L'arrivée des papillons

di Swamplie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Emarginata ***
Capitolo 2: *** Conseguenze ***
Capitolo 3: *** La casa di una sconosciuta ***
Capitolo 4: *** Una nuova prospettiva ***
Capitolo 5: *** Senso di colpa ***
Capitolo 6: *** Vendetta ***
Capitolo 7: *** L'arrivo delle farfalle ***
Capitolo 8: *** Gelosia ***
Capitolo 9: *** Confessioni ***
Capitolo 10: *** La gita scolastica ***
Capitolo 11: *** Mount Weather ***
Capitolo 12: *** Scuse ***
Capitolo 13: *** La casa sull'albero ***



Capitolo 1
*** Emarginata ***


Questa non è una mia storia, ma solo una traduzione. Trovate il testo originale qui http://archiveofourown.org/works/7396117/chapters/16799770
 
CAPITOLO 1
Emarginata

Solo qualche mese fa, Clarke pensava che la popolarità fosse il più importante obiettivo della sua vita. Pensava che “amore” volesse dire trovare qualcuno che potesse migliorare le tua fama. Pensava che l’unico modo per divertirsi fosse quello di ubriacarsi senza limiti e poi dimenticare tutto quello che aveva fatto.

Ma questo era prima di conoscere Lexa.

Si vedevano nei corridoi, ovviamente. Per 8 anni erano andate nella stessa scuola. Qualche volta avevano giocato nella stessa squadra nelle ore di ginnastica, si sedevano vicine in classe, eppure Clarke non sapeva assolutamente nulla di Lexa.

Ed era come voleva che andassero le cose. Lexa non era qualcuno con cui parlare. A meno che non volevi suicidarti. In tutta onestà, era colpa di Clarke se le cose si erano evolute in quel modo. Lei e i suoi amici avevano notato che Lexa era diversa sin dall’inizio, e in una piccola città come quella, questa cosa non poteva essere tollerata.

Ma quello che davvero infastidiva Clarke, quello che a volte non la faceva dormire la notte, era il fatto che Lexa sembrava non notare neanche le loro dure parole. La rabbia le ribolliva dentro. Aveva tutto il resto della scuola ai suoi piedi. Le bastava sorridere nella direzione di un ragazzo e il suo sguardo l’avrebbe seguita dovunque andasse, la ragazze più piccole la veneravano come fosse una regina. E gli emarginati avevano paura di lei. Tutti, eccetto Lexa. Per lei, Clarke sembrava essere nient’altro che una mosca noiosa da allontanare non appena si avvicinava, ed era questo che Clarke non sopportava.

Tutto iniziò un giovedì di Novembre. Clarke era bloccata in quella che era probabilmente la sua lezione meno preferita, filosofia. Poteva sopportare inglese con il professor Titus, anche algebra non era male. Ma per lei, questo corso non era che un sacco di stronzate. Il professore non era da meno. Il suo nome era Gustus, esatto, Gustus. Nessun cognome, nessun “professore”, nessun “signor” doveva essere usato in sua presenza. Si era assicurato che tutti lo capissero già dal primo giorno di lezione, mentre sistemava le sedie in un grande cerchio e li incoraggiava a togliersi le scarpe. Quindi si, si poteva dire che Clarke odiava quella cosa incomprensibile che era il corso di filosofia.

Mezza addormentata, fu riportata alla realtà dall’improvviso gomito di Octavia nel fianco...

“Mmh?” Si lasciò sfuggire Clarke, mentre guardava nel cerchio chi l’avesse chiamata. Incontrò gli occhi di Gustus qualche sedia lontano.

“Buongiorno Clarke, felice di vedere che sei ritornata tra noi.” L’insegnante parlò in una voce così calma che Clarke si agitò nervosamente sulla sedia.

“Stiamo discutendo sulla natura della verità, e sarei contento di sentire il tuo parere sulla questione.”

La natura della verità. Per favore. Come se le importasse di fare finta di interessarsi a ciò di cui lui stava parlando.

“La verità...” Disse. “è che questo corso è un fantastico sonnifero e senza dubbio lo consiglierò a mia madre.”

Riuscì a sentire Octavia ridere piano di fianco a lei, mentre Gustus manteneva la sua solita calma.

“Mi dispiace sentire questo, Clarke.” Disse. “ma se vuoi superare questo semestre devi impegnarti di più di così. Forse un altro studente può darci il suo punto di vista?”

I suoi occhi saltarono immediatamente sulla ragazza di fronte a Clarke, Lexa. Ovviamente. Per quanto fosse strana, Clarke non fu sorpresa quando diventò velocemente l’alunna preferita del professore.

“Lexa.” Disse Gustus. “Sono sicuro che hai qualcosa da dire.”

Clarke la guardò con odio. Il trucco scuro intorno agli occhi, i costanti jeans stretti neri che indossava sempre con magliette con qualche immagine deprimente stampata, facevano pensare a Clarke che Lexa avrebbe voluto essere un vampiro o cose del genere. A parte questo, era una professionista a saltare le lezioni, ma la cosa peggiore era che in realtà era eccellente in tutte le materie e tutti i professori la amavano! Clarke non la sopportava, chiaramente quella ragazza faceva di tutto per essere un’emarginata e Clarke non riusciva a rispettarla. Era quasi sicura di aver visto Lexa farle un sorrisino prima di voltarsi verso il professore e quasi sperò che gli sguardi potessero uccidere.

“L’opinione generale è che ogni cosa che possa essere provata con un fatto è una verità.” Cominciò e il sorriso di Gustus sembrava brillare di più ad ogni parola che lei pronunciava. “Ma a gran parte della gente non interessano per niente i fatti. Si costruiscono da soli le loro verità e trascorrono la vita nella loro piccola bolla di ignoranza.”

“È un’osservazione molto interessante. Penso sia giusto dire che molti ragazzi della tua età stanno combattendo con diverse verità...” Disse Gustus, con un’espressione così compiaciuta che a Clarke venne quasi da vomitare. Non riusciva a credere che Lexa aveva conquistato la fiducia di ogni singolo insegnante della scuola, dato la mela marcia che era.

Clarke non lo lasciò andare oltre prima di interromperlo.

“Ho un’altra verità per lei.” Disse mentre i suoi occhi lanciavano pugnali a Lexa. “Lexa è un’insopportabile so-tutto-io ed ecco perché non ha nessun amico.”

Si sentirono diverse risatine e commenti nella stanza, e per un momento Clarke si sentì bene. Si sentì potente. Ma gli occhi di Lexa erano impassibili come mai mentre manteneva lo sguardo su Clarke, e la sua felicità si trasformò in frustrazione.
Non migliorò quando guardò Gustus e si rese conto di aver superato il limite. Gli occhi calmi e gentili del professore avevano qualcosa di più scuro ora.

“Sei esonerata dal resto della lezione.” Disse freddamente. “e verrai considerata come assente per queste ore. Non tollero commenti offensivi in questa classe.”

“Ma è la verità...”

 Gustus alzò una mano e la zittì.

“Puoi andare.” Disse e si spostò per farla passare.

Tutti gli occhi erano su di lei quando si alzò dalla sedia. Questo era uno dei momenti cruciali. Se lasciava che i suoi sentimenti avessero la meglio su di lei, tutti avrebbero capito che si sentiva dispiaciuta e avrebbe imbarazzato se stessa. Non poteva andare cosi. Era importante che tutti capissero che le cose andavano sempre come voleva lei, che aveva il controllo di ogni situazione.

Prese un respiro profondo e scacciò via ogni sentimento indesiderato per riprendere il controllo di se stessa.

“Ciao allora, stronzi.” Esclamò. “È l’ora di un pisolino, ci vediamo alla prossima lezione.”

Agguantò velocemente la nota della mano di Gustus e diede il cinque a Octavia mentre usciva.

Una volta che la porta si richiuse, quella sensazione opprimente tornò e improvvisamente si sentì vuota come il corridoio di fronte a lei. Mancavano solo 35 minuti alla lezione seguente e non le restò che seguire gli ordini di Gustus. “Biblioteca” era scritto sulla nota e lentamente cominciò a dirigersi verso quella direzione. Trascorse quei 35 minuti da sola su una scomoda sedia della biblioteca, fingendo di leggere i suoi compiti di economia mentre un gruppo di matricole la osservava da lontano. Quel giorno non fu di certo il miglior giorno della grande Clarke Griffin.

Sia Octavia che Finn tornarono a casa insieme dopo scuola. Il suo ragazzo Finn. Il Bello, lo chiamava sua madre. Affascinate e gentile, un vero gentiluomo.

“Sono così felice che tu abbia trovato qualcuno fantastico come Finn.” Le diceva spesso sua madre. “ Sono così felice che tu stia provando il primo amore, quello che ti riempie lo stomaco di farfalle! Era ciò che provavamo io e tuo padre a scuola superiore. Ora sai cosa vuol dire!”

Ma Clarke non lo sapeva. Anzi, credeva, era quasi certa in realtà, che le farfalle nello stomaco erano qualcosa che la gente si era inventata, un modo di dire. Nella realtà non esistevano le farfalle nello stomaco, la gente esagerava.

Era sicura che Finn fosse quello giusto per lei, doveva esserlo. Era il ragazzo più popolare della scuola, e come quarterback, anche l’atleta più importante. Era stato votato come il “più attraente” dal giornale della scuola, e sua madre non sbagliava quando lo descriveva come affascinante e gentile. Era un bravo ragazzo, davvero un bravo ragazzo. Generoso e comprensivo, tutto quello che Clarke avrebbe chiesto in un fidanzato. Se Finn Collins non le faceva smuovere lo stomaco, allora nessuno lo avrebbe fatto.
 
“Cosa ti preoccupa?” Chiese Finn mentre lei cercava per la cucina qualche snack per loro tre e lasciando sbattere più o meno intenzionalmente i cassetti e le ante.
 
Non dovette rispondere però, Octavia fu più veloce.
 
“Lexa l’ha fatta sbattere fuori dalla classe di filosofia oggi.” Disse sorridendo.
 
“Non è divertente.” Sputò Clarke mente si girava velocemente per lanciare un’occhiataccia alla sua amica.
 
Finn le guardava con un’espressione divertita.
 
“Come è successo?” Chiese rivolgendosi più ad Octavia.
 
“Bè, Lexa era la solita insopportabile e Clarke si è lasciata andare. Ha finito per dire troppo e Gustus l’ha buttata fuori.”
 
Alla parole di Octavia, Clarke si sentì mortificata per la situazione. Di nuovo. E si assicurò di non incrociare lo sguardo di Finn.
 
“Non è stato giusto però.” Piagnucolò Clarke, pregando che Octavia fosse d’accordo con lei. “Sei d’accordo vero?”
 
Octavia la guardò con un sopracciglio alzato.

“Stavo solo scherzando!” Clarke si rese conto di sembrare una bambina di tre anni, ma ormai non le importava più. “E Gustus, ha reagito in modo esagerato, e solo perché lei è la sua preferita lecca culo! AAAGH! Non sopporto quel sorrisino compiaciuto sulla sua faccia! Pensa di essere così importante, come se avesse vinto chissà che...”

Sia Finn che Octavia sorridevano divertiti.

“Lasciala stare, tesoro.” Disse Octavia e cominciò a mangiare la barretta energetica che Clarke le aveva dato.

“Si… devo dare ragione ad Octavia.” Disse Finn, chiaramente evitando di dire la cosa sbagliata. “Perché ti preoccupi tanto di ciò che lei pensa di te? Lei non è importante!”

“Esatto!” Octavia lo supportò. “Nessuno sta dalla sua parte, e tutti sanno che lei è... una psicopatica e strafatta di droghe la maggior parte del tempo!”

Vedere la sua migliore amica e il suo ragazzo cercare di tirarle su il morale la fece sentire un po’ meglio.

“Giusto.” Disse. “Me lo sono sempre chiesta, come facciamo a saperlo esattamente?”

“Murphy ha detto di averla vista ingoiare delle pillole ad una festa.” Disse Octavia come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Clarke però era molto scettica.

“Quindi Murphy l’ha detto?” Scherzò. “Da quando Murphy è una fonte attendibile? Lexa non ci va neanche alle feste! E poi perché mai parli con lui?”
 
“Lui è tipo... attaccato a Bellamy!” Si difese Octavia. “È difficile liberarsi di lui!”
 
“Si certo.” Clarke rise e diede un grosso morso alla sua barretta.
 
Si sentiva meglio. Nessuno sapeva le cose assurde che Lexa faceva nel suo tempo libero. Clarke era la regina in quella scuola e avrebbe trovato un modo per farla pagare a Lexa.

Non dovette aspettare molto. Grazie alla sua solita fortuna, l’occasione si presentò già il giorno dopo. Stava aspettando nel corridoio la fine della lezione di biologia di Finn, per poi andare a pranzo con lui. Sapeva che al professor Wallace piaceva intrattenere i suoi studenti più a lungo.
Quando la porta finalmente di aprì, Clarke lasciò uscire alcuni ragazzi prima di entrare e controllare che Finn fosse pronto. Di solito era sempre troppo impegnato a parlare con i suoi amici per raccogliere le sue cose. Vide di sfuggita Lexa, prima che la ragazza scomparisse dalla porta e, di nuovo, Clarke si riempì di rabbia.

“Ciao!” Finn interruppe i suoi pensieri, chiaramente felice di vederla. Né lui, Wick o Miller erano pronti, per la sorpresa di nessuno, e Clarke s’infastidì.

“Puoi finire di prepararti per oggi magari?” Lo aggredì, Wick e Miller guardarono Finn quasi con compassione.

“Rilassati.” Rispose. “Stavamo solo parlando.”

 “Ovviamente!” Il suo sguardo lo mise a disagio. “Ma io sto aspettando, puoi sbrigarti quindi?”

Finn rispose con un’alzata di spalle e finì di sistemare i libri nello zaino, mentre ritornò alla sua conversazione sulla prossima partita contro una scuola avversaria. Clarke lasciò vagare il suo sguardo intorno e i suoi occhi caddero su una strana cosa in fondo alla classe.

“Hey, cos’è quello?” Chiese, interrompendo la conversazione.

 “Mmh?” Chiese Finn confuso, e si voltò seguendo il suo sguardo. “Oh quello. Quest’anno dobbiamo inventarci un progetto individuale, qualcosa di grande da portare aventi tutto l’anno. Dobbiamo scrivere relazioni e cose così, è molto impegnativo. A quanto pare, il ragazzo con il progetto più avanzato e innovativo riceverà un premio. Non lo so, io comunque non lo vincerò.”

Clarke si avvicinò al tavolo sui cui erano disposti una serie di barattoli di diverse dimensione e strane costruzioni, ognuna con un nome scritto sopra. Piante stavano cominciando a crescere in alcuni dei progetti, pezzetti di cipolla stavano aspettando lì vicino, addirittura alcuni batteri di diversi colori decoravano l’interno di piccoli contenitori di plastica. Miller sembrava aver provato a tenere in vita un fiore in uno strano liquido colorato, ma il fiore, al momento, pareva incredibilmente vicino alla morte. Buona fortuna per il premio, Miller. Il suo fallimento non era una sorpresa, quel ragazzo era uno scansafatiche, ma non era una sorpresa neanche che il più grande barattolo di vetro segnato “Lexa” conteneva di certo le piante più grandi e più notevoli. Senza neanche sapere di che trattasse il progetto, Clarke era certo che Lexa stesse facendo un meraviglioso lavoro. Doveva essere di sicuro un’enorme secchiona per tutto il tempo. Ovviamente avrebbe vinto lei.

Lasciò andare un sibilo.

“Chi sarà il più grande esibizionista della scuola quando questo progetto si diffonderà?” Chiese.

“Chi, Monty?” Chiese Finn.

“No! Lexa, ovviamente!” Rispose seccata Clarke.

Finn sembrava divertito.

“Sta creando il suo ciclo della vita o qualsiasi cosa sia in quel barattolo.” Spiegò. “Fa circolare l’acqua dentro in modo che i fiori possano restare vivi senza aggiungerne altra. Non c’è neanche bisogno di aprire il barattolo, mai!”

Clarke non era per niente impressionata dalla nerdaggine contenuta in quel vasetto e un’idea la colpì improvvisamente come un fulmine. Si girò a guardare Finn, che ora era pronto ad andare, con un sorriso malizioso sul volto.

 “Puoi iniziare ad andare senza di me, ti raggiungo.” Disse, prima che la rabbia la calmasse.

“Che stai facendo?” Chiese Finn attento.

“È meglio che non lo sai.” Rispose.

Gli occhi di Finn si soffermarono per un attimo su di lei, prima di voltarsi e andarsene. Clarke sapeva che il professore era uscito solamente per restituire alcune cose e sarebbe tornato presto, ma aveva un po’ di tempo per fare ciò che doveva fare.

Aprì velocemente la sua borsa e ci guardò dentro. Con un sorriso trovò una bottiglietta di smalto per le unghie rosso scuro e l’aprì vicino al barattolo di Lexa.

“Oops.” Mormorò a sè stessa mentre svuotava il contenuto nel contenitore.

Osservò attenta le piante.

“Mi sembrate un po’ assetate.” Disse rivolta a loro in tono canzonatorio.

Nella borsa trovò una bottiglia di bevanda energizzante che avrebbe bevuto a pranzo. La aprì con un click e osservò affascinata come il liquido si diffondeva nel terreno. Decise che probabilmente era meglio svuotarla tutta e poi velocemente ripose la bottiglia vuota nella borsa. Dopo essersi assicurata che il barattolo di Lexa fosse chiuso per bene, ruotò e corse via dalla stanza. Non arrivò lontano però.

Sulla porta colpì una grossa massa e quasi cadde a terra. Alzò lo sguardo, il suo cuore cominciò a battere più veloce nel petto quando i suoi occhi incontrarono quelli del professor Wallace. Per qualche secondo non fu in grado di spiaccicare parola, poi un debole “ciao” venne fuori dalle sue labbra.

“Signorina Griffin” Disse Wallace con sospetto. “Non segui questo corso!”

“Lo so…” Disse velocemente ricomponendosi. “Finn Collins è il mio ragazzo però. Pensava di essersi scordato qualcosa sul banco e mi ha chiesto di tornare indietro a riprenderlo.”

Era una buona bugiarda, era sicura. Ecco come era riuscita ad evitare un sacco di note per il ritardo e come sua madre pensava ancora che lei non aveva mai bevuto un sorso di alcol. Vide il professore rilassarsi, ma per non rischiare subito aggiunse:

“Mi sta aspettando ora, devo andare. Salve!”

Si allontanò da lui e non sentendo nessuna protesta cominciò a camminare più velocemente che poteva verso il bar senza destare sospetti.
Si sedette al tavolo di Finn con un enorme sorriso stampato in faccia. Sia lui che i suoi amici la guardavano interrogativi.

“Posso sapere ora?” Chiese Finn piano.

Lei le sorrise.

“Diciamo solo che alla fine dell’anno potresti vincere tu quel premio.”

Quando Clarke buttò giù il quinto bicchierino della serata, finalmente cominciò a rilassarsi. Il finesettimana era arrivato e approfittando del fatto che i loro genitori erano fuori città, i fratelli Blake, come per tradizione, avevano organizzato un party. Clarke aveva sperato di trascorrere la serata con Octavia e Raven, prendendo in giro il modo di vestire e i comportamenti ubriachi della gente, ma Octavia aveva infranto quel sogno non appena aveva posato gli occhi su uno dei nuovi amici del college di Bellamy, Lincoln, e ora sembrava assorbire ogni parola che lui diceva appollaiata sullo stesso bancone della cucina da ben 48 minuti, era patetico. Raven stava spiegando qualche noiosissima roba scientifica ad un ragazzo che giocava a football e per questo Clarke si era ritrovata in compagnia di un ragazzo di cui non ricordava neanche il nome, ma che sembrava molto interessato a lei.

Appoggiò sul tavolo il bicchierino di vetro vuoto e si accigliò. Se non si fosse fermata subito, sarebbero stato gli altri a prendere in giro il suo comportamento ubriaco. E Finn non aveva detto che sarebbe tornado presto? Non era compito suo tenere lontano i ragazzi fastidiosi che ci provavano con lei?

Il ragazzo senza nome continuava a parlare di qualcosa che lei aveva smesso di ascoltare da un po’, il suo sguardo intanto vagava tra i corpi danzanti e i gruppi di persone che parlavano e si divertivano. Un vuoto freddo e pesante si diffuse dentro di lei. Una solitudine così fisica che sentì quasi il suo corpo sprofondare nel divano sotto il suo peso. Sembrava che tutti si stessero divertendo e si sentì anni luce lontana dallo speranzoso ragazzo che le teneva compagnia, dalle risate dei ragazzi sulla pista da ballo, persino dalle sue due migliori amiche, i cui occhi brillavano dell’eccitazione di parlare di qualcosa o con qualcuno che davvero gli importava. Non si ricordava l’ultima volta che si era sentita come loro. O non era mai successo?

Poi finalmente decise che ne aveva abbastanza di quei pensieri tristi e si alzò.

“Vado fuori.” Dichiarò al ragazzo, che provò subito ad alzarsi con lei.

“Da sola.” Aggiunse e gli voltò le spalle senza neanche provare ad essere più gentile. Non le piaceva pensare ai suoi sentimenti, e di conseguenza le importava ancora meno di pensare a quelli degli altri.

Quando uscì sul terrazzo fu colpita da una ventata di aria notturna. Finn era in piedi in un angolo ad ascoltare attentamente uno degli amici di Bellamy. Dopo un momento gli occhi di Clarke incontrarono quellI del ragazzo e lei gli regalò un sorriso seducente. Finn sembrò capire il suggerimento, si scusò con l’altro ragazzo e si avvicinò a lei.

“Hey.” Disse e la guardò con una passione davvero sincera negli occhi.

“Vuoi andare di sopra?” Chiese lei, sapendo già che la sua riposta sarebbe stata sì.

Lui annuì, i suoi occhi non la lasciarono per un secondo. Clarke sorrise e gli prese la mano, ritornarono dentro per sentire un’aria troppo calda riempirgli i polmoni e il rumore riempirgli la testa. Si fecero strada tra i corpi ammassati stretti e raggiunsero le scale. Da qualche parte dentro di lei, Clarke sentì quasi un brivido quando entrarono di nascosto nella camera da letto principale. Non appena la porta di chiuse dietro di loro, Clarke gettò le braccia intorno al collo di Finn e lo avvicinò a lei. La sua risposta fu immediata, erano fisicamente vicini quanto due persone potevano esserlo.

Fammi sentire qualcosa, Finn.

Quel pensiero si ripeté nella testa di Clarke ancora e ancora mentre si avvicinavano al letto dei genitori di Octavia.
 
Per favore, fammi sentire qualcosa.
 
 
Ehilà! 
Come detto sopra questa è solo una traduzione della ff inglese L'arrivée des papillons dell'autrice TheWorldAndTheEmpress su Ao3. Se siete impazienti, vi consiglio di andarla a leggere perchè ne vale davvero la pena.

Quindi... non ve l'aspettavate questa Clarke eh?? E' molto particolare questa ff, non sono le solite Clarke e Lexa, ma inevitabilmente, presto o tardi, finiranno insieme, ormai le conosciamo bene, no?
Sono già pronti i prossimi 4 capitoli. Se riesco a mantenere questo ritmo di traduzione aggiornerò ogni settimana.

Fatemi sapere cosa ne pensate, ogni recensione verrà tradotta e mandata all'autrice. Quindi fatevi avanti!
Alla prossima settimana
Ila

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Capitolo 2
*** Conseguenze ***


CAPITOLO 2
Conseguenze
 
Clarke sospirò pesantemente e poggiò il mento sulla mano. Un altro inizio, un’altra settimana, un altro insignificante lunedì era iniziato. Anche se al momento stava seguendo la sua lezione preferita, dibattito, era incredibilmente annoiata. Si divertiva a discutere con la gente, in questo era davvero brava, ma stare seduta e ascoltare stupide tecniche teoriche di dibattito non era la cosa che le piaceva più al mondo, e quindi si ritrovò a seguire con lo sguardo le gocce di pioggia sulla finestra.

Si stava giusto chiedendo se sarebbe successo qualcosa di interessante quel giorno, quando il professor Wallace bussò alla porta prima di aprirla ed entrare. Si avvicinò al professor Kane, che stava scrivendo qualcosa alla lavagna e gli mormorò silenziosamente qualcosa in modo che gli studenti non potessero ascoltare. Clarke cercò di aprire bene le orecchie per catturare qualche parola, ma non sentì niente. Quello scambio di battute l’aveva resa curiosa, non le piaceva non essere a conoscenza di tutto.

Inizialmente pensò di essere fortunata quando Kane chiamò: “Clarke Griffin”, ma poi realizzò che probabilmente era nei guai e si guardò intorno nervosa. Ovviamente, la maggior parte dei ragazzi stava guardando lei e lei con riluttanza di alzò dalla sedia.

“Puoi portare la tua roba.” Disse Wallace aspramente, guardandola con espressione accusatoria.

Si, era decisamente nei guai.

Sentendosi osservata dai suoi compagni di classe come mai era successo prima, sistemò le sue cose nella borsa e seguì il professor Wallace fuori dalla classe. Cominciò a camminare verso destra e sapeva che molto probabilmente si stavano dirigendo verso l’ufficio del preside. Andò indietro nel tempo con il pensiero, che cosa aveva fatto per guadagnarsi una gita nell’ufficio del preside? Niente oggi sicuramente, ma venerdì... Un sospetto si fece spazio nella sua mente. Aveva, in effetti, danneggiato il lavoro di un altro studente, ma non c’era nessuno che la stava guardando, o no? Non potevano provare niente, giusto?

Il suo stomaco fece un salto quando entrò nell’ufficio e vide Lexa seduta su una delle grandi sedie, voltata per metà verso il preside Jaha, che la guardava Clarke con un sguardo scuro. Il preside Jaha aveva appoggiato i gomiti sulla grande scrivania, le mani incrociate sotto il mento e un’espressione seria sul volto.

“Puoi sederti.” Disse a Clarke e lei obbedì in silenzio, facendosi cadere sulla sedia di fianco a Lexa. Poteva quasi sentire lo sguardo dell’altra ragazza bucargli la testa, il professor Wallace si muoveva dietro di lei, non intenzionato ad andarsene. Quel silenzio era probabilmente la cosa più orrenda che aveva vissuto finora.

Per sua fortuna (o forse no) finalmente il preside Jaha parlò.

“C’è stato uno spiacevole incidente riguardo un importante progetto del corso avanzato di biologia di uno studente.” Disse calmo. “Ne sai per caso qualcosa?”

“No.” Sputò Clarke, seguendo le sue due regole di sopravvivenza. Prima di tutto, in una situazione pericolosa: menti. Non doveva neanche pensarci due volte, ogni volta che si sentiva messa all’angolo, la bugia veniva fuori dalle sue labbra prima che potesse sbattere le palpebre. Seconda cosa: apparire seccata e negare ogni colpa. Probabilmente quella non la sua caratteristica più affascinante, ma era quello che era.

“Ovviamente no!” Scattò Lexa subito dopo di lei, facendo ribollire ancora di più la rabbia di Clarke. Non voleva neanche guardarla quella ragazza.

“Mi dispiace Clarke, ma in questo caso tu sembri essere la principale sospettata.”

Lo sguardo di Jaha la metteva molto a disagio, ma si rifiutò di guardare altrove, si rifiutò di mostrarsi debole.

“Come sapete che qualcuno ha rovinato il suo progetto?” Rispose Clarke. “Forse si è distrutto da solo!”

“Tutto il barattolo odora di veleno!” Wallace sembrava parecchio sconvolto. “È stato evidentemente aggiunto un liquido di qualche tipo, che non ha niente a che vedere con il progetto! Qualcosa di denso e rosso, molto rassomigliante allo smalto che hai sulle unghie in questo momento!” 

Clarke maledì se stessa quando si guardò le mani, e quasi cercò di nascondere le unghie nei pugni, anche se sapeva che ormai era troppo tardi. Doveva togliersi lo smalto la sera prima, si era già cominciato a rovinare e non era più carino. Alla fine però, era troppo stanca e ci aveva rinunciato, cosa di cui si stava pentendo molto in questo momento.

“E inoltre ti ho vista uscire di corsa dall’aula dopo l’ultima lezione di biologia” continuò Wallace. “Anche se non segui quel corso! Quello era l’unico momento in cui la classe è rimasta vuota prima e dopo il fine settimana, quindi non c’è altra possibilità. Puoi smetterla di mentire e ammetterlo ora!”

Clarke capì di essere stata beccata, non era stupida. Continuò però a fissare gli occhi del preside senza cedere. Non era il tipo di persona che ammetteva la sconfitta, doveva esserci una sorta di barriera fisica nella sua gola che le impediva di far venire fuori le parole ogni volta che si trovava in una situazione come quella.

“Vuoi darci una spiegazione?” Chiese il preside deluso.

Lei ancora non reagì.

“Lexa aveva lavorato duramente per quel progetto” continuò. “Ha trascorso tutta l’estate a fare ricerche per prepararsi. Il voto per questo progetto è fondamentale, molti studenti fanno affidamento su questo come merito per la domanda di iscrizione al college, può rappresentare una svolta per il futuro.”

Le parole di Jaha mossero qualcosa in lei. Da qualche parte, nel profondo, immaginò Lexa trascorrere le lunghe ore estive con un libro tra le mani, sprecando tutta l’estate per assicurarsi il miglior risultato in questo progetto. Era stato tutto per niente ora.

Si voltò a guardare la ragazza, ma quando incontrò l’odio nei suoi occhi, tutta la compassione che aveva provato fu lavata via in un istante. Lexa doveva solo incolpare se stessa per essere un’incredibile e noiosa nerd di biologia, ossessionata dall’essere la migliore in ogni materia. Le avrebbe fatto bene non vincere almeno questa volta, era il momento che qualcuno la buttasse giù dal piedistallo sul quale credeva di essere.

“Capisci che ci sarà una punizione per questo comportamento infantile, vero?” Chiese il preside. “Questo comportamento incredibilmente immaturo!”
Clarke lo guardò aspettando il verdetto.

“Lexa dovrà ricominciare tutto daccapo” disse. “Organizzare un nuovo progetto, fare tutte le ricerche. E inoltre dovrà essere al passo con tutti gli altri corsi. Quindi, fino a che non sarà più richiesto, sarai tu ad aiutarla a prendere il miglior voto possibile!”

“NO!”

Sia Clarke che Lexa si raddrizzarono sulle sedie e urlarono la loro protesta in perfetta sincronia. Clarke appariva totalmente furiosa, Lexa invece si ricompose velocemente.

“Volevo solo dire” disse “che non è necessario. Preferisco lavorare da sola, grazie. Sono sicura che farei un lavoro migliore.”

L’ultima parte fu seguita da un’occhiataccia lanciata in direzione di Clarke.

“Capisco che voi due non vi piacete” disse Jaha, “ma Lexa, hai davvero tanto da fare, e considerando che stai seguendo altri due corsi avanzati insieme, credo ti servirà aiuto. Mi preoccupo dei miei studenti, e c’è un limite a quello che posso pretendere da loro!”

Lexa non sembrava più convinta di prima, ma Jaha non si arrese.

“Potrà aiutarti per ogni cosa, davvero.” Aggiunse. “tutte le ricerche noiose, se ti serve qualcuno per andare dall’altra parte della città a cercare il materiale giusto... ogni tuo desiderio sarà un comando per Clarke, penso che questo te lo deva. Clarke, ti assicurerai di dedicare il tuo tempo prima, o se serve, dopo la scuola per aiutare Lexa. Ho anche notato che condividete delle ore libere. Approfittatene.”

Clarke pensò subito di essere stata condannata ad una vita intera di schiavitù. Lexa, invece, sembrava essere più sollevata di prima, e questo non fece che peggiorare il supplizio di Clarke.

“Bene.” L’altra ragazza acconsentì e si sistemò più comoda sulla sedia.

“È sistemato allora” annunciò Jaha. “Sono davvero deluso dal tuo comportamento, Clarke. Telefonerò ai tuoi genitori. Per ora, aiutare Lexa per il progetto sarà la tua punizione, e fino a che ti impegnerai e le sarai utile, non avremo problemi. Se rifiuti questo provvedimento, dovremo prendere in considerazione altre possibilità che senza dubbio non faranno una bella figura sulla tua domanda d’iscrizione al college, capito?”

Tutto ciò che poté fare fu annuire.

“Bene.” Disse “Buona fortuna, Lexa. Dato che Clarke non sembra volersi scusare, voglio almeno io offrirti le mie scuse per questa situazione. So che quel progetto era importante per te.”

Lexa annuì brevemente, prima di alzarsi e lasciare la stanza senza degnare Clarke di uno sguardo.

Cazzo. Questa volta aveva davvero combinato un casino.
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“Okay, aspetta! Fammi capire.” Disse Octavia con gli occhi spalancati e gesticolando in aria con la mani. “Se stata nominata schiava personale di Lexa per il resto del semestre?”

La folla la costringeva a urlare e questo decisamente non fece sentire meglio Clarke.

“Abbassa la voce, idiota!” Sbottò lei. “Sono nella merda fino al collo, non c’è bisogno che tutta la scuola lo sappia!”

Stavano guardando uno degli allenamenti di football di Finn, e c’erano almeno altri 20 studenti sulle gradinate intorno a loro. Tutti sembravano impegnati però.

L’espressione sconvolta non lasciò il volto di Octavia, ma si ricompose abbastanza da abbassare la voce.

“Oh mio dio.” Quasi sussurrò. “Mi dispiace tanto! Come riuscirai a sopravvivere? Questa è seriamente la cosa peggiore che abbia sentito in vita mia.”

A quelle parole Clarke riprese a lamentarsi nell’angoscia e nascose il volto tra le mani.

“Non credo che così la aiuti.” Osservò Raven e poi provò consolarla con dei colpetti sulla spalla. “Va bene Clarke. Finirà presto. Tra l’altro, probabilmente neanche Lexa è felice di lavorare con te. Senza offesa, con lei sei stata una stronza da quando vi conoscete.”

Clarke si raddrizzò di colpo e la guardò storto.

“Che vuol dire? Stai dicendo che non se lo merita?”

Raven la guardò sapendo di stare camminando sul ghiaccio.

“Voglio dire...” cominciò “Ci sono un sacco di persone in questa scuola che ti infastidiscono, ma Lexa sembra essere l’unica a prendersi tutta questa merda da te.”
Clarke la fulminò con lo sguardo.

“Sei troppo buona tu. Cambia.”

Poi sospirò e la testa le ricadde tra le mani.

“Jaha ha chiamato i miei.” Borbottò. “Sarà divertente parlare con loro stasera.”

“Si?” Octavia rise.

Alzò la testa e le lanciò un’occhiataccia.

“Si.” Ringhiò. “Sono molto emozionata, non vedo l’ora.”
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Alzò lo sguardo dallo schermo del computer e trasalì quando sentì il suono della porta di casa aprirsi. Poteva sentire le voci di Abby e Jake che entravano e scaricavano la spesa della settimana. Clarke ora stava affrontando un dibattito interno. Doveva fuggire ora che i suoi genitori erano occupati? Doveva nascondersi nella sua stanza e fare finta di non esistere fino a che si sarebbero scordati di lei? O doveva andare in cucina, essere la figlia più dolce e disponibile del mondo e sperare che in qualche modo loro si dimenticassero della telefonata del preside?

Fece un respiro profondo o cinque, e decise che l’ultima opzione era l’idea migliore che le potesse venire. E lentamente si avviò verso la cucina.
Non appena attraversò la porta, si raddrizzò e si stampò un sorriso in faccia.

“Ciao mamma, ciao papà.” Disse, maledicendosi per il tono un po’ troppo vivace della sua voce. “Avete bisogno di aiuto con queste?”

Potè quasi sentire un vento freddo attraversare la stanza quando i suoi occhi incontrarono quelli di suo padre e videro la delusione che li riempiva.

“Non pensi che prima dovremmo parlare della telefonata che ho ricevuto da Thelonius oggi pomeriggio?” Disse severamente.

La voce di Abby fu la prima a riempire la stanza.

Clarke deglutì. Quindi non aveva funzionato. Allontanò gli occhi dalla madre, preferendo guardare la finestra.

“Si”  borbottò.

“E capisci quanto è stato imbarazzante per me ricevere una sua chiamata riguardo a qualcosa del genere mentre ero a lavoro?!”

Clarke non riuscì a non alzare gli occhi al cielo e questo portò suo padre ad intervenire.

“Hai compromesso il progetto di un altro studente!” disse alzando la voce, qualcosa che accadeva solo in rare occasioni. “Cosa avevi in mente, Clarke!? Come hai potuto fare una cosa del genere ad una tua compagna di classe?”

Clarke si irritò a queste parole. Suo padre faceva sembrare Lexa la vittima, quando in realtà anche lei nei confronti di Clarke era stata sempre cattiva.

“Se la conosceste pensereste anche voi che se l’è meritato!” Urlò.

“Questo è ciò che dici per difenderti?” Abby ribattè. “Non è abbastanza! Tuo padre e io ti abbiamo insegnato altro! Ti sei almeno scusata con questa ragazza?”

Il silenzio di Clarke parlò da solo e Abby sospirò prima di continuare.

“Allora penso che fino a che non ti dimostrerai dispiaciuta per le tue azioni, non ti sarà più permesso andare dai Blake. So del tipo di feste che organizzate in quella casa, per non parlare del tipo di persone che frequenta il fratello di Octavia. Ovviamente stanno annebbiando il tuo giudizio, quindi voglio che tu stia lontana dalla loro casa per un po’.”

“Cosa?!” Clarke cominciò a protestare. “Ma mamma…”

Abby sollevò una mano per zittirla.

“Octavia è una ragazza dolce e qui sarà la benvenuta, ma la mia decisione è questa. Devi essere punita per il tuo comportamento.”

“Ma ho già avuto la mia punizione!” Piagnucolò Clarke. “Dovrò trascorrere il resto del semestre, forse anche di più, con la ragazza che odio!”

“Capisco che sei arrabbiata” disse Jake, più tranquillo di prima. “Ma questo ti farà bene. Ora ritorna in camera tua.”

Clarke poteva quasi sentire la rabbia uscirle dalle orecchie mentre cadde di peso sul suo letto. La prima cosa che fece fu chiamare Octavia.

“È peggio di quello che pensavamo.” Disse prima che l’altra ragazza potesse dire pronto.

“Oh no” disse Octavia. “Che è successo?”

“A quanto pare mi è stata proibita casa tua.”

“Mi stai prendendo in giro? Non possono farlo!”

“Possono e l’hanno fatto.” Disse Clarke e ringhiò contro il cuscino. “Fino a che ‘non mi dimostrerò dispiaciuta per le mie azioni’. Come se succederà!”
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Clarke rimase di cattivo umore per tutta la notte, persino nei sogni ed era ancora arrabbiata mentre camminava verso scuola il giorno dopo. Quello sarebbe stato il primo giorno di lavoro con Lexa, e gli stava andando incontro come si va incontro all’Apocalisse.

A peggiorare la situazione c’era il fatto che si era dovuta alzare più presto del solito per incontrare Lexa in biblioteca prima che iniziassero le lezioni. Si, solo il pensiero era così incasinato, che non era neanche riuscita a fare colazione. E Clarke amava la colazione.

C’era esattamente solo un’altra persona in biblioteca quando attraversò le porte, oltre alla donna che lavorava lì. Quella persona era Lexa, che la stava aspettando seduta su una poltrona vicino una grande finestra. Indossava un paio di jeans grigio scuro strappati con una maglietta nera larga, i boccoli chiari tutti raccolti su una spalla. Aveva le gambe incrociate, così presa dal libro che stava leggendo che non si accorse di Clarke fino a quando lei non occupò la poltrona di fronte. Poi saltò un po’ per la sorpresa e Clarke beccò se stessa quasi a... sorridere? Cosa era successo improvvisamente al suo cattivo umore?

“Ciao” disse.

Lexa rispose con un cenno della testa, prima di piegare l’angolo della pagina che stava leggendo e mettere il libro nella borsa. Clarke vide di sfuggita una spaventosa copertina con un bouquet di fiori sanguinante. Ovviamente Lexa leggeva cose di quel tipo. Per un momento Clarke si era quasi scordata che Lexa era in realtà una strega dell’inferno.

