Tutto torna.

di CarolPenny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto Torna. ***
Capitolo 2: *** Il tempo per noi. ***
Capitolo 3: *** I cancelli. ***



Capitolo 1
*** Tutto Torna. ***


Premessa: Sono presenti minimi spoiler dal fumetto di The Walking Dead e prendete questa storia come una mia sorta di speculazione/desiderio circa ciò che vorrei vedere nella settima stagione. Ad ispirarmi, la seguente traccia musicale proprio da TWD che potete ascoltare durante la lettura (soprattutto dell'ultima parte... come sono cinematografica ahaha) https://www.youtube.com/watch?v=NfoaRbExBCE. Grazie per l'attenzione.


“Ce la faccio” disse con serietà cercando di mettersi in piedi da sola.
“Lo so” rispose l’uomo pacatamente “Ma voglio aiutarti lo stesso.”
Carol si girò e guardò Morgan fare un passo indietro ma aveva ancora le braccia protese verso di lei. Si staccò definitivamente dalla sedia e iniziò a camminare lentamente.
“Vuoi andare fuori?” chiese lui ma non attese una risposta perché era chiaro dalla direzione che Carol stava prendendo quale fosse la sua intenzione.
“Sì, penso sia una buona idea” terminò sorridendo.
Quel suo fare accondiscendente le stava estremamente sui nervi così evitò di rispondere e si concentrò sulla scalinata che aveva davanti e che l’avrebbe portata sul cortile. Ci era voluto qualche giorno per capire che si trovavano in una vecchia scuola, location forse un po’ scomoda ma non del tutto inutile per creare una base per dei sopravvissuti. Dopotutto lei e il gruppo erano stati in una prigione per quasi un anno.
All’esterno regnava la pace più assoluta, anche e soprattutto tra le persone. Carol lo aveva notato dal modo in cui parlavano a lei e Morgan. A dirla tutta sembravano comportarsi proprio come lui, forse per questo l’uomo non era tornato ad Alexandria. Volle comunque chiederglielo.
“Perché sei ancora qui?” parlò appena in tempo, prima che una fitta alla coscia le facesse scappare un verso di dolore. Morgan però se ne accorse lo stesso attraverso una smorfia involontaria della donna e si avvicinò per toccarle un fianco. Carol si divincolò bruscamente e si sforzò a terminare la scalinata.
Stava decisamente meglio rispetto ad una settimana prima e ad ogni passo riusciva poi ad abituarsi alle fitte. Anzi, a dirla tutta, il braccio le aveva fatto molto più male rispetto alla gamba, ma solo perché non le era stato permesso di muoversi, inizialmente. Quella era infatti la prima volta che camminava da sola, aveva bisogno di esercizio.
“Alexandria non fa più per te?” continuò Carol e il suo tono suonò involontariamente tagliente.
Morgan non si scompose e le sorrise di nuovo.
“Sono qui per aiutarti”.
A quel punto fu Carol a sorridere, ma con nervosismo e disapprovazione, scuotendo leggermente la testa.
“E per riportati a casa”
Carol si fermò e lo guardò intensamente.
“Te l’ho già detto. Io non tornerò ad Alexandria. E a quanto pare gli altri hanno rispettato il mio volere e non sono venuti a cercarci.”
Morgan non stava sorridendo più, ma era tranquillo.
“Ho chiesto io a Rick di non partire in spedizione se non fossi tornato dopo qualche giorno.”
Carol rimase sorpresa da quella rivelazione. Un conto sarebbe stato rispettare la sua decisione, un altro invece rinunciare alle ricerche solo perché glielo aveva detto Morgan.
“Ma questo non gli impedirà di provarci. Ne sono certo. Gli ho promesso che ti avrei trovata, magari lui si fida di me, ma qualcun altro potrebbe pensarla diversamente.”
Carol decise di riprendere a camminare, non voleva approfondire il discorso. Non voleva sentire parlare del gruppo.
“Se non sono ancora arrivati qui probabilmente è a causa di qualcos’altro.”
Carol cercò di scacciare la preoccupazione che si era immediatamente impossessata di lei, così prese un grosso respiro e si mosse più velocemente. Rick e gli altri se la sarebbero cavata. Con lei o senza di lei non avrebbe fatto alcuna differenza. Sì, aveva gestito Terminus e l’attacco dei Wolves ma adesso sarebbe arrivato il turno di qualcun altro di intervenire al momento giusto.
“Se vuoi restare qui ti capisco” riprese Morgan, raggiungendola di nuovo.
Carol si impose di essere paziente.
“Queste persone…” sembrò quasi pensarci per un momento “Sono delle brave persone”.
Non appena ebbe finito di pronunciare quella frase, uno degli uomini in armatura che avevano scortato lui e Carol fino a lì, poco più di una settimana prima, si avvicinò ai due.
“Ciao Carol, ciao Morgan. Come va?” il giovane sorrise ad entrambi, in particolare alla donna che si sentì quindi in dovere di rispondere.
“Molto meglio, grazie” Carol non aveva nulla contro di lui, anzi, stava cercando di capire in che razza di comunità fossero capitati lei e Morgan.
Il Regno, così l’aveva chiamato quando si era presentato e come in tutti i regni che si rispettino, c’era anche un re.
Poco importa se si chiami re, o Governatore, o leader, pensò Carol.
Ogni gruppo deve sempre avere qualcuno (magari anche più di una singola persona) che sappia come gestire le cose. Visto che era fisicamente impossibilitata a viaggiare, sarebbe stata lì ancora per un po’ e avrebbe imparato a conoscere quelle persone.
