Un'altra Zootropolis

di lacchan96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nick Wilde ***
Capitolo 2: *** Judy Hopps ***



Capitolo 1
*** Nick Wilde ***


Quando la lunga discesa del timbro fu arrestata dal foglio bianco il rumore che produsse fu secco e perentorio e rimbombò nella testa della volpe seduta davanti alla scrivania. Nick Wilde guardò la scritta rossa che copriva quasi l’intero foglio, ma non disse nulla e non si mosse, rimase immobile e solo dopo qualche secondo finalmente allungò una zampa, prese prima il blocchetto di fogli e poi il plastico e senza una parola si avviò verso la porta.
Percorse la strada dall’ufficio all’ingresso con la testa piena di pensieri confusi e sconnessi, il suono del timbro rimbombava al ritmo dei battiti del suo cuore e quella parola era ripetuta all’infinito come un mantra. Respinto. Era a quota diciannove banche con quella.
Uscì dalle grandi porte in vetro e un leggero vento arruffò il suo pelo, buttò il plico di fogli in un cestino vicino e con il plastico sottobraccio si infilò nella calca di animali.
Passò sotto le lunghe gambe di una giraffa, schivò appena in tempo un ippopotamo con il figlio piccolo e si ritrovò davanti al muso ingigantito del sindaco Bellwether. Si allontanò dal manifesto con un’espressione quasi schifata; la odiava, come molti in quella città, e ancor di più odiava quel suo motto che trasudava ipocrisia “Zootropolis, la città dove ognuno può essere ciò che vuole.“
Infilò un dito tra il collo e la spessa striscia di stoffa nera cercando inutilmente di allargare quel maledetto collare e sentì forte l’oppressione di quella vita a cui era costretto da anni. Strinse i pugni e a testa bassa proseguì per la sua strada; i palazzi diventarono via via più fatiscenti, i negozi iniziarono a mostrare vetrine sempre più tristi e le prede iniziarono a diminuire di numero fino a scomparire lasciando solo i predatori a vagare per le vie di quella periferia.
C’era silenzio.
Un silenzio strano per un luogo così affollato, ma era quella la caratteristica principale di Rundown, un luogo da cui anche il sindaco Bellwether distoglieva lo sguardo. Tutto era grigio, dai palazzi all’acqua che scorreva in piccoli rivoli sulla strada dissestata, fino agli animali il cui manto, un tempo lucente, era sporco e slavato riflettendo la triste realtà a cui si erano arresi; solo le luci verdi dei collari illuminavano ogni predatore e ricordavano a chi li guardava che quella vita era ingiusta con loro.
Nick continuò a camminare fino a raggiungere uno dei tanti palazzi grigi, cercò in tasca il mazzo di chiavi e finalmente alzò lo sguardo che aveva tenuto basso per tutto il tragitto, la solita vecchia porta rossa gli si presentò davanti con a fianco il numero 221 che cercava di brillare lasciando intravedere un giallo sbiadito sotto la patina di sporco. Inserì la chiave nella toppa ed entrò, un forte odore di patate lo accolse e gli fece arricciare il naso, attraversò il salotto pulito e ordinato che mal si addiceva a quella periferia e si fermò sulla soglia della cucina, inspirò profondamente e dopo aver rilasciato l’aria cercò di indossare il sorriso più sincero di cui era capace.
-Ciao Eleanor.- salutò dirigendosi verso il lungo tavolo e sedendosi.
Eleanor era un armadillo con cui l’età non era stata clemente, la vecchiaia le aveva portato via l’ottima vista e aveva ingobbito il suo corpo sotto il peso della corazza  –Nicholas Piberius Wilde, spero che tu sia tornato con delle buone notizie per te e per il mio portafoglio.- non si voltò a guardarlo, troppo impegnata a rigirare il mestolo in una grossa pentola piena di quello che sembrava purè.
Il sorriso di Nick si incrinò, ma non scomparve, si rigirò il plastico tra le mani prima di poggiarlo sul tavolo –Ci sono vicino Eleanor, molto vicino, presto ti ripagherò.
L’armadillo spense il fuoco e si sedette sulla sedia di fronte alla volpe –Nick,- iniziò con voce rassegnata –ormai vivi qui da anni, sei come uno di famiglia per me, lo sai, ma sono mesi che non paghi.- si fermò un attimo e sospirò -Io non voglio buttarti fuori, ma non posso continuare così.- prese le zampe di Nick tra le sue –Mi dispiace, ma se non pagherai entro la fine del mese prossimo dovrò chiederti di andare via.
Nick alzò lo sguardo e fissò il volto triste, ma deciso di Eleanor –Capisco.- fece scivolare via le zampe dalla stretta dell’armadillo e si alzò –Ti ripagherò, te lo prometto.- prese il plastico dal tavolo e uscì dalla cucina.
 
