Dark Eagle

di Asia Dreamcatcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anno Nuovo Problemi Nuovi ***
Capitolo 2: *** Dritto al cuore ***
Capitolo 3: *** Sotto Scacco ***
Capitolo 4: *** Il Momento della Verità (parte I) ***
Capitolo 5: *** Il Momento della Verità (parte II) ***
Capitolo 6: *** Decisioni Difficili ***
Capitolo 7: *** The Show must go on (parte I) ***
Capitolo 8: *** The Show must go on (parte II) ***
Capitolo 9: *** Who is the first to burn? ***
Capitolo 10: *** La verità svelata ***
Capitolo 11: *** Collapse ***
Capitolo 12: *** Sin ***
Capitolo 13: *** Falling into pieces ***
Capitolo 14: *** A new day has come ***
Capitolo 15: *** Blind Spot ***
Capitolo 16: *** Ombre ***
Capitolo 17: *** Legami ***
Capitolo 18: *** Way down we go ***
Capitolo 19: *** Pain ***
Capitolo 20: *** ...United we stand ***
Capitolo 21: *** Back to Home ***
Capitolo 22: *** Back to Home (parte II) ***
Capitolo 23: *** "Warning" ***
Capitolo 24: *** Point of Break ***
Capitolo 25: *** Family ***
Capitolo 26: *** Effetto Sorpresa ***
Capitolo 27: *** Motherhood ***
Capitolo 28: *** Perdonami padre perché ho peccato ***
Capitolo 29: *** Home sweet home ***
Capitolo 30: *** Per aspera ad astra ***
Capitolo 31: *** Born for this ***
Capitolo 32: *** All'ultimo respiro ***
Capitolo 33: *** Happy Ending ***
Capitolo 34: *** - Extra - Fiori d'Arancio ***



Capitolo 1
*** Anno Nuovo Problemi Nuovi ***


01 ...
...
... Un bel respiro e... Eccoci di nuovo qui con il primo capitolo di questa folle terza parte! Dunque... per il momento lascerò che a parlare sia il capitolo stesso; ma tengo a fare una precisazione per chi non seguisse la storia dal principio, ovvero da "Lasciati Salvare", "Dark Eagle" è il diretto continuo di "La Danza della Stanza Rossa" per questo motivo consiglierei a chiunque non l'avesse letta di andare a darci un'occhiata al fine di comprendere meglio personaggi e situazioni presenti in questa storia :) Vi ringrazio fin da subito (come al solito ci si vede a fondo pagina!)
Buona Lettura!



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Capitolo Uno: Anno Nuovo Problemi Nuovi






Non importa chi vince o chi perde,

i guai tornano sempre...”

~ Nick Fury, “Avengers Age of Ultron”


Novembre, New York City.

Driiin”

Al suono della campanella gli eleganti corridoi della Dalton School si gremirono di giovani studenti e del loro allegro e confuso chiacchiericcio.

«La lezione di oggi è stata un trauma! Odio fisica!» borbottò una ragazzina dai corti capelli biondi, appoggiandosi di peso contro la fila di armadietti e rivolgendosi a una sua quasi coetanea estremamente carina, dai lunghi capelli color cioccolato – stretti in una morbida treccia a spina di pesce – e luminosi occhi grigi.

«Dai, non è stata poi così tragica» ridacchiò quest’ultima riponendo con cura i suoi appunti e afferrando un grosso volume di matematica avanzata.

«Parli facile tu! Sei un genio» replicò la biondina con un broncio divertito;

«Ma no dai» rise Alexandra Constantin portandosi una ciocca dietro l’orecchio, lievemente imbarazzata.

«Senti, oggi sei libera?»

«No mi spiace Ash… Oggi devo proprio allenarmi, tornerò con Jace…» spiegò mordendosi il labbro, gli occhi dell’amica si illuminarono;

«Oh Jace! Ascolta non è che metteresti una buona parola per me con lui? È troppo carino!» trillò, Alex alzò gli occhi al cielo e scosse il capo leggermente divertita;

«Guarda che non è così inavvicinabile»

«Bah sarà! Ma non so se hai notato che a parte te non bada nessun’altra ragazza!?» protestò l’amica gonfiando le guance. Alexandra arrossì sentendo il cuore sussultare appena.

«Ti sbagli».


«Ehi Jace!» gridò la quasi tredicenne all’uscita della scuola, attirando l’attenzione di un ragazzo alto e dalle spalle larghe. I suoi occhi blu oltremare guizzarono nella direzione della voce mentre la mano correva a scompigliarsi la folta zazzera bionda. Le sue labbra carnose e pallide si stesero in un enorme sorriso caldo. Un gruppetto di ragazze accanto a lui e ai suoi amici sorrisero inebetite.

«Sasha1!» esordì allegro circondandole le spalle con un braccio.

Alexandra si lasciò andare al calore di quell’abbraccio, era stata sua madre a chiamarla per prima ‘Sasha’ e oltre a lei, suo padre. Alexandra non aveva mai permesso a nessun altro di usare quel diminutivo, ma con Jace era stato diverso. Ora solo lui e suo padre potevano chiamarla in quel modo a lei così caro.

«Non ti ho visto oggi in pausa pranzo» asserì il quindicenne pizzicandole divertito il naso.

Da quasi un anno infatti, i due ragazzi frequentavano la prestigiosa e elitaria Dalton School.

«Avevo compito di letteratura Ace! Dovevo dare un’ultima letta», l’altro levò un sopracciglio;

«Solo perché sei entrata un anno in anticipo non ti devi ammazzare di studio… Non hai nulla da dimostrare agli altri!» le ricordò Jace semiserio, Alex roteò gli occhi;

«Ti devo far presente che ho un quoziente intellettivo superiore alla media!?»

«Adesso non ti vantare!» scherzò lui sfilandole il basco dalla testa e iniziando a correre;

«Ace!! Ridammelo!»

«Dai dai! riscaldamento fino alla Tower!» sghignazzò saltando prima su un muretto e poi su un altro eseguendo delle acrobazie da parkour.

«Così non vale» celiò la ragazza indispettita;

«Andiamo Sasha, devi migliorare sotto questo aspetto!» replicò Jace appendendosi senza difficoltà alla grata di una finestra;

«Ora chi è che si vanta?» disse Alex saltando con grazia e agilità su una ringhiera.

A un isolato dall’Avengers Tower i due giovani arrestarono la loro corsa, entrambi ancora ridacchiando cercarono di riprendere fiato mentre una neve soffice e lieve iniziava a addensarsi per le strade.

«Oggi dovrebbero tornare» asserì Jace osservando perso i piccoli fiocchi di neve cadere dal cielo plumbeo.

«Sì. Papà me l’ha detto» annuì Alex, sollevata che gli altri stessero tornado, sperava che la missione avesse portato a qualcosa di utile.

«A proposito è ancora impegnato con quel progetto per le Stark Industries?»

«Già! Lo sta tenendo abbastanza occupato, almeno per i prossimi giorni non tornerà a casa, così resterò alla Tower».

Dopo gli avvenimenti di quasi un anno prima, Niko Constantin era stato assunto come ingegnere chimico alle Stark Industries, per volere di Tony Stark in persona.

Così lui e Alexandra si erano dovuti trasferire definitivamente a New York. Capitava, a volte, che Niko non riuscisse a tornare a casa per più di un giorno, preso da qualche problema col progetto di turno, e Alex allora era ospite di Steve e Natasha e, in mancanza di entrambi, stava alla Tower.

«Speriamo che la loro non sia stata una missione completamente inutile» sospirò Jace pensieroso, poi scrollò le spalle e sorrise in direzione dell’amica che, comprese perfettamente il suo stato d’animo, e fece una smorfia divertita.

«Credo dovremmo preoccuparci più per noi, ora come ora»

«Già! Sharon non ci va giù leggera quando si tratta di allenamento!»

«Perché Maria? Non so se ti ricordi, ma il suo ultimo programma di allenamento ci ha fatto vomitare l’anima!».


*


Natasha inserì il pilota automatico e si sgranchì le braccia.

Il jet variò di alcuni gradi e continuò il suo placido viaggio.

Steve Rogers riposava a braccia conserte, seduto compostamente sul duro sedile, le palpebre pallide chiuse, il capo appena chino.

La spia gli si inginocchiò davanti accarezzandogli piano la guancia, il capitano aprì immediatamente gli occhi, attirato da quel tocco delicato.

«Siamo arrivati?» domandò stropicciandosi il volto e guardandosi attorno, Natasha scosse il capo divertita;

«No, ho solo impostato il pilota automatico, non saremo a New York prima di tre ore» lo rassicurò lei.

«Buc e Sam?»

«In branda… Forse dovrei dire a Sharon che dovrebbe cominciare a essere gelosa di quei due» rifletté scherzosamente, poi gettò un’occhiata profonda al compagno «Dovresti riposare anche tu…» continuò mentre la sua mano correva fra i suoi corti capelli biondi;

Steve si alzò e l’abbracciò, lasciando che il suo profumo gli riempisse i polmoni;

«Sto bene qua» replicò serio, mentre la spia sollevava lo sguardo fra il divertito e l’esasperato. Nel profondo contenta di quel contatto, erano stati giorni intensi e finalmente lei e il supersoldato avevano un momento tutto per loro.

Erano dovuti volare fino in Cina dopo che al telegiornale, una notizia buttata lì quasi per caso, avevano scoperto della tragica morte del Dottor Yen.

Tutti loro erano stati quasi certi che dietro alla misteriosa dipartita del creatore dello psychotron, vi era la mano dell’Hydra.

Natasha e Steve insieme a Bucky e Sam si erano immediatamente messi in viaggio per il paese del Sol Levante, dove Vedova era riuscita senza troppe difficoltà a entrare nell’obitorio, in cui era depositato il corpo di Yen, e fare delle copie della sua autopsia.

Avevano appreso che il Colonnello Ling non era più alle dipendenze del governo e, grazie alla spinta di qualche vaga intimidazione da parte del Soldato d'Inverno, erano venuti a conoscenza che lui e un manipolo di suoi fedelissimi erano partiti segretamente per la Russia.

Quella notizia aveva complicato non poco le cose ai quattro, l'idea di rimettere piede in quella fredda terra li faceva rabbrividire, senza contare che nessuno di loro era più il benvenuto nel paese dopo le vicende dell'anno prima.

Malgrado lo S.H.I.E.L.D. avesse promesso che non si sarebbe più infiltrato in suolo russo – quantomeno senza “permesso” esplicito – sapevano che le cose non stavano proprio così. L'ex Crimson Dynamo, Yuri Petrovich, era stato assoldato dall'agenzia come agente operativo a capo della neofita sezione russa.

Grazie al suo fratellastro, Natasha e gli altri erano riusciti a rientrare in Russia, costretti a mantenere un profilo estremamente basso, avevano cercato di rintracciare i movimenti di Ling.

La prova che dietro a tutto ci fosse l'Hydra divenne evidente quando i quattro si dovettero scontrare con uno squadrone di loro agenti, probabilmente con funzioni di sorveglianza, alle ex fabbriche delle Kronas Corporation poste ancora sotto sequestro. Lo scontro in sé non aveva causato nessun problema a Steve e compagni ma aveva fatto perdere loro le tracce di Ling.

Impossibile dire che fine avesse fatto.

«Te l'avevo detto che era meglio fargli un segnale!» berciò Sam comparendo nell’ampia cabina insieme a Bucky, alludendo al fatto che Steve e Natasha fossero ancora abbracciati.

Vedova scosse il capo, mentre il supersoldato sospirò grattandosi la nuca.

«Appuntatevelo per la prossima volta» soffiò la donna ironica. James alzò le mani, come a segnalare la propria colpa;

«Okay, colpa mia. Mai più entrare in stanza senza bussare se all’interno ci siete voi due! Possiamo fare il punto della situazione?»

«Quale situazione? Oh intendi il fatto di esserci fatti scappare Ling da sotto il naso?» berciò Falcon alquanto affranto.

«Se Ling è finito nelle mani dell’Hydra a quest’ora è con tutta probabilità morto» rifletté Natasha osservando Steve per avere conferma delle proprie parole. Dalla sua espressione capì che condivideva il suo pensiero.

«Quello che mi chiedo è perché a casa di Alexei?» disse il capitano «Perché si è diretto lì?»

«Shostakov aveva dei dubbi riguardo Lukin...» fece presente Bucky passandosi stancamente una mano fra i crini scuri;

«Che avesse raccolto delle prove?» domandò con tono incerto Sam;

«E ci ha usato come prova finale?» gli fece eco il capitano;

«Qualunque cosa ci fosse lì, ormai non c’è più» celiò grave Natasha «E la cosa preoccupante è che ora, di qualunque cosa si trattasse, è nelle mani o dell’Hydra o di Ling. E non so quale sia la cosa peggiore.»

«Se è nelle mani di Ling è più che probabile lo usi come merce di scambio con l’Hydra, per evitare di fare la fine di Yen» ragionò il capitano;

«Sempre che il colonnello non sia già nelle loro mani» replicò James, poi si volse verso Natasha;

«Yuri ci avvertirà se accadrà qualcosa di anomalo, per il momento non possiamo che tornare a casa e ricominciare a seguire altre piste»

«In pratica dobbiamo aspettare che succeda una catastrofe prima di muoverci, che meraviglia!» berciò Sam sarcastico, stropicciandosi il volto.

«A volte non possiamo far altro che lasciare che l’avversario scopra le sue carte, prima di poter compiere la nostra mossa» affermò Vedova inspirando profondamente. Poco dopo, con estrema nonchalance si allontanò dal terzetto di uomini presi ancora nella discussione e scivolò in bagno.

La spia fece appena in tempo a chiudere la porta che fu costretta a piegarsi su se stessa, cercando di tenere a bada un forte conato di vomito. Strinse i denti mentre apriva il getto d’acqua del lavandino e si affacciava al water pronta a dare di stomaco.

La nausea si quietò dopo qualche minuto, ma il lieve bussare alla porta la fece sussultare.

«Nat» la voce soffocata di Steve dall’altro lato della soglia, le arrivò come un trillo acuto alle orecchie «Hai voglia di mangiare qualcosa?»

«No non ora...» si schiarì la voce Natasha «Direi che non è proprio il caso...» bisbigliò per non farsi sentire. Attese che i passi del compagno sfumassero e poi immerse il viso sotto il getto ghiacciato per ritornare presente a se stessa.

Si guardò allo specchio. La sua immagine riflessa aveva la pelle tirata e un lieve accenno di ombre scure sotto gli occhi. Scosse il capo e calmò il respiro; si era trattato solamente di un po’ di stanchezza accumulata, niente di cui preoccuparsi, si disse.


*


Playground, Quartier generale dello S.H.I.E.L.D.

«Direttore? È arrivata...»

Phil Coulson alzò lo sguardo distratto dal tablet, i suoi occhi grigio-azzurri si puntarono in quelli scuri e penetranti della sua vice, rivolgendole poi quel sorriso pacato e bonario che solo lui possedeva.

«Molto bene Melinda. Falla entrare».

Lo sguardo dell’agente May tornò nuovamente severo e imperscrutabile, uscì dall’ufficio del direttore, per tornarci quasi subito scortando una giovane donna, – non doveva avere più di trent’anni – aveva un viso fresco e magro, occhi sapientemente truccati, dal taglio leggermente allungato castano-verdi e corti capelli a caschetto neri.

«Direttore Coulson, è un piacere conoscerla.» esordì la giovane porgendo elegantemente la mano;

«Il piacere è tutto mio, signorina Holstein. Le sue credenziali sono notevoli: laureata con lode in Criminologia e Master2 in neuropsicologia»

Erica Holstein sorrise con modestia, chinando rispettosamente il capo;

«La ringrazio direttore, spero che le mie competenze vi risulteranno utili...».

Le labbra di Coulson si stesero in un accennato sorriso sghembo;

«Oh vedrà, troveremo qualcosa da farle fare… Benvenuta allo S.H.I.E.L.D., agente Holstein».





Noticine a piè pagina

1= Diminutivo russo di ‘Alexandra’

2= Nel sistema universitario americano il ‘master’ indica, per intenderci, una laurea magistrale.

_________________________________________________Asia's Corner

Or dunque! Cosa ne pensate di questo capitolo? Lo so è un inizio un po' in punta di piedi, ma in qualche modo bisogna pur cominciare! Anche se, vedete da voi, ho già inserito un personaggio nuovo, gli Avengers e sparizioni di cinesi vari (un bel tuffo nel passato eh?), il tutto farcito da un po' di teen drama con i miei amatissimi Jace e Alexandra, che spero vi siano piaciuti :) 
Ah, sappiate che io adoro, letteralmente, la "coppia" Coulson&May... Quindi cercherò, se riesco, di approfondire questo rapporto, che a me personalmente attrae moltissimo!

Allora per il momento l'aggiornamento della storia avverrà ogni 15 giorni, se dovessi avere degli imprevisti ve li comunicherò prontamente qui, nel mio angolino autrice, questo perché a dicembre dovrei laurearmi e i preparativi mi stanno prendendo molto tempo, quindi vi chiedo di essere pazienti!
Okay per questa volta è tutto! Io ringrazio dal profondo del mio cuore ogni persona che leggerà o vorrà commentare questa mia nuova avventura!

Spero ci "rivedremo" al prossimo capitolo, che verrà pubblicato GIOVEDI' 24 NOVEMBRE!

Grazie a tutti!

A presto!

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Capitolo 2
*** Dritto al cuore ***


2 Salve a tutti, è bello aver ritrovato, dando un'occhiata alle liste speciali, molti di coloro che avevano seguito le due storie precedenti anche in questa nuova "avventura"! Spero di non aver deluso e di continuare a non deludere le vostre aspettative e riuscire a emozionarvi come è successo in precedenza (o quanto meno lo spero!).
Bene, bando alle chiacchiere, vi lascio al tanto atteso secondo capitolo! Ci vediamo in fondo :)

Buona Lettura!





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Capitolo Due: Dritto al Cuore

who's the first to burn?”

~”Black Sea”, Natasha Blume


Sam Wilson inspirò a pieni polmoni l'aria serale di New York City, osservando, da una terrazza dell'Avengers Tower, la miriade di luci che incendiavano la città, che a ben vedere si era guadagnata la nomea de “la città che non dorme mai”, mentre già comparivano i primi sfavillanti addobbi natalizi.

«Grazie per avermi avvertito che sareste tornati!» trillò la voce, apparentemente burbera, dell'agente Hill.

L'ex pararescue, sorpreso, sbuffò divertito chinando il capo, si voltò a guardarla senza staccare i gomiti dalla ringhiera;

«Io ti avrei anche avvertito, se non avessi cambiato numero per l'ennesima volta».

Maria sospirò impercettibilmente, i suoi occhi turchesi si soffermarono sui tratti del volto dell'uomo che le stava davanti con quel sorriso incerto e i grandi occhi sinceri puntati su di lei. Non era facile essere il braccio destro della spia per eccellenza. La sua bravura e professionalità le erano sempre costate qualcosa.

«Rischi del mestiere...» replicò accostandosi a lui. Rimasero a guardare, per qualche minuto, il panorama in silenzio. Poi Maria tese la mano verso il collega in una muta domanda, mentre lui la guardò perplesso;

«Il cellulare» lo incalzò lei. Sam glielo consegnò.

La donna ci trafficò per qualche secondo, sotto lo sguardo curioso e attento di lui.

«Ecco fatto» disse riconsegnandoglielo. Sam scorse velocemente la sua rubrica, notando ben due numeri di cellulare sotto il nome 'Maria'.

«Uno è il mio attuale numero... L'altro beh diciamo che è per le emergenze – spiegò mantenendo lo sguardo puntato ben lontano da lui – di Fury...»

«Solo Fury usa e conosce questo numero?» ribatté sorpreso Sam;

«Beh.. Non solo lui ora...» lo corresse lei a denti stretti «Togliti immediatamente quel sorriso ebete dalla faccia, Wilson!»

«Quale sorriso ebete!?» replicò lui senza smettere di sorridere contento «Dai lasciati abbracciare...»

«Stai fermo!» tuonò l'agente, totalmente impreparata a quella reazione.

Il trillo del cellulare distrasse entrambi da quel siparietto.

«Non può già saperlo. Vero!?» esalò Sam, riferendosi a Fury e al fatto che ora anche lui conoscesse il numero segreto dell'agente Hill.

Maria lo guardò malissimo e si accostò il cellulare all'orecchio.

«Si... Signore?»

Falcon osservò preoccupato il viso della Hill perdere progressivamente colore, tentò di chiedere informazioni ma lei semplicemente lo ignorò.

Quando la chiamata si concluse un minuto esatto dopo, l'ex pararescue tornò alla carica un po' frustrato;

«Mar-?»

«Sam – lo interruppe lei visibilmente allarmata – si tratta di Barton».


*


Osservò attenta le due lapidi bianche, pulite, squadrate. Erano così vicine che quasi si sfioravano, in mezzo una corona di fiori freschi.

Sospirò, doveva ringraziare Yuri per aver trovato un posto adatto in cui farli riposare in pace. Alzò lo sguardo smeraldino verso il cielo chiaro, una folata di vento dell'est la costrinse a stringersi nel caldo parka. I suoi occhi abbracciarono il verde paesaggio dell'altopiano sarmatico, con uno sforzo di volontà lasciò finalmente un mazzo di candidi fiori sulle lapidi, poche parole in russo scivolarono dalle sue labbra, talmente lievi che sembrò che il vento stesso le avesse pronunciate.


Natasha si riscosse dai suoi vividi ricordi e continuò a versare il caffè nella tazza. Quando però fece per portarselo alla bocca, l'odore dolce-amaro le colpì forte le narici infastidendola al punto da non riuscire a berlo. Sbuffò irritata e gettò via tutto, accontentandosi di sorseggiare del semplice tè al limone.

Era evidente che c'era qualcosa che non andava, il suo corpo le stava mandando dei segnali, ma Vedova era chiaramente in fase di negazione, liquidando nella sua testa il problema come semplice stanchezza post missione, non era certo la prima volta che le capitava di “sentire” una missione più pesante di altre, e i ricordi di un anno prima d'altronde non avevano fatto altro che peggiorare la situazione.

Chiuse gli occhi assaporando il caldo liquido che le scendeva lungo la gola, ripensando a quei due mesi che lei e Steve avevano passato nel Vermont. Quel periodo non le era mai sembrato così distante.

Proprio l'oggetto dei suoi pensieri entro trafelato nel loro appartamento di Brooklyn, i suoi occhi cercarono immediatamente la compagna, l'espressione era grave.

«Steve-?» Natasha incatenò lo sguardo al suo, il corpo in tensione. Il comprendersi con un semplice sguardo era qualcosa che non era mai cambiato in quegli anni, da quando da semplici colleghi avevano deciso di legare l'una la propria vita all'altro.

«Clint è stato attaccato – Natasha sgranò gli occhi incredula – è riuscito a mandare un segnale d'emergenza a Fury, ma da allora non si hanno più sue notizie...» berciò passandosi una mano sul volto, la tuta con cui era uscito, per una corsetta serale, era bagnata fradicia dalla pioggia che aveva iniziato a imperversare sulla città.

«Quando partiamo?» domandò prontamente Vedova, pensando a Laura e ai bambini.

«Tony sta preparando il jet, dobbiamo raggiungerli»

«Andiamo».


Il jet sorvolava una zona abbastanza boschiva. Al suo interno Steve, Natasha, Tony, Sam, Bucky e Sharon restavano in silenzio, tesi.

«Qualcuno sa cosa ci faceva Barton qui?» domandò serio e curioso il miliardario osservando sul monitor quanto mancava a raggiungere la posizione segnalata dall'arciere.

Il capitano si scambiò uno sguardo carico di significato con la russa, che sospirò decidendo di raccontare la verità agli altri;

«Clint ci abita...» esordì attirando l'attenzione di tutti «Ha costruito una casa per lui... e la sua famiglia».

Sam aveva intuito qualcosa dalle loro conversazioni l'anno scorso, ma era sempre stato bravo anche a farsi gli affari propri, gli altri – eccetto Steve che aveva avuto modo di conoscere la famiglia dell'eroe tempo addietro – erano semplicemente sorpresi.

«Prego?» berciò con voce strozzata Stark;

«È sempre stato un segreto anche per l'agenzia. Solo Fury, Coulson ed io lo sapevamo, Clint ha una moglie di nome Laura e tre figli»;

Sharon chiuse gli occhi pensando al pericolo che stava correndo quella famiglia, stringendo di riflesso la mano di Bucky accanto a lei.

«Se la loro posizione è segreta, come ha fatto l'Hydra a trovarli?» domandò quest'ultimo, ricambiando la stretta della propria compagna;

«Questa è un'ottima domanda, Braccio di Ferro!» replicò Iron Man mentre l'armatura lo rivestiva «J.A.R.V.I.S., hackera i sistemi dello S.H.I.E.L.D. vedi se c'è stata una violazione nei loro server»

«Signore, credo che il nostro intervento possa essere considerato una “violazione”» asserì compitamente l'intelligenza artificiale;

«Se ti fa sentire meglio domanda “permesso” J.A.R.V.I.S.» ribatté ironico Tony «Siamo arrivati, Capitano... a te il comando!».

Una volta scesi dal jet la scena che si presentò agli occhi dei presenti fu terrificante: la casa della famiglia Barton non esisteva più, completamente rasa al suolo con ancora qualche focolare vivo e pericoloso che divorava travi e assi, mentre alcuni alberi erano ancora totalmente in fiamme.

«D'accordo» disse Steve con cipiglio grave «Sam, ti voglio in cielo, controlla se i nostri nemici sono ancora nei paraggi, erigi un perimetro. Tony fai qualcosa per l'incendio e contatta lo S.H.I.E.L.D. se possono mandare delle squadre di ricognizione, Nat, tu e Sharon cercate Laura e i bambini, io e Buc cerchiamo Clint».

Nessuno ebbe da ridire; immediatamente Sam e Tony si levarono in volo per adempiere ai loro compiti.

Natasha e Sharon scattarono in avanti muovendosi fra le macerie col cuore in gola.

«Sharon seguimi!» disse Vedova correndo verso una zona precisa del perimetro della casa, l'agente la guardò lievemente perplessa e al tempo stesso fiduciosa. Natasha constatò che fosse il caso di spiegare il perché di tanta sicurezza:

«Clint ha costruito un rifugio sotto terra per Laura e figli in caso di... Pericolo. Dobbiamo riuscire a trovare una sorta di botola...».

Non lontano da loro, James e Steve stavano spostando con attenzione e calma le assi e svariati frammenti per evitare ulteriori crolli, nella disperata ricerca del loro compagno.

Dopo qualche attimo Sharon scorse una lucida lastra di metallo che sembrava quasi spinta a forza nel terreno;

«Nat! Ci siamo, aiutami!»

Le due spie con un estremo sforzo di volontà riuscirono a scostare alcune travi e ad aprire la botola.

Dall'apertura nel terreno uscì stravolta Laura Barton. Imbracciava un fucile ad alta precisione, che teneva così saldamente che pareva l'ultimo appiglio rimastogli, prima di crollare.

«Laura!» trillò Natasha alzando le braccia «Sono io, Natasha. Va tutto bene, siete al sicuro ora...» continuò con tono pacato e basso come se volesse ammansire una belva feroce.

I grandi occhi da cerbiatto di Laura Barton vagarono prima sulle due donne che le stavano davanti e poi su ciò che la circondava. Le lunghe ciglia scure sbatterono più volte, incredula osservò ciò che rimaneva di quel 'nido' che così faticosamente avevano costruito, nulla. Non vi era più nulla. Brividi cominciarono a scuoterla dal profondo; riportò i suoi occhi, talmente scuri da sembrare neri, su Natasha immobile davanti a lei. Lasciò andare il fucile affidatole dal marito e si accasciò sulla spia.

«Siamo qui» le sussurrò Vedova cercando di farla calmare, lei e Sharon si scambiarono un'occhiata grave.

«Dov'è Clint?» trillò agitata «Clint!» lo chiamò guardandosi disperatamente attorno, lacrime leggere avevano preso a solcarle il volto, Natasha le afferrò dolcemente il capo;

«Lo troveremo. Steve se ne sta occupando» le assicurò. Al nome del capitano, Laura riprese un attimo fiato e annuì, si tolse con stizza alcune lacrime rimaste impigliate sul volto magro e si voltò verso la botola;

«Cooper! C'è qui zia Nat. Lila potete salire fate attenzione a Nathaniel!» celiò cercando di avere il tono più fermo possibile.

Lentamente, incitati dalla madre, i figli di Occhio di Falco si palesarono agli occhi di una stupefatta Sharon.

Cooper Barton non doveva superare i dieci anni, aveva corti capelli scuri e profondi occhi come quelli della madre; Lila era piccolina doveva avere sette o otto anni e i capelli biondo cenere del padre, stringeva fra le braccia l'ultimo arrivato della famiglia: Nathaniel di appena un anno.

«Zia Nat!» sospirò tremante Lila abbracciandola stretta. Natasha la accarezzò dolcemente per rassicurarla.

«Quello è Iron Man?» domandò preoccupato il maggiore dei fratelli con lo sguardo rivolto al cielo;

«Andrà tutto bene ragazzi» cercò di rassicurarli Laura stringendo al petto Nathaniel.

Improvvisamente la voce concitata di James squarciò l'aria come un fulmine;

«Steve! L'ho trovato!!».

Il capitano corse immediatamente in aiuto dell'amico, a cui si aggiunse anche Tony, tutti e tre insieme tolsero alcuni possenti frammenti di muro;

«Fate piano!» ordinò Steve, osservando le condizioni in cui versava l'arciere.

«Papà!!!» urlarono i due bambini pronti a scattare verso l'amato genitore, ma Natasha e Sharon li strinsero a sé per sicurezza.

Clint non si muoveva, non aveva aperto gli occhi e sembrava insensibile ai disperati richiami.

Sam, giunto in soccorso, si accostò al compagno sentendo il respiro lieve.

«É debole, ma respira!» constatò sollevato. I quattro uomini con attenzione lo sollevarono per trasportalo all'interno del jet, seguiti a distanza ravvicinata da Laura, i cui occhi erano inchiodati alla figura esanime del marito, mentre con un braccio sosteneva Nathaniel e l'altra mano stringeva Lila spaventata.

Natasha teneva una mano sulla spalla del maggiore dei fratelli nella speranza di trasmettergli un po' di conforto. Una sensazione di malessere le attanagliava lo stomaco, era preoccupata per le condizioni dell'amico, si era scambiata uno sguardo con Steve, vedendo riflesso nel compagno le sue stesse preoccupazioni. Spinse giù a forza l'ansia, doveva occuparsi della famiglia di Clint, ora.

«Lo S.H.I.E.L.D. invierà una squadra per analizzare eventuali tracce rimaste...» comunicò Bucky crollando sul sedile e percependo lo sguardo teso di Sharon su di lui. Le fece appoggiare il capo sulla sua spalla lasciandole un leggero bacio sulla fronte.

Tony riuscì a stabilizzare l'arciere ma in quel momento di più non poteva fare.

Con i cuori gonfi di preoccupazione gli Avengers strinsero i denti, attendendo con ansia che il jet li riportasse a casa.


*


K strinse infastidita gli occhi grigio-verdi. Attraverso le lunghe ciglia arcuate osservava la cassa toracica di D vibrare violentemente, scossa dall'urlo doloroso. Era convinta che prima o poi avrebbe visto quel petto squarciarsi di netto sotto il peso di quelle grida; l'idea la infastidì ancora di più.

Le mani si serrarono attorno le braccia, il suo sospiro fu impercettibile.

«Quella lì dovrebbe darsi una calmata, o finirà male».

K roteò gli occhi irritata, la voce fredda e tagliente dell'uomo al suo fianco, alle sue orecchie suonava sempre molesta.

Schioccò la lingua annoiata;

«Non devi fare rapporto?» replicò lei, il suo tono pari a una lastra di ghiaccio. L'altro sorrise sghembo e se ne andò silenzioso com'era arrivato.

Con passo felpato entrò nella stanza, in cui medici e agenti si stavano affaccendando. Posò con fermezza la mano sulla spalla di quell'esile creatura lievemente ansimante.

«Ti riporto in stanza» disse semplicemente prendendola per mano.

«K?» esalò lei, gli occhi chiari fragili ma presenti «Perché sono qui?» domandò, la sua voce era sempre stata così flautata che la si poteva paragonare al dolce tintinnio di uno scacciapensieri.

K non si voltò, ma continuò a camminare ignorandola; “Questa è una domanda a cui non avremo mai risposta”.


*


«Mi stai dicendo che si trattava di una sola persona?» domandò grave Steve osservando Laura Barton torturarsi le lunghe dita da pianista.

La donna sospirò desolata strofinandosi la fronte con l'indice;

«Credo. Non so Steve, è successo tutto così velocemente, c'è stato un boato tremendo e Clint... - ebbe un esitazione – Clint mi ha urlato di prendere i bambini e nascondermi...»;

il capitano le posò gentile una mano sul braccio magro, sorridendole incoraggiante;

«Laura, va bene così. Non ti preoccupare, ora riposa. Prometto che se Clint si sveglia ti avvertiamo».

Steve si alzò lasciando la donna occuparsi dei suoi figli esausti e assonnati.

«Come sta?» domandò a Natasha raggiungendola in corridoio e accarezzandole le spalle rigide.

Vedova si rilassò appena abbandonando la schiena contro il petto del compagno, lasciando che fosse lui a sostenerla.

«Ancora non si sveglia...»

«Ce la farà. Deve. Inoltre solo lui può dirci cosa è accaduto...»;

Natasha levò lo sguardo di giada, osservando con attenzione la sua espressione assorta;

«Steve?». Lo conosceva, sapeva che il suo cervello aveva iniziato a lavorare freneticamente, poteva quasi percepire i suoi pensieri rincorrersi uno dopo l'altro.

«Non lo so, Nat. Ma temo che questo sia solo l'inizio».







___________________________________________________________Asia's Corner

Eccomi qua! Allora ovviamente tragedia annunciata è avvenuta, non pensavate mica di crogiolarvi in un altro capitolo fluff con i "pucciosi" Jace e Alex... No sissignori! Ma ovviamente questo non è il mio "meglio" diciamo, posso fare di peggio ;)
Dunque... Spero che il momento FalconHill vi sia piaciuto, non so questi due sono così opposti che non possono non stare insieme, cercherò di sviluppare come meglio potrò le dinamiche fra questi due!
Natasha continua a stare male... Sarà ciò che tutti pensano? Mah, ovviamente dovrete leggere per sapere ;)
In questo capitolo vediamo inoltre anche un assaggio del "rapporto" tra Bucky e Tony... beh diciamo che al momento qui sono tutti in pace e Tony ha tranquillamente accettato il caro Soldato d'Inverno in questa bacata squadra/famiglia... 
Passando alla famiglia di Clint, vorrei fare un piccolo appunto sui nomi dei figli: a parte Nathaniel che è l'unico nome che viene espresso esplicitamente nel film (almeno mi pare) per i nomi degli altri due figli mi sono attenuta a quanto viene scritto se si ricerca l'interno cast di Avengers AoU! Se per caso avessi commesso qualche errore non fatevi scrupoli e avvertitemi :) Per quanto riguarda Laura, diciamo che ho in mente un backgroud particolare per lei, che probabilmente non ci azzeccherà nulla col personaggio Marvel, ma sapete bene che a me piace rimescolare le carte dei personaggi, quanto meno di certi, e spero di riuscire a inserirlo in un modo o nell'altro.
Altro aspetto del capitolo fondamentale l'entrata in scena di nuovi personaggi... ma ancora non voglio dirvi nulla... maaa accetto idee e opinioni :)

Bene, that's all folks! Prima di salutarci vi comunico la data del nuovo aggiornamento, ovvero, SABATO 10 DICEMBRE, non giovedì perché mi laureo (finalmente) il 7 dicembre, quindi sarò un po' impegnata, agitata, in ansia, confusa... insomma non molto diversa da ciò che sono di solito ;) comunque spero davvero di farcela a postare, se così non dovesse essere, vi chiedo SCUSA fin da subito e abbiate pazienza... in ogni provvederò a postare la nuova data (nel caso non dovessi farcela) sulla mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" :)

Grazie a tutti voi, e a presto!

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Capitolo 3
*** Sotto Scacco ***


3 Buonasera miei cari lettori! Grazie infinite per la vostra pazienza! Finalmente il miracolo è avvenuto e mi sono LAUREATA! Questo il motivo del ritardo di questo aggiornamento.
Ammetto che il terzo capitolo mi crea sempre qualche difficoltà e questo non è stato da meno, ma credo di avervi fatto aspettare anche troppo, le chiacchiere le riserviamo a fondo pagina ;)
Buona Lettura!







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Capitolo Tre: Sotto Scacco

"La caccia non è uno sport.

In uno sport entrambi i contendenti sanno di giocare"

~ Paul Rodriguez



«Uh aspetta!... No... Forse! Mmm, no... no niente!»

«Simmons!!» gridarono in coro Leo Fitz e Skye osservando storto – e esasperati – la giovane biochimica.

«Scusate» disse incassando la testa fra le spalle magre e mordendosi le labbra ciliegia «È che qui è davvero un macello...» mormorò guardandosi attorno con occhi tristi. Fitz e Skye si scambiarono un'occhiata comprensiva.

I tre agenti si trovavano nel luogo dove fino al giorno prima si ergeva la casa della famiglia Barton, costruita negli anni con fatica ma che aveva visto molti momenti di serenità e gioia, e di cui ora non ne rimaneva che il ricordo.

«Ci sono novità?» domandò Fitz monitorando i suoi sette piccoli droni che svolazzavano nell'area alla ricerca di qualsiasi indizio utile.

Skye fece segno di diniego;

«Coulson si è precipitato all'Avengers Tower con May...» disse «Ma non ha ancora comunicato nulla, quindi non credo ci siano notizie incoraggianti»

«É sempre stato il suo pupillo...» fece presente Jemma mentre il collega annuiva meditabondo;

«Davvero?» chiese Skye sorpresa, sentendo qualcosa di amaro dilagare alla bocca dello stomaco, una sensazione di fastidio la colpì. Scosse il capo non era certo il momento per farsi prendere da certi sentimenti, per quanto confusi essi fossero.

«Sembra che Barton gli debba la vita.» replicò l'agente alzando le spalle, come a dire che di quella storia non ne sapeva poi molto.

La giovane hacker si fece pensierosa, rifletté su quante cose del Direttore gli sfuggissero ancora, percepiva come tutto questo come un vuoto, una mancanza, non sapeva dire il perché “imperdonabile” ai suoi occhi.

«Provo a contattarlo!».


*


Ricordava distintamente quel momento, il momento in cui lo vide per la prima volta.


Fury l'aveva espressamente incaricato di visitare quel giovane detenuto per rapina... con un arco... il Colonnello l'aveva definito interessante, e voleva che lui, agente operativo da poco meno di un anno lo visitasse, no meglio dire analizzasse.

Entrò in quella sala grigia e asfittica, e i suoi occhi corsero subito a quella figure slanciata e matura malgrado la giovane età. Quegli occhi chiari ma al tempo stesso oscuri che conoscevano bene il male che albergava nel modo. Poteva vedere delle ombre muoversi nelle profondità di quello sguardo sprezzante, dall'apparenza duro ma attento, ogni suo movimento era meticolosamente indagato e registrato.

Phil Coulson spostò la sedia facendola stridere fastidiosamente sul pavimento, non si scompose, prese posto e rimase in silenzio.

«Chi diavolo sei tu? Il mio avvocato?» berciò il ragazzo esasperato da quell'aria imperturbabile che permeava l'uomo davanti a lui;

l'agente Coulson stirò impercettibilmente i lati della bocca all'insù;

«Oh beh vede... questo dipende» replicò sereno dando svogliatamente un'occhiata alla cartella con la sua fedina penale. L'altro sbuffò, sgranando gli occhi incredulo.

«Dipende? Da che-? Ma chi cazzo sei?»;

Phil Coulson non parve minimamente turbato dalle invettive del giovane, si limitò a fissarlo dritto negli occhi, azzurro contro azzurro;

«Dipende da quanto ancora vuoi essere un ragazzetto capriccioso che invece di tentare di cambiare la sua vita prende la via più facile... Dipende se vuoi restare tutta la vita a compiangerti, lamentandoti di quanto sia stato ingiusto il mondo con te, o invece questo mondo vuoi iniziare a migliorarlo.».

Clinton Francis Barton, quel giorno e per la prima volta, restò senza parole difronte a quel discorso fatto con il tono di voce più educato e indifferente che avesse mai sentito, pronunciato dall'uomo che pareva tutto fuorché una delle più talentuose spie al mondo.


Melinda May si avvicinò con passo felpato al direttore;

«Phil...» sussurrò preoccupata di rompere quel silenzio cristallizzato.

Coulson si ravvide e spostò lo sguardo interrogativo sulla donna, la quale gli fece cenno di accettare la tazza fumante che aveva fra le mani.

«Grazie» replicò atono tornando a guardare l'interno della stanza, dell'Avengers Tower, in cui giaceva Clint Barton ancora incosciente mentre sua moglie Laura gli si affaccendava attorno premurosa e instancabile.

«Ancora non si sveglia...» mormorò con lo sguardo assorto;

May lo fissò di sottecchi, allungò una mano verso di lui, con l'intento di lisciargli le pieghe invisibili della giacca, voleva... Ma la sua mano ricadde inerme lungo il fianco, raddrizzò le spalle ristabilendo quella labile e per certi versi fastidiosa distanza che c'era sempre stata fra loro.

«Si riprenderà» affermò sicura.

Coulson storse le labbra in un sorriso dolente;

«Tutta questa sicurezza da dove deriva?»

«So chi è stato il suo mentore.» replicò seria. Coulson annuì impercettibilmente, inspirò;

«Devo andare da Laura. Chiama Skye e fatti dire se hanno trovato qualcosa, qualsiasi cosa».

May annuì compita, sapeva che in quel momento era l'unica cosa che lo avrebbe aiutato.


*


La voce soave e cantilenante continuava a canticchiare, incurante, lo stesso motivetto senza senso. La ragazza, proprietaria di quella voce, fece una piroetta aggraziata su se stessa, i lunghi capelli ramati schioccarono nell'aria.

«Dannata pazza! Mi stai ascoltando!?» frecciò esasperato l'uomo che sedeva sul divano in pelle pregiata, che da un buono quarto d'ora picchiettava furiosamente il dito sulla superficie.

In risposta ricevette una risata tanto cristallina quanto derisoria.

«Oh Brock! Sei una tale noia! Non vuoi divertiti un po'?» celiò con una nota infantile ma maliziosa nella voce, posandogli languidamente entrambe le mani sulle cosce tornite.

Lo sfregiato serrò la mandibola, la rossa, invece, sorrise diabolica, gli occhi castano-verdi luccicarono di un bagliore divertito «Oh ma forse le rosse non sono il tuo tipo... Meglio le bionde...»;

Rumlow le afferrò di scatto i capelli strattonandoglieli con cattiveria, procurandole solo un'altra risatina divertita.

«Ti avverto Sin, finisci male-»

«E chi lo sente poi il caro paparino?» soffiò lei, facendo scivolare sensualmente la lingua sulle labbra sottili ma ben contornate;

«Su, su Brocky! Ho qui il tuo prossimo obiettivo. Non sei contento?» terminò allegramente la ragazza.

Rumlow inspirò, sorvolando su quell'osceno nomignolo, lasciò la presa scoccandole uno sguardo d'apprezzamento;

«Ora si comincia a ragionare».


*


«Sono qui!» la voce le pareva troppo lontana, così dolce e infantile.

Natasha si guardò attorno, le folte onde rosse le accarezzarono il viso, gli occhi incuriositi, l'abito candido avvolgeva gentilmente le sue forme sinuose.

«Dove sei?» domandò flebile, una risata calda e limpida le giunse alle orecchie;

«Dai! Cercami!» la voce assunse una nota quasi capricciosa.

Vedova si mosse, iniziando a correre seguendo l'eco di quella voce, che le dava una sensazione così familiare ma al tempo stesso sconosciuta.

«Ti sto aspettando...» ora quella voce era davvero troppo lontana, debole ma speranzosa...

Natasha corse più forte, iniziando ad avere il fiatone, guardò a terra notando che la via era lastricata di petali di rosa rossa; il suo passo iniziò piano piano a rallentare.

Corrucciò lo sguardo, osservando i petali liquefarsi ad una velocità impressionante, diventando una sostanza viscosa di un rosso più cupo e denso.

L'abito non era più bianco, una macchia rossa andava espandendosi dal ventre. Un'inaspettata contrazione allo stomaco fece piegare in due la donna, tanto da mozzarle il respiro; si premette le mani sull'addome percependo dei profondi squarci sul suo corpo.

L'orrore più puro la assalì, la voglia di urlare la travolse.


Si svegliò di soprassalto, nemmeno si era accorta di essersi addormentata. Natasha si sfiorò la fronte trovandola imperlata di sudore. Era crollata sul divano dell'Avengers Tower, esausta.

Sospirò, il sogno ora le sembrava meno nitido e molti particolari avevano già iniziato a sfuggirle.

«Ben svegliata!» il dolce volto di Alexandra invase il suo campo visivo, un piccolo sorriso ad illuminarla.

«Alex... Ho dormito molto?» chiese portandole gentilmente una ciocca dietro l'orecchio, la ragazzina arrossì.

«No, ma avevi un sonno agitato. Tutto bene?»;

Natasha strinse gli occhi ma sorrise comunque per rassicurarla;

«Gli altri?»;

Alex si strinse nelle spalle;

«Un po' qui un po' lì... Jace si sta allenando con Bucky e Steve».

Proprio nel momento in cui Natasha iniziava a quietarsi un lungo allarme scosse l'intera torre, mettendo tutti sull'attenti.

In pochi attimi Natasha si ritrovò insieme a Alex, May, Coulson, Sam e Sharon in sala riunioni, cercando di capire chi o cosa fosse stato attaccato. Perché quell'allarme aveva una funzione ben precisa: segnalare un attacco imminente ai loro danni.

Quando Steve accompagnato da Jace, Bucky e uno stravolto Tony – uscito di malavoglia da una delle sue sessioni nel suo laboratorio – trovò i presenti intenti a prepararsi per partire.

«Che succede?»

«Il Playground... è sotto attacco. L'allarme è arrivato da Mack!» comunicò loro Natasha assicurandosi i pericolosi morsi ai polsi.

«Possiamo aiutarvi?» trillò Jace grave.

«Sì restando qui al sicuro! Jace occupati di Alexandra e della famiglia di Clint» asserì Bucky indossando la divisa disegnata su misura per lui. Il quindicenne dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo;

«Non era esattamente ciò che intendevo...» borbottò senza però protestare ulteriormente.

«JARVIS alza le difese della torre dopo la nostra partenza» urlò Tony partendo con direttamente con l'armatura addosso seguito a breve distanza dal jet con il resto della squadra all'interno.


*


Coulson balzò con passo sicuro fuori dal jet, osservando con cipiglio severo gli agenti dell'Hydra venire contro di loro nell'hangar. Senza esitare iniziò a sparare con precisione spaventosa, senza curarsi di eventuali colpi di ritorno, May e Sharon si erano subito mosse a fornirgli protezione.

Con sorpresa gli agenti dell'Hydra non si accorsero che erano stati chiusi in un fuoco incrociato poiché Bobbi Morse e Mack, che erano riusciti ad accedere all'hangar per permettere al jet degli Avengers di atterrare, erano apparsi alle spalle.

«Situazione!» abbaiò Phil rivolgendosi ai due agenti.

«Gli agenti dell'Hydra sono penetrati senza difficoltà, l'allarme è suonato tardi, hanno invaso i primi livelli! Hunter sta coordinando una squadra a difesa del livello centrale...» spiegò il meccanico con voce profonda; a quel punto May e Coulson lo guardarono come folgorati;

«Hunter sta coordinando?» berciò il direttore poco rassicurato. Mack e Bobbi si strinsero le spalle, come a dire che quella era l'unica opzione possibile.

«Skye e i Fitzsimmons?» si informò Melinda;

«Non li abbiamo fatti ancora rientrare...» rispose la bionda agente «Skye non ne sarà molto felice»;

«Non abbiamo tempo di preoccuparci degli umori di Skye al momento!» replicò May, malgrado dentro di sé si sentisse stranamente sollevata.

«Coulson! - tuonò Steve Rogers per richiamare l'attenzione generale – Come ci muoviamo?»;

«Già Agente! - gli fece eco Stark – questa è per così dire la tua festa!».

Phil Coulson sorrise enigmatico:

«Bene signori, signore è ora di fare gli onori di casa».

Si scagliarono contro l'Hydra a muso duro, Coulson non si dava pace un attimo, era la sua base quella era sotto attacco, la sua squadra quella ferita. Il loro obiettivo primario era raggiungere Hunter e i superstiti che si erano serrati a difesa del nucleo centrale, quello che racchiudeva ogni segreto dello S.H.I.E.L.D., compreso ogni nome di agente sotto copertura e ogni mossa programmata ai danni dell'Hydra.

«Erica!» esalò Bobbi, correndo in soccorso della neo agente a terra, con una brutta ferita all'addome.

La ragazza aprì gli occhi con un lamento;

«Direttore! Mi spiace... io sono stata colta di sorpresa...»

«Stia tranquilla agente Holstein, mi creda non è l'unica! Ce la fa ad alzarsi?»; l'agente seppur con evidente sforzo e dolore riuscì, appoggiandosi a Mack, ad avanzare insieme al resto della squadra. Steve, Natasha, Tony, Sam, Sharon e Bucky procedevano spediti, abbattendo qualsiasi pericolo volesse abbattere loro.

Erano quasi giunti a dare supporto agli agenti superstiti, e dove sembrava essersi raggruppato il più alto numero di agenti Hydra; quando Sharon colse quasi distrattamente un esiguo numero di loro membri allontanarsi in direzione apposta.

«Phil! Dove porta quel corridoio?».


Il Vault D, al contrario del pandemonio che si agitava nei livelli superiori, era silenzioso e quieto e ogni rumore risultava ovattato.

«Guarda guarda chi abbiamo qui!» frecciò con voce sarcastica un uomo, bardato da soldato, difronte ad una delle celle.

Il prigioniero disteso bellamente sul pavimento, le braccia incrociate dietro la testa a fungere da cuscino, sollevò appena lo sguardo annoiato, che si sciolse in uno basito nel vedere chi se stava al di là di quella cella apparentemente senza sbarre.

«Brock Rumlow?»

«Grant Ward! Vedo che la prigionia ti fa bene...» berciò l'altro divertito;

«Beh devo dire che se la libertà ti fa quell'effetto – disse riferendosi al suo volto sfregiato – preferisco starmene buono qui»; sospirò «Stronzata a parte. Sei qui per me?» domandò con un bagliore negli occhi scuri.

«È il tuo giorno fortunato, sei richiesto ai piani alti» gli comunicò Rumlow con il suo sorriso da squalo «Ora levati che vediamo di liberarti».

Una volta uscito, Crossbones gli fece indossare una delle tute d'ordinanza dell'Hydra con tanto di casco per celare la sua identità.

«Muoviamoci!» ordinò l'agente «Ma prima...» e riuscì a disattivare definitivamente i dispositivi che tenevano i prigionieri confinati nelle loro celle.

«Avranno il loro bel daffare» constatò Ward prima calarsi il casco e ritornare ad essere ciò che non aveva mai smesso di essere, il fedele agente dell'Hydra.


«Qualcosa non va!» gridò Melinda May atterrando l'ennesimo agente nemico, e non era l'unica a pensarla così. Sia Steve che Natasha percepivano che c'era qualcosa che non quadrava. L'Hydra si stava facendo battere fin troppo facilmente, era come se raggruppando tutti loro in un solo luogo avessero raggiunto il loro obiettivo e li stessero attaccando più per far perdere loro tempo che per una reale volontà di penetrare nel livello più importante di tutti.

L'idea iniziale che era sorta nella mente collettiva era che volessero accedere ai segreti militari e logistici dell'agenzia, in questo modo l'Hydra sarebbe stata nettamente in vantaggio anche sugli Avengers; ma più passava il tempo più quest'ipotesi sembrava risultare errata.

Inoltre gli agenti stavano retrocedendo fin troppo rapidamente, abbandonavano lo scontro, ritirandosi non appena potevano.

Natasha sconfisse uno degli ultimi agenti rimasti in piedi, aveva il fiatone, fatto assolutamente anormale per lei, la testa le girava sempre più violentemente e fu costretta e tenersi alla parete.

La voce dei suoi compagni le sembrava sempre più distante, un inaspettato conato di vomito la travolse tanto da farla piegare su se stessa, e un brivido le corse lungo la spina dorsale... Che le stava succedendo?

«S...» si accorse di aver difficoltà ad articolare le parole, cercò di respirare a fondo ma con scarsi risultati. Riuscì ad alzare lo sguardo, puntandolo in quello del capitano che ora la fissava stranito. Incespicò sui propri piedi;

«Ste- Ste...ve» esalò prima che le forze le venissero meno, riuscì a sentire solamente l'eco del suo nome urlato prima di perdere definitivamente i sensi, accasciandosi come una bambola priva di vita fra le braccia di un terrorizzato Steve Rogers.


*


Mentre Natasha Romanoff cadeva esausta, preda di chissà quale male, Clint Barton, steso nel letto, al sicuro nell'infermeria dell'Avengers Tower, aprì gli occhi.

_______________________________________________________Asia's Corner

Eccoci qui al termine di questo nuovo capitolo. Spero di avervi dato qualche elemento nuovo su cui riflettere... Natasha beh non è presa benissimo, fra crolli fisici e incubi, che il prossimo capitolo sia quello della svolta? Eh, per saperlo dovrete continuare a seguirmi ;)

Spero che il missing moment (di mia invenzione) su Clint e Coulson vi sia piaciuto... Io boh mi sono sempre immaginata una cosa così fra questi due qui, a mio parere Phil è una figura molto paterna, molto più umana rispetto a Fury (e poco ci vuole eh!) e se avete fatto attenzione anche la piccola Skye la vede un po' così... Io ho sempre interpretato il rapporto fra Skye e Phil quasi come quello fra padre e figlia, e vi comunico che seguirò questa via...
Brock preferisce la bionde, questo non è proprio una notizia rassicurante! E come avete letto qualcuno, oltre a lui, sta causando un po' di problemi ai nostri eroi che sono un po' in balia degli eventi! Perchè? Eh chissà... ma ora che Ward è nuovamente libero, lo SHIELD più che gli Avengers avranno una bella gatta da pelare, visto che lui conosce bene Coulson e la sua squadra!

Bene detto questo... Natale si avvicina e... Natale significa.... ONESHOT natalizia!! Allora l'altro giorno ho cominciato a pensare su chi e cosa potrei scriverla e un'ideuzza è stata buttata giù e cercherò con tutta me stessa di postarla online il 24 o il 25 dicembre! Non solo come mio personale regalo a tutti i miei lettori ma anche per scusarmi per questo periodo un po' sottosopra! :)  Inoltre in questa oneshot (di cui ho appena trovato il finale in questo preciso istante!) scoprirete la data del prossimo aggiornamento (che in ogni caso pubblicherò anche sulla mia PAGINA FB) questo non perché voglia farvi penare, ma perché sto ancora valutando se riesco a farvi avere il capitolo entro il 31 o nel nuovo anno! E siccome ancora non ho deciso piuttosto che darvi una data a caso che quasi sicuramente non riuscirò a rispettare, preferisco prendermi ancora un po' di tempo fare i miei calcoli e darvi una data sicura! :)
Ora ho detto tutto, con la promessa di "rivederci" a Natale, vi saluto e vi abbraccio!
Grazie a tutti voi :)

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Capitolo 4
*** Il Momento della Verità (parte I) ***


4 Buon pomeriggio a tutti voi, miei cari lettori! Finalmente eccomi tornata dopo queste "vacanze" malaticce con questo capitolo, che ho preferito scindere in due parti (e per questo so che molti di voi mi malediranno ^^) ma abbiate pazienza, spero che il capitolo vi piaccia!

Buona Lettura!




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Capitolo Quattro: Il Momento della Verità (parte I)

She was afraid to want things for herself.

She didn’t think she deserved them”

~ Susan Choi

Il viaggio di rientro fu angosciante.

Purtroppo la base dello S.H.I.E.L.D. era ancora in subbuglio e l'infermeria si stava riempiendo di agenti feriti; Coulson aveva intimato al capitano e compagni di tornare immediatamente all'Avengers Tower, la situazione non era più così critica e loro dovevano occuparsi di Vedova Nera. Con la promessa di avvisarlo non appena si fosse ripresa, gli Avengers lasciarono il Playground nelle mani sapienti del suo direttore.

Natasha, però, non lo aveva ancora fatto, malgrado priva di conoscenza, si lamentava debolmente coprendosi spasmodicamente il ventre. Lo sguardo di Steve era inchiodato sulla sua figura, nulla pareva abbastanza importante da distoglierlo dalla sua veglia silenziosa e angosciata.

Sharon cercava di inghiottire il terrore che a fiotti le occludeva la gola, il suo sguardo si spostava sistematicamente da Natasha a Steve, a Bucky, che, scuro in volto, le sedeva accanto, in tensione. Sam si passò una mano sul volto tentando stoicamente di trattenere la preoccupazione, mentre Tony fissava tutti e nessuno muto, come in attesa di qualcosa che probabilmente non sarebbe mai arrivato.


Le ruote del jet avevano appena sfiorato il lucido linoleum dell'hangar che Steve, con Natasha stretta fra le sue braccia, si era già precipitato fuori diretto verso Helen Cho, che li stava aspettando con tanto di barella e equipe al seguito.

Alexandra, che era andata ad attendere il ritorno della squadra, scoppiò in lacrime alla vista della russa incosciente, il volto di sua madre si sovrappose a quello di Natasha mentre il suo cuore le rimembrò lo stesso dolore di quando Nina era morta davanti ai suoi occhi; immediatamente Jace l'avvolse, tenendola stretta e facendole nascondere il viso sul suo petto.

«Shh! Vedrai che andrà tutto bene» sussurrò.

Steve guardò stravolto la dottoressa che controllava i parametri di Natasha, stesa sulla barella. Cho aggrottò la fronte liscia e perlacea, cosa che non sfuggì al capitano.

«Come sta?» la sua voce pareva uscire direttamente dall'oltretomba, tanto era scura e bassa.

Helen Cho si mordicchiò l'interno della guancia. Era una bella donna la dottoressa Cho, con la pelle vellutata e pallida, zigomi pronunciati e occhi dal taglio orientale. Era giovane ma estremamente capace.

«Io... Devo farle ulteriori esami, non è in pericolo di vita se è questo quello che mi chiedi, Capitano» asserì con tono professionale. Fece un cenno alla sua equipe che si mosse verso l'infermeria; Steve e Bucky gli furono subito dietro, Sharon si occupò di Jace e Alex pietrificati dalla paura.


Sam e Tony, spinsero giù a forza la preoccupazione e fecero lo sforzo di andare da Clint, che avevano saputo essersi svegliato.

Trovarono l'arciere semidisteso, sveglio e in buona salute attorniato dalla sua famiglia. Laura seduta accanto al marito sorrideva, faticando a trattenere le lacrime.

«Ma guardatelo, stai pure comodo sai, tanto ormai il lavoro sporco è già bello che andato...» esordì Iron Man con tono pesantemente sarcastico, mentre Clint ridacchiava tenendosi discretamente l'addome fasciato.

«Che ti dicevo?» disse l'arciere rivolto alla moglie con un sorriso sghembo «Senza di me siete persi! Non sembrate messi tanto meglio... che è successo?»

«Ah sai solite cose...» rispose Sam agitando la mano in aria per sdrammatizzare la serietà della situazione «Attacchi, caos... L'Hydra che vuole assaltare lo S.H.I.E.L.D. insomma niente di nuovo»;

«Allo S.H.I.E.L.D. stanno tutti bene?» domandò Clint mentre un'ombra calava sul suo volto in via di guarigione.

«Stanno valutando i danni, ma non sembra esserci nessuna perdita...» riferì Sam per rassicurarlo «Tu piuttosto, amico. Si può sapere che hai combinato?»

«Ah dovresti chiederlo al tipo che mi ha conciato in questo modo indecoroso... quell'uomo era fuori dal comune... Ho avuto la sensazione...» si bloccò un po' perplesso su come continuare; si guardò attorno notando solamente in quel momento un particolare non indifferente;

«Ehi dove sono gli altri? Come mai non sono accorsi disperati al mio capezzale-?» continuò con tono canzonatorio... Osservando però le facce improvvisamente scure di Tony e Sam un orribile presentimento iniziò a serpeggiargli nel cuore;

«Gente. Cosa sta succedendo?».


Natasha scosse lievemente il capo e tentò di sollevare le palpebre chiare e sottili come pergamena. La luce al neon le procurò un lamento e la mano corse subito a proteggersi gli occhi di giada; notò che era stata privata dei suoi abiti da spia e indossava dei comodi pantaloni e maglia bianchi in cotone, l'odore di disinfettante e di pulito impregnava non solo i vestiti ma anche l'ambiente che la circondava. Non le servì guardarsi attorno per capire di essere in un'infermeria.

«Ti sei svegliata finalmente» la voce sollevata di Steve ebbe il potere di risvegliare i suoi sensi, il suo corpo si tese naturalmente verso di lui, mentre il capitano entrava nel suo campo visivo sedendosi sul bordo del lettino.

Indossava ancora la divisa, era logora e il suo bel viso presentava un livido violaceo appena sotto lo zigomo alto.

«Siamo ancora...?» la sua voce era più roca del solito, il supersoldato scosse il capo;

«No siamo nuovamente all'Avengers Tower, la dottoressa Cho ti ha sottoposta ad alcuni esami... Nat non fare quella faccia» sospirò lui osservando il volto della compagna contrarsi in una smorfia infastidita. La spia non apprezzava che il suo corpo venisse sottoposto a test sopratutto se lei stessa era incosciente... aveva dovuto subire esami, procedure e trattamenti che le bastavano per una vita intera.

«Lo so» affermò Steve intuendo i suoi pensieri «Ma tu non ti svegliavi e ti agitavi... Mi hai spaventato» sussurrò con certo sforzo, intrecciando la mano con la sua. La rossa assottigliò lo sguardo come se percepire il dolore che gli aveva causato le rendesse difficile guardarlo.

«Cosa ha detto Helen?» chiese rafforzando la presa sulla sua mano;

«Ancora nulla...».

Natasha vide, oltre le vetrate linde dell'infermeria, Bucky e Sharon in piedi parlare piano fra loro. L'agente 13 intercettò l'occhiolino di Vedova e sorrise un po' rasserenata.

L'atmosfera aveva appena iniziato a distendersi quando Helen Cho entrò spedita nella stanza con i due Avengers, mentre il Soldato d'Inverno e compagna si accostarono al vetro osservando attenti la scena.

Natasha percepiva una strana tensione distendersi dal corpo della dottoressa, lo sguardo era sfuggente e le labbra lievemente tese all'insù, a voler trasmettere tranquillità e forse dell'altro, ma gli occhi rimanevano seri.

«Natasha ti sei svegliata bene... Ho appena avuto i risultati delle analisi...» affermò accomodandosi su un alto sgabello. I due Avengers scrutarono attenti ogni suo movimento, dalla postura ben dritta alla sua espressione concentrata mentre scorreva con gesto secco i documenti sul tablet sottile.

«Cosa c'è che non va, dottoressa?» domandò a quel punto Vedova con tono pragmatico, era sempre stata brava a leggere i segnali, e quello che Cho le stava comunicando con infinitesimali cenni che sfuggivano al suo controllo era che stava tergiversando sulla questione.

Helen Cho alzò lo sguardo, passando da Natasha al capitano, senza sapere bene come iniziare quel discorso, era conscia che la spia non era una donna paziente sulle questioni che riguardavano lei personalmente ma per lei, quella era la prima volta che si trovava ad affrontare quella determinata questione.

«Mmh... Da quanto tempo soffri di nausee, Natasha?» le chiese pacatamente.

Steve sgranò appena lo sguardo, sapeva che Natasha aveva dato di stomaco per qualche giorno a inizio mese, ma poi era convinto che le fosse passata, puntò il suo sguardo su di lei e la vide sorpresa anch'essa, la osservò stringere le labbra vermiglie e alla fine cedere;

«Un mese circa» rispose senza un tono. Cho annuì compita;

«Hai mai riscontrato stanchezza? Sensibilità a odori?»; non sapeva dire ancora il motivo ma quelle domande la stavano mettendo a disagio, sentiva una brusca risposta graffiarle la gola ma lo sguardo preoccupato di Steve la fece desistere;

«Sì...» mormorò quasi stesse ammettendo una sua grande debolezza.

«Non riesce più a bere il caffé...» ammise il capitano guadagnandosi un'occhiataccia dalla compagna, che non si era resa conto che lui si fosse accorto di questo suo cambiamento.

Cho annuì un'altra volta senza aggiungere nulla, cose che fece nascere in Vedova il desiderio di prenderla a pugni, percepiva le sue mani prudere dalla voglia.

«Natasha... Il tuo – prese un lieve respiro – ciclo è sempre irregolare giusto?».

Steve arrossì di colpo mentre Natasha dentro di sé sogghignava trionfale per essersi presa quella piccola rivincita su di lui, ma poi la particolarità della domanda attrasse la sua attenzione.

«Sì. Il trattamento che ho subito nella Red Room l'ha reso discontinuo a volte le perdite sono minime... la mia cartella è ben specifica su questo» asserì grave. Non le faceva piacere parlarne.

«L'ultima volta che l'hai avuto, ricordi?»

«...Il mese scorso...».

«Cho! Si può sapere che-?» chiese Steve infastidito notando il disagio farsi largo nello sguardo della compagna.

«Sei incinta».

Uno schiaffo avrebbe fatto meno male.

Natasha si sentì mancare il fiato, dischiuse le labbra incredula. No. Non poteva essere. Si disse, scosse il capo perché lei no, non poteva essere incinta. Non doveva esserlo... Eppure il suo stesso corpo, si rese conto solo in quel momento, le stava dicendo che sì, lo era. Puntò i suoi occhi lucidissimi sulla dottoressa, la cui espressione era rimasta tesa e immutata nel cercare di capire le reazioni della donna che le stava davanti.

«Sei nella quarta settimana...» le comunicò come se avesse risposto a una domanda silenziosa.

La russa scivolò placidamente a terra, muta, chiusa in una paura sgomenta. Sentì le braccia forti di Steve avvolgerla e levarla in ginocchio. Lo guardò e vide riflesso nei suoi occhi azzurrissimi la sua medesima sorpresa, simile ma allo stesso tempo dissimile: perché lei lo vedeva quel baluginio di genuina speranza, di tenera incredulità che animava le fiamme del suo sguardo. Quel sorriso che non c'era ma che riusciva a far risplendere quel volto che amava con tutta se stessa.

«Natasha...» la sua voce era diversa, era commossa pervasa da una paura diversa dalla sua. Lui nemmeno se ne rendeva conto di quello che gli stava accadendo. E fu in quel momento che la paura la inghiottì.

«No» sussurrò. E Steve se ne accorse, era semplicemente terrorizzata. Tutto intorno a loro pareva essersi cristallizzato, la dottoressa Helen Cho compresa. Le passò gentile una mano fra i capelli, la vide stringere gli occhi quasi quel contatto facesse male.

Lui non sapeva nemmeno come sentirsi a riguardo, ma la sentiva quella piccola scintilla, la sentiva crescere ad ogni minuto che passava, lui la sentiva... ci impiegò un secondo per accorgersene che lei, invece, gli era scivolata via dalle braccia.

Alzò lo sguardo, ancora in ginocchio, un'espressione di muta supplica gli deformò il viso; ma lei scosse il capo sconvolta;

«No...» e corse via.


*


Era ormai un mese che stavano in Vermont, era una sera tranquilla la neve continuava a scendere ma la bufera era cessata.

Steve prese un paio di tronchi e li gettò nel fuoco per ravvivarlo, lasciandosi poi cadere nel tappeto morbido davanti al caminetto. Sentì dei passi leggeri e sollevò il capo, osservando Natasha torreggiare su di lui avvolta in morbido accappatoio, una paio di tazze fumanti fra le mani e un semplice sorriso ad adornare il volto.

L'aiutò a sedersi accanto a lui facendola poggiare al suo forte petto.

Rimasero in silenzio per un po', nessuno dei due seppe com'era successo ma Natasha si ritrovò a parlare del suo passato nella Red Room, di ciò che ricordava, del dolore patito. Steve ascoltava serio, in un silenzio devoto non facendole mai mancare un contatto, che sapeva essere l'unica cosa di cui Vedova avesse davvero bisogno.

«Il trattamento...» parlava piano con calma, non lo guardava in faccia ma il suo sguardo era perso fra le fiamme, che creavano sul suo volto bellissime ombre «Mi ha reso quasi sterile...» si strinse maggiormente addosso l'accappatoio provando ora un gran gelo, il capitano non disse nulla lasciò che continuasse ad aprirsi mentre il suo cuore subiva una stilettata «Per me sarebbe difficile avere un figlio-» Steve non poté fare a meno di stringerla maggiormente, piano, per non spaventarla perché aveva percepito quel fremito, quella sottile crepa nella voce altrimenti atona.

«Il rischio che un bambino muoia durante la gravidanza è quasi certo».


Il pugno del capitano si infranse rapido contro il solido muro procurando alla parete un evidente solco, mentre il sangue colava dalle nocche spaccate colorandogli la mano, nella frustrazione dolorosa di quel ricordo.


*


«Lo sapevo di trovarti qui...».

Natasha voltò il capo di scatto osservando James Barnes avvicinarsi a lei con passo felpato, una volta che le fu accanto entrambi volsero lo sguardo alla lapide di Nina Constantin.

«Come sapevi che ero qui?» non resistette alla tentazione di chiedere la donna, Bucky sorrise appena;

«Ho solo pensato come te. Immagino che questo sia il tuo specchio – disse facendo un cenno alla tomba – ciò in cui ti rifletti» terminò con semplicità.

Natasha espirò falsamente esasperata;

«Steve non è l'unico che conosci bene a quanto pare» replicò con sguardo malinconico, al solo nominare 'Steve' la voce le si era incrinata.

«Ascolta» iniziò James levando lo sguardo sulle altre miriadi di lapidi che segnavano quel cimitero verde «Se pensassi che il motivo per cui sei scappata è che semplicemente non desideri il bambino, non sarei qui a parlarti».

La spia fremette e la sua mano corse senza riflettere al ventre, tenendoselo. Gesto che non sfuggì all'attento Soldato, che in quel momento ricevette un'ulteriore conferma di ciò che pensava.

«Dimmi la verità Natalia, tu non vuoi un figlio o hai semplicemente paura?» le chiese a brucia pelo.

«Paura?» sibilò «Pensi che non dovrei temere per questo bambino!? Guarda cosa siamo, James. Chi siamo... Già il solo fatto di essere figlio della Vedova Nera lo mette in pericolo di vita, i nemici non mancano... mai. Non c'è mai stata una missione in cui per me e Steve era previsto un piano d'estrazione. Mai. Che vita potrebbe mai avere? Certo, sempre che riesca a nascere... lo sai anche tu che il trattamento Kundrin ha reso per me molto difficile portare a termine una gravidanza... è improbabile-» non riuscì a terminare quel discorso duro pronunciato con voce affilata come un rasoio, bassa, livida.

Bucky cercò di non dare a vedere quanto quelle parole così accorate eppure dette con crudele freddezza lo avessero colpito nel profondo, poteva capirla davvero, ma si sforzò di mantenere un'espressione ferma.

«Non hai risposto alla mia domanda...»

«Io...» la russa tentennò, le sue mani si contrassero sul grembo, come se volesse sottrarlo alla vista di chiunque, come se volesse... proteggerlo.

«Tu non hai detto di non volere il bambino. Tu desideri solo che sia al sicuro e hai paura che con te non lo sia... Hai così poca fiducia in te e Steve?»

Natasha indurì lo sguardo e lo distolse da James «Non è questione di fiducia... Steve, lui lo proteggere a qualsiasi costo, anche se questo dovesse richiedere la sua stessa vita. Lo so. Ma potrebbe non esserci nulla da proteggere. Se... questo bambino non dovesse farcela... Steve ne uscirebbe distrutto. Ci hai pensato? E io...»

«Un ulteriore colpa da sopportare» disse lui dando voce alla sua vergogna;

«Non riuscirei a sostenere più il suo sguardo, perché sarebbe solo colpa mia e di ciò che sono» una sottile lacrima argentea sfuggì al controllo della donna e scivolò lungo la guancia arrossata per il freddo.

«E questo è un motivo per rinunciare in partenza?» frecciò il Soldato d'Inverno tagliente, sorprendendo la donna che si sentì afferrare per il gomito e costretta a guardarlo in volto, la sua presa era gentile ma ferma.

«Quel bambino – iniziò puntando il dito verso il ventre di lei – non ci sarebbe nemmeno dovuto essere, Natasha. E invece è lì, sta crescendo. Perché è come suo padre e sua madre: forte. Ha lottato contro quell'aridità che la Red Room ti ha imposto col suo trattamento. Non dovrebbe esserci niente, ma c'è Natasha! E questo fa la differenza. So per certo che è un gran testardo...» continuò con un sorriso pacato, mentre Natasha stringeva gli occhi percependo qualcosa dentro di sé mutare e cambiare prospettiva. Poteva davvero? Poteva davvero prendersi il lusso di sperare... di credere? Di desiderare per sé e per Steve un futuro diverso?

«Tu lo vuoi? Perché alla fine la questione si riduce a questo. La Vedova Nera che conosco è forte, non molla l'obiettivo finché non è suo, è una lottatrice... e se lo sei tu... lui lo sarà con te-»

«O lei» frecciò la spia brusca, mordendosi subito dopo il labbro; incredula di ciò che aveva appena detto.

James sospirò e la osservò a lungo;

«Natasha tu puoi cambiare le cose» disse semplicemente.

Ci fu un lungo silenzio, rotto solo dalla neve che danzava muta verso la terra, la donna alzò lo sguardo piano;

«James Buchanan Barnes...» iniziò e per un folle istante il letale Soldato d'Inverno pensò che sarebbe finito KO da un pugno della temibile Vedova Nera.

________________________________________Asia's Corner

Fine Prima Parte. Dunque... il malessere di Natasha è stato finalmente svelato, ma molti di voi, a ragione, avevano già indovinato. Allora tengo a precisare che io non tengo conto dei fatti accaduti in Avengers Age of Ultron e quindi Vedova Nera non completamente sterile (ovvero non ha subito l'asportazione dell'utero), la "cerimonia di laurea" le ha reso difficile portare a termine una gravidanza, come viene detto nel capitolo; cercando nell'immenso internet ho appunto trovato, fra le varie, anche questa spiegazione e a questa mi sono attenuta. Per quanto mi riguarda il trattamento Kundrin ha anche reso il ciclo estremamente irregolare, questo spiega il perché Natasha non si sia preoccupata a riguardo... Ora so che magari queste motivazioni sono abbastanza superficiali ma non sono un'esperta di ginecologia, ect ect... e piuttosto che perdermi in arzigogolate e fantasiose "trovate" resterò abbastanza sul "semplice". Solo Steve col suo... ehm... dna superpotenziato poteva riuscire in un miracolo del genere, almeno io la penso così ^^
Altra cosa ho pensato che Bucky fosse il migliore per parlare a Natasha circa questa questione perché anche lui ha vissuto la Red Room e conosce bene le paure della donna, ed è anche per questo che vuole che lei tenga il bambino perché sarebbe un'ulteriore schiaffo nei confronti della terribile esperienza che entrambi hanno vissuto, desidera che almeno lei riesca a lasciarsela alle spalle... e poi ovviamente pensavo ad una motivazione circa la questione del 'nome'...
Per sapere come andrà a finire ovviamente dovrete attendere la Seconda Parte del capitolo! Ho preferito separare un pezzo che poteva essere unico, non tanto per questioni di lunghezza ma perché volevo che ogni momento di quello che sta succedendo avesse una sua riflessione, volevo che ci fosse una pausa fra la scoperta e la decisione finale poiché sono due momenti ben diversi con ognuno la propria atmosfera e peso... spero di essermi spiegata ^^' 

Bene per il momento è tutto! Per qualsiasi cosa non esitate a chiedermi! Io ringrazio come sempre i recensori, i lettori e tutti coloro che inseriscono questa storia nella diverse liste! Ci rivediamo fra DUE SETTIMANE, precisamente... SABATO 21 GENNAIO

A presto!

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Capitolo 5
*** Il Momento della Verità (parte II) ***


05 Salve a tutti miei cari lettori! E' sabato ed è tempo del nuovo capitolo che vi aspetta qui di seguito...
Ci vediamo a fondo pagina!

Buona Lettura!






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Capitolo Cinque: Il Momento della Verità (parte II)

Did you see the sparks filled with hope?
You are not alone
'Cause someone's out there, sending out flares”

~ “Flares”, The Script



«Grazie»


Natasha camminava piano, le mani affossate nel pesante cappotto, i folti e ondulati capelli carminio erano come un gentile manto protettivo che le incorniciava il volto. Gli occhi liquidi gettavano sguardi distratti alle vetrine, che scoppiavano di luci e colori natalizi. Si soffermò su, forse, l'unica vetrina poco illuminata della via, osservando a fondo il proprio riflesso nitido, quasi che questo potesse svelarle chissà quale verità.

Riprese a camminare con più vigore, fermandosi però davanti ad un' innocente visione: un bambino di pochi anni camminava, o almeno ci provava, verso di lei, sembrava quasi che lo strato pesante di vestiti lo avesse fagocitato, si vedevano solamente gli scuri occhi vivaci che guizzavano in ogni direzione, meravigliati; i genitori gli erano subito dietro, erano una giovane coppia, forse troppo, si tenevano per mano osservando il figlioletto con un sorriso leggero. La camminata incerta del bambino si trasformò presto in un ruzzolone a terra, tanto che il piccolo si guardò subito attorno incredulo di ciò che era appena accaduto.

Natasha stava per fare un passo verso di lui, quando la madre lo prese amorevolmente fra le braccia sussurrandogli, probabilmente, parole di conforto non senza celare un velato divertimento nello sguardo.

La spia superò velocemente la famigliola, riprendendo la via di casa. Non poteva fare finta che non l'avesse desiderato, che nemmeno per un istante l'idea di avere un figlio con Steve non l'avesse toccata. Sarebbe stata una bugia. Perché l'aveva pensato e non solo, qualche volta l'aveva desiderato... Natasha non era una donna facile, non di certo una che si lasciava sopraffare da frivoli sentimentalismi e si abbandonava a romanticherie di qualsiasi genere. Natasha non si faceva coinvolgere da facili emozioni, ma questo non voleva certo dire che non sapeva amare. Lei amava Steve con intensità e lealtà, la sua era una passione contenuta che si mostrava attraverso piccoli gesti e significativi sguardi, in pubblico, e solo nell'intimità del loro focolare, essa poteva essere liberamente lasciata uscire. Rispettava la discrezione di Steve e la condivideva. Era infatti proprio l'amore che provava per il capitano che l'aveva portata ad accarezzare l'ipotesi di un figlio, non ne aveva mai parlato apertamente con lui, se non quella triste sera nel Vermont, ma non credeva che lui sarebbe stato contrario, a volte, quando Alexandra trascorreva le giornate da loro, glielo poteva scorgere negli occhi, quella luce calda che li rendeva più lucidi, più vibranti. L'abbracciava con lo stesso affetto con cui un padre abbraccia una figlia, era orgoglioso dei suoi successi quasi quanto Niko. E anche lei, sempre più spesso, si era ritrovata a guardare la giovane Alexandra come una figlia, ad avere nei suoi confronti sentimenti sempre più premurosi, protettivi... materni. Questo la destabilizzava nel profondo, a volte provocandole disagio, ma al tempo stesso le davano piccoli brividi di eccitazione, scaldandole il cuore come pensava che solo Steve sapesse fare. Vi erano sere in cui Alex si fermava a dormire da loro nell'appartamento di Brooklyn, erano solo loro tre e parevano in tutto e per tutto una famiglia.

Ma malgrado quei pensieri che la scaldavano e al tempo stesso la turbavano, Natasha sapeva che quella strada non sarebbe mai stata semplice, camminava su un filo labile, sottile... un filo che poteva spezzarsi in qualsiasi momento.

Entrò nella palazzina stringendosi nel cappotto, non sapeva come ma sentiva che Steve era tornato lì, nella loro casa.

Rientrò a casa in silenzio, i suoi occhi corsero immediatamente alla figura possente del capitano, di spalle, intento a raccogliere cocci di una tazza che, molto probabilmente era stata frantumata in un impeto di frustrazione. Sapeva che l'aveva sentita rientrare, eppure non si era voltato. Stava cercando di prepararsi a quello che lei avrebbe detto una volta che fosse tornata.

Gli occhi di giada si velarono di tristezza nel vedere quelle spalle curve ma tese, così come il resto del suo possente corpo, ma Natasha scrollò le spalle e alzò lievemente il mento andandogli incontro con passo felpato.

Il capitano percepì il flessuoso corpo della compagna appoggiarsi delicatamente alla sua schiena, non cercò di abbracciarlo o di farlo voltare, si accostò a lui con attenzione. Non sapeva bene cosa dire o come reagire, era consapevole che Natasha si era sottratta a lui per buoni motivi, il terrore che le aveva visto negli occhi gli aveva fatto male. Avere un figlio con lei lo elettrizzava, più di una volta si era perso a fantasticare su come sarebbe potuto essere, ma il pensiero che lei potesse rinunciare in partenza... gli faceva provare un dolore acuto, si sentiva diviso a metà, come se venisse tirato con violenza da due forze contrarie. Malgrado questo le sarebbe rimasto accanto qualsiasi decisione lei avrebbe preso.

Il tempo sembrò dilatarsi, ogni secondo passato sembrava un'ora.

Natasha si sentiva tesa, quanto e forse più, di Steve. Dentro di sé fremeva. Dischiuse le labbra e la voce le uscì roca e sottile:

«Steve...sarai un bravo padre...» il respiro si spezzò contro le sue scapole.

Il supersoldato si irrigidì lasciando che quelle parole gli penetrassero dentro, un calore totalizzante lo sommerse; lentamente si volse verso Vedova che, cercando di non far trasparire nulla, lo guardò dritto negli occhi. Ma lui ormai la conosceva bene, conosceva ogni singola ombra che albergava nei suoi occhi, ogni inafferrabile respiro trattenuto, ogni sua sfumatura.

Dolcemente immerse la mano fra le sue ciocche infuocate;

«Stai dicendo che-?» anche la sua voce non era ferma come avrebbe dovuto essere, si rompeva in strani punti;

«Sto dicendo che avremo questo bambino» sussurrò lei, tentando disperatamente di controllare il proprio tono, allungando la mano per asciugargli lacrime invisibili. Steve gliela afferrò e la baciò.

Il capitano unì la fronte con la sua e la osservò con un'intensità tale da farla tremare;

«Nat, tu non lo stai facendo solo per me-» domandò lui con cipiglio grave e preoccupato, la donna gli portò un dito alle labbra e sospirò;

«No o forse sì? Per molti anni non ho mai avuto nessuna speranza, non sapevo nemmeno se sarei vissuta abbastanza da vedere l'alba del giorno dopo, non me ne importava più di tanto, mi accontentavo di vivere alla giornata. Quando sono entrata nello S.H.I.E.L.D. credevo in quello che facevo ma non mi sono mai considerata speciale, eseguivo gli ordini... se fossi morta sarei stata solo un altro agente caduto in missione, un altro nome sul muro. E poi tu. Semplicemente tu. Per la prima volta ho cominciato a desiderare qualcosa di diverso, una vita oltre la missione, oltre la spia e il soldato, oltre il nostro compito di Avengers... Qualcosa in cui fossimo solo io e te senza guerra intorno. E poi è arrivata Alex e lì non ho più potuto mentire a me stessa, un figlio con te ha cominciato a divenire un desiderio alquanto prepotente. Ma non potevo parlartene perché pensavo che fosse impossibile e dirlo ad alta voce l'avrebbe reso-»

«Reale» la precedette lui, sentendosi travolto dai sentimenti; Natasha sorrise tristemente;

«Mi sarei solo ferita e avrei ferito te, perché credevo fosse qualcosa che non avrei potuto darti... E invece ora è diverso. Ora questo bambino è reale e questo mi... spaventa Steve... perché so che dovrà imparare a difendersi fin da piccolo dai pericoli a cui verrà naturalmente esposto».

Il Capitano la attrasse a sé catturandole le labbra in un bacio intenso. Si sentiva quasi febbricitante, stordito da una felicità che sembrava possedere ogni momento un piccolo pezzo in più di lui.

«Te lo prometto. Non permetterò mai, guardami, mai che accada qualcosa al bambino o a te. Io vi proteggerò sempre.» aveva pronunciato quelle parole con la stessa solennità di chi fa un giuramento davanti a Dio in persona. Vedova si sporse per lasciargli un bacio lieve su quelle labbra che sapevano sempre dire la cosa giusta, poi il suo sguardo si fece inquieto;

«Steve» sospirò «Esiste, però, la seria possibilità che io... non riesca a portare a termine questa gravidanza... Te l'ho detto il trattamento Kundrin non è stato gentile. Il bambino potrebbe non sopravvivere» terminò grave e lo sguardo limpido su cui si allungavano pesanti ombre.

Steve chiuse gli occhi per un momento, sentendo distintamente la paura e la vergogna di Natasha come se fosse la propria, lo era. Sapeva che aveva ragione, ma lui non l'avrebbe mai abbandonata. Avevano sofferto e probabilmente avrebbero sofferto ancora, ma ciò che stava capitando loro: quella piccola vita che stava crescendo andava protetta, meritava una possibilità.

«Natasha. Qualunque cosa succederà la affronteremo insieme. Come abbiamo sempre fatto» le assicurò facendole appoggiare il capo sul proprio petto.

Rimasero così per un po', in quel confortevole silenzio, l'uno nelle braccia dell'altra.

Fu Vedova a infrangere quel silenzio, in qualche modo costretta;

«Steve...»

«Sì?»

«Io dovrei...il bagno.»

«Cos-?» fece lui non cogliendo subito il velato riferimento che, invece, l'eloquente occhiata di Natasha gli fece intuire di cosa si trattava.

«Uh! Oh! sì... capisco»

La spia fu costretta a staccarsi dal compagno e a volatizzarsi in bagno, impossibilitata ormai a reprimere i conati.

Steve si accostò alla porta del bagno preoccupato;

«Nat! Hai bisogno di qualcosa?»

«No.» fu la secca risposta della donna e il capitano decise che fosse meglio lasciarla stare almeno per il momento.


*


Playground, Quartier generale dello S.H.I.E.L.D.

Phil Coulson si richiuse la porta alle spalle del proprio ufficio, e solo in quel momento poté lasciarsi andare ad un sospiro di sconforto. Durò pochi istanti poi si ricucì addosso il suo ruolo di direttore.

Andò alla scrivania cercando di fare, nella sua mente, il punto della situazione.

Svariati suoi agenti erano rimasti feriti nello scontro con l'HYDRA, ed ora l'infermeria lavorava a pieno regime. Alcuni purtroppo, pochi ma pur sempre tanti per lui, erano caduti e ora lui si sarebbe ritrovato nell'ingrata posizione di attuare il protocollo per ogni agente caduto in missione. Le solite bugie, nessun riconoscimento pubblico, un indennizzo per le famiglie che non avrebbero mai saputo come e perché i loro cari ora si trovavano metri sotto terra e non avrebbero più varcato la soglia di casa. Fissò per qualche minuto lo schermo scuro davanti a sé, chiuso in una sorta di vuoto interiore confortante, dopodiché riprese il suo lavoro.

Melinda May entrò nel suo ufficio, poco dopo, senza bussare. E Phil si ritrovò ancora una volta a ringraziare qualsiasi forza cosmica giocasse con loro della presenza di quella donna al suo fianco. Si prese qualche momento per osservarla con attenzione... Accorgendosi che May lo osservava con cipiglio poco rassicurante si schiarì la gola;

«Situazione?»

«L'infermeria è quasi al limite delle sue possibilità, alcuni agenti sono stati curati e poi rispediti a casa come l'agente Holstein, i meno gravi stanno dando una mano. Chi non è stato ferito è stato mandato in perlustrazione; non ci vorrà molto per avere un rapporto danni» riepilogò compita.

«Molto bene, ti ringrazio Melinda» mormorò il direttore non facendo trapelare del tutto la sua gratitudine.

L'agente lo fissò di sottecchi, i sottili occhi scuri vagarono sul viso tirato del proprio capo;

«Hai bisogno di qualcosa?» gli chiese senza nessuna espressione in particolare, reprimendo alcuni scomodi sentimenti.

Coulson non ebbe modo di rispondere perché il tornado Skye si precipitò nell'ufficio con l'aria di chi aveva appena visto un fantasma, i suoi occhi grandi rimbalzavano da May al direttore. Phil si alzò immediatamente in piedi lievemente allarmato dall'espressione della sua pupilla.

«Skye-?»

«Ward! Ward è scappato!» disse senza fiato. Coulson e May si guardarono fra loro, i loro pensieri si completarono a vicenda.

«Era il loro obiettivo fin dall'inizio» sibilò la donna furente;

«Il resto è stato solo un diversivo...» concordò il direttore poi si rivolse a Skye, che aveva l'espressione di chi aveva visto giorni migliori «Abbiamo i filmati di sicurezza?». La ragazza annuì debolmente;

«Se ne sta occupando Mack.»

«Molto bene, raduna tutti e richiama immediatamente Triplett alla base, avremo bisogno anche di lui» ordinò Coulson assumendo nuovamente il comando. L'hacker annuì sollevata di riavere anche Triplett fra loro, fece per andarsene quando May la fermò;

«Stai bene?» domandò l'agente il tono rigido leggermente smorzato.

Skye ci impiegò qualche secondo prima di rispondere:

«Starò meglio quando Ward sarà tre metri sotto terra».



*


La porta si aprì e si richiuse producendo un rumore minimo.

Bucky scorse Sharon rannicchiata sul divano imbottito mentre guardava interessata fuori la finestra appannata, la televisione sintonizzata sul telegiornale continuava a trasmettere.

«Dov'è Jace?» domandò liberandosi del cappotto e scivolando accanto alla ragazza.

«Alla Tower, per questa sera resterà con Alex, si è presa un bello spavento» gli rispose voltandosi verso il supersoldato; gli passò le gambe sopra le sue e prese ad accarezzargli i crini scuri.

«Com'è andata?» domandò seriamente preoccupata per Natasha. James le fece poggiare il capo sul petto e quasi senza accorgersene iniziò a disegnarle misteriose forme sulla schiena. Lo faceva spesso, lo aiutava a rilassarsi.

«Aveva solo bisogno della giusta “provocazione”»

«Come credi che andrà a finire?»

«Davvero non saprei Sharon...» ammise James, sentì la ragazza stringersi di più a lui; e come ogni volta che lei cercava un appiglio in lui, un miscuglio di dolci sensazioni gli si agitarono dentro.

Un trillo proveniente dal portatile dell'agente 13, costrinse proprio la proprietaria a sciogliere la presa dal Soldato d'Inverno e a prestare attenzione alla chat aperta dello S.H.I.E.L.D.

«James!» lo richiamò la ragazza gli occhi che ripercorrevano quelle poche righe «Abbiamo un problema».


*


Cleveland, Ohio.

Vasily Karpov gettò i rimasugli di una cena preriscaldata nel tritarifiuti, sciacquò il piatto e lo infilò nella lavastoviglie. Si accese una sigaretta e finalmente si lasciò cadere su quella che considerava la sua poltrona favorita. Aveva da poco iniziato a guardare il telegiornale quando un potente bussare alla porta lo costrinse ad alzarsi di malavoglia.

«Chi è?» berciò burbero, aprendo scocciato il portoncino d'ingresso.

Sul suo pianerottolo vi erano due figure ammantate di nero: un uomo alto e possente col viso irrimediabilmente sfigurato e una ragazza dal fisico slanciato, lunghi capelli ramati e negli occhi un luccichio tutt'altro che rassicurante.

Vasily Karpov deglutì a vuoto, era già pronto a lanciarsi a prendere la pistola quando il richiamo dell'uomo lo inchiodò sul posto;

«Rapporto missione, Colonnello Karpov» esordì Brock Rumlow con un sorriso da squalo.

La reazione fu immediata;

«Hail HYDRA!» esclamò scattando sull'attenti.

Sin sorrise a metà fra il divertito e il compiaciuto.

Ora ci divertiamo”.

____________________________________________________Asia's Corner

Or dunque! Spero inanzitutto che i risvolti del capitolo vi siano piaciuti, Natasha ha deciso di portare a termine la gravindanza malgrado tutti i "se" e "ma" del caso, sicuramente le difficoltà non mancheranno... 

Passiamo ora alla sequenza successiva: Coulson, May e Skye insomma la pseudo famigliola dello S.H.I.E.L.D., finalmente si sono resi conto che Ward è stato fatto fuggire e Skye ovviamente non reagisce proprio benissimo, tutta la squadra di Coulson porta ancora i segni del tradimento di Ward e Coulson e May capiscono subito quali possono essere le implicazioni di Grant nuovamente fra le fila dell'Hydra... lui conosce la squadra, conosce lo S.H.I.E.L.D.... Ps. Come avrete notato Antoine Triplett sta per tornare fra noi, è un personaggio che mi è sempre piaciuto e non ho mai accettato fino in fondo la decisione di farlo "fuori"!  

E spero che sia stato di vostro gradimento il piccolo momento tutto Sharcky... Godetevelo!
Perchè i tempi duri stanno arrivando, l'Hydra sta preparando il suo arsenale... Cosa accadrà? Non vi resta che continuare a seguire questa storia! ;)

Allora, il prossimo aggiornamento avverrà, sempre fra due settimane, ma fra SABATO 04 FEBBRAIO e LUNEDI' 06 FEBBRAIO! Ora che la questione fondamentale è entrata in gioco devo un attimo risistemare i miei appunti e iniziare ad ordinare la prossime mosse!

Io ringrazio ancora una volta ogni singola persona che è arrivata sino a qui :) e chi non mi fa mancare mai il suo supporto! 

A presto!

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Capitolo 6
*** Decisioni Difficili ***


06 Buonasera gentili lettori! Spero che abbiate passato un weekend migliore del mio... Fortunatamente una nuova settimana è iniziata e direi che parte alla grande con questo nuovo aggiornamento!

Buona Lettura!





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Capitolo Sei: Decisioni Difficili

Quando si effettua una scelta, si cambia il futuro”

~ Deepak Chopra



Natasha espirò piano e aprì gli occhi di giada ancora appannati dal sonno, allungò una mano dietro di lei, infastidita constatò che Steve non era al suo fianco. Si voltò immergendo il viso nel cuscino del compagno, passò la mano sul ventre si sentiva tranquilla, la nausea per il momento era tenuta a bada.

«Sei sveglia?».

Il capitano entrò nella stanza con in mano un vassoio che appoggiò fra le coperte pesanti.

Natasha si mise a sedere osservando incuriosita il pane tostato, la spremuta e la frutta che quasi traboccava dal vassoio.

«Non sapevo bene di quale avessi avuto voglia...» si giustificò l'uomo. La russa gli lanciò un'occhiata eloquente;

«Ahn, ecco cosa stavi cercando ieri sera in internet» disse con tono falsamente esasperato, in realtà intenerita da quella premura.

Steve alzò gli occhi al cielo;

«Okay lo ammetto. Ho solo cercato di capire come potevo aiutarti per... le nausee mattutine... e così sono sceso stamattina dal fruttivendolo»

«E hai comprato ogni tipo esistente di frutta su questo pianeta...» Natasha ridacchiò, afferrò un chicco d'uva e se lo portò alle labbra, prese un po' di pane tostato e ne diede un pezzo al compagno, ringraziandolo con un bacio.

Steve si appoggiò alla testiera del letto e abbracciò Vedova, che appoggiò il capo sulla sua spalla, la strinse e le posò un delicato bacio fra i capelli. Nessuno dei due parlò, paura e eccitazione si mischiavano insieme in un circolo infinito; l'uno poteva percepire la tensione dell'altra e solo restando insieme, in quel letto che sapeva così tanto di loro, quella sensazione poteva essere contenuta, soffocata. Natasha avrebbe voluto restare lì, abbandonata a lui, con discrezione cercava di ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto affrontare le conseguenze di quella scelta perché sapeva che da quel momento in poi sarebbe stata l'incertezza a governarla. E per lei quella condizione era intollerabile.

D'altra parte Steve era restio a lasciare quel letto, quell'appartamento, perché finché erano lì il resto del mondo non esisteva e niente poteva accadere. Se fosse stato per lui avrebbe nascosto Natasha e il loro bambino fin quando gli sarebbe stato possibile. Un istinto protettivo primordiale lo pervadeva, il solo pensiero che qualcuno, da lì in avanti, potesse anche solo sfiorare la sua famiglia gli mandava il sangue al cervello. Espirò piano.

A malincuore, sciolse la presa da Natasha ed entrambi iniziarono a prepararsi.

La spia indossò un paio di jeans chiari e constatò, con un'occhiata critica, che le stavano giusti. Giusti. Di solito aveva bisogno di una cintura, ma evidentemente ora ne avrebbe fatto a meno. Si infilò un caldo maglione bianco, si ravvivò i voluttuosi boccoli e si voltò verso il capitano.

Steve tese la mano e lei gliela afferrò riacquistando calore.

