His Royal Highness

di Kimberly Horan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Eton ***
Capitolo 2: *** I diavoli dai capelli rossi ***
Capitolo 3: *** I lati positivi di una sospensione ***
Capitolo 4: *** Richard ***
Capitolo 5: *** Siamo gemelli... ***
Capitolo 6: *** Voglio andare a studiare all'estero ***
Capitolo 7: *** Principi in fuga ***
Capitolo 8: *** L'università nella tua tasca ***
Capitolo 9: *** Non è colpa tua... ***
Capitolo 10: *** We will always be together ***
Capitolo 11: *** Incontri ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ritorno a Eton ***


Per i primi anni della loro vita, David e Philip erano stati i bambini più tranquilli del mondo. All’inizio erano due fagottini con le guance rosee e i grandi occhi curiosi, poi si trasformarono completamente.
Erano identici, ma dai tre anni i medici diagnosticarono un’eterocromia oculare a Philip, e questo fece in modo che lo si potesse facilmente distinguere dal fratello. In sostanza aveva un occhio marrone e un occhio azzurro chiaro. Ad ogni modo si sarebbe riusciti a distinguere Philip anche senza questa sua particolarità, visto che il suo carattere si intuì fin dai primi anni. Era un ribelle nato. In tutti i sensi. E non era mai stato particolarmente affabile come bambino.
Per quanto riguarda David, beh lui era più dolce e comprensivo del fratello, che invece perdeva la pazienza con niente. Entrambi comunque non ascoltavano mai nessuno. Non erano delle pesti, e anzi erano anche piuttosto tranquilli, ma se qualcuno gli faceva una sgarberia o li infastidiva, era inutile fuggire perché quei due, Philip in prima persona, gliel’avrebbero fatta pagare di certo. Della serie: non ti do dei problemi, ma se li vuoi te ne faccio pentire.
In sostanza, le uniche persone a cui davano retta erano i genitori. Una sola parola di mamma e papà e i due tornavano docili come degli agnellini.
Fisicamente parlando avevano ereditato i capelli color pel di carota di Harry e, tralasciando Philip, il colore azzurro dei suoi occhi. Per il resto erano il ritratto di Sofia. Con i lineamenti del volto delicati e belli, la pelle chiara e il volto tempestato di lentiggini. Sì, le lentiggini le aveva avute anche Harry da bambino, ma poi erano diminuite o comunque si notavano di meno. A David e Philip invece rimasero sempre.
 
Tutto ebbe inizio quella famosa mattina, quando la sveglia suonò rumorosamente. David allungò una mano e tastò sul comodino per spengerla, ma alla fine non ci riuscì e la sveglia cadde miseramente sul pavimento. Lui dal canto suo si tirò su di scatto e sbadigliò assonnato. Sì, decisamente le lentiggini non erano ancora scomparse dal suo volto.
Si guardò intorno ancora addormentato e poi raccolse la sveglia. Guardò l’orario e sgranò gli occhi. “Maledizione!”
Si alzò immediatamente dal letto ma inciampò nel lenzuolo e cadde a terra come un sacco di patate. “Maledizione!” Ripeté tirandosi su. Corse in bagno, accese la luce e si lavò in fretta e furia la faccia. Peccato che nel farlo il sapone gli andò a finire in un occhio provocandogli un tremendo bruciore. Fece un’espressione di profondo dolore e attese qualche minuto. Poi una volta finito di lavarsi si vestì ed uscì dalla camera.
“Sei un disastro su tutta la linea, lo sai?” A braccia conserte Philip lo stava aspettando sulla soglia della porta accanto, già pronto.
“Buongiorno anche a te”, rispose David. “Sei spinoso come al solito”.
Philip lo guardò male. Se la storia che nelle coppie di gemelli c’è sempre il fratello dominante era vera, Philip ricopriva appieno quel ruolo. Peccato che ogni tanto David si ribellasse al suo modo di fare.
 
Al piano di sotto, in salotto, Sofia ed Harry erano seduti a far colazione. Erano trascorsi quindici anni da quando avevano avuto i gemelli, eppure il loro amore non era diminuito. Erano rimasti sempre gli stessi e non sembravano per niente cambiati. Lui portava a periodi al barba lunga e lei aveva sempre quella fisionomia snella e il volto da bambola di porcellana. Nel complesso entrambi dimostravano molti meno anni di quelli che avevano.
“Secondo te quanto ci mettono prima di scendere?” Gli chiese Sofia.
Harry ci pensò su facendo delle smorfie buffe. “Secondo me arriveranno tra tre…due…uno…”, indicò le scale.
“Buongiorno!” li salutarono i royal twins.
Lei inarcò un sopracciglio. “D’accordo, la cosa è inquietante, sappi solo questo”.
Harry le fece l’occhiolino, sorseggiando un po’ di thé.
“David, va tutto bene? Ho sentito dei rumori nella tua stanza, prima”.
“Sì mamma, ho avuto soltanto uno scontro con il lenzuolo e sono finito a terra”, le spiegò mettendosi seduto a tavola.
“Hai la delicatezza di un elefante”, intervenne Philip. “E negatelo se avete il coraggio!” Aggiunse rivolto agli altri.
Sofia ed Harry si guardarono. Philip somigliava ad Enea. Sì, aveva il suo stesso brutto caratteraccio.
David gli tirò un calcio sotto al tavolo, quando si sedette, e Philip gli lanciò un’occhiataccia. In verità avrebbe voluto lanciargli un coltello ma non gli sembrò il caso.
“Allora, siete pronti per il grande giorno?” Chiese Sofia.
I due gemelli ed Harry fecero una faccia schifata. “Oh avanti! Che diamine avete da fare quell’espressione?”
“ Se trascorressi qualche tempo ad Eton allora potresti capire”, le disse Harry alzandosi e baciandole la testa prima di dirigersi verso la finestra.
Eton. Già! Era naturale che David e Philip frequentassero l’Eton College, ma il solo pensiero faceva venire la nausea ad entrambi.
“Siete esagerati!” A scuola c’era andata anche lei e si disse che se era riuscita a sopportare cinque anni di ragioneria, i suoi figli potevano benissimo sopportare Eton. “Comunque ora finite di fare colazione e poi andate a vestirvi per bene”.
“Sì mamma”, risposero i gemelli all’unisono. Quando lo facevano erano adorabili. Erano già più alti di lei, ma sarebbero rimasti sempre e comunque i suoi due bambini.
Sofia si alzò da tavola e raggiunse il marito. “No, ma seriamente si troveranno bene secondo te?” Quella domanda gliela faceva ad ogni inizio anno.
Harry lanciò un’occhiata veloce ai figli. “Non ne ho idea”. Le preoccupazioni? Semplice: David era troppo sensibile e di compagni odiosi se ne trovano sempre. Philip dal canto suo invece si sarebbe estraniato da tutti. Per ultima cosa, se qualcuno li avesse presi di mira si sarebbero coalizzati e allora addio.
Sia Harry che Sofia si raccomandarono con loro durante il tragitto in macchina. I due ascoltarono attentamente le parole dei genitori e promisero di comportarsi bene. Quando poi finalmente arrivarono a destinazione, trovarono come sempre i giornalisti ad attenderli.
La cerimonia d’inizio anno fu qualcosa di molto elegante e Sofia sorrise fiera nel vedere i suoi due bambini camminare in fila come soldatini, indossando quelle belle divise scolastiche. Sì, facevano proprio un bel figurino.
“Per qualsiasi cosa chiamate, d’accordo?” Harry abbracciò i ragazzi e gli scompigliò i capelli rossi.
“Sì, papà”, rispose David.
Philip abbracciò Sofia e la strinse forte. Era strano pensare che un tipo come lui fosse in verità piuttosto affettuoso con la madre.
“Philip ce la fai a non litigare con nessuno?” Sofia conosceva bene il suo ragazzo.
Lui arricciò il naso. Un’abitudine che aveva decisamente preso da lei. “Ci proverò”.
Sofia lo guardò inarcando un sopracciglio, poco convinta. Però non insistette oltre.
David e Philip presero le loro cose e si diressero vero l’entrata del dormitorio. Harry e Sofia rimasero lì finché non li videro scomparire oltre la porta.
“Speriamo bene”, disse lei abbracciando il marito.
“Sta tranquilla, se anche quest’anno riusciamo ad evitare che Philip uccida qualcuno, non dobbiamo preoccuparci più di tanto”, rispose scherzando Harry.
“Come sei spiritoso Harry”. Gli diede un leggero pizzicotto sul fianco e lo trascinò via tenendolo per mano.
 
 
 
“Sei nella stanza dell’anno scorso?” Chiese David mentre guardava il foglio d’entrata.
“Sì, la tua è quella di fronte. Ho già controllato”, gli rispose Philip. “Ecco: camera numero 715”. Gli aprì la porta per farlo entrare. “Prego principessa”.
David lo guardò male. “Molto spiritoso Pip”.
Philip odiava essere chiamato così perché quello era il soprannome che Dickens aveva usato per il protagonista di Grandi Speranze. E lui lo odiava. Non aveva mai letto il romanzo, ma aveva visto molte versioni cinematografiche e nella trama l’odiato Pip non fa altro che correre dietro al personaggio femminile più detestabile in assoluto: Estela, che in pratica non è altro se non una sadica e psicopatica ragazzina senza cuore. In sostanza una noia mortale in grado di far venire l’urto di enrvi anche ad un santo.
Philip si tolse il borsone dalla spalla e gli diede una botta che lo fece spostare, poi si diresse in camera sua. Le stanze di Eton erano tutte uguali: quadrate, piccole, con un letto che scricchiolava, un armadio poco affidabile, un cassettone ridotto in pessimo stato e una minuscola scrivania che sembrava più uno scrittoio. La vera tragedia? Non cerano librerie. Il primo anno era stato il delirio perché sia lui che David arrivarono con una valigia ciascuno piena zeppa di libri, poi però dovettero ridimensionarsi sempre id più e ora si portavano dietro solo quelli di scuola. Philip odiava Eton.
“Hey grande genio! Hai preso la mia borsa”. David comparve sulla soglia della porta e gli lanciò il borsone.
“Questo non accadrebbe se tu ti decidessi a metterci il tuo nome su questa dannatissima borsa”.
David non gli rispose, si lasciò cadere sul letto e si limitò a fissare il fratello mentre iniziava a mettere a posto le sue cose. “Già mi manca casa”, ammise.
“Sì, anche a me.”

SPAZIO DELL'AUTRICE
Sì, lo so che sto facendo ua saga familiare che sembra non giungere mai veramente alla fine, ma progettavo di scrivere sui royal twins fin dall'inizio di tutto!! Ora che sono diventati grandi, Sofia ed Harry passano il testimone dei protagonisti a loro!!!

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Capitolo 2
*** I diavoli dai capelli rossi ***


Philip si piegò leggermente sulle gambe. Si concentrò affinché il respiro fosse regolare nonostante la maschera schiacciata sul volto. Poteva sentire la tensione espandersi ad ogni muscolo del suo corpo. Era pronto a scattare non appena fosse stato dato il via di partenza. Fu nel giro di un istante, un battito di ciglia, che si sporse in avanti con un passo, dando la stoccata finale al suo avversario.
I due contendenti si strinsero la mano in un gesto amichevole, poi Philip si tolse la maschera mentre tornava alla panchina. Si passò una mano tra i capelli infradiciati dal sudore e ripose da lato il fioretto.
Gli allenamenti di scherma si tenevano ogni giovedì pomeriggio e quello era il momento migliore per pensare e riflettere. Non sapeva bene il perché ma la scherma lo aveva sempre fatto pensare. Il che di per sé era un bel controsenso, dal momento che in teoria bisognerebbe concentrarsi solo sull’avversario, quando si è in pedana.
Da Harry lui e David avevano certamente ereditato la comune passione per il polo, anche se quella non era una novità considerando l’amore che in famiglia avevano per i cavalli. Per loro sfortuna a Eton c’erano molti club sportivi ma niente che riguardasse il polo, così lui aveva scelto la scherma, mentre David si era totalmente dedicato al tennis.
Philip prese la borsa e si incamminò verso gli spogliatoi. Una bella doccia, dopo circa tre ore e mezza di allenamento, gli ci voleva proprio.
Fece appena in tempo a lavarsi e a mettersi i pantaloni, quando un suo compagno di classe lo raggiunse in tutta fretta.
“Philip, devi venire subito!” Gli disse senza respiro. Se non avesse ripreso fiato gli sarebbe venuto un infarto da un momento all’altro. “Si tratta di David”, continuò.
“Che è successo?” Chiese lui improvvisamente serio. “Lascia perdere non ho tempo, dimmi solo dov’è”. Si infilò la maglia e si incamminò verso l’uscita quasi correndo.
“Ai campi di tennis”, gli gridò dietro l’altro mentre lui stava già correndo via. Sicuramente David si era fatto male. Aveva esagerato con gli allenamenti e ora si era infortunato, sì, si disse che sicuramente era così. Mentre pensava già al peggio, pronto a chiamare i genitori se fosse stato necessario portarlo in ospedale, arrivò ai campi da tennis, ma ciò che vide non fu esattamente quello che si era immaginato.
David aveva il naso sanguinante e si stava azzuffando con uno. Philip corse a dividerli, prendendo il fratello per il colletto della maglia bianca, a metà insudiciata di terra e di sangue. “Di un po’, ma sei impazzito?” David non rispose, si limitò ad asciugarsi il naso colante di sangue e a guardare con odio il tizio con cui aveva fatto a pugni.
L’avversario in questione altri non era che Edward Forster, un tipo biondo e di corporatura imponente, con una faccia da scemo. Philip e David lo conoscevano bene, perché erano stati in classe con lui fin da quando erano piccoli, e non l’avevano mai potuto sopportare. Era talmente tanto snob che guardava dall’alto al basso persino i suoi genitori.
Questo però, rifletté Philip, non giustificava il fatto che David gli si fosse fiondato addosso con tale ardore. Non che gli avesse fatto particolarmente male, anzi, tra i due suo fratello era quello che ne aveva prese di più, però aveva agito con tutta l’intenzione di stenderlo.
“Avanti, vieni con me”, disse a denti stretti. Una scazzottata era proprio l’unica cosa di cui non avevano bisogno. Un inconveniente derivante dal fatto di essere i nipoti del re. Fece per trascinarsi dietro David, che nel frattempo si dimenava per liberarsi dalla sua stretta.
“Sì, bravo scappa David!” Disse Edward con quel suo tono di voce stridulo.
“Falla finita Forster!” Gli strillò Philip di rimando, dandogli la schiena.
“Ah guarda chi c’è! Sei venuto a salvare il fratellino? Sai, gli stavo giusto spiegando quanto fosse idiota, forse è a causa del sangue borghese che avete ereditato da vostra madre, Philip”.
Philip si fermò improvvisamente. Si girò verso Edward, che in quel momento aveva fatto le uniche due cose al mondo che nessuno avrebbe mai dovuto fare in sua presenza: prendersela con suo fratello e tirare in ballo sua madre.
Lui e David si guardarono. Lui gli sorrise divertito, poi si rivolse a Edward e gli assestò una capocciata dritta dritta in faccia, mettendoci tutta la forza che aveva in corpo. Quello barcollò all’indietro tenendosi la fronte sanguinante.
“Prima di tutto mia madre è la duchessa di Windsor. E comunque sia è Vostra Altezza per te, Forster!”
La scazzottata riprese e assunse proporzioni gigantesche, arrivando a coinvolgere anche l’allegra combriccola che Edward si portava sempre dietro. Come andò a finire? Tre persone andarono all’ospedale e tra di loro non rientravano di certo i royal twins.
 