La sua stanza era più simile ad un vecchio sgabuzzino che ad luogo in cui dormire, si trovava alla fine di una breve scalinata in legno, era pieno di cianfrusaglie e l’odore di muffa soppiantava qualsiasi altro odore. Il soffitto era ricoperto di tubi gocciolanti che sfioravano le orecchie di Nick e in terra diversi secchi e ciotole raccoglievano le piccole gocce d’acqua. Gli unici arredi di quella stanza erano una grande scrivania probabilmente appartenuta ad un orso e un comodino posizionato strategicamente lontano dall’acqua per tenere al riparo un vecchio orologio digitale.
Nick poggiò il plastico sotto la scrivania e si buttò sul letto, ovvero l’ultimo cassetto della scrivania aperto e pieno di coperte.
Quel luogo non era esattamente quello che un comune animale avrebbe chiamato “casa”, era lontana dal tipo di comfort che si addice a quel termine, ma era il meglio a cui potesse ambire in quel periodo e per essere un predatore era anche la sua unica possibilità di vita.
Da sotto il cuscino estrasse una vecchia foto piegata in quattro, la aprì con delicatezza lisciandone le pieghe, il sorriso di John lo colpì al cuore come sempre; la foto risaliva a 5 anni prima, quando ancora il collare non era legato al collo del suo fratellino. Scosse la testa cercando di allontanare quei ricordi e strinse la foto al petto  –Ci riuscirò anche per te fratellino.
Osservò il plastico del Wilde Times sotto la scrivania, l’aveva preparato con tanta cura ed energia, sentendo in quel progetto la speranza non solo sua, ma di tutti i predatori di Zootropolis. Il Wilde Times sarebbe diventato il paradiso dei predatori, un luogo in cui ognuno di loro potesse essere se stesso senza paura della luce rossa del collare, dove si poteva ruggire, ridere, entusiasmarsi senza che una scossa smorzasse ogni emozione. Ci sarebbero state alte montagne russe, una piscina piena di palle e gomitoli e il gioco del maciste per sfogare la propria rabbia e ovviamente una stanza per poter urlare fino a perdere la voce e... un “bip” lo riportò alla realtà e una luce gli illuminò la pelliccia.
Sospirò e rimase immobile finché la luce non tornò verde. Erano solo sogni e per quanto dicesse a se stesso che tutto era possibile, una parte di lui aveva già iniziato ad arrendersi.
Chiuse gli occhi e cadde in un sonno pieno di ruggiti e senza collari.
 