«Pronta?»

«Andiamo».


Arrivarono all'Avengers Tower che il sole era coperto da spesse nubi e l'aria preannunciava neve.

Si fermarono ad uno dei livelli inferiori dell'edificio, che solitamente non frequentavano, dove si trovava l'ufficio di Helen Cho, lì a New York.

La dottoressa sollevò prontamente lo sguardo da alcune carte e accolse i due Avengers con un sorriso pacato.

«Perdona il poco preavviso» esordì il capitano prendendo posto accanto alla compagna.

Helen scosse il capo facendo capire che per lei non era stato un problema, anzi.

«Come stai Natasha?» domandò interessata, invece.

Vedova si prese un'istante prima di rispondere; mise a fuoco la stanza, si soffermò sul quadro italiano dietro la donna e sfiorò distrattamente il ventre.

«Meglio... Ho deciso di tenere il bambino»;

La dottoressa annuì sorridendo, afferrò una cartella vuota e vi scrisse, con calligrafia fine, 'Romanoff'.

«Allora questa è una domanda che ti farò spesso» digitò qualche tasto e comparvero alcuni file «Come vanno le nausee?»;

«Credo di essere stata graziata stamattina – e lanciò un'occhiata a Steve – ma persistono» affermò sincera. Per quanto detestasse avere a che fare con scienziati e dottori, era inutile ormai essere restii, non si trattava più di lei e basta.

Cho annuì poi si fece seria;

«Non vi mentirò, la situazione non è certo delle più semplici» si soffermò un attimo su entrambi che annuirono gravi «Si tratta di una gravidanza straordinaria: non solo per il trattamento che ti ha reso quasi sterile Natasha, ma anche per il corredo genetico di questo bambino. Sarà unico nel suo genere – sia Steve che Natasha pur consapevoli di ciò si sentirono lievemente a disagio – il tuo fisico si deve preparare ad accogliere qualcosa che non aveva previsto, non sarà una gravidanza rose e fiori e io farò tutto ciò che è in mio potere perché ne tu ne il bambino vi troviate in pericolo di vita...»

«Che cosa!?» si intromise Steve con voce strozzata, sentendosi male a quelle parole, l'idea che Natasha potesse addirittura rischiare la vita era insopportabile.

La spia gli afferrò la mano con dolcezza ma fermezza. Si guardarono negli occhi.

Glielo stava chiedendo, gli stava chiedendo di avere fiducia in lei, di non indietreggiare di non avere paura, perché altrimenti anche lei avrebbe ceduto, non poteva farlo senza di lui.

Il capitano strinse la sua mano, pur con il timore nel cuore, inspirò e annuì.

«Non ho paura del dolore» affermò lei sicura e con una punta di sfida nella voce.

«Ho bisogno che tu ti fida di me» obiettò la dottoressa. Natasha inspirò, percepì la presa di Steve farsi più forte;

«Mi fido».

Helen sospirò:

«Ci saranno esami da fare, oltre ai soliti prescritti per ogni gravidanza, vorrei che tu facessi una villocentesi»

«Di cosa si tratta?» domandò il capitano leggermente in ansia;

«E' un test invasivo che permette di prelevare dei frammenti di tessuto coriale, un componente della placenta per intenderci, che poi analizzerei in laboratorio, ciò ci permetterebbe di ottenere informazioni su eventuali anomalie cromosomiche o... genetiche-»

«Potrebbe nascere con malformazioni o malattie?» domandò Natasha brusca.

«Come ho detto questa è una gravidanza straordinaria, non sappiamo come si combinino due DNA così modificati e se questo suo corredo genetico lo potenzierà semplicemente come è successo a Steve o gli causerà degli scompensi. Questa procedura ci darebbe modo di sapere in che percentuale il feto sia sano».

Steve inspirò, suo figlio o sua figlia sarebbe potuto nascere malato a causa sua... quel pensiero lo trafisse come la peggiore delle pugnalate. Gli occhi gli pizzicarono e solo la presa salda di Natasha lo salvò.

«Fallo, qualsiasi cosa... fallo» mormorò la russa.

«Lo potremmo fare tra qualche settimana» asserì Helen, poi guardando le loro facce tese gli sorrise incoraggiante «Sentite, so che non vi ho dato notizie facili da digerire finora, voglio solo che abbiate chiaro cosa state per affrontare, non è facile ma già il fatto che questo bambino ci sia significa che è forte e ci sono buone probabilità che tutto vada per il meglio. D'accordo?» i due si ritrovarono ad annuire persi.

«Bene, allora volete conoscerlo?»

I due Avengers sgranarono lo sguardo sorpresi.

Natasha si sdraiò sul lettino e si sollevò il maglione mentre Steve si mise al suo fianco. I loro cuori battevano trepidanti all'unisono.

Helen distribuì il gel sul ventre della russa che sussultò impercettibilmente impreparata.

Il monitor si accese e Cho strinse gli occhi per qualche momento poi le sue labbra si distesero;

«Ah eccolo! Vedete – disse disegnando un piccolo cerchio con il dito – è proprio qui».

Steve e Natasha si sporsero verso il monitor, non si distingueva benissimo eppure lo videro ugualmente, quel feto di pochi millimetri che si muoveva appena.

«Incredibile...» sussurrò il capitano in venerazione;

la spia cercò la sua mano e la trovò subito pronta a sostenerla.

«Siccome ormai sei di cinque settimane dovrebbe sentirsi...» Helen tacque soddisfatta.

Dei forti e rapidi battiti iniziarono a propagarsi nella stanza.

«E'...» il capitano boccheggiò incredulo, la dottoressa annuì sorridente;

«Sì è il suo cuore».

Natasha in religioso silenzio allungò la mano verso lo schermo e vi premette le dita contro, come se desiderasse ardentemente toccare quel bambino che era solo ancora un'embrione. Una lacrima scelse dolcemente lungo la guancia.


La porte dell'avveniristico ascensore si aprirono con un musicale 'din' e Natasha e Steve si ritrovarono nell'ampio e sofisticato soggiorno.

Immediatamente numerose teste si voltarono nella loro direzione. Sharon, Bucky, Jace, Alex, Niko, Sam, Maria, la famiglia Barton al completo, Tony e persino Nick Fury – tanto che la spia e il supersoldato gli lanciarono un'occhiata incredula – li stavano attendendo in silenzio.

Natasha sentì l'impellente bisogno di fuggire, in che guaio erano andati a cacciarsi? Sospirò:

«La notizia si è sparsa in fretta...» bisbigliò al compagno che ridacchiò nervosamente sentendosi fissato in quel modo.

«Sì sono incinta! E sì terremo il bambino» esordì con una punta di esasperazione nel tono ma stringendosi impercettibilmente al capitano che aveva il potere di infonderle più serenità.

Ci fu un attimo di immobilità generale, i respiri si cristallizzarono dopodiché come una bolla che arriva al punto di rottura tutto iniziò a muoversi.

Alexandra si precipitò da Natasha con un sorriso tanto luminoso che rischiava di abbagliare, e mai come in quel momento la donna seppe di aver fatto la scelta giusta.

La ragazzina la abbracciò d'impeto prima di staccarsi mortificata;

«Scusami Nat-» ma la spia le circondò le spalle magre e le portò una ciocca dietro l'orecchio, lei arrossì.

«Non sono di cristallo – scoccò un'occhiata al capitano al suo fianco – anche se qualcuno potrebbe dire il contrario» affermò divertita, Steve alzò gli occhi al cielo.

«Congratulazioni ragazzi!» un Jace più contenuto abbracciò entrambi con gli occhi lucidi. Niko strinse la mano del capitano e si scambiarono uno sguardo complice. Nessuno meglio di lui sapeva cosa significasse una gravidanza del genere.

«Andrà bene» gli assicurò Niko a voce bassa abbracciando la donna, poi si scostò elegantemente per lasciare spazio ad una Sharon fremente.

«Qualsiasi cosa Nat, qualsiasi cosa» le sussurrò commossa, abbracciandola forte. La spia le sorrise «Grazie».

«Ragazzi non smettete mai di sorprendermi!» trillò Sam abbracciando, o meglio stritolando, insieme a Bucky il povero Steve. Ne era certo quei due non gli avrebbero dato tregua.

James si scambiò un'occhiata con Natasha, lei gli fece un semplice cenno per ringraziarlo ancora una volta.

Fu il turno dei piccoli Barton elettrizzati all'idea di poter, finalmente, avere un cuginetto.

«Mamma papà come nascono i bambini?» celiò innocentemente Lila gelando sul posto tutti gli adulti, per non parlare del solitamente calmo arciere che sbiancò e non di certo perché era ancora degente.

«Grazie tante Nat!» sospirò Clint mentre la stringeva premuroso «Sono davvero felice per te»;

«Speriamo di esserlo anche alla fine...» mormorò l'amica con lieve sorriso triste. L'arciere gli strizzò l'occhio.

«Tony non dirmi che ti sei commosso?» lo prese in giro la donna mentre il magnate gli si avvicinava con lo sguardo non proprio fermo;

«Ti piacerebbe Rossa! Mi è solo entrato un elefante nell'occhio» borbottò ironico Tony, congratulandosi con entrambi.

«Ora non potrà più essere lui il bambino della situazione» trillò sarcastica Pepper Potts appena sopraggiunta con un sorriso radioso dipinto sul volto magro e fine.

«Pepper!» si lamentò Tony «Voglio che tu mi dica quando mai mi sarei comportato in modo infantile!? E sii ben specifica cosicché potrò smontare ogni tua illazione!». La donna nemmeno a dirlo ignorò prontamente il fidanzato e fece gli auguri a Natasha, mentre il resto del gruppo ridacchiava e benediva quella santa donna.

Fury li fissò con l'occhio buono e scosse il capo con l'ombra di un sorriso:

«Voi due...» si limitò a dire. C'era una nota di fierezza mista a contentezza nella sua voce. Lasciò che l'atmosfera fosse ancora per un po' leggera, quasi spensierata, poi con colpo di tosse riportò tutto all'ordine.

«Purtroppo ci sono delle cose di cui discutere...» il suo tono non lasciava spazio ad equivoci. Natasha e Steve lo sapevano, quel bambino non aveva scelto uno dei momenti migliori per venire al mondo.

«Che succede?» domandò il supersoldato assumendo ancora una volta il suo ruolo di Captain America.

Sharon e Maria si scambiarono uno sguardo d'intesa;

«Si tratta dello S.H.I.E.L.D., ci è stato comunicato che lo scopo primario dell'intrusione dell'Hydra era l'evasione dell'ex agente Grant Ward.»

«Chi è esattamente?»

«Faceva parte della squadra scelta di Coulson, era uno Specialista, quindi potete capire da soli è un soggetto altamente preparato, in realtà si trattava di un agente dormiente dell'Hydra addestrato da Garrett. Ha creato non pochi problemi a Coulson e alla sua squadra, stanno ancora raccogliendo i pezzi...» spiegò Sharon mostrando alcune immagini del ragazzo.

«Per noi che cosa significa la sua fuga?» domandò Natasha osservando attentamente lo stile di combattimento dell'infiltrato. Fu Maria a rispondere:

«Per voi non cambia praticamente nulla, non ha mai avuto contatti ne con te, ne con Steve o Clint ai tempi in cui operavate nello S.H.I.E.L.D., ma per l'agenzia potrebbe essere un grosso problema, era un agente di livello 7 ed è stato molto vicino a Coulson e ai suoi... Conosce i protocolli, tutto.»

«Una bella seccatura» asserì Clint pensieroso «Hanno valutato l'ipotesi di una spia?»;

La donna annuì grave;

«Stanno ricontrollando ogni profilo, ogni spostamento dei loro agenti... Ma non avranno risultati nell'immediato. Ma c'è un'altra cosa che ci interessa» nel dirlo fece comparire sullo schermo olografico un'immagine. Si trattava di una donna di spalle, non si intravedeva nulla del volto ma solo una dritta cascata di capelli rame che, come un sipario, non faceva intuire nulla nemmeno del suo fisico. Era stata astuta. Davanti a lei lo schermo del computer crepato, come se avesse ricevuto un colpo forte.

«Non conosciamo l'identità della donna, è stata molto brava a non farsi riprendere, quasi sapesse già dove fossero le telecamere e questo fa propendere per l'ipotesi di un infiltrato. Skye è riuscita a recuperare la cronologia del computer e ha scoperto questo» la donna scomparve e al suo posto apparve una lista dettagliata «Questa» si intromise Sharon «E' la lista di tutti i ricettatori di armi chitauriane o di 0-8-4 che lo S.H.I.E.L.D. tiene d'occhio.»

«Stanno cercando di aumentare il loro arsenale?» domandò a quel punto Sam «Cosa significa quel nome sottolineato?»;

«E' quello che ha cercato di occultare, ma fortunatamente Skye è più brava. E' il loro obiettivo: la famiglia Belgioioso». A quel nome sia Bucky e Natasha assottigliarono pericolosamente lo sguardo.

«E chi sarebbero?» chiese perplesso Steve.

«E' una famiglia molto particolare, fanno parte dell'antica nobiltà veneziana. Loro...»

«Organizzano delle aste clandestine. Aste molto particolari» affermò Vedova Nera stizzita «Ogni ultimo dell'anno per i loro potenti e pericolosi ospiti viene indetta questa asta, in cui vengono venduti non solo materiali di contrabbando, di qualsiasi genere e badate bene qualsiasi, ma anche persone. Personaggi ritenuti scomodi o che possono servire a qualcuno per un qualsivoglia scopo. I Belgioioso si occupano di recuperare la “merce” che poi mettono all'asta il trentun dicembre. Sono piuttosto bravi...» fece una pausa e poi si ritrovò costretta a guardare Steve «Io stessa per loro sono una merce rara».

«Stai scherzando?» esalò il compagno allibito;

«Fu quando iniziai a farmi un nome come mercenaria e assassina che entrai nella loro speciale “lista”. Erano in molti a volermi: dittatori, amministratori delegati, signori della guerra o semplicemente nemici... Una volta riuscirono quasi a catturarmi per la loro asta. Da quando sono entrata negli Avengers il loro interesse nei miei confronti è diminuito. Ma scommetto che qui non sono l'unica che sarebbe un ottimo pezzo per loro...»;

«Ha ragione» esordì James cercando di mostrarsi indifferente «Io sono attualmente una merce richiesta e scommetto che se accediamo alla loro lista possiamo trovarci nomi come Stark o addirittura Fury» Sharon e James sbiancarono a quelle parole.

«Prego?» berciò Tony con sguardo oltraggiato;

Bucky si strinse le spalle;

«Beh se la guardi da un altro punto di vista, è sinonimo di pregio essere un obiettivo dei Belgioioso» replicò lui come giustificazione. Il magnate sembrò quasi rilassarsi;

«Mi piace di più la tua versione» affermò indifferente. Il resto dei presenti scosse il capo allibito.

«Fantastico. E ora come la risolviamo?» disse Sam gettando la testa all'indietro.

Natasha si scambiò un'occhiata con Fury;

«Dobbiamo infiltrarci a quell'asta, semplice»

«Beh è fuori questione che tu faccia da esca!» scattò Steve fissandola scuro in volto.

Se non fosse stata incinta avrebbe replicato. Avrebbe tanto voluto contraddirlo, come faceva ogni volta che lui si preoccupava per la sua incolumità, dirgli che lei sapeva difendersi da sola e che per quanto lo amasse non avrebbe rinunciato a fare il suo dovere per evitare l'infarto a lui. Ma ora la situazione era cambiata... si toccò il ventre, non si trattava più della sua vita, lo sapeva lei e lo sapeva lui. E Natasha aveva deciso di avere quel bambino, e per nessuna ragione lo avrebbe messo in pericolo più di quanto non lo fosse già, lo avrebbe fatto pur andando contro la sua natura di spia e guerriera.

«Non stavo suggerendo questo, Steve.» era pur sempre Vedova Nera e non gli avrebbe mai dato tanto facilmente la soddisfazione delle parole “hai ragione”. Il supersoldato la osservò intensamente, conscio di quanto le fosse costato tirarsi indietro ma al tempo stesso sollevato.

«Molto bene» affermò Fury «Prendiamo atto che la situazione è cambiata. Nessuno a parte questo gruppo presente deve sapere che Romanoff è incinta, per il momento eviterei di farlo sapere allo S.H.I.E.L.D. la loro situazione è delicata». L'intero gruppo annuì sotto lo sguardo vigile della super spia;

«D'altronde ha ragione quando dice che la migliore strategia è infiltrarsi all'asta-»

«Lo farò io» lo interruppe Bucky senza fare una piega. Sharon chiuse gli occhi, l'aveva immaginato e ragionando da spia quella era la tattica migliore. Bucky e Natasha avevano entrambi la giusta esperienza per un piano come quello... Ma giustamente Vedova non era nelle condizioni di agire sul campo, e Sharon intuì che doveva avere altre preoccupazioni circa la gravidanza. Pur col cuore pesante come un macigno annuì.

Steve sospirò come fosse esausto;

«D'accordo gente. Abbiamo poche settimane, cerchiamo di farci venire in mente un piano».





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Ed eccoci al termine di un altro capitolo faticoso (almeno per la sottoscritta), devo dire che emotivamente parlando gli ultime tre capitoli non sono stati per niente facili... Ma spero di aver fatto un buon lavoro anche con quest'ultimo, a voi lettori l'ardua sentenza ;)
Non mi sento di dire molto su questo capitolo... credo parli abbastanza da solo ma ovviamente per qualsiasi curiosità o dubbio sono sempre a vostra disposizione :) Ah, un'ultima cosa l'idea per la ehm "Belgioioso Family" l'ho presa da una puntata di The Blacklist, quindi non è farina del mio sacco, 'diamo a Cesare quel che è di Cesare', mi piaceva troppo come idea e non vedevo l'ora di poterla sfruttare... speriamo di riuscire a cavarcela!

Bene detto ciò! Io, come sempre, ringrazio davvero voi tutti per continuare a seguirmi e darmi il vostro sostegno in ogni modo! (scusate la brevità ma sono un po' di corsa oggi!) Voglio inoltre avvisare chi ha commentato lo scorso capitolo RISPONDERO' ALLE VOSTRE RECENSIONI ENTRO DOMANI A PRANZO (se per caso non riuscissi a rispondere a tutti, perdonate davvero ma ho una giornata piena!) e ci vediamo, tra due settimane,
LUNEDI' 20 FEBBRAIO!


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Capitolo 7
*** The Show must go on (parte I) ***


07 Salve a tutti voi! Eccomi tornata con il nuovo capitolo, che sarà diviso in due parti...
Ci si vede a fondo pagina come sempre!
Buona Lettura!





http://i1171.photobucket.com/albums/r557/JasmineL211/DE.jpg





Capitolo Sette: The show must go on (parte I)

Noi siamo all'inferno, e la sola scelta che abbiamo

è tra essere i dannati che vengono tormentati

o i diavoli addetti al loro supplizio.”

~ “Breviario del Caos”, Albert Caraco

I have no place in the world”

K si piegò sulle ginocchia per compiere una complicata mossa che costrinse l'avversario nella sua morsa mortale.

«Basta così» una voce autoritaria decretò la fine dell'addestramento. La ragazza lasciò di colpo l'agente che crollò sgraziatamente a terra, ansante; lei, invece, non aveva quasi capello fuori posto, il respiro era leggero, regolare come se il suo corpo non fosse stato posto ad alcun sforzo.

I have no place in the world”

Si allontanò dal tappeto di allenamento, afferrò alcune ciocche scure e le legò in una morbida treccia, non sapeva dove aveva imparato ma sentiva che quel gesto era importante, che era legato a qualcosa che era stato importante per lei, anche se non ricordava...

«Complimenti K».

Una giovane ragazza bionda si precipitò verso di lei, avevano più o meno la stessa corporatura sottile e flessuosa, che celava muscoli tesi e sviluppati, le sue labbra rossissime e ben disegnate non sorridevano, ma i suoi occhi verdi, dal taglio lievemente allungato, guardavano l'altra con vivo interesse.

«Non qui Didi» l'avvertì con voce carezzevole, se avessero saputo l'esistenza di quel nomignolo... Ma non poteva farne a meno, non riusciva a chiamarla semplicemente 'D'.

Percorsero i corridoi nell'area riservata a loro in silenzio, l'espressione imperturbabile.

«L'addestramento è terminato?».

Le due agenti posarono in sincrono lo sguardo sul ragazzo alto e atletico dagli occhi cerulei che stava loro difronte, annuirono piano.

«Ti hanno convocato?» si informò K sostenendo il suo sguardo apatico;

gli occhi dell'agente N ebbero un guizzo, lasciando trasparire la brutta copia di

un'emozione che scivolò sui suoi lineamenti marcati.

«Già»

«Tornerai N?» chiese con voce flautata D corrucciando appena le sopracciglia di una sfumatura più scura rispetto ai lunghi capelli. Inclinò il capo osservandolo incuriosita.

«Non so risponderti» ma sollevò lievemente l'angolo delle labbra sottili, quasi volesse rassicurarla. Nessuno riusciva ad essere rude con D, nemmeno quel sadico di L.

N, poi, proseguì per la sua strada, come se quella conversazione non fosse mai avvenuta; K si mosse piano afferrando la mano della bionda che era rimasta indietro, lo sguardo incantato, persa in ricordi nebulosi.

La mora ne accarezzò la figura sottile e nervosa con gli occhi, forse non era del tutto vero che non aveva nessun posto nel mondo...


*


31 Dicembre, Aeroporto Marco Polo, Venezia.


Informiamo i gentili passeggeri che stiamo per atterrare all'aeroporto “Marco Polo” di Venezia, la temperatura esterna è di 30.2 gradi Fahrenheit1 il tempo è nuvoloso. Il comandante e il suo equipaggio vi augurano una buona permanenza”.

Sharon Carter sbatté le palpebre lentamente ma il suo sguardo, fisso sull'oblò, continuava a rimanere vacuo, le pupille riflettevano senza interesse l'acqua che dava l'impressione che l'aereo stesse per atterrare fra i fluidi invece che in una solida pista d'atterraggio, che si materializzava, quasi magicamente, solo un attimo prima che le ruote iniziassero a stridere sull'asfalto.

Le dita torturavano il cartoncino plastificato delle istruzione da seguire in caso d'emergenza; improvvisamente una mano si tuffò fra le sue stringendogliele in una presa calda.

La bionda agente si voltò di scatto, quasi fosse stata presa alla sprovvista, ed incontrò l'enorme sorriso del suo accompagnatore. Si ritrovò a pensare che non era mai stata a Venezia prima d'ora; aveva immaginato che la sua prima volta sarebbe stata per uno speciale weekend romantico, con tanto di cene affacciate sul canale, in compagnia del suo ragazzo. Invece la sua prima volta in una delle città più romantiche del mondo sarebbe stata proprio per salvare il suo ragazzo, fra le altre cose.

«Tutto okay?» Sam Wilson la fissò attento, cercando di infonderle un po' di sicurezza attraverso il suo sorriso. Sharon sospirò e le sue labbra scivolarono all'insù;

«Sì, Sam perdonami...».

Non che l'ex pararescue le credette a quel punto, ma la poteva capire, non si erano certo cacciati in una situazione facile, non avevano un piano A solidissimo e il piano B era piuttosto incerto, stavano più o meno andando allo sbaraglio (non che quella fosse una novità) e per di più c'era la questione “James”.


Due settimane prima, New York...

«Ne sei davvero certo?» quella probabilmente era la decima volta che glielo domandava, ma lui si costrinse ad essere paziente ed annuì deciso. D'altronde esisteva forse altra soluzione?

«Tu piuttosto, io preferirei-»; ecco era piuttosto quella questione che non gli andava molto giù;

«James!» lo ammonì lei scoccandogli un'occhiata penetrante.

«Non è necessario che tu venga» proseguì cocciuto, mettendo su il broncio. Sharon voltò completamente il suo corpo verso di lui, portandosi le mani, a pugno chiuso, sui fianchi, in un gesto che ricordava tremendamente Peggy Carter.

«O potresti fare da supporto con Steve e May!» disse enfatizzando le sue parole con gesti inconsulti «La Hill è perfettamente in grado di-»;

«Lo so che Maria è perfettamente in grado di andare sotto copertura.» frecciò dura la ragazza «Il fatto è che voglio essere io a farlo!» celiò esasperata. C'era davvero il bisogno di spiegare le sue motivazioni ad alta voce?

«Lo sai che così stai privando Sam e Maria della reciproca compagnia!?» berciò Bucky non sapendo più che “pesci pigliare”, appellandosi addirittura ad una ragione come quella. Sharon inarcò pericolosamente un sopracciglio;

«Oh te ne sei accorto? Carino da parte tua amore...». Ahi. Ecco cosa comportava l'amicizia sempre più stretta con Natasha, avrebbe dovuto parlarne con Steve, si disse.

«Non sai esattamente a cosa vai incontro...»

«Nemmeno tu se è per questo!» lo rimbrottò lei, stanca. Chiuse gli occhi e si prese un momento per inspirare profondamente.

«James io e Sam faremo la parte degli ospiti, sei tu quello che sarà praticamente prigioniero... E già faccio fatica a sopportarne il pensiero, perciò non chiedermi di mettermi in disparte ad aspettare che tu ne esca vivo» l'aveva detto con voce non proprio ferma mentre il suo sguardo si faceva umido.

Quello a grandi linee era il piano che avevano ideato; Tony si era premurato di far sapere a tutto il Deep web che c'erano un mucchio di compratori interessati al famigerato Soldato d'Inverno. Questo, si auguravano, sarebbe bastato per far decidere alla famiglia Belgioioso che James Barnes era ancora degno della loro asta. In quel preciso istante, sempre il magnate si stava “divertendo” a creare le identità false di Sam e Sharon con cui si sarebbero infiltrati all'asta.

Bucky si alzò e le andò incontro, lasciando che fosse lei, poi, a fare l'ultimo passo.

«Lo so che sei preoccupata, ma il fatto che tu possa essere altrettanto esposta, fa preoccupare me.» mormorò facendo scorrere le dita sulle sue braccia sottili.

«Non chiedermi di restare a guardare...» gli sussurrò, James le posò un dolce bacio sulla fronte e annuì, consapevole che non l'avrebbe fatta desistere da quella decisione.

Quella era stata l'ultima loro discussione, tre giorni dopo Bucky era partito per una falsa missione con il preciso scopo di farsi catturare. Il fatto che da quel momento non avessero avuto più sue notizie li aveva fatti ben sperare; Tony aveva poi dato la definitiva conferma, essendo riuscito a trovare il filmato, di una telecamera di sicurezza, che mostrava a tratti il rapimento. Il piano era riuscito, non che ci fossero state conseguenti esultanze. Natasha e Jace avevano dovuto usare tutta la loro buona volontà per evitare che Sharon avesse una crisi isterica.


«Ripassiamo un attimo le identità?» propose la ragazza, concentrarsi sui dettagli certi del piano le avrebbe impedito di impazzire.

«Malik Kitenge, originario della Repubblica Democratica del Congo, conduco un traffico di armi e diamanti tra Belgio e Stati Uniti, parlo francese, inglese e un po' di lingala2 sono cresciuto a Kinshasa, ma ho frequentato la Columbia University per due semestri. Mio padre era un gerarca dell'esercito caduto poi in disgrazia, questo ha fatto si che intraprendessi la via dell'illegalità diventando un Signore della guerra...» snocciolò con un disinvolto accento francese mentre scendevano dall'aereo;

«Però! il tuo accento è nettamente migliorato... il full immersion con Maria è servito» notò l'agente con un sorrisino malizioso, riuscendo a mettere in imbarazzo Falcon che ridacchiò nervosamente.

«D'accordo, alla Columbia hai incontrato me; Valerie Hale laureata in Storia dell'arte, newyorkese dell'Upper West Side; madre inglese, mio padre gestisce un piccolo fondo fiduciario e ha sempre cercato di fare il grande salto sociale... Sono tua complice e gestisco gli affari qui in America» affermò Sharon entrando in aeroporto, dopo aver ritirato i bagagli si scambiarono un'occhiata d'intesa ed entrambi si recarono in bagno per sistemare la propria copertura.

Quando vi uscirono non erano più Sam Wilson e Sharon Carter ma Malik Kitenge e la sua compagna Valerie Hale: elegantemente vestiti, Falcon attorno al polso aveva un rolex tanto grande e abbagliante che si sarebbe potuto notare a chilometri di distanza, l'agente 13 indossava una curatissima parrucca nera tagliata a caschetto asimmetrico e una bianca pelliccia celava le sue forme.

Una volta lasciata la zona di ritiro bagagli, si soffermarono sul cartello con su scritto 'BelgioiosoTour' fra le mani di un'autista dall'aria apatica;

«Desidera qualcosa signore?» gli domandò quest'ultimo in un inglese perfetto;

«Sì, gradirei dare uno sguardo ai gioielli rari di Venezia» rispose, seguendo le poche istruzioni che gli erano state fornite con breve anticipo insieme all'invito. L'autista non si scompose;

«Molto bene Mister Kitenge. Vogliate seguirmi».

L'uomo li accompagnò ad una lussuosa berlina, con tanto di vetri oscurati. Una volta che furono dentro incapparono in un altro uomo ben vestito che sorrise loro;

«Signorina Hale, signor Kitenge benvenuti. Lavoro per la famiglia Belgioioso, vi posso offrire un drink di benvenuto?» domandò cordiale, il suo accento italiano era molto forte. Sharon e Sam accettarono il drink cercando di mostrarsi disinvolti; anche perché malgrado le maniere piacevoli, qualcosa diceva loro che non sarebbe stato così semplice rifiutare.

I due intuirono immediatamente che c'era qualcosa che non andava nel contenuto del bicchiere; l'uomo dei Belgioioso li guardava a vista, le sue labbra erano stese in un sorriso benevolo ma i suoi occhi scrutavano le loro reazioni come un falco fissa la propria preda.

«Cin cin tesoro!» esordì Sam facendo tintinnare il suo calice con quello della ragazza che gli sorrise amabile. Entrambi ingollarono il contenuto senza esitazioni.

La reazione fu quasi istantanea, i due agenti crollarono svenuti, i calici rotolarono sul tappetino dell'auto crepandosi.


*


L'indice metallico picchiò lentamente sul bracciolo in ferro, scandendo un tempo che sembrava passare solo nella sua testa. Il tintinnare di catene e i gemiti rabbiosi avevano smesso di attirare la sua attenzione, così come le voci sempre più flebili che chiedevano “perchè?” o semplicemente aiuto. Non era l'unico essere umano che sarebbe stato venduto come una merce rara e preziosa, ognuno di loro valeva cifre esorbitanti alla pari di tanti oggetti che erano stipati ordinatamente in quello che veniva chiamato deposito.

In quei giorni James si era riempito gli occhi di poetici quadri creduti perduti, manoscritti antichi, ma anche armi di distruzione di massa, batteriologiche, nucleari, agenti chimici praticamente introvabili ritenuti leggendari persino al mercato nero; aveva visto le armi chitauriane, talmente tante da equipaggiare un esercito, ma il suo sguardo aveva intravisto anche qualcos'altro, qualcosa che gli aveva riportato alla mente spiacevoli immagini. Le più grandi opere simbolo di cultura illuminata si accostavano alle più grandi opere di morte che mente umana fosse stata mai in grado di concepire. Luce e ombra si rincorrevano in quel deposito, come Bucky non aveva mai visto.

«Ah! La mia punta di diamante, il mio Jolly... il Soldato d'Inverno».

James digrignò i denti, stringendo i pugni osservando una sinuosa figura di donna a cui apparteneva quella voce graffiante e tanto suadente, incedere verso di lui.

«Allegra Belgioioso presumo» sputò il supersoldato, lanciandole un'occhiata raggelante.

Allegra Belgioioso era la secondogenita dell'attuale patriarca Cesare, che continuava a perpetrare la ormai secolare attività illegale del casato. Era alta, indossava un semplice tubino rosso che esaltava il suo fisico formoso, lunghi capelli biondo rame ricadevano su una spalla, gli occhi nocciola, sapientemente truccati, lo osservavano trionfanti, all'indice destro portava un enorme anello d'oro con lo stemma della sua famiglia.

«Precisamente – il suo accento italiano si percepiva appena – perdonami per non essere subito venuta a darti il benvenuto-»

«Ci ha pensato tuo fratello stai pure tranquilla!» berciò già insofferente verso quell'inutile conversazione di circostanza.

«Alessandro è schiattato d'invidia, ti devo ringraziare mio caro» celiò la donna riferendosi al fratello maggiore. E così era lei che avrebbe beneficiato della sua vendita.

«Peccato che non sia schiattato davvero» replicò lui con voce dolce come il fiele. Aveva più o meno capito come funzionavano le cose all'interno della famiglia: esisteva una lotto interna fra i due fratelli: ognuno dei due metteva all'asta i lotti che era riuscito a procurarsi, al termine si prendeva minuziosamente nota dei guadagni, alla dipartita dell'attuale capofamiglia il figlio che aveva totalizzato più capitale diventava gli succedeva di diritto, mentre il perdente veniva condannato all'oblio.

«Sei divertente Soldato d'Inverno, è proprio un peccato che tu valga così tanto, altrimenti non mi sarebbe dispiaciuto averti tutto per me» affermò maliziosamente Allegra avvicinandosi alla teca rinforzata di vetro che in cui era rinchiuso, tenuto legato alla sedia con spesse manette sia ai polsi che alle caviglie che, Bucky sospettava, fossero fatte in buona parte di vibranio.

«Perdonami se non mi mostro affranto» ribatté James, un istinto omicida ormai gli serpeggiava dentro.

«Crudele – celiò falsamente dispiaciuta – ora vorrai scusarmi ma devo fare la conoscenza della mia ultima merce, prima di stasera» gli strizzò l'occhiolino mentre i suoi uomini giungevano trasportando in una gabbia non troppo grande, un ragazzino che era appeso disperatamente alle inferriate arrugginite e gridava aiuto in una lingua che riconobbe come russo.

Alla sua vista James si sentì male sul serio, l'adolescente doveva avere solo un anno in meno di Jace; quella somiglianza gli fece seccare la gola, lasciandogli in bocca un gusto amaro.


*


Gli occhi scuri di Sharon Carter fissavano assenti il raffinato affresco del soffitto, non si era ancora resa conto di essere sveglia. Scrollò piano la testa e lentamente si mise seduta. Aveva freddo. Quella sensazione fu come una scintilla di lucidità, ispezionò l'ampia stanza arredata con mobili antichi e pregiati, probabilmente solo il tappeto valeva quanto una proprietà di Stark. Solo in un secondo momento si rese conto di essere semidistesa su comodo letto matrimoniale con tanto di baldacchino; Sam dormiva accanto a lei, in boxer. Quella visione diede un'ulteriore scossa alla ragazza che notò, con un tuffo al cuore, di essere anche lei solamente in intimo.

«SAM!» trillò saltando quasi dal letto, mentre l'ex pararescue aprì di colpo gli occhi senza nemmeno sbattere le palpebre.

«Dove siamo?» domandò con voce impastata, stiracchiandosi. Improvvisamente si accorse di essere praticamente in mutande e dando una veloce occhiata a Sharon impallidì voltando rapido lo sguardo, mentre la bionda si tirò il piumone addosso.

«Non dirlo a James!» esalò il ragazzo cercando di individuare rapidamente il proprio bagaglio, non volendo pensare a come avrebbe potuto reagire il supersoldato se qualcuno gli avesse riferito di quella situazione.

«Nono!» lo rassicurò lei, stringendosi le coperte addosso.

Qualcuno bussò alla loro porta prima che potessero parlare di quello che stava succedendo.

«Avanti!» disse a malincuore l'agente 13 e subito dopo si premurò di mettere su un'espressione snob e stizzita.

Una cameriera entrò seguita subito dopo dagli elegantissimi Alessandro e Allegra Belgioioso.

«Buon pomeriggio nostri cari ospiti! Sono Allegra e lui è mio fratello Alessandro. Vogliate scusarci per l'inconveniente del sonnifero ma comprenderete che le precauzioni non sono mai troppe...» Sam nei panni del tronfio signore della guerra Malik si disse turbato dai loro metodi ma che li comprendeva benissimo «Ah, sono stati eseguiti dei controlli sui vostri bagagli, così come sui vostri vestiti» Sam e Sharon trattennero impercettibilmente il respiro «Troverete i vostri effetti sistemati nell'armadio, vi preghiamo stasera di indossare i vostri abiti più belli. Per voi, che è la prima volta, la vostra barca personale vi attenderà alle ventitré in punto, la cena vi sarà servita in camera»;

«Vi preghiamo anche, di non lasciare le vostre stanze fino a quell'ora» aggiunse il maggiore dei fratelli, un uomo sulla trentina terribilmente affascinante dai capelli biondo ramato, come quelli della sorella, e l'aria aristocratica, si avvicinò a Sharon e le fece un perfetto baciamano, sotto lo sguardo insofferente di Sam che si sentiva in dovere di fare le veci di Bucky, probabilmente glielo avrebbe pure comunicato più tardi, se tutto andava come doveva.

«Credo che troverete l'asta di vostro gradimento» Sharon sorrise civettuola «A più tardi».

Attesero qualche istante dopo l'uscita dei due fratelli prima di lasciarsi andare ad un lungo e sollevato sospiro.

«Stark a quanto pare sapeva quel che faceva!» affermò Sam andando all'armadio e vestendosi, la bionda fece altrettanto;

«Sembra che ci sia tutto, Tony era sicuro che i dispositivi sarebbero passati inosservati...».

Dalla valigia, l'agente 13 estrasse un fine astuccio rigido di forma rettangolare mediamente grande, una volta aperto Sam prese la coppia di gemelli e un piccolo quadratino d'oro che era molto più di un prezioso orecchino a plic. La ragazza invece mise da parte i bellissimi orecchini a goccia e concentrò la propria attenzione sullo specchio dell'astuccio, con attenzione tolse l'invisibile ma spessa pellicola che lo proteggeva.

La superficie riflettente si rivelò essere uno display touch che ben presto gli permise di mettersi in comunicazione con la squadra di supporto.

«Ce l'avete fatta!» il piacente viso di Steve Rogers comparve sullo schermo, l'espressione evidentemente sollevata, subito dopo gli si affiancarono Maria e Melinda. I tre erano giunti a Venezia circa due giorni prima pronti a fornire supporto tattico ai compagni, Clint era ancora debilitato così May aveva preso volentieri il suo posto, Steve era stato tranquillizzato dal fatto che ci sarebbe stato l'arcere accanto a Natasha mentre lui non c'era.

«Ce ne avete messo di tempo...» fece notare l'agente Hill inarcando un sopracciglio. La comunicazione era abbastanza disturbata ma non avrebbero dovuto avere grossi problemi.

«Beh non ce ne siamo accorti, visto che ci hanno sedato come siamo arrivati e poi perquisito bellamente mentre continuavamo ad essere svenuti!» spiegò Sam leggermente piccato.

«Alla faccia della sicurezza, forse dovremmo farci dare lezioni da loro...» esordì Melinda che non si capì bene se stesse scherzando o dicesse sul serio.

«Le apparecchiature di Stark non sono state scoperte quindi?»

«No a quanto pare aveva ragione...»

«Evitiamo comunque di farglielo sapere...» frecciò Maria facendo ridacchiare tutti.

«Bene. Convenevoli a parte, sembrate stare bene, dove siete?» si informò il capitano tornando serio.

«Non riuscite a individuarci attraverso il GPS?» chiese Sharon aggrottando perplessa la fronte liscia. May e Maria scossero il capo;

«Probabilmente hanno qualche apparecchio che funge da disturbo intorno all'area» ipotizzò l'asiatica. Quello era un problema. Sam corse alla finestra ma purtroppo non vi era nulla che potesse aiutarli ad identificare il luogo, potevano trovarsi in una qualsiasi parte di Venezia che avesse acqua e un ponticello in pietra non lontano.

«Forse c'è un modo!» affermò Sharon guardando l'ex pararescue che annuì complice.

«Raggiungeremo il luogo dell'asta con la barca, il tragitto potrebbe essere l'unica occasione per individuare la nostra posizione!».

«Sperando che anche l'imbarcazione non sia schermata, perché sono quasi pronta a scommettere che il luogo dell'asta lo sarà» l'agente Hill, attraverso lo schermo, guardò intensamente Sam che le sorrise rassicurante. Quello era il suo modo per chiedergli se stava davvero andando tutto bene.

Il capitano annuì pensieroso;

«Abbiamo un margine d'azione ridotto, ma cercheremo di farcelo bastare... A che ora lascerete il luogo?»

«La barca salperà alle ventitré»

«D'accordo allora. Siate prudenti e attenetevi al piano-»

«Se non doveste essere in posizione?» volle sapere Sam sperando di non dover affrontare quell'ipotesi;

«Improvvisate» replicò May con leggerezza. Falcon ne ebbe la certezza, in quel caso era matematico che sarebbero finiti nei guai come mai prima.

«Buona fortuna!»

«Anche a voi» sospirò l'agente 13 prima di chiudere ogni comunicazione.


*


Steve si sistemò la divisa scura ed uscì sul piccolo balcone che dava su uno stretto canale. Afferrò il cellulare, a New York doveva essere pomeriggio inoltrato.

Rispose al secondo squillo.

«Sto bene Steve» soffiò la voce carezzevole e divertita di Natasha. Il capitano chinò il capo ma con il sorriso sulle labbra.

«Sono davvero prevedibile...» tentò di scherzare lui;

«Vogliamo davvero parlarne?»; il sorriso si accentuò, la sua mente non si dovette nemmeno sforzare per visualizzare l'espressione semi esasperata della compagna; la immaginò accoccolata sul divano, avvolta in un morbido maglione pesante e una calda coperta stesa sulle gambe, una mano poggiata protettiva sul ventre. Quel pensiero lo fece stare incredibilmente bene.

«Stiamo per procedere...» si costrinse, invece, a dire. Poté quasi sentirla irrigidirsi.

«Avvertirò gli altri...» un sospiro trattenuto «Steve lo sai» celiò con tono dolce. Un tono che riservava solo a lui; il capitano si dovette prendere un istante mentre il suo cuore cedeva di un battito;

«Lo so. Anch'io Natasha, non sai quanto» la sentì sorridere e sorrise anche lui.

«Ora devo andare»

«D'accordo. Steve... torna» 'da me' «E riportali indietro interi»

«Promesso».

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1= Unità di misura statunitense. Corrisponde a -1 gradi Celsius;

2= una delle lingue della Repubblica Democratica del Congo.

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Fine prima parte! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, inizialmente non avevo previsto di dividere il capitolo in due parti... ma a mano a mano che prendeva forma mi sono resaconto che rischiavo non tanto di farlo troppo lungo ma che probabilmente avrei sacrificato alcune parti e il risultato sarebbe stato troppo concitato e troppo pieno di "fatti".
Come avete notato quello preso un po' peggio è James che seguendo il piano di Natasha si è immolato alla causa, mandando Sharon un filino in crisi! Ma le sorprese non mancheranno nella seconda parte... Riguardo l'inizio del capitolo, avete qualche idea su questi ancora misteriosi personaggi? ;)

Bene, per il momento è tutto, per qualsiasi dubbio vi invito a chiedermi qualsiasi cosa a riguardo e io vi RINGRAZIO ancora tantissimo per il vostro supporto (da chi commenta a chi segue e anche a chi legge semplicemente :)
Ci si vede fra due settimane: LUNEDI' 06 MARZO!

A presto!


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Capitolo 8
*** The Show must go on (parte II) ***


08 Buon pomeriggio a tutti! Per un soffio sono riuscita a terminare il capitolo in tempo, questa volta è stata davvero una corsa contro il tempo, ma nonostante sono di nuovo qui a postare per tempo!
Allora qui c'è poco da dire questo è la continuazione diretta del capitolo precedente e i guai ovviamente non mancheranno!

Buona Lettura!


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Capitolo Otto: The Show must go on (parte II)

Prima o poi,

la peggiore combinazione possibile di circostanze

è destinata a prodursi”

Arthur Bloch ~ Legge di Murphy



Sharon afferrò gentilmente la mano che Sam le porse, aiutandola a scendere dall'imbarcazione. Sperava davvero che la recita della spietata coppia innamorata stesse funzionando a dovere, perché lei, invece, si sentiva tremare dentro. La mano, con le unghie laccate di un acceso rosso, andò a lisciare pieghe inesistenti del vestito che indossava: un raffinato abito lungo nero, con una generosa scollatura sul davanti, maniche lunghe e un profondo spacco che metteva in mostra quasi interamente la nuda gamba sinistra. Come minimo a James sarebbe venuta una crisi isterica.

Il pensiero del soldato le provocò un lungo brivido, sperò, con tutta se stessa, che stesse bene e che, se tutto fosse andato come doveva, quella notte sarebbe stato nuovamente suo.

A braccetto lei e Falcon percorsero il lungo pontile in legno fino a giungere ad un'elegante villa con evidenti e preziosi ornamenti in gotico veneziano, un lungo portico colonnato conduceva all'interno.

«Sei pronto?» bisbigliò l'agente 13 all'orecchio di Sam, facendolo passare per un sussurro malizioso. Lui si costrinse a sfoderare un sorriso accattivante per non tradire il suo personaggio.

«Per niente. Muoviamoci come se non avessimo appoggio... Prima di tutto troviamo Bucky, io mi occupo di individuare le possibili uscite e uomini-»

«Io penso alle armi chitauriane...» concordò la ragazza rafforzando la presa sulla sua clutch.

L'interno della villa era maestoso; i soffitti a volta erano alti e affrescati, i pavimenti erano in lucido marmo chiaro e gli arredi d'epoca barocca.

Prontamente un cameriere in livrea offrì ai due sotto copertura un vassoio con affusolati calici ripieni di pregiato vino italiano, accettarono e passarono oltre guardandosi attorno con discrezione. Ad una prima occhiata si poteva pensare che il Signore della guerra e la sua compagna stessero ammirando il fascino delle antiche ville veneziane, ma in realtà si stavano assicurando una via di fuga.

Improvvisamente si radunarono tutti nel salone d'ingresso; Sharon si guardò attorno notando che fra i numerosi e facoltosi ospiti vi erano anche alcuni ricercati dalla CIA.

«Miei gentili ospiti» la voce baritonale e divertita di Cesare Belgioioso li accolse, «Benvenuti a Ca' Belgioia, vorrei ringraziare tutti voi per aver viaggiato così lungamente per poter essere qui con noi». L'attuale capofamiglia, nonostante ormai l'età avanzata e i capelli sale e pepe era ancora un bell'uomo dal fisico longilineo, la fronte spaziosa, i lineamenti aristocratici e gli occhi nocciola striati d'oro. Accanto a lui i due figli, la cui somiglianza in quel momento era resa ancora più evidente, osservavano i loro acquirenti con sguardo attento ma compiaciuto.

«Come da consuetudine avrete a disposizione trenta minuti da trascorrere tra i lotti, prima che l'asta cominci» gli occhi scintillarono maliziosi, fece una pausa ad effetto prima di riprendere a parlare «Un assaggio per stuzzicare il vostro appetito...» un risata frivola e divertita si propagò fra gli ospiti.

Subito dopo la folla di acquirenti si disperse iniziando a vagare affamata fra i lotti.

Sharon e Sam si aggirarono tranquillamente fra le merci, tampinati discretamente da Alessandro Belgioioso a cui chiedevano delucidazioni su alcuni pezzi per non destare sospetti. Poi, finalmente, uno dei lotti attirò la loro totale attenzione; il cuore dell'agente 13 sussultò.

Il Soldato d'Inverno, vestito con un sobrio completo nero d'alta sartoria, era stato letteralmente inchiodato alla sedia grazie alle pesanti manette e sorvegliato a vista, tirato a lucido ed esposto come qualsiasi altra merce. Alla vista dei due compagni inarcò pericolosamente un sopracciglio in direzione della ragazza.

Sharon si dovette trattenere dal roteare gli occhi, sapeva che avrebbe disapprovato il vestito. Gli pareva il caso di mettersi a fare il fidanzato geloso in quel momento?

«E' proprio lui...?» chiese leggermente incredulo Sam al maggiore dei fratelli Belgioioso. A quella domanda il naso di Alessandro fremette appena, infastidito.

«Già è proprio il temibile Soldato d'Inverno» rispose con fredda cortesia. Non era nei suoi interessi rendere appetibile una merce della “concorrenza”.

«E' così pericoloso come dicono?» lo provocò l'agente mentre il suo sguardo non lasciava quello di James.

«Di più.» soffiò quest'ultimo continuando a fissarla.

Sam si schiaffò mentalmente una mano in faccia. Riuscivano davvero a flirtare in una situazione come quella?!

Ma Sharon non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, sentiva la pelle pizzicare sotto il suo sguardo intenso ma imperscrutabile, ogni suo movimento era strettamente controllato per impedire all'istinto di correre da lui e strappargli quelle dannate manette, riusciva a vedere solo i pericoli che correva quella notte; era intollerabile vederlo prigioniero, la voglia di toccarlo, di sentire la sua presenza rassicurante contro il suo corpo la stava divorando.

«Silenzio» abbaiò Alessandro, sperando vivamente che la sorella non fosse nei paraggi.

Sharon strinse la mandibola e distolse lo sguardo;

«Che dici, caro, potrebbe servirci?» domandò con tono indifferente. Al suo fianco Falcon soppesò la richiesta, gettando occhiate al Soldato incatenato. Quest'ultimo cercò con gli occhi di comunicargli qualcosa, muovendo appena le labbra.

Sam intuì che c'era qualcosa che lo preoccupava, ma ovviamente non poteva chiedergli apertamente che cosa voleva che facesse, doveva limitarsi a tenere gli occhi bene aperti, ben sapendo che se qualcosa preoccupava il Soldato d'Inverno quella cosa avrebbe portato guai a tutti loro.

«Mi sembra difficile da gestire» un lampo compiaciuto attraversò le iridi nocciola del maggiore dei Belgioioso «Ma vedremo intorno a che cifra si aggireranno le offerte...» disse con un sorrise sghembo.

«Mister Belgioioso, io però sono venuto qui per le armi. Quelle americane non bastano più!»

«Mister Kitenge, sono sicuro che la sua richiesta verrà ampiamente soddisfatta stanotte, ma la devo avvertire che non è il solo a desiderare un salto di livello...»;

Sam fece un verso seccato e affilò lo sguardo, come Maria gli aveva insegnato;

«Da chi altro devo guardarmi!» berciò infastidito.

Per Alessandro Belgioioso fu come essere invitato a nozze, le armi chitauriane rientravano fra i suoi lotti, aizzare i compratori fra loro avrebbe reso il prezzo più alto e consegnato a lui un non indifferente vantaggio sull'odiata Allegra.

«Oh non so se ne ha mai sentito parlare, un gruppo terroristico creduto annientato al termine della Seconda guerra mondiale e invece tornato sorprendentemente alla ribalta, l'Hydra.»

«E sono qui con noi stasera?» chiese amabilmente Sharon tenendo a bada l'ansia.

«Sì. Una donna e un uomo. Devo dire che per partecipare a quest'asta ci hanno offerto qualcosa di incredibile valore, credo che sarà uno fra i lotti più desiderati questa sera.»

«E che cosa sarebbe di grazia?»

«Yen...» tossì improvvisamente James Barnes attirando nuovamente l'attenzione su di lui. Sharon e Sam furono attraversati da un brivido. Ti prego fa che abbia sbagliato a sentire... Fa che non abbia detto...

«Psychotron.» asserì fiero Alessandro ignorando il Soldato d'Inverno «Non so se avete sentito parlare della strage in un villaggio russo qualche tempo fa. Ne rimarrete affascinati ve lo garantisco!».

I due acquirenti fecero un sorriso di circostanza. Ora non avrebbero solo dovuto liberare Bucky e distruggere le armi chitauriane ma anche impedire che lo Psychotron finisse nelle mani di chiunque si trovasse in quella stanza.


James Barnes era irrequieto, e il fatto che Sharon si trovasse ad una stanza di distanza da lui e corresse i suoi stessi pericoli non lo aiutava di certo. Il desiderio di liberarsi da quelle manette e correre a proteggerla era quasi una necessità per lui.

Ormai gli acquirenti si stavano tutti radunando nella stanza accanto, l'asta stava per iniziare. Si accorse immediatamente, però, che vi era qualcuno che non aveva tutta questa fretta di raggiungere il resto degli ospiti. Con l'espressione più minacciosa del suo repertorio il Soldato d'Inverno si volse verso l'uomo e la donna che avanzavano verso di lui.

La ragazza doveva avere all'incirca l'età di Sharon. Era alta e sottile, sul viso magro si stagliavano due occhi castano-verdi dal taglio lievemente allungato che lo fissavano maliziosi. I lunghi capelli ramati le cadevano dritti come lame oltre le spalle incorniciandole il volto. Le labbra scure stese in sorriso che era a metà fra il sardonico e l'infantile. Un passo indietro, vi era un ragazzo che doveva avere appena qualche anno in meno di lei, aveva i lineamenti marcati del classico bel ragazzo americano, i capelli erano corti e a spazzola, biondo scuro. Gli occhi azzurri scrutavano seri l'ambiente circostante; James intuì che doveva essere una specie di guardia del corpo, quando però si posarono su di lui ne rimase colpito. Il ragazzo schiuse la labbra boccheggiante, malgrado la sua espressione incerta capì che doveva conoscerlo.

Bucky si sentì ancora più irrequieto, quelle due persone avevano qualcosa di famigliare, sentiva di averle già incontrate prima. Ma era inutile non riusciva a ricordare dove o quando e questo lo spaventò. Non era una buona cosa.

La ragazza si pose davanti a lui, si piegò in avanti, poggiando le mani sulle cosce e mettendo in mostra la scollatura; i loro visi erano molto più vicini di quanto James fosse disposto a tollerare, cercò di non muovere un muscolo.

Il sorriso della rossa nel frattempo si era fatto più ampio e ancora più infantile. Bucky si sforzò di ricordare, le sembrava di averla già vista ma non riusciva a capire. Il panico iniziava a serpeggiare dentro di lui.

«Come siamo seriosi Soldato d'Inverno!» la sua voce era come un coro di campanelle, musicale ma al tempo stesso fastidioso.

«Maes-» la guardia dietro la ragazza sbatté gli occhi sorpreso e probabilmente parecchio confuso, ma fu subito messo a tacere da uno schiaffo ben assestato. A quel gesto Bucky si sentì sprofondare.

«Mio caro non parlare se non sei interpellato.» celiò lei con voce dolce e falsa. I suoi occhi tornarono sul soldato. La sua mano andò ad artigliargli il mento e le sue dita magre tormentarono il suo labbro inferiore fino a graffiarlo e farlo sanguinare.

«Non essere in pena Soldat. Ho come il presentimento che ci rivedremo presto!».

Il ragazzo dietro di lei aveva nuovamente assunto un'espressione atona, imperscrutabile e la seguì ubbidiente mentre si allontanava.


«Aggiudicato per dieci milioni a mister Tamaki!» dichiarò il banditore euforico.

Sharon e Sam si unirono pacatamente agli applausi per l'ennesimo lotto venduto. Se esternamente esibivano un'espressione neutra quasi altezzosa, di chi quelle cifre era abituato a maneggiarle ogni giorno; internamente i due erano sconvolti, se avessero potuto la loro mascella sarebbe crollata fino a toccare terra davanti a tanto denaro speso, senza batter ciglio, con lo scopo di aggiudicarsi un po' di potere nel mondo.

«E adesso signori e signore, vi presentiamo uno dei lotti più prestigiosi di questa sera» il banditore accompagnava le parole con plateali gesti, Allegra Belgioioso fece un sorrisino malizioso mentre i suoi occhi si accesero di un luccichio famelico «Uno dei migliori assassini in circolazione, ha all'attivo oltre due dozzine di omicidi negli ultimi cinquanta anni! Ecco a voi... il Soldato d'Inverno» la folla emise bassi mormorii concitati.

James Barnes venne trascinato sulla pedana, il suo volto era una maschera di ghiaccio e tenebra, lo sguardo insondabile vagava sull'intera sala cercando una sola persona.

Sharon Carter serrò la mascella, vederlo lì su quel palco, peggio di un animale da circo, dopo che quel dannato banditore ne aveva ricordato la fama le causò un'ondata di dolore, ma fu quando iniziò a sentire le offerte che fioccava con velocità assurda che le sembrò di essere precipitata in un incubo.

Falcon intuì i suoi patimenti e le strinse gentilmente la mano iniziando a fare offerte anche lui; anche se lo scopo non era quello di vincere l'asta.

Le cifre avevano superato i cinquanta milioni, Bucky cercava di ignorare quell'odiosa sensazione e teneva fisso il suo sguardo su Sharon, che tentava di trattenersi dall'urlare nauseata, avrebbe voluto salire su quella pedana e proteggerlo, poteva vedere quel desiderio nei suoi candidi occhi color cioccolato. Gli venne quasi da sorridere, cosa aveva fatto lui, Soldato d'Inverno, per meritarsi lei, la ragazza dell'Estate?

«Cento milioni e uno... Cento milioni e due... Aggiudicato per cento milioni al fortunato signore della Corea del Nord!».

L'agente 13 provò un moto d'odio, le dita si contrassero intorno alla pochette, ma si costrinse a scrollare le spalle, doveva essere paziente.

Il prossimo lotto furono le armi chitauriane, ne furono esposte un paio ma il loro reale numero bastava per equipaggiare un esercito di medie-grandi dimensioni. Il banditore aveva appena fatto in tempo ad aprire bocca che le offerte erano iniziate a salire a cifre stellari. Alessandro scoccò alla sorella una pericolosa occhiata, da cui Allegra non si lasciò sfiorare.

Sam provò ad essere competitivo e lui e Sharon capirono immediatamente che la loro principale concorrente era proprio l'Hydra, incarnata nella sinuosa figura di una ragazza dai capelli rame. Entrambi provarono una sensazione di familiarità ma nessuno dei due avrebbe saputo dire il perché. Vi era qualcosa di enigmatico e conturbante in quella ragazza, il suo sorriso mellifluo metteva i brividi.

Come previsto l'Hydra vinse l'asta, a quel punto i due si scambiarono un'occhiata d'intesa; era giunto il momento di agire.


Sharon Carter si liberò della parrucca nera, si tolse i vertiginosi sandali e scivolò fra le ombre seguendo l'uomo della sicurezza che era incaricato di trasferire la merce venduta in un deposito differente da quello di partenza. Per tutto il tempo non fece altro che guardarsi le spalle per vedere se era seguita.

Dopo un tortuoso percorso fra corridoi spogli giunse ad un ampio magazzino interrato in pietra e dai soffitti voltati; a quel punto decise di uscire allo scoperto.

«Mi scusi!» fece con tono stizzito «Stavo cercando il Picasso, sa l'ho pagato una fortuna e-»;

L'agente della sicurezza per un attimo spiazzato si riebbe e assunse un espressione grave;

«Non può stare qui» abbaiò convinto di incuterle timore «i lotti verranno consegnati al termine dell'ast-» la bionda passò subito all'attacco lo colpì in pieno volto con una gomitata, tramortendolo.

«James!» esalò andando verso la teca in cui era imprigionato il supersoldato, aveva solo delle spesse manette ai polsi.

Bucky toccò con la fronte la liscia superficie antiproiettile e la osservò con insistenza;

«Non c'era un altro abito?» fu la prima cosa che disse. In realtà c'erano un milione di cose che avrebbe potuto dire prima di quella, ma come al solito i suoi sentimenti erano in subbuglio, l'amore si mischiava all'angoscia e alla sottile vena di gelosia.

Sharon strabuzzò gli occhi allibita, scosse il capo e continuò a trafficare con la tastierina numerica nella speranza di liberarlo.

«Fra tutte le cose...» masticò divisa fra l'esasperato e il compiaciuto;

«Lo so perdonami. Sharon lascia perdere pensa alle armi chitaurian-» un inudibile spostamento d'aria «SHARON!».

La ragazza fece appena in tempo a scostarsi di un soffio che un pugno si abbatte sulla prigione di James. Fu talmente forte che il vetro si crepò e la teca si rovesciò all'indietro, il Soldato d'Inverno si ritrovò a sbattere violentemente la schiena e rimase per un attimo senza fiato.

Sharon sbatté gli occhi osservando il ragazzo davanti a sé, la sua mano era schizzata di sangue e aveva diverse nocche spaccate a causa del colpo eppure non sembrava sentire dolore. Non sembrava sentire nulla.

Le si scagliò addosso e lei iniziò a combattere in difesa. Parare i colpi si rivelò forse più doloroso che riceverli, si accorse all'istante che quel ragazzo aveva una forza micidiale, riuscì a resistere solo grazie ai svariati allenamenti che aveva fatto con James; non appena poté passo al contrattacco nel mentre con lo sguardo cercava qualsiasi cosa che potesse fare da arma.

Bucky nel frattempo digrignava i denti continuando a colpire con calci mirati il punto in cui il vetro si era incrinato. Cercava di restare concentrato ma i gemiti mozzati dell'agente 13 e i rumori dello scontro non lo aiutavano di certo. Ogni volta che lei si trovava in pericolo la freddezza del Soldato d'Inverno vacillava e forti sentimenti iniziavano ad accavallarsi.

Sharon respinse l'avversario con una ginocchiata ben assestata, ma non appena pensò di riprendere fiato il suo avversario estrasse un pugnale pronto ad usarlo; in quello stesso istante James Barnes ancora ammanettato riuscì a frantumare il vetro, balzò in avanti avvolgendo la ragazza fra le braccia ed esponendo il braccio metallico in cui l'arma andò a conficcarsi.

«Stai bene?» le sussurrò preoccupato all'orecchio. Lei annuì piano, poi lo richiamò notando la presenza della donna dell'Hydra.

«Ma che bel quadretto» sghignazzò Sin puntando la pistola contro i due e facendo fuoco. Bucky e Sharon si gettarono dietro una cassa per ripararsi dai proiettili.

Improvvisamente un trambusto fece distrarre perfino la rossa e il suo agente che perplessi dovettero proteggersi dall'inaspettata carica.

«Abbiamo portato la festa qui» esordì Sam urlando, riferendosi al fatto che oltre a Steve, May e Maria si fossero trascinati dietro uno squadrone d'assalto personale dei Belgioioso.

«Tu!» trillò Sin livida «Liberati di loro» ordinò all'agente N, che senza emettere un fiato caricò contro i nuovi arrivati. Bucky lo intercettò e con un cenno d'intesa a Steve, i due lo affrontarono insieme.

Melinda, Maria e Sam si stavano occupando degli agenti dei Belgioioso mentre Sharon si scagliò contro Sin, il cui obiettivo erano le armi chitauriane.

«Oh e così sei tu Sharon Carter» celiò la rossa con sguardo malizioso «Fatti da parte non vorrai mica rovinare quel tuo bel faccino» ridacchiò «Rumlow potrebbe rimanerci male». Alla bionda si mozzò il fiato a quel nome, scrollò il capo e il suo sguardo si fece severo;

«Fatti sotto stronza!» sibilò.

Fu uno scontro duro, Sharon riusciva quasi a equipararla in quanto ad agilità, ma lo stile di combattimento dell'altra era imprevedibile e ben presto si ritrovò a stringere i denti, frustrata.

«Maria! May! Dobbiamo liberare i prigionieri» strepitò Sam guardandosi attorno, l'agente della sicurezza finì a terra incosciente. Dovevano liberare le persone o non avrebbero potuto procedere, con la coda dell'occhio vide Bucky fargli un cenno in direzione di Sharon e lui annuì d'accordo.

Nel frattempo Steve e James avevano un piano tutto loro per liberare gli ostaggi, afferrarono l'agente dell'Hydra e lo scagliarono violentemente contro un'altra teca che tremò e si aprì a causa del tastierino distrutto.

«Sbaglio o sembra possedere la tua stessa-» iniziò il capitano;

«Forza?» terminò per lui l'amico. Annuì.

«Non è una buona cosa» esalò James affranto, sentì il tocco fermo di Steve e si voltò verso di lui, il suo sguardo cercò di infondergli una certa sicurezza e tranquillità e non poté che essergliene grato.

«Sharon!» urlò l'agente Hill «Questo era l'ultimo!» la avvertì.

«Sam vai...» bisbigliò Sharon al compagno che la stava aiutando ad affrontare la ragazza dell'Hydra.

Sin assottigliò lo sguardo intuendo che c'era qualcosa che non andava, ma la bionda l'attaccò con foga e con una rapidità che non si aspettava la spedì contro un muro facendole perdere il respiro. L'agente 13 estrasse dalla clutch alcuni dischetti di metallo, li attivò e li lanciò sui cassoni contenenti le armi chitauriane.

James allungò il braccio mentre lei gli andava incontro, l'abbracciò e Steve alzò lo scudo. Sam si lanciò verso Maria e insieme a May si ripararono dietro alcune teche ormai vuote.

Lo scoppio fu abbastanza potente da far tremare l'intero deposito, alcuni frammenti di muro e di soffitto crollarono come pioggia a terra. Tutti si azzardarono a guardare in direzione delle casse, il fumo non si era ancora del tutto diradato ma l'obiettivo sembrava essere stato raggiunto. Le armi chitauriane era state dilaniate, pochissime erano sopravvissute all'esplosione, alcune erano arse dalle fiamme.

«Steve!» trillò James mentre nella distrazione generale, l'agente dell'Hydra ne aveva approfittato per rimettersi in piedi – seppur stordito – e attaccare il capitano che volò indietro impreparato.

Bucky e Sam reagirono immediatamente lanciandosi contro di lui, primo a causa del forte legame che intercorreva fra i tre, secondo perché Natasha non ci avrebbe pensato due volte a piantargli a ciascuno una pallottola in mezzo alla fronte se solo a Steve fosse successo qualcosa e pazienza per Sharon e Maria.

Nel frattempo Sin ne aveva approfittato per dileguarsi, zoppicò verso l'uscita livida di rabbia, e infastidita dall'intera situazione. Malgrado ciò un sorrisino divertito scivolò sulle sue labbra ammaccate, si sarebbe divertita un modo a vendicarsi.

Sam colpì N alle gambe mentre James lo sorprese dall'altro lato e Steve lo colpì al petto con una ginocchiata. Ma l'agente dell'Hydra si stava difendendo bene e non sembrava preoccuparsi dei colpi che gli venivano inferti implacabili. Improvvisamente però il suo intero corpo vacillò e la vista gli venne meno, crollò al suolo senza emettere un suono, intorno a lui cocci di un pesante vaso sembravano disegnare un macabro quadro.

«Ci stavate mettendo troppo» affermò Melinda May neutra osservando prima l'agente dell'Hydra svenuto e poi Steve, James e Sam che la fissavano di rimando un tantino allibiti e lievemente imbarazzati.

Tutti si sporsero verso il ragazzo privo di sensi.

«E ora che ne facciamo?».

___________________________________________________________________

Insomma anche questo capitolo è terminato e devo dire, per una volta, in favore degli Avengers... Hanno impedito all'Hydra di acquisire le armi chitauriane, sono addirittura riusciti a catturare un loro agente, certo lo Psychotron ora è in commercio, Sin è scappata e medita vendetta, ecco forse è questo è proprio l'altra faccia della medaglia. Ma almeno nessuno si è fatto male... almeno per il momento. 
Come vedete ho dedicato molto spazio a Sharon e Bucky, e loro ormai sono al centro dell'attenzione alla pari di Natasha e Steve, entrambe queste coppie dovranno affrontare dure prove, riusciranno a superarle? Non vi resta che continuare a leggere! 

Io vi ringrazio una volta ancora per tutto il supporto che ricevo da parte vostra, ne rimango ogni volta commossa ^^ 

Per il prossimo aggiornamento mi riservo di pubblicare tra LUNEDI' 20 e MARTEDI' 21 MARZO o (spero di no) DURANTE LA SETTIMANA, questo perchè la prossima settimana ho degli impegni che mi terranno parecchio occupata purtroppo! Per qualsiasi notizia vi invito a seguire la mia pagina fb "Asia Dreamcatcher" oppure potete contattarmi qui su EFP

A presto!

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Capitolo 9
*** Who is the first to burn? ***


09 Salve a tutti voi, all'ultimo minuto ma ci sono riuscita! Pronta a lasciarvi con questo nuovo capitolo, qui potrete leggere alcune delle conseguenze di ciò che è successo nel precedente capitolo... Voglio subito ringraziare tantissimo non solo i miei fantastici recensori ma anche tutti coloro che sono giunti fino a qui!

Buona Lettura!




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Capitolo Nove: Who is the first to burn?

There's a rumble in the floor

So get prepared for war

When it hits it'll knock you to the ground”

~ Thousand Foot Krutch, “Courtesy Call”

02 Gennaio, Punto imprecisato dello spazio aereo sopra l'Oceano Atlantico.

Il suo sguardo adamantino analizzò ancora una volta le pareti bianche asettiche della piccola stanza, si soffermò poi sulle manette rinforzate che gli serravano i polsi ai braccioli del lettino, una spessa cinghia di metallo gli pesava sul petto ampio e sulle gambe robuste; un tubicino trasparente, collegato ad una sacca piena per metà, penetrava nella vena del braccio facendo sì che l'agente dell'Hydra restasse incosciente.

Bucky Barnes chiuse gli occhi massaggiandosi con le dita la radice del naso.

Fuggire da Ca' Belgioia non si era rivelato una passeggiata, non quando dovevi trasportare un pericoloso agente nemico che avrebbe potuto svegliarsi da un momento all'altro, e a quanto pare i Belgioioso non avevano solo degli squadroni di combattimento, ma anche la villa stessa aveva sistemi di sicurezza che impediva a eventuali ospiti, merci vive o intrusi di lasciare quel posto incolumi. Senza contare che prima di dileguarsi aveva ben pensato di farla pagare ad Alessandro Belgioioso per aver avuto l'ardire di avvicinarsi troppo a Sharon, mentre Allegra oltraggiata strepitava vendetta.

Riaprì gli occhi guardando oltre il vetro protettivo l'agente catturato e sedato.

Non riusciva a fare a meno di stare lì a fissarlo, cercando di ricordare. Perché sapeva di averlo già visto, non solo perché quel ragazzo aveva dato segno di riconoscerlo, ma lui stesso aveva avvertito una sensazione di dejà vu.

L'aveva chiamato 'maestro'. Possibile che fosse legato alla Red Room? Che ne fosse stato l'addestratore? Eppure lui rimembrava solo ragazzine... Malgrado il tempo la sua memoria continuava a vacillare, sarebbero rimasti dei vuoti che probabilmente non sarebbe mai riuscito a colmare.

Due braccia sbucarono da dietro avvolgendogli la vita, si irrigidì per pochi istanti prima di rilassarsi un poco contro il corpo di Sharon.

«James, che succede?» gli chiese mentre con la fronte sprofondava fra le sue scapole.

Bucky le accarezzò distrattamente le mani che gli serravano il busto.

«Io... non lo so» sospirò infine, distogliendo lo sguardo dal vetro.

L'agente 13 lo fece voltare e lo guardò in viso.

Com'era bella la sua Sharon, con il volto dolce e tondeggiante, gli occhi scuri ed espressivi, ora corrucciati e imbratti di trucco sbavato, le labbra rosse in quel momento leggermente dischiuse; James saggiò con il polpastrello la morbidezza del labbro inferiore, più carnoso rispetto a quello superiore. In trans la strinse a sé, così forte da farle quasi male, come se non avesse più appigli all'infuori di lei.

Sharon ne fu spaventata, ricambiò la stretta e quando riuscì nuovamente a guardarlo in volto le sembrava un bambino spaventato. Le si strinse il cuore.

«Jame-»

«Credo di averlo già conosciuto...» confessò piano, spostando lo sguardo.

«Ma non ricordi...»; lui scosse il capo, allargò le braccia in un gesto disperato;

«Non è una buona cosa, non lo è mai!».

La biondina lo fissava con apprensione, lui si muoveva come un animale in gabbia.

«Lui mi ha riconosciuto»

«La Red Room?»;

Bucky si passò una mano fra i capelli, nervoso.

«Non ne ho idea. Sharon lui è... è come-»

«Te.» affermò lei, avendo avuto durante lo scontro, nei depositi di Ca' Belgioia, la stessa preoccupante sensazione.

«A quanto pare il passato non ne vuole sapere di lasciarmi in pace – ridacchiò isterico, esasperato – ma forse è questo che merito...»

«Non dire così James!» sbottò Sharon a pugni serrati con occhi lucidi, angosciata perché l'uomo che amava non era ancora al sicuro, perché l'ombra dell'assassino che era stato non attenuava la sua morsa.

«Sharon...» sospirò il supersoldato dispiaciuto di causarle sofferenza, avvicinandosi nuovamente a lei. Le sue mani risalirono dolcemente le braccia, indugiando sulle spalle per poi fermarsi a coppa sul suo viso.

«Mi fa male vederti così» sussurrò la ragazza annegando in quelle iridi chiarissime, tirò su impercettibilmente con il naso, poi dichiarò:

«Non sappiamo niente di questa storia, l'unico che può dircelo è proprio lui»

«Non so se lui riuscirà a dirci qualcosa di utile...» sospirò poco convinto Bucky, se era davvero come lui, allora c'era poco da stare allegri. Farlo parlare sarebbe stato più di un'ardua impresa.

«Beh il tuo atteggiamento disfattista non ci porterà da nessuna parte!» lo rimbrottò lei, con tono lievemente canzonatorio. James sorrise appena.

«Qualcosa ci inventeremo, fidati di me, d'accordo?» continuò tentando di mascherare con ogni fibra del suo corpo le sue paure.

«D'accordo» sussurrò lui. Si voltarono, allontanandosi da quell'area dell'aereo.

«James...» mormorò lei talmente piano che credette che lui non l'avesse sentita.

«Sì?» chiese invece lui prontamente, alle sue spalle.

«Abbracciami»;

Bucky non se lo fece ripetere.


*


I passi riecheggiarono lungo il corridoio grigio e spoglio.

D stava canticchiando una melodia che non avrebbe saputo dire da quale anfratto della sua mente provenisse, accarezzando attenta i lunghi capelli scuri di K, sopita.

Al sentore di quei passi la bionda scosse la compagna, ridestandola.

K ci impiegò cinque secondi netti per comprendere ciò che stava accadendo, mentre D si ritirava contro la parete, nell'angolo del letto.

La porta si aprì lasciando emergere la figura alta e intimidatoria di L. I suoi occhi tersi vagarono appena sulla stanza scarna poi si posarono inquisitori sulle compagne.

«Siamo stati convocati» disse solamente.

La mora sospirò gettando un'occhiata veloce a D, che aveva l'aria frastornata ed impaurita.

«Che seccatura».

«Ti conviene tenere sotto controllo la pazza stavolta – frecciò L facendo un cenno col mento verso D – se veniamo nuovamente puniti a causa sua è la volta buona che l'ammazzo» sibilò mellifluo.

K represse ogni tipo di emozione e si strinse nelle spalle;

«Sempre che tu ci riesca» replicò indifferente.

Ma un attimo prima di varcare la soglia della sala centrale, la ragazza strinse gentilmente il polso esile dell'altra.

«Cerca di non dare di matto.» fu tutto ciò che riuscì a dirle.

La sala era ampia e dipinta di un bianco quasi accecante. Aleksander Lukin osservava con lucida furia Sinthea Schmidt a capo chino e con i pugni chiusi costretti lungo i fianchi.

I celesti occhi dell'attuale capo dell'Hydra vibravano di collera, non poteva tollerare un fallimento da parte sua; si sentiva quasi disgustato dalla sua presenza.

Lo schiaffo arrivò rapido, potente e sopratutto atteso, ma questo non impedì di gelare tutti sul posto. Brock Rumlow, alla destra di Lukin, inarcò semplicemente un sopracciglio; Grant Ward non distolse lo sguardo malgrado il brivido che gli aveva solleticato la nuca; K, D e persino L – che solitamente godeva della sofferenza altrui – scattarono impercettibilmente sull'attenti per quel gesto che a loro era amaramente famigliare.

Sin ritornò, lentamente, a guardare Lukin, la guancia gonfia ed arrossata, lo sguardo però distante perso in quello freddo del proprio superiore.

«Sei un'inetta!»;

nessuna reazione.

«Facciamo un attimo il punto della situazione, ti va mia cara?» la sua era ovviamente una domanda retorica sputata con tono pesantemente sarcastico.

«Non solo hai permesso che le armi chitauriane venissero distrutte, ma ti sei lasciata dietro una delle mie superarmi?» Lukin l'afferrò per i capelli strattonandola brutalmente in modo che il suo sguardo cadesse su L, K, e D immobili tanto da sembrare statue marmoree.

«Devo ricordarti quanta fatica mi sono costati!? - sibilò furente – quanti ne vedi Sinthea?»

«Tre»

«Tre! Dovrebbero essere quattro, dannazione!» la lasciò andare malamente mentre lei si afflosciava silenziosamente al suolo, leggera come carta straccia. Sapeva già cosa l'aspettava.

«Ricordatelo bene Sinthea, qui non sei niente di speciale... Non sei differente da qualsiasi altro mio sottoposto! - si fece passare una spessa frusta nera e lucida mentre rivolgeva un cenno a Rumlow – Mi aspetto che tu non fallisca col tuo prossimo incarico. La mia pazienza sta andando ad esaurirsi, sono stanco di aspettare Sinthea...» era Johann Schmidt ora a torreggiare su di lei.

«Ich verstehe, Vater1» le sue parole era atone, distanti. I suoi occhi duri e vitrei come diamanti.

Non mosse un muscolo mentre avvertiva le mani di Crossbones strapparle impietose la maglia e lasciarle scoperta una buona porzione di pallida schiena.

La prima frustata calò veloce ed implacabile, la pelle si lacerò di netto non dandole nemmeno il tempo di emettere un fiato, il sangue schizzò impazzito prima di tingere la sua pelle nivea di rosso.

Sin abbassò le palpebre, assaporando quella sensazione, marchiandosi a fuoco nella testa quel dolore che aveva il potere di renderla più lucida, più affamata di quell'oscuro sentimento che le danzava nel petto.

«Che sia d'esempio a tutti. L'Hydra non può permettersi fallimenti».


Sinthea uscì da quella sala tempo dopo, malferma sui propri piedi mentre il sangue sembrava colare da ogni parte del suo corpo tormentato. Malgrado in quel momento non fosse altre che una creatura misera ed umiliata, sorrideva. Di un sorriso pericoloso, bellissimo come quello di un angelo vendicatore che prometteva le più atroci sofferenze; la visione di se stessa non le era mai stata così nitida. Un risolino isterico abbandonò le sue labbra, oh ora sapeva esattamente ciò che andava fatto.


*


New York, Avengers Tower.

Era sera inoltrata quando Steve e i suoi compagni erano giunti all'hangar dell'Avengers Tower.

Il capitano insieme a James, Sharon e Sam attendeva in ascensore, Melinda e Maria si erano occupati del prigioniero convocando Tony per decidere il da farsi.

Una volta che tutti e quattro si ritrovarono nel lussuoso soggiorno, i presenti si voltarono contemporaneamente verso di loro.

Sharon si informò su Jace ed Alexandra, Laura le assicurò che stessero riposando nelle loro stanze così come i suoi figli. Poi, cautamente si rivolse a Steve che con lo sguardo stava vagando per la stanza alla sua ricerca.

«Steve, Natasha è da... Cho.» iniziò prudente. Il supersoldato si voltò immediatamente verso di lei, mentre Sam e James gli si fecero più vicini.

Laura gli toccò gentilmente il braccio sorridendogli incoraggiante, lo sapeva che quella era una questione delicata.

«Si è sentita poco bene... ma...» ovviamente non fece in tempo a terminare la frase che Steve si era lanciato verso le scale, superando Clint che stava venendo proprio dal piano della dottoressa Cho. Lo lasciò andare, scambiandosi un'occhiata d'intesa con la moglie che sospirò ma non celando un lieve sorriso.

«Dovremo seguirlo?» domandò Sam preoccupato.

«Non è necessario. Lasciamo un po' di tempo ai futuri genitori» celiò Laura con saggezza.

James, Sharon e Sam si guardarono. Malgrado la stanchezza nessuno di loro si sarebbe addormentato facilmente quella notte.

Bucky per la prima volta dopo un tempo indefinito si ritrovò a pregare qualsiasi divinità si stesse divertendo con loro. Pregò per Steve e Natasha, almeno loro dovevano farcela.


Steve si sentiva mancare la terra sotto i piedi mentre correva verso lo studio della dottoressa Cho.

Una volta giunto non si premurò nemmeno di bussare, ma spalancò la porta con espressione grave.

«Natasha!»;

la donna si voltò appena, il profilo del suo viso emerse oltre lo schienale del lettino sul quale era distesa; accanto a lei stava seduta Helen Cho.

«Capitano... La prego la prossima volta di bussare» lo rimbrottò continuando a preparare la spia per l'ecografia.

«Io...» espirò Steve perplesso ma raggiungendo comunque le due donne;

«Come stai? Laura...».

Natasha gli poggiò delicatamente la mano sul petto, squadrandolo intensamente;

«Come ti sei procurato quel livido?» domandò seria, ma il capitano notò che il suo sguardo si era schiarito, come il cielo dopo una violenta tempesta, morbido e sollevato.

«Non è niente. Tu piuttosto-»

«Si è trattata di una contrazione più forte delle altre, ha avuto delle perdite maggiori stavolta... lo stato d'ansia non ha giovato» spiegò la dottoressa stendendo il gel sul ventre che mostrava un accenno di rigonfiamento.

«Ans-?» Steve spostò incerto lo sguardo su Natasha dapprima confuso, poi iniziò a capire e si sentì immediatamente in colpa. Aveva combattuto la sua solitaria battaglia con l'angoscia dal momento in cui si erano separati, glielo scorgeva nel suo sguardo apparentemente fermo ma distante; sapeva, però, che non glielo avrebbe mai confessato a voce alta. Ma lui aveva imparato a conoscere i suoi silenzi. Anche quel momento impregnato di parole non dette, avvertiva, ugualmente, il suo timore di aver nuociuto al bambino.

Non disse nulla, afferrò uno sgabello e le si sedette accanto. Immediatamente la mano di Natasha si intrecciò alla sua, Steve si chinò protettivo su di lei, allungando un braccio sopra la sua testa e accarezzandole dolcemente la fronte e i capelli.

Helen, che gli aveva osservati con la coda dell'occhio, era rimasta affascinata da quel loro silenzio in realtà pieno di sentimenti e parole che si rincorrevano fra loro. Li rispettava molto.

Nello schermo si delineò il contorno dell'utero mentre il futuro bambino aveva perso tutti i connotati informi e quasi invisibili dell'embrione, il feto si stava andando a delineare e ben si intravedeva la testa e il corpicino raccolto.

Lo sguardo di Natasha cadde sul monitor e da quel momento non lo distolse più. Steve trattenne il respiro.

Cho si prese qualche momento per analizzare alcuni movimenti del feto, e poi decise di ascoltare il cuore.

«Sta battendo ad un ritmo più veloce del consueto, ma è normale, sei entrata nel terzo mese questo significa che il bambino inizia a percepire gli stimoli materni, come stress o agitazione...»

«Ma sta bene?» mormorò la spia, cercando a quel punto di rilassarsi il più possibile terrorizzata al pensiero di poter far male a suo figlio. Helen si concesse un breve sorriso;

«Sì. Il suo battito sta già iniziando a decelerare, è più forte di quanto sperassi, non ci sono danni. Purtroppo è probabile che i dolori dovuti alle contrazioni aumenteranno, saranno più forti del normale... ti posso prescrivere qualcosa per il dolore, ma sfortunatamente a dosi ridotte per non influire sulla crescita del bambino-»

«Ho capito. Va bene, il dolore non mi spaventa» replicò Natasha, lasciando che un lieve sospiro sfuggisse dalle sue labbra tumide e rossissime.

Steve le baciò una tempia, avrebbe voluto poter condividere quel dolore, fare qualcosa di più per Natasha e il loro bambino.

«State bene» sussurrò semplicemente al suo orecchio.

«Consiglierei riposo assoluto almeno per il resto della settimana, poi faremo qualche altro esame. D'accordo?»; Natasha non poté fare altro che annuire, malgrado l'idea non le andasse molto a genio.

Il capitano diede un'ultima occhiata al monitor, suo figlio si era appena mosso lasciandolo senza fiato; aspettò che la russa si sistemasse e poi le passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro sulla schiena e se la strinse contro.

Natasha non protestò, non quella volta, la notte insonne e l'agitazione l'avevano lasciata spossata, più di quanto immaginasse. Si abbandonò a Steve, poggiò il capo sulla sua spalla, lentamente gli passò le braccia intorno al collo accarezzandoglielo piano, felice di poter saggiare nuovamente la sua pelle, respirare il suo profumo; chiuse gli occhi, la sua famiglia era al sicuro, almeno per il momento.

Percorsero in silenzio i corridoi della Tower fino a giungere alla loro stanza. Non avevano incontrato nessuno, l'ora era tarda e probabilmente avevano voluto lasciare loro del tempo.

Si coricarono nel comodo letto matrimoniale. Steve afferrò la trapunta coprendo entrambi, poi avvolse il braccio intorno a Natasha tirandosela delicatamente contro. Il suo cuore sobbalzò felice nel sentirla muoversi contro lui, inspirò il suo profumo dolce amaro a pieni polmoni.

«Perdonami» bisbigliò piano contro l'orecchio della spia. Natasha voltò il capo incontrando i suoi occhi azzurri velati di stanchezza e rimorso.

«Steve non farlo. Ne avevamo parlato... Che ci piaccia o no siamo in guerra e tu non puoi abbandonare la squadra per far stare meglio me. Dobbiamo imparare a gestire questa cosa...»

«Non sopporto l'idea di non poterti stare accanto come vorrei...» le disse sincero stringendosela contro inconsciamente. Come fosse stato un riflesso involontario.

Natasha chiuse gli occhi, dio solo sapeva quanto le costava lasciarlo andare cercando di non mandare in pezzi la sua corazza con la sua ansia.

«E io non sopporto il fatto che tu vada in missione senza di me, che non ci sia io a guardarti le spalle...» mormorò nascondendo il capo contro la sua spalla. Lo sentì sospirare e sollevò nuovamente lo sguardo, incatenandolo a quello di lui;

«Lo so che con te ci sono James e Sam...»

«Come io so che tu qui non sei sola, ma...»

«Non siamo noi.» terminò semplicemente lei e lui annuì.

«Hai ragione dobbiamo imparare a gestire la cosa.» concesse lui, entrambi avevano una sfida da combattere ma purtroppo non sempre sarebbe stato permesso loro di affrontarla insieme anche se questo li avrebbe portati a soffrire; d'altronde erano pur sempre Steve Rogers e Natasha Romanoff orgogliosi, indipendenti e pronti al sacrificio; «Come ti senti?» le domandò poi leggermente in apprensione.

Natasha si aprì ad un sorriso genuino e il capitano non poté non rimanerne abbagliato;

«Molto meglio ora.» disse solamente, non aggiunse '...che sei nuovamente al mio fianco' ma Steve lo intuì lo stesso e si sentì in pace. Si scambiarono un bacio che da dolce divenne inevitabilmente appassionato, le loro labbra non si sfioravano da troppo tempo ed ora avevano bisogno di assuefarsi ancora una volta le une al sapore intenso delle altre. Tutto il resto poteva aspettare.

Si addormentarono entrambi con una mano abbandonata con fare protettivo sul ventre di Natasha.


Poco prima dell'alba Steve si svegliò. Si volse verso la compagna che dormiva placidamente di lato, il respiro lieve e l'espressione tranquilla, le depose un leggero bacio sulla spalla scoperta e le rimboccò le coperte prima di alzarsi lentamente, facendo attenzione a non svegliarla; non aveva intenzione di allontanarsi per molto, giusto il tempo di dissetarsi.

Si diresse in cucina capendo immediatamente di non essere il solo mattiniero...

«Niko...»

«Steven, buongiorno. Spero di non averti svegliato!» sussurrò Niko Costantin con un sorriso gentile mentre strizzava la bustina del tè prima di gettarla.

«No affatto. Vieni o vai?» gli domandò incuriosito sedendosi accanto a lui, sul bancone.

«Sono appena tornato. Purtroppo l'attrezzatura di cui ho bisogno è disponibile solo la notte, la lista d'attesa è parecchio affollata, ma non mi lamento» affermò sincero. Il signor Stark era stato davvero gentile con lui e con sua figlia, poteva fare gli orari che più gli aggradava e lui gli era grato per questo.

«Come va?» gli chiese con sincera curiosità, sapeva bene come quel periodo fosse delicato per loro.

Il capitano mantenne il sorriso ancora per un istante prima di prendere un lungo sospiro.

«E' dura. Natasha è stata male, era così... spaventata. Non che lei abbia ammesso nulla, ma non ce n'è stato bisogno. La cosa che più mi fa arrabbia è che io non ero lì. Lei si sta accollando questa gravidanza in tutta la sua gravità mentre io...» si frizionò i capelli con le mani, in un moto di frustrazione.

«Tu hai una guerra da affrontare. Steve non ti devi sentire in colpa per non essere al suo fianco in ogni momento... Tu stai combattendo anche per tuo figlio, perché possa nascere in pace, così come Natasha sta combattendo contro il suo stesso corpo per permettere che vostro figlio nasca in salute, non è qualcosa in cui tu ti possa intromettere» replicò con sguardo sereno Niko «Anche Nina non era preparata per una gravidanza, quando mai qualcuno lo è? - sorrise benevolo – e il mio dna modificato non le è ha semplificato le cose, anche la sua non è stata una gravidanza semplice, ci sono stati molti momenti in cui abbiamo avuto paura... Per quanto io mi sentissi in colpa per aver complicato la vita di mia figlia non ancora nata a causa di ciò che sono, Nina ha lottato da sola ed ogni volta che potevo io ero al suo fianco» Steve lo fissò ammirato, abbassò lo sguardo;

«Natasha sta lottando anche contro la sua natura. È una guerriera non è facile per lei dover restare in disparte a guardare, aspettarmi. Anche se lo ammetto questo da una parte rassicura me» sorrise appena e avvertì la stretta gentile di Niko sulla sua spalla.

Ridacchiò comprensivo «La situazione è complicata, lo capisco bene, temo per Alexandra ogni giorno... Ora devi pensare che tu hai lei a curare le ferite del tuo corpo e lei ha te per curare i tormenti della sua anima».

Steve annuì guardandolo negli occhi, ricambiò la stretta sulla spalla dell'amico;

«Grazie davvero Niko»

«Ogni volta che ne avete bisogno Steven, è il minimo per quello che fate per Alexandra».

Steve ritornò in stanza nello stesso istante in cui Natasha usciva dal loro bagno personale con espressione stravolta a causa dell'ennesimo attacco di nausea.

Si guardarono e il supersoldato le sorrise incoraggiante, ricordando le parole di Niko, e si accomodò a letto aspettando che lei lo raggiungesse. Avevano ancora un po' di tempo prima che l'intera Tower iniziasse a ridestarsi.

Natasha si strinse a lui poggiando il capo sulla spalla e circondandogli la vita con le braccia.

«Ce la possiamo fare» le sussurrò Steve contro la sua tempia.


*


03 Gennaio, Playground.

Erica Holstein si massaggiò il collo stringendo appena le labbra, ricacciando indietro l'odiosa sensazione di fastidio.

Si concentrò nuovamente sui documenti che aveva davanti agli occhi, scontenta rivolse la sua attenzione allo schermo al suo fianco, digitò stizzita qualche comando ma non dette alcun risultato. Rimase in sospeso per qualche istante prima di prendere la decisione finale.

Si alzò, dandosi una veloce controllata allo specchio per assicurarsi che il suo caschetto scuro fosse in ordine, poi percorse con sicurezza i corridoi del Playground fino a giungere al laboratorio dei Fitz-Simmons e di Mack.

Sorrise deliziata nel vedere che c'era solo Leopold; fra i due era sicuramente il più malleabile, era conscia di non piacere molto alla dottoressa.

«Leo buongiorno» esordì amabile.

Fitz si voltò di scatto, preso in contropiede, e nel farlo perso il controllo dei suoi amatissimi “nani” che svolazzarono come api infastidite.

«Oh! Buo-buongiorno a-agente Holstein! Posso fare qualcosa per lei?» domandò paonazzo riprendendosi all'ultimo.

Il sorriso di Erica si accentuò appena;

«Sì, sei proprio la persona che cercavo – Leo deglutì a vuoto – Mi chiedevo, sai come consulente psico-fisica è mio dovere analizzare le cartelle personali dei vari agenti, così volevo sapere se possedevamo anche le cartelle degli... Avengers...» il suo sguardo si fece penetrante e il povero ingegnere si sentì annaspare ma si schiarì la voce cercando di darsi un tono;

«Le cartelle degli Avengers... sì... cioè volevo dire no! Non le abbiamo, non operando per conto dell'agenzia... sai, sono gli Avengers insomma eh eh! Di loro si occupa la dottoressa Helen Cho...».

«Oh ma certo, mi pare ovvio. Perdonami ma non sapevo se rientravano nelle mie competenze... - abbassò appena lo sguardo come un'attrice consumata – mi sei stato davvero d'aiuto Leopold!» sorrise, “Oh sì davvero d'aiuto”.




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1 = “Comprendo padre”

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Dunque dunque dunque... Come avrete notato la situazione dei personaggi di questo capitolo non è delle più rosee; James è parecchio impensierito da N (e meno male che è svenuto) che lo pone forzatamente nuovamente davanti al proprio passato e sembra che la pace sia ancora lontana.
Natasha deve iniziare a confrontarsi con la gravidanza che la costringe a cambiare la percezione di sè, questo è un tema che comunque cercherò di affrontare più ampiamente nei prossimi capitoli e affidarsi per forza ad altri perchè Steve non rischi la vita (più del solito), allo stesso tempo lui vorrebbe possedere il dono dell'ubiquità ma deve rendersi conto che è solo un uomo ma che ha al tempo stesso un grande peso sulle spalle... Insomma mi rendo conto che non sto rendendo le cose facili!
E per finire Sin, credo che ormai si cominci a capire da dove salti fuori... Per lei, oh per lei ho un'ideuzza che spero vi farà venire i brividi ;) 

Bene detto questo, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi, e per qualsiasi altra notizia vi invito a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" :) Vi ringrazio ancora una volta e ci vediamo tra due settimane, SABATO 08 APRILE!

ps. Mi rivolgo ai recensori dello scorso capitolo, risponderò alle recensioni quanto prima!

A presto!

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Capitolo 10
*** La verità svelata ***


10 Buon pomeriggio a tutti voi, miei cari lettori! Voglio ancora scusarmi con voi per il ritardo nella pubblicazione e ringraziarvi per la pazienza e il supporto! 
So che siete ansiosi di leggere il nuovo capitolo, quindi vi lascio ad esso e noi ci vediamo a fondo pagina!
Buona Lettura!








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Capitolo Dieci: La verità svelata

I problemi sono come onde: c'è la risacca

ma poi... Un'altra ondata ti colpisce”

~Sidney Heron, “Grey's anatomy”



Natasha sollevò le palpebre senza sbatterle, la luce era intensa ma dolce ed inondava la stanza.

Leggeri vagiti attirarono l'attenzione della donna che si diresse verso la culla, su cui pendeva un bellissimo acchiappasogni.

Si sporse verso di essa con un dolce sorriso, che scomparve velocemente com'era apparso. La culla era vuota.

Natasha si volse sconcertata, sentendo i gemiti del bambino forti e disperati che parevano provenire da ogni parte di quella casa dai contorni soffusi. Si mise a correre lungo il corridoio; suo figlio la stava chiamando.

Si fermò a pochi passi da una figura femminile voltata completamente verso la vetrata da cui entrava una luce violentissima, tanto che fu costretta a coprirsi gli occhi con la mano, ferita da quell'intensità.

L'altra donna si voltò, curata ed elegante nell'aspetto. Dopo un attimo di smarrimento Natasha la riconobbe come la sua addestratrice alla Red Room; il suo cuore smise di battere completamente nel vedere che le sue braccia stringevano il bambino.

«Ridammi mio figlio» sibilò pericolosa;

l'altra donna sorrise benevola in direzione del piccolo che gorgogliava calmo, sempre sorridendo pacatamente estrasse un lungo pugnale, l'espressione imperturbabile.

Natasha tremò e si scagliò in avanti, ma le sembrava di essere troppo lenta.

«Ogni debolezza va estirpata, Natalia...».


Natasha si tirò su rapida, lo sguardo sgranato e il respiro affannato.

I suoi occhi smeraldini e lucidi indugiarono su ogni elemento della stanza. La luce che filtrava attraverso le tende chiuse le fece capire che il sole era già alto.

Con una sottile vena di panico si chiese dove fosse Steve, perché non fosse lì, accanto a lei; inspirò piegandosi su sé stessa serrando le labbra dolorante. Rapida fu costretta ad alzarsi dal letto e a chiudersi in bagno.

Quando i conati terminarono, Natasha restò per qualche secondo con la fronte poggiata al water per calmarsi. Strinse i denti lasciando che quel dolore feroce facesse il suo corso, tirò poi un lungo sospiro e si alzò.

Infilò direttamente la testa sotto il getto d'acqua fresca, raccogliendo poi i capelli umidi in uno chignon morbido, cercò di fare del suo meglio per mascherare le occhiaie che gravavano sotto i suoi occhi. Si sentiva spossata come se avesse passato la notte a correre invece che riposare.

