Non si gioca con il demonio

di Antonio Militari
(/viewuser.php?uid=888062)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Prologo ***
Capitolo 2: *** II - Start Game ***
Capitolo 3: *** III - Select Game ***
Capitolo 4: *** IV - First Blood ***
Capitolo 5: *** V - First Mission ***
Capitolo 6: *** VI - Awareness ***
Capitolo 7: *** VII - Dodgem ***
Capitolo 8: *** VIII - Switch ***
Capitolo 9: *** IX - New weapon ***
Capitolo 10: *** X - Freedom ***
Capitolo 11: *** XI - Epilogo ***



Capitolo 1
*** I - Prologo ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.
I
PROLOGO

«Che ci fa questa scatola in camera mia, ma'?» Matteo si tolse le cuffie, osservando la scatola davanti a se.
«Ho svuotato la cantina: quelli sono i tuoi vecchi giochi di quando eri piccolo: cerca quello che vuoi tenere e butta il resto!» Gli rispose la voce dal piano di sotto.
«E che dovrei tenere?» Non era più un bambino da molti anni.
«Ricordi! Vedrai che tra qualche anno avrai voglia di riprendere in mano qualcosa di quando eri piccolo!».
Matteo alzò le spalle, in fondo non gli costava niente tenersi qualcosa, no? E poi aveva ragione lei: è bello fabbricarsi ricordi della propria età migliore.

Alla fine si era lasciato prendere la mano: Aveva ritrovato oggetti che non credeva più di possedere, e di cui si era dimenticato anche dell'esistenza: un soldatino di piombo, una trottola da combattimento, una pistola ad elastici... E poi, da sotto tutta quella cianfrusaglia, spuntò fuori. Matteo aveva dimenticato quell'oggetto, che non vedeva da anni, e che aveva tenuto occupata circa la metà della sua infanzia, legandolo ad un piccolo schermo che, all'epoca, possedeva una risoluzione da paura, ma che oggi avrebbe perso contro il peggiore dei computer in circolazione... Il Gameboy.
Matteo passò circa cinque minuti con la faccia da ebete a ricordare le ore passate su quell'oggetto, principalmente per catturare pokémon ed esplorare città dai nomi improbabili, e un altro quarto d'ora buono lo passò a frugare nella scatola alla ricerca delle mitiche cartucce, quel cibo che, se dato in passo alla piccola console, rendeva veri i sogni di migliaia di bambini.
Dopo i venti minuti totali di perdita di tempo si lasciò cadere la console nella tasca e scese al piano di sotto dalla madre «Ma', non è che c'erano altri giochi, in cantina?».
La madre era in cucina, indaffarata nel preparare la cena «No, la cantina è totalmente vuota: tuo padre ci deve montare i mobili nuovi» non si voltò neanche per rispondergli.
«Non trovo le cartucce per il gameboy» sapeva che non avrebbe ottenuto niente, ma tentar non nuoce.
«Non ho visto niente del genere lì sotto. Forse le hai prestate a qualcuno, o le hai vendute» Quest'ultima cosa non era totalmente da escludere: Matteo aveva passato un brutto periodo per il gioco d'azzardo su internet, all'insaputa dei genitori, e molti dei suoi regali natalizi avevano trovato il loro posto nel paradiso degli oggetti: ebay.
Franco avrebbe avuto qualcosa per lui, però. Franco era un amico; strano, ma pur sempre un amico. Era fissato con i videogiochi e l'informatica, e con i soldi del padre, dopo il liceo, aveva aperto un negozietto tutto suo. Grazie al suo spirito inventivo e la sua conoscenza in materia, in soli due anni aveva restituito i soldi al padre e si era trasferito in un locale più grande.
Uscì di casa salutando appena la madre che gli urlava dietro che la cena sarebbe stata pronta per le 21 e si diresse verso il negozio dell'amico, fortunatamente poco lontano; lo trovò dietro al bancone, a leggere un fumetto dal dubbio contenuto sessuale.
«Matteo! Che mi prenda un colpo! Hai deciso di convertirti alla modernità?» Matteo era infatti un accanito sostenitore della carta contro gli e-book, del telefono solo per chiamate e messaggi e del computer al risparmio più che di qualità.
Sorrise all'amico «Tutt'altro, in realtà. Sono venuto per un pezzo d'epoca!» Esclamò soddisfatto, posando la console sopra al bancone come se fosse un antico manufatto fenicio.
A Franco gli si illuminarono gli occhi «Merda! Ma dove hai tirato fuori questa roba? Erano secoli che non ne vedevo uno! Ma lo sai le notti che ho passato sveglio per quella macchina infernale?» Con riverenza lo prese in mano e lo osservò sotto tutti i punti di vista «Funziona ancora?».
Effettivamente non aveva controllato; per un attimo temette di scontrarsi con una delusione enorme «Non lo so. Non l'ho ancora provato».
Franco premette la levetta di accensione e insieme aspettarono con ansia il responso dello schermo, quindi Franco scoppiò a ridere «Funziona perfettamente, ed è ancora carico il bastardo! è proprio vero che una volta le cose erano costruite per durare!» posò di nuovo l'oggetto sul bancone, dopo averlo spento «Credo di capire cosa vuoi adesso: qualche cartuccia per giocare e un cavo di alimentazione».
Al cavo non ci aveva pensato, ma effettivamente gli serviva anche quello «Puoi darmi qualcosa?».
Franco sorrise, dando una leggera pacca sul bancone «Aspettami qui, torno subito» e sparì verso una vecchia scala a chiocciola, scendendo al piano di  sotto.
Nel negozio, intanto, entrò un gruppo di ragazzini delle medie al massimo, che si avvicinò schiamazzando al bancone. Appena videro l'ingombrante console portatile sul bancone iniziarono a sussurrare tra di loro, ridacchiando. Matteo provò un vago senso di fastidio, se non di odio: che diavolo ne sapevano loro di quanto era innovativo e intrigante il gameboy ai suoi tempi d'oro? Che male c'era nel ricercare quei ricordi?
Franco risalì la scala con una grossa scatola rumorosa e la posò con poca grazia sul bancone, lasciandovi accanto un cavo d'alimentazione «Scegli quello che ti serve, tanto non le compra più nessuno, queste; basta che poi me le riporti» Lo sguardo gli cadde sul gameboy, avido «E che me lo presti per un po'».
Matteo sorrise, mentre l'amico si rivolgeva ai nuovi clienti, con il suo solito fare estroverso. La scatola conteneva una miriade di giochi, di cui la maggior parte gli era sconosciuta, e una piccola parte era il solito brodo cotto e ricotto. Scorse titoli come Bubble Bobble, Raymen, Earthworm Jim, Castlevania... Ne scelse due o tre più per curiosità che per interesse, finché non gli capitò una cartuccia in mano che non aveva mai visto, prima d'ora: era totalmente nera, senza alcuna etichetta, solo una piccola scritta, con il bianco, in un carattere alquanto horror, vergata come a matita: 'non giocare'.
Era inquietantemente affascinante, per la sua semplicità e per... qualcosa, che lo attirava senza alcuna motivazione apparente. Se la rigirò nelle mani e la osservò da tutti i punti di vista, ma non sembrava esserci niente di strano se non l'assenza assoluta di qualsiasi indicazione, escluso quell'unico 'non giocare', evidentemente il titolo del gioco, che lo incitava ancora di più.
Si mise le cartucce in tasca, vi ficcò anche il gameboy, prese l'alimentatore e salutò velocemente Franco, che ancora era alle prese con il gruppo di ragazzini, che da quel poco che riusciva a capire stava cercando di abbassare il prezzo di qualcosa in stile bazar arabo.
Si ritrovò sulla strada e istintivamente tirò fuori la cartuccia misteriosa, rigirandosela tra le mani. Improvvisamente gli vennero alla mente le parole di una canzone del suo musical preferito; iniziò a canticchiarla, osservando quel pezzo di plastica nero che teneva tra le dita: 'I have to know, I have to know my Lord'1...


