Fragili come castelli di sabbia di SemplicementeCassandra (/viewuser.php?uid=600983)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I: Dicono sia l'ora più bella ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II: La nostra bolla ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III: La Suerte ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV: Cenere tra i ricordi ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V: Un mojito di troppo ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI: La foto ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII: Non ti arrendere ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VIII: Ginevra ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO IX:Il principe azzurro non esiste ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO X: Una piacevole tradizione ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO XI: Che mojito sia ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XII: IL PUNTO DI ROTTURA ***
Capitolo 1 *** CAPITOLO I: Dicono sia l'ora più bella ***
Vorrei salutare e ringraziare tutti coloro che leggeranno la mia storia
e li prego di non avere grandi aspettative. Spero di non deludervi e vi
invito a farmi sapere cosa ne pensate se vi va.
Grazie a tutti e buona lettura . Vi abbraccio virtualmente.
CAPITOLO
I: Dicono sia l'ora più bella
Un
altro anno, un' altra estate, ancora Alassio. Sole, mare, amici,
feste , discoteche. Doveva essere un mese di puro divertimento
in onore dei bei tempi in cui eravamo degli adolescenti che si
divertivano a fare gli incompresa e che possedevano un'insana voglia
di vivere ma ci pensavano i problemi della vita "adulta" a
ricordarci che non era più così.
L'università, il lavoro,
l'economia, i problemi d'amore. Eppure lì era tutto come
allora,
perfettamente immutato: il solito bagnino Mario, il gelataio della
piazza e lo storico baretto. Anche il gruppo negli anni non era
variato di molto, solo qualche aggiunta in più.
L'ambiente
era lo stesso da più di vent'anni , ma eravamo noi giovani
ad essere
cambiati. Matteo, allora così presente in spiaggia, si
vedeva poco o
nulla, l'unico ad avere sue notizie era il fratello, Giacomo. Elena,
che da bambina non era mai stata granché estroversa, parlava
ancora
meno e leggeva di più, sembrava animarsi al solo nome del
fidanzato
storico, lo stesso invisibile Matteo. Per ultimo, c'era il mio fidanzato, Paolo. Anni di
pseudo corteggiamenti e conversazioni telefoniche notturne mi avevano
finalmente vinto ma la nostra relazione si poteva difficilmente
definire tale: niente smancerie, baci o paroline dolci sussurrate su
un letto condiviso, un abbraccio freddo una volta ogni tanto quando
entrambi sentivamo una carenza affettiva era più che
sufficiente.
Paolo
era pressoché un bambino occupato per il trenta per cento
del suo
tempo a giocare e il restante settanta a mangiare, nulla di
più
nulla di meno. Nessun lavoro, pochi e saltuari studi in una scuola
privata di provincia, e l'aria perennemente annoiata che non gli
consentiva di interpretare gli sguardi sempre più esasperati
dei
suoi compagni di giochi e scorribande. Pur avendo più di
vent'anni
sembrava avere le capacità cognitive di un bambino di sette,
otto
anni al massimo
Mi voltai a guardarlo, sostava vicino alla riva
imbracciando un fucile d'acqua carico, incurante delle occhiate
confuse dei passanti, minacciava Giacomo e Nick di colpirli se non
gli avessero rivelato dove avevano nascosto il nuovo pacchetto di
figurine. Le facce di Giacomo e Nick raccontavano molto di
più di
quanto non osassero confessargli tanto che per più di un
attimo
provai pena per loro, decisi quindi di intervenire quando una
passante poco entusiasta si lamentò con il bagnino per gli
schizzi
d'acqua gelata ricevuti.
-Paolo! Smettila stai infastidendo i
passanti, se i ragazzi non vogliono giocare avranno le loro buono
ragioni- urlai dal lettino su cui ero intenta a leggere un
settimanale di moda trovato per caso.
-Ragazzi basta, state
infastidendo la mia ragazza vero Alessandrina? Arrendetevi.-
Abbandonai qualsiasi speranza e incrociando lo sguardo di Valerio, il
nostro bagnino, mi resi conto che il resto della compagnia aveva
già
perso le speranze da anni.
Sorrisi, quasi scusandomi, a Nick
che mi osservava con la confusione dipinta sul volto e gli indicai
che era meglio lasciarlo perdere. Paolo si allontanò dalla
riva e
venne a sedersi accanto a me buttandosi con noncuranza sul lettino,
bagnando l'asciugamani di spugna e scrollando i lunghi capelli scuri
come un cane bagnato.
Lo
osservai in attesa che si scusasse, ma ancora una volta
preferì far
finta di nulla e iniziò a disegnare cerchi sulla sabbia.
A
volte mi sentivo soffocare dalla sua presenza, come se fossi stata
avvolta da una bolla di fumo così densa da impedirmi da
trovare una
via d'uscita. La verità è che sapevo benissimo
come liberarmene ma
ne avevo paura, troppa paura; temevo di ricadere in un turbine di
sensazioni che mi avevano avvolta per troppo tempo e di cui alla fine
non mi ero mai liberata. Non sapevo ancora che, in un mondo o
nell'altro, quelle sensazioni sarebbe tornate a tormentarmi.
Mi
alzai scostando il corpo di Paolo dal mio e mi stiracchiai.
-Dove
vai amore?- mi domandò più per il fastidio di
essere stato spostato
che per interesse.
-Vado a fare due passi al molo, dicono che
questa sia l'ora più bella.- Pregai che non si offrisse di
accompagnarmi, parve pensarci per qualche secondo ma il commento di
poco prima era ancora chiaro nella sua mente così, con un
broncio
infantile, scrollò le spalle e tornò ai suoi
disegni senza
rispondermi, meglio così.
Camminare sulla sabbia a piedi
nudi mi piaceva e mi rilassava, sentire il profumo di salsedine con
in sottofondo i versi dei gabbiani era il mio concetto di
libertà,
quella agognata per un intero anno di freddo, nebbia e pioggia . Il
molo nel tardo pomeriggio dei primi di agosto era all'incirca deserto
se non per qualche pescatore accompagnato dalla sua fedele canna da
pesca o adolescenti in cerca del brivido di un tuffo, la mia panchina
preferita direzione "isola Gallinara" era libera.
Mi
sedetti incrociando le gambe nude sul legno ancora caldo e chiusi gli
occhi concedendomi per qualche secondo di assaporare i più
dolci dei
ricordi. Me bambina, quel delfino gonfiabile più grande di
me che mi
trascinavo sulla riva del mare nonostante non fossi neanche capace di
stare a galla da sola, il primo bacio scambiato su quella stessa
panchina in una sera di pioggia, lento e incerto ma sospeso nel tempo
per dare l'illusione che potesse durare per sempre. Ci avevo creduto,
creduto davvero, che quella storia a cui avevo donato me stessa, le
mie prime esperienze, i primi sentimenti veri, durasse in eterno. Ero
una bambina e in confronto a me lui era così maturo; le sue
labbra
erano mature, già assaporate da un'altra bocca, le sue
guance un po'
ispide erano già state levigate da altre mani eppure a lui
non
sembrava importare o almeno era quello che mi era parso di leggere in
un paio di profondi e scuri occhi color cioccolato. Un movimento
brusco contro le sbarre di metallo mi destò, riaprii gli
occhi di
scatto convinta di dover rispondere alle domande di qualche turista
ma tentennai non appena incrociai due occhi così simili a
quelli del
ricordo.
-Tutta sola al molo, Alessandrina? Come mai non ti sei
portata dietro la guardia del corpo? Si potrebbero fare incontri
pericolosi...i malfattori sono sempre dietro l'angolo.- Inghiottii a
vuoto, quasi come se avessi scordato come respirare correttamente.
Era la prima volta che lo vedevo, almeno quell'estate, e potevo
affermare con certezza che non fosse cambiato di una virgola, stesso
sguardo, stesso tono sarcastico e prepotente di chi credere di essere
migliore degli altri, una spanna superiore a tutti, ma che in
realtà
non osa guardarsi allo specchio.
-Ti
riferisci a te stesso, Matteo? Chissà perché non
avrei problemi ad
immaginarti come tale.- Risposi distogliendo lo sguardo dagli occhi
che vedevo brillare di luce ingannatrice, rispondere al fuoco con il
fuoco, mi era sempre riuscito bene.
-La simpatia è una dote di te
che ho sempre apprezzato- ribatté con un sorriso
impertinente, prima
di continuare questa volta con più serietà. -Mi
stupisce davvero
vederti qui, insomma, mi era sembrato di capire che non fossi
un'usuale frequentatrice del molo. È un anno che non ci
vediamo-.
-Non per colpa mia, sei tu che non sei più venuto in
spiaggia, io non mi sono mai mossa. Sai com'è il detto...
"stessa
spiaggia stesso mare"- spostai lo sguardo verso la distesa blu,
incapace di reggere ancora il suo sguardo indagatore per paura che
leggesse qualcosa di troppo nei miei occhi. In quei pochi secondi in
cui mi era stato concesso osservarlo avevo notato una voce se
possibile più profonda e mascolina, le braccia, pur non
essendo mai
state esili, sembravano essere state sviluppate con duri allenamenti
in palestra. Matteo appoggiò la canna da pesca al suolo
asciugandosi
le mani sul costume da bagno prima di prendere posto sulla panchina
accanto a me.
-Enrica mi ha accennato qualcosa , sì. Mi ha detto
che senza di me la compagnia è una noia mortale, concordi?-
Faticavo
a seguire la conversazione, il suo profumo era così
inebriante e
persistente, lo stesso di quando era poco più che un
adolescente, in
grado di suscitare un fiume di ricordi difficili da arginare.
Impiegai qualche secondo prima di rispondergli.
-Siamo cambiati
Matteo, cresciuti. E' ovvio che non ci mettiamo più a fare i
gavettoni come una volta.-
-Fossi in te domani preparerei dei
palloncini, tanto ci sei abituata, no? Il tuo fidanzato deve averne
una casa piena considerata la sua età mentale-. Lo guardai
confusa,
non capendo nell'immediato l'illusione, mi soffermai sul sopracciglio
destro alzato provocatoriamente e compresi spalancando gli occhi.
Qualcosa mi diceva che di lì a poco sarebbero iniziati i
guai ma
preferii non ascoltare quella voce razionale così simile a
quella di
mia madre, erano trascorsi cinque anni, ero guarita.
-Quest'anno
si pesca ben poco e non ha senso perdere tempo. Potrei passare per
una visitina e chissà, magari mi fermo più a
lungo.-
-Fai come
vuoi - risposi controllando la voce un po' rauca e tremolante. -Ma
non ti aspettare che ti accolgano tutti a braccia aperte, sono finiti
i tempi in cui eri la star della spiaggia- incrociai le braccia al
petto come per difendermi dalla sua posa altera.
-Dici?
Io non ne sono così sicuro. Mi sembra di ricordare che senza
di me
il divertimento sia finito, insomma, non vi parlate nemmeno
più. Che
stupido, dimenticavo che ormai sei una donna impegnata-. Non risposi
alla provocazione, continuai a fissare la Gallinara, così la
chiamavano i vacanzieri storici, in attesa che se ne andasse. La sua
presenza mi impediva di assaporare a pieni polmoni il mio angolo di
paradiso.
-Ti ricordavo più loquace ma non importa, ti lascio ai
tuoi pensieri, ho una ragazza da portare a cena fuori stasera e non
vorrei fare tardi. Ci si vede.- Recuperò l'amo e la
cassettina in
plastica, senza nemmeno voltarsi una volta, si allontanò a
passo
cadenzato ma per nulla frettoloso lasciandomi sola con più
pensieri
di quanti non ne avessi prima di accomodarmi.
Osservai la sua
schiena da lontano e per una frazione di secondo non riuscii a
reprimere il desiderio di essere Elena, almeno per una sera. Mi
sarebbe piaciuto avere un ragazzo con cui condividere i miei
pensieri, le mie preoccupazioni, con cui confrontarmi davanti ad un
bicchiere di vino. Invece erano anni che non uscivo a cena con il mio
ragazzo se non per un panino unto davanti allo stadio prima di una
partita, niente più candele o baci al limite della decenza
per un
bicchiere di troppo. Eppure, anche se per un periodo così
breve da
sembrare soltanto un sogno, avevo avuto la mia dose di dolcezza e
passione, mi ero seduta a un tavolo con una candela e avevo concluso
la serata con baci infuocati. L'avevo provato, gustato, prima che mi
venisse tolto senza che avessi la possibilità di lottare e
sfoderare
gli artigli e a me non restò altro che ricucire le ferite
del mio
cuore in attesa che qualcuno riuscisse a ricomporlo. Mi diedi un
pizzicotto sul braccio, forte, per svegliarmi dallo stato di trans in
cui ero caduta.
Mi incamminai verso lo stabilimento, un nuovo
desiderio di solitudine si agitava nel mio cuore, sentivo
contemporaneamente l'esigenza di pensare e il bisogno di spegnere
quella voce petulante e fastidiosa che non aveva smesso nemmeno per
un'istante di tormentarmi. Neanche il suono dei gabbiani, fino a
qualche minuto prima così confortante, era in grado di
oscurarla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** CAPITOLO II: La nostra bolla ***
Buonasera
!! Ecco il secondo capitolo, spero che vi piaccia. Ringrazio chi ha
recensito il primo e ha inserito la storia, ora in fase di revisione,
tra le seguite.
Buona
lettura e fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate.
A presto.
CAPITOLO II: La nostra bolla
Sentivo solo un
mormorio di sottofondo mentre con la coda dell'occhio osservavo
l'ingresso dello stabilimento balneare in attesa di vedere Matteo da un
momento all'altro. Non sapevo se credere o meno alle
sue parole e l'ansia mi
tormentava ormai da ore. L'estate precedente era stata un vero incubo,
per me e per gli amici di sempre, a causa di continui litigi
ingiustificati, provocazioni, battute al veleno. Io e Matteo non
sembravamo più capaci di comportarci come amici, troppo
rancore e delusioni giacevano dalla mia parte e nonostante non sapessi
dire con certezza quali fossero le sue motivazioni sapevo che c'era
qualcosa. Persino la serata di ferragosto si era conclusa nel peggiore
dei modi, con un bicchiere di vino rovesciato sulla sua camicia candida
e una litigata a fare da sottofondo ai fuochi d'artificio. Nulla mi
diceva che anche quell'anno non ci sarebbero stati problemi, eppure la
conversazione del giorno precedente mi aveva lasciato addosso una
sensazione particolare, difficile da catalogare.
-Ale? Ale ci sei o no?- mi voltai sorpresa al richiamo di Elena che
quel giorno sembrava piuttosto felice, così felice da
intavolare una discussione di sua spontanea volontà, peccato
che avessi ascoltato si e no le prime cinque parole del discorso e non
sapessi di cosa stesse parlando.
-Ti dispiacerebbe dirmi cosa c'è al chiosco di
così interessante da non riuscire a distogliere lo sguardo?-
-Nulla Elena nulla, sono solo un po' stanca e distratta. Tutto qui- le
risposi spostandomi in modo tale da non avere più la
tentazione di voltarmi: continuare ad aspettare era privo di senso,
avrei dovuto immaginare sin dall'inizio che le sue non erano altro che
parole vuote. Sentii una punta di delusione insinuarsi sotto pelle, in
profondo, deglutii per mandarla via, allontanarla, ma quella rimase
lì come a ricordarmi ancora una volta quanto fossi fragile
nei suoi confronti.
-A me più che stanca sembri ansiosa! È venti
minuti che ti parlo e tu continui a guardare sconsolata verso Mario,
aspetti qualcuno?- La strana curiosità di Elena mi
infastidiva più del necessario tanto da farmi sbuffare
apertamente senza preoccuparmi del fatto che avrebbe potuto offendersi.
Pensai di chiedere al bagnino un cambio di ombrellone così
da contrastare in anticipo un mese di conversazioni vuote, sguardi di
fuoco a ancor più temibili tornei a carte.
-Io penso di saperlo Ele, vuoi un suggerimento? Inizia per P e finisce
con aolo.- Rimasi ferma, irrigidita quasi, al suono di una voce bassa e
profonda, diversa dalle altre e sempre pregna di ironia. Sentii caldo,
molto caldo, ed ero certa che non fosse dovuto al sole di agosto;
così come si era manifestata la delusione mi
abbandonò.
-Amore, finalmente sei arrivato! Credevo non ti ricordassi
più la strada.-
-Solo qualche faccenda da sbrigare prima di pranzo...-. La loro
conversazione non era che un sottofondo ai miei pensieri, prestai loro
poca attenzione tanto ero intenta a contrastare il fiume di ricordi che
spingeva contro gli argini della mia memoria.
-Io e Alessandra ti stavamo aspettando, ti va di venire a fare una
passeggiata? Oggi si muore di caldo.- Mi riscossi soltanto sentendo il
mio nome ma non alzai lo sguardo. Quante bugie, quanta
falsità.
-Vieni anche tu Ale?- Sentendomi tirata in causa decisi di smettere di
fare finta di nulla e mi costrinsi ad alzare il volto incrociando
immediatamente gli occhi di Matteo. Il suo sguardo mi
inchiodò al lettino, penetrante, caldo, la sua non sembrava
una domanda di circostanza, nonostante il tono molle e un po' annoiato,
ma Elena al suo fianco non era dello stesso avviso. La vidi battere
energicamente il piede sulla sabbia umida, impaziente, mentre mi
osservava con un cipiglio infastidito. La sua proposta era rivolta solo
ed unicamente al suo ragazzo.
-No Matteo, grazie, preferisco abbronzarmi un po'-
-Allora avevo ragione, stiamo aspettando il principe azzurro!! Come
vuoi, come vuoi...stai attenta che nell'attesa non ti crescano i primi
capelli bianchi-. Il suo tono ironico nascondeva qualcosa di
più, sembrava voler continuare, ma era chiaro quanto la
presenza di Elena gli impedisse di lasciarsi andare.
Sul momento non seppi come rispondere, non ero più abituata
al nostro quotidiano scambio di battute e quasi feci fatica a trovare
una risposta adeguata. Non avrei potuto dirgli di aver già
incontrato il principe azzurro, sarebbe stata una bugia e Matteo mi
conosceva così bene che se ne sarebbe accorto in pochi
secondi, chiunque se ne sarebbe accorto. Come avevo potuto scegliere
Paolo? Io che per anni avevo decantato l'importanza di scegliere una
persona con cui conversare, sullo stesso piano intellettuale per non
annoiarsi mai, mi ero infine legata più ad un bambino che ad
un uomo.
-Dici che si abbinano con un corpo abbronzato?- domandai sorridendo.
Aveva già la risposta pronta come se avesse previsto una
domanda simile ma non ebbe tempo di controbattere.
-Matteo andiamo?- ci interruppe Elena. Mi aspettai che Matteo si
voltasse abbandonando la conversazione a metà per seguirla
ma non lo fece, indugiò per qualche istante accanto
all'ombrellone e poi con un gesto veloce la invitò di
incamminarsi. -Ti raggiungo in un attimo-.
Fui rapida a nascondere la sorpresa, conoscendolo, sapevo che sarebbe
tornato all'attacco su Paolo. Prese posto sul lettino accanto al mio,
di solito vuoto.
-Non lo so, dovrei osservare meglio il corpo prima di poter giudicare-
continuò come se nulla ci avesse interrotto. Si
avvicinò maggiormente e l'aria intorno a me divenne
irrespirabile, satura del suo profumo fresco e della sua presenza. Non
immaginai i suoi occhi scivolare lungo il mio viso, il mio collo, le
mie spalle. Trattenni a stento un sospiro sorpreso, stava forse
insinuando qualcosa? Tornò a guardarmi con occhi carichi di
malizia. Sì, avevo colto perfettamente il suo riferimento e
quasi spontaneamente mi ritirai nascondendomi meglio sotto il
copricostume sentendo le guance avvampare. -Ma continuiamo a parlare di
Paolo, è un argomento parecchio interessante.- Confusa per
il cambio di rotta nella conversazione lo guardai con un sopracciglio
inarcato.
-Sei forse geloso Matteo?- mi azzardai a chiedere in tono sarcastico
aspettandomi una risposta tagliente ma ancora una volta rimasi sorpresa.
-Non so, tutto potrebbe essere. Eppure, credo di conoscere bene
ciò di cui si vanta tanto di possedere-. Rimasi interdetta,
boccheggiante. Non aveva ancora perso quel sorriso ironico e
irriverente, attese che le sue parole mi entrassero dentro prima di
alzare un sopracciglio. Roteai gli occhi per il tono un po' arrogante,
quello che da sempre usava nei confronti di Paolo. Si alzò
senza dire altro, come se la nostra conversazioni fosse finita
così, senza un senso e all'improvviso, e raggiunse Elena a
riva.
Potevo vedere le mie mani tremare per la tensione. Non ero un oggetto
eppure Matteo dopo anni ancora non era riuscito a capirlo, non ero di
proprietà di nessuno, men che meno di Paolo o sua. Le sue
parole mi avevano portato a riflettere più del necessario,
stesa su un lettino al sole, non badavo alla dolce melodia del mio
Ipod, ma riflettevo sul comportamento di Paolo, sul mio. Possibile che
prima di allora non mi fossi mai resa veramente conto di quanto la
"relazione" mia e di Paolo non potesse definirsi una tale? Seguivamo
vite diverse, la nostra era una storia a distanza, io a Torino e lui a
Varese, ci vedevamo raramente per un pomeriggio insieme e fino a poco
tempo prima mi accontentavo. Potevo uscire con le compagne di
università, lavorare per uno dei quotidiani locali senza
impedimenti ma quando tornavo a casa ero sempre più sola.
Non potevo affermare con certezza di non aver mai pensato di tradire
Paolo, la tentazione si era presentata un paio di volte durante qualche
serata in piazza Vittorio, ma la mia moralità aveva prevalso
su tutto. Non ne valeva la pena. Ma in quel momento desiderai averlo
fatto, anche soltanto per spezzare quel circolo vizioso che mi aveva
tenuto legata a Paolo, immobile, incapace di reagire fino al giorno
prima. Ancora una volta, Matteo si era rivelato fondamentale per
scuotere i miei sentimenti, quasi risvegliandomi dal torpore in cui ero
caduta. Avrei dovuto porre rimedio a quella situazione il prima
possibile, ma per il momento decisi di spostare in un cassetto della
mente quei pensieri per godermi, almeno per qualche minuto, i caldi
raggi del sole.
La pace durò poco, prima di poter ascoltare la quarta
canzone della riproduzione casuale, una mano grossa e poco gentile mi
scosse il braccio. Mossi gli occhi ripetutamente oscurandomi il viso
con una mano per poter osservare Paolo. Non feci caso alla maglietta
gialla sporca di cioccolato, né all'espressione un po'
assonnata nonostante fosse già quasi mezzogiorno.
-Cucciola, buongiorno!- mi disse sedendosi sul lettino. Sbuffai
infastidita ma lo seguii con il busto, dovevo mantenere la farsa ancora
per qualche giorno.
-Ciao Paolo, sei arrivato da tanto?- gli domandai senza interesse
aggiustandomi il costume.
-Non molto, una decina di minuti.
Giacomo è andato a fare il bagno con Nicola e sai che io non
so nuotare, quelli vanno sempre al largo. Mi annoio da solo-. Compresi
il motivo per cui fosse venuto da me, come sempre, non per trascorrere
del tempo insieme ma per non rimanere da solo. Approfittai
dell'occasione per avvicinarmi alla riva con Paolo imbronciato dietro
di me che mi seguiva come un bambino con la propria mamma. Ed era
così che mi sentivo qualche volta, una mamma un po'
inesperta e svogliata, che doveva prendersi cura di un bambino incapace
di gestirsi. Osservandolo quasi provai tenerezza nei suoi confronti, ma
mai amore, rividi quel bambino paffuto e un po' ingenuo che trascorreva
le giornate sotto l'ombrellone con un fumetto in mano.
-Se vuoi raggiungerli ti accompagno, magari non ci spingiamo tanto al
largo. - Lo sospinsi verso l'acqua posandogli una mano sulla schiena.
In lontananza potevo vedere le sfocate figure dei ragazzi nuotare con
tanto di maschera e boccaglio, di Matteo ed Elena neanche l'ombra, ma
forse era meglio così data l'ultima esperienza.
Il litorale era deserto per essere i primi di agosto e si sentiva
nell'aria un cambiamento imminente, qualcosa di negativo che iniziava a
leggersi sui quotidiani e a cui pochi prestavano davvero attenzione.
L'acqua era fredda e come d'abitudine rimasi ferma un po' prima di
immergermi per abituarmi al cambio di temperatura. Paolo si
avvicinò con l'intento di abbracciarmi, quasi un
ringraziamento per non averlo abbandonato, ma mi sentivo in colpa nei
suoi confronti, in colpa per non averlo mai amato davvero, nemmeno
all'inizio della relazione. Strinsi forte gli occhi: dovevo lasciarlo,
il prima possibile per evitare che soffrisse di più. L'unica
consolazione era che nemmeno lui mi aveva mai amato, ero più
un passatempo per non rimanere soli, un premio da sfoderare agli amici
cosicché non lo prendessero in giro per essere l'unico del
gruppo a non aver mai avuto una relazione. Avevamo entrambi buttato via
gli ultimi anni della nostra vita.
Paolo si avvicinò e mi strinse in un abbraccio al quale feci
fatica ad abituarmi prima ancora di vederlo abbassare il capo e
avvicinare la bocca alla mia. Ma quelle braccia, quelle labbra, erano
estranee e non mi appartenevano, il mio cuore sembrava urlarmi di
allontanarmi , andarmene da lì perché voltandomi
avrei trovato braccia più accoglienti, familiari. Braccia e
labbra conosciute, imparate a memoria anche in pochi giorni, giorni di
tenerezze e baci a fior di labbra, timorosi di spingersi verso qualcosa
di più. Lottai con tutte le mie forze per tornare alla
realtà e poi accadde.
Una doccia gelata, mi riscosse e se da una parte avrei voluto
ringraziare l'autore dello scherzo per il semplice fatto di avermi
riportato alla realtà mi rimangiai tutto non appena presi
coscienza dell'immagine davanti ai miei occhi.
-Ops, ho interrotto qualcosa?- chiese Matteo con un sorriso innocente
dipinto sulle quelle labbra piene, e un po' mordicchiate, un'abitudine
che aveva quando si concentrava.
Paolo fece per rispondere ma lo fulminai con un solo sguardo, quella
era la mia battaglia, il mio gioco, e il mio avversario, non avrei
permesso a nessuno di intercedere per me. Non ero realmente arrabbiata
e Matteo lo avrebbe intuito nel giro di pochi secondi ma in quel
momento volevo solo liberarmi da un peso e ottenere una piccola
rivincita dopo il discorso sullo sdraio.
-Tu dici?- Non gli diedi il tempo di replicare. Nel tempo di un battito
di ciglia si ritrovò completamente bagnato, soltanto dopo mi
accorsi che era ancora vestito e alzai lo sguardo per guardarlo negli
occhi dove vi lessi divertimento e sfida.
Bastarono pochi sguardi, intuii i suoi pensieri e iniziai a correre
inseguita prontamente da lui. Per quanto fossi più giovane
di lui le mie capacità respiratorie mi abbandonarono dopo
non molto ma sapevo sin dall'inizio di non avere possibilità
di vittoria: intere settimane trascorse seduta ad un banco non potevano
competere con quattro allenamenti di calcio settimanali. Non
passò molto tempo prima che mi afferrasse da dietro e
prendendomi in braccio mi trascinasse con lui in acqua.
-E questo a cosa lo devo?- domandai una volta riemersa trattenendo a
stento una risata. Non ottenni risposta, in compenso venni nuovamente
trascinata sott'acqua dalla sua forza.
Giocammo come due bambini sotto gli sguardi invidiosi o infastiditi
degli altri ma a noi non sembrava importare del mondo intorno, eravamo
come sospesi all'interno di una bolla nostra e di nessun altro, assenti
erano i contatti con l'esterno tanto che non mi accorsi di come anche
gli altri si fossero avvicinati e alcuni avessero iniziato a
spruzzarsi. Non rivolsi uno sguardo alle occhiate sbieche di Elena o al
sorriso amaro e forse consapevole di Paolo, era come se il tempo si
fosse fermato in quella parentesi di paradiso dove l'età
è solo un numero e non esistono fidanzati ingombrati di cui
tener conto. Quante giornate avevamo trascorso così da
bambini, con le nostre madri in piedi sulla riva, le mani sui fianchi,
a tarda sera in attesa che noi uscissimo dall'acqua. Ricordavo ancora
l'odioso fischietto con cui il bagnino ci richiamava quando ormai in
spiaggia non era rimasto nessuno, la faccia scocciata di Matteo che
essendo il più grande provava a fare quello responsabile
afferrandomi la mano e preannunciando vendetta per il giorno seguente.
Anche allora, eravamo noi gli unici a giocare in acqua fino a tardi
incuranti della lunga doccia che ci aspettava e del solito ritardo a
cena per il quale ci saremmo guadagnati un rimprovero.
Furono gli stessi ragazzi a interrompere il momento avvisandoci
dell'avvicinarsi dell'una. La voglia di abbandonare il paradiso era
poca e Matteo doveva pensarla allo stesso modo a giudicare dal modo in
cui dovetti pregarlo di lasciarmi il polso per poter uscire.
-Non è finita qui, lo sai. Voglio la rivincita.-
-Sogna Matteo, sogna.- e gli sorrisi con un misto di dolcezza e malizia
osservando la sua maglietta bianca e fradicia.
Mi allontanai tornando verso la spiaggia dove ad attendermi trovai
Giacomo.
-Vi divertite ancora con poco...crescerete mai ?- mi domandò
ironicamente accompagnandomi alle docce, sotto il tono scocciato, mi
parve di leggere una punta di divertimento. Non sapevo come fossimo
passati dalla battute provocatorie al giocare come bambini ma la tregua
momentanea non poteva che essere un toccasana per i restanti membri del
gruppo.
- Sei solo invidioso Jack. La prossima volta unisciti a noi- lo invitai
apostrofandolo con quel soprannome ormai divenuto leggenda nello
stabilimento per tutti coloro che conoscevano l'ossessione di Giacomo
per gli Stati Uniti.
-Non mi va, sai il rapporto che lega me e Matteo. E poi io sono un uomo
non un bambino come il cretino che mi ritrovo per fratello. -
-Ma se vi volete un bene dell'anima! E poi, lo sai, “muore
davvero soltanto chi smette di essere giovane nel cuore”-. Mi
osservò perplesso e attese che uscissi dalla doccia per
rispondermi. Mi asciugai controllando il cellulare; ero in estremo
ritardo per l'appuntamento con la mia migliore amica. Ginevra mi
aspettava al bar da ormai venti minuti e conoscendola avrei dovuto
trovare una scusa molto più che credibile.
-Carina questa, di chi sarebbe?- domandò finalmente Giacomo
e impiegai qualche secondo per capire che si stava riferendo alla frase
di poco prima.
-Mia?- risposi incerta con un filo di ironia nella voce.
-Ah, tu e le tua citazioni...dove la trovi tutta questa immaginazione?-
Infilai in fretta gli abiti e mi guardai velocemente allo specchio:
capelli in disordine, occhiaie dopo una notte insonne e vestiti
stropicciati, facevo pena ma sapevo che non avrei dovuto impressionare
nessuno.
-Leggo Giacomo, qualcosa che dovresti fare anche tu. Aiuta sai?- risi
della sua espressione offesa e lo salutai con un rumoroso bacio sulla
guancia. Avevo quasi oltrepassato il chiosco quando mi voltai di nuovo,
per salutare il bagnino ma non solo, la tentazione di cercare con lo
sguardo Matteo fu così travolgente che non riuscii a
resistere. Mi sorpresi di vederlo seduto sul mio lettino, un
asciugamani in un mano e gli occhiali da sole nell'altra, ma ancora di
più mi stupii di vederlo rivolto nella mia direzione con gli
occhi puntati nei miei; accennò un sorriso al quale
ricambiai timidamente, ancora incerta su cosa fosse cambiato in
così poco tempo e per quanto potesse davvero durare.
In lontananza, con il fiatone per la corsa, scorsi Ginevra seduta al
tavolo intenta a leggere il menù con l'ipod nelle orecchie e
mi sentii felice di rivederla di nuovo dopo mesi di lontananza, lei a
Roma e io nella grigia Torino.
Avevo sentito la mancanza delle sue parole confortanti, dei suoi
abbracci caldi in cui dopo gli esami difficili avevo desiderato
perdermi, quei rimproveri che solo una persona che ti vuole bene
può farti. Tra alti e bassi eravamo amiche da un vita.
Osservai attentamente le diverse opzioni di panini sul tavolino e mi
crogiolai nella sicurezza che solo l'abitudine può donare.
-Capisco che sono in ritardo ma non mi sembra il caso di svaligiare
l'intero Bar - le dissi alle spalle cogliendola di sorpresa e risi
vedendola sussultare prima di stritolarmi in un abbraccio soffocante.
-Figurati se non eri in ritardo! Ormai ti conosco, non ci faccio
neanche più caso ma il mio stomaco brontolava
così-
-Tranquilla Gin, non mi sono offesa - le risposi lasciandomi cadere
sull'unica sedia vuota.
Dopo aver ordinato la sorpresi scrutarmi con occhi indagatori e seppi
che di lì a poco avrebbe iniziato una sorta di
interrogatorio.
- Sei stanca Ale? Hai delle occhiaie terribili- mi domandò
affrontando con noncuranza l'argomento dopo le solite chiacchiere di
poco conto. Le risposi osservando la bottiglia di coca cola davanti a
me e staccandone con attenzione l'etichetta, pur di non farle leggere
la bugia nei miei occhi.
-Solo qualche problemino, niente di più.-
-E' successo qualcosa? Di me puoi fidarti, lo sai.- Volevo raccontare
ciò che sentivo dentro ma avevo paura di essere fraintesa
tanto quello che stavo provando mi sembrava complicato.
-E' che - mi interruppi per respirare profondamente. Virginia sapeva
poco nulla di Matteo e di quello che solitamente succedeva ad Alassio a
causa della mia tendenza a reputare Torino e Alassio due mondi separati
e paralleli con nessuna possibilità di scontrarsi.
-Secondo te, l'amore prima o poi finisce? Intendo dire, se hai amato
una persona, l'hai amata tanto, è possibile che questo amore
non termini mai? Io sono così confusa. Mi sono ritrovata in
una situazione scomoda all'improvviso, nessuno mi ha avvertito ed ho
così paura di soffrire ancora. Mi sembra impossibile
smettere di guardarlo, osservarlo, tremo al suono della sua voce come
se avessi ancora undici anni e...Dio com'è frustrante questa
situazione! Sono bastate poche ore per mandare completamente in
confusione il mio cervello, ma che mi passa per la testa.-
La sua espressione era piuttosto confusa ma non potevo biasimarla,
nemmeno io riuscivo a sbrogliare la matassa dei miei pensieri.
-Posso affermare con certezza che non stai parlando di Paolo, i tuoi
occhi brillano e non succede mai quando parli di lui. Non conosco
questo ragazzo, prima o poi dovrai presentarmelo, ma non vedo dove sia
il problema...buttati, come hai sempre fatto!-
Grugnii per trasmetterle la frustrazione che sentivo ammontare ad ogni
parola. Non potevo lasciarmi coinvolgere, ma Ginevra non avrebbe mai
capito. Credevo che nessuno, nonostante i miei sforzi, avrebbe mai
potuto comprendere davvero lo strano rapporto che mi legava a Matteo,
come un cordone ombelicale che nonostante venga reciso continua a
tenere madre e figlio uniti. Con Matteo avevo condiviso qualcosa che
irreparabilmente mi spingeva sempre a tornare tra le sue braccia.
-Sarà...non lo so. Forse devo pensarci a mente lucida, dopo
tutto la vacanza è appena cominciata.- Addentai il panino e
rimasi in silenzio non sapendo che altro dire. Avevo sbagliato ad
aprirmi così, non potevo pretendere che gli altri mi
aiutassero senza conoscere la storia, eppure il desiderio di custodire
gelosamente quel passato così importante e vivido era una
sensazione talmente prepotente che avrei preferito risolvere i miei
problemi da sola piuttosto che raccontare ad altri anche un solo
particolare.
-Tra qualche giorno viene giù anche Ema, pensavo che sarebbe
stato carino organizzare una cena insieme, magari puoi portare anche il
tuo uomo misterioso- mi disse infine girando il cucchiaino nella tazza
del caffè ma la mia attenzione era rivolta altrove, verso la
coppia di giovani che era appena passata mano nella mano dall'altra
parte della strada. Lui le porse il casco e salì sul
motorino, lei attese prima di salire a sua volta e stringere le braccia
attorno al busto muscoloso del ragazzo. In una nuvola di sabbia e
polvere scomparvero...avrei riconosciuto quello scooter ovunque.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** CAPITOLO III: La Suerte ***
Buonasera!!
Ecco qui il terzo capitolo dove si approfondiscono un po' di
più la relazione tra i due protagonisti e le dinamiche del
gruppo. Ringrazio tutti/e voi che avete letto i primi due capitoli, che
avete inserito la storia tra le seguite, preferite o da ricordare,
mille parole non basterebbero per esprimere quanto vi sia grata per il
supporto.
Che dire...spero che vi piaccia!
A prestissimo...spero!
Cassandra
CAPITOLO
III: La Suerte
Ci
sono giornate nella vita in cui senti dentro, nel cuore o nell'anima
che dir si voglia, che accadrà qualcosa di anomalo che ti
cambierà
la vita. Non so se sia stata soltanto una suggestione frutto della
mia fama da sensitiva, ma quella mattina mi svegliai con la
consapevolezza che ci sarebbe stata una svolta, non sapevo ancora se
nella mia vita in senso lato o soltanto in quello strano rapporto con
Matteo. Un senso di anticipazione, una serie di brividi lungo il
corpo che mi suggerivano di stare all'erta, aspettare in silenzio che
qualcosa cambiasse. Il mio sesto senso non mi aveva mai tradito.
Il
tramonto era l'ora perfetta per restare in spiaggia con i piedi
affondati nella sabbia ancora calda, farsi cullare dalle placide onde
del mare per confidarsi i segreti più intimi. C'era un non
so che di
consolatorio nel tramonto, l'illusione che persino la più
terribile
delle giornate potesse giungere al termine e al contempo l'idea che
la giornata non fosse ancora conclusa, che ci fosse sempre qualcosa
per cui rimanere con il fiato in sospeso. Un
tempo ci piaceva radunarci a tardo pomeriggio, una coca cola in mano
per i più piccoli e uno Spritz per Matteo per dimostrare
agli altri
di essere il maggiore del gruppo, qualche chiacchiera senza genitori
ad origliare, confessioni proibite e risate a non finire erano
all'ordine del giorno. Quella sera, come tante altre ormai da anni,
ognuno pensava ai fatti propri, alcuni giocavano con il cellulare,
altri si sfidavano in un'apparentemente interminabile partita a
carte. Matteo poco distante leggeva un libro, il capo reclinato sulla
sedia e l'espressione imperturbabile, concentrata, le sopracciglia un
po' aggrottate. Mi sorpresi a guardarlo più del necessario
per
riscoprire i particolari del suo viso e confrontarli con quelli
scolpiti nella mia mente. Mi riscossi prima che fosse troppo tardi,
mi guardai intorno per controllare che nessuno mi avesse visto e
sospirai provando a movimentare la compagnia, sapevo di non poter
contare su Valerio ancora impegnato nei suoi doveri da bagnino.
-Ragazzi
facciamo qualcosa stasera?- domandò inaspettatamente Elena
anticipandomi. La guardai positivamente sorpresa e annuii.
-Potremmo
incontrarci per un aperitivo da qualche parte, non so, e proseguire
la serata alla Suerte, come ai vecchi tempi- proposi non aspettandomi
grandi consensi. Matteo chiuse il libro con uno scatto guardandosi
intorno per qualche secondo intorno ma fui veloce a distogliere gli
occhi prima che i nostri sguardi potessero incrociarsi.
-Ma
Ale, lo sai che stasera c'è la partita- mi rispose a
sorpresa Paolo
senza nemmeno spostare gli occhi dalla crepe grondante di Nutella che
teneva in bilico su un tovagliolo. Non risposi, sbuffai solamente per
esprimere il mio disappunto seguito da qualche mormorio infastidito,
a quanto pare non ero l'unica a sentire la mancanza di tempi dove
tutto appariva più semplice. In quei giorni trascorsi
insieme non
avevamo avuto nessun incontro serale, neanche nel solito locale, per
avere vent'anni eravamo un gruppo davvero monotono e noioso. Avevamo
aspettato a lungo di poter essere tutti abbastanza grandi per poter
entrare nelle discoteche senza problemi, ricordo ancora i pianti e le
notti insonne con lo stomaco accartocciato per l'invidia. Una sola
vota avevamo organizzato una serata, il ferragosto di un paio di anni
prima, ma appena la metà della compagnia aveva aderito con
la scusa
che le discoteche quella sera fossero troppo affollate. Inutile dire
che mi ritrovai con Giacomo, Nick e pochi altri, Paolo era stato il
primo a tirarsi indietro in favore di un allettante gelato in piazza
Partigiani. Prediligeva sempre serate tranquille con un partita di
calcio, sport di cui capiva e penso capisca ancora davvero poco, o
film comici di seconda scelta.
-Ed ecco a voi l'unico ragazzo
sulla terra che non sa distinguere un rigore da una punizione. Ma non
ti vergogni? Fossi in te non le guarderei più le partite -.
Nel
momento più inopportuno Matteo si intromise andando ad
aggiungere
legna su un fuoco che chiedeva a gran voce di essere spento, tanto
che lo osservai con disapprovazione. Paolo e Matteo non erano mai
andati d'accordo, sin da ragazzi si era instaurata tra di loro una
strana competizione che mai nessuno era riuscito a comprendere fino
in fondo, senza dubbio erano due personalità contrastanti,
opposte
oserei dire. Vitale ed energico Matteo, sebbene a volte un po'
esaltato e presuntuoso, infantile e perennemente annoiato Paolo ma
buono, ingenuo come il pane.