Nel tentativo di distrarsi dal dolore cercò di fare un po' di stretching, come le aveva insegnato Laura stando bene attenta a non compiere nessuna mossa troppo rapida o rischiosa. Era più forte di lei, non avrebbe mai potuto passare l'intera gravidanza stesa a letto nella più totale immobilità, il suo corpo aveva bisogno di muoversi... Sentiva che quella era la cosa giusta da fare.

Afferrò una delle camice azzurre di Steve ed iniziò ad abbottonarsela, ma quando arrivò all'altezza del ventre si soffermò guardandolo attraverso lo specchio.

Le sue mani si mossero lievemente tremanti sulla pancia che aveva perso la piattezza che l'aveva sempre connotata, ora era leggermente gonfia, con il dito Natasha ne delineò la curva perfetta, ancora possibile da celare eppure ne avvertiva tutto il peso.

C'era una buona parte di lei che non desiderava sentirsi così, era ancora troppo presto si diceva, ancora tutto troppo incerto... Perché un'altra parte di sè invece, quella che tentava di tenere sotto stretto controllo, era felice. Semplicemente. Ogni giorno passato con quel bambino che resisteva e le cresceva sereno in grembo la accendeva segretamente di speranza; quella parte di lei se ne fregava delle conseguenze, dei pericoli desiderando solo poter stringere a sé quel bambino alla fine di tutto.

Da quando l'aveva scoperto non si era mai soffermata a pensare alla maternità, era qualcosa che si era imposta di non fare. Non voleva cedere alla speranza perché sapeva quanto la vita potesse essere crudele e travolgerti all'improvviso. Inizialmente aveva pensato di non meritare qualcosa di così puro, innocente e bello come poter portare dentro di sé una nuova vita. Ne aveva avuto paura, le prime notti erano state costellate da incubi orrendi, il suo ventre dilaniato e una mostruosa creatura aveva preso il posto del suo bambino... Si svegliava madida di sudore e sull'orlo delle lacrime avendo il timore che nel suo ventre stesse crescendo davvero un mostro.

Poi quella paura era scemata, le visite di Cho le dimostravano che era un bambino vero quello che si stava formando nel suo ventre, e poi Steve e quel suo sguardo dolce, luminoso così vivo l'avevano sempre rincuorata ricordandole che sì, stavano avendo un figlio.

Poi per Natasha era iniziata una nuova paura, quella di poterlo perdere. Nel momento in cui si era resa conto che la gravidanza era reale, quel timore, forse ciò che la spaventava maggiormente, era proprio non riuscire a portarla a termine, scartare l'ultimo regalo della Red Room. Questo era il motivo per cui non voleva sperare, per cui non si lasciava completamente andare a quel sentimento dolce ed avvolgente, per cui lo sguardo di Steve da una parte la cullava e dall'altra l'angosciava. Perché sapeva che se la vita le avesse strappato quella piccola vita lei non sarebbe sopravvissuta, non avrebbe retto il colpo e avrebbe trascinato con sé nel baratro della disperazione anche l'uomo che amava sopra ogni cosa.

Ora però, essere lì ad osservare il proprio ventre ingrossarsi perché suo figlio, suo e di Steve, stava crescendo la faceva sentire felice. Ne percepiva il dolce sapore in bocca, e sempre più forte era il desiderio di poterlo un giorno accogliere fra le sue braccia; malgrado non si sentisse per nulla pronta a divenire madre non nascondeva a sé stessa che anelava conoscere suo figlio.

Paura e speranza si affrontavano furiose dentro di lei, senza che nessuna delle due sensazioni fosse vincitrice; questo insieme agli ormoni che la travolgevano come onde durante un maremoto minavano seriamente il suo ferreo autocontrollo.

Scrollò le spalle e terminò di abbottonarsi la camicia, si infilò un paio di comodi pantaloni neri; sbuffò ecco un'altra cosa che non le andava per nulla a genio: tutti i suoi abiti cominciavano ad andarle stretti sul giro vita. Avrebbe dovuto arrendersi all'evidenza... le sarebbero serviti al più presto degli abiti premaman.


Natasha raggiunse il soggiorno, dove il resto della squadra si era riunita.

«Ecco qui la futura mamma...» la salutò Stark ricevendo in risposta un'occhiata al vetriolo dall'adorabile futura mamma.

La donna si sedette, accanto a Sharon, sul divano lucido e bianco incrociando le braccia; scacciando infastidita il piacevole brivido che l'aveva colta alla parola 'mamma'. Iniziava a piacerle più del consentito.

«Buongiorno anche a te raggio di sole!» ridacchiò Clint, comprendendo benissimo lo stato d'animo dell'amica. Steve uscì dalla cucina con una tazza di tisana allo zenzero e un bicchiere colmo d'acqua che passò alla propria compagna con un sorriso pacato, prima di prendere posto accanto a lei.

La spia gli lanciò un'occhiata grata senza dire una parola; sapeva che detestava il fatto di non poter affrontare la gravidanza insieme, come una qualsiasi altra normale coppia, ma apprezzava quei piccoli gesti che faceva per lei, ad esempio imparare cosa poteva mangiare o bere e cosa no e difatti anche quella mattina le aveva preparato una tisana alla zenzero che a quanto pare riusciva ad alleviare leggere nausee. Lui, era conscia, pensava di non fare abbastanza ma invece Natasha avrebbe voluto riuscire a dirgli che lo amava immensamente per quei pochi ma indispensabili gesti che faceva per lei.

«Allora vogliamo parlare del simpatico agente nemico incosciente?» domandò Tony senza troppi preamboli.

«Posso confermare che quello non è il tizio che ci ha attaccato...» fece presente Clint poggiando pesantemente i gomiti sulle ginocchia ed incrociando le dita fra loro.

«Che cosa hai scoperto su di lui Tony?» domandò Steve grave; il magnate digitò qualche tasto sul tablet e l'ologramma si materializzò in mezzo alla stanza.

«Braccio di ferro qui aveva ragione, abbiamo analizzato il suo DNA ed ha subito esattamente le sue stesse modifiche... questo fa di lui un altro-»

«Winter Soldier» terminò per lui Bucky con un sospiro. Già lo sapeva, ma una piccola parte di lui sperava di essersi sbagliata.

«Abbiamo altro su di lui?» si informò Natasha «Niente dalle impronte digitali?»

«Niente di niente, per quanto ne sappiamo quest'uomo non esiste...»

«Ragazzo» ribatté Steve pensieroso; gli altri lo fissarono appena perplessi.

«E' ancora un ragazzo...» ripeté lui con un sospiro, effettivamente l'aspetto dell'agente era giovane e non doveva superare i venticinque anni; gli altri si ritrovarono ad annuire, consci di ciò.

«Sia come sia, è pericoloso!» borbottò James provando un moto d'odio verso... nemmeno lui lo sapeva dire con certezza, probabilmente se stesso, la Red Room, l'Hydra, chiunque giocasse con la vita altrui. Si sentiva stanco.

«Buc...» sospirò Steve, voltandosi verso di lui «Non essere troppo duro...» mormorò intendendo con quella frase molto più di quanto dicesse;

«E' come me, quindi so quanto possa essere letale» replicò ostinato, digrignando i denti;

«Bene, se è come te vuol dire che non l'ha voluto!» ribatté il capitano stizzito, ammutolendo l'amico.

Sharon e Natasha, come gli altri, avevano seguito in religioso silenzio quel breve scambio di battute e si lanciarono un'occhiata complice.

«Cap ha ragione Bucky.» si intromise cauto Sam «Una volta gli dissi che a mio parere tu eri una persona da fermare e non di certo da salvare... Beh notiziona del giorno: mi ero sbagliato!» terminò con un sorriso caldo e l'atmosfera si stemperò di un poco.

«Posso dire che tutto ciò è molto commovente?» esclamò Stark ironico, asciugandosi una finta lacrima dall'occhio mentre il resto del gruppo emetteva versi esasperati.

«Dovresti parlargli tu...» affermò Sharon osservando il Soldato di sottecchi «Non ha emesso un fiato con nessuno»

«Mi stai chiedendo molto» replicò piano James;

«Lo so. Ma non è detto che non possa esserti d'aiuto...» celiò poggiandogli la mano sopra la sua di metallo.

«Sharon ha ragione» Natasha aveva parlato ma il suo sguardo si era fatto lontano «Meglio che sia tu ad andare dal passato che il passato a venire da te» disse e tutti ben intesero le sue parole visto ciò che era capitato più di un anno addietro.

«Quando te la sentirai» lo rassicurò l'agente 13 guardandolo con espressione carezzevole.

«In ogni caso è troppo rischioso tenerlo qui con noi al momento.» fece notare Tony con tono serio, una volta tanto e si scambiò al volo un'occhiata col Capitano, che annuì. Per quanto quel ragazzo potesse essere una vittima quanto James era ancora potenzialmente una minaccia che non poteva essere lasciata nello stesso edificio con Natasha incinta e non nelle condizioni di difendersi al meglio, l'intera famiglia di Clint, Pepper che andava e veniva e due adolescenti alle prime armi.

«Più tardi verrà trasferito al Playground, ho già preso accordi con Agente»;

«Non che sia il posto più sicuro ora come ora...» fece presente Clint visto che la possibilità di una talpa era alquanto concreta.

«Non che abbiamo altre alternative» affermò Steve anche lui non proprio rassicurato «Ma mi fido di Coulson».


«Sei sicuro che non ci veda?» domandò per la terza volta Alexandra fissando il biondo giovane che era tenuto ben legato al lettino, sveglio e con lo sguardo vuoto puntato dritto davanti a lui.

«Sasha se ti inquieta tanto mi spieghi perché sei voluta venire qui?» domandò Jace con un accenno di canzonatura nel tono.

«Mpf. Ero curiosa, va bene?» sospirò la ragazzina, gonfiando le guance. Gesto che il quindicenne trovò adorabile. Si schiarì la voce;

«Per la terza volta ti dico che no, non ci vede! So che il suo sguardo inquietante è puntato dritto verso di noi, ma sta guardando – se sta fissando davvero qualcosa – se stesso. Noi vediamo lui ma lui non vede noi!»

«Che significa “se sta davvero fissando qualcosa”?» chiese incuriosita Alex distogliendo finalmente lo sguardo dal prigioniero. Jace si morse un attimo le labbra prima di confessare:

«Ogni tanto capitava anche a Bucky. Sopratutto i primi tempi che vivevamo insieme, lo trovavo a fissare un punto imprecisato esattamente con quello sguardo... era intenso ma al tempo stesso non stava realmente guardando ciò che gli stava davanti, era perso... nella sua mente». Aveva cercato di usare un tono calmo, quasi leggero ma il ricordo gli faceva comunque male.

Alexandra abbassò lo sguardo, dispiaciuta.

«Mi spiace... Quindi è davvero un altro Winter Soldier?».

Il biondino si strinse nelle spalle;

«Probabile.» poi si accorse del suo sguardo meditabondo «A cosa pensi?». La giovane esitò un istante prima di rispondere:

«A Bucky... A Natasha, ai miei genitori... A Yelena ed Alexei- erano tutti parte della Red Room ed hanno subito destini così differenti» il suo sguardo si fece triste, l'argento dei suoi occhi da chiaro si fece denso con le nubi cariche di pioggia «Odiavo Yelena, davvero... poi sapendo la sua storia mi è un po' dispiaciuto, anche se una parte di me continua ancora adesso a detestarla. Però ora ho capito e mi dispiace perché non ha avuto una vera scelta, magari col tempo Natasha e forse anch'io e mio padre avremmo potuto aiutarla come tu e Steve avete fatto con Bucky... Guardo quel ragazzo e vedo lei, non lo so, vorrei solo che nessuno debba più morire, non quando qualcun altro l'ha costretto a diventare altro da ciò che era».

Alexandra alzò appena lo sguardo, i suoi occhioni era lucidissimi ed enormi e Jace si sentì totalmente travolto da loro. L'abbracciò d'istinto, facendole poggiare il capo sul suo petto – Alexandra gli arrivava al mento – capendo bene il suo pensiero esposto con quella voce sottile ed incerta.

«Lo capisco, Sasha. Sono sicura che nessuno di loro lo permetterà».

Improvvisamente un allarme si propagò per l'intero piano, Jace ed Alexandra si staccarono e si voltarono terrorizzati verso il prigioniero, che non si era mosso di una virgola, l'espressione immutata.

«Merda. Andiamo Sasha, arrivano i guai!».


«Che altro c'è?» dichiarò esasperato Tony «J.A.R.V.I.S.!».

«Si sta verificando una strage fra gli abitanti di una cittadina del New Mexico, nella zona sud di Las Cruces» spiegò compita l'intelligenza artificiale.

«Origine?»

«Rilevata fonte d'energia che emana radiazioni riscontrate nell'analisi dello-»

«E' lo psychotron!» ragionò Steve passandosi stancamente le mani sul volte e fra i capelli.

«Deduzione corretta, capitano Rogers» concordò J.A.R.V.I.S.

«Fantastico!» risposero in coro Clint e Sam.

«Hanno iniziato ad utilizzarlo, avremmo dovuto aspettarcelo...» berciò Bucky allacciandosi la sua divisa, che si era tolto solo la sera precedente.

«Tutti all'hangar tra dieci minuti! Non possiamo perdere tempo...» esclamò il capitano muovendosi per andare a recuperare il proprio scudo, afferrò la mano di Natasha ed entrambi si diressero nella loro stanza.

In silenzio il supersoldato si assicurò lo scudo alla schiena, rimase fermo mentre Vedova con gesti decisi gli sistemava la divisa, le sue dita abili e rapide stringevano dove necessario le protezioni;

«Non abbassare la guardia, chiedi a Stark di fare un'analisi del perimetro, niente azioni singole... tu sopratutto non-» le sue mani lisciarono inutilmente la bianca stella sul petto e li si arrestarono. Sollevò i suoi liquidi occhi di giada sui suoi, che la stavano osservando attenti.

«Andrà bene» sussurrò lui guardandola con sicurezza;

«Niente cazzate Rogers» frecciò lei e lo attirò a sé per baciarlo. Lui la strinse a sé per un attimo ancora poi si diressero verso l'hangar, in silenzio ma l'uno accanto all'altra e le loro braccia che si sfioravano delicatamente.

Una volta scesi, trovarono Sam e Clint intenti a terminare di rifornire il jet di armi, Tony era già al suo interno ad avviare i motori e più in disparte Bucky e Sharon parlavano piano fra loro. Il Soldato, prima di voltarsi completamente, si sporse verso di lei catturandole le labbra in un bacio, Sharon cercò di prolungare un attimo ancora quel contatto prima di lasciarlo andare.

Steve si scambiò un cenno con Natasha e poi si avviò, ma a metà strada sembrò quasi ripensarci si fermò e voltò appena la testa;

«Natasha lo sai»; la donna inclinò il capo e piegò le labbra in un sorriso dolce ma enigmatico.

«Lo so. Anch'io Steve».

Il jet inghiottì ad una ad una le figure dei propri compagni, Sharon si avvicinò a Vedova, si scambiarono un sorriso.

«Sarai la mia babysitter oggi?» la canzonò benevola la rossa;

«Sai com'è avevo bisogno di una giornata fra ragazze» replicò l'altra divertita. Le due tornarono verso il piano nobile dell'Avengers Tower in un sereno silenzio.

«Come stai a proposito?» domandò sinceramente interessata l'agente 13, Natasha fece finta di rifletterci su;

«Uhm una meraviglia: inizio ad avere fitte alla schiena, devo costantemente andare in bagno, se mangio vomito, ho crampi al ventre, mi sento perennemente stanca... ah e il padre di questo bambino è appena partito in una missione potenzialmente suicida» riassunse brillantemente e con una certa ironia, non di certo rivolta all'amica che era sempre al suo fianco, «Oh dimenticavo, Laura tiene un corso preparto appositamente per me» esalò fintamente sfinita. In realtà era davvero grata alla moglie del suo migliore amico per aiutarla psicologicamente e fisicamente a prepararsi alla nascita di suo figlio, era lei semplicemente che non si sentiva adeguata.

«Uh potrebbe chiamarlo “Come prepararsi alla nascita di un eroe, figlio di eroi”» ci scherzò su Sharon cosa di cui la russa fu grata.

«Ti serve supporto morale?» domandò poi, Natasha ridacchiò e annuì «Ammetto che non vi ci vedo tu e Steve ad un corso preparto...»

«Perché tu mi ci vedi madre?»

«Sì.» affermò la bionda seria. La sicurezza della sua espressione stupì Vedova.

«Non sto scherzando, forse tu non te ne accorgi ma il modo in cui ti rapporti con Alexandra è molto... materno, non trovo altro termine per spiegarlo meglio.»

«Magari sono stata ispirata da te e Jace» replicò dolcemente Natasha facendo lievemente arrossire Sharon. Sapeva quanto significassero quelle parole per lei, teneva moltissimo a quel ragazzino. Lei e James erano la sua famiglia, malgrado Jace non li chiamasse “mamma” e “papà”; ma infondo era poi così fondamentale?

«Vedi, lo fai anche in questo momento. Tu sei un punto di riferimento per tutti noi, Nat ricordatelo» celiò Sharon con sguardo lucido.

Natasha non commentò, ma quelle parole l'avevano profondamente colpita.

«Vieni mia partner».


*


«Buongiorno sono qui per vedere la dottoressa Helen Cho»;

«Identificarsi prego» rispose l'AI dell'Avengers Tower.

«Agente dello S.H.I.E.L.D., Erica Holstein» replicò la donna con un sorriso a trentadue denti.


Era tardo pomeriggio, gli agenti dello S.H.I.E.L.D. avevano prelevato il prigioniero e Natasha era stata accorta a non farsi vedere da Melinda, si sarebbe resa subito conto del suo “stato interessante”, e per il momento era meglio mantenere il segreto.

Si trovava, ora, nell'ampio e soleggiato soggiorno, semidistesa sul divano con accanto Sharon cercavano entrambe di distrarsi con un film Disney proiettato appositamente per i piccoli Barton, presissimi, insieme a Alexandra e Jace – che cercavano di mantenere un certo distacco dal film ma anche loro presi a canticchiare a voce bassa le canzoni – e Laura che cullava tranquillamente Nathaniel addormentato. Steve e gli altri non avevano ancora dato notizie, ma nessuna aveva detto una parola, era come un grosso elefante nella stanza.

Improvvisamente la tv si spense, tutto per esattezza all'interno della Tower smise di funzionare per cinque secondi esatti.

«J.A.R.V.I.S!?» esclamò all'erta Natasha.

Inizialmente si percepì solo un crepitio metallico, poi la voce dell'AI proruppe disturbata;

«Tenta-ti-vo d-di... h-a-ckera-g-gg-io i-n -cor-so, s-si-stemi di -d-ife-sa d-disat-tivati... a-tt-ua-re r-r-pristi-no»;

«Maledizione! J.A.R.V.I.S. contatta Tony! Mi hai capito? Contatta Stark!» frecciò rapida sempre la russa guardandosi attorno, ma non ci fu bisogno di aspettare molto per l'attacco a sorpresa.

«A terra!» urlò Sharon gettandosi insieme a Natasha dietro il divano, mentre agenti Hydra si calavano ed irrompevano dalle ampie vetrate.

«Sharon, sotto il divano... pistole!» mormorò la russa mentre la sua mente lavorava rapida; la bionda agente non se lo fece ripetere le trovò ed iniziò a sparare. Natasha si guardò attorno: Laura stringeva Nathaniel a sé che aveva iniziato a piangere, Lila e Cooper erano accanto a lei tremanti e Alexandra e Jace poco più distanti riparati dietro al mobilio.

«Laura affida Nathaniel a Lila. Jace Alex guardatemi, appena ve lo dirò afferrate Cooper e Lila e correte a nascondervi, andate verso l'hangar d'accordo? Intesi?» ripeté mentre loro esitarono un attimo prima di annuire;

«Ma Natasha tu-?» pigolò Sasha preoccupata;

«Me la caverò! Non posso lasciare sola Sharon. Ascoltate avete un telefono con voi? Bene, chiamate Pepper, se J.A.R.V.I.S. è stato attaccato, Stark risponderà sicuramente a lei e poi contattate lo S.H.I.E.L.D.! Laura tu-»

«Io resto.»

«Non posso chiedertelo...»

«Non me l'hai chiesto, ho deciso io. Sono la moglie di un Avenger credi che non sappia difendermi?» Natasha sorrise appena ed annuì.

«Mamma...» celiò Lila sconsolata, la donna l'abbracciò rapida e sorrise decisa;

«Forza fate come dice zia Nat!».

Non ebbe nemmeno bisogno di dirlo, Sharon comprese perfettamente, le lanciò un'arma e Natasha con uno scatto iniziò a sparare agile scoprendosi fino alle spalle e abbattendo rapida alcuni nemici.

«ORA!».

Jace pronto balzò in avanti insieme ad Alex e proprio come da piano afferrarono i piccoli Barton e corsero verso il corridoio, proprio mentre dall'ascensore altri agenti si riversavano nel salone.

Laura si scambiò uno sguardo con Natasha che le fece un cenno affermativo. Con agilità la moglie di Clint Barton mise fuori gioco un paio di agenti Hydra con mosse quasi circensi.

In effetti Laura Barton non era esattamente una sprovveduta, lei e Clint si erano conosciuti quando da adolescenti lavoravano per il Circo Tiboldt1; lei era un'aggraziata e formidabile acrobata finita anch'essa nei guai con la legge per esser stata complice del ragazzo di cui si era innamorata: il suo attuale marito, che le aveva insegnato, in ogni possibile modo, a sfruttare la sua agilità e flessibilità, oltre che insegnarle a sparare con un fucile o pistola nel corso degli anni. Era un'allieva straordinaria, le diceva spesso lui.

«Oddio! Sono questi gli effetti del pilates?» domandò sconvolta Sharon dopo aver ingaggiato e vinto un corpo a corpo.

«No, circo dall'età di dieci anni!» replicò lei con un sorriso mentre veloce storceva un braccio all'avversario e lo metteva KO;

«Questo invece me l'ha insegnato Clint!» celiò quasi esaltata.

«Ricordami di non sfidarti mai!» asserì Natasha cercando una dopo l'altra le varie armi che aveva disseminato per la stanza e facendo fuoco.

«Fortuna che doveva essere una settimana di riposo assoluto» mormorò a se stessa Vedova cercando di controllare le reazioni del suo corpo, malgrado volesse non sarebbe riuscita ad ingaggiare un corpo a corpo.

Un agente Hydra le si parò davanti, lei aveva appena finito i proiettili. “Stiamo calmi” si disse mentre il suo cervello cercava di elaborare un qualche tipo di mossa, d'un tratto il suo nemico si accasciò privo di vita; la russa si voltò e sospirò di sollievo.

«Scusate il ritardo!» esclamò Niko Costantin armato di fucile e con l'aria pericolosa. Subito accorse da Natasha;

«Tutto okay?» le domandò gentilmente, lei annuì mestamente;

«Mi... Ci hai salvato.» inspirò, poi il suo sguardo si assottigliò facendosi pericoloso «Ora passami entrambe le pistole, e quel fucile a Laura, è il momento di fargli capire chi comanda.» sibilò letale.


*


New Mexico, Las Cruces.

La neve aveva appena finito di scendere, creando un sottile e soffice strato bianco sull'intera cittadina di Las Cruces.

Una piccola città nel sud del New Mexico che si era fatta improvvisamente deserta. Un silenzio irreale e pesante impregnava l'aria, mentre gli Avengers appena sbarcati dal jet si guardavano attorno con aria circospetta.

«Rilevo fonti di calore in direzione nord-est» dichiarò Stark avvolto dall'armatura, mentre dati iniziavano ad apparire nella sua interfaccia.

«Traccia la posizione. Noi ti seguiamo...» berciò serio Steve;

«Non serve» si intromise con tono cupo Bucky, tutti si voltarono verso di lui che indicò a terra, sulla bianca neve imbrattata di vivo rosso.

«Oh magnifico seguiamo la scia di sangue!» esalò Sam levando gli occhi al cielo mentre il resto del gruppo si metteva in marcia.

«Seguiamo il sangue! Non poteva essere seguiamo le farfalle!?» borbottò sconsolato.

Il gruppo continuò a muoversi piano, stando bene attenti a qualsiasi segno fuori posto o attacco sorpresa; Sam volava a più alta quota, mentre Tony gravitava intorno a Steve, Clint e James che procedevano in circolo dandosi le spalla a vicenda.

«Qui! Rilevò una fonte di calore, ma nessuna energia riscontrabile con lo psychotron...» disse il miliardario sbuffando perché qualcosa non andava con J.A.R.V.I.S., possibile che ci fossero apparecchi di disturbo?

Si trovavano davanti a quella che doveva essere la palestra della città. Steve e Clint si accostarono alle porte lentamente e i rumori che provenivano dall'interno non erano per nulla rassicuranti. Sarebbero stati degni di un film horror.

«Anche se lo psychotron non è più in funzione non significa che il suo effetto sia svanito, questo è l'ultimo posto in cui sono state registrate le sue radiazioni, quindi la priorità va alla distruzione del dispositivo. State bene attenti, intesi?» disse ai compagni il capitano poi fece un cenno a Tony.

Il miliardario si posizionò davanti alle doppie porte d'ingresso levò il braccio e l'energia scaturì dal palmo, distruggendo buona parte dell'entrata.

«Oh oh» ebbe il tempo di esclamare prima che un'ondata incazzosa e completamente fuori controllo di persone gli si fiondasse contro.

Immediatamente il resto della squadra si ritrovò ad affrontare un gran numero di persone che non avevano più nulla di umano ed erano ricoperte di sangue, alcune avevano ferite profonde o addirittura brandelli di pelle staccati, e all'interno dello stabile la situazione era peggiore di qualsiasi scena horror: il pavimento era ricoperto di viscoso liquido rosso e diversi corpi erano riversi a terra, spezzati o peggio.

«Ragazzi non so voi, ma io credo che avrò gli incubi per mesi!» gridò Clint combattendo quelle creature furiose, che non potevano più essere definite umane.

«Non guarderò mai più un film sugli zombie, lo giuro!» berciò Sam orripilato.

Nessuno di loro si era accorto che qualcuno stava osservando la scena, dall'alto del tetto dell'edificio e sembrava pure godersela un mondo.

Brock Rumlow afferrò il cellulare e rispose, mentre il sorriso sulle sue labbra non accennava a scemare;

«Mmh. Capisco, sì ci sono cascati in pieno, avranno il loro bel daffare. D'accordo» poi si volse verso L che fissava lo scontro senza nessuna espressione in particolare.

«Andiamocene. Sin ha preso ciò che serviva, forse ha addirittura trovato qualcosa di meglio» detto ciò non attese una risposta che non sarebbe mai arrivata, e si voltò togliendosi dal cornicione.

Fu un movimento impercettibile ma, l'occhio dell'arciere lo colse comunque, alzò appena lo sguardo e fece appena in tempo a scorgere una figura maschile. Fu talmente veloce che un'altra persona avrebbe creduto semplicemente di esserselo immaginato. “Non è possibile...”.

Tony, nel frattempo come gli altri, tentava di sopravvivere a quegli attacchi suicidi, imprecando perché J.A.R.V.I.S. non rispondeva ai suoi comandi, c'era decisamente qualcosa che non andava. Il trillo di una chiamata lo distrasse momentaneamente facendolo finire a terra.

«Pepper!? Tesoro sono un tantino impegnato in questo momento...». Essendo tutti collegati con l'auricolare fra loro, anche il resto dei suoi compagni poteva sentire la conversazione.

«Tony! La Tower è stata attaccata dall'Hydra!» gridò tutto d'un fiato Pepper per nulla divertita, anzi il suo tono aveva un che di isterico.

James, Clint e Steve alzarono il capo in sincrono guardandosi fra loro con occhi sgranati. Il cuore del capitano sprofondò e un terrore nero lo assalì, fu per puro miracolo che non venne travolto dalla carica nemica. Osservò i suoi compagni e i loro volti era stravolti dalla stessa espressione scura ed angosciata che era dipinta sul suo volto.

Natasha”.


*


«Ti prego...» borbottò un agente dell'Hydra a terra e ferito gravemente. Ma Natasha non diede segno di pietà e gli piantò una pallottola dritta nel petto. Aveva visto, aveva capito cosa tentava di nascondere, di proteggere.

Alzò il capo e venne colta da un giramento, subito Niko e Sharon la sostennero preoccupati. La mano di Vedova corse immediatamente al ventre, si concentrò sulla respirazione per qualche secondo.

«Nat? Tutto bene?» domandò il russo, lei annuì seria. Si costrinse a rimettersi dritta sulle proprie gambe anche se aveva un'enorme voglia di crollare a dormire, anche lì sarebbe andato benissimo.

Melinda la osservò meravigliata, fortunatamente Jace e Alex erano riusciti a contattare lo S.H.I.E.L.D. che aveva fatto immediatamente una manovra aerea per tornare indietro ad aiutarli.

«Tu-»

«Non ora ti prego» la interruppe la rossa esausta. Si guardò attorno osservando l'intero salone trivellato e con corpi stesi a terra. Poi un sottoposto di Melinda May sopraggiunse con espressione stravolta e verdognola.

«Agente May! C'è una donna al piano inferiore è stata... stata accoltellata è-è piuttosto grave».

Natasha e Sharon si guardarono ed entrambe si diressero lungo i piani inferiori.

Una volta giunte al piano in cui era situato l'ufficio di Helen Cho, l'agente 13 si portò le mani alla bocca.

Vedova si diresse da Helen riversa a terra immersa in una pozza di sangue, il suo. Sembrava che qualcuno si fosse divertito a trafiggerla come fosse stata un puntaspilli. Non seppe come riuscì a combattere i conati di vomito, ma con un enorme sforzo di volontà, Natasha si accostò alla donna, che improvvisamente aprì gli occhi e li puntò su di lei.

«N-Natasha m-mi dispiace...» sospirò stanca la dottoressa. Natasha si guardò attorno non comprendendo subito, poi i suoi occhi si soffermarono sull'intero ufficio e un brivido di puro terrore le percorse le membra provate.

«Loro lo sanno...» sussurrò, poi alzò lo sguardo su Sharon che la fissava paralizzata;

«Loro lo sanno».






1 = Circo Tilboldt è il circo in cui Clint Barton lavorò insieme a suo fratello dopo essere fuggito di casa e dove, grazie allo Spadaccino e Trick Shot, divenne un formidabile arciere.

___________________________________________________________________________

Allora, vi ho fatto attendere ma credo ne sia valsa la pena! (almeno lo spero) come potete constatare no, non me ne sono stata tranquilla a lungo, in questo capitolo dopo un inizio abbastanza riflessivo troviamo un bel po' di azione, l'HYDRA o forse dovrei dire Sin? ha tirato un bello scherzetto ai nostri eroi... e la fine del capitolo mostra fino a che punto; ora anche loro "sanno". Molti si chiederanno perché Sin - anche nello scorso capitolo - era interessata alle cartelle mediche degli Avengers, tutto ha una spiegazione, e presto o darti vi verrà fornita.
Spendendo due parole per Natasha: non è stato facile immedesimarmi nello stato d'animo di una futura madre, questo viene complicato dal fatto che la persona in questione è abbastanza complessa. Natasha oscilla tra la preoccupazione e la felicità a cui comunque non vuole abbadonarsi, perché ne ha davvero passate troppe per vedere il mondo tutto rose e fiori, inoltre credo che una gravidanza, con tanto di ormoni al seguito, sia comunque un avvenimento, un percorso che ti pone davanti a mille dubbi e preoccupazioni... Perciò Natasha ha ancora un po' di strada davanti a sè prima di tornare ad avere il suo consueto controllo e di accettare con serenità gli eventi - sempre che tutto fili liscio - qui però vediamo dei momenti puramente Vedova, non si fa problemi a togliere di mezzo un nemico per proteggere la sua gravidanza e così suo figlio, l'animo da leonessa non è solo di Sharon e anche Nat avrà modo di dimostrarlo.
Per quanto riguarda Laura ho totalmente inventato il suo background, ma doveva pur essere spuntata fuori da qualche parte no? E come ho scritto è la moglie di una super spia e pure Avenger, volete davvero che malgrado l'anonimato suo marito non le abbia insegnato a difendersi!? Dai! In ogni caso spero che questa mia piccola libertà vi sia piaciuta.

Bene! Anche per questo capitolo è tutto... Per qualsiasi dubbio o curiosità non esitate a contattarmi :) Vi invito, come sempre, a seguire la mia pagina autore su fb "Asia Dreamcatcher". Io ringrazio tutti voi: chi commenta, chi inserisce la mia storia nelle differenti liste e anche chi legge semplicemente e vi do appuntamento a VENERDI' 28 APRILE (purtroppo per motivi di impegni sono costretta a rivedere la data di pubblicazione!) tra 18 giorni... e credetemi non sarà piacevole XD

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Capitolo 11
*** Collapse ***


11
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Capitolo Undici: Collapse

Even if you know what's coming,

you're never prepared for how it feels”

~ Natalie Standiford



James digrignò i denti andando su e giù, i muscoli tesi che guizzavano sotto il tessuto del giubba a doppio petto scura. Clint, seduto ai comandi del velivolo, guidava con una concentrazione assoluta, la tensione che scorreva nelle sue braccia.

Tony era concentrato sullo schermo davanti a lui, gli occhi scuri, seri che rincorrevano i dati e gli algoritmi che gli apparivano davanti ad una tale velocità che parevano sfocati.

Sam salutò piano Maria al telefono e si volse verso Steve, rigidamente seduto, lo sguardo cupo e perso.

«Ho appena parlato con Maria...» esordì, attirando l'attenzione generale «Adesso è alla Tower con la May, il prigioniero è al sicuro allo S.H.I.E.L.D., stanno tutti bene-» un sospiro impercettibile di sollievo «A parte per la dottoressa Cho, è stata ricoverata d'urgenza, ma sembra che se la caverà!» il resto dei suoi compagni era abbastanza scioccato dall'attacco violento a Helen Cho, ma il peggio doveva ancora venire. Sam inspirò rumorosamente rivolgendosi in particolare al capitano «Steve... Chiunque abbia attaccato la dottoressa era interessato alle nostre cartelle cliniche-» una muta domanda si accese negli occhi dei presenti «Ed è molto probabile che anche l'HYDRA ora sappia...».

Il biondo supersoldato rimase immobile, lo sguardo ancora confuso, non avendo colto ciò che l'amico gli stava suggerendo... O forse era il proprio cervello che non poteva sopportare quell'informazione.

«Sanno che Natasha è incinta» concluse Sam con sguardo angosciato.

Clint, James e Tony si erano come cristallizzati a quella notizia, i loro sguardi si puntarono tutti su Steve, muto e stoico come una pietra in mezzo a loro.

In quel preciso istante il capitano ebbe la sensazione che non ci fosse abbastanza ossigeno in quel jet. Malgrado all'esterno lui apparisse come una perfetta statua marmorea, dentro era sul punto di disgregarsi. Avvertiva il fallimento su di sé, dentro di sé... dappertutto, ne percepiva il gusto acre, pungente, disgustoso sulla lingua. Pensava... o forse meglio dire sperava che alla Tower, Natasha sarebbe stata al sicuro, che lì nessuno avrebbe potuto nuocere alla sua famiglia; era stato troppo ottimista? Troppo cieco di certo. Sì, Steve si sentiva costantemente circondato da angoli ciechi, ovunque volgesse lo sguardo qualcosa, immancabilmente, gli sfuggiva e la conseguenza era che la sua famiglia era ancora più esposta ora.

Una stretta al cuore lo colse alla parola “famiglia”. Dalla morte di sua madre, quella parola, per lui, aveva assunto significato nella persona di Bucky, era il suo migliore amico, suo fratello, la sua persona, un legame che valeva più del sangue. Era diventato Captain America e la sua famiglia si era allargata: c'erano stati gli Howling Commandos, Peggy, il capitano Phillips... Poi aveva perso tutto, lui era rimasto solo, un unico punto sospeso su una tela bianca.

Poi era emerso dai ghiacci e Fury era stato il suo primo, nuovo legame; gli scocciava ammetterlo – e sapeva che non era il solo a pensarlo – ma per lui era alla stregua di una figura paterna, sfuggente certo a volte detestabile, ma pur sempre il suo unico punto fermo della sua nuova vita. Il Colonnello era anche colui che aveva formato gli Avengers e dopo New York, Steve si era affezionato a quello stravagante gruppo, forse mal assortito in certi momenti ma che quando c'era bisogno funzionava come un sol uomo. E poi beh, c'era lei. Il suo filo rosso, la sua Natasha. L'amore che provava per lei era così totalizzante che a volte non era semplice da esprimere, lui semplicemente non riusciva a respirare se non c'era lei. Aveva trovato la sua famiglia in lei e anche in Sam e nuovamente in Bucky, malgrado tutto il male, in Jace, Sharon, Alexandra...

Ma Natasha era sempre la stella più luminosa della sua volta, un tempo buia, ed ora gli aveva donato un'ulteriore frammento di luce: il loro bambino.

Steve non lo aveva chiesto, ci aveva pensato, persino fantasticato ma non ne aveva mai sofferto la mancanza. Eppure la gioia lo aveva travolto lo stesso a quella scoperta, a quel piccolo miracolo. Non sapeva dire il perché ma si era sentito pronto; la titubanza di Natasha l'aveva ferito, ma non poteva biasimarla... lui stesso era consapevole dei rischi e delle difficoltà che sua figlia o suo figlio avrebbe incontrato crescendo, capiva le sue paure e le condivideva. Per quello aveva giurato a sé stesso che lo avrebbe tenuto al sicuro, voleva che nascesse senza essere minacciato, eliminare l'HYDRA definitivamente prima che anche solo potessero posare lo sguardo sul loro bambino, a cui sentiva già di voler bene, per cui avrebbe dato la vita senza esitare. Invece aveva fallito. Loro sapevano... e il suo cuore di padre si attorcigliò dolorosamente, come se qualcuno glielo avesse afferrato bruscamente e lo stesse accartocciando senza pietà fra le mani.

«Steve... Respira».

James era al suo fianco, la mano umana premuta con gentilezza sul suo collo, gli occhi fissi nei suoi.

«Natasha...» articolò il capitano stringendo poi i denti;

«Natasha sta bene, concentriamoci su questo» lo rassicurò l'amico facendogli sentire la propria presenza.

Il biondo supersoldato annuì e Bucky comprese che stava tentando di farsi bastare quello, anche se sapeva che ciò non era vero. Avrebbe voluto poter fare di più, Steve era suo fratello e quel bambino era, per lui, a tutti gli effetti suo nipote. Bastò un'occhiata fra loro per capirsi; non erano mai stati necessari lunghi discorsi, James si mise a fianco all'amico, sapeva che la sua presenza era l'unica cosa di cui lui avesse bisogno, in cuor suo però era conscio che esisteva anche un'altra cosa che poteva fare.


Arrivarono all'Avengers Tower poco prima dell'alba. L'edificio era ancora sopito e Steve, Tony, James, Clint e Sam si accordarono per ritirarsi a riposare almeno per qualche ora, prima di riunirsi a discutere degli ultimi avvenimenti.

Il capitano, con il petto gonfio di preoccupazione aprì la porta della propria camera, restò per qualche istante sulla soglia perso nella contemplazione dell'unica donna che possedeva il suo cuore.

Natasha non dormiva. Era accoccolata su una poltrona rivolta verso la grande vetrata che conduceva al piccolo terrazzo; le gambe raccolte, addosso un'ampia vestaglia premaman, un braccio a coprire il ventre, l'altro poggiato al bracciolo con la mano serrata a pugno a coprirle la bocca.

Lui avanzò di qualche passo e la spia non accennò a muoversi, non diede nemmeno segno di averlo sentito. Cadde in ginocchio davanti a lei, che aveva ancora lo sguardo puntato verso la vetrata fisso, insondabile. Lui notò subito la lucida ed impalpabile scia lasciata da quelle lacrime, che doveva aver detestato versare, il suo profilo dolente, il pugno poggiato contro le labbra carnose e screpolate. Era come se Steve si fosse prostrato ai suoi piedi per chiedere il suo perdono, per dirle che gli dispiaceva; le poggiò il capo sulle gambe, stanco ed immediatamente la mano di Natasha corse fra i suoi crini biondi, accarezzandolo piano. Quel gesto serviva a quietare entrambi.

Nessuno dei due seppe per quanto tempo rimasero così, in silenzio, in un'apparente calma. Vedova distolse lo sguardo, spostandolo finalmente sul proprio compagno ad occhi ancora chiusi.

«Non appena ho compreso-» parlava lentamente Natasha quasi sussurrando, la voce arrochita, come se non la usasse da molto tempo «-Che loro ora sanno del bambino, per un folle istante ho desiderato abortire» Steve trattenne impercettibilmente il fiato «Ho desiderato strapparmelo dal ventre io stessa, perché è questo che faranno Steve, ce lo strapperanno via.» prese una pausa dedicandosi con dovizia ad accarezzare la testa del compagno, come a volerlo tranquillizzare «Ma io non posso lasciarglielo fare. Perché nell'esatto momento in cui l'ho pensato, ho capito che io lo voglio Steve!» il capitano alzò il capo e puntò i suoi occhi in quelli smeraldini di lei «Voglio il mio bambino. Desidero nostro figlio come l'aria... Voglio che nasca, voglio che sia al sicuro, nessuno deve nemmeno sfiorarlo-»;

Steve osservò ipnotizzato quelle fragili lacrime scivolare sul suo volto e lei imprecare frustrata, maledicendo gli ormoni e alla fine non resistette più. La avvolse delicatamente nel suo abbraccio.

«Vanno eliminati Steve. Devi- dobbiamo fermarli» celiò lasciando che lui la stringesse. La sollevò e si sedette sulla poltrona con lei in grembo.

«Natasha» la richiamò dolcemente il capitano, con le labbra poggiate sulla fronte e le mani strette sul suo viso «Non oseranno avvicinarsi a nostro figlio. Non rinunceremo a lui o a lei, lotterò fino al mio ultimo alito di vita te lo giuro»;

«Lotteremo Steve» lo riprese lei riprendendo fiato e controllando l'ondata di emozioni che l'aveva sopraffatta fino ad un attimo prima.

Si guardarono negli occhi, con una tale profondità da lasciare senza fiato.

«Dimmi di cosa hai bisogno» asserì il capitano serio;

«Ho bisogno che tutti siano più preparati, vogliono qualcosa Steve, lo sento... Dobbiamo cercare di capire» il compagno annuì concorde.

«Seguirò personalmente l'addestramento di Jace e Alexandra» sospirò e poggiò il capo sulla spalla di Steve «Non vorrei costringerli a questa vita, ma sono troppo a rischio devono essere pronti»;

«Lo so e lo sanno anche loro» la rassicurò lui, poi il suo sguardo si incrinò e rafforzò la presa sulla donna «Mi dispiace Natasha, mi dispiace tanto...» sospirò con tono stanco e sofferente.

Vedova gli prese il volto fra le mani ed iniziò ad accarezzargli gli zigomi con i pollici «Shhh. Non è colpa tua моя жизнь [vita mia], nessuno poteva prevederlo.» lo fissò per qualche istante «Vieni. Hai bisogno di riposare».


*


«Beh, congratulazioni Natasha!» esordì Phil Coulson con il suo solito sorriso accennato, non dando a vedere quanto quella notizia l'avesse emozionato.

La donna gli concesse un breve sorriso;

«Ti ringrazio, ma vorrei che le circostanze fossero diverse».

Erano tutti radunati nel soggiorno dell'Avengers Tower, Phil aveva raggiunto Melinda, Maria faceva le veci di Fury, impegnato a fare chissà cosa.

«Mi spiace non avervelo detto prima... Ma-» disse Steve non sapendo bene come continuare;

«La talpa, ovvio!» lo anticipò la May infastidita da quella falla nell'agenzia.

«A proposito, novità?» domandò Maria in piedi accanto alla poltrona in cui era sprofondato Sam.

«Stiamo analizzando nuovamente il profilo di ogni agente e Skye si sta dando da fare per cercare di fare un riconoscimento facciale della donna del video... Ho fiducia in lei» asserì il direttore con tono sicuro, non dubitava che la sua Skye ci sarebbe riuscita.

«Come vanno le cose?» chiese vedendo le espressioni degli Avengers diventare cupe.

«Una meraviglia!» sbottarono in coro Clint, Sam e Bucky.

«Quello che i miei egregi colleghi stanno cercando di dire-» si intromise Tony con il suo classico tono sarcastico «E' che stiamo facendo acqua da tutte le parti! Insomma non ne stiamo azzeccando una gente...» terminò con una smorfia.

«Usano lo psychotron come diversivo» mormorò cupo Steve;

«E non è un bello spettacolo» aggiunse Clint con uno sbuffo, nessuno di loro si sarebbe tolto facilmente quelle scene dalla testa.

«Non si può fare nulla per prevenire questi attacchi?» domandò Melinda;

«L'unico punto a favore nostro, se così si può dire, è che lo psychotron emana radiazioni differenti da qualsiasi altra, questo permette di individuarlo facilmente, il problema è che se le sta emanando significa che-»

«E' attivo» dedusse il capitano per Tony, che annuì.

«Come va con il prototipo, sei riuscito a capire il funzionamento?» domandò Coulson; Stark si prese un istante per rispondere, tutti lo videro combattere col proprio ego e sospirare, sembrò quasi afflosciarsi su se stesso;

«Se avessi gli appunti di questo Yen sarebbe più semplice! La meccanica è facile da comprendere» ammise a malincuore «il fatto è che l'esperto di radiazioni qui non sono io ma...»

«Bruce Banner» rispose Natasha, poi si guardò con i presenti «Nessuna idea di dove possa essere il dottore?»

«E' fuori dai nostri radar da un po'» ammise il direttore mentre anche Maria si strinse nelle spalle come a dire che ne sapeva ben poco.

«J.A.R.V.I.S. è stato ripristinato a proposito?»

«J.A.R.V.I.S.?» chiamò Tony;

«Sì, il signor Stark ha fatto un ottimo lavoro con me» rispose pronta l'AI «Grazie signor Stark»

«Dovere»

«Mi dispiace signorina Romanoff, signorina Carter per quello che è accaduto»

«Non fa niente J.A.R.V.I.S.» risposero Sharon e Natasha.

«Certo che hackerare J.A.R.V.I.S...» borbottò Sam incredulo;

«Non dirlo a me. La cosa non è affatto simpatica, semmai troverò questo hacker che ha osato farmi questo affronto lo prenderò a calci o al massimo potrei anche assumerlo!» disse Tony, beccandosi occhiate perplesse da parte dei presenti.

«Resta da capire perché erano interessate alle nostre cartelle cliniche...» ricordò Clint passandosi una mano sul viso stropicciato «Come sta la dottoressa Cho?»;

«L'operazione è andata bene, dovremo aspettare uno o due giorni prima di poterle far visita, al momento è sedata.» spiegò Maria, mentre i presenti annuirono; Sharon, seduta accanto a Natasha le strinse la mano.

«Ne parlavamo prima io e Natasha, stanno cercando qualcosa...» dichiarò il capitano lanciando un'occhiata alla compagna al suo fianco che annuì.

«Non ci resta che capire che cosa vogliono».

«Voglio parlare col prigioniero» esordì James catturando l'attenzione dei presenti, Sharon levò lo sguardo su di lui.

«Ne sei sicuro?» domandò Steve sporgendosi verso l'amico.

Bucky lasciò vagare lo sguardo su Steve, Sam, Natasha e per ultima Sharon e li si fermò.

«Sì».

«D'accordo allora» disse Coulson «Hai il permesso di parlargli. Ma fa attenzione Barnes».


*


The Playground

James percorreva i corridoi con lo stesso passo di una marcia funebre, i suoi occhi però non tradivano nessuna incertezza.

Prima di varcare la soglia, diede un'ultima occhiata al prigioniero dall'apposita vetrata.

La stanza era spoglia e grigia, l'agente dell'HYDRA stava seduto al centro, ben ammanettato, le palpebre abbassate.

Bucky afferrò una sedia e si mise davanti a lui.

«Il tuo nome» chiese con voce atona, sapeva che non stava dormendo. Infatti, il giovane agente sollevò le palpebre di scatto, rivelando i suoi occhi di un azzurro scuro, le sue labbra però rimasero sigillate. Non che James si fosse aspettato davvero una risposta, ma almeno ora aveva la sua attenzione.

«Tu sai chi sono...».

L'altro puntò il suo sguardo su di lui, le labbra si dischiusero e l'espressione si fece incerta.

«Tu sei... il... maestro» mormorò confuso. James capì che la sua mente era una matassa da sbrogliare esattamente come la sua.

«Ti ho addestrato io?»;

l'agente N sbatté le palpebre un paio di volte, era stato addestrato a non dire nulla, a non rispondere ad alcuna domanda, ma lui era stato il suo addestratore e non riusciva a sottrarsi ad un suo ordine.

«Sì... tu... ci... hai addestrato» un brivido lo colse, il terrore di essere punito per aver risposto.

Bucky strabuzzò gli occhi;

«Ci? Quanti ce ne sono come te?» domandò bruscamente, il ragazzo non rispose. La sua bocca si era nuovamente sigillata.

«Maledizione!» urlò il Soldato d'Inverno prendendosi la testa fra le mani. Non riusciva a ricordare.

Continuò a fargli altre domande, alcune sull'HYDRA, sulla donna che era con lui e su quanti altri Winter Soldier ci fossero. Ma nulla, le risposte del ragazzo erano incerte e si riducevano a monosillabi quando decideva di non tacere, Bucky però si accorse che il solo nominare la donna dell'asta dei Belgioioso lo rendeva nervoso, i suoi occhi si dilatavano come un animale colto dagli abbaglianti. Si sentiva frustrato e furioso con se stesso, con il suo passato. James si rese però conto che il fatto che fosse lì di fronte a lui, lo destabilizzava; probabilmente nella sua mente lui era stato l'addestratore, una sorta di punto fisso nella sua esistenza all'interno dell'HYDRA. Forse con il tempo si sarebbe aperto, di sicuro non poteva mollare, la sua famiglia era in pericolo.

Decise che per quel giorno poteva bastare, aveva tastato il “terreno” e aveva constato che c'erano delle crepe di cui solo lui poteva approfittare. Si alzò e si diresse verso la porta.

«Io non ricordo» disse improvvisamente il prigioniero, Bucky si voltò nascondendo la sua sorpresa e vide negli occhi dell'altro un bagliore di umanità; «Io non ricordo il mio nome» alzò lo sguardo e a James non era sembrato mai così fragile come in quell'istante, poi lo osservò ricomporsi e la sua espressione diventare vuota.

Non appena fuori prese un enorme respiro appoggiandosi per qualche momento alla porta chiusa alle sue spalle.

«Agente Barnes?».

Il supersoldato si voltò verso la voce cortese ed ebbe una sensazione di deja vu.

«S-salve, agente... Holstein, giusto?» domandò incerto.

La ragazza gli sorrise gentile ed annuì;

«Sì, le dispiace seguirmi? C'è una cosa che vorrei mostrarle riguardante il prigioniero...» James annuì e si mosse dietro di lei.

Lasciò che lui entrasse per primo e poi si chiuse la porta alle sue spalle, il sorriso indulgente persisteva ancora sulle labbra.

«Che significa?» domandò brusco, si guardò intorno: era una stanza scarna, priva di finestre, lontano dagli uffici dello S.H.I.E.L.D., un posto isolato. Una trappola.

Il sorriso sulle labbra di Erica Holstein divenne malizioso, quasi ferino.

«доброго утра солдат [Buongiorno Soldato]» disse semplicemente causando, però, la completa paralisi all'uomo che le stava davanti, incredulo.

«Chi sei?» esalò mentre i suoi occhi vagavano su di lei e sull'ambiente che li circondava «Rispondi!».

Ma l'agente Holstein non rispose, si limitò a tirare fuori un quadernetto rosso sangue dall'aspetto consunto e con una stella nera incisa sopra.

Mai come in quel momento James si sentì in pericolo, esposto, nudo non ricordava con chiarezza eppure i suoi sensi scattarono all'erta, i muscoli tesi come corde sul punto di spezzarsi brutalmente.

«Che diav-?»

«желание [brama]» la ragazza pronunciò quella parola con tono curioso e quando vide l'effetto che ebbe sul soldato, ridacchiò sinceramente divertita.

A James sembrò che gli mancasse il respiro, il fiato gli si mozzò di netto ed un'ondata di ricordi gli invase la mente. Spalancò gli occhi «NO!» urlò disperato.

«ржавое [ruggine]»

E Bucky lo sentì quel sapore amaro, tossico pungergli la lingua, pervadergli le narici ed occludergli le vie respiratorie... allungò una mano verso di lei «Basta!»;

«семнадцать [diciassette]»

La testa cominciò a dolergli come mai prima aveva fatto, se la afferrò tra le mani, ed in un attimo era di nuovo lì, alla mercé dell'HYDRA, stretto su quella poltrona, la mente martoriata, serrata fra quelle dannate piastre di metallo;

«рассвет [alba]»

«Fermati!» urlò sofferente, angosciato... i volti delle persone care cominciavano a sciogliersi, liquefarsi davanti a lui, annaspò;

«печь [fornace]»

Il dolore al braccio, gli addestramenti massacranti; James sentì le ondate di dolore sommergerlo come se gli fosse stato rovesciato addosso una colata di lava;

«девять [nove]»

Urlò. Si dimenò e prese a pugni la parete, non vedeva più nulla, le immagini si affacciavano nella sua testa, non capiva più nulla...

«доброкачественной [benevolo]»

Migliaia di cadaveri apparvero davanti a lui, gli occhi rovesciati, martoriati, corpi che lui aveva spezzato, assassinato per loro volere;

«возвращение на родину [benvenuta]»

Sì, era nuovamente tornato all'inferno, al buio senza fine, al freddo degli aghi nelle braccia e degli ambienti in cui veniva tenuto come una bestia, cullato dalle suppliche dei suoi avversari, dai versi strazianti delle sue vittime;

«один [uno]»

Sharon gli sorrise per l'ultima volta, il calore scomparve. Era solo, non c'era più luce attorno a lui, era tornato ad essere la notte senza luna;

«грузовой вагон [vagone merci]»

la caduta dal vagone, Steve che diventava sempre più lontano, lo schianto, il gelo crudele che lo avvolgeva, che gli penetrava nella pelle, nei muscoli fino alle ossa, al cuore... alla mente... e poi il buio.

James Barnes aveva smesso di dimenarsi, il respiro affannoso si era attenuato, i muscoli rimanevano tesi, la testa alta, gli occhi chiusi... E quando arrivò il momento di sollevare le pallide palpebre di Bucky non era rimasto nulla.

«готовый подчиняться [pronto ad obbedire]» disse il Soldato d'Inverno.

«Te l'avevo detto che tu ed io ci saremmo divertiti insieme!» proruppe con tono insopportabilmente infantile quella che in realtà era Sinthea Schmidt. Chiuse il quaderno e si avvicinò all'uomo immobile, gli avvolse le braccia attorno al collo e lo baciò velocemente sulle labbra, senza che lui muovesse un solo muscolo.

Gli poggiò il capo sulla spalla, tracciando con l'unghia affilata il contorno del suo viso, poi si sollevò sulle punte e gli sussurrò lascivamente all'orecchio, gli occhi animati da un perverso divertimento.

«Uccidi Sharon Carter».


*


Antoine Triplett era convinto che prima o poi a Skye sarebbero caduti gli occhi a forza di analizzare quell'immagine.

«Skye ti avverto cominci ad inquietarmi...» berciò spaparanzato sulla sedia con i piedi sul tavolo ed intento a leggere una rivista di fisica.

«Ho promesso a Coulson che ci sarei riuscita, e ci riuscirò!» replicò la giovane legandosi i capelli in una coda alta, senza mai distogliere lo sguardo da quell'immagine maledetta, che ormai imperversava persino nei suoi sogni. Le bastava un frammento...

L'agente di livello 6 ruotò il capo e la fissò, sorrise... Non voleva deludere il direttore o May, la trovava davvero dolce.

«Che c'è?» sospirò l'hacker sentendosi osservata. Trip distolse nuovamente lo sguardo;

«Nulla» rispose schiarendosi la voce.

Il silenzio si dilatò fra loro mentre il tempo passava; Skye strinse lo sguardo ingrandendo per l'ennesima volta lo schermo frantumato del fotogramma, poi esultò.

«Sì! Si vede il riflesso di un occhio!» trillò trionfante.

Antoine saltò giù dalla sedia e le andò incontro incredulo; l'immagine non era nitidissima ma lo vedeva anche lui. Finalmente qualcosa su cui potevano lavorare.

«E' abbastanza per fare un riscontro facciale?» domandò;

la giovane annuì soddisfatta;

«Sì, devo solo renderla più nitida...» spiegò lavorando sul frammento grazie ad un software apposito «E... Invio! Ora non ci resta che vedere se c'è un riscontro!».

Passò qualche secondo, i due agenti erano entrambi tesi e il loro respiro pareva essere rimasto sospeso, poi finalmente il computer dette un risultato. Ma non appena l'hacker lesse il nome dato dal riscontro, sbiancò.

«Oh no. Oh no. Oh no!»

«Skye che succede?» domandò Trip per poi sporsi verso lo schermo e leggere anche lui il risultato.

«Merda! Skye chiama subito il direttore!!».


*


Sharon sentì la porta del proprio appartamento aprirsi e chiudersi con un colpo secco e poi il silenzio. Uscì dal bagno facendo il minimo rumore;

«Jace? James?» nessuna risposta.

Lentamente la ragazza si diresse in cucina ed afferrò uno dei coltelli, tenendosi pronta. Quando si voltò, un sospiro di sollievo lasciò le sue labbra vedendo davanti a sé il proprio compagno.

«James mi hai fatto prendere un col-!» ma non terminò la frase. Un secondo. Un intero secondo le ci volle per rendersi conto di essere stata spinta con violenza contro la credenza, e che a farlo era stato James.

Sharon boccheggiò, non sapeva dire se per il colpo che le aveva strappato via il fiato o per l'incredulità di ciò che era appena successo. Fece appena in tempo a sollevare lo sguardo su James per capire immediatamente che qualcosa nei suoi occhi era cambiato.

Il Soldato d'Inverno si preparò ad attaccare nuovamente e l'agente 13 si scansò appena iniziando ad indietreggiare a carponi. Non stava succedendo davvero.

«James ti prego!» ma lui non sembrava udirla, non sembrava nemmeno riconoscerla.

Bucky caricò il pugno e Sharon si trovò costretta a difendersi, deviando il suo colpo, lui non sembrava conoscere pietà.

«Sono io! Sono Sharon... ti prego fermati!» singhiozzò spaventata lei e si ritrovò nuovamente schiantata contro il muro del corridoio. Si rialzò a fatica e contrattaccò a malincuore, era inutile non riusciva a fargli del male, e lui non era chiaramente in se stesso. I suoi occhi di ghiaccio non trasmettevano nulla, non ardevano nel guardarla come accadeva ogni volta; Sharon percepiva solo gelo provenire dalla figura davanti a lei.

Riparò nella stanza, nella loro stanza ma non appena provò a chiudere la porta il braccio metallico di Bucky la divelse e si ritrovò a terra mentre lui torreggiava come un angelo vendicatore su di lei.

«James-».

Ma James l'afferrò per la gola, con la mano umana, insensibile ad ogni supplica ed iniziò a stringere.

Sharon faticava seriamente a respirare stretta nella gelida morsa del Soldato d'Inverno, poteva percepire distintamente i lividi accendersi dolorosamente sul suo collo, mentre la mano non accennava minimamente a distendere quella presa mortale. Gli occhi dell'agente 13 erano sgranati per lo sgomento, da oltre il leggero velo di lacrime osservava disperata l'uomo che amava tentare di soffocarla, nessuna espressione, solo uno sguardo freddo e vuoto gli deturpava il viso.

«J-James... Ti prego... Amore mio...» singhiozzò. Con un ultimo sforzo di volontà la bionda iniziò a scalciare e colpì il supersoldato allo stinco facendolo mugolare, riuscì a farlo indietreggiare e lo spinse contro la parete, malgrado la mano non le avesse lasciato il collo. Sharon afferrò malamente la lampada sul comodino e gliela ruppe violentemente in testa, facendo crollare a terra entrambi.

Prese un paio di ampi respiri prima che la vista iniziasse ad offuscarsi, le lacrime continuarono a scendere mentre il buio prendeva il sopravvento.


Bucky si risvegliò dopo qualche minuto, la testa gli doleva atrocemente ma il condizionamento era scomparso. Si guardò attorno nel tentativo di capire dov'era: si trovava nell'appartamento che condivideva con Sharon. Non appena scorse il corpo dell'amata a terra a pochi passi da lui, i ricordi gli tornarono violentemente in mente, talmente vividi che ebbe un capo giro.

Subito accorse da lei e con mani tremanti la girò, era svenuta. Osservò sconvolto i lividi sul suo collo esile e si sentì perso.

Che cosa aveva fatto?

La stava per uccidere. Un singhiozzo gli sfuggì dal petto e strinse il corpo privo di sensi di Sharon a sé, cullandolo piano.

Che cosa aveva fatto?

In quel momento comprese che era ancora schiavo dell'HYDRA. Quei codici di controllo, che lui aveva sepolto nei meandri della sua mente, lo rendevano l'essere più pericoloso per le persone che amava.

Che cosa aveva fatto?

Strinse Sharon a sé un'ultima volta, poi la alzò e delicatamente, con una premura che stringeva il cuore, la depositò sul letto e le accarezzò dolcemente i capelli. Raccolse i cocci della lampada e rimise, per quanto poteva, l'appartamento in ordine, poi tornò nella camera da letto. Quella stanza che aveva visto così tanto di loro, e che ora gli faceva male.

James osservò le foto sul suo di comodino, il regalo di Sharon per Natale e il cuore si fece talmente pesante che il dolore minacciò di annientarlo.

Si accostò alla donna che amava, e che aveva rischiato di perdere, pronto a spezzarla con le sue stesse mani insanguinate. Sapeva di non meritarlo ma le diede un leggero bacio sulle labbra, morbide, per lui bellissime. L'ultimo bacio.

Perdonami, amore mio.


Sharon si svegliò di soprassalto. Gli occhi lucidi e sgranati si guardarono intorno, incapace di regolarizzare il proprio respiro.

Bucky non era più nella stanza, si alzò non proprio ferma sulle sue gambe.

«J...a...m...e...s» articolò a fatica, rendendosi conto che la gola le doleva moltissimo. Disperata corse nel corridoio, guardò dappertutto ma di James non c'era più traccia e non seppe il perché, non ne aveva minimamente la certezza eppure lo sentì lo stesso. Lui se n'era andato.

Crollò a terra ed iniziò a piangere inconsolabile, ignorando il dolore alla gola, agli arti... tutto tranne il dolore del proprio cuore, a pezzi.

Nemmeno si accorse della porta che veniva riaperta, della voce allegra di Jace che la chiamava.

Sentì delle mani sulle spalle ed una voce che la chiamava preoccupata e per un folle istante sperò che fosse Bucky; che fosse tornato... da lei. Che avrebbero sistemato le cose. Ma non era così.

Sharon alzò lo sguardo su Jace che la fissava sgomento, quasi terrorizzato. Si coprì gli occhi esausta, sconvolta.

«Se... n'è andato...» sussurrò «Se n'è andato».


*


James si piegò rapidamente in avanti e vomitò, disgustato da se stesso. Si pulì bruscamente con il dorso della mano mentre quella metallica reggeva un cellulare. Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, mentre una dolorosa consapevolezza si faceva strada in lui.

Con rassegnazione digitò un numero e avviò la chiamata. Gli rispose quasi subito.

«Ho bisogno di un favore».

__________________________________________________________________________

...Okay, prendiamoci tutti un bel respiro e so che la situazione è brutta... ed effettivamente lo è. Ciò che qualcuno temeva è accaduto! Sin ha utilizzato il quaderno rosso con i codici d'attivazione del Soldato d'Inverno e gli ha dato uno degli ordini più infimi col solo scopo di distruggerlo e fargli comprendere che l'HYDRA ha ancora tanto potere su di lui... Bucky ha disatteso l'ordine, grazie a Sharon, ma ciò gli ha fatto prendere una decisione drastica. Quale sarà la sua prossima mossa?

Passando allo SHIELD, sembra che Skye e Trip conoscano l'identità della talpa... che siano finalmente giunti alla verità? E cosa vuole l'HYDRA dagli Avengers davvero? La situazione non è certo delle migliori, sopratutto per Steve e Natasha il cui ormai segreto è stato scoperto... se vi state chiedendo se la situazione potrebbe peggiorare, la risposta è... forse!
Ho davvero avuto difficoltà... no forse dovrei dire che non avevo per nulla voglia di scrivere questo capitolo, più che altro le ultima sequenze, e spero davvero che non mi ammazzerete per questo (so che potrei meritarmelo, ma pensateci... Poi come farete a sapere come andrà a finire l'intero pandemonio?), perché è un momento tragico, James ha toccato il fondo, certo non per colpa sua e sicuramente la comparsa di N lo aveva già un po' destabilizzato tanto da non fargli vedere il pericolo davanti a lui... Per non parlare della reazione straziante (credetemi per me lo è stato) di Sharon e di Jace... e non pensiamo al povero Stevie. Una volta terminato ho dovuto prendermi una pausa prima di rileggerlo, spero però che nonostante tutto, questo capitolo non vi deluda!

Io vi voglio ancora una volta ringraziare per il vostro sostegno e chiunque venga qui anche solo per dare un'occhiata :) Vi invito, come sempre, a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" e a contattarmi per qualsiasi dubbio o semplice chiacchierata!
Prima di salutarvi vi do appuntamento tra due settimane: VENERDI' 12 MAGGIO!
Buon Weekend!


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Capitolo 12
*** Sin ***


12 Buogiorno miei cari lettori! 
Con un filino di ritardo ma ci siamo, ci siamo lasciati, nello scorso capitolo, che la situazione non era proprio idilliaca, ma chi ha detto che al peggio non c'è fine?
Ma ne riparleremo, vi lascio alla lettura del capitolo e ci vediamo a fondo pagina!
Buona Lettura!



http://i1171.photobucket.com/albums/r557/JasmineL211/DE01_2.jpg?t=1494355006








Capitolo Dodici: Sin

Io sono il frutto di quello che mi è stato fatto.

È il principio fondamentale dell'universo:

ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.”

~ V per Vendetta


Venne al mondo nelle tenebre, in una notte priva di luna. Il giorno in cui Sinthea Schmidt nacque, fu anche il giorno in cui uccise per la prima volta. Sua madre, una lavandaia di poco conto, il cui solo scopo era dare al mostro dalle infinite teste un degno erede, era morta di parto.

Johann Schmidt l'aveva visto come un segno, sul sangue della madre morente era stato tracciato il destino del proprio figlio; prima di scoprire che questi era una femmina.

Sin l'aveva sempre saputo che suo padre era rimasto disgustato da ciò, anche se in quel momento non era nient altro che una neonata senza la benché minima coscienza di sé, lei lo sapeva... Perché quello sguardo scostante l'aveva perseguitata ogni singolo giorno della sua esistenza.

Teschio Rosso l'avrebbe uccisa, pur avvertendone il potenziale, l'avrebbe uccisa per il solo e semplice fatto di essere nata del sesso sbagliato. Ma questo non avvenne, fortuna o sfortuna – questo dipende dai punti di vista – qualcuno decise che non avrebbe seguito il misero destino di sua madre.

Susan Scarbo, una donna la cui fedeltà all'HYDRA era totale, profonda e che Sin avrebbe per sempre chiamato “Madre Notte”, pregò suo padre di risparmiarla, di affidarla a lei, l'avrebbe cresciuta perché potesse servire al meglio la causa.

Ma il leader dell'HYDRA non aveva tempo da perdere, la pazienza non era mai stata una delle sue doti più spiccate ed una volta ancora si rivolse ad Armin Zola; un uomo che, forse, alla fine si sarebbe rivelato più pericoloso di Teschio Rosso stesso. Gli ordinò di creare una macchina che accelerasse la crescita di sua figlia, ridendo in faccia alle regole del tempo e della natura. E Zola ci riuscì.

L'infante divenne un'adolescente che sapeva a malapena reggersi sulle proprie gambe; un vaso affascinante e vuoto in attesa di essere riempito, e Susan Scarbo adempì al suo compito.

Sin dimostrò fin da subito una predisposizione alla violenza, che infliggeva al prossimo ogni volta che se ne presentava l'occasione e lo faceva con il sorriso sulle labbra. La sua risata era infantile, dolce, genuina, proprio come quella di una bambina, che non era mai stata.

Teschio Rosso le aveva strappato a forza l'infanzia e la figlia, così facendo, era una bambina nel corpo di un'adolescente. C'era qualcosa di puro nel suo sadismo; osservava con i suoi occhioni meravigliati il dolore attraversare ed espandersi lungo il corpo della sua vittima e se ne compiaceva. Era onesta nella sua cattiveria, fuori controllo, seguiva i suoi istinti, le sue pulsioni, non reprimeva nulla.

Madre Notte riusciva a quietarla ma mai abbastanza; aveva un intelletto fine, tanto da riuscire ad aggirare, senza difficoltà, i suoi nemici. Amava gli indovinelli ma si annoiava facilmente, troppo semplici per lei, troppo elementari, insufficienti per alimentare la sua mente. Era forte, veloce molto più di qualsiasi soldato appartenente alle schiere di suo padre.

Il siero di Teschio Rosso scorreva in lei rendendola diversa da chiunque altro, sapeva di essere superiore nella mente e nel corpo e questo alimentava il suo ego, il suo folle senso di onnipotenza. Persino i suoi alleati avevano timore di lei.

Suo padre la osservava, da lontano, ma attentamente. C'era una cosa che di lei non tollerava, oltre naturalmente al suo essere femmina, la sua totale mancanza di disciplina. Decise che sarebbe stato lui in persona a porvi rimedio.

E così iniziarono le punizioni, dure ed implacabili. Sin gridava come una Furia, si dimenava rabbiosa, guardando negli occhi quel padre, che le era sempre apparso distante e chiedendo con gli occhi “perchè?”. Non era forse la migliore? Era sangue del suo sangue dopotutto... Ma lentamente comprese che qualsiasi risultato, per quanto eccelso, raggiungesse, per lui, per suo padre non sarebbe mai stato abbastanza. Perché era lei, semplicemente lei ad essere sbagliata.

E allora, punizione dopo punizione smise di resistere... accolse quel dolore perché quello sarebbe stato l'unica cosa che mai avrebbe ricevuto da Johann Schmidt. E più sentiva l'odio infiammare il suo cuore, più al tempo stesso cercava di compiacerlo, tentando di cancellare quello sguardo insofferente, cadendo in un circolo vizioso, che le impediva di liberarsi di lui.

Sinthea si ritrovava in una sorta di limbo: da una parte l'odio puro e semplice, i bambini dopotutto non provano emozioni complesse; e dall'altra l'insostenibile ricerca di approvazione. Ma lei era pur sempre una bambina, costretta a crescere senza riguardo alcuno per le leggi della natura; e quando non riusciva a conciliare questi due lati di sé esplodeva. La rabbia fuoriusciva lasciando che fosse la follia a prendere il sopravvento.

Le cose non erano cambiate nemmeno dopo il sonno criogenico a cui era stata posta dopo l'apparente morte del padre.

Sinthea era questo dopotutto: una bambina capricciosa in un corpo di donna letale e conturbante.


*


«Quella stronza» sibilò infastidita Melinda May assottigliando pericolosamente gli occhi. Skye la guardò con gli occhioni scuri spalancati, praticamente quell'uscita equivaleva ad uno sfogo d'ira di una persona normale.

«Che facciamo direttore?» domandò Triplett, osservando attentamente l'uomo al suo fianco che ancora non aveva proferito parola, ma restava concentrato sul tablet che aveva fra le mani, su cui troneggiava l'immagine di Erica Holstein.

«L'ho controllata personalmente-» soffiò May mettendosi le mani sui fianchi.

«May non è colpa tua, abbiamo controllato il suo profilo insieme e-» un lieve bip del suo cellulare attirò la sua attenzione.

«Chi è?» si informò Antoine sporgendosi lievemente verso la ragazza.

«Un mio contatto di Rising Tide. Gli ho chiesto di controllare il profilo di Erica Holstein, è bravo in questo genere di cose e mi ha confermato che la sua intera vita è inventata. Erica Holstein non esiste» terminò con un sospiro.

A quel punto Coulson sollevò lo sguardo, scambiandosi un'occhiata densa con Melinda, che annuì impercettibilmente.

«Dobbiamo prenderla. Ma dobbiamo fare attenzione, se è riuscita ad ingannarci tutti significa che è estremamente capace. May assicurati che Fitz e Simmons non escano dal laboratorio insieme a Mack, potrebbe essere un suo possibile obiettivo e vedi se Barnes è ancora nell'edificio, il suo aiuto potrebbe farci comodo. Trip trova Bobbi e Hunter e mettili al corrente della situazione. Dobbiamo convergere su di lei, muoviamoci con cautela, dobbiamo coglierla di sorpresa» sia Trip che May annuirono gravi.

«Ehi un momento! Ed io?» trillò Skye, guardandoli.

«Tu resti qui.» rispose Coulson con la consueta pacatezza, ma l'espressione era ferma.

«Ma... ma-» fece per protestare, ma Antoine l'afferrò gentilmente per le spalle magre;

«Andrà tutto bene. Sarai i nostri occhi... dovrai monitorare la situazione! Sei il nostro asso nella manica» la rassicurò con un sorriso divertito. L'hacker sbuffò ma desistette, non potendo far altro che annuire di malavoglia mentre li lasciava andare.


*


Sin picchiettò per l'ennesima volta l'unghia laccata di rosso sangue sulla superficie perfettamente trasparente. Si grattò insofferente la nuca, quell'odiosa parrucca continuava a pruderle; la sua mano scattò poi verso il cellulare usa e getta ma lo schermo non indicava nessuna chiamata in arrivo o persa.

Il suo stomaco si strinse e la ragazza si dimenò infastidita. Quella era decisamente una sensazione che mai l'aveva sfiorata in vita sua e portava in bocca un amaro sapore; era la consapevolezza che qualcosa non stesse andando secondo i suoi piani.

Il Soldato d'Inverno avrebbe dovuto chiamarla a fine missione. Quanto poteva essere complicato ammazzare una piccola stronza come Sharon Carter? E qualora si fosse reso conto della sua azione, ne sarebbe rimasto così disgustato da non poter far altro che tornare fra le fila dell'HYDRA, avendo compreso, come quello fosse l'unico posto per uno come lui. Loro lo avevano in pugno, che senso aveva ribellarsi? Almeno così la pensava Sin. Aveva accettato l'idea di sacrificare una pedina, nella grande scacchiera del padre, ovvero il Winter Soldier N pur di avvicinarsi con discrezione e nel momento di massima fragilità ad una pedina che valeva molto di più. Il Soldato d'Inverno originale.

Perché ora non la stava contattando?

La giovane Schmidt cacciò un urlo rabbioso, afferrando il cellulare e scagliandolo con violenza contro il muro, tanto che lasciò un profondo solco. La sua espressione era più simile a quella di una bambina capricciosa, che si era vista togliere il suo giocattolo preferito, piuttosto che ad una giovane donna che ricopriva la carica di generale dell'HYDRA.

Un brivido la colse e si affrettò a ricomporsi, pur stizzita; non poteva più aspettare. Abbandonò la stanza dirigendosi verso l'ala in cui tenevano l'agente N, con la testa ancora concentrata su James Barnes non si rese conto che il corridoio era praticamente deserto. Cosa strana a quell'ora del giorno.

Sin aveva quasi raggiunto il suo obiettivo, quando si trovò davanti Lance Hunter.

L'agente aveva l'espressione rilassata, stava bellamente appoggiato alla solida parete scura; la guardò e sembrò davvero sorpreso di vederla lì.

«Ehi Erica! - il tono simile a quello di chi non vedeva un vecchio amico da tanto tempo – Oh, eri qui per vedere il prigioniero? Spiacente, ma sì è appena addormentato, come sai riposare fa bene alla salute-» blaterò con aria disinteressata andandole incontro.

Sin piegò il capo di lato, sbattendo le ciglia in un'espressione vagamente sorpresa; passò un intero secondo, poi sorrise.

Un sorriso genuino, con un accenno di malizia; il sorriso di chi ha subito compreso il bluff della persona che le sta davanti.

«Oh Hunter, è un vero peccato. Mi divertivi, davvero... Ma mi divertirò ancora di più a farti fuori» esordì con tono stucchevole.

«Questo è ancora tutto da vedere, tesoro!» replicò Hunter sfilando rapido la pistola dai jeans. Inutile dire che Sinthea non si fece cogliere impreparata: con una mossa agile gli fece perdere l'arma, ingaggiando poi un corpo a corpo.

Nel frattempo l'allarme era scattato e risuonava con insistenza per tutta la base.

L'ex mercenario trattenne a stento una smorfia di dolore, chiunque fosse quella donna era davvero pericolosa oltre che essere più forte e rapida di lui; venne malamente spinto indietro e cadde rovinosamente tenendosi il costato, conosceva quel dolore: gli aveva fratturato alcune costole.

Sin lo guardò con occhi luccicanti, come un animale che finalmente ha tra le sue grinfie la preda, ma il suo divertimento ebbe vita breve: Bobbi Morse comparve alle sue spalle, spingendosi con un piede sulla parete verticale le si scagliò addosso.

Entrambe si rialzarono e la bionda fece roteare pericolosamente fra le mani i due bastoni corti.

«Mi spiace ma non andrai da nessuna parte».

Le labbra color vino di Sin si stesero in un sorriso irriverente, la sua mano corse ai capelli e con un gesto fluido si liberò della parrucca scura, rivelando i suoi lunghi capelli color rame.

«Sei adorabile. Pensi davvero di essere al mio livello?» la schernì;

«Beh scopriamolo!».

Lo scontro fra le due vide Sin nettamente in vantaggio; Bobbi con una vena di panico si accorse del divario che intercorreva fra loro, ma non per questo si sarebbe lasciata sopraffare così facilmente, il direttore e gli altri contavano su di lei.

Allo scontro si aggiunse anche Hunter, che non poteva permettere che Bobbi affrontasse quella pazza da sola. Sin riuscì ad impossessarsi di uno dei bastoni dell'agente e non appena ebbe l'occasione lo mosse verso il petto dell'ex mercenario e rilasciò la scarica elettrica che lo fece crollare con un lamento sommesso;

«Hunter!» urlò Bobbi angosciata.

Ma la figlia di Teschio Rosso non aveva ancora finito, con una complicata mossa ma eseguita con una grazia felina intrappolò la bionda in una sofferente presa mortale e poi la fece scontrare duramente contro il solido muro, lasciandola boccheggiante. Non ebbe il tempo di finirli, percepiva altri agenti dello S.H.I.E.L.D. avanzare verso di lei. Lanciò un ultimo sguardo verso la cella, un agente sedato ed intontito non le era di alcuna utilità, il suo destino era ormai segnato a suo parere; senza i trattamenti periodici dell'HYDRA sarebbe impazzito definitivamente. Piegò il collo facendolo schioccare, un sorriso ferino le dipinse le labbra;

«Fai qualcosa per questo maledetto allarme...» ordinò infastidita e quasi immediatamente la petulante sirena si spense «Molto meglio!».


Skye alzò lo sguardo verso l'alto, non perché ci fosse effettivamente qualcosa sul soffitto dell'ufficio di Coulson, ma perché l'improvviso silenzio dell'allarme la impensierì.

«Skye?» la voce incerta del direttore proruppe nel suo orecchio «Sei stata tu?»;

«No!» trillò preoccupata e subito si mise dietro la scrivania ed iniziò a digitare comandi sul computer, cercando di prendere in mano la rete informatica ed elettronica dell'intera base.

«Qualcuno sta accedendo da remoto! Ha preso il controllo della base...» affermò incredula, attraverso l'auricolare sentì un'imprecazione, probabilmente di Triplett.

«Puoi fare qualcosa?» domandò May;

«Ci provo!»

«Dov'è ora la Holstein?» s'informò Coulson;

«Sta... beh wow! - esclamò allibita – sta mettendo KO i nostri agenti! È da brividi e-»

«Skye!?»

«Sì scusate! Sì sta dirigendo verso il corridoio a nord! Era come hai detto tu, è diretta all'hangar... Cerco di bloccare le porte!».

Skye digitando comandi su comandi, stava tentando di recuperare il controllo su quantomeno le porte e per qualche secondo ebbe l'illusione di avercela fatta. Dando un'occhiata alle telecamere di sicurezza, notò che la giovane donna muoveva appena le labbra, corrucciò lo sguardo... E poi comprese.

Sta dando ordini a qualcuno!”.

«Coulson! Sta arrivando...».


Coulson insieme a Melinda, Trip e altri svariati agenti attendevano con i sensi all'erta l'arrivo del loro avversario.

Ma non fu il portone che collegava la base all'hangar ad aprirsi, bensì le enormi aperture, al termine del tunnel di decollo, che consentivano ai velivoli – come il Bus – di partire ed atterrare in tutta sicurezza.

Coulson per un attimo fu smarrito, sentì la voce allarmata di Skye che lo avvisava di una possibile intrusione di agenti nemici, ma quel suo avvertimento fu vano. I loro avversari erano ormai penetrati. E la persona che vide alla guida di quella jeep, che correva a velocità impazzita, gli fece vedere rosso.

Grant Ward sterzò bruscamente di lato per evitare la prima scarica di proiettili, con il mezzo si riparò dietro uno dei jet, mentre con la coda dell'occhio osservava il suo vero obiettivo. Fece un cenno secco alle due ragazze che erano con lui; K e D annuirono inespressive ed iniziarono ad ingaggiare uno scontro con gli agenti dello S.H.I.E.L.D.

Nel frattempo Sin era entrata nell'hangar, non senza qualche difficoltà, a quanto pare Skye non era così sprovveduta come pensava.

Immediatamente Melinda le fu addosso. Sì guardarono con aperto astio; non aveva mai sopportato quella donna che chiamavano “La Cavalleria”, sempre così contenuta e con quello sguardo severo, la mandava letteralmente in bestia.

«Non sai da quanto tempo sognavo di mettere le mani attorno al tuo bel collo!» sibilò Sin, schioccando la lingua. May non fece una piega;

«Continua a sognare!».

Il corpo a corpo fra le due fu brutale, Sin percepì come La Cavalleria fosse superiore rispetto a quelli con cui si era scontrata fino a quel momento e ciò la esaltò pericolosamente; nessuno poteva permettersi di essere superiore a lei.

«Chissà come reagirà il caro direttore vedendo il tuo cadavere?» ridacchiò lei folle, Melinda strinse i denti e ribaltò le posizioni, tenendola a terra con le gambe avvinghiate al suo collo. Sin riuscì nuovamente a liberarsi e ad attaccare l'asiatica con ferocia.

«May!» Coulson arrivò in suo soccorso e fece fuoco; purtroppo il proiettile mancò il bersaglio e lui dovette vedersela con una delle due agenti sopraggiunte con Ward.

Bobbi era finalmente riuscita a riprendersi abbastanza da correre verso l'hangar, osservò May scontrarsi con quella che loro conoscevano come Erica Holstein; il direttore affrontare una giovane bionda che si muoveva con una fluidità da mettere i brividi; Triplett dirigersi verso Ward e il resto degli agenti vedersela con una mora che sembrava falciarli senza difficoltà, persa in una danza mortale. Senza pensarci, si diresse verso di lei.


Antoine Triplett prese alla sprovvista Grant Ward, nei pressi del Bus e con una mossa da vero wrestler lo alzò e lo atterrò alle sue spalle.

«Vedo che Garrett è stato un buon insegnante anche con te» esordì Ward a metà fra il provocatorio e il serio.

«Sta zitto» fu la secca risposta di Trip mentre si scagliava su di lui.


Skye, che assisteva attraverso lo schermo allo scontro di quest'ultimi, avvertì il proprio cuore serrato in una morsa infuocata. Malgrado cercasse ancora di contrastare l'azione dell'hacker ignoto, non riusciva quasi a staccare gli occhi dal loro combattimento. Odiava profondamente Ward, si ere sentita speciale ai suoi occhi, per la prima volta accettata veramente e poi tutto si era sgretolato e aveva scoperto che non era altro che uno schifoso doppiogiochista... Come aveva potuto provare qualcosa per lui?

Quando vide l'ex specialista liberarsi di Trip, sbattuto violentemente a terra, sentì di non poter più resistere. Fulminea afferrò il tablet e corse a perdifiato verso l'hangar.

In mezzo agli scontri trovò Trip, che nel frattempo si era rimesso in piedi e si apprestava ad affrontare nuovamente Ward, in piedi sotto il Bus, evidentemente occupato a manomettere qualcosa.

Il corpo a corpo fra i due ricominciò, con più violenza di prima. Trip fu colpito e Skye non riuscì a trattenersi;

«Triplett!» urlò sconvolta. Le sue grida attirarono l'attenzione dell'ex specialista che si voltò e la guardò dritta negli occhi. Un barlume di dispiacere misto a tristezza comparve nei suoi occhi scuri.

«Ciao Skye...» disse con voce leggermente emozionata, facendo un passo nella sua direzione; per contro l'hacker fece un passo indietro, volendo mettere quanta distanza possibile fra loro.

Trip sferrò un pugno a Ward che perse l'equilibrio e cadde a terra.

«Non osare avvicinarti a lei!».

Grant a quel punto lasciò perdere, spostò lo sguardo sul suo superiore ed urlò:

«Sin! È ora!».

La giovane donna capì immediatamente e sorrise trionfante;

«Vediamo se sai far decollare un aereo» mormorò divertita.

A quel punto estrasse un pugnale dagli stivaletti e lo piantò senza esitare nel costato dell'agente May, che sgranò gli occhi, quasi fosse stupita del suo gesto. Sin ridacchiò isterica e si allontanò.

«Andiamocene!» abbaiò alle due giovani Winter Soldiers; obbedirono all'istante, tentando di liberarsi dei propri avversari.

Improvvisamente un forte rumore atterrì i presenti, Coulson si guardò attorno circospetto, pronto per un nuovo attacco; ma quando si rese conto da dove provenisse quel frastuono, impallidì. Era il Bus.

L'enorme e sofisticato aereo dello S.H.I.E.L.D. si stava azionando, senza che nessuno fosse al suo interno a pilotarlo.

Skye si mise al riparo e puntò gli occhi sul tablet cercando di ripristinare i controlli, quantomeno del portellone che avrebbe permesso al Bus di uscire definitivamente dall'hangar. Chi diamine era quell'hacker?


Nel frattempo, il Bus aveva iniziato a muoversi verso la pista di decollo, K, D e Ward si riunirono a Sin che si stava dirigendo verso il portellone dell'aereo abbassato; malgrado alcuni agenti fra cui Bobbi e Trip gli stavano alle calcagna.

I quattro riuscirono a salire;

«Dov'è N?» domandò innocentemente la bionda D. Per tutta risposta Sin le rifilò un violento schiaffo; K strinse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi per impedirsi di attaccare il proprio superiore.

«Non hai diritto di parlare».

Ward si ammutolì.


Coulson nel frattempo aveva preso possesso della jeep dell'HYDRA e con Bobbi e Triplett a bordo cercavano disperatamente di riprendere il Bus; con armi alla mano tentavano non solo di prendere gli avversarsi ma di recare danno al velivolo, che non accennava a fermare la propria corsa.

Skye imprecava perché i suoi comandi stavano risultando inutili e l'apertura non accennava a bloccarsi.


Sin, prima di prendere definitivamente il volo, guardò divertita quel patetico tentativo di fermarli; aveva un ultimo messaggio da riferire.

«Dite ai futuri genitori che non vedo l'ora di conoscere il loro adorabile bambino! Verrà trattato con ogni riguardo!» urlò.

L'aereo decollò, lasciando a terra, furenti e frustrati il direttore e i suoi agenti.

Coulson si portò una mano al volto, esausto finché la voce rotta di Skye gli giunse all'orecchio come un ulteriore pugno allo stomaco.

«Coulson!» singhiozzava la giovane hacker «May è stata ferita!».

___________________________________________________________________________________Asia's Corner.
Credo che lancerò ufficialmente l'hashtag #DarkEagleMaiUnaGioia, perchè ammettiamolo qui si tocca il fondo o comunque ci si va molto vicini! So che magari vi aspettavate il "diretto" seguito di ciò che è accaduto in "Collapse", ma per quello dovrete pazientare... Sentivo che era il momento giusto per farvi conoscere questo villain doppiogiochista ed abile. Il suo background è stato ovviamente rivisitato da me, ma alcune cose le ho riprese dai fumetti come: il fatto che Teschio avesse accelerato il suo invecchiamento e che fosse rimasto deluso dal fatto che il suo erede fosse femmina e che Susan Scarbo l'avesse cresciuta e che si facesse chiamare "Madre Notte" (qui poi ci sarebbe tutta un'altra storia da approfondire ma per mie esigenze non ho voluto farlo). 
Questo capitolo inoltre è tutto ambientato nello S.H.I.E.L.D. e mi pareva giusto così visto che loro hanno avuto un contatto diretto con Erica Holstein aka Sinthea Schmidt. L'arrivo di Ward è come se fosse stato un diversivo per la squadra... I sentimenti che Coulson&co. provano nei suoi confronti sono ancora forti e Sin lo sa e li usa a piacimento contro di loro; Ward è a tutti gli effetti un elemento di disturbo. Qui inoltre vediamo in azione, anche se al momento non mi ci sono soffermata granché, K e D, le altre due Winter Soldiers e anche se flash, ho rimarcato qualcosa sul loro rapporto.
Diciamo che in tutto questo casino - da me creato - c'è una piccola nota (se così si può chiamare) positiva: qualcosa nel piano di Sin è andato storto, James Barnes non è tornato nell'HYDRA. Cosa vorrà fare quell'anima in pena? Beh... Non vi resta che continuare a leggere per scoprirlo! :)
A proposito qualche idea su chi sia l'hacker ignoto? ;)
Per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi!

Bene, e dopo anche questa fatica io, prima di tutto vi RINGRAZIO perché noto che questa storia sta crescendo e nuovi lettori l'hanno aggiunta nelle "preferite" e nelle "seguite"  e senza dimenticare i miei carissimi recensori (la vostra dedizione è ammirevole e sempre fonte di energia per la sottoscritta!) e ovviamente anche a chiunque si fermi a leggere! GRAZIE. Ed ora vi saluto, dandovi appuntamento... allora se tutto va secondo i piani dovrei riuscire a pubblicare fra due settimane ovvero VENERDI' 26 MAGGIO, se ci fosse qualche intoppo (in quel caso metterò l'avviso sulla mia pagina fb "Asia Dreamcatcher") siccome il weekend del 27-28 io sono fuori città, mi ritroverei a postare il capitolo MARTEDI' 30 MAGGIO. Preferisco dirvelo subito perché voglio essere onesta ma spero di non dover ricorrere a questa data!

ps. Siccome oggi sono davvero a corto di tempo, e solitamente la domenica sono impegnata fino all'ora di cena, riceverete la risposta alle recensioni del CAPITOLO 11 "Collapse" al massimo lunedì entro pranzo. Questo per farvi sapere che non mi sono dimenticata di voi, anzi! E' solo che purtroppo oggi il tempo è davvero limitato!

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Capitolo 13
*** Falling into pieces ***


13 Buon pomeriggio a tutti voi miei cari lettori! 
Sono davvero dispiaciuta per tutti gli inconvenienti successi, ho passato un periodo difficile per quanto riguarda la scrittura, ho avuto qualche blocco: non riuscivo più a scrivere ed ogni cosa che scrivevo non mi soddisfava, mi pareva tutto così inutile. A questo si sono aggiunte un po' di magagne, come ad esempio le placche in gola... alla "veneranda" età di 25 anni mi sono venute le placche che mi hanno costretto a letto e stordito parecchio.
Riuscire a pubblicare oggi è per me una grande soddisfazione, spero che il capitolo vi piaccia e vi ringrazio tantissimo per la pazienza!
Buona Lettura!




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Capitolo Tredici: Falling into pieces

You just do it. You force yourself to get up.

You force yourself to put one foot before the other,

and God damn it, you refuse to let it get to you.

You fight. You cry. You curse.

Then you go about the busisness of living. That's how I've done it.

There's no other way.”

~ Elizabeth Taylor



A Sharon pareva di essere immersa nel buio da un'eternità. Camminava senza sosta, i piedi nudi le dolevano e avvertiva una sostanza viscosa sotto di essi, sangue, il suo.

Improvvisamente la luce. Talmente accecante da far apparire bianco ed immacolato tutto attorno a lei. Mosse qualche passo, incerta da quel cambio repentino.

«Sharon...»;

il cuore dell'agente 13 mancò un battito e percepì il proprio stomaco stringersi in una dolce morsa.

Si voltò di scatto, mulinando i lunghi capelli biondo miele; lui era lì a pochi metri da lei, identico all'ultima volta che l'aveva visto... Bellissimo e malinconico.

I suoi piedi si mossero da soli, completamente dimentica del dolore provato fino ad un attimo prima, corse verso di lui mentre la sua vista andava appannandosi a causa delle lacrime.

Lui allargò le braccia e la accolse indulgente. Sharon lo strinse a sé con tutta la forza di cui disponeva, il cuore impazzito dall'emozione.

«James!» singhiozzò disperata.

Lui le sorrise dolcemente, dio com'era bello, quanto le era mancato.

Si baciarono con passione e sofferenza, le mani di Sharon vagavano tremanti sul corpo di James, voleva sentirlo sotto i suoi palmi.

Un lieve rumore metallico alla sue spalle, la costrinse a voltarsi. Ciò che vide le gelò il sangue.

Davanti a lei si stagliava il Soldato d'Inverno, colui che non ricordava di essere James Barnes, uno dei più spietati e pericolosi assassini del secolo, l'uomo di punta dell'HYDRA.

L'espressione dei due James era mortalmente seria. Si fronteggiavano in silenzio, mentre Sharon fra loro fremeva terrorizzata.

Con una sincronia da brividi sollevarono entrambi la pistola, puntandola l'uno contro l'altro.

L'agente 13 spalancò le braccia ponendosi sulla linea di tiro senza esitare, proteggendo James.

«Ti prego...» supplicò.

«Non puoi uccidermi» dichiarò il Soldato d'Inverno inespressivo, rivolgendosi a se stesso.

A quelle parole James sorrise tristemente, cambiò traiettoria e si puntò l'arma alla tempia;

«Invece posso».

Sharon si sentì morire, fece per sporsi verso di lui ma non fece in tempo... e lo sparo risuonò violentemente.


Si svegliò urlando. La luce l'accecò momentaneamente e Sharon sentì mani gentili ma ferme fare pressione sulle sue spalle, scosse da tremiti.

«Shh. Va tutto bene, va tutto bene...» mormorò Natasha, abbracciandola delicatamente. La bionda crollò fra le sue braccia piangendo disperatamente, una mano premuta contro la gola dolorante, fasciata con delle morbide bende.

«A-a-anco-ra! S-sì è-è u-ccis-o!» singhiozzò mentre la russa le accarezzava piano la schiena senza dire una parola, accogliendo silenziosamente il suo dolore.

Erano passati cinque giorni da quando James se n'era andato. Nessun contatto, nessun indizio, dissolto come fumo; lasciando dietro sé cuori spezzati, confusione e disperazione.

Da quel momento Sharon era precipitata nello sconforto: non dormiva più di due ore per notte, la gola sembrava non volerne sapere di guarire e si rifiutava di mangiare.

Per Natasha era stato naturale prendersi cura di lei. Solo quando l'aveva vista così... spezzata... si era resa conto di quanto le fosse legata.

La russa non aveva mai avvertito un senso di vicinanza con un'altra donna, probabilmente anche a causa di ciò che aveva vissuto nella Red Room; ma con Sharon era stato diverso, quello che avevano affrontato in Russia aveva gettato le basi per qualcosa di più profondo, della semplice conoscenza e rispetto reciproco ai tempi dello S.H.I.E.L.D.

Il loro avvicinamento era stato spontaneo, pacato, senza che nulla fosse forzato. Si erano ritrovate a condividere diversi momenti e Natasha aveva compreso di poter contare su di lei nelle situazioni difficili; ne apprezzava la forza d'animo e la generosità disinteressata. Per lei era sempre stato complicato concedere la propria fiducia, non quando si viveva in un mondo di spie e di assassini; non aveva mai affidato la propria vita a nessun altro prima di Steve ed ancora meno tollerava dover affidare la vita di lui a qualcun altro che non fosse se stessa, ma Sharon era fra quelle persone a cui, da tempo ormai, aveva concesso la sua fiducia incondizionata.

Vederla ora, in quello stato di profonda prostrazione la feriva e la infastidiva al tempo stesso: non poteva accettare che una ragazza risoluta come Sharon Carter fosse ridotta ad essere l'ombra di se stessa. Le accarezzò dolcemente il capo, mentre la bionda si calmava lentamente; malgrado tutta la forza che possedevano, davanti ad un amore così totalizzante anche l'essere umano più intrepido si scopriva fragile e privo di difese.

Sharon prese un profondo respiro, poi con stizza si asciugò le lacrime, strofinò il dorso della mano sul volto senza alcuna grazia, ma con rabbia.