Incrociò le braccia e osservò in attesa Lexa, rifiutandosi di essere la prima a parlare. Lexa la fissò per un po’ di tempo prima di alzare le sopracciglia.

“Allora, immagino che non vedi l’ora di iniziare.” Disse.

Clarke voleva fare quella ragazza a pezzi, e probabilmente era anche evidente perché un sorrisino mosse le labbra di Lexa.
Tornò però subito seria.

“Non ho il tempo di cominciare un altro modello del ciclo dell’acqua,” sospirò “quindi dovrò fare un progetto completamente nuovo.”

“Che sarebbe?”

Lexa la guardò con rabbia per un momento prima di continuare.

“Bè, non lo so ancora.” Disse “Idee buone abbastanza per il voto che voglio, non vengono facilmente. Per ora mi aiuterai a trovare un tema.”

Clarke sbuffò.

“Lo sai che io non ne so assolutamente niente riguardo salvare il pianeta bla bla roba nerd, vero?”

“Oh lo so” rispose Lexa con tono di superiorità “Dovrai leggere e cercare. Sai leggere?”

Clarke sentì la rabbia riaccendersi in lei con incredibile forza, era troppo furiosa per risponderle.

“Ho già preso alcuni libri per me.” Indicò una pila sul piccolo tavolo tra di loro. “E alcuni per te.” E indicò un’altra pila più grande vicino alla prima. “La sezione di biologia è laggiù, in caso avessi bisogno di leggere altro.”

E poi cominciò a mostrare a Clarke i capitoli a cui era più interessata e voleva un riassunto, ma dato che Clarke stava morendo di noia dentro, non ascoltò una parola di quello che Lexa stava dicendo.

Quando qualche minuto dopo finalmente lasciò la biblioteca, sia i suoi passi che il suo zaino erano più pesanti.
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20 minuti e la tela era ancora vuota. Intatta. Poteva sentire dentro di lei la frustrazione crescere. Non era la prima volta che le succedeva. Anzi. Non si sentiva veramente ispirata da più un anno.

Più di un anno.

Com’era possibile? Prima era la più brava della classe in arte. Poteva riempire tela dopo tela con dipinti straordinari, che riuscivano a parlare dritti all’anima della gente che li guardava.

In qualche modo, una sorta di vuoto era cresciuto piano dentro di lei. All’inizio non se ne era accorta, ma seduta al banco con le tela bianca di fronte a lei, era ormai dolorosamente ovvio: Clarke non sapeva più dipingere.

“Metti il pennello sulla tela e comincia a dipingere!” La voce della professoressa Indra interruppe i suoi pensieri. “Ti conosco, Clarke. So che verrà fuori qualcosa di meraviglioso se t’impegni un po’ di più. In questi giorni non sei più tu! È arrivato il momento di sfidare te stessa. Esci dalla tua zona di sicurezza, prova a vedere le cose da una nuova prospettiva. Sono sicura che raggiungerai risultati migliori come mai prima.”

Clarke offrì un sorriso alla professoressa così entusiasta. Era bello avere qualcuno che credeva in lei. Neanche Clarke si riconosceva in quei giorni. Sentiva come se si fosse rotto qualcosa dentro di lei molto tempo fa, e non aveva idea di come ripararlo.

Continuò a fissare quello spazio per il resto dell’ora. Quando suonò la campanella, sia Clarke che la tela erano ancora vuote.

 
Eccoci qua!
Vi ringrazio per le recensioni del primo capitolo, per aver deciso di seguire e preferire questa storia. E un enorme grazie anche da parte dell'autrice, che è davvero contenta dei vostri commenti.

Clarke sta cominciando a cambiare? Forse ancora no. Ma non ci metterà molto, fidatevi.

Spoiler titolo prossimo capitolo: 'La casa di una sconosciuta'. Clarke comincia a conoscere qualcosa di più su Lexa.

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Capitolo 3
*** La casa di una sconosciuta ***


CAPITOLO 3
La casa di una sconosciuta

“Credo di essere innamorata!” Annunciò Octavia e si stese di schiena sull’erba, guardando il cielo con espressione sognante.

Clarke roteò gli occhi.

“Conosci questo ragazzo da neanche due settimane.” Disse “Non credi che sia un po’ presto per fare una dichiarazione di questo genere?”

“No.” Octavia scosse la testa. “Lo sento. Questo è quello che chiamano vero amore. Jack e Rose, Romeo e Giulietta. Quel tipo di amore!”

Raven e Clarke la guardarono entrambe scettiche.

“Lo sai che quasi tutti quei personaggi sono morti alla fine, vero?”

“Si, quello che è.” Borbottò Octavia, ancora persa nella sua bolla di felicità. “Sono innamorata, questo è quello che sto cercando di dirvi. Sono innamorata di Lincoln.”

Era la pausa pranzo, e nonostante fosse metà novembre, il tempo le aveva sorprese con un giorno caldo e soleggiato. I tavoli fuori dalla scuola erano pieni di studenti che si erano portati il pranzo da mangiare fuori invece che nel bar.

“Lui è… meraviglioso.” Octavia sospirò e Clarke roteò di nuovo gli occhi. Stava cercando di godersi il pranzo al calore del sole, e Octavia non smetteva di parlare di Lincoln! Era cosi da quando l’aveva incontrato ad una festa due fine settimana prima, e la cosa le stava cominciando a far saltare i nervi. Certo, era felice per la sua amica, però dai! Nessuno poteva essere così interessante tanto da parlare di lui costantemente per due settimane intere! Com’è che Octavia ancora non si era annoiata?!

“Quindi? Cosa è successo quando vi sieti visti ieri?” Chiese Raven, praticamente saltando dall’eccitazione di volerne sapere di più.

In realtà, quello che sorprendeva di più Clarke era che Raven non si era annoiata a sentirla parlare. Eccola là, ad ascoltare con attenzione i dettagli dell’appuntamento di Octavia e Lincoln e del modo in cui lui l’aveva baciata ficcandole la lingua fino in gola e come Octavia era ancora eccitata. E ne voleva sapere di più. Era pazza? Clarke aveva avuto un sacco di ragazzi che le avevano ficcato la lingua in bocca, e onestamente non era poi così eccitante. In qualche modo quella conversazione la faceva sentire esclusa e non sapeva il perché.

“È la cosa più dolce che abbia mai sentito!” Raven ovviamente stava esagerando. “Ti ha detto questo? È la storia di un romanzo romantico nella vita reale!”

Raven sembrava come se avesse appena ingoiato una quantità enorme di pillole della felicità. Fantastico, anche lei ora.

“Viene a casa mia questo venerdì.” Disse Octavia. “Stiamo organizzando un pizza party con alcuni amici di Bellamy. Dovreste venire anche voi!”

“Si!” Esclamò Raven mentre le spalle di Clarke crollarono e lei si sentì ancora più esclusa. Per il momento, la casa dei Blake le era ancora proibita.

Octavia si rese conto del suo umore e si bloccò per qualche secondo.

“Merda, Clarke. Mi sono dimenticata.” Disse. “Mi dispiace.”

Clarke non riuscì neanche dire un ‘va bene’ o ‘non ti preoccupare’, era troppo arrabbiata; lasciò andare solo un grugnito in risposta.

“Faremo qualcosa solo noi tre questo fine settimana, promesso.” Disse Raven, cercando di tirarle su il morale e Clarke si sentì un po’ male ad essere così capricciosa, ma solo un poco.

“Si, certo.” Borbottò e si alzò. “Dovremmo cominciare ad andare. Non voglio arrivare tardi a lezione.”
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Dopo scuola, lo stesso giorno, Clarke ritrovò di nuovo Lexa che la aspettava in biblioteca. Aveva passato tutto il pomeriggio a lamentarsi, studiare con la più famosa emarginata della scuola decisamente non era quello di cui aveva bisogno in quel momento.

Crollò sulla sedia di fronte a Lexa e senza dire una parola prese gli appunti su cui aveva lavorato per ore la notte scorsa, scrivendo tutto quello che pensava fosse importante dai capitoli che Lexa le aveva indicato.

Lexa alzò gli occhi dal suo libro, ne aveva iniziato un altro da quando si erano incontrate la prima volta in biblioteca, prendendo appunti mentre leggeva. Lesse per altri dieci secondi prima di sbuffare e abbassare di nuovo il libro.

“Cosa?” Chiese Clarke con un’occhiataccia. “Questo non va bene a sua maestà?”

Lexa sembrava disgustosamente soddisfatta mentre la guardava negli occhi.

“No, non è questo.” Disse “Sono solo divertita perché non c’è bisogno che tu scriva. Ho già scelto il mio nuovo progetto. In realtà avevo un piano B pronto già quando avevo cominciato a costruire il modello del ciclo dell’acqua. Ho solo pensato che questa fosse una buona occasione per farti leggere una pila di noiosi libri di biologia e ne ho approfittato. Vedila come una sorta di vendetta.”

La rabbia ribolliva in Clarke ad un grado che non credeva fosse possibile.

“Mi stai prendendo in giro!?” Urlò e si alzò dalla sedia. “Non è per questo che Jaha ha voluto che ti aiutassi!”

Prima che Lexa avesse il tempo di rispondere, Clarke sentì dei passi veloci avvicinarsi e vide la bibliotecaria con la coda dell’occhio.

“Ragazze, dovete abbassare la voce!” Sibilò “Non ci saranno più avvertimenti. Se sento provenire altro rumore, dovrete uscire tutte e due da qui immediatamente!”

“Scusi.” Borbottò Clarke.

Con un’altra occhiata verso di loro, la bibliotecaria si voltò e si allontanò mentre Clarke si sedeva di nuovo. Guardò Lexa e il suo cuore era pieno di disprezzo. Voleva toglierle quel sorrisetto dalla faccia a pugni  e poi andarsene e non rivederla mai più, ma sapeva che non poteva sottrarsi agli ordini di Jaha, avrebbe messo a rischio il suo futuro. Come sarebbe sopravvissuta a lavorare con Lexa però, era ancora un mistero.

Fece dei respiri profondi per controllare la rabbia. Se doveva essere onesta con se stessa, Lexa se la meritava una piccola vendetta.

“Oh rilassati” Lexa sospirò “se dovrai aiutarmi ti serviranno comunque le cose che hai appena letto. Ti ho dato libri che sono importanti per questo progetto. Sto indagando sulle aziende agricole da cui viene il nostro cibo per  scoprire in che modo lo manipolano, e poi porterò degli esempi in classe per presentare quali metodi sono più dannosi o utili per il contenuto di nutrienti. Dovresti tenere quegli appunti e studiarli.”

E ridiede i fogli a Clarke.

“C’è un’altra cosa che ho bisogno che tu faccia.” Continuò “C’è un documentario venerdì alle 4 di pomeriggio su Discovery Channel. Ho bisogno che tu lo guardi. Devi appuntarti tutte le fonti menzionate e poi fare qualche ricerca. Io sarò impegnata a raccogliere altri documenti.”

 “Non ho Discovery Channel.” Rispose Clarke. Nella sua mente stava esultando, pensando di aver evitato un enorme palla di noia.

Lexa sembrò seccata dalla sua risposta, cosa che fece sentire Clarke ancora meglio. Ci fu silenzio per qualche minuto, mentre Lexa mordicchiava il tappo della penna pensando.

“Allora vai a casa di uno dei tuoi amici e guardalo lì?” Suggerì.

“Tutti i miei amici si vedono per una festa questo venerdì e a me è stato proibito andarci.” Rispose Clarke. Provò a dare un suono neutrale alla sua voce, ma l’amarezza venne fuori nonostante i suoi sforzi.

Lexa sembrava sorpresa.

“Davvvero?” Chiese. “Alla regina della popolarità è stato proibito un party? Bè, che io sia dannata…”

“Sta zitta!” Sputò Clarke. “I miei genitori mi hanno impedito di andarci ed è colpa tua, quindi… smettila!”

“E perché sarebbe colpa mia?” Disse Lexa sembrando offesa.

“Bè... perché...” Clarke farfugliò. “A causa di tutto questo casino…”

“Tu sei quella che è stata così immatura da sabotare il mia lavoro.” Puntualizzò Lexa. “Quindi ora non darmi la colpa per questo!”

“Come vuoi...” Borbottò Clarke. “Quello che voglio dire è che non posso aiutarti con questo documentario.”

Lexa sospirò e di nuovo rimase zitta per qualche minuto, pensando silenziosamente ad una soluzione al problema.
“Okay...” Disse infine. “Verrai a casa mia venerdì dopo scuola per guardarlo.”

“Cosa? No...”

“Lo sai già che sono indietro e avrò un sacco di cose di recuperare in questo fine settimana. Ho davvero bisogno che tu faccia questa cosa!”
 
Ed ecco come Clarke si era ritrovata, quel venerdì pomeriggio, di fianco a Lexa nel parcheggio della suola, aspettando che la mamma di Lexa le venisse a prendere. Continuava a guardarsi ansiosa intorno, pregando qualsiasi dio che potesse ascoltarla, che nessuno la vedesse entrare in quella macchina. Era nervosa e odiava il fatto che era Lexa a farla sentire in quel modo.

“Tua madre probabilmente mi odia.” Disse con un respiro che quasi tremava. “Voglio dire, saprà del progetto rovinato e di come sono andati i fatti.”

Lexa abbassò lo sguardo sulle sue scarpe a disagio, e diede un calcio ad una piccola pietra facendola volare verso la macchina vicina.

“Veramente...” Ammise “non gliel’ho detto.”

“Cosa?” Chiese Clarke sorpresa. “Perchè? Cosa pensa che sia successo al tuo ultimo progetto?”

“Ho detto di aver fatto un errore, che volevo ricominciare daccapo per prendere un buon voto.”

“Okay?” Clarke era molto confusa “Ma di sicuro sa chi sono, no? Sai, dato che ci sono stati altri... incidenti...”

Lexa scosse la testa.

“Non sa niente.”

Cosa?” Chiese di nuovo Clarke. “Tutte quelle volte che sei tornata a casa  con la borsa piena di fango o con un nuovo soprannome... Perché non hai dato la colpa a me?” Clarke si aspettava che Lexa si arrabbiasse per averle ricordato quegli eventi spiacevoli del passato, ma invece l’altra ragazza alzò solo le spalle e fissò lo sguardo su un punto lontano. E per la prima volta nella sua vita, Clarke notò quando verdi erano i suoi occhi. Era come se l’intera foresta pluviale fosse riflessa in loro.

“È solo che lei già si preoccupa molto per me.” Spiegò “Non voglio darle un altro motivo per preoccuparsi ancora di più.”  

Cadde un silenzio pesante. Clarke avrebbe preferito una Lexa arrabbiata, quella avrebbe potuto gestirla. Ciò che invece non era proprio in grado di gestire era quella nuova versione di Lexa, che non aveva mai visto prima. Una Lexa aperta e vulnerabile. Per Clarke, lei era sempre stata la ragazza strana che doveva incolpare se stessa se veniva sempre esclusa, dato che chiaramente non si sforzava neanche di adattarsi un po’ agli altri. Era troppo vanitosa e irritante e nessuna parola cattiva sembrava raggiungerla. Quella ragazza era un robot, quindi l’idea che ci potesse essere qualcuno a cui importava e che si preoccupava per Lexa era totalmente nuova per Clarke.

Nessuna delle due disse un’altra parola fino a che una piccola macchina verde si fermò davanti a loro e una donna bionda le salutò entusiasticamente dal finestrino abbassato.

“Ciao tesoro.” Disse “Come è andata oggi a scuola?”

“Bene.” Rispose Lexa, e poi aprì la portella del sedile del passeggero e si piegò verso sua madre per darle un bacio sulla guancia. Clarke dovette distogliere lo sguardo. Non era così che si immaginava Lexa fuori da scuola.

La macchina aveva solo una portella per lato, così Lexa abbassò il sedile davanti prima di salire dietro e facendo a Clarke segno di fare lo stesso.

Quello fu senza dubbio il momento in cui si sentì più fuori posto in vita sua. Quando entrò in macchina, offrì un sorriso imbarazzato e un cenno alla mamma di Lexa, che era ancora entusiasta come prima. Quando Clarke si sistemò e il sedile davanti tornò al suo posto, la mamma si voltò e guardò Clarke.

“È un piacere conoscerti.” Disse “Mi chiamo Diane. Qual è il tuo nome, cara?”

“Clarke” fu tutto quello che Clarke riuscì a far venir fuori.

Diane annuì e ritornò al volante. Mise l’auto in moto e uscirono dal parcheggio. Clarke non riuscì a non lanciare un ultimo sguardo fuori dal finestrino per controllare se qualcuno l’avesse vista, ma poche persone erano da quel lato dell’edificio e sembravano impegnate. Lasciò andare un sospiro di sollievo.

“È bello vedere Lexa portare un’amica a casa da scuola.” Diane continuò la conversazione. “Sai, dato che capita così raramente.”

Alla sua sinistra, Lexa si mosse a disagio e alzò gli occhi al cielo.

“Mamma, io non...”

“No tesoro,” continuò Diane. “Nessuno dovrebbe stare da solo tutto il tempo.”

Clarke mantenne gli occhi incollati in basso. Se Lexa era da sola tutto il tempo, Clarke sicuramente ne aveva qualche colpa. E non era bello ammetterlo a se stessa in presenza della mamma di Lexa.

Dopo 10 minuti, arrivarono ad una piccola casa verde menta ad un piano. La facciata aveva decisamente bisogno di una ri-pittura già dieci anni fa, la persiana di una finestra pendeva dai cardini e il prato era pieno di morte macchie gialle. In altre parole, Clarke non ne fu colpita.

Il sedile doveva essere abbassato di nuovo affinchè potessero scendere dall’auto e quando entrambe le ragazze erano in piedi sul prato secco, Diane stava già aprendo la porta di casa e qualcosa di grande e beige stava venendo verso di loro a tutta velocità. Clarke fece istintivamente tre salti indietro, mentre Lexa si piegava sulle ginocchia per salutarlo. All’improvviso, tutto quello che riusciva a vedere erano peli, un naso nero e una coda scodinzolante e un groviglio di membra, umane e non, e poi in mezzo a tutto: la risata radiosa di Lexa

Clarke distolse l’attenzione da quella grande bestia spaventosa, lasciando cadere le mani dalla posizione protettiva in cui si erano fissate. Aveva smesso di respirare di colpo. Le braccia cadevano mollemente sui fianchi, e i suoi occhi erano incollati su Lexa. Mentre lasciava che il cane le leccasse le guance, aveva sulle labbra il sorriso più brillante che Clarke avesse mai visto. Apparvero i denti bianchi e il naso si arricciò un poco quando la lingua del cane arrivò troppo vicino alla sua bocca. Prese la testa del cane tra le mani e gli diede un bacio sul naso prima di seppellire il volto nei peli del collo.

Se Clarke avesse dovuto dire a parole ciò che stava provando, avrebbe descritto quella scena come la cosa più dolce, tenera e bella a cui avesse mai assistito. Ma ancora non lo sapeva. Ancora non sapeva perché non riusciva a staccare gli occhi da Lexa, o perché tutto il suo corpo era entrato in uno stato di iper sensibilità, le gambe quasi le tremavano. Sentì se stessa uscire da quello stato di trance e riprendere a respirare quando Lexa alzò lo sguardo su lei. Notando la distanza, alzò un sopracciglio.

“Non ti piacciono i cani?” Chiese.

Clarke non si fidava di ciò che sarebbe potuto uscire dalla sua bocca, si limitò a scuotere la testa.

“È un peccato.” Rispose Lexa, prima di voltarsi di nuovo verso il cane con un sorriso. “perché Daisy è l’essere più dolce che esiste. Si, che lo sei! È un Golden Retriever, sono molto amichevoli.”

Si rivolse di nuovo a Clarke.

“Stavo per dirti che non morde mai, ma d’altra parte non ha mai incontrato qualcuno marcio come te, quindi non posso fare promesse.”

La nuvola nera che Clarke associava tanto a Lexa, alla fine riapparve nel profondo dell’anima di Clarke. Era ora! Avrebbe dovuto sapere che sarebbe stato impossibile trascorrere un intero pomeriggio con Lexa, a casa di Lexa, e non sentirsi arrabbiata e frustrata. Eccola Lexa, che pensava di essere migliore di Clarke ancora una volta.

Come faceva ad essere così cattiva e odiosa tutto il tempo? Perché la odiava così tanto...

Clarke ebbe solo il tempo di lanciarle un’occhiataccia, Lexa si voltò e cominciò a camminare verso casa, Daisy la seguiva. Clarke sospirò rumorosamente frustrata e si obbligò a calmarsi se voleva sopravvivere a questo stupido documentario.
 
Fortunatamente, non dovettero aspettare più di 15 minuti di attesa imbarazzate prima che il documentario cominciasse. Durante questi 15 minuti Clarke preparò il suo block notes e la penna pronta a scrivere, e Lexa sorprendentemente, portò alcuni snack per loro dalla cucina, un pacco di biscotti e una brocca di limonata. Si era anche tolta le lenti a contatto, che a quanto pareva indossava ogni giorno a scuola e aveva indossato un paio di occhiali tondi che Clarke non aveva mai visto, ma che le stavano davvero bene.

Vide Lexa mettersi seduta comoda, la penna in una mano, un biscotto nell’altra, e Clarke provò a rilassarsi e fare lo stesso. Era troppo strano trascorrere il suo venerdì pomeriggio a casa di Lexa invece di qualsiasi altro posto. C’era un odore strano, ma anche famigliare. In qualche occasione le era capitato di sedersi abbastanza vicina a Lexa che il suo odore, in qualche modo, era rimasto nella memoria di Clarke. Il salotto era pieno di dettagli della vita di Lexa. Una libreria completamente carica di libri, un calendario lunare sul muro, una palla di vetro con il castello di Hogwarts nella neve e addirittura foto di una Lexa minuscola con gli stivali di sua madre e una Lexa senza i denti davanti. Clarke si sentiva così a disagio che fu sollevata quando i titoli di apertura del documentario apparvero sullo schermo e poté quindi concentrarsi sul noioso lavoro che la aspettava.

Trascorsero l’ora successiva in completo silenzio, entrambe concentrate sui loro rispettivi compiti. Clarke impiegò meno di 5 minuti per annoiarsi a morte, ma continuò a lavorare, cercando di convincere se stessa che in questo modo il tempo sarebbe passato più velocemente. Una sacco di nomi venivano menzionati e lei doveva scriverli tutti, per non parlare del fatto che non capiva metà di quello che veniva detto. Più di metà probabilmente. Lexa senza dubbio sapeva come esagerare, non c’era possibilità, né in cielo né in terra, che in classe fosse richiesto tutto quel materiale che stava raccogliendo.

Non appena i titoli di coda apparvero sullo schermo, Lexa si allungò e strappò dalla mani di Clarke il block notes per vedere ciò che aveva scritto. Corrugò la fronte scocciata.

“Ti sei scordata l’istituto Irlandese” disse “ è una delle fonti principali, come hai fatto a dimenticarti di scriverlo?”

Sospirò e alzò gli occhi al cielo, e poi aggiunse lei stessa quel nome agli appunti.

“Scusami!” Disse Clarke sulla difensiva “Sto facendo il mio meglio per aiutarti qui!”

“Si, grazie per aver distrutto il mio progetto, quello è stato utile!”  Sbraitò Lexa “E grazie per aiutarmi ad aggiustare le cose solo perché il preside ti punirà se non lo fai. I tuoi principi morali sono perfetti!”

“Sai una cosa” disse Clarke, tremando fisicamente dalla rabbia per essere stata attaccata, e il fatto di aver sentito Diane uscire con Daisy poco prima, la rendeva coraggiosa. Lexa le faceva provare sensazioni più potenti di qualsiasi altro, e Clarke voleva disperatamente avere lo stesso effetto su di lei. Voleva essere in grado di far sentire l’altra ragazza furiosa e ferita come lei si sentiva in quel momento. “Perché dovrei prendere consigli da te? Chi ascolta qualcuno come te?! Tu non sei nessuno!”

Fissò intensamente quegli occhi verdi, aspettandosi una reazione pesante, ma Lexa sbuffò solamente.

“Quello che non capisci è che a me non importa cosa tu pensi di me,” cominciò “Tu pensi di essere più importante di tutti e che io dovrei desiderare la tua approvazione, ma tu non sei niente per me! Ti stai rendendo ridicola a cercare con così tanto impegno di mettere me e il resto della scuola a posto e non lo sai neanche. Un giorno sarai fuori dalla mia vita e io non mi guarderò indietro e non mi sentirò in colpa per me stessa e sicuramente non penserò a te o a qualsiasi potere tu pensi di avere su di me. Quindi non mi interessa questa cosa che tu stai facendo, ti lascerà solo esausta e frustrata mentre io andrò avanti e vivrò la mia vita.”

Okay, questo faceva male. Tutte le parole scivolarono via  dalla mente di Clarke insieme ad lungo e difficile respiro. Le parole di Lexa lasciarono un dolore tagliente nel petto che non le era per niente familiare. E in mezzo a tutto quello, realizzò che non c’era nessuna ragione per cui dovesse sentirsi col cuore spezzato.

A te neanche importa cosa pensa Lexa di te, ricordò a se stessa. Lei non è importante, giusto? Quindi fattene una ragione! Smettila di sentirti così!

I suoi sforzi non la aiutarono e ancora non riusciva a trovare qualche parola. Probabilmente quello era il miglior modo con cui quel pomeriggio poteva finire, ragionò con se stessa. Per un momento, quando Lexa stava salutando Daisy sul prato, Clarke aveva visto qualcosa di completamente diverso in lei, che le aveva fatto smuovere qualcosa nello stomaco in un modo molto diverso da quello a cui lei era abituata. Questo non era per niente il modo con cui avrebbe dovuto guardare Lexa. Poteva già capire che più sentimenti di quel tipo, avrebbero significato problemi per lei in ogni modo possibile.

Dopo lunghi minuti di silenzio, strappò le pagine che servivano a Lexa, le diede a lei e mise nella borsa il block notes e il resto delle sue cose.

“Ci vediamo a scuola” disse e uscì dalla porta senza guardarsi indietro.

Avrebbe dovuto chiamare sua madre quando finivano per farsi venire a prendere, ma cominciò a camminare e la chiamò per la strada. Quando prese il telefono e compose il numero, si rese conto che le sue mani stavano tremando.

“Ciao mamma. Puoi venirmi a prendere ora?”
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Dopo un’intera settimana in cui aveva sentito una inspiegabile tristezza, che l’aveva portata ad evitare tutti i suoi amici, Clarke li vide infine riuniti fuori da scuola prima che cominciassero le lezioni. Le prime parole che sentì furono:

“Clarke! Nathan ti ha vista l’altro giorno dopo scuola. Perché non ci hai detto che sei tornata a casa con Lexa?”

Le parole vennero fuori da un Finn molto confuso, e le fecero fare una smorfia. Era stata così attenta a non farsi vedere da nessuno.

“Sei andata a casa sua?” Urlò Octavia e molte teste si voltarono verso di loro. “Nella tana del diavolo?! Dorme in una bara?”

Come al solito quando era con i suoi amici, Clarke s’infastidì.

“Zitti! Cosa pensate?” Sibilò, per evitare che la gente intorno a loro ascoltasse. “È stato umiliate e probabilmente puzzo di spazzatura! Ora non parliamone più!”

Incrociò le braccia sotto il petto e si costrinse a non cominciare a pensare a Lexa di nuovo, cosa che aveva fatto per tutta la settimana.

Ricordò velocemente a sè stessa che la casa di Lexa era un brutto bidone della spazzatura e che puzzava come la merda e che Clarke non avrebbe mai voluto ritornarci.

Ma era una casa carina però, e in realtà aveva un buon odore. E tutte quelle foto della piccola Lexa erano molto carine...

No! Lexa era la figlia del diavolo. Chiaramente cresciuta da mostri. Non c’era niente di buono in lei e un giorno avrebbe rovinato il mondo.

Però la mamma di Lexa era in realtà davvero molto dolce, e anche Lexa sembrava esserlo quando era a casa. E forse era possibile... poteva essere... che il sorriso di Lexa era brillante abbastanza da fermare le guerre e il pensiero che non lo avrebbe più rivisto le portava tristezza nel cuore.

I suoi amici la conoscevano abbastanza bene da capire quando Clarke non era dell’umore di parlare, e i suoi pensieri su Lexa vennero interrotti solo quando vide la vera Lexa uscire da una macchina nel parcheggio.

Non era la stessa auto che era venuta a prenderle lo scorso venerdì. La famiglia di Lexa aveva due macchine? Le aveva dato un passaggio suo padre? Suo padre viveva con loro? Questa era la prima volta che Clarke ci pensava. Non lo aveva visto quel venerdi pomeriggio, ma forse lavorava dino a tardi? Lexa non aveva mai parlato di lui...

Clarke stava cercando di scoprire ogni dettaglio della vita di Lexa e contemporaneamente maledicendosi per interessarsi così tanto.

Ma dal posto del guidatore uscì, non il papà di Lexa, ma Roan, un ragazzo dell’ultimo anno che Clarke conosceva per essere non tanto popolare, ma non emarginato quanto Lexa. Non aveva mai immaginato che lui e Lexa potessero essere amici. Non aveva mai immaginato che Lexa potesse avere qualche amico, e la sua anima diventò verde alla vista di Roan.

Venne strappata via dai suoi pensieri, realizzando che la stava fissando quando gli occhi di Lexa all’improvviso tra la folla trovarono i suoi. La guardò con il suo tipico sguardo glaciale che aveva sempre. Doveva davvero darsi una calmata, questa sua ossessione di Lexa le stava decisamente sfuggendo di mano. Clarke non era parte del mondo di Lexa, e non lo sarebbe mai stata. Era il momento che il suo cervello la smettesse di essere deluso.

 
Sooooo
abbiamo conosciuto un po' di più Lexa, che dite? Nerd, potterhead, tenera con gli occhiali. Clarke, non lasciartela scappare! Apri gli occhi!
Vi ringrazio davvero davvero tanto per le recensioni, mi fanno un sacco piacere e fanno un sacco piacere anche all'autrice. E' contentissima che il suo lavoro stia avendo un po' di seguito anche nella sua versione italiana :) Continuate così amici, thank you!

Spoiler titolo prossimo capitolo: 'Una nuova prospettiva': Clarke scopre qualcosa che doveva rimanere nascosta. 
 

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Capitolo 4
*** Una nuova prospettiva ***


In questo capitolo ci sono sangue e ospedale. Se qualcuno non è a suo agio, può saltarlo :)
 
CAPITOLO 4
Una nuova prospettiva
 
Erano passati due minuti prima che Clarke riuscisse a raccogliere il coraggio di entrare in biblioteca e incontrare di nuovo Lexa. Erano le sue ore libere del giovedì e ancora non si era ripresa dal casino emozionale in cui si trovava da quando era andata a casa sua quasi una settimana prima. Non aveva assolutamente nessuna
parola per descrivere i suoi sentimenti e questo la faceva sentire nervosa, irrequieta e insonne.

Lexa è ancora la persona che era sempre stata, e anche tu, si disse Clarke. Il fatto che sei stata a casa sua non cambia niente. La sua mancanza di moralità e normalità non sono contagiose. Non impazzirai per essere andata a casa sua una volta, e non ci dovrai tornare di nuovo.

Quest’ultimo pensiero non voleva uscirle dalla testa, e le lasciò una sensazione amara alla bocca dello stomaco. Si sforzò a buttarlo fuori.

Non ritornerai mai in quella casa, ed è una buona cosa! Non sei triste perché avete litigato e per il fatto che tu non significhi assolutamente niente per lei. Tu sicuramente non pensi ancora al suo sorriso e ai suoi occhi verdi e ai suoi occhiali e che probabilmente sei l’unica ad aver visto Lexa indossarli...

Okay merda, così non funzionava. Doveva farla finita e basta. Aprì velocemente la porta ed entrò solo per vedere il loro solito tavolo vuoto. Fantastico. Aveva dato di matto per niente. Era stata a scuola per la lezione di filosofia quella mattina, ma ora che ci pensava, non aveva visto Lexa nella classe di biologia quando si era incontrata con Finn per pranzo. A quanto pare, a Lexa andava bene saltare la scuola e lasciarla sola, non preoccupandosi neanche di avvisarla che avrebbe potuto trascorrere le sue ore libere facendo altro!

Solo per essere sicura girò l’angolo per controllare se si fosse nascosta in uno dei compartimenti distaccati di biologia, ma tutto quello che vide furono due matricole che limonavano, e si assicurò che sentissero il suo “ew!” prima di voltarsi e prendere posto. Pensò che avrebbe dato a Lexa qualche minuto per arrivare lì. Non era perché voleva davvero vederla o cose del genere, stava solo cercando di essere gentile...

Si sentiva un’idiota ad aspettare lì impazientemente per più di cinque minuti, quando le porte si aprirono e Lexa entrò come una tempesta, ansimando come se avesse corso. Si sedette al suo solito posto.

“Scusa!” disse senza fiato.

“Pensavo che mi avessi dato buca.” Disse Clarke scorbutica con le braccia incrociate. “Non c’eri a biologia.”

Lexa le sorrise solamente, ma non rivelò il motivo della sua assenza e del suo ritardo. Le ci volle quasi un minuto per riprendere finalmente fiato, durante il quale la scocciatura di Clarke diminuì un poco. Almeno aveva provato ad arrivare lì in tempo.

Lexa cominciò a tirare fuori ciò che le serviva per lo studio e Clarke la guardava dall’altra parte del tavolo.

“Ti ho vista venire a scuola con Roan l’altro giorno.” Disse, cercando di non sembrare preoccupata. Non lo era, dopotutto.

“Quindi?” Chiese Lexa.

“Solo… non sapevo che voi due foste amici.” Alzò le spalle e guardò altrove.

“Amici è un’esagerazione,” rispose Lexa “È il mio vicino, mia madre parla con sua madre qualche volta e vengo con lui quando mia madre ha un turno presto.”

La sua risposta fece sentire Clarke stranamente soddisfatta, e ritornò a guardare Lexa sistemare i suoi appunti. Prima che potesse trattenersi si lasciò sfuggire un’altra domanda.

“Tuo padre vive con voi?”

Lexa si bloccò e le lanciò con un’occhiataccia.

“Perché stai parlando con me?” Chiese fredda. “Non abbiamo bisogno di della fase ‘conosciamoci meglio’. Devo ricordarti che non siamo amiche?”

Clarke si accigliò. Era dolorosamente consapevole di quello.

Lexa ritornò ai suoi appunti, ma per la sorpresa di Clarke rispose davvero.

“No, non vive con noi.” Borbottò senza alzare lo sguardo.

Quindi forse stiamo facendo dei passi avanti. Questo parlare, stranamente, non era male.

Proprio quando Clarke stava cominciando a pensare che quella sessione di studio non sarebbe stata poi così terribile, le porte che davano sul corridoio si aprirono e Octavia entrò con il resto della classe di letteratura inglese. Salutò Clarke con un occhiolino prima di iniziare a vagare tra gli scaffali con il resto dei ragazzi. Clarke sentì improvvisamente un familiare senso di imbarazzo per essere vista insieme a Lexa. Bè almeno ora poteva sentirsi sè stessa di nuovo!

Pochi minuti e Lexa era completamente assorbita dal suo lavoro. Scarabocchiando disperatamente, si fermava ogni tanto per chiedere a Clarke di andare a prendere un libro particolare o di cercare qualcosa su uno dei computer della biblioteca. Questo era esattamente quello che Clarke si era immaginata quando era stata nominata schiava personale di Lexa, e non si stava divertendo.

Dopo aver scritto di pagine intere di appunti, all’improvviso Lexa appoggiò il suo block notes e rivolse lo sguardo a Clarke.

“Vado al bagno” disse “Stai attenta alla nostre cose fino a quando torno.”

Clarke annuì e si appoggiò allo schienale della sedia, guardando fuori dalla finestra. Saltò quando qualcuno mise una mano sulla sua spalla.

“Che cosa stai aspettando?” Octavia borbottò nel suo orecchio, indicando con la testa in direzione della borsa di Lexa.

“Huh?”

Clarke non provò altro che confusione. Octavia la guardò come se fosse pazza.

“Non stai morendo dalla voglia di rovistare nella sua borsa?” Chiese “Non sai cosa potresti trovarci dentro. Cuccioli morti, una lista nera, una bottiglia di anime innocenti...”

Clarke rise sommessamente e lanciò uno sguardo alla borsa di Lexa. Ora che Octavia l’aveva detto, sembrava una buona idea. Avrebbe mentito se avesse detto che non era curiosa di scoprire qualcosa di più su Lexa. Annuì e Octavia agguantò velocemente la borsa dal pavimento e cominciò a guardarci dentro, con la testa di Clarke piena di curiosità sulla sua spalla.

“Un libro di geografia umana” borbottò Octavia con finto entusiasmo “Molto originale.”

Poi tirò fuori un libro simile a quello che Lexa stava leggendo la prima volta che si erano viste in biblioteca. “La trilogia di Engelsfors” si leggeva al centro della copertina.
Lo girò per leggere dietro.

“... giovani streghe... demoni… l’apocalisse…” lesse ad altra voce “mi sa che abbiamo trovato la biografia di Lexa.”

Clarke cercò di far venir fuori qualcosa simile ad una risata, ma non si sentiva a proprio agio a rovistare tra le cose di Lexa in questo modo.

Octavia uscì altre poche cose e poi si fermò di colpo.

“Oh. Mio. Dio.” Sussurrò.

Lentamente tirò fuori una piccola busta di plastica contenente un mucchio di piccole pillole bianche.

“Si droga davvero.” Sussurrò “Io te l’avevo detto! Murphy l’aveva vista farsi alla festa a casa di Roma. Sai che il suo ragazzo ha a che fare con questa merda, scommetto che è da lui che l’ha presa!”

Clarke non riusciva a credere ai suoi occhi. Qualche settimana prima sarebbe stata estasiata da una scoperta del genere, non avrebbe sprecato un secondo prima di far girare le voci in tutta la scuola. Ma ora, una grande parte di lei si sentiva delusa. Non era tanto una fan delle droghe, e per qualche ragione il fatto che Lexa fosse coinvolta in quel genere di cose la turbava. La Lexa che aveva visto l’altro giorno, che giocava con il suo cane, che baciava sua madre per salutarla dopo scuola, non dovrebbe trascinarsi tra gente di quel tipo. Ma di nuovo, chi era Clarke per pensare di conoscere qualcosa di lei dopo aver trascorso non più di un’ora e mezza a casa sua? Considerando i vestiti che Lexa indossava, il trucco scuro e i romanzi dark, non avava idea del tipo di oscurità che poteva nascondersi dietro quei profondi occhi verdi.

Sia Clarke che Octavia erano rimaste bloccate per troppo tempo e Octavia fu la prima a riprendersi da quello stato di trance.

“Almeno possiamo venderle.” Disse alzando le sopracciglia in modo provocatorio.

E poi si mise le pillole in tasca e prima che Clarke potesse protestare, richiuse la borsa, la posizionò esattamente dov’era prima e ritornò con la sua classe.

NO! Voleva gridare Clarke subito dopo.

Certamente non era loro compito immischiarsi in quello che Lexa faceva nel suo tempo libero. Ma non voleva richiamare l’attenzione su di lei. Con più di un insegnante presente sarebbe finita in guai grossi se fosse stata beccata. Quindi tenne la bocca chiusa, il cuore le martellava nel petto mentre usava tutta la forza di volontà che aveva per rimanere calma e comportarsi normalmente quando Lexa tornò e crollò sulla sedia.

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Finn era quello che si sdraiava di fianco a lei quando si addormentava. Finn era quello il cui braccio la abbracciava da dietro, quello con cui lei respirava in armonia.
Qualche volta, quando Abby aveva il turno di notte e Jake era fuori città, lui andava da lei e trascorreva lì la notte. A Clarke piacevano davvero quei momenti. Le piaceva guardare tv spazzatura insieme e fare a turno le migliori imitazioni delle persone sullo schermo. Le piaceva provare le posizioni di yoga sul pavimento della sua camera da letto e ascoltare musica. Finn era una buona compagnia, un buon amico.

