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di KleineJAlien
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1



 
Il riccio scavalcò la panca e prese posto intorno al tavolo non prima di aver stampato un bacio sulla fronte della castana al suo fianco. Sylvia si voltò verso di lui sorridendogli intenerita, eppure quell’espressione venne presto sostituita da una ruga di confusione tra le sopracciglia quando notò che tra le mani aveva un solo piattino mentre era ben convinta entrambi volessero il dolce.
«Come mai hai preso solamente una fetta di torta?» gli chiese.
«La dividiamo, va bene?» rispose Harry facendo comparire le fossette a cui non sapeva resistere.
Con il suo assenso, dopo qualche secondo si vide imboccata come una bambina dal ragazzo, con la stessa forchetta da lui utilizzata per mangiare la torta al cioccolato. Ad ogni boccone Sylvia non riuscì a non guardarsi intorno piuttosto imbarazzata, ma nessuno sembrava far conto a loro.
Nonostante fossero la coppia più vecchia e più salda del gruppo, la castana  era un tipo che non riusciva a lasciarsi andare a dimostrazioni di affetto plateali, si lasciava andare di più se soli.
In quel momento, si trovavano in mensa e oltre a loro però, vi era l’intero istituto.
Quell’accademia era abituata a vedere di tutto, e nel tutto sono compresi umani con poteri di ogni genere, mutaforma e ibridi, figli nati dall’unione di un umano e una qualsiasi altra creatura dalle doti magiche. Quelli però erano decisamente rari. In un posto come la Philip Campbell Solon Academy, nella periferia di Solon Ohio, era difficile tenere nascosti ragazzi dai tratti fisici piuttosto marcati, motivo per cui solo quelli più in grado di confondersi con gli altri, potevano evitare le accademie nascoste da occhi indiscreti e stare invece lì come normali umani.
Nemmeno gran parte delle materie rientravano nella normalità, non c’era niente di convenzionale, eppure Sylvia proprio non riusciva a non imbarazzarsi nel pensare che lo sguardo di qualcuno, potesse posarsi su di lei mentre stava con Harry.
Si erano conosciuti due anni prima, al loro terzo anno di studio durante il corso di Storia della magia. Fino a quel momento, Sylvia non conosceva nessuno, in maniera davvero stretta se non le sue due migliori amiche Jennifer – con cui divideva anche la stanza – e Alexis – distante qualche porta -.  L’arrivo di Harry aveva visto in  primis un gentile compagno di classe, con il quale poter studiare, qualora non fosse con le due ragazze, poi la castana aveva iniziato a stravedere per quel ragazzo alto, dagli occhi verdi e dai capelli ricci che istigavano a incastrarci tra di essi le mani. Quando quasi si rassegnò al fatto che questo non ricambiasse minimamente, perché lui le rivolgeva si varie attenzioni e passavano molto tempo insieme, ma non succedeva niente, Harry la invitò ad uscire durante il fine settimana in un pub del centro. In quel periodo le chiacchiere a vanvera su quanto avesse voluto che il riccio vedesse in lei qualcosa, si trasformarono in sproloqui su quanto fosse carino e gentile durante le loro innumerevoli uscite. È anche vero però che queste andarono scemando quando effettivamente Harry parve riscoprire qualcosa in più riguardo la ragazza, come ad esempio il suo essere realista - che potrebbe sembrare negativo, soprattutto quando lo si è troppo -, intraprendente e coraggiosa. Alla fine si misero insieme, in maniera molto più semplice di quanto si possa pensare.
Grazie alla prima conoscenza di Sylvia con Harry, il gruppo, primo formato da tre, aveva iniziato ad allargarsi piuttosto velocemente. In quel periodo il riccio stava frequentando Michael, un tipo con i capelli rossi, dall’aria stravagante e l’espressione sul viso sempre irrequieta. Era un tipo che non parlava mai a vanvera, pesava sempre le parole o al massimo le teneva per sé.
Allo stesso tempo però era un tipo vivace, dalla battuta sempre pronta e difficile da fregare.
Poi con lui c’era anche il ragazzo con cui divideva la stanza, Niall. Niall era un ragazzo di discendenza sia paterna che materna irlandese, discendenza che sentiva molto più delle sue origini americane. In fondo tutto lo ricordava, la sua vivacità, la sua pelle chiara insieme alle iridi celesti e i capelli biondi. Nonostante il suo essere spesso l’anima esuberante del gruppo, era anche molto riservato, e spesso tendeva a chiudersi in piccoli momenti di imbarazzo, in cui smetteva di parlare. Fortunatamente capitava raramente, solo quando litigava con Jennifer.
La vicinanza tra il trio maschile e quello femminile, avevano visto anche l’incontro tra Niall e Jennifer che, con il suo caratterino, era difficile da gestire persino alle sue migliori amiche che la conoscevano da più tempo. Eppure il biondo, dopo nemmeno due settimane di conoscenza, attratto già da quella ragazzina dai capelli mori e i grandi occhi scuri, che conosceva appena, aveva buttato giù il muro di Jennifer stupendola. Non era riuscito solamente a zittirla ma anche a far colorare le sue guance di rosso. Questo le era bastato, oltre al suo pensare che oggettivamente fosse davvero molto carino, ad accettare la proposta di uscire con lui per un appuntamento.  Essere diretti aveva dato istantaneamente i suoi frutti.
Dopo qualche altra settimana si erano messi insieme. Nonostante secondo la ragazza, il biondo sembrasse essersi trasformato improvvisamente in un marshmellow - era il paragone migliore che le fosse venuto, una sera mentre parlava con le amiche -, e in un primo momento tutta quella dolcezza era servita per tornire il carattere forte  della ragazza, tempo a venire, quel comportamento non spesso veniva apprezzato dalla mora, e ciò portava a dei litigi.
«E dai Jenn! Sono passati due giorni, quando la smetterai di tenermi in muso?» le chiese il biondo avvicinandosi pericolosamente al viso della ragazza, con il labbro appena sporto in fuori.
«Solo due giorni? Beh credo che questa volta farò passare due settimane.» rispose quella.
«Cosa?! Ma i..» mormorò il ragazzo cerando un altro modo per controbattere.
Jennifer non gli diede il modo. Alzò un dito a pochi centimetri dal viso dell’altro ed una frazione di secondo dopo sulla punta di esso uscì una fiammella rossa. Niall strinse gli occhi rapidamente e ritirò la testa di spaventato con la tessa velocità. Sbuffò poi leggermente mettendosi dritto sul suo posto e lasciando andare la testa contro il palmo aperto della mano.
Alexis al suo fianco notò la scena ed intervenne soffiando in direzione della fiamma. Nonostante la lontananza e la poca forza che ci mise, questa si spense al primo colpo, facendo voltare la testa della ragazza verso di lei. Dopo una smorfia ironica lanciò con la coda dell’occhio uno sguardo al ragazzo. Aveva ripreso a mangiare la pizza che aveva sul piatto, ridendo con Michael.
«Ecco appunto..» disse tra sé e sé rivolgendo definitivamente l’attenzione alle amiche.
Alexis. La terza del gruppo, era una ragazzina bassotta, la più bassa del gruppo - motivo per cui spesso si sentiva a disagio -, dai capelli e gli occhi castano chiaro e la pelle quasi lattea.
Era la più buona, la mediatrice e la moralista di tutta la compagnia. Spesso a primo impatto poteva sembrare anche molto timida, ma tutto stava nel superare il primo periodo di conoscenza.
Il suo lato da mamma chioccia emerse anche in quel momento e si sentì in dovere di riprendere l’amica per il suo comportamento «Non ti sembra di esagerare con il povero Niall?»
In risposta la ragazza scosse appena le spalle e approfittò dell’arrivo di un’altra persona intorno al tavolo, per poter evitare il discorso, e sapeva che con Ashton nei paraggi, l’amica non le avrebbe più prestato attenzione più di tanto.
«Ciao Alex.» sorrise il ragazzo prendendo posto dall’altra parte della tavolata.
La castana ricambiò il saluto con un enorme sorriso prima di abbassare lo sguardo.
Michael che in quel momento vide la scena, tirò una gomitata all’amico e «Siamo in sette, potresti salutare anche noi!» disse nascondendo un sorriso divertito.
Ashton era un tipo tipicamente australiano, alto, fisico impeccabile e una chioma castana che tendeva al riccio. Mentre Alexis parlava con le amiche, non riuscì a non lanciargli qualche occhiata. La sua preoccupazione principale fu non farsi scoprire, soprattutto non incontrare i suoi occhi dalle sfumature castano-verdi.
Quando avevano conosciuto Ashton, il ragazzo in realtà frequentava altri ragazzi. Al gruppo inizialmente era conosciuto più che altro perché compagno di stanza di Harry, però poi con il tempo i due gruppi avevano iniziato a legare, passando di tanto in tanto il tempo insieme, ed il riccio in particolare aveva iniziato a passare sempre di più ogni minuto possibile con loro.
Sebbene nessuno ne facesse direttamente menzione , tutti sapevano perché lo facesse. Jennifer e Sylvia avevano più volte detto ad Alexis che la causa fosse lei , ma la ragazza, cotta quanto lui, stentava a crederci, quindi i due non concludevano mai.
«Salve a tutti! Come procede  la prima settimana di accademia? Novità?» si avvicinò un ragazzo.
Dalla voce squillante non fu difficile capire di chi si trattasse anche essendo di spalle.
«Salve Louis, non sei ancora riuscito a lasciare l’istituto?» disse Harry facendo menzione al fatto che quello fosse il suo settimo anno lì, sui sei massimi che una persona di solito raggiungeva.
«Conto di terminare la formazione quest’anno.» rispose l’altro arricciando il naso.
«Allora.. sei tu l’uomo delle novità, che ci dici dei nuovi arrivi?» chiese Jennifer.
Gli occhi celesti di Louis brillarono mentre divideva Harry e Sylvia - la quale si lamentò - per prendere posto intorno al tavolo «Le matricole quest’anno sembrano essere le più piccole e graciline che io abbia mai visto. Vi giuro ho visto uno del primo anno che al massimo mi arriverà all’ombelico, e io non sono per niente alto lo ammetto. Comunque, abbiamo guadagnato tre nuove new entry provenienti da altre scuole. C’è Jack Jonson con la capacità principale di sciogliersi e passare così in piccole strettoie, e Robert Lee, occhi laser in grado al massimo di riscaldare un panino. Conosco qualcuno che potrebbe tenergli testa ad occhi chiusi.» sostenne convinto e fiero «Sembra che Stan abbia fatto di tutto per accaparrarseli. Se li vuole nel suo gruppo ben venga, ma con uno come Lee io non vorrei avere a che fare. Sapesse almeno maneggiare una pistola, o una spada.. Infine c’è Jess Adams.» disse indicando la ragazza qualche tavolo più in là, da sola «Nessun gruppo o amicizia per ora.»
«Poteri?» Niall anticipò tutti ponendo quella domanda.
Louis sospirò scuotendo la testa «Ancora sconosciuti. Ci sto lavorando però.»
«Tomlinson mi stupisci. Tu che sai sempre tutto di tutti…» lo prese in giro bonariamente Sylvia.
«Lo so ma ho avuto qualche problema nell’avvicinarla.» ammise sconfitto alzandosi «Proverò a scoprire qualcosa e vi farò sapere.» prendeva seriamente il suo giro di informazioni, più della sua stessa capacità di cambiare forma. Salutò tutti con un cenno e andò via come era arrivato.
Intorno al tavolo calò allora il silenzio. Tutti, nel bene o nel male stavano guardando in direzione della nuova arrivata che mangiava da sola, i capelli neri mossi e lo sguardo glaciale che scandagliava l’intera mensa intorno a lei. Quando i suoi occhi si posarono su di loro, l’intero gruppo si voltò di colpo spostando l’attenzione.
«Ehi Alex! Magari è la volta buona che ti affidano una compagna di stanza. Ci hai pensato?» le fece notare Niall.

Alexis era un tipo molto timido e non c’era bisogno che glielo facessero notare. Il primo incontro era sempre un po’ teso, e la ragazza era solita essere un fascio di nervi. Era così anche in quel momento, perché rientrata a fine serata nella propria stanza, non trovò la metà opposta alla sua vuota come lo era sempre stata, ma proprio come Niall aveva detto, era invece occupata da Jess Adams intenta a frugare dentro uno scatolone “fragile”.
Rimase qualche secondo sull’uscio stupita, in imbarazzo e soprattutto indecisa su cosa fare, per troppi secondi per pensare anche solo lontanamente che la cosa fosse passata inosservata. Allo stesso modo, la mora di fronte la osservava, si sentiva studiata, una maschera impassibile, la stessa che lei aveva visto indossare nella sala mensa, e che tutti del gruppo avevano notato.
Questa però cadde quando Alexis si fece coraggio e «Ciao tu sei Jess vero?!» chiese.
Quella annuì e subito rispose «E tu devi essere la mia compagna di stanza..»
«Alexis..» continuò la castana attraversando ora la stanza.
Jess accennò un sorriso, e non essendoci più nessuno scambio tra loro, poco dopo riprese a fare ciò che lei con il suo ingresso aveva interrotto.
Era strano dover far conto ad un’altra persona, ora che non era più sola in stanza. Alexis sentiva in tutto e per tutto quella restrizione, ma con questo non significava che le stesse stretta.
Seduta nella sua scrivania non riuscì di tanto in tanto a non rivolgere un pensiero verso la nuova arrivata. Avrebbe voluto essere più sciolta per poter sapere qualcosa su di lei, socializzarci.
Era così che si faceva con le nuove conoscenze no?!
Quando aveva incontrato la prima volta Jennifer e Sylvia, erano state loro a fare il primo passo. Invece lei in quel momento si adeguava ad una circostanza di disagio, nella quale ogni tanto i loro sguardi si incontravano e automaticamente si sorridevano.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



Jennifer oltrepassò la soglia sicura di dove stesse andando e di dove lo potesse trovare, nonostante ciò per qualche secondo osservò oltre lo spesso vetro antiproiettile, nella stanza adiacente. In essa, all’interno di uno dei cubicoli a schiera, vide subito il biondo di spalle.
Tornò sulla sua strada, rivolse un sorriso alla donna dietro al bancone e «Un paio normale.» chiese, mentre intanto compilava il registro d’ingresso al suo fianco.
L’attimo dopo la responsabile del poligono, le stava allungando delle cuffie antirumore blu, più o meno della sua taglia e un giubbino antiproiettile che sembrava proprio della sua taglia. Dopo averla ringraziata infilò prima le cuffie, assicurandosi che aderissero perfettamente ai lati del suo viso, successivamente la protezione del busto, ed entrò nella stanza principale con lo scopo di raggiungere Niall.
Avanzò verso il ragazzo lentamente, godendosi la vista del suo corpo in guardia, le spalle tese fasciate dalla t-shirt grigia e dal giubbotto antiproiettile, e le braccia tese in avanti mentre impugnavano una pistola calibro 9. Aspettò di sentire tutti e quindici i colpi che, come ben sapeva il caricatore potesse contenere, poi prima che potesse ricaricare eliminò la distanza che li separava e gli cinse il busto con le braccia.
Questo si irrigidì in un primo momento, voltata però la testa, e riconosciuta la mora, poggiò la pistola sul ripiano di fronte a sé e si voltò togliendo le cuffie antirumore blu che nel suo caso erano più spesse delle sue. Quando i loro occhi si incontrarono, anche se il biondo indossava un paio di occhiali, Jennifer poté notare le sue pupille restringersi velocemente, e il celeste delle iridi tornare a prevalere così sul nero. Il corpo rimanere ancora un po’ distaccato.
«Il tuo è barare. Con la supervista chiunque sarebbe in grado di fare tutti quei centri.» disse la mora punzecchiandolo appena. Le sagome dall’altra parte della stanza, risultavano essere bucate proprio nei punti critici, quelli che durante l’allenamento, i professori avevano sempre insegnato loro a mirare per primi. Nessuno di questi risultavano errare di oltre tre millimetri.
Niall inoltre non ricambiò subito l’abbraccio. In quel momento il suo corpo era rigido e lo sguardo serio mentre lei parlava. Nella sua testa mille ingranaggi giravano elaborando la scena.
«Scusa..» mormorò allora la mora sbattendo ripetutamente le sue folte ciglia.
Il ragazzo la osservò ancora, questa volta si morse l’interno della guancia e spostò l’attenzione da un’altra parte. Era passata meno di una settimana e Jennifer, come accadeva quasi sempre se non era lui, con la sua insistenza a farla cedere, era andata da lui facendo la sua migliore espressione pentita, chiedendogli di fare pace. Per quanto quegli alti e bassi per lui stessero diventando piuttosto fastidiosi, se si trattava di Jennifer, Niall era troppo debole per resisterle.
Sbuffò subito alzando gli occhi al cielo e avvolgendo spalle e capo della ragazza in modo che potesse avvicinarla maggiormente a sé  «Possiamo smetterla di litigare per stupidaggini?»
«Non litighiamo per cose stupide. Ma non voglio neanche starti troppo lontana.» controbatté lei.
Niall si morse la lingua e strinse le labbra tra loro. C’erano cose che avrebbe voluto dire ma che non lasciavano mai la sua bocca, e neanche quella volta lo fecero.
«Avevo intenzione di rimanere ancora un po’ qui per allenarmi. Ti va di rimanere?»
«Solo se mi fai provare qualche tiro.» abbozzò un sorriso Jennifer annuendo.
Niall sorrise e annuì a sua volta facendole cenno di infilarsi tra le sue braccia e di prendere posizione. A quel punto il biondo lasciò la pistola tra le mani della ragazza e poggiò su di esse le sue per poterla guidare in maniera sicura. Caricarono insieme l’arma, inserendo la cartuccia.
«Non mirare per me. Voglio vedere cosa sono in grado di fare.» disse lei.
Il ragazzo allora allentò appena la presa senza staccarsi dal suo corpo.
Dopo un arco di tempo che per lui, allenato e ormai esperto in armi da fuoco, parve esagerato se si fosse trovato dentro uno scontro in cui precisione e velocità sono importanti, Jennifer premette il grilletto. Il suo corpo venne appena balzato all’indietro e la presenza del ragazzo fu in grado di reggerla, mentre per quanto riguarda il bersaglio, il risultato non fu tanto male.

Si erano ritrovati come al solito alla fine delle lezioni nella mensa. Era ora di cena e dopo una giornata pesante come quella era un miracolo che non fossero tutti accasciati l’uno sull’altro.
Alexis ringraziò Ashton, con tono di voce alto il tanto da permettere che solo lui potesse sentirla, per averle portato il vassoio della cena fino al tavolo, poi lo osservò prendere posto al suo fianco.
Anche il resto del gruppo presto si compattò e in religioso silenzio cominciarono a mangiare.
Pensare che l’indomani mattina avrebbero avuto l’ultima lezione della settimana, prima della pausa weekend, era una delle cose che faceva loro tirare un sospiro di sollievo, pensare invece che avrebbero dovuto fare palestra nonostante la stanchezza con cui i loro corpi in quel momento già piangevano di stanchezza, beh, era un altro paio di maniche.
«Ash lo mangi il pane? Non ho voglia  di andare a prendermelo, sono sfinito.» chiese Harry.
Il castano scosse la testa «Se non devo spostarmi da questa posizione è tutto tuo.»
Il riccio piagnucolò perché quello sarebbe significato allungarsi per lui, ma Alexis intervenne e glielo passò senza che dovesse fare movimenti troppo bruschi. Sia Harry che Ashton al suo fianco, con la testa appoggiata al braccio opposto rispetto al lato su cui si trovava la castana, le sorrisero riconoscenti.
Erano passati più o meno dieci minuti quando Jess avanzò verso quella direzione, le mani dentro la felpa bordeaux che indossava, e l’intenzione di raggiungere il buffet.
Appena la vide Alexis rizzò la schiena e  accennò un gesto della mano in suo saluto. La mora notandola rallentò il passo, le sorrise cordialmente per qualche secondo, poi la sua attenzione si spostò al resto della tavolata, e dopo aver fatto correre lo sguardo su di essa - qualche secondo di troppo su Michael -, perse il sorriso e procedette per la sua strada.
«Wohoo Michael, ti ha proprio fulminato!» rise Harry nascondendo una risata dietro il pugno.
«Beh a me sembra che lo abbia fatto con tutti, tranne che con Alexis.» precisò Niall.
«Quella tipa si dimostra sempre più strana.» alzò le spalle Michael lanciando un’occhiata veloce alla nuova arrivata, in quel momento in fila con il vassoio tra le mani.
«Abbiamo una lezione in comune. Confermo cosa ha detto il moro.» aggiunse sempre il biondo.
«Non è così male.» s’intromise invece Alexis  «Vi sembra strana solo perché non la conoscete.»
Non la conosceva nemmeno lei, il massimo che sapeva era che dormiva di fianco con il viso rivolto verso il muro, che aveva una gran quantità di libri che si era portata dietro da casa.
Non aveva ancora capito quale fosse il suo potere, quali fossero le sue capacità, e la risposta che dava al resto del gruppo quando glielo chiedevano era sempre negativa e vaga. Per quanto potesse saperne poteva avere un passato oscuro, ma fino a quel momento, voci e pareri altrui a parte, aveva visto solo cose positive nei suoi riguardi, come la riservatezza, la gentilezza e l’ordine generale che quasi faceva sembrare che lei nemmeno ci fosse nella stanza.
Due giorni prima le aveva chiesto in prestito un evidenziatore, mentre il giorno prima le aveva offerto una ricarica zuccherosa sottoforma di caramelle colorate, mentre entrambe avevano i nasi immersi nei libri da ore. No, per lei non era male.
«Concordo con Alexis.» si schierò immediatamente dalla sua parte Ashton.
«E quando mai?» chiese Jennifer ridendo.
«Principalmente il vostro problema è che non conoscete i suoi poteri e un po’ avete paura di lei. Io non vi ho detto subito i miei poteri, eppure..» continuò il castano.
«Tu ti presentavi alle lezioni smaterializzandoti. Che ci conoscessimo già o meno, sapevamo già quale fosse il tuo potere già dal primo anno. Per non parlare del tuo avere sempre tutto a portata di mano.» disse Sylvia facendo ridere tutti gli altri.
«Abbiamo fatto tutti qualcosa di plateale. Alexis per esempio, ha quasi rischiato di spazzare via la palestra  e di far sordo chiunque  nel raggio di duecento metri, Niall durante il test d’ingresso al poligono ha fatto centro in ogni singolo bersaglio e ha abbattuto tutte le sagome a tempo record. Per non parlare di Sylvia quando si è presa l’influenza due settimane dopo l’inizio dell’anno scolastico. Era un continuò evitare pozzanghere e fontanelle.» gli fece notare Jennifer.
Più la ragazza elencava tutti quegli episodi, più Michael si ritrovava a darle ragione.
Magari fa parte di un’antica discendenza di streghe in grado di lanciare malocchi o peggio maledizioni..” pensò continuando intanto ad ascoltare i pareri degli amici.
Non era servito a molto ‘intervento del castano a favore dell’altra, ma Alexis lo ringraziò comunque «Grazie Ash.» gli sorrise mentre in sottofondo gli altri continuavano con le loro teorie «Grazie per avermi sostenuta e per aver provato a farli ragionare.» gli accarezzò un braccio.
«Quando vuoi.» fece spallucce lui aggiungendo un occhiolino.

«Perché non rispondi?» chiese con finto fare innocente «Sto simpatico a tutti, perché a te no?»
La mora sollevò il viso dal suo vassoio e mastico con una lentezza esagerata il boccone di mela che aveva addentato poco prima tra un tentativo e l’altro di Louis di attaccare bottone.
Il solo sopracciglio destro inarcato, dopo secondi di scrutarsi insistentemente a vicenda, sembrò far guadagnare un punto alla ragazza, che vide il moro sbuffare e distogliere lo sguardo per primo. Non dovette nemmeno dare una risposta verbale.
«Ok qui qualcuno sta giocando al gioco del silenzio. Io non mollo.» disse alzandosi di scatto dalla sedia «Potrebbe sembrare che io stia gettando la spugna, ma non è così, vado solamente a godermi il pranzo in compagnia dei miei amici.» sottolineò l’ultima parte il ragazzo.
Jess questa volta inarcò anche l’altro sopracciglio e Louis si voltò di spalle andando via.
Finalmente sola, e libera di finire il suo pranzo, lasciò vagare lo sguardo un po’ per tutta la sala. Evitò rapidamente di lasciar cadere lo sguardo sul tavolo del ragazzo che era appena andato via, per non correre il rischio di una nuova incursione e procedete tra i gruppi dei vari anni.
Nel breve periodo in quella scuola, il benvenuto che aveva ricevuto non era stato ottimo.
Come non sarebbe stato un problema per alcune delle persone capire cosa dicessero gli altri di nascosto nei confronti di terzi, non era difficile nemmeno per Jess, capire cosa dicessero nei suoi riguardi. Era perfettamente consapevole di quello che tutti - o la maggior parte delle persone - pensassero di lei da quando aveva messo piede in quell’accademia.
Era strana, misteriosa, talvolta le due cose coincidevano. Non dava loro tutti i torti, ma come temeva, gli studenti lì non erano abituati ad approcciarsi con qualcosa di diverso, e nonostante ammettesse lei stessa di non essere la persona più socievole del mondo - per più motivi - fino a quel momento aveva trovato solo Alexis con la reale intenzione di provare a conoscerla.
Il fatto che fosse costretta ad essere la sua compagna di stanza era poco rilevante. Non che avessero avuto parecchio modo di dialogare ma aveva un modo di porsi e di pensare diverso rispetto agli altri. In stanza con lei non si sentiva bersagliata come lo era invece in quel momento.
La sensazione di essere osservata la costrinse a voltarsi anche mentre sorseggiava dalla bottiglia. Come si aspettava, l’intero gruppo della sua compagna di stanza la stava osservando. Quando capirono però di essere osservati ritornarono ognuno a dialogare con il proprio vicino, o ad infilzare i maccheroni al formaggio ammassati sui loro piatto. Ancora una volta la sua attenzione rimase qualche secondo in più concentrata sul rosso seduto di spalle rispetto a lei. Fra tutti, lui probabilmente era la spina nel fianco più grande, quella che le dava più da pensare. “Idiota” mormorò scuotendo la testa.
Quel gruppo specialmente avrebbe dovuto aspettarsi che lei avrebbe potuto sapere cosa dicevano di lei, soprattutto visto che proprio uno di loro, il biondino, aveva l’udito super sviluppato ed era in grado di sentire conversazioni provenienti da grandi distanze e oltre le pareti.
I commenti però non l’avrebbero ferita. Era in quell’accademia per cercare di terminare i suoi studi nel minor tempo possibile e soprattutto nella pace. Non era rilevante per lei non avere amici, le bastava esser lasciata in pace.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Le temperature calde di fine settembre avevano causato lo spostamento di alcune lezioni nel campo esterno dell’istituto. Jess in quelle settimane aveva girato un po’ la scuola nel tempo libero e sapeva benissimo di non esser ancora riuscita a vederla tutta, ma quando mise piede al campo, realizzò davvero quanto le mancasse da scoprire. L’accademia sembrava un edificio possente già dall’ingresso principale, ma una volta dentro lo era decisamente di più. Si scoprivano sempre nuovi spazi, come quella mattina al suo primo allenamento fisico.
Non aveva però avuto molto l’occasione di guardarsi intorno appena messo piede sul prato verde. Il professore fu immediato nell’ordinare a tutti  di correre in un unico gruppo compatto.
Non le era mai piaciuta la corsa, era qualcosa che evitava se possibile e nella vecchia scuola lo aveva fatto. Tuttavia si era prefissata di superare un po’ i limiti in quella scuola e di ricominciare da capo, e la corsa rientrava tra queste, soprattutto se questo serviva a farla integrare un pochino.
Dopo cinque giri di quello che era un campo di dimensioni olimpioniche, poteva dire di conoscere ogni angolo del circondario e il numero di nei tra spalle ed il collo del ragazzo davanti.
«Adams, puoi venire qui?»  tuonò il professore verso il gruppo, richiamando la nuova arrivata.
Si tuonò perché la sua voce rimbombò per tutto il campo nonostante il lungo raggio di distanza che lo separava dal gruppo in corsa. Avere tra i poteri quello della risonanza della voce, non era affatto male se come nel suo caso, doveva addestrare adolescenti nel loro periodo ormonale.
Un paio di ragazze poco più avanti di Jess sussultarono per il tono alto e anche la mora presa alla sprovvista, ancora prima di capire che fosse rivolto a lei, lo fece, e qualcuno intorno a lei lo notò.
Tagliando la strada con attenzione ad alcuni suoi compagni, uscì dal gruppo e si diresse sempre in corsa verso il professore, il quale ora leggeva attentamente una cartella.
«Ho qua i voti della tua vecchia scuola e non sembrano male, ma..» disse senza staccare gli occhi da quei fogli «..voglio giudicarti io stesso. Scegli dagli espositori l’arma che preferisci.»
La mora avanzò verso l’area su cui erano disposte in maniera ordinata tutte le armi a disposizione dell’accademia. C’erano catene, pistole - seppure a pallottole di carta - spade e lance di ogni genere, armi di ogni grandezza e tipo. Alcune di quelle non le aveva nemmeno mai viste e un po’ di curiosità su come dovessero essere maneggiate le venne anche, nonostante ciò, lei aveva un’arma con cui aveva iniziato ad allenarsi sin da quando era molto piccola - come gran parte di loro in quell’istituto - ed era anche quella verso cui si stava dirigendo in quel momento. Poco più avanti delle spade, eccole li un paio di katane tra cui scegliere.
Erano tutte uguali e basilari, manico bianco rivestito da una fasciatura nera. Si trattò per lei di scegliere solamente la lunghezza giusta e Jess scelse quella con il manico più lungo così da poter mettere in pratica le varie manovre d’attacco - e anche un po’ esibizioniste - che conosceva.
Durò poco più di cinque minuti, tempo nel quale il professore si limitò parecchio ad osservare i suoi movimenti, il modo in cui impugnava l’arma e come la sapeva controllare, e la sua posizione di difesa quando lui stesso provava ad attaccarla. A dir la verità erano quasi attacchi a vuoto, fatti non con l’intento di colpire davvero ma appunto quello di vedere la reazione.
Quando il docente la liquidò disse solo che se l’era cavata, niente di più, nessun voto o termine di paragone che potesse farle capire quanto, quello appena sentito, fosse buono o meno buono. Lo vide però prendere appunti nella sua cartelletta, come se stesse compilando una tabella.
Il tempo che ebbe per riprendere fiato fu quello che intercorse il momento in cui mise apposto la katana e l’attesa durante la quale aspetto che  il gruppo ancora in corsa le passasse davanti per reinserirsi. Senza volerlo finì subito al fianco di Alexis la quale continuando a respirare profondamente, si complimentò con lei alzando solamente un pollice e sorridendole gentile.
Almeno per una persona sembrava esser andata bene, e la cosa la consolava.
Quando il docente disse che potevano fermarsi, Jess fu incredibilmente sollevata di vedere che non fu l’unica ad accasciarsi sul suolo con polmoni e cosce in fiamme.
«Smettetela di lamentarvi. Mia nonna ha novant’uno anni e corre meglio di voi! La corsa è importante quanto la padronanza di un’arma o dei vostri poteri. Se vi trovare in difficoltà, davvero in difficoltà..» iniziò il professore coprendo le proteste generali degli studenti.
«Dice così ogni volta..» sbuffò qualcuno al suo fianco.
Jess voltò la testa, non era sicura che stesse parlando con lei, ma nemmeno del contrario. In ogni caso il castano che era solita vedere rivolgere mille attenzioni alla sua compagna di stanza, accennò un sorriso nella sua direzione e mollò la presa sulle sue ginocchia rizzando la schiena.
Era convinta che non sarebbe mai più riuscita a rialzarsi quando fu costretta a farlo.
«Trovate un compagno e formate delle coppie. Lavoreremo sullo scontro corpo a corpo.»
Questa lezione si sta rivoltando contro di me” pensò la ragazza osservando come in tanti, in soli due secondi fossero riusciti a formare la coppia. A lei non restava che aspettare di vedere quale sarebbe stato lo sfortunato a rimanere fuori e che sarebbe così  finito con lei.
«Ehi Jess sei sola? Ti va di fare coppia con me?» Alexis comparve al suo fianco con un timido sorriso. La maglia della divisa più larga del dovuto, la rendeva più indifesa di quello che era.
Non si lasciò scappare l’occasione seguendola subito in un angolo di campo che sarebbe diventato un loro piccolo pezzo di tappeto naturale su cui si sarebbero allenate.
Una ragazza mora alzò appena gli occhi guardando nella loro direzione, scosse la testa ed alzò le mani al cielo quando Alexis posò lo sguardo su di lei ma poi si rivoltò verso Jess facendo finta di non averla vista. La ragazza castana più alta al suo fianco le poggiò una mano sulla spalla e anche loro cercarono uno spazio in cui compiere i loro esercizi abbastanza lontano dagli altri.
Il professore spiegò cosa volesse che tutti gli studenti facessero, una serie di calci e ganci che gli avversari avrebbero dovuto invece saltare, schivare o parare se abbastanza sicuri della propria forza. Una volta a testa per cinque minuti e al cambio dieci minuti di attacco e difesa liberi.
Jess non voleva essere la prima ad attaccare. Alexis non le sembrava una tipa da violenza, anzi in quelle settimane in cui avevano diviso la stanza, aveva capito che fosse la maggior parte delle volte contro qualsiasi dimostrazione violenta. Esitò talmente tanto che anche Alexis capì ci fosse qualcosa che non andava.
Pensare tutte quelle cose nei confronti dell’altra, non permise alla mora di prevedere quello che la sua avversaria, improvvisamente fece. Stufa di aspettare e con il professore che già circolava tra le varie coppie, si diede impercettibilmente la spinta con il piede sinistro, ed inchinatasi sul destro ruotò su se stessa, compiendo un giro completo con la gamba tesa. Jess incespicò sui suoi passi ma riuscì ad evitare comunque di cadere a terra come un’idiota. Un’espressione scioccata si stampò sul suo viso. La piccoletta ci sapeva fare, e non poteva di certo rimanere a guardare mentre la faceva a pezzi.
«Dopo cena vado dalle mie amiche per giocare a Monopoli, ti va di venire?» le chiese Alexis a fine lezione, mentre raccoglievano ai piedi delle gradinate le proprie sacche.
«Io non credo sia il caso..» stiracchiò un sorriso Jess portandosi alle labbra la sua borraccia.
«Invece si. Dai ci divertiremo!» insistette ancora l’altra imitandola.
«Non vorrei disturbare.»
«Va bene. Stasera alle nove e mezza, stanza quattrocentoventuno.» le sorrise la castana prima di raggiungere le amiche che da lontano la stavano aspettando per rientrare nell’istituto.