Natasha con presa salda le tolse le mani dal viso; l'agente 13 sollevò i suoi lucidi occhi scuri e li puntò in quelli verdi e cristallini dell'altra, nessuna delle due disse nulla. La russa si stava dimostrando la sua ancora; in quei momenti quando sentiva il seme della follia serpeggiare in lei e gli incubi tormentarla, Natasha con la sua figura silenziosa le era immediatamente accanto. Non le aveva chiesto niente, si era limitata ad ascoltare le sue parole incredule e sofferenti, accoglieva il suo dolore ogni volta che questo minacciava di sopraffarla, condividendo con lei quel tormento.

«Sharon-»;

la bionda strinse i denti;

«Perché l'ha fatto?» mormorò persa «Perché se ne è andato?» guardò l'amica «Natasha io...» si portò una mano al volto.

La russa aveva una risposta, ma non era quella che Sharon avrebbe voluto sentire, perciò si limitò a stringerla un'ultima volta prima di passarle la pillola che l'avrebbe aiutata a calmarsi e dormire. Non che le facesse piacere costringerla ad assumere dei farmaci, ma senza quelli l'agente non sarebbe stata in grado di andare avanti.

«Sharon so che è difficile, ma resisti. Non perdere la fiducia...» replicò con tono carezzevole, senza perdere il contatto visivo con lei.

«Mi dispiace Nat- hai già molto a cui pensare... Mi sento così inutile-» l'ennesima fragile lacrima abbandonò i suoi occhi, tracciando i contorni sofferenti del suo viso.

La spia scossa il capo;

«Shhh. Non dire così. Riposa ora, ce la faremo. Ce la farai Sharon» le assicurò, restando con lei finché non riuscì ad addormentarsi.

Si alzò piano e lasciò la stanza con passo felpato, prima di raggiungere la sua meta si diresse verso un'altra stanza poco distante dalla sua. Aprì lentamente la porta ed il suo sguardo s'intenerì un poco.

Jace era preda di un sonno agitato, la sua mano stringeva però saldamente quella di Alexandra, addormentata sul materasso steso accanto al letto del ragazzo.

Come fosse un'ombra fluttuante la russa si avvicinò ai due giovani, li fissò intensamente poi una mano corse a scostare con dolcezza i capelli dal viso di Alexandra, che si tese appena percependo quel tocco e poi sospirò sollevata. Quando invece, Natasha sfiorò la fronte di Jace la trovò ancora bollente, segno che la febbre che l'aveva colto qualche giorno prima non si era attenuata.

Il ragazzo aveva subito un duro colpo, una parte della sua famiglia era andata in pezzi ancora una volta sotto i suoi occhi, che già troppo dolore avevano vissuto; non aveva voluto tornare a scuola ed era rimasto accanto a Sharon per tutto il tempo. Nessuno degli adulti se l'era sentita di costringerlo a fare diversamente.

Alexandra si era dimostrata ancora una volta una ragazzina estremamente combattiva per la sua età. Era lei che più di tutti si era occupata dell'amico: lo faceva mangiare, lo obbligava a studiare e a riposarsi... Cercava di fargli riprendere un contatto con la realtà, di farlo reagire, anche dopo un violento scoppio di rabbia lei l'aveva schiaffeggiato indignata, urlandogli di pensare a Sharon subito prima di scoppiare a piangere dispiaciuta. Alla vista di quelle lacrime Jace si era immediatamente calmato e l'aveva consolata; era come se attraverso il suo pianto, lui avesse compreso qualcosa di importante. Nulla però aveva impedito alla febbre di coglierlo e costringerlo a letto.

Ragazzini testardi e coraggiosi” pensò Natasha con un lieve sorriso, mentre imbeveva una pezza nell'acqua ghiacciata e la poneva delicatamente sulla fronte del giovane, la cui espressione si alleviò.

Restò qualche altro minuto a vegliare sui suoi protetti, finché l'orologio non segnò le quattro del mattino con un sospiro Natasha lasciò la stanza.


Il sacco finì brutalmente contro il muro della palestra, per quella che era la decima volta. Ormai inutilizzabile, Steve ne afferrò malamente un altro e lo fissò al gancio riprendendo ad accanirsi su di esso.

«Steve ora basta».

La voce seria e secca di Natasha lo immobilizzò per qualche istante, come se avesse ricevuto una scossa.

Il supersoldato si voltò verso la compagna, il cui sguardo era severo ma stranamente lucido e lui si sentì immediatamente in colpa.

«Dovresti essere a letto a riposare» le fece notare lui con tono morbido;

lei inarcò un sopracciglio perfetto;

«E tu con me» frecciò accigliata.

Il silenzio si era fatto teso, i loro corpi distanti, ma Steve fu il primo a distogliere lo sguardo.

Natasha gli si avvicinò cautamente come se si stesse avvicinando ad un animale irrequieto. Gli circondò un braccio lucido di sudore e poggiò la fronte sulla spalla.

«Cosa speri di ottenere?» gli domandò, il tono lievemente meno severo.

Il capitano sospirò e chiuse gli occhi;

«Non lo so» ammise dolorosamente. Pur restando il soldato tutto d'un pezzo a cui il mondo si affidava, il suo sguardo trasmetteva una fragilità che rare volte Natasha gli aveva scorto. La sua mano gli afferrò dolcemente il volto e lasciò che le loro labbra si unissero. Il bacio si trasformò in un abbraccio; Steve la tenne stretta a sé, nascondendo il capo nella sua spalla, amareggiato, confuso, privo di un importante frammento di se stesso.

«Non poteva restare...» mormorò Natasha intuendo i tormenti del compagno; sentiva di essere l'unica a comprendere veramente la scelta di James, non che questo le avrebbe impedito di prenderlo brutalmente a calci prima o poi per aver gettato la persona che amava in un tale sconforto.

«Avrebbe potuto aspettare, mettercene a parte-» replicò lui risentito non verso di lei, ma verso se stesso, verso Bucky.

La russa lo scostò gentilmente dal suo corpo, per osservarlo in volto;

«Non posso darti torto, ma se ha fatto ciò che ha fatto forse un motivo c'è. Lui sapeva...»

«Che cosa?»

«Che restando ci avrebbe messo in pericolo» rispose sicura. Era certa che James non si sarebbe mai allontanato da loro, che non avrebbe mai lasciato Sharon e Jace a meno che la situazione non fosse così grave da costringerlo, e la cosa nel profondo la inquietava.

«E ora lui è lì fuori da solo! Cosa gli fa pensare di poter stare meglio? O di non essere più in balia di quella donna!?» ribatté serio, il suo tono basso si era fatto leggermente più concitato.

Tutti loro, insieme alla squadra di Coulson avevano visto James camminare nei corridoi insieme a quella che tutti conoscevano come Erica Holstein e poi sparire all'occhio delle telecamere.

Natasha rimase in silenzio, osservando ammirata il profilo nobile del compagno illuminato da un sottile raggio di luna.

«Non lo possiamo sapere. Ha ferito Sharon e questo ci fa chiaramente capire che non era in lui, ma non l'ha uccisa e avrebbe potuto a quel punto, quindi significa che non ha perso la ragione... Non del tutto almeno»

«Perché non ci ha detto cosa aveva intenzione di fare-?» la guardò in volto e ne rimase incantato, ma il suo sguardo era parecchio eloquente.

«Perché non vuole farsi trovare» sospirò con un amaro sorriso «Nessuno è meglio di lui nel far perdere le proprie tracce. Che diavolo gli sarà saltato in mente?».

Natasha si strinse nelle spalle e gli si avvicinò;

«Spero per lui che sappia quel che fa-» d'improvviso la voce le venne meno e avvertì le gambe deboli. Steve, dimostrando riflessi inumani, le strinse delicatamente ma saldamente le mani intorno alla vita per sostenerla.

«Perché ti costa tanto darmi retta, ogni tanto?» le sussurrò preoccupato mentre la sua mano scivolava premurosa sul suo grembo gonfio. Era alle soglie del quinto mese, la rotondità del ventre si stava facendo sempre più evidente.

Natasha non rispose, troppo orgogliosa per confessare la verità. Guardò la mano di Steve e si intristì; ancora non percepiva nessun movimento da parte del bambino; la dottoressa Montgomery – la dottoressa che aveva momentaneamente preso il posto di Helen Cho e da lei caldamente consigliata – le aveva assicurato che era normale dopotutto lo stress a cui stava venendo sottoposta. Ma lei non riusciva a non inquietarsi, perché si sentiva così sbagliata?

«Steve ascolta, se non vuole farsi trovare un motivo ci sarà, ma non dev'essere per forza per la motivazione peggiore...»

«Lo so ma-»

«Non riesci ad accettare la situazione» finì lei per lui.

Steve strinse le labbra in un'espressione grave. Era così, non riusciva ad accettarlo. Il fatto che Bucky se ne fosse andato lo stava logorando, lo angosciava il pensiero di averlo perso per l'ennesima volta, nel silenzio e nella confusione più totale. Come aveva potuto ferire Sharon in quel modo? Nemmeno per un istante aveva creduto che fosse dipeso dalla sua volontà... No, era stato chiaramente manipolato. Il fatto che l'HYDRA fosse riuscita ad infiltrarsi così a fondo tra di loro gli rodeva il fegato, che fossero stati così vicini a Natasha e al loro bambino lo faceva fremere di rabbia ed ansia.

James non doveva andarsene, avrebbero potuto risolvere la situazione insieme... Sempre che fosse risolvibile quella situazione. Che cosa nascondeva nel suo cuore Bucky?

Sospirò e scrollò le spalle, riportando lo sguardo sulla propria compagna;

«So che non vorresti sentirtelo dire, ma non puoi. Non puoi mollare моя жизнь [vita mia]» gli disse abbandonando il capo sul suo petto, nessuno di loro due poteva.

Steve annuì piano ma seccamente. Erano accerchiati e Bucky gli mancava come se gli avessero strappato un arto... Sentiva di avere la sindrome dell'arto fantasma: c'erano volte in cui gli sembrava che James fosse ancora al suo fianco, che lo stesse osservando attentamente ma poi si rendeva dolorosamente conto che quella sensazione avvolgente non era altro che una mera illusione.

Natasha aveva ragione, non poteva permettersi di crollare e crogiolarsi nello sconforto di una situazione incerta e pericolosa. Lui doveva andare avanti.


Sharon aprì lentamente gli occhi, percepiva le palpebre pesanti e stanche e le borse sotto di esse talmente marcate da dolerle fisicamente.

Il suo braccio reagì d'istinto, senza che lei ne avesse il controllo e sfiorò incerta il resto del letto dietro di sé, trovandolo vuoto e freddo. Come previsto il suo cuore venne stretto in una morsa dolorosa e i brividi le scossero il corpo provato.

Si levò a sedere come se ogni gesto le costasse una fatica immensa, con sguardo desolato si guardò attorno, le labbra leggermente tremanti, il mondo le apparve incredibilmente grigio. Col vuoto nel cuore si alzò e si diresse verso il bagno, con gesti lenti e meccanici si spogliò, lasciando che ogni singolo indumento le scivolasse, spettatore muto, addosso.

Il getto d'acqua freddo la colpì all'improvviso ma lei non mosse un muscolo. I suoi occhi fissavano vacuamente la superficie chiara e liscia lasciando che l'acqua le scorresse lungo il corpo candido e liscio, disegnando nuove forme. La sua mente le proiettava, in un orribile loop, ciò che era accaduto i giorni addietro. James al centro di tutto, la sua testa si riempì di lui: del suo volto; dei suoi sorrisi incerti ma pieni di dolcezza; dei suoi gesti; della sua voce; del suo profumo... Di lui, lui e basta. Sharon ne fu sopraffatta. Le spalle iniziarono a tremare in modo incontrollato e le lacrime salate e disperate si mischiarono alle gocce d'acqua che inutilmente avrebbero tentato di alleviare il suo tormento.

Il peso di tutto quel dolore fu troppo per lei, le sue ginocchia si piegarono dolcemente e crollò a terra, lasciando che il suo suono della sua angoscia fosse soffocato da quello della doccia.

Non aveva idea di quanto fosse rimasta sotto il getto d'acqua, ma quando uscì i suoi occhi scuri erano incredibilmente asciutti, forse perché aveva pianto tutte le lacrime che le erano state messe a disposizione. Passò una mano sullo specchio e la sua immagine comparve come per magia.

Sharon si prese qualche secondo per osservare il proprio volto, i lineamenti irrigiditi, le labbra tese e gli occhi talmente scuri da essere imperscrutabili; poi afferrò la spazzola ed iniziò a pettinarsi con cura inusuale i lunghi e lucenti capelli color miele.

Una volta terminato di sistemarsi i capelli in una morbida treccia, la giovane prese i trucchi ed iniziò a curarsi il viso. Il volto restò perfettamente immobile, come quello di una bella bambola e il tutto si svolse nel più totale silenzio. Tornò in stanza e si vestì, si guardò un'ultima volta allo specchio e con un gesto secco cancellò l'impalpabile scia bagnata che segnava la sua guancia.

Un passo dopo l'altro... Un passo dopo l'altro... Si ripeteva come un mantra.

Si diresse nella stanza di Jace, ancora immersa nel buio; osservò con un guizzo di tenerezza i due ragazzini addormentati, poi accarezzò con estrema dolcezza il volto del quindicenne ancora caldo di febbre. Gli rinfrescò la pezza di stoffa e gli sistemò con cura le coperte.

«Perdonami per non essermi presa cura di te in questi giorni» gli sussurrò «Ma ora sono qui Jace».

Una volta in soggiorno vi trovò solo Natasha e il capitano, entrambi furono sorpresi che fosse lì ma si premurarono subito di nascondere la loro costernazione.

«State uscendo?» domandò con voce leggermente roca, come chi non era più abituato a parlare a voce alta.

Vedova piegò leggermente il capo di lato, osservandola attentamente, poi sorrise appena:

«Sì, ho appuntamento con la dottoressa Montgomery. Mi piacerebbe se venissi anche tu».

Sharon dischiuse le labbra ed annuì grata. Si avvicinò alla donna;

«Mi manca. In ogni momento mi manca. Non va ad ondate: è un dolore continuo» ammise con un filo di voce ma senza guardarla in volto. Natasha le afferrò gentilmente il polso facendo scivolare la mano verso la sua;

«Tutto quello che senti va bene, Sharon» la rassicurò mentre la bionda faceva scontrare i suoi occhi scuri e tristi con quelli di lei, verdi e cristallini. Annuì. Comprendendo ciò che la spia voleva dirle.

Steve si rasserenò un poco nell'osservare le due donne così vicine.

«Andiamo?» disse avvicinandosi a loro e poggiando delicatamente la mano sulla schiena di Natasha.


Erano quasi all'uscita dell'Avengers Tower quando i tre scorsero una figura alta che camminava nervosamente avanti ed indietro, borbottando qualcosa all'esterno dell'edificio, proprio davanti l'ingresso.

Steve fece cenno a loro di fermarsi, mentre con cautela si dirigeva verso l'accesso.

«J.A.R.V.I.S. che succede?»

«Questo ragazzo vuole entrare Capitano Rogers. Afferma di conoscere lei e la signorina Romanoff. Ma non possiede un'autorizzazione e non è presente nel database.» rispose compitamente l'AI.

«D'accordo J.A.R.V.I.S ci penso io-» ma il supersoldato si bloccò, il suo sguardo aveva finalmente colto il volto del ragazzo spazientito... e lui lo conosceva.

«Holden?».


*


«Vuoi davvero andare fino in fondo?» berciò non molto convinto l'uomo, facendo schizzare un sopracciglio verso l'alto.

L'altro gli scoccò un'occhiata stizzita, non voleva più tornare sull'argomento. Quella al momento era l'unica cosa utile che poteva fare.

«Non mi pare abbia altre alternative ora come ora» rispose lugubre.

L'omone si strinse nelle spalle arrendendosi. Che facesse un po' come gli pareva;

«Beh spero che allora tu abbia più fortuna dell'ultima volta James».

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Eccoci qui, allora come potete notare in questo capitolo non abbiamo moltissimi "elementi", se non verso la fine questo capitolo non ci riserva grandi sorprese e si concentra sulla reazione di Steve e Sharon oltre che Natasha e il piccolo Jace, che in questo momento è in una versione tutta sua di "mamma-infermiera". Questo è ovviamente voluto... La "mancanza di Jamesn" non è una  questione che si può certamente risolvere in un capitolo. Volevo un momento dedicato a coloro che più di tutti amavano James e spero di aver mostrato in modo giusto il loro dolore, su cui avrò comunque modo di tornare.
Spero anche che vi sia piaciuto il rapporto tra Natasha e Sharon, che è qualcosa a cui io tengo molto... Nei film abbiamo grandi esempi di "bromance": Steve e Bucky, io direi anche Bruce e Tony o Tony e Rhodes mi piacciono molto, ma un'amicizia al femminile non l'abbiamo ancora vista (o mi è sfuggito qualcosa?) quindi questa relazione che si sta instaurando fra due grandi donne come Romanoff e Carter per me è fondamentale.
Poi c'è un piccolo assaggio di Bucky che è impegnato a fare qualcosa... per sapere cosa dovrete attendere ancora un bel po', vi posso solo dire che non riesce a stare fermo di sicuro!
Passiamo poi a Holden... chi se lo ricorda?? Se avete dubbi vi consiglio di fare un salto indietro a due storie fa XD

Bene, per il momento è tutto! Spero che il capitolo non vi abbia deluso... Io ringrazio tutti voi per la pazienza e il sostegno! Sia i miei fantastici recensori che i miei nuovi lettori a cui faccio un saluto speciale!
Ci rivediamo fra DUE SETTIMANE (e spero di non avere più tutte queste difficoltà!) VENERDI' 23 GIUGNO! Per qualsiasi avviso vi consiglio di visitare (e mettere mi piace ;)) alla mia pagine autore su FB "Asia Dreamcatcher".

ps. La risposta alle recensioni del capitolo 12 arriveranno entro DOMENICA SERA!

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Capitolo 14
*** A new day has come ***


14
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Capitolo Quattordici: A new day has come

What defines us is how well we rise after falling”

~ “Maid in Manhattan”



«Signorina Romanoff, signor Rogers buongiorno!».

La dottoressa Meredith Montgomery li accolse nel suo studio, all'interno di uno dei migliori ospedali specializzati in ostetricia e neonatologia dell'intera East coast. Era una donna alta ed atletica, con i capelli biondo scuro sempre legati in una veloce coda bassa e gli occhi grigio-azzurri seri ma sinceri. Era stata caldamente consigliata da Helen Cho, Meredith Montgomery faceva il suo lavoro con rapidità ed efficienza, raramente si perdeva in convenevoli e prima di tutto si considerava un medico, forse ancora prima di essere donna.

«Lei è Sharon Carter, è una persona fidata» esordì la spia russa presentando l'agente biondo al suo fianco, la dottoressa annuì compita e lasciò che si accomodassero.

Ora che anche i loro nemici sapevano, la gravidanza era diventata peggio di un affare di Stato. Interi file su Natasha Romanoff erano stati nuovamente secretati e persino alcuni su Steve Rogers, ogni singola notizia sul suo stato di salute veniva immediatamente classificata e criptata, l'ospedale era monitorato dallo S.H.I.E.L.D., la dottoressa Montgomery seguita da una scorta e ogni suo apparecchio elettronico era stato controllato e protetto da Skye in persona. Quando Vedova Nera era venuta a conoscenza di tutte quelle misure aveva ridacchiato divertita, trovandole inutili; ormai l'HYDRA sapeva e lei, dopo l'iniziale angoscia che le aveva ostruito la gola, non aveva più avuto paura, aveva compreso che gli unici che potevano davvero proteggere il bambino erano lei e Steve.

Natasha lasciò vagare il suo sguardo, perdendosi per qualche attimo nella contemplazione del timido sole che cercava di farsi spazio fra i grattacieli e le nubi bigie di fine gennaio. Ora aveva paura. Nel profondo di sé aveva il terrore di quel momento, ritardarlo sapeva però, non poteva essere una soluzione definitiva. Riportò i suoi occhi di giada, limpidi e sicuri, sulla donna che aveva davanti, che la fissava di rimando quasi fosse rimasta pacatamente in attesa che lei si sentisse pronta. Avvertì la mano di Steve farsi strada nella sua, gliela strinse piano.

«Ho i risultati della villocentesi, come d'accordo abbiamo evitato l'amniocentesi in quanto per lei, Natasha, la possibilità di aborto aumenta...»

«Quali sono i risultati?» chiese Steve impaziente;

«Sono... ottimi. Il bambino non presenta malformazioni e nemmeno malattie genetiche...È in salute, mi creda Capitano Rogers. Sinceramente sono sorpresa anch'io, ha assimilato il DNA modificato di entrambi senza problemi.» concluse seria la dottoressa guardandoli.

Se Sharon si abbandonò ad un sorriso soddisfatto e Steve chiuse gli occhi sollevato, Natasha annuì piano ma non si lasciò andare alla gioia.

Il suo bambino stava bene, lei e Steve non gli avevano nuociuto, era sano. Ma il suo cuore restava ancora preda dell'inquietudine.

«Qualcosa non va, Natasha?» domandò subito la Montgomery notando l'espressione neutra della propria paziente.

«Perché non lo sento ancora muoversi?» celiò atona. Obbligando la propria voce a restare ferma ed incolore mentre dentro di sé tremava come una foglia.

La dottoressa fece un cenno col capo e poi indicò il lettino;

«Prenda pure posto, oggi facciamo la flussimetria come avevamo deciso, vedremo subito se c'è qualcosa che non va.» il suo tono era rimasto volutamente composto ma cercò di ammorbidire l'espressione del volto.

«Che cos'è?» chiese piano Sharon avvicinandosi a Steve che aveva preso posto accanto alla compagna.

«E' come un'ecografia che però permette di misurare la quantità e la velocità del sangue che circola in un determinato vaso sanguigno, non è una metodica che si usa normalmente, ma essendo la gravidanza della mia paziente straordinaria e potenzialmente a rischio è meglio eseguirla, anche se un po' in anticipo rispetto a quanto avevo preventivato.» spiegò la dottoressa, poi si rivolse direttamente a Natasha «E' pronta? Ci vorrà un po'»;

Vedova si scambiò uno sguardo con Steve che annuì.

«Proceda».

Natasha provò un certo fastidio, ma si fidava della dottoressa, era esattamente il tipo di persona che faceva al caso suo: competente, precisa e dedita al suo lavoro, inoltre oltre ad essere stata consigliata da Cho, ancora degente, lei aveva fatto le sue ricerche.

Controllò le arterie ombelicali ed infine il dotto venoso del feto. Tutto sembrava regolare.

«Natasha non è inusuale non sentire ancora i movimenti del feto, lo sente il suo cuore? Batte regolarmente. In questa fase il bambino inizia a percepire gli stimoli materni, come stati di ansia o forte preoccupazione che potrebbero farlo diciamo “desistere” dal compiere qualsiasi movimento per il momento. Lei potrebbe essere in uno stato non ottimale?» domandò con una certa cautela alla fine.

Sharon si irrigidì immediatamente, Steve raddrizzò la schiena e la sua espressione si fece cupa mentre Natasha si lasciò andare ad un sospiro; la dottoressa Montgomery ebbe la sua risposta e non osò indagare oltre, d'altronde tutta la sicurezza e la segretezza che l'avevano circondata da quando aveva accettato di seguire la coppia parlava da sola.

«Allora non si preoccupi, il bambino al momento sta bene e ho la situazione sotto controllo. Per avvertire i movimenti ci sarà tutto il tempo. Ora sta per entrare nel quinto mese quindi continui a prendersi cura di lei, beva molto e può continuare gli esercizi fisici che abbiamo concordato. La nausea dovrebbe sparire in questi giorni ma è molto probabile che avrà delle contrazioni, sono normali ma purtroppo per lei saranno più dolorose rispetto ad una gravidanza ordinaria, se non avrà perdite abbondanti o altre complicazioni ci possiamo tranquillamente rivedere la settimana prossima».

Natasha e Steve la ringraziarono e fecero per seguire Sharon, quando la voce della dottoressa li fece voltare sorpresi.

«Ah dimenticavo, perdonatemi. Con l'esame della villocentesi si viene subito a conoscenza del sesso del bambino. Quindi... Volete sapere se è maschio o femmina?».


*


JJ Holden, agente di livello 7 dello S.H.I.E.L.D. non poteva fare a meno di guardarsi attorno spaesato e al tempo stesso meravigliato; si trovava nel soggiorno lussuoso e confortevole dell'Avengers Towers, mentre gli incredibili abitanti di quell'edificio sbucavano all'improvviso intenti ad iniziare un'altra giornata di ricerche, ragionamenti e pianificazioni. Era strano trovarsi lì, osservare da vicino Tony Stark sbadigliare vistosamente mentre si versava inconsciamente del caffé e strofinarsi il viso stropicciato dall'ennesima notte insonne passata nel proprio laboratorio, o Occhio di Falco preparare la colazione ai propri figli o Maria Hill non indossare la divisa ma una maglietta chiaramente maschile sopra un paio di pantaloni della tuta. Per un momento si era persino dimenticato del motivo che l'aveva spinto a rivolgersi direttamente a loro.

«Tutto bene?» gli domandò Sam con un sorriso comprensivo «Lo so. Ma dopo un po' ci si abitua» continuò con un gesto ampio della mano, precedendo il suo pensiero.

«Bene non ne sono così sicuro... Per quanto riguarda questo ho qualche dubbio. Ma Romanoff da quanto-?» chiese un po' intimidito dalla situazione, lui che non si era mai fatto problemi a lusingarla non appena conosciuta.

«Quasi cinque mesi» rispose Falcon smorzando un po' il suo sorriso «Speriamo che vada tutto per il meglio»;

«Oh» disse semplicemente, intuì che forse la faccenda era un più complessa di quanto apparisse.

«Mi dispiace essere piombato qui all'improvviso, so che le cose si sono fatte difficili... l'agente Hill mi ha messo al corrente di ciò che è successo... - deglutì appena – mi ha raccontato di Barnes» disse guardandolo di sottecchi.

L'espressione di Sam si era fatta dolorosa, non riuscendo a celare il suo smarrimento. JJ comprese che in quei tre anni dovevano essere diventati davvero affiatati e lui stesso, ora, sapeva cosa volesse dire perdere una persona a cui si tiene. Notò che Maria Hill li stava fissando, in particolar modo Sam, non si avvicinò ma il suo sguardo turchese restò comunque inchiodato sulle loro figure.

«Io... Mi spiace non so che dire» sospirò mortificato.

Sam levò i suoi occhi scuri sull'agente rimanendo leggermente perplesso dal suo atteggiamento pacato, era molto diverso dalla persona espansiva e pungente conosciuta a Londra anni prima, ma d'altro canto lui stesso in quel momento si sentiva molto differente dalla persona che era di solito.

«Tranquillo. Noi stiamo cercando di capire come andare avanti... Ma se posso darti un consiglio non nominare B... Bucky così alla leggera – sospirò come se fosse esausto – è successo qualcosa vero? Sei diverso...».

Holden annuì appena;

«Sì. E non sarei venuto qui a chiedere il vostro aiuto se la cosa non vi riguardasse, almeno secondo la mia teoria»;

«Attendiamo che tornino Steve, Natasha e Sharon poi parleremo».


Steve e Natasha rientrarono un'ora dopo senza Sharon, dissero a tutti di non preoccuparsi e che sarebbe tornata presto, anche se dai loro lineamenti lievemente tesi si intuì che qualcosa era stato omesso.

Tutti poi vollero sapere le condizioni del bambino; Holden notò come gli occhi degli abitanti della Tower si fossero rischiarati nel sapere che il figlio di Vedova e del Capitano cresceva bene ed in salute, probabilmente quella era l'unica notizia positiva nella desolazione lasciata dall'HYDRA, anche se nessuno festeggiava o manifestava apertamente la propria gioia e sollievo, questo gli fece intuire che un'ombra gravava su quella gravidanza straordinaria.

«Per chi non lo conoscesse lui è l'agente JJ Holden» esordì dopo i convenevoli Steve Rogers, attirando l'attenzione generale «fa parte della sezione inglese dello S.H.I.E.L.D. è molto capace e ci è stato di grande aiuto un paio di anni fa» spiegò mentre il ragazzo si apriva ad un sorriso a metà fra l'imbarazzato e il soddisfatto per quelle parole d'elogio, espresse da niente meno che Captain America.

«E possiamo sapere perché è seduto sul divano di casa mia?» domandò con la sua solita faccia da schiaffi Tony.

«Non farci caso Holden, Tony è la prima donna di casa, sarà più docile non appena la caffeina entrerà in circolo» soffiò Natasha con un sorriso bello e velenoso. Stark le fece l'occhiolino.

«No, il signor Stark ha ragione. Mi dispiace essere piombato qui in un momento così delicato-»

«Delicato è un eufemismo bello e buono!»

«E comunque il Capitano Rogers si sbaglia su una cosa, facevo parte dello S.H.I.E.L.D, non sono più un agente» spiegò tranquillamente, sorridendo alle facce perplesse di Steve, Natasha, Sam e Maria.

«Che è successo Holden?» chiese l'agente Hill «E' per-?»

«Sì esatto. Hanno smesso di cercarla, la Dalton ha detto di non aver abbastanza risorse e di non poter sprecare altri uomini, mi sono dimesso! Non potevo più restare lì...» la sua voce concitata si affievolì e il suo sguardo si fece assente.

«JJ di chi stai parlando?» domandò Sam lanciando un'occhiata a Maria.

«Annabeth Munroe è scomparsa!» sbottò frizionando le mani fra loro, in un gesto di muta rabbia «Non c'erano segni di scasso o di lotta nel suo appartamento, niente che indicasse che fosse stata rapita, ma non è così! Lei è stata rapita!»;

«Perché ne sei così sicuro?» chiese Natasha, non per criticarlo era sinceramente interessata alla sua versione; JJ si volse verso di lei con gli occhi scuri che supplicavano aiuto, supplicavano di credergli.

«Perché si sentiva pedinata! Me lo disse qualche settimana prima di sparire. Si sentiva osservata, era convinta che fossero anche riusciti ad entrare nel suo appartamento... Per- per un po' è stata da me ma poi nel momento in cui aveva ricominciato a sentirsi sicura lei è-»

«Scomparsa» terminò per lui la russa.

JJ annuì tristemente.

«Secondo te è stata rapita dall'HYDRA?» gli chiese con garbo Steve;

«Sì! Lei è un hacker straordinaria! L'avete vista con i file di Zola!? Non c'è nulla che non possa fare...»

«Ripetimi il suo nome» frecciò Stark con cipiglio strano;

«Annabeth Munroe...» articolò piano guardando il miliardario di sottecchi.

«Ha frequentato il MIT?»; Holden annuì.

«La conosci?» chiese Maria;

«Non di persona, ma me ne parlarono alcuni professori anni addietro e al MIT la consideravano un prodigio, se non ricordo male mi chiesero di farle fare un tirocinio, ma non sono io che mi occupo di queste cose. Perché Pepper non c'è mai quando serve?» si lagnò Tony ma il suo sguardo rimaneva vacuo, segno che la sua mente stava lavorando freneticamente.

«Forse perché dirige il tuo impero?» frecciò Natasha, poi anche lei si fece seria «Pensi che possa essere stata in grado di hackerare J.A.R.V.I.S.?» chiese intuendo i suoi pensieri, Tony infatti la guardò e schioccò le dita;

«E' quello che temo».

«Se l'ha fatto è stata costretta!» si inalberò JJ «Non l'ha fatto di sua volontà ne sono certo! Lei non lo farebbe mai! Io la conosco! Io...» la mano del capitano sulla sua spalla lo fermò; la sua presa era ferrea ma delicata.

«JJ nessuno sta dicendo questo» disse Steve con voce calma e profonda «Io, Natasha, Sam e anche Maria l'abbiamo conosciuta... Sono d'accordo con te. E se è davvero nelle mani dell'HYDRA allora è nostro dovere salvarla, inoltre quest'informazione è preziosa e se tu vuoi darci una mano-»

«Lo voglio!». Steve annuì grave;

«Sei dei nostri. - poi il suo sguardo si posò su Tony – potresti informarti su Annabeth? È possibile trovare qualcosa che possa esserci utile?»

«Oh sì puoi scommetterci» asserì il magnate con gli occhi che vagavano per la stanza, tutti capirono che sapeva già come muoversi. Beh, era confortante che almeno qualcuno di loro sapesse dove sbattere la testa, pensò Steve.

«Ora, JJ perché non ti riposi? Avvertirò Coulson che sei qui... Ti vorrà fare certamente delle domande» il capitano lasciò che Maria si occupasse del nuovo arrivato.

Sam si sporse verso di lui;

«Novità su di lui?» chiese cauto, Steve fu costretto a negare col capo. L'ex pararescue gli batté una pacca comprensiva sulla spalla.


Natasha rientrò nella sua stanza a riunione finita, improvvisamente si piegò in avanti stringendosi il ventre con la mano mentre l'altra si tenne al muro. Un gemito di dolore le sfuggì dalle labbra.

«Natasha!» urlò il capitano entrato poco dopo, subito accorse da lei. La russa si aggrappò con forza alla sua maglia, stringendo i denti e aspettando che la contrazione passasse.

Steve la strinse a sé ascoltando in silenzio il suo respiro regolarizzarsi e la sua presa farsi meno violenta.

«E' passato» sospirò appoggiandosi a lui.

Steve prese un respiro profondo, ogni volta la paura attanagliava il suo cuore... Semplicemente terrorizzato di poterla perdere; amava già il loro bambino ma faticava a sopportare il pensiero che entrambi dovessero rischiare così tanto. Stavano giocando ad una dannata roulette russa.

«Pensi che sia stata una buona idea lasciare che Sharon ci provasse?» chiese a Natasha per distrarre entrambi.

«Non credo avessimo molta scelta. Steve lei sente il bisogno di fare qualcosa e se non può partire a cercarlo, stai pur certo che cercherà le risposte in un altro modo».


*


«Hai qualche consiglio?»

«Sinceramente? No. Se riesci a fargli emettere un suono è già un successo» rispose leggermente ironico Phil Coulson.

Sharon annuì, poi si volse a guardarlo;

«Come sta Melinda?»

«Sì è rimessa in piedi ma non deve esagerare, puoi immaginare il suo umore. È idilliaco. è stata fortunata non le ha preso il polmone» anche senza sforzarsi si poteva notare distintamente il tono sollevato del direttore. La biondina sorrise lievemente;

«Già posso immaginare» poi spostò nuovamente i suoi occhi sulla vetrata davanti a lei.

«Sharon se solo avessimo saputo-» ma la ragazza negò col capo per far capire che non li stava incolpando.

«Credo che nemmeno lui potesse prevederlo...» tirò appena su con il naso «Se non ti spiace ora proverò a farlo parlare».

Sharon Carter si chiuse la porta alle spalle con un sonoro tonfo. Lasciò che l'eco si esaurisse fino al ritorno del silenzio perfetto. Si mosse con calma, ostentando una sicurezza che, in quel preciso momento, non possedeva per nulla. Afferrò una sedia e la pose esattamente davanti alla figura ammanettata.

L'agente dell'HYDRA alzò lo sguardo e i suoi occhi chiari colpirono immediatamente Sharon, le rammentavano tremendamente un altro paio di occhi altrettanto di ghiaccio, il cui ricordo fu una stilettata in pieno petto.

«Mi chiamo Sharon. Sharon Carter. Ed ora tu ed io faremo due chiacchiere che tu lo voglia o no».



________________________________________________________________________________________ASIA'S CORNER

Buon pomeriggio a tutti voi miei gentili lettori! Eccoci qui con il nuovo capitolo! In questo capitolo, come nel precendente, non ci sono grandi scontri o azione ma diciamo che vengono date alcune informazioni e considero questo capitolo come una sorta di preludio per ciò che deve venire.
Spero che la parte in cui viene trattata la gravidanza non vi risulti noiosa, io la considero parte integrante della storia, fa parte di Natasha e di Steve ed ha un effetto diretto su questi personaggi e parlarne per me è quindi fondamentale. Il nome della nuova dottoressa di Natasha, ovvero Meredith Montgomery è un omaggio alla serie Grey's Anatomy e ha il nome ed il cognome di due personaggi che io adoro!
Scopriamo inoltre il motivo per cui Holden ha interpellato direttamente gli Avengers, secondo voi i suoi timori sono fondati? Lo scoprirete...
Riguardo all'ultima parte, per il colloquio fra Sharon e N dovrete aspettare il prossimo capitolo purtroppo... Avevo bisogno di dargli il giusto spazio.
So che il capitolo è breve e magari meno ricco di quanto vi aspettavate ma prometto che arriveranno capitolo più intensi ed ogni tanto una pausa distensiva fa bene ;)

Un'ultima cosa: allora io attualmente ho iniziato a lavorare, part-time ma pur sempre di lavoro si tratta inoltre in questo periodo ho dei progetti in ballo che purtroppo mi prendono del tempo, non voglio allarmarvi, non ho intenzione di sospendere la storia o che so io, solo vi chiedo un po' di pazienza e comprensione in quanto magari i prossimi capitoli potrebbero uscire con UNO MASSIMO DUE giorni di ritardo rispetto alla data prevista, non di più! Anche per le recensioni purtroppo accadrà la stessa cosa (le risposte dovrebbero arrivare entro lunedì mattina! Promesso) Mi scuso con tutti voi, ma ci tengo ad essere onesta e purtroppo il tempo è quello che è e ho pur sempre una vita da mandare avanti ^^ ma io farò del mio meglio per rispettare le scadenze! 

Detto questo, io vi ringrazio come sempre per essere giunti fino a qui e spero che la storia continui a piacervi! Ci vediamo fra due settimane, VENERDI' 07 LUGLIO!

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Capitolo 15
*** Blind Spot ***


15
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Capitolo 15: Blind Spot

Molta gente non sa

che l'occhio umano ha un angolo cieco nel suo campo visivo.

C'è una parte di mondo che non possiamo letteralmente vedere.

Il problema è che certe volte gli angoli ciechi ci impediscono di vedere cose

che non dovremmo assolutamente ignorare.

A volte invece sono proprio gli angoli ciechi

a dare felicità e contentezza alla nostra vita.

[…]

Tornando ai nostri angoli ciechi,

forse è il cervello che non compensa perché forse ci vuole proteggere.”

~ Meredith Grey “Grey's Anatomy”




La luce al neon sfarfallò producendo un ronzio molesto, N alzò lo sguardo verso di essa, dando l'impressione di non aver nemmeno notato la presenza della ragazza davanti a lui. La realtà era ben diversa: benché fisicamente quella Sharon Carter non gli incutesse alcun timore, sentiva di dover essere guardingo, qualcosa in lei lo metteva all'erta.

Sharon non riusciva a quietarsi. Inspirava l'aria fredda della stanza ed espirava a ritmo regolare, eppure sentiva le vene pulsare e il battito cardiaco correre, come se stesse facendo una gara contro un nemico invisibile. Era così che si era sentito James di fronte a quel soldato incatenato? Quasi fosse lui l'animale in trappola? Premette le mani intrecciate fra loro finché non le avvertì pulsare dolorosamente.

Come aveva fatto ad essere così cieca?

«Qual è il tuo nome?» domandò rompendo quel silenzio scomodo che si era formato.

La domanda parve trarre l'attenzione del soldato. La sua espressione si fece insondabile.

«Non lo so» rispose; il suo volto si fece scuro e gli occhi si assottigliarono.

L'agente 13 era una buona osservatrice e riuscendo ad andare oltre il suo dolore personale, notò la reazione del suo nemico. Una possibile crepa?

«Impossibile» frecciò a voce bassa e, per quanto ne fosse in grado, fredda «Tutti noi possediamo un nome, persino uno come te. Sei solo, dovresti piantarla di fare resistenza» voleva provocarlo, doveva fare in modo di aprirsi un varco.

L'agente dell'HYDRA strinse i pugni ed irrigidì i muscoli; la prolungata prigionia, l'impossibilità di muoversi unita alla perdita del suo punto di riferimento, lo stavano pian piano logorando.

«Io non lo so!» sibilò infastidito «Non sono nulla... - il suo sguardo divenne vacuo, come se si fosse perso nella propria mente – sono nulla» la testa scattò di lato a scacciare un ricordo molesto, si voltò nuovamente verso Sharon, tanto repentinamente che sobbalzò impreparata;

«Non sono niente! - urlò - готовый подчиняться [pronto ad obbedire]».

La bionda sbatté le palpebre, aggrappandosi impercettibilmente alla sedia.

Bucky?”

Chi diavolo è Bucky?”

Era stato lui stesso a raccontarglielo in una notte particolarmente malinconica, stretti l'uno nell'abbraccio dell'altra, dopo aver fatto l'amore con dolcezza e trasporto. Lei l'aveva stretto contro il suo petto, assicurandogli che quel momento era passato e lei era lì per ricordargli chi fosse.

Non so dove trovò la forza di guardare nuovamente in faccia il soldato, comprese come James guardandolo vedesse il proprio riflesso. Quel ragazzo era stato il suo specchio maledetto.

Perché James? Perché non me l'hai detto?”.

«Come ti chiamava quella donna?» chiese, riprendendo l'interrogatorio.

N sgranò lo sguardo preso in evidente contropiede dalla domanda. Non riusciva a comprendere il perché di quell'insistenza. Perché voleva sapere il suo nome? Lui non era niente.

Si irrigidì ancora di più, mentre una sensazione scomoda risalì dalla bocca dello stomaco; l'immagine di Sinthea Schmidt gli frecciò in mente e le sue labbra si sigillarono.

Sharon si rese conto che la crepa nel suo essere, quasi invisibile prima, si era accentuata; chiunque fosse quella ragazza doveva incutergli vero timore.

«Io- non...»

«Sforzati di ricordare Soldat!» gridò. Lo vide tentare di divincolarsi dalle spesse manette, veloce si protese verso di lui, afferrandogli le mani.

«Guardami!» gli ordinò. L'agente 13 capì che il tono duro e perentorio aveva più effetto. Da quanto tempo qualcuno non gli si rivolgeva con gentilezza?

Il Winter Soldier, pur respirando rapidamente e con fatica, cercando di contrastare la propria natura, fece come gli era stato ordinato.

«...N...».

«Come?»

«Io- sono- N. Solo questo: N». I suoi occhi erano spalancati, increduli ma anche... sollevati, il fiato era corto. Osservò impaziente la mano di Sharon, in attesa di ricevere una punizione.

La ragazza invece si morse le labbra e i suoi occhi scuri si riempirono di tristezza. Una singola ed insipida lettera a definirlo.

Si sentì quasi sopraffatta, non riusciva ad andare avanti, lasciò che i minuti scorressero fra loro nel più cupo silenzio.

«N» ripeté piano, assaporando quell'unica lettera sulla lingua quasi volesse dargli un valore del tutto nuovo. Lui annuì.

«N... chi è quella donna per te?» Sharon ora doveva cambiare approccio ma sopratutto non sentiva più il bisogno di costringerlo.

Gli occhi dell'agente dell'HYDRA si mossero freneticamente da una parte all'altra, strinse i braccioli in acciaio e cercò di schiacciarsi contro il sedile.

«E' la padrona...»; chiuse gli occhi e strattonò la sedia su cui era incatenato.

«Chi è N?» la sua voce era carezzevole e gli occhi scuri si erano fatti penetranti;

la domanda sembrò disorientarlo, non capiva cosa intendesse;

«E' la padrona...» ripeté.

«D'accordo.» concesse Sharon temendo di perderlo «Quali erano gli ordini?» indugiò un istante «Che tipo di ordini ti dava N?»

«Io non...!» l'urlo che seguì fu quello di un animale sofferente. La ragazza si fiondò su di lui, afferrandolo per le braccia per cercare di riportarlo con la mente in quella stanza.

Che diamine gli avevano fatto per ridurre la sua mente in quello stato? Avvertì le lacrime premere per uscire, il suo pensiero andò involontariamente a James e il suo cuore palpitò affranto. Era così arrabbiata ed amareggiata ma strinse comunque i denti.

«N chi era James Barnes per te?» gli chiese con tono urgente. Era totalmente incapace di gestire i suoi sentimenti verso James.

N incredibilmente era riuscito a riprendersi almeno un po'.

«Lui era il maestro, lui ci ha addestrati. Dov'è?»;

l'amarezza per quella domanda posta quasi innocentemente fu spazzata via da un particolare che la inquietò.

«Ci?» esalò Sharon «Quanti siete N? Quanti altri ce ne sono come te?».

L'agente dell'HYDRA la fissò con i suoi occhi spalancati e spaesati prima di stringere i denti dolorante.

«AH!... Tr- tre...» chiuse gli occhi, ed iniziò a lamentarsi, la testa aveva preso a dolergli, era come se stesse andando a fuoco.

Sharon gli prese gentilmente la testa fra le mani ma cercò di non farlo muovere.

«N respira! Sono qui. Ti prego... Ho bisogno che tu mi parli! Resta con me...» ma era inutile. A nulla valsero i suoi richiami disperati.

N iniziò a parlare in russo, ma più che frasi erano singole parole senza alcun nesso logico e qualche lettera, ma Sharon cercò di imprimersele bene in mente. Quando iniziarono le convulsioni, capì che non poteva più aspettare e corse a chiedere aiuto angosciata. Immediatamente la squadra medica arrivò e tentò di stabilizzarlo, l'agente 13 si coprì la bocca con la mano assistendo impotente allo sgretolarsi di un supersoldato.


*


Un tocco leggero per sistemare l'ordinata frangia color rame.

Il rossetto color vino steso sulle labbra piene.

Gli occhi castano-verdi scintillarono maliziosi guardando il riflesso della persona dietro la sua figura.

«Brock, fa il bravo chiudimi la cerniera» cantilenò Sin scostandosi, con gesto provocante, i lunghi capelli di lato.

Rumlow le si avvicinò e silenziosamente fece scivolare la cerniera sulla pelle striata da lunghi segni rossi, fino a chiuderle l'elegante tubino scuro.

«Lo sai che un bel vestito non ti renderà più gradita a tuo padre?» la provocò lui con un sorriso storto.

Sin si voltò e sogghignò. Le sue lunghe dita si soffermarono su ogni bruciatura che deturpava il petto nudo di Crossbones.

«Stavo per dire la stessa cosa del tuo volto. La tua cara Sharon ha il cuore a pezzi, dovresti approfittarne mio caro e strapparglielo definitivamente» celiò la rossa mentre il ghigno sul volto sfregiato dell'uomo si spense e la presa su di lei si fece più forte, quasi violenta.

«A tal proposito mia piccola psicolabile... - la fece sbattere contro la parete – non provarci mai più. Intesi?».

Sin ridacchiò in modo bambinesco e lo baciò con passione animalesca. Si staccarono ansanti, la ragazza sorrise melliflua ed uscì dalla stanza.

Ad attenderla fuori vi era il Winter Soldier L.

«E' da molto che mi aspetti, L?» chiese Sin passando l'unghia laccata di nero sui lineamenti duri e virili del soldato.

«No, mia signora» rispose secco incamminandosi ma restando sempre due passi dietro a lei.

«Tu sei diverso dai tuoi compagni, ne sei consapevole?»;

L ghignò con uno strano bagliore nei freddi occhi di un cupo azzurro;

«Sì»

Sin si arrestò un momento prima di varcare la porta tenuta aperta da due guardie. Lo guardò e sorrise pericolosa;

«Restami fedele L e il tuo cervello continuerà a restare intatto per quanto possibile» poi lo congedò soddisfatta.

«Buonasera padre» salutò atona Sin, prendendo posto all'altro capo del tavolo da pranzo di antica foggia.

«Sei in ritardo Sinthea» gli fece notare Alexander Lukin, che oltre ai ritardi non amava essere palesemente ignorato in favore del suo “ospite”.

«Lukin» celiò divertita la ragazza, ben lieta di aver indisposto l'ex capo della Red Room.

«Modera il sarcasmo tochter [figlia]» la rimproverò Teschio Rosso prendendo il sopravvento su Lukin. La parola “figlia” scivolò come veleno fra le sue labbra, ma Sin era ormai diventata brava nel celare la propria frustrazione.

«Perdonami padre. - afferrò il calice contenente pregiato vino rosso e se lo portò alle labbra – che pensi allora del candidato che ti ho sottoposto?».

Johann Schmidt produsse un raro sorriso compiaciuto, che sulle labbra di Lukin ebbe un effetto tremendamente affascinante;

«E' perfetto. L'attesa varrà il compimento della mia vendetta e finalmente avrò ciò che mi spetta di diritto. Sarò un dio.»;

Sin si gustò il compiacimento e la cieca vanità, sorseggiando ancora del vino sorrise accondiscendente mentre la sua mente viaggiava su altri binari. Brindarono a lui e all'HYDRA.

Johann Schmidt bevve alla sua salute, poi il suo viso – o meglio il volto di Alexander Lukin – si fece serio, fissò il calice ruotare fra il pollice e l'indice;

«D'altro canto, ci sono ancora delle pecche. Pecche che tu, mein liebes, hai creato; hai lasciato che ben due Soldati d'Inverno sfuggissero alla nostra presa...» la osservò meditabondo.

Sin irrigidì impercettibilmente la mascella e fissò suo padre di rimando.

«Con James Barnes non è ancora del tutto perduto» affermò lei con una certa arroganza, dettata dalla sua stessa insicurezza riguardo al Soldato d'Inverno originario. Qualcosa le era certamente sfuggito, quel qualcosa aveva invalidato qualsiasi suo calcolo. I codici avevano funzionato, ne era più che certa... Eppure possibile che un singolo fattore avesse creato una frattura insanabile nel suo piano? I sentimenti dunque, la causa di tutto? Strinse i pugni lungo il tavolo, in che modo? In che modo avrebbero potuto infrangere il condizionamento?

Sin non lo sapeva e questo per lei era una condizione intollerabile, ma doveva controllarsi, se suo padre e Lukin avessero intuito quanto a fondo questo fatto l'avesse inquietata sarebbe stata la fine.

Aveva voglia di urlare e di rompere tutto attorno a lei.

Doveva trovare quel dannato Barnes, non si trattava solo di un vantaggio numerico ma anche di un netto vantaggio psicologico sui suoi nemici.

«L'hai già localizzato?» domandò a metà fra l'incuriosito e il beffardo Teschio.

Sin agitò una mano come a voler cacciare un insetto fastidioso;

«Non ancora. Ma ciò non significa che non possa scovarlo, Vater» asserì con sicurezza mischiata a noia, come se la domanda fosse stata non solo banale ma anche tediosa.

Lanciò un'occhiata al vetriolo a suo padre. Niente è mai abbastanza con te padre... Continui a provocarmi e mettermi alla prova. Sono la migliore dannazione! Perché non lo vedi? Perché sei così cieco?

«E comunque padre, non ho ancora finito con loro, perderanno ancora prima di cominciare la battaglia» Sin infatti aveva ancora una freccia al suo arco, qualcosa che li avrebbe divisi inevitabilmente... li avrebbe sfiancati e poi distrutti.

Johann la guardò intensamente per qualche istante, poi alzò il calice nella sua direzione e fece un piccolo sorriso mellifluo;

«Stupiscimi figlia!».

Il resto della cena passò nel silenzio totale, Teschio le diede alcune disposizioni prima di congedarla.

Quando uscì L era lì ad attenderla, senza una parola le passò un cellulare.

«Con chi ho il piacere di parlare?»;

la voce dall'altra parte dell'apparecchio la fece sorridere come una bambina il giorno del proprio compleanno. Parlarono brevemente;

«Credo che tu ed io potremmo fare grandi cose insieme» disse concludendo così la chiamata.

Era ciò che le serviva... Oh si sarebbe divertita, sì, di questo Sin ne era assolutamente certa.


*


«Sharon con calma ripetimele di nuovo» Natasha guardò intensamente Sharon che fece un respiro profondo e cercò di ripetere ancora una volta le parole sconnesse pronunciate da N.

«Ne sei sicura?»

«Sì, oddio lui ormai stava delirando – la biondina sospirò esausta – maledizione! Se il mio russo non fosse così pessimo, non hanno nessun senso logico non è vero?»;

Vedova le lanciò un'occhiata alquanto eloquente;

«No, infatti non ne hanno. Ma il tuo russo non è così pessimo».

«Ti ringrazio Nat, davvero! Ma siamo punto e a capo...».

L'agente 13 e la russa stavano discutendo da quasi un'ora del suo incontro con il Soldato d'Inverno N.

Era giunta alla Tower talmente scossa che aveva voluto parlare solo con Vedova, non era ancora pronta ad affrontare tutta la squadra.

«Non è detto» asserì Natasha avvicinando il portatile e componendo alcuni codici su una finestrella nera. Dopo qualche minuto si avviò una chiamata, sullo schermo comparve il volto, segnato da qualche cicatrice e ruga d'espressione, di Yuri Petrovich. Il fratellastro di Natasha.

Lui parve sorpreso, ma non poi molto come avrebbe dovuto essere.

«Oh oh come sta la mia sorellina incinta?» esordì allargando un sorriso sghembo.

La spia roteò gli occhi ma concesse un accenno di sorriso.

«Contrazioni e mal di schiena e gambe a parte? Una meraviglia...»

«Continuo a sperare che mio o mia nipote erediti anche il tuo sarcasmo, Natshechka» replicò Yuri ridacchiando. La donna scosse il capo divertita;

«Ti hanno fatto avere le foto dell'ecografia?» domandò poi con voce bassa e dolce, tanto che lui si intenerì.

«Sì, ti ringrazio davvero – ci fu una pausa, poi la sua espressione si fece leggermente tirata se non rigida – ma immagino che questo non sia una chiamata solo di cortesia...»

«No infatti. Sharon ha ottenuto qualcosa dal Soldato d'Inverno detenuto dallo S.H.I.E.L.D.» l'agente 13 si avvicinò a Natasha per farsi vedere.

«Ciao Yuri!»

«Sharon...» mormorò distogliendo per una frazione di secondo lo sguardo prima di riportarlo con sicurezza sulle due donne.

«Di che cosa si tratta esattamente?»

«Di alcune parole pronunciate in russo da N... voglio dire il Winter Soldier...»

«E quali sarebbero?»

«Diciassette... Ruggine... Fornace... Uno... Benevolo...» gli elencò Natasha sbirciando la sua espressione corrucciata.

«Ti dicono qualcosa?».

La domanda restò in sospeso per qualche istante fra New York e San Pietroburgo, ma poi il capo dello S.H.I.E.L.D. della sezione russa fu costretto a negare col capo.

«Mi spiace Natalia, Sharon queste parole a me personalmente non dicono nulla, ma immagino che voi vogliate che indaghi comunque a riguardo...»

«Te ne saremmo grate Yuri» rispose Natasha con un'espressione grata.

«Nessun problema... Potrei avere comunque una pista...» affermò il russo dando l'impressione di voler dire qualcosa di più.

«Natalia... riguardati d'accordo?» disse invece Yuri con sguardo morbido;

la donna gli sorrise ed annuì.

«Lo farò. Abbi cura di te Yuri.»

«Saluta Steve» e detto ciò lo schermo divenne buio.

Le due donne si guardarono, gli occhi pieni di domande inespresse.

«E ora che si fa?»

«Ora avvertiamo gli altri e ci prepariamo per la vera battaglia».

___________________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buongiorno a tutti voi miei cari lettori! Con un po' di ritardo ma siamo ancora qui :)

Bene allora come avete letto Sharon è riuscita a scardinare le difese di N, anche se non del tutto certo e ora la domanda è: N riuscirà a farcela? C'è da dire che Sharon dalla sua aveva una certa esperienza con i Soldati d'Inverno e come avrete certamente notato non è stato facile per lei questo confronto tanto che a fine capitolo si rifugia, metaforicamente, fra le braccia di Nat che come al solito è sempre sul pezzo, potrà pure essere incinta ma di certo non è un handicap per lei (anche se fisicamente è un grosso limite al momento), chiedendo aiuto a Yuri per questa faccenda!

Poi passiamo a Sin (continua questo parallelo fra Sharon e Sin, come alcuni di voi hanno notato... e so che vi aspettate un bello scontro epico ma Sin non è in grado di avere un solo nemico per volta ;) eheheh ma di sicuro la Carter non vede l'ora di prenderla definitivamente a calci!). Il suo rapporto con Rumlow è  ambiguo ed entrambi viaggiano fra l'odio e l'attrazione fisica ed io come al solito mi diverto troppo con questi due!
Poi vorrei farvi notare che Sin ha una predilezione per L, un altro Winter Soldier, a cui ha "chiesto" fedeltà, un particolare forse non da tralasciare ;) Scopriamo che Sin malgrado l'abbandono di James Barnes (e questo è motivo di grande frustrazione) ha comunque un altro asso nella manica e sopratutto un nuovo alleato... chi sarà? Si accettano proposte e scommesse gente!

Per il resto penso che il capito sia abbastanza esplicativo, ma per qualsiasi dubbio o domanda non esitate a contattarmi! 
Io passo a ringraziarvi per la pazienza e il sostegno che sempre mi dimostrate (anche chi semplicemente si sofferma a leggere), sopratutto i miei FANTASTICI RECENSORI sia qui che su FB che mi fanno sempre conoscere la loro opinione e mi danno la forza per continuare a scrivere con le loro parole!
Come avete visto purtroppo questo capitolo è uscito in ritardo rispetto alla data prestabilita, vi avverto che potrebbe non essere l'ultima volta purtroppo gli impegni sia lavorativi che di altro genere sono quelli che sono e per questo vi invito a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" dove solitamente posto avvisi ed aggiornamenti! Vi do appuntamento a SABATO 29 LUGLIO (tra due settimane), la risposta alle recensioni del capitolo 14 sarà inviata tra LUNEDI' e MARTEDI', grazie per la comprensione!

Vi auguro un buon weekend, a presto!


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Capitolo 16
*** Ombre ***


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Capitolo Sedici: Ombre

L'unico modo per liberarsi di un'ombra è spegnere la luce,

smettere di fuggire all'oscurità

e affrontare ciò di cui si ha paura a testa alta”

~ Meredith Grey, “Grey's Anatomy”




«Chiaro o scuro?»

«Vogliamo davvero intraprendere questa conversazione?»

«Laura propende per il parquet chiaro ma io lo vorrei scuro» insisté Clint ignorando il commento dell'amica e madrina dell'ultimo nato di casa Barton.

Natasha alzò lo sguardo al tettuccio dell'auto su cui viaggiavano;

«Chiaro! La polvere si vede subito con il parquet scuro...» replicò stringendosi nelle spalle.

«Non credevo te ne intendessi di queste cose» scherzò l'arciere;

«Cosa non ti insegna la vita. Parcheggia pure qui».

Clint seguì quanto detto ed accosto il SUV scuro. I due Avengers si scambiarono un cenno d'assenso;

«Ti aspetto qui»

«Per quanto detesti avere una balia ovunque vada... Grazie.» ed uscì.


L'ingresso della casa di riposo era luminoso e ben curato ed alla reception l'accolsero con un sorriso.

«E' qui per vedere la signora Carter?» Natasha annuì «L'infermiera l'accompagnerà, prego».

L'infermiera non appena la vide sorrise cortese;

«Signorina Romanoff buongiorno. Alla signora farà sicuramente piacere la sua visita. Il signor Rogers non è con lei?».

La mascella di Vedova Nera si irrigidì impercettibilmente;

«E' impegnato» rispose liquidando la faccenda «Come sta oggi?»

«E' in una buona giornata» affermò la donna comprendendo al volo a cosa si riferisse.

Natasha annuì ed aprì con sicurezza la porta della stanza. L'anziana signora sedeva compostamente nel letto, il volto solcato da rughe era riposato e curato, i capelli candidi e soffici già in ordine. La camera era immersa in una luce calda dai toni aranciati, una fragranza leggera e dolce impregnava ogni cosa.

«Buongiorno Peggy» esordì la russa con un sorriso delicato.

Peggy Carter si voltò verso di lei, il suo sguardo si fece confuso per qualche istante, come se la stesse mettendo a fuoco, poi il suo viso si illuminò e il sorriso più sincero le dipinse le labbra.

«Natasha! Mia cara accomodati, che piacere averti qui» replicò con rinnovato vigore, osservandola attentamente mentre prendeva posto sulla poltrona accanto a lei.

«Mi spiace aver fatto passare del tempo dalla mia ultima visita...»;

la Carter sventolò delicatamente la mano in aria senza perdere il sorriso;

«Non dire così. Lo so bene che la vostra non è una vita semplice – il suo sguardo si fece più vivo e sereno – la gravidanza ti dona, mia cara» asserì sincera.

Natasha scosse il capo divertita;

«Ti ringrazio. Ma il sentirsi incinta non lo definirei altrettanto piacevole.» infilò la mano nella tasca del parka ed estrasse una paio di foto «Tieni. Sono le immagini dell'ultima ecografia, ho immaginato ti facesse piacere» asserì porgendogliele.

L'anziana Carter le osservò con cura, come fosse qualcosa a cui dare la sua massima attenzione; poi sollevò le sue iridi scure in quelle chiare della russa «Ma guardatelo, sembra in salute» affermò dolcemente, sfiorando con le dita magre e tremanti il profilo del bambino.

«Lo è» concordò Natasha, gli occhi leggermente lucidi; Peggy indugiò sui tratti del volto «Cosa ti turba?». Difficile che allo sguardo attento di Peggy Carter sfuggisse qualcosa.

La spia inclinò il capo e lo scosse impercettibilmente «Non riesco a percepirlo...»;

«La dottoressa cosa dice a riguardo?»

«Data la situazione è abbastanza normale... Ma non posso fare a meno di chiedermi-» Peggy levò la mano in aria come a volerla fermare;

«Mia cara c'è un motivo se esiste il detto “dai tempo al tempo” - sorrise benevola – Non ti devi sentire sbagliata, non ve n'è alcun motivo. Il bambino è sano? Sì. La dottoressa è allarmata? No. E allora non hai ragione di preoccuparti. Cosa ti dice l'istinto?» chiese seria.

Natasha puntò lo sguardo altrove e rimase in silenzio per qualche istante;

«Non saprei... Pensavo di potermi fidare, ma non ne sono poi così certa-» affermò con un sorriso amaro e triste. Peggy le afferrò gentilmente le mani e le tenne strette;

«Non dirlo mai. L'istinto a volte è l'unica arma che ci rimane, so chi sei Natasha Romanoff e l'istinto resta sempre e comunque il tuo alleato più prezioso».

La russa annuì dopo qualche tentennamento, ma in fondo grata di quelle parole. Lentamente, come un serpente che avvolge piano ma ineluttabile la propria preda, così il seme dell'incertezza più cupa aveva iniziato ad avvolgerla e tutto ciò che aveva faticosamente creato le appariva ogni giorno quanto mai fragile.

Si sentiva annaspare, costretta in panchina, camminava su un filo che avvertiva disfarsi ogni attimo di più, come se fosse stata di vetro e sul punto di frantumarsi; ogni mattina apriva gli occhi e doveva lottare per non andare in mille pezzi, osservava l'uomo che amava e non poteva fare a meno di percepirlo distante, imprigionato nel suo essere Captain America, sempre più nervoso, costantemente preoccupato per la sua sicurezza ed accecato dall'idea di sconfiggere l'HYDRA prima che potesse arrivare a loro. Da quando Bucky se n'era andato, ormai quasi un mese prima, non si era dato pace nemmeno per un attimo. Ma la verità era che anche lui stava inesorabilmente affogando.

Da quanto tempo non si abbandonavano l'uno all'altra? Quanto era passato dall'ultimo momento solo per loro? Lei crollava sempre per prima, sfinita dal dolore e dalla lotta interiore che la stata divorando, lui si coricava molto più tardi logorato nella mente – a volte senza nemmeno darsi la pena di togliersi la divisa – e si alzava presto, spesso prima che il sole sorgesse.

Il freddo la circondava non solo esteriormente ma anche dall'interno; suo figlio, pur crescendo sano, era muto e lei non poteva fare a meno di avvertire il gelo dentro di sé. Si sentiva tutto fuorché una madre...

«Come sta Sharon?» le chiese, il tono leggermente più cupo. Natasha abbandonò quei pensieri fastidiosi e constatò che purtroppo Peggy non aveva dimenticato ciò che era accaduto alla nipote.

«Sharon è una ragazza forte, Peggy. Ha preso da te in questo. Sta facendo del suo meglio per venire a capo della verità» asserì sicura. Ed era vero; l'agente 13 visitava regolarmente il Playground, aveva stretto un contatto con il Winter Soldier N, era l'unica con cui non desse di matto nei pochi momenti in cui non era sedato, anche se per la maggior parte del tempo farfugliava parole in russo e stralci di vecchi ordini ma lei continuava a non mollare. Ma non era semplicemente perché N poteva essere la chiave per carpire i segreti dell'HYDRA, Natasha sapeva che la ragione era anche un'altra: la ferita incisa nel petto di Sharon continuava a sanguinare, se con James poteva aver fallito, o meglio lei sentiva di averlo fatto, non lo avrebbe permesso una seconda volta. N forse poteva essere una sorta di surrogato di James, ma se quella era una delle ragioni che la spingeva ad alzarsi ogni giorno, Natasha non era nessuno per giudicarla. La capiva.

Il volto di Peggy si distese a quelle parole;

«La mia Sharon, quando era una bambina sua madre viveva nel timore che prendesse da me più del necessario – ridacchiò sinceramente divertita – i suoi timori erano fondati. Ti prenderai lo stesso cura di lei, Natasha?» un breve ma potente attacco di tosse la colpì e la russa le passò premurosa, un bicchiere d'acqua fresca.

«Certo. Steve ti manda i suoi saluti, promette che passerà presto». Natasha osservò gli occhi scuri dell'anziana donna illuminarsi; c'era stato un tempo in cui quello sguardo la metteva segretamente a disagio. La prima volta che Steve le aveva proposto di conoscere Peggy alla spia si era chiuso lo stomaco, quello era un confronto che non voleva avere. Era perfettamente conscia che i suoi timori erano del tutto irrazionali e non poteva certo sentirsi minacciata davanti ad un'anziana signora che aveva vissuto la sua vita in modo pieno e degno, ma non poteva certo ignorare che quell'anziana signora era pur sempre Peggy Carter, primo grande amore di Steve Rogers.

Natasha era in grado difendersi da qualunque cosa e da chiunque, ma dagli infidi mostri della gelosia che avevano preso possesso della sua mente, oh da loro no.

Ma quando si erano ritrovate faccia a faccia, i suoi demoni si erano immediatamente ritirati davanti allo sguardo luminoso e sincero di Peggy, semplicemente felice. Felice che Steve avesse iniziato a vivere la sua vita e non essere più solo Captain America, un simbolo, un ideale ma un uomo.

Natasha si era sentita meschina difronte a lei, che non aveva mai voluto altro che la pace per quel soldato che aveva amato con lealtà e tenerezza. Non erano poi così diverse, si era detta, entrambe avevano sempre voluto la medesima cosa per Steve. Ed in quel momento, finalmente, aveva sorriso, grata a quella donna straordinaria per tutto ciò che, inconsapevolmente, aveva fatto per loro; si erano scambiate uno sguardo in silenzio seguito da un piccolo ma deciso cenno, una muta promessa che Natasha avrebbe rispettato fin che avesse avuto fiato in corpo.

«Non c'è fretta mia cara, se solo noi fossimo stati più accorti e non avessimo contribuito a rendere il mondo com'è oggi non sareste in questa situazione...» mormorò Peggy stanca, Natasha si limitò a stringerle le mani e scuotere il capo dolcemente.

«Come sta?»;

«Stanco» rispose amaramente la russa «Lui nemmeno se ne rende conto – sorrise appena – è Steve, è Captain America fa ciò che è nella sua natura fare...»

Peggy sorrise comprensiva.

«Allora ricordagli di respirare ogni tanto...» Natasha annuì divertita, poi notò lo sguardo della donna appannarsi per qualche istante...

«Natasha? La gravidanza ti dona mia cara! A che mese sei?» domandò allegra Peggy come se la vedesse per la prima volta. Natasha fece un piccolo sospiro e stirò le labbra in un sorriso paziente.

«Ciao Peggy...».


Natasha uscì dalla clinica un'ora più tardi, risalì in auto e Clint mise in moto direzione Avengers Tower.

«Nat. Hai notato-»

«Il furgone bianco che ci segue da quando siamo ripartiti?» lo anticipò Natasha con tono piatto. L'arciere annuì fissandola.

«Non è lo S.H.I.E.L.D. vero?»

«Invio un'allerta» rispose Clint sospirando;

«Seminali» replicò la russa con espressione seria.

E ci provarono, Occhio di Falco premette l'acceleratore e senza scrupoli sfrecciò in mezzo al traffico di New York. Ma avrebbero dovuto immaginare che quello non fosse l'unico mezzo a seguirli.

Vennero bloccati da altri due furgoni, blindati, che gli tagliarono la strada, costringendo Clint ad inchiodare di colpo tanto che l'auto fece quasi un testa coda.

Dai furgoni scesero diversi uomini, che avevano tutto l'aspetto di essere dei mercenari, armati.

«Nat-» tentennò Clint, ma lei respirò a fondo;

«Fai quel che devi».

L'arciere ingranò la retro per tentare di prendere una via di fuga ma il furgone bianco, che li stava pedinando, gli arrivò dietro e lo urtò costringendoli ad arrestarsi. I mercenari intanto puntarono i loro fucili alle gomme del loro SUV blindato e dopo diversi tentativi riuscirono a forarle.

«Armi?» domandò a quel punto Natasha respirando a fondo. La loro auto era blindata, questo era vero ma non avrebbero potuto durare lì dentro per sempre e prima o poi il telaio e i vetri avrebbero ceduto inevitabilmente.

«Contatto la Tower» replicò l'arciere, si bloccò improvvisamente guardando l'amica in faccia.

«Non dirmelo. Hanno schermato l'area? - inspirò infastidita – beh siamo a New York non ci metteranno molto a capire che sta succedendo...»

«Dobbiamo solo resistere, okay Nat?» le mormorò Clint. Mentre i loro nemici all'esterno avevano iniziato a trivellare la loro auto, il loro unico rifugio, di colpi.

Natasha sapeva cosa gli stava indirettamente dicendo l'arciere. Erano loro due e, almeno per il momento, nessuno poteva aiutarli. In una qualsiasi altra circostanza questo non sarebbe stato un problema, erano tra i migliori in circolazione, addestrati, preparati e lei non si sarebbe fatta alcuno scrupolo. Ma ora il solo rischiare di restare ferita la paralizzava dentro; lei era una spia... E anche se per gente come lei la sopravvivenza era una questione fondamentale, la possibilità di rimanere ferita era comunque qualcosa che rientrava nel pacchetto e di questo non ne aveva mai avuto paura. Ma ora era diverso; al tempo stesso non poteva lasciare che Clint facesse tutto da solo, anche lui aveva una famiglia da cui tornare. I patti fra loro due erano sempre stati chiari: proteggersi le spalle a vicenda, questo facevano e questo avrebbero sempre fatto. Doveva farlo, non solo per Clint ma per suo figlio, aveva giurato che nessuno l'avrebbe nemmeno sfiorato e avrebbe mantenuto quel giuramento a costo di mettere entrambi in pericolo.

Natasha chiuse gli occhi, si passò una mano sul ventre rigonfio e lo accarezzò piano. «быть сильной»[sii forte] mormorò.

«Passami quelle due» disse indicando le pistole che erano riposte sotto il sedile dietro.

«Sei sicura?» ribatté l'arciere guardandola con cipiglio grave. La russa annuì secca.


*


«Molto bene. Credo che per oggi possa bastare Jace» disse Steve rialzandosi insieme al quindicenne che annuiva soddisfatto dei propri progressi. Alexandra a pochi passi da loro si riprendeva dalla propria sessione di allenamento.

«Grazie Steve, ma vorrei continuare ancora un po'» replicò Jace pur rosso in viso e con i muscoli gonfi e tesi che iniziavano a lamentarsi per lo sforzo.

Il supersoldato si prese qualche attimo per osservarlo attentamente, lo sguardo del suo allievo era serio e deciso, malgrado le sue forze stessero iniziando a cedere i suoi occhi gli stavano dicendo che non era ancora il momento di smettere. Capiva molto bene il suo stato d'animo, lui provava esattamente lo stesso; per entrambi l'allontanamento di Bucky era stato l'ennesimo sputo in faccia ricevuto dalla vita, e malgrado ciò non avevano permesso a loro stessi di crollare.

Steve gli sorrise comprensivo, poi scosse il capo;

«Va bene così per oggi Jace, davvero. Anzi sono io doverti ringraziare-» l'espressione del giovane si fece confusa, ma il capitano si limitò a sorridergli. Quella sessione di allenamento era stata per lui una boccata d'aria. Vedere lui ed Alexandra così decisi e sopratutto così affiatati era stata una gioia per gli occhi, l'allenamento pur difficile era stato per certi versi divertente, con momenti di risate e condivisione ed in quel momento si era reso conto che aveva bisogno di avere più che mai un contatto con Natasha; nell'ultimo periodo era stato così concentrato nel tentare di scoprire i piani dell'HYDRA che si era allontanato da lei, quando invece entrambi avevano più bisogno l'uno dell'altra.

La porta della palestra si aprì di scatto e un Sam visibilmente preoccupato si affacciò trafelato.

«Steve...».


*


«Nat ore sei!» urlò Clint affrontando l'ennesimo mercenario, mentre Vedova Nera finite le munizioni si apprestava ad uno scontro corpo a corpo.

Natasha doveva finire l'avversario prima che questi si avvicinasse troppo a lei; purtroppo la pancia era ormai visibile, nulla poteva nasconderla. Durante i minuti seguenti allo scoppio dello scontro fra loro e i mercenari, aveva notato che essi non erano interessati a eliminarla fisicamente, sembrava più che volessero semplicemente stordirla, questo aveva fatto cementato, in lei, la certezza che mirassero al bambino. Non sembravano agenti dell'HYDRA ma sentiva che in qualche modo vi erano collegati.

Natasha afferrò il mercenario per le spalle e gli tirò una ginocchiata esattamente in mezzo alle gambe, riuscendo così a metterlo fuori gioco. Non poteva azzardare mosse complesse per non mettere il bambino ancora più a rischio di quanto non stesse già facendo. Le sembrava di battersi in una rissa da bar.

Si sentiva affaticata e le ossa le dolevano quasi avesse la febbre ma il suo spirito era forte.

«Okay, tieniti forte» mormorò parlando al figlio «Questo potrebbe far male» la spia si tenne pronta all'eventuale impatto con l'ennesimo mercenario;

«Natasha!» lo scudo circolare si frappose fra lei e il suo prossimo avversario abbattendosi su quest'ultimo.

Natasha voltò il capo vedendo Steve correre verso di lei;

«Alla tua sinistra!» all'avvertimento accorato del proprio compagno il suo corpo reagì per lei: parò il pugno col braccio e con una mossa semplice ma efficace se ne liberò; rapida scivolò verso lo scudo e lo usò per difendersi e respingere i colpi finché Steve non le fu quasi accanto ed insieme – com'erano ormai soliti fare – sconfissero gli ultimi rimasti in piedi. Con la coda dell'occhio vide Sam aiutare Clint mentre Maria e Holden eliminare i folli che ancora osavano contrattaccargli.

Natasha trasse un respiro sentendosi, dopo tanto tempo, libera dalla paura e dall'ansia. Aveva affrontato faccia a faccia i suoi avversari, e malgrado avesse rischiato davvero tanto nel farlo si sentiva bene. Non doveva più nascondersi, certo fino al momento della nascita non si sarebbe più arrischiata a tanto, ma almeno ora i suoi nemici lo sapevano: sapevano che non era debole, che lei era pronta ad affrontare tutto e tutti per il proprio figlio.

Si voltò verso Steve e si accorse che anche lui ora la stava fissando, i suoi occhi chiari pieni di cose da dire e di domande, ma lei si limitò ad afferrarlo per la nuca e a far congiungere le loro labbra in un bacio tanto atteso quanto appassionato. Grata che fosse al suo fianco ancora una volta, ora poteva affrontare qualsiasi sfida, poteva stargli accanto senza avere paura di se stessa e senza dover continuare a chiedersi se sarebbe stata abbastanza forte per portare a termine la gravidanza durante una guerra come quella che stavano affrontando. E questo dovette capirlo anche il bambino, perché finalmente concesse a sua madre la possibilità di sentirlo.

Le loro labbra erano ancora unite quando la russa dovette staccarsi improvvisamente, portandosi le mani al ventre, il respiro mozzato e gli occhi sgranati.

«Natasha?» urlò preoccupato Steve piegandosi su di lei con atteggiamento protettivo. La donna gli fece segno di quietarsi e dopo qualche istante gli afferrò le mani e le poggiò sulla propria pancia.

«Sta-?» sussurrò incredulo, l'espressione commossa. Si guardarono negli occhi e Natasha annuì;

«Sta scalciando» mormorò con un delicato sorriso. La piccola creatura che portava in grembo, ora le stava facendo sapere che anche lei era forte, stava bene. Chiuse gli occhi per qualche istante assaporando quella nuova sensazione e per alcuni istanti si sentì in pace.

Purtroppo la situazione in cui erano richiedeva la loro attenzione, si scambiarono un bacio veloce ed in silenzio, ma fianco a fianco, si diressero verso i loro compagni che tenevano uno dei mercenari inginocchiato fra loro.

«C'è una taglia sulla testa di vostro figlio» biascicò l'uomo divertito. Steve chiuse le mani a pugno ma mantenne un'espressione neutra e concentrata.

«E tu sai anche chi c'è l'ha messa» replicò Natasha con sguardo altero. Nonostante la mano chiusa sul ventre con fare protettivo, Vedova Nera sembrava una regina che torreggiava sul proprio suddito infedele.

«Ne verranno altri-»;

«Che vengano. Ciò che io voglio sapere è chi li manda».

Il mercenario sorrise mellifluo;

«Allegra Belgioioso ti porge i suoi saluti Natasha Alianovna Romanoff».

______________________________________________________________________Asia's Corner

E dunque eccoci tornati, dopo questa pausa estiva (che devo ammettere mi ha comportato più problemi che gioie ma questo è un altro discorso) con questo nuovo capitolo (lo so vi ho fatto attendere davvero troppo) ma che spero non vi deluda!
Allora abbiamo un bell'incontro tra Peggy e Natasha, e la adorata Peggy - per quanto la malattia glielo concede - sta sempre sul pezzo, qui ho voluto mostrarvi le ombre di Natasha, le paure e le incertezze che in questo momento sta affrontando, come d'altronde ogni Avengers (ma su questo avremo modo di tornare nei prossimi capitoli).
E alla fine di questo capitolo scopriamo anche chi altro minaccia la vita degli Avengers, rullo di tamburi ebbene sì, ladies & gentlemen Allegra Belgioioso è tornata! D'altronde il suo primo incontro con gli Avengers gli è costato davvero caro, mica pensavate che se ne sarebbe stata buona buona dopo che questi le avevano rovinato gli affari!? Oh nonono!
Un'altra pedina è entrata in questa grande scacchiera... e promette di giocare pesante! Cosa ne pensate di questa sua mossa? Sono davvero curiosa! :)

Bene detto questo passo a darvi un'importante informazione, riguardante gli AGGIORNAMENTI. Allora vi ho riflettuto e visto al momento come stanno andando le cose ora ho deciso di postare un nuovo capitolo OGNI 3 SETTIMANE! Lo so, molti di voi non ne saranno felici ma questa scelta l'ho fatta per ASSICURARVI con maggiore serenità degli aggiornamenti! Purtroppo vuoi per una cosa vuoi per l'altra gli ultimi capitoli postati sono sempre usciti con qualche giorno di ritardo e con me che mi sentivo uno schifo ed arrivavo sempre tirata. Quindi, almeno per il momento (potrebbe non essere una decisione definitiva) ho deciso di spostare l'uscita dei nuovi capitoli; spero che comprendiate e abbiate pazienza!

Io per il momento vi saluto e vi ringrazio davvero tantissimo per la pazienza che avete avuto in questo periodo e per il supporto che mai mi è stato fatto mancare! RINGRAZIO MOLTISSIMO TUTTI VOI che seguite questa ff, che commentate o che leggete semplicemente :)
Ci vediamo fra tre settimane: SABATO 23 SETTEMBRE!

ps. Risponderò alle recensioni del capitolo 15 entro sabato 09! 
pps. Per qualsiasi informazione vi invito a mettere mi piace alla mia pagina FB "Asia Dreamcatcher"

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Capitolo 17
*** Legami ***


17
http://i1171.photobucket.com/albums/r557/JasmineL211/DE01_2.jpg






Capitolo Diciassette: Legami

Love: it will kill you and save you,

both”

~ Lauren Olivier



«Scoperto qualcosa?»

Sharon Carter si accomodò sul grande letto su cui Natasha Romanoff sedeva a gambe incrociate; una mano accarezzava con dolcezza il ventre, ormai prominente e rotondo, l'altra invece passava dal tablet ad alcuni fogli svolazzanti.

«Guarda tu stessa...» rispose la russa, passandole dei file cartacei.

La bionda li lesse con attenzione, aggrottò la fronte in un'espressione sorpresa;

«Scherma e Aikido...»

«La scherma la pratica fin da bambina e con risultati quasi da olimpiade, ha iniziato Aikido dopo un tentativo di rapimento all'età di tredici anni» spiegò Natasha pensierosa «Questo mi dice qualcosa in più sulla sua personalità». Sharon la guardò incuriosita;

«Lo scopo dell'Aikido è qualcosa di più del puro combattimento o della difesa personale, ma mira a quella che viene chiamata la “corretta vittoria”: la padronanza di se stessi. Non è una sprovveduta, è più preparata di quanto lasci a pensare, sa esattamente ciò che vuole»

«E' lei che comanda in famiglia, te lo posso assicurare.» le fece eco Sharon, richiamando alla mente i ricordi dell'asta a Venezia «Non che il fratello sembri apprezzare, pensa di essere lui in vantaggio e lei glielo lascia credere. Da quanto ho potuto vedere è una che sa attendere il proprio momento, se capisci cosa intendo.»

«Agisce nell'ombra e sa aspettare. Bene, ci serviva proprio una persona del genere ad ingrossare le fila nemiche...»

«Legami con l'HYDRA?»

«Non ne sono certa. Forse ha semplicemente visto un'occasione di arricchirsi sulla pelle di mio figlio- e per questo penso che l'HYDRA centri qualcosa. Loro ne sono a conoscenza.» mormorò con sguardo freddo.

Sharon strinse le labbra arrabbiata, le prese la mano stringendola con dolcezza e fermezza cercando di trasmetterle tutto il suo sostegno.

Steve uscì in quel momento dal bagno personale, infilandosi distrattamente la maglietta. Dal suo sguardo, Natasha intuì che doveva aver ascoltato la fine del discorso.

Il capitano fece il girò del letto, sedendosi sul bordo accanto a lei, le baciò la tempia poi passò una mano sul ventre percependo i movimenti del bambino, che iniziarono a concentrarsi sotto il suo palmo caldo; quasi suo figlio volesse fargli capire che stava avvertendo la sua presenza.

«E' più calmo quando ci sei tu...» rifletté lei, accomodandosi meglio sui cuscini. Dopo quello che era successo, la dottoressa Montgomery le aveva intimato giorni di riposo assoluto. Steve aveva preso le sue parole come un'ordine venuto direttamente da Dio.

Natasha malgrado tutto, era contenta di poter sentire i movimenti del piccolo: aveva capito che gli piaceva il suono della sua voce, perché mentre parlava lo avvertiva tendersi come se fosse in ascolto; quando c'era Steve si quietava, rilassandosi; mentre quando entrambi poggiavano le mani sul grembo si agitava, come se cercasse un contatto.

Lui le sorrise brevemente mentre il suo cuore di futuro papà batteva più forte che mai nel petto.

«Dovresti riposare Nat, lo sai-» le ricordò, mentre la compagna alzò pigramente un sopracciglio ed arricciò le labbra;

«Sono bloccata a letto da un intero giorno e l'unico movimento che tu amore, mi permetti così generosamente di fare è il tragitto verso il bagno. Io sto riposando! Non mi alzo nemmeno per mangiare, visto tu così amorevolmente provvedi al nutrimento mio e di nostro figlio! Non credi mi stia già sforzando abbastanza?» replicò con tono fintamente angelico dietro cui si nascondeva una vaga nota omicida. Ogni “tu” pareva un'accusa bella e buona.

Steve inspirò pesantemente, mentre con lo sguardo cercava l'appoggio di Sharon, che ovviamente non ci pensava nemmeno a contraddire l'amica. Ogni giorno che passava, fra le due donne si creava un legame sempre più complice.

Decise di alzare bandiera bianca e si limitò ad accostarsi a Natasha, poi si rivolse a Sharon;

«Notizie riguardo a N?» chiese speranzoso.

La bionda agente si intristì appena, visitava ormai regolarmente quello che lei non considerava nemmeno più un prigioniero, ma con scarsi risultati. N aveva stabilito un contatto con lei ma purtroppo tutto ciò che faceva era farfugliare: continuava a pronunciare sempre le stesse parole in russo, raramente ricordava qualche buia giornata passata come cavia dell'HYDRA e aveva preso a ripetere la parola “sin” ovvero “peccato”. Sharon non comprendeva, che fosse una richiesta d'assoluzione?

«Nessuna novità sotto quel fronte. È confuso, oserei dire quasi impaurito. Coulson sta cercando con l'equipe medica di trovare un modo per rendere più stabile il suo cervello ma con scarsi risultati, sarebbe più semplice se sapessero che metodi ha usato l'HYDRA per distruggergli la mente in quel modo» sospirò amareggiata. Tornava sempre più depressa da quelle visite, non si confidava con nessuno riguardo al suo stato d'animo, nessuno tranne Natasha.

Le due infatti si scambiarono un'occhiata significativa e Sharon si strinse nelle spalle.

L'espressione di Steve si fece cupa;

«Il loro sprezzo per l'essere umano non ha limiti» il suo riferimento a Bucky era evidente.

Sharon abbassò lo sguardo, per impedire che vedessero nei suoi occhi lo smarrimento e il dolore che il suo intero essere, anima e corpo, provava. Non poteva che essere d'accordo con Steve. James e poi N. Per lei era un'esperienza terribile vedere il Winter Soldier, ogni notte sognava che fosse Bucky quell'anima agonizzante e devastata incatenata al letto d'ospedale per evitare non solo che ferisse gli altri, ma anche se stesso. Forse era lei quella davvero malata, che si torturava nel visitare quel ragazzo che gli ricordava tremendamente l'uomo che amava; l'unico modo per sentirlo ancora vicino. Era una masochista, ecco cos'era; una dannata masochista.

Era tremendamente arrabbiata con James, la voglia di prenderlo a pugni era proporzionata alla voglia di soffocarlo di baci se mai fosse tornato. Il suo cuore sussultò a quel pensiero: sarebbe mai tornato?

Natasha strinse il braccio di Steve per farlo tornare alla realtà e al tempo stesso fargli notare Sharon, che ancora rimuginava sulle sue parole.

Il supersoldato si sentì male, sapeva che non era l'unico a provare dolore. Non era l'unica anima strappata in quella stanza. Lui, Sharon, Jace, ma anche Sam – che aveva instaurato un forte legame con Bucky sopratutto negli ultimi tempi – Natasha, Alexandra...

«Sharon-» la richiamò lui «Grazie per quello che stai facendo.» la bionda sorrise tremula, mentre Natasha la osservava con attenzione, i loro sguardi si incrociarono e si misero tacitamente d'accordo.

«Ora meglio che vada a vedere come sta Jace» disse volendo lasciare alla coppia un po' di intimità.

«Sharon, sono quasi certo che lui abbia un piano» replicò Steve, forse per rincuorare entrambi.

Sulla soglia della porta l'agente 13 annuì;

«E' meglio per lui».

«Come sta?» domandò una volta uscita.

Natasha spostò lo sguardo sulla porta chiusa;

«E' dura – disse scuotendo il capo – come per ognuno di noi».

Steve le prese gentilmente il volto fra le dita, sollevandoglielo perché così i loro occhi potessero incontrarsi.

«Tu come stai? Come state?» il suo sguardo era intenso, calmo e profondo. Natasha si sentì sciogliere.

«Stiamo bene Steve» lo rassicurò lei, sapeva che aveva bisogno di sentirlo, doveva sapere che la sua famiglia era – per quanto possibile – al sicuro.

Chiuse gli occhi per un istante, annuendo, la fece distendere stringendosela contro, la sua schiena perfettamente adagiata contro il petto.

«Mi sei mancata-» sussurrò nascondendo il viso fra i suoi rossi capelli ed inspirando il suo profumo a pieni polmoni.

«E' possibile essere vicini e al tempo stesso così distanti?» domandò amareggiato.

Natasha voltò il capo cercando un contatto più intenso con le sue labbra.

«Stavi cercando di tenerci tutti al sicuro» gli fece notare lei;

«Non ho fatto un buon lavoro, mi pare?» sbuffò sconsolato, avvertì la sua mano accarezzargli il volto, la pelle scottava dove lei lo toccava, si godette fino in fondo quel contatto.

«Non siamo deboli ed indifesi. Cercare di tenere tutto sotto controllo ti sta logorando...»

«Non so come altro fare!»

«Non sei l'unico che sta combattendo, e ogni tanto anch'io ho bisogno del mio capitano...»

«E' un'ammissione la tua?» replicò lui con un sorriso, la osservò roteare gli occhi;

«Non ti ci abituare! Anche questo piccoletto ha bisogno di te» sussurrò divertita, per tutta risposta il bambino scalciò.

«Ouch! - si lamentò Natasha – credo mi abbia appena dato ragione».

Steve sorrise e lei con lui. Dio, solo ora si rese conto di quanto avesse bisogno di quei momenti, solo loro due, complici come sempre. Ecco perché combatteva; stare con Natasha lo rigenerava e al tempo stesso lo spronava.

Lei era come sempre bellissima e sensuale, malgrado la gravidanza la stesse mettendo alla prova fisicamente, lui continuava a trovarla irresistibile.

«Pensi che intuisca ciò che diciamo?»;

«Se ha ereditato la mia intelligenza siamo nei guai» rispose con un guizzo di genuino divertimento negli occhi;

«Modesta» la rimbeccò lui con uno sguardo luminoso. La sua mano corse al ventre di Natasha e lei sentì il figlio quietarsi, un solo arto – probabilmente la mano – a premere dolcemente contro il grembo seguendo quella del padre.

«Mi spiace aver fatto aspettare te e la mamma. Ora sono qui-» si scambiò uno sguardo con Natasha, che gli fece un cenno d'incoraggiamento e lui proseguì con voce lievemente emozionata «Papà è qui».


Jace si frizionò i capelli con l'asciugamano mentre si dirigeva in camera. Sospirò non c'era nulla di più bello di una doccia calda dopo un allenamento ad alta intensità – come si erano dimostrati ormai tutti i suoi ultimi allenamenti -.

Sulla soglia della propria stanza si arrestò e trattenne il respiro per non farsi scoprire subito. Sharon sedeva sul suo letto, i capelli color miele le accarezzavano gentilmente il viso e le spalle, i suoi occhi osservavano intensamente la foto, che aveva preso dal comodino, che ritraeva lei, Jace e James insieme sulla spiaggia di Coney Island. Ricordava distintamente quella giornata, avvenuta qualche giorno dopo il loro ritorno dalla Russia; Sharon si era fatta coraggio ed aveva preso per mano Bucky, lui non l'aveva lasciata per tutta la giornata.

«E' stata una bella giornata» esordì lei con tono malinconico, che gli fece stringere il cuore. Aveva sempre saputo che lui era lì.

«Ne avremo altre così» replicò deciso avvicinandosi a lei.

Sharon lo guardò con espressione dolce e mise la foto al suo posto, accanto a quella che lo ritraeva con i suoi genitori.

«Come stai?» gli domandò;

«Ho le ossa a pezzi, mi lamentavo di Maria ma almeno lei non si diverte come Clint a farci sputare sangue, e dopodomani ho compito di letteratura russa! Perché ho deciso di fare russo!?» si lamentò Jace, facendo però ridere Sharon.

«Natasha sarà ben disposta a darti una mano. Quante finte frecce di Clint sei riuscito ad evitare stavolta?»

«Due in più dell'ultimo allenamento!». Sharon finse di rifletterci e poi si aprì ad un sorrisetto;

«Quindi due!»

«Ehi! Lui è Occhio di Falco, mira infallibile, presente?» si indignò lui mentre la bionda gli scompigliava affettuosamente i capelli. La sua mano poi scivolò sul viso ed iniziò ad accarezzarglielo piano;

«Sei forte Jace» affermò guardandolo con occhi orgogliosi, profondi «Mi dispiace che tu debba passare tutto questo, mi dispiace-» il suo sguardo si incrinò improvvisamente.

Il quindicenne le poggiò il capo sulla spalla;

«Voi mi avete dato più di quanto potessi mai sperare di avere ancora» replicò commosso, avvertendo la tristezza di Sharon come un marchio sulla sua pelle.

«Lui tornerà» continuò convinto.

La donna gli posò un bacio fra i capelli ribelli;

«Grazie» gli sussurrò, lo accarezzò un'ultima volta prima di alzarsi.

Jace la osservò per un istante poi sentì l'impellente bisogno di dirgli una cosa;

«Sharon... M- Mi piace quando mi abbracci, sa di... mamma» affermò con un sorriso sincero.

Sharon rimase per un attimo interdetta poi il sorriso più candido e felice le illuminò il volto.

«Cerca di riposare» disse dolcemente prima di andarsene.

Passò poco tempo, prima che un timido bussare colse l'attenzione del ragazzo;

«Sì?».

Alexandra entrò con passo leggero, un'enorme felpa ad avvolgere il corpo snello, i lunghi capelli leggermente ondulati danzavano intorno al volto, lambendole la vita. Arrossì vistosamente mentre Jace incurante si infilava la maglietta, coprendo il fisico scattante con i muscoli che iniziavano piano piano a definirsi. Con un gesto la invitò a sedersi sul letto, accanto a lui.

La ragazzina scrollò le spalle e si accomodò, le lunghe gambe pallide sfiorarono quelle di lui.

«E' passata Sharon...»

«Come sta?» gli chiese sinceramente preoccupata. Lei e Jace si scambiarono un'occhiata e capì.

«Mi dispiace Ace.» mormorò. Lui le prese la mano ed iniziò a giocherellare con le sue dita con sguardo apparentemente perso, era un contatto delicato ma piacevole. Alex avvertì il proprio cuore perdere un battito, ma non si sottrasse, lasciò che il capo si abbandonasse sulla sua spalla. Le piaceva il silenzio fra loro, non era mai imbarazzato o pesante, era semplicemente pura quiete.

«Le ho detto che tornerà» disse lui improvvisamente;

«Perché?» la sua era genuina curiosità.

Jace adorava Alexandra anche per questo: lei aveva la rara dote di chiedere ed ascoltare prima di esprimere un giudizio.

Lui si chinò verso il comodino e dal cassetto estrasse una cornice vuota.

«Per questo» rispose mettendogliela sotto il naso, Sasha lo osservò con interesse e lui proseguì;

«In questa cornice era contenuta una foto preziosa per Bucky, la tiene sul suo comodino, nel nostro appartamento. È una delle foto che Sharon gli ha regalato lo scorso Natale*, in questa foto ci siamo tutti noi-»;

Alexandra sorrise capendo cosa voleva dirgli l'amico. Si guardarono e lei sperò con tutto il cuore che quell'intuizione prima o poi si rivelasse corretta.


*


L'appartamento era immerso nella penombra, le fiamme del piccolo gas portatile e una candela malamente consumata erano le sue uniche fonti di luce.

Il dito metallico passò più volte sopra il medesimo punto della foto che reggeva, i cui bordi erano ormai consunti, come se in quel modo potesse accarezzare davvero quel volto. Come se lei potesse davvero percepire il suo tocco.

James Barnes emise un debole lamento, somigliante spaventosamente a quello di un animale ferito. I suoi occhi di ghiaccio rimasero puntati su quel rettangolo di carta tanto fragile quanto prezioso, che ritraeva la sua famiglia.

«Sharon» articolò con voce roca. Era come se pronunciare quel nome avesse il potere di portarlo lontano da quel luogo desolato, da quel paese in cui non avrebbe più dovuto rimetter piede, braccato dai suoi demoni. Si immaginò immerso fra le lenzuola dai tenui colori della loro stanza, i suoi occhi contemplare in adorazione il corpo nudo e deliziosamente arrossato di Sharon, a causa dell'amore che si erano donati a vicenda, si sporse verso di lei catturandole il volto con le mani e perdersi nei suoi occhi scuri ed innamorati.

Riaprì gli occhi di scatto, avvertendo la disperazione risalire dalla bocca dello stomaco e trasformarsi in un conato di vomito.

Guardò i volti delle persone a lui care per un'ultima volta, poi ripiegò con cura la foto e la infilò nella giacca della divisa, all'altezza del cuore. Si passò il viso sfatto con la mano. Quella ricerca doveva portare a qualcosa.

Improvvisamente un potente bussare alla porta lo colse impreparato. Si alzò di scatto e con i sensi all'erta. Rapido e silenzioso afferrò il fucile pronto ad affrontare chiunque si celasse oltre.


*


Sin entrò liberandosi del trench blu che frusciante cadde a terra, rivelando la sua sinuosa figura ammantata di nero. Prese posto sulla poltrona di pregiata pelle, nel lussuoso attico che godeva di una splendida vista della città sull'acqua: Venezia.

«Gentile da parte tua venirmi a prendere» esordì con voce graffiante Allegra Caterina Belgioioso, catturando l'attenzione e lo sguardo della figlia di Teschio Rosso.

Sin afferrò il calice di vino rosso che le porgevano, se lo portò alle labbra e ne gustò il sapore intenso e fruttato. Amava il vino rosso, così scuro le ricordava il sangue rappreso.

