachella, se la
situazione fosse stata meno tesa sarebbe scoppiata a ridere.
«Ci
farai l'abitudine» disse a fatica «benvenuta in
squadra, Granger».
*
Disgusto,
rifiuto e un pericoloso tic all'occhio destro.
Come aveva fatto a
non sentire il caos di pensieri dentro quella testolina Grifondoro?
Avrebbe dovuto colpirlo il ronzio incessante alle spalle e, invece,
per un errore così banale, ora si ritrovava ad affrontare
ciò che
aveva provato a impedire.
Brett li aveva fatti accomodare nel suo
studio e li guardava da dietro la scrivania con un sorriso sornione
stampato in faccia. La Granger era sulle spine, stava seduta
impettita e non la smetteva di portare una ribelle ciocca di capelli
dietro l'orecchio; in passato come minimo gliela avrebbe strappata
via, ma non era più interessato a scherzi del genere.
Brett fece
una risatina.
«Va
bene ragazzi, per quanto trovi divertente ascoltare cosa pensate uno
dell'altra, direi che è giunto il momento di informare nel
dettaglio
la signorina Granger» a quelle parole le guance della ragazza
divennero rosse come pomodori.
Il professore sospirò, si tolse
gli occhiali, li mise nella custodia, poi con studiata lentezza
incrociò le mani davanti a sé. La Granger
trattenne il fiato, Draco
invece roteò gli occhi al cielo.
«La
vuoi piantare?!» esclamò esasperato.
«E
va bene! Io sono un auror, lui è un pentito e sta
collaborando con
il Ministero perché sospettiamo che i mangiamorte stiano
riorganizzando i ranghi, facendo leva su giovani e giovanissimi. Fine
della storia» disse allora Brett sbrigativo e poi si
stiracchiò
portando indietro le braccia e le gambe sulla scrivania.
La
tensione sul viso di Hermione sparì, al suo posto sorpresa
mista a
un pizzico di delusione.
«Tutto
qui?» chiese rivolta a Draco. Lui le riservò
un'occhiata al veleno.
«Sì,
è tutto qui. Che ti aspettavi, cadaveri
in un baule e una
nuova invasione del castello?»
«Forse» disse piccata. «Va
bene, andiamo con ordine. Come faccio a sapere che dici la
verità?
Mostrami la placca di riconoscimento» disse a Brett.
«Che
tipetto autoritario» ridacchiò l'auror tirando
fuori dal maglione
la collana «eccola qui! Vuoi guardarla da vicino?»
Lei
non se lo fece ripetere due volte.
«Mmh,
sì direi che è proprio una placchetta del
Ministero» incrociò le
braccia al petto tornando al suo posto. «Com'è che
gli altri auror
non ti hanno riconosciuto?»
«Ah, ma sei davvero la s...»
Stava per dire la fatidica frase che aveva perseguitato Draco per
sette anni.
«Non. Dirlo. Se sento dire un'altra volta che questa
qui è la strega più brillante del suo corso,
giuro che do fuoco
alla scuola!»
«Malfoy, sei patetico» chiarì la diretta
interessata.
«Okay, calma, è già abbastanza
difficile
continuare a gestire questo andirivieni di pensieri tra voi due, se
litigate è la fine»
«Che vuoi dire?!» sbottò il Serpeverde,
le narici dilatate come un toro infuriato.
«Che
fossi in voi mi troverei una stanza» disse allora Brett
facendo
spallucce.
Draco restò bloccato per alcuni secondi, il cervello
inceppato su quel pensiero.
«Devi farti vedere, ho giusto un paio
di contatti al San Mungo» si riprese poi.
Hermione tossicchiò:
era rossa fino alla punta dei capelli ma provava in ogni modo a
mascherare il disagio. Come sempre.
«V-va bene, mi hai detto
abbastanza, i dettagli possiamo rimandarli a un secondo momento.
Adesso che si fa? Avete un piano, piste da seguire?»
«Cosa?!»
Draco sentiva l'infarto sempre più vicino «Questa
è senza dubbio
la situazione più assurda in cui tu ti sia mai trovata e
accetti
così? Senza pensare alle conseguenze?»
«Ho già pensato alle
conseguenze e a tutti gli scenari possibili e sì, anche alla
possibilità di una tua collaborazione con il Ministero. Ecco
perché
sono qui, Malfoy»
«Ah sì? Sai che ti dico? Sei tu
la prima pista da seguire. Devi essere un mangiamorte sotto copertura
oppure sei sotto Imperius, chi lo sa!»
Hermione gli lanciò
un'occhiata di biasimo.
«Ma
fa sempre così?» chiese poi all'auror.
«Il
più delle volte. Chissà cosa farà
quando vi dirò qual è la
missione...» ghignò Brett.
«Aspetta,
fammi indovinare, è qualcosa di potenzialmente
mortale?»
«Oh,
Draco! Sei sempre così melodrammatico» scosse la
testa «Si tratta
solo di andare nella Foresta Proibita e scoprire cosa ha organizzato
Pansy Parkinson per stanotte. Non pensa ad altro da una settimana,
deve essere qualcosa di veramente importante»
«Nella Foresta
Proibita? Stanotte?» disse Hermione sulle spine.
Brett sollevò
la manica del maglione e diede un'occhiata all'orologio da polso
babbano.
«Mmh,
sì. Direi che è quasi ora, e tu mia cara Granger
capiti al momento
giusto. Questo SalameVerde non può farcela da solo, ha
bisogno del
tuo aiuto e... oh, andiamo, leggo nella tua testa, sapevo che saresti
venuta stasera, ti ho anche fatta entrare! Non mi cadere
così sulle
banalità!»
«S-sì, scusa»
Parlare con Brett Dukes era una
delle esperienze più bizzarre in quel mondo di cose
bizzarre.
Rispondeva a tutte le domande, quelle poste e quelle pensate, senza
avvisare né fare distinzioni. E lo odiava per questo... ma
anche per
altri cento motivi diversi.
Tuttavia, vedere per la prima volta la
Granger in difficoltà gli fece provare un pizzico di maligna
soddisfazione. Così tanta che gli venne voglia di una
sigaretta.