-E
smettetela un po', siete sempre lì a battibeccare come due
bambini!
Io do ragione
ad Ale, andiamo a "la Suerte", è un po' che non vediamo
una discoteca- mi spalleggiò
stranamente Elena sorridendomi. Gli altri ragazzi si unirono alla
nostra idea, eccitati, Nick si lasciò andare in un grido di
giubilo
muovendosi poi in modo scomposto quasi fosse già in
discoteca. La
sua energia era contagiosa. Soltanto i due litiganti non si unirono
al gruppo, impegnati com'erano ancora a discutere tra di loro sul
risultato dell'imminente partita, nessuno prestava più loro
attenzione. Chiamai Paolo aspettando pazientemente che mi
rispondesse.
-Va bene, amore mio non ti lascio sola, vengo anche
io- annuì Paolo dopo un momento di esitazione, abbandonando
almeno
momentaneamente la delusione per l'assenza di quella partita tanto
agognata.
Ci
girammo tutti contemporaneamente verso Teo, l'unico che non aveva
ancora espresso la sua opinione.
-Vengo vengo- disse con tono
arrendevole, un po' annoiato, come se lo avessimo costretto ma tutti
sapevamo che faceva parte del personaggio che con cura si era
costruito negli ultimi anni. Sorrisi allora, soddisfatta che la mia
idea fosse andata in porto.
-Scusatemi un attimo, ragazzi, faccio
una chiamata e torno- annunciai a gran voce ma ognuno era
già
tornato alle proprie attività, con il cellulare in mano
rivolsi
un'occhiata veloce a Matteo ed Elena seduti vicini sul lettino di
lei.
Mi
incamminai in direzione del Torione senza accennare a chiamare mia
madre che non sentivo ormai da qualche giorno, da quando era partita
per un viaggio di lavoro in Germania. La telefonata era soltanto un
pretesto per allontanarmi un po' dal gruppo e dall'aria pesante che
si respirava ormai da un po'. La sola presenza di Paolo riusciva ad
irritarmi.
Ne
approfittai per pensare ,senza interruzioni, alla mia vita e alla
grande confusione che dopo anni quella stessa persona era ancora in
grado di suscitare in me. Lasciai
vagare la mente osservando la linea dell'orizzonte farsi leggermente
più scura all'imbrunire. Salutati con nostalgia gli anni del
liceo
f requentavo
ormai da due anni Scienze Politiche e provavo a mantenermi gli studi
con un piccolo lavoretto come commessa in una libreria dismessa di
libri di seconda mano o scrivendo di tanto in tanto qualche articolo
per alcuni quotidiani sportivi locali in attesa di sfondare nel mondo
del giornalismo. Matteo era diventato calciatore quasi professionista
giocando in una squadra di provincia della serie C e durante la
settimana lavorava come commercialista nello studio del padre per
mettere qualche soldo da parte. Più volte durante i miei
brevi
soggiorni a Varese avevo avuto la tentazione di andare ad assistere
alle sue partite, di nascosto o in compagnia di Paolo, ma non avevo
mai avuto il coraggio di fronteggiare il suo sguardo lontano dal
contesto alassino. Una volta, forse due, era capitato di incontrarsi
in centro o in qualche bar in attesa di un caffè ma le
conversazioni
erano quasi assenti, nulla più di un comunissimo ciao privo
di
importanza. Sembravamo due semplici conoscenti ed era come se il
nostro passato insieme, che tanto serbavo con cura, non avesse lo
stesso effetto su di lui.
-Allora stai proprio diventando una
bambina cattiva, non lo sai che non si dicono le bugie?-
Sussultai
nel sentire la voce sarcastica e pungente di Matteo alle mie spalle
ma non mi voltai, non volevo vederlo e non avevo bisogno di
lui...dovevo pensare e la sua presenza non aiutava il flusso
disordinato dei miei pensieri. Se James Joyce fosse entrato nella mia
testa in quel momento si sarebbe messo a ridere.
-Che fai, mi
segui? Non credo di doverti delle spiegazioni, Matteo- risposi
tentando di nascondere il leggero rossore che mi imporporava le
guance all'idea che mi avesse seguito e che, apparentemente, avesse
prestato attenzione al mio discorso più di quanto il suo
atteggiamento non avesse dimostrato. Ad alimentare il mio rossore ci
pensò il suo sorriso e la vista ravvicinata del suo torace
scolpito,
molto più muscoloso e maturo di quanto i miei ricordi ormai
annebbiati non riportassero. Come potessi ancora arrossire come un
bambina dopo anni è ancora un mistero ma i raggi del sole
che gli
colpivano il volto contribuivano a renderlo ancora più
bello. La sua
pelle era abbronzata, resa ancora più dorata dalla tenue
luce del
tramonto, i suoi occhi scuri risaltavano ancora più del
solito. Non
avrei dovuto pensarlo ma in quel momento, con la sola compagnia di
qualche gabbiano, dei bagnini e dei loro rastrelli lo trovai
stupendo.
-A me no, ma al tuo compagno che ti cerca si. Sempre se
può davvero essere chiamato "compagno"-avevo perso il filo
del discorso come spesso succedeva in presenza di Matteo. Dopo i
passi avanti che credevo di aver fatto negli ultimi anni, era bastata
una chiacchierata “vis à vis “ per
vanificare i miei
sforzi.
-Stiamo insieme Matteo, è ovvio che lo sia, ma non per
questo gli devo sempre delle spiegazioni. Stare insieme a una persona
non vuol dire avere il potere di comandarla a piacere, forse non ti
è
chiaro-. Non volevo alludere a nulla con quelle parole, si trattava
di una banale constatazione, ma Matteo indurì lo sguardo
percependolo come un attacco personale verso il nostro passato o
più
probabilmente verso la sua relazione con Elena. Feci per mettere una
pezza alla situazione ma Matteo avanzò di un passo
puntandomi il
dito contro.
-Bel fidanzato, complimenti. Non mi ricordavo avessi
gusti così pessimi in fatto di uomini, anzi, ne sono sicuro.
Potresti scrivere un libro “Dalle stelle alle
stalle”-. Sentii la
punta di un coltello affilato e immaginario affondare nel mio cuore a
quelle parole. Il nostro passato era rimasto un tabù per
anni tra di
noi, come se quei momenti trascorsi insieme fossero stati un sogno
condiviso e velocemente dimenticato, nulla al di fuori della nostra
mente testimoniava che qualcosa fosse realmente accaduto. Non una
parola, non un gesto che potesse suggerire che Matteo ricordasse
anche soltanto di aver condiviso una storia con me. L'arroganza della
sua voce, il presupposto di conoscere tutto di me e delle mie scelte,
mi fece male e infervorare contemporaneamente
-Forse dovresti
controllare meglio nella tua memoria, non sia mai che insieme alle
certezze tu possa trovare qualcosa di indesiderato-. Sentivo il
sangue ribollirmi nelle vene, come una pentola a pressione sul punto
di esplodere Matteo sembrava altrettanto nervoso, quella
conversazione lo metteva a disagio, si torturava le mani muovendosi
sul posto, incapace di stare fermo.
-Poi mi spiegherai un giorno
come hai fatto a passare da me a lui...ancora non capisco, è
da
coglioni!- Ancora quel tono, quell'arroganza! Fui io ad avvicinarmi
di un altro passo, diminuii la distanza fino a sentire il suo indice
premermi contro il petto ma non me ne curai, dovevo riversare su di
lui tutta la mia rabbia, la mia frustrazione. Non potevo accettare il
suo discorso, non dopo anni di rifiuto e indifferenza dove aveva
dimostrato quanto valessi davvero per lui...nulla.
-Sei geloso
Matteo? Nella vita si cambia, si fanno delle scelte. La mia
è stata
quella di smettere di farmi prendere per il culo da un ragazzo bello
ma senza spina dorsale. Ho preferito qualcuno che mi amasse davvero e
mi rendesse felice anche se, devo ammetterlo, la bellezza non
è la
sua principale dote.- Sperai di riuscire a fingere e che non notasse
il tremolio della mia voce. Un ragazzo con la maglia da bagnino ci
passò accanto guardandoci con sospetto prima di riprendere a
camminare in direzione del porto, Matteo riprese più sicuro
e deciso
che mai.
-E tu ti accontenti di lui?? Non ci credo. Sei sempre
stata una persona ambiziosa, che combatte per quello che vuole.-
Com'eravamo finiti a parlare di noi quando tutto era iniziato in modo
così casuale?
-Cosa stai insinuando si può sapere? Io ti ho mai
detto qualcosa riguardo la tua storia con Elena? Non mi pare. Eppure
lei non mi sembra questo mostro di simpatia, potevi certamente
trovare qualcosa di meglio.- Scacciai con un gesto infastidito della
mano quella voce fastidiosa che ripeteva come i titoli di coda alla
fine di un film un incrocio di labbra troppo scomodo per potercisi
anche solo soffermare. "Non
pensare che potresti essere tu, non pensarci"
il cuore batteva, e le mani sudavano. Quando sarebbe finita la
tortura? Un altro passo nella mia direzione.
-Magari qualcuno come
te?- mi domandò con un tono che non seppi se definire
ironico o
serio ma il mio cuore non accennava a rallentare, tanta era la
frenesia generata dalle sue parole.
-Vaffanculo Matteo!- Ci
guardammo per qualche secondo, una bolla di tensione ci circondava e
spingeva ancora più vicini l'uno all'altra. I nasi a
sfiorare, le
labbra che fremevano per potersi rincontrare e le mani che bruciavano
dalla voglia di accarezzare il corpo dell'altro. Gli sguardi erano
incatenati, il lucchetto dalle antiche origini sembrava essersi
richiuso ma alla sola idea che potesse riaprirsi mi si spezzava il
cuore. Il marrone dei suoi occhi non mentiva, anche lui sentiva
quell'ondata inarrestabile di sentimenti che sentivo fluire nel mio
corpo, poco dopo ne ebbi l conferma quando puntai lo sguardo sui
pugni che saldamente stringeva lungo i fianchi.
-La leonessa è
tornata!- sussurrò inclinando di poco il viso, il suo
respiro mi
solleticò le labbra. Se qualcuno ci avesse visto
dall'esterno
avrebbe osservato l'immagine di due ragazzi caduti preda della
più
insana della passioni, eppure non riuscivo a staccarmi dal suo
corpo.
Sciolse i pugni e con uno scatto alzò le braccia e mosse ,
veloce , una mano sul mio volto, lungo la mia guancia in una carezza
sottile e fugace, quasi rubata. Durò un attimo e poi
scomparve.
-Non
parliamone più ti prego, o la prossima volta rischi un
ceffone-
accennò un sorriso e io cedetti ancora una volta sotto il
suo
sguardo, ero debole, troppo debole.
-Mi domandavo quanto tempo
avresti impiegato prima di capire che avevi bisogno di sfogarti.-
-Mi
conosci...- Gli istanti passavano e il mondo continuava a
correre intorno a noi sulla spiaggia pressoché deserta.
-Starei
qui a farmi insultare da te tutto la sera ma a causa della tua bella
idea dobbiamo raggiungere gli altri che avranno ormai chiamato "Chi
l'ha visto?"-. Scossi la testa, il momento magico ormai spezzato
e mi allontanai tornando a respirare. Lo precedetti di almeno
un paio di passi camminando con le braccia incrociate al petto...lo
sentivo ridacchiare. Tornammo verso la spiaggia, mantenendoci sempre
a debita distanza l'uno dall'altro per evitare di cadere in
tentazione. Non potevo lasciare campo libero all'attrazione che
ancora provavo per lui di fronte agli altri e avevo sbagliato ad
abbassare le difese anche pochi minuti prima. Matteo doveva rimanere
un amico, nulla di più, ma la verità era
un'altra. Matteo ed io
non eravamo mai stati amici , neanche per un secondo, neanche nel
nostro primo incontro, con lui era così o tutto o niente, o
sconosciuti o amanti, senza vie di mezzo o grigi insignificanti. Era
e sarebbe stato sempre il mio primo ragazzo, quello che rimane
marchiato a fuoco nel cuore fino alla fine, indelebile, la persona
che ti fa provare l'ebrezza dell'amore per la prima volta , il cuore
palpitante e le farfalle che svolazzano in festa nello stomaco.
Il
vecchio campanile della parrocchia principale suonò otto
rintocchi e
mi resi conto di quanto fossi in ritardo sulla mia tabella di marcia.
Dovevo ancora correre a casa per prepararmi e sconfiggere almeno
quella sera il ritardo cronico. Salutai velocemente tutti con
l'auspicio di vederci, puntuali, alle 22.30 di fronte alla discoteca
prima di incamminai con tranquillità verso casa che distava
appena
un centinaio di metri dalla spiaggia.
-Gobba? Gobba? Com'è che vi
chiamate già voi della rubentus?- mi voltai confusa per
controllare
che non si stessero riferendo a me, e sospirai vedendo Matteo, ancora
vicino al chiosco, con due caschi in mano.
-Di nuovo con questa
storia? Siete voi i prescritti!- gli sorrisi avvicinandomi a
lui.
-Sì, cambia discorso che è meglio .-
-Cosa volevi?-
domandai rabbrividendo a causa dell'umidità della spiaggia.
-Stavo
andando a casa anche io devo prepararmi prima che Giacomo occupi il
bagno, sai quanto è lungo. Deve sistemarsi i capelli,
stendere la
crema idratante...-
-Si, taglia corto...- lo interruppi con
impazienza e in risposta lui mosse la mano come a scacciare una mosca
prima di continuare.
-E mi stavo domandando se alla juventina
davanti a me andrebbe un passaggio offerto da un povero
interista?-
-Un passaggio fa sempre comodo, certo, non sei Claudio
Marchisio, ma potrei anche accontentarmi- risposi prendendolo in
giro.
Afferrai il casco e mi preparai a montare sulla sua moto
"storica". Una scarica di eccitazione mi attraversò la
schiena al pensiero di stringere le mie braccia attorno al suo busto
possente. -Stai scherzando vero? Lo zaino con le stelle non lo voglio
sul mio motorino...- mi disse indicando con un cenno la mia borsa da
spiaggia marcata Juventus, regalo di un amico che giocava nella
primavera.
-Se non viene lui non vengo neanche io, siamo un
pacchetto completo!-
-E va bene, ma tienimelo lontano, non voglio
essere contagiato.- Sbuffai e salii dietro di lui cingendogli la vita
con le braccia, conoscevo bene le sue manie di grandezza e la sua
voglia di mostrarsi agli altri, non a caso io e Valerio lo chiamavamo
spesso Narciso.
-Andrai piano vero?- domandai conoscendo già la
risposta.
-Tu tieniti e lascia guidare me, sarà divertente-.Come
se non avessi parlato partì a tutta velocità
impennando addirittura
poco oltre la curva e ricevette in cambio qualche insulto di troppo.
Per fortuna nel giro di pochi minuti, non avrei mai confessato che
avrei preferito che il viaggio fosse un po' più lungo,
arrivai a
casa sana e salva e lo lasciai con la promessa di rivederci
dopo.
-Nemmeno un bacino per ringraziarmi?- Ancora una volta
sentii le gote accaldate a causa dell'imbarazzo, avrei dovuto
smetterla di arrossire per nulla.
-Mi dispiace ma non lo meriti-
risposi in fretta prima di chiudere la porta. Già nella
doccia mi
lamentai con me stessa per non essere rimasta quel tanto che bastava
per vedere la sua reazione.
Mi lavai velocemente per ripulirmi del
sale che iniziava a infastidirmi con un bagnoschiuma al cocco, un
rituale d'obbligo dopo una giornata in spiaggia ormai da qualche
anno. Matteo e che continuavo a usare dopo anni senza mai stancarmi
forse per quella stessa ragione. Paolo odiava il cocco, ne era quasi
allergico, eppure non riuscivo a staccarmi da quella dolce
consolazione serale come se utilizzando quel bagnoschiuma potessi
sentire la solitudine che mi caratterizzava abbandonarmi almeno per
qualche ora.
Inevitabilmente
ripensai a Matteo e all'imminente serata, la sola idea di essere
destinati a trascorrere un'intera serata insieme mi scaturiva i
brividi, brividi di eccitazione. Il suo profumo forte, il respiro
fresco al profumo di menta che sfiorava il mio , riuscivo quasi a
sentire le sue mani che con delicatezza percorrevano il mio corpo
come fosse una statua preziosa da maneggiare con attenzione per non
rovinarla. Le sue labbra carnose e invitanti che si avvicinavano alle
mie pronte per donarmi ciò che da troppo tempo bramavo.
Chiusi
l'acqua di scatto e mi affrettai ad uscire dalla doccia
rimproverandomi per aver superato i limiti con l'immaginazione.
Disposi
con cura gli abiti scelti per la serata prima di asciugare
velocemente i capelli, usai un filo di matita nera per
contornare gli occhi lievemente a mandorla ed evidenziare il marrone
caldo e il mascara per rendere le mie ciglia ancora più
lunghe. Un
tocco di rossetto color mattone non troppo acceso. Con delicatezza
tolsi l'abito dall'armadio e lo indossai con attenzione, attenta a
non rovinare i capelli e il trucco. Era un abito semplice e fresco,
senza spalline, una forma a cuore sul décoletté
per evidenziare le
mie forme morbido lungo i fianchi per nascondere le maniglie
dell'amore che avevo sempre odiato. Mi osservai un'ultima volta allo
specchio e una smorfia simile ad un sorriso mi affiorò
spontanea
sulle labbra. Non ero bella, non mi piacevo granché a causa
della
corporatura robusta, le spalle grosse e poco femminili, quella
pancetta che mai ero riuscita ad eliminare nonostante le molte diete,
eppure quella sera mi sembrava quasi di risplendere.
In
macchina continuai a pensare. Sembrava passato così tanto
tempo
dall'ultima sera in discoteca tutti insieme, avevo appena compiuto
diciotto anni ed eravamo molto più uniti, raramente
discutevamo o
forse preferivamo divertirci piuttosto che trascorrere le serate
guardando film visti e rivisti o ubriacandoci. Sentivamo ancora
addosso gli occhi preoccupati dei nostri genitori e non tornavamo mai
dopo l'una, Matteo escluso perché aveva la macchina e poteva
tornare
all'ora che voleva. Ricordo ancora quella volta che mi portò
a
Sanremo per farmi una sorpresa, tornammo oltre il coprifuoco per via
del traffico sull'Aurelia e per punizione mia madre non mi permise di
uscire di casa per giorni. Ma a me non importava, avevo vissuto una
delle serate più belle della mia vita, forse la
più bella. Ci
eravamo baciati a lungo seduti su quelle pietre piccole e nere,
così
scomode, talmente vicini da sembrare un unico corpo, sotto le nuvole
di quella serata dei primi di Agosto incuranti della realtà
che
spaventosa ci attendeva ad Alassio.
"La Suerte" quella
sera era davvero sorprendente ma la mia opinione era di parte
considerato lo stato d'animo della serata. Vidi di fronte all'entrata
metà della compagnia e mi affrettai a raggiungerla dopo aver
parcheggiato poco lontano, all'inizio della salita, osservai con
piacere l'eleganza che ognuno aveva riservato agli abiti. Salutai
tutti velocemente con un cenno del capo ma abbracciai Valerio che per
l'occasione si era unito a noi.
-Bene, sei arrivata anche tu!
Adesso mancano solo Matteo ed Elena poi possiamo entrare. Belin ma
dove si sono cacciati quei due!- Mormorò a bassa voce
facendo ridere
i vicini, me compresa. Paolo mi si avvicinò con un sorriso
per nulla
convincente e non appena mi accorsi delle sue braccia che si
allungavano in cerca del mio busto mi allontanai di un passo
continuando a parlare con Valerio.
Una brusca sterzata, poco
lontano da noi, catturò la nostra attenzione e
scossi la testa
alla teatralità di Matteo. Ad Elena non doveva essere
piaciuto
particolarmente lo spettacolo a giudicare da come la vedevo discutere
animatamente con il guidatore con tanto di gesti improvvisati nello
spazio ridotto dell'abitacolo ma Matteo, impassibile davanti allo
sgomento della fidanzata si limitò a spegnere il motore
passandosi
una mano fra i capelli per scompigliarli ulteriormente. Vidi
Giacomo, il più responsabile del gruppo, andare a bussare al
finestrino della fiammante Mini con una buona dose di pazienza.
-Oh,
quanto tempo che non vi vedo- disse ironicamente Teo, guadagnandosi
mormorii soffocati mentre la sua ragazza salutava tutti con
un
piccolo cenno della mano ma, a giudicare dalla sua espressione, anche
quel piccolo movimento doveva essere un sforzo immane.
-Paolo, che
sorpresa! E io che pensavo che saresti rimasto a casa...che peccato!-
esclamò ancora spostando lo sguardo sul resto del gruppo,
indugiò
per qualche secondo su di me prima di voltarmi le spalle. Esalai un
sospiro che non mi ero resa conto di aver trattenuto.
-Ok ok gli
animi sono già abbastanza caldi, credo sia il caso di
entrare- dissi
tentando di stemperare la tensione che seguì le parole di
Matteo
anche se sapevo che Paolo non avrebbe mai risposto ad una sua
provocazione.
I primi a farsi spazio tra la folla furono Nico e
Giacomo, seguiti poi da tutti gli altri. Salutammo con un cenno il
buttafuori all'ingresso, un amico di Valerio, la mano un po' sudata
di Paolo cercò la mia alla ricerca di sicurezza
così mi feci largo
fra la folla di corpi sudati e lo trascinai al bar dove già
una
lunga coda attendeva muovendosi scompostamente.
-Tesoro, cosa
prendi?- mi domandò ingenuamente Paolo che non finiva mai di
stupirmi in negativo. Quale fidanzato non conosce le abitudini della
propria compagna? Ecco un altro dei motivi per cui la nostra
relazione sarebbe naufragata presto: due persone che non si conosco
non possono stare insieme, men che meno da anni, è una
storia priva
di fondamenta e di conseguenza di futuro. Aprii la bocca per
rispondere senza tuttavia risultare scocciata o arrabbiata, troppo
abituata alla routine.
-Martini bianco- affermò con sicurezza
qualcuno alle mie spalle e il mio cuore tremò. Mi sembrava
impossibile pensare che qualcuno mi conoscesse a tal punto da
ricordarsi dopo anni il mio aperitivo preferito, soprattutto se
durante quel periodo tra di noi non c'era stato altro che
conversazioni di facciata. Quella consapevolezza non
contribuì a
consolarmi ma solo a rendermi più miserabile, erano
considerazioni
che avrei poi tratto da sola, nel buio della mia camera da letto.
Guardai quindi Matteo con ammirazione e annuii con la testa
nascondendo un sorriso.
-Ma Ale lo sai che è alcolico e che io
non sopporto l'alcol- controbatté inutilmente Paolo ma non
gli
prestai attenzione dal momento che ero concentrata ad osservare due
labbra carnose ad appena cinquanta centimetri dalle mie. Il movimento
delle persone aveva portato i nostri corpi a scontrarsi, trattenni un
brivido quando il suo braccio fresco entro in contatto con il mio e
per qualche secondo credetti di aver immaginato la sensazione di una
lieve carezza sul polso nudo.
- Lo devo bere io, non tu
quindi...- risposi in un sussurro lasciato in sospeso, appena
udibile, non spostando di un misero centimetro lo sguardo.
-Tu
Matteo vuoi qualcosa?- domandò ancora Paolo incurante di
ciò che
stava accadendo davanti ai suoi occhi. Ci muovevamo come ballerini in
una danza antica, ci avvicinavamo e distanziavamo in pochi secondi
per poi sfiorarci, guardarci, ci studiavamo a vicenda consapevoli che
in mezzo alla folla nessuno avrebbe prestato attenzione al nostro
comportamento. Mi sbagliavo, degli occhi chiari e freddi ci
osservavano da lontano, nascosti nell'ombra, e un po' aggrottati per
vedere meglio.
- Un Mojito grazie! - rispose con un po' di
ritardo Matteo, non guardò Paolo ma gli voltò le
spalle ed io
attesi che Paolo si allontanasse prima di dirigermi verso il tavolino
prenotato da Nick, ben lontano dal chioschetto e dalla pista da
ballo, in grado di garantire una buona dose di tranquillità
per non
dover urlare tutta la sera sopra la musica per poter conversare. Mi
accomodai sulla sedia in fondo al tavolo, con le spalle rivolte alla
piscina sottostante illuminata dalle luci colorate e da una sfera
stroboscopica un po' in stile anni '80. Osservai Matteo guardarsi
attorno prima di prendere posto sul bracciolo della mia poltroncina
bianca, in pelle - di quelle che nelle sere d'estate
rappresentano
una vera e propria tortura per le gambe nude - e posare
delicatamente ma con decisione la mano calda e grande sulla mia
coscia appena scoperta. Alzai infine lo sguardo soffermandomi sui
suoi occhi prima, poi sulla mascella ben definita ricoperta da un
filo di barba non lasciato al caso.
-Non si saluta più?- mi
domandò con finto tono disinteressato.
-Scusa, hai ragione! Ciao
Matteo!- risposi ironicamente con un sorriso beffardo, rimanendo
seduta e salutandolo con un impersonale gesto della mano.
-Quello
è un saluto? No, secondo me sai fare di meglio.- Mi
fissò per
qualche istante ma quando vide che non avevo intenzioni di muovermi
mi spronò nuovamente. - Io sto aspettando- disse continuando
a
osservarmi senza alcun cenno di cedimento negli occhi e allargando le
braccia per enfatizzare le parole, le labbra leggermente
socchiuse.
Lo scrutai attentamente nella sua totalità, la cura
adottata nello scegliere gli abiti, il portamento elegante e
signorile. Indossava una camicia bianca appena sbottonata, in netto
contrasto con la pelle dorata, abbinata a un paio di jeans scuri a
vita bassa e le solite "Converse" un po' rovinate con la
bandiera americana. I capelli erano tenuti fermi dal gel e anche
senza avvicinarmi riuscivo a sentirne il pungente aroma della menta.
Con lentezza alzai appena il busto dallo schienale e sporgendomi un
po' gli strinsi le braccia attorno al colletto della camicia mentre
le sue mi cinsero fermamente la schiena avvicinandomi al suo torace
ed impedendomi il minimo movimento; le sue labbra umide si posarono
con dolcezza sulla mia guancia accaldata generando mille
brividi che iniziarono a percorrermi la schiena nuda. Lasciai che i
denti mordessero con forza il mio labbro inferiore per tenere a freno
il desiderio che sentivo crescere nel mio cuore di avvicinare la
bocca alla sua e sentirmi avvolgere come un tempo. Quelle labbra
erano lì davanti a me, con quel rosso tentatore, quella
carnosità
degna di un frutto di stagione maturo, come il più
pericoloso dei
peccati. L'atmosfera si stava surriscaldando troppo velocemente e
sapevo che di lì a poco non sarei più riuscita a
fermarmi, avrei
accorciato quella misera distanza senza pensare ai se, i forse, i
perché. Almeno per una volta Matteo fu il più
responsabile dei due,
tanto che quasi pensai di essermi sbagliata, di aver frainteso il suo
respiro accelerato. Quando allontanai con lentezza la fronte dal
rifugio che aveva trovato nell'incavo del suo collo e tornai a
guardarlo intensamente negli occhi mi resi conto per la loro
vivacità
e luce che non mi ero, senza alcun dubbio, sbagliata.
-Fossero
tutti così i saluti...- mormorò lasciando la
frase in sospeso e con
ancora le braccia avvolte attorno alle mie spalle. Annuii solamente,
incapace di proferire parola a causa della nebbia che da qualche
minuto aveva avvolto il mio cervello.
Per evitare danni
irreparabili, lottai contro il mio cuore e districandomi dalla morsa
che erano le sue braccia appoggiai nuovamente la schiena contro la
sedia spostando il corpo il più lontano possibile dal calore
del suo
che mi attraeva più di una torta al cioccolato per una donna
in
piena sindrome premestruale. Un silenzio imbarazzato da parte mia
calò sulla tavola e il rossore che ancora mi invadeva le
guance non
mi permetteva di guardare Matteo negli occhi costringendomi a
pilotare lo sguardo verso un punto indefinito oltre la piscina.
La
gente si muoveva disordinatamente, talvolta allungandosi con le
braccia al punto tale da toccare un vicino di cui, con il novanta per
cento delle probabilità, non conosceva nemmeno il nome.
Seguivano il
ritmo, in massa, ballavano come se fossero stati catturati da un
vortice o meglio ancora un incantesimo che non dava loro scampo ma a
giudicare dalle risate che sovrastavano la musica l'idea di
liberarsene sembrava ben lontano dalle loro intenzioni. Un'insana
voglia di mischiarmi a loro, di essere di nuovo una fra tante che non
deve nascondersi dal mondo, che è libera di essere chi vuole
senza
curarsi del parere della gente che la circonda mi colpì.
Prima che
potessi muovere anche un solo passo però, Paolo si
avvicinò al
tavolo reggendo in una sola mano i nostri bicchieri e poco dietro di
lui Elena con in mano una birra e il Mojito di Matteo.
- Non
sapete che fatica prendere questi bicchieri, c'era un mucchio di
gente.-
-Grazie Paolo- disse Matteo allontanandosi dalla mia sedia
e spostandosi dal lato opposto forse credendo di allontanare
qualsiasi tipo di tentazione. Mi sentii immediatamente vuota.
-Avete
visto quanta gente in pista?- domandò invece Giacomo seduto
accanto
a Nick, e quasi sobbalzai dal momento che non mi ero resa conto di
quando ci avessero raggiunto - questo è davvero troppo anche
per me.
-
-Ma se sei l'anima della festa! Tutti aspettano te e dj Nick!-
L'intero tavolo si mise a ridere e per un minuto la compagnia
sembrò
essere tornata quella di un tempo.
La serata proseguì in modo
tranquillo senza troppi eccessi. Dopo aver terminato il mio bicchiere
scesi a ballare e mi sentii bene, bella per una volta, complice anche
la discreta attenzione maschile che ricevevo. Altri ragazzi si avvicinavano a ballare ma la mia attenzione
era rivolta soltanto a Matteo che poco distante rideva ad una battuta del fratello. Avevo perso qualsiasi traccia di Paolo e un po' mi sentivo
in colpa ma il fatto che neanche lui fosse venuto a cercarmi mi
alleggeriva la coscienza.
Stanca e sudata mi allontanai verso la
scaletta che porta direttamente sulla spiaggia per riposare le
orecchie e fumare una meritata sigaretta. Non ero sola, tante
coppiette camminavano mano nella mano lasciando simili a una scia le
loro impronte e messaggi d'amore. La malinconia mi assalì a
tal
punto che mi circondai il busto con le braccia benché non
avessi
freddo.
-Ti fa male!- Un sussurro lieve ma suadente, pronunciato
direttamente sul mio orecchio mi fece trasalire. Rabbrividii nel
sentire le sue labbra tracciare i contorni della mia cartilagine,
sfiorarla appena e inumidirla. Mi voltai lentamente conoscendo
già
la persona che avrei trovato davanti ai miei occhi grazie al profumo
che avrei riconosciuto anche in un milione di anni.
-Le abitudini
sono dure a morire, lo sai meglio di me.- Ci guardammo intensamente
negli occhi, il mio marrone chiaro fuso con il suo più
intenso.
Sorrisi e alzai una mano per sistemargli un ciuffo ribelle che
dispettoso gli era caduto sulla fronte, poi mi voltai di nuovo verso
il mare e mi sedetti su un divanetto buttando fuori il fumo prima di
parlare.
-Stanco di bere?- scosse la testa, lentamente, prima di
prendere posto accanto a me, le nostre gambe così vicine da
sfiorarsi.
-Non si è mai stanchi di bere, ti cercavo ma non ti ho
più vista.-
-Avevo bisogno di fermarmi un attimo e prendere una
boccata di aria pulita- conclusi ironicamente. La battuta doveva
essere davvero pessima perché Matteo rise gettando il capo
indietro
e rivelando il collo.
-Hai ripreso il corso di ballo? Eri la
migliore là dentro.-
-Vorrei averne il tempo. Ho seguito il ritmo
e mi sono lasciata trasportare anche se capisco che per uno come te
che non sente il ritmo neanche con la cassa a venti centimetri sia
una cosa difficile da concepire.- Il ballo stava a Matteo come un
pesce a Sestriere.
-Ammetto che il ballo era uno dei miei punti
deboli. Cosa ti dice che con gli anni non sia migliorato?-
-Ma
smettila! Il tuo era un caso disperato anche se a malincuore devo
dire che senza le prove non ho la certezza di quello che
affermo.-
-Mi stai lanciando una sfida? Fossi in te non lo farei
perché potresti scottarti.-
-Amo le sfide.- Lo guardai negli
occhi, determinata. Matteo mi sorrise e senza alcun preavviso mi
strappò la sigaretta dalle mani portandosela con lentezza
alle
labbra. Distolsi lo sguardo, o almeno ci provai, la tentazione era
così forte mentre io ero troppo debole. Dopo aver aspirato
mi
sorrise nuovamente consapevole di quale effetto avesse avuto su di me
il suo gesto e mi indicò di seguirlo con un segno del capo.
Sulla
scala a chiocciola i nostri corpi sudati strisciarono fra loro e fui
tentata, più di una volta, di afferrargli la mano e
stringere le sue
dita tra le mie. Per poco non lo feci, le destra si stava per
chiudere attorno al suo polso quando mi resi conto che non potevo,
non lì in pubblico almeno. Venni poi travolta dalla
consapevolezza
che non avrei potuto comunque accarezzargli le dita, stringerle fra
le mie perché quel ruolo non spettava più a me ma
alla ragazza che
in quello stesso istante sorrideva raggiante a Matteo mandandogli una
bacio.Scossi la testa pur di non pensarci.
Ci avvicinammo alla
pista e facendoci spazio, talvolta sbracciando e calpestando piedi,
raggiungemmo il centro del locale. Immediatamente il dj, piuttosto
famoso a detta di Giacomo, mise una nuova canzone, una di quelle
conosciute con cui la radio tormenta ogni ora i suoi ascoltatori, di
quelle canzoni impossibili da dimenticare, che ti entrano dentro e a
cui tutti nel bene e nel male leghiamo un ricordo.
-Questa può
andare bene maestra?- Quasi risi nell'osservare Matteo guardarmi a
sua volta: eravamo gli unici due immobili in mezzo a centinaia di
corpi ondeggianti.
-Stai zitto un po' e balla!- gli urlai ridendo.
Iniziai a muovermi anche io seguendo il ritmo e muovendo i fianchi
lentamente, passandomi le mani fra i capelli e portandomeli su una
spalla ma il ragazzo davanti a me non accennava a seguirmi, si
limitava ad osservare i miei movimenti con occhi attenti. Gli
afferrai le braccia e me le avvolsi intorno alla vita spingendo il
bacino contro il suo forse in un gesto troppo affrettato ma che
sembrò risvegliarlo dal torpore in cui era caduto.
Iniziò quindi ad
ondeggiare seguendo più il movimento dei mie fianchi che il
ritmo
della canzone. Era quello che volevo sin dall'inizio, averlo
così
vicino da riuscire a distinguere i battiti accelerati del suo cuore
muoversi in sincronia con quelli del mio, sentirmi avvolta dal suo
profumo. Mi avvicinai ancora di più non smettendo un solo
istante di
muovermi e gli riallacciai i bottoni della camicia che nel frattempo
avevano abbandonato l'asola. Mi afferrò per i polsi
tirandomi verso
di sé, i nostri visi erano divisi da pochi centimetri.
-Se non la
smetti rischio di fare qualcosa di cui potrei pentirmi presto.- I
suoi occhi erano bollenti e un semplice incrocio di sguardi mi fece
ardere a tal punto che dovetti voltargli le spalle. La canzone
cambiò
e io presi a muovermi con un andamento sempre più dolce e
lento,
talvolta sfiorando appena il suo torace e ogni volta gioivo
all'interno sentendolo emettere sospiri suadenti. Ballammo ancora tre
forse quattro canzoni ma presto, troppo presto, Nick ci raggiunse
informandoci del fatto che eravamo gli ultimi rimasti. Con un sospiro
rassegnato mi allontanai da Matteo guardandolo un'ultima volta negli
occhi e sfiorandogli con dolcezza la guancia accaldata. Poi mi voltai
e uscii facendomi strada fra i corpi sudata e raggiunsi il gruppo
sulla passeggiata.
-E' stata proprio una bella serata vero
ragazzi?- stava dicendo Nicola ma pochi gli diedero risposta, Elena
intenta ad aspettare Matteo davanti alla macchina, Paolo appoggiato
alla balaustra con la testa a penzoloni per il sonno e Giacomo
piuttosto bianco in volto.
-Hai ragione Nick, davvero una bella
serata.- ci raggiunse Matteo con in mano le chiavi della macchina e
il volto bagnato.
-Scusate se vi ho fatto aspettare ma dovevo
darmi una rinfrescata.- Mi fece l'occhiolino e io pur di non
arrossire fui costretta a iniziare il giro di saluti lasciandolo per
ultimo. Elena quasi non mi salutò se non per un vago cenno
della
testa prima di salire in macchina e appoggiare la testa contro il
finestrino. Estrassi il pacchetto di sigarette dalla borsa e ne
accesi una fermandomi ad osservare gli altri salire sulle proprie
macchine.
-Amore vieni con me?- mi chiese Paolo appoggiato alla
macchina di Nick. Scossi la testa e dopo un abbraccio vidi salire in
macchina anche lui. Rimase solo Matteo appoggiato ad una panchina di
legno intento a controllare il cellulare, almeno in apparenza, sapevo
che stava fingendo per guadagnare tempo senza che gli altri
sospettassero nulla. Mi si avvicinò accostando la schiena
alla
balaustra, iniziò a parlare con tono basso adatto
all'atmosfera ma
non distolse mai lo sguardo dall'orizzonte dove una luna a tre quarti
si specchiava nel mare placido.
-Volevo ringraziarti per la serata
e per il ballo anche se credo di non essere riuscito a convincerti
dei miei miglioramenti- sorrisi liberandomi della cenere in eccesso,
una bava di vento mi solleticò il collo sudato.
-No, direi di no.
Qualche progresso c'è ma devi ancora migliorare parecchio.-
-Mi
mancava uscire tutti insieme, andare a ballare. Hai avuto una buona
idea.- Lo guardai perplessa mentre si staccava dal supporto
metallico, ridusse la distanza tra di noi portandomi dietro le
orecchie un ciuffo di capelli. Alzai lo sguardo e lo vidi
titubante.
-Dovremmo rifarlo al più presto- risposi con voce
tremolante. Matteo non accennava a ritirare la mano, la
lasciò lì,
sospesa a mezz'aria fra la mia guancia e la mia fronte, come se fosse
indeciso su cosa fare.
-Magari anche soltanto noi due- Lo guardai
di scatto a quella proposta improvvisa e così priva di
senso. Non
potevamo uscire da soli una sera, come se nulla fosse successo,
Matteo era fidanzato.
Non ebbi tempo di emettere una risposta.
Matteo abbassò il volto verso il mio, le nostre labbra si
avvicinarono a tal punto che riuscii a sentire il profumo di menta
rimastogli in bocca dopo i mojito consumati. Esitò qualche
secondo,
indeciso su cosa fare e io temetti che mi avrebbe baciato con la sua
ragazza a pochi passi da noi nella sua stessa macchina. Lo temevo,
sì, ma non c'era nulla che bramassi di più.
Mi diede invece un
dolce e prolungato bacio sulla guancia, seguito da una breve carezza
e un sussurrato -Buonanotte zebrina!-
Rimasi lì, immobile e
incapace di rispondere.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** CAPITOLO IV: Cenere tra i ricordi ***
Eccomi qua, prima del
previsto. Qualche giorno fa era impensabile per me che un
così ampio numero di persone potessero interessarsi a questa
storia, che qualcuno la inserisse addirittura tra i "preferiti". Non so
come ringraziarvi, in questo caso le parole non sarebbero sufficienti.
Con il quarto capitolo si interrompe un po' la narrazione per un salto
tra i pensieri della protagonista che ci aiuteranno a far luce sulla
storia.
Non vi trattengo ulteriormente con il mio soliloquio, ringrazio ancora
una volta i miei lettori e le mie lettrici, qualsiasi opinione,
critica costruttiva o altro sono ben accetti. Spero che il
capitolo, forse uno dei miei preferiti, sia di vostro
gradimento.
A presto per chi vorrà...
Cassandra
CAPITOLO IV: Cenere tra i ricordi
Trascorsi
l'intera notte affacciata alla piccola finestra del mio monolocale
sopra il pastificio nel budello. Verso le 3.00 incominciò a
piovere
incessantemente e con la pioggia scomparve anche la musica dell'
"Ubrecche” lasciandomi sola con i miei pensieri contrastanti.
Consumai una sigaretta dopo l'altra concentrando la memoria prima
sullo sguardo di Matteo leggermente annebbiato dall'alcol, poi sulla
sensazione provata nell'averlo di nuovo così vicino da
potere
contare le ciglia dei suoi occhi. Erano anni che non mi sentivo
così
bene e appagata, forse da quell'ultimo pomeriggio trascorso insieme
al porto prima che tutto precipitasse come una nave che incontra un
iceberg all'improvviso e non può che cedere di fronte alla
potenza
distruttiva dell'acqua. Peccato che nel nostro rapporto l'iceberg
fosse stato così profondo da far emergere una misera punta,
troppo
piccola e fragile per poter essere avvistata da lontano e
riconoscibile soltanto una volta superata.
Quella notte non potei
che pensare a come la nostra storia fosse naufragata in modo
repentino, all'improvviso, con la stessa velocità con cui
era
iniziata, quasi per sbaglio, in una calda giornata di inizio
luglio.