Poi, la notte prendeva una piega completamente diversa, e Clarke doveva ammettere che le piaceva molto di meno. Cercava di convincersi che fosse normale. Non tutti erano grandi fan del sesso, giusto? Lo faceva perché doveva farlo, ma era felice quando finiva. A volte la lasciava sveglia e inquieta, a volte invece esausta e si addormentava dopo pochi minuti.

Finn era quello che si sdraiava di fianco a lei quando si addormentava, ma non era quello che la seguiva nei suoi sogni.

Più tardi, quando si svegliò si ricordava solo piccolo dettagli. Mani che si toccavano, un bacio leggero sulla guancia, il suo corpo e un altro legati in un abbraccio stretto. C’era solo un unico dettaglio che rimase chiaro una volta che il sogno svanì. Due caldi e bellissimi profondi occhi verdi che guardavano i suoi.

Si sedette di colpo, Finn ancora dormiva al suo fianco.

“Che cosa cazzo significa” mormorò a sè stessa.
 


Quel sogno le mise addosso un umore strano per il resto del giorno. Tentò quanto più poté di evitare sia Lexa che Finn. Non si sentiva in vena né di fare i conti con tutte le strane reazioni che il suo corpo sembrava avere ogni volta che Lexa le stava intorno, né di provare ad essere una buona fidanzata quando in quel momento stare con Finn era così... noioso e monotono. 

Pranzò con Maya e Harper, cosa che non succedeva spesso se non rare volte, ma non erano male. Si appuntò mentalmente di uscire più spesso con le due ragazze, dato che stranamente, si era divertita con loro.

Quando si avvicinò l’ora di arte, che era l’ultima lezione del giorno, quasi si sentì di nuovo lei, più in controllo dei suoi sentimenti. Tutto quello che le era rimasto era una leggera sensazione di agitazione che aumentava ogni volta che intravedeva Lexa nei corridoi.

Trovò il dipinto che aveva iniziato due giorni prima e lo posizionò sul cavalletto. Lì esaminò dubbiosa il suo lavoro. Era un’idea disperata, in mancanza di un’ispirazione migliore: una sedia vuota alla fine di un molo. Ora si rendeva conto che il dipinto mancava sia di dettagli interessanti sia di una storia e un’anima. Sospirando, lo buttò da un lato e mise una nuova tela in posizione.

E poi sentì lo crescere dentro di lei, quel bisogno potente di creare qualcosa di bello, scenari naturali danzavano davanti ai suoi occhi. Velocemente si precipitò nella classe come un turbine, raccogliendo tutto quello che le serviva, mescolò insieme i colori per ottenere la sfumatura giusta e cominciò a dipingere.

Fu incredibilmente bello. Era da mesi che non si sentiva presa dal suo lavoro in questo modo. Il resto del mondo era solo un tenue brusio mentre vide apparire davanti ai suoi occhi un paesaggio. Quando raggiungeva quello stato di trance era una professionista e lo sapeva. Le sue mani lavoravano veloci come i fulmini, ogni pennellata era calcolata con precisione.

Fu verso la fine della lezione, quando Indra si avvicinò a lei e lasciò andare un “wow” che Clarke fece finalmente un passo indietro per ammirare ciò che aveva creato.

Non tutti i dettagli erano stati ancora aggiunti, ma stava chiaramente guardando ad un fiume caldo, verde-blu che scorreva in una foresta. Circondato da alberi su entrambi i lati e illuminato dalla luna, era davvero meraviglioso da guardare. Osservandolo nell’insieme, tutto quello che Clarke poté pensare era quanto verde era. Quella foresta assomigliava molto ad una che aveva visto prima da qualche parte... Occhi verdi apparvero di nuovo davanti ai suoi e tentò fisicamente di allontanare quella immagine da lei. No. Quel verde non era venuto da lì!

“Ti sei ritrovata finalmente!” Disse Indra dietro di lei, e Clarke si voltò per guardare i quegli occhi orgogliosi, un sorriso mosse le sue labbra.

“Credo di si.” Rispose.

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Qualche giorno dopo Clarke si sentiva ancora molto ispirata e aveva chiesto a sua madre di andare a comprare nuovi attrezzi per la pittura.

“Non te lo sentivo dire da tanto tempo.” Disse Abby guardandola con gioia.

Quel sabato mattina quando si alzò, Clarke andò direttamente da sua madre a lavoro, pensando di poter recuparare qualche compito mentre aspettava che finisse il suo turno. Quando era piccola andava a trovare spesso sua madre a lavoro, quando era bambina sognava di diventare dottoressa anche lei. Quel sogno venne infranto durante la scuola media quando realizzò che le sua capacità in medicina e biologia facevano completamente schifo e che non c’era nessuna possibilità che sarebbe potuta sopravvivere alla facoltà di medicina.

Però si sentiva ancora a suo agio nell’ambiente dell’ospedale, a differenza di gran parte della gente che conosceva, e di solito riusciva a studiare molto quando andava lì per fare i compiti.

Sapeva che sua madre sarebbe dovuta uscire dalla sala operatoria per quell’ora, e dopo aver attraversato fiduciosamente le porte scorrevoli dell’entrata principale, seguì subito le indicazion per la sala post operatoria, sperando di trovarla lì.

Alcuni colleghi di sua madre la riconobbero e la salutarono quando passò davanti.

“Tua madre è nella sala delle infermiere in fondo al corridoio” le disse una di loro e le indicò la direzione.

“Grazie” le disse allontanandosi e affrettandosi a cercare Abby.

“Ciao tesoro!” esclamò sua madre quando la vide. “Sei in anticipo!”

“Lo so” rispose Clarke “Pensavo che potrei fare un po’ di compiti mentre ti aspetto.”

“Okay.” Abby annuì.

“Tra quanto sei pronta?”

“Allora, devo consultare un altro dottore per un paziente” rispose “e poi devo organizzare il trasferimento di un paziente in un altro ospedale. Devo anche finire di completare alcuni documenti, quindi credo che dovrai aspettare più di un’ora.”

“Va bene” assicurò Clarke “Meglio per i miei compiti di algebra.”

“È un po’ caotico qui” disse Abby “Potrei darti il permesso di andare nella sala del personale, lì avrai un po’ di silenzio e tranquillità. È nell’ala di ematologia. Segui questo corridoio, alla fine gira a destra, poi il secondo corridoio a sinistra, scendi una rampa di scale, e poi gira a sinistra, supera il...”

“Whoa mamma” la interruppe Clarke “Non mi ricordo già niente, seguirò le indicazioni, okay?”

“Certo” rispose Abby con un sorriso divertito.

“Ciao!”

E poi Clarke cominciò ad andare. Girò a destra, trovò il secondo corridoio a sinistra, scese le scale fino al piano di sotto. E poi voltò a destra e cercò qualche indicazione per l’ala di ematologia. Due grandi porte girevoli bloccavano il corridoio, le attraversò per ritrovarsi in un altro corridoio più caotico di qualsiasi altro posto in quell’ospedale. Gente correva in ogni direzione, qualcuno urlava, qualcuno piangeva, un uomo era steso su una barella nel corridoio, lamentandosi e stringendo il braccio al petto. Fece qualche passo confusa, chiedendosi dove fosse finita quando vide un cartello al muro ‘Pronto soccorso’. Bene, questo spiegava qualcosa. Sicuramente, in qualche modo si era persa.

Si era appena voltata per tornare indietro da dove era venuta quando qualcuno urlò il suo nome dietro di lei.

“Clarke!”

La voce era impregnata di tale agonia e disperazione che Clarke si bloccò di colpo e girò su sè stessa. In un primo momento non capì chi l’aveva chiamata, c’erano così tante persone lì dentro. Ma poi la vide, in piedi al centro del corridoio, le braccia le cadevano mollemente ai lati e le lacrime le scendevano sulle guance. Diane, la mamma di Lexa.

Clarke sentì una sensazione fredda crescere dentro di lei, come se stesse cadendo. Si avvicinò con esitazione alla donna che piangeva. Si erano incontrate solo una volta eppure Diane la stava guardando come se fosse l’unica cosa a cui aggrapparsi in questo mondo.

“Come l’hai saputo?” Singhiozzò la donna e Clarke non ebbe neanche il tempo di reagire prima di essere spinta tra la braccia di Diane. “Te l’ha detto Roan? Oh, sono così contenta che tu sia qui!”

Clarke non capì assolutamente niente, ma fortunatamente Diane non sembrava essere troppo in sé per accorgersi che lei stava lì in piedi come un punto interrogativo.

“Non posso credere che sia successo di nuovo!” Disse mentre nuove lacrime bagnavano il suo volto. “Non posso affrontarlo di nuovo. Sono così spaventata, Clarke. Non hai idea. Odio vederla così, non lo sopporto!”

Quella sensazione fredda nelle viscere cominciò a sembrare un blocco di ghiaccio, o come se qualcuno stesse riversando idrogeno liquido dentro di lei. C’era solo una persona di cui Diane potesse parlare in quel modo.

“Queste nuove medicine che sta prendendo dovrebbero farla stare meglio.” Continuò “Questo non doveva accadere, non di nuovo!”

E poi cominciò a singhiozzare così forte che non riuscì più a parlare.

Cosa sta succedendo, era tutto quello che Clarke voleva sapere, ma allo stesso tempo sapeva che non avrebbe voluto conoscere la risposta. Non lo chiese, ma non dovette farlo. Perché in quel momento la porta di fianco a lei si spalancò e un dottore uscì di corsa.
 
“Serve un’ecografia al torace!” gridò ad una delle infermiere vicine.
 
Attraverso la porta ora aperta, Clarke assistette ad una scena che sapeva non avrebbe mai dimenticato fino a che fosse stata in vita. Lexa era seduta dritta sul letto, le gambe premute al petto, dondolandosi piano con un gruppo di dottori e infermiere che si davano da fare intorno a lei. La prima cosa che Clarke notò fu che Lexa era coperta di sangue. Le sue mani, i pantaloni della tuta e la sua maglietta larga che prima era bianca e che probabilmente usava per dormire.
 
Cercò di trovare la fonte della perdita di sangue, da dove stava sanguinando? Come poteva esserci tutto quel sangue?
 
Ma poi Lexa cominciò a tossire e sangue fresco sgorgò macchiando di più la sua maglietta. Una terribile tosse secca la costrinse ad abbracciarsi il petto per rilasciare il dolore. Un’infermiera iniziò a massaggiarle la schiena con movimenti circolari e un’altra le portò una maschera per l’ossigeno al volto.
 
E tutto quello che Clarke poté fare fu fissarla. Sembrava essere incollata in quel punto, dubitava persino che un branco di leoni che correva verso di lei nel corridoio avrebbe potuto farla muovere. Aveva perso la ragione, non riusciva a formulare un pensiero compiuto.
 
Non erano passati più di pochi secondi, ma a Clarke sembrò essere rimasta lì fissa in quel punto per un’eternità intera quando Lexa finalmente alzò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono. Quei bellissimi occhi verdi ora, erano pieni di lacrime, sembrava così spaventata. Fragile, ferita e spaventata.
 
E all’improvviso quel momento si spezzò. Di colpo si rese conto di essersi intromessa in un momento molto privato. Non doveva trovarsi lì, quello non era il suo posto.
Fece quasi male allontanare gli occhi da Lexa, ma lo fece. Doveva.
 
Ritornò da Diane, che stava guardando sua figlia molto più spaventata di Lexa stessa.
 
“Devo...”
 
Clarke si sorprese di riuscire a tirar fuori qualche parola.
 
“Devo andare!”

Il secondo dopo stava correndo. Correndo disperatamente attraverso i lunghi corridoi dell’ospedale. Lasciò il pronto soccorso, correndo sempre dritto senza neanche pensare dove si stava dirigendo. Realizzò di aver avuto fortuna quando intravide l’indicazione per l’ala di ematologia e girò a destra. Rallentò e si guardò disperatamente intorno per cercare la sala del personale. Si chiuse velocemente la porta alla spalle quando finalmente la trovò, sollevata dal fatto che fosse vuota.

Stava respirando così pesantemente che per un attimo si chiese se quello fosse un attacco di panico. L’immagine di Lexa coperta di sangue non lasciò la sua mente per un secondo. Crollò sul divano, troppo shockata per fare altro se non guardare lo spazio vuoto.

Non aveva idea di quanto rimase seduta lì, ma quando sua madre entrò nella stanza non si era ancora mossa di un centimetro e stava ancora chiaramente tremando.

“Non dovresti fare i compiti?” Chiese Abby prima di notare lo stato in cui si trovava sua figlia. “Cosa c’è, tesoro?” Chiese e si sedette di fianco a lei.

“Ehm...” Anche la voce di Clarke stava tremando, e cercò di trovare le parole giuste da usare “Mi sono persa mentre venivo qui e ho... ho visto qualcuno che stava male.”

Abby la circondò con le braccia e la avvicinò a lei.

“Oh, mi dispiace. Immagino che stava molto male?”

Clarke annuì soltanto.

“Sono sicura che starà bene” cercò di confortarla “Questo è un buon ospedale, lo sai vero?”

“E se invece non guarisce?” Mormorò Clarke.

Abby sospirò.

“Mi dispiace dirlo, ma le persone stanno male ogni giorno. Tutto quello che possiamo fare è dare il meglio di noi per salvarne il più possibile, e alla fine del giorno dobbiamo trovare un modo per sentirci soddisfatti di questo.”

Clarke decise di annuire, anche se non era per niente d’accordo. Se quei dottori non fossero riusciti a salvare Lexa non si sarebbe sentita soddisfatta, non importa quante altre vite venivano salvate quel giorno.

Non aveva nessuna memoria di essere arrivata in macchina. Tutto quello che si ricordava era il suo camminare lento nel negozio degli articoli d’arte, senza avere idea di cosa le servisse. Alla fine scelse alcuni colori, gran parte dei quali si rese conto di avere già quando arrivò a casa.

In qualche modo, riuscì ad arrivare a fine giornata comportandosi in modo normale, come se tutto andasse bene. Bè, forse non così normale dato che i suoi genitori continuavano a controllarla ogni tanto, dato che rimase stesa nel suo letto per gran parte del giorno. Quella notte non pianse fino a che tutti non andarono a dormire e venne lasciata sola nel silenzio e con quella terribile scena che continuava a ripetersi ancora e ancora nella sua mente.

Non sapeva neanche se Lexa fosse ancora viva.

 
Domanda: Lexa è viva? Risposta: si. Ovviamente si.
Lexa per noi non è morta e non morirà mai.

Eccolo l'angst. Ci deve stare per forza, altrimenti non possiamo costruire quello che viene dopo ;)
Le cose si complicano. Parecchio. Cosa è successo a Lexa? Nel prossimo capitolo lo capiremo. Prometto di aggiornare presto, questo fine settimana ritornerò da voi :)

Titolo prossimo capitolo: 'Senso di colpa'

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Capitolo 5
*** Senso di colpa ***


CAPITOLO 5
Senso di colpa

Le lancette dell’orologio avevano già superato le 3.30 del mattino, ma gli occhi di Clarke erano completamente aperti nell’oscurità. Le lacrime finalmente si erano asciugate, ma non si sentì meglio. Aveva già cercato su internet le possibili cause che avrebbero potuto far tossire quella enorme pozza di sangue e ciò che aveva letto non le era piaciuto. Anche non si sarebbe dovuta sorprendere del fatto che perdere due litri di sangue dalla bocca fosse una brutta cosa.

Durante le prime due ore in cui cercò di addormentarsi, Lexa era tutto quello a cui Clarke riuscì a pensare, ma nella notte le parole di Diane cominciarono a ripetersi nella sua mente.

Non posso affrontarlo di nuovo.

Quindi quello era successo più di una volta? Quel pensiero le rivoltò lo stomaco e un brivido le corse per tutto il corpo. Lexa aveva detto che sua madre si preoccupava molto per lei, e ora sapeva che Diane aveva una maledetta ragione per farlo. Cominciò ad essere quasi sicura che questo episodio fosse strettamente legato a tutti quei giorni che Lexa mancava da scuola. Tutte quelle volte che Clarke si infastidiva per la sua assenza e il trattamento speciale che le riservavano i professori... Loro senza dubbio sapevano e Clarke si sentì un’arrogante, infantile idiota! Mentre lei si preoccupava dei suoi problemi insignificanti, Lexa probabilmente cercava di respirare attraverso i suoi polmoni pieni si sangue.
 
Ma che problema aveva?
 
Questi pensieri continuavano a circolare nella sua mente fino a che lesse 5.42 sulla sveglia e ancora non era riuscita a dormire per un secondo. Fu in quel momento che la colpì un pensiero che le fece gelare il sangue.
 
Queste nuove medicine che sta prendendo dovrebbero farla stare meglio.
 
Era quello che Diane aveva detto e Clarke infine si ricordò delle pillole che Octavia aveva preso dalla borsa di Lexa! Chi sapeva quanto erano importanti? Clarke era sicura che Lexa era il tipo di persona che non avrebbe detto a sua madre di averle perse. E se lei e Octavia avessero messo davvero a rischio la vita di Lexa?
 
Si sedette e appoggiò la testa alle ginocchia. Che cosa diavolo doveva fare ora? Era certa di non essersi mai sentita così male nella sua vita, non immaginava neanche che ci si potesse sentire così. Di una cosa era sicura: non sarebbe stata in grado di dormire o mangiare o concentrarsi su qualsiasi cosa fino a che non avesse visto con i suoi occhi che Lexa stesse bene. Sapeva che erano nemiche e tutto il resto, ma Lexa questo non se lo meritava, e in quel momento a Clarke non importava se tutto il mondo sapeva che si stava preoccupando per Lexa. Il suo obiettivo di essere la numero uno era sprofondato in fondo alla sua lista delle priorità.
 
Pensava di aspettare fino al sorgere del sole per alzarsi e provare ad andare a trovare Lexa, ma aveva trascorso tutta la notte in agonia emotiva e ora era così inquieta che sperò di strisciare fuori dalla sua pelle e scomparire. Non poteva più restare nel letto. L’orario di visita all’ospedale cominciava alle 10, ma non le importava. Si sarebbe intrufolata in qualche modo. E prima di andare in ospedale doveva occuparsi di un’altra cosa.
 
Ora che aveva preso la sua decisione, non voleva sprecare un altro secondo. In pochi minuti si vestì ed fu pronta per andare.
 
Abby si era già alzata per il turno di mattina e quando Clarke apparve in cucina, lei era seduta lì e quasi le andò di traverso il caffè alla vista di Clarke in piedi prima delle 6 di domenica.
 
“Che stai facendo?” si rivolse a lei.
 
“Vado a correre!” Rispose Clarke e si infilò le scarpe a tutta velocità.
 
“Ma indossi i jeans!” Osservò, ma Clarke si era già sbattuta la porta alle spalle.
 
Se fosse riuscita a prendere una maledetta patente avrebbe potuto prendere in prestito la macchina, ma odiava quella trappola mortale che era la guida e entrava in panico ogni volta che si sedeva dietro un volante. Quindi si accontentò di una bicicletta, che andava comunque bene. La città non era grande e sarebbe arrivata lì presto.
 
La sua bici correva veloce come mai aveva fato prima e non aspettò neanche che si fermasse prima di saltare giù e cadere con un tonfo rumoroso sul prato di casa di Octavia. C’era una scala che portava al balcone della camera di Octavia, che aveva usato tante volte per sgattaiolare dentro e fuori. Si arrampicò, saltò oltre la ringhiera e colpì rabbiosa sulla finestra.
 
Una luce si accese e Octavia mezza addormenta apparve dietro il vetro.
 
“Clarke, ma che diavolo?” sibilò Octavia. “È ancora no…”
 
Ma Clarke l’aveva già superata di corsa e stava svuotando il suo cassetto dei calzini.
 
 “Che stai facendo?” Insistette Octavia. “Stai facendo svegliare tutti!”
 
“Dove sono le pillole che hai preso?” Chiese Clarke e finalmente si voltò per guardarla.
 
Octavia fece un passo indietro in shock quando vide la rabbia che riempiva gli occhi di Clarke.
 
“Che cosa...”
 
“Dammele!” Urlò, e la sua determinazione fece muovere Octavia, che prese la bustina di plastica dal cassetto nel comodino.
 
Clarke gliela strappò dalle mani e la strinse forte come per proteggerla dalle dita ladre di Octavia.
 
“Non avevi nessun diritto di prenderle!” Urlò.
 
“Mi dispiace...” Octavia era ancora scioccata. “Pensavo che tu fossi d’accordo.”
 
“Non lo ero!” Rispose Clarke “Non volevo, è stata un’enorme cazzata!”
 
“Perché non l’hai detto allora?” Disse Octavia.
 
Clarke sentì quasi le lacrime riprendere a scendere.
 
“Sei stata troppo veloce!” disse “Le hai prese e te ne sei andata e non ho osato urlare ‘non rubare’ di fronte ai professori!”
 
“Va bene” disse Octavia, cominciando a sembrare almeno un po’ dispiaciuta “restituiscigliele e non avremo fatto male a nessuno.”
 
“Cosa ne sai tu?” Clarke urlò, la rabbia che cresceva. “Non hai idea del male che già è stato fatto! Hai rubato qualcosa che non era tuo, e ora ti stai comportando come se ci siano dei motivi per quello che hai fatto, ma non c’è ne sono!”
 
Quel giorno non era il giorno fortunato per Octavia, sua madre entrò nel bel mezzo della sfuriata di Clarke.
 
“Clarke!” disse, sorpresa quanto Octavia di vederla lì “Cosa ci fai qui? Pensavo che tua madre ti avesse impedito di venire.”
 
“Oh, non preoccuparti” disse Clarke, i suoi occhi ancora incollati su Octavia e pieni di oscurità “Non ritornerò più.”

E poi si voltò per ritornare sul balcone.
 
“Cosa?” Octavia disse dietro di lei. “Clarke, aspetta!”
 
La raggiunse appena prima che Clarke cominciasse a scavalcare la ringhiera, si voltò e i loro occhi si incontrarono di nuovo.
 
“Che vuoi dire?” chiese.
 
Questa volta la sua voce era piena di tristezza e preoccupazione. Clarke si era completamente prosciugata dopo il litigio, non aveva più emozioni da esprimere. Si limitò a guardarla con espressione vuota.
 
“Non credo che possiamo essere ancora amiche.” Disse prima di riprendere a scendere la scale, lasciandosi dietro un’Octavia senza parole e un’imminente, non tanto piacevole, conversazione tra mamma e figlia.
 

Qualche minuto più tardi, parcheggiò la bici fuori dall’ospedale. Attraversò l’entrata principale, il posto era calmo e tranquillo. Sapeva di essere pazza a provare ad intrufolarsi per visitare un paziente prima delle 7 del mattino, ma sperava che la fortuna fosse dalla sua parte. Se così non fosse stato, avrebbe aspettato. Se fosse riuscita ad evitare di incrociare sua madre, sarebbe stato grandioso.

Decise che era meglio chiedere ad una faccia conosciuta. Senza dare nell’occhio scrutò velocemente la reception, realizzando di non conoscere nessuno. Con noncuranza si diresse verso la stanza delle infermiere, che sapeva essere al secondo piano. Se solo avesse saputo dove avevano messo Lexa, le cose sarebbero state più facili. Era nel reparto di cardiologia? Oncologia? E se l’avessero messa nel reparto di terapia intensiva? O peggio… nei lunghi corridoi sotto l’ospedale c’era l’obitorio. Al quel pensiero sentì un dolore acuto attraversarle il petto.

Al secondo piano fu sollevata dal vedere la sua infermiera preferita. L’infermiera Cartwik era una cara amica di Abby e quando Clarke andava lì da bambina trovava sempre un modo di farle avere un libro da colorare o una rivista per passare il tempo. Se tutto andava bene, sarebbe stata ancora abbastanza contenta da aiutare Clarke.

“Cece!” la chiamò Clarke e si avvicinò alla scrivania dietro alla quale era seduta.

“Clarke! Da quanto tempo che non ti vedo!” Cece le sorrise “Cosa posso fare per te oggi?”

“Ehm...” Clarke biascicò ed era sicura che ora tutta il suo disordine interiore era evidente.

“Qualcosa non va?” Chiese Cece e corrugò la fronte preoccupata.

“Si” sospirò “una mia amica di scuola è venuta qui ieri e non so come sta.”

“E vuoi andarla a trovarla.” Disse Clarke comprensiva.

Clarke annuì ansiosa. Cece ci pensò per un momento.

“Okay” cedette alla fine “Ma solo perche sei tu! Come si chiama?”

“Lexa” Clarke quasi lo sussurrò, anche solo il nome sembrava debole sulle sue labbra.

“Cognome?”

Clarke si bloccò. Porca puttana. Non sapeva il cognome di Lexa! Com’era possibile? Lexa era arrivata in quarta elementare dio santo! Com’è che non aveva mai imparato il suo cognome?

“Uhm, non lo so.”

Clarke si sentì piccola piccola a quelle parole e Cece sembrò confusa, ma fortunatamente non commentò.

“Okay...” disse e cercò sul computer. “Allora, non trovo nessuna Lexa qui.”

“Cosa?” Clarke era molto confusa “ma l’ho vista arrivare ieri, magari è stata dimessa?”

“Sto cercando nel registro dei pazienti di ieri e non c’è nessuna Lexa... verso che ora è stata ricoverata?”

“Di mattina” disse Clarke. “Prima delle 10. Ha 17 anni, è arrivata tossendo sangue dappertutto.”

Cece provò ancora.

“Sembra la signorina Alexandria Woods” disse, alzando lo sguardo cercando qualche segno da parte di Clarke.

Clarke rimase bloccata in silenzio per un momento. Lexa non era il suo nome intero!?

Alexandria.

Non ricordava di aver sentito un nome così bello in vita sua. Ma era assolutamente certa che si trattasse di Lexa, il cognome Woods aveva fatto scattare una molla nel suo cervello.

“Si!” disse. “È lei!”

“La trovi nel reparto cardiopolmonare. Stanza 316.”

“Grazie mille Cece!” disse Clarke riprendendo fiato con sollievo “Ti devo un favore! E ti dispiacerebbe non dire a nessuno di questo? Tipo per esempio a mia madre?"

Cece fece finta di chiudersi la bocca con una cerniera e le fece l’occhiolino.

“Grazie!” disse Clarke di nuovo prima di cominciare a camminare a passo veloce verso il reparto giusto. In quel momento di sentì già meglio sapendo che Lexa era lì e che respirava ancora e che l’avrebbe vista tra un minuto.

Aspettò impazientemente che l’ascensore la portasse al piano giusto e poi si ritrovò subito davanti la porta della camera 316. C’era una piccola finestra sulla porta, attraverso la quale Clarke poté vedere Lexa seduta sul letto con la testa appoggiata indietro sui cuscini, occhi chiusi e un paio di grandi cuffie sulle orecchie. A quanto pareva era sola e a Clarke sembrò che fosse sveglia, ma non ne era sicura e non voleva svegliarla, quindi restò lì per un momento guardandola timidamente fino a che non la vide alzare una mano per grattarsi la testa. Allora fece un respiro profondo, sentendosi improvvisamente un fascio di nervi, e bussò piano alla porta.
Lexa aprì gli occhi e la vide dalla finestrella, guardandola confusa. Non le fece nessun segno, né di entrare né di andarsene, quindi Clarke si prese la libertà di aprire la porta e fare qualche passo dentro.

Non sapeva cosa dire, così non disse niente.

“Quindi...” cominciò Lexa, togliendosi le cuffie dalle orecchie. “Mi stai seguendo ora?”

“Si.”

Il suo tentativo di scherzare fece muovere, anche se di poco, gli angoli della bocca di Lexa verso l’alto, ma per Clarke fu comunque un enorme traguardo.

Lexa aveva una coperta che la copriva, ma le sembrò che stesse indossando il suo pigiama invece del tipico camice dell’ospedale.

“Ti sei svegliata presto” disse Clarke non trovando nient’altro da dire, e si schiaffeggiò mentalmente per essere un’idiota impacciata che non sapeva iniziare una conversazione.

“Ho dormito quasi tutto il giorno ieri quindi...” spiegò Lexa con un’alzata di spalle.

“Giusto...” Clarke annuì, e arrivarono dunque a quello di cui avevano bisogno di parlare. “È stata spaventosa… quella cosa che hai avuto ieri.”

Lexa annuì soltanto, e Clarke si stupì della conversazione sincera che stavano avendo. Chi l’avrebbe mai detto?

“Tua madre ha detto... ti era già successo?” continuò “Ti capita spesso?”

Per suo sollievo, Lexa scosse la testa.

“È solo la seconda volta che succede una cosa del genere.” Ammise “E sembra peggio di quello che in realtà è. Voglio dire... non è bello ovviamente, ma... sai, immagino che sembrava che stessi morendo o cose del genere.”

“E invece no?” Chiese veloce Clarke.

“Tutti muoiono, Clarke.” Osservò Lexa “Ma non avevo intenzione di farlo ora, cosa che credo era ciò che volevi chiedermi.”

“Quindi, starai meglio?”

“No, non esattamente.”

Clarke aggrottò le sopracciglia, aspettando che Lexa si spiegasse meglio, e grazie al cielo lo fece.

“Ho la fibrosi cistica.” Spiegò. “Che vuol dire che i miei polmoni sono più o meno sempre infetti e non molto utili. È una malattia genetica con cui sono nata, quindi non può passare.”

Le rotelle nella testa di Clarke cominciarono a girare. Era davvero frustrata dal fatto che il dono della medicina di sua madre non fosse passato anche a lei, in questo modo avrebbe sicuramente saputo di cosa Lexa stesse parlando. Non aveva mai sentito di questa malattia e non capiva perché non poteva essere curata.

“Mi dispiace tanto.” Mormorò e sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime che scesero velocemente sulle guance.

“Non ti preoccupare” disse Lexa con un tono di voce che diceva che non le piaceva essere compatita. “È quello che è, ed è quello a cui sono abituata... non c’è bisogno di essere giù di morale.”

Ma Lexa aveva frainteso ciò per cui Clarke si stava scusando e Clarke dovette raccogliere tutto il coraggio per fare quella confessione.

“Non è per quello che mi dispiace” sospirò, si vergognava anche a guardare Lexa. Si avvicinò invece, con esitazione al letto, mise la mano in tasca e tirò fuori le pillole appoggiandole sul materasso, prima di fare qualche passo indietro per mettere distanza di sicurezza tra loro.

“Ovviamente sei stata tu.” Sentì Lexa borbottare.

“Mi dispiace tanto!” disse Clarke di nuovo, la voce rotta dal pianto, si costrinse a guardare Lexa negli occhi. “Se sapevo che sarebbe successa una cosa del genere avrei detto ad Octavia di rimetterle a posto subito! Devi capire! Pensavo che le avresti usate per farti nella pausa pranzo e cose così, non avrei mai immaginato che ti avrebbero ucciso se non le avessi prese!”

Si aspettava che Lexa si arrabbiasse e urlasse contro di lei o qualcosa di quel tipo, ma invece la ragazza cominciò a ridere, cogliendo Clarke alla sprovvista.

“Cosa?” chiese esterrefatta.

“Quindi sei venuta qui pensando che tutto questo fosse colpa tua” Lexa realizzò. “Bè non posso dire che mi dispiace, te lo sei meritato.”

Clarke era molto confusa.

“Quelle pillole non sono questione di vita o di morte, Clarke.” Spiegò “Le prendo per migliorare l’assorbimento nutrizionale, ma posso stare senza. Il motivo per cui sono finita qui è perché ho preso la polmonite, cosa che mi succede spesso e che può essere molto pericolosa per qualcuno come me.”

Come dimostrazione, scelse proprio quel momento per tossire qualche volta nel gomito. Clarke spalancò gli occhi e fece un passo ansiosa verso Lexa, aspettando di vedere sangue come ieri. Fortunatamente quella volta non successe.

Anche se quel tremendo senso di colpa non andò via, si sentì incredibilmente sollevata sapendo che almeno non erano state le sue azioni a mettere Lexa in pericolo, ma era anche imbarazzata dallo sguardo compiaciuto sul volto di Lexa. Lexa probabilmente era molto vicina a capire quanto Clarke aveva dato di matto per tutta quella storia.

“Ma stai bene ora, giusto?” Chiese Clarke attenta. “Tornerai a casa presto?”

Lexa alzò le spalle.

“Non si può mai sapere.”

Clarke annuì, e quando il silenzio riempì la camera si rese conto che non aveva più ragioni per stare lì. Nonostante quello, era incredibilmente difficile voltarsi e andarsene.

“Dovrei andare” disse.

“Si, dovresti.” Concordò Lexa.

“Bè, guarisci presto…” riuscì a dire Clarke prima raggiungere la porta dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Lexa.

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“Possiamo parlare?” Disse Finn e prese una sedia per sedersi, Raven e Octavia fecero lo stesso.

Clarke li guardò scocciata. Aveva trascorso i suoi pranzi da sola per tutta la settimana, ad un tavolo vuoto ad un angolo della caffetteria, rifiutandosi di parlare con tutti i suoi amici. Ora loro avevano rischiato di andare lì e intromettersi e Clarke non era per niente felice.

Catturò lo sguardo di Finn e improvvisamente si dispiacque per lui. Era sia un suo amico che il suo ragazzo e lo aveva ignorato per una settimana. Lui si meritava di meglio che avere a che fare con la sua merda tutto il tempo.

“Che sta succedendo?” chiese Raven “Sei stata completamente fuori per una settimana. Dobbiamo preoccuparci? Puoi dirci per favore cosa sta succedendo?”

Cosa avrebbe dovuto risponderle? Non poteva assolutamente dire la verità. Che una settimana fa aveva visto Lexa, la portatrice di oscurità, avere un terribile problema di salute e ancora non era tornata a scuola e che stava uscendo fuori di testa per questo. Che aveva cercato su google tutto quello che c’era da sapere sulla fibrosi cistica. Informazioni sulle aspettative di vita e sulla ridotta capacità polmonare, e che non le piaceva l’idea che Lexa ne era affetta. Decisamente non poteva dire loro questo, non che l’avrebbero creduta se l’avesse detto.

Non sapendo cosa rispondere, decise di non dire niente e di fissare il piatto. Probabilmente sarebbe stato meglio non guardare Octavia, dato che ogni volta che succedeva, sentiva di nuovo la rabbia infiammarsi dentro di lei.

“So di aver superato il limite, okay?” disse Octavia.

Dopo che la signora Blake era entrata nel bel mezzo della loro conversazione, si era assicurata di capire cosa fosse successo. Poi aveva chiamato la mamma di Lexa per parlarne. Clarke sapeva che Diane non gli aveva rivelato i dettegli, probabilmente su richiesta di Lexa, e Octavia era inconsapevole di quello che era veramente successo. Tutti quello che sapeva era che le pillole erano usate per motivi di salute e che era nella merda per averle prese. Sua madre l’aveva portata in chiesa per un discorso serio su giusto e sbagliato e poi si era ritrovata con un lavoro volontario all’ospedale dei bambini. Era in punizione e le era stato sequestrato il telefono, per non parlare del fatto che sia lei che Clarke erano state sospese per due settimane, si poteva dire quindi che stava pagando per ciò che aveva fatto. Ma Clarke non riusciva proprio a perdonarla e decisamente non riusciva a perdonare sé stessa.

Sapeva che il suo nome era stato riferito a Diane, e sentì il suo stomaco rivoltarsi al pensiero di cosa la donna pensava ora di lei. Quando Abby venne informata dei fatti, prima sgridò Clarke per tutto il pomeriggio e poi le tolse il telefono. Da allora non aveva quasi più parlato con la figlia. Non che a Clarke importasse. Era più che contenta di chiudersi in sé stessa nella sua camera e non parlare con nessuno. Stava ancora cercando di trovare una punizione per sé stessa che fosse pesante abbastanza  per compensare il modo in cui aveva trattato Lexa in tutti quegli anni e immaginò che la solitudine era un buon modo per iniziare.

Sentì Octavia lasciar andare un sospiro frustrato.

“Clarke! Lo sai che non le avrei prese se avessi saputo che erano veramente medicine. Lo so che faccio schifo, ma non sono cattiva! Solo, non capisco perché stai reagendo in questo modo ora, quando sei stata la presidente del club ‘Tormentiamo Lexa’  da sempre! Cosa è cambiato?”

“Stiamo solo cercando di capire” s’intromise Raven. “Sai perché Lexa ha bisogno di quelle pillole? È per questo che non ci parli? È qualcosa di serio?”

Raven sembrava davvero preoccupata, ma Clarke non avrebbe rivelato il segreto di Lexa per questo. Probabilmente c’era una ragione per cui non l’aveva detto a tutta la scuola. Clarke e Roan avrebbero potuto essere le uniche due persone a saperlo e Clarke avrebbe aiutato Lexa a fare in modo che le cose restassero così.

“Clarke, per favore parlaci!” Disse Finn, sembrando disperato.

Clarke voleva perdonarli, lo voleva davvero. Avevano tutti fatto cose cattive, compresa Clarke. Stava solo sperando che anche loro cominciassero a vedere le cose chiaramente come lei le stava vedendo. Avevano bisogno di guardare le cose da un’altra prospettiva e non aveva idea di come farlo accedere.

“Non mi piace la persona che sono diventata” ammise alla fine guardandoli negli occhi uno per uno per fargli capire che diceva davvero. “Non mi piace la persona che sono quando sto con voi, ragazzi. Quindi mi dispiace, ma credo che devo stare da sola per un po’.”

Raven sembrava ferita, Finn sorpreso e Octavia abbassò lo sguardo sentendosi colpevole.

“Capisco.” Sospirò.

“Lo sai che a noi importa di te, vero?” Chiese Raven.

“Si”, rispose Clarke. “Ma credo comunque che si meglio per me stare per conto mio per un poco.”

Octavia e Raven sembravano dispiaciute, ma si alzarono comunque per darle la privacy che aveva chiesto. Finn rimase lì.

“Hai detto che vuoi stare da sola...” chiese piano. “Cosa vuol dire per noi due?”

La risposta a quella domanda salì alle labbra di Clarke con un senso di sollievo.

“Non posso essere più la tua ragazza.”

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Clarke non l’aveva vista per due settimane, quando finalmente entrò di nuovo in classe come se niente fosse successo. Non guardò neanche Clarke, prese solamente posto davanti, pronta a memorizzare ogni parola che il professore diceva. Questo era quello che aveva sempre fatto, e Clarke non sapeva perché improvvisamente il fatto che Lexa non la considerasse, le faceva così male.

Aveva trascorso le ultime due settimane pensando ossessivamente a lei ed eccola lì, Lexa si comportava come se Clarke neanche esistesse. Ritornò in lei un bisogno familiare. Il bisogno di andare da Lexa e dirle qualcosa offensivo. Qualcosa di offensivo che si sarebbe riflesso negli occhi di Lexa. Quello era l’unico modo che conosceva affinché Lexa la vedesse, si rendesse conto di lei.

Ma non era più come voleva che andassero le cose. Avrebbe voluto che Lexa la guardasse con calore negli occhi, piuttosto che con odio.

Lexa sembrò evitarla per tutto il giorno, ma Clarke finalmente la beccò nel corridoio subito dopo l’ultima lezione del giorno.

“Hey!” Disse, mettendole una mano sulla spalla per fermarla.

Lexa si voltò e i suoi occhi verdi la guardarono in attesa.

“Non dovremmo lavorare al tuo progetto?” Chiese “Hai perso un sacco di giorni. Probabilmente hai molto da recuperare.”

 “Guarda come sei impaziente”, Lexa rispose alzando un sopracciglio. “Sai, non ho più bisogno del tuo aiuto. Hai fatto tutto quello che potevi per aiutarmi, quindi credo che un ‘grazie per il tuo aiuto e ciao’ sia quello che ci rimane.”

E poi cominciò ad allontanarsi. Clarke non la lasciò andare così.

“Cosa vuol dire che non hai più bisogno del mio aiuto?” Chiese, e si rese conto di quanto disperata suonava quella domanda.

“Significa quello che ho detto.” Cominciò Lexa. “Che ora che la ricerca e l’organizzazione sono complete, posso andare avanti e finirla da sola. Ti dispiace?”

Si.

A quel punto erano già uscite dall’edificio e Lexa stava camminando verso il parcheggio dove Clarke riconobbe l’auto di Diane.

“Aspetta!” esclamò, cosa che finalmente fece voltare Lexa e guardarla. “Come stai?”

