If this is love, then love is easy

di darkrin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** If this is love, then love is easy ***
Capitolo 2: *** Di pelapatate ed altre scoperte ***
Capitolo 3: *** Felicity Darhk!AU ***



Capitolo 1
*** If this is love, then love is easy ***


Note: - Olicity con accenni di Ray/Felicity e Sara/Oliver because of canon and canon makes me cry.
- Il titolo è composto da due versi della canzone "Love is easy" dei McFly.
- Oh, look, sono tornate le parentesi! E anche le strutture complicate ed intrecciate. Allora, per chiarezza: La storia è divisa in sei parti, a loro volta divise in una parte senza parentesi e una tra parentesi. Quella tra parentesi in queste cinque riporta quello che accade nel primo-secondo appuntamento di Oliver e Felicity che è ambientato DOPO tutto il resto della storia. Il cerchio si chiude nella sesta parte.
A metà della sesta parte ci sono delle parentesi che, invece, richiamano a quello che accade nella prima parte della storia.
(Note riscritte because of chiarezza.)
- NO BETA perché faccio biscotti (?) e quindi segnalatemi qualsiasi errore/svista.
- Per ora la storia è completa, ma non è detto che io non decida di trasformarla in una raccolta di 5 + 1 perché ho un debole per le storie con questa struttura e ho anche un mezzo plot. 




 

 
If this is love, then love is easy
 
 
 
1
 
Quando Felicity ha diciassette anni, per una settimana non rivolge una parola a sua madre.
Inizia tutto con una discussione su un qualche argomento, che Felicity non ricorda più, e ben presto si ritrovano a gridarsi addosso altro – dall’università all’affitto, dai vestiti troppo corti di Donna ai suoi straordinari e a quei cereali che Felicity adora quasi quanto i suoi computer. A metà di una qualche parentesi, Felicity serra di scatto le labbra, tanto rapidamente da far cozzare i denti l’uno contro l’altro e da farsi incastrare metà di una parola contro il palato.
- Non capi… -
Silenzio, improvviso.
Donna la guarda e Felicity serra ancora di più la mascella.
Rimane in silenzio per sette giorni, fino a quando, una domenica mattina, non sbatte un piede contro lo spigolo della porta – a cui chiaramente stava antipatica - ed esala uno strozzato: Ahi!, e anche quello lo mormora pianissimo per tentare di non disturbare il suo voto di silenzio.
Una Felicity diciassettenne pensa che sia più facile rimanere in silenzio piuttosto che tentare di spiegare a sua madre perché Las Vegas non sia abbastanza per lei, perché voglia altro e perché tutti i sacrifici fatti da sua madre non siano mai abbastanza; perché anche Felicity si stia preparando ad abbandonarla.
Pensa che il silenzio sia più facile dell’espressione distrutta che si dipingerebbe sul volto curato di sua madre.
 
 
 
(- Era più facile, non più felice – gli spiega e corruga la fronte, rigirando la frase che ha appena pronunciato nella mente come se non fosse certa di quello che ha detto e forse dovrebbe tornare indietro e ripetersi e spiegarsi meglio perché ha davvero bisogno che lui capisca, ma alla fine scuote le spalle decidendo di lasciar perdere e torna a rilassarsi accanto a lui.
Davanti a loro ci sono due bicchieri di vino e una bottiglia quasi vuota, pericolosamente in bilico su un tavolino con una gamba più corta delle altre e una vecchia rivista a far da spessore. )
 
 
 
2
 
Oliver Queen ingoia l’ennesimo shot di vodka, con un sorriso. Il liquido scivola bruciante lungo il suo esofago, mentre Tommy grida qualcosa d’indistinto e le ragazze intorno a loro lanciano urletti esaltati e lo abbracciano per complimentarsi.
Il mattino dopo si sveglia circondato dai corpi morbidi di due gemelle dai capelli rossi e i volti ricoperti di lentiggini (sono straniere, gli spiega Tommy, sono qui per le vacanze) e quando Tommy gli chiede, con un ghigno, come sia stata la sua notte, si spertica in racconti esaltati di prodezze che non ricorda minimamente. Tutta la notte è avvolta in un grigio nebuloso, ma Oliver è sicuro di due cose: una è che era stato dannatamente divertente e soddisfacente e…
 