Estratto del prossimo capitolo:
"NON SEI SODDISFATTO DELLA TUA VITA, MATTEO?
SENTI CHE TUTTO CIO' CHE HAI FATTO FIN'ORA COME UN FALLIMENTO?
IO POSSO CAMBIARE LA TUA VITA.
"

1 La canzone citata è «Gethsemane» di Andrew Lloyd Weber, i diritti non appartengono all'autore della storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II - Start Game ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

II
START GAME
 
Dopo cena si buttò direttamente sul letto in camera sua e accese il gameboy, ovviamente dopo aver inserito la cartuccia al suo posto, e ovviamente dopo aver inserito LA cartuccia.
Il gioco non mostrava una schermata iniziale, ma partiva direttamente con le informazioni sul personaggio, che sembravano molto dettagliate: gli chiedeva l'età, l'altezza, il peso, il colore dei capelli, la data di compleanno, e tante altre cose che non capiva come avrebbero influenzato il gioco. Quando gli chiese il nome, con un moto di goliardica comicità, affibbiò al personaggio l'eloquente nome di COGLIONE. Dopo un attimo di pausa il gioco gli rispose con il messaggio: NON SAI QUANTO SEI VICINO ALLA VERITA', MATTEO.
Per un momento Matteo rimase di sasso, colpito da quello che stava succedendo, ma poi scoppiò a ridere: probabilmente il gioco aveva un vocabolario che riconosceva i nickname offensivi e li sostituiva con nomi dati aleatoriamente, in fondo Matteo è uno dei nomi più diffusi, no?
Il gioco stava finalmente iniziando, c'era solo un ultima schermata da visualizzare: era scritta in caratteri minuscoli e copriva l'intera schermata, con due pulsanti alla fine che permettevano di accettare o meno; con tutti i dati inseriti si trattava, probabilmente, di una liberatoria per la privacy, e così accettò senza sprecare tempo a leggere: voleva giocare, se possibile.
Lo schermo divenne nero per qualche secondo, quindi iniziò a dissolversi verso un bianco acceso, nel frattempo apparvero delle scritte nere che spiegavano quello che, probabilmente, era l'antefatto.
NON SEI SODDISFATTO DELLA TUA VITA, MATTEO?
SENTI CHE TUTTO CIO' CHE HAI FATTO FIN'ORA COME UN FALLIMENTO?
IO POSSO CAMBIARE LA TUA VITA.
Matteo si sistemò meglio sul letto, perché i gomiti iniziavano a formicolare, ma nel muoversi non staccò neanche un momento gli occhi dallo schermo.
COMPI DELLE SEMPLICI MISSIONI PER ME, E RISOLVERO' I TUOI PROBLEMI.
COMPLETA OGNI MISSIONE PER AVERE I MIEI SERVIGI.
PREMI IL TASTO 'HELP' OGNI VOLTA CHE HAI BISOGNO DI UNA SPIEGAZIONE.
Lo schermo bianco si dissolse nuovamente in nero e poi, finalmente, apparve l'ambientazione del gioco: era una casa dall'aspetto spettrale, probabilmente un maniero. La grafica stilizzata, nella mente di Matteo, assumeva la consistenza di un HD in tre dimensioni, tanto era abituato a giocare.
Si mosse un po' per le stanze, senza riuscire a trovare una porta per uscire: dopo qualche minuto speso in un'inutile esplorazione decise di premere il tasto help.
CIAO COGLIONE, HAI GIA' BISOGNO DI ME?
E qui Matteo rimase doppiamente stupito: primo, il gioco usava sia il nickname originale sia quello che gli aveva affibbiato automaticamente (probabilmente era un bug, o anche un easter egg voluto dagli sviluppatori) e secondo poi, per rispondere al gioco non doveva selezionare una risposta tra un elenco di possibilità, ma doveva letteralmente scrivere una risposta.
Già abbastanza annoiato, la sua vena goliardica rispuntò fuori, e decise di rispondere a tono.
SI, STRONZO, HO BISOGNO DI TE.
Si aspettava una risposta tipo: 'modera il linguaggio', o 'non capisco cosa intendi', invece, dopo qualche momento di 'silenzio', comparve la scritta:
NON HAI LETTO LA NOTA INFORMATIVA, VERO?
TU PENSI CHE QUESTO SIA UN GIOCO, GIUSTO?
Matteo sentì un piccolo brivido dietro le spalle, e si affrettò a scrivere:
E COS'ALTRO DOVREBBE ESSERE?
Tutto si sarebbe aspettato, ma non quello che gli apparve come risposta:
UN CONTRATTO COL DEMONIO.


Estratto del prossimo capitolo:
"NON DEVI CHIUDERE IL GIOCO MENTRE TI STO PARLANDO.
QUESTO NON E' UN GIOCO, COGLIONE, MA TU NON LO HAI ANCORA CAPITO!
"

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III - Select Game ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

III
SELECT GAME

Aveva fatto fatica a dormire. Dopo quelle parole aveva spento la console e si era messo a letto, non perché lo avessero colpito particolarmente (anche se ci erano riuscite veramente), ma perché si era fatto tardi, e voleva chiudere quel gioco prima che iniziasse veramente, cosa che altrimenti lo avrebbe tenuto sveglio tutta la notte.
Cosa che poi, comunque, era successa d'avvero. Le parole stampate sullo schermo continuavano a brillarli davanti agli occhi: 'tu pensi che questo sia un gioco, vero?', 'un contratto col demonio'. Erano frasi cliché, se ne rendeva conto, ma per qualche motivo lo avevano inquietato. Ora capiva perché quel gioco non era diventato famoso: al gameboy ci giocano i bambini, e questo si prospettava troppo inquietante per un ragazzino.
Mentre andava in bagno, per i soliti riti mattutini, con la mano, istintivamente, sfiorò la plastica della piccola console.
 
Poco ci mancò che, durante la lezione di antropologia filosofica, si addormentasse davanti al professore, mentre questi spiegava l'anima aristotelica. Passò tutte le ore della mattina a combattere contro quel torpore che iniziava dalle palpebre per poi calare, improvvisamente e a scatti, su tutto il corpo.
Tornò a casa distrutto, gettò lo zaino in un angolo, afferrò il piatto dal tavolo e si buttò sul divano, rischiando di rovesciare tutto. I suoi erano fuori e lo avrebbero lasciato solo per tutto il week-end, e lui, da bravo adolescente, aveva tutte le intenzioni di approfittarne: guardò le due puntate della sua serie televisiva preferita e poi, attaccata una pen-drive al televisore, passò ad altri video di ben altro genere.
Finito di espletare queste funzioni basilari, e dopo essersi fatto una doccia per ripulirsi, Matteo prese il gameboy dal comodino senza neanche rivestirsi, accendendolo per continuare lo strano gioco che aveva iniziato. Invece di apparire la casa stregata gli si mostrò la schermata nera dell'help.
NON DEVI CHIUDERE IL GIOCO MENTRE TI STO PARLANDO.
Matteo sorrise per la trovata degli sviluppatori, e ripose in maniera simpatica.
PERCHE'? TANTO NON ANDAVI DA NESSUNA PARTE, NO?
Pochi secondi e arrivò la risposta:
QUESTO NON E' UN GIOCO, COGLIONE, MA TU NON LO HAI ANCORA CAPITO!
Matteo si mosse a disagio sul letto, e compose una frase col dito che tremava. Era una stupidaggine, ne era consapevole, ma la cosa lo inquietava troppo. Forse stava facendo la figura del cagasotto, ma con chi? Tanto non c'era nessuno a guardarlo, no? E poi che male c'era ad essere sicuro? Non costava niente confermare che tutta quella pazzia era solo frutto della sua immaginazione, stimolata da un gioco leggermente più inquietante del solito. Finì di scrivere quella singola parola e la inviò trattenendo il fiato:
DIMOSTRALO.
La risposta arrivò immediata:
FA FREDDINO LI' O E' COSI' PICCOLO DI SUO?


