Sulle tracce del passato di Sghisa (/viewuser.php?uid=57762)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rewind ***
Capitolo 2: *** Giallo limone ***
Capitolo 3: *** solchi e insonnia ***
Capitolo 4: *** Uomini ***
Capitolo 5: *** Sparizione ***
Capitolo 6: *** Veronica, parte prima ***
Capitolo 7: *** Veronica parte seconda ***
Capitolo 8: *** Nuvole e aereoplanini ***
Capitolo 9: *** Disclaimer ***
Capitolo 10: *** Di sbarre e libertà ***
Capitolo 11: *** Galli nel pollaio ***
Capitolo 12: *** Logan, parte prima ***
Capitolo 13: *** Scontri ***
Capitolo 14: *** Obbligo o verità ***
Capitolo 15: *** Venere e Marte ***
Capitolo 16: *** Logan, parte seconda ***
Capitolo 17: *** Questione di Lilly e di fiducia ***
Capitolo 18: *** Una cena quasi perfetta ***
Capitolo 19: *** L'ora dei conti ***
Capitolo 20: *** Segreti svelati ***
Capitolo 21: *** Comode verità ***
Capitolo 22: *** Preparativi ***
Capitolo 23: *** Il primo giorno ***
Capitolo 24: *** Il ballo ***
Capitolo 25: *** Found raising ***
Capitolo 26: *** Eroi ***
Capitolo 27: *** L'onda perfetta ***
Capitolo 28: *** Piccoli grandi passi ***
Capitolo 29: *** Dejavù ***
Capitolo 1 *** Rewind ***
Rewind
Pochi tra coloro i quali la conoscevano da adolescente, avrebbero
riconosciuto nell’avvenente ed elegante giovane donna seduta
al bancone del Dressing Club di L.A. la loro compagna, amica, nemica:
Veronica Mars. Certo aveva fatto strada, la sua vita era profondamente
cambiata: non viveva più a Neptune, né si
riconosceva nell’orfana detective che, pur di scoprire
l’assassino della sua migliore amica, aveva messo in dubbio
la lealtà di chi la circondava, le dava e chiedeva fiducia.
Erano passati molti anni, anche se non troppi, rintracciabili nella
postura elegante, nello sguardo maturo, nell’abbigliamento
ricercato. Anzi, i più l’avrebbero scambiata
magari per una giovane attrice, in cerca di fama e successo, disposta a
tutto o quasi per compensare la scarsa abilità recitativa.
Il nero e succinto abito, dall’ampia scollatura sulla
schiena, poteva trarre in inganno: chi si fosse seduto di fianco alla
giovane donna dai sottili polsi delicatamente fasciati da un
braccialetto d’oro bianco avrebbe creduto di trovarsi in
compagnia di una viziata ragazza, in cerca di compagnia o di emozioni
forti. Ma avrebbe sbagliato di grosso. Eppure era quella
l’impressione che la minuta figura mandava. E poi quel drink,
in un pesante bicchiere di vetro, colmo di ghiaccio e di un liquido
dall’ambrato colore, che di sicuro, a chi l’avesse
assaggiato, non sarebbe sembrato fresco succo di mela. Veronica Mars,
la cui madre l’aveva tradita e abbandonata per una bottiglia
di Vodka stava sorseggiando del buon Whisky, una bevanda non adatta a
una signorina, ma a una donna disperata.
“Avevo promesso a me stessa di non finire mai in queste
condizioni, eppure mi ci hai portata. Ma è possibile? Dopo
tanti anni torni a tormentarmi, e a rovinarmi la vita…
Certo, rivanghiamo i vecchi tempi, si ti devo indubbiamente un favore,
comprendo quanto tu sia nei guai, ma questo è davvero
troppo! Non te la perdonerò! Prima però portiamo
a termine il compito, incassiamo la ricompensa, e poi
vedrai!”.
Sbattendo il bicchiere mezzo pieno sul lucido bancone di marmo bianco,
destando quindi l’attenzione degli avventori concentrati in
superficiali conversazioni accompagnate da dolce musica Jazz,
s’alzò, prese il soprabito ed uscì a
passo spedito dal bar, per salire al piano superiore, dove
l’attendeva il proprietario del locale. Sapeva dove andare,
anche se non era mai stata in quel luogo. Ma tutto parlava di lui, e
lei lo conosceva bene, molto bene. Imboccò le ampie scale,
preferendole all’ascensore. Troppi ricordi. Il tappeto
bordeaux attutiva il ticchettio dei suoi alti tacchi. Con ostentata
sicurezza avanzava, ma in cuor suo tremava.
Arrivata alla porta del salottino privato, tentennò, e poi
estrasse una busta bianca, bordata d’oro, e la porse allo
scimmione muscoloso dai tratti indios che le si parava di fronte. A
questi bastò un’occhiata per farsi da parte e far
accomodare la giovane nella stanza privata del padrone.
“Ti stavo aspettando. Grazie di essere qua!”. Il
cuore di lei fece un balzo al sentire quella voce calda e suadente.
Già, era passato proprio tanto tempo, forse troppo.
Kieth Mars aspettava con ansia che la sua bambina lo chiamasse. Erano
diversi giorni che le lasciava messaggi in segreteria e lei rispondeva
con bervi sms nei quali gli assicurava che stava bene e che presto
avrebbe chiamato. Ma ciò non accadeva. Stava seduto alla sua
scrivania, fissando il telefono. La sua attenzione venne distolta da un
movimento sulla soglia.
“Keith, ti stanno chiamando insistentemente sulla linea uno,
potresti rispondere? Non vorrei perdere tutta la mia giornata nel farmi
insultare dall’ennesima moglie insoddisfatta e
diffidente!”.
“Scusa Leo, aspettavo una chiamata sulla linea privata e non
mi sono accorto di quella maledetta luce rossa che lampeggiava.
Rispondo subito”.
Il bel giovane sorrise, e si chiuse la porta alle spalle.
“So cosa tormenta Keith, ha tormentato tutti almeno una volta
nella vita. Te sei suo padre, quindi lo farà
finché ci sarai, vecchio mio!”. E con fare
baldanzoso si sedette alla sua scrivania, compilando i vari moduli e
facendo le solite telefonate di routine.
“Pronto, Keith Mars, in cosa posso esserle utile?”
“Ciao Keith, ne è passato di tempo eh? Penso che,
nonostante io sia molto contrariata, dovrò chiederti aiuto.
Solo te puoi muoverti con la dovuta discrezione e hai i contatti
necessari per essermi utile.” Era una voce di donna seria e
di classe, poco cordiale, ferma e decisa. Una voce nota, anche se da
lungo tempo non udita.
“Già, sembra quasi una vita. In cosa posso esserti
utile?”
“E’ inutile sottolineare quanto questa faccenda sia
delicata. Sono certa tu possa comprendere. Devi trovare qualcuno per
me, e non è un qualcuno qualsiasi. Ho poco tempo, o meglio
tu hai poco tempo, dal momento che ti ho assunto. Tempo pieno, servizio
gold, o come si chiama… i soldi non sono un problema, lo
sai.”
Keith annuì.
“Immagino tu preferisca parlare faccia a faccia.
Potrebbe sempre esserci qualcuno che ascolta. Dimmi dove e quando. Ma
sarò assunto solo se e quando lo deciderò io.
Tienilo presente.”
“Vedo che non hai perso la tua grinta. Forse gli anni non
passano allo stesso modo per tutti”
“Oh si che passano! Credimi!”
“Bene, tra un’ora al Java de Hut?”
Il responsabile uomo all’altro capo del telefono non fece in
tempo a rispondere: ora il suo interlocutore era un monotono e
ripetitivo “tuut tuut”.
Wallace Fennel stava tornando a casa in auto. La sua giornata si era
rivelata assai fruttuosa: era riuscito ad ottenere che la marca
produttrice delle divise della sua squadra devolvesse parte del
ricavato in borse di studi per giovani africani. Il suo progetto era
iniziato diversi anni prima, quell’estate in cui aveva
conosciuto la vita aldilà dell’imbellettata e
ricca California. In quell’estate di diversi anni prima aveva
deciso che sarebbe diventato qualcuno, e che con i propri soldi avrebbe
finanziato non carità o beneficenza, ma formazione e
istruzione, investendo direttamente in progetti di sviluppo e non di
pietà.
E ci era riuscito. Aveva coniugato le proprie passioni, ed era divenuto
ricco, molto ricco. Ma non aveva tenuto i soldi solo per sé:
li aveva reinvestiti in California, ma anche in questo progetto in
Africa. Wallace Fennel capeggiava sia sui manifesti pubblicitari, sia
nel campo dell’economia. Chi l’avrebbe mai detto?!?
Di certo non i bulletti che al lice lo avevano deriso ed isolato.
Neppure i professori che all’università lo avevano
sottovalutato. Solo una persona avrebbe puntato tutto su di lui:
Veronica Mars, la sua migliore amica, fisicamente svanita da un giorno
all’altro qualche anno prima.
Spesso pensava a lei, a come finita la laurea avesse salutato tutti,
con la promessa di una vita ricca di successo. E così era
stato. Molti conoscevano il suo nome, ma pochi sapevano chi fosse.
Aveva a lungo capeggiato sui titoli delle più famose testate
del paese, per le sue incredibili doti, la bravura nel fare il suo
mestiere, la capacità a scovare la verità,
ovunque essa si celasse. Eppure non era più tornata a
Neptune. Una volta era andato fino a L.A., dove la giovane aveva il suo
ufficio, e aveva aspettato a lungo. Ma la segretaria aveva
più volte sottolineato come la sua datrice di lavoro fosse
“in missione” e non avesse dato informazioni sulla
prevista data di ritorno. Con le mani in tasca Wallace aveva sollevato
le sue atletiche chiappe dallo scomodo divanetto in sala
d’attesa ed era tornato sui suoi passi. Si sentivano spesso,
e la tecnologia li aiutava a restare in contatto ovunque si trovassero,
ma quella lontananza forzata iniziava a infastidirlo. Sapeva a chi
rivolgersi. Imbocco la prima strada sulla destra e si
ritrovò di fronte ad una sontuosa villetta immersa nella
quiete e nella natura, abbarbicata su una scogliera che, trecento metri
più sotto, si gettava nell’agitato oceano pacifico.
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Capitolo 2 *** Giallo limone ***
Giallo
limone
Keith
Mars era seduto a uno dei
tavolini dello Java de Hut, spazientito: aspettava già da
mezz’ora. Mezz’ora di
lavoro perso, mezz’ora in meno di guadagno. Certo, la gente
ricca di Neptune
era da sempre nota per lo scarso rispetto che portavano per chi stava
su
livelli inferiori della scala sociale, ma lui non era un giardiniere
che si
sottomette senza rispondere. Quella donna l’avrebbe scoperto
presto. Era
immerso in irosi pensieri, quando la sua attenzione fu attratta
dall’ingresso
della donna che aspettava. Solo qualche capello bianco in
più la faceva
sembrare più vecchia, ma il trench giallo e la camminata
fluida e sicura di se
tradivano la sua vera età. Avrebbe riconosciuto Celeste Kane
anche cent’anni
dopo: l’altezzosità e la superbia sono cose che
non migliorano con l’età.
“Ciao
Keith”
“Celeste…
Accomodati. Posso
ordinare qualcosa per te?”
“Un
caffè, per cortesia.” Disse
con disinvoltura la donna, mentre sfilava il soprabito e si accomodava
di
fronte all’ex sceriffo di Neptune. “Vedo che la
storia è destinata a ripetersi.
Ormai sono cinque anni che hai perso il tuo posto da sceriffo. Ma
Vinnie non è
paragonabile a Lamb. La vita a Neptune si è fatta davvero
pericolosa. Non
pensavo l’avrei mai detto, ma tu avresti dovuto vincere le
elezioni.
Concorrerai l’anno prossimo?”.
“Non
penso di farlo. La città ha
chiarito come io non sia adatto a rappresentarla. In effetti Vinnie
ricorda più
il modello del corruttibile e truffaldino difensore degli interessi
propri e di
chi lo paga, in linea con la gente di Neptune, non trovi?!?”
ribadì Keith, in
tono provocatorio.
“Lasciamo
perdere i convenevoli.
Non siamo qui per chiacchierare, e direi che ci siamo abbastanza
punzecchiati a
vicenda. Ti ho chiamato perché so che mi posso
fidare.” Celeste era
evidentemente poco interessata alla chiacchiera. Era chiaro che
qualcosa la
tormentava. Si girava e rigirava le mani in grembo, il suo sguardo
vagava da un
angolo all’altro del locale, come fosse in cerca di qualcosa,
o di qualcuno. “Keith,”
proseguì “una madre può sopportare
tanto. Che la propria figlia venga uccisa,
che il colpevole venga scagionato, che il proprio adorato erede metta
in cinta
la figlia dei puritani della città, che abbia una relazione
con tua figlia, ma
non può accettare di vivere il resto dei propri giorni senza
sapere dove lui si
trovi. Ho cercato di rintracciarlo, e Clarence è
misteriosamente sparito
assieme a lui. Sospetto che mio marito sappia qualcosa, ma voglia
tenermelo nascosto.
In fin dei conti su Duncan pesa ancora una denuncia per rapimento,
nonché l’accusa
di omicidio. Ma so che non è stato lui a uccidere Lilly,
come so che sta
crescendo la mia nipotina senza che io l’abbia mai vista. Per
questo motivo ti
chiedo di rintraccialo.”
Keith
sospirò. Poteva immaginarsi
tutto ciò. Molto vividamente. “Celeste, sai che se
io lo trovassi e ciò fosse
reso noto, tuo figlio dovrebbe rispondere di due gravissimi crimini? Se
fosse
all’estero, potrebbe addirittura essere presentata la
richiesta d’estradizione.
Non posso darti né la certezza di trovarlo, né
quella di non essere
rintracciato o pedinato da qualcuno. Però posso assicurarti
che, se accetterò
questo caso, farò il possibile per entrambe le
questioni.”
“Apprezzo
la tua franchezza.
Forse è l’unica cosa che ho sempre apprezzato di
te.” Rispose la donna abbozzando
un sorriso. Keith rifletté che non la credeva capace di
ciò. Con solennità
disse: “Concedimi un paio di giorni per rifletterci su.
E’ una questione molto
delicata. A che numero posso rintracciarti?”. In quel mentre
la loro
conversazione fu interrotta dall’arrivo della cameriera con i
caffè e i
pasticcini.“Prego signori…”.
Guidare
a quella velocità non era
una buona idea, ma la mascolina voce della cantante dei Guano Apes
faceva da
catalizzatore per le emozioni provate nelle due ore precedenti. Ira,
agitazione,
ansia, gioia, stupore. E la bella Mustang rossa che guidava le dava la
carica
giusta. Veronica Mars era un fiume in piena, come se
l’avessero svegliata
mettendole la mano sui carboni ardenti; si sentiva offesa, usata,
grata,
appagata. Non sapeva nemmeno lei chi era in quel momento. Era tornata
per brevi
istanti la diciottenne innamorata di un tempo. Si era rivista
l’anno della
morte di Lilly, rifiutata e ignorata anche da chi, come lui, prima le
era
amico. Aveva indossato nuovamente i panni della giovane donna
arrabbiata e
vendicativa, per poi dismetterli e sentirsi l’anima affine
del giovane uomo che
le stava davanti. Quell’incontro l’aveva davvero
scombussolata.
Non riusciva a capire cosa
le stesse
rimescolando lo stomaco, e decise che non voleva saperlo. Per quanto ci
provasse, sembrava che il passato non le si volesse scollare di dosso,
anzi,
che le fosse estremamente affezionato. Ma non si poteva dire
altrettanto, o
meglio, Veronica ricordava con affetto quei momenti, ma aveva anche
deciso di
voltare pagina, di andare avanti, perché guardarsi in dietro
e ripercorrere le
strade già note si era rivelato a dir poco fallimentare: con
Logan era proprio
finita male. Era arrivata a detestarlo. Anche per questo motivo, e per
la
terribile esperienza presso l’FBI, appena aveva potuto, fatti
armi e bagagli,
aveva lasciato Neptune.
Ma
no, il
suo passato doveva tornare ricorrente, rovinandole i piani. Ma come si
fa a
dire di no a una persona cui hai voluto tanto bene, si domandava? Una
persona
che forse hai amato, che ti ha offerto emozioni forti
e sentimenti sinceri? “Non si
può! Si deve dire di sì…Va bene, hai
vinto. Lo farò, e mi dedicherò solo a questo.
Senza considerare chi sei e
perché lo fai, ma… perché proprio
lui??? Questa cosa mi manda fuori dai
gangheri…”era immersa in questi
pensieri, quando le
squillò il telefono. Era un numero conosciuto, che le
strappò
un sorriso malizioso.
“Ciao
Leo…
avevo proprio voglia di sentirti!” in quel momento, in quel
preciso momento, i
cristallini occhi di Veronica brillarono nella buia notte di Los
Angeles.
Wallace
Fennel stava
parcheggiando quando un’agitata figura bionda si sporse dalla
finestra, mestolo
in mano, gridando: “Wallace, ti fermi a cena? Dimmelo subito,
ho giusto in
mente un paio di piatti niente male. E poi, uno in più non
può che rallegrare
la serata! Dimmi di sì, ti prego!!!”.
Scendendo
dalla macchina Wallace
pensò: “Poveretto, non lo
invidio
proprio. Chi avrebbe detto che Dick Casablancas sarebbe finito in
queste
condizioni?”.
“Ciao
Dick. Se proprio
insisti…”continuò, con l’aria
di chi si concede gentilmente alle suppliche.
“Perfetto, allora dico a Margareth di apparecchiare per uno
in più. Ti porto
qualcosa da bere?”.
“Grazie
Dick, quello che bevi
te.” Rispose il ragazzo, e si avviò verso la porta
d’ingresso. Ad aspettarlo
c’erano due bellissimi bambini, che non appena lo videro, gli
saltarono
addosso. Avevano solo due anni, ma se la cavavano già bene
con i placcaggi… Un
maschietto dai capelli corvini, ed una piccola principessa bionda come
il sole.
Una voce femminile con tono di rimprovero precedette la bella figura
della
madre: “Kathleen, Jasse, mannaggia a voi… non
potete aggredire le persone.” Poi
rivolgendosi a Wallace, la giovane donna mora disse: “Ciao
Wallace, qual buon
vento? Problemi col PC?”. Mac non era cambiata: il suo
sorriso era sempre
aperto e sincero. E nemmeno l’aver messo al mondo due figli
l’aveva cambiata: infatti,
a occuparsene, era per lo più Dick, mentre sua moglie
portava a casa il pane.
Mac aveva, infatti, scalato i vertici della Kane Software, e, quando le
proposero un ruolo di prestigio, pretese la propria liquidazione. Dopo
la
fusione di questa con il fondo di Dick, i due fondarono una ditta di
progettazione software che, da quel giorno, fu la più
detestata concorrente dei
Kane. Il lavoro la portava molto in giro, ma essendone il
co-presidente, poteva
prendersi il tempo che voleva. Non aveva rinunciato a Neputne, anche se
si era
trasferita poco fuori: il contatto con la natura le ricordava la sua
infanzia,
che forse da adolescente aveva disprezzato, ma i cui ricordi ora
custodiva con
tenerezza. La LikVer inoltre collaborava con la ditta di Wallace, e
finanziava
progetti nei paesi in via di sviluppo. Certo, la commistione tra
ingegneria dei
trasporti, pallacanestro e informatica ai più inizialmente
suonò strana, ma si
dovettero ricredere. I ragazzi sapevano il fatto loro. E presto avevano
cominciato a raccogliere i frutti, anche se il college era finito solo
da un
paio d’anni. La partecipazione di Max si era rivelata assai
utile; anche quando
Mac aveva rotto con lui, erano rimasti in buoni rapporti, e avevano
fondato
questa enorme impresa, della quale loro quattro erano tutti presidenti.
“E’
bello mettere piede in una
casa dove a risponderti non è l’eco delle tue
parole, credimi Mac” rispose il
giovane in tono compassionevole. Wallace aveva avuto diverse relazioni,
legate
alla sua fama come imprenditore, progettista e dirigente di una delle
migliori
squadre di Basket del paese. Ma nessuna si era rivelata seria
abbastanza da reggere
più di sei mesi. Quindi il giovane, nonostante fosse bello,
ricco e intelligente,
viveva da solo in una villetta in centro a Neptune. Non amava ostentare
la
propria ricchezza. Preferiva spendere il proprio denaro in modo meno
superficiale. E le ragazze le portava al Neptune Grand.
Raggiunto
il salotto, i tre si
sedettero sui divani, mentre i due vivaci bambini giocavano tra di
loro.”Allora
Wallace, come vanno gli affari?” chiese Dick, porgendo
all’amico un aperitivo.
“Alla grande fratello: ho ottenuto quel finanziamento, oltre
alla firma del
contratto per gli sponsor della prossima stagione! Va proprio alla
grande!”.
“E’ un notevole passo avanti, non
c’è che dire. Anche con il nuovo programma
stiamo vendendo bene, quindi se tutto va secondo le previsioni di Max,
per
l’autunno prossimo dovremmo avere i fondi per quelle borse di
studio”, concluse
Mac.
Dopo
la cena, accompagnata da
buon vino italiano e ottime chiacchiere, mandati a letto i bambini, i
tre amici
si ritrovarono a parlare di Veronica. Anche Mac, come del resto tutti,
di
recente aveva come sola interlocutrice la segreteria telefonica, che a
dirla
tutta non era proprio interattiva. Aveva lasciato decine di messaggi,
ai quali
nessuno aveva risposto. Stava iniziando a preoccuparsi.
“Ronnie
se la sa cavare! Dai
Cindy,” a sentir pronunciare il suo nome di battesimo, Mac
assunse un’aria
irritata e diede una possente gomitata tra le costole al marito.
Ignorandola
Dick andò avanti: “ la tua amica è
peggio di un gatto. Sarà semplicemente
invischiata in qualche pedinamento. Mogli tradite, frodi
fiscali…magari
peggio.” E rasserenò tutti con un malizioso
sorriso.
“Era
proprio per via di Veronica che sono venuta a trovarvi, ragazzi. Avete
mica un
paio di giorni liberi? Pensavo di andare a
cercarla…” Wallace stupì tutti con
queste parole. “Non ne posso più dei suoi silenzi:
anche miss Mars deve rendere
conto agli amici! Noi tutti le vogliamo bene, e siamo stufi che lei ci
ignori.”
Il tono era risoluto, e gli sguardi che incontrò furono
sufficientemente confortanti.
I tre giovani si scambiarono idee e progetti per tutta la notte. Di
lì a pochi
giorni sarebbero partiti.
Logan
Echolls era spossato dalla
dura giornata. Troppe emozioni. Aveva bisogno di staccare, di
rilassarsi.
Chiamò la cameriera e le chiese di portargli “il
solito, ma questa volta in
piscina, grazie”. Uscì dallo studio, si
recò in guardaroba, dove abbandonò con
svogliatezza i propri abiti su una sedia, indossò il costume
e l’accappatoio,
per poi recarsi in piscina, dove, poco dopo, la giovane Jen, la
cameriera, gli
portò uno Scotch ghiacciato, e lo lasciò ai suoi
pensieri. “E il passato
t’insegue, senza lasciarti mai tregua”,
pensò sconsolato il bell’attore. Il tempo passava,
ma le cose ciclicamente
tornavano, come per prenderlo in giro. Era un pensiero triste, ma allo
stesso
tempo dolce come il miele. L’aveva atteso e temuto quel
momento, ma era certo
sarebbe arrivato, prima o poi. Semplicemente lo aspettava dietro
l’angolo.
Molte
cose erano cambiate nella
sua vita in quei cinque anni. Dopo la tragica fine del primo anno di
college,
quello che era successo con Veronica, Parker e il Castello, aveva
deciso di
lasciare Neptune per dedicarsi alla carriera cinematografica. Aveva
iniziato
come produttore, mentre finiva gli studi, e poi si era lentamente
avviato alla
carriera d’attore. Aveva iniziato col teatro, per passione, o
meglio per amore.
Aveva conosciuto una bellissima e intelligentissima attrice di Los
Angeles,
Mary, che lo aveva introdotto al mondo del teatro. Finita la loro
relazione,
data la sua storia e il suo nome, Logan era stato invitato a fare
l’attore. E
aveva trovato la sua strada, che lo aveva reso ancora più
ricco e famoso di
prima. Aveva continuato a vivere con lo stesso stile, in una sontuosa
villa,
dove le feste abbondavano di champagne e belle ragazze.
E
poi, proprio mentre pensava di
essersi lasciato tutto dietro le spalle, ciò che era stato
gli aveva assestato
un bel dritto in pieno volto, svegliandolo dal torpore: il passato, col
suo
dolce profumo, lo perseguitava.
Si
lasciò cullare sull’acqua,
assorto nei suoi pensieri.
Ringrazio chi ha già
letto il primo capitolo e addirittura postato un commento. Pubblico il
secondo perchè è bello pronto, i successivi
arriveranno quanto prima!
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Capitolo 3 *** solchi e insonnia ***
Capitolo 3
Solchi e insonnia
Cindy McKenzie stava seduta alla sua scrivania. Nonostante fosse il
capo, amava armeggiare tra schede madri e sistemi operativi: si sentiva
ancora sé stessa in quelle occasioni, e non la dirigente di
una delle rivali della Kane Software. In quel momento stava giusto
lavorando al nuovo programma, che si prevedeva avrebbe dato filo da
torcere a tutti gli altri sistemi operativi, in primis,
poiché si presentava decisamente economico ed accessibile, e
poi perché, come Linux, avrebbe permesso agli utenti stessi
di elaborare programmi e migliorie, e di metterle in comune. Ma sarebbe
stato dotato anche di un’interfaccia semplice e accattivante,
quindi fruibile anche dai meno esperti. L’idea di unire
funzionalità, facilità e creatività le
era venuta mentre vedeva la sua dolce metà giocare con i
bambini: Dick era un maestro nell’ottenere con il minimo
sforzo il massimo del risultato.
Mac supervisionava e revisionava metodicamente ogni prodotto
della sua azienda. Solo previa la sua approvazione questi venivano
lanciati sul mercato. I pochi anni che erano passati non
l’avevano mutata più di tanto, ma dai movimenti
sicuri e dai gesti eleganti si poteva riconoscere in lei una vera
donna. Nonostante la gravidanza, aveva mantenuto l’aspetto
della dolce e timida ragazza del liceo, solo che caratterialmente era
divenuta meno timida e più agguerrita. In quel momento
indossava un elegante completo viola, con camicia vinaccia, le cui
maniche erano state arrotolate fin sopra i gomiti per facilitarla nei
rapidi movimenti. Il volto concentrato e teso era pur sempre lo stesso,
con qualche linea di trucco in più; a contornarlo due
ciuffetti bianchi, che risaltavano sul castano dei capelli. Quello di
tingersi era un vezzo al quale non aveva potuto rinunciare. Sullo
schienale della sedia stava appoggiata la giacca, nel taschino della
quale il cellulare vibrava incessantemente da buoni dieci minuti, ma
lei non se ne accorse. Distolse lo sguardo dal computer di
progettazione solo quando il palmare poggiato a fianco non
segnalò l’arrivo di una mail.
Con poca voglia Mac staccò le dita dalla tastiera, e impugno
l’infernale aggeggio che le impediva di essere sola con le
sue creature, che si trattasse dei figli o dei programmi.
Aprì la posta e le bastò leggere
l’oggetto della mail per farsi sfuggire una smorfia di
disappunto. Ma il peggio venne quando s’addentrò
nella lettura del testo
“Cari ex studenti diplomati del 2006,
è con grande onore che vi invito al Party di raccolta fondi
della Neptune High. In occasione del cinquantenario della fondazione di
questo istituto, si terrà un ballo commemorativo il giorno
15 del mese prossimo al fine di raccogliere fondi per
l’istituzione di borse di studio.
Il Preside Van Clemmons”
A ciò seguivano un invito formale con indicata
l’ora e il luogo dell’evento, e come allegato la
lista degli invitati, costantemente aggiornata con le conferme delle
presenze o i gentili rifiuti. Già molti studenti avevano
dato conferma della loro presenza, la maggior parte dei quali non era
ritenuta una “piacevole compagnia” da Mac.
“Guarda un po’!...”pensò, ma
non fece in tempo a seguire il filo dei propri pensieri che il telefono
sulla scrivania iniziò a suonare. Sapeva a chi apparteneva
la voce all’altro capo del telefono ancora prima
d’udirla, e, alzando la cornetta, sorrise.
Quando la serratura cinguettò provocando un lieve rumore
metallico, il proprietario di casa era intento a preparare una valigia,
e non se ne accorse subito. Non si aspettava visite, certamente non di
quel tipo. Aveva appena acquistato un biglietto aereo per
l’Australia, Sidney. Lì lo portava la pista che
stava seguendo. O meglio, era sicuro si trattasse solo della prima di
una lunga serie di tappe, che lo avrebbero portato a girare mezzo mondo
per poi magari ritrovarsi ironicamente a Neptune…
l’idea lo faceva sorridere, ma la trovava anche deprimente.
Keith Mars da tempo si sentiva stanco: spiare gli altri per poi essere
deluso dalla natura umana non gli aveva mai procurato piacere, ma ora
tutto ciò somigliava più che altro a una tortura.
La falsità, l’ipocrisia… come avrebbe
voluto una volta trovare una moglie non traditrice, un commerciante che
non fregasse i clienti con prodotti ingannevoli, un incidentato che lo
fosse per davvero, e che non frodasse l’assicurazione. Il
peso degli anni e della solitudine gli avevano incurvato lo spirito,
anche se dal fisico non lo si sospettava: non era cambiato di una
virgola!
Lianne non si era più fatta viva, per fortuna. Non avrebbe
retto l’ennesimo tradimento da parte sua. Alicia si era
sentita tradita dal suo comportamento, e lui non sel’era
sentita di forzarla. In fin dei conti capiva come lei potesse sentirsi,
e sapeva che la risolutezza della donna non sarebbe stata scalfita
nemmeno da un migliaio di rose rosse. Per non parlare della
fallimentare e discutibile relazione con Harmony. A volte si era
guardato indietro, e aveva pensato di riprovarci, ma poi gli si parava
di fronte il severo volto di Veronica. Veronica, sua figlia, troppo
morale, troppo convinta, lo aveva fatto desistere, e ora anche quel
treno era passato. Forse era l’unica cosa che le
rimproverava: di non essere in grado di lasciarlo fare i propri sbagli
in santa pace, di impicciarsi nella sua vita, come se ogni tanto i due
ruoli s’invertissero: lui fosse l’adolescente e lei
il genitore responsabile. Vedendola sotto quel punto di vista, Veronica
gli aveva impedito per ben due volte di essere felice, con i suoi
capricci da figlia unica. Spesso la notte rifletteva sulle rinunce
fatte per la sua bambina, e soprattutto in questo periodo in cui lei
non dava alcun segno di vita, si sentiva non ripagato! Sentiva la
mancanza del periodo in cui lei gli riempiva la vita con la sua
vivacità, a volte eccessiva, a volte pericolosa. Gli
mancavano gli abbracci, le piccole cose quotidiane, il lavoro
assieme… Si sentiva abbandonato. Eppure non poteva
volergleine a male: Veronica voleva solo proteggerlo perché
gli voleva bene e perché non avrebbe potuto sopportare di
vederlo soffrire come prima. Inoltre Keith sospettava che sua figlia lo
volesse in qualche modo tutto per sé. La sua bambina,
pensava malinconicamente.
La sua bambina… avrebbe sempre avuto nove anni per lui.
Era immerso in pensieri nostalgici ma leggermente rancorosi quando
venne riportato alla realtà da un leggero rumore di passi.
Elimino ogni pensiero che potesse distrarlo, si nascose dietro lo
stipite della porta ed estrasse la sua automatica, liberandola dalla
sicura. Da qualche anno Neptune era diventata davvero pericolosa, e il
caso che stava seguendo in quel periodo era “roba che
scottava”. Troppe persone avrebbero voluto avere le
informazioni in suo possesso, raggiungere il suo obiettivo e diventare
ricchi sfondati. Gli vennero in mente almeno dieci individui dalla
dubbia moralità stile Winnie Vanlowe e che avrebbero ucciso
per la valigetta che stava ora ai suoi piedi, o meglio per le
informazioni lì contenute. Iniziò a sudare
freddo. Lo sconosciuto intanto avanzava verso di lui. Keith Mars si
preparò a menare un colpo dall’alto, puntando a
stordire l’avversario, nella speranza che non fosse troppo
alto o troppo muscoloso. Attese il momento giusto e poi con
rapidità sgusciò fuori dal suo nascondiglio, ma
non fece in tempo ad agire che si ritrovò schiena a terra
con la propria pistola puntata contro.
In una stanza da letto piuttosto curata ma non troppo vistosa, mentre
il sole filtrava dalle veneziane socchiuse, due corpi si muovevano
appassionatamente sotto le coperte. Il caldo del giorno stava
lentamente lasciando spazio alla fresca brezza del mare, che dalla
costa, come una coperta, si dispiegava su Neptune verso il tardo
pomeriggio. I raggi filtravano sempre più obliqui, mentre i
due corpi danzavano accompagnati dal frusciare delle lenzuola. In quel
momento un cellulare squillò. Una, due, tre volte,
finché un muscoloso e tatuato avambraccio non
sbucò dalla coltre di cotone.
“Non rispondere”. La voce era calda e sensuale,
inequivocabilmente femminile. “Devo, piccola! Sono
disponibile” rispose l’uomo, in tono dolce ma
dispiaciuto, allungandosi furi dal nido d’amore verso il
comodino. “Anche io lo sono” replicò
maliziosamente lei, allungando la gamba nuda fuori dal lenzuolo in modo
che lui la potesse vedere. Era una lunga gamba ambrata. Quando lui, per
evitare le tentazioni, si girò dall’altra, la
giovane emerse in tutta la sua bellezza dalle candide lenzuola, si
passò le sinuose dita tra i capelli biondi e
sbuffò, allungandosi verso la maglietta che giaceva per
terrà. La infilò e si alzo dal letto, facendo
attenzione a passare, in provocanti culotte e maglietta, di fronte allo
sfuggevole amante. Eli Navarro si maledisse. Odiava quei momenti, ma
adorava il suo lavoro. Era tutto ciò che aveva: lo aveva
tirato fuori dal brutto giro in cui era finito. O meglio, in cui era
ri-cascato. Dopo il lavoro al college e il licenziamento a seguito
della produzione di tesserini falsi aveva ricominciato a girare con un
gruppo di delinquenti: piccoli spacciatori, criminali da quattro soldi.
Poi, un giorno, un’incontro fortuito gli aveva fatto cambiare
idea. Quel piccolo ragazzo di colore che stava sempre con Veronica lo
aveva invitato ad una conferenza sull’Africa e sui medici che
vi si recavano per istituire ospedali ed istruire la popolazione. O
meglio, lo aveva trascinato E lì Weewil aveva avuto
un’illuminazione sulla via di Damasco. I soldi per studiare
medicina non li aveva, ma dopo che la morte gli aveva strappato alcune
delle persone a lui più care, aveva deciso di cambiare il
suo destino, di passare dall’altra parte della barricata, di
salvare le persone. Dopo aver recuperato il tempo perso ottenendo il
diploma, si era iscritto ad un corso di pronto soccorso, aveva preso la
patente per le ambulanze, ed era diventato paramedico. Il suo compito
ora era di essere più veloce della morte, e di portare in
ospedale chi, anche se sconosciuto, stava per rimetterci la pelle. Ed
era un compito che gli piaceva.
Per questo motivo doveva rispondere, perché salvare vite gli
aveva permesso di salvare la sua. E anche perché sfrecciare
per le strade a tutta birra senza essere fermato dalla polizia gli dava
una grande soddisfazione. Ma guardando il display fu stupito nel vedere
che non si trattava della centrale, eppure quello era il cellulare di
servizio, e il numero lo avevano solo quelli del pronto soccorso. Ma,
riconoscendo le cifre che componevano il numero di chi lo chiamava non
si stupì. C’aveva perso l’abitudine, ma
capì al volo che presto l’avrebbe ripresa. Si
alzò, sorrise alla sua ragazzi imbronciata ed insoddisfatta,
e rispose.
“Mi sembra di vedere la tua faccia in questo momento.
Scommetto che ti serve un favore! Spero che sia davvero importante
perché ero occupato, e se non stuzzicherai la mia
curiosità a sufficienza tonerò alle mie
faccende” concluse sporgendosi dallo stipite per vedere la
sua splendida ragazza che provocantemente apriva il frigorifero e
addentava una succosa fragola rossa.
Non era piacevole essere svegliati dal mal di testa, su questo non
aveva dubbi. Quanto avrebbe voluto che quel lancinante dolore al capo
svanisse insieme all’avvenente sconosciuta che giaceva
accanto a lui. Perché doveva sempre finire così?
Perché affogava i sui pensieri tra le braccia
dell’alcol e di sconosciute poco interessanti ogni volta?
Perché fuggiva dai suoi problemi in quel modo stupido?
L’alcol lo traeva in inganno ogni volta, falsificava la
realtà, gli faceva credere di poter essere felice, e alla
fine, quando al mattino le osservava bene, tutte avevano qualcosa che
gliela ricordava, però c’era sempre un particolare
che stonava, una parola di troppo, un silenzio troppo lungo, la
mancanza di nerbo, l’eccessiva volgarità, un tono
troppo alto di voce, un biondo meno intenso, più finto, un
corpo più abbondante, meno minuto, troppo accogliente, quasi
soffocante. Eppure avrebbe dovuto capirlo da tempo che di Veronica Mars
ce ne era una sola, e che, per quanto provasse, non riusciva a
togliersela definitivamente dalla testa, anche se la sua vita era
andata avanti. Ma capitava di guardarsi indietro. Soprattutto quando,
come un pugnale, il passato torna a tutta velocità e ti
colpisce tra le costole, come una cinghiata sulla schiena che arriva
aspettata e temuta, e ti fa ingoiare tutto, ogni parola, ogni lamento,
lasciandoti solo dolore, come il suono del ghiaccio in un liscio
cristallo da Jin. Come una mail, che ti invita, in quanto ex studente,
ad una festa, nella quale incontrerai gli spettri dei morti che non ci
sono più, ma che hanno lasciato solchi profondi sotto la tua
pelle; ma ti scontrerai anche con i vivi, che ti hanno deluso, o che tu
hai deluso. E ancora peggio, quelli dei vivi che non ci saranno,
perché vorranno evitare ogni ulteriore contatto.
L’ultimo era stato formale e freddo. Peggio che iroso e
definitivo.
Con un gesto di stizza Logan scostò le lenzuola e
s’avviò verso il bagno, cercando di svegliare la
sua ospite. Chiamò anche il maggiordomo perché le
portasse la colazione, e trovasse un modo, educato o meno, per
cacciarla da lì. Non voleva guardarla, per scoprire che non
era la sua persona, ma solo uno squallido surrogato nemmeno tanto
somigliante, dunque deludente. Era lui che si deludeva ogni
volta, perché non superava quello scoglio, ma nemmeno lo
affrontava. Ci aveva provato, si era innamorato davvero, ma era stato
lasciato in malo modo. Mary non lo poteva amare, perché non
poteva aiutarlo a portare quel pesante fardello che ormai era parte
integrante del suo io. Si era resa conto di non riuscirci,
perché non era la persona giusta: non aveva provato tutto
quel dolore, non ne era uscita con lui. I pezzi non combaciavano, anche
se la figura che ne usciva non era male. Non le aveva dato colpe, Logan
aveva capito e accettato, anche perché, proprio
perché ne era innamorato, non voleva caricarla di tali
responsabilità. Erano rimasti amici. Una volta al mese
uscivano a cena, e lei lo ascoltava e consigliava. Finché
non si era fidanzata con un altro: aveva trovato l’amore. E
Logan aveva perso l’ennesimo pilastro. Si sentiva
così solo.