Ed ecco che Jess si ritrovava davanti alla stanza quattrocentoventuno con due minuti di anticipo. Aspettando che questi passassero fissò la porta di legno chiaro pensando a cosa stesse per fare. Era ancora in tempo per tornarsene nella sua stanza e lasciar perdere la socializzazione quel giorno, con quelle persone. Alexis avrebbe capito, era troppo buona per non farlo.
A tempo scaduto, prese un respiro profondo e bussò contando i secondi che la separarono fino a quando Alexis non aprì la porta e la invitò ad entrare.
Al centro della stanza era stato già montato il tabellone e tutte le carte da gioco erano state messe al loro posto. Le due amiche erano allo stesso modo già sedute per terra una di fianco all’altra mentre la castana che le aveva aperto la porta le fece cenno di sedersi con lei dalla parte opposta.
«Jess loro sono Jennifer e Sylvia.» le presentò Alexis con tono allegro.
Non ci voleva un esperto per capire che la ragazza era tesa come una corda di violino, eppure non mancava con il suo entusiasmo il quale però stonava con tutta la  situazione.
«Bella camera, mi piacciono i poster.» disse Jess sorridendo più falsamente di quanto volesse.
D’altra parte neanche le proprietarie furono da meno. Jennifer biascicò un “grazie” poco convinto e Sylvia le sorrise appena richiamando subito dopo l’attenzione sulla terza del trio chiedendole di distribuire le tesserine e di scegliere un segnaposto da mettere al via.
«Allora Jenn.. Tu e Niall avete deciso dove festeggerete.» cercò di far partire una conversazione Alexis. Sfortunatamente per lei la cosa non andò come si aspettava e prima che Jennifer le rispondesse, la vide esitare mentre sistemava le sue carte a pochi centimetri dalle sue gambe.
«Mhh no.. non proprio a dire il vero.» mentì. Non voleva parlarne con Jess davanti.
Quello fu l’inizio di un’ora imbarazzante durante la quale Alexis cercò di tenere viva la situazione, coinvolgendo in contemporanea amiche e la sua compagna di stanza, il tutto mentre le prime rispondevano a monosillabi o cambiavano discorsi, accompagnando il tutto con occhiate furtive nei confronti della sconosciuta, e la seconda parlava solamente se strettamente necessario e solo con la castana che continuava a comportarsi come se niente fosse.
Qualcosa cambiò quando Jess dichiarò frettolosamente di dover entrare in bagno e dopo, aver riconosciuto in un cenno del capo delle due ragazze di fronte a lei l’assenso per entrare, si alzò.
Non appena la porta del bagno si chiuse  Jennifer si tese in avanti  e «Ti avevo detto che la tua idea sarebbe stata un’idiozia.» ringhiò cercando di non farsi sentire nella stanza a fianco.
«Cosa c’è che non va? Sta andando tutto bene. Magari voi non siete il massimo dell’ospitalità..»
«Noi non siamo il massimo dell’ospitalità?» s’intromise Sylvia «Cosa c’entra lei con noi Alex? Sono a disagio se è nei dintorni, figuriamoci avendocela davanti, non so come comportarmi, e neanche lei sembra tanto interessata a fare conversazione.» le fece notare.
«È perché nota la vostra freddezza, anche un cieco la noterebbe.» controbatté la castana.
«Oh si certo la colpa è tutta nostra!» annuì ironicamente la mora.
Alexis stava per controbattere quando la porta del bagno si aprì e Jess uscì dalla stanza adiacente. Esitò nel tornare al suo posto, si guardava intorno vaga mentre sfregava ripetutamente le mani sui fianchi, e questo al sua compagnia di stanza lo notò.
«Hey va tutto bene?» le chiese.
La mora esitò un po’ prima di rispondere «Sisi! Io, dovrei solo andare. Domani devo consegnare una relazione e non l’ho finita.» si giustificò «È stata una serata piacevole.. si piacevole. Piacere di avervi conosciute ragazze. Ci vediamo dopo Alexis.»
«Ciao.» dissero le padrone della stanza prima  che l’altra varcasse la porta e chiudesse la porta alle sue spalle. Alexis che avrebbe voluto informarsi ulteriormente, non ebbe il tempo di formulare nemmeno una parola.
«Visto?!» alzò le spalle Sylvia.
«Svitata.» rincarò la dose l’altra.

Stava per aprire la porta della propria stanza, quando sentì la cuffia grigio scuro, precedentemente sulla sua testa, venir sfilata via. Quando si voltò dietro di lei non vi era nessuno, ma la sua cuffietta levitava da sola in aria, cosa impossibile anche in quell’accademia.
«Harry..» sospirò la ragazza alzando gli occhi al cielo. Un sorriso nascosto sotto i baffi.
«Ti ho aspettato per più di un quarto d’ora, alla fine uno si annoia..» brontolò il riccio tornando lentamente visibile agli occhi della ragazza, a partire dalla mano che teneva la cuffia.
«Pensavo fossi in palestra, ti avrei raggiunto prima se lo avessi saputo.»
«Ho finito prima, ma non fa niente, ora sei qui.» le sorrise, un sorriso tutto fossette, mentre poggiava le sue grandi mani sui suoi fianchi e l’attirava completamente a sé «Sei libera?»
«Jenn è fuori con Niall per festeggiare il loro anniversario, mentre con Alexis abbiamo discusso, credo sia  in biblioteca. Sai com’è fatta, ha bisogno del suo tempo per sbollire.»
«Cosa è successo? Niente di serio spero.» chiese Harry preoccupato,
«Nono tranquillo. Si tratta della sua compagna di stanza e del fatto che è stata nella nostra stanza per una partita a Monopoli. Non è andata bene secondo lei, e ci ha fatto il terzo grado.» spiegò Sylvia facendo spallucce  «Ma dimmi.. avevi intenzione di fare qualcosa in particolare?»
«Stavo pensando che è da un po’ che non andiamo nel nostro posto. Andiamo ora?»
La castana sorrise e non ci vollero parole per confermargli il suo essere d’accordo.
Percorsero il corridoio fino ad arrivare alla rampa di scale che portava ai piani superiori. Li percorsero tutti, rischiando per un attimo di esser beccati dal custode di ronda tra i dormitori.
Fu una fortuna che Harry se ne accorse abbastanza in tempo da coprire la ragazza con le proprie spalle larghe, e rendere entrambi invisibili. L’uomo passò a pochi centimetri dal muro su cui loro erano appoggiati, senza accorgersi di loro.
L’avevano fatto tante volte, quello di sfuggire alla ronda mentre cercavano di raggiungere il loro posto, eppure ogni volta la scarica di adrenalina era la stessa. Appena il custode svoltò l’angolo Harry si staccò senza lascare la presa su una mano della ragazza. Questa si sporse rapida in avanti e stampò un bacio sulle labbra del riccio prima di proseguire per l’ultima rampa di scale. Spinsero il maniglione rosso della porta antincendio ed uscirono sul tetto senza fare alcun rumore. Erano stati loro stessi ad oliare i cardini della porta affinché non facesse rumore.
Quel posto l’aveva trovato Harry alla fine del suo primo anno, una notte - una delle tante - in cui i libri lo avevano tenuto alzato più del dovuto fino a tardi. Per passare l’anno avrebbe dovuto prendere almeno il minimo dei voti in un esame che odiava, ed insieme alle lezioni, e ai vari addestramenti, il tempo studiare  era diventato fin troppo difficile da gestire, tanto da costringerlo a rimanere sveglio grazie all’aiuto di bibite energetiche e ricchissime si caffeina. Queste però ad un certo punto non bastarono più, e sentita la necessità di staccare la spina, così scoprì la porta che dava sul tetto, poco controllata e senza allarme.
Da semplice luogo in cui rilassarsi guardando il cielo scuro, divenne anche il luogo in cui passare le serate insonni a studiare. Poi quel posto, una volta conosciuta Sylvia, non era rimasto solo il suo, ma aveva deciso di condividerlo con lei, cosa che la rese sin da subito speciale.
Era il posto in cui passavano molto tempo da soli, il posto di tante prime volte.
«Ah non sai!» esclamò Harry in un momento di silenzio, seduti vicino contro ai bocchettoni di scarico dei condotti del riscaldamento«A casa ho trovato Gemma, è rientrata ieri dalla Russia.»
«Come sta? È da tanto che non la vedo. E Anne?»
«Mamma dice che il prossimo finesettimana ti vuole assolutamente a pranzo,  e anche Gemma vuole tanto rivederti. Starà a casa per due settimane, poi molto probabilmente ripartirà. A quanto pare i tre mesi in Russia sono andati alla grande, la sua squadra d’intervento è stata molto d’aiuto al governo e probabilmente aggiorneranno loro il contratto.»
«Beh è una cosa positiva no?!» chiese la castana osservandolo dal suo petto su cui era poggiata.
«Si..» increspò le labbra il riccio «Insomma ha un lavoro, mette in pratica quello per cui si è allenata per così tanto tempo. Come noi. Non tutti hanno la sua stessa opportunità. Eppure c’è sempre un po’ di paura che una delle missioni vada male e che succeda qualcosa.»
«Come pensi che sia lavorare in una squadra d’intervento?» chiese dopo un attimo di silenzio.
«Beh sicuramente faticoso. Gem è dimagrita, è in forma ma dimagrita.»
«Spero che se dovessero prenderci in una squadra, ci scelgano per lavorare insieme.»
«Anche io..» rispose il ragazzo accarezzandole i capelli  «Anche io.»


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Sylvia Thompson - Harry Styles || Achteck [FF] ------  https://www.youtube.com/watch?v=O5YC1ccnois

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4



Per loro fortuna, in quell’allenamento la corsa fu solo una piccola parte del tutto. Il riscaldamento non durò più di cinque minuti e dopo questi ognuno andò a prendere la propria arma dal pannello a parete o dagli stand posti sotto.
Niall salutò Jennifer con un veloce bacio sulla fronte e lasciò momentaneamente la palestra diretto verso il poligono insieme ad altri cinque ragazzi, stessa cosa fece Sylvia ma quando uscì tra le mani aveva un arco e le frecce. Jennifer cercò nel mucchio la pica che a suo parere aveva l’impugnatura meno rovinata, Alexis afferrò un sacchetto di stoffa al cui interno erano conservate circa sei shuriken, Harry la rete piombata dalla parete, Michael al suo fianco prese le catene appese ordinatamente per un anello, Ashton i pugnali forati sul tavolo e Jess infine una katana.
Successivamente ognuno prese posto davanti ad un manichino ed iniziarono a provare mosse e strategie, il tutto  nei limiti imposti da un fantoccio di legno che non rispondeva ai colpi e che in generale rimaneva del tutto immobile. Non era neanche del tutto una perdita di tempo però.
In tutta la palestra risuonavano suoni metallici e quelli dei colpi sui manichini in legno, i gemiti di sforzo di alcuni e le direttive del professore.
Solo all’ultimo quarto d’ora l’uomo richiamò l’attenzione chiedendo che tutti prendessero posto intorno alla piattaforma appena rialzata al centro della stanza. Al centro di essa l’uomo guardò ad uno ad uno gli studenti, alternando lo sguardo con la cartelletta da cui non si separava mai. Molti abbassarono la testa, qualcuno arrivò persino ad allacciarsi le scarpe dopo averle inutilmente slacciate. Solo notando questo Jess capì perché nessuno fiatasse. Il professore stava per chiamare qualcuno - per fare cosa non lo sapeva - e nessuno voleva esser quel nome che sarebbe uscito dalle sue labbra. Quando poi capì che forse sarebbe stato un bene che anche lei cercasse di passare inosservata, era troppo tardi, il suo nome e cognome risuonarono tra le pareti.
Strinse il manico della sua katana e sorpassò i suoi compagni fino a salire sulla pedana appena rialzata. Qualche sguardo più tardi la situazione si ripeté e nuovamente fu un ripetersi di  sguardi vaghi puntati ovunque e allo stesso tempo su niente in particolare, e il professore che cercava la seconda vittima facendo scorrere il dito sulla misera lista.
«Se Clifford ha finito di ammirarsi la divisa, è richiesto sulla pedana.» esordì alla fine il docente.
Il diretto interessato fece una smorfia contrariata mentre gli amici con una pacca sulla spalla, lo spingevano in avanti. Le catene tintinnarono tra loro quando con un salto raggiunse gli altri due.
I due si studiarono per qualche secondo, poi al via la cosa divenne ancora più evidente. Lo fecero girando in cerchio aspettandosi sempre ognuno la mossa dell’altro. Jess non si fece attendere per molto avanzando con la katana ben salda nella mano destra. Cercò più volte di far andare a segno i suoi colpi, puntando su scatti veloci che prendessero alla sprovvista l’avversario, ma il rosso era rapido quanto lei, o per lo meno lo era la sua arma, che sfruttando la lunghezza, e la flessibilità riusciva a parere tutti i colpi prima ancora che potesse vedere effettivamente accorgersi del colpo.
Il cozzare delle due armi scandì i minuti che vennero quasi regolarmente. Il ragazzo lo sapeva che il professore non faceva durare mai quegli incontri troppo a lungo, quindi decise di rispondere prima che fosse tardi. Ruotò su se stesso mettendo in allarme l’avversario che saltò all’indietro. Un giro completo dopo ancora, le catene tornarono all’attacco sempre alla stessa altezza.
Jess in risposta fece scivolare alle spalle del rosso la sua katana e subito dopo la seguì scivolando a sua volta sul fianco sinistro. Il tempo per il ragazzo di voltarsi nella sua direzione che lei, ansimante, stava trovando la concentrazione per atterrarlo una volta per tutte e mettere fine a quella storia. Doveva zittire quelle voci fastidiose, doveva far tacere i pensieri di tutti.
Sapeva benissimo di non poterlo fare, ma Michael era lì e lui era uno dei più duri nei suoi confronti. Era a pochi metri da lei, perché non fargli vedere cosa sapesse fare?
Chiuse gli occhi controllando ancora i pensieri dell’avversario e quando li riaprì, un secondo dopo le pupille del ragazzo erano coperte da un leggero velo grigio, era suo ormai.
Le catene continuarono a girare per un tempo troppo lungo, come se si fosse incantato nei suoi stessi gesti poi, in un unico colpo di frusta diretto verso il basso, le catene si legarono nelle due direzioni opposte, strette  intorno alle gambe  del rosso, facendolo immediatamente cadere.
Jess richiuse gli occhi e ruppe il contatto sollevandosi in piedi poco dopo, fiera di sé..
L’avversario si riprese istantaneamente «Cosa mi hai fatto?» chiese sollevandosi confuso sulle braccia «Non so cosa sia successo, ero cosciente ma non riuscivo a muovermi..»
«Adams cosa avevo detto riguardo ai poteri?» s’intromise il professore ponendosi tra i due sulla pedana, come se Jess avesse potuto fare altro «Passi solo perché questo è il tuo primo scontro.»
«Co..cosa..!» strillò il rosso spostando lo sguardo dall’uomo alla mora «Ha imbrogliato! Ha controllato il mio cervello come se fossi un burattino!»
«Basta Michael.» lo interruppe ancora il professore «Andate. Per oggi la lezione è finita.»
Come se fino a quel momento ci fosse stata una bolla che rendesse l’area silenziosa, appena il professore decretò la fine della lezione, un brusio si sollevò e il brusio divenne chiasso.
Jess camminò a passo deciso e lasciata la katana sullo stand marciò fino alla sua sacca e superò la porta prima di chiunque altro, mentre Michael veniva circondato  dai suoi amici.
Avrebbe dovuto immaginarlo che con quel gesto avrebbe solamente peggiorato la situazione. Le voci erano aumentate, erano troppe e – masochista forse – non riusciva a non ascoltarle.

Il fatto che il professore avesse decretato la fine della lezione in anticipo rispetto alla normalità, aveva permesso ai ragazzi di andare a farsi una doccia veloce prima del dovuto e soprattutto di riuscire ad accaparrarsi uno dei tavoli in cortile per poter mangiare all’aria aperta . Dato che il tempo reggeva ancora, era sembrata una  buona idea a tutti.
I posti a disposizione in un unico tavolo bastavano per cinque persone solamente ma per non dividere il gruppo in due postazioni lontane tra loro,  i sette  si strinsero tutti intorno ad un’unica panca circolare, mangiando con i gomiti a contatto e i vassoi condivisi.
Inizialmente chiacchierarono tutti a coppie o con il proprio vicino, come ad esempio fecero Alexis e Ashton fino a quando Jenn non decise di punzecchiare un po’ Michael con quanto successo poco prima nella palestra. Il rosso si dimostrò subito poco contento che quell’argomento venisse tolto fuori, ma sapeva che per un po’ il fatto sarebbe stato ricordato.
Era infastidito, lo era parecchio, non solo perché aveva imbrogliato, ma anche perché al suo primo duello, la stramboide l’aveva atterrato con semplicità davanti a tutto il corso.
In quel modo non aveva fatto altro che confermare la sua posizione da stronza, pazza psicopatica, con gravi problemi di autocontrollo, magari era anche quello in motivo per cui aveva cambiato scuola. Cacciata perché come nel film Carrie, aveva fatto una strage nella sua cittadina, partendo proprio dalla sua scuola dove tutti la ritenevano strana, e colpa sua o meno, lo era davvero.
Avrebbe potuto trovare davvero un numero indescrivibile di aggettivi e di insulti in quel momento, da quanto tutta quella situazione lo infastidiva. A quello che la sua mente non partoriva, ci pensava il resto del gruppo che in quel momento mandava avanti una conversazione proprio sulla nuova arrivata. Argomento che era diventato anche il centro dei loro incontri quell’anno.
«Vi giuro ragazzi. È così inquietante, ha passato il novanta percento del tempo chiusa nel suo angolino e parlava solo se interpellata o al massimo con Alexis.» disse concitata Jennifer.
«Non tutti sono dei gran chiacchieroni al primo incontro.» sostenne Niall.
«Gran chiacchierona o meno, dal nulla se n’è andata, la partita non era nemmeno finita. Poi vogliamo parlare del suo sguardo? Se ti poggia gli occhi addosso ti congela. Diglielo Syl!»
L’amica annuì «Si.. sembra quasi che ti possa leggere nel pensiero.»
Alexis si morse l’interno della guancia per non controbattere a quanto detto dalle amiche.
La castana rispettava i pareri di tutti, spesso anche troppo, ritrovandosi come in quel momento a tenere per sé quello che pensava. Jennifer poteva contare la compagnia in stanza di Sylvia da quando erano entrate in quell’istituto, e viceversa. Alexis nonostante non conoscesse ancora Jess, si sentiva protettiva nei confronti della sua compagna di stanza. Inoltre avrebbe preferito che quanto successo nella stanza di Jennifer e Sylvia, nonostante non fosse successo nulla di rilevante, fosse rimasto lì. Invece utilizzavano il gesto di Alexis che voleva essere gentile per poi parlare male della  nuova arrivata. Alexis non l’aveva fatto con quello scopo.
Magari quello con Michael era stato un gesto sleale, ma molte volte all’interno di quella palestra erano stati visti colpi bassi anche peggiori di quello, sgambetti morali e fisici che loro stessi erano soliti scambiarsi durante la lezione, appena il professore era distratto.
Come Alexis, nemmeno Ashton s’intromise, ma con un’occhiata fu in grado di mandargli il suo sostegno senza aprire bocca. In occasioni così concitate, valeva poco la pena mettersi in mezzo.

Nel finesettimana qualcuno bussò alla porta mentre sia Alexis che Jess erano in stanza.
La castana sollevò per un attimo lo sguardo dal libro che in quel momento stava leggendo semidistesa sul suo letto, ma lo riabbassò subito dopo, perché ad aprire fu la mora che invece si trovava più vicina alla porta. Oltre l’uscio vi era un ragazzotto castano più alto di lei.
Appena questo la vide, le sue spalle si incurvarono un po’, lo sguardo perse momentaneamente la scintilla e l’enorme sorriso svanì insieme alle sue fossette.
Prima che lui biascicasse qualcosa sul fatto che stesse cercando una persona, Jess aveva già capito quale fosse il motivo per cui si trovava lì. Trattenne un sorriso mentre rientrava per prendere la sua giacca in jeans appesa dietro la porta, e «Alexis qui c’è qualcuno per te. Io vado a prendere un po’ d’aria in cortile.» disse uscendo senza guardarsi indietro.
La castana voltò a faccia in giù sul letto il libro aperto per mantenere il segno e andò alla porta con un cipiglio tra le sopracciglia. La maggior parte delle persone di sua conoscenza non avrebbero mai aspettato sulla soglia, ma sarebbero già entrate e si sarebbero messi comodi.
«Ash?» esclamò sorpresa sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Come mai qui?»
«Louis e Liam hanno organizzato una maratona Harry Potter nella loro stanza. Non credo che riusciremmo a durare più di tre film consecutivi, in ogni caso ci sono tutti. Sono venuto ad avvisarti.» disse il ragazzo facendo spallucce con le mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans.
«Harry Potter? E lo chiedi pure? Perché siamo ancora qui?» chiese la ragazza entusiasta.
«Non lo so.» rise Ashton osservandola rientrare ed indossare le scarpe.
Preso un golfino leggero, dopo essersi chiusa la porta alle spalle era pronta ad incamminarsi quando il castano le afferrò il posto e la fermò facendola voltare  «Ti fidi di me?»
«Cosa hai intenzione di fare?» aggrottò appena le sopracciglia la ragazza.
«La stanza di Lou si trova nel blocco C, faremo più in fretta a modo mio.» abbozzò un sorriso.
Ci pensò su Alexis, solo qualche secondo, secondi nei quali per la testa l’unico pensiero vero e proprio che riuscì a formulare - a differenza dei suoi soliti pensieri ragionevoli e moralisti - fu che utilizzando il cosiddetto modo alla Ashton tra loro ci sarebbe stato un contatto diverso dal solito, ovvero quello di sfiorarsi per sbaglio a mensa, o l’abbraccio che ogni tanto si scambiavano come saluto. Niente di diverso da quelli agli altri.
Non appena la ragazza allora annuì dando il consenso, Ashton si avvicinò rapidamente a lei e le avvolse i fianchi con le braccia muscolose. Come se fosse una formica in balia di un aspirapolvere, si sentì all’improvviso risucchiata da una forza esterna.
Durò una frazione di secondo, nella quale i suoi capelli volarono in tutte le direzioni, e quando i suoi piedi toccarono terra, sentì per prima cosa, una leggera nausea, e come seconda cosa si rese conto di avere gli occhi chiusi, e di essere completamente aggrappata a lui, con il viso contro il suo petto. Si staccò di colpo in imbarazzo. Era nella stanza dei ragazzi e tutti in quel momento, chi sui letti e chi seduto per terra, li osservavano storditi dalla comparsa ma divertiti.
«Se i due piccioncini hanno finito, possiamo iniziare questa maratona.» disse Louis rimanendo l’unico con lo sguardo poggiato ancora su di loro.
Entrambi i ragazzi borbottarono qualcosa di incomprensibile e probabilmente senza un vero senso, dopodiché presero posto ai piedi del letto su cui erano seduti Michael, Jennifer e Niall.
Alla fine optarono per guardare i film un po’ a salti. Tutti nella stanza conoscevano bene la saga e non ebbero problemi con ciò, anzi si ritrovarono persino tutti d’accordo su quali guardare ovvero il quarto, e gli ultimi due. Già con il primo fu difficile trattenere le lacrime, ma nessuno si lasciò andare. Con la morte di Silente divenne più difficile riuscire a non farsi coinvolgere ma ancora una volta ognuno rimase al proprio posto e finse che fosse tutto normale.
Subito dopo la fine di questo arrivarono le pizze e con esse la lunga fila al bagno, che vide spintoni e bordi rosicchiati lanciati ovunque per tutta la stanza, a causa di turni non rispettati.
Successivamente fu un’immensa scalata verso le morti più dolorose della saga che raggiunse il culmine con l’ultimo film, durante il quale nessuno riuscì a nascondere le lacrime per quando ci provasse. Alexis fu la prima ad essere reduce della tristezza di quelle scene, a tal punto da dover iniziare a respirare dalla bocca per non soffiarsi il naso e attirare l’attenzione così su di lei.
Ashton con gli occhi velati lo notò. Passo furtivamente alla castana un fazzoletto e nei secondi successivi finse di avere un brutto attacco di tosse che gli causò una cuscinata in testa da parte di qualcuno alle sue spalle, ma permise ad Alexis di passare inosservata mentre liberava il naso.
Senza staccare lo sguardo dalla televisione ma ben consapevole di quello che stava facendo, la ragazza scivolò fino ad appoggiare la testa sulla spalla del castano e si accoccolò su di lui. Avrebbe persino abbracciato quel bicipite allenato se il suo imbarazzo non fosse arrivato al limite in quel momento, e stare a contatto in quel modo fosse il massimo a cui avesse mai aspirato.
Ashton sorrise ma non si mosse, nonostante la tentazione di appoggiare una mano sul suo ginocchio e rassicurarla, fosse tanta.
Riaccese le luci, gli occhi rossi su alcuni e i solchi sulle guance di altri, parlarono chiaro su come quel film continuasse a fare effetto su di loro anche dopo averlo visto per la milionesima volta.
«Io non ho bisogno dell’alga branchia per poter respirare sotto l’acqua.» borbottò Calum, cercando di nascondere la sua fragilità in una voce troppo spezzata.
Gli altri risero appena, però cavolo, aveva ragione.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5



Il forte e continuo sbattere contro la porta, ridestò Niall improvvisamente dal sonno nel quale si era appisolato. Quando si rese conto di esser crollato capì subito anche di chi si trattasse alla porta. Corse verso di essa e la aprì prima che questa venisse buttata giù a suon di pugni.
«Sei una persona ignobile!» strillò furiosa Jennifer entrando come un fulmine dentro la stanza «Ho aspettato per circa un’ora ma tu non sei venuto!» lo accusò iniziando a fumare dalla rabbia, e lo faceva davvero. Era una sua caratteristica raggiungere coloriti rosso fuoco, sembrare una caldaia pronta ad esplodere, fare avanti e indietro per una stanza quando era davvero - davvero molto - arrabbiata. Avere a che fare con lei in quelle circostanze poteva essere pericoloso, le sue mani infatti tendevano a diventare fiamme incandescenti che ardevano agitate come torce.
 «Non mi sono dimenticato che ci saremo dovuti vedere..» mormorò il biondo intimorito.
«Ah si? Non sembrerebbe visto tutto il tempo che ho passato come un’idiota da sola al pub.»
«Mi sono addormentato senza volerlo e mi sono svegliato solo quando sei venuta a bussare.»
Tutto nel suo aspetto dimostrava che avesse ragione. Dai vestiti stropicciati alla voce rauca.
«Allora buonanotte Niall.» sorrise ironica prima di sorpassarlo con una spallata e uscire spedita.
«Ehy dove vai? Ora che sei qui possiamo fare qualcosa in stanza no?!» chiese il biondo,
«Va’ al diavolo! Vado nella mia di stanza.» esclamò Jennifer camminando a passo di marcia verso i dormitorio femminile. Era in tutto e per tutto intenzionata a seminarlo.
«Aspetta!» la seguì però subito recuperando la distanza «Dobbiamo risolvere. Io non ti capisco.»
«Si hai ragione su questo. Tu non mi capisci.»
«Dai Jenn!  Ero sfinito dal doppio allenamento, la doccia mi ha dato il colpo di grazia e sono crollato come un salame. Scusami..» la pregò Niall affiancandola con il fiatone.
«Non è una scusa.» rispose lei dura, senza nemmeno voltarsi nella sua direzione.
«Ma è la verità! Non l’avrei mai fatto apposta!» insistette fermandosi con lei davanti alla sua stanza, mentre questa apriva la porta e poneva lo stipite a distanziarli.
«Il punto è che tu mi trascuri Niall. Fine della questione.» concluse chiudendolo fuori.
Il biondo batté i pugni un paio di volte contro il legno, ripetendo il nome della mora e fregandosene se qualcuno passando lo avesse considerato fuori di testa, ma dall’altra parte non ricevette mai risposta. Alla fine appoggiò la schiena contro il muro, subito di fianco alla porta, e si lasciò scivolare fino a sedersi al suolo e le mani incastrate tra i capelli.
Dopo qualche minuto passato a sbuffare e a cercare di percepire il respiro di Jennifer oltre il muro, per magari intuire lo stato d’animo della ragazza, una voce davanti a lui  chiese «Ancora?»
Niall vide solo le punte di un  paio di stivaletti eleganti rialzati prima di avere a conferma su chi fosse e rispondere «Si..» appena sussurrato.
«Cosa è successo questa volta?» s’inchinò Alexis appoggiando le mani sulle ginocchia del biondo.
«Non lo so con precisione. Il professor Bills mi ha sfinito negli ultimi due giorni e io sono crollato. Giuro non mi sono dimenticato del nostro appuntamento ma mi sono addormentato senza volerlo e nessuna giustificazione, neanche scusarmi è servito. Proprio non capisco..»
«Provo a parlarci io ok? Ora vai a riposare, ti farò sapere più tardi.»
Il ragazzo scosse la testa «Rimango un altro po’ qui. Magari riesci a farla ragionare in fretta.»
Si ci sperava. Lo faceva sempre nonostante le varie dimostrazioni contrarie quando di mezzo c’era Jennifer. Era testarda come un mulo quando voleva.
«Grazie per la fiducia ma tu pretendi miracoli.» rise appena la castana.
Rimase comunque lì Niall, per circa un quarto d’ora. Passò il tempo torturandosi le unghie fino a quasi rimanere senza. Ascoltò senza vergogna la conversazione tra Jennifer e l’amica e per due minuti usufruì della vista per vedere - anche se cromaticamente sfasato - cosa stesse succedendo nelle stanza alle sue spalle. Le due ragazze erano sedute sul letto, niente di più. Anche a livello uditivo non sentì niente che non sapeva già, nessuna delle risposte che diede ad Alexis lo aiutò a capirla.

Quando in biblioteca si era avvicinato alla signora dietro il balcone chiedendole confusamente dove potesse trovare libri, o se sapesse indicargli un libro, che potesse aiutarlo con la psicologia, con la comprensione del pensiero facendo riferimenti magari al genere femminile, questa l'aveva guardato in maniera piuttosto accigliata e confusa.
Il fatto era che Niall voleva trovare un libro che l'aiutasse a comprendere Jennifer con la quale appunto aveva dei conflitti, però lo stesso tempo non voleva che la donna lo sapesse. Non voleva rendersi ridicolo anche se in quel modo l’aveva già fatto senza alcuna difficoltà.
Alla fine si era dovuto accontentare di esser mandato nel reparto dedicato alla gestione della lettura del pensiero e tutto ciò che riguardasse quella sfera. Non era pratico con niente che riguardasse il mentalismo ma se c'era un modo - una formula o un intruglio che avrebbe potuto preparare - per poter anche solo momentaneamente capire cosa le passasse per la testa, se fosse davvero lui ad essere in torto e in cosa stesse sbagliando, l'avrebbe fatta senza pensarci due volte.
Il secondo problema però, dopo quello di comunicazione con la bibliotecaria, se lo ritrovò davanti quando arrivò nella sezione Mentalismo, sezione costituita da decine e decine di scaffali di altezza improponibile. Non solo per controllare tutti quegli scaffali ci avrebbe messo probabilmente una settimana, ma non sapeva nemmeno se effettivamente avrebbe trovato qualcosa che facesse al caso suo.
Deciso ad organizzarsi in modo ordinato così da fare più in fretta possibile e sprecare magari anche meno energie possibili, iniziò dai libri posizionati ad altezza naso per poi scendere fino a quelli nel livello più basso. Quelli più in alto e che richiedevano maggior tempo per essere spulciati, li avrebbe lasciati in caso in cui non avesse trovato nulla prima.
Iniziò a leggere i vari titoli sulle copertine procedendo costante. Catturava le parole chiave e si fermava solo quando una di queste lo interessava a tal punto da sfogliarlo in maniera veloce a partire dall’indice. Le copertine in pelle e cartone diverse tra loro per spessore, altezza e colore passavano sotto i polpastrelli del biondo in sequenza, in maniera ripetitiva.
Dopo tre corridoi, sei pareti colme e circa una trentina di falsi allarmi, Niall era riuscito a trovare tre libri che lo fecero tornare a sperare. Con questi sulle ginocchia si sedette a terra, appoggiandosi alla libreria alle sue spalle. Li sfogliò con cura, come nemmeno per una relazione accademica aveva mai fatto e così facendo si isolò completamente, ignorando chiunque passasse di lì o si avvicinasse, come in quel momento a prendere dei volumi a pochi passi da lui.
«Non vorrei farmi i fatti tuoi.» esordì una voce mai sentita «Ma quei libri non potranno aiutarti.»
Il ragazzo sollevò la testa incontrando davanti a sé Jess «Ah no? E tu come fai a saperlo?»
«Se i tuoi sono problemi di cuore, fidati non potranno proprio.» disse la mora portandosi un libro al petto.
Niall non rispose, cadendo così nel tranello della ragazza, e confermandole che aveva ragione, anche se non ne aveva bisogno. Ma la domanda che dentro la sua testa si stava ponendo era, poteva fidarsi di lei?
«Prova ad usare il pugno duro con lei.» alzò le spalle appoggiandosi alla libreria di fianco.
«Dovrei usare la forza con Jenn? Stai scherzando?!» rise il biondo.
Jess alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa «Non sto dicendo che dovresti usare la violenza ma, non dargliela sempre vinta. Non vuole sentirsi sempre dire che ha ragione.»
«Tu come fai a saperlo?» chiese alzando un sopracciglio.
«Chiamalo sesto senso, o istinto femminile.» rispose l’altra rimanendo sul vago.
«Quindi voi ragazze è così che dite di sentirvi trascurate? Siete lunatiche e volubili, interpretate le cose come volete voi e non c’è verso di farvi cambiare idea. Siete orgogliose e testarde  fino al midollo osseo, e a volte sapete essere anche presuntuose. Voi ci fate uscire di testa!» si sfogò lui.
«No, non è del tutto il mio caso e queste cose dovresti dirle a lei.» sorrise Jess «Fossi in te ci proverei. Infondo tentar non nuoce,  cos’hai da perdere?» concluse andando via.
Niall abbassò lo sguardo sul libro sulle sue gambe. Era aperto su qualcosa di cui non capiva nemmeno una parola, ed era stato così più o meno per tutti i libri visti nelle ultime ore.
Forse doveva considerare quanto detto dalla ragazza. Forse davvero stava sbagliando lui avendo poca considerazione di sé stesso. Non suonava così male come consiglio per essere della mora.