Estratto del prossimo capitolo:
"Uno strano presentimento gli strinse lo stomaco, mentre si portava il telefono, che riceveva una chiamata dal cellulare di Franco, all'orecchio"
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV - First Blood ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

IV
FIRST BLOOD
ORA MI DARAI RETTA?
Matteo si sentì svenire. Quello che stava vivendo non poteva essere vero. Era un Filosofo, un uomo di scienza, studiava all'Università e sapeva bene che queste cose, nella vita reale, non succedono. Ci doveva essere una spiegazione, una causa logica per cui stava accadendo quello che stava accadendo.
VUOI METTERTI ADDOSSO UN PAIO DI MUTANDE, PER FAVORE?
No, non poteva essere, in nessun modo. La sua mente gli stava sicuramente giocando qualche brutto scherzo... Scherzo! Ma certo! Era tutta una messa in scena di Franco, che gli aveva dato una cartuccia truccata per trasformare il gameboy in una specie di ricevitore-trasmettitore in stile chat. Questo era possibile? Tecnicamente non avrebbe saputo dirlo, ma doveva essere così per forza.
SMETTILA FRANCO, SEI RIUSCITO A SPAVENTARMI, ORA BASTA.
La risposta non tardò ad arrivare.
COSA DEVO FARE PER CONVINCERTI?
CONVINCERMI DI COSA?
CHE QUESTO NON E' UN GIOCO.
Matteo rimase un attimo pensieroso: questa storia lo aveva già stancato, e non aveva alcuna intensione di continuare a farsi prendere per il culo da Franco, magari lo stava anche filmando per la gioia di Internet.
BUTTATI DALLA FINESTRA.
Scrisse con una punta di rabbia.
OVVIAMENTE TU INTENDI FRANCO, NON E' VERO?
Matteo spense il gioco con stizza, per poi gettarlo sulla scrivania.
 
Il resto della giornata lo passò a cazzeggiare, passando dal computer al televisore e dal televisore al computer, guardando film e giocando a vari. Si mise addosso qualche vestito solo verso sera, per poter cucinare senza il rischio di bruciarsi. Cucinò un piatto semplice, di quelli che vanno a mala pena scaldati sul fornello o in microonde, e mangiò, ovviamente, davanti al televisore. Per la notte, decise di passare alla maratona di tutti i suoi film preferiti.
La mattina dopo si svegliò sul divano, circondato da una serie di cadaveri di patatine, che lo avrebbero costretto a lavare il divano prima di Domenica sera. Aveva gli occhi arrossati dai troppo video e la testa che gli girava per l'alcool ingerito. Quando posò il piede per terra urtò come minimo due bottiglie vuote di birra. Si lavò in fretta e uscì di casa, lasciando le finestre aperte: avrebbe ripulito dopo aver cambiato l'odore di chiuso.
L'aria fresca del mattino (quasi ora di pranzo) lo rimise in sesto in poco tempo. Dopo aver fatto per due volte il giro del quartiere, decise di andare da Franco, per cantargliene quattro e farsi due risate cariche di autoironia, prendendo in giro la strizza che aveva avuto il giorno prima, per tre frasi scritte con tono horror su un videogioco taroccato.
Raggiunse il negozio dell'amico ma lo trovò chiuso. Il cartello sulla porta prometteva l'apertura anche nel week-end e denunciava un ritardo di quasi due ore. Con un poco di preoccupazione pensò che l'amico doveva essere ammalato, e che si fosse dimenticato di avvisare il liceale che lo aiutava di andare ad aprire il negozio al posto suo. Proprio mentre pensava di lasciare tutto e tornarsene a casa, il telefono li squillò in tasca.
Uno strano presentimento gli strinse lo stomaco, mentre si portava il telefono, che riceveva una chiamata dal cellulare di Franco, all'orecchio.
 
Non poteva essere vero. Caterina, la madre di Franco (Caterina a pecorina, come la chiamava quando sfotteva con l'amico), lo aveva chiamato dal cellulare del figlio (i vecchi Nokia non li ammazzi manco a martellate), per chiamarlo all'ospedale(ci si muore, all’ospedale!). Sembrava che Franco avesse fatto qualche stupidaggine. Viveva da solo (mica come te, sbarbatello!), e a quanto pare i vicini lo avevano sentito inquieto per tutta la notte(si fa bisboccia!). A tratti aveva urlato, ma più spesso mormorava qualcosa camminando per tutto il corridoio. La mattina poi, quando sembrava finalmente essersi calmato, lo avevano sentito correre per tutta la casa fino alla finestra del salotto che, dando sul garage interno del condominio, era la più alta della casa.
Si era schiantato sul marciapiede (marciapppiede, come lo pronunciava Franco), ma era rimasto vivo per diverse ore, anche quando erano arrivati i soccorsi e avevano cercato di mettergli le ossa a posto. Era rimasto più o meno cosciente per tutto il tempo, scivolando a volte nel delirio e altre volte ancora nel sonno leggero, ma continuando a ringraziare il cielo che 'la voce malvagia' lo avesse abbandonato. Quando Caterina lo aveva chiamato, il figlio era appena morto.
Aveva lasciato un biglietto, e mentre Matteo sosteneva la madre dell'amico che non faceva altro che piangere silenziosamente, davanti al cadavere del figlio, se lo rigirò tra le dita, in tasca, più stanco che spaventato. Su quel foglio era stata vergata una sola, enigmatica frase, con la disordinata grafia stampatella di Franco:
X MATTEO: LUI TI VUOLE E LUI TI AVRA'.