Dopo una lunga doccia fredda si fece la barba, specchiandosi e
rimirando nello specchio una figura che non riusciva a riconoscere
appieno. Poteva contare le donne con cui era stato, tutti i suoi
fallimenti: erano i solchi sul suo viso. Le notti insonni passate al
lavoro per non finire di nuovo a letto con una bionda sconosciuta si
leggevano nelle profonde occhiaie che cerchiavano quegli occhi sempre
guizzanti. La fatica di vivere che provava ogni giorno era chiara nella
smorfia che ormai aveva sostituito quel sorrisetto strafottente ma
accattivante. Quanto avrebbe voluto tornare indietro ai suoi 15, ai
suoi 16 o ai suoi 17 anni. Ma per fermarsi lì. Eppure non
avrebbe voluto rivivere la morte di Lilly, quella di sua madre,
l’arresto e il processo. Era altro che voleva. Si
sciaquò il viso con acqua gelata, e sperò che
tutti quei pensieri fossero il solito risultato della sbronza. Fu il
dopo barba a dargli la scossa necessaria per reagire al nuovo giorno
già arrivato.
Si trascinò di mala voglia fino all’altra ala
della villa, dove era sicuro di non fare incontri indesiderati. Si
sedette al tavolo e prese in mano il giornale. Quello che lesse in
prima pagina lo lasciò senza parole. Per raggiungere il
telefono rovesciò il caffè. Ma ciò non
lo preoccupò, era troppo concentrato nel ricordarsi quello
stramaledetto numero.
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Colgo l'occasione per ringraziare chi sta leggendo questo mio lavoro!
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Capitolo 4 *** Uomini ***
Capitolo 4
Uomini
Quella che gli si
presentò davanti agli occhi era una
piccola cittadina di provincia in cui tutti cercavano di apparire
più di ciò che erano, inconsapevoli del vivere in
un paradiso dorato di star e piccoli signorotti arricchitisi a scapito
degli altri, ma un posto che in sostanza si rivelava nulla di
chè. L’immagine patinata da copertina che si
davano tutti era solo una maschera. Il mondo andava ben oltre i confini
di quella scintillante contea, le cui vie principali pullulavano di bei
negozi, grosse firme, macchine prestigiose e coiffeurs in divisa. II
tutto contornato da ville piuttosto splendenti, ma comunque anonime e
sciatte se comparate ad altre ben più prestigiose.
Sicuramente queste dimore erano abitate da donne che, a prescindere
dall’età, non toglievano mai i tacchi alti, ed
indossavano abiti costosi, ma non troppo. Mentre le somiglianze con la
splendente città degli angeli poco lontana da là
si limitavano ai pochi quartieri residenziali, alle famiglie
benestanti, ben più forte era l’odore di tequila e
tortillas. Il Messico si trovava ad un tiro di schioppo da
lì, e, dalla quantità di giovani ispanici a
cavallo di aggressive moto, suggeriva che Neptune fosse più
una città da arido deserto che da lustra e spassosa
California. La prima apparenza, dunque, avrebbe tratto in inganno un
osservatore non sufficientemente allenato ed esperto: il lusso di star
decadute, piccoli industriali e modesti ereditieri poco poteva fare
però contro lo suo sguardo indagatore dell’uomo in
nero seduto sul sedile posteriore dell’auto scura che stava
attraversando la contea di Neptune. La puzza di fogna non si poteva
coprire, nemmeno con un costoso Chanel N°5.
“
Detesto questo genere di esperienze. Dovrò
vedermela con buzzurri ignoranti che si credono chissàcchi
solo perché qui, in questo luogo dimenticato da Dio e dagli
uomini, contano qualcosa, o sono l’oggetto dei pettegolezzi
di qualche moglie inacidita e insoddisfatta.”
L’auto
si fermò ad un incrocio per far
attraversare un gruppo di ragazzini che uscivano dal liceo.
“Il Neptune High… quante persone con cui
avrò a che fare nei prossimi mesi lo hanno frequentato.
Scoprirò ogni loro segreto…”
Era in
questa direzione che stavano andando i pensieri
dell’uomo mentre scendeva dalla macchina scura che lo aveva
condotto lì, a svolgere un compito noioso: rivangare il
passato della gente di quel posto. Chissà come e
perchè, ma era già stufo di Neptune, California,
poco distante dal confine col Messico.
La sua
prima reazione fu di tentare di sollevarsi da terra. Non gli era
mai piaciuto vedere le cose dal basso. Ma un forte capogiro lo
rallentò, quel tanto perché potesse capire come
mai la sua faccia fosse approssimativamente a pochi centimetri dal
pavimento. Qualcuno era entrato in casa sua e lo aveva aggredito.
Chiunque fosse avrebbe dovuto prestare attenzione: Keith Mars odiava
stare sotto. Un leggero rumore di passi lo riportò alla
realtà, distogliendolo da iracondi pensieri; non poteva
restare in quella situazione a lungo, ma non aveva idea di quante
persone fossero, della loro prestanza fisica, della armi in loro
possesso, e soprattutto, delle loro intenzioni. O meglio,
poteva supporlo. Volevano i documenti contenuti nella valigetta, frutto
delle sue ricerche. Cercavano una pista, una traccia, una meta, un
indirizzo, qualunque cosa potesse portarli più avanti degli
altri in questa caccia all’uomo. Volevano sapere
dove si trovasse Duncan Kane, il ricercato più famoso della
California! Ma lui non l’avrebbe permesso. Erano tutti
pescecani in cerca della ricompensa dei Manning. Non si sarebbero fatti
scrupoli per aiutare un giovane padre che aveva salvato sua figlia da
un destino infelice. Doveva agire in fretta, doveva coglierli di
sorpresa. Raccolse i pensieri e le forze rimastegli, e
prestò attenzione a ciò che gli accadeva attorno.
Dal rumore dei passi intuì che si trattava di una persona
sola, e che questa dovesse essere o estremamente agile, o piuttosto
mingherlina. I passi felpati a malapena si udivano sul pavimento di
legno della cucina. Poteva farcela. Doveva solo attendere il momento
giusto, che gli si presentò poco dopo.
L’aggressore si stava avvicinando a lui. Era pronto.
Puntellò le mani sul pavimento e si costrinse ad uno sforzo
decisamente superiore alle sue potenzialità, si
voltò impugnando la pistola puntandola al torace
dell’individuo che gli si trovava di fronte. La sua
incredulità esplose in un’espressione quasi
scioccata nel vedere due occhi azzurri che lui ben conosceva.
L’orologio
da parete ticchettava nell’enorme sala,
segnalando l’inesorabile e lento scorrere del tempo. Dick
Casablancas era in trepida attesa del ritorno della moglie. Tutto era
andato secondo i piani, o quasi, e voleva comunicarglielo quanto prima.
Avrebbero preso due piccioni con una fava. O meglio, se tutto fosse
andato come doveva, avrebbero ottenuto due ottimi risultati. Aveva
già dato il via alla fase uno del piano: prendere contatto.
Aveva infatti telefonato all’ufficio di cui avevano bisogno e
chiesto del principale. Era una cosa urgente, aveva detto alla suadente
voce che aveva risposto, e personale, aveva precisato. La notizia
dell’assenza del superiore aveva già rischiato di
mettere in crisi il piano di Dick, ma sapendo che avrebbero potuto
contattarlo attraverso un indirizzo mail si era repentinamente
rasserenato. Si era dunque messo al computer e aveva mandato una mail
con le indicazioni di quanto quella persona avrebbe dovuto fare.
Veronica avrebbe dovuto rintracciare Jackie e portarla a Neptune in
tempo per il ballo di beneficenza. Lui e Mac erano certi che ci sarebbe
riuscita. In questo modo avrebbero rivisto la loro fuggiasca amica
bionda, e visto Wallace felice per qualcosa che non fosse il lavoro.
Fino ad ora tutto era filato liscio. Nell’anonimato avevano
ingaggiato la detective che, come si evinceva dai messaggi ricevuti, si
era già messa in moto per ritrovare l’affascinante
ex compagna di scuola. Aveva già sguinzagliato tutti i suoi
collaboratori nella Grande Mela per scoprire dove Jackie si trovasse, e
pareva ne avesse già trovato delle tracce.
Quando la
Mini di Mac varcò il cancello, Dick le corse
incontro. La aspettò sulla soglia di casa e la
baciò appassionatamente. Quella ragazza non aveva idea di
quello che era riuscita a fare per lui, di come lo avesse salvato. Il
giorno del loro matrimonio, semplice ma particolare, oltre a sentirsi
immensamente felice perché stava sposando colei che amava,
si sentì redento, come se iniziasse una nuova esistenza, che
cancellava quella passata. I suoi errori, la sua spocchia, il suo
essere offensivo nei confronti dei diversi da lui, tutto ciò
veniva gradualmente cancellato, un po’ ogni volta che il
dolce ma severo sguardo di Mac si posava su di lui. Sentiva una fresca
cascata d’acqua attraversarlo, i brividi lungo il corpo, e
nascergli un sorriso dalla bocca dello stomaco; se non avesse sorriso
gli sembrava che non avrebbe dato piena prova della propria esistenza.
Ora quella donna fantastica era tra le sue braccia, e lui non avrebbe
permesso che niente e nessuno li allontanasse. Lo aveva promesso ed era
ciò che avrebbe fatto.
“Che
succede, scellerato, cosa hai combinato
perché io mi meriti tali coccole?” lo
punzecchiò lei squadrandolo con aria scherzosa.
“Ti ho sposata…”rispose lui, sorridendo
di quel sorriso che lo faceva sentire vivo. Mac si lascio
scappare un risolino e ricambiò lo sguardo complice.
Sapevano entrambi cosa li avrebbe aspettati più tardi.
“Andiamo, la cena è pronta”
proseguì, togliendole la borsa dalle mani e passandole un
braccio attorno alle spalle mentre si avviavano all’interno
della casa. “Ti amo” pensò, mentre
guardava la luce dorata del sole riflettersi negli occhi di lei.
Non poteva
credere che quell’invito fosse arrivato anche a
lui. Mentre guidava l’ambulanza in direzione
dell’ospedale ripensava alla busta arrivatagli quella
mattina. Carta di finissima qualità bordata d’oro,
l’indirizzo stampato su un’etichetta adesiva,
nessun mittente. La busta era aperta, e al suo interno si trovava un
foglio della stessa ottima carta. Vergate con una calligrafia elegante
e leggibile c’erano le parole con le quali il preside Van
Clemmons, ormai vicino alla pensione, lo informava che la sua presenza
sarebbe stata gradita al ballo di beneficenza che si sarebbe tenuto
qualche tempo dopo nella loro vecchia scuola. Quando la sua ragazza
gliel’aveva consegnato, era rimasto di stucco. Non si
aspettava di ricevere l’invito per il gran ballo di
beneficenza. Certo, a pensarci bene, ora che aveva un lavoro poteva
essere considerato degno d’attenzione da quella gente
altolocata. Anzi, essendo lui ora un responsabile cittadino sarebbe
stato disdicevole il contrario. Rifiutare un ex rifiuto? Eli Navarro
ora valeva forse mezzo dollaro agli occhi di quei boriosi Zeronove! Non
sapeva ancora se ci sarebbe andato, ma alla dolce avvocatessa con cui
divideva il letto sarebbe piaciuto. Doveva meditare. Valeva la pena
abbassarsi al loro livello? O forse era un modo per sentirsi finalmente
accettato da quella gente? Da chi lo aveva disprezzato, deriso,
trattato come un topo di fogna? Se fosse stato così, allora
davvero si era sentito inferiore a loro. Ammettere ciò
sarebbe come ammettere di non aver mai rubato. Gli veniva
l’orticaria solo a pensarci.
E allora
perché andarci? Quale motivo, oltre esaudire il
desiderio della sua bella? Rivincita forse? Nemmeno, anche in questo
caso avrebbe ammesso a se stesso di essere stato inferiore ai tanti
figli di papà con cui andava a scuola. Gaudio? Cosa
c’era di divertente in tutto ciò? Non le facce
degli altri, sulle quali avrebbe letto disprezzo e intolleranza,
né l’acquisto di uno smoking per
l’occasione. Insomma, nulla. Pensandoci bene però
una cosa c’era: per una volta entrare a testa alta dentro
quell’edificio e non uscirne in manette. Ottima motivazione.
“Sarebbe davvero soddisfacente uscire da quelle porte senza
finire in gattabuia. Certo, era un periodo un po’
così, ma lei sa tutto, le ho raccontato chi ero. Non me ne
vergogno, provo pena per il ragazzo che ero se mi guardo con gli occhi
dell’uomo che sono. Però dovrò
affrontare questa cosa prima o poi!”. Stava gongolando in
pensieri di questo genere quando arrivò
all’ospedale. Ora doveva pensare al lavoro, che gli avrebbe
permesso di comprare alla sua donna quel collier che avevano visto in
centro. L’avrebbe resa felice, e pur di farlo era ben
disposto a fare qualche straordinario.
Logan
Echolls guidava la sua rossa macchina sportiva lungo la strada
che costeggiava l’oceano. Mentre guidava non perdeva
d’occhio il telefono. Aspettava lo richiamassero. Aveva
più volte cercato di contattare Veronica, ma la sua
segretaria gli aveva detto che non era reperibile al momento, e che lo
avrebbe richiamato. La stessa solfa tutte e 14 le volte che lui aveva
cercato di rintracciarla. La notizia della riapertura del caso
Kane-Manning da parte dell’FBI letta la mattina sul giornale
lo aveva sconvolto. Il suo vecchio amico, il suo migliore amico era
nuovamente in pericolo. Se lo trovavano aveva chiuso. Poteva dire addio
a sua figlia e a tutto quello che aveva costruito in quegli anni. Non
poteva permetterlo. Solo lei poteva rintracciare Duncan e risollevare
le sorti della questione. Solo Veronica poteva metterlo in guardia e
difenderlo dai federali. Lo sapeva bene. Come sapeva che Duncan non si
era dimenticato di loro. Aveva scritto delle lettere a Logan, nelle
quali gli chiedeva scusa, per come erano andate le cose, e lo
ringraziava per essere un così buon amico. Inoltre gli aveva
raccontato della sua fuga in Australia, sicuro che le acque si fossero
calmate. Lettere e mail che avrebbero potuto rivelare informazioni
preziose a chi cercava Duncan. Solo Veronica poteva risolvere tutto
ciò. Ma siccome lei non si degnava, Logan sperava di poter
contare su Keith Mars. Aveva ancora il suo vecchio studio, dove
lavorava con Leo, col quale il giovane attore aveva parlato poche ore
prima. Keith non c’era, ma ci sarebbe stato, gli aveva
assicurato. Per questo motivo stava guidando verso Neptune, macinando
chilometri uno dopo l’altro e facendo così
guadagnare terreno ai ricordi e al passato.
“E’
strano come tutto
torni...lì…in quel posto…a
lei…Insomma, sono un uomo di successo, ricco, soddisfatto,
eppure…appena c’è un qualcosa che non
torna è da lei che mi rifugio. Come se fosse la risposta a
tutti i miei problemi. Ai miei e a quelli di tutti coloro che gravitano
attorno alla sua presenza. Come è possibile che sia Veronica
l’unica risposta che troviamo, di qualunque portata sia la
questione? Ogni tanto mi sembra di averla mitizzata, di esagerare.
Eppure lei ha sempre un asso nella manica, come quella volta che
giocammo a poker. Ci straccò. E lei lo ha sempre fatto.
Quella partita a carte è la metafora del rapporto tra
Veronica e il mondo. Noi siamo i topi, lei è il gatto. Ci
tiene sempre in scacco…
Eppure…eppure…non
prenderti in giro Logan, lo sia
benissimo anche te. Non è questioni di mitizzare: non riesco
a non amarla, a non desiderarla. Sono tutt’ora ammaliato da
lei, e ogni suo gesto mi appartiene, o vorrei che mi
appartenesse.”
In quel
momento il telefono squillò. Ogni cellula del corpo
di Logan fremette: non poteva che essere lei.
Leo
d’Amato sedeva alla scrivania e non ne poteva
più del telefono. Era tutto il giorno che squillava,
incessante, senza pausa…era decisamente stufo. E dove
diamine era finito Keith? Non rispondeva al cellulare e a casa stessa
storia. Mah…aveva del lavoro da sbrigare. Infilò
la porta mettendosi la giacca, pensando al dolce incontro che lo
attendeva a poche ore di distanza.
Era ormai
salito in macchina quando sul monitor del telefono comparve
il numero di Keith. Lo stava finalmente chiamando.
Le
pantofole e la vestaglia non si addicevano ad un uomo del suo
calibro. Ma non aveva motivo per avere un abbigliamento diverso,
né per non essere stravaccato in poltrona con una birra in
mano e un panino che vomitava ketchup da tutti i lati a vedere la TV.
La sua vita, fuori dal completo scuro e dalla posata eleganza che aveva
nel realizzare affari di ogni genere, era vuota, stantia, priva di
gioia. Wallace Fennel non si immaginava di trascorrere così
le sue giornate.
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Volevo
ringraziare per i commenti lasciati, e, se possibile lanciare
una sfida. Se avete voglia, che ne dite di fare qualche supposizione su
chi, cosa eccetera. Mi farebbe piacere emi sarebbe utile...
Thnks
a lot ancora, Sghisa
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Capitolo 5 *** Sparizione ***
Capitolo
5
Sparizione
Lo
sceriffo Vinnie Vanlowe era profondamente seccato da quella telefonata.
La voce allarmata di una donna di mezza età aveva chiamato
la centrale dopo aver sentito rumori sospetti provenire dalla casa del
vicino del piano di sotto. Sembrava ci fosse stata una colluttazione
dopo la quale una doppia serie di passi si era affrettata
giù per le scale portando qualcosa di molto pesante, seguita
dalla partenza a tutto gas di una macchina. Intimorita, aveva chiamato
il vicino, aveva paura ad uscire di casa: i rumori erano stati molto
forti. Nessuna voce, solo un gran trambusto, poi il suono sordo di un
corpo che cade. Aveva chiamato a lungo, sentendo il telefono squillare
dalla porta lasciata aperta, ma nessuno aveva risposto. Nessun rumore
di passi, nessun suono, al di fuori del ritmico squillare argentino
proveniente dall’apparecchio telefonico. Da brava cittadina
quale era, la vicina aveva subito chiamato il 991 e, immediatamente
dopo, il dipartimento dello sceriffo. Lui odiava la brava gente. Vinnie
non poteva sopportare queste buone azioni, non riusciva a capirne il
senso. In primis la simpatica signora non avrebbe guadagnato nulla,
né una ricompensa, né alcuna onorificenza. Al
massimo una chiamata in più da pagare sulla bolletta
successiva. Inoltre lo aveva interrotto. Lui si stava preparando a uno
dei giorni più difficili della sua vita. Era davanti allo
specchio a provare discorso e postura quando un suo sottoposto era
entrato per portagli i dettagli sulla chiamata. Letto
l’indirizzo, Vinnie non poté che sospirare,
ricomporsi e salire in macchina. Lo odiava. Era il suo giorno e lui lo
avevano rovinato.
“Don Lamb, Dio lo abbia in gloria, ma ancora di
più Lucifero, c’era già passato, ed era
stato umiliato” pensava lo sceriffo mentre si avvicinava a
sirene spiegate all’indirizzo indicato dalla premurosa
vicina.
“Umiliato”. Lui non poteva permetterselo:
mancava poco alle nuove elezioni, e quella poltrona girevole era troppo
comoda per lasciarla. Non voleva fare la figura del fesso, anche
perché non lo era. Non era un belloccio da quatto soldi che
si era venduto al miglior offerente. Era uno furbo, che aveva scalato
la piramide delle classi sociali grazie alle scoperte fatte durante il
suo lavoro di investigatore privato, facendo favori ai potenti,
prendendosi i suoi spazi. Non era da paragonare a quel bamboccio tutto
muscoli di Lamb. Lui era un grande pianificatore. Inoltre lui, il
grande Vinnie, aveva evitato di pestare i piedi a Keith Mars, ma
soprattutto non lo aveva coinvolto in nessuno dei suoi casi. Poteva
farcela da solo, non aveva bisogno del genio
dell’investigazione. Inoltre la sua bionda figlia ficcanaso
era presto sparita dalla circolazione, sollevandolo
dall’ennesima preoccupazione. Non aveva idea di dove fosse
sparita , e non la questione non lo riguardava.
Comunque sparire poco prima di quell’importantissimo
appuntamento non gli permetteva di presentarsi bene. E tutto per una
stupida chiamata di una stupida brava cittadina preoccupata per il
vicino.
“Maledizione” imprecò tra sé
e sé, salendo le scale esterne del modesto residence con la
pistola in pugno, pronto a sparare, e notando la porta spalancata.
Peccato che quel vicino non fosse proprio una persona qualunque:
qualcuno era entrato in casa Mars, e il suo principale abitante, Keith
Mars, era sparito nel nulla. Il cellulare era spento, e dunque non
rintracciabile. Era proprio un bel pasticcio, che non doveva capitare.
O meglio sarebbe stato perfetto, ma non in quel momento, a poche ore
dalla riapertura del caso “Kane-Manning”. Per
quanto ci avesse provato, Kieth Mars era riuscito a mettergli i bastoni
tra le ruote, e ora Vinnie rischiava di cadere rovinosamente a terra.
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Era tutto il giorno che stava in macchina a pedinare mariti infedeli e
mogli spendaccione. Era stufo, stufo marcio. Leo D’Amato non
ne poteva più. Quella giornata era stata davvero
insoddisfacente sotto ogni punto. Si era svegliato di cattivo umore,
con la metà del letto non occupata da lui vuota, come
sempre. Detestava essere solo ogni giorno, e lo detestava soprattutto
quando si svegliava. Aveva bisogno di colmare quel fastidioso vuoto con
l’amore di una donna. Era un uomo passionale, non certo fatto
per rimanere solo. Lui era un uomo mediterraneo, non un freddo nordico.
Un mediterraneo che non poteva sopportare di essere solo, soprattutto
se aveva finito il caffè. Svegliarsi solo e non avere di che
riempire la moca era davvero frustrante. Per continuare, le sue
chiamate a Veronica si erano concluse in un nulla di fatto. Lo aveva
snobbato, come se lui nemmeno esistesse. Nemmeno un minimo di
riconoscenza. Si era fatto in quattro per lei. Ma il loro rapporto era
così: non pretendere che Veronica Mars dimostrasse
riconoscenza a parole, sapeva lo avrebbe fatto, ma con i fatti. Lui non
chiedeva spiegazioni né ringraziamenti, lei lo avrebbe
ricompensato. Ma era stufo di aspettare i comodi di quella biondina.
Per concludere, Keith era sparito nel nulla, lasciandogli una valanga
di lavoro da far, senza dargli una spiegazione. Non rispondeva
né al telefono di casa né a quello
dell’ufficio, e il cellulare era staccato. Era davvero
stanco. Avrebbe voluto sdraiarsi su una bella spiaggia , invece di
essere in quella macchina a cuocere sotto il sole a scattare trite e
ritrite ftografie.
Stava fumando l’ennesima sigaretta quando gli
squillò il cellulare. Si affrettò a rispondere,
convinto che fosse uno dei membri della famiglia Mars, pronto a fare a
qualunque dei due una sfuriata degna di nota. La voce
all’altro capo era conosciuta, ma non apparteneva a qualcuno
che poteva considerare amico.
“Signor D’Amato?”
“Si?!?”
“La chiamo a causa di un’emergenza. Dovrebbe
recarsi qui da noi quanto prima”
"Di che si tratta, sceriffo?"
"Non posso dirle altro. La aspetto in centrale..."
La chiamata terminò poco dopo, Leo allacciò la
cintura e partì, diretto alla centrale. Era successo
qualcosa di veramente grave: Keith era scomparso.
----------------------------------------------------------------
Non era pronta a reagire a quell’eventualità. Non
poteva crederlo vero. Come avrebbe fatto? Le tornò in mente
quella terribile notte sul tetto del Neptun Grand, quando Cassidy le
aveva confessato le sue colpe e poco dopo aveva fatto saltare in aria
l’aereo dove si trovava Woody Goodman. Su
quell’aereo dfoveva esserci anche suo padre. La persona
più importante della sua vita. E lei credeva fosse morto.
Per fortuna si sbagliava. In quel momento si sentiva esattamente come
quella notte: distrutta dentro! L’avevano chiamata dalla
centrale, dove ora si stava recando. Sperava di trovare almeno un volto
amico tra quelle tristi mura, pronto a farla sentire meno peggio.
Avrebbe retto di più. Veronica non poteva pensare di vivere
senza suo padre.
Varcata la soglia dell’ufficio dello sceriffo si
guardò intorno, in cerca di un volto familiare. Tra tutte
quelle persone in divisa lo scorse, lui, gli scuri capelli che
incorniciavano quello sguardo così accattivante. Gli corse
incontro e lo abbracciò con trasporto.
“Ciao piccola guastafeste. Che ci fai già qui?
L.A. non è proprio dietro
l’angolo…”
“ Stavo venendo a Neptune. Lavoro…mi hanno
chiamata in ufficio e la mia segretaria ha girato al telefonata sul
cellulare…Dov’è mio padre
Leo?” concluse la bionda, guardandolo con aria indifesa e
disperata.
“Non ne ho idea, piccola…” Rispose lui,
passandole una mano nei capelli e baciandole la fronte.
Certo che si era sempre sentita una bambina con lui. Non era poi tanto
più vecchio, ma aveva sempre avuto un modo di fare
comprensivo e protettivo nei suoi confronti. Era l’unico, ad
eccezione di suo padre, al quale permetteva certe cose. Era strana
l’evoluzione del rapporto tra di loro. Erano come fratelli,
ma qualcosa gradualmente era cambiato…Leo era un uomo di cui
si sarebbe potuta fidare. Forse…
In quel momento lo sceriffo uscì dal suo ufficio e li fece
accomodare nella stanza degli interrogatori.
“Buongiorno ragazzi, vi ringrazio per essere arrivati
così presto.”
“Basta con i convenevoli Vinnie, spiegami cosa diamine
è successo…” gridò Veronica
sbattendo i pugni sul tavolo e squadrando lo sceriffo con aria truce.
Questi deglutì, conscio di non poter scherzare col fuoco.
“ Signorina Mars, si dia una calmata, o dovrò
riservarle una cella per questa notte. Se non ricordo male la numero
due è la sua preferita.” Sogghignò
l’uomo “Potremmo dividerla, che ne dici?”
Rispose lei a tono. Leo si sentiva decisamente in imbarazzo. Non sapeva
come fare. Mettersi tra Veronica e il suo nemico poteva rivelarsi assai
pericoloso, soprattutto se quest’ultimo era il braccio armato
della legge, che poteva sbatterli in gattabuia in un nanosecondo,
impedendogli di indagare sulla scomparsa di Keith. Optò per
calmare la ragazza. Le posò una mano sulla schiena. E la
invitò con lo sguardo a sedersi. Questa gli diede retta e,
seppur innervosita, si sedette e attese che l’eletto sceriffo
le desse spiegazioni sull’accaduto.
“Siamo arrivati a casa del signor Mars e l’abbiamo
trovata non solo aperta ed incustodita, ma anche in disordine. Chiari
segni di colluttazione. Abbiamo provato a contattare Keith in tutti i
modi, a rintracciare il suo cellulare, abbiamo cercato tra i
suoi infiltrati, colleghi e via dicendo. Nessuno sa nulla, ogni
tentativo è stato vano. Crediamo sia stato rapito a causa di
un caso seguito. Dall’appartamento sembra non mancare nulla,
ma dovremo chiederti di confermarci questa teoria, Veronica, mentre a
te Leo faremo delle domande sui casi che il vostro studio stava
seguendo.”
“Farò quello che posso” rispose il
giovane”Keith non m’informa di tutti i casi. Anzi,
diciamo che per quanto riguarda quelli più importanti
solitamente mi tiene all’oscuro. Ci dividiamo il lavoro. A me
quello sporco, a lui quello pericoloso. Non mi ha mai trovato
d’accordo su ciò, ma è lui il
capo” Concluse Leo sotto uno sguardo amareggiato di Vinnie.
Era davvero infastidito da tutto ciò. Sperava sarebbe stata
una buona occasione per mettere le mani sull’ingente
patrimonio di informazioni in possesso del suo acerrimo rivale. E
invece, quel bamboccio del suo aiutante era all’oscuro di
tutti i casi più spinosi.
“Anche io potrò fare poco per voi: non metto piede
in quella casa da diversi anni. Conosco le abitudini di mio padre, ma
non posso essere sicura di nulla. Stavo venendo a Neptune per
lavoro, ma non sono ancora stata a casa mia. Stavo facendo un giro in
città, tanto per vedere se qualcosa era cambiato. Sono
rimasta profondamente delusa dal perdurare di certe brutte abitudini,
ad esempio la pessima scelta dei rappresentanti della legge. Purtroppo
temo di esservi poco d’aiuto, sceriffo. Ma farò
quanto possibile per venirvi incontro.” concluse Veronica in
tono di sfottò.
Più della frecciatina a Vinnie aveva dato fastidio il fatto
che quella ficcanaso si sarebbe rivelata quasi inutile, e che anzi
avrebbe potuto manomettere le prove una volta entrata in casa. Ora
doveva occuparsi di una cosa per volta. Stava per arrivare lui.
“Bene, allora domani in mattinata vi chiameremo per un
interrogatorio ufficiale e un sopralluogo presso la dimora della
persona scomparsa. Ora se permettete avrei un appuntamento
importante.” Disse, alzandosi e indicando con la mano la
porta.
“Col parrucchiere? Ti prego, cambia taglio, è
fuori moda!” esclamò Veronica mentre usciva dalla
porta. Era troppo intenta a provocare lo sceriffo che non
s’accorse di andare a sbattere contro qualcuno.
Sollevando lo sguardo aprì bocca per scusarsi, ma le parole
le morirono in gola quando si accorse contro chi aveva sbattuto. Non
lui. Cosa diavolo ci faceva lui a Neptune? Perché la
sfortuna la perseguitava?
“Ciao Veronica…quanto tempo! Ti sono
mancato?”
“Ciao Dominik…dallo stage all’FBI
direi…e…non mi sei decisamente mancato”
Rispose lei in tono acido
“Non ci credo, scricciolo. Sei qui perché ti hanno
arrestata?” E scoppiò in una volgare risata.
Veronica raccolse la sua borsa da terra e si avviò chiusa in
un rabbioso silenzio verso l’uscita. Leo non poteva credere
ai suoi occhi. La grande Veronica Mars, la più battagliera
ficcanaso di tutti i tempi era stata zittita. Certo, lui era un
energumeno, ma non capiva perché. Ma lo avrebbe scoperto.
“A domani sceriffo” disse ad un ancora
più stupito Vinnie Vanlowe imboccando la via
d’uscita all’inseguimento della graziosa biondina.
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La notizia si era già diffusa. L’ex sceriffo,
investigatore privato Keith Mars era sparito. Molte mani iniziarono a
sudare, alcuni sguardi esultarono, altri cuori si fermarono per un
secondo. L’ex sceriffo, l’investigatore Mars, colui
che aveva messo in gattabuia l’assassino di Lilly Kane, che
era riuscito ad arrestare Woody Goodmann, che aveva scoperto
l’assassino del rettore O’Dell…ma che
aveva perso le elezioni dopo una diffamatoria campagna ad opera
dell’attuale sceriffo. E ora, quell’uomo strepitoso
era scomparso.
La mano di Mac esplorava con rabbia l’interno della borsetta.
Dove diamine era finito il suo telefono. Quando infine lo
trovò lanciò uno sguardo torvo al marito che,
allibito, la squadrava come se fosse pazza.
“Stavo solo cercando il telefono. Non mi sembra di aver fatto
nulla di male.” Abbaiò la giovane in un tono che
non ammetteva repliche. “ Lo so amore, non ti
preoccupare” rispose lui. Lei compose un numero e si mise in
attesa. Quando l’apparecchio dall’altro alto smise
di suonare a vuoto, Mac udì una flebile vocina.
“Veronica, come stai? Dove sei? Hai saputo di tuo padre? Che
ne pensi di venire qua nostra ospite?”. Dopo un breve
silenzio la bionda rispose “Ciao Mac. Sono già a
Neptune, ora sono da Leo, che gentilemnete mi ha offerto il suo divano.
Che ne dici se ci troviamo domani? Così ne parliamo.
Comunque sto bene, non ti preoccupare. Ho Leo qui con me, non sono
sola.” Mac rimase stupita dalla srenità della voce
dell’amica Qualcosa non quadrava, ma non poteva certo
scoprirlo adesso. “OK Veronica, ti auguro buona notte.
“ Mac Concluse la telefonata e si avviò in camera.
“Amore cosa…?”
“Ti spiego a letto Dick. Ora voglio solo indossare la camicia
da notte e sdraiarmi.”
Il giovane allibito la seguì a ruota.
Ringrazio
chi mi segue. Sono leggermente bloccata con il sesto, mi spiace. E' per
questo che ho pubblicato il quinto solo oggi. Preferisco avere sempre
il capitolo successivo pronto, ma temo sarà difficile. Tra
dieci giorni parto per il mare, dove non avrò un computer e,
di conseguenza, nemmeno la possibilità di postare nuovi
capitoli. Spero quindi di riuscire a terminare il sesto e
magari il settimo nei prossimi dieci giorni.
Grazie
ancora!
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Capitolo 6 *** Veronica, parte prima ***
Capitolo
6
Veronica, parte prima.
Si svegliò in un
letto non suo. La prima impressione fu di delicate lenzuola di seta in
un’ampia stanza d’albergo, vista mare. Poi
l’immagine da sfuocata si fece più nitida.
L’accogliente eleganza venne lentamente sostituita da un ben
più sobrio arredamento. La tappezzeria di qualità
sopraffina lasciò il posto ad una carta da parati stinta. Le
morbide e lucenti lenzuola a un più economico cotone bianco.
Attorno non il silenzio di una suite, ma il rumore di macchine e il
vociare di numerose persone all’esterno
dell’abitazione. La luce filtrava dalle imposte, illuminando
la polvere sollevata in aria. Il pulviscolo sembrava per incanto
tramutato in una danza magica che colse la sua attenzione,
finché dei rumori provenienti dall’altra stanza
non interruppero quei pensieri vaganti. Si alzò, rendendosi
improvvisamente conto di non aver addosso i vestiti. Coprì
rapidamente le nudità col ruvido lenzuolo e, a tentoni,
iniziò a cercare qualcosa con cui coprirsi. “Cosa diamine sto facendo qui in
costume adamitico?” si domandò. In
quell’istante la porta si aprì, il cono di luce
che tagliò la penombra illuminò quella chiara
pelle, presto nascosta sotto la coltre bianca delle lenzuola.
“Già
sveglia? Buongiorno!” esclamò Leo, mentre entrava
portando un vassoio contenente la colazione. Veronica sorrise, di un
sorriso non sincero che presto nascose sotto la maglietta appena
trovata e che rapidamente indossò. Si era appena resa conto
di ciò che era successo. Di nuovo. Lui le si
avvicinò e, poggiato il vassoio sul lato libero del letto,
si sporse per baciarle dolcemente la fronte. “Mi sei mancata
piccola…” sussurrò. Il corpo di
Veronica fremette a quelle parole. Un brivido le corse lungo la
schiena. Lui le sfiorò il volto e la baciò
appassionatamente. Lei non rispose con pari enfasi, ma il giovane
sembrò non accorgersene. Si avviò alla finestra
ed aprì le imposte illuminando una piccola e squallida
stanza. Veronica si ritrovò a sperare che l’aria
fresca dell’oceano portasse via i ricordi della sera
precedente che lentamente riaffioravano. Come era potuto succedere, o
meglio accadere di nuovo. Se lo era ripromesso, mai più. Leo
era un bravo ragazzo, ma lei non poteva…non se la
sentiva…non voleva.
Si
alzò e si diresse verso il bagno. “Penso di aver
bisogno di una doccia.” Disse in tono lapidario. Lui le
sorrise accattivante. “Fai pure, sai dove è. Fai
come se fossi a casa tua. Anzi, mi farebbe piacere tu ti fermassi qui
da me in questi giorni. Non mi va di saperti tutta
sola…Neptune non è più la
stessa!”. La bionda fece finta di non aver sentito nulla e
chiuse la porta del bagno. Non aveva tempo per pensare a sciocche
relazioni. Aveva ben altro a cui pensare. Suo padre era scomparso. E
doveva assolutamente lavorare a quel caso. Era tornata apposta per
questo no? S’infilò nella doccia e
lasciò che l’acqua tiepida scivolasse sul suo
corpo e portasse via tutti gli avvenimenti della sera precedente. Gli
abbracci, lo sfliarsi, uno dopo l’altro, degli abiti, il
frusciare di due corpi che, avvinghiati, si muovono sotto le leggere
lenzuole, i baci e tutto il resto. “Sei stata una stupida, una
sciocca ragazzina, immatura. Come se non avessi già
abbastanza problemi. Dover reggere l’ennesimo gioco non
può portarmi nulla di buono. Maledizione. Da quando sono
diventata così imprudente? Da quando i miei sensi riescono
ad offuscare la mia mente?” L’acqua
intanto scorreva, portando via la bianca e soffice schiuma. Magari
fosse riuscita a lavar via tutto il resto.
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Il profumo del balsamo
la seguiva ancora, una nuvola di vaniglia, decisamente non adatta a
lei. Ma nella fretta aveva dovuto accontentarsi. E così,
accompagnata da un odore non suo, Veronica Mars stava seduta ad un
tavolino del Java de Hut, ad osservare le cameriere muoversi tra i
tavoli. Le tornò in mente il suo ultimo anno di liceo,
quando a sgambettare tra clienti e mobilia elegante c’era
lei, pronta a servire con gentilezza, ma anche a rispondere a tono a
chi la trattava con arroganza. Le tornò in mente il suo
primo incontro-scontro con Jackie. Era tantissimo tempo che non aveva
sue notizie. Chissà che fine aveva fatto la bella ex di
Wallace. Probabilmente stava sfilando su qualche passerella
newyorkese…
“Ciao
Veronica, scusa il ritardo, ma come sempre c’è
qualche magagna alla quale il capo deve porre rimedio.” La
voce seria di Mac riportò veronica al presente. La sua amica
non era cambiata troppo. “Ciao Mac! Figurati, stavo pensando
a Jackie…non mi annoiavo proprio.” Mac esplose in
una sonora risata “Sul serio pensavi a Jackie? Sai che io e
Dick stiamo cercando di rintracciarla? Sei incredibile Vreonica,
giuro!” e sempre ridendo si sedette di fronte
all’amica. Ricomponendosi in fretta. “Come stai?
Sul serio…tuo padre è scomparso. Io sono tua
amica, e ti starò vicino.” Veronica sorrise, di un
sorriso sereno e rassicurante. “Tranquilla Mac, ma grazie del
tuo aiuto. Una cosa potresti fare per me: trovare una buona scusa
perché io venga a stare da te”. Veronica le aveva
fatto intuire di non essere pronta ad affrontare il tema
“scomparsa”, dunque Mac decise di lasciar perdere
per il momento. La cosa comunque non la convinceva. Mac
squadrò l’amica, e, infine, notò
un’increspatura nell’azzurro cristallino dei suoi
occhi. “Di nuovo? Sei andata di nuovo a letto con Leo?
Veronica…”esclamò Mac, in tono di
rimprovero, ma con una vena d’ironia “Sei
incorreggibile…” concluse, sogghignando sotto i
baffi. “L’altra volta pensavo fosse quello giusto.
Finita la storia con Piz volevo un vero uomo, e pensavo di averlo
trovato. Ma non aveva funzionato. Non so perché sia capitato
nuovamente…” ribattè con fare
corrucciato la biondina. Mac sorrise “Forse perché
sei una giovane e bella ragazza stufa di stare sola?!? Troveremo una
scusa, ma tu devi deciderti. Quel ragazzo ti adora, e ti aspetta dai
tempi del liceo. Devi prendere una decisione e smetterla di tirare la
corda. Quello di ieri non è stato nulla, penso che anche lui
se ne renda conto, eri sconvolta e quant’altro. Ma non puoi
continuare così…non puoi illuderlo e poi fuggire
tutte le volte.” Le due amiche rimasero a lungo a parlare
degli ultimi anni passati lontane. Dei figli, del lavoro, della vita. E
poi si diedero al loro sport preferito: l’indagine.