«Non
mi va di litigare, quindi sorvolerò sul
SalameVerde» disse
mettendosene una tra i denti.
La accese toccandola con la punta
della bacchetta e aspirò.
«Perché diamine un auror esperto
dovrebbe mandare due studenti nella foresta a spiare potenziali
mangiamorte? Vuoi farci fuori entrambi o il tuo obiettivo è
solo uno
di noi due?»
«Facile:
non è la mia missione, è la tua. Io sono qui solo
a vigilare su di
te, gli aiuti sono miei personali extra»
«Mi stai dicendo che
dovrei esserti grato?» soffiò fuori il fumo e
guardò di traverso
la Granger. Lei ricambiò per orgoglio, ne era certo.
«Granger,
sei ancora convinta?»
«Oh
sì, lo è, puoi giurarci»
sbadigliò rumorosamente «Ah e prima che
tu me lo chieda, signorina, le parole misteriose su cui ti arrovelli
da giorni non hanno alcun significato»
«Cosa?! È impossibile,
devono voler dire qualcosa!»
«Giusto!» Brett batté un pugno
sulla scrivania e si alzò in piedi «Ora fuori dai
piedi, andate a
scoprire qualcosa. Vi consiglio di usare la scopa e un incantesimo di
disillusione, sarà più facile trovarli e
nascondervi» fece
l'occhiolino a Hermione.
«EH?! Di già? Non dovremmo prima
organizzarci?» disse sempre più sconvolta.
«Certo. Cosa
proponi? Niente, eh? Fuori da qui» Brett sbadigliò
ancora «ci
vediamo domani mattina» disse e, senza aggiungere altro,
aprì la
porta e uscì.
Draco
roteò di nuovo gli occhi al cielo e tirò via
Hermione per un
gomito.
«Muoviti
Granger, non abbiamo tempo da perdere»
«E il mantello di Harry?»
chiese lei disorientata, sollevando il viso per poterlo guardare
negli occhi.
Erano a pochi centimetri, profumava di buono e non
riusciva a capacitarsi del motivo per cui, in una situazione del
genere avesse notato il profumo della Granger.
Dannato auror
irlandese.
«Non si può volare con un mantello addosso e poi
non ci servirà a molto dentro la foresta, dobbiamo muoverci
in
fretta e camminare in due sotto quel coso non è l'ideale. A
meno che
tu non voglia fare la Serpeverde e portarlo solo per te...»
ghignò,
il mozzicone di sigaretta che pendeva tra le labbra sottili.
«No,
non lo farei mai!» disse, gli occhi animati dal fuoco
dell'orgoglio
Grifondoro. «Il mantello appartiene a Harry e non posso
perd...»
«Lascialo lì! Non lo toccherà nessuno,
promesso!» le
urla di Dukes provenienti dal piano di sotto misero fine alla
discussione.
*
La
Nimbus 2001 era nei sotterranei e non c'era modo di prenderla senza
farsi scoprire, motivo per cui Draco era stato costretto a prendere
in prestito una delle scope che i primini usavano per esercitarsi.
Inutile dire quanto questo lo rendesse nervoso.
«Sembri una
vecchia teiera, lo sai?» disse Hermione facendo un piccolo
salto per
raggiungerlo.
Come era già successo nel corridoio, non riusciva a
tenere il suo passo.
«Granger, questa è una Comet. Una fottuta
Comet!» scacciò via i capelli bagnati dalla fronte
con un gesto
arrabbiato.
«Lo
so, ma è pur sempre una scopa, a noi serve che si sollevi in
alto
quel tanto che basta»
Draco si fermò e lei fece altrettanto. La
luce debole e fioca del Lumos di Hermione tremò come la
fiamma di
una candela, riflettendo un bagliore azzurrino sui volti di
entrambi.
«Credi che sia un gioco, Granger? Saranno anche ragazzi
della nostra età, ma sanno bene come si scagliano le
maledizioni. Se
ci dovessero scoprire...»
«Non lo faranno. I nostri passi
saranno silenziosi e useremo un incantesimo di disillusione. Se
c'è
qualcosa che ci mette in pericolo è il tuo borbottio
costante per
una stupida scopa!» disse, provando a mantenere il tono di
voce
basso.
Era una notte cupa e senza stelle, il freddo trasformava i
loro respiri in bianche nuvolette, mentre la pioggia cadeva
incessante. Erano ormai fradici, i piedi immersi nell'erba umida del
campo di Quidditch. Draco era molto più alto di lei e la
guardava in
cagnesco, pronto a morderla, ma Hermione non si fece scoraggiare.
«Adesso
farai quello che dico io, intesi?»
«Perché?» disse
Malfoy a denti stretti.
«Perché mi tiro fuori dai guai da anni e
perché sono più brava di te a lanciare
incantesimi, quindi, mio
caro purosangue, accetta l'onta e lasciami fare
quello che mi
riesce meglio»
«Cosa? Andare in biblioteca?» provò a
schernirla, ferito nell'orgoglio.
Hermione sospirò.
«Infrangere
le regole» disse e poi afferrò il manico di scopa,
ma Draco provò
ad allontanarlo.
«Che
credi di fare?»
«Pensavo di andare a farmi un giro, arrivare a
Hogsmeade e bere una burrobirra ai Tre Manici»
«Non
sei divertente, Granger»
Lei scosse la testa esasperata e
poi agitò la bacchetta, colpendo se stessa, Draco e la
scopa.
«Fatto!
Ora siamo invisibili, ma non durerà molto, ti
avverto»
«Bene»
grugnì lui e montò in
sella al vecchio manico «adesso
sali, stai zitta e tieniti forte. Ce la fai?»
Hermione trattenne
il fiotto di soda caustica e fece quanto detto nel modo più
stizzito
che poteva.
Circondò con le braccia l'addome del ragazzo e,
quando la Comet iniziò la sua lenta ascesa, si strinse
così forte a
lui da sentir mancare il respiro, il cuore a mille e le gambe
molli.
Odiava volare e tutte le esperienze di volo non le erano
servite ad altro se non a rafforzare la sua paura per l'altezza.
