The Cursed Child

di AllisonHermioneEverdeen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo ​

 
 Vagare di città in città, di monte in monte, di spiaggia in spiagga... Casa è dove lasci il cuore, ma lei ormai non ne aveva neanche più uno. Non aveva una casa, non aveva una persona da cui tornare, un posto dove sentirsi al sicuro... non aveva niente. Una fuggiasca, questo era: in fuga dalla morte, a mala pena viveva, non aveva amici, famiglia... solo una consapevolezza: se ti fermi sei morta.
Loro erano ovunque, sentiva il loro fiato sul collo, sempre. Bastava un passo falso, e l'avrebbero presa. Non era bastato uccidere tutti quelli assegnati a lei. Non era bastato scrivere il messaggio con il loro sangue. Non era bastato lasciare loro tutto ciò che possedeva. Non si sarebbero mai fermati: lei era una loro proprietà, la bambina speciale, la ragazzina letale, l'assassina senza coscienza, l'arma perfetta. Non potevano permettersi di perdere il loro giocattolino preferito, non ora che ne avevano già perso uno.
Non c'era pace nella fuga, era solo uno strascicarsi in giro, giorno dopo giorno, a rubare per riuscire ad arrivare a fine giornata. Ma non avrebbe ucciso, non più. Quei tempi erano morti. Sepolti. Così come la sua anima.
Con un sospiro di chi non ha nulla per cui vivere, salì sull'ennesimo bus diretto chissà dove, con la morte alle spalle e nessuna vita davanti. ​


 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Capitolo uno

- Mi dispiace Capitano... non c'è nessuno qui -. Quante volte aveva sentito quella frase negli ultimi sei mesi? Quante volte aveva desiderato prendere a pugni qualcosa e urlare con tutto il fiato che ha in gola? Quante volte aveva semplicemente scosso la testa, sospirato ed era tornato indietro?
Sei mesi. Sei mesi di ricerche vane, nessun indizio e frustazione. " Perchè? Perchè ti nascondi anche da me? Voglio solo aiutarti! " pensò con rabbia.
- Capitano... - sussurro Sam, indeciso. Non voleva disturbarlo, nè farlo urlare ( anche se ne avrebbe avuto bisogno! ).
- Andiamocene Sam - affermò Steve Rogers, uscendo da quell'edificio vuoto- l'ennesimo edificio vuoto.
Fuori il tempo non era clemente: il vento infuriava, nuvoloni neri si ergevano minacciosi nel cielo, rendendo ancora più grigio il paesaggio spoglio.
- Stavolta ero così sicuro.. - sussurrò frustrato Steve. Non sopportava quella situazione, non sopportava alzarsi ogni mattina speranzoso e coricarsi ogni sera con il cuore vuoto e freddo. Cominciava a chiedersi quando sarebbe svanita anche la speranza. Non che avrebbe fatto differenza: non avrebbe mai smesso di cercarlo. Non poteva abbandonarlo, non lui, non il suo migliore amico Bucky.
- Lo troveremo - affermò Sam entrando in auto. Ma sapevano entrambi che erano parole vuote, servivano solo ad illudersi che prima o poi avrebbero avuto fortuna.
Il Capitano non replicò, Sam mise in moto e lasciarono quell'ennesimo luogo deserto.

Chicago era un buon posto per nascondersi: sempre affollato e caotico, era semplicissimo scivolare tra la folla e passare inosservata.
- Una stanza per favore - disse con voce spenta. Il ragazzo al bancone le porse le chiavi della stanza numero 133.
- Terzo piano - spiegò disinteressato.
La stanza era spoglia, dalle pareti arancione smorto. Si appoggiò sul letto, sospirando: il materasso era bitorzoluto e le leunzuola grigie polverose, ma non le importava; aveva dormito in luoghi peggiori.
Dormì poco e male, i ricordi che le infestavano i sogni, e alla fine, alle cinque del mattino, con lo stomaco che brontolava si alzò.
Passeggiò per Chicago guardandosi intorno: era così pieno di gente con vite normali, preoccupazioni minime, famiglie... quanto li invidiava. In loro vedeva ciò che non aveva mai potuto avere. In loro vedeva la vita, non il sopravvivere. Si fermò ad osservare una bambina giocare con il fratello maggiore, osservati a distanza dai genitori. C'era amore, nei loro sguardi. Qualcosa che non aveva mai sentito. Qualcosa che sembrava irraggiungibile.
- Ehi... vuoi della frutta? - le chiese una voce cordiale. La ragazza si scosse dai suoi pensieri: una signora di mezza età le sorrideva da dietro il bancone. Si accorse di essersi fermata lì davanti mentre osservava la famigliola. Accennò ad un sorriso poco convincente.
- No grazie - la sua voce risuonò ancora più roca di quanto pensasse - Non ho soldi -. Il sorriso della signora si allargò. " Non mi sorriderebbe così se sapesse chi sono " pensò la ragazza " Se sapesse cosa ho fatto... ".
- Suvvia cara, hai un colorito da far paura... forza, prendi queste, offre la casa - le fece l'occhiolino la signora consegnandole una busta di prugne e mele. La ragazza rimase un attimo spaesata per quel gesto: nessuno era mai stato gentile con lei, non capiva... cosa ci guadagnava la signora? Ma alla fine ricambiò il sorriso con più convinzione e la salutò.

- Un altro fiasco? - chiese Natasha notando le loro facce. La spia russa si era trasferita vicino a Steve dopo la distruzione dello SHIELD, e nonostante affermasse che era solo per questioni pratiche ( se c'è un'emergenza ti avverto più in fretta! ) il Capitano le era grato.
Non rispose alla domanda, si limitò a lasciarsi cadere sul divano.
- Ok, sei stato più che esplicito - affermò Natasha scambiando uno sguardo con Sam.
- E tu che hai combinato oggi? - tentò di cambiare discorso questo. Natasha sorrise.
- Ricerche... sto recuperando tutti i file nascosti dell'HYDRA... anche se posso fare poco al computer, la maggior parte sono raccolti in fascicoli nascosti nelle varie basi dell'HYDRA - spiegò.
- Niente di nuovo su Bucky? - chiese con voce spenta Steve.
- Per ora no, ma ho indivuato una base abbandonata poco lontano... uno di voi bei fusti potrebbe accompagnarmi a cercare qualche indizio, domani - propose. Il Capitano non voleva illudersi ancora di avere qualche speranza di trovare notizie significative su Bucky, ma se c'era una possibilità non poteva sprecarla.
- Ci sarò - affermò stancamente. Sam si limitò ad annuire.

ANGOLO MALATA DI MENTE
Ed ecco il primo capitolo di questa pazza idea! Grazie a tutti coloro che sono passati a leggere il prologo, spero che il capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative! Un grazie speciale a Bebba91 per la sua recensione. A presto! AllisonHermioneEverdeen

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Capitolo due

" -Tutto il tuo addestramento ti ha portata a questo... non deluderci proprio adesso.. -
Due occhi color del ghiaccio, come l'animo di chi li possedeva, la fissavano. La bambina rispose con sguardo confuso.
- Cosa ha fatto? -
- Ne abbiamo già parlato... Non ti interessa... è l'ultima verifica, dimostraci chi sei - . La pistola era fredda, al tatto. Troppo pesante per una bambina di dieci anni. Fissava la persona incappucciata e legata, seduta di fronte a lei. " Devo farlo, è questo che mi hanno insegnato tutti, è per questo che mi preparo da tutta la vita " pensò la bambina, poi alzò la mano con la pisola lentamente, non riuscendo a impedire al braccio di tremare leggermente.
- Brava... - gli occhi ghiacchiati non si perdevano una mossa. La bambina non si guardò più intorno, non cercò sostegno nè sicurezza. Tre volte premette sul grilletto. Tre colpi. Tre sussulti. Mentre veniva tolto il cappuccio alla vittima, la bambina restituì la pistola, senza più alcun tremore. Guardò impassibile il ventenne privo di vita accasciato sulla sedia.
Quella era stata la prima volta che aveva ucciso.

Si svegliò d'improvviso, ansante e sudata. Un cerchio di ferro le premeva sulla fronte, era scossa da spasmi e da conati di vomito. Si tolse malamente le coperte e scese dal letto, correndo in bagno. Vomitò. Tirò la catena. Vomitò di nuovo.
Ci mise dieci minuti a calmarsi, e quando smise di vomitare e tremare si sciacquò il viso. Quella volta era stato ancora peggio delle altre: aveva ripercorso uno dei ricordi più dolorosi che avesse. Fece dei respiri profondi, uscendo dal bagno. Gettò uno sguardo alla sveglia: le tre di notte. Mentre si sdraiava sul letto sapeva già che non sarebbe più riuscita a dormire quella notte.

La base abbandonata dell'HYDRA era fuori città, nascosta sotto terra. Steve per tutto il tragitto non aveva fiatato, ascoltando i tentativi di fare una normale conversazione di Natasha e Sam. Non riusciva ad unirsi a loro, era troppo occupato a cercare di non essere troppo speranzoso di trovare nuove notizie su Bucky.
" Non illuderti, è solo una vecchia base dell'HYDRA, non avranno lasciato niente di utile laggiù "
" Ma potrebbero non avere avuto scelta! Potresti trovare nuove informazioni su Bucky! "
" No, è troppo improbabile... non essere così speranzoso, soffrirai solo di più quando non troverai niente "
" Se non troverai niente "
" Non posso sperare di trovare qualcosa, o addirittura... "
" Addirittura Bucky? Dai che ci hai pensato: quale nascondiglio più perfetto di una vecchia base dell'HYDRA ormai abbandonata? "
" Non ci sarà, lo sai bene ".
Ormai stava andando avanti così da ormai un'ora quando arrivarono. Pur cercando di allontanare la vana speranza dal proprio cuore, Steve non potè non pensare che forse, forse potevano trovare qualcosa che li aiutasse nella ricerca di Bucky. Sensazione che, per quanto si sforzasse, non riuscì a scacciare per tutto il tempo che impiegarono ad entrare nella base.
Era un luogo ormai lasciato a sè stesso: sulle pareti grigie stavano cominciando a comparire le prime erbacce, per terra era pieno di polvere, le luci funzionavano a mala pena, tanto che dovettero utilizzare delle torce per vederci. Seguirono un lungo corridoio buio che si affacciava su varie stanze, ma nessuna era l'archivio che cercavano. Quando ormai cominciava a credere che non avrebbero trovato nulla, Natasha esultò.
- Trovato! - esclamò, illuminando con la torcia una stanza dalle pareti alte, interamente occupata da scaffali pieni di fascicoli. Il cuore di Steve fece un balzo, anche se lui continuava imperterrito ad ignorare la speranza che si affacciava ancora più insistente nel suo cuore.
- A lavoro! - affermò Sam, e si avventurarono all'interno dell'archivio. Cercarono per ore, ma la maggior parte dei fascicoli erano in russo o tedesco, e dopo una veloce traduzione di Natasha capirono che erano completamente inutili. Di nuovo, al Capitano venne l'irrefrenabile voglia di prendere a pugni qualcosa.
- Aspettate... questo cos'è? - disse Natasha, e Sam e Steve si precipitarono da lei.
- Qui c'è una foto di Barnes! Ma il fascicolo non è su di lui... viene menzionato qui... - mormorò Natasha. Un rumore improvviso li interruppe. I tre alzarono lo sguardo, all'erta... Il rumore si ripetè: erano dei passi...
- Non siamo soli... - sussurrò Sam. Natasha fece loro segno che andava a controllare, e di nascondersi dietro gli scaffali, così avrebbero potuto tendere un agguato a chiunque fosse la fonte del rumore.
- Il fascicolo lo prendo io - sussurrò Steve. Nat glielo porse senza obiettare, poi si incamminò silenziosamente verso il corridoio. Aveva appena fatto in tempo ad uscire che qualcuno la aggredì da dietro. Non doveva essersi accorto di chi fosse la " vittima " che stava attaccando... Natasha si liberò dalla sua presa e iniziarono a combattere. Steve si infilò il fascicolo nella tasca interna della giacca, poi si unì al combattimento, aiutato da Sam.
L'uomo non sembrava intimorito da loro: era grosso il doppio del normale, e aveva un ghigno folle a deformargli il viso. Colpì Natasha nel pettò con un pugno mandandola a sbattere contro la parete, che si incrinò.
- Tutto bene Nat? - chiese Steve mentre colpiva l'uomo alle spalle.
- Figuarati, sto alla grande! - affermò la Vedova Nera, rialzandosi. L'uomo si scrollò di dosso Steve mandandolo per terra. Il Capitano sbattè la testa così forte che si sentì il rumore del suo cranio contro la pietra. Sam sferrò un calcio all'uomo dando il tempo a Steve di riprendersi.
- Tutto bene Capitano? - chiese evitando un pugno. In tutta risposta Steve colpì lo sterno dell'uomo, e si sentì l'osso incrinarsi. L'uomo gridò dal dolore, sferrò un cazzotto a Sam e si voltò verso il Capitano, che si mise in posizione di difesa. Ma ci pensò Natasha a sorprendere il nemico: lo attaccò saltandogli addosso e attorcigliandogli le gambe attorno al collo, poi lo spedì a terra e si rialzò.
- Grazie Nat - disse Steve, pulendosi il sangue che gli usciva dal naso.
- Figuarati - rispose la Vedova Nera, colpendo di nuovo l'uomo per assicurarsi che fosse a terra. Sam, che perdeva sangue dal naso, li raggiunse.
- Adesso vediamo chi sei... - disse, chinandosi. L'uomo scattò e gli afferrò il polso. Ma si fermò lì: non aveva altre forze. Fece un sorriso sporco di sangue ai tre.
- Ne tagli una testa, ne crescon due... - ghignò, poi morse qualcosa all'interno della guancia e cominciò a contorcersi mentre la schiuma invadeva la sua bocca. Poco dopo, era morto.
- Accidenti! - imprecò Sam. Ma le sorprese non erano finite: c'era un " bip " continuo poco rassicurante... L'uomo aveva sistemato dell'esplosivo!
- Via via via! - corsero fuori Steve, Sam e Natasha. Appena in tempo! L'intera base esplose, e con lei gli altri fascicoli che avrebbero potuto contenere indizi su Bucky!
Steve controllò la propria tasca interna, il cuore che batteva all'impazzata: il fascicolo era ancora lì. Sospirò di sollievo: forse non era tutto perduto...