Harry stava per infilare le chiavi nella serratura della porta d’ingresso quando Sylvia gli schiaffò una mano e suonò al campanello con un’espressione di rimprovero stampata sul viso.
«Questa è anche casa mia! Vorrei capire perché non posso usare le chiavi.» si lamentò il riccio.
«Punto primo tu vivi in accademia e passi solamente qualche weekend qui, punto secondo ci sono io con te e  sai quanto la cosa mi imbarazzi. Preferisco non irrompere in casa così.»
«Tsè irrompere!» sbuffò Harry «Sei di casa dopo tutto il tempo che stiamo insieme.»
La castana stava per ribattere quando la porta si aprì e una chioma bionda - chiaramente tinta - la travolse in un abbraccio stritolante, uno di quelli molto forti. Il ragazzo se ne accorse, infatti «Piano Gem, dosa la forza. Sta diventando viola.» disse scuotendo la testa.
La ragazza si staccò immediatamente e si scusò con un sorriso colpevole, Sylvia invece sospirò notando quanta forza aveva messo su da quando l’aveva vista l’ultima volta.
«Entrate! Mamma aspettava proprio voi per sfornare il pasticcio di carne.»
Raggiunta la cucina, Anne si precipitò ad abbracciare la castana che non vedeva da un po’ ormai, le chiese  come stesse e poi passo al figlio, prendendolo in una morsa materna per le guance e stampandogli un bacio sulla fronte, dove qualche ciocca riccia cadeva disordinata. Il riccio nemmeno si lamentò, abituato alle dimostrazioni d’affetto della madre. In fondo stando mesi e mesi in accademia, e passando solo qualche finesettimana e le vacanze con lei, le mancavano quei piccoli gesti che quando era piccolo erano piuttosto ricorrenti.
Seduti a tavola parlarono di come stessero andando le lezioni per i due ragazzi, e di come se la stesse spassando Anne con il nuovo lavoro. Arrivati al dolce la conversazione si spostò su Gemma, colei la cui vita in quel momento era sicuramente la più entusiasmante e ricca di cose da raccontare, visto il suo lavoro all’estero e la sua carica d’intervento.
«Raccontaci come è lavorare in Russia. Com’è stare in una squadra d’intervento?» chiese Harry.
«Si com’è?» scattò sull’attenti Sylvia mentre si puliva la bocca «Ne parlavamo l’altro giorno.»
«Di sicuro in Russia fa freddo. Abbiamo dovuto richiedere delle divise termiche per non perdere le dita dei piedi nei mesi invernali. Ci hanno dato un attico da dividere tutti insieme. Enorme.» precisò «Mentre il piano di sotto è adibito a palestra.»
«Abita qualcun’altro nell’edificio con voi?»
«Che io sappia si, ma non abbiamo mai incontrato nessuno. Sospettiamo siano funzionari della sicurezza di stato, persone tutte molto informate riguardo la  nostra identità.»
«Poi? Come ci si sente ad aver finito l’accademia?» chiese la ragazza troppo curiosa per star zitta.
«È bello non dover far più conto dei professori, avere orari prestabiliti come le lezioni o il coprifuoco ma dopo che ci sei dentro, tutte queste cose inizierai a gestirle da solo. Senti la responsabilità addosso e dopo tutti i duri allentamenti o dopo missioni particolarmente pesanti, inizi ad andare a letto prima di qualsiasi altro giorno. Diventi davvero adulto e nemmeno te ne rendi conto. Tutti contano su di te, la sicurezza e la vita di uno stato si basano su di te e sul tuo gruppo, sentì in tutto e per tutto la pressione. Spesso rimaniamo mezze giornate in palestra, e fino a tardi per studiare piani pressoché perfetti, e che non richiedano più interventi.»
«A lezione la professoressa Deakin ci ha detto che gli umani iniziano a notare sempre di più la nostra esistenza. Hai riscontrato situazioni simili?» chiese Harry consapevole che quella conversazione stesse prendendo sempre di più l’aspetto di un’intervista.
«Con i giornalisti appostati fuori da una banca, svaligiata da armadi fatti di lava incandescente, che a loro volta combattono con una gang di pazzoidi vestiti tutti in maniera simile, con poteri paranormale nemmeno fossero in un film Marvel? Per quanto questo sia successo in una piccola città, la voce si è sparsa velocemente e lo stato è riuscito a mettere a tacere ben poco.»
Se da una  parte entrare in quel mondo li spaventava da morire, far parte di una squadra d’intervento era anche intrigante e il solo pensiero metteva loro in circolo una quantità indescrivibile di adrenalina da renderli iperattivi.


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



«Vietato usare i poteri.» ribadì come sempre il professore «Non sfidate la mia pazienza voi due.» indurì il suo sguardo portandolo su Michael e Jess in posizione agli opposti della pedana.
Dopo la sfida avvenuta due settimane prima il professore aveva voluto dare una seconda possibilità ai due e valutare cosa davvero potessero fare, fino alla fine.
La ragazza accennò un sorriso mentre pensava  alla piccola vittoria che era riuscita ad ottenere la volta precedente. Avrebbe fatto a meno di utilizzare la costrizione delle azioni, niente le avrebbe impedito però di utilizzare il secondo potere. Nessuno tranne il professore sapeva ancora di cosa si trattasse, perciò bastava solo che lo usasse con moderazione e nessuno se ne sarebbe accorto.
Il rosso invece mantenne lo sguardo concentrato davanti a sé,  ripetendo nella sua testa diversi schemi e mosse che in un primo momento a Jess non presagirono niente di pericoloso.
Fu così per i primi cinque minuti. Tutto abbastanza calmo o perlomeno prevedibile e facile da scansare visto che Jess continuava a leggere le mosse in anticipo. Michael allo stesso tempo era molto più agguerrito e mostrato in tutto e per tutto il suo non voler incontrare la katana della mora, o rischiare di essere atterrato improvvisamente.
Molti dei colpi della ragazza andavano a vuoto perché lui riusciva a scivolare via poco prima, o perché con un colpo di frusta delle sue catene, la spingeva via, arrivando persino a farle perdere l’equilibrio, cosa che la infastidiva parecchio.
Andò avanti così per un po’, quel lento chiapparello che manteneva entrambi in parità.
Jess nella testa del rosso lesse un secondo prima, giusto il tempo per scansarsi lateralmente, la sua intenzione di avvolgere con la propria catena la sua katana, ma grazie al suo potere, riuscì ad evitarlo. Soddisfatta vide la frusta di metallo andare a vuoto e il ragazzo costretto a farla ruotare un paio di volte sopra la sua testa per mantenerne il controllo.  Stava per tornare in posizione quando vide il suo avversario far prendere nuovamente velocità alla sua arma e senza preavviso, con uno sguardo che Jess pensò fosse glaciale, farla cozzare contro il suo stesso fianco.
In situazioni diverse, la ragazza avrebbe pensato che ciò fosse strano, ma quando una forte fitta di dolore la colpì al fianco senza che niente fosse entrato in contatto con esso, non ebbe il tempo per fare congetture. Si accasciò al suolo trattenendo un gemito, stringendo il labbro inferiore tra i denti e portandosi la mano nel punto in cui aveva ricevuto quello che non riusciva a definire in maniera diversa da colpo. Si accorse persino di esser rimasta senza fiato, solo quando tornò a respirare, dopodiché puntò lo sguardo su quello – ora nuovamente normale – di Michael e in una frazione di secondo fu in grado di frugare all’interno della sua mente.
«Non ci credo..» biascicò la mora «Sei una fottuta bambola voodoo..»
«Nessuno mi ha mai dato della bambola, ma apprezzo il fatto che tu ci sia arrivata.»
Immediatamente il professore si posizionò tra i due mettendo fine allo scontro «Ora basta!» tuonò alzando il volume della voce tanto da sentire il suono ripercuotersi all’interno delle loro teste  «Andate subito dalla preside. Qualsiasi sia il vostro problema, lo risolverete lì.»
Con le parole che ancora rimbombavano per tutta la palestra, nessuno, tantomeno i due interessati ebbero il coraggio di aggiungere anche solo una sillaba. Anzi fecero come detto e lasciarono la lezione, tenendosi a distanza di sopportazione l’uno dall’altra fino a quando non raggiunsero la segreteria ed entrambi fecero a gara a chi entrasse prima.
La preside non c’era ma la segretaria li fece comunque accomodare nel suo ufficio.
Seduti su sedie adiacenti, per qualche minuto nessuno parlò. Capacità a parte di poter capire cosa il rosso stesse pensando, dalla sua faccia Jess poteva capire chiaramente quanto fosse soddisfatto di esser riuscito ad avere la sua vendetta.
Anche per questo la ragazza cercò di non dare a vedere quanto il fianco in quel momento le stesse facendo male. Con una mano, in maniera quasi impercettibile, si toccava il punto dolorante. Sembrava di star riuscendo bene a camuffare il dolore, fino a quando sollevandosi meglio sulla schiena, un lamento non lasciò le sue labbra.
Il ragazzo allora portò subito l’attenzione su di lei «Ti fa molto male?» le chiese.
«No.» rispose velocemente lei, forse troppo per una che non provava davvero dolore.
«Fammi dare un’occhiata.» la ignorò, mentre le faceva cenno di sollevare la maglia.
«Non ci penso nemmeno. Ho i miei buoni motivi per non fidarmi di te.» sputò fuori lei.
«Non fare la stupida.» insistette spostando la sua sedia molto più vicina a quella della ragazza, quasi di fonte ad essa, tanto che le loro ginocchia si sfiorarono «Posso aiutarti.»
Dopo un ulteriore occhiata decisa del ragazzo che durò interminabili secondi, fu in grado di fare cedere Jess, la quale sollevando gli occhi al cielo, alzò la maglia sul fianco con lentezza.
Su di esso Michael vide subito – anche per il contrasto che la pelle creava – un ematoma dalla forma lunga e irregolare. Era già gonfio e soprattutto il colore era blu scuro tranne per qualche macchia rossa qua e là e in particolare sul bordo.
«Non pensavo di averci messo così tanta forza.» ammise poggiandoci delicatamente la mano sopra. Il suo sguardo era serio e tremendamente concentrato.
Jess sussultò appena, presa alla sprovvista, ma non disse nulla e lo lasciò fare, non staccò però l’attenzione dai gesti decisi dell’altro nemmeno un attimo. Il contatto tra le loro pelli divenne fresco e in pochi secondi, il brutto ematoma che marchiava la pelle della mora, si riassorbì completamente con sua grande sorpresa.
Tempo due secondi, qualcuno alle loro spalle si schiarì la voce «Non vorrei interrompervi..» disse la preside sorpassandoli, e prendendo posto sulla poltrona dietro la scrivania «Mi spiegate come mai siete nel mio ufficio? Centra qualcosa con Clifford che usa la guarigione con lei signorina Adams?» chiese incrociando le gambe e osservandola insistentemente.
Se non sapesse di essere immune al controllo mentale o alla lettura del pensiero, Jess avrebbe sicuramente giurato che la donna lo stesse facendo con lei in quel momento.
«È stato un incidente. Un’incomprensione che abbiamo già risolto.» prese parola.
«É come dice lei Clifford?» chiese conferma al ragazzo la preside.
Il diretto interessato ancora stupito da quanto detto annuì frequentemente e «Sisi proprio così.»
La donna li osservò nuovamente con lo sguardo di ghiaccio dopodiché abbozzò un sorriso, e una risata appena accennata prima di appoggiare le spalle alla schiena con scioltezza «Fortunatamente l’esperienza mi ha insegnato di parlare con i docenti prima di farlo con gli studenti quando si trovano nel mio ufficio. Non tanto per lei Clifford, ma Adams mi avrebbe anche convinto se non sapessi la verità. Nonostante mi sembra abbiate pattuito durante l’attesa, per aver disubbidito ripetutamente durante la lezione vi sarà vietato per tre settimane lasciare l’accademia durante i weekends. Vi è vietato superare il confine del cortile.»
«Cosa? Tre settimane sono un’infinità di tempo. È ingiusto!» si lamentò Michael il quale vedeva già la faccia che avrebbero fatto gli altri quando avrebbe detto loro che non ci sarebbe stato, dopo tanta organizzazione, al bowling il sabato successivo. Non era disperata allo stesso modo Jess, la quale si trattenne dall’esultare perché quel divieto non cambiava per nulla le sue abitudini.
«Inoltre..» proseguì la donna «..dovrete riordinare senza poteri l’archivio nei sotterranei. Il tempo che ci metterete dipenderà unicamente da voi e da quanto collaborerete. Intesi?»
Dopo un attimo di esitazione «Si signora.» risposero entrambi scrutandosi astiosi.
Tutto ciò sarebbe significato alla fine delle lezione, dopo una giornata stancante e infinita, ritagliare quante più ore possibili per riordinare un archivio che solo per il nome entrambi lo immaginavano enorme, con luci a neon fatiscenti e centimetri e centimetri di polvere. Il tutto sommato alla possibilità di non uscire nel finesettimana, cosa che sicuramente sarebbe stata sostituita dalla seconda parte della punizione.
«Se scopro che ha obbligato il suo compagno a fare tutto il lavoro da solo..»
«Non succederà.» la interruppe Jess.

«Quindi dite che così vestita, vado bene per l’occasione?» chiese Alexis guardandosi ancora una volta allo specchio. Indossava dei pantaloni neri a vita alta, i suoi stivaletti del medesimo colore, un top bianco incastrato all’altezza della cintura e un giubbino in pelle che le ricadeva leggero sui fianchi. In situazioni diverse non avrebbe avuto molti dubbi, ma quella sera sarebbe dovuta uscire con Ashton, e nonostante l’avesse vista in condizioni ben peggiori, voleva essere perfetta.
«Smettila di agitarti tanto, stai benissimo.» tentò di rassicurarla Sylvia ruotando veloce sulla sedia mobile su cui era seduta a cavalcioni.
«Ancora stento a crederci che si sia finalmente svegliato e ti abbia chiesto di uscire.» disse l’altra.
«Potrebbe ancora andare tutto storto, e lui potrebbe non parlarmi più.» ribatté la castana.
«Si certo.. nemmeno se tu gli sputassi in faccia un boccone della cena, smetterebbe di sbavarti dietro. È impossibile che tu non ti accorga di quanto gli piaci.» sostenne la mora ovvia «Quello che mi chiedo è perché ti porti al mini golf in macchina. Con il potere dell’orbitazione, perché non ti prende tra le sue braccia e non vi teletrasportate direttamente lì?»
«E magari ricompariamo davanti alla cassa pronti a richiedere due biglietti, o ancora peggio tra la buca numero tre e la quattro, così da scioccare per bene un bambino e i suoi genitori.»
«Non hai tutti i torti..» constatò Sylvia «E ricomparire in un vicolo secondario?»
«Perché vi stona così tanto che andiamo in macchina?» chiese Alexis osservando ora le amiche.
Entrambi le ragazze risposero alzando le spalle e borbottando a voce bassa le loro motivazioni.
La castana si guardò ancora una volta allo specchio, questa volta molto più da vicino ed esaminò il trucco. Sollevò gli occhiali e si passò in maniera attenta il polpastrello dell’annullare sotto gli occhi per rimuovere quell’ombra di trucco che sempre le colava un po’. Poi osservò con la coda dell’occhio la sveglia sul suo comodino e sussultò notando che rischiava di arrivare in ritardo.
Si catapultò al suo armadio e prese la sua borsa ed una giacca che appallottolò dentro «Voi rimante qui o uscite? Fosse per me potreste anche rimanere ma non so quanto sareste a vostro agio con Jess quando rientrerà in stanza.» disse aprendo la porta.
Subito le ragazze saltarono sul posto e l’affiancarono «No grazie.»
Dopo altri due minuti persi a convincere le amiche a non seguirla fino all’ingresso, anche se lo avessero fatto in modo da non essere scoperte dal ragazzo, Alexis raggiunse Ashton che già la aspettava dove avevano accordato il punto di incontro. Indossava un paio dei suoi soliti skinny neri con un paio di All Stars alte anch’esse nere, una maglia bianca con una tasca nera cucita dalla parte opposta rispetto al cuore e una giacca in jeans scura, più larga della sua taglia.
Avanzò stringendosi le mani tra loro nervosamente, e con un sorriso agitato ed emozionato che rispecchiava esattamente quello del ragazzo appena la vide.
«Ciao..» l’abbracciò quando ormai erano uno di fronte all’altra «Stai benissimo.»
Alexis ricambiò e con un sorriso ancora più ampio rispose «A me piace la bandana tra i capelli.»
Non le piaceva solamente, quando il riccio indossava le bandane per controllare i suoi capelli disordinati, lei impazziva completamente, ma decise di non ammetterlo subito.
Il ragazzo la guidò fino al parcheggiò e le aprì lo sportello. Lei lo ringraziò con un enorme sorriso e si sedette composta cercando di camuffare l’imbarazzo. Intanto nella sua testa pensava come un’ossessa a qualche argomento interessante che avrebbe potuto tirar fuori per non rimanere in silenzio e far aumentare così la tensione.
«Sai che i tergicristalli sono stati inventati da una donna?» esordì Alexis appena il castano prese posto al suo fianco «Secondo me dovrebbero trovarsi anche negli occhiali, sai quando piove?»
Ashton rise scuotendo appena la testa «Davvero? Comunque concordo con te per gli occhiali.»
«Owh..» si coprì la faccia imbarazzata la ragazza «Ho detto una stupidata.» aggiunse rendendosi conto troppo tardi di quale fosse l’argomento super intelligente che aveva tolto fuori.
«Molti umani vorrebbero il teletrasporto o la capacità di attirare gli oggetti quando troppo lontani e si è troppo pigri, io non ho problemi di questo genere, ma vorrei proprio che qualcuno inventi un tessuto in grado di non far sudare, o magari uno spray del quale ti cospargi prima di un allenamento così da non sudare. Hai presente durante i test con il professor Donovan?»
Alexis annuì pendendo dalle sue labbra. Con una cosa stupida quanto la sua, stava rendendo la situazione meno imbarazzante, e questo alla ragazza fece molto più che piacere.
«Ho paura ad avvicinarmi a me stesso.» aggiunse facendo scoppiare a ridere l’altra.
Arrivati al minigolf dovettero fare la fila con una decina di bambini accompagnati dai propri genitori e da un trio di ragazzi che doveva avere pressoché la loro stessa età.
Alla biglietteria, quando fu il loro turno, il ragazzo dello staff diede loro due palline, due riserve, e due mazze generiche, il tutto insieme ad una mappa plastificata di tutte e diciotto le buche.
«Ti avviso prima che io faccia danni, o colpisca qualcuno senza volerlo. Non ho mai giocato a golf, non so nemmeno da dove si inizia e potrei essere negata.» mise avanti le mani Alexis.
«Tranquilla inizieremo dalle basi e se dovesse servire ti aiuterò io.» la rassicurò il castano.
Lei sorrise e lo seguì fino alla prima pista ben segnalata da una bandierina con su scritto un uno. Quella come le altre cinque successive, non furono molto difficili. Colpendo la pallina in qualsiasi modo, c’era una buona possibilità che questa entrasse in buca senza troppi tentativi. Ma dalla sesta le cose iniziarono a farsi più difficili perché la pallina doveva percorrere stretti angoli, curve a gomito e piccole salite, che nel complesso richiedevano più concentrazione.
Dopo dieci tentativi a vuoto per la ragazza e solo quattro riusciti per Ashton per mettere la pallina in buca, questo si offrì di aiutarla veramente con la pratica. Sicuro che non ci fosse nessuno che gli stesse prestando attenzione, aprì il palmo della mano destra e attirò a sé la pallina, successivamente la mise di fronte a loro e appoggiò il suo ferro in un punto in cui non intralciasse. Poi si mise alle spalle di Alexis e guidandola con le mani sulle sue spalle, sui suoi fianchi e sulle sue braccia, la posizionò nella maniera corretta, mentre lei in fiamme quasi non respirava. Si costrinse a farlo solo quando Ashton le avvolse il busto con le sue braccia e appoggio le mani sulle sue. Svenire per mancata aria nei polmoni sarebbe stata la sua fine.
«Il segreto è tenere le braccia sempre tese e farle oscillare un paio di volte a pochi centimetri dalla pallina. In questo modo tari la distanza, la velocità e la forza con cui colpire.» disse mentre metteva in pratica tutto. Con un solo colpo la pallina superò la salita e sbattendo contro il bordo della pista per superare infine, un angolo con semplicità.
«Grazie..» sussurrò la castana mentre nella sua testa passavano di più le sensazioni che aveva provato mentre i loro corpi si toccavano, rispetto a quanto le aveva detto, perché non era nemmeno sicura di aver afferrato per filo e per segno le direttive che le aveva dato.
Dopo aver contrattato che oltre la buca undici non sarebbero mai riusciti andare, soprattutto perché Alexis aveva iniziato a superare i ponticelli ora più ripidi aiutandosi con spinte d’aria dovute dal suo potere, Ashton l’aveva portata in una pizzeria per famiglie, addobbata da disegni sulle pareti, un piccolo teatrino all’angolo e giochi gonfiabili su cui avevano perso il diritto di poter salire molti anni prima.  A detta del castano quel posto era imbarazzante ma anche improvvisato, mentre a detta di Alexis era perfetto come proseguo di una serata al minigolf.

Il viaggio di ritorno fu tranquillo e dettato principalmente dalla musica soft che a quell’ora passava alla radio. Ashton rimase concentrato sulla strada, una mano sul volante e l’altra per la maggior parte del tempo incastrata tra i capelli o dietro il collo mentre il gomito era appoggiato allo sportello. Alexis si godette il calore dell’abitacolo e soprattutto la vista del ragazzo che osservò per molto tempo, fino a sentirsi così rilassata da addormentarsi.
Lui se ne accorse solamente una volta parcheggiata l’auto nel parcheggio dell’accademia. Estratte le chiavi dal quadro si perse un paio di minuti per osservarla accoccolata, piccola e infreddolita contro il sedile del passeggero. Le spostò una ciocca scivolatale davanti al viso  facendola sorridere nel sonno. Anche lui sorrise senza accorgersene di riflesso.
 Scese dall’auto e fece il giro, aprì lo sportello della ragazza e stando attento a non svegliarla la prese tra le sue braccia. Alexis nascose il viso contro l’incavo del suo collo e continuò a dormire indisturbata. Ashton intanto richiudeva lo sportello con un calcio assestato con il tallone.
Un secondo dopo non ci pensò due volte ad immaginare la camera della castana e a teletrasportarsi al suo interno per poterla mettere a letto. La stanza era buia tranne per qualche spia lampeggiante come quella del computer della ragazza, sulla scrivania.
La stese sul proprio materasso ed inizio a metterla comoda iniziando con le scarpe.
Era solo alla prima quando una voce alle sue spalle lo fece spaventare «Cosa diavolo ci fai in camera nostra?» disse Jess emergendo dalle sue coperte assonnata.
«Merda!» esclamò il ragazzo a bassa voce lasciandosi scivolare la scarpa di mano e andando a sbattere contro la scrivania della castana «I..io.. si era addormentata in auto così ho pensato..»
Alexis si rigirò appena sul fianco sinistro ma non si svegliò per loro - o più di Ashton - fortuna.
«Non pensi che sarebbe stato meglio orbitare fuori dalla stanza e bussare?» gli fece notare lei.
«Si scusa, avrei dovuto fare così.» annuì colpevole. Lo ammetteva, non aveva pensato al fatto che la ragazza non fosse più sola, ma che dividesse la stanza con Jess. Poteva ricordarlo benissimo.
La mora sospirò e si alzò dal proprio letto «Vai pure, ci penso io a lei.»
Il ragazzo osservò per un attimo Alexis, spostò poi l’attenzione all’altra ragazza e si morse l’interno della guancia indeciso sul da farsi. Non che non volesse che ad occuparsi della castana ci pensasse lei, ma voleva salutarla anche se lei non se ne sarebbe mai accorta, e si sentiva a disagio a farlo davanti a Jess. Fortunatamente questa lo capì e per qualche secondo spostò lo sguardo. Stampatole allora un bacio sulla fronte arretrò e salutata e ringraziata la mora, si teletrasportò ancora, nella sua stanza.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Avevano iniziato a svolgere la loro punizione il giorno successivo dopo la pausa pranzo.
Mentre il resto dell’istituto avrebbe passato le prime ore del pomeriggio a rilassarsi in previsione delle serate fuori che ognuno di loro avrebbe passato, tra feste o semplice uscite con gli amici, Jess e Michael mettevano per la prima volta piede dentro all’archivio dell’accademia.
Dopo aver accatastato il proprio vassoio insieme agli altri nella pila di quelli usati, la mora passò affianco al tavolo dove il rosso era seduto. Senza che lei dicesse nulla, il ragazzo si alzò lasciando gli amici con un cenno del capo svogliato e la seguì fuori dalla mensa.
Ritirarono le chiavi in segreteria e il foglietto su cui vi era scritta una parola d’ordine- o meglio frase d’ordine - in grado di aprire la porta, lunga ben tredici parole, e percorsero le scale nel completo silenzio.
Parlarono la prima volta quando si accorsero che accedere ai sotterranei non era così facile come avevano fatto pensare loro. Il portoncino blindato richiese vari minuti solo per completare tutti e trentacinque giri di chiave nelle tre serrature presenti, e dopo aver provato ben cinque volte a pronunciare la frase senza successo, Jess dovete lasciare la parola a Michael che ci riuscì in tre.
In parte la stanza si dimostrò davvero come nel loro immaginario. Luci fatiscenti che misero quasi dieci minuti per arrivare a riscaldarsi al massimo delle loro capacità, e anche in quel caso continuarono a sfarfallare. Vi era odore di chiuso e soprattutto di carta vecchia. Nell’era dei computer pensare che quella punizione sarebbe potuta essere più leggera, fu inevitabile.
Scoprirono presto per loro fortuna che una delle librerie presenti aveva i moduli suddivisi in ordine alfabetico. Non era la stessa cosa per i numerosi scatoloni e gli schedari sparsi qua e là, schedari colmi di documenti disordinati sia alfabeticamente che cronologicamente.
Jess prese la parte di sinistra, Michael invece si sedette su un mobile in legno che non fu sicuro lo potesse reggere fino a quando effettivamente non si rilassò del tutto sulla superficie. Da lì iniziò a raccogliere le cartelle che riusciva a raggiungere, per poi dividerle secondo la logica. La mora invece fece sin da subito grosse pile, si occupò di quello per una buona oretta. In quell’arco di tempo riuscì effettivamente a svuotare un piccolo angolo dell’archivio, rendendolo un po’ meno astioso di quanto non fosse prima. Fu in quel momento che il rosso lasciò la sua postazione e si diresse verso la porta con la chiara intenzione di sorpassarla e uscire.
«Dove hai intenzione di andare?» scattò subito la ragazza fermandolo.
«Fa troppo caldo qui dentro. Vado a prendere dell’acqua.» rispose il rosso andando oltre.
Jess forzò appena la sua mente e ci lesse dentro “Mi servono solo dieci minuti” che l’ammutolì.
Tornò davvero dieci minuti più tardi con due bottigliette d’acqua in una mano. Dopo aver pronunciato il suo nome ed esserci assicurato di avere la sua attenzione, le lanciò una di esse ed aprì la sua. Mentre bevette, non staccò mai lo sguardo lei, cosa che la mora notò.
Quando Jess l’afferrò la bottiglietta, la condensa fredda si impasto con la polvere presente sulle sue mani, ma non si lamentò. Ringraziò il rosso e trangugiò l’intero contenuto tutto in una volta, fissandolo allo stesso modo insistentemente. Strizzò gli occhi per qualche secondo quando il cervello le si congelò, ma durò poco, e riprese subito a lavorare.
Fecero finta entrambi di essere soli dentro quella stanza per tutto il tempo, ognuno si occupava del proprio lavoro, e cercava di farlo il più in fretta possibile. Più avrebbero dato ogni singolo giorno, meno tempo ci avrebbero impiegato in totale.
Si avvicinarono solamente quando la mora provò inutilmente da sola a spostare una libreria in acciaio troppo pesante per una sola persona. Michael si alzò subito per aiutarla, assicurandosi di seguirla dove volesse metterla, e poi continuò con la divisione delle cartelle.
Anche quando lo sguardo del ragazzo non si posava direttamente su di lei, Jess sapeva che la sua attenzione era rivolta per un buon cinquanta percento nei suoi confronti. Bastava inoltre impegnarsi appena per poter avere le conferme direttamente dai sui pensieri.
Inizialmente lasciò perdere ma più i minuti passavano, più i secondi lo facevano, e più perdeva la pazienza, diventava difficile tenere la bocca chiusa. Così arrivata all’orlo della sopportazione «Smettila.» disse rompendo il silenzio, e sbattendo un fascicolo in una scatola da lei rinominata da lei stessa “’70”.
«Di fare cosa?» chiese il rosso fermando il suo lavorare. Se non ci fosse stato solo lui in quella stanza, avrebbe pensato che si stesse rivolgendo a qualcun altro.
«Ti sto facendo pena lo sento, e non voglio. La prima volta ti ho atterrato io, alla seconda occasione hai avuto la tua rivincita e anche se forse hai esagerato un po’, ora smettila di colpevolizzarti, hai rimediato. Siamo pari.» disse nonostante non avesse ancora del tutto dimenticato cosa le avesse sentito pensare riguardo lei da quando era arrivata.
Il rosso rimase qualche secondo senza parole «Cos’è, oltre al controllo della mente, sai captare le emozioni degli altri o qualcosa del genere?»
La ragazza si trattenne dal ridergli in faccia e «Qualcosa del genere.» biascicò sollevando gli occhi al cielo. Un secondo dopo gli stava dando le spalle alle prese con le sue pile di documenti.
Lasciarono i sotterranei verso le sette, circa cinque ore dopo aver iniziato, Michael con il chiaro intento di evitare gli amici che quella sera sarebbero usciti, Jess di farsi una doccia, buttarsi a capofitto sul letto, ma soprattutto di allontanarsi il più in fretta dal ragazzo.

Il piatto davanti ad Harry era pieno di alimenti che al riccio piacevano ma che in quel momento rimanevano intatti sotto il suo lo guardo. Mentre tutti parlavano, animatamente intorno alla tavolata, lui si limita a tenere lo sguardo basso, e a muovere avanti e indietro i broccoli.
Dopo che Niall gli rivolse una domanda che non ricevette risposta, e dopo un mugugno da parte del ragazzo interessato in seguito ad una gomitata assestatagli da Sylvia sul fianco, accorsa in suo aiuto, l’attenzione di tutti fu rivolta a lui.
«Harry che hai? Sei strano oggi.» disse l’amico ricevendo l’appoggio anche degli altri.
Il riccio sbuffò appoggiando la forchetta a fianco al piatto, non aveva senso mentire, perciò decise di sputare il rospo «Richardson mi ha convocato per una prova individuale di metà corso questo pomeriggio e sono un po' nervoso. Non ne faccio una dal primo anno e non so cosa aspettarmi.»
Aveva avuto la notizia proprio quella mattina, cosa che gli aveva fatto immediatamente pensare che magari sapendolo prima, avrebbe avuto tutto il weekend per prepararsi fisicamente e mentalmente. Ma non fu così e da quando il professore l’aveva fermato a colazione, l’unica persona a cui lo aveva detto era stata Sylvia, persona che cercava di essergli di sostegno da allora.
Gli occhi del biondo si spalancarono «Beh se ti è capitato Richardson come supervisore, fai bene ad essere preoccupato. Si dice che con lui è impossibil.. oh scusa..» si tappò subito la bocca quando notò Harry leggermente terrorizzato e lo sguardo di tutti intenti a fulminarlo.
Jennifer in particolare intervenne per cercare di rimediare «Quello che voleva dire e che lui pretende molto ma non per questo tu non sarai in grado di affrontare la prova alla grande.»
«Sì e tu vai forte nella pratica. Ti adatti a tutto, vedrai che saprai dare filo da torcere al supervisore. Lascia perdere le stupide voci.» disse Alexis.
«Lo pensate davvero?» chiese il riccio pizzicandosi nervosamente il labbro inferiore.
«Certo!» risposero alcuni in contemporanea.
«Di solito sei tu quello che mi aiuti a rilassarmi quando sono agitato, sai quando cerchi di convincermi a fare yoga e nonostante io non ceda, tu riesci a distrarmi? Non so mosse di yoga ma potresti utilizzare i tuoi consigli. Tanto sappiamo che non avrai problemi.» aggiunse Ashton.
«Se ti fa stare meglio possiamo venire a fare il tifo per te oltre la porta.» propose Michael.
«No!» esclamò il riccio «Mi dispiace a sapervi lì mi farebbe agitare ancora di più. Vorrei venisse solo Sylvia se non vi dispiace.»
Nessuno ovviamente si lamentò e solo allora un po’ - solo un pochino - più tranquillo, e con una mano di Sylvia intrecciata alla sua  sotto il tavolo, si decise a mettere qualcosa nello stomaco.