Giusto il tempo di guarire, non aveva intenzione di creare alcun tipo di legame con loro.
Il giovane in armatura fu felice di sentire che Carol stesse meglio e si allontanò raccomandando loro di cercarlo nel caso avessero bisogno di qualcosa.
Morgan lo ringraziò e poi si rivolse di nuovo a Carol, come se non fossero stati affatto interrotti.
“Qualunque cosa succeda… sono sicuro che prima o poi tornerai”.
Carol aprì la bocca per rispondere, ma improvvisamente la quiete del cortile fu sostituita da un vociare concitato e si sentirono delle urla in lontananza, poco fuori i cancelli della proprietà.
“Torniamo dentro” fece subito Morgan, prendendola per un braccio.
Carol si mosse senza farsi pregare, ma prima di raggiungere la scalinata, riuscirono comunque ad assistere alla scena.
I cancelli si aprirono per far entrare delle persone sfinite e senza fiato. Carol stava per girarsi ma la vista di qualcosa la costrinse a bloccarsi sul posto:
Una balestra. Uno degli uomini che era arrivato aveva una balestra. Non ebbe neanche il tempo di realizzare e capire cosa potesse significare, perché una balestra magari può non essere un arma comune ma neanche unica, che lo stesso uomo diede loro le spalle mostrando un gilet di pelle con delle ali ricamate sulla schiena.
No, non è possibile.
Il panico si impossessò di Carol e per una questione psicosomatica iniziò a sentire dolori ovunque nonostante fosse immobile.
La balestra poteva essere una coincidenza, anche il gilet no. L’uomo però non era il proprietario di quegli oggetti. Assolutamente no. Era molto più magro e portava una chioma di capelli color oro, inoltre aveva una parte del viso completamente sfregiata.
“Carol!”
La donna si sentì chiamare da Morgan e si domandò se anche lui avesse fatto caso a quelle cose. Stava per dirglielo, ma per la seconda volta successe tutto così in fretta da non poter fare altro che guardare la scena e basta. Dovevano essere passati pochi secondi da quando i cancelli erano stati aperti.
Dietro all’uomo biondo comparve un altro uomo. Aveva un aspetto molto più trasandato, le vesti sporche e insanguinate, i capelli scuri che quasi gli nascondevano il viso. Inciampò su se stesso e cadde in ginocchio.
Daryl.
Non appena il cervello di Carol realizzò cosa avesse appena visto, mandò degli impulsi ai muscoli delle gambe che iniziarono a muoversi. Si rese conto di star camminando solo quando sentì Morgan chiamarla con preoccupazione e trattenerla con il braccio che teneva ancora stretto al suo.
“È Daryl…” la voce di Carol era flebile, ma una strana forza si era impossessata di lei, così riuscì a divincolarsi e a muoversi più velocemente verso i cancelli.
La fitta alla coscia questa volta si fece più intensa, costringendola ad avanzare zoppicando. Anche le altre ferite ancora in fase in guarigione si fecero sentire, ma la paura e il dolore che sentiva dentro il proprio cuore erano molto più forti, poteva resistere a quel dolore fisico.
Continuò quella corsa incerta con Morgan alle sue spalle, l’uomo biondo fece scivolare la balestra sull’asfalto e Daryl, ancora a terra, alzò lo sguardo avanti a sé e la vide.
Mosse le labbra per dire qualcosa, ma non ebbe il tempo di formulare una frase che avesse senso, Carol era ormai arrivata ed era crollata tra le sua braccia.
Daryl sentì il suo nome tra le lacrime di lei e cercò con tutte le sue forze di trattenere le sue.
Carol?
Le prese il volto tra le mani e lei fece altrettanto. Si guardarono come a chiedersi “Cosa ci fai qui?”.
Ci sarebbe stato tempo per rispondere a quella domanda, ma in quel momento non riuscivano a staccare quel contatto visivo, fronte contro fronte, senza fiato, sanguinanti e doloranti.
Il mondo come lo avevano conosciuto loro, dopotutto, era sempre stato così. C’era sempre stato il dolore, c’era sempre stata la sofferenza.
Carol ricordò perché fosse andata via da Alexandria in piena notte, senza parlare o salutare nessuno, lasciando ad una lettera il compito di spiegare alla sua famiglia perché avesse preso quella decisione. Quanto fosse stato difficile per lei guardare qualcuno negli occhi per dirgli che li stava lasciando, stava lasciando tutto.
Ma in quel momento, qualunque cosa l’avesse spinta ad andarsene fu messa da parte. Guardò Daryl sperando che non fosse ferito gravemente, che nessun vagante lo avesse morso, che stesse bene.
Era successo qualcosa, questo era evidente e dallo sguardo di lui traspariva la stessa ansia ma anche lo stesso sollievo nel vedere che lei stesse bene.
Tutto torna. Se non siamo noi a farlo, sarà qualcun altro.
Qualunque cosa succeda… come aveva detto Morgan.
Qualunque cosa succeda, troverai la strada di casa.
O lei troverà te.



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NOTA DELL'AUTRICE:
Avete presente quando arriva l'ispirazione e non puoi fare altro che assecondarla? Avevo questo breve momento nella testa da giorni e desideravo metterlo nero su bianco, quindi prendetelo per com'è. La mia intenzione è quella di scriverla come one-shot, dipenderà dai prossimi giorni, nel frattempo lascerò comunque tutto in forse. 