 
 
(- Due, che anche quella volta eri riuscito a sfuggire a qualsiasi responsabilità – lo interrompe con uno sbuffo divertito e si porta subito le mani alle labbra, quando vede lo sguardo di sufficienza che le rivolge. – Scusa, non dovevo interrompere. Avevamo detto, nessuna interruzione e io… ti ho interrotto e… sto continuando a parlare e quindi tu non puoi farlo e… ora la smetto. Tre. Due. Uno. -)
 
 
 
3
 
La pelle di Sara è una terra conosciuta – ne potrebbe tracciare ad occhi chiusi ogni contorno, ogni cicatrice ed ogni neo e raccontarne la storia dietro ogni ferita - che sembra essere stata disegnata, con tutta la sua morbidezza e i suo spigoli, per accoglierlo e riportarlo indietro con la forza che solo le braccia di un’assassina possono avere.
Sara può dormirgli accanto, senza che lui debba temere di strozzarla in preda ad uno dei suoi incubi – come ha fatto con sua madre, come potrebbe fare con… - e Oliver può lasciare che i suoi nemici la vedano al suo fianco senza dover temere per la sua vita.
Sono già morti insieme una volta e sono stati forgiati dai mostri che abitano il Purgatorio Terrestre.
Sara è un porto sicuro in mezzo alla tempesta in cui è affondata la sua vita sette anni prima e da cui, in certi giorni, gli sembra di non essere mai emerso e scivolare lungo la sua pelle è semplice come tornare a casa.
 
 
 
(Si volta a guardarla perché a questo punto si aspetta un’interruzione, una parola, un verso, ma lei tiene le labbra ostinatamente sigillate ed inarca un sopracciglio come a dirgli che: sono perfettamente in grado di rimanere in silenzio, grazie tante e lui deve soffocare una risata tra i denti.)
 
 
 
4.
 
 
A volte Felicity pensa che non amerà nessuno come Oliver; a volte ringrazia il cielo per questo perché un altro amore in grado di scavarsi un nido tra le sue ossa e distruggerle a quel modo – e spezzarle il fiato e le interiore - non è una cosa che voglia. Che abbia mai voluto davvero, neanche quando aveva quattordici anni e leggeva di nascosto i romanzetti rosa che sua madre comprava e abbandonava sul comodino perché quando tornava dal lavoro era troppo stanca per leggerli o, semplicemente, non aveva il desiderio di confrontarsi con amori a cui era stato concesso un lieto fine – in cui se il protagonista abbandonava la sua donna lo faceva solo per un tempo limitato e tornava sempre a casa.
 
Ray Palmer non le spezza il cuore ed è per questo che Felicity lo ama un po’ di più: Ray non vuole morire, vuole proteggere Starling City – proteggere lei – e vuole farlo rimanendo al sicuro all’interno di un’armatura, rimanendole accanto. Ray Palmer è un uomo, non un soldato ed è sicuro di essere in grado di salvare Starling City solo con il suo aiuto e senza bisogno di quello di assassini e criminali.
Ray non dubita neanche per un istante che lei sia in grado di proteggersi da sola; non pensa neanche una volta di dover prendere decisioni al suo posto o che lei sarebbe più felice se l’allontanasse da sé e, per questo, Felicity lo ama un po’ di più.
Non le spezza il cuore ed è così semplice.
 
 
 
(Si volta a guardarlo, quando le sente irrigidirsi contro di lei e solleva una mano ad accarezzargli la mascella serrata. Lascia scivolare le dita, lungo il collo teso e le spalle rigide, lungo il braccio, fino alla mano stretta a pugno e lentamente, lo costringe ad aprire le dita. Sfiora con tocchi delicati le impronte a semilune lasciate dalle sue unghie, prima di stringergli la mano tra le sue e portarsela al volto per baciarne le nocche.
Lo sente rilasciare d’un fiato tutta l’aria che aveva trattenuto nei polmoni e gli sorride, da sopra le loro mani giunte. Ed è un sorriso così grande, che sembra partirle dalle ossa e risalire lungo tutti i tessuti e il sangue fino alle labbra e agli occhi.
Anche quello le spezza il cuore.)
 
 
 
5.
 