Sylvia era sicura di star provando in quel momento almeno i tre quarti dell’agitazione che anche Harry stava a sua volta provando. Era entrato da nemmeno due minuti dopo il bacio incoraggiante che aveva reso solamente più difficile al ragazzo entrare e affrontare il supervisore vestito sportivo come lui, ma con la faccia austera di un vero e proprio adulto e Sylvia non vedeva l’ora che finisse. Aveva autocontrollo e sapeva mantenere il sangue freddo più di chiunque altro all’interno del gruppo, ma ancora non aveva testato il nervosismo provato per qualcosa in cui c’entrasse anche Harry. Si stava rendendo conto di quanto tenesse al ragazzo.
In quei primi minuti di attesa nei quali Harry approfittava per riscaldarsi, a lei parvero essere in tutto e per tutto stupide le parole che aveva rivolto al ragazzo per farlo tranquillizzare. Non era sicura avessero funzionato completamente, ma vedendo il ragazzo nella stanza a fianco da solo contro un uomo più forte di lui, le sue stesse parole non suonavano rassicuranti.
Lo scontrò iniziò piuttosto lentamente. Harry cercò di tenersi sempre in disparte e si dimostrò veloce e scattante ogni qualvolta si trattava si scampare agli attacchi dell’uomo.
Era fatto così, il lato pacifico che c’era in lui, gli impediva anche in situazioni critiche come quella, di attaccare di fare del male a qualcuno, anche se in pericolo c’era la sua stessa vita .Molto probabilmente era per quella sua propensione che aveva quei poteri, o aveva scelto la sua arma.
La rete piombata gli fu utile parecchie volte per rallentare fisicamente il proprio avversario, ma quando quella si ruppe, fu ancora più evidente che non era per niente fatto per l’attacco.
Per la preoccupazione non sarebbe mai riuscita a staccare lo sguardo da quella scena, tantomeno ad allontanarsi anche solo per trenta secondi. Passava dallo stringere le braccia sotto il seno fino al massimo delle sue forze, a appoggiarsi sul bordo della finestra fino a sfiorare con il naso il vetro, e a fare avanti indietro e giocare con i suoi capelli, vizio che non aveva mai avuto prima.
Mimetizzarsi in una stanza composta unicamente da quattro pareti spoglie, rendeva la cosa semplice si per Harry, che non doveva compiere sforzi eccessivi per adattarsi al paesaggio, sia per il professore, il quale aveva meno superficie e tentativi con cui avrebbe potuto aver successo di trovarlo, anche se questo di fosse continuamente spostato. Infatti, mentre il riccio si muoveva,  un passo troppo rumoroso per uno esperto come Richardson, gli permise di individuarlo, e con una presa  elettrica - quale il suo potere - scuoterlo e lanciarlo verso l’angolo opposto rispetto al quale si trovavano, stordito, e a pochi passi dalla parete dietro cui Sylvia osservava.
Da dietro quel vetro non riusciva a sentire cosa il professore gli stesse dicendo e lei non era mai stata molto brava nel leggere il labiale. Nel contesto però le sembrò non si trattassero di parole di incoraggiamento o anche se lo fossero non stavano funzionando nei dovuti modi perché Harry continuava a stare a terra il peso della schiena - l'unica parte del corpo di cui aveva una vista completa -  era appoggiato sulle braccia.
Se solo l’avesse potuta sentire avrebbe urlato, invece la castana poteva solamente ripetere tra sé tutti i mille modi in cui il riccio si sarebbe potuto salvare da un esame negativo.
Reagisci!
Risollevati!
Proteggiti!
Rotola via!
Eppure lui era ancora lì. Dovete mordersi il labbro inferiore per non urlare quando il professore attaccò. Non si accorse di aver chiuso gli occhi fino a quando riaprendoli, notò la scena  davanti a lei capovolgere ogni suo precedente timore.
Era rannicchiato su se stesso, circondato da una bolla semitrasparente che teneva l'uomo lontano da lui. Dopo qualche secondo la bolla si espanse di colpo travolgendo il professore e scaraventandolo contro una delle pareti - fortunatamente per lui - imbottite.
Quasi urlò di gioia appena si rese conto che non solo Harry aveva reagito, ma che il supervisore piegato sulle proprie ginocchia non sembrava voler continuare la simulazione. Questo poteva solamente essere un punto a favore per loro, o meglio per lui.
Poco dopo l’uomo si risollevò e disse qualcosa all’allievo, qualsiasi cosa fosse, il ragazzo sembrò riprendere a respirare e raggiunse l’uscita trattenendosi a stento dal correre.
Sylvia si fece trovare già rivolta verso la porta dalla quale sbucò poco dopo il castano «Suppongo che sia andata bene.» sorrise Sylvia  molto  più tranquilla. Anche se avesse visto con i propri occhi tutto quello che era successo dall’inizio alla fine, era il suo parere quello che voleva.
Il riccio però fece spallucce «Non so, ma son felice che sia finita, sono esausto.»
«Dai ti sarai fatto un’idea.» insistette la ragazza ciondolando verso di lui.
Dopo un po’ di esitazione, il castano sciolse le spalle, lasciando andar via la tensione di una giornata intera e sospirò increspando le labbra in un sorriso «Penso sia andato bene. Ha apprezzato la mia onda d’urto e ha detto che devo allenarmi di più su quello che sulla fuga.»

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


Michael superò la soglia nel momento in cui Jess buttava il torsolo di una  mela ormai finita e si puliva le mani con un fazzoletto che anche esso cadde subito dopo all’interno del cestino. Come se non lo avesse visto, andò verso uno sgabello appoggiato alla parete, lo stesso nel quale l’aveva vista prendere posto nei giorni precedenti passati insieme durante la loro punizione, e la vide recuperare un libro dalla copertina flessibile e mettere un segnalibro tra le pagine aperte.
«Hai pranzato qui?» le chiese il rosso annunciandosi.
La ragazza non sussultò quando le parlò, segno che sapeva bene fosse lì. Annuì solamente, portando lo sguardo sul materiale che avevano ancora da catalogare, prima di iniziare.
Michael non aggiunse altro, per quanto gli fosse sembrato strano che la ragazza fosse andata direttamente lì durante la pausa pranzo, una piccola parte di lui sapeva che  non c’erano particolari motivi per cui lei sarebbe stata costretta ad andare nella sala mensa.
Non ci furono grandi scambi di parole, anche in questo caso, non che avessero particolari cose da dirsi. Ognuno continuò a catalogare quelle serie di scatoloni che di tacito accordo si erano divisi.
Ormai non era molto il lavoro che mancava, o perlomeno non lo era rispetto a quando avevano iniziato, e anche loro in qualche modo avevano preso dimestichezza sia con l’ambiente che con i gesti comuni che quella punizione aveva insegnato loro.
Se con quelle ore di convivenza forzata, la preside avrebbe voluto che i due ragazzi collaborassero, di sicuro non sarebbe stata felice di vederne il risultato alquanto poveri.  A parte qualche aiuto mediocre nei giorni precedenti, quella sera i due si erano ritrovati a lavorare insieme solamente quando Michael si lasciò scivolare dalle mani una cartella che aprendosi, in pochi secondi riempì il centro della stanza di fogli. I due minuti di collaborazione equivalsero nel raccogliere e riordinare ogni singolo modulo, poi Jess tornò allo scatolone contenente moduli di persone della stessa età di sua nonna. Passò qualche volta a fianco al rosso, in un’occasione le loro spalle si scontrarono ma nessuno dimostrò di essersene realmente accorto.
Se in secondo luogo, la direttrice sperava che parlassero, che si scambiassero i pareri, i loro pensieri, si sbagliava di grosso. Quello dei pensieri era qualcosa che andava solamente in una direzione e a Jess la cosa non piaceva nemmeno tanto. Ne avrebbe fatto anche a meno.
I pareri poi.. come se non fosse a conoscenza di altrettanti pareri ignoranti e fastidiosi.
Per aumentare la distanza tra loro, la ragazza estrasse dalla sua borsa il suo mp4 e alzò il volume al massimo delle sue possibilità. Questo permise di sollevare un muro e di isolarla solamente in quei pochi attimi in cui Michael non pensò a niente, e soprattutto prima che si accorgesse di come lei lo stesse palesemente tenendo distante. I commenti su ciò furono difficili da non sentire per Jess, la quale strinse i pugni e finse indifferenza per circa mezz’ora.
La mezz’ora più lunga mai sofferta fino a quel giorno avrebbe detto, e allo scadere di questa, tutta la pazienza che aveva imparato a dimostrare e ad utilizzare, in particolare da quando si era trasferita, si infransero contro il suo palato quando «Ti prego smettila!» quasi urlò stizzita, ciò mentre lasciava cadere lo scatolone vuoto ai suoi piedi e guardava truce il ragazzo.
Il rosso la guardò storto pensando non avesse tutte le rotelle apposto «Cosa ho fatto ora?!» esclamò scioccato «Non parlo da quando abbiamo iniziato!» continuò.
La ragazza si morse la lingua valutando in pochi secondi, più volte, quanto le convenisse parlare. Notando il suo silenzio il ragazzo tornò lentamente a darle le spalle e fu allora che Jess si decise «Non mi interessa sapere i particolari della biancheria intima di Stacey Alcott. Mi faresti un favore se evitassi di regalarmi questa immagine di lei.» disse.
Solo loro due all’interno dell’archivio, rendeva alla ragazza parecchio difficile distrarsi dai pensieri dell’altro, che per quanto fastidiosi fossero, erano l’unica cosa su cui la sua testa riusciva a sintonizzarsi. Anche la musica in quel caso non aveva funzionato come voleva.
Il ragazzo questa volta rimase più di qualche secondo in silenzio. I suoi pensieri diventarono sconnessi, cercando di arrivare ad una spiegazione. Jess allo stesso modo lo guardò per un po’ speranzosa di vederlo arrivare ad una conclusione in temi brevi. Il suo sguardo glaciale era poggiato sul capo piegato dell’altro, intento a fissare il suolo pensieroso.
Stava perdendo la pazienza, quasi certa che il rosso non avesse le capacità intellettive per capire, quando finalmente parlò «Tu non capti solo le sensazioni vero?! Tu leggi nel pensiero.» decretò lasciandosi andare traumatizzato contro la sedia al suo fianco.
«A quanto pare.» rispose Jess «Ci hai messo un po’ Michael.» aggiunse con un leggero ghigno. Da una parte era felice che qualcuno avesse scoperto di cosa fosse in grado di fare, sentiva di aver avuto una piccola rivincita, dall’altra non voleva andar incontro alle cose negative che quel potere le avevano già portato in passato, e in quel modo poteva ripetersi.
«Ci.. mi hai letto nel pensiero per tutto questo tempo?» chiese ancora lui osservandola.
«Come mi hai definita?» fece finta di pensare la mora «Ah si! Strega di antica discendenza, in grado di lanciare malocchi o peggio, maledizioni.» citò esattamente le parole, che tempo prima aveva chiaramente percepito dallo stesso Michael.
«Io..» balbettò il rosso senza davvero continuare la frase. Non aveva scusanti.
«Ecco appunto..» sorrise amaramente Jess raccogliendo la sua roba e lasciandolo lì. Per quella sera aveva fatto fin troppo, e poi voleva lasciare il tempo al ragazzo di cuocere un po’ nel suo brodo. Sperava che così avrebbe pesato i suoi pensieri quanto le parole da quel momento.

Dopo un’altra serata buttata in biblioteca senza riuscire a trovare qualcosa che lo aiutasse, e quasi un’intera nottata tra pagine internet che non avevano fatto altro che confonderlo, per quanto i forum femminili e i consigli di psicologici apparentemente affermati lo avessero aiutato, dovette ripensare alla conversazione avuta con la nuova arrivata e dormirci su un paio d’ore per arrivare ad una qualsiasi conclusione.
Tutte le volte che avevano litigato in passato, Niall aveva sempre cercato di addolcire Jennifer con piccole coccole che la mora respingeva sempre. Dopo mille tentativi che andavano prontamente in fumo - all’inizio del loro rapporto era tutto più semplice - il biondo lasciava alla ragazza i propri spazi  i propri tempi. Aveva bisogno di sbollire e dopo questo,  lei si sarebbe riavvicinata con le sue scuse e quell’espressione da cucciolo smarrito mista all’espressione consapevole di essere irresistibile, che faceva cedere Niall.
Ma c’era qualcosa di diverso in lui quella volta. Giusto o sbagliato, era convinto di aver trovato la soluzione al suo problema , il modo di reagire più adatto a tutta quella situazione.
Dalla loro litigata più furiosa era passata una settimana e mezzo, Jennifer non si era ancora riavvicinata,  lui impegnato a capirci qualcosa, aveva già messo in pratica senza volerlo, quello che negli ultimi giorni aveva portato avanti con consapevolezza e convinzione. Così anche dalla sua parte il biondo iniziò a fingere che la mora non ci fosse e che in qualche modo avesse bisogno di spazio, con la differenza che lui non aveva da sbollire ma da capire.
In ogni caso non provò mai ad avvicinarsi a lei. Da un giorno all’altro la prima differenza si notò in mensa, dallo stare vicini, Niall riuscì un paio di volte a prendere posto un po’ più lontano rispetto alla mora, in maniera disinvolta e non costretta, così che nessuno si accorgesse della ripicca in corso. Non l’aspettava alla fine delle lezioni che avevano in comune, e non andava fuori dall’aula quando non lo erano, solo per vederla. Quella era una delle cose che a Jennifer mancava di più, ma con l’orgoglio ad un livello ancora molto alto, non l’avrebbe mai ammesso.
Per chi li vedeva da fuori, gli amici in particolare, trovavano la cosa parecchio strana, perché quella volta non si svolgeva solo in un senso, ma da entrambi. Se i ragazzi non gli avessero chiesto spiegazioni, durante uno dei loro incontri notturni per giocare alla console, sarebbero rimasti col dubbio crescente che i due si fossero lasciati, o che si fossero comunque presi una pausa, perché era proprio quello che pareva di capire da fuori.

Era stata una mossa astuta da parte di Niall, quella di ritirarsi al poligono per scaricare la tensione, pensare in tranquillità e tenersi in allenamento. Quando Jennifer si presentò in quel posto, non ebbe il lasciapassare per raggiungerlo, infatti il ragazzo l’aveva preceduta e aveva espressamente richiesto di non essere disturbato. Il fatto poi, che dietro il bancone di turno ci fosse una sua conoscenza favorì il biondo nella riuscita del suo piano.
Soddisfatta invece non era la ragazza che con un gran prurito lungo tutte le vene, in particolare alle mani, sentiva difficile non reagire a quel divieto «Cosa vuol dire che non posso entrare?»
«Ha chiesto di rimanere solo, di non esser interrotto  e niente glielo vieta.» rispose la ragazza bionda dietro al bancone, staccando per un attimo lo sguardo dal pc sotto il suo naso.
Ehy chi era quella sciacquetta per vietarle di andare dal suo ragazzo?
Assottigliò impercettibilmente lo sguardo e lo fece correre lungo tutto quel corpo a cui purtroppo non aveva nulla da dire - cosa che la mandò ancora più in bestia -  e poi lo spostò oltre al vetro. Da quella posizione non poteva vederlo ma sapeva bene fosse lì, a pochi metri.
«Posso avere un kit e il permesso per usare una cabina almeno?» chiese allora Jennifer.
La bionda sollevò solamente per un secondo il sopracciglio sinistro prima di scoppiare a ridere fragorosamente «Sì certo! Non sono mica nata ieri, con me non attacca.» la prese in giro tornando successivamente a rivolgere indifferente l’attenzione sullo schermo.
La mora, colpita ancora di più nel vivo, strinse con forza i pugni a contatto con i suoi fianchi e dovete far fronte a tutto l’autocontrollo per non sputare fuori tutte le cose indecenti che in quel momento le stavano passando per la testa nei suoi confronti. Quando mordendosi la lingua arrivò a sentire il sapore metallico del sangue, girò sui propri tacchi e lasciò il poligono indignata.
Quando Niall uscì tre quarti d'ora dopo, era molto più rilassato rispetto a quando era entrato e anche le idee avevano ognuna trovato il proprio ordine. Almeno una buona parte.
«Non so cosa sia successo con la moretta, ma quando le ho impedito di oltrepassare la soglia, mi ha guardato come se potesse incenerirmi.» lo informò la bionda impegnata a servire un ragazzo.
Il biondo sorrise appoggiando il paraorecchie sul ripiano  e sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla. Non lo sapeva ma se avesse davvero voluto, Jennifer l'avrebbe potuta incenerire sul serio e senza molti problemi, ma lo tenne per sé e disse invece «Grazie per il favore Laura.»
«Beh adesso posso chiederti gli appunti di meccanica senza sentirmi troppo in colpa.» gli sorrise.
Niall ricambiò scuotendo la testa divertito «Ci si vede a lezione!»
Con quel suo tranello, sapeva bene di esser riuscito a non permettere alla ragazza di avvicinarsi al poligono, ma sapeva anche che questo non sarebbe bastato a tenerlo lontana a lungo. Eppure non si sarebbe mai aspettato che una volta aperta la porta della sua stanza, l’avrebbe trovata semidistesa sul suo letto con il fumetto che stava leggendo la notte precedente a pochi centimetri dal suo naso. Varcata la soglia riuscì a vedere con la coda dell’occhio la mora spostare appena il piccolo volume da davanti al viso, ed osservarlo come se potesse trapassarlo con un’occhiata.
Niall d'altra parte cercò di non farsi cogliere stupito e di rimanere il più freddo e distaccato possibile. Questo accade soprattutto mentre si muoveva veloce nella stanza senza degnarla di alcuna attenzione. Afferrati poi un paio di boxer puliti si catapultò in bagno per una doccia.
Jennifer provò a raggiungerlo ma nel momento in cui la sua mano si poggiò sulla maniglia, la serratura scattò tagliandola fuori. Tornò ad aspettare sul letto allora. I nervi a fior di pelle che aumentavano e la testardaggine di non mollare una volta arrivata ad inseguirlo.
Nella stanza a fianco, Niall impiegò più tempo possibile nello spogliarsi e nel farsi la doccia, sperando che mettendoci molto tempo, la mora si sarebbe stufata e avrebbe gettato la spugna.
Si maledisse inoltre quando considerò che portando con sé i vestiti puliti, il tempo in bagno sarebbe potuto aumentare. Invece fu costretto a sfilare davanti alla ragazza ancora presente, prendere gli abiti dall’armadio e vestirsi davanti a lei. Subito dopo aver fatto questo si sedette a gambe incrociate a terra e attirò la sacca nella quale erano contenute le sue pistole. Le estrasse una alla volta, posizionandole ordinate in linea davanti alle proprie ginocchia. Successivamente smontò in ogni singola componente le armi e con un panno morbido iniziò a pulirle accuratamente sotto il fascio di luce che entrava dalla finestra.
In nient’altro metteva la stessa meticolosità con cui puliva e risistemava le sue “bambine”.
Non ci furono scambi di sguardi da parte del biondo, non voltò mai volontariamente la testa nella direzione di Jennifer. Era un po’ infantile se ci pensava con maturità, aveva sempre pensato che fosse giusto non fare agli altri quello che non si voleva fosse fatto a se stessi, ma in una situazione estrema come quella, non c’era modo migliore per far capire a alla mora cosa volesse trasmettere.
La ragazza invece passava nella sua bolla silenziosa ad esser colpita da quel comportamento, a voler andar via e non dimostrare al biondo quanto quei gesti, quell’indifferenza la facesse sentire molto più che trascurata, al voler ribattere, costringerlo a calcolarla. Il suo carattere forte era difficile da controllare, e se già c’era riuscita al poligono, dopo quasi un’ora di ripensamenti, non poteva più farlo. Poggiò il fumetto sul comodino, volontariamente con un tonfo rumoroso, dopodiché si lasciò scivolare sul fianco del letto fino a sedersi per terra a pochi passi da Niall.
Questo non mosse un solo muscolo in maniera da dimostrare anche solo un accenno di intenzione di volersi voltare verso lei. Colpita ancora dalla freddezza, allora ruppe il silenzio e si fece avanti «Per quanto dovrà andare ancora avanti questa situazione?» chiese.
Niall esitò - primo cenno di insicurezza - ma alla fine rispose «Cosa intendi?»
«Sono venuta a cercarti al poligono ma quella... ragazza mi ha impedito di entrare. Torni in stanza, dove ti sto aspettando e fingi che non ci sia, come se fossi un sopramobile.»
«Non ho niente da dirti.» fece spallucce il biondo rimontando la prima delle sei pistole.
«Davvero? Potresti iniziare dal motivo per cui mi stai ignorando.»
«Non ti sto affatto ignorando. Mi sono liberamente preso una pausa.»
«È un modo carino per dirmi che mi stai lasciando?»
«No!» questa volta anche il ragazzo sussultò a quel pensiero «Mi sto prendendo cura di me.» sentenzio davanti ad una Jennifer che aggrottava le sopracciglia e chiaramente aveva qualcosa al riguardo da dire «Che c’è?» le chiese allora il ragazzo «La tua testa sta fumando. Non ti fa bene tenerti tutto dentro per troppo tempo.»
«Mi sono sentita ignorata, trascurata più di qualsiasi altro giorno questa settimana.» mormorò.
«Da che pulpito Jennifer.» esclamò il biondo lasciando andare  di colpo sulle sue gambe la pistola  semi completa «Non posso dire di averci fatto il callo ma quasi l’abitudine ai tuoi sbalzi d’umore, si. Sai anche solo lontanamente cosa voglia dire sentirsi urlare contro una settimana sì e due no per cose che non riesco nemmeno a capire? Litighiamo per cose stupide, o che per lo meno a me sembrano stupide, visto che tu non mi dai mai una spiegazione vera. Mi tratti come uno straccio per giorni e quando il sangue ha finito di ribollirti nelle vene torni e pretendi che tutto torni come prima, e io te lo permetto anche perché tengo troppo a te per tenerti lontana. Però ora voglio una motivazione, non mi basta più lasciarti i tuoi spazi, lasciarti il tempo per calmarti, perché non voglio che tu mi stia lontana per troppo tempo. Magari la pensiamo in maniera diversa, beh a questo punto è meglio saperlo e se poi vorrai lasciarmi, lo capirò, ma non sopporto questa situazione precaria.» concluse quasi senza più fiato e con le gote rosse.
Jennifer lo fissò per un tempo che parve un’eternità. Niall era sicuro che non fosse paralizzata solamente per il fatto che stesse sbattendo gli occhi ogni tre secondi. Poi all’improvviso questa lo sorprese gettandosi sul suo petto e, incastrato il viso tra le sue mani, lo baciò con trasporto.
Tolse il respiro ad entrambi quel bacio, carico di sentimento più di qualsiasi altro si fossero mai scambiati, finendo distesi a terra in un cumulo buffo di braccia e gambe incrociate tra loro.
«Non ho mai avuto intenzione di lasciarti e non ce l’ho nemmeno ora.» iniziò la mora una volta distanziatisi, mentre le loro fronti erano ancora a contatto «Con questo discorso mi hai fatto capire che il Niall che ho conosciuto tanto tempo fa, quello che mi ha invitata ad uscire senza darmi scelta di rifiutare, c’è sempre e la versione di te che mi accontenta sempre non ha avuto la meglio. Io amo il tuo lato dolce, se la mia metà nascosta, quella che mi bilancia ma non mi piace quando ti arrendi o mi dici che ho sbagliato. Dimmelo, dimmelo sempre anche se probabilmente io ti andrò contro perché io voglio avere ragione ad ogni costo. Non lasciarmi sbollire, o per lo meno non per più di mezza giornata.» sorrise guardandolo con guardo incerto.
Ci volle quasi un minuto prima che il biondo si riprendesse dallo shock «Quindi ora è tutto ok? Hai fatto sempre così, solo per farmi capire che volevi una reazione diversa da parte mia?»
Jennifer piegò di lato la testa e «L’ho capito solo dopo ma si, ho continuato per questo.»
«Mi fai impazzire, ma ti amo.» sospirò Niall sorridendo di nuovo.




NA: Ok eccomi qui che per la prima volta lascio uno spazio autrice. Sarò molto veloce lo prometto.
Ho visto che qualcuno segue questa storia e nonostante le quasi inesistenti recensioni, sono comunque molto felice. Grazie.
Vi volevo informare che la storia è presente anche su Wattpad per chi volesse, inoltre lì (rispettivamente nel capitolo 1 - 3 - 5 - 8) potrete trovare dei contenuti speciali, ovvero dei trailer.
Inoltre ho notato che EFP mi cancella dopo la pubblicazione, sempre l'ultimo capitolo pubblicato. Devo rimetterlo sempre due volte per far si che rimanga. Il 7 e l'8 ad esempio li ho messi entrambi oggi, percil vi prego controllate anche voi di non saltare capitoli. Intanto io cercherò di risolvere il problema.
Spero di ricevere il riscontro di qualcuno. Grazie mille ancora.
-Jess

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9



Non era per niente d’accordo. Se fosse stato per lei in quel momento sarebbe stata nella propria stanza, o nella calma della biblioteca a ripassare per il test del giorno dopo e non nell’angolo più remoto dell’accademia, lontano da occhi indiscreti – principalmente quelli dei professori – a mettere in pratica un attacco che Jennifer aveva visto sul libro di manipolazione e che aveva assolutamente voluto provare con l’aiuto delle amiche. “Senza di voi non può funzionare” aveva detto loro la mora, e se con Sylvia erano bastate un paio di moine e la promessa di qualcosa di epico da poter raccontare, Alexis aveva richiesto un po’ più di impegno e farle notare – in maniera indiretta – che senza di lei si sarebbero potute far male. E la castana non avrebbe permesso a niente di scalfire il suo guscio tranne alla possibilità che qualcuno a cui voleva bene si sarebbe potuto fare male. Così riluttante aveva seguito le ragazze all’esterno.
«Le dinamiche sono queste. Io formo un fuoco di medie dimensioni e cerco di spingerlo il più avanti possibile, poi tu..» Jennifer si rivolse ad Alexis «devi incorporare una spirale d’aria così da farlo avanzare più velocemente e da aumentare la sua potenza. Sylvia tu rimani sull’attenti per spegnerlo e per intervenire nel caso qualcosa vada storto. Ok?»
«Beh devo dire che per essere la prima volta che facciamo una cosa del genere, così pericolosa, sei stata molto precisa. Non so perché ho avuto dubbi su questa cosa.» ironizzò Alexis.
«Non rompere! Non può andare così male, dobbiamo solo provare.»
La castana sbuffò e prese posizione, Sylvia fece un cenno del capo dando così il suo via libero, dopodiché toccò alla mora dalla quale partì ufficialmente tutto.
Jennifer inspirò ed espirò, a quel punto un serpente di fuoco fuoriuscì dalle sue mani . Se la partenza fu ottima, per sua sfortuna però il tragittò che compì non durò molto, infatti la fiamma si spense dopo pochi metri. Al secondo tentativo il serpente di fuoco fu abbastanza lungo da raggiungere Alexis, ma altrettanto non fu il getto d’aria che questa produsse.
«C’ho provato, non ci riesco.» borbottò la castana tirandosi indietro.
«Si certo.» esclamò Sylvia  «Sei la persona più brava nel corso di manipolazione. Concentrati. »
Alexis sollevò gli occhi al cielo e si concentrò. Ci vollero altri due tentativi perché si lasciasse andare completamente e riuscisse non solo a fare un spirale perfetta, ma a far si che si intrecciasse con il serpente incandescente dell’amica. Anche se questo ebbe vita breve, le ragazze non riuscirono a trattenere l’entusiasmo della parziale riuscita della figura.
Ogni tentativo successivo fu un continuo migliorare, ma il risultato non era quello che Jennifer puntava a raggiungere sin dall’inizio. Chiedeva ad Alexis di concentrarsi di più sulla traiettoria che volevano l’onda raggiungesse e lo stesso faceva lei. Volò così quasi un’ora.
«Si sta alzando il vento, non credete che per oggi basti?» chiese Sylvia  stringendosi il busto.
Alexis annuì pronta immediatamente ad andare, mentre Jennifer con i piedi ancora ben saldi a terra la interpellava «Alex non riesci a controllarlo per un po’? Solo il tempo di un’ultima volta.»
La castana scosse la testa «Lo spazio che ci serve è troppo vasto per riuscire a controllare due cose in contemporanea.» disse.
«C’eravamo quasi.» sbuffò la mora «Sono sicura che se dovessimo provare un’altra volta, sarebbe la volta buona.» il silenzio che seguì fu un chiaro segno di assenso da parte dell’amica, un’ultima volta per accontentarla e tornare nei dormitori «Sylvia sei pronta?»
Dopo aver ricevuto il consenso dal parte della terza del trio, Jennifer raccolse tutte le sue forze per riuscire in maniera ottimale nell’ultimo tentativo, e riuscì a generare un enorme serpente di fuoco che crebbe maggiormente quando Alexis lo circondò con una grossa corrente d’aria.
Le tre ragazze esultarono senza perdere la concentrazione, mentre vedevano quell’incantesimo correre veloce verso l’alto e poi scendere più lentamente. Roteò intorno a Jennifer, come se stesse danzando, raggiunse Sylvia, la quale con i palmi ben aperti rimaneva in allerta, dopodiché passò da Alexis, però, invece di fare un giro e passare oltre, continuò ad arrotolarsi più e più volte intorno al suo corpo a poco meno di un metro di distanza. Se inizialmente la cosa non sembrò strana, quando il serpente di fuoco e aria inizio a restringersi, la castana espresse il suo timore richiamando le ragazze, queste si guardarono pensando velocemente cosa fare.
Quell’indecisione da parte da Alexis per la paura e di Jennifer nel panico, creò in un secondo una bomba che nessuno, nemmeno Sylvia che era lì per fare sicurezza riuscì a prevedere. Riuscì ad intervenire sol0 successivamente, quando ormai il vortice era esploso tutto intorno alla castana ed era tardi. Gettò comunque un’onda d’acqua per spegnere l’aria ed evitare un’infinita combustione, ma quando questa venne assorbita dal terreno,  c’era solo Alexis  stordita al suolo.
Le due amiche si precipitarono al suo fianco constatando le condizioni e quando la castana, con voce acuta disse di sentirsi andare a fuoco, notarono la sua pelle iniziare a macchiarsi di rosso e bianco. A quel punto capirono che le cose erano davvero serie e che avevano fatto un gran casino.
Tra i lamenti e i sensi di colpa, la aiutarono ad alzarsi. Farlo cercando di non stringere la presa era difficile, farlo senza farla soffrire ulteriormente, lo era ancora di più.
«Dobbiamo andare di corsa in infermeria.» disse Sylvia incurante delle conseguenze.
«Non se ne parla.» gemette invece  l’interessata mentre provava ad allontanarsi dalle amiche «I professori non devono saperlo o saremo nei guai.» fece notare loro.
«Non me ne frega un cazzo dei professori.» rispose prontamente Jennifer «Dirò che è colpa mia. Tu non sapevi nulla, hai cercato di fermarmi. Alla fine è vero.»
«Portatemi in stanza, penseremo dopo a cosa fare.» insistette ancora la castana a denti stretti.
«Hai bisogno di curare quelle ferite. Stavi andando a fuoco Alex!» s’intromise Sylvia.
«Per una buona volta fate come dico io? Nessuno deve notarci. Voglio andare in stanza.»

Quando arrivarono in stanza - con non poche difficoltà - ad accoglierle ci fu una Jess completamente confusa e stupita di vedere Sylvia e Jennifer catapultarsi all’interno della stanza. Capì cosa fosse successo ancora prima di notare le condizioni in cui si trovava Alexis. Non fece dunque domande ma cercò di essere di più aiuto possibile per far stare meglio la sua compagna di stanza. In appena tre minuti Jennifer provò a riassorbire una parte del calore che stava facendo impazzire Alexis, ma quando mollava la presa, si ritornava al punto di partenza. Stessa cosa quando Sylvia tentò con l’acqua a rinfrescarla. I suoi tentativi portarono solamente all’aumentare dei tremolii dai quali Alexis aveva iniziato ad esser scossa mentre cercavano di raggiungere la stanza. Jess aveva infine provato con una lozione contro le bruciature che risultò solamente essere davvero troppo difficile da mettere. Richiedeva cure più invasive.
Non si mosse più dal suo letto da quel momento pensando e pensando a cosa avrebbero potuto fare, mentre Jennifer dava di matto facendo avanti e indietro per la stanza, sempre più in colpa ogni volta che sentiva la ragazza lamentarsi per il contatto con il lenzuolo. Non aiutò nemmeno Sylvia quando questa cambiò l’amica con indumenti più corti e comodi.
«Michael!» esclamò ad un tratto Jess colta da un lampo di genio «Lui potrebbe aiutarla!»
Jennifer si immobilizzò di colpo «Michael certo! Perché non ci ho pensato?!»
«Stammi ben a sentire Jenn.» Sylvia  poggiò le mani sulle sue spalle e fece in modo che la mora la guardasse negli occhi, ma soprattutto che la sentisse «Rimani vicino ad Alexis, senza dare di matto come tuo solito. Io cerco di fare in fretta e di tornare con Michael. Va bene?»
L’amica annuì prendendo posto subito dopo sul letto della castana. Prima di lasciare la stanza, Sylvia lanciò uno sguardo a Jess e si assicurò che anche lei rimanesse lì per sicurezza.