ANGOLO MALATA DI MENTE
Ed ecco il terzo capitolo!
Vorrei ringraziare tutti i lettori silenziosi, lulusmiley e mangamylove per aver messo questa mia pazzia tra le seguite e you_are_my_hero per averla messa tra le preferite e per la sua recensione!
Spero tanto che vi sia piaciuto anche questo capitolo, e di aver descritto bene la scena d'azione... non è facile!
A presto!
AllisonHermioneEverdeen

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Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre



Tornò ogni giorno dalla fruttivendola. Non sapeva come mai, ma ogni mattina i piedi la portavano lì, davanti alla piazza, davanti a quegli occhi tanto diversi da quelli che l'avevano guardata con disprezzo, spavento o severità. Quegli occhi non la giudicavano: la guardavano per quello che era, una ragazza di sedici anni magra, con capelli mossi castano scuro che le incorniciavano il viso, anche se la maggior parte delle volte li utilizzava per nascondercisi dentro, cosicchè non si riusciva neanche a distinguere l'azzurro dei suoi occhi iniettati di sangue.
- Cara, ma sei magrissima! - esclamava sempre quando la vedeva, per poi consegnarle carichi di frutta. Non servivano a niente le proteste della ragazza, che non aveva nulla per pagarli. Alla fine, all'ennesima protesta, la signora sorrise.
- Se proprio vuoi sdebitarti puoi venire a lavorare per me! - affermò. La ragazza sapeva che non doveva, che era troppo rischioso, ma per la prima volta in tutta la sua vita si sentiva normale, umana... Così accettò.
- Allora cara, ti deciderai a dirmi come ti chiami? - chiese bonariamente la signora. La ragazza la guardò negli occhi, poi accennò ad un sorriso incerto.
- Faith - rispose in un sussurro. La signora sorrise.
- Piacere Faith, io sono Esther... il lavoro comincia domani mattina alle sette, mi raccomando, sii puntuale! -. E lo era stata: quel giorno, quello dopo, quello dopo ancora... lavorare in quel mercato di Chigago le dava un senso di serenità e pace così piacevole... Esther si rese conto con stupore che le braccia magre di quella ragazzina erano piene di forza, infatti Faith sollevava con facilità scatoloni pesanti e sacchi di patate. Nelle poche volte che incrociava il suo sguardo, la signora si sorprendeva di quanto i suoi occhi fossero tormentati: aveva lo sguardo di chi ha attraversato l'inferno, ma è sopravvissuto lo stesso. E giorno dopo giorno, vedeva la serenità cominciare a scacciare via i tormenti che quella povera ragazza doveva aver passato. Non fece mai domande, si limitò a starle vicino, sorriderle e darle la sua paga regolarmente.

- Ed ecco fatto - sospirò Esther, finendo di servire l'ultimo cliente. Quel giorno era stato insolitamente pieno di clienti, ma grazie a Faith era riuscita a servire tutti, anche se a fine giornata era sfinita. Era ormai notte, infatti, quando mise tutto a posto per andare a casa. Faith sistemò l'ultimo scatolone, poi si asciugò il sudore.
- Grazie cara, oggi non ce l'avrei proprio fatta senza di te - le sorrise Esther. Si stava affezionando a quella ragazza, le ricordava sua figlia...
- Di niente Esther... mi paghi per questo, giusto? - rispose di buonumore Faith. Anche lei stava iniziando ad affezionarsi a quella signora, la prima persona che le aveva sorriso senza secondi fini. Ormai erano due setimane che lavorava lì, e anche se il pensiero di doversene andare la tormentava ogni notte, continuava a rimandare. " Non ancora... posso permettermi di rimanere ancora un po' " si ripeteva ogni mattina. La verità era che lì a Chicago aveva trovato qualcosa che non aveva mai potuto avere: una vita, una persona cara che le sorrideva sincera... Esther stava diventando la sua casa.
- Bene, adesso fila a dormire, o domani sarai stanca morta! - la salutò Esther sistemandosi la borsa con i guadagni del giorno in spalla.
- A domani - rispose Faith, incamminandosi verso l'hotel. Aveva fatto appena dieci passi, però, quando un urlo la fece bloccare. Si voltò di scatto, cominciando a correre: l'urlo proveniva dalla direzione dove si era diretta Esther! Corse fino al vicolo verso casa della signora: Esther era spalle al muro, stava lottando per tenere la borsa che un uomo cercava di strapparle. Alla fine l'uomo ebbe la meglio e si impadronì della borsa.
- Al ladro! Al ladro! - strillava Esther furiosa. Ma il ladro in questione estrasse una pistola a la puntò contro di lei. Il grido le rimase incastrato nella gola. Esther fissava la canna della pistola, aspettandosi da un momento all'altro di senitire il colpo che l'avrebbe uccisa, ma questo non arrivò: stranamente il ladro improvvisamente si bloccò, la mano che teneva la pistola tremava violentemente, l'uomo fece un verso rauco mentre del sangue iniziava ad uscire dai suoi occhi e dal naso. Poi cadde a terra, morto. Esther rimase paralizzata per un attimo, poi alzò gli occhi dal cadavere: di fronte a lei, barcollante, c'era Faith. Del sangue le usciva dal naso e sembrava stanca, più pallida del solito. Esther non ci mise molto a capire: era stata lei. Quella ragazza tormentata che le ricordava tanto sua figlia le aveva appena salvato la vita.

Natasha era stata fino a tardi a leggere quel fascicolo, e purtroppo quando Steve, alle sei del mattino, bussò alla sua porta pallido e con delle occhiaie enormi ( segno che non era riuscito a dormire la notte ), aveva solo una minima speranza da offrirgli.
- Entra- esordì, e vide l'aspettativa negli occhi del suo amico. Sospirò e richiuse la porta alle sue spalle.
- Il fascicolo parla della cosiddetta " figlia dell'HYDRA ", nota altrimenti come " la figlia della morte "... è un'altra arma dell'HYDRA, una bambina allevata da loro perchè diventasse un'assassina... pare che fosse nata con capacità speciali, che l'organizzazione sfruttò al massimo... tutto quello che ho capito dal fascicolo è che ha partecipato ad un paio di missioni con il Soldato d'Inverno... una a Chicago, una a Bucarest - spiegò Natasha, sedendosi sul letto.
- Dobbiamo cercare in quelle due città! - affermò Steve, pieno di una nuova speranza.
- Steve... sono convinta anche io che dobbiamo controllare... ma devo essere sincera: dubito che troveremo qualcosa: Barnes sta cercando di sfuggire all'HYDRA, o almeno a ciò che ne è rimasto, credi che andrebbe a nascondersi dove è stato per conto loro? -
- Nat... hai ragione, certo - ammise a malincuore Steve - Ma dobbiamo trovarlo prima delle teste rimanenti dell'HYDRA... ieri abbiamo avuto la sicurezza che non è morta, e adesso abbiamo dei punti di partenza per impedire che lo trovino prima di noi! Non me li lascerò sfuggire! - affermò. Natasha annuì, decidendo che era meglio non smorzare l'entusiasmo dell'amico.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro



- Tieni, ti farà sentire meglio - le porse una tazza di latte caldo. Faith, esitante, la prese, cominciando a sorseggiarlo. Era buonissimo! Non aveva mai bevuto il latte... la scaldò subito, e quando ebbe finito di bere aveva ripreso un po' di colore. Posò la tazza, tenendo lo sguardo basso. Aveva paura di alzarlo e incrociare gli occhi di Esther. Dopo l'accaduto, dopo che aveva usato le sue capacità per uccidere quell'uomo... si aspettava che Esther si allontanasse da lei gridando, ma la signora l'aveva sorretta e portata a casa sua, e adesso la stava aiutando a riprendersi.
- Faith, io... vorrei ringraziarti, ti devo la vita - le disse Esther. A quel punto la ragazza alzò gli occhi, e con sua grande sorpresa nello sguardo della signora c'era solo gratitudine.
- Non hai... paura di me? - sussurrò confusa. Esther le sorrise.
- No... mi hai salvato la vita, ti sono debitrice - affermò. Faith la guardava senza parole. - Te la senti di parlarmene? - chiese Esther, esitante. Faith la guardò negli occhi: poteva fidarsi. Sospirò tremolante e cominciò a raccontare...
- Sono cresciuta sottoterra, in una base segreta di un'organizzazione criminale, in Siberia. Fin da piccola mi hanno addestrata a combattere: ho imparato prima quale nervo devo spezzare sul collo per uccidere un uomo che a parlare - la voce di Faith ormai era solo un sussurro tremolante, ma Esther non si perdeva una parola.
- Mi hanno insegnato ad addattarmi a qualunque situazione, a patire il freddo della Siberia vestita solo una magliettina e dei jeans, a sopportare qualunque tortura, sia fisica che mentale... mi hanno cresciuta come un'arma - i ricordi del suo passato le stavano invadendo la mente, dolorosi...

La bambina cadde per terra, mordendosi le labbra per non urlare: era atterrata sulla spalla lussata.
- Podnyatyy ( Rialzati )- le ordinò una voce fredda. La bambina sputò un grumo di sangue e cercò di fare un respiro profondo, ma le due costole fratturate la fecero sussultare dal dolore. Ciononostante, si rialzò. Davanti a lei l'agente che la stava addestrando era pronto: le sferrò un pugno, che lei schivò abilmente, cercando di ignorare il fiotto di dolore che proveniva.... più o meno da tutto il corpo! Il combattimento durò per quelle che sembravano ore, ogni volta che la bambina cadeva a terra per un colpo troppo duro dell'avversario, si rialzava. Sanguinava dalla fronte, dalla guancia, dalla coscia e dal braccio sinistro, aveva un paio di costole rotte e si era storta la caviglia cadendo, ma non si lamentò mai. Non le era concesso. Le armi non si lamentano. Una volta o due aveva steso il proprio avversario, e aveva potuto riprendere fiato.
- Dostatochno ( Basta così ) - affermò un uomo entrando. L'agente che prendeva appunti fece un cenno al combattente, poi i due uscirono, lasciando l'uomo solo con la bambina.
- Oni govoryat mne, chto vy vse luchshe ( Mi dicono che stai migliorando ) - disse l'uomo mentre lei si rialzava a fatica, tremando e sanguinando.
- Eto vremya ispytaniya, papa? ( E' il momento del test, papà? ) - chiese la bambina con voce incolore. L'uomo le sorrise, ma era un sorriso falso, di quelli che non raggiungono gli occhi.
- Sleduyte za mnoy ( seguimi ) -.


- Faith? - la richiamò alla realtà una voce gentile. La ragazza si scosse, poi tornò a raccontare, stringendo convulsamente la tazza vuota e tenendo gli occhi bassi.
- Quando non mi addestravano, facevano esperimenti su di me... fin da piccola ho sviluppato delle capacità strordinarie, volevano sfruttarle, usarle nelle guerre... - si interruppe, scacciando il ricordo che si stava facendo largo dentro di lei. Non poteva abbandonarsi al passato. Adesso era libera.
- E come sei fuggita da loro? - chiese Esther, togliendole dolcemente la tazza vuota dalle mani.
- E' stato sei mesi fa... era da un po' che giravano voci su una loro arma scappata, finchè non se la ritrovarono contro di loro: era un assassino, come me... abbiamo persino svolto un paio di missioni insieme... ma non so chi sia nè da dove venga; è entrato nella base, ha fatto una carneficina con tutti i medici e gli agenti che erano lì dentro, poi mi ha liberata. Da allora l'organizzazione mi cerca - completò. Si sentiva incredibilmente leggera dopo aver confessato tutto ad Esther, ma anche in ansia: sapendo cosa aveva fatto in passato, sarebbe stata ancora capace di sorriderle?
- Oh Faith... - sussurrò la signora - Mi dispiace così tanto... - e l'abbracciò. La ragazza ci rimase di stucco. All'inizio rimase rigida, confusa, ma poi ricambiò. Quando l'abbraccio si sciolse, si passò le dita sulle guance: stava piangendo. Lei non aveva mai pianto, in tutta la sua vita. Mai. Esther la guardava non con pietà, ma con... affetto?? Era dispiaciuta per lei! Prese una coperta e la fece sdraiare sul divano. - Puoi dormire qui, stanotte... stai tranquilla, non ti lascio sola - le sorrise con affetto. Faith era senza parole, così si limitò a stirare un sorriso tra le lacrime e chiuse gli occhi, cadendo in un sogno senza incubi per la prima volta da mesi.