Non riuscì a non guardarla con preoccupazione negli occhi. Era l’unica risposta di cui aveva bisogno. La reazione di Lexa, però, non era quella che aveva sperato. La sua espressione si scurì, tutto il suo corpo esprimeva una furia che prese Clarke di sorpresa.

“Smettila!” sibilò “Non ho bisogno che mi tratti in modo diverso ora che sai! Non c’è bisogno di far finta che non ci odiamo! Il nostro lavoro insieme è finito e non abbiamo assolutamente nessun motivo per continuare a parlarci, è cosi difficile da capire?!”
 
Gli occhi furiosi di Lexa fissavano quelli di Clarke. Poteva sentire le lacrime combattere per venir fuori e decise che era meglio andare via di lì.
 
“Sono felice che ti senti così!” disse “Goditi la vita!”
 
Poi entrambe voltarono le spalle e si allontanarono.
 
 
Che gusto c'è senza la buona dose di angst? 
Clarke forse sta cominciando davvero a cambiare un pochino. Ma Lexa non può cominciare a volerle bene così, da un giorno all'altro dopo tutto quello che le ha fatto.
E Clarke si arrenderà? Decisamente no. La nostra Clarke, quella che conosciamo e quella che presto emergerà qui, non è la tipa che si arrende ;) E nel prossimo capitolo vedremo Clarke cambiare le cose concretamente. 

Ho inviato le vostre ultime recensioni all'autrice. Innanzitutto grazie da parte mia e sua. Mi ha scritto che le vostre reazioni alla vicenda 'Lexa in ospedale' sono state 'strong', ma comunque 'relativamente calme'. I lettori di Ao3 invece hanno reagito un pochino peggio xD Quindi grazie ancora da parte sua ;)

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Capitolo 6
*** Vendetta ***


CAPITOLO 6
Vendetta

Le vacanze di Natale arrivarono solo qualche giorno dopo la rottura di Clarke e Finn, e l’atmosfera a casa Griffin non era gioiosa e festiva come gli altri anni. Clarke era ancora in uno stato di stress emotivo e mentre Jake aveva capito quanto Clarke si stesse incolpando per le sue azioni, Abby si comportava ancora in modo strano con
lei.

“Ti stai solo sfogando per un po’!” diceva, la sua voce piena di speranza e sogni per il futuro di Clarke. “Ma non devi lasciar andare il povero Finn, è perfetto per te!” Ogni tanto la si poteva sentire sospirare per tutta la casa  e qualche volta si lasciava sfuggire frasi del tipo: “Ma è così un bravo ragazzo...”

Ma Clarke non era triste perché la sua relazione era finita. Per niente. Era comunque buono poter dare la colpa del suo malumore a quello. Tutti davano per scontato che fosse triste per Finn, perciò non doveva neanche provare a spiegare la vera ragione. Fortunatamente. Non era neanche sicura che sarebbe stata in grado di farlo.

No, Clarke non sprecava un solo pensiero per Finn. Era stato un bene per lui allontanarsi da lei, ma c’era qualcun’altro che occupava i suoi pensieri. Clarke ormai non lo negava neanche più: pensava a Lexa. Tanto.

Quando arrivò la vigilia di Natale, Clarke era sicura di due cose.

Numero uno: Lexa la odiava. L’aveva detto lei, esplicitamente.

Non c’è bisogno di far finta che non ci odiamo!

Questa non era una novità. La novità però era il fatto che Clarke era triste per questo. O in realtà, più ci pensava, più si rendeva conto che neanche questa era una novità. Si ricordò di quella volta che Lexa aveva cambiato posto in modo da non sedersi di fianco a Clarke e Clarke era finita col rovesciare, non proprio accidentalmente, il suo bicchiere di latte quando era passata vicino al tavolo di Lexa a pranzo. Per non parlare dello sguardo di disprezzo che la ragazza le aveva lanciato una volta che erano finite nella stessa squadra nell’ora di ginnastica, a cui Clarke rispose inzuppando d’acqua nella doccia tutti i vestiti di Lexa. Ora finalmente stava  ammettendo a sè stessa che l’odio per Lexa le aveva fatto da sempre perdere il controllo.

Questo portava alla cosa numero due: avrebbe dovuto trovare un modo per mettere fine a questo odio.

La realizzazione di non provare più sentimenti negativi verso la sua compagna di classe era bella. Aveva trascorso anni ad essere completamente frustrata e irritata, e ora aveva trovato un’improvvisa calma dentro di lei. Quando, alla vigilia di Natale, arrivarono tutti e quattro i nonni, Clarke riuscì addirittura abbastanza gentilmente, a rispondere alle loro domande su cosa era successo al loro futuro genero.

Quindi si, Clarke non odiava più Lexa e questa era una buona cosa. Sfortunatamente, quel sentimento non era ricambiato e questa parte non era molto buona. Era soprattutto quando era da sola, nel letto la notte, che qualcosa si muoveva fastidiosamente nel petto al pensiero di Lexa e a quanta rabbia riempiva quegli occhi verdi l’ultima volta che si erano parlate.

Alla fine della vacanze, quell’agitazione aveva cominciato a fare male e Clarke non sapeva cosa avrebbe fatto se avesse continuato a sentirsi così. Alla fine capì che c’era solo una cosa che avrebbe potuto fare per alleggerire il dolore:

fare in modo che Lexa non la odiasse più.

Era bello pensarci. Era bello avere un piano.

Ma tu non meriti di essere perdonata, sussurrava una voce nella sua testa e Clarke sospirò. Quella voce aveva al cento per cento ragione, e Clarke normalmente, non avrebbe mai deciso di fare qualcosa che sapeva sin dall’inizio, avrebbe fallito. Ma per qualche motivo, questa volta era diverso. Ritornare a trattare Lexa come faceva una volta era fuori questione. Non dopo aver scoperto quelle cose su di lei. Anche se sapeva che Lexa non voleva essere trattata diversamente ora che Clarke sapeva che era malata, tutto questo metteva le cose in una prospettiva diversa e proprio non poteva immaginare di ritornare alle vecchie abitudini. Non ora che stava cominciando a preoccuparsi di lei. Inoltre, dopo essersi resa conto che bullizzare Lexa era parte di ciò che la faceva sentire spezzata dentro, era importante per il suo stesso bene che la smettesse.

L’ultima notte delle vacanze si addormentò con un nuovo obiettivo nella vita: quello sarebbe stato il semestre in cui Clarke e Lexa avrebbero smesso di essere nemiche.

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Il suo piano venne messo in atto non appena ritornò a scuola il primo giorno. Nel corridoio, Clarke vide due ragazzi camminare vicino Lexa, uno di loro si fermò per spingerla contro gli armadietti con un’incredibile forza, che produsse un rumoroso ‘bang’. Come al solito, Lexa rimase completamente indifferente. Si voltò solamente, dopo avergli lanciato un’occhiataccia.

Clarke l’aveva visto accadere così tante volte prima. In realtà, lei era la ragione per cui tutto quello era iniziato. Quando erano in terza media, Lexa aveva riso di lei quando era caduta durante la ricreazione, e come conseguenza Clarke aveva corrotto Octavia con un pacco di gomme a masticare a spingere Lexa contro gli armadietti ogni volta che la vedeva, convincendo la sua amica che Lexa voleva vendicarsi. Gli altri avevano subito imitato questa abitudine, e la tradizione era arrivata fino a quel giorno.

Ma tutto sarebbe cambiato.

Clarke accelerò il passo, i ragazzi camminavano nella sua direzione totalmente inconsapevoli. Quando infine si incontrarono al centro, Clarke raccolse tutta la sua forza
e colpì con la spalla più forte che poteva il ragazzo che aveva spinto Lexa. Probabilmente pesava il doppio di lei, ma era impreparato e sbatté sugli armadietti con pochi passi incerti. Sia lui che il suo amico guardarono Clarke come se fosse pazza. Ma lei rispose solamente alzando l’indice come una vecchia signora arrabbiata.

“Non. Fatelo. Più.” Disse in un tono che gli fece capire che non stava scherzando.

“Come vuoi.” Risposero, alzando le mani in segno di resa e allontanandosi.

Clarke si guardò subito intorno cercando Lexa, ma se ne era già andata.

Continuò a camminare sentendosi fiera di se stessa in un modo che non aveva mai provato prima. Chi l’avrebbe detto che si sarebbe sentita molto meglio ad usare la sua posizione di potere per fare qualcosa di buono e utile per qualcun’altro, invece di mettere tutti al gradino più basso e stare al top?

La natura della relazione di Clarke e Lexa era conosciuta da tutta la scuola: loro si detestavano. Era sempre stato così, perciò Clarke che all’improvviso difendeva Lexa, sembrava strano ad un sacco di persone. Glielo chiesero a pranzo, quando Raven e Octavia si avvicinarono a lei al tavolo all’angolo. Finn era dall’altro lato della stanza con Nathan e Wick, cercando di stare lontana da lei.

“Atom mi ha detto che hai spinto Bryan contro un armadietto?” disse Octavia sembrando sorpresa, ma non tanto sorpresa rispetto a quando lo sarebbe stata qualche settimana prima.

La sua confusione era comprensibile. Clarke di solito non si metteva nei guai con le persone che erano più in alto nella gerarchia. Se osava troppo avrebbe potuto trovarsi  lei stessa alla fine della catena alimentare.

“Si stava comportando da stronzo.” Clarke alzò le spalle mentre beveva il suo succo di frutta, come se non fosse successo niente.

“Si…” rispose Raven. “Con Lexa…”

“Mmh.”

Raven e Octavia si scambiarono uno sguardo confuso.

“Posso chiederti da quando ti fai problemi per questo?” continuò attenta Raven.

Clarke capì che volevano una spiegazione vera, così sospirò e mise giù il suo succo.

“Credo che…” cominciò, cercando di trovare un modo per spiegarsi. “È solo che lei... non è cosi male onestamente, e non c’è motivo per essere cattivi con lei.”

Sia Raven che Octavia la guardavano come se al suo posto ci fosse un alieno.

“Cosa?” Clarke gli ringhiò contro “Vi ha mai fatto qualcosa di male?”

“No!” la rassicurò velocemente Octavia. “È solo che è abbastanza difficile abituarsi a questo nuovo comportamento. Hai sempre rispettato strettamente la tua regola ‘considera sempre Lexa il vero Anticristo o non ti parlerò più’. È un bel cambiamento però...”

“Vero” annuì Octavia “una volta ho fatto l’errore di dire che aveva fatto una bella presentazione e tu ha cominciato ad elencare tutti i difetti che riuscivi a trovare in lei.”

Il senso di colpa ritornò nello stomaco di Clarke. Non importava quanto si sentisse bene a voltare pagina, non avrebbe mai potuto cancellare le cose che aveva fatto in passato.

“Quindi voi non la odiate?” chiese scettica.

“Odiare è una parola grossa, Clarke.” Precisò Octavia “Probabilmente non sarei mai sua amica, ma sono d’accordo a lasciarla fare le sue cose se lei mi lascia fare le mie.”

“Esatto” concordò Raven “Ma è bello vedere che la tua opinione su di lei è cambiata. Scommetto che sarà più piacevole stare con te senza gli scatti d’ira che lanci ogni volta che lei è vicina.”

“Si” disse Clarke. “mi fa sentire meglio.”

Le sue amiche... ex amiche... quello che erano, annuirono più serene.

“Quindi questo vuol dire che finalmente devo smetterla di spingerla contro gli armadietti ogni volta che la vedo?” chiese Octavia.

“Si!” esclamò Clarke con enfasi.

“Okay, ma mi devi un pacco di gomme da masticare.”

Clarke annuì, e poi le fissò fino a che capirono che era il momento di lasciarla sola. Sospirò. Lei era quella che aveva fatto le cose peggiori a Lexa, i suoi amici l’aveva solamente imitata. Allora perché era così difficile perdonarli ora che anche loro avrebbero smesso di farle del male?

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Non sapeva quando avrebbe avuto l’opportunità di parlare con lei da sola, ora che Lexa aveva annunciato che non avrebbe più avuto bisogno del suo aiuto. Secondo Clarke, erano tutte cazzate. Lexa doveva condurre un intero esperimento e scrivere una relazione di 5000 parole e avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto che poteva avere. Semplicemente non voleva vedere più Clarke, e per quanto potesse fare male, era totalmente comprensibile. Sapeva che Lexa era una persona molto riservata e non era difficile immaginare quanto dovesse sentirsi a disagio dal fatto che la più grande bulla conosceva il suo più grande segreto. Clarke aveva bisogno di assicurarla che era disposta a proteggerla.

Passò qualche giorno prima che trovasse una buona occasione. Un pomeriggio vide Lexa camminare da sola per il campo di lacrosse e decise di seguirla. Roan giocava nella squadra di lacrosse e al momento stava correndo nel campo per riscaldarsi, e Clarke immaginò che era uno di quei giorni in cui Lexa sarebbe tornata a casa con lui. Lexa si era appena seduta sulle gradinate e stava scavando nella borsa alla ricerca del libro, quando Clarke si arrampicò sulle gradinate e si sedette di fianco a lei. Lexa si fermò e la fissò con la coda dell’occhio.

“Non mi hai sentita bene l’ultima volta che abbiamo parlato?” chiese “Non voglio la tua compassione, non ho bisogno di un amico e preferisco stare da sola.”

“Oh no, ti ho sentita” rispose Clarke “E non avevo intenzione di mostrarti compassione. Anzi, non dobbiamo menzionare quella cosa mai più.”

Lexa annuì in accordo. Ovviamente Clarke voleva farle un milione di domande sulla sua salute, ma Lexa non aveva nessun obbligo di risponderle e Clarke doveva solo abituarsi a preoccuparsi in silenzio.

“Ti ho fatto un torto” continuo Clarke “bè… più di uno, davvero, e ora lo so. Sappiamo entrambe che Jaha ci è andato molto piano con me, e probabilmente è perché è amico di mia madre. Ma la verità è che, dopo tutto quello che ti ho fatto, sarei dovuta essere punita di più e tu avresti dovuto avere più di un’assistente che è incompetente in maniera imbarazzante sulla materia del suo progetto.”

“Non sbagli” Lexa concordò, l’accenno di un sorriso mosse le sue labbra, facendo battere il cuore di Clarke un po’ più veloce. “Anche se quella sospensione verrà fuori e ti morderà il culo.”

Clarke sorrise piano e annuì.

“Capisco perché non vuoi avere niente a che fare con me” disse Clarke “ma per favore non fare in modo che i nostri litigi del passato siano d’intralcio al tuo successo in questo progetto. È tutta colpa se il primo si è rovinato e ora mi dispiace. Quindi non posso permettere che tu fallisca di nuovo per colpa mia. Lascia che ti aiuti. So che ne hai ancora bisogno, e sono pronta ad aiutarti ora. Senza neanche lamentarmi.”

Lexa chiaramente stava avendo un dibattito interno. Non sembrava il tipo di persona che chiedeva o accettava l’aiuto quando veniva offerto. Specialmente dalla sua peggior nemica.

Dopo qualche secondo sospirò e curvò un po’ le spalle.

“Hai ragione” ammise “Il progetto mi sta portando via molto tempo e sta diventando abbastanza stressante. Immagino che dovrai fare tutto quello che farebbe un’assistente. Sarà meglio che ci metti un po’ d’impegno!”

“Certo!”

Si guardarono per un momento. Era cambiato così tanto tra di loro ed entrambe stavano cercando di capire cosa erano l’una per l’altra.

“Mi dispiace” disse d’impulso Clarke, rompendo il silenzio.

“È la seconda volta che ti sento dire queste parole nel giro di poche settimane” disse Lexa “cosa c’è che non va in te?”

“Cosa c’è che non va in me ora?” chiese Clarke “Cosa c’era che non andava in me prima, vuoi dire? Sono stata una bambina a non chiederti scusa per averti messa un questo casino, e diavolo, è ora di farlo. Mi dispiace, so che hai lavorato tanto su quel progetto e mi sento davvero in colpa per avertelo rovinato.”

Se c’era una cosa che Clarke voleva più di ogni altra cosa era che quelle parole cambiassero quello che c’era tra lei e Lexa. Che quegli occhi verdi la guardassero con dolcezza e perdono in modo che potessero andare avanti ed essere amiche. Com’era prevedibile, non successe. Gli occhi di Lexa erano privi di calore come erano sempre quando guardava Clarke, e lei provò a smettere di sentirsi triste anche per questo.

“Mi devo scusare per molte cose con te” aggiunse “e anche se non mi aspetto che tu mi perdoni per nessuna di questa, tenterò di rimediare per tutto, perché non meriti il trattamento che hai ricevuto.”

“Certo, come vuoi” borbottò Lexa “se ti fa sentire meglio.”

“Perché tutto questo ti è indifferente?” chiese Clarke “non dovrebbe starti bene essere trattata male!”

Lexa alzò le spalle.

“È la vita” disse come se fosse scontato “si tratta di sopravvivere, nient’altro. La gente può andare avanti e farmi tutto quello che vuole, non m’importa. L’affetto è debolezza, quindi è meglio evitarlo.”

E Clarke sapeva che era sincera. Lo vedeva nei suoi occhi. Una sorta di apatia, come se il suo mondo mancasse di colori. Clarke sapeva esattamente cosa si provava. Come non riusciva ad essere veramente felice in compagnia di nessuno. Non con la sua famiglia, non con i suoi amici, non con il suo ragazzo. E come non si sentiva mai coinvolta in quello che stavano facendo. Faceva la maggior parte della cose perché doveva farle. Da molto tempo nessuno era riuscito a farla preoccupare seriamente per qualcosa. Nessuno tranne una persona. E quando a questa persona sembrava non importare, perdeva così tanto l’equilibrio che faceva cose orribili, come le risposte automatiche. Perdeva completamente il controllo.

“Tu sei insensibile come me, non è vero?”

Lexa la guardò sorpresa, ma Clarke poteva leggere nei suoi occhi che aveva capito. Era come se Lexa fosse il primo libro scritto nella sua lingua dopo tanto tempo, l’unico che era un grado di leggere.

Rimasero sedute così per un lungo momento, guardandosi negli occhi e condividendo una comprensione di loro stesse che le sorprese entrambe. Una comprensione che non aveva bisogno di parole. Quando i loro sguardi infine si separarono, rimasero fianco a fianco in silenzio, guardando i ragazzi che si allenavano, prima che il papà di Clarke le mandasse un messaggio per dirle che era pronta per prenderla. Lasciò le gradinate con un sacco di pensieri che si rincorrevano per la testa, il più forte dei quali diceva che Lexa non meritava di essere così infelice.

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La lista degli obiettivi di Clarke ora prevedeva due punti:
  1. Fare in modo che Lexa non la odiasse più.
  2. Trovare un modo per far sorridere Lexa.
Sapeva che la ragazza era infelice, forse era proprio Clarke la ragione per cui lo era. Ecco perché probabilmente si sentiva obbligata a provare a dare a Lexa una ragione per sorridere (non perché desiderava vedere di nuovo quel sorriso o cose del genere). Si rese conto che non poteva rendere felice una persona infelice in una notte, ma immaginò che non deriderla più a scuola, e forse avere una nuova amica, l’avrebbe aiutata.

Clarke, che non era particolarmente felice anche lei, poteva sentire che questo almeno l’avrebbe fatta stare meglio e sperava che fosse una buona cosa anche per Lexa.

La volta successiva che la vide fu nella biblioteca della scuola, che comunque era l’unico posto in cui si incontravano. Lexa era molto presa dal suo lavoro, corrugando la fronte e mordendo la punta della penna. Aveva fatto bene ad accettare l’aiuto di Clarke, perché le cose stavano diventando decisamente pesanti e Clarke aveva dedicato molte ore ad aiutarla a scrivere la relazione. Era sollevata dal fatto che almeno mentre lavoravano potevano rimanere ad un livello professionale e Lexa era in grado tranquillamente di accettare il suo aiuto.

“Vedi, quello che non capisco...” cominciò Lexa “è come questa presunta azienda agricola in Florida cento per cento biologica, che afferma di usare solamente metodi naturali di fertilizzazione e pesticidi non dannosi, possa avere prodotti con qualità molto simili a quelli dall’azienda del Texas che usa una quantità dannosissima di pesticidi all’organofosfato...”

Sospirò frustrata.

“Ho bisogno di trovare prodotti di un’altra azienda biologica” disse “non credo che questa sia molto affidabile. Hai trovato altre aziende che esportano nel nostro stato?”

“Si!” rispose Clarke e girò il computer della scuola in modo che Lexa potesse guardare lo schermo. “Questa ha risposto alla mia mail e quanto pare c’è un solo negozio a
Ton DC che importa verdure da loro.”

“È a un’ora e mezzo di macchina da qui” rifletté Lexa “è fattibile.”

Poi sospirò di nuovo e si accasciò sulla sedia.

“Dovrei andarci questo fine settimana per restare nei tempi” disse “ma mia madre userà la macchina per lavoro sia sabato che domenica.”

“Sai guidare?” chiese Clarke.

“Mmh, si” disse Lexa “perchè?”

“Io non so guidare, ma posso procurarci una macchina.”

Lexa, a questa affermazione, sembrava veramente sorpresa.

“Stai dicendo quello che penso stai dicendo? Verresti con me fino a Ton DC per qualche campione di verdura? Nel fine settimana? Con la tua macchina?”

Clarke annuì.

“Ogni tuo desiderio è un ordine, ricordi?”

Lexa sbuffò un poco, ma Clarke sapeva che era la cosa più vicina ad una risata che per ora poteva ricevere.

“Che dici?” continuò “Sei d’accordo? Potrebbe essere divertente!”

“Credo che divertente sia un’esagerazione” borbottò Lexa “ma sarebbe molto pratico per me, quindi si, grazie.”

“Fantastico!” disse, sentendo un sorriso tentare di venir fuori.

Avrebbe trascorso un po’ di ore con Lexa questo fine settimana ed era felice per questo.

 

Ok dai, Clarke ormai è partita, no? Deve solo fare un altro passetto e rendersene conto.
E Lexa? Forse ancora no.

Ma da qui in poi dovrebbe essere tutto in discesa... (forse :P)

Con il prossimo capitolo arriveremo esattamente a metà della storia, in tutto sono 14 capitoli. E sarà un capitolo importante, uno dei miei preferiti :)
Questa piccola gita sarà divertente come pensa Clarke? Si, decisamente si.

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Capitolo 7
*** L'arrivo delle farfalle ***


CAPITOLO 7
​L'arrivo delle farfalle

Lexa venne accompagnata a casa sua molto presto quel sabato mattina, sua madre la seguì fino alla porta e quando Clarke capì che l’aveva fatto perchè voleva scambiare due parole con la ragazza che bullizzava sua figlia, sentì un grande groppo in gola.

“Non ho dimenticato quello che hai fatto” disse, la sua voce e i suoi occhi erano pieni di un che di minaccioso. “Se le succede qualcosa oggi, ti riterrò responsabile e ti ritroverai un in mondo di guai, capito?”

Clarke subito annuì, gli occhi spalancati.

“Non le succederà niente, lo giuro!”

E lo diceva con tutto il cuore. L’immagine di Lexa che sputava sangue la perseguitava ogni notte e sapeva che non avrebbe voluto più vederla soffrire in quel modo, o in qualsiasi altro modo, mai più.

Quando Diane se ne andò, chiuse gli occhi per qualche secondo e sospirò pesantemente. Come avrebbe fatto a far funzionare bene le cose? Si rianimò un poco alla vista di Lexa a casa sua per la prima volta. Anche se non sembrava molto a suo agio, Clarke si rallegrò lo stesso al pensiero che forse un giorno Lexa si sarebbe adattata a quella situazione, nella sua vita.

“Scusa per prima” si scusò Lexa imbarazzata. “era l’unico modo cui mi avrebbe lasciata venire.”

“Non ti preoccupare!” disse “Non ho ancora finito di fare colazione però, dovresti entrare.”

Lexa sembrò ancora più a disagio, ma comunque la seguì in cucina.

“Vuoi qualcosa?” offrì Clarke “Mi stavo facendo un panino e c’è abbastanza acqua calda per fare un tè anche per te.”

“No, grazie.” disse Lexa fredda.

“Okay” Clarke annuì.

Sarebbe stato carino fare colazione con Lexa, ma anche solo averla in cucina con lei era una bella cosa.

Mentre Clarke finiva di mangiare il suo panino, Abby entrò nella stanza e vide Lexa per la prima volta. Allungò una mano verso di lei e si presentò.

“Ciao! Sono Abby. Non credo che ci siamo mai incontrate prima.”

“Lexa.”

Lo shock era visibilissimo sul volto di Abby.

Quella Lexa?” chiese, guardando da Lexa a Clarke e poi di nuovo Lexa.

 “Mhm”, borbottò Clarke.

Abby rimase bloccata per un breve momento prima di essere in grado di ricomporsi.

“Oh, mi dispiace così tanto per il pasticcio che ha combinato mia figlia” disse “immagino che finalmente Clarke si sia ripresa e si sia scusata con te?”

Lexa annuì.

“Bene” disse Abby, facendo un cenno di approvazione verso Clarke “spero davvero che si stia impegnando per sistemare le cose.”

“Sembra di si” la assicurò Lexa “ecco perché stiamo andando a Ton DC oggi, per cercare qualche campione per il nuovo progetto.”

Abby sembrava sorpresa, ma anche felice.

“Davvero?” disse guardando Clarke. “Mi avevi solamente detto che saresti andata in città con un’amica.”

Clarke sentì un accenno di rossore colorarle guance quando catturò lo sguardo di Lexa dall’altra parte del tavolo, l’altra ragazza non sembrava molto contenta di essere stata chiamata ‘amica’, lei non avrebbe mai usato quella parola per descriverle.

“Bè è vero!” si difese Clarke “ma per un progetto di scuola. Ora dobbiamo proprio andare! Ciao mamma!”

Era meglio uscire di lì prima che sua madre continuasse ad imbarazzarla. Entrarono in macchina, Lexa al volante, e stavano giusto per partire quando Lexa si voltò verso di lei e la fissò con un’intensità che per un momento fece dimenticare a Clarke come respirare.

 “Voglio solo chiarire le cose, Clarke” disse in un tono calmo e freddo “non sono tua amica. Io e te non saremo mai amiche.”

“Lo so” mormorò e l’eccitazione che sentiva per quel giorno svanì e lasciò il posto alla delusione quando Lexa mise in moto e partirono.


La prima mezz’ora del viaggio trascorse quasi in completo silenzio, l’unico suono proveniva dalla radio. Clarke trascorse quel tempo persa nei suoi pensieri e guardando fuori dal finestrino. Ogni tanto lanciava degli sguardi a Lexa che era completamente concentrata sulla strada. Non volendo essere beccata a fissarla provò a memorizzare i dettagli del suo volto solo guardandola per alcuni brevi istanti. Sapeva così incredibilmente poco su di lei, e provava un’irresistibile curiosità per scoprirne di più.

Irresistibile.

Fanculo, doveva per forza iniziare una conversazione, non riuscì a trattenersi.

“Perché hai scelto le verdure per il tuo progetto?”

Era patetico, lo sapeva. Ma immaginò che quella era l’unica cosa di cui era disposta a parlare.

Lexa le lanciò un’occhiata veloce, chiaramente sorpresa e, per lo sconforto di Clarke, anche seccata.

“Stai cercando di fare conversazione spicciola?” chiese.

Clarke finse uno sguardo offeso e appoggiò la mano sul petto.

 “Moi?” chiese “Mai! Ho solo pensato che staremo bloccate insieme per un po’ di ore e che almeno posso provare a rendere più piacevole questo tempo conoscendoti un po’ meglio.”

“Siamo andati alla stessa scuola per 8 anni, Clarke” puntualizzò Lexa “non ti sei mai preoccupata di conoscermi prima.”

Clarke, ancora una volta, si vergognò di se stessa, ma decise comunque di non lasciar andare la persona cambiata che credeva di essere ora.

“Perché era un’idiota” quindi dichiarò “E mi dispiace per questo.”

“Seriamente, smettila di scusarti per tu...”

“Mi dispiace di averti fischiata durante la gara di spelling in quinta elementare.” La interruppe Clarke.

Lexa sospirò e incollò gli occhi alla strada.

“Mi dispiace per averti spinta nella pozzanghera di fango. E mi dispiace di aver copiato le tue risposte in tutti i compiti di matematica alle elementari...”

“Hai fatto cosa?!” Lexa chiese e si voltò verso di lei.

Oops. Clarke abbassò lo sguardo sulle sue mani. Aveva un disperato bisogno di trovare un modo per scusarsi e per farsi perdonare per tutte quelle cose, ma non riusciva proprio a pensare ad un modo che potesse funzionare. Tutto quello che aveva erano le parole, e al momento stavano fallendo.

“È davvero una cosa stupida, Clarke” sospirò Lexa. “Non ti sta portando da nessuna parte.”

“Hai ragione” rispose Clarke “Vuoi ritornare a parlare del tuo progetto?”

Lexa rimase in silenzio per un lungo momento, la sua stizza raggiunse livelli altissimi.

“Va bene” sospirò alla fine e Clarke esultò in silenzio.

Il resto del viaggio verso Ton DC non fu male. Dopo un po’ Lexa sembrò abituarsi a rispondere alle domande di Clarke, che in cambio provò a non superare il limite e fare domande troppo personali. Riuscì però a scoprire un po’ di cose della ragazza.

Ora sapeva che Daisy era il primo e unico cane che Lexa aveva avuto e che l’aveva presa da un canile quando era ancora un cucciolo.

Sapeva che aveva passato l’esame per la patente tre giorni dopo il suo sedicesimo compleanno.

Sapeva che in realtà biologia era la sua materia preferita, e quando Clarke le disse sorpresa che pensava che fosse filosofia, Lexa la guardò quasi offesa, esclamando senza neanche pensarci: “Stai scherzando? La filosofia è fottutamente noiosa!” Questo aveva preso Clarke di sorpresa e non riuscì a non farsi scappare una risata mentre esclamò felice: “Abbiamo finalmente trovato qualcosa su cui siamo d’accordo!”

Il caos, però, esplose ancora una volta in macchina quando entrarono in città e la capacità di Clarke di leggere una mappa venne messa alla prova. La città era molto più grande di quello a cui erano abituate, e non avendo idea dove fosse il negozio che stavano cercando, era difficile per Lexa guidare per strade altamente trafficate.

“Mi hai detto di girare a destra!” disse.

“Bè, non è colpa mia se abbiamo sbagliato” provò a spiegarsi Clarke. “Il GPS registra solo la posizione che avevamo 5 minuti fa, come faccio a sapere dove siamo
ora?”

“Avresti dovuto lasciar guardare me!” Le disse Lexa.

“Tu stai guidando!”

Alla fine Lexa finì per fermare la macchina in un parcheggio affianco alla strada e guardò lei stessa la mappa. Dopo averla analizzata per qualche minuto, finalmente annuì.

“Okay, ora so dove siamo.” Disse e puntò il dito sulla carta. “Esattamente qui, vedi questo piccolo quadrato? È il parcheggio, quindi siamo lontani solo un paio di isolati.”

“Grande!” disse Clarke. “Possiamo parcheggiare più vicino?”

“Assolutamente no!” Lexa scosse la testa. “Non mi infilerò di nuovo in quel traffico, cammineremo.”

Cinque minuti più tardi si ritrovarono fuori da un piccolo negozio eco-friendly, il cartello ‘chiuso’ le guardava dritte negli occhi. Di fianco alla porta c’era un cartello con gli orari di apertura, sul quale lessero che era aperto solo dal lunedì al venerdì.

 “Forse avremmo dovuto controllare...” borbottò Clarke.

“Forse si” concordò Lexa. “Non potrò tornare qui di nuovo fino a venerdì, e fino ad allora dovrei già presentare al professor Wallace un esperimento pratico in classe. Non sarò in grado di andare avanti con la relazione per tutta la settimana.”

Clarke si avvicinò alla porta e bussò, rimasero lì davanti per un lungo momento, sperando che qualcuno aprisse. Nessuno arrivò. Dopo un minuto di silenzio, Lexa finalmente aprì bocca.

“Forse è meglio che torniamo alla macchina.”

Cominciò a camminare, ma Clarke le afferrò il braccio.

“Oh, cavolo no!” disse “Siamo arrivati fino a qui! Ci prenderemo quei campioni!”

“E come pensi di farlo?” chiese Lexa.

“Non lo so” disse Clarke, pensandoci bene “Andiamo nel retro e vediamo se possiamo trovare qualcosa.”

Lexa la guardò come se fosse pazza e alzò le spalle. Poi s’incamminarono insieme nella via stretta tra le due case per raggiungere il retro del negozio. Lo spazio dietro
il piccolo edificio era un quadrato di cemento grande il doppio del vialetto d’ingresso di casa di Clarke, circondato da muri di mattoni e recinzioni alte. Era pieno di sacchi, bidoni della spazzatura, pallet e scatole di legno. C’era una porta che portava dentro il negozio, ma era chiaramente usata solo dallo staff. Un piccolo balcone decorava la facciata sopra la porta.

Provarono a bussare anche lì, persino a lanciare piccole pietre alla finestra del secondo piano per controllare se ci fosse qualcuno in casa, ma non ebbero risposta.

“Forse hanno qualche alimento guasto che possiamo prendere?” suggerì Clarke.

“Si...” disse Lexa “peccato che poi non mi daranno i risultati giusti.”

“Oh. Certo.”

Clarke sentì il suo volto diventare di un rosa acceso. Ora stava davvero cominciando a capire quanto Lexa fosse più intelligente di lei e sapeva che davanti a lei, avrebbe continuato a fare la figura dell’idiota.

“Ma possiamo cercare nelle scatole.” Disse Lexa, inconsapevole dell’imbarazzo di Clarke. “Se troviamo quello che stiamo cercando, lascerò un po’ di dollari per pagarli. Non è un reato, no?”

Clarke annuì.

Comincirono a girare nello spazio, alzando i coperchi delle scatole e guardando se dentro c’era ciò che serviva. Rimasero a mani vuote. Sospirando, Lexa si lasciò cadere su uno degli scatoloni.

“È inutile” disse “Non troveremo nessun campione qui.”

Clarke la guardò e corrugò la fronte insoddisfatta.  Sapeva quanto Lexa aveva bisogno di andare avanti con il progetto. Se non avesse incasinato il suo primo lavoro, probabilmente Lexa avrebbe già finito ora.

Lexa stava di nuovo osservando la facciata del negozio, e all’improvviso si girò verso Clarke con un sorriso malizioso sul volto. C’era un luccichio nei suoi occhi che Clarke non aveva visto spesso e che per un attimo le fece battere il cuore in modo irregolare, mentre sentì come una scarica elettrica attraversarla.

“Perché quella faccia?” chiese, all’improvviso con il fiato corto.

Lexa continuò solo a sorridere mentre indicava alla finestra del secondo piano di fianco al balcone. Ci volle un secondo a Clarke per vederla, e quando la vide ridacchiò.
Non l’aveva vista prima, ma la finestra era in effetti aperta un poco. Se riuscivano ad aprirla solo un pochino di più...

“Abbiamo fatto una lunga strada fino qui, giusto?” disse.

“Mmh.” Rispose Lexa.

“E pagheremo per quello che prendiamo.”

Lexa annuì.

“Okay, è geniale” disse Clarke. “Facciamolo velocemente.”

Si precipitarono al muro sotto la finestra e guardarono in alto. Non era aperta più di un centimetro, ma era l’unica possibilità che avevano.

“Posso salire io lì sopra.” Si offrì Clarke. “Mi piace arrampicarmi, e poi è meglio se vengo beccata io visto che è per il mio casino che siamo finite qui. Ho promesso a tua madre che non ti sarebbe successo niente.”

“Okay” disse Lexa “E come lo farai?”

“Puoi aiutarmi a sollevarmi?” Clarke si voltò verso di lei. “Posso arrampicarmi sul balcone e provare ad aprirla da lì?”

“Okay” disse Lexa di nuovo.

Poi unì insieme le mani per imitare un scalino per Clarke, che si aggrappò al muro per sostenersi prima di mettere il piede sulle mani di Lexa e tirarsi su.

“Non sono troppo pesante, vero?” chiese, in equilibrio sulle mani di Lexa. Acchiappò il pavimento del balcone, che era tutto quello che poteva raggiungere.

“No, va bene.” Rispose Lexa, ma si accorse che Clarke era ancora lontana. “Prova ad arrampicarti sulle mie spalle!” le disse.

“Sei sicura?” Chiese Clarke, abbassando lo sguardo su di lei.

“Si” rispose Lexa annuendo. “Dai, quelle verdure non aspetteranno tutto il giorno!”

Clarke cominciò a ridere e quasi cadde giù.

“E dove potrebbero andare? Illuminami.” Esclamò, facendo cominciare a ridere anche Lexa.

Era ovviamente la reazione nervosa del fare qualcosa che non avrebbero dovuto, ma le loro risate s’intensificarono quando Clarke salì sulle spalle di Lexa e si
arrampicò sul balcone in un modo non esattamente dolce. Si stava aggrappando con tutte le sue forze alla ringhiera, mentre un piede era incastrato tra  le sbarre del balcone e l’altro ruotava in aria come un pesce all’amo. Lexa dovette saltare per dare al piede un’ulteriore spinta, che diede finalmente a Clarke la forza di tirarsi su. Si mise dritta sull’esterno della ringhiera, con la finestra vicino a lei e cominciò ad osservare.

“C’è un gancio che la tiene chiusa” spiegò a Lexa, che non lo riusciva a vedere da terra. “Ho bisogno di qualcosa per sganciarlo. Qualcosa di lungo e sottile che entri
nella fessura.”

Essendo aggrappata al balcone per non cadere, non osò guardare in basso, ma poté sentire Lexa cominciare a cercare tra le cianfrusaglie vicino ai bidoni. Un secondo dopo riapparse sotto di lei, allungando con le mani verso di lei un grande uncino. Clarke si chinò con prudenza, lo raggiunse e lo acchiappò. Quando si rimise dritta, lo esaminò per un momento.

“Whoah!” esclamò “è la fottuta mano di Capitan Uncino!”

Lexa alzò un sopracciglio.

“Seriamente!” continuò Clarke. “È troppo figo!”

“Non dovremmo cercare di aprire la finestra?”

“Giusto...”

Fu un gioco da ragazzi sbloccare così il gancio di metallo e poi spingere la finestra per aprirla. Clarke raccolse tutto il coraggio.

“Okay, sono dentro!” urlò a Lexa.

“Veloce!” le urlò di rimando.

Clarke non fu molto abile neanche questa volta mentre scivolava attraverso la finestra. Si ritrovò in una stanza che sembrava un ufficio, ma non avendo tempo da perdere, sgattaiolò dalla porta per trovare uno piccolo corridoio e una stretta rampa di scale che conduceva al piano di sotto. Scese silenziosamente i gradini e entrò nel vero negozio. Il reparto delle verdure era grande con molte varietà, ma Clarke sapeva a memoria quello di cui Lexa aveva bisogno.

Un po’ di carote, pomodori, un cavolfiore, un ciuffo di rape e un paio di cipolle. Si assicurò di controllare sui piccoli cartelli su ogni prodotto da dove provenissero. Stava giusto lasciando 20 dollari sul balcone (immaginò che avrebbero dovuto pagare qualcosa in più anche per l’irruzione) quando sentì qualcosa dalla porta di fronte, quella che probabilmente portava nel cortile. Qualcuno stava aprendo quella porta.

Venne presa all’improvviso dal panico. Afferrando le verdure, corse verso le scale, nell’ufficio e, prima di uscire, gettò i campioni fuori dalla finestra. Dietro di lei, sentì un uomo chiamare dal piano di sotto.

“Chi c’è là?”

Qualcuno cominciò a salire le scale, ma Clarke era già appesa al balcone, pensando di stare per cadere a terra, quando qualcuno venne fuori da dietro i cassonetti e acchiappò le sue gambe per aiutarla a scivolare in basso senza farsi male. Fortunatamente non era nessuno, se non Lexa.

“Merda!” sibilò “L’ho sentito arrivare e mi sono nascosta, ma non sapevo come avvisarti!”

Raccolsero insieme tutte le verdure proprio quando la faccia di un uomo anziano apparve proprio dalla finestra dalla quale Clarke era uscita il secondo prima.

“Abbiamo pagato!” gli gridò, ma non aspettò di sentire la risposta. Cominciarono a correre più veloce che potevano, le braccia piene di verdure.