“Vostra Altezza, il comportamento dei suoi figli è inaccettabile!” Esclamò il direttore di Eton quando Harry andò a parlargli, dopo essere stato convocato a causa della rissa.
“Prima di giudicarlo tale vorrei sapere il motivo per cui è accaduto e chi è stato ad iniziare”. Il duca di Windsor gli rispose a tono. Conosceva i suoi ragazzi e se si erano comportati così ci sarà stato certamente un motivo ben preciso.
“Anche io vorrei sapere il motivo, provate voi a parlare con i vostri figli perché a noi non hanno detto una sola parola”.
“Quindi li state accusando senza nemmeno conoscere i fatti?”
Il direttore sembrò avere un attimo di titubanza, sapendo di essersi dato la zappa sui piedi da solo. Cosa credeva? Che Harry avesse dato contro ai suoi figli solo perché lui diceva che erano i responsabili?
“Beh, ad ogni modo vi pregherei di parlare con loro, Altezza. Non ammettiamo simili comportamenti qui a Eton e voi dovreste saperlo bene”.
“Lei piuttosto pensi a fare il suo dovere e ad indagare a fondo sulla questione, poi io penserò ai miei figli”. Detto ciò si alzò dalla sedia ed uscì dallo studio del direttore sbattendosi la porta dietro.
Harry camminò a passo spedito fino all’infermeria che a quell’ora del pomeriggio era praticamente deserta, fatta eccezione per i due diavoli dai capelli rossi che aveva messo al mondo.
“Mi aspetto una spiegazione. E che abbiate una buona scusa!” Disse ad entrambi guardandoli con aria di profondo rimprovero. Davanti al direttore li avrebbe difesi fino alla morte se gli si davano colpe ingiuste, ma rimaneva comunque il discorso che avevano fatto a botte, senza contare di come si erano ridotti. Philip aveva un gigantesco segno rosso in fronte, causato dalla colluttazione con Edward, e un labbro rotto. David era messo meglio, con solo qualche graffio sparso per il volto.
I royal twins sedevano difronte al padre con le braccia conserte, lo sguardo basso e l’aria docile. Si guardarono per un istante e poi rimasero in silenzio.
“Ragazzi sto perdendo la pazienza, qualcuno di voi due vuole dirmi il perché vi siete accaniti con così tanta rabbia su quei tizi?” Detestava quando si coalizzavano in quel modo.
“Hanno iniziato loro”, obbiettò David con un filo di voce. Con la gamba Philip gli diede un leggero colpo sul ginocchio, per fargli capire di chiudere la bocca. Accidentaccio a lui e al suo brutto vizio di dire sempre la verità!
Harry se ne accorse subito. Conosceva troppo bene i suoi figli e capì che era Philip quello che bisognava prendere di petto. “Allora Philip, sto aspettando”.
“Non ho nulla da dire”. Rispose serio.
“Tua madre ne resterà molto delusa quando verrà a sapere che avete provocato la rissa”. Colpì i ragazzi in pieno. Avevano sempre avuto una gran paura di deludere Sofia. Lei era il loro punto debole.
Vide Philip alzare lo sguardo e fissarlo dritto negli occhi, con un’espressione che lasciava intendere che avrebbe voluto dirglielo ma che non poteva farlo.
Harry sospirò. “Philip dimmi che è successo”.
Non voleva farlo. Non voleva che la mamma sapesse che l’avevano tirata in ballo solo per dare fastidio a loro. Non c’era nulla di male nelle sue origini borghesi e anzi, questo la rendeva migliore di tutti gli altri, ma né lui né David volevano che le cattive intenzioni di Edward potessero turbarla.
“Ha tirato in ballo la mamma”, ammise infine, sapendo che suo padre non si sarebbe arreso tanto facilmente. “Ha detto che David era uno stupido a causa del suo sangue borghese”. Ripetere quelle parole gli faceva venire la nausea.
Lo sguardo di Harry si addolcì, capendo che i suoi ragazzi avevano agito per difendere Sofia. Aveva sempre saputo che c’era stato un motivo valido e quello lo era senza ombra di dubbio. Anche lui gli avrebbe spaccato la faccia se qualcuno avesse osato dire qualcosa su di lei. Alla fine Sofia era anche il suo punto debole.
“Sei ancora arrabbiato papà?” Chiese David convinto che avessero agito nella maniera giusta.
Lui scosse la testa. “Fare questa rissa vi è costata una settimana di sospensione”, gli spiegò. Con un gesto della mano scompigliò i capelli ad entrambi. Quegli stessi capelli rossi che avevano preso da lui. “Ora andiamo a casa”. Era dannatamente fiero di loro.
“Certo che c’hai dato giù pesante Philip”, rifletté mentre tornavano all’auto. “Una capocciata…” Harry trattenne un sorriso.
“E’ stata una gran bella capocciata”, concluse David. “A proposito, come è messa la tua fronte?”
“Non mi fa male”, rispose Philip con spavalderia. “Ha sentito molto più dolore lui credimi”.
“Ah, davvero?” Harry inarcò un sopracciglio e poggiò un dito proprio al centro della fronte di Philip, che ovviamente sobbalzò al minimo tocco. David e Harry scoppiarono a ridere.
“Papà ma che fai! Cha male!” Si lamentò strofinandosi il punto dolorante.
Harry gli diede una pacca sulla spalla. “Tranquillo, domani andrà peggio”.
Arrivati al cancello centrale, incontrarono il padre di Edward, un uomo basso tarchiato e pelato. “Andate alla macchina intanto”, disse Harry ai ragazzi.
A passo spedito si diresse verso il signor Forster, che sembrava ansioso quanto lui di scambiare due parole.
“Vostra altezza, questo è stato un increscioso episodio”, gli disse l’uomo.
“Su questo siamo d’accordo. E mi aspetto delle scuse da parte di suo figlio”.
“Come dice?” Chiese il signor Forster senza capire.
“Lo chieda a suo figlio quando si riprende, sono certo che le racconterà la vicenda nei minimi particolari. E a proposito signor Forster: se per caso si azzarda ancora a dire una sola parola su mia moglie, o a toccare i miei figli anche solo con un dito, stavolta dovrà vedersela con me, e mi creda io non ci vado leggero come hanno fatto i miei ragazzi”. Senza nemmeno aspettare una risposta gli voltò le spalle e tornò da Philip e David, che avevano sentito tutto e ora stavano ridacchiando soddisfatti.
 
 
 
“Henry Charles Albert David, non cercare di scusare i tuoi figli!” Esclamò Sofia togliendosi la vestaglia da notte in raso. Prese a camminare avanti e indietro davanti al letto, mentre Harry la osservava. Non poteva credere che David e Philip fossero stati coinvolti in una rissa a scuola.
“Non li sto scusando, ti sto solo dicendo che è accaduto tutto per un motivo”.
“Che né tu né i nostri figli volete dirmi!”
“Sofia, è stato solamente uno scontro con dei compagni di scuola, tutto qui”.
“No Harry è stata una rissa in piena regola! E vorrei sapere quantomeno cosa è successo!”
Harry la prese per mano e la fece sedere sulle sue gambe. “Ti fidi del mio giudizio?”
Lei sbuffò. “Sì”, disse riluttante. “Immagino che ora mi dirai che non devo sgridargli e che non devo metterli in punizione, vero?”
“E che non devi nemmeno andare a Eton domani mattina per prendertela con il direttore. Ho sistemato tutto io”. Sofia sarebbe stata capace di scatenare una guerra.
“Hanno picchiato i miei bambini”, disse a denti stretti. “Loro non avrebbero dovuto reagire così duramente, ma sappiamo entrambi che se sono arrivati a tanto è perché sono stati provocati”.
Lui sorrise nel sentire che nonostante avessero sedici anni, Sofia li chiamava ancora i suoi bambini.
Lasciandosi ricadere sul letto, Sofia sbuffò di nuovo, guardando il soffitto. Il solo pensiero di rimanersene con le mani in mano le faceva venire l’urto di nervi. Harry si stese al suo fianco e le baciò il collo abbracciandola stretta. “Fidati, ho già sistemato tutto io”.
Sofia arricciò il naso. “E va bene”.
 
SPAZIO DELL'AUTRICE
I royal twins hanno un bel caratterino. Davvero, davvero un bel caratterino. La capocciata epica di Philip mi ha fatta ridere parecchio mentre la scrivevo, anche se so che non è la cosa migliore da far fare ad un principe, però i nostri royal twins sono dei principi un po' particolari!

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Capitolo 3
*** I lati positivi di una sospensione ***


“Coraggio David!” Sofia incitò il figlio, osservandolo da lontano mentre era a cavallo. Quella era già la seconda volta che cadeva in due chukkers consecutivi e se fosse caduto una terza volta lo avrebbe fatto ritirare. D’accordo, le cadute da cavallo facevano parte del rischio di giocare a polo, ma l’idea che suo figlio si infortunasse davvero non le andava proprio a genio.
Ogni squadra era composta da quattro giocatori e visto che Harry giocava con i gemelli, la loro era una squadra in maggioranza formata da familiari. La cosa era piuttosto piacevole, se considerando che fino a pochi anni prima i ragazzi insistevano a voler sempre giocare contro di Harry per cercare di batterlo. La competitività nel polo era un difetto di famiglia, che fortunatamente ora sembrava essersi attenuato tra padre e figli.
La pausa centrale di quindici minuti venne annunciata dallo speaker e il duca di Windsor, seguito dai suoi figli, smontarono da cavallo per dirigersi alle tende dove potersi riposare per un po’.
Harry raggiunse Sofia entusiasta. “Questa partita sta andando alla grande!” Esultò. Si avvicinò alla moglie e le stampò un sonoro bacio sulle labbra. “Hai visto che meraviglia era l’ultimo punto?”
“Una cosa da veri professionisti!” Disse lei stando al suo gioco. Prese l’asciugamano che c’era sulla sedia e aiutò Harry ad asciugarsi il collo sudato. Era completamente rosso in volto e questa sua caratteristica Sofia l’aveva sempre amata.
“Mamma mi aiuti per favore?” Chiesero David e Philip all’unisono porgendole l’asciugamano e girandosi di schiena.
Lei non poté trattenersi e scoppiò a ridere. “Svenevoli come il padre”, commentò. Le faceva piacere quando le chiedevano di aiutarli a fare qualcosa. In un certo senso era come tornare a quando erano piccoli.
“Ragazzi, potreste non monopolizzare vostra madre per tutto il tempo, grazie” Intervenne Harry leggermente geloso.
“Sei tu che la monopolizzi sempre”, ribatté David. Lui era di certo il più mammone, ma forse solo perché era il più strano tra i royal twins. Ad esempio non si faceva mai toccare le caviglie da nessuno, tranne che da Sofia. Lei ed Harry non erano mai riusciti a capirne il motivo ma le caviglie erano un punto delicato per lui.
“Posso entrare?” Una voce squillante fece girare tutti e quattro verso l’entrata della tenda.
Charlotte era lì, in attesa, sorridente come al solito. I lunghi capelli marroni con riflessi ramati le ricadevano in avanti sulle spalle e i grandi occhi azzurri che aveva ereditato da William erano abbondantemente contornati dal trucco scuro.
Philip fece una smorfia quando vide la cugina avvicinarsi alla madre per abbracciarla calorosamente.
“Dov’è Kate?” le chiese Sofia.
“Sta arrivando, si è dovuta trattenere alla macchina”.
“Scommetto che hai provato a fare il parcheggio ma sei andata a finire contro un albero e ora zia deve sistemare i tuoi casini”, la punzecchiò Philip incrociando le braccia sul petto. Tra lui e Charlotte c’era sempre stato un rapporto di odio e amore. Se ne dicevano di ogni e si combinavano scherzi crudeli, il più delle volte, ma alla fine si volevano comunque bene.
David si strozzò quasi con l’acqua, sentendo la battuta del fratello, e poi si mise a ridere. Harry diede uno scappellotto leggero ad entrambi e in quel momento Sofia lo amò follemente. Non tanto perché non si dovevano fare battute fra cugini, ma perché le facce che fecero i gemelli furono incomparabili. Sì, lei ed Harry erano un po’ dei bulli nei confronti dei loro figli, ma erano troppo divertenti quando facevano quelle espressioni perplesse.
“A quanto ho sentito avete fatto una bela scazzottata ieri pomeriggio”, disse sottovoce Charlotte ai cugini una volta che Harry e Sofia si furono allontanati leggermente.
“Tu come lo sai?” Le chiese David.
Lei fece spallucce. “Le notizie si diffondono in fretta”.
“Scommetto che è stata una di quelle tue amiche pettegole a dirtelo”, le disse acido Philip.
“E’ grazie alle mie amiche pettegole, come le chiami tu, che tutti sapranno della tua capocciata a Edward Forster”. Charlotte sorrise divertita. “D’altra parte tutti sanno tutto di quello che facciamo noi”, aggiunse rattristata.
“Che hai Charlotte?” Le chiese David vedendo che si era improvvisamente rabbuiata.
“Niente. E’ solo che sono stanca di tutto questo, a volte. Vorrei essere semplicemente normale, come tutti gli altri. A volte vorrei addirittura scappare di casa”.
Philip alzò gli occhi al cielo. Quando Charlotte faceva la depressa era ancora più insopportabile del solito. Per lui essere un principe era una cosa seria, non un gioco. Certo, non era facile, ma le cose non si potevano cambiare.
“Falla finita Charlotte. Noi siamo quello che siamo, non ci possiamo fare nulla. Siamo principi della corona per diritto di nascita, e lo resteremo finché avremo vita. Perciò mettiti l’anima in pace e fattene una ragione”, le lanciò l’asciugamano addosso e lei lo scansò immediatamente, schifata per il fatto che fosse bagnato di sudore.
David gli diede un leggero colpo col gomito. La sua mancanza di sensibilità faceva paura. Philip era sempre stato troppo diretto e c’erano volte in cui i suoi occhi così particolari, gli facevano gelare il sangue nelle vene.
Essere un membro della famiglia reale, il nipote del re in particolare, non era facile. Specialmente se si ha sedici anni e l’unica cosa che si desidera è poter camminare in giro per strada senza essere rincorso dai paparazzi. Inoltre, i numerosi impegni e l’atteggiamento di costante diplomazia che occorreva assumere nelle occasioni ufficiali, erano simili a delle catene. Sua madre non era nata in quel contesto così aristocratico, pieno di falsità e di apparenze, e David ancora non riusciva a capire come avesse fatto a sposare suo padre, mettendosi in gabbia con le sue stesse mani.
Lasciò che Charlotte e Philip bisticciassero tra loro come al solito e lui uscì dalla tenda, dirigendosi verso sua madre.
“Mamma posso farti una domanda?”
Sofia corrugò la fronte. “Certo che puoi tesoro, di che si tratta?”
David abbassò lo sguardo imbarazzato, perché non sapeva bene quali fossero le parole giuste da usare. “Come riesci a sopportare di stare qui?” Una domanda simile poteva essere interpretata in molti modi. “Voglio dire tu avresti potuto essere normale e libera di fare quello che volevi. Perché invece hai scelto questo tipo di vita?”.
“Perché amo tuo padre”, rispose Sofia con naturalezza.
David annuì pensieroso e Sofia capì che quella risposta non era bastata a far scomparire i dubbi del figlio.
“Mio fratello non voleva che io sposassi tuo padre”, gli disse. “E nemmeno i miei genitori. Non me l’hanno mai detto esplicitamente ma io so che si erano immaginati qualcos’altro per me”, si voltò leggermente e guardò in direzione di Harry, che stava controllando la sella del suo cavallo. Sofia amava la sua vita. Non avrebbe mai chiesto nulla di più, perché l’amore di Harry le bastava. Era libera a modo suo, un modo che nessun altro avrebbe potuto capire, forse, ma poco le importava.
“David tu non hai nulla da invidiare agli altri”, tentò di spiegargli con dolcezza. Gli posò una mano sulla guancia, con delicatezza. “Essere un principe non vuol dire essere in prigione. Certo, il tuo ruolo comporta dei doveri ma questo vale anche quando non hai un titolo nobiliare”. Sofia lo guardò dritto negli occhi color azzurro cielo che aveva preso da Harry. “Non preoccuparti, potrai scegliere che cosa fare della tua vita anche se sei un principe”.    
“Davvero?” Non ne era troppo convinto.
Lei annuì sorridendo. “Ma certo”. Sofia strinse David a sé, massaggiandogli la schiena. Gli diede un bacio sulla guancia, visto che non era abbastanza alta da darglielo in testa come invece era solito fare Harry. “Ora vai, ma sta attento a non cadere di nuovo, va bene?” Strofinò il naso contro il suo, come faceva quando era piccolo e lui non poté nascondere un sorriso.
“Sì mamma”.
 
 
 
“Spero che in questa settimana non rimangano indietro con lo studio”, disse Sofia ad Harry, mentre guardavano i ragazzi salire a cavallo.
“Non preoccuparti, i nostri pulcini sono troppi bravi per rimanere indietro”. A differenza di Harry, grazie al cielo, David e Philip amavano studiare. Erano esattamente come Sofia: amavano leggere e amavano la scuola. Detestavano i compagni, ma non avrebbero mai rinunciato alle lezioni.
Harry la prese per la vita e la guardò intensamente negli occhi. “Quei due sono identici alla loro mamma, su questo”.
Sofia sorrise leggermente in imbarazzo, poi si alzò in punta di piedi e baciò Harry con sentimento e trasporto, contornandogli il collo con le braccia. “Sai, stavo pensando che dopotutto la loro sospensione ha dei lati positivi”. Non avrebbe mai creduto di poter pronunciare quelle parole.
“E cioè?” Harry sapeva perfettamente cosa stava per dire.
“Così ce li possiamo godere in tutta tranquillità per qualche giorno e poi, almeno, saranno qui quando Richard tornerà a casa”.