- Insomma volete andare a Chicago e Bucarest- commentò Sam quando gli comunicarono le novità. Erano a casa del Capitano. - E avete pensato alla " figlia della morte"? In fondo anche lei è stata lì in missione, se lavorasse ancora per l'HYDRA? - chiese Sam. Natasha sospirò.
- Se la incontreremo, la affronteremo - disse semplicemente.
- E se non fosse dalla parte dell'HYDRA? Se anche lei fose riuscita a sfuggire al loro controllo?- sussurrò Steve.
- Dici che potrebbe essere in fuga dagli agenti rimasti dell'HYDRA? - chiese Natasha, corrucciata. Steve annuì, alzandosi in piedi.
- E se fosse riuscita a fuggire per merito di Bucky? Potrebbe essere scomparso per questo: magari vuole liberarsi dell'HYDRA, e sta uccidendo le rimanenti teste vaganti... - ragionò ad alta voce.
- Può darsi... ma fossi in te non mi illuderei troppo: ci sono fin troppi " se " in questa teoria - fece notare Natasha, odiandosi per il proprio realismo.
- Però ha senso: Barnes scappa dall'HYDRA, apprende la verità su sè stesso e decide di vendicarsi, distruggndo le basi rimaste dell'organizzazione e liberando le altre persone che erano controllate da essa- disse Sam, deciso e non bocciare l'idea di Steve. -
- Si, potrebbe essere... controllo se c'è qualche base dell'HYDRA a Chicago o a Bucarest- affermò Natasha.
- Buona idea, facci sapere... io intanto cerco informazioni su questa " figlia della morte " - annunciò Steve. Finalmente avevano un piano concreto per ritrovare Bucky!

ANGOLO MALATA DI MENTE
Ed ecco il quarto capitolo! Si comincia a scoprire la verità su Faith, le sue origini, e anche se rimangono ancora molte domande, il mistero comincia ad essere svelato...
Ma come sono poetica oggi?
Spero che vi sia piaciuto. Grazie a tutti i lettori silenziosi.
Grazie a Eclisse Lunare, lulusmiley, mangamylove e Red_Amortentia per avere messo la storia tra le seguite ( con un ringraziamento speciale a Red_Amortentia per la sua recensione ).
Grazie anche a Black Pandora e you_are_my_hero per averla messa tra le preferite.
A presto
AllisonHermioneEverdeen

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


Capitolo cinque



La mattina dopo, quando si svegliò, ci mise un po' a capire dove si trovava: quello non era il letto della sua camera, quella non era la sua coperta bucherellata... Sbadigliò, issandosi a sedere, mentre i ricordi della sera precedente le invadevano la mente. Aveva salvato Esther, uccidendo, ma la signora non era fuggita terrorizzata: l'aveva ascoltata, aiutata e consolata. Faith stentava ancora a crederci!
- Ben svegliata! - la accolse una voce calda: Esther era appena entrata, aveva un vassoio in mano.
- Sei crollata ieri sera... ecco la colazione! - sorrise. Faith ricambiò, chiedendosi cosa aveva fatto per meritarsi quell'affetto: era un'assassina, un mostro da laboratorio... Ma questi pensieri furono subito scacciati dall'odore del tè caldo e del ciambellone al cioccolato appena sfornato!
- Oh mio dio! Questo è... un ciambellone! - esclamò la ragazza, avventandosi sulla fetta scura. Non aveva mai mangiato un ciambellone! Esther sorrise, vedendola ingozzarsi e scottarsi con il tè.
- Qualcuno ha un bel po' di fame - affermò. Faith arrossì, ingoiando.
- Quando hai finito la colazione fammelo sapere: ho dei vestiti da farti provare... quelli che porti cominciano a puzzare! - disse la signora, alzandosi.
Dieci minuti dopo Faith stava provando un paio di comodissimi jeans e una maglietta verde a maniche lunghe. Le stavano bene.
- Tu e mia figlia avete la stessa taglia... - sorrise Esther porgendole una giacca nera. - Tua figlia? - chiese curiosa Faith, indossandola. La signora sospirò.
- Si... si chiamava Sara, è morta due anni fa... si trovava a New York durante l'invasione aliena... posto sbagliato al momento sbagliato - la voce di Esther era diventata un sussurro. Faith si bloccò, non sapendo cosa dire. Si sentiva una sciocca!
- Mi dispiace - balbettò. Esther le sorrise.
- Non è nulla, cara... è successo molto tempo fa - chiuse il discorso. Faith si appuntò mentalmente di non accennare più a nulla su Sara.
- Adesso andiamo a lavoro! Abbiamo un bancone di frutta da imbandire! - affermò la signora, e le due uscirono di casa.

Steve, Natasha e Sam erano stati a fare ricerche per tutto il giorno e gran parte della notte. Fino alle quattro del mattino Natasha non si mosse dalla sua scrivania.
La mattina dopo erano tutti e tre sfiniti, ma finalmente avevano del materiale concreto tra le mani!
- Per favore, dimmi che hai buone notizie! - fu accolta da Sam Nat.
- Certo! Per chi mi avete presa? - rispose con un sorriso la donna. Steve e Sam si drizzarono, attenti.
- C'è una base dell'HYDRA a Chicago - affermò Natasha - So il luogo esatto, anche se credo sia abbandonata... cominceremmo da lì! E voi, trovato nulla sulla " figlia della morte"? -.
- Poche cose: c'è qualche accenno ad un'assassina senza nome che ha ucciso dei politici siberiani, ma nient'altro - rispose Steve.
- Fantastico, ci mancava un'altra nemica stile Soldato d'Inverno - ironizzò Natasha. Steve le lanciò un'occhiataccia, ma lei lo ignorò.
- Il primo volo per Chicago parte alle otto di questa mattina... prepariamoci - disse Sam.

Quattro giorni trascorsero tranquilli, ormai la ragazza " viveva " a casa di Esther, ma un pensiero costante tormentava Faith: non poteva rimanere ancora a lungo. Più restava, più metteva in pericolo Esther. Alla fine, la sera di domenica affrontò il discorso.
- Non posso più restare - disse a cena. Esther posò la forchetta, sospirando.
- Sapevo che sarebbe arrivato questo momento - affermò tristemente. Faith evitò il suo sguardo, giocherellando con il cibo che aveva nel piatto.
- Se rimango qui, metto tutti in pericolo... specialmente te- sussurrò.
- Lo so, cara, e mi dispiace tanto... vorrei tanto poterti restituire una vita - rispose Esther.
- Ma tu l'hai fatto! - esclamò Faith alzando lo sguardo - Queste settimane passate qui... non le dimenticherò mai! Mi hai donato una vita, una casa, una parvenza di normalità... -. Esther aveva gli occhi lucidi, ma si affrettò ad asiugarseli con il tovagliolo.
- Resta solo un altro giorno - disse, una nota di supplica nella voce. E davanti a quello sguardo, Faith non potè resistere.
- D'accordo - cedette. In fondo, un giorno in più non avrebbe fatto la differenza!

Il pomeriggio dopo si diede della stupida, illusa e sciocca in tutte le lingue che conosceva ( ed erano molte! ). Lei ed Esther si erano date un giorno di riposo da passare insieme -l'ultimo. Così erano andate a passeggiare, semplicemente a passeggiare, chiacchierando del più e del meno per scacciare il pensiero dell'addio.
Stavano attraversando la piazzetta - quella dove si erano incontrate - dirette ad un supermercato, quando Faith aveva notato un'auto che le seguiva. L'aveva vista già due isolati prima, e alla posta, e adesso era nella strada vicino a loro...
Dall'auto scese un uomo, e Faith prese il braccio di Esther, cominciando a velocizzare il passo, senza però correre.
- Che succede cara? - chiese Esther tesa.
- Mi hanno trovata - sibilò tra i denti la ragazza, attraversando la piazzetta e studiando il luogo: c'erano tre vie d'uscita; una era la via principale davanti a loro, l'altra una via secondaria alla sua destra, ma un finto barbone era proprio davanti ad essa, perciò niente da fare... La terza era una via quasi invisibile alla sinistra della piazza. Faith adocchiò una folla di turisti che stava venendo verso di loro.
- Quando i turisti ci raggiungono, mischiati tra di loro, io proseguo e me li porto dietro - ordinò. Esther annuì, piena di tristezza e preoccupazione. Non era così che voleva finisse; non era così che voleva dirle addio...
Con la coda dell'occhio, Faith controllò dietro di sè: adesso gli uomini erano tre. Le serviva un diversivo per scappare... Di fronte a lei c'era un venditore ambulante di petardi. La folla di turisti era vicina... ancora qualche passo...
Esther si mischiò in mezzo ai turisti, Faith allungò la mano e afferrò quattro petardi, mettendosene due in tasca. Rubò al venditore l'accendino senza che questo se ne accorgesse, poi accese insieme i due petardi e li tirò dietro di sè.
L'esplosione fu abbastanza grande da far gridare la gente che prese a correre via da lì, ma ancora meglio: i petardi liberarono fumo insieme all'esplosione. Faith corse tra la folla agitata e si infilò nel viale davanti a lei, mischiandosi tra la gente. Gettò uno sguardo dietro di sè: i tre uomini si stavano guardando intorno, cercandola. Quando l'uomo in mezzo diresse lo sguardo alla via principale, Faith si inginocchiò fingendo di allacciarsi una scarpa: la folla la coprì dallo sguardo dell'uomo. La ragazza si alzò cautamente, controllò che Esther fosse al sicuro ( non la vide, dedusse che fosse corsa via insieme agli altri ), poi si avvicinò ad un negozio di cappelli, ne arraffò uno controllando che nessuno la guardasse e se lo mise in testa: gli agenti cercavano una testa castana tra la folla, non un cappello rosso. Faith si rimise a camminare tra la folla, guardando dietro di sè: aveva un solo agente alle spalle, questo poteva significare solo due cose; o che gli agenti si fossero divisi per trovarla, e gli altri fossero negli altri viali, o che avessero capito dov'era finita e di fossero divisi per tagliarle la strada. Ad ogni modo doveva trovare un altro viale in cui sparire. Camminò ancora per un po', controllando l'agente che la stava cercando, mischiandosi anch'esso tra la folla.
Faith voltò a destra appena ne ebbe occasione, poi si mise a correre tra le poche persone che percorrevano quel vialetto. Si ritrovò davanti ad un'altro viale più affollato, ma quando stava per buttarcisi dentro, vide il secondo agente cercarla lì. Si trovava in trappola, in mezzo a due agenti, ma nessuno dei due l'aveva ancora vista... Faith si tolse la giacca nera che indossava.
- Tenga, le sta benissimo - disse ad una ragazza che passava accanto a lei. Questa la guardò confusa, ma accettò l'offerta. Mentre se ne andava Faith le sfilò il cellulare dalla tasca. L'agente alla sua destra stava per arrivare, quello alla sua sinistra anche. La ragazza si calò il berretto rosso sul viso, si appoggiò al muro e finse di star controllando un messaggio dal cellulare. I due agenti si affacciarono al viale: videro solo una ragazza dalla giacca nera che stava tornando a casa, un barbone che chiedeva soldi in un angolo, una signora che imprecava perchè non trovava le chiavi di casa e un'adolescente che chattava con gli amici.
Faith pensava di essere riuscita a scamparla, così alzò lo sguardo dal cellulare... ma aveva agito troppo presto: l'agente alla sua destra stava ancora controllando il viale, incrociò i suoi occhi e la riconobbe...
Subito la attaccò: alzò la pistola per colpirla ( probabilmente aveva proiettili soporiferi: non poteva rischiare di uccidere l'arma ) ma Faith lo disarmò, poi parò il suo pugno e gli storse il polso, ricevette un calcio che incassò senza un gemito, barcollando appena, restituì il favore al mittente, colpendolo alle " parti basse", poi gli sferrò un cazzotto in faccia, alzò la pistola per colpirlo anche con quella, ma non aveva notato il coltello: si ritrovò con un coltellino impiantato nella coscia. Gemette mordendosi le labbra per non urlare, sferrò l'ultimo colpo in testa all'agente, tramortendolo, poi si sfilò il coltellino dalla coscia. Il tutto in pochi secondi.
- Cazzo... cazzo... cazzo... - ripeteva mordendosi l'interno della guancia. La signora e il barbone nel vicolo la fissavano sconcertati e spaventati, Faith li ignorò ed entrò dal viale dal quale era uscito l'agente, zoppicando. Sapeva di essere nei guai: tra poco gli altri due agenti avrebbero scoperto l'uomo tramortito e seguito la traccia di sangue che Faith stava lasciando. La ferita alla coscia pulsava mentre la ragazza zoppicava verso la piazzetta: aveva intenzione di uscire dal viale e rubare la prima auto che trovava, dandosi alla fuga disperata. Zoppicò più veloce che poteva tra la folla, controllando dietro e davanti a sè se qualcuno la seguiva. Sembrava di no. Una volta in piazza adocchiò un'auto parcheggiata poco lontano e si diresse lì. Diede una gomitata al finestrino che si ruppe, infilò una mano dentro e aprì la portiera. Stava cercando di farla partire con i fili quando sentì una risata sinistra provenire da fuori. Si irriggidì, alzando lo sguardo: i due agenti rimasti e il finto barbone l'avevano raggiunta, ma non erano soli: uno degli uomini puntava la pistola contro Esther.