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Capitolo 2
*** Il tempo per noi. ***


Carol aprì gli occhi di soprassalto e non fu certamente un bel risveglio. Sentì bruciori ovunque e un mal di testa lancinante. Aveva anche la gola secca e appena provò a muoversi non riuscì a trattenere un colpo di tosse.
“Carol, Carol tutto bene?”
Nella mente della donna iniziarono ad affiorare delle scene, tante figure e suoni confusi: colpi di pistola, un cavallo, sangue, un taccuino con una lista, le parole “non è ancora arrivato il tuo momento”, le ali del gilet di Daryl…
Iniziò a mettere a fuoco ciò che aveva intorno a sé.
Vide Morgan sporgersi verso di lei, con sguardo apprensivo ma dolce, quello che le aveva rivolto per tutta la settimana.
“Carol?”
La stava chiamando, avrebbe dovuto rispondere.
“Sto… bene” disse lei, un po’ incerta. Sentiva ancora il bruciore provenire dalle ferite all’addome, braccio e coscia ma il mal di testa stava diminuendo. Guardò nuovamente la stanza e la riconobbe. Era l’aula di quella scuola nella quale l’avevano sistemata quando erano arrivati. Erano in penombra, segno che doveva essere calata la sera e c’era solo un remoto vociare provenire da fuori. Morgan era seduto su una sedia accanto alla brandina dove si trovava lei e le stava porgendo un bicchiere d’acqua.
Carol aveva già vissuto quel momento, era così che terminava ogni giornata. Lei stesa lì e l’uomo che le faceva compagnia. Iniziò a ricordare di essere uscita fuori al cortile della proprietà, di aver visto due uomini entrare dai cancelli, e uno di loro era Daryl.
Che fosse stato tutto un sogno? Che in realtà lei fosse sempre stata stesa lì e avesse semplicemente dormito?
“Daryl” disse “Come sta Daryl?”
Morgan la guardò con un mezzo sorriso, mentre il cuore di Carol iniziò a battere forte, terrorizzata da qualunque risposta le avrebbe dato.
“Sta bene. Era ferito, ma sta bene” disse infine e il sollievo provato da lei fu immenso “È nell’aula qui di fronte”.
Carol prese il bicchiere, bevve e poi si mosse con l’intenzione di scendere da lì e raggiungere l’amico. Il suo desiderio di scappare stava miseramente perdendo la battaglia contro qualunque cosa fosse che la legava a Daryl, qualcosa che aveva sottovalutato.
Prevedibilmente Morgan la fermò.
“Carol non è il caso…”
“Voglio andare da lui.”
“Non credo che tu ce la faccia…”
“Allora accompagnami. Voglio andare da lui.”
Morgan sospirò pazientemente e allungò subito le braccia per aiutarla.
Carol si sforzò non poco per potersi mettere in piedi, ma non era certamente così grave come quando era arrivata.
“Sono svenuta?” chiese per capire meglio cosa fosse successo.
“Sì, poco dopo aver raggiunto Daryl. Ti abbiamo dato qualche antibiotico”.
Carol si morse un labbro. Non avrebbero dovuto sprecare antibiotici per lei, pensò. Si era convinta di stare meglio, invece aveva perso i sensi.
Morgan la stava osservando con sguardo severo e a tratti triste ma Carol se ne accorse solo quando lui parlò di nuovo.
“Prima di raggiungere Daryl, c’è qualcosa che devi sapere.”
Il panico tornò di nuovo, forse anche più forte di prima visto che persino Morgan sembrava preoccupato, ma Carol cercò di non darlo a vedere. Cercò con tutta se stessa di stare calma.
“Avevi detto che stava bene, che…”
“Non si tratta di Daryl.”
Era andata via da Alexandria per quello. Ogni avvenimento era diventato un colpo in pieno stomaco e non riusciva più a sopportarlo.
“Lo hanno incontrato” proseguì Morgan “Rick e gli altri… hanno incontrato quel Negan”.
“Dunque, qualcuno è morto” constatò Carol “Non c’è mai limite al peggio” ma rimasero pensieri fluttuanti. Chiunque fosse la vittima, la notizia le avrebbe strappato un altro pezzo di quel fragile cuore che si ritrovava al momento.
E così fu. Il male arrivò ancora una volta e tutto ciò che Carol riuscì a pensare fu il suo desiderio di raggiungere Daryl e di poter stare stretta tra le sue braccia. Non c’era un secondo fine in quel desiderio, solo la consapevolezza che lì avrebbe trovato conforto, che sarebbe stata male, sì, ma anche bene. Era l’unico posto dove sarebbe voluta essere. Carol non aveva percepito alcun tipo di rancore o delusione in lui quando si erano abbracciati qualche ora prima, quindi forse era arrivato lì proprio mentre era alla sua ricerca? Ma cosa gli era successo?
Morgan abbassò lo sguardo e per un attimo Carol pensò che avrebbe ceduto alle lacrime, invece non successe e aprì la porta. Nel corridoio, qualche curioso si girò verso di loro ma non li fermarono. Nella stanza di Daryl c’erano delle persone: il giovane gentile con l’armatura e un ragazzino il cui nome le sfuggiva ma con il quale aveva già parlato un paio di volte. Non appena li notarono, Daryl fu il primo a muoversi, nonostante fosse in pessime condizioni. I due ragazzi fecero per aiutarlo ma lui era già in piedi e aveva raggiunto Carol.
“Stai bene?” le chiese stringendola delicatamente. Aveva notato le fasciature e si era quindi curato di non fare pressione sui punti sensibili.
Carol sussurrò un “sì” e gli pose la stessa domanda.
Daryl annuì.