Nascose il viso tra le pieghe del mantello di Draco, incurante del
fatto che lui fosse Malfoy, l'acerrimo nemico di sempre.
«Granger
siamo a soli due metri da terra e ho già tre costole
incrinate, sei
ancora in tempo a ritirarti» disse pungente.
«NO!» esclamò
lei, la faccia ancora premuta contro la sua schiena «Posso
farcela»
«Okay, ma non so se posso farcela io. Allenta la presa,
non cadrai... te lo prometto»
Hermione sbuffò, gli occhi che
pizzicavano per le lacrime e il freddo, e allargò le
braccia,
arpionando immediatamente con le mani la stoffa del maglione di
Draco.
«Va meglio?» disse con voce tremante.
«No,
adesso sei troppo distante, appoggiati come hai fatto prima»
le
rispose con tono neutro.
Hermione allora si rese conto di quanto e
in che modo avesse violato la regola non scritta fra loro due. Il
muro invalicabile eretto in un lampo dal pregiudizio, il giorno in
cui si erano conosciuti, era stato distrutto con altrettanta
velocità
dall'istinto.
«Granger? È tardi» disse, ma non
appariva più
infastidito. Forse era imbarazzato tanto quanto lei.
«S-sì,
scusa» ritornò ad abbracciarlo, ma con meno
veemenza.
Malfoy
diede una leggera spinta alla scopa e questa ricominciò a
salire.
Le
fu inevitabile pensare a Harry e al fatto che avesse salvato la vita
a Malfoy proprio in sella a una scopa. Lei e Harry non ne avevano
più
parlato, eppure era successo ed era convinta che per Malfoy fosse
cambiato qualcosa, anche se non l'avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto
tortura.
Un lampo squarciò il cielo e un tuono rombò
sinistro in
lontananza, facendola tremare.
La
pioggia continuava a cadere senza tregua e più di una volta
Draco fu
costretto a brusche virate per mantenere la giusta direzione.
La
foresta era più grande di quanto avessero immaginato, una
gigantesca
massa oscura mossa dal vento, che si stagliava minacciosa sotto di
loro.
Draco era sceso di quota e i rami a volte toccavano loro i
piedi, quasi volessero agguantarli. Aveva deciso di concentrarsi sul
confine più vicino al castello, convinto che Pansy e gli
altri non
avrebbero potuto fare molta strada.
Hermione cominciava a sentire
il corpo intorpidito, gli occhi le bruciavano e faceva fatica a
tenerli aperti. Temeva che per lui fosse lo stesso, se non
peggio.
Avevano ormai perso le speranze, quando un bagliore
luminescente attirò l'attenzione del ragazzo.
Si voltò indietro
«Granger! Guarda là!» disse indicandole
con il braccio un punto
poco distante.
Dopo un attimo, un nuovo bagliore comparve intorno
ad alcuni alberi, illuminandoli per pochi istanti. Conosceva quella
luce: erano nei guai.
«È una barriera! Stanno creando una
barriera!» gridò con tutto il fiato che aveva in
corpo, per
contrastare i tuoni.
Draco
non le rispose, spinse al massimo delle sue possibilità la
vecchia
Comet, diretto a uno degli alberi colpiti dall'incantesimo. Hermione
allora si strinse forte a lui, preparandosi all'impatto: se la
barriera fosse stata già eretta, sarebbero finiti bruciati
come
delle falene attirate da una lampada elettrificata.
Gli occhi e i
pugni serrati, si preparò alla morte, maledicendo se stessa
e la
propria stupidità, e poi... sentì gli aghi del
pino graffiarla e
impigliarsi tra i capelli.
Contro ogni aspettativa, ce l'avevano
fatta.
Fu come entrare dentro una serra: la pioggia smise di
bagnarli e il rumore divenne sempre più morbido, fino a
ridursi ad
un leggero scroscio sul tetto della barriera protettiva appena
creata.
Draco si accostò a un grosso ramo in alto e le fece
segno di scendere, picchiettandolo con la punta della scarpa.
Entrambi si sistemarono sull'albero, seduti vicini per non cadere.
Draco avvolse un braccio intorno al tronco e uno intorno alle
spalle della ragazza. Hermione, invece, eseguì un altro
incantesimo
di disillusione e tenne la bacchetta in mano, pronta a entrare in
azione. Da quella posizione riuscivano a vedere solo una piccola
parte della radura sottostante.
Era stato acceso un fuoco e
intorno a esso si stavano radunando delle figure incappucciate.
Hermione avvertì la stretta di Malfoy farsi più
forte. Sollevò gli
occhi e vide il suo viso impaurito ma anche terribilmente
concentrato.
«Miei
cari confratelli» esordì la voce stridula di Pansy
«siamo qui
riuniti questa sera per dare il benvenuto ai nostri nuovi
adepti!»
disse spostandosi al centro, vicino al fuoco.
Le fiamme rosse e
gialle le illuminarono il volto e Draco sussultò: indossava
una
maschera, ma non quella dei mangiamorte. Era liscia e bianca, copriva
solo gli occhi e il naso e su tutto il lato sinistro presentava un
ricco ricamo scuro, che però dall'alto non riuscirono a
decifrare.
Hermione interrogò Draco con lo sguardo ma lui scosse la
testa,
incredulo tanto quanto lei.
«Sono
tempi duri questi, molti di noi vengono braccati per errori che non
hanno commesso. Ci chiamano “mangiamorte”, servi di
quel
sanguesporco che ha distrutto così tante nobili e antiche
casate
Purosangue!» fece una pausa, mentre si diffondevano brusii di
approvazione.
Iniziò a muoversi, misurando ad ampi passi il
cerchio intorno al falò.
«So che alcuni di voi erano dubbiosi,
non erano sicuri di voler venire qui stasera, ma io vi dico: fidatevi
di me!» aprì le braccia come un predicatore.
«Noi
non serviamo un padrone! Noi serviamo una causa, LA NOSTRA
CAUSA!»
s'infervorò e alcuni dei ragazzi incappucciati la incitarono
applaudendo.
«Il
mondo magico ha bisogno di tornare al suo antico splendore, le
tradizioni devono essere preservate prima che tutto questo scompaia!