Nick si presentò nell’ufficio prestiti della Hippo Loans con un sorriso smagliante, il plastico sotto braccio e tutte le informazioni sul Wilde Times nel solito blocco di fogli.
La direttrice, un grosso ippopotamo vestito di rosa, si sistemò meglio i piccoli occhiali sul naso e guardò con curiosità Nick mentre si sistemava sulla sedia, chiedendosi cosa volesse un predatore da una banca.
–Cosa vorrebbero tutti i predatori?- esordì Nick -Un momento di fuga dalla realtà, un luogo dove l’unica regola è divertirsi e tutto questo lo può offrire il Wilde Times!- poggiò sulla grande scrivania il plastico –Si dice che non si può comprare la felicità, invece eccola qua a soli $19,95 per biglietto! Uno speciale macchinario ideato da uno dei miei tecnici provvederà a rimuovere il collare all’ingresso del parco e, ovviamente, a farlo indossare nuovamente all’uscita. Non sarà nulla di pericoloso, abbiamo le guardie che sorveglieranno ogni attrazione pronte con dei taser per evitare problemi di ogni sorta.- prese per un attimo il respiro -Ho già il luogo dove costruirlo, ho i progetti, ho lo staff, ho un sogno, l’unica cosa che non ho sono i finanziamenti per rendere tutto questo possibile.- tese la mano sorridente –Vuole aiutarmi a rendere tutto questo realtà?
L’ippopotamo guardò la mano tesa, poi Nick e sospirò –Signor Wilde, non è una cattiva idea, ma…- la direttrice si interruppe, forse incapace di trovare una giustificazione che non offendesse Nick e tutti i predatori –Senta, il progetto è pericoloso e non credo che qualcuno accetterà mai di finanziarlo, ma può provare a chiedere un permesso al comune…
Nick sentì ancora una volta le sue speranze crollare, ritirò la mano e guardò il plastico con sconforto mentre smetteva di ascoltare la lunga sfilza di scuse della direttrice –Capisco.- disse quando quella smise di parlare -Grazie di avermi ascoltato.- con la coda dell’occhio vide la luce del collare diventare gialla –Arrivederci.- prese con se tutto ciò che aveva portato e con la schiena curva si diresse verso l’uscita.
La luce del collare rimase gialla per tutto il tempo del tragitto fino alla banca successiva. Sul treno per Tundratown si ritrovò seduto da solo nonostante il vagone fosse pieno; la luce gialla spaventava le prede perchè era il preludio di un’esplosione, che questa fosse di rabbia, di gioia o di  tristezza non importava, era un’emozione troppo forte per un predatore.
Quando le sue zampe si poggiarono sulla neve rabbrividì e si pentì di non aver portato indumenti più pesanti, ma si fece coraggio si incamminò verso la Snow Bank.
Mentre camminava si disse che ancora non tutto era perduto, che c’erano ancora banche a cui poteva chiedere e che prima o poi ci sarebbe riuscito; il suo progetto in fondo non era pericoloso, anzi, avrebbe aiutato i predatori a sentirsi meno stressati e quindi ad arrabbiarsi di meno… Stupidaggini. Nessuna preda avrebbe mai creduto alle sue parole, perché rischiare di mettere in libertà dei predatori? Sarebbe stato stupido da parte loro, no?
Arrivato ad un incrocio Nick alzò la testa per guardare il semaforo e il suo sguardo cadde su una delle più imponenti costruzioni che avesse mai visto: una piramide interamente fatta di ghiaccio svettava sopra tutte le case di Tundratown e sul grande portone d’ingresso luminosa c’era la scritta “Koslov’s Palace”.
Koslov. Nick conosceva quel nome, tutti a Zootropolis lo conoscevano e lo temevano, ma lui aveva perso ogni speranza. Se non fosse riuscito a recuperare i fondi necessari per il suo progetto sarebbe stato buttato fuori casa e costretto a vivere per strada; il suo futuro non era roseo, le speranze erano svanite e la luce del collare era più spesso gialla che verde.
Sospirò e cercò di raddrizzare la schiena per sembrare più sicuro di sé. Andiamo, si disse e attraversò la strada.
 
Sei mesi più tardi vicino a Rundown una clinica medica nascondeva il Wilde Times.



Salve a tutti!
È la prima volta che scrivo sul fandom di Zootropolis, ma non ne potevo più fare a meno, ho amato quel film, e sapere che ci fossero delle idee scartate non ha fatto altro che incrementare le mia cuoriosità e il mio amore per quella pellicola.
Per questa storia seguirò la trama originale e mi permetterò solo alcune differenze (come il fratellino di Nick); ci saranno nuove introduzioni, sia provenienti dalle vecchie bozze che mie, Judy e Nick saranno diversi, come anche gli altri personaggi già visti, ma tranquilli, in fondo saranno sempre loro.
Spero che il primo capitolo vi abbia incuriosito, nonostante fosse solo una presentazioen del nuovo Nick e che vi vada di lasciarmi una recensione per sapere cosa ne pensate. 
A presto, Lacchan
 

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Capitolo 2
*** Judy Hopps ***