Corse, corse il più veloce che poté, rischiando talvolta di travolgere qualche studente proveniente dalla parte opposta, quando girava l’angolo facendo la curva in maniera sbadata. Qualcuno le gridò anche contro, ma con una meta ben precisa, non si fermò mai a scusarsi, anzi utilizzò lo stesso tono frettolosamente. Quando arrivò nell’ala maschile, davanti alla porta di Michael e Niall, prese a bussare freneticamente, spostandosi da un piede all’altro e guardandosi intorno agitata. Capito che la fortuna non era con loro e che i due non fossero in stanza, si precipitò qualche porta più avanti e bussò allo stesso modo a quella di Harry.
Il riccio aprì pochi secondi dopo con le sopracciglia aggrottate, che non si sciolsero nemmeno quando vide che fosse Sylvia, anzi capì subito che qualcosa non andasse «Cosa c’è che non va?»
«Michael e Niall sono qui da voi? È urgente ci serve Michael.» disse la castana sbirciando dentro.
Anche Ashton seduto dall’altra parte della stanza notò l’agitazione della ragazza nonostante non potesse sentire la sua voce a causa delle cuffie sulla testa. Un campanello dall’allarme però suonò e si avvicinò anche lui mentre Harry diceva «No sono andati a correre. Perché?»
«Sai dove potrei trovarli?» insistette lei.
«Cosa sta succedendo?» chiese allora Ashton confuso e preoccupato.
«È successo un casino con Alexis, Michael potrebbe essere l’unica nostra speranza prima di rivolgerci ai professori, e dobbiamo trovarlo in fretta perché sta davvero, davvero male.»
«So dove vanno di solito. Vado a chiamarli io ok?» disse il riccio uscendo nel corridoio.
L’altro ragazzo invece si trattene a malapena dall’orbitarsi direttamente nella stanza delle ragazze non appena sentì il nome di Alexis «Io vado da lei.» rispose lanciando l’ipod sul letto.
«Vengo con te aspetta.» disse Sylvia, e prima che potesse realizzarlo, Ashton l’afferrò per un avambraccio e insieme si smaterializzarono nel nulla.
Quando ricomparvero nella stanza Jess alzò gli occhi al cielo per il modo di entrare in scena fastidioso, che il ragazzo utilizzava per la seconda volta per entrare nella sua stanza, ma lasciò correre solo perché sapeva cosa pensava e la criticità di tutta la situazione.
«Cosa diamine è successo?» diede di matto all’improvviso dopo un solo secondo da quando, posato lo sguardo sul letto, notò Alexis immobile e apparentemente addormentata con un espressione sofferente sul viso.
Nessuno aprì bocca in un primo momento. Jennifer abbassò lo sguardo sentendosi particolarmente in colpa, cosa che il ragazzo notò e gli diede conferma di alcuni suoi dubbi. Sylvia invece teneva le braccia strette al petto, la bocca chiusa e la mente che continuava a pensare  dove potesse trovarsi Harry, e quanto tempo ci sarebbe voluto perché trovasse e arrivasse con l’unica persona, l’ultima loro speranza, prima che si autodenunciassero.
Nessuno, in nessuna occasione aveva mai visto Ashton arrabbiato, Infastidito, su di giri, ma mai arrabbiato, e in quell’occasione non lo era solo un po’, era proprio infuriato. La mascella contratta, le sopracciglia aggrottate il tono della voce alto e squillante che diventava tale solamente durante le partite di football quando faceva il tifo per la sua squadra o quando rideva. Non aveva mai alzato la voce contro nessuno e i lineamenti induriti stonavano con il suo viso.
Fu Jess a spiegare a grandi linee cosa fosse successo, notando che il castano non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere, e che le altre due non volessero proprio parlare. Disse semplicemente del loro incontro clandestino e che qualcosa era andato storto.
Essendo un ustione campo di Jennifer, il castano spostò l’attenzione principalmente su di lei «Cosa vi è saltato in mente? Oltre che essere contro le regole, è anche una cosa pericolosa.» si passò le mani tra i capelli e li tirò appena «Perché non l’avete portata subito in infermeria?»
Dalle labbra della mora uscì un rantolo. Stava per rispondere quando Alexis l’anticipò.
«No.» la voce era bassa e gli occhi erano ancora chiusi stretti, ma si sentì chiaramente.
Il castano resosi conto che un po’ di lucidità era rimasta nella ragazza, si sedette al bordo del letto cercando di muovere il materasso e le coperte il meno possibile. L’anno prima era stato in vacanza con i suoi alla Baia di Santa Monica, e aveva dovuto passare due giorni a letto a causa di una scottatura da sole, dovuta dal mancato uso della protezione, cosa che la madre gli aveva rinfacciato per settimane.  Contando che quella di Alexis non era semplicemente un insolazione, poteva immaginare solo lontanamente l’incubo che stesse passando.
«È stata lei a voler venire in stanza, per questo abbiamo chiamato Michael.» disse Sylvia.
Le parole fluttuarono nell’aria senza ricevere risposta. Ashton allungò una mano e ignorando la presenza di tutti gli altri all’interno della stanza, la intrecciò con quella della castana, naturalmente dopo essersi assicurato che quella zona non fosse estremamente sensibile.
Con il pollice le accarezzo il palmo e la osservò per un attimo rilassarsi sotto il suo tocco.
Non disse più nulla, per la fortuna di Jennifer e Sylvia, ma rimase rigido come il marmo, cosa che alle due ragazze bastò, più di mille parole.
Il tempo venne scandito secondo per secondo da una collana di Alexis appesa al pannello in sughero a fianco della sua scrivania, collana  che in tutto e per tutto aveva la forma e le utilità di un orologio da taschino. Questo rese l’attesa ancora più insopportabile per tutti.
Jess si alzò qualche secondo prima che alla porta qualcuno potesse bussare. Quando la aprì di colpo, Michael la guardava ad occhi spalancati e con il pugno alzato. La ragazza non permise nemmeno un ulteriore secondo di tempo perso e afferratolo per il polso, lo trascinò dentro.
«Ho fatto il più in fretta che ho potuto.» disse il rosso avanzando verso Ashton.
Dietro di lui un Alexis quasi fluorescente era distesa supina sul letto. Se da quando l’aveva conosciuta, non aveva fatto altro che tempestarla di battutine sul suo essere sempre particolarmente rossa in viso, quello che aveva davanti, superava di gran lunga un qualsiasi colorito accalorato. Tutto il suo corpo coperto appena da un paio di pantaloncini ed un top, sembrava essere radiativo e iniziava a tendere leggermente al lucido, segno che la bruciatura era andata molto a fondo e che il dolore che stava provando non doveva essere poco.
Harry con ancora il fiatone raggiunse Sylvia e le avvolse le spalle con un braccio. Niall rimase alle spalle di Michael sbirciando verso la ragazza distesa.
«Puoi fare qualcosa?» chiese Jennifer pregante appendendosi al suo braccio sinistro.
«Ci posso provare, non è una semplice scottatura.» non aveva mai provato una cosa simile.
Buona parte dei presenti nella stanza si fecero più vicini mentre il rosso sfregava le mani tra loro e le posizionava sopra il corpo della ragazza. Chiusero involontariamente gli occhi entrambi, un po’ per timore, l’altro per concentrarsi meglio. Dai palmi iniziò a uscire in maniera graduale una leggera luce bianca, luce che andò ad espandersi per qualche secondo in larghezza. Quando l’espansione rallentò fino a fermarsi, Michael strinse tra loro le pupille e i pugni allo stesso tempo, ed aumentò la forza. Anche senza vedere era riuscito a capire di non star inizialmente avendo successo. Il contrario invece, fu allo stesso modo annunciato non solo da come la pressione contro i suoi palmi si stesse alleggerendo notevolmente, ma anche per i versi stupiti degli amici. La pelle lentamente riprese il colorito roseo pallido tipico di Alexis, e la sua opacità.
Insieme a questo anche il dolore scomparve nonostante un po’di fastidio, e dalle sue labbra uscì un sospiro di sollievo seguito da un leggero sorriso riconoscente «Grazie Mickey.»
Accertatisi che avesse finito, il ragazzo fu sbalzato all’indietro. Sylvia e Jennifer si gettarono al fianco dell’amica e iniziarono a ripetere quanto fossero felici che lei stesse bene. Jenn in particolare continuava a scusarsi della sua idea stupida, o perlomeno di aver voluto continuare anche con il vento che andava aumentando. Ashton mimò un “grazie mille” verso l’amico, dopodiché rivolse l’attenzione anche lui verso Alexis, allungandosi verso di lei fino al limite.
A quel punto Michael arretrò ancora, ora per sua volontà, fino a sedersi ai piedi del letto di Jess.
Questa avrebbe tanto voluto fargli una battuta e  chiedergli chi gli avesse dato il permesso di accomodarsi sul suo materasso ma non le parve il caso quando vide il ragazzo passarsi una mano tra i capelli e poi appoggiare i gomiti sulle propria ginocchia.  Si grattò appena il mento, dove un filo di barba incorniciava i suoi lineamenti, e ancora lasciò andare la testa sul suo palmo.
Quella guarigione lo aveva sfinito più di quanto potesse pensare o volesse dare a vedere.
La mora scivolò fuori dal letto, afferrò un paio di scarpe da sotto la brandina e afferrò il portafoglio dal primo cassetto del comodino prima di andare alla porta e «Andiamo. Vieni con me.» fare cenno al rosso di seguirla.
«Dove stiamo andando?» chiese lui appena a metà corridoio.
«Lo vedrai presto.» rispose invece sbrigativa Jess mentre continuava a camminare un passo più avanti rispetto al ragazzo. Bastò uscire dal padiglione dei dormitori per rendere le parole vere.
Per quanto fosse grande, non gli fu difficile dopo poco capire che stessero andando nella caffetteria del campus. Un punto di ristoro, di incontro e di studio per tutti gli studenti.
Per quanto quel posto fosse sempre e continuamente frequentato da buona parte dell’accademia, a qualsiasi ora ci si andasse, era sempre possibile trovare un posto vuoto in cui sedersi in compagnia. Anche quel giorno i due furono fortunati trovando un tavolino decentrato.
«Prendi quel tavolo mentre io ordino.» disse la mora indicando un punto preciso, dopo aver scandagliato l’intera sala con una sguardo ben attento.
Michael fece come detto senza ribattere e aspettò giocherellando con i vari menù impilati al centro del tavolino. Quando Jess prese posto davanti a lui e gli porse una tazza fumante, il rosso l’afferrò e la portò sotto il naso scrutandone l’interno «Cioccolata? Non la bevo da quando sono piccolo.» considerò «E perché la mia ha la panna e la tua no?»
La ragazza sospirò prendendone un sorso «Per la precisione è una cioccolata con doppia panna. A me non piace, mentre tu hai bisogno di zuccheri. Volevo evitare svenissi sul mio letto.»
Mezza tazza di bevanda calda dopo, le parole che si erano scambiati da quando si erano seduti, non avevano superato la ventina. Per due persone che a malapena si parlavano e che avevano dimostrato senza nessun problema in pubblico, di non provare del tutto simpatia l’uno per l’altra, il trovarsi intorno allo stesso tavolino insieme, era già un grande traguardo.
Fu Michael a rompere il silenzio dopo una serie di pensieri che si dimenticò, o non gli importò di controllare, di mantenere a bada «Mi hai ancora una volta letto nel pensiero?»
«No.» portò gli occhi nei suoi Jess  «Questa volta non ce n’è stato bisogno.»


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10


Da quando aveva scoperto della sua possibilità di leggere nel pensiero, ma soprattutto, dopo aver scoperto che lei sapesse cosa lui avesse pensato di lei fino a quel momento, Michael aveva controllato in maniera molto più scrupolosa i suoi stessi pensieri, e non solo.
Spesso qualche considerazione nei suoi confronti c’era ancora, d’altronde è difficile poter controllare la facoltà di pensare, soprattutto da un giorno all’altro, ma con lei nei dintorni, Jess non aveva più avuto modo di captare messaggi completi o del tutto sensati.
Era bravo a modo suo a controllarli e deviarli a pensieri più stupidi che la confondevano, e quando lo faceva, spesso il suo sguardo era puntato su di lei, come a ricercare conferma  della sua riuscita. Ovviamente la mora cercava di non lasciar trasparire niente dal suo viso che lo aiutasse.
La cosa che però l’aveva stupita maggiormente, fu il fatto che lui aveva tenuto per sé quella sua scoperta invece di riferirla subito al resto del gruppo come si sarebbe aspettata. Non tanto per pura cattiveria, ma per quale motivo non avrebbe dovuto condividere tale notizia, con gli amici con cui sembrava essere tanto legato? Era uno scoop che mette l’acquolina!
Anche quando Harry gli chiese come stesse andando la punizione, quanto mancasse alla fine e come stesse procedendo la condivisione del tempo e degli spazi con lei, Michael era riuscito a cambiare discorso con la stessa velocità con cui l’avevano giudicata al suo arrivo.
Risposte vaghe e introduzione di un nuovo argomento erano la sua tattica funzionante.
Stessa cosa nel caso in cui erano i ragazzi a parlare di lei. Nonostante non glielo avesse detto, cercava di proteggerli dalla possibilità di essere sentiti e peggiorare la loro posizione.
Quel giorno in archivio, fu Jess ad arrivare dopo al rosso e successe circa venti minuti dall’orario che nelle ultime settimane aveva involontariamente rispettato e fu così strano che lei fosse in ritardo, che persino Michael glielo fece notare «Pensavo non venissi oggi e lasciassi finire me.»
«Per quanto avrei preferito non venire, la preside è stata chiara e ho intenzione di chiudere oggi questa punizione una volta per tutte, anche se questo vorrebbe dire passare tutta la sera qui.»
Ed effettivamente superarono l’orario massimo oltre il quale non avevano mai lavorato, solamente per finire definitivamente la loro punizione, senza dover mettere mai più piede all’interno di quella stanza, e dover lavorare al fianco l’uno dell’altra.
Finiti di sistemare i vari scaffali, si erano dedicati ad una pulizia veloce dell’intera stanza, nonostante sapessero che abbandonata com’era di solito, non ci avrebbe messo molto tempo prima che ritornasse una topaia di prim’ordine.
Jess passò la scopa, raccogliendo piccoli coriandoli di carta e cartelle distrutte che erano rimaste fuori da tutto quell’ordine, anche la polvere in qualche modo venne spazzata via in piccole montagnette grigio-nere, ma si trattava solo di una parte infinitesimale, visto che quel posto poteva vantare strati sedimentari di polvere molto più elevati che il Grand Canyon.
Michael intanto si occupò di raccogliere tutto ciò che non rientrava nella paletta perché troppo grande, e successivamente si occupò di aprire e appiattire tutte le scatole avanzate, mettendole in un’unica pila vicino all’uscita.
«Mi fissi da mezz’ora.» gli fece notare Jess, dopo qualche decina di minuti passati a far finta di non averci fatto caso«Cosa c’è?» chiese con tono scocciato senza voltarsi nella sua direzione.
«Niente.» tossì il rosso accelerando con i movimenti.
«Ok.» disse solamente poco convinta la ragazza, aspettando il momento in cui glielo avrebbe fatto notare nuovamente. Non dovette nemmeno aspettare parecchio che eccolo di nuovo distratto ad osservarla. A quel punto bastò solamente che lei aggrottasse la fronte per colpirlo.
«Mi dispiace ok?» scrollò le spalle Michael arrendendosi.
«Per cosa esattamente?» lo volle mettere a disagio lei.
«Mi dispiace per quello che ho pensato di te. Sono stato un po’ troppo mhh.. cattivo?»
La mora lo osservò attentamente. Forzò appena la mente del ragazzo trovando quanto cercava, senza dover andare particolarmente a fondo. Tornata in sé riprese a lavorare ma non poteva starsene zitta dopo la conferma ricevuta «Ti dispiace ma lo pensi ancora..» si morse il labbro.
Michael sollevò lo sguardo. Non aveva pensato che sarebbe stato impossibile nasconderle la verità, perciò si appoggiò alla parete e annuì «Rimani sempre in disparte, non provi ad avvicinarti o scappi quando ti capita un’opportunità.»
«Io non scappo.» precisò duramente Jess «Preferisco rimanere sola piuttosto che con qualcuno che giudica alla prima impressione come te e gran parte dei tuoi amici.»
«Allontani anche chi prova ad avvicinarsi spontaneamente, l’abbiamo visto tutti.»
«Come Tomlinson? Si è avvicinato solo perché voleva avere informazioni su di me da spiattellare a tutta l’accademia. Se da voi funziona così, ho un motivo in più per stare per conto mio!»
«Ti sembra tanto male come inizio? Qui tutti sanno dei poteri degli altri e tendiamo a stare in gruppo non come te. Il fatto che tu sia così enigmatica ha immediatamente fatto pensare che tu avessi qualcosa da nascondere, cosa che comunque continuo a credere.»
«Beh avete un modo non proprio carino per farvi avanti con le nuove arrivate.» considerò «Volevo evitare che tutti sapessero della mia capacità di leggere nel pensiero, soprattutto nelle prime settimane quando nessuno mi conosceva e poteva farsi idee sbagliate di me. Eppure a quanto pare è successo comunque.»
Michael non controbatté non avendo più niente da dire, questo fino a quando dopo dieci minuti in cui il discorso era caduto, un lampo gli passò per la testa «È successo qualcosa non è vero?! Cosa è successo nella vecchia scuola che ti ha fatto perdere così tanta fiducia?»
Jess scattò sul posto con lo sguardo appena spalancato ancora prima che potesse finire la frase e «Niente.» rispose «Non sei bravo a leggere nel pensiero, dovresti ritentare.» mormorò infilandosi sotto braccio metà dei cartoni da buttare e prendendo uno dei bustoni neri stracolmi.
Non si voltò nemmeno una volta dopo aver oltrepassato la soglia e Michael rimase lì solo per circa un minuto confuso più di quanto non lo fosse prima ancora che discutessero.
Poco dopo prese i restanti cartoni e il secondo bustone e andò a buttarli. Della mora non trovò nessuna traccia, se non quanto aveva buttato prima del suo arrivo.

Era passata la cena senza nessun ulteriore intoppo rispetto al solito. Sia Jess che Alexis erano rientrate nella propria stanza e tra il ripasso di una materia e la conclusione di un relaziona da consegnare il giorno dopo, entrambe avevano preso posto sotto le coperte.
Jess aveva passato gran parte del tempo a pensare a come e se avesse dovuto dire all’altra della sua capacità di leggere nel pensiero. In qualche modo sentiva la necessità di farlo, lo era venuto a sapere Michael, perché non doveva lei, che si era sempre comportata bene nei sui confronti?
Poi preferiva decisamente che lo venisse a sapere da lei, piuttosto che da chiunque altro.  Per non parlare di come di persona in persona i fatti tendessero sempre a peggiorare.
Eppure qualcosa la frenava. Dopo minuti e minuti passati a rigirare il ciondolo al collo con nervosismo, nel semibuio della stanza, si era arresa all’evidenza che la confessione sarebbe stata rimandata all’indomani in quanto Alexis sembrava profondamente addormentata, questo nonostante fosse di spalle rispetto a lei. Quando però la ragazza si tirò su a sedere, sistemò meglio i cuscini, e ricoricatasi questa volta nella sua direzione le sorrise persino, Jess prese la palla al balzo e si schiarì la voce attirando ulteriormente la sua attenzione.
«Io credo di doverti dire una cosa prima che lo venga a scoprire da sola o da qualcun altro..» iniziò mentre intanto la compagna di stanza aggrottava solamente le sopracciglia e attendeva continuasse «Io ecco.. non controllo solamente la mente delle persone se voglio, come credo si sia già visto all’allenamento, io posso anche leggere nel pensiero.»
«Ok..» rispose Alexis con un po’ di insicurezza nella voce.
«E niente.. è davvero ok? Non ci sono problemi con questo?»
«Certo, insomma tu ci sei nata con questo potere, come io riesco a controllare l’aria e come Ashton sa attirare gli oggetti a sé o teletrasportarsi a piacimento.» la mora trattenne un sorriso per il modo in cui la ragazza avesse coinvolto il castano senza nemmeno rendersene conto «Non c’è assolutamente nulla che non vada.» ribadì.
«Bene.. sono felice per come hai reagito.» sorrise Jess rilassandosi tra i cuscini.
Passarono i minuti e ancora una volta arrivò a pensare che Alexis si fosse addormentata quando proprio questa si sollevò di scatto a sedere sul letto e la osservò indagatrice «Mi hai mai letto nel pensiero? Hai mai usato il tuo potere con me?»
Tesa dalla situazione, anche la mora si sollevò a sedere e prima di prendere parola sospirò fuori tutti i suoi timori «All’inizio spesso. Mi serviva per sapere cosa pensassi di me, se mi potessi fidare. Ma quando ho visto che tu eri una persona buona, che non fingevi di essere gentile con me, allora ho smesso. Capita raramente che i tuoi pensieri si mischino ai miei ma in quel caso li metto a tacere.» le spiegò «Non sei come i tuoi amici.»
Alexis realizzò che dovesse sapere tutto riguardo quello che loro pensassero di lei, e ricollegò anche certi comportamenti astiosi della ragazza nei confronti del gruppo che avrebbe potuto capire solo nel momento in cui questa sapesse appunto, cosa gli altri dicessero di lei.
«Vorrei scusarmi per loro. Non sono proprio un modello di gentilezza con chi non conoscono.»
«Non devi scusarti, non c’entri.» fece spallucce «E poi neanche quell’Ashton è tanto male. Ẻ stato gentile con me qualche volta.»proseguì.
«Si Ash è fantastico.» sorrise Alexis, gli occhi che le brillavano.
«Oh si, posso solo immaginarlo.» disse Jess facendola arrossire improvvisamente.
Ma non finì lì la loro conversazione perché la castana fu colta da un lampo di genio che non riuscì a tenere per sé, ovvero «Tu avrai sicuramente letto nel pensiero ad Ashton..»
«Oh no!» esclamò l’altra «No no no, so dove vuoi arrivare.» rise tonando a sdraiarsi tra le coperte, però questa volta di spalle, cercando di tagliarla fuori.
«Dai voglio solo sapere cosa pensa di me, se ho davvero qualche speranza..»
«Scordatelo non avrai nessuna informazione da me. Non farò Cupido, mai nella vita.»
Alexis sbuffò ma in realtà sorrideva mentre si coricava definitivamente.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11


Il fine settimana che tutta l'Accademia aspettava dall'inizio dell'anno, era finalmente arrivato insieme a delle giornate fortunatamente piuttosto belle per essere inverno.
Louis,  l’organizzatore, era persino riuscito a tornare a casa un giorno prima, insieme al suo compagno di stanza Luke per preparare la casa, saltando così un giorno intero di lezione.
Per l'evento i tre quarti dell'Accademia aveva lasciato l'istituto quella sera. Le porte della villa dei Tomlinson erano aperte dalle nove ma gli studenti, soprattutto quelli degli anni più avanzati, arrivarono circa un'ora dopo come ad esempio Sylvia e Harry, i quali appena oltrepassato l’ingresso, avevano subito perso di vista il resto del gruppo.
Per loro quella festa si era dimostrata, prima che a chiunque altro, noiosa.
Dopo un giro di saluti a tutti i loro conoscenti, tra cui Luke il quale aveva presentato loro Ella, la ragazza dai capelli rossicci che stava frequentando, e aver recuperato qualcosa da bere con cui fingere di passare la serata, il divano completamente vuoto, era stata l’attrattiva vincente su tutto. Tanto che una volta raggiunto non si preoccuparono di occuparne qualche posto di troppo.
«Che fai a Natale?» chiese il riccio accarezzando con movimenti circolari la cute della ragazza.
Gli occhi di questa sfarfallarono subito per il piacere, e sperando che non smettesse, scivolò nella sua direzione lasciandosi cadere sulla sua spalla «Quest’anno devo assolutamente passarlo a casa con i miei. Verranno anche i miei nonni e dato non li vediamo da tanto.. però tu puoi venire.»
Il riccio scosse la testa «Te l’ho chiesto perché speravo potessi venire tu. Arrivano in città i miei zii da Orlando, e stanno da noi per due settimane. Non posso proprio.»
Sylvia sbuffò.  Se da una parte non vedeva l’ora che arrivassero le vacanze perché davvero aveva bisogno di una pausa da tutto quello studio e gli allenamenti, dall’altra non voleva che passassero settimane prima di rivedere Harry. Con gli amici un messaggio ogni tanto, una videochiamata con Jennifer e Alexis, sarebbero bastati, ma per quanto non lo desse a vedere, tutti quei giorni di lontananza dal riccio gli avrebbe sentiti molto di più.
«Hey potremmo organizzare il Capodanno nella baita in montagna di Robin. C’è spazio per tutti e visto che cerchiamo di farlo da una vita, gli altri saranno sicuramente tutti d’accordo.»
«Anne e Robin? Cosa faranno l’ultimo dell’anno?»
«Rimangono a casa. Mia madre e mia zia prepareranno la cena e poi giocheranno a carte fino alla mezzanotte. Manderanno un messaggio a me e a Gemma per farci gli auguri e assicurarsi che non abbiamo bevuto troppo, e poi andranno a dormire. Il tutto non più tardi dell’una.»
«Hey mi piace!» sorrise la castana sfregando appena la punta del naso sul collo del ragazzo «Mi piace da morire la tua idea, e non vedo l’ora di dirlo agli altri.»
Niall e Jennifer invece, avevano fatto tappa al bancone delle bibite e del cibo. La mora aveva minacciato calorosamente il padrone di casa di non far mancare i suoi biscotti preferiti, cosa che per fortuna o sua coscienza non successe. I due rischiarono però di passare gran parte del tempo dietro quei tavoli in quanto tra un saluto ad un compagno di corso, ed una pacca ad un altro, il biondo aveva assunto la posizione di barman, servendo drink a chiunque incontrasse il suo sguardo. Non ci poteva fare nulla se in quelle situazioni il suo animo festaiolo, lo rendeva più socievole e gentile rispetto la sua media già alta. Durante il tempo che passò fino a quando il biondo si accorse di star rendendo quella serata un po' monotona, e di stare ignorando la ragazza, Jennifer guardò una gara di bevuta dal barile. Vedere una persona, dotata di qualsiasi superpotere o meno, bere a testa in giù e raggiungere in corpo più alcol che sangue, la infastidiva a tal punto da potersi immaginare avvicinarsi a loro con una mano infuocata. Sarebbe bastato anche solo una piccola fiammella per incenerire quella massa di idioti e il loro gioco.
Per farsi perdonare,  il biondo si avvicinò al dj e fece una richiesta particolare. Anche se questa non venne rispettata completamente, in quanto la canzone era una brutta versione remixata di quella richiesta, quando la mora la senti, non si curò di quel particolare, apprezzò comunque il gesto di Niall, e cantarono insieme la canzone che ricordava loro il loro primo appuntamento. Raggiunsero Harry e Sylvia mentre entrambi ripercorrevano il ricordo della canzone originale trasmessa sullo schermo piatto all'angolo del locale dove erano stati.
«Festa da sballo vero?» chiese Jennifer ironicamente, stringendo tra le ginocchia un cuscino.
Silvia sollevò appena la testa dalla spalla del riccio sulla quale era ancora appoggiata e alzò solo le sopracciglia in un segno di assenso. Era andata molto vicina all’addormentarsi.
Da quella posizione entrambi le coppie potevano vedere Alexis e Ashton intenti a ballare seminascosti tra i corpi degli altri studenti. Appena erano arrivati, loro due erano rimasti da soli, cosa che non gli era particolarmente dispiaciuta. Erano rimasti uno al fianco dell’altra e avevano girato un po' il pian terreno dell'abitazione, scelto qualcosa tra le bibite - un qualcosa dal sapore forte per Ashton e qualcosa di estremamente dolce per Alexis - infine avevano preso posto per un po' in giardino su uno dei lettini che davano sulla piscina.
«Ricordi la festa alla secondo anno, quando il gruppo di Wood cercò di sabotare tutto il duro lavoro di Louis, ma la cosa gli si è ritorta conto perché avevano bevuto troppo? Si è rovinato con le sue stesse mani ed è stato uno spettacolo a dir poco imbarazzante.»
«È stata la stessa festa durante la quale David Foster ha chiesto alla ragazza di sposarlo vero?»
Il castano spalancò appena gli occhi osservandola stupito «Avevo completamente dimenticato quella scena! Nessuno ha smesso di parlare di questo per dei mesi.»
«É stato molto carino lui nel coinvolgere i ragazzi del terzo anno per gli effetti speciali. Chissà quanto hanno dovuto provare prima.» disse con sguardo sognante Alexis.
Quando entrambi erano al secondo anno, durante la festa primaverile organizzata nella villa di Louis, David Foster, un ragazzo del penultimo anno con una bella fama all’intero del’Accademia, aveva chiesto alla ragazza Jolie di sposarla nonostante frequentassero ancora i corsi e non sapessero cosa sarebbe successo della loro vita da lì ai successivi due anni. Stavano però insieme da sempre e tutti li ammiravano come coppia, tanto da sperare per loro che durasse.
Per l’occasione David aveva organizzato una vera e propria coreografia progettata con l’aiuto di altri studenti e le loro capacità sia con i poteri più estrosi che con le armi.
«È un peccato che li abbiano chiamati in squadre di intervento diverse.» considerò Ashton.
Purtroppo per loro, prima della fine dell’anno scolastico, erano stati reclutati entrambi in una squadra d’intervento, in due parti diverse del globo, cosa che li tenne lontani per qualche anno.
«È vero! Però io so che sono riusciti a stare insieme comunque. Non sono loro che hanno tenuto la conferenza sui reclutamenti per l'ultimo anno?» continuò la castana.
«C'è stata una conferenza sui reclutamenti?»
«Ma sì! Sai con il fatto che l'ultimo anno stia iniziando a sovraffollarsi per la mancanza di smistamento delle squadre d’intervento, stanno cercando negli ultimi anni di aprire addestramenti intensivi per i neodiplomati o quelli in dirittura d'arrivo.»
«Tipo Louis?» chiese Ashton buttando giù il fondo del suo drink.
«Tipo Louis.» annuì Alexis ridendo.
Quando cominciò a rinfrescare rientrarono dentro. Il riccio prese per mano la castana e completamente alla sprovvista la trascinò in pista iniziando a muoversi in maniera stupida. Inizialmente la ragazza scosse la testa. Non aveva alcuna intenzione di ballare o anche solo di accennare il ben che simile movimento, ma il riccio faceva lo scemo, cercava di farla muovere scuotendola appena per le braccia, e alla fine cedette, muovendosi a tempo di musica.
Si fermarono solo quando le risate in combinazione alla musica martellante li sfinirono a tal punto da necessitare una pausa. Individuarono gli amici e andarono da loro.
Alexis si buttò sul divano con un sospiro ed un sorriso enorme ad incorniciarle il viso. Il ragazzo fece lo stesso al suo fianco finendo quasi addosso a lei, mentre dopo che si sistemarono, lei risultò essere in parte in grembo a lui. Se glielo avessero chiesto, quella festa per lei non era poi così male. Era la prima volta, grazie al ragazzo, che ballava ad una festa e non aveva passato parte della serata in un angolo da sola, per lasciare il proprio spazio alle altre coppie. Per non parlare di Michael che in quelle occasioni invece non era proprio di compagnia. Solitamente spariva per tutta la serata e lo si vedeva molto tardi oppure addirittura l’indomani mattina.
Quella sera invece successe l’incredibile. Il rosso  ricomparve con un bicchiere blu tra le mani che erano appena le undici, occupando l'ultimo posto - un po' stretto - rimasto sul divano.
«Non hai trovato nessuna preda oggi?» gli chiese Harry nascondendo un ghigno divertito.
Michael arricciò solamente il naso, bevete un sorso della birra contenuta nel bicchiere di carta, ed accentuò la sua espressione in una schifata. L’unica cosa che poteva consolarlo, non lo fece.
Dubitava che Louis avrebbe mai potuto prendere qualcosa di scadente, eppure il sapore di quella birra lo era eccome. Tutto, festa compresa era stranamente deludente quel giorno.
Inoltre uno dei motivi per cui non era riuscito a trovare nessuno con cui passare la serata, era anche dovuto dalle paranoie che inconsciamente lo stavano torturando da quando aveva scoperto che Jess potesse entrare nella sua testa come era successo per Stacey Alcott. Non avrebbe dovuto averci più niente a che fare, e non aveva intenzione di cambiare la cosa, ma il solo pensiero che lei avrebbe potuto vedere i suoi ricordi comunque, lo metteva a disagio. Era così e basta.
Solo quando il gruppo svuotò la ciottolina dei salatini portata Niall, e finì i biscotti presi da Jennifer - nonostante fosse l'ultimo pacco disponibile in tutta la casa -, si trovarono tutti  d'accordo  sull’andar via. In realtà non proprio tutti perché Alexis sarebbe rimasta, però Ashton, in un momento di distrazione degli altri si era avvicinato al suo orecchio proponendole una passeggiata nel viale principale del campus invece di tornare nei dormitori, e ok aveva accettato.
 «Voi iniziate ad andare. Ho bisogno di andare in bagno prima.» disse però Ashton.
Alexis rimase indietro con lui e «Vado con lui, ci vediamo alla macchina.»
Le cose tra loro erano strane. Nessuno dei due si era apertamente dichiarato all'altro, eppure era chiaro come fosse aumentato visibilmente, in poche settimane, il tempo che passavano insieme. Entrambi si spostarono al piano superiore, incontrando sulle scale Jess la quale sorrise loro e fermò Alexis per avvisarla che lei sarebbe tornata in camera.
«Noi andiamo a fare un giro nei pressi dell'Accademia. Ci vediamo più tardi.» disse consapevole che al ritorno l'avrebbe trovata ancora sveglia.
«Ok. State attenti.» annuì la mora.
L’altra ragazza sorrise «Anche tu.»
Dopodiché i due si separano e la mora prosegui verso l'uscita.
Era andata a quella festa un po' perché Louis aveva passato tutta l’ultima settimana a tentare di convincerla in maniera petulante, ad andarci. Perché “la nuova arrivata non può perdersi una delle più belle feste che l'Accademia intera aspetta con ansia. Non puoi prenderti una festa del grande Tomlinson”. Sapeva che se non ci fosse andata, lui non gliel'avrebbe mai fatta passare facilmente liscia e poi il fatto che quella festa cadesse proprio nel fine settimana nel quale la sua punizione terminava , era un buon motivo per lasciare l'istituto dopo tanto e svagarsi.
Dove avrebbe trovato una scusa migliore per poter uscire senza compagnia, se non ad un party? Eppure la grande festa del grande Tomlinson non si stava rivelando all'altezza. Non solo era noiosa, ma non sembrava niente di diverso rispetto alle altre feste a cui aveva già partecipato. Per non parlare del disagio che sentiva, cosa per niente legata a sguardi di altri studenti che sbronzi non facevano proprio caso a lei.
Fuori l’aria era più fresca e umida rispetto al suo arrivo, ma con venti minuti di camminata a separarla dall’istituto, non avrebbe sentito freddo con la sua felpa chiusa e la cuffia di lana rossa.
Come Alexis le aveva anticipato, tutto il gruppo stava lasciando la festa ed erano davanti all’ingresso, in attesa di fianco alla jeep di Harry. Il proprietario era vicino allo sportello del passeggero e Michael era appoggiato al sedile con l’espressione di uno che voleva andarsene.
Non si guardarono, nemmeno lontanamente, mentre la ragazza passava loro di fianco. Dopo la discussione avuta nell’archivio, si era concluso ufficialmente il loro scambio di parole.
Sapeva come la pensava di lei, il tempo passato insieme durante la punizione non gli aveva fatto cambiare idea, perciò non aveva motivo per continuare anche solo a dargli retta.
Stava per attraversare la strada quando una voce squillante, e alquanto fastidiosa, la costrinse a bloccarsi e a tornare indietro di qualche passo.
«Hey state già andando tutti?» chiese Louis a metà strada tra l’ingresso e la strada.
Niall fece spallucce «Sembra che oggi non siamo molto in vena di festeggiamenti. Niente da togliere alle tue feste, sono sempre fantastiche ma…»
«No capisco..» l’interruppe «Questa festa è un fallimento. Tira un’aria strana, se ne sono accorti in molti purtroppo. Non so spiegarlo, non so cosa possa essere.»
«Pensavo di sentirla solo io..» dissero all’unisono Michael e Jess per poi fulminarsi a vicenda.
Mentre gli altri ripresero a parlare, l’uscita di scena definitiva della nuova arrivata venne interrotta ancora una volta dall’ampliarsi di quella strana sensazione accennata poco prima. Tornò allora dov’era, si mosse lentamente verso la casa, aguzzando i suoi poteri. Scandagliando la zona con un raggio il più lungo possibile. C’era chiaramente qualcosa che non andava, le immagini erano confuse, le parole ancora di più da interpretare. Definitivamente strano.
«Jess..» disse Michael notando il suo comportamento strano dall’intero dell’abitacolo.
Il fatto che a chiamarla fosse stato lui, avrebbe dovuto sbloccare la ragazza, ma non successe. Non solo il rosso però notò la stranezza della situazione, tutto il gruppo lo fece, ma solo Sylvia trovò il coraggio di porre una domanda «Cosa sta facendo?»
Per chi non lo sapeva, sembrava che la mora stesse annusando l’aria come un mastino, il naso leggermente verso l’alto e lo sguardo puntato lontano.
«Jess..» insistette il ragazzo questa volta scendendo dall’auto e avanzando di qualche passo nella sua direzione con Harry di fianco, pronto ad intervenire se fosse stato necessario.
Altri due passi del rosso dopo, Jess sussultò e guardò verso il gruppo gridando «Tutti giù!» un secondo dopo sia Michael che Harry vennero trascinati a terra dalla mora che si era gettata loro sopra, una frazione di secondo prima che una serie di proiettili sfrecciasse sopra la loro testa e successivamente, toccato il suolo, esplodessero come tanti piccoli fuochi d’artificio incandescenti.
«Cosa diavolo erano?» strillò Harry strisciando via in tutta fretta.
Nessuno rispose. Nessuno sapeva cosa fosse. Jess si sollevò subito da terra, prendendo le distanze mentre si puliva ritmicamente i pantaloni. Subito dopo anche il rosso la seguì senza riuscire a staccare lo sguardo da ciò che lo aveva quasi colpito.
«Stanno attaccando tutta la villa!» rispose in un grido una voce sopra le loro teste.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12


«Stanno attaccando tutta la villa!» rispose in un grido una voce sopra le loro teste.
L’intero gruppo sollevò lo sguardo giusto in tempo per vedere Ashton comparire al fianco di Alexis, sporta in avanti sul terrazzino al piano superiore, e dopo averle preso la mano smaterializzarsi insieme a lei. Un secondo dopo erano nel giardino con loro.
«Ci sono degli esseri strani non.. non so cosa siano ma stanno attaccando tutti e tutto!» ripeté Alexis sotto shock al resto del gruppo.
Stessa espressione si dipinse sul volto del proprietario di casa che corse all’interno dell’abitazione mormorando tra sé e sé «Se anche solo uno dei bicchieri del servizio di cristallo dei miei genitori si rompe, io sono un uomo morto.» il tutto estraendo dalla tasca dei pantaloni un boomerang affilato, grande quanto il suo palmo, che non ci mise molto a crescere tre volte il volume iniziale.
«Sono nel giardino sul retro e stanno per attaccare nel salone e…» riprese parola Jess stringendo forte gli occhi «..ci sono persone bloccate al piano superiore!» esclamò spalancandoli di colpo.
«Aspetta! Dove vai?» esclamò Michael scattando in avanti nel esatto momento in cui la mora estrasse dalla tasca interna della felpa, quella che dopo essersi allungata, capì essere una katana.
«Non so voi ma io non ho intenzione di rimanere con le mani in mano mentre una villa viene assalita da esseri non identificati. Vado a salvare la cristalleria.»
«Ha ragione. Entro anche io.» la sostenne Harry, certo di avere l’appoggio di una delle sue reti di sicurezza, nel retro della jeep.
«Non vai da solo. Vengo con te.» disse Sylvia stringendo il suo braccio.
«Si va bene, sappiamo come andrà a finire. Evitiamo la parte in cui uno alla volta ci alleiamo e passiamo all’azione.» s’intromise Jennifer con la schiettezza che le era caratteristica.
Niall fu il primo a scattare. Sollevato appena il pantalone da sopra la caviglia sinistra, estrasse incastrata nella scarpa una rivoltella dalle piccole dimensioni, grande giusto il palmo della sua mano. Non si portava sempre con sé un arma, ma quando lasciava l'accademia, mantenere le difese alte era un po’ il moto di tutti.  E anche se quella pistola in miniatura conteneva poche munizioni, era sempre meglio di niente. In quell'occasione più che mai.
Puntò al piano superiore passando per l'esterno, aiutandosi con la struttura su cui una pianta rampicante stava crescendo. Jennifer dietro di lui gli controllò le spalle fino a quando non toccò a lei e i ruoli si invertirono. Proprio con questo fine, il biondo scaraventò al piano inferiore uno degli esseri avvicinatosi minaccioso all’improvviso. Non ebbe il tempo di capire cosa fosse, che questo già precipitava giù in giardino.
«Cosa diavolo sono?» chiese la mora appena scavalcata la ringhiera.
Entrambi guardarono verso il basso è quello che insieme al resto del gruppo videro, fu un corpo dalla forma prettamente umana, ma dal colore e la conformazione diversa. La pelle era grigio scuro e ricordava una corazza di metallo, composta da grandi squame che al tatto, Niall percepì non essere troppo dure, ma in tutto e per tutto alla pelle rettiliana.
 
