Delete

di MissKenobi
(/viewuser.php?uid=969883)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Capitolo 1
  

 
 
Negli ultimi mesi, trascorsi molto tempo a documentarmi sulla perdita di memoria; scoprii diverse cose, alcune molto interessanti e altre totalmente inutili.

Venni a sapere di una donna del Minnesota, una certa Katryn Dowson, che svegliandosi un mattino e trovandosi in un letto con uno sconosciuto, prese la pistola che costudiva gelosamente nel cassetto e sparò all’uomo. I vicini, sentendo lo sparo, chiamarono il 911; quello che la polizia trovò al suo arrivo, fu una donna in preda ad uno stato confusionale.

Seguii con interesse lo sviluppo del processo; la donna più volte dichiarò di non sapere chi fosse quell’uomo e che la sua era stata legittima difesa.

 Non cambiò mai versione, neanche una volta.

Purtroppo per lei, l’uomo che  non dichiarava di conoscere, era Marc Dowson: erano sposati da venticinque anni e avevano due figlie.

Quando le venne spiegato, Katryn continuò a sostenere di non ricordare nulla.


 
 Quando mi sveglio al Lenox Hill Hospital di New York, trovo mia madre parecchio invecchiata.

Ricordavo di averla vista solo pochi giorni prima; avevamo pranzato insieme in un piccolo bistrot e subito dopo eravamo andate insieme alla ricerca del mio abito da sposa.

“Quando è nata?”

“Mi scusi?”

Non mi ero resa conto del dottore che stava dietro di lei.

“Quando è nata?”

“Nel 1983”

“Ricorda il suo nome?”

“Emma Swan”

“Esatto”

“Emma, quando ha avuto l’incidente, ha colpito con violenza la testa contro le scale della metropolitana, riportando una lieve commozione celebrale”.

Quale incidente? Io non avevo avuto nessun incidente. Ricordavo chiaramente di essere andata a dormire la sera prima dopo aver visto per l’ennesima volta Titanic in televisione.

“Emma, può dirmi in che anno siamo?”

Guardo mia madre in preda al panico; deve essere chiaramente uno scherzo di cattivo gusto.

“Anno?

“Non si agiti” mi rassicura “ è una domanda semplice”

“Nel 2012, ovviamente.”

“Emma, oggi è il 4 giugno 2016”.

Ieri era 7 settembre 2012 ed io stavo progettando il mio matrimonio, com’è possibile che ora sia il 4 giugno del 2016?

“Che altro ricorda?” chiede il dottore.

“Non so” rispondo sulla difensiva, ancora convinta che tutto questo sia soltanto uno scherzo di pessimo gusto “ tutto quanto credo…il mio lavoro, i preparativi per il matrimonio”.

“Si ricorda di suo figlio?”

Ho voglia di scappare.

“Il mio cosa?”

Il dottor scuote la testa, mentre guarda mia madre.

“Suo figlio, Henry. Ha sei anni. Se ne ricorda?”

“Io…io non ho un figlio. Lei non capisce. Io non posso avere un figlio; mi devo sposare fra quattro settimane, è fuori discussione che io abbia un figlio”.

“Emma” il dottore mi guarda dritto negli occhi “ è normale che in questo momento si senta spaesata, ma è chiaro che abbia dimenticato un pezzo della sua vita.”

“Mi sta dicendo che ho dimenticato quattro anni della mia vita? Ho dimenticato di avere un figlio?”

“Così sembra, almeno per il momento.”

Non è possibile.  Non è possibile dimenticare quattro anni della propria vita. Sono cose che capitano nei film o al massimo nelle serie tv, non certo nella vita reale.

“Aspetti, proviamo in questo modo” dice il dottore prendendo una busta da quello che credo sia un armadio.

“Si ricorda di lei?” mi porge una fotografia.

Sento una specie di fruscio nelle orecchie mentre la fisso.  Deve essere uno scherzo.

La foto mostra due donne abbracciate su un qualche spiaggia esotica. Una di quelle due donne sono io.

“Cos’è uno scherzo?”

“Si ricorda di lei?”

“Ricordami di lei? Credo sia una qualche attrice…credo di averla vista in televisione”.

Ora mia madre sembra preoccupata.

“Tesoro, quella è Regina”

Regina!

“Oh si! Regina Mills, vero?”

“…tua moglie, cara” dice mia madre.

Mia moglie? No. Neanche per sogno.

“Non ricordi?”

Scuoto la testa, intontita.

Come diavolo è potuto succedere tutto questo?
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




Capitolo due
 
 
Perdere il passato significa perdere il futuro.
(Wang Shu)
 
Ho incontrato mia moglie.
 
Mia moglie, sì. Me lo ripetono tutti “Emma, ti ricordi di lei? E’ Regina! Tua moglie”. Come se fosse scontato, come se fosse facile, come se semplicemente fosse… Ma non è. 

Non è facile. Non so chi sia. Non ricordo di averla sposata, non ricordo di averla amata. Non ricordo e basta. Eppure è successo. Ho amato questa donna. Me lo ripetono in continuazione. Come se fosse abbastanza, come se fosse semplice.  Non lo è.

Mia madre non mi lascia mai. È preoccupata. Come potrebbe non esserlo? Sua figlia ha dimenticato quattro anni della sua vita. Ogni giorno mi porta qualcosa; foto, vestiti, giocattoli di mio figlio. Li chiama pezzi di vita. Dice “magari così ti ricordi qualcosa, tesoro”. Non succede. Non ricordo nulla.

Mai.

Guardo quelle foto, annuso quei vestiti che sanno di mela e cannella. Un profumo sconosciuto. Due profumi mischiati insieme ad una vita che non conosco.

Questa vita non è la mia. Quella donna così oscenamente felice in quelle foto, non sono io.  Non posso essere io. Continuo a ripetermi che è tutto uno scherzo. Non lo è.

Ogni giorno mi sveglio e ogni maledettissimo giorno ho 33 anni, una cicatrice sul polso sinistro che non ricordo di essermi fatta e un taglio di capelli che prima non avevo. 

La donna che dice di essere mia moglie, Regina, sembra essere una persona “carina”.

Non saprei come altro definirla. Sicuramente è una bella donna, molto più di quanto non lo sia io. È affettuosa, gentile e soprattutto paziente. Lo è molto. Deve esserlo o cerca di esserlo, non l’ho ancora capito.

Non mi ha mai parlato di noi, della nostra vita, prima di tutto questo. Come se ci fosse stato un prima per me. Inizio a pensare che ormai ci sarà sempre e solo un “dopo”.

Dopo l’incidente. Dopo aver perso la memoria. Dopo aver avuto un figlio. Dopo essermi sposata. Dopo aver dimenticato quattro anni della mia vita.

Ricordo che da piccola, non vedevo l’ora che arrivasse il giorno di Natale, il giorno del compleanno, il giorno del diploma, il giorno del matrimonio.

Ora vorrei solo tornare a quel “prima”. Al prima di tutto questo. Al prima di tutto questo fottutissimo disastro che è la mia vita.

Sono tutti così comprensivi con me, i medici, le infermiere, mia madre, mio padre. Tutti mi dicono “Emma, devi stare tranquilla, ricorderai.”
Cosa dovrei ricordare esattamente? Di essere sposata con una donna che non ricordo di aver mai incontrato in vita mia? A me non piacciono neanche le donne. Ho sempre e solo avuto relazioni con uomini. Ne dovevo addirittura sposare uno.

Continuo a pensare.

Non faccio altro da quando ho scoperto di aver dimenticato quattro anni della mia vita. Cosa può essere successo per farmi lasciare il mio ragazzo quattro settimane prima di un matrimonio programmato da un anno e mezzo? 

Un giorno decido di chiederlo a mia madre “perché?”

Lei capisce.

Lei ha sempre capito tutto. Non ho mai dovuto spiegarle niente. Non le chiedo “mamma, perché ho sposato quella donna? Perché ho lasciato Neal?”

Dio, Neal.

Mi manca.

Mi manca terribilmente.

Mi manca così tanto che vorrei urlare. Vorrei solo correre via da questo posto, strapparmi questi dannati fili che mi tengono incatenata ad una vita che non è la mia e andare al nostro appartamento, che ormai non è più nostro, e forse non è neanche più suo. Forse ormai è solo di altre persone. Persone che non conosco. Persone che vivono una vita che sarebbe dovuto essere la mia.

Mia madre mi risponde che è stato l’amore. L’amore mi ha fatto lasciare Neal. L’amore per una donna che non ricordo e che forse non ricorderò mai. 

Quando le chiedo come ho incontrato Regina, mi risponde che dovrei chiederlo a lei. 

Non lo faccio.