SPAZIO DELL'AUTRICE
Lo so, lo so: il capitolo è breve, mi dispiace ma a sto giro è venuto fuori così, perciò abbiate pazienza XD

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Capitolo 4
*** Richard ***


L’aereo privato del re fece il suo ingresso sulla pista d’atterraggio. Da Balmoral a Londra non era stato un viaggio particolarmente lungo, giusto due ore, e il primo che uscì dall’enorme veicolo fu Richard.
Sua Altezza Reale il principe Richard Windsor aveva tredici anni ed era il figlio minore del duca e della duchessa di Windsor. Era un ragazzino piuttosto grazioso, con il naso all’insù, il volto chiaro tempestato da lentiggini, che gli conferivano un’aria furbetta, e i capelli color pel di carota, che come i suoi fratelli maggiori aveva ereditato dal padre. Ciò che invece aveva ereditato dalla madre, erano gli occhi scuri e le labbra sottili.
Richard scese la rampa insieme a suo nonno, il re Charles, indossando il suo bel completo elegante con la giacca blu. Si guardò intorno curioso e quando scese l’ultimo gradino vide i genitori che lo stavano aspettando.
“Mamma!” Richard si buttò tra le braccia di Sofia, che lo abbracciò calorosamente con un enorme sorriso dipinto in volto. Sofia amava tutti i suoi figli, incondizionatamente, ma dopo i gemelli non avrebbe mai e poi mai pensato di averne un terzo. Il caso volle che anche quella volta, lei ed Harry ricevessero un altro maschietto del tutto inaspettatamente. Al tempo la regina Elizabeth ne era rimasta piacevolmente sorpresa, quando apprese che Sofia aspettava Richard, e fortunatamente riuscì a vederlo nascere prima di lasciarli.
“Com’è andata la vacanza Richard?” Gli chiese Harry dandogli un buffetto sulla guancia.
“Piuttosto bene”. Charles rispose al posto del nipote, avvicinandosi al figlio e alla nuora per salutarli affettuosamente. “E’ un ottimo tiratore, meglio di quanto fossero Harry e William alla sua età”, proseguì Charles rivolto a Sofia.
“Oh davvero?” Si finse sorpresa. “Povere lepri allora”. L’idea della caccia non le era mai piaciuta, ma ci sono abitudini che in una famiglia reale sono dure a morire.
“Non ne abbiamo prese molte, mamma”. La rassicurò Richard.
“In compenso ha preso tutti gli alberi della tenuta”.
Harry e Sofia si misero a ridere, poi lui prese in braccio Richard lamentandosi del fatto che non lo avesse nemmeno abbracciato. Il bambino rise entusiasta mentre il padre gli faceva il solletico.
In quel momento li raggiunse Camilla, moglie di Charles e quindi regina. “Siamo contenti che Richard sia venuto con noi. Ci ha fatto tanta compagnia”. Charles aveva un debole particolare per Richard. Non che non volesse bene agli altri nipoti, ovviamente, ma stare in compagnia di quel ragazzino era una cosa talmente rilassante che portarselo dietro era un vero e proprio piacere. In questo tutti dicevano che somigliava a Sofia. Aveva il suo stesso carattere mite, era educato come lei e aveva la sua stessa propensione al dialogo. In verità lei ed Harry sapevano che Richard poteva essere un bambino scatenato, ma questo accadeva solo quando era a casa con David, Philip e Harry, ovviamente. Perché con Harry si scatenavano sempre tutti.
Durante il tragitto verso casa Richard non fece altro che parlare e raccontare nei minimi dettagli quello che aveva fatto durante la settimana trascorsa a Balmoral. Sofia e Harry parteciparono attivamente al suo entusiasmo.
“Ho preso anche dei kilt”, annunciò ad un tratto Richard.
“Dei kilt?” Fece Harry corrugando la fronte.
“Sì, ho chiesto a Camilla di accompagnarmi a comprarli per David e Philip. Ne ho preso anche uno per nonno e per lo zio Enea”.
I figli di Harry e Sofia non avevano mai chiamato nonna la moglie di Charles. Non per cattiveria, anzi Harry le era affezionato, ma non poteva mettere da parte così sua madre. Tristemente Diana non sarebbe mai stata nulla più di un nome e di una fotografia per i ragazzi, ma per lui era pur sempre sua madre e non voleva che qualcun altro la sostituisse.
Harry si morse un labbro per non ridere e guardò Sofia. “Senza offesa tesoro, ma non credo che li indosseranno”. Non ce li vedeva proprio suo padre e suo fratello ad indossare una cosa simile. “Però sono certa che apprezzeranno il pensiero”.
“Oh Certo che lo apprezzeranno! Specialmente lo zio”, commentò sarcastico Harry. Sofia gli diede un pizzicotto sulla gamba e lui si mise a ridere facendole l’occhiolino.
La macchina si fermò davanti all’entrata di casa. Harry scese per primo, tenendo aperta la portiera a Sofia e a Richard, il quale continuò a parlare ininterrottamente, camminando all’indietro.
Harry e Sofia si scambiarono un’occhiata complice e tenendosi per mano seguirono il figlio nell’atrio, dove lo aspettava una sorpresa a cui non avrebbe mai pensato.
“Finalmente ti sei deciso a tornare a casa eh?” Sentendo la voce di Philip, Richard si girò e sgranò gli occhi nel vedere i fratelli maggiori.
“David! Philip! Siete a casa!” Gli corse incontro e li abbracciò contemporaneamente. L’impatto fu così forte che i due indietreggiarono di un passo involontariamente.
Richard adorava i suo fratelli maggiori, come ogni bravo fratellino. Stravedeva per loro e a quanto sembrava il sentimento era reciproco. Durante la gravidanza c’erano state parecchi persone che avevano detto ad Harry e Sofia che i royal twins avrebbero anche potuto coalizzarsi contro il nuovo bambino. A volte i gemelli lo facevano. Invece la cosa non era accaduta e anzi David e Philip, che al tempo avevano tre anni, reagirono piuttosto bene all’idea di avere un nuovo fratellino.
Sofia si disse che vederli tutti e tre insieme era una cosa meravigliosa.
“Abbiamo tutti e tre i nostri pulcini a casa”, le sussurrò Harry baciandole la testa, avendo intuito quello a cui stava pensando. “Non metterti a piangere però. Fai l’orgogliosa”, la punzecchiò lui divertito.
Il sorriso che Sofia aveva avuto sul volto fino a pochi istanti prima scomparve improvvisamente. Si girò verso il marito e gli fece una linguaccia. “Come sei spiritoso”.
Lui si mise a ridere. Poteva capire l’emozione che provava Sofia nel vedere quei tre diavoletti.
“Che c’è per cena?” Chiese Richard. Altra cosa che tutti e tre i fratelli Windsor avevano ereditato dalla madre: mangiavano tanto, ma veramente tanto. Senza ingrassare, fortunatamente.
“Abbiamo ordinato la pizza”, dichiarò David soddisfatto.
Sofia inarcò un sopracciglio. “Pizza? Ho paura per le scelte che avete fatto”.
“Non esagerare, sono sicuro che si saranno contenuti, vero ragazzi?” Harry e i royal twins si scambiarono un’occhiata, per poi dirigersi verso la sala.
D’accordo, Sofia aveva dei gusti difficili in fatto di pizza, ma questo non significava che ogni volta dovessero ordinare tutti i gusti che c’erano sul menù! Sul tavolo c’erano almeno dieci pizze differenti e per una volta mangiare così, senza troppe cerimonie era divertente.
“Ma voi non dovreste essere a Eton?” Chiese ad un tratto Richard.
“Siamo stati sospesi”, rispose David.
Richard sgranò gli occhi incredulo. “Perché?”
“Abbiamo fatto a botte con un nostro compagno”, gli spiegò il fratello.
“Wow!” esclamò Richard. “E non siete in punizione?” Sapeva che la mamma non accettava questo genere di cose.
“Per questo fatto dovete ringraziare me”, dichiarò Harry alzando una mano.
“Altrimenti una capocciata come quella che ha dato Philip a Edward Forster avrebbe meritato una punizione colossale”. Sofia mise bene in chiaro le cose.
“Allora è per questo che hai la fronte giallognola”.
Philip bevve un sorso di coca cola e gli alzò il pollice in segno di assenso. Si disse che Richard era un tipetto piuttosto sveglio.
Il resto della serata trascorse con tranquillità. I ragazzi scherzarono allegramente per tutto il tempo e Richard volle sapere i dettagli della rissa a Eton, anche se per ovvi motivi i royal twins fecero in modo di spostare l’argomento centrale della conversazione sulla vacanza che il fratello aveva fatto a Balmoral con i nonni. Non che gli interessasse molto parlare di quel posto, però sapevano che a Richard avrebbe fatto piacere, così lo assecondarono.
Sofia e Harry dovettero sorbirsi di nuovo tutto quello che il più piccolo dei loro figli gli aveva raccontato in macchina e ormai conoscevano i particolari a memoria.
 
 
 
“Mi sembra quasi di essere andata con loro”, commentò scherzosamente Sofia, una volta rimasta da sola con Harry.
I ragazzi erano crollati tutti e tre: i gemelli per la stanchezza improvvisa che li aveva assaliti dopo la partita di polo e il più piccolo per via del viaggio. Allora Harry e Sofia gli avevano dato la buonanotte, mentre loro decisero di trattenersi in terrazza per godersi l’aria della notte ancora per una mezz’oretta. Questi piccoli momenti di tranquillità Harry aveva iniziato ad apprezzarli da quando aveva conosciuto Sofia. Prima sarebbe uscito di fuori solamente per fumarsi una sigaretta, ora invece, dopo anni di matrimonio, amava farlo solo per potersi rilassare all’aria aperta.
“Il momento più divertente sai qual è stato?” Harry si appoggiò al davanzale del terrazzo e guardò Sofia con un sorrisetto malizioso.
“Illuminami!” Esclamò lei stando al suo gioco.
“Quando Philip se ne è uscito fuori dicendo a Richard: non so come tu possa amare la Scozia. E’ così fredda e umida”. Imitò il modo di fare del figlio e Sofia si mise a ridere.
“E’ stato esilarante, dico davvero. Ho avuto la tentazione di dirgli che Richard è stato concepito in Scozia, ma mi sono trattenuto”.
Quella famosa sera trascorsa nel piccolo albergo della Scozia, con il diluvio all’esterno e dopo che avevano litigato alla partita di polo, aveva dato i suoi frutti regalando ad entrambi la gioia di un altro figlio.
“Se lo avessi fatto li avresti sconvolti!” Esclamò Sofia. I ragazzi erano solo degli adolescenti e non era proprio il caso di parlare con loro di certe cose. Inoltre, se quella storia fosse mai venuta fuori, Sofia sarebbe morta per l’imbarazzo.
“Ma è la verità”, Harry si mise sulla difensiva. “E poi non è colpa mia se quella è stata una serata meravigliosa”, continuò con voce suadente.
Lei fece un profondo respiro, poi si avvicinò a lui. Gli anni passavano ma Harry rimaneva sempre il solito conquistatore di cuori. Per fortuna, da quando si erano innamorati, l’unico cuore che si era impegnato a conquistare giorno dopo giorno era quello di Sofia.

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Ebbene sì, Sofia ed Harry hanno avuto anche un terzo figlio, così abbiamo regalato ad Harry un'intera squadra di polo! ahahah no seriamente ho fatto questa scelta perché la scena tra lui e Sofia in Scozia è una delle mie preferite e meritavano un regalo (e che regalo!). Spero che questo capitolo non sia risultato noioso!

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Capitolo 5
*** Siamo gemelli... ***


Essere un adolescente è la cosa più difficile del mondo. Diventare grandi comporta necessariamente delle scelte e Philip lo sapeva bene. Per questo si trovava lì, quel pomeriggio, invece di essere agli allenamenti di scherma. C’aveva riflettuto bene, erano mesi che ci pensava e la settimana di sospensione lo avevano definitivamente convinto che quella fosse la scelta giusta. L’unica.
Guardò per un’ultima volta il grande palazzone grigio che gli stava davanti e per un momento ebbe la tentazione di tornarsene da dove era venuto. Scosse la testa e si disse che doveva entrare. A quello che sarebbe successo da lì in poi c’avrebbe pensato dopo, un passo alla volta.
Appena varcata la porta d’ingresso lo riconobbero subito. Lui fece un sorriso cordiale e poi si precipitò su per la scalinata. Conosceva già quel posto e sapeva benissimo dove doveva andare. Il terzo piano, dove c’era lo studio di suo padre.
Fece un profondo respiro e poi bussò alla porta. Da dentro la stanza, la voce profonda di Harry si udì forte e chiara.
“Avanti”, disse.
Philip entrò nello studio, richiudendosi la porta dietro. Harry aveva la testa china sulla scrivania, intento a scrivere alcune note su dei fogli, probabilmente riguardanti qualche discorso che doveva fare.
“Papà”, le parole gli morirono in gola e dovette schiarirsi la voce.
Harry alzò lo sguardo e corrugò la fronte, sorpreso di vedere il figlio lì. “Philip, non avevi gli allenamenti di scherma? Se non ti alleni abbastanza non lo vinci il torneo lo sai vero?” Gli disse scherzando.
Philip si mise a ridere mentre si avvicinava alla scrivania del padre. “Sta tranquillo, il torneo non è un grande problema, lo vincerò comunque”. Nello sport era sempre stato bravo. “Papà, devo parlarti di una cosa”, gli disse tornando improvvisamente serio.
“Devo preoccuparmi?” Harry ripose da parte la penna, si alzò in piedi e si mise seduto sulla scrivania incrociando le braccia sul petto.
Philip indugiò per qualche istante poi si fece coraggio e parlò. “Voglio entrare in accademia militare. Dopo aver finito Eton, ovviamente”.
Harry inarcò un sopracciglio, visibilmente sorpreso. “La mamma lo sa?” Quella fu la prima cosa a cui pensò.
Philip scosse la testa. “Credevo fosse meglio parlare prima con te”.
“Sei sicuro di quello che fai? Voglio dire tu hai ottimi voti a scuola, potresti entrare in qualsiasi università dopo Eton”.
“Lo so, ma non fa per me. David è più portato per queste cose. Non che non mi piaccia studiare, credimi, è solo che non mi ci vedo seduto tutto il tempo ad una scrivania. Io sento di voler fare qualcosa di concreto nella mia vita”, gli spiegò. “Come hai fatto tu”.
Harry chiuse gli occhi. Sapeva che avrebbe tirato in ballo il suo esempio. “Il discorso era diverso per me, Philip. Io ero negato per lo studio e l’accademia era l’unica scelta che potessi fare per non essere un totale fallimento”.
“Papà, ho sempre voluto entrare all’accademia militare, fin da quando ero piccolo, lo sai!”
“Qui non si tratta solo dell’accademia, Philip”. Quello era il meno. Il problema veniva dopo, quando si diventava dei soldati e ci si ritrovava a combattere in prima linea. Perché se Philip avesse concluso il suo addestramento sarebbe stato proprio quello che avrebbe fatto, su questo Harry non aveva dubbi.
Non si era mai pentito della sua scelta, ma ora che suo figlio voleva seguire le sue orme non era sicuro di volerlo lasciare andare. Voleva qualcosa di più per Philip. Voleva che non fosse messo in pericolo. Ora che si trattava della sicurezza di suo figlio, capiva come si era sentita sua nonna quando l’aveva fatto rientrare con la forza dal fronte.  
Harry sapeva che doveva proteggerlo, ma nei suoi occhi vedeva una forte determinazione che non poté ignorare.
“D’accordo”.
Il volto di Philip si illuminò e le sue labbra si allungarono in un grande sorriso. “Davvero?”
Harry annuì. “Ma dobbiamo parlarne anche con la mamma”.
“Certo”, rispose Philip euforico.
“E non menzionare la parola arruolamento con lei. Dall’accademia al servizio effettivo ce ne è di tempo”.
Philip si sentì come libero di respirare di nuovo. Aveva sempre desiderato entrare all’accademia militare e ora finalmente ne aveva l’opportunità. Mancava solo una cosa: il consenso di sua madre.
“Grazie papà”.
Harry gli sorrise, poi lo abbracciò e gli baciò la testa, scompigliandogli i capelli rossi come era sua solito fare.
 