ANGOLO MALATA DI MENTE
Ed ecco il quinto capitolo! La pace non poteva durare per sempre! Si, lo so, mi odiate per come l'ho lasciato in sospeso, ma la suspance era perfetta per questo capitolo!
Spero vi sia piaciuto, e che non vi dispiaccia se è un po' più lungo degli altri. La scena di Faith che semina e sconfigge gli agenti l'ho ispirata a come si comporta in questi momenti Bourne ( chi lo conosce mi capisce, chi non lo conosce corra a vederlo, perchè è un film fatto benissimo! ).
Grazie a tutti i lettori silenziosi.
Grazie a chi ha messo la storia tra le seguite, in particolari i nuovi arrivati ( Eleanor 02, Chic e moschino ).
Grazie di cuore a Red_Amortentia e Eleanor 01 per la recensione! Non sapete quanto sia contenta che la storia vi stia piacendo!
A presto ( se voglio vivere... )
AllisonHermioneEverdeen

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Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


Capitolo sei



- Faith, Faith, Fait... - disse in tono canzonatorio una voce dal forte accento russo che conosceva fin troppo bene. Gli agenti si fecero da parte per farlo passare: era un uomo alto, capelli bianchi ed occhi azzurro ghiaccio. La ragazza rimase paralizzata a fissarlo.
- Così mi deludi - continuò l'uomo - Mi deludi profondamente: rimanere qui a Chicago per tre settimane... davvero ti aspettavi che non ti avremmo trovata? Hai rischiato tutto... per chi? Una vecchia signora! -. Faith lo guardò negli occhi: c'era solo disprezzo nel suo sguardo. Un tempo aveva paura di quell'uomo, ne era terrorizzata... ma adesso non era più una bambina.
- Lasciatela andare - ordinò secca, cercando di ignorare la coscia che pulsava. L'uomo le sorrise freddo.
- Ma certo... la lasceremo andare, ma solo se tu verrai con noi - affermò. Faith se l'aspettava, sapeva che sarebbero state queste le condizioni, come sapeva che non c'erano via d'uscita. Alzò le mani in alto ( compresa la destra sporca di sangue ) e aprì lo sportello, senza smettere di guardare negli occhi l'uomo.

L'aereporto era gonfio di gente, perciò non fu difficile per Steve, Sam e Natasha mischiarsi alla folla, evitando di essere riconosciuti. L'ultima cosa che volevano era gente impazzita che gridava : " Gli Avengers! Gli Avengers!! ".
Uscirono dall'aereporto trascinando le valige che si erano portati dietro: contenevano le armi di Natasha, il costume di Steve e le ali di Sam. Non che girassero disarmati: avevano nascosto sotto i vestiti le pistole.
- Bene, adesso che facciamo? Chicago è enorme, da dove comiciamo? - chiese Sam.

Faith aprì gli occhi. La testa le pulsava terribilmente. A fatica mise a fuoco un soffitto grigio e sporco di muffa. Si issò a sedere guardandosi intorno: era in una stanza completamente vuota, dalle pareti scure ammuffite e il pavimento sporco di terra. Chiuse gli occhi per placare il mal di testa, cercando di ricordare cosa fosse successo: si era assicurata che Esther fosse liberata, le aveva gridato di correre via perchè la signora sembrava voler rimanere lì... l'aveva vista andarsene... poi il buio. Dovevano averla sedata, così adesso non aveva idea di dove fosse, nè da quanto tempo fosse svenuta: poteva benissimo essere tornata in Siberia, così come trovarsi ancora a Chicago. Sospirò, trascinandosi addosso al muro. Strinse le braccia al petto e si chiese cosa le avrebbero fatto. Tremava al pensiero: non potevano permettersi di ucciderla, era troppo preziosa per loro, ma questo non la rassicuarava affatto; c'erano molte cose ben peggiori della morte, e Faith era sicura che gliele avrebbero fatte sperimentare tutte...

La loro stanza non era niente di che: tre letti singoli, un bagno ed un tavolo.
- Allora Nat, dove si trova la base abbandonata dell'HYDRA? - chiese Steve mentre controllava il viale sottostante dalla finestra.
- Ai confini della città, ci prepariamo e ci andiamo subito, ma prima di entrare questa volta voglio controllare il perimetro... meglio essere certi di non avere brutte sorprese! - affermò la spia russa.
Mezz'ora dopo, vestiti e armati per l'occasione, si stavano dirigendo verso i confini ovest della città. Steve provava a guardarsi intorno, ma c'era talmente tanta gente che ci rinunciò: impossibile trovare qualcuno che si nascondeva tra la folla!
Svoltarono a destra, entrando in una piazzetta: era la via più rapida per arrivare al confine. Nel centro di questa c'era una strana scena: una sigora sconvolta attorniata da una piccola folla. I tre Avengers si avvicinarono: sentivano puzza di guai...
- L'hanno presa! L'hanno portata via! Dovete aiutarmi! - stava esclamando la signora. La folla scuoteva la testa, ma qualcuno tra le facce pallide annuiva.
- E' vero, li ho visti! - disse una voce dalla folla.
- Vi prego... qualcuno ha un telefono, devo chiamare le autorità... la polizia... - balbettò la signora guardandosi intorno. Individuò Steve, Natasha e Sam e sgranò gli occhi. Subito corse verso di loro, pallida e sconvolta.
- Grazie a Dio! Gli Avengers! - disse. Per fortuna la folla stava ancora parlottando tra sè, e cominciava a disperdersi, anche se qualche curioso aveva sgranato gli occhi.
- Signora, per favore, vorremmo un po' di discrezione... - disse Steve scambiando uno sguardo con Natasha.
- Certo.. capisco... ma non c'è tempo da perdere! L'hanno presa! Dovete aiutarmi a ritrovarla... non sapete cosa possono farle! - . I tre agenti decisero di andare a cercare un posto più riservato per parlare.
Dieci minuti dopo erano in una via secondaria deserta. La signora stava spiegando bene cosa era successo...
- La conosco solo da tre settimane... una ragazza così sola e forte! Sa fare delle cose... mi ha salvato la vita una volta... Ma ora loro l'hanno presa! -
- Loro chi? - chiese Sam.
- Non so chi siano.. Faith mi ha solo detto che si trovavano in Siberia - affermò la signora. Steve, Sam e Natasha si guardarono: avevano capito la gravità della situazione.

La lasciarono a marcire dentro quella stanza per ore, sola a fissare il vuoto. La faceva impazzire stare lì a non fare niente, senza avere idea di cosa stessero decidendo di lei. Per non parlare della paura che andassero a cercare Esther per ricattarla! Perchè ora che aveva assaggiato la libertà, non aveva nessuna intenzione di tornare ad essere un'assassina!
Alla fine, dopo quelli che le erano sembrati giorni, la porta davanti a lei si aprì cigolando. Faith si alzò, pronta a fronteggiare chiunque fosse arrivato; nella stanza entrò l'uomo che l'aveva catturata. Aveva un ghigno che trasformò presto in una fintissima espressione rammaricata.
- Mne ochen' zhal', Faith ( Mi dispiace davvero tanto, Faith ) - cominciò, chiudendo la porta alle proprie spalle. - No na etot raz vy deystivitel'no peresek liniyu ( Ma questa volta hai davvero superato il limite ) - continuò. La ragazza lo fissava con sguardo di ghiaccio.
- Vy prosto zdes', chtoby chitat' mne lektsiyu? ( Sei qui solo per farmi la predica? - ribattè gelida. L'uomo sorrise.
- K sozhaleniyu, dlya vas, net ( Purtroppo per te, no ) - affermò, e la porta si riaprì: fuori c'erano una decina di agenti armati che le puntavano dei fucili.
- My dolzhny ochistit' ( Dobbiamo ripulirti ) -

ANGOLO MALATA DI MENTE
Ed ecco il sesto capitolo! Purtroppo per voi, è solo di passaggio, ma nel prossimo ne vedremo delle belle!
Grazie infinite a Red_Amortentia ed Elanor 02 per aver lasciato il suo commento, sono così contenta che la storia vi intrighi... ci ho messo tutta me stessa per crearla!
Grazie a tutti i lettori silenziosi, a chi ha messo la storia tra le preferite, ricordate o seguite.
Spero che la storia continui ad incuriosirvi!
A presto con un nuovo capitolo
AllisonHermioneEverdeen
P.S. Per le frasi in russo mi sono affidata a google traduttore, perciò non so quanto possano essere corrette.

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Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


Capitolo sette



- Il perimetro è controllato da cinque telecamere di sicurezza, due guardie fanno avanti e indietro intorno all'edificio - spiegò Natasha dopo aver fatto un controllo. Steve e Sam sospirarono.
- L'HYDRA è qui... non è esattamente abbandonata questa base! - disse Sam.
- Faith è lì dentro? - chiese Esther dietro di loro. Avevano dovuto portarla alla base, era terribilmente testarda e ci teneva davvero a quella ragazza!
- Crediamo di si, ma non possiamo esserne sicuri - affermò Steve.
- Noi adesso entriamo, lei resti qui e ci aspetti... non si faccia vedere, mi raccomando - ordinò invece Sam. Esther annuì.
- Liberatela - disse solo. I tre Avengers annuirono, poi sgattaiolarono più vicino all'edificio. Natasha tenne d'occhio le telecamere... quella a destra si stava girando... ancora qualche secondo per aspettare quella a sinistra...
- Adesso! - ordinò la spia, e i tre scattarono, correndo verso la porta sul retro. Avevano dieci secondi per entrare, per fortuna Natasha aveva una certa esperienza in fatto di scassinare serrature! I tre riuscirono ad entrare e chiudersi la porta alle spalle appena in tempo: la guardia stava per svoltare l'angolo e le telecamere stavano tornando ad inquadrare la porta.
L'interno dell'edificio era squallido e illuminato da delle fioche luci a neon.
- Forza, andiamo a cercare quella ragazzina - disse Steve per scuotere i suoi amici. I tre Avengers, armi in pugno e nervi tesi, si incamminarono per il lungo corridoio.

A Faith si gelò il sangue nelle vene: si era preparata a tutto; sapeva che non ci sarebbero andati piano con lei, ma la sua consolazione, alla quale si era aggrappata con tutte le sue forze per non crollare, era che non sarebbe tornata a servire l'organizzazione come arma. Ma quello che volevano farle era il peggio del peggio: cancellare la sua volontà. Impedirle di poter compiere le proprie scelte. L'uomo doveva aver compreso l'effetto che avevevano avuto le sue parole, perchè il suo volto si aprì in un ghigno.
- Vy ne mozhete sdelat... ( Non potete farlo ) - sussurrò, barcollando, la ragazza. Non voleva mostrarsi debole e fragile di fronte a loro, ma non ce l'aveva fatta. Si sentiva svuotata e paralizzata, il panico aveva stretto una morsa dolorosa su di lei.
- Imenno eto izbegayet vas... ( E' proprio questo che ti sfugge.. )- il ghigno dell'uomo si allargò - My mozhen ( Possiamo ) - . A quel punto, il panico che le attanagliava lo stomaco fece spazio ad un altro sentimento: il furore. Volevano cancellarle la memoria a forza di elletroshock? Prima avrebbero dovuto ucciderla! Una scarica di adrenalina la attarversò, con un urlo quasi animalesco alzò le braccia contro l'uomo che si stava avvicinando e, usando i suoi poteri, lo spedì addosso agli agenti armati. I suoi occhi erano accessi da una luce folle. Corse fuori, ma aveva fatto male i conti: i dieci agenti non erano soli. Due nascosti dietro l'angolo la afferrarono per le braccia e cominciarono a trascinarla. Faith urlò, scalciò, provò a colpirli con tutte le sue forze, ma sembrava impossibile scalfirli...

- Questo posto è immenso! - sbottò Steve all'ennesimo bivio.
- Abbi pazienza Rogers... - rispose Natasha, controllando i due corridoi.
- Siete consapevoli che stiamo andando a liberare la figlia della morte, vero? - chiese Sam. Steve Natasha annuirono.
- Bene, perchè credevo ci fossimo dimenticati che è anche un'assassina - continuò Sam. Gli altri due si voltarono a guardarlo.
- Cosa intendi? - chiese Steve.
- Mi stavo solo chiedendo: e se decidesse di ucciderci? Cosa glielo impedirebbe? - - Noi vogliamo aiutarla! - ribattè Steve. Non sapeva neanche lui perchè stava difendendo la ragazza: Sam aveva ragione, era pericolosa.
- Lo so, ma come faremo a farglielo capire? - fece notare Sam - Siamo in una base dell'HYDRA, per quanto ne sa lei, noi siamo i nemici -. Il ragionamento di Falcon non era del tutto errato: se la ragazza li avesse scambiati per agenti dell'HYDRA?
Delle grida disperate li congelarono sul posto.
- Pare che lo scopriremo presto - affermò Natasha, e i tre si misero a correre.

Degli spari risuonarono nell'aria, e parte degli agenti vicino a Faith caddero per terra, compreso uno dei due che la stava tenendo. Gli occhi di ghiaccio dell'uomo scattarono in fondo al corridoio, dove tre figure troneggiavano, armi in pugno.
- Zabot'tes' o nikh, my dumayem, chto oruzhiye ( Occupatevi di loro, noi pensiamo all'arma ) - ordinò. Gli agenti obbedirono e si misero in posizione.
Faith diede un calcio all'agente che la teneva e cominciò a correre verso il corridoio, ma un proiettile la colpì improvvisamente. Cadde a terra, gridando, mentre la pallottola la investiva di scariche eletteriche: doveva essere una nuova arma dell'organizzazione.
L'uomo e un paio di agenti la raggiungensero, le tolsero malamente il proiettile e la sollevarono di peso, riprendendo a trasportarla. Faith si sentiva senza forze, ma l'istinto di conservazione e il terrore la fecero reagire. Purtroppo i suoi calci e morsi erano del tutto inutili...
Dal fondo opposto del corridoio, Steve, Natasha e Sam videro la scena. Dopo un veoce scambio di sguardi, Natasha sospirò e annuì.
- Vai, ti copriamo noi - affermò. Steve fece un cenno d'assenso, poi scattò in avanti, superò i primi agenti, colpì con lo scudo quelli di fronte a lui e si lanciò all'inseguimento della ragazza.