Lexa non riuscì per niente a tenere il passo e quando girarono l’angolo dell’isolato e attraversarono il parco, stava ansimando pesantemente, facendo fermare Clarke.

“Stai bene?” le chiese preoccupata, avvicinandosi a lei.

Lexa annuì subito.

“Starò bene” rispose tra i respiri. “Non vincerò mai una maratona, ma almeno sono riuscita a seminare un vecchio, quindi credo che sia già un traguardo!”

Clarke non sembrò convinta. Guardò Lexa negli occhi con preoccupazione e Lexa la fissò a sua volta. Restarono così per qualche secondo fino a che la rapa cadde dalle mani di Clarke con tonfo e tutte e due cominciarono a ridere così tanto che dovettero accasciarsi sull’erba. Le risate si erano quasi placate quando Lexa decise di parlare di nuovo.

“Hey, indovina cosa ho trovato quando mi stavo nascondendo dietro i bidoni? Una scala!”

E iniziarono a ridere di nuovo, Clarke stesa per terra con le mani sullo stomaco, che stava cominciando a farle male per le troppe risate. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva riso in quel modo, l’ultima volta che aveva sentito quel brivido di avventura e di eccitazione che aveva sentito quel giorno e per la prima volta, dopo un sacco di tempo, si sentì viva.
 


Il ritorno in macchina fu molto più tranquillo del viaggio che avevano fatto la mattina. Nessuna delle due disse una parola, ma l’atmosfera era più calma. La radio era
accesa, Clarke appoggiò la testa su una mano, guardando dal finestrino, mentre Lexa fissava la strada e a volte canticchiava piano con la musica. Arrivarono più o meno a metà strada quando Clarke vide un cartello al lato della strada e strillò.

“Esci dalla strada qui!” urlò, facendo saltare un poco Lexa.

“Cosa?” rispose, guardandosi intorno per capire perché Clarke stava urlando.

“Il ristorante con il miglior gelato d’America, ecco cosa!” Spiegò Clarke.

“Non è ora di pranzo?” Chiese Lexa.

“Quindi?” ribattè Clarke. “Siamo quasi adulte, questo vuol dire che se vogliamo possiamo mangiare gelato per pranzo. Dai! Ho sentito il tuo stomaco brontolare solo un
minuto fa, hai fame!”

“Va bene” Lexa si arrese giusto in tempo per prendere l’uscita giusta  dell’autostrada e trovare un posto nel parcheggio di fianco al ristorante.

Solo altre poche persone erano dentro e non c’era fila quando ordinarono. Clarke, in quell’occasione, poté scoprire altre cose su Lexa. A quanto pareva le piaceva il cioccolato, tanto. E non voleva la ciliegia in cima. Quando entrambe ricevettero quello che avevano ordinato e presero posto, Lexa sedeva di fronte ad un enorme sundae al cioccolato e Clarke, a cui non piaceva il gelato al cioccolato, ne aveva una coppa ai frutti misti. Prima che Lexa iniziasse a mangiare, tirò fuori la stessa bustina di plastica di pillole che Octavia aveva rubato più di un mese prima, e ne mise in bocca una prima di ingoiarla con un sorso di coca cola. Clarke non voleva fissarla, ma non riuscì ad evitarlo.

“A cosa hai detto che servono?” chiese, prima che potesse trattenersi.

“Sono enzimi che mi aiutano ad assimilare il cibo per assorbire quanti più nutrienti possibili” spiegò Lexa “il mo corpo non riesce a farlo molto bene, quindi in pratica posso mangiare come un cavallo e rimanere comunque malnutrita.”

“Pensavo che i polmoni fossero il problema.”

“Sono il problema principale, ma la FC incasina anche altre cose.”

Clarke si accigliò e annuì, ma poi decise che Lexa non avrebbe dovuto parlarne più.

“Bè almeno non devi sentirti in colpa di finire tutto quel gelato...” tentò.

“Esatto!” rispose Lexa con un sorriso, prima di mettere in bocca il grande cucchiaio pieno di cioccolato come dimostrazione.
 
 
La consapevolezza colpì Clarke quando Lexa stava finendo il fondo della coppa di gelato. Lei si era arresa tempo prima e aveva accettato il fatto che non sarebbe stata mai in grado di finire il suo gusto alla pera e al melone, e ora era appoggiata allo schienale della sedia così piena che si sentiva che sarebbe esplosa da un momento all’altro. Lexa invece, aveva ragione: mangiava davvero come un cavallo e Clarke la trovava molto tenera.

La ragazza stava cercando di tenere i suoi lunghi capelli lontano, ma in qualche modo finivano sempre con lo sporcarsi di gelato e lei provava a pulirli con un fazzoletto. Quando finalmente mise in bocca l’ultima cucchiaiata di gelato, sospirò soddisfatta e si rilassò sulla sedia, guardando fuori dalla finestra. 

Forse era la luce della finestra, che era così bella e intensa che faceva sembrare quasi che Lexa brillasse, o il modo in cui i suoi capelli le ricadevano sulla spalle. Forse era la canzone che suonava in sottofondo, ma qualsiasi cosa fosse, Clarke non riusciva a staccare gli occhi da lei.  E quando osservò attentamente i dettagli dei profondi occhi verdi di Lexa, sia il petto che lo stomaco si riempirono di quella sensazione di agitazione che aveva provato ogni tanto nella ultime settimane. Sentì come se i suoi organi interni fossero invasi da un intero sciame di farfal...

Oh cazzo.

Ecco allora di cosa parlava la gente.
 

E per dirla all'inglese: Clarke è caduta. Clarke è caduta per Lexa e finalmente se ne è resa conto. La gente non esagera, come lei pensava nel primo capitolo. Le farfalle esistono.
Cosa ne pensate? E' stato divertente come Clarke aveva sperato? Dai, commettere piccoli reati insieme è sempre divertente!

Non vi avevo anticipato il titolo di questo capitolo perchè sarebbe stato un enorme spoiler. E non so se avete notato, 'L'arrivée des papillons', vuol dire proprio 'L'arrivo delle farfalle' :)
Titolo prossimo capitolo: 'Gelosia'.

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Capitolo 8
*** Gelosia ***


CAPITOLO 8
Gelosia

Clarke non provava neanche più a negarlo, era innamorata di Lexa Woods.

Sapeva di essersi comportata in modo strano in macchina nel viaggio di ritorno, e Lexa probabilmente l’aveva notato perché continuava a lanciarle occhiate sospettose. Clarke, dal canto suo, provò a non guardare per niente Lexa. Era sicura che se i loro occhi si fossero incontrati, la ragazza avrebbe capito. Come non poteva farlo? Non era la cosa più evidente del mondo come il cuore di Clarke prendeva fuoco ogni volta che la vedeva?

Arrivarono proprio quando Jake stava per uscire, e propose a Lexa di darle un passaggio a casa. Clarke rimase sui gradini del portone e li guardò andare via, pensando che il mondo avesse perso un po’ del suo colore quando Lexa sparì dalla sua vista.

In casa non c’era nessuno e poté buttarsi sul suo letto e fissare indisturbata il soffitto, mettendosi a pensare, cosa di cui aveva disperatamente bisogno.

Era innamorata di Lexa.

Com’era potuto succedere? Come poteva essere innamorata di Lexa? Non aveva mai nemmeno pensato che le potesse piacere una ragazza prima, quindi come era potuta passare da non provare niente per nessuno a follemente innamorata nel giro di due mesi? Lei avrebbe dovuto sposare qualcuno come Finn, cristo santo. Cosa avrebbe detto la gente se fosse uscita con una ragazza? Sarebbe cambiato tutto. La vita che aveva pianificato per lei, non sarebbe stata per niente come aveva pensato, avrebbe distrutto il sogno di sua madre di una figlia con una perfetta vita da favola.

Ma poi di nuovo, l’altra domanda che si faceva era: come non poteva essere innamorata di Lexa? Quella ragazza era una persona incredibilmente forte. Ed era intelligente in ogni cosa. Era strano pensare quanto questo prima la infastidiva quando ora invece lo trovava stranamente attraente. Perché Lexa era attraente, non c’erano dubbi su questo. Era bellissima quando giocava con i suoi capelli mentre risolveva un problema difficile a scuola, era tenera quando indossava gli occhiali, e il suo sorriso che si vedeva così poche volte... era totalmente incantevole. Come mai non erano tutti innamorati di Lexa?

Quando quel pensiero si fece spazio nella sua mente, si accigliò. Forse molte persone lo erano già. Forse, ora che Lexa non era più l’oggetto di derisione di tutti, più persone l’avrebbero conosciuta meglio e di conseguenza innamorarsi di lei. Lexa avrebbe potuto scegliere tra un sacco di gente.

E questo portò Clarke a pensare l’inevitabile.

Perché Lexa avrebbe dovuto scegliere lei?

Lei non aveva assolutamente niente di quello che Lexa avrebbe mai voluto in un partner. Si meritava qualcuno di unico e colorato come lei. Si meritava una brava persona che non le avrebbe mai fatto del male. Lexa la odiava ancora a morte, e dopo tutto quello che Clarke le aveva fatto non c’era modo che Lexa potesse amarla.

Le sfuggì una lacrima e dato che era stesa sulla schiena, la sentì correre sulla tempia.

Non ti faro mai più del male, pensò, con la sciocca speranza che Lexa potesse in qualche modo sentirla, che avrebbe capito quando Clarke era sincera. Ma sapeva che era inutile, Lexa non le avrebbe mai creduto.

Le sfuggì un singhiozzo e altre lacrime le bagnarono le tempie e il materasso sotto la testa. Pensava che il dolore fosse essere umiliata a scuola o deludere sua madre, ma si sbagliava di grosso. Dolore era sapere che un giorno qualcuno avrebbe potuto abbracciare Lexa, baciarla e dormire affianco a lei, mentre c’era molta probabilità che Clarke non l’avrebbe mai più rivista dopo il diploma.
 
Quando sentì la porta del piano di sotto aprirsi, stava singhiozzando in silenzio, raggomitolata su un fianco da così tante ore che aveva perso la cognizione del tempo. Riconobbe i passi di suo padre mentre saliva le scale e si dirigeva verso la sua camera. Bussò.
 
“Clarke, tesoro” disse da dietro la porta “Quando mamma torna andiamo a fare la spesa. Vuoi venire con noi? Puoi scegliere i cereali che ti piacciono.”
 
Clarke lasciò andare un respiro che tremò quando le scappò un nuovo singhiozzo. Amava trascorrere il tempo con suo padre, ma non era nello stato di uscire di casa e onestamente, non credeva di avere abbastanza energie neanche per uscire dal letto. Si sentiva prosciugata.

“Preferirei restare da sola.” Riuscì a far venir fuori, ma la sua voce rivelava chiaramente lo stato in cui si trovava.

“Tesoro” disse suo padre, ora più preoccupato “Che succede? Posso entrare?”

Un altro singhiozzo le attraversò il corpo.

“Okay...” mormorò, ma Jake aveva sentito perché sentì la porta aprirsi e passi avvicinarsi.

Era stesa con la schiena verso la porta, ma lo sentì sedersi dietro di lei e mettere la mano sulla sua spalla, stringendola piano.

“Vuoi dirmi cosa è successo?” domandò.

Clarke scosse la testa. Non credeva che sarebbe riuscita a spiegarlo, non quando non era neanche sicura di capire lei stessa cosa le stava succedendo.

“Qualcuno si è comportato male con te? Qualcuno ti ha ferita?”

Scosse di nuovo la testa. L’unica persona che aveva fatto male a Clarke era Clarke stessa.

“Okay…” disse Jake, capendo che non ne avrebbe parlato. “Che ne dici se dal supermercato ti porto il tuo dolce preferito e poi guardiamo insieme la partita di calcio in tv stasera?”

Clarke rispose sedendosi e gettando le braccia al collo di suo padre.

“Grazie” sussurrò.

Jake ricambiò l’abbraccio con le sue forti braccia e Clarke così, al sicuro, sentì il suo dolore un po’ più sopportabile.

“Quando vorrai parlarne puoi venire subito da me” disse “non dimenticarlo.”

Lo sapeva, ma non era sicura di quando sarebbe stata pronta ad aprirsi.

Quella notte pensò di nuovo alla sua lista segreta e decise di aggiungere un terzo punto. La lista consisteva dei suoi più profondi desideri. Non pensava che si sarebbero avverati, ma almeno sognare la confortava un poco.

1. Fare in modo che Lexa non la odiasse più.

2. Trovare un modo per far sorridere Lexa.

3. Far innamorare Lexa di lei.

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Quando arrivò lunedì, Clarke aveva avuto ormai tempo per pensare ed era arrivata ad una conclusione: sarebbe stato facile liberarsi di quei sentimento. Non vedeva Lexa dal loro piccolo viaggio in macchina, e tutta la domenica libera le aveva dato sicurezza. Non poteva negare il fatto che le importava molto di lei, ma poteva vivere senza essere vicina lei, non poteva essere tanto difficile! Non aveva bisogno di sapere cosa si provava nel baciare Lexa, o sapere il modo in cui lei abbracciava. Poteva lasciare che fosse qualcun’altro la ragione per cui Lexa sorrideva, e Clarke stessa poteva andare avanti e trovare un ragazzo di cui innamorarsi. Era ciò che facevano tutti gli altri, quindi evidentemente non era per niente difficile! La scuola era piena di ragazzi, poteva prendere chiunque, davvero. In questo modo non avrebbe deluso sua madre e la sua vita sarebbe stata molto più facile.

Rimase fiduciosa per un impressionante minuto intero quando arrivò a scuola, poi vide Lexa e tutti i piani saltarono. All’inizio, non si rese neanche conto che era Lexa quella che stava guardando. Non era ancora entrata a scuola, quando un’imponente moto con due persone sopra, entrò nel parcheggio. Si bloccò a guardare per un poco, non aveva mai visto quella moto prima, e fu solo quando la persona che era seduta dietro, scese e si tolse il casco che Clarke la riconobbe.

“Merda” mormorò a sè stessa. Non era per niente pronta per affrontare Lexa, e presa dal panico si gettò dietro un cespuglio per nascondersi.

Da lì, vide anche l’altra persona togliersi il casco. Era una ragazza che sembrava qualche anno più grande. Clarke dovette ammettere che era decisamente bella. Tutta zigomi affilati, trucco scuro sugli occhi e capelli intrecciati in uno stile tribale. Aggiungi la moto e Clarke poteva totalmente capire perché Lexa voleva frequentare una come lei.

Non riusciva a sentire quello che si stavano dicendo e si era quasi calmata di nuovo, quando assistette a qualcosa che uccise anche l’ultima delle sue speranze.

La ragazza aprì la braccia e Lexa accolse quell’abbraccio come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si tennero strette l’una all’altra, e poi la ragazza si avvicinò ancora di più e le sussurrò qualcosa nell’orecchio. Lexa rise. Il suo sorriso era del tutto autentico, il tipo di sorriso che Clarke aveva solo due volte. Una volta quando Lexa stava giocando con Daisy e poi questa domenica, quando avevano riso insieme dopo essere sfuggite dal proprietario del negozio.

Ma questa volta era quella ragazza tosta e attraente che stava facendo sorridere Lexa, e quando Clarke pensò che le cose non potevano peggiorare, la ragazza premette le labbra sulla guancia di Lexa.

Non vuol dire niente, si disse Clarke.

Ma poteva vedere negli occhi di Lexa quanto amava e ammirava l’altra ragazza, e aveva senso. Ovviamente Lexa sarebbe uscita con qualcuno come lei. Clarke era così triste da non avere neanche il tempo per essere felice dal fatto che almeno sembrava che a Lexa piacessero le ragazze.

Guardò le due ragazze scambiarsi un altro veloce abbraccio, prima che la più grande risalì sulla moto e partì via, lasciandosi indietro Lexa, che guardò la moto con sguardo triste fino a che girò l’angolo e non fu più visibile.

Lasciò che Lexa entrasse nell’edificio, prima di venir fuori dal cespuglio.

È una cosa positiva, si ripeté ancora e ancora. Questo è esattamente quello di cui hai bisogno per dimenticarla.

Ma non la sentì per niente come una cosa positiva.
 

Non voleva mangiare il suo pranzo nella caffetteria, dove avrebbe visto i suoi vecchi amici e si sarebbe ricordata quanto era sola. Non voleva andare in biblioteca, perché non pensava di riuscire a gestire Lexa in quel momento. Quindi portò i suoi panini fuori e si sedette su una panchina vuota. Non c’era molta gente fuori. Le ci volle un secondo per realizzare che l’altra persona seduta da sola come lei, su una panchina 20 metri lontana, era nientemeno che Raven. Si riconobbero nello stesso istante e si osservarono per qualche secondo prima Raven che stringesse le fibbie del tutore della gamba e si avvicinò alla panchina di Clarke.

“Perché stai mangiando da sola?” domandò Clarke.

Raven alzò le spalle.

“Le cose sono diverse ultimamente, e ho bisogno di qualche minuto per me stessa. Stare da soli non deve essere per forza una cosa brutta, sai, può essere una cosa positiva ogni tanto.”

“Hai ragione” ammise Clarke “Ma penso che ultimamente io ho un po’ esagerato...”

Raven la guardò triste.

“Lo so” disse “Non pensavo che sarebbe passato tutto questo tempo senza che ci parlassimo. Ancora non ho capito perché hai smesso di parlare con me.”

Clarke la guardò, vide come quegli occhi erano pieni di lacrime e l’ultima traccia di rabbia nei suoi confronti, svanì. Sapeva che Raven diceva sul serio, lei non era quella che partecipava a tutte le attività moralmente discutibili che il resto del gruppo organizzava.

“Vieni qui!” disse e allargò le braccia verso di lei, invitandola in un abbraccio di riconciliazione.

 Raven accettò velocemente e si tennero strette per qualche secondo. Era così bello tornare in buoni rapporti con almeno una dei suoi amici.

“Mi dispiace così tanto” mormorò nel collo di Raven.

“Per cosa?” chiese Raven, liberandosi dall’abbraccio per guardarla.

“Per essere stata un’amica di merda, ovviamente.” Disse Clarke.

“No, onestamente non sei stata così di me…”

“Non è vero” insistette Clarke “ero sempre, sempre di cattivo umore. E ho dato sempre la colpa a te anche se tu mi ha sempre sostenuta e aiutata. Sei fantastica e non so davvero cosa ho fatto per meritarti.”

Raven sembrava felicemente sorpresa, cercò di trattenere il sorriso ma finì per sorridere a Clarke a 32 denti. Nel circolo di gente in cui loro due di solito trascorrevano gran parte del tempo, la maggior parte delle persone si preoccupava solamente di sè stessa e della propria immagine. Era raro ricevere un complimento reale, sincero, quindi quello non era decisamente qualcosa a cui Raven era abituata.

Clarke sentì un moto di affetto per la sua amica, e si rese conto di essere andata incontro ad un enorme cambiamento. Prima era abituata a sentirsi felice così raramente, ma da quando aveva cominciato ad essere più sincera con se stessa riguardo a ciò che provava per Lexa, era come se qualcosa si fosse svegliato dentro di lei, e in questi giorni la felicità sembrava arrivare nei modi più sorprendenti.

Non pensava di essere pronta a parlare con qualcuno riguardo a quello che aveva scoperto di se stessa, ma seduta lì con Raven si rese conto che quella era l’unica altra persona, a parte suo padre, con cui si sentiva sicura al cento per cento di aprirsi, e all’improvviso non riuscì a mantenere più a lungo il segreto. Solo ora aveva le parole per descrivere come si sentiva, ma sapeva che quei sentimenti erano lì da anni e anni e stava diventando insopportabile tenerli tutti per sé.

“Quindi, riguardo ai miei sbalzi d’umore…” iniziò, Raven la guardò in attesa. “Finalmente ho capito perché sono stata un mostro con tutti per tutto quel tempo. Perché ero sempre così frustrata riguardo tutto quello che faceva Lexa fino a perdere il controllo di tutto quello che mi circondava.”

Raven annuì ma non disse una parola, aspettò pazientemente che Clarke continuasse.

“Sono innamorata di lei.” Sussurrò, per essere sicura che nessun’altro sentisse.

Guardò Raven, sentendosi nervosa come non lo era mai stata. Se Raven rimase sconvolta non lo diede a vedere. Annuì lentamente soltanto.

“Okay” disse “credo che abbia senso. Mi sono sempre chiesta cosa c’era in lei che ti faceva venir fuori tutta quella rabbia.”

Clarke non riuscì a decidere se essere sorpresa o se quella era la reazione che si aspettava. Era strano che Raven non fosse tanto sorpresa della rivelazione, quando per Clarke era stato difficilissimo capire che quella era la verità. Sembrava appoggiarla però, e questa era davvero la cosa più importante.

“Ti dà fastidio questa cosa?” doveva comunque chiederglielo.

Questo fece sorridere Raven.

“Ovviamente no, scema” disse e le diede scherzosamente uno schiaffetto sul braccio “non decidi di innamorarti di qualcuno, succede e basta. Quindi perché dovrebbe darmi fastidio? Sinceramente pensavo che ti saresti potuta innamorare di qualcuno peggiore.”

Clarke si sentì eternamente grata a Raven e per un momento si dimenticò di tutti i problemi, ma poi si ricordò della questione più grande e sospirò.

“Ho un paio di problemi, però.” Disse.

“E quali sarebbero?”

“Okay, prima di tutto: sono stata una stronza con lei per otto cazzo di anni e lei ha tutte le ragioni per odiarmi per il resto della sua vita. E poi...

Si bloccò, la sua intera postura dava l’idea di qualcuno che aveva rinunciato a tutto.

“...l’ho vista arrivare a scuola con qualcuno stamattina...” mormorò “sembrava la sua ragazza.”

“Merda...” disse Raven “Okay, devo ammettere che non ti trovi in una bellissima situazione.”

“Esatto” sospirò Clarke “Lo so che non c’è niente che posso fare, non staremo mai insieme. Non riuscirò mai a farla lasciarla con quella ragazza super figa sulla moto per farla stare con me, non dopo tutto quello che le ho fatto. Devo solo un modo per disinnamorami di lei.”

Raven sorrise con affetto.

“Sembra un piano di merda...” le fece notare.

“È l’unica possibilità che ho, quindi...”

Anche Raven sospirò.

“Lo so” disse “mi dispiace. Posso aiutarti a distrarti fino a che non usciamo da questo posto e potrai andare avanti a curare le tue ferite. Ci manca solo un semestre, come ti sembra?”

“Va bene” disse Clarke e cercò di sorridere nonostante la tristezza.

“Allora, da dove vuoi cominciare?” chiese Raven “Se torni a casa da sola, comincerai di nuovo a pensare a lei, che è la cosa che ora stiamo cercando di evitare. Quindi hai bisogno di impegnarti in altro. Mi sei mancata da morire e abbiamo settimane intere di uscite da recuperare. Sono pronta a fornire qualche distrazione. Cosa vuoi fare?”

Clarke ci pensò per un momento.

“Ho ancora molti comportamenti negativi da farmi perdonare” le ricordò “non sono stata gentile con nessuno in realtà, quindi penso che mi piacerebbe iniziare da qui. Aiutare qualcuno in qualcosa.”

“Allora dobbiamo solo capire chi vogliamo aiutare” disse Raven,

“Giusto. Chi ho fatto soffrire di più ultimamente?” chiese Clarke.

Raven corrugò la fronte.

“Bè… Finn è stato parecchio giù da quando vi siete lasciati…”

Clarke annuì. Ovviamente. Non l’aveva amato, non nel modo in cui amava Lexa, ma questo non lo aveva fatto soffrire di meno quando avevano rotto.

“Forse dovremmo trovare qualcun’altro per lui?” suggerì Clarke.

“Non lo so…” sospirò Raven. “È parecchio preso da te. Sai quanto è importante per lui sentirsi al sicuro e ‘a casa’ con la persona con cui esce. Ecco perché pensavo che voi siete riusciti a stare insieme per così tanto tempo, sai, nonostante la tua mancanza di attrazione romantica nei suoi confronti. Voi eravate prima amici, e sarà difficile per lui trovare una cosa così di nuovo.”

Clarke la guardò mentre parlava, vide nei suoi occhi l’affetto quando parlava del suo amico. Pensò a quanto Finn amava fare discorsi con Raven, quanto erano simili e un’immagine inaspettata venne fuori nella sua mente. Come aveva fatto a non vederla prima?

“Tu sei perfetta!” disse a Raven con entusiasmo.

Raven la guardò con aria confusa.

“Grazie... credo... non penso che sia la parola la parola che userei io ma...”

“Per Finn!” precisò Clarke. “Sei perfetta per Finn. Oh mio Dio, voi due stareste così bene insieme!”

Incontrò due occhi molto scettici, prima che Raven cominciasse a ridere così tanto da piegarsi sulla panchina e tenersi lo stomaco con le mani. Quando finalmente ritornò seduta, si dovette asciugare le lacrime dagli occhi per aver riso tanto.

“Sei seria?” chiese, quasi cominciando a ridere di nuovo “questa è la cosa più assurda che abbia mai sentito!”

“Perché è così assurda?” chiese Clarke.

“Bè…” disse Raven, cercando le parole “bè lo conosco addirittura da prima che andassimo all’asilo. Ho uno dei suoi denti da latte nella mia camera, abbiamo fatto la cacca insieme nel bosco dietro casa sua, litigavamo su chi doveva prendere lo skateboard a Monopoli...”

“Ancora lo fate...” puntualizzò Clarke.

“Si, si” Raven fece un movimento con la mano per allontanare quel ricordo. “Voglio solo dire che sarebbe davvero davvero strano, baciarlo e cose del genere...”

Quando smise di parlare sembrò un po’ turbata e Clarke non potè fare a meno di pensare che Raven avesse appena capito qualcosa.

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Abby sarebbe dovuta venirla a prendere da scuola quel giovedì pomeriggio, e Clarke si ritrovò a muoversi verso il campo di lacrosse ad aspettarla. Era seduta lì da alcuni minuti quando Lexa girò l’angolo per salire sugli spalti, rallentò un poco quando la vide, ma poi si sedette qualche posto lontano da lei.

“Ciao” disse.

“Ciao” rispose Clarke.

La osservò per qualche secondo. Aveva realizzato di essere innamorata di lei solo da qualche giorno, e ancora non si era abituata a quanto si sentiva nervosa ogni volta che vedeva l’altra ragazza. Era destabilizzante come riusciva a provare due sentimenti completamente diversi nello stesso tempo. Da un lato, era innamorata, cosa che la faceva sentire calda dentro e in estasi. Dall’altro lato, aveva il cuore spezzato, e voleva stendersi per terra e aspettare che cominciasse la decomposizione.

“Stai aspettando Roan per un passaggio?” chiese e Lexa annuì.

Si fermò e sentì una domanda formarsi nella mente. Voleva dimenticarla, ma allo stesso tempo aveva disperatamente bisogno di quella risposta. Non riuscì a trattenersi, chiese:

“Ti ho vista venire a scuola con la tua ragazza l’altro giorno...” iniziò, cercando con tutta la sua volontà di non suonare triste. “Perché non vieni con lei più spesso?”

“La mia ragazza?” Riuscì a dire Lexa, prima di scoppiare in una risata incontrollata.

Clarke rimase molto confusa da quella reazione e guardò come tutto il suo corpo si muoveva dalle risate.

“La mia ragazza!” esclamò di nuovo quando quasi riuscì a smettere di ridere, cosa che però le provocò altre risate, mentre Clarke aspettava impazientemente per altri due minuti una spiegazione.

Quando Lexa finalmente si fermò, guardò Clarke e scosse la testa divertita.

“Anya è mia cugina, Clarke” disse, e ridacchio di nuovo “nessuno l’aveva scambiata per la mia ragazza prima! Wow! È la prima volta!”
 
Il cuore di Clarke, che si era congelato di gelosia per i tre giorni precedenti, all’improvviso si riscaldò di nuovo e sentì come se potesse respirare per bene per la prima volta da quando aveva visto quello scambio tra Lexa e la ragazza che credeva essere la sua fidanzata.

“Non vengo spesso con lei perché va all’università lontana da Polis” continuò a spiegare Lexa. “È abbastanza lontano, come sai, quindi non ci vediamo molto spesso.”  
 
C’era un accenno di tristezza nelle sue parole, e Clarke capì che non si sbagliava quando aveva pensato che Lexa ammirava tanto quella ragazza.
 
Poi l’attenzione di Lexa ritornò a Clarke.
 
“Comunque, cosa stai facendo qui?” chiese.
 
“Sto aspettando mia madre.” Rispose Clarke.

“Pensavo che questo fosse il mio posto” disse Lexa, all’improvviso un po’ infastidita. E Clarke si rese conto ancora una volta quanto poco Lexa la voleva intorno a lei.

Maledì sé stessa quando sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma non c’era modo di riuscire a fermarle. Di solito non era così emotiva, ma il suo amore non corrisposto per Lexa, l’aveva cambiata.

“Bene, me ne vado da questo cazzo di posto e ti lascio da sola!” sputò, la sua voce tremante le impedì di sembrare forte come avrebbe voluto.

Mentre si alzava dal suo posto, Lexa alzò le mani sorpresa dalle lacrime che avevano cominciato a correre sulle guance di Clarke.

“Whoah, non intentevo questo” disse “perché sei così arrabbiata?”

E Clarke venne inondata da tristezza e furore insieme. Era furiosa perché Lexa riusciva ad essere così indifferente nei suoi confronti e così inconsapevole di essere praticamente il centro dell’universo di Clarke. Non pensò neanche prima di parlare, aveva il disperato bisogno che Lexa capisse come si sentiva.

“Perché non riesco a non pensare a te, ecco perché!” urlò.

Alle sue parole, gli occhi di Lexa si spalancarono lievemente, ma era ancora così ignara, così cieca. E ora che Clarke aveva cominciato, non sapeva come fermarsi.

“Perché non importa quanto tu mi odi per le cose che ho fatto nel passato, non mi odierai mai quanto io mi sto odiando in questo momento! Sto realizzando che, Cristo... tu sei davvero una fantastica persona, e che sarei stata fortunata ad essere tua amica. Ho mandato tutto a puttane alla grande, e non so cosa fare di me ora, perché stare vicino a te fa male quanto starti lontana e... tu mi odi, e non riesco a smettere di pensare a te!”

Lexa rimase in silenzio sconvolta, e anche Clarke, ma ora che la sua sfuriata era finita, cominciò a sentirsi umiliata. Si chiese quanto Lexa aveva capito, se sapeva della gigante cotta che aveva per lei.

Decise che probabilmente era meglio uscire di scena prima di mettersi di nuovo in imbarazzo. Stava già piangendo, un casino rossa in volto, aveva fatto una scenata di fronte alla ragazza di cui era innamorata. Quindi raccolse velocemente la sua borsa e scese di corsa gli spalti prima che Lexa potesse dire qualcosa, asciugandosi le lacrime mentre camminava.
 

Eeeeh Clarke è esplosa. Ormai la conosciamo, non è una che si tiene dentro le cose. Ha resistito quanto più poteva, poi non ce l'ha fatta più. Doveva sfogarsi e per sfortuna (o menomale, scegliete voi) è capitato proprio quando aveva Lexa davanti.
E please, non odiate Lexa. Per lei è ancora tutto molto strano, è difficile fidarsi già di Clarke.
Cosa ne pensate?

Titolo prossimo capitolo: 'Confessioni'.

PS: qualcuno di voi ha avuto il piacere, la fortuna, la benedizione di incontrare Alycia a Copenaghen? Se siete ancora vivi, battete un colpo.
Io ho seguito tutto dal divano di casa, sono stata bombardata su Twitter da milioni di foto e video con il risultato di essermi innamorata di Alycia ancora un pochino di più <3

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Capitolo 9
*** Confessioni ***


CAPITOLO 9
Confessioni

A passi trascinati, Clarke stava girovagando tra i corridoi del Target, non molto entusiasta di essere andata a fare la spesa con i suoi genitori. Lanciava occhiate ad ogni corridoio che incontrava per trovare il settore giusto. Pasta... prodotti per il pane… cereali… mamma di Lexa…

Porca puttana, la mamma di Lexa!

Nonostante il suo primo istinto fosse quello di scappare, tutto il suo corpo si congelò e si bloccò lì, gli occhi incollati alla donna. Diane impiegò solo pochi secondi per alzare lo sguardo e accorgersi di Clarke là in piedi, il volto pieno di vergogna. Non vedeva la donna da quando lei aveva lasciato Lexa a casa sua per la loro uscita, ma da quello che aveva imparato da quell’incontro, Diane non sarebbe stata molto contenta di vederla. E Clarke, sinceramente, non le dava nessuna colpa.

Si rese conto di averla fissata a lungo, quando infine Diane si schiarì la gola.

“Clarke” disse severamente.

“Ciao...” rispose Clarke timidamente.

“Hai bisogno di qualcosa?” chiese, facendo un cenno verso gli scaffali.

Clarke scosse la testa, e poi fu invasa dal bisogno di scusarsi, di spiegarle proprio lì quanto le dispiaceva delle sue azioni.

“In realtà sì” disse “ho bisogno di parlarle. Di dirle una cosa.”

Si assicurò di mantenere la sua voce ferma. Sentiva che quello non era un buon momento perché la sua apparenza la tradisse, che una lacrima le scendesse su una guancia o che mormorasse le sue più profonde e sincere scuse. Aveva bisogno di essere forte e far capire davvero a Diane che era seria. Che non era soltanto un’adolescente in preda agli ormoni che avrebbe cambiato idea in un minuto.

Diane non sembrò stupirsi.

“Okay” disse con le braccia incrociate, un po’ infastidita.

Clarke deglutì e annuì.

“Allora” iniziò “prima di tutto, mi dispiace. Mi dispiace davvero davvero tanto. Essere cattiva con Lexa, soprattutto prendere quelle pillole, è stata la cosa più stupida che
abbia mai fatto. Ora so che non è per questo che Lexa è finita in ospedale, ma per un po’ l’ho creduto, e spero che mi lei mi creda quando dico che non mi sono mai sentita peggio di così. So che non può perdonarmi, ma deve sapere che neanche io potrò mai perdonarmi.”

Diane rimase a guardarla in silenzio, leggermente appoggiata al cartello.

“Vede, prima ero persa e non avevo scuse, lo so. Ma voglio solo dirle che conoscere sua figlia è ciò che mi ha fatto cambiare. Ha avuto un enorme effetto su di me e non lo sa neanche. Non si rende conto di quanto è fantastica.”

Non riuscì a trattenere il sorriso che apparve sulle labbra al pensiero di Lexa, e tutto il suo corpo fu preso dalle vertigini, per le farfalle che svolazzavano nella pancia.

“M’importa davvero, davvero tanto di sua figlia ora” continuò “più di quanto lei possa immaginare, e non lascerò più che nessuno le faccia del male di nuovo” disse determinata. “Lexa è meravigliosa, e ha cambiato la mia vita... wow, questo suona banale... ma è la verità. Volevo dirle solo questo.”

Si accorse che Diane si era rilassata un poco da quando aveva cominciato a parlare, e lo prese come un buon segno.

“Quando dici che non lascerai che nessuno le faccia del male” disse Diane “vuoi dire...”

“Voglio dire che ho affrontato 6 giocatori di football dall’inizio del semestre perché la seguivano in un modo o nell’altro.”

Diane sembrò sorpresa e pensò in silenzio per un momento.

“Non posso dimenticarmi di ciò che le hai fatto” disse dopo un poco “ma devo ammettere che è confortante sapere che c’è qualcuno che si prende cura di lei a scuola. So che ha passato un periodo difficile anche se non mi ha mai detto niente. Non capisce che non sapere cosa succede mi fa preoccupare ancora di più...”

“Continuerò a prendermi cura di lei” disse Clarke “lo prometto. E che ne dice se, se succede qualcosa, mi assicurerò che gliene parli?”

L’ombra di un sorriso passò sul volto di Diane, e per la prima volta Clarke vide la somiglianza tra mamma e figlia.

“Sarebbe carino.” Disse Diane.

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“Clarke ne ho abbastanza di questo!” sua madre gridò attraverso la porta. “Vieni fuori da quel letto!”

Sua madre non sbagliava. Clarke sapeva di essere innamorata di Lexa già da un po’ ora, ed era caduta in una routine piuttosto deprimente. Alzarsi. Andare a scuola. Parlare solo con Raven, Maya e Harper. Aiutare Lexa con il progetto, cercare di controllare la corsa del suo cuore e evitare di parlare della sua quasi confessione che aveva fatto quel giovedì pomeriggio sulle gradinate. Tornare a casa. Rimanere nel letto per il resto del giorno. Ripetere.

Almeno trascorreva il suo tempo chiusa nella sua stanza dipingendo e disegnando tanto, riuscire a farlo di nuovo la faceva sentire bene, ma capiva perché i suoi genitori erano preoccupati. Era solo che le sembrava inutile uscire e fare qualsiasi altra cosa.

“No!” rispose Clarke.

“Devo trovarti uno psicologo?” disse sua madre. “Perché non parli con me o con tuo padre, e le cose non possono continuare così. Non stai bene e noi vogliamo aiutarti!”

Clarke brontolò.

“È solo che non voglio!” si lamentò.

“E questo è il problema” sua madre continuò da dietro la porta. “Puoi almeno aprire questa porta così posso guardarti mentre ti parlo?”

Dopo un sospiro, Clarke si arrese. Si alzò e andò ad aprire la porta per trovare sua madre in piedi lì con espressione preoccupata.

“Oh mio dio Clarke, non ti sei neanche tolta il pigiama!”

“Dai mamma, è il fine settimana! Non dovrei avere il permesso di camminare per casa in pigiama per tutto il giorno?”

“No” rispose sua madre. “Sono le 3 di pomeriggio. Metterti qualche vestito normale ti farà sentire meglio.”

Clarke incrociò le braccia imbronciata e guardò il pavimento.

“Sei venuta qui solo per sgridarmi?” chiese.

“Oh, tesoro” Abby sospirò e le prese il volto tra le mani per guardarla negli occhi. “è quello che sto facendo? Scusa, è solo che mi hai spaventata, chiudendoti così da sola per tutto il tempo. È per Finn? Vuoi tornare insieme a lui? Eri sempre piena di energie, uscivi sempre e poi all’improvviso sei cambiata completamente e hai smesso di parlare con tutti. Non sembri felice e voglio che tu lo sia. Voglio aiutarti ad essere felice, ma non mi dici cosa sta succedendo. Voglio capire perché hai fatto quelle cose questo autunno, perché non credo che saresti stata così cattiva nei confronti di quella ragazza se fossi stata bene.”

Guardò negli occhi sinceri di sua madre e vide perdono. Si sentì sollevata dal fatto che potesse superare i suoi errori almeno in casa sua, e per la prima volta pensò che forse Abby non avrebbe preso tanto male, come aveva pensato Clarke, la notizia che sua figlia amasse una ragazza. Ritornò in lei un po’ di coraggio e pensò che presto, presto glielo avrebbe detto.

“Voglio dirtelo” ammise “ma non ancora. Può bastare per ora?”

Abby annuì.

“Mi piacerebbe che uscissi da questa casa comunque” insistette “Per favore, vieni con noi al falò stasera in città. Ci andavamo ogni anno quando eri piccola, ti ricordi? Ti farà bene respirare un’aria diversa. Forse potrai anche incontrare qualche amico, e posso darti qualche dollaro per compare degli snack. Vieni con noi?”

“Okay” infine Clarke si arrese.

Poteva anche non andare male, poteva anche incontrare Lexa lì.

No, maledì sé stessa. Dovresti distrarti da lei, non il contrario.

Ma era inutile non provare a pensare a Lexa, e quando richiuse la porta della sua stanza, cominciò subito a cercare nell’armadio cosa potesse indossare per sembrare più carina possibile.
 

Qualche ora dopo si ritrovò tra i suoi genitori, a guardare il grande falò che era stato acceso nella piazza della città. Sui lati della piazza, erano state allestite piccole bancarelle dove potevi comprare cose come oggetti artigianali fatti dalla tribù di Nativi Americani più vicina, libri da antichi negozi e diverse cose da mangiare. Il falò era una tradizione che la loro città ripeteva alla fine di ogni febbraio per celebrare la fondazione del paese, e la piazza era strapiena di persone che si erano riunite intorno al
fuoco.