E l'unico modo che abbiamo è: restare uniti!»
«Rózsák
örökre!»
urlò uno dei ragazzi alzando in aria il pugno e tutti lo
seguirono,
compresa Pansy.
«E adesso forza! Fatevi avanti!»
Tre
persone, che fino a quel momento erano rimaste lontane dalla visuale
di Draco e Hermione, entrarono nel cerchio.
«Quello che vi
accingete a fare è un giuramento per la vita, non si torna
indietro»
disse la Serpeverde con tono solenne «vi chiedo quindi: siete
certi
della vostra scelta?»
L'unica ragazza del terzetto si separò
dagli altri e raggiunse Pansy.
«Sì!» disse togliendosi il
cappuccio. Un viso minuto nascosto da grossi occhiali da vista e un
caschetto di capelli scuri, lisci come spaghetti.
Hermione si
tappò la bocca per trattenere l'esclamazione di sorpresa:
Brenda
Sullivan, la diligente Corvonero amante delle regole e del silenzio
in biblioteca, la stessa Brenda che aveva provato ad opporsi alle
idee di Matt Turner, adesso stava per entrare in una setta e sembrava
pronta a combattere una guerra.
I due ragazzi la imitarono subito
dopo. Uno era un Tassorosso del quarto anno dai folti capelli biondi
e l'altro un Serpeverde del quinto. O almeno così parve di
ricordare
a Hermione.
«Molto
bene. Adesso toglietevi i mantelli e mettetevi in ginocchio»
disse
Pansy e quelli eseguirono.
Non indossavano nulla a parte i
pantaloni e le scarpe, fatta eccezione per Brenda, che portava un
pudico brassiere. Erano dei ragazzini, poco più che bambini.
Hermione sentì il cuore in gola e si mosse in preda
all'agitazione,
ma la mano grande di Draco si serrò con una tale forza sulla
sua
spalla che il dolore le fece quasi lacrimare gli occhi.
La guardò
di traverso: anche lui era preoccupato quanto lei, ma se li avessero
scoperti non avrebbero avuto scampo.
Pansy, nel frattempo, aveva
cominciato a recitare una formula in una lingua sconosciuta,
spigolosa e dura. Alla fine indossò un guanto –
uno di quelli in
pelle di drago che usavano a lezione di Erbologia – e mise la
mano
coperta nel fuoco, estraendone una barra ferro incandescente, alla
cui estremità vi era un simbolo stilizzato. Una fiore, forse
una
rosa.
Con passi misurati aggirò i tre ragazzi, si mise alle loro
spalle e sollevò il marchiatore (Draco fremette), poi lo
calò sulla
spalla di Brenda, che strinse gli occhi e serrò la bocca con
i pugni
chiusi.
«Noi
ti accogliamo» dissero prima Pansy e poi gli adepti in coro.
Il
gesto venne ripetuto con gli altri ragazzi, il Tassorosso pianse
digrignando i denti mentre la carne veniva ustionata e marchiata, il
Serpeverde lanciò un urlo cupo, simile a un ringhio.
Uno degli
incappucciati si avvicinò e sussurrò un
incantesimo, toccando con
la bacchetta la spalla di ognuno di loro, e i tre sembrarono
rilassarsi. Il Tassorosso cadde in avanti, reggendosi con le mani.
«Ora
alzatevi in piedi e unitevi a noi, Rose Nere! Rózsák
örökre!»
«Rózsák
örökre!» urlarono tutti i
presenti, poi accadde
l'impensabile.
Un grosso corvo nero saltò fuori da uno dei rami
dell'albero su cui erano nascosti Draco e Hermione e prese a volare e
gracchiare rumoroso.
«CHE
SUCCEDE?!» urlò isterica Brenda gettandosi a
terra.
Le Rose
Nere si dispersero e iniziarono a scagliare incantesimi e fatture
intorno a loro.
Il corvo volò più volte in direzione del pino,
per poi tornare indietro: puntava a loro. Erano ancora disillusi ma
presto non sarebbe più bastato...
Draco
si mosse svelto e scosse Hermione per invitarla a fare altrettanto.
Quando entrambi furono in piedi, in bilico sul ramo, le
circondò la
vita con un braccio e poi fece pressione sulla nuca, tra i ricci
castani, per costringerla ad avvicinarsi di più.
“Su” le
sussurrò all'orecchio.
Gli rivolse uno sguardo interrogativo e
Draco in risposta le indicò la Comet.
Hermione capì: per andare
via su quella scopa dovevano salire più
in alto. Si aggrappò
allora ai rami e diede il via all'arrampicata, sentì le mani
di
Draco aiutarla facendo leva sulle sue gambe e poi sui piedi. Quando
raggiunse un ramo abbastanza robusto per potersi fermare, si
inginocchiò e protese le mani verso il basso “La
scopa” mimò
con le labbra in direzione di Draco. Nonostante il momento critico,
lui ghignò sorpreso e le passò il vecchio manico.
Continuarono
a salire finché si vide il cielo tra le fronde spinose e il
ragazzo
decise che poteva bastare. Nel frattempo tutte le Rose Nere erano
fuggite dalla radura e la barriera stava svanendo.
Sentirono lo
sfrigolare dei loro schiantesimi contro i tronchi di alberi e
arbusti, ma loro erano ormai usciti dalla foresta.
Si trovavano
all'incirca a cinque metri da terra, quando una voce esplose come un
petardo.
«ECCOLI!» urlò e poi la coda di paglia
della scopa
prese fuoco: erano stati colpiti.
L'incantesimo di disillusione
aveva esaurito il suo effetto.
«Che
cazzo succede?!» strillò Draco in preda al panico,
mentre la scopa
perdeva potenza.
«Va'
a fuoco! La scopa va a fuoco!»
«Ferma! Non cercare di spegnerla,
è inutile! Proverò ad atterrare, tu resta
attaccata, hai
capito?»
Erano due sassi in caduta libera.
Draco prese a
muoversi a zig zag, alzando e abbassando il manico della scopa nel
tentantivo di rallentarla, ma la velocità non accennava a
diminuire...
Erba e fango, Hermione li sentì sul viso.