Faith venne portata di forza in una stanza buia, dalle pareti color del bronzo e il pavimento terroso. Al centro di quella stanza c'era il marchingengno dell'elettroshock...
- Pust' ublyudki! Ostav' menya! Pust' ublyudki! ( Lasciatemi bastardi! Lasciatemi! ) - gridò la ragazza. Gli agenti non la ascoltarono: la stesero sulla sedia inclinata e le fermarono le braccia con delle cinghie. La ragazza riuscì a spedire un'agente dall'altra parte della stanza con le sue capacità, ma questo si rialzò impassibile e finì di sistemarla.
Quando Steve arrivò nella stanza, il macchinario era già stato acceso e la ragazza stava per essere investita da chissà quanto volt di energia elettrica! Steve lanciò il suo scudo mettendo KO gli agenti, vide un uomo dall'altra parte della stanza chiudersi la porta alle spalle, ma non poteva inseguirlo: aveva pochi secondi per aiutare la ragazza. Scattò verso di lei, afferrò le cinghie e la liberò. La ragazza saltò su, Steve afferrò il macchinario e lo scagliò contro il muro. Sospirò di sollievo: era riuscito a salvarla.
Spostò lo sguardo verso la " figlia della morte ", ma vide solo una ragazza sconvolta, con gli occhi lucidi, un rivolo di sangue dal naso e tremante. Si avvicinò a lei, che però alzò gli occhi e fece un passo indietro, sulla difensiva.
- Tranquilla, è finita... non ti farò niente - disse con calma il Capitano, posando lo scudo a terra e mostrando le mani senza armi. La ragazza continuò a fissarlo diffidante.
- Ne podkhodi! ( Non avvicinarti! ) - ordinò facendo un passo indietro e mettendosi sulla difensiva.
- Io non... non ti capisco... non parlo russo... - disse Steve. La ragazza lo scrutò senza muoversi di un millimetro, tesissima: temeva una trappola dell'organizzazione, una loro messa in scena.
Sam e Natasha riuscirono a liberarsi dagli agenti dell'HYDRA e raggiungere il Capitano: la scena che si presentò davanti a loro fu il macchinario dell'elettroshock decisamente rotto, Steve con le mani alzate davanti alla figlia della morte.
- No podkhodi! ( Non avvicinarti! ) - stava esclamando Faith. La ragazza sentì qualcun altro arrivare: ecco, lo sapeva! Era tutta una trappola, una messinscena! Adesso sarebbero arrivati gli agenti dell'organizzazione a prenderla!
Ma quando sollevò lo sguardo, rimase spiazzata: la donna davanti a lei... la conosceva... delle immagini le invasero la mente, sovrapponendosi, delle voci risuonarono nella sua testa...
- Chernaya Vdova... ( Vedova Nera... ) - sussurrò la ragazza. Poi il buio la inghiottì.

ANGOLO MALATA DI MENTE
Ed ecco il settimo capitolo!
Scusate per il ritardo, non ho avuto un secondo di tregua questa settimana! Ma per fortuna sono riuscita a ritagliarmi un po' di tempo ed eccomi qui!
Grazie a tutti coloro che leggono, seguono, preferisco e ricordano, e un ringraziamento speciale a Red_Amortentia per la sua recensione!
A presto
AllisonHermioneEverdeen

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Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Capitolo otto



- Forza, stendetela sul letto - . Sam e Steve posarono con delicatezza Faith sul materasso. Erano tornati all'hotel ( entrando dalla porta sul retro ) perchè avevano paura che casa di Esther non fosse più sicura.
Faith era svenuta ormai da un'ora, ma non dava segni di ripresa. Esther era seduta accanto al letto, preoccupata: non aveva staccato gli occhi dalla ragazza neanche un istante.
- Cosa ha detto prima di svenire? - chiese Steve a Natasha. Nat sospirò.
- Ha detto solo " Vedova Nera " ... No, Steve, non la conosco - precedette la domanda - Ma ho una strana sensazione... non so... la guardo e mi sembra familiare - . Sam li raggiunse: aveva controllato le condizioni di Faith.
- Ha una ferita da arma da fuoco sulla spalla destra, non so quanto sia grave, per saperne di più ci servirebbe un medico... e perde sangue dalla ferita sulla coscia, sembrerebbe una pugnalata - li informò.
- Non possiamo andare in ospedale, l'HYDRA la troverebbe subito! - disse Steve.
- Allora andiamo a New York... chiediamo aiuto alla dottoressa Cho - suggerì Natasha.
- E come la portiamo fino a New York? Dubito che abbia un passaporto - fece notare Sam.
- Posso procurargliene uno io - si intromise nella discussione Esther. I tre Avengers sobbalzarono: non si erano resi conto che la donna si era avvicinata.
- Mia figlia Sara... modificherò il suo passaporto e farò passare Faith per mia figlia - spiegò. I tre si guardarono: magari non era un piano eccellente, ma era l'unico che avevano.
- Ok, io ed Esther andremo a casa sua a recuperare il passaporto, Nat, tieni d'occhio la ragazza e cerca di farla riprendere, Sam, prenota il primo volo per New York - ordinò Steve. Senza esitazioni, tutti obbedirono.

Natasha dovette togliere la maglietta a Faith per controllare la spalla. Quando finalmente riuscì a sfilargliela, rimase paralizzata ad osservare le cicatrici che aveva quella ragazzina: ferite da arma da fuoco, tagli, pugnalate ( una era proprio accanto al cuore! ).. era uno spettacolo terribile. Cercando di scuotersi di dosso la sensazione di disagio e familiarità che le dava Faith, Natasha le controllò la ferita alla spalla: non era profonda, ma stava sanguinando. In bagno trovò delle garze, le prese e fasciò la spalla: forse non avrebbe fermato l'emorragia, ma almeno l'avrebbe rallentata. Le dovette sfilare anche i pantaloni per controllare la pugnalata alla coscia: non aveva un bell'aspetto, sanguinava ed i labbri erano grigiastri. Quando Nat le passò una pezza bagnata per disinfettarla, la ragazza gemette e fece un lieve movimento, come per allontanarsi, ma non era abbastanza in forze per riprendersi, perchè subito dopo tornò immobile. Natasha andò in bagno a prendere del disinfettante ( quello che usava sempre lei dopo le missioni più difficili ) e tornò da Faith.
- Questo brucierà... - sussurò a mò di scuse. Ma non aveva fatto in tempo a versarne neanche una goccia che la ragazza balzò a sedere per poi scendere dal letto, barcollante. - Gde oni? ( Dove sono? ) - chiese guardandosi intorno.
- Seyf ( Al sicuro ) - rispose cauta Natasha. Faith provò a raggiungere l'uscita, ma crollò a terra dopo due passi.
- Vy ne dolzhny pytat'sya slishkom sil'no ( Non devi sforzarti troppo ) - la raggiunse Nat.
- Zabot'tes' daleko! ( Stammi lontana! ) - esclamò Faith. Natasha si bloccò.
- Eto vam ne povredit ( Non voglio farti del male ) - disse. La ragazza la guardava diffidente.
- Ya druzhu s Esther, skoro ona pridet, i ya ne khochu, chtobi ty istekala krov'yu ( Sono amica di Esther, tra poco lei arriverà e non voglio che ti trovi dissanguata ) - affermò Natasha.
- Ty lzhesh', ty ubytsa, ty rabotayesh' na nikh! ( Stai mentendo, sei un'assassina, lavori per loro! ) - esclamò la ragazza ancora più diffidente. Natasha non sapeva cosa fare: Faith era debole, stava ancora sanguinando ma non accennava a calmarsi; se non si fosse fermata subito sarebbe morta dissuangata!
- Che succede? - chiese Sam entrando in sala. Nat lo avrebbe abbracciato!
- Non si fida di me, pensa che lavori per loro - riassunse.
- Ma non è vero! - esclamò Sam. Faith li guardava diffidente, ma anche Sam parve notare quanto fosse sfinita. - Senti - si rivolse a lei - Nat è a posto, sta con noi che, per inciso, siamo quelli che ti hanno salvata -.
- Lavorate con l'uomo con lo scudo? - chiese flebilmente la ragazza.
- Si, lavoriamo con Steve - annuì Sam. Faith ancora non si fidava, ma alla fine abbassò le difese: era davvero sfinita, dolorante e debole.
- Non capisco.. - sussurrò mentre la aiutavano a ristendersi sul letto. - Tu sei la Vedova Nera, ti ho vista in Siberia... lavoravi per loro -.
- Anche tu, se non mi sbaglio - la rimbeccò Natasha, che odiava pensare al suo passato. - E, per inciso, non mi ricordo di te, perciò non capisco come tu possa conoscermi -. Faith la guardò stupita.
- Non... non ti ricordi? Mi hai addestrata tu... almeno per i miei primi sette anni - disse. Natasha stava per ribattere che non era affatto vero, ma all'improvviso dei ricordi le invasero la mente: stava insegnando a ballare a un gruppo di bambine... piroetta... L'immagine sfocò...
- Un'altra volta! - ordinò alla bambina sanguinante. Questa si asciugò frettolosamente gli occhi lucidi, terrorizzata che potesse averli notati, e ripetè l'esercizio. L'immagine sfumò... - Piroetta a destra, inchino... - il gruppo di bambine la imitava. Ma di nuovo l'immagine cambiava... c'era solo una bambina, nella Stanza Rossa, esile e sanguinante, con i capelli mossi castani legati in una coda e gli occhi azzurri stanchi ma attenti.
- Natasha... Natasha! - la richiamò alla realtà una voce familiare: Steve. Doveva essere tornato con Esther.
- Dio, ci hai fatto prendere un infarto! - esclamò Sam. Nat si accorse di essere per terra. Era... svenuta??
- Ho la testa che mi scoppia... qualcuno ha un'aspirina? - gemette alzandosi. Si ricompose in fretta: non era da lei apparire debole.
- Spiacente, no - rispose Sam.
Esther intanto aveva raggiunto Faith. La ragazza era seduta sul letto e fissava Natasha con una strana espressione... Si scosse quando Esther la raggiunse.
- Ciao - sussurrò con un sorriso tirato. La signora la abbracciò.
- Non provare a scomparire un'altra volta! - esclamò. Faith si accorse di avere gli occhi lucidi, così si sbrigò ad asciugarli.
- Non vorrei interrompere il momento toccante, ma sarebbe il caso di partire: il nostro aereo prende il volo tra un'ora - li informò Sam. Esther e la ragazza annuirono: erano pronte a lasciare Chicago.

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Capitolo 10
*** Capitolo nove ***



Capitolo nove



Fingere di star benissimo quando in realtà le scoppiava la testa, il fianco le bruciava e aveva la nausea non era la cosa più semplice del mondo, ma stringendo i denti Faith riuscì a passare il check in e salire su quel maledetto aereo.
In aereo si disposero così: Faith tra Esther e Steve, Sam e Natasha davanti a loro. I primi dieci minuti li passarono a controllare chi saliva, e quando le porte si chiusero e il volo cominciò sospirarono di sollievo: niente HYDRA a bordo.
Faith passò il tragitto a sonnecchiare, anche se scattava in continuazione, o si svegliava per il dolore alla spalla o alla coscia ( o entrambe! ). Per ben due volte Faith e Natasha dovettero andare in bagno per risistemare la fasciatura. Esther era preoccupata: ogni attimo che passava la ragazza era sempre più pallida. Quando si accorgeva dello sguardo preoccupato della signora, Faith abbozzava un sorriso. - Sono stata peggio - affermava. Peccato che questo non rassicurava affatto Esther...

Finalmente arrivarono in America, all'aereoporto nel centro di New York. Recuperarano a fatica i bagagli in mezzo alla calca di gente, poi uscirono all'aria aperta. Faith era pallidissima e barcollava, ma continuava ad insistere di stare bene.
- Arriviamo da questa dottoressa e basta - diceva.
- Va bene... forza, è qui vicino - sospirò Natasha. La dottoressa Cho viveva a due isolati dalla Stark Tower, per arrivarci non ci misero molto. Per fortuna: Esther aveva dovuto sorreggere Faith nell'ultimo tratto.
Arrivati a destinazione ( un appartamento al secondo piano di un edificio ) Steve suonò. - Si? - chiese una voce delicata.
- Dottoressa Cho, sono io... mi servirebbe aiuto - rispose il Capitano. La porta d'ingressò suonò e il gruppetto entrò.

Per Faith le due rampe di scale che avevano dovuto fare erano state un inferno: ogni scalino la coscia le bruciava da morire, e non era più riuscita a nascondere il proprio dolore, finendo con il farsi trascinare da Esther e Natasha. Odiava essere un peso, ma le forze la stavano abbandonando.
La dottoressa Cho aprì subito, invitandoli ad entrare. Non fece domande: non c'era tempo. Ordinò di stendere Faith sul divano, correndo a prendere il necessario per curarla.
- Ehi... resta con noi, va bene? - sussurrò Esther alla ragazza. Faith si sforzò di rimanere sveglia: doveva riuscirci, doveva tenere gli occhi aperti... per Esther... ma le palpebre erano così pesanti... così pesanti... Il buio la inghiottì.