Ripensai agli sguardi
fugaci che ripetutamente rivolgevo a
Matteo distesa sul lettino convinta che mai mi avrebbe scoperta a
causa degli occhiali da sole grandi e neri.
Mi
alzai all'improvviso avvertendo mia madre che sarei andata a prendere
un tè freddo al bar per combattere il caldo, quando mi
voltai per
guardarlo un'ultima volta, Matteo era scomparso. Mi recai al bar con
la schiena un po' curva per la timidezza e l'ansia che gli sguardi
degli estranei sul mio corpo formoso mi provocavano. Mi guardai
intorno nell'attesa poi afferrai la mia lattina e mi voltai senza
tenere conto di dove stessi andando. Mi scontrai con qualcuno, un
corpo massiccio, con certezza quello di un uomo e quando alzai lo
sguardo non potei credere di essere andata a sbattere contro Matteo.
Osservai con il cuore che batteva a mille, pronto ad esplodere nella
cassa toracica, come Matteo alzò gli occhiali da sole sulla
testa e
mi rivolse un sorriso oserei dire dolce, sicuramente intenerito dal
mio sguardo spaventato.
-Scusami, ero sovrappensiero. Ti sei fatta
male?- boccheggiai. Era la prima volta che si rivolgeva direttamente
a me, dopo una settimana di sole battutine e provocazioni era come se
mi fossi dimenticata del Matteo amico per lasciare posto nella mia
mente al Matteo amante. Eravamo amici prima di tutto, amici sin
dall'infanzia, eppure a quattordici anni per me quello stesso ragazzo
non era altro che una cotta dalla durata troppo lunga per essere
ancora definita tale.
-Nessun problema- gli dissi - colpa mia che
non facevo attenzione a dove mettere i piedi.- Mi strinse forte il
braccio e il mio cuore accelerò ancora di più,
sentivo la il torace
sussultare come se all'interno vi fossero dei fuochi
d'artificio.
-Stavi andando al bar?- mi domandò. Risposi
scuotendo appena il capo poi rendendomi conto di sembrare una stupida
trovai quel poco di voce che mi rimaneva in gola. Ero
imbarazzante.
-Sto tornando dal bar, non ha molto senso sedersi da
soli.-
-Allora fermati con me, beviamo qualcosa insieme e
chiacchieriamo un po', è passato troppo tempo dall'ultima
volta.- Lo
guardai con i miei occhi troppo grandi e arrossii, poi annuii,
euforica all'idea che volesse trascorrere del tempo con me.
Ordinò
anche lui una bevanda fresca e prendemmo posto all'ombra, sulla
balconata direttamente sul mare.
-Cosa mi racconti Ale? Quest'anno
non sei mai venuta a trovarmi sotto l'ombrellone, mi sento un po'
solo- sorrisi.
-Quanto
sei stupido. Sono arrivata da pochi giorni, dammi il tempo di
ambientarmi!- scossi la testa sciogliendomi i capelli per lasciarli
liberi sulle spalle. Ci fu qualche attimo di silenzio in cui Matteo
mi guardò intensamente facendo scivolare lo sguardo dai miei
capelli
alla mia bocca, ai miei occhi, poi sembrò riscuotersi, come
se si
fosse svegliato da un sogno ad occhi aperti.
-Pronta per il primo
anno di superiori? Sei così cresciuta da quando ti ho visto
la prima
volta...-
-Ha parlato il vecchio, tu sei pronto per la maturità?-
risposi cambiando argomento per evitare di pensare all'ansia che mi
tormentava esattamente da quando avevo terminato l'orale di terza
media.
-Non si è mai pronti abbastanza per diventare grandi.- Il
vento soffiava leggero portando un po' del tanto desiderato fresco.
Guardai meglio Matteo e lo trovai cresciuto, un uomo rispetto
all'ultima volta in cui lo avevo visto; quel filo di barba lo rendeva
maturo, adulto, ed era impossibile che le ragazze della sua
età non
gli stessero intorno corteggiandolo e vezzeggiandolo come un
principe. Una fitta di gelosia al solo pensiero che Matteo potesse
avere una ragazza che lo aspettava al rientro delle vacanze mi
ricordò l'insano desiderio che Matteo fosse il mio principe,
mio e
di nessun'altra.
-Sei diventato filosofo ora? Pensavo che...-
venimmo interrotti da Giacomo che chiamava a gran voce Matteo
affinché raggiungesse i ragazzi in una partita a pallavolo
improvvisata. Pensai che mi avrebbe lasciata lì da sola
invece si
liberò del fratello con un gesto secco e si voltò
di nuovo verso di
me sorridendo.
-Cosa fai stasera?- mi chiese all'improvviso e io
lo guardai confusa.
-Nulla? Cosa vuoi che faccia, a meno che tuo
fratello non abbia voglia di andare al cinema o da qualche parte
credo che prenderò il solito caffè con i "vecchi"
e poi a
casa.- Il suo sguardo mi fece comprendere subito che aveva qualcosa
in mente ma neanche con la migliore immaginazione possibile sarei
riuscita a pensare ad una serata così perfetta.
-Non va bene, hai
quattordici anni Ale, devi uscire e divertirti perché poi
l'inverno
è lungo.-
-Hai qualche suggerimento allora ?- mi sorrise ancora
una volta, con un luccichio strano negli occhi, quella stessa luce
che lo rendeva così affascinante. Mi morsi le labbra per non
esprimere ad alta voce i miei pensieri.
-Alcuni miei compagni di
scuola fanno una festa in un locale vicino al porto, potresti venire
così ci divertiamo un po', prometto che ti riporto a casa
entro il
coprifuoco.- Lo guardai scettica. Volevo andare a quella festa con
tutto il cuore, non perché volessi ballare o bere per
sentirmi
grande ma perché passare del tempo da sola con lui anche in
mezzo a
centinaia di persone mi sembrava un sogno. Al solo pensiero potevo
quasi dimenticarmi di essere la piccola e insignificante Ale, sempre
china con la testa sui libri, per abbracciare l'idea di diventare una
donna a tutti gli effetti.
-Credi che mia madre mi lascerà
venire? Sai com'è fatta, non mi permette neanche di andare
dal
panettiere da sola- sbuffai consapevole che mai mia madre avrebbe
acconsentito a lasciarmi andare ad una festa di liceali con la sola
compagnia di Matteo.
-Tu prova a chiedere.- Mi rispose Teo
facendomi l'occhiolino, si alzò dalla sedia come se nulla
fosse
successo lasciandomi immobile a fissare il suo posto ormai vuoto con
le guance in fiamme, gli occhi lucidi e uno stupido sorriso sulle
labbra.
Alle 21.00 di quella sera stessa attesi con impazienza
che Matteo venisse a prendermi con il motorino, sotto casa,
controllata a vista da mia madre. Le rivolsi un'occhiata scocciata e
la vidi salutarmi con la mano dalla finestra con un sorriso
consapevole a renderla ancora più imbarazzante. Tirai verso
il basso
le maniche del vestito a causa della brezza che si era ormai
tramutata in vento. I rami delle palme circostanti si muovevano
ritmicamente con un fruscio quasi consolante che calmava anche in
minima parte il mio cuore furioso. Nell'aria c'era un profumo che mai
sarei riuscita a dimenticare, un profumo di salsedine mista a crema
abbronzante e toast, quell'aroma che da sempre collegavo ad Alassio
aveva assunto un significato diverso dalla semplice vacanza al mare,
da quel momento in avanti avrebbe voluto dire nei miei ricordi amore
e libertà, un po' come il profumo dei limoni in quella
poesia di
Montale che mi avevano chiesto all'esame e che ancora non riuscivo a
dimenticare.
Sentii il motore dello scooter di Matteo svoltare
l'angolo, il suo rumore era inconfondibile, respirai profondamente
prima di voltarmi quasi a infondermi coraggio, ma quando lo vidi
proprio non riuscii a contenere la gioia che sentii esplodere nel
petto.
-Sono in ritardo io o sei in anticipo tu?- lo guardai
soltanto. -Hai ragione, sono in ritardo.- Scese dalla moto e mi diede
un bacio sulla guancia facendomi arrossire persino lungo il collo, mi
afferrò gentilmente il polso trascinandomi giù
dal marciapiedi e
salutò mia madre con la mano libera e un sorriso sfacciato
sul
volto. Avrei voluto sprofondare nel terreno per la vergogna, mi ero
persino truccata più del dovuto per nascondere l'acne
adolescenziale
e quel volto paffuto che tradiva la mia età ma ci aveva
pensato mia
madre a ricordare a Matteo che ero soltanto una quattordicenne
inesperta.
Mi
strinsi forte al suo busto e inspirai il profumo sul suo collo, era
diverso dal solito.
-Hai cambiato profumo?- gli sussurrai
all'orecchio e lo vidi sussultare.
-No, è solo il dopobarba- mi
rispose prima di mettere in moto. Annuii senza che mi vedesse, un po'
preoccupata. Quante volte avevo sentito a scuola o nello spogliatoio
a danza dire che il dopobarba equivaleva a conquiste. Ero
terrorizzata dall'idea che una volta arrivati alla festa Matteo mi
avrebbe abbandonata per cercare qualche ragazza così chiusi
forte
gli occhi, non volevo pensarci.
Raggiunto il locale Matteo mi
prese con grande sorpresa per mano e mi trascinò dentro.
-Stammi
sempre accanto, ti prego. E' facile perdersi qui dentro- annuii
sentendo un insieme di emozioni fare capolino, ero eccitata, curiosa
ed emozionata.
-Amico, finalmente sei arrivato!- disse un ragazzo
alto più o meno quanto Matteo avvicinandosi, si diedero una
pacca
sulla spalla.
-Paride, buon compleanno! Ho portato un'amica, spero
non ci siano problemi- mi avvicinai di più a Matteo,
intimidita
dall'idea di trovarmi in mezzo a ragazzi più grandi.
-Nessun
problema, più siamo meglio è.- Paride si rivolse
a me con un
sorriso caloroso e un occhiolino un po' malizioso in direzione delle
mani intrecciate tra i nostri corpi, Matteo strinse la presa
invitandomi a rilassarmi ma era difficile in mezzo a tutte quelle
persone, l'aria era quasi soffocante. -Piacere Paride- gli
sorrisi.
-Alessandra.- mi guardai intorno e rimasi affascinata
dalle luci colorate che rendevano tutto più intrigante,
dalle
moltitudine di corpi che affollavano quella sala troppo piccola da
cui comunque non avrei più voluto uscire. Improvvisamente mi
sentii
grande, fu una questione di pochi attimi. Come quando arrivano le
prime mestruazioni e da un giorno all'altro, almeno biologicamente,
si cessa di essere bambine. Percepivo quella serata come il mio rito
di passaggio e non ero pronta, per nessuna ragione, a
sprecarlo.
-Servitevi pure ragazzi, prendete quello che volete,
offro io.- Seguii Matteo in mezzo alla folla stringendogli sempre la
mano per non perderlo, sembrava che conoscesse tutti in quel locale.
Mi chiese cosa volessi da bere e scrollai le spalle, assolutamente
inesperta, non avevo mai bevuto in vita mia e l'idea di ordinare una
banale coca-cola appariva fuori discussione, Matteo per fortuna
sembrò comprendermi con un solo sguardo. Poco dopo iniziai a
sorseggiare dal bicchiere che mi aveva offerto, era un liquido molto
colorato e dolciastro ma non indagai oltre, già qualche
sorso più
tardi potevo sentire la testa più leggerai ma decidendo di
non
preoccuparmene decisi di lasciarmi trascinare in mezzo agli
altri.
-Vuoi davvero ballare?- domandai ridendo.
-Certo che no,
voglio farti conoscere delle persone.-
Mi presentò i suoi amici,
erano tutti ragazzi semplici vestiti con jeans e camicia e per quanto
assomigliassero per certi versi ai miei compagni di scuola non potei
fare a meno di notare quanto i primi fossero davvero degli adulti
rispetto ai quattordicenni brufolosi e dalla voce ancora acuta con
cui avevo dovuto dividere i banchi di legno per diversi mesi.
Cominciai a lasciarmi andare, sentivo la tensione sciogliersi minuto
dopo minuto così iniziai a muovere la testa a ritmo di
musica
spostando di tanto in tanto lo sguardo verso la pista.
-Vuoi
ballare un po'?- mi chiese d'un tratto un amico di Matteo, Mirco
forse. - Non se ne può più di questi che parlano
sempre di scuola o
calcio.- Non sapevo cosa fare, una parte di me voleva accettare e
permettermi di divertirmi pienamente ma la parte più sincera
del mio
cuore mi diceva di rimanere lì accanto a Matteo,
così vicina da
sentirne il profumo. Decisi in un attimo, strinsi la sua mano
un'ultima volta e annuii a Mirco. Matteo non aveva seguito la nostra
conversazione preso com'era da un torneo di "birra pong"
improvvisato, ma si accorse del mio movimento repentino mentre
tentavo di liberarmi da lui per raggiungere Mirco che mi stava
aspettando.
-Dove vai?- mi domandò confuso, e già si stava
alzando per seguirmi. Lo tranquillizzai posandogli la mano sulla
spalla.
-Vado a ballare un po' con Mirco poi torno. Va bene?- non
attesi la sua risposta, seguii il ragazzo verso il centro del locale,
in mezzo a tutti quei corpi sudati. Eravamo vicini, parecchio vicini,
e un po' mi sentii in imbarazzo considerato il fatto che mai avevo
avuto un ragazzo così vicino e tanto meno ci avevo mai
ballato
insieme. Eravamo entrambi titubanti su come muoverci, su dove
appoggiare le mani per non infastidire l'altro, con decisione Mirco
mi afferrò per i fianchi ed io un po' impacciata decisi di
posare le
braccia sulle sue spalle.
-Sei carina sai?- mi disse all'orecchio,
urlando per farsi sentire ma i ragazzi intorno a noi continuarono a
ballare indisturbati.
-Grazie- arrossii abbassando lo sguardo, un
po' a disagio per l'audacia dimostrata.
-Quando arrossisci lo sei
anche di più- sussurrò questa volta,
alzò piano una mano e mi
accarezzò la guancia. Non sapevo cosa fare, come reagire,
tutte
quelle attenzioni mi lusingavano, nessuno aveva mai dimostrato
così
apertamente un interesse nei miei confronti eppure non mi sentivo
appagata, la voce mi suonava estranea così come un profumo
di agrumi
era troppo distante da quello di Matteo. Lo cercai con lo sguardo ma
sembrava sparito. Mi voltai di nuovo verso Mirco pronta a trovare una
scusa per allontanarmi e prendere almeno un po' di aria ma un paio di
mani mi afferrarono con fermezza i fianchi e per poco non urlai per
la sorpresa.
-Ti dispiace se te la rubo Mirco? E' ora di tornare a
casa- annunciò la voce di Matteo. Sapevo che eravamo entrati
da più
di un'ora ma era troppo presto per rientrare, non eravamo neanche
lontanamente vicini a mezzanotte, stetti in silenzio però,
curiosa
di vedere ciò che sarebbe successo.
-Nessun problema, è stato un
piacere.- Il ragazzo si allontanò e mi voltò le
spalle rivolgendomi
un ultimo sguardo dispiaciuto, sembrava aver compreso qualcosa che a
me era sfuggita. Matteo mi fece ruotare con una lieve pressione sul
bacino.
-Andiamo?- Non attese una risposta, mi condusse fuori dal
locale senza salutare nessuno sempre con le mani strette attorno al
mio busto. Salimmo sullo scooter senza proferire parola, sembrava
infastidito, arrabbiato a giudicare dalle rughe pronunciate sulla
fronte e mi sarei aspettata che mi portasse direttamente a casa ma mi
sorprese, di nuovo, quando oltrepassò il vialetto e
proseguì lungo
via Dante fino all'imboccatura di via Torino dove fermò la
moto.
-Si
può sapere perché siamo usciti? Mi stavo
divertendo!- Lo affrontai
senza timore togliendomi il casco.
-Me ne sono accorto- rispose
incrociando le braccia al petto come un bambino dopo un rimprovero.
Ero parecchio confusa.
-Perché siamo qui?- domandai allora
cambiando discorso. Mi fece segno di precederlo lungo via Torino
deserta. Camminammo fino al molo strusciando appena la mano contro
quella dell'altro accompagnati dal rumore delle scope che
strisciavano per terre e dalla risacca che si infrangeva sulla
sabbia umida.
-Mi sono divertita stasera, grazie- ammisi con un
sorriso, osservando distrattamente la forma delle meduse grandi e
colorate simili a corolle di fiori chiuse per combattere
l'umidità
notturna, volsi appena il capo e il sorriso si affievolì.
Matteo era
così bello seduto su una panchina di legno consunto con la
testa
reclinata e i capelli mossi dal vento. Tenevo gli occhi fissi sul suo
pomo d'Adamo pronunciato, inconsapevolmente mi leccai le labbra presa
in una proiezione del desiderio irrefrenabile di posare le labbra
proprio lì dove riuscivo a intravedere il battito del suo
cuore.
Volevo baciarlo, anche solo per un secondo.
-Non c'è di che- mi
rispose dopo un po' aprendo gli occhi e guardandomi. -Hai fatto
conquiste, mh? Mirco non ti toglieva gli occhi di dosso, avrei quasi
voluto staccargli la testa...non sai che soddisfazione- mi misi a
ridere staccandomi dalla balconata e avvicinandomi un po' al suo
corpo per cercare una fonte di calore in cui rifugiarmi.
-Per una
volta che qualcuno mi guarda tu mi trascini via, non so se
riuscirò
a perdonarti per questo-. Mi guardò con
un'intensità tale che
sentii i brividi lungo il corpo, sulla schiena, lungo le braccia.
-Ti
piace sul serio Mirco?- mi domandò con voce priva di scherzo
o di
qualsiasi altra emozione di cui si era colorata poco prima, era
serio, tremendamente.
-No che non mi piace.- Emise un sospiro di
sollievo e capii che forse anche a lui importava qualcosa di me
benché non sapessi ancora se come sorella minore o se
potessi
aspirare ad una posizione più vicina al suo cuore.
In quello
stesso momento rabbrividii rimpiangendo la calda felpa che avevo
dimenticato a casa nella fretta di essere per una volta puntuale. In
silenzio Matteo mi attirò accanto a sé con un
braccio intorno alle
spalle, mi trovai quindi incastrata fra il suo corpo con il capo
appoggiato nell'incavo fra il collo e la sua spalle, lì dove
il suo
profumo di menta era così forte da entrarmi prepotentemente
nelle
narici. Ero sicura che lo avrei sentito addosso a me per giorni. Feci
scivolare il naso sulla pelle un po' irritata del suo collo,
solleticandolo a tal punto da farlo ridacchiare. Non pensai a quello
che stavo facendo, mi sentivo chiusa all'interno di una bolla tutta
nostra dove nessun altro aveva accesso e a me era permesso tutto,
anche posargli un bacio casto sulla pelle che fino a pochi secondi
prima stuzzicavo con il naso. Vi appoggiai appena le labbra umide in
attesa di n suo gesto che mi spingesse a continuare, lo
sentì
trattenere il respiro a sua volta mentre a me girava la testa e mi
sentivo ubriaca, euforica. Alzai piano la testa dal dolce nido e lo
osservai con tenerezza negli occhi, speravo di trasmettergli tutti i
sentimenti che mi era impossibile esprimere a parole e Matteo parve
capire perché dopo poco egli stesso abbassò il
capo, lentamente
come una fiera che teme di spaventare la preda. Ci guardammo
un'ultima volta intensamente prima di unire per la prima volta le
nostre bocche trepidanti. Le mie labbra tremavano per l'emozione alla
sola idea di poter sfiorare quella bocca che desideravo da tempo. Non
approfondimmo il contatto, almeno non all'inizio, ci fu solo una
leggera pressione, così lieve da essere a malapena percepita
dall'altro. Lentamente, con la stessa velocità con cui ci
eravamo
avvicinati, alzai una mano tremante e la posai sulla sua guancia
tiepida soltanto per sentirlo più vicino e per avere
un'ulteriore
conferma che non fosse uno dei tanti sogni notturni.
Matteo prese
coraggio, forse spronato dalla mia carezza, e aumentò la
pressione
sulle mie labbra appoggiando baci casti con un ritmo serrato ma senza
mai dimenticare la dolcezza. Non sentivo più nulla. Mi
avvicinai
maggiormente a lui alzando appena la testa e Matteo prese a
intrappolarmi il labbro inferiore fra la sua bocca altrettanto
carnosa, sentii la sua lingua calda inumidirmelo e i denti perlacei
affondare con gentilezza in una piacevole tortura. Aprii di poco le
labbra, lo spazio giusto per permettere alla sua lingua di entrare a
cercare la mia e una volta trovata Matteo non perse tempo ad
accarezzarla come il più prezioso dei tesori trovato dopo un
percorso in salita. Ci baciammo a lungo staccandoci raramente ma
senza mai allontanare davvero il corpo dall'altro, sempre uniti una
volta per la fronte poi per l'intreccio delle mani saldamente
ancorate le une alle altre. Per la prima volta mi sembrò di
respirare davvero e forse compresi il significato di tutti quei libri
romantici, a volte anche troppo smielati, che avevo divorato
dall'inizio dell'adolescenza. Volevo di più, desideravo
rimanergli
vicino per tutto il resto della vita e anche oltre perché
mai ero
stata più viva. Ci separammo soltanto ai rintocchi del
vecchio
campanile, con un sorriso dolce e un bacio altrettanto amorevole.
Matteo mi afferrò la mano prima di parlare dopo non so
quanti minuti
di silenzio.
-Forse dovrei riportarti a casa, non voglio che tua
madre non ti faccia più uscire per colpa mia- la sua voce
era roca,
ed ero così ingenua ed inesperta da non rendermi conto di
essere io
stessa la causa del suo sguardo vacuo e scuro più di quanto
non
fosse di solito.
-Non voglio andare a casa, non voglio- mi fermai,
incerta se continuare o meno poi mi resi conto che quella sera mi ero
lasciata andare abbastanza e che una confessione in più non
avrebbe
cambiato nulla - non voglio allontanarmi da te.- Mi avvicinai
maggiormente al suo corpo caldo, nemmeno uno spazio divideva
più le
nostre pelli, e lo abbracciai affondando il volto sulla sua camicia
inspirando profondamente.
-Facciamo così, ora ti riporto a casa,
ti riposi e domani mattina vieni a fare colazione con me.-
-Tu e
io? Da soli?- domandai con un sorriso euforico pronto a nascermi
sulle labbra.
-Tu e io, soltanto noi.- Lo ringraziai stringendolo
più forte e baciandolo ancora una volta; mi sentivo
insaziabile.
Ci
incamminammo di nuovo verso la moto questa volta con le mani
intrecciate a dondolare in mezzo ai nostri corpi, avrei voluto
così
tanto che le vie fossero colme di gente, di qualcuno pronto a
testimoniare l'inizio di una storia d'amore senza precedenti o almeno
così credevo allora. Iniziò a piovere ma noi non
prestammo
attenzione a nient'altro che noi stessi. Giunti sotto casa mi
slacciai il casco e lo abbracciai stretto, consapevole che non avrei
potuto baciarlo a causa dell'alta probabilità di essere
osservati da
mia madre.
-A domani- dissi soltanto, incerta su come
comportarmi.
-A domani- mi rispose Matteo con la voce dolce e un
po' roca. Mi avviai verso il portone camminando all'indietro per
paura che se mi fossi voltata avrei perso anche il più
insignificante dei dettagli e Matteo sarebbe scomparso, ma alla fine
dovetti abbandonare qualsiasi buono proposito e voltargli la schiena.
Infilai le chiavi nella toppa e sentii il bisogno di urlare dalla
gioia non appena varcata la porta. Stavo ormai per entrare quando mi
sentii chiamare nuovamente. Matteo scese dalla moto con noncuranza,
si avvicinò a me e si sfilò il giubbotto di jeans
per poi posarmelo
con delicatezza sulle spalle; mi avvicinò maggiormente al
portone
finché non fui schiacciata a metà fra il legno e
il suo corpo, solo
allora mi diede un ultimo bacio leggermente umido accompagnato da un
appena sussurrato -Consideralo un regalo, buonanotte-.
Non attesi
che ripartisse, corsi lungo il corridoio salendo le scale a due a due
ed entrai in casa facendo meno rumore possibile prima di chiudere la
porta della mia stanza e affondare nel letto a faccia in
giù
sospirando. Avevo dato il mio primo bacio e non avevo nessuno con cui
condividere l'euforia del momento se non quel quadernino giallo
abbandonato sul comodino che da settimane, pazientemente, custodiva
le mie confessioni.
Un
tuono squarciò l'atmosfera silenziosa e io rabbrividii a
causa
dell'umidità che si era infiltrata per la durata del tempo
che avevo
impiegato a terminare il pacchetto di sigarette. Chiusi la finestra
buttando i filtri consumati, non pensai neanche di cambiarmi, mi
tolsi solo il vestito e mi infilai con il solo intimo addosso sotto
il lenzuolo di lino. Sapevo già che i ricordi mi avrebbero
tormentato tutta la notte impedendomi di dormire. Riuscii a prendere
sonno quando il cielo cominciò a tingersi di rosa dando il
benvenuto
ad un nuovo
giorno.
**********************************************
Mi
svegliai soltanto alle due del pomeriggio con il lenzuolo umido a
causa del sudore e i capelli incollati alla fronte insieme ad almeno
cinque chiamate perse. Rimasi sorpresa nel leggere il nome di Matteo
ma decisi di non darvi peso, mi ero già preoccupata
abbastanza la
notte precedente. Mi cambiai velocemente dopo aver fatto la doccia,
indossai il costume e scesi in spiaggia dove sapevo con certezza che
non ci sarebbe stato nessuno della compagnia.
Mi fermai ancor
prima di arrivare ordinando al bar un cappuccino e una brioche alla
marmellata poi abbassai gli occhiali sul naso e appoggiai la testa
sulle braccia incrociate sul tavolo. Avrei potuto addormentarmi senza
problemi ma nel giro di poco mi portarono la tazza con la brioche e
dovetti abbandonare qualsiasi desiderio di riposo. Nel frattempo mi
misi a leggere il quotidiano che qualche turista aveva abbandonato
sul tavolino accanto e non mi stupii di vedere in prima pagina
notizie economiche sempre più sconfortanti, sembrava che
nulla in
quel periodo andasse per il verso giusto e l'Italia ben presto
avrebbe dovuto fare i conti con gli errori del passato. Ero
così
presa dalla lettura che non mi accorsi dell'ombra che mi si era
seduta davanti fino a che non mi sentii invadere da uno sgradevole
odore di sigaro che riconobbi subito come quello del proprietario
dello stabilimento, Mario.
-Bella fanciulla cosa fai qui tutta
sola? Non ti sembra un po' tardi per arrivare in spiaggia?- sorrisi,
lo conoscevo da così tanto tempo che lo consideravo quasi un
nonno.
-Hai ragione Mario ma con il temporale di stanotte non sono
riuscita a chiudere occhio.-
-Brutta cosa il temporale, quando ero
comandante...- andò avanti per circa dieci minuti a
raccontare le
sue avventure da giovane comandante in mare aperto ma io mi isolai
non avendo voglia di ascoltare di nuovo racconti avventurosi che
sentivo ripetere da almeno quindici anni.
-Mario, sempre a parlare
con le ragazzine eh? Vecchio marpione- urlò un Alassino
passando di
lì e non potei fare altro che ridere.
-A proposito fanciulla-
riprese il discorso Mario richiamando la mia attenzione - sei
diventata così bella non ce l'hai un bel ragazzone accanto?-
Divenni
rossa per l'imbarazzo e un po' mi stupii del fatto che non sapesse di
Paolo nonostante l'intera spiaggia non facesse altro che commentare
sulla strana coppia che formavamo. Paolo, lo stesso ragazzo di cui mi
ero dimenticata io stessa, quel ragazzo che non vedevo dalla sera
prima e di cui non sentivo neanche la mancanza nonostante la stessa
cosa non potessi dire qualcun altro. Scossi la testa pur di non
pensarci.
-Mario sono fidanzata da tre anni, almeno, con Paolo-
ammisi un po' titubante all'inizio.
-Il nostro Paolo? La bestia?-
Quasi mi venne da ridere alla faccia sconvolta del bagnino ma mi
trattenni.
-Il nostro Paolo sì,- preferii non commentare sul
grazioso epiteto "la bestia" e proseguii -ormai è una
storia solida la nostra.- Quanto mi sforzai per mentire in modo da
risultare credibile.
-No, fanciulla, non va bene per te. Sei
troppo carina e intelligente per uno stupido come lui. Meriti
qualcosa di meglio, non lo so, magari uno come Valerio? E' un bel
ragazzo e si dà tanto da fare.- sorrisi al nome del giovane
bagnino
di cui ero amica da anni ma che non sarei mai riuscita a vedere come
compagno di una vita. Sentivo che la conversazione iniziava ad
appesantirsi quando Mario chiese anche il supporto dei baristi che
non persero l'occasione per intromettersi in questione estranee. Mi
sentivo a disagio e non vedevo l'ora di andare via, fare un giro in
macchina magari e arrestare per qualche ora quel flusso ingombrante
di pensieri che non mi permetteva più di respirare. Mi alzai
strisciando rumorosamente la sedia sull'asfalto e andai a pagare
ignorando la coda della conversazione che aveva come unico argomento
me stessa. Tornai da Mario, gli appoggiai una mano sulla spalla
-Mario io vado, non mi sento tanto bene oggi, ci vediamo
domani.-
-Corri fanciulla, corri finché sei in tempo-. Mi voltai
con un semplice cenno ma non andai molto lontano perché mi
richiamò
con un tono insicuro e qualche ruga di troppo sulla fronte.
-Quel
ragazzo della prima fila, Martelli, ha chiesto di te ma io gli ho
detto che non sapevo nulla.- Il cuore, ancora una volta senza
permesso, accelerò al solo sentir pronunciare quel cognome
che per
anni era stato impresso sui miei libri di scuola in cento modi e in
cento colori diversi.
-Quale Martelli?- domandai con un filo di
voce - Giacomo o Matteo? -
-Quello più alto, con i capelli scuri
e l'espressione sempre corrucciata.- Sospirai, ringraziandolo per
l'informazione. Avevo decisamente bisogno di quel giro in macchina e
di un bel tuffo in mare lontano da tutto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** CAPITOLO V: Un mojito di troppo ***
Ciao
a tutti! Ecco il nuovo capitolo. Vorrei ringraziare in particolare
Martina per la recensione e per aver speso minuti preziosi del suo
tempo per commentare la mia storia. Le sue parole mi hanno invogliato
più che mai a continuare questa storia, per me e per
chiunque abbia
vissuto un amore estivo come Alessandra. So che per ora la situazione
attorno ai personaggi appare ancora piuttosto confusa ma vi chiedo di
non demordere perché capitolo dopo capitolo si sveleranno
particolari del passato, i loro ricordi. Spero che la storia non
risulti scontata o banale, e soprattutto che non vi annoi. Un grazie
di cuore a chi ha aggiunto il mio piccolo lavoro tra le "seguite"
o tra le "preferite".
Mi
sono dilungata troppo, come sempre, vi lascio al capitolo. Buona
lettura e a presto !!!
Cassandra
CAPITOLO V: Un mojito di troppo
Indossai
un maglioncino leggero e bianco per proteggermi dal venticello fresco
della sera e mi diressi sotto casa di Elena dove sapevo con certezza
che avrei trovato il resto del gruppo. Dopo qualche giorno di
riflessione profonda lontana dagli altri e dalla spiaggia, complice
anche il maltempo, avevo compreso di non poter trascorrere le serate a
riflettere su come riordinare la mia vita che all'improvviso era stata
stravolta. Giacomo mi aveva chiamato nel pomeriggio e rifiutare era
stato difficile.
Arrivai con qualche minuto di anticipo, accesi una sigaretta e mi
appoggiai al muretto dei giardini dove qualche bambino stava ancora
correndo sotto l'attento sguardo dei genitori nonostante l'ora tarda.
Espirai una boccata di fumo, sobbalzando appena per la mano che
all'improvviso mi si era appoggiata sulla spalla, mi voltai di scatto
pronta a scontrarmi con uno dei tanti ragazzini ubriachi che da qualche
giorno popolavano le strade del budello. Rimasi sorpresa nel trovarmi
di fronte Valerio, credevo che sarebbe rimasto in spiaggia fino a tardi
e che ci avrebbe dato buca come accadeva da ormai troppo tempo.
-Sei in anticipo- mi disse appoggiandosi al muretto in pietra accanto a
me, gli sorrisi con affetto. Mi era mancato parecchio parlare con lui
come ai vecchi tempi, era sempre stato l'unico della compagnia a
comprendermi fino in fondo. Stessi interessi, stessi studi e identico
carattere un po' schivo e chiuso con chi conosciamo da poco, era la mia
ancora di salvezza in serate con troppo alcol in circolo e pochi
neuroni nel cervello.
-Una volta tanto capita anche a me. Ti unisci a noi stasera?-
gli chiesi per conferma inspirando ancora una volta dal mio bastoncino
mortale.
-Mi fermo poco, ho bisogno di sfogarmi un po', Mario mi sta
distruggendo.- Gli posai una mano sul braccio stringendoglielo appena
in segno di conforto. Capivo i suoi sforzi e il suo desiderio di
liberarsi almeno per una sera dello sguardo indagatore del capo che,
per quanto divertente, rimaneva pur sempre un uomo di quasi
ottant'anni, a volte troppo ossessionato dal lavoro. All'apparenza
più simile a un nonno, Mario sapeva davvero esasperare i
suoi dipendenti, tanto da non lasciar loro nemmeno il tempo di
conversare con i clienti più affezionati.
-Capisco, dovresti uscire più spesso con noi...- lasciai la
frase in sospeso guardandomi intorno, le luci a casa di Elena erano
spente e sapevo che di lì a breve ci avrebbe raggiunto
insieme ai fratelli turbando sin da subito la mia quiete mentale.
-Dovrei, hai ragione, ma a qualcuno la mia presenza non è
più di tanto gradita purtroppo.- Non feci in tempo a
domandare oltre, dall'ingresso del parco vidi avanzare con passo svelto
i due fratelli Martelli accompagnati stranamente da Paolo. Scossi la
testa contrariata notando ancora una volta l'abbigliamento infantile
del mio presunto fidanzato: per entrare al Caffè Roma,
storico locale alassino della via centrale, non erano più
richiesti lo smoking o l'abito lungo ma almeno avrebbe potuto
sostituire le infradito da spiaggia con un paio di scarpe da
ginnastica. Per non parlare dei pantaloni corti che a mala pena gli
sfioravano il ginocchio e la polo del Torino calcio.
-Belin ma cosa si è messo! Non siamo mica a Riccione! - mi
misi a ridere per l'esclamazione di sorpresa di Valerio che proprio non
riusciva a nascondere il disgusto alla visione di Paolo, per Valerio
sempre così elegante e profumato doveva essere un vero
affronto. Si girò a guardarmi con un'espressione ancora
più perplessa e mi diede una gomitata per farmi smettere di
ridere, inutilmente.
-Vedo che la festa qui è già cominciata, anche
senza di noi- esclamò quasi infastidito Matteo. Gli risposi
con un'occhiata altrettanto scocciata per il suo modo di fare borioso e
un po' antipatico di chi teme che qualcuno gli rubi la scena, era
sempre stato così, sembrava quasi si sentisse minacciato
all'idea di non aver su di sé l'attenzione degli altri.
-Sei in ritardo- gli dissi semplicemente buttando la sigaretta ormai
consumata per terra e togliendomi il maglioncino. Per una sera aveva
abbandonato l'elegante camicia bianca sostituendola con una maglietta
nera attillata dal taglio semplice e un paio di jeans dello stesso
colore, abbastanza stretti da far risaltare i muscoli da calciatore
sulle gambe. Il nero, se possibile, lo rendeva ancora più
affascinante.
-Io non sono mai in ritardo. Se non avessi dovuto trascinarmi dietro
quell'idiota di mio fratello e il suo amico sarei stato qui da almeno
mezz'ora.- Decisi di non rispondere all'ennesima provocazione nel giro
di pochi minuti.
-Stai bene vestita così Ale- mi disse invece Giacomo
avvicinandosi per stringermi in un abbraccio. Si fece più
vicino e sfiorandomi appena l'orecchio mi sussurrò -punti a
fare conquiste?- Io e Valerio scoppiammo a ridere, Giacomo e il sesso,
il suo punto fisso. Matteo ci guardò perplesso, troppo
lontano da noi per aver sentito il commento del fratello, sedeva
scompostamente su una panchina bianca e rovinata in netto contrasto con
il suo abbigliamento e giocherellava con un pacchetto di sigarette
abbandonato da qualche maleducato. Rimasi per diversi istanti a
osservare la linea dura della mascella, i capelli ancora un po' umidi e
il braccio muscoloso abbandonato scompostamente lungo lo schienale
della panchina. Non avevo mai visto nessuno apparire così
bello in una posizione tanto semplice. Alzai lo sguardo scontrandomi
con i suoi occhi attenti, il suo sguardo era illuminato da qualcosa che
non seppi decifrare con certezza ma che mi fece tremare. Mi sorrise in
quel suo modo un po' enigmatico ma proprio in quel momento il portone
di casa di Elena si aprì con un rumore scricchiolante e
fastidioso rivelando le figure dei tre fratelli ciascuno con
un'espressione diversa dipinta sul viso, chi fastidio, chi noia, e la
solita euforia sul volto di Nico. Ci salutammo appena e io mi
allontanai quasi inconsciamente dalla panchina di Matteo. Sarebbe stata
una lunga serata.
Nel giro di cinque minuti ci raggiunse il resto della compagnia e ci
avviammo verso il bar poco lontano dove avremmo trascorso gran parte
della serata dal momento che conoscevamo bene i proprietari e nessuno
ci avrebbe mandato via per far posto ad altri clienti. Rimasi un po'
indietro rispetto agli altri osservando i loro passi quasi
sincronizzati e respirando il profumo di Alassio a pieni polmoni,
quell'odore che avrei portato nel cuore per un inverno intero
nell'attesa di risentirlo anche solo per qualche minuto. Non erano
più i tempi dell'Alassio del boom economico, dei vestiti
lunghi e scintillanti o degli appuntamenti mondani di Mario Berrino.
Tutto sembrava dimenticato, sotterrato sotto un turismo di massa il cui
fine ultimo era aumentare la ricchezza dei residenti, mancava
l'eleganza di cui tanto mi aveva parlato mia madre da bambina, quel
clima magico e un po' da favola che colorava la Riviera dei
fiori ormai soltanto più in occasione del Festival
di Sanremo.
Matteo mi si avvicinò di soppiatto stupendomi per il passo
felino a cui non ero più abituata.
-Come stai?- Lo guardai confusa. Mi sembrò una persona
diversa da quella che avevo salutato appena dieci minuti prima,
l'arroganza era sparita dal suo volto lasciando il posto ad
un'espressione più innocente, quasi da bambino, che gli si
addiceva molto di più. -Bene?- gli risposi con un accenno di
domanda dovuto alla confusione. Restammo per qualche istante in
silenzioso e mi beai della sua presenza rassicurante, del suo passo
sicuro e spavaldo ma mai prevaricatore nei miei confronti; sapevo che a
breve avrebbe rotto l'atmosfera confessandomi il vero motivo per cui mi
si era avvicinato con così tanta circospezione. Distolsi lo
sguardo quasi a dimostrare un apparente disinteresse, così
lontano dal tumulto che in realtà sentivo dentro. Mi
sembrava di essere tornata a prima della nostra relazione, quando anche
soltanto stargli vicino mi provocava i brividi lungo la schiena, quando
sognavo e mi accontentavo di poter trascorrere le giornate in sua
compagnia.
-Mio fratello sarà anche un idiota ma ogni tanto dice delle
cose sensate-. Trattenni il fiato, si era avvicinato senza che me ne
accorgessi e il suo braccio tornito stava ora sfiorando il mio lasciato
scoperto. -Sei bellissima stasera, più del solito e quella
gonna ti sta d'incanto-. Il suo respiro mi solleticò il
collo ancora per qualche istante prima di sparire con la stessa
velocità con cui era arrivato abbandonandomi in balia dei
miei sensi amplificati, della confusione generata dalla sue parole e da
un desiderio irrefrenabile di averlo di nuovo il più vicino
possibile. Mi lisciai la gonna di jeans, troppo corta per i miei gusti,
e scossi la testa nella vana speranza di allontanare quei complimenti.
Ci accomodammo sulle sedie in vimini del dehor, protetti dalla vetrata
direttamente sulla via Dante ma lontani dalla confusione dell'interno
del locale e dalla musica house troppo alta. I posti erano
già stabiliti da tempo, l'abitudine ormai parte integrante
del nostro gruppo; occupai il posto più vicino al
marciapiede, di spalle rispetto al locale, Valerio alla mia destra,
mentre Paolo e Giacomo mi si sedettero davanti. Come al solito Matteo
era leggermente spostato a sinistra, vicino ad Enrica. Ci immergemmo
sin da subito nella moltitudine di chiacchiere senza senso salutando di
tanto in tanto qualche gruppo delle spiagge confinanti.
-Ragazzi volete ordinare?- Una voce calda e virile alle mie spalle ci
interruppe mentre ero intenta a discutere con Valerio sull'ultimo
tormentone radiofonico. Non mi voltai ma afferrai il menù
delle bevande rendendomi conto di non aver ancora scelto cosa ordinare,
gli altri nel frattempo erano già tutti molto preparati.
Persi tempo scorrendo con apparente attenzione i diversi nomi, ma pochi
erano i cocktail che conoscevo davvero. -Fai con calma Ale, abbiamo
tutto il tempo!- esclamò Giacomo, ridendo. Lo canzonai
facendogli il verso e mi voltai finalmente verso il cameriere alle mie
spalle. Era un bel ragazzo, alto e biondo con un abbronzatura appena
accennata dovuta al poco tempo libero in alta stagione ma in evidenza
grazie alla divisa bianca, elegante, da cameriere. Mi sorrise
e due fossette identiche fecero capolino ai lati della sua bocca
sottile, nel complesso sembrava più un cantante pop
piuttosto che un cameriere oppure un bagnino in stile Baywatch.