“Come
ti ho già detto, voi investigatori potete accedere a siti
che io non potrei mai crackare. Veronica, ho bisogno di te, io e Dick
siamo disposti a pagarti…”* “Non
se ne parla nemmeno”, concluse l’investigatrice con
uno sguardo serio. “La troverò. Anche io ci tengo
moltissimo a risolvere questo caso. Per una volta vorrei dedicarmi ad
un caso che mi sta a cuore. Mi metterò subito al lavoro per
le informazioni che vi mancano, ma purtroppo non ho tanto tempo da
dedicarci. Sono sicura che, una volta raccolte tutte le informazioni
base, saprete cavarvela benissimo da soli.” “Non ti
preoccupare, io e Dick siamo un’ottima squadra. Allora, da
questa sera sei mia ospite. Leo non ha il diritto di averti tutta per
sé…” “E io non voglio esserlo”
Pensò veronica. “Perfetto. Ora devo andare in
centrale per un interrogatorio, poi devo fare un paio di cose per un
caso che sto seguendo, e vi raggiungo per cena.”
“Ottimo, dirò a Dick di preparare qualcosa di
speciale. Pensavo di invitare anche Wallace. Distrarti ti
farà bene…”
Veronica
osservò l’amica. Era sempre lei, ma qualcosa era
maturato. Lo sguardo forse, o la postura. Infine si rese conto: la
sicurezza di sé. Mac non era più la timida
liceale, né l’introversa universitaria. Era una
donna, una madre, una moglie, il presidente di una delle industrie
più importanti della zona. “Lo passo a prender io.
Ah, Mac…sei una vera amica” concluse Veronica,
sorridendo ed alzandosi. “Davvero
una vera amica” pensò, mentre il suo
sguardo incrociava quello fiero e sereno di Cindy MacKenzie Casablancas.
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Quel posto non era
cambiato. Nonostante negli ultimi 15 anni si fossero succeduti tre
diversi sceriffi, il dipartimento era sempre lo stesso. Stessa cupa
mobilia, medesima giallognola carta da parati, anche i poster alle
pareti sembravano sempre gli stessi. Infine c’era la
targhetta commemorativa di Don Lamb, ex sceriffo, morto mentre faceva
il suo dovere. Era una bella targhetta, sopra la quale spiccava una
foto dell’avvenente ex tutore della legge. Passandoci davanti
Veronica si ritrovò a pensare a come quella pomposa
fotografia, con Lamb che tentava di fulminare l’obiettivo con
lo sguardo, fingendosi un “duro”, rappresentasse in
tutto e per tutto ciò che Lamb era stato. Un braccio armato
della legge interessato a bicipiti e quadricipiti, un inetto, un
perdente, un pallone gonfiato pieno di sé. Ma in fin dei
conti un uomo semplice, che probabilmente credeva in ciò che
faceva, che aveva un’altissima ammirazione per la giustizia,
e un discreto senso civico. Insomma, un uomo comune, anche se
indubbiamente un uomo non adatto a ricoprire la carica di sceriffo. In
ogni caso un uomo migliore del bieco Winnie Vanlowe. Ex investigatore
privato dalla dubbia moralità, privo di scrupoli.
Interessato non al giusto ma al denaro. Due valori poco compatibili.
Ad
accoglierla ci fu l’immancabile Saks, il quale le sorrise
amichevolmente. Dall’altro lato dell’ufficio, una
sempre più attempata Inga si sbracciò per darle
il benvenuto. Tutti si ricordavano di lei, la figlia dello sceriffo, la
rompi scatole, la ficca naso, l’ottima investigatrice. Chi
nel bene e chi nel male, tutti a Neptune si ricordavano di lei.
“Ciao Veronica!” “Ciao Saks, come
stai?” “Tutto bene. Sei qui per
l’interrogatorio? Seguimi. Le stanze riservate a questo
genere di procedure sono sempre le stesse. Non è cambiato
molto questo posto, ad eccezione dell’ufficio dello sceriffo.
Nemmeno fosse il sindaco…” L’agente le
mostrò fin da subito di non essere molto entusiasta del
“nuovo” arrivato, e Veronica non poté
che essere d’accordo con lui. “Speriamo che le
imminenti elezioni portino dei cambiamenti. Peccato che non si sia
ancora candidato nessuno”. “Ci credo”
Pensò Veronica “Da quanto mi ha raccontato mio
padre i Fitz Patrick sono in combutta con Vinnie. E’ quindi
assai improbabile che ci sia qualcuno tanto folle da volersi mettere
contro di loro. Staremo a vedere.”
Saks la
fece accomodare, pregandola di attendere l’arrivo dello
sceriffo. Le portò un caffè e la lascò
sola con i suoi pensieri. Passarono diversi minuti prima che
l’uomo in divisa varcasse la soglia. Entrò con
fare poco professionale mangiucchiando un panino “Si
è ricordata la maionese tua madre questa volta?”* lo
apostrofò Veronica, come per mettere in chiaro che non si
sarebbe fatta mettere i piedi in testa da lui. “Ti ho fatta
venire per discutere del caso su tuo padre. Dopo ti farò
accompagnare da Saks a casa di tuo padre. Cerca di fare mente locale e
di fornirci più informazioni possibili.” Veronica
strabuzzò gli occhi, sbuffò, e annuì,
anche se con poca convinzione. Ma la tentazione di rispondergli a tono
venne prontamente scalzata dall’irritazione causatale dallo
stare nella stanza di Vinnie per così tanto tampo.
“Abbiamo finito? Posso adare?”. Sul volto dello
sceriffo comparve un ghigno derisorio “No, mia cara. Devi
prima rispondere a qualche domanda!”
Sarebbe
stata una lunga tortura, pensò Veronica, mentre si metteva
comoda e cercava il modo di essere il più evasiva possibile
senza farsi notare. Ma l’attenzione doveva rimanere su di lei.
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Dopo un lungo e
fastidioso interrogatorio, ed un’invadente perquisizione
della dimora Mars, Veronica fu costretta controvoglia a tornare al
dipartimento per firmare delle carte. Backup la aspettava in macchina.
L’integerrimo membro della famiglia Mars era stato ritrovato
in casa, addormentato da una potente dose di sonniferi. Evidentemente i
rapitori conoscevano bene Keith Mars e le sue abitudini. Ora, ancora
frastornato, sonnecchiava sul sedile posteriore, in attesa che la sua
padrona uscisse da quell’austero edificio. Di lì a
poco Veronica lo avrebbe portato dal veterinario per un controllo. Era
stata molto felice di vederlo, in primo luogo perché era
ancora vivo, e poi perché le avrebbe fornito una buona scusa
con Leo: il suo microscopico appartamento al quarto piano non era
l’ideale per un cane di quelle dimensioni che era appena
stato sedato. Inoltre nel palazzo dove viveva il giovane
D’Amato non permettevano il possesso di animali domestici.
Veronica era sicura che il grande giardino di Mac sarebbe stato fonte
di gioia per l’ormai vecchiotto cane. Si sarebbe potuto
rilassare all’ombra di qualche palma, mentre giocava con i
figli di Mac e Dick. Non vedeva l’ora di uscire da quel posto
e dedicarsi al proprio lavoro. Erano 4 ore che, in un modo o
nell’altro, i dipendenti dell’ufficio dello
sceriffo la tartassavano.
Firmate
le carte rivolse un cordiale sorriso alla giovane segretaria che aveva
sostituito Inga alla reception. Non si aspettava di vedere una sua
vecchia conoscenza: la sua amica Mandy*, con la
quale aveva scoperto dei casi di “riscatto” per
riavere i propri cani. Le sarebbe tornata utile. Era una ragazza
gentile anche se strana. Non avevano avuto molte altre occasioni per
parlarsi, ma comunque erano restate legate da una complicità
e una gratitudine reciproche. Da un lato Veronica aveva ritrovato
Chester, ma Mindy le aveva fatto scorgere la possibilità che
ci sia del buono negli uomini. Le sorrise amichevolmente e
s’apprestò ad uscire dal dipartimento.
“Non
così in fretta, signorina Mars…”
Avrebbe
riconosciuto quella terribile voce ovunque. Le riportava alla mente
spiacevoli ricordi. Quell’uomo le aveva rovinato la vita.
Dominik Patterson aveva trasformato il suo stage all’FBI
nella più grande umiliazione della sua vita. Lei gli era
stata affidata come assistente, e lui, essendo non solo un maschilista,
ma anche il giovane agente dell’FBI sotto copertura
Ben Kaczynski*
cui la giovane aveva messo i bastoni tra le ruote, aveva fatto il
possibile per renderle la vita difficile. Durante lo stage Patterson
aveva fatto delle ricerche dalle quali era emerso che Veronica aveva
avuto problemi con la legge in più di un occasione: la
produzione di carte d’identità false, la scomparsa
di Dunkan e non solo. Inoltre aveva fatto emergere la verità
sulla scomparsa della macchina della signorina Sinclaire: era Veronica
la committente, anche se il vero colpevole non era stato scoperto.
Infine l’agente Patterson aveva indagato su un furto avvenuto
in casa Kane, che aveva portato al nome di Veronica. Così
facendo aveva fatto terra bruciata attorno alla giovane e promettente
investigatrice. Dopo che Dominik aveva pubblicato il dossier e lo aveva
distribuito ai colleghi, nessuno si fidava di Veronica. Infine era
stata chiamata dai suoi superiori che le avevano caldamente consigliato
di dedicarsi ad un futuro diverso, poiché una persona che,
come lei, aveva avuto così tanti problemi con la legge non
aveva possibilità di entrare all’FBI se non
attraverso una scuola di polizia. Ma data la sua bassa statura non
aveva chance. Veronica aveva così dovuto rinunciare al
proprio sogno. Tornata a casa aveva tirato fuori il suo attestato di
PI, aveva finito gli studi, e si era impegnata nel suo nuovo lavoro. In
fin dei conti chi veramente c’aveva perso era stata
l’FBI: un così bravo detective non era facile da
trovare.
“Cosa
vuoi, Dominik?”
“Mi hanno
mandato qui a indagare sul caso Kane-Manning.”
Veronica
ebbe un quasi impercettibile sussulto. Se avevano mandato uno squalo
come lui, significava che la questione era seria, e dunque che doveva
stare molto attenta. “Ma se hanno mandato te significa che
avete tutte le informazioni, anche su dove si trovi. Altrimenti come
farai a portare a termine la missione? Insomma, ti hanno degradato dal
reparto artificieri a quello persone scomparse perché non
sapevi afre il tuo lavoro senza prendere scorciatoie. Come ti senti a
dover cercare un ragazzo viziato e la sua piccola bambina? E’
un lavoro da poppanti…sono sicura ci riuscirai. Magari
seminando di caramelle la strada della prigione…”
Domink la
prese per un braccio e la guardò con profondo disprezzo.
“Da quasi dieci anni per colpa tua mi occupo di ricconi in
fuga, e ne ho le tasche piene. Dovrai collaborare mia cara, o ti
farò arrestare per intralcio alla legge e farò
chiudere quel buco di ufficio che ti ritrovi. Ti rovinerò,
Veronica. Aspetto da troppo tempo questo giorno”
La
giovane non si fece intimorire “Sono forse minacce queste?
Dopo aver alterato le prove tel’hanno fatta passare liscia,
ma se mi metti le mani addosso senza motivo e mi minacci
così non so quanto saranno clementi. Ma tranquillo, se
perderai il posto ti posso sempre offrire un lavoro. Ho giusto bisogno
di un ragazzo delle consegne” concluse con uno strafottente
sorriso, si liberò facilmente dalla presa
dell’uomo e si avviò all’uscita.
“Avrai
presto mie notizie, Veronica. Sei la prima sulla mia lista,
sappilo…”
“
Anche te sulla mia, mio caro” E uscì
dall’edificio.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Dopo aver poratto il
cane dal veterinario che lo avrebbe tebuto in osservazione per le
successive 3 ore, Veronica attivò il suo apparecchio magico.
Rintracciato il cellulare desiderato si diresse verso il Neptune High.
“Che strano”Pensò “Trovarlo
qui. Chissà perché…”.
Guidò ripercorrendo una strada di ricordi al ritmo dei
Dropkicks Murphy. Si rivide da adolescente mentre con Lilly percorreva
quella strada cantando a squarciagola sedute sul sedile posteriore
dell’auto di Logan; poi sempre in quell’auto a
scambiarsi baci segreti. Le tornò in mente Logan. Era stato
più il tempo che avevano passato ad odiarsi o ad ignorarsi
che quello trascorso assieme amandosi, eppure il termine
“epica” descriveva bene la loro relazione. Immersa
in questo genere di pensieri si ritrovò parcheggiata di
fronte alla sua vecchia scuola.
Prese la
borsa e uscì dall’auto, sicura sulla direzione da
prendere. E infatti lo trovò lì, nella sala che
aveva ospitato diversi balli studenteschi, primo fra tutti il
“Total eclipse of the hearth”. Wallace Fennell era
tra gli organizzatori dell’evento, e ora stava animatamente
discutendo con il Preside Clemmons, il quale sembrava decisamente
irritato dall’atteggiamento dell’ex-ellievo.
“Non mi interessa, è un ballo di beneficienza, i
soldi vanno raccolti e risparmiati, non sprecati in inutili statue di
ghiaccio che si scioglieranno nel giro di poco tempo, allungando tra
l’altro un già pessimo Punch. Sono
contrario.”
“E la
signorina Sinclaire è contraria alla realizzazione di una
festa a suo dire sciatta e priva di stile. Si ricordi, signor Fennell,
ambasciator non porta pena. Dovrete vedervela tra di voi. Per il
momento le statue di ghiaccio sono state prenotate.” E si
allontanò.
Sul momento non la riconobbe. “Signorina Mars, davvero una
piacevole sorpresa. Come sta? E’ venuta a verificare che
tutto sia in ordine? Come può vedere è tutto in
regola.” L’ex-allieva sorrise
all’attempato uomo prossimo alla pensione. “Con lei
le cose non possono che andare bene! Sta bene signor
Clemmons?” “Tutto in regola! La lascio alle sue
cose, signorina. A presto.” E si avviò verso il
suo ufficio. Lei invece si avvicinò silenziosamente
all’amico di spalle.
“Non mi
immaginavo di trovare il famoso Air-Fennell intento ad organizzare un
ballo tutto lustrini e festoni!” esclamò. Il
giovane si girò e l’abbracciò con
trasporto.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Note: * 1x11 Silence
of the Lamb
* 1x17 Kane
and Abel's
*
1x19 Hot Dogs
* 1x18 Weapon
of class destruction
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Premesse,
penso che venerdì o sabato pubbòicherò
il settimo capitolo, che sarà molto breve, ma
dipanerà un pò di misteri. Poi per un paio di
settimane mi attendono solo la spiaggia e dei buoni libri da leggere,
ma spero di andare avanti con la storia.
Volevo ringraziarvi tutti per i commenti e per la pazienza che avete
con me. Spero questa storia vi piaccia sul serio. Per Isilady, che
entusiasmo, sono sinceramente felice per i tuoi commenti. Hai una bella
testolina, lasciatelo dire (anche se, oddio, temo che la mia storia non
sia un vero e proprio giallo alla Agatha Chriestie!). Spero di non
averti delusa troppo con questo capitolo, o meglio con il suo incipit.
Ma tranquilla, ci saranno sviluppi futuri!
Continuate a leggere e commentare, e...a fare supposizioni!
Sghisa
|
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Capitolo 7 *** Veronica parte seconda ***
Capitolo
7
Veronica
Seconda parte
Erano
stati migliori amici, quasi
fratelli, come fratelli. Veronica e Wallace. Dal primo giorno. E lo
erano
ancora. Bastò loro guardarsi negli occhi per capire che
l’affetto, l’intesa,
l’istinto protettivo che avevano l’uno nei
confronti dell’altra, emergessero.
Ogni dubbio, ogni rancore, ogni rabbia scemò
all’incrociarsi dei loro sguardi.
Wallace si dimenticò dell’improvvisa sparizione
dell’amica qualche anno prima,
del suo essere svanita nel nulla, della sua assenza in quei periodi
difficili, e
subito pensò all’amore, alla cieca fiducia, al
rispetto reciproco. Fu come se
non si fossero mai separati, se ogni esperienza vissuta in quegli anni
fosse
stata esperita insieme. In uno sguardo furono di nuovo Veronica e Wallace. Fennel e Mars.
“Ma
guarda un po’ chi ci degna
della sua presenza” esclamò il ragazzo liberandosi
lentamente dal caldo
abbraccio. “Cosa
porta la nostra bionda
investigatrice in questo triste luogo?”. La frase, seppur
detta in modo
scherzoso, lasciava trapelare i sentimenti contrastanti del giovane.
“Lasciami
indovinare: LAVORO?” concluse, con tono irritato, vista la
lunga pausa
dell’amica. Si aspettava una risposta. Ma aveva imparato a
conoscerla. Pausa
più mani tormentate significano che la risposta è
scontata, ma non vuole essere
ufficiale. La bionda non poté far altro che fissarlo
sentendosi in colpa. “E
così non sei qua per gli amici, i vecchi tempi, tuo
padre… sei qui per lavoro?
Spero tu stia scherzando Veronica, perché altrimenti penso
tu sia diventata una
persona spregevole, quel genere di persona che nessuno di noi ha mai
apprezzato
e menchemeno desiderato
diventare.” Lei
lo interruppe “Calmati Wallace…si è
vero, sono qui anche per lavoro. E’ una
questione molto delicata…”
“…e non mi puoi dire nulla di
più”, la interruppe il
ragazzo, strappando un dolce e malinconico sorriso all’amica.
“Ma sono tornata
anche perché non ce la faccio più … il
lavoro è importante, ma io mi sento sola
comunque. In questi anni ho rielaborato i conflitti repressi che ho col
mio
passato, con mio padre, con questo posto, e ora mi sento in grado di
tornare,
di affrontare questa realtà e tutto ciò che ne
comporta”.
Lui
scoppiò a ridere “Insomma,
questo bel ragazzo ti è mancato!”
“Si”rispose lei “lo hai detto te che
Veronica
Mars è una tenerona…”, e lo
ammonì con una gomitata.
Lasciato
il liceo di Neptune, i
due andarono per un po’ a passeggiare sulla spiaggia, per
raccontarsi l’uno
all’altro, per familiarizzare con ciò che
rispettivamente erano diventati.
Confrontandosi con l’amico, Veronica sentì
l’amaro in bocca. Quanti momenti
importanti si era persa: la nascita dei gemelli, la crescita
dell’impero
finanziario dei suoi migliori amici, i cambiamenti che li avevano
sconvolti. Si
sentì rattristata e allo stesso tempo invidiosa. Loro
avevano potuto continuare
a far parte della vita l’uno dell’altro, e lei si
era persa tutto ciò. Dai
momenti importanti a quelli insignificanti. Resasi conto di questo
provò una
profonda rabbia, verso sé stessa! Lei aveva deliberatamente
deciso di
abbandonare la sua vita precedente, buttandosi capofitto nel ruolo
della
stacanovista dedita al lavoro. Non si era creata una vita, si era
trovata un
posto nel quale credeva di rifugiarsi per fuggire a parte del suo
passato,
quella fatta di violenze, stupri, omicidi e tradimenti, di Madison e
Aaron, e
dedicarsi a una parte abbandonata tempo prima. O forse che la aveva
abbandonata. E così aveva vissuto quei pochi anni, sola,
senza la possibilità
di trovarsi degli amici, costretta all’anonimato. Pesavano
come macigni,
sembravano secoli, quei pochi anni.
Ed
ora
era lì, sul bagnasciuga di
Neptune, alla spiaggia dei cani, che giocava coi piedi immersi nella
sabbia
inumidita dalla fredda acqua del mare, mentre ascoltava il fiume di
parole che
sgorgava dalla bocca dell’amico, troppo entusiasta per
rendersi conto che
Veronica a malapena aveva spiccicato due parole. Non che non fosse
contenta o
grata di essere lì, era gradevole ascoltare il racconto di
tutto ciò che si era
persa, tutto quelle occasioni sfumate, tentando di riviverle attraverso
la voce
dell’amico, come un cieco che si facesse descrivere un
tramonto dall’amico a
fianco. Ma allo stesso tempo doleva nel petto una sferante malinconia.
“E
in tutti questi anni chi ha
scalfito l’impenetrabile cuore del leggendario
Air-Fennel?”
Wallace
abbassò lo sguardo, ed
iniziò a tormentare la sabbia con un bastoncino.
“Ti ho detto che mio fratello
frequenta il Neptune High? Clemmons è ancora preside
e…”
“Dunque
nessuna è riuscita
nell’ardua impresa? Biondina? Moretta? Eppure ho visto molte
foto di te in
dolce compagnia…” lo rimbecco Veronica in un tono
a metà tra il serio e lo
scherzoso.
“Nessuna…
lo sai che nel mio cuore c’è posto solo per te e
la mia mamma” scherzò lui,
alzandosi come per comunicarle che l’argomento era chiuso. Per il momento pensò lei, solo
per il momento, e lo lascò fare,
raccogliendo le scarpe ed avviandosi con lui alla macchina.
Il
sole
stava tramontando sull’oceano
pacifico mentre Veronica era intenta a ripulirsi i piedi prima di
indossare le
scarpe. Lì a Neptune il temo era sempre ottimo, tanto sole,
poca pioggia,
quella brezza giusta giusta per sentirsi vivi. Però mancava
qualcosa. Il tempo
era come congelato: questa eccessiva perfezione rendeva il tutto quasi
irreale.
Veronica aveva sempre riflettuto su questo aspetto. E ora, mentre la
brezza
marina le scompigliava i capelli e la sua candida pelle veniva baciata
dagli
ultimi raggi di sole, si sentiva a casa, in mezzo a tutta quella
perfezione. “Sbrigati
bionda, siamo in ritardo per la cena di Mac!” la
destò Wallace. “Come in
ritardo? Mannaggia, è quasi ora di cena. Quanto ci mettiamo
da qui a casa di
Mac?” “Venti minuti. Perché?”
“Devo passare da casa di Leo a prendere le mie
cose, e magari cambiarmi…” “E’
una cena tra amici, Mars, non hai bisogno di
metterti in tiro.” Rispose Fennel, incitandola a salire in
macchina e a
muoversi. Di passare a recuperare il bagaglio se ne poteva anche
parlare, ma
per quanto riguardava il cambio d’abito… nemmeno a
parlarne!
Veronica
salì in macchina, chiuse
la portiera, e i due partirono.
Doveva
solo fare piano… non
poteva farsi beccare così, a sgattaiolare come un topo. Ma
non aveva altra
possibilità, era una questione vitale. Un rumore di troppo
e… bang…
Ma
come
diamine faceva a
recuperare la maglietta sotto al cuscino di Leo? E soprattutto, come
c’era
finita lì? Si avvicinò e provò a
strattonare il bianco cotone, ma al primo
movimento vide Leo agitarsi. Evidentemente era esausto, sembrava stesse
dormendo profondamente. Meglio non indagare. Sarebbe tornata nei giorni
successivi a prendere la maglietta. Ora voleva solo scappare da quella
stanza
che trasudava ormoni.
Si
voltò, e con passo felino si
avviò alla porta. Lanciò un ultimo sguardo al
bell’addormentato, lo salutò con
un cenno della testa e se ne andò.
La
strada
seguiva la costa,
insenatura dopo insenatura. L’aveva percorsa poche volte,
anche perché portava
a L.A. attraverso il nulla. Per spostarsi da una città
all’altra era
decisamente più comoda l’interstatale 5.
Però l’ondeggiare del veicolo in mezzo
alla natura, al frinire dei grilli, alla nebbia che lentamente risaliva
la
costa, molto alta in quel punto, le donava una profonda pace interiore.
La
musica accompagnava i suoi pensieri. I suoi viaggi col padre e la madre
verso
la spiaggia, verso San Diego, le gite con Dunkan, Lilly e Logan, le
fughe
romantiche, tutto a Neptune profumava di passato, di remoto, di lontano
e
perso. Nessuno di quegli eventi si sarebbe potuto ripetere. Le sembrava
di
lasciarsi alle spalle una scia di morte e distruzione… Per
fortuna il
parcheggiare la macchina la fece tornare alla realtà, la
presente. Stava per
rivedere Mac, vedere i suoi splendidi bambini, ammirare
Dick… doveva essere
tutto perfetto, doveva rasserenarsi, respirare profondamente e
ricacciare quei
tristi pensieri nel fondo della sua anima, da dove li aveva ripescati.
Non
poteva sprecare questa breve occasione di serenità.
Veronica
si schiaffeggiò le
guance, controllò di essere presentabile e si accorse che il
sole le aveva già
arrossato le guance. Era bello stare fuori dall’ufficio, o
dalla macchina, o
dall’archivio. Era bello sentire il vento e il sole sulla
pelle, e sentirsi
viva. Si sistemò alla meglio i capelli, ma che importava,
non aveva un colloqui
di lavoro. Le persone presenti la conoscevano, non avevano bisogno
della sua
maschera, anche se lei l’avrebbe indossata comunque.
Ciò che le era rimasto
dalla sua adolescenza era il fatto che non ti puoi fidare di nessuno se
non di
te stesso. Scese dalla macchina e si avvio con Wallace
all’ingresso. Sarebbe
stata una serata meravigliosa! Se lo sentiva. Bussò alla
porta e attese!
Un
ombra
si mosse al di la del
vetro smerigliato. Veronica era agitata. Non le capitava mai, non era
una che
se la faceva sotto, era una che reagiva, che rompeva le ossa ai
criminali, che
non indietreggiava di fronte a niente
e a
nessuno. Ma c’era qualcosa che la inquietava. E quando vide
il volto teso di
Mac, il suo sospetto venne confermato. Istintivamente fece finta di
nulla e la
abbracciò “Mac, mi sei mancata!!!”. Il
gesto stupì Wallace. Veronica e Mac non
erano mai state tipe da abbracci. “Veronica anche te,
ma…preparati ad una bella
sorpresa… Temo non ti piacerà. Veronica non so
come dirtelo…” “Non siete in
pericolo vero?” Mac la guardò con aria
interrogativa e poi capì “Assolutamente
no, non ci sono rapitori in casa, solo io Dick, i bambini
e…” una sagoma alle
spalle di Mac attirò l’attenzione di Veronica, i
suoi occhi si fecero di
ghiaccio. Non poteva crederci: lui era qui. “E io. Ciao
Veronica, sembra una
vita eh…”
Logan Echolls era in piedi di
fronte a lei. Il fisico statuario. Lo sguardo dannato. Veronica non
seppe se
svenire o andarsene. Decise di farsi forza e fece un passo avanti,
entrando in
casa. Cosa sarebbe successo non lo sapeva, ma aveva decisamente subito
troppi
scossoni negli ultimi due giorni. Doveva reagire. Era decisamente stufa.
Author's corner
Chiedo venia per la lunga
lunghissima assenza, spero di riuscire a scrivere con più
continuità di qui in avanti!
Auguro a tutti voi buon anno!
Sghisa
|
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Capitolo 8 *** Nuvole e aereoplanini ***
Nuvole e
aereoplanini.
Non aveva mai amato le
tragedie; non si riteneva una piccola Rossella Ohara californiana.
Purtroppo
però sembrava le discgrazie la perseguitassero. La sua
adolescenza era stata
costellata da morti e disastri di ogni genere, la sua vita le si era
sfaldata
tra le mani, disfacendosi pezzo dopo pezzo. L’evento
scatenante fu la morte
della sua migliore amica, Lily, Lily Kane. Chi in America non ne aveva
sentito
parlare? La splendida e impertinente figlia del più ricco
che discreto Jake Kane.
Uccisa dal suo amante, l’altrettanto famoso attore Aaron
Echolls.
E da
lì, come in un interminabile declivio, tutto era andato
a rotoli. Sua madre aveva sfasciato la sua famiglia, andandosene e
costringendola a scegliere. Scelta che l’aveva allontanata da
tutti, dai suoi
amici, dal suo già ex, Dunkan Kane, fratello di Lily. Aveva
dovuto costruire un
muro contro tutti, per difendere l’integrità sua e
di suo padre. La Sua
persona, colui che non l’aveva abbandonata, mai. Che dolore aveva provato sul
tetto del Neptune
Grand, quando lo aveva temuto morto, quando si era accasciata tra le
braccia di
Logan. Logan, altro disastro. Lo era sempre stato, il loro rapporto.
Non aveva
mai funzionato, non poteva funzionare. Erano troppo diversi. Non
perché lui
fosse immorale, semplicemente avevano un concetto profondamente diverso
di
moralità. C’era attrazione
tra loro.
Amore. Ma allo stesso tempo insofferenza e inconciliabilità,
sfociati troppo
spesso in un odio bruciante, vendicativo, crudele.
E ora, colui che
come nessun’altro l’aveva ferita, era in
piedi di fronte a lei, e Veronica non sapeva come gestire questa
terribile
situazione. Sì, non cercava le tragedie, ma forse le stavano
dannatamente vicine.
Le posate
tintinnavano nei piatti. Da quando i mocciosi erano
stati accompagnati tra le braccia sicure di Morfeo, simbolo della loro
ancor
chiara innocenza, un’aria tetra si era abbattuta sulla sala
da pranzo. Vecchi
amici che non sapevano come affrontare il fatto di trovarsi sotto lo
stesso
tetto. Non si riconoscevano più negli adolescenti che
furono, ma non avevano
ancora costruito un “loro” adulto che gli
permettesse di essere amici, di
nuovo. Mac e Wallace, che non si erano persi di vista in quei pochi
anni che li
separavano da un così lontano passato, temevano il peggio.
Dick,
improvvisamente maturato nel suo ruolo di padre e marito, aveva cercato
vanamente di uscire dai convenevoli, cercando di scherzare sul loro
comune
passato. Il ruolo di pagliaccio sembrava non funzionare più,
per lo meno in
quella imbarazzante situazione…
“Allora
che ne dite di questo soufflé? “ Domando, cercando
di
stemperare la tensione. La buttade
però non diede il risultato sperato. Qualche sopracciglio si
inarcò, qualche
colpo di tosse e fine.
Veronica
imbarazzata non riusciva a sollevare gli occhi dal
piatto, e allo stesso tempo non riusciva a mandar giù
nemmeno un boccone. Era
bloccata, a cinque anni prima. Quella sera che si era chiusa alle
spalle la
porta della suite e non solo quello.
……………………………………………………………………………………………………………..
“Questo
Logan, questo è
l’esatto momento. Sei fuori dalla mia vita!” Rabbia
ceca, parole che escono con
una furia da stupire pure lei. Ma la maschera di bronzo non cade, resta
lì. Il
gioco regge. La rabbia vince sull’amore. Le azioni sui
sentimenti. Logan aveva
esagerato, ed era ora di farglielo capire. In fin dei conti,
però Veronica
nascondeva l’intima speranza che avesse picchiato Piz
perché ancora innamorato
di lei. E la cosa la irritava ancora di più. Logan Echolls
era un capitolo
chiuso. O per lo meno doveva esserlo. Troppe lacrime, troppi cuori
infranti,
anni passati, continenti conquistati…decisamente troppi
massacri…
………………………………………………………………………………………………………………….
La
situazione è davvero
insostenibile. Come diceva mia nonna? Se la vita ti da i limoni, fai la
limonata… e con l’improvvisa ricomparsa del tuo ex
cosa ci fai? Andiamo
Veronica, buttati, pensa a Mac wallace e Dick, anche se sono stati loro
a cacciarmi in
questo pasticcio, non mi sembra
giusto rovinare loro la serata in questo modo. Sii corretta Veronica,
è la cosa
che ti riesce meglio…
Proprio in quel
momento i suoi
pensieri vennero interrotti dalla musica. La voce di Mark Lanegan
riempì la
stanza. Una canzone triste ma piena di speranza distolse gli occhi dai
piatti
mezzi vuoi. Wheels, onde che
abbracciarono i commensali imbarazzati, facendoli sorridere. In fin dei
conti
non erano soli. Si erano ritrovati. Dopo aver acceso la radio, Logan si
sedette, sorridendo imbarazzato ai suoi vecchi compagni di scuola,
mentre il
sassofono cantava malinconico. E così la cena si
avviò al suo termine, mentre
Mac ringraziava col pensiero quello spilungone arrogante col quale
aveva avuto
poco a che fare, ma che si era a volte rivelato una discreta compagnia.
L’atmosfera
si era notevolmente alleggerita. Si sentivano
ancora degli spensierati ragazzini, con il permesso di bere
però. Il vino
riscaldava gli animi, e quella serata che era nata in tragedia si
trasformò in
una piacevole rimpatriata. Non gli sembrava vero di ritrovarsi attorno
ad un tavolo,
loro che si erano odiati, stuzzicati, amati e di nuovo odiati. Mac e
Dick
deliziarono e divertirono i loro amici raccontando dello sbocciare
dell’amore
tra loro. Era cominciato tutto quel pomeriggio sulla spiaggia, quando
avevano
fatto volare l’aereoplanino di Wallace. In
quell’occasione Dick si era
avvicinato a Mac per scusarsi con lei. Era un periodo carico di sensi
di colpa.
Pensava spesso a Beaver, suo fratello, che aveva deciso di dare una
svolta alla
sua vita, saltando dal tetto del Neptune Grand. Dick aveva affrontato
il
suicidio del fratello in maniera leggera. Come affrontava tutto. Dalla
scelta
della ragazza con cui provarci, al come spendere la paghetta
settimanale. Però
qualcosa si era rotto, il meccanismo del “Passiamoci
sopra” ad un certo punto
si era inceppato. Forse alle parole di Logan “Non sei un tipo
difficile, eh,
Dick.” Eccome se lo era. Le gabbiette d’oro in cui
vivevano i figliocci dei
riccastri di Neptune erano terribili trappole di ipocrisia e
falsità.
Ma lì
su quella spiaggia aveva incontrato qualcuno che non
nascondeva la propria fragilità, la propria insicurezza, ma
anzi ne faceva un’arma
letale. Già da quel gesto di stizzito rifiuto del suo bacio,
Dick si era reso
conto che quella morettina acida e insicura doveva essere sua.
Iniziò a farle
una vana corte spietata, cui lei non rispondeva. Mac e Veronica
scherzavano su
questa storia: lo sciupa femmine che si squagliava al sole per una non
09?
Poteva esistere qualcosa di più divertente? Decisamente no.
E così era andata
avanti fino all’autunno. Al suo ritorno dallo stage in
Virginia, Veronica aveva
colto la sua migliore amica in flagrante, mentre si sbaciucchiava col
biondino.
Alla fine Dick ci era riuscito: aveva conquistato Mac. Una sera,
durante una
festa sulla spiaggia, lui e Mac avevano condiviso ricordi e segreti del
passato, scoprendo di avere molto più in comune. E
così nacque la loro
relazione. Max non aveva potuto farci nulla: era stato scaricato per un
cervello
di gallina, uno dei suoi più fedeli clienti. Ma
superò il trauma molto presto.
I tre si misero in affari, suggellando una duratura e redditizia
amicizia. Dick
aveva dimostrato a se stesso e agli altri di essere più che
un bell’imbusto.
Lui aveva affrontato con Mac la morte di suo fratello. E ciò
li aveva uniti.
All’improvviso
squillò un telefonino. Veronica lo estrasse
dalla tasca dei Jeans, per rimetterlo al suo posto, senza rispondere.
Dopo poco
smise di suonare. Per ricominciare a pochi istanti di distanza. La
scena si ripeté
diverse volte, finché Logan stremato non si
lasciò trasportare dalla
familiarità su cui si erano adagiati ed esclamò
“Amante ferito? Miss Mars,
rispondi al poveretto!” Non sapendo di aver centrato in pieno
il bersaglio. Tra
lui e lei la distanza si fece nuovamente chilometrica. Era bastata una
stupida
frase per perdere quanto era appena stato guadagnato. Complimenti,
Logan, sei sempre così bravo a rovinare tutto. Questo
è
forse uno dei motivi che mi ha spinta a lasciarti.
“Ciao
Leo…” disse Veronica alzandosi da tavola e
allontanandosi anche fisicamente da Logan.
“No..no…non sono fuggita. No, non
sono con un altro uomo, Mac aveva… Leo, per piacere, Leo,
no… non abbiamo una
relazione. No Leo, non sto dicendo… ohh maledizione Leo.
Devo andare.” E con la mia solita
eleganza ho rovinato
tutto. Mannaggia a me e alla mia indipendenza. E maledizione a tutti
gli
uomini!
E con
ciò si sedette al tavolo, squadrando Logan come per
dirgli che l’aveva fatta grossa e che la questione era chiusa
lì.
Finita la cena
Mac e Veronica andarono in terrazzo, mentre Dick
Wallace e Logan ammiravano le rispettive autovetture. “Bella
sorpresa Mac,
grazie.” Veronica ruppe il silenzio che durava già
da troppo. “Veronica,
innanzitutto in era in programma, si è presentato qui senza
dare spiegazioni.
Un paio di volte all’anno ci veniva a trovare. E’
stato una specie di zio per i
bambini. Non te ne ho mai parlato, perché non sapevo come
avresti preso la piacevole notizia.”
“Sai che sarebbe
stato indifferente per me, Logan fa parte del passato, anzi del
trapassato per
quanto mi riguarda…”
Mac sorrise
“E allora perché quella faccetta
smarrita…” e
concluse alzandosi, con uno sguardo che non ammetteva repliche.
Lasciò la
sdraio al bell’imbusto, fermo sulla soglia, che guardava le
due amiche. “Vi
lascio in pace. Vado a preparare la tua stanza, Veronica.
Bentornata.” E
abbandonò l’amica ad un infausto destino. Una
chiacchierata a quattr’occhi con
il suo ex.
Che
tu sia maledetta
Mac, dal più profondo del cuore. Le note di I
don’t know salivano, mentre la suadente voce del
cantante degli Starsailor li guidava al passato.
“Posso
sedermi, o il trapassato non ha diritto di ammirare le
stelle?” chiese il giovane uomo, ancora sulla soglia,
sporgendosi verso la
biondina. Veronica era irritata e sentenziò “Puoi
dismettere quella faccia da
povero ragazzo sfortunato, da cane bastonato, da vittima del destino.
Ti sei
meritato tutto questo, e se non te lo sei meritato te lo sei andato a
cercare.”
I pochi secondi di silenzio le permisero di sentirsi una vigliacca, che
attacca
prima ancora di vedere le intenzioni del nemico. Che offende
gratuitamente chi
non sempre se le è cercate. Ma lui non le diede tempo di
ribattere. “Non
ricordavo quest’indelicatezza. Comunque sono contento che il
mio essere
trapassato ti faccia arrabbiare ancora così tanto. Messi in
chiaro questi punti
penso che mi siederò qui con te, almeno per restituirti la
cortesia.” E si
sedette, fissando la ragazza con il suo tipico sguardo da schiaffi. Ma
questo
suo modo di agire si rivelava nuovo, e incoerente col vecchio Logan.
Non era
più il ragazzino indifeso che si nascondeva dietro la
maschera del figlio di papà irresponsabile e vittima. Questo
nuovo lato del suo
carattere, forgiato probabilmente dalle esperienze fatte sul set.
Veronica si
mise comoda, pronta a farsi stupide dalla persona sconosciuta che aveva
davanti. “Dimmi Logan, ti ascolto. Questo non significa che
le cose sono
tornate a posto” “E chi ti dice che lo vorrei?
Caspita, Mars, ancora convinta
di essere il centro del mondo? Così tanto piena di
sé, ma così piccola e
fragile. Vuoi chiamare il papà? Ops…non
c’è…” Veronica si
sentì colpita nel
vivo, ma non rispose. Alla soglia dei trent’anni era meglio
dismettere glia
biti e le abitudini liceali. “A parte i colpi bassi, Mac mi
ha raccontato di
tuo padre. Mi dispiace…” rimanendo in silenzio,
come in attesa di un commento,
che non arrivò. “Vedrai che andrà tutto
a posto.” Lo scocciava il non poter
scrutare attraverso l’oscurità, vedere il volto di
lei, capirne i pensieri. Ma
Veronica, cocciutamente voltata dall’altra parte, non gli
concedeva nemmeno
quella piccola soddisfazione. Come se gli stesse nascondendo qualcosa.