Non lo faccio perché semplicemente io e Regina non parliamo. Non fraintendetemi, parliamo. Parliamo del tempo, parliamo di come la città sia ormai diventata invivibile e di come sia esausta dalle infinite riprese di un film che sta girando. 

Ma quello non è parlare.

Non mi chiede mai “Come stai?”.

Non so se non le interessa o semplicemente ha troppa paura della risposta. Credo, anzi, voglio sperare che abbia troppa paura di sentirsi rispondere “Sto male. Voglio scappare. Non ti amo e non ti conosco.”

Piano piano inizio a conoscerla: imparo che è una donna puntuale; arriva ogni giorno alle sette di sera e va via ogni giorno alle otto.

Capisco che valgo un’ora della sua vita.

Capisco che è una donna impegnata.

Capisco che è una donna famosa.

Capisco che pur essendo una donna famosa, io non so chi sia mia moglie.

Capisco che ha paura di me, perché  parla ma non mi parla e mi vede ma non mi guarda.

Capisco che quando non sa che cosa dire, si morde le labbra e guarda fuori dalla finestra.

Capisco che abitiamo a Los Angeles e non a New York.

Capisco che lei non sa che cosa facessi a New York il giorno in cui ho avuto l’incidente.

Capisco che dice la verità.

Capisco che non le dicevo tante cose.

Capisco che non ci diciamo tante cose neanche adesso.

Capisco molto e allo stesso tempo non capisco niente.

Capisco il suo stupore vedendomi prendere il caffè con lo zucchero.

“Adesso metti lo zucchero?”

“Si, perché?”

“Perché prima non lo mettevi.”

Capisco che conosce una donna che io non conosco.

“Fuori sta piovendo”.

Come se fosse importante, come se importasse qualcosa.

Mi guarda come se fossi pazza. Non sarebbe più semplice? Non sarebbe più semplice essere solamente pazza, Regina? Potresti rinchiudermi semplicemente in qualche posto. Nei posti dove vanno messe le persone come me; le persone che non sanno più chi sono. Butteresti via la chiave e torneresti alla tua vita.

I vicini ti chiedono di me? E a me questi vicini, poi piacciono? Ci salutiamo oppure abbassiamo la testa e facciamo finta di non vederci?
Invece tu non butti via la chiave, non ne sei capace.

“Alla mia Emma la pioggia piaceva tanto” rispondi.

“A me la pioggia non piace”. ribatto.   

Abbassi la testa e so che vorresti scappare. So che hai paura. Hai paura di questa donna che non conosci. Hai paura di questa donna che prende il caffè con lo zucchero e a cui non piace la pioggia.

“Raccontami”

Raccontami, Regina. Devo sapere.

“Che cosa?”

“Tutto”

“Da dove?”

“Dall’inizio”.

Eccoci qui con il secondo capitolo, mi è piaciuto molto scriverlo e spero a voi leggerlo... Spero di essere riuscita a trasmettere tutto il dolore e la solitudine di Emma. Ringrazio la mia beta (lei sa) e ringrazio tutti voi per le recensioni, le apprezzo molto davvero. Ringrazio tutte quelle persone che da buoni lettori silenziosi, leggono la storia, senza commentarla; se anche per solo cinque minuti sono riuscita a distrarvi dalla vostra vita, vuol dire che sono riuscita nel mio intento. Per tutte le persone che privatamente mi hanno chiesto ogni quanto aggiornerò la storia: cercherò di aggiornare una volta a settimana, impegni permenttendo...e sempre nel weekend. 
Vi ringrazio ancora...fatemi sapere cosa ne pensate...un bacio! Alla prossima :)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***





Capitolo tre
 
 




“La memoria umana è veramente qualcosa di strano: c'è conservata dentro un sacco di roba inutile, un sacco di cianfrusaglie, come in un cassetto. Mentre le cose importanti, quelle realmente necessarie, svaniscono una dopo l'altra.”
– Haruki Murakami
 
 




Potrebbe bastarmi?
Me lo chiedo spesso; potrebbe bastarmi questa vita?
Potrei accontentarmi?
Potrei accontentarmi di vivere una vita che non è la mia?
Potrei accontentarmi di vivere una vita, dimenticando che ho dimenticato?
Ci penso e ci ripenso, è la riposta è sempre la stessa…
 
 

“Che cosa vuoi sapere?” mi chiede.

Che cosa voglio sapere?

Vorrei sapere ogni cosa; voglio sapere chi sei, voglio sapere delle tua famiglia, voglio sapere chi è stato il tuo primo bacio e voglio sapere chi è stata la prima delle due a dire ti amo.

Voglio sapere cosa ami di me e che cosa invece non riesci a sopportare.

Voglio sapere quante volte ti ho detto di odiarti e invece volevo dirti di amarti così tanto da non riuscire a respirare.

Voglio sapere di nostro figlio; voglio sapere se ha i tuoi stessi occhi e il tuo stesso modo di sorridere.

E invece rispondo che non lo so, non lo so cosa voglio sapere. 

“Emma…Io non so cosa fare con te.”

Nessuno sa mai che cosa fare con me, Regina.

Nessuno ha mai saputo come prendermi, come abbracciarmi, come baciarmi, come amarmi. Nessuno, nemmeno Neal.

Sono sempre stata un pezzo di puzzle senza incastro.

“Mi dispiace” dico.

Mi dispiace davvero.

Mi dispiace non ricordarmi di te; della nostra famiglia e di nostro figlio.

“Io…domani torno a Los Angeles”.

Non riesci neanche a guardarmi in faccia.

“Ho del lavoro da sbrigare…e poi Henry ha bisogno di me. Non sa che cosa sta succedendo e più tempo passa con mia madre…”

“Che cos’ha tua madre che non va?”

Ancora quello sguardo; mi guardi sempre come se fossi pazza. Come se non fossi più “Io” …e forse non lo sono più davvero.

“Mia madre non è esattamente un tipo facile” rispondi.  

Come te, penso.

“Sei veramente bella” quasi sorrido delle mie stesse parole “perché una donna così bella dovrebbe stare con una come me?”

“Perché ti amo”.

 Lo dici come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Come se avessi passato gli ultimi quattro anni della tua vita a ripetermelo, e forse l’hai fatto.

Solo che io non riesco a ricordarlo.

“Vorrei potermelo ricordare, Regina”.

“Lo farai, Emma. Magari non ora e forse non domani…ma ricorderai”.

“E se invece non dovessi ricordare…se non dovessi mai ricordarmi di noi?”

Non mi rispondi perché sai che potrebbe succedere.

Continuano tutti a dirmi che ricorderò, come se questo, in qualche modo potesse bastare a rimettere le cose al loro posto.

Ma sanno benissimo che potrebbe anche non succedere; potrei non ricordare.

Questa possibilità si è insinuata dentro di te come un cancro; lo vedo dai tuoi occhi.

So a cosa stai pensando: stai pensando agli anni che verranno; a quelle vigilie di Natale, a quelle cene con gli amici, a quelle recite scolastiche, a quelle sere d’inverno e quelle giornate d’estate dove ti ritroverai al fianco una donna che ami, ma che non ti conosce. E so che cosa ti stai chiedendo; ti stai chiedendo se sarai abbastanza forte da poter sopportare tutto questo. Ti stai chiedendo se sarai in grado di amare per tutte e due.  

“Non posso vivere con te”.

Non so perché te l’ho detto ora, ma so anche che non potevo più aspettare.

Sembri sorpresa, come se non ne capissi il motivo.

“Perché?” mi chiedi.

“Non ti conosco, Regina.” ti rispondo come se fosse ovvio.

Come se fosse scontato, ma è evidente che per te non lo sia.

“Posso raccontarti tutto quello che vuoi. Chiedimi qualsiasi cosa.”

“Non voglio.”

Non voglio sapere.

Non voglio conoscere la vita di questa persona; voglio solo tornare alla mia vita.

“Quindi è tutto qui?”

Rabbia, questa la riconosco.

Ti ho già vista arrabbiata; non so dove e non so quando….

Rumore di porte sbattute, di urla e di accuse.

“Henry ha bisogno di te, Emma”. 

Io ho bisogno di te.

“Non posso, Regina. Ho bisogno di tempo”.

“Quanto?” mi chiedi.

“Non lo so.” rispondo.

Perché è così, non lo so; non so se sarò mai in grado di amare questa donna.

Annuisci, mi guardi e poi fai una cosa che non hai mai fatto da quando ti “conosco”: ti avvicini e mi baci sulla guancia.

Da quando mi sono svegliata, non mi avevi mai toccata; come se avessi paura di me, come se avessi paura di farmi del male.

Ancora.

Questa consapevolezza mi pietrifica

Saresti davvero in grado di farmi del male?

Come potresti?

Hai detto di amarmi.

Tu non la conosci.

Ancora quella voce.

E’ un’attrice.

E’ in grado di recitare una parte.