-Scusami- gli dissi rispondendo al sorriso – per me un
“Sex on the beach” per favore.-
-Come no, volentieri!- ribatté sorridendomi con un accenno
di malizia e tutti al tavolo, nessuno escluso, colsero il doppio senso.
Arrossii come una bambina e abbassai il volto incrociando appena gli
occhi di Matteo, il suo sguardo mi parve più affilato del
solito. Giacomo e Nico risero come se il mio imbarazzo valesse loro la
serata. -Torno in un attimo- concluse il cameriere, di cui non
conoscevo il nome, appuntandosi su un foglietto le ordinazioni,
probabilmente si era presentato all'inizio ma io ero troppo assorta nei
miei pensieri per prestargli attenzione.
Non appena sentii i suoi passi allontanarsi tornai a respirare
normalmente, essere al centro dell'attenzione non mi era mai piaciuto,
men che meno per colpa di una persona sconosciuta.
-Che sguardo Ale! Sembrava ti volesse mangiare!- disse Giacomo ancora
ridendo e scatenando l'ilarità del resto della tavolata,
accennai un sorriso e Valerio mi strinse la mano comprensivo, era uno
dei pochi a non ridere forse perché conosceva bene il mio
carattere introverso e temeva di farmi un torto.
-Che si fa dopo?- domandai quindi per spostare il centro
dell'attenzione su qualcos'altro. Rimasi in silenzio per un po' ma
questo non mi impedì di osservare con la coda dell'occhio
Matteo avvolto in un mutismo simile al mio. Fissava il tavolo senza mai
distogliere lo sguardo nonostante intorno a lui la serata continuasse a
defluire con naturalezza, le mani torturavano senza sosta un tovagliolo
di carta che non avrebbe avuto vita lunga. Non potei impedirmi di
avvertire un po' di soddisfazione e orgoglio all'idea che
l'atteggiamento di Matteo fosse in parte dovuto anche al comportamento
del cameriere nei miei confronti, la gelosia forse aveva fatto capolino
nel suo cuore.
Il ragazzo tornò con i bicchieri lasciando il mio per
ultimo. -Ecco a te, l'ho preparato personalmente- gli sorrisi
riconoscente attendendo che se ne andasse definitivamente ma egli
continuò imperterrito a parlare con me, conversando sulla
vasta scelta di alcolici e stuzzichini all'ingresso del bar,
si appoggiò con noncuranza con una mano alla mia sedia, i
suoi occhi indugiarono sulla scollatura che mi affrettai a coprire. Pur
senza guardarli percepivo gli occhi dei miei amici fissarmi con
maliziosa intensità, in mezzo a quelle occhiate divertita
una, quella di Matteo, bruciava con una punta di gelosia,
forse. Mi sembrava rosso in volto e temevo che da un momento all'altro
potesse alzarsi e tirare un pugno al cameriere inconsapevole.
-Tu non dovresti lavorare?- domandai con un sorriso per non apparire
troppo antipatica.
-In teoria sì ma quando qualcuno cattura la mia attenzione
è difficile che riesca a concentrarmi.- Il suo sguardo era
tanto deciso quanto le sue parole che mi imbarazzavano e lusingavano
allo stesso tempo, una sensazione strana che mi fece sentire
sollevata quando finalmente un collega lo richiamò
all'ordine.
-Il lavoro chiama- mi disse azzardandosi a spostare la mano
più vicino al mio braccio che prontamente ritirai. -Magari
torno dopo-. Sorrise un'ultima volta e si congedò.
La conversazione tornò a fluire con naturalezza ma il volto
di Matteo rimase impassibile, la sua tempia destra pulsava in modo
impressionante. Lo guardai nervosamente costringendolo ad alzare gli
occhi nella mia direzione ma quasi subito li spostò verso
Elena al suo fianco, il fremito della mascella tradì il suo
nervosismo. I miei tentativi di attirare la sua attenzione furono vani,
sembrava che un muro fosse calato all'improvviso tra di noi e non
riuscivo a capirne il motivo. Era in imbarazzo, apparentemente
arrabbiato con se stesso, forse per aver ceduto a qualche minuto di
debolezza, una colpa imperdonabile per lui.
-Si è fatto tardi ragazzi, domani la sveglia è
alle 6:00 e non ho intenzione di subirmi le urla di Mario un'altra
volta- esordì Valerio appoggiando il bicchiere vuoto sul
tavolo insieme ai soldi per la sua consumazione.
-Potresti sempre chiedere a qualcuno di sostituirti- provai a
dissuaderlo ma fu come sempre irremovibile.
-Ti prometto che una sera andiamo a mangiare la pizza e rimaniamo fino
a tardi a parlare- mi rispose sotto voce, gli altri erano
già ritornati alle loro conversazioni. -ma tu vedi di non
fare ulteriori conquiste stasera, non so cosa potrebbe succedere.
Adios!- E se ne andò così, lasciandomi brasata da
quella frecciatina così esplicita, quando feci per voltarmi
e replicare il suo corpo era già stato inghiottito dalla
folla. Per quanto Valerio facesse parte della nostra compagnia da
sempre, da vero alassino aveva un carattere che difficilmente gli
permetteva di interagire con gli altri. Piuttosto chiuso e introverso,
non era mai stato percepito dal gruppo come una componente
fondamentale, alla pari di Matteo o Nico per esempio, rimaneva sul suo
e usciva con noi più per farmi un regalo che per reale
interesse. Ma nessuno sapeva leggere le persone come Valerio, per
quella ragione e perché era quanto più di vicino
a un fratello potessi avere, non mi era sfuggita l'occhiata di traverso
in direzione di Matteo che non si degnò nemmeno di
ricambiare il saluto.
-Ale, hai colpito davvero. Quel tipo non la smette di fissarti!-
Giacomo un po' irresponsabilmente continuava a gettare legna sul fuoco
appesantendo l'amtmosfera della serata che rischiava di diventare quasi
insopportabile con con l'assenza di Valerio. Ignoravo a
fatica quelle frecciatine che mi ponevano al centro di un'attenzione
non richiesta quando io avrei soltanto voluto confondermi nel gruppo e
allontanarmi da quello sguardo invasivo che mi metteva in soggezione
per la sua intensità.
-Chi ha fatto colpo?- Dopo più di mezz'ora di silenzio si
intromise Paolo, con lo sguardo basso concentrato sull'ombrellino
decorativo del suo bicchiere di succo di frutta alla pera. Mi ero
dimenticata della sua presenza ingombrante ma vederlo soffiare nella
cannuccia per creare le bolle nel bicchiere mi fece quasi rimpiangere
lo sguardo del cameriere.
-Lascia stare Paolo. Affittiamo il pedalò domani? E' un po'
che rimaniamo sempre in spiaggia.- Giacomo salvò la
situazione cambiando argomento pur incapace di nascondere una sua
morfia altrettanto disgustata.
I pedalò non mi erano mai piaciuti, ne avevo il terrore sin
da quando il padre di Valerio mi aveva gettato giù dallo
scivolo senza braccioli, al largo, e paralizzata dalla paura ero stata
trascinata di qualche metro da un'onda inaspettata. Da quel giorno
avevo deciso di prendere lezioni di nuoto nel caso un'occasione simile
si fosse ripetuta, ma la paura di quei mezzi infernali non mi era mai
passata. Eppure pur di passare del tempo tutti insieme lontani dalla
spiaggia e dalle partite di pallavolo, ormai ripetitive, sarei persino
salita su un pedalò. La proposta ricevette un'accoglienza
più che calorosa, Nico non smise un solo secondo di
fantasticare sull'itinerario perfetto e sul suo desiderio di vedere i
delfini. Qualcuno si azzardò a proporre una gita fino
all'isola Gallinara, l'isolotto a forma di lumaca conteso tra Alassio e
Albenga, da sempre meta prediletta dei sub. Nonostante l'eccitazione
generale all'idea di qualche ora alternativa, due voci rimasero fuori
dal coro, in silenzio, forse neppure interessate alla discussione che
stava prendendo piede.
Elena e Matteo fino a quel momento erano rimasti in disparte,
silenziosi e concentrati sulla vicinanza dell'altro, come se il resto
del gruppo non esistesse. Dall'ultima volta in cui avevo permesso al
mio sguardo di posarsi sulla coppia i due avevano avvicinato le sedie
in modo tale che potessero sedersi quasi uno in braccio all'altro. Il
mio sguardo cadde sulle loro mani intrecciate vicino ai bicchieri
ancora mezzi pieni, il contrasto evidente tra l'abbronzatura di lui e
il pallore della pelle di lei aveva in sé qualcosa di
disarmonico, di sbagliato. I loro occhi erano incatenati mentre le loro
bocche quasi si sfioravano durante una conversazione sussurrata ma
fitta a giudicare da come nessuno dei due stesse in silenzio per molti
secondi. Quasi ci sentimmo in imbarazzo, come se osservandoli li
stessimo privando di un'intimità non dichiarata ma evidente
ai più, soltanto Giacomo, abituato a quelle scene, non si
fece problemi a sferrare un calcio ben indirizzato allo stinco del
fratello. Matteo si voltò con sguardo truce, le labbra
contratte e gli occhi ridotti a due fessure, odiava essere interrotto
durante una conversazione.
-Che vuoi idiota?- domandò infastidito.
-Aspettavamo una tua risposta, venite con il pedalò o no
domani?- non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla coppia, dalle loro
sedie vicine.
-Sì, credo di sì, te lo confermo dopo- concluse
con una scrollata di spalla prima di riafferrare il bicchiere e
continuare a bere indisturbato, il pomo d'Adamo messo in evidenza dalla
testa inclinata all'indietro e la mano di Elena libera di vagare
indisturbata lungo il confine della sua mascella. Mi avvolse un
profondo sentimento di solitudine e rabbia nei suoi confronti e verso
Paolo che non aveva accennato a guardarmi una sola volta, neanche per
sbaglio. L'uomo che avrebbe dovuto essere al mio fianco non mi
considerava per pura immaturità e quello che avrei voluto
prendesse il suo posto era uno stronzo. Come avevo fatto a ritrovarmi
in una situazione così controversa?
-Qua mi sa che dobbiamo celebrare un bel matrimonio e al più
presto, sempre che non ci sia un bel pancione di mezzo- le parole di
Nick, da sempre il più audace, per quanto sussurrate furono
un altro boccone amaro da digerire. Rivolsi nuovamente lo sguardo verso
la coppietta felice, Elena gli stava il braccio con lentezza mentre
Matteo in risposta le portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio,
con delicatezza e affetto. Dall'esterno non v'era alcun dubbio che i
due fossero innamorati, lo si leggeva nei loro gesti amorevoli, nella
cura e attenzione che dedicavano all'altro. Un'avida lettrice come me
non poteva ignorare quei segnali, ma la mia perfida mente
ricordò che quella stessa sera Matteo mi aveva riservato
altrettanta attenzione, e a me erano bastate poche parole per lasciarmi
condizionare dal suo gioco. Bevvi avidamente dal mio bicchiere convinta
che in quel modo avrei potuto allentare il nodo che prepotentemente mi
stringeva la gola, la frustrazione accumulata negli ultimi giorni
sembrò risalirmi lungo l'esofago come una bomba inesplosa
tanto che seppi in quello stesso momento che sarebbe bastato il
più insignificante degli accendini per generare
un'esplosione.
-Amore ma hai preso di nuovo quella roba? Lo sai che non ti fa bene,
potevi prendere un buon succo di frutta, come faccio io-
asserì Paolo guardandomi per la prima volta. Non fui in
grado di celare l'indignazione per un commento all'apparenza innocente
e il disgusto provocato da una macchia di succo che si espandeva con il
passare del tempo sulla polo granata. Avevo vissuto per anni al fianco
di un bambino senza rendermene conto, alla ricerca di un porto sicuro a
cui aggrapparmi per non affogare ma finendo soltanto per rimanere
intrappolata dalla mancanza di ossigeno che quella relazione malata
comportava. Non risposi, lo lasciai parlare e parlare imperterrito,
nessuno lo ascoltava più. Mi bacchettò come se
fossi stata sua figlia e non la sua fidanzata.
-Te l'ho detto che quella pizza rossa....non so come tu faccia a
mangiarla-. Mi parlò del Torino, dell'imminente partita e
del film che ancora non era riuscito a restituire alla videoteca. Non
attendeva risposta, mi investiva con un fiume di parole nate
dall'esigenza di sentirsi considerato da qualcuno, con molta
probabilità si sentiva ignorato in un ambiente di adulti che
avevano ormai dimenticato i giochi e i passatempi pre-adolescenziali
con cui ancora si divertiva. Trovava in me un punto d'appoggio,
un'ancora in mezzo al mare senza sapere che di punto in bianco lo avrei
lasciato naufragare.
Sentivo la rabbia aumentare, travolgermi con così tanto
ardore che mi sembrava impossibile continuare a respirare, la testa
vorticava senza sosta in una combinazione di sussurri, voci,
grida. Voltai per un'ultima volta lo sguardo verso Matteo, un
gesto istintuale dettato da abitudini mai dimenticate, ma
desiderai non averlo mai fatto: il suo braccio avvolgeva con
delicatezza la nuca di Elena e le loro bocche erano così
incatenate da non riuscire a distinguere quale labbro appartenesse a
chi. Sentii una fitta al cuore, così forte che per qualche
istante credetti che sarei svenuta in preda al panico, mi sentivo
soffocare dalle parole di Paolo e dall'immagine che come un film
continuava a svilupparsi davanti ai miei occhi. Stavo per distogliere
lo sguardo quando Matteo spostò appena la testa aprendo gli
occhi il suo sguardo era puro fuoco ma non di passione come
chiunque avrebbe immaginato, no, i suoi occhi bruciavano di rabbia,
insoddisfazione e orgoglio. Credetti che li avrebbe richiusi, che si
sarebbe staccato da Elena, lui così poco incline alle
manifestazioni d'affetto in pubblico, ma nulla di tutto ciò
accadde. Matteo mi stava sfidando e io non avrei resistito un secondo
di più. Era la miccia che stavo aspettando, la goccia che
fece traboccare il vaso, quello sguardo audace innescò
l'ordigno che attendeva trepidante. Mi alzai di scatto facendo
strisciare fastidiosamente la sedia sulle assi di legno e mi rivolsi a
Paolo.
-Basta Paolo, è finita.- dissi glaciale con una voce che
stentai a riconoscere, il mio cervello era avvolto da una nube rossa
che mi impediva di ragionare lucidamente, le sillabe abbandonavano la
mia bocca di getto, inconsapevolmente, ma non per questo suonavano meno
chiare, anzi, prestavo attenzione a scandire parola per parola in modo
tale da non dovermi ripetere.
-Cosa è finito Alessandrina? - mi rispose lui con aria
innocente, da bambino, che mi diede la spinta necessaria per non
ritrattare, nemmeno in futuro.
-Tutto Paolo. La nostra storia, i tuoi “ti amo”
inesistenti, le lamentele quotidiane sul Torino, e
quell'atteggiamento quasi paterno che hai nei miei confronti. Non ti
importa nulla di me, di noi, dei miei bisogni, credi di essere il
fidanzato perfetto ma non lo sei, neanche lontanamente. Arriva un
ragazzo che spoglia con gli occhi la tua fidanzata, e non solo, e tu
cosa fai? Continui a bere il tuo succo di frutta come se nulla fosse.
Io mi sono stancata, te lo dico qui, davanti a tutti, la nostra storia
è finita, per sempre, senza ripensamenti. È ora
che ognuno vada per la sua strada! - Un sospiro soddisfatto e stanco
abbandonò le mie labbra.
Guardai di sfuggita gli altri che mi osservarono a loro volta stupiti.
Nessuno si aspettava una reazione del genere da parte mia che ero
sempre così controllata, attenta a non lasciarmi travolgere
dalle emozioni per non far trasparire nulla. Incrociai i loro occhi,
comprensivi alcuni e confusi gli altri, come quelli di Matteo che
finalmente si distanziò da Elena, una ruga d'espressione a
solcargli la fronte e lo sguardo grande e genuino di chi non
capisce cosa stia accadendo. Lasciai frettolosamente una manciata di
soldi sul tavolo e mi allontanai dal locale con la borsa in mano
sussurrando un appena accennato -Scusatemi- all'indirizzo di chi era
ancora seduti al tavolo in attesa che qualcuno dicesse loro che era
tutto uno scherzo.
Trascorsero più di due ore dalla mia fuga improvvisata, due
ore trascorse tra i carruggi poco affollati e una gita al porto poco
frequentato la sera. Non mi riconoscevo e ancor meno riuscivo a
comprendere il mio sfogo così imprevedibile ed improvviso.
Un peso mi aveva abbandonato il cuore , mi sentivo talmente leggera
da voler salire sulla collina più alta per urlare
all'intera Riviera la mia libertà. Nonostante l'alcol in
corpo rimanevo lucida, la mente in loop mi ripeteva la reazione
incredula di Paolo e dopo numerose repliche riuscii a leggere nella sua
espressione confusa la supplica di non abbandonarlo, non lasciarlo
solo. Conoscendolo però, sapevo che quell'atteggiamento non
sarebbe durato molto, Paolo era fondamentalmente un egoista e piuttosto
algido nei confronti dei sentimenti altrui. Nulla avrebbe potuto
turbare la sua quiete.
Non so in che modo terminai il mio percorso poco lontano da dov'era
iniziato, in un luogo che conservava così tanti ricordi da
indurmi una profonda voglia di piangere e ridere allo stesso tempo per
l'assurdità di quella situazione. Mi ero rannicchiata
davanti al Chiosco vicino alla spiaggia con un ultimo bicchiere di
Mojto lasciatomi, forse per pietà, dal proprietario del bar.
Alle due inoltrate il silenzio era quasi assordante, i piedi mi
facevano male per le troppe ora trascorse sui tacchi e continuare a
camminare mi sembrava quasi impossibile. Per dimenticarmi della serata
inizia a sorseggiare con lentezza dal bicchiere di plastica,
consapevole che la mattina successiva me ne sarei pentita, ma l'odore
di menta era troppo forte e pungente, fastidioso non tanto per il
profumo in sé ma per la fiumana di ricordi che originava al
solo avvicinare il bicchiere al naso. Il carico emotivo della serata mi
rovinò addosso come un sasso scagliato con forza
giù da una montagna, e iniziai a singhiozzare come una
bambina capricciosa.
Pensai inevitabilmente a Matteo, al sapore delle sue labbra mature e al
profumo così avvolgente e sensuale. Di lì il
passo fu breve e mi invasero i ricordi del bacio audace con Elena, lo
sguardo di sfida con cui mi aveva congedato, quel “ti
amo” sussurrato che avevo sentito uscire dalla sua bocca poco
prima della mia sfuriata. Ancora una volta ero sola, in un luogo
desolato, con il cuore in frantumi per colpa di un ragazzo tanto bello
quanto dannato. Pochi metri mi separavano da casa di Valerio, qualche
passo e avrei senza dubbio trovato un paio di braccia calde e
confortanti pronte ad accogliermi e ad ascoltarmi, ma prevalse l'idea
che quella solitudine interiore non potesse essere accompagnata da un
abbraccio amico. Volevo punirmi per le mie debolezze.
L'umidità della sera mi penetrava sotto pelle
facendomi rabbrividire, nella foga della fuga avevo dimenticato il
maglioncino al bar e non avevo nulla che potessi utilizzare come scudo
oltre alle mie braccia. Sentii in lontananza un rumore di
passi, ma non mi importò più di tanto
sapere chi fosse il proprietario, avrei voluto coprirmi, scappare per
evitare il più possibile che qualcuno mi osservasse nel
momento di maggiore vulnerabilità o forse non ero troppo
debole per farlo dato che ingoiai l'orgoglio e rimasi immobile, in
attesa.
-Sapevo che ti avrei trovato qui !- Contro ogni aspettativa alzai la
testa di scatto, trovandomi davanti l'ultima persona che avrei mai
potuto immaginare. Il fastidio tornò prepotentemente a farsi
sentire tra le mie membra.
-Vattene- sussurrai, fino a quel momento non mi ero resa conto di
quanto fossi stanca. Non avevo più la forza di
discutere, avrei voluto andare a casa, indossare il mio pigiama
rassicurante e annegare nei miei pensieri almeno per un po'.
-Guarda come ti sei ridotta, piangere per uno come Paolo, sei proprio
messa male!- Le parole di Matteo mi ferivano profondamente
più per il tono di scherno che per il significato, la rabbia
che provavo nei suoi confronti non accennava a diminuire, anzi,
sembrava aumentare sillaba dopo sillaba, come gocce d'acqua in un
lavandino. Gurdarlo negli occhi avrebbe voluto dire rivivere quel
maledetto bacio che inaspettatamente mi aveva fatto soffrire
così duramente.
-Smettila Matteo, che cosa vuoi?- gli chiesi debolmente tentando di
asciugarmi gli occhi prima che mi vedesse così debole e
indifesa, non volevo che guadagnasse altre armi con cui torturarmi.
-Voglio complimentarmi con te, semplicemente. Paolo è
rimasto in silenzio per un minuto, al massimo, ma ha ripreso a mangiare
poco dopo come se niente fosse. Giacomo gli ha chiesto se andava tutto
bene e gli ha risposto domandandogli se voleva andare con lui in
videoteca.-
-Un classico- risposi tra me e me, neanche troppo sorpresa dalle sue
parole. Mi girai finalmente a guardarlo, inaspettatamente
più tranquilla dopo il suo breve discorso. Matteo era in
piedi vicino alla staccionata azzurra dello stabilimento, le braccia
incrociate sul petto fasciato dalla maglietta e lo sguardo limpido da
cui credetti di veder trasparire un accenno di tenerezza. Ricambiai lo
sguardo stringendomi nelle spalle un po' per l'imbarazzo e un po' per
colpa del freddo. Si staccò dalla staccionata con lentezza e
attenzione, come un animale che osserva la preda e la circuisce prima
di sferrare il colpo mortale; mi si portò davanti senza mai
distogliere lo sguardo. Mi sentivo nuda davanti al suo sguardo
invadente, nuda e indifesa. Si chinò appena verso il muretto
su cui poco prima sedevo rannicchiata e afferrò il bicchiere
di plastica, se lo portò alle labbra senza parlare e ne
bevette un sorso. I miei occhi scesero verso il basso e si soffermarono
sul movimento ipnotizzante del suo pomo d'Adamo prima di salire,
deglutii a mia volta.
-Credevo non ti piacesse il Mojito- affermò allontanando il
bicchiere dalle labbra.
-Ti sbagliavi!- risposi soltanto, di nuovo fredda e impenetrabile per
quella bugia a cui non credeva nemmeno lui.
-Succede spesso di questi tempi- concesse Matteo ma non feci in tempo a
ribattere o ad approfondire perché riprese a parlare. -Adoro
la menta.-
-Lo so, ed è per questo che non ordino mai un Mojito.- Mi
guardò sinceramente confuso forse aspettandosi che
continuassi ma rimasi in silenzio spostando lo sguardo verso la luna
pallida ormai alta in cielo. Mi avvicinai alla balaustra allontanandomi
da lui, non abbastanza da non percepire un sospiro scocciato e compresi
in quell'istante che l'atmosfera tranquilla di poco prima si sarebbe
ben presto dissolta. Amore e odio, tranquillità e tumulto,
la nostra relazione era costruita su opposti.
-Posso sapere perché ce l'hai tanto con me? Io proprio non
capisco-. Sbuffai una risata sarcastica senza guardarlo e in quella
risata nascosi l'amarezza e la rabbia che avrei voluto rovesciargli
addosso come un secchio di acqua ghiacciata, mi parve di immaginarlo
con la fronte corrucciata e i pugni lungo i fianchi intento a
trattenersi.
-Hai il coraggio di chiedermi come mai? Non te lo ricordi proprio?
Vedrò di rinfrescarti un po' la memoria. Direi estate,
pioggia...sei anni fa ti dice qualcosa? Eravamo in questo stesso posto,
tu ed io, forse eri un po' più giovane ma mi sembra di
ricordarti addirittura nella stessa posizione. Un mese sempre insieme,
a stretto contatto, tante belle promesse e parole vuote quando...- Non
terminai la frase perché la sua voce alterata mi interruppe
costringendomi a voltarmi con gli occhi infiammati dalla rabbia: era lo
scontro che entrambi avevamo atteso per lungo tempo.
-Non ha senso quello che dici, stai parlando di episodi avvenuti sei
anni fa.-
-Cosa vuol dire Matteo, le sofferenze non si allentano in sei anni. Mi
hai detto in faccia, senza farti alcun problema che per te non aveva
significato la nostra storia, che non avevamo futuro.- “Mi
sono divertito Ale, ma andiamo, quattro anni di differenza sono tanti e
per noi non c'è futuro. Sei una buona amica, una sorellina
minore, nulla di più.” Il ricordo di quelle parole
era ancora così vivido e prepotente nella mia mente che
sentii le lacrime di rabbia offuscarmi gli occhi ma ripresi
imperterrita come un fiume in piena. - Avevo quattordici anni, cazzo, e
tu mi hai lasciato come un'idiota spezzandomi il cuore. Eri il mio
primo amore Matteo. L'ho accettato, non ti ho detto niente ma tu hai
anche avuto il coraggio di presentarti il giorno dopo in spiaggia e
annunciare al mondo intero che tu ed Elena eravate una coppia. Come
dovrei trattarti Matteo, dimmelo, come?- quasi urlai l'ultima domanda,
in preda alla rabbia e alla disperazione, Matteo rimase immobile per
qualche secondo attutendo il colpo delle mie parole. Respirò
profondamente passandosi una mano tra i capelli.
-Forse hai ragione, ho sbagliato, ma sono passati sei anni. Sono andato
avanti, tu stessa ti sei lasciata la storia alle spalle e hai avuto
diverse relazioni, cosa ti impedisce di trattarmi come gli altri?-
Ancora domande, ancora frasi buttate al vento perché Matteo
non avrebbe mai compreso quello che realmente provavo per lui, quel
sentimento così profondo e corrosivo che collegava ogni
cellula somatica del mio corpo alle sue.
-Mi hai ferita Matteo, come posso fartelo capire. Non mi fido di te e
averti qua ora mentre sono di nuovo vulnerabile non mi aiuta- urlai
davvero, incurante di persone esterne che avrebbero potuto sentirci
discutere. La testa mi pulsava dolorosamente forse per aver bevuto
troppo o forse per la rabbia che sentivo scorrermi nelle vene
dall'inizio di quella serata disastrosa.
-Sono un coglione, ecco la verità, e sto perdendo tempo con
una come te. Ti ho raggiunto perché avevo paura che facessi
qualche cazzata, sono venuto per te abbandonando gli altri senza una
spiegazione, fregandomene di quello che avrebbero potuto pensare
perché l'unica cosa che riuscivo ad immaginare eri tu
ubriaca fra le braccia di gente sbagliata. Ho ignorato Elena
l'ho lasciata da sola a metà strada, le ho mentito dicendole
che andavo a vedere la moto mentre venivo a cercare te,
perché ero preoccupato e non ragionavo più. Ho
capito che la cazzata l'ho fatta io! Che cosa vengo a fare qua, con una
come te non si ragiona. Tolgo il disturbo e scusami ancora per essermi
preoccupato, tu e Paolo siete uguali. Vado va, che
è meglio. - Mi tremavano le mani, le strinsi così
forte da farmi male. Vedevo la sua schiena allontanarsi velocemente
mentre il mio cervello registrava le sue parole
“preoccupato” “mentito”
“Paolo”.
-Bravo vattene, scappa ancora una volta, corri dalla tua fidanzata
invece di stare qua con me! D'altra parte mi hai già
lasciato una volta, posso sopportarne una seconda. Stupida io che
continuo ad aspettarmi qualcosa da te...due bugiardi come voi non
possono che stare insieme!- urlai per l'ultima volta ormai incline allo
sfinimento ma le mie parole riuscirono ad arrestare la sua avanzata,
Matteo si girò e mi guardò intensamente con i
piedi ben piantati, le gambe larghe e le braccia contratte lungo i
fianchi. Non sapevo quale sarebbe stata la sua mossa, ero nelle mani
del fato ma speravo che le mie parole suscitassero una reazione. Non mi
resi neanche conto del momento esatto in cui decise cosa fare, un
secondo era davanti a me nella sua posizione orgogliosa, l'attimo dopo
un bagliore luminoso gli attraversò gli occhi e lo guardai
dirigersi nella mia direzione a passo di marcia. Non lo vidi arrivare
ma sentii lo schianto rumoroso della mia schiena contro il muretto, le
sue braccia arpionarono fermamente le mie in una morsa da cui parve
impossibile potermi liberare. I suoi occhi ardevano ma non era soltanto
rabbia quella che potevo vedere, c'era qualcos'altro di più
profondo e infimo. Gli afferrai le spalle per sopportare il
contraccolpo e il suo calore mi avvolse interamente, non alzai lo
sguardo ma gli fissai le labbra carnose così vicine alle mie
che mi sarebbe bastato inclinare di qualche grado il capo per poterle
assaporare.
-Fanculo- lo sentii mormorare prima che lui stesso si fiondasse con
ardore sulla mia bocca in un impatto deciso ma dolce, veloce ma
intenso. La mia mente era un tumulto di emozioni contrastanti, la testa
mi diceva di respingerlo , il cuore di attirarlo a me e non
abbandonarlo più; lottavo contro me stessa mentre le sue
labbra mi assaporavano e il suo naso un po' sporgente sfiorava con
delicatezza la mia guancia quasi facendomi il solletico. Le sue mani
sui miei fianchi morbidi sembravano spronarmi avvicinandomi al suo
corpo, modellavano le mie forme come fossero state cera. Ad una
maggiore pressione delle sue labbra il mio autocontrollo cedette e mi
abbandonai come svuotata sul muretto trascinando con me il suo busto a
cui mi aggrappai come un'ancora di salvezza. Gli accarezzai le labbra
giocando nel frattempo con i suoi capelli così morbidi, i
respiri si confusero tra loro, le labbra si intrecciarono e finalmente
mi sembrò di tornare a respirare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** CAPITOLO VI: La foto ***
Ciao
a tutti! Ecco il nuovo capitolo anche se con un ritardo imperdonabile.
Spero che vi piaccia, non ho avuto il tempo di rileggerlo, nel caso
trovaste errori o incongruenza non esitate a farmelo notare,
rimedierò il prima possibile. Come sempre, ci tengo a
ringraziare chi mi dedica un po' del suo tempo leggendo, inserendo la
storia tra le preferite/seguite. Questo capitolo è per voi
che non mi abbandonate mai.
Che
dire, godetevi la lettura...a presto !
Cassandra
Capitolo
VI: La foto
Non
avevo più coscienza del mio corpo, della mia mente che
continuava a
ripetermi quanto tutto quello fosse sbagliato, ero ebbra e assuefatta
dal suo profumo. Affondai la mano tra i suoi capelli, e lui mi
strinse maggiormente; la sua mano destra scese con lentezza lungo la
mia schiena accarezzandomi e poi si infiltrò sotto la
maglietta
leggera facendomi rabbrividire. Mi scostai appena, cosa stavamo
facendo?
-Ehi...-
mi sussurrò Matteo ancora a contatto con la mia bocca. Gli
accarezzai la guancia un po' ispida e ruvida sorridendo appena, quel
bacio mi aveva permesso di dimenticarmi momentaneamente della serata,
della condizione in cui io stessa mi ero condotta, il potere di
Matteo ancora una volta aveva agito su di me.
-Matteo
io- provai ad esprimere le mie perplessità, quelle parole
non dette
che ancora mi pesavano sul cuore rendendolo più pesante di
secondo
in secondo.
-Shh-
mi rispose lui riprendendo a baciarmi.
Non
so quanto tempo trascorse prima che mi allontanassi definitivamente
da lui, almeno dalle sue labbra, dal momento che le mie mani erano
come incollate al suo corpo e sembravano non volersi muovere
più.
-Andiamo
a casa mia !- mi afferrò con decisione la mano trascinandomi
con
lui, verso la sua moto, incurante del fatto che qualcuno dei nostri
amici avrebbe potuto vederci e di conseguenza riferirlo ad Elena.
Non ebbi la forza di farglielo notare, rimasi semplicemente in
silenzio osservando il suo profilo quasi perfetto e accarezzandogli
la mano ancora ancorata alla mia. Mi sentivo completamente in balia
delle emozioni, dell'adrenalina che quel bacio inaspettato mi aveva
suscitato, temevo che da un momento all'altro la mia bolla di
felicità potesse evaporare. Mi porse un casco
allacciandomelo con
delicatezza prima di rubarmi un altro bacio che mi strappò
un
sorriso per la tenerezza con cui mi era stato donato, una tenerezza
che non credevo possedesse. Il viaggio verso la collina fu breve
grazie soprattutto al poco traffico notturno, ma non riuscii a non
stringermi con più forza alla sua schiena ben delineata, ad
annusare
il profumo che tanto mi era mancato in quel periodo di
lontananza...credetti di essere tornata indietro di sei anni.
Matteo
prese le chiavi dal giubbotto di pelle che aveva indossato per
proteggersi dal vento e aprì con uno scatto la porta di
legno
usurato rivelando il salotto e più avanti la cucina ancora
al buio.
La casa era esattamente come me la ricordavo, constatai guardandomi
un po' intorno, Matteo invece si recò in cucina alla ricerca
di
qualcosa da bere. Rimasi in piedi non sapendo come comportarmi, tutto
era così insolito ed io non ero più abituato
all'idea di dover
ricominciare da capo con lui. Alle pareti erano ancora appese le foto
di Matteo e Giacomo da bambini, la maggior parte scattate sulla
spiaggia con l'isola Gallinara sullo sfondo. Mi soffermai qualche
secondo in più su un primo piano di Matteo. Doveva avere
all'incirca
sedici o diciassette anni, il viso lievemente paffuto e i capelli un
po' più chiari così corti da sembrare un marine.
Accarezzai il suo
volto ricordando come mi fossi resa conto del genere maschile proprio
osservandolo da lontano, all'ombra dell'ombrellone con un libro in
mano e un sorriso impossibile da cancellare ancora sul viso.
-Non
ho trovato niente, probabilmente Giacomo ha già fatto
razzia...ti va
un succo d'ananas? E' l'unica cosa commestibile rimasta- risi davanti
alla sua espressione confusa ed annuii prima di comprendere davvero
le sue parole e realizzare che anche Giacomo viveva in quella casa,
che sarebbe potuto tornare da un momento all'altro chiedendo
spiegazione sulla mia presenza ma io non avrei saputo cosa
rispondergli. Mi sedetti sul divano in pelle verde, non troppo largo
ma piuttosto comodo nonostante non riuscissi a stare ferma,
continuavo a muovere le gambe, ad attorcigliarmi i capelli tanto era
intenso il fremito che sentivo percorrermi il corpo di tanto in
tanto.
-Non
devi essere preoccupata, ci siamo solo io e te in casa, Giacomo
tornerà domani mattina- mi colse di sorpresa Matteo, di
nuovo, il
quale teneva fra le mani due bicchieri di succo, me ne porse uno e si
sedette accanto a me così vicino che riuscii a percepire il
suo
respiro sul mio collo. Le sue parole, insolitamente, non mi
rassicurarono.
-Sono
contento che tu sia qui- mi disse ma non risposi, ero intenta ad
osservare la sua mano grande e abbronzata avvolta attorno al
bicchiere. Mi sentii attraversare dal desiderio di essere avvolta
nuovamente da quelle mani, volevo sentirle scivolare lungo il mio
corpo in una lenta e sinuosa carezza...arrossii come un'adolescente
alle prime armi e forse non ero tanto diversa. Matteo dovette
accorgersene perché mi si fece ancora più vicino,
avvicinò una
mano al mio collo scostandomi i capelli aggrovigliati per
l'umidità
sul lato destro; percepii le sue labbra avvicinarsi lentamente e
attesi con il fiato sospeso fino a quando non sentii distintamente la
sua bocca posarsi senza incertezza alcuna accanto alla mia clavicola.
Esalai un respiro e il bicchiere quasi mi scivolò dalle mani.
-Rilassati
Ale, rilassati...lasciati andare.- Posai il bicchiere accanto al
divano e mi voltai appena guardando negli occhi profondi prima di
avvicinarmi alle sue labbra per un nuovo, lento bacio che si fece via
via più intenso e passionale con lo scorrere dei minuti.
Quelle
labbra erano il mio luogo di perdizione, un labirinto dal quale non
avrei saputo trovare una via di fuga neanche se qualcuno avesse
provato a trascinarmi verso l'uscita con la forza. Sottovalutai la
situazione e mi dimenticai troppo a lungo della vita reale, quella
vita che ci attendeva al di fuori della bolla in cui avevamo scelto
di rifugiarci...non eravamo liberi, non eravamo amanti, io e Matteo
non eravamo nulla.
La
vibrazione di un cellulare, il suo, destò la mia attenzione.
Lo
cercai con lo sguardo e lo trovai sul tavolino dalla parte opposta
del divano, provai ad ignorarlo e per qualche secondo non fu
così
difficile, gli occhi scuri di Matteo erano una distrazione
più che
sufficiente, ma il cellulare continuava a suonare imperterrito e il
mittente sembrava non essere intenzionato a smettere di chiamare.
-Rispondi,
magari è importante- gli sussurrai lasciandogli un ultimo
bacio e
una carezza sui pettorali, vicino al cuore. Avevamo l'intera notte a
nostra disposizione. Matteo sospirò a sua volta, esasperato
dall'ennesima interruzione e mi parve di vedere il suo volto
corrucciarsi maggiormente alla vista del nome del mittente tanto che
temetti che fosse davvero successo qualcosa di grave. Non appena lo
sentii rispondere compresi il motivo di tanto sforzo, la
realtà
aveva bussato alla porta del nostro rifugio e ora toccava a noi
confrontarla.
-Dimmi
Elena- Matteo mi rivolse uno sguardo di scuse e si allontanò
verso
la cucina, gesto che mi lasciò piuttosto perplessa e
amareggiata.
Cosa dovevano dirsi di così importante da non permettermi di
ascoltare? Mi alzai di scatto innervosita, non dovevo pensare male,
non con i baci appassionati di poco prima ancora impressi nella
mente; di lì a poco Matteo sarebbe tornato e avremmo ripreso
da dove
eravamo stati interrotti. Presi a girare per il salotto guardandomi
intorno, osservando le foto sulle mensole e sfiorando di tanto in
tanto qualche libro polveroso finché non venni a contatto
con una
foto che mi bloccò sul posto. Non era una foto qualsiasi,
conoscevo
bene il contesto, quella foto era stata scattata a pochi passi da me.
Era piccola rispetto alle altre, più nitida e moderna
rispetto alle
gigantografie a muro, ritraeva Matteo ed Elena sulla salita che
porta al porto, dai loro volti traspariva felicità e
soddisfazione
mentre dai loro corpi intrecciati e dalle labbra sigillate l'una
sull'altra era impossibile non percepire la passione che li univa.
Soltanto a guardare la foto mi sentii di troppo, come un ospite
indesiderato, e non osai immaginare come si sentisse il fotografo di
quell'attimo di intimità. Notai in basso a sinistra una data
“14
agosto ” mentre sulla cornice era incisa una dedica
“all'amore di
una vita”, semplice e poco originale, ma che ebbe il potere
di
paralizzarmi. Non feci in tempo a reagire perché percepii la
presenza di Matteo alle mie spalle. Chiuse velocemente la chiamata
congedando Elena con frasi di circostanza, affrettandosi per tornare
da me ma inutilmente, l'incantesimo ormai si era spezzato. Mi
appoggiò una mano sul gomito forse con l'intento di
guardarmi negli
occhi però non lo assecondai, rimasi con gli occhi fissi
sulla
dedica e incrociai le braccia al petto in una posizione di difesa.
-Siete
molto carini in questa foto- sussurrai con la poca voce che mi
rimaneva, temetti che se avessi parlato troppo forte l'ultimo barlume
di felicità sarebbe sprofondato. Matteo alzò la
testa di scatto e
mi si portò davanti, mi appoggiò le mani sulle
spalle e mi alzò il
mento con le dita quando si accorse che mi rifiutavo di rispondergli.
-Lascia
perdere i ricordi, pensa al presente...a me, a noi.- Si
voltò
nuovamente verso la foto e la abbassò così che
non potessi più
vedere i loro volti ma ormai quell'immagine mi tormentava la mente e
non l'avrei certo dimenticata per il solo fatto di non poterla
più
vedere con gli occhi, anzi, l'assenza della vista la rendeva
più
nitida nella mia mente. Le sue parole mi sconvolsero più
della foto
in sé, forse per Matteo quel momento catturato nella foto
non
simboleggiava nulla ma per me era il simbolo della sofferenza che
abitava il mio cuore da anni, della mia insoddisfazione e del senso
di inadeguatezza che mi tormentava come una voce fastidiosa ogni sera
prima di andare a dormire. Poi c'era la paura, il buon senso, per
quanto potesse essere profonda l'attrazione verso Matteo mai avrei
voluto diventare una sfascia-coppie.
Pochi
minuti erano bastati per farmi cambiare idea. Ero entrata in quella
casa con l'idea di trascorrere la notte con Matteo, non
necessariamente facendo l'amore, sarei stata più che
soddisfatta di
svegliarmi la mattina successiva ancora abbracciata al suo busto
così
come quando mi ero addormentata. Ma quel sogno non si sarebbe
avverato, non quella notte almeno. Mi staccai bruscamente
dall'imbarazzante abbraccio che ancora mi teneva prigioniera senza
che me ne accorgessi e mi diressi in direzione della porta.
-Dove
stai andando Ale?- Mi domandò Matteo, confuso dal mio scatto
improvviso. Non potevo stare in quella casa un secondo di
più, tutto
mi soffocava lì dentro privandomi dell'ossigeno vitale.