L'impatto le aveva tolto il fiato, ma aveva avuto i riflessi
abbastanza pronti da tenersi la testa con le mani e la fortuna di
cadere su un fianco.
Si mise carponi e aprì la bocca in cerca
d'aria, Pansy e i suoi la stavano raggiungendo, sentì le
grida e lo
sciacquettio dei loro passi veloci.
Infilò a fatica una mano tra
le pieghe del mantello fradicio, ma non trovò altro che
stoffa zuppa
e pesante. Presa dal panico strisciò in avanti, tastando il
prato
con mani tremanti: la bacchetta sembrava svanita nel nulla.
Il
respiro affannoso e la testa che girava, sapeva solo di dover
fuggire, perciò si rimise in piedi.
Nonostante il buio, riuscì
a intravedere la sagoma del Platano Picchiatore a pochi metri dietro
di sé: la scuola non era lontana, poteva farcela.
Mosse alcuni
passi ma andò a sbattere contro qualcosa e il cuore perse un
battito.
«Granger, s-sono io» sibilò Draco, aveva
il fiato
corto e tremava come una foglia. «D-dobbiamo muoverci, ma
n... n-non
verso il castello. Ci... ci stanno chiudendo l-la strada».
Era
disarmata e non ci vedeva, quella voce sarebbe potuta appartenere a
chiunque. Allungò le mani davanti a sé e
incontrò il viso gelido
del ragazzo; ne percorse i contorni con le dita fino a quando non si
convinse che si trattasse davvero di Malfoy.
«Sei vivo» sospirò
sollevata.
«E
tu dei aver sbattuto la testa. Tieni» le mise tra le mani la
bacchetta «L'ho trovata tra i resti della Comet»
«Oh! Grazie,
io...» un incantesimo si abbatté sul terreno
vicino a loro, come un
fulmine.
«Cazzo! Granger, fatti venire in mente un'idea
perché
io le ho esaurite tutte»
“Pensa
Hermione, pensa...”
Erano
accerchiati, non potevano andare verso il castello e non potevano
tornare indietro. La scopa era distrutta quindi non c'era modo di
salire verso l'alto e aggirarli...
«Ho
un'idea. Ti avviso, potrebbe non piacerti»
«Non ha importanza,
mi va bene anche scendere all'inferno» un altro incantesimo
li
sfiorò.
«E
allora seguimi!» lo prese per mano e si mise a correre.
Fatture e
maledizioni si infransero intorno come una pioggia di comete ed
Hermione sentì di non aver mai sfidato così tanto
la sorte.
«Sei
impazzita?!» disse Draco quando lo costrinse a fermarsi.
Erano
ai piedi del Platano, che si agitò immediatamente,
tendendosi
all'indietro per colpirli.
Hermione
toccò la radice segreta che apriva il passaggio sotterraneo
e poi,
con le ultime energie rimaste, lo trascinò giù
con sé.
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 - La Stamberga Strillante ***
Capitolo
7. La Stamberga Strillante
«Lumos»
sussurrò e dalla punta della bacchetta scaturì un
intenso fascio di
luce, che illuminò l'antro buio in cui erano caduti.
Nessuno
aveva più usato quel passaggio dai tempi di Sirius Black. Da
allora
si era riempito di lunghe radici, che erano state in parte spezzate
dal loro improvviso atterraggio.
«Dove
diamine siamo finiti?» disse Draco in un lamento,
rimettendosi in
piedi.
Hermione
puntò la luce su di lui.
«Malfoy!»
esclamò preoccupata «Ma tu stai
sanguinando!»
Non
aveva un bell'aspetto: metà del viso era coperto di sangue
raggrumato, su cui continuava a colare quello fresco della ferita
aperta sulla fronte.
«Sì,
ma non è niente di che» tagliò corto
«adesso dimmi dove ci
troviamo».
«Oh,
ecco...» aveva agito senza pensare. Poteva davvero fidarsi di
Malfoy? Sentiva di star tradendo i suoi amici ma anche una parte di
sé.
«Questo
è un passaggio segreto per... per la Stamberga
Strillante» disse le
ultime parole tutte d'un fiato. «Non guardarmi
così! Non è davvero
infestata, sono solo voci messe in giro da...» si morse la
lingua.
Draco
sospirò esausto «Senti, non mi interessa sapere
altro, tieni pure i
tuoi segreti per te. Pensi che sia un posto sicuro?»
«Sì,
conosciamo in pochi il passaggio»
«Perfetto,
allora andiamo».
Si
inoltrarono nella stretta e bassa galleria, procedendo a fatica
piegati in avanti. Hermione faceva strada, la bacchetta puntata ad
illuminare la via.
«Ci
siamo quasi» disse quando il cunicolo iniziò a
salire verso l'alto.
Rimise
la bacchetta in tasca e si arrampicò sulla parete di terra,
fino a
raggiungere la fine del tunnel, e sollevò la botola con una
spinta.
Draco
la seguì in silenzio e, una volta arrivato dentro la vecchia
casa,
si lasciò cadere sul pavimento con uno sbuffo, incurante
della
polvere e dello sporco.
Hermione
accese gli ultimi moccoli di candela e si occupò degli
incantesimi
di protezione. Lui nel frattempo si era già rimesso in piedi
e
vagava per la stanza con fare annoiato, calciando di tanto in tanto
gli oggetti che trovava sul suo cammino.
«Siamo
a Hogsmeade, dentro una vecchia casa polverosa, quei mangiamorte
wannabe ci staranno cercando e non possiamo metterci in contatto con
Dukes. Fantastico» disse Draco passandosi nervosamente una
mano tra
i capelli.
Hermione
lo ignorò.
«Stai
ancora sanguinando».
«Allora
datti una mossa» le si piazzò davanti, le braccia
incrociate e una
smorfia di disappunto.
Hermione
poggiò la punta della bacchetta sulla ferita ed
evocò prima un
incantesimo per pulire via il sangue, dopo uno di guarigione. Il
volto tumefatto si distese, lasciando solo un taglio là dove
prima
c’era un piccolo squarcio.
«Scusa,
non posso fare più di così, sono troppo
stanca» fu costretta ad
ammettere.