Estratto del prossimo capitolo:
"VUOI VENDICARLO?
Certo che voleva vendicarlo! Ma come poteva combattere contro un videogioco?
SE RIESCI A FINIRE TUTTE LE MISSIONI PUOI ANCHE PROVARE AD UCCIDERMI.
"

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V - First Mission ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

V
FIRST MISSION
 
Tornò a casa distrutto, senza aver fatto né colazione né pranzo, ma anche con la sensazione di essere sazio. Si stappò una bottiglia di birra e la scolò quasi totalmente, quindi si diresse, senza alcun indugio in camera, davanti al gameboy. La sua sicurezza filosofica non aveva vacillato: era crollata davanti all'evidenza di fatto. Credeva ancora che ci fosse una spiegazione scientifica, ma era ovvio che fosse al di fuori della sua attuale conoscenza, e probabilmente fuori da qualsiasi conoscenza al mondo.
Rimase a fissare quel pezzo di plastica con il forte desiderio di bruciarlo nel forno, fregandosene se i vapori generati sarebbero stati tossici o se la plastica fusa avrebbe distrutto la macchina del gas. ma con l’intenzione di eliminare per sempre quella cosa infernale dalla sua vita.
Afferrò l'oggetto con rabbia e si diresse di gran carriera in cucina, accese uno dei fornelli e vi avvicinò il colpevole di tutto, fermandosi, però, un secondo prima che le fiamme toccassero la plastica bianca. Calore. Sentiva un leggero calore provenire dalla schiena. Spinse in avanti la mano tremante e, mentre la bianca plastica iniziava a diventare nera, il bruciore alla schiena si fece insopportabile. Con rabbia lanciò l'apparecchio contro il muro, e la botta che sentì in pieno stomaco subito dopo gli tolse totalmente il fiato.
Erano legati, e ormai il fatto era palese:  tutto ciò che fosse accaduto a quella stupida console sarebbe successo anche a lui. Con la schiena dolorante e senza fiato neanche per tirarsi in piedi strisciò sul pavimento fino a raggiungere il punto in cui la scatola di plastica era caduta. La afferrò costatando che, a parte la striatura nera dovuta alle fiamme, non presentava danni di alcun tipo, e agitandola non si ascoltava nessun suono di componenti rotti all'interno.
Accese il gioco riuscendo, intanto a mettersi seduto, appoggiando la schiena ustionata contro il freddo muro. Nuovamente apparve la schermata help, con le familiari scritte bianche.
IL NOME CHE TI SEI SCELTO TI SI ADDICE, NON TROVI, COGLIONE?
Poco ci mancò che, preso dalla rabbia, scagliasse nuovamente l'oggetto contro il muro.
HAI UCCISO IL MIO AMICO.
Digitò con rabbia.
TI SBAGLI. TU LO HAI UCCISO. TI AVEVO CHIESTO COSA TI AVREBBE CONVINTO.
Matteo rimase immobile per un minuto buono: Franco era morto perché lui gli aveva detto di buttarsi dalla finestra? Era morto per provargli che il gioco non era un gioco?
AVEVO DETTO CHE TU DOVEVI BUTTARTI DALLA FINESTRA!
MA ERI CONVINTO DI PARLARE CON FRANCO, NO? TE L'HO ANCHE CHIESTO.
NON TI HO RISPOSTO.
CHI TACE ACCONSENTE...
Matteo si tenne la testa tra le mani, maledicendosi per la leggerezza con cui aveva affrontato la situazione, ma non era normale? Di questi tempi chi avrebbe considerato normale un videogioco maledetto? Si prese a pugni le ginocchia come un bambino, soffocando le lacrime e la voglia di urlare. Sullo schermo apparvero nuove scritte.
VUOI VENDICARLO?
Certo che voleva vendicarlo! Ma come poteva combattere contro un videogioco?
SONO UN DEMONE E NON POSSO MENTIRTI.
SE RIESCI A FINIRE TUTTE LE MISSIONI PUOI ANCHE PROVARE AD UCCIDERMI.
Questo poteva essere interessante, ma come poteva essere sicuro che fosse vero?
LA COSA FUNZIONA COSI': TU FAI UNA SERIE DI MISSIONI.
FINITA UNA MISSIONE RICEVERAI UN PREMIO O UNA PUNIZIONE.
LA PUNIZIONE LA DECIDERO' IO VOLTA PER VOLTA.
IL PREMIO LO SCEGLIERAI TU, MA ATTENTO A QUELLO CHE CHIEDI...
SE FINIRAI TUTTE LE MISSIONI POTRAI ARRIVARE A ME E, CHISSA'...
...UCCIDERMI...
Matteo ci pensò su per un'ora almeno, cercando di valutare i pro e i contro, cercando di immaginare quali potessero essere le punizioni, le missioni e quante le possibilità di poter uccidere un demone. Infine chiese.
E SE NON VOLESSI ACCETTARE?
Sullo schermo apparve subito la risposta.
LE MISSIONI PARTONO AUTOMATICAMENTE: SE NON GIOCHI SUBIRAI SOLO PUNIZIONI.
E SE VUOI DISTRUGGERE IL GIOCO, BEH...PADRONE...
A Matteo l'ustione parve bruciare più forte per qualche secondo. Quindi sospirò e scrisse, trattenendo la rabbia:
DIMMI QUAL'E' LA PRIMA MISSIONE.


Estratto del prossimo capitolo:
"Si bloccò di botto, però, nel momento stesso in cui si alzò in piedi. Sul divano, proprio davanti a lui, c'era seduto un uomo."

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI - Awareness ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

VI
AWARENESS

La sua missione era quella di tormentare un uomo fino a spingerlo al suicidio, come era capitato a Franco, il che significava che non era l'unico a giocare a quel gioco demoniaco, e che quindi la sua non era l'unica cartuccia al mondo. Il personaggio del gioco, che ora poteva uscire dalla casa, aveva dei poteri speciali, oltre al fatto che pareva invisibile per tutti gli altri personaggi del gioco. I poteri erano quello di abbassare o alzare la temperatura di un luogo, di poter alterare le percezioni sensoriali di una persona e quello di poter leggere il pensiero degli altri.
Raggiunse la casa dell'uomo che gli era stato affidato e scoprì che si trattava di un ragazzo della sua età, se non più giovane (la grafica di un gameboy rende difficile capire l'età dei personaggi), che si trovava al computer in camera sua, e a giudicare dal movimento del personaggio, stava facendo qualcosa di poco elegante da descrivere.
Le parole della madre, evidentemente da un'altra stanza, apparvero sullo schermo intimandogli di andare a letto, e il ragazzo, dopo aver espletato il suo compito e ripulito con l'uso di un fazzoletto, obbedì prontamente. Matteo fece avvicinare il personaggio al letto, quindi iniziò a darsi da fare, da prima spostando semplici e piccoli oggetti poi, quando la madre, dall'altra stanza, annunciò che doveva uscire un momento, iniziò a spostare oggetti più grandi, a far rumore, a parlare a voce alta senza essere visto.
Il giovane reagì perfettamente, iniziò a strillare per ogni movimento, bagnò il letto e iniziò a chiedere pietà a qualsiasi spirito avesse offeso. Matteo iniziava quasi a divertirsi, fino a quando il giovane, racchiuso in posizione fetale sul letto da lui stesso sporcato, iniziò a chiamare la madre. Questa reazione bloccò, improvvisamente, Matteo, che smise di muovere oggetti e cose del genere.
Era successo così anche a Franco? Anche lui aveva bagnato il letto, o si era messo a chiamare la mamma (Caterina a pecorina)? Aveva anche lui strillato come una ragazzina? Aveva anche lui abbandonato ogni speranza, credendo di essere impazzito?
SE TI FERMI ADESSO DOVRO' PUNIRTI.
Matteo lo sapeva, ma non poteva continuare. Se lo avesse fatto, avrebbe ucciso Franco due volte.
SEI SICURO DI VOLER FARE UNA COSA DEL GENERE?
No. Non ne era sicuro, ma non aveva scelta, questo lo sapeva con certezza.
ABBANDONO LA MISSIONE,
 