Le due giovani donne si osservarono attentamente. Nessuna delle due si fidava dell'altra: Allegra aveva perso l'asta a causa delle schermaglie fra l'HYDRA e gli Avengers e questo poneva il suo detestato fratello in una posizione di vantaggio, seppur lieve, rispetto a lei; Sin aveva sicuramente da rimproverare ad Allegra l'ingenuità con cui la sua famiglia si era fatta raggirare dagli Avengers permettendogli di infiltrarsi e mandando in fumo non solo l'acquisizione delle armi chitauriane ma la perdita di un Winter Soldiers, per cui lei aveva pagato sulla sua pelle. Entrambe quindi avevano, ognuna, la proprie ragioni per saltare al collo dell'altra, eppure ora si trovavano l'una di fronte all'altra in una sorta di stasi.

«Ho saputo ciò che è successo a New York. Sciocco da parte tua credere che dei banali mercenari potessero rapire Natasha Romanoff» celiò Sin con un sorriso sghembo, si era rivolta lei con lo stesso tono con cui una maestra si rivolge ad un bambino disubbidiente.

L'italiana non sembrò prendersela anzi sorrise, come se le sue parole l'avessero illuminata su un concetto di difficile comprensione; l'ironia era palese. Sin assottigliò lo sguardo.

«Ho voluto mandare un messaggio. La Romanoff è sempre stata una preda ambita, volevo solo ricordarle che non è intoccabile» spiegò alzando appena il calice. Perché cercare l'appoggio dell'HYDRA? Perchè gli Avengers valevano una miniera d'oro. C'era gente pronta a sborsare quantità inimmaginabili di denaro per le abilità di Tony Stark, o per la testa di Occhio di Falco o Captain America; per lei erano puri e semplici affari, loro erano la causa per cui Alessandro aveva riguadagnato terreno e qualcuno avrebbe pagato per quello. Nessuno sapeva com'era essere lei e nemmeno le interessava che qualcuno comprendesse la sua visione del mondo. Inoltre anche l'HYDRA aveva i suoi lati interessanti, segreti che avrebbe potuto rivendere a peso d'oro. Come quel soldato che le stava appresso la notte dell'asta, grazie ai video di sorveglianza aveva avuto modo di osservarlo e capire che era speciale quasi quanto James Barnes, Steve Rogers e Natasha Romanoff.

Doveva solo frenare ancora per un po' la sua sete di vendetta.

«Beh sono quasi certa che l'abbia recepito e non solo lei!» replicò Sin bevendo un ulteriore sorso di quel pregiato vino. Sorrise ferina. Le seccava ammetterlo ma l'appoggio di un membro della famiglia Belgioioso era essenziale, per quello che nella sua testa si stava delineando sempre più come qualcosa di necessario. Usare le sue risorse avrebbe potuto aprirle nuove opportunità, inoltre i nemici dei suoi nemici erano suoi amici. Doveva sfruttarla il più possibile prima di toglierla di mezzo; ma non doveva sottovalutarla, questo no.

Quella fra loro due sarebbe stata una magnifica quanto letale partita di scacchi.

«Mentre tu sguinzagli i più sanguinosi mercenari e assassini in circolazione perché mettano le mani sul prezioso figlio di Vedova Nera e Captain America, spero non ti dispiacerà se io continuo con la mia strategia: dividi et impera» continuò la figlia dell'HYDRA con tono falsamente accondiscendente.

Allegra pur intuendo lo sprezzo nel suo tono continuò a sorridere;

«Certo che no, mia cara. Dividi et impera!» replicò brindando con il suo calice.

Il loro sorriso era tra i più falsi del loro repertorio.

Allegra ingollò l'ultimo sorso prima di osservarla con rinnovato interesse;

«A proposito quali sono le vostre intenzioni con il bambino?».


*


K sollevò di scatto le palpebre ma impiegò alcuni secondi per mettere a fuoco la propria asfittica e grigia stanza. Qualcosa l'aveva disturbata dal suo sonno buio e senza sogni, poi lo sentì. Un tonfo, seguito da un altro e poi da un altro ancora; ecco cos'era stato a svegliarla.

Rimase immobile per un secondo ancora poi il suo cervello comprese e il suo petto ricevette una dolorosa stilettata.

No!

Si alzò di scatto e si precipitò nella stanza accanto alla sua e ciò che vide ebbe il potere di raggelarla. D sbatteva ripetutamente la testa contro la parete, imbrattando i suoi candidi capelli di inquietante rosso, mentre una risata cristallina e folle sfuggiva dalle sue labbra.

«D! Ora basta!» le urlò afferrandola per le spalle e allontanandola dalla parete, ringraziò che la padrona e lo stesso L non fossero presenti nell'edificio o le conseguenze sarebbero state tragiche.

«Va tutto bene. Va tutto bene» le sussurrò stringendola fra le sue braccia. La sua psiche era così fragile, sarebbe stato logico porre fine ad un essere così... inutile, eppure lei non ci riusciva. O meglio non voleva.

K la tenne stretta, facendola calmare nel modo più silenzioso possibile, se le avessero trovate in quella situazione- arrestò i suoi pensieri, non volendo spingersi oltre.

«K...» le voce della bionda era così spezzata e candida che la bruna ebbe un moto di fastidio «Mi dispiace» disse semplicemente, i suoi grandi occhi totalmente vacui.

K la baciò sulla ferita ancora fresca e le accarezzò il volto; le sue labbra si tesero appena all'insù in una pallida imitazione di un sorriso.

«Va tutto bene Didi. Sono qui. Non ti lascio» Era la verità, ormai era giunta al punto di non ritorno.



* vedi la mia storia “Il Natale che vorrei

______________________________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buongiorno a tutti voi miei cari lettori! Eccoci nuovamente qui con questo bel capitolo, un po' dolce un po' amaro! Come avete letto ho dato un po' di respiro ai sentimenti di alcuni protagonisti, entrando in alcune dinamiche: come ad esempio fra le due Winter Soldiers K e D; senza tralasciare la storia con l'incontro fra le due villains Sin e Allegra.
A tal proposito spero che vi siate goduti l'incontro-scontro fra le due, fra cui intercorre un sottile e fragile equilibrio, non si fidano e hanno ottimi motivi per scannarsi eppure decidano di lavorare insieme, solo perché ognuna spera di giungere prima al proprio obiettivo in modo da poter togliere di mezzo l'altra. E' quasi una sorta di gara!
Chi sarà, poi l'indivduo/a che ha osato disturbare il nostro povero Soldato d'Inverno? 

Ancora una volta spero di non avervi deluso e che il capitolo vi sia piaciuto! Vi ringrazio tantissimo per il continuo supporto e a tutti voi che seguite ed inserite questa storia nel varie liste! :)
Per il momento è tutto, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi e vi invito a mettere "mi piace" alla mia pagina fb "Asia Dreamcatcher"! Io vi saluto e vi do appuntamento tra 3 settimane: SABATO 14 OTTOBRE!

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Capitolo 18
*** Way down we go ***


18
Vorrei dedicare questo capitolo a Airaharune_99, doveva essere pubblicato il giorno del suo compleanno ma purtroppo non ci sono riuscita!
Anche se in ritardo, Buon Compleanno cara!

http://i1171.photobucket.com/albums/r557/JasmineL211/DE01_2.jpg






Capitolo Diciotto: Way down we go

'Cause they will run you down, down til the dark
Yes and they will run you down, down til you fall
And they will run you down, down til you go
Yeah so you can't crawl no more”

~ “Way down we go”, Kaleo

«Wilson! Alzati» trillò impaziente Maria Hill, piombando nella stanza, fasciata in un elegante e professionale tubino scuro. Già pronta per la giornata che doveva iniziare, lei.

Sam Wilson, al contrario, era sprofondato fra le lenzuola tanto che la sua figura era indistinguibile. Al richiamo dell'agente non si mosse.

La donna sbuffò spazientita ed entrò nella stanza ancora immersa nel buio.

«Wilson!» ancora nulla. Maria strinse gli occhi cerulei, ora leggermente – solo leggermente – preoccupata, sporgendosi verso l'ex pararescue.

«Sam?».

Improvvisamente il braccio di Falcon si mosse rapido a circondarle la vita e Maria si ritrovò intrappolata nel suo caldo abbraccio.

«Devo fingermi morto per farmi coccolare!?» esordì con voce assonata ma divertita.

Maria inspirò infastidita e lui ridacchiò non riuscendo a stare serio in quella situazione.

«Wilson, mi lasci andare?» chiese con tono perentorio, cercando di districarsi dalla presa dell'uomo, che però aumentò.

«No» replicò secco.

Se avesse voluto sarebbe riuscita a liberarsi, se avesse davvero voluto Maria si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata, non prima di aver sbattuto a terra il culo di Sam.

Ricadde, invece, con la testa sul cuscino e il suo corpo smise di lottare.

Era proprio questo il punto: lei non voleva. Perché? Non era riuscito a spiegarselo, Sam l'aveva presa quasi per sfinimento, eppure non riusciva a pentirsi di aver “ceduto” a quell'uomo che era praticamente il suo opposto. Non riusciva a nascondere le sue emozioni, non ne era minimamente in grado, tanto lei era emetica e schiva tanto lui era aperto e vivace.

Forse era stato proprio questo lato ad attrarla inconsciamente, voleva saggiare disperatamente quella luce da esserne rimasta intrappolata, come una sciocca falena bruciata dalla fiamma che tanto l'aveva incuriosita.

Lei era una spia e come tale aveva visto e fatto cose ignobili, in lei erano sepolti segreti che ad altri avrebbero fatto tremare l'animo, aveva consacrato se stessa ad un'ideale, ad un uomo che in pochissimo potevano comprendere. Tutto ciò le era sempre costato qualcosa; i sentimenti, la fiducia nel mondo...

Sam Wilson, nonostante fosse stato un soldato che aveva assistito in prima persona agli orrori della guerra e avesse perso una persona a lui davvero cara... continuava a possedere una sorta di ingenuità, di sana innocenza che non aveva mai scorto in nessuno prima di lui. Qualcosa che lei aveva perso molto tempo addietro e che lui, generoso e disinteressato, aveva deciso di condividere pazientemente, solo con lei.

«Ci stai rimuginando troppo» le disse Sam strappandola dai suoi pensieri.

Maria si voltò e lo fissò nei suoi grandi ed espressivi occhi scuri. Come faceva ad essere così? Rimase in silenzio, osservandolo semplicemente. Poi si sporse, piano con solennità ed accostò le sue labbra a quelle di Sam, in un bacio quasi impalpabile. La faccia di Falcon era puro stupore.

«E questo per cos'era?» domandò preso in contropiede.

Maria sollevò un sopracciglio;

«Ci stai pensando troppo Wilson!» affermò con tono vagamente divertito e con decisione si liberò dalla presa e come previsto, il culo di Sam Wilson finì a terra.


*


Skye sbattè più volte le palpebre, nel tentativo di reidratare i suoi occhi gonfi e stanchi. Forse per la prima volta in vita sua provava frustrazione verso un apparecchio elettronico, nello specifico il suo computer, non poteva fare a meno di sentirsi tradita dalla sua stessa abilità.

Erano giorni che lavorava su questa Annabeth Munroe, tanto che ormai sentiva quasi di conoscerla: aveva raccolto ogni possibile informazione su di lei e sul suo lavoro come hacker, - da cui era rimasta impressionata – scoprendo che aveva collaborato per qualche tempo con Rising Tide e fatto parte di Anonymus.

Avrebbe saputo riconoscere i programmi da lei usati ad occhi chiusi, ma sul dark web non c'era nulla che potesse essere ricollegato a lei o all'HYDRA, almeno non di recente.

Fu ripensando a ciò, che ebbe un'illuminazione. Si rese bruscamente conto di aver sempre cercato nel posto sbagliato.

Rapidamente Skye, guidata da chissà quale Furia, avviò un'analisi completa di tutti i computer presenti nel Playground. Avere accesso a tale potere le provocò un brivido, l'ennesima dimostrazione di quanto Coulson contasse su di lei.

Ci volle un po', ma una volta ultimata la scansione, Skye, con il viso praticamente incollato allo schermo, iniziò ad esaminare con accuratezza il responso.

I suoi occhi si accesero di soddisfazione;

«Beccata!».


*


Lo sguardo di Natasha si assottigliò, le iridi smeraldine furono attraversato da un lampo d'ira. Fu un attimo poi inspirò profondamente distogliendo l'attenzione dal foglio che aveva fra le mani.

«Shhh...» sussurrò toccandosi il ventre «Mamma sta bene» continuò rassicurando il bambino che da quasi sette mesi cresceva nella sua pancia. Almeno uno dei due doveva essere rassicurato e Natasha era semplicemente troppo cresciuta, troppo lei per esserlo.

«Nat siamo pronti!» trillò Alex entrando nella palestra insieme a Jace.

«Ti prego non farci morire» la supplicò il quindicenne, strappando un sorriso alla donna.

Non morirono, ma andarono molto vicini ad un collasso.

L'allenamento che impose la russa ai due giovani era duro, a tratti crudele, spinse i loro corpi al limite, ma con grande soddisfazione della donna i due reagirono meglio di quanto si aspettasse; anche se passarono un brutto quarto d'ora quando dovettero affrontare Clint e Sharon.

«Rivoglio Maria!» piagnucolò Sasha stesa a terra a braccia e gambe larghe, cercando inutile refrigerio sul pavimento della palestra.

Jace tentava di regolarizzare il respiro, provato come rare volte in vita sua; afferrò la mano dell'amica e l'aiutò a rimettersi in piedi mentre quest'ultima invocava pietà.

Natasha ghignò soddisfatta, mentre Sharon e Clint ridacchiavano compiaciuti, scambiandosi un'occhiata complice per nulla rassicurante.

«Dovete perdonarla ragazzi-» la voce profonda ma divertita di Steve attirò l'attenzione di tutti – aveva assistito a parte dell'allenamento dall'alto del ballatoio - «L'immobilità forzata la rende irritabile» concluse scoccando un'occhiata scherzosa all'amata compagna; in cambio si beccò una smorfia.

I due ragazzi si precipitarono da Steve con passo claudicante e lo abbracciarono come se avessero visto un angelo venire in loro soccorso.

Poco dopo lui e Natasha restarono soli.

«Dunque “irritabile” eh?» frecciò Vedova con un sorriso diabolico. Steve, mani sui fianchi, scosse il capo e l'abbracciò;

«Mi perdoni?»;

«Non saprei. Chiedo ai miei ormoni e ti faccio sapere!» replicò sarcastica. Il capitano le baciò una tempia ed a tradimento estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni il foglio stropicciato.

«Lo so che non sei irritabile, ma furiosa» ribatté serio. La donna distolse lo sguardo puntandolo sullo specchio e perdendosi nell'osservare il proprio profilo.

Tony e lo S.H.I.E.L.D. erano riusciti a trovarlo nel deep web. Era una taglia di milioni di dollari sulla sua testa, sua e di suo figlio. Vivi, consolante. Il loro bambino era diventato una delle prede più ambite da parte dei mercenari. Ancora prima di venire alla luce.

Allegra Belgioioso aveva emesso la sua stessa condanna a morte, Natasha sarebbe stata ben lieta di eseguire la sentenza con le sue stesse mani.

«Non ti fa bene-»;

«знай своего врага. [conosci il tuo nemico] Anche se fa male. Devo conoscere ogni sua mossa».

Steve annuì, sapeva che aveva ragione. La guardò negli occhi ed accarezzò delicatamente il suo grembo, la spia fremette a quel contatto.

«Forse c'è anche altro a cui dovresti pensare...»; Natasha lo osservò perplessa.

«Non abbiamo ancora iniziato a preparare la stanza per il bambino» disse con cautela.

Il cuore di Vedova Nera mancò di un battito. Aveva fatto di tutto per rimandare quel momento, perché? Paura. Detestava il fatto che fosse quello il motivo, eppure per mesi aveva avuto il terrore che suo figlio non ce la facesse, che non sopravvivesse. Una piccola parte di lei aveva ancora il timore che potesse morire durante il parto e per ciò aveva procrastinato ancora una volta. E se fosse davvero accaduto, come avrebbe potuto affrontare la vista di una stanza pronta per qualcuno a cui non era stata data nemmeno una possibilità?

«Ehi, Natasha... guardami, per favore» le sussurrò il supersoldato, con riluttanza la russa lasciò che i suoi occhi si incatenassero a quelli suoi cerulei.

«Credo di capire il motivo per cui tu non voglia occuparti di quella stanza, malgrado sia da mesi che Tony ce ne ha messo a disposizione una accanto alla nostra, non ci sei mai nemmeno entrata. Lo so che la tua non è una paura – a quella parola Natasha strinse impercettibilmente le labbra infastidita – infondata, ma devi iniziare a prendere in considerazione il fatto che avremo davvero un bambino, sano. Hai così poca fiducia in te? E in nostro figlio?» le domandò serio mentre lei si sentì morire. Perché era così restia a lasciarsi andare? Perché la sua vita non glielo aveva mai permesso... e quello che stavano affrontando in quel momento era solo una triste ed ulteriore conferma, e nonostante ciò esisteva una piccola oasi, un frammento sospeso che, malgrado i continui attacchi, ancora resisteva: il suo bambino. Avrebbe potuto perderlo quando aveva deciso di affrontare quei mercenari, ma non era successo. Doveva pur significare qualcosa?

Steve sospirò ed afferrò il suo cellulare, scorse con il dito e le mostrò una foto. Natasha sgranò gli occhi sorpresa; era una culla. Semplice, in legno ed ancora da mettere appunto, ma era a tutti gli effetti una bellissima culla.

«Clint mi ha dato una mano, l'ho iniziato da poco... Non immaginavo potesse essere anche terapeutico, non ci ho creduto finché Barton non mi ha messo una sega e delle assi in mano» le disse cercando di smorzare il tono alla fine.

Non sapeva cosa dire, era semplicemente spiazzata. Natasha spostò lo sguardo dalla foto a lui, che la fissava leggermente speranzoso; si rese conto che non poteva privarlo di ciò, non poteva negargli di creare qualcosa di così bello ed intimo per il proprio figlio e non poteva negarlo nemmeno a se stessa. Qualunque cosa sarebbe accaduta da quel momento in poi, suo figlio meritava uno spazio per lui. Non costruirgli una stanza, per quanto sembrasse insignificante, era come rifiutare la sua esistenza.

Lentamente Natasha prese un respiro;

«Forse dovrei permettere a Sharon di sistemare tutti quei vestitini che ha comprato e che crede non mi sia accorta, sono nascosti nel suo armadio» disse con un sorrisetto divertito. Il capitano la guardò sorpreso;

«Quanti ne ha presi?»

«Due borse».

Un sottile “wow” sfuggì dalle labbra di Steve, Natasha piegò appena il capo e restituì il cellulare al suo amato.

«E' bellissima Steve» mormorò cercando di nascondere la sua commozione, si sporse per depositargli un dolce bacio sulle labbra.

«D'accordo.» aggiunse poi semplicemente.

«Capitano Rogers? Signorina Romanoff?» si intromise la voce dell'AI JARVIS «E' richiesta la vostra presenza in soggiorno, la signorina Skye dello S.H.I.E.L.D. ha notizie per voi».


«Che succede?» chiese prontamente il capitano una volta giunto nel soggiorno.

Erano tutti presenti: Tony, Sam, Clint, Maria, JJ, Sharon e i due giovani Jace e Alexandra. Il viso di Coulson e quello di Melinda e Skye era proiettato nello schermo;

«Ci sono novità, potremmo finalmente avere una pista...» esordì il direttore «Skye?».

«Sì! Dunque dopo un'attenta analisi delle mosse da hacker di Annabeth Munroe, suggeritami dal signor Stark – il miliardario fece un irriverente inchino – ho ricontrollato tutti i computer dello S.H.I.E.L.D. stilando una lista di programmi installati dopo l'arrivo di quella schifosa doppiogiochista di Erica Holstein» notando le facce dei presenti la ragazza si schiarì la voce imbarazzata e proseguì «Dicevo? Ah giusto, ho riconosciuto uno dei programmi usati dalla Munroe per infiltrarsi nella nostra rete, una sorta di trojan horse e incredibilmente sono riuscita a risalire alla sua origine. Ovvero al luogo preciso di creazione di questo trojan!» concluse brillantemente.

«Ci stai dicendo che hai la posizione della Munroe? Ovvero un possibile nascondiglio dell'HYDRA?» chiese Maria.

«E' quello che sto dicendo sì. Però-»

«Però?» chiese Sam.

«C'è la possibilità che sia una trappola. Ho analizzato ogni attività di hackeraggio di Annabeth ed è davvero brava, non lascia tracce facilmente, quindi anche per me non sarebbe dovuto essere così semplice risalire all'origine di questo file virus, voglio dire potrebbero esserci due spiegazioni a riguardo-»

«O è una mossa dell'HYDRA per farci cadere in trappola, ancora; o Annabeth Munroe ci ha lasciato gentilmente una traccia» affermò Natasha con sicurezza. Skye annuì.

«Che si fa?» domandò quindi Sam notando come Holden si stesse sforzando di non saltare in piedi e correre a salvare la giovane hacker.

«Dove si troverebbe questo ipotetico nascondiglio?» chiese Steve;

«Nella Foresta Nera in Germania, capitano» rispose May; il supersoldato si scambiò uno sguardo con i propri compagni, Tony si strinse le spalle;

«Cinquanta e cinquanta ma credo abbiamo comunque un margine di effetto a sorpresa» ragionò lui.

Steve annuì poi portò il suo sguardo su Natasha, lei fece un lieve cenno con il capo;

«E' comunque qualcosa» mormorò. Era deciso dunque.

«Partenza in meno di un'ora. Maria ti considero dei nostri?» domandò; la donna annuì senza esitare, Sam rimase a fissarla senza dire una parola.

«Capitano – lo richiamò Coulson – ho predisposto che gli agenti Morse e Hunter vengano con voi»;

«Grazie Phil».

«Mi unirò a loro» asserì Melinda sorprendendo lievemente il direttore, ma lei non lo stava guardando, i suoi occhi erano concentrati su Natasha che annuì appena in un gesto di ringraziamento.

Steve si rivolse poi a Sharon e lei gli sorrise, avendo capito tutto.

«Tranquillo resto io con lei» lui sorrise grato.

Natasha si alzò e lo seguì;

«Steve lo sai, vero?»

«Lo so Natasha» replicò lui dolcemente perdendosi nei suoi occhi e cercando di imprimersi, come ogni volta, la sua immagine a fuoco nella testa. Le si avvicinò e la baciò con trasporto, poi si abbassò all'altezza del suo ventre «Torno presto, promesso» sussurrò. Un ultimo sguardo poi se ne andò.


*


Un sole pigro stava sorgendo, illuminando il fianco del Feldberg, la montagna più alta della Foresta Nera, in cui l'HYDRA aveva costruito la propria base. Fu un attimo e parve che la montagna intera tremasse.

Grant Ward stava per ritirarsi nella propria stanza dopo un turno di sorveglianza quando venne sorpresa da quella che pareva una scossa. Perplesso si precipitò nel corridoio che dava sul fianco della montagna e da dove si poteva ammirare un panorama mozzafiato, a cui l'HYDRA per ovvi motivi non aveva mai dato molto peso.

Quando Ward, attraverso gli oblò, vide Iron Man in persona volare da una parte all'altra e lanciare piccoli missili, capì che la loro base era stata compromessa. Iniziò a correre.

«Sin!» urlò precipitandosi nella sua camera personale.

«Che diamine sta succedendo?» sbraitò già vestita e con una furia omicida che dardeggiava nel suo sguardo.

«Gli Avengers alle porte» replicò Ward ricomponendo la propria espressione.

Sin strinse le labbra, come avevano potuto? No. Questo non era previsto! Era impossibile... Per un momento il caos più puro dominò i pensieri della figlia di Teschio Rosso, la rabbia stava minando il suo autocontrollo, se fosse stata sola avrebbe distrutto l'intera stanza, ma non poteva farsi vedere in quelle condizioni. Ne andava della sua credibilità come leader.

Scosse il capo per darsi un tono;

«Molto bene.» asserì glaciale «Schiera ogni agente a disposizione, dobbiamo trattenerli il più a lungo possibile, dì a quell'hacker buona a nulla di trasferire ogni file al quartier generale e dopo di ché avvia la sequenza di autodistruzione. Io e la nostra ospite ti aspetteremo all'hangar. Mi sono spiegata? E di a L che può divertirsi un po'».


«Oh oh. Pronti per la festa, gente?» urlò Tony penetrando finalmente nel fianco della montagna, seguito a ruota dal jet, pilotato da Clint e portando un bel po' di scompiglio nella base nemica.

«Tony voglio un'analisi dell'intera struttura. Nel frattempo procederemo con cautela. Sam controlla il perimetro esterno, comunica se vi sono anomalie e poi torna. Holden tu, Bobbi e Hunter occupatevi di Annabeth» ordinò Steve fissando per un attimo il giovane agente negli occhi «E' evidente che non erano preparati per un assalto perciò Annabeth ci ha fatto un enorme favore a rischio della sua stessa vita».

Holden annuì e poi fu il caos.


*


«Natasha?» domandò preoccupata Sharon mentre quest'ultima cercava stoicamente di resistere ai movimenti agitati del bambino.

«Sharon, parla al bambino!» sibilò.

«Cosa!?» chiese colta alla sprovvista;

«Sharon. - la richiamò seriamente – il padre di mio figlio è letteralmente dall'altra parte del mondo a contrastare una folle organizzazione criminale- ah! - una breve esclamazione di dolore le sfuggì dalle labbra – e tu immagini bene come questo mi faccia stare! E indovina un po'? Questo bambino sente tutto e quando dico tutto... intendo tutto!» concluse con tono sepolcrale, mentre avvertiva i suoi ormoni minacciare di sopraffarla.

«Ok!» disse la bionda, cercando di farla calmare «Ok!» scivolò a terra, trovandosi faccia a faccia con la pancia tondeggiante dell'amica «Ehm! Ciao sono... sono la zia Sharon! ...Nat io non so che dire!» bisbigliò poi.

«Continua stai andando bene» replicò la russa quasi senza starla a sentire;

«D'accordo» sospirò «Lo so che sei preoccupato per il papà ma... lui è davvero abile nel suo lavoro, è forte e coraggioso e se ha promesso che tornerà vedrai che lo farà. Perché lui rispetta le promesse fatte e non sparirebbe mai senza dire una parola come invece fanno certi uomini depressi che invece di stare accanto alle persone che amano ed affrontare ciò che è successo preferiscono sparire senza lasciare traccia per fare chissà cosa, facendo stare da schifo quelli che restano!!» terminò con tono infervorato, facendo piombare un silenzio denso subito dopo.

Natasha levò un sopracciglio verso l'alto e Sharon la guardò mortificata;

«Ehm ho esagerato?» chiese con tono innocente;

«Beh se ti fa stare meglio un po' ha funzionato» replicò Vedova alzando le spalle «Vieni, vediamo se è davvero terapeutico occuparmi della stanza di mio figlio.» poi guardò l'amica «Così potrai finalmente farmi vedere il contenuto di quelle due enormi borse che tieni nascoste nel tuo armadio» disse con un sorrisetto sghembo. Sharon ridacchiò colta in fallo;

«Sapevo che te ne saresti accorta».


*


«Nemici ad ore nove, Cap!» gridò Sam per poi precipitarsi per fare da scudo a Maria con le sue enormi ali, mentre l'agente continuava a sparare con precisione millimetrica, colpendo gli agenti dell'HYDRA quanto le frecce di Occhi di Falco.

Steve si apprestò a liberarsi senza troppe difficoltà dei propri avversari, si guardò attorno e vide scene di combattimento ovunque. Era una battaglia di logoramento.

«JJ, mi senti? Ancora niente?».

L'agente Holden torse il braccio al suo nemico e lo colpì forte al volto facendolo crollare «No Capitano ancora niente!».

Lui, Bobbi e Hunter continuarono a procedere verso quella che Iron Man aveva identificato come la sala controllo.

Stava cominciando a disperare, quando da una delle porte uscì Grant Ward che si trascinava dietro una recalcitrante e smagrita Annabeth Munroe.

«Annabeth!» urlò JJ mentre Ward iniziava a fare fuoco. Gli occhi azzurri dell'hacker si accesero e si puntarono come fari sull'agente britannico;

«JJ» articolò con le labbra.

«May!» chiamò all'auricolare Bobbi «E' con Ward!».

La testa di Melinda scattò a quelle parole e si scambiò un'occhiata con il capitano che annuì. L'obiettivo era raggiungere lo squadra dello S.H.I.E.L.D.

I tre agenti seguivano a distanza ravvicinata l'ex compagno, scontrandosi con altri avversari e proiettili vaganti.

Holden riusciva a malapena a contenere l'entusiasmo per averla a pochi metri e la rabbia per le sue condizioni fisiche.

A poca distanza seguivano gli Avengers, che avevano recuperato terreno sui loro avversari.

A sbarrare loro la strada un giovane uomo dall'aria pericolosa e gli occhi azzurri.

Clint sussultò appena;

«E' quello che ha assaltato casa mia!» disse agli altri. Steve lo guardò e si ritrovarono d'accordo.

«Voi proseguite di lui ci occupiamo io e Clint.»;

«State attenti, Natasha ci uccide se vi succede qualcosa» frecciò semiserio Sam, afferrando Maria e preparandosi a spiccare il volo.

«Divertitevi» disse Tony partendo all'inseguimento.

«Quindi è l'altro Winter Soldier» fece notare l'arciere;

«Allora è meglio tenersi pronti».


Ward spinse Annabeth nell'hangar, a poca distanza dal Bus, l'aereo sequestrato allo S.H.I.E.L.D.

«Lasciala andare Ward!» gridò Melinda facendo fuoco, mentre Holden correva in loro direzione; gli agenti dell'HYDRA faceva pesante ostruzionismo e l'intera squadra era costretta al corpo a corpo.

Melinda e Holden stavano affrontando l'ex specialista, entrambi assetati di vendetta, seppur per motivi differenti.

Annabeth cadde a terra e JJ fu subito su di lei nel tentativo di afferrarla, ma una scarica di proiettili si frappose come un muro fra i due.

Tutti alzarono lo sguardo verso la giovane dai capelli rossi, che un tempo tutti conoscevano come Erica Holstein, tentare di sterminare con una mitraglietta i suoi nemici.

La mora, ancora scossa, capì di non avere scampo e a malincuore lasciò cadere a terra una chiavetta proprio sotto gli occhi di JJ, che ferito da una pallottola si teneva il braccio.

«No Beth!» urlò.

Ma non poteva fare più nulla, grazie all'intervento di Sin Ward riacciuffò l'hacker e la caricò di peso sul Bus, che nel frattempo motori accesi si preparava al decollo.

«Al jet!» abbaiò irata May sperando di poterli inseguire. Nel trambusto generale, la voce compita di JARVIS risuonò negli auricolari dei presenti come un faro in mezzo al maremoto.

«Signor Stark ho riscontrato l'attivazione della modalità autodistruzione di questa base. Avete, temo signore, cinque minuti».

«Muoversi!» trillò Sam che con lo sguardo cercava Maria, poi si avvicinò a JJ ancora sotto shock e impalato a fissare l'aereo ormai decollato.

«JJ! Ehi! Guardami Dobbiamo andarcene, adesso. Lo so, d'accordo? Lo so! Ma se resti qui e muori, non servirà a nulla!» il ragazzo tirò sul con il naso ed annuì, raccolse la chiavetta da terra e la strinse correndo poi insieme agli altri.


«Cap! Non abbiamo molto tempo» esalò Clint cercando di riprendersi da un brutto colpo allo sterno.

Steve si stava dando ancora battaglia con il Winter Soldier, che si muoveva con l'agilità di un serpente anche se una delle frecce dell'arcere era andata a segno, e spuntava ritta e perfetta dalla schiena dell'avversario. Non che questi pareva essersene accorto, la sua forza non ne era stata intaccata.

Il capitano e L si allontanarono per qualche istante studiandosi. Qualcosa parve attrarre l'attenzione dell'agente dell'HYDRA e il supersoldato ne approfittò per tornare all'attacco.

Il Winter Soldier però aveva una sorpresa in serbo: estrasse una granata che non perse tempo a lanciare, Steve fu costretto bruscamente a correre verso Clint e riparare entrambi dietro lo scudo.

Non appena si furono ripresi il loro nemico era scomparso. In compenso vennero aiutati dai loro compagni appena sopraggiunti e insieme si diressero verso il jet, tranne Tony e Sam già partiti all'inseguimento del Bus.

«Steve!» richiamò Falcon poco dopo attraverso l'auricolare «Lo abbiamo perso! Devono avere qualche dispositivo di occultamento oltre che qualche aggeggio per rendersi invisibili! Nemmeno JARVIS riesce a rintracciarli».

Inutile dire che la notizia li rese ancora più depressi di quanto non fossero già.


Ci impiegarono ore per tornare all'Avengers Tower. Ma a quanto pare i guai per loro non erano ancora terminati. Stanchi, riuscirono a trovare malapena sollievo nel constatare che avevano costretto l'HYDRA a battersi in ritirata e a distruggere una loro base; si riunirono a Natasha e Sharon pronti a discorrere degli ultimi avvenimenti.

In un attimo l'intera torre fu avvolta dal buio per poi tornare immediatamente ad illuminarsi lasciando i suoi abitanti nel più totale stato di allerta, senza contare il suo proprietario.

«JARVIS!?» berciò Tony;

«C'è un messaggio per lei, signore!» rispose l'AI con voce leggermente disturbata. Lo schermo si accese e Sinthea Schmidt apparve in tutta la sua conturbante bellezza.

«Sono davvero impressionata» esordì con un sorriso mellifluo «Ma non durerà, a quanto pare non volete imparare la lezione. Voi colpite, io colpisco più duro; signor Stark? Si goda lo spettacolo. Dividi et impera!». Il suo viso si oscurò e al suo posto comparvero alcune scene che fecero venire i brividi.

Natasha chiuse gli occhi.

Tony alzò il capo tremante e i suoi occhi scuri colmi di rabbia si scontrarono con quelli lucidi e colpevoli di Steve.

____________________________________________________________________________________________Asia's Corner

Buonasera a tutti voi miei cari lettori! Ebbene ciò che qualcuno temeva è successo: la pace per i nostri eroi non ha vita lunga e a quanto pare qualcuno dovrà delle spiegazioni.
spero che vi siate comunque goduti le parti più soft e dai toni tenui e dolci, non credo ci sia molto da dire, parlano da sole :) Spero anche che la parte iniziale con Maria e Sam sia stata di vostro gradimento e che se c'è qualche fan di questa ship si faccia avanti e mi dia la sua opinione ;)
Tornando un attimo all'ultima parte voglio fare una precisazione - forse anche un po' di auto spoiler ma non importa - allora se avete visto Civil War sapete bene tutti ciò che accade, ecco io non ho intenzione però di scatenarne una. Questo perché con una trama già abbastanza ricca di per sè aggiungere un ulteriore elemento, come una bella guerra fra Avengers sarebbe per me insostenibile da trattare, sopratutto con le dovute attenzioni; la storia prenderebbe tutt'altra piega e sarei costretta a fare voli pindarici non indifferenti per tornare nei binari. Questo non significa che non ci saranno conseguenze, ma preferisco restare su toni più riflessivi che mi si addicono di più; ma spero comunque di non deludere le vostre aspettative! 
Per  quanto riguarda il resto del capitolo, spero vi sia piaciuto! Annabeth ha fatto la sua parte ed ora gli Avengers sanno che hanno un'alleata dall'altra parte della barricata, abbiamo avuto un piccolo assaggio di L e io ammetto mi sono divertita un sacco scrivendo di Natasha e Sharon.

Io passo a salutarvi e a ringraziarvi come sempre per tutto l'appoggio che mi dimostrate, anche solo leggendo :) Un grazie speciale ai miei fantastici recensori! E chissà che, anche qualche nuova voce si aggiunga per farmi conoscere la sua opinione a riguardo, che è sempre ben accetta! Non fate i timidi ;) 
Detto ciò, vi do appuntamento a  SABATO 11 NOVEMBRE Per qualsiasi cosa vi invito a scrivermi e a visitare la mia pagina facebook "Asia Dreamcatcher".

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Capitolo 19
*** Pain ***


19
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Capitolo Diciannove: Pain

A volte bisogna commettere un grande errore per capire

qual è la cosa giusta da fare”

~ Danny Duquette, “Grey's Anatomy”



Il pugno si abbatté con forza sul volto inerme di Steve, che pur vedendolo arrivare, non provò minimamente a difendersi.

«Lo sapevi? L'hai sempre saputo?» mormorò alterato Tony.

Il capitano tornò a guardarlo, mentre la guancia andava rapidamente ad arrossarsi. I suoi occhi limpidi erano un misto di orgoglio, colpa e tristezza. Per il miliardario era troppo quello sguardo, non riusciva a tollerarlo; si lanciò nuovamente contro di lui, afferrandolo per la divisa e facendolo arretrare fino a farlo sbattere con forza contro il muro. Non sarebbe riuscito a muoverlo di un millimetro se non fosse stato Steve stesso a permetterglielo, il suo corpo disarmato gridava disperato la sua colpa e ciò lo fece imbestialire ancora di più.

Levò indietro il braccio, ancora avvolto dall'armatura, pronto a colpire. Ma non lo fece.

Natasha si era appena materializzata tra il suo pugno e il supersoldato. Si stagliava fra loro, silenziosa e severa. Il resto dei loro compagni era troppo esterrefatto per intervenire prontamente in qualche modo, ma non lei.

Guardò Tony dritto in faccia, i suoi occhi non tradivano alcuna emozione, se non una certa gravità.

«Vuoi colpire anche me?» gli chiese calma. Un guizzo accese gli occhi di Steve, non avrebbe mai permesso a Tony di accanirsi su di lei per una sua mancanza; Iron Man sgranò lo sguardo, come se l'avesse appena messa a fuoco, e abbassò automaticamente il braccio. Ma ciò che lo fece davvero desistere fu il rumore di una porta sbattuta con violenza. Il resto dei presenti si guardò intorno e si resero conto che Sharon aveva lasciato la stanza.

Il genio guardò un'ultima volta il capitano e se ne andò senza dire una parola, il suo intero corpo era pervaso da tremori di rabbia.

Natasha si voltò indietro verso Steve, nei suoi occhi vi lesse del biasimo e lui si ritrovò a sospirare pesantemente.

«Erano i genitori di Stark?» domandò Clint scioccato e Vedova annuì solamente.

«Da quanto lo sapevate?» chiese Sam, ormai conosceva abbastanza bene la coppia per comprenderli senza fare troppo domande. Nella sua voce non c'era accusa, ma solo curiosità mista a perplessità.

«Dalla caduta dello S.H.I.E.L.D.» gli rispose Natasha sottotono, avvertiva la stanchezza incombere su di lei, sbatté più volte le palpebre.

«Non ha agito per sua volontà» mormorò Steve, ostinato.

«Nessuno sta dicendo questo...» replicò Clint per tranquillizzarlo «Ma Stark non l'ha presa bene e questo è comprensibile amico»; il capitano annuì tristemente. Il dolore al viso cominciava a farsi sentire, normalmente gli avrebbe causato semplicemente del fastidio ma il suo senso di colpa pareva essersi concentrato nel livido che Tony, giustamente, gli aveva impresso.

Avvertì Natasha accostarsi a lui con noncuranza, ma in realtà alla ricerca di un sostegno. Lui l'accolse nel suo petto, le loro mani si cercarono e si intrecciarono.

«Ora puoi dirlo...» sospirò il supersoldato;

«Te la sei cercata, te l'avevo detto» l'accontentò lei senza alcun tono in particolare. D'altronde anche lei sapeva, ma era anche una spia abituata, addestrata al silenzio.

«Forse è il caso di prenderci una pausa. Quella maledetta è riuscita nel suo intento, ad ogni passo che facciamo verso l'HYDRA, loro rispondono con più violenza» ragionò Clint guardando i presenti che annuirono amaramente.

«Dovrei andare a parlargli-» ma Natasha gli posò una mano sul petto;

«Non ora. Lui non vuole ascoltare, non è pronto. Come tu ti sei preso del tempo per assimilarlo, ora lui si prenderà il suo» gli disse «C'è una persona che però potresti chiamare» continuò guardandolo di sottecchi e lui annuì. Si separarono e Steve per un momento si sentì senza alcun appiglio.

«Dove vai?»

«Sharon» sussurrò lei.


Natasha spostò con tocco silenzioso la porta socchiusa. I suoi occhi grandi e cristallini indugiarono sulla figura di Sharon in ginocchio, intenta a piegare con eccessiva cura dei vestitini da neonato.

La stanza per il bambino era ancora spoglia, fatta eccezione per un'elegante cassapanca in legno chiaro, in cui la russa scorgeva la mano dell'arciere. Osservò per un attimo i contorni della camera: quadrata, lineare e con tanta luce, grazie al terrazzo comunicante con quella sua e di Steve.

Con attenzione, Natasha si lasciò scivolare accanto all'amica, il pancione cominciava a diventare ingombrante.

«Credo che la cassapanca non basterà» esordì la bionda agente con voce tremula. Tirò su col naso e poi sospirò lasciando perdere la tutina e guardando l'amica con i suoi occhi scuri e lucidi.

«Perché non mi sembra di far altro che piangere?» mormorò esasperata da se stessa «Da quando lui se n'è andato...» non riuscì a continuare.

«Cosa ti sconvolge di più?» domandò pacatamente Natasha.

«I suoi occhi...» articolò a fatica premendosi le mani sul volto «Erano assenti, privi di qualsiasi espressione... E' stato come tornare a quel giorno quando mi ha aggredita, aveva quegli stessi occhi! - la voce venne meno e si ritrovò scossa dai singhiozzi – Non sentiva nulla, le mie suppliche non riuscivano a raggiungerlo. Hai visto anche tu, ha spezzato la vita di Maria e Howard privo di qualsiasi sentimento... Ma Natasha, James non è così. I suoi occhi sono pieni di vita, di sofferenza e malinconia e io... … …Mi sono innamorata del suo sguardo e quello, non sono Steve, ma te lo posso giurare non era lui! Com'è possibile che l'Hydra sia riuscita a ridurlo così? Penso a N e vedo così tanto di James in lui. Io -io penso a Tony e mi spiace così tanto, non conoscevo benissimo i suoi genitori ma erano in buoni rapporti con zia Peggy e ho un buon ricordo di loro anche se vago... Ma quanto posso essere crudele? Perché mi dispiace è vero, ma sono più terrorizzata da quello che Tony potrebbe fare a James se solo fosse qui. Sono una persona orribile?» domandò esausta con un sorriso che di sereno non possedeva nulla.

Natasha fece una cosa che non si permetteva di fare spesso; afferrò gentilmente Sharon e lasciò che le poggiasse il capo sulle gambe ed iniziò delicatamente ad accarezzarle i capelli lunghi e biondi che, come un sipario, divideva lei dalla cruda realtà.

«Il tuo peccato Sharon è che lo ami. Se questo si può considerare tale... Nessuno crede che James l'abbia fatto di sua volontà, e Tony lo sa come tutti noi. Non per questo il processo di accettazione è più facile. È furioso... anche se credo di più con Steve – attese un istante – per non averglielo detto. È stato egoista, non lo nego... Steve non ha mai accettato fino in fondo il fatto che James non fosse più come nei suoi ricordi, ha dovuto imparare a convivere con questo. Non dicendolo a Tony ha tentato di proteggere sia Bucky da se stesso, sia se stesso da questa consapevolezza.

Non siamo persone orribili Sharon. Mai come in questo momento, portando un bambino nel mio grembo, mi sono resa conto di essere un essere umano, e come tale noi tutti siamo soggetti a debolezze. Il problema sta, che data la nostra “condizione”, il nostro “status” i nostri errori, le nostre debolezze, tendono ad essere più visibili di quelli delle persone comuni. L'impatto delle nostre azioni ha risonanza maggiore e ciò che proviamo si amplifica.» replicò con tono pacato.

«Il mio nipotino è fortunato ad avere una madre così» ribatté l'agente 13 con grande sorpresa di Natasha, che senza darlo a vedere si sentiva imbarazzata ma al tempo stesso compiaciuta.

«In ogni caso, io più che di Tony temo la tua reazione quando ce l'avrai davanti» disse la rossa con un sorrisetto irriverente, provocando nell'amica una smorfia leggermente divertita.

«Vorrei che Jace ne sapesse il meno possibile di questa faccenda, okay?»;

«Non sarà facile, ma ci proveremo» concordò Natasha.

«Come credi andrà a finire?».

La russa si prese un momento prima di rispondere, lo nascondeva molto bene, ma tremava al pensiero di quello che sarebbe successo se quei due testardi del suo compagno e di Tony non si fossero chiariti.

«Una cosa è certa, divisi non abbiamo alcuna speranza di farcela» “...e questa è una cosa” pensò la donna “che non posso in alcun modo permettere”.

Si guardò attorno e per una frazione di secondo lasciò libera la sua immaginazione; la stanza improvvisamente si riempi di oggetti, e la pareti si tinteggiarono di verde pastello. Respirò a fondo, no. Non poteva davvero permetterlo.

«Non lo permetterò. Nessuno di noi lo permetterà» affermò Sharon, mettendosi seduta e fissandola decisa negli occhi. La russa inclinò il capo e sul suo volto apparve un accenno di sorpresa. Le aveva letto dentro.

«Qualsiasi cosa succeda, conta su di me» affermò la bionda, trattenne il fiato «Sei la mia persona Nat» terminò con semplicità.

Natasha tese la mano e gliela strinse con forza, commossa nel profondo.


Il saldatore elettrico emetteva piccole scintille gialle e blu a contatto con il metallo, ma la sua mano non era ferma e sicura come al solito.

Tony si tolse stizzito gli occhiali protettivi e con gesto secco allontanò il saldatore, abbandonando del tutto l'idea di riparare la sua armatura.

Non aveva nemmeno notato che all'esterno, il mondo aveva continuato a girare e ad andare avanti e il buio della sera era calato delicatamente su tutti loro. No, lui non l'aveva notato perché la sua efficientissima mente, che lo accettasse o meno, era ormai imprigionata in un orripilante loop.

Sua madre, la sua adorata madre... e suo padre. No, Tony non voleva nemmeno cominciare ad analizzare i sentimenti contrastanti e prepotenti che si erano scatenati in lui. Non era mai stato un granché con le emozioni, meglio formule, numeri, dati... Sì, su quelli aveva un controllo, erano certi, racchiusi entro confini definiti, avevano uno scopo. Equazioni, calcoli portavano ad un risultato, una soluzione su cui lui poteva ragionare e ponderare, senza rischiare di impazzire. Nel campo della scienza lui era un genio, una certezza, si muoveva sicuro senza doversi guardare dentro e constatare che era l'ennesimo disadattato sregolato, con un rapporto tutt'altro che semplice con i genitori.

«...Entrare signor Stark». La voce dall'AI lo colse di sorpresa, non aveva che percepito poche parole.

«Non voglio vedere nessuno, JARVIS. Sto lavorando» borbottò Tony agitando la mano in aria.

«Bistrattare la tua armatura sarebbe lavorare? E io cosa starei facendo?» esordì Virginia Potts comparendo alle sue spalle. Il tono volutamente sarcastico stonava con l'espressione seria.

Vi era una sorta di perfezione formale in Pepper, una simmetria pura nei lineamenti, un'eleganza per nulla forzata nei modi, che Tony trovava conturbante. Era una donna sofisticata la sua Virginia, precisa, orgogliosa, sicura ma al tempo stesso possedeva una gentilezza distinta ed una tolleranza smisurata verso di lui. Un caso umano.

Possedeva una mente brillante Iron Man, eppure non aveva mai compreso fino in fondo come facesse quella donna luminosa ed abile a sopportarlo, a cullarlo come si fa con un infante irrequieto ma anche ad affrontarlo e tenergli testa.

La guardò smarrito, gli occhi scuri sgranati, come un bambino privo di difese. Guardò la sua luce. Si concentrò sui suoi occhi zaffiro, incorniciati da ciuffi biondo rame, che scivolavano pacati sugli zigomi spruzzati delicatamente da piccole efelidi leggermente più brune dell'incarnato color pesca.

Pepper aveva già visto quello sguardo e le si strinse dolorosamente il cuore; Steve l'aveva messa al corrente e lei aveva mollato tutto e si era precipitata da lui.

«Di cosa hai bisogno?» gli domandò allargando piano le braccia. Tony si irrigidì, chiuse gli occhi, ma non c'era via di scampo da quelle terribili immagini perché erano impresse a fuoco nella sua testa.

«Non era necessario che venissi. Chi è stato? Steve!? Beh poteva pensarci prima! Ho voglia di rovinargli quei suoi bei dentini, sai? Come si è permesso!?» i suoi gesti erano sconnessi, le palpebre si aprivano e chiudevano velocissime «Sai cosa farò ora? Andrò da Mister-ghiacciolo-integerrimo-solo-quando-gli-comoda e gli chiederò di ridarmi quello scudo, non appartiene a lui. È di mio padre, capito?! Mio padre, che è stato ucciso da quel dannatissimo del suo migliore amico!» sbottò furioso.

Pepper non si mosse per tutto il tempo di quello sproloquio, di quello sfogo. Poteva solo immaginare cosa potesse provare in quel momento, ma se era arrivato al punto di rivendicare il mitico scudo di Captain America, mettendo in mezzo suo padre Howard – quel padre che così tante tensioni aveva fatto nascere in lui – significava che tutto in lui era sul punto di crollare.

«Tony...» tentò;

«No! Lui- Lui ha... ucciso i miei genitori... Mia madre!» balbettò guardandosi attorno, perso.

La donna l'abbracciò di slancio, tenendoselo stretto contro il petto, quasi fosse un bambino.

Tony lentamente, quasi timidamente rispose all'abbraccio della fidanzata, aggrappandosi alla sua schiena. Non pianse, ma il dolore che sentiva era insopportabile; si rese conto che se Pepper si fosse scostata, lui si sarebbe spezzato.

«Ti farebbe stare meglio prendere quello scudo?» gli sussurrò amorevolmente scostandosi appena per poterlo guardare in volto. Gli accarezzò il volto, volendolo far sentire al sicuro.

Il magnate distolse lo sguardo lucido guardandosi attorno e respirando un po' più forte. Conosceva la risposta, ma in quel momento si sentiva un bambino che aveva perso i genitori. Era come rivivere quel trauma due volte e lui non riusciva ad accettarlo, forse perché non era riuscito ad affrontarlo nemmeno la prima volta.

«Non mi restituirebbe i miei, è questo che mi stai dicendo?» berciò Iron Man infastidito. Pepper si limitò ad alzare un sopracciglio. Lei era così; non gli avrebbe mai fornito la soluzione su un piatto d'argento o forse anche sì, ma non senza prima avergli fatto provare le pene dell'inferno e averlo costretto ad usare il suo brillante cervello.

«No certo che no... Non saprei che farmene» rifletté con un sorriso amaro, poi guardò la bionda negli occhi «Io ora come ora voglio vederlo morto» articolò serio, gli occhi scuri dilatati. Si stava riferendo al Soldato d'Inverno.

«Tony...» cominciò Pepper «E' davvero questo che vuoi? Assurgerti a giudice, giuria e boia?»;

«Non è così che ha fatto lui?» replicò acido.

«E' così che ha fatto l'HYDRA» cercò di farlo ragionare lei. Sapeva che Tony quando voleva si chiudeva nel suo egoismo, rifiutandosi di vedere la realtà, di analizzare i fatti.

«Pepper! Lui è l'assassino di mia madre!» ringhiò il miliardario, non volendo ascoltare. Il suo dolore era l'unica cosa che contava per lui.

«Va bene. Vuoi restare qui a crogiolarti nei tuoi tormenti? Fallo! Vuoi progettare stupidi piani di vendetta contro James Barnes? Fallo! Ma prima o poi Tony dovrai affrontare tutto questo, compresa la morte dei tuoi genitori. Tu hai delle responsabilità che tu lo voglia o meno! Io ti amo ma non assisterò un'altra volta alla tua autodistruzione... Tu sei migliore di ciò che provi in questo momento!» sbottò la bionda, girando poi sui tacchi ed andandosene.

Nel momento stesso in cui lei scomparve dal suo campo visivo, Iron Man si afflosciò su se stesso, si prese la testa fra le mani e chiuse gli occhi.


Un nuovo giorno era sorto sull'Avengers Tower, ma ciò non aveva schiarito gli animi. Un'atmosfera pesante impregnava ogni cosa della residenza dei Vendicatori.

Steve abbatté l'ennesimo sacco da box, sotto lo sguardo preoccupato di Sam, che però aveva preferito non ancora proferire parola.

Il capitano era sempre più conscio che la sua decisione era stata stupida, dettata più da vigliaccheria che da reale senso di protezione sia nei confronti di Tony che di Bucky.

Ci aveva creduto davvero, era convinto di aver preso la decisione giusta, ma la reazione di Tony gli aveva mostrato, senza tante cerimonie, il suo errore.

«Sono stato un idiota» esordì, spezzando finalmente quel silenzio opprimente. I due amici si fissarono in volto e Sam gli sorrise appena, comprensivo.

«Ehi. Stavi solo cercando di agire per meglio...»;

«Davvero? Perché io non ne sono più tanto sicuro. Forse volevo solo proteggere me stesso dalla verità-»

«Tu non sei infallibile.» lo fermò Sam «Per il resto del mondo sei semplicemente Captain America la leggenda, ma qui, in mezzo a noi, no. Io ti conosco e so esattamente chi sei, i sacrifici che hai scelto di fare... Solo conoscendoti ho potuto capirti appieno, sei un uomo di saldi principi e non hai paura di andare contro tutti pur di restarvi fedele, e io ti rispetto per questo. Ho deciso di seguirti per questo, ma sei pur sempre un essere umano e noi errori ne facciamo, amico» terminò con un'alzata di spalle e un semplice sorriso di scuse.

«Una volta ti dissi che Bucky era qualcuno da fermare, sbagliai, perché se fossero venuti a dirmi che Riley era vivo ed era diventato un assassino a sangue freddo, pensi che questo mi avrebbe fermato dal cercarlo?» Sam incrociò le braccia muscolose al petto e negò col capo mantenendo sempre quel sorriso disarmante «No certo che no. Avrei tentato l'impossibile e tu l'hai fatto. Ma non hai detto nulla non solo per proteggere te stesso, ma anche loro due. Questo te lo devi riconoscere...»

«Ma non cambia il fatto che ho sbagliato, io volevo solo-» si mise le mani sui fianchi e sospirò «-Non lo so».

«Pace» celiò con voce chiara Natasha, attirando l'attenzione dei due. La donna osservò il compagno, trasmettendo un tale amore che Steve si sentì immediatamente rincuorato.

«Non volevi che qualcuno soffrisse ancora e hai deciso tu per tutti, accollandoti quel peso. Ma Steve, non è mai stato tuo quel peso.» continuò andandogli incontro, poi sollevò lo sguardo su di lui «Sei stato egoista, quasi quanto Tony lo è in questo momento»;

«Due facce della stessa medaglia» disse Sam. Lui e Natasha si scambiarono uno sguardo divertito.

«Voglio rimediare ma lui non vorrà ascoltarmi» mormorò affranto il capitano, ma la russa non era della stessa opinione;

«Lo farà» affermò sicura «Pepper lo ha scosso quel che bastava. Questa è la nostra famiglia, disfunzionale certo, ma non possiamo lasciarci andare alla deriva».

«Senza contare che i nostri nemici ne approfitteranno» ricordò loro Falcon.

«Devi tentare» sussurrò Natasha e Steve annuì.

Avrebbe accettato tutto quello che Tony gli avrebbe riservato.


*


«Se avessi mosso il culo prima mi avresti risparmiato un bel po' di seccature, lo sai Ivan?» disse Fury guardando di sbieco l'uomo al suo fianco. Lui rimase in silenzio per qualche attimo prima di replicare:

«Io arrivo quando devo arrivare, né prima né dopo» la sua voce era asciutta e sottile, ma l'aura che emanava la sua figura possedeva un che di pericoloso.

«Fortuna che il ragazzo ha avuto l'intuizione giusta... Anche se ha rischiato» rifletté la spia delle spie.

«Certi errori si pagano» commentò l'uomo di nome Ivan;

«Tu ne sai qualcosa vero?» Fury non voleva provocarlo, la sua era una semplice constatazione che però venne lasciata cadere dall'altro.

«Il mio coinvolgimento deve restare segreto, inutile che te lo dica»;

«Perfettamente inutile» ribadì l'ex direttore. Lo conosceva da anni, impossibile da quantificare malgrado tutto conservava quell'aura di mistero e segretezza che gli ricordava moltissimo sé. Non aveva mai conosciuto tutti i suoi segreti ma questo valeva anche per lui. Un discreto tossicchiare spostò la sua attenzione; con il suo occhio sano, Fury, fissò per bene il nuovo arrivato.

«Cosa mi può dire, dottore?».

___________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti miei cari lettori! Non proprio giusti ma ci siamo!
Allora eccoci arrivati al DUNQUE! A ciò che succede dopo che la bomba (grazie tante Sin) è stata sganciata! Non mi sento di commentare molto, credo che il capitolo spieghi bene lo stato d'animo dei nostri eroi... E preferisco che siate voi, poi a trarre le conclusioni (che spero di leggere nei vostri commenti ^^) Posso dire che questo lo vedo come una sorta di prima parte di un capitolo molto più ampio, inizialmente aveva previsto un capitolo più corposo ma durante la stesura mi sono resa conto che la vicenda merita - non solo di essere trattata coi guanti - ma di una distensione più ampia, molte cose vengono dette e pensate e devono avere il giusto tempo e peso. 
Spero che vi sia piaciuto il momento Pepper x Tony, personalmente è una coppia che adoro (e Pepper è l'unica che riesce a farmi apprezzare Iron Man XD) quindi la sua mancanza per ben due film per me è stata devastante! E come sempre spero di aver fatto un buon lavoro con lei.
Passando alla fine del capitolo... Beh se Fury compare vuol dire che qualcosa di grosso si sta muovendo! Non vedo l'ora di sentire le vostre opinioni :D

Come sempre io vi ringrazio! Non solo per le recensioni ma anche per i messaggi che mi mandate, davvero vi adoro! Non sapete che cosa significhi per un autore avere un confronto diretto con i suoi lettori! Ovviamente un ringraziamento speciale anche a chi ha inserito questa ff nelle liste speciale e a chiunque sia giunto a leggere sin qui! Un bacione!!

Io vi saluto e vi do appuntamento a VENERDI 8 DICEMBRE! Per qualsiasi cosa contattatemi sulla mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" 

ps. La risposta alle recensioni del capitolo precedente arriveranno nel pomeriggio di venerdi!

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Capitolo 20
*** ...United we stand ***


20
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Capitolo Venti: ...United we stand

Non tutte le ferite possono essere superficiali.

Alcune ferite sono molto più profonde

di quanto possiamo immaginare,

non le puoi vedere ad occhio nudo.

E poi ci sono alcune ferite che ci colgono di sorpresa.

Il trucco con qualsiasi tipo di ferita o di malattia, è scavare fino in fondo,

e trovare la vera fonte del problema.

E un volta che l'hai trovata, prova con tutte le tue forze

a guarire quella ferita.”

~ Meredith Grey, “Grey's Anatomy”



Tony seppe che stava arrivando ancora prima che JARVIS lo annunciasse. Tre giorni, si era trattenuto anche troppo. Inutile dire che non voleva essere disturbato, lui forse non gli avrebbe imposto la sua presenza ma avrebbe di sicuro piantonato l'entrata del suo laboratorio finché non si fosse deciso ad uscire. E lui prima o poi, per un problema fisiologico o per un altro, sarebbe dovuto uscire dall'unico posto che gli dava sicurezza.

Steve osservò la figura del magnate in religioso silenzio. Avrebbe rispettato i suoi tempi, se lui voleva ignorarlo allora avrebbe aspettato finché non si fosse sentito pronto. Glielo doveva. Tony però aveva deciso di dare un taglio alla guerra silenziosa e di renderla rumorosa. Si volse di scatto e gli rifilò l'ennesimo pugno, sul lato ancora intatto del viso. Solo che questa volta era senza armatura e la sua mano non mancò di farglielo presente.

«Ouch! Scusa ma ci tenevo a rendere il tuo volto simmetrico! Il lato destro sembrava sentirsi solo» esordì con tono pesantemente irriverente, tenendosi il polso.

«Non ho intenzione di lamentarmene» replicò pacato il Capitano, massaggiandosi la mascella.

«Come stai?» gli chiese cautamente; Iron Man levò in alto le sopracciglia, il suo volto sembrava dire “fai sul serio?”;

«Oh ora ti interessa? Tranquillo i miei propositi omicidi nei confronti di Barnes sono scemati, quindi ora puoi anche tornartene dagli altri Capsicle!» Steve sospirò;

«Non sono qui per parlare di Buc, sono qui per sapere come stai e per chiederti scusa, Tony» continuò serio.

L'altro Avenger lo fissò guardingo, indeciso se dargli o meno l'opportunità di spiegarsi; poteva voltargli le spalle e diventare sordo a qualsiasi giustificazione, essere immaturo fino in fondo e gettargli addosso il suo silenzio e chiudere... chiudere con tutto. Perché ciò che sentiva era dolore, tanto dolore da voler diventare insensibile al resto. Ascoltare Steve ora, avrebbe voluto dire mettersi a nudo, permettersi di provare finalmente tutto. E lui, dopo tutti quegli anni, non sapeva se ne era in grado, se era pronto.

Quell'attimo di incertezza però, Steve non se lo fece sfuggire;

«Io ho sbagliato» esordì «Non solo con te, ma anche con Bucky. Ma sopratutto con te. Ho voluto proteggere, molto egoisticamente, me stesso e ciò che un tempo per me era la mia sola ed unica famiglia-»

«Barnes» mormorò quasi senza accorgersene Tony e il supersoldato annuì.

«Ed invece ora la mia famiglia non è solo lui. All'inizio non ti ho detto nulla perché pensavo, francamente, che non avresti reagito bene e ti saresti scagliato contro Bucky, credevo che non avresti saputo gestire una notizia del genere, ma ora mi rendo conto che è stato il mio stesso comportamento a rivoltarti contro di lui, ed ancora una volta ho pensato a proteggerlo e non ho minimamente pensato a te» fece una pausa, le labbra di Stark si piegarono in un pallido sorriso amaro, non che quel che aveva detto lo stesse facendo stare un granché meglio: praticamente gli aveva dato dell'immaturo. Ma d'altronde poteva dargli del tutto torto? Non si volle rispondere.

«Perché sono ancora aggrappato come un disperato al passato» sospirò malinconico «Ho ritrovato il fratello che credevo perduto ma ho scoperto a mie spese che non era più il James Barnes che conoscevo, con cui ero cresciuto...» si fermò un attimo e Tony lo vide per la prima volta sotto una luce diversa, non quella dell'irreprensibile Capitano, il glorioso esperimento di Howard Stark, l'emblema della giustizia, quello perfetto; ma qualcosa, invece, di molto più simile a lui, il figlio imperfetto. Come lui, anche Steve continuava a guardarsi indietro, a chiedersi dove e quando avesse sbagliato, a rivalutare ogni sua singola scelta presa da quel lontano 1943. Un pensiero lo trafisse “Aveva riavuto Barnes sì, ma a che prezzo?”. Per la prima volta avvertì un senso di comunanza con quell'uomo, leggenda suo malgrado, così apparentemente lontano dal suo essere.

«E questa è una cosa con cui ho avuto qualche difficoltà a rapportarmi, perché per me lui non era la persona che è ora, era ancora il mio amico di Brooklyn e così è successo. Per proteggerlo da quello che è diventato e per proteggere me dal fare i conti con la realtà vi ho derubato. Ho assunto io quel peso, me lo sono accollato per non vederlo riflesso nei vostri occhi, perché io desideravo la pace almeno fra noi, non potevo più vedere soffrire ancora, non noi» il tono di Steve era contrito, il suo sguardo sincero.

Tony crollò sulla sedia esausto, voleva fregarsene davvero, voleva voltarsi e non doverlo guardare più in faccia. Si chiese perché non ci riuscisse.

«E dico noi, comprendendo anche te. E qui sta il mio secondo e forse più grave errore: ho ferito un membro della mia famiglia» esalò guardandolo. Iron Man alzò un sopracciglio facendo un verso scettico;

«E' vero. Quando la verità è venuta fuori ho subito pensato a proteggere Bucky, quando in realtà dovevo solo chiedere perdono a te. È vero James per me significa tanto, non posso mentire, avevo lui anche quando non avevo niente, credo sia un po' come Rhodes per te. Ma lui non è l'unico a far parte della mia famiglia, gli Avengers sono la nostra famiglia Tony»;

«Ci credi davvero Capsicle?» frecciò il miliardario con cattiveria a stento trattenuta. Lui non poteva avere una famiglia, era un disastro, anche quando ne aveva avuta una non era stato in grado di apprezzarla fino in fondo, certo la colpa non era da imputare totalmente a lui ma... Se solo avesse detto “Ti voglio bene”... Lui ora sarebbe stato diverso?

Il capitano sorriso malinconico;

«Certo. Natasha ci ha definiti una famiglia disfunzionale e credo non ci sia termine più adatto per definirci. Non siamo ineccepibili ma non ci siamo mai tirati indietro e quando ne abbiamo avuto bisogno ci siamo stati l'uno per l'altro, tu ci sei stato per noi in Russia. Non saremo una famiglia modello ma lo siamo e io non mi sono comportato bene nei tuoi confronti Tony. E ti chiedo scusa...».

«Disfunzionale eh?» borbottò Tony quasi divertito «Sì credo che la Rossa ci abbia visto giusto... Cosa dovrei fare io a questo punto?» domandò con un sorriso desolato. La sua rabbia era quasi del tutto scemata, era così che funzionava in una famiglia? Si commetteva un errore, si parlava e poi si riaggiustavano le cose?

«Quello che vuoi. Puoi anche non accettare le mie scuse, lo capirei. Ma ti posso promettere una cosa: se Bucky dovesse decidersi a tornare non mi intrometterò fra voi, qualunque cosa accadrà resterà una questione fra voi due. Credo sia giusto anche per lui affrontare i suoi fantasmi-»

«Siamo tutti così fottutamente legati al nostro passato, ci hai mai fatto caso?» lo interruppe Stark con sguardo leggermente allucinato, era come se non lo vedesse e stesse parlando più a se stesso.

«Il passato che lo vogliamo o no è ciò che ci definisce»

«Oh già, credimi in questi anni me ne sono accorto! Cominciò a chiedermi se avessi detto a mio padre quelle tre parole “ti voglio bene”, che ci credessi o meno, questo avrebbe cambiato qualcosa nella mia vita? Suppongo che non potremmo mai saperlo, l'ho odiato per così tanto tempo... Sai? Lo incolpavo di avermi portato via mia madre, lo ritenevo un colpevole quasi lui non fosse morto.»

«Tony... Mi spiace... Non lo sapevo...» mormorò Steve colpito;

«Certo che no, come avresti potuto?» ribatté alterato «Per tutti questi anni l'ho ritenuto responsabile ed ora invece scopro che è una vittima, proprio come mia madre... E da quel momento continuo incessantemente a pensare che, malgrado lei avesse insistito, io non gli ho detto che gli volevo bene. Cosa avrà pensato di me? Certo non che lui fosse l'essere più amorevole sulla faccia della terra... Ma dannazione mio padre è morto e per me non può essere messo allo stesso livello di mia madre. Forse è questo che mi fa imbestialire, perché anche adesso che so la verità non cambia nulla» allargò le braccia in gesto desolato, mentre Steve lo fissava seriamente.

«Tony non voglio giudicare il rapporto fra te e Howard, ma non credo tu, ti debba sentire una persona orribile solo per non aver messo su un piedistallo tuo padre. Tu hai visto i suoi errori e non hai voluto ripeterli. E posso assicurarti, può aver creato me, ma ciò che tu hai fatto fino a questo momento lui non sarebbe stato in grado di realizzarlo. Non c'era bisogno di dirsi “ti voglio bene”, lui ti ha dato i mezzi perché tu potessi realizzarti da solo e questo vale più di qualsiasi parola o gesto, certo probabilmente per te non sarà mai abbastanza... Ma credo che tu possa smetterla di guardarti indietro e guardare invece ciò che tu hai creato e conquistato fino ad ora».

Tony distolse lo sguardo dalla figura possente del capitano. Poteva davvero farlo? Poteva davvero essere ciò che gli aveva appena detto di essere? Ancora non aveva una risposta certa, ma si sentì grato comunque per quelle parole... Ma come diavolo faceva Capsicle? Poteva essere anche stato stupido ed egoista ma quell'uomo era comunque incredibile...

«Quindi questo vuol dire essere una famiglia? Tu fai l'idiota, prima ci picchiamo e poi ci raccontiamo verità inconfessate come due lacrimose teenager e infine tutto si sistema?» replicò Iron Man sarcastico.

Steve si strinse nelle spalle, come a dire che ne sapeva quanto lui;

«Okay, diciamo che non si sistema tutto subito... Faccio fatica a perdonare me stesso, figurarsi gli altri! Però credo di poter fare una sforzo» continuò Tony passandosi stancamente una mano sul volto «E ti ringrazio» ...di avermi fatto sentire di essere finalmente parte di questa famiglia. Ma questo lo pensò solo nella sua testa.

«Per quanto riguarda Barnes-» Steve lo fissò con espressione neutra «Dovrà dare delle spiegazioni e non solo a me, ma da lui voglio sopratutto una cosa...» si guardarono negli occhi e lui capì ed annui «Il nome di chi ha dato l'ordine di assassinare i miei genitori».

«Ti prometto che non affronterai tutto questo da solo. Nessuno della nostra famiglia verrà più lasciato da solo... Non importa quanto ci vorrà ma avrai ciò che vuoi, te lo devo.» dichiarò con sguardo mortalmente serio, Iron Man annuì e poi sorrise obliquo;

«D'accordo. Ora cosa dovremmo fare, abbracciarci?» domandò sardonico, Steve fece una smorfia;

«Se tu avessi voglia di parlare di tuo padre-» ma Tony lo bloccò con un gesto della mano;

«Mi piacerebbe dire che questa è una questione risolvibile con poche parole. Ma sono anni che provo a conviverci... e senza offesa ma preferirei non discutere di Howard con te» il capitano annuì. Intuì che lui era l'ultima persona con cui volesse sfogarsi, il discorso che avevano fatto lo aveva aiutato a capire un po' meglio l'uomo che aveva davanti e proprio per questo comprese che finché Tony non avesse risolto i problemi con il ricordo del padre fra loro ci sarebbe sempre stata qualche incomprensione. Ma per il momento andava bene così. Ognuno di loro aveva le proprie colpe, i propri pesi da portare. Gli sorrise mestamente;

«Quando hai finito vieni a mangiare qualcosa. Pepper ha deciso di lavorare da qui con il preciso scopo di tenerci d'occhio».

Il miliardario fece un verso esasperato e gli intimò con la mano di andarsene, mentre lui tornava alle sue tecnologie.


Steve risalì nel piano adibito a zona notte e gettò uno sguardo nella stanza che sarebbe stata di suo figlio, ormai mancava davvero poco, un mese e mezzo e poi lo avrebbe finalmente conosciuto.

Natasha era lì. Accarezzava con gesti attenti le superfici lignee della culla, ormai quasi pronta, la stanza era inondata di luce primaverile e sul pavimento ricoperto da un soffice tappeto, tre enormi barattoli di vernice stazionavano sulla carta da giornale.

«Hai deciso il colore?» le domandò avvicinandosi con passo felpato. La russa ruotò il capo e gli sorrise appena.

«Niente rosa o azzurro. Non capisco perché ai bambini venga data una scelta così limitata! Non a tutte la bambine piace il rosa e l'azzurro non dev'essere per forza il colore per i bambini» replicò osservando sospettosa i tre barattoli accanto a lei.

«Ma come siamo polemici» ridacchiò il supersoldato abbracciandola da dietro e poggiando le mani sul pancione «Ho già espresso la mia preferenza».

Natasha ghignò, poi sollevò il capo per osservarlo;

«Com'è andata?».

Lo sguardo di Steve si fece distante per qualche attimo, poi accennò un sorriso amaro;

«Un passo alla volta. Ce la faremo...» le baciò una tempia «Gli ho promesso che non mi metterò in mezzo fra lui e Bucky».

«Mmm qualcosa di sensato finalmente» replicò perfida mentre il compagno le lanciava un'occhiataccia.

«Come stai? Come state?» domandò poi, trattenendo Natasha contro di sé;

«Euforico!» frecciò sconsolata, avvertendo il bambino muoversi senza sosta «Gli piace che tu sia con noi» gli sussurrò poi accostando le labbra alle sue, unendole in un bacio delicato.

Ma la quiete, avrebbero dovuto saperlo, non poteva durare in eterno. La voce compita di JARVIS richiamò tutti loro all'ordine, a quanto pare la minaccia era molto più vicina di quanto si aspettassero.


L'HYDRA aveva deciso di attaccare direttamente a New York e con tanto di orda fuori controllo di persone sotto l'influsso dello psychotron. Una meraviglia. Il sindaco aveva già allertato la guardia nazionale per contenere “l'epidemia”, ma gli Avengers erano gli unici a poter veramente tenere sotto controllo la situazione, o almeno così speravano.

«Se volevate farmi uscire dal laboratorio c'erano modi meno drastici sapete?» esordì serafico Tony, mentre i suoi compagni erano tutti riuniti ed assistevano alle scene di distruzione, decidendo il da farsi.

«Ben tornato fra noi!» replicò Clint poi con tutta la tranquillità che l'arciere possedeva gli chiese «A proposito, abbiamo risolto o devo aspettarmi di sedare anche voi due – e lanciò un'occhiata a Tony e Steve – oltre all'orda di persone impazzite?».

Il capitano si scambiò uno sguardo con il miliardario ed annuirono impercettibilmente.

«Non ti devi preoccupare» gli assicurò il supersoldato.

«Certo che attaccare direttamente qui...» rifletté Jace, accanto a Sharon e Alex.

«E' probabile che volessero approfittare della situazione fra Steve e Stark» ragionò Natasha «Quella ragazza ha detto “dividi et impera”, ed è questo che sperava di ottenere: dividerci ed eliminarci».

«Noi ora le dimostreremo che si sbaglia. È vero, divisi cadremmo, ma non è questo il giorno!» dichiarò Steve serio. Il resto della squadra annuì alle sue parole appassionate.

«Okay gente è il momento di muoversi!» disse Sam battendo le mani, mentre l'intera Tower si preparava all'ennesimo scontro.

«Maria?» la richiamò Steve «Resta con Natasha, d'accordo? Se le cose si dovessero mettere male tu sei l'unica che possa contattare Fury e metterli in salvo...».

L'agente annuì comprensiva ed accennò un sorriso.

Natasha al contrario aveva altre preoccupazioni. Bloccò Tony mentre dava gli ultimi ritocchi all'armatura.

«Dimmi tutto Rossa...».

Natasha lo fissò per un lungo momento;

«Voglio solo assicurarmi che tra te e Steve le cose si siano chiarite almeno in parte. Mi spiace per quello che è successo, ma devo accertarmi che Steve, il padre di mio figlio, il compagno che ho scelto di amare per il resto della mia vita abbia davvero le spalle coperte.» chiarì, l'espressione mortalmente seria.

Tony la fissò di rimando e deglutì appena.

«Ho capito l'antifona. Non hai nulla di cui preoccuparti» replicò facendo per superarla.

«Tony...» lo richiamò lei voltandosi appena mentre lui la guardava in attesa «Mi dispiace... E grazie» disse con una scintilla negli occhi chiari.

Il genio fece una smorfia che voleva assomigliare ad un sorriso e poi se ne andò, raggiungendo gli altri.


«Clint a ore nove! Sam, Tony mi serve copertura aerea!» ordinò Captain America, coordinando la squadra.

A terra lui, Sharon, Holden più la squadra dello S.H.I.E.L.D. composta da: Melinda May, Antoine Triplett, Bobbi Morse e Lance Hunter si stavano occupando di Rumlow, le due Winter Soldier e Grant Ward. Occhio di Falco, Iron Man e Falcon cercavano di fermare la gente impazzita a causa dello psychotron, aiutati da Holden, Hunter e Bobbi.

«Cap!» lo richiamò attraverso l'auricolare l'arciere «E' strano, ma sembra che l'HYDRA riesca a controllare le persone sotto l'effetto di quell'aggeggio infernale!»;

«Che siano riusciti ad intervenire sul prototipo di Yen?» si domandò Sharon retrocedendo con una capriola.

«Ciao bambolina!» la ragazza fremette nel sentire la voce di Crossbones, ma non lo diede a vedere e lo affrontò a muso duro.

Steve cercava di tenere a bada le due Soldatesse, durante lo scontro notò come la ragazza bruna cercasse di mettersi sempre fra lui e la bionda con il risultato di essere molto più provata della sua compagna.

Melinda e Triplett erano accaniti contro Ward ben decisi ad eliminarlo.

L'orda era difficile da contenere e gli Avengers e i loro compagni stavano per essere accerchiati finché... Un ruggito.

Non si erano sbagliati, quello che era giunto alle orecchie di entrambe le fazioni era proprio un ruggito bestiale, che di umano non aveva nulla, che penetrava nello ossa e riusciva a far vibrare l'intera cassa toracica.

Natasha Romanoff che seguiva la battaglia al sicuro nell'Avengers Tower col resto dei suoi abitanti, sorrise...

Jace chiuse gli occhi e ringraziò, mentre Alexandra al suo fianco iniziava a piangere...

Gli Avengers si voltarono e rimasero più sconvolti dei loro nemici: James Buchanan Barnes, fucile in mano, si stagliava davanti a tutti loro, con l'ombra gigante di Hulk che si stendeva protettiva sull'intera squadra. A poca distanza sopra le loro teste l'helicarrier del Colonnello Fury era pronto ad unirsi alla battaglia.

«Porca...» esalò Sam quasi pronto a mettersi a piangere alla vista dell'amico, creduto ormai perso.

«L'hai detto!» replicò Clint con un bel sorriso malandrino sulle labbra.

«In elegante ritardo» borbottò Tony.

Quell'attimo di distrazione costo caro a Sharon che si ritrovò presa per il collo da Rumlow e stretta nella sua morsa.

«Dimmi Carter, cosa si prova a ritrovare il proprio fidanzato per poi morire sotto i suoi occhi un attimo dopo?» le sussurrò malevolo.

Sharon era semplicemente impietrita, sentiva la testa girare e non capì nemmeno perché Brock avesse mollato la presa su di lei, si preparò all'impatto con il suolo che però non avvenne.

Esausta volse gli occhi verso chi la teneva saldamente fra le braccia;

«James...» mormorò stanca.

«Ti ho preso, amore» la rassicurò lui, poi finalmente, si abbandonò al buio.

___________________________________________________________________Asia's Corner

Buonasera a tutti voi! E ben ritrovati in questo capitolo beh decisamente movimentato!
Allora abbiamo avuto un chiarimento tra Tony e Steve e come vediamo entrambi hanno i loro bei fantasmi da affrontare... Ma tutto sommato poteva andare peggio ^^' Oddio visto che adesso è tornato Bucky eh ci sarà da ridere!
Finalmente il nostro adorato soldato complessato è tornato e si è portato dieto pure il carico da novanta! Banner-Hulk ha fatto la sua comparsa in scena... Che dite? Vi garba?
Ma caro dottore a parte, come la prenderanno gli Avengers il ritorno di Buc? Ma sopratutto come credete reagirà Sharon? Eh da qui è tutta in salita!

Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre non fatevi scrupoli a chiedermi delucidazioni :) Sono qui per voi! Detto ciò io passo a ringraziare non solo i miei fantastici recensori (per loro: mi spiace non avervi ancora risposto! Ma domani provvederò a rispondere alla vostre fantastiche recensioni!) e tutti coloro che mi seguono e mi fanno sentire il loro sostegno e anche a te che sei giunto a leggere fino a qui :)
Io vi auguro ancora un buon weekend e passo a comunicarvi che il prossimo capitolo cercherò di pubblicarlo nei giorni tra VENERDI' 29 e SABATO 30 (io mi scuso per i continui ritardi però purtroppo attualmente non riesco a fare di meglio, ho diversi impegni nel quotidiano che ostacolano la mia scrittura! Ma sappiate che i capitoli continueranno ad arrivare anche se magari con un giorno o due di ritardo sulla data preventivata :)) Grazie per la pazienza e comprensione (in ogni caso vi invito a seguire la mia pagina autore su FB "Asia Dreamcatcher")

A presto!

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Capitolo 21
*** Back to Home ***


21
http://i1171.photobucket.com/albums/r557/JasmineL211/DE01_2.jpg

Capitolo Ventuno: Back to Home (parte I)

Fill me with rage
And bleed me dry
And feed me your hate
In the echoing silence I shiver each time that you say
Don't cry, mercy
There's too much pain to come”
~ “Mercy”, Hurts


In principio furono solo ombre, contorni indefiniti... Più sbatteva le palpebre più i colori si accendevano e i profili si facevano più nitidi.

Sharon spostò lentamente il capo, mentre i suoni attorno a lei divenivano meno ovattati; provò a sollevarsi ma una pressione gentile sulla spalla la fece desistere.

«Non così in fretta» la roca voce di Natasha l'aiutò a prendere nuovamente contatto con la realtà.

Oltre alla bella spia russa, nel suo campo visivo comparvero Alexandra, evidentemente sollevata, e Maria.

«Sei in infermeria...» le spiegò Vedova Nera, vista la sua espressione confusa «Ti sei scontrata con Rumlow, l'HYDRA alla vista dell'helicarrier di Fury si è ritirato, è stato un bel colpo» disse scambiandosi un'occhiata veloce con l'agente Hill.

Ci fu un momento di silenzio totale, la mente dell'agente 13 si mise in moto mentre frammenti di ricordi iniziavano ad affiorare nitidamente.

«E' stato un sogno?» mormorò con voce tremante.

L'espressione di Natasha si ammorbidì, comprendendo la sua domanda;

«No».

Gli occhi di Sharon si dilatarono e per una frazione di secondo parve sotto shock. Poi le labbra si piegarono e le lacrime le appannarono lo sguardo, si portò le mani al volto e si permise di piangere come una bambina. Il cuore che pulsava impazzito nel petto.

Lui era lì. Era lì a pochi a metri da lei. Era tornato. Era tornato da lei...

«Dov'è?» sussurrò.


Ad un paio di stanze di distanza James Barnes si sentiva accerchiato. Non che volesse o potesse lamentarsi, aveva fatto tutto da solo, l'unico che poteva biasimare era se stesso.

La sua famiglia, la famiglia da cui era fuggito col solo intento di proteggerli lo fissava basita, forse ancora troppo provata per dire qualcosa, o saltargli selvaggiamente addosso. Tale sconvolgimento non era dato sapere se perché si fosse ripresentato dopo mesi davanti a loro o perché si fosse trascinato dietro Fury, il suo helicarrier e Bruce Banner; che povero lui se ne stava in disparte alquanto imbarazzato da quel silenzio che si poteva tagliare con un machete.

Sam Wilson lo fissava con gli occhi sgranati, come un bambino, indeciso se prenderlo a pugni o abbracciarlo disperato.

Tony Stark se ne stava a braccia conserte, addossato al muro quasi fosse lui a reggerne il peso, aspettando il momento giusto per muoversi.

Steve Rogers guardava Bucky Barnes con occhi vitrei, diviso fra la voglia di abbracciarlo e fargli male... Sembrava essere tornato ad anni fa, subito dopo aver scoperto che era vivo. E il suo, James, era il giudizio che temeva di più, insieme a quello di lei e di Jace, che al momento non era presente.

Ma quell'immobilità, quel senso di attesa opprimente, come di un vetro un attimo prima di frantumarsi in mille pezzi, venne brutalmente spezzato.

James si beò di quella visione, di quella furia che avanzava verso di lui. Quante notti l'aveva sognata? Aveva perso il conto. I suoi sogni non le avevano reso giustizia: era infinitamente più bella, gli occhi scuri accesi, i capelli dorati che ora le accarezzavano delicatamente il seno. Poterla nuovamente stringerla fra le braccia era stato come tornare alla vita.

Lo schiaffo arrivò così forte ed improvviso che gli fece voltare il capo. Sharon era livida, gli occhi ancora lucidi di pianto, emanavano un bagliore pericoloso, le labbra erano pallide e secche. Tremava senza controllo.

«Tu!» un altro pugno, il Soldato d'Inverno non provò nemmeno a difendersi «Sei uno stronzo! Dan...na..to James B...arnes!» gridò.

Andava bene, quel dolore, quella paura che la sua Sharon gli stava rovesciando contro andava bene. Da lei avrebbe accettato qualunque cosa gli avesse dato. Perfino il suo odio.

«Come hai potuto andartene? Eh!? Dopo quello che era successo?» urlò mentre le lacrime avevo ripreso a solcarle il viso, lo strattonò per la giubba «Come ti sei permesso di farmi una cosa del genere? PERCHE'?» era quella la domanda più importante per lei, perché la risposta che aveva trovato dentro di sé, semplicemente non le bastava «A me, a Steve a JACE! A tutti noi... Avevo bisogno di te – tirò su col naso – IO AVEVO BISOGNO DI TE! Invece sei scappato! Hai scelto tu per me! Non mi hai dato altre possibilità!» un altro pugno, un altro singhiozzo «GUARDAMI IN FACCIA JAMES!» i suoi occhi colmi d'ira si scontrarono con quelli persi di Bucky «Hai distrutto ogni cosa» gli rinfacciò.

Improvvisamente la presa sul Soldato d'Inverno venne meno, Steve e Sam l'avevano delicatamente afferrata a trascinata lontana da lui, Sharon scossa dai singhiozzi sentì nuovamente un gran gelo avvolgerla. Si rifugiò fra le braccia di Natasha, nascondendosi alla vista di tutti. Non potendo sopportare oltre, percependo quel dolore che per mesi aveva soffocato, tornare a galla cancellando impietoso tutti i suoi sforzi.

Il suo dolore si era mischiato all'amore per lui, ancora intatto ed immutato. Lo amava così tanto che avrebbe potuto ucciderlo.

James la guardava desolato, nessuno dei suoi compagni era rimasto indifferente a quella sfuriata, a quella disperazione.

Natasha sollevò il suo sguardo di giada posandolo prima sul Soldato d'Inverno e poi su Steve, che la osservava di rimando cercando un sostegno; lei gli concesse un lieve cenno poi sospinse gentilmente l'amica provata lontana da loro.

«Ho fatto ciò che sentivo di dover fare...» mormorò atono Bucky. Sam e il capitano videro con una punta di tristezza l'espressione spezzata dell'amico, i suoi occhi di ghiaccio ma vitrei puntavano ancora nel punto dove Sharon era stata fino ad un attimo prima.

Solo in quel momento, avendolo finalmente davanti a loro, si resero conto di quanto gli fosse costata quella scelta. Che per quanto avessero sofferto, lui ne aveva sofferto il doppio. Entrambi però non mossero un muscolo.

«Hai fatto penare parecchie persone come vedi» replicò pacatamente Tony, sorprendendo tutti. James lo guardò, c'era qualcosa di diverso nello sguardo del magnate rifletté.

«Prima che tutti voi lo mettiate sotto processo...» si fece avanti Fury puntando il suo unico occhio su ogni singola persona presente «Il signor Barnes è riuscito a recuperare delle informazioni di vitale importanza, che dovrebbero aiutare a fare chiarezza sui nostri nemici» dichiarò grave, le mani chiuse dietro la schiena.

«Che genere di informazioni?» chiese Steve avvertendo la presenza di Vedova Nera accanto a lui. Aveva accompagnato Sharon a riposarsi, lasciandola alle dolci cure di Alexandra. «»

«I file nascosti di Alexei Shostakov» rispose James guardandolo appena. La notizia fu accolta con un certo sbigottimento generale, inutile dire che ormai se ne erano quasi dimenticati, le incombenze erano state fin troppe in quegli ultimi mesi e avevano dovuto accantonare quella pista.

«Dici sul serio?» chiese impressionato Sam «Sei tornato in Russia?». James annuì piano e si fece passare da Fury i file, li aprì e li distribuì sul tavolo.

«Ma questi sono...» mormorò Clint con occhi sgranati;

«I Winter Soldiers. Questi file contengono le loro vere identità...» spiegò con tono grave Bucky, mentre i suoi compagni si avvicinavano interessati.

Steve prese alcuni fogli fra le mani e li osservò con attenzione: Niall Drake... Dominil Rosenberg... Ekaterina Smirnova... Leon Duval...

«Dicono molto di più, contengono anche i trattamenti che hanno subito per diventare Soldati d'Inverno» disse Natasha concentrandosi sopratutto sul file della ragazza di nome Ekaterina.

«Forse riusciremo ad aiutare il Winter Soldier nelle nostre mani...» ragionò Melinda May, che era rimasta per fare le veci di Coulson.

«Per questo il dottor Banner è qui. Ci potrà essere d'aiuto, anche con la questione psychotron» si intromise Fury, introducendo formalmente l'altro Avenger, finora rimasto nelle retrovie. Il resto della squadra però era davvero contento del suo arrivo.

«L'hai invitato o minacciato?» frecciò, fingendo un tono pacifico, Tony. Steve levò lo sguardo sul Colonnello e dalla sua espressione si capì essere d'accordo con il magnate.

«No Tony è stata una mia libera scelta, per quanto abbia poco gradito trovarmi il Colonnello in quello che pensavo un posto irrintracciabile» replicò pacato Banner, scoccando una veloce occhiata a Fury. Il suo sguardo scivolò sul ventre pieno di Natasha e sorrise comprensivo verso lei e Steve;

«Vista la situazione non potevo restarmene in disparte. Inoltre forse ho un'idea su come poter aiutare il signor Barnes» tutti gli sguardi puntarono su James, la cui espressione si fece grave.

«Vuoi che-?» chiese educatamente Bruce, ma Bucky scosse il capo.

«No spetta a me».

E così il resto degli Avengers venne a conoscenza dei fantomatici codici d'attivazione del Soldato d'Inverno. E tutto fu chiaro.

«So di aver sbagliato. Ma non potevo restare, non quando delle dannate parole potevano farmi rivoltare contro di voi. Quello che ho fatto a Sharon – la sua voce tremò – ...ero sconvolto. Non potevo avvicinarmi a voi, non prima di aver trovato una soluzione o quanto meno una vaga idea su come poter essere fermato – il suo sguardo incrociò quello del capitano e non lo distolse stavolta – non potevo mettere nuovamente la mia famiglia in pericolo». I suoi occhi di ghiaccio chiedevano, no supplicavano Steve, e anche Sam, di comprenderlo; il suo cuore già sanguinava per Sharon, ma un completo rifiuto da parte loro l'avrebbe annientato.

«Ricordi le parole?» gli chiese Natasha. Lui annuì e gliele ripeté in inglese, non fidandosi di enunciarle in russo ad alta voce.

Gli occhi di Vedova si illuminarono, e si rivolse ai compagni:

«Sono le parole che anche N... No – diede uno sguardo ad una delle cartelle – Niall ripeteva a Sharon. Forse ora possiamo aiutarlo». Steve annuì.

«Significa che hai trovato una soluzione?» chiese bruscamente Tony, rivolgendosi direttamente a James «Hai detto che non saresti tornato senza una soluzione per questo controllo, vuol dire che ne hai trovato una?».

Bucky si scambiò un'occhiata complice con Banner che decise di intervenire, schiarendosi la voce.

«E' una soluzione sperimentale. Credo di poter ricalibrare le onde emesse dallo psychotron-» lo stupore generale fu tanto «E utilizzarlo poi su James»;

«Che cosa?» urlò Sam un tantino sconvolto. Natasha si irrigidì ben conscia del potere dello psychotron e si strinse impercettibilmente al capitano che aveva il timore nello sguardo.

«Lo so che sembra una follia, ma sono quasi certo di rendere lo psychotron di utile allo scopo: faremo riemergere i ricordi di quando gli hanno imposto questi codici d'attivazione e con un ulteriore sforzo da parte di James, potremmo sostituire le immagini legate alle singole parole d'attivazione a suoi ricordi lieti. L'obiettivo è far si che quelle parole non facciano più scattare l'assoggettamento totale a chi pronuncia i codici».

«Quanto è sicuro questo procedimento?» la voce graffiata e il tono calmo di Jace si insinuò fra loro; stava appoggiato alla parete, i suoi occhi blu fissavano James.

«Jace» mormorò il Soldato, il quindicenne abbozzò un sorriso sereno;

«Ciao Bucky. Ce ne hai messo di tempo...»

«Mi spiace averci messo tanto».

Jace annuì come se avesse capito. Lui infondo l'aveva sempre saputo che sarebbe tornato, non che la cosa avesse fatto meno male malgrado questa intima consapevolezza. Ma per lui vederlo nuovamente a casa era più importante di qualsiasi rancore, sapeva, però, che per Sharon non sarebbe stato così facile.

Gli andò incontro abbracciandolo forte, James rispose un po' goffamente ma questo ebbe il potere di distendere la tensione.

«Perdonate l'intrusione, ma quanto è sicuro questo trattamento, dottor Banner?» chiese nuovamente Jace. Bruce cercò di sorridergli incoraggiante;

«C'è un margine di fallimento non lo nego. Ma sono fermamente convinto di poter aiutare James» replicò seriamente.

Jace annuì, mentre Bucky gli strinse gentilmente la spalla;

«Andrà bene» gli sussurrò, poi si voltò verso gli altri e fece un cenno col capo «Andrà bene. Se questo è l'unico modo per impedirmi di farvi del male non mi tirerò indietro».

Steve non ne era totalmente convinto, era preoccupato ma aveva fiducia in Banner.

«D'accordo – disse Tony – Bruce hai a disposizione il mio laboratorio e il mio genio, ma prima che tu proceda vorrei parlare con Barnes, in privato». Si scambiò un'occhiata con il biondo supersoldato che non fece una piega, come promesso; anche se l'atteggiamento tranquillo di Stark lo inquietava leggermente e guardando Sam, notò che anche lui era della sua stessa opinione. Ma d'altronde quella, non era una questione che lo riguardasse.

«Va bene» replicò atono Bucky. Fury però aveva ancora qualcosa da dare loro;

«C'è un ultimo file che debbo consegnarvi, prima che possiamo finalmente passare a studiare una strategia. C'era un quinta cartella in possesso di Alexei, le informazioni a riguardo sono scarne ma essenziali... » estrasse una foto, era vecchia, risalente agli anni Quaranta «Signore e signori vi presento Sinthea Schmidt, sangue del sangue di Teschio Rosso».


«Mi spiace, non sono riuscita a controllarmi» mormorò Sharon mentre si asciugava il viso con l'asciugamano che Sasha le aveva porto.

«Hai risparmiato a Steve e Sam un'urlata coi fiocchi» replicò con un bel sorriso sardonico Natasha, seduta davanti a lei «Nessuno pensa che tu sia pazza, fossi stata in te non credo che Steve sarebbe uscito sulle sue gambe».

L'agente 13 sorrise tremula «Nat... Io non riesco-» si portò le mani alle labbra. Non riusciva a perdonarlo, non ancora. Lo amava, lo amava così tanto che quel sentimento ora la feriva, era la cosa che meno voleva per sé in quel momento. Era divisa tra la voglia di annegare in lui e la voglia di schiaffeggiarlo fino a non sentire più le mani. Nel suo profondo, non faceva che ringraziare qualsiasi essere stesse giocando con le loro vite di averglielo riportato sano e salvo, di averlo fatto tornare da lei.

Natasha l'aveva aggiornata sulle novità, l'idea che James passasse sotto l'influenza dello psychotron la terrorizzava, ma il suo orgoglio la teneva inchiodata dov'era, impedendole di precipitarsi da lui.

«Non ti preoccupare. Jace si occuperà di lui...»

«Lui è sempre stato convinto che sarebbe tornato» affermò accorata Alexandra mentre le due donne le sorridevano;

«Voi diverrete adulti migliori di noi» le disse Sharon con dolcezza. La tredicenne arrossì «Vi spiace se ora vado da lui?».

Rimaste sole le due spie si guadarono intensamente;

«Tieni questo è il fascicolo su N, tu sei l'unica che possa aiutarlo» disse la russa porgendole il fascicolo un po' ingiallito.

«Pazzesco, Alexei era riuscito a raccogliere tutto questo?»

«E' una fortuna che Bucky abbia deciso di continuare a cercarli» disse mentre Sharon faceva una smorfia. Vedova fece un pallido sorriso poi si fece improvvisamente seria.

«Sharon. C'è un'altra cosa... » la sua espressione si fece letale, segno che qualcosa o qualcuno aveva infastidito la temibile Natasha Romanoff più del dovuto «Per risvegliare e potenziare Sinthea Schmidt, la figlia di Teschio, hanno usato il sangue di Alexandra».

___________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti voi, sono mortificata per l'ennesimo ritardo! Purtroppo ho avuto degli imprevisti di natura personale e non sono più riuscita a completare il capitolo. Come avete visto dal titolo, vi saranno due parti, questo perché le cose da dire sono tante e non volevo comprimere tutto in un unico capitolo o che risultasse confusionario, per la seconda parte dovrete aspettare VENERDI' 07 FEBBRAIO (so che è molto tempo, ma al momento non posso fare di più, durante la settimana ho altre scadenze da rispettare e purtroppo questa è la data che mi è più congeniale).