“Tornerò appena possibile”.

Ora il tuo viso è vicino al mio, così vicino che riesco a sentire il tuo profumo; mela e cannella.

Un profumo che mi ricorda una vita che qualcuno ha vissuto al posto mio.

Una vita fatta di lunghi viaggi e di interminabili attese.

Potresti baciarmi, lo so…e una parte di me lo vorrebbe; solo per sentire che cosa si prova, solo per capire perché una parte di me vuole starti così vicino.

“Profumi di buono”

Sorridi dolcemente.

“Profumo di te”.

Non mi baci; non è il momento.

Non ancora.

“Tornerai?” ti chiedo.

Mi guardi e questa volta mi vedi davvero.

“Torno sempre da te, Emma.”

Una parte di me; la parte che io ancora non conosco, sa che stai dicendo la verità.
 


 
 Ed eccoci con il terzo capitolo; è stato parecchio difficile scriverlo... vi assicuro che ha comportato parecchie discusioni tra me e la mia beta ahah , che ovviamente ringrazio come sempre!
Che dire? Sono davvero contenta della risposta che sta ricevendo la storia e del vostro interesse; non smetterò mai di ringraziarvi... So che magari potranno sembrarvi scontante le mie risposte alle vostre recensioni, dove non faccio altro che dirvi "grazie" ecc. ma lo penso davvero e quindi pazienza, vi ringrazio per l'ennesima volta :) 
Ps. Mi dispiace di continuare a farvi soffrire con questo continuo tormento di Emma... o forse no... 
Alla prossima!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***





Capitolo 4 
 
 






“Non essere amati è una sofferenza grande, però non la più grande. La più grande è non essere amati più.”
-Massimo Gramellini
 
 
 




Sai a cosa ho pensato in quel momento; il momento in cui mi hanno detto che avevi avuto un incidente?

Quel giorno tua madre mi aveva chiamata al telefono.

Io non avevo risposto.
Ero troppo impegnata; troppo presa dal mio lavoro, troppo stanca per stare ad ascoltare le sue proposte per il pranzo di Natale, troppo occupata per ascoltare come stavano crescendo le sue piante in giardino.

Ricordo di aver risposto alla quinta telefonata, Emma.

Alla quinta.

Per giorni mi sono tormentata; pensavo ingenuamente che se avessi risposto prima, le cose sarebbero state diverse.  

Avrei risposto alla chiamata e tua madre mi avrebbe parlato davvero del pranzo di Natale.

“Emma ha avuto un incidente, Regina. Ho provato a chiamarti un miliardo di volte. Dov’eri finita?”

Sai a cosa ho pensato in quel momento, Emma?

Ho pensato che non riuscivo a ricordarmi l’ultima volta che ti avevo detto di amarti.

Ho pensato che se non riuscivo a ricordarlo, molto probabilmente, era perché non te lo dicevo da troppo tempo.

Da quando eravamo diventante una di quelle coppie?

Quelle coppie che smettono di dirsi ti amo perché tanto ormai non ha più senso, perché tanto ormai non ha più importanza, perché tanto ci sarebbe stata sicuramente un’altra occasione per farlo.

Ero terrorizzata, Emma.

Ero terrorizzata dall’idea che saresti morta.

Tu saresti morta, ed io non sarei neanche stata in grado di ricordarmi l’ultima volta che ti avevo detto di amarti.

Avresti potuto perdonarmi?

L’avresti fatto?

Sì, l’avresti fatto.

Tu di amarvi me l’avevi detto la sera prima, Emma.

Ed io, invece, non ricordavo l’ultima volta che ti avevo risposto.


“Cosa significa che non si ricorda di te?” mi chiede mia madre seduta sul letto di camera mia. Nostra.

“Quello che ti ho detto, mamma. Ha dimenticato quattro anni della sua vita.”

Ero tornata a casa da circa due ore e mia madre, Cora, non faceva altro che ripetermi la stessa domanda.

Henry, non c’era; era con la mia agente e migliore amica, Kathryn.

Tornare a casa, dopo quello che era successo, era stato strano; tutto sembrava così vuoto, così insignificante.

Ogni cosa mi ricordava di te; era tutto come lo avevi lasciato: il tuo libro di Stephen King sul comodino, i tuoi occhiali da sole buttati distrattamente sul divano del salotto, i vestiti che avevi indossato il giorno prima dell’incidente, ancora da sistemare.

“Non tollero questo disordine in casa mia! A volte mi sembra di stare con una ragazzina, Emma.”

“Casa nostra”

“Cosa?”

“Non casa tua, Regina. Casa nostra.”

“Sei un idiota, te l’ha mai detto nessuno?”

“Tu, di continuo.”

A mia madre, Emma, non era mai piaciuta particolarmente.

Non era alla mia altezza, diceva lei.

Come se qualcuno lo fosse mai stato.

 Nessuno era mai stato abbastanza per lei.

“Che poi che diamine ci faceva a New York?”

“Non lo so.”

“Scommetto che era andata a trovare quel suo ex ragazzo…sai quello che doveva sposare.”

“Smettila.”

“Come si chiamava…Neal…?”

“Ho detto basta!”

Vederla seduta sul quel letto, il nostro letto, mi dava la nausea.

“Dovresti imparare a gestire questa rabbia, sai che non ti fa bene.”

“Vattene.”

“Scusami?”

“Ho detto, vattene.”

“Sei chiaramente fuori di te, Regina” dice alzandosi finalmente dal letto.

L’ultimo posto dove ricordo di averti vista, Emma.

“E’ evidente che in questo momento tu non riesca a pensare in modo lucido” aggiunge avvicinandosi e mettendo una mano sopra la mia, quasi per rassicurarmi.

Mi ritraggo bruscamente, perché so, so che a mia madre non interessa nulla del mio dolore.

A mia madre non interessa niente di Emma, del suo incidente o del fatto che non si ricordi più di me e di nostro figlio.  

“Hai mai pensato che potesse fingere?”

“Fingere cosa, mamma? Fingere di avere perso la memoria? Sei completamente impazzita?!”

“Impazzita?” dice camminando nella stanza come se fosse la padrona di quella casa, come se fosse la regina “da quando sei diventata così ingenua, figlia mia?”

“Perché dovrebbe anche solo pensare di fare una cosa del genere?”

“Perché sono dei pezzenti; lei e la sua famiglia.”

Ora basta.

 “Vattene, prima che io faccia qualcosa di cui potrei pentirmi, madre.”

“D’accordo” dice alzando le mani in segno di resa “me ne vado…ma pensaci. Sei tu che un mese fa sei venuta da me parlando di quanto non riuscissi a sopportarla. Sei tu, Regina, che mi hai parlato di volerti separare dalla tua amata Emma, o sbaglio?”

“Era prima…”

“Prima di cosa? Di questo? Avevate dei problemi, Regina. Lo sapevano tutti; il fatto che la tua principessina sia caduta sulle scale e abbia magicamente dimenticato quattro anni della sua vita, non cambia le cose. Potrebbe rovinarti lo sai? Quale giudice negherebbe l’affidamento di Henry alla povera ragazza smemorata? Per non parlare dei soldi che dovresti darle! Per l’amor del cielo, Regina, ti ho cresciuto meglio di così. Non ti ho cresciuta per farti mandare sul lastrico da una donnetta di periferia da quattro soldi.”

“Non ti permetto di parlare di lei in questo modo!”

“Ti ha proprio rovinata, Regina” aggiunge con disprezzo “e ti rovinerà ancora se non fai qualcosa in fretta. Ti sta ingannando. Prima te ne renderai conto e prima ci liberemo di lei una volta per tutte.”

“Vattene, non voglio sentire un’altra parola! Come puoi anche solo pensare che Emma mi farebbe una cosa del genere? Non mi porterebbe mai via Henry! E’ mio figlio!”

“Esatto, è tuo figlio; faresti bene a ricordartelo. Non suo” dice avvicinandosi alla porta “quando sarai tornata in te, Regina. Sai dove trovarmi. Forse non sono mai stata una brava madre, ma sono sempre stata e sempre sarò uno dei più bravi avvocati del paese. Possiamo ancora vincere noi, non le permetterò di portati via tutto quello per cui abbiamo lavorato in questi anni.”

“Non si ricorda neanche di me; come pensi si possa ricordare dei nostri problemi?”

“Hai ragione, cara. Forse non si ricorderà dei vostri problemi, se è così che vuoi chiamarli; ma credi davvero che questa donna che dice di non conoscerti, voglia rimanere un minuto di più sposata con te?”

 

Non riesco più a dormire nel nostro letto Emma; in realtà non riesco più a dormire e basta.

Passo le notti a pensare a come riuscire ad andare avanti.

Passo le notti a pensare a come spiegare ad Henry che non ti ricordi più di lui.