La dottoressa Cho si avvicinò alla ragazza svenuta armata di bende e disinfettante, ma appena provò a sfilarle la maglietta, Faith scattò e le schiaffò il braccio indietro. La dottoressa rimase immobile. Pareva che la ragazza fosse più pericolosa da svenuta che da sveglia.
- E' il suo istinto di protezione - affermò Natasha - dobbiamo tenerla ferma - . Ci vollero Steve, Sam e Natasha per riuscire a non farla muovere: era esile, ma cavolo se aveva forza! Quando la dottoressa le disinfettò la spalla Faith si dimenò, gemendo dal dolore.
- Non posso fare più delicatamente di così - disse a mò di scuse Cho. Esther annuì, anche se vedere la ragazza in quelle condizioni era terribile per lei.
Un'ora dopo, la dottoressa aveva ripulito, disinfettato e messo bende pulite sulle ferite di Faith, che ora dormiva sul divano, priva di forze ma salva.
Steve, Natasha e Sam andarono in cucina a spiegare alla dottoressa la situazione.
- Quindi quell'esile ragazzina era un'arma dell'HYDRA? - chiese flebilmente Cho.
- Si, siamo arrivati a lei troppo tardi, purtroppo l'organizzazione l'aveva già presa e ferita - spiegò Steve.
- Siete fortunati ad avermi trovata in casa, lavoro quasi a tempo pieno alla Stark Tower, ormai - confessò Cho. - Non dovreste informare anche il signor Stark della situazione? -
- Tony è impegnato nelle ristrutturazioni della Torre - tagliò corto Steve. Natasha sapeva il vero motivo per cui il Capitano preferiva non coinvolgere Stark, ma restò in silenzio.
- Ehi... si è svegliata - li interruppe Esther entrando in cucina. Il gruppo tornò in sala.
Faith era seduta sul divano, sudata ma già meno pallida di prima.
- Ti sei ripresa finalmente - la accolse la dottoressa.
- Sembra sia stato grazie a lei - sorrise flebilmente la ragazza. - Comunque - riprese rivolta ai suoi tre salvatori - Credo sia arrivato il momento delle spiegazioni: Esther mi ha detto che vi ha incontrati a Chicago e siete accorsi per salvarmi... ma cosa ci stavate facendo lì? - . Steve, Sam e Natasha si scambiarono uno sguardo: potevano fidarsi?
- Sapevamo che c'era una base dell'HYDRA, volevamo controllare se era ancora utilizzata o no - affermò Sam. Gli altri due si affrettarono ad annuire.
- Anche voi date la caccia all'HYDRA rimasta? - disse Faith.
- Cosa intendi con " anche " ? - chiese Natasha.
- Beh, se ne sta già occupando il Soldato d'Inverno - .

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci ***


Capitolo dieci



Un silenzio agghiacciante seguì l'affermazione della ragazza.
- Il... Soldato d'Inverno? - chiese Steve con voce roca - Ne sei assolutamente certa? -
- Si... - disse Faith, sorpresa per l'effetto che avevano avuto le sue parole. - E' lui che mi ha liberata... credo stia facendo il giro delle basi rimanenti dell'HYDRA -.
- Sai dov'è? - intervenne Natasha. Steve sembrava aver perso l'uso della parola.
- No... - rispose la ragazza. Il Capitano si sentì invadere da un vuoto enorme: per dieci secondi gloriosi aveva creduto di star per ritrovare Bucky, ma adesso tutta quella speranza entrata prepotentemente dentro di lui stava lasciando spazio ad una cocente delusione.
- Mi dispiace amico... - sospirò Sam. Lui si limitò ad annuire. Faith guardò Natasha, poi Steve, infine Sam.
- Se per voi è così importante... - esordì - Posso riuscire a trovarlo - . Steve alzò di scatto la testa, guardandola negli occhi: era sincera.
- Come? - chiese.
- Mi serve un atlante, una puntina da disegno ed una sua foto - affermò la ragazza raddrizzandosi. Sam e Steve si diressero subito a cercare l'occorrente con la dottoressa Cho.
- Sei sicura di riuscirci? - chiese Natasha - Sei quasi senza forze - fece notare. Faith annuì.
- Ce la posso fare - replicò guardandola negli occhi. E di nuovo, quella sensazione di familiarità colpì Natasha nel petto. Aveva un presentimento dentro di sè, mentre fissava quegli occhi azzurri... quegli occhi azzurri così simili a quelli di... Si paralizzò: non era possibile, lo sapeva bene... Non poteva essere...
- Ecco qua - tornarono Sam, Steve e la dottoressa. Faith afferrò l'atlante, apparentemente senza notare lo sguardo di Natasha, poi prese la foto: era una semplice fotografia in bianco e nero del Sergente Barnes, ma era così... diverso! Faith si ricordava del Soldato come di un assassino inarrestabile, una voce urlante dalla sala accanto alla sua cella, uno sguardo vuoto dietro il vetro della scatola criogenica... Ma quello che vedeva nella foto era un ragazzo sorridente, un ragazzo che aveva tutta la vita davanti, che affrontava ogni giorno con energia, pieno di speranza per il futuro... A Faith stringeva il cuore pensando cosa aveva riservato il futuro di quel ragazzo dal sorriso divertito.
- Era... era così? - chiese con un filo di voce. Steve annuì lievemente, cercando di non pensare a cosa quella ragazza aveva visto fare al suo migliore amico.
- Puoi trovarlo davvero? - chiese infine, non riuscendo a nascondere la speranza dalla sua voce. Faith annuì sicura.
Chiuse gli occhi, la puntina in mano e l'atlante sulle ginocchia. Lo aprì, cominciando a voltare le pagine; muoveva appena la testa, come se stesse cercando di scorgere qualcosa di lontano. Voltò un'altra pagina... un'altra ancora... D'improvviso abbassò la puntina da disegno, fissandola in un luogo.
- E' lì - affermò. Steve rimase a guardare il posto dove si trovava il suo migliore amico, un lieve sorriso sulle labbra: c'era davvero speranza per farlo tornare sè stesso! Prese l'atlante per mostrate la posizione di Bucky anche agli altri.
- E' a Brooklyn - affermò. " Sta tornando a casa... ".

Non sapeva perchè si trovava lì. Sarebbe dovuto essere a Chicago, o in Texas, a distruggere le basi rimanenti dell'HYDRA, a vendicarsi per ciò che gli avevano fatto... Ma un'istinto irresistibile lo aveva portato lì: a Brooklyn. Camminava per le strade, guardandosi intorno. A volte un flashback si sovrapponeva con la realtà: in quel viale aveva conquistato una ragazza mora... lì dietro c'era un bancone di frutta... in quel vicolo aveva aiutato lui, Steve, contro uno degli ennesimi bulli di quartiere; proprio non riusciva, quel gracile ragazzo, a starsene calmo!
- A volte penso che ti piaccia essere preso a botte! - - L'avevo messo alle corde! -

Si bloccò: cos'era? Un ricordo? Era accaduto lì...
- Sei stato assegnato? - - Sergente Barnes, 107 reggimento, parto domani per l'Inghilterra -...

Si ritrovò a sorridere, il che era strano: lui non sorrideva mai, le armi non sorridono!
Gli piaceva quella sensazione al petto, una sensazione di calma, sicurezza... Quel ragazzo gracilino, Steve... ricordarsi di lui lo faceva sentire a casa. Ancora con quella sensazione nel petto, svoltò l'angolo, ignorando che poco lontano, nel centro di New York una ragazza molto speciale lo aveva trovato. Ignorando che di lì a poche ore sarebbe cambiato tutto...

ANGOLO MALATA DI MENTE Lo so, è un po' corto come capitolo... ma potete perdonarmi dato che ho inserito Bucky? ( Fa gli occhioni )
Il fatidico momento sta per arrivare, presto Steve e Bucky si rincontreranno, e a poco a poco i misteri che legano la figura di Faith verranno svelati! Intanto accetto teorie e ipotesi!
Grazie a mangamylove per la sua recensione, mi ha fatto davvero piacere! Spero che questo piccolo inserto finale ti sia piaciuto!
Grazie a chi segue, preferisce o ricorda, o anche solo a chi legge ( siete sempre più numerosi! Non sapete quanto sono felice che questo mio delirio vi piaccia! )
A presto con l'undicesimo capitolo ( che giuro, sarà più lungo! )
AllisonHermioneEverdeen
P.S. Il potere di localizzazione e come funziona l'ho palesemente copiato da Heroes ( Molly ), si addiceva perfettamente a ciò che avevo in mente

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Capitolo 12
*** Capitolo undici ***


Capitolo undici



- Dobbiamo prepararci.. Nat, le armi, Sam, le ali... il mio scudo... - cominciò ad organizzarzi Steve. Natasha e Sam rimasero un attimo spiazzati dalla tempestività degli ordini di Steve, ma si ripresero in fretta.
- Non credo che arrivare da lui in tre armati fino ai denti sia una buona idea - intervenne Faith. Steve si bloccò: aveva ragione la ragazza, Bucky era già spaventato e confuso, non potevano precipitarsi da lui e peggiorare la situazione, rischiava di perderlo per sempre!
- Fermi - ordinò quindi - Andrò da solo -. Nat e Sam si voltarono a guardarlo.
- Assolutamente no - replicò Natasha.
- Non ti lascio da solo a vedertela con il Soldato d'Inverno - affermò Sam. Steve sospirò.
- Sentite, capisco che vogliate aiutarmi, e vi sono grato per questo, ma devo vedermela da solo con Bucky: è solo, confuso e spaventato, in fuga e con i nervi tesi, non riuscirò mai a parlarci se ci vede arrivare in tre, armati fino ai denti! - spiegò. Nat sbuffò: quel testone aveva ragione, purtroppo.
- Ad una condizione - disse - Se succede qualsiasi guaio, dall'HYDRA che irrompe a Barnes che perde il controllo, ci chiami -. Per un attimo il Capitano e la Vedova Nera si guardarono negli occhi, poi lui annuì.
- Buona fortuna - gli augurò Faith. Nel breve attimo in cui aveva individuato Barnes, aveva sfiorato la sua anima, i suoi pensieri, e per quanto aveva avuto modo di capire, non era affatto messo bene. Steve si limitò ad annuire, poi si mise lo scudo in spalla ed uscì dall'appartamento della dottoressa Cho.

Brooklyn era grande, certo, ma Steve sapeva esattamente dove andare: se aveva ragione ( ed il suo cuore gonfio di speranza urlava di si ) Bucky stava andando a casa. E se stava tornando a casa voleva dire che piano piano stava recuperando sè stesso... e se stava recuperando sè stesso... "Stop, fermo. Ancora non sei sicuro di niente, non riempirti di illusioni per poi rimanere distrutto dalla delusione. Respira, e pensa lucidatemente: sei ancora all'inizio. Primo passo: trovarlo. "
Girò l'angolo e attraversò la strada. Si bloccò un attimo, regolando il respiro ( e soffocando la speranza ), poi salì i gradini e percorse il corridoio verso la porta di casa. Si bloccò davanti alla maniglia come un'idiota. "E se non fosse qui? Se mi fossi sbagliato? " Si ritrovò a pensare. Fece un respiro profondo, abbassò la maniglia e aprì la porta.
L'interno era più polverso e buio di quanto si ricodava, ma per il resto era uguale: il divano, la cucina, il corridoio con i quadri, le due camere da letto... Un momento... quello era un rumore! Proveniva dalla cucina...
Lentamente, senza emettere suono ( a parte il cuore martellante da far male ) Steve si diresse in cucina. Gettò uno sguardo al suo interno e si paralizzò, incapace di respirare: era lì... Bucky era di fronte a lui.

Faith continuava a muovere nervosamente ora le dita, ora la gamba, ora le braccia...
- Faith, per favore calmati - le disse Esther, notando gli sguardi sempre più seccati di Natasha e Sam. Gli Avengers nervosi non erano buona cosa, proprio no!
La ragazza sospirò.
- Scusate... è che sono in pensiero... -. Natasha annuì.
- E' stata una pessima idea mandarlo da solo - affermò. - Lo conoscete, non ci chiamerà mai in caso di pericolo! - .
- Perde la testa quando si parla di Barnes - concordò con un sospiro Sam.
- Ehm.. vi preparo un bel caffè - affermò la dottoressa Cho, uscendo dalla sala. Sarebbe stata una lunga attesa...

- Bucky? - sussurrò Steve cauto. Sapeva che quello che aveva davanti poteva ancora essere il Soldato d'Inverno, e voleve evitare uno scontro all'ultimo sangue. James rimase immobile.
- Buck? - tentò ancora Steve, facendo un lento passo avanti. Vide lo sforzò di Bucky di non indietreggiare.
- Steve... - sussurrò finalmente. Il Capitano si rilassò leggermente mentre il suo cuore esultava: si ricordava! Si ricordava di lui!
- Buck... posso aiutarti... - azzardò ad un altro passo avanti. James strinse il pugno del braccio di metallo, ma rimase immobile: era teso, non era abituato a stare vicino alle persone, a meno che non fossero torturatori od obiettivi, ovviamente.
- No... Steve... - sussurrò. Il cuore del Capitano si riempì di piombo.
- Ti aiuterò a ricordare, ti aiuterò a tornare te stesso... ti aiuterò a sconfiggere l'HYDRA - affermò, mantenendo sempre un tono di voce basso e pacato. Meglio non rischiare scatti. Bucky scosse la testa, cercando le parole giuste.
- Loro.. loro mi cercando, non posso... - disse. A questo punto, contro ogni logica, Steve si ritrovò a sorridere: si preoccupava. C'era davvero speranza!
- Non ti abbandonerò contro di loro Buck - affermò. James sollevò lo sguardo, guardandolo negli occhi: dentro di lui stava avendo luogo una lacerante battaglia. Desiderava seguire Steve, abbandonarsi alla sua amicizia, accettare di combattere insieme.. ma era pericoloso: non sapeva quando sarebbe potuto comparire di nuovo il Soldato d'Inverno... non poteva permettersi di colpire e ferire Steve. Non di nuovo: lo aveva già ferito abbastanza.
- Ti seguirò ovunque tu vada, Buck, non ti abbandono - aggiunse in quel momento il Capitano, intuendo cosa stava provando il suo migliore amico. Bucky stava per cedere, non ne poteva più di portare tutto quel dolore e quella confusione da solo... ma all'improssivo qualcosa ruppe la finestra dietro di lui: una granata. L'HYDRA era arrivata.