Passando al capitolo, come avrete letto, di carne al fuoco ne abbiamo, quanto meno le informazioni che Fury, Buck e Bruce hanno fornito ai loro compagni sono tante e non sempre semplici da digerire: l'utilizzo dello psychotron da parte di Bruce per aiutare James, i fantomatici file di Alexei contenevano informazioni parecchio interessanti e nei prossimi capitolo l'identità dei quattro Winter Soldiers verrà svelata per bene, inoltre ora sappiamo a cosa serviva il sangue prelevato di Sasha in "La Danza della Stanza Rossa" ad aiutare Sin a ristabilirsi, ma qualcuno non ha per niente gradito questa notizia! 
ora Bucky è tornato e Sharon beh non ha preso la cosa proprio benissimo... Ma sinceramente la capisco e io avrei potuto fare ben di peggio, poteva avere tutte le ragioni del mondo James ma una donna innamorata non sempre ascolta le ragioni della mente; Jace invece l'ha presa piuttosto bene! Ma abbiamo ancora da leggere le reazioni di Tony, Steve e Sam... Insomma ripeto di carne al fuoco ne abbiamo!
Inoltre che ne pensato dell'entrata in scena di Bruce? All'inizio come personaggio del MCU non mi entusiasmava particolarmente ma ultimamento l'ho rivalutato sopratutto grazie ad una scrittrice di questo sito (Thanks Ale ;)).

Detto questo, spero che l'attesa sia valsa la pena e vi auguro una buona serata! Io vi ringrazio moltissimo per l'affetto e il supporto che non mi fate mai mancare!
A presto!

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Capitolo 22
*** Back to Home (parte II) ***


22
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Capitolo Ventidue: Back to Home (parte II)

Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.”

~ Dante Alighieri “Canto III, Purgatorio”


Bucky seguì, con passo felpato, Tony all'interno del suo laboratorio. C'erano chiari segni di nervosismo, probabilmente il magnate nemmeno se ne accorgeva; ma per individui addestrati come lo era il Soldato d'Inverno erano come fari in una notte senza luna.

Già il fatto che lo stava introducendo nel suo laboratorio parlava da sé: era il regno di Tony per eccellenza; il suo mondo, l'unico posto – forse – in cui fosse davvero a suo agio.

«Tony...» mormorò James guardandosi attorno circospetto. Si sentiva sulle spine, come se temesse di venire attaccato da un momento all'altro.

Ma Iron Man non gli rispose, aprì un cassetto del suo piano di lavoro e lanciò sulla superficie liscia una foto ormai consunta.

Bucky strinse gli occhi, le sopracciglia si corrucciarono per l'attenzione che dedicò a quel frammento tangibile di memoria.

«Sono Maria e Howard Stark, i miei genitori...» rispose per lui Tony, lo sguardo vacuo puntato sul vetro trasparente.

«Howard» sussurrò meditabondo il supersoldato.

«Già» replicò debolmente il genio «J.A.R.V.I.S.».

L'AI eseguì il comando del suo creatore e proiettò l'apparente incidente stradale degli Stark.

L'atmosfera si fece ancora più grave, James semplicemente ammutolì, una sensazione sgradevole si fece strada alla bocca dello stomaco. Il magma di ricordi nella mente del soldato iniziò a ribollire, alla ricerca di qualcosa.

«Tony-» esalò, nel suo tono si scorse una sottile vena di panico. Il suo cuore si contrasse dolorosamente.

«Non so... Forse tu li ricordi così» e partì il video incriminante.

Iron Man non guardò il video, no. I suoi occhi ne erano ormai saturi; fissava James che con sguardo sbarrato osservava, crudelmente ipnotizzato da un orrore che lui stesso aveva perpetrato, seppur inconsapevolmente.

Tony voleva in qualche modo causargli dolore, voleva che sentisse almeno un centesimo della sorda sofferenza che covava lui. Era conscio di essere immaturo, meschino ma, in quel momento, non gli importava; almeno finché...

Bucky inorridito assisteva impotente al suo io passato che, insensibile alle sue suppliche, uccideva Maria senza un moto nell'anima o nello sguardo. Fu troppo e diede di stomaco.

E fu l'esatto momento in cui gli intenti di Tony si infransero, osservò i conati di vomito, che impietosi scuotevano il corpo del soldato provato fin nel profondo e si rese conto di aver infierito brutalmente su un'anima già in pena; crollò a terra con la schiena poggiata al muro nello stesso istante in cui Bucky si accasciò in ginocchio, esausto.

Per svariati minuti nessuno dei due disse nulla, il magnate ascoltava gli ansimi pesanti del Soldato, senza che questi gli procurassero alcuna forma di sollievo.

«...Mi spiace» sussurrò Bucky, rimettendosi seduto e abbandonando la testa contro il muro e guardandolo di traverso, l'uno l'immagine speculare dell'altro.

«Ma immagino che ora sia tardi».

Tony scosse il capo;

«Ho da poco imparato che non è mai troppo tardi per chiedere scusa» replicò provato anche lui dalle reazioni dell'altro.

«Sono stato crudele» disse osservandolo negli occhi lucidi. James rise, un suono gutturale, amaro.

«Direi che me lo sono meritato» era sinceramente divertito «Tony se volessi uccidermi, lo capirei» affermò serafico ricambiando lo sguardo con sicurezza.

Il genio sgranò gli occhi;

«Ci ho pensato, non te lo nascondo» usò volutamente un tono leggero, forse per nascondere la vergogna di un pensiero a tratti giustificato.

«Ma se ti chiedessi il motivo per cui lo hai fatto... Tu cosa mi risponderesti?»;

James assunse un'espressione di scuse.

«Ti risponderei che non conosco il perché. Non posso darti ciò che vuoi» ribatté mortificato.

Tony fece un gesto ampio con le mani, come a dire “Visto il motivo per cui ucciderti non risolverebbe le cose?”, si passò una mano sul volto.

«In verità puoi darmi ciò che voglio» aggiunse poi. Bucky si fece attento, quasi fosse pronto ad eseguire un ordine.

«Tu puoi dirmi chi è stato. Chi ha pronunciato la condanna a morte dei miei genitori» dichiarò con occhi dilatati «Non mi basta smantellare l'HYDRA, voglio quella persona». Un barlume di consapevolezza attraversò lo sguardo del supersoldato.

«Quel nome è ben protetto nella mia mente, non è un'informazione a cui possa accedere semplicemente volendolo. Colui che mi dava gli ordini sapeva come proteggersi, ma un modo c'è.» il volto del magnate si accese «Aiuta Banner e io potrò darci ciò che vuoi».

«Farà male»;

«Provare a redimersi fa sempre male».


*


«Holden finiscila!» trillò Simmons spazientita, facendo sobbalzare non solo il diretto interessato, ma anche Triplett, Hunter e Fitz.

«Scusa non lo faccio apposta!» si giustificò l'agente con espressione mortificata, riferendosi al suo tic nervoso.

I cinque ragazzi lanciarono un'occhiata a Skye, silenziosa e totalmente immersa nella decriptazione di quella maledetta chiavetta. Per quasi tutto il giorno non si era spostata dalla sua postazione, all'interno del Playground, tanto che Antoine l'aveva praticamente obbligata a mangiare, caricandosela in spalla.

«Fa paura quando è in quello stato...» sussurrò Lance Hunter a Triplett proprio mentre l'hacker borbottava rabbiosa.

«Spero che riesca a decifrarla» disse pensieroso JJ. Annabeth aveva rischiato moltissimo nel consegnargli quella chiavetta, dovevano esserci informazioni fondamentali ma sapeva bene che quei svariati livelli di cifratura servivano nel caso fosse finita nelle mani sbagliate.

«Non ti preoccupare JJ, Skye non fallirà... Insomma sono un ingegnere aerospaziale e non ho la più pallida idea di cosa stia combinando» si intromise Fitz con un'adorabile sorriso. Le sopracciglia di Jemma schizzarono verso l'alto;

«Non è molto confortante, Fitz!» mentre quest'ultimo incassava la testa nelle spalle facendo per replicare.

«Non importa Simmons, ho capito cosa voleva dire» sorrise divertito l'inglese.

«Grazie JJ!».

«Che dite vi fa di fare una scommessa?» la voce annoiata di Hunter catturò l'attenzione generale.

«Che genere di scommessa?» domandò titubante l'ingegnere.

«Semplice! Maschio o femmina? Io scommetto che il figlio di Romanoff e Rogers sarà femmina!» dichiarò con un sorriso sornione.

«Io dico maschio!» replicò Triplett lasciandosi coinvolgere;

«Mmm, io sto con Antoine e dico anch'io maschio» affermò Fitz pensandoci su.

«Leo! Non credo sia giusto scommettere! - borbottò indignata Jemma – ma spero che sia femmina!».

«Io sto con la piccoletta!» si intromise la voce baritonale di Mack appena sopraggiunto per informarsi sugli sviluppi; visto che quella probabilmente era l'unica pista decente che avevano.

«Beh potreste chiederlo a Skye, lei ha accesso alle cartelle, sa già il sesso del bambino...» buttò lì Holden. Inutile dire che tutti gli occhi si puntarono come fari sulla povera Skye, totalmente inconsapevole di ciò che le accadeva dietro le spalle.

Nessuno però fece in tempo a chiederle nulla poiché un attimo dopo, esultò con tale fervore, che rimasero tutti pietrificati.

«L'abbiamo persa» concluse brillantemente Hunter incrociando le braccia al petto.

«Ragazzi! Ci sono riuscita! Ho decriptato la chiavetta!». Immediatamente tutti le si accalcarono attorno.

Se in un primo momento l'euforia regnò sovrana, questa dovette presto cedere il passo alla gravità delle informazioni contenute all'interno dell'unità di memoria.

«Ragazzi questa è una faccenda seria-» esordì Mack;

«Incredibile, è riuscita persino ad inserire alcune planimetrie!» disse Fitz ammirato;

«Sono... fabbriche...» mormorò Skye, scambiandosi un'occhiata tesa con Triplett che ricambiò con altrettanta preoccupazione.

«Sono tutte in mano all'HYDRA» esalò Holden.

«Dobbiamo andare subito da Coulson e May».

Quello che avevano per le mani era prezioso, oh se lo era... Ma gettava una luce inquietante sulla vastità dell'HYDRA. Forse, erano ad un punto di svolta.


*


Sharon Carter inspirò pesantemente e si ravvivò i capelli, raccolti in un'alta coda che sfiorava ciondolante le spalle rigide.

Camminava rapida lungo il corridoio asettico della struttura sanitaria di proprietà dello S.H.I.E.L.D., dedita alla cura e alla riabilitazione dei propri agenti; in particolare dei casi più gravi. La struttura oltre a svilupparsi in altezza, aveva anche alcuni piani sotterranei e l'agente 13 stava percorrendo proprio quei corridoi.

Agenti dello S.H.I.E.L.D. pesantemente armati pattugliavano la zona, Sharon però pensava, che tutta quella dimostrazione di forza era ormai inutile contro una persona, che a suo parere, non rappresentava più alcun pericolo.

Dopo essersi fatta riconoscere e perquisire le permisero di accedere alla stanza. Lui era ammanettato al letto, semidisteso guardava con espressione pacifica i cartoni animati, trasmessi sulla tv a schermo piatto che gli avevano concesso. I cartoni animati.

«Ciao N» lo salutò con un dolce sorriso Sharon, accomodandosi sulla poltrona imbottita accanto al letto.

Il Winter Soldier si voltò a guardare la nuova venuta, la sua espressione non mutò: restò tranquilla anzi i suoi occhi si rischiararono.

«Sharon» la sua voce aveva acquisito nel tempo, che avevano trascorso insieme, un qualcosa di infantile, di genuina sorpresa.

«Che cartone guardiamo oggi?»

«Sailor Moon».

Sharon si trattenne dallo scoppiare a ridere, si accomodò meglio sulla poltrona e insieme ripresero a guardare la televisione. Aveva scoperto che i cartoni animati avevano un effetto ipnotizzante e calmante sul soldato, ricordandogli tremendamente un bambino.

Attese la fine della puntata, poi richiamò la sua attenzione;

«Parliamo un po' N?» lui annuì. Usava un tono calmo Sharon, cercava di essere paziente e di non forzarlo quando era evidente che lui non voleva o non riusciva a rispondere o ricordare. Era l'unica che riusciva a farlo parlare, l'unica con cui aveva stabilito un contatto sincero; d'altronde era perdutamente innamorata del Soldato d'Inverno originale, forse era proprio quella la sua croce.

«Questa che ho tra le mani è qualcosa che ti riguarda... - lo guardò attentamente – qui è riportata la tua vera identità, N.» gli occhi del giovane si dilatarono e sfrecciarono in ogni direzione, quasi volesse trovare una via di fuga.

Sharon gli poggiò con delicatezza una mano sul braccio per richiamare lo sguardo su di sé. Era spaventato, forse non aveva mai sperato di poter conoscere la sua vera identità, lui non aveva conosciuto che violenza e dolore e forse temeva di non saper riconoscere quella verità, di non riuscire a ricordare nulla della persona che era prima.

«N... Se per te non è il momento va bene, non le leggerò» lo rassicurò lei; ma lui le bloccò il polso, facendola trasalire per la rapidità, immediatamente assunse un'espressione contrita e la lasciò andare.

«Scusa» mormorò «Va bene, posso farcela. Voglio che sia tu a dirmi chi sono».

La ragazza gli fece un sorriso carezzevole;

«D'accordo... - aprì la cartella ed estrasse i file – il tuo nome è Niall Drake» osservò il suo volto per vedere l'effetto delle sue parole, e i suoi lineamenti si indurirono nello sforzo di ricordare «Sei nato qui a New York il sei maggio del millenovecentoventisette»;

«Sono americano...»

«Sì Niall, posso chiamarti Niall?» lui annuì, i suoi occhi si fecero liquidi, increduli... Poteva riappropriarsi della sua identità?

«Tua madre era una casalinga, tuo padre faceva il carpentiere ma è morto durante la Seconda Guerra Mondiale... tuo fratello minore-»

«Michael» la interruppe Niall con sguardo sbarrato. Qualcosa era scattato in lui, fu come una crepa luminosa che incrinava un muro scuro e minaccioso.

«Si chiamava Michael, vero?» chiese guardandola quasi speranzoso.

Gli occhi dell'agente 13 si riempirono di lacrime, per lei quel momento era estremamente delicato: riavere Bucky con sé le procurava una gioia immensa malgrado la sua rabbia non fosse minimamente scemata, ma poter dare nuova dignità ad una persona come il Winter Soldier smuoveva ulteriormente qualcosa nel caos di emozioni che albergavano nel suo corpo.

«Mi dispiace Sharon» aveva sempre pronunciato il suo nome con una sorta di tremore «Non volevo farti piangere».

La bionda si asciugò in fretta la lacrime e sorrise «Va bene così. Sì, tuo fratello si chiamava Michael...».

«Com'è successo? Come sono diventato ciò che sono?» domandò poi desolato, dopo l'iniziale calore e sollievo che l'aveva avvolto.

Lo sguardo di Sharon si adombrò e lo riportò sui file;

«Qui c'è scritto che sei diventato un soldato pochi anni dopo la morte di tuo padre, col grado di Sergente Maggiore. Eri di stanza all'ambasciata americana nell'ex Unione Sovietica nel 1952, è l'ultimo anno in cui si hanno notizie di te. L'esercito ti ha dato per disperso in suolo russo. L'HYDRA molto probabilmente si era già infiltrata nell'intelligence russa... Mi dispiace».

Niall annuì mestamente, poi però non riuscì più a contenere tutte quelle emozioni, tristezza, sollievo, disperazione, una timida speranza e scoppiò a piangere; Sharon non l'aveva mai visto così. Si piegò su se stesso e si coprì il viso con le mani, per quanto glielo permettessero le manette strette ai polsi.

L'agente lo circondò con le sua braccia, cercando di cullarlo.

«Ora cosa faccio? Che ne faccio di me stesso?» mormorò spaventato.

Lei gli prese il volto fra le mani;

«Puoi essere libero, Niall» affermò con sicurezza.


*


James si massaggiò lentamente la radice del naso con le dita, ripensò a Sharon che era uscita qualche ora prima senza degnarlo di un'occhiata, a ciò che era successo con Tony. Tutte cose che gli avrebbero causato un imminente mal di testa, ma prima, sfortunatamente per lui, c'era ancora qualcosa che andava sistemato.

Trovò i due intenti a montare il mobile, nella stanza del suo futuro nipotino, le pareti erano di un riposante verde prato e la culla era già stata addossata al muro. La camera aveva iniziato a prendere forma.

«Serve una mano?» si decise a chiedere entrando ed osservando mestamente Steve e Sam.

Il supersoldato e il falco restarono a fissarlo per qualche istante, il secondo sospirò e gli lanciò il cacciavite.

Per svariati minuti nessuno disse nulla e si mossero nel totale silenzio, malgrado fosse mancato per dei mesi, il loro affiatamento non si era affievolito, che fosse sul campo di battaglia o in qualsiasi altra attività, insieme lavoravano bene.

«D'accordo chi comincia?» quasi non fece in tempo a terminare la frase, che Sam lo colpì con forza alla spalla.

«Era proprio necessario?» berciò l'ex pararescue a metà fra l'arrabbiato e il malinconico.

«L'ho fatto per voi, non me la sentivo di restare e mettervi tutti in pericolo... Non- non potete capire»;

«Bastava spiegarcelo» si intromise la voce autoritaria ma controllata di Steve. Era evidente che si stesse trattenendo, non voleva generare ulteriore tensione; in particolare non nella stanza del suo bambino.

«Sapevo a malapena cosa stava capitando a me!» replicò James «So che vi ho ferito, ma in questo modo avrei potuto agire più liberamente, cosa che ho fatto! Forse voi avreste reagito diversamente, ma non chiederò scusa per come ho tentato di proteggervi da me stesso!» terminò quel suo sfogo quasi con il fiatone.

L'espressione di Sam si fece rabbiosa per un istante, poi sbuffò e si grattò la nuca;

«E che... Dannazione... Ci sei mancato. Eravamo preoccupati, buddy» confessò con una certa riluttanza.

Lo sguardo di Bucky si schiarì profondamente toccato, mentre l'espressione di Steve si ammorbidì.

«Non lo fare mai più, mi hai capito Buck? Steve ha ragione, noi siamo una famiglia...»;

«Mi dispiace. Ma ho quasi ucciso Sharon, capite? Non c'è notte in cui io non mi sveglia rivedendo il suo corpo esanime tra le mie braccia, credendola morta» i suoi occhi si colmarono di dolore a quel pensiero.

Steve e Sam si lanciarono un'occhiata complice;

«Bucky...» lo richiamò il capitano; i loro sguardi si incrociarono e fu come se lui non se ne fosse mai andato, ciò che intercorreva fra loro, era uno dei legami più forti e sinceri esistenti.

«Non ti avremmo mai voltato le spalle. Posso solo immaginare ciò che hai provato, ma cerca di capire noi, di capire Sharon. Già una volta ti ho perso... E' stato insostenibile vederti sparire di nuovo, ancora una volta senza potertelo impedire, e Sharon lei ha sofferto più di tutti noi...» gli confessò con disarmante sincerità.

«Steve – sospirò – se tu avessi capito che per noi, per Natasha saresti stato una minaccia... Puoi dire con certezza che non lo avresti fatto anche tu? Puoi affermare senza esitazioni che non avresti accarezzato l'idea di allontanarti, pur sapendo di ferire gli altri oltre che te stesso?».

Steve non rispose. Pensò a Natasha e al bambino, no, non avrebbe potuto affermarlo con certezza.

«Ma non me ne sarei andato senza dire una parola...» replicò lui incapace di trattenersi. James sorrise mestamente;

«Questo perché tu ed io siamo diversi Stevie...» mormorò lui serafico.

Steve sospirò, James contrariamente a lui aveva già accettato da molto tempo prima la diversità che intercorreva non solo fra loro due, ma anche fra il Bucky degli anni Quaranta e il suo io attuale.

«Non sono un santo. Ho commesso anch'io la mia buona dose di errori...» ecco si era arrivati al punto.

«Steve...» protestò debolmente Sam, detestava quando l'amico si metteva alla gogna da solo.

«Stai parlando di Stark. Mi ha messo al corrente» replicò pacifico Bucky;

«E ne sei uscito senza un graffio?» allibì Sam, con una sottile nota di ironia nella voce «Wow! Allora tu e Tony avete parlato sul serio!» disse rivolto a Steve.

«Beh direi che ciò che mi ha chiesto come “risarcimento” è un prezzo più che accettabile, rispetto a ciò che ho commesso...»

«Che ti hanno costretto a commettere-» ribatterono in coro gli altri due, quasi in automatico.

Bucky sorrise appena, commosso. Eccoli lì, la sua famiglia che mai gli avrebbe permesso di sprofondare nell'oscurità. Gli erano mancati.

«Buck, mi dispiace davvero... Ora- ora ho capito» disse Steve; l'amico scosse il capo. Fra loro non servivano troppi discorsi, si conoscevano da più di una vita, James aveva accettato il fatto che il suo Stevie avrebbe sempre cercato di proteggerlo e mai smesso di preoccuparsi per lui.

«A proposito... riguardo allo psychotron». Ecco appunto. «Ne sei sicuro?»;

«Steve. Avrei promesso a me stesso che sarei tornato solo nel momento in cui avrei trovato un modo per liberarmi dal condizionamento. Mi fido di Banner, so che non sarà indolore... Ma piuttosto di continuare ad essere una bomba ad orologeria preferisco rischiare il tutto per tutto!» affermò serio.

A quel punto sia il capitano che il falco alzarono le mani in segno di resa.

«Ora possiamo andare avanti?» domandò James. Aveva bisogno di una pausa, troppe emozioni dolci amare si stavano scatenando in lui.

In silenzio, ma con un'atmosfera più distesa, si rimisero al lavoro.


Natasha nascosta dietro la porta della stanza sorrise, si voltò e si allontanò;

«Visto? Non è stato poi così drammatico...» sussurrò al figlio, che placido nel suo ventre parve dalle ragione.

__________________________________________________________________________________________ASIA'S CORNER

Buongiorno a tutti! 
Eccomi qui, alle prese con la seconda parte del ritorno di Bucky a casa... Ma non solo! Abbiamo lo SHIELD che finalmente ha preso in mano la situazione o almeno così si spera; la chiavetta è stata decifrata e vengono a galla nuove informazioni, che verranno approfondite, e soprattutto Sharon e il Winter Soldier che pare sulla buona strada per tornare in sè, più o meno... Diventerà un alleato a tutti gli effetti? Ma solo il tempo saprà dircelo...
Spero che questo capitolo, abbastanza denso, non vi abbia deluso e sia stato di vostro godimento! Io non smetterò mai di ringraziarvi per tutto il vostro supporto, con le recensioni e i messaggi che mi inviate, davvero! Grazie!
Io per il momento vi lascio, fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo! Per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi e vi invito a seguire la mia pagina autore su FB "Asia Dreamcatcher" e vi do appuntamento a SABATO 03 MARZO con il Capitolo 23!

A presto!


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Capitolo 23
*** "Warning" ***


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Capitolo Ventitre: “Warning”

All my friends are heathens, take it slow
Wait for them to ask you who you know
Please don’t make any sudden moves
You don’t know the half of the abuse”

~ “Heathens”, Twenty One Pilots



Pas de basque... Arabesque... Fouette...”

I piedi iniziavano a dolere, da quanto tempo si stava allenando? Aveva perso la nozione di esso. Un altro plié e non sarebbe riuscita a rialzarsi.

Ancora una volta aveva detto Madame Popova... Stringi i denti Katia!

...

Un colpo forte alla nuca, le gambe che cedono. Riesce a lanciare un ultimo sguardo davanti a sé mentre il tappeto le punzecchia fastidioso il volto, ha le lacrime agli occhi e tutto quello che vede è sangue, tanto sangue. È suo? Non ne ha idea...

Chi siete?


Le sue palpebre diafane si sollevarono senza indecisioni, il soffitto monocromatico della stanza fu tutto ciò che colpì lo sguardo di K.

Chi è Katia?

La Winter Soldier si alzò di colpo, si portò una mano al cuore e lo sentì galoppare.

I suoi occhi si guardarono attorno, le pareti a tratti sparivano per lasciare posto a delle quinte, un parquet pregiato, poi un tappeto persiano macchiato di sangue.

Trasalì e si appiattì spaventata contro il muro spoglio, avvertendo una sensazione di imminente pericolo. No! Non poteva impazzire; non poteva diventare come D... Se lei perdeva quel poco di barlume che gelosamente conservava, come avrebbe fatto poi a proteggerla?

Ridacchiò, divertita da se stessa. Perché si doveva preoccupare così per D? Era la propria sopravvivenza che doveva avere la priorità. Ma lo sapeva anche lei che non era più così da un po' di tempo.

Ogni volta che venivano mandati in missione le veniva spontaneo guardare nella sua direzione, assicurarsi che non si facesse troppo male. Maledizione! Preferiva che colpissero lei piuttosto che quella bionda dalla mente così fragile, così innocente e al tempo stesso così tremenda.

La costringevano all'obbedienza, ma ormai il suo cuore non rispondeva più nemmeno a se stessa; era forse colpa di quelle scomode sensazioni, se la sua mente cominciava a giocarle quegli scherzi? Cosa significavano quelle immagini?

Cosa doveva fare?


*


«Natasha!» esordì Bruce Banner avvicinandosi lentamente alla spia russa.

La donna voltò il capo, accennando un sorriso. La mano sfiorò il prominente ventre dell'ottavo mese.

«Ssh va tutto bene è un amico» mormorò al bambino che aveva iniziato ad agitarsi. Il dottore alzò le braccia mortificato;

«Scusami io non-»;

«E' tutto okay. È solo diventato più sensibile – disse, riferendosi al bambino – i suoni improvvisi o sconosciuti lo spaventano. Semplicemente non ti conosce ancora» spiegò serafica.

Bruce stirò le labbra in un sorriso impacciato, osservandola di sottecchi; la sua stanchezza era evidente, traspariva dai lineamenti più tirati di quanto ricordasse, appariva spossata. Prima James e poi Tony l'avevano messo al corrente della gravidanza non facile – più simile ad una battaglia – che stava portando avanti. Eppure, quella genuina scintilla calda nel suo sguardo, gli stava dicendo che non si era pentita di aver intrapreso quella strada.

«Oh beh... Ancora congratulazioni Natasha! Tu e Steve ve lo meritate, davvero!» replicò convinto, anche se un po' incespicante nelle sue stesse parole.

«Ti ringrazio. Vorrei sedermi... Ti spiace?» domandò accomodandosi con attenzione sul divano e seguita a ruota dal dottore, che prese posto nella poltrona lì accanto.

«Tu come stai?» gli chiese puntando il suo sguardo dritto negli occhi scuri suoi. Cercava forse di capire se la situazione lo sottoponesse a più stress di quanto lui fosse disposto a tollerare?

«Io sto... Bene. Non temere nessuna esplosione improvvisa, tengo tutto sotto controllo! Non- non ti devi preoccupare...» terminò piano, soffermandosi senza fretta su ogni singola parola.

Natasha inclinò il capo e lo scosse divertita;

«Oh Bruce... La mia era una curiosità sincera. Non sono preoccupata per noi, voglio davvero sapere se a te va bene questa situazione. Se ti fa piacere essere nuovamente qui...»;

«Oh!» fu l'unica risposta “brillante” che riuscì a formulare. Quasi si vergognò di aver avuto quel pensiero meschino.

«Sì. Io- voglio dire sì! È stato improvviso, non lo nego, - anche se sospettavo che Fury mi tenesse discretamente d'occhio – ma ciò in cui siete coinvolti, la storia di James, e Steve e Tony e la tua. Forse non farà bene ai miei nervi – rise – ma va bene. Sono qui per mia libera scelta e poi voi in questo momento forse avete più bisogno del dottore, che del mio bestiale inquilino».

«D'accordo allora» replicò la russa con sguardo morbido «Ti ringrazio. Ho notato che ora sembri controllarti molto meglio, rispetto ad anni fa»;

«E' così».

Restarono in un confortevole silenzio ancora qualche istante, poi Bruce riprese la parola;

«Natasha, io avrei bisogno davvero di chiederti una cosa, sentiti libera di prenderti il tempo che ti serve-»

«Vuoi chiedermi dello psychotron» replicò la donna con sguardo serio. Non era arrabbiata, avrebbe preferito non ricordare ma era consapevole che non esisteva altro modo; e lei davanti al dolore non si era mai tirata indietro, volente o nolente.

«Sì» affermò il dottore sistemandosi meglio gli occhiali sulla radice del naso. Non amava porre le persone in posizioni spiacevoli, per quello esisteva già il suo irascibile coinquilino dal colore discutibile.

«Vorrei potertelo evitare...» ma l'occhiata che la russa gli rivolse lo fece tacere.

«E' reale.» la voce arrochita e il tono atono la rendevano quasi una presenza demoniaca «Le tue paure diventano reali, tangibili, ti avvolgono. Ti dimentichi della realtà, quando lo psychotron è attivo, la dimensione che crea per te è quella la tua realtà» i suoi occhi incontrarono quelli scuri ed incredibilmente seri del dottore «Dovrai controllarlo perfettamente, Bruce. Io conosco l'inferno che ha passato James, un errore e sarà perduto. Non voglio metterti pressione ma lui è parte della nostra famiglia, se lo perderemo un'altra volta troppe persone soffriranno ed io questo non posso tollerarlo» terminò seria.

Banner deglutì piano, sapeva che non stava scherzando, ma lui non era certo uno sprovveduto;

«Se ho proposto a Barnes questa soluzione è perché sono certo di quello che faccio, Tony colmerà le mie lacune. Questo però non significa che non soffrirà»;

«Oh credimi lo sa» le labbra si stirarono appena all'insù in un sorriso dal retrogusto amaro.

«Tu sei riuscita a superarlo-»

«Tu credi? O forse sono solo brava a mentire – rise – ricordati chi hai davanti» ma stavolta fu il turno di Bruce scuotere gentilmente il capo e sorridere appena;

«O forse hai avuto le persone giuste al tuo fianco...».

Vedova rimase per qualche istante interdetta, davvero sorpresa che il dottore l'avesse analizzata con semplicità, ed il suo sguardo si ammorbidì.

«Bruce! Nat!» Steve Rogers sorrise pacatamente nella loro direzione. Inutile dire che Banner restò molto colpito dalla coppia: lo sguardo del capitano aveva sfiorato lui per un secondo e poi si era inchiodato sulla figura della bella russa, incendiandosi. Natasha gli rivolse uno sguardo profondo e luminoso, le si sedette accanto, mentre Vedova gli accarezzava il volto, quasi impalpabile, osservandolo intensamente quasi dovesse cogliere qualche segno di malessere.

Bruce si rese conto che erano entrambi stravolti, ma si preoccupavano l'uno dell'altra in maniera così intima e profonda che fu costretto a distogliere lo sguardo, quasi per paura di risultare invadente.

«Hai tutto quello che ti serve, Banner?» gli chiese sinceramente interessato Steve.

«Si grazie Capitano. Molto meglio qui che sull'Helicarrier del Colonnello!»; il supersoldato ridacchiò concorde.

«Non sei l'unico a pensarlo, forse te l'hanno già detto ma ti ringrazio davvero per il tuo aiuto. Per tutti noi significa molto, qualsiasi cosa tu abbia bisogno non esitare a chiedere, anche se è passato del tempo, sei comunque parte di questa squadra, sei un Avenger».

Bruce Banner si ritrovò inspiegabilmente commosso;

«Grazie».

Rimasti soli, Vedova e il Capitano, si poterono finalmente rilassare o almeno ci provarono.

«Sembra allegro oggi» notò Steve, muovendo la mano sul ventre della compagna, avvertendo il bambino scalciare piuttosto vivacemente.

«Anche troppo» sospirò lei appoggiandosi a lui, che le baciò la tempia.

«Steve, ti spiace-?» mormorò lanciandogli un'occhiata densa, comprese al volo.

Il capitano prese ad accarezzarle dolcemente al ventre;

«Dunque... Lo zio Bucky è tornato e non vede l'ora di conoscerti, abbiamo sistemato la tua stanza sono sicuro che ti piacerà» Steve parlava con serenità, il suo tono era carezzevole, un sorriso pacifico a tingergli le labbra a pochi centimetri dal grembo di Natasha.

«Grazie» bisbigliò passandogli gentilmente la mano fra i capelli.

«Ancora un mese...» cercò di rincuorarla lui.

«Possono accadere ancora tante cose» ribatté lei, Steve sospirò «E se non è la gravidanza, penso a quello che hanno fatto ad Alex. Non ho ancora deciso se dirglielo» si guardarono e Natasha capì che lui intuiva perfettamente i suoi tormenti e li condivideva «Usare il suo sangue per rinforzare quella maledetta. Per mesi è stata prigioniera della Red Room e per tutto quel tempo le hanno sottratto sangue per-»

«La figlia di Teschio Rosso» completò per lei Steve.

«Se ci rifletti Alexandra ha in sé il siero Kundrin ereditato da Niko, si è adattato perfettamente e non solo, si è perfezionato portandola ad un livello superiore rispetto a suo padre – malgrado sia una ragazzina e ancora non se ne renda conto – e, presumibilmente, così sarà per nostro figlio. Il loro sangue... la nostra eredità... vale una fortuna.» si guardarono negli occhi «E ora la dolce Alexandra condivide parte del suo corredo genetico con quell'essere psicotico»;

«Saperlo la ucciderà. Incolperà ciò che è per questo» replicò Steve, che ormai poteva dire di conoscere bene la propria figlioccia. Natasha volse lo sguardo verso l'alto ed arioso soffitto ed annuì.

«Dobbiamo arrivare a lei, a loro prima che possano anche solo avvicinarsi ai bambini» dichiarò dura, riferendosi non solo ad Alex ma anche a Jace, ai figli di Clint e al loro bambino.

«Almeno loro. Almeno loro devono poter conservare quella fragile innocenza, il mondo gli ha già tolto abbastanza».

Steve la strinse a sé, concorde in tutto e per tutto.

«Bruce è venuto da te per-»;

«Sì, lo psychotron».

«Stai bene?»

«Starò bene quando nostro figlio potrà dormire sonni tranquilli, senza che nessuno minacci la sua incolumità».

«Te lo prometto»

«Lo so любовь моя [amore mio]».


*


«Fa attenzione idiota!» trillò infastidita Sin.

«E' andato giù pesante stavolta» le fece notare Rumlow accomodandosi davanti alla giovane seminuda distesa sulla pancia. L silenzioso le medicava le ferite, simili a squarci che le deturpavano la schiena candida, mentre rivoli di sangue impregnavano tutto attorno a lei, facendola somigliare ad un'inquietante rosa rossa, dai petali sgraziati.

«Adesso arrivi al mio capezzale?» frecciò lei sardonica «Dovresti ringraziarmi, mi sono sacrificata per tutti voi, ho salvato il tuo bel culo!» Sin inclinò appena il capo, sfoggiando un bel sorriso conturbante e lo sguardo famelico.

Crossbones replicò con un brutto sorriso obliquo;

«Non è da te. A cosa devo tutta questa premura?».

La figlia di Teschio Rosso si puntellò sui gomiti, ignorando puntualmente le fitte provocate dalle lacerazioni, ed incrociò le dita sotto il mento.

«Non l'hai ancora capito? Ti voglio come alleato. Sei già un'ottima valvola di sfogo... Ora pretendo di più».

Brock Rumlow la guardò dall'alto al basso, soppesando seriamente la sua proposta. Il sorriso che ne derivò fu fra i più letali.

«Dovresti fare più attenzione mia cara, o tuo padre e Lukin se ne accorgeranno, sarebbero degli sciocchi a non sospettare già qualcosa» la reguardì.

«Oh?» ridacchiò Sin «Adesso sei tu a preoccuparti per me?»;

«Mi preoccupo per il mio investimento» entrambi sorrisero come chi ha messo gli occhi su qualcosa di estremamente prezioso.

«E tu L?» domandò sarcastica, osservandolo «A chi resterai fedele?».

Il Winter Soldier la fissò con il gelo nello sguardo ed annuì.

«Le sono riconoscente. Mi ha dato qualcosa che avevo perso molto tempo fa...».

Negli occhi di Sin scattò un bagliore, si alzò sulle ginocchia ed afferrò con possessività il mento di L, tracciando con l'unghia laccata di carminio la linea della mascella. Al suo tocco forte del sangue sgorgò, il Winter Soldier non sembrò esserne scalfito, il suo sguardo rimase distaccato.

«Hai sentito Rumlow? Ho svelato la sua più intima natura! Toccherà anche a tutti loro... Lasciamo che si crogiolino nel loro ritrovato spirito di squadra, li falceremo uno ad uno. Toglieremo l'uno all'altro, oh impazziranno nell'assaporare la morte dei propri compagni!» asserì deliziata la rossa. Crossbones non poteva che essere d'accordo.

«E riguardo al figlio di Steve Rogers e Natasha Romanoff? Tuo padre...»;

«Sì mio padre lo vuole usare come suo nuovo corpo. È geniale e sadico al tempo stesso, glielo devo riconoscere... Lasciamo che le cose facciano il loro corso, potrà pure prendersi la sua vendetta, ma io dopo prenderò la mia»;

«Allegra Belgioioso potrebbe interferire, il bambino interessa anche a lei-»

«Sia io che lei conosciamo molto bene le regole del gioco. Per il momento va bene così, quando giungerà il tempo avrò bisogno di lei. La nostra corsa sugli stessi binari non è ancora giunta al capolinea».

Abbandonò L, per schiacciarsi vogliosa contro il corpo di Rumlow «Ora lasciaci L. Io e Crossbones abbiamo degli affari da discutere in privato».


*


Bucky attese il melodioso richiamo dell'ascensore, i suoi occhi speranzosi scattarono sulla figura di Sharon Carter, appena apparsa sul piano.

Per l'agente 13 era stata una giornata dura ma positiva, Niall finalmente sembrava cominciare ad imboccare la giusta via. Quando si trovò faccia a faccia con il Soldato d'Inverno la voglia di ripararsi fra le sue braccia era grande, ma dentro di sé ancora non avvertiva la forza necessaria per perdonarlo.

«Non adesso» sibilò superandolo, senza nemmeno guardarlo in faccia.

James sospirò, stringendo i pugni, sia Tony che Bruce gli avevano detto che il processo per spezzare il controllo su di lui sarebbe stato doloroso, ma non avevano idea che lui stesse già soffrendo, stesse già vivendo il suo inferno personale. Il dolore lo aveva preso dall'esatto istante in cui si era separato da lei.

_______________________________________________________________________________________________Asia's Corner

Dopo un'attesa infinita eccomi tornata con questo capitolo, che seppur di non dimensioni esagerate è ugualmente denso di dettagli.
Spero che abbiate apprezzato! Qualcosa inizia ad intravedersi nel passato di K e forse è un po' colpa di D? E cosa ne pensate delle battute fra Bruce e Nat? Ormai ci avviciniamo sempre più a certi avvenimenti fondamentali... E qualcosa si svela dei piani non solo di Sin, ma anche di Teschio! Ecco perché tutti sono così interessati (e ovviamente dico io) al figlio di Cap e Vedova. Ma chissà cosa ha in serbo il futuro per tutti loro? Eheheh... continuate a seguirmi ;)

Detto questo, attendo come sempre di leggere i vostri pareri (non siate timidi mi raccomando fatevi sentire, io sono sempre disponibile a chiarimenti, ma anche ad un'amichevole scambio di opinioni^^ Fa solo che bene!). Vi ringrazio tantissimo a tutti coloro che mi hanno supportato sia con messaggi privati che i miei adorati recensori! 
Purtroppo, come ormai avrete intuito, questi mesi sono per me davvero frenetici densi è perciò con mio grande rammarico che mi trovo costretta a pubblicare UNA VOLTA AL MESE! Mi spiace, ma non voglio per nessuna ragione abbandonare la storia! Non ora e non dopo tutto questo tempo ma di più al momento vedo che non riesco a fare! Perciò vi chiedo di stringere i denti e di pazientare, vi do appuntamento a VENERDI' 27 APRILE con capitolo 24! Per aggiornamenti vari vi invito a seguire la mia pagina autrice su FB!
Grazie a tutti voi e Buona Pasqua!!! 

ps. Risponderò alle recensione del cap 22 tra venerdì e sabata, grazie!

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Capitolo 24
*** Point of Break ***


24
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Capitolo Ventiquattro: Point of Break


I've come to realize that sometimes,

what you love the most is what you have to fight

the hardest to keep”

~ Kirsten Hubbard



Jace Watson uscì nell'ampio terrazzo dell'Avengers Tower. Luglio era ormai alle porte e l'aria era calda, l'umidità iniziava a farsi pesante, restando dispettosa attaccata alla pelle. Si scompigliò i corti capelli biondi, poi il suo sguardo cadde sulla minuta figura rannicchiata sul divano, posto all'ombra; le ginocchia contro il petto strette fra le esili braccia.

«Non ha funzionato» esordì con voce dolce ma leggermente divertita.

Uno sbuffo rumoroso fu tutto ciò che ricevette in risposta.

«Sasha...» la richiamò paziente.

La tredicenne voltò il capo, senza sollevarlo dalle ginocchia, l'espressione teneramente imbronciata;

«Come diamine fai a startene lì pacifico? Quei due ancora non si parlano!» pigolò gonfiando le guance. Le labbra di Jace si stesero in un sorriso genuino. Quanto era adorabile! Se non ci fosse stata lei...

Gli si sedette accanto e poi le picchiettò dolcemente la testa con la mano.

«In realtà è Sharon che ancora non gli parla. Bucky si limita a fissarla disperatamente, come un cucciolo abbandonato»;

«Ripeto come fai a non essere preoccupato?».

Jace guardò in alto, perso nei pensieri. Certo non gli faceva piacere quella situazione, entrambi stavano soffrendo, era palese ma sapeva che Sharon non era ancora pronta.

«Non sono è preoccupato è vero, questo però non significa che sia felice. Bucky è stato avventato ma ha fatto quello che è nella sua natura, io sono certo abbia sofferto più di tutti noi. Sharon lo ama così intensamente ed è proprio per questo che fatica a perdonarlo, credo sia terrorizzata all'idea di perderlo di nuovo»;

«Natasha l'ha sempre detto che sei un grande osservatore» replicò Alexandra con espressione dolce. Poi annuì;

«Credo di aver capito. È per questo che i miei tentativi di farli avvicinare hanno così miseramente fallito?»;

«Intendi dire l'ultima tua trovata: “Sharon, penso che Bucky non stia bene, è da troppo tempo sotto la doccia!”?» ridacchiò il quindicenne imitando la voce dell'amica.

«Ci sono rimasta malissimo quando ha risposto “Lascia che si affoghi” con quel tono, mi sono venuti i brividi. Natasha rideva sotto i baffi però» rifletté la più piccola.

«Se sono un grande osservatore da qualcuno avrò imparato» disse ammiccando;

«Tu... Tu non sei mai stato arrabbiato con lui» constatò pensierosa;

«All'inizio sì. Ricordi? Poi boh, chiamala intuizione o fede. - rise – Non ho mai avuto fede, fino quando non ho incontrato Bucky. Da quel momento ho ricominciato ad avere fiducia nell'altro. Te l'ho dissi quella volta che lui sarebbe tornato e forse proprio vedere che avevo avuto ragione mi ha … mmm... Sollevato? E poi c'è già Sharon a tenergli il muso, lei è più che sufficiente come punizione, credimi!» ghignò alla fine.

Alexandra ridacchiò, fissò Jace con sollievo, gli occhi chiari sgranati e colmi di dolci sentimenti. Timidamente si lasciò andare contro l'amico che prontamente gli avvolse il braccio attorno alle spalle, trattenendola a sé. Chiuse gli occhi ringraziando silenziosamente di avere un amico, una persona come Jace accanto a sé.

«Quindi dobbiamo lasciare che si arrangino fra loro?» il quindicenne annuì;

«Precisamente. Non temere, se dovessero andare per le lunghe, scommetto che ci penserà Natasha».


«Intendi restare così per il resto della giornata?» domandò con tono soave Natasha, senza nemmeno sollevare lo sguardo dal tomo di letteratura russa. Ogni tanto leggeva alcuni versi in russo ad alta voce, e stranamente la piccola creatura nella sua pancia sembrava gradire.

«Sì. Esattamente!» sospirò Sharon «Sappi che nulla, nemmeno i tuoi toni falsamente pacati mi smuoveranno dal restare qui inchiodata per il resto del giorno» continuò con fare sostenuto.

«Mmm-mmm» replicò russa, muovendosi con cautela. Era alla trentacinquesima settimana ed era gonfia ed accaldata. Odiava il caldo, il sudore e l'afa... Era russa per l'amor del cielo! Ed incinta. Si sentiva enorme, stanca ed orripilante. Steve tentava di convincerla del contrario, quanto rendeva ciechi l'amore!

«Sharon pensi di andare avanti per molto con questa storia?» la sua non era una critica ma una semplice domanda.

L'agente 13 inspirò pesantemente;

«Io- io non lo so, va bene? Io non riesco ancora...» Vedova notò che aveva gli occhi lucidi e continuava a torturarsi le dita: le tirava, le intrecciava e le sfiorava.

«La tua è paura» replicò la russa. Non era un'accusa ma un'onesta constatazione.

Sharon tirò su col naso e si rannicchiò contro la poltrona;

«Sì. Tu non ne avresti al mio posto? - mormorò triste – Se Steve fosse scivolato via da te già una volta, non avresti paura? Quel dolore insopportabile. Non è che non riuscirei a vivere senza di lui, semplicemente non voglio. Lo voglio con me! Saperlo vivo da qualche parte nel mondo non mi basta, lo desidero al mio fianco e la sola idea di perderlo ancora una volta mi annienta».

«Ti ha ferita» rispose seria Natasha accostandosi a lei «Sebbene fosse l'ultima cosa che James desiderasse, lo ha fatto. E tu hai bisogno di tempo per guarire da questa ferita che ti piaccia oppure no. E' qualcosa che né tu né lui potete controllare. Ricordo che Steve una volta mi disse “La possibilità di perderti non è un rischio che sono disposto a correre” - sorrise appena – ed è lo stesso per me. Quindi sì, per quanto non lo ammetterei nemmeno con me stessa, avrei paura».

«E se non dovesse funzionare?» domandò la Carter dopo qualche momento di silenzio.

La russa la osservò intensamente, poi il suo sguardo si ammorbidì;

«Andiamo» disse tendendole la mano.


«Sei pronto?»

«Nemmeno un po'» replicò pallido in volto James.

Bruce fece un sorriso tremulo, un po' divertito; accanto a lui Tony stava controllando gli ultimi dati.

Sam accanto a Bucky cercava di sollevargli il morale, mentre Steve al loro fianco tentava di trasmettere un senso di tranquillità.

«D'accordo Soldato Ghiacciolo! Ora accomodati pure qui su questa comoda poltroncina e lasciati mettere a soqquadro il cervello» esordì Iron Man con macabra allegria; Bucky sospirò.

«Ciò che Tony vuole dire – si intromise Bruce paziente – è che siamo pronti per la ricalibrazione cognitiva tramite lo psychotron».

«Okay» mormorò il soldato sedendosi sulla poltrona in metallo che Tony gli aveva indicato. Steve e Sam gli furono subito accanto.

«Noi siamo qui, okay?» gli ricordò Steve «A pochi passi da te».

James annuì compit;

«Banner puoi rispiegarmi il processo?».

Bruce si rese conto che tentava disperatamente di controllare ciò che gli sarebbe accaduto da lì in avanti, così con un sorriso rassicurante prese parola;

«Allora: ciò che tenteremo di attuare è una ricalibrazione cognitiva. Lo psychotron andrà ad agire sulla tua mente, Niko pronuncerà le esatte parole che attivano il tuo controllo mentale... Queste parole sono probabilmente legate a dei ricordi o sensazioni o immagini che ti hanno inoculato a forza durante il processo di indottrinamento. Lo psychotron le riprodurrà nella tua testa; per te saranno reali tanto quanto questo momento in cui ti sto parlando, capito? Per te sarà reale – Bucky annuì ancora una volta – ma quello che tu dovrai fare è sovrapporre a qualsiasi cosa ti creerà lo psychotron, i tuoi ricordi... Devono essere piacevoli e forti, devono farti star bene. Devono essere forti abbastanza da sostituirsi e rompere l'indottrinamento. Inizieremo con le prime tre parole, poi vedremo se proseguire. Hai capito James?» chiese il dottore con serietà. Ci fu un altro assenso.

«Noi saremo dietro questo vetro e ti terremo sotto controllo, va bene? Questi elettrodi monitoreranno le tue condizioni, se è troppo ci fermiamo immediatamente. James fidati di noi».

Bucky spostò lo sguardo atono verso Tony, che dopo averlo sostenuto gli fece un cenno deciso;

«Mi fido» replicò continuando a guardare il genio, poi si rivolse nuovamente al dottore;

«Quindi le radiazioni dello psychotron non mi ridurranno ad un ammasso di aggressività o mi faranno diventare un mostro verde con problemi di rabbia? Senza offesa»;

Bruce ridacchiò;

«No. Uno basta ed avanza credimi. Sei pronto?».

Bucky sollevò appena gli occhi e vide Natasha e Sharon fuori dal laboratorio, dalle pareti trasparenti. Sharon, forse per la prima volta da quando era tornato

settimane prima, lo stava guardando. Fissandola di rimando rispose;

«Iniziamo».


«Желание [brama]»

Per James fu come un pugno allo stomaco risentire quella parola.

Avvertiva una sensazione di vuoto non solo sotto i suoi piedi ma anche tutt'attorno a lui; aprì gli occhi meravigliato, era immerso in un oscuro fondale, galleggiava senza peso... Poi improvvisamente fu come se l'oscurità che l'avvolgeva si mosse, acquistando vita di colpo.

Quel fondale non era più pacifico ma iniziò a restringersi attorno a lui, avvertiva una pressione dolorosa sulla sua pelle, l'oscurità stava tentando di divorarselo. Faceva male... gli impediva di respirare, stava soffocando.

James urlò di dolore. Fu un urlo talmente bestiale che pietrificò i presenti, atterriti; Sharon si precipitò dentro, il cuore che pulsava dolorosamente. Steve strinse i pugni e l'espressione si oscurò, fu il tocco delicato di Natasha ad impedirgli di scattare.

«Forza amico» sussurrò Sam angosciato.

Respira” si diceva, ma più se lo ripeteva meno ci riusciva, non sapeva come fare, l'oscurità era così densa, più si dibatteva più questa stringeva la sua presa, bruciandogli la pelle, era così forte che forse sarebbe stato più semplice abbandonarsi ad essa, lasciarsi inglobare da quella forza mostruosa.

Perché poi opporsi? Cos'era quella flebile ma fastidiosa sensazione che gli impediva di arrendersi? James cercò di concentrarsi su quella sensazione su quel punto di sé così profondo. Un turbinio di colori invase il suo campo visivo, fu così rapido che non riuscì a distinguere nulla inizialmente. Poi più si concentrava su quei colori più le figure si delineavano, fino a che non assunsero una forma definita: erano lui e Steve da bambini nel loro quartiere di Brooklyn, sì ora ricordava il loro primo incontro...

«Il suo respiro si sta regolarizzando, i valori si stanno riallineando...» osservò Bruce con occhi sgranati, Tony accanto a lui seguiva l'andamento fisico del Soldato, anche lui sorpreso;

«Sta reagendo»

«Vuol dire che sta funzionando?» domandò speranzoso Sam. I due geni annuirono.

Sharon si portò le mani al volto, mentre Steve e Natasha si scambiarono uno sguardo complice.

«Niko» lo richiamò Tony «Procedi col secondo comando».

Il russo annuì, odiandosi per quel ruolo ma sapeva che alla fine ci sarebbe stata la luce. O almeno ci sperava.


«ржавое [ruggine]»

Il piccolo Steve si fermò di colpo, aveva smesso di inseguire la ruota che cercavano di mantenere dritta con i loro bastoni.

Bucky si arrestò anche lui, confuso tornò indietro e si parò davanti al gracile Rogers nel tentativo di smuoverlo.

«Ehi Stevie? Dai continuiamo a giocare! Prometto che non sarò così veloce stavolta!» disse allegramente il bambino tirando per un braccio l'amico. Steve però non reagiva, il suo sguardo era vacuo, sembrava che nemmeno lo vedesse.

«Ehi Stevie!? Stev-!» la voce gli si ruppe d'improvviso.

Il piccolo, fragile Steve con una velocità inumana aveva mosso il braccio verso il suo. James non capì subito, osservava meravigliato l'amico d'infanzia tenere in mano un coltellaccio grondante sangue, strano prima gli era parso un bastone innocuo. E da dove veniva quel sangue?

Guardò a terra... e il suo cuore smise di battere per l'orrore.

Il suo braccio. Il suo braccio si dibatteva a terra in una pozza di sangue, come un pesce cercava di fuggire alla terraferma. Il suo braccio... si guardò il fianco e fu in quel momento che il dolore lo colpì violento.

Si piegò su se stesso e vomitò.

James vomitò per davvero, assicurato alla sedia, si era comunque piegato in avanti colpito da un potente conato. Con forza colpì lo schienale mentre il suo intero corpo fu scosso da brividi violenti, pareva avesse un attacco epilettico.

Sharon iniziò a piangere, e Sam la tenne stretta;

«Cazzo!» esalò.

«Non si può fare nulla?» domandò ansioso Steve, Tony lo guardò ma scosse il capo scuro in volto, anche lui preoccupato per le condizioni del supersoldato. Stavano osando troppo? Per un attimo si pentì di ciò che aveva chiesto a James Barnes.

Piangeva Bucky, piangeva disperato, perché gli era stato fatto questo? Perché tutto quel dolore?

Alzò lo sguardo Steve era ancora lì davanti a lui, con una rabbia cieca gli si scagliò contro e iniziò a colpirlo. Lottavano l'uno contro l'altro con furia, angoscia.

Poi finalmente riuscì ad atterrarlo e si mise a cavalcioni sopra di lui, trionfante. Alzò il pugno pronto a finirlo, quella scena però lui l'aveva già vissuta; sì si disse, lui ci era già passato. Fu un frullio nell'illusione e la scena cambiò di colpo. Non erano più bambini, erano due adulti all'interno di un helicarrier in distruzione.

«Il tuo nome è James Buchanan Barnes» disse lo Steve adulto con un filo di voce «Tu sei mio amico, io sarò con te fino alla fine».

Bucky si quietò «Steve».

Tutti i presenti nel laboratorio tirarono un sospiro di sollievo, sembrava che James fosse riuscito a vincere ancora una volta.

«Ancora una, poi basta» mormorò Bruce controllando i dati ed i valori di James, ci stava riuscendo ma il prezzo stava cominciando a farsi sentire. Avrebbe avuto bisogno di riposo assoluto.

«Signor Constantin...» disse e l'altro annuì.

«Vi prego basta...» sussurrò disperata Sharon vedendo il corpo del compagno provato e tremante.

Steve era concorde con l'amica ma sapeva quanto fosse importante per Bucky non essere più un pericolo per loro; si strinse a Natasha che pur sconvolta cercò di donargli tutto il suo sostegno.


«семнадцать [diciassette]»

E l'incubo ricominciò, James avvertiva la testa girare, sentendosi come non mai in balia dello psychotron, senza che nemmeno ne avesse coscienza.

Bucky provò a tornare in sé e riusciva a malapena a visualizzare il soffitto grigio ed opprimente sopra la sua testa, che continuava a vorticare. Cercò di muoversi ma si rese conto di non esserne in grado, o meglio, qualcosa lo tratteneva per i polsi.

L'odore di disinfettante e metallo gli aggredì le narici ma aiutò a renderlo più cosciente. La stanza in cui era prese una forma precisa, qualcosa iniziò a serpeggiare in lui...

«доброго утра солдат [Buongiorno Soldato]» disse una voce vicina a lui.

No!” fu il suo pensiero terrorizzato.

«Che succede?» domandò Steve impallidito, mentre i valori di Bucky iniziavano a precipitare, attivando l'allarme e i battiti del suo cuore aumentavano frenetici.

«Fate qualcosa!» urlò Sharon «Tiratelo fuori!»;

«Tony? Bruce?» domandò Natasha poco rassicurata.

Era lui! Era lui il responsabile del suo indottrinamento, era lui la mano che lo comandava, era lui che gli aveva ordinato di sterminare la famiglia di Stark.

Tutto ciò che era stato si era incarnato nella figura di quell'ufficiale. Lui lo aveva plasmato, lo aveva reso completo. Ecco perchè era così terrorizzato, ecco perché aveva una fottuta paura davanti a quell'uomo... Lui aveva reso reale il Soldato d'Inverno.

Sharon non resisteva più. Quel dannato suono non accennava a fermarsi mentre Tony e Bruce cercavano di ristabilire alcuni valori prima di risvegliare James in sicurezza. Il cuore le stava martellando il petto e l'angoscia se la stava divorando.

Si mosse, corse verso di lui, ignorando gli altri, gli afferrò le braccia osservando spaventata quel viso sofferente;

«JAMES!» poi premette le labbra su quelle cianotiche dell'amato...

E Bucky ne percepì la pressione. All'inizio fu un eco lontano, un leggero pizzicorio sulle sue labbra. Le saggiò con la punta della lingua, lentamente portò la sua attenzione su quella sensazione, si concentrò sulla pressione appena percepita, cercò il suo sapore e riuscì a ritrovarlo sulla sua bocca, quasi impalpabile. Poi il suo nome.

«Sharon».

James sollevò lentamente le palpebre, alzò piano la testa alla ricerca della persona a cui apparteneva quel nome ma di lei non c'era nessuna traccia, se ne era andata... Eppure percepiva del calore nei punti in cui l'aveva sfiorato.

«Ci hai fatto preoccupare...» borbottò Sam, appena apparso nel suo campo visivo insieme a Steve e Bruce che ora lo stava visitando.

«Ha perso molti liquidi, necessita di riposo, Steve»; questi annuì ed insieme a Falcon presero Bucky sotto braccio per portarlo nella sua stanza. Ma il soldato non era del loro stesso avviso.

«Tony!» rantolò esausto «Tony» il miliardario lo affiancò osservandolo stranito «So chi è. Ora posso darti quel nome» disse prima di perdere conoscenza.

Iron Man si scambiò uno sguardo con i presenti, poi annuì e lasciò che portassero James a riposo.


Nel tardo pomeriggio gli Avengers si ritrovarono in raro momento di calma, nel moderno soggiorno della torre, James era costretto a letto provato nel fisico e scosso da ciò che aveva dovuto sopportare, l'unico pensiero confortante era che sembravano essere nella direzione giusta. Lo psychotron si era rivelato terribile ma incredibilmente utile.

Steve, Tony e Clint riflettevano sulla possibilità di eliminare le fabbriche di psychotron coordinandosi con lo S.H.I.E.L.D., che gli aveva fornito da poco proprio quell'informazione preziosa. Credevano che fra quelle fabbriche – molte più di quanto sperassero purtroppo – ci fosse anche la base operativa dell'HYDRA.

Natasha seduta lì accanto, li osservava senza ascoltare davvero, avvertiva un senso di pericolo, o non proprio. Era inspiegabilmente vigile, come sulle spine... L'espressione che avrebbe usato era “quiete prima della tempesta”. Non sapeva dire se era dovuto agli effetti devastanti dello psychotron, lei stessa gli aveva subiti e vederli riflessi sul volto di qualcun altro l'aveva resa nervosa.

Sharon le si sedette affianco, ancora un po' scossa.

«Va meglio?» le domandò la russa, la Carter sospirò ma annuì decisa.

Poco dopo qualcosa mutò e fu solo Natasha ad accorgersene. Ci mise qualche istante a rendersene conto, la prospettiva cambiò così spontaneamente e nel giro di pochi battiti che la sua mente impiegò di più ad elaborare quanto stava succedendo. Tutto si svolse al rallentatore, si alzò in piedi, senza fretta e guardò in basso.

«Steve – nulla era troppo immerso nella conversazione – Steve... STEVE!» urlò alla fine, la mano premuta contro il ventre, sul volto un'espressione che nessuno le aveva mai visto prima. Sconcerto, stupore e sopratutto una sottile ma evidente vena di terrore.

«Nat?» sussurrò il capitano, non avendo compreso. Ma Sharon fu la prima a ravvedersi, i suoi occhi scuri si dilatarono e la sua mano scattò verso il cellulare.

«Mi si sono rotte le acque».

___________________________________________________________________________Asia's Corner

Buonasera miei carissimi lettori! Mi scuso come sempre per l'assurdo ritardo, ma ho dovuto fare i salti mortali questa settimana, ma immagino vi fregherà poco visto ciò che succede a fine capitolo!
Dunque procedendo con ordine, osserviamo finalmente i Science Bros. all'opera e direi che ci hanno pure azzeccato con lo psychotron, anche se per Bucky è stata un'esperienza traumatica che purtroppo non è ancora finita. L'obiettivo sembra essere raggiunto ma il prezzo da pagare è molto alto, ed anche per gli altri non è stato semplice assistere, per Sharon è stato un incubo sicuro, ciò che è successo ha smosso un po' le cose fra lei e James, ma ovviamente non sarà proprio così semplice.
Sopratutto che ora il piccolo/a Rogers ha deciso di nascere gettando sicuramente un po' tutti nel panico! Ovviamente le conseguenze le rimando al prossimo capitolo, ammetto che non vedevo l'ora  di arrivare a questo punto, sono mesi che penso e ripenso a questo momento e diciamo che sono pronta... Se qualcuno vuole farmi sapere le sue idee ben venga, vedremo se alla fine le vostre rispettive aspettative si avvicineranno oppure no ;)

Per ora concludo qui, è già tardi e sarò poi via per tutto il weekend (perciò alle recensioni del capitolo 23 risponderò lunedì). Vi ringrazio per la pazienza e il supporto! Ringrazio le numerose persone che seguono questa storia, chi commenta, e chi legge! Vi do appunamento a VENERDI' 25 MAGGIO, sempre qui :)

Ps. per eventuali errori di battitura mi riservo di correggerli a storia conclusa, abbiate pazienza ma non ne ho il tempo.


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Capitolo 25
*** Family ***


25

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Capitolo Venticinque: Famiglia

How lucky I am to have something

that makes saying goodbye so hard.”

~A. A. Milne


«Mi si sono rotte le acque».


Strano come una frase possa mandare in tilt un intero gruppo di persone. Sei parole che gelarono tutti sul posto per secondi che parvero infiniti; fortunatamente ci pensò la voce di Sharon a smuovere gli animi.

«Dottoressa Montgomery? Sì, sono Sharon Carter. A Natasha si sono rotte le acque...» esordì con voce febbrile. Da quel momento il caos.

Steve si alzò di scatto, completamente impreparato, e andò in verso di lei. Malgrado avessero addirittura preparato un piano per il fatidico giorno in quel momento la sua mente era assente, l'unico pensiero con un minimo di senso logico che rimbalzava nella testa era “Sto per diventare padre”. Un gran bell'aiuto davvero.

Clint andò subito ad avvisare Laura, nessuno meglio di lei sapeva come affrontare la situazione. Sam e Tony totalmente nel panico, ma cercando di non darlo troppo a vedere, si aggiravano per la stanza tanto per avere qualcosa da fare, creando ancora più confusione.

Bruce, anima pia, era appena entrato nel soggiorno, dopo essersi assicurato delle condizioni di James, e osò timidamente chiedere che cosa stesse succedendo.

«Silenzio!» proruppe Natasha, che fra tutti era l'unica tenuta ad essere leggermente – leggermente – in panico. Allungò la mano verso Sharon che prontamente le passò il cellulare.

Mentre rispondeva alle domande della dottoressa, il suo sguardo lucido non lasciava nemmeno per un secondo quello di Steve; che ripreso parte del controllo di sé, cercava di trasmetterle sicurezza.

«Dobbiamo andare in ospedale. Ora.» disse lapidaria.

«D'accordo.» replicò il capitano «Sharon? Tu e Sam venite con me e Natasha. Tony, tu e gli altri ci raggiungerete più tardi, avvisate voi Bucky e i ragazzi» ordinò prontamente.

«Sam?» intervenne Natasha «Chiama Maria, penserà lei a dirlo a Coulson... La mia borsa per favore-» non terminò la frase che l'agente 13 era già andata a recuperarla.


«Steve. Guarda che non sono ancora in travaglio» sospirò la russa osservando di striscio il proprio compagno che cercava stoicamente di non cedere al panico.

«Sam, è davvero necessario il fazzoletto bianco?» borbottò Sharon con un braccio fuori dal finestrino dell'auto e fra le mani un lenzuolino candido che si gonfiava incontrollato. L'ex pararescue la guardò allucinato;

«E' il modo più rapido, okay? Non lascerò che il mio nipotino o nipotina nasca in una macchina!» replicò con voce un tantino stridula.

«Sam – berciò esasperata Natasha – non partorirò di certo ades-!» la voce le morì in gola e dovette aggrapparsi forte alla maglietta del capitano.

«Natasha?»

«Contrazione» sospirò «Tutto bene».

«Sam muoviti» ordinò Steve con sguardo grave, tenendo stretta la spia a sé.

Arrivarono in ospedale in tempi record, l'equipe medica della Montgomery era pronta ad accoglierli da un ingresso secondario, solitamente usato solo dai medici e chirurghi.

I brillanti e giovani chirurghi, scelti e preparati personalmente dalla dottoressa, osservarono allibiti la temibile Vedova Nera scendere da sola dal SUV, con un diavolo per capello, mentre uno Steve Rogers preoccupato le si affannava dietro, supplicandola di muoversi con attenzione. Sam e Sharon, dietro di loro, scuotevano il capo.

«Dov'è la Montgomery?» chiese bruscamente la futura mamma, intimidendo l'intera equipe.

«Natasha. Steve, eccomi» esordì Meredith Montgomery, comparendo con la sua elegante figura «Vogliamo andare? Abbiamo preparato un'ala apposita per darvi la giusta privacy».


«E' in travaglio» dichiarò Meredith osservandola con serietà. Natasha semidistesa sul confortevole lettino della sua nuova stanza personale, ebbe un tuffo al cuore.

«Siamo ancora all'inizio, la cervice ha iniziato a dilatarsi, il travaglio vero e proprio però potrebbe iniziare fra ore. Non sono presenti infezioni, ma date le circostanze la tengo qui, sotto osservazione».

«Perché? Ho forse commesso-?» domandò con voce flebile la donna, ma la dottoressa negò col capo cercando di sorriderle rassicurante.

«No. Non ci sono cause evidenti. Forse ha semplicemente deciso che era il momento» rispose accennando al bambino «Natasha è alla trentacinquesima settimana e so che è le sembra ancora troppo presto, ma il bambino non avrebbe problemi a nascere ora, i suoi polmoni ormai sono formati, anche più di quanto ci si aspetterebbe. Nessuna difficoltà respiratoria, è sano e forte. Aspettiamo le prossime ore d'accordo? Steve – disse guardando il capitano – lei è libero di restare, per quanto riguarda il resto della mmh... squadra... sarebbe meglio pochi alla volta, non tutti insieme. Va bene?» i due Avengers annuirono «Ah per il parto, avete deciso?»;

«Sarò presente» ribatté Steve sicuro.

«Molto bene, rilassatevi ora. Presto conoscerete vostro figlio».

Rilassarsi. Sia Steve che Natasha non erano mai stati in grado di rilassarsi in vita loro. Mai, fin dall'infanzia entrambi avevano dovuto imparare ad essere vigili e reattivi: Steve per contrastare i bulli che lo consideravano alla stregua di un ratto malato; Natasha per sopravvivere alla Red Room. Anche ora, che erano ad un passo dall'incontrare finalmente la piccola ed innocente creatura frutto del loro amore, pareva fossero più pronti ad affrontare l'ennesima battaglia.

«Natasha...» la richiamò dolcemente il supersoldato. Quando si voltò verso di lui, vide nei suoi occhi esattamente le stesse emozioni che albergavano anche nei suoi.

«Steve» bisbigliò la spia non potendo continuare, sperò che il suo nome bastasse, che il tono della voce bastasse, che lui capisse. E anche questa volta il capitano non la deluse: si stese accanto a lei, prendendo quasi totalmente possesso del piccolo lettino, e la spia si schiacciò contro di lui, per quanto glielo permettesse il pancione prominente, inspirando profondamente il suo profumo.

«Lo so Nat. Lo sono anch'io» replicò.

Steve attese che Natasha si abbandonasse al sonno per uscire dalla stanza.

Nel corridoio, aspettando notizie, trovò parte della squadra: Sam, Tony, Clint, Maria insieme a Niko e Alexandra.

Quest'ultima gli andò incontro, i lineamenti delicati corrucciati dall'apprensione e gli circondò la vita non le braccia magre.

«Steve, come stanno?»

«Natasha è in travaglio» i respiri dei presenti parvero arrestarsi emozionati «E lei e il bambino stanno bene» continuò Steve con un leggero sorriso, accarezzandole dolcemente i lunghi capelli.

«Quindi ci siamo?» domandò Sam emozionato e confuso dal quel mondo precluso ad ogni uomo che era il parto.

«Potrebbero volerci ore, Nat è solo alla fase iniziale, ma sì direi che non si può più tornare indietro» spiegò il capitano, vagando con lo sguardo fra i suoi compagni, in cerca di nemmeno lui sapeva cosa, forse pura e semplice presenza.

Sharon era evidentemente commossa e allungò la mano per stringere il suo braccio.

«Possiamo entrare?»;

«Le farà piacere, dubito che riuscirà a riposare per molto».

«Jace verrà con Bruce e Bucky appena ritorna in forze» gli spiegò Alex prima di seguire la Carter.

«Steve vieni, andiamo a prenderci qualcosa da bere...» lo richiamò con premura Niko. Lui essendoci già passato, capiva perfettamente l'ansia del futuro genitore; l'attesa, i dubbi, la paura di non essere all'altezza.

Sam e Tony si accinsero dietro di loro; Clint e Maria rimasero a pianificare la sicurezza dell'edificio e del piano. Steve gli fu immensamente grato per ciò.

«Niko...» esordì il supersoldato «Passerà mai questa sensazione? Andrà meglio poi?» gli chiese con un sorriso disperato. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse teso in quel momento, proprio lui che era stato soldato durante una delle guerre mondiali, che si era ritrovato faccia a faccia con il male e con la morte; ora avvertiva un senso di inadeguatezza, di ansia.

«Dici l'ansia? Il costante pensiero di non aver fatto abbastanza per il proprio figlio?» replicò Niko con un sorriso bonario «No. O dovrei dire che imparerai a conviverci. La sua sicurezza sarà sempre la tua priorità, proteggerlo dalle brutture del mondo la tua missione... Ma in cuor tuo saprai che non potrai proteggerlo per sempre e da tutto e tutti. Farai del tuo meglio sì, e ti ritroverai a sperare che quel “tuo meglio” l'abbia preparato, anche solo un po'. L'ansia forse non ti abbandonerà mai del tutto ma ci saranno altre emozioni, altri pensieri molto più piacevoli a riempirti».

«Sembra faticoso» borbottò con il suo solito tono semiserio Tony; però nel suo sguardo Steve colse qualcosa che non aveva notato prima di allora. Il discorso di Niko l'aveva affascinato, o forse era proprio l'idea di un bambino ad attrarlo.

«Lo è» ribatté il russo con tono serafico poi batté la mano sulla spalla del capitano e lui annuì in risposta.


«Nat, dobbiamo chiamare l'infermiera?» chiese Alexandra preoccupata per le condizioni della sua madrina.

«Non ancora, tranquilla Alex sono solo contrazioni... E dovrebbero essere quelle più deboli!» sibilò Vedova abbandonando di malavoglia il fianco e mettendosi a camminare sotto lo sguardo vigile di Sharon.

«Aggiornamenti?» chiese, in parte perché davvero interessata, in parte per distrarsi da quei dolori intermittenti.

«Clint è rimasto con Maria per disporre la sicurezza nell'ospedale, sarà lo S.H.I.E.L.D. a fornire gli agenti, Coulson ha messo a disposizione parte della sua squadra – anticipando la domanda dell'amica – Melinda sta arrivando» disse con un sorriso.

«Bene. Fury resta alla Tower?»;

«In assenza di Tony sì, con la famiglia di Clint e Pepper. Nat, nessuno resterà scoperto» cercò di rassicurarla, la russa annuì ma pareva concentrata su altro. Non poteva biasimarla. Sì sentiva al limite dell'emozione lei, figurarsi Natasha.

«Alex? Potresti chiedere all'infermiera di prepararmi delle bende imbevute di acqua calda? Se avessero una vasca che gli avanza non sarebbe male»;

«Certo!» disse entusiasta di potersi rendere utile.

«Ti aiuto...» mormorò dolcemente l'agente 13 aiutando Vedova Nera a stendersi e riprendere la posizione sul fianco, che serviva ad alleviare il dolore.

«Come va?» domandò scostandole delicatamente qualche ciocca scomposta dalla fronte.

«Devo davvero dirlo? Non ti sembra evidente» rispose velenosa scoccando un'occhiata a se stessa.

«Nat...» replicò ignorando il suo tono, ben sapendo che in quel momento almeno era tutta apparenza.

«Боже мой [Povera me] non posso più nasconderti nulla. Sono... … Terrorizzata. Fino a qualche anno fa la mia vita era totalmente differente, non era nemmeno mia la mia vita, vivevo nella certezza che ciò che ero stata mai mi avrebbe permesso di creare qualcosa all'infuori di Vedova Nera. Agivo per conto dello S.H.I.E.L.D. come te, ma io sono sempre stata diversa. La mia natura era quella di spia ed assassina... e lo è tutt'oggi, solo che ora non è più dominante. Niente potrà mai cambiare ciò che sono, ciò che mi hanno addestrato ad essere... Ma Steve... Steve ha cambiato tutto. Una buona parte quantomeno – sorrise divertita – lui è riuscito dove io credevo di aver fallito. Ha portato alla luce un frammento di me che non pensavo di possedere, di poter essere. Ho sempre badato a me stessa, ma tra poco non sarà più così, dovrò essere responsabile per un altro essere umano, Sharon, dovrò prendermi cura di un essere così innocente ed indifeso, di mio figlio, mio e di Steve. Io, Natasha Romanoff, Vedova Nera. E se... Se dovessi sporcarlo?» levò lo sguardo sull'amica che la fissava con occhi colmi di emozione e lucidi di lacrime «Se dovessi alla fine corromperlo? Se non ne fossi in grado?» bisbigliò vergognandosi di tanta debolezza.

Sharon le accarezzò piano il capo arruffato;

«Non succederà. Nat l'hai detto tu stessa, tu sei altro, non solo sangue e oscurità, sei molto di più di ciò che ti hanno insegnato ad essere. Steve te l'ha dimostrato. E guarda come ti comporti con Alex, con Jace con i figli di Laura e Clint... Tu sei Vedova Nera, certo, ma prima di tutto Vedova Nera è una combattente» le rivolse uno sguardo luminoso «Che dici troppa retorica?» sdrammatizzò alla fine. Natasha ridacchiò;

«Decisamente. Ma ti ringrazio. Significa molto» disse afferrando la mano che Sharon le porgeva.


Erano ormai passate sei ore. E Steve si sentiva sull'orlo della follia: se avesse potuto evitare a Natasha quel dolore, che ormai nemmeno lei riusciva più a contenere, lo avrebbe fatto, se avesse potuto assumerselo lui, lo avrebbe fatto; avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di alleviare anche solo metà di ciò che stava provando.

La dottoressa Montgomery poco meno di mezzora prima aveva comunicato che la spia era entrata nel pieno del travaglio, la cervice si dilatava e se da un lato significava che tutto stava procedendo per il meglio, dall'altra voleva dire che le contrazioni non solo erano divenute più frequenti ma anche più dolorose.

«Nat» la chiamò dolcemente. La donna voltò la testa mentre camminava lungo il corridoio, tenendosi i reni. Indossava una semplice camicia da notte premaman bianca, senza ricami o fronzoli, ad adornarla c'erano solo i lunghi capelli rosso cupo. Steve la osservò oltre la fatica, oltre il dolore e il suo battito aumentò.

«Vuoi stenderti?» la spia annuì e ritornarono in camera.

Steve l'aiutò e poi iniziò a massaggiarla con cura ed attenzione; la russa gli scoccò un'occhiata sorpresa ma profondamente grata.

«Dimmi se ti infastidisco» mormorò semiserio il supersoldato dopo un po'. Natasha lo guardò intensamente.

«No.» allungò una mano, Steve l'afferrò e se la portò alle labbra «Vieni qui».

Si sistemò sul lettino dietro la spia, facendola appoggiare a sé e continuando a massaggiarle la bassa schiena.

«Ormai ci siamo... Emozionata?»;

«Non è proprio il termine che userei in questo momento. O quantomeno non sarei così diplomatica» borbottò lei facendolo ridere.

Nonostante il dolore, Natasha riuscì a godersi quel suono, riuscì a godersi quel contatto: la cassa toracica del suo compagno vibrare contro la sua schiena.

Un'altra contrazione le strappò il sorriso;

«Steve. Se dovesse accadermi qualc-»

«Sh. Ti prego non dirlo» il capitano le passò un braccio intorno alla vita e se la strinse delicatamente contro, poggiando il mento sulla sua spalla «Non pensarlo, ti prego non-!».

La donna gli passò una fra i biondi capelli, stendendo le labbra in un sorriso paziente e premuroso, comprese che non era pronto per quell'eventualità, era per lui troppo doloroso;

«D'accordo. Va tutto bene».


«FATELO USCIRE!» urlò, due ore dopo, una Natasha dolorante, esausta e sull'orlo delle lacrime.

Sharon le passo una pezza imbevuta d'acqua fredda sulla fronte, Steve si voltò verso Meredith Montgomery;

«Non può darle nulla?» chiese con tono incredibilmente controllato. Doveva esserlo, per Natasha, lei aveva bisogno del suo lato più integerrimo, aveva bisogno del Capitano.

«L'epidurale non avrebbe effetto, o ci vorrebbe una dose massiccia e non è il caso» replicò paziente la chirurga.

Il supersoldato annuì mestamente, poi si avvicinò nuovamente alla compagna;

«Nat, puoi farcela.» le afferrò con attenzione il volto fra le mani «Amore, respira con me».

Respirare era l'ultima cosa che voleva fare, era stanca, stanca come non lo era mai stata prima, desiderava che tutto finisse, voleva solo il suo bambino fra le braccia! Era così difficile da capire?

«Non voglio respirare! Voglio che lo facciate uscire!» replicò bruscamente. Rifuggì la presa di Steve e lanciò un bicchiere contro la parete; fortunatamente era di plastica.

Ricadde sul lettino scossa dai tremori e con un'immensa voglia di vomitare anche l'anima. Si riconosceva a stento, si coprì gli occhi con la mano.

Sharon e Steve si scambiarono un'occhiata ma nessuno dei due fiatò, comprendendo il suo dolore.

«Natasha» intervenne la dottoressa «Guardami» le disse con calma; la spia si arrischiò a guardarla «Lo so che sta male, lo so che vorrebbe che tutto questo passasse ma è davvero vicina a conoscere il suo bambino e so che è questo l'unica cosa che desidera. Quindi tenga duro, lo può fare per il suo bambino?» Natasha annuì secca. Si le sembrava un prezzo giusto da pagare.

La controllò un'ultima volta;

«Ci siamo quasi, Natasha».

«Potreste uscire tutti? Ho bisogno di un momento con Sharon».

Steve pur temendo ciò che la spia aveva in mente, acconsentì senza aggiungere altro.

Una volta sole, il silenzio fra loro si dilatò per qualche momento.

«Nat-» esordì la bionda intuendo cosa stava per dirle.

«Sharon. Per favore – Sharon si ritrovò ad annuire, il cuore pesante – Se dovesse accadermi qualcosa, devo avere la tua parola, so che non è necessario, ma ne ho bisogno, d'accordo? Ho bisogno di sapere che tu e James ci sarete per il bambino, che resterete accanto a Steve».

Gli occhi dell'agente 13 si inumidirono e glielo promise.

«Grazie. Ora posso farlo».


«Natasha ci siamo. È pronta a spingere?».

Mezzora più tardi lei e Steve si ritrovarono in una semplice sala, con pochi macchinari e un paio di membri dell'equipe della dottoressa Montgomery. La spia era semidistesa, le gambe allargate e i piedi appoggiati alle staffe. Il capitano rimase sorpreso di tutta quella semplicità, non era come mostravano nei film.

«Lo sono da tutto il giorno» replicò con lucida sicurezza la donna.

«Allora dia una bella spinta» rispose prontamente la Montgomery.

Natasha iniziò a spingere, stringendo con incredibile forza anche la mano di Steve, senza nemmeno rendersene conto.

Il capitano la guardava sentendosi l'essere più inutile sulla faccia della terra, riusciva solo ad incitarla, ma gli sembrava di non fare abbastanza. Lui effettivamente non poteva fare altro se non starle accanto, ma non poteva condividere con lei quel dolore, non poteva alleviarglielo; per lui era una condizione estremamente difficile.

«Steve...» mormorò sofferente

«Sono qui Nat, stai andando benissimo» la rassicurò lui, lo sguardo venerante;

«Ha ragione, Sta andando molto bene, un'altra spinta coraggio!» la incitò anche la dottoressa.

Dopo un po' Natasha non aveva idea di quanto tempo fosse passato, le sembrava di star spingendo da giorni, i suoi lombi, i suoi muscoli la pregavano di smettere, di arrendersi. Strinse i denti e diede un'altra spinta.

«Sento le spalle, coraggio Natasha! La parte più difficile è quasi passata, presto potrà abbracciarlo!».

Le ci vollero altre quattro lunghe spinte, ma alla fine...

«Ecco ci siamo! Natasha è stata eccezionale, eccolo qui il suo bambino!» disse con gioia Meredith mostrando un bambino perfettamente sano ai due neo genitori completamente sconvolti.

«Perchè non piange?» sussurrò terrorizzata Natasha, ma fece appena in tempo a pronunciare quelle parole che il bambino proruppe in un pianto disperato e potente.

«Sentite qui che polmoni!» ridacchiò la dottoressa, avvolgendo il nuovo nato in un panno dopo averlo pulito alla buona.

L'infermiera lo prese e lo avvicinò a Natasha e Steve.

«E' un maschietto forte e sano, le mie congratulazioni» disse la donna con un sorriso.

I due eroi erano completamente ipnotizzati da quella piccola creatura che piangeva e scalpitava. Il loro bambino.

Steve lo guardò e poi guardò Natasha, i suoi occhi erano umidi e colmi dei più dolci sentimenti;

«Grazie» articolò a fatica. La russa sorrise.

«Lo tenga, questo piccoletto è così traumatizzato che ha bisogno dell'abbraccio della sua mamma».

Accadde tutto in un istante.

Le braccia protese e trepidanti ricaddero esanimi, Natasha perse quasi immediatamente conoscenza, senza riuscire a pronunciare una singola parola e i macchinari che la monitoravano iniziarono a suonare impazziti.

«Merda!» imprecò Meredith Montgomery scattando immediatamente verso la sua paziente.

Steve restò paralizzato per attimi che parvero dilatarsi all'infinito, suo figlio era completamente sparito dalla sua visuale, non riuscì nemmeno a chiedersi dove fosse, perché glielo avessero sottratto così bruscamente; poi vide tanta, troppa gente affannarsi attorno al corpo esanime di Natasha e lui reagì prima ancora della sua mente, protendendosi verso di lei. Ma gli fu impedito.

Improvvisamente i rumori attutiti e i colori spenti ripreso vita davanti ai suoi occhi, così velocemente da stordirlo.

«Steve! Steve! Mi ascolti» la voce della dottoressa Montgomery sovrastò tutto il resto.

«Lo so!» disse semplicemente «Ma lei non può restare qui adesso. Occorre tempestività e lei mi sta distraendo dal salvare Natasha» quelle parole furono un colpo al cuore «Per favore, deve uscire, ora! Suo figlio è stato affidato alle infermiere per i controlli e sarò io stessa a portarla da lui. Ma ora deve andarsene, la prego».

Steve venne trattenuto a stento e spinto indietro. Fu incredibilmente semplice farlo uscire, talmente sconvolto non si rese nemmeno conto di ciò che gli avveniva intorno. Il volto di Natasha e quello di suo figlio si alternavano nella sua testa; non vedeva nient'altro.

Si accorse appena di essere nuovamente nel corridoio, attorniato dai volti della sua famiglia, che a stento ora riconosceva.

«Steve?» lo chiamò piano Bucky, giunto poco prima mentre lui stava assistendo alla nascita di suo figlio.

Il capitano si aggrappò all'amico d'infanzia con una tale disperazione che James ne fu realmente spaventato. Riuscì a pronunciare un'unica parola;

«Natasha».

Sam chiuse gli occhi e poi andò incontro all'amico, sostenendolo insieme a Bucky. L'intera squadra era paralizzata nel panico e nell'incertezza. Sharon cercava di controllarsi, camminava su e giù e rischiava seriamente l'iperventilazione. Tony, Clint, Niko e Bruce insieme a Alex e Jace scivolarono lungo la parete troppo atterriti dalla situazione.

«E' un maschio» disse improvvisamente Steve, con voce roca di preoccupazione e sorrise fra gli strati di dolore. «E' sano e forte» continuò mentre Sam e Bucky gli battevano sulla spalla emozionati. Sharon lo abbracciò stretto, e poi venne il turno degli altri.

Avevano perso tutti la cognizione del tempo e per questo gli parve passata un'eternità quando Meredith Montgomery emerse dall'oscurità della sala chirurgica.

Gli Avengers le furono attorno in un instante ma lei si rivolse a Steve.

«Ciò che è capitato a Natasha si chiama “annidamento in utero”» iniziò con calma «La placenta si è annidata troppo all'interno della parete uterina e perciò non sarebbe stata in grado di espellerla; l'emorragia è stata piuttosto consistente e grave e abbiamo dovuto rianimarla più di una volta, non fosse stato per i suoi geni potenziati non saremo riusciti a salvarla»;

«Quindi è viva, sta bene?» domandò il capitano concitato. La dottoressa però esitò;

«Sì, abbiamo fermato l'emorragia, ma abbiamo dovuto eseguire un'isterectomia d'urgenza, mi dispiace» Steve chiuse gli occhi, mentre il resto della squadra abbassava il capo mortificato.

«C'è dell'altro vero?» mormorò Clint sfidandola quasi con lo sguardo, Meredith annuì.

«L'emorragia è stata massiva e abbiamo dovuto rianimarla più volte come ho detto, i valori dovrebbero ristabilirsi ma non sappiamo quando si risveglierà...» per Steve fu come se gli avessero strappato il cuore dal petto «Potrebbero volerci ore o giorni-»

«O di più?» esclamò Niko cupamente. La Montgomery annuì mesta.

«L'abbiamo riportata in stanza, vuole vederla?» Steve annuì e si mosse come un'automa, non riuscendo nemmeno a guardare i suoi compagni d'armi, la sua famiglia in volto.

Sharon iniziò a scuotere il capo e a dire “no” sempre più forte, James con la morte nel cuore la afferrò per gli avambracci mentre lei si ribellava sconvolta, la serrò fra le sue braccia e la tenne stretta mentre entrambi versavano lacrime silenziose.

Sam scorse Maria appena sopraggiunta, infilarsi in un'uscita secondaria e la seguì. La trovò con le mani serrate alla ringhiera e l'espressione addolorata, la maschera di freddezza gettata alle spalle ormai.

«Perché?» mormorò «Perché sempre loro, perché devono pagare in questo modo?» si chiese, quando si voltò vide Sam in lacrime senza nemmeno cercare di controllarsi.

Tony?” la voce di Pepper si fece preoccupata, non riuscendo a sentire il fidanzato al telefono.

Tony che succede?” chiese nuovamente con maggiore apprensione.

«Pepper-» disse con voce sofferente «Puoi venire qui? Subito. Io... Natasha, Steve» non riuscì a continuare.

Niko si stava prendendo cura dei giovani Jace e Alexandra che inconsolabili sembravano non riuscire a contenere nei loro corpi acerbi tutta quella tristezza. Clint si era dileguato non riuscendo a sopportare altro. Bruce mestamente osservava Niko accarezzare quelle piccole testoline, quei due giovani catapultati in un mondo a volte troppo grande per loro.


People cry, not because they're weak.

It's because they've been strong for too long.”

~ Johnny Depp


«Appena se la sente la accompagnerò dal bambino, d'accordo?».

Il supersoldato annuì e la ringraziò per la sua cortesia. Si chiuse la porta alle spalle.

Lei era lì, apparentemente solo addormentata, in quel letto che improvvisamente gli parve troppo grande e lei troppo fragile. Le accarezzò i lunghi capelli, il volto ora così in quiete. Osservò le palpebre pallide e chiuse, continuando a pensare “Adesso le apre... Adesso le apre”.

Si sedette accanto al letto e le prese una mano.

«Devi svegliarti Nat, mi hai capito?» mormorò con voce sepolcrale;

«Non puoi abbandonarmi, non puoi lasciare me e il nostro bambino... Ti aspetta e io con lui. Natasha, ti prego, vita mia torna da me».

Steve si portò una mano al volto e si permise di piangere, piangere come mai aveva fatto in vita sua. Lasciando che la disperazione, la rabbia e la tristezza lo avvolgesse.

____________________________________________________________Asia's Corner

Buonasera a tutti, sono riuscita ad aggiornare nel giorno prestabilito! Per me è una grande soddisfazione, e ammatto che questo era un capitolo a cui tenevo e tengo molto. Mesi che mi ronza in testa e aspetta di essere scritto. Il figlio di Vedova e Cap è finalmente venuto alla luce, e se da una parte tutto ciò è bellissimo e spero che questo momento vi abbia emozionato, come un po' ha emozionato me, dall'altra eh sembra che il prezzo da pagare sia stato alquanto alto. E credetemi quando vi dico che quando sono arrivata al punto di scrivere l'ultima parte di questo capiolo ho avuto un rifiuto.
Nel prossimo capitolo ritornerà il nuovo pargolo, non vi preoccupate, ce ne sarà da raccontare... Ma in questo capitolo ho preferito concentrarmi sui due protagonisti.
Mi scuso per eventuali errori! Provvederò a correggerli... Intanto io vi ringrazio (chi legge, chi commenta, chi segue) e vi do appuntamento a VENERDI' 22 GIUGNO. Vi invito a seguire la mia pagina FB, per aggionamenti e notizie.
Buon Weekend a tutti!


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Capitolo 26
*** Effetto Sorpresa ***


26
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Capitolo Ventisei: Effetto Sorpresa

"I've come to realize that sometimes,

what you love the most

is what you have to fight the hardest to keep”

~ Kirsten Hubbard


Steve si stropicciò il volto esausto; i suoi occhi si posarono su Natasha con la morte nel cuore.

Si poteva amare qualcuno così profondamente? Guardandola il capitano si disse di sì. Il loro amore era sopravvissuto ai tormenti, al dolore, alla loro stessa vita.

Si chinò sulle sue labbra morbide.

«Torno presto».

La dottoressa Montgomery lo aspettava fuori dalla stanza; lo guardò con solennità.

«Steve sono consapevole che non è un momento facile, ma suo figlio la sta aspettando» continuò con comprensione.

A quelle parole un leggero calore si propagò timidamente nel suo petto. Una luce fioca illuminò l'oscurità in cui era precipitato.

«Mi porti da lui».


Il neonato sonnecchiava pacifico nella sua culla, in una stanza apposita poco distante da quella della madre.

L'infermiera l'aveva appena cambiato e avvolto in una copertina candida, le piccole mani premute contro le guance rosee.

Il capitano gli si avvicinò con cautela, spaventato nel suo intimo.

Gli infermieri glielo avevano sottratto dalla vista non appena la situazione di Natasha era precipitata. Ora invece la figura di suo figlio stava invadendo il suo intero campo visivo; era davvero piccolo si ritrovò a pensare.

Osservò ipnotizzato il suo viso tondo e sano, la bocca ben delineata, con il piccolo labbro inferiore appena più carnoso. Sorrise timidamente e accarezzò piano, avendo paura per la prima volta della sua forza, i capelli rossicci che non avrebbe mai immaginato potessero essere già così folti; si rese conto che erano simili a quelli di Natasha.

Non riusciva a dare un nome ai sentimenti che si agitavano in lui, ma fu quando – non senza un certo impaccio, terrorizzato all'idea che potesse cadergli – lo prese fra le braccia che lo avvertì: un amore totalizzante.

L'intensità di ciò che stava provando lo scosse, e si sedette sulla poltrona lì accanto.

Il bambino dischiuse le piccole labbra, nel primo sbadiglio della sua nuova vita, le manine si mossero scoordinate, strofinandosi il viso. I suoi occhi, il cui colore era indefinito e lo sarebbe stato per un po' di mesi, si aprirono e dopo aver vagato per qualche attimo, puntò il suo sguardo innocente sul volto di suo padre.

Il supersoldato sorrise commosso, mentre prendeva chiara consapevolezza che quello fra le sue braccia era suo figlio. Suo e di Natasha, il frutto del loro amore. Una vita che ora dipendeva completamente da lui.

«Ehi... Piccolo...» sussurrò con gli occhi azzurri lucidi d'affetto. Il bambino gorgogliò tendendo le braccia grassocce verso di lui.

Steve fece un verso incredulo, senza smettere di sorridere, stringendoselo contro ed accarezzando teneramente il suo volto con dita tremanti.

Suo figlio sbadigliò nuovamente e lentamente riprese il suo sonno innocente.

«Close your eyes

Have no fear

The monster's gone

He's on the run on your daddy's here

Beautiful, beautiful, beautiful

Beautiful boy»

Canticchiò Steve a bassa voce, ricordando le parole di una canzone di John Lennon che aveva scoperto ed ascoltato tempo addietro.

Restò con quella piccola creatura fra le braccia per un tempo indefinito. Lo guardava dormire e gli sembrava che ad ogni nuova occhiata il volto di suo figlio cambiasse, ogni respiro pareva unico e differente dal precedente e dal successivo.

Gli baciò la fronte;

«Andrà tutto bene, te lo prometto, andrà bene» gli sussurrò dolcemente.

Dopo poco sentì un lieve bussare alla vetrata protettiva che dava sulla stanza; Steve alzò lo sguardo e sorrise malgrado tutto. Bucky, Sam, Tony e Pepper, Laura, Niko, i piccoli Jace e Alexandra e Bruce lo stavano osservando, con davvero poco riguardo per la privacy, e i loro occhi erano tutti puntati sul piccolo Rogers, che sonnecchiava fra le braccia sicure del suo papà, bellamente ignaro di essere oggetto di tanta attenzione.

Il capitano allora fece cenno loro di entrare, ma essere degli eroi riconosciuti non significava – in certe situazioni – essere altrettanto capaci di muoversi con attenzione e pacatezza, tanto che furono ripresi dalle infermiere, sopratutto tre persone a caso come Barnes, Wilson e Stark.

«Steve è... è bellissimo» sussurrò Pepper commossa, posandogli gentilmente la mano sulla spalla.

«Ne facciamo uno, tesoro?» frecciò semiserio Tony beccandosi un'occhiataccia dall'adorabile fidanzata.

«E' così piccolo...» borbottò sconvolto Jace, insomma lui sapeva che i bambini erano piccoli, solo che beh non ne aveva mai visto uno con poche ore di vita così da vicino.

«Come si chiamerà?» domandò innocentemente Sasha, guardando felicemente colui che aveva già annoverato come cugino.

Lo sguardo di Steve si velò di malinconia;

«Vorrei provare ad aspettare un po' per... Natasha... So che lei aveva già un nome ben preciso in mente».

Gli occhi di Alexandra si fecero lucidi ma annuì, sporgendosi e baciandogli candidamente la guancia.

«Steve è...» Bucky era senza parole; il capitano osservò lui e Sam fissare suo figlio quasi inebetiti, incapaci di esprimersi a causa delle emozioni che quel piccolo essere stava scatenando in loro, si limitarono a poggiare le mani sulle spalle dell'amico. Loro ci sarebbero stati, per lui, per Natasha e per il bambino. A Steve bastò e gli fu grato per questo.

A rompere quell'idillio fu l'infermiera Florence Jenkins*, una donna sulla sessantina dall'aria terribilmente materna e vivace, con occhi scuri attenti e corti capelli candidi spettinati ad arte. Steve se la ricordava perché si era occupata di Natasha prima del parto con attenzione ed una premura sincera.

«Capitano Rogers, dia pure a me il piccolo, tra poco si sveglierà con una gran fame»; da come pronunciò l'epiteto “capitano” i presenti intuirono che doveva in qualche aver avuto a che fare con l'esercito nella sua vita.

«Ora voi tutti fuori di qui» li rimbrottò bonaria «Questo bambino ha bisogno di tranquillità, Capitano lei può vederlo quando vuole»;

«La ringrazio signora Jenkins» replicò il supersoldato osservando sollevato le affettuose cure che l'infermiera rivolgeva al figlio.

Una volta usciti dalla stanza il capitano sospirò, come a voler buttare fuori tutta la sua frustrazione e stanchezza soffermandosi sulla camera di Natasha;

«Steve, dovresti riposarti un po'...» gli suggerì premurosa Laura giunta poco prima per conoscere il nipote, gli accostò una mano al volto;

«Lei non vorrebbe che ti riducessi così» lanciò uno sguardo dietro di sé «Devi darle un po' di tempo, non è facile dare alla luce un figlio degli Avengers» disse con un sorriso rassicurante. Laura Barton possedeva un'incrollabile fiducia negli esseri umani, bisognava avere pazienza e perché no un pizzico di fede.