Non lo vedo da una settimana, sai?

Ho paura di vederlo; vederlo significherebbe dirgli quello che ti è successo…e dirlo ad lui, renderebbe tutto reale.  

Come posso spiegare ad un bambino che la madre non si ricorda più di lui?

Mi manchi, Emma.

Giro per casa indossando le tue magliette, perché sono una delle poche cose che ancora sanno di te, in questa casa che ormai non sa più di niente.

Mi manchi così tanto che passo le mie giornate a guardare il telefono; pensando di chiamarti, di scriverti, per poi non farlo mai.

Sei tu, invece, a chiamarmi una sera.

“Regina”

“Ciao, Emma” ti rispondo.

“Come stai?” mi chiedi.

Dovrei essere io a chiederlo a te.

“Sto bene”.

Ancora bugie.

Stai mentendo.”

Rido.

 “Perché ridi, Regina?”

“Perché tanto tempo fa mi hai detto che potevo mentire a tutti, ma non a te. Suppongo che avessi ragione.”

Silenzio.

L’unica cosa che riesco a sentire è il tuo respiro.

“Emma? Sei ancora lì?”

“Sì, Regina…posso chiederti una cosa?”

“Tutto quello che vuoi” rispondo senza neanche pensarci.

“Tu riesci a dormire?”

“No, Emma”

Avrei potuto mentirti ancora, ma che senso avrebbe avuto?

 Mi hai detto che non posso mentirti, giusto?

“Pensi che passerà mai tutto questo? Passerà mai tutto questo dolore?”

Hai sempre pensato che io avessi tutte le risposte del mondo, Emma.

Ogni volta che avevi paura, venivi da me. 

Ho sempre pensato che fossi come Henry; entrambi venivate da me per essere rassicurati.

Lui per la paura del buio e dei mostri, tu per la paura di non essere mai abbastanza.

“Non lo so, Emma. Non so se passerà mai.”

Ancora silenzio.

Lo stesso silenzio che ha distrutto la nostra relazione.

“Buonanotte, Regina”.

“Buonanotte, Emma”. 

 
Ecco a voi il quatrto capitolo; questa volta facciamo un giro nella testa di Regina.. Vi ringrazio come sempre :) Alla prossima e fatemi sapere cosa ne pensate! 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***





Capitolo 5
 
 
 
 
 



Charlie Brown: Penso che ho paura di essere felice.
Lucy: Come si può avere paura di essere felice?
Charlie Brown: Perché ogni volta che si diventa troppo felici, accade sempre qualcosa di brutto.
(Peanuts)
 
 
 
 
 

Mia nonna aveva l’Alzheimer.

Avevo ventidue anni quando i medici ci diedero la notizia; ricordo chiaramente ogni singolo momento della  malattia.

Ricordo i primi momenti; dove si dimenticava di spegnere il gas della cucina e ricordo gli ultimi; dove non riusciva più a riconoscermi.

“Sai dov’è Emma?” mi chiedeva

Verso la fine, credeva che io avessi ancora quattro anni; aveva completamente dimenticato che sua nipote ne avesse ventidue.

Era come se avesse rimosso gran parte della sua vita.

Ricordo di essermi chiesta più volte che cosa provasse, che cosa sentisse.

Molto probabilmente lei non provava nulla; i momenti di lucidità e di consapevolezza erano ormai diventati sempre più rari e forse, era meglio così.

Era meglio non sapere.

Era meglio non sapere di avere dimenticato la propria vita.
 
 
 
 
“Secondo lei che cos’è l’amore, Emma?”

Ero tornata a casa, o meglio, a casa dei miei genitori.

Mia madre, con il consenso di Regina, aveva stabilito di farmi vedere uno psicologo.

“Potrebbe essere utile, Emma” aveva detto una sera, poco dopo le mie dimissioni dall’ospedale “potrebbe aiutarti a capire…magari potrebbe partecipare anche Regina, che ne pensi?”

Avevo risposto che sì, andava bene.

In fondo che cosa avevo da perdere?

Non aveva aiutato molto.

Non so in che modo, esattamente, pensavano mi avrebbe aiutato.

Incominciavo a pensare che in realtà, nessuno, si aspettava che le sedute servissero; molto probabilmente volevano solo che facessi qualcosa.

Perché la realtà era che non facevo assolutamente nulla; passavo le giornate chiusa in camera, il più delle volte nell’oscurità totale.

Chiudevo le finestre, mi mettevo sotto le coperte e aspettavo.

Non so cosa, esattamente.

Avevo scoperto che il buio mi piaceva: era una di quelle tante piccole cose che stavo imparando a conoscere di questa nuova “Emma” che mi era totalmente estranea.

Il buio mi aiutava contro il tremendo mal di testa che mi tormentavano ogni giorno e che  i dottori dicevano essere perfettamente normale.

Normale.

Improvvisamente sembrava che a tutti piacesse quella parola.

“E’ normale che tu ti senta così, Emma.”

“E’ normale che tu sia spaventata.”

“E’ normale che ti manchi Neal”.

“E’ normale che tu abbia paura di questa situazione.”

“E’ normale…”

La verità, era che non c’era nulla di normale in tutto questo.

Il dottor Hopper; il mio psicologo, passava intere sedute a chiedermi cosa pensavo, cosa provavo, cosa intendevo fare con Regina.

Io non pensavo a niente.

Non provavo niente e non sapevo assolutamente cosa fare con Regina.

“Emma, mi ha sentito?”

“Mi scusi…stavo pensando.”

“Be’ questa è una novità…a che cosa stava pensando?”

Stavo pensando che questa è una fottutissima perdita di tempo e di soldi, dottor Hopper.

“A niente” rispondo.

“Non si può non pensare a niente, Emma.”

“Credo si possa, quando ci si sveglia e si scopre di aver dimenticato quattro anni della propria vita, dottore”.

Sì, era una scusa che usavo spesso ultimamente.

“Va bene, come vuole.”

“Mi ripeta la domanda, per favore” dico incominciando a perdere la pazienza.

“Che cos’è l’amore secondo lei?”

“E’ una specie di test?”

“Non è un test, Emma. E’ una semplice domanda.”

Che cosa avrei dovuto rispondere? 

Avrei dovuto rispondere che l’amore era quello dei film?

Avrei dovuto rispondere che l’amore era quello delle favole?

Perché sinceramente non avevo la minima idea di che cosa fosse l’amore.

“Io…”

“Va bene, proviamo così; lei si stava per sposare, giusto?”

“Sì.” rispondo.

“Quindi, suppongo che lei si ricordi che cosa provasse per Neal?”

“Certo che me lo ricordo.”

“Bene, era amore quello che ricorda?”

Lo era?

“Ci dovevamo sposare.”

“Non è quello che le ho chiesto, Emma. Le persone si sposano in continuazione per milioni di motivi che non hanno niente a che vedere con l’amore. Io le ho chiesto quello che provava. Vuole sapere qual è il suo problema, Emma? Il suo problema è che lei non risponde alle mie domande. Le potrei chiedere come si chiama suo figlio e lei mi risponderebbe dicendomi che oggi è una bella giornata.”

“Dove vuole arrivare?”

“Voglio che lei risponda alle mie domande o non andremo da nessuna parte.”

“D’accordo” dico guardandolo dritto negli occhi “vuole sapere se ero innamorata di lui?”

Annuisce invitandomi a continuare.

“La verità dottore, è che non lo so.”

“Non lo sa?”

“No, dottore. Non lo so. Prima di tutto questo, la mia unica certezza era Neal. Ero sicura di amarlo.”

“E poi?”

“E poi mi sono svegliata. Mi sono svegliata in un mondo in cui sono sposata con una donna… e ho pensato…ho pensato che forse se sto con questa persona…era amore quello che provavo per Neal?”

“Che cosa prova per Regina?”

“Mi manca” rispondo senza neanche pensarci.

Era una cosa che ultimamente mi capitava spesso; parlare senza che fossi io a parlare realmente. Era come se una parte di me volesse prendere il sopravvento; la parte che io non conoscevo. Quella parte che aveva vissuto quattro anni della mia vita, mentre io dormivo da qualche parte.

“Le manca?” mi chiede.

“E’ peggio.”

“Che cosa intende?”

“Non è semplicemente una mancanza; è come se mancasse un pezzo del mio corpo. Ha presente la sensazione dell’arto fantasma dopo un’amputazione? Quella sensazione di un qualcosa che non c’è più ma che al tempo stesso c’è ancora? Ecco io mi sento esattamente così. E questo, dottore, non ha un minimo di senso perché io non conosco quella donna.”

“Ha mai provato a dirlo a Regina?”

“Che cosa cambierebbe?”