 
 
- No – gli dice, quando le chiede di pranzare insieme. No e pensa che sia quello che avrebbe dovuto dirgli anche quando si era presentato sulla soglia del suo cubicolo con un computer imbottito di proiettili e un sorriso molto più accattivante e convincente delle scuse che le aveva rifilato.
- Felicity, hai bisogno di parlare con qualcuno – ripete e Felicity ricorda come, anni prima, le avesse fatto una proposta simile e a come lei avesse sorriso e di come ne era stata felice, di come gli aveva creduto. Pensa anche che Oliver non ha mai insistito tanto se non quando cercava di allontanarla.
- Non con te – risponde e finge di non vedere l’ombra che per un battito di ciglia gli attraversa gli occhi.
Uscendo si sbatte la porta alle spalle e soffoca un singhiozzo, quando l’aria fredda del Glades le riempie i polmoni.
Sta tornando l’inverno: l’ultima volta che era sceso il freddo, Oliver le aveva confessato di amarla – di nuovo – ed era morto – di nuovo.
 
Felicity pensa che non può sopportarlo, che preferisce allontanarsi prima che sia lui a farlo – di nuovo.
 
 
 
+ 1
 
 
 
Ci sono due o tre cose che Oliver Queen non ha più: una è una villa grande quanto un palazzo reale, la seconda sono dei genitori da cui tornare e l’ultima è una società con il suo nome. Ogni volta, Oliver non può far a meno di aggiungere alla lista delle cose che ha perso anche il nome di Felicity.
Per questo spalanca leggermente gli occhi in un’espressione di sorpresa, quando la trova sulla soglia di casa di Thea, una domenica mattina.
Sono settimane che non si parlano se non per scambiarsi le informazioni necessarie a portare a termine le missioni - sono sempre un ottimo team, ma non sono più partner da mesi.
 
(Una Felicity diciassettenne aveva pensato che il silenzio fosse una scelta più facile della verità.)
 
- Felicity – mormora e si sposta leggermente per farla entrare, ma lei scuote violentemente il capo.
- Devo chiamare Thea? – chiede e Felicity alza gli occhi al cielo perché come si può essere così stupidi? Da quando in quando lei e Thea sono amiche?
- Sei venuta ad insultarmi? – chiede, con uno sbuffo divertito e Felicity realizza improvvisamente di aver parlato ad alta voce e immagina che dovrebbe essere lieta di non aver lasciato sfuggire qualche doppio senso. Non ancora, almeno, considera, corrugando la fronte.
- Non sono qui per vedere Thea – afferma per amor di chiarezza.
- Ma non vuoi entrare – continua lui.
 
(Non che fosse più felice.)
 
- No. E tu non puoi uscire – arrossisce quando lo vede inarcare un sopracciglio. – Non per sempre, per un po’, prima devi… - prende un respiro profondo per chiarirsi le idee e guadagnare tempo. – Devo – si corregge – devo sapere che intenzioni hai – ed eccolo, ovviamente. Felicity stringe gli occhi. – Non in quel senso. Con me, con noi. Sempre che esista ancora un noi o che esista in generale, perché ancora presuppone che sia mai esistito e non l’hai mai fatto e non… e devo saperlo. Se vuoi che io ti parli delle mie giornate, se vuoi che venga a pranzo o a cena con te, non puoi tirarti indietro non appena qualcosa ti spaventa. Non puoi.
Felicity distoglie lo sguardo dal suo, per un istante, prima di posarlo nuovamente su di lui e nessuno l’ha mai guardato con tutta quella sincerità e quella pienezza. Ad Oliver manca il fiato ed è improvvisamente terrorizzato.
- Sei morto – gli ricorda per l’ennesima volta da quando è tornato, come se fosse l’unico modo per ricordarsi che non fosse vero, per rassicurarsi. – Te ne sei andato e sei morto e se vuoi che ci sia un noi, non puoi andartene e non puoi tentare di allontanarmi. Non questa volta – afferma prima di chiudere la bocca con un sospiro.
- E… vedo che sei interdetto e non sai cosa dire e magari mi hai proposto di mangiare insieme solo perché avevi fame e Thea non poteva e mi sto rendendo ridicola e, quindi… penso che andrò e ti lascerò riflettere o, non lo so,  e… sì, ecco vado – borbotta, con le guance rosse, facendo un passo indietro e indicando con un gesto vago l’ascensore in fondo al corridoio.
Prima che possa allontanarsi ancora, le dita di Oliver si stringono intorno al suo polso.
- Felicity – mormora e ha una vulnerabilità tale nella voce, che Felicity non può fare altro che fermarsi. – Felicity – mormora di nuovo, sollevando una mano per accarezzarle la guancia con le nocche. Si china leggermente verso di lei, come se le sue labbra fossero un centro di gravità da cui non può smettere di essere attratto.
Felicity gli posa una mano sul braccio per fermarlo.
- Devo sapere – mormora. – Devo.
Oliver non può far altro che chiudere gli occhi di fronte alla disperazione che per un attimo le permea la voce – di fronte alla consapevolezza di esserne la causa.
È tutto così dannatamente difficile.
 