“Giro un po’ da sola” disse ai suoi genitori, che avevano già cominciato a parlare con i loro vicini.

Vicino all’ufficio postale, intravide Octavia con Bellamy e i suoi amici. Octavia alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere Clarke guardare nella loro direzione, e sembrò quasi fiduciosa, ma poi Clarke si voltò e s’incamminò dalla parte opposta. Si ricordava che quando veniva lì da bambina, lei e i suoi amici si arrampicavano sul tetto del supermercato, sul retro c’era un container che facilitava la salita. Volendo sentirsi bambina anche solo per poco, si arrampicò per controllare la sua casa club dell’infanzia, come la chiamavo loro.

Si aspettava di essere da sola, ma per sua sorpresa, vide un paio di gambe che sporgevano da dietro la grande cabina elettrica. Si avvicinò piano alle sconosciuta, e quando riconobbe le scarpe era troppo tardi per voltarsi e andarsene. La testa di Lexa sbucò fuori dalla cabina e guardò Clarke sorpresa.

“Continui a scoprire i miei nascondigli segreti.” Disse.

Clarke fece qualche altro passo avanti fino a trovarsi di fianco a lei, poi si sedette.

“No” obiettò “questa volta tu hai scoperto il mio.”

“Colpa mia” disse Lexa.

La ragazza era diventata un po’ meno ostile nei suoi confronti da dopo Natale, più o meno da quando Clarke aveva smesso di parlare ai suoi amici e cominciato a difendere Lexa dai bulli ogni volta che ne aveva la possibilità. Ma dire che ora fosse amichevole era un’esagerazione. No, Lexa trascorreva il tempo con Clarke solo quando doveva, e non la salutava quando si incontravano nei corridoi o in città nei fine settimana. Qualche volta Clarke si sentiva disperata per quanto erano lontane dall’essere amiche, ma altre volte invece era grata del piccolo passo avanti che aveva fatto.  Dopotutto, qualche mese prima, non sarebbe mai stata in grado di stare seduta di fianco a Lexa in tranquillità come in quel momento.

Pensò alle cose che aveva detto e quasi detto sulle gradinate. Si chiese se anche Lexa ci pensava.

“Posso chiederti perché sei seduta qui da sola?” chiese Clarke.

“Mia madre stava parlando con un’amica e mi stavo annoiando” Lexa scrollò le spalle.

Clarke non poté non pensare alla coincidenza che entrambe erano finite nello stesso nascondiglio segreto nello stesso momento, e di nuovo ebbe quella sensazione che loro due sarebbero state molto compatibili. Solo se Lexa avesse voluto conoscere meglio Clarke, ovviamente.

“Perchè tu sei qui da sola?” Chiese Lexa, e Clarke fu piacevolmente sorpresa. Lexa le faceva domande molto raramente, e lo prese come un segno che la ragazza la
odiava giusto un pochino di meno di prima.
 
“Stesso tuo motivo” rispose Clarke “E in più ho visto Octavia e suo fratello e non ce la faccio a parlarle, quindi sono andata via.”
 
Lexa sembrò un po’ confusa.
 
“Perché non vi parlate più?” chiese “Non ho mai capito cosa è successo tra voi due.”
 
“È per quello che ha fatto a te, ovviamente” disse Clarke “Ti ho già detto cosa è successo. È lei che ha preso le tue medicine, e in quel momento io ero troppo codarda per parlare quando qualcuno faceva qualcosa di sbagliato, quindi non ho detto niente! Avrei dovuto dire qualcosa...”

“E hai pensato che per questo valga la pena rompere l’amicizia di una vita?” disse Lexa curiosa. “Sono sicura che non sia mai successo. Non avevi problemi con le persone che erano cattive con me.”
 
“Lo so” mormorò Clarke, piena di vergogna. “non riconosco neanche più la persona che ero, è cambiato tanto...”
 
“Le persone non cambiano così tanto” borbottò Lexa.
 
“Io sento di essere cambiata però” disse Clarke, disperata che Lexa la capisse “mi sento esattamente l’opposto di quello che ero prima. Ti odiavo così tanto, e ora...”
 
“Cosa, ora sei innamorata di me o qualcosa del genere?” Lexa rise e alzò gli occhi al cielo.
 
Il cuore di Clarke aveva preso a battere veloce all’improvviso e rimase paralizzata, incapace di trovare qualsiasi parola, incapace di riderci su. Guardò solamente Lexa con occhi pieni di disperazione, e la risata di Lexa s’interruppe.
 
“Oh mio dio, lo sei.” Disse incredula.
 
Clarke si sentì esposta come non lo era mai stata, come se qualcuno le avesse tirato via il cuore dal petto e ora giacesse sulla superficie fredda del tetto, proprio sotto gli occhi di Lexa, aspettando che lei le facesse tutto quello che voleva. All’improvviso sentì il bisogno di sentire Lexa dirle come si sentiva, anche se si sentiva disgustata nei confronti di Clarke. Stava cominciando ad essere stancante sperare, perché il suo stupido cervello non smetteva di sperare! Se Lexa potesse solo dirle ora che non la voleva vedere mai più, sarebbe stato più facile andare avanti.
 
Ma Lexa non disse niente del genere, solamente scrollò via la dichiarazione d’amore di Clarke come se non fosse successo niente.
 
“È il più grande cliché che abbia mai sentito” disse.
 
Era come se sul cuore di Clarke stesse piovendo acqua gelata e si rese conto che Lexa ancora non la credeva. Le cose le sembrarono ancora più senza speranza. Non aveva modo di dimostrare a Lexa che la amava, nessun modo era forte abbastanza. Poteva baciarla con passione, scriverle una canzone, portarle le stelle e ancora non sarebbe bastato a mostrarle come si sentiva.
 
“Si” sussurrò. “Bè, è la mia vita quindi...”

Stava guardando i suoi piedi, ma poteva sentire lo sguardo di Lexa su di lei, probabilmente stava cercando di capirla. Rimasero a lungo in silenzio, nessuna delle due disse una parola, poi Lexa cominciò ad alzarsi.

“Forse è meglio che ritorni da mia madre” disse.

Clarke alzò lo sguardo e la vide salutare imbarazzata. Per un momento sembrò come se volesse dire qualcos’altro, ma poi girò intorno alla cabina elettrica e scese a terra. Clarke rimase lì. Non sapeva se fosse stata in grado di affrontare la gente in quel momento e fare finta che tutto andasse bene. Tutti quei sentimenti che stavano riempiendo il suo cuore, la stavano lentamente soffocando e nessuno l’avrebbe mai saputo. Era rilassante però, guardare il falò da lassù. Poteva guardare la gente camminare per la piazza, i suoi compagni di classe, gli insegnanti, la parrucchiera e si sentiva come una di loro, ma diversa al tempo stesso. Non molte persone alzavano lo sguardo verso dov’era nascosta, aveva la privacy che desiderava.

Sapeva che i suoi genitori sarebbero rimasti ancora a lungo, quindi non aveva fretta di scendere. Rimase lì ancora un po’, poi infine si alzò quando si rese conto di dover andare in bagno.

Ritornata a terra incontrò sua madre proprio fuori dalla porta dei bagni.

“Ciao!” esclamò Abby “dove sei stata tutto il tempo?”

“Solo a parlare con un’amica.” Rispose con un’alzata di spalle.

“Sei felice di essere venuta?” domandò sua madre.

Si e no.

“Si” decise di rispondere.

“Stai aspettando anche tu per il bagno?” chiese sua madre “sto qui da un po’ di tempo ormai. Qualcuno ci sta mettendo tanto.”

Proprio quando stava controllando l’orologio, la porta si aprì e Raven balzò fuori, cercando di sistemarsi i capelli che erano tutti disordinati. Dietro di lei, uscì Finn con la maglietta indossata al contrario. Entrambi con espressione molto colpevole. Abby restò a bocca aperta alla vista dei due.

 “Raven Reyes!” esclamò, chiaramente sconvolta.

“Scusi, signora Griffin.” Mormorò Raven vergognandosi, ma quando incontrò gli occhi sogghignanti di Clarke, non riuscì a trattenere un sorriso.

“Bè che mi prenda un colpo!” Clarke ridacchiò, e fece l’occhiolino sia a lei che a Finn, per fargli capire che non aveva nulla in contrario.

Quando i due trotterellarono vita, Abby sembrò dimenticarsi che aveva bisogno del bagno.”

“Mamma!” disse Clarke, cercando di farla uscire da quello stato di shock. “Devi andare o vado io?”

“Vado vado…” borbottò Abby ed entrò nel bagno dove solo pochi minuti fa si erano svolte attività poco ortodosse.
 


“Non ci posso credere!” Abby urlò non appena tornarono a casa. “Lei dovrebbe essere la tua migliore amica! Non ha visto quanto sei stata male da quando tu e Finn vi siete lasciati? Come si permette a sbattertelo in faccia così? E Finn! Avrebbe potuto scegliere qualsiasi ragazza e ha scelto la tua migliore amica! Avevano una storia da prima che vi lasciaste? È per questo che sei stata così chiusa e riservata? Questo è inaccettabile!”

“Mamma!” Clarke cercò di attirare l’attenzione di sua madre che farneticava. “MAMMA!”

“Che c’è?” Abby finalmente la guardò.

 “Per me va bene” disse Clarke con grande enfasi, per essere sicura che le sue parole arrivassero a destinazione. “Credo che loro due stiano benissimo insieme, sono stata io a suggerirle di provarci!”

Abby la guardò come se stesse parlando in cinese.

“Che vuoi dire?” disse.

“Voglio dire quello che ho detto.” Ripetè Clarke “Penso che sia una cosa buona che Raven e Finn si siano trovati.”

Jake entrò nel salotto dove Abby e sua figlia stavano discutendo e appoggiò una mano sulla spalla di Clarke per sostenerla.

“Credo che sia molto generoso da parte tua essere così incoraggiante con i tuoi amici.” Disse. “Deve volerci molta forza per dargli questa possibilità.”

“No, davvero.” Insistè. “Non è stato difficile per niente. Non sono mai stata innamorata di Finn, quindi sono felice che abbia trovato qualcuno che può ricambiare il suo amore.”

“Cosa?” disse Abby, sia lei che Jake sembravano confusi ora. “Certo che eri innamorata di lui, tesoro. Voi due siete stati insieme per tanto tempo, era così perfetto per te!”

“No, mamma smettila!” disse Clarke “Sono seria. È davvero un buon amico, ma non sono mai stata innamorata di lui, lo giuro!”

Guardò da sua madre a suo padre, e poi di nuovo a sua madre, e realizzò che quello era il momento per dirglielo. Si lasciò cadere sulla poltrona, perché al momento le gambe non le sembravano molto stabili, e i suoi genitori seguirono il suo esempio e si sedettero sul divano.

“Sono sicura che quello che provavo per Finn non era amore” iniziò “perché mi sono innamorata di qualcun’altro, ed è molto più forte e diverso da qualsiasi altra cosa abbia provato prima.”

“Va bene” Jake sorrise. “Siamo felici per te, lo sai questo vero? Voglio dire, amavamo Finn? Si, certo. Ma non saremmo felici se avevi una relazione con lui solo per far piacere a noi, questo non è quello che dovrebbe essere l’amore. Vuoi dirci chi è?”

Clarke fece un respiro profondo.

“C’è una cosa…” disse, e poi si fermò troppo nervosa per continuare.

Guardò i suoi genitori, che aspettavano ansiosamente una risposta, e provò a pensare a tutte le volte che loro erano stati lì per lei. Tutto sarebbe andato bene, ora o più tardi.

“È una ragazza...”

Sussurrò quelle parole che non aveva mai detto prima ad alta voce, e poi piano rialzò lo sguardo sui due, cercando di capire le reazioni. Per un momento sembrarono entrambi sconvolti, ma poi prevedibilmente Jake fu il primo a parlare.

“Oh Clarke” disse dolcemente, si avvicinò a lei e si sedette sul braccio della poltrona per stringerla in un abbraccio. “Mi dispiace, siamo stati dei vecchi brontoloni, deve essere stato difficile dircelo. Non voglio che ti vergogni di essere innamorata. Quello che ho detto prima, riguardo all’essere in una relazione che vuoi davvero... vale ancora. È una ragazza fortunata ad averti.”

 Sentire quelle parole piene di amore, e insieme pensare come Lexa decisamente non si sentiva fortunata del fatto che Clarke fosse innamorata di lei, le fece scendere qualche lacrima. Aveva pianto così spesso ultimamente che era sorpresa che il suo corpo non si fosse trasformato in un acino d’uva prosciugato. Guardò sua madre e vide che era ancora in shock sul divano.

“Mi dispiace, mamma” disse “so che questo non faceva parte delle speranze che avevi per me. So quanto deve essere difficile sentirti a tuo agio per questa cosa.”

Abby annuì soltanto.

“Ma in questa famiglia ci amiamo” continuò. “Staremo bene.”

E poi anche dagli occhi di Abby sfuggì qualche lacrima. Si alzò e si sedette sull’altro braccio della poltrona, e strinse in un abbraccio i suoi più grandi amori della sua vita.

“Come ho fatto ad avere una figlia così saggia?” sussurrò “Ti voglio tanto bene e mi dispiace. Vorrei che non fosse così difficile per me. Ma prometto che farò il mio meglio per abituarmi.”

Clarke si tranquillizzò in quel caloroso abbraccio di famiglia, e per un momento si sentì leggera. Aveva fatto coming out con i suoi genitori ed era sopravvissuta. Poi sentì il suo cuore fare un salto e sospirò.

“Ho un grosso problema però.” Gli disse “oltre al fatto che è una ragazza, voglio dire.”

Si sistemò sulla poltrona lasciando andare l’abbraccio.

“È Lexa. E credo di aver rovinato tutte le possibilità con lei.”
 

E ora tutte le carte sono state scoperte. Clarke si è esposta completamente, ma Lexa non le crede e lei lo sa. E forse è la cosa che più la fa soffrire.
E trust me, finalmente sta arrivando il momento in cui anche il cuore di Lexa comincia a riscaldarsi un po'.

Nel prossimo capitolo, la gita scolastica e una camera condivisa daranno una piccola svolta alla nostra storia ;)

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Capitolo 10
*** La gita scolastica ***


CAPITOLO 10
La gita scolastica

“Ricordatevi ragazzi” disse il professor Titus in aula magna agli studenti. “La gita scolastica di cui abbiamo parlato avrà luogo tra due settimane. Dovete tutti sbrigarvi e dare le vostre preferenze per la sistemazione nelle stanze. Ragazzi e ragazze non insieme. Dormirete in stanze da due, tre o quattro persone, pensate di riuscire ad organizzarvi da soli? Se sento litigarvi o se qualcuno viene lasciato fuori, farò io le stanze per tutti voi!”

Qualche ragazzo brontolò, e Clarke venne riportata alla realtà dai suoi sogni ad occhi aperti. Si era completamente dimenticata della gita. Si ricordava di aver portato a casa il modulo da leggere per i suoi genitori quando Lexa era in ospedale e Clarke era troppo angosciata per preoccuparsene. Da quel momento, era stata troppo concentrata sulla sua cotta senza speranza per pensare alla gita. Ora mancavano solo due settimane e non aveva idea con chi sarebbe potuta essere in stanza.

Nessuno dei suoi amici più stretti si trovavano nell’aula magna, quindi non appena uscì andò alla ricerca di Raven.

“Hey, hai deciso con chi vuoi dormire in gita?”

Raven alzò le sopracciglia suggestivamente.

“Dormo solo una persona al momento.” Disse.

Clarke sorrise e le tirò un piccolo schiaffo sul braccio.

“Volevo dire dormire e russare nella stessa stanza, idiota!” disse.

“Lo so” ridacchiò Raven, ma poi si rattristò. “Mmh... ho consegnato la richiesta per la stanza con Harper e Maya quando pensavo che non mi avresti più parlato...
Octavia non era felice. Ora lei non ha nessuno, ma credo che starà con Roma e Zoe. Comunque sono sicura che se andiamo nell’ufficio di Jaha possiamo parlagliene e...”

Si bloccò e guardò qualcosa dietro Clarke. Clarke la guardò interrogativa prima di girarsi e avere un piccolo attacco di cuore quando vide Lexa in piedi dietro di lei. Non sapeva se quelle improvvise palpitazioni del cuore erano dovute allo shock o dal fatto che Lexa era davvero bella oggi. In realtà chi voleva prendere in giro, ovviamente era per la seconda ragione.

“Posso parlarti?” chiese la ragazza.

“Si... certo!” Rispose nervosa Clarke.

Poi si ricordò che stava parlando con qualcun’altro e si voltò per vedere Raven che le ammiccava.

“Vado alla prossima lezione” disse “ci sentiamo dopo.”

Clarke annuì e poi si voltò velocemente verso Lexa, spaventata che potesse andare via se l’avesse fatta aspettare troppo.

“Quindi” disse Lexa “non sai con chi stare in stanza per la gita?”

“No” sospirò Clarke.

“Va bene” disse Lexa, sembrando all’improvviso un po’ nervosa. “Perché volevo chiederti se ti andrebbe di dormire in stanza con me.”

Clarke rimase a bocca aperta. Lexa, la ragazza che ancora non la sopportava, le stava chiedendo di dormire in stanza insieme! Era più che scioccata e non riusciva a trovare nessun motivo per il quale Lexa avesse chiesto a lei invece di qualsiasi altra ragazza. Lexa la stava guardando impaziente. Il corridoio era quasi vuoto e sarebbero arrivate tardi a lezione, quindi finalmente Clarke riuscì ad aprire bocca.

“Si! Voglio dire no! Cioè, certo, dormirò con te!” Diventò rossa di colpo. “Dormire non nel senso sessuale ovviamente.”

Lexa sembrò divertita dal casino blaterante che Clarke era diventata.

“Okay, bene” disse “Allora saremo solo io e te. Porterò il modulo nell’ufficio di Jaha.”

Clarke annuì ancora incredula e guardò Lexa allontanarsi dopo averla osservata un’ultima volta.

Forse questa gita dopotutto sarebbe stata interessante.
 
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Due settimane dopo, tutti i ragazzi dell’ultimo anno erano riuniti nel parcheggio della scuola, 3 pullman li aspettavano per portarli a Mount Weather, un’enorme stazione militare sotterranea tra le montagne usata in tempo di guerra, dove avrebbero imparato riguardo le guerre e la storia. All’inizio Clarke pensava che avrebbero dormito sottoterra, cosa che l’aveva fatta rabbrividire, ma per sua fortuna la scuola aveva affittato il dormitorio del centro per conferenze vicino, e avrebbero dormito lì.

Per quanto Clarke non vedesse l’ora che la gita arrivasse, stava ancora cercando di capire perché Lexa aveva chiesto di dividere la camera con lei tra tutte le altre ragazze. Non aveva molti amici, ma c’erano comunque un sacco di persone che avrebbe potuto scegliere, persone che non odiava. Soprattutto ora che Clarke le aveva confessato il suo amore. Lexa non si sarebbe sentita a disagio a dormire nella stessa stanza ora che sapeva quello che Clarke provava? Nel petto il suo cuore si spezzò di nuovo quando pensò al momento che avevano condiviso sul tetto, cosa che succedeva ogni dannata volta che ci pensava.

Cosa, ora sei innamorata di me o qualcosa del genere?
 
Lexa sembrava pensare che quella fosse la cosa più improbabile del mondo, e questo voleva dire che non aveva mai pensato a Clarke in quel senso. Le cose non si mettevano bene.
 
Nel pullman finì seduta di fianco a Monty, un ragazzo che non conosceva bene ed era una buona cosa, perché significava non parlare molto durante il viaggio. Quando si avvicinarono alla montagna cominciò a prestare attenzione al paesaggio fuori dal finestrino. Non aveva mai avuto l’occasione di avvicinarsi così alle montagne e doveva ammettere che era davvero impressionante vederle vicine. Faceva chiaramente più freddo lì e poteva addirittura vedere tracce di neve tra gli alberi, anche se ormai erano a metà marzo.
 
Scesero davanti al grande edificio dove avrebbero dormito. La facciata era di legno rosso, sembrava un vecchio hotel di tre piani e lunghe file di finestre uguali. Clarke scese dal pullman e respirò per la prima volta l’aria di montagna. Le piaceva l’odore. Aveva portato solamente uno zaino con tutto quello che le serviva e non dovette aspettare in fila con gli altri per prendere i bagagli dal cofano del pullman. Lexa invece prese, direttamente dalle mani dell’autista, due grandi borsoni di tela e Clarke non riuscì ad immaginare cosa avesse portato da occupare così tanto spazio. Si sarebbe offerta di portarne una dato che sembravano pesanti, ma sapeva che a Lexa piaceva fare le cose da sola molto più che accettare aiuto, quindi tenne la bocca chiusa mentre la raggiunse nell’atrio e si affiancò a lei.
 
Indra cominciò a chiamare i nomi degli studenti per consegnare le chiavi delle stanza. Clarke sentì tutti gli occhi puntati su di loro quando Indra chiamò “Clarke Griffin e Lexa Woods”. Poté addirittura sentire qualcuno sussurrare qualcosa scioccato. Entrambe le ragazze cercarono di rimanere impassibili e ignorare i loro compagni di classe mentre camminavano verso l’insegnante per prendere le chiavi. A quanto pare, loro due non erano le uniche ad avere difficoltà ad abituarsi alla loro nuova dinamica.
 
 

Il primo giorno della gita trascorse facendo un tour lì intorno, senza entrare nella montagna. Quello era per il giorno dopo. I professori li informarono riguardo a quando
era stata costruita, gli mostrarono le entrate nascoste e conclusero facendogli fare qualche esercizio di costruzione in gruppo. Non c’era bisogno di dirlo, gli insegnanti erano molto entusiasti di quegli esercizi degli studenti.

Tutti avevano molta fame quando arrivò finalmente l’ora di cena, e la sala da pranzo del centro conferenze era piena di voci felici. Clarke era distratta perché avere una chiara visione del tavolo di Lexa un po’ di file lontano, i suoi occhi erano incollati sulla ragazza. Lexa era seduta da sola, alla fine del lungo tavolo. Altri ragazzi erano seduti di fianco a lei, ma lei chiaramente non era parte del gruppo. Non stava facendo conversazione con nessuno, mangiava in silenzio tutta sola. Clarke sentì il cuore farle male. Non sarebbe dovuta essere da sola tutto il tempo. Avrebbe dovuto avere amici con cui sedersi, che avrebbero dovuto farla ridere e divertire.

“Non stavi scherzando, vero?” sentì la voce di Raven sussurrarle nell’orecchio.

 “Mmh?” chiese e si voltò verso l’amica.

“Riguardo Lexa” disse Raven silenziosamente in modo che nessun’altro la sentisse “T’importa davvero di lei. Non avrei mai pensato di vederti con quegli occhi a cuoricino.”

Clarke riportò lo sguardo su Lexa. Aveva le testa appoggiata su una mano e il cibo sulla forchetta nell’altra mano era intatto da un po’ ormai.

“Sembra così triste...” disse.

Raven seguì il suo sguardo e ora la stavano fissando entrambe.

“È vero” concordò Raven.

“È che non voglio che sia sempre sola” continuo Clarke, rendendosi conto che probabilmente la stava ancora guardando con patetici occhi da innamorata. Non le importava.

“Perché non le chiedi di venire in camera nostra dopo cena a giocare a carte?” suggerì Raven. “È quello che abbiamo intenzione di fare.”

“Probabilmente dirà di no…” Disse Clarke, ma l’idea le piaceva. “Però potrei provarci…”

“Vai a parlarle.” La esortò Raven spingendola un poco.

“Ora?” domandò Clarke nervosa.

“Si, ora!” la incoraggiò. “Dai, la cosa peggiore che può succedere è che dica di no, e tu comunque avrai una fantastica serata di gioco con me e le ragazze.”  

“Okay...” riuscì a dire Clarke, e poi, quando vide Lexa alzarsi e pulire la sua postazione al tavolo, si affrettò dietro di lei.

“Hey, Lexa” la chiamò quando la ragazza stava per uscire dalla sala. “Io, Raven, Harper e Maya giocheremo a carte nella loro stanza dopo cena. Dovresti venire con
noi.”

Lexa la guardò molto confusa.

“E perché dovrei farlo?” chiese.

Clarke gemette internamente. Perché doveva essere sempre così difficile coinvolgere Lexa in qualsiasi tipo di attività?

“Perché sarà divertente.” Tentò.

Lexa ancora non sembrava convinta.

“Perché voglio che tu ci sia.” Aggiunse, quasi con uno sguardo supplicante.

Lexa ci pensò per un momento prima di sospirare sconfitta.

“Va bene, verrò.”

Clarke le rispose con un enorme sorriso.
 
 

Qualche minuto più tardi le cinque ragazze si ritrovarono sedute in cerchio per terra nella camera che Raven condivideva con Harper e Maya. C’era un letto singolo e un
letto a castello. Raven aveva immediatamente scelto il letto in alto, nonostante la sua gamba sinistra inutile. Clarke l’aveva appena vista salire sulla scaletta appoggiandosi solamente alla gamba buona per prendere la borsa che aveva lanciato là sopra al loro arrivo, e poi scendere di nuovo per terra. Di certo, quella ragazza non aveva paura di niente.

Lexa sembrava che si sentisse un po’ fuori posto. Se Clarke non l’avesse conosciuta, avrebbe pensato che fosse timida. Almeno sembrava che stesse provando a divertirsi, e dopo un paio di giri di poker non sembrava neanche che stesse fingendo. Dopo aver vinto per due volte aveva anche sorriso trionfante, e Clarke rimase completamente incantata.

Harper e Maya non sembrarono dare troppo peso alla nuova arrivata, anche se all’inizio rimasero per un momento un po’ sorprese dal vedere che Lexa fosse lì con Clarke. Furono molto gentili con lei, cosa che Clarke apprezzò enormemente.

Dopo solo un paio d’ore però, proprio quando stavano per iniziare la terza partita di go fish, Lexa cominciò ad alzarsi.

“È ora di andare per me.” Si scusò. “Grazie ragazze, è stato divertente.”

“Cosa? No!” protestò Harper.

“Dai!” disse Harper. “Un’altra partita.”

Lexa rise piano, ma scosse la testa.

“Scusate ragazze, forse domani. Si sta facendo tardi.”

Clarke corrugò la fronte.

“Non è così tardi.” Fece notare. “Sono solo le 9, possiamo stare qui per un’altra ora ancora.”

“Sono solo stanca” rispose Lexa, prima di salutare il gruppo. “Ci vediamo domani.”

Quando la porta si richiuse dietro di lei, la camera sembrò all’improvviso più vuota e neanche Clarke aveva più voglia di giocare. Incontrò gli occhi di Raven e capì che la sua amica aveva capito.

“Penso che vado con lei” disse Clarke “Voi continuate a giocare senza di noi, okay?”

Harper e Maya non furono molto d’accordo, ma disse solamente “buonanotte” e seguì velocemente Lexa nella loro camera. Quando arrivò lì, trovò la mora cercare qualcosa in una delle sue borse.

“Cosa stai cercando?” Chiese Clarke e si lanciò sul letto che era rimasto per lei.

Lexa si voltò un attimo per guardarla prima di ritornare alla borsa e tirare fuori un grande strumento di qualche tipo.

“Terapia respiratoria” spiegò. “È ora di liberarsi di un po’ di muco. Sembra disgustoso, lo so.”

“Oh” Clarke si accigliò mentre Lexa preparava la macchina, tirò fuori uno strano giubbotto rosa e se lo allacciò intorno al petto.

Nella borsa rimasero dozzine di bottiglie e scatole di medicine. Clarke rimase a bocca aperta a quella vista. Quante medicine aveva bisogno di prendere Lexa in un giorno?

“Hai comprato la farmacia intera?” Chiese in shock.

Lexa seguì il suo sguardo e ridacchiò.

“Si, o meglio tutta la scorta degli antibiotici del Nord America.”

E all’improvviso fu chiaro a Clarke perché Lexa le aveva chiesto di dividere la camera con lei. Clarke era l’unica che aveva scoperto della sua malattia, e per quanto Lexa probabilmente la odiava, ormai doveva aver accettato il fatto che Clarke avrebbe mantenuto il segreto. In qualche modo, Lexa si fidava di lei.

“Ecco perché volevi stare in stanza con me.” Disse a Lexa, mentre appoggiava la schiena al muro. “Così non hai dovuto dividerla con nessun altro e nessuno avrebbe visto questo e cominciato a fare domande.”

“Si.” Ammise.

Clarke tentò di capire cosa stesse provando Lexa, ma era difficile.

“Perché è così importante per te tenerlo segreto?” Chiese.

Lexa sorrise muovendo un angolo delle labbra verso l’alto.

“Onestamente?” disse “Non rispecchia molto la mia immagine.”

Clarke non riuscì a trattenere una risatina.

“Davvero? Non pensavo che t’importasse tanto di quello che la gente pensa di te.”

Lexa alzò le spalle.

“Devo ammettere che mi diverte essere la tipa strana e misteriosa di cui nessuno conosce niente. È molto meglio che avere persone che si dispiacciono per me. Penserebbero tutti che sono debole.”

Clarke si accigliò.

“Tu non sei debole!” disse con grande enfasi. “Le persone non ti tratterebbero diversamente se sapessero.”

Lexa era chiaramente infastidita da quella risposta.

“Che cosa ne sai tu?!” disse. “Tu sicuramente non mi tratti nello stesso modo! Tu non sai com’è quando vado a trovare mia madre a lavoro. Il modo in cui le sue colleghe mi guardano, come se fossi un piccolo gatto affamato che hanno disperatamente bisogno di salvare. Mi fanno venire i brividi, lo odio così tanto!”

“Stai dicendo che preferiresti che ritornassi ad essere stronza con te?”

Lexa pensò in silenzio per un momento. Poi borbottò un “no” guardando il pavimento.

“Neanch’io” disse Clarke. “Mi piace molto di più essere gentile con te.”

Lexa la guardò per qualche secondo, e poi prese la maschera.

“Ora devo cominciare, quindi non parliamo tanto.” Disse.

Clarke annuì e guardò Lexa attaccare due larghi tubi neri sul giubbotto, uno per lato. Con la maschera sulla bocca, si piegò verso il pavimento e spinse il tasto ‘on’ sulla macchina. Un ronzio riempì immediatamente la camera e il giubbotto cominciò a vibrare intorno al petto di Lexa. La ragazza appoggiò la schiena al muro e cominciò a leggere un libro.

Clarke interpretò quel gesto come segno di impegnarsi in altre cose, e decise in cambiarsi e infilarsi il pigiama. Era strano cambiarsi di fronte a Lexa. Si voltò verso di lei e trovò la ragazza guardarla prima distogliere velocemente lo sguardo e riportarlo sul libro. Clarke sentì un brivido quando notò  il debole rossore apparire sulle guance di Lexa.

Proprio quando si era sistemata di nuovo sul letto vide Lexa gettare il libro da un lato, togliersi la maschera e mettere velocemente un fazzoletto sulla bocca prima di iniziare a tossire. Questa volta non sembrò venir fuori sangue, ma si stava piegando in avanti e sembrava e suonava doloroso. Clarke si forzò a non sussultare.

“Stai bene?” chiese “Hai bisogno di un po’ di acqua?”

Lexa scosse la testa.

“Sto bene” disse, ma prima che smettesse di tossire Clarke aveva già messo una bottiglia d’acqua di fianco a lei.

“Grazie” sussurrò e bevve un poco prima di rimettersi la maschera e continuare a leggere.

Successe altre due volte e poi Lexa finalmente premette il tasto di stop e si tolse maschera e giubbotto.

“Devi farlo ogni giorno?” Chiese Clarke curiosa.

“Due volte al giorno.” La corresse Lexa.

E poi cominciò a togliersi pantaloni e maglietta per infilarsi il pigiama, e all’improvviso la bocca di Clarke divenne completamente secca. Stava guardando pelle nuda, tanta pelle nuda di Lexa. Indossava solo la biancheria intima, e il suo corpo sembrava così morbido e invitante che Clarke non sapeva per niente cosa fare e pensare.
Si rese conto di stare fissando quando Lexa la beccò con gli occhi spalancati e la guardò interrogativa.

“Che c’è?” chiese. “Perché mi stai guardando così?”

Clarke voleva seriamente mettere un po’ di buonsenso in quella testa. Ovviamente non aveva capito per niente la portata dei sentimenti di Clarke, ed era veramente frustrante.

“Ti ho detto di essere innamorata di te! Cosa credi?” disse, facendo riferimento per la prima volta dopo settimane alla conversazione che avevano avuto sul tetto del supermercato. Quelle parole sembravano così grandi, come se avessero concretamente riempito tutta la stanza.

“Oh, giusto.” Disse Lexa, sembrando un po’ a disagio e poi però continuò come se niente fosse successo. “Sono sicura che ti passerà, sei solo confusa perché non mi odi più.”

A quelle parole Clarke non riuscì a trattenersi. Scese dal letto, si avvicinò a Lexa, le prese la mano e la appoggiò aperta sul suo petto, dove il suo cuore stava battendo come un pazzo per essere così vicino alla ragazza. E sorpresa, Lexa finalmente guardò Clarke come se ci fosse qualcosa oltre il suo essere bulla che cercava il perdono o che le stava facendo un altro scherzo.

“Tu mi fai sentire così” disse Clarke tesa, con la voce che le tremava. “È così forte e non riesco a farlo andare via. Quindi puoi prendermi in giro se devi, ma sappi solo
che pensavo davvero quello che ho detto.”
 
Lexa rimase in silenzio scioccata per un altro lungo momento.
 
“Okay”, mormorò infine. “Ti credo.”
 
Lexa lasciò andare la mano dal petto di Clarke e rimasero entrambe lì in silenzio per un po’, poi Lexa si risistemò sul letto e Clarke ritornò sul suo per rimettere di nuovo tra di loro una distanza accettabile.
 
“Ti sei resa conto che innamorarti di me è stata una pessima idea, vero?” Disse infine Lexa.
 
Clarke sbuffò, ma quel suono era pieno di tristezza.
 
“Si, l’avevo già capito. Non siamo mai andate molto d’accordo.”
 
“No, per niente.” Disse Lexa e scosse la testa.
 
Clarke la guardò e si chiese per la milionesima volta che cosa stava succedendo dietro quegli occhi verdi, quali pensieri circolavano nella sua testa. Cosa stava pensando di Clarke in questo momento?

“Ora penso che sei davvero fantastica” sussurrò Clarke. “Ero un’idiota prima.”

“L’ho capito” disse Lexa “Ma non è solo quello.”

“Cosa, allora?”

Poi ci fu una pausa, e quando Lexa parlò di nuovo sentì quasi un vento freddo attraversarla.

“Lo sai che probabilmente non vivrò per tanti anni, vero?”

“Per favore non dire così.” Disse Clarke disperatamente, i suoi occhi si riempirono subito di lacrime. Fortunatamente riuscì a rimandarle indietro. Lexa non aveva bisogno di vederla piangere ora.

“È la verità.” Disse Lexa e sembrava così calma, così tranquilla. Cose poteva essere calma dopo un’affermazione del genere?

“Persone come te hanno vissuto fino a 80 anni!” Provò Clarke.

“Quindi hai fatto le tue ricerche” disse Lexa divertita, poi il suo sorriso s’indebolì di nuovo. “Quindi saprai anche che c’è anche la possibilità che non arrivi neanche a vent’anni.”

Clarke sentì la tristezza premerle ancora di più nel petto.

“Tu non...” riuscì a stento a fare la domanda “Tu non stai bene? Cioè... quanto è grave?”

“Va bene... per ora.” Rispose Lexa. “La mia capacità polmonare è metà di quella che dovrebbe essere, ma posso affrontare la scuola e tutto il resto la maggior parte del tempo. Dopo quella volta in ospedale prima di Natale, mia madre ha provato ad inserirmi nella lista dei trapianti, ma sono ancora troppo in salute, altre persone ne hanno più bisogno. Devo peggiorare molto prima che arrivi il mio turno per il doppio trapianto polmonare.”

“Troppo in salute?” Chiese Clarke alzando un sopracciglio. Quella frase le sembrava ridicola. La ragazza ricoperta di sangue sulla barella di ospedale che aveva visto qualche mese prima sembrava tutt’altro che in salute. “Ma avrai bisogno di un trapianto un giorno? Per migliorare?”

“Prima o poi si. E non ho idea di quando sarà. Potrei vivere bene per decenni, o le cose potrebbero peggiorare di colpo domani. Quando succederà potrei essere fortunata e avere un donatore compatibile. Oppure non ci saranno compatibilità e sarà troppo tardi. Non lo so, non posso dare niente per scontato.”

Clarke stava cercando di elaborare, cercando di capire come Lexa poteva vivere ogni giorno con quella minaccia di morte e comunque essere così ambiziosa e determinata. Clarke non era neanche sicura di voler allontanarsi da casa per studiare.

“Sembra di affrontare l’inferno.” Mormorò.

“Si, è quello che stavo dicendo.” spiegò Lexa. “Quindi per quel che riguarda me e le relazioni, non sono una buona candidata. Nessuno dovrebbe aver a che fare con questo tipo di incertezza.”

Clarke corrugò la fronte preoccupata da quelle parole.

“Quindi... cosa?” chiese. “Hai intenzione di trascorrere tutta la tua vita da sola?”

Lexa si agitò un po’ sotto lo sguardo intenso di Clarke, e guardò altrove.

“Si... più o meno.” Sussurrò e Clarke sentì il suo cuore spezzarsi per lei.

Si alzò e si avvicinò timidamente a lei. Poi si sedette di fianco a lei sul letto e aspettò di incontrare quegli occhi verdi. Quando finalmente Lexa alzò lo sguardo, Clarke le sorrise piano.

“Lexa” disse silenziosamente “tu meriti di avere tutto quello che questo mondo ha da offrire. Tu sei gentile, premurosa e intelligente e sei bellissima. Chiunque sarebbe fortunato ad averti, anche nel caso in cui sarà solo per poco tempo. Non pensarla diversamente!”

Quando finì sentì il respiro di Lexa spezzarsi e vide i suoi occhi farsi un po’ lucidi. Era chiaro che stava cercando disperatamente di ricacciare indietro le lacrime, e Clarke non voleva altro che stringerla stretta. E lo fece. Un po’ esitante, si sporse in avanti e circondò il collo di Lexa con le braccia, e appena si toccarono tutta l’esitazione volò via. Erano come magneti, attirate l’una dall’altra da una forza inarrestabile. Niente era mai stato più naturale di avere Lexa così vicina a lei, e avere le sue braccia strette con dolcezza intorno a lei. Clarke appoggiò la testa nella piega del collo di Lexa e Lexa la imitò stringendosi ancora di più a lei.

Abbracciare Lexa era più bello di come l’aveva immaginato. Era così morbida e calda e delicata e Clarke semplicemente l’amava tanto tanto tanto. Pensava che in questo modo avrebbe potuta proteggerla da ogni cosa.
 
Quando infine si separarono, Lexa si asciugò velocemente gli occhi e Clarke fece finta di non accorgersene. Nessuna di loro sapeva cosa dire, ma ancora una volta provarono entrambe la sensazione di non aver bisogno di parlare per capirsi. Dopo essersi scambiate un breve sguardo, Clarke sorrise e ritornò sul suo letto.
 
“Buonanotte Lexa” sussurrò.
 
“Buonanotte Clarke.”
 

Che dite, il cuore di Lexa sta cominciando a scaldarsi un po'?
Questo è il mio capitolo preferito in assoluto. Clarke voleva che Lexa capisse veramente e fa forse la cosa più facile del mondo. Semplicemente le fa sentire come batte forte il suo cuore e Lexa non può fare altro che crederle.
Piccola nota: vi ricordate quando Clarke e Lexa stavano aspettando la mamma di Lexa nel parcheggio della scuola per andare a casa della mora e Clarke era terrorizzata che qualcuno potesse vederla andare via con lei? Bè le cose sono decisamente cambiate, per tutta la cena Clarke ha guardato Lexa 'con gli occhi a cuoricino' per dirla alla Raven e non le importava affatto che tutta la scuola avrebbe potuto accorgersene ;)

Nel prossimo capitolo, secondo e ultimo giorno della gita.