“Il problema delle persone, Emma, o più generalmente di questa società, è che si è portati a pensare che parlare non serva più a niente. Si è portati a pensare che dire quello che si sente, sia sbagliato, ma non è così. Lei mi chiede che cosa cambierebbe? Cambierebbe qualcosa se dicesse a sua moglie come si sente? Sì, molto probabilmente…e sa perché? Perché la realtà è che spesso le persone sono spaventate nello stesso modo in cui lo siamo noi. Abbiamo tutti paura delle stesse cose.”

“Quindi cosa dovrei dirle? Dovrei dirle che mi manca?”

“Sarebbe un inizio, non crede?”

“Forse…”

La verità era che non sapevo come fare.

Non avevo assolutamente idea di come parlare a Regina.

Per essere sinceri, non ero mai stata brava a parlare con le persone.

Qualche giorno prima avevo deciso di chiamarla; non so da dove fosse arrivato quel coraggio o quella voglia che mi aveva spinto a prendere il telefono, aprire la rubrica e chiamarla.

Non lo so, ma semplicemente avevo deciso di farlo.

Non avevamo parlato molto, in ogni caso.

Come sempre.  

“Sua madre mi ha detto che non vuole sapere niente di questi ultimi quattro anni, posso saperne il motivo?”

“Ho paura.”

“Di che cosa ha paura, Emma?”

“E’ complicato… e molto probabilmente, è anche stupido.”

“Provi a spiegarmelo.”

“Ho paura di sentirmi dire che ero felice.”

“Mi scusi?”

“Le ho detto che era stupido.”

“No, è che non riesco a capire…lei ha paura di sentirsi dire che era felice? Perché?”

“Perché non lo sono mai stata.”

“Non è mai stata felice?” mi domanda incredulo.

E’ così difficile da credere?

“Non credo…non completamente almeno.”

“E…ha paura per che cosa esattamente?”

“Ho paura di aver perso la mia occasione.”

“La sua occasione?”

“Di essere felice.”

“In che modo?”

“Se quei quattro anni fossero stati la mia unica occasione per essere felice, dottore?”

“Emma…”

“No, lei non capisce. Per aver lasciato Neal quattro settimane prima del matrimonio, deve essere successo qualcosa; qualcosa di straordinario, di incredibile. Credo…credo di avere incontrato Regina e di aver finalmente capito perché con tutti gli altri non era mai stato abbastanza, dottore. In quel momento, dovevo essere davvero felice… e credo di esserlo stata anche per i quattro anni successivi. Ho paura perché so che non potrò mai rivivere quei momenti. So che non potrò mai tornare indietro, e so anche che forse non riuscirò mai a ricordarli. Sento di aver perso quattro anni della mia vita… e sento che in quei quattro anni c’era la mia occasione per essere felice.”
 
 
 

11.30 -Ho visto un tuo film oggi. E.

Come eravamo arrivate a questo punto; eravamo davvero al punto in cui nessuna delle due era in grado di prendere il telefono e chiamare l’altra?

Sei tu che dovresti chiamarla, Regina.

E’ lei quella che ha avuto un incidente.

Dovresti essere tu la donna responsabile.

Dovresti essere con lei in questo momento.

11.45 – Non dormi? R.

11.50 – Neanche tu.  

11.52- No, neanche io. Quale film?  

11.53- Non ricordo il titolo, eri molto giovane. L’avevo già visto…prima dell’incidente intendo. Sei molto brava Regina.

Cosa dovrei rispondere? Grazie?

Diamine.

11.57- Grazie.  

Complimenti, Regina.

12.01- Sono stata dal dottor Hopper questo pomeriggio.

12.03. - Com’è andata?  

12.06- Bene suppongo. Abbiamo parlato di te.  

12.09- Immagino che non ti possa chiedere i dettagli, vero?

12.11- Sarebbe meglio di no.  

|12.14- Tra due giorni torno a New York…vorrei portarti in posto.  

12.18- Dove?  

12.20- E’ una sorpresa.  
 


Ehi!
E siamo arrivate al quinto capitolo...
Questa volta torniamo da Emma, e siamo alle prese con dei piccoli indizi del suo passato. 
Ma la domanda è,,,,,,Regina dove porterà la nostra Emma? ahhaah
Vi ringrazio come sempre! Fatemi sapere cosa ne pensante, alla prossima :)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***





Capitolo 6 
 
 




“Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all'improvviso, in
maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata.”

-Dostoevskij
 
 
 
 
 
 
L’avrei distrutta.

Dal primo giorno che quella sgualdrina aveva messo piede nella mia casa, nella mia vita, nella carriera di mia figlia, avevo giurato a me stessa che l’avrei distrutta.

Non importa quando tempo ci avrei messo; giorni, mesi, anni.

L’avrei fatto.

Avrei aspettato il momento giusto.

Avrei aspettato l’occasione giusta per toglierla di mezzo, e ci sarei riuscita.

Alla fine ci riuscivo sempre.

 Gli anni passati in tribunale, mi avevano insegnato che anche le situazioni più disperate, avevano una soluzione.

Molte volte, la soluzione più ovvia per qualsiasi avvocato, è il patteggiamento.

Il sistema giudiziario americano, ti mette spesso davanti ad un bivio: “mettiamoci d’accordo” “accetta un patteggiamento” “accetta tre anni o vai a processo e rischia la pena massima.”

Era su questo che la maggior parte dei miei colleghi avevano costruito la loro brillante carriera; sul patteggiamento, sul compromesso.

Intere carriere fondate sulla paura; nessuno vuole rischiare di finire la propria vita in prigione, neanche le persone innocenti.

Ma Cora Mills non patteggiava.

Cora Mills non scendeva a compromessi.

Cora Mills aspettava.

E così avevo fatto con Emma,  avevo aspettato.

Quattro anni per la precisione.

Quattro anni di sorrisi, quattro anni di pranzi della domenica, quattro anni di partite di calcio di Henry, quattro anni di pranzi di Natale con quei pezzenti della sua famiglia.

Ero sicura che il momento giusto sarebbe arrivato, e così era stato.

Quell’idiota era caduta; era caduta sulle scale della metropolitana e aveva dimenticato quattro anni della sua vita.

Era perfetto, era l’occasione giusta.

Certo, sarebbe potuta morire, risparmiandomi così la fatica di escogitare un piano per eliminarla per sempre dalla vita di Regina, ma la donna era caparbia, questo dovevo riconoscerlo.

Nessuno mi aveva dato così tanto filo da torcere come lei, ma non sarebbe stato abbastanza.

Non questa volta.

Avevano già dei problemi, litigavano spesso; Regina stessa era venuta nel mio ufficio chiedendomi di aiutarla qualche mese prima.

“Ti avevo detto che non dovevi sposarla, ma  tu non vuoi darmi mai ascolto, Regina”

“La amo”

“Se la ami, che cosa vuoi esattamente da me?”

“Credo stia vedendo…quell’uomo.”

“L’ex fidanzato?”

“Si”

“Te lo ripeto ancora una volta…che cosa vuoi, Regina?”

“Voglio sapere….devi farla seguire. So che usi delle persone per…i tuoi casi.”

“Vuoi che faccia seguire tua moglie? Perché?”

“Devo sapere se mi tradisce.”

Non l’avevo fatta seguire, ovviamente.

Sarebbe stata solo una perdita di tempo; Emma non avrebbe mai tradito mia figlia.

L’amava.

 Era per questo che era stato così difficile separarle.

Era per questo che avevo quasi perso le speranze, ma poi era accaduto quello che io chiamo il fattore Mills.

Il fattore Mills è quello che mi fa vincere le cause, quello che porta gli altri avvocati a temermi appena vedono contro chi dovranno scontrarsi. Il fattore Mills è vedere opportunità dove le altre persone non vedono assolutamente nulla, e in questo caso io avevo visto un’opportunità nell’incidente della sgualdrina.

Avevo suggerito a quell’idiota di Mary Margaret di far vedere uno psicologo alla figlia.

“Per aiutarla, cara”  le avevo detto.

Non era stato difficile trovare il dottore giusto; il dottor Hopper.

Era l’uomo perfetto; ingenuo, stupido e cosa più importante…ricattabile.

Avrebbe detto a Regina quello che volevo.

Avrebbe detto a Regina che la sua mogliettina stava fingendo.

Avrebbe detto qualsiasi cosa, perché la sua vita era nelle mie mani.
 

 
 
“Amo questo giardino, Regina.”

Il giardino botanico di  Brooklyn; amavo quel luogo.

Amavo ogni singola pianta, ogni singolo dettaglio di quel posto….

Amavo ogni particolare; dalle piante aromatiche a quelle medicinali, dal giardino giapponese a quello delle rose, dallo Shakespeare
Garden alla Tea House.

Per me, quel giardino era casa; era mia nonna, era la mia famiglia, era la mia infanzia, era la mia insicurezza, era il mio posto sicuro.