Si
tormentava le mani. Quanto avrebbe voluto guardarla negli occhi per
leggervi i
pensieri più nascosti. “Vedo che non hai voglia di
chiacchierare. Comunque ti
ho cercata per un motivo serio. Ho letto che il caso del rapimento
della figlia
di Mag Manning è stato riaperto. Dunkan è
nuovamente ricercato. Volevo
assumerti per ritrovarlo. Voglio proteggerlo. Il mio lavoro mi ha
permesso di
conoscere persone importanti… che contano. E mi devono dei
favori. Ora ho i
mezzi, anche politici, per aiutare un vecchio amico. Lo so”
proseguì lui con aria
amareggiata “che può sembrare tardi. Ma in questi
anni ho avuto il tempo di
riflettere sul mio egoismo, su quanto sono stato pieno di me,
nell’ignorarlo,
nel mettere una ragazza in mezzo alla nostra amicizia. E’
stato il mio migliore
amico, e io me ne sono disinteressato. Come te, d’altronde.
Però penso che
aiutarlo in questo momento potrebbe essere la cosa giusta da
fare…” Si
interruppe senza concludere il discorso, stupito dal gesto della
ragazza che,
sorridente, lo fissava.
“Chi sei? Logan
Echolls? Non credo proprio. Comunque, ho già
un caso aperto, però poteri lavorarci nel tempo libero.
Nulla di eccessivamente
impegnativo. Va bene?” Lui proruppe in una risata aperta e di
cuore “Certo! Ma
ad un patto: voglio collaborare. Sborsare un bel po’ di soldi
non mi aiuterà a
sentirmi meno in colpa.” Veronica si alzò
“Va bene, basta che tu non mi stia in
mezzo ai piedi.” Anche perché forse
Dunkan non vuole essere trovato, e io posso impedire che ciò
accada, ma se mi
starai troppo col fiato sul collo non potrò lavorare con la
dovuta calma.
“Domani
devo andare da Celeste. Vuoi accompagniarmi?”
domandò lei avvicinandosi alla
portafinestra. “Mars? Non mi dirai che hai ancora paura di
quella santa donna?”
Veronica non lo degnò di risposta e si avviò in
cucina lasciandolo ai suoi
pensieri. Tutto ciò le semplificava le cose.
|
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Capitolo 9 *** Disclaimer ***
Ciao a tutti,
lo so sono una pessima scrittrice e non mi dilungherò in
giustificazioni senza senso. Dirò solo che negli ultimi anni
ho avuto davvero poco tempo e non ero in grado di proseguire con la
storia.
Per questo motivo non farò promesse da marinaio, ma
dirò solo che ho intenzione di rimettere mano a questa fan
fiction, provare ad andare avanti e finirla.
Non so quanto ci metterò né quando
pubblicherò il prossimo capitolo, ma mi è proprio
venuta voglia di scrivere e raccontare la mia storia.
Ringrazio per la pazienzae spero che qualcuno abbia ancora voglia di
leggere.
Stay tuned!
Sghisa
|
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Capitolo 10 *** Di sbarre e libertà ***
Capitolo 9
Di sbarre e
libertà
Era strano,
soprattutto in quella stagione, che il cielo sopra Neptune si
rannuvolasse così. Galoppavano le nuvole, accompagnate da
una brezza che si faceva di minuto in minuto più intensa,
coprendo le stelle che timidamente cominciavano a mostrarsi nel cielo
della città. “It
never rains in southern California”. Quel brano
le girava in testa mentre osservava i lampi danzare nel buio al ritmo
rombante e sempre più accelerato dei fragorosi tuoni.
Adorava il silenzio carico di aspettative e di terrore che anticipava
lo scatenarsi della tempesta. Quella commistione di paura e di coraggio
le dava la carica. Veonica Mars non si faceva intimorire da un
po’ di pioggia.
Seduta alla finestra
guardava il temporale arrivare, e fremeva di quest’attesa.
Veronica Mars adorava i temporali. Forse, di lì a poco,
avrebbe cambiato idea: una buffera di dimensioni catastrofiche si stava
abbattendo su di lei.
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In cuor suo sperava
che i vetri leggeri, quasi inesistenti di quella squallida stanza
reggessero l’impatto con qualche goccia d’acqua e
le vibrazioni del temporale. Non poteva andarsene. Non poteva
contattare nessuno. Era solo. E non aveva mai visto un temporale di
quelle dimensioni sulla sua città.
Keith Mars sperava che
sua figlia lo andasse a prendere presto.
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La tempesta aveva
sradicato qualche albero, rotto qualche finestra. Di per sé
nulla di che, ma per un soleggiato paesino della California tutto
ciò rappresentava un’anomalia. Soprattutto nella
zona industriale vi erano stati danni notevoli. Mentre con la macchina
si avvicinava alla sede della Kane Software, Veronica cercava di
ricordare l’ultima volta che aveva avuto a che fare con
Clarence Widman e la famiglia Kane. Era il primo anno di college, e di
sicuro intrufolarsi a casa del più importante uomo della
città per sottrargli degli importanti documenti non era
stata un’idea vincente. Anzi. Forse era stata una delle
azioni più stupide che avesse compiuto. Aveva messo nei guai
non solo se stessa ma anche tutte le persone a cui teneva. Suo padre
aveva perso le elezioni, Logan aveva rischiato la vita, Piz si era
lentamente allontanato da lei fino a scomparire, Mac aveva avuto il
telefono sotto controllo per settimane. Tutto il suo mondo era andato
in pezzi, e per una stupida questione d’orgoglio.
Era agitata. Si
sentiva sempre più sotto esame ad ogni passo che, dal
parcheggio, la conduceva all’asettico ingresso della Kane
Software. Appena entrata, venne accolta dal formale sorriso di una
ragazza giovane ed elegante. “Prego?”. Il sorriso
non si affievolì nemmeno per un secondo.
“Veronica
Mars. La signora Kane mi sta aspettando” rispose Veronica,
con un sorriso altrettanto affettato e posticcio. Mentre la segretaria
verificava, Veronica tamburellava con le unghie sul bancone di pietra.
Più tempo passava lì e più le
prudevano le mani. Decisamente insofferente, sbuffò. Proprio
in quel momento la segretaria alzò lo sguardo è
le disse “La stanno aspettando in fondo al
corridoio”, per poi buttarsi nuovamente nel lavoro.
Senza nemmeno
ringraziarla, Veronica si avviò verso l’ufficio in
fondo al corridoio. Nella stanza, illuminata da una serie di faretti
dai colori freddi, una lunga scrivania riservata probabilmente alle
riunioni. All’altro capo della scrivania, seduta su una sedia
girevole, Celeset Kane aspettava, mani intrecciate sotto il mento.
“Veornica! Che piacere vederti. Accomodati!”.
Veronica non si avvicinò troppo, si sedette a sei
poltroncine di distanza e attese che la sua ospite ricominciasse a
parlare. Celeste non era cambiata. Qualche ruga in più non
la rendeva meno affascinante o meno gelida. Essere diventata nonna non
sembrava averla intenerita. Forse non aver mai visto sua nipote e non
avere notizie di suo figlio negli ultimi anni non deve aver aiutato a
mitigare il carattere controllato di quella donna.
“Veronica,
non ho intenzione di girarci intorno. Ti ho chiamata perché
aveva affidato a tuo padre un caso, urgente ed importante. Come puoi
immaginare, i soldi non sono mai stati un problema. Al contrario lo
è il fatto che tuo padre sia sparito. Immagino la tua
preoccupazione”. Mentre parlava guardava la giovane donna
dritto negli occhi. Celeste non l’aveva mai sopportata. Era
stata la prima ragazza di suo figlio. Il suo adorato figlio. Si era
insinuata tra le pieghe della sua famiglia, ammorbandola. Per anni
aveva temuto che quella indiscreta e indesiderata ragazzina fosse nata
dall’amore illecito di suo marito per Lyenne Mars. Il primo e
forse unico amore di suo marito: l'immagine di Jake e Lyenne re e
reginetta del ballo era stata la sua tortura per anni. Dover avere a
che fare con la figlia della propria nemesi era stato anche peggio. La
giovane ragazza che passava intere giornate con i suoi figli era
cambiata forse nell'aspetto, ma non nel carattere. Quell'arroganza di
fondo, quella forza di volontà che caratterizzavano Veronica
erano tutto patrimonio dei Mars. Keith, allora sceriffo, aveva fatto di
tutto per arrestare l'assassino di Lilly Kane. Anche accusare uno per
uno i Kane.
Mentre questi pensieri
affollavano la mente di Celeste, Veronica la fissava senza esitazione.
Non si era mai sentita in soggezione di fronte a Celeste, ma si era
sempre guadata dal provocarla. Ora provava quasi compassione per quella
donna consumata dall'invidia e dal dubbio, profondamente sola e
infelice. Ma tutte le cattiverie, tutte le malignità non
potevano svanire così facilmente. Veronica non apprezzava
Celeste, certamente, ma almeno la capiva.
“Si signora
Kane, sono molto preoccupata per lui. E essere qui con lei sta rubando
tempo prezioso alle mie ricerche. Le dispiace arrivare al sodo? Cosa
vuole da me?”, disse infine la giovane. Celeste si era
irrigidita quasi impercettibilmente. “Pensavo, Veronica, ci
dessimo del tu. Insomma, ho rischiato di diventare tua
suocera...”. Senza volerlo Veronica l'aveva ferita.
“Scusami
Celeste” disse, rilassandosi sulla sedia “non
è facile per me gestire questa situazione”.
La donna riprese,
accavallando le gambe e appoggiando le mani in grembo.
“Qualche settimana fa avevo assunto tuo padre, sai,
è rimasto l'unico investigatore in città. Inoltre
non avrei chiesto a nessun altro di cercare... insomma, si tratta di
una questione delicata.” Le mani torturavano il lembo della
giacca, gli occhi erano infossati e cerchiati di scuro. Celeste
trasmetteva una grande angoscia e una profonda insicurezza. E' un atteggiamento
così poco da Celeste Kane, pensò
Veronica, osservando quella donna che una volta era tutta d'un pezzo
farsi all'improvviso fragile. “Ho chiesto a tuo padre di
cercare Dunkan. Voglio che mio figlio torni da me, voglio conoscere la
mia nipotina. Voglio che le cose si sistemino. Ho già perso
una figlia, e lei non posso averla indietro. Ma Dunkan si, e tuo padre
è l'unico che può trovarlo. Oltre a te”.
Le due si scambiarono
un lungo sguardo, in silenzio. Poi Veronica abbassò gli
occhi, aspettando che Celeste riprendesse il discorso. “I
soldi non sono un problema, come ti ho già detto. Ma voglio
che mio figlio torni a casa il prima possibile. Sento che non
c'è più tempo” disse, con le lacrime
agli occhi “Non so spiegarti perché ma sento che
non avrò una seconda opportunità. Ti prego
Veronica, riportalo da me. Da noi”.
Veronica Mars era
stupita dalla richiesta, e non potendo prendere quella decisione su due
piedi, si alzò di fretta. “Ora devo andare. Ho un
impegno alla centrale di polizia: qualcuno non sta facendo il suo
lavoro e qualcuno dovrebbe ricordare allo sceriffo in cosa consiste. Ci
penserò su, Celeste. Posso intanto capire cosa aveva
scoperto mio padre. Ma non ti prometto nulla. Come ben sai, ho altro
per la testa al momento. E forse potrebbe essere proprio per colpa di
questo incarico che mio padre è stato rapito.”
Si avviò
verso l'uscita. Prima di oltrepassare la soglia guardò
quella donna, una volta spaventosa e severa, forte e austera, farsi
piccola piccola nella poltrona di pelle scura. E provò pena
per lei.
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Tutto si aspettava,
tranne che imbattersi in quell'uomo tutto d'un pezzo, sempre elegante
ed impassibile. Eppure
è semplice, Veronica, lui ha sempre lavorato qua. Clarence
Widman è sempre stato al servizio dei Kane.
Perché non dovrebbe esserlo più?!?
Lo salutò con un accattivante sorriso alla Mars,
“Buongiorno Clarence, quanto tempo. Sempre pronto a coprire
qualche omicidio per i signori Kane?”.
“Veronica”
rispose lui, inespressivo come sempre, “sempre pronta ad
accusare qualcuno ingiustamente?”
Senza nemmeno degnarlo
di uno sguardo, Veronica riprese la sua strada. “Lo so che ti
sono mancata! A presto Clarence, a presto”, disse, prima di
lasciare l'edificio.
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Finalmente seduta
nella sua macchina Veronica poté riprendere fiato e
riflettere su quello che era appena successo. Non ci voleva proprio, questa
bella uscita di Celeste rischia di scombinare i miei piani. Avevo
programmato tutto, doveva essere così semplice. Ma no,
quella strega deve sempre mettermi i bastoni tra le ruote.
Perché cercare Dunkan dopo tutto questo tempo? Cose le
è saltato in mente? E soprattutto perché adesso?
Cercò le chiavi nella borsa, e una volta trovate mise in
moto la macchina. Voleva allontanarsi da lì al
più presto. Vedere Celeste aveva fatto riaffiorare antichi
ricordi. Lei e Lilly sul bordo della piscina, a prendere il sole.
Veronica aveva dodici anni. Erano ancora delle bambine, ma Lilly
mostrava già una certa malizia. Come si muoveva quando
c'erano dei ragazzi attorno, come sorrideva agli amici di Dunkan, come
amava essere guardata con desiderio. Eh sì, quegli sguardi
immaturi e imbarazzati erano di desiderio, anche se i loro proprietari
ancora non lo sapevano. E più la guardavano più a
lei piaceva scivolare tra le sdraio verso l'acqua fresca della piscina,
urtandoli passando, per poi immergersi lentamente nell'acqua
trasparente, lanciando acuti gridolini per attirare l'attenzione.
Celeste non poteva sopportarlo, e spesso interveniva sgridando sua
figlia per il comportamento inappropriato. Odiava che Lilly fosse
così Lilly.
Al
contrario amava Dunkan e la sua perfezione, i suoi modi garbati, la sua
educazione, la sua intelligenza e la sua obbedienza. Dunkan era sempre
stato un bravo ragazzo, studioso, ordinato, pulito. Ma poi qualcosa era
cambiato, e ora lui era diventato padre e fuggiasco. Si è
sicuramente dovuta rivedere sul conto di suo figlio, la cara, cara
Celeste. Come ha potuto ignorare la voglia di libertà che
corrodeva suo figlio fin nel midollo. Come ha potuto ignorare le sue
richieste d'aiuto? Dunkan non ha mai voluto essere il figlio perfetto,
ma doveva esserlo per compensare in qualche modo la delusione che Lilly
era per sua madre. Poi, assieme alla pubertà, è
arrivato Logan. E le cose hanno cominciato a cambiare. Eccome se lo
hanno fatto...per tutti noi.
Il trillo del telefono
sembrò arrivare al momento giusto, interrompendo il filo dei
suoi pensieri poco prima che la trascinasse in un baratro di ricordi e
rimpianti. “Proprio con te volevo parlare”, disse
la bionda rispondendo al telefono. “Perché mi stai
chiamando? Potrebbe... mi sembrava di essere stata chiara”
rispose spazientita ed irritata “ Lasciamo perdere, discutere
con te è inutile. C'è stato un interessante
cambiamento. Il vento forse sta girando a nostro favore!”.
-----------------------------------
Appena parcheggiata la
macchina, Veronica venne letteralmente assalita. Dallo sguardo
accusatore di Logan. “Avevo detto chiaramente che non volevo
essere lasciato in disparte in questa cosa. Quale parte del discorso
non ti è stata chiara, Mars?”. Era bastata
l'espressione di Logan per farle capire che l'aveva fatta grossa.
Ribadire il concetto a parole era decisamente superfluo. Ma Veronica
sapeva di meritarselo, quindi, in silenzio, scivolò fuori
dalla macchina e si apprestò a dare una spiegazione.
“Da quando
usiamo i cognomi, Echolls? Comunque non volevo tagliare fuori nessuno,
Logan, ma non potevo coinvolgerti in questo momento. Celeste si
aspettava me e solo me. E poi eri ancora ubriaco da ieri sera quando ho
provato a svegliarti questa mattina.” Piccola bugia. Veronica
aveva solo aperto la porta della camera di Logan, ma visto che lui
dormiva, era sgattaiolata via senza avvertirlo. Mezza
verità. La sera prima aveva lasciato il suo grande amore del
liceo solo sul terrazzo in compagnia di una bottiglia di Jack Daniels.
Bottiglia che al mattino era completamente vuota. “E comunque
sarebbe stato imbarazzante per me venir ingaggiata per lo stesso caso
in meno di ventiquattr'ore da due persone diverse.”
Logan
rilassò la schiena e abbandonò l'espressione
ferita per una più stupita. “Cosa vorresti dire?
Che Celeste vuole rintracciare Dunkan? Anche lei?”.
“A quanto pare si, e mi ha fatto un'interessante offerta
economica. Ora non so proprio chi sarà il mio
cliente!” ribattè lei, con tono malizioso. Si
stavano rilassando, anche se a fatica. “Ma come, gli ex non
hanno priorità? Vantaggi? Sconti?” Gli ex non
hanno alcun diritto, Logan, solo ricordi e rimorsi, pensò
Veronica, superandolo e andando in direzione della cucina.
Caffè, ecco di cosa aveva bisogno in quel momento. E in
cucina c'era una favolosa macchinetta italiana, con tanto di cialde e
tazzine calde. “Le mie tariffe si sono alzate rispetto al
liceo, sai?!? Sono una persona seria, io. Comunque... ora devo andare
alla centrale di polizia. Sono stata convocata, ma in realtà
voglio capire a che punto sono con le ricerche su mio padre. Mi
potrebbe tornare utile una spalla. Ci stai? Potresti doverti sporcare
le mani, Inga non è più così giovane,
ma guarda il lato positivo: dalla sua ha l'esperienza!” Visto
che Logan non sembrava entusiasta all'idea, decise di alzare la posta
“Ok, hai vinto. Troverò Dunkan. Però
pagherà Celeste. E posso fare qualcosa anche per la
questione delle accuse fatte dai Manning. Sai, anche io ho il mio giro
di conoscenze...”.
Gli allungò
una tazzina di caffè e sorrise. Quel sorriso magico alla
Veronica Mars cui nessuno poteva resistere. Soprattutto Logan Echolls.
------------------------------
Erano passati anni
dall'ultima volta che erano stati in macchina assieme. Era una
situazione decisamente imbarazzante. Veronica accese la radio. Il
silenzio si stava facendo pesante. Solo venti minuti la separavano
dalla centrale di polizia eppure le sembravano davvero infiniti.
“Sai, non sei cambiata per nulla.” Ed ecco che il silenzio viene
interrotto da inutili parole. Si voltò e gli
sorrise. “Cosa intendi, Logan? In cosa, oltre alla statura,
non sarei cambiata? Sono passati così tanti
anni...”. Puntò nuovamente gli occhi sulla strada.
Le mani, sul volante, le sudavano. Come era difficile trovarsi
lì con lui.
“Innanzitutto
lo sguardo, sempre così serio e severo. Non ti sei mai
arresa di fronte alle difficoltà, a meno che non
riguardassero il tuo cuore. Da quelle sei sempre scappata. Sei sempre
scappata da me. Per il resto, però, non ti sei mai arresa.
Nemmeno adesso, che tuo padre è scomparso, muori dalla
voglia di ritrovare sia lui che Dunkan. Ho sempre invidiato la tua
forza d'animo, anche quando ero il la vittima sacrificale.”
Le sue parole erano state dure, ma la avevano lusingata. “E'
davvero così evidente? Se possibile, comunque, questi anni
mi hanno resa ancora più combattiva e intransigente. Sai,
è difficile confrontarsi ogni giorno con le
infelicità delle persone. Tradimenti, violenze, ingiustizie.
Ho la pelle dura, ma non così dura a quanto pare. Ogni tanto
ho bisogno di uno sguardo meno cinico e severo. E allora chiamo Mac,
che mi racconta dei suoi bambini e di Dick, o Wallace, che riesce
sempre a dire la cosa giusta al momento giusto. O Piz, che mi consiglia
della buona musica...” Logan si era irrigidito sul sedile, e
aveva cominciato a tormentarsi un ciuffo di capelli. Perché ho tirato
fuori quel nome? Non avrei dovuto. “Come sta
Piz? Non ho sue notizie da anni...”, la sorprese Logan.
“Bene, lavora per un'importante radio di New York. E scopre
talenti. Sono contenta per lui, perché... perché
è quello che ha sempre voluto.”
“Incredibile, Veronica Mars che ha lasciato correre. Come hai
potuto perdonarlo? Dopotutto forse sei cambiata davvero...”
la interruppe Logan con tono critico e accusatorio, senza abbandonare
un pizzico di ironia. “In che senso, scusa?”
riprese lei, infastidita. “Ma come? Piz, il bravo ragazzo,
lui che non avrebbe mai potuto farti del male e che invece ti ha
tradita. Tradita, Veronica. E tu lo hai perdonato? L'avessi fatto io,
in questo momento non mi troverei di sicuro a respirare la tua stessa
aria.”
Certo che lo ho perdonato,
perché è tutta colpa mia se è
accaduto. E anche tua, stupido Logan. Se il nostro fosse veramente
stato un capitolo chiuso, probabilmente avrei chiamato Piz molto
più spesso dalla Virginia, non avrei aspettato che fosse lui
a cercarmi. Se non fosse stato per quello stupido scambio di sguardi
nella caffetteria, probabilmente non avrebbe messo in dubbio la mia
sincerità. E non mi avrebbe messa alla prova. Io me ne sarei
accorta. E non avrei fallito. Per questo lo ho perdonato per essere
andato a letto con la sua collega della radio. In fin dei conti era
tutta colpa mia, e tua. Avrebbe voluto rispondergli
così, ma si limitò a fissare la strada mordendosi
il labbro inferiore. Dopo alcuni minuti di silenzio riprese
“Le persone cambiano, Logan. Io sono cambiata. Sono passati
così tanti anni. Non mi conosci come io non conosco
più te. Le mie decisioni non ti riguardano, come le tue non
riguardano me. Siamo costretti a stare qui, assieme. Cerchiamo di
tenere un comportamento civile, e non rivanghiamo il passato. Ormai
è passato”.
Colpito e affondato.
Logan inspirò profondamente. Guardò Veronica, il
suo profilo. Non sei
cambiata così tanto come credi,
pensò, guardando fuori dal finestrino la costa frastagliata
e le onde che bagnavano la spiaggia. Nessuno dei due parlò
più fino alla stazione di polizia.
----------------------------------
Ma il passato non
voleva saperne proprio di scivolare in un cassetto e lasciarvisi
chiudere. Era tornata a Neptune, e tutto sapeva di vecchio e di
conosciuto. Veronica aveva passato la sua infanzia e la sua adolescenza
nell'ufficio dello sceriffo. Suo padre ci aveva lavorato da sempre,
prima come vice sceriffo e poi come sceriffo. Quel posto era un luogo
sicuro. Tutti la conoscevano, la salutavano, la coccolavano da piccola,
la controllavano da adolescente. Poi Lilly era morta. E quel luogo
sicuro era diventato di giorno in giorno sempre meno accogliente. Non
lo era stato con Don Lamb, e non lo era di sicuro dopo tutti quegli
anni durante i quali la stupidità e l'avidità di
Vinnie l'avevano fatta da padrona. Varcare la soglia della centrale era
per Veronica una vera e propria prova di forza. In più aveva
una brutta sensazione su quello che la aspettava.
“Allora,
adesso tu ti metti lì con Inga e cerchi di capire a che
punto stanno con le ricerche di mio padre. Basta che la lasci parlare.
A quanto ho capito, flirtare è ancora il tuo forte. Non mi
deludere, tigrrrrrre!”, disse Veronica, con tono provocatorio
e malizioso. Vederla arricciare le mani, mostrare le unghie, e
sorridergli stupì Logan. No, decisamente non sei cambiata
affatto, Veronica. Anche se tu non lo sai ancora.
Pensò il giovane, ricambiando il sorriso e entrando
nell'edificio della contea.
I suoi
sensi non l'avevano ingannata nemmeno quella volta. Non era lo sceriffo
che voleva parlare con lei, ma il suo vecchio amico.
“Signorina Mars, l'abbiamo convocata in centrale per
un'interrogatorio ufficiale. Se vuole, può contattare il suo
avvocato, oppure possiamo assegnargliene uno d'ufficio”.
L'agente Dominik Patterson era seduto di fronte a lei nella stanza
degli interrogatori e la guardava, come suo solito, dall'alto in basso.
“Guarda caso il mio avvocato è anche l'avvocato
d'ufficio cui si rivolge lo sceriffo. Sono accusata di qualcosa? Sono
in arresto?” attese qualche secondo, ma l'agente dell'FBI non
ribattè. “Perfetto, allora farò il
possibile per collaborare, ma non chiamerò il mio avvocato.
Cosa vuoi da me Nick? È troppo difficile trovare un viziato
ragazzino e la sua bambina? Ti serve il mio aiuto?”.
Allungandosi verso di lui, Veronica mormorò “Penso
che le mie tariffe siano un po' fuori dalla tua portata”.
Non era la mossa
giusta. Nick le afferrò il polso e la tirò a
sé. Veronica non riusciva a muoversi, mentre lui le girava
l'avambraccio. “Ascoltami bene, biondina. Non ho nessuna
intenzione di farmi mettere i piedi in testa da te. Ti ho fatta buttare
fuori dall'FBI. Rovinarti la vita potrebbe diventare il mio nuovo
hobby. Ora smettila di fare la spiritosa e ascoltami bene. So che tu
sai dove si trova il giovane Kane. I Manning rivogliono la loro
nipotina. Il tuo ex ha commesso un reato federale. E sono sicuro che tu
lo hai aiutato. Come ora aiuterai me e gli Stati Uniti d'America a far
rispettare la legge.” lasciò la presa, si
alzò e accese una videocamera.
“Ora mi
racconterai tutto quello che ti ricordi di quegli ultimi giorni con il
tuo ricco fidanzatino. Ogni particolare. Vedi di non dimenticare nessun
particolare. Perché lo sceriffo Van Lowe ci ha raccontato
alcuni particolari dei quali non eravamo a conoscenza. E le vostre
versioni non coincidono. Proprio per nulla.”
Veronica
deglutì, ma non abbassò lo sguardo.
“Penso proprio che mi avvarrò della
facoltà di non rispondere. E, Nick, voglio il mio
avvocato”.
-------------------------------------------------
Veronica era dentro
quell'ufficio da quasi due ore e Logan cominciava a spazientirsi. Non
capiva perché la donna che aveva profondamente amato era
stata convocata dallo sceriffo, ma lo sceriffo non era mai entrato
nella stanza degli interrogatori. Al suo posto si era presentato un
uomo, certamente un agente di qualche tipo. Gli ricordava qualcuno, ma
Logan non riusciva a capire chi. Era una buona mezz'ora che cercava di
collocare quel volto in un luogo del suo passato. Sapeva che c'era
qualcosa che non quadrava in quell'uomo con la faccia da ragazzino. Gli
puzzava di inganno.
È passato troppo
tempo. Ora vado lì, sfondo quella maledetta porta e la
trascino fuori di qua. Le cose non stanno andando per il verso giusto,
qui. Penso proprio che dovrò intervenire. Stava
per alzarsi dalla sedia, quando alla porta d'ingresso comparve Cliff Mc
Cormak, avvocato d'ufficio e grande amico della famiglia Mars. Se lui
era lì, le cose dovevano essersi fatte complicate. Logan gli
si avvicinò con aria interrogativa. Ma non ebbe il tempo di
rivolgergli la parola, perché l'avvocato, sfoderando uno dei
suoi sorrisi migliori, lo anticipò “Mr Echolls,
che piacere vederla. Se ha bisogno del mio aiuto, temo che
dovrà aspettare qualche tempo. Sono impegnato con il tirare
fuori dai guai una nostra comune conoscenza al momento.”
Logan deglutì e gli sorrise “Sono arrivato qui con
Veronica e da due ore è chiusa dentro quella stanzetta con
un perfetto sconosciuto. Stavo per andare a fondare quella
porta...” “Pessima idea, Logan, pessima idea.
Lascia che ci pensi io. Vattene a casa, qui temo si farà
molto più lunga del previsto. Veronica è nei guai
questa volta”. Sorridendo si avviò verso la stanza
degli interrogatori, che lo inghiottì in pochi secondi.
Effettivamente Logan
aveva fatto il suo dovere, chiacchierando prima con Inga e poi con
Mindy. Aveva scoperto che lo sceriffo non sapeva nemmeno da dove
cominciare le ricerche di Keith Mars. Non c'erano prove, non c'era un
movente. Nulla di nulla. Né un impronta né un
capello. Nulla di strano. C'erano solo prove della presenza di Keith e
di Veronica in quella casa, il che di per sé non era una
prova. Brancolavano nel buio. E poi l'arrivo dei federali e la
riapertura del caso Manning prima che cadesse in prescrizione...
insomma l'ordine e il rigore avevano lasciato spazio al disordine e
alla confusione.
Aspettare Veronica o
meno, questo si stava domandando Logan. Poi un leggero fastidio. Si
sentiva osservato. Alzò lo sguardo e incontrò
quello furente di una sua vecchia conoscenza. Leo D'Amato.
Perché lo stava guardando così male? Logan fu
colto da una sensazione di dejavù.
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Spazio
autrice.
Avevo
promesso che avrei aggiornato e così è stato. A
presto nuovi capitoli, promesso!
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Capitolo 11 *** Galli nel pollaio ***
Galli nel pollaio
Veronica Mars si era
spesso trovata in situazioni complicate, molto complicate. Aveva avuto
a che fare con i federali non ancora maggiorenne, quando il suo
fidanzato di allora Duncan Kane, aveva rapito la piccola Faith Manning,
sua figlia, ed era scappato. In quell'occasione i federali non
l'avevano presa sul serio, ma avevano dovuto ricredersi. Duncan era
riuscito a farla franca e a scappare senza lasciare traccia proprio
grazie a VeronicaCon un piccolo aiutino dal fondo fiduciario Kane,
ovviamente.
Poi era stata a
Quantico per uno stage estivo. Si era trovata per la prima e unica
volta nella sua vita da quella parte della barricata, e le era piaciuto
immensamente. Pensava di aver trovato la sua strada, di aver deciso per
il proprio futuro. Ma le cose non erano andate come avrebbero dovuto, e
da allora Veronica aveva avuto un rapporto piuttosto controverso con
l'FBI.
Non che le piacesse
commettere crimini, come intrufolarsi in casa di un sospettato alla
ricerca di prove. Oppure sintonizzarsi sulle frequenze della
polizia per scoprire informazioni. O ancora sfruttare la sua
avvenenza per rubare qualche segreto agli agenti meno preparati. O
crackare il loro sistema di sicurezza. Forse un po' le piaceva, le dava
quella scarica di adrenalina che le permetteva di sopportare il vuoto
pneumatico che circondava la sua vita privata. Ma non era per questo
che si era incontrata e scontrata con le forze dell'ordine abbastanza
spesso da essere meritare un fascicolo tutto speciale. Era
perché lei era dannatamente brava nel suo lavoro. Se c'era
qualcosa da scoprire, un segreto da portare alla luce, un bugiardo da
smascherare, si poteva stare certi che Veronica ci sarebbe riuscita. E
questa sua abilità la portava spesso a pestare i piedi a
persone dal grosso calibro.
Certo, lo storico
scambio di grattatine tra forze dell'ordine e investigatori privati non
era venuto meno con l'avvento dell'era Mars. Però erano
più le volte in cui Veronica era un problema che non un
vantaggio per i federali. E così si era trovata spesso
dall'altro lato della scrivania, a sbadigliare annoiata di fronte alle
domande dei federali cui non rispondeva. “Segretezza
professionale” era la sua scusa. Valida, il più
delle volte.
Ma non avrebbe potuto
funzionare questa volta. E questa volta non poteva permettersi di
finire dietro le sbarre. Aveva troppo per le mani, non poteva farsi
fregare da quella mezza cartuccia di Dominik. Era troppo sveglia e
troppo disperata.
“La mia
cliente non ha nulla da dire in merito agli avvenimenti di quel lontano
2005. Collaborò quanto più poteva con gli agenti
dell'FBI che l'hanno preceduta”. Dominik non mosse un solo
muscolo del corpo, non lasciò trapelare alcuna emozione.
“Non mi interessa quello che sta dicendo, avvocato. La sua
cliente ha l'abitudine di mentire, e a quanto ho potuto dedurre dalla
mia chiacchierata con lo sceriffo Van Lowe, questa abitudine
è piuttosto radicata nel passato della signorina. Lei ha
aiutato il signor Kane a scappare, lo sappiamo. Ora se la sua cliente
non vuole vedersela brutta, le conviene raccontarci tutto quello che
sa. E siccome scommetto che lo sa, deve dirci dove si trova oggi il
signor Kane”.
Veronica
cercò di rimanere impassibile. Era davvero nei guai.
“Ripeto,
finché non la accuserete di qualcosa di concreto,
possibilmente avendo per le mani qualche prova, e non solo la parola
del nostro rigorosissimo sceriffo, le consiglio di non fare il passo
più lungo della gamba, agente. Perché qui si
parla di diffamazione” Cliff non aveva perso il suo smalto e
soprattutto la sua faccia di bronzo. “La mia cliente non ha
idea di dove sia andato il signor Kane dopo la sua fuga. Non ha fatto
altro che consegnare al signor Van Lowe una busta, che non conteneva
denaro. Probabilmente è il signor Van Lowe che dovrebbe
trovarsi qui in questo momento, e non la mia cliente. Quindi, se vuole
scusarci, noi ce ne andiamo.” Concluse Cliff, chiudendo la
valigetta ed invitando Veronica ad alzarsi, poggiandole la mano sulla
schiena. Un gesto protettivo. Perché Cliff avrebbe fatto di
tutto per proteggere la figlia del suo più caro amico.
“Non finisce
qui, Veronica. La prossima volta ci saranno manette e sbarre”.
“Ommioddio
Nick, se volevi semplicemente uscire con me per una serata romantica,
bastava un mazzo di fiori”, rispose Veronica. Questa volta
non si sarebbe fatta azzittire. Domink Patterson rimase a bocca aperta,
mentre Veronica usciva dalla stanza degli interrogatori.
----------------------------------------------
Erano passate diverse
ore da quando era arrivata alla centrale, e
la stupì non poco trovare non uno ma due dei suoi
ex ad aspettarla fuori da quella angusta stanzetta dove avvenivano gli
interrogatori. “Ma guarda un po', Veronica, due cavalieri
pronti a scortarti verso un luogo sicuro. Direi che la mia presenza
è di troppo. Ti chiamo questa sera. Abbiamo molto di cui
parlare. Ho come la sensazione che quel Dominik non mollerà
facilmente l'osso”, esclamò Cliff con tono
divertito.
“Grazie
Cliff” rispose Veronica abbracciandolo, un gesto strano per
lei anche in una situazione difficile come quella. Senza che nessuno se
ne accorgesse, fece scivolare un bigliettino di carta nella mano di
Cliff, che, nonostante lo stupore, fece il possibile per non farsi
notare. Infilò la mano in tasca e si scostò dalla
giovane donna. “Sempre a disposizione. A questa sera
Veronica”. E così dicendo uscì
dall'ufficio dello sceriffo.
Ora Veronica aveva una
nuova gatta da pelare. Anzi due. Leo e Logan non sembravano
assolutamente in atteggiamento amichevole. Imbarazzata sorrise,
cercando di stemperare la tensione. “Non mi hanno arrestata
nemmeno questa volta. Chi ha voglia di festeggiare con una bella birra
fresca?”. Nessuno dei due rispose con entusiasmo, ma entrambi
si avviarono verso l'uscita. Guardandosi in cagnesco. Sì,
quella che aveva davanti si prospettava proprio una lunga lunga
giornata.
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L'estate volgeva al
termine, eppure il caldo californiano li investì con
violenza quando uscirono dall'edificio della contea. In fretta Veronica
recuperò gli occhiali dalla borsa. “Allora, Leo,
sei tu l'esperto. Dove possiamo prendere qualcosa al volo per pranzo?
Un posticino tranquillo, nulla di che.” Leo sembrò
rilassarsi un po'. “Alla spiaggia dei cani hanno aperto un
localino niente male. Messicano. Porzioni abbondanti e birra fresca.
Salite che vi porto.”
Logan alzò
un sopracciglio “Ehi amico, ci ricordiamo dove è.
Ti seguiamo con la macchina di Veronica. Ci vediamo lì,
ok?”. Il suo tono non ammetteva repliche. Veronica era
già stufa che i due marcassero il territorio. Non c'è alcun
territorio da marcare, stupidi. Non sono mai stata un premio e nessuno
dei due vincerà la bambolina oggi. Perché devono
essere sempre così competitivi gli uomini? La
rabbia e il fastidio le montavano in corpo mentre si avviava alla
macchina. Questo viaggio con macchine separate le avrebbe permesso di
mettere le cose in chiaro con Logan, o almeno sperava che sarebbe
potuta andare così.
Ma doveva saperlo,
quando l'equazione comprendeva lei, Logan e uno spazio ristretto, il
risultato era sempre disastroso. Questa volta non dovette neppure
aprire bocca. Appena posizionò le mani sul volante, Logan si
bloccò, fissandole il polso. Non se ne era accorta, ma
Dominick era stato davvero violento quando l'aveva bloccata per i polsi
poche ore prima. Un vistoso livido le cingeva il polso. Era ancora
rosso, ma presto sarebbe diventato più scuro.
“Cosa ti
è successo al polso?” domandò Logan,
inspirando profondamente per controllarsi. Con non curanza, senza
pensarci troppo, Veronica disse “Deve essere stato Nick prima
alla centrale. Metterò anche questa sul suo conto. Manesco e
stupido. È sempre stato...” “Chi
è Dominick Veronica? E perché hai un livido di
questo genere?” Non l'aveva previsto, quindi Veronica
poté solo rispondere con sincerità.
“Dominick? Un collega di quantico. In realtà lo
hai conosciuto anche tu, al liceo. Aveva provato a incastrare Norris.
È quell'agente che hai picchiato al Camelot quel giorno
che...” si interruppe, perché Logan stava uscendo
dalla macchina, con il suo solito fare da eroe.
Si affrettò
a bloccarlo. Era allenata, forte e veloce. Non era facile sopraffarla,
o sfuggire a una sua presa. “No Logan. Non ho proprio bisogno
che uno dei tuoi irrazionali attacchi di rabbia mi cacci in guai ancora
peggiori. E poi... so difendermi da sola. E anche se non ne fossi in
grado, non è compito tuo difendermi. Non ho bisogno di un
eroe, o di un principe azzurro.” Logan si bloccò,
la guardò negli occhi. Un'espressione triste e rassegnata si
dipinse sul suo volto. “Ho notato che ne hai in abbondanza di
eroi e principi azzurri a tua disposizine. Messaggio ricevuto. Capisco
quando sono di troppo”.
Ci mise qualche
secondo a capire di cosa parlava, e accusò il colpo in
silenzio. Veronica Mars era bravissima a capire molte cose, ma non era
mai riuscita a capire il suo rapporto con Logan. Non era mai riuscita a
distinguere i suoi momenti di follia psicotica, da quelli in cui era
sincero e fragile. Non era mai stata capace di interpretare il suo
umore, aveva sempre avuto bisogno di un traduttore. In quel momento,
però, tutto le appariva chiaro. Come in un epifania. Ma
comunque gli domandò “Di cosa stai parlando,
Logan?”. Lui non sembrava voler rispondere. Dopo qualche
secondo di imbarazzante silenzio, la giovane detective mise in moto la
macchina e imbocco il viale che conduceva alle spiagge. Aveva fame e
aveva bisogno di bere. Dopo un po' Logan riprese “Tu e Leo. O
meglio, Leo e te. Non sono cieco. È arrivato in centrale
trafelato e preoccupato. E quando mi ha visto ha fatto una faccia...
come se avesse voluto prendermi a pugni.” Ecco, hai chiesto Veronica? Ora
hai la tua bella risposta sincera; risposta con la quale dovrai fare i
conti. Si maledisse tra sé e sé la
biondina.