 
 
(Per il loro secondo primo appuntamento, Oliver si presenta alla sua porta con una bottiglia di 1982 Lafite Rothschild e Felicity lo accoglie con un sorriso radioso.
- Sto sorridendo per il vino! – si difende subito ed Oliver non resiste al desiderio di chinarsi e sfiorarle le labbra con un bacio. Questa volta lei non lo ferma.)
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Di pelapatate ed altre scoperte ***


Avvertimenti: ambientata tra la fine della s3 e la 4x01 | Flash fic (500 parole tonde tonde), fluff, commedia, romantico, slice of life
Note: - Chiaramente non so più scrivere cose che non siano stupidissime e non so neanche dare titoli.
- Non sono pienamente sodisfatta di come sia venuta, ma tant'è.
- Scritta per La corsa delle 48 ore indetta dal forum La Torre di Carta in risposta al prompt: pelapatate.
- NO BETA quindi segnalatemi qualsiasi svista, errore, strafalcione.


 

Di pelapatate ed altre scoperte
 
 
 
Sono in viaggio da mesi, quando decidono di abbandonare motel – in cui si fermano quando il desiderio di sentire l’altro addosso, di sapere che sono vivi e insieme e felici, felici, felici, è troppo forte per proseguire – ed alberghi di lusso, per affittare una villetta minuta, tutta pareti bianche e mobili chiari, che dà su una minuscola spiaggetta privata. Oliver non ama il mare, non pensa che potrà farlo mai più, ma lo squittio eccitato che Felicity esala, varcando la soglia, e la luce che ha negli occhi quando si volta a guardarlo gli riportano alla mente quell’immagine tutta bianca e morbida che un Oliver bambino aveva del paradiso.
Quasi subito, Felicity annuncia che devono, anzi deve, cucinare qualcosa per commemorare quello che hanno: una casa, da qualche parte del mondo e non importa che sia solo per una settimana, non importa che non sia davvero loro perché sono insieme ed è una casa e –
Felicity, la richiama, Felicity. E Felicity si morde le labbra e lo guarda da sotto ciglia che sembrano lunghe come la strada che hanno percorso per ritrovarsi e che gettano ombre scure sulle sue guance arrossate. Quando la bacia, la ragazza esala un leggero singulto contro le sue labbra, gli porta una mano sul petto, all’altezza del cuore, e stringe le dita intorno alla stoffa della sua camicia. Non ti lascio andare, sembra volergli dire.
 
 
 
- Smettila di distrarmi e lasciami cucinare! – esclama ed è solo perché la sua voce ha raggiunto vette pericolosamente alte, che Oliver lascia cadere le mani che aveva portato ai fianchi della donna ed effettua una rapida ritirata.
 
 
 
A dargli il sospetto che ci sia qualcosa di sbagliato è il pelapatate.
- Felicity – la richiama con voce morbida per non spaventarla e rischiare di vederla tagliarsi un dito o scagliargli addosso l’oggetto come fosse un freesbee.
La ragazza si limita ad esalare un mugolio distratto, con il naso infilato nel grosso libro di ricette posato sul bancone e la fronte leggermente corrugata. In una mano tiene una patata martoriata e nell’altra il terribile attrezzo con cui l’ha torturata per mezz’ora.
Oliver ha imparato a cucinare su un’isola che sembrava l’inferno e in cui l’unico lusso era la possibilità di cuocere gli alimenti che si sarebbero, altrimenti, rivelati tossici ed anche quello non sempre era possibile. Certe volte bisognava rassegnarsi a mangiarli crudi e sopportarne le conseguenze pur di tirare avanti un altro giorno e sopravvivere ad un’altra notte insonne, passata a scrutare le fronde degli alberi e ad ascoltare il brusio della foresta alla ricerca di un rumore o di un singulto fuori posto, di un segno che qualcuno si stesse avvicinando.
Non è un cuoco e non può averne la certezza, ma è convinto che un pelapatate non andrebbe tenuto a quel modo, a meno che Felicity non stia pensando di usarlo come arma contundente e, in quel caso, il coltello distrattamente abbandonato sul tavolo sarebbe una scelta indubbiamente migliore.
- Felicity – prova ancora. – Hai mai cucinato? -
 