Nessuno sapeva del giardino botanico di Brooklyn, nessuno.

Era un posto segreto, mio e di mia nonna. 

Era il luogo dove mi portava ogni venerdì pomeriggio dopo la scuola, ed era il luogo dove non avevo più messo piede dopo la sua
morte.

Non avevo mai detto a nessuno cosa significasse questo giardino per me, nemmeno a Neal.

“Come sai di questo posto?” le chiedo mentre camminiamo.

“Mi ci hai portato al nostro primo appuntamento; faceva un freddo assurdo…credevo volessi attentare alla mia vita, Emma ” risponde
ridendo.

Amavo la sua risata.

Amavo il modo in cui il suo viso si illuminava, amavo il modo in cui i suoi occhi sembrassero ridere con la sua bocca.

“Ti ho portata qui al nostro primo appuntamento? Non credo sia possibile”

“Credi che ti stia mentendo?”

“No…è che era un posto segreto.”

“Tuo e di tua nonna, lo so.”

Come poteva saperlo?

Come faceva questa donna  a conoscere queste cose della mia vita? 

Le avevo davvero raccontato ogni cosa?

Cosa sapeva esattamente di me?

Sapeva che avevo la fobia dei ragni e che da piccola ero caduta dalle scale?

Sapeva che il mio primo bacio era stato un ragazzino di quattordici anni alla festa di Halloween di Ruby?

Sapeva della mia paura di amare e di essere amata?

Sapeva della mia passione per i film strappalacrime?

Sapeva che i miei gusti preferiti di gelato erano crema e nocciola?

Era una sensazione strana…era come se una parte di me, fosse stata violata.

Regina mi conosceva, ed era una cosa insopportabile, perché io, invece, non conoscevo nulla di lei.

Era come se avesse avuto accesso ad un file sulla mia vita, sui miei gusti, sui miei segreti.

Era come se avesse hackerato la mia vita come un virus da cui non sarei stata mai in grado di riprendermi.

“Ho bisogno di sedermi.”

Ad un tratto la consapevolezza che qualcuno conoscesse la vera me, mi aveva fatto venire la nausea.

“Emma, ti senti bene?” mi chiede preoccupata prendendomi la mano e accompagnandomi alla panchina più vicina.

Vedevo il terrore nei suoi occhi; la paura di avere sbagliato, la paura che potesse succedermi qualcosa ancora una volta.

“Emma?”

“Qual è il tuo gusto preferito di gelato?” dico guardandola dritta negli occhi.

Non si era seduta sulla panchina; era accovacciata davanti a me ed era così vicina che potevo sentire il suo  respiro sul mio viso.

“Il mio….gusto preferito….di gelato?” mi chiede, mentre porta una mano sul mio viso spostandomi una ciocca di capelli “non mi piace il gelato.”

“Sei seria? Non ti piace il gelato?”

“Mai stata più seria, Emma”.

“A che razza di persona non piace il gelato? E’ assurdo.”

Sorride, mentre si alza e si siede accanto a me.

“Alle persone come me, suppongo”.

“E come sono le persone come te, Regina?”

“Sole.”

C’era una sincerità in quelle parole, che era quasi sconcertante.

“Come fai ad essere sola? Sei un’attrice famosa; ho controllato il tuo profilo Twitter,  sai? Hai circa 400.000 followers.”

“Ah si? L’ultima volta che ho controllato erano circa 300.000, sarà contenta la mia agente” dice sarcastica.

“Sono seria, Regina”.

“Quella gente non mi conosce, Emma. Crede di conoscermi, ma vede solo quello che vuole vedere e crede solo a quello che vuole
credere. La verità, è che le uniche persone che mi conoscono, siete tu ed Henry.”

“Ma io non ti conosco, Regina. Almeno la Emma che sono ora non ti conosce.”

“Puoi sempre imparare a conoscermi, no?”

“In che modo?”

“Mmm vediamo…ti concedo un’intervista, va bene?”

“Un’intervista?”

“Immagina di essere una giornalista e di chiedermi quello che ti pare.”

“Sei seria?” le chiedo sorridendo.

“Ooh avanti, Emma.”

“Colore preferito?”

“Rosso. Avanti può fare di meglio, signorina Swan.”

“Squadra preferita di baseball?”

“Boston Red Sox.”

“Che cosa?! Credo che la nostra relazione sia appena finita qui. Non posso credere di stare con qualcuno che tifa i Boston Red Sox.”

“Mi hai anche sposata se per questo, Emma.”

“E’ stato chiaramente un errore di valutazione, oppure non sapevo di questo tuo orribile segreto.”

“Vieni anche alle partite con me.”

“Ora stai mentendo, Regina.”

Ride.

“Ok, sto mentendo. Diamine potevo convincerti che anche tu tifavi i Red Sox.”

“Nei tuoi sogni, Regina.”

Perché era così facile parlare con lei?

Avevamo passato l’intero pomeriggio a discutere di baseball e della sua avversione per i gelati, e mi era sembrato tutto così
estremamente naturale…era come se la conoscessi da sempre.

“Quando ti sei innamorata di me?” le chiedo.

“Questa è una domanda che una giornalista non mi farebbe mai.”

Questa volta non rispondo alla sua battuta, ma continuo a guardala, invitandola a continuare.

“Vuoi saper il momento esatto?”

Annuisco.

“E’ stato dopo il nostro terzo bacio.”

“Il nostro terzo bacio? Che cos’ha di speciale?”

“Di speciale? Niente.”

“Cosa significa?” domando confusa.

“Significa che è stato come il primo e come il secondo, come il quarto e come il centesimo; è stato come ogni volta che ti ho baciato e come ogni volta che ti bacerò, Emma. E’ stato come se ogni cosa che mi fosse successa fino a quel momento non avesse senso. Ed’ è stato come se ogni cosa avesse improvvisamente avuto senso da lì in avanti. Quel terzo bacio mi ha fatto capire, che ogni volta che ti avrei baciato dopo una giornata estenuante, tutto si sarebbe messo al suo posto. Mi ha fatto capire che il bacio successivo sarebbe stato esattamente come quel terzo bacio, perché ti amavo.”

“Che cosa si prova?” chiedo.

“A fare cosa?”

“A baciarti…cosa si prova, Regina?”

 

Ciao! Ok non uccidetemi per il finale del capitolo, ci ha pensato già la mia beta ahah che tra l'altro ringrazio, perché nonostante sia spersa sui monti senza un pc, ha trovato il tempo e la voglia per betarmi il capitolo al telefono. Senza la sua buona volontà avrei pubblicato la prossima settimana, quindi un grande grazie :)
Piccola precisazione: non sono un avvocato e non studio giurisprudenza, quindi non prendete troppo seriamente quello che scrivo su Cora e le varie cose giuridiche ;)
Detto questo, vi ringrazio come sempre e alla prossima! Fatemi sapere cosa ne pensate! Ciaooo :D 
 
 

 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 
Capitolo 7
 
 
 




“Se sapessi che oggi è l'ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei,
 ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri.
Se sapessi che oggi è l'ultima volta che sento la tua voce,
registrerei ogni tua parola per poterle ascoltare una e più volte ancora.
 Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo,
direi "ti amo" e non darei scioccamente per scontato che già lo sai.”

- Gabriel García Márquez
 
 
 
 
 
I baci non si chiedono.

I baci non si pretendono.

I baci si danno e basta.

Ricordo di averlo letto da qualche parte; in un’altra vita molto probabilmente, e forse, anche in un altro universo.

Non so come descrivere la sensazione che avevo provato mentre baciavo Regina.

Perché sì, mi aveva baciata.

“Che cosa si prova?” chiedo.

“A fare cosa?”

“A baciarti…cosa si prova, Regina?”

Non mi aveva risposto.

Come avrebbe potuto?

Come si può spiegare a qualcuno cosa si prova a baciare la persona che ami?

I libri sono pieni di descrizioni accurate; sono pieni di spiegazioni, di dettagli…

I grandi scrittori saprebbero descrivervi esattamente ogni particolare di una bacio.

Saprebbero scrivere pagine e pagine delle sensazioni provate, e molto probabilmente voi sareste lì a leggerle rapiti dall’inizio alla fine.

Perché?

Perché un bacio è tutto o niente e spesso nei libri è tutto.

Più del sesso, più di tutti i battibecchi, più di tutte le parole, più di tutti i tira e molla e di tutti i forse che hanno portato a quel momento.

Per me era stato tutto questo.

Sarebbe facile dire che era stato uno di quei baci che si vedono nei film; uno di quei baci che le  ragazzine, o chiunque, in fondo, creda anche solo un po’ nell’amore, si aspetti di ricevere almeno una volta nella vita.

Quel bacio che nelle favole sveglia la principessa da uno strano sortilegio scagliato da una qualche regina cattiva.