Non scoppiò nessun dolore, non si contorse a terra chiedendo perdono, né perse conoscenza o vattelappesca. Il suo personaggio tornò automaticamente nella casa stregata, mentre un messaggio apparve sullo schermo.
GIOCO SALVATO, ORA PUOI SPEGNERE LA CONSOLE.
Matteo obbedì, spegnendo il gioco. Era ora di andare a dormire, quindi si rialzò per andarsi a cambiare. Si bloccò di botto, però, nel momento stesso in cui si alzò in piedi. Sul divano, proprio davanti a lui, c'era seduto un uomo.
Era totalmente vestito di nero, in maniera elegante, in netto contrasto con la pelle bianca del viso (le mani erano coperte da spessi guanti), ma nel complesso non dava un effetto fastidioso ma anzi, sembrava dargli un aspetto quasi affascinante, un po' retrò, forse, ma a suo modo bello.
«Chi sei?».
L'uomo, con le gambe accavallate e le braccia sulla spalliera del divano, sorrise maligno «Prova ad indovinare».
Era ovvio chi fosse, e così Matteo gli si gettò addosso urlando, senza pensarci, ma all'uomo bastò alzare un braccio contro di lui, perché le gambe gli cedettero e lui finisse a terra, con la faccia a pochi centimetri dalle suole nere e perfettamente lucidate del demone.
«Buono, ragazzo. Cerchiamo di tenere a freno quel tuo caratterino, va bene?».
La ferita alla schiena, in quella posizione, iniziò a bruciare leggermente.
«Che cazzo ci fai tu a casa mia!» non riusciva a trattenere la rabbia.
La suola della scarpa gli si posò sulla guancia «Tu mi ci hai portato, mi hai scelto da quella scatola impolverata» Iniziò a premere leggermente, provocandogli un forte dolore alla mascella «ecco la tua punizione: consapevolezza. La consapevolezza che solo chi è legato al male e chi odia la sua vita prova il desiderio di possedermi. Tu odi la tua vita, anche se non te ne rendi conto consciamente, tu non sopporti i tuoi genitori, i tuoi amici, la tua Università... Tu sei malvagio...».
A Matteo bruciavano gli occhi più che la ferita, più che la mascella che cominciava a scricchiolare, ma il demone continuò «Tu hai fatto fuori il tuo amico, ma soprattutto tu hai voluto che morisse. Tu lo odiavi, sotto la maschera dell'amicizia, perché era più bravo di te in tutto. Lo odiavi perché si era già realizzato e perché era felice, perché aveva un padre che lo appoggiava, perché aveva una cerchia di amici migliore della tua, perché aveva i soldi. Tu odiavi il tuo migliore amico, e io ti ho aiutato a farlo fuori».
«Non è vero» Biascicò Matteo, soffocando il dolore che la mascella gli inviava ad ogni parola.
Il demone rise forte «Io sono un demone. Posso nascondere la verità, rivelarne solo una parte, ma non cambiarla, perché non mi appartiene».
Dopo un'altra risata di cuore, il demone sparì, lasciandosi alle spalle un fastidiosissimo odore di zolfo bruciato.


Estratto del prossimo capitolo:
"Poteva farcela. Avrebbe dovuto camminare sopra a molte persone, probabilmente, ma non poteva farci niente."
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII - Dodgem ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

VII
DODGEM
 
Ok. Doveva cercare di fare il punto della situazione. Doveva giocare a quel dannato videogioco. Doveva superare ogni coscienza e completare le missioni, finirle tutte e poi ammazzare quel demone di merda. Poteva farcela. Avrebbe dovuto camminare sopra a molte persone, probabilmente, ma non poteva farci niente. Li avrebbe vendicati tutti, comunque, e avrebbe pregato per loro quando tutto fosse finalmente finito.
Si rialzò dal pavimento massaggiandosi la mascella dolorante, zoppicò fino alla finestra e la spalancò per far cambiare l'aria, ringraziando il cielo di non vivere in un appartamento con vicini che avrebbero potuto ascoltare rumore e sentire odori. Si trascinò in bagno e riempì la vasca di acqua fredda, iniziando a spogliarsi.
L'acqua che gli lambiva la schiena gli diede insieme una sensazione di sollievo e una di bruciore. Gli vennero le lacrime agli occhi per tutto quello che il demone gli aveva detto. Non era vero, non odiava Franco, ma provava invidia per lui, questo si. Lo aveva invidiato fin da quando si erano conosciuti, e più di una volta aveva sperato che sparisse improvvisamente.
Si bagnò il viso con rabbia, cercando di dimenticare quelle cose. Franco era morto, e a lui mancava già tantissimo. Questa era l'unica cosa che contava. Uscì dalla vasca e si asciugò in fretta, tremando per il freddo. Si mise il pigiama più caldo e accogliente che aveva, prese la console dal salone e si andò a sdraiare sul letto, accendendo il gioco.
 
PRONTO PER LA NUOVA MISSIONE?
Matteo si trattenne per non esplodere, quindi scrisse con mano tremante:
DIMMI COSA DEVO FARE.
Ci fu un lungo silenzio, dove la schermata rimase nera, poi iniziò a schiarirsi, per tornare a mostrare la casa stregata e il suo personaggio. Quando si muoveva verso l'alto, notò Matteo, sulla schiena si notava un piccolo segno rosso, a rappresentare, evidentemente, la propria bruciatura.
LA TUA MISSIONE È PIÙ SEMPLICE, QUESTA VOLTA...
...NON VEDRAI LE TUE VITTIME...
Vittime? Parliamo di più di una persona? Questo non se lo aspettava.
RAGGIUNGI L'AUTOSTRADA CHE COLLEGA LA CITTA' ALL'AEROPORTO.
Matteo fece muovere il personaggio, leggendo il pensiero delle varie persone che incontrava per cercare l'aeroporto. Ci volle molto più tempo di quello che aveva creduto, dal momento che non sono molte le persone che, passeggiando per strada, pensano all'aeroporto.
Raggiunta l'autostrada si accorse di una cosa: le auto non potevano investirlo. Il che aveva senso, considerando che lui non si trovava veramente sulla strada, ma lì nel suo letto, a giocare con un gameboy.
LE TUE VITTIME ARRIVERANNO TRA DIECI MINUTI...
...PREPARA LA TRAPPOLA...
Matteo sistemò tutto con cura, cercando di usare un po' di fantasia: tolse la separazione tra i due sensi di marcia, bagnò l'asfalto e preparò una buona dose di sassi mischiati a terra. Quando la macchina contrassegnata da una freccia rossa passò, Matteo lanciò i sassi, e l'autista, col parabrezza sporco e crepato, finì contromano nel tentativo istintivo di spostarsi lontano dalla fonte dell' 'attacco'. Il boato fu assordante, ma durò un attimo soltanto, dopo di che rimasero soltanto le due carcasse di automobili in fiamme, urla di gente e altri rumori simili. Accanto al suo personaggio era caduto qualcosa, che dalla forma e dal colore poteva essere un pezzo di lamiera, un copertone, un pezzo di corpo umano... Decise di ignorarlo, avvicinandosi all'incidente: nella macchina che aveva mandato contro mano c'erano un uomo e una donna adulti, mentre nell'altra macchina che era stata coinvolta vi era una famiglia, anche se era impossibile capire quanti bambini ci fossero nell'abitacolo, visto come era ridotto, si capiva che doveva esserci almeno una bambina, dal momento che, fissa nei resti del parabrezza come un coltello, una piccola bambola di plastica si stava sciogliendo lentamente.
 
Matteo spense la console solo quando ricevette la conferma di aver superato la missione. Si mise sotto le coperte stringendosi le gambe al petto. Non si sentiva triste, né si sentiva in colpa. Sentiva solo un'enorme rabbia nei confronti del demone, a cui affidava tutta la colpa per quello che aveva appena fatto. Prima o poi, però, avrebbe risolto il problema alla radice.