“Logan... io
non ho bisogno di te come non ho bisogno di Leo. So cavarmela da sola,
di solito. Non sono mai stata una sognatrice, perlomeno non dopo la
morte di Lilly. E tu lo sai bene. Più di una volta il sedere
che ho preso a calci era proprio il tuo. Quindi, per cortesia, niente
pazzie. Leo e la mia ipotetica vita sentimentale non
sono affari che ti riguardino. E Dominick... beh a lui ci
pensiamo io e Cliff. Non complicarmi la vita, chiaro. Altrimenti sei
fuori”. Logan non rispose, non aveva intenzione di irritarla
ancora di più. Nel suo silenzio Logan meditava e rimuginava
sul passato. Avrei
dovuto picchiarlo più forte quando ne avevo l'occasione,
quell'idiota. Non avrebbe dovuto toccare Veronica. Ma come dice quel
proverbio? Aspetta sulla riva del fiume e vedrai il cadavere del tuo
nemico passare.
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Il resto del viaggio
proseguì in silenzio. Nessuno dei due aveva voglia di
discutere o litigare. Arrivati al tacos bar alla spiaggia dei cani,
prima di scendere, Veronica si rivolse a Logan. “Tra noi
è sempre stato così... complicato. Non solo
quando stavamo assieme. Cerchiamo di far andare tutto bene questa
volta, che ne dici? Questa volta c'è davvero molto in
ballo.” e gli porse la mano, sorridendo. Logan
sembrò stupito da quel gesto così amichevole.
Dopo qualche istante le restituì la gentilezza. Toccarla
però gli fece correre un brivido lungo la schiena... Quanto
tempo era passato dall'ultima volta che si erano toccati. Non si
ricordava nemmeno quando. Questa
è la fregature delle rotture: non fai mai caso alle piccole
cose e poi ti penti di non aver fermato quel ricordo, in modo da
poterlo rivivere all'infinito... Ed eccolo lì,
il momento era sfuggito di nuovo. Veronica aveva lasciato la sua mano e
stava uscendo dalla macchina.
Leo li aspettava ad un
tavolo in ombra. “Abbiamo molto di cui parlare noi
tre” disse la bionda rivolgendosi ai due uomini
“perché c'è molta carne al fuoco. E io
devo tenere un profilo basso”. Si sedette al tavolo e prese
in mano il menu. Decisamente il tipo di locale di cui aveva bisogno in
quel momento: qualcosa di poco impegnativo, del cibo spazzatura e la
brezza a rinfrescare la giornata. Cosa
chiedere di meglio? Beh forse non avere a che fare con due
suoi ex contemporaneamente avrebbe reso la pausa molto più
gradevole. Bene, diamo il via alle danze, pensò, mentre
ordinava una birra e una fajitas vegetariana. “Allora,
ragazzi. La situazione è la seguente. Sto lavorando su tre
casi. Tre. In contemporanea. E tutti e tre mi vedono coinvolta
emotivamente, quindi sarà molto complicato. Come se non
bastasse sono tenuta d'occhio dai federali, quindi soprattutto per
quanto riguarda la ricerca di Duncan, non potrò fare molto.
Ma voi si, potrete muovervi quasi inosservati. Tutti i riflettori sono
puntati su di me, quindi io cercherò di tenerli impegnati e
voi avrete campo libero. Insomma, per voi sarà un gioco da
ragazzi!” E qui Veronica si fermò, in attesa della
reazione dei due giovani uomini. Bevve un sorso di birra e si
appoggiò allo schienale della sedia, rilassata. Volevate mettermi i bastoni tra
le ruote, e io vi ho incastrati. Chissà se uno di voi vuole
tirarsi indietro...
Leo fu il primo a
rompere il silenzio “Ma certo Veronica, lo sai che puoi
sempre contare su di me” rispose il giovane, stringendole la
mano. Veronica si staccò da lui, abbassando lo sguardo. Era
una situazione imbarazzante, soprattutto perché Logan li
stava fissando con sguardo truce. Leo non ci fece caso e
proseguì. “Dimmi su cosa devo concentrare le mie
energie. Abbiamo già lavorato assieme in passato, e formiamo
una bella sinergia, no?!?” Concluse con uno sguardo malizioso
e provocante. A Veronica tornarono in mente i momenti passati con lui
sotto le lenzuola. Poi si riprese. Cosa stai facendo, Veronica? Devi
liberarti di lui, non invitarlo ad un tete a tete... Ricomponiti e
rendi la tua vita più semplice.
“Dato che
sei dell'ambiente e hai i mezzi e le conoscenze, vorrei che tu ti
concentrassi su Duncan Kane. Io non posso nemmeno pronunciare il suo
nome senza scatenare l'FBI, quindi dovrai occupartene tu. Chiedi a
Cliff, ti darà il contatto di un mio ex collega dell'FBI che
potrà darti qualche informazione legale. Dobbiamo costruire
la difesa di Duncan prima di riportarlo a casa. Non può
finire in galera. Il caso sta per andare in prescrizione e i Manning
hanno poco tempo. Se però dovessero riuscire a riportarlo
qui prima del tempo noi avremo posizionato tutti i materassi al posto
giusto, e nessuno si farà male. Nessuno potrà
separare Duncan e sua figlia.” Fece una pausa, guardando i
due giovani uomini negli occhi. Era arrivato il loro pranzo. Iniziarono
a consumarlo in silenzio, però Veronica sentiva lo sguardo
accusatore di Logan. Ma non sarebbe stata lei a iniziare quella
discussione, nossignore. Se Logan voleva litigare, prego. Lei nel
frattempo aveva già affilato gli artigli.
Sapeva sarebbe
arrivato, quindi non so stupì quando il suo ex, dopo essersi
schiarito la voce e passato una mano tra i capelli, prese la parola.
“E io cosa dovrei fare, in questo tuo favoloso piano
infallibile, Miss Mars? Starmene in disparte a guardare? Mi sembrava di
essere stato chiaro. DK è il mio migliore amico e non
starò a guardare mentre lo incastrano e lo portano via da
sua figlia.” L'aveva detto con tono calmo, rassegnato. Non
c'era violenza nella sua voce, né rabbia. Solo una profonda
amarezza. Veronica incassò in silenzio. Le faceva
più male quel tono dimesso e mesto che non se lui l'avesse
aggredita verbalmente come suo solito. Non c'era ironia né
cinismo nella voce di Logan, e questo la stupì moltissimo.
Raggruppò le idee e, dopo un profondo sospiro, gli rispose.
“Non sei
fuori da nulla, Logan. Penso solo che tu non possa fare molto da solo.
Potrai lavorare con Leo al caso di Duncan e Lilly, ma vorrei che le tue
energie fossero spese meglio di così. Questo non
è il tuo campo. Mentre saresti bravissimo a portare a
termine l'incarico che ti vorrei assegnare. Saresti nel tuo elemento. E
poi una persona alla quale voglio molto bene ha bisogno di me. E penso
che anche tu gli debba molto...” Logan rise, di quella risata
piena e forte che lo caratterizzava. “Per quanto io sia
lusingato dalla tua proposta, non penso che a Keith Mars farebbe
piacere essere trovato e salvato dal sottoscritto. Piuttosto penso...
si farebbe appendere a testa in giù sopra un
formicaio”.
Veronica sorrise.
“Non era proprio questo che avevo in mente. A mio pader ci
penso io. Tu dovrai occuparti di una cosa che ti è molto
familiare: una bella donna”.
Detto questo,
impugnò forchetta e coltello e si mise a mangiare. Per
quanto la riguardava, la questione era chiusa.
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Eli Navarro stava
riposandosi. La nottata in ambulanza era stata decisamente movimentata.
Due donne in cinta, una mezza ustione e tre attacchi cardiaci. Le ore
alla guida del furgoncino bianco erano volate, ma ora si stavano
facendo sentire sulle sue spalle. E così, appena arrivato a
csa, si era tuffato sul divano, dopo aver calciato lontano scarpe,
divisa e zaino. Al turno successivo mancavano solo 6 ore, e lui voleva
riposare, mangiare e magari vedere la sua donna.
Era ancora strano per
lui avere una compagna fissa, una che lo amava ma che non si faceva
mettere i piadi in testa. Mentre chiudeva gli occhi appoggiando la
testa rasata sul cuscino, pensava al giorno in cui si erano conosciuti.
Lui lavorava ancora come tuttofare alla Hearst, lei era una
studentessa. Non si erano incontrati molto spesso, eppure il campus era
piccolo e le conoscenze in comune molte. Forse troppe. Poi, un bel
giorno, si erano incontrati. Si erano sorrisi. Si erano piaciuti.
Non avevano molto in
comune. Lui veniva da Neptune, California. Era cresciuto in quella
cittadina lussuosa, ma nei quartieri periferici. Era stato
discriminato, rifiutato, arrestato. Lei era una brava ragazza nata ai
bordi delle montagne, a Denver. Non aveva visto il mare prima dei sei
anni, ed era cresciuta in un quartiere benestante. Lui era cresciuto a
suon di cazzotti e spranghe, cavalcava un'aggressiva moto. Lei aveva
sempre avuto la passione per i cavalli e andava sempre a messa. Lui non
aveva nemmeno preso il diploma: Lamb lo aveva arrestato poco prima che
quel maledetto pezzo di carta gli venisse dato. Lei era uscita dal
liceo di Denver con il massimo di voti e una borsa di studio per la
Hearst. Lui non aveva una storia seria da secoli. Da Lilly, per essere
precisi. Lei, guardacaso, aveva appena rotto con l'ex di Lilly. Piccolo
il mondo.
Eli Navarro non si
aspettava che una ragazza tutta acqua e sapone e frivolezze come Parker
Lee potesse diventare la sua luce di riferimento, e che lei si potesse
innamorare di un ex delinquente come lui. Comuqnue, dopo una brevissima
fase in cui Weevil le fece una corte spietata, Parker cedette e gli
concesse un appuntamento. Che finì con loro due, sulla
spiaggia, a parlare tutta la notte. Non gli era mai capitato di
conoscere qualcuno così semsinile e attento. Si era
innamorato. A Parker ci volle qualche giorno in più. Ma da
allora non si erano mai separato.
Anche per questo
doveva ringraziare Veronica che gli aveva dato appuntamento alla stanza
di Parker, senza però presentarsi. Eli aveva poi scoperto
perché: in quel momento era l'oggetto del contendere tra il
famoso e brillante Logan Echolls, e uno molto vicino alla mafia russa,
tal Gory Sorokin.
C'erano molte cose per
le quali Eli avrebbe dovuto ringraziare Veronica Mars. Ma l'avergli
fatto conoscere Parker era in cima all'elenco. Senza ombra di dubbio.
Stava giusto per
addormentarsi mentre pensava alla pelle morbida della sua ragazza,
immaginandosi di accarezzarla delicatamente, quando il telefono
suonò. Era sempre così: quando il sonno sta per
sopraggiungere, ecco che arriva anche qualcosa che lo interrompe, come
lo squillo di quel maledetto telefonino. Allungò il braccio
fino a raggiungere quel terribile apparecchio. Non guardò
nemmeno chi fosse il rompi scatole. Non aveva importanza. Stava per
ricoprire di insulti la persona dall'altro lato della cornetta, quando
un dolce “Ciao” lo blocco. “Quando dici
“ciao” in questa maniera, mi sembra di vederti
mnetre inclini la testa di lato e ti prepari a chiedermi un
piacere”.
Sorrise mentre il
telefono gli restituiva una risata cristallina e sincera.
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Dopo aver lasciato
Logan e Leo al tacos sulla spiaggia, Veronica si era allontanata da
sola. Aveva bisogno di un po' di tempo tutto per sé. Era
riuscita nel suo intento: sviare l'attenzione. Se Leo e Logan volevano
giocare ai galli nel pollaio, tanto meglio. Non avrebbero fatto troppo
caso a lei. Avrebbe potuto muoversi liberamente, senza sentire il fiato
di uno dei due sul collo.
Avrebbe potuto sviare
Dominik, portarlo su una falsa pista. Ora aveva un sacco di tempo per
gestire la cosa a modo suo e portare l'FBI e i Manning esattamente dove
voleva. In serata avrebbe pianificato tutto con Cliff. Mentre la brezza
le scompigliava i capelli, Veronica Mars guidava sul lungomare di
Neptune, sicura di sé. Nessuno avrebbe potuto fermarla!
--------------------------------------------------------------------------
Un indirizzo. Su quel
bigliettino di carta c'era solo un indirizzo. E lui ora si trovava di
fronte ad uno squallido motel sulla Corona Freeway. Non sapeva cosa si
sarebbe trovato di fronte, ma si era sempre fidato e l'avrebbe fatto
anche questa volta. Con i Mars era così: mai chiedere,
saranno loro a spiegarti il perché.
Spazio Autrice:
Come promesso sto
cercando di tenere dei tempi decenti nella pubblicazione.
Spero nei prossimi 10
giorni di uscire con un nuovo capitolo.
Grazie per la pazienza!
|
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Capitolo 12 *** Logan, parte prima ***
Logan
parte prima
Era stata una giornata
lunga e faticosa. La sdraio sul terrazzo di casa Casablancas-MacKenzie
faceva proprio al caso suo. Il sole stava tramontando alle sue spalle,
e davanti a lui si pariva l'oceano sconfinato. La bottiglia appoggiata
sul tavolino di vetro aveva lasciato degli aloni e delle gocce d'acqua.
Quando se ne accorse, Logan si sentì un po' in
colpa: qualcuno avrebbe dovuto pulire. E tutto per la sua pigrizia.
--------------------------------------------
Dopo aver salutato
Veronica nel primo pomeriggio, lui e Leo si erano recati alla Mars
Investigation. Sembrava incredibile, ma quel posto era
esattamente uguale a quando, seduta alla scrivania della reception,
c'era Veronica.
Appena entrato gli era sembrato di vederla alzare lo sguardo dal suo
lavoro con quell'aria quasi infastidita tipica di quando era lui a
disturbarla. Eppure era proprio in quella stanza, dopo la
morte di Lilly, che il loro rapporto si era consolidato,
cambiando forma, maturando. Sul divano della Mars Investigation avevano
ricominciato a parlare. Nei corridoi poco distanti si erano scambiati
baci appassionati. E infine da dietro quella scrivania avevano litigato
per l'ennesima volta, e Veronica lo aveva cacciato la sera in cui si
era presentato da lei tutto ricoperto del sangue di Piz.
Pensandoci, Logan si
rese conto che era stato quello il momeno in cui tutto si era rotto,
proprio in quella stanza, con Keith dietro la porta a vetri e Veronica
che urlava sussurrando per non farsi sentire dal padre. Era
lì che il loro rapporto aveva fatto il giro di boa, non
quando lei si era presentata al Grand per urlargli contro e dirgli che
lui era fuori dalla sua vita per sempre. Ma in realtà era
già accaduto: Logan era uscito dalla vita di Veronica nel
momento in cui aveva varcato la soglia della Mars Investigations.
Quei ricordi svanirono
quando lui e Leo si misero alla scrivania una volta occupata da
Veronica; a quel punto il passato era scivolato fuori dalla porta,
lasciando spazio al prorompente presente. Si misero al lavoro,
spulciando tutto lo spulciabile in merito ai Manning. A Dominik
Patterson. A Duncan Kane e alla sua famiglia. Niente. Poi il telefono
sulla scrivania di Keith Mars aveva suonato. All'altro capo della linea
c'era Cliff Mc Cormack. “Ciao Leo. Ho solo pochi minuti. Hai
carta e penna?” Leo aprì un cassetto, ne estrasse
un block notes e una penna e annuì. Poco dopo scrisse un
numero di telefono e un nome. Agente Weiss. Leo ringraziò
l'avvocato e mise giù il telefono. “Ok Logan, ora
tocca ai grandi. Mentre telfono a questo agente Weiss, per piacere, fai
il gioco del silenzio”, ammiccò, posando l'indice
sulle sue labbra. Logan lo squadrò irritato. Non era sua
intenzione farsi prendere in giro da quell'italiano arrogante.
“E cosa dovrei fare, maestrino. Se mi dai carta e pastelli
posso farti un disegno.” Disse, alzandosi dalla sedia e
poggiandosi allo stipite della porta dell'ufficio con aria di sfida.
“Non mi
fraintendere, Logan. Non è mia intenzione tagliarti fuori,
ma, sai, giocare al gioco dell'FBI non è fare
l'investigatore della domenica. Qui bisogna avere metodo. Il rischio
è quello di farsi fregare, mentre noi dobbiamo farci
aiutare” dicendo questo accese il computer e
liberò la scrivania. “Che ne dici di lavorare
all'altra questione? Io tra la'ltro non l'ho mai conosciuta lei, quindi
forse potrebbe essere molto più semplice per te gestire la
cosa. Che ne dici? Hai visto come funzionano i motori di
ricerca degli investigatori privati. Nel cassetto di sinistra
della mia scrivania troverai la mia rubrica. Ci sono un po' di nomi di
agenti e poliziotti che potresti contattare. Dì che lavori
per Keith e che sei il nuovo socio.” E concluse la
conversazione “Sono sicuro che per questa sera avrai trovato
qualche informazione. Ora se tu potessi chiudere la porta e lasciarmi
fare il mio dovere...”.
Logan aveva sorriso, e
si era voltato verso quella che sarebbe stata la sua scrivania. Chiuse
la porta e sorrise a Leo. Forse non era poi così male quel
belloccio tutto capelli e sorrisi.
------------------------------------------
Non si era mai reso
conto di quanto fosse frustrante cercare qualcuno che non voleva farsi
trovare. Eppure questa volta non era un fuggitivo con figlioletta al
seguito, ma una bella ragazza che non aveva nulla da nascondere. Aveva
cominciato dalla Grande Mela. A quanto sapeva, era lì che
Jackie Coock era andata, o meglio tornata, dopo la fuga da Neptune. Era
tornata alla sua vecchia vita, da sua madre ma soprattutto da suo
figlio. Almeno questo era quello che Veronica gli aveva raccontato. Con
Wallace non avevano mai parlato di Jackie. La ferita era evidentemente
ancora fresca per lui.
Così Logan
aveva cercato tutte le Jackie e i Coock di New York. Aveva scavato
negli archivi universitari, nelle cartelle sanitarie, negli uffici di
collocamento. Ma nulla da fare. In un primo momento il suo lavoro gli
era sembrato inutile. Si sentiva lo stupido del villaggio, messo a fare
qualcosa a caso pur di tenerlo fuori dai guai.
Poi all'improvviso
l'illuminazione. Magari lei aveva cambiato nome, o aveva trovato lavoro
subito. Ma un bambino deve essere registrato: fare i vaccini,
iscriversi a scuola. E i bambini non si possono nascondere: neppure
nella grande mela. Il figlio di jackie aveva due anni all'epoca del
loro diploma, e se Logan non si ricordava male, la piccola si
chiamava Tessa. Quante Tessa possono essere nate nel 2004 a New York?
Dopo aver digitato i
dati nel motore di ricerca, Logan rimase stupito. Ora doveva solo
incrociare i dati e trovare la bella Jackie. Avevano ancora qualche
giorno prima del grande ballo di beneficenza. E lui doveva rimediare ai
suoi torti.
---------------------------------
Il tempo era volato:
aveva esaminato appena un terzo delle Tessa dell'elenco quando Leo era
emerso dall'ufficio di Keith con la fronte imperlata, l'aria stanca, ma
uno splendente sorriso di soddisfazione ad illuminare il volto.
“Perfetto, siamo coperti. O meglio, Duncan è
coperto legalmente. Lui è il padre di sua figlia, e in
almeno 15 stati della nostra confederazione ha diritto di farne quello
che vuole. Per quanto agghiacciante questo possa suonare. Quindi, se
rientra, basta che si trasferisca ad esempio in Texas, Idao, o Iowa. In
questo modo potrebbe risparmiarsi qualche decennio in
carcere.” Logan gli sorrise e si rimise al lavoro. Voleva
avere un indirizzo o un numero di telefono entro il tramonto. Stremato
il giovae detective si sdariò sul divano. “Certo
che Angela è proprio un tipino...” Logan
alzò lo sguardo “E chi sarebbe Angela? Sei stato
al telefono con un agente dell'FBI o ti sei fermato alla centralinista
dalla voce sensuale?” Leo rise di gusto, e passandosi una
bano sulle guance ruvide della barba di due giorni. “A dire
il vero si tratta dell'agente dell'FBI dotata non solo di una voce
estremamente sensuale ma anche di un carattere tutto pepe. Angela
Weiss. Quella donna mi incuriosisce. Vorrei proprio sapere dove e come
lei e Veronica si sono conosciute”. Leo gli rispose con tono
derisorio “Hey, Romeo, torna con i piedi per terra! I
consigli dell'avvenente agente Weiss non risolvono tutti i nostri
probelmi, mi pare. Non abbiamo anocra idea di dove si trovi Duncan, o
sbaglio?”. Dopo averlo squadrato si rimise al lavoro. Leo si
coprì il volto con un cuscino e si appisolò. Il
silenzio conciliò il lavoro di Logan. Le ore passavano, ma
la sua voglia di trovare la bella Jackie non si affievolì.
Fino a quando la luce si fece sempre più fioca, segnalando
l'avvicinarsi del tramonto.
---------------------------------------------------
“Hey, se
continui così mi sa che ti assumo come aiutante”.
La voce di Leo distolse Logan dallo schermo del computer. Evidentemente
si era svegliato. “Bensvegliato, bella
addormentata!” sogghignò Logan da dietro lo
schermo. “Angela e la sua voce ti hanno fatto
compagnia?” le dita continuavano a navigare sulla tastiera e
lo sguardo rimaneva fisso sullo schermo. Prese in mano una penna e
annotò un numero di telefono sul block notes già
pieno di informazioni. Leo rise di gusto e si alzò dal
divano. Raggiunta la scrivania rubò il block notes dalle
mani di Logan e lo studiò con attenzione. “Vedo
che hai trovato qualche pista... non male per un novellino. Forse
essere stato per tanti anni in stretto contatto con la famiglia Mars e
tutti i suoi misteri ti ha influenzato.” Fece ricadere gli
appunti di Logan sul tavolo e si stiracchiò. “Non
so tu, ma io ora penso che me ne andrò a casa. Dato che il
tuo passaggio ti ha mollato alla spiaggia dei cani, che facciamo? Ti
riaccompagno io o ci salutiamo qui?” dicendo questo si
stiracchiò. Ad essere sinceri quel divano era veramente
scomodo, e lui ora aveva bisogno di una bella doccia e una vera
dormita. Il giorno dopo sarebbe dovuto andare a Los Angeles,
all'ufficio di Veronica, per recuperare un po' di documenti ed
incontrarsi con Angela. Non sapeva quanto si sarebbe fermato nella
città degli angeli, ma sperava abbastanza a lungo da
conoscere meglio l'intrigante agente Weiss.
Logan spense il
computer e si alzò dalla sedia. Solo allora si rese conto di
quanto tempo era passato dal loro arrivo alla Mars Investigations.
Aveva le ossa incriccate, quindi doveva essere rimasto su quella sedia
almeno un paio d'ore senza muoversi. “Portami a casa,
D'Amato. Penso di avere materiale a sufficenza. Mancano quattro giorni
al ballo, domani tornerò qui e farò un po' di
telefonate. Jackie non mi sfuggirà!” Leo chiuse i
cassetti della scrivania di Keith, spense il computer e
frugò infine in una scatola di latta che si trovava a fianco
dell'acquario. Ne estrasse un mazzo di chiavi che lanciò ad
uno stupito Logan “Io domani vado a fare una gita, e forse a
consocere la futura signora D'Amato, quindi non posso proprio farti da
balia, mio caro Mr. Echolls. Mi raccomando di chiudere tutto quando te
ne vai! E ora, andiamo, ho davvero bisogno di una doccia, e la casa di
Mac non è proprio dietro l'angolo”. Concluse Leo,
prendendo giacca e valigetta. Logan gli sorrise, e i due uscirono
dall'ufficio di Keith Mars.
------------------------------------------------
Il viaggio in macchina
non era stato troppo imbarazzante, almeno nella prima parte. I due
giovani uomini erano rimasti in silenzio, guardando la strada. Poi
l'argomento era venuto fuori quasi per caso. Logan non aveva intenzione
di parlare di lei, soprattutto con Leo. Era cominciato tutto con
un'innocente domanda. “Allora, come è lavorare con
Keith?” aveva chiesto Logan. “Beh, Logan”
aveva risposto Leo “non so chi di noi lo conosca meglio, ma
penso tu non abbia problemi ad immaginarti come sia lavorare con lui.
Bisogna sempre essere attenti, precisi, professionali. Ma se sbagli
l'unica cosa importante è tener presente che esiste sempre
un margine di miglioramento. Keith è molto diverso da sua
figlia: è disposto a perdonare e dimenticare. Non come
Veronica...” Ed eccola lì, l'innominata ed
innominabile, l'argomento proibito, il taboo; Leo aveva appena rotto
l'incantesimo. “La vedi spesso?” questa domanda
aveva ronzato nella testa di Logan per due giorni. Si era ripromesso
che non l'avrebbe posta, che non avrebbe voluto sapere. Però
c'era cascato comunque, e ora sapeva che quello che avrebbe sentito non
gli sarebbe piaciuto. “Non quanto vorrei.” Rispose
laconico l'ex agente. “Logan... io e Veronica... è
complicato, è sempre stato complicato. Lei è
meravigliosa, è scintillante, è incredibile.
Però io non sono mai stato abbastanza... insomma ci sei
sempre stato tu, anche quando non c'eri. Anche quando ero arrivato
prima io.” “Cosa vorresti dire?” lo
interruppe Logan, sulla difensiva. “Andiamo Logan”
lo prese in giro Leo “non sei uno stupido. Quando io e
Veronica abbiamo cominciato a frequentarci sei comparso tu, e lei mi ha
dato il benservito. Poi, finalmente vi lasciate. Sembrava definitivo.
Eppure quando si addormenta tra le mie braccia, era il tuo nome quello
che pronuncia, non il mio. Non è durata molto: il mio
orgoglio mi ha impedito di farmi trattare come un tappabuchi. Da allora
sono passati un paio d'anni, ci siamo visti quando raramente veniva a
trovare suo padre. Non è successo più nulla, fino
all'altro giorno.” Un silenzio carico di rancore
riempì l'abitacolo della macchina. “Si
è gettata tra le mie braccia e io c'ho creduto. Nemmeno a
farlo apposta, il giorno dopo sei comparso tu. Casualità?
Maledizione? Non lo so. Fattostà che ci sei sempre tu a
mettermi i bastoni tra le ruote.” Logan non ce la fece
più a trattenersi “Ma cosa stai dicendo? Io non
vedo Veronica da anni, da quando mi ha buttato fuori dalla sua vita.
Non ci siamo più parlati, visti, e tu incolpi me?”
Leo fece passare qualche secondo. Il caratteraccio di Logan non era
certamente cambiato in tutti quegli anni, e rispondergli subito
l'avrebbe messo solo nell'angolo, costringendolo a tirare fuori i
denti. Dopo che il respiro del giovane rampollo si fu calmato, Leo
riprese a parlare. “Sia chiaro che io non mi struggo per
Veronica Mars, non l'ho mai fatto. So a che gioco gioca, e ho deciso di
starci, pur sapendo che non avrei mai potuto vincere.
Perchè? Perché dopo di te, Logan, non
c'è mai stato spazio per nessuno nella sua vita. Solo
tu.” Logan rimase stupito, non sapeva come interpretare
quelle parole. Ma una domanda gli bruciava dentro. “Quello
che dici non ha senso. Come mi spieghi Piz e Duncan?” Leo non
si trattenne e scoppiò in una calda e fragorosa risata.
“Ma come, non l'hai ancora capito?”.
Per il resto del
viaggio non aprì più bocca. Ogni tanto,
però, Logan lo beccava a ridere sotto i baffi.
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Mentre il ghiaccio si
scioglieva nel bicchiere, Logan ripensava a quello che gli aveva detto
Leo. E più ci pensava più assurdo gli sembrava.
Veronica aveva avuto altre storie, ad esempio Troy, ma anche Leo e Piz.
Ma se Logan avesse dovuto scegliere il cavallo vincente, avrebbe
puntato tutto su Duncan. Per il giovane rampollo Kane, Veronica aveva
versato lacrime, si era disperata, aveva sofferto e combattuto. Aveva
addirittura mentito all'FBI, mettendo a repentaglio il suo futuro.
Decisamente era Duncan il fortunato oggetto dell'eterno amore di
Veronica. Il ragazzo perfetto, il principe azzurro fatto su misura per
lei. Quello elegante, gentile, educato. Quello che non la metteva in
imbarazzo e che la trattava come una regina. Quello al quale Veronica
avrebbe detto “si”. Logan ne era sicuro.
Lui, al contrario era
stato il ragazzaccio, quello che ne combina sempre una. Quello dalla
famiglia ingombrante e dal passato di violenze. Quello il cui padre
aveva ammazzato Lilly, e cercato di ammazzare Veronica. Logan era il
ragazzo con i segni delle cinghiate sulla schiena e la fedina penale
sporca. Quello che aveva fatto a botte con chiunque, che si era messo
nei guai per ogni sciocchezza. Che aveva rischiato di morire. Quello di
cui non ci si poteva fidare. Di cui Veronica non si poteva fidare, per
quanto ci provasse. Era lui quello mancante, e per questo non aveva
funzionato tra loro.
“Hey,
straniero”. Era così immerso nei suoi pensieri che
non si rese conto dell'arrivo di Mac. “Qualche
problema?” si sfilò le scarpe e rubò il
bicchiere dalla mano di Logan prima di lasciarsi scivolare su una
sdraio. “Stavo pensando... al passato.” Rispose
lui, distrattamente. “Ovvero a Veronica?!?” Lo
rimbeccò la giovane, sorseggiando lo skotch. “E'
possibile che non riusciate ad andare oltre, nessuno dei due. Sono
passati quanti, quattro anni? Eppure siete ancora bloccati a quella
notte al Grand quando avete litigato.”
Logan la
squadrò con sorpresa. Inizialmente Mac non parve
accorgersene, ma quando il silenzio di lui si fece troppo lungo si
voltò. Lesse solo confusione negli occhi di Logan.
“Perché mi squadri così? Cosa ho detto
di sconvolgente? Mi sembra chiaro, come a tutti gli altri esseri di
questo pianeta, che né tu né Veronica siate
riusciti ad andare avanti, a lasciarvi reciprocamente alle spalle. Gli
unici che non riescono a capirlo siete proprio voi due.”
Detto questo, si scolò l'ultimo goccio di skotch e fece per
alzarsi. Ma la mano di Logan la fermò. “Cosa
intendi dire, Mac?” La ragazza sbuffò e si
appoggiò di nuovo allo schienale della sdraio. Con tono
impaziente domandò al giovane seduto di fianco a lei
“Perché mi fai questa domanda, Logan. Non
è abbastanza chiaro dopo quello che è successo
ieri sera, tutta la tensione, gli sguardi glaciali, le provocazioni,
che tu e Veronica non siete un capitolo chiuso? Forse dovreste
togliervi i paraocchi e parlarvi, una buona volta. Ora vado a preparare
la cena. Ti lascio ai tuoi pensieri.” Disse con un tono che
non ammetteva repliche. Prima che la moretta uscisse dal suo campo
visivo Logan esclamò “L'ho trovata. Ora devo solo
convincerla.” Mac sorrise “E bravo il nostro
detective”. Lo salutò scompigliandogli i capelli,
come si fa con un ragazzino.
Rimasto solo sul
terrazzo Logan ripensò alla giornata appena trascorsa, a
ciò che aveva fatto, a quanto si era sentito importante. Si
era sentito maturo. Non era più il ragazzino viziato che era
stato qualche anno prima, si era lasciato alle spalle i
combattimenti clandestini e le spranghe. Ma non gli scandali e le belle
donne. Probabilmente non l'avrebbe mai fatto. Però era
ancora mancante, non si sentiva ancora un uomo. Dal giardino le risate
dei gemelli e di Dick lo distolsero dai suoi pensieri. Pure Dick era
cresciuto e diventato un uomo. Era padre e marito, su di lui facevano
affidamento tre persone, le tre persone più importanti della
sua vita. Chi l'avrebbe mai detto di uno scapestrato come Dick?!?
E di lui, chi si
sarebbe mai potuto fidare?
Con immensa tristezza
Logan si rese conto di una cosa: non gli veniva in mente nessuno.
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Spazio autrice: breve ma intenso. Avevo voglia di sviscerare qualcosa
del nostro bello e dannato!
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Capitolo 13 *** Scontri ***
Scontri
Logan stava per
versarsi un nuovo bicchiere di skotch quando il rumore di una macchina
che imboccava il vialetto di casa Mac Kenzie- Casablancas
attirò la sua attenzione. Ormai il sole era tramontato, e un
blu man mano più intenso stava prendendo il posto
dell'acceso arancione che fino a poco prima illuminava il cielo. Non
poteva che essere lei, finalmente. Avevano molto di cui parlare: della
telefonata con l'agente Weiss, di Jackie, di Leo. Ma anche di loro. Non
aveva alcuna intenzione di farsi fuggire quest'occasione. Dovevano
chiarirsi una volta per tutte, dal momento che avrebbero dovuto
lavorare gomito a gomito.
Abbandono bottiglia e
bicchiere sul tavolo, recuperò le sue scarpe da sotto la
sdraio e, con aria combattiva e disposto a tutto pur di ottenere delle
risposte, corse verso le scale e verso Veronica.
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Era stata una giornata
estenuante. Era dovuta correre da una parte all'altra, e la sua
scappatella a San Diego le era costata ore importanti. Ma non poteva
rischiare di farsi vedere da qualcuno, la sua era una missione top
secret. Aveva recuperato tutti i documenti dalla cassetta di sicurezza
della banca, ma li aveva dovuti lasciare lì. Se per caso
Dominik l'avesse seguita, e non dubitava che l'avesse fatto, non poteva
certo farsi trovare con delle carte così scottanti per le
mani. E così aveva rimesso i fogli nella cassetta di
sicurezza, sperando che chi di dovere si fosse poi premurato di
recuperarli quanto prima. Quella banca era sotto controllo, ormai.
Meglio far sparire tutto quanto prima. Uscita dalla San Diego Bank,
aveva comprato un cellulare usa e getta dietro l'angolo e aveva spedito
il messaggio. “OK. E' tutto autografato.”. Aveva
poi fatto il cellulare in mille pezzi, seminando i singoli componenti,
sim esclusa, in diversi cestini e cassonetti della città.
Nel frattempo aveva curiosato in numerosi negozi, comprato un gelato,
si era fatta delle fototessere lungo la spiaggia. Insomma, aveva fatto
il possibile per depistare i due agenti che la seguivano. Se non avesse
avuto appuntamento con un focoso messicano, si sarebbe divertita molto
di più: cinema, negozi di intimo, centri benessere. E
perché no, un giro sulle montagne russe o nella casa degli
specchi. Forse non era entrata nell'FBI, ma riusciva ad annusarli a
distanza, e non aveva perso il suo tocco magico.
Però aveva
davvero poco tempo e un impegno importante, quindi aveva dovuto
arrangiarsi. Ma dopo circa un'ora era riuscita a liberarsi dei suoi
eleganti compagni di viaggio. I due in giacca e cravatta l'avevano
persa di vista quando era entrata in un negozio di vestiti per bambini.
Piccola pausa che le aveva permesso di comprare un regalo per i
gemelli. Poi era sgusciata fuori dalla porta laterale. Aveva recuperato
la sua macchina e aveva fatto ritorno a Neptune; direzione: ospedale.
Aveva trovato ad
aspettarla sul retro dell'ospedale, all'accesso del pronto soccorso
notturno, che ovviamente era chiuso a quell'ora del pomeriggio, un
sorridente Weevil, con un caffè nella mano destra, e un
fascicolo di fogli nella mano sinistra.
“Tu
sì sai come far felice una donna!”
Esclamò Veronica scendendo dalla macchina. “Non
sai quanto hai ragione, V, non ne hai la più pallida idea.
Ma penso che Parker potrebbe aggiornarti su tutti i fronti”
rispose lui sorridendo e porgendole il caffè. Tra loro non
c'erano mai state moine o carinerie. Si erano abbracciati un paio di
volte dopo quel famoso giorno sulla spiaggia in cui lei aveva salvato
due scagnozzi della banda di Eli dalla galera. La prima volta era stato
sotto il portico di casa Navarro, quando Veronica per la prima volta,
aveva tirato fuori il pelato messicano dalla galera. E poi lui l'aveva
abbracciata il giorno in cui lei aveva preso l'aereo per Quantico. Il
loro rapporto era sempre stato particolare, molto particolare.
Quantomeno ambiguo. Nessuno dei due si era mai fidato dell'altro,
eppure entrambi avevano fatto affidamento l'uno sull'altro in
più di un occasione. E anche questa volta Veronica
aveva fatto bene a chiedere aiuto al suo messicano preferito.
Gli strappò
il caffè e il fascicolo dalle mani, e dopo aver gustato un
bel sorso di caffè, nero con poco zucchero come piaceva a
lei, domandò all'amico. “Hai preso
tutto?”. Weevil si appoggiò al muro e con fare
ammiccante ribatté “ti ho mai delusa, Veronica?
Non mi sembra. Perché una buona volta non ti
fidi?”. Veronica annusò il fascicolo e con tono e
provocatorio esclamò “Profuma di promesse
mantenute e fiducia!”. E poi proruppe in una sonora risata.
“Grazie Eli, grazie mille. Questa volta è davvero
importante.” Veronica stava sfogliando il contenuto del
misterioso fascicolo quando Eli lo chiuse, attirando la sua attenzione.
“C'è qualche possibilità che tu mi dica
perché mi hai chiesto i fascicoli medici di quei due?
Davvero Veronica, tu non riesci proprio ad andare oltre alle cose, a
lasciarle perdere.” La bionda non rispose “Non che
ci sperassi” riprese il giovane uomo
“però, Veronica, quanti anni sono passati? Nove,
dieci? Andiamo...” si voltò e andò in
direzione dell'accesso di servizo. “Se vuoi un consiglio,
Veronica, deciditi una buona volta”. Detto questo scomparve
dietro un pesante porta bianca con la scritta VIETATO L'ACCESSO in
rosso sangue.
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Dopo aver salutato
Eli, Veronica era salita in macchina. Finalmente era ora di andare a
casa di Mac, farsi una bella doccia e lasciarsi quella giornataccia
alle spalle. Cliff non l'aveva richiamata, nonostante i numerosi
messaggi che gli aveva lasciato in segreteria. Maledetto Cliff, doveva
farmi sapere qualcosa. Avrà trovato il posto?
Avrà consegnato il messaggio? Non lo sopporto quando mi
tiene sulle spine. Mentre malediceva l'avvocato era già
arrivata a casa di Mac. Imboccò il vialetto con
tutta l'intenzione di rilassarsi: era stata una giornata faticosa e
pesante, e le mancava suo padre. Le mancava potersi confrontare con
lui, avere un appoggio, una spalla sicura. Ma, anche se ci
fosse stato, non avrebbe certo potuto parlare con lui del
grande caso che la stava impegnando giorno e notte, e che la
costringeva, una volta per tutte, a fare i conti col proprio passato.
Mentre scendeva dalla
macchina e recuperava i fascicoli abbandonati sul sedile e la penna dal
porta oggetti, Veronica si trovò a riflettere su quanto si
sentisse a casa lì da Mac e Dick. Le era bastata una notte
per adattarsi al rumore dell'oceano, all'odore di pongo e plastilina,
al ronzare dei walkie talkie con i quali Mac e Dick controllavano i
gemelli mentre dormivano. Ai muffin e al succo d'arancia come
colazione, alla spettacolare vista della quale godeva dalla sua stanza
da letto, all'arredamento elegante ma moderno, alla terrazza sul mare.