Non era stato niente del genere.

Quando le sue labbra avevano toccato le mie, per un momento ero rimasta terrorizzata; non perché avessi paura di baciarla, ma perché avevo paura che non avrei provato nulla, mentre una parte di me, voleva disperatamente provare qualcosa.

Cosa sarebbe successo se l’avessi baciata senza provare nulla?

Sarebbe stato possibile fingere un’intera vita, solo perché con lei mi sentivo al sicuro?

Avrei potuto andare avanti ogni giorno con la consapevolezza che avrei dovuto baciare una persona per tutta la vita senza provare niente?

Forse avrei potuto.

In fondo, avevo già finto in passato.

Ma più la baciavo, più sentivo il suo sapore, più sentivo la sua disperazione; la sua foga, le sue lacrime…più capivo che non avrei dovuto farlo.

Non avrei dovuto fingere tutta la vita.

Ripensando a quel bacio mentre camminavano verso casa dei miei genitori, pensavo che quel bacio non era stato come quelli che si vedono nei film o come quelli che si leggono nei libri.

Non era stato un bacio che mi aveva portato a ricordare la mia vita o quello che avevo provato per lei.

Era stato un bacio dell’inizio.

Un bacio frettoloso.

Un bacio pieno di insicurezze.

Un bacio pieno di paure di fare la cosa sbagliata.

Un bacio perfetto.
 
 
“Mi hai detto che Henry ha sei anni, giusto?”

“Esatto”

“Quindi…”

“Quindi… sì, Emma. L’ho avuto prima di conoscerti. E’ un problema?”

Prima o poi questa conversazione sarebbe arrivata.

Avevi evitato l’ argomento “Henry” da quando ti eri  svegliata ed eri stata catapultata in una vita che non ricordavi, ma ora, dopo essere tornate a casa dei tuoi genitori, avevi deciso di volerne parlare.

Non sapevo esattamente come sentirmi a riguardo.

Se non l’avessi accettato?

Molto probabilmente una parte di me l’avrebbe capito; avevi già dovuto accettare la realtà di essere sposata con me, e sinceramente, non riuscivo neanche lontanamente ad immaginare come ti sentissi.

Ma un figlio?

Come avresti potuto accettare un bambino?

“No…Regina, non è un problema. Vorrei solo capire…dov’è il padre? Eri sposata con qualcuno? E se sì, che ruolo ha nella nostra vita e nella vita di Henry? Io…ho bisogno di capire. Ci sto provando, Regina. Ci sto provando davvero ad essere una brava moglie, una brava madre…ma ho bisogno di capire.”

Capire; certo che devi capire, Emma.

Ma se poi non volessi accettarlo?

Ti guardo seduta sul questo divano che ora sembra così scomodo, e non riesco a stare ferma.

“Non c’è nessun padre.” rispondo velocemente.

Troppo velocemente.

“Che significa che non c’è nessun padre, Regina?” mi chiedi confusa.

“C’è un padre ovviamente…ma non importa. Henry è mio figlio, nostro figlio.”

“Non importa?”

“Sì.”

“Potresti spiegarti meglio?”

“Si chiamava Daniel.”

“Ok…e questo Daniel, che fine ha fatto esattamente? Eravate sposati, stavate insieme?”

“Dovevamo sposarci, sì.”

“Che cosa è successo, Regina?”

“E’ morto.”

“Dio…Regina, mi dispiace. Non volevo…”

“Non potevi saperlo, Emma. Non ti devi scusare…è che non mi piace parlarne.”

“Non sei costretta a raccontarmelo ora, Regina.” dice mettendomi una mano sulla spalla, quasi per rassicurarmi.
E’ strano come due ore prima fossimo una tra le braccia dell’altra su una panchina di quel giardino e ora, sedute su questo divano, in questo salotto che mi ricorda i natali passati, sembriamo essere tornate due sconosciute.

“Non vedeva l’ora che nascesse, sai? Daniel…era così felice. Sarebbe stato un papà fantastico. Non faceva altro che parlare del bambino, di quello che avrebbe fatto una volta che fosse nato…di come gli avrebbe insegnato a giocare a baseball…”

“Regina…”

“Gli avevo detto di non venire in ospedale……”

“In ospedale?”

“Ero stata male…niente di grave. Ma lui non voleva sentire ragioni.”

“Che cosa è successo?”

“Ha avuto un incidente; le strade erano ghiacciate. Era stato un inverno tremendo…è morto sul colpo, o almeno è quello che mi hanno detto. In ogni caso quando sono arrivati i soccorsi, lui era già morto.”

“Regina…mi dispiace tanto.”

“Quando…quando ti ho vista in quel letto di ospedale, Emma…ho pensato che avrei perso anche te. Ho pensato che mi avresti abbandonata come aveva fatto lui…Non ho pensato ad altro per giorni. Poi ti sei svegliata…e non ti ricordavi  più me…”

“Regina…”

“Non mi interessa se non sarai mai in grado di ricordarti di me, Emma. Non mi interessa se non sarai mai in grado di amarmi ancora…ma promettimi che proverai ad amare Henry” dico guardandola negli occhi “lui ha bisogno di te. Ha bisogno di te, più di quanto ne abbia bisogno io.”

“Regina…”
“E promettimi che starai al sicuro, Emma. Non mi importa se con me o con qualcun altro…purché tu stia al sicuro. Voglio poter andare a dormire, sapendo che da qualche parte, sei al sicuro. Non potrei sopportare di perdere anche te. Non potrei.”

“Regina, per favore, ascoltami…” dici prendendomi il viso fra le mani “non vado da nessuna parte, ok?”

“Sei quasi morta, Emma… ti ho vista in quel letto di ospedale…eri così bianca…”

“Non vado da nessuna parte, Regina.”

“Promettilo.”

“Non posso prometterti che tornerò ad amarti come prima, Regina. Non so se sarò mai in grado di tornare ad essere la Emma di cui ti sei innamorata…io non so chi sia quella donna… e mi dispiace non saperlo, Regina, perché per aver fatto innamorare una donna come te, doveva essere parecchio in gamba…Non posso prometterti questo, ma posso prometterti che ci proverò… ci proverò con tutta me stessa…e se non dovessi riuscirci, se non dovessi amarti…prometto che sarò sempre la mamma di Henry, sempre. Lo porterò ad ogni partita, ad ogni recita scolastica…ci sarò sempre per lui…e ci sarò sempre anche per te, Regina.”
 
 
 
 
Da: Dottor Hopper
A: Cora Mills
Oggetto: Paziente E.S.

Quello che mi sta chiedendo di fare, va contro l’etica professionale del mio lavoro, se ne rende conto, vero? Quella donna ha dimenticato quattro anni della sua vita e lei mi sta chiedendo di dire a sua moglie che sta mentendo? Che razza di persona è?
Non ho intenzione di fare quello che mi sta chiedendo, non ho intenzione di abbassarmi al suo livello.

 
 
Da: Cora Mills
A: Dottor Hopper
Oggetto: Paziente E.S.

Caro Dottor Hopper, quello che non le è chiaro, è che io non le sto “chiedendo” proprio niente.
Sua moglie è decisa a chiedere l’affidamento esclusivo di vostro figlio, e chi sono io, per dirle che non dovrebbe farlo?
In quanto a suo avvocato, come lei ben sa, potrei facilmente persuaderla a ripensarci. Ma questo, Dottor Hopper dipende da lei, ovviamente. La saluto con una frase che ho letto di recente e che trovo molto appropriata alla sua situazione “Non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino, ma ciò che vi mettiamo dentro è nostro.”
Cordialmente,
Cora Mills.

 

Eccoci qui, vi ringrazio come sempre e ringrazio la mia beta.
La citazione che fa Cora nella mail è di Dag Hammarskjold. 

Detto questo alla prossima, fatemi sapere cosa nel pensate. Ciao :)
 

 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***






Capitolo 8
 
 
 





 


Le persone credono che un’anima gemella sia una persona che combacia perfettamente con noi, ed è ciò che le persone vogliono. Ma una vera anima gemella è uno specchio, la persona che ti mostra tutto ciò che ti tieni dentro, la persona che lo mostra affinché tu possa cambiare la tua vita. Una vera anima gemella è probabilmente la persona più importante che tu incontrerai, perché butterà giù i tuoi muri, e ti risveglierà.
-Elizabeth Gilbert
 
 
 
 
 
 
 


Quattro anni prima
 




Ero sempre stata una di quelle persone; una di quelle persone che odiano sentirsi dire quanto sono belle.

La maggior parte della gente vive per sentirselo dire; si sentono appagate, lusingante, adulate.

Io no.

E non perché sia così diversa dagli altri, non mi sono mai reputata un essere superiore rispetto alla popolazione mondiale; semplicemente, ero profondamento convinta di non essere bella.