 “Non dovresti essere in piedi” aggiunse in tono serio e la fece sedere sulla barella dove poco prima era steso.
Lei non obbiettò e si chiese invece se lui già sapesse ciò che le era successo.
I due giovani de Il Regno si scambiarono delle occhiate con Morgan e poi uscirono dalla stanza, lasciando i tre da soli.
I tre outsider di Alexandria, in qualche modo.
“Rick deve essere avvertito” fece Daryl, andandosi a sedere di fianco a Carol.
“Lo sarà” rispose Morgan, prontamente.
La donna osservò Dixon attentamente. Era pallido, molto pallido. La stanza era in penombra, ma lei non riuscì a non notarlo. Anche lui aveva delle fasciature, la più vistosa sulla spalla destra.
Daryl si girò a guardarla a sua volta ed entrambi cercarono di decifrare lo sguardo dell’altro per capire a cosa stesse pensando.
Morgan disse a Daryl che Carol non conosceva i dettagli di ciò a cui era andato incontro il gruppo, così lui iniziò a raccontare. Partì dal momento in cui era uscito in moto da Alexandria, passando poi a quando era stato ferito e rapito insieme a Glenn, Michonne e Rosita. Parlò di quando erano stati costretti ad inginocchiarsi davanti quel Negan e della successiva decisione dell’uomo di portarlo alla loro base, come garanzia, in modo che Rick rispettasse i patti, ossia cedergli metà degli averi della safe zone. Quello che gli avevano fatto nella loro base non era stato certamente bello e più il racconto di Daryl andava avanti, più Carol sentiva aumentare quella sua stanchezza nei confronti del mondo. La voce del compagno sembrò quasi spezzarsi in più punti, ma non si fermò. I suoi occhi erano lucidi, il tono burbero e grave e non mancarono delle colorite imprecazioni.
Morgan lo osservò con serietà, ma non commentò. Carol invece cercò di mettersi in una posizione più comoda. Odiava essere schiava dei dolori provenienti dalle proprie ferite e finì per poggiare la schiena contro il muro e le gambe quasi completamente stese sulla barella, che si trovava a livello del pavimento. Chiuse gli occhi per far passare delle vertigini improvvise.
“Qui sei al sicuro” disse Morgan a Daryl.
Carol percepì dei momenti accanto a lei e per un minuto buono nessuno parlò. Quando riaprì gli occhi si accorse che anche Morgan era uscito dalla stanza, lasciando la porta socchiusa.
Daryl si sistemò meglio accanto a lei mettendo un cuscino sulla parete per stare più comodo. Si lamentò palesemente delle ferite che gli facevano male. Erano praticamente sulla stessa barca. Lui in particolare non era il tipo di persona che amava stare fermo in un posto per più di qualche ora, obbligato per giunta, a riposarsi. Rimasero in silenzio per un po’, forse un paio di minuti, poi Carol notò l’amico iniziare a giocherellare con le dita e seppe perfettamente cosa sarebbe accaduto, cosa significasse. Daryl stava cercando il coraggio per parlare e probabilmente si trattava di qualcosa di importante per lui, tanto da fargli prendere l’iniziativa.
Alle volte non sarebbe stato necessario, ma in quel caso c’erano troppe cose in sospeso.
“Sei andata via da Alexandria, quindi?” domandò tutto di un fiato.
Dunque aveva saputo. Morgan gliene aveva parlato e chissà, probabilmente gli aveva anche citato il contenuto della lettera.
Il primo istinto di Carol fu rispondere semplicemente di “sì”, ma poi le venne in mente altro.
“Anche tu”.
Daryl a quel punto la guardò e Carol resse lo sguardo, come era sempre accaduto.
Lui annuì.
“Mhh mhh… è stato davvero stupido.”
Carol non seppe cosa rispondere e in realtà si chiese se si stesse riferendo anche a lei.
“Ho lasciato una lettera e me ne sono andata. Non volevo che nessuno pensasse di essere responsabile e mi venisse a cercare… ma Rick e Morgan sono venuti lo stesso”
Carol aveva spostato lo sguardo altrove ma con la coda dell’occhio percepì quello di Daryl fisso su di lei.
“Come sei arrivato qui? Chi era quell’uomo che aveva le tue cose?” gli domandò, notando il gilet e la balestra a terra, a pochi metri da loro.
“Si chiama Dwight. È quel bastardo che mi ha rubato la moto nella foresta bruciata, lo stesso che ha ucciso Denise e che mi ha sparato alla spalla.”
Quell’informazione sorprese la donna ma si rivelò allo stesso tempo molto più interessante di quanto pensasse. Quell’uomo aveva ucciso un membro del loro gruppo e ne aveva rapiti altri per volere di quel Negan. Aveva minacciato, derubato e ferito Daryl, eppure lo aveva anche portato lì. Che tipo di rapporto c’era tra Il Regno e il gruppo dei cosiddetti Salvatori? Carol non poteva saperlo.
“E ti ha salvato?” domandò, ma suonò quasi come un’affermazione.
“Mhh mhh” rispose Daryl. Non era una risposta molto esauriente e lei non si sentì affatto rassicurata.
“Ti fidi di lui?” chiese ancora.
“No” la risposta di Daryl fu quasi immediata “Non lo so…”
 A quel punto Carol decise di girare la testa e notò che in realtà lui stava osservando la sua fasciatura sull’addome, con una mano che quasi arrivava a sfiorarla.
“Fa male?” le chiese con un filo di voce.
Carol annuì semplicemente, dopodiché entrambi si mossero di nuovo per sistemarsi meglio su quella scomoda barella. Ogni movimento, prevedibilmente, provocò loro delle fitte.