 
 
Sofia non ne fu contenta, per niente, me alla fine dovette cedere. Harry aveva sostenuto le ragioni di Philip e lei non aveva potuto opporsi alla cosa. Tuttavia si sentiva scossa.
“Sofia”. La voce profonda di Harry la sottrasse ai suoi, riportandola alla realtà. Sentì la mano di lui immergersi nell’acqua bollente della vasca e sfiorarle la gamba nuda. “So che sei arrabbiata con me per la storia di Philip”, le disse.
Lei sospirò. “Non sono arrabbiata, è solo che….sono preoccupata”.
“Lo so, ma eravamo d’accordo che li avremmo lasciati liberi di fare le proprie scelte, no?”
Sofia annuì e si voltò verso di Harry, appoggiandosi al bordo di ceramica della vasca da bagno. Lo guardò con occhi tristi e pensierosi. “Sì, ma l’accademia militare Harry…”
“Philip vuole scegliere quella strada e noi dobbiamo sostenerlo”.
Non era facile chiedere ad una madre di accettare che suo figlio diventi un militare. Non si può pretendere una cosa del genere.
“Non puoi aspettarti che io sia felice”.
“Assolutamente. L’unica cosa che ti chiedo è di capire la situazione”.
Ancora scossa Sofia chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. “Non sono pronta a lasciarlo andare così in questo modo”
Harry sospirò e le prese il volto tra le mani, costringendola a guardarlo dritto negli occhi. “Sai che la cosa più giusta da fare è accontentarlo”. D’altra parte, se anche avessero detto di no una volta uscito da Eton, Philip sarebbe stato maggiorenne e avrebbe fatto comunque la sua scelta.
“Mi prometti che non me lo manderai in guerra?” Le veniva quasi da piangere.
“Posso prometterti solo che non lo esporrò a rischi inutili”. La cosa non dipendeva da lui. “Nemmeno io vorrei che fosse in pericolo, ma posso capirlo”. Harry si disse che l’unico modo possibile per affrontare al meglio quella situazione era ragionare come un soldato, e non come un padre.
Baciò Sofia con sentimento, stringendola forte per rassicurarla almeno un po’. Lei capì le sue intenzioni e gli sorrise. “Ora fammi uscire dalla vasca, o faremo tardi alla cena con tuo padre e Camilla”.
La famiglia si riuniva spesso, quando non c’erano impegni ufficiali a tenerli divisi e l’argomento dell’accademia militare venne ripreso proprio a tavola, proprio prima che venisse servito il dessert.
Charlotte e Philip battibeccarono per tutto il tempo, come al solito, mentre David li ascoltava divertito insieme a Richard. Tra i due circolarono addirittura delle scommesse su chi l’avrebbe spuntata. Quella sera mancava solo George, che si trovava in vacanza all’estero per un viaggio di piacere, e che sarebbe rientrato solo dopo qualche giorno.
Improvvisamente Charles se ne uscì fuori dicendo: “David, Philip, avete già in mente cosa fare dopo Eton?”.
“Charles, è ancora presto per decidere cosa fare”, disse Camilla.
“Presto? Gli mancano solo tre anni”, obbiettò il re. “Allora, avete già pensato a qualcosa?”.
I royal twins si sentirono gli occhi di tutti puntati addosso. L’imbarazzante silenzio iniziale fu seguito dalle voci di David e Philip che parlarono contemporaneamente. Così le frasi “Non abbiamo ancora deciso” E “Ho intenzione di iscrivermi all’accademia militare”, si sovrapposero e proprio per questo David sperò di aver capito male.
“Parlate uno alla volta!” Si lamentò Richard.
“Ho intenzione di iscrivermi all’accademia militare”, dichiarò con una certa emozione Philip.
David sgranò gli occhi e rimase a fissarlo incredulo. Cosa? E quando l’aveva deciso? Scrutò i volti dei loro genitori e gli venne un colpo quando capì che non sembravano sorpresi della notizia.
“E’ una splendida idea!” Disse William. “Hai già deciso a quale ti iscriverai?”
Philip guardò Harry e i due si scambiarono uno sguardo complice. “Beh, pensavo a quella che ha frequentato papà”.
“Così potrai indossare la divisa militare!” Perché anche Richard sembrava essere a conoscenza della decisione di Philip?
Tutti sembrarono piuttosto contenti. Tutti tranne David, che invece si sentì quasi male. Un’improvvisa nausea lo assalì e per un po’ non fu in grado di spiccicare parola.
“E tu David?” Gli chiese Kate. “Hai già deciso?”
In quel momento Sofia sperò solamente che lui non avesse intenzione di seguire le orme del fratello. Strinse la mano di Harry sotto al tavolo, in attesa della risposta.
“Non lo so ancora”. Commentò tirato il ragazzo.
“Oh beh, c’è tempo!” Esclamò Charles.
“David è sempre stato un po’ tardone nel decidere le cose”, commentò scherzando Richard. Tutti si misero a ridere, ma David non aveva nessuna voglia di ridere.
“Scusatemi un momento”. Si alzò da tavola e se ne andò in corridoio.
Come aveva potuto non dirgli niente? Come aveva potuto tenerlo all’oscuro della cosa? Loro avevano sempre preso insieme quelle decisioni! Insomma…loro erano gemelli!
David si sentì tradito dal comportamento di Philip e anche da quello dei loro genitori. Sapevano tutto fin dal principio ma nessuno si era degnato di metterlo al corrente dei fatti. Lo aveva dovuto scoprire così, per caso. E quella era la cosa che lo faceva imbestialire ancora di più. Sentì gli occhi bruciargli e per un momento sentì che stava per mettersi a piangere dal nervoso. Era stato appena escluso e la cosa gli faceva un male tremendo.
Rimase fuori il più a lungo possibile, e quando fu costretto a rientrare, si sedette con l’aria imbronciata e non parlò più per tutta la sera. Quando tornarono a casa salutò in modo brusco tutti quanti e poi si chiuse in camera sua.
“Che diamine ti prende?” Philip aprì la porta con forza, senza nemmeno bussare. Era tardi e mentre lui erano in pigiama, pronto per andare a dormire, David indossava ancora la camicia e i jeans.
“Non so di cosa tu stia parlando”. Disse brusco lui senza degnarsi di guardare il fratello.
“Falla finita David”, lo rimproverò. “Forse potrai ingannare gli altri, ma con me non ci riesci”.
Perché siamo gemelli? Si chiese David. Gli venne quasi da ridere. Erano gemelli solo quando lo voleva Philip.
“Non rompere! E la prossima volta che entri in camera almeno bussa”, gli rispose con un tono di sfida che fece diventare Philip rosso per la rabbia. Fulmini e saette sembravano brillare in quei suoi occhi marroni e celesti. Ma il fatto che potesse avercela con lui, a David non interessava. Aveva iniziato lui e adesso sarebbe stato ripagato della sua stessa moneta. Philip scosse la testa. “Quando ti è passato il rodimento fammelo sapere”. Uscì dalla stanza e richiuse la porta, quasi sbattendola.
David prese un cuscino e glielo lanciò dietro. Non voleva parlargli, non voleva averlo intorno. Si disse che se Philip voleva voleva fare la sua vita in completa solitudine che si accomodasse pure. Lui non gli sarebbe corso dietro di certo.
Poco più tardi qualcuno bussò leggermente. Possibile che non potesse essere lasciato in pace nemmeno per un secondo? David alzò gli occhi al cielo, scattò in piedi e aprì la porta di scatto, pensando di trovarsi di nuovo il suo presunto gemello davanti agli occhi. Invece era Richard.
“Sei arrabbiato?” Gli chiese il fratello minore.
“Non ne voglio parlare”.
“Non importa, so che sei arrabbiato. Anche Philip lo è. E’ per via dell’accademia?” David lo tirò dentro alla stanza. Non voleva che quell’idiota di suo fratello sentisse Richard dire cose simili, altrimenti lo avrebbe considerato solo un debole.
“Fa silenzio che è tardi. Tu non dovresti essere a dormire?”
“Mi sono alzato perché ho avuto un incubo”, ammise senza vergogna. “Posso dormire con te?”
David ebbe una fitta al cuore pensando che in queste occasioni, di solito, prendeva Richard e andavano entrambi a dormire con Philip. La mattina dopo qualcuno si risvegliava con la faccia spiaccicata sul pavimento, ma almeno trascorrevano la notte a chiacchierare. Improvvisamente venne assalito da una tremenda tristezza.
“Non questa notte Richard”, aprì la porta e fece uscire delicatamente il fratello. Non voleva trattarlo male, ma in quel momento voleva stare da solo. “Va da Philip”. Richiuse la porta e girò la chiave.
Richard rimase in corridoio davanti alla porta chiusa di David per qualche istante, poi andò da Philip. Entrò senza bussare. Normalmente lo faceva anche con David, ma lo aveva sentito rimproverare Philip poco prima perché non aveva bussato.
“Posso dormire con te?” Gli chiese avvicinandosi al letto. “David non ha voluto”, gli spiegò con un velo di tristezza.
Philip sospirò. Quando David era di cattivo umore era così intrattabile che avrebbe voluto prenderlo a schiaffi in faccia. “Ma certo”. Abbracciò il fratellino e lo fece mettere sotto le coperte.

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Capitolo 6
*** Voglio andare a studiare all'estero ***


 
La sua vita faceva schifo. David rimase in camera facendo finta di dormire, in verità non aveva chiuso occhio tutta la notte e non aveva fatto altro che deprimersi. Il suo gemello lo aveva appena tagliato fuori dalla sua vita. Inoltre aveva deciso cosa fare, mentre lui invece non ne aveva ancora la più pallida idea. Era confuso, tremendamente confuso e in parte, nel profondo del suo cuore, anche spaventato.
Con una smorfia si disse che in quel modo non sarebbe andato da nessuna parte, così aprì la porta della camera ed uscì. Sarebbe dovuto andare a fare colazione, ma aveva la nausea e ci rinunciò. Non aveva voglia di sedersi a tavola con gli altri, facendo finta che andasse tutto bene. Così tirò dritto, dirigendosi verso lo studio di sua madre.
Lì dentro c’erano tanti di quei libri da far girare la testa, perciò quella era la stanza della casa che preferiva. Tra le altre cose era anche l’unica biblioteca i cui libri fossero di proprietà privata e non della casa reale. O meglio, erano di sua madre, però in parte li consideravano anche loro dal momento che li leggevano quando e come gli pareva.
L’unica regola che aveva fissato Sofia in merito era che quando si prendeva un libro poi bisognasse sempre restituirlo dopo che l’avevano letto. Bastava semplicemente riporre i volumi sulla sua scrivania e poi ci pensava lei a risistemarli sugli scaffali, non tanto per fargli un favore, ma più perché lei aveva un modo tutto suo di ordinare la biblioteca. Lo zio Enea diceva sempre che l’aver sostenuto l’esame di archivistica, il primo anno di università, l’aveva rovinata per sempre facendola diventare ossessionata dall’ordine per i libri.
David entrò nella stanza, lasciando la porta aperta e si mise ad osservare i numerosi volumi. Con una mano li sfiorò camminando pensieroso.
In fondo qualcosa che aveva sempre voluto fare c’era, solo che non ne aveva mai parlato con nessuno perché gli era sempre sembrata una cosa sciocca, ma adesso, in quel contesto, non era più così. “Ma certo…”, sussurrò. Sapeva cosa doveva fare. Sapeva cosa voleva.
“Ah, sei qui”.
Si girò di scatto sentendo la voce di Sofia. “Stavo per venire a chiamarti. Va tutto bene tesoro? Ieri sera mi sembravi un po’…contrariato. Per la storia di Philip, sai”
Lui annuì. “Certo, va tutto bene mamma”, mentì. Non andava bene per niente ma non voleva che sua madre si preoccupasse e così decise di non dirle nulla. Per di più ora sembrava aver trovato una soluzione ai suoi problemi.
Sofia gli scansò i capelli dalla fronte e gli diede un buffetto affettuoso. “Va a vestirti allora. Ti ricordi che oggi dobbiamo andare tutti insieme a quell’evento di basket e che poi abbiamo un’intervista, vero?”
“Assolutamente”. Non aspettava altro.
David baciò la madre sulla guancia e poi percorse il corridoio correndo verso la sua stanza. Si fece una doccia e indossò un cardigan color sabbia e dei jeans. Quella mattina fu il primo a scendere e ad arrivare all’auto.
 
 
All’evento di basket Harry venne invitato a fare dei tiri liberi a canestro. Ne sbagliò tre su tre e nonostante questo seppe perfettamente accettare la sconfitta con il sorriso sulle labbra.
“Spero solo che mia moglie mi ami lo stesso anche se sono negato”, commentò sarcastico.
Sofia alzò gli occhi al cielo mentre le porgevano la palla da basket per tentare la stessa impresa del marito. “Il polo è più sensuale del basket”, gli sussurrò in un momento in cui sapeva di non essere ascoltata dagli altri. Harry le sorrise e le fece l’occhiolino.
Si posizionò sulla lunetta, fece rimbalzare la palla per tre volte, poi si mise in posizione. Si piegò leggermente sulle gambe e con il movimento giusto del polso lanciò la palla facendo canestro senza troppi problemi. Ci furono parecchi applausi. Nessuno si sarebbe aspettato che la duchessa di Windsor fosse in grado di segnare da tre punti nonostante i tacchi. C’era gente che non ci riusciva nemmeno con le scarpe da ginnastica.
“Mio fratello ha giocato a basket quando era giovane, perciò io sono cresciuta guardando le sue partite”, spiegò ai rappresentanti.
“Richard, prova anche tu”, lo incitò Harry. Lo si vedeva che il più piccolo dei suoi figli moriva dalla voglia di provarci.
“Ma non so come si fa”, disse rivolto al padre.
“Tranquillo, te lo spiega la mamma”.
Sofia gli sorrise e lo invitò a farsi avanti. Gli fece vedere come doveva muoversi e Richard tirò a canestro. Non lo centrò, ma ci andò molto vicino. Un discorso a parte fu quando toccò ai royal twins. Loro erano bravi, non come Sofia, ma almeno fecero due canestri su tre.
In seguito ci fu la tanto attesa intervista. I protagonisti indiscussi, ovviamente furono Sofia ed Harry, poi però, verso la fine, l’intervistatrice si concentrò anche sui loro figli.
“Allora, un fatto molto curioso di cui siamo venuti a conoscenza in queste ultime ore: sembra che abbiano fatto un sondaggio sui principi delle case reali del mondo e al primo posto ci sono i royal twins David e Philip! Congratulazioni, siete stati nominati i principi più belli del mondo!”
“E’ merito della mamma”, commentò Harry.
“Non credo visto che sono la tua copia esatta”, gli disse Sofia di rimando.
L’intervistatrice le fece notare che avevano il suo sorriso e che Richard aveva anche i suoi stessi occhi, così lei non poté evitare di arrossire.
“Philip, abbiamo saputo, negli ultimi giorni, della possibilità che tu ti iscriva all’accademia militare dopo Eton, è la verità?”
“Sì, infatti”.
“E come ti senti?”
“Decisamente emozionato”, ammise leggermente rosso sulle guance.
“Tu David invece? Cosa hai in programma per il futuro?”
David aveva aspettato quella domanda per tutta la mattina. “Ho intenzione di iscrivermi alla stessa università che ha frequentato la mamma. In Italia”, dichiarò con entusiasmo.
Sofia rimase impietrita davanti a quella decisione. Si voltò verso di Harry e dalla sua espressione capì che nemmeno lui ne era a conoscenza. Il duca e la duchessa non furono gli unici a rimanere sorpresi difronte a quella novità: anche Richard e Philip rimasero piuttosto sconvolti nel sentire le parole del fratello.
“Davvero? E la mamma cosa ne dice?” L’attenzione si spostò su Sofia, che in quel momento non poté fare altro che sorridere.
 