 
 
 

 

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Capitolo 3
*** Felicity Darhk!AU ***


Note: scritta secoli fa per un evento del forum Torre di Carta, quando ancora vi erano solo speculazioni su chi fosse il padre di Felicity e ritrovata oggi per caso, e mai pubblicata da nessuna parte. 
NO BETA quindi segnalatemi qualsiasi cosa. 
Avvisi: angst, major character death




L’anello rimane nascosto nel centrotavola ed ogni sera Oliver pensa a quando ci sarà abbastanza pace, abbastanza tregua per parlare d’amore oltre che di piani per sventare l’ennesima minaccia di Dahrk e potrà inginocchiarsi davanti alla donna che ama, a come sarà il sorriso che le piegherà le labbra, perché sorriderà, no? Sorriderà e sarà felice e accetterà e non è troppo presto, no? Non…
 
 
 
Viene fuori che non è troppo presto. Che, ben presto, è troppo tardi.
 
 
 
- È tua figlia – grida e il modulatore della voce non basta a nascondere quanto la sua sia spezzata, frantumata, terrorizzata e…
Dahrk si limita a guardarlo con aria impassibile, mentre Felicity singhiozza e trema rannicchiata ai suoi piedi, con il capo tirato all’indietro, dalla mano dell’uomo che le stringe un pugno di capelli. Felicity che è sua figlia e a cui l’uomo tiene una spada alla gola e - neanche Malcolm sarebbe mai arrivato a tanto, non con Thea, non con… - e Oliver sente la bile risalirgli nello stomaco.
- Lasciala andare – supplica e vorrebbe alzarsi, vorrebbe muoversi e portarla via da lì, riportarla lontano da Star City, a Bali o dovunque, o…
Darhk scuote il capo.
- Non posso – afferma.
- È tua figlia – ringhia, cercando di rialzarsi.
Sente il sangue che gli riempie la bocca scivolargli lungo il mento.
L’uomo annuisce.
- Lo è. –
Il pianto di Felicity sembra farsi più forte perché era solo un sospetto, solo una speranza per Oliver, che fosse sua figlia perché i ricordi di Felicity erano quelli di una bambina, ma ora ne hanno la certezza: è sua figlia e Felicity conosce quell’uomo e sa che la ucciderà comunque e non vuole, non vuole, non vuole morire come figlia di un mostro. Non vuole lasciare Oliver, vuole dirgli ancora che lo ama, che ha visto l’anello, che gli avrebbe detto sì, ch-
- La amavo, sai? Era mia figlia. Come potevo non amarla? – gli confessa Dahrk, mentre pulisce, con gesti lenti, la lama sulla blusa chiara di Felicity – Felicity che giace riversa per terra, Felicity con il collo tagliato, con il sangue ancora caldo che zampilla dalla ferita, Felicity, Felicity, Felicity. Sente un urlo morirgli nel petto, ingoiato da singhiozzi che gli scuotono le costole rotte, il polmone perforato e vorrebbe solo morire, morire, morire.
- Ma la morte non è la fine. Signor Queen. La morte è un passaggio necessario. Cresceranno fiori dalla sua cassa toracica e poi alberi, che ospiteranno uccelli dai colori variopinti. La bambina che conoscevo aveva un cuore immenso e sarebbe stata lieta di morire per ciò. Questa città è solo una carcassa, Signor Queen, una carcassa morente e prima verrà eliminata, prima nuova vita potrà avere origine. Si faccia da parte e la lasci morire. Non lasci che il sacrificio di mia figlia sia vano. - 

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