Draco
sospirò «Hai fatto anche troppo...»
disse e si allontanò per
togliere il mantello.
A
quelle parole Hermione sentì lo stomaco stringersi e il
senso di
colpa farsi strada dalle viscere alle labbra.
«Avrei
potuto fare di più. Usare un incantesimo per frenare la
nostra
caduta, oppure attaccarli...»
«Senti
Granger, è successo, non ha senso pensarci»
iniziò ad arrotolarsi
le maniche della camicia. «Al momento abbiamo questioni
più
urgenti: i nostri vestiti sono fradici, questo tugurio è
pieno di
spifferi e dobbiamo accendere un fuoco – fece una pausa per
spezzare il legno di una sedia tarlata - che non lo bruci fino alle
fondamenta, senza farci scoprire; quindi, se hai intenzione di
sprecare le ultime risorse pensando ai calci che avresti potuto
rifilare alla Parkinson, fai pure. Io mi accontento di sopravvivere a
questa gelida notte del cazzo» diede un forte pestone al
resto della
sedia, che si frantumò in pezzi e schegge.
«Stai
tentando di consolarmi? Perché se è
così ho una brutta notizia per
te: fai davvero schifo».
«No,
sto tentando di far muovere quel grazioso culetto Grifondoro»
si
accanì su un cassetto, le guance rosse per lo sforzo.
Era
strano vederlo in quelle condizioni, sporco e bagnato, intento a fare
un ingrato lavoro manuale.
«Non
dirlo!» disse all’improvviso puntando un dito nella
sua direzione.
«Dire
cosa?!» si sentì come una bambina sorpresa con le
mani nella
scatola dei biscotti.
«Non
lo so, qualunque cosa tu stia pensando! Te lo si legge in faccia, hai
già pronto un commento acido sul nobile Malfoy che si
abbassa a fare
il lavoro dell’elfo domestico».
«Mmh,
be’ può darsi. E visto che ci siamo posso sapere
il motivo del tuo
imbarbarimento?» fu lei ad incrociare le braccia al petto
stavolta.
«Sono
stanco e ho freddo» disse, continuando a distruggere oggetti.
«Ne
sei sicuro? Sembra che ti piaccia parecchio…»
Si
fermò a guardarla esasperato «Granger, te lo dico
col cuore in
mano, hai rotto il…»
«Va
bene! Va bene, ho capito» alzò le mani
«dimmi cosa devo fare».
«Ammucchia
la legna lì, accanto al braciere» le
indicò il grosso recipiente
di metallo.
Usò
un incantesimo levitante, ma era davvero stremata e alcuni pezzi
volarono in giro per la stanza, facendole guadagnare altre occhiate
al vetriolo da parte del Serpeverde.
Quando
ebbero distrutto e raccolto la legna necessaria, Draco
spostò un
grosso baule al centro della stanza e accese il fuoco.
La
cera delle candele si era ormai consumata e l'unica fonte di luce
erano le braci che sfrigolavano davanti a loro. A turno facevano
evanescere il fumo, per evitare che invadesse tutto l'ambiente.
Erano
passate più di due ore, Hermione sentiva ancora i vestiti
umidi
attaccati addosso e la testa bollente. Si strinse nel mantello e
rabbrividì quando il vento fischiò forte,
penetrando dalle assi
delle finestre sbarrate.
Lei e Draco erano seduti vicini, ma non
troppo. Le barriere tra loro due erano state piegate dalla
necessità,
ma, come fili d'erba, erano tornate al loro posto una volta cessato
il pericolo.
Il
Serpeverde, a differenza sua, aveva tolto anche il maglione e lo
reggeva per farlo asciugare.
Il fuoco creava luci e ombre sul suo
viso e sui sottili capelli d'oro. Per un momento – uno solo -
pensò che il suo profilo affilato fosse davvero bello.
“Argh,
Hermione, stai vaneggiando!”
si rimproverò. Cosa sarebbe accaduto se avesse letto nella
sua
mente? Dubitava che fosse abbastanza in forze, ma era sempre meglio
non rischiare...
«Hai
intenzione di tormentarmi ancora per molto?» le chiese a
bruciapelo.
Hermione
si sentì morire dentro: era stata scoperta. Certo, avrebbe
potuto
difendersi richiamando il diritto alla privacy (dubitava che i maghi
ne avessero la stessa concezione babbana), ma niente avrebbe
cancellato il fatto che aveva pensato quel che aveva pensato.
«Come?»
chiese provando a dimostrarsi ignara.
«Smettila di battere i
denti, mi irrita» la guardò di traverso.
«Ah...
oh... ehi!»
Ah, ma allora non ha letto i miei pensieri.
Oh, mi dispiac... ehi! Ma che
cafone maleducato!
«Anche
i versi?!» sbottò e, prima ancora di finire
l'esclamazione, le mise
una mano sulla fronte.
Il sangue di Hermione fece un paio di giri
su e giù per poi concentrarsi sulle guance.
«M-malfoy, che stai
fac...?»
«Scotti» disse con semplicità, come se
quel contatto
fosse normale e per niente assurdo.
La facilità con cui
abbatteva e innalzava barriere la spiazzava. L'attimo prima sembrava
voler prendere le distanze, quello dopo la toccava con nonchalance
per verificare le sue condizioni di salute.
«Sto... sto
benissimo» balbettò.
«L'invincibile
Granger si è ammalata» ghignò tornando
al suo posto «Speriamo che
quell'auror idiota abbia qualche pozione ricostituente da
darti».
«Sto
benissimo» ripeté, ma i brividi resero
quell'affermazione ancora
meno credibile. Draco si voltò a guardarla con un
sopracciglio
alzato.
«E va bene! Forse hai ragione tu»
«Oh! Lasciami
segnare la data sulla mia agenda, devo ricordarmi di festeggiare ogni
anno questo evento epocale: la Granger mi ha dato ragione»
ridacchiò, ma il sorriso gli morì sulle labbra
quando vide che
Hermione aveva iniziato a tremare apertamente.
«Granger, levati
quel mantello fradicio o dovrò pensarci io» disse
e lei obbedì, ma
non senza scoccargli un'occhiata truce. «Anche il
maglione».