“E’ totalmente fuori questione”, disse con fermezza Harry, una volta tornati a casa.
“Non potevi almeno avvertirci prima di andare a dirlo in un’intervista? Avremmo dovuto parlarne”, aggiunse Sofia.
“Volevo farvi una sorpresa e poi non capisco il perché non posso frequentare la tua stessa università mamma”. David incrociò le braccia sul petto, indispettito.
“Perché davanti alla stampa sarebbe come dire che preferisci le università straniere a quelle inglesi”, gli spiegò adirato Harry.
“Ma non ha senso! A te non hanno detto che preferivi le donne italiane a quelle inglesi quando hai sposato la mamma!”
“Sei un principe e non puoi prendere e andartene all’estero per cinque anni a studiare come se nulla fosse”, intervenne Sofia, precedendo Harry.
David la guardò deluso. Sperava che almeno lei sarebbe riuscita a capirlo, come accadeva di solito. Con Philip era stata comprensiva, perché con lui no? Non era giusto, non era proprio giusto. Si sentì crollare il mondo addosso. “Avevi detto che avrei potuto scegliere che cosa fare della mia vita anche se ero un principe”.
“Sì, ma ci sono comunque dei limiti”, gli rispose lei dolcemente. Detestava vederlo contrariato.  
“Ma non è giusto!” Continuò.
“David sarai letteralmente assalito dai paparazzi, ovunque tu vada. Ti daranno il tormento giorno e notte, è davvero questo quello che vuoi?” Harry non si accorse nemmeno di aver alzato la voce. Il fatto era che sapeva benissimo cosa significasse essere seguito ovunque da gente in attesa del prossimo scoop. Era proprio a causa dei suoi eccessi giovanili che i suoi figli erano costantemente al centro dell’attenzione. Tutti non aspettavano altro che facessero il loro primo passo falso, e questo solo per potergli dire che erano dei ragazzini ribelli, esattamente come lo era stato lui. No, Harry non poteva permetterlo.
“Mamma…” David la guardò implorante.
“Ora basta!” Disse Harry con un tono che non ammetteva repliche. “Il discorso è chiuso, va in camera tua”.
David tirò su con il naso, poi se ne andò. Sofia fece per andargli dietro ma Harry la fermò, prendendola dolcemente per un polso. “Lascialo andare”.
“Harry sei stato troppo severo, potevamo tranquillamente parlare senza bisogno di arrabbiarsi in quel modo!”
“Sofia, ascoltami, sai che ho ragione. Anche tu la pensi come me, ne sono certo”.
“Sì ma…Non avevi mai alzato la voce con loro”, disse lei in un sussurro, ancora scossa. Harry non si arrabbiava mai con i ragazzi.
“Lo so. Scusami”. Abbassò lo sguardo dispiaciuto.
Sofia sapeva benissimo come si sentiva. Lei provava le stesse perplessità e le stesse paure, e sapeva che Harry cercava solo di proteggere i loro figli. Lo abbracciò tenendolo stretto e nascose il volto sul suo petto.
 
 
 
In camera sua David si buttò sul letto. Sentì gli occhi bruciargli e per la rabbia non riuscì a trattenere le lacrime. Era tutto così terribilmente ingiusto…
Quel pomeriggio lui e Philip tornarono a Eton.
“ne vuoi parlare?” Philip, seduto sulle scale insieme a Richard, aveva sentito tutto.
David scosse la testa, senza distogliere neanche per un istante lo sguardo dal finestrino.
Philip sospirò. Odiava vedere il fratello così angosciato
“Non ti fa bene tenerti tutto dentro”.
“Semplicemente non mi va di parlare”. Tagliò corto David.
“D’accordo”, gli rispose lui leggermente offeso. Non era da David estraniarsi così tanto. Di solito parlavano sempre di tutto, loro due, ma in quel momento percepì che il gemello non voleva condividere con lui quello che provava, e per questo sentì una terribile fitta di dolore al cuore.
David prese i suo bagaglio e si diresse verso il dormitorio. Chiese di poter ricevere la cena in camera perché non si sentiva molto bene, e dopotutto c’era un fondo di verità in quella scusa così blanda. Fu proprio quando spense la luce per andare a dormire che prese una decisione drastica.
Tirò fuor lo zaino nero dall’armadietto, ci infilò un cambio di vestiti e altre cose essenziali e poi si cambiò. Indossò dei jeans scuri, una felpa grigia e il giubbotto, poi aprì piano la porta ed uscì in corridoio. Cercando di fare il meno rumore possibile scese le scale ed uscì dal dormitorio. Passando dall’uscita sul retro, che rimaneva aperta fino a tardi, raggiunse la strada.
L’aria della sera era gelida e si strinse nelle spalle, continuando a camminare svelto. Quando fu abbastanza lontano da Eton prese fuori il cellulare e fece una chiamata.
“Charlotte sono io. Vuoi ancora scappare di casa?”

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Capitolo 7
*** Principi in fuga ***


Coinvolgere Charlotte nel suo piano era stato l’errore più colossale che potesse mai compiere, e si disse che se mai si fosse ripetuta una situazione simile mai e poi mai si sarebbe rivolto nuovamente a lei.
David era arrivato a casa sua tardissimo, e lei c’aveva messo un’eternità a fare una valigia che alla fine non si portarono nemmeno dietro. Trascorse più di due ore, sì esatto più di due ore, a decidere se portare un cardigan rosso oppure rosa. Alla fine aveva preso così tanta roba che David fece per andarsene da solo e lasciarla a casa. Dietro una minaccia simile, Charlotte lasciò bagatti e bagattelli, prese solo uno zaino fucsia e si dichiarò pronta a partire. La parte peggiore fu lasciare casa di Charlotte. I suoi genitori non erano a casa e avrebbero potuto tranquillamente andarsene passando per la porta principale, o anche per una delle secondarie, ma no! Charlotte diventò sospettosa di tutti e avendo paura che qualche domestico potesse fare la spia, ebbe la brillante e tragica idea di scavalcare il muro di cinta al confine. David rischiò di rompersi l’osso del collo, anche perché quando mise il primo piede a terra, la cugina gli cadde addosso. Erano due imbranati cronici e se Philip fosse stato lì gli avrebbe detto che erano un disastro su tutta la linea, come diceva sempre lui. Ma David si impose di non pensare al fratello, altrimenti i sensi di colpa lo avrebbero divorato.
David e Charlotte presero un taxi e si recarono all’aeroporto, giusto perché la loro doveva essere una fuga in grande stile. Tuttavia l’avventura notturna del principe e della principessa si concluse con due semplici parole: volo rimandato.
“Cosa?” David lasciò cadere lo zaino per terra non appena lesse quelle due parole sul tabellone delle partenze. “Deve essere uno scherzo!”
“Che facciamo adesso?” Chiese Charlotte.
“Aspettiamo”. Era piuttosto ovvio.
“D’accordo”, lei non ne era poi tanto convinta. “E se nel frattempo ci viene a cercare qualcuno?”
“Nessuno si aspetta di trovarci qui, non ci scopriranno tranquilla”.
“Anche se fosse almeno ci avremmo provato, ti pare?”
David non voleva solo provarci. Voleva riuscirci. E ce l’avrebbe fatta a qualsiasi costo. L’aereo partiva alle 10:30 della mattina, perciò potevano tranquillamente fare in tempo.
Decisi più che mai a scappare, i due cugini si sedettero e rimasero in attesa.
 
 
 
Philip si svegliò di soprassalto, madido di sudore. Si passò una mano sul volto e attese qualche istante per riprendersi del tutto.
Aveva una brutta sensazione e quando si accorse che la camera di David era vuota, ebbe tutte le ragioni del mondo per entrare in paranoia.
“David?” Lo cercò in bagno ma niente. Era troppo presto perché potesse essere andato ad un qualsiasi maledettissimo allenamento di tennis. Improvvisamente gli tornarono in mente le parole di Charlotte, quando aveva detto di voler scappare di casa.
David non avrebbe mai fatto una cosa simile però il suo istinto gli diceva che doveva ritrovarlo.
Si cambiò il più in fretta possibile e poi uscì.
“Sono scappati!” Esclamò con il fiatone. Erano circa le sette quando Philip piombò a casa del cugino. Aveva fatto tutta la strada da Eton a piedi, correndo, e ora era esausto.
George sbadigliò, ancora in pigiama. “Due domande”, gli disse. “Chi e perché?”
“David e Charlotte. Perché sono due idioti!”
“Aspetta, perché sei così convinto che siano scappati?”
“David ha litigato con i nostri genitori e Charlotte l’altra settimana parlava di voler scappare di casa, perciò deve aver preso la palla al balzo!” Parlò tutto d’un fiato, continuando a gesticolare e a camminare avanti e indietro per la stanza.
“Andiamo Philip, magari è solo andato a fare una passeggiata. Lo sai com’è fatto David: si sveglia sempre presto la mattina”.
“David non si sveglia mai presto la mattina!” Lo corresse Philip spazientito. “Quello sono io!”
“Ah!” Esclamò George. “A mia difesa dico solo che voi due siete identici perciò è facile confondersi. Tranne per i tuoi occhi, scusa ma sono un po’ inquietanti Phili…”
“George falla finita!” Come poteva stare così calmo quando gli aveva appena detto che la sorella era scappata di casa? Gli lanciò addosso i pantaloni e la maglia. “Vestiti e andiamo a cercarli!”
Philip avrebbe dovuto trovare David il prima possibile. Con il cuore che batteva a mille salì in macchina insieme a George.
“Dove andiamo?”
“All’aeroporto”, buttò lì senza neanche sapere bene il motivo.
“Come sai che sono all’aeroporto?”
“Forse perché stiamo parlando del mio gemello, o qualche altra strana motivazione, comunque sia tu vai all’aeroporto!”
George non fece altre domande, ingranò la marcia e partì a tutta velocità. In verità le ragioni per cui Philip pensò subito all’aeroporto erano semplici: David voleva andare a studiare dove aveva studiato la mamma, e visto che i loro genitori glielo avevano proibito, a rigor di logica, sarebbe andato esattamente lì: a Bologna.
Le strade di Londra scivolarono senza alcuna importanza, sotto lo sguardo preoccupato di Philip. Un misto di paura e rabbia lo invase, gettandolo nel più totale scompiglio.
Come aveva potuto, David, fare una cosa del genere, ancora non riusciva a capirlo. Insomma, si stava parlando di David….David…il gemello calmo. Il ragazzo tranquillo e socievole, non il ribelle.
La macchina si fermò poco prima dell’ingresso principale dell’aeroporto. Mancavano pochi metri e Philip sapeva che avrebbe trovato David proprio lì, ad aspettarlo. Allora lo avrebbe riportato a casa e quella brutta storia si sarebbe conclusa ancor prima di iniziare, ma quella coda di auto che non si volevano muovere si frapponevano fra lui e suo fratello. Se fosse arrivato in ritardo lo avrebbe perso e questo non se lo sarebbe mai e poi mai potuto perdonare.
George fece una sgommata colossale, superò le auto e si infilò nel primo parcheggio libero. I due scesero rapidamente dall’auto e all’ingresso guardarono il tabellone delle partenze.
Un sacco di gente camminava in modo frenetico per il grande aeroporto, che quel giorno sembrava immenso, più del solito.
Philip si guardò nervosamente in giro e poi lo trovò. “Eccoli!” Tirò George per la manica del maglioncino e gli indicò il punto esatto.
“Sei sicuro che siano loro?”
“Scherzi? Riconoscerei quella chioma rossa ovunque”.
 
 
 
David e Charlotte si alzarono dalle sedie. Dopo tutto quel tempo trascorso lì sentivano le ossa doloranti. Improvvisamente lui si sentì una mano sulla spalla che lo prendeva e lo costringeva a voltarsi.
“Dì un po’, sei forse impazzito?” David si ritrovò Philip davanti agli occhi, completamente furioso.
Si liberò dalla sua stretta. “Che diamine ci fai qui?”
Philip lo guardò incredulo. “Non vedi? Ti riporto a casa!”
“Non credo proprio, tornaci da solo a casa.” Fece per girarsi di nuovo ma Philip glielo impedì.
“Andiamo David! Lo stai facendo solo perché mamma e papà ti hanno detto di no? E’ davvero per questo che vuoi scappare di casa? Sei un egoista! Non pensi al dispiacere che darai alla mamma?”
David rise amaramente. “E tu non ci pensi? Ti ricordo che sei tu quello che si vuole arruolare, non io.”
Philip rimase per un istante senza parole. “E’ per questo che sei così arrabbiato?”
Lui non rispose. Lo guardò semplicemente con aria arrabbiata. “Sono arrabbiato perché non me lo hai detto. Parli tanto di dare un dispiacere alla mamma ma tu non c’hai pensato molto quando hai scelto di iscriverti in accademia. Come pensi che si sia sentita?”
Philip non rispose.
“Tu non tieni mai conto dei sentimenti degli altri Philip. E’ sempre stato il tuo più grande difetto. Perciò fa come ti pare, ma per quanto mi riguarda io parto”. Si mise lo zaino in spalla e si sistemò la felpa.
“Se vuoi puoi scegliere di venire con me, oppure restare qui”, aggiunse del tutto inaspettatamente. La verità era che per lui litigare con suo fratello era semplicemente troppo doloroso. La rabbia non scompariva, ma se lo avesse avuto al suo fianco si sarebbe indubbiamente sentito più tranquillo.
Philip sospirò angosciato. Si guardò intorno cercando una soluzione, ma non riuscì a trovarla. “Aspetta, dov’è finito George?” Chiese non vedendolo più.
“E’ andato a fare altri due biglietti”, gli spiegò Charlotte.
Biglietti? Davvero avrebbe dovuto partecipare ad una cosa del genere?
George tornò quasi immediatamente e Philip lo guardò malissimo. “Ti ho portato con me per riprenderli, non per incoraggiarli in questa follia”.
“Andiamo Philip, dove è finito il tuo spirito di avventura?” Gli rispose il cugino.
“No, no e poi no!” Esplose Philip sentendosi gli occhi degli altri addosso. “Non possiamo andarcene così. Mamma e papà ci uccideranno!”
David rimase in attesa. Sapeva che Philip stava per cedere, lo conosceva troppo bene. Non lo avrebbe mai lasciato partire da solo, di questo ne era certo. E difatti, alla fine, non poté più resistere. “D’accordo”, disse sbuffando.
Charlotte esultò, e David trattenne un sorriso trionfante.
 
Quella sera stessa Harry e Sofia vennero a scoprire che i gemelli erano scomparsi. Lui era in riunione quando ricevette la telefonata del direttore di Eton, il quale gli disse che né David né Philip si erano presentati a lezione quel giorno, e che non erano nemmeno nelle loro stanze.
In quel momento il cuore di Harry si fermò improvvisamente. Per i primi attimi cercò di ripetersi che di sicuro c’era una spiegazione, che magari avevano deciso solamente di saltare la scuola per un giorno. Non sarebbe stata una cosa così tragica, considerando le tensioni che c’erano state ultimamente. Poi però lo chiamò anche William e lì crollarono tutte le sue ipotesi. Il fratello gli disse che Charlotte e George erano spariti nel nulla e che non riuscivano a contattarli neanche al telefono. La situazione stava decisamente prendendo una brutta piega.
Harry salì in macchina e corse a casa il più veloce possibile. “Sofia, sono qui i ragazzi?” Le chiese.
“No, perché?” Lei lor guardò preoccupata. Si alzò dalla poltrona e gli si avvicinò guardandolo negli occhi. “Harry, perché me lo chiedi?”
Lui fece un profondo respiro. “Hanno chiamato da Eton e hanno detto che non si sono presentati a lezione oggi e che non sono nel dormitorio. Nessuno li ha più visti da ieri sera. E c’è di più: sono spariti anche George e Charlotte”.
Sofia sentì la testa girarle vorticosamente e si sentì mancare. Harry la prese al volo, prima che perdesse completamente i sensi.
 