Odiavo il
suo profumo persistente che impregnava i miei vestiti dopo un
contatto troppo prolungato e avrei voluto sfregarmi le braccia per
farlo scomparire ma non volevo apparire più pazza di quanto
già non
sembrassi ai suoi occhi.
-Devo
andare Matteo, scusami, ho avuto un imprevisto...io- non riuscivo
più
a formulare una frase coerente.
-Ma
come? E' successo qualcosa? Sono convinto che tutto possa sistemarsi
domani mattina, trascorri la notte con me e non appena ci svegliamo
ti porto a dove vuoi.- Perché continuava a non capire?
-Non
posso fermarmi davvero, scusami- ripresi a camminare in direzione
della porta ma non bastò a fermare il suo slancio veloce
verso di
me, mi stava seguendo e non sapevo quanto avrei resistito prima di
cedere ai suoi occhi, ma non potevo arrendermi così, dovevo
mostrarmi forte almeno davanti a lui.
-Lascia
almeno che ti accompagni, non mi va che torni a casa da sola, al
buio, c'è brutta gente in giro-
-Va
bene così Matteo, un po' di aria fresca non può
che farmi bene. E
poi so difendermi da sola, non ho bisogno del tuo aiuto.- Ero vicina
alla meta, posai la mano sul pomello, pochi passi e sarei stata
libera.
-Ale
aspetta!- Sentii ancora prima di chiudermi con prepotenza la porta
alle spalle.
La
sera seguente ci riunimmo tutti a casa mia in occasione dello
stagionale trofeo Tim, come era ormai tradizione da anni. La
formazione tipo comprendeva Matteo sulla poltrona laterale, io sul
tappeto accanto a lui per commentare, Elena e i fratelli con Giacomo
sul divano di pelle al centro della sala e Valerio, il meno
interessato sulla poltrona di fronte a Matteo prossimo al balcone,
l'unica via di fuga disponibile. Quella sera non si respirava la
solita atmosfera di attesa e scherzo a cui tanto mi ero abituata,
tutti sembravano tesi, come sul punto di dire qualcosa ma ancora
capaci di trattenersi all'ultimo e non riuscivo a smettere di pensare
che la colpa fosse mia e della mia incapacità di controllare
i
sentimenti. Matteo non mi rivolse parola, né all'entrata
né durante
la cena, mi ignorava semplicemente, come se non esistessi eppure da
lontano non potevo fare a meno di osservarlo, scrutare i suoi gesti e
il comportamento insolitamente freddo non potei fare a meno di notare
il suo atteggiamento e distaccato anche nei confronti di Elena.
-Ale?
Sei con noi? - mi domandò all'improvviso Giacomo
riscuotendomi da
pensieri troppo profondi, scossi la testa sorridendo appena.
-Ci
sono Giacomo, scusami ero un po' pensierosa...dicevi?- guardai gli
altri con la coda dell'occhio ma li trovai tutti impegnati a
mangiare, a tavola regnava il silenzio interrotto di tanto in tanto
dal rumore delle posate contro i piatti.
-Secondo
te chi vince? E vedi di non portare sfiga- finsi di pensarci su
nonostante avessi da sempre la risposta pronta.
-Chi
vuoi che vinca Giacomo? Mi sa che vi tocca soffrire un altro
anno...-attesi la risposta del ragazzo ma prima che questo potesse
rispondere venne interrotto da una risata piuttosto sarcastica.
Guardai Matteo con lo sguardo corrucciato, in attesa che parlasse per
la prima volta da quando aveva messo piede in casa mia, con calma
estenuante posò la forchetta accanto al piatto e
incrociò le
braccia sotto il mento osservandomi sempre con cura.
-Io
invece penso che qualcuno in questa casa dovrebbe cambiare lavoro-
alzò un sopracciglio quasi ghignando nella mia direzione.
Non
permisi che il suo tono scontroso mi infastidisse e gli risposi
istintivamente.
-Credo
proprio che sia il mio lavoro a permettermi di parlare, Matteo. Ho
avuto modo di seguire la campagna acquisti dell'Inter grazie ad un
amico e ti assicuro che il suo gioco è nettamente inferiore
rispetto
a quello juventino. Il nuovo allenatore non è ancora entrato
in
sintonia con i giocatori e sai meglio di me che senza rapporti tra lo
spogliatoio e il campo i punti non arrivano-. Gli altri ci
osservarono in silenzio senza proferire parola ma muovendo la testa
da me a Matteo come in un match di tennis, sembravano quasi
intimiditi oppure ci conoscevano a tal punto da sapere che qualsiasi
intervento loro, in quel momento, sarebbe risultato superfluo.
Matteo
si sporse un po' più avanti, il suo sguardo non
vacillò nemmeno per
un secondo.
-Saresti
pronta a scommettere?- mi domandò in tono di sfida e
compresi che
anche se avessi voluto il mio orgoglio mi avrebbe impedito di
sottrarmi all'ennesima prova.
-Assolutamente
sì!- gli risposi e mi alzai incamminandomi verso di lui per
stringergli la mano in modo tale da suggellare la scommessa. Si
alzò
anche lui scattosamente e mi strinse la mano con forza quasi volesse
ridurla in briciole, l'impeto della stretta non proibì al
mio corpo
di fremere nel contatto con la sua mano calda e sicura. Mi allontanai
altrettanto di scatto tornando al mio posto, non si trattava di una
semplice sfida calcistica. Soltanto dopo la stretta di mano mi resi
conto che non avevamo stipulato alcun premio o ricompensa.
Dopo
poco ci spostammo sul divano dove decisi di sedermi accanto a
Valerio per non alimentare ulteriormente l'aria tesa e astiosa che si
respirava in quel momento, finsi di non notare l'occhiata carica di
perplessità e rabbia malcelata che Matteo mi rivolse. La
partita
ebbe inizio e dopo neanche cinque minuti dal fischio iniziale la
Juventus segnò scatenando urla di gioia in Nick e grugnii di
disappunto da parte dei fratelli Martelli.
-Non
ci credo! Non è possibile! Siete dei ladri!- urlò
Matteo muovendo
freneticamente le braccia nella direzione della televisione
accompagnate da improperi irripetibili.
-Te
l'avevo detto- gli dissi canticchiando e ridendo allo stesso tempo
sotto lo sguardo divertito di Valerio. Matteo mi incenerì
con lo
sguardo prima di tornare a sedersi.
-Su
amore, non è successo niente, 1 a 0 non mi sembra tanto
male- si
intromise Elena distogliendo per qualche secondo gli occhi dalle
unghie color pesca e interrompendo il movimento della lima.
-Elena
, non capisci un cazzo di calcio, stai almeno zitta-. L'intera stanza
ammutolì per qualche secondo, io stesso guardai Matteo
confusa per
la freddezza e l'aggressività con cui pronunciò
quelle parole ma
lui sembrò non curarsene ed Elena parve non averle sentite.
Incrociai lo sguardo di Giacomo e finsi di credere che quella rabbia
repressa fosse soltanto da imputare allo scontro calcistico.
La
partita si concluse dopo novanta minuti con una vittoria meritata
della Juventus. Decidemmo di bere ancora qualcosa tutti insieme prima
che
ognuno tornasse a casa propria
-Sai
che fine ha fatto Paolo?- mi domandò Giacomo accompagnandomi
in
cucina per prendere il limoncello. Lo guardai confusa convinta che
dato il profondo rapporto di amicizia che li legava sapesse che il
mio ex ragazzo era tornato a casa. Poi mi resi conto che quella era
soltanto una scusa, Giacomo sapeva molto bene dove si trovasse Paolo
e forse sapevo anche qualcosa in più.
-Hai
parlato con Matteo?- gli domandai allora tentennando appena.
-E'
mio fratello Ale, dovrei non parlargli?- lo rimproverai con lo
sguardo e lui sospirò. -Ho intuito qualcosa dal suo
comportamento
piuttosto strano, era tanto che non lo vedevo comportarsi
così. Da
quell'estate- deglutii all'idea di rivivere tutti quei momenti tanto
belli quanto dolorosi.
-Cosa
vuoi che ti dica Giacomo? Non è successo niente te lo
assicuro- misi
le mani avanti non sapendo cosa aspettarmi da lui, non ci conoscevamo
così bene e non avevamo mai legato a tal punto da confidarci
a cuore
aperto davanti a un caffè. Il mio confidente era sempre
stato
Valerio ma alcune cose, almeno per il momento, era bene che non le
sapesse nemmeno lui.
-Ale,
Matteo è in una situazione difficile, lo sai. Adesso non ha
la testa
per starti dietro e non vorrei che tu soffrissi, tutto qui.- Non mi
piacquero le sue parole, il modo in cui le pronunciò come se
stesse
rimproverando una bambina dopo l'ennesima marachella.
-Ti
ripeto, Giacomo, che tra me e Matteo non c'è nulla se non un
rapporto di amicizia lo stesso che intercorre con gli altri membri
della compagnia. Il discorso è chiuso-
Lo
lasciai appoggiato allo stipite della porta della cucina e con le
mani che mi tremavano per la rabbia mi diressi dagli altri. Poco dopo
Giacomo ci raggiunse e indossando la felpa ci disse che sarebbe
tornato a casa, non mi alzai neanche per accompagnarlo alla porta.
Matteo cercò il mio sguardo forse nel tentativo di trovare
una
spiegazione all'improvviso gesto del fratello ma distolsi velocemente
gli occhi alzandomi e aprendo la finestra prima di accendere una
sigaretta. Dall'inizio della vacanza avevo ripreso a fumare
più del
dovuto, quasi mi sembrò di sentire il rimprovero di mia
madre.
-Che
serata ragazzi!- disse Nick -Che partita! Non ci resta che andare in
discoteca per concludere al meglio. Chi viene?- Scossi la testa, la
discoteca era il mio ultimo pensiero ma anche gli altri negarono con
il capo o con le parole. -Quanto siete noiosi!-
-Io
vorrei andare a casa- esordì Elena -sono un po' stanca, mi
accompagni Matteo?- Attesi una risposta affermativa quella che tutti
si sarebbero aspettati e mi imposi di non rimanere delusa, non potevo
dopo quanto successo la sera precedente. Inaspettatamente al posto
della delusione provai sorpresa.
-Non
posso Ele, ho lasciato il motorino a Giacomo.-
-Potresti
almeno accompagnarmi fin sotto casa a piedi, è un po' che
non
trascorriamo del tempo insieme, da soli.- Vidi Valerio roteare gli
occhi dalla disperazione, l'ultima cosa che il gruppo voleva era
assistere all'ennesima discussione tra i fidanzati.
-Ti
ho detto che non posso, credo di aver un po' di febbre e vorrei
tornare subito a casa. Fatti accompagnare da tuo fratello- Era
un'altra bugia, lo intuii dal modo in cui i suoi occhi sembravano
fissi in un unico punto senza neanche bisogno di battere le ciglia.
Perché tutte quelle menzogne, cosa doveva ancora nascondere
ad
Elena, agli altri, a me? Osservai il resto del gruppo abbandonare il
tavolo uno dopo l'altro, li salutai con un cenno del capo
soffermandomi un po' di più con Valerio.
-Se
hai bisogno chiamami- mi sussurrò all'orecchio -non mi fido
di certa
gente-. Gli sorrisi grata ma lo congedai comunque consapevole che
fosse giunto il momento di parlare con Matteo, per quanto avessi
voluto rimandare la conversazione sapevo che non potevo più
sottrarmi. Quando anche l'ultimo chiuse la porta accostai la finestra
e mi diressi verso il tavolo iniziando a sparecchiare, cercai di
ignorare lo sguardo ingannatore di Matteo che non abbandonava mai la
mia schiena. Voltai le spalle al salotto per riprendere fiato ma
servii a poco dato che dopo qualche secondo sentii il suo corpo
solido premersi contro la mia schiena intrappolandomi contro il
lavello, riuscii a recuperare il piatto che stavo lavando prima che
mi scivolasse dalle mani. Trattenni il respiro per qualche secondo
mentre Matteo rimase immobile come una statua.
-Ti
serve aiuto?- mi domandò con voce sensuale all'orecchio,
imperterrito e deciso, il suo fiato caldo mi fece rabbrividire.
Resistergli era sempre più difficile. Dovetti schiarirmi la
gola un
paio di volte prima di poter parlare senza apparire afona,
all'improvviso dovetti anche contrastare il calore che sentivo
salirmi alle guance.
-No
Matteo, grazie, riesco a ripulire da sola. Sei caldo, non vorrei che
ti salisse la febbre- Lo sentii reprimere una risata contro il mio
collo e il suo naso mi fece il solletico, strinsi più
saldamente le
mani attorno al piatto certa che di lì a poco lo avrei
ridotto in
frammenti.
-Sai
benissimo che era una scusa, voglio stare con te stasera, magari
potremmo riprendere da dove abbiamo interrotto ieri- Mi voltai con le
gambe tremolanti e alzai il viso per guardarlo negli occhi, mi
aggrappai alle sue spalle per non perdere l'equilibrio a confronto
con l'intensità del suo sguardo, pari a quello di un lupo
affamato
davanti a un gruppo di conigli indifesi. La luna che filtrava dalla
finestra socchiusa gli illuminava finemente il volto tanto da
renderlo quasi una creatura mitologica, divina. Sospirai una volta
abbassando lo sguardo, non sarei mai riuscita a rifiutarlo di nuovo
guardandolo negli occhi.
-Lo
so Matteo, e non voglio più che tu menta in questo modo per
me.-
Immediatamente, come scottato, ritirò le mani dal mio bacino
e
arretrò di qualche passo guardandomi come se fossi pazza. Mi
vennero
in mente le parole di Giacomo e rabbrividii al solo pensiero che...
-Se
permetti decido io come comportarmi. Ho lasciato che ieri sera
scappassi via così-. Lo interruppi in una flebile protesta
-Non è
vero Matteo- ma lui riprese come se non avessi detto nulla.
-Non
ho intenzione di ripetere lo stesso errore stasera, siamo soli, a
casa tua cosa potrebbe mai esserci che non va?- Lo guardai sentendo
la rabbia montarmi dentro, ero stanca di essere quella razionale,
perfetta che non sgarra mai quando tra i due ero proprio io quella
che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma mi trattenevo per lui.
-Matteo,
cazzo, guardati intorno! Tutto non va! Non siamo più due
adolescenti, abbiamo delle responsabilità tu per primo. E
Giacomo-
fu lui a interrompere il mio discorso afferrandomi bruscamente le
spalle e scuotendomi.
-Cos'ha
fatto mio fratello? Ti ha detto qualcosa? Non lo devi ascoltare,
è
solo geloso.-
-Ma
ha ragione Matteo, non possiamo fare tutto quello che vogliamo. E tu
dovresti sapere bene quanto vorrei lasciarmi andare, quanto sia
prorompente quello che sento dentro ma non posso.- Abbassai lo
sguardo e mi voltai di spalle tornando a lavare i piatti.
-Tu
non lo vuoi, ecco la verità, non te ne frega niente di me-
mi
limitai a scuotere la testa, mi rifiutai di parlargli insieme fino a
quando non fosse maturato.
-Avevo
ragione, quanto ho fatto bene a lasciarti!- così dicendo
afferrò un
bicchiere di vetro, il primo che si trovò davanti, e lo
scagliò con
forza contro il muro mandandolo in frantumi contro il comò
in legno.
Sussultai per la violenza del gesto a cui poco dopo seguì lo
sbattere della porta d'ingresso.
Non
avremmo mai risolto, pensai, troppi erano i ricordi che ci legavano,
i rancori che provavamo l'uno per l'altra ed eravamo così
eccessivamente orgogliosi ed egoisti per scendere a compromessi. Io
non capivo lui e Matteo non riusciva a mettersi nei miei panni,
quando saremmo giunti ad una conclusione definitiva, ad un punto
fermo che mi avrebbe finalmente aiutato a comprendere che non v'era
più speranza? Non potevo aspettare che Matteo si sposasse
con Elena,
che avessero un figlio, dovevo agire prima. Raccolsi i cocci di vetro
da per terra con la scopa e poi mi sdraiai sul divano con un braccio
a coprirmi gli occhi. Mi fermai a pensare, a ricordare, a riflettere
sui miei sbagli.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** CAPITOLO VII: Non ti arrendere ***
Ci baciammo a lungo, nascosti dietro l'ultima cabina azzurra in un metro quadrato così stretto da far mancare l'aria. Non ero mai stata così bene come in quel momento, mi sentivo completa, soddisfatta e orgogliosa di me stessa, ero felice. Accarezzai il volto spigoloso di Matteo allontanandomi appena, i suoi occhi brillavano di una luce nuova così intensa che credetti che fui tentata di socchiudere gli occhi per non esserne abbagliata.
-Non sai quanto mi sei mancata- mi sussurrò sulle labbra lasciandomi un altro piccolo e casto bacio. Sorrisi dolcemente e mi strinsi di più al suo petto lasciandomi cullare dal ritmo del suo cuore e dal profumo di detergente della sua maglietta viola. Con una mano mi accarezzò dolcemente i capelli, su e giù con lentezza, lasciandomi di tanto in tanto qualche bacio sulla cute. Non mi ero mai sentita così importante, così bella, credetti di essere la persona più fortunata della Terra.
-Non prendere impegni per stasera, ti porto in un posto speciale- Mi disse sorridendo estasiato. Quanto avrei voluto riappropriarmi di quelle labbra, renderle di nuovo mie, avrei dovuto resistere ancora per qualche secondo.
-Sai che non posso, la mamma mi ha già permesso di uscire ieri, non vuole che esca tutte le sere. Ti ricordo che ho solo quattordici anni- sbuffai.
-Fossi in te non ne sarei così sicura, insomma, quando gliel'ho chiesto prima non mi sembrava tanto contrariata-. Sentii il cuore battere più forte nella cassa toracica e probabilmente lo percepì anche lui dato che mi sorrise posandomi una mano poco sopra il muscolo in questione.
-Non voglio sapere nulla, mi aspetto una sorpresa- gli risposi furbescamente facendolo ridere.
-Oh, l'avrai allora, non posso non accontentarti. Sei la mia piccola Principessa-. Concluse la frase e mi guardò negli occhi con così tante emozioni che sentii le gambe cedere sotto il mio peso. Lo strinsi più forte e tornai ad appropriarmi delle sue labbra, assaporandole lentamente. Matteo era mio e nessuno me lo avrebbe più sottratto.
Venni svegliata all'improvviso dal suono squillante del campanello, mi stropicciai gli occhi e osservai l'orologio della televisione che segnava le 02:00 del mattino. Preoccupata mi avviai verso la porta passandomi una mano tra i capelli per apparire più presentabile ma la vista dallo spioncino mi lasciò basita. Esitai, incerta se aprire o meno la porta, non ero in vena di un'altra litigata, ma il campanello suonò di nuovo e temetti che di lì a poco i vicini si sarebbero lamentati. Aprii la porta pronta a rimproverarlo ma non riuscii a proferire neanche un suono perché le sue braccia mi travolsero con una velocità impressionante seguite poco dopo dalla sua bocca sulla mia. Non so se per l'ora tarda, se per la stanchezza o semplicemente perché il desiderio che provavo per lui era così forte da impedirmi di rifiutarlo ancora, mi abbandonai nel suo abbraccio e lasciai che la sua bocca si impossessasse della mia, che le sue labbra mordessero le mie non più con dolcezza ma con passione repressa da troppo tempo. Chiusi la porta con un tonfo sordo e iniziai ad arretrare in direzione del divano dove mi sedetti trascinandomi dietro il corpo di Matteo, il nostro groviglio di corpi e anime non si staccò neanche per un secondo. Sentivo le sue mani ovunque, tra i capelli, sul viso, le sue labbra si allontanavano dalle mie percorrendomi il collo per tornare prepotentemente a mordere. E così come una donna a dieta alla vista del cioccolato sente aumentare in bocca la saliva, io allo stesso modo non riuscivo a smettere di suggere le sue labbra, di accarezzarlo e sospirare nella sua bocca. Mi staccai alla fine per mancanza di fiato ma non mi allontanai di molto, tenni le mani sul suo corpo. Ci guardammo negli occhi.
-Non mi interessa di domani, ti chiedo soltanto questa notte Ale. Non voglio sesso, mi basta rimanere qui con te, baciarti, stringerti tra le mie braccia e credere che anche solo per queste poche ore che ci separano dall'alba tu sia di nuovo mia. Ho bisogno di te, di sentire la tua presenza, il tuo calore sul mio corpo. Non resisto più, sto impazzendo- quasi mi supplicò, come un folle.
Non riuscivo a trovare una risposta alle sue parole, qualcosa che potesse essere all'altezza del momento, così mi avvicinai maggiormente a lui e lo baciai con trasporto, sdraiandomi sul divano e trascinandolo accanto a me.
Dormimmo soltanto, avvolti in un abbraccio così stretto che sembrava impossibile dall'esterno capire a chi appartenesse una gamba o un braccio. Fu la nottata più tranquilla della mia vita, sognai distese di campi di lavanda, il profumo del mare e una tranquilla casa di campagna. Mi sentii sicura, protetta, consapevole che quello che provavo per Matteo non si sarebbe mai esaurito completamente. Avrei dovuto imparare a gestire le mie emozioni, però, almeno in pubblico.
La mattina mi svegliai con il canto degli uccellini proveniente dalla finestra che avevo dimenticato socchiusa e il dolce aroma di caffè. Sorrisi involontariamente sentendo una mano sfiorarmi con lentezza i fianchi.
-Buongiorno!- mi sussurrò una voce calda all'orecchio. Mi avvicinai di più al corpo di Matteo ma senza aprire gli occhi, volevo che il sogno continuasse almeno per un po'.
-Dai svegliati dormigliona, ti ho preparato una colazione con i fiocchi. Ci sono le brioches calde alla marmellata di albicocche che ti aspettano, quelle dell' “Impero” che ti piacciono tanto.-
Percepii la dolcezza nel suo tono, così diverso da quello con cui mi si era scagliato contro la sera prima. Controvoglia alzai la testa dal cuscino e mi sedetti prendendomi qualche minuto per osservarlo bene. Si era inginocchiato davanti al divano con un asciugamani bianco attorno al collo. La maglietta della sera prima giaceva abbandonata vicino alla poltrona e il suo torace nudo era percorso da goccioline d'acqua che lente segnavano un percorso immaginario tra i suoi muscoli definiti, giù lungo il bacino dove un altro asciugamani trattenuto da un nodo poco saldo celava ai miei occhi le sue parti più intime. Arrossii non appena mi resi conto di averlo guardato troppo a lungo ma quando alzai lo sguardo vidi Matteo intento a restituirmi il favore. Sentii i suoi scivolarmi sulle gambe lasciate nude dai pantaloncini e in imbarazzo mi alzai dirigendomi in cucina.
-Ho fatto una doccia, spero che non ti dispiaccia- mi disse sedendosi accanto a me e iniziando a sorseggiare del caffè amaro. Nonostante non fosse usuale per noi fare colazione insieme, men che meno nel mio appartamento, mi sentii completamente a mio agio. -Affatto!-Gli risposi iniziando a imburrare una fetta di pane tostato. Per qualche minuto regnò il silenzio in casa, interrotto di tanto in tanto dal tintinnio di qualche bicicletta sulla via Dante in un'Alassio ancora dormiente.
-Credo che dovremmo parlare di ieri sera- esordì Matteo lasciandomi interdetta. Posai immediatamente la fetta di pane sul tavolo, lo stomaco mi si era chiuso all'improvviso e non sarei riuscita a proseguire la colazione nonostante la fame di poco prima.
-Non rimpiango nulla di quello che è successo ieri, non rinnego neanche le parole che ti ho detto. La nostra situazione non è facile, hai ragione, ho una ragazza verso cui ho dei doveri e non posso più comportarmi come voglio- annuii in risposta ma lo lasciai continuare. -Vorrei che alcune cose non fossero mai successe ma come hai detto tu il passato non si può cambiare.- Si fermò per qualche secondo osservando la tazza di caffè ormai vuota mentre io continuavo a torturare la mia fetta di pane in attesa della sentenza finale. -Non posso lasciare Elena adesso, non me la sento e non saprei cosa dirle. Fino a qualche giorno fa tutto andava bene, era una relazione normale, ma poi sei arrivata tu. - sospirò. - Ti ho visto al molo, da lontano, sul momento non ti ho nemmeno riconosciuta perché sei così diversa Ale! Poi hai chiuso gli occhi e ho rivisto quella ragazzina che mi faceva impazzire. Non so più cosa fare.-
-Ti capisco Teo- mi intromisi- davvero. Ho appena lasciato Paolo dopo anni e non so se sono pronta a buttarmi a capofitto in qualcosa di così complicato. Ieri sera è stato bello, emozionante e travolgente ma sappiamo entrambi che- esitai per qualche secondo ma ci pensò Matteo a concludere il mio pensiero. -che non può durare così.-
Rimanemmo a fissarci in silenzio per minuti interi ognuno perso negli intrighi della propria mente. -Sono stato bene con te ieri sera, molto bene- mi disse infine sorridendo amaramente.
-Anche io, volevo che lo sapessi. Se solo le cose fossero diverse.- Scrollai le spalle, forse doveva andare così, io e Matteo non eravamo destinati. Concludemmo la colazione parlando del più e del meno, come se la conversazione precedente fosse stata solo un momento di debolezza passeggero. Qualcosa però sembrava essersi spezzato, un peso invisibile si era sollevato sopra le nostre teste e mi parve quasi di poter respirare normalmente. Trascorremmo ancora mezz'ora insieme poi Matteo si rivestì davanti ai miei occhi, incurante del fatto che lo vedessi con addosso soltanto un paio di boxer neri, non arrossì nemmeno. Lo accompagnai alla porta dove esitammo prima di salutarci. Una volta varcata quella soglia nulla sarebbe più stato lo stesso, lontani dalla nostra bolla gli avvenimenti avrebbero assunto un colore diverso, sfumature più accentuate. Mi lasciai stringere dalle sue braccia in un ultimo confortante abbraccio, molto più intimo di tutti quei baci che ci eravamo scambiati in preda alla passione, un abbraccio puro soltanto nostro per esprimere tutte quelle parole che non eravamo capaci di pronunciare a voce alta. Gli lasciai un bacio sul petto, vicino al cuore, a cui ne seguì uno da parte sua sulle mie labbra appena dischiuse dalla sorpresa. Aprii la porta salutandolo con un sorriso un po' stanco e lo osservai attraversare il pianerottolo e scendere i primi gradini delle scale, mi voltai e feci per chiudere la porta ma Matteo mi chiamò ancora una volta. Era a metà della scalinata in marmo con un piede sul gradino più alto e il busto leggermente voltato nella mia direzione, la mano stringeva saldamente il mancorrente di legno. -Sì?- Gli domandai confusa credendo che avesse dimenticato qualcosa. -Non ti arrendere.-
Buonasera a tutti/e,
torno dopo tanto tempo ad aggiornare una storia a cui sono particolarmente legata, in un periodo davvero difficile per tutti. Immergermi di nuovo nel passato mi aiuta a non pensare, spero che possa essere lo stesso per voi.
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento, vi aspetto per pareri, commenti, rimproveri o anche solo per un semplice saluto.
Cassandra
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** CAPITOLO VIII: Ginevra ***
Dopo quei giorni piuttosto turbolenti ripresi la routine vacanziera con corse mattutine per rimanere in forma prima che Alassio si svegliasse, docce per schiarirmi i pensieri e immancabili colazioni al bar vicino al Comune. Durante quelle meritate soste ne approfittavo per leggere i quotidiani sentendo talvolta nostalgia del profumo caratteristico dell'inchiostro e della carta appena stampata che impregnano le dita anche dopo numerosi lavaggi. In quei momenti mi piaceva riflettere anche sul futuro, sulle decisioni lavorative che avrei dovuto affrontare al ritorno dalle vacanze e l'incombente incognita dell'università.
Sorseggiai il caffè osservando i turisti trascinarsi dietro pesanti trolley colorati, ferragosto si avvicinava e il flusso di turisti aumentava di conseguenza, con mio grande disappunto essendo da sempre estimatrice di un' Alassio pressoché deserta. Sorrisi riconoscente alla cameriera prima di rispondere al cellulare che avevo volutamente ignorato fino a quel momento. Mi rispose Ginevra, solare ed euforica come sempre, forse fin troppo per il mio carattere un po' schivo e taciturno, poco incline alle grandi dimostrazioni di affetto e gioia. Mi disse che insieme al suo compagno aveva deciso di fermarsi per un giorno ad Alassio, che voleva incontrarmi.
-Ti devo raccontare una cosa importante, al telefono non renderebbe- sorrisi al suo tono eccitato e le chiesi di raggiungermi al bar dopo averle dato qualche indicazione su dove parcheggiare. Aspettandola pensai al programma della giornata, li avrei portati con me in spiaggia e avremmo trascorso la giornata al mare come ai vecchi tempi. Avrei colto l'occasione per farle conoscere Matteo ma sperai con tutto il cuore che né lui né lei si lasciassero trascinare dal carattere impetuoso. Avevo come un presentimento che sarebbe successo qualcosa, che Ginevra non avrebbe approvato il mio rapporto un po' strano con Matteo, specie dopo quello che le avevo raccontato nei giorni precedenti.
La vidi all'inizio del corso con i capelli un po' più corti rispetto all'ultima volta, toccavano appena le spalle, di un rosso acceso, e gli occhiali grandi da vamp calati sul naso. Accanto a lei, con passi più rilassati, procedeva il compagno di una vita, Emanuele. I capelli corti e scuri, quasi neri, lo rendevano affascinante ma sul volto maturo gli occhi grandi ed innocenti lo facevano apparire un bambino. Da tempo avevo smesso di credere alle favole ma vedendoli insieme mi apparivano come la coppia perfetta, indistruttibile, che neanche il temporale più burrascoso sarebbe riuscito ad abbattere. Non mi accorsi della tristezza negli occhi di Emanuele, del sorriso forzato che rivolgeva a Ginevra quando questa urlava dalla gioia alla vista di un particolare insignificante. Non vi prestai attenzione perché troppo presa dall'illusione che un mondo perfetto esistesse davvero non mi ero resa conto delle innumerevoli bugie che si celavano dietro ad una risata. Credevo ancora che l'amore vero fosse un susseguirsi di baci, carezze ed effusioni in pubblico...non avevo compreso nulla. Ginevra mi corse incontro rischiando quasi di inciampare su una piastrella fuori posto e mi avvolse stringendomi con forza tra le sue braccia.
-Ale! Quanto mi sei mancata! Devo dirti un sacco di cose!- Salutai con un abbraccio anche Emanuele e li invitai a sedersi con me. Parlammo del più e del meno per mezz'ora, il sole cominciava a scaldare e presto la spiaggia si sarebbe riempita.
-Io ed Emanuele dobbiamo darti un annuncio- li guardai in attesa, Ginevra non rispose per qualche secondo come se stesse pensando al modo migliore per dirmi la notizia. Dopo un po' di esitazione alzò la mano sinistra sporgendola nella mia direzione e solo allora notai l'anello luccicante all'anulare. Rimasi sorpresa ed incerta su come reagire. Si conoscevano da tanto tempo ma dal mio punto di vista un matrimonio era qualcosa di impegnativo, non un capriccio. Alzai il volto e vidi gli occhi di Ginevra brillare di felicità, misi da parte le mie insicurezze e mi alzai per abbracciare entrambi e congratularmi con loro.
-Voglio che tu sia la mia damigella Ale- mi disse nell'orecchio -non puoi dirmi di no, è importante per me-
-Non mi lasci scelta Gin, non posso che accettare. Quando vi sposate?- Domandai preparando nel frattempo il portafogli per pagare.
-Non lo sappiamo ancora spero il prima possibile.- Annuii felice di vederla così eccitata all'idea del matrimonio, in fin dei conti all'età di ventuno anni si ritrovava a realizzare uno dei suoi sogni più grandi. Non era mai stata una ragazza ambiziosa, non le interessava ricoprire una posizione lavorativa prestigiosa, si immaginava più come una donna del focolare circondata da tanti bambini di età diverse. Era un progetto che non avevo mai condiviso, io non ero tagliata per essere la dama di casa, avrei voluto realizzarmi lavorativamente prima di metter su famiglia.
-Sai per caso se da queste parti c'è un atelier di abiti da sposa? Avevo intenzione di iniziare a guardarmi intorno- mi domandò nel breve tragitto che ci avrebbe portato allo stabilimento balneare. Salutai con il capo la commessa del negozio vicino a casa e risposi a Ginevra senza neanche bisogno di pensare.
-Certo che sì, in via Torino c'è una delle boutique più famose dalla Riviera. Per anni è stata tra gli sponsor di Miss Italia-. Conoscevo bene quel negozio, sin da quando ero poco più che un' infante almeno una volta alla settimana dovevo passare di lì ed osservare per qualche minuto gli abiti principeschi esposti in vetrina. All'età di quattordici anni giurai davanti al negozio che avrei comprato lì il mio abito da sposa.
-Ti andrebbe di accompagnarmi uno di questi giorni? Ho bisogno della mia damigella per scegliere- annuii nuovamente ma il mio sguardo era già stato catturato da Valerio vicino alla cabina-ufficio di Mario, con le braccia incrociate al petto, gli occhiali scuri sul naso. Mi vide e iniziò a scuotere la testa venendomi incontro.
-Chi è quel figaccione?- Mi domandò Ginevra all'orecchio ricevendo in cambio una gomitata.
-Non se ne può più belin, è impossibile vivere qui ad agosto- mi disse Valerio continuando a scuotere il capo in preda all'esasperazione. -Ma perché non vanno in Romagna, no, tutti qui i tamarri.- Mi misi a ridere e gli diedi un'incoraggiante pacca sulla spalla.
-Non te la prendere Vale, una settimana e tutti tornano a casa. Oggi ci sono due amici oggi con me, è un problema?- gli chiesi per precauzione sapendo che disturbare Mario nel mezzo dei suoi e contrattazioni per gli ultimi lettini in spiaggia non sarebbe stata l'opzione migliore.
-E che problema c'è? Se sono con te possono entrare senza problemi, Alessandrina- lo incenerii con lo sguardo per lo squallido soprannome ma in cambio ottenni soltanto una risata divertita.
-Scusa scusa- mi disse poi -ma quel soprannome è così ridicolo che non riesco a trattenermi.-
Scossi le spalle rassegnata all'idea che non sarei più passata indenne alle battutine sarcastiche. Lo salutai con una mano prima di dirigermi verso le scale di ingresso alla spiaggia.
-Ale?- mi richiamò ed io feci cenno a Virginia di proseguire. -Voglio sapere i dettagli della scorsa sera, ti ho detto che non mi fido dei tipi tenebrosi-. Fui io a ridere quella volta e mi girai senza rispondergli, sapeva che non gli avrei raccontato nulla anche perché non c'era molto da raccontare.
Raggiunsi il mio ombrellone oltrepassando i giochi sparsi di alcuni bambini, accanto a me Elena sedeva all'ombra con un libro della collezione Harmony sulle gambe. Sollevai gli occhi al cielo per la scelta del libro, uno di quelli con l'uomo passionale e dominante che insegna alla donna come essere sensuale mentre ella tenta di resistergli senza neanche troppa convinzione. Quando posai la borsa sul lettino con un tonfo impossibile da non notare Elena continuò a leggere indisturbata.
-Ciao Elena, buongiorno!- mi sforzai allora di salutare più per educazione che per volere.
-Ale!- mi rispose seccata senza distogliere gli occhi dal libro. Scrollai le spalle in direzione di Ginevra e la invitai a prendere posto sul lettino accanto al mio mentre Emanuele si tolse con un gesto veloce la maglia prima di fare una passeggiata in riva al mare.
-Dov'è il principe azzurro?- mi domandò Ginevra dopo essersi spalmata l'olio abbronzante su gran parte del colpo.
-Chi, Paolo?- le risposi confusa controllando con la coda dell'occhio che Elena non ci sentisse.
-Ma che Paolo e Paolo...- la interruppi con un gesto prima che potesse continuare. Non era il caso che qualcuno sentisse la nostra conversazione, la situazione era già abbastanza complicata senza che terzi si intromettessero. -Vuoi stare zitta?- le sussurrai -C'è Elena accanto a noi!- Vidi la confusione dipinta sul suo volto così mi affrettai a spiegare.
-È la sua ragazza, stanno insieme da tanti anni ormai-. Considerai chiusa la conversazione, non mi andava più di continuare a parlare di Matteo. Mi sdraiai sul lettino e la invitai a parlarmi dei preparativi del matrimonio così da smettere di pensare almeno per un po'; come spesso accadeva di quei tempi rischiai quasi di addormentarmi per la stanchezza di numerose notti insonne. Più che in vacanza mi sembrava di essere ancora al lavoro. Ginevra si congedò poco dopo decidendo di raggiungere Emanuele in mare, forse si era resa conto di non avere tutta l'attenzione che io stessa avrei voluto fornirle. Mi rilassai un po' lasciandomi cullare dal vento fresco che permetteva di prendere il sole senza percepire eccessivamente il caldo, forse più tardi mi sarei concessa un bagno veloce. Vidi Elena raggiungere Ginevra in riva sul lungomare, rimasi sorpresa quando la vidi presentarsi, evidentemente preferiva essere maleducata solo nei miei confronti, come sempre.
-Alessandra?- mi chiamò Mario, sentii l'odore del suo sigaro da lontano e trattenni una smorfia infastidita; per quanto potessi volergli bene si presentava sempre nei momenti più inopportuni.
-Una signora strana, chiede di te- continuò senza aspettare una risposta e se ne andò in silenzio così come mi aveva raggiunto, aspirando dal suo sigaro. Svogliatamente mi voltai verso l'ingresso dello stabilimento, vicino al Chiosco, e dovetti strizzare gli occhi per riconoscere la sagoma di donna minuta, bionda quasi bianca di capelli, con un ampio vestito azzurro: era Caterina, la madre di Matteo. Rimasi sopresa del fatto che Mario non l'avesse riconosciuta, forse come diceva Valerio stava davvero perdendo qualche colpo. Ero convinta che Caterina sarebbe arrivata più avanti, che considerata l'ultima cena con litigata con annessa litigata mia e di Giacomo non avrebbe fatto il primo passso. Caterina era una donna dal carattere forte, determinato, forse un po' aggressivo quando si trattava dei figli che amava con tutto il suo cuore, indimenticabile la sceneggiata dell'anno precedente per non essere riusciti ad organizzare la festa a sopresa perfetta per Giacomo. Probabilmente era proprio quell'ardore e quel carattere così determinato che mi faceva tremare le gambe.
Mi alzai avvicinandomi per salutarla con un sorriso forzato -In bocca al lupo!- mi sussurrò Valerio passandomi accanto, il primo ad avere avuto una discussione non di poco conto per un lettino in spiaggia.
-Ciao tesoro- mi disse non appena le fui davanti sporgendosi per abbracciarmi. Affettuosa era affettuosa, senza dubbio, una brava persona se soltanto non avessi avuto continuamente problemi con i suoi figli l'avrei considerata la suocera dell'anno. -non volevo disturbarti ma siamo appena arrivati e credevo ti facesse piacere salutare zia Caterina- le sorrisi appena.
-Certo che mi fa piacere Caterina, vi fermate a lungo?- Sperai che mi dicesse di no. Avere lei e Carlo lì avrebbe voluto dire interminabili cene di gruppo a casa loro, gelati a Borgo Coscia lunghi ore, e un clima sull'orlo di una nuova guerra. La situazione in cui mi trovavo era sottile, appesa ad un filo, e prima ancora che lei parlasse sapevo che con il suo arrivo avrebbe solo potuto peggiorare. Se non mi avesse mai invitato a prendere un caffè con loro per tenere compagnia a Giacomo forse io e Matteo non ci saremmo nemmeno mai parlati. -Pensavamo un paio di settimane, Carlo riprende a lavorare a fine agosto- mi rispose indicando con un cenno del capo il marito seduto in spiaggia con la “Gazzetta dello Sport” aperta davanti a sé. -Ti va un caffé? Ho proprio voglia di fare due chiacchiere con te, dopo tutto questo tempo...- mi guardai intorno alla ricerca di una via di fuga ma Ginevra era in acqua a parlare con Elena, Valerio aveva sostituito il bagnino sul trespolo e di Matteo neanche l'ombra.
-Perché no? Vado a prendere il portafogli-. Secondo le mie previsioni non sarei tornata in spiaggia prima della pausa a pranzo. Ci sedemmo al tavolo con vista mare e ordinammo due caffè e un criossant per Caterina. Attesi in silenzio che iniziasse a parlare, la mia paura principale era che mi chiedesse di Paolo.
-Come va con gli studi? Non sei venuta neanche una volta a trovarci quest'anno-.
-Hai ragione, ma è stato un anno piuttosto impegnativo, ho iniziato a lavorare e il tempo libero è poco- le risposi con onestà legandomi i capelli in una treccia laterale per sentire meno caldo.
-Sappi che la nostra casa è sempre aperta per te- si fermò qualche secondo per addentare un pezzo di brioche poi riprese cambiando discorso. - Ho saputo che hai lasciato Paolo.- “ecco il colpo”, pensai. -Detto tra noi hai fatto bene, tu e lui non avete mai avuto nulla in comune, nemmeno da ragazzini. Insomma hai più argomenti in comune con il mio Matteo che non con lui e siete praticamente cresciuti insieme. Ti senti più serena ora?-
Deglutii forzatamente sperando che non se ne accorgesse. La situazione era seria se una semplice battuta, totalmente inconsapevole, aveva il potere di mandarmi in crisi facendomi sentire una ladra senza alcun motivo. Avrei dovuto parlarne con Valerio il prima possibile, soltanto lui avrebbe potuto aiutarmi a spegnere la mente.