«E
magari la gonna, che ne dici?» disse piccata.
«Cristo, quanto
sei acida! Volevo proporti uno scambio» le mostrò
il gilet di lana
che aveva fatto asciugare al fuoco.
«Oh,
ehm... grazie» forse era lei che continuava a vedere barriere
che
ormai non esistevano più.
Si sfilò il maglioncino grigio con lo
stemma della sua Casa e lo poggiò a terra, sopra il mantello.
Vide
il cambiamento negli occhi del Serpeverde e le bastò una
rapida
occhiata verso il basso per capire il motivo: la camicetta era
così
bagnata da essere trasparente e lei, che non faceva troppo caso a
quel genere di cose, aveva scelto di mettere un reggiseno nero
proprio quella sera.
«Malfoy! Sei impazzito per caso?!» gli
strappò il gilet dalle mani e se lo mise addosso.
«Che
ho fatto stavolta?»
«Tu...! Tu... ti stai prendendo troppe
libertà» strinse le braccia al petto e
accavallò le gambe,
chiudendosi su se stessa come un riccio.
«Devo elencarti tutte le
volte in cui mi hai toccato senza permesso, Granger?» disse
con un
tono a metà tra il divertito e l'incredulo.
«Erano tutte
situazioni d'emergenza!» esclamò oltraggiata. Lui
fece finta di
pensarci, accarezzandosi il mento.
«Mmh, no, non tutte» scosse
infine la testa.
«Hai tenuto il conto? Forse sei tu quello con
qualche problema...»
«Forse, ma dipende. A quale problema ti
riferisci?»
Hermione aveva dalla sua parte una vasta scelta di
risposte, ma tutte implicavano che anche lei avesse pensato a lui e a
ciò che stava involontariamente cambiando. Tutte, tranne una.
«Ti
farò una domanda, rispondi con
sincerità» disse e lui la invitò a
proseguire con un gesto della mano. «Bene, pensi ancora che i
purosangue siano la razza superiore?»
La
sorpresa si dipinse sul viso di Draco, ma fu solo un attimo, poi una
cupa serietà prese il suo posto.
«Sì,»
disse rivolto al fuoco «siamo un gradino più in
alto rispetto agli
altri. I mezzosangue, i Nati babbani, i Magonò, non meritano
posti
di spicco nella società. La nostra
società. Se ti stai
chiedendo se abbia cambiato idea rispetto al passato, la risposta
è
sempre sì. Penso che i babbani debbano vivere nel loro
ambiente
senza che i maghi si intromettano, e viceversa, ma non potrà
mai
esserci integrazione. E questo non significa che siano necessarie
azioni violente e sette segrete»
«Un modo di pensare un tantino
medievale, no?»
«Forse, ma è mio» la
voce bassa e calda
vibrò sull'ultima parola, e Hermione capì che
c'era molto più di
quello che le parole e i gesti mettevano in mostra.
C'era un
ragazzo cresciuto e radicato nell'ambiente sbagliato, che aveva perso
ogni cosa e che, da solo in una cella buia, aveva dovuto mettere in
discussione se stesso e un'intera vita di pregiudizi.
«Allora, ho
risposto alla tua domanda?» chiese dopo una lunga pausa.
Hermione
aveva quasi dimenticato come erano arrivati a quel punto. I brividi
continuavano a scuoterla e la temperatura era così alta che
sentì
la testa girare e fu costretta ad aggrapparsi al bordo del baule per
non cadere in avanti.
«Granger! Ti senti bene?» per la seconda
volta le toccò la fronte.
Hermione chiuse gli occhi, che
bruciavano per la febbre e il fumo della brace, e sospirò.
La mano
di Draco era fresca e morbida, odorava di erba tagliata, terra e
pioggia. Era una sensazione inaspettata, chissà
perché aveva sempre
immaginato la sua pelle viscida come quella di un serpente.
Che
stesse davvero perdendo colpi come lui insinuava di continuo?
Era
stata una sciocca a immischiarsi in quella brutta situazione, una
volta tanto avrebbe potuto lasciare agli auror il compito di
risolverla e godersi l'ultimo anno da normale studentessa... ma forse
il problema era proprio quello, lei aveva smesso di essere normale.
Aveva disimparato a esserlo.
Dopo sette anni di intrighi, misteri,
battaglie, non sapeva più vivere in altro modo.
Da quando Ron e
i suoi genitori erano usciti dalla sua vita, non c'era più
nulla a
tenerla ancorata alla vecchia Hermione.
La nuova, però, era già
sfinita.
Aveva freddo e sentiva ogni giuntura cedere, come se
sulle sue spalle si fosse appena concentrato tutto il peso del
mondo.
«Va bene, Granger» sussurrò Draco tra i
denti «questa è
davvero un'emergenza» disse e poi la prese per le spalle e la
fece
alzare.
«Malfoy,
che stai facendo?» gli chiese barcollando, mentre lui
stendeva il
suo mantello sul pavimento.
«Quale incantesimo usate voi ragazze
per asciugare i capelli?» disse ancora inginocchiato.
«Ehm,
io non lo uso spesso ma dovrebbe essere Calefacio, agita la bacchetta
in senso orario mentre lo pronunci».
Draco seguì le sue
indicazioni e con quel semplice incantesimo asciugò il
mantello di
Hermione e il suo maglione, poi passò ai vestiti che aveva
indosso,
infine le puntò contro la bacchetta.
«Tranquilla, se avessi
voluto ucciderti l'avrei già fatto»
«Non ho pensato che volessi
farlo» disse mentre l'incantesimo faceva evaporare le ultime
tracce
di umidità dai propri abiti. «Mi chiedevo come...
io... come ho
fatto a non pensarci subito?»
«Granger, non per essere
ripetitivo ma...»
«Perdo colpi, lo so» sospirò.
«Esatto,
dieci punti a Grifondoro!» disse e poi sibilò
“engorgio”
colpendo di nuovo il mantello di Hermione.
«Quello sarebbe un
letto?» gli chiese quando vide che stava facendo la stessa
cosa con
il maglioncino.