Tutto di quella casa le metteva serenità. Dei passi
frettolosi che scendevano le scale la distolsero da quell'immagine
bucolica e rassicurante. Quasi tutto. Certamente Logan Echolls non era
da enumerare tra gli aspetti positivi del suo soggiorno a Neptune.
Guardò la sua mano, forte e grande, ce scivolando sul lucido
corrimano di mogano portava il suo ex sempre più vicino a
lei. Qualcosa nei suoi passi la fece irrigidire: Veronica Mars si mise
sulla difensiva. Non sapeva bene perché, ma sentiva che
l'aspettava qualcosa di decisamente poco gradevole. Le spalle si
contrassero, abbracciando i due fascicoli. Gli occhi si puntarono sul
punto in cui, di lì a poco, sarebbero comparsi gli occhi di
Logan. Doveva farsi trovare pronta, perché qualcosa le stava
dicendo che era in arrivo una bella litigata alla Logan e Veronica, una
di quelle epiche, che lasciano attorno solo macerie e distruzione.
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“Hey!”.
Bastò quello a bloccarlo lì sulle scale, indeciso
se proseguire o tornare indietro. E poi il suo sguardo, freddo e
immobile. Perché mi stai guardando così,
Veronica? Cosa ho fatto di male? O forse vuoi solo spaventarmi ed
evitare qualunque contatto con me? Non questa volta... e riprese a
scendere le scale, con passo più lento, senza staccare gli
occhi da lei. “Hey a te!” esclamò, con
un sorriso rassicurante che le fece rilassare un poco le spalle. Buon
segno, pensò il giovane, passandosi una mano tra i capelli.
Era agitato, un po' frustrato. E quel gesto fece capire a Veronica che
lei aveva il coltello dalla parte del manico. Bene, buon per me. Posso
cavarmela con due chiacchiere sul tempo e sgattaiolare in camera senza
che lui insista troppo. Quando fa così significa che si
sente colpevole e che posso farne quello che voglio di lui. Non sapeva
quanto si sbagliava. “Sono stanca morta, vorrei farmi una
doccia veloce. Come è andata la tua giornata?”
Riprese, sicura di sé, cominciando a salire le scale in
direzione della sua stanza e della sua favolosa doccia. Aveva abbassato
completamente la guardia, convinta che Logan non sarebbe stato un
problema per lei. Il ragazzo la seguì. “Bene, io e
Leo abbiamo lavorato bene, penso. Lui ha sentito l'agente Weiss e pare
che abbiano trovato una possibile scappatoia per far rientrare DK in
America senza condannarlo a anni di prigione.” Erano arrivati
alla camera di Veronica, che distrattamente aveva buttato i fascicoli
sul letto, e, sempre voltando le spalle a Logan stava per aprire bocca
e complimentarsi con lui per il lavoro fatto. Ma l'attenzione del
giovane uomo era tutta per quei due plichi di fogli buttati sul
copriletto rosso. Due nomi che lui ben conosceva erano scritti sui
raccoglitori di cartone. Cercò di capire, di unire i
puntini, ma quello che aveva appena letto non aveva senso, nessun
senso... Veronica stava parlando, ma lui non ascoltava, non sentiva
neppure. Avrebbe potuto essere nuda di fronte a lui, ma in quel momento
il suo cervello era concentrato a capire il perché di quei
due fascicoli. Con tono monocorde e rigido la interruppe.
“Veronica, cosa ci vuoi fare con le cartelle mediche mie e di
Duncan Kane.” E dicendo questo fece un passo entrando nella
stanza della sua ex, e chiuse la porta alle sue spalle.
Veronica lo
sentì in quel momento che aveva fatto male a distrarsi, ad
abbassare la guardia. E capì che la doccia avrebbe dovuto
aspettare.
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Mentre riponeva la
giacca nell'armadio, Veronica si rese conto che, esclusa la fuga,
avrebbe potuto applicare due differenti strategie a quella situazione.
Poteva glissare, evitare la discussione, portare l'attenzione di Logan
su altro. Oppure avrebbe potuto reagire attaccando. Non era in vena di
litigare, quindi optò per la prima opzione.
“Quindi la mia amica Angela vi è stata
d'aiuto” disse voltandosi e offrendo a Logan uno dei suoi
più bei sorrisi “Si Veronica, é stata
fantastica. Così fantastica che il nostro bel Leo vuole
farne la signora D'Amato. Domani s'incontreranno a L. A. e vedremo sa
ne verrà fuori. Spero tu non ci sia rimasta male. Detto
questo anche la mia giornata è andata bene, ho i contatti di
Jackie e domani la chiamerò, per convincerla a venire per il
ballo. Ora che abbiamo finito gli argomenti di conversazione, potresti
rispondere alla mia domanda. Perché hai i fascicoli mio e di
Duncan?” E detto questo, si mise davanti alla porta, a
braccia incrociate e gambe larghe. Non le avrebbe offerto alcuna via di
fuga, si rese conto la bionda. Forse avrebbe funzionato meglio se mi
fossi spogliata, mentre cambiavo argomento. O forse no, il ragazzo
è abituato a standard decisamente più alti ora...
Si morsicò il labbro inferiore e abbassò lo
sguardo. Non aveva voglia di litigare, ma l'opzione
“raccontargli tutto” non era nemmeno lontanamente
da prender in considerazione. Era troppo pericoloso, e inoltre era
stata pregata di non coinvolgere nessuno in questo caso.
“Veronica, non usciremo da questa stanza fino a quando non mi
spiegherai che te ne fai delle informazioni su quante volte ho avuto
l'influenza o sul numero di bruciature di sigaretta che hanno contato
sul mio corpo. Quindi o ti sbrighi a trovare una buona scusa delle tue,
una bugia alla Veronica, oppure mi racconti la verità.
Altrimenti penso che salteremo la cena!”.
Era irremovibile.
Poche volte lo aveva visto così sicuro di sé. La
cosa la inquietava. Aveva sempre avuto gioco facile con lui, ma
qualcosa era cambiato. Logan mostrava una sicurezza mai avuta in
passato. Non sapeva come reagire a questa nuova persona che
vedeva di fronte a sé. Senza sapere perché,
aprì bocca. Ne uscirono parole scoordinate dette in tono
poco convincente. “Logan... direi che questi, si insomma, non
sono affari tuoi su cosa sto lavorando.” Appena ebbe finito
di pronunciare quella frase sconnessa, si rese conto che oltre ad
essere poco convincente, probabilmente aveva peggiorato la
situazione. “Come scusa?” disse lui, sporgendosi in
avanti verso di lei, senza però allontanarsi dalla porta
“Come sarebbe a dire? Quello che hai appena buttato sul letto
con noncuranza, mia cara detective, è il MIO fascicolo,
quindi direi che sì, la cosa mi riguarda. Ritenta, so che
sai fare di meglio.” Concluse con tono strafottente. Era
veramente arrabbiato e confuso, ma riusciva a contenersi e a non
perdere di vista il suo obbiettivo. Questo nuovo Logan era davvero una
sorpresa.
“Te l'ho
detto, Logan, è un caso. Anzi due. La cartella clinica di
Duncan mi serve per trovarlo, magari qualche prescrizione medica. Di
questo posso parlarti perché tu mi hai assunta per trovarlo.
Ma il perché io abbia per le mani il tuo fascicolo con
è cosa che ti riguardi”. Veronica stava ritrovando
fermezza e convinzione, ma non era ancora efficace. Non sapeva proprio
come uscire da quella brutta situazione.
Logan mise mano al
portafogli “Se è solo questione di soldi, Miss
Mars, ecco, bastano cinquecento dollari? Altrimenti ti firmo un
assegno. Sai che non è un problema. Ecco,
tieni” E le porse le banconote “e ora dimmi a cosa
diamine ti serve il mio fascicolo medico”. Veronica si
sentì offesa da quel gesto. “Non sono in vendita,
Logan, non lo sono mai stata.” E con una manata fece volare
le banconote che lui le stava offrendo. “pensi davvero che io
sia una persona così meschina? È questa
l'opinione che hai di me? Vattene, non ho intenzione di avere a che
fare con te se questo è quello che pensi di me” E
fece per avviarsi verso il bagno. Avrebbe potuto chiudersi dentro.
Tattica della fuga. Ma lui le prese il braccio, con fermezza ma senza
stringere. Non le avrebbe offerto nemmeno la possibilità di
appellarsi ai lividi che solo qualche ora prima Dominik le aveva
lasciato sui polsi.
“Lasciami
Logan, non costringermi a reagire. Sai che ho una preparazione fisica
non da poco...” Mentre diceva questo, alzò lo
sguardo fino a incontrare gli occhi del giovane. Occhi che la
stupirono. Non vi lesse rabbia o aggressività, ma solo un
profondo dolore. “Non ho mai pensato nulla di male di te,
Veronica, dovresti saperlo. Ti ho temuta, ti ho odiata, ma ho sempre
pensato che tu fossi una delle persone più forti e corrette
sulla faccia di questa terra. Quindi non prendiamoci in giro e non
cercare di scappare. Voglio solo avere una discussione civile con te,
capire cosa stai facendo e perché stai indagando su di me.
Non pensavo di essere un caso”, e le lasciò il
braccio.
“Civile,
Logan, vorresti una conversazione civile con me?!? Da quando il figlio
di Aaron Echolls sarebbe diventato una persona civile?
Perché a quanto ricordo sei sempre stato uno dal pugno
facile.” Lui si avvicinò a lei, e quasi
sussurrando ma trattenendo in quel sussurro tutta la rabbia che lo
stava divorando in quel momento le disse “Non ho mai alzato
una mano su di te, quindi non azzardarti a paragonarmi a quel mostro di
mio padre. Non pensare nemmeno lontanamente che io e lui ci
assomigliamo: lui ha ammazzato Lilly e ha cercato di ammazzare te e tuo
padre. Io ho sempre combattuto a armi pari, e se non sbaglio un paio di
volte l'ho fatto per te”. “Per me? Io non ti ho mai
chiesto nulla. Non ti ho chiesto di litigare con Duncan per i corridoi
della scuola, di minacciare Liam Fizpatrick, di ridurre Piz in quelle
condizioni, o di umiliare Gory Sorokin di fronte all'intero campus. Non
ti ho chiesto nulla di tutto ciò, non ho mai avuto bisogno
di essere protetta. Sarebbe stato molto più utile se tu non
mi avessi tradita.” Dicendo questo, lo spinse via, cercando
nuovamente di raggiungere la porta del bagno.
“Non me
l'avrai chiesto, Veronica, ma io ti amavo e avrei fatto qualunque cosa
per te. E tu, cosa hai fatto per me? Per noi? Aspetta fammi pensare...
mi hai buggato il telefono, hai tracciato la mia macchina, non ti sei
mai fidata di me, mi hai costantemente messo alla prova. Non ero
nemmeno degno di parlare con tuo padre in santa pace, di farmi
conoscere per quello che sono, che ero. Però bisogna dartene
atto, qualcosa hai costruito: un bel muro di menzogne attorno a te.
Esiste qualcuno che può dire di conoscerti veramente? A
quante persone hai raccontato di Beaver e dello stupro? Quanti sanno
che Moe ti ha rasato una ciocca di capelli? Tuo padre sa per cosa ha
perso le elezioni? Ha visto il video di te e Piz?”
aprì la porta “Tu chiedi fiducia cieca, ma non dai
nulla. Non mi interessa sapere cosa vuoi dalle mie cartelle cliniche,
non più. Non mi interessa nulla di te e della tua vita.
Trova Duncan e facciamola finita.” Varcò la
soglia, ma prima di sparire si voltò e le disse
“Per la cronaca, io non ti ho mai tradita. E per quella
storia di Madison, beh, ti ho chiesto scusa anche troppe volte. Se non
sei mai stata in grado di passarci oltre, significa che non ero
così importante. Che non eravamo così
importanti.”
Veronica si fece
cadere sul pavimento. Finalmente sola lasciò che le lacrime
cominciassero copiosamente a scendere.
Spazio autore: Buon
(amaro) Natale!
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Capitolo 14 *** Obbligo o verità ***
Obbligo o
verità
Un rumore di passi leggeri che si avvicinavano risvegliò
Veronica dal suo stato di torpore. Era rannicchiata su se stessa, la
schiena appoggiata alla parete del letto. Le mattonelle erano fredde,
ma lei parve non essersene accorta. Nonostante le finestre aperte, da
fuori non filtrava quasi nessuna luce dato che il sole era tramontato
da un pezzo. Riusciva a mala pena a vedere il profilo della sedia di
fronte a sé, ma riconobbe subito i piccoli piedi di Mac
quando entrarono nel suo campo visivo. L'amica si chinò su
di lei e l'abbraccio, proteggendola come una coperta. D'altro canto Mac
era diventata una mamma, e le mamme proteggono.
Dopo qualche minuto di silenzio, la brunetta sciolse la tensione, e,
accarezzando i capelli biondi dell'amica disse “Non stavo
origliando, ma voi due avete urlato così tanto che ho dovuto
mandare Dick a fare un giro con i bambini.” Tirando su con il
naso, Veronica finalmente diede segni di vita “Mi dispiace,
Mac. Tu mi sei vicina e mi ospiti, e io scateno un uragano in casa tua.
Scusami tanto.” Si liberò dall'abbraccio
dell'amica e continuò “casa di mio padre
è vuota, quindi penso che farò i bagagli e me ne
andrò a dormire nel mio vecchio letto. Ho causato
già troppi problemi.”
Così dicendo, accese la luce e tirò fuori la
valigia da sotto il letto. Mac si sedette sul letto e la
guardò con tristezza e affetto. Quanto era fragile la sua
migliore amica, in realtà? Quanto era facile ferirla? E
soprattutto, perché a Logan riusciva così bene? Semplice, perché
Veronica era maestra nel colpire lui sotto la cintura. Il
loro rapporto era sempre stato così... intenso.
Così teso. Se fino a qualche tempo prima Mac aveva invidiato
la passione che, come una cascata, travolgeva le vite di Veronica e
Logan, ora non era più così. La
serenità che lei e Dick avevano raggiunto quasi subito
permetteva loro di essere sicuri dell'appoggio incondizionato che
potevano offrire l'un l'altro, senza però mai darsi per
scontati. Non avrebbe fatto cambio con nessuno, per lei
quell'equilibrio era impagabile!
Osservò la sua amica aprire i cassetti ed estrarne
biancheria, calzini e magliette. Poi, senza alzarsi e puntando gli
occhi sulla bionda le domandò impassibile “Cosa
stai facendo, Veronica?”. Sentendo il suo nome pronunciato
con tanta freddezza, la giovane donna si fermò e si
voltò. Lo sguardo dell'amica mostrava fermezza e tenerezza.
Ma soprattutto maturità. “Sto facendo i bagagli.
Mi sembra...” stava per giustificarsi, ma non fece in tempo
“Non cambierai mai, ha ragione Logan. Hai intenzione di
scappare anche questa volta? Quando imparerai a non fuggire dai tuoi
problemi? Non l'hai ancora capito che dando loro le spalle mostri solo
il lato debole, e quando tornano possono farlo senza che tu nemmeno te
ne accorga! Ti credevo più intelligente di
così.” A quanto pareva la moretta non aveva
intenzione di lasciar andare la questione, perché non si
mosse dal bordo del letto, incrociò le braccia e
fissò l'amica con aria tutt'altro che accomodante.
“Ascolta Mac” ricominciò Veronica
chinando il capo e fissandosi le delicate mani che reggevano un paio di
calzini multicolor “è stata una giornata pesante,
ho già litigato con Logan e non ho proprio voglia di
discutere anche con te. È l'ultima cosa di cui ho bisogno al
momento! Al contrario ho bisogno del tuo appoggio e del tuo
aiuto.”
Mac si alzò in piedi e l'abbracciò.
“Hey, Bond, non ho nessuna intenzione di litigare con te, e
sai che io sono sempre dalla tua parte. Però proprio
perché sono tua amica mi sento in dovere di intervenire
adesso e dirti che stai andando fuori rotta, che la strada che hai
deciso di percorrere forse dovrebbe essere messa in
discussione.” Si staccò dall'abbraccio e,
tenendole le mani poggiate sulle spalle proseguì,
impedendole di sfuggire con lo sguardo. “E poi, Veronica, non
hai sempre ragione tu, e quando sei in errore dovresti abbassare la
cresta ed ascoltare. Ho sentito quello che hai detto a Logan, che lo
hai paragonato a suo padre. Come hai potuto farlo? Mioddio Veronica,
come hai potuto farlo?” Lo sguardo di Mac era severo, e
Veronica non poté fare a meno di sentirsi profondamente in
colpa per quello che aveva fatto, per quello che aveva detto. Era
decisamente stato un colpo basso, anche per lei. Come aveva potuto dire
quelle cose orribili. “Ora io e te andiamo a farci un giro,
usciamo da qui, e parliamo. Mi spieghi cosa ti sta accadendo e io ti
tiro un po' le orecchie, va bene?”.
Veronica sorrise all'amica. “Mi ci vorrà qualcosa
di forte come accompagnamento. E penso che ne avrai bisogno pure
tu!”. Detto questo rilassò le spalle e la schiena,
e abbracciò quella che, nonostante tutto, fin dal primo
giorno era stata la sua migliore amica.
-------------------------------------------
Si sentivano due ragazzine in quel momento. L'avevano fatto molte
volte, ma ora la cosa aveva un gusto tutto particolare, il gusto del
proibito, dell'infrangere le regole, dello scavalcare un cancello
chiuso. Si trattava del cancello del Neptune High, e ora le due giovani
donne sedevano per terra nell'aula di giornalismo, sotto alla cattedra
che era appartenuta a molte professoresse. E a quanto pare si stavano
divertendo parecchio. Si passavano un sacchetto di carta contenente una
bottiglia di tequila, e ridevano di gusto. “Ti ricordi quella
volta che siamo entrate nell'ufficio di Clemmons per recuperare quei
maledetti aggeggi che ti eri fatta sequestrare? Certo che portare degli
intercettatori di telefoni a scuola... solo noi...” e le due
ragazze si misero a ridere, rovesciando un po' di Tequila sul
pavimento. Resasene conto, Mac scoppiò a ridere ancora
più forte. “Avrei voluto ucciderti in
quell'occasione, Veronica. Come diamine ti è saltato in
mente di scambiare la scappatella nell'ufficio di Clemmons con il mio
impegno nell'uscire con Vincent al ballo? È stata certamente
un'esperienza interessante, però all'inizio ti avrei voluta
strangolare con le mie mani.” Il silenzio scese brevemente
tra le due, poi Mac riprese “In realtà non
è stato così male come appuntamento, in fin dei
conti Vince non è così male. Un po' strano
però... nemmeno il peggiore dei miei
accompagnatori!” Veronica le sorrise e ribatté
“E poi vedere la faccia schifata che ha fatto Madison salita
in ascensore valeva pur un pessimo appuntamento, no?” Mac la
guardò con sguardo severo, ma non riuscì a
trattenersi e scoppiò nuovamente a ridere. “Quella
gallina spennacchiata. Sai che è già al suo
secondo divorzio? Ogni tanto mi capita di incontrarla. Questa volta il
dolce maritino aveva solo sessant'anni. E da questo divorzio lei
guadagnerà una fortuna.” Dette queste parole lo
sguardo di Mac si fece un po' triste. “Ogni tanto ci penso
ancora al fatto che siamo state scambiate alla nascita, a quanto
diverse sarebbero potute essere le nostre vite. A quanto migliore
sarebbe stata la mia. Poi mi guardo indietro, osservo lei, e capisco
che non ho nulla da invidiarle.” Veronica le
appoggiò una mano sulla spalla, e con tono serio disse
“Tu ti sei presa anche Dick, quindi direi proprio che hai
vinto tu!” e così dicendo trattenne a stento un
ridolino acuto. Mac sganasciandosi dalle risate diede ragione
all'amica. Veronica calmò le risate e le domandò
“Dimmi la verità Q, è solo per il sesso
che ti sei messa con Dick, vero? Da quando vi siete messi assieme mi
pongo questa domanda, e il sesso è l'unica spiegazione
logica che riesco a trovare.” Mac la guardò
stupita. “Veronica, e tu baci tuo padre con quelle
labbra?” poi dopo uno scambio complice di sguardi,
ricominciò “Che dire... il sesso non è
affatto male con Mr. Casblancas, altrimenti non avremmo due stupendi
bambini. Però non è stata la sua
abilità sotto le lenzuola a conquistarmi, ma la sua
semplicità, il suo modo fanciullesco di guardare al mondo.
Però non è uno stupido, Veronica, non pensare
male di lui. Lui è semplicemente incapace di guardare il
mondo con occhio critico. Dick da sempre una seconda occasione,
però non si fa fregare. E anche la sua semplicità
nasconde una profondità di sentimenti che non ti
aspetteresti mai da uno come lui. Dick mi ha conquistata il giorno in
cui il guardarlo negli occhi mi ha permesso di superare Cassidy e lo
scuolabus, il salto dal tetto e i vestiti spariti. Ed è
stato il giorno in cui anche lui ha visto che poteva andare
avanti.”
Mac si perse nei ricordi.
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Flashback
Era una giornata
soleggiata, i corsi stavano per ricominciare. Mac stava portando i
primi scatoloni verso la sua stanza. Parker sarebbe arrivata qualche
ora dopo da Denver. Non si erano viste per tutta l'estate, ma avevano
tenuto i contatti, e nessuna delle due aveva intenzione di cambiare
coinquilina: si erano trovate davvero bene assieme l'anno prima,
nonostante tutto il caso Echolls, e avevano deciso di dividere la
stanza anche durante il secondo anno di college.
Parker era quel genere
di amica che Mac non aveva mai avuto. L'amica vestita di rosa, che ti
consola con i cioccolatini se il ragazzo ti molla, l'amica cui confidi
la nuova cotta e alla quale racconti le avventure sotto le lenzuola
della notte precedente. Quella, insomma, di fronte alla quale ammetti
che stai uscendo con il ragazzo più sbagliato della terra,
ma con la certezza che non verrai giudicata. Quel genere di amica che
Veronica non avrebbe mai potuto essere, e che al contrario Parker
interpretava alla perfezione.
Aveva molto da
raccontare a Parker: quell'estate era stata strana. Lei e Max avevano
rotto per una serie di motivi, non ultimo l'invadente presenza di un
certo ricco e viziato biondino. Stava giusto pensando a lui, quando la
voce di Dick la richiamò al presente. Stupita
sobbalzò e fece cadere un paio di scatole. Dick si
apprestò a correre da lei e ad aiutarla a raccogliere il
contenuto che si era sparpagliato per terra. Matite, penne, quaderni.
Dei libri. Una spazzola. Una cornice con una foto della famiglia di
Mac. Anche la ragazza si accucciò per raccogliere gli
oggetti che si erano sparsi. Lui la guardò e le sorrise,
sfiorandole la mano. Poi il giovane abbassò lo sguardo,
tornando a fare il suo dovere di cavaliere.
All'improvviso una cosa
attirò la sua attenzione. Era una fotografia, stropicciata e
rovinata. Però si poteva ancora capire cosa ritraeva:
c'erano due ragazzi, una coppia giovane, abbracciati sulla spiaggia.
Dick la prese in mano e la osservò con attenzione. Poi
sollevò lo sguardo su Mac e riconobbe sul suo volto
tristezza, malinconia e senso di colpa. La foto la ritraeva con Beaver
alla spiaggia dei cani. Dick prese la mano della moretta, e la
aiutò ad alzarsi. La portò vicino ad una colonna,
senza staccare lo sguardo da lei, da quegli occhi così caldi
e profondi, da quelle fossette così femminili e dolci, dai
capelli scuri al punto giusto perché lui ci si potesse
perdere. Arrivato alla colonna, le sorrise e fece cadere la fotografia
di Cassidy nel cestino. Senza dire nulla, la abbracciò forte
per alcuni minuti. Poi si staccò da lei e le
regalò il più forte sorriso che Mac avesse mai
visto, e finalmente parlò. “Che dici, Mackie,
raccogliamo questo ciarpame e poi andiamo a farci un bel
gelato?!?” Senza aspettare che lei rispondesse, si rimise al
lavoro.
Fu proprio in quel
momento che lei capì che avrebbe avuto davvero molto da
raccontare alla sua amica. Ma non solo a quella tutta tulle e Colin
Firth. Perché anche Veronica avrebbe dovuto accettare il
fatto che Cindy Mackenzie si era innamorata di Richard Casablancas Jr.
Irrimediabilmente innamorata.
Fine flash back.
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Tornare alla realtà fu come ricevere una secchiata d'acqua,
perché Veronica, cercando di alzarsi, era caduta trascinando
una sedia e facendo un gran baccano. Mac si apprestò a darle
una mano, e avvicinandosi all'amica urtò la bottiglia che si
erano portate da casa. La bottiglia di tequila era quasi vuota, ma a
Mac non pareva di aver bevuto così tanto, né di
essere ubriaca. Anzi, si sentiva allegra ma lucida. Questo voleva dire
che gran parte del liquido ambrato se lo era ingollato la biondina. E a
giudicare dalla goffaggine con la quale si muoveva, ben poca tequila
era andata persa.
Mac fece sedere l'amica e le sorrise. “Hey V, sicura di stare
bene?” Veronica restituì il sorriso
“Certo Mac, mai stata meglio!” Ok, era
ufficialmente ubriaca. Mac si rese conto che avrebbe potuto sfruttare
la situazione a suo favore, ma non era da lei ingannare la sua migliore
amica. Anche perché quello che Mac voleva fare era parlare
con lei, non sentirla parlare. “Che ne dici se andiamo a
rinfrescarci un po'?” e detto questo, la trascinò
verso il bagno delle ragazze, senza dare a Veronica il tempo di
rispondere. Le buttò un po' di acqua fresca e le diede il
tempo di tornare in sé. Poi le due amiche tornarono
nell'aula di giornalismo, al loro posto sotto la cattedra.
Veronica era ritornata in sé, ma abbastanza alticcia da
essere fregata. “Che ne dici, Veronica, se facessimo un
gioco. So che tu e Lilly lo facevate spesso, e che vi divertivate un
sacco. Obbligo o verità. Ci stai? Visto che siamo tornate al
liceo, perché non fare le liceali per un po'?” e
trangugiò un bel sorso di tequila. Poi passò la
bottiglia all'amica. “Perché no, comincio
io” e bevve un sorso “Obbligo o
verità?” Mac la guardò maliziosa
“Verità”. Veronica la squadrò
“Hai mai pensato di dire a Madison che stavate vivendo l'una
la vita dell'altra?” Mac deglutì e sorrise.
“Un paio d volte avrei voluto farlo. Al liceo, quando mi
maltrattava, ma anche l'anno scorso quando è andata a letto
con Logan facendovi rompere. Penso che rivelarle questa scomoda
verità sarebbe per lei la peggiore delle punizioni, quindi
diciamo che la sto salvando per una grande occasione. E poi, utilizzare
questo anatema su Madison ferirebbe molte altre persone che non ho
voglia di veder soffrire.” Dopo alcuni secondi di silenzio la
moretta riprese “Mi fa davvero impressione sapere che io e
lei condividiamo così tanto pur essendo due
sconosciute!”.
Veronica rise e Mac ne fu contenta. Una Veronica rilassata è
una Veronica distratta. “Tocca a me, incalzò.
Vediamo un po' se per una volta la nostra P.I. preferita decide di
mettersi un po' a nudo. Verità o obbligo?”.
Veronica bevve un altro sorso di tequila. “Visto che siamo
qui per questo, direi verità. Spara pure Q, non
scanserò il proiettile.” Mac sorrise.
“Perché hai i fascicoli medici di Duncan e di
Logan? A cosa ti servono?”.
La bionda squadrò l'amica “Non rispetti le regole,
però. Sono tre domande!” il silenzio scese tra le
due. Mac stava per aprire bocca e giustificarsi, quando Veronica la
interruppe. “Forse non consoci bene il gioco, quindi per
questa volta passi, ma la prossima volta attenta alla domanda che poni!
Che dire... la cartella di Duncan mi serve per trovarlo: forse qualche
informazione sulla sua epilessia, il nome di qualche farmaco. Ho
bisogno di sapere tutto su di lui se voglio trovarlo e aiutarlo. Duncan
è ricercato, di nuovo. I Manning non hanno intenzione di
permettere che il reato di rapimento cada in prescrizione e che lui
possa farla franca. Ma non posso permettere che ciò accada.
I Manning sono degli psicopatici, l'ho visto con i miei occhi. Non sono
solo dei bacchettoni, sono proprio malati. O almeno il padre di Mag lo
è. Lilly non sarebbe al sicuro con loro.”
Il silenzio scese di nuovo.
“Per quanto riguarda Logan e la sua cartella, ti
sembrerà strano, ma non so perché la ho dovuta
recuperare”. Mac rimase bloccata a bocca aperta.
“Non mi fraintendere” proseguì la bionda
“non è che io sia sonnambula o cose simili. L'ho
presa coscientemente. Solo che non so il vero motivo per cui ho dovuto
sottrarla agli archivi dell'ospedale di Neptune. Una persona mi ha
assunta, o meglio, mi ha chiesto un favore. O meglio, me ne ha chiesti
due: di fare alcune indagini e di non fare domande. Ed eccomi qua, a
ficcare il naso nella vita di Logan senza nemmeno sapere
perché”. Mac era sconvolta. Veronica Mars che non fa domande?
“Perché?” le domandò.
Veronica fece girare la bottiglia, disegnando dei cerchi immaginari sul
pavimento. “Bella domanda Mac, bella domanda. Non so nemmeno
io perché sto al suo gioco, ma forse è solo
perché gli devo molto... forse...” Mac
restò in silenzio, fissando la mano dell'amica che giocava
con la bottiglia, domandandosi che fosse questa misteriosa persona
speciale per la quale Veronica era disposta a rinunciare a
così tanto di sé. Sicuramente avrebbe potuto
agire così per suo padre, ma che interesse avrebbe Keith
Mars nell'appurare le condizioni di salute di Logan? In generale, a chi
potrebbero interessare? A Mac non venne in mente nessuno. E soprattutto
da quello che Veronica aveva appena detto, non si trattava solo delle
sua condizioni di salute. Stava scandagliando tutte le
possibilità, quando Veronica sollevò la
bottiglia, ne bevve un sorso e proruppe in una risata “Questo
gioco si sta facendo noioso... che ne dici di un altro giro per
movimentare un po' la nostra serata?” e passò la
bottiglia a Mac. Mentre la moretta beveva un bel sorso di tequila,
Veronica le domandò “Obbligo o
Verità?”. Mac stacco la bottiglia dalle labbra e
disse “Verità! Voglio vedere cosa mi chiederai
adesso, Miss. Detective. Immagino tu sappia tutto di me!”.
“Mi odi tanto per essere sparita?” No, questo gioco
non era affatto divertente. Stava rischiando di diventare pericoloso.
“Hai detto Verità, Mac, non puoi
sfuggire...” lo disse con tono ironico e divertito, ma in
realtà temeva la risposta dell'amica. “Non ti
odio. Non adesso. Ti ho odiata all'inizio, quando ci siamo laureati e
il giorno dopo sei sparita. Quando hai cambiato numero di cellulare.
Quando mi chiamavi dalle cabine telefoniche o da telefonini usa e
getta. Quando sapevo che eri a Neptune e non ti scomodavi nemmeno
facendo un salto a trovarmi. Ho smesso di odiarti quando ti sei
presentata al matrimonio, anche se sei rimasta poco. Avrei voluto che
fossi tu la mia testimone, ho dovuto ripiegare su Parker. Ti ho odiata
di nuovo quando ho scoperto di essere in cinta, e non potevo dirtelo
perché non sapevo come contattarti. E poi ti ho perdonata
per tutto questo e altro ancora oggi, anzi adesso, quando mi hai
ricordato che anche tu hai un cuore, che anche tu sei fragile e umana.
Ti ho perdonata anche se non ho mai saputo perché tu te ne
sia andata.” Veronica si stava tormentando il labbro
inferiore, segno che era in difficoltà. Sentirsi dire quelle
cose era stato doloroso, tanto quanto lo era stato per Mac pronunciare
parole così fredde. “Me ne sono andata
perché era troppo doloroso per me restare a guardare tutti
voi che andavate avanti, che vi costruivate una vita, che diventavate
qualcuno, sapendo che per me restare a Neptune significava ibernarmi in
una condizione d'attesa e di frustrazione. Sapevo che non sarei potuta
crescere in questa città che mi oda e che io odio. Che mi ha
esiliata e che io ho rifiutato. Questa città dove tante
brutte cose sono capitate a me e alle persone che amo. Prendi ad
esempio mio padre. Lui mi ha dato tutto, tutto. E io come ho ricambiato
la sua generosità? Rovinando tutte le sue relazioni, da
Rebecca, la nostra consulente scolastica, a Harmony. Per quanto pessima
fosse la situazione, non era affare mio con chi uscisse mio padre e
cosa ci facesse. E poi, diciamoci la verità, il nostro
meraviglioso rapporto è sempre stato fondato sulla menzogna.
Sai che lui ancora non è a conoscenza di quello che mi
è successo alla festa di Shelly? Fammi pensare a cosa altro
ho fatto per lui... ah, gli ho impedito di fare quello che gli riesce
meglio, ovvero essere lo sceriffo di questo posto, pur di vendicarmi
per cosa? Per uno stupido video che è stato sulla cresta
dell'onda per quanto? Due secondi? Il mio egoismo è
agghiacciante.”
Veronica bevve un altro sorso di tequila, che le scivolò
calda fino allo stomaco, dandole quella sensazione di sicurezza e pace
che solo l'alcol ultimamente riusciva a darle. Anche tu ti sentivi
così, pensò, Leanne, mentre ti ubriacavi nei bar
di mezza California?
“E mia madre? Sai che mi ha cercata? Voleva solo scusarsi, e
io glielo ho impedito. Non ho mai risposto alle sue lettere, non l'ho
mai richiamata. Mio padre mi ha detto che ora è in
riabilitazione, e tutto questo grazie a Jake Kane. Dopo aver divorziato
da Celeste ha deciso che il grande amore della sua vita era mia madre.
A quanto pare le fa bene. Ora vivono da qualche parte in mezzo
all'Oceano Paicfico. Io non ho mai avuto l'occasione di dirle che non
ha più importanza, basta che lei stia bene. Ed è
tutta colpa mia!
Ma la famiglia è una questione delicata, soprattutto la mia.
E allora, vediamo se passo l'esame con le amicizie. Beh, che dire, la
tua risposta di prima è stata più che esauriente,
e penso che Wallace sottoscriverebbe ogni tua singola parola.
Che altri amici ho avuto io nella mia vita, fammi pensare... ah Meg!
Come dimenticare la dolce dolcissima Meg. Lei l'ho proprio pugnalata
alle spalle, prima rubandole il padre di sua figlia, e poi facendola
salire su quel maledetto scuolabus!”
Mac non sapeva cosa dire per consolare la sua amica disperata, quindi
si limitò a stringerle la mano. Veronica in
realtà non aveva bisogno di consolazioni, doveva solo
sfogarsi un po', in modo da chiarirsi le idee e poterle rimettere in
ordine con calma.
“E Meg ci porta direttamente all'altro mio grande fallimento:
le mie relazioni amorose. Che dire, sono sempre stata una frana in
queste cose a quanto pare. Duncan, il mio primo grande amore. Mi ha
lasciata perché era convinto che io fossi sua sorella, ma
nonostante questo qualche mese dopo ci siamo ritrovati a fare le
capriole sotto le lenzuola a casa di Shelly. Ma abbiamo continuato a
non parlarci, finché non si è messo con Meg e
l'ha messa in cinta. Poi l'ha lasciata, e io e lui siamo tornati
assieme, tra un Logan e l'altro. Tutto andava bene finché
lui non è dovuto scappare con la sua neo nata figlia. Duncan
Kane, capitolo archiviato.
E degli altri? Ommioddio Mac, non farmici nemmeno pensare... tra Troy,
Leo, Piz è sempre stato un disastro, ma mai come con Logan.
Con lui abbiamo dato un nuovo senso alla frase “distruzione
reciproca assicurata”...”
I minuti passarono e nessuna delle due ragazze aprì bocca.
Mac accarezzava dolcemente il dorso della mano dell'amica, aspettando
che si svegliasse dal suo momento di catalessi. Quando lo fece, Mac
quasi sobbalzò. “Beh, ora tocca a te, Q. O meglio
tocca a me” così dicendo si scolò
l'ultimo goccio di tequila. “Dato che le mie condizioni mi
impediscono di fare qualunque cosa che vada oltre lo stare ferma, direi
che verità è la mia scelta.”
Mac la osservò. La sua amica aveva proprio bisogno di
parlare con qualcuno di cui si fidasse. Con cui si potesse aprire. Dopo
qualche secondo di silenzio le domandò “Veronica,
sei ancora innamorata di Logan?”. Mac si stupì di
aver pronunciato quelle parole nella stessa frase, e si aspettava che
Veronica si rifiutasse di rispondere. Al contrario un dolce sorriso, un
po' amaro, si aprì sul volto della bionda. Stava per
parlare, quando le luci nella stanza si accesero, interrompendo la
magia. “Bene bene, cosa abbiamo qui?” chiese Vinnie
avvicinandosi alla cattedra “Signore, ho come la sensazione
che siate in arresto!”.
----------
Spazio Autrice: che dire, sto stranamente mantenendo gli impegni!
Grazie a chi mi segue, e buon anno!
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Capitolo 15 *** Venere e Marte ***
Venere e Marte
Quello era proprio il suo ideale di serata tra uomini. Divano, play station,
patatine, due birre e soprattutto solo lui e Logan Echolls. Erano
passati anni da quando il convergere di tutti questi elementi in un
logo e in un tempo ben precisi era accaduto, una cosa tipo
l'allineamento dei pianeti che sta a preannunciare la fine del mondo.
Dick Casablancas si sentiva proprio così, elettrizzato come
se stesse per andare alla festa del secolo. Come erano cambiati i
tempi... una volta solo la combinazione birra, ragazze e musica
l'avrebbe fatto sentire così... carico. Oggi bastava una
serata col suo più caro amico a giocare a videogiochi e bere
birra.
Erano seduti lì da un po', avevano anche rivisitato alcuni
dei loro classici: beach volley, golf, Quake. Ora stavano riprendendo
un vecchissimo GTA. Mentre la play caricava il cd, vecchio di anni,
entrambi si domandavano se ce l'avrebbe fatta ad aprire la partita...
Logan fissava lo schermo con aria annoiata: non erano nemmeno al 40%.
Dick si voltò e lo fissò a lungo prima di aprire
bocca. “Hey amico, certo che tu e Ronnie c'avete dato dentro
prima...”. Il suo tono era monocorde. Non rise, né
scherzò. Era serio, aveva solo bisogno di tirare fuori
l'argomento, e provocare Logan sapeva sarebbe stata la strada
più veloce per arrivare al punto. Logan
s'irrigidì sul divano “Lascia perdere Dick, non ne
voglio parlare. Ronnie è un capitolo chiuso, una volta per
tutte. Torniamo a giocare e ad essere i soliti vecchi Logan e Dick:
perché complicarsi la vita?” e bevve un lungo
sorso di birra. Ma Dick non gli staccò gli occhi di dosso.
Era stufo di essere l'amico scemo, il buffone. Aveva qualcosa di serio
da dire questa volta, e l'avrebbe detto. Eccome se l'avrebbe detto.
“Sai amico, non ho mai capito una cosa di voi due.
Perché le permetti di trattarti così. Di farti
sentire sempre inadeguato e impreparato. Cero Ronnie fa sentire tutti
noi un po'... stupidi alle volte. Però, maledizione, tu non
sei mai stato un debole, eppure appena compare lei, basta: Logan
Echolls scompare e lascia il posto ad una mezza cartuccia senza
coraggio e polso.” Logan si voltò e lo
squadrò con rabbia. “Dick, ti ho già
detto che non voglio parlarne, noi non abbiamo mai parlato di queste
cose, siamo sempre stati... amici. Quel genere di amici che fanno surf,
giocano ai videogiochi e si divertono assieme. Tutto qua. Limitiamoci a
questo, dato che ci è sempre venuto molto bene!”
sorrise e alzò la mano, richiedendo un bell'high five al
biondo. Che però parve non prendere troppo bene le parole
dell'amico. “Logan, sai che a volte sei veramente
superficiale? Io penso innanzitutto che tu mi stia trattando con
sufficienza. Non sono stupido, anche se mi comporto in
maniera idiota alle volte. Pensavo lo sapessi. In secondo luogo,
diamine, penso che dovresti imparare a parlare di ciò che ti
crea problemi, in modo da poterli affrontare. E Ronnie è un
problema per te, lo è sempre stato. Quindi, ora, vorrei che
tu mi raccontassi cosa ha fatto per ridurti in questo stato. Per una
volta, non fuggire dai tuoi problemi ma affrontali. E dato che lei
è qui, forse potresti riuscire a superarli una volta per
tutte.”