«Laura ha ragione» concordò Niko «Clint e Maria si stanno dando da fare con la sicurezza, e siamo tutti qui per voi» il resto del gruppo annuì sicuro.

«Dagli ascolto Capsicle, o Natasha ti farà lo scalpo una volta sveglia»;

«Grazie, io seguirò il vostro consiglio... Datemi solo un momento» replicò guardando grato coloro che aveva accanto.

«Noi siamo qui, Stevie» gli ricordò Bucky utilizzando quel vecchio nomignolo che derivava dritto dalla loro infanzia.

Natasha però non era sola.

«Sharon!» la richiamò il supersoldato. Si era chiesta in effetti dove fosse.

«Steve» tirò sul con il naso, sistemando e lisciando il lenzuolo all'amica dormiente «Mi spiace non averlo visto insieme agli altri... Ma non riesco» una lacrima scivolò brutale sul volto stanco «Non posso conoscerlo, toccarlo, prenderlo fra le braccia prima di lei. Non è giusto, dovrebbe esserci Natasha in quella stanza con vostro figlio, dovrebbe toccarlo, coccolarlo, è sua madre non è giusto! E io non posso-»

«Ehi, lo so» la fermò gentilmente il capitano abbracciandola «Lo capisco, ti capisco» il suo sguardo si crucciò «Non ti preoccupare, grazie per restarle accanto. Dobbiamo avere pazienza, giusto?» le chiese quasi a voler cercare una conferma, una speranza in lei.

«Sì, dobbiamo essere pazienti Steve, lei è sempre tornata. Ricorda è sempre tornata da te, e lo farà anche per suo figlio» ribatté con rinnovata fiducia, asciugandosi con le dita le lacrime che avevano ricominciato a scorrere, traditrici.

«Come sta il piccolo?» chiese cercando argomenti più lieti. Era convinta che Natasha in qualche modo potesse ascoltarli.

«Bene, è sano, bellissimo, il colore dei capelli è il suo» rispose inevitabilmente commosso. L'agente 13 sorrise felice ed annuì;

«Ora vi lascio soli, vado a controllare che nessuno si faccia buttare fuori dall'ospedale» scherzò.

Rimasto solo afferrò la poltrona reclinabile e la trascinò accanto al letto in cui Natasha riposava, apparentemente solo addormentata.

«Hai sentito Nat? Nostro figlio ha preso da te... » le prese la mano, avvolgendola completamente nella sua «E' così piccolo, ho paura di fargli male solo sfiorandolo, ma tu sapresti cosa dirmi per tranquillizzarmi, glielo ho promesso, gli ho promesso che sarebbe andato tutto bene, perciò amore mio devi aprire gli occhi, ancora una volta... Torna da me».


TRE GIORNI DOPO...

Steve guardava suo figlio, affranto.

Il piccolo Rogers aveva cominciato a piangere sempre più spesso, sopratutto con l'esaurirsi del terzo giorno; l'intera squadra nel mentre sembrava essersi trasferita nel reparto dell'ospedale. Steve non aveva lasciato nemmeno per un secondo la sua famiglia facendo spola tra Natasha e il bambino; Sharon si era allontanata dall'ospedale solo per portare un cambio al capitano, che stoicamente tentava di tenere tutto insieme, compreso se stesso.

Florence Jenkins, si era rivelata fondamentale per l'educazione del neo genitore prendendosi cura non solo del piccolo ma anche di lui; ora cullava il neonato nel tentativo di calmare quel pianto straziante.

«Che cos'ha?» domandò preoccupato Bucky accanto all'amico;

«Vuole sua madre» replicarono in coro l'infermiera e Steve con sguardo vitreo. Miss Jenkins sorrise comprensiva in direzione del neopapà.

«Esatto, questo povero piccolo ha bisogno di sentire il tocco materno, il suo profumo, la sua pelle. Ha bisogno della sua mamma» spiegò con un sorriso desolato la donna. “Non è il solo” ribatté mentalmente Steve.

Ma Natasha purtroppo giaceva ancora inerme su quel letto, che al capitano pareva ogni giorno troppo grande per lei, la dottoressa Montgomery era incoraggiante, così come i risultati; ma lei ancora non si svegliava.

«Capitano, se lei è d'accordo potremmo provare a portarlo per un po' nella stanza della signorina Romanoff. Anche solo l'avvertire la sua presenza dovrebbe giovare al bambino»;

«Ma certo» replicò Steve stanco «Farà bene anche a Natasha».

E funzionò.

Il bambino spostato accanto al letto di Vedova Nera lentamente si quietò, riprendendo la normale respirazione, quasi a ritmo con quella della madre.

Per Steve invece era straziante guardare le due persone che più amava così vicine eppure irrimediabilmente lontane.

E lo compresero anche Bucky e Sam che cercarono di confortarlo.

«Andrà bene Steve, come hai detto tu» gli assicurò Sam.


*


All'inizio fu una singola sirena dell'ambulanza, a cui presto se ne aggiunsero altre, insieme a quelle dei vigili del fuoco e della polizia di New York. Doveva essere accaduto qualcosa di brutto.

«Steve? Ti ho portato qualcosa da mangiare» Sharon entrò con passo felpato nella stanza buia dove il capitano si era concesso – dopo le insistenze di tutti – del sano riposo.

«Che succede? Sento le sirene...» domandò con voce impastata dal sonno.

«A quanto dicono ci dev'essere stato un cedimento dell'asfalto che ha causato anche il crollo di una palazzina, i soccorsi sono partiti in massa, si aspettano molti feriti»

«Capisco».

Un concitato brusio all'esterno però insospettì i due, Steve abbandonò totalmente l'idea di lasciarsi andare al dolce oblio di Morfeo.

«Che succede?» chiese alla dottoressa Montgomery, era la prima volta che la vedeva così agitata.

«Io non capisco, le ambulanze non riescono a raggiungere l'ospedale! Dicono che c'è una sorta di posto di blocco che le fa deviare a pochi metri dall'edificio»;

«Steve!» Occhio di Falco correva rapidamente verso di loro;

«Clint, è lo S.H.I.E.L.D. che impone il blocco?»

«No! Nessuno ha mai dato un'ordine simile»;

«Non mi piace» disse pensierosa Sharon e dallo sguardo dei due compagni capì che la pensavano allo stesso modo.

Trovarono il resto della squadra “accampato” in una specie di sala d'attesa del reparto privato. Clint non fece in tempo a prendere parola che gli schermi della stanza iniziarono a ronzare fastidiosamente prima di proiettare il simbolo dell'Hydra.

«Ditemi che è uno scherzo» esalò Sam. Ovviamente non fu così.

Il volto disturbante di Aleksander Lukin apparve, come nel peggior incubo di Steve.

«Buonasera Capitano Rogers» era Teschio Rosso che parlava «Volevo tremendamente porgere i miei omaggi a tuo figlio» il supersoldato divenne di pietra a quelle parole «Mi perdonerai il trambusto ma non stavo più nella “pelle” all'idea di poterlo incontrare, è il benvenuto qui da noi»;

«Bastardo» sibilò Bucky cupo come non mai;

«La questione è semplice: a te la scelta Capitano! La vita di tuo figlio contro quella di poveri ed innocenti pazienti presenti nell'ospedale» con quelle ultime terribili parole lo schermo si spense.

«Chi ha voglia di prendere a calci il caro zietto Teschio Rosso?» borbottò Tony alzando la mano.

«Ci hanno chiusi qui dentro» ragionò Bruce «Hanno convogliato le forze dell'ordine lontano da qui... Il crollo era un diversivo»;

«Dobbiamo dargliene atto, con i diversivi ci sanno fare» commentò Clint con cupa ironia.

«Steve!» lo richiamò Maria trafelata sopraggiunta con Melinda May, anche loro dovevano aver sentito il discorso dei loro nemici.

Il capitano si prese un secondo per concentrarsi, poi decise:

«Dottoressa Montgomery? - la donna quasi scattò sull'attenti – è possibile far uscire i pazienti da un'uscita secondaria? O che normalmente non verrebbe utilizzata a questo scopo?»

«Sì. Sì è possibile, il problema sono i pazienti più gravi quelli attaccati alle macchine o con gravi patologie che non riuscirebbero a sopravvivere al di fuori di un ambiente medico specializzato» Steve ci rifletté su;

«Procedete con l'evacuazione, vi consiglierei di spostare ogni singolo paziente, chi non può collocatelo lontano dal piano terra e dai primi...»

«Capitano, per Natasha e suo figlio?» l'uomo con espressione mortalmente seria negò col capo. Meredith Montgomery annuì prendendo atto di quella decisione;

«D'accordo. Buona fortuna a tutti voi!».

«Stevie ne sei sicuro?» chiese seriamente preoccupato James;

«Probabilmente è quello che si aspettano» disse Clint dando voce ai pensieri del compagno «Restando qui, possiamo comunque gestire la situazione sapendo esattamente la sua posizione.»

«Non è l'ideale, lo sto deliberatamente mettendo in pericolo» abbassò il capo qualche attimo, quando lo rialzò, ciò che vi era scolpito metteva seriamente paura. Era lo sguardo di chi aveva deciso, di chi volontariamente si era messo su quella strada e l'avrebbe percorsa fino alla fine, di un uomo che aveva tutto da perdere e ne era perfettamente consapevole.

«Ma se arriveranno a mio figlio significherà che io ho fallito e sono morto» i suoi compagni si strinsero a lui e giurarono che le sue parole non si sarebbero mai avverate.

«Situazione? Chi è rimasto?».

«Pepper, Laura e i ragazzi sono tornati alla Tower ore fa» rispose Tony serio «Fury è con loro, le difese sono attive, se la situazione si fa critica ci raggiungerà» Steve annuì.

«Io, Bobbi e Hunter siamo a tua disposizione. L'ospedale- » la luce si spense di colpo e le luci di emergenza reagirono immediatamente, Sam andò alla reception ed afferrò il telefono. Imprecò.

«Ci hanno chiuso fuori!»;

«Il cellulare non prende» constatò Sharon.

«Beh c'era da aspettarselo» sospirò Bucky con le mani che prudevano.

«Lo S.H.I.E.L.D. Melinda?»;

«Abbiamo degli agenti sì. Purtroppo non siamo riusciti a contattare Coulson, ma credo che non ci metteranno molto a capire».

«D'accordo. Ascoltate è molto probabile che facciano opera di contenimento se non addirittura di logoramento su di noi, aspetteranno un nostro attimo di distrazione per superare la nostra linea, l'obiettivo è mio figlio, non dobbiamo dargli l'occasione per entrare in questo edificio. Melinda ti unirai a noi, Bobbi e Hunter saranno di guardia al reparto. Bruce non vorrei chiedertelo ma-»;

«Non devi infatti. Ci sto!».

«Andiamo a scatenare una bella rissa di strada!» terminò Iron Man con il suo solito sarcasmo che riuscì a far sorridere i presenti.


Quello che però non sospettavano è una serpe si era già introdotta nel nido.

«Signorina ce la fa? Si appoggi a me» l'aiutò l'infermiere premurosamente.

K restò volutamente isolata dal flusso di pazienti e medici che si avviava verso un'uscita secondaria; afferrò l'uomo che le aveva offerto sostegno e gli ruppe l'osso del collo.


Steve impeccabile nella sua divisa e con l'iconico scudo assicurato alla schiena, cercava di tranquillizzare il figlio, in lacrime fra le sue braccia; era come se lui sapesse, come se avvertisse il pericolo imminente che tutti loro correvano.

«Sh... Non piangere, andrà tutto bene, tornerò presto» sussurrava dolcemente.

«Capitano, me lo dia pure, ci penso io ora»;

«Miss Jenkins è sicura di non volersene andare?» le chiese per l'ennesima volta il supersoldato.

«Sicurissima Capitano! Se io me ne vado chi si occuperà di queste due meraviglie?» trillò incredibilmente allegra, accennando a Natasha e al bambino «Sa sono cresciuta in una famiglia di militari, io stessa ho prestato servizio, malgrado fossi appena maggiorenne, come infermiera sul campo durante gli ultimi anni della guerra del Vietnam, persi mio marito nella prima guerra del Golfo, dal quel momento niente fu più lo stesso. - il suo volto era soffuso d'una dolcezza malinconica che commosse Steve – i miei bambini sono grandi ormai. Ho visto da vicino gli orrori della guerra e le atrocità che può commettere l'essere umano, io resto».

«Grazie» replicò l'uomo ammirato, porgendole il bambino. Riportò il piccolo nella stanza, lasciandogli un momento di privacy.

Steve si chinò su Natasha, i suoi occhi si bearono e si riempirono di lei, le depose un bacio sulla fronte, promettendosi di baciare quelle labbra solo se fosse riuscito a sopravvivere alla notte.

«Ti amo».


«Clint. Tony. Quando volete!» sussurrò il capitano attraverso l'auricolare. Lui insieme a Bucky, Sharon, Maria, Melinda, Niko e Bruce, con alcuni agenti dello S.H.I.E.L.D. erano asserragliati dietro una barricata improvvisata con sedie, lettini, armadi rovesciati; l'ingresso principale continuava ad essere trivellato di colpi per questo nessuno di loro poteva muovere un passo. L'Hydra li stava letteralmente aspettando al varco.

«Hai sentito Legolas? Facciamo decollare questa festa!» e partirono all'attacco.

Clint dalla posizione sopraelevata scagliò le sue frecce esplosive dritte verso la prima linea nemica, che in quel momento impediva ai suoi compagni di agire. Tony lanciava piccoli missili in vari punti cercando di rompere il loro assetto.

«Cecchino individuato» disse Occhio di Falco mentre Iron Man seguendo le sue indicazioni intercettò un colpo diretto a loro. La loro posizione era compromessa.

«Pronto Sam? Ho un po' di carne fresca per te» berciò l'arciere comunicando le ubicazioni dei cecchini, mentre Falcon si lanciava da un piano più alto pronto ad eliminare i suoi avversari.

La via fu liberata e questo permise alla squadra di terra di contrattaccare finalmente.

«Sin!» gridò Steve tentando volutamente di attirare l'attenzione della figlia di uno dei suoi peggiori nemici. Doveva tenerla sotto controllo, e se l'unico modo per farlo era quella di affrontarla direttamente... Diavolo se l'avrebbe fatto.

«Oh Capitano! Quale onore essere riconosciuta da un tale esempio di rettitudine e virilità!» replicò immediatamente Sinthea, esibendosi in un impeccabile ed elegante inchino.

«Tuo padre è troppo vigliacco per affrontarmi?»;

«E' davvero impegnato in questo momento, sai la conquista del mondo. Ma credimi per te, io basto e avanzo» le sue labbra rubre si aprirono in un sorriso da squalo.

«Questo è da vedere» e lo scontro divenne fisico.

Bucky invece andò dritto verso Brock Rumlow prima anche solo potesse scorgere Sharon con lo sguardo. Lo aggredì con forza ma la risposta di Crossbones non si fece attendere.

«La cosa finisce stanotte Rumlow!»

«Io non credo proprio».

Falcon ed Iron Man tentavano di sfoltire le fila nemiche dall'alto e il ruggito bestiale di un Hulk appena risvegliato sollevò non di poco l'umore degli Avengers, almeno finché...

Tony si lasciò ad andare ad una bestemmia colossale;

«Questa è violazione del copyright!» strepitò subito dopo, guardando indignato ciò che l'Hydra aveva messo in campo per contrastare la minaccia di Hulk.

Era di certo una versione più rozza e dal design discutibile ma quello che aveva davanti agli occhi era un Hulkbuster. Hackerando JARVIS quella volta gli avevano pure sottratto i dati sul suo prototipo. Affronto su tutta la linea.

Tony volò dritto da Hulk e cercò di farlo concentrare.

«Ehi bestione lo vedi quello? Ecco adesso io e te distruggeremo il loro nuovo giocattolo!» la parola “distruggere” fu tutto quello che bastò all'energumeno verde per partire all'attacco.

Clint invece era impegnato con uno dei Winter Soldier, quello che aveva intravisto a Las Cruces, colui che aveva osato attaccare la sua famiglia e ridurre in cenere la sua casa.

«Muori» esordì atono L all'arciere apparentemente messo all'angolo. Occhio di Falco scompose a velocità impressionante l'arco fra le mani e questo si ricompose in un'alabarda a doppia lama, bloccando così il colpo che doveva essere quello fatale.

«Magari un'altra volta eh!».

Niko e Melinda insieme a Sharon e Sam dall'alto contrastavano i soldati fedeli all'Hydra. Capirono immediatamente che il loro unico scopo era quello di tenerli impegnati ed era pure chiaro che non avevano messo in campo tutte le forze a loro disposizione, per loro quello non era l'attacco finale e decisivo, era invece piuttosto come una scorribanda mirata, allo scopo di logorarli psicologicamente e renderli insicuri nel loro stesso territorio.

«Dimmi Capitano non ti ricordo lei?» celiò Sin con tono mellifluo cercando di colpire il suo avversario al fianco «A proposito ho saputo che non sta molto bene, sai io ho ucciso mia madre venendo al mondo, chissà se anche tuo figlio farà lo stesso con la sua, forse noi siamo una stirpe maledetta» raccontò ridacchiando perversa, Steve le lanciò contro lo scudo che lei però evitò.

«Non provare a paragonarti a lei, e nemmeno metterti sullo stesso piano di mio figlio. I tuoi bassi commenti non mi toccano» replicò il capitano glaciale. Erano entrambi malconci, eppure nessuno dei due era ancora riuscito a prevalere sull'altro. Sin stava cominciando a stancarsi, quell'uomo la rendeva nervosa.

Nel frattempo Tony e Hulk avevano messo in ginocchio l'Hulkbuster, riducendolo a delle lamiere informi. Il genio però si prese un momento per riflettere su quanto fosse stato semplice, il suo prototipo non era certo così debole strutturalmente, e se...?

Brock Rumlow non ne voleva sapere di morire, e riuscì a liberarsi dalla presa del Soldato d'Inverno, si diresse verso Sinthea mentre lasciava il suo avversario in balia dei suoi sottoposti.

«Sin – le urlò – lo S.H.I.E.L.D. è in arrivo» e lei afferrò al volo.

«E' un vero peccato dover interrompere questo delizioso dialogo Capitano»

«Ciò che state facendo, questa insulsa battaglia con lo scopo di logorarci, di farci capire che non siamo al sicuro nemmeno nella nostra casa non funziona più Sin. Nessun vostro uomo è riuscito a varcare la soglia dell'edificio, hai fallito. E non credere che io ti lasci andare così».

Per tutto il tempo però la ragazza non aveva perso il suo felino sorriso, un dispositivo scivolò nella sua mano e senza troppi fronzoli o parole lo premette; bombe fumogene ed alcune stordenti si attivarono spiazzando gli Avengers che furono costretti a subirne gli effetti.

I pochi superstiti dell'Hydra, con L, Sin e Rumlow si aggrapparono a delle corde discese praticamente dal nulla, ma quando i fumogeni si diradarono gli Avengers compresero che era troppo tardi. Nessuno se ne era accorto ma il Bus, ormai da molto tempo nelle loro mani, era sospeso in attesa sopra i grattacieli della città. E la domanda era solo una: come faceva un aereo del genere a volare indisturbato evitando di essere segnalato da qualsiasi radar, inclusi quelli dello S.H.I.E.L.D.?

«Capitano!» urlò Sin ormai lontana «Sei davvero sicuro che nessuno, nessuno non sia entrato in quell'edificio? - rise – Queste battaglie lampo non servono a nulla? Io direi di guardarti allo specchio ora! Non hai idea di quanto quell'espressione mi faccia godere. Chissà magari io e il tuo adorato pargolo ci incontreremo prima del previsto!».


Non perse nemmeno un secondo Steve, seguito a ruota da Sam e Bucky corse al reparto privato preoccupato per il figlio. Il suo cuore venne vinto dall'angoscia non appena vide il vetro protettivo della nursery infranto e l'intera stanza messa a soqquadro, Bobbi e Hunter spariti. I suoi occhi saettarono fulminei verso la culla del figlio e il gemito gli si strozzò in gola.

James e Sam si scambiarono uno sguardo terrorizzato e si affrettarono dietro l'amico.

Ad accogliergli c'era l'immancabile infermiera Jenkins che diligente al proprio mestiere riorganizzava l'intera stanza, malgrado lo zigomo offeso svolgeva il suo lavoro con tranquillità. Alla vista dei tre sollevò un sopracciglio, sorpresa dalla loro confusione.

«Gli agenti dello S.H.I.E.L.D. hanno già preso in custodia l'intrusa» rispose efficiente;

«Che- Cosa?» esalò il capitano non capendo «Dov'è mio figlio?» berciò con voce cupa.

L'infermiera a quel punto sorrise comprensiva;

«Oh nelle braccia più sicure del mondo, Capitano Rogers» celiò lei serena.

Steve sbatté le palpebre in evidente confusione, il suo cuore iniziò a pompare sangue molto più velocemente, se qualcuno non gli riportava il suo bambino nei prossimi dieci secondi sarebbe esploso.

«Che significa? Con chi è mio figlio?» chiese senza fiato. Florence Jenkins lo guardò con espressione benevola ed ebbe pietà del supersoldato;

«E' con sua madre».





*Il nome dell'infermiera Florence Jenkins l'ho ripreso da Florence Foster Jenkins, soprano americano che non possedeva però alcuna dote canora. Portata sul grande schermo da quel mostro sacro di Meryl Streep, ho letteralmente adorato il film e il personaggio, e così quando ho creato il personaggio dell'infermiera ho deciso di rendere un piccolo omaggio.

_______________________________________________________________________________Asia's Corner
O no? E anche questo capitolo è andato e credetemi è stata una faticaccia! Ma sono abbastanza soddisfatta del risultato e spero che lo sarete anche voi.
Direi che vi ho dato la giusta dose di "angst" e dolcezza. Cosa ne pensate dell'infermiera Miss Jenkins? Io avrei già mezza idea per lei... Ma spero che via piaccia quanto è piaciuto a me scriverne.
Direi che anche questo capitolo parla un po' da sè, eventuali quesiti lasciati qua e là verranno chiariti prossimamente, e se siete curiosi di sapere cos'è successo nelle ultime battute di questo capitolo, beh mi spiace dirvi che dovrete aspettare il prossimo capitolo (lo so, ma una buona parte è già nella mia testa e ho già scritto qualche pezzo qua e là) che verrà postato esattamente VENERDI' 03 AGOSTO (Mi impegnerò per restare nei tempi promesso!).
Nel mentre quanto era puccioso Steve con il figlio? A d o r a b i l e! A proposito la canzone è "Beautiful Boy" di John Lennon (se volete ascoltarvela mentre leggete alcuni pezzi del capitolo, io ve la consiglio).

Detto questo io passo come sempre a ringraziarvi TANTISSIMO del sostegno che mi date, sopratutto nella mia pagina autore su fb "Asia Dreamcatcher" (venite a dare un'occhiata!) ringrazio anche i lettori silenziosi e quelli che commentano (arriveranno le risposte tra qualche giorno, promesso).
A presto!


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Capitolo 27
*** Motherhood ***


27
http://i1171.photobucket.com/albums/r557/JasmineL211/DE01_1.jpg







Capitolo Ventisette: Motherhood

Vedi, la gioia che prova una madre

quando coglie il primo sorriso del suo bambino

dev'essere proprio la stessa che prova Iddio ogni volta che, su dal cielo,

vede un peccatore che gli rivolge una preghiera con tutto il suo cuore.”

~ “L'Idiota”, Fëdor Dostoevskij



Qualcosa stava mutando.

Il buio che l'avvolgeva si stava diradando.

Per primo percepì un formicolio leggero alle mani, le dita si mossero sentendo nuovamente lo spazio attorno a sé. Finalmente l'oscurità si stava ritirando.

Un profumo conosciuto le risvegliò i sensi... Il profumo della persona amata.

Il suo corpo iniziò a riprendere contatto con la realtà, si risvegliava, tornando prepotentemente alla vita.

Inspirò a pieni polmoni e finalmente il mondo rivide il verde cristallino che possedevano gli occhi di Natasha Romanoff.

Mosse il capo a destra e a sinistra riconoscendo quasi immediatamente il luogo in cui si trovava, la sua mano corse al ventre, un gesto ormai familiare e istintivo ed un panico inaspettato la colse. Si levò di scatto tastandosi spasmodicamente la pancia trovandola vuota, piatta...

Dov'era? Dov'era il suo bambino?” si chiese disperatamente. Poi piano piano i ricordi iniziarono a tornarle in mente e si quietò.

Lei aveva partorito, suo figlio era venuto alla luce, ci era riuscita...

«Steve...?».

La voce le uscì arrochita, stentata. Sapeva per certo che lui era stato lì, sentiva la sua presenza tutta attorno a sé; in quel momento però vi era un'altra domanda che le premeva: dov'era suo figlio ora? Il desiderio di vederlo era di minuto in minuto sempre più bruciante.

Il prolungato silenzio però la mise in allerta, distogliendola dai suoi pensieri. C'era qualcosa di innaturale, erano pur sempre in un ospedale, perché tutto sembrava così “sospeso”?

Si alzò con cautela, una volta assicuratasi di essere stabile sulle proprie gambe passò a stiracchiarsi, tese i muscoli cercando di capire quanto il suo fisico era in grado di reggere. Si sentiva in forma e decise di uscire a dare uno sguardo fuori dalla sua stanza.

Qualcosa di certo non andava. La luce era fioca, poiché solo quelle d'emergenza erano funzionanti, il personale assente; pareva di essere in un brutto film dell'horror.

Natasha, cercando di tenere i suoi sensi ben allerta, si diresse verso le porte che dividevano un reparto dall'altro, ma quando ne aprì una la sorpresa fu grande.

«Bobbi? Hunter-».

I due agenti dello S.H.I.E.L.D. erano riversi a terra, Lance Hunter era svenuto e la sua testa era sorretta da Bobbi Morse appoggiata contro la parete, il respiro pesante.

«Natasha? Grazie a Dio sei sveglia!» esalò la ragazza.

Vedova si avvicinò ai due, entrambi erano messi male.

«Hunter sta bene? Ce la fate?»;

«Sì. Io credo- Lance ha ricevuto un brutto colpo alla testa... Ma non è importante al momento – le afferrò il braccio – vogliono tuo figlio! Il capitano e gli altri stanno affrontando l'Hydra, ma uno dei loro Winter Soldier è penetrato all'interno, noi ci abbiamo provato, Natasha ci abbiamo provato-»

«Sh, non ti affaticare, ne sono certa. Dov'è ora?»

«Nella nursery alla fine del corridoio dietro di te. L'ho ferita al fianco ma-»

«Ho capito. Resistete d'accordo?» Bobbi le dette la sua parola.

Natasha inspirò e si voltò. Percorse il corridoio con lo sguardo che prometteva atroci sofferenze a chiunque si sarebbe messo fra lei e il suo bambino.

Entrò nella nursery ed osservò la coraggiosa infermiera frapporsi fra suo figlio e la giovane, per poi cadere a terra colpita con violenza.

«Sfioralo e sei morta» sibilò glaciale.

K si voltò sorpresa di non aver avvertito prima la sua presenza. Ma non si tirò indietro e le si scagliò contro.

Natasha si preparò all'urto mentre veniva spinta contro l'armadio dietro di lei, la sua mente registrò con dolore il pianto disperato di suo figlio.

Decisa, afferrò la sua avversaria e la allontanò da sé, poi senza darle abbrivio le artigliò il braccio e la fece scontrare duramente contro il vetro protettivo, che si crepò.

Resistente, malgrado la ferita causata da Morse le bruciasse, la soldatessa si riprese e continuò a colpire Vedova Nera, che però riuscì a sferrarle prima un calcio e poi compiendo mezza piroetta in aria gliene rifilò un altro.

K provò per la prima volta in uno scontro reale terrore, quella donna possedeva una furia controllata, la sua espressione prometteva morte. Strinse i denti continuando ad affrontarla.

Ma la ragazza non poteva comprendere la forza della sua avversaria, che scaturiva da un primordiale istinto di protezione nei confronti del proprio figlio. Natasha era forte, ma ciò che la rendeva superiore era che aveva qualcuno da proteggere, aveva qualcosa per cui combattere.

Alla fine Vedova riuscì a scaraventarla nuovamente contro il vetro che si ruppe definitivamente attorno al corpo di K che crollò ferita dalle schegge, la carne lacerata, nel corridoio e dopo aver boccheggiato per qualche istante, come se l'ossigeno non le fosse più sufficiente, svenne.

Assicuratasi che fosse davvero svenuta rivolse la sua attenzione all'infermiera che stoicamente si era rimessa in piedi.

«Sta bene?» domandò «La ringrazio per averlo protetto».

«Oh bambina – l'appellativo la fece sorridere – sono solo dei graffi questi. Piuttosto sono felice che si sia ripresa, mi sono presa la libertà di occuparmi anche di lei durante la sua convalescenza, il povero Capitano era così in pena, per non parlare di questo piccolino, sa sentiva molto la sua mancanza» Natasha non aveva mai provato istintivamente affetto o simpatia per una persona, sopratutto non appena conosciuta; Miss Jenkins fu la prima.

«La ringrazio allora per essersi presa cura della mia famiglia. Le potrei chiedere un favore? Ci sono due agenti feriti in fondo al corridoio, potrebbe occuparsene?»;

«Nessun problema.» poi la guardò con dolcezza «Ora invece lei dovrebbe occuparsi di questo scricciolo qui» disse accennando al bambino nella culla, che continuava a singhiozzare.

Natasha trattenne il fiato, ora era lei ad avere paura. Aveva lottato come una leonessa perché nessuno gli facesse del male, ed in cuor suo era preoccupata di poterlo ferire. Ma non poteva più ignorare il suo pianto, la stava reclamando a gran voce, scavando un solco nel suo petto.

«E' sua madre, non potrà fargli nulla di male» la incoraggiò l'infermiera con un sorriso gentile.

La russa si sporse verso la culla ed il suo cuore tremò d'emozione nel vedere finalmente suo figlio. Dio, era così bello ed anche così piccolo... era perfetto, sì non avrebbe saputo usare parola migliore, con i capelli folti e rossicci, il naso piccolo, le labbra delineate e piene.

Una parte di lei aveva timore di sporcarlo con il semplice tocco, le sembrava che le sue mani fossero lordate di sangue impossibile da lavare. Ma l'altra parte di sé prese il sopravvento e sorrise: un sorriso dolce e rassicurante. Facendo estrema attenzione lo prese fra le braccia, avvicinandoselo al petto; non sapeva come, ma le sembrò che le sue mani sapessero già come sorreggerlo.

Il bambino emise ancora qualche vagito agitato poi si calmò d'improvviso, lentamente le sue sottili palpebre si sollevarono e i suoi occhi, di un colore ancora non ben definito – ma Natasha era convinta che avrebbero avuto la stessa tonalità di azzurro del suo papà – puntarono dritti verso il suo volto, come se sapesse già dove guardare, come se sapesse già chi fosse; e forse era davvero così. Natasha lo sentì forte dentro di sé, loro due – madre e figlio – già si conoscevano, era come se guardandolo la spia sapesse già tutto di lui, nei suoi occhioni lei poteva leggere ogni cosa del suo bambino.

«Ciao...» mormorò commossa Vedova. Il neonato gorgogliò vivace e si agitò nel suo fagotto di coperte, lasciandola senza fiato, era felice di vederla. Le sue labbra tumide tremarono appena senza che smettessero di sorridere;

«Ciao... солнешко [piccolo sole]» ripeté baciando piano la fronte liscia, e quelle guance adorabili. L'aveva chiamato “piccolo sole”, le sue labbra avevano articolato quell'appellativo spontaneamente, senza nemmeno che la mente si fosse impegnata. Era proprio ciò che suo figlio era per lei: un sole. Un'incredibile fonte di luce e calore; lui e Steve i suoi soli.

Le aveva scaldato l'anima semplicemente riconoscendola: allungando le braccia grassocce verso di lei, perché l'aveva riconosciuta, sapeva che lei era la sua mamma.

«...Posso-?» domandò incerta a Miss Jenkins, che annuì intenerita da quella donna così letale e che ora trasmetteva, senza rendersene conto, una dolcezza sconfinata.

«Certo mia cara, è suo figlio dopotutto».

Prima di tornarsene in stanza con suo figlio, si assicurò che la Winter Soldier non potesse più nuocere, aiutando l'infermiera a legarla saldamente e a porla sotto flebo di un sedativo potente. La lasciò occuparsi di Bobbi e Lance e le chiese di contattare lo S.H.I.E.L.D. per la custodia.


*


Steve inspirò pesantemente prima di abbassare con decisione la maniglia.

Dio! Ti prego se è un sogno non svegliarmi. Fu quello il suo primo e sciocco pensiero. Poiché ciò che i suoi occhi gli mostravano, era la più bella e struggente visione che lui avesse mai visto. Natasha e il loro bambino.

La spia era appoggiata contro la finestra: il suo profilo leggermente circonfuso dalla luce dell'alba, chinata verso il figlio che dormiva beatamente, perché fra le braccia più sicure del mondo. Si voltò ad osservarlo: i suoi occhi possedevano una luce nuova ed intensa, gli sorrise con dolcezza. Era tutto ciò di cui Steve aveva bisogno.

«Ciao...» sussurrò «Si è appena addormentato» continuò posando il suo sguardo sul figlio.

In silenzio il supersoldato si avvicinò e lei riportò gli occhi su di lui. Restarono l'uno davanti all'altra, i corpi che si sfioravano.

Steve levò il braccio e con attenzione avvolse entrambi, stringendoseli delicatamente contro.

«Non farlo mai più» sospirò Steve contro la sua tempia, provocandole un sussulto «Non provare mai più a lasciarmi Natasha.» esitò un istante in cui la donna percepì i battiti singhiozzanti del suo cuore contro l'orecchio, e avvertendo il proprio petto stringersi sofferente per il dolore che gli aveva causato «Ho avuto paura...» confessò.

«Una maledetta paura di perderti per sempre».

Natasha poggiò la fronte contro il petto, chiuse gli occhi e poi li riaprì alzando il volto verso il compagno; dolci amare emozioni si agitavano in lei. Facendo attenzione liberò un braccio, mentre il supersoldato l'aiutò a sorreggere il figlio, e la sua mano sfiorò il mento, costringendolo a guardarla.

«Mi dispiace di averti fatto aspettare любовь к моей жизни [amore della mia vita]. Ma ce lo siamo promessi, troveremo sempre il modo di tornare l'uno dall'altra...»;

Steve si lasciò andare ad un lieve sorriso. Il bambino si mosse un poco fra loro e i loro sguardi scivolarono immediatamente verso di lui che continuava a dormire pacifico le manine strette a pugnetto contro il viso.

Natasha rialzò lo sguardo sul compagno:

«Io tornerò sempre da te e da... James»;

Steve sgranò lo sguardo sorpreso, poi sorrise;

«Allora è così che vuoi chiamarlo?» domandò dolcemente mentre Vedova annuì sicura.

«Io credo che questo sia il nome giusto; anche per James, se non fosse stato per lui probabilmente ora non saremmo qui» il biondo soldato la osservò perplesso «Lui mi ha aiutato a decidere, mi fatto comprendere. E James ha bisogno di capire, a sua volta, che può andare avanti, che c'è qualcosa di buono che lo sta aspettando sulla sua strada. Che lui può abbracciare quella vita che Sharon e Jace gli promettono... Che può ricominciare, che c'è davvero del buono in lui...» affermò sicura. E Steve capì, annuì, gli occhi azzurri accesi.

Si guardarono complici, poi la mano della spia corse fra i suoi crini chiari;

«Hai un aspetto orribile per la cronaca» celiò semiseria. Lui ridacchiò, e gli sembrò che tutta la tensione accumulata scivolasse finalmente via dal suo corpo ancora una volta provato. Strinse a sé le due persone che definitivamente detenevano il controllo del suo cuore, respirò il loro profumo. La sua famiglia.


«Pronta?» domandò Steve allungando la mano verso la porta. Natasha gli scoccò un'occhiata divertita rafforzando la presa sul piccolo James, che nel frattempo si era svegliato e cercava di muoversi, emettendo versetti entusiasti, o almeno sembrava.

«Sì sono pronta» replicò, accarezzando poi con tocco leggero il figlio.

Sharon quasi travolse Steve: zoppicava appena ed era totalmente scarmigliata ma gli occhi scuri lucidi erano pieni di sentimento.

«Nat» sospirò commossa, portandosi le mani alla bocca, emozionata, vedendo per la prima volta il piccolo Rogers fra le braccia della madre, com'era giusto che fosse.

«Stai bene?» sussurrò sedendosi accanto a lei; Natasha annuì.

«Sto bene, stiamo entrambi bene. Tu piuttosto, dovresti farti medicare al più presto» ribatté osservandola con occhio clinico.

Sharon scrollò le spalle, come se la cosa nemmeno la riguardasse, era semplicemente troppo felice di riavere Natasha.

«Ti va di tenerlo un po'?» le chiese poi, ci teneva che suo figlio e colei che sarebbe diventata la sua madrina legassero.

Sharon arrossì ma annuì piano, un movimento quasi impercettibile ma Natasha sorrise e si sporse aiutandola a posizionare le braccia nel modo corretto.

«Ecco qui. E' zia Sharon, солнешко».

L'agente 13 sussultò nel vedere quell'innocente creatura fra le braccia, percepire la sua pelle calda e morbida, saggiarne il peso. Una lacrima tracciò dolcemente la guancia della donna, osservò Natasha e Steve, l'uno accanto all'altra esausti ma felici.

«Dio mio! Ciao, sono la zia» mormorò sopraffatta dalle emozioni, cullandolo piano.

«E' permesso?» si fece avanti Sam tutto sorridente, malgrado i segni della battaglia appena conclusa ben evidenti sulla sua pelle, seguito dal resto della squadra, fra cui Bucky; il cui cuore iniziò a accelerare nel vedere Sharon con suo nipote fra le braccia e per un solo istante si concesse di immaginarla con il loro bambino. Avvertì il petto scaldarsi ad un immagine tanto struggente, si costrinse a tornare alla realtà; una realtà in cui la donna che amava gli rivolgeva a malapena la parola e che lui ogni giorno temeva di perdere sempre più. Sorrise concentrandosi sulla coppia, sollevato che Natasha fosse tornata fra loro, guardò Sharon commossa che con premura affidava nuovamente il piccolo al legittimo genitore, i loro sguardi si incrociarono, abbozzò un sorriso mentre lei abbassò gli occhi imbarazzata.

Steve sistemò meglio il figlio fra le braccia e si sedette sul letto accanto alla compagna.

«Abbiamo molto di cui discutere, ma prima... Visto che ci siete tutti vorremmo – si scambiò un'occhiata complice con Natasha – ufficialmente presentarvi nostro figlio: James Samuel Rogers» disse il capitano con evidente orgoglio e commozione.

Ci mancò poco che Sam scoppiasse a piangere a dirotto e Bucky avesse un infarto lì seduta stante. Mentre gli altri si congratulavano ancora una volta con i due genitori; i due uomini, i cui nomi erano stati dati al figlio del loro migliore amico e compagno d'armi, erano rimasti senza parole.

James rivolse uno sguardo a Natasha e lei gli regalò un piccolo e sincero sorriso, comprese in quel momento ciò che aveva fatto, ciò che voleva comunicargli. Le fece un cenno col capo, ringraziandola silenziosamente.

Più plateale fu Sam che si sporse verso la coppia ringraziandoli e promettendo le cose più folli al piccolo James, che rimaneva placido fra le braccia del padre.

«Voi due!» sospirò compiendo un evidente sforzo per trattenere le lacrime.

Clint e Maria fecero del loro meglio per trattenerlo, l'arciere osservava i neo genitori con evidente orgoglio e sollievo, Steve lo ringraziò per ciò che aveva fatto per loro, per avergli permesso di stare vicino alla sua famiglia.

L'atmosfera rilassata venne interrotta da Meredith Montgomery, che chiese di poter parlare con il capitano e vedova in privato. La squadra acconsentì senza troppe proteste, era vero avevano ancora molte cose di cui discutere – fra cui un Winter Soldier bellamente sedato – ma erano tutti, senza esclusione alcuna, distrutti, sfiancati dall'ultima battaglia e ben felici di potersi riposare, sopratutto ora che Natasha era nuovamente con loro.


Bucky dietro a Sam, non riuscì a reprimere l'impulso e trattenne Sharon, restando così isolati mentre il resto dei loro compagni proseguiva.

«James! Per favore-»

«Ti prego parlami...» la interruppe lui, stremato e con gli occhi pieni di desiderio. All'agente 13 salirono le lacrime agli occhi, lo voleva, ma non era ancora pronta.

«No. Io non sono pronta, non ancora e sopratutto non adesso. Sono stanca» quando lui aveva deciso di andarsene, lei aveva perso completamente il controllo. Lui aveva deciso per entrambi e l'aveva costretta ad accettare quella situazione senza alcuna possibilità di scelta; ciò l'aveva ferita, ed era rimasta totalmente in balia delle sue peggiori emozioni, fra cui la paura di averlo perso per sempre.

«Sharon, per quanto vuoi punirmi? - mormorò sconsolato – non riesco a respirare se non ci sei tu...» confessò con sincerità disarmante.

Chiuse gli occhi e trattenendo le lacrime si sottrasse bruscamente al suo tocco;

«Non chiederò scusa per come ho deciso di riparare qualcosa che tu hai rotto» disse piano.

Bucky abbassò la testa sconfitto, ma non rimase in silenzio a lungo;

«Io ti aspetterò. Dovesse volerci una vita intera».


«Natasha mi fa molto piacere che ti sia ripresa» esordì la dottoressa, sinceramente sollevata.

«La ringrazio, mi ha salvato la vita, non lo dimenticherò» replicò la russa con sicurezza mentre Steve le ridava il piccolo James, per poi avvolgere entrambi con il braccio e tenerli saldamente accanto a sé.

«Vorrei aver fatto di più» asserì invece Meredith, lanciò un'occhiata al capitano ma lui negò col capo, non aveva avuto occasione di dirglielo.

«Natasha, purtroppo a seguito delle complicazioni in seguito al parto, abbiamo dovuto asportarti l'utero. Questo significa che-»

«Non potrò più avere figli» terminò per lei quel doloroso discorso. La donna si limitò ad annuire mortificata.

La spia osservò prima il figlio che si muoveva fra le sue braccia, poi volse lo sguardo davanti a sé; annuì lentamente. Avvertiva la presa di Steve forte contro il proprio corpo.

Un corpo privato di qualcosa di prezioso, una parte di sé. Poiché un conto era poter prendere la decisione consapevole di non generare altri figli, un altro era che la natura, le circostanze avessero deciso per lei, privandola della libertà di scegliere.

«Io vi lascio soli, per qualsiasi cosa resto a vostra disposizione» celiò con delicatezza Meredith prima di andarsene.

«Nat» la richiamò Steve «Mi dispiace». Non c'era nulla di diverso che potesse dirle o aggiungere.

Vedova Nera strinse a sé il bambino, gli baciò piano la tempia, lo guardò e lo vide sano, in forze, vivace. Si volse verso il padre di suo figlio e le sue labbra si stesero in un sorriso lievemente tremante.

«Nonostante tutto non c'è nulla che cambierei» disse semplicemente. Nove mesi prima aveva scelto di avere quel bambino, aveva deciso che qualsiasi cosa le fosse capitata lei l'avrebbe accettata ed era quasi morta per poter dare alla luce il suo piccolo sole, ne aveva pagato il prezzo, qualcuno avrebbe detto troppo alto, ma non lei. Avrebbe potuto perderlo in qualsiasi momento, ma invece no, James Samuel Rogers aveva già dimostrato la sua forza e lei non sarebbe stata da meno.

__________________________________________________________Asia's Corner
Salve a todos!
Miei carissimi lettori un altro capitolo è terminato, è vero ci sono tante cose di cui parlare e nel prossimo capitolo ne leggerete delle belle non preoccupatevi, ma per questo capitolo ho scelto solo di concentrarmi su Natasha e il piccolo James (so che qualcuno aveva già idea del nome, d'altronde ho solo rispettato l'effettivo nome del figlio di Cap e Vedova - anche se Samuel è stata una mia aggiunta personale).
"Motherhood" parla chiaro e spero davvero che vi sia piaciuto, come a me è piaciuto moltissimo scriverlo!
Detto ciò, volevo comunicarvi che ho fatto un rapido conto e riflessione e teoricamente mancherebbero più o meno 4/5 capitoli al termine di questa terza ed ultima parte, a cui poi si aggiungerà un capitolo EXTRA, su... Beh credo che prima della fine lo intuirete su che cosa sarà ;)
Io ringrazio dal profondo del mio cuore tutti voi che siete giunti fino a qui! E vi auguro (a chi ancora non ci è andato, ma anche a chi ci è già stato) BUONE VACANZE, io per i prossimo nove giorni sarò a zonzo nei Balcani. Tornerò con il prossimo capitolo a SETTEMBRE!  L'aggiornamento sarà VENERDI' 14!
Stay tuned!


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Capitolo 28
*** Perdonami padre perché ho peccato ***


29

Capitolo Ventotto: Perdonami padre perché ho peccato

Are you watching from your pit in Hell, father?

This is always my destiny... Never yours.

The Red Skull's failure will be his daughter's triumph...

And I will reshape this world.”

~ Sinthea Schmidt


Lo sguardo annoiato era fisso verso l'oblò appannato, da cui si poteva rimirare l'inizio di una placida alba.

«Hai intenzione di togliere questo cazzo di cadavere?».

Sin alzò gli occhi, assottigliati in uno sguardo infastidito, su Crossbones, che sbuffò lasciandosi cadere accanto a lei.

«Che sia da monito» sibilò facendo spallucce. L'uomo, che giaceva a terra con la gola aperta, aveva avuto l'avventato ardire di porle una domanda. Si sa, certi errori si pagano.

«Era pur sempre un nostro uomo» borbottò lui lanciando un'occhiata insofferente al cadavere; notando il suo mutismo si vide costretto a provocarla.

«Stavolta tuo padre ci farà a pezzi. E dico “ci” perchè riterrà me responsabile tanto quanto te» rincarò la dose stizzito.

A quel punto Sin si voltò.

«Che cosa mi stai suggerendo esattamente?» sussurrò maliziosa. Rumlow la guardò mal celando la propria aspettativa.

«Il malinconico Ward da che parte sta?»

«Da quella del vincente, mi pare ovvio».

Gli occhi della giovane si accesero di un bagliore malevolo.

«Hai ragione i tempi sono maturi. Chiama Allegra».


Per una che, non solo aveva fallito nella sua missione, ma aveva anche perso una delle loro “armi” più preziose; Sinthea Schmidt entrò nella base dell'HYDRA come una regina torna nella sua reggia dopo una semplice cavalcata per il suo regno.

Rumlow seguiva dietro di lei con espressione arcigna, con un semplice cenno intimò a L di congedarsi, mentre lei e il piccolo seguito procedevano con arrogante sicurezza fino alla sala dove Lukin e suo padre attendevano. Allegra Belgioioso era già lì, proprio accanto al capo supremo dell'HYDRA.

Nella sala di controllo regnava il silenzio.

Lukin con il suo impeccabile completo nero la fissava, faticando a mantenere l'espressione impassibile.

Un luccichio pericoloso illuminò gli occhi scuri di Allegra, che scivolò placidamente indietro, allontanandosi di poco dall'uomo.

«La figliol prodiga è tornata all'ovile» tuonò Aleksander;

«Mia figlia, il mio più grande fallimento» sibilò iracondo Teschio Rosso, emergendo nello sguardo duro del russo.

Inaspettatamente Sin sorrise, e non solo, iniziò pure a ridacchiare, come se quell'uomo non la stesse aspramente giudicando, come se quelle parole non la riguardassero, non più. Quando il suo sguardo tornò sul volto di Lukin era incredibilmente inespressivo.

«Sono mai stata altro per te, padre?» mormorò lugubre.

I suoi occhi castano-verdi sondarono l'intera sala, soffermandosi sui singoli presenti, iniziò a muoversi con passo felpato, circumnavigando il suo capo, padre e padrone.

«Eppure Vater, ti sei sempre affidato a me, no? - qualcosa si accese nel suo sguardo – oggi come in passato, mi hai messo a capo di alcuni dei tuoi squadroni più capaci. Mi hai dato potere nonostante il tuo disprezzo!» sputò rabbiosa.

Si scambio una rapida occhiata con Crossbones.

«Anche in questo tempo... Mi hai assegnato numerose operazioni-»

«Con esiti disastrosi!» si alterò Teschio e Sin sorrise melliflua.

«E sono ancora al tuo cospetto» rise ed allargò le braccia, come a voler dare più enfasi alle sue parole.

«Altri sono morti per molto meno, e nonostante i tuoi insulti, le tue punizioni... Sono ancora qui! - rise sguaiatamente – ciò che ora ti chiedo è: perché papà?» la sua voce infantile cozzava con la sua espressione trionfante.

«Illumina noi miseri sudditi sul perchè io, figlia inetta, sono ancora viva e molti altri no? Io che mi ergo su una montagna di putridi cadaveri!».

Johan Schmidt si fece spazio nello sguardo di Lukin fino a prendere completo possesso del corpo.

«Sciocca ragazzina. Cosa vuoi esattamente da me? Ancora cerchi approvazione? - lo disse con scherno – Non hai mai imparato figlia...»

Le labbra insanguinate di Sinthea si aprirono in un sorriso vittorioso;

«Oh Vater è qui che sbagli. Ti ho osservato molto attentamente... Sono tua figlia dopotutto? Sempre più tu mi hai cercato, affidandoti a me, perchè? Perchè sono sangue del tuo sangue e questo è stato il tuo primo errore, tu stesso più volte, violentemente hai ribadito quanto i legami siano fragili, labili, buoni solo per necessità e sopravvivenza, e vadano recisi quando non hanno più alcuna utilità. Hai tradito il tuo primo e più grande principio... lasciando me vivere. La verità è che tu hai bisogno di me, sei più spirito che altro, sei invecchiato padre, tu dipendi da me, dalle mie azioni – il suo viso assunse un'espressione falsamente dolce – ma non ti preoccupare, io non dimentico.» ad un cenno più di metà degli agenti presenti levò le armi.

«Qui stiamo parlando di re e successioni... Nemmeno te ne sei reso conto: dipendi così tanto dalla tua sciocca figlia, che non ti sei accorto che il vento ha cambiato direzione!».

Teschio Rosso per la prima volta fu evidentemente preso in contropiede. Troppo assuefatto dal potere, troppo abituato al comando, troppo in alto per prendere anche solo in considerazione un tradimento di quelle proporzioni.

Ma la reazione tanto agognata di suo padre, scomparve dal suo volto alquanto velocemente.

Sin non seppe mai quali pensieri, in quei concitati istanti, avevano affollato la mente dell'uomo che per anni aveva chiamato padre.

Aleksander Lukin sorrise, come se il suo avversario avesse fatto una splendida mossa di scacchi risvegliandolo dal torpore di una partita facilmente nelle sue mani; estrasse la pistola;

«Hai ragione meine Liebe, ma a questo si può sempre rimediare».

Allegra fu rapida a colpire alle gambe Lukin, deviandogli il tiro. Sinthea fece in tempo a spostarsi.

«Sapevo che non c'era da fidarsi di voi Belgioioso, mercenari!»

Allegra gli fece l'occhiolino;

«Niente di personale, proteggo il mio investimento»

«Morirai per questo!»

«Scommettiamo su chi lo farà per primo?».

Da quel momento la base dell'HYDRA si trasformò in un vero e proprio campo di battaglia.

Sin ritrovò Rumlow;

«Elimina tutti gli uomini di fiducia di mio padre, a chi è incerto offri di unirsi a noi, se tentennano falli fuori. Papino è mio!» ordinò con gli occhi accesi di brama. Si lanciò all'inseguimento, falciando chiunque si frapponesse fra lei e il suo obiettivo.

«Non sei fiero di me, papà?» urlò folle.

«Tu sei stata una sciagura! Io ti ho dato la vita, io ti ho mantenuto in vita, ti ho resa ciò che sei! Cosa saresti senza di me!? È così che mi ripaghi, piccola ingrata?!» replicò fuori di sé mentre prendeva coscienza che lo scontro era ormai inevitabile.

«Ti ho dato la mia vita, servendoti... Ora se permetti padre, mi prendo ciò che mi spetta di diritto! La corono e la tua vita!» replicò digrignando i denti come un animale pronto all'attacco.

Teschio – Lukin – ormai non si riuscivano più a distinguere tanto era la loro rabbia – prese la pistola;

«E' stato il tuo ultimo errore, Töchter

Sinthea aspettò il colpo di pistola e scattò rapidamente verso il padre.

Il proiettile le penetrò la carne del fianco e lei accolse quel dolore come una liberazione, afferrò suo padre – preso davvero in contropiede – e lo trascinò a terra.

Lukin riuscì a togliersela di dosso, non era mai stato un fine lottatore come Schmidt ma era allenato e con un fisico scattante. Sinthea nonostante fosse accecata dai suoi propositi non poteva sottovalutare che erano due nemici altamente preparati; ma lei aveva già scalfito suo padre nel più terribile dei modi.

Visto con occhio esterno nessuno avrebbe mai detto che fossero padre e figlia: Sinthea e l'ombra di Teschio nel corpo di Aleksander Lukin si colpivano con foga, senza pietà, due leoni che lottavano per la supremazia. Non vi era nessun fine più alto, ma puro e semplice dominio sull'altro.

Ad ogni ferita inferta corrispondeva una lesione sul corpo dell'avversario.

«Arrenditi ora e chiedi perdono Sinthea: ti verrà risparmiata una fine lenta e dolorosa».

La ragazza sputò del sangue sulle scarpe del padre.

«Sarai tu ad inginocchiarti a me, in una pozza di sangue» lo minacciò con un sorriso bestiale. Sin si buttò sull'uomo estraendo un pugnale finemente decorato. Usando tutta la sua agilità atterrò il padre, rompendogli il braccio destro e si mise a cavalcioni su di lui, bloccando palmo della mano sinistra con il pugnale, trapassandoglielo.

«Te lo ricordi questo? Me lo hai messo nella culla quando decidesti il mio destino. Non lo trovi ironico? Hai tu stesso decretato la tua morte per mano mia!».

«SINTHEA!» urlò indignato Teschio, ma nei suoi occhi si poteva benissimo leggera una vena di panico.

«Addio padre» sussurrò solenne, mentre lo teneva fermo sotto di sé, inerme, l'ombra dell'uomo che fu, terrorizzato finalmente da ciò che aveva creato. Lukin troppo ferito, troppo uomo contro quella furia potenziata, che si paragonava ad una divinità.

«Mi dispiace, dominare questo mondo non è mai stato il tuo destino. Ma il MIO, ora l'ho capito, hai fatto il tuo tempo. Spetta a me ridisegnare questo mondo, non si può dominare qualcosa di già corrotto, no... Bisogna prima darlo alle fiamme completamente e poi plasmarlo a propria immagine. Vedrai... Guardami dall'inferno, padre! Per quanto riguarda il tuo ingegnoso piano con il piccolo Rogers, mi dispiace ma ho altri piani. Io e lui siamo simili, nessuno ci ha reso ciò che siamo: siamo nati, cresciuti nel ventre materno, la nostra natura è quella di elevarci dal marciume che ci circonda. Tu e il caro Capitano siete storia, obsoleti.»

«Sin-» gorgogliò Lukin tentando di ribellarsi ma Sinthea estrasse rapida il pugnale e glielo rigirò con gran piacere nel ventre.

«Sai...» sibilò ad una spanna dal volto, l'espressione di un serpente che saggia la preda prima di ingoiarsela «Cosa mi ha permesso alla fine di liberarmi dalla tua ingombrante presenza? La fede. Non fede in una divinità o in un'idea o in qualcuno... No. Ho avuto fede in me!» si tirò indietro di colpo ed alzò la lama letale.

«Goditi l'inferno» con rabbia aggredì il petto di Lukin, la carne cedette senza resistenza, la lama trapassò dolce come fiele il cuore, lacerandolo.

Il sangue schizzò nel volto di Sinthea che sorrise appagata; mentre osservava come un bambino davanti ad un trucco di magia il liquido rosso e vischioso invadere la bocca dell'uomo, che per anni l'aveva dominata e soffocarlo impietoso.

Aveva vinto. Era lei ora la regina.


Le ci volle qualche momento per rendersi conto che respirava affannosamente, il petto che si alza ed abbassava agitato, come se avesse appena smesso di correre. Mise a fuoco il volto di suo padre e non provò nulla, nessuna tristezza, nessun rimpianto... Solo trionfo.

Si alzò facendo forza sulle ginocchia, barcollò non sapendo quasi come ritrovare l'equilibrio. Il suo sguardo abbandonò per sempre il corpo di Aleksander Lukin, il fantoccio di suo padre, la sua ombra era scomparsa per sempre. Chiuse gli occhi, allargò le braccia e sorrise, presto si ritrovò a ridere sguaiatamente.

Sinthea comparve nella stanza, in cui tutto era iniziato: Allegra si incamminò verso di lei, fiera. Aveva scommesso su di lei ed aveva avuto ragione. Rumlow, L, Ward: i suoi fedelissimi aspettavano con trepidazione. Il tempo stesso si sospese. Tutta la base attendeva.

«Mio padre è morto e con lui Aleksander Lukin.» annunciò solenne, abbracciando con lo sguardo scintillante tutta la sala «Ma non temete – si mosse verso il suo esercito e nel mentre calpestò senza alcun ritegno un cadavere, quasi non se ne accorse – loro erano il passato. Ma su una cosa avevano ragione: questo mondo è marcio. È giunto il momento per l'HYDRA di seguire una nuova strada, affidatevi a me e capirete cos'è il vero potere. Seguitemi ed insieme forgeremo un nuovo ordine, abbiate fede e plasmeremo questo modo!» uno dopo l'altro, come una marea che cambia, si inchinarono al nuovo capo dell'HYDRA.


*


«Dove mi state portando?»

«Dov'è lei?!»

D si agitava terrorizzata tra le braccia della scorta. Ci erano voluti sei uomini perché riuscissero a trattenerla.

«K! K! Dove sei?»

«Cosa volete farmi?!»

«Perché non è qui!?».

Il pugno la colpì senza pietà, non fosse stata una Winter Soldier probabilmente la mandibola si sarebbe completamente fratturata.

L la fissò gelido;

«Fa silenzio» sibilò, un cenno e gli uomini che la trattenevano ricominciarono a muoversi.

Gli occhi di D si riempirono di lacrime e la testa iniziò a girarle.

«KKKKKKKKKK!».


*


Allegra Belgioioso torreggiò sul cadavere di Aleksander Lukin, osservandolo incuriosità.

Si chinò e gli frugò le tasche, ne estrasse un fermacarte d'oro. Indifferente, prese le banconote che le spettavano e si rialzò.

«Hai perso la scommessa, sono desolata» disse atona, lanciando il fermacarte sul corpo immobile «Anch'io ho fatto la mia scelta» e se ne andò.

________________________________________________________________Asia's Corner

I'm back! E devo dire con un capitolo per niente tranquillo. Ora per alzata di mano, quanti se lo aspettavano?
Sin è stata proprio tremenda, questo capitolo (anche a cause delle mie varie vicessitudini lavorative) non è stato per nulla facile, ma spero davvero che sia stato non solo un bel colpo di scena ma anche che l'attesa sia valsa la pena!
Non mi dilungherò molto, come sempre sono curiosa di sapere cosa ne pensate... Ringrazio davvero tutti coloro che hanno pazientemente aspettato e sostenuto in questo periodo! Grazie a tutti!

Passando a buone nuove: se seguite la mia pagina FB (Asia Dreamcatcher) saprete che per questo Natale mi sono messa la sfida di postare il 29simo capitolo il giorno della Vigilia (che per me è importantissimo), sarà un capitolo molto diverso, adatto al clima natalizio.

Grazie ancora a tutti voi! 

Ps. Risponderò alle recensione del 27simo il prima possibile! Stay tuned!

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Capitolo 29
*** Home sweet home ***


29

Capitolo Ventinove: Home sweet home

Home

a place where I can go

to take this off my shoulders

someone take me home”

~ “Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors


«Come siamo vivaci stamattina» sussurrò dolcemente Natasha Romanoff divertita dal suo stesso figlio, che aveva ben pensato di svegliarli all'alba. Ora se ne stava fra le morbide lenzuola del letto matrimoniale, sotto lo sguardo attento di sua madre, agitando le braccia e le gambe grassocce, emettendo versi eccitati.

«Si vede che ha preso da noi» ridacchiò Steve uscendo in quel momento dal bagno asciugandosi distrattamente i capelli; facendo attenzione prese il piccolo James e gli posò un casto bacio sul capo poi si prese posto accanto alla compagna.

Natasha sorrise, non aggiunse nulla e si appoggiò a lui, osservando con affetto sconfinato James, che li fissava meravigliato. Tutti pensavano che il bambino avesse nello sguardo una scintilla di consapevolezza troppo precoce per la sua età. Ma d'altronde James Samuel Rogers non era un neonato normale, il suo dna modificato prima o poi si sarebbe manifestato in modo palese.

«Non avrei mai pensato di poter amare un altro essere umano così intensamente» mormorò piano senza distogliere lo sguardo lucido dal figlio.

Steve si voltò a guardarla, lievemente sorpreso da quella spontanea e dolce confessione.

«Nemmeno io» replicò serio. Natasha si sporse a baciarlo, poi accolse James fra le sue braccia e lui iniziò a giocare con una ciocca di capelli fulvi, non comprendendo ancora bene la funzione delle sue mani.

Il capitano si limitò a guardare adorante suo figlio urlare divertito, nell'imitazione di una risata, mentre Vedova sfiorava delicatamente il nasino con il suo.

Avevano vissuto per ben due giorni in quello stato di grazia, occupandosi esclusivamente di loro e del loro bambino. Avrebbero voluto per farlo per sempre; ma se speravano di avere quella vita, quel futuro che avevano appena assaggiato, dovevano prima distruggere, eliminare la minaccia che gravava sulla loro famiglia.

«E' ora di tornare alla realtà» bisbigliò Steve; Natasha strinse impercettibilmente suo figlio a sé, in un istintivo moto di protezione.

«Lo so» sospirò, poi sorrise rivolgendosi a James «Gli zii iniziano a sentire la tua mancanza».

Si vestirono in silenzio, mentre il bambino – protetto dai cuscini – se ne stava placido, quasi avvertisse che qualcosa stava mutando.

Natasha si concesse una lunga occhiata al proprio compagno, gli passò con amorevolezza una mano fra i capelli biondo scuro, lo baciò sulle labbra sotto lo sguardo attento di lui; le sue dita callose accarezzarono impalpabili la bocca piena di lei.


«Signora Jenkins da quanto è sveglia?» esordì Natasha con James fra le braccia, osservando incredula l'infermiera, assunta ufficialmente come loro bambinaia sin dal giorno seguente il risveglio della russa. Vero era che fosse la balia di James ma la donna pareva aver preso a cuore l'intera squadra, viziandoli innanzitutto con la sua cucina.

Natasha circumnavigò il tavolo straripante di piatti dolci e salati pronti per essere serviti a colazione.

«Parola mia, bambina, non ho proprio idea di come non siate morti di fame finora!?» la spia si aprì ad un sorriso.

«Non deve disturbarsi tanto signora Jenkins» replicò Steve sconvolto da tanto cibo.

«Quisquilie!» celiò la donna agitando la mano in aria «Piuttosto come sta questa creatura?» sorrise osservando da vicino il piccolo Jamie, che nel mentre era interessatissimo a mettersi in bocca un lembo della camicia leggera della madre.

«Dorme poco, ma non ci lamentiamo» disse Steve, cercando disperatamente con lo sguardo il caffè in mezzo a tutto quel ben di Dio.

«Se non facciamo impazzire un po' mamma e papà dove sta il divertimento?» ridacchiò allegra la bambinaia rivolgendosi a James, che sembrò essere d'accordo con lei.

«Come procedono le cose qui?» si informò Vedova. Florence assunse un'aria cospiratoria e si avvicinò a lei;

«Voci di corridoio confermano un parziale cessate il fuoco da parte dell'agente Carter nei confronti del povero sergente Barnes» Natasha si trattenne dal ridere apertamente.

«Capitano il caffè è su quel ripiano».


Ci vollero pochi minuti per riunire l'intera squadra, più Pepper, Laura e i bambini interessatissimi al piccolo Jamie, Jace, Niko con Alexandra.

Nemmeno a dirlo Tony, Sam e Clint si erano fin da subito abituati alle attenzioni materne di Florence Jenkins.

«Miss Jenkins non dovrebbe viziare così Tony, non è a lui che serve una bambinaia» disse Pepper osservando male il fidanzato.

Il miliardario alzò il volto da un piatto strabordante pancakes con aria innocente, i suoi occhi sembravano dire “Perchè no?”.

Steve si aprì ad un sorriso indulgente, guardò i suoi compagni uno ad uno, per una volta rilassati, quasi non esistesse nessuna minaccia che gravava su di loro. Quanto tempo era passato? Da quanto tempo non avevano un momento così? Il suo sguardo scivolò dolce sulla figura di Natasha: seduta sul divano cullava il figlio prima di lasciarlo alle cure di Miss Jenkins e tornare da loro. A costo della sua vita, si disse Steve, avrebbero avuto una vita di momenti così.

«Quali notizie ci siamo persi?» chiese il capitano, una volta che tutti furono pronti a concentrarsi su ciò che aspettava loro, in un futuro ormai sempre più vicino.

«Lo S.H.I.E.L.D. ha scoperto le basi segrete dell'HYDRA, grazie alla chiavetta lasciata dalla giovane Munroe» esordì Clint prontamente «Sono quasi certi che in quelle basi producano in serie lo psychotron. Dovremmo riunirci presto con loro per decidere come muoversi. Vogliono sicuramente piazzarlo sul mercato, e nessuno è bravo come Allegra Belgioioso in questo campo»;

«Quella stronza, ormai è chiaro che è in combutta con Sinthea Schmidt» borbottò Sharon, scambiandosi un cenno d'intesa con Natasha, il cui sguardo si accese. Aveva un conto in sospeso con quelle due, e l'avrebbero pagata cara per aver solo volto lo sguardo al suo bambino.

«Abbiamo difficoltà a monitorarli, troppe basi. Anche se al momento sembrano essersi ritirati, c'è troppa calma» ragionò Bucky.

«A tal proposito io e la piccola Skye stiamo studiando i movimenti del Bus. Come faccia a muoversi evitando qualsiasi radar, invisibilità a parte...» replicò compito Tony sorseggiando il caffè.

Steve annuì grave, incrociò le braccia al petto e cominciò a ragionare sulle varie informazioni.

Se l'HYDRA stava davvero tenendo un basso profilo, allora dovevano mettersi in moto il prima possibile. Dio solo sapeva cosa stessero architettando.


Prima di te ero solo un pazzo

ora lascia che ti racconti:

avevo un'ascia già sgualcita

e portavo tagli sui polsi

oggi mi sento benedetto e non trovo niente da aggiungere

Questa città si affaccia quando ci vedrà giungere

ero in bilico tra l'essere vittima, essere giudice

era un brivido che porta la luce dentro le tenebre

e ti libera da queste catene splendenti, lucide”

~ “Torna a casa”, Måneskin


Era calata la notte sull'Avengers Tower, quasi tutti si erano ritirati nelle loro stanze, James Barnes aveva appena lasciato Steve e Natasha, dopo aver augurato la buonanotte al nipote già addormentato tra le braccia del papà.

Incredibile come un bambino cambiasse la prospettiva di un'intera vita; anche se non era figlio suo Bucky provava un forte senso di protezione nei suoi confronti, come verso Jace.

Si piazzò accanto alla porta della stanza di Sharon, come quasi ogni sera. Era assurdo, lo sapeva bene, finiva ogni notte con l'addormentarsi sul pavimento e svegliarsi prima che lei lo vedesse. Le mancava terribilmente, quella era la sua giustificazione, la realtà dei fatti.

Come sempre perdeva la cognizione del tempo, forse non erano nemmeno passate un paio d'ore, quando Bucky, tendendo l'orecchio, sentì Sharon agitarsi pesantemente nel sonno. Non sapeva che fare, non voleva che lei si risentisse per aver invaso la sua privacy, non ora che finalmente aveva ricominciato a rivolgergli la parola. Ma il suo istinto alla fine ebbe la meglio.

Aprì la porta con attenzione, anche se al buio riuscì immediatamente a distinguere la figura della sua ragazza.

«James» mormorò lei. Il Soldato si bloccò immediatamente, convinto di averla svegliata.

Si rese subito conto che l'agente 13 non era affatto sveglia ma era preda di un incubo, che la stava agitando e la faceva rigirare nel letto in una vana ricerca di pace.

Ben addestrato non fu difficile per James esserle accanto senza produrre il minimo rumore. Si chinò su di lei trattenendo il respiro e con sconcerto vide una scia di lacrime bagnarle il volto contratto in una smorfia angosciata.

«James» ripetè flebilmente, sbuffò e si strinse al cuscino.

Bucky fece una smorfia triste: era lui la causa del suo dolore; sapeva di averla ferita andandosene senza una parola, dopo averla quasi uccisa... Si odiò davvero, ma non poteva cambiare ciò che aveva fatto e nemmeno l'avrebbe fatto.

Era difficile da capire per loro, ma lui aveva giurato a se stesso di proteggerla, di non permettere alla sua natura di ferirla e quando questo era avvenuto, lui aveva agito nell'unico modo che ormai conosceva: tornare un fantasma.

Era ben consapevole di averla distrutta, perché lui stesso aveva sofferto terribilmente la lontananza.

Forse sarebbe stato meglio mantenere quella distanza, lasciare che crescesse, che si rifacesse una vita lontano da lui, ma il solo pensiero lo fece star male, no lui l'amava e sarebbe rimasto al suo fianco finché lei glielo avrebbe concesso.

Un altro lamento lo strappò dai suoi pensieri e la sua mano corse dolcemente sulla sua fronte aggrottata nella speranza di acquietarla.

Sharon invece spalancò gli occhi spaventata dall'incubo e inquietata dal tocco, che a causa dell'agitazione e della stanchezza non aveva riconosciuto. Reagendo ad un impulso naturale, tipico dei soldati ben addestrati, scattò verso James credendolo un nemico, estrasse contemporaneamente il pugnale da sotto il cuscino e lo atterrò alzando la lama con il respiro affannoso e lo sguardo sgranato.

«Sharon... sh... sono io» sussurrò Bucky con le mani aperte e tese innocenti verso di lei.

La donna lo mise a fuoco, la lama si abbassò di colpo mentre il suo braccio perse subito forza. Si portò l'altra mano alle labbra;

«Io credevo... che... che tu...»

«Qualsiasi cosa fosse ora è passata» mormorò pacato. Quella frase fece scattare qualcosa in Sharon: ogni resistenza cessò, qualsiasi tipo di reticenza scomparve, si piegò su di lui e poggiò il capo nell'incavo tra la spalla e il collo.

«Ti supplico abbracciami» bisbigliò con voce rotta e James non attese oltre: accolse quella richiesta come una benedizione e la strinse a sé con forza.

«Sharon – strinse i denti come fosse in lotta con se stesso – mi dispiace tanto amore» disse desolato;

«Lo so. Lo so. Dispiace anche a me».

Bucky lasciò che si tranquillizzasse poi la riportò fra le lenzuola, mettendosi accanto a lei.

«Resti?»

«Sì. È questo il mio posto».

Sharon parve finalmente rilassarsi e poggiò il capo sul cuscino, mentre James fece lo stesso, gli sguardi incatenati e nulla... Restarono così, in silenzio, l'uno perso e al tempo stesso cullato dallo sguardo dell'altra, cercando di trovare piccole differenze o nuove cicatrici nate in quei mesi di distanza. Riscoprirsi, conoscersi ancora una volta, far rifiorire sentimenti costretti al silenzio.

Questa volta” si disse Bucky totalmente stregato da lei “Questa volta farò le cose per bene”.

Sharon l'aveva finalmente accettato, l'aveva nuovamente con sé, era al suo fianco com'era giusto che fosse.


Fu istinto, sesto senso o semplicemente una sensazione a far fermare la giovane Alexandra davanti la porta di Sharon, o forse era semplicemente la mancanza di Bucky sopito contro il muro a braccia e gambe incrociate a farla insospettire; anche se non sempre restava lì fino a tarda mattina. Eppure...

Eppure, facendo estrema attenzione aprì leggermente la porta e sbirciò dentro: non seppe mai come fece a non scoppiare ad urlare di felicità.

«Che stai facendo?»

Alexandra si voltò di scatto, ma invece di essere sorpresa – riconosceva i passi di Jace fin troppo nitidamente – lo osservò stizzita e gli fece cenno di abbassare la voce e di guardare dentro.

Jace, alzatosi da troppo poco per riuscire a ribattere, fece come richiesto e i suoi occhi ebbero un guizzo: Sharon e Bucky che riposavano pacifici, l'una stretta fra le braccia dell'altro.

«Cazzo» bisbigliò incredulo.

Non dovettero nemmeno guardarsi, si precipitarono in soggiorno sperando vivamente di trovare qualcuno.

Le loro speranze vennero esaudite.

Natasha era appoggiata ai piedi del divano accarezzando delicatamente il capo di Steve abbandonato sulle sue gambe, occhi chiusi e il resto del possente corpo disteso sul soffice tappeto, e il piccolo Jamie sonnecchiante sul suo petto, stretto in un abbraccio protettivo.

Sull'altro divano Tony sembrava ancora incapace di formulare un solo pensiero coerente e la tazza di caffè precaria fra le sue mani; Sam invece sorrideva in direzione di Natasha.

«E' successo!» proruppe Sasha con la sua voce alta e cristallina.

Tutti si voltarono straniti, cerca Jace e Alex non dovevano avere le espressioni più sane e calme del loro repertorio.

«Sharon e Bucky hanno finalmente fatto pace» cercò di spiegarsi meglio il quindicenne.

Natasha ridacchiò leggera e si scambiò uno sguardo complice con Steve, che sorrise consapevole che la sua dolce metà ci aveva visto giusto anche stavolta.

«Non mi dire!» Sam era decisamente euforico, guardava Tony che boccheggiante si rivolse ai due ragazzi;

«Momento momento momento! Da cosa lo supponete?»

«Dal fatto che stanno dormendo abbracciati?» replicò Sasha con un sopracciglio alzato.

«Merda» borbottò il miliardario frugandosi nelle tasche.

«Oh oh paga vecchio mio!» gongolò Falcon «Aspetta che lo dica a Clint!».


*


'Cause there's madness on my brain

so I gotta make it back, but my home ain't on the map

gotta follow what I'm feeling to discover where it's at

I need the memory

To give me the strength to look the devil in the face and make it home safe”

~ “Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors


«Nat, ah sei qui?».

Sharon entrò nella camera del piccolo James e ci trovò Natasha intenta a cambiarlo, mentre Miss Jenkins si adoperava per sistemare l'armadio.

«Ok è definitivamente troppo carino, Steve impazzirà» continuò guardando la tutina che l'amica aveva appena scelto per il figlio: una tutina mooolto patriottica a tema bandiera americana.

Vedova sorrise diabolica;

«Oh lo so, è proprio per questo che lo facciamo no?» disse in direzione del bambino, che per risposta si mosse scoordinato.

Lo prese in braccio e lo baciò sul nasino mentre lo sguardo di Jamie si accese.

«Ecco qui Natasha cara il berretto che avevi chiesto.» si intromise gentilmente Florence aiutando la madre a coprire per bene il capo del piccolo.

«Molto bene» replicò la russa accarezzando ancora una volta il figlio e poi passandolo alle braccia esperte della tata.

«Mamma torna presto» sussurrò prima di uscire accompagnata da Sharon.

«Andiamo?».


Il viaggio fino alla struttura dello S.H.I.E.L.D. non fu lungo, anzi fu piuttosto divertente per Natasha mentre osservava la faccia di Sharon farsi porpora, dopo averle chiesto se lei e Bucky avessero finalmente fatto pace a dovere.

«Come diamine fai a sapere sempre tutto?» celiò la bionda mettendosi una mano davanti al volto.

«Ho le mie fonti!».

Dopo essere entrate si misero d'accordo su come procedere e Natasha entrò da sola.

La Winter Soldier stava semidistesa ma ancora legata al letto per evitare che aggredisse qualcuno o si ferisse, i medici avevano iniziato subito il trattamento per cercare di contrastare il condizionamento e quando fosse stata abbastanza stabile avrebbero ricorso allo psychotron.

Non appena la soldatessa la vide si animò;

«Dovete lasciarmi andare!» strepitò stizzita.

La russa vide che era ancora abbastanza agitata, ma il suo aspetto era molto più sano rispetto a quando si erano scontrate, l'incarnato era più roseo, i capelli erano lucidi e meno sfibrati e, le avevano comunicato i medici (che le fornivano sempre un rapporto giornaliero) mangiava poco ma regolarmente.

«Perchè?» ecco ancora una volta Natasha le aveva posto quella domanda e ancora una volta K si zittì.

La spia sospirò;

«Ascolta per l'ennesima volta è vero sei nostra prigioniera, ma non abbiamo intenzione di trattarti come tale» ci aveva riflettuto a lungo, voleva essere liberata ma non per tornare tra le fila dell'HYDRA, no, non era quello l'atteggiamento, al contrario di Niall lei sembrava molto meno plagiata... Era come se il condizionamento avesse iniziato a perdere effetto su di lei, come quando James... E le venne un'illuminazione.

«Devi tornare da qualcuno vero?» le chiese a bruciapelo.

K si irrigidì immediatamente, e Natasha capì di aver fatto centro;

«Dovete lasciarmi subito andare, devo tornare indietro altrimenti...»

«Altrimenti?»

«Non provare ad entrare nella mia testa, stronza!» la reguardì K velenosa. Natasha non si fece impressionare, anzi decise che era il momento per andarci giù pesante.

«Altrimenti cosa mi fai Ekaterina?».

La Winter Soldier smise di agitarsi di colpo e guardò Vedova Nera come fosse un'apparizione divina.

«Come mi hai chiamato?»

«Il tuo nome, il tuo vero nome è Ekaterina Mikahailvna Rostova sei nata a Mosca ed eri una ballerina del Bol'soj, anche piuttosto brava stando a quanto c'è scritto qui – il tono di Natasha si smorzò – eri fidanzata con un boss della mafia russa, ti vendette all'HYDRA per pagare i suoi debiti... Ma non bastò.»

«Katia» articolò a fatica.

Natasha capì perfettamente la sua reazione, quel momento in cui perfino la percezione di te stessa si capovolge, tutto perde senso e ne acquista un altro ma non è abbastanza perché tu non ti riconosci: leggi di questa persona e non hai idea di chi sia, ti appare come una persona distante da te e la senti come una lontana parente che non vedi da moltissimo tempo che perfino i suoi connotati ti appaiono fumosi e distorti.

Serviva una forza di volontà fuori dal comune per riuscire a sopportare tutto ciò.

«Come può tutto questo aiutarmi?» mormorò desolata K «Come può aiutarmi sapere questo?» continuò però con rabbia.

Natasha però fu ferma, le afferrò con durezza il polso ma senza farle male e la sua voce uscì chiara ma non severa;

«E' un punto da cui ripartire, è qualcosa di vero su cui poggiarti, non puoi pretendere di salvare qualcuno se prima non sai chi sei tu. Non puoi salvare altri se prima non impari a salvare te stessa».

K la osservò per la prima volta con reale interesse e quasi ammirazione.

«K... Sei davvero tu?» la voce pacata e leggermente tremula la distolse dalla contemplazione di quella donna e il respiro le si bloccò in gola.

«N?»

«Sono Niall, ora. Niente più N per favore» replicò con dolcezza il ragazzo entrato in quel momento insieme a Sharon.

Niall ormai era sempre più padrone di se stesso, grazie a Sharon e anche al dottor Banner e il suo psychotron; si avvicinò alla ragazza e le accarezzò piano il capo.

«So che è tutto confuso, so che hai paura e non sai più cosa sia vero e cosa no. Ma io sono reale, e loro possono aiutarti, Ekaterina per favore...».

K a quel punto fu sopraffatta e crollò.

«N- Niall... D, Didi è rimasta sola con L. Io non posso lasciarla sola... Devo proteggerla per favore» ribatté fra le lacrime, cercando di allungarsi verso di lui per quanto le permettessero le manette.

«D è il terzo Winter Soldier, giusto?» chiese Sharon e Niall annuì compito.

Natasha osservò ancora un attimo la soldatessa disperata, mentre il ragazzo cercava di consolarla come poteva, poi guardò fra le cartelle che aveva in grembo e cercò il suo nome.

«Dominil» disse, poi il suo sguardo accarezzò morbido quello di K.

«Dominil» ripeté lei un po' più calma.

«Sì. Aiutaci ad aiutarti e ti prometto che andremo a salvarla».

_____________________________________________________________________Asia's Corner

Buona Vigilia a voi tutti! Ed eccomi qui a farvi gli auguri di Natale con un capitolo, che credo farà felici molti di voi, nettamente in contrasto con l'asprezza e la spietatezza del capitolo scorso, volevo che questo capitolo fosse più dolce e creasse un momento di distensione per tutti.
Non mi dilungo molto, perché ho la cena della Vigilia che attende il mio apporto per essere preparata e messa in tavola. Auguro a tutti voi buone feste! E colgo l'occasione per ringraziarvi del sostegno! 

Sono sicura che il prossimo capitolo arriverà verso fine gennaio, spero di non metterci troppo, ma abbiate pazienza!
Prometto che cercherò di recuperare con le risposte alle vostre recensioni prima di fine anno (mi metto d'impegno eh!)

Buon Natale, un abbraccio forte

Asia Dreamcatcher

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Capitolo 30
*** Per aspera ad astra ***


30




Capitolo Trenta: Per aspera ad astra



We all have our scars from loving someone too deeply.

From wanting to protect someone too much”

~ Mei Tachibana



La musica avvolgeva l'intera sala, scorreva leggera, disturbata da lievi tonfi. Su quelle note una ragazza si muoveva precisa e leggiadra, compiendo passi aggraziati e senza peso; la crocchia che all’inizio fermava i suoi capelli scuri, ormai sfatta.

Ekaterina si guardò allo specchio dopo aver concluso la coreografia, il cuore che pompava velocemente il sangue, non perché fosse affaticata ma perché sensazioni a lungo sopite erano riemerse con prepotenza, scombussandola e riportandola ad una tempo che a stento riconosceva, eppure, guardandosi in quel grande specchio, con gli occhi lucidi e sgranati e il fisico teso in pose che credeva dimenticate, le parve per qualche istante, di scorgere l’antica se stessa.

«Come stai Katia?».

Natasha la fissò attentamente, senza un reale giudizio negl’occhi di giada, fra le braccia il figlio. James, avvolto in una tenera tutina bianca, stringeva un soffice orsetto di peluche con una mascherina nera sugli occhi, dono di Bucky e Sam e da cui non si separava mai.

La ragazza la guardò di rimando, senza nascondersi, poi spostò lo sguardo sul bambino e le sue labbra si sciolsero in un debole sorriso.

«E’ tuo figlio?» domandò con tremore nella voce, si sentiva leggermente a disagio, non ricordava l’ultima volta che aveva visto un bambino, era qualcosa di troppo pure e innocente per starle così vicino.

«Sì. Lui è James».

Ekaterina fissò ammirata lo sguardo di Vedova Nera riempirsi di sfumature dolci, le palpebre calare delicatamente e gli occhi diventare liquidi.

Per una persona tenuta per anni nel gelo dell’oblio e abituata a violenza, subita e commessa, quell’atmosfera era abbastanza destabilizzante, eppure non dolorosa.

«So come ti senti in questo momento... » disse Natasha continuando a guardare il figlio; Katia la osservò incuriosita.

«Il mio passato è stato molto simile alla tua vita finora, per molto tempo c’è stata solo oscurità» i suoi occhi vagarono dolcemente su di lei.

La Winter Soldier si schiarì la gola e trovò il coraggio di porle quella domanda:

«E come ne sei uscita?»

«Lottando. C’è chi mi ha dato una seconda possibilità - sorrise nel ricordare il passato, che non faceva più così paura ora - ma ho lottato contro quell’oscurità, a volte mi capita ancora adesso» il suo sguardo ritornò sul piccolo Jamie «Ma ho qualcosa, qualcuno da proteggere, ho una ragione per vivere» e mentre lo diceva si rese conto che era davvero così, da molti anni il suo desiderio di vita continuava a crescere, per Steve e per gli Avengers, la sua famiglia e ora per James, il suo dolce, forte ed innocente bambino.

«Tu hai qualcuno che vuoi proteggere?».

Ekaterina schiuse le labbra pallide e screpolate ed annuì con vigore mentre il suo sguardo si faceva timido.

«E’ un buon punto da cui partire».



*



«Buck mi spieghi che ci facciamo qui?» Jace si guardò intorno, erano in una delle zone più famose di New York, rinomata per essere la via dello shopping di lusso.

James si decise finalmente a degnarlo di attenzione, gli mise una mano sulla spalla e il suo sguardo divenne tremendamente serio. Il quindicenne deglutì, seriamente preoccupato.

«Jace. Siamo qui per una questione della massima importanza!»

Oh mamma!” si ritrovò a pensare ancora più perplesso.

Bucky non si dilungò oltre, lo afferrò per entrambe le spalle e lo guidò verso un negozio ben preciso, senza che Jace ci capisse nulla, a volte era peggio di Sasha quando lo trascinava - senza diritto di replica - nei suoi piani sconclusionati. Quando vide la vetrina davanti a cui si erano fermati, un dubbio lo assalì. Il suo cuore cominciò a battere veloce.

«Buck-!» esalò osservando meravigliato l’uomo al suo fianco.

Il soldato si aprì ad un sorriso timido.

«Vedi di consigliarmi bene moccioso».



*



Steve si appoggiò allo stipite volendo godersi la scena per una po’, prima di prendervi parte.

Natasha era seduta a gambe incrociate sul morbido tappeto, reggeva Jamie appoggiato contro il suo petto mentre la dolce Alex cantava un’allegra canzone per intrattenerlo.

Fu il bambino stesso a notare la presenza del padre agitandosi allegramente. Alexandra gli sorrise, lasciandogli una leggera carezza e poi corse ad abbracciare Steve, prima di lasciarli soli.

La bella russa gli fece segno di avvicinarsi, si scambiarono un lungo bacio, poi gli passò il figlio che sgambettava eccitato.

Il capitano lo strinse a sé, respirando il suo profumo, così dolce ed innocente. Sapeva che il tempo a loro disposizione stava per scadere e Natasha lo sapeva ancora meglio di lui.

«E’ cresciuto ancora...» constatò guardando attentamente il figlio, che per tutta risposta allungò le manine grassocce sul suo volto scaldandogli il cuore e facendolo sorridere.

«Meredith dice è per colpa o per merito del suo dna» gli rispose la russa osservando dolcemente entrambi.

«Stasera ci riuniamo. Tony dice di aver trovato un modo per rintracciare il Bus, e Coulson ha messo a punto l’attacco simultaneo alle basi segrete dell’HYDRA».

Natasha si sporse per prendere Jamie e stringerselo al petto, la sua espressione era insondabile, ma Steve sapeva che la sua mente lavorava frenetica, sapeva che dentro fremeva. Guardava il loro bambino e pensava che non avevano avuto abbastanza tempo, che fosse ingiusto, c’erano ancora così tante cose…

«Ci siamo quasi»

«Nat-»

«Non ci provare. - lo fermò dura lei - Ne abbiamo già discusso» il suo sguardo si ammorbidì e accarezzò il volto del capitano, che si era fatto mesto ma sempre soffuso d’amore «Non posso farlo. Non chiedermelo, ti prego, non chiedermi di restare a guardare. Ti copro le spalle».

Steve le prese la mano, ferma sulla sua guancia, e la portò alle labbra; annuì.

«Ora posso darti il mio benestare per quello che avevi in mente per lui» aggiunse serio lasciando una delicata carezza sul capo di James. Natasha chiuse gli occhi.

Jamie si addormentò e i due lo riposero nella culla. Natasha poggiò il capo sulla spalla di Steve, che la strinse a sè; in silenzio rimasero ad osservare il figlio.



*



La sera era scesa stellata e afosa sull’Avengers Tower.

Natasha prese posto tra Steve e Sharon mano nella mano con Bucky. Niko e Bruce parlavano piano fra loro - andavano particolarmente d’accordo, si erano trovati fin dal loro primo incontro - Jace e Alexandra avevano insistito per esserci ed erano molto tesi; Clint, Sam e Maria discutevano con Coulson e JJ, che cercava di non farsi prendere dall’ansia. Tony era concentrato sul tablet, controllando i dati per l’ennesima volta, accanto a sé Pepper, che osservava attenta. Fury col suo occhio sano controllava tutto e tutti.

Quando giunsero Niall e Ekaterina la riunione poté cominciare.

«Phil» esordì grave il colonnello scambiandosi un cenno col direttore «Inizia tu».

«Bene, come tutti sapete, grazie alle informazioni passate con estremo coraggio dalla signorina Munroe, ora siamo a conoscenza di tutte le posizioni delle basi segrete dell’HYDRA. Dieci basi, dislocate nei quattro continenti. Annabeth Munroe ci ha fornito anche una dettagliata lista sull’arsenale bellico e il numero, più o meno esatto, degli agenti presenti in ogni sede; con molta probabilità ci sono anche delle fabbriche di psychotron presenti all’interno.» fece una breve pausa, l’attenzione era alle stelle, Steve e Bucky in particolare si sentirono proiettati indietro nel tempo, in pieno secondo conflitto mondiale, le immagini virtuali si sovrapposero con la mappa delle basi HYDRA degli anni Quaranta.

«Il tuo piano quindi è di attaccare simultaneamente tutte le basi?» chiese Steve;

«Meno una» precisò Coulson e il capitano annuì.

«Sarà un attacco di massa, lo S.H.I.E.L.D. è stato completamente mobilitato e abbiamo fatto un accordo segreto con i Navy Seals per un’operazione congiunta, anche se saremo noi al comando.» completò Maria alzandosi e mettendosi tra Fury e Coulson.

«Qui entri in gioco tu, Tony. Tu e Skye avete capito come fa il Bus a sparire?» chiese Clint.

«Legolas - esordì Tony con fare teatrale - ci conosciamo forse?» il magnate attirò completamente l’attenzione «Semplicemente non lo fa. Devo dire che la giovane Muroe è geniale, quasi al mio livello - ammiccò e restò per qualche istante in silenzio aspettandosi delle conferme, che non giunsero così fece spallucce e proseguì - ogni volta che il Bus si muove manda differenti e fasulli ping in tutto il mondo, cosicché nessuno riesca a individuare il loro piano di volo, ma tutti questi fasulli segnali hanno sempre e comunque un origine. Così io e la piccola Skye abbiamo analizzato ogni singolo segnale inviato da quello stramaledetto aereo, un po’ di vecchia trigonometria, un po’ di geolocalizzazione, qualche satellite spostato nel giusto punto et… Voilà! La posizione del Bus è servita!» Tony richiamò J.A.R.V.I.S. e l’AI compitamente mostrò l’attuale posizione del velivolo.

«In Cina?» sospirò James.

«Fantastico, proprio uno di quei paese con cui possiamo dialogare senza problemi...» frecciò Sam incrociando le braccia al petto.

«Questo vuol dire che dovremmo agire illegalmente» ragionò Natasha immergendosi nei propri pensieri.

«Tony, quanto è sicura questo localizzazione?» chiese Steve, si scambiò un’occhiata d’intesa con il miliardario;

«Novantotto per cento»

«Non mi serve altro. - il supersoldato si alzò in piedi e tutti gli sguardi conversero su di lui, attenti - D’accordo. Lo sapete già quello che sto per dire: a Coulson le restanti nove basi. Noi ci prendiamo quella - disse indicando l’ologramma della Cina - se là c’è il Bus allora ci sono Teschio Rosso, Sin, Rumlow e tutti coloro che tirano le fila di quest’organizzazione. Il motto dell’HYDRA Se tagli una testa altre due prenderanno il suo posto”, ma non questa volta. Questa volta attaccheremo testa e corpo, li fermeremo per sempre.  Elimineremo l’HYDRA, nessuno sarà più minacciato dalla loro mostruosa ombra - nel dirlo incontrò gli occhi di Natasha che annuì decisa - non avrò pace finché non ce ne saremo liberati. E non permetterò che nessuno di voi ci rimetta la vita. Nessun altro dovrà morire. Jace e Alexandra resteranno con Niko, Niall proteggerà tutti coloro che resteranno qui. Per ognuno di voi è previsto un piano di fuga nel caso le cose andassero male. Maria e Coulson saranno a capo dell’operazione “Ercole”, Holden si unirà a noi. Avengers siete pronti?» nessuno fiatò, eppure avevano nello sguardo tutti una terribile determinazione. Steve si soffermò su ognuno di loro e poi fece un secco cenno col capo, fiero.

Sarebbero partiti da lì a poche ore, il gruppo si sciolse e il capitano si rivolse personalmente a Fury, appartandosi con lui per pochi istanti.

«Se non dovessi farcela proteggi Natasha e James, fa che siano al sicuro» disse solamente; e il colonnello non poté fare altro che accordargli quell’ultima richiesta.



Natasha aprì la porta e restò ferma sull’uscio, un sorriso triste ma pieno di una profonda dolcezza ad adornarle il viso.

Steve sorreggeva il piccolo Jamie, una mano sul capo per proteggerlo, le labbra premute sul suo piccolo capo; dondolava piano, volendolo cullare.

«Andrà tutto bene, te lo prometto piccolo» sussurrò dolcemente.

«Andrà davvero tutto bene?» chiese Natasha facendosi avanti; Steve si voltò e le sorrise:

«La mamma è qui. È una promessa ad entrambi, andrà bene» affermò deciso.

La spia allungò le braccia e Jamie si accoccolò placidamente sul suo petto.

«Andrà bene per tutti, giusto? - gli lanciò un lungo sguardo penetrante - Steve. Non. Ci. Provare. Non farai uno dei tuoi stupidi atti eroici, non questa volta» sibilò, il volto del compagno si fece grave;

«Ascolta-»

«No. Ascolta tu: Steve Grant Rogers non mi interessa chi sei tu per gli altri, per il resto del mondo, non me ne frega un accidenti se sei Captain America. L'unica cosa di cui mi frega è chi sei tu per me! Sei il padre di mio figlio… sei-» il fiato le si ruppe e il suo sguardo divenne liquido.

Il capitano le si avvicinò;

«Dillo»

«Sei l'amore della mia vita - bisbigliò accorata - devo sapere che combatterai non solo per salvarci ma per salvare anche te stesso. Devi giurarmi che non combatterai per sacrificarti ma per tornare a casa.» i loro occhi si incatenarono e Steve la amò così intensamente che gli sembrò di esserne sopraffatto.

«Va bene. Ma sappi che tu e James siete la mia priorità, siete il mio tutto.» il modo in cui lo disse, quel “tutto” risuonò nella cassa toracica di Natasha e la fece tremare, il modo in cui la stava guardando, il suo tono era troppo, era davvero troppo per lei. Quanto poteva crescere ancora il suo amore per lui? Esisteva un limite?

Per lei era lo stesso. Steve e James erano il suo cuore. Poteva sopravvivere se avesse perso uno dei due?

Non volle darsi risposta.

«Steve» sospirò alla fine. Il capitano le circondò il volto con le sue mani grandi e forti e fece sfiorare la fronte con la sua.

«Lo so. Lo so Natasha. Ti amo! Anch’io ti amo fino al capolinea e oltre» le mormorò innamorato.



«James? Cosa stai facendo?».

Bucky nascose rapido una piccola scatola in una delle tasche interne della giubba e poi si voltò verso Sharon. Sospirò, era bellissima.

La divisa chiara esaltava la sua figura slanciata, Stark l’aveva ideata personalmente, così come le altre, eppure vedergliela addosso gli fece anche stringere dolorosamente lo stomaco: se la indossava voleva dire che era pronta per la guerra, sarebbe scesa in campo e questo significava che poteva essere ferita o peggio.

Sharon gli andò incontro e con dolcezza sconfinata gli accarezzò il volto, e lui fremette come ogni volta. Lo fece stendere sul loro letto e lei gli si mise a cavalcioni, non fecero nulla. La bionda aveva lo sguardo perso nel suo. Sapeva cosa stava pensando, perché anche lei aveva fatto i suoi stessi pensieri, ma nessuno di loro poteva farci nulla, avrebbero combattuto, punto.

«Mi stringi?» chiese innocentemente e lui, non fidandosi della sua voce in quel momento, annuì.

Si stesero insieme, Sharon poggiò il capo sulla spalla di Bucky che la strinse al suo corpo, chiusero gli occhi.



«Papà mi raccomando non fare cose stupide!» gli stava dicendo Lila fin troppo seria.

«E vedi di non mancare il bersaglio nel momento più importante» lo rimbrottò Cooper guardando con attenzione suo padre preparare minuziosamente ogni singola freccia.

Clint riuscì persino a ridacchiare, si voltò verso i due figli e scompigliò loro i capelli.

«Che razza di impertinenti!».