“Sembriamo una coppia di vecchi” commentò Dixon prendendo il cuscino e posizionandolo in mezzo a loro due, in modo che potessero averne una parte ciascuno. Carol non riuscì a trattenere sorriso. Fu breve, ma lo fece.
Se Daryl era capace di rispondere ironicamente, come aveva appena fatto, doveva essere un buon segno. Dopotutto, quante tragedie avevano entrambi vissuto sulla propria pelle per poi ricominciare da zero?
L’ultima volta che si erano visti, ad Alexandria, non era stato un momento felice, entrambi davanti la tomba di Denise, lui con il viso sporco di terreno e una bottiglietta di rum tra le mani. Forse quello era l’unico rimpianto che si era lasciata alle spalle abbandonando la comunità: non essere riuscita ad aiutare Daryl, a dirgli che il mondo va così e lui dovrebbe saperlo bene.
No, in quel momento non sarebbe stata neanche capace di dire quelle stesse cose a se stessa.
Aveva lasciato Daryl lì, tra i suoi rimpianti e con il timore di alzare la testa per guardarla negli occhi, a differenza di come stava facendo in quel momento.
Non c’era delusione nel suo sguardo e Carol ne fu sollevata. Ma quello che si erano lasciati alle spalle era tanto e quello che probabilmente sarebbe arrivato a breve non era da sottovalutare. C’era sempre troppo in gioco e Carol non aveva alcun punto di riferimento se non quegli occhi che continuavano a sostenerla nonostante tutto.
Era sera, ormai, ed entrambi erano costretti al riposo più assoluto, non sarebbero potuti andare da nessun altra parte. Era impossibile scappare, era impossibile tornare ad Alexandria, quel momento era come sospeso nel tempo ed entrambi senza saperlo, ne stavano traendo conforto. Forse era la presenza dell’altro, chissà.
Carol alzò il braccio sano per andare a spostare i capelli disordinati di Daryl e lui lasciò che lei lo facesse senza dire nulla. Negli anni il suo volto era cambiato, le guance erano più scavate, la barba più incolta, la pelle aveva qualche cicatrice in più e ovviamente i capelli si erano allungati ma il suo modo di guardarla, timoroso ma anche estremamente desideroso di darle conforto, era una vera e propria costante.
Se avessi potuto scegliere un compagno, in questo mondo…” si ritrovò a pensare Carol, amaramente, realizzando che dimenticare Daryl e quello che aveva rappresentato per lei sarebbe stata la cosa più difficile da affrontare e c’era una parte di sé che non avrebbe voluto farlo.
L’indomani lui si sarebbe messo in viaggio per tornare dal gruppo mentre lei non sarebbe partita, quindi quello era l’unico momento, forse l’ultimo, che avrebbero potuto davvero passare insieme.
Carol staccò il capo dalla parete e lo avvicinò a quello di Daryl. Il gesto fu repentino, o almeno così lo percepì lui tanto da indietreggiare leggermente, per riflesso.
La donna rimembrò la sera in cui si era avvicinata all’amico in quello stesso modo, ricevendo quello stesso tipo di reazione poco prima che lei riuscisse a baciargli dolcemente la tempia. Ma i tempi erano cambiati, lui era certamente cambiato e a dimostrarlo fu il suo riavvicinarsi, come se non fosse successo nulla.
Lo sguardo di Daryl indugiò brevemente sulle labbra di lei per poi ritornare sui suoi occhi e a quel punto Carol fece quello che il suo istinto le stava suggerendo dal momento in cui si erano iniziati a guardare.
Il contatto tra le loro labbra fu breve. Carol lo sentì trattenere il fiato e restare immobile, quasi pietrificato. Quando riaprì gli occhi notò che Daryl non la stava più guardando, aveva gli occhi puntati sulle dita, con le quali stava giocherellando di nuovo. Ma non si era allontanato, né stava commentando ironicamente come aveva fatto quella sera alla fattoria di Hershel. Era semplicemente lì accanto a lei, di fronte ad una verità della quale, prima o poi, avrebbe dovuto prendere atto.
Nel bacio non c’era stata la sicurezza di Ed, o la dolcezza di Tobin.
In Daryl c’era tutto un mondo da scoprire, un mondo che forse sarebbe stato pronto ad accogliere ma per il quale probabilmente era troppo tardi.
 “L’ho sempre voluto, sai?” disse e questo servì a riportare lo sguardo di Daryl su di lei “In realtà, una parte di me continua a volerlo” lui la ascoltò senza commentare “Ma non c’è mai tempo. Sembra non esserci mai tempo per noi due…”
Daryl sembrava imbarazzato. Le lanciava occhiate veloci per poi rivolgere le sue attenzioni altrove. Carol si sentì quasi in colpa, ecco perché era sempre stata convinta che non avrebbero mai avuto tempo per affrontare la questione.
“Non… non sono abituato”sussurrò lui prendendola quasi alla sprovvista.
“Non c’è bisogno che tu dica qualcosa” gli rispose.
Daryl scosse la testa.
C’era qualcosa di così spontaneo e puro nel modo in cui stava reagendo, da ricordare a Carol perché si fosse innamorata di lui. Fu la realizzazione finale della profondità di quel sentimento, così diverso da ogni altro, così unico. Perché con lui sembrava essere ricominciato tutto d’accapo, era tutto da scoprire, tutto da mandare avanti gradualmente, un tutto nel quale dava esattamente quanto avrebbe ricevuto, equamente.