Logan lo fissò per un po', l'aria stupita. Poi si mise a
fissare lo schermo per qualche minuto. Infine aprì bocca.
“Lei in me vede solo il figlio psicopatico di Aaron Echolls,
l'uomo che ha ucciso la sua migliore amica, e ha tentato di uccidere
lei e suo padre”. Dick non riusciva a credere a quelle
parole. Veronica Mars era una vera strega, senza cuore e cinica, ma non
era né stupida né cieca. Ed era stata innamorata
di Logan per tanto troppo tempo, quindi qualcosa non quadrava.
“Logan, ma sei ammattito? Pensi davvero che questa sia
l'opinione che Veronica ha di te? Allora sei più fesso di
quanto pensassi caro Logan”. Il gioco aveva cominciato a
girare, e Dick non distolse lo sguardo dallo schermo mentre si
rivolgeva ad un sempre più sbigottito Logan. “L'ho
capito io come è fatta la nostra detective, e tu sei ancora
alla pagina delle istruzioni? E a quanto pare hai alcune
difficoltà... Veronica si è trovata in un angolo,
nell'angolo in cui l'hai cacciata tu. E come a reagito? Attaccando dove
sarebbe stata certa di fare più danni.” rimase in
silenzio per alcuni secondi prima di riprendere “Non mi
fraintendere: con questo non la giustifico, ma la capisco. E dovresti
farlo anche tu. Non per lei, ma per te. Per non ridurti ad uno straccio
ogni volta che la vedi, per poterla superare una volta per
tutte.”
Voleva proseguire, aveva ancora molto da dire al suo più
caro e vecchio amico. Però fu interrotto dal suono del
telefono di casa. Scavalcò lo schienale del divano di pelle
e recuperò il cordless dal tavolino. “Ciao
tesoro... si si, siamo a casa. Abbiamo mangiato e i bambini sono a
letto, tutto in regola. Avevi dubbi?... Si lo so sono il migliore... Si
è ancora qua... ok va bene, si tesoro, sono sul divano con
Logan che giochiamo a GTA... ehehe, bei vecchi tempi! Si, ce la stiamo
proprio spassando!” e proruppe in una fragorosa risata,
interrotta brutalmente “Dove... dove sei? Puoi ripetere?
Cosa? Arrivo subito, porto i tuoi dai bambini... i bambini dai tuoi e
arrivo.” Scaraventò il cellulare sul tavolino e si
precipitò, seppur silenziosamente, su per le scale. Logan
gli urlò “Cosa diavolo è
successo?” ma Dick parve non accorgersene. Fece marcia
indietro e sbucò sulle scale. “Sono in
prigione” Logan parve non capire e gli domandò
“Chi?”. Dick sbuffò spazientito.
“Come chi? Mac e Veronica...”.
----------------------------------------
Era una sensazione che aveva già provato almeno un paio di
volte in passato, alcune delle quali si erano rivelate molto divertenti
e proficue. Aveva scoperto politici invischiati, clienti altolocati,
poliziotti corrotti, e tutto grazie ad un paio d'ore in cella con delle
prostitute. Aveva condiviso i segreti di galeotti e segretari speciali,
scoprendo conti segreti, password e residenze nascoste. Ma essere
nuovamente lì, in quella cella che aveva ospitato alcune
delle persone cui era più legata, le dava una strana
sensazione. E non era tutta colpa della tequila.
Aveva un gran mal di testa ed era rosa dal senso di colpa: era a causa
sua se Mac era finita dietro le sbarre, se Logan la detestava, se suo
padre era scomparso e soprattutto se ogni cosa attorno a lei sembrava
non volersi fermare. Questa volta non sarebbero bastati dei tatuaggi
finti e una capigliatura particolare per risolvere la situazione e
farla sentire meno in colpa. No, decisamente non sarebbe bastato
soprattutto dopo il piacevole incontro di poco prima.
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“Non pensavo
che sarebbe bastato così poco per farmi felice: Veronica
Mars dietro le sbarre. E per una vera e propria scemenza. Ma come ti
è venuto in mente di intrufolarti nella tua vecchia scuola,
scassinare una finestra e ubriacarti nella vecchia aula di giornalismo?
Ti credevo più furba!” La testa le doleva, e la
presenza di Dominick non alleviava certamente le sue sofferenze. Anzi
le peggiorava. “Nick, per cortesia, non fare tutto questo
rumore. Il tuo squittire è a dir poco insopportabile. Torna
a rosicchiare il formaggio...” ma il suo cinismo non
funzionò. Questa volta non sarebbe bastato a difenderla:
aveva proprio bisogno di un principe, o della sua armatura.
“Vedi, Veronica, ora che tu sei qui, sotto il mio controllo,
io posso frugare a casa tua, nel tuo computer, nel tuo telefono. Posso
scavare nella tua vita privata e professionale, e scovare tutto il
torbido che di sicuro hai nascosto. E poi incastrarti per
bene.” Veronica non si trattenne “Incastrarmi come
hai provato ad incastrare Norris più di dieci anni fa?
Mettendo delle false prove?” “Se non ne
troverò, sì, sarò costretto a farlo.
Così tu e il tuo fidanzatino, il signor Kane, sarete fregati
una volta per tutte. E io potrò tornare a fare il mio lavoro
di federale. E mettere in prigione tutti i criminali” disse
compiaciuto. Ma Veronica non aveva nessuna intenzione di dargliela
vinta “Allora dovresti cominciare arrestando te stesso...
faresti decisamente un favore all'umanità!”
Aveva esagerato, e
bastò lo sguardo di fuoco di Dominick a farglielo capire.
Erano soli, lui era atletico e preparato, lei era ubriaca.
Sostanzialmente era nei guai. L'agente federale fece il giro del tavolo
e le si precipitò addosso. Rovesciò la sedia e
con essa Veronica. Poi la sollevò da terra tenendola stretta
per i polsi già doloranti. Veronica non provò
nemmeno a reagire, non ci sarebbe riuscita. Per fortuna il frastuono
aveva attirato l'attenzione dello sceriffo, che si catapultò
nella stanza degli interrogatorie assestò un bel pugno in
faccia all'agente Patterson, che rimase interdetto per un attimo prima
di restituirgli il favore. Lo sceriffo si massaggiò lo
zigomo dolorante. Era la seconda volta che lo colpivano quella sera, e
la cosa iniziava ad infastidirlo. Estrasse la pistola e la
puntò contro l'agente federale. “Grosso errore
Patterson. Grosso errore” Dominik sanguinava copiosamente dal
naso “Per prima cosa, qui a Neptune il prepotente lo posso
fare solo io. Seconda cosa, non si toccano le ragazze”. Si
avvicinò e gli assestò un calcio in pieno volto
mandandolo bocconi sul pavimento. “Saks, porta questo
deficiente in cella.” E poi porse a Veronica la mano
“Vieni Veronica, che ne dici di un'aspirina e un po' di
ghiaccio?”.
-----------------------------------------------------
La giovane donna era ora riversa sulla panca, a pancia in su, una mano
poggiata sugli occhi a impedire alla fievole ma fastidiosa luce che
filtrava dalla finestra di darle il tormento. Mac era appoggiata con la
schiena alle sbarre, le braccia che le cingevano le gambe e la fronte
appoggiata alle ginocchia. Anche il suo mal di testa doveva essere
piuttosto fastidioso, a giudicare dalla sua reazione all'avvicinarsi di
passi frettolosi; la brunetta si premette le mani sulle orecchie. Fece
capolino una testa bionda, seguita da un uomo giovane molto agitato.
Seguito da uno sceriffo alquanto arrabbiato “Mr
Casablancas” urlò Vinnie, subito zittito dalle due
prigioniere e dal loro fragoroso “Shhhhhhhh”. Dick
approfittò del momento di disorientamento dello sceriffo per
abbracciare sua moglie e baciarle la nuca tra le sbarre. Le
sussurrò poi all'orecchio “Piccola, a casa ho
preparato le manette!”. Poi si alzò e con aria
alquanto irritata si rivolse allo sceriffo in carica.
“Sceriffo, vorrei sapere di cosa è accusata mia
moglie, e per quale motivo si trovi in qui in questo momento. Dietro
alle sbarre della sua prigione. Cosa avrà mai commesso di
così grave?” Mac nel frattempo si era voltata e
gli stringeva la mano. La testa le pulsava ancora, ma la presenza del
marito la rasserenava e tranquillizzava. Si sentiva già
più sicura. Al contrario Veronica si sentiva sempre
più esposta e sola. Per lei non era accorso nessuno, ma la
cosa non avrebbe dovuto stupirla. “Mr. Casablancas, la lista
delle infrazioni commesse da sua moglie e dalla signorina Mars
è piuttosto lunga. Partiamo dal consumo di alcolici
all'interno di un edificio scolastico, edificio nel quale sono entrate
illegalmente, mentre era chiuso. Hanno addirittura parcheggiato nel
parcheggio riservato al preside, se volessimo essere pignoli. E poi
c'è stata la resistenza a pubblico ufficiale”
concluse, massaggiandosi lo zigomo sinistro, arrossato dopo il pugno
ricevuto da Veronica. “Dubito che mia moglie si sia ribellata
a lei. Il resto sono solo piccole infrazioni. Sta arrivando il nostro
avvocato e dubito che lei troverà motivi sufficienti per
trattenere mia moglie qui dopo la vostra chiacchierata.”
Dicendo ci strinse ancora più forte la mano della moglie.
Poco dopo un volto noto fece capolino. Completo elegante, capelli in
perfetta piega. Nulla di strabiliante, visto che era appena entrato
Casey Gant. Come se i tuffi nel passato non fossero stati abbastanza in
quei giorni.
Casey sorrise a tutti e si bloccò per qualche secondo quando
si accorse che la compagna di cella di Mac era proprio Veronica. Erano
anni che non la vedeva, dal diploma. Lei era un anno indietro, ma le
loro strade si sarebbero divise comunque. Casey era infatti andato a
Yale, dove aveva conseguito la laurea in legge in tempo zero. Aveva
lavorato per uno studio di New York per un paio d'anni, e poi aveva
aperto il suo studio a Neptune. Luogo ideale: poca concorrenza e tanti
criminali. Era diventato ricco, più ricco di quanto non
fosse, in men che non si dica. A lui si rivolgeva la Neptune per bene,
ma non solo. I sui clienti non erano solo 09. Molto spesso seguiva
delle cause pro bono, tanto le parcelle che rifilava ai riccastri
glielo permettevano!
“Sceriffo, a quanto ho sentito lei non ha nessun motivo
valido per trattenere la mia cliente, la signora MacKenzie Casablancas.
Quindi, se fosse così gentile da rilasciarla potremmo
occuparci delle formalità. Di quanto è la multa?
E cosa possiamo fare perché quanto accaduto non compaia
nella fedina penale della mia cliente?” Vinnie non parve
stupito. “possiamo indubbiamente trovare un accordo. A molti
zeri!” aprì la cella e fece segno a Mac di uscire.
La ragazza si alzò e chiamò Veronica. Ma subito
lo sceriffo la zittì. “Mi dispiace mia cara,
l'offerta è valida solo per te. Temo che la signorina Mars
dovrà chiamare il suo avvocato.” Mac
sembrò esitare. Voleva fuggire da lì, andarsene,
recuperare i suoi bambini e stringerli forti, ma non voleva neppure
abbandonare la sua migliore amica. “Mac, vai” la
incitò Veronica sollevando appena la testa “io
starò bene. Mi farò passare la sbornia e poi
domani mattina vedrò di uscire da qui. Starmene un po' per
conto mio non mi farà di certo male.” Si
alzò e la spinse fuori dalla cella. Cella che lo sceriffo si
affrettò a chiudere alle spalle della moretta.
“Veronica io...” ma non fece in tempo a finire.
Perché Dick e Veronica si erano scambiati uno sguardo
complice. “Portala dai suoi bambini, Dick. Buona notte
Mac.” E con quel commiato il discorso era chiuso.
Veronica si distese nuovamente sul lettino rigido della cella, pronta a
passare una notte tutt'altro che confortevole. Mac guardò
l'amica con aria triste e mormorò un delicato
“Scusa” prima di andarsene con Dick. Casey
aspettò che tutti fossero usciti prima di rivolgersi a
Veronica. “Ehy, se vuoi posso occuparmi anche di te. Insomma,
ti devo molto e Mac e Dick sono tra i miei migliori amici. Non mi costa
nulla tirare fuori anche te...” Senza alzarsi dal suo
giaciglio, Veronica si voltò e gli sorrise.
“Grazie Casey, ma penso che mi farebbe davvero bene stare un
po' per conto mio, riflettere, pensare. E poi sto aspettando Cliff,
immagino tu lo conosca. Se non si farà vivo o non
riuscirà nella missione farò conto su di te.
Ripassa di qua domani mattina e ne riparleremo, ok? Ora, ti prego,
lasciami dormire.” Il giovane uomo sospirò e
uscì salutandola. “Casey, grazie. Eh... buona
notte!”.
Il silenzio s'impadronì della cella, e Veronica rimase sola
con i suoi pensieri e il suo mal di testa.
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Stava dormendo profondamente e non si accorse che qualcuno era entrato
nella cella. Né il cigolare della porta né i
passi mascolini erano riusciti a destarla dal suo torpore. Non si
accorse degli occhi pieni di tristezza che le esaminarono i polsi e le
abrasioni provocate dai recenti scontri con l'agente Patterson; non
reagì al tocco leggero e familiare della mano forte e
protettiva che le carezzava la guancia. Percepì appena le
labbra calde e amorevoli che le baciarono la fronte. Forse
perché era distrutta, forse perché conosceva
quelle labbra fin troppo bene non ci fece troppo caso e
continuò a dormire.
I passi si allontanarono e Logan Echolls uscì dalla prigione
di Neptune.
----------------------------------
Non poteva certo urlare, perché i gemelli dormivano sui
seggiolini dietro di loro. Però non poteva trattenersi.
“Non dovevo lasciarlo lì, maledizione a
me” Dick era sconvolto e infuriato. Sconvolto
perché sua moglie era stata arrestata. Infuriato con quella
stramaledetta della sua migliore amica. Veronica Mars non aveva fatto
altro che creargli guai. Certo, non quando Lilly era viva. Allora era
tutto diverso. Veronica era solo una ragazzina ingenua e gioviale,
tutta pizzi e colori pastello. Magari fosse rimasta così...
No. Purtroppo le cose erano cambiate drasticamente il giorno in cui
avevano trovato il cadavere di Lilly Kane sul bordo della piscina di
casa sua. Nulla era stato più lo stesso. Duncan si era fatto
sempre più cupo, Logan aveva accentuato i suoi comportamenti
auto distruttivi, Veronica era diventata una strega, la loro compagnia,
il loro mondo, si era sgretolato sotto i loro occhi. E Dick aveva
cominciato a perdere i suoi più cari amici, anche per colpa
di Veronica. Lei e le sue stupide indagini. Giocando a fare la
detective aveva messo nei guai più di un paio di 09,
esponendoli al pubblico ludibrio, all'umiliazione collettiva. E poi
aveva scatenato la sua stupida vendetta, indagando su quanto successo
alla festa di Shelly. Era ubriaca e aveva fatto la sgualdrina in giro.
Che male c'è? Tutte l'avevano fatto. Non poteva
semplicemente accettare il fatto e passarci sopra? No, Veronica Mars
affermava che la colpa non fosse sua, e stava cercando un capro
espiatorio.
Guarda caso era toccato a Dick rimetterci: la sua tavola nuova da surf
e gran parte della sua serenità. E poi tutti quei tira e
molla tra Logan e DK... maledizione, erano migliori amici una volta, ma
per colpa di quella biondina tutto pepe la situazione era precipitata e
i due avevano smesso di parlarsi e di conseguenza di dare feste
assieme. In fin dei conti Dick non chiedeva molto: degli amici, un po'
di birra, una scusa per spassarsela e qualche ragazza.
Perché Veronica Mars aveva dovuto rovinare tutto?
E poi? L'anno dopo, tutte quelle scene, quelle storie. E come al solito
doveva essere in mezzo come il prezzemolo. Chi c'era infatti sul tetto
del Neptune Grande quando suo fratello Cassidy si era buttato
giù dal tetto? Ovviamente Veronica. Cero Beav non era uno
stinco di santo: era certamente colpevole. Ma Dick non riusciva a darsi
pace: non gli era ancora chiaro cosa fosse successo lassù,
su quel tetto, e sia Logan che Veronica erano sempre stati piuttosto
vaghi.
Insomma, se condividere gli anni del liceo con quella maledetta
nanerottola era stato tutt'altro che una passeggiata,
l'università si era rivelata un vero e proprio inferno. Non
avendo più Logan come capro espiatorio, il primo anno al
college Veronica sembrava aver concentrato tutte le sue energie nel
rovinare la vita di Dick. Aveva accusato lui e la sua confraternita, la
sua unica casa, di essere degli stupratori. Li aveva perseguitati. Li
aveva braccati. Secondo Dick era tutta colpa di Logan: avrebbe dovuto
tenerla più occupata di così. Logan, povera anima
in pena. Più lei lo maltrattava, più lui le
correva dietro. Dick non era mai riuscito a capire cosa ci trovasse il
suo migliore amico in una ficcanaso intransigente come lei. E
continuava a non capirlo.
“Avrei dovuto trascinarlo con noi, riportarlo a casa.
Maledetta Veronica” in quel momento Mac s voltò,
irritata “Ti ricordo che stai parlando della mia migliore
amica.” Ma Dick non aveva intenzione di darle ascolto.
“E che migliore amica. Per colpa di chi sei finita in galera
questa sera? Devi solo ringraziare Casey se nulla di tutto
ciò uscirà da questo abitacolo.” Mac
sospirò. Era stata una serata difficile, ma la discussione
che stava per avvenire non poteva aspettare oltre. Dick non aveva la
più pallida idea di chi fosse Veronica, ed era il momento di
spiegarglielo. “Amore, Veronica non è il diavolo
in gonnella. É una persona che ha dei difetti, come tutti.
Ma ha anche molti pregi. E soprattutto è una persona che ne
ha passate tante, troppe.” Dick guardava avanti. La strada
verso casa era ancora lunga, e lo aspettava una brutta conversazione,
una di quelle in cui gli conveniva ascoltare e poi, solo dopo aver
riflettuto a lungo, avrebbe potuto parlare. Durante quella
conversazione, più un monologo della donna che amava ogni
giorno di più, capì tante cose. E
imparò a guardare a Veronica come ciò che
realmente era: una donna fragile e sola.
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Era ormai l'alba. Il cielo si stava schiarendo, quando un taxi giallo
entrò nel giardino di casa Casablancas. Dick dal terrazzo lo
osservò avvicinarsi. Quando Logan scese dal veicolo, gli
fece segno di raggiungerlo. Poco dopo i due giovani uomini sedevano
sulle sdraio con una birra fresca in mano.
Restarono a lungo in silenzio a contemplare il cielo oceanico. Poi Dick
prese la parola.
“Certo che le nostre donne non ci danno mai un attimo di
tregua, eh?!”. Fece tintinnare le due birre e sorrise
all'amico. Al suo migliore amico.
Spazio autrice: Lo so,
è un po' breve questo capitolo, però avevo
bisogno di suddividere così la storia. Dal prossimo meno
introspezione e più azione! Manca poco al ballo dei dieci
anni dal diploma e ci sono ancora moltissime cose da chiarire!
Grazie della costanza!
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Capitolo 16 *** Logan, parte seconda ***
Logan
- parte seconda
Aveva dormito solo due ore quella mattina, tra le sette e le nove. Lui
e Dick erano stati in silenzio per un bel po', prima che uno dei due
cedesse. Sembrava una prova di forza. Poi Logan era crollato. Aveva
augurato la buona notte all'amico e si era trascinato fino in camera
lasciandosi letteralmente cadere sul letto senza nemmeno togliersi le
scarpe. Nonostante il poco sonno e le emozioni forti del giorno prima,
si era svegliato di buon umore, intenzionato a fare di quella che stava
per cominciare una giornata proficua. Aveva molto da fare e voleva
farlo per bene.
Si levò di dosso i vestiti del giorno prima, e con essi
tutte le energie negative accumulate, e si buttò sotto la
doccia rinvigorente. Mentre l'acqua calda gli scorreva lungo il torso,
si osservò le braccia. Alcune cicatrici si vedevano ancora.
Il suo produttore gli aveva consigliato di sottoporsi ad una piccola
operazione di chirurgia plastica per rimuoverle, o almeno nasconderle.
Del resto era un attore. Se nella vita privata poteva indossare camice
e maglie a maniche lunghe, altrettanto non si poteva dire dei momenti
in cui il copione imponeva scene a petto nudo. Ma lui non aveva nemmeno
preso in considerazione quell'ipotesi, voleva ricordarsi ogni giorno di
chi fosse suo padre. Per non diventare come lui. Sorrise e chiuse
l'acqua. Sarebbe stata una splendida giornata.
Dopo essersi vestito, scese le scale. Trovò due assonnati
genitori, alle prese con la colazione dei gemelli. A quanto pare
stavano vincendo i due piccolini, perché cereali e succo
erano ovunque fuorché nelle loro pancine. La cucina sembrava
più che altro un campo di battaglia. Logan rise, tra
sé e sé, osservando Mac e le sue occhiaie e
l'insofferenza di Dick per le grida dei bambini. Decise di prendere in
mano la situazione.
“Hey, voi due, perché non vi prendete un paio
d'ore di riposo in più, vi infilate a letto e ci vediamo per
pranzo? Ai piccolini posso pensare io!” Di fronte allo
scetticismo muto dei due genitori riprese “Spesso mi occupo
dei figli del mio agente di L.A., non temete, erano e sono sempre 3
stupendi bambini dotati di tutti gli arti con i quali sono venuti al
mondo. E si sono sempre divertiti un sacco con lo zio Logan.”
Le rassicurazioni sembrarono bastare, perché sia Mac che
Dick sorrisero, la moretta l'abbracciò e poi entrambi
scomparvero senza nemmeno aprire bocca. Ora era solo, con due creature
sveglie e affamate. Ci sarebbe stato da divertirsi. Logan si
rimboccò le maniche e, rivolgendosi ai due gemelli, disse
“Allora, il macello qui l'avete combinato voi. Chi lo
sistemerà?! Ci pensa lo zio Logan!!” e i piccoli
scoppiarono a ridere.
-----------------------------------------------------
Dopo la colazione e la pulizia della cucina, Logan prese i bambini, e
li sistemò per terra, costruendo una specie di parco giochi
sicuro con i cuscini dei divani. Recuperò i loro giochi dal
cesto e glieli mise a disposizione. Poi si armò di telefono
e, mentre i piccoli litigavano per un bruco di peluches, si mise al
lavoro. Per prima cosa telefonò a Leo. Doveva essere in
viaggio, ormai, se non addirittura già arrivato. Compose il
numero mentre distrattamente sottraeva il bruco dalle grinfie dei
gemelli. Non avrebbero litigato per quel peluches almeno per un
pò. Il telefono di Leo squillò un paio di volte
prima che il giovane rispondesse “Hey amico, allora questo
agente Weiss vale tutta quella strada?” Leo rise all'altro
capo del telefono. “Eccome! Ti racconto più tardi.
Per ora ti basti sapere che l'FBI sta lavorando per noi. E che anche
Veronica ha fatto la sua parte. Angela ha tra le mani un rapporto
scritto di suo pugno da Don Lamb ma mai ufficializzato in merito al
signor Manning e a sua figlia minore. Potrebbe succedere il finimondo
qui, a quanto ho capito.” Logan sorrise, pensando a come
Veronica li stesse manipolando tutti, a come avesse pianificato
praticamente tutto. Beh tranne l'arresto della sera precedente, forse
quello non l'aveva deciso lei. Logan sorrise tra sé e
sé e riprese “Perfetto, quindi tra la prescrizione
del crimine, la legalità in alcuni stati e queste cose sui
Manning, DK potrebbe cavarsela senza perdere figlia e
libertà?” “Esatto. Ora stiamo
ridefinendo i piani con Angela, perché comunque bisogna
trovare Duncan. Sai a che punto sta Veronica con le
ricerche?” Logan non voleva mentire a Leo, ma neppure
coinvolgerlo in questa situazione. Sarebbe stato molto più
complicato se il bel giovane fosse intervenuto con la sua armatura
lucente. Logan aveva un piano, e non voleva bastoni tra le ruote. Starò sul vago,
decise. “V ha avuto una serataccia a base di tequila e questa
mattina non l'ho ancora vista. Appena sarà di nuovo tra noi
le chiederò delucidazioni e ti farò sapere,
ok?” Speriamo
si accontenti, e speriamo che Angela lo riesca a distrarre.
“Perfetto amico, salutala anche da parte di Angela. Io forse
rientro questa sera, forse domani. Qui abbiamo molto da fare! A
più tardi” e così si concluse la prima
di una lunga serie di telefonate. Forse finalmente qualcosa si stava
muovendo. In tutti i sensi.
Recuperò il computer dal tavolo della cucina senza perdere
di vista i gemelli, che ora bisticciando per un sonaglino di legno: non
c'era nessuna possibilità che quei due non litigassero, alla
fine era il gioco delle parti.
Questo gioco avrebbe permesso loro di misurarsi con il mondo e con gli
altri. Essendo gemelli probabilmente avrebbero avuto maggiori
difficoltà perché profondamente legati l'uno
all'altro: per loro sarebbe stato difficile rapportarsi individualmente
con il resto del mondo. Però allo stesso tempo avrebbero
avuto qualcuno su cui contare. Sempre. Per Logan quella persona, dopo
che la sua famiglia si era trasferita dalla chiacchierona Los Angeles
alla più mite Neptune, era stata incarnata dal rampollo di
casa Kane. Ogni volta che qualcosa a casa sua andava storto, che suo
padre esagerava, che sua madre scopriva tracce di rossetto sulla
camicia del marito, che Trina spariva con la carta platino di Lynn, che
Logan si ritrovava la schiena dolorante per le troppe frustate; ogni
volta che questo accadeva sapeva che avrebbe potuto trovare rifugio
nella stanza del suo migliore amico. Tutto era quasi perfetto allora.
La sua vita andava così bene che non faceva più
caso alla sua famiglia e alla miriade di problemi che essere un Echolls
trascinava con sé. Poi Lilly era morta, Veronica si era
fatta largo nel suo cuore... l'amicizia tra lui e DK si era sfaldata. E
non aveva retto il colpo finale: la fuga di Duncan.
E' dall'ultimo anno di
liceo che non ho sue notizie... chissà come sta il mio
migliore amico. Chissà che signorina è diventata
sua figlia. Chissà se assomigliava a Lilly... Lilly... cosa
diresti di tutti noi, adesso? Beh sicuramente qualcosa del tipo
“Logan Echolls? Tu saresti il mio ex ragazzo? Ma se sei solo
la patetica ombra della persona che io amavo? Andiamo, tirati fuori dal
torpore. Vai a comprarti una nuova camicia, magari allegra e vivace.
Non sei in vacanza? Se vuoi un consiglio, il giallo ti ha sempre donato
un sacco! Eh, Logan, se vuoi riconquistarla, e lo so che lo vuoi, sii
uomo!”
Un pianto disperato lo risvegliò dal tuffo nel passato! Jess
aveva appena colpito Mat con il sonaglino; o viceversa. Un bel colpo
sulla testa. E così il ferito stava piangendo a dismisura.
Loga lo prese in braccio e guardò il fratello vincitore con
aria di rimprovero. “Dovrete imparare a comportarvi bene, voi
due.” Poi, carezzando lo sconfitto gli domandò in
tono ironico “Non ci casco, anche tu l'avresti fatto al posto
suo. Quindi ricaccia indietro lacrime e moccolo che io non me la
bevo.” Sbigottito, il biondino smise di piangere e lo
fissò intensamente. No, allo zio Logan non la si faceva
tanto facilmente.
Rimise giù il piccolino e accese il computer. Appena il
broswere si aprì, digitò “American
Airlines” nel motore di ricerca. Poco dopo aveva comprato due
biglietti di sola andata per Neptune. Da New York. Ora non restava che
informare i titolari dei posti a sedere in prima classe che il giorno
dopo avrebbero dovuto prendere un aereo.
I piccoli ora stavano giocando pacificamente, senza mettersi le mani
addosso. L'occasione giusta per fare quella telefonata. Compose il
numero e attese qualche secondo prima che una delicata ma decisa voce
femminile esordisse con un “Pronto?” Erano sempre
dieci anni quelli che lo separavano dall'ultima volta che aveva sentito
quella voce. Era il ballo alternativo, nella sua suite. I proprietari
del Grand non erano stati troppo entusiasti di quella festa, ma la
somma a molti zeri li aveva fatti ritornare sulla loro opinione. Al
punto da concedere ai diplomandi del Neptune High di tenere
lì la loro festa di diploma qualche giorno dopo. Pessima
idea. Lei era stupenda, elegante, delicata con quel suo vestito bianco
e scollatissimo. L'aveva vista l'ultima volta mentre spariva assieme a
Wallace, lasciando Veronica tutta sola. Cosa aveva detto?
“Vorremmo restare, ma sai, io non riesco proprio a
controllarmi!”. L'aveva rivista la mattina dopo, mentre lei e
Wallace sgattaiolavano fuori dall'hotel. Erano le quattro del mattino,
e lui era sceso al bar per recuperare un paio di bottiglie di
Champagne. Kendall non si faceva mancare nulla. Logan si
sforzò di tornare al presente, di portare a termine la sua
missione.
“Ciao Jakie. Come stai?” dall'altro capo del
telefono il silenzio si fece pesante. Logan proseguì
“Forse non ti ricordi di me...” “Certo
che mi ricordo di te. La tua voce è sempre la stessa, e la
tua presenza in TV, beh ecco non passi proprio inosservato, Logan
Echolls. A cosa devo l'onore di questa telefonata?” Era sulla
difensiva, e Logan doveva giocarsi bene le sue carte. “Sono
io ad essere onorato per il fatto che non mi hai ancora chiuso in
faccia il telefono, Jackie. Quindi andrò dritto al sodo,
perché non vorrei tirare troppo la corda. Domani tu e Tessa
avete un aereo da prendere. Ore 10, JFK. Non mi chiedere
perché, lo sai perché. Non proverò
nemmeno a convincerti, dato che sai anche perché dovresti
proprio prendere quell'aereo. E so che farai la cosa giusta.
Perché sei una brava persona.” “No
Logan, non lo sono.” lo interruppe lei. Ignorandola Logan
proseguì “Hai ancora quel magnifico abito bianco
dell'Alt-Prom? Potrebbe essere una buona idea metterlo in valigia. Al
resto ho pensato tutto io.” Lei lo interruppe nuovamente
“Non a tutto... avresti dovuto prenotare tre posti sull'aereo
di domani”.
-----------------------------------------------
Logan doveva ancora metabolizzare l'accaduto. Era una cosa che non
aveva previsto. Che nessuno di loro aveva previsto. O anche solo
immaginato. Però
il mio dovere l'ho fatto: Jackie verrà a Neptune. Quello che
accadrà poi non è certo mia
responsabilità. O colpa mia. O colpa di nessuno, a dire il
vero. Lei e Wallace si confronteranno, parleranno, si chiariranno.
Finalmente. E finalmente le sofferenze di Wallace avranno fine. In un
modo o nell'altro. Era questo che volevano tutti, no? Che Wallace
avesse finalmente la possibilità di andare avanti, una volta
per tutte.
Ora non restava che cambiare la prenotazione del volo e chiamare il
Neptune Grand per aggiungere un posto letto. Gli bastarono pochi
minuti. Poi si avviò verso la cucina. I bambini ora stavano
guardando un po' di televisione, concedendogli un del tempo libero. Non
che potesse distogliere del tutto l'attenzione, ma almeno aveva la
possibilità di preparare il pranzo. Dalla cucina riusciva a
vedere bene le due testoline bionde senza perderle mai di vista.
Aprì il frigorifero e ne esaminò il contenuto. Bene, c'è tutto
quello che mi serve per fare un fenomenale sugo alla Logan per
l'allegra famigliola qui, e un paio di panini per me e la mia amica!
E così dicendo si mise ad affettare cipolla, salsiccia e
pomodori freschi.
Quel sugo la faceva impazzire. Veronica adorava gli spaghetti fatti
così. Saporiti, piccanti, energici. E li preferiva fatti
“all'italiana”: la pasta cotta al dente, mica
stracotta come la cucinano di solito gli americani. La memoria gli
corse all'ultima volta che avevano mangiato gli spaghetti alla
salsiccia.
Era una buona giornata.
Una di quelle in cui il loro essere due ragazzi cresciuti in mezzo alla
violenza non si sentiva nemmeno. Era uno di quei giorni in cui la
brezza marina aveva tirato fuori il lato migliore di entrambi. Erano
stati al mare, presto. Logan aveva fatto surf da solo, mentre Veronica
fotografava lui, le onde, il riflesso dei gabbiani, le ombre sulla
sabbia. Non c'era verso di farla salire su una tavola. Anni addietro
lui DK e Lilly c'avevano provato. Il risultato era stato pessimo:
Veronica era uscita dall'acqua con una vistosa botta sulla fronte. Non
era andata a scuola per tre giorni da quanto si vergognava. Da allora
lei e le tavole si erano sempre tenuti alla larga. Però
quella mattina aveva voglia di stare con lui, di condividere quel
momento della giornata per lui tanto importante. Logan si era sentito
lusingato da quel gesto. E così erano andati a Crescent
Cove, una piccola baia a mezza luna, ci andavano in pochi, e per questo
era molto intima. Dopo un paio d'ore di magia sulle onde, Logan era
uscito dall'acqua. Era novembre, ormai non faceva più
così caldo. Indossava la muta integrale, e il fiato si
condensava in dense nuvolette bianche. Veronica si alzò da
terra e raccolse la coperta sulla quale era seduta fino a poco prima.
Si preparò a riceverlo in un caldo abbraccio. Era
così minuta, eppure aveva sempre un atteggiamento protettivo
nei confronti delle persone cui voleva bene. Anche se erano molto
più alte e forti di lei. Quando la raggiunse, Loan le si
buttò letteralmente addosso e si rotolò a terra
con lei, tra le sue risate cristalline e le minacce urlate. Veronica
era umidiccia e ricoperta di sabbia, come Logan. La baciò
appassionatamente. Era così bella. Erano così
felici. Lo sarebbero sempre stati. O così sperava.
Mangiarono sulla spiaggia, la pasta cotta sul fornelletto da campeggio,
sorridenti e felici. Non parlarono del passato quel giorno, e nemmeno
del presente. Parlarono del futuro. Veronica confessò che
avrebbe voluto fare un internato presso l'FBI quell'estate, che sarebbe
stato l'inizio di una scintillante carriera. Logan disse che non sapeva
ancora cosa avrebbe fatto da grande, come diceva lui. Però
gli piaceva scrivere. Stava seguendo il corso di letteratura e quello
di scrittura creativa, e il docente aveva più volte elogiato
le sue qualità di scrittore. Una cosa sapeva, che non
avrebbe fatto l'attore, per nulla al mondo. Quando lo disse, lui e
Veronica si scambiarono uno sguardo complice. Lei sembrava
così fiera di lui. Sembrava che non sarebbe finita mai.
Come si sbagliavano, su tutta la linea. Meno di dieci anni dopo non
stavano assieme, non erano felici e nessuno dei due era riuscito a
diventare ciò che avrebbe voluto diventare.
Ormai era tutto pronto. Logan impacchettò i panini e
preparò una pentola d'acqua. Poi recuperò il
telefono. Il numero era in memoria da sempre. Dopo due squilli
all'altro capo della cornetta, con tono quasi infastidito ma pur sempre
divertito, Cliff rispose “Mr Echolls, cosa posso fare per lei
oggi?” Logan sorrise. Quell'uomo gli era sempre piaciuto.
“Ciao Cliff, sei già stato da Veronica?”
Interdetto l'avvocato rispose “Perché dovrei
essere andato da Veronica?” Evidentemente la bionda o dormiva
ancora, oppure non aveva nessuna voglia che il migliore amico di suo
padre sapesse che era stata arrestata. Cavoli, mi sa che ho fatto il
mio solito casino. Ormai siamo in ballo... “Cliff,
Veronica è stata arrestata ieri sera. Lei e Mac sono entrate
al liceo, e sono state beccate armate di una bottiglia di
tequila...” Cliff digrignò i denti “...e
Veronica, diciamo... non ha apprezzato le manette. Potrebbe aver
colpito lo sceriffo.” Dopo alcuni secondi Cliff rispose
“Ci vediamo in centrale tra un ora. Ho un appuntamento che
non posso rimandare. Riesci ad essere lì prima di
me?” “Stavo giusto per andare a vedere come se la
cava. Ci vediamo in centrale tra un po'!”
Bene, ne aveva combinata una delle sue. Ma non aveva senso che Veronica
non avesse chiamato Cliff per farsi tirare fuori di galera.
Sospirò. Non
mi lascerò abbattere da questa scemenza. Fino ad ora
è andato tutto bene. Questa sarà una buona
gornata.
Erano le undici e mezza. Recuperò i gemelli
“Bambini, andiamo a svegliare mamma e papà? Che ne
dite?” I due urlarono entusiasti! “Si zio Logan,
si!!!!”. Li portò su per le scale e
aprì la porta della camera da letto dei suoi due amici. I
piccoli corsero sul letto e cominciarono a saltare ridendo e gridando.
Logan li osservò dalla porta per alcuni secondi, prima di
scomparire giù dalle scale. Recuperò le sue cose
e uscendo di casa fu accompagnato dalle risate della famiglia
Casablancas MacKenzies.
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Scese dall'auto. Le mani gli sudavano. Era teso. Non sapeva cosa
sarebbe accaduto, però una cosa sapeva con certezza. Era ora
di voltare pagina, o di provarci, almeno un ultima volta. Se poi le
cose non fossero andate come sperava, beh, si sarebbe voltato e se ne
sarebbe andato. Avrebbe lasciato in pace il passato una volta per
tutte. Avrebbe chiuso quel capitolo e avrebbe guardato solo avanti. Era
da un po' che riceveva proposte dall'Europa, e quel continente carico
di storia gli era sempre piaciuto. Trasferirsi lì per un po'
non sarebbe stata una cattiva idea. Insomma, aveva il suo piano di
riserva, ma per ora voleva solo far funzionare il piano A.
Chiuse la portiera della macchina e si avviò verso la
centrale dello sceriffo.
Non si aspettava certo di trovarla ancora in branda, ma quello cui
andò incontro appena varcata la soglia della centrale lo
lasciò a dir poco sbigottito. Veronica era in piedi, lo
sguardo glaciale e le manette ai polsi. Fissava con aria di sfida lo
sceriffo che, imbarazzato e tentennante, non sapeva bene come
comportarsi. Alle sue spalle, l'agente Patterson e il suo occhio nero
fissavano la scena con rabbia. Veronica finalmente ruppe il silenzio
“Mi potreste gentilmente riportare in cella? Non ho
intenzione di condividere la stessa aria di quest'uomo. Sceriffo,
allora?” Non aveva nessun senso quello che stava succedendo. Perché Veronica vuole
tornare in cella? Perché Patterson non è
ammanettato? E perché lo sceriffo sembra così in
imbarazzo? Una voce nota interruppe il filo dei pensieri
di Logan. Era Casey. “Veronica, ragiona, lo sceriffo vuole
capire quali siano le tue intenzioni...” “Casey,
grazie, ma non ho bisogno del tuo aiuto. So quali sono i miei diritti e
non mancherò di esercitarli, solo non adesso. Voglio vedere
quel viscido cuocere lentamente sulla brace, domandarsi cosa ne
sarà della sua carriera, o meglio, cosa ne farò
io della sua carriera. Per il momento i tuoi servizi in quanto avvocato
non sono richiesti, sei libero di andartene.” E si sedette
“Veronica...” “Casey, se Cliff non si
farà vivo entro questa sera, ti chiamo io domai, ok? Adesso
però vattene. Fidati di me.” Il giovane
recuperò la valigetta e si avviò all'uscita.