«Hanno preso da te» disse disinvolta Laura prendendo fra le mani una freccia e osservandola con attenzione, forse per minacciarla di non fallire.

Marito e moglie si guardarono intensamente, la sua partenza era qualcosa a cui si era abituata fin troppo in fretta, eppure per entrambi era sempre come se fosse la prima volta, i sentimenti erano gli stessi e mai una volta che avessero smesso di bruciare.



«Cosa siamo io e te?» chiese di punto in bianco Sam steso ancora sul letto, in cui avevano appena fatto l’amore lui e Maria. Sperò che quella non fosse stata l’ultima.

Maria si stava rivestendo ma si bloccò, colpita da quella domanda. Si irritò leggermente, aveva davvero bisogno di sentirselo dire ad alta voce quell’idiota?

Stava per rispondergli bruscamente quando Falcon la fissò con quei suoi grandi occhi sinceri, inchiodandola lì sul posto. Dannazione.

La donna si abbassò su di lui, gli sfiorò le labbra con le sue, in un delicato bacio pieno di sentimenti inespressi.

Sam capì. A Sam bastò.

Per favore non morire” pensò lei.



*



Era giunto il momento.

Jace e Sasha guardavano trepidanti e col cuore colmo di preoccupazione la loro famiglia pronta a partire.

Sharon si avvicinò ad entrambi e li abbracciò stretta, quasi restia a separarsene. Il quindicenne - ancora per poche settimane - si aggrappò alla donna avvertendo quella famigliare stretta materna che lo emozionava ogni volta.

Bucky strinse le spalle ad entrambi i due ragazzi, si scambiò uno sguardo carico di sentimento con Jace, si ferì le labbra per impedirsi di piangere, si fecero un unico cenno.

Steve e Natasha si avvicinarono insieme, e la spia porse ad Alexandra, che aveva compiuto quattordici anni da un paio di giorni, un oggetto metallico, sottile e cilindrico.

«Forse non è proprio un regalo consono ad una ragazza di quattordici anni, ma non siamo una famiglia normale, giusto?» scherzò dolce Natasha.

Alexandra ne saggiò la leggerezza incuriosita, osservando la perfezione del metallo, poi lo mosse nell’aria con un gesto secco e immediatamente il cilindro si allungò: era un bastone da combattimento.

«L’ha progettato Tony per te, si azionerà solo con le tue impronte digitali» disse Steve. La giovane con gli occhi lucidi si voltò verso suo padre e Tony e gli sorrise grata. Iron Man dovette distogliere lo sguardo o si sarebbe emozionato a sua volta.

«Vi supplico, non morite!» disse con le lacrime agli occhi abbracciando la sua madrina e il suo padrino. Loro si limitarono a stringerla forte.

Pepper si avvicinò a Tony commossa, non ci furono parole fra i due: la donna si limitò a stringerlo fra le sue braccia mentre lui chiuse gli occhi assorbendo con gli altri sensi tutto ciò che lei gli stava donando: il suo amore, la sua speranza, la sua fiducia e la sua forza. L’amava, l’amava come non aveva mai amato niente e nessuno.



Per Vedova Nera e Captain America giunse il momento più doloroso.

Steve strinse a sè il figlio, inspirando il suo profumo, concentrandosi sul perché combatteva. Lo baciò piano sulla fronte, poi con espressione decisa ma colma di sentimenti contrastanti lo lasciò a sua madre.

La russa accarezzò amorevole il volto di Jamie che sorrise, quel sorriso dolce e meravigliato che faceva battere il cuore dei suoi genitori. Non ci fu spazio per altro in quell’istante, se non per madre e figlio, poi si voltò ferma verso Niall e i suoi occhi di giada divennero seri e profondi; avvertì la presa di Steve dolce sulle sue spalle e prese parola:

«Niall. Ti stiamo affidando la vita di nostro figlio, la nostra parte più pura ed intoccabile, ciò che amiamo più di quanto non possano dire le parole» Sentì l’abbraccio del capitano farsi più saldo «Se le cose dovessero mettersi male, se noi dovessimo cadere - ignorò i respiri trattenuti e gli sguardi gravi - allora Jamie si troverebbe in imminente pericolo. Ti chiediamo di portarlo al sicuro, lontano da qui. Qui c’è uno zaino, all’interno troverai dei documenti falsi per te e per lui, un conto sicuro e un cellulare usa e getta con un unico numero. Se dovessi fare quel numero… La persona dall’altro capo del telefono sa già tutto, è pronto e ti dirà cosa fare. Tu tra tutti sei l’unico che abbia la forza per farlo. Puoi farlo, Niall?».

Ekaterina accanto al Winter Soldier lo guardò di sbieco, nervosa. Quanta forza doveva avere quella donna per riuscire a parlare con quel tono calmo, totalmente padrona di sé. Come poteva scendere in guerra con la chiara consapevolezza che poteva non rivedere mai più suo figlio o il suo partner? L’ammirò moltissimo e si disse che l’avrebbe seguita fino alla fine, e avrebbe seguito fino in fondo ciò che nel suo cuore sentiva di dover fare. Ammirò anche Niall quando rispose senza incertezza alcuna:

«Lo farò. Steve, Natasha… Sharon e tutti voi mi avete restituito alla vita, il minimo che possa fare è salvare una vita» replicò serio.

«Grazie - disse Steve porgendogli la mano - ora lo possiamo fare».

Niall lo osservò impressionato.

Steve e Natasha accarezzarono il loro bambino un’ultima volta poi lo lasciarono andare fra le braccia di Miss Jenkins. Ma il bambino doveva aver intuito che qualcosa non andava, perché iniziò a dimenarsi insofferente e poi scoppiò a piangere disperato.

Natasha, con discrezione, artigliò il braccio a Steve per impedirsi di prenderlo fra le braccia e rassicurarlo e coccolarlo, farlo sentire amato e al sicuro.

Il capitano restò stoicamente fermò, ma dentro di sé le lacrime di suo figlio lo stavano dilaniando.

Il resto della squadra ne rimase sconvolto, era una scena straziante, ma uno ad uno si avviarono verso il jet decisi a lasciare gli ultimi istanti ai due genitori.

Vedova inspirò piano, raddrizzò le spalle e mai come prima di allora sperò con tutta se stessa di poter passare il resto della sua vita a farsi perdonare da suo figlio, invece di farlo attraverso la lettera che lei e Steve avevano scritto qualche tempo prima nel caso fossero periti.

Lei e Steve si voltarono insieme, si costrinsero ad ignorare il pianto del loro Jamie. Salirono nel jet, lo sportellone si chiuse alle loro spalle, facendoli precipitare in un assordante silenzio.

Era ora di chiudere la partita.

____________________________________________________________________Asia's Corner

Ce l'ho fatta! O mio dio! Sì! Dopo mesi sono tornata non ci credo, potrei piangere! So che voi lo farete se non altro perché sapete finalmente che cavolo succede, ebbene sì è giunto il momento di terminare questo gioco. Dio che tristezza scrivere l'ultima parte, spero che questo attesissimo capitolo sia stato un degno ritorno e vi sia piaciuto, quanto è piaciuto a me.
E' stato un periodo difficile, anche dal punto di vista della storia, ho avuto un blocco e non riuscivo ad andare avanti, ma sono riuscita a superarlo e ora sono qui per portare a termine questa trilogia che dura ANNI eh sì ANNI! E ringrazio tantissimo in primis chi mi ha sostenuto in tutto questo tempo, chi mi scritto via privata o commentato questo capitolo! Grazie, molti di voi sono con me dall'INIZIO ed ora... Manca poco, davvero poco!
Conto tre massimo quattro capitoli per mettere fine a questa ff, più un capitolo extra, perchè... Beh lo scoprirete strada facendo, e per farmi perdonare di questi mesi, scriverò una oneshot terminata quesa storia :)

ps. il titolo è in latino (spero di aver trovato la giusta traduzione) e significa: «attraverso le asperità sino alle stelle»

Ora io vi saluto, e vi auguro Buona Pasqua a tutti voi! Spero che mi farete conoscere la vostra opinione a riguardo!
Il capitolo 31 verrà postato con tutta probabilità tra un mese!





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Capitolo 31
*** Born for this ***


31

 Capitolo Trentuno: Born for this


“We are the warriors who learned to love the pain

We are the broken ones who chose to spark a flame

Watch as our fire rages; our hearts are never tame

'Cause we were, 'cause we were, 'cause we were

'Cause we were born for this, we were born for this”

⁓ “Born for this”, The Score


«Nat puoi prenderti una pausa ora. Qui ci penso io» Clint le poggiò delicatamente una mano sulla spalla. La spia annuì e gli cedette grata il posto, si diresse verso Sharon.

La bionda la guardò intensamente;

«Ne vuoi parlare?»

«Quando mai ho avuto voglia di parlarne?» chiese mentre le sue labbra si stesero in un sorriso amaro. 

L’agente 13 fece una smorfia comprensiva, non poteva biasimarla, se si soffermava a pensare a Jace avvertiva l’ansia opprimerla. Non voleva dirle che sarebbe andato tutto bene, che se la sarebbero cavata anche quella volta, non ne era certa lei, figurarsi se era in grado di convincere qualcun altro, a maggior ragione se quel qualcun altro era Natasha Romanoff.

«Tu e Steve avete preso la decisione migliore» disse invece, lo sguardo della russa si rasserenò lievemente «Jamie sarà al sicuro».

«Ti ringrazio. E’ l’unica cosa che mi consola al momento» i suoi occhi andarono alla ricerca del capitano; lo trovarono intento a confabulare con Bucky e Tony. Il suo sguardo si assottigliò pericolosamente.

«Hai paura che possa commettere qualche cavolata?» chiese Sharon sospirando.

«E’ Steve Rogers, lui è il re delle cazzate eroiche» il tono era tagliente, aveva la netta sensazione che se solo avesse distolto l’attenzione da lui, lo avrebbe perso in un modo o nell’altro.


*


«Non riesci a dormire?» domandò Jace in piedi sulla soglia della camera. 

Alexandra levò i suoi occhi d’argento e lo osservò con espressione grave. Jace aveva sempre odiato quella sua espressione: le labbra perfettamente dritte, indurite negli angoli, il grigio dei suoi occhi cupo, la fronte pallida aggrottata e solcata da linee scure. Era sua opinione che Sasha non avrebbe mai dovuto indossare quel viso tirato, la voleva spensierata e sorridente. Ma sapeva che i tempi non glielo permettevano.

«Nemmeno tu, noto» replicò lei con voce stanca. Si sfregò le braccia con le mani e il ragazzo si intenerì andandole incontro.

«Vuoi che chiami tuo padre?» le domandò gentile, sedendosi sul bordo del letto; gettò un’occhiata al comodino e vide il bastone metallico troneggiare pronto all’uso. Anche lui, nascosti dalla leggera maglietta estiva che indossava, teneva pronti i suoi fidati coltelli da lancio.

«Mmm no. Lui e Niall stanno facendo la guardia a turno. Non voglio che si preoccupi per me, preferisco che resti concentrato».

Jace annuì e per un po’ rimasero in silenzio, solo in apparenza tranquillo ma in realtà le loro orecchie erano ben tese ad ascoltare ogni singolo rumore fuori posto.

«Jamie?» domandò la quattordicenne chiudendo definitivamente il libro che stava leggendo per distrarsi.

«Dorme ora, fortunatamente. E’ proprio crollato, ha pianto un sacco, Miss Jenkins ha davvero fatto fatica a calmarlo» sospirò il giovane.

«Dovremo provarci anche noi» disse la ragazza osservandolo con i grandi occhi grigi lucidi.

«Dovremo sì».

Sasha si infilò sotto il leggero lenzuolo estivo, poi osservò l’amico in attesa.

«Resti qui? Magari in due riusciamo a calmarci prima» propose e Jace acconsentì stendendosi accanto a lei, rimanendo sopra il lenzuolo. Si dettero la schiena ed entrambi chiusero gli occhi cercando di cedere a Morfeo.

«Ace» singhiozzò all’improvviso Alexandra. La reazione del ragazzo fu immediata: si voltò completamente verso di lei;

«Sasha...» rispose triste;

«Non voglio che muoiano!» mormorò fra le lacrime, girandosi a sua volta, il volto nascosto dalle mani chiare ed eleganti chiuse a pugno. Nel vederla così anche a lui venne da piangere; lasciando che sottili e spaventate lacrime gli rigassero il viso, l’abbracciò delicatamente.

«Anch’io non voglio che muoiano» disse solamente, permettendole di nascondere il volto contro il suo collo.


*


«Stai bene?».

Ekaterina sollevò il capo ed incrociò lo sguardo con Bucky che le stava davanti.

«Sì» replicò la Winter Soldier stringendosi nelle spalle. La cosa non corrispondeva per nulla alla verità, ora che si era riappropriata dolorosamente della propria umanità dentro tremava come una foglia. Sarebbe riuscita a salvare D? Si sarebbe nuovamente piegata al controllo mentale? Era davvero abbastanza forte per farcela?

«Tu sai perché lo stai facendo» mormorò il supersoldato; Katja strinse le labbra ed annuì mesta. 

«E questo aiuta?» non riuscì a trattenersi dal chiedere. James accennò ad un sorriso;

«Molto. Ascolta non sarà facile, e se riusciamo a cavarcela nemmeno in futuro lo sarà. Non so se quest’oscurità se ne andrà mai del tutto» sospirò passandosi nervosamente una mano fra i capelli, era a disagio nel parlare di ciò che albergava nella sua anima, non aveva idea se stesse facendo la cosa giusta, ma malgrado ciò continuò a parlare «Forse dovremmo lottare per il resto della nostra vita, ma ti assicuro che avere qualcosa, qualcuno con cui condividere l’esistenza può fare la differenza».

«E se il trattamento del dottor Banner dovesse essere inefficace? Se una volta lì l’ambiente, quello che affronteremo dovesse farci cedere?» la voce le tremò per l’agitazione che dilagava a quell’idea.

«Non succederà.» replicò Bucky con sorprendente - perfino per se stesso - sicurezza «L’hai provato tu stessa il trattamente è forte. Però ascolta, le vedi le persone qui accanto a noi? Qualsiasi cosa dovesse accadere non lo permetteranno, fidati di noi, di loro… Ma soprattutto fidati di te stessa, Dominil ha bisogno di te».

Katja riuscì a sorridergli appena e lo ringraziò con lo sguardo. 

Bucky fece un cenno col capo, provato più di quanto volesse ammettere da quella conversazione; ma aveva fatto bene anche a lui.


«Gente, meno di trenta minuti all’obiettivo» avvertì Clint.

Steve fece un cenno all’arciere, poi guardò Natasha che lo fissò grave, le andò vicino poggiandole una mano sul volto: saggiò con i polpastrelli la sua pelle vellutata e fresca, lei si abbandonò a quella carezza; i loro occhi si cercarono e si trovarono come ogni volta suggellando mute promesse e sentimenti inesprimibili. La russa posò il capo contro la sua spalla, avvertì le labbra del compagno posarsi lievi e rapide fra i suoi capelli.

«Per James» sussurrò. Lei annuì;

«Per James» ripeté piano.

Steve si staccò dalla compagna e guardò il resto della squadra, inspirò concentrandosi su coloro che come lui stavano respirando quel momento: il momento prima dell’inizio della battaglia finale.

«Avengers! E’ il momento, siamo qui per fermare una volta per tutte l’HYDRA. Lo faremo insieme come un sol uomo, se vi colpiscono, voi colpiteli più forte… Se vi uccidono, resuscitate!» dichiarò con forza. Ci furono cenni d’assenso e qualche sorriso complice; si voltò verso Banner che sembrava sì ansioso ma anche più deciso che mai.

«Bruce sei pronto?»

«Facciamolo!».


Il piano era semplice, quasi ridicolo nella sua banalità: avevano rinunciato a qualsivoglia di strategia triviale o sotterfugio; optando per qualcosa di più plateale, diretto e definitivo: un Hulk lanciato in picchiata dritto sulla base segreta senza tante cerimonie, per esempio.

Aprire un varco e sradicare l’HYDRA una volte per tutte.

«Clint, lo S.H.I.E.L.D. è in posizione?» domandò Steve, ormai c’erano quasi.

L’arciere in collegamento con Maria Hill dopo qualche istante fece un cenno affermativo. Avrebbero attaccato tutti nello stesso momento.

Il capitano guardò Tony, quasi a ricerca di una definitiva conferma, e Iron Man gliela diede, facendo scattare la maschera metallica sul volto.

«Bruce ci siamo! Sam e Tony scenderanno subito dopo di te e ti forniranno protezione. Io e Bucky saremo i prossimi e gli altri a seguire.» tutti quanti annuirono solenni.

Natasha si avvicinò al dottore;

«Ce la fai Bruce?» gli chiese con tatto, Banner le sorrise rassicurante.

«Oh sì! Per lui sarà come fare una passeggiata»

«Allora buona fortuna» replicò la donna facendo un passo indietro.

Lo sportellone cominciò a schiudersi e nello stesso istante Bruce si tramutò nel verde e bestiale Hulk.

Tony gli si avvicinò avvolto totalmente nella iconica armatura;

«Dopo di te bestione, vedi di aprire le danze come si deve».

Hulk sorrise ferino e si lanciò con prepotenza, Iron Man osservò la caduta per un po’ poi si voltò verso Falcon, che gli si era posizionato di fronte, contarono insieme lasciandosi quasi subito cadere in picchiata.

Dapprima non si sentì nulla se non un suono paragonabile ad un sibilo acuto, poi iniziarono i rumori di una battaglia seguiti da un fragoroso boato: Hulk aveva centrato l’obiettivo.

«Clint! - chiamò il capitano - copertura!».

Occhio di Falco posizionò il velivolo e iniziò a fare fuoco, Steve e Bucky si avvicinarono al ponte di lancio mentre Sharon e Natasha li osservavano attente.

«Ci vediamo giù» disse la russa con un sorriso sghembo, Steve le sorrise di rimando, mentre Sharon e Bucky si scambiarono un rapido e famelico bacio.

«Steve, Bucky! Ora!» ordinò Clint.

I due supersoldati si lanciarono senza esitazione.

Natasha, Sharon e JJ guardarono, per quanto possibile, la caduta dei compagni; l’arciere attuò una brusca virata e il jet uscì dalla linea di tiro. Circumnavigarono l’area finché non trovarono un punto cieco per calarsi.

«D’accordo. JJ, tu trova Annabeth, avremo bisogno di lei per scaricare tutti i file dell’HYDRA. Clint a te le cariche esplosive» dichiarò Natasha con decisione.


Quando Natasha, Sharon, Clint e JJ penetrarono nella struttura vi regnava il caos.

I loro nemici non si fecero pregare e ben presto le due donne si ritrovarono nel furore della lotta per permettere ai compagni di perseguire i loro obiettivi.

Voci concitate che sbraitavano ordini, scoppi improvvisi, suoni acuti di pallottole sparate alla ricerca del proprio bersaglio, ansiti, il rumore attutito dei corpi avvinghiati nella lotta facevano da colonna sonora allo spettacolo terrificante degli Avengers che avevano dichiarato guerra all’HYDRA.

Natasha e Sharon combattevano come un sol uomo. Il loro affiatamento era invidiabile, si muovevano come se stessero eseguendo una coreografia preparata in anni; i loro corpi era tesi, agili ed elastici, le mosse dell’una completavano quelle dell’altra finendo l’avversario.


Il tempo in battaglia si annullava, era un concetto insignificante, non più misurabile, l’unico segno che denotava il prolungarsi dello scontro era il fisico. 

Nel fisico avveniva qualcosa di strano: la carne lacerata, i muscoli gonfi e brucianti, il sangue che correva adrenalinico, le ossa che iniziavano ad incrinarsi sempre più sotto i colpi avevano l’effetto di accendere lo spirito. Una ferrea e viva volontà sosteneva la debolezza del fisico.

Steve abbatté un altro avversario, gli sembrava di farlo da più di una vita, si guardò attorno e vide solo sangue e violenza attorno a sè, Natasha, si accorse, lo fissava con la coda dell’occhio senza mai perderlo del tutto di vista. Si erano ritrovati da poco ma il fatto che nonostante la guerra, che incombeva su tutti loro, lei fosse in grado di trasmettergli amore in mezzo a morte, brutalità e lotta senza pietà gli diede speranza.

Dovevano finirla al più presto, e chi gli interessava davvero, coloro che avevano generato tutto questo ancora non si erano palesati.

«Sin! Dove vi state nascondendo?» urlò esasperato. Ma questa volta le sue urla non rimasero inascoltate.

«Non serve gridare, Capitano. Sono qui» replicò Sinthea che aveva atteso quel momento per palesarsi. Non gli avrebbe certo confessato che quell’attacco a sorpresa l’aveva scossa e aveva passato i minuti successivi a riprendere possesso non solo di sè ma anche di tutta la base.

Quell’aria fresca, innocente ed intoccabile era pura e semplice facciata.

«Ti mancavo Capitano?» chiese con tono stucchevole.

Steve la fissò con disapprovazione e sfida;

«E’ ora di chiudere questa cosa. Tuo padre è così vigliacco che si nasconde anche qui? A casa sua?».

Sinthea scoppiò a ridere come un’ossessa, come se il supersoldato avesse raccontato la battuta più divertente mai raccontata.

Ad uno schiocco di dita, un agente le porte una grande valigia scura.

«Oh beh, vede Capitano, sono mortificata di darle questo grande dispiacere di poter togliere di mezzo paparino-Lukin. Ma vade - continuò aprendo la valigia ed estraendo qualcosa che lanciò con velocità e precisioni a pochi passi da Steve che ebbe un momento di confusione nell’osservarlo - papà non è più disponibile per giocare» terminò con sorriso da squalo.

Steve deglutì a vuoto, mentre fra il resto degli Avengers dilagò il disgusto e l’orrore, Falcon quasi rischiò di vomitare. La testa mozzata di Lukin era ai suoi piedi e ormai in via di putrefazione. Il supersoldato riportò lo sguardo su Sinthea a qualche metro di distanza.

«Sono io il capo adesso» disse con tono letale «Non sei felice? Dovresti essermi riconoscente, anche la tua cara Natasha dovrebbe! Voleva utilizzare il vostro adorabile pargolo come suo nuovo corpo, io invece ho ben altri piani per lui» la sua voce aveva un che di ferino e pericoloso.


*


Nostro amatissimo James,

se stai leggendo queste parole significa che io e tuo padre non siamo più lì con te.

Ascolta bene, солнешко, questo non vuol dire che noi abbiamo smesso di proteggerti, siamo sempre stati e sempre saremo accanto a te, solo che tu non ci puoi vedere.

Io e papà ti abbiamo amato fin dal primo istante. Le nostre vite non sono mai state facili - la vita piccolo mio non lo è mai - e tu sei stato però il dono più grande e bello che potessimo ricevere.

Grazie солнешко per averci scelto e averci fatto provare la gioia di essere genitori.

Non avercela troppo con noi, il nostro solo desiderio era di proteggerti e l’abbiamo fatto nell’unico modo che conoscevamo: lottando. Sappiamo per certo che anche tu, come noi, sarai un lottatore; la vita ti metterà sempre davanti a tante sfide, alcune le vincerai, altre purtroppo le perderai ma siamo certi che a modo tuo saprai rialzarti. Affidati a chi per te è diventato una famiglia, fidati del tuo istinto e trova l’amicizia, quella vera.

Io e papà ti saremo sempre vicino e ti ameremo in eterno.


Sii forte figliolo, sii gentile con il prossimo e aiuta chi fa fatica a rialzarsi da solo.

Ti vogliamo bene.


Con infinito affetto,

Mamma e Papà





_____________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti e grazie ancora una volta per la pazienza, speravo di riuscire ad aggiornare prima, ma purtroppo ho avuto questi ultimi due mesi molto intensi, per certi versi dolorosi e pieni di cose da fare e sistemare. Le cosa da sistemare non sono di certo finite e mi aspettano altrettanti mesi intensi, ma sappiate che se anche in ritardo IO CONCLUDERO' QUESTA FF! Anche perché alla fine vera e propria mancano altri 2 CAPITOLI! A cui, ve l'ho già accennato, si aggiungerà un capitolo extra.
La storia però si concluderà ufficialmente col capitolo 33 che spero di postare a settembre.

Bene, dopo questa premessa, spero che il capitolo non abbia deluso l'attesa e ora siamo proprio entrati nel vivo dello scontro e Sin ha sganciato una bella bomba, se non fa lei le entrate ad effetto chi può?

Io ringrazio tantissimo tutti voi che con affetto continuate, nonostante i ritardi, questa storia e spero che mi lascerete un commento a riguardo. A proposito a chi lascia le RECENSIONI purtroppo non riesco più a rispondere in tempi brevi, ma sappiate che le tengo sempre in grandissimo conto! Anzi quando ho dei momenti di sconforto vado a rileggermi i vostri commenti e mi torna sempre la carica e mi spronate a continuare! GRAZIE! Io comunque ce la metterò tutta per mettermi in pari con le risposte promesso!

Detto questo, io vi auguro un buon inizio settimana e spero proprio di postare il PENULTIMO CAPITOLO (32) entro e non oltre il mese di AGOSTO!

Un grande Abbraccio!







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Capitolo 32
*** All'ultimo respiro ***


32

Capitolo Trentadue: All'ultimo Respiro

"We have no scar to show for happiness.

We learn so little from peace”

~ Chuck Palahnuk

«Sono io il capo adesso»


«Beh il tuo capo fa schifo» proruppe Natasha con sguardo glaciale.

Sinthea voltò il capo verso di lei e sorrise enigmatica.

«Natasha Romanoff! Era davvero ora che ci incontrassimo» trillò gioviale poi i suoi occhi da gatto si assottigliarono alla vista di Ekaterina accanto a lei.

«Ahiahai K e così mi hai tradito? Sciocco da parte tua presentarti al mio cospetto. Ma ho chi può rimetterti al tuo posto, possibilmente tre metri sotto terra!» concluse a denti stretti ma con un sorriso tronfio.

Katja infatti venne travolta alle spalle e rotolò a terra con violenza, stretta al suo avversario, senza che Vedova Nera potesse intervenire in suo aiuto.

La Soldatessa si ritrovò stretta nella morsa ferrea di D che non dava segni di riconoscerla.

«D...i..di!» sussurrò mentre soffocava, pur guardandola negli occhi Dominil non disse nulla, ne il suo sguardo mutò, anzi rafforzò la propria presa sul collo della ragazza.

Una sensazione opprimente la colse: un vuoto destabilizzante, Dominil la sua folle, innocente Didi non la riconosceva, non provava niente, i suoi occhi rispecchiavano il nulla. Che cosa le avevano fatto? Ed ecco la rabbia. Se avesse potuto, Katja, avrebbe ruggito di furia. L'avrebbero pagata. Li avrebbe massacrati tutti per quello che le avevano fatto.

Fu grazie alla rabbia adrenalinica, bruciante ed incontenibile che riuscì a liberarsi e scagliarsi con incredibile velocità contro la persona che amava, ingaggiando un duro scontro.

Natasha non perse tempo, dopo essersi assicurata che la sua protetta fosse riuscita a reagire, si diresse rapida verso Sin decisa ad ucciderla; nello stesso istante in cui lo fece anche Steve. Qualcosa, o meglio qualcuno, intercettò la sua traiettoria e la placcò scaraventandola a qualche metro di distanza.

«Natasha!» gridò il Capitano preoccupato, ma non abbastanza da non riuscire a parare il colpo della figlia di Teschio Rosso.

«Battiti con me Romanoff!» Allegra Belgioioso torreggiava su di lei con alterigia. La spia sorrise melliflua, “Bene” pensò “Mi ha risparmiato la fatica di andarla a cercare”. Si rialzò in piedi e si mise in posizione di attacco.

«Non è da te scommettere contro chi ti è superiore» sibilò con altera sicurezza. Allegra rise divertita preparandosi anch'essa.

«Oh questo è tutto da vedere! Io so tutto di te, ti ho studiato Romanoff, saresti un ottimo pezzo da collezione, ma vali di più da morta!»

«Potrei dirti la stessa cosa, tuo fratello sarebbe disposto a spendere qualsiasi cifra.» replicò prontamente Natasha, colpendola dove faceva più male «E credimi non uscirai viva da qui. Hai commesso il tuo primo ed ultimo errore decidendo di guadagnare sulla pelle di mio figlio!».


«Oh Capitano, c'è davvero bisogno di essere così aggressivi?» lo canzonò Sinthea parando con le braccia incrociate la gamba tesa di Steve, mentre scivolava elegantemente in spaccata.

Lo scontro tra i due supersoldati si fece serrato e violento; Steve comprese subito che, se non voleva essere sopraffatto, doveva combattere per uccidere.

«Chiedi clemenza Capitano! Non puoi battermi» ghignò la ragazza al suo orecchio. L'Avenger riuscì a respingerla, scagliandola lontano.

«E' qui che ti sbagli Sinthea. Io ho tutto il giorno» disse mentre si toglieva l'elmo e glielo lanciava contro riprendendo subito lo scontro.


«Ore sei» avvertì Iron Man fornendo copertura a Bucky e Sharon.

Era davvero un pandemonio, gli agenti parevano emergere dalle pareti stesse.

Sharon scansò James nascondendosi insieme dietro una colonna, tossì a causa del fumo acre in seguito ad alcune esplosioni. Guardò il supersoldato accanto a sé per controllare che stesse bene.

«James...»

«Tranquilla, sto bene» le sussurrò l'uomo sorridendole incoraggiante. Si sporse appena cercando di capire quanti fossero i nemici, e fu in quel momento che lo vide e tremò, non di paura ma di una sorta di sottile eccitazione.

«Tony! Karpov è lui!» Iron Man lo individuò quasi subito «Si sta allontanando dallo scontro».

«E' mio!» replicò prontamente Tony poi si accostò alla coppia, la maschera si sollevò mostrando il volto teso ma deciso del genio.

«Voi ce la fate?» chiese, i due annuirono.

«Non ti preoccupare Tony. Vai! Salutalo da parte mia» aggiunse con sguardo complice. Iron Man annuì;

«Contaci Soldato Ghiacciolo» e partì all'inseguimento.


«Bene, bene da quanto non ci vediamo».

Sharon fu scossa da un brivido, ma come Bucky reagì d'istinto a quella voce: graffiata, sprezzante, detestata.

«Rumlow» replicò cupo il Soldato d'Inverno.

Bucky non aveva desiderato altro: mettere la parola fine a quella storia.

Sharon non si diede pena di dare voce ai propri pensieri, li mostrò apertamente: attaccò per prima Crossbones rapida ed impietosa. Quell'uomo le aveva condizionato la vita per troppo.

James d'istinto andò a coprirle le spalle, la proteggeva dai colpì più violenti, lasciando poi a lei la veloce risposta.

«Crepa Barnes!» urlò Rumlow colpendolo con violenza inaudita.

«Dopo di te» fu la replica glaciale.

Sharon e James si battevano senza risparmiarsi, stanchi di quell'uomo; Rumlow più di una volta si ritrovò a sudare freddo, ogni volta che sul suo corpo nasceva una nuova ferita.

L'agente 13 cominciava a non poterne davvero più, la fatica minacciava di farle perdere l'equilibrio ad ogni nuovo contatto, finché un'esplosione accanto a loro li fece crollare a terra, momentaneamente ciechi a causa del fumo.

Sharon tossì forte e quando i suoi occhi iniziarono a mettere a fuoco, desiderò non poter vedere: Crossbones ne aveva approfittato ed aveva stretto il Soldato d'Inverno in una presa mortale, il braccio metallico era orribilmente schiacciato – malgrado la mano fosse ancora saldata al resto dell'arto - dalla morsa metallica che l'agente HYDRA aveva al braccio. Bucky stava soffocando.

«James!» articolò la donna attanagliata dalla paura.

«Sì quella è esattamente l'espressione che mi fa tanto eccitare piccola Carter!» disse Rumlow delirante. Bucky cercò di divincolarsi con rabbia ma non servì.

«Sai Barnes ho sempre saputo che avresti portato guai, ma Pearce era così contento di avere il suo giocattolino!» serrò la presa e per un attimo la vista di James si offuscò.

«Non ti preoccupare non ho intenzione di finirti subito Soldat, prima mi occuperò della nostra graziosa Carter, voglio guardi mentre la faccio a pezzi» gli bisbigliò sadico all'orecchio.

«Lascialo andare Brock!» ordinò dura Sharon puntando la pistola verso di loro, dentro stava tremando non potendo sopportare di vedere James così impotente.

«Non credo proprio Carter! Illuminami: come farai a colpire me senza ferire il tuo amato soldatino di latta?».

Un guizzo attraversò lo sguardo di Bucky e Sharon; la presa sulla pistola tremò appena, incerta.

«Sh...a...ron» articolò sofferente; la compagna negò col capo.

«James» soffiò disperata, ma lui le fece un debole cenno.

«Ti... amo...»

«Anch'io!» e fece fuoco.

Per un lunghissimo secondo nulla si mosse, tutto rimase perfettamente cristallizzato e poi il sorriso da squalo di Rumlow si frantumò in mille pezzi tramutandosi in una smorfia di dolore e crollò a terra.

James, nonostante l'acuta sofferenza, reagì velocissimo e si accanì sull'uomo: lo colpì ripetutamente con forza, rabbia, il braccio metallico nonostante fosse danneggiato funzionava benissimo per spaccargli la faccia.

«James, James basta è finita! E' morto...» la voce concitata di Sharon lo riportò al presente. Smise di colpirlo, il volto era una massa irriconoscibile di sangue e carne, non c'era più battito, non c'era più un alito di vita: Brock Rumlow era morto.

Le braccia della bionda circondarono Bucky stringendolo con disperazione, tremava;

«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace» ripeteva controllando il suo addome alla ricerca della ferita che aveva provocato lei.

James le prese gentilmente i polsi e la guardò con dolcezza;

«Va tutto bene Sharon, ho sempre saputo che eri un'ottima tiratrice».

Lo sguardo di Sharon cadde sul pezzo di pelle mancante: aveva colpito lui per colpire Rumlow. Il proiettile aveva attraversato di striscio, ferendolo all'addome senza prendere punti vitali, e si era piantato in quello di Crossbones facendogli perdere la presa.

«Ti amo!» sospirò l'agente 13 fra le lacrime «Ti prego lascia che ti curi».

Sharon riuscì a fare un bendaggio approssimativo.

«Sicuro di farcela?» chiese lei ancora una volta, Bucky le accarezzò il volto.

«Sì. Andiamo, c'è ancora del lavoro da fare».


Che i nemici fossero duri a morire, beh si sapeva ma che fossero anche così numerosi non aiutava.

Clint e Sam si ripararono dietro delle colonne trivellate dai proiettili. Falcon azionò Red Wing e questo li aiutò a riprendere fiato.

Improvvisamente l'ex pararescue perse il contatto con il suo piccolo amico tecnologico, Clint si arrischiò a vedere cosa fosse successo, un verso a metà fra l'esasperato e l'incazzato abbandonò le sue labbra.

«Sam» richiamò il compagno «Abbiamo compagnia. E stavolta non credo ce la caveremo solamente qualche contusione» borbottò.

«Quanti?»

«Uno. L'ultimo Winter Soldier: Leon Duval. Il bastardo che mi ha distrutto casa!».

Lui e Sam si fissarono per alcuni secondi, poi Falcon sospirò e si strinse nelle spalle;

«Non facciamolo aspettare».

Leon Duval, o per meglio dire L era diverso, da Niall, da Katja perfino da Bucky; non che il suo cervello non avesse subito vari ed innumerevoli condizionamenti, ma lui non si era mai ribellato, anzi li aveva ringraziati perché era quella la sua vera natura: assassino a sangue freddo, letale e silenzioso, oscuro. La brama di morte e sangue l'aveva accompagnato per tutta la sua vita, fin da bambino: piccoli animali, insetti. Finalmente ora poteva assecondare la sua natura senza provare nulla.

«Vi ho visti falchetti. Fatevi avanti, venite a farvi strappare le ali e gli occhi» mormorò letale.

«Non serve chiedere, amico» replicò l'arciere uscendo allo scoperto e attaccandolo con l'arco scomposto e ricomposto in un'alabarda.

Falcon l'attaccò da dietro con un calcio teso in volo.

Non sarebbe stato uno scontro facile.


«Ora basta Dominil!» gridò Ekaterina stanca di combattere, stanca di ferirla.

I lunghi capelli biondi ora erano tinti di rosso sangue, il respiro era affannoso, il volto escoriato, le labbra spaccate, le nocche rotte e il corpo pieno di lividi e ferite più o meno profonde. Katja era nelle sue stesse condizioni, se non peggio, un rivolo di sangue le colava dalla testa, scivolando crudele lungo la tempia, tracciando guancia e mento.

«Ti prego» la supplicò. Non ce l'avrebbe fatta a colpirla ancora, la amava troppo. Decise di agire per prima, la schiantò duramente contro una parete e le bloccò le braccia con le sue. La bionda soldatessa cercò di divincolarsi.

«Dominil» sussurrò dolcemente «Perdonami, perdonami per averti lasciato sola, sono stata così ingiusta con te, avrei dovuto proteggerti prima, avrei dovuto...» esausta accostò il corpo al suo fremente, leggera come una farfalla posò le labbra sulle sue, fu un bacio delicato, tenero al gusto di sangue e ferro.

«...K...» bisbigliò Dominil sulla sua bocca, lasciando l'altra basita.

«K» ripeté mentre le sue mani risalivano lungo le braccia e le spalle «K» le sfiorarono il collo magro per poi serrarsi con forza e iniziare a stringere.

Ekaterina osservò che i suoi occhi erano a tratti vacui e a tratti pieni di emozioni soverchianti. La ragazza cercò di artigliare un detrito a poca distanza mentre D continuava a soffocarla, lasciò che fosse l'ultimo anelito d'istinto ad agire per lei: afferrò il frammento di muro e colpì con forza la testa di Dominil che batté con violenza anche a terra perdendo subito conoscenza.

Katja si piegò su di lei protettiva, la prese e la trascinò al riparo tenendola stretta.

Non seppe dire per quanto tempo restò lì a cullarla, ma dopo quella che parve un'infinità Dominil sollevò le palpebre color pesca e i suoi occhi la cercarono immediatamente. Ekaterina rimase immobile col cuore in gola.

«K? Che succede? Sei venuta a prendermi?» chiese con voce sottile ed innocente.

La mora a quelle parole scoppiò a piangere, libera finalmente di poter dar sfogo alla sua paura ma anche alla sua gioia.

«Sì...» rispose strofinando il naso contro la tempia della bionda «Sono venuta a prenderti».


Natasha arretrò contro il muro tenendosi la spalla ferita, strinse i denti cercando con gli occhi Allegra, quella stronza aveva approfittato di un'esplosione per defilarsi. Ancora poco e l'avrebbe eliminata.

«Nat!» chiamò Sharon andandole incontro seguita da Bucky.

«Che vi è successo?» volle sapere la spia osservando le loro condizioni fisiche.

«Rumlow» rispose James «E' morto».

Natasha si scambiò un'occhiata con Sharon e poi annuì.

«Allegra si è nascosta, ho perso Steve e Sin – ebbe un brivido – JJ gli è andato dietro»

«Hulk si sta occupando degli agenti all'esterno» la informarono i due;

«Tony?»

«All'inseguimento dell'uomo che ha ordinato la morte di Howard e Maria. Sam?» chiese Bucky leggermente in ansia.

«Credo sia con Clint, si stava occupando delle cariche» replicò Natasha.

«Ekaterina?» domandò a quel punto Sharon,

«Sta bene. Sta portando Dominil al sicuro sul jet» disse mentre il suo sguardo si rischiarò appena.

Quello scambio di informazioni si interruppe bruscamente da una nuova ondata di agenti dell'HYDRA.

Natasha, Sharon e Bucky vennero travolti dagli scontri.

Ad un tratto James si tastò il petto percependo sotto il tessuto ruvido e logoro quella piccola forma quadrata che in qualche modo gli dava forza, si guardò attorno osservando attonito la battaglia che si stava scatenando e capì di non poter più aspettare. Fanculo il momento perfetto!

«Sharon!» richiamò la compagna tirandola a sé e mettendosi momentaneamente al riparo.

«James? Che succede?» gli chiese preoccupata, osservandolo mentre si inginocchiava e trafficava con la sua giubba.

«Sharon» disse guardandola con amore e solennità, le mostrò la piccola scatolina «Vuoi sposarmi?».

L'agente 13 non ebbe nemmeno il tempo di formulare un pensiero che furono costretti a separarsi per affrontare i loro nemici, che così scortesemente si erano intromessi fra loro.

«Tu! - esalò incredula lei – Ti pare il momento più opportuno per chiedermi di sposarti?» domandò lievemente isterica, mentre rifilava una ginocchiata all'avversario e lo lanciava, letteralmente, verso il compagno.

«No, ma potrebbe essere l'unico! Ti amo! Ho scelto di passare il resto della mia vita...» strinse i denti mentre evitava per un soffio alcuni proiettili vaganti «...sempre che di vita ce ne rimanga, al tuo fianco! Qual è la tua risposta?» chiese, finalmente uno accanto all'altra.

Sharon sbatté gli occhi perdendosi in quelli del supersoldato, sconvolta e felice.

«Natasha!» urlò voltando il capo in direzione della rossa impegnata in uno scontro. Questa mise fuori gioco l'avversario e poi le prestò la sua completa attenzione.

«Mi fai da damigella d'onore?» gridò raggiante.

Vedova levò un sopracciglio verso l'alto alquanto perplessa, poi alzò gli occhi al cielo, la pistola che scattava rapida ad eliminare avversari;

«Niente rosa!» le urlò di rimando ma con un piccolo sorriso ad incresparle le labbra.

«E' un sì?» borbottò James confuso più che mai da quello scambio di battute, Sharon per tutta risposta lo bacio con passione.

Bucky frastornato dal bacio, la guardò e la trovò più bella che mai, nonostante la fatica, il dolore, la stanchezza.

«Magari l'anello te lo metto dopo eh, che dici?» scherzò lui, si scambiarono un altro lieve bacio poi i nemici pretesero la loro attenzione.


Vedova venne colpita bruscamente al fianco e voltandosi si ritrovò di nuovo faccia a faccia con Allegra.

«Questa volta non ti lascerò andare. La storia finisce qui» disse Natasha con sguardo minaccioso e letale.

«La storia finisce per te» sibilò lei.

Natasha non si fece impressionare e passò subito al contrattacco, colpendola senza pietà.

«Vedi Allegra io non posso proprio morire. Devo andare ad un matrimonio» un altro colpo e stavolta sentì distintamente le ossa del braccio della Belgioioso spezzarsi a causa della sua mossa. Si rese conto che la giovane italiana era al suo limite e sorrise melliflua: povera piccola aristocratica, per quanto potesse essere capace non era abituata a scontri così lunghi e intensi.

L'afferrò per i lunghi e biondi capelli e con una ginocchiata ben assestata la mandò contro il muro.

Allegra crollò in ginocchio e cominciò a tremare per davvero. Per una abituata a calcolare rischi e guadagni fu semplice comprendere che non ne sarebbe uscita viva e lei non voleva morire. Poteva giocare con la morte senza mai sbilanciarsi, poteva giocare con la morte di altri, ma lei in verità ne aveva un sacro terrore. Aveva paura della morte ed era troppo giovane per non averne. Si guardò attorno: tutto quello valeva davvero di più della sua vita?

«Mi arrendo» sospirò Allegra alzando le mani. Natasha fece una smorfia;
«E dovrei crederti?» sibilò.

«Io non voglio morire» e Natasha guardandola negli occhi vide che quella era la più pura e semplice verità, quello era uno sguardo che conosceva bene.

«Dov'è Sin?» chiese a quel punto.

«Io-» Allegra pensò in fretta e prese coscienza delle prossime mosse della sua ex alleata «Se la base è compromessa si starà dirigendo verso l'hangar. Non è così sicura come vuol far credere, ha molto meno controllo di quanto pensi»;

«Grazie» e subito dopo Natasha la colpì violentemente con il calcio della pistola, Allegra Belgioioso svenne.

«Che si fa?» chiese James poco dopo.

«Dobbiamo radunare il resto della squadra e dirigerci verso l'hangar. Sharon tu porta la Belgioioso al jet e mettiti in contatto con Coulson, cerca di capire a che punto sono. James raduna gli altri».


«Pietà...» sussurrò con un filo di voce Karpov, ormai ridotto allo stremo.

Tony torreggiava su di lui, il respiro pesante e controllato, provato nell'anima di aver finalmente messo le mani sul mandante dell'assassinio dei suoi genitori.

«Dimmi una cosa, perché?» mormorò con sguardo perso il genio.

«Io non lo so» affermò ostinato l'ex addestratore della Red Room. Iron Man fece un verso esasperato e puntò la mano armata contro di lui, poteva polverizzarlo in pochi istanti.

«D'accordo. Lukin voleva mettere le mani su un siero o qualcosa del genere che gli Stark custodivano, non so altro lo giuro!» replicò stanco.

«Peccato che Lukin sia morto quindi, capisci, dovrò rivalermi su di te, infame bastardo» replicò Tony allungò il braccio e l'energia si sprigionò eliminando definitivamente l'incubo di Bucky Barnes e Tony Stark.

Compiuta la sua vendetta non si sentì meglio, non provo nulla, il vuoto persisteva sospirò pensando, quanto meno, che ci fosse un verme in meno a quel mondo; inspirò solennemente poi prestò ascolto alla comunicazione audio, calò la maschera sul viso e si voltò.


JJ strinse i denti frustrato ed esausto dallo scontro che lui e Grant Ward stavano ormai portando avanti da troppo, lanciò uno sguardo ad Annabeth ammanettata, picchiata e sorvegliata a vista dall'ex specialista.

L'agente di livello 7 era riuscito ad anticipare la loro direzione e li aveva aspettati all'hangar; un improvviso fragore gli fece voltare lo sguardo: Steve Rogers era appena stato schiantato da Sinthea Schmidt, un leggero brivido lo colse, la battaglia fra quei due si era fatta sempre più violenta e brutale.


«Che vogliamo fare Capitano?» celiò sarcastica e divertita Sin «Colpirci fino a che i nostri corpi non saranno più in grado di rigenerarsi?» terminò con un gesto teatrale.

«Almeno ti porterei nella tomba con me!» replicò Steve lanciandole lo scudo sulle gambe e facendole perdere l'equilibrio.

Sin sorrise melliflua, un sorriso sporco di sangue. Non era andata poi così distante dalla realtà: lo scontro tra loro stava causando seri danni al fisico di entrambi, che persino il siero faticava a rimarginare in tempi brevi. Gli sputò in volto il proprio sangue per poi alzarsi di corsa e dirigersi verso il Bus, facendo un cenno a Ward; il suo ultimo agente rimasto.

L'ex specialista non esitò un istante, lanciò una granata verso Steve e JJ e, afferrando rude Annabeth, seguì Sin.

Il supersoldato e l'agente di livello 7 si misero al riparo proprio mentre si avvertiva il rombo dei motori del grande velivolo.

Il resto degli Avengers comparve in quel momento nell'hangar; Natasha lo cercò immediatamente con lo sguardo.

«Steve!» urlò richiamando il compagno.

L'uomo si prese qualche momento per osservarla: era esausta, il corpo provato e il sangue che le colorava la pelle candida ancora fresco, eppure per lui era sempre bellissima, un angelo magnifico e crudele.

Vedova vide le sue labbra muoversi, articolare poche parole: “Perdonami. Ti amo.” e lei tremò ma se ne rese conto troppo tardi.

Capitan America si mosse fulmineo e corse dietro al Bus, che intanto stava decollando, si accorse appena di JJ che tentava di stargli dietro animato dalla stessa idea.

«STEVE!» lo chiamò Natasha cercando, troppo tardi, di seguirlo; alla fine crollò in ginocchio sostenuta da Bucky e Sharon. Tony, nonostante i propulsori danneggiati, cercò di stare dietro al Bus ma dovette aiutare Hulk, all'esterno, con alcuni jet e mezzi corazzati che cercavano irriducibili lo scontro. L'aereo di proprietà dello S.H.I.E.L.D. volava sempre più in alto fino a che la modalità invisibile lo rese praticamente irraggiungibile.

Ciò che Sharon vide quel giorno le rimase impresso nella memoria: Natasha Romanoff tremante, furiosa, amareggiata e sopratutto terrorizzata a morte mentre chiamava ancora Steve e lacrime silenziose e odiate le segnavano crudelmente il viso.


«Secondo te come siamo messi?» esalò Sam con un'ala spezzata e il corpo scuro di lividi.

«Bah, secondo me siamo in parità» borbottò Clint tenendosi un braccio e respirando piano e profondamente. Falcon si voltò verso di lui ed osservando la sua faccia da schiaffi sarebbe scoppiato a ridere se ciò non gli causasse un tremendo dolore allo sterno.

Leon invece era ancora in piedi apparentemente intoccato, anche se in verità così non era.

Sam e Clint erano davvero provati ma qualcuno da lassù doveva volergli un gran bene perché in loro aiuto arrivò Katja.

«L finiamola, ora» esordì dura.

Il Winter Soldier la guardò annoiato;

«Molto bene. Se vuoi farla finita ora non hai che da chiedere» la ragazza intanto si scambiò un cenno con i due Avengers.

Quello era l'attacco decisivo.


Sinthea non era riuscita a riprendersi che un violento pugno di Steve Rogers l'aveva fatta volare contro una parete. Lui e Holden erano riusciti ad appendersi ad una delle ruote del Bus e a penetrare all'interno.

Sinthea ridacchiò sinceramente divertita e si leccò il sangue che le colava dalle labbra.

«Sai una cosa Capitano? Mio padre non l'ha mai compreso, lui voleva dominare il mondo, che vanesio! Era davvero convinto che quella fosse la soluzione. Si sbagliava, non puoi dominare qualcosa di corrotto. Solo dalle ceneri puoi plasmare qualcosa di completamente nuovo, in cui i forti domineranno sui deboli e voi non avrete più necessita d'esistere. Sai in fondo dovreste ringraziarmi-»

«Ringraziarti?» replicò duro Steve, come se stesse sputando veleno.

«Io sono un male necessario, mio bel Capitano. – lo disse quasi con dolcezza, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio ad uno sciocco – Io rendo voi ciò che siete. Senza di me cosa saresti Steve Rogers? Un soldato senza guerra... Inutile. La tua dolce metà? Un'assassina che ritornerebbe a fare ciò per cui è nata-»

Per Steve quello fu troppo e la colpì spietatamente.

«Può essere che tu abbia ragione Sinthea, ma non ti illudere che le cose andrebbero come tu desideri, ci sarà sempre chi alzerà il capo e dirà “basta”. Questa è la realtà: per ogni male necessario ci sarà un bene disinteressato che lotterà!».

Sinthea urlò e si avventò contro di lui, rotolarono a terra colpendosi a distanza ravvicinata, mentre il Bus virava in modo anomalo sballottandoli in tutte le direzioni.

«Che cazzo succede?» gridò la figlia di Teschio Rosso ferita.


Nella cabina di pilotaggio intanto JJ e Ward si affrontavano duramente, mentre Annabeth cercava un posto abbastanza sicuro per far atterrare quel maledetto aereo ma senza successo, inoltre i due agenti avvinghiati nello scontro non l'aiutavano di certo.

Esausta e ferita Munroe decise di fare una mossa disperata: lasciò i comandi e si gettò su Ward per dare una possibilità a Holden. Nel caos della lotta Annabeth e Grant Ward si ritrovarono con una pistola ciascuno e nessuno dei due esitò: due proiettili partirono nello stesso istante.

Il sorriso sul volto dell'ex specialista si addolcì accasciandosi poi a terra colpito a morte.

Annabeth tremante per ciò che aveva fatto, cadde in ginocchio mentre il sangue crudelmente le sgorgava dalle labbra: il proiettile le aveva perforato l'addome.

«Annabeth!» urlò disperato Holden tenendola fra le braccia.

«J...J per favore... l'aereo... c-ci s-c-hia-n-teremo...».

«Merda! Dannazione resisti!».


*


«Più veloce!» ordinò Natasha scura in volto a Clint, tutta la squadra si era finalmente riunita nel jet che si dirigeva nel punto in cui il Bus aveva mandato l'ultimo segnale.

La scena che si presentò davanti agli Avengers non era delle più rassicuranti: il Bus pareva aver tentato un atterraggio di emergenza, ma si era gravemente distrutto contro la superficie rocciosa e pareva essersi spezzato in più punti.

Vedova si mosse tremante verso le rovine del Bus così come gli altri, finché uno dei portelloni rimasti si aprì cigolando e un JJ ferito gravemente uscì zoppicante con Annabeth Munroe incosciente fra le braccia, immediatamente Tony e Sam lo aiutarono e lo portarono verso il loro jet.

Natasha sentiva la ragione abbandonarla ad ogni istante passato, il suo corpo sembrava non appartenerle e rifiutava di sottostare al suo controllo, insieme al cuore che si restringeva in petto sempre più impedendole di respirare correttamente.

Poi un borbottio di voci attirò la sua attenzione. Sotto gli sguardi increduli e sollevati dei suoi compagni, Steve Rogers uscì anche lui alquanto malconcio tenendo stretta Sinthea Schmidt, imprigionata con delle cinghie, mentre inveiva e malediceva tutto e tutti.

«Questo è il tuo più grande peccato Capitano! La tua fottuta bontà ti costerà la vita! Non appena mi libererò ti verrò a cercare, ti ucciderò e ti strapperò ciò che hai di più caro-!».

Improvvisamente un sibilo attraversò l'aria e tutti se ne accorsero troppo tardi, la voce di Sinthea morì, uno schizzo di sangue colpì il volto e...

«Steve!».

_____________________________________________________Asia's Corner

Buon pomeriggio a tutti voi!
Eccomi tornata con questo penultimo capitolo che come avete notato è molto denso e ricco d'azione, non vi nasconderò che la stesura è stata alquanto dura, gestire non solo l'azione ma anche così differenti personaggi tutti legati fra loro e saltare dall'uno all'altro è stata un'impresa per me! Spero che il risultato sia stato di vostro gradimento.
Non mi dilungherò molto anche perché ormai che siamo così vicini alla fine di questa avventura lascerò alcune riflessioni e ringraziamenti per il prossimo capitolo conclusivo.
Io ringrazio tutti voi per l'affetto e la pazienza e ci vediamo al prossimo capitolo!
Un abbraccio!


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Capitolo 33
*** Happy Ending ***


33.Fin

Capitolo Trentatré: Happy Ending

I've had enough hurt already in my life.

More than enough.

Now I want to be happy”

~ Haruki Murakami

I respiri rimasero congelati per istanti infiniti.

Steve sbatté le palpebre una, due, innumerevoli volte, il volto schizzato di sangue non suo e l'espressione sconvolta. I suoi occhi cerulei scivolarono verso il basso osservando il cadavere ghignante di Sinthea Schmidt; gli occhi aperti, il sorriso felino impregnato di sangue e un perfetto piccolo cerchio scuro in mezzo alla fronte: il foro d'entrata del proiettile che l'aveva uccisa all'istante. Steve rifletté che non doveva essersene nemmeno accorta. Non si era nemmeno resa conto che stava morendo.

Gli istanti di finta calma cessarono di colpo e l'intera squadra si mise al riparo e ben allerta; il biondo supersoldato rimase con lo scudo alzato per svariati secondi senza che nulla succedesse. Assicuratosi che chiunque avesse ucciso Sin non li avrebbe attaccati, calò lo scudo e si ritrovò faccia a faccia con Natasha Romanoff, che non perse tempo e gli rifilò uno schiaffo talmente forte che non solo lo costrinse a girare il capo ma risuonò per tutta l'area.

«Steve Grant Rogers» sibilò furiosa «Non ti azzardare a farlo mai più! Che ti è saltato in mente?!» lo afferrò per la divisa «Non provare mai più a lasciarmi indietro».

Steve rimase a guardarla come folgorato, la strinse a sé e la baciò intensamente.

«Perdonami» le sussurrò dolcemente.

Natasha ricacciò indietro le lacrime e inspirò profondamente, mentre il suo cuore ricominciava a battere regolarmente.

«Dopo questa, dovrai passare il resto della tua esistenza a farti perdonare, Rogers» mormorò senza staccarsi da quell'abbraccio. Steve sorrise contro i suoi capelli;

«Non chiedo altro любовь моя [amore mio]».

Natasha rimase sorpresa e un lieve sorriso dipinse il suo volto di nuove sfumature.

«Mi spiace interrompere i due piccioncini. Sono l'unico che si sta chiedendo che diamine è successo? E sopratutto chi cavolo ha sparato alla pazza?» la voce a metà fra l'isterico e l'ironico di Tony Stark si intromise senza tante cerimonie.

«Una giusta domanda» asserì Clint mentre con lo sguardo perlustrava ogni anfratto del paesaggio circostante «Non sembra esserci anima viva intorno a noi».

«JARVIS analisi del perimetro» ordinò Iron Man mentre il resto della squadra restava in attesa.

«L'esito è negativo» sospirò Tony incredulo.

«Dovremmo considerarlo un intervento divino allora?» borbottò Sam poco convinto.

«Sentite so che non è il massimo, ma ammettiamolo chiunque le abbia sparato ci ha fatto un favore e il fatto che lei sia morta e noi no, forse significa che non sia proprio nostro nemico» replicò pacatamente Bucky mentre sorreggeva Sharon ormai sfinita.

Il resto della squadra alla fine non poté che concordare. L'ultima testa dell'HYDRA era caduta per sempre; le squadre dello S.H.I.E.L.D. si era occupate delle teste restanti neutralizzandole. Incredibile ma vero: avevano vinto.

«Possiamo discuterne quanto vogliamo, ma siamo distrutti, molti di noi hanno bisogno di cure mediche immediate, Annabeth Munroe in primis. Se JARVIS non è riuscito a trovare nessun traccia forse è meglio così, non piace nemmeno a me ma è ora di tornare a casa» e con queste parole Steve Rogers mise fine ad ogni indugio. Forse avrebbe provato a capire, ma dopo essersi ripresi da tutto quello.

Decisero di seppellire lì la donna e poi risalirono nel jet pronti a fare rotta verso New York.


*


Poco dopo che il jet degli Avengers aveva abbandonato il luogo, un velivolo più discreto comparve disabilitando la modalità invisibile.

Nick Fury scese a terra imbrattando i propri anfibi di polvere e detriti, camminò verso il cratere provocato dall'atterraggio del Bus. Guardò in basso dove troneggiavano i detriti e poco prima gli Avengers avevano definitivamente posto fine all'HYDRA; con la punta scura dello stivale colpì con insistenza una roccia accanto a sé.

«Non potevi proprio farne a meno, eh Ivan?» sbuffò il Colonnello.

La roccia in questione scomparve non essendo altro che un finto telo schermato; ultimo giocattolo creato dallo S.H.I.E.L.D. e Ivan Petrovich padre di Yuri e Natasha, anche se putativo di quest'ultima, si alzò spazzolando con gesti eleganti la polvere dai vestiti ed imbracciando il fucile con il quale aveva ucciso Sinthea Schmidt.

«Volevi davvero che restasse in vita? Quella psicopatica andava eliminata punto, aveva ragione quando accusava Rogers di essere troppo buono» replicò il russo annoiato.

«Commovente Ivan, tutto questo per Natasha? Forse dopotutto dovresti palesarti, lei e Yuri ti credono morto da molto tempo» disse Nick tranquillo.

«Ed è meglio che resti così. Natalia mi ucciderebbe all'istante se mi presentassi al suo cospetto e dubito che mio figlio reagirebbe in modo differente» il suo sguardo si fece malinconico per un attimo.

«Cos'è quello che sento, rimpianto?».

Ivan non si diede la pena di rispondere.

«Possiamo considerare l'operazione “Dark Eagle” conclusa?» domandò Nick sospirando.

«Mio nipote ora è al sicuro, anche se non la definirei conclusa: adesso a Natalia e al Capitano spetta il compito più arduo, essere genitori» ribatté l'uomo con un lieve sorriso.

Nick Fury annuì solamente l'espressione più morbida.

«Beh divertiti come nonno, sono certo che ti troverai bene in questo ruolo» e con quelle parole Ivan Petrovich se ne andò per la sua strada senza nemmeno voltarsi indietro e vedere la faccia scioccata di Nicholas Joseph Fury. Per la prima volta nella sua intera carriera da spia, la spia delle spie era rimasta senza parole.


*


«James posso?».

Bucky Barnes alzò lo sguardo pensieroso su Bruce Banner avvolto in una calda coperta, dopo essere tornato in sé, e gli fece cenno di sedersi davanti a lui.

«Sai stavo pensando a quello che è capitato. Mi riferisco a Sinthea...»

«Già stavo pensando alla stessa cosa suppongo»

«Tu credi sia stato quell'uomo?» domandò piano Banner cercando di non farsi sentire dai compagni. James lo osservò serio e poi annuì.

«Lo immaginavo, è per questo che hai detto quelle parole-»

«E' la verità. Quell'uomo non farebbe mai del male a Natasha e alla sua famiglia, ma come sai non dobbiamo farne parole» disse Bucky con un mesto sorriso.

Bruce gli sorrise di rimando ed annuì semplicemente.


*


Il piccolo James Rogers era tutto intento a mettersi allegramente il peluche in bocca fra le braccia amorevoli della sua tata, quando d'un tratto si bloccò, gettando il morbido pupazzo a terra e iniziando a muoversi agitatissimo.

Florence Jenkins aggrottò le sottili sopracciglia, mentre Sasha e Pepper osservavano preoccupate il bambino, Laura, circondata dai suoi figli, ne era incuriosita.

Niall e Jace arrivarono di corsa con in volto un'espressione estremamente sollevata.

«Sono tornati!» proruppe l'adolescente.

Le porte dell'ascensore si aprirono non appena Jace ebbe pronunciato quelle parole; Steve Rogers e Natasha Romanoff uscirono quasi di corsa, feriti gravemente e zoppicanti si diressero dal loro bambino.

Jamie urlò felice nel ritrovarsi avvolto dalle braccia della madre, che lo strinse a sé tremando d'emozione.

«прошу прощения, прошу прощения, прошу прощения солнышке [perdonami, perdonami, perdonami piccolo sole]» sussurrò Natasha baciandolo sulla tempia morbida.

Steve abbracciò stretto entrambi trattenendo a stento le lacrime, senza aver intenzione di lasciarli andare più.

Gli altri arrivarono con calma; Pepper allargò le braccia con espressione dolce e accolse amorevolmente Tony completamente distrutto, che si lasciò cullare da quella donna a cui doveva più della vita.

Clint si gettò sul divano mentre veniva circondato dai suoi figli, che per dimostrare la loro gioia decisero di assalirlo letteralmente.

Sam sorrise osservando Niall venire abbracciato con forza da Dominil sotto lo sguardo sollevato di Katja, era tranquillo, Maria sarebbe giunta a breve.

Niko aiutò Bruce a sedersi e si misero a parlare come vecchi amici, finalmente in pace.

«Allora glielo hai chiesto?» Jace sorrise divertito all'indirizzo di Bucky e Sharon con accanto Sasha, che con occhi lucidi li osservava curiosa.

Sharon con un sorriso delicato mostrò l'anello al dito: un diamante incastonato in un'elegante montatura geometrica d'oro rosa costellata da piccoli diamanti.

JJ assisteva invece Annabeth in infermeria non volendola lasciare sola, nonostante la preoccupazione sorrise sollevato.

Erano riusciti a tornare tutti, nessuno escluso.


*


Un anno dopo...


Il suv correva placido sulla strada asfaltata costeggiata da rigogliosi alberi ricchi di foglie oro, rosse, brune.

Il cielo andava lentamente annuvolandosi ma questo non minava la bellezza del paesaggio autunnale del Vermont.

«Bellooo» Jamie Rogers dondolava allegro le gambe, incapace di stare fermo sul seggiolino, i suoi occhioni azzurro cielo osservavano meravigliati il paesaggio fuori dal finestrino.

Steve, alla guida, sorrise intenerito scambiandosi un'occhiata complice con Natasha.

«Ti piace qui Jamie?» chiese dolcemente la russa voltando il capo verso il figlio.

«Sì!» trillò entusiasta il piccolo che ormai aveva un anno e mezzo e possedeva un eloquio innaturalmente sviluppato per un bimbo della sua età.

«Anche a me, anche se non so esattamente perché siamo qui?» disse fissando di sottecchi l'uomo che amava.

Steve ridacchiò divertito e le fece l'occhiolino;

«E' una sorpresa».

Natasha sbuffò appena, ma si accontentò di continuare a guardare il paesaggio circostante.

Il supersoldato le prese la mano e se la portò alle labbra, con la coda dell'occhio la vide sorridere.

Lui era emozionato, era stata dura tenerle nascosta una cosa come quella, ma sperava con tutto se stesso che le sarebbe piaciuta.

Poco dopo virò su una stradina laterale non propriamente asfaltata, superarono alcune case dall'aspetto curato finché giunsero ad uno spiazzo verde in mezzo alla radura, dove si ergeva una deliziosa villetta in legno col tetto scuro.

«Steve?» esalò Natasha davvero sorpresa, voltandosi verso il Capitano che le sorrise rassicurante prima di scendere e prendere il figlio in braccio.

«Che ne pensi Jamie?» gli domandò stringendoselo contro.

«Wow, bella!» rispose il piccolo, poi voltò il capo «Mamma!?» chiamò volendo che partecipasse anche lei.

La donna guardava la casa incredula, si avvicinò alla sua famiglia senza dire una parola. Steve la prese dolcemente per mano e l'accompagnò fino all'ingresso: salirono i tre scalini in pietra e si trovarono sull'ampio portico arredato con sedie in legno ed una panchina a dondolo; dalle ampie finestre si poteva vedere la cucina bianca e funzionale.

Il supersoldato prese la chiave e aprì la doppia porta.

Natasha studiò basita l'interno, arredato in stile rustico ma elegante; il soggiorno era enorme, con un imponente camino in pietra e grandi vetrate che occupavano un'intera parete e mostravano il giardino posteriore.

Jamie fu lasciato libero di curiosare e scorrazzare in giro.

«Benvenuta a casa» disse semplicemente Capitan America alla sua Vedova Nera.

La russa lo guardò con sguardo luminoso.

«Dici sul serio?» chiese avvicinandosi.

«Sì! Se tu lo vuoi. Il resto della squadra mi ha dato una mano...»

«Quindi non stavate ricostruendo la casa di Clint» disse con espressione provocante, passandogli le braccia intorno al collo.

«No, non solo»

«Stai diventando bravo Rogers!» lui rise, poi l'afferrò per i fianchi e poggiò la fronte sulla sua.

«Natalia Alianovna Romanova voglio passare il resto della mia vita con te e James, voglio quella vita che non abbiamo mai potuto avere e che ora ci siamo conquistati a fatica. Voglio invecchiare in questa casa con te» le disse serio, solenne ma appassionato. I suoi occhi, gli stessi del loro bambino, erano sinceri, sicuri e liquidi come il mare calmo e profondo.

Natasha si commosse, le sue labbra tremarono per l'emozione e il cuore le parve non riuscire a contenere tutti i dolci e travolgenti sentimenti che sentiva in quel momento. Era semplicemente troppo.

Sorrise e aderì completamente al suo corpo con il proprio, lo sentì trattenere il fiato.

«Lo voglio. Lo voglio anch'io Steven Grant Rogers» sussurrò sulle sue labbra.

Lui la baciò con trasporto suggellando la loro promessa, il loro voto solenne.

«Bacio!» ridacchiò Jamie fissando i genitori.

«Vieni qui peste!» disse Steve iniziando a rincorrerlo mentre il figlio scappava ridendo come un matto.

Natasha rimase a guardarli divertita e felice, inspirò profondamente.

Sì, erano a casa ora.


Fine

____________________________________________Asia's Corner

Ed eccoci qui! Miei cari lettori al termine di una lunga, ma molto lunga avventura. Quattro anni sono passati da quando ho postato il primo capitolo di “Lasciati Salvare” senza sapere ciò che poi sarebbe diventato, addirittura una trilogia! Se me l'avessero detto non ci avrei creduto e invece è proprio così.
Posso dire che sono cresciuta con i miei personaggi, per me è difficilissimo ora lasciarli andare, se mi impegnassi troverei altri mille modi per continuare ma non è il caso... Mi hanno dato tantissimo e ho raccontato di loro in un modo che non credevo di poter scrivere.
E' davvero giunto il momento per Natasha e Steve di riposare e godersi il loro bel bambino!
Io non credevo di poter creare tutto questo, so che non è perfetto ma è mio, è ciò che sono in grado di fare... E sono davvero contenta così!
Io ringrazio tantissimo, e se potessi usare altre parole – migliori – lo farei, tutti coloro che mi hanno seguito in questi anni! Chi qui su efp chi su fb, siete stati pazienti e comprensivi e i vostri messaggi e le vostre recensioni mi hanno sempre commosso e fatto andare avanti anche quando davvero ero in difficoltà.
Alcuni mi hanno detto che questa storia è stata un ispirante per loro, almeno un po' e io di questo non posso che andare fiera! Spero nel mio piccolo di aver regalato qualcosa a tutti voi!
Un grazie speciale va sicuramente a Midnightsunflower, Airaharune, Saa89 loro sono stati con me dall'inizio alla fine facendomi sempre sapere la loro opinione ad ogni capitolo! E' bellissimo come da una semplice storia possano nascere anche amicizie che poi sfociano nella vita quella reale!
Non penso abbandonerò mai del tutto questo fandom, sopratutto ho molte altre storie da scrivere e come sapete qualche drabble e flashfic da continuare, ma per il momento mi prendo una pausa.

Io mi inchino virtualmente, vi ringrazio e vi saluto!

Ps. Come potete vedere questa storia ancora non può dirsi “completa”, perchè? Beh ma che discorsi, abbiamo un matrimonio a cui partecipare no?
Inoltre una bella oneshot su quei due bricconcelli di Sasha e Jace penso ve la meritiate, perché no?
Stay tuned! Non vi liberete di me così facilmente!
Vi voglio bene!

Asia


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Capitolo 34
*** - Extra - Fiori d'Arancio ***


Fiori d'arancio
https://i.ibb.co/r7szq29/Extra-Fiorid-Arancio-cover.jpg



I think it's brave to try to be happy”
~ “Pushing Daises”


«Cosa ne pensi?» chiese pazientemente Natasha, per quella che era la nona - almeno credeva - sinceramente aveva smesso di tenere il conto dopo il sesto abito, sollevando lo sguardo attento sulla futura sposa.
Sharon Carter pareva sull'orlo delle lacrime. Se ne stava ritta come uno spillo, le spalle tesissime su quella piccola pedana, fissando sconcertata la propria figura tornita, riflessa su ben tre – perché uno non era abbastanza crudele – eleganti specchi fasciata in un luccicante abito a sirena.
Natasha lo capì immediatamente: lo odiava. E lei non poteva che darle ragione.
Si scambiò un'occhiata veloce con Maria, la cui espressione era rigida, come se si stesse tenendo pronta per l'inevitabile scoppio.
Era venerdì mattina e Sharon, insieme a Natasha con il piccolo Jamie, Maria e Alexandra, si era finalmente decisa a cercare quel benedetto abito da sposa. A due settimane dalle nozze, si trovavano in un piccolo ma elegante atelier, che vendeva abiti da sposa ricercati di designer emergenti.
Da quella folle proposta erano passati quasi due anni e mezzo; non che non ci avessero provato ad organizzare il matrimonio. Una volta era stata fissata anche una data! Che però era stata presa a calci dall'emergenza o dalla missione di turno. Dopo tanto penare finalmente quella pareva la volta buona, anche se tutto era stato organizzato in fretta.
Sasha strinse a sé Jamie, che da poco aveva compiuto tre anni. Jace le aveva appena scritto un messaggio per informarsi su come procedessero le cose, ma sinceramente non sapeva se scrivergli la verità. Quell'attimo di indecisione fu colto da Sharon che scoppiò. Si voltò di scatto e afferrò il cellulare prima che chiunque potesse fermarla.
«Adesso lo chiamo e gli dico che non possiamo sposarci!» disse con sguardo febbrile;
«Sharon! Dammi quel cellulare» sibilò Natasha alzandosi, ma era troppo tardi.
«Pronto?» rispose la voce di un Bucky leggermente confuso;
«James..!» iniziò la fidanzata disperata;
«Sharon dammi quel dannato telefono» Vedova si protese in avanti cercando di toglierle l'apparecchio a cui l'amica si stava aggrappando, quasi fosse il suo unico appiglio nell'intero universo.
«Sharon? Ragazze che succede?» ora James era un tantino agitato;
«James! Mi dispiace... Dobbiamo annullare le nozze-! Io-»
«COSA!?»
«SHARON!»
«Sharon non costringermi a schiaffeggiarti!» trillò Maria esasperata.
E mentre il Soldato d'Inverno rischiava l'infarto sostenuto da Sam, quanto mai confuso; Natasha riuscì dopo svariati minuti di imprecazioni, minacce di morte e parole folli a strapparle il cellulare di mano e a chiarire la situazione. Chiuse la comunicazione senza nemmeno premurarsi che James avesse capito quello che era successo in quei pochi minuti concitati.
«Mamma...» pigolò il piccolo Jamie a quel punto, richiamando la sua attenzione «La zia sta bene?».
Natasha sospirò poi fece un sorriso delicato;
«Sì солнышке, ha solo bisogno di un momento di riposo» lo rassicurò.
«O di un sedativo» frecciò Maria sollevando un sopracciglio. La russa si trattenne dal ridere, poi assunse il comando.
«Mi scusi signorina potrebbe portarci dell'altro vino?» chiese affabile alla commessa, che fu ben lieta di prendere il volo – non che ormai non fosse abituata a certe crisi isteriche - «Maria libera il camerino da tutti quegli abiti, Sharon ha bisogno di respirare, Alex perché non l'aiuti a togliersi quest'ultimo con calma?» le due annuirono mentre Sharon si torturava le labbra in pena, poi si rivolse al figlio tendendogli la mano «Ora Jamie cerchiamo noi un bell'abito a zia Sharon».

Natasha osservava con occhi critico svariati abiti ordinatamente appesi, era immersa in un connubio di stoffe delicate e dai toni talmente candidi che le pareva di essere in un paesaggio innevato. Jamie le era aggrappato ai pantaloni e guardava frastornato e incantato tutti quei vestiti elegantissimi dai differenti toni chiari.
«Mamocka?» la chiamò «Quando ti vesti da pri-cipessa anche tu?».
La donna convogliò l'attenzione sul bambino e lo fissò in quegli abbaglianti occhioni azzurri, del tutto identici a quelli del padre, e gli sorrise dolcemente.
Jamie a quel punto si sporse per farsi prendere in braccio. Quando sua madre sorrideva in quel modo lui sentiva l'immensa voglia di stringersi a lei, perché sapeva che era un sorriso speciale quello, era solo suo... E di papà. E papà diceva sempre che quel sorriso andava protetto.
Natasha accolse la sua richiesta e lui si ritrovò fra le sue braccia amorevoli, poggiò il capo rosso e riccioluto sulla spalla; aveva sempre un buon profumo la sua mamma: sapeva di pane, lavanda e di bosco... Insomma di casa.
«Chissà солнышке, a papà piacerebbe di sicuro» rispose lei con espressione malandrina «Potremmo chiederglielo».
Jamie era certo di non aver capito a fondo le parole di sua madre ma le sembrava allegra, quindi la risposta gli bastò.
«Mamma, questo!» disse sicuro quando Natasha estrasse l'abito per osservarlo meglio. Lei annuì di rimando.
«Ottimo lavoro».

Sharon trattenne impercettibilmente il respiro fissando rapita la sua figura allo specchio.
L'abito di un delicato avorio, le cadeva morbidamente addosso, accarezzando le sue forme. Era semplicissimo: di pregiata seta, a maniche corte con un profondo scollo sulla schiena ma senza nessun altro ornamento o fronzolo, una semplice fascia pendeva mollemente sulla vita, dando l'effetto di essere casuale quando invece era stato tutto studiato al dettaglio, la gonna scendeva soffice fino ai piedi terminando con un corto strascico.
«Sharon tutto bene?» le chiese gentilmente Alexandra emozionata.
L'agente 13 spostò lo sguardo su Natasha che ricambiò serena, non servì che si dissero altro; con grande calma posò una dolcissima carezza sul capo del nipotino.
«Grazie Jamie, è perfetto».
Si guardò un'ultima volta: sì, quello era l'abito giusto per sposare il suo Soldato.

Notte prima della Nozze

«Un brindisi al futuro sposo!» gridò Sam leggermente alticcio.
«Un altro?» domandò sconcertato Bucky avendo perso il conto di quanti brindisi l'amico aveva ormai propinato.
«Lascialo fare Buc, almeno lui può ubriacarsi» Steve gli batté amichevolmente la mano sulla spalla. Già, perché nonostante fosse il suo addio al celibato né lo sposo né i suoi testimoni potevano ubriacarsi a causa del loro rapido metabolismo, beh solo uno dei due.
Bucky ridacchiò osservando Sam e Clint cantare ridanciani a squarciagola una canzone in verità tristissima, Tony si unì presto a loro così come un ormai maggiorenne Jace, anche se decisamente più sobrio degli altri tre. Phil Coulson manteneva il suo decoro, anche se le gote non era più pallide ma chiazzate di rosso da un bel po'. Mack e Hunter – loro ubriachi fradici – si sfidavano in alquanto ridicole manifestazioni di mascolinità sotto lo sguardo divertito di Triplett e appannato di Leo Fitz. Niko, Bruce e Niall parlavano allegramente, anche loro impossibilitati ad abbandonarsi ai fumi di Dioniso.
«Ma sta accadendo davvero?» chiese ad un certo punto Bucky guardando il suo migliore amico con occhi quasi lucidi e spaesati. Steve sorrise ed annuì, capendo perfettamente lo stato d'animo dell'amico. Non c'era giorno in cui si svegliasse accanto a Natasha, con Jamie che faceva capolino nella stanza e si chiedesse se tutto quello fosse davvero possibile. Erano figli di un altro tempo, entrambi avevano perso molto nel corso di quella loro strana vita ed ora erano riusciti a conquistarsi qualcosa di vero, intenso e stabile: una famiglia.
«Sì Buc, sta succedendo davvero» rispose con un sorriso soffuso di dolcezza e comprensione «E domani a quest'ora Sharon sarà tua moglie» gli confermò.
Lo sguardo di James Barnes si accese a quelle parole, in sereno tumulto per quel pensiero tornò a dedicarsi all'allegra compagnia che nel mentre aveva cambiato canzone e ne stava inventando una tutta dedicata al Soldato d'Inverno.
Hunter nel frattempo si era alzato e con passo malfermo si era diretto verso Bucky biascicando parole di sfida che si spensero nell'esatto momento in cui l'agente operativo inciampò fra sedie e tavolo e crollò a terra fra l'ilarità generale.
Steve strinse appena la spalla dell'amico e si alzò dal tavolo, assentandosi momentaneamente.

«E' già tardi per la “buonanotte” vero?» domandò con un sorriso Steve al telefono.
«Purtroppo sì, tutta la situazione l'ha reso euforico ma questo l'ha fatto crollare prima, fortunatamente» rispose Natasha dall'altro capo.
«Il viaggio deve averlo stancato, meglio così»
«Già. Come vanno le cose lì al pub?» si informò la compagna divertita.
«Oh beh uno spettacolo te lo assicuro, incredibile come non riescano a prendere nemmeno una nota» la sentì ridacchiare e lui sorrise felice.
«Lì invece come procede la situazione?»
«Più sobria, circa... Katja e Dominil sono arrivate nel tardo pomeriggio, le stanno tartassando di domande»
«Si trovano bene a Reykjavik?»
«Molto. Ci hanno invitato ad andare da loro per Capodanno»
«Mi piace come suona. Quindi... niente stripper?»
«Oh tesoro se ne volevo uno, te lo avrei chiesto» Natasha ridacchiò, anche se non poteva vederlo era certa che fosse arrossito.
«Pft! Va bene, non ti prenderai altre soddisfazioni da me per stasera. A domattina Nat» concluse poi dolcemente.
«Sogni d'oro Capitano» sussurrò lei amorevole chiudendo la chiamata.

Erano le quattro del mattino e Natasha si aggirava per l'enorme soggiorno della casa di campagna che avevano affittato per il matrimonio. Si trovavano nel Cotswold, nelle dolci colline inglesi poco fuori Londra. Celebrare il matrimonio in Inghilterra per Sharon era stata la cosa più importante: era la terra natia della famiglia di suo padre, di zia Peggy, che era venuta a mancare l'anno addietro, fra la disperazione di tutti loro, ma almeno l'anziana eroina aveva potuto conoscere il piccolo James.
Scavalcando le figure addormentate delle invitate, tra cui Dominil e Ekaterina, May, Skye, Simmons e Bobbi, si diresse vicino al camino dove Sharon Carter - ancora per poco - avvolta in una morbida vestaglia osservava in silenzio le fiamme, che lentamente morivano.
«Tutto bene?» le chiese Vedova Nera accoccolandosi sulla poltrona davanti a lei «Lo sai vero che se vuoi fuggire, possiamo essere in un'isola tropicale in una manciata di ore».
L'agente 13 rise leggera e si voltò verso l'amica;
«Faresti questo per me? Lasciando qui Jamie e Steve?»
«Eh quando la sposa chiede, la damigella d'onore esegue» replicò ammiccando. Le due scoppiarono a ridere, ben attente a non svegliare l'intera combriccola.
«Grazie per l'offerta. Sono solo un tantino agitata...» nel dirlo posò la tisana in grembo e si passò distrattamente una mano sul ventre.
Natasha la guardò con sorriso soffuso di dolcezza;
«Cosa c'è?» chiese pacatamente.
«Non lo so... E se dovesse cambiare qualcosa? Insomma è ridicolo, conviviamo da cosa? Tre anni ormai? Ho sentito dire che “la principale causa di divorzio è il matrimonio stesso”» rispose concitata e un po' sconsolata.
«Forse perché la gente si aspetta che cambi qualcosa» ribatté la spia meditabonda «Magari pensa che sposandosi i difetti dell'altra persona magicamente spariscano, che qualcosa sarà differente, ma non è così. La persona che sposi è esattamente quella che ti fa innervosire e spazientire certe volte e ti farà innervosire e spazientire anche dopo, allo stesso modo. Ci si concentra troppo sulle promesse che l'altro ci ha fatto all'altare, senza pensare a mantenerle. Sharon tu sposi James perché pensi che cambierà qualcosa?» la punzecchiò alla fine.
«Lo sposo perché lo amo. Non ho bisogno che qualcuno certifichi il mio amore per lui o il suo amore per me, la nostra relazione è unica e diversa da tutte le altre. Io lo sposo perché voglio che lui sia mio marito e io sua moglie ma questo non ci cambierà, saremo sempre noi».
Natasha la guardò con un bel sorriso sulle labbra rubre e Sharon sorrise con lei commossa;
«Grazie».
«Dovere».

Il Giorno delle Nozze

«Ancora cinque minuti!» borbottò la bionda agente nascondendosi ancora di più fra le lenzuola ed evitando la chiara e soffusa luce del sole settembrino.
«D'accordo tesoro. Tanto non credo inizierebbero la cerimonia senza di te» replicò melliflua Natasha Romanoff.
Sharon fece un balzò dal letto e al diavolo la fastidiosa luce del mattino, era il giorno del suo matrimonio e lei aveva dormito si e no quattro ore!
«Oddio che ore sono? Siamo in ritardo?» osservò la sua damigella d'onore, che se ne stava tranquillamente seduta sul letto avvolta in una vestaglia di seta blu notte, con addosso l'espressione più pacifica del suo repertorio.
«Sono le otto tranquilla abbiamo un paio d'ore, se sua maestà smette di fare la bella addormentata» rispose divertita.
«Potevi svegliarmi prima!» si lamentò la sposa;
«Eri troppo carina mentre dormivi» ridacchiò l'amica.
Quel piacevole scambio di battute venne interrotto dall'altra damigella: la sedicenne Alexandra entrò in camera, più bella che mai, e annunciò a gran voce:
«La parrucchiera e la truccatrice sono qui!».

Nell'ala opposta a quella della sposa, lo sposo e i suoi testimoni erano invece nel più totale fermento, per non dire panico... Le fedi erano sparite.
«Buc andiamo calmati, vedrai che le troveremo».
Jace Watson-Barnes osservò paziente colui che da un paio d'anni era ufficialmente diventato suo tutore legale. Suo padre James Barnes si guardava attorno disperato, mentre Sam Wilson e Steve Rogers mettevano a soqquadro la stanza per ritrovare quelle maledette fedi.
Tony Stark aveva appena deciso di mettere il naso nella stanza, ancora rintronato dal post sbornia, ma vedendo le facce di sposo e testimoni optò per farsi un doppio caffè prima di osare chiedere che diamine stesse succedendo.
«Sharon mi ammazza, anzi prima di lei Natasha mi ammazzerà» borbottò sconsolato, seduto accanto al figlio con i corti capelli sparati in tutte le direzioni vestito solo in boxer e camicia.
«Sono sicuro che mamma- No hai ragione tu».
In tutto quel mare di agitazione e disperazione, Jamie Rogers fece la sua comparsa con un adorabile pigiamino con le scimmiette, saltellando vispo verso il padre.
«Jamie piccolo mio!» disse Steve, sollevandolo e stringendoselo contro.
«Ciao zii, ciao Jace! Papà, mamma dice che ha lei i-» Jamie corrucciò la piccola fronte in uno sforzo di concentrazione. Steve lo trovava semplicemente adorabile, guardando la piccola lingua pigiata fra le labbra e gli occhi azzurrissimi farsi stretti stretti.
«I cosi rotondi papi dai!» sbuffò il bambino, deliziato però dal tocco soffice di suo padre tra i capelli ribelli.
«Le fedi?»
«Sì quelle!».
Jace scoppiò a ridere fragorosamente, mentre il resto dei presenti non sapeva se essere sollevato o attonito. Il diciottenne constatò come Natasha Romanoff fosse un passo davanti a tutti anche in occasioni come quelle.

«Sei un incanto Alex!» Sharon guardò con ammirazione la giovane ormai pronta. Sasha in quegli anni si era fatta proprio una bellissima ragazza. Il suo fisico minuto era fasciato nell'abito da damigella: una canottiera di seta e pizzo color champagne e una gonna appena più lunga del ginocchio in tulle color rosa antico, i lunghi capelli castani erano stati intrecciati in un'elegante e corposa treccia, adornata qua e là da piccole e graziose foglie d'edera verde, donandogli un'aria fiabesca.
«Sharon ha ragione девочка моя [piccola mia]» concordò Natasha comparendo nel riflesso dello specchio accanto a lei. Il suo abito differiva nel colore della gonna: un aristocratico blu di prussia. I fulvi capelli della spia erano stati acconciati in uno chignon basso, anch'essi adornati da qualche foglia d'edera, alcuni ciuffi morbidi e ondulati erano stati lasciati liberi e le circondavano graziosamente il volto.
«Sharon anche tu sei stupenda» replicò Sasha imbarazzata ma anche commossa nel vedere la sposa.
I biondi capelli dell'agente 13 erano stati legati in una raffinata coda bassa, tenuta ferma dall'antico e prezioso fermaglio di Peggy Carter, ultimo dono fatto alla nipote in vista delle nozze. Il trucco leggero illuminava il viso roseo della donna.
Natasha la guardò con approvazione e dolcezza.
«Pronta per l'abito?».

«Ecco dov'eri finito Солнышко [piccolo sole]» Natasha entrò nella camera dove Steve Rogers si stava preparando, mentre il figlio già vestito lo guardava con ammirazione.
«мамочка!» trillò allegro Jamie steso a pancia in giù sul letto.
«Wow» disse semplicemente il capitano, voltandosi per guardare meglio la compagna. Natasha abbassò appena lo sguardo lusingata, le labbra tese in un sorriso orgoglioso.
«Sei... bellissima amore mio» aggiunse nel ritrovarsela a pochi centimetri da lui.
«Grazie, anche tu non sei male моя любовь [amore mio]» disse con un sorriso irriverente. Le dita lunghe e chiare di lei corsero alla cravatta e con gesti lenti ma precisi iniziò a fargli il nodo.
Steve, pur sapendolo fare, lasciò che facesse lei, godendosi i suoi gesti e fissandola innamorato.
Jamie guardò i suoi genitori con attenzione, sua madre aveva un sorriso delicato e dolcissimo, mentre suo padre la guardava come se non esistesse cosa più importante di lei al mondo; chiuse gli occhi tranquillo sentendosi inspiegabilmente cullato dall'atmosfera che si era creata.
«Grazie» disse alla fine Steve, depositandole un veloce e tenero bacio sulle labbra.
«Non c'è di che» rispose facendogli l'occhiolino.
«Andiamo Jamie, ti mostro cosa devi fare con le fedi».
Il bambino annuì e prese per mano la madre.

Jace stava cercando la stanza di Sharon quando per poco Alexandra non gli rovinò addosso.
«Ehi Sasha stai-» lasciò cadere la frase a metà, fissandola imbambolato.
«Ace scusami, ehm tutto bene?» Alex gli si fece più vicino, preoccupata che non le rispondesse.
No. No, no Sasha non avvicinarti così, non con quell'espressione o io... davvero... perderò il controllo”.
«Sì bene, bene. Sei- ehm sei davvero carina Sasha!»
Bella deficiente! Bella, bellissima!”
«Anzi molto di più» continuò con tono più sicuro e controllato.
La ragazza avvampò di colpo e si morse le labbra lucide di gloss.
«G-grazie Jace! Anche tu stai molto bene» Alexandra sorrise, mentre dentro di sé ribolliva di sentimenti inespressi.
«Io sto cercando Sharon...»
«Oh sì è in questa stanza! Ci- ci vediamo all'altare» si schiaffò una mano sulla fronte per quella frase equivoca.

«Come mai sei tutto rosso tesoro?» chiese Sharon osservando Jace entrare trafelato nella sua stanza.
«Ho corso» inventò il giovane ficcandosi le mani nelle tasche degli eleganti pantaloni scuri «Pensavo di essere in ritardo» continuò mentendo.
«Ah. Quindi non hai visto la dolce Alex?» chiese astuta la donna, assottigliando lo sguardo.
Jace diventò ancora più rosso;
«Sei sleale»
«E tu devi imparare a mentire meglio su certe questioni» lo prese in giro lei. Si alzò e si tolse la vestaglia mostrandosi al figlio.
L'espressione del ragazzo si ammorbidì, i suoi occhi blu si fecero tersi e lucidi e un sorriso dolce e incantato si tinse sulle labbra.
«Sei bellissima mamma» disse con trasporto, dandole un lieve bacio sulla guancia.
Sharon si commosse e con meraviglia constatò che si era fatto grande il suo Jace, era ormai alto quanto James.
Il giovane le porse il bouquet di fiori di campo blu, rossi e bianchi con felci e edere.
«Sei pronta?» chiese porgendole il braccio.
Sharon gli sorrise e accettò, posandogli la mano sulla piega del gomito.
«Andiamo».

James fremeva d'emozione. Si passò ancora una volta la mano metallica fra i capelli corti, osservando poi gli invitati prendere tutti posto; fece un cenno alle due ex Winter Soldiers: Dominil e Katja, a Bruce che aveva preso posto in prima fila accanto a Tony e Pepper. Jamie lo salutò allegro mostrandogli le fedi sul cuscinetto stretto tra Potts e Yuri che gli scoccò un sorriso d'incoraggiamento.
«Ehi dude, stai tranquillo, andrà tutto bene!» Sam gli circondò il collo con un braccio e lo guardò con affetto sincero e Bucky sorrise grato di avere amici come lui e Steve.
A proposito del Capitano giunse in quel momento insieme a Fury, pronti per iniziare la cerimonia.
Improvvisamente Bucky avvertì la gola secca e l'unico suono che percepiva era il suo povero cuore battere pesante e lento nel suo petto, con la coda dell'occhio cercò il supporto di Steve e Sam che gli sorrisero incoraggianti.
Si trovavano in uno spiazzo verde circondato da alberi che lasciavano comunque intravedere il paesaggio collinare inglese schizzato da acerbi colori autunnali.
L'allestimento era stato minimale ma d'effetto: panche di legno grezzo per gli invitati e un semplicissimo gazebo in legno chiaro decorato con tralci d'edera e teli bianchi. L'aria seppur fresca era riscaldata da un limpido sole di settembre.
Fury, in veste di celebrante d'eccezione, scambiò un cenno con lo sposo e i testimoni, mentre una delicata melodia suonata al pianoforte si propagava nell'aria annunciando a tutti l'inizio della cerimonia e l'arrivo della sposa.
La giovane Alexandra avanzò con passo aggraziato verso lo sposo, l'espressione emozionata e fra le mani lo stesso bouquet della sposa ma di dimensioni ridotte, sorrise a Bucky e poi si mise di lato. Natasha camminava serena dopo la figlioccia, il suo sguardo incrociò quello di Steve e da lì non si mosse più.
Una volta che anche la damigella d'onore ebbe raggiunto il gazebo tutti si voltarono per assistere all'entrata della sposa.
Bucky trattenne il fiato nel vedere Sharon in abito da sposa incedere verso di lui, accompagnata da Jace.
La sua espressione si fece teneramente innamorata, guardando la sua futura moglie come se fosse l'unico centro del suo mondo. Era meravigliosa la sua ragazza dell'estate. Lei sorrideva radiosa, fiduciosa verso di lui.
Jace porse delicatamente la mano a James, ma prima abbracciò emozionato entrambi i suoi genitori adottivi, che così tanto gli avevano dato in quegli anni e commosso si mise dietro a Sam, mentre Sasha gli mostrava un dolce sorriso d'approvazione.
Fury guardò con orgoglio non solo i due sposi, ma il suo sguardo abbracciò tutti i presenti, poi iniziò a recitare:
«Siamo qui riuniti oggi per celebrare il matrimonio tra...».
Venne poi il momento dei voti nuziali.
James prese la mano di Sharon e la guardò con occhi colmi di sentimenti troppo forti per essere espressi a parole;
«Mia Sharon, mia dolce estate» esitò poiché la voce gli tremò leggermente «Non avrei mai pensato che malgrado tutti i miei peccati, tutto il dolore, la vita mi donasse qualcosa di così meraviglioso.» Sharon si morse la labbra trattenendo a stento le lacrime impigliate fra le sue ciglia «Grazie per avermi trovato, per avermi accolto e accettato. Grazie per avermi accolto di nuovo nonostante ti avessi ferito. Grazie per avermi donato una vita, poiché il tuo amore mi ha riportato alla vita. Ti amo Sharon Carter e prometto che non mi separerò più da te».
L'agente 13 sorrise tremula, mentre lacrime di gioia le scendevano delicate e lucenti sulle guance. Si schiarì la voce e poi prese parola;
«James... Non è stato facile all'inizio, ricordi? Ma quello che hai saputo darmi e insegnarmi non lo potevo trovare in nessun altro se non in te. Grazie per avermi dato la possibilità di amarti in modo vero e profondo, sei tu che hai trovato me. L'inverno non ci fermerà, ti amo».
Tutti i presenti erano commossi da quelle promesse così appassionate e toccanti. Dominil strinse la mano a Katja poggiando la testa sulla sua spalla, Pepper dovette nascondersi dietro un fazzoletto e persino Tony dovette distogliere, per qualche istante, lo sguardo. Sasha piangeva silenziosamente e addirittura Natasha alzò lo sguardo al cielo per impedire alle lacrime di scendere. Sam aveva gli occhi lucidi e il suo sguardo scivolò irrimediabilmente su Maria, e sorpreso notò come stesse stringendo le labbra e torturasse un fazzolettino fra le dita pallide, sorrise intenerito.
«Bene ehm ehm-» Fury cercò di darsi un tono «Ora passiamo allo scambio degli anelli». Steve e Natasha fecero un cenno al piccolo Jamie, che felice si alzò portando fiero le fedi agli zii.
«Vuoi tu, James Buchanan Barnes, prendere la qui presente Sharon Virginia Carter come tua sposa?»
«Sì, lo voglio».
«E vuoi tu, Sharon Virginia Carter, prendere il qui presente James Buchanan Barnes come tuo sposo?»
«Sì, lo voglio!».
«Bene, per l'autorità a me conferita vi dichiaro ufficialmente marito e moglie. Ovviamente puoi baciare la sposa».
James non se lo fece ripetere una seconda volta e coinvolse sua moglie in un bacio appassionato, fra lo scroscio di applausi degli invitati.

Il banchetto si svolse sotto l'enorme portico che dava sul giardino interno della villetta. Tra l'allegro chiacchiericcio e dolci risate furono enunciati i discorsi di testimoni e damigella d'onore.
Poi venne il momento del primo ballo degli sposi.
Bucky strinse delicatamente a sé Sharon, iniziarono a danzare lentamente, lasciando il resto fuori.
Si aggiunsero diverse coppie: Tony e Pepper, Dominil e Katja, Sam e una ritrosa Maria, Phil e Melinda, Skye e Triplett, degli imbarazzatissimi Alex e Jace ed infine Steve e Natasha, Jamie si infilò fra i genitori e il capitano lo prese in braccio senza smettere di far volteggiare la sua dolce metà.

Quella notte Sharon Carter-Barnes si accostò al petto del marito, dopo aver fatto l'amore, lo baciò piano sulle labbra sotto lo sguardo attento e adorante di lui.
«Buonanotte marito».
James ridacchiò e l'attirò ancora di più sé in un moto di protezione e appartenenza.
«Fai bei sogni moglie».

Fin



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