ANGOLO MALATA DI MENTE
Si, sono consapevole che mi state odiando profondamente. Scusate per l'ennesimo finale a sorpesa, spero che il resto del capitolo basti a farmi perdonare!
Cosa ve ne pare? Sono riuscita a gestire Bucky? ( Terrore terrore terrore )
Grazie a LollyCery13 per la recensione ( mi hai scaldato il cuore! ). Spero sarai soddisfatta di questo capitolo!
Grazie a color che seguono, preferiscono o ricordano.
Grazie anche ai semplici lettori " nell'ombra ". Spero che la storia non vi stia deludendo!
A presto con il prossimo capitolo!
AllisonHermioneEverdeen
P.S. Mi scuso per l'enorme ritardo, ma dopo il terremoto ( che anche se non ho sentito mi ha tipo terrorizzata! ) l'ispirazione era andata in vacanza!

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Capitolo 13
*** Capitolo dodici ***


Capitolo dodici



- Basta, è via da due ore... vado a vedere se è successo qualcosa - affermò Natasha balzando a sedere. Steve non dava due notizie da troppo tempo ormai, il suo radar da spia russa stava urlando a squarciagola che si trovava nei guai.
- Hai ragione, è stato stupido lasciarlo andare da solo - le diede man forte Sam. Faith parve non ascoltarli: aveva gli occhi chiusi, le palpebre contratte e le labbra strette. Esther le si avvicinò preoccupata.
- Ehi Faith... tutto bene? - chiese. La ragazza non rispose. Esther provò a scuoterla, ma al quel punto la mano esile la bloccò e Faith spalancò i suoi occhi azzurri.
- L'HYDRA... è qui a New York, ci ha trovati! - esclamò, un lampo di panico attraversò il suo sguardo. La dottoressa Cho lasciò cadere a terra le tazzine vuote che stava riportando in cucina.
- L'HYDRA? - chiese con voce flebile.
- Dobbiamo andare da Steve... ehi sensitiva - disse Sam - Sai anche dirci se cercano te o il Soldato d'Inverno? -.
- Di certo entrambi, ma in questo momento quello in pericolo è Barnes - affermò la ragazza - Sono a Brooklyn - . Senza che dovesse essere aggiunto altro, i due Avengers afferrarono le loro armi e si precipitarono fuori dall'appartamento di Cho. Esther e la dottoressa si girarono a guardare Faith, che era di nuovo concentrata: probabilmente cercava di controllare la situazione di Steve. Non sapevano come faccesse a sapere che l'HYDRA si trovava a Brooklyn: l'Atlante era chiuso e non la ragazza non aveva fatto di nuovo il trucchetto di localizzazione. Ma non era il momento delle domande: Steve e Barnes erano nei guai.

Steve gettò sulla granata il suo scudo, dando il tempo a Bucky di togliersi dalla linea di tiro delle finestre.
- Fuori di qui! - ordinò il Capitano, e i due corsero nel corridoio, ma l'HYDRA era già entrata nell'appartamento. La voglia di spezzare le fragili ossa degli agenti una ad una invase Steve: già era furioso con loro per ciò che avevano fatto a Bucky, e adesso irrompevano in casa sua, l'unico luogo che era rimasto come lo conosceva, l'unico angolo del 1945 che gli era rimasto. No, decisamente il Capitano non ci sarebbe andato piano con loro!
Bucky era già tornato il Soldato d'Inverno: mente vuota e fredda, posizione d'attacco e sguardo concentrato. Ma c'era qualcosa di strano questa volta... Mentre combatteva, avvertì una presenza nella sua testa, una presenza che lo teneva concentrato e lo aiutava, riempendolo di energia. Una presenza quasi... familiare.
- Sono troppi, dobbiamo uscire di qui! - affermò Steve atterrando dieci agenti con lo scudo. Ma per ogni agente sconfitto, altri due arrivavano.
- Uscita sul retro? - chiese Bucky.
- Adesso! - ordinò il Capitano, e i due corsero nel corridoio e spalancarono la porta sul retro, richiudendola dietro di loro. Ma avevano fatto male i conti: l'HYDRA aveva circondato tutto l'edificio, di fronte a loro c'erano almeno un centinaio di agenti. Erano in trappola.

Probabilmente sarebbero stati sconfitti ( con molto sudore e fatica da parte del nemico e vendendo cara la pelle, certo, ma pur sempre sconfitti ) se non fossero arrivati Natasha e Sam. Steve non si era reso conto che un agente gli stava per sparare alle spalle, e Bucky era occupato con cinque agenti, ma prima che potesse premere il grilletto, l'uomo cadde a terra, tramortito. Dietro di lui comparve la Vedova Nera. - Grazie Nat - sospirò di sollievo Steve.
- Ma ti pare - replicò lei prima di riprendere il combattimento.
Sam scese in pacchiata con le sue ali per dare man forte a Bucky, ma tutto quello che ottenne fu un'occhiata diffidente.
- Di nulla! - esclamò ironico Falcon riprendendo il volo.

Faith non rispondeva ai richiami, era immobile su quel divano da ore, Esther e Cho cominciavano ad essere preoccupate. Con un brivido, Esther si accorse di un rivolo di sangue che stava cominciando ad uscire dal naso della ragazza: qualcunque cosa stesse facendo, la signora si augurò che finisse presto.

Bucky sentiva la presenza dentro di lui sempre più spossata, e di conseguenza anche lui cominicava a perdere colpi: erano un paio d'ore che stavano combattendo, quegli agenti sembravano non finire mai!
- Per di quà Capitano! - esclamò ad un certo punto Falcon: era riuscito a liberare la via alla loro destra. Senza indugi, i tre Avengers seguiti dal Soldato d'Inverno corsero a destra e, appena superato l'angolo, aprirono la porta di un magazzino abbandonato accanto a loro e si riversarono all'interno. Trattenero il fiato ascoltando gli scalpicci degli agenti passare accanto a loro... e superarli. Sospirarono di sollievo, spossati e feriti. Bucky sentì la presenza lasciare la sua mente e dovette appoggiarsi alla parete per evitare di crollare. Fece dei respiri profondi, ricacciando la stanchezza ed il dolore in un angolo irraggiungibile dentro di sè, come gli era stato insegnato in Siberia.

Nel centro di New York, seduta sul divano dell'appartamento della dottoressa Cho, Faoth riaprì gli occhi, spossata.
- Sono salvi - .

ANGOLO MALATA DI MENTE
Chi non muore si rivede! Scusate per l'immenso ritardo, tra lo studio e le altre storie sono riuscita a ritoccare questo capitolo solo adesso, e ve lo posto subito, sperando che basti a farmi perdonare!
Grazie infinite a tutti coloro che seguono, ricordano e preferiscono. Un grazie speciale anche a voi, lettori silenziosi, sempre che non siate svaniti per il mio ritardo!

Grazie di cuore a LollyCery13 per la recensione: sono un mostro ad aver aggiornato solo adesso, scusa scusa scusa! Grazie mille per i complimenti, sono così contenta che ti piaccia la storia! E spero che non sei svanita per il mio ritardo colossale... di nuovo scusa! Per quanto riguarda Esther: è un personaggio di mia invenzione, così come Faith.
Grazie di nuovo per la recensione e scusa ( ancora! ) per l'immenso ritardo.
A presto! ( Ce la metterò tutta, giuro! )
AllisonHermioneEverdeen

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Capitolo 14
*** Capitolo tredici ***


Capitolo tredici



Quando Steve, Natasha, Sam e Bucky entrarono nell'appartamento della dottoressa Cho, la scena che si presentò davanti a loro fu Faith appoggiata sullo schienale del divano, spossata, che perdeva sangue dal naso; Esther che tendeva una camomilla alla ragazza e la dottoressa che stava seduta sulla poltrona accanto al divano, ansiosa. Tutte e tre si voltarono verso il gruppo che era appena entrato.
- Vi siete date da fare - sussurrò Natasha lasciandosi cadere accanto a Faith. Sam si tolse le ali e le posò accanto al tavolino, di fronte alla poltrona, stiracchiandosi. Steve posò lo scudo voltandosi verso Bucky, che si guardava attorno disorientato.
- Buck..? - lo chiamò esitante. Il Soldato d'Inverno si voltò verso di lui pieno di aspettativa... sembrava attendere un suo ordine, come se non potesse decidere di riposarsi finchè il Capitano non gliel'avesse ordinato.
- Hai bisogno di... riposarti? - chiese la dottoressa Cho esitante. Non sapeva bene come comportarsi con Barnes.
- Io... credo di si - rispose titubante questo.
- Prima fatti medicare: stai sanguinando - gli fece notare Faith. Bucky alzò lo sguardo sulla ragazza lentamente. Quando incrociò quegli occhi azzurri rimase paralizzato: lui la conosceva! Lei era...
Sgranò gli occhi, poi spostò lo sguardo su Natasha, incredulo. La Vedova Nera capì che anche lui se ne ricordava. Capì che anche lui era divorato dal dubbio...
- Ha ragione - la voce di Sam fece sobbalzare i due. Falcon si schiarì la voce. - Intendo la ragazzina... ha ragione, sanguini - e indicò il braccio vero di Barnes.
- Bucky... siediti sulla poltrona, adesso ti medichiamo - disse Steve. Il Soldato ubbidì subito. La dottoressa Cho recuperò la cassetta del pronto soccorso e prese le bende, l'acqua ossigenata e il disinfettante. Sperava solo di non dover tirare fuori anche ago e filo. Steve intanto stava tagliando ciò che restava della manica di Bucky scoprendo la ferita: era piuttosto profonda, la dottoressa capì che le sue preghiere erano state vane.
- Prendo ago e filo - sospirò correndo in bagno. Quando tornò vide che Barnes e Natasha si stavano scambiando di nuovo degli sguardi di domanda e stupore. Anche Steve lo notò, ma fece finta di nulla: per il momento doveva occuparsi della ferita di Bucky, poi avrebbe pensato ai segreti dei suoi due amici.
Cho pulì la ferita e la disinfettò, poi si mise a ricucirla più delicatamente possibile. Il Soldato d'Inverno non gemette mai per il dolore, stette immobile ad aspettare. Steve si chiese quanto il suo migliore amico avesse sofferto in tutti quegli anni, e nel pensarlo gli salì una grande voglia di trovare quelli che l'avevano ridotto così e ucciderli uno ad uno...

La sera la dottoressa preparò una cena per tutti: pasta in bianco e carne con patate. Aveva comprato tutto il pomeriggio, dopo aver medicato Barnes.
Fu una cena stranissima: metà degli Avengers, due assassini sfruttati dall'HYDRA, una civile e una dottoressa seduti allo stesso tavolo, mangiando pasta e carne e cercando di tirar fuori una conversazione sensata.
- Scusa per il disturbo Cho... domani cercherò un'altra sistemazione per tutti, così non dovremo più invadere casa tua - disse Steve.
- Figurati... mi fa piacere aiutarvi - replicò con un sorriso la dottoressa. E il dialogo di bloccò. Faith era ancora troppo debole per cercare di conversare, Sam e Natasha a volte provavano a dire qualcosa, del tipo: " Pasta deliziosa, cucini benissimo ", oppure " Dove hai preso questa carne? E' ottima ". Ma ogni tentativo cadeva a vuoto. Bucky sembrava essere troppo stupito di star mangiando del cibo vero a tavola per conversare. E comunque Steve dubitava che instaurare un dialgo decente fosse tra le mansioni del Soldato d'Inverno.
Finalmente la cena imbarazzante giunse a termine e il gruppo mal assortito si alzò da tavola, sparecchiò e poi fu il turno delle docce. Per prima andò Esther.
Mentre la dottoressa Cho sistemava la cucina, Steve fece cenno a Natasha di seguirlo in una stanza vuota ( quella da letto della dottoressa ).
- Ok, sputa il rospo - andò dritto al punto. La donna rimase a guardarlo senza capire.
- Non fare quella faccia Nat, ho visto gli scambi di sguardi con Bucky... Cosa mi state nascondendo? - insistè il Capitano. Natasha sospirò: non era affatto pronta ad affrontare quel discorso.
- E'... complicato - disse - Voglio che anche James sia d'accordo sul raccontarti tutto -. Steve era confuso: cosa c'era di così importante che Nat e Bucky avevano in comune? Perchè lei l'aveva appena chiamato " James "?
Per saperlo doveva aspettare ancora un po': in quel momento Bucky era troppo instabile per chiedergli di parlare del suo passato, prima Steve voleva che si riprendesse. Prima di tutto, il suo migliore amico doveva stare bene, poi avrebbe affrontato il resto.