Come ogni mattina Judy Hopps varcò la soglia della centrale di polizia di Zootropolis con un’espressione seria e imperturbabile sul muso e, come sempre, la prima cosa che notò fu la rassicurante assenza di luci verdi nell’atrio; nessun predatore infatti era ammesso tra le fila della polizia e neppure uno di loro entrava mai là dentro, ma non perché una legge lo vietasse, semplicemente non si facevano vedere.
Judy si diresse spedita verso il suo ufficio, ma la voce di Hughes che la chiamava la fece tornare sui suoi passi fino al grande banco davanti la porta d’ingresso.
La faccia sorridente di un grosso panda spuntò da dietro il bancone –Buongiorno Judy.
Lei abbozzò un sorriso, nonostante fossero passati mesi dal suo ingresso in polizia, e Hughes cercasse in tutti i modi di essere amichevole, trovava abbastanza fastidioso quel suo sorriso come se ogni problema fosse solo un trascurabile contorno amaro in un grosso piatto di ciambelle –Buongiorno Hughes.- sottolineò con la voce il cognome, non amava essere chiamata per nome –Devi dirmi qualcosa?
-Il capitano Bogo ti aspetta nel suo ufficio, sembra essere importante.
Le orecchie di Judy schizzarono verso l’alto e il suo naso fremette, sperò in cuor suo che il capitano le assegnasse un’indagine importante e non i soliti piccoli furti; ringraziò Hughes e si diresse quasi correndo verso l’ufficio del capitano.
Non sempre l’aspetto di qualcuno rispecchia il suo essere, ma questa era invece una delle caratteristiche predominanti del capitano Bogo; un bufalo nero alto e dalla corporatura massiccia il cui sguardo truce avrebbe fatto indietreggiare anche il più audace dei predatori. E il suo carattere serviva solo a  rafforzare quell’idea, burbero, conciso, autoritario e con un sorriso che si vedeva raramente.
Judy al contrario era solo una coniglietta e, per quanto si sforzasse di tenere la schiena dritta e le orecchie alzate sulla testa, arrivava alle ginocchia di quasi tutti gli agenti di polizia; allo stesso modo ogni cosa nella centrale era proporzionata ai grossi mammiferi che vi lavoravano e lei si ritrovava spesso ad adattarsi, non senza difficoltà, alla vita lì dentro.
Arrivata davanti all’ufficio del capitano Judy inspirò a fondo prima di bussare e spingere la grossa porta –Judy Hopps ai suoi ordini!- scattò sull’attenti non appena vide il capitano dietro la scrivania.
-Agente Hopps, siediti.-
Judy si arrampicò sulla sedia e rimase lì in piedi ad aspettare che il capitano finisse di scrivere al computer.
Dopo un tempo che a Judy sembrò infinito Bogo finalmente alzò lo sguardo su di lei -Conosci la clinica Wilde?- aspettò che il coniglio annuisse prima di proseguire –Delle prede sono state viste nei dintorni della clinica prima di sparire. C’è un’alta concentrazione di predatori lì, immagino tu sappia cosa significa.- Bogo fissò i grandi occhi viola di Judy –Il caso è tuo.- concluse il capitano –I dettagli ti saranno dati da Hughes.
Gli occhi di Judy brillarono di determinazione, scattò in piedi salutando il capitano e corse fuori dalla stanza per iniziare quel nuovo lavoro.
Arrivata da Hughes prese il fascicolo senza lasciar trasparire il compiacimento che cresceva dentro di sè, lo ringraziò velocemente e si inoltrò nella stazione di polizia. Una volta seduta alla sua scrivania aprì il fascicolo del caso Wilde con il naso che fremeva e le orecchie ritte e attente.
Ogni predatore di Zootropolis veniva schedato il giorno stesso in cui compiva cinque anni e gli veniva messo il collare, quindi Judy non si stupì di trovare una scheda dettagliata di Nicholas Piberius Wilde nel fascicolo insieme alle foto della clinica e all’elenco delle prede scomparse. La fototessera allegata alla scheda mostrava il volto sorridente e tranquillo di una volpe dagli occhi verdi, per un attimo Judy si chiese se davvero quello potesse essere il volto di un rapitore o un assassino, ma ricordò a se stessa che era un predatore e loro sarebbero stati capaci di compiere gesti atroci solo perché era il loro istinto a guidarli.
 