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Capitolo 11
*** Mount Weather ***


CAPITOLO 11
Mount Weather

Lexa era tenera quando dormiva. Non che Clarke fosse sorpresa; Lexa era sempre tenera. Ma Lexa addormentata avrebbe potuto essere la sua nuova cosa preferita. Era sdraiata su un fianco, una mano nascosta sotto la guancia, un’espressione calma e innocente sul volto, il petto si alzava e si abbassava al suono rassicurante dei suoi respiri. Clarke avrebbe potuto guardarla tutto il giorno, ma quando Lexa cominciò a muoversi, fece subito finta di essere impegnata a lavarsi i denti.

“Cazzo” sentì Lexa borbottare mentre si sedeva sul letto.

“Buongiorno” disse pimpante Clarke. “Vieni di sotto a fare colazione?”

Lexa, appena sveglia, sembrava un po’ disorientata. I suoi capelli erano in disordine e trattenne uno sbadiglio. Comunque molto tenera.

“No” mugolò in risposta. “Ho dormito troppo. Ho bisogno di fare di nuovo la mia terapia, quindi salterò la colazione.”

“Oh no” disse Clarke e si rattristò un poco. “Non puoi saltare la colazione! Prendo qualcosa per te per quando finirai, okay?”

Lexa contemplò l’offerta per un momento.

“Okay.” Disse dopo.

Un po’ riluttante a lasciare Lexa da sola, Clarke prese le cose che le sarebbero servite per quella giornata e uscì dalla camera per trovare alcuni studenti che
scendevano verso la sala della colazione. Lì seguì nell’ascensore e quando entrò nella caffetteria vide Raven, Maya e Harper sedute ad un tavolo dal lato più lontano della sala, insieme a Jasper e Monty, che Maya e Harper conoscevano bene.

Prese la sua colazione, ma impiegò più tempo a scegliere le cose per Lexa. Una mela perché fa bene. E forse un toast al burro d’arachidi? E se a Lexa non piaceva il burro d’arachidi? O se era allergica? Infine decise che un panino con il tacchino sarebbe andato bene, e ricordandosi l’amore di Lexa per il cioccolato, aggiunse un muffin al cioccolato al tutto. In cucina chiese una busta per mettere tutto dentro e le venne data una piccola busta marrone di carta.

Quando finalmente si sedette di fianco a Raven, la prima cosa che la sua amica fece fu puntare alla busta e dire:

“Che cosa diavolo devi fare con quella?” chiese “Ci hai messo tanto. Cos’è?”

Clarke arrossì un po’ e sorrise nonostante provò a trattenersi.

“È la colazione per Lexa.” Sussurrò per non farsi sentire da nessun’altro.

Raven ridacchiò e la guardò divertita.

“Wow” disse “una notte nella stessa stanza e voi due siete diventate così domestiche. Posso chiedere cosa è successo?”

Agitò le sopracciglia e Clarke la colpì sul braccio.

“Niente di quello che pensi è successo.” Esclamò. “Ovviamente!”

Raven alzò le mani in difesa.

“Okay” disse. “Quindi Lexa, che di solito prova a stare il più lontano possibile da te, ti ha chiesto di portarle la colazione? Deve essere cambiato qualcosa tra voi due. Voi ragazze dovete esservi dette qualcosa quando siete tornate in camera vostra! Altrimenti avresti trascorso una nottata imbarazzante e ora non saresti così allegra e vivace!”

Come per provare le parole di Raven, il sorriso di Clarke si allargò ancora di più.

“Abbiamo solo parlato un po’.” Disse.

“Di cosa?”

Raven era chiaramente molto curiosa di scoprire ogni cosa, ma Clarke non poteva rivelarle tutto. C’era una cosa che poteva dirle, però.

“Lexa lo sa.” Mormorò, e quando Raven la guardò interrogativa, continuò. “Lei sa che io... sai... che la amo...”

Gli occhi di Raven si spalancarono.

“Cristo santo!” disse. “E lei cosa ha detto?”

Clarke appoggiò il mento sulla mano e guardò in alto con sguardo innamorato.

“Bè... non è scappata via. E non mi ha urlato contro. Non si è neanche infastidita, che è molto di più di quello che potevo sperare. Quindi per ora mi sento abbastanza bene.”

Sulle labbra di Raven apparve un sorriso e la ragazza gettò un braccio sulle spalle di Clarke e la strinse a sé.

“Sono felice per te.” Disse.

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Erano tutti riuniti davanti all’edificio, pronti a partire in qualche minuto, quando Lexa finalmente Lexa apparve di fianco a Clarke che era con i suoi amici. Clarke le fece un piccolo sorriso e le passò la busta con la colazione.

“Grazie” sussurrò Lexa, e le sorrise quando tirò fuori dalla busta il muffin al cioccolato.  

Fu quello il momento in cui Clarke si accorse che la conversazione del gruppo si era fermata. Era stata troppo impegnata a guardare Lexa per notarlo. Ora poteva
vedere che Maya, Harper, Monty e Jasper le stavano fissando sconvolti con occhi spalancati. Erano ancora abituati a Clarke e Lexa che si lanciavo insulti a vicenda, e ancora una volta pensò a quanti passi avanti avevano fatto dall’inizio dell’anno di scuola. Questo pensiero la riscaldava dentro.

Trascorsero tutto il giorno nelle profondità della montagna, scoprendo lunghi corridoio, cucine e dormitori che non erano stai mai usati. Clarke non prestò molta della sua attenzione al reale obiettivo della gita. Notò soprattutto come gli occhi di Lexa si illuminavano quando ascoltava attentamente la guida, assimilando ogni singola informazione. Notò le bellissime labbra di Lexa che qualche volta restavano aperte dalla meraviglia, e i suoi lunghi capelli che qualche volta era costretta ad allontanare dagli occhi. Non notò però, le cose che Raven stava notando.

Raven notò come Clarke e Raven rimasero fianco a fianco per tutto il giorno. Come Lexa qualche volta si voltava indietro come per assicurarsi che Clarke tenesse il passo. Notò che Lexa, vicino a Clarke, era molto più rilassata di come lo sarebbe stata qualche mese prima. Sembrava così calma e a suo agio ora, come se il suo posto fosse esattamente al fianco di Clarke. Sembravano essere perfettamente sincronizzate, sorridevano, sbadigliavano o spostavano il peso dal una gamba all’altra nello stesso momento. Qualche volta, quando il gruppo riprendeva a camminare, loro due avevano il passo sincronizzato.

Raven notò tutto questo, e si disse che forse le cose non erano senza speranza come Clarke pensava.ù

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Più tardi, quella sera, dopo che i professori controllarono tutte le stanze per essere sicuri che tutti fossero pronti per andare a letto, Clarke e Lexa tornarono nella stanza di Raven, insieme a Finn, Monty e Jasper. Clarke dovette convincere Lexa a unirsi a loro, ma ora sembrava che si stesse divertendo e Clarke era davvero felice che avesse scelto di venire. Era la loro seconda e ultima notte a Mount Weather, e a Clarke sarebbe mancato vedere Lexa per tutto il tempo. Sperava che tra loro le cose fossero cambiate un po’ e che Lexa trascorresse più tempo con lei a scuola, ma non era sicura  e questo la rattristava.

Non stavano esagerando quella sera, stavano giocando a obbligo o verità senza alcol per la prima volta dopo molto tempo. Clarke era tesa, nervosa per la possibilità di interagire in qualche modo con Lexa nel gioco. Giravano l’immagine di una bottiglia dell’applicazione sul telefono di Harper per fare meno rumore possibile. Si sentivano solo sussurri e risatine sommesse, quasi tutte le luci erano spente. Ogni volta che nel corridoio si avvicinavano i passi di un’insegnante, chiudevano le bocche, respiravano appena fino a che i passi non si sentivano più.

“Questa volta tocca a Jasper, ve lo dico!” mormorò Raven e tutti guardarono la bottiglia che si fermò puntando Jasper. “Ve l’avevo detto! Non ci credo, sono una
veggente!”

“Obbligo o verità?” Harper domandò a Jasper.

Monty gli diede una gomitata e Jasper alzò gli occhi al cielo.

“Va bene, obbligo!” disse.

Harper prese il telefono per leggere l’obbligo e ridacchio guardando Maya.

“Allora Jasper” disse “Devi sederti sulle gambe della persona alla tua destra fino a che la bottiglia tornerà di nuovo su di te.”

Gli occhi di Jasper si spalancarono e guardò Maya, che sembrava anche lei un po’ nervosa.  Monty lo spinse più vicino a lei e Jasper si sedette piano su di lei.

“Va bene cosi?” chiese e Maya annuì con un sorriso rassicurante.

“Bene!” disse Raven. “Ora gira tu!”

Jasper girò la bottiglia che si fermò su Finn. Dopo aver scelto obbligo le altre volte, scelse verità.

“Chi è la persona più attraente in questa stanza?” Chiese Jasper.

A quelle parole, Clarke di fianco a lei sentì Lexa irrigidirsi. Si voltò verso di lei e vide che i suoi occhi erano incollati a Finn. La sua espressione era difficile da decifrare, ma sembrava come se stesse trattenendo qualcosa, rabbia o fastidio. Era quasi impercettibile e Clarke probabilmente non l’avrebbe notato se non avesse trascorso gran parte del suo tempo a studiare ogni singolo dettaglio di Lexa. Quando lo sguardo di Finn si posò brevemente su Clarke, Lexa sembrò irrigidirsi ancora di più, anche se Clarke era sicura di essere l’unica ad averlo notato. Finn infine, che sembrava quasi timido, spostò lo sguardo alla sua sinistra guardando Raven con occhi dolci.

“Raven” sussurrò, e Clarke non potè trattenere il suo enorme sorriso quando vide il timido sorriso di Raven, che era così insolito per il suo comportamento sempre sicuro di sé. Nessuno sapeva che c’era qualcosa tra lei e Finn, stavano cercando di capire cosa volevano, ma vedendoli così Clarke era sicura che avrebbero potuto essere molto felici.

Nello stesso momento, sentì Lexa lasciar andare un respiro e quando la guardò sembrava di nuovo rilassata, anche se le sue spalle erano un po’ più tese di prima.

Prima che Clarke avesse il tempo di concentrarsi di nuovo sul gioco, qualcuno disse il nome di Lexa, e quando guardò per terra la bottiglia vide che indicava Lexa.

Immediatamente fu di nuovo attenta. La bottiglia era finita su Lexa solo altre due volte quella sera, e lei aveva scelto entrambe le volte obbligo. La prima volta venne obbligata a togliersi un capo d’abbigliamento, e lei scelse di togliersi il reggiseno, cosa che agitò Clarke anche se Lexa indossava ancora la maglietta. La seconda volta le fu chiesto di fare la verticale, e la fece perfettamente senza problemi.

“Cosa scegli questa volta, Lexa?” Chiese Maya da dietro Jasper.

“Un altro obbligo.” Disse Lexa e accennò un sorrisetto furbo.

“Sto cominciando ad essere curiosa dei tuoi piccoli sporchi segreti ora, miss Obbligo.” La stuzzicò Raven.

“Fa che sia una buono almeno.” Disse Harper e si voltò per leggere l’obbligo. Le sue sopracciglia scattarono verso l’alto. “Merda Lexa, devi mangiare un insetto!”

Il volto di Lexa si accartocciò.

“Ew!” disse. “È disgustoso! Chi se l’è inventato?”

“Ho visto una falena prima!” Esclamò Monty un po’ troppo forte e alcuni si alzarono per cercare la falena.

Il rumore di gente che girovagava esplose, gente un po’ troppo presa dal gioco. Qualcuno accese le luci per vedere meglio, qualcuno andò a sbattere con uno dei letto, qualcun’altro cominciò a ridere e poi all’improvviso: si sentirono passi veloci nel corridoio.

Tutti si bloccarono per un secondo ascoltano i passi avvicinarsi.

“Cazzo.” Sussurrò qualcuno.

E poi scoppiò di nuovo il caos. Le luci vennero spente di nuovo e Jasper rotolò velocemente sotto il letto di Harper. Monty si nascose sotto il letto di Maya, mentre Finn si chiuse nel piccolo armadio. Harper e Maya saltarono sui loro letti e Raven, che si era già tolta il suo tutore, lanciò uno sguardo alla scala borbottando un ‘non se ne parla’ e preferì il letto di Maya, si sistemò dietro di lei per nascondersi contro il muro. Maya mise immediatamente il cuscino sulla sua testa. Le uniche due ancora non nascoste erano Clarke e Lexa, e l’unico nascondiglio era il letto a castello di Raven, non avevano tempo da perdere.

“Vai!” disse Clarke e spinse Lexa verso la scala.

Lexa si arrampicò in un secondo e Clarke la seguì subito dopo. Si buttarono sul materasso e si gettarono la coperta addosso proprio quando i passi si fermarono davanti la loro porta. Si sentì un leggero, ma distinto colpo e poi il suono della porta aprirsi.

“Cos’è questo rumore?” chiese Indra severa.

Sentirono Harper muoversi un po’ nel letto prima di rispondere.

“Ci dispiace, Indra.” Si scusò. “Stavamo cercando di mandare via una falena che ci dava fastidio.”

Clarke ringraziò Harper in silenzio per aver trovato velocemente in una scusa in una situazione tesa come quella. La coperta la copriva tutta, compresa la testa, quindi non poté vedere la reazione di Indra, ma non suonava molto convinta.

“Dovevate essere a letto tre ore fa!” disse. “Cosa state facendo ancora sveglie?”

Ci fu un momento di silenzio, poi Maya esclamò dal letto sotto di loro.

“Guardate, eccola là!”

Pochi secondi dopo si sentì un rumore nella stanza.

“Ecco ragazze” sospirò Indra. “La falena è morta, ora tornate a dormire!”

Quindi Monty aveva ragione, c’era una falena nella camera e si era anche assicurata di apparire nel momento giusto.

Indra chiuse la porta dietro di lei, e Clarke poté riprendere a respirare, ma non ricordava esattamente come fare. Perché il suo corpo era premuto contro quello di Lexa,
vicine come mai erano state prima, e ogni pensiero logico era stato spinto via dalla sua testa. Per tutto il tempo, le loro teste erano rimaste l’una contro l’altra, nel buio sotto la coperta. Clarke poteva sentire il petto di Lexa muoversi ad ogni respiro, e non si era resa conto che si stavano stringendo forte la mano fino a che Lexa la lasciò andare. Non poteva vederla, ma sentiva che anche lei si era bloccata a quel loro contatto. Clarke voleva rimanere così per sempre, ma quando il suono dei passi si allontanò, sentì gli altri venir fuori dai loro nascondigli si rese conto che era il momento di ritornare allo scoperto.

Lei e Lexa tolsero via la coperta nello stesso momento, e i loro occhi finalmente s’incontrarono, lontani solo qualche centimetro. I bellissimi occhi verdi di Lexa sembravano sconvolti e un po’ spaventati, ma c’era anche calore. Non c’era traccia di disprezzo, giudizio o fastidio. Parte del buco nell’anima di Clarke, quello che le aveva fatto fare cose terribili per tanti anni, improvvisamente si riempì di nuovo. Lexa non la odiava più.

“C’è mancato poco!” mormorò Finn, uscendo dall’armadio.

Tutti annuirono e Maya sussurrò felice:

“Harper, tu sei un angelo! Ero completamente nel panico, non avevo idea di cosa dire e tu sei venuta fuori con una scusa perfetta!”

“Si, sei stata grandiosa!” disse Monty e diede una pacca sulla spalla di Harper, che sembrò essere molto fiera di sé stessa.

Rimasero in silenzio per qualche altro secondo, poi Finn parlò di nuovo.

“Forse dobbiamo ritornare nelle nostre camere ora..” disse, e tutti di nuovo annuirono. “Fatemi controllare se è tutto libero.”

Clarke rimase di fianco a Lexa sul letto di Raven, mentre Finn apriva piano la porta per guardare fuori. L’aveva aperta solo di pochi centimetri, quando la richiuse di
nuovo senza far rumore.

“Merda, ragazzi” sussurrò. “È seduta su una sedia alla fine del corridoio, non possiamo tornare nelle nostre camere.”

Si sentì qualche sbuffo.

“Starà lì tutta la notte?” chiese Jasper.

“Non mi sorprenderebbe.” Rispose Maya.

“Bene.” Sospirò Raven. “Dovrete accamparvi qui. Potrebbe essere divertente, no? Come un pigiama party!”

Clarke guardò Lexa, che sembrava piuttosto nervosa. Dal modo in cui Lexa si era quasi accovacciata su sé stessa, Clarke immaginò che fosse preoccupata di non essere la benvenuta. Dopotutto, quelli erano amici suoi, non di Lexa. Così Clarke automaticamente le accarezzò il braccio per rassicurarla.

“È tutto ok” sussurrò. “Alle ragazze va bene che restiamo tutti qui, lo prometto. Andiamo subito a dormire e domani mattina torniamo in camera. Ti va bene’”

Lexa sospirò.

“Si, okay allora.” Sussurrò.

Proprio in quel momento, la testa di Maya apparve accanto a loro.

“Potete restare qui sopra.” Disse. “Raven rimane nel mio letto, così c’è più spazio.”

“In realtà” aggiunse Raven dietro di lei. “Prendi Harper con te. Io divido il letto con Finn.”

Un sorriso d’intesa mosse le labbra di Maya.

“Se lo dici tu...” la prese in giro, e poi si rivolse di nuovo a Clarke e Lexa. “Prendiamo i cuscini e le coperte in più dall’armadio e li mettiamo a terra per Jasper e Monty, così tutti avremo un posto!”

Certo, sembrava una buona soluzione, ma Clarke stava dando di matto. Non voleva che Lexa si sentisse a disagio, e pensava che fosse colpa sua che Lexa si trovasse in questa situazione. In fondo, era Clarke che aveva voluto così tanto che Lexa venisse. Stava proprio per aprire bocca e chiederle di nuovo se per lei andava bene, ma la ragazza fu più veloce.

“Starai bene?” chiese Lexa. “Visto che... sai. Potrebbe essere difficile per te.”

Sentire Lexa farle una domanda del genere fu una sorpresa. Non aveva alcun motivo di preoccuparsi per lei, e invece eccola lì a domandarle se stava bene. Come poteva esistere una persona così buona non riusciva a capirlo. Ed era sicura che lei non se la sarebbe mai meritata.

“Dormiremo solamente, posso farcela” rispose. “A meno che non rubi tutta la coperta, ovviamente.”

Il suo tentativo di scherzare ebbe l’effetto sperato. Lexa fece un sorriso luminoso e rise in silenzio.

“Okay, bene.” Disse. “Lo terrò a mente.”

Gli altri si muovevano in giro, preparando i letti improvvisati per Monty e Jasper. Clarke era abbastanza tranquilla quando si stese sul materasso di fianco a Lexa. Si infilarono entrambe sotto la coperta condivisa, sistemandosi in una posizione comoda. Alla fine, Lexa aveva la schiena rivolta verso Clarke e Clarke era stesa sul dorso, occhi fissi sul soffitto.

“Buonanotte a tutti” sussurrò, e le risposero un po’ di voci addormentate che le ricambiarono la buonanotte.

Nella camera cadde velocemente il silenzio. I loro corpi finalmente sentirono gli effetti di essere stati in piedi per tutta la giornata, e il russare leggero di qualcuno riempì la camera dopo pochi minuti.

Clarke non riusciva ad addormentarsi, e non era per quel russare. Sentiva il calore del corpo di Lexa contro il suo, ed era così inebriante che voleva che non se ne andasse mai. Aveva sognato così tante volte un momento come questo, pensando che non sarebbe mai accaduto e provò a goderselo più che poteva, sapendo che probabilmente non sarebbe mai stata di nuovo così vicina a Lexa.

Si ritrovò ad ascoltare i respiri addormentati di Lexa per ore, conservandosi per il futuro il ricordo di averla avuta proprio accanto a lei, respirando in sintonia sotto la stessa coperta.
 

Lexa non odia più Clarke. E' ufficiale. E' un grande passo avanti, no?
Nel prossimo capitolo, forse Lexa capirà che Clarke non le è proprio indifferente...

Ora ho bisogno di voi. Dovete dirmi cosa devo fare. Allora, per la fine della ff mancano di tutto 3 capitoli. Su Ao3 manca l'ultimo, l'autrice purtroppo è ferma da agosto. Io la sento, ha iniziato l'università ed è molto impegnata. Ci sta lavorando, ma non so quando aggiornerà. La domanda è questa: preferite che pubblichi i prossimi due capitoli nelle prossime due settimane, come ho fatto finora, e poi aspetteremo insieme per l'ultimo (che tradurrò non appena verrà pubblicato su Ao3) oppure preferite che tra i prossimi aggiornamenti lasci passare più di una settimana (tipo una settimana e mezzo, due, due e mezzo) in modo poi da trovarci con queste attese (si spera) in linea per l'ultimo capitolo? A voi la scelta, fatemi sapere cosa preferite :)

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Capitolo 12
*** Scuse ***


CAPITOLO 12
Scuse

Clarke, dopo aver aspettato che Lexa arrivasse, stava camminando con lei nel parcheggio della scuola, quando entrambe videro Octavia scendere da sola dal bus.

Clarke la seguì con lo sguardo, e si sentì in colpa. Sembrava il fantasma della persona che era una volta. Non si era preoccupata di truccarsi, e tutta la sua postura sembrava sconfitta. Ultimamente era stata vista per tutto il tempo da sola. Anche se Clarke continuava a innamorarsi sempre di più di Lexa e ad avere incubi su quello che lei e la sua amica le avevano fatto passare, la rabbia che provava nei confronti di Octavia stava cominciando lentamente a svanire. Dopotutto Clarke si era comportata ancora peggio con Lexa, eppure sembrava che la ragazza l’avesse quasi perdonata.

“Sai, è venuta da me un po’ di tempo fa e abbiamo parlato” disse Lexa dietro di lei, Clarke la guardò sorpresa. “Voleva scusarsi.”

“Davvero?” chiese Clarke.

L’Octavia che conosceva non si pentiva di nulla.

“Mhm” confermò Lexa. “È strano, siete diventati tutti così sentimentali.”

Gli occhi di Clarke ritornarono su Octavia e la guardò entrare nell’edificio un po’ prima di loro. Non si parlavano da 5 mesi. Forse era arrivato il momento di ascoltarla.

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Quando suonò la campanella per il pranzo, Clarke si diresse verso l’armadietto di Octavia e la aspettò lì. La sua vecchia amica la vide quando entrò nel corridoio e si avvicinò lentamente a lei.

“Hey.” Disse, ma suonava più come una domanda.

“Ciao.” Ripose Clarke.

Octavia sembrava quasi timida mentre, ansiosa, la guardava, chiaramente non sapendo cosa aspettarsi da Clarke dopo tutti quei mesi. Clarke, da parte sua, non
sapeva da dove iniziare.

“Vuoi pranzare con me?” si fece scappare alla fine.

Octavia sembrò provare a nascondere la sorpresa, ma Clarke riuscì comunque a vederla. Le ci volle un po’ per rispondere.

“Okay” disse, di nuovo in un tono che sembrava una domanda.

“Pensavo...” mormorò Clarke “che forse è arrivato il momento di parlare.”

Octavia annuì piano. Era stano che le cose fossero così imbarazzanti tra di loro in quel momento, quando prima condividevano e si dicevano tutto.

Fuori trovarono un tavolo da pic-nic, abbastanza isolato dagli altri studenti, che dava loro la privacy di cui avevano bisogno. Ora che Octavia era di fronte a lei,
all’improvviso non sapeva cosa voleva dirle. I motivi per cui era arrabbiata con lei cominciarono a rincorrersi nella sua testa. Come non fermava mai Clarke dal fare cose stupide. Il fatto che non sembrava mai avere rimorsi, qualcosa che fino allo scorso autunno Clarke condivideva con lei. Ma la ragazza di fronte a lei ora, eccome se sembrava dispiaciuta.

Alla fine Octavia sospirò, si sporse sul tavolo e guardò Clarke negli occhi.

“Mi dispiace, okay?” disse “ho fatto un’enorme cazzata, più di una volta e non sono fiera di me stessa, se questo è quello che pensi.”

“Per cosa ti dispiace?” Chiese Clarke.

Voleva solamente sapere quanto dell’atteggiamento di Octavia era cambiato.

“Per tutto.” Ammise “Fa schifo quando capisci che sei uno dei cattivi. Quando trattavamo il resto della scuola in quel modo pensavo che stessimo pretendendo il rispetto. Ma loro non ci rispettavano, loro avevano paura di noi. Non credo che qualcuno possa davvero rispettarti quando sei una persona così cattiva da non tenerti neanche gli amici. Da quando hai smesso di parlarmi, le uniche persone che vedevo regolarmente erano gli amici di Bellamy.”

Un’espressione di dolore attraversò il suo viso.

“Non voglio finire come loro” mormorò. “So che non siamo tanto migliori, ma almeno noi ci sosteniamo a vicenda. Voglio stare con persone a cui importa davvero di me, e ho capito che anche io ho bisogno di preoccuparmi di più della gente. Tutta la gente, non solo di quella che è vicino a me.”

“E lo fai?” chiese Clarke. Quando vide la confusione sul volto di Octavia continuò. “Ti preoccupi per le persone? O t’importa solamente di quello che possono fare per te?”

“Certo che mi preoccupo!” disse Octavia con enfasi.

Le domande di Clarke fecero riapparire l’espressione colpevole e abbassò lo sguardo sulle sue mani.

“Certo che mi preoccupo” ripeté in silenzio. “Continuo a pensare a come abbiamo rubato quelle pillole a Lexa. Non riesco a credere di essermi permessa a superare quella linea. Ho solo questa orribile sensazione, sempre. Penso a cosa sarebbe potuto succedere se... se le cose fossero andate male.”

Si mosse a disagio sulla panca, sembrando molto preoccupata. Clarke si bloccò per un momento. Di cosa stava parlando Octavia? Sembrava che sapesse più di quello
che Clarke pensava.

“Con andate male vuoi dire...”

“Voglio dire” disse Octavia, e fissò gli occhi pieni di preoccupazione dritti nei suoi. “Lexa è molto malata, vero?”

Oh cavolo. Clarke non sapeva cosa dire. Non aveva mai parlato con nessuno dei problemi di salute di Lexa, a parte Lexa stessa. Octavia non avrebbe dovuto sapere niente, e invece sapeva. Senza pensarci ancora, Clarke si arrese e sospirò.

“Si.”

Octavia annuì lentamente dopo quella conferma e abbassò di nuovo lo sguardo.

“L’avevo immaginato.” Mormorò. “Sai che ho dovuto dare una mano al reparto pediatrico dell’ospedale? L’ho vista uscire un paio di volte alla fine del mio turno, lei non mi ha vista però. E tutte quelle volte che mancava da scuola... Non è venuta per un po’ dopo quello che abbiamo fatto.” All’improvviso sembrava arrabbiata. “Come abbiamo potuto giocare con la sua salute in quel modo! Capisco perché non vuoi parlarmi. Diavolo, neanche io voglio parlare con me!”
 
Clarke si rese conto di un’altra cosa: ora era Octavia a credere che erano state le loro azioni a mettere Lexa in pericolo, e probabilmente se ne andava in giro con quel senso di colpa da mesi. Sentiva il bisogno di dirle che non era così. In parte perché era sbagliato lasciare credere ad Octavia di aver quasi ucciso una sua compagna di classe, e in parte perché le avrebbe permesso di capire bene le intenzioni della sua amica. Se Octavia avesse saputo che non aveva causato tutto il danno che pensava, si sarebbe sentita lo stesso in colpa o sarebbe ritornata la sua insensibilità?

“C’è una cosa che dovresti sapere.” Le disse. “Rubare le pillole non è stata la ragione per cui è peggiorata, anche se all’inizio anch’io pensavo che fosse così.”

Aspettò che Octavia sospirasse e lasciasse perdere la questione, invece si accigliò.

“Ma avrebbe potuto esserlo!” disse con una punta di rabbia verso Clarke. “Che cazzo di scusa è?”

Questo fece sorridere Clarke, perché quelle erano le esatte parole che voleva sentire.

“Lo so.” Disse “Ecco perché ho smesso di parlare con tutti. Tutti voi mi lasciavate continuare a fare quelle cose orrende e dopo aver visto le conseguenze non volevo essere mai più quel tipo di persona di nuovo.”

Octavia annuì comprensiva e sorrise triste.

“Siamo state terribili l’una per l’altra.” Disse. “Eravamo così piccole e stupide, e la combinazione ha portato irrimediabilmente al disastro.”

Clarke ridacchiò.

“E ne andavamo anche fiere.” Disse. “Non seguivamo le regole e avevamo l’attenzione di tutti.”

“Mi hai convinto a fare un tatuaggio, ti ricordi?” disse Octavia. “Mia madre andò su tutte le furie!”

“Tu sei quella che ha corrotto Raven ad hackerare il computer di Titus per rubare le risposte a tutte le verifiche a sorpresa di quel semestre!” si difese Clarke
scherzando.

“Tu sei quella che ha corrotto me a cominciare a spingere Lex..” Octavia si zittì quando si rese conto delle piega che aveva preso la conversazione. “Scusa” aggiunse.
Clarke la rassicurò con un sorriso triste.

“Si… eravamo parecchio terribili l’una per l’altra.”

“Possiamo non esserlo più però” provò Octavia timida. “Se vuoi provarci di nuovo, voglio dire. Possiamo aiutarci ad essere migliori. Mi piacerebbe migliorare. Puoi mettere tutti i limiti che vuoi, e io non mi avvicinerò alla tua ragazza, lo prometto!”

Le guance di Clarke diventarono rosse al modo in cui Octavia si era riferita a Lexa.

“Lexa non è mia.” Borbottò. Le fece male il cuore sentendosi pronunciare quelle parole.

“Ma vorresti che lo fosse.” Disse Octavia dolcemente.

Questa non era come tutte quelle volte in cui si prendevano in giro sui ragazzi, cercando di scoprire che aveva una cotta per chi. Octavia sapeva che con Lexa era diverso, e per quanto Clarke era arrabbiata con lei, sapeva che Octavia ci teneva a lei. Non aveva mai ferito intenzionalmente Clarke, e di conseguenza, Lexa.

“Si.” Rispose. “Credo che potremmo provarci. Ti dirò quando penso che ti stai comportando da stronza, e tu farai lo stesso con me?”

Octavia sorrise.

“Mi piacerebbe tanto” disse “Penso che Raven sarà felice di non essere più intrappolata tra noi due che litighiamo.”

“Come se non fosse già abituata!” Clarke alzò gli occhi al cielo. “Anzi, primo passo del nostro nuovo accordo è essere perfetti angeli con Raven, lei è la cosa migliore che abbiamo.”

“Lo è davvero.” Concordò Octavia, la sua voce piena di amore. “Cosa abbiamo fatto per meritarcela?”

“Quello che faremo da ora in poi.” Clarke sorrise e alzò il suo succo di frutta per un brindisi.

L’espressione felice sul volto di Raven quando più tardi si avvicinarono a lei al suo armadietto e la stritolarono in un abbraccio da entrambi i lati, fece valere al cento per cento il suo provare a rimanere amica con Octavia.

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L’orologio ticchettava sulla porta della biblioteca della scuola, sembrava che accelerasse ad ogni minuto. Ogni volta che Clarke lo guardava l’ora si avvicinava sempre di più alle 17. Mancavano solo 8 minuti, 5 minuti, 4... Stava seduta rigida sulla punta della sedia, tamburellando nervosamente con il piede.

Lexa era seduta sulla sedia di fronte a lei, le sue dita si muovevano sulla tastiera alla velocità della luce. La scrittura si fermò per un momento quando cominciò a scorrere freneticamente la pagina su e giù.

“Dov’è la parte sul quel dottore del Massachusetts?!” Urlò in preda al panico.

Clarke si voltò velocemente verso il suo schermo, dove la guardava una copia del progetto di Lexa. Fece scorrere le pagine, i suoi occhi analizzavano i paragrafi più veloci che potevano.

“Trovato!” esclamò dopo qualche secondo. “Alla fine di pagina 8!”

Lexa trovò la parte e ricominciò a scrivere di nuovo. L’orologio segnava altri 2 minuti restanti.

“Okay, finito!” urlò in trionfo. “Ho finito!”

“Si!”

Clarke non potè fare a meno di esultare a voce alta. La bibliotecaria non sembrava molto contenta, ma dato che erano le uniche lì, le lasciò fare. Sapeva che Lexa era sotto pressione.

“La sto stampando!” disse Lexa, e Clarke corse disperatamente per raggiungere più veloce che poteva la stampante.

Saltò sul posto, fissando la stampante e aspettando che uscissero i fogli. Non lo fecero.

“Non sta succedendo niente!” gridò voltandosi indietro verso Lexa, che stava dando dei colpetti più o meni violenti sul lato del computer, come se l’avrebbero fatto lavorare più velocemente.

“C’è qualcosa che non va con questa cosa!”

Lexa si era innervosita, lasciò andare un lamento.

“Non se ne parla, la mando a te! Proviamo da un altro computer!”

Cambiò postazione e Clarke si precipitò verso di lei, con la testa sopra la sua spalla, mentre Lexa apriva il progetto aggiornato e trovava la stampante. Quando premette ‘stampa’, Clarke corse alla stampante e aspettò. Di nuovo, non accadde niente.

“Cosa c’è che non va!?” ringhiò, dando un calcio leggero alla grande macchina.

Poi lesse sul display.

“Cazzo, c’è un foglio incastrato!”

Mentre apriva la parte alta della stampante per cercare il foglio che gli stava impedendo di consegnare il progetto di Lexa in tempo, Lexa era al suo fianco, a guardare anche lei nella macchina.

Infine Clarke trovò il foglio e lo tirò via un po’ troppo violentemente. Si strappò, ma riuscì a togliere tutti i pezzi. Chiuse velocemente la macchina, premette i tasti giusti e alla fine: si sentì il ronzio della stampa.

“Finalmente!” sospirò.

Entrambe guardarono nello stesso momento all’orologio, e s’irrigidirono quando videro che segnava le 17 in punto. Il professor Wallace era molto rigoroso riguardo le scadenze, odiava le persone che erano in ritardo e aveva assicurato che se un progetto arrivava anche un minuto in ritardo, avrebbe perso punti. Come se non bastasse, Lexa era stata ritardata quando l’influenza si era diffusa a scuola, e sua madre aveva preferito farla rimanere a casa per una settimana e mezza per non farla ammalare. Una scelta abbastanza ragionevole secondo Clarke, ma comunque Lexa si era persa un sacco di lezioni ed era più indietro di quando già lo fosse.

Sembrò che la stampante impiegasse un’eternità a stampare tutto. Lexa si era impegnata tanto e probabilmente la sua relazione era la più lunga di tutte quelle degli altri studenti. Quando finalmente vennero fuori tutte le pagine, Lexa le raccolse e le mise nelle mani di Clarke.

“Vai!” disse “Sei più veloce di me!”

Clarke non se lo fece ripetere due volte. Mezzo secondo dopo partì di corsa dalla biblioteca. L’ufficio del professor Wallace era dall’altra parte della scuola, e Clarke fu grata che i corridoi erano tutti vuoti e le permisero di correre veloce come mai aveva fatto prima.

La porta dell’ufficio era aperta, e finì per aggrapparsi allo stipite della porta per rallentare, poi slittò nella stanza con un’espressione quasi selvaggia.

“Professore!” ansimò, lui la guardò lievemente divertito. “Le ho portato la relazione di Lexa!”

L’appoggiò sulla scrivania di fronte a lui.

“Non abbiamo avuto il tempo per rilegarla.” Si scusò Clarke “Ma è tutta lì, finita.”

Wallace annuì con la testa nel momento in cui Lexa apparve sulla porta dietro Clarke, senza fiato per la corsa. I suoi occhi fissavano nervosamente il professore.

“Ce l’abbiamo fatta?” chiese e lentamente fece un passo avanti per affiancarsi a Clarke.

Il professore fece un cenno verso l’orologio digitale sulla sua scrivania che segnava le 17.01.

“Penso che vi meritiate un minuto in più per lo sforzo.” Disse e un sorriso mosse le sue labbra. “Grazie Lexa. Non vedo l’ora di leggere il tuo lavoro.”

Lexa si lasciò sfuggire uno squittio felice, mentre Clarke batté le mani entusiasta, e prima che se ne rendesse conto, erano saltate l’una nelle braccia dell’altra. Era successo spontaneamente, Clarke non riuscì a registrare nient’altro che la risata inebriante di Lexa dritta nel suo orecchio e il modo in cui la stringeva forte. Nello stesso momento, si resero conto insieme di quello che era successo e del fatto che il professore era ancora seduto lì. S’irrigidirono un poco e si allontanarono velocemente, guardandosi i piedi con lo stesso rossore sul volto: Clarke sfoggiando un sorriso imbarazzato e Lexa anche lei con gli angoli della bocca all’insù.

“Sono felice che ce l’abbiate fatta.” Disse il professore e quando Clarke alzò lo sguardo su di lui capì che era molto soddisfatto.

Quando lasciarono l’ufficio, Clarke rallentò un po’, guardandosi di nuovo timidamente i piedi facendo fermare Lexa.

“Cosa?” chiese Lexa. “C’è qualcosa che non va?”

Clarke la guardò sorridendole timidamente.

“Ho qualcosa per te.” Disse, improvvisamente nervosa di quello che Lexa potesse pensare.

“Cosa?” fu tutto quello che Lexa disse, non capendo quello che Clarke voleva dire.

“Un regalo.” Precisò. “Ti ho fatto qualcosa.”

Dopo mesi d’ispirazione, venuta tutta da Lexa, aveva dipinto una collezione intera di quadri che le ricordavano lei. Ma la settimana prima ne aveva dipinto uno molto speciale, uno che pensava che sarebbe piaciuto molto a Lexa. Mentre il suo tempo come assistente di Lexa stava giungendo al termine, la sensazione di non aver dato abbastanza ricominciò a crescere forte dentro di lei. Voleva dare a Lexa qualcosa di più, e se doveva essere completamente onesta, la ragione più egoistica per cui voleva darle un regalo era che voleva disperatamente che Lexa avesse qualcosa che le ricordasse Clarke. Stava per arrivare la fine di aprile, si sarebbero diplomate tra un mese e mezzo e Clarke avrebbe frequentato l’Arkadia University, mentre Lexa avrebbe seguito sua cugina a Polis. Sarebbero state lontane 6 ore di macchina, e Clarke trovava altamente improbabile la possibilità che Lexa facesse un salto lì per rivederla. Non era sicura di sapere quando l’avrebbe vista di nuovo dopo il diploma, cosa che stava cercando di non pensare molto, fallendo miseramente.

A quelle parole, l’espressione sul volto di Lexa fu di genuina sorpresa. Si sistemò i capelli dietro un orecchio in un gesto nervoso e guardò Clarke con occhi leggermente spalancati.

“Hai fatto qualcosa per me?” domandò.

Clarke sorrise e annuì.

“Vieni” disse, e fece segno a Lexa di seguirla verso il suo armadietto.

Cominciarono a camminare, Lexa dietro di lei.

“Vedilo come un ricompensa per tutto il lavoro che hai fatto per il progetto.” Spiegò, ma poi temette che Lexa avesse aspettative alte e fosse delusa, quindi subito aggiunse: “Non è granché, pero, l’ho fatto a casa. Ho solo pensato che ti potesse piacere.”

Si fermarono davanti all’armadietto di Clarke, lo aprì nervosamente rivelando i segni degli anni di scuola. L’interno era decorato con diversi ricordi che aveva raccolto negli anni: uno schizzo abbastanza carino che aveva disegnato quando era una matricola, foto stupide che aveva fatto con Raven e Octavia in una cabina fotografica, il biglietto per un concerto dei The Grounders... In quel momento quelle cose sembravano tutte così lontane. Allora era una persona diversa, e si rese conto che in realtà, non le sarebbe mancata quella parte della sua vita. Non vedeva l’ora di andare all’università come una persona migliore, e dare anche ai suoi amici la possibilità di essere migliori.

Spostò i libri davanti per cercare la busta di carta che aveva nascosto dietro. Il dipinto che c’era dentro era grande quanto un foglio di giornale e ci entrava appena nell’armadietto. Si voltò per trovare Lexa che la guardava curiosa, e le sorrise timidamente.