- Grazie -. Un sussurro bloccò Bucky nel corridoio. Si guardò intorno e individuò subito chi aveva parlato: Faith. La ragazza era sulla soglia della stanza degli ospiti. Non aveva un bell'aspetto, tra le occhiaie e la pelle pallida e tirata, ma si reggeva in piedi.
- Grazie - ripetè - Mi hai salvata quella notte... sei mesi fa, in Siberia -. Bucky annuì: si ricordava di quella notte, anche se sei mesi prima era ancora molto confuso. Ricordava la base sotterranea, il corridoio, la battaglia contro i medici ( quegli scienziati bastardi... ), e infine le prigioni. E lei: Faith, una ragazzina dagli occhi vuoti e privi di speranza raggomitolata in fondo alla sua cella. Lui aveva fracassato le sbarre contro il muro e l'aveva liberata.
- Era la cosa giusta da fare - rispose. Faith gli sorrise.
- Quella notte non hai salvato solo la mai vita: mi hai restituito la speranza - disse. Bucky annuì: si trovava in difficoltà, non era bravo a trattare con i sentimenti. O, se lo era stato, non se lo ricordava: come ci si comportava con le persone che non erano obiettivi? Con le persone che non doveva uccidere?
Faith parve capire perchè gli fece un ultimo sorriso e se ne tornò in camera. Avrebbe avuto il tempo di aiutarlo a tornare sè stesso: lui aveva salvato lei, adesso era il suo turno.

ANGOLO MALATA DI MENTE
Yu-uh? C'è ancora qualcuno qui?
* Si guarda intorno nella stanza vuota *
Lo so, ritardo è un eufemismo.
Mi dispiace...
Lo ammetto: ho avuto un blocco. Ho perso l'ispirazione e ho preferito aspettare per scrivere: meglio aspettare e scrivere un bel capitolo che dover aggiornare per forza e rovinare la storia, no?
O almeno, è così che la vedo io.
Spero solo che il capitolo vi piaccia e mi faccia perdonare... Purtroppo non so quando riuscirò ad aggiornare di nuovo, ma vi prometto che ce la metterò tutta per pubblicare almeno un altro capitolo entro la fine della settimana.
Se siete ancora qui, grazie davvero. E un grazie speciale a LollyCeri13 per la sua recensione; mi dispiace moltissimo per quanto hai dovuto aspettare per un aggiornamento, da lettrice so quanto è terribile!
A presto
AllisonHermioneEverdeen

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordici ***


Capitolo quattordici



Correva. Correva come non aveva mai corso in vita sua. I capelli erano zuppi di pioggia, la spalla ferita da una pallottola bruciava, i polmoni sembravano andare a fuoco e aveva il fiato corto. Girò a destra inoltrandosi in un vicolo secondario immerso nel buio. Lucidamente non si sarebbe mai addentrata lì, ma non era lucida: era ferita, sfinita dalle ore di fuga e messa alle strette dai suoi tre inseguitori. Avevano smesso di spararle dopo averla ferita, era ovvio che non avevano il permesso di ucciderla, ma ciò significava solo che volevano riportarla in Siberia, e Faith sarebbe morta piuttosto che tornare lì ad uccidere per loro.
La strada si rivelò essere un vicolo cieco. Faith si bloccò a pochi metri dal muro, ansante e stordita per la ferita. Si sarebbe messa a prendere a pugni il muro per la frustrazione, ma doveva rimanere più lucida possibile. Si voltò appena in tempo per vedere i tre inseguitori raggiungerla e puntarle addosso le armi.
- My vse znayem, chto vy ne mozhete strelyat'v menya ( Sappiamo tutti e quattro che non potete spararmi), - disse, cercando di mostrarsi meno debole di quanto non fosse.
- Eto ne ostanovit nas (Questo non ci fermerà), - ghignò uno dei tre. Rinfoderò la pistola e le sorrise sadicamente. Faith si ricordava di lui: era quello che la sottoponeva a scariche elettriche quando si rifiutava di obbedire a Papa.
- Davayte posmotrim, naskol'ko vy smertel'ny... ( Vediamo quanto sei letale...) - disse poi. Faith riuscì ad indietreggiare evitando il primo colpo, poi scattò: con un calcio ruotato colpì le gambe del nemico alla sua destra, buttandolo a terra, schivò un pugno da quello centrale, rotolò per terra recuperando la pistola di quello atterrato e si voltò di scatto, sparando a quello centrale, che cadde a terra, morto. Il terzo nemico, però, la disarmò con un gesto fulmineo e le attorcigliò le braccia attorno al collo. Faith si portò le gambe al petto, poi si gettò a terra con tutta la sua forza, trascinandosi dietro l'inseguitore e liberandosi dalla sua presa. Scattò all'indietro e tirò fuori il coltellino dalla tasca: non se ne separava mai. Schivò un pugno allo sterno, con una ribaltata si spostò dietro al nemico e gli tagliò la gola. L'uomo si portò le mani al collo, con gli occhi strabuzzati per la sorpresa, poi crollò a terra in una pozza di sangue. Faith si voltò... e la canna di una pistola la colpì in fronte. La ragazza sentì un dolore lancinante, ma scattò all'indietro per evitare di essere colpita di nuovo. Aveva la vista sfuocata per le lacrime e barcollava leggermente. Stringe il coltello insanguinato nella mano destra, asciugandosi frettolosamente gli occhi. Il terzo nemico le puntava una pistola alla testa.
- Yesli ty ub'yesh'menya, oni ub'yut tebya (Se mi uccidi, loro uccideranno te), - affermò Faith. L'uomo abbassò la pistola: sapevano entrambi che era vero. Un attimo dopo, la mano che prima aveva la pistola stringeva un coltello. L'uomo tentò un affondo fulmineo, e solo grazie agli anni di addestramento brutale Faith riuscì a schivarlo. La ragazza scattò e conficcò il proprio coltellino nel braccio dell'uomo, che gridò di dolore. Faith approfittò del momento di debolezza per disarmarlo, poi roteò il coltello e glielo conficcò nel petto fino all'elsa. L'uomo gemette, poi crollò a terra, unendosi ai suoi compagni.
Faith barcollò all'indietro, poggiò la schiena al muro e si lasciò scivolare a terra. La pioggia sferzante la faceva rabbrividire, ma la ragazza sembrava assente. Fissava i tre cadaveri con espressione vacua. Non riusciva a sentirsi in colpa: erano assassini, avevano ucciso un mucchio di persone per un ideale marcio. Ma il non sentire assolutamente niente di fronte a quei corpi vuoti la stava terrorizzando: dopo le missioni si sentiva sempre in colpa, anche se all'inizio non riusciva a capire perchè. Era stato solo dopo che aveva dovuto uccidere un bambino -
un bambino!!-che aveva capito che ciò che stava facendo era mostruoso. Quella notte aveva pianto.
Invece adesso davanti a quei tre cadaveri non sentiva niente.
Rimase lì per un tempo inedifinito; ore, giorni... o forse solo pochi secondi. Smise di piovere quando si rialzò e cominciò a zoppicare per andarsene... Ma si fermò a metà strada. Voleva lasciare un messaggio per i suoi inseguitori. Voleva che capissero che non scherzava, che dovevano lasciarla in pace, che non sarebbe tornata mai più... Tornò indietro e si inginocchiò accanto ai cadaveri.
Mezz'ora dopo stava zoppicando via, le mani spoche di sangue, la spalla ferita, i muscoli doloranti e i capelli zuppi; ma si sentiva meglio.
Dietro di lei, scritto a caratteri cubitali con il sangue dei suoi nemici, sul muro del vicolo cieco c'era scritto:
CHI MI SEGUIRA' FARA' LA LORO STESSA FINE

Faith si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno: non riconoscendo niente, balzò fuori dal letto, presa dal panico. Nel farlò, urtò la lampada del comodino, che cadde per terra con un tonfo sordo. Mentre il cuore smetteva lentamente di martellarle nel petto, la ragazza cominciò a ricordare gli ultimi avvenimenti: Chicago, gli Avengers, l'HYDRA, il Soldato d'Inverno...
"Sono a New York" si disse. "Sono al sicuro con persone di cui posso fidarmi" . Aveva bisogno di ricordarselo ogni tanto.
La porta si aprì facendola sobbalzare, e ci mancò poco che non saltasse addosso a chi stava entrando. Riuscì a calmarsi appena in tempo: era la Vedova Nera.
- Buongiorno, - disse con un sorriso entrando.
- Buongiorno, - biascicò Faith. Natasha andò alla finestra, aprì la persiana e i vetri. La luce si riversò nella camera degli ospiti che la dottoressa Cho aveva concesso a Faith. La ragazza si sedette sul letto con un sospiro.
- Brutti sogni? - le chiese con delicatezza Natasha.
- Più che altro ricordo, - sussurrò Faith. Sentiva che la Vedova Nera era una delle poche che poteva capirla davvero: anche lei aveva ucciso per l'HYDRA, e anche lei ne era uscita. Però sembrava sempre così controllata... così... normale!
- Come fai? - sbottò allora Faith. Natasha si sedette accanto a lei sul letto.
- A fare cosa? - chiese.
- A dormire bene, a sorridere, a scherzare... - cominciò ad elencare la ragazza. Nat le sorrise.
- Anni di allenamento, - disse. - Ma non farti ingannare: il fatto che non mostri in giro le mie ferite non vuol dire che sono sana -.
- Allora non cambierà mai? - chiese Faith con un filo di voce. - Gli incubi, l'istinto di uccidere nelle situazioni di pericolo, la vigilanza costante... -
- Non cambierà, - affermò Nat. - Ma ciò non vuol dire che farà sempre così male: non è dimenticando il passato che il futuro si fa più chiaro. Accetta chi sei stata, e sii migliore. Un giorno ti svegliarai, e ti renderai conto che tutte quelle cose terribili, tutte quelle cose atroci che hai compiuto e subito, sono solo un ricordo -.
- Allora devo solo aspettare di essere una vecchietta incancrenita! - esclamò Faith.
- Visto? - le sorrise Nat. - Stai scherzando: è un miglioramento -. Faith le restituì il sorriso.
Bussarono alla porta: era Esther.
- Scusate se interrompo, - disse. - Ma la colazione è a tavola -.

In cucina c'erano solo Sam e la dottoressa Cho ad aspettarli. Sul tavolo rettangolare c'erano cereali, biscotti, un po' di latte e pane tostato. Faith si sedette accanto ad Esther e si versò subito del latte.
- Dove sono Steve e James? - chiese Natasha sedendosi accanto a Sam. James... pensò Faith. Non Soldato d'Inverno, e neanche Bucky, ma James. Nessuno lo chiamava mai così... A meno che non lo conoscesse da tempo. .
- Stanno nella seconda stanza degli ospiti, pare che Barnes abbia avuto incubi stanotte, - rispose con una scrollata di spalle Sam. Faith abbassò lo sguardo sul latte e prese una manciata di cereali dalla busta di fronte a lei. Non aveva nessuna voglia di tornare a pensare agli incubi.
- Quali sono i nostri programmi? - chiese invece.
- Tenervi al sicuro, - rispose subito Esther. Faith le sorrise, ma era un sorriso triste.
- L'HYDRA sa che siamo qui, non ci metteranno molto a trovarci, - spiegò.
- Allora ci trasferiremo, - affermò piccata Esther. - Se sarà necessario gireremo il mondo per il resto della nostra vita -.
- Vorrei fosse così semplice, ma una vita in fuga non è una vita, fidati. E poi, l'HYDRA non avrà pace finchè io e il Soldato d'Inverno non saremo di nuovo nelle loro mani - sospirò la ragazza.
- Potremmo rivolgerci alle autorità, - propose la dottoressa Cho.
- Lo SHIELD non esiste più, e per il resto del mondo Barnes e Faith sono degli assassini, - scosse la testa Sam.
- Allora non ci resta che fare una cosa, - prese parola Natasha. Era rimasta in silenzio fino ad allora, forse aspettando di poter sganciare la bomba. Tutti si voltarono a guardarla.
- Cioè? - chiese Esther. Natasha guardò i presenti con decisione.
- Riunire gli Avengers -.

ANGOLO MALATA DI MENTE
So che volete uccidermi, e avete tutte le ragioni per volerlo. Se mi conosceste bene, però, sapreste che io non abbandono mai le mie storie. A parte qualcuna dei miei esordi, e solo perchè mi si è rotto il computer e sono andate perse, io non lascio storie senza conclusione. Certo, ci metto qualche millennio a finirle, passando da periodi di aggiornamenti assiduti a periodi in cui neanche apro efp, o in cui sforno qualche nuova storia con cui dannarmi ancora di più, ma ci tengo troppo ai miei personaggi per lasciarli in balìa di una storia incoclusa.
Spero di avervi rassicurato almeno un po'! E magari che mi lascerete vivere, convinti dal mio buon animo... (Credici, credici... )
Allora, spero che il capitolo vi sia piaciuto, volevo un ritorno di fiamma!, e la scena iniziale mi è balzata in testa senza possibilità che la lasciassi ammuffire nel mio cervello fuso dalle troppe idee (e dalle cose da studiare, sopratutto!)
Grazie di cuore a chi ha ancora il coraggio di leggerla, a chi segue, preferisce o ricorda. Non mi sono dimenticata di Faith, e neanche di voi!
Spero di riuscire ad aggiornare entro il prossimo millennio...
Grazie ancora a tutti voi
AllisonHermioneEverdeen

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