«Wow, di questo passo vincerete la Coppa della
Case entro domani mattina» disse avvolgendo il maglione
extra-large
a mo' di cuscino.
«Perché devi essere sempre così
odioso?»
«Scusa,» disse stendendosi sul giaciglio di fortuna
«ma la situazione è già abbastanza
complicata e il sarcasmo mi dà
l'impressione di essere ancora Draco Malfoy, il Serpeverde che odia
chiunque condivida la sua stessa aria».
Hermione si stropicciò
le palpebre, le aprì e chiuse un paio di volte,
osservò Draco che
la guardava dal basso a braccia aperte.
«Cos...?
No. Non puoi pensare sul serio che io... che noi...»
«O questo o
l'assideramento, sono le regole base di sopravvivenza. Non le
insegnano alla scuola dei babbani?» disse sprezzante.
Avrebbe
preferito tornare fuori ad affrontare Pansy piuttosto che stendersi
tra due mantelli insieme a Malfoy, ma tutto il corpo le stava urlando
di stramazzare al suolo e farla finita...
«Sappi
che ti odio dal profondo del cuore» disse con espressione
sdegnata.
«Lieto di sentirtelo dire. E... oh, andiamo sembra che
tu stia stendendo dentro una bara!» la rimproverò.
E in effetti
non aveva tutti i torti, era rigida come un pezzo di legno, ma come
poteva essere altrimenti? Solo Ron e Harry le erano stati
così
vicini e lui non era un ragazzo qualunque.
Sbuffò a disagio,
poggiò la testa sul suo petto e allora Malfoy le
circondò le spalle
con un braccio, poi con l'altra mano tirò su il mantello
ingrandito
e coprì entrambi.
«Che sia chiaro, lo faccio solo
perché
non mi va di essere ricordato come colui che uccise il Bambino
Sopravvissuto»
«Harry?»
«Sì, Harry. Se tu morissi
stanotte – e non accadrà – dovrei
affrontarlo, e sai come vanno
a finire certe cose. Senza contare che mi distoglierebbe dai miei
piani»
«Ah, capisco, molto Serpeverde da parte tua»
sorrise a
quel maldestro tentativo di trovare una buona giustificazione.
Draco
non rispose, ma sfregò una mano sul suo braccio nel vano
tentativo
di scaldarla.
Restarono in quella posizione abbastanza a lungo da
permettere a Hermione di seguire il ritmico alternarsi e incrociarsi
dei loro battiti e dei loro respiri. Non erano poi così
diversi.
«Malfoy?»
«Mh?»
«Sai,
anche i cani un tempo sono stati lupi» disse sollevando lo
sguardo
per incontrare il suo.
Draco
fece una smorfia «Mi stai dando del cane?»
«Della migliore
razza pura in circolazione»
«Oh, ti ringrazio, adesso sì che mi
sento meglio»
«Sono seria, anche il primo mago è Nato
Babbano»
«Va bene, ammettiamo che tu abbia ragione. Qual è
la
conclusione?» girò il viso verso di lei.
Erano così vicini che
i loro respiri si mescolavano e potevano specchiarsi uno negli occhi
dell'altra.
«Puoi smettere di odiarmi» disse in un soffio.
La
sua mente era troppo annebbiata per farsi domande, la ragione era
fuori dal suo controllo, a guidarla c'era solo l'istinto. Si
sollevò
fino a sfiorare le labbra del ragazzo con le proprie.
Draco si
irrigidì e quasi smise di respirare.
«Sei
la solita so-tutto-io» sussurrò con voce roca e
poi le mise una
mano sulla nuca e approfondì quel contatto.
Una scarica elettrica
le attraversò il corpo, dalla testa alla punta dei piedi.
I baci
di Ron avevano il rassicurante sapore di casa e certezze, sapevano di
torta di mele e biscotti di marzapane.
Baciare Malfoy era
totalmente diverso, il compimento di un desiderio proibito di cui lei
stessa era all'oscuro. Era come assaporare un dolce al caramello e
nero cioccolato bollente.
Non riusciva a smettere, ogni bacio ne
richiamava un altro e un altro ancora. Affondò le dita tra i
chiari
capelli sottili e lo attrasse a sé - sopra di sé
– e, quando
sentì di non avere più alcun respiro da offrire,
mandò indietro la
testa guidandolo verso il basso.
Contro ogni aspettativa Malfoy si
avventò sulla pelle chiara del collo, mordendola e
baciandola dietro
le orecchie e lungo la giugulare, fino a raggiungere la scollatura
della camicia, sbottonandola.
La mani nel frattempo si muovevano
libere lungo il suo corpo, strinsero le gambe e i glutei e poi si
spostarono sui seni proprio mentre le labbra iniziavano ad
esplorarli.
Hermione fremette, emise un gemito più forte degli
altri e l'incantesimo di spezzò.
Fu come uscire da una campana di
vetro, tutti i sensi si acuirono per captare di nuovo l'ambiente
circostante e la coscienza tornò vigile al proprio posto.
Restarono
stesi uno di fianco all'altra a guardare il soffitto finché
non
ripresero fiato.
«Cos'è successo?» Draco pose la domanda
che
aleggiava sopra le loro teste.
«Niente. Non è successo niente
che meriti di essere, ehm... sì, insomma»
«Niente a cui si
debba pensare o di cui si debba parlare» le venne in aiuto
lui.
«Esatto! Allora buonanotte» gli voltò le
spalle e si coprì
con il mantello.
«Buonanotte»
rispose lui facendo lo stesso.
Eppure qualcosa era successo e
sapevano entrambi che sarebbe stato impossibile archiviarlo.
Hermione
deglutì e strinse le gambe, ancora preda delle sensazioni
che non
volevano abbandonarla. Il fatto che si trovassero sullo stesso
rettangolo di stoffa, schiena contro schiena, non era d'aiuto.
Si
morse forte le labbra per impedirsi di muovere un solo muscolo e si
costrinse a ripercorrere con la mente tutti gli anni precedenti, ogni
più piccola frase intrisa di cattiveria che le aveva
rivolto, ogni
umiliazione subita, fino a quando l'adrenalina e l'eccitazione
sfumarono e il sonno prese il sopravvento.
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