Estratto del prossimo capitolo:
"Compose il numero del padre, ma risultò irraggiungibile, allora provò a chiamare la madre: il cellulare suonò a vuoto per troppo tempo, poi la chiamata fu passata alla segreteria telefonica."

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII - Switch ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.
 

I
SWITCH

Si svegliò con un senso di fastidio. Si alzò lentamente e in silenzio. Si lavò la faccia e si vestì con ancora quel peso sullo stomaco. Si preparò la colazione, mangiò in fretta, ma senza potersi togliere quel vago fastidio che non riusciva ad eliminare... Accese il telefono e scoprì che i genitori sarebbero tornati prima, perché avevano saputo di Franco e non lo volevano lasciare solo a casa in un momento come questo.
Perfetto! Così avrebbe dovuto pulire il divano, sistemare casa e nascondere l'ustione prima delle... a che ora sarebbero tornati? Guardò nuovamente il cellulare solo per scoprire che il messaggio gli era stato inviato il giorno prima, di pomeriggio, quando aveva spento il cellulare perché si trovava davanti al cadavere del suo migliore amico.
Ancora quel fastidio, che adesso si era anche accentuato. C'era qualcosa che non andava... Se erano partiti ieri pomeriggio sarebbero dovuti arrivare durante la notte. Ma ovviamente non poteva essere così: l'incidente che aveva provocato doveva aver bloccato tutta l'autostrada per ore e ore, probabilmente sarebbero arrivati in mattinata.
Compose il numero del padre, ma risultò irraggiungibile, allora provò a chiamare la madre: il cellulare suonò a vuoto per troppo tempo, poi la chiamata fu passata alla segreteria telefonica. Forse si erano fermati all'autogrill e ora stavano ancora dormendo... o forse... Chi c'era nella macchina che ieri aveva mandato contromano?
Il cellulare gli cadde di mano mentre cercava di comporre nuovamente il numero della madre. Lo riafferrò al volo prima che toccasse terra, quindi lo portò rapidamente all'orecchio. Suonò a vuoto ancora cinque o sei volte, poi si udì uno scatto secco tipico di una risposta.
Matteo trattenne il fiato per un secondo. Il tempo si dilatò in ore. La voce non aveva ancora risposto, ma Matteo sapeva che non era quella della madre. Sarebbe stato una poliziotta (le donne tranquillizzano meglio i parenti dei morti, rispetto agli uomini), avrebbe chiesto scusa e, imbarazzata, avrebbe chiesto di presentarsi in questura. Avrebbe chiesto di identificare il corpo dei genitori. Lui li aveva uccisi.
«Pronto? Amore?» A Matteo vennero le lacrime agli occhi.
«Mamma?» Chiese cercando di trattenersi.
«Amore, scusaci. Ieri ho provato a chiamarti: c'è stato un incidente e siamo stati tutta la notte in coda. Ora papà non riesce a guidare e sta dormendo: per risponderti sono dovuta uscire dall'auto. Torniamo più tardi, appena papà si sveglia, va bene caro? Tu come stai? Ti sei ripreso?».
Avrebbe voluto piangere, raccontargli tutto e liberarsi di questo peso. Invece si limito a dire, tra le lacrime «Ti voglio bene, mamma. Vi spetto qui: un bacio» e attaccò prima che la madre potesse rispondere.
 
Sapeva della sua presenza prima di girarsi, grazie allo zolfo fortissimo che permeava la stanza. Si voltò con un’espressione di rabbia e disgusto insieme, sapendo di essere inutilmente inerme davanti a quell'uomo. No. Davanti a quel demone.
«Ti voglio bene, mamma» lo scimmiottò il demone.
«Che cosa vuoi da me» sapeva che mettersi a litigare con lui non avrebbe portato a niente di buono.
«Il mio animaletto ha fatto un buon lavoro» Disse l'altro alzandosi e muovendosi verso di lui, per pizzicargli una guancia come fosse un bambino: il suo tocco bruciava appena, come un pezzo di ghiaccio sulla pelle «Direi che si è meritato uno zuccherino, no?».
«Che intendi dire?».
«Che hai il diritto di sceglierti un premio. Sono buono, e quindi ti avverto che farò di tutto per equivocare il tuo desiderio» Si rimise seduto sul divano, sorridendo sadico «Quindi attento a quello che chiedi».
Sarebbe stato inutile chiedergli di morire, come anche di liberarlo. Avrebbe accettato solo desideri concreti. Aveva paura di chiedere qualcosa di grosso, perché avrebbe facilmente potuto creare qualche disastro, quindi si mantenne sul semplice «Sistema questa stanza, e puliscila per bene».
Evidentemente il demone rimase scocciato da una richiesta tanto sciocca, ma si alzò in piedi, schioccò le dita e la stanza divenne immediatamente lucida, perfettamente pulita e ordinata: tutta la sporcizia che aveva lasciato dal venerdì notte era sparita, e i piatti che aveva usato non erano più in vista.
Mentre rimaneva piacevolmente scioccato, il demone gli si avvicinò all'orecchio «Nulla si crea, nulla si distrugge... Dove sarà finita tutta la roba che ho fatto sparire?».
Un momento dopo il mostro era scomparso, lasciando la solita puzza di zolfo dietro di sé e un’insolita e grassa risata.


Estratto del prossimo capitolo:
"Matteo gli si avvicinò e chiese, quasi senza accorgersene «Padre, esistono i demoni?».
L'uomo si voltò stupito verso di lui «Voi ragazzi non dovreste farvi certe domande»."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX - New weapon ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

IX
NEW WEAPON

Matteo rispolverò tutto il proprio turpiloquio contro il demone maledetto quando, tornando in camera, ritrovo il letto pieno di schifezze: sotto le coperte, e sopra il cuscino, trovavano spazio piatti sporchi, bottiglie vuote, polvere (tantissima polvere), fazzoletti intrisi di densi liquidi organici, un cambio sporco, e l'intera pattumiera svuotata.
Così era questo che intendeva, il demone, quando aveva detto che avrebbe fatto di tutto per equivocare il desiderio espresso. Fece un fagotto con le lenzuola e andò a buttare tutto nel cassonetto davanti casa, mise il cuscino in lavatrice, lavò le coperte a mano e sparse deodorante per ambienti in tutta casa. Solo alla fine prese la console, ormai all'ora di pranzo, e iniziò a giocare.
PIACIUTO LO SCHERZETTO?
Non poté fare a meno di rispondere.
FOTTITI
NERVOSO? COMUNQUE IMMAGINO TU VOGLIA SAPERE LA TUA PROSSIMA MISSIONE.
Matteo aspettò, ma non comparve niente. Con un grosso sospirò scrisse
QUAL'E' LA MISSIONE?
SI DICE PER...
Matteo dovette veramente trattenersi per non spaccare la console al muro, e ci riuscì solo pensando alla propria spina dorsale a pezzi.
PER FAVORE.
COSI' VA MEGLIO.
LA TUA MISSIONE E', ANCORA UNA VOLTA, MOLTO SEMPLICE...
...FAR FUORI IL RAGAZZO DELL'ALTRA VOLTA...
 