La prima volta che Judy Hopps vide Nick Wilde lo classificò come “imbroglione”, il sorriso che si apriva sul suo volto era cordiale, ma c’era una nota di quella che sembrava malizia. Ascoltò le sue parole con malcelato sospetto e si rifiutò di stringergli la mano quando lui si presentò, si limitò ad esporre il motivo per cui era stata mandata lì.
Nick non sembrò offeso dal comportamento dell’agente e continuò a sorridere per tutto il tempo che impiegò la visita della clinica; mostrò a Judy ogni documento e rispose a tutte le domande senza vacillare, quando la visita si concluse ogni cosa sembrava in regola, persino le riprese delle telecamere di sorveglianza non mostravano nulla di anomalo.
Il sole era già tramontato quando Judy uscì dalla clinica e le luci dei lampioni erano le uniche ad illuminare la strada, ormai pure l’insegna della clinica Wilde era spenta e la fila di predatori di cui si era stupita al suo arrivo era sparita. Si diresse verso il suo mezzo, parcheggiato dietro la clinica, e solo poco prima di metterlo in moto si accorse di un piccolo capanno malridotto nel punto più interno del parcheggio.
Judy si avvicinò notando che la porta era socchiusa, la spinse piano accorgendosi con stupore che non emetteva il suono stridulo che ci si aspetterebbe da qualcosa in disuso; accese la piccola torcia che portava alla cintura e vide che l’interno era angusto nonostante l’assenza di qualsiasi cosa, fatta eccezione per una vecchia cassa in legno in un angolo della stanza. Si avvicinò e aprì piano il coperchio scoprendo che all’interno non vi era nulla, fu solo poco prima di andare via che con la coda dell’occhio notò una lieve linea di luce vicino al lato della cassa che toccava la parete. La tirò di lato e man mano che quella veniva spostata trascinava con sè una porzione di pavimento abbastanza grande da far passare un grosso leopardo. Judy illuminò quella che sembrava una lunga scala a chiocciola che si perdeva nel buio, riflettè qualche secondo, poi poggiò una zampa sulla pistola spara-sedativi e si incamminò lungo la scala.
Arrivata alla base delle scale si trovò davanti ad una porta in legno, dall’altro lato non proveniva alcun suono, ma questo non la tranquillizzava affatto, aprì piano le grosse ante ed entrò con cautela cercando di fare quanto meno rumore possibile. Rimase senza fiato quando nella penombra scorse le sagome di un enorme parco giochi con tanto di montagne russe e ruota panoramica; alzò lo sguardo sull’insegna in legno dove una scritta rossa recitava “Wilde Times – dove ognuno può essere davvero ciò che vuole” e subito sotto campeggiavano due segnali di divieto, uno con un collare e l’altro con la scritta “prede”.
Un brivido le salì lungo la schiena, aveva letto del Wilde Times nel fascicolo di Wilde, ma ricordava che quel progetto era stato abbandonato da un anno ormai.
Una luce si accese in lontananza e catturò la sua attenzione, controllò velocemente radio e telefono, assodando, senza sorpresa che non vi era alcun tipo di segnale, strinse i denti, prese la pistola tra le mani e si incamminò verso la stanza illuminata.
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Nick sprofondò esausto nella vecchia poltrona viola, prese tra le mani la vecchia foto incorniciata di John che teneva sulla scrivania e sorrise –Hai visto? Ci sono riuscito fratellino.- guardò fuori dalla finestra il roar-a-coaster che con tutte le luci spente sembrava un vecchio drago addormentato –Non è esattamente ciò che ti ho promesso, ma è un inzio.
Fu in quel momento che la porta si aprì all’improvviso –Nicholas Wilde, la dichiaro in arresto.- la coniglietta che poco prima aveva visitato la sua clinica ora era davanti a lui con una pistola spara-sedativi in una zampa