Guardandomi allo specchio, non riuscivo a vedere altro che difetti; difetti che le persone che mi amavano, chiaramente non vedevano o non volevano vedere.

E’ opinione comune che l’amore renda ciechi.

Io credo che sia una grande stronzata.

Stavo insieme a Neal da due anni ormai e in lui, non vedevo altro che difetti.

Non era forse amore quello che provavo?

Secondo l’opinione comune, non doveva esserlo; altrimenti non avrei visto gli innumerevoli difetti che mi facevano uscire fuori di testa ogni giorno.

Una delle cose che più mi facevano arrabbiare era il suo modo di ripetermi quanto fossi bella.

Continuava a ripetermelo ogni giorno, come se il continuare ad insistere su un concetto lo rendesse in qualche modo più vero.

“Sei bellissima”

“Perché continui a ripetermelo?”

“Perché è la verità”

Molto probabilmente lui ci credeva davvero; credeva davvero che io fossi la ragazza più bella del mondo.

Guardando i suoi occhi mentre me lo ripeteva, per un momento, solo per un secondo, ci credevo anche io.

Ma poi una parte di me; la parte sbagliata, si convinceva che in qualche modo non fosse vero.

Quella parte sbagliata, che era sempre stata presente in me e che di giorno in giorno cresceva sempre di più; come un parassita nel mio corpo, mi convinceva e mi portava a credere che stesse mentendo.

Quel parassita ha un nome molto comune.

Si trova in ogni persona.

Si chiama insicurezza.

Non so quando sia iniziato.

Non so quando abbia iniziato a crescere dentro di me e non so se passerà mai.

So solo che a volte penso che tutto questo; quello che ho con Neal, non sia abbastanza.

Ci sono dei giorni in cui vorrei disperatamente essere una di quelle persone; una di quelle persone che si sentono belle e lo fanno credere anche agli altri.

Qualche giorno fa, ho conosciuto una di queste persone.

Anche se conosciuto, forse non è il termine esatto.

Nel mio lavoro si incontrano tantissime persone, ma se ne conoscono davvero poche.

Sono un’infermiera; un’infermiera pediatrica e nel mio lavoro si viene a contatto davvero con tante persone, specialmente in una città come New York.

Il più delle volte non faccio neanche caso alla gente che passa per l’ospedale, ma ci sono dei casi particolari che in qualche modo catturano la mia attenzione.

Lei era stato uno di quei casi.

Sapevo di averla già vista da qualche parte, anche se in quel momento, alle tre del mattino, dopo dodici ore di turno, non riuscivo esattamente a ricordare dove.  

Era stata una sensazione strana; come se in qualche modo una parte di me fosse stata subito incuriosita da quella donna.

Avevo passato minuti a guardarla, mentre compilavo le cartelle o mentre passavo distrattamente per i corridoi.

Teneva in braccio un bambino di circa due anni; molto probabilmente il figlio.

Mentre la guardavo, continuavo a chiedermi dove fosse il padre, e mi chiedevo come fosse possibile che una donna simile fosse da sola in un momento come quello.

Avevo chiesto a Ruby; mia collega, nonché mia migliore amica, che cosa avesse il bambino e mi aveva risposto dicendo che il bambino era arrivato con un forte dolore addominale e che appena possibile, sarebbe stato visitato da un dottore.

Non so esattamente che cosa mi avesse spinta ad avvicinarmi a lei.

Non so che cosa mi avesse attirato di quella donna.

Ma a volte capita.

Capita di sentire qualcosa di completamente inspiegabile; qualcosa che ti spinge verso una persona, mentre una parte; la parte più razionale ti urla “che cosa stai facendo?”

“Come si chiama?” le avevo chiesto avvicinandomi e guardando il bambino che ora dormiva fra le sua braccia.

Mi aveva guardata, e per un momento avevo visto nei suoi occhi lo stesso sguardo perso e rapito che molto probabilmente avevo avuto io nelle ultime ore mentre la spiavo di nascosto.

“Henry” aveva risposto abbassando lo sguardo e avvicinando ancora di più il bambino al suo corpo, come se avesse paura che qualcuno potesse portarglielo via da un momento all’altro.

“Posso sedermi?” avevo detto indicando la sedia di fronte a lei.

“Non ha nessuno che l’aspetta a casa?”

“Lo prendo come un si” avevo risposto sedendomi “e sì, c’è qualcuno che mi aspetta, ma sono le quattro del mattino e non credo che senta la mia mancanza.”

Aveva riso, e in quel momento avevo deciso che vederla sorridere era senza dubbio la cosa più bella che avessi visto al mondo.

“Non è stanca…come ha detto che si chiama?”

“Non l’ho detto, infatti.”

“Posso sapere il suo nome allora?”

“Emma”

“E si siede con tutti i pazienti in sala d’attesa dopo la fine del turno, Emma?”

“Non con tutti, no.”

“E come mai con me, si? Sempre se posso chiederle.”

Che cosa stavano facendo esattamente?

Che cosa stavo facendo esattamente?

Non ne avevo idea.

“Mi sembrava avesse bisogno di compagnia.”

“Da che cosa l’ha dedotto?”

“Non lo so, è stata una sensazione.”

“Capisco.”

“Posso sempre andarmene, se vuole.” avevo detto a disagio.

“Vuole andarsene?”

Mi stava sfidando?

Stava giocando con me?

“No, non voglio andarmene.”

“E allora non lo faccia.”

Ricordo che eravamo rimaste in silenzio per i dieci minuti successivi; non mi ero mai sentita così a mio agio con nessuno.

Avevo sempre odiato quella sensazione di disagio che si crea con le persone quando nessuno sa cosa dire.

Le persone odiano il silenzio perché non sanno come gestirlo e per questo tendono a riempirlo del niente assoluto con chiacchiere inutili.

Con lei, no.

Con lei era diverso.

Avrei potuto passare ore in silenzio, senza dire una parola e sarebbe stata la cosa più bella del mondo.

“E’ sposata, Emma?” mi aveva chiesto all’improvviso senza neanche guardami.

“Sposata? No, per carità.”

“Ha un ragazzo, ragazza? C’è qualcuno nella sua vita?”

“No, nessuno.”

Ecco.

Ecco dove erano incominciati i guai.

Perché avevo mentito?

“Prima ha detto che c’è qualcuno che l’aspetta a casa o sbaglio?”

“Si ma non è nessuno di importante.”

Nessuno di importante?

Come poteva non essere importante qualcuno che avrei dovuto sposare?

Aveva annuito.

Il nostro primo incontro era finito così: interrotto da una mia collega che l’informava che il dottor Whale, era pronto per visitare il bambino.

“E’ stato un piacere, Emma.” aveva detto alzandosi.

“Anche per me.”

“Spero di rivederla ancora, magari in circostanze migliori.”

“Sarebbe un piacere.”

“Bene…allora buona serata, Emma.”

Erano passati due giorni da quella sera.

Due giorni in cui non avevo fatto altro che pensare a lei.

Due giorni in cui continuavo a domandarmi che diamine mi fosse preso.

Avevo mentito.

Avevo mentito su Neal.

Avevo mentito sulla mia vita.

“Nessuno di importante” avevo detto.

Il problema era che non mi sentivo in colpa, o meglio, forse una parte di me si sentiva leggermente in colpa, ma non abbastanza.

Con Neal era tutto un “non abbastanza.”

Quel non abbastanza che mi era sempre andato bene.

Mi era sempre andato bene, fino al quel momento.

Poi era arrivata quella donna.

Quella donna che non sapevo neanche chi fosse.

Quella donna che non sapevo neanche come ritrovare, perché ero stata così stupida da non chiederle neanche come si chiamava. 

Ero andata a lavorare per giorni con la speranza di rivederla, anche se sapevo che era un pensiero stupido e sbagliato, perché la sua presenza in
ospedale, avrebbe significato che suo figlio non era migliorato.

Era possibile sentire la mancanza di qualcuno che non si conosce?

Forse sì.

Non è forse  più facile e in qualche modo più semplice amare qualcuno che non c’è?

Qualcuno che esiste solo nei tuoi pensieri?

 

Questo capitolo è dedicato a tutte le persone che non credono di essere belle. 
A quelle persone che credono di essere piene di difetti e che molto probabilmente sono migliori della maggior parte della gente che si reputa migliore di loro.
Lo dedico a voi e in fondo un po' anche a me stessa.
E vi auguro davvero di trovare una persona che vi faccia sentire di essere la persona più bella sulla faccia della terra.
Non importa se la sensazione durerà anche solo per un secondo, non importa. Vi auguro di provarla.
Per il resto, vi ringrazio come sempre :) alla prossima e fatemi sapere cosa ne pensate. 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3540173