-Molto più serena, sì. Io e Paolo non eravamo destinati a finire insieme, è stato bello finché è durato ma...ma non era destino-
-Ti credo poco tesoro- allungò una mano per sfiorarmi il mento -un bel visino come il tuo mi sembra un po' troppo triste per pensare davvero che tu sia serena- Colpita e affondata. Ripresi a sorseggiare il mio caffè ormai freddo, trattennendo la smorfia di disgusto e cercai con lo sguardo Ginevra senza trovarla, probabilmente si era allontanata con Emanuele.
-Parlavo con Elena prima, è vero che tu e Matteo avete litigato? Spero che non sia nulla di irrisolvibile, so quanto mio figlio possa essere una testa dura e non vorrei che questo turbasse gli equilibri della spiaggia - Ecco il motivo per cui in spiaggia non mi aveva rivolto la parola. Anche Elena si era accorta della tensione tra di noi, magnifico! Quanto tempo avrebbe impiegato prima di realizzare che sotto i nostri battibecchi c'era altro? La voglia di parlare, di toccarsi, di riprendere a vivere dove avevamo interrotto una sera d'estate.
-Mi è sembrato strano, siete sempre stati così amici tu e lui!-
-Non è successo nulla Caterina, abbiamo avuto qualche problema, oserei dire calcistico, e qualche incomprensione ma abbiamo risolto.- Mi scrutò con sguardo indagatore, come se cercasse qualche segno in me che le dimostrasse che le avevo mentito. Non trovò nulla, apparentemente, perché riprese il discorso.
-Se dovesse succedere qualcosa, ti prego non esitare a confidarti con me. Te lo ripeto mio figlio è una testa calda, nulla a che vedere con-
-Chi sarebbe una testa calda?- Non mi voltai, attesi che Matteo si avvicinasse alla madre per guardarlo, non volendo destare ulteriori sospetti. Indossava una maglietta grigia dalla scollatura profonda e le maniche corte, un po' strette sui bicipiti, abbinata ad un costume da bagno nero. I capelli erano più corti sui lati rispetto all'ultima volta in cui lo avevo visto ma invece di rendergli il volto più maturo sembravano addolcirgli i lineamenti.
-Nessuno amore mio, stavamo parlando di tuo padre- rispose Caterina facendomi l'occhiolino, sorrisi e abbassai lo sguardo sulla mia tazzina vuota. Volevo cogliere l'occasione per alzarmi e raggiungere il tanto desiderato lettino ma Caterina mi trattenne ancora una volta.
-Allora?- chiese senza nascondere un tono di attesa facendo scivolare lo sguardo da me a Matteo -Non saluti l'Ale, amore?- Solo allora Matteo mi guardò e mi sorrise avvicinandosi. Sentii la sua mano bruciare al contatto con la pelle della mia spalla e non riuscii a trattenere un brivido quando, chinandosi, le sue labbra entrarono in contatto con la mia guancia accaldata, Matteo se ne accorse perché percepii l'accenno di un sorriso sulla stessa guancia.
-Ehi, buongiorno!- mi disse una volta staccatosi, prese posto accanto a me e aprì l'immancabile succo di frutta.
-Buongiorno Matteo, bevi ancora quella robaccia? Il caffé la mattina è cosa da mortali?- gli domandai ironicamente quando lo vidi sorseggiare il succo all'albicocca.
-Non amo uniformi alla massa, dovresti saperlo- mi rispose chiudendo la bottiglietta in vetro e posandola davanti a sé. Caterina si schiarì la voce interrompendo il nostro gioco di sguardi, arrossii prima di abbassarmi gli occhiali da sole sul naso nell'illusione che mi avrebbero protetta dalle sue perle indagatrici.
-Tesori vi lascio, scendo in spiaggia da Carlo voi continuate quanto volete, è tutto pagato- ci salutò con un movimento della mano e sparì tra i tavolini bianchi. Mi mossi un po' sulla sedia, a disagio, non sapevo bene come comportarmi con Matteo, cosa fosse lecito dire o fare nei suoi confronti in pubblico. Sentii la sua gamba sfiorare la mia e con la coda dell'occhio notai il suo ghigno divertito.
-Ti diverti a provocarmi?- gli sussurrai tentanto di apparire il più disinvolta possibile.
-Chi io?- Mi domandò fingendosi innocente ma senza smettere di muovere la gamba contro la mia. Sentii il caldo aumentare all'improvviso così mi spostai maggiormente verso l'esterno del tavolo aumentando la distanza tra i nostri corpi. Lo guardai attentamente, entrambi nascondevamo malamente un sorriso che, almeno per me, sembrava impossibile trattenere come se vi fosse una spinta verso l'alto che mi impediva di mantenere la bocca in una posizione rigida. -Ti vedo un po' stanca, hai dormito?- alzò una mano forse per toccarmi il volto ma immediatamente la riabbassò come scottato.
-Mi sono alzata presto, ho fatto una corsetta- gli risposi scrollando le spalle. Si alzò una leggera brezza che mi scompigliò i capelli sfuggiti alla treccia.
-Potremmo andare a correre insieme qualche mattina- seguì il silenzio, una corsetta mattutina non era il modo migliore per dimenticare la nostra défaillance. Matteo si schiarì la voce e riprovò senza guardarmi. -Vieni a fare una partita a pallavolo più tardi? Ho bisogno di vincere oggi e tu mi servi- volto serio, come se da quella partita informale dipendesse la sua vita.
-Non credo proprio, è venuta una mia amica a trovarmi e non la posso abbandonare per te, mi dispiace- risi della sua espressione rabbuiata, forse iniziava a immaginare i cori di scherno dei suoi avversari dopo l'ennesima sconfitta.
-Ah sì? Chi è?- Gli indicai con un braccio Ginevra che da poco era tornata al suo lettino senza Emanuele e, cosa più importante, senza Elena.
-Ah però, carina!- Esclamò Matteo ricevendo uno schiaffetto sulla nuca da parte mia.
-Sei fidanzato signorino e lei sta per sposarsi, non credo che tu possa farla innamorare di te in un solo giorno- gli risposi con un'espressione fintamente oltraggiata, mi alzai decisa a raggiungerla per godermi ancora un po' di sole prima del pranzo.
-Non è il mio tipo, dovresti saperlo. Troppo eccentrica e rumorosa. Non dovresti sottovalutare le mie doti però, sai che in passato mi ci è voluto molto meno per far cadere ai miei piedi una ragazza-. I suoi occhi lasciarono intuire molto più di quanto le sue parole non esprimessero e mi sembrò quasi di vederli attraversati da un lampo di malinconia.Gli risposi con un'ultima battuta mentre lo superavo scavalcando le sue gambe per essere finalmente libera.
-Sogna Teo, sogna. Non sei mica Ben Affleck in Pearl Harbor- mi allontanai lasciandolo per qualche secondo con la bocca aperta per il paragone inaspettato che suscitò una risata nelle ragazze del chiosco. Feci appena in tempo a raggiungere i gradini di ingresso alla spiaggia, adiacenti alla terrazza del bar, prima che Matteo sporgendosi dal balcone della terrazza mi rispondesse quasi urlando, senza dubbio facendosi sentire da gran parte della spiaggia.
-Certo che no, Alessandrina, io sono molto meglio di Ben Affleck!- preferii non rispondergli continuando a camminare verso il mio lettino ma prima che qualcuno mi notasse nascosi il mio sorriso con i capelli mossi dal vento.
Buonasera a tutti/e,
eccomi qui con il nuovo capitolo a meno di una settimana di distanza. Il prossimo aggiornamento sarà più celere perché il capitolo è pronto, devo solo riconotrollarlo.
Questo aggiornamento è di passaggio, so che non succede molto ma mi serviva per introdurre il personaggio di Caterina.
Spero che vi sia piaciuto. Per informazioni, curiosità o qualche anticipazione non esitate a contattarmi.
A presto.
Cassandra |
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** CAPITOLO IX:Il principe azzurro non esiste ***
CAPITOLO IX: Il principe azzurro non esiste
-Non mi racconti nulla di quello che c'è tra te e costume nero? Non la smette di guardarti da quando è arrivato- mi disse Ginevra quel pomeriggio quando gli altri ci salutarono per fare un bagno. Elena era andata a casa e sui lettini eravamo rimaste solo io e la mia amica.
-Ma non dire cavolate Gin! Magari guarda te...- Rivolsi lo sguardo verso la riva dove i ragazzi erano impegnati in una partita di pallavolo, la squadra di Matteo era nettamente in svantaggio forse anche per la presenza di Giacomo la cui spalla non era nelle migliori condizioni dopo l'ultimo incidente in motorino. Caterina osservava come giudice impassibile dalla sedia da regista trasportata fino in riva al mare.
-Dai Ale, raccontami. Siamo amiche da una vita e non mi hai davvero confidato cosa ci sia stato tra di voi o cosa ci sia ancora.- Non sapevo cosa fare, se raccontarle una delle parti più intime e nascoste della mia vita oppure tenere per me quei sentimenti ancora per un po'. Era difficile raccontare il mio passato a qualcuno che non l'aveva vissuto con me, che non mi aveva visto piangere, soffrire e disperarmi come se il mondo mi fosse crollato addosso. Ginevra mi aveva conosciuto dopo, il mio cuore aveva avuto tempo di iniziare a cucire da solo le ferite e indurirsi per non soffrire più. Come potevo raccontarle di un' Alessandra che non aveva mai incontrato e che non sarebbe più esistita?
-Siamo stati insieme Gini, lo sai, te l'ho detto. Si tratta di una storia piuttosto vecchia, siamo rimasti amici per fortuna. Scherziamo insieme, facciamo parte dello stesso gruppo...- le raccontai una mezza verità e nonostante la vedessi piuttosto confusa non osò chiedermi null'altro.
-Stamattina ho parlato con la sua ragazza. Non ha smesso un secondo di parlarmi di lui, è così insostituibile? Carino è carino ma non mi sembra un granché di uomo, nulla di paragonabile al mio Emanuele-.
-Matteo è un ragazzo particolare. E' capace di ammaliare chiunque con la sua personalità- Era strano per me pensare che al mondo ci fosse qualcuno, Valerio escluso, a non subire il fascino di Matteo. Era così carismatico, carico di energia, una calamita per chiunque fosse presente in una stanza. Non si poteva entrare in un ristorante senza posare anche solo per un secondo gli occhi su di lui. Possibile che non fosse la realtà ma soltanto la percezione mia, di Elena, entrambe abbindolate dalla sua straripante personalità?
-E tu? Sei ancora ammaliata da lui? Quando ne parli ti luccicano gli occhi- Ci pensai su qualche istante.
-Forse una volta che conosci il suono del flauto non puoi più farne a meno, puoi lottare, combattere, resistere, ma prima o poi ti cattura di nuovo e ti ritrovi lì ad ascoltare senza riuscire a voltargli le spalle.- Seguirono un paio di minuti di silenzio e immobilità, almeno da parte mia. Mi ero esposta sì, eppure pensai che parlarne mi avrebbe fatto bene, che ammettendolo ad alta voce sarei stata in grado di prenderne coscienza e andare avanti. Attesi che Ginevra mi rispondesse, con un rimprovero o una presa in giro non lo avrei saputo dire, ma non fece nulla, guardò a riva alla ricerca del fidanzato e quando lo individuò sorrise. Faceva anche lui parte del gruppo di pallavolo ma nella squadra opposta a quella di Matteo.
-Ti va di andare a fare un bagno? Oppure accompagnami a riva, voglio godermi un po' il mio fidanzato- mi disse appoggiandomi una mano sulla spalla. Le sorrisi e annuii, forse un bagno dopo tutte quelle ore al sole mi avrebbe fatto sentire meglio.
-Andiamo dai, per una volta che vieni a trovarmi divertiamoci!- mi alzai prendendo un profondo respiro. Osservai un gabbiano in lontananza posarsi con delicatezza sul filo dell'acqua per qualche secondo prima di rialzarsi in volo, spostai allora lo sguardo dallo spettacolo della natura per concentrarmi su Giacomo che interruppe la partita afferrando la palla e sottraendola alla presa del fratello, alcuni sbuffando si allontanarono tornando ai loro rispettivi lettini, solo il nostro gruppo ristretto rimase. Matteo riuscì dopo ripetuti tentativi a rubare la palla al fratello e mi si avvicinò ghignando, aveva qualcosa in mente chiunque lo avrebbe intuito dal luccichio dei suoi occhi.
-Finalmente ci hai degnato della tua presenza- mi disse scontrando la sua spalla con la mia -credevamo vi foste prese un'insolazione-. Lo guardai scuotendo la testa.
-Come no, Matteo, posso immaginare la tua preoccupazione-
-Fossi in te non scherzerei così tanto Ale, non si sa mai quali potrebbero essere le conseguenze- mi misi a ridere per il suo falso tono intimidatorio.
-Non mi fai paura Matteo!- gli risposi scherzando ma iniziai a indietreggiare. Lo vidi fare un cenno con il capo a qualcuno alle mie spalle ma non mi feci in tempo a voltarmi che Matteo abbandonò la palla per afferrarmi dalle gambe mentre qualcun altro, Nick a giudicare dalla presa, mi afferrò per il busto.
-Ora vediamo che fine fa Alessandrina!- mi disse ridendo mentre Nick incominciava ad arretrare portandomi verso l'acqua alta. Incominciai a ridere e dimenarmi contemporaneamente suscitando le risate di Giacomo e Ginevra. Sentii l'acqua fredda sfiorarmi la schiena.
-Sei uno stronzo Matteo!- Urlai prima che Matteo e Nick lasciassero la presa. Entrai in contatto con l'acqua , fredda sulla mia pelle riscaldata dal sole. Mi godetti la sensazione per qualche secondo prima di riemergere cominciando a schizzare Nick, il più vicino, il quale scappò tuffandosi a sua volta. Mi strizzai i capelli fradici e mi avvicinai alla riva dove Matteo parlava con Elena, comparsa all'improvviso. Giacomo rise vedendomi supportato da Ginevra ed Emanuele ed io li osservai con sguardo truce.
-Grazie per l'aiuto, siete tre amici fantastici- dissi sarcastica avvicinandomi.
-Quante storie per una nuotatina improvvisata...- mi rispose Giacomo. Mi avvicinai allora velocemente, lo afferrai per un braccio nonostante le sue proteste e lo trascinai in acqua non preoccupandomi del fatto che fosse ancora vestito.
-Dai, non vale!- mi disse poco dopo -perché te la prendi con me? E' colpa di Teo!- Ci raggiunse anche Nick ed entrambi mi attaccarono iniziando a buttarmi addosso l'acqua.
-Due contro una, è ingiusto!- Urlai attaccando a mia volta. Sentimmo le risate degli altri ancora fermi a riva così in un attimo di tregua lanciai uno sguardo supplichevole a Ginevra la quale però mi ignorò continuando a parlare animatamente con Elena. Matteo con un braccio lungo i fianchi e l'altra mano a coprirsi gli occhi contro il sole non aveva distolto gli occhi dalla nostra scenetta, sembrava incerto se aggiungersi al divertimento o rimanere accanto ad Elena. Lo guardai a mia volta e lo invitai ad unirsi a noi con un gesto della mano non troppo vistoso. Si tolse con sguardo di sfida la maglietta, afferrandola dal colletto posteriore e abbandonandola tra le braccia di un' Elena piuttosto sorpresa.
-Mi sa proprio che qui c'è il bisogno del mio aiuto- disse passandosi una mano sul petto, attese che l'acqua gli sfiorasse il bordo del costume, poco sotto l'ombelico prima di tuffarsi. Ci raggiunse in un baleno e senza esitazione spinse sott'acqua prima il fratello e poi Nick il quale oppose un po' di resistenza prima di lasciarsi andare tentando di trascinare con sé Matteo che resistette.
-Qui il mio ruolo è finito, posso anche tornare a prendere il sole- esclamai voltandomi e iniziando a muovere qualche passo verso il mio ombrellone.
-Non penso proprio!- mi rispose Matteo afferrandomi con fermezza sulla vita e lasciandosi cadere all'indietro nell'acqua senza abbandonare la presa sul mio corpo. Le sue mani mi accarezzarono la pancia ed io fremetti.
A quel punto anche il resto del gruppo decise di unirsi e divenne una lotta di tutti contro tutti. Giocai per qualche minuto ma sapevo che di lì a poco il sole sarebbe tramontato e se non fossi uscita dall'acqua in tempo i miei capelli non si sarebbero mai asciugati.
Abbandonai tutti e scelsi di dedicare qualche minuto a me stessa nuotando fino ad oltrepassare la boa bianca, così lontana potevo vedere l'intera spiaggia, dal Torrione al molo, e mi sembrava di vivere in un sogno. Potevo nuotare per ore senza mai stancarmi, nell'acqua mi sentivo leggera come una piuma. Fermandomi per qualche istante ripensai alle mille giornate trascorse a nuotare fino al largo con le pinne e la maschera alla ricerca dei pesci più colorati, il dolore alle braccia per aver nuotato troppo e quelle scottature sulle spalle per essermi dimenticata di spalmare la crema. Quanto tempo era trascorso dall'ultima volta in cui mi ero concessa un nuotata simile? Troppo, decisamente troppo, così promisi a me stessa che prima della fine della vacanza avrei indossato le pinne anche solo per qualche ora. Rilassai le braccia e il collo stendendomi a dorso, chiusi gli occhi lasciandomi cullare dalle onde e dal profumo del mare mentre il sole mi accarezzava con dolcezza il volto.
Quasi mi mossi di scatto quando sentii degli spostamenti d'acqua alle mie spalle e temetti che qualcuno dei ragazzi mi avesse raggiunto per riprendere il gioco. Inaspettatamente nulla mutò, rimasi sola con i miei pensieri tanto da pensare che chiunque si fosse avvicinato avesse tanto velocemente invertito la direzione. Mi sbagliai. Alcuni schizzi d'acqua mi bagnarono l'addome facendomi rabbrividire ma non furono abbastanza per destarmi dal mio momento di tranquillità, sentivo un corpo accanto al mio ma non avevo la forza di aprire gli occhi per verificarne l'identità.
-Ho fatto bene ad aggiungermi al vostro giochetto. Ti ho distrutta e quasi non credo di essere riuscito a lasciarti senza parole, non penso di averti mai visto così tranquilla e rilassata in tutti questi anni-. Fu poco più che un sussurro ma fu abbastanza da indurmi ad aprire gli occhi. Il volto di Matteo era poco più illuminato del mio e altrettanto rilassato, nessuna ruga d'espressione solcava il suo volto. Ci guardammo per qualche secondo in attesa poi mi tirai su e mi accorsi con stupore di essermi allontanata meno di quanto immaginassi dato che i miei piedi riuscirono a toccare la sabbia.
-Sono riuscita a stupirti Teo?- risposi con un tono altrettanto basso e intimo, forse troppo. Mi concesse un breve sorrise e si avvicinò immergendosi maggiormente così da lasciare fuori dall'acqua soltanto il capo.
-Come sempre, Ale, tu mi sorprendi sempre-. Nell'aria si era creata una strana atmosfera di aspettativa e tensione, i nostri corpi sembravano due calamite con poli opposti e per quanto mi sforzassi di stargli lontano mi ritrovavo inevitabilmente attratta. Mi guardai intorno alla ricerca di qualcuno ma eravamo da soli, gli altri erano già tutti tornati in spiaggia e mi parve di intravedere qualcuno al bar...nessuno ci avrebbe interrotto. Costretta dalla sua vicinanza mi immersi portandomi indietro i capelli lunghi, la cute iniziava a darmi fastidio per il troppo sale. Quando riemersi trovai Matteo immobile dove lo avevo lasciato, con la stessa espressione serena, non si era allontanato di un centimetro.
-Come fai ad essere amica di una come Ginevra? Le ho parlato insieme due minuti e già non la sopporto più...- mi disse corrugando appena la fronte. In un gesto istintivo alzai la mano per appiattirgli lo spazio libero tra le sopracciglia, feci per ritrarla non appena mi accorsi del gesto ma lui mi trattenne la mano.
-Dovresti smetterla di pensare, ti verranno le rughe-. Si mise a ridere buttando la testa indietro e lasciando scoperto il collo un po' più candido del volto, con un piccolo neo sulla parte destra. Risi anche io per qualche secondo. Stavo bene con lui, forse anche troppo.
Mi lasciò libera la mano per avvicinarsi maggiormente per sfiorarmi un ciuffo di capelli sfuggito alla coda alta in cui li avevo raccolti per evitare che mi infastidissero. Lo sfiorò strofinandoselo tra le dita prima di rimetterlo al proprio posto.
-Hai cambiato colore- sussurrò guardandomi negli occhi -sono più biondi di qualche anno fa- Sgranai appena gli occhi, stupita dal suo commento.
-Li ho schiariti un po', non mi piacevano più scuri- confessai nascondendo però la vera ragione dietro il cambiamento.
“Quando una donna cambia colore di capelli è perché è pronta per il cambiamento” mi dicevano tutti ed io ci avevo creduto così prima di partire per il mare avevo deciso di abbandonare la folta chioma castana in favore di qualche meches dai toni caldi ed estivi. Inutile dire che cambiare pettinatura non era stato sufficiente.
-Ti stanno bene, mi piacciono. Soprattutto lunghi così, ti addolciscono il volto...non li legare però, liberi sono più belli- e così dicendo mi slegò con un gesto secco la coda e passò una mano fra i capelli scompigliandoli appena. Mi massaggiò per qualche secondo la cute, fino a quando non mi resi conto di esserci spinti oltre i limiti. Mi ricordai di Elena poco lontana da noi e temetti che qualcuno avrebbe potuto vederci e pensare male. Ero stanca di tirarmi indietro, volevo far comprendere a Matteo che non lo avrei rifiutato ancora per molto, che alla successiva provocazione non avrei più pensato ad Elena, a Paolo o agli altri ma soltanto a me stessa. Mi allontanai di un passo.
-Dovresti smetterla anche di provocarmi, mi sembrava che le tue parole fossero chiare...- gli dissi allora.
-Facevo solo un complimento ad una bella ragazza, non mi è permesso?- arrossii come una ragazzina alle sue parole e lo schiaffeggiai giocosamente.
-Stai rischiando Matteo, lo sai- mi intrappolò nuovamente tra le sue braccia lasciandomi anche un pizzicotto sulla pancia.
-La smetti?- gli domandai ridendo.
-Non riesco a resistere, con te tutti i miei buoni propositi svaniscono in una vampata di fumo- mi rispose improvvisamente serio. Provava i miei stessi sentimenti, glielo lessi negli occhi. Quanto sarebbe potuto rimanere in equilibrio il nostro rapporto prima che precipitasse? Non molto, ne ero certa.
-Non posso risponderti, lo sai- gli lasciai una carezza sul volto con lo sguardo basso e mi allontanai con un sorriso riprendendo a nuotare.
-”Se guardandoti negli occhi sapessi dirti basta, ti guarderei”- gli sentii canticchiare fra sé e sé ma abbastanza forte affinché lo potessi udire anche io. Raggiunsi la riva con poche bracciate e trovai ad attendermi Ginevra con in mano un grande, bianco, asciugamani da spiaggia.
-Divertita?- mi domandò in un tono strano che non seppi decifrare. Annuii soltanto. -Perché non ti fai una doccia calda? Ti aspetto qui così mi accompagni a fare una passeggiata in riva al mare mentre ti asciughi, dicono elimini la cellulite.- Ascoltai il suo consiglio e dopo una breve ma meritata doccia calda la raggiunsi avvolgendomi nell'asciugamani dal momento che il sole era ormai tramontato sulla spiaggia e il mio corpo aveva iniziato a tremare per lo sbalzo termico. Matteo ci passò accanto rivolgendosi anche lui verso la doccia e io voltai in fretta lo sguardo invitando Ginevra a passeggiare nella direzione opposta accompagnate dal sole tiepido.
Passeggiammo per qualche minuto in silenzio, come due estranee, ognuna assorta nei propri pensieri sorpassando di tanto in tanto qualche castello di sabbia integro soltanto a metà. Passammo davanti alla spiaggia del Grand Hotel e Ginevra allungò il collo alla ricerca di qualche calciatore ma con esito negativo, probabilmente erano già tutti in ritiro. Poco dopo un bambino di poco più di un anno ci venne incontro correndo sulle gambette troppo corte e con un equilibrio precario, non vide una paletta abbandonata e inciampò su di essa iniziando a piangere. Intenerita mi affrettai a raggiungerlo e gli accarezzai le guance paffute, la testolina bionda e riccioluta con delicatezza in attesa che i genitori poco distanti mi venissero incontro. Sembrava un angioletto, ancora di più quando smesso di piangere mi sorrise mostrandomi i due dentini centrali. Sentii il cuore scoppiarmi e quasi mi rattristai quando dovetti affidarlo tra le amorevoli braccia della madre che mi ringraziò. Anche io avrei tanto voluto un bambino da amare, da coccolare, un figlio mio che mi assomigliasse anche soltanto in un'espressione buffa. Magari non subito ma in un futuro prossimo in cui non avrei più dovuto svolgere due lavori, in cui avrei invece avuto una relazione stabile. Il voltò di Matteo si affacciò all'improvviso tra i miei pensieri ma lo allontanai con prepotenza aiutata anche dalla voce squillante di Ginevra, non dovevo pensarci, non era il momento.
-Ho visto che Matteo ti ha raggiunto in acqua, da lontano mi sembravate piuttosto affiatati-. Nel suo tono quella volta scorsi una vena di rimprovero e amarezza, ma non mi lasciai condizionare.
-Non credo proprio, stavamo parlando, come fanno due semplici amici- le risposi con sincerità guardando davanti a me.
-Peccato che voi non siate due semplici amici. Tutti si sono accorti che fra di voi c'è qualcosa di più e non ci vorrà molto prima che anche Elena ne venga a conoscenza-
-Ma cosa stai dicendo Ginevra! Non è assolutamente vero, mi era sembrato di essere abbastanza chiara questa mattina- le risposi iniziando a sentire la rabbia aumentare.
-Cristallina-.
-Gin non ti sto prendendo per il culo, tra noi non c'è nulla, abbiamo scherzato come scherzerei con chiunque altro, con Valerio oppure con Giacomo non cambia nulla-
-Lui non è come gli altri, lo sai. Fai attenzione per favore- concluse con tono materno e tacque. Di nuovo mi sentii incompresa, come in gabbia. Non potevo raccontare i miei pensieri a nessuno, Ginevra non conosceva la storia, Giacomo non era la persona adatta, Valerio avrebbe fatto sì che la rabbia prendesse il sopravvento e l'unica persona che avrebbe compreso era la stessa di cui avevo bisogno di parlare. Ero un disastro, forse avrei dovuto chiamare mia madre, sentire il suo parere abbandonandomi pienamente al mio inconscio, a quei pensieri che mi facevano paura, ma era così impegnata con il suo lavoro di insegnante di danza classica, con i suoi spettacoli, che non me la sentivo di disturbarla inutilmente.
-Vuoi venire a trovarci a Diano Marina il 15? C'è una festa in spiaggia organizzata dal bagnino, abbiamo anche il dj...- cambiò argomento. Ci lasciammo alle spalle gli scogli e tornammo indietro, al massimo avremmo continuato fino al molo.
-Vorrei volentieri ma non posso, a ferragosto organizziamo sempre una cenetta in spiaggia in attesa dei fuochi. Non posso non esserci, sono una delle organizzatrici.- Non sembrò neanche troppo dispiaciuta del mio rifiuto, forse mi aveva invitato giusto per sollevarmi dalla situazione. Per nulla al mondo avrei rinunciato al ferragosto alassino che per anni avevo sognato, per cui avevo pianto nei miei agosto trascorsi in montagna lontano dagli amici di una vita. Ferragosto era il mio capodanno, la festa che mi teneva con il fiato sospeso fino all'ultimo fuoco d'artificio dal pontile Bestoso. Ricordai gli anni passati, i gavettoni ai bagnini, gli innumerevoli scherzi rivolti a Mario che non esitava mai a rincorrerci con un rastrello e poi...sentii a un tratto un duro colpo al braccio, tanto improvviso e violento da emettere una lieve imprecazione.
-Oddio, scusami! Scusami tanto, non ti ho vista, davvero. Stavo correndo e...ti sei fatta male?- Alzai gli occhi dal braccio che mi parve già un po' arrossato, entro sera mi sarebbe comparso senza dubbio un livido, avrei dovuto prestare più attenzione. Vidi davanti a me un ragazzo biondo, piuttosto alto e dai lineamenti nordici. La mascella dura era cosparsa da un leggero accenno di barba bionda mentre le gambe erano fasciate da un paio di pantaloncini bianchi sportivi, dalle cuffiette che gli ricadevano sul petto riuscii a sentire le ultime note di una canzone. Notai solo allora il fiatone e le labbra dischiuse in attesa di una risposta, quasi mi sentii in colpa per averlo osservato troppo a lungo ma l'impatto era stato improvviso, mi affrettai a rassicurarlo.
-Sto bene, non ti preoccupare, è colpa mia. Tu stai bene?-
-Tranquilla, io sono una roccia, indistruttibile.- Giusto un po' troppo sicuro di sé il ragazzo. Risi alla battuta cercando lo sguardo di Ginevra che nel frattempo si era allontanata di qualche passo. -Di solito sono più attento quando corro, devo essermi distratto parecchio. Sei sicura di non aver bisogno di controllare il braccio? Conosco il bagnino dello stabilimento qui vicino, ci mettiamo un attimo-. Mi osservai ancora una volta il braccio che aveva già smesso di dolermi, era senza dubbio una banale botta, non più dolorosa dello scontro che avevo avuto con la maniglia di casa uscendo quella mattina.
-Sicurissima- gli risposi ringraziandolo ancora una volta. -Scusami, ti sto rubando del tempo per una sciocchezza. Ti lascio alla tua corsa- lo salutai con un imbarazzante gesto della mano e mi incamminai per raggiungere Ginevra.
-E se ti offrissi un gelato, un caffé, qualcosa per farmi perdonare? Stasera, ti andrebbe?- mi domandò il ragazzo di cui ancora non sapevo il nome bloccandomi sul posto. Mi voltai stringendomi maggiormente l'asciugami attorno al corpo, il ragazzo attendeva la risposta con un timido sorriso sulle labbra, le cuffiette di nuovo al loro posto.
-Per farmi perdonare per lo scontro di poco fa...- aggiunse quando mi vide esitare.
-Non c'è bisogno di farti perdonare, non è successo nulla...- lasciai la frase in sospeso alla fine, non conoscendo il nome del ragazzo. Non avevo trovato una scusa migliore, era un bel ragazzo ma non era il mio tipo e avevo ben altro per la testa.
-Edoardo- mi venne in soccorso allungando la mano davanti a sé.
-Alessandra!- mormorai stringendogliela.
-Neanche un caffé? Prometto che poi ti accompagno a casa!- Risi ma declinai ancora una volta.
-Mi dispiace ma rimane un no. Mettiamola così, Alassio è piccola e se dovessimo incontrarci di nuovo prima della fine della vacanza ti prometto che accetterò il tuo invito.- Incrociai le mani davanti al volto per indicare che avrei mantenuto la promessa mentre cominciai ad arretrare verso Ginevra, la quale aveva osservato l'intero scambio di battute senza mai intromettersi.
-Promesso?- mi chiese un po' incerto ma dovetti convincerlo perché poco dopo mi sorrise e accese l'ipod
-Vorrà dire che farò di tutto per incontrarti di nuovo, Alessandra- e con un ultimo cenno del capo si voltò ricominciando a correre. Raggiunsi Ginevra rabbrividendo per il freddo e la trovai con un ghigno poco rassicurante sul volto.
-Che succede?- Le chiesi esitando, volevo raggiungere in fretta la mia cabina per poter indossare un costume asciutto e una maglietta. Non rispose ma si vedeva dagli occhi che non aspettava altro. -Avanti, parla, so che vuoi farlo- la spronai sentendomi osservata. Scoppiò a ridere tendendosi la pancia, chissà da quanto tempo tratteneva quella risata. La osservai un po' offesa all'idea che quell'incontro in cui senza dubbio mi ero messa in imbarazzo le suscitasse tanta ilarità, incrociai le braccia al petto e attesi che terminasse di ridere.
-Tutti i belli li becchi sempre tu, sembra un modello! Se non ci esci almeno una sera, ci esco io, non puoi sprecarlo!-
-Ti stai per sposare Virginia, te lo ricordo, e bell'imbusto non dovrebbe neanche interessarti- le ricordai puntandole un dito contro. -E lasciati andare un po'...almeno hai ammesso che è un bel ragazzo- ci stavamo avvicinando ai bagni per fortuna, affrettai il passo quando vidi Valerio riordinare la prima fila ormai vuota.
-Non è il mio tipo, lo sai. Troppo biondo, angelico, perfetto...-
-Dicono tutte così...continuare a sognare Ale, il principe azzurro non esiste!- Forse aveva ragione, ero abbastanza grande per smettere di inseguire sogni irraggiungibili.
-Forza, forza...andate a cambiarvi e non disturbate il bagnino che sta lavorando, voi siete in vacanza ma gli altri lavorano!- Ci interruppe Valerio con in mano una spazzola per ripulire gli sdrai.
-Ecco, insieme sareste una bella coppia!- mormorò sottovoce Virginia per poi allontanarsi ridacchiando. La salutai con un abbraccio e le promisi che non avrei dimenticato l'appuntamento della settimana successiva in atelier, che sarei stata presente e puntuale. Dopo essermi cambiata salutai Mario e mi avviai accompagnando Virginia ed Emanuele alla macchina.
-Pensaci Ale, pensa alle parole che ti ho detto!-
Buonasera a tutte/i.
eccomi con la seconda parte del capitolo. La nostra Alessandra è sempre più piena di dubbi, di paure e nessuno sembra essere capace di capirla. Con chi può confidarsi? Ginevra non le è stata di grande aiuto. Come procederà?
Ringrazio tutte/i per le visualizzazioni e per aver inserito la storia tra i preferiti.
Come sempre se avete voglia di scrivermi o qualche curiosità sarò più che felice di rispondervi. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuiate a seguire le avventure di Alessandra.
A prestissimo.
Cassandra |
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** CAPITOLO X: Una piacevole tradizione ***
CAPITOLO X: Una piacevole tradizione
La spiaggia era in fermento come ogni 15 di Agosto che si rispetti, tutti erano alla ricerca di qualcosa da fare, chi chiedeva informazioni sul cibo da preparare, chi sulle plance da montare e altri ancora si proponevano per fare la spesa. Ai giovani, come ogni anno, spettava il compito di organizzare la serata e prestare attenzione che non vi fossero intoppi, prendevamo le prenotazioni, assegnavamo i posti e qualcuno si occupava di ideare cartelloni colorati per attirare più persone possibile. Matteo era ancora più insopportabile del solito dal momento che Mario gli aveva affidato il comando dell'organizzazione, non esitava un solo secondo a dettare ordini a chiunque gli capitasse accanto.
Qualche sera prima, al tramonto, ci riunimmo in cerchio unendo un paio di lettini per pianificare la lista della spesa e i definitivi compiti di ognuno, nel giro di pochi minuti iniziarono le discussioni: chi voleva le patatine e chi i pop-corn, chi preferiva l'house e chi ancora proponeva una festa a tema. Inizia a guardarmi intorno, cercare una distrazione per estraniarmi da discorsi a cui non ero particolarmente interessata. La spiaggia quella sera era deserta, Valerio era riuscito a convincere Mario a farsi lasciare le chiavi e i turisti avevano approfittato di qualche nuvola per godersi una passeggiata e un po' di shopping. Eravamo soli, il nostro gruppo e nessun altro, come in una di quelle tante sere di luglio in cui aspettavamo che passasse il guardiano per sdraiarci su qualche lettino nascosto al buio ad osservare le stelle. Puntualmente poi passava Valerio di ritorno da qualche partita di basket e dopo qualche mugugno si sedeva accanto a me fingendosi offeso per non essere stato invitato.
-Io proporrei qualcosa di leggero sia per il cibo che per l'alcol, non possiamo rischiare una spiaggia vuota per una settimana come due anni fa- disse Valerio riportando alla mente di tutti ricordi poco felici. Giacomo e Nick avevano esagerato con la spesa, avevamo più alcol noi del Caffè Roma e quella sera qualcuno, ancora non avevamo scoperto chi, si era divertito a correggere la maggior parte delle bevande analcoliche. Due giorni dopo la spiaggia era ancora vuota e la maggior parte dei partecipanti accusava sintomi di un malessere generale dando la colpa al freddo. Un'esperienza da non ripetere.
-Ma non dire cazzate Valerio- si intromise Matteo sbuffando -non è una festa senza alcol. I vecchietti troveranno qualcos'altro da bere, come sempre. Finiti i fuochi rimaniamo solo noi. Segna il Rum- concluse in tono perentorio.
Abbassai lo sguardo quando avvertii un movimento leggero contro la mia coscia scoperta appena dal caftano azzurro, vidi la mano di Matteo muoversi lentamente su e giù sfiorandomi con movimenti appena accennati che credetti per qualche secondo di aver soltanto immaginato. Il suo viso era rivolto altrove, verso gli altri alla nostra destra, in modo tale da non attirare l'attenzione su di noi.
In quei giorni i nostri contatti fisici erano aumentati esponenzialmente, almeno da parte sua, tanto che sembrava incapace di starmi lontano per più di qualche ora. Vivevo con la costante paura che qualcuno ci notasse ma fino a quel momento Matteo si era sempre mosso con discrezione, e il suo agire così segretamente suscitava in me emozioni sempre più forti. Mi schiarii la voce per interrompere il flusso di pensieri e il ragazzo in questione si voltò nella mia direzione con sguardo interrogativo interrompendo a metà il discorso di Nick.
-Tutto bene? Vuoi un po' d'acqua?- Ebbe il coraggio di chiedermi con sguardo furbo, consapevole dell'effetto che le sue carezze producevano sul mio corpo.
-Sto bene- gli risposi non dandogli soddisfazione -ho un po' di mal di gola, devo aver preso fredda l'altra sera-. Elena poco lontano si strinse maggiormente nella sua felpa larga e si rannicchiò sul lettino, con la scusa della febbre era riuscita a sfuggire alla parte attiva della pianificazione, come ogni anno.
-Matteo non puoi escludere metà spiaggia soltanto perché a te piace bere- si intromise a quel punto Giacomo sostenendo Valerio -Finiti i fuochi alzi il sedere dallo sdraio e vai al bar a prendere qualcosa da bere se proprio vuoi-. Strinsi gli occhi temendo la risposta di Matteo che da quando gli avevo confidato di aver avuto una conversazione piuttosto spiacevole con Giacomo sembrava andare sempre meno d'accordo con il fratello.
-Ovvio così sono l'unico brillo in una spiaggia di morti, il tuo ragionamento non fa una piega...pensare che sei mio fratello-. Matteo non avrebbe rinunciato alla sua idea per nulla al mondo, neanche se a chiederglielo fosse stato Ronaldo in persona. Non Cristiano, sia chiaro, l'altro.
-Sicuro di avere più di vent'anni Matteo? No, perché secondo me ne dimostri dieci- ribatté a quel punto Valerio, incapace di mordersi la lingua ulteriormente. Mi alzai cercando di spostare l'attenzione e gli strinsi una spalla per tranquillizzarlo, sapevo che bastava poco per infuocarlo, e l'atteggiamento irremovibile di Matteo non era altro che vento su un fuoco già acceso.
-Qualcuno ha chiesto il tuo parere? Non facevi il bagnino?- Valerio strinse a sua volta le mani attorno al rastrello.
-Proprio perché sono il bagnino e ti presto la spiaggia dovresti ascoltarmi, e ancora di più dovresti ascoltare i tuoi amici...-. Prima che Matteo potesse alzarsi presi la parola con la speranza di riportare l'ordine.
-Va bene, abbiamo capito, Matteo vuole l'alcol quindi una bottiglia possiamo anche comprarla insieme alla sangria che abbiamo già pagato, possiamo andare avanti? Si sta facendo tardi e dobbiamo ancora comprare tutto.- Mi risedetti sentendo lo sguardo di Elena perforarmi la schiena. Collaborammo per qualche minuto iniziando a stilare una lista delle bibite e della quantità di focaccia da ordinare ma il problema giunse quando decidemmo chi doveva andare a comprare cosa. Matteo e Giacomo si offrirono di fare la spesa tra le risate generali nessuno si fidava di loro due , non dopo le mozzarelle scadute dell'anno prima.
-Vi prego, non possiamo mandare questi due, sono un disastro totale- mi sussurrò Valerio ormai rassegnato a vedere fallire il suo primo ferragosto da organizzatore.
-Va bene, ritirati Jack che tra i due tu sei quello più imbranato. Vado insieme ad Ale- mi tirò in mezzo Matteo. Boccheggiai. Non aveva capito nulla del nostro discorso, come un bambino viziato continuava ad ignorare i consigli di tutti. Sapeva che non avrei potuto rifiutare davanti agli altri perché avrebbero intuito la tensione, si sarebbero generati problemi, discussioni. Elena non sarebbe mai andata, i ragazzi della prima fila addirittura non si erano presentati alla riunione, Paolo era ripartito e non avrei potuto sicuramente mandare Valerio con lui. Annuii mantenendo lo sguardo lontano per non dargli soddisfazione.
-Che ne dite di cominciare da subito? Siamo ancora in tempo!- disse allora Giacomo alzandosi e ripulendosi i pantaloni dalla sabbia.
-Va bene- rispose Nick- io e e te andiamo ad ordinare le teglie di pizza, voi andate a fare la spesa e Vale va a controllare che nessuno ci abbia rubato le plance. Ele per favore tu vai a casa, sembri distrutta.- Guardai meglio Elena e notai le profonde occhiaie, il colorito piuttosto pallido, forse per una volta non aveva mentito sulle sue condizioni di salute. Ci alzammo tutti dandoci appuntamento al giorno seguente. Mi coprii maggiormente sostituendo il caftano con un paio di pantaloncini di jeans e una maglia a maniche lunghe blu, riconsegnai la chiave della cabina a uno sbuffante Valerio prima di salutarlo con un fugace bacio sulla guancia.