Osservandola poi ancora meglio era possibile notare come le misure fossero sproporzionate e le spalle molto più larghe rispetto agli arti, i quali parevano essere deboli, ma ugualmente corazzati.
L’urlo di una ragazza proveniente dall’interno risveglio i due, che entrarono di fretta in quella che doveva essere una stanza femminile dalle decorazioni sulle pareti, ma non si curarono dell’ammobilia, raggiunsero subito il corridoio su cui affacciava quella camera e spalancarono, dividendosi, tutte le porte vicine. In una di essa due matricole erano stretti in un angolo, totalmente nel panico mentre uno degli esseri sconosciuti avanzava con gli arti carichi di scariche elettriche, un’altra delle potenzialità che naturalmente non sapevano potessero avere.
Un colpo di pistola dritto dietro la nuca fu sufficiente per farlo capitolare a terra privo di sensi.
Lo scoppio fece urlare nuovamente la ragazza che venne coperta da un abbraccio del compagno.
Ma come quel rumore spaventò la studentessa del primo anno, questo attirò anche molti altri umanoidi che presto intasarono la via d’uscita da quel corridoio.
Jennifer divenne improvvisamente rossa e le sue mani si accesero in un secondo.
«No!» la fermò allarmato Niall «Così darai fuoco a tutta la casa.» le fece notare.
Jennifer strinse forte il pungo privando così la fiamma dell’ossigeno e spegnendola. Per quanto quelle sarebbe potuto essere il modo più veloce per togliere di mezzo il problema e concludere in fretta la faccenda, il biondo aveva ragione, non poteva dare fuoco alla casa di Louis.
Dovettero far affidamento solamente alle loro capacità fisiche, utilizzando tutta l’astuzia e la forza che nemmeno durante gli allenamenti, o qualsiasi prova accademica avevano anche solo parzialmente, impiegato. 
Avevano fatto quasi piazza pulita quando «Vado a cercare Sylvia. Magari insieme riusciamo a farcela.» disse la mora calciando in pieno petto un altro di quei mostri e facendolo rotolare giù dalle scale senza nemmeno degnarlo di uno sguardo «Ti mando su qualcuno al mio posto.» aggiunse lasciandogli frettolosamente un bacio  sulle labbra.
«C’è Calum qui.» indicò il moro intento a guidare fuori un gruppo di persone «Ce la caveremo.»
Ma quelle parole naturalmente non servirono a nulla. Raggiunto il salone, Jennifer individuò Harry freddare due umanoidi, uno  dietro l’altro solamente facendo roteare la sua rete. Lo scontro dei pesetti di piombo in pieno viso, li fece stramazzare subito a terra.
Catturata la sua attenzione gli chiese di raggiungere il biondo al piano superiore, e due secondi dopo questo era già a metà rampa. Successivamente raggiunse Sylvia e assicuratasi il suo appoggio cercarono di attirare quanti più esseri indefiniti verso l’esterno attraverso la porta principale e quelle finestre che ormai erano prive di vetro. Qui Jennifer si prese un secondo durante il quale unì le mani e cominciò a far crescere un enorme palla incandescente.
Scandagliò il prato di fronte a lei individuando i bersagli negativi e il resto degli studenti che avrebbe dovuto evitare, tese le mani in avanti e lanciò tante piccole perle di fuoco che s’ingrandirono durante la corsa fino a colpire ognuna il proprio obbiettivo avvolgendoli in un manto di fuoco. Il compito di Sylvia in tutto questo, fu assicurarsi in primis che l’amica non venisse ammazzata prima che potesse attaccare, e successivamente di spegnere il fuoco una volta avesse finito di fare il suo dovere, e prima che si espandesse a tutto il giardino di casa Tomlinson.
Ripeterono la stessa azione due volte, poi Sylvia afferrò nuovamente il suo arco e preferì rientrare dentro dove la situazione sembrava essere ancora difficile.

Una volta messo piede all’interno del salone, Jess non era più riuscita a muoversi di lì. Il numero di creature straniere che entravano sia dall’ingresso principale che da tutte le porte finestre e dalle grandi vetrate ormai completamente in frantumi, era rimasto costante a lungo, non dandole quasi il tempo di respirare. Oltre ad evitare di rimetterci la pelle, lei, come gli altri presenti nella stanza, cercarono di evitare che il caos si espandesse. Ovviamente ciò non successe e  le urla delle altre persone, insieme agli oggetti che in tutta la casa si frantumavano - sicuramente cristalleria compresa - si mischiavano tra loro in maniera confusionaria in tutta l’abitazione.
Alle prese con uno di essi, Jess non si accorse, nonostante i sensi tesi come corde di violino, che un altro si stesse avvicinando a lei non con buone intenzioni. A quel punto non era più alle prese con uno ma ben due umanoidi.
Una forte fitta di dolore fu il segnale che mandò in tilt il suo sistema nervoso partendo da un colpo ricevuto alla gamba, facendola cadere a terra. Subito dopo venne sovrastata dai due esseri, ma rotolando di fianco, nonostante il dolore alla coscia, riuscì ad evitare alcuni dei colpi.
La sua katana era volata troppo lontana per poterla recuperare in breve tempo. Sperando che i signori Tomlinson avrebbero compreso, afferrò allora il vaso rimasto ancora in piedi sul tavolinetto vicino al divano, e colpì il primo togliendoselo dai piedi. Intorno a lei non c’era più niente con cui avrebbe potuto colpire il secondo e non era ancora sicura che la sua gamba potesse reggerla, inoltre arretrando, il bracciolo della poltrona bloccò la sua fuga e la fece cadere all’indietro. Quando il nemico la raggiunse, la mora subito reagì tirandogli un calcio con la gamba ancora buona, e riuscì a farlo arretrare, ma allo stesso tempo quel gesto fece ancora più arrabbiare l’essere che tornò all’attacco più furioso che mai.
Aveva finito le idee con cui sarebbe potuta salvarsi quella volta, quando si sentì chiamare.
Michael qualche metrò da lei le lanciò la sua katana giusto un secondo prima che fosse troppo tardi per piazzarla al centro del petto dell’alieno grigiastro.
«Che fai mi segui?» ringhiò la ragazza nei confronti dell’altro mentre scivolava giù dalla poltrona.
Controllò la sua coscia, notando come il suo pantalone fosse squarciato a metà altezza lateralmente, e la pelle presentasse tre tagli di diversa profondità, sporcati di sangue fresco che ancora continuava ad uscire. Per sua fortuna però questi non avevano danneggiato nulla che le impedisse di camminare o di muoversi. Non senza dolore, ma poteva farlo.
Anche lo sguardo di Michael cadde in quella direzione prima di essere beccato e rispondere con ironia  «Non sono io quello in grado di leggere nel pensiero.»
«Di sicuro non sto pensando a te quando ho cose più importanti di cui occuparmi.»
«Potresti ringraziare ogni tanto.» sputò il rosso «Non fa male, anzi allunga la vita.»
«Per cosa dovrei ringraziarti?» rise lei «Se mi avesse uccisa davanti a te, avresti visto quella scena ripetersi nella tua mente per tutta la vita. Hai solo evitato che il ricordo ti corrodesse.»
«Sei la persona più negativa e testarda che io abbia mai conosciuto.» ribatté ancora il ragazzo a denti stretti. Avere a che fare con lei era come andare a sbattere ripetutamente contro un muro.
In quel momento una freccia passò a pochi millimetri dal naso di Jess, sorpassò Michael volando sopra la sua spalla e trafisse uno degli umanoidi un secondo prima che attaccassero il rosso.
«Ora se avete finito di battibeccare..» considerò Sylvia prima di ricaricare il suo arco.
I due ragazzi si guardarono in cagnesco e due secondi dopo andarono in due direzioni diverse.

Alexis e Ashton si teletrasportarono sul retro dove polveri e vapori di ogni colore e forma si mischiavano ai corpi combattenti in movimento degli studenti dell'accademia e quelli degli esseri sconosciuti. Tra di loro spiccava Louis che tra un lancio e la ripresa della sua arma, e tra lo schivare gli attacchi da parte degli umanoidi, dava direttive agli ospiti che troppo sotto shock non riuscivano a muovere un solo passo, e ai suoi compagni. Proprio come un ottimo padrone di casa e leader. Poco più in là Luke rischiava di soffocare nella morsa del nemico quando, prima che i due potessero intervenire, vennero anticipati da due fasci rossi che percorsero l’intera schiena dell’essere facendolo accasciare al suolo parzialmente diviso in tre. Il biondo si voltò recuperando tutto il fiato perso con un’enorme sollievo nel vedere Ella rimettersi i suoi occhiali da vista dalla montatura ampia. Non aveva parole per ringraziarla dell’aiuto. Non ebbero molto tempo per parlare, un secondo dopo furono di nuovo impegnati a salvarsi le penne a vicenda.
Stessa cosa per Alexis e Ashton. Il secondo lasciò la mano della castana solo perché costretto dalle circostanze, eppure il suo sguardo non la perse mai di vista.
La sicurezza con cui si muoveva, la decisione nel suo sguardo, i corti ricci castani che rimbalzavano sulla sua fronte, i muscoli tesi e il modo in cui si muoveva erano sempre un piacere per Alexis. Adorava vederlo combattere, avrebbe passato ore ad osservarlo, e adorava - anzi amava - vederlo far roteare i suoi pugnali intorno agli indici, e poi attaccare.
Sospirò, Alexis, costringendosi a fare la sua parte in tutto quel casino in cui la festa si era trasformata. Recuperò le sue shuriken e avanzò decisa mirando tra gli occhi di ognuno degli umanoidi. E quando le stelline andavano a centro, facendo stramazzare l’avversario al suolo, la castana procedeva lanciando le altre e riprendendo le vecchie non appena vi ci passava a fianco.
In meno di cinque minuti, i due riuscirono a dimezzare metà del problema in giardino, e in circa venti, con tutti gli altri studenti in campo, a metter fine a quell’invasione inaspettata.
«Cerchiamo gli altri?» con un labbro spaccato che Alexis pensò due volte, se potesse toccarlo per tamponare via quelle poche gocce di sangue o meno. Non lo fece. Annuì e si appoggiò a lui.

«Mentre qui noi passavamo l’inferno, il resto dell’isolato ha continuato a dormire come se nulla fosse. Non lo trovate pazzesco?» chiese Sylvia guardandosi intorno mentre tutti seduti per terra nel giardino anteriore della villa, aspettavano novità dai professori giunti in supervisione.
Secondo alcuni studenti erano stati chiamati quasi immediatamente dopo l’inizio dell’invasione, ma erano arrivati a lavoro ormai finito da più di dieci minuti, non parlando con nessuno, se non le persone più gravemente rimaste ferite.
«Dobbiamo ringraziare Liam e la sua fissa per gli incantesimi verbali. Ha fatto in modo che oltre il giardino della casa non si sentisse o vedesse niente di tutto quello che stesse succedendo. Come una fittizia custodia che dimostra solo ciò che si vuole all’esterno.» spiegò Alexis.
L’intero gruppo lanciò uno sguardo al diretto interessato seduto poco distante con gli altri.
«Sarebbe stato difficile difendere anche il vicinato se si fosse allarmato. Possiamo ritenere una fortuna il fatto che quei cosi se la siano presa solo con noi.» considerò Jennifer.
Nessuno quanto loro, avrebbe desiderato rientrare in accademia, magari farsi una doccia, cambiare vestiti e ricoricarsi. Invece erano le tre del mattino passate da appena un quarto d’ora e le direttive erano state quelle di rimanere in giardino fino a nuovo ordine.
Il via e vai di persone che venivano scortate via per delle cure erano più di quante avrebbero voluto, le più gravi venivano direttamente trasportate in accademia, dove l’infermeria era in grado di intervenire in maniera più mirata rispetto ai soccorsi sul luogo.
«Ce l’avrei fatta anche da sola!» borbottò Jess stizzita quando due del soccorso la lasciarono al suolo poco distante da tutti gli altri e andarono via.
Fu immediato per Michael alzarsi e avvicinarsi a lei, che in quel momento teneva una gamba distesa in modo da non poggiarci sopra il ben che minimo peso. I tagli erano peggiorati.
«Cosa vuoi?» ringhiò la ragazza per niente intimorita nonostante lui fosse più in alto rispetto lei.
«Fammi vedere quella ferita.» rispose il rosso inchinandosi al suo fianco «Se non sei in fin di vita i professori non ti aiuteranno minimo fino a domani. Io invece posso farlo subito.»
Jess stava per tornare indietro e sottrarsi dal tocco del ragazzo quando venne afferrata per la caviglia e la sua fuga venne interrotta. Harry la teneva ben salda con uno sguardo che non ammetteva repliche. Capì il perché di quel gesto solo leggendo nella sua mente. Era il suo modo per ringraziarla di averlo salvato dall’attacco ore prima. La mora allora cedette ma non guardò mentre Michael avvicinava la mano alla ferita e la curava malgrado la stanchezza.
Alla fine le uniche tracce che rimasero di quei tagli furono il grosso strappo nei pantaloni e il sangue incrostato intorno ad esso. Il momento di imbarazzo in cui Jess avrebbe dovuto ringraziare entrambi, soprattutto Michael, venne per sua fortuna interrotto da qualcosa di più interessante che catturò l’attenzione di tutti nel giardino.
Un taxi si affiancò al marciapiede di fronte all’abitazione, lasciando scendere un uomo elegantemente vestito e una donna avvolta in un lungo capotto beige.
«Mamma? Papà?» esclamò stupito Louis alzandosi da terra e avanzando verso di loro.
I due con un espressione molto stanca per il lungo viaggio che dovevano aver fatto di tutta fretta nel cuore della notte, camminarono spediti verso quello che era rimasto della loro casa. Non gli risposero salutando cordialmente i professori che erano usciti per ricevere i padroni di casa.
Non ricevendo risposta Louis provò a richiamare i propri genitori, ma fu uno dei professori a rivolgersi a lui, dicendogli di tornare dal proprio gruppo e di aspettare lì.
Infastidito, sbigottito e in parte umiliato, il moro arretrò tornando a sedersi tra Liam e Calum.
E poi, ancora prima che qualcuno potesse commentare quella scena imbarazzante, uno sparo rimbombò nell’aria allarmando tutti. Qualcuno strinse automaticamente la propria arma.
Uno degli umanoidi grigiastri ricadeva al suolo mentre «Questo era l’ultimo sparo rimasto.» diceva Niall lasciandosi poi cadere con la testa sulle cosce della propria ragazza.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13




Dopo esser rientrati poco prima dell’alba in accademia, e esser riusciti ad andare a dormire non meno di venti minuti dopo, l’unica cosa che avrebbero voluto fare, era dormire fino a pranzo.
Nonostante la stanchezza, l’adrenalina si era presa gioco ulteriormente di loro, impedendogli di addormentarsi appena appoggiata la testa sul cuscino perché quanto successo alla villa  dei Tomlinson continuava a ripetersi nelle loro teste. Per tutti loro quello era stato il primo scontro a tutti gli effetti, la prima volta in cui mettevano in pratica anni di studi e allenamenti, e stentavano a crederci, soprattutto perché erano rientrati vivi e poco ammaccati.
Eppure, quella mattina, non fu permesso loro di dormire fino a tardi. Con meno di cinque ore di sonno erano stati richiamati dalla preside per un colloquio urgente per parlare di quanto successo alla festa,  ed erano attesi il prima possibile nell’edificio principale.
Così Niall e Michael si erano ritrovati a doversi vestire e a lasciare la stanza con un gran stordimento e la voglia di ritornare a letto ignorando il richiamo. Stessa cosa la si poteva notare in Ashton e Harry che incontrarono nel corridoio intenti a ciondolare silenziosamente verso l’uscita e con cui raggiunsero il padiglione femminile. Non erano sicuri che anche le ragazze fossero state chiamate, ma contando sul fatto che fossero rimasti uniti per tutta la durata del problema, fino alla fine, perché non doveva essere così?
Ebbero conferma quando, voltato l’angolo i quattro videro fuori dalla porta di Jennifer e Sylvia, Alexis e Jess appoggiate entrambe contro lo stipite della porta. La prima con la fronte premuta contro il legno batteva quelli che erano pugni lievi e l’altra controllava ripetutamente l’ora.
La castana sembrava essere sicuramente la più fresca tra i presenti, ordinata come sempre, la mora invece sembrava aver cambiato abiti solo perché costretta ma aveva optato comunque per qualcosa di molto comodo e largo e controllava i capelli con una cuffietta bordeaux di lana.
Non sapendo il vero motivo per cui erano stati chiamati, non furono sorpresi di vedere anche lei.
«Che succede?» chiese Harry in testa al gruppo in quel momento.
«Siamo qui da più di dieci minuti ma sembra che quelle due non abbiano sentito il comunicato.»
«Confermo.» annuì Niall alle parole dette da Alexis «Stanno ancora dormendo.»
«Non mi stupisco che Jennifer non abbia sentito o visto l’ologramma della preside, potrebbe saltare in aria mezza accademia e lei si rigirerebbe nel letto, ma Sylvia?» chiese Michael.
«A volte dorme con i tappi alle orecchie. Sicuramente sperava di dormire fino a tardi e non voleva esser disturbata quando il resto del corridoio si sarebbe svegliato.» spiegò il riccio.
«Beh visto che siamo qui da così tanto tempo, possiamo dire che hanno funzionato.»
«Posso entrare io se a tutti va bene.» chiese il biondo, soffermandosi un po’ di più su Harry.
Alexis aveva già provato ad aprire la porta, ma era chiusa dall’interno, perciò l’unica possibilità di svegliarle a quel punto poteva essere solo Niall. Dopo che il riccio gli diede l’assenso, l’altro prese un respiro profondo e attraversò il pannello in legno sfarfallando appena al contato con esso.
Jess non riuscì a nascondere lo stupore, perché di cose strane nella sua vita ne aveva visto, ma non era mai stata presente personalmente mentre qualcuno attraversava le pareti.
La porta si aprì dopo meno di un minuto. Le due ragazze erano sedute sul letto, le mani tra i capelli e un’aria sconvolta e decisamente confusa per l’inaspettata visita di tutti e sei.
Spiegata loro la situazione, Jennifer e Sylvia si prepararono il più velocemente che poterono mentre gli altri aspettavano tra la stanza e il corridoio. Quando alla fine furono pronte, erano passati ad essere in otto, senza la più pallida idea di a cosa stessero andando incontro.
Davanti all’ingresso dell’edificio in cui avrebbero dovuto presentarsi, la direttrice li stava attendendo in compagnia. Non ci volle molto perché riconobbero con lei Louis, Ella, Luke, Calum e Liam. Si scambiarono un saluto comune ma non si rivolsero nessuna domanda per quanto ne avessero mille che vorticavano nelle loro teste.
«Visto che ci siete tutti, sarebbe meglio andare. Ci stanno aspettando da parecchio ormai.» disse la preside varcando subito la soglia. Tutto questo fu alquanto criptico ma ancora non fiatarono.
La direttrice li guidò a passo sostenuto e rapido fino ad una delle stanze che con le restanti del corridoio, formava l’ala complessiva riservata ai professori. Erano pressoché uffici di loro appartenenza, nei quali gli studenti non entravano mai e non sapevano cosa ci potesse essere effettivamente al loro interno, o come fossero fatte.
Quella in cui entrarono loro fu la sala riunione nella quale intorno ad un tavolo ovale erano sedute più di una decina di persone tra professori e perfetti sconosciuti vestiti elegantemente e in maniera austera. Forse quella sensazione era anche data dall’arredamento minimalista della stanza e dalle tonalità fredde con cui era arredata. Inoltre di sicuro, era una questione di rilevante importanza, se sulla proiezione c’era uno stemma sconosciuto con una sigla puntata.
La preside fece loro cenno di sedersi dopodiché andò a prendere a sua volta posto in una delle sedie dalla parte opposta senza proferire parola, lasciandogli i tempo di sistemarsi in un’aria generalmente fredda come il Polo Nord.
Una volta fatto, una seconda donna robusta, dalla pelle scura e un taglio castano corto si alzò attirando l’attenzione collettiva «Buongiorno ragazzi, io sono la tenente Collins e faccio parte del Distretto statale reclutamenti. Ci dispiace avervi buttati giù dai letti così presto data l’ora a cui siete stati costretti a rientrare ieri sera, ma dobbiamo parlare della festa e di cosa è successo durante questa.»
«Siamo nei guai?» chiese coraggiosamente Louis condizionato anche dal fatto che non avesse avuto ancora modo di parlare con i propri genitori dell’accaduto.
«Nient’affatto, al contrario. La festa in realtà è stato un nostro test.» rispose la donna.
I ragazzi si guardarono confusi. I loro sguardi si posarono particolarmente sul maggiore.
«Lasciatemi spiegare..» riprese «Sapevamo della festa del signorino Tomlinson, e abbiamo approfittato dell’evento affollato per valutare il livello di preparazione degli studenti di questa accademia ed individuare quelli in grado di saper spiccare con le proprie capacità, per forza, tattica e collaborazione, e se siete qui in questo momento, è perché la scelta è caduta su voi.»
Jennifer saltellò sulla sedia cercando, senza nemmeno rendersene conto, la vicinanza di Niall, Sylvia fece scivolare la mano in quella di Harry, ripercorrendo le mille conversazione avute prima di quel giorno. Mai come in quel momento sentiva il desiderio che quello che la tenente Collins stesse per dirgli, fosse dalla loro parte, dalla parte di quello che aveva sempre sperato.
«Siete in tredici e non possiamo formare un unico gruppo d’intervento, per cui..» la  diapositiva proiettata sulla parete nord della stanza cambiò, trasformandosi in due colonne formate dai loro nomi «Walsh, Adams, Clifford, Irwin, Lahey, Styles, Horan, Thompson, voi formerete il primo gruppo. Tomlinson, Roger, Hood, Payne ed Hemmings formerete il secondo.» decretò solenne questa lasciando solo pochi secondi ai ragazzi per guardarsi tra di loro completamente increduli «Avete tre settimane di tempo per affinare le vostre potenzialità, dopodiché vi sarà affidata una sede in cui opererete a tempo indeterminato. Davanti a voi trovate delle cartelle nelle quali sono stilate delle liste sulle competenze che dovrete raggiungere prima dello scadere del tempo, e poi sosterrete un esame finale con i nostri esaminatori stessi. Il fatto che voi siate stati chiamati oggi per far parte di una squadra d’intervento, non impedisce che prima della partenza possiate esser rimossi per mancato raggiungimento degli obbiettivi. Ci sono domande?»
Jess allungò una mano sul tavolo e aprì il proprio fascicolo turchese. All’interno c’era un fascicolo pinzato, un modesto numero di fogli che sfogliò solo velocemente. Anche gli altri imitandola lo fecero, scoprendo che il volume dei fogli era molto simile per tutti.
Le poche informazioni ricevute tutte insieme, non permisero ai ragazzi di fare alcuna domanda. Erano certi però che appena ritiratisi, queste sarebbero arrivate sommergendoli. Fortunatamente furono rassicurati che in quel caso si sarebbero potuti rivolgere alla propria preside, o mettersi in contatto con loro.  Così i due gruppi uscirono e una volta davanti al piazzale le reazioni che sui loro visi si poterono vedere furono di shock, sorpresa e gioia, come quella di Harry e Sylvia, la quale saltò il braccio al proprio ragazzo sussurrandogli “Siamo in una squadra d’intervento. Lo siamo insieme”, o come quella di Louis il quale abbracciò i propri amici cercando di nascondere le lacrime “Quindi i miei erano al corrente di tutto vero?

Dopo la prima parte del pomeriggio passata in biblioteca per cercare i volumi dai quali avrebbe dovuto studiare per le successive settimane, nonostante mancassero meno di due ore al tramonto, Jess uscì in giardino per sfogliarli con gli ultimi raggi di luce naturale.
La sua pace però fu precaria, e venne interrotta ufficialmente quando una figura preannunciandosi con il rumore dei propri passi, proiettò la sua ombra su di lei e sul suo libro.
La mora scosse la testa «Ormai mi sono arresa all’idea che non mi libererò facilmente di te.»
Michael sollevò le labbra verso sinistra,  in un sorriso appena accennato «Potrei dire la stessa cosa. Ora lavoreremo nella stessa squadra d’intervento.» le fece notare per poi continuare «A questo punto credo che dovremmo sforzarci di andare d’accordo.»
«Già..» sospirò la ragazza «Come ha preso la notizia il resto del gruppo?»
«Non particolarmente male come pensi.» rispose e poi si corresse con ironia ancora prima che la ragazza potesse far lui una qualche battuta sul suo sapere cosa potesse immaginare «Posso supporre che pensi così.. Comunque dopo che hai evitato che io e Harry finissimo dritti in obitorio, ti sono tutti molto più grati di quanto dimostrino.» disse sedendosi al suo fianco.
Il silenzio fece compagnia loro per un po’. Jess mantenne lo sguardo sul volume, fingendo di leggere, ma era tremendamente difficile concentrarsi con Michael al suo fianco.
Nel momento in cui distolse lo sguardo puntandolo su di lui, il rosso prese parola cercando di sbirciare le pagine di carta «Cosa leggi?» le chiese.
La mora appoggiò il libro sulle proprie gambe permettendogli una vista maggiore anche se le fitte scritte stampate non gli furono molto d’aiuto con la comprensione del tema, così la ragazza parlò «Cerco di portarmi avanti con la lista degli obbiettivi da raggiungere.» spiegò.
Non sapeva nemmeno con esattezza perché glielo avesse detto. Forse gli stava andando incontro come lui sembrava stesse facendo con lei. Avrebbero fatto parte della stessa squadra ora.
«Potresti provare con me se vuoi.» propose Michael, ma se ne pentì subito dopo e cercò di rimediare«Magari preferisci farlo con qualcuno come Alexis. Lascia perdere.»
Jess lo osservò attentamente. Era sincero, in lui non vedeva tracce di scherno o di secondi fini. Mentre una parte di sé stessa le urlava dentro di non farlo, la ragazza appoggiò il libro al suolo ed incrociando le gambe si posizionò rivolgendosi verso Michael. Successivamente fece cenno a questo di mettersi allo stesso suo modo di fronte a lei, cosa che fece pochi secondi dopo.
«Ti prego non farmene pentire.» sussurrò prima di chiudere gli occhi e concentrarsi.
Il rosso non ebbe tempo di rassicurarla che l’altra riaprì gli occhi e per lui tutto divenne grigio.
Non l’aveva mai fatto, non era sicura di saperlo fare, ma quando al primo tentativo sentì subito un cambiamento in quello che stava sentendo, uno strano sentimento di condivisione, non poté non sorridere orgogliosa di se stessa. Stessa cosa per il rosso che sentendosi cieco per pochi secondi, si mosse a disagio. Percepiva la presenza dentro di lui, più di quando l’aveva controllato.
L’attimo di cecità non durò molto. Come se stesse guardando uno schermo, davanti a lui delle immagini a colori si formarono. La differenza era che tutto ciò non fosse un film, ma che fosse tutto nella sua testa, come un suo pensiero, ma che ricordava  vagamente i sogni.
Vedeva una bambina non più grande di tre anni e non più piccola di due. Corti capelli ricci corvini è un paio di grandi occhi celesti che giocava su un tappeto di gomma nel suo pigiamino rosso. Era chiaro fosse Jess da piccola. La forma del viso era la stessa, ma sopratutto quegli occhi, in grado di farti sentire rivoltato e congelato sul posto, non potevano essere confusi. La bambina rise guardando nella sua direzione, non sapeva cosa fosse la causa di quell'improvviso scoppio di gioia, ma era certo che in quel momento anche lui stesse sorridendo contagiato.
La scena cambiò, questa volta Jess doveva avere cinque anni ed era in braccio ad un uomo con lo stesso colore di capelli corvino, il padre intuì. Si trovavano in un negozio, un ragazzo davanti indossava il camice del locale e diceva  loro qualcosa con un espressione che non sembrava affatto convincente. La piccola s’incantò come è solito veder fare ai bambini, ma con lei c’era altro dietro e Michael lo notò quando lei si accoccolò  successivamente tra le braccia del padre, e due parole bisbigliate al suo orecchio dopo - “papà sta mentendo” - i due stavano andando via.
Ancora una volta tutto si offuscò e questa volta Jess era adolescente ma i suoi tratti preservavano ancora l'aspetto infantile. Non doveva avere più di tredici anni. Di fronte a lei c'era un ragazzetto robusto della sua stessa età. Sembrava minaccioso, anzi doveva esserlo perché le gridava contro e lei appoggiata contro un muro di mattoni rossi teneva lo sguardo basso, la fronte aggrottata e i pugni chiusi. Quando il ragazzo tirò un pugno contro la parete sgretolandola in parte lei reagì.
Bastò che lo guardasse negli occhi perché il ragazzo perdesse il controllo delle sue azioni.
Le sue stesse mani si avvolsero intorno al suo collo all’improvviso e strinsero, strinsero con forza. Jess lo continuava a fissare con un aumentare di insistenza che andava di pari passo con lo stringere della presa. Il ragazzo non poteva muoversi dato che il controllo del suo corpo era dettato da Jess, ma nei suoi occhi c’era terrore e dalla sua bocca uscivano gemiti, segni di ricerca d'aria. La mora si fermò in tempo. Quando ruppe il collegamento, il ragazzo cadde al suolo richiamando a sé quanta più aria possibile. Lei lo osservò solo un secondo prima di scappare via.
Sfumò nuovamente, spostando la vicenda in quello che sembrava il corridoio di un istituto, non della Philip Campbell Solon Academy di sicuro. Jess si trovava in mezzo ad un gruppo di ragazzi con i quali sembrava star discutendo animatamente, ridendo in particolare con una ragazza al suo fianco dai lunghi capelli castani, abbracciata ad un ragazzo più alto. La mora era esattamente come l’aveva conosciuta. Non doveva esser passato molto, non più di un anno da quel ricordo.
L’inquadratura cambiò, un ricordo di qualche giorno più tardi forse. Quello di cui Michael era certo di vedere lo stesso punto di vista di Jess. Erano lei e l’amica intorno ad un tavolo, quest’ultima si comportava in maniera strana, lo percepiva chiaramente anche lui ma poteva solo rimanere impassibile e continuare ad osservare. Partecipò anche al momento in cui la mora entrò nella testa dell’altra. Videro l’amica e il proprio ragazzo nel parcheggio dell’istituto. Non sapeva perché ne era così certo, ma sapeva anche che quello che i due stavano facendo non era corretto ancora prima di capire che i due erano intenti a danneggiare in più modi due auto, auto dei docenti. Non aveva dubbi. Di nuovo intorno al tavolo l’amica convinse Jess a non dire nulla e la mora, benché insicura, acconsentì a non denunciarli. Subito dopo le cose vanno talmente tanto veloci che se non fosse per la chiarezza con cui questi frammenti erano trasmessi dalla mora, e dalle sensazioni in qualche modo condivise, non sarebbe riuscito in nessun modo a districarli. Vide una donna autoritaria che entra in aula durante la lezione e che chiama la coppia, la stessa successivamente in mensa, avanza verso Jess e davanti a tutti gli grida contro. Da un terzo punto di vista, vede lei che prova a parlare e a portare l’amica fuori dove possano parlare, ma il risultato è una scossa che percorre l’intero arto della ragazza, fino a raggiungere la mora che si stacca cadendo stordita contro il tavolo alle sue spalle. Vede Jess arrivare a scuola, provare ad avvicinarsi al suo gruppo il quale a sua volta la ignora, vide il passare dei giorni ed il suo essere sempre più isolata, e persone che continuano ad attaccarla, tutte convinte che abbia fatto la spia perché “solo tu, con il tuo potere, potevi sapere che erano stati loro”. La vide mentre chiudeva i suoi social per rimanere ulteriormente lontana da quello che dicevano a scuola, anche su internet. Le sue giustificazioni erano inutili, nessuno la ascoltava, o anche se lo facevano, poco importava comunque. Michael intanto era uno spettatore passivo, non poteva intervenire, non poteva far nulla per terminare quelle scene. Avrebbe voluto far tacere tutti e tutto, ma la sua posizione era marginale, irrilevante. Vide Jess parlare con la preside, lasciare l’istituto l’ultima volta con le valige e il giorno in cui speranzosa vide la Philip Campbell Solon Academy.
La condivisione tra i due s’interruppe in maniera brusca. Prima ancora di mettere  fuoco Jess sentì le mani di Michel poggiate sul suo viso, e le labbra a contatto con le sue. Tre secondi dopo di lei, anche il ragazzo aprì gli occhi di scatto e arretrò tornando a sedersi distante il giusto da lei.
«N.. non smetteva.» balbettò senza staccare il contato visivo «Non riuscivo a farti smettere.»
La mora lo osservò attentamente. Gli occhi grigi del ragazzo erano liquidi e persi ancora in quello che lei gli aveva fatto vedere. Era più o meno l’espressione spaventata che aveva lei le prime volte che i genitori l’avevano spinta ad allenare il suo potere, invece di lasciare che quello si presentasse da solo irregolarmente.  Ma non era solo quello, che turbava Jess in quel momento, bensì vedere come le guance di Michael fossero rigate da due lacrime ormai all’altezza della mascella. Meno sorpresa ma allo stesso modo turbata, fu scoprire che anche le sue guance erano bagnate, ma da un numero maggiore di lacrime. Le spazzò via, veloce, cercando di cancellarne le tracce, come se non fosse affatto successo, e si alzò di scatto raccogliendo le sue cose.
«Ci sei riuscita.» sussurrò il rosso nel timido tentativo di tranquillizzarla.
«Non avremmo dovuto farlo. No, non avrei dovuto.» disse passando la colpa da entrambi a sé.
Non poté fare nulla il ragazzo per fermarla. Rimase lì seduto, sotto l’albero, fino a quando non fu sicuro che la ragazza fosse abbastanza lontana da non riuscire a raggiungerla tornando.