“Ti ho vista leggere un libro sul cielo notturno.” Disse, sentendosi in dovere di spiegare. “e dato che hai un calendario lunare a casa tua, ho pensato che fosse una tua passione...”

Lexa sollevò le sopracciglia sorpresa.

“Sei venuta a casa mia mesi fa, te lo ricordi ancora?”

Clarke sentì all’improvviso le guance diventarle rosse e si agitò un po’ sotto lo sguardo di Lexa.

“È difficile dimenticare qualsiasi cosa che riguardi te.”

Per superare l’argomento dell’eterno amore che provava per la ragazza che aveva di fronte, allungò la busta verso Lexa e quando lei guardò dentro e poi tirò fuori il dipinto, vide gli occhi della mora spalancarsi per la meraviglia.

Era un bellissimo disegno di un cielo di notte. La luna si rifletteva nell’oceano e su un lato maestose scogliere si ergevano dall’acqua.

“Wow” sussurrò Lexa, senza fiato. “Clarke, queste sono le vere costellazioni!”

“Lo so” Clarke sorrise. “Ho letto qualcosa e l’ho trovato davvero interessante. Non avevo mai notato le forme, per me erano solo stelle. Ma ora che ne so di più, non posso fare a meno di cercare le costellazioni per tutto il tempo ogni notte. La mitologia che c’è dietro le rende affascinanti. Ti ho dipinto le stelle dell’emisfero meridionale visto che, lo sai, non riusciamo a vederle da qui.”

Lexa finalmente staccò gli occhi dal dipinto e guardò Clarke negli occhi, come se stesse cercando di capire ogni parte di lei.

“Non sei come pensavo che fossi.” Mormorò.

Clarke abbassò lo sguardo sul pavimento imbarazzata.

“Non sono come ero prima.” Alzò le spalle. “Probabilmente ero esattamente come immaginavi.”

“Sei molto intelligente” continuò Lexa “Intelligente nel senso importante, non solo quello di scuola.”

“Proprio tu lo stai dicendo!” ribatté Clarke e le sorrise, tutto il suo corpo fremeva felice per quel complimento e per la ragazza da cui l’aveva ricevuto. “Quindi... ti piace?”

Lexa ritornò con lo sguardo al dipinto, sorridendo in adorazione.

“Certo che mi piace!” disse. “È incredibile! Non avevo idea... non sapevo che fossi così brava. L’hai davvero fatto tu?”

Avere Lexa che ammirava il suo lavoro con così tanto entusiasmo era probabilmente la cosa più bella che le era mai successa.

“Si, amo dipingere. Prima lo facevo sempre, mia madre e mio padre dovevano fisicamente trascinarmi via dal cavalletto quando arrivava l’ora di cena.” Ridacchiò piano a quel ricordo, ma poi il suo cuore si riempì di tristezza. “Non l’ho più fatto per tanto tempo, però. Non so neanche cosa fosse successo. Non mi riconoscevo più”

“Cosa ti ha portato a dipingere di nuovo?”

Quegli occhi versi la guardavano con tanta curiosità, completamente ignari di tutto quello che Clarke avrebbe potuto fare per loro. La risposta alla domanda sembrò immensa quando la pronunciò.

“Tu.”

Era solo una parola, ma sembrò che avesse riempito l’aria intorno a loro con una presenza fisica quanto il pavimento che avevano sotto i piedi. Clarke vide negli occhi di Lexa qualcosa che non aveva mai visto prima. Erano pieni di amore e adorazione, ed erano rivolti a lei. Qualche mese prima non aveva idea che l’unica cosa di cui aveva bisogno per essere felice era Lexa che la guardava in quel modo. Ora lo sapeva e voleva che non finisse mai.

Ma finì.

All’improvviso l’espressione di Lexa cambiò drasticamente. Al calore sul suo volto si sostituì un’espressione terrorizzata. Di colpo, il dipinto ritornò nelle mani di Clarke
e Lexa si passò nervosamente le mani nei capelli, sembrava che ci fosse una battaglia dentro di lei.

“Io...” mormorò, guardando dappertutto tranne che Clarke. “Mi dispiace Clarke, io non... non posso.”

Poi si voltò e corse via nel corridoio, lasciando Clarke in uno stato di delusione e confusione.
 
Una settimana e due giorni di attesa per accontentare un po' tutti ;)

Forse, fooorse, Lexa ha capito qualcosa. Ora deve fare un discorsetto con se stessa per chiarirsi un paio di cose. Clarke la darà una mano? Ovviamente si.
Alla prossima, amici ;)

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Capitolo 13
*** La casa sull'albero ***


CAPITOLO 13
La casa sull'albero

Per la prima volta dopo mesi, Clarke era seduta con Raven e Octavia sulle gradinate, guardando il campo da football. Era una sensazione strana, era cambiato tanto dall’ultima volta che erano state lì. Se non li avesse vissuti in prima persona, avrebbe pensato che quegli ultimi mesi fossero un sogno. L’unica prova evidente degli ultimi eventi era l’ancora strana tensione che c’era nel rapporto tra Clarke e Octavia, come se si stessero conoscendo di nuovo per la prima volta nonostante si conoscessero da tutta la vita.

Finn si schermò gli occhi dal sole e fece un cenno nella loro direzione, proprio come aveva fatto l’autunno scorso. Era tutto come prima, ma allo stesso tempo sapevano che era diverso. Lo scorso semestre, Finn avrebbe salutato Clarke. Questa volta la sua attenzione era rivolta a Raven.

“Quindi è scappata all’improvviso?” chiese Raven, ritornando all’argomento di cui stavano discutendo già da qualche minuto.

“Si” sospirò Clarke sconfitta. “Un secondo prima sembrava felice come mai l’avevo vista, quello dopo mi ha ridato il regalo ed è corsa via...”

“È strano” disse pensierosa Octavia. “Stava cominciando a aprirsi con te, no? Cosa l’ha fatta spaventare in quel modo? Non capisco.”

“Io ho capito” disse Clarke “so esattamente come si è sentita. Ha questa idea che deve trascorrere il resto della sua vita da sola. Crede che ‘l’amore è debolezza’. Deve
essere piuttosto difficile per lei sapere cosa provo nei suoi confronti.”

“Sai che potrebbe provare anche lei qualcosa per te, no?” chiese Raven, guadagnandosi da Clarke solo un’occhiata silenziosa. “Hai detto che hai visto qualcosa quando ti guardava.”

“Lo so, lo so” disse Clarke, suonando molto angosciata. “è solo che non voglio sperare tanto. Non posso essere sicura di ciò che ho visto. In fondo non ci sono molte
ragioni per cui io possa piacerle.”

“Ti sei scavata da sola una fossa profonda questa volta, devo ammettere.” Disse Raven.

“Raven! Dovremmo cercare di tirarle su il morale!” La rimproverò Raven.

“Va bene” la fermò Clarke “Raven ha totalmente ragione, come sempre” aggiunse con un occhiolino verso Raven. “Non sono mai stata così depressa per tutti questi
mesi per niente!”

“Lo sappiamo” disse Octavia e le accarezzò un braccio per confortarla. “Ma ora devi solo fare ciò che facevo io quando non mi parlavi: accetti che hai fatto qualcosa di sbagliato, la aspetti, lei può lasciarti entrare nella sua vita se è pronta o può non farlo. In questo caso, Rae e io ti aiuteremo a superare questo casino, capito?”

“E se non voglio superarlo?” sospirò Clarke. “Se lascio che mi spezzi il cuore per l’eternità invece che smettere di amarla?”

Sia Octavia che Raven la fissarono scettiche con le fronti corrugate.

“Qui c’è materiale profondo per Shakespeare.”

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E lo era davvero. Una di quelle storie d’amore sdolcinate che la gente conosce dall’inizio dei tempi. E Clarke non sapeva se ci sarebbe stato il lieto fine o no. Non aveva
visto molto Lexa nella settimana successive al suo tentativo fallito di darle il regalo. Era chiaramente una scelta intenzionale dell’altra ragazza, che si stava attivamente impegnando ad evitarla ogni volta che si avvicinavano.

Clarke stava cercando di seguire il consiglio di Octavia e aspettare che Lexa fosse pronta, ma era veramente difficile guardarla chiudersi in se stessa e non essere in grado di fare niente a riguardo. Perché Lexa non sembrava per niente felice. Non camminava più a testa alta, ma invece guardava il pavimento come se stesse cercando di bloccare fuori il resto del mondo. Si nascondeva in libreria per gran parte del giorno, e in classe era molto meno entusiasta del solito di imparare. Invece di ascoltare attentamente, prendendo appunti e facendo domande, Clarke la vedeva appoggiata allo schienale della sedia a guardare fuori dalla finestra per quasi tutto il tempo.

Era davvero orribile vederla così. Amarla con tutto il suo cuore e volere nient’altro che renderla felice, ma non essere abbastanza vicina a lei per farlo.

Finalmente un pomeriggio dopo le lezioni, quando mancavano solo poche settimane al diploma, Clarke non riuscì a trattenersi dal raggiungerla. Successe quando stava
raccogliendo dal suo armadietto le cose che le sarebbero servite durante il fine settimana. Invece di vederla, quasi percepì Lexa che camminava nel corridoio. Provò a non guardarla, ma neanche insultò se stessa tentando di convincersi che non lo stava facendo. Era mezza nascosta dietro il suo armadietto aperto, ma i suoi occhi seguirono Lexa mentre la ragazza attraversava il corridoio, le mani nelle tasche della sua grande felpa nera e gli occhi incollati al pavimento.

Per qualcuno che sembrava così sconfitto, a Clarke sembrava comunque una dea, e il battito del suo cuore ne era la prova. La vedeva in giro così raramente che si era quasi dimenticata l’effetto che Lexa aveva su di lei. Poteva trascorrere un giorno intero e non ricordarsi esattamente come le toglieva il respiro, e poi all’improvviso in momenti come quello avrebbe visto Lexa nel corridoio e tutto il suo mondo si sarebbe fermato.

Ma quello specifico pomeriggio, il mondo riprese a girare in un secondo quando un gruppo di ragazzi stava camminando nella direzione di Lexa e uno di loro volontariamente le colpì la spalla prima di continuare verso la direzione opposta. Lexa, che di solito avrebbe risposto con una risposta arguta o almeno con un’occhiata minacciosa, non sollevò neanche lo sguardo dal pavimento. Inciampò nei suoi piedi e continuò a camminare verso l’uscita. Clarke chiuse velocemente l’armadietto e seguì Lexa, raggiungendola fuori sul prato. Non voleva disturbarla fermandola, così cominciò a camminare al suo fianco.

“Lexa” disse dolcemente, non causando nessuna reazione visibile “quei ragazzi sono stati stronzi con te e tu li ha lasciati andare. Sei infelice e vorrei che ti lasciassi
aiutare. Ti prego, parla con me.”

La testa di Lexa finalmente scattò in alto, il suo sguardo lanciava pugnali a Clarke.

“Non ho bisogno del tuo aiuto!” sputò, ma quando il volto di Clarke si rattristò, la bionda poté vedere un lampo di dispiacere nei suoi occhi.

“Lo so che non ne hai bisogno” la rassicurò subito Clarke. “ma solo perché puoi fare tutto da sola per tutto il tempo non vuol dire che devi.”

Lexa finalmente si fermò e rimasero l’una di fronte all’altra sotto l’enorme platano tra la palestra e il parcheggio.

“Perché lo stai facendo?” Domandò Lexa.

“Perché m’importa di te!”

“Bè, devi smetterla!”

Clarke voleva urlare la sua risposta, ma un gruppo di studenti passò vicino a loro, così aspettò che si allontanassero per non farsi sentire. Poi mormorò la risposta.

“Non posso.” I suoi occhi stavano nuotando nei sentimenti. “Nessuno può scegliere se tenere o no a qualcuno. O t’importa o no, e a me importa. Tengo a te. Così tanto che mi sta uccidendo vederti lontana dal mondo in questo modo. Eri così aperta prima. Ti stavi divertendo, ti ho vista. Cosa è successo?”

“Mi sono ricordata perché non posso esserti amica.” Lexa rispose, la sua espressione ancora fredda e Clarke non potè nascondere quanto triste l’avevano resa quelle parole.

“So che non posso cancellare quello che ho fatto” disse quasi in un sussurro. “Non stavo cercando di fartelo dimenticare, volevo solo essere gentile con te.”

Lexa senza dubbio notò lo sconforto di Clarke, e nonostante cercasse di mantenere stoica la sua espressione, anche i suoi occhi erano pieni di dolore.

“Lo sai che odio essere dipendente dalle altre persone!” Urlò disperata.

“Lo so.”

“Quindi non voglio sentirmi cosi!” Continuò, e all’improvviso i singhiozzi che stava trattenendo ruppero la sua voce. Lacrime cominciarono a scendere dagli occhi, ma se le asciugò furiosamente prima di continuare. “Non voglio pensare a te per tutto il tempo! Non voglio che sia così difficile distogliere lo sguardo quanto tu entri in una stanza! Non voglio essere più felice quando ti vedo e delusa quando non ci sei. La vita è piena di fallimenti e permettermi di provare queste cose ne porterà solamente altri! Non posso stare vicino a te!”

Non era quello che Clarke si aspettava di sentire. In un certo senso era quello che sperava, ma non ci aveva mai creduto veramente. Una parte di lei stava scoppiando
di gioia alla scoperta che i suoi sentimenti erano ricambiati. L’altra metà stava piangendo con Lexa, devastata perché per la ragazza doveva essere così difficile, la faceva soffrire così tanto. Cercando di dare a tutto un senso, non sapeva da dove iniziare, cosa avrebbe dovuto dire per far sentire meglio Lexa.

“Tu... tu pensi a me?” Fu tutto quello che riuscì a dire alla fine.

Si rimproverò perchè in quel momento di sofferenza condivisa, riuscì comunque a trovare il tempo per pensare quanto voleva sentire Lexa ripetere quelle parole ancora e ancora.

Finalmente Lexa sembrò rendersi conto di quello che aveva detto e si agitò distogliendo lo sguardo. Rendere manifesti i suoi sentimenti apparentemente non era stato intenzionale, e ora era consapevole che era troppo tardi per rimangiarsi quelle parole. Clarke voleva dire qualcosa subito prima che Lexa si chiudesse di nuovo in se stessa.

“Non ti preoccupare” disse “se è vero, questo non deve cambiare niente. Non devi pensare che io voglia che noi... cioè, possiamo rimanere come siamo. Non lo userò contro di te.”

“Non è quello,” borbottò Lexa, le spalle le crollarono. “Stare vicino a te mi rende vulnerabile. Non posso permettermelo.”

“Perché?” Insistette Clarke. “Siamo tutti vulnerabili. Di cosa hai paura?”

“Potrei farmi male.”

Clarke riuscì a malapena a sentire le parole, erano così silenziose. Ma vide la ragazza ferita di fronte a lei, e capì benissimo come si sentiva. Fece un piccolo passo avanti. Era solo un centimetro, ma sapeva che era una cosa rischiosa da fare.

“Potrebbe succedere anche a me, Lexa.” Disse, aspettò fino a che la ragazza alzò lo sguardo per assicurarsi che le parole affondassero. “Dio, non hai idea di quanto potresti farmi male.”

Lexa sembrava un po’ confusa.

“Allora per quale assurda ragione vuoi rischiare?” Chiese.

Un altro passo avanti.

“Perché tu sei tu.” Rispose Clarke. “E sei incredibile. Considerando quanto meravigliosa penso che sia ogni cosa che fai, probabilmente mi piacerebbe anche farmi fare
male da te.”

“Sembra una pazzia.”

Clarke ridacchiò.

“Si bè, tu mi fai impazzire.”

D’un tratto l’atmosfera era più leggera. Lexa sembrava più rilassata, anche se ancora triste.

“È solo che non penso che sarò mai pronta ad essere vicina a qualcuno in quel modo.” Sussurrò.

“Va bene” la rassicurò Clarke. “Non è quello che ti sto chiedendo di fare, almeno non qui con me. Ma spero che un giorno arrivi qualcuno con cui ti senta a tuo agio abbastanza da aprirti un po’. Lo so che pensi che l’amore è debolezza, che la vita è troppo corta per rischiare di farsi male. Ma sinceramente, se trascorri tutta la tua vita spaventata di vivere, avrai vissuto veramente?”

Riusciva a vedere le rotelle girare nella mente di Lexa, le sue parole l’avevano colpita vicino e lo sapeva. Aveva paura di aver spinto troppo, ma allo stesso tempo
sapeva che Lexa aveva bisogno di sentire quelle parole. Niente la spaventava più del pensiero di Lexa che non provava a essere felice. Si meritava molto di più di
quello che pensava di meritare.

Un lungo silenzio seguì le sue parole. Nessuna delle due sapeva cosa dire. Alla fine, vennero interrotte da Diane che si avvicinò dal parcheggio guardandole confusa.

“Perché non vieni, Lexa?” chiese, lo stupore attraversò il suo volto quando vide le due ragazze insieme. “C’è qualche problema?”

Lexa scosse velocemente la testa, e tornò a guardare Clarke.

“Devo andare” si scusò, e prima che Clarke se ne rendesse conto, Lexa era andata via.

Sperò solamente che Lexa avrebbe ricordato le sue parole, e che in qualche modo le avrebbe ascoltate.

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Il primo giorno di scuola dopo il fine settimana, Clarke prese il pranzo prima delle sue amiche e si sistemò da sola ad un tavolo della caffetteria. Occupò un tavolo vuoto, in attesa delle sue amiche concentrandosi a cercare di aprire il suo piccolo pacco di cracker, quando qualcuno senza dire un parola si sedette di fianco a lei. Alzò lo sguardo e il pacco di cracker le scivolò via dalle mani sul pavimento quando vide vicino a lei Lexa. Clarke la fissò a bocca aperta mentre Lexa la guardava a sua volta con uno sguardo che, tra le righe, diceva:

Lo so, questo è strano. Ci sto provando e sto facendo un passo importante, per favore non parliamone.

“Ciao!” disse infine Clarke.

“Ciao” rispose Lexa, prima di piegarsi a prendere i cracker di Clarke. “Ti sono caduti questi.”

Clarke annuì solamente mentre prendeva il pacchetto dalla mano di Lexa. In quel momento si avvicinarono Raven e Octavia con i loro vassoi, fermandosi quando videro chi si era unita al loro tavolo. Octavia sembrava un pochino terrorizzata.

“Mi vado a sedere là.” Mormorò a Raven, puntando in una direzione a caso, dove in realtà non conosceva nessuno, e prima che prima che qualcuno potesse reagire, se ne era già andata.

Raven la guardò delusa, ma subito mascherò la sua delusione con un sorriso e si sedette, chiaramente provando a fare sentire Lexa benvenuta.

“Hey voi due” disse “Lexa, sei mancata a tutti. Sono felice che sei ritornata!”

Lexa sussurrò timidamente qualche tipo di risposta, prima di portare la sua attenzione al cibo. Clarke e Lexa si scambiarono uno sguardo, Clarke ancora sorpresa e
Raven felice per lei.

Nei giorni successive, Lexa continuò a provarci. Si sedeva con loro a pranzo, a volte camminava con Clarke quando andavano a lezione e le offriva un sorriso timido quando i loro occhi si incontravano nel corridoio. Si stava impegnando, e Clarke sapeva quanto era difficile per lei, ma sembrava di nuovo felice e questa era la cosa più importante.

C’era un problema però ed era la situazione di Lexa e Octavia. Octavia all’inizio era esitante anche a mostrare la faccia in presenza di Lexa.

“Non voglio farla scappare di nuovo ora che finalmente ha ripreso a parlare con te!” Diceva.

Ma alcuni giorni dopo che Lexa pranzava con loro, Octavia sembrò accettare il fatto che a Lexa andava bene se si sedeva anche lei, e provò ad unirsi a loro, mantenendo un profilo basso. Anche se aveva detto a Lexa che si era pentita delle sue azioni, non si aspettava di essere perdonata.

Un giorno Clarke arrivò in caffetteria e vide Lexa e Octavia da sole al solito tavolo, immerse in una conversazione. Quella vista la sconvolse, e più tardi ne parlò con Lexa.

“Ti sta bene stare insieme ad Octavia?” Disse.

Lexa scrollò le spalle e non sembrò disturbata dalla domanda come Clarke aveva pensato.

“Non è la mia persona preferita” ammise “ma è la tua migliore amica.”

“Ci stiamo lavorando” disse Clarke “è complicato.”

“Qualsiasi cosa siate, dovrò sicuramente abituarmi ad averla in giro. Non ha bisogno di essere la mia migliore amica, ma posso vivere con la sua presenza. In realtà se la conosci ci puoi fare belle conversazioni.”

In quel momento Clarke la ammirò tantissimo per saper affrontare la situazione così bene. Stava andando molto meglio di come si era immaginata.

C’era però una tristezza che le cresceva nel petto mentre si avvicinava il diploma. A parte la classica malinconia di lasciare parte della tua vita alle spalle, cosa che molti sembravano stessero provando, Clarke aveva a che fare anche con il non sapere come stavano le cose con Lexa. Era sicura di alcune cose:

1. Provava qualcosa per Lexa.

2. Lexa provava qualcosa per lei.

3. Lexa non era pronta per una relazione.

4. E neanche per essere amiche, forse.

Non aveva idea di dove erano rimaste, e questo le causava un sacco di notti senza sonno. Non aiutava il fatto che il diploma era dietro l’angolo, lasciandole quasi mai tempo per parlare, e la consapevolezza che presto sarebbero state lontane.

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“È arrivato il momento” disse Octavia, mentre le raggiungeva sulla gradinate.

Clarke era seduta con Raven, Maya, Harper, e, con suo grande piacere, con Lexa, che stava aspettando che sua madre la venisse a prendere e durante l’attesa non le
dava fastidio la compagnia.

“Oh si” rispose Raven sogghignando, mentre Maya e Harper sorridevano. Lexa era l’unica che sembrava confusa. Octavia lo notò e subito spiegò.  

“L’annuale festa di fine anno a casa dei Blake” spiegò. “La festa più grande e più epica, solo che quest’anno sarà ancora migliore. Io e mio fratello di solito organizziamo questa cosa insieme, ma dato che al momento non andiamo molto d’accordo l’ho buttato fuori e la sto organizzando da sola. Tutti sono invitati, come sempre, tranne gli
idioti. Visto che Bellamy non può dire niente sulla lista degli invitati potete aspettarvi una folla di persone più di buon senso. Quest’anno possono succhiarmelo.”

“Ben detto!” disse Raven e l’abbracciò presa dall’entusiasmo.

Anche Clarke era felice. Fino a quel momento non si era resa conto che le mancavano le feste. Si era lasciata alle spalle tante parti di lei, parti che non avrebbe mai valuto che ritornassero ad essere sue. Ma la regina delle feste Clarke Griffin era una persona che le mancava. Le mancava essere un po’ brilla, parlare con persone con cui non aveva mai parlato prima, sentire la sua canzone preferita e ballare come se non ci fosse un domani. La faceva sentire viva come nessun’altro riusciva. Ora che era più o meno felice, era sicura che si sarebbe divertita ancora di più. Soprattutto se Lexa avrebbe voluto andarci, cosa che dubitava ma che sperava fortemente.

“Puoi venire se vuoi” sussurrò a Lexa guardandola speranzosa.

Lexa d’un tratto sembrò timida.

“Non penso di essere invitata…” disse, ma Octavia, che l’aveva sentita, la rassicurò immediatamente.

“Certo che sei invitata!” Disse. “Chiunque sia dignitoso è invitato. Tu sei tipo la più dignitosa di tutti noi, e quindi vuol dire che sei più invitata di Clarke.”

Clarke finse un’espressione offesa. Lexa sorrise piano alle parole di Octavia.

“Almeno ci pensi?” chiese Clarke. “Ci diplomeremo presto, questa potrebbe essere la tua ultima occasione per andare ad una festa del liceo.”

Per sua sorpresa, Lexa sbuffò.

“Chi l’ha detto che non sono mai andata ad una festa di liceo?”

Tutte le altre ragazze la guardarono sorprese.

“Ci sei andata?” Chiese Clarke.

“Mmh” rispose Lexa come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Probabilmente molto prima di quando voi avete iniziato ad andarci. Ho una cugina più grande, ricordi?”

“Okay allora...” Disse Clarke, cercando di non sembrare così stupita. Non sapeva perché la sorprendeva così tanto. Forse in qualche modo pensava di essere andata ad
ogni tipo di festa che la città offriva e che, dato che non aveva mai visto Lexa a nessuno di questi, la ragazza semplicemente non partecipava alle feste.

“Ci penserò” disse Lexa, e colpì scherzosamente il fianco di Clarke per farla smettere di essere così imbarazzata.

Ci avrebbe pensato? A Clarke poteva andare decisamente bene.

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Qualche giorno dopo, venerdì pomeriggio, Clarke si stava preparando per la festa. Lei e Raven erano già a casa di Octavia, per riordinare e spostare i mobili per fare più spazio. In realtà Clarke e Octavia spostavano i mobili mentre Raven, la cui gamba non poteva sopportare il peso, gli urlava parole più o meno incoraggianti lanciandogli addosso patatine al formaggio.

Le feste a casa dei Blake erano sempre organizzate con poco preavviso. Non c’era bisogno di invitare la gente più di qualche giorno prima, la casa sarebbe stata comunque piena. Clarke si era preparata per molte di quelle feste, e si era sempre divertita a farlo. Ma non si era mai sentita così nervosa prima. Ed era chiaramente perché le altre volte prima Lexa non aveva mai promesso di venire.

Alla fine era venuto fuori che in realtà Lexa non era così contraria all’idea, e aveva accettato di venire, cosa che rendeva a Clarke scegliere un outfit cento volte più difficile. Aveva portato diverse alternative e ora se le stava provando una dietro l’altra.

“Cosa pensate che le piaccia?” chiese.

“Non parla molto, come pensi che possiamo saperlo?”

“Volevo dire che tipo di impressione vi dà?”

Entrambe la guardarono e ci pensarono per un momento.

“Lei ha sempre uno stile tipo rock chic” fece notare Raven. “Quindi magari i jeans neri e il top rosso?”

Clarke indossò il top rosso in un secondo. Era uno dei suoi preferiti quindi forse sarebbe piaciuto anche a Lexa.

“Farà un caldo assurdo qui” aggiunse Octavia “I jeans lunghi neri non sono i tuoi migliori amici oggi. Prova di nuovo i pantaloncini.”

Clarke sospiro.

“Non voglio mettere qualcosa di troppo esagerato. Non voglio che pensi che mi aspetto che debba succedere qualcosa...”

“Dio santo, Clarke!” Disse Raven. “Trattale bene e la scelta dei vestiti non importerà!”

Raven aveva ragione, di nuovo.

“Okay” borbottò Clarke, e poi sul suo volto apparve un sorriso. “Presto vedrò Lexa!”

“Lo sappiamo, lo sappiamo. Sei perdutamente innamorata e tutto il resto. Ora mettiti qualcosa addosso!”

Clarke non era l’unica che quella sera si stava vestendo per fare colpo. Ci sarebbe stato anche Finn, e a differenza di Clarke, Raven si aspettava decisamente che
sarebbe successo qualcosa. Aveva indossato il suo vestito estivo rosso, agghindandosi molto di più di come faceva di solito, e quando uscì dal bagno con il suo outfit facendo una giravolta, fece rimanere Octavia a bocca aperta.

“Come sto?” chiese.

Octavia le sorrise in adorazione.

“Bellissima” disse, e si voltò subito molto orgogliosa verso Clarke. “Non è bellissima? Guardala! È la nostra Raven!”

E prima che Raven potesse reagire venne quasi placcata quando le sue due amiche la schiacciarono in un abbraccio stretto ancora una volta, coprendole le guance di baci. Era qualcosa che era successa molte volte in quelle settimane.

“Cosa c’è che non vai in voi?” chiese imbronciata, ma non riuscì a nascondere un sorriso. “Da quando avete cambiato vita, vi comportate come se foste le mie mamme!”

“Ti vogliamo solo tanto bene!” Affermò Octavia, mentre Clarke sussurrava: “Tu sei importante.”

Sarebbe stato un lungo pomeriggio per Raven Reyes.

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Erano le 10.35 e la festa era iniziata già da quasi un’ora quando Lexa finalmente attraversò la porta. Clarke aveva guardato la porta non proprio discretamente da quando i primi ospiti avevano cominciato ad arrivare, non volendosi perdere l’arrivo di Lexa. Quando infine Lexa entrò in casa si rese conto di quanto non era sicura se sarebbe effettivamente venuta. Vederla lì fu per Clarke una sorpresa davvero piacevole.

Anche Lexa la vide, s’incontrarono al centro della stanza, e si salutarono timidamente. Lexa era stupenda, i suoi capelli mossi le ricadevano sulla schiena e i suoi occhi erano come sempre straordinariamente verdi. Indossava il suo solito paio di jeans neri, ma anche una canotta bianca molto carina, che a Clarke piacque molto. Non aveva mai visto Lexa indossare altri colori se non il nero. Ora poteva vedere le sue lunghe braccia e le sue clavicole affilate, e ogni cellula del suo corpo desiderava toccarla. Tuttavia, non poteva essere lei a fare la prima mossa. Avvicinarsi alle persone terrorizzava Lexa, e andare troppo veloce l’avrebbe solo fatta spaventare.

La loro interazione venne interrotta quando una ragazza della loro scuola si avvicinò e presentò uno studente appena arrivato per lo scambio francese, e chiese a Lexa di andare con loro e fare da traduttrice, dato che aveva studiato il francese per molti anni a scuola. Lexa sembrò eccitata dall’idea e Clarke le assicurò che andava bene che parlasse con altre persone. Un secondo dopo che Lexa si era allontanata, Raven portò Clarke dall’altra parte del salotto per farle vedere come batteva tutti i ragazzi a scacchi con liquore.

All’inizio, a Clarke non aveva dato fastidio essere lontana da Lexa. Era felice che la ragazza stesse conoscendo nuova gente e si stesse divertendo. Ma era passata un’ora e continuavano ad essere portate in direzioni diverse da diverse persone, troppo gentili per interrompere o rifiutare. I loro occhi però s’incontrarono più volte tra la folla, e ogni volta si scambiarono sorrisi. Sembrava come se ci fosse un filo che le collegasse l’una all’altra. Anche quando erano impegnate con altre persone sapevano sempre dove l’altra si trovasse.

Tranne un sorso del drink che Octavia aveva proclamato essere il suo nuovo capolavoro, Clarke non bevve altro quella sera. Voleva rimanere attenta, ricordare ogni secondo di quella notte. Neanche Lexa bevve, notò guardandola.

Qualcuno che invece bevve fu Niylah, una ragazza con cui Clarke aveva condiviso un sacco di risate durante le feste degli anni precedenti. Ad un certo punto della serata, le ricordò il fatto che Clarke le aveva promesso, tanto tanto tempo fa, che una giorno le avrebbe fatto un body shot, e che Clarke non aveva ancora mantenuto quella promessa. Clarke, che non se la sentiva per niente di fare body shot con qualsiasi ragazza (che non fosse Lexa), aveva bisogno di un piano di fuga. Sgattaiolò discretamente in cucina, dove beccò la ragazza a cui aveva pensato per tutta la sera, immersa in una conversazione. Sorrise mentre si avvicinava, e quando Lexa la vide le ricambiò il sorriso, non più tanto interessata alla persona con cui stava parlando.

Le due finalmente si spostarono per poter parlare da sole.

“È da tanto che non ci vediamo” sussurrò Clarke nell’orecchio di Lexa.

“Si” soffiò Lexa.

“Ti stai divertendo?” le domandò Clarke.

Lexa annuì allegra.

“Bene” disse Clarke sollevata “posso mostrarti una cosa?”

L’ultima parte suonò un po’ nervosa, ma il cenno del capo di Lexa e il suo sorriso rassicurante le fecero sentire leggera. Prese dolcemente la mano di Lexa nella sua, facendo trattenere il respiro dell’altra ragazza, e cominciò a guidarla attraverso la folla. Raggiunse la porta per la veranda sul reto e uscì nell’aria della notte, a malincuore lasciò andare la mano di Lexa ora che non aveva più un motivo per stringerla.

Attraversò tutta la veranda e il prato, fino a fermarsi sotto una grande quercia alla fine del giardino.

“Cosa volevi mostrarmi?” Chiese Lexa con curiosità.

Clarke alzò una mano e trovò una fune sottile che si nascondeva dietro al tronco.

“Fai un passo indietro” la avvisò, prima di tirare la fune e far cadere tra di loro una scala di corda.

Gli occhi di Lexa si spalancarono e piegò la testa all’indietro per guardare nella chioma dell’albero. La casa sull’albero era difficile da notare, specialmente di notte, e se
non sapevi dove guardare probabilmente non l’avresti vista.

“Wow” sospirò Lexa incantata “non l’avevo proprio vista.”

“Vuole fare un giro, signorina?” Chiese Clarke con esagerata cavalleria.

Lexa riportò lo sguardo su di lei.

“Sarebbe un onore.” Continuò a giocare.

Clarke le fece cenno di arrampicarsi per prima, e Lexa timidamente si avvicinò alla scale e cominciò a salire. Quando infine anche Clarke si arrampicò attraverso la botola, la trovò seduta vicino alla finestra, a guardare il cielo notturno. Clarke tirò su la scala così non sarebbero state disturbate.

“Hai imparato davvero alcune costellazioni?” Chiese Lexa quando Clarke la raggiunse vicino alla finestra.

“Si” rispose Clarke. “Me le ricordo ancora. Quelle dello zodiaco sono quelle che mi piacciono di più. Ognuno nel mondo può riconoscersi in una di loro, giusto? Quindi
possiamo tutti guardare al cielo e vedere una parte di noi.”

Lexa sembrò un po’ sorpresa dalla profondità di quelle parole, ma le piacquero comunque.

“Mi piace l’idea” disse “che segno sei?”

“Scorpione” rispose Clarke. “Tu?”

“Cancro” disse Lexa e un sorriso mosse le sue labbra. “I nostri segni sono molto compatibili, lo sapevi?”

Clarke scosse le testa, ma non era sorpresa. Lexa era tutto quello che desiderava, quindi dovevano avere almeno qualcosa che le avvicinava.

Rimasero in silenzio per qualche momento prima che Clarke affrontasse l’argomento di cui nessuna delle due voleva parlare.

“Quindi, presto partiremo entrambe.”

Lexa abbassò lo sguardo sul pavimento di legno consumato, dove Clarke aveva trascorso infiniti giorni della sua infanzia.

“Si.”

“Poi ti vedrò di nuovo?”

Lexa la osservò per un momento.

“Certo che mi vedrai.”

“Non credevo che fosse così ovvio” disse Clarke. “Non so nemmeno cosa sono per te…”

“Sei mia amica!” Rispose Lexa.

“Giusto” mormorò Clarke. “Amica.”

Lexa sospirò.

“Lo sai cosa provo per te.” Sussurrò pianissimo.

“Cosa provi per te?”

“Come se devo stare sempre vicino a te o impazzirei.”

“È come mi sento anch’io.” Mormorò Clarke.

“Non dovremmo andare oltre. Non funzionerebbe mai, perchè non lo capisci?”

Lexa era così decisa, eppure le sue parole la facevano sembrare così triste.

“Cosa credi che dovremmo fare allora?” Chiese Clarke. “Andremo ad università diverse, ci rivedremo di tanto in tanto e dovrò fare finta che non mi fai battere il cuore
fuori dal petto? Cominciamo ad incontrare altra gente? Altre persone che non mi fanno sentire come mi fai sentire tu.”

“Come se tu avessi problemi a trovare qualcuno.” Sbuffò Lexa, cercando di mandare via il fastidio. “Hai già un sacco di alternative!”.

“Tipo chi?” chiese Clarke divertita.

“Come quella ragazza Niylah che ti ha cercata prima” disse Lexa, distolse lo sguardo mentre parlava. Stava serrando la mascella e all’improvviso si era irrigidita.

Clarke vide quanto era difficile per lei parlarne, e capì che doveva essere come quando lei aveva visto Lexa e Anya e pensato che fossero una coppia.

“Lexa” disse dolcemente e appoggiò una mano sul braccio della ragazza. “Nessuno è speciale quanto te. Tu sei quella a cui tengo.”

Lexa sembrava così fragile, e a quella vista gli occhi di Clarke nuotarono nelle lacrime.

“Lo so” disse Lexa. “È solo che l’idea di chiamarti la mia... mia ragazza, è veramente spaventosa.”
 
“Non devi chiamarmi in nessuno modo!” Disse Clarke, mentre le lacrime cominciarono a scenderle sulle guance. “Ma io sarò per sempre tua quando lo vorrai.”

Solo pochi centimetri le separavano ora. Lexa aveva visto le sue lacrime e aveva alzato una mano per asciugarle piano una guancia. Quel tipo di contatto era il più intimo che avessero mai avuto, e il cuore di Clarke accelerò di colpo. Un’altra lacrima scese da un occhio di Clarke, e questa volta Lexa si avvicinò e premette le labbra sulla guancia, baciandole quella lacrima. Si bloccò lì davanti, le loro fronti quasi si toccavano, e quando si avvicinò di nuovo, poggiò le labbra su quelle di Clarke.

Baciare Lexa era qualcosa che Clarke non aveva mai provato con nessun altro. Sentiva come se stesse galleggiando, volando addirittura. Le loro labbra si completavano così bene insieme, quasi come magneti. Più a lungo si baciavano, più erano disperate di avvicinarsi quanto più possibile all’altra. Premevano i loro corpo quanto più potevano, la testa di Lexa era tra le mani di Clarke e Clarke era bloccata nell’abbraccio stretto delle sorprendenti braccia forti di Lexa. Forse erano le settimane e i mesi di attesa, forse era la consapevolezza che presto sarebbero state lontane. In ogni caso, non ne avevano mai abbastanza l’una dell’altra.

D’un tratto, Lexa acchiappò la stoffa del top che Clarke aveva scelto attentamente e lo tirò un poco. Si allontanò per un attimo per guardare Clarke negli occhi.

“Va bene?” Chiese.

Clarke in quel momento non aveva idea di come funzionassero le parole, quindi annuì solamente. Lexa riprese a togliere il top sfilandolo dalla testa di Clarke e poi
spostò le sue labbra sul suo collo e sulle clavicole. Clarke inclinò la testa all’indietro, mentre vedeva le stelle nell’interno delle sue palpebre. I suoi occhi si aprirono di
scatto e guardarono il soffitto della casa sull’albero e poi guardò in basso Lexa che stava ancora lasciando baci sul suo collo.

“Lexa, aspetta!”

La testa di Lexa si alzò di scatto e la guardò preoccupata.

“Cosa è successo?”

Clarke si morse il labbro inferiore.

“Non l’ho mai fatto prima…” disse “con un ragazza, voglio dire.”

Lexa le sorrise rassicurante.

“Non ti preoccupare, io sì.”

Gli occhi di Clarke si spalancarono sconvolti per la milionesima volta da quando aveva cominciato a conoscere bene Lexa.

“Davvero? Aspetta, chi era?”

Lexa la zittì.

“È una storia per un altro giorno. Ora, ti fidi di me?”

Clarke annuì solamente.

“Riprendiamo da dove ci eravamo fermate, allora.”
 
Vi riporto la nota che l'autrice ha scritto alla fine di questo capitolo su Ao3:
"Mi piaceva l'idea che nonostante Lexa non sia pronta per qualcosa di emotivo, è in realtà più esperta sul piano fisico, sessuale. Questo non cancella gli ostacoli dei sentimenti, spero che non sia troppo fuori dal personaggio."

Ed eccoci qua! Mai, mai perdere la fiducia in Clarke Griffin, ci sa fare con le parole eh? Che dite, siete soddisfatti?

Ora aspettiamo tutti insieme l'ultimo capitolo, non appena sarà pubblicato lo traduco e lo pubblico qui ;) Posso ufficialmente dirvi che un'altra autrice mi ha dato l'ok per tradurre e pubblicare la sua ff. Sara qualcosa di molto più leggero e fluff di questa ;) Su Ao3 è in corso, quindi aspetterò che vada un po' avanti lì prima di cominciare a pubblicarla qui. Se volete farmi domande, darmi risposte, parlare di qualsiasi cosa mi trovate anche su Twitter (@Ila_always) ;)

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