Quasi non le sembrò reale ciò che aveva vissuto poco tempo prima ad Alexandria, con Tobin. Aveva creato un’illusione attorno a sé, ed ora se ne rendeva conto con grande amarezza.
“Ci tengo a te”
A quelle parole Carol cedette e i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.
“Anche io tengo a te” rispose prima che la sua voce potesse essere rotta da singhiozzi.
Ecco a cosa era servito evitare Daryl nell’ultimo periodo: a non cedere. Con lui era difficile non farlo.
Dixon si avvicinò delicatamente a lei e andò a poggiare il capo tra la spalla e l’incavo del suo collo. Lei lo accolse volentieri , iniziandogli a massaggiare i capelli, che ancora una volta gli stavano coprendo il viso.
Sentì il respiro caldo di Daryl sul collo e fu per lei di un sollievo quasi terapeutico. Erano giorni che non sentiva i muscoli rilassarsi come stava accadendo il quel momento e si sarebbe potuta addormentare se solo lui non avesse parlato di nuovo.
“Cosa è successo? Perché sei andata via?”
Ho paura. Ho di nuovo paura.
“Qualcuno ti ha fatto del male o…”
“No” Carol lo interruppe “E’ che… sono stanca, Daryl. Stanca di come vanno le cose, stanca di uccidere”.
Lui aveva mosso il viso per guardarla di nuovo. Prese la mano che lo stava accarezzando nella sua e la strinse con forza.
Non le disse che si era comportata da debole, né che in realtà fosse forte e che l’avrebbe superata facilmente. Era lì, a farle compagnia, in attesa che fosse successo qualcosa, qualunque cosa. Era la sua presenza a fare la differenza, non ciò che avrebbe detto o fatto. Quello sarebbe arrivato da sé e Carol fu felice di apprendere che non fosse cambiato proprio nulla tra loro.
“Scusa” sentiva di dover mettere in chiaro che ad Alexandria non l’aveva allontanato perché non si fidava più di lui “Non avrei dovuto tagliarti fuori in quel modo”
Spostò le gambe indolenzite a causa della posizione scomoda e quel movimento le causò una fitta.
“Sei testarda” le rispose Daryl, spostandosi ed aiutandola a stendersi sulla barella “Ti conosco”.
Carol fece un mezzo sorriso, mentre lui si sistemava accanto a lei.
E tu sei così coraggioso! Il mondo continua a farti del male, a punirti, a darti ciò che non meriti… eppure eccoti qui.
Carol ripensò a quello che gli uomini di Negan gli avevano fatto e ai guai in cui lei stessa si era cacciata. Si sentì stupida ed egoista per aver pensato di voler morire mentre lui era nuovamente vittima di violenze.
“Siamo ancora vivi” constatò in un sussurro.
Daryl la stava guardando di nuovo con attenzione ed intensità.
Si morse le labbra e annuì.
“Forse è quello che dobbiamo continuare a fare…”
Un tempo Carol aveva creduto che la vita fosse un piano prestabilito da Dio, qualcosa quasi completamente indipendente dalla volontà degli esseri umani. Adesso basava la sua esistenza sulle proprie scelte, eppure non riusciva a spiegarsi come il mondo spingesse lei e Daryl a ritrovarsi ogni volta, anche quando erano partiti in direzioni opposte, separate, indipendenti.
Rimasero a contemplare in silenzio, il vociare remoto proveniente dal corridoio si era completamente spento, restavano solo i loro respiri.
Carol si sentì toccare la testa.
“Mi piacciono i tuoi capelli”
Daryl fece un mezzo sorriso (qualcosa che capitava raramente) arricciando la chioma argentea di lei con e dita.
Il sorriso di Carol, invece, fu pieno di sorpresa. Forse il primo vero sorriso che rivolgeva a qualcuno da mesi. Immaginò che quello fosse il modo di Daryl per dire “mi piaci” e ne fu quasi divertita.
Chiuse gli occhi ed ebbe una rivelazione:
Il tempo per loro due c’era e c’era stato, sarebbe bastato semplicemente riconoscerlo. Proprio come era accaduto quella sera.


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Angolo dell'autrice: Salve a tutti! Mi dispiace averci impiegato così tanto per pubblicare anche il secondo capitolo ma tra vari impegni (tra cui la laurea) non sono riuscita a terminare la stesura prima. Tra l'altro non sono soddisfattissima di quello che sia uscito fuori, ma spero invece che a voi sia piaciuto.
Non è ancora finita, ci sarà anche un terzo ed ultimo capitolo che spero di poter pubblicare quanto prima.
Alla prossima!
Carol.

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Capitolo 3
*** I cancelli. ***


“Perché non mi hai detto che saremmo partiti stamattina?”
Morgan, seduto su una panchina, mosse la testa verso l’alto per guardare il suo interlocutore. Daryl era ancora molto pallido.
“Hai l’aria di qualcuno che dovrebbe stare a riposo. Perché non sei rimasto…”
“Non rimarrò chiuso in una stanza un minuto di più. È opprimente.”
Morgan sospirò pazientemente, aspettandosi quel tipo di reazione da parte dell’uomo. Era stato in prigionia per una settimana intera quindi voler evadere era un desiderio più che comprensibile. Anche lui ci era passato, poteva riconoscere il suo disagio e tra l’altro, in quel momento, sapeva che Daryl non fosse l’unico a bramare un certo tipo di libertà.
Carol, infatti, non aspettava altro che poter andare via.
Il Regno non era una prigione, di certo non come era stato descritto il Sanctuary di Negan, anzi, Morgan l’avrebbe definitiva un’oasi in mezzo al deserto, il luogo più tranquillo che avesse mai visto.