Gli costò veramente tanto, ma ce la fece. Il ragazzo, alla fine, si gettò dalla finestra in preda alla disperazione, dopo aver nuovamente bagnato il letto e chiamato la mamma, e anche questa volta la console gli mandò il messaggio di missione compiuta. Spense la console e attese in salone che il demone tornasse, ma dentro si sentiva spezzato e vuoto. Aveva ucciso un ragazzo innocente: aveva ucciso Franco... di nuovo.
Quando il demone apparve agì in maniera meccanica, come un robot, e chiese al demone che i genitori tornassero a casa sani e salvi, ma con un giorno di ritardo. Il demone acconsentì, almeno apparentemente senza equivocare il desiderio, dato che qualche minuto dopo la madre telefonò avvisando che un'enorme tifone impediva di procedere per la strada, e che si sarebbero fermati in una pensione lì vicino.
Matteo uscì di casa, sotto la pioggia (poco lontano quella pioggia diventava un tifone distruttivo) e si diresse, quasi sovrappensiero, nella chiesetta del quartiere. Dentro, la chiesa era vuota, ad eccezione di una vecchietta in prima fila, che recitava in silenzio un rosario, e del prete, che girava per il locale lucidando i vetri che coprivano le varie icone.
Matteo gli si avvicinò e chiese, quasi senza accorgersene «Padre, esistono i demoni?».
L'uomo si voltò stupito verso di lui. Era un prete giovane, quasi un ragazzo, ma aveva il viso di chi aveva vissuto una vita lunga «Voi ragazzi non dovreste farvi certe domande».
voi ragazzi? Ma se avevano quasi la stessa età! «Ma esistono o no?».
L'altro sospirò «Certo. Esistono. Ma spesso si nascondono nell'oblio, perché chi avesse la certezza che i demoni esistono sarebbe altrettanto sicuro dell'esistenza di Dio».
«E quand'è che si manifestano?».
«E chi lo sa?» Rispose quasi ridendo «Io non ho mai parlato con un demone e non ho intenzione di domandargli niente, qualora lo incontrassi!» Matteo sentì una strana sensazione a questa frase, quasi che l’altro mentisse.
«E se avessi trovato un oggetto indemoniato?» non sapeva neanche perché gli stava dicendo queste cose.
«Sbarazzatene subito, figliolo» Il tono del prete era tornato serio.
«E se non potessi farlo?» Magari avesse potuto.
«Allora dovresti pregare, e se vuoi posso metterti in contatto con un esorcista».
L'idea non piacque a Matteo, influenzato da tutti i film sull'argomento visti «No, grazie, parlavo solo per ipotesi».
Mentre stava per andarsene il prete gli afferrò un polso. Aveva una presa salda e forte, da lottatore «Non si gioca con il demonio, fratello» Disse semplicemente, mettendogli un rosario in mano. Lo sguardo del prete era duro, spietato, e sembrava trapassargli l'anima, poi lo lasciò andare, riprendendo a lucidare i vetri, canticchiando un qualche inno sacro mentre lavorava.
Matteo si infilò l'oggetto sacro in tasca, e uscì dalla chiesa, mentre il tempo peggiorava, minacciando lampi e tuoni.


Estratto del prossimo capitolo:
"«Allora? Che cos'è che vuoi?» Chiese ancora il demone.
Morire? Sparire nell'oblio della morte sarebbe bastato? La pace dei sensi, l'annullamento della coscienza, la fine di ogni problema o sofferenza. Non era questo quello che voleva?
"

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X - Freedom ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

X
FREEDOM

Anche la missione successiva fu molto semplice, ma a Matteo rimase un senso di vuoto dentro e di fastidio. Continuava a pensare alle parole del giovane prete, a quello che aveva detto mettendogli il rosario tra le dita: 'non si gioca con il demonio'. Che strana coincidenza: non era quello che stava facendo? 'Giocare' con il demonio?
Quando il demone comparve nella stanza decise di affrontarlo di petto.
«Voglio essere libero» Disse con forza.
L'altro scoppiò in una fragorosa risata «La libertà non mi appartiene, non posso donartela».
«Ma puoi liberarmi da questo gioco!» Disse con rabbia.
«Hai firmato un contratto. L'unico modo per liberarti è quello di distruggere la console... è quello che vuoi?» Chiese con finta innocenza.
Matteo rabbrividì all'idea «No. Non è quello che voglio».
«Allora che cosa vuoi» Si sentiva che il demone si stava divertendo un mondo.
Matteo mise una mano in tasca, giocando istintivamente con il rosario. Cosa voleva lui, veramente? Qual'era il suo desiderio? Ovviamente essere libero, ma libero da cosa? Gli sarebbe bastato tornare a vivere la sua vita di prima? Quel demone, in fondo aveva ragione: lui odiava la sua vita.
«Allora? Che cos'è che vuoi?» Chiese ancora il demone.
Morire? Sparire nell'oblio della morte sarebbe bastato? La pace dei sensi, l'annullamento della coscienza, la fine di ogni problema o sofferenza. Non era questo quello che voleva? 'chi avesse la certezza che i demoni esistono sarebbe altrettanto sicuro dell'esistenza di Dio'. E se il prete avesse ragione? Se Dio esistesse realmente?
Effettivamente avrebbe avuto un suo senso. Ma se Dio esisteva, allora dov'era? Perché non si mostrava anche lui, come il demonio? Perché non squarciava i cieli e non veniva a salvarlo?
Strinse il rosario tra le dita, e gli capitò in mano la croce di legno che chiudeva la corona. E se Dio fosse stato la? Se Dio fosse stato in quel dolore che provava, in quell'abbandono totale che sentiva? Se Dio fosse stato nelle persone che aveva ucciso (almeno quattro, cinque contando Franco) e in quelle che odiava e disprezzava (più o meno tutto il mondo)? E se Dio avesse osato amare uno schifo come lui? E se Dio si fosse fatto uccidere per salvare uno schifo come lui?
«Vuoi dirmi che cosa vuoi?» Il demone stava perdendo la pazienza».
«Voglio essere libero» disse a bassa voce.
«Ti ho detto che la libertà non mi appartiene!» sibilò il mostro dalle fattezze umane.
«Ma io non la stavo chiedendo a te» Disse Matteo semplicemente, stringendo il rosario che teneva in tasca fino a sentire le nocche fargli male…
«E pensi di chiederla a qualcuno che ti ascolta? Credi veramente che Dio abbia del tempo da perdere con te: un assassino?» Per un momento Matteo vacillò: e se avesse avuto ragione lui? Non bisogna essere buoni per meritare la salvezza? Non era quello che i preti inculcavano nella mente delle persone: non peccare?
«Hai ucciso delle persone, almeno questo lo ricordi?» Il demone sembrava più calmo adesso: si passò una mano tra i capelli e fece un respiro profondo, come se avesse appena rischiato di finire sotto una macchina.
«Tu mi hai costretto a farlo. Tu li hai uccisi» Si sentì girare la testa; sentiva la nausea che lo prendeva sempre quando mangiava troppo. Neanche lui riusciva a credere alla propria giustificazione.
«Ti ho costretto?» Il demone finse platealmente sorpresa, poi continuo ghignando «Si, forse l’ho fatto, lo ammetto, ma questo cambia qualcosa? Voi esseri umani siete dotati di libero arbitrio, quindi avevi sempre una scelta: potevi sacrificarti tu per loro».
«E perché avrei dovuto».
«Bravo!» Ora il demone sembrava una specie di oratore nel pieno del fomento «Perché avresti dovuto? Perché questo mondo vi costringe a farlo! Chi tu stai cercando di chiamare contro di me ha creato questo mondo in questa maniera! Ha creato un mondo nel quale per salvare qualcuno devi sacrificarti tu, per salvarti tu devi uccidere l’altro: mors tua vita mea ti dice niente? Darwin? La legge del più forte? Non hai studiato a scuola? Segui il mio ragionamento: se Dio esiste è un mostro, io esisto e quindi esiste Dio, quindi Dio è un mostro: semplice logica aristotelica. Ora che hai capito questo, che cazzo ti importa della morale? Dio ha creato la morale, quindi l’ha creata un mostro. Smettila di sentirti in colpa per aver ucciso delle persone: Dio le ha uccise! Se avesse voluto fermarti lo avrebbe fatto: avrebbe ucciso te al loro posto, ma non lo ha fatto! Tu credi veramente che un essere così ripugnante possa essere un Dio? Meglio regnare all'Inferno, che servire in Paradiso sotto un imperatore tanto crudele!» il demone sembrava ora invasato: gli occhi fuori dalle orbite, la bava agli angoli della bocca e il volto rosso di rabbia, continuava a tirare fuori tutto l’odio che aveva dentro di sé. Si fermò, si passò una mano sul viso per risistemarsi e si aggiusto il bavero della giacca che indossava. Con un tono più calmo continuò «Dimmi questo, adesso: che cosa ha fatto Dio di buono per questo mondo?».
Matteo era sconvolto: non riusciva a trovare un solo argomento che potesse contrastare gli argomenti del demone, ma sapeva che erano sbagliati, che c’era qualcosa che non andava: lo sapeva perché… perché… perché l’aveva visto negli occhi del prete. “Non si gioca con il demonio, fratello” gli aveva detto solamente, e lo aveva guardato con uno sguardo duro, quasi cattivo, ma vero… Era una sensazione strana da spiegare, ma era uno sguardo vero, non come quello che adesso lo fissava: il prete era vero, il demone no. Si ritrovò a mormorare poche parole confuse…
«Non credo di averti sentito».
«È morto per noi!» Si ritrovò ad urlare, stringendo nella mano la croce di legno del rosario che teneva in tasca, sentendone ogni dettaglio stamparsi sulla pelle; si sarebbe reso conto, poi, che sulla croce era scolpita la medaglia di Benedetto, con l'esorcismo impresso sopra. «e se proprio vogliamo cominciare dall’inizio ci ha creati, senza che nessuno lo avesse ordinato, ma lui lo ha fatto lo stesso, e poi ci ha dato la vita, che poteva anche non darci, e poi ci ha evoluto, per renderci sempre più simili a lui, e ci ha perdonato ogni azione malvagia che abbiamo fatto, ed è venuto sulla terra a morire per noi, perché hai ragione: per salvare qualcuno devi sacrificarti tu, e Dio lo ha fatto per noi. E poi ha continuato a perdonarci, e ha inviato sempre persone per ammonirci, anche quando non li abbiamo ascoltati, e continua, ogni giorno, ogni giorno della nostra vita a spingerci alla salvezza. I mali del mondo non sono colpa sua, ma nostra. Lui ci lascia liberi, sei tu che cerca di legarci. E io non dovrei giocare con il demonio…»
«Che diavolo è quella roba» il demone iniziava a innervosirsi, mentre si spostava un passo indietro per ogni passo che Matteo faceva in avanti: senza neanche pensarci, aveva tirato fuori il rosario del prete, tenendolo alto davanti a sé.
Matteo non gli rispose. Non ricordava che una sola preghiera di quelle che gli erano state insegnate da bambino: l'ave Maria. Cominciò a ripeterla sussurrando, mentre avanzava contro il demone. Per la prima volta nella sua vita si sentiva amato da qualcuno.
Qualcuno, dall'alto, lo aveva guardato con amore e, nonostante i suoi peccati e i suoi difetti, aveva deciso di liberarlo, di dargli una seconda possibilità, di dargli un'altra vita. Il demone, che ora si trovava spalle al muro, gli stava urlando contro qualcosa. Sembrava come trasformato, più simile ad una bestia che all'uomo elegante che era stato.
Sembrava un lupo in un angolo, mentre cercava disperatamente di colpirlo, fermandosi sempre a poca distanza, incapace di avvicinarsi. Ormai vicinissimo al mostro, Matteo si fermo, e recitò l'unico versetto della Bibbia di cui conosceva anche la versione latina: Vade retro satana!