-Aspettati una mia chiamata stasera, non puoi incastrarmi in questa cosa e pensare di passarla liscia- mi urlò dietro tornando a rastrellare la spiaggia.
Mi incamminai verso la via centrale ricontrollando la lista della spesa, Giacomo e Matteo parlottavano tra loro mentre il primo appoggiato al portone di una casa tentava di accendersi una sigaretta.
-Ti dispiace se l'accompagno a casa? Mi aspetti qui e ti raggiungo- mi domandò Matteo mentre con un braccio stringeva le spalle di Elena la quale aveva la testa appoggiata nell'incavo del suo collo. Annuii soltanto salutando con un cenno Giacomo e accendendo una sigaretta a mia volta. L'idea di trascorrere del tempo sola con Matteo mi rendeva nervosa.
-Smetti di arrabbiarti sempre, non ne vale la pena- mi disse Valerio con il sacchetto nero della plastica in mano. Sospirò prima di indicarmi con la testa la panchina poco distante dallo stabilimento, prese posto prima di me e attese.
-Com'è che quando succede qualcosa sei sempre nei paraggi?- gli domandai con un sorriso, senza cattiveria, ma con curiosità. Ogni qualvolta mi sentivo giù di morale Valerio compariva sapendo sempre la parola giusta da dire per consolarmi.
-Ci sono tante cose che non sai di me, Ale. La prima è che osservo tutto quello che succede in questa spiaggia, conosco cose che neanche immagini, segreti inconfessabili- mi rispose scherzando ma con un tono serio, da attore melodrammatico.
-E di me cosa sai Vale?- Mi guardò per qualche secondo in silenzio, spostò lo sguardo dalla mia sigaretta ai miei occhi e sospirò quasi teatralmente prima di rispondermi. -Sei troppo brava Ale e questo un giorno ti si ritorcerà contro. Vivi la tua vita, non pensare agli altri...sii un po' più egoista.- Aveva ragione, pienamente ragione e mi sembrò di sentire parlare la voce della mia coscienza. Proprio quando credevo di essere sola, di non potermi confidare con nessuno, mi resi conto di aver sempre avuto davanti agli occhi molto più di un amico, un fratello, un anima gemella nel vero senso della parola. Con Valerio non era necessario parlare, le affinità caratteriali ci permettevano di comprendere l'altro anche senza muovere le labbra; avevo trovato la mia àncora in mezzo alla tempesta.
Buttai la sigaretta consumata per metà e gli appoggiai il capo sulla spalla in un gesto fraterno, poco dopo sentii la sua mano accarezzarmi il capo.
-Cosa farei senza di te?- gli chiesi ridacchiando -Ora capisco perché mia madre mi ha praticamente affidato a te!-
Era vero, da quando mia madre era sempre via per lavoro aveva incaricato Valerio di starmi accanto più di quanto non fosse già abituato a fare, probabilmente chiamava più lui di me. Valerio era il secondo figlio che avrebbe sempre voluto.
-Saresti già morta Ale!- mi rispose ridacchiando a sua volta. -Sei un po' calda, sicura di non aver la febbre?- Mi scostò un po' da sé guardandomi con occhi preoccupati, anche troppo, da fratello maggiore.
-Sicura, sono solo un po' stanca.- Mi posò un bacio sulla fronte per constatare che quanto avevo detto fosse la verità e sembrò rassicurarsi un po'. All'improvviso il suo volto si rabbuio e lo vidi allontanarsi definitivamente, riprese in mano il sacchetto e camminando all'indietro iniziò a dirigersi verso i bidoni.
-Il tuo amico sta tornando e io non voglio crearti problemi, mi sembra già abbastanza nero. La telefonata di stasera è ancora valida, non mi scappi. -
Matteo era appoggiato al lampione, ancora spento, all'inizio della via affollata, non aveva con sé i caschi quindi dedussi che saremmo andati al supermercato a piedi, ma il volto corrucciato non mi rassicurò molto, doveva essere successo qualcosa con Elena durante quel periodo di tempo in cui l'aveva accompagnata a casa. Non aspettò neanche che lo raggiungessi, attraversò la strada a passo veloce tanto che feci quasi fatica a seguirlo.
-Puoi aspettarmi per favore?- gli domandai con un leggero fiatone ma in cambio ricevetti solo una scrollata di spalle.
-Hai tu la lista?- mi chiese. Decisi di non rispondergli incrociando le braccia al petto. Quello era il Matteo che meno mi piaceva ma anche quello in cui mi rivedevo di più.
-Senti se non ti va di fare la spesa non è un problema, ci vado da sola, al massimo dico che passi poi tu a ritirare le buste più pesanti-
-Scusami, stasera sono un po' stanco, non volevo essere scontroso- Mi parve sincero così risposi finalmente alla domanda di prima mostrandogli la lista.
Entrammo nel supermercato rabbrividendo per il freddo dell'aria condizionata e comprammo in fretta il necessario discutendo per qualche minuto, ancora una volta, sulle bottiglie di rum da comprare. Attesi in silenzio con le braccia tese sotto il peso delle varie bottiglie e pacchetti di affettati finché Matteo con un gesto premuroso non mi tolse la spesa dalle braccia appoggiandola nel cestino. La coda alla cassa appariva infinita, dalle scale mobili potevo contare almeno una ventina di persone per fila.
-Vorrà dire che dovremo ingannare l'attesa...- mormorò Matteo iniziando a canticchiare.
-Sei un pessimo cantante, lo sai?-
-Non dire così Alessandrina, potresti ferire il mio ego già duramente colpito-.
-Oh, ti prego, quella tua cover di Cremonini era così tremenda che- mi fermò con un gesto della mano.
-Stai peggiorando la tua situazione Ale, dico sul serio, quello è un ricordo che non va mai ripescato, mai, per nessuna ragione-.
Un'amica appassionata di psicologia mi aveva spiegato che il cervello non riesce a leggere le negazioni, almeno per qualche secondo si lascia ingannare. Fu così che la mia mente si tuffò indietro di almeno una decina d'anni, forse qualcosa di più. Mentre io ero poco più che una bambina che aveva appena abbandonato il mondo delle bambole, Matteo iniziava ad avere qualche pelo in più sul viso e la voglia di entrare nel mondo degli adulti a pieno ritmo.
Una sera di luglio calda e afosa come non mai l'intera compagnia si recò al porto per vederlo pescare, per l'occasione aveva mandato un amico a comprare delle casse di birra da dividere con il resto del gruppo, lontani dallo sguardo severo dei genitori.
-Questa volta ci arrestano, me lo sento, le conoscenze di mia madre non serviranno a nulla- mi avevo detto Valerio stringendosi al mio fianco.
L'atmosfera era tetra, persino un po' sinistra, avvolta da un silenzio profondo fatta eccezione per lo scontro delle onde contro gli scogli viscidi. Valerio non era il solo a sentirsi a disagio, Giacomo voleva tornare a casa e i volti apparivano più pallidi di quanto non fossero alla nostra partenza. Per far fronte all'inquietudine bevevamo un sorso dopo l'altro e la distanza del nostro cerchio diminuiva con il passare dei minuti. Matteo sembrava l'unico a non accorgersene, più brillo degli altri, a un certo punto si tolse la maglia firmata che indossava e rigirandola più volte se l'avvolse attorno alla testa come un bandana.
-Che fai Teo, sei scemo?-
Con una mano sulla canna da pesca si portò una bottiglia di birra alla bocca e gli venne l'idea.
-Cantiamo qualcosa, tanto qui non ci sente nessuno. Chi volete che venga al porto a luglio, di notte?-
-Ok, Teo, hai bevuto troppo, andiamo a casa-
-Non ci penso nemmeno- disse allora appoggiando la canna e spostandosi su uno scoglio più vicino al mare in una posa alla Freddie Mercury. -Guardate che bello qui, è tutto così tranquillo, puoi fare quello che vuoi senza che nessuno ti dica niente-. Si fermò un attimo per inspirare a fondo il profumo del mare, un granchio quasi mimetizzato gli passò accanto ma lui non se ne accorse. All'improvviso in quel silenzio quasi assordante la sua voce rimbombò in un canto fuori nota, le parole trascinate e le vocali quasi indistinguibili.
-Io me ne vado Ale, andiamo via, questo ci fa arrestare davvero- mi strinse il braccio Valerio, costringendomi ad alzarmi senza rendersi conto che in quel modo all'esterno potevamo apparire complici di Matteo più che suoi amici preoccupati.
-....sono un amante ma, senza una donna con seeeeeeeeeeeeeeeee-. L'acuto era la parte peggiore. Prima che Giacomo potesse alzarsi per mettergli una mano sulla bocca una luce si accese in una finestra alle nostre spalle, sentimmo soltanto un rumore di ferraglia prima che una voce maschile ci facesse sobbalzare.
-Andate via o chiamo la polizia, avete capito? Chiamo la polizia!-
Non fece in tempo a concludere la frase che Valerio iniziò a correre e io con lui, dietro di noi gli altri e infine il povero Giacomo che invano tentava di far stare in silenzio Matteo. Arrivammo nella piazza centrale del paese dove sedevano i nostri genitori in una delle loro consuete conversazioni serali sulle panchine del lungomare, nessuno di noi riuscì a smettere di ridere nemmeno un secondo per rispondere alla loro richiesta di spiegazioni.
-Hai freddo? Non stai bene?- mi domandò confuso Matteo allungando un braccio prima di posarmelo sulle spalle e riportarmi alla realtà. La coda era andata avanti ma non abbastanza perché toccasse a noi.
-Sono un po' stanca...-mormorai ripetendo le sue parole di prima. La corsa di quella mattina e il caldo della giornata mi avevano spossato più del previsto. Sbadigliai coprendo la bocca con una mano e Matteo mi scostò da sé guardandomi negli occhi. -Vai a casa- mi disse con un sorriso -Qui finisco io che non ho fatto nulla tutto il giorno, tu vai a casa e ti infili nel letto. Domani devi essere in forma perché io non ho alcuna intenzione di fare da facchino e cameriere per il resto della spiaggia, lo sai...-
-Il tuo appuntamento dal barbiere per domani è salvo, puoi arrivare alle otto meno due minuti come al solito, non ti chiederò di portare le teglie di pizza per mezza Alassio, tranquillo.- provai a controbattere ma senza risultati. Scrollai allora il capo, non del tutto dispiaciuta di poter finalmente riposare per qualche ora il mio corpo stanco.
-Va bene, va bene, vado. Non vorrei ricevere una telefonata di Caterina per averti fatto lavorare troppo...mandami un messaggio quando torni a casa, e inviami una foto dello scontrino, non dimenticarti di-
-Vai, Ale, o mi metto a cantare e ti assicuro che non sarà piacevole-. Mi spinse debolmente verso l'uscita, con un sorriso e un bacio sulla guancia lo accontentai.
Mi svegliai un po' indolenzita volgendo lo sguardo verso il comodino. Avevo dormito senza interruzioni come non mi succedeva da tempo, niente sogni e niente pensieri, il dolore alle gambe era sparito e persino la mente mi sembrava più leggera.
Strofinandomi gli occhi un po' arrossati aprii le finestre constatando come le previsioni del tempo non avessero sbagliato: pioveva a dirotto. Non appena accesi il telefono trovai diversi messaggi di persone che mi domandavano se la cena si sarebbe svolta ugualmente. Quell'anno la fortuna non sembrava dalla nostra parte, mi dispiacque per Valerio, il suo primo ferragosto stava procedendo nel peggiore dei modi. Pensai di chiamarlo per chiedergli qualche informazione in più ma per qualsiasi bagnino il ferragosto era un argomento delicato e una discussione di prima mattina non rientrava negli obiettivi della mia giornata.
Mi recai nella doccia accendendo prima la radio e sintonizzandola su RDS, iniziai a canticchiare le canzoni ma mi bloccai sul posto quando riconobbi le prime note di Cremonini, non una canzone qualsiasi, non l'ultima uscita ma la Canzone per eccellenza, quella di Matteo. Lo interpretai come un segno positivo, forse quella giornata non sarebbe finita in tragedia come le nuvole e la pioggia facevano presagire. Presi in mano il telefono e scrissi a Valerio.
“ Senza se e senza ma il cenone si fa, a costo di montare io stessa il tendone. A dopo”.
La lista di cose da fare nella mia giornata era piuttosto piena così decisi subito di mettermi al lavoro senza neanche pensare alla colazione, indossai il mio vestito di jeans preferito e mi recai dal giornalaio per acquistare i quotidiani del giorno che infilai nella borsa consapevole che li avrei letti con attenzione una volta tornata a casa.
Rassicurata nella mia abitudine annuale mi recai nel piccolo negozio di abiti nella via centrale per acquistare un vestito per la sera. Salutai la commessa che conoscevo sin da bambina e mi avventurai tra la moltitudine di forme e colori incapace di scegliere.
-Ti serve una mano? - Avrei dovuto ripensare alla mia idea iniziale, al magnifico abito color pesca che avevo visto qualche giorno prima in vetrina perché nel caso in cui avesse continuato a piovere l'avrei solo rovinato. Era meglio optare per qualcosa di più semplice e meno impegnativo che avrei potuto sfruttare anche in futuro. Un abito non troppo elegante ma abbastanza da non sembrare poco curata, semplice e colorato, ideale per una cena in spiaggia.
-Dovrei avere qualcosa, tu nel frattempo prova questi- mi porse un vestito blu e uno giallo, rispettivamente uno corto e l'altro piuttosto lungo. Carini, nulla di più.
-Ecco qui, era l'ultimo!- Al di là della tende del camerino mi tese l'ultima speranza. -Tu provalo poi mi dici cosa ne pensi, torno tra un attimo-. Guardai attentamente l'abito innamorandomene all'istante, era di un verde spento ma di impatto, leggero con dei complicati ricami in pizzo lungo il corpetto. Non aveva le spalline ed era piuttosto attillato, sarebbe stato un azzardo per i miei canoni usuali, ma quell'anno ero sola, non avevo un fidanzato di cui preoccuparmi, bambini da rincorrere per la spiaggia e nessun bagno di mezzanotte in programma. Per un anno pensai di godermela.
Mi sentivo a mio agio e inaspettatamente anche un po' seducente. Uscii dal camerino convinta di trovare ad aspettarmi la commessa per chiederle un parere ma rimasi sorpresa quando alzando lo sguardo, seduto su un divanetto di pelle blu, trovai Matteo intento a guardarmi con un sorriso divertito.
-Sorpresa!- esclamò vedendo la mia espressione e ridendo subito dopo quando mi vide incrociare le braccia al petto per tentare di coprirmi.
-Ti sei perso? Credevo che conoscessi Alassio come le tue tasche-
-Tranquilla, la conosco meglio di te e no, non ti sto pedinando. Mia madre mi ha-
-Come va? Credo che sia perfetto. Cosa ne pensa il fidanzato?- La guardai confusa,
mi aveva visto entrare da sola, poi mi voltai verso Matteo e compresi.
-No no, lui non è- mi affrettai a negare tornando dentro al camerino. Dove c'era Matteo arrivavano i guai.
-Il fidanzato pensa che sia perfetto, lo compriamo-. Attesi che la commessa tornasse alla cassa con il vestito e nel frattempo mi rivestii continuando a parlare con Matteo ancora seduto sulla poltrona.
-Ma sei scemo? Perché gli hai detto quello, adesso penserà che stiamo insieme! E se tua madre ha sentito qualcosa?-
Gli domandai infilando con qualche sforzo le scarpe troppo strette, in quel camerino faceva caldo e i capelli già umidi per la pioggia mi si erano incollati al volto.
-Ed ecco che ricominciamo con gli insulti. Sono stato al gioco, che male c'è? Mia madre è uscita due minuti fa a cercare Giacomo perché ha trovato una camicia perfetta per lui, stai tranquilla, non ha sentito nulla-.
Mi sforzai di respirare con calma e non innervosirmi per la sua risposta, aveva ragione lui, non era successo nulla.
Mi diressi alla cassa reggendogli il gioco a mia volta.
-Paghi tu tesoro?-
-Ho dimenticato il portafogli, amore- mi sussurrò all'orecchio stringendomi il braccio sul fianco prima di sorridere alla commessa. Mi schiarii la voce, un conto era giocare, un altro sentire ogni centimetro del suo corpo attaccato al mio, il respiro sul collo...dovevo smetterla di distrarmi, la giornata era ancora troppo troppo lunga.
-A presto ragazzi, buona serata!- l'occhiolino della commessa non passò inosservato.
Uscire all'aria aperta fu un sollievo, nonostante l'umidità persistente aveva smesso di piovere e il “budello” non era più vuoto come prima. Riuscii a rilassarmi solo quando finalmente mi lasciò la vita per frugare nelle tasche.
-Era proprio necessaria la sceneggiata alla cassa, sì? Sei proprio determinato a fare il provino per la controfigura di Ben Affleck eh...-
-Ammetti che ti sei divertita anche tu- corrugò la fronte cambiando tasca, dopo un altro tentativo si arrese incrociando le braccia al petto. -Ti ho fatto persino un complimento, potresti almeno ringraziarmi, non lo so offrirmi un caffé...sii gentile!-
-Come no! Dovevo comprare un vestito per ricordarti che non sono da buttare via? Così mi ferisci!- gli dissi con tono sarcastico iniziando a incamminarmi in direzione della spiaggia, Valerio non mi aveva risposto al messaggio e temevo che avesse pensato di testa sua di cancellare tutto.
-Mi sembrava di ricordare di averti detto appena qualche giorno fa che sei bella, se vuoi te lo ridico magari stai iniziando a perdere la memoria. Dove stai andando?- sbuffai.
-Non volevi un caffè?- Guardò dietro di sé incerto, forse timoroso di vedere sua madre apparire da un momento all'altro, poi scosse le spalle.
-Ho cambiato idea, è tardi per il caffè. Ti va l'aperitivo? Offri tu, ovvio- mi rispose sempre sorridendo, evidentemente quel mattino si era svegliato con il piede giusto, caso più unico che raro.
-Mi dispiace deluderti ma avresti dovuto accontentarti di un caffè veloce. Sono in ritardo sulla tabella di marcia e a meno che non voglia contrattare tu con Valerio- roteò gli occhi scuotendo la testa, immaginavo- credo proprio di doverti lasciare-
Alzò le mani in segno di resa.
-Va bene, ti lascio stare, devo ancora andare a recuperare le ultime bottiglie e ho in programma una caccia al tesoro per mia madre e mio fratello. Ci vediamo direttamente stasera, al pomeriggio ci sono i gavettoni e io-
- E tu non li hai mai sopportati a meno che non sia tu a farli in prima persona al bagnino, lo so. Ci vediamo stasera-.
-Tu non me la racconti giusta- continuò fermandomi prima che potessi raggiungere Valerio. Guardai l'ora, era tardissimo, se non mi fossi sbrigata non l'avrei più trovato.
-non è che ti vedi con qualcuno e non l'hai detto a nessuno? Non lo so, magari un biondo palestrato che fa jogging tutte le mattine sulla spiaggia e nel tempo libero lavora come bagnino. Sei troppo tranquilla in questi giorni...- disse ridacchiando tra sé e sé con il tono estremamente divertito di chi pensa che un'idea del genere sia assurda.
Ripensai per la prima volta a quel ragazzo con i pantaloncini bianchi incontrato sulla spiaggia, Edoardo, ricordai con un accenno di sorriso e decisi di prendermi gioco di Matteo per vendicarmi un po' della scenetta in negozio.
-Può darsi, sai? Magari è per quello che ho così bisogno di parlare con Valerio, non vorrei che il mio piano segreto andasse in fumo.-
Boccheggiò per qualche istante mentre io sentivo la soddisfazione invadermi con calore il corpo, era così bello provocarlo, le sue reazioni erano sempre state un divertimento assicurato.
-Ti vedi con qualcuno? Hai un altro dopo Paolo?- mi domandò tentennando come un bambino. Iniziò a giocare con le mani, si spostò il ciuffo in un movimento nervoso, i suoi occhi chiedevano risposte ma era ferragosto e io avevo deciso quella mattina che per un giorno avrei pensato solo a me stessa, per un giorno mi sarei divertita.
-E chi lo sa? Potresti scoprirlo stasera. Ciao Teo!- gli voltai le spalle senza più guardarmi dietro. Alessandrina 2, Teo 1.
Buongiorno a tutti/e!
Ecco il decimo capitolo di questa storia, un capitolo breve rispetto al solito ma di passaggio per quello che succederà nel prossimo. I protagonisti sono ancora in una situazione di stallo. Basteranno le candele, il mare e i fuochi d'artificio per movimentare la situazione? Vi aspetto al prossimo aggiornamento.
Buona lettura.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** CAPITOLO XI: Che mojito sia ***
CHE MOJITO SIA
Il pomeriggio di Ferragosto lo trascorsi in giro per Alassio, indaffarata a ritirare le ultime ordinazioni. Trascorsi più di mezz'ora chiusa in un negozio per cercare la tovaglia perfetta per quella sera in compagnia dell'amica d'infanzia di mia madre, Silvia, la madre di Valerio. Con i capelli ancora bagnati e una tuta da ginnastica sbiadita portammo tutto il necessario in spiaggia, io e lei come ai vecchi tempi.
-Mi manca trascorrere l'estate con tua madre, sei sicura che non venga giù neanche qualche giorno?- mi domandò mentre preparavamo la tavola.
-Non penso, anzi, sono sicura che non venga. In questi giorni sta bene in montagna, al fresco, il mare per lei vuol sempre dire ricordi-. Da quando qualche anno prima la nonna era morta la mamma aveva rinunciato ad Alassio preferendo chiudere in un cassetto nomi, volti, ricordi che potessero riportarla al paesino ligure. Era stata una scelta difficile da accettare, soprattutto per me che in quella spiaggia riuscivo ad assaporare il profumo dell'infanzia, ma non era stato possibile negoziarla.
-Tua madre lo sa che questo ferragosto l'hai organizzato tu?-
-Penso che Valerio le abbia senza dubbio accennato qualcosa ma non mi va di raccontarle per filo e per segno cosa succede qui, non voglio rattristarla. Ecco fatto, la tavola è pronta, cosa manca?- Sistemate le candele alla vaniglia come centrotavola, i piatti di plastica color lilla in stile provenzale su una tovaglia bianca con i limoni disegnati che donava un'aria mediterranea. In spiaggia al tramonto non c'era ancora nessuno, i lettini erano stati spostati verso la passerella d'ingresso, lontano dalla prima fila, in posizione strategica per i fuochi d'artificio mentre al centro della spiaggia rimaneva soltanto alcune sedie da regista ancora chiuse. La sabbia era umida a causa del temporale del primo pomeriggio e il cielo non prometteva nulla di buono ma la tranquillità che respiravo in quel momento era impagabile.
Respirai a pieni polmoni prima di congedarmi con un bacio sulla guancia di Silvia e la promessa a Valerio che, almeno quella sera, sarei stata puntuale.
Raggiunsi casa mia correndo e schivando teglie di focaccia e vassoi di pasticcini di chi come noi aveva deciso di seguire la tradizione, davanti ai ristoranti del budello i primi turisti in abiti eleganti iniziavano a sorseggiare i loro aperitivi.
Preparandomi davanti allo specchio ritrovai le gambe tremolanti e le mani sudate del primo ferragosto, più di dieci anni prima, accompagnate dall'immancabile tachicardia. Ripensandoci a distanza di anni non era ansia bensì più una sensazione più simile a un'iniezione di adrenalina prima di una semifinale mondiale. Mi sentivo così eccitata che avrei potuto andare a Laigueglia e tornare almeno due volte senza sentire fatica. Vibravo di aspettativa e anticipazione, impaziente di incontrare i volti sorridenti degli altri, di ballare con la sabbia tra le dita e i capelli scompigliati. Mi sentivo finalmente viva anche se nessuno avrebbe saputo trovare una giustificazione al mio comportamento, per molti era una serata come tante ma non per me.
Attraversai a ritroso la via centrale ormai affollata di abiti da sera e uomini in completi dai colori chiari, tutti così eleganti e ingentiliti che per qualche istante mi sembrò di vivere nell'Alassio dei ricordi di mia nonna: elegante, raffinata, spensierata. Per quella sera persino i commercialisti più incalliti avevano sotterrato il loro Sole 24 Ore per qualche ora di divertimento e svago. Insieme alle risate dei bambini scalzi e dei giovani già brilli si sentivano le canzoni pop dei locali e il profumo della carne alla brace dei primi stabilimenti balneari che mi riportò indietro di anni, agli spiedini ancora crudi che Mario aveva addentato per la troppa fame e al pianto di un piccolo Valerio spaventato dal rumore dei fuochi.
Ero quasi all'altezza del Caffè Roma quando una vibrazione nella borsa mi riscosse, timorosa che fosse Mario mi affrettai a rispondere.
-Hai finalmente deciso di rispondere al telefono? Ero quasi convinta di dover chiamare “Chi l'ha visto”!- rimasi sorpresa nel sentire la voce di mia madre proprio lei che odiava le telefonate.
-Buon ferragosto anche a te mamma.- Salutai con la mano un vecchio amico e imboccai la via del mare allontanandomi dal centro.
-Sei già in spiaggia? Immagino ci sia la festa stasera...-percepii nella sua voce un po' di nostalgia, forse tristezza. Un tempo trascorreva metà estate a pensare a come organizzare il cenone e la restante metà a ricordare quanto fosse stato divertente.
-Non ancora, sono per strada e non crederai alle mie parole ma è un miracolo se stasera ci sarà la festa. Il tuo Valerio è pronto ad addossarmi tutta la responsabilità di un fallimento-
-Vedrai che andrà tutto alla grande, come al solito, sono sicura che se ti fermerai a mettere in ordine la spiaggia domattina ti offrirà persino un caffè.- Aveva ragione, sapevo che in fondo anche Valerio era contento di festeggiare insieme. -Mi raccomando Ale, cerca di trattenerti, non lasciare che le provocazioni di altri ti rovinino la serata-.
-Stai tranquilla mamma, mi metto accanto a Valerio come al solito-.
-Ale, sai bene a cosa mi riferisco, lascia perdere, va bene?-. Caterina, come al solito.
Un tempo mia madre e lei erano amiche, molto amiche, essendo quasi cresciute insieme sulla spiaggia dagli anni settanta in avanti. Trascorrevano inverni interi senza sentirsi e l'estate successiva sembrava che il tempo non fosse passato. D'un tratto la mamma aveva iniziato a fare amicizia con la madre di Valerio, una donna con qualche anno in più di loro e sempre molto impegnata con il lavoro. In una delle ultime estati insieme Caterina l'aggredì verbalmente al bar, una sera in cui ero andata ad Albenga a sostenere Valerio durante una partita. Dal giorno non successivo non si rivolsero più paura ma mia madre non mi confidò mai quale fosse stato il motivo.
-Speriamo, davvero, hai una testa calda e con quel caratteraccio che ti ritrovi non si sa mai come va a finire-
-Tranquilla mamma, dovesse succedere qualcosa Valerio non esiterebbe a informarti- Scossi la testa divertita. Faceva la finta tonta ma sapevo benissimo delle sue fitte conversazioni con Valerio che la tenevano aggiornato su ogni mio movimento.
-Come se Valerio non ti raccontasse già tutto mamma...- le risposi lasciando la frase in sospeso.
-Proprio perché non mi racconta mai nulla, dopo Paolo hai incontrato qualche bel ragazzo?- incominciò un po' titubante, quasi ansiosa. Scoppiai a ridere.
-Sì mamma, un biondo palestrato mi è venuto addosso mentre correva sulla spiaggia.-
-Sul serio? Nessuno dei bagni, dunque?- Sapevo anche in quel caso che si stava riferendo a Matteo ma non attesi che lo specificasse.
-Sì mamma, Matteo ed Elena stanno ancora insieme, come sempre e no, non è un ragazzo della spiaggia ma non credo che lo rivedrò-. Il mio tono era esasperato, forse troppo, perché sentivo la mancanza di mia madre e in alcuni momenti avrei solo desiderato un suo abbraccio per sentirmi meglio ma la lotta contro Matteo era ormai vecchia di un decennio. Viveva, forse giustamente, con il costante terrore che tra noi due potesse succedere di nuovo qualcosa. Temeva che soffrissi, ora lo so, e proprio per questo quella sera non ebbi il coraggio di confessarle del nostro riavvicinamento. Approfittando della vicinanza con lo stabilimento la salutai quasi frettolosamente promettendole che l'avrei chiamata il giorno seguente per raccontarle la serata.
-Voglio tutte le chicche, lo sai.-
-Sì, mamma, sicuro. Ora devo proprio andare, Mario sta già mangiucchiando e se non arrivo io non iniziano.-
Durante la mia assenza Valerio aveva montate delle luci colorate lungo il bordo della passerella e per il perimetro del cabinone donando allo stabilimento un'atmosfera quasi romantica. La spiaggia, invece, era come al solito in penombra scarsamente illuminata dalla luce giallognola di un vecchio lampione e dalle candele sulla tavola.
Mario sostava all'entrata, come al solito, pur avendo abbandonato per l'occasione l'uniforme rossa in favore di una polo blu, un maglioncino bianco e un paio di pantaloni pinocchietto. Lo salutai con un bacio sulla guancia odorosa di tabacco e posai l'ultima teglia rimasta sulla plancia più vicina. Guardandomi intorno mi resi conto di essere stata l'ultima ad arrivare, gli altri più o meno eleganti, erano già seduti al tavolo o intenti a mangiucchiare pizzette e salatini nell'attesa. Per la prima volta pensai al vestito che avevo comprato, ai capelli preparati con cura, mi chiesi che cosa avrebbero pensato vedendomi, se al posto del brutto anatroccolo che troppo spesso sentivo di essere avrebbero visto una donna sicura di sé. Forse io per primi avrei dovuto sentirmi in quel modo invece di nascondere le mani tra la gonna per non far notare il loro tremolio. Il cuore mi rimbombava nel petto a tal punto che riuscivo a sentirne l'eco nelle orecchie.
Valerio mi raggiunse alle spalle, segno che doveva aver concluso la telefonata in cui lo avevo visto impegnato poco prima. Con le mani cercò le mie e me le strinse prima di farmi un occhiolino.
-Sai che mi piace essere sempre impassibile sul lavoro ma permettimi di dirti che stasera sei bellissima. Un complimento da fratello e da uomo soprattutto. Ti tengo d'occhio-. Gli sorrisi a mia volta abbracciandolo per ringraziarlo. -Non essere agitata, non ne hai bisogno- mi sussurrò all'orecchio prima di lasciarmi andare con un bacio sulla testa. Una parte di me avrebbe desiderato rimanere protetta dal suo corpo per tutta la sera, nel mio bozzolo protettivo lontano da quelle domande che mi tormentavano lo stomaco ma non potevo.
-Valerio, non mi piace la prima fila così in disordine, tira su qualche lettino che se si alza il mare siamo fregati- si intromise Mario comparendo alle nostre spalle.
-Mario, lascialo stare povero, ha lavorato duramente tutto il giorno. Scendete in spiaggia e godetevi la serata a sistemare ci pensiamo prima dei fuochi- Valerio mi guardò con occhi riconoscenti e si allontanò prima che Mario potesse fermarlo nuovamente.
-Hai ragione Cara, questa sera quasi quasi mi rilasso e faccio il turista, pensateci voi alla spiaggia- e così dicendo si sedette su una delle prime sedie da regista libere e riprese ad assaporare la sua pipa. -Mentre ci sei manda Valerio in cabina a cambiarsi, non si può vedere con quella maglietta da bagnino ancora addosso-.
-Mario, ti ho sentito- replicò lui dalla prima fila.
-Dai Vale ha ragione, vatti a cambiare, mettiti quella camicia bianca con la giacca e vedrai quante ragazze circonderanno il tuo trespolo domani-. Scosse il capo mordendosi il labbro prima di scoppiare a ridere e dirigersi finalmente in cabina per cambiarsi.
Un uragano dai capelli biondi mi investii prima che potessi iniziare la mia discesa verso la tavola, a causa della scarsa luce impiegai qualche secondo a riconoscere Davide, uno dei bambini della spiaggia, arrivato da Milano per Ferragosto. Aveva all'incirca sei anni, era un bambino dolce e giocherellone, amava stare in mezzo agli altri bambini ma ancora di più amava trascorrere le sue giornate in acqua e costruire castelli di sabbia. Da quando qualche anno prima mi ero offerta di aiutarlo a costruire una torre di sabbia, gli altri della compagnia dicevano che si era innamorato di me. Quel bambino mi adorava e non passava un solo giorno senza che mi salutasse appena arrivato in spiaggia e prima di andare via; era un po' un fratello minore da accudire e coccolare.
-Come sei bella, sembri una principessa stasera! - mi disse sorridendomi e mostrando un buco al posto di uno degli incisivi che contribuiva a rendere il suo volto ancora più dolce. Mi accovacciai alla sua altezza e mi complimentai per la sua camicia bianca e i jeans facendolo sorridere.
-Posso venire in braccio?- mi domandò arrossendo sulle guance forse ricordando i rimproveri del padre ma io scrollai la testa e me lo portai sul fianco sorridendo quando le sue mani paffute mi strinsero le spalle. Mi incamminai verso la prima fila mentre Davide continuava ininterrottamente a raccontarmi la sua giornata. Con la coda dell'occhio vidi Nick e Jack tagliare le focacce, Silvia distribuire la Sangria e Matteo dietro il piccolo bancone da bar improvvisato. Non incrociai il suo sguardo nonostante lo sentissi pesare come un macigno sulla schiena scoperta ma mi diressi verso i genitori di Davide seduti sui lettini della prima fila, poco lontano vidi Elena passeggiare avanti e indietro con i piedi in acqua e il telefonino in mano.
-Davide ti va di giocare un po' con i tuoi amici? Io vado a prendere qualcosa da bere, torno dopo.- Lo vidi annuire vigorosamente così gli accarezzai la testa bionda in un gesto affettuoso e mi voltai. Ancor prima di incrociare i suoi occhi, sentii la voce sarcastica di Matteo accogliermi.
-Per un momento ti ho creduto davvero questa mattina quando mi hai parlato di uno spasimante misterioso, certo, non pensavo avesse sette anni. Biondo è biondo, su questo almeno ho indovinato- Le provocazioni erano appena iniziate.
-Che c'è? Sei geloso del fatto che dedico ad un bambino più attenzioni di te? Se vuoi domani ti aiuto a fare il castello di sabbia-. Ci guardammo intensamente cercando di rimanere seri ma l'immagine di Matteo con paletta e secchiello in mano si fece strada nella mia mente e mantenere la maschera divenne impossibile. Scoppiai a ridere
-Non vedi l'ora di mettermi in difficoltà, ammettilo. Nel frattempo che ti asciughi le lacrime vuoi ordinare qualcosa da bere o sei qui solo per infastidirmi?- mi domandò continuando a mescolare la sangria.
-È una festa, cosa mi proponi?- gli domandai sporgendomi verso di lui per infastidirlo un po'.
-Mi stai togliendo quella poca luce che il lampione emette.- Strinse gli occhi per vedere meglio e riprese a mescolare. -Qualcosa di alcolico di sicuro, non troppo dolce. Non lo so, magari un mojito?-
-Vada per il mojito-.
Mi guardai intorno per assicurarmi che Valerio fosse ancora in cabina a cambiarsi e che l'attenzione degli altri fosse rivolta altrove, poi approfittando della sua concentrazione mi concessi per la prima volta di osservarlo. Lo guardai con attenzione soffermandomi sulle sopracciglia aggrottate, il naso un po' sporgente e i muscoli del braccio che guizzavano da sotto la camicia bianca per lo sforzo. Era talmente concentrato da non accorgersi dei miei occhi curiosi. Al buio della spiaggia, illuminato solo da qualche candela, l'atmosfera tra noi era più intima del dovuto tanto da indurmi a temere che una sola parola avrebbe rovinato il quadro da cui non riuscivo ad allontanarmi. Mi porse il bicchiere e io non fui sufficientemente lesta a divergere lo sguardo dalle sue braccia prima che potesse notarlo così arrossii quando tirò indietro la mano con un sorriso beffardo.
-Non credo di poterle consegnare il bicchiere signorina, la vedo un po' distratta-. Come una stupida mi ero fata cogliere in un momento di debolezza che con ogni probabilità mi avrebbe fatto scontare tutta la sera.
-Scusami- sussurrai- non volevo essere inopportuna-. Ero appena arrivata e già cominciavo a fare danni, persino ripetere mentalmente le parole di mia madre non servì a nulla. Rialzando gli occhi lo vidi fare il giro del tavolino e chiedere a qualcuno di prendere il suo posto.
-Scusa? Dove stai andando?-
-Ho deciso di essere altrettanto inopportuno-. Posò con attenzione il bicchiere sul tavolo e mi avvolse tra le sue braccia. Esitai a ricambiare l'abbraccio, sorpresa dall'inaspettato slancio d'affetto ma mi lasciai andare non appena affondò il viso tra i miei capelli. Inspirò profondamente come alla ricerca di un profumo particolare che non trovò a giudicare dall'espressione confusa. Quando si allontanò intercettai i suoi occhi accarezzarmi da lontano il viso, soffermarsi sulle labbra per poi continuare a scendere lungo il collo. All'improvviso si fermò e le sue guance si tinsero di rosso, si morse il labbro inferiore prima di porgermi il bicchiere e indicarmi con un gesto della mano di seguirlo. Incerta controllai il vestito. Durante l'abbraccio la stoffa si era spostata sul petto lasciando scoperto l'incavo dei seni. Mi sistemai frettolosamente e lo raggiunsi al tavolo.
-Dirmelo prima no?- mi rispose con un sorriso enigmatico, consapevole della sensazione di smarrimento che sentivo dentro, per poi avvolgere le labbra attorno al bicchiere, feci altrettanto per non lasciarmi travolgere dall'imbarazzo.
Attorno a noi il via vai di persone con piatti e bicchieri in mano alla ricerca di un posto faceva apparire la nostra bolla ancora più assurda, da un momento all'altro sua madre o Valerio sarebbe intervenuti, oppure Elena lo avrebbe trascinato via per un posto più appartato. Eppure guardarsi senza parlare, conversare attraverso gli occhi non era poi così male.
-Perché non mi hai detto che il vestito era così scollato?-.
-Non era volgare se è questo che ti preoccupa, lo leggo nel tuo sguardo. È una festa, cerca di stare tranquilla-. Continuavano a ripetermelo tutti ma non sapevo come applicarlo. Non ero più abituata a quell'atmosfera e di conseguenza non capivo come gestirla, cosa fare e cosa non per evitare che gli altri mi guardassero e iniziassero a spettegolare. Sapevo perfettamente che quella non era una serata come le altre, che gran parte della preoccupazione e della tensione che sentivo erano dovuto allo strano bisogno di avere l'approvazione di Matteo. Non era cambiato nulla eppure attorno a noi nulla era più come prima quando da lontano potevo osservarlo e lo sguardo torvo di Cristina ne era una prova.
Ci pensò Mario a salvarmi dall'imbarazzo, si issò precariamente su una sedia e con un fischio diede inizio alla cena.
Mi allontanai per andare a prendere qualcosa da mangiare, un pezzo di focaccia e qualche fetta di prosciutto, mi si era chiuso lo stomaco. Quando tornai al tavolo vidi il posto accanto al mio occupato da Valerio sapendo bene che Matteo e Valerio vicini era una combinazione esplosiva, pericolosa e con me in mezzo anche di più. Mi avvicinai con lentezza non vedendo il primo da nessuna parte e appoggiai una mano sulla sua spalla del bagnino, coperta dalla felpa blu, almeno lui era stato previdente considerato il vento improvviso che scuoteva senza cura la tovaglia.
-Va tutto bene?- gli chiesi indicando con un movimento del capo il posto da lui occupato. Annuì con la testa. -Va benone, controllo la situazione!- mi rispose facendomi un occhiolino e continuando a mangiare un trancio di pizza margherita. Mi sedetti con circospezione attendendo che si sbilanciasse e mi spiegasse il motivo di una postura tanto rigida dal momento che non poteva controllare l'ingresso alla spiaggia a cui voltava le spalle. Si guardò attorno pulendosi le mani su un tovagliolo immacolato e si avvicinò al mio orecchio iniziando a sussurrare.
-Ho sentito qualche commento di troppo di Cristina sul tuo vestito e sulla tua vicinanza con il suo primogenito, se mi siedo accanto a te non avrà nulla da ridire. Quanto non la sopporto Ale, non ne hai idea.- Incrociò le braccia al petto come un bambino continuando a masticare rumorosamente, incurante dell'occhiataccia di sua madre. Sentii lo stomaco chiudersi ulteriormente, per quanto apprezzassi il gesto di Valerio quei due vicini continuavano a non convincermi, ancora di più quando vidi Elena dalla parte opposta del tavolo vicino alla madre. Accanto a loro la voce acuta di Cristina era impegnata a raccontare a un gruppo di genitori il disastroso ferragosto di quattro anni prima rovinato da una perdita all'acquedotto e da una terribile influenza intestinale. Nascosi un sorriso quando vidi anche Giacomo prendere posto alla sinistra di suo fratello e davanti a me pur di non essere costretto ad assecondare sua madre.
-Attenzione signori- esclamò Matteo una volta raggiunto il suo posto, il piatto ancora parzialmente vuoto. -Il bagnino più scontroso di Alassio ha abbandonato la divisa e si è seduto con noi, a cosa dobbiamo questo onore?- Valerio lo ignorò e io ne approfittai per tirare un calcio sui polpacci di Matteo che non sortì alcun effetto. Aprì nuovamente bocca ma non attesi che lanciasse un'altra provocazione a Valerio, gli diedi un colpetto sul braccio ma non fui abbastanza veloce a tirarmi indietro. Mi imprigionò la mano tirandomi verso di lui e scompigliandomi con l'altra mano i capelli. Mugugnai per il fastidio ma non provai a contrastare i suoi gesti.