SPAZIO DELL'AUTRICE
Ebbene sì, alla fine i royal twins si sono portati dietro anche i cugini, perché più siamo e meglio è! Sofia e Harry non sono molto d'accordo su questa cosa, ma dopotutto direi che possimao anche capirli XD

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Capitolo 8
*** L'università nella tua tasca ***


Sofia aprì gli occhi e si ritrovò distesa sul divanetto del salottino personale.
“Papà! Mamma si è svegliata”. Era ancora frastornata ma riconobbe la voce squillante di Richard.
“Tesoro, ti senti bene?” Harry si precipitò al suo fianco.
Lei si tirò su di scatto e fece mente locale, cercando di ricordarsi cosa fosse successo. Rivide Harry che tornava a casa e poi le tornò alla mente la notizia.
“David! Philip!” Esclamò. I suoi bambini erano scomparsi, forse scappati. Per andare dove? E perché? Non era da loro, lei conosceva i suoi figli, sapeva che non lo avrebbero mai fatto, o meglio non poteva crederci.
“Cerca di stare calma, sei rimasta senza sensi per parecchio tempo”.
“Ci sono notizie?” Chiese preoccupata.
Harry scosse la testa. “Purtroppo no”.
“Come sarebbe a dire no!” Perché lui sembrava così maledettamente calmo?
“Richard, va a chiamare il dottore”, gli disse con dolcezza. Richard corse via prontamente, uscendo dalla stanza.
“Non ho bisogno di un dottore Harry”.
“Lo so, ma è meglio parlarne da soli comunque”.
“Dobbiamo cercarli!” Esclamò Sofia quasi piangendo. Doveva restare calma. Con l’agitazione non si risolveva mai nulla.
“Sofia, li stiamo già cercando”, le disse. “Ma non abbiamo ancora trovato nulla”.
Lei si alzò in piedi e prese a camminare avanti e indietro per la stanza. “Come fai ad essere così calmo? I nostri figli sono scomparsi!”
“E’ solo una bravata da giovani. Vedrai che stanno bene”.
Sentendo quelle parole Sofia lo guardò incredula. “Una bravata? Non ti viene in mente che se magari hanno fatto una cosa del genere è perché c’è un motivo ben preciso? Sei stato troppo duro con David e tu lo sai!” Non si accorse nemmeno di aver iniziato a piangere.
“Hai ragione”. Ammise Harry. Le si avvicinò e le prese il volto tra le mani. “Mi dispiace”. Anche a lui veniva da piangere e Sofia si sentì in colpa per ciò che aveva appena detto, ma era così arrabbiata. Così preoccupata. Si sentiva morire.
Si gettò tra le braccia di Harry, che la strinse forte e ispirò profondamente il suo profumo. L’aveva sempre tranquillizzato.
“Scusami”, gli sussurrò. “Dove sono Will e Kate?”
“Nell’altra stanza, insieme a papà e a Camilla”.
“Allora andiamo”. Sofia prese Harry per mano e a passo svelto si diressero verso lo studio. Nel corridoio c’era un gran vociare e Sofia si disse che avrebbero tutti dovuto parlare di meno e agire di più per trovare i ragazzi.
Entrò nella stanza aprendo la porta con forza e tutti tacquero.
“Sofia, cara, come ti senti?” Le chiese Camilla quando la vide.
“Sto bene, grazie”. Rispose con durezza senza volerlo.
Richard era seduto sulla poltrona alla scrivania, mentre tutti gli altri erano in piedi.
“Sofia, che facciamo?” Le chiese preoccupata Kate.
“Dobbiamo cercarli. Ci sarà qualcuno che li deve aver visti. Non possono essere scomparsi così nel nulla”, disse Harry.
“Dobbiamo chiamare le autorità”, disse Will nervoso almeno quanto lo erano Harry e Sofia.
“Per dire che cosa esattamente? Che quattro principi reali sono scappati di casa? Si creerebbe solo del caos e la stampa non ci darebbe pace: sarebbe lo scandalo del secolo. No, dobbiamo risolvere la questione il più in fretta possibile e senza fare troppo rumore”. Le parole di Charles apparirono come un ordine.
Harry strinse i pugni con forza, furioso più che mai.
 
 
 
“D’accordo, e adesso qual è il piano?” Chiese Philip scettico.
Erano appena atterrati dopo un viaggio di poco più di due ore, che ovviamente avevano trascorso tutti quanti a dormire, vista la nottata in bianco e lo stress. Tutti tranne Charlotte, che era troppo euforica per riuscire a chiudere occhio. Era addirittura riuscita a scattarsi una foto con Philip che dormiva con la testa a penzoloni. Quella sarebbe stata la sua arma contro il cugino.
David tirò fuori dalla tasca del giubotto una mappa pieghevole e la aprì.
“Cos’è?” Chiese George avvicinandosi per vedere la mappa.
“Una cartina della zona universitaria”, rispose Philip. “Assomiglia tanto a quella della mamma”.
Il fratello lo guardò con un’espressione di piena colpevolezza. “Perché è quella della mamma. L’ho presa in prestito dal cassetto della sua scrivania”
“Presa in prestito?” Philip inarcò un sopracciglio. “Sì, proprio”.
“Non guardarmi così, quando tornerò a casa la rimetterò al suo posto”.
Philip pensò che quando sarebbero tornati a casa non sarebbe nemmeno riuscito ad avvicinarsi a quello studio, perché i loro genitori li avrebbero uccisi prima.
Charlotte scoppiò a ridere. “Beh che cambiamento ragazzi!” Esclamò osservando i cugini da capo a piedi. “Insomma, queste sono le cose che ci si aspetterebbe da Philip, non da te David”.
“Concordo”, disse George ridendo. Quello con il caratteraccio era sempre stato Philip, mentre David era quello tranquillo, osservante di tutte le regole, perciò era naturale ritenere quella situazione piuttosto buffa.
“Sapete cosa? Non mi interessano le vostre considerazioni! David allora, vuoi deciderti a dirci dove dobbiamo andare?”. Dal momento che erano scappati per seguire lui, Philip si augurò che fossero andati lì per una buona ragione, e soprattutto che il fratello avesse un luogo preciso in cui doversi recare.
“Via Zamboni è il nostro primo obbiettivo. La mamma ha fatto un sacco di esami in quella via. Ci sono due palazzi in particolare”.
“E Via Zamboni sia!” Esultò Charlotte alzando un pugno verso il cielo. “Questa gita sarà emozionantissima!”
“Scommetto che non la penserai più così, una volta tornata a casa”, commentò Philip.
“Credimi, la foto con te che dormi vale tutte le punizioni del mondo. Aspetta e vedrai: la farò pubblicare su tutte le riviste e su tutti i social network”.
“D’accordo, dateci un taglio”, George intervenne prima che Philip potesse risponderle. “Piuttosto, come ci arriviamo a questa Via Zamboni?” La sua pronuncia italiana era pessima.
“L’aeroporto è a circa un quarto d’ora di macchina perciò potremmo prendere un taxi che ci porti in centro”, rifletté David.
“Perfetto, c’è solo un piccolo problema: non abbiamo fatto il cambio dei soldi prima di partire, perciò come lo paghiamo il taxi?”. Ecco, quello era un bel problema. Davvero un bel problema. Fortunatamente David non era un totale sprovveduto e si era portato dietro i soldi che aveva tenuto da parte durante il precedente viaggio in Italia. Al tempo si era recato, insieme all’intera famiglia, in vacanza a Roma per andare a trovare i nonni materni.
Una volta risolta la questione, uscirono dall’aeroporto e salirono su un taxi.
“Ci porti a Viale Irnerio, per favore”. Disse David al tassista. Lui e i suoi fratelli parlavano un italiano perfetto: tutto merito della mamma che aveva provveduto ad insegnarglielo fin da quando erano molto piccoli.
“Il nome della via però era un altro”, osservò George.
“Sì, ma così faremo una bella passeggiata a piedi”.
Come previsto, il tragitto fu relativamente breve, salvo per i semafori del centro. Il taxi li lasciò a destinazione, un viale alberato piuttosto suggestivo. Gli occhi di David brillarono quando videro la famosa Porta San Donato di cui la mamma parlava sempre. Senza aspettare gli altri prese a camminare, seguendo il percorso tracciato a matita sulla mappa. Era stata la mamma stessa a farlo. Al tempo dell’università non conosceva per niente Bologna e così segnò le strade che doveva fare per raggiungere le lezioni, in modo da non perdersi.
Svoltarono a destra e proseguirono dritti finché non arrivarono in Via Zamboni. David mostrò a Charlotte e a George a cosa corrispondessero i vari edifici, e chissà perché un clima di entusiasmo si diffuse nella comitiva. Philip si tenne in disparte, con le mani nelle tasche, deciso ad essere il più possibile un osservatore senza prendere sul serio parte alla cosa.
Si chiese per quale motivo David avesse deciso di recarsi lì. La ragione gli sfuggiva e per quanto ci pensasse, lui non riusciva veramente a capire lo scopo di tutto quello che stavano facendo. Quella non era altro che una normalissima strada, con portici e palazzi antichi che si susseguivano l’uno dopo l’altro, ma nulla di più.
Ad un certo punto David si fermò davanti ad un grande portone in legno massiccio. Vi entrò dentro con una certa emozione dipinta in volto, seguito da Charlotte e George, i quali apparivano come dei ragazzini in gita scolastica. Sbuffando, alla fine, dovette entrare anche Philip, se non altro per non perderli di vista in mezzo alla folla di studenti che spingevano per entrare ed uscire.
Il gemello corse su per la scalinata, fino al primo piano. “Lì c’è la parte di filosofia”, spiegò tenendo un tono di voce basso. “La mamma diceva che somigliava all’interno di un ospedale”. Proseguì dalla parte opposta dello stesso piano e si avvicinò all’aula posta sulla destra del piccolo corridoio.
Con fare titubante, David si affacciò sulla porta dell’aula. L’ambiente era ampio, con grandi vetrate su un lato, mentre e i posti a sedere erano sistemati a gradinata. Philip si sistemò al suo fianco, convinto più che mai del fatto che non ci fosse nulla di speciale se non una classica aula con un gran via vai di studenti.
Una volta usciti dall’edificio, proseguirono per tutta via Zamboni, facendo una tranquilla e rilassante passeggiata sotto i portici e confondendosi con tutti gli altri studenti dell’università. Arrivati proprio sotto le torri di Bologna George propose di fermarsi in un bar e prendere qualcosa da bere. L’idea era buona, ma quando scelsero il bar lì vicino, Philip fece un intervento che nemmeno lui si sarebbe aspettato.
“No, aspettate”. Gli altri tre si fermarono proprio sulla porta d’ingresso del bar. Philip si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa.
“Che ti prende?” Gli chiese George.
“Non in questo bar, ce ne era un altro dove la mamma faceva colazione. Uno nascosto sotto i portici”. Si spostò poco più in là, sull’altro lato della strada, e fu lì che trovò quello che stava cercando. “Ecco, dovrebbe essere questo”.
“E’ piuttosto piccolo”, osservò Charlotte.
“Sì, per questo è bello”, rispose sottovoce David. Lui e Philip si guardarono perché in quell’attimo pensarono esattamente alla stessa cosa. Gli tornò alla mente quando la mamma raccontava delle colazioni che faceva solitamente in quel posticino appartato. Al suo interno c’erano solo tre tavolini, posti vicino ad una vetrata che dava proprio sulla strada. Da lì si potevano osservare i passanti che percorrevano le vie della città e lei l’aveva sempre ritenuta una cosa suggestiva.
Philip rimase sorpreso nel rendersi conto che lui se ne fosse ricordato, quando a David, invece era completamente passato di mente.
Dopo la breve pausa proseguirono nella loro passeggiata e anche se il tragitto non fu particolarmente lungo, Charlotte si lamentò ugualmente. Fu proprio mentre stava per dire che non ce la faceva più a camminare, che arrivarono a destinazione.
L’edificio era situato vicino ad una chiesa e in origine era stato un convento. Aveva mantenuto la struttura della corte interna, al cui centro c’era un pozzo, lo stesso che avevano visto centinaia di volte in una foto della madre.
Il gruppetto dei quattro principi salirono al primo piano, dove erano situati la maggior parte degli studi dei professori della facoltà. L’atmosfera era la stessa che si respirava in una biblioteca: il silenzio regnava sovrano. I tavoli di vetro, con le sedie di stoffa rossa, erano lì, esattamente come Sofia aveva sempre detto ai suoi figli.
“Riesci ad immaginartela?” Chiese David sottovoce, con la testa alzata verso l’alto soffitto.
Philip corrugò la fronte. “Chi?”
“La mamma. Riesci ad immaginartela mentre è seduta qui, in attesa di entrare in uno di questi studi?” Lui ci riusciva. Era come se la vedesse lì e la cosa, chissà perché, gli creava una forte emozione.
L’angolo sinistro della bocca di Philip si allungò in un sorriso. Sì, ce la vedeva bene la mamma seduta a quei tavoli, tutta concentrata a ripassare per gli esami. Tesa e agitata che si guardava intorno, di tanto in tanto, in uno di quei suoi gesti involontari che faceva spesso.
“C’è fin troppo silenzio per i miei gusti”, commentò George. “A stare qui impazzirei”.
I gemelli sorrisero, pensando che la loro mamma, invece, c’aveva trascorso parecchio tempo in quel posto.
Mentre i quattro camminavano, i loro passi risuonavano rumorosamente per l’ambiente. David si disse che da un momento all’altro, sicuramente, qualcuno sarebbe sbucato fuori e li avrebbe sgridati per tutto quel baccano. Effettivamente qualcuno che uscì da uno studio ci fu, ma si trattò dell’unica persona che i royal twins non avevano calcolato di incontrare. La prima cosa che videro furono due occhi color ghiaccio.
“Voi due cosa ci fate qui?” Chiese Enea sorpreso. “O meglio, voi quattro”, si corresse riconoscendo George e Charlotte.
Tutti si guardarono, sapendo di dover inventare una scusa sul momento, e alla svelta. “Siamo in vacanza”, buttò lì George.
I gemelli trattennero il respiro, sperando che la cosa fosse credibile almeno in parte.
“In vacanza? Strano, Sofia non mi ha detto nulla”, rifletté Enea corrugando la fronte.
“E’ perché sono sempre tutti molto impegnati, ultimamente, e non c’è stato tempo”, si affrettò a dire Charlotte.
Enea annuì. “Ma certo: i famosi impegni dei membri della famiglia reale! Ad ogni modo su questo piano non c’è molto da vedere. Venite con me, vi mostrerò qualcosa di più interessante di questi quattro studi”.
I ragazzi tirarono un sospiro di sollievo e, cercando di comportarsi come se fosse tutto perfettamente normale, seguirono Enea giù per le scale da dove erano venuti.
“Ora che ci pensò però, è meglio che chiami comunque mia sorella”
“No!!!” Esclamarono tutti contemporaneamente nel preciso istante in cui lui tirò fuori il cellulare. Lo urlarono così forte che tutti si voltarono a guardarli.
“Ti prego zio, non chiamare la mamma”, gli disse David visibilmente preoccupato.
Enea rimase perplesso. Osservò i volti dei nipoti e dalle loro espressioni intuì che c’era qualcosa che non quadrava. “David, vostra madre sa che siete qui?” David era sempre la persona più adatta per sapere la verità, questo lo sapevano tutti.
Lui fu titubante, prima guardò il fratello, poi i cugini ed infine dovette rispondere. “No”.
“No? E vostro padre?”
I gemelli abbassarono lo sguardo colpevoli e scossero la testa. “Oh, quindi immagino che nemmeno i vostri genitori sappiano nulla”, si rivolse poi a George e a Charlotte.
Ci fu un attimo di silenzio in cui Philip si sentì il cuore battere all’impazzata. Si chiese che cosa sarebbe successo ora e gli salì una gran nausea.
“Ora, mi aspetto una spiegazione a tutta questa storia”, disse con tono autoritario Enea. Parlò lentamente, molto lentamente, e il suo tono bastò per far gelare il sangue nelle vene a tutti e quattro i ragazzi.
“D’accordo, però ti prego non chiamare la mamma”, lo implorò David. Se i loro genitori avessero saputo dove si trovavano sarebbe stata la fine. Il problema non sarebbe stata la mamma, in sé, ma il dover fronteggiare di nuovo suo padre e non era pronto, di questo ne era certo.
Enea sospirò. “A quale hotel alloggiate?” Chiese riponendo nella ventiquattrore il telefono.
“Non abbiamo ancora prenotato nulla. Siamo arrivati stamattina con il primo aereo da Londra”, gli spiegò George.
Va bene, ammettiamolo, come fuggitivi facevano pena. Non avevano calcolato il cambio di valuta e non si erano preoccupati di prenotare un hotel perciò in conclusione quella fuga era stata un vero e proprio fiasco.
“Non posso crederci”, commentò incredulo. “Venite, stasera dormirete da me”. Enea si disse che da quella storia non poteva venir fuori nulla di buono, ma di certo non poteva lasciarli in mezzo ad una strada.
 
SPAZIO DELL'AUTRICE
Eccomi di nuovo qua! chiedo scusa, lo so che è da un po' che non aggiorno ma sono stata davvero oberata dagli impegni!!! Spero che il capitolo possa piacervi!