“Va bene” rispose con calma muovendo il corpo per fare un po’ di spazio sulla panchina “Siediti qui allora”.
“Non voglio sedermi. Voglio solo sapere come ci muoveremo verso Alexandria. Tutti continuano a dirmi di restare qui…”
“È così…” lo interruppe Morgan “È meglio che tu resta qui”.
“Non se ne parla!” rispose a tono Daryl.
A quel punto Morgan decise di alzarsi per affrontarlo faccia a faccia.
“Daryl, sei arrivato solo ieri…”
“Risparmiami queste stronzate”.
Morgan non poteva dire di essere molto amico con Dixon, ma sapeva abbastanza di lui da poter intuire che non si sarebbe fatto fermare da qualche ferita.
La verità, infatti, era un’altra. Non voleva certamente costringerlo a restare lì.
“Ieri ti ho detto che Rick sarebbe stato avvertito ed è giusto che venga a sapere di questa comunità. Per questo motivo, guiderò io re Ezekiel ad Alexandria”
Daryl stava per parlare ma Morgan lo anticipò.
“Certo che puoi venire con noi, ma credo che tu debba restare… per lei”.
In un primo momento Daryl sembrò non capire.
“Carol non verrà. Non vuole tornare” terminò, aspettando una reazione da parte dell’altro. Questa non tardò ad arrivare e sorprese Morgan non poco.
Daryl non sembrava sorpreso, ne confuso. La sua espressione era triste, come quella di qualcuno a cui hai ricordato qualcosa di brutto.
“Non se la sta passando bene e non credo mi sopporti molto, ma con te…” Morgan aveva parlato a Carol della sua famiglia, di ogni singola persona ad Alexandria che senza dubbio sarebbe stata preoccupata per lei, ma nulla di tutto ciò le aveva fatto fare un passo indietro. Non voleva tornare indietro, ne voleva restare lì. Era come se volesse solo andare avanti verso l’ignoto…
Ma quando Daryl era apparso davanti ai cancelli de Il Regno, il comportamento apatico della donna era cambiato repentinamente e le condizioni del suo amico erano l’unica cosa a cui aveva dato importanza. Ad Alexandria aveva osservato Carol a lungo e avrebbe potuto affermare con sicurezza che Daryl era stato l’unico a cui lei non aveva rivolto uno di quei sorrisi di circostanza che (solo inizialmente) avevano preso in giro anche lui. Forse Dixon era uno di quei pochi di cui lei, tempo prima, gli aveva detto di fidarsi…
“Forse a te darà ascolto” continuò “Sei l’unico che può convincerla a tornare… o almeno ad accettare le cose come stanno”.
Daryl si chiese genuinamente in che modo esattamente stessero le cose ma Morgan lo guardò con aria speranzosa e terminò il suo discorso con una domanda.
“Allora… resterai?”
Prima di poter rispondere, la loro attenzione si spostò verso una carovana di cavalli che stava venendo proprio nella loro direzione, capeggiata da re Ezekiel, con il suo lungo mantello grigio e la sua fedelissima tigre, Shiva.
Morgan guardò l’animale. Ancora non si era abituato all’idea che quell’uomo potesse farsi obbedire da una creatura così feroce, mentre Daryl la trovava la cosa più bizzarra che avesse mai visto.
Ezekiel si fermò proprio accanto a loro.
“Buongiorno, amici” li salutò. “Pronti a partire?”
Morgan si girò verso Daryl, in attesa di una risposta alla domanda che gli aveva posto poco prima.
Dixon annuì.
 
*
Carol era felice di potersi spostare senza quella fastidiosissima sedia a rotelle e senza che qualcuno dovesse obbligatoriamente aiutarla. Si era svegliata più volte nella notte in preda a qualche piccolo dolore. La prima volta aveva sentito Daryl sussurrare che si sarebbe spostato e avrebbe dormito altrove, ma lei gli aveva preso una mano e gli aveva detto di restare lì. La seconda volta si era svegliata a causa di un incubo che adesso nemmeno ricordava e aveva notato la mano di Daryl ancora stretta alla sua, entrambe poggiate sul suo fianco. Al mattino, non lo aveva più trovato accanto a sé ma non ci volle molto per scoprire dove fosse finito. La situazione in giro era parecchio caotica, segno che un gruppo di persone si stava preparando a partire e Carol capì subito dove erano diretti. Uscì nel corridoio, aveva bisogno di aria fresca e si imbatté nell’uomo biondo che aveva portato Daryl lì, che se non ricordava male doveva chiamarsi Dwight.
Si sbirciarono per lunghi secondi e Carol poté osservare più da vicino la parte sinistra del suo volto, sfigurata e piena di cicatrici. Lui la guardò sulla difensiva poiché indossava di nuovo il gilet con le ali, ma c’era molto altro nella sua espressione. Qualcosa che sorprendentemente stava provando anche lei, la sensazione di sentirsi fuori posto, di chiedersi: “Cosa sono? A cosa appartengo?”
Dwight, dopo aver cercato di guardare altrove, non riuscì più a sostenere quel silenzio.
“Devo riprenderlo” disse, riferendosi al gilet “Altrimenti lui si farà troppe domande.”
Lui. È ovvio che si stesse riferendo a Negan.
“E devo prendere anche la balestra” continuò guardandola ancora per qualche secondo, quasi come a chiedere il permesso, prima di interrompere il contatto visivo ed entrare a prendere l’arma.