 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14


Non era l’unica all’interno della palestra, ma in quel momento era proprio come se lo fosse.
Aveva fatto il riscaldamento con Niall, mentre lui tirava al sacco per distendere ed allenare le braccia, ma per sua fortuna questo si era ritirato presto al simulatore dopo averla raggiunta alla panca su cui era impegnato a fare un po’ di addominali per salutarla. Era stata una fortuna per lei che se ne fosse andato, perché altrimenti avrebbe passato il resto delle due ore nelle quali aveva intenzione di rimanere lì, a fissarlo mentre in pantaloncini e canotta bianca, questo sbuffava ad ogni forte colpo in grado di far scricchiolare la catena su cui il sacco era appeso. La sua presenza sarebbe stata una bella distrazione che non le avrebbe permesso di concludere nulla.
Quarantacinque minuti dopo un ciclo intensivo di pesi e attrezzi vari, che erano classificati secondo la sua tabella solamente come allenamento/riscaldamento, Jennifer si avvicinò alla parete per l’arrampicata e sistemò i materassini come meglio credeva avrebbero potuto attutire la sua caduta in caso perdesse la presa. Per evitare ciò, passò inoltre un paio di volte le mani sopra i pantaloni cercando di eliminare una qualsiasi traccia di quello che era sudore dai suoi palmi. Successivamente fu finalmente in grado di iniziare tranquilla.
Il primo tentativo fu più una prova, un modo per abituarsi alla struttura da poco sostituita dall’accademia, anche se sapeva che nella realtà, se le fosse servito doversi arrampicare per scappare, o rincorrere qualcuno, non avrebbe potuto avere tale tentativo di prova.
Non era qualcosa in ogni caso che rientrava spesso durante le lezioni con il professore. Un paio di volte le era capitato in tutti gli anni in cui frequentava quell’accademia di dover far a gara contro altri compagni durante la lezione, ma per il docente che la seguiva era un modo alternativo di allenamento, preferiva di gran lunga quelli più tradizionali e faticosi. E poi soprattutto puntava molto sul combattimento diretto corpo a corpo, che non mancava mai settimanalmente.
Provò lo stesso percorso più e più volte fino a quando braccia e gambe non cominciarono a tremare e a richiederle qualche minuto di pausa. Oltre questo però poté vedere di volta in volta il miglioramento, soprattutto per quanto riguardasse la fiducia in se stessa. Dal dover appoggiare il piede su ogni singolo piolo lungo la sua salita, Jennifer passò a compiere distanze più ampie e con maggiore velocità, e talvolta tentò anche qualche slanciò che vide esito negativo solo all’ultimo tentativo, quando anche se troppo stanca, aveva cercato di appigliarsi ad uno dei pioli sulla superficie che obliquamente andava a congiungersi verso il soffitto.
Affondata nei materassini con il naso all’insù rotolò poco più distante per permettere a qualcun altro di usufruire della parete mentre lei, ancora coricata riprendeva fiato e rilassava i muscoli.
Quando si risollevò, dovette letteralmente trascinarsi al borsone in cui aveva lasciato la sua borraccia. Si sentiva già stanca e le articolazioni le dolevano un po’, ma le mancava solamente un po’ di allenamento con la sua pica e poi dopo una bella doccia avrebbe potuto poltrire fino a cena.
Fece un po’ di stretching per sciogliere nuovamente i muscoli, dopodiché, sempre dal suo borsone prese la lunga mazza di circa quattro centimetri di diametro e cominciò a montare la sua pica, facendo scivolare le varie parti incastrate verso l’esterno. Di sicuro non aveva l’aspetto tradizionale di una qualsiasi lancia utilizzata ad esempio ai tempi degli spartani, di fatto nemmeno il materiale era frassino, però l’aspetto esteriore aveva le stesse sfumature lignee.
Poter comprare quell’arma aveva richiesto anni di pratica e la dimostrazione di risultati scolastici buoni, prima che i genitori acconsentissero a spendere molto per qualcosa fatto su misura. La possibilità di ridurre la sua lunghezza - altrimenti superiore al metro e sessanta - era una delle cose positive del modello, e poi anche l’acciaio resistente e poco pesante, era un punto a favore.
Montò anche la  punta mentre si avvicinava ad uno dei manichini computerizzati.
Iniziò rinfrescando i movimenti base, facendo roteare l’asta velocemente prima davanti a sé, poi sopra la testa - sempre con più velocità - poi a destra e successivamente a sinistra. Il movimento poi divenne più fluido e vide la pica muoversi in sequenza in tutte quelle direzione più e più volte, tanto da divenire appena sfocata alla vista.
Come se il modellino fosse un essere in grado di comprenderla, lo attaccò improvvisamente come un colpo a sorpresa, e vedendo la figura oscillare appena vide anche sullo schermo comparire dei dati che riguardavano a grandi linee quella che era stata la potenza utilizzata dalla ragazza durante il colpo. Continuò così per molto, non mantenendo mai la stessa postura o la prospettiva da cui vedeva il manichino, osservando però sempre, con la coda dell’occhio il suo andamento.
Non si accorse che intanto, pochi metri più distante da lei, Niall, avendo finito il suo allenamento al simulatore, si era seduto contro la parete in modo che potesse vederla in azione.
Rimase ad osservarla parecchio tempo passando inosservato e la cosa non gli dispiacque.
Quando Jennifer aveva a che fare con la sua pica, era sempre un piacere vederla. I suoi movimenti erano disinvolti e sinuosi, nonostante ciò era possibile vedere la forza dei suoi attacchi. Era come se danzasse. Era capace di spostare il peso da un piede all’altro con maestria senza mai perdere l’equilibrio. La crocchia nella quale aveva legato all’inizio i suoi capelli, si era allentata e in quel momento qualche ciocca andava davanti al viso della ragazza che d’altra parte continuava indisturbata.
Fu dopo un colpo ben assestato che la ragazza finalmente si accorse di lui. In realtà se Niall non avesse applaudito appena Jennifer stessa esultò alla vista del nuovo risultato ottenuto, lei non si sarebbe mai voltata nella sua direzione e probabilmente lui sarebbe rimasto lì ancora per molto.
«Da quanto sei seduto lì?» chiese la ragazza stupita avvicinandosi a lui ancora sorridente.
«Da abbastanza tempo per aver visto come quel manichino se la sia vista molto male.» rispose.
«Sono felice dei risultati che ho ottenuto oggi, ma allo stesso modo non vedo l’ora di rientrare in camera e buttarmi sul letto, credo persino che salterò la cena.» considerò Jennifer ingobbendosi appena «Ohhh avrei proprio bisogno di un massaggio ora.» piagnucolò dondolando il collo.
«Se mi dai il tempo di una doccia posso fartelo io.» si candidò il biondo facendo spallucce.
«Dici sul serio?» squittì lei «Non è che ti addormenterai sul letto e non verrai?»
«Sei tu quella particolarmente stanca. Il rischio di crollare come una pera, lo corri tu non io.»
«Ok andiamo.» lo iniziò a trascinare per un polso «Non vorrei che cambiassi idea.»
Inutile dire che Niall trovò la ragazza sveglia, ma dopo appena due minuti da quando cominciò a fa correre le mani sul suo corpo, la mora si assopì favorita dai tocchi rilassanti.

Fuori pioveva. Si trattava di una pioggia incessante che da due giorni rendeva l'aria più cupa di quello che le nuvole già non facessero. L'intero corpo degli studenti era diviso tra i vari edifici dell'Accademia e nessuno era tanto stupido da osare ad uscire. Qualcuno approfittava del mal tempo per studiare, qualcun'altro ripudiava libri e si riuniva con gli amici, soprattutto in sala mensa, lo spazio al chiuso più grande e che potesse contenere così tante persone insieme.
Jess studiava, era intenzionata ad entrare in quella squadra d’intervento, era sempre stato il suo sogno e poi vedeva in questo l’occasione di un riscatto personale. Non si sarebbe fatta scappare la possibilità perché non aveva raggiunto  gli obbiettivi che gli erano stati affidati.
Avrebbe potuto studiare in biblioteca oppure nella propria stanza, ma entrambi gli ambienti erano troppo silenziosi o troppo poco affollati per quello su qui stava lavorando. Aveva bisogno di fare pratica e quello era il posto giusto contando che era circondata da mille menti.
Tra i fogli di quella cartella che ormai da una settima la seguiva ovunque, c’erano molte meno informazioni su di lei, rispetto a quante probabilmente leggeva tra le righe Jess. Forse scherzo della sua immaginazione, della sua coscienza che si stava prendendo gioco di lei, ma lei leggeva una chiara lezione. Prima di raggiungere il massimo delle sue capacità, avrebbe dovuto buttare giù il muro che la bloccava. Questo avrebbe voluto dire trovare qualcuno di cui si fidava o mettere in pratica quanto scritto sulle pagine di quel libro che stava leggendo da tre giorni ormai.
L’intenzione di rivolgersi ad Alexis, proprio come anche Michael aveva intuito, l'aveva tormentata da quando aveva letto la prima volta i documenti. In fondo la sua compagna di stanza c'era stata sin dall'inizio, era sempre stata dalla sua parte, eppure gli ultimi avvenimenti insinuavano nella sua testa dei dubbi che la fermavano.
C’era anche il rosso. Con lui le cose erano andate un po’ a caso, per niente pianificate e si era aperta con lui, anzi probabilmente era la persona che sapeva più di qualsiasi altra.
Con lui aveva già buttato la parte superiore di quel muro, dandogli le risposte che lui stava cercando dal loro scontro durante le ore di punizione.
Riflettendoci a mente più lucida, Jess era arrivata alla conclusione che con Michael non era successo niente di rilevante, niente che l’avesse fatta pentire di aver condiviso con lui i suoi ricordi, anche se il bacio non si poteva proprio considerare “niente di rilevante”. Diciamo che nonostante fosse passata una settimana da quel giorno, non era successo  niente per quanto riguardasse i suoi segreti spiattellati ai sette venti. Michael aveva tenuto tutto per sé.
Il problema era che i due non si parlavano da quel giorno, Jess fuggiva dal suo sguardo in continuazione. Era qualcosa più forte di lei e che allo stesso tempo stava per lasciarsi alle spalle.
Rilesse la pagina su cui la sua mano era appoggiata, cercando di memorizzare i vari passi e immaginandosi punto dopo punto mentre li metteva in pratica. Finito spostò l'attenzione su quel tavolo poco più lontano, dove il gruppo approfittava del brutto tempo per poltrire, in particolare su un ragazzo dai capelli rossi che vedeva solo per metà in viso. Si concentrò sul centinaio di pensieri che in quel momento le affollavano la stessa, e si concentrò sul ragazzo, spingendo tutto nella sua direzione come un onda invisibile.  Ebbe la conferma di aver passato i pensieri che lei percepiva anche a lui, quando lo vide sussultare inizialmente, e successivamente osservare insistentemente il suo vicino Ashton, di cui Jess gli stava  facendo sentire i pensieri.
Avendo un potere che le permettesse di sapere molte più cose di quanto le persone lasciassero trasparire, più di quanto volessero far sapere, aveva sempre fatto fronte alla sua regola morale più importante, prima di qualsiasi altra cosa, anche se molti in passato non le avevano creduto.
Per questo i pensieri di Ashton che permise a Michael di sentire, non furono altro che osservazioni su quello che stava mangiando. Pensieri spiccioli.
Dopo qualche attimo di stordimento, il ragazzo si guardò intorno fermandosi solamente quando incrociò il suo sguardo. A quel punto aggrottò le sopracciglia e pensò “Cosa succede?” sapendo benissimo che potesse sentirlo. La ragazza infatti rise e interruppe il collegamento tornando a leggere il libro come se niente fosse. C'era riuscita, c'era riuscita alla grande.
Circa trenta  secondi più tardi la sedia  di fronte alla sua venne spostata e Michael prese posto.
«Che cos'era quello?» chiese indicando con il pollice il punto in cui si trovava precedentemente.
La ragazza fece spallucce abbassando lo sguardo sul libro che aveva davanti «Vogliono che mattiamo alla prova i nostri poteri no?! Devo permettere a una persona di sentire gli stessi pensieri che sento io.» spiegò con naturalezza abbassando lo sguardo sul tavolo.
Un silenzio imbarazzante calò per qualche secondo. Jess giocherellò con la parte superiore destra del libro mentre in realtà la osservava senza pensieri. Era un modo per cercare di camuffare quel momento in cui lei non sapeva cosa aggiungere, e lui non aiutava affatto.
«Come mai hai provato con me?» esordì il rosso riaprendo la conversazione.
Non sapeva bene perché lo avesse fatto, un parte di lei le consigliava che fosse per scusarsi.
Però fece spallucce e «Diciamo che sei diventata ufficialmente la mia cavia da laboratorio.»
Michael sorrise, in maniera troppo vistosa, e per cercare di nasconderlo, guardò da un’altra parte fino a tornare normale «Quindi puoi farlo con chiunque altro giusto?» chiese.
«Dove vuoi andare a parare?» chiese la ragazza aggrottando le sopracciglia.
Poco dopo i due osservavano nuovamente il tavolo, o meglio Alexis che era seduta lì e che in pochi secondi si trovò nella stessa situazione del ragazzo meno di cinque minuti prima. Confusa si guardava intorno senza capire da dove venissero tutti quei suoni, poi guardò con un espressione indescrivibile uno alla volta i suoi amici perché a turno vi erano anche i loro.
Michael e Jess la guardarono senza riuscire a trattenere le risate, il rosso in particolare, il quale dava direttive all'altra su quante e quali voci farle sentire. Quando la castana, scannerizzando l'intera stanza, giunse con lo sguardo su di loro, tornarono immediatamente seri e finsero di parlare tra loro, il tutto mentre la mora cercava di mantenere ancora un po' il collegamento per non destare sospetti.
«Pensi che dovremmo dirglielo?» chiese Michael appoggiando il mento sulle braccia incrociate.
«Ci penserò io più tardi in stanza.» annuì «Non credo abbia ben capito cosa io possa fare.»

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15


Chiudersi tra quattro mura astiose, senza nemmeno una finestra, dopo sette ore di lezioni tra cui già un’ora di allenamento con l’intero corso, per ripeterne un altro più intensivo, era il male per Sylvia, quanto per Harry. Però, che quella sera si fossero messi d’accordo per portarlo avanti insieme, era qualcosa che lo rendeva nell’immaginario meno pensante di quanto fosse.
Il fatto che nessuno li controllasse e che insieme parlassero durante tutto il riscaldamento e gli esercizi di potenziamento, non era un problema, a parte per il particolare che ciò spezzava loro il respiro, però anche quello poteva considerarsi un potenziamento, potenziavano il fiato.
Poi non era così difficile distrarre Sylvia. Se c’era una cosa in cui metteva tutta se stessa era nelle prove fisiche e i risultati si vedevano, non a caso era la migliore del corso nella pratica, in particolare nella corsa e nei combattimenti corpo a corpo.
Inizialmente i due cominciarono un po’ giocando, ma per quanto non stessero prendendo sul serio quello che stavano facendo, quello che ne venne fuori fu davvero sensazionale. Delle prese che se seriamente allenate avrebbero potuto creare un duo collaborativo come mai visti.
Poi tralasciati gli scherzi e le battutine sul loro sentirsi un po’ dei ballerini di contemporaneo, un po’ Holly e Benji, si posizionarono pronti a combattere come avevano sempre fatto.
Ancora una volta il riccio, in un primo momento, ripiegò un po’ sulla fuga, colmando in quella tattica approfittando del suo potere, e poco più di tre minuti dopo l’inizio, diventando invisibile.
«Così non vale!» borbottò assottigliando gli occhi la ragazza mentre ispezionava la stanza.
Un risata risuonò poco distante dal suo orecchio destro. Sylvia tese di colpo il braccio spezzando l’aria in due ma il colpo andò a vuoto facendola roteare su se stessa.
Non contenta la castana si fermò, osservò con attenzione tutta la sala e cercò di captare anche solo il minimo segnale della presenza o del passaggio di Harry. Ma naturalmente lui era bravo nel non farsi scoprire. Una cosa però che non aveva messo in conto, era che anche Sylvia aveva dei poteri e sapeva come usarli. Sapeva che il ragazzo non doveva essere molto lontano e ciò giocò a suo favore. Puntò sulla velocità e si circondo completamente con un’onda  d’acqua che si espanse verso l’esterno. Quando questa si interruppe in un punto, circondando un ostacolo invisibile di fronte a lei, allora capì di aver fatto centro. Avanzò rapida e ancora alla cieca mirò basso in modo da fare lo sgambetto ad Harry.
Capì di esserci riuscita quando il riccio tornò visibile ma disteso a terra.
 Ora al suolo era tutto bagnato ma oltre al rischio di scivolare per entrambi, il ragazzo non avrebbe mai più potuto rendersi invisibile senza che lei potesse vedere i suoi passi in superficie.
Uno di fronte all’altra cominciarono uno scambio di colpi dettati principalmente da Sylvia, per niente riluttante all’idea di dover attaccare il proprio ragazzo, al contrario dello stesso.
Fu così per una decina di minuti circa, niente di parecchio esaltante, fino a quando, preso  dalla foga dello scambio veloce di attacchi e difese, Harry iniziò ad avere un po’ più di sicurezza in lui, tanto da cominciare ad essere più veloce e a rendere persino difficile a Sylvia stargli dietro e riuscire ad evitare, tanto meno reagire a tutti quei colpi. Il culmine lo raggiunse quando la ragazza non riuscì a prevedere un calciò alto che la andò a colpire sul braccio, quasi all’altezza della spalla, nel momento in cui in equilibrio su una gamba cercava di attaccare a sua volta. In questo modo il calcio forte di suo, la fece volare alla sinistra di Harry e lei cadde sul fianco destro.
Realizzato immediatamente cosa fosse successo, il ragazzo si precipitò vicino a Sylvia.
«Oddio scusa! Stai bene? Non volevo colpirti così forte, pensavo lo parassi..»
Con un deciso colpo di reni la ragazza si sollevò sulle punte, afferrò il riccio per la gola e rovesciò la situazione stendendo al suolo con ‘pop’ dovuto dallo sbattere della sua schiena al suolo.
«Non devi mai perdere la concentrazione. Non farti ingannare da un paio di finti occhi dolci.» Sylvia soffiò serafica a pochi centimetri dal viso di Harry.
«Io ero davvero preoccupato di averti fatto male.» borbottò il riccio seguendola con lo sguardo mentre l’altra arrivava alla sua bottiglietta e beveva un po’ del suo contenuto dal colore acceso.
«Un calcio del genere?» rise appena «Ti stai trattenendo e non devi. Non ti deve frenare il fatto che tu sia contro di me. Se davvero mi dovessi far male, mi basterebbe andare in infermeria.»
Calò il silenzio per un breve arco di tempo, durante il quale la castana si risistemò la coda nella quale erano raccolti i capelli, e lanciò uno sguardo all’orologio. Avevano ancora tempo.
«E se non dovessi passare l’esame?» mormorò dal nulla il ragazzo rimanendo supino al suolo.
«Harry!» ringhio disperata la castana lasciandosi cadere al suo fianco «Perché non dovresti?»
Il riccio fece spallucce e rimase in silenzio a fissare il suolo. Sylvia invece scivolò un po’ più vicino a lui e incastrò la mano destra tra i suoi capelli accarezzandoli lentamente.  Quel gesto calmò già il ragazzo il quale chiuse gli occhi e rallentò il respiro.
«Se ti hanno scelto dopo averti visto alla festa, perché non dovresti passare l’esame?»
«Beh hai sentito quello che ha detto la tenente, non è detto che passeremo. Per non parlare delle lunghe cose che ci hanno dato da perfezionare o da imparare in tre settimane. Faccio ancora un po’ schifo negli attacchi e la mia onda d’urto funziona solo quando ne ha voglia.»
«La tua onda d’urto per ora sembra essersi attivata solo quando era strettamente necessario. Basti pensare che Michael ti ha dovuto minacciare con un coltello puntato alla sua gola per farti reagire. Per quanto riguarda l’attacco, loro ti hanno chiesto solamente di saper dimostrare di avere la potenza e l’astuzia giusta in caso di necessità, e sono tutte cose che tu hai. Non tutti i gruppi d’intervento sono formati da individui paragonabili a macchine da guerra senza pietà.»
«Sembra che tu ti sia appena descritta.» mormorò Harry nascondendo un sorriso.
La ragazza sollevò gli occhi al cielo e sbuffò «Quello che volevo dire è che le squadre d’intervento sono formate tutte da individui diversi tra loro, caratterizzati da modi di agire e particolarità diverse che li distinguono. Se tu invece che attaccare, preferisci prima salvare chi è in pericolo, o cercare di catturare chi è in torto senza ferirlo, perché no? »
Lentamente le fossette comparirono sulle guance del riccio il quale si sollevò e abbracciò la castana di slancio «Non so come farei senza di te. Grazie.»
«E di che? Di ricordarti che non devi sottovalutarti o preoccuparti di quello che sei?»
«Che dici se facciamo un altro round? Manca una settimana e..» Sylvia stava per rimproverarlo quando Harry continuò imperterrito «..non ho ancora imparato a non distrarmi con te.»
La ragazza lo spinse appena facendolo rotolare appena di fianco e si sollevò in piedi «Forza!»

«Sei mai andato oltre lo stato?» gli chiese il professore visionando la cartella che gli aveva dato.
«Solo si.» annuì Ashton «Trasportando qualcun’altro, non ho mai superato un paio di isolati.»
«Ottimo.» rispose l’uomo «Io direi di partire proprio da qui. Scegli uno dei tuoi amici, pensa ad una meta lontana e cerca di smaterializzare entrambi in quel posto.»
Il riccio guardò il gruppo dei ragazzi che era andato a seguire il suo allenamento tecnico. Erano consapevoli di poter essere coinvolti in qualsiasi momento se fossero serviti. In quell’istante erano distratti, parlavano tra di loro concitatamente, ma senza alzare troppo il tono della voce.
Non aveva dubbi su chi avrebbe scelto tra loro, e sapeva anche dove andare, per questo esclamò sicuro «Alexis!» sventolando subito dopo un braccio in aria.
La ragazza guardò per un attimo le amiche, le quali la spinsero giocosamente, poi si sollevò in piedi e lo raggiunse mentre si sistemava la maglia, lasciandola cadere meglio lungo i fianchi.
«Pronta a fare un viaggetto?» le chiese prima ancora che si fermasse al suo fianco.
Le fece spallucce timidamente «Dove mi porti?»
«Questa è una sorpresa.» rispose voltandosi poi verso il professore, lasciandola sulle spine.
«Vi sarei grato se tornaste indietro. Sani e salvi.» disse loro l’uomo incitandoli a prendere posto.
I due ragazzi annuirono benché fosse solamente Ashton la guida a cui Alexis si sarebbe potuta affidare. Il ragazzo non si lasciò sfuggire quale fosse la meta, o perlomeno lei non si accorse affatto di quel particolare. Di sicuro il professore non avrebbe avuto problemi nel ritrovarli qual’ora non fossero riusciti a tornare indietro, altrimenti perché affidare il compito di aiutare Ashton con l’allenamento a lui, se non usava la sua capacità di vederci così lontano.
Lasciò che il riccio le avvolgesse le spalle con le proprie braccia, chiudendola in un guscio sicuro, dopodiché chiuse gli occhi ed aspirò il suo profumo per distrarsi da quello che sarebbe stata la spiacevole sensazione della smaterializzazione. Subito dopo non poté dire di non essersi accorta per niente dello spostamento, ma fu meno tragico rispetto le altre volte, per non parlare dell’aria fresca che l’accolse dall’altra parte e che stemperò quasi immediatamente la sua nausea.
Aperti gli occhi arretrò di qualche passo ma lasciò che le loro mani rimanessero intrecciate. Non ci fecero nemmeno caso, trovavano la cosa così naturale.
«Ci sei riuscito?» le sorrise la castana più che sicura della risposta.
Il riccio si guardò un secondo alle spalle e sorrise a sua volta, annuendo.
Merchant's Arch c’era scritto sulla targhetta in ceramica appesa alla parete. Ciò non diede nessun indizio ad Alexis la quale si guardò intorno confusa e curiosa allo stesso tempo.
Erano in un vicolo seminascosto. Sulla sinistra un paio di passanti camminarono senza far caso a loro addossati alla parete, inoltre il cielo era scuro e non sentiva rumore elevato di motori.
Erano partiti che a Solon erano appena le cinque, mentre lì sembrava notte inoltrata. La sua esperienza le consigliava che dovessero essere addirittura in un altro continente.
«Ancora non hai intuito niente?» le chiese il ragazzo.
«Mhh mhh.» scosse la testa la castana, le labbra premute strette tra loro.
Ashton allora la guidò in pochi secondi mostrandole come, quello in cui si trovavano, non fosse un vicolo chiuso, bensì una stradina anche piuttosto importante. Ogni passo che compievano Alexis poteva notare diversi particolari nelle pareti e nel pavimento. Quel mosaico di pietre e ciottoli ricordava tanto un edificio antico, un ripetersi di stili che non aveva mai avuto modo di vedere in America.
Raggiunto un piccolo arco alla fine della via - quello probabilmente da cui prendeva il nome tutta la via - Alexis si arrestò di colpo con la bocca appena spalancata.
«Non è come penso vero? Anzi ti prego non mi rispondere o potrei rimanerci male.»
Il castano rise e le chiese «Vuoi avvicinarti?»
La ragazza ovviamente annuì con vigore trascinando lei stessa e Ashton fino al marciapiede dall'altra parte della strada. Lanciò uno sguardo al fiume per poi correre sul ponte lì vicino e compiere tutti i gradini fino a raggiungere la parte più alta. Rise portandosi le loro mani intrecciate davanti al viso, in un gesto di euforia e incredulità trattenuta, e durante tutto questo non distolse mai, nemmeno per un secondo, lo sguardo dal panorama davanti a loro.
«Perché proprio Dublino? Oddio ho sempre desiderato visitarla.»
«Ho visto le stampe appese sopra il tuo letto e ho intuito ti piacesse.» fece spallucce lui.
«Io la amo.» precisò Alexis «E adesso che sono qui ne sono ancora più certa.»
Aveva fatto delle ricerche, Ashton per essere ancora più sicuro di dove sarebbe andato e per sentirsi più vicino ad Alexis, e in qualche modo anche lui si era innamorato del Ha’penny Bridge. L’aspetto particolarmente tondeggiante, i bordi decorati da quelle che sembravano essere una stazionata bianca che ricordava molto casa, rispetto a qualsiasi ponte super moderno in acciaio, o tutto il contrario, in pietra e vecchio secoli. E proprio come ogni ponte che si rispetti, le arcate sulle loro teste, erano colme di lucchetti firmati e incatenati per l’eternità.
Nessuna foto poi avrebbe mai potuto far giustizia a quello che vedevano con i suoi occhi in quel momento. La città tutta intorno a loro era illuminata. Grattacieli di ogni altezza, forma e età. Dal centro commerciale alla loro sinistra, alla Cattedrale dalla parte opposta. Poi Alexis lo sapeva, aveva studiato così bene la cartina di Dublino, che non aveva dubbi che ad est, a chilometri e chilometri di distanza, c’era il Trinity College in tutto il suo splendore.
Il riccio in quel momento si sentiva come se fosse al cospetto di un angelo, mentre entrambi affacciati verso l’acqua, le luci bianche e verdi che illuminavano interamente la pancia del ponte, non si riflettevano solamente sulla superficie del fiume Liffey, ma anche sul viso della ragazza.
«Ẻ bellissima..» sospirò lei cercando di imprimere quante più cose nella sua memoria.
«Tu lo sei di più..» disse Ashton, per poi mordersi la lingua incredulo di averlo detto a voce alta. Era quel posto che lo stava mandando fuori di testa, stava  influenzando anche lui.
Alexis non poteva vedersi ma era ben consapevole di essere arrossita in quel momento.
Nonostante l’imbarazzo portò lo sguardo su di lui, e il ragazzo a sua volta fece lo stesso, seppur con uno sguardo insicuro e indagatore. Non l’avrebbe mai fatto, se non fosse stata sicura nel profondo che Ashton sarebbe potuto essere quello giusto. Non si era mai reputata molto coraggiosa, ma in quel momento, il suo solo star guardando l’altro negli occhi, mentre nella sua testa pulsava ripetutamente il desiderio di volerlo baciare, era qualcosa di fin troppo coraggioso.
Ma non solo. Se non fosse stata consapevole della persona fantastica che il riccio fosse, non sarebbe mai scattata in avanti per baciarlo, andando contro ogni su principio. Se fosse stato un errore, lui non glielo avrebbe mai fatto pesare, lei avrebbe sofferto un po’, ma avrebbe anche potuto dire di essersi tolta un pensiero costante dalla testa.
Il castano non reagì in un primo momento, gli occhi spalancati per l’incredulità di quello che stava succedendo in quel momento. Fu però una fortuna che non ci mise molto. Prima che Alexis potesse realizzare la rigidità dell’latro, Ashton si riprese e poggiò una mano sulla sua guancia, trattenendola più del dovuto dall’allontanarsi da lui, soprattutto dopo tutto il tempo che aveva aspettato e desiderato un evento simile.
Forse era la temperatura notturna, forse era l’emozione - difficile da definire in quel momento -, ma quando la castana si staccò dal ragazzo riaprendo gli occhi, un brivido le attraversò la spina dorsale e questo lui, che aveva ancora la mano delicatamente appoggiata sul suo viso, lo percepì.
Si tolse subito la felpa la quale non era molto grossa, però sperava che creasse un po’ si spessore insieme agli altri abiti della ragazza, il tanto da farle sentire un po’ meno freddo.
«No Ash! Rimarrai solamente a maniche corte. Ti prenderai un malanno.» si preoccupò lei.
Il riccio ci mise un po’ a trovare le parole per rispondere, si sentiva ancora come fluttuare e si sentiva anche un po’ scemo «Tranquilla, non sono un tipo freddoloso.»
Niente gli fece cambiare idea, e Alexis dovette limitarsi a ringraziarlo ancora.
Subito dopo decisero anche di tornare in Accademia, in America. Non avevano idea di quanto tempo fosse passato dalla loro partenza, ma non era di sicuro poco.
Fu più facile per la castana questa volta gettarsi subito tra le braccia dell’altro. Non avevano ancora messo in chiaro cosa fosse successo e se a entrambi non creasse disagio – cosa che sarebbe stata davvero difficile anche solo da pensare per qualsiasi spettatore esterno -, ma si sentiva più sciolta nei suoi confronti, come se avesse superato quell’ostacolo che la rallentava.
Come l’andata, anche il rientro necessitò di un paio di secondi per regolarizzare il fiato e controllare la nausea. Più si smaterializzava, e più sentiva di provare meno sensazioni fastidiose subito dopo averlo fatto, eppure quell’attimo essenziale, fu interrotto purtroppo dagli amici.
«Oddio dove eravate finiti? Siete spariti per venti minuti!» esclamò Jennifer catapultandosi addosso all’amica. Subito dopo anche lei venne avvolta dalle braccia di Sylvia.
«Stavamo andando tutti in panico!» continuò Niall poco più lontano.
«Insomma..» prese parola Michael «Jess stava già decidendo come cambiare la disposizione dei mobili nella vostra stanza.» disse beccandosi immediatamente un pugno sul braccio dalla mora.
«Ci siamo riusciti.» disse invece Ashton rivolgendosi al professore del tutto indifferente «Io dico che potrei anche provare con qualcuno in più.» aggiunse poi.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Il reclutamento improvviso, avvenuto i primi del mese di Dicembre, aveva guastato tutti i piani per quanto riguardasse le vacanze, soprattutto quelle che riguardavano gli ultimi dell’anno.
Il duro lavoro che i due gruppi avevano compiuto in quelle tre settimane aveva fatto desiderare ardentemente, come mai nella loro intera vita accademica, di rientrare a casa per riposarsi un po’, anche se ciò fu solo per due giorni ovvero la vigilia e il Natale.  In questi però cercarono di approfittarne al massimo, nonostante sentissero un po’ la pressione dell’esame che avrebbero dovuto sostenere una volta rientrati. Si perché non erano ancora sicuri della loro partenza, anche se mancava davvero poco alla fatidica data. Proprio riguardo questo Harry si sentiva calmo, nessuno dei soliti suoi timori lo turbava. Sua madre aveva continuato a ripetergli tutto quello che Sylvia aveva sempre sostenuto sulla sue capacità.
Così invece non fu per la castana che, distante dall’Accademia, si era sentita un po’ più vulnerabile e insicura. In tutte le occasioni in cui i due si sentirono per telefono, lei non fece mai menzione a questo, sicura che il suo nervosismo sarebbe passato in pochi giorni.
Niall raggiunse i genitori dai propri parenti, anche se quello significò per lui passare più tempo in viaggio che in relax a casa, ma approfittò comunque dei pasti in famiglia e dei sacchetti extra per il viaggio che i parenti preparano lui, immaginando già, tristemente. chi avrebbe potuto mettere le mani sui fornelli se si fossero davvero trasferiti tutti. Jennifer passò un Natale abbastanza tranquillo e nella norma guardando tv e infornando biscotti sotto il vigile controllo della madre che poco si fidava delle sue doti culinarie. Era in grado di bruciare qualcosa anche senza che il fuoco fosse prodotto da lei stessa. Era più un tipo fatto per il prodotto finito e non per l’attesa.
Michael trovò la casa affollata da cugini che vedeva al massimo due volte l’anno, così passò principalmente il suo tempo con loro. Non gli pesò affatto contando che essendo figlio unico e non vedendoli spesso, quella compagnia era un piacere e lo tenne occupato.
Jess invece fu ben attenta a non incontrare tutti i suoi coetanei o ex compagni di scuola, evitando i mercatini e persino la festa che si organizzava sempre in città subito dopo la cena della vigilia.
Alexis tutto l’opposto, stette veramente poco a casa tra un giro al centro commerciale, quasi un pomeriggio volato nella pista di pattinaggio al parco, e il pranzo il giorno di Natale a casa dei vicini. I figli erano entrambi rimasti bloccati nella città in cui stavano studiando a causa del maltempo ma tornare in quella casa dopo anni che lei pensava di aver perso i rapporti con quella famiglia fu bello. Guardarono insieme alcuni vecchi filmati con non poca malinconia.
Ashton invece raggiunse i genitori in vacanza già da una settimana in Austria e si godette due giorni nelle montagne innevate tra lezioni di snowboard e regali aperti davanti al camino. Rientrò partendo proprio dallo stato austriaco e ricomparve nella stanza, regalando una  palla di neve addosso a Harry, appena smaterializzatosi.
La mattina successiva iniziarono gli esami per valutare la preparazione e l’adeguatezza all’incarico, e terminarono con Sylvia il pomeriggio del secondo giorno. Entro quella notte stessa seppero tutti di essere passati e fu inevitabile non festeggiare anche in compagnia di Louis, Luke Liam, Ella e Calum, anch’essi accettati. Anche se erano ancora nel pieno della settimana. Nell’esatto momento in cui era stato annunciato loro che sarebbero dovuti andare a San Francisco e Ottawa rispettivamente, avevano smesso di essere studenti d quella scuola, con la piccola differenza che avevano ancora del tempo per svuotare le loro stanze.
Anche Jess cercò di essere partecipativa e gli altri allo stesso modo si dimostrarono più disponibili. Si permise persino di essere l’unica a ridere ad una stupida battuta di Louis che “se non fosse che ci stanno dividendo, sono sicuro saremmo diventati buoni amici”.
Ebbero altri due giorni per impacchettare le proprie cose tra quelle che avrebbero dovuto portare a casa e quelle che sarebbero state il loro bagaglio per la nuova destinazione. Quando riuscirono a finire, fu d’obbligo personale, per tutti fare un giro dell’Accademia, anche se Jess ci era stata solo due mesi. Successivamente ognuno fece ritorno a casa per recuperare le ultime cose e salutare i propri genitori dopo quello che sarebbe stato un indefinibilmente lungo viaggio.
Il penultimo giorno partirono  ognuno dalla propria città, chi più fortunato in compagnia di qualcun altro.  Dopo più di quattro ore e mezza di media di volo, il gruppo si ritrovò a Santa Cruz, ad eccezione d Ashton e Alexis i quali erano già arrivati a destinazione da tempo. Il riccio dopo esser passato a casa propria era tornato a Solon per prendere la castana, e da lì insieme si erano smaterializzati nel punto d’incontro in cui uno degli ufficiali del Distretto statale reclutamenti li attendeva per accoglierli e dar loro le chiavi dell’abitazione comune. Intanto gli altri da Santa Cruz dovettero affrontare altre due ore di auto prima di raggiungere San Francisco.
Guidò Harry, forse la persona più affidabile e al momento più sveglia per essere in grado di prestare attenzione alla strada, a fianco a lui Sylvia si occupava di tenerlo attento e di gestire la musica alla radio. Jennifer e Niall subito dietro avevano la scorta di cibo che avevano fatto in un piccolo supermercato prima di partire, e Jess e Michael avevano preso posto negli ultimi due posti dietro, posti che furono tremendamente concilianti per quanto riguarda il sonno, infatti non ci volle molto dopo la partenza, prima che si addormentassero entrambi a breve distanza.