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Capitolo 9
*** Non è colpa tua... ***


Harry bussò delicatamente alla porta. Dopo qualche istante sentì una voce squillante che dall’interno della stanza gli diceva di entrare.
“Hey, come va?” Chiese a Richard rimanendo sulla porta.
“Sto bene grazie”. Era già sotto le coperte e stava leggendo, anche se non sarebbe riuscito a rimanere sveglio ancora per molto.
“Volevo solo controllare se andasse tutto bene”, ammise Harry leggermente imbarazzato.
“Sta tranquillo papà, non ho intenzione di scappare di casa”.
Richard era perspicace come al solito e questo fece sorridere Harry. “Lo so”, gli disse raggiungendolo e sedendosi sul letto accanto a lui. Richard allora si sistemò a gambe incrociate e lo guardò fisso negli occhi.
“Comunque non credo che tu e la mamma dobbiate preoccuparvi per David e Philip. Sono due idioti, ma alla fine sono in gamba”.
Harry annuì. “Ma certo”. Questo lo sapeva anche lui, però non poteva fare a meno di preoccuparsi. Una parte di lui si sentiva responsabile per tutto quello che stava accadendo e la cosa peggiore era che gli si chiedeva di fare come se non fosse accaduto nulla. Il suo ruolo gli imponeva di adempiere ai suoi doveri, mentre se fosse dipeso da Harry avrebbe lasciato tutto e sarebbe corso a cercare i suoi ragazzi.
“Beh, buonanotte Richard”. Gli scompigliò i capelli e gli baciò la fronte. Lo abbracciò più forte del solito, come se questo potesse compensare, anche solo per un attimo, il vuoto che si era venuto a creare con la mancanza di David e di Philip.
“Buonanotte papà”.
Harry uscì dalla camera da letto di Richard e se ne andò in sala. Uscendo sul balcone estrasse una sigaretta dal pacchetto e la accese. Rimase a fissare il giardino buio, illuminato solo parzialmente dalla luce dei lampioni. Si passò una mano sul volto e sospirò. Da quando David e Philip erano scappati non faceva altro che quello.
“Harry”, la voce soave di Sofia lo fece voltare. “Credevo che avessi smesso”, osservò lei vedendolo fumare.
Lui guardò la sigaretta e sorrise. “Infatti. Ho smesso quando ci siamo conosciuti, ma chissà perché avevo sperato che mi aiutasse a rilassarmi un po’”.
Sofia si avvicinò, gli prese la sigaretta dalla mano e la spense gettandola a terra e schiacciandola con il piede.
“Questa ti farà solo male”, gli disse con dolcezza.
“Hai ragione”, le sussurrò dispiaciuto. Allungò una mano verso la vita di Sofia e l’attirò a sé, delicatamente. Aveva il disperato bisogno di sentirla vicina.
Lei non oppose resistenza e lo abbracciò. “Non posso fare a meno di pensare che sia colpa mia”, le disse.
“Certo che non lo è”, si affrettò a rispondere Sofia. “Tu sei un padre meraviglioso Harry”.
“Ne sei sicura? Se lo fossi davvero i nostri figli non avrebbero avuto motivo di scappare di casa, ti pare?”
“Non darti colpe che non hai. Non sei tu quello che deve farsi perdonare”. Sofia si rattristò e abbassò lo sguardo. “Io gli ho mentito. Sapevo che David non avrebbe potuto scegliere liberamente ma io gli ho mentito”, ammise con dolore. “Avrei dovuto essere sincera e invece non lo sono stata”.
Harry posò la fronte contro la sua e lei chiuse gli occhi, ispirando profondamente l’intenso profumo di lui. “Ognuno di noi ha le sue colpe, ma la cosa più importante da fare, ora è trovarli”.

SPAZIO DELL'AUTRICE
Capitolo corto, lo so, me ne rendo conto ma mi sembrava giusto dedicare un piccolo spazio ai nostri poveri Harry e Sofia che sono in paranoia più totale. Il più tranquillo qui è Richard!! XD

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Capitolo 10
*** We will always be together ***


“Sarà, ma io avrei preferito assomigliare di più alla mamma”, dichiarò Philip bevendo un sorso di coca-cola dalla cannuccia. “Specialmente per quanto riguarda i capelli”.
“Perché? A me piacciono i miei capelli rossi!” Intervenne subito David.
Il baccano che solo quattro adolescenti possono fare quando parlano contemporaneamente, si diffuse per tutta la sala da pranzo di Enea, sovrastando persino il rumore della televisione accesa.
“Aspettate! Aspettate!” Enea alzò la mano e fece tacere gli altri. “Su questo argomento vorrei mettere bene in chiaro una cosa: se avete entrambi i capelli rossi è solo merito di mia sorella”.
I ragazzi lo guardarono perplessi. “Cosa? Non è perché lo zio Harry ha i capelli rossi?” Chiese Charlotte.
Enea sorrise pieno di soddisfazione e scosse la testa. “Non è così semplice, mia cara. Il gene dei capelli rossi è un gene recessivo e questo significa che uno può averlo anche se ha i capelli di un altro colore. Ora, tenendo in considerazione questa cosa, per avere i capelli rossi occorre per forza ereditare due geni, uno da ciascun genitore oppure, come nel vostro caso, se si ha un genitore con i capelli rossi, occorrerà che l’altro sia un portatore del gene per far si che nascano dei figli con i capelli rossi. Mi sono spiegato?”
George fischiò sbalordito. “Questa cosa sì che è interessante”.
“Ditelo alla prossima intervista, perché sono stanco di sentir dire che siete tali e quali a vostro padre: senza la mia sorellina non avreste la vostra bella chioma, miei cari”
“La cosa è traumatizzante”, commentò Charlotte addentando la pizza margherita che aveva ordinato. “Dico davvero”.
“Ripensandoci i capelli rossi mi vanno bene così”, disse Philip. Enea gli fece l’occhiolino in segno di approvazione e David alzò gli occhi al cielo sorridendo.
La casa di Enea si trovava in pieno centro. Era un appartamento piuttosto vecchio, situato all’ultimo piano del palazzo. Era in una posizione comoda per l’università e comunque, visto che stava lì in pratica solo per dormire, non gli era mai importato più di tanto quanti anni avesse. L’aveva acquistato quando aveva ottenuto la cattedra all’università di Bologna e si era dovuto trasferire da Roma, e lo aveva riempito di scaffali strapieni di libri, che ricoprivano i muri bianchi. Alle pareti alcuni quadri d’epoca e nonostante fosse l’appartamento di un uomo che viveva da solo era terribilmente ordinato.
Mentre tutti gli altri continuavano a parlare e a scherzare in salotto, David salì le scale rosso mattone che portavano in mansarda. Quella era la sua stanza preferita, perché era piccola e appartata, con le travi in legno del soffitto a vista: in pratica il luogo perfetto per starsene in santa pace e scappare dal mondo. 
Si sedette sul baule scuro posto vicino alla piccola finestrella, che offriva il panorama della città illuminata nella notte, e la aprì. L’aria fredda e pungente lo colpì in pieno volto e David chiuse gli occhi ispirando profondamente.
“Posso sedermi?” li riaprì lentamente, sentendo la voce di Philip dietro di lui.
Fece spallucce. “Certo”, si spostò leggermente e fece mettere seduto il fratello.
Philip si sistemò a gambe incrociate e sospirò guardando fuori dalla finestra. “La vista da quassù è sempre spettacolare”.
“Già”, concordò David sorridendo. Appoggiò la testa al muro, continuando a guardare fuori. “Perché non mi hai detto nulla dell’accademia militare?”
Philip fece un profondo respiro e attese qualche istante prima di rispondere. “Non lo so”.
David si mise nella stessa posizione del fratello. I due gemelli si guardarono intensamente negli occhi, e quello valse più di mille parole. Crescere è sempre difficile, e se si condivide un legame speciale con qualcuno, a volte, può sembrare persino più complicato del previsto.
“Avrei preferito che me lo avessi detto. Scoprirlo in quel modo mi ha fatto sentire improvvisamente solo”. Le loro strade sarebbero state diverse, questo era inevitabile, ma tutto quello era stata come una separazione improvvisa e crudele. E la cosa peggiore era che David non aveva potuto impedirla. Essa si era insinuata tra lui e Philip in modo silenzioso, per poi staccarli violentemente senza che lui se ne accorgesse e senza che avesse potuto fare nulla.
“Non era questo che volevo”, gli disse Philip. Non avrebbe mai creduto che la cosa avrebbe potuto ferire tanto il fratello e di certo non era quello che desiderava. “Noi siamo fratelli e nessuno potrà mai separarci, questo lo sai. Siamo sempre stati insieme e saremo sempre insieme”. Il legame tra gemelli che David aveva sentito spezzarsi sotto le sue dita, Philip, invece, lo teneva ancora ben saldo e così sarebbe stato per sempre. “Io non ti lascerò mai solo”.
Sentendo quelle parole David si sentì semplicemente uno stupido. Un enorme stupido. Ancora una volta era Philip il più forte tra i due. “Sì, hai ragione”, gli sorrise e Philip ricambiò il sorriso dandogli una pacca sulla spalla.
Enea nel frattempo era lì, dietro di loro, ed aveva ascoltato tutto. Sorrise, ripensando ai vecchi tempi quando anche lui e Sofia facevano delle chiacchierate simili, e poi si schiarì la voce. I royal twins si voltarono verso la porta.
“Hai ascoltato tutto?” Chiese Philip.
“Già, ma tranquillo: non lo dirò a Charlotte. A proposito, lo sai che ha una tua foto alquanto compromettente? Io provvederei a cancellarla dal suo cellulare, prima che torniate a casa”
“Di che foto stai parlando?”
“Ti dico solo che centra un aereo e tanto sonno”.
Philip sgranò gli occhi e saltò in piedi per poi correre giù dalle scale urlando il nome della cugina.
Enea e David scoppiarono a ridere. “Questa volta la uccide davvero!” Esclamò David.
“E’ molto probabile”. Enea provò l’impulso di chiedere al nipote il motivo per cui fosse venuto lì, ma si trattenne perché dopotutto sapeva già la risposta. David voleva seguire la stessa strada di Sofia ed era convinto che studiare lì, nello stesso posto in cui aveva studiato lei, lo avrebbe aiutato.
Dal piano di sotto si sentì un rumore forte, dovuto probabilmente dal fatto che Philip stava rincorrendo Charlotte per tutta la casa.
“Ci conviene scendere, prima che quei due distruggano tutto”, commentò Enea.
“Ne sarebbero davvero capaci!” David richiuse la finestra e scese insieme allo zio. Dividere Philip e Charlotte non fu affatto facile e alla fine fu George a cancellare la foto compromettente dal cellulare della sorella.
Enea si ritirò nella sua stanza verso le undici di sera, ma nonostante questo i ragazzi rimasero alzati ancora per parecchio tempo e Charlotte, che avrebbe dovuto dormire nella stanza degli ospiti, preferì dormire in salotto insieme a tutti gli altri.
Il giorno dopo vennero svegliati prima del previsto. “Coraggio svegliatevi!” Enea andò in cucina a preparare la colazione. “Avete fatto tardi ieri sera vero? Beh mi dispiace ma dovrete comunque sforzarvi e venire con me”.
“Dove?” Chiese George con la faccia spiaccicata sul cuscino.
“A lezione”.
David si tirò su di scatto. “A lezione? Possiamo davvero?”
“Anche se non siamo studenti dell’università?” Continuò Philip.
“Solo per oggi. E poi dobbiamo dare un senso alla vostra fuga, non vi pare?”
“Dire che siamo venuti fin qui per fare un giro in centro sarebbe un po’ strano, in effetti”, commentò George. Sembrò quasi che si fosse svegliato tutto insieme.
Qualcuno russò leggermente e i tre principi si voltarono verso Charlotte, che stava ancora dormendo nonostante tutto. Ma d’altronde lei aveva sempre avuto il sonno pesante. Philip prese lentamente il cellulare che si trovava sotto il suo cuscino e si stese lentamente verso la cugina. “Non fate rumore”, sussurrò agli altri.
“Che stai facendo?” David gli diede un pizzicotto in pancia e lui sussultò.
“La voglio registrare! Quando mi ricapita di sentirla russare?”
Enea alzò gli occhi al cielo, fece appositamente rumore con la teiera e Charlotte si svegliò di soprassalto, cadendo dal divano. “Oh andiamo! Davvero?!” Si lamentò Philip fulminando lo zio con lo sguardo.
“Avete un’ora per alzarvi, lavarvi, vestirvi, rimettere tutto apposto e fare colazione”, disse con un’espressione seria. “Il bagno è uno solo, perciò che la guerra abbia inizio”.
La guerra ci fu davvero e Charlotte la perse miseramente dal momento che si preparò per ultima. “Non è giusto!” Continuò a ripetere mentre era in bagno e mentre gli altri tre se la sghignazzavano. Ad ogni modo, anche se impiegarono più dell’ora che era stata messa a loro disposizione, riuscirono ad uscire di casa e a presentarsi in aula ad un orario decente, anche se bisogna precisare che quando arrivarono, gli studenti di Enea erano già tutti seduti ai loro posti.
Gli occhi di circa duecento studenti erano fissi su di loro, e a causa della posizione a gradinata dei posti, David e Philip provarono un forte disagio. Il vociare era così fitto che era impossibile distinguere le singole parole, ma David si disse che probabilmente si stavano chiedendo perché il loro professore si era seguito da quattro ragazzini, perché in confronto agli altri loro sembravano solo quello: dei ragazzini.
“Bene”. Enea poggiò la borsa sul tavolo, accanto al computer. “Buongiorno a tutti, signore e signori. Quest’oggi avremmo degli osservatori esterni, perciò vedete di comportarvi bene”, disse, con un tono di voce deciso, ai suoi studenti. “Potete sedervi lì”, indicò la seconda fila a destra e fece l’occhiolino ai due gemelli che, rossi più che mai per l’improvviso imbarazzo che gli causava essere lì, si sedettero docilmente dove gli era stato detto. Stranamente ad ogni altra aspettativa, George e Charlotte sembravano incredibilmente tranquilli, in verità avrebbero dovuto esserlo anche Philip e David, dal momento che stare in mezzo alla gente era la loro occupazione principale, tuttavia non fu così. Trovarsi lì era qualcosa di totalmente differente.
Enea iniziò la lezione, che durò all’incirca due ore con una pausa di un quarto d’ora nel mezzo, e da quel momento nessuno sembrò fare più caso alla presenza dei quattro principi.
 
Nel frattempo, nel pieno centro di Londra, Harry era intento a parlare con un signore anziano incontrato durante uno dei tanti eventi a cui lui e Sofia dovevano partecipare. Aveva l’aria stanca, perché in quel periodo non avevano dormito quasi per niente, e anche se sorrideva e annuiva, in verità non stava prestando molta attenzione al discorso.
Sofia era a pochi metri da lui, anche lei assalita da incarichi di rappresentanza e da parole di cui, in quel momento, le importava ben poco. Dopo il fatto dei ragazzi Harry era diventato iperprotettivo e continuava a guardare ogni minuto dove si trovasse. Non sapeva bene il perché, ma aveva paura che sparisse anche lei.
“Vostra Altezza”. Harry alzò lo sguardo. Non si era nemmeno accorto che qualcuno si era diretto verso di lui a gran velocità. “Vostra Altezza, c’è una chiamata urgente”.
Lui impiegò qualche istante prima di realizzare la cosa, ma alla fine chiese scusa ai suoi interlocutori, si alzò in piedi e si diresse verso l’altra stanza. Indugiò qualche istante sulla porta per controllare dove fosse Sofia. Avrebbe voluto farle cenno di seguirlo, ma non era possibile, così andò da solo.
Quando la duchessa di Windsor poté finalmente godere di una maggiore libertà, si guardò intorno e rimase perplessa nel vedere che Harry non era più nella stanza. Poco dopo riapparì sulla porta e lei gli andò in contro.
“Cosa c’è?”
Harry si guardò in giro, poi la prese per mano e la portò in un angolino appartato.
“Harry, cosa c’è?” Ripeté.
Lui le prese il volto tra le mani e la baciò con forza. “I ragazzi”, disse quasi balbettando per l’emozione. “So dove sono”.
Sofia si coprì la bocca con la mano, cercando di trattenere le lacrime di gioia.
“Ha appena chiamato Enea: sono con lui e stanno bene”.
Lei sospirò sollevata e chiuse gli occhi mentre lui le si avvicinava facendo in modo che le loro fronti si toccassero. “Grazie al cielo stanno bene”, riuscì a dire solo quello.