Nick sgranò gli occhi preso dal panico, la sua mente iniziò a vorticare in cerca di una scappatoia, ma più si arrovellava più gli sembrava impossibile trovarne una, alla fine in un gesto disperato spense la luce sperando di rallentare il coniglio mentre scappava dalla porta accanto alla scrivania. Si precipitò giù per le scale mentre al suono dei suoi passi se ne aggiungeva un altro, continuò a correre senza guardarsi indietro pregando di essere più veloce del coniglio. Nella penombra superò diverse attrazioni finché si ritrovò davanti all’uscita d’emergenza, una vecchia porta in metallo un po’ arrugginita, spinse con forza finché una delle ante si aprì abbastanza per scivolare dentro, provò poi a richiuderla, ma quella si era bloccata, gettò un ultimo sguardo all’interno in tempo per vedere l’agente che digrignava i denti e accelerava la corsa e ricominciò a correre lungo un vecchio tunnel scavato nella terra.
Corse per quello che a lui sembrò un tempo interminabile, ma sempre con il suono dei passi dell’agente dietro di sé, finché finalmente non vide davanti a sé il grosso portellone rotondo, lo raggiunse e iniziò a tempestarlo di pugni –Honey! iniziò ad urlare –Sono Nick, aprì! Sbrigati!
Il portellone si aprì e Nick entrò chiudendoselo dietro con un grosso lucchetto; un tasso dalla cresta bianca lo guardò accigliato, ma non ebbe il tempo di formulare qualche domanda o lamentela perchè altri colpi si abbatterono sulla porta, più leggeri di quelli di Nick, ma pieni della stessa urgenza –Aprite questa porta! In nome della legge!
Honey sgranò gli occhi e prese Nick dal colletto sollevandolo dall’angolo in cui si era accasciato –Tu hai portato la polizia qui?- chiese incredula –Come hai osato farlo?
-Non avevo scelta, Honey, è entrata nel parco e ha iniziato ad inseguirmi, non sapevo dove andare, credimi.- la voce di Nick era spezzata da profondi respiri e i suoi occhi continuavano ad andare dall’amica alla porta -E poi so che tu hai qualcosa per fermarla.
Il tasso lo lasciò andare e si diresse verso uno degli scaffali colmi di oggetti che arredavano la sua “tana”, scostò un paio di grosse scatole e prese quella che sembrava una grossa bombola per l’ossigeno.
-Non puoi fare più in fretta?- chiese Nick esasperato.
Honey lo guardò storto –Quell’agente non andrà da nessuna parte, non la senti? Non è in grado di aprire il portellone e ci minaccia di chiamare i rinforzi, ma qua sotto non c’è campo quindi dovrebbe uscire fuori rischiando di farci scappare.- sorrise mentre montava un lungo tubo all’estremità superiore della bombola –Lascia fare a me.- rovistò dentro un altro paio di scatoloni e prese quella che sembrava un tuta da motociclista –L’ho realizzata io, è fatta interamente di kevlar.- spiegò ad un Nick perplesso, poi gli lanciò una maschera antigas e ne indosso una lei stessa, infine prese un profondo respiro e aprì la porta.
L’agente di polizia sparò un colpo che rimbalzò sulla tuta di Honey mentre quella iniziava a spruzzare quello che sembrava un gas dal colore bianco. Dopo qualche secondo il coniglio era a terra addormentato.
I due stavano per tirare un sospiro di sollievo quando un tonfo nella stanza accanto li fece correre a vedere cosa fosse successo; trovarono un grosso ghepardo steso a terra.
Honey rise –Avevo dimenticato che Ben era venuto a trovarmi.


Ed eccomi dopo più di un mese con il secondo capitolo (finalmente!). Purtroppo ho avuto la "brillante" idea di pubblicare il primo capitolo in piena sessione autunnale, ma vabbè...
Scrivendo questo secondo capitolo mi sono resa conto del fatto che mi viene difficile seguire l'esatta trama di questa prima versione di Zootropolis, quindi vi dico già da adesso che molte cose saranno diverse dalle bozze del film. Se qualcuno ha voglia di sapere quale sarebbe dovuta essere originariamente la trama qua c'è una sorta di riassunto (ma se non volete rovinarvi il finale vi consiglio di seguirlo poco a poco) ---> http://sill88183.tumblr.com/post/141653088181/donkocabana-contains-some-spoilers-as-many-of
Spero che questa capitolo vi sia piaciuto e che vi spinga a continuare a seguire questa fanfiction e magari anche a lasciarmi una piccola recensione.
Al prossimo capitolo!

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