Arrivarono nel pomeriggio, mentre il sole già iniziava a tramontare.
Ebbero modo di vedere qualcosa della città solamente durante il tragitto che portava alla loro abitazione, una villetta piuttosto isolata, in periferia. Il cancello non diede molto modo di vedere all’interno e i ragazzi  dovettero chiamare Ashton e Alexis per farsi aprire.
«Jess..» si sentì chiamare la mora «Siamo arrivati.» sentì una leggera pressione sul braccio.
La ragazza ancora completamente addormentata, dovette fare conto a tutta la sua forza per lasciar andare il sogno piacevole che stava facendo in quel momento  e svegliarsi. Appallottolata di fianco, aveva sulle spalle una giubbotto che non era chiaramente il suo visto che lo aveva indosso sotto, però dal profumo che percepì da questo e dall’aspetto più leggero di Michael a pochi centimetri dal suo viso, capì immediatamente di chi  doveva essere. Si sollevò a sedere lentamente, scostandosi i capelli da davanti al viso e controllando che il trucco non fosse colato eccessivamente. Sperò persino di non aver dormito a bocca aperta per la sua credibilità.
«Grazie..» mormorò con la voce appena impastata dal sonno, porgendo il capo al ragazzo.
«Di niente. Ad un certo punto hai iniziato a tremare ma il riscaldamento non funzionava..»
Gli altri erano già scesi e svuotavavano il porta bagli dalle loro valigie. Fortunatamente intervenne Ashton a fermare quella fatica prima che Jess si avvicinasse ad aiutare. Stordita com’era, non sarebbe nemmeno riuscita ad afferrarla nel modo giusto la propria valigia.
«Ragazzi dovette vedere la casa. È incredibile!» disse il riccio affiancato dalla castana sulla porta.
«Lasciate tutto così. Penseremo dopo a queste, vi facciamo fare un giro delle stanze.» disse lei.
Gli altri lasciarono con piacere ciò che stavano facendo, Jennifer mollò la presa su una valigia non sua con un tonfo poco rassicurante al suolo, il fatto che Harry la guardò davvero molto truce dava a pensare che fosse sua, in ogni caso subito dopo  li seguirono verso l’interno, attraversando la porta in legno massiccio a doppia anta. Sin dall’ingresso la casa  si dimostrò grande e distintamente lussuosa rispetto a quello a cui erano abituati loro, soprattutto dopo l’accademia.
Con tutte le luci accese e la luminosità al massimo, non ci volle molto perché anche Jess si svegliasse del tutto e assimilasse ciò che la circondava. Niall andò subito nell’angolo cottura e girò intorno alla penisola in marmo bianco fischiando tutta la sua incredulità riguardo gli elettrodomestici con un cipiglio scettico «Voglio vedere quanti di questi verranno utilizzati.»
«Se tu non sai cucinare, questo non vuol dire che gli altri non lo sappiano fare.» disse Alexis.
«Io so qualche ricetta .» fece spallucce Jess spostandosi più verso il salone.
«E Harry sa persino fare il pane.» fece notare Sylvia mentre il riccio vicino a lei annuiva.
«Ottimo. Non moriremo di fame o andremmo avanti di asporto.» esultò invece Michael.
Dopo lo spazioso salone dall’arredamento basic,  con posti a sedere a sufficienza sia davanti al televisore ultrapiatto collegato a centinaia di canali-  come Ashton fece notare loro perché aveva già avuto modo di provarlo - che al camino, il gruppo si spostò verso un piccolo corridoio perfettamente parallelo alle scale per il secondo paino. La prima porta a sinistra era una semplice dispensa con grandi scorte di cibo e detersivi utili, mentre la porta più avanti si trattava di un piccolo bagno con mattonelle grigio scuro, compreso di doccia.
Successivamente un’ampia finestra a vetri scorrevole, dava sul cortile sul retro, un signor cortile. Un patio in legno scuro coperto da una tettoia dello stesso colore creava uno spazio più appartato come un salottino esterno. Un barbecue e un lungo tavolo erano posizionati a sinistra sul prato, centralmente a ridosso dell’alta siepe invece vi era una piscina  “con jacuzzi!” notò Sylvia, e infine sulla destra tanti divanetti e pouf intorno a quella che sembrava la base per accendere un falò.
«Dovete vedere questo!» disse Alexis richiamando tutti all’attenzione, riportandoli dentro.
«Dovremmo vedere il sottoscala? Avete già messo i vostri capotti?» rise Niall.
«Sisi ridi pure, ora vedrai.» lo prese in giro a sua volta la castana aprendo la porta.
Il piccolo stanzino in realtà ben illuminato, portava ad un altro piano inferiore che tutti raggiunsero scendendo in fila indiana una piccola scalinata. Ashton davanti a tutti andò sicuro nel buio tastando la parete nel punto in cui sapeva ci fosse l’interruttore generale. Dopo qualche secondo, una stanza molto grande – forse anche più larga rispetto al primo piano dell’abitazione stessa – era illuminata nella sua interezza da delle lampade a neon molto potenti.
Il gruppo si sparse un po’ in ogni angolo osservando tutti i macchinari base per un buon allenamento e l’attrezzatura specifica per esercitare i propri poteri, compresi una vasta gamma di armi adatte per tutti loro. Da pistole che nemmeno in accademia Niall aveva mai visto, a reti che Harry aveva solo potuto vedere ma non comprare mai perché troppo costose per le sue tasche.
Il tour della casa terminò con un’occhiata veloce al piano superiore che vide quattro stanze arredate in maniera molto simile tra loro con colori neutri e i mobili essenziali, due bagni – compresi di una vasca che Jess si ripromise di provare assolutamente - ognuno collegato a due stanze  ed infine una terrazza che dava sul giardino sul retro.
Dopo questo fu davvero il momento di prelevare le valige e di scegliere ognuno la propria stanza.
Davanti alle scale, Niall aiutò Jennifer con la sua seconda valigia, stessa cosa fece Harry con quella di Sylvia mentre la castana rimase in mano con solo una tracolla straboccante, mentre Jess, non aveva più di un bagaglio, ma la cosa negativa era che fosse più grande rispetto gli altri.
«Ti serve una mano con quella valigia?»
Jess si guardò alle spalle scuotendo la testa alla vista di Michael con uno zaino sulle spalle, e il  trolley nella man sinistra «Non c’è bisogno, ce la faccio da sola, grazie.»
Questo però non bastò a tenerlo lontano. Ignorando quanto detto dalla ragazza, il rosso allungò una mano e la infilò a fianco a quella della mora nella seconda metà del manico. Nell’attimo in cui si sfiorarono Jess sbuffò e continuò ignorandolo fino al pianerottolo al secondo piano.
«Jess c’è una cosa che dovrei dirti.» disse Alexis prima che potesse procedere in tono insicuro.
Fu più forte della mora, entrare nella sua mente anticipando le sue parole, e capire cosa intendesse. Questa se ne accorse probabilmente dall’espressione che comparve subito dopo sul suo viso e dal modo in cui guardò le altre due coppie intende ad entrare per mano in due stanze diverse. Perché Alexis la stava tradendo in quel modo?
«Mi prendi in giro vero?» chiese Jess speranzosa che l’altra annuisse e smascherasse tutto.
«Mi dispiace..» aggrottò le sopracciglia la castana mentre abbozzava un sorriso tirato.
«Potrei sapere cosa sta succedendo?» tossicchiò Michael cercando di passare.
«C’é..» prese parola la mora dopo aver sospirato profondamente «..che divideremo la stanza.»
«Cosa?!» esclamò il rosso sorpreso quanto lei.
«Perciò..» lo ignorò lei «Iniziamo a mettere subito delle regole. Il letto vicino alla finestra è il mio, non voglio vedere mutande o calzini sparsi in giro, evita i porno, vorrei dormire la notte…»

«Andiamo in un locale? Potremmo consultare su internet qualche recensione.» propose Michael.
«No vi prego.» mormorò Alexis « I locali saranno super affollati per l’ultimo dell’anno. Vogliamo festeggiare la mezzanotte schiacciati tra il bancone e altre mille persone? O peggio in fila?»
«Alexis ha ragione.» annuì Harry impilando tutti i piatti sulla tavolata, insieme «Altre idee?»
«I fuochi d’artificio!» esclamò Niall sbattendo la bottiglia con qui stava giocando sul tavolo «Ci saranno di sicuro fuochi d’artificio in tutta la città, scegliamo da dove guardarli ed è fatta.»
«Che ne dite di andare al Golden Gate Bridge Welcome Centre? Dalle foto sembra ci sia un punto di osservazione niente male e ci saranno molti spettacoli pirotecnici. Dovremmo lasciare l’auto un po’ distante però.» informò tutti guardando con attenzione lo schermo del proprio telefonino.
«Dopo cena?» chiese Jennifer caricando la lavastoviglie con gli ultimi piatti.
«Impossibile.» scosse la testa Jess piegando il panno precedentemente utilizzato «Dobbiamo andare per forza prima. San Francisco sarà immersa nel caos da molto tempo prima. Se andiamo dopo cena non è sicuro nemmeno che riusciamo a raggiungere la destinazione, immaginate trovare un parcheggio e un punto da dove vedere i fuochi.» fece notare loro.
«Quindi? Siamo tutti d’accordo?» chiese Ashton cercando lo sguardo dell’intero gruppo.
Tutti uno alla volta, chi più deciso dell’altro, annuirono confermando il piano per il Capodanno.
«Che ne dite di sandwich? Un po’ poveri ma abbiamo tutti gli ingredienti.» disse Jennifer.
«Sapete cosa manca?» chiese Niall «La birra, e lo champagne. Non possiamo mica festeggiare senza.» osservò ricevendo l’appoggio soprattutto del resto dei ragazzi.
«Ecco visto che siete tutti d’accordo, perché voi uomini non andate al supermercato e comprate qualche bottiglia da portare, mentre noi ci occupiamo del cibo?» propose Alexis.
Circa un quarto d’ora più tardi i ragazzi stavano varcando il cancello a bordo del furgone, mentre le ragazze avevano già sommerso il tavolo di pane e condimenti che accontentassero tutti.
«Ehi Jenn contieniti! Stai mettendo troppa maionese su quelle fette!»
«Allora Alex..» spostò l’attenzione Sylvia ammiccando nella sua direzione «Con Ashton?»
La castana arrossì oltremisura e fece spallucce «Non c’è nulla da dire.»
«Si certo. Io non sto dividendo la stanza con Michael per nulla. Perciò sputa il rospo.» la minacciò Jess puntandole contro il rotolo della pellicola trasparente.
L’altra sollevò gli occhi al cielo e «Niente potrei aver tralasciato che a Dublino ci siamo baciati..»
«Chi ha baciato chi?» chiese di getto Jennifer con quell’espressione tremendamente fastidiosa.
«Non ho intenzione di dirvi esattamente come è andata.» borbottò sistemando le fette di pane.
Eppure al suo posto rispose Jess «Ẻ stata lei.»
«Jess! Non mi leggere nel pensiero ti prego.» esclamò contrariata Alexis, guardandola indignata. In risposta l’altra sorrise colpevole e alzò le mani in segno di resa riprendendo poi a lavorare. In qualche modo la catena di montaggio singhiozzò andando a rilento. Anche le altre due si distrassero gongolarono tra loro come due comari su quanto fossero orgogliose della loro piccola Alexis, e su quanto aspettassero un avvenimento simile, per poi Sylvia chiedere ancora «E poi?»
«Ci siamo sentiti il giorno di Natale e potremmo esserci scambiati qualche altro bacio aspettandovi ieri sera.» mormorò in imbarazzo senza staccare lo sguardo dai propri movimenti.
«Chissà cosa hanno fatto in nostra attesa i piccioncini.»
«Abbiamo girato tutta la casa e vi abbiamo aspettati sul divano in salone. Nulla di più.»
«Fingiamo di crederci..» annuì Sylvia con ancora uno sguardo malizioso in viso.
«Jess ti prego diglielo tu!» la supplicò la castana.
«Cosa dovrei dirgli?» fece la finta tonta la ragazza «Hai detto di non leggerti nel pensiero.»
Quando i ragazzi rientrarono, fu chiaro sin da subito che avessero comprato molte più cose rispetto a quanto avessero stabilito in precedenza, riempiendo così la dispensa con una scorta che da regolamento non avrebbero nemmeno potuto possedere. Dovevano rimanere sempre abbastanza lucidi da intervenire in qualsiasi momento fosse stato necessario, anche quella stessa notte nonostante avrebbero voluto festeggiare senza quel pensiero. Per finire quella scorta avrebbero impiegato mesi, senza esagerare.
Dopo essersi tutti preparati, riuscirono a lasciare la villa con zaini stracolmi a metà pomeriggio. Attraversare la città in mezzo al traffico richiese quasi un’ora, metà del tempo che avevano impiegato per percorrere molta più strada il giorno prima dall’aeroporto. Quando arrivarono però, capirono che la scelta di andare lì era stata quella più giusta, da subito. Il sole aveva quasi finito il suo percorso verso l’orizzonte e lasciava ormai solo una piccola scia arancione che si rifletteva sul Golden Gate e su tutto il mare circostante.
Non dovettero nemmeno distanziarsi dall’auto, perché il posteggio si trovava esattamente sopra il punto di osservazione che Sylvia aveva visto su internet. Trovato il posto ideale, che dava direttamente sul Golden Gate Bridge acconsentirono tutti a rimanere lì. Avrebbero potuto usufruire dell’appoggio e del calore dell’auto nel caso in cui fosse servito.
Far passare il tempo, tra sandwich al tonno e quelli al formaggio, qualche bottiglia di birra stappata al suolo, e il tentativo di far partire indovinelli e giochi da party, fu difficile, soprattutto verso la fine, dopo aver passato ore a circa cinque gradi e con un leggero vento che colpiva la baia arrivando dall’oceano aperto. Nonostante ciò l’arrivo della mezzanotte li prese alla sprovvista.
Intorno a loro, tutte le persone iniziarono a festeggiare, lo scoppio in più di una bottiglia di champagne anticipò di pochi secondi, quelli dei fuochi d’artificio che possenti esplodevano da punti diversi dietro il ponte rosso. Non rimanere qualche secondo estasiati da quello spettacolo fu impossibile. Grandi scintille di ogni colore si alternavano velocemente proiettando le sue luci su un cielo quasi illuminato a giorno e sul mare ora molto più chiaro.
Jess si guardò intorno, Sylvia e Harry si stavano facendo gli auguri a modo loro, Jennifer e Niall erano incollati allo stesso modo tra loro e Ashton e Alexis erano vicino al muretto, lui le stava dicendo qualcosa all’orecchio, qualcosa che alla mora parve essere troppo lungo per essere degli semplici auguri, poi inevitabilmente vide anche le loro labbra unirsi.
Senza più alcuna speranza, Jess cercò Michael. Lo trovò alle sue spalle, in piedi sul tettuccio del furgone con il naso all’insù. Le luci creavano disegni strani su tutto il suo viso.
Quello si accorse poco dopo dello sguardo della ragazza puntato su di sé, e le tese la mano. Pensò fosse pazzo, non la convinceva molto quell’idea, ma l’afferrò comunque e lo raggiunse là in alto.
Si guardarono per un po’, poi la ragazza scosse la testa, si avvicinò al suo orecchio e «Buon anno nuovo Mike.» disse in modo che potesse sentirla sopra tutti quei rumori. Subito dopo le braccia del rosso la strinsero.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17


Con l’arrivo dell’anno nuovo era iniziato ufficialmente quello che per i ragazzi era il servizio nello stato federato della California in particolare a San Francisco. Il primo giorno i gennaio era cominciato abbastanza tranquillo, vedendo un aumentare degli impegni già da poco prima dell’ora di pranzo, per poi peggiorare in maniera esponenziale nei giorni successivi.
Essendo nuovi nel campo dell’intervento ed essendo alle prime armi con quell’esperienza, erano piuttosto tenuti sotto controllo. Jordan, una donna  minuta ma dallo sguardo così deciso da non far venire alcun dubbio sul fatto che fosse in grado di placcarti con una sola mano se ci fosse stato bisogno, era stata mandata dal Distretto e gironzolò per la villa per un paio di giorni, controllando la serietà dei loro comportamenti e talvolta anche degli allenamenti. Si poteva dire che prendeva le vesti anche di una manager occupandosi costantemente di ricordare loro impegni importanti o meno, che non dovevano saltare.
Il grande passo però avvenne prima della fine della settimana. Quasi tutti in piedi, quel giorno era la prima volta che Jordan non era nei paraggi e tutti si erano permessi di godersi la cosa moderando tutti i tempi, ma era scritto da qualche parte che non avrebbero avuto tranquillità.
Purtroppo per loro uno squillo poco più alto di quello che poteva essere del telefono, ma molto più assomigliante ad un allarme risuonò nella casa attirando l’attenzione principalmente delle persone presenti al piano inferiore. Harry e Sylvia rientrati dalla corsa da qualche minuto e Ashton intento a litigare con la macchinetta del caffè, si recarono per primi nel salone trovando la televisione al plasma accesa e collegata a quello che era senza dubbio il centro generale del Distretto statale reclutamenti o comunque qualcosa di molto smile, come un ufficio interno.
L’uomo brizzolato dall’altra parte dello schermo si assicurò di essere sentito, dopo che i tre risposero affermativamente vedendosi riflessi in un angolo – inconsapevoli e scioccati che si potesse fare una cosa simile – l’uomo continuò a parlare rapidamente e in maniera concisa «Spero che siate tutti svegli ragazzi. C’è un problema, un grosso problema che richiede il vostro intervento il più presto possibile. E non scherzo quando dico che si tratta di vita o di morte per molte persone. Jordan arriverà a minuti insieme ad un furgone del Distretto per portarvi a destinazione e nel frattempo vi spiegherà cosa succede. Confido in voi perché vi assicuriate che il messaggio sia arrivato anche al resto del gruppo e che siate pronti all’arrivo del mezzo che vi preleverà, Detto questo buona fortuna.»
I ragazzi una volta spentosi lo schermo, allo stesso modo in cui si era acceso, passarono tre secondi a fissarsi per assimilare quando successo. Subito dopo corsero tutti al piano superiore scoprendo che anche gli altri avevano sentito l’annuncio, persino Jennifer in quel momento con un asciugamano tra i capelli, sosteneva che lo specchio nel bagno avesse proiettato l’immagine.
Non ebbe tempo di asciugarli, come Sylvia e Harry di entrare in doccia. In meno di dieci minuti il campanello suonò erano tutti pronti, tranne qualcuno – come ad esempio Michael e Niall – che salì nel retro del furgone nero ancora allacciandosi le scarpe.
«Buongiorno ragazzi.» esordì la donna seduta centralmente rispetto alle due file formate dal gruppo «Come vi è già stato anticipato oggi sarete coinvolti nella vostra primissima missione  come squadra d’intervento. Abbiamo poco tempo perciò sarò breve e sperò tutti riusciate a capirmi sin da subito.  Circa un’ora fa, alla Northeast High School quattro studenti del penultimo e ultimo anno sono entrati nell’istituto e da allora lo stanno tenendo in ostaggio, anche se non crediamo affatto sia quello il loro scopo principale.  I poliziotti sono riusciti a collegarsi con le videocamere di sorveglianza e hanno scoperto che i quattro sono precedentemente entrati e hanno piazzato vari ordigni tra la mensa e la biblioteca. Si pensa che volessero far esplodere la parte della scuola e fare molte vittime in un solo colpo, ma qualcosa è andato storto, perciò il piano dev’essere cambiato perché sono entrati loro stessi armati fino ai denti, e quanto dico armati fino ai denti intendo dire che hanno borsoni colmi di armi esplosive.»
«Perché siamo stati chiamati così tardi?» chiese Sylvia corrucciata.
«Hanno tardato persino i professori a capire che non si trattasse di una bravata degli studenti dell’ultimo anno. L’ultimo aggiornamento ricevuto proviene da una professoressa ferita che si è rintanata con una cinquantina di studenti nella biblioteca. Dovrebbe essere ancora in collegamento via telefono. Il vostro compito è cercare prima di tutto di salvare quante più persone possibili e fermare al più presto quei quattro pazzi. Se è necessario non trattenetevi dall’utilizzare le maniere forti, abbiamo fiducia nel vostro metro di giudizio.»
I ragazzi annuirono pensierosi. Erano tante le sensazioni che in quel momento stavano provando, dall’adrenalina al timore perché l’una non poteva davvero esistere senza l’altra.
Quando il furgone si fermò definitivamente e l’autista andò loro ad aprire, i ragazzi si trovarono in un parcheggio - nel punto più distante rispetto all’edificio -, in un perimetro chiaramente adibito in quel momento da centro di controllo tra paramedici e forze dell’ordine. La situazione in un primo momento fu confusionaria per loro,tra Jordan che provava a dare loro qualche dritta e ad armarli nei dovuti modi.  Inoltre i commenti che provennero da un gruppo di poliziotti poco distanti, non li aiutò per niente ad ambientarsi.
«E questa dovrebbe essere la squadra d’intervento che stavamo aspettando?» rise uno.
«Avranno l’età dei miei figli. Se entrano lì dentro non ne usciranno mai vivi.» sostenne un altro.
Jess sciolse la propria cintura e sguainò la propria katana nel tentativo di sembrare minacciosa. Eppure ciò non diede il risultato sperato. I poliziotti risero all’unisono e ancora più forte, cominciando a fare così tante battute che per un attimo il parcheggio si trasformò in un circolo ricreativo. Con Niall chiesero se avesse il porto d’armi per poter possedere ed utilizzare tutte quelle ami da fuoco nella propria cintura, Jess, Jennifer e soprattutto Harry videro commenti che citavano spartani e gladiatori, oppure domande che chiedevano dove avessero lasciato i costumi.
Ma la cosa che dava loro più fastidio non era tanto esser sottovalutati da una mandria di persone che non avevano la minima idea di cosa ci fosse oltre il loro naso, ma che la situazione dentro quella scuola era davvero tragica e loro non stavano nemmeno tentando di fare il loro lavoro.
Tutti si ammutolirono quando dall’ingresso lontano la porta si spalancò, un o studente fece qualche passo oltre la soglia, per poi cadere al suolo immobile. Ma non fu questa la cosa più stupefacente, la cosa che zittì tutti fu la prontezza di Ashton. Un secondo prima era a fianco a loro in mezzo al gruppo, il secondo dopo non c’era più. Poco dopo ancora poggiava vicino all’ambulanza il corpo ferito del ragazzo che chiaramente non era più all’ingresso.
«C.. come ha fatto? Non è possibile.» borbottò uno degli ufficiali.
Jordan si fece avanti in quel momento «Vorremmo essere aggiornati. C’è un superiore, qualcuno qui che potrebbe dirci com’è la situazione all’interno, prima che io mandi i miei ragazzi?»
Un uomo superò il gruppo di poliziotti che ancora stentava a credere a quanto visto «Due stanno facendo avanti e indietro nel corridoio della biblioteca, siamo ancora in contatto con la professoressa all’interno e per ora è una delle nostri fonti più sicure. Gli altri due gli altri due invece li abbiamo persi. Alcune telecamere sono esplose a causa di alcuni ordigni rudimentali e abbiamo perso le loro tracce già da un po’.» spiegò questo.
«Ottimo.» sentenziò la donna più ferma e decisa che mai  «Avete sentito no? Salvate la scuola.»
Il gruppo si mosse compatto attraverso il parcheggio, osservando attentamente la facciata della scuola. C’erano decine e decine di finestre e entrate da cui i ragazzi avrebbero potuto sparare.
Arrivati all’atrio parlare a voce bassa fu un azione spontanea per tutti. A quel punto le strade da intraprendere erano tre e per poter intervenire il più in fretta possibile avrebbero dovuto dividersi. Lo fecero, senza ragionare particolarmente su come fosse meglio farlo, avendo il tempo probabilmente avrebbero potuto trovare le giunse alleanze, ma  non ne avevano.
«Ci vediamo alla fine. Cercate di non farvi troppo male.» sussurrò Alexis.
«Stessa cosa vale per voi.» rispose Jennifer guardando tutti gli amici uno alla volta.

Michael e Ashton proseguirono per il corridoio est evitando qualche maceria e osservando gli armadietti incurvati dall’esplosione di qualche bomba artigianale. Alcune aule erano aperte, al loro interno alcuni banchi erano spostati a ridosso di altri. Libri sparsi per terra, zaini al suolo ad intralciare la strada e sulle lavagne  trascritte, le lezioni lasciate in sospeso. In quelle chiuse sbirciavano dentro sperando di trovare qualcuno ancora salvabile, o di non trovarne affatto.
«Come li immagini? Chi credi dovremmo cercare?» chiese il rosso rompendo il silenzio.
«Non lo so, non ho idea di come sia ma sono sicuro di saper individuare un pazzo armato di mitraglietta se lo trovo.» rispose Ashton stringendo la presa sul proprio pugnale, mentre l’altro apriva una porta sulla destra. Quella che scoprirono essere la palestra era anch’essa deserta. Le porte antincendio erano spalancate nel chiaro segno che erano state utilizzate come via di fuga. Non trovarono nessuno nemmeno negli spogliatoi adiacenti, o nei bagni più avanti.
Fu diverso invece appena arrivarono alle scale. Un corpo riverso su di esso, a faccia in giù, fece rivoltare lo stomaco dei due ragazzi. Ashton dovette spostare lo sguardo, Michael trattenne il respiro mentre si inchinava su di lui e confermava subito dopo  che non vi era più battito.
Procedettero lungo la rampa, e questa volta la scena si ripeté, o quasi. Una ragazza poco più piccola di loro era semi distesa contro una fila di armadietti. La sua gamba e la sua spalla sinistra erano ferite da un colpo d’arma da fuoco. Le sue guance erano rigate da lacrime ma dalle sue labbra nessun suono osava uscire. Appena Michael si chinò su di lei questa sussultò.
«Shh tranquilla siamo dalla parte dei buoni. Vogliamo aiutare.» cercò di dire in maniera più convincente e delicata possibile «I proiettili sono ancora all’interno, non posso curarla. Ma non può nemmeno rimanere qui o morirà.» si rivolse poi ad Ashton.
Il riccio che stava controllando le spalle ad entrambi, spostò per la prima volta lo sguardo sulla ferita. Si trovò d’accordo con lui «La portiamo all’esterno?»
«No tu la porterai all’esterno, io intanto controllo le aule, potrebbe esserci qualcun altro.»
«Non ti posso lasciare qui da solo. Se qualcuno di loro dovesse saltar fuori..»
«Me la posso cavare, e poi tu ci metterai troppo poco tempo, perché mi succeda qualcosa.»
L’altro annuì «Va bene signorina, la porto fuori. Adesso dovrai stringere i denti, ti devo prendere in braccio, e ti prego non urlare, stiamo per fare qualcosa di un po’ particolare.»
«A..aspetta!» lo fermò la ragazza «Il ragazzo armato, è andato verso di là ma ogni tanto torna.»
Un secondo dopo Ashton non c’era più e Michael era solo. Non perse tempo. Osservò un paio d’aule attraverso la finestrella posta al centro. Tutto sarebbe sembrato normale, se il rosso non fosse addestrato a catturare tutti i dettagli, non si darebbe mai accorto della punta di una scarpa, sbucare da dietro l’armadio all’angolo della stanza. Una volta all’interno, furono molte più di quanto pensasse le persone nascoste all’interno. Queste si spaventarono vedendolo, ma capirono subito, anche che non fosse lui il pericolo. Si raccomandò con loro di stare attenti, di non muoversi di lì, che sarebbero tornati a liberarli il prima possibile, e disse al ragazzo all’angolo di farsi più piccolo. Quando il riccio ricomparve al suo fianco, lo paura tornò negli occhi dei ragazzi. Oltre quello però fu possibile vedere anche la confusione e lo stupore per ciò che di paranormale avevano appena visto.
Come la ragazza aveva detto, uno dei ragazzi armati si trovava ad un paio di corridoi di distanza, intento a sparare fuori dalla finestra, verso il campo da calcio dove alcuni paramedici cercavano di aiutare studenti in fuga e feriti. Non poté essere più facile di così prenderlo alle spalle.
Michael era una frana con il labiale, in quel momento rimpianse la presenza di Jess e del suo potere, grazie al quale lei lo avrebbe capito senza che parlasse. Con il castano al suo fianco, prima di farsi capire dovete mimare le stesse parole tre volte, e quando effettivamente Ashton capì passò comunque un po’ di tempo che fece ancora dubitare la reale comprensione al rosso. Dal modo nel quale lo guardava poi capì, non voleva colpirlo come gli aveva chiesto, non voleva farlo anche se sapeva bene che l’altro non avrebbe provato tutto quel dolore che invece tramite la sua pelle e il suo potere avrebbe inflitto al ragazzo, e che sarebbe potuto guarire subito.
A quel punto Michael fu costretto a parlare a ordinargli di colpirlo con uno dei suoi pugnali. Il rumore naturalmente attirò anche il ragazzo il quale si voltò e senza metterli a fuoco sparò.
Se non ci fosse stato Ashton che prontamente lo afferrò per un braccio e teletrasportò entrambi dalla parte opposta, il rosso si sarebbe preso un proiettile in pieno petto, e sapeva sarebbe stato per colpa sua.  Solo allora, come ordinato, Ashton chiuse gli occhi e infilzò il suo pugnale nell’avambraccio destro dell’. Le urla, quelle dello studente arrivarono immediatamente. Il fucile cadde a terra ed entrambi gli furono a dosso bloccandolo in modo che non potesse scappare.
La ferita di Michael era già guarita, decisamente non lo era quella dello studente.


 

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