-Mi piaci quando sei violenta!- mi disse dopo essersi accertato che nessuno ci guardasse.
-La smetti di provocare?- provai a colpirlo con la mano libera ma mi strinse a sé con più forza prima di lasciarmi andare con una risata liberatoria.
-Belin ma quanti anni avete voi due? È impossibile mangiarvi accanto!- esclamò Valerio con un pezzo di focaccia a nascondergli un sorriso, in fondo Matteo gli stava meno antipatico di quanto credesse. Tornando al mio posto con in sottofondo ancora la risata di Matteo notai quanto Giacomo fosse assente, alternava lo sguardo dal piatto al cellulare e rispondeva a monosillabi alle domande della madre. Mi stupii che non fosse ancora rimasta senza fiato dopo mezz'ora ininterrotta di racconti sulla bella vita alassina e le escursioni a Saint-Tropez. Anche Elena, sedutale poco distante, le rispondeva a malapena. Con lo sguardo basso, mangiucchiava qualche pezzo di pizza e con una mano si reggeva la testa, appariva triste, forse persino malinconica. Mi domandai nuovamente perché non si fosse seduta con Matteo, se fosse accaduto qualcosa. Lo seguii con lo sguardo mentre si alzava per andare in bagno ma mi parve tranquillo, sereno come al solito se non di più dopo qualche bicchiere di vino rosso.
-Lo sapevo, non ci si può fidare di lui, finisce sempre così- borbottò Valerio.
-Di chi parli?- gli domandai sorseggiando un po' di sangria, un bicchiere era stato sufficiente ad alleggerirmi la testa e a smorzare l'ansia.
-Di Edoardo, te lo ricordi?- Scossi la testa. Il nome era familiare ma faticavo ad associarlo a un volto. -Il mio compagno di squadra ci allenavamo insieme...non importa. Gli avevo chiesto di passare da noi così da non fare sempre la solita figura del cretino ma, tanto per cambiare, ha una festa in collina.-
-Paura che ti obblighi al bagno di mezzanotte? Tranquillo, so che terminati i fuochi come Cenerentola tornerai a indossare la tua divisa da bagnino e nulla ti potrà distrarre-. Ridacchiò anche lui consapevole che lo stessi prendendo in giro.
-Sai credo proprio che dovrei presentartelo, sareste una bella coppia, dico sul serio. Io dovrei fare richiesta di essere internato ma voi vi divertireste un mondo a prendermi in giro.-
-Mi dispiace Vale ma con gli uomini ho chiuso dopo Paolo, fammi godere la mia libertà da single, ne riparliamo tra qualche anno-. Mi affrettai a cambiare discorso non appena mi accorsi del rabbuiarsi di Giacomo. Ogni tanto mi dimenticavo che Paolo era il suo migliore amico e sentirmi denigrare la nostra relazione non era il modo migliore per un riavvicinamento tra di noi. Giacomo era freddo con me, a stento si fermava per più di cinque minuti. La scenata al Caffè Roma non aveva certamente aiutato, il dopo serata a casa sua ancora meno. Osservando il modo frenetico in cui alternava lo sguardo tra il cellulare e il piatto mi resi conto di quanto quella serata fosse solo una copia sbiadita delle feste estive a cui ero abituata. Nessuna conversazione animava più l'intero tavola ora diviso in gruppi dai molteplici argomenti di dialogo, gli stessi che il giorno seguente avrei trovato in spiaggia. Nessuna barzelletta dovuta a qualche bicchiere di troppo, persino le risate scarseggiavano. Poco lontano da me Davide me il piccolo Davide dormiva indisturbato tra le braccia della madre con un'espressione così serena che quasi lo invidiai, persino Mario sembrava sul punto di addormentarsi nonostante non fossimo neanche a metà della cena e i fuochi d'artificio fossero ancora ben lontani.
-Vale, un po' di musica no?- nessuna risposta, anche Valerio si era allontanato. Mi alzai allora controvoglia, per raggiungere l'ufficio di Mario dovevo necessariamente passare accanto a Caterina eppure era l'unico posto in cui sapevo che avrei trovato una radio. Era stato il regalo della spiaggia a Mario in occasione del suo settantesimo compleanno, rigorosamente sintonizzata su Radio Onda Ligure aveva accompagnato un aperitivo improvvisato fatto di Pigato e baci di Alassio troppo secchi per essere considerati freschi ma ugualmente buoni. La trovai sepolta sotto una pila di vecchi giornali, scatole vuote di giochi da tavolo e un paio di teli da mare abbandonati. Cercai una canzone un po' movimentata prima di abbandonare la radio sulla prima sedia libera e allontanarmi dal tavolo per una rapida sigaretta. Mi appoggiai sulla parete delle docce iniziando a pensare a quale rifugio avrei potuto scovare in vista dei fuochi, così belli eppure terribilmente malinconici. Un tripudio di colori e rimbombi, un mix meraviglioso di forme, luci che lasciano con il fiato sospeso fino ai tre colpi finali...boom, boom, boom. Silenzio. Tre colpi e svanisce il sogno di un'estate, ripiomba la realtà, incombe settembre, la spiaggia si svuota, i primi saluti. Erano anni che non assistevo più nemmeno al primo botto.
-Questa musica orrenda l'hai scelta tu? Hai fatto bene, si intona con la serata-. sussultai quando sentii il fiato caldo di Matteo scontrarsi contro il mio collo freddo, non lo avevo sentito tornare dal bagno. Mi scansai quando tentò di appoggiarmi una mano ancora umida sulla schiena,ero già abbastanza infreddolita senza le sue mani ghiacciate addosso.
-Non dirlo a me, senza Valerio sono scappata dalla disperazione-.
-È davvero così divertente il tuo amico?- mi domandò trascinando un lettino della terza fila più vicino alle docce e sedendovisi sopra a cavalcioni.
-Molto, dovreste provare a parlare senza litigare per più di cinque minuti e lo scopriresti anche tu-.
-Mi fido, ti ringrazio-. Restammo in silenzio, lontani dal vociare della tavola ma ben visibili agli altri. Mi sporsi verso il lettino per recuperare un bicchiere vuoto in modo tale da buttarci dentro la cenere e lo vidi sorridere.
-Sai, credo proprio che tu abbia una promessa in sospeso con me-
-Parli dell'aperitivo?- mi spostai prima che potesse rubarmi la sigaretta dalle mani.
-No, a quello ormai ho rinunciato. Parlo di un ballo-. Strabuzzai gli occhi, non poteva ricordarsi ancora quella richiesta assurda fatta da ubriaco.
-Non ti ho promesso proprio nulla e ridammi la sigaretta-.
-Lo sai benissimo a cosa mi riferisco, rivoglio quel ballo che non ho ottenuto anni fa-.
-Non per colpa mia, te lo ricordo, eri tu quello talmente ubriaco da addormentarti su un lettino dell'ultima fila-. Mi ero tradita da sola, lo capii dal sorriso sardonico che gli alleggerì il volto. -C'è solo la radio, non abbiamo nemmeno una canzone-
-Sicuramente movimenterebbe un po' la serata, è un mortorio questa sera e mia madre non smette di parlare.-
-Qualche ballo ci starebbe anche solo per farla stare un po' in silenzio-. Mi sedetti anche io, poco distante da lui ma senza toccarlo. Era diverso quella sera, più tranquillo e meno provocatorio di quanto mi aspettassi. -Magari dopo i fuochi...-
-Sì, così avrei la certezza di non ballare con te. Non ti ho mai visto guardarli-. Pensai di chiedergli come facesse a saperlo, dove si fosse nascosto in tutti quegli anni. -E se andassimo via? In fondo non piacciono né a me né a te, cosa stiamo qui a fare?-. Ignorai la domanda pur di reprimere il desiderio di trascorrere del tempo insieme a parlare e basta, a discutere di cavolate come ai vecchi tempi, pur di rivedere il Matteo sincero per qualche minuto in più.
Prima che potessi rispondere alla sua domanda vidi Valerio gesticolare e cercarmi con lo sguardo, in mano aveva un pacchetto di pasticceria perfettamente incartato, dietro di lui sua madre si affrettò a depositare sul tavolo due vassoi di pasticcini. Il mio zuccotto di Balzola era arrivato e come tradizione sarei stata la prima a tagliarlo.
-Ancora con quel dolce indigesto? Ti prego- mormorò Matteo seguendo la linea dei miei occhi.
-Te lo ricordi ancora? Non penso nemmeno che tu l'abbia mai assaggiato-
-Mi è bastata la volta in cui ti è caduto sui miei pantaloni blu, appena comprati aggiungerei-.
La stessa sera del ballo. Era così elegante Matteo, per una volta aveva persino cambiato profumo, un agrumato che gli aveva regalato sua madre che lui proprio non sopportava. Tra l'aperitivo al bar, la sangria a cena e un bicchiere di vino per il dolce non riusciva più ad alzare la testa dal tavolo su cui era appoggiato con le braccia incrociate e gli occhi annebbiati. Io, un po' meno alticcia di lui, presa dalla frenesia di ballare l'ultima canzone di Shakira, la stessa che avevo provato per mesi per il saggio di fine anno, mi alzai rumorosamente dal tavolo con il piattino dello zuccotto in mano senza rendermi conto delle scarpe che avevo abbandonato poco prima, senza alcun riguardo. Riuscii a sorreggermi al tavolo ma il mio dolce crollò rovinosamente sui suoi pantaloni. Nessuno se ne accorse, la serata nuvolosa e le luci della candela rendevano la visuale ancora più coperta. Le mani sulla faccia a coprire la sua espressione disperata, però, furono abbastanza per far ridere l'intera tavolata.
-Andiamo, dai, Valerio per te ha ordinato delle mini torte sacher così non dovrai sopportare più di tanto il mio zuccotto-. Avvolta dalla nostalgia di quella serata lontana senza accorgermene allungai la mano destra per prendere quella di Matteo e condurlo al tavolo, la ritirai prima che fosse troppo tardi e gli voltai le spalle. Matteo si schiarì la gola estraendo dalla tasca il suo pacchetto di sigarette.
-Non mi va molto il dolce, sai che mi piace di più il salato. Vai pure, vi raggiungo per il caffè-. Ignorai volutamente il tono malinconico, la voce più bassa ridotta a un sussurro e raggiunsi il tavolo. Affondando il cucchiaio nel dolce non potei fare a meno di pensare di aver rovinato l'atmosfera con la mia svista.
Cassandra:
Ecco a voi la prima parte del capitolo di Ferragosto in cui si inizia a percepire un'aria di cambiamento e turbamento per i nostri caratteri. La vacanza spensierata sta per prendere una piega meno perfetta.
Buona lettura, vi aspetto nel prossimo capitolo.
Cassandra |
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** CAPITOLO XII: IL PUNTO DI ROTTURA ***
IL PUNTO DI ROTTURA
Il primo fascio di luce esplose rumorosamente all'improvviso cogliendo la spiaggia di sorpresa che, tra una battuta e una fetta di torta, aveva perso di vista l'orologio. I più si affrettarono verso la prima fila recuperando asciugamani, sedie, materassini mezzi sgonfi per godersi al meglio lo spettacolo dei fuochi convinti che dalla prima fila tutto fosse più magico. Solo i veterani come Valerio sgattaiolarono verso la zona più lontana dalla riva in cui erano rimasti impilati i lettini e le sedie da registra non utilizzate. Quella sì, era magica.
Più silenziosa, coperta dal vento, persino intima, consentiva di godersi lo spettacolo dei fuochi in tranquillità con una prospettiva molto più ampia rispetto a chi sostava vicino al mare.
Nel giro di pochi minuti al tavolo rimasi da sola con una fetta di dolce a metà e il bicchiere di sangria ancora pieno, ebbi per qualche secondo la tentazione di raggiungere Valerio ma i gridolini eccitati mi ricordarono il perché per anni avessi abbandonato la spiaggia prima dello spettacolo pirotecnico. Era troppo tardi per fuggire, quella sera. Se avessi intrapreso il budello sarei rimasta bloccata tra la folla di turisti curiosi e comunque non sarei riuscita a raggiungere il mio bar preferito, quello nella piazzetta di Borgo Coscia, frequentato da pochi turisti, per lo più anziani, con le brioches calde a ogni ora del giorno e i biscottini di frolla con l'uvetta ad accompagnare sempre il caffè. Mi alzai per sistemare almeno la tavola, raccolsi i piattini e i bicchieri impilandoli prima di buttarli nel sacco nero, recuperai le teglie per la focaccia ancora rimasta che con molta probabilità avremmo mangiato il giorno seguente per merenda. In poco più di dieci minuti avevo già concluso e i fuochi non erano nemmeno a metà. Tornai al mio posto, addentai il pezzo di dolce e mi costrinsi a non sussultare ogni volta che il frastuono colorato esplodeva a pioggia. Non era il rumore a infastidirmi quanto i ricordi che trascinava con sé, le promesse, i desideri che ogni anno avevo espresso su quella stessa spiaggia e che mai si erano avverati. Un'ombra mi passò accanto prima di accomodarsi su una sedia poco lontana da Valerio, anche Matteo sembrava assorto nei suoi pensieri e prestava poca attenzione ai fuochi. Mi chiesi se anche lui stesse ricordando quella sera lontana, un ricordo scatenato dalle mie parole e da un'atmosfera piuttosto simile. Socchiusi gli occhi mentre il cielo notturno veniva illuminato da un cuore e ricordai la sera del ballo mancato, l'alito che sapeva di alcol di Matteo, il biascicare delle sue parole mentre di ritorno dal bagno mi aveva spinto dolcemente contro il muro di una cabina pensando che nessuno ci potesse vedere.
-Balla con me- mi aveva detto avvicinando paurosamente la bocca al mio collo coperto da una sciarpa per proteggermi dal vento. -Balla con me. Stai ballando con tutti, perché con me no?-. Dopo un sorso dalla bottiglia di birra che aveva in mano la posò a terra e con le mani un po' umide mi cinse i fianchi impostando un ritmo. Mi scostai.
-Sei ubriaco, Matteo, per favore. Elena ci sta guardando, non vorrei che pensasse-
-Elena può pensare quello che vuole, è ferragosto e io voglio ballare. Con te- aveva aggiunto prima di sorridermi e prendermi per mano per trascinarmi sulla pista da ballo improvvisata. Il cuore batteva a mille, in parte per l'emozione e in parte perché un Matteo così ubriaco non l'avevo mai visto. Con le spalle possenti si fece spazio in mezzo ai corpi degli altri, altrettanto ubriachi, poi una volta trovato un buon punto riprese a muoversi fuori musica, le braccia penzolanti e gli occhi offuscati. -Come sei bella stasera Ale- il suo complimento mi fece arrossire, a differenza sua non avevo bevuto nemmeno un goccio di sangria. La vicinanza con il suo corpo mi fece dimenticare il contesto, gli altri, mi strinsi maggiormente a lui iniziando ad assecondarlo. Giacomo ci guardò da lontano, scuotendo la testa, prima di voltarci le spalle per andare a chiamare qualcuno, forse suo padre. Mi godetti l'istante perché sapevo che di lì a poco la bolla sarebbe sfumata.
-Ballerei tutta la notte, con te, anche se questa musica è inascoltabile. Se chiedo gli Oasis dici che me li mettono- il colorito abbronzato con il tempo lasciò il posto a un pallore poco visibile con la sola luce di un lampione ronzate, fu il suo tono sempre più lento a farmi intuire che l'alcol stesse per sortire effetti indesiderati.
-Dai Teo, siediti un po', hai bisogno di prendere aria. Ti va un po' d'acqua?-
-Non voglio l'acqua- mi disse smettendo di assecondare il ritmo della musica, allontanò le mani dal mio corpo ma nonostante lo sguardo un po' lucido e la fronte bagnata le sue parole successive mi sembrarono serie, sicure, controllate. -Voglio fare l'amore con te-.
Non ebbi il tempo di rispondere, suo fratello e suo padre lo allontanarono con una mano su entrambe le spalle, Giacomo lo guidò facendogli salire i gradini con lentezza per allontanarlo dalla folla in spiaggia mentre Carlo non seppe più come scusarsi.
-Scusami ancora Ale, questa sera non era in sé dopo aver litigato con la mamma. Scusalo-.
Mi lasciarono lì con mille dubbi e desideri a pensare per tutta la notte a quella frase sussurrata e mai più affrontata, fino a qualche ora prima pensavo davvero che Matteo non la ricordasse più. Ma quel silenzio e l'imbarazzo sul lettino non li avevo immaginati.
Il rumore degli applausi mi riportò alla realtà, lo spettacolo era finito e i turisti iniziavano ad abbandonare la spiaggia. Valerio mi venne incontro, una felpa rossa da bagnino tra le mani e una scopa nell'altra. -Metti questa, inizia a essere umido. Mi dai una mano a sistemare?-
-Vanno già via tutti? Non ho mai visto una festa finire prima di mezzanotte- eppure voltandomi mi resi conto che la maggior parte delle persone era già fluita verso il budello senza un saluto o un ringraziamento.
Salutammo Mario che nel frattempo aveva indossato il solito giubbotto e lo rassicurammo che avremmo controllato tutto prima di andare via.
Era presto per tornare a casa ed annegare ancora nei pensieri, la compagnia dovette avere la mia stessa idea perché persino Giacomo si avvicinò alla radio e alzò il volume. -Un po' di musica ragazzi, altrimenti stasera è un mortorio-.
Lui, un paio di ragazze e ragazzi dello stabilimento accanto si misero a ballare nel centro della spiaggia ancora privo di lettini, ridendo e spintonandosi di tanto in tanto per aggiudicarsi gli ultimi bicchieri di sangria.
-Gli lascio tempo fino a mezzanotte poi tutti a casa, andate a festeggiare altrove-
-Dai Vale, è ferragosto!-
In prima fila il gruppetto dei genitori più Elena, sempre più pallida, sembrava aver messo le radici.
-Dici che sta male?- mi chiese Valerio. -Ha una cera...- scrollai le spalle cercando con lo sguardo Matteo trovandolo poi poco distante, a riva, con una sigaretta tra le dita e il giubbotto di jeans addosso. Il gruppetto finalmente si alzò scuotendo gli asciugamani.
-Non vi fermate?- domandai a Caterina in modo disinteressato.
-Ci piacerebbe ma siete tutti giovani, preferiamo continuare in un bar. Grazie per la festa, è stata comunque molto divertente- sembrava sincera ma preoccupata, le rughe sulla fronte più evidenti del solito.
-Elena ti fermi con noi? Fino a mezzanotte abbiamo il permesso del capo per un po' di musica, qualche ballo-. Con la coda dell'occhio vidi Matteo avvicinarsi, l'espressione cupa e lo sguardo basso mi fecero pensare all'ennesimo litigio con sua madre.
-No, Elena non sta bene, ha qualche linea di febbre e deve riposare. Matteo la accompagna a casa- si intromise ancora Caterina. Annuii tornando alle pulizie quando la risposta di Matteo mi colse di sorpresa.
-Non penso sia il caso, forse è meglio che l'accompagni suo fratello. Non torno a casa stasera, ci vediamo domani-.
Non diede tempo a sua madre di rispondere, le voltò le spalle recuperando una bottiglia di birra che fino a quel momento non avevo visto e si diresse verso il gruppetto che stava ballando. Persino Valerio mi rivolse uno sguardo incuriosito ma quella volta non avrei saputo rispondergli.
Ci congedammo passando a sistemare la prima fila, la felpa di Valerio era così calda e rassicurante che pensai di non restituirgliela. Per quanto mi sforzassi, però, non riuscivo ad allontanare lo sguardo dal gruppetto, da Giacomo che ogni manciata di minuti cambiava ragazza con cui ballare a Nick che ci provava palesemente con un'amica dai capelli rossi ma soprattutto da Matteo che si agitava da solo con la bottiglia ancora in mano.
-Se vuoi andare da lui vai, non so quanto riuscirai ancora a trattenere la curiosità.- Mi morsi il labbro, Valerio aveva ragione. Non sapevo come approcciarmi a Matteo, non dopo il disastro che avevo combinato prima e specialmente non dopo la conversazione con Caterina.
Non era così che avevo immaginato la sera di ferragosto.
Facendomi coraggio e respirando profondamente come prima di un esame all'università mi avvicinai al centro della pista da ballo improvvisata, non seppi dire se Matteo si fosse accorto della mia presenza o meno.
-Me ne dai un goccio? Era l'ultima- gli posai una mano sulla spalla mentre con l'altra indicai la bottiglia a metà.
-Non ti piace la birra- mi rispose tornando a guardare il mare e nascondendo un sorriso dietro la bottiglia. Il primo tentativo era fallito.
-Alla fine sei rimasta, hai cambiato idea sui fuochi?-
-Ti avevo promesso un ballo o sbaglio?- Fui io a coglierlo di sorpresa. Aggrottò le sopracciglia e sulle sue guance percepii un calore prima assente. Non se lo fece chiedere due volte, mi prese per mano e mi trascinò accanto a suo fratello troppo assorto nel corteggiamento per accorgersi di noi. Ci guardammo e basta, senza parlare, i nostri corpi in sintonia come la sera in discoteca ma più tranquilli perché sicuri che nessun fidanzato o fidanzata ci avrebbe disturbato. Ondeggiammo lentamente, le mie braccia dietro il suo collo e le sue attorno alla mia vita, strette ma non soffocanti, quasi rassicuranti e protettive. Dopo qualche minuto la ruga sulla sua fronte si rilassò e riuscii persino a strappargli un sorriso quando inciampai in un ramoscello abbandonato tra i granelli di sabbia.
-Era questo il ballo che volevi?- gli sussurrai mentre con un braccio mi faceva roteare.
-Non ci sono gli Oasis ma mi accontento lo stesso-. Bastò una frase a farmi ripensare a quella sera, alla sua espressione durante i fuochi.
La ricordava anche lui, aveva solo finto di non farlo, per proteggere entrambi forse, per non soffrire. Che senso avrebbe avuto affrontare quel momento quando nessuno dei due aveva il cuore libero? Avremmo sofferto e basta. Eppure otto anni dopo eravamo di nuovo lì come due calamite a stringere l'altro e sperare che quel momento durasse il più a lungo possibile. Ci guardammo e i suoi occhi mi parvero più limpidi e chiari del solito, quasi verdi nonostante li avessi sempre identificati con un marrone profondo. Sospirai, forse era davvero giunto il momento di parlare. Pensai a quella sera come all'inevitabile punto di rottura, qualunque cosa fosse successa dopo più nulla sarebbe stato come prima.
Un fischio acuto interruppe i miei pensieri e ci costrinse ad allontanarci, mi voltai quasi stizzita verso Valerio che sembrava estremamente divertito.
-Tra mezz'ora devo chiudere la spiaggia cari bagnanti. È l'ora del bagno! Chi arriva ultimo domani pulisce la spiaggia- non terminò la frase che, prendendo la rincorsa, si gettò in acqua senza nemmeno essersi tolto la maglia. Dietro di lui in un gregge disordinato arrivarono dopo pochi istanti anche gli altri, mi aspettai che Matteo li seguisse invece quando mi voltati per incoraggiarlo lo trovai ancora intento a guardarmi.
-Che c'è?- gli sussurrai nonostante in spiaggia fossimo rimasti solo noi. -Non ti butti?- Scosse la testa prima di inclinarla di lato quasi imbarazzato.
-No, non stasera. Ti va una passeggiata?- Quella sera non mi sarei tirata indietro. Dovevamo risolvere una volta per tutte, parlarci a cuore aperto per mettere da parte il rancore, i sentimenti inespressi, per ricominciare con il cuore più leggero. Sarebbe cambiato tutto, nel bene o nel male.
Gli feci cenno di precedermi verso il torrione e quando mi voltai per seguirlo mi parve persino di cogliere un sorriso incoraggiante sul volto di Valerio. Per un po' restammo in silenzio, cullati soltanto dal rumore delle onde, la luna al di là delle nuvole fece capolino rischiarando un'imbarcazione solitaria appena oltre la linea delle boe. Oscillava lentamente, in balia della bava di vento che insolitamente soffiava.
-È stata una bella serata, vero? Certo, non fosse stato per le chiacchiere di mia madre-
-Non riuscite proprio ad andare d'accordo, neanche dopo anni?- domandai per poi esitare quando mi venne in mente la scena con Elena. -Ti ho visto teso prima, sicuro che vada tutto bene?-. Un battito di silenzio, ancora uno prima che lentamente Matteo scuotesse la testa ed esalasse un respiro.
-Non ti arrendi mai?- mormorò tra sé e sé aumentando le falcate. Poco distante da noi nel ristorante più lussuoso di Alassio la serata ancora non era finita, a giudicare dall'abbigliamento immaginai fosse una rivisitazione di una cena in bianco. Musica a palla, bicchieri di Prosecco e cocktail colorati, nonostante l'età media fosse piuttosto avanzata erano l'emblema del divertimento.
-Abbiamo litigato poco prima che uscissi di casa, come al solito. Giacomo si stava facendo i fatti suoi e per una volta non è intervenuto mentre mio padre sai che non si immischia mai nelle nostre cose- la stessa storia da almeno un decennio. Mi aspettai che il racconto finissi lì, che non elaborasse o proseguisse per cui mi sorpresi del repentino cambio di argomento.
-Mi hai chiesto se vada tutto bene, davvero Ale? Perché sai bene che non è così, non va bene, non va bene da giorni-. Deglutii sentendo il senso di colpa assalirmi. Una sera da quasi ubriachi e qualche battuta di troppo avevano mandato in crisi entrambi, più di quanto ci aspettassimo e fossimo pronti. Se da una parte la mia storia, o presunta tale, con Paolo era comunque giunta a un capolinea la sua storia con Elena non poteva dirsi finita e lo sapevo, non con i progetti che ella stessa mi aveva raccontato.
-Mi dispiace- sussurrai sinceramente prima di anticiparlo e sedermi su uno degli scogli asciutti, il più distante dalla riva e anche il più riparato dal vento. Mi scompigliai i capelli e attesi che dicesse qualcosa.
-Forse era la scossa di cui avevo bisogno-. Il primo colpo era stato sferrato. -Credo che mia madre si sia accorta della tensione che c'è tra noi due, mi ha fatto delle domande, private, qualche giorno fa e io non ho smesso di pensarci. Quel giorno, quando ti ho visto al molo, non pensavo che entrambi ci saremmo ricaduti e stasera...stasera non potevo fare a meno di guardarti, di cercarti, di voler trascorrere del tempo con te-. Compresi le sue parole implicite. Entrambi eravamo consapevoli dell'attrazione che ancora ci legava, era chiara a chiunque, ma non eravamo pronti a un coinvolgimento anche emotivo. Voleva dirmi che una notte e via questa volta non sarebbe stata sufficiente, che eravamo oltre ormai il semplice desiderio di possedersi, di perdersi e ritrovarsi sulla pelle dell'altro. Gli feci segno di accomodarsi accanto a me e lo fece senza esitazione. Guardammo entrambi il mare per interminabili minuti, lo sentivo vibrare accanto a me, incerto se dirmi o meno quello che gli passava per la testa.
-Io ed Elena siamo in pausa- la seconda bomba venne sganciata dopo minuti di silenzio, nel cuore di una serata di festa, illuminata soltanto dalla luna e dalle luci lontane della costa. Boccheggiai in cerca di una risposta prima di richiudere le labbra perché nulla di quello che avevo in mente poteva rispondere a una simile ammissione. -L'altro giorno, dopo il supermercato. Mi ronzava in testa da qualche giorno e alla fine non sono più riuscito a trattenermi. Che senso avrebbe avuto mentirle ancora? Toccarla sperando sia un'altra donna, averla vicino sognando di essere altrove-. Mi ricordai il suo nervosismo, l'agitazione prima di entrare al supermercato, persino la nostra discussione. E io come un'ingenua non l'avevo capito, anzi, ero rimasta persino delusa del suo comportamento. Avrei immaginato qualsiasi discussione quella sera, persino le più irruente che ci avrebbero portato a settimane di silenzio, ma non quella confessione. Non da lui che mi sembrava irremovibile qualche sera prima.
-Le hai- dovetti umettarmi le labbra prima di continuare a parlare, la bocca secca a causa dell'anticipazione e del nervosismo. -Le hai detto di noi?- non mi fermai nemmeno a pensare al fatto che un "noi" ancora non esisteva.
-No, perché non è il motivo principale della nostra pausa, ma credo che mia madre l'abbia capito- e da lì la discussione e gli sguardi gelidi per tutta la serata.
-Scusami per prima, non volevo ferirti con il mio commento, se avessi saputo-
-Cosa? Se avessi saputo che io ed Elena non stavamo più insieme non l'avresti fatto? È il nostro passato Ale, non possiamo scappare dalle cazzate che abbiamo fatto, io per lo meno non ci riesco. Ho pensato di poter gestire tutto e alla fine ho fatto un casino-. D'istinto gli posai una mano sulla spalla, consolatoria e incoraggiante al tempo stesso.
-Non hai fatto un casino, Teo, alcune cose forse sono inevitabili nella vita-. Mi venne in mente il nostro primo incontro, il primo ragazzo che avevo incontrato in quella spiaggia che sarebbe stato di lì a poco il mio primo amore. -Quando avevo quattordici anni e ti guardavo da lontano mi sentivo una stupida, un'ingenua. Come avresti mai potuto guardarmi? Eppure non riuscivo a smettere e quando mi parlavi toccavo il cielo con un dito.- Matteo ridacchiò, più leggero per il cambio di argomento. -Quella notte dopo il primo bacio non riuscivo a prendere sonno, mi sembrava un sogno. Poi sono arrivati Elena e Paolo e ho lottato con tutta me stessa per far prevalere la mente perché, ammettiamolo, non è che il cuore mi abbia portato grande fortuna. Ma quella sera a ferragosto ha prevalso e per tutta la serata non ho smesso un secondo di pensare al nostro ballo, di immaginare come sarebbe stato, se per una sera avessimo potuto accantonare un po' i nostri partner. E anche quello è andato com'è andato così ho deciso che non avrei più espresso alcun desiderio a ferragosto, non volevo più rimanere delusa e passare il giorno dopo a piangere. Ho anche deciso che non avrei più visto i fuochi, che non sarei rimasta in spiaggia....che non l'avrei trascorso con te-.
-È per quello che non volevi ballare con me?-
-Anche.- mormorai mentre un bicchiere di vetro si infranse a qualche metro da noi facendoci sobbalzare. -Dopo gli ultimi giorni non volevo sperare o crearmi false idee, salutare tutti e tornare dopo sarebbe stato più facile-.
-Capisco- mormorò qualche secondo dopo. Lo sentii muoversi sullo scoglio accanto in cerca di una posizione più comoda, appoggiò il busto sulle braccia tese sullo scoglio precedente e alzò il volto verso la luna.
-Eri così evidente da ragazza, un libro aperto, mi bastava guardarti per capire i tuoi pensieri. Credo che nessuno non fosse a conoscenza della tua cotta per me- gli diedi una spinta facendogli perdere l'equilibrio per qualche istante. -No, davvero, mi guardavi con quegli occhioni...te lo ricordi Paride?- annuii tornando con la mente alla nostra prima sera in discoteca. -Mi ha chiamato per farmi gli auguri e io non ho smesso un attimo di parlargli di te, mi ha chiesto se fossi pazzo a lasciarti andare ancora una volta-. Sentii le guance scaldarsi eccessivamente e abbassai la testa per nasconderle. Quella serata stava prendendo una piega del tutto inaspettata.
-Ti ha fatto venire lui la voglia del ballo? Forse dovrei chiamarlo per ringraziarlo- e per stuzzicarlo provai ad estrargli il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
-Non ti azzardare Ale- mi disse ridendo, un mano a bloccare il movimento delle mie. Mi imprigionò il polso ma continuò a guardarmi, i nostri visi distanti pochi centimetri avvolti dalla penombra. Quando il suo sguardo divenne troppo insistente lo lasciai scivolare sulle sue labbra umide, erano così vicine, prima di alzarlo nuovamente. I due occhi color nocciola erano ancora lì, sinceri e sicuri come non li vedevo da anni. Con un movimento lento e la sua mano iniziò a tirare verso di sé il polso destro ancora imprigionato nella morsa, con dolcezza si alzarono verso l'oggetto del mio desiderio di pochi secondi prima. Gli occhi si chiusero e quasi in contemporanea una lieve pressione si appoggiò sul mio polso inumidendolo, facendomi tremare di eccitazione e attesa insieme, le labbra si schiusero appena, lo spazio necessario per far filtrare la punta della lingua che velocemente si ritrasse. Mi avvicinai con il busto fino ad alzarmi completamente dallo scoglio e appoggiarmi sulle sue cosce, una mano sul suo braccio a sostenermi e l'altro appena divenuto libero si andò a posare sulla guancia ispida. I sorrisi successivi si aprirono all'unisono e potrei giurare che sarebbero stati in grado di rischiarare l'intera nicchia se solo non fossimo stati interrotti.
-Avete una sigaretta?- uscendo dalla trance in cui ero caduta mi voltai scocciata trovandomi di fronte una ragazzina, poteva avere al massimo quindici anni nonostante il trucco pesante e parzialmente sbavato. Mi guardò in attesa, spronandomi con la mano. Rispose Matteo per me dicendo che le avevamo dimenticate a casa, la ragazza ci guardò incuriosita prima di scuotere le spalle e voltarci le spalle.
-Bella coppia ragazzi!- ci urlò dietro senza guardarci e noi scoppiammo a ridere, forse per stemperare l'attenzione del momento e non pensare al mio viso rosso e ai pantaloni di Matteo divenuti più stretti. Con un colpo sul fianco mi spronò ad alzarmi prima di seguirmi e cingermi le spalle con un braccio, mi tirò verso di sé e ci incamminammo verso la nostra spiaggia dove avevamo lasciato tutto. Il suo calore mi avvolse e mi rinvigorì, cancellare il sorriso dal volto fu impossibile. A un certo punto pensai di mettermi a correre e saltare dalla gioia, esplicitamente non avevamo detto nulla ma dietro le nostre confessioni c'era finalmente una pietra tombale sul passato di rancore e delusione. Il dolore era ancora lì e sarebbe rimasto per sempre insieme alla paura, al terrore di non essere abbastanza. Avremmo dovuto parlare ancora, tanto, della rottura, degli anni successivi, delle volte in cui eravamo finiti a pochi centimetri dalle labbra dell'altro ma all'ultimo la ragione aveva prevalso. Non quella sera, quel nuovo inizio andava celebrato diversamente.
-Ti va un bagno?- gli domandai d'impeto senza staccarmi dal suo abbraccio protettivo. Eravamo a pochi passi dal nostro stabilimento, il gruppo di suo fratello era sparito e alzando velocemente gli occhi sulla finestra della camera di Valerio la luce accesa mi confermò anche la sua assenza.
-Mi stai davvero chiedendo di buttarmi in acqua all'una di notte, a Ferragosto. Tu Ale?- compresi il suo stupore, in tanti anni di spiaggia erano rare le volte in cui mi ero unita alla compagnia per il bagno di ferragosto. Crescendo l'attenzione un po' vanitosa era stata per i capelli, per il trucco, per il vestito nuovo acquistato per una notte fiabesca che non potevo rischiare di bagnare.
Non risposi alla sua provocazione ma mi liberai dalle sue braccia, portando lentamente le mani sul colletto della sua camicia e con lentezza bottone dopo bottone li feci uscire dall'asola. -Ale, non mi provocare- il tono di voce più basso, un po' tremolante, di Matteo mi fece sorridere.
-Non ci vede nessuno- mormorai prima di continuare la mia discesa lenta. Le mie dita approfittarono dello spazio lasciato dalle asole per accarezzargli la pelle del petto glabro, caldo e abbronzato. -Sei fredda- mormorò a sua volta ma senza allontanarsi, anzi, si avvicinò ancora di più rendendo lo spazio tra noi due quasi impercettibile. Con le mani sui miei fianchi mi tolse lentamente la felpa di Valerio prima di giocare con la scollatura del mio vestito.
-Quella possiamo anche buttarla, a casa ne ho di migliori da farti indossare-. Fu il suo turno di provocarmi e il sorriso con cui mi tolse l'abito lasciandomi con il solito intimo addosso ne fu la prova. La mente corse a quel giubbotto di jeans in cui ripetutamente avevo affondato il naso per cercare Matteo, sentirlo vicino quando in spiaggia nemmeno ci parlavamo, le notti in cui lo avevo stretto tra le mie braccia sotto le lenzuola nell'illusione che un giorno il suo proprietario potesse sostituirlo.
Arrivata all'ultimo bottone lasciai la camicia aperta sul petto, alzai lo sguardo a incrociare quello di Matteo mentre con le gambe iniziavo a indietreggiare verso la riva. -Chi arriva ultimo paga la colazione-.
Mi misi a correre verso l'onda successiva, un risolino infantile sulla bocca e l'euforia di una notte d'amore a ribollirmi nel sangue. Non attesi che si spogliasse, mi infilai nell'acqua incurante per una volta del trucco sbavato e dei capelli freschi di parrucchiere, un'acqua che insieme al sale sapeva anche di libertà, di leggerezza, di euforia. Riemersi con lo stesso sorriso con cui mi ero immersa prima di voltarmi verso la riva e trovare Matteo ancora per metà vestito, le braccia distese lungo i fianchi e piedi nell'acqua nonostante i jeans gli coprissero le gambe. Attesi che mi raggiungesse ma quando vidi che rimaneva immobile inizia a nuotare verso la riva, per un attimo pensai di incitarlo poi mi ricordai che urlare nel cuore della notte non rientrava nell'educazione che mi aveva severamente impartito mia madre.
-Finirà mai di essere una sfida tra di noi?- mi domandò venendomi incontro, i jeans ormai irrimediabilmente fradici.
-Non credo, fa parte di noi secondo me, di quello che siamo, del nostro modo di rapportarci all'altro. Vuoi che esca? Possiamo fare due passi nel budello se non ti va- mi zittì lasciandosi cadere in ginocchio nell'acqua in modo tale che i nostri volti fossero più o meno allo stesso livello e io con solo l'intimo addosso non prendessi freddo.
-Eri così bella da guardare, così libera come non ti vedevo da anni che mi sono goduto il momento-. Le mie braccia si mossero automaticamente attorno al suo collo mentre le sue prontamente si chiusero attorno al mio corpo così che la camicia scoperta potesse proteggermi dal freddo e da possibili sguardi indiscreti.
-Ho trovato un buon motivo tornare a festeggiare- mormorai.
-Hai espresso un altro desiderio?- mi rispose riprendendo la nostra conversazione precedente.
-Non ne ho bisogno-. Ed era vero. Che senso avrebbe avuto esprimere un desiderio guardando le stelle quando tutto quello che avevo sognato e sperato per anni stava prendendo forma davanti ai miei occhi? Lui, noi, il mare e una notte stellata. Non desideravo null'altro.
-Io sì, l'ho fatto prima, durante i fuochi. Verso la fine ho chiuso gli occhi e ci ho creduto con tutto me stesso-
-Si è avverato?- domandai stringendomi ancora di più al suo petto per combattere un brivido, Matteo se ne accorse e con un movimento leggero trascinò entrambi più avanti così che l'acqua potesse coprire buona parte dei nostri corpi.
-Non ancora- se non ci fosse stato il completo silenzio non sarei riuscita a udire la sua risposta.
Allora ci guardammo in silenzio perdendoci negli occhi dell'altro, condividemmo il respiro per un minuto intero, un brivido attraversò il mio corpo prima di riversarsi nel suo. L'acqua era ancora tiepida nonostante fosse notte inoltrata, un gabbiano poco distante planò oltre la boa prima di rialzarsi in volo, come se stesse giocando.
La mano di Matteo si posò allora con lentezza sulla mia guancia, una carezza tenera a cui non ero più abituata. Nel suo sguardo non colsi lussuria, non in quel momento, ma un sentimento dolce sopito a lungo, un'attenzione per il mio volto e per il contorno delle mie labbra che mi fece sentire, per qualche istante, la donna più bella dell'universo sotto i suoi occhi.
-Posso baciarti?- mi chiese in un mormorio, rompendo il silenzio. Mascherai la sorpresa con un sorriso, ricambiando la carezza sul suo volto. Non era da lui chiedere, esitare, attendere una risposta. In quel breve periodo di relazione, anni prima, non ricordavo una sola volta in cui mi avesse chiesto il permesso di baciarmi, di abbracciarmi, lo faceva e basta in modo impulsivo, il mio sguardo limpido la conferma necessaria per compiere quei gesti d'affetto. Mi domandai cosa non riuscisse a interpretare nei miei occhi, quella sera, la mia espressione non era forse sufficientemente aperta? Disponibile? Temeva, forse, che non provassi i suoi stessi sentimenti?
-Me lo stai chiedendo davvero?- Scosse la testa in un movimento sbrigativo ma sul suo volto rimase l'incertezza.
-Siamo all'aperto, chiunque passando sulla spiaggia potrebbe vederci, il tuo amico del cuore potrebbe affacciarsi a quella finestra e- lo zittii posandogli un dito sulle labbra carnose, umide per la veloce azione della lingua a rinfrescarle prima di parlare a causa del nervosismo palese.
-Non ho nulla da nascondere, Matteo. Non ho paura-.
Sollevò la mano ancora impegnata ad avvolgere la mia guancia e la intrecciò con la mia posata sulle sue labbra, strinse le presa e se le portò entrambe al petto prima di colmare la distanza tra di noi e lasciare che le nostre labbra, finalmente, si gustassero reciprocamente.
Cassandra:
Ciao a tutti! Eccoci arrivati finalmente a metà della nostra storia, i nostri protagonisti in una delle notti più magiche dell'anno hanno trovato il coraggio di mettere da parte dubbi e incertezze e lasciarsi finalmente andare. I problemi per la coppia sono finiti qui? Cosa ne sarà di Elena, si rassegnerà così velocemente?
Se vi va, ditemi cosa ne pensate del capitolo, attendo i vostri commenti.
Alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2891337
|