Angolo dell'autore: Questo era l'ultimo capitolo, chiedo scusa per l'enorme ritardo. Oggi stesso caricherò l'epilogo e potremo dichiarare conclusa questa nostra avventura. Escludendo le one-shot, di cui comunque vado molto fiero, questa è la prima opera che pubblico su EFP completa, dall'inizio alla fine, perché, fondamentalmente, mi soddisfa. Ci sono molto punti che avrei voluto cambiare, e molti che avrei voluto approfondire. Inoltre mi rendo conto di aver accellerato eccessivamente il finale, ma ormai è andata.
Non pretendo di aver scritto un capolavoro, ma spero solo di essere riuscito ad intrattenervi, magari ad inquietarvi un poco, o anche solo avervi strappato un sorriso.
Colgo l'occasione per ringraziare Akira Yuki che mi ha concesso di rielaborare il suo racconto, CANDY01, Clitemnestra e Fan of The Doors che hanno aggiunto questa storia tra le loro preferite, ed Eman, che l'ha messa tra le sue storie ricordate, a cui devo aggiungere fenris, tra quelli che hanno recensito la storia. Infine ringrazio anche tutti i lettori silenziosi, che sono arrivati fino a qui dandomi fiducia, e facendomi sentire, veramente uno scrittore. Di nicchia, mediocre, inesperto, ma comunque uno scrittore.
Grazie mille a tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI - Epilogo ***


L'opera è ispirata al racconto The Game di Akira Yuki con il consenso dell'autore.
Inoltre tutti i marchi e titoli registrati citati vengono utilizzati senza alcuno scopo di lucro.
L'autore della storia non fa propri gli eventuali diritti.

XI
EPILOGO

«La ringrazio Padre, tornerò domenica prossima» Matteo salutò quello che ora era il proprio padre spirituale, nonché esorcista, un anziano dall'aspetto fragile ma dallo spirito forte, e si diresse verso le sale della parrocchia. Salutò la vecchietta in portineria e diede il cinque al ragazzo che veniva a dare una mano con i computer della parrocchia. Raggiunse in fretta la saletta che cercava ed entrò salutando.
«Scusate il ritardo: Padre Damiano mi ha tenuto più del previsto».
Don Cristoforo gli sorrise e lo invitò a sedersi. Il giovane parroco, che Matteo aveva già incontrato, stava tenendo il catechismo ai bambini, e lui aveva insistito per poter venire ad ascoltare le lezioni. A metà della spiegazione un ragazzino alzò la mano.
«Dimmi, Davide» Lo incitò il prete.
«Esistono i demoni?» Chiese il ragazzino candidamente.
Il prete e Matteo si guardarono negli occhi e sorrisero, prima di guardare l'angolo della stanza dove, ormai esorcizzati, un piccolo gameboy e un telefono cellulare giacevano sotto una pesante teca accanto ad un crocifisso.
«Voi ragazzi non dovreste farvi certe domande» Disse Matteo, sorridendo al bambino.
«I demoni esistono, e sono furbi, molto furbi, ma sono anche molto deboli». La loro forza è nella nostra ignoranza, non ascoltateli mai e ricordate: qualunque cosa voi possiate fare, Dio è sempre accanto a voi, e continuerà ad amarvi» Il prete alzò lo sguardo verso Matteo, gli occhi pieni di lacrime «Sempre».

Antonio Militari

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3563447