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Capitolo 11
*** Incontri ***


“Quindi sono a Bologna?” Chiese William per l’ennesima volta, temendo di non aver capito bene.
“Sì”, ripeté Harry.
Kate sospirò, seduta sulla poltrona. “Questa è davvero una bella notizia”.
“Sì”, concordò Will. “Sì, lo è davvero”.
Harry guardò Sofia, che nel frattempo era rimasta in silenzio da quando le aveva dato la notizia. Era in piedi vicino alla finestra, intenta a guardare fuori l’andirivieni di macchine che entravano e uscivano nel cortile interno di Bakingham Palace.
Sua maestà il re era stato informato del ritrovamento dei nipoti, ma oltre ad un sollievo generale e all’interruzione delle ricerche, non c’erano state altre disposizioni sul da farsi.
L’intera faccenda era stata gestita con il massimo della riservatezza o meglio, come aveva detto Sofia fin dall’inizio, con il massimo di menzogne improvvisate ed inventate sul momento.
L’assenza di David e Philip dovette essere giustificata con Eton e i professori, esattamente come dovette esserlo con la stampa che iniziava a mostrare curiosità nell’assenza dei principi. Lo stesso discorso valeva anche per George e Charlotte, ma chissà perché la stampa sembrava sempre più interessata ai figli del duca di Windsor che a quelli del duca di Cambridge.
Sofia raggiunse il marito e lo prese sotto braccio. “Harry, ora dobbiamo andare o faremo tardi”.
Lui la guardò un po’ perplesso. “Per cosa?”
“Per l’intervista. Non ti ricordi? Quella per quel giornale dell’altro ieri”.
Harry scosse leggermente la testa, ma Sofia gli strinse il braccio per fargli capire che doveva reggerle il gioco.
“Oh!” Esclamò poco convinto. “Sì, giusto”.
Lei fece un profondo respiro e tentò di sorridere a Will, che naturalmente non si era accorto di nulla come al solito. Un po’ per ingenuità, un po’ per scarsa fantasia non ci pensava nemmeno che quella poteva essere una scusa, e nemmeno una delle più originali. Lui era semplicemente fatto così.
“Fortunatamente, ora che sappiamo dove sono, possiamo tirare un bel sospiro di sollievo, perciò non preoccupatevi e andate. Ci risentiamo stasera”.
La duchessa di Windsor fece un debole sorriso e se ne andò trascinandosi dietro Harry, che ancora la guardava in modo strano, non capendo cosa avesse in mente.
“Aspetta un attimo, non abbiamo nessuna intervista”, le disse fermandola in fondo al corridoio.
“Lo so benissimo”, rispose lei sbuffando. “Ma era un buon modo per andarcene senza che nessuno sospettasse qualcosa”.
“Mi dici cos’hai in mente?”
“Senti, non ho alcuna intenzione di starmene qui con le mani in mano come abbiamo fatto in questi ultimi giorni. Se la famiglia reale è tranquilla e beate bene, ma per quanto mi riguarda voglio riavere i miei bambini a casa perciò vado a riprendermeli”.
Harry si trattenne dal ridere. L’espressione seria di Sofia era decisamente divertente. Nei giorni passati si era trattenuta ma sapeva benissimo che fosse dipeso da lei gliene avrebbe dette quattro a tutti quanti. La cosa che non poteva sopportare era che tutti sembrassero così dannatamente tranquilli mentre lei era entrata in paranoia.
“Guarda che non sto scherzando Harry!” Lo richiamò all’ordine, infastidita dal fatto che lui non la prendesse sul serio.
“D’accordo, scusami”, disse lui cercando di tornare serio. “Anche io rivoglio i ragazzi a casa, ma non possiamo andare a prenderli”. Le parlò con dolcezza e le accarezzò il volto. Nonostante gli anni di matrimonio, Harry la vedeva sempre come la piccola ragazza di cui si era innamorato e la cosa gli faceva una gran tenerezza.
“Ma che dici? Certo che possiamo andare a prenderli!” Erano i loro figli, dopotutto, e finché sarebbero stati minorenni loro avrebbero avuto voce in capitolo.
“Nel senso che Enea ha detto di lasciarli lì da lui per qualche giorno ancora. Gli farà bene”.
Sofia si morse un labbro nervosa, e incrociò le braccia sul petto. “Io non ho mai ascoltato quello che dice Enea e non ho intenzione di iniziare a farlo ora. Lui sarà anche mio fratello e tuo padre sarà anche il re, ma io sono la loro madre e se dico che voglio riavere i miei bambini a casa li riavrò. E nulla mi potrà fermare”.
Harry inarcò un sopracciglio, sorridendo. Finalmente, dopo tutto quel tempo in cui era stata costretta a starsene buona, poteva sfogarsi. “Tu sei la loro madre e io sono il loro padre”, osservò lui.
Lei lo guardò con aria implorante. La voglia di riabbracciare Philip e David era talmente tanta che sarebbe stata disposta ad andarci anche da sola…ma se ci fosse stato Harry sarebbe stata infintamente più felice. In fondo quei due fuggitivi erano frutto del loro amore.
“E va bene: andiamo a riprenderceli”. Harry le fece l’occhiolino e lei sorrise.
“Dobbiamo prenotare i biglietti per il primo volo disponibile”.
“Non sarebbe più comodo prendere l’aereo privato?”
“Così ci scopriranno e faranno delle obbiezioni”.
“Giustamente. Beh ora però sembriamo noi quelli che devono fuggire”, rifletté Harry divertito. Ora sapeva da chi avevano ereditato David e Philip la propensione alla fuga e ai dettagli per non farsi scoprire.
“Se questo ci riporterà i nostri figli a casa sì!”
Sofia ed Harry si diressero al parcheggio e salirono in macchina. “E con Richard cosa facciamo?”
“Non può assentarsi da scuola: in questo periodo ci sono troppe verifiche. Chiamerò a casa per disporre il tutto e a lui diremo che siamo dovuti partire per un impegno importante”. I domestici non sapevano nulla della fuga dei ragazzi, ma un viaggio all’ultimo minuto era già capitato altre volte, perciò non avrebbe destato troppi sospetti. Per quanto riguarda il piccolo di casa Windsor, beh era meglio che non sapesse nulla neanche lui, giusto per sicurezza.
Harry si fermò in seconda fila, proprio davanti all’ingresso della scuola. Entrò nell’edificio e in portineria chiese di poter parlare con il figlio. Guardò in continuazione l’orologio da polso e prese a camminare nervosamente avanti e indietro.
Richard lo raggiunse qualche minuto dopo, con un sorriso enorme dipinto sul volto. “Che succede?” Chiese con il fiatone.
“Hey! Io e la mamma dobbiamo partire per un viaggio di lavoro e sono venuto a dirtelo di persona”.
“Così all’ultimo momento?” Chiese sospettoso Richard.
“Sì, ma non possiamo rimandare. La mamma ha già disposto tutto e comunque non staremo via molto. Cerca di comportarti bene nel frattempo, d’accordo?” Harry si sentiva agitato. Non gli piaceva mentire ai suoi figli, ma in quel momento era la cosa migliore da fare.
Richard si mise sull’attenti come fanno i militari e disse: “Sissignore!”
Harry alzò gli occhi al cielo sorridendo. “Forza capitano, ora torna in classe!” Gli baciò la fronte e lo lasciò andare, poi tornò da Sofia in macchina.
“Com’è andata?” Gli chiese apprensiva come al solito.
“Alla grande: se l’è bevuta e non sospetta niente”.
“Bene. Gli hai dato un bacio da parte mia, vero?”
 Harry esitò un istante, mentre metteva in moto l’auto. “Credo di essermene dimenticato”.
Sofia gli diede un pizzicotto in una gamba. “Come sarebbe a dire che te ne sei dimenticato?” Fantastico! Ora Richard avrebbe pensato che lei non gli voleva bene.
“Oh andiamo tesoro! Ha tredici anni, lo sai come sono i ragazzi a quell’età: si vergognano di certe dimostrazioni d’affetto”, si giustificò lui.
In linea di massima era la verità, ma David e Philip non si erano mai fatti particolari problemi al riguardo, e Sofia era certa che neanche per Richard sarebbe stato imbarazzante. “Sì, certo: come no”.
Sofia ed Harry salirono sul primo aereo disponibile e durante quelle due ore di viaggio lei gli chiese: “Che cosa diremo ai ragazzi quando li rivedremo?”
Già, che cosa avrebbero dovuto dirgli e come avrebbero dovuto comportarsi? Avrebbero dovuto essere arrabbiati? Sgridarli? Sì, se la meritavano una bella sgridata, se non altro per averli fatti stare così tanto in apprensione, ma cosa avrebbero fatto davvero non ne aveva idea. “Qualcosa ci inventeremo”, le disse lui guardandola intensamente negli occhi ed intrecciando le loro mani. Sofia gli sorrise, poi si sporse in avanti e lo baciò delicatamente.
L’aereo atterrò stranamente in orario, nel pieno pomeriggio. Da lì presero un taxi e si fecero accompagnare in zona universitaria.
“Chiamo Enea per sapere dove sono”, disse Sofia.
“Non credi che sia meglio che lo chiami io?” Si offrì Harry, ma lei scosse la testa.
“Pronto?” Sofia ebbe un tonfo al cuore nel sentire la voce del fratello. Probabilmente perché era nervosa all’idea di rivedere i suoi bambini. Sapeva che erano vicinissimi e la voglia di riabbracciarli era tanta, veramente tanta.
“Enea, dove siete?” Chiese con voce quasi tremante. Per fortuna Harry aveva capito a cosa stesse pensando e le accarezzò la schiena per tranquillizzarla.
“Perché me lo chiedi? Non dirmi che….”, ci fu una breve pausa e poi riprese a parlare con un tono di voce più basso. “Ti avevo detto di lasciarli qui da me ancora per qualche giorno, Sofia! Benedetta bambina, perché non mi ascolti mai?” Bambina…definirla ancora bambina, dopo quasi diciassette anni di matrimonio e tre figli era davvero una follia, ma d’altronde per Enea lei sarebbe per sempre rimasta la piccola di casa, perciò non c’era da prendersela.
“davvero credevi che avrei aspettato buona e tranquilla a casa? Ora dimmi dove siete”, usò un tono quasi minaccioso, tanto che Harry la guardò sorpreso, inarcando un sopracciglio. In cuor suo amava quando Sofia parlava così ad Enea.
“Siamo all’Archiginnasio”.
“Bene, aspettateci lì”, senza aggiungere altro riagganciò il telefono. Dalla via principale del quartiere universitario si diressero a piedi verso la loro destinazione. Svoltarono l’angolo ed entrarono nel giardino interno dell’edificio.
Sofia impiegò qualche istante a orientarsi, ma alla fine trovò la direzione giusta e la lo le scale giuste da salire. Quel posto le aveva sempre dato un senso di smarrimento e dopo tutti quegli anni la cosa non era cambiata.
Arrivati in cima allo scalone trovarono Enea nel corridoio, insieme a George e a Charlotte. I due principi trattennero il respiro nel vederseli lì davanti. Sofia li guardò con aria di rimprovero, ma alla fine il suo sguardo si addolcì.
Poco più in là, da quello che veniva chiamato Teatro anatomico, uscì Philip, che non appena vide Sofia la guardò con aria dispiaciuta. “Mamma”, sussurrò ancora incredulo nel vederla lì. Lei si sentì improvvisamente bruciare gli occhi e si trattenne dal piangere mentre gli correva in contro e lo abbracciava. Il suo bambino.
Sorridendo scrutò il suo volto e in quel momento le sembrò trascorsa un’eternità dall’ultima volta che lo aveva visto. Sentì che tutta la rabbia che aveva provato era come svanita nel nulla. “Stai bene?” Gli chiese semplicemente. Lui annuì e poi guadò il padre, che gli passò una mano tra i capelli rossi, scostandoli dal volto pieno di lentiggini.
“Dov’è David?” Gli chiese Harry.
“Nella sala”, gli fece cenno con la testa per indicare l’entrata. Harry guardò Sofia, che gli sorrise ed annuì, facendogli capire di andare da lui.
“Mi dispiace tanto mamma”, Philip abbassò lo sguardo.
“Non importa tesoro mio”. Lo abbracciò forte sorridendo.
 
 
 
Harry entrò nella sala lentamente. David era lì in piedi, intento a guardarsi intorno e a scattare qualche foto. Allungò un braccio e lo posò sulla spalla del figlio, che si volto con naturalezza.
Ritrovarsi il padre lì non era certo una cosa che aveva calcolato, e anche se rimase a bocca aperta, sentì una gran felicità nel cuore. Un certo sollievo.
“Hey”, la voce di Harry gli morì in gola per l’emozione del momento.
“Hey”, rispose lui altrettanto emozionato.
Harry si schiarì la voce imbarazzato. “Mi…mi dispiace di essere stato tanto duro con te”.
“E a me dispiace di essere scappato di casa”, rispose David altrettanto imbarazzato.
Entrambi erano rossi in volto, come sempre gli accadeva in questi momenti. Mannaggia al rossore simpatico.
“David, perché te ne sei andato?”
Lui fece spallucce. “Volevo solo essere come la mamma”, ammise.
Harry scosse la testa e gli prese il volto tra le mani, guardandolo dritto negli occhi. “Una scuola non ti renderà più simile a lei di quanto tu non sia già ora. Basta guardarti e vedere in te il suo riflesso”. Era la verità. Tutti i loro figli erano come Sofia. Nei modi di fare, nel modo di comportarsi, nel carattere. E lui li amava ancora di più proprio per questo.
Harry sbuffò e abbracciò il suo bambino dandogli un grosso bacio in testa. Lo strinse così forte che per un attimo lo lasciò quasi senza fiato. Tutti e due avrebbero voluto dirsi tante cose, ma per quel momento lasciarono perdere e rimasero in silenzio, perché, alla fine, lo scambio di sguardi che avevano avuto quando si erano rivisti aveva già detto tutto.
“Alla fine lo zio Enea vi ha detto dove eravamo eh?”
“Sapeva che se non l’avesse atto avrebbe dovuto vedersela con la mamma”. Harry e David scoppiarono a ridere ed uscirono in corridoio, raggiungendo Sofia, Philip e gli altri.
“Ciao mamma”, David l’abbracciò e lei tirò un sospiro di sollievo nel rivederlo.
“Lo sapete che vi aspetta una punizione esemplare, una volta tornati a casa, vero?” Quella domanda retorica rovinò l’atmosfera d’affetto familiare, ma c’era da aspettarselo.
Mentre stavano uscendo dall’edificio Philip gli si avvicinò e gli disse: “Sei un disastro su tutta la linea, lo sai?”
“Dai che alla fine ci siamo divertiti!” Rispose lui di rimando. “E comunque siamo entrambi un disastro su tutta la linea!”
Philip gli sorrise divertito e gli mise un braccio intorno al collo con fare affettuoso, mentre David ricambiava il gesto.

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Il ritorno dei royal twins sulla passerella mediatica fu accolta con grande entusiasmo, esattamente come lo fu il loro ritorno a scuola. La punizione di Sofia ed Harry li costrinse a restare in casa per parecchio tempo, che entrambi utilizzarono in modo costruttivo.
Philip rimase dell’idea che si sarebbe iscritto all’accademia militare, mentre David, decise che si sarebbe iscritto ad un’università inglese per rimanere vicino alla famiglia.
“Allora, hai già scelto a quale presenterai domanda?” Gli chiese Charlotte seduta sulla panchina in giardino.
“Cambridge”, rispose Philip al posto di David.
“Non l’ho chiesto a te!” Gli fece la linguaccia e Philip le sorrise mentre si rimetteva la maschera da scherma sul volto. Visto tutto il tempo che aveva perso, si allenava anche a casa, specialmente perché il torneo si avvicinava.
“Dicono che entrare a Cambridge sia piuttosto difficile”.
“Già, ma con l’aiuto di mamma ce la farò. Anche se dovrò impegnarmi parecchio. Per fortuna di tempo a disposizione ne ho ancora tanto”. In tre anni si sarebbe preparato alla grande, nel frattempo l’obbiettivo primario era mantenere il massimo dei voti in tutte le materie e impegnarsi nelle attività extracurricolari.
“Hai ragione: ce la farai!” La fuga improvvisata aveva cambiato profondamente tutti quanti, ma Charlotte era forse quella su cui gli effetti si vedevano di più. La punizione toccò anche a lei e a George alla fine, ma fu una cosa da niente, in compenso, almeno, ora che lo aveva fatto non progettava più di scappare e la sua vita da principessa non le sembrava più così tremenda. “Ora vado: papà mi sta aspettando per un’intervista”.
“Ah ma allora è vero che stai prendendo sul serio la cosa”, commentò Philip da sotto la maschera.
“Sì, certo che è vero!” Si alzò in piedi e fece per andarsene, prima però si voltò per un’ultima volta verso i cugini e disse loro: “Grazie per la bella esperienza”.
Philip si tolse la maschera e la osservò mentre se ne andava, facendo una strana smorfia. David invece sorrideva soddisfatto.
“Certo che è proprio strana”, commentò Philip raggiungendo il fratello a sedere.
“Mai quanto lo siamo noi”.
Entrambi scoppiarono a ridere, e per una volta l’aria di casa, vissuta insieme, era decisamente la cosa migliore che potessero mai desiderare.
 
SPAZIO DELL'AUTRICE
E anche la storia dedicata ai royal twins è giunta a termine. Vorrei ringraziare tantissimo tutte le persone che hanno seguito questa saga familiare e che hanno commentato! Spero che la storia vi sia piaciuta e che abbia sddisfatto le vostre aspettative!!!

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