Carol ripensò a quello che Daryl aveva detto di lui l’ultima volta che si erano parlati ad Alexandria, che invece di risparmiarlo avrebbe dovuto ucciderlo. Le prime conseguenze di quell’atto di misericordia avevano portato a grosse tragedie. Denise era morta, lui era stato ferito, poi preso in ostaggio… eppure, alla fine, era arrivato lì al Regno, sano e salvo, proprio grazie a quell’uomo.
Dwight uscì dalla stanza, balestra in mano, pronto ad andare fuori. Si scambiarono un’altra occhiata veloce, poi le diede le spalle e abbandonò il corridoio.
Tutta quella situazione la stava confondendo ancora di più. Non sapeva più di chi fidarsi, non sapeva neanche se farlo di se stessa. Si mosse anche lei per vedere a che punto fossero i preparativi e scoprì che in realtà erano già tutti pronti per partire e i cancelli erano stati appena aperti.
Daryl fu subito da lei, ma non aveva l’aria di qualcuno che stesse per andare via.
“Ehi, stai bene?” fece lui allungando una mano sulla sua spalla.
Carol annuì, guardando poi verso la carovana di macchine e cavalli. Morgan era su uno di questi, mentre Ezekiel era seduto dietro ad un furgone, accanto alla sua tigre incatenata. Infine Dwight, a piedi, chiudeva la fila.
“Hai lasciato che prendesse di nuovo le tue cose” disse lei riferendosi proprio a Dwight.
L’espressione di Daryl si indurì, ma non commentò.
“Che cosa ne faranno di lui?”
“Lo scorteranno fino ad un certo punto e poi lo lasceranno andare…”
“Perché?”
Daryl la guardò per capire da dove provenisse quella curiosità ma non chiese nulla e rispose di nuovo.
“Ha fornito al Regno molte informazioni su Negan e il Sanctuary”
Carol fece una smorfia.
“E questo basta per fidarsi di lui.” replicò ma Daryl non capì se si trattava di una domanda o di un’affermazione.
Erano come tornati su quella scalinata ad Alexandria, a parlare della stessa cosa e della stessa persona.
“E’ stato Negan a sfigurarlo così?” in realtà sarebbe potuto succedere in qualsiasi altra circostanza, ma qualcosa diceva a Carol che doveva trattarsi della mano dell’uomo.
Lo sguardo di Daryl si intensificò come non mai.
“Sì” disse debolmente “Negan è…” fece una pausa “…spietato”.
Carol lo guardò mentre cercava forzatamente di cacciare via la rabbia. Si fece più vicino a lui.
Morgan si girò nella loro direzione e li salutò, prima di varcare i cancelli. Nessuno dei due ricambiò il saluto, fecero solo dei cenni con la testa.
“Sono diretti ad Alexandria?” chiese lei.
“Penso che andranno prima ad Hilltop.”
“Perché non sei con loro?”
Carol lo guardò di nuovo, e anche lui subito si girò a guardarla, sostenendo lo sguardo.
“Non vado da nessuna parte fino a quando non sono sicuro che tu stia al sicuro”
La prima reazione di Carol fu quella di ridacchiare.
In realtà non era cambiato proprio niente. Lei non si fidava di nessuno e neanche Daryl.
“Questo posto non ti piace?” lo provocò.
Daryl scosse la testa cercando di trattenere una smorfia.
“Non lo so… qui sembrano tutti così…”
“Bizzarri?” suggerì Carol “Fuori di testa? Medievali?”
Questa volta Daryl non riuscì a trattenere un sorriso, seppur breve.
“Beh, quel tipo si fa chiamare Re, ed ha una fottuta tigre! Per un attimo ho pensato di essere fatto…”
I cancelli del Regno si chiusero. La vita all’interno della comunità ritornò alla sua quotidiana routine.
Una donna stava facendo lezione di geografia a dei bambini. Altri si stavano esercitando con delle lance.
Il ragazzino che Carol aveva trovato nella stanza di Daryl la sera prima, che ora ricordava chiamarsi Benjiamin, si avvicinò a loro.
“Re Ezekiel mi ha detto di restare qui e di occuparmi di voi, quindi per qualunque cosa, sapete a chi rivolgervi”.
Carol gli rivolse un sorriso di circostanza e lo ringraziò con un cenno. Benjiamin guardò Daryl quasi con timore e poi andò via.
I due ritornarono ad osservare i cancelli, con serietà. Rimasero in silenzio, godendosi la brezza tiepida e i suoni della comunità indaffarata.
“Tornerai… prima o poi?” Daryl ruppe il silenzio con quella frase.
Carol non lo guardò, neanche lui lo stava facendo.
Si schiarì la gola, ma in realtà non aveva alcuna risposta per lui.
“Prima o poi… lo scopriremo”.
Non gli stava dando nessuna certezza, solo la promessa che prima o poi le risposte sarebbero arrivate. Sarebbe stato inevitabile.
Carol sentì il calore della mano di Daryl nella sua e capì che gliela stava stringendo. Cercò di non pensare a nulla, solo di ricambiare quel gesto fino a quanto avrebbe potuto, fino a quando non sarebbe arrivato il momento di prendere delle decisioni.
Continuarono a guardare i cancelli oltre ai quali c’era il mondo che, senza che ne fossero totalmente consapevoli, aveva ancora tanto bisogno di loro.

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La settima stagione è iniziata, quindi dovevo assolutamente completare questa mini long. E' un capitolo molto breve ma spero piacevole. Per ora non ho in programma altre fan fiction ma, si sa, l'ispirazione potrebbe arrivare in qualsiasi momento :) Grazie per avermi seguita e alla prossima!
- Carol

 

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