Veronica lo seguì con lo sguardo fino ad incontrare gli
occhi di Logan. Si fissarono brevemente, poi lei abbassò lo
sguardo arrossendo al ricordo delle carezze e dei baci della sera
precedente. Non le erano dispiaciuti anzi. L'avevano solo colta
impreparata. Si sentiva una ragazzina!
A quel punto Logan non sapeva proprio come interpretare quanto era
accaduto: Veronica che restava in prigione, che lo guardava con quei
suoi occhi languidi e profondi. Era davvero disorientato da quella
situazione al limite del reale. Spostò lo sguardo su ognuna
delle parti in carica. Patterson sembrava quasi terrorizzato dopo
l'ultima sparata di Veronica. Evidentemente la biondina aveva in mano
qualcosa di concreto e pericoloso. Distruzione reciproca assicurata,
uno dei classici della giovane detective. Nick aveva esagerato e ora
avrebbe pagato, lo sapeva. Vinnie al contrario aveva l'aria del bambino
stupido e sconvolto. Quello che stava accadendo non aveva alcun senso
per lui, perché avveniva ad un livello per lui
incomprensibile. Era un gioco al quale non avrebbe potuto giocare. Poi
lo sguardo di Logan tornò su Veronica. Gli
ricordò la Veronica della quale si era innamorato. Quella
Veronica forte e fragile, delicata e adamantina. Guardava i due uomini
con un'espressione di soddisfazione e scherno. Aveva vinto lei. Li
aveva in pugno. Poi si volse verso Logan. L'imbarazzo dello scambio di
sguardi di poco prima era svanito, dietro alla solita maschera.
Però negli occhi di Veronica Logan lesse anche il bisogno di
aiuto. Lei non distolse lo sguardo e lui all'improvviso capì
quello che lei gli stava chiedendo. A loro bastava davvero poco per
capirsi.
Decise quindi di intervenire. Indossò il suo sorriso
migliore e alzando il sacchetto con il pranzo per lui e Veronica
esclamò a voce alta: “Sceriffo
buongiorno!” Tutti si voltarono, ad eccezione di Veronica che
lo fissava già da un po'. “Mr. Echolls, buongiorno
a lei!” Rispose Vinnie “A cosa devo la sua
visita?” Logan si avvicinò allo sceriffo e gli
strinse la mano. Poi si spostò dietro veronica e le
poggiò la mano sulla spalla. “Avrei portato il
pranzo alla nostra galeotta. Posso farle compagnia mentre
mangia?” Vinnie parve interdetto. Ci pensò un po'
e poi acconsentì. Saks controllò il sacchetto e
non trovando nulla di pericoloso aprì la stanza degli
interrogatori. Veronica, prima di entrare, gli sorrise e gli porse i
polsi. Saks si guardò intorno alla ricerca del suo superiore
che annuì. Veronica avrebbe potuto mangiare con le mani
libere. Prima che entrassero lo sceriffo si raccomandò
“Fate i bravi, ragazzi...” e chiuse la porta alle
loro spalle.
Non aspettò nemmeno di sedersi “Non pensavo che ti
avrei rivisto così presto dopo tutto quello che ci siamo
detti... ieri...”. Non lo stava guardando. Veronica sembrava
preferire la punta delle proprie scarpe. “Quello che ci siamo
detti... ieri... non ha molta importanza rispetto a questo. Tu in
galera? Troppo bello per essere vero! Ho sempre apprezzato l'eleganza
con la quale riesci a indossare le manette!” e detto questo,
Logan smorzò definitivamente la tensione tra loro.
“Ti ho portato il pranzo, immagino che i poliziotti non ti
stiano nutrendo a dovere.” Ed estrasse due panini farciti
all'inverosimile. Veronica si fiondò sul più
vicino che Logan teneva ancora in mano. Quando la bionda fu a portata,
il giova sollevò il braccio, come fanno i bambini. Veronica
lo squadrò, tra l'arrabbiato e lo stupito. “Io ti
do il panino e tu mi dai qualche minima spiegazione. OK?” Lei
sbuffò “Affare fatto. Hai vinto solo
perché sei alto e io sono piccola... me la pagherai
Logan.” Ma non era veramente arrabbiata.
Consumarono il pasto in silenzio, sorseggiando un po' di coca-cola da
una lattina. Poco dopo sul tavolo erano rimaste solo le briciole dei
due abbondanti panini. Veronica allungò le gambe e si
stiracchiò. Logan la fissava sorridendo ma con risoluzione.
“Va bene” disse la ragazza “Ora tocca a
me. Risponderò alle tue domande al meglio che posso.
Ciò che non ti dirò non dipende da me, quindi ti
sarei grata se lo potessi accettare.” “Va bene, mi
sembra equo” rispose lui. Dopo alcuni secondi di silenzio
pose la prima domanda “Perché sei tornata a
Neptune proprio adesso?” “Lavoro, Logan. Lavoro.
Dovevo fare delle indagini.” “E le hai
fatte?” “Si, anche se non so ancora
perché le sto facendo.” Lui annuì. La
risposta era vaga, ma aveva deciso che si sarebbe accontentato.
“Posso chiederti per chi stai lavorando?”
“Si, puoi chiedermelo, ma io non ti risponderò.
Non posso farlo.” La delusione comparve sul volto del
giovane. OK, passiamo
alla prossima e speriamo in qualche delucidazione in più pensò
il giovane uomo.
“A che punto sei con le ricerche di Duncan e di sua
figlia?” Veronica sorrise amichevolmente “Diciamo
che sono ferma a dove ero quando ho cominciato."Dopo un lungo
momento di silenzio riprese. "Sai
come l'ha chiamata? Lilly...” Il suo sguardo era tenero, ma
mascherava sentimenti profondi e contrastanti. Gli stava nascondendo
qualcosa, ne era certo. “Mi puoi dire altro su
Duncan?” “No. Perché non c'è
altro da dire.” Rimasero a lungo in silenzio.
Silenzio che Logan interruppe. “Perché sei ancora
qui?” Veronica parve non capire, così Logan
spiegò “Qui in prigione, intendo. Avresti potuto
essere già uscita, soprattutto dopo quello che ha fatto
quell'idiota di Nick.” “Perché
è qui che voglio essere, a smuovere le acque e concentrare
l'attenzione su di me. Voglio che pensino solo a me e al
perché sono qui invece che fuori, voglio che si domandino se
ho rubato delle prove, carpito delle informazioni. Voglio che il loro
cervellino bacato si concentri così tanto da impedirgli di
guardare oltre il loro naso.”
“Ma allora era parte de tuo piano finire in
galera?” Veronica rise, di una risata amara e un po' triste.
“No, ma è stato un ottimo spunto. Devo restare qui
il più a lungo possibile a litigare con Vinnie e Patterson.
Per questo non voglio un avvocato. Per questo ho mandato via
Casey...” Logan abbassò lo sguardo. “Su
questo punto del tuo piano potresti avere delle difficoltà.
Scusa Veronica, ho chiamato Cliff.” La ragazza rimase a bocca
aperta. “Tu hai fatto cosa? Maledizione Logan... Cliff non
deve venire qua, ha altri impegni...” si stava scaldando.
Logan la rimbeccò “Se tu ogni tanto parlassi con
gli altri invece di tenerli all'oscuro” I toni si stavano
facendo roventi. Erano i toni che erano soliti utilizzare. Logan si
calmò, alzò le mani in segno di pace e riprese.
“Scusa Veronica, non sapevo. Adesso lo chiamo...”
Lei rimase davvero stupita da Logan e dal suo comportamento. Era
così calmo, razionale. Così maturo.
“Scusa tu, sono e rimango un'individualista. Non importa,
avere Cliff qui può non essere così negativo.
Quello che doveva fare lo può fare anche qualcun altro.
Anzi... Potresti farlo tu. Cliff ti dirà tutto, qui io non
posso.” tacque per un po'. “Altre
domande?” “Ne avrei ancora molte, ma dubito che mi
risponderesti.” In quel momento entrò Cliff. Li
guardò con aria di rimprovero. Poi si rivolse a Logan
“Grazie Logan, per tutto. Da adesso però ci penso
io. OK?”
Logan si alzò. “Aspetto una tua chiamata
più tardi, ok Cliff? Veronica... stai bene. A
domani?”
Lei gli sorrise. “Grazie Logan. A domani.” E il
giovane uscì dalla stanza degli interrogatori lasciando
Veronica nelle esperte mani di Cliff.
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Uscito dalla centrale andò al bar che si trovava dall'altro
lato della piazza. Ordinò un caffè ed estrasse il
cellulare dalla tasca. Compose il numero di Wallace. "Ciao amico"
rispose il giocatore di basket "Come va?" "Bene" rispose Logan. Non
aveva intenzione di distrarre Wallace da ciò che stava per
accadere con la notizia dell'arresto di Veronica. Il loro comune amico
avrebbe avuto ben altre gatte da pelare nelle ore successive. "Ti
chiamo per chiederti un favore. Domani mattina sarei dovuto andare
all'aereoporto di San Diego a prendere la mia accompagnatrice per il
ballo. Purtroppo ho un impegno improvviso con il mio produttore.
Irrevocabile. Parliamo di numeri a otto cifre. Non è che..."
"Ma certo, dimmi a che ora devo essere lì" "Alle 11. L'aereo
arriva da New York. Grazie amico, spero di poter ricambiare." "Ma
figurati!" Rispose Wallace.
Meno uno. Ancora due telefonate. Poi spiaggia, surf, relax per il resto
della giornata. Il pensiero lo fece sentire meglio.
Il telefono suonò a vuoto. Per un bel pò. Poi
partì la segreteria. "Qui Leo, lasciate un messaggio"
Banale, pensò Logan, memore dei suoi messaggi in segreteria.
"Leo, V non si è scucita. Ma sa qualcosa. Chiamami!"
E meno due.
Compose il numero. Una cornetta si alzò. Voci di bambini.
"Hey amico, favoloso il sugo. E grazie per l'aiuto!" "Figurati Dick,
questo ed altro per un amico. Surf? Crescent Cove tra mezz'ora?" "Non
mancherò", rispose il biondo con entusiasmo.
-------------------------------------------
Era appena salito in macchina quando ricevette un messaggio. Era di
Cliff. “Sunset Cliffs Apartments, appartamento 101, ore 19.
Procura la cena per tre”. I suoi piani sarebbero dovuti
cambiare un pò.
Una cosa non capiva. Perché Cliff lo facesse andare a casa
di Veronica?
Spazio autrice: A breve distanza. Ero ispirata!
Buona lettura
|
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Capitolo 17 *** Questione di Lilly e di fiducia ***
Questione
di Lilly e di fiducia
Eli Navarro aveva passato gran parte della sua vita a
impartire ordini. Era stato capo di una banda di motociclisti, che
diamine. Aveva fatto grandi cose con loro. Era stato un grande capo.
Pendevano tutti dalle sue labbra, e lui era fiero di sé e
del suo ruolo. Nessuno aveva mai osato mettergli i piedi in testa.
Almeno fino al giorno in cui una famosa biondina aveva mostrato al
mondo intero che anche il capo dei PCHeras poteva essere messo sotto
torchio. Tutto per uno stupido scambio. Da allora il suo potere aveva
cominciato a vacillare sempre di più.
Ogni volta che lei inclinava la testa, lui perdeva un po' del controllo
sulla sua banda. Poi un giorno si rese conto di averlo perso del tutto.
Era accaduto dopo la morte di Felix: a causa del calcio di Logan, per
il quale il rampollo degli Echolls non avrebbe mai pagato abbastanza,
Weevil non era stato presente su quel ponte durante il pestaggio, e i
suoi cominciarono ad escluderlo dalle loro vite e dalle loro azioni.
Thumper si era gradualmente sostituito a Weevil e alla fine l'aveva
escluso, facendo affondare la sua moto nel canale. Eli aveva quindi
scoperto un mondo nuovo, nel quale lui non comandava nessuno e doveva
guadagnarsi i suoi spazi con le proprie azioni e le proprie scelte.
L'ingresso di quell'intrigante biondina nella sua vita l'aveva
profondamente cambiato, costringendolo a una nuova presa di coscienza.
Le responsabilità non sono opzionali, nel bene e nel male.
Però, nonostante avesse dismesso la giacca di pelle e gli
anfibi da biker, non aveva perso il vizio. Con la storia delle tessere
studentesche aveva racimolato un bel gruzzoletto, abbastanza cospicuo
da permettergli di iscriversi alle scuole serali e ottenere finalmente
il tanto ambito diploma. Insomma, aveva cercato di redimersi, anche se
con soldi sporchi. E poi aveva dato una svolta reale alla sua vita
quando aveva conosciuto Parker. Quella ragazza aveva compiuto il
miracolo. La sua fresca ingenuità, il suo essere
così solare e entusiasta della vita, il guardare sempre al
alto positivo... Eli non era mai stato così, eppure lei
riusciva a fargli vedere il mondo attraverso nuovi occhi. Quelli di una
ragazza che viene da Denver e vuole una vita entusiasmante e carica di
aspettative. E da quel giorno anche l'ex capo di una delle peggiori
bande di Neptune non aveva smesso di vedere il mondo attraverso dei
vistosi occhiali rosa!
Comunque l'incontro più importante della sua vita era stato
senza ombra di dubbio quello con Veronica Mars. Fino al giorno in cui
Eli e i PCHeras avevano legato un impaurito Wallace al pennone della
scuola, Eli non aveva fatto troppo caso a quella biondina scialba e
sempliciotta. A lui interessavano prede di altro calibro,
perché accontentarsi degli scarti quando poteva avere Lilly
Kane, la più ambita e desiderata studentessa del Neptune
High?
La loro storia non era mai stata ufficiale. Nessuno aveva mai saputo,
ad eccezione di Veronica. Forse Logan sapeva, forse no. Era cominciato
tutto per caso.
Lilly aveva beccato Weevil quando, durante la lezione di
letteratura, la scrutava di sottecchi. Lo sguardo languido e
provocatorio di Lilly l'aveva quasi fatto arrossire, poi l'uomo che era
in lui era emerso prepotentemente e le aveva fatto l'occhiolino. Lilly
non aveva abbassato lo sguardo: aveva continuato a fissarlo, e a fine
lezione l'aveva aspettato. Gli aveva sorriso e se ne era andata con
fare provocatorio. Era cominciato tutto così. Lilly era
così. Da quel giorno avevano cominciato a vedersi di
nascosto. Lui si era spesso intrufolato a casa Kane, la sera tardi. Si
era infilato in camera di Lilly, dove lei lo aspettava sveglia e ben
poco vestita. Lei gli aveva inviato messaggi segreti, invitandolo ad
appuntamenti impossibili. Avevano fatto l'amore la prima volta nel
garage dello zio di Eli, una sera afosa di fine maggio, sul retro di
una Biuik pronta per la demolizione. Con una come Lilly per le mani
come avrebbe potuto accorgersi dell'apparentemente insignificante
Veronica Mars, così precisa, controllata, perfetta? Una il
cui unico aspetto interessante era essere la figlia dello sceriffo?
Infatti non aveva mai fatto caso a lei fino alle vacanze di natale dopo
la morte di Lilly.
Le voci che circondarono l'insulsa biondina dopo la festa di Shelly
Pomroy attirarono l'attenzione di molti, ed Eli era tra quelli che si
domandavano quanto di vero ci fosse in quei racconti. Al ritorno dalle
vacanze Veronica si era presentata a scuola in una nuova veste. I suoi
lunghi capelli avevano lasciato posto ad un taglio corto e aggressivo;
i vestiti di pizzo a jeans e felpe deformi; le delicate ballerine a
mascolini anfibi. Ma soprattutto c'era qualcosa nello sguardo della
nuova Veronica che li aveva lasciati tutti spiazzati. Era qualcosa di
indecifrabile, di impalpabile, di così distante dalla
ragazzina che era stata, che molti non riuscivano a interpretarla.
Weevil l'aveva capito dopo molti anni: era la rabbia di un animale
ferito, era la sicurezza del predatore, era la voglia di rivincita e
vendetta. Pochi si sarebbero salvati, poco ma sicuro. E così
era stato.
Piano piano quella biondina si era fatta strada nella vita di Eli, e i
due avevano sviluppato un rapporto simile all'amicizia, anche se molto
diverso. Si scambiavano favori, certo, si aiutavano... ma la componente
sincerità non faceva parte di questo loro strano legame. Se
dovevano si mentivano e si ingannavano reciprocamente, e in
realtà nessuno dei due si fidava completamente dell'altro.
Però si erano dati tanto in termine di affetto, stima e
insegnamenti. Veronica aveva imparato a gestire chi era abituato a
comandare avendo a che fare con lui; Eli aveva imparato a non essere
sempre “quello che sta sopra”. E la lezione gli era
servita un sacco, soprattutto nel suo lavoro. Rispettare le gerarchie,
gli ordini, non mettere in dubbio chi ne sa più di te erano
stati i suoi punti di forza in ospedale e sulle ambulanze. Altrettanto
lo erano il suo essere deciso e risoluto, il suo saper prendere
decisioni in fretta e soprattutto la sua capacità di
autista, cose che aveva imparato nella sua vita precedente, quella da
capo di una banda locale di motociclisti.
Insomma, il suo era stato un percorso irregolare e travagliato, con
continui e ripetuti cambi di rotta. Ma ora tutto sembrava filare
liscio, essere a posto. Era felice: aveva un lavoro, aveva una donna,
aveva una casa. Stava pensando di chiedere a Parker di sposarlo, e lei
magari avrebbe detto di si. Insomma, la sua vita sembrava aver trovato
la rotta giusta.
Poi un bel giorno il telefono squilla, e dell'altra parte
c'è lei. Sentirla gli provoca una certa emozione, come
sempre, al confine tra fastidio e gioia.
“Hey”.
È la bionda all'altro capo del telefono a parlare
“Hey a te”. Silenzio. Nessuno dei due ha intenzione
di fare la prima mossa. Nessuno dei due vuole mostrare il fianco. Eli
è roso dalla curiosità, ma non ha intenzione di
cedere. Per un po' ascolta le interferenze e il respiro sommesso e
tranquillo della sua ex compagna di scuola. “Come stai
Eli?” È di nuovo lei a rompere il silenzio.
Perché? “Bene, grazie. E tu, Veronica?”
Convenevoli “Bene grazie. Parker?”
“Sempre la solita. All'asilo è la maestra
preferita da tutti i bambini...” parlare della sua donna lo
fa sentire più sereno, più tranquillo. Poi
ritorna in sé e sprofonda nuovamente in un silenzio muto ma
carico di aspettative. Dopo alcuni istanti è di nuovo
l'investigatrice a parlare. “Ti ricordi che mi devi un
favore?” “Non eravamo pari?” risponde
lui, accigliato ma divertito. Gli è sempre piaciuto giocare
al ribasso con Veronica. Peccato fosse quasi sempre lei a vincere.
“Nemmeno lontanamente. Mi dovrai favori per tutta la vita:
è solo grazie a me se stai con Parker. In primo luogo
perché ero io a conoscerla, e poi perché lei e
Logan si sono lasciati a causa mia. Quindi direi che non saremo mai...
pari...” Ecco. Anche questa volta aveva vinto lei.
“Cosa vuoi Veronica?” rispose l'ispanico sbuffando
“Non essere così scorbutico, Eli, sai che ti
preferisco quando sorridi” Aveva capito di aver il coltello
dalla parte del manico, quindi ora la sua voce era rilassata e sicura.
Probabilmente aveva appena messo i piedi sulla scrivania. Weevil poteva
immaginarsela. “Ho bisogno di una mano, di una grossa mano.
Devo venire a Neptune e ho bisogno di un amico fidato ma con un po' di
polso e le giuste conoscenze.” “Veronica, sai che
io sono uscito da certi giri. Non passo nemmeno più a
trovare mio zio all'auto rimessa. Temo di non essere io quella
persona.” lei rise all'altro capo del telefono.
“Non ho dimenticato che ora sei lindo come il culetto di un
bambino, ma tu sai come muoverti... con discrezione. Ho bisogno che tu
faccia due cose per me, e tu sei la persona giusta in primo luogo
perché posso fidarmi di te. Io non potrò farle
perché avrò gli occhi di tutti puntati su di me.
Nessuno si accorgerà di te, anche perché ormai
sei un cittadino modello. E poi avrai le spalle coperte dall'FBI.
Angela Weiss, una mia carissima amica ha le carte giuste da giocare e
farà la sua parte. Le sue parti. Saremo noi tre, solo noi
tre a conoscere il piano. Gli altri? Semplici pedine che serviranno
allo scopo. È importante che nemmeno Parker sia a conoscenza
di quello che stai facendo, ma sarà facile distrarla con il
ballo in arrivo...” “Hey, vacci piano V, non starai
dicendo che la mia ragazza è superficiale?”
“No, Eli, sto dicendo che se farai quello che ti chiedo
potrai comprare un bel diamante da metterle alla mano sinistra proprio
per il grande ballo al Neptune High...”
L'aveva già convinto all' “hey”, ma quel
piccolo incentivo non aveva fatto male.
Weevil stava ripensando a quella strana telefonata mentre guidava verso
la stazione dei treni di San Clemente. Era una giornata calda e
soleggiata. Era già stato a San Clemente, assieme a Parker,
un paio d'anni prima. Avevano fatto il bagno in una spiaggia molto
intima lungo la costa settentrionale. Gli sarebbe piaciuto sposarla in
spiaggia. Sua nonna sarebbe stata fiera di lui. Con l'immagine di
Parker, il profumo della sua pelle, il suono della sua voce in mente,
Ely guidava verso l'ultima parte della sua missione. Una volta tornato
a Neptune sarebbe andato alla gioielleria in centro. Aveva
già trovato l'anello di fidanzamento giusto. Lilly l'avrebbe
trovato troppo semplice, ma appena vi aveva posato gli occhi sopra Eli
Navarro si era reso conto che era l'anello perfetto per la donna della
sua vita, per Parker.
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Mac
era appena uscita dalla doccia. Si era finalmente ripresa, ormai era
pomeriggio inoltrato. Aveva appena ricevuto una telefonata da Veronica.
Aveva bisogno che Mac le portasse un po' di cose: i suoi documenti, un
cambio d'abiti, delle scarpe comode. Mac si era buttata sotto la doccia
in fretta e furia: voleva essere presente per la sua amica. Insomma,
aveva un'avversaria temibile contro cui combattere. Anche se era morta.
Insomma,
il leggendario quartetto composto dai Kane, da Veronica e da Logan era
qualcosa di epico, e Lilly e Veronica erano l'immagine perfetta delle
amiche ideali. Sempre assieme, inseparabili, viziate e ricche,
stupende. Tutti le invidiavano. Tutti volevano essere come loro. Al
tempo dei fab four Mac e Veronica nemmeno si conoscevano, vivevano su
piani diversi. Mac vedeva le due bionde camminare lungo i corridoi, le
osservava vivere la loro vita perfetta in un mondo perfetto. Come
poteva lei sostituire Lilly Kane tra gli affetti di Veronica? Se lo era
domandato tante volte nei primi anni della loro amicizia. Poi un giorno
si erano confrontate e Mac aveva capito.
“Veronica,
come è
stare dall'altra parte? Insomma, me lo sono chiesta molte volte, dal
momento che avrei potuto essere la figlia dei Sinclaire, vivere in una
bella villa, avere tutto... sempre...” Era l'estate del
diploma. Mac
era in cura da un analista che le aveva suggerito di affrontare i suoi
problemi e confrontarsi con le sue paure. Essere stata scambiata con
Madison Sinclaire alla nascita era uno dei suoi incubi ricorrenti.
“Insomma, mi sono sempre chiesta... sarei stata anche io
così...
cattiva? Insomma, i soldi e la ricchezza avrebbero potuto corrompere
pure me?”
Veronica l'aveva
squadrata. “Tu? Saresti stata perfetta
come sei adesso a prescindere dalla famiglia nella quale saresti
cresciuta. Madison è Madison... prendi ad esempio me. Quando
io ero una
di loro, insomma, ero molto più ingenua e candida di ora!
Insomma, in
realtà è più una questione di persone
e caratteri. Lilly era una
regina, se fosse nata in un'altra epoca il ruolo di nobildonna sarebbe
stato suo! Così civettuola, capricciosa... ogni tanto mi
domando se
saremmo amiche oggi. Se io e lei riusciremmo ad andare d'accordo
nonostante le... differenze. Di sicuro non potrei più
fidarmi di lei
dopo tutto quello che è successo. Cioè... lei e
Aaron... io ero la sua
migliore amica e non ne sapevo nulla. Come è possibile? Mi
sono sempre
chiesta se me l'avrebbe mai detto, della loro relazione intendo. E la
risposta che mi sono sempre data è no. La nostra era una
grande
amicizia, epica la definirebbe Logan, ma per le persone che eravamo
allora, non per ciò che sono diventata.” Mac non
capiva perché Veronica
stesse dicendo quelle cose a lei. “Sai, Mac, Lilly era
incostante,
lunatica, viziata, capricciosa. Era una persona sulla quale non si
poteva contare. Non come te. Di te so che potrò sempre
fidarmi.”
Nonostante
quelle parole Mac si era sempre sentita a disagio. Il confronto con
Lilly la spaventava. Però una cosa le era chiara: Veronica
era molto
arrabbiata con Lilly. Era arrabbiata perchè l'aveva lasciata
sola,
perché le aveva nascosto la verità. Forse la
incolpava anche di tutto
quello che le era successo: l'esclusione, la solitudine, forse anche lo
stupro. Lilly sapeva che Veronica era forse figlia di Jake Kane, eppure
non aveva condiviso questo segreto con lei. Lilly stava con Aaron e con
Eli e non l'aveva confessato alla sua migliore amica. Ma soprattutto
Lilly era morta per una cosa stupida, e questo Veronica sembrava non
averlo ancora perdonato all'amica. Mac si domandò se dopo
tanti anni Veronica avesse fatto pace con il proprio passato o meno.
Mac recuperò le cose di Veronica e salì in
macchina, diretta alla centrale.
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Era una vera seccatura, trovarsi lì assieme a Madison e a
Gia. Con loro aveva scambiato poche parole durante il liceo, e adesso
si trovava a lavorare con loro gomito a gomito da un mese. Maledetto
Clemmons che l'aveva convinto a fare da presidente del comitato
organizzativo del ballo di beneficenza. Non l'avrebbe mai fatto se
avesse saputo chi erano gli altri membri del consiglio. In un primo
momento si era sentito onorato dell'incarico assegnatogli. Clemmons
l'aveva lusingato “Sarebbe bene che una
personalità del suo calibro e del suo infallibile gusto
fosse presente all'organizzazione”, aveva aggiunto che era
importante “non dimenticare la componente
maschile”. Dopo che Wallace aveva accettato però
il discorso era cambiato. Le parole più ricorrenti nel
vocabolario del preside erano “dirimere”,
“mediare”, “pazienza”. Fu
allora che aveva capito di essere stato incastrato. Wallace si era
trovato tra due fuochi. E che fuochi.
Tra le due c'era stato attrito fin dal liceo. Gia aveva avuto un mezzo
flirt con Dick, che Madison aveva sempre considerato sua
proprietà. D'altro canto, Gia, che veniva dalla grande
metropoli e da una vita scintillante e grandiosa, aveva trovato lo
snobbismo di Madison non solo di cattivo gusto, ma molto provinciale.
Ora Madison era una pluri divorziata con un conto in banca a molti zeri
e l'aspetto e l'atteggiamento di una quarantenne. Gia Goodman era
tornata alla bella vita mondana della sua prima adolescenza. Si era
trasferita a New York dove aveva studiato moda. Era stata indossatrice
prima e stilista poi. Il suo conto in banca non aveva nulla da
invidiare a quello di Madison. Però Gia l'aveva riempito con
il suo lavoro, non con alimenti e clausole prematrimoniali. Per questi
ed altri motivi le due non potevano sopportarsi. E Wallace Fennel non
poteva sopportare nessuna delle due. Non vedeva l'ora che
venerdì arrivasse per poter chiudere questo triste capitolo
della sua vita. Mancavano all'incirca una trentina di ore alla fine di
questa tortura.
Un grido acuto lo risvegliò dai suoi pensieri. Si trovava
nella sua vecchia palestra, seduto sulle gradinate. Il pavimento era
ricoperto da un tappeto protettivo di gomma, i tecnici stavano montando
le luci e provando l'impianto stereo. Le due donne si trovavano
dall'altro lato della palestra, ma si stavano avvicinando. Entrambe con
le labbra serrate e i pugni chiusi. Le lunghe gambe di Gia le permisero
di raggiungere le gradinate prima dell'avversaria. “Wallace,
non devi dare retta a questa pazza. Come può pensare che il
rosa sia il colore giusto per lo sfondo delle fotografie di coppia?
Già l'arco con i glicini è pacchiano, ma il rosa
confetto? Il rischio è di rendere tutto troppo...
zuccherino! Diglielo anche tu” Nel frattempo anche Madison
era arrivata. Imbronciata e pronta alla guerra. Wallace le
guardò con attenzione e ripensò a chi avesse dato
ragione la volta precedente. Non c'erano dubbi, era il turno di darla
vinta a Gia. “Penso che un colore scuro, magari marmorizzato
o sfumato potrebbe salvare il tutto dal risultare troppo...
kitch?!?” e squadrò Mirs Sinclaire Cole Watson con
uno sguardo tutt'altro che accondiscendente. Solo 30 ore,
pensò Wallace disperato.
“E va bene, ma non voglio che si pensi che l'ho data vinta a
questa sciacquetta incapace di trovarsi un marito.” Gia stava
per ribattere, ma Wallace la interruppe. “Pensate che sia il
caso di fare un discorso o qualcosa su Lilly e Duncan? Del resto lui
avrebbe dovuto diplomarsi con noi e lei era... insomma...
Lilly...” Gia lo squadrò imbarazzata.
“Io non ho praticamente conosciuto nessuno dei due. Lei era
già... morta quando sono arrivata. E Duncan è
scappato poco dopo... Non me la sento di esprimere una
posizione...”
Madison alzò gli occhi al cielo e irritata prese la parola.
“Quei due hanno avuto abbastanza attenzione nella loro vita,
non hanno certo bisogno che noi li ricordiamo anche domani sera. Se
entrambi si fossero tenuti addosso i pantaloni sarebbero qui a
festeggiare con noi...” E detto questo chiuse la questione.
Wallace era scioccato. Quella donna poteva essere davvero senza cuore.
Si allontanò dalla palestra, cercando rifugio all'esterno
della scuola. Si ritrovò davanti alla fontana dedicata a
Lilly. Non aveva mai avuto l'occasione di conoscerla, e si era spesso
domandato come fosse la migliore amica di Veronica, la ragazza che
aveva rivoltato al vita di tutti loro, la detentrice dello scettro
sociale del Neptune High, la reginetta del ballo, la ribelle erede
della più importante famiglia della città.
Veronica non gli aveva mai parlato a lungo della sua amica, ad
eccezione di qualche mese prima. Era il 3 ottobre del 2013. Veronica si
era presentata a Neptune senza avvisare nessuno. Aveva bussato alla
porta di Wallace e gli aveva chiesto di accompagnarla al cimitero.
“Perché
l'hai chiesto a me e non a Mac o a tuo padre, V” Wallace
stava guidando, veronica fissava il panorama.
“Perché tu non l'hai mai conosciuta.
Perché tu sei immune al potere che Lilly ha sempre avuto su
tutti coloro i quali posavano lo sguardo su di lei. Perché
l'unica idea che hai di lei è quella che ti sei fatto
sentendoci parlare. Perché tu sei il mio migliore
amico.” Il silenzio era nuovamente calato tra loro.
“Perché mi fido di te e so che rispetterai ogni
mia decisione”.
Erano arrivati. Scesero
dalla macchina. “Accompagnami, ti prego” gli disse
la bionda. “Vuoi sapere chi era Lilly?” Gli
domandò, mentre procedevano tra le lapidi grige. Era una
giornata tiepida e soleggiata. Non era una giornata da cimitero e
lacrime. “Molti di diranno che Lilly era meravigliosa,
stupenda, vivace, divertente, estroversa... una vera dea, una regina.
Sfavillante, energica, simpatica, divertente. Ma sai la
verità? Lilly era questo, indubbiamente, ma vedi esistevano
alcuni aspetti di Lilly che sono come svaniti nel nulla, che tutti
hanno deciso di ignorare perché è morta. E dei
morti non si può parlare male.” Erano arrivati
alla tomba. Veronica non aveva dei fiori né candele, solo se
stessa e tutto l'affetto che provava per quella che era stata la sua
più cara e intima amica. Sorrise alla fotografia che i suoi
genitori avevano scelto. Non la rappresentava nemmeno lontanamente.
Lilly indossava una camicia accollata, un girocollo di perle e aveva i
capelli raccolti. Per fortuna altri avevano pensat di ricrdarla per
quello che era. La lapide era costellata di fotografie di Lilly in
costume, che faceva le boccacce, che mostrava le gambe. C'era anche una
foto di loro quattro, i fab four, al ballo. Veronica raccolse la
fotografia, la osservò per un lungo momento poi la ripose da
dove l'aveva presa. "Sai Wallace, Lilly era la più grande
egoista che sia mai apparsa sulla faccia della terra. Voleva e doveva
essere la protagonista indiscussa in ogni situazione. Splendente,
eccome. Ma nessuno doveva eclissare il suo splendore. Chi alzava troppo
il tiro doveva essere rimesso in riga. La gerarchia? Rigida e
indiscutibile. E ad assegnare i ruoli ovviamente era Lilly... prendi
Madison. Ha osato pestare i piedi a Miss Kane e... puff è
sprofondata nell'oblio per mesi. E sai cosa aveva fatto? Aveva osato
contraddirla in pubblico.”
Fissarono in silenzio la
lapide. C'erano dei mazzi di fiori, delle corone. Era ormai pomeriggio
inoltrato, evidentemente in molti erano passati di lì. C'era
una corona di gigli bianchi accompagnati da un nastro dorato. Recitava
“Alla nostra adorata figlia”. Evidentemente i Kane
erano stati sulla tomba della figlia. Un mazzo di rose rosse,
chiaramente un dono di Logan. Una rosa rosa ed una fotografia, dono di
Weevil. E poi molti altri fiori, mazzi, bigliettini. C'erano decine di
candele, fotografie, pupazzetti, lettere. Mezza Neptune era passata di
lì e aveva lasciato doni in memoria della bella e giovane
Kane. Persne che le avevano voluto bene, persone che l'avevano
invidiata, persone che l'avevano odiata.
“Lilly ci ha
presi tutti in giro, ci ha manipolati. Era lei a decidere chi stava con
chi, chi usciva con chi, chi era accettato nel gruppo degli 09 e chi
non lo era. Lei però non doveva rispettare nessuna regola.
Lei stava con Logan, e con Ely e con Aaron." Le gaunce le si rigaroni
di lacrime scure: le si stava sciogliendo il trucco, cosa che le diede
un'aria fragile e indifesa. Wallace le passò un braccio
sulle spalle. Era chiaro che Veronica era lì per fare i
conti col proprio passato. Per perdonare e chiedere scusa. E per farlo
aveva bisogno di un testimone, ma soprattutto di un amico.
"Però lei aveva un grande enorme pregio. Lilly... riempiva
la vita di tutti noi e per questo motivo mancherà a tutti
quelli che l'hanno consociuta. Per questo mi manca. E questa mancanza
lega indissolubilmente noi che l'abbiamo amata. Io, Logan, Duncan...
non saremo mai soli, perché l'affetto che abbiamo provato
per lei ci unirà per sempre.” Accarezzò
le rose di Logan e lo sguardo le si posò su una ninfea
bianca, quasi nascosta da tutti gli altri fiori.. Solo una persona
l'avrebbe potuta lasciare lì... sotto il fiore, un
bigliettino. Era per lei, ne era sicura. Lo aprì e
sgranò gli occhi. Wallace la guardò con aria
sorpresa e le domandò
“Cos'è?” Veornica lo guardò
con gli occhi lucidi “Sei sicuro di volerlo
sapere?” “Si, Veronica, la tua faccia mi dice che
è qualcosa di grosso.” “Posso fidarmi di
te... Wallace...” Non era una domanda.
“È di Duncan... è un biglietto di
Duncan”.
Wallace era sbigottito.
“Cosa c'è scritto?” “Non lo
so, è in codice. Ma so come decifrarlo...”
Non avevano più parlato dell'accaduto. Wallace non aveva
chiesto e Veronica non aveva proferito parola. Fino alla scorsa
settimana. L'aveva chiamato e aveva chiesto informazioni sul ballo.
Voleva sapere se avevano in programma qualcosa in ricordo di Duncan e
Lilly. Era strano, sembrava distratta e distante. Aveva la sensazione
che ne avrebbero viste delle belle di lì alle successive 24
ore.
--------------------------------------------------------
Il passaggio della California del sud correva veloce fuori dal
finestrino. Era da più di un anno che non metteva piede a
Neptune, e questa volta non era solo. Aveva paura, le cose potevano
mettersi male per lui. Doveva fare attenzione. Ripensò al
suo ultimo viaggio. Andare al cimitero sulla tomba di Lilly era stato
molto rischioso, ma doveva farlo. Le doveva quell'omaggio. Lilly era
Lilly e non poteva essere dimenticata. Non doveva essere dimenticata.
Mentre si avvicinava la fine del suo viaggio, gli fu chiaro che non
poteva più tornare in dietro. Era tutto organizzato. Era
certo che sarebbe filato tutto liscio, del resto ad occuparsi della
questione era Veronica Mars, la persona che non l'aveva mai deluso
né tradito. L'unica persona della quale si sarebbe sempre
fidato.
Spazio autrice: Abbiamo
fatto qualche passo in avanti, il cerchio si sta chiudendo. A presto
per una cena scoppiettante! Grazie a chi mi segue e commenta, fa
piacere che il proprio lavoro piaccia!
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Capitolo 18 *** Una cena quasi perfetta ***
Una
cena quasi perfetta
Non aveva mai amato
quell'appartamento. C'era entrato poche volte, e i ricordi che aveva di
casa Mars erano tutti legati ad avvenimenti decisamente poco piacevoli
del suo passato. Era andato a casa di Veronica il giorno che aveva
scoperto che lei era stata violentata durante la festa di Shelly.
L'aveva trovata fredda e insensibile. Ricordava ancora i suoi occhi di
ghiaccio, le labbra tese, la mandibola serrata. Come si era sentito in
colpa in quel momento. Per quello che le era accaduto e per il fatto di
non essere riuscito ad aiutarla, a starle vicino. Quella volta se ne
era andato, con la coda tra le gambe. La volta successiva, dopo quanto
accaduto sul Coronado Bridge, era andato da Veronica in cerca di aiuto.
Era uscito da casa di lei ammanettato e accompagnato da Leo D'Amato.
Poi le cose sembravano essersi messe in ordine, e lui e Veronica
avevano passato una romantica estate assieme. L'incantesimo si era
rotto proprio lì, nel salotto di Keith. Per quasi un anno
era stato lontano da Veronica e di conseguenza da casa sua. Vi era
tornato dopo la notte passata assieme a lei e a Beaver sul tetto del
Neptune Grand. Gli sembrava di poterla sentire mentre piangeva tra le
sue braccia: tutta la sua fragilità era esplosa in un pianto
viscerale e costante. Era indifesa, docile, stordita, come la notte in
cui l'avevano drogata alla Hearst. Sempre su quel divano si erano
consumate le lacrime di Veronica, tra le braccia di Logan.
Insomma, la casa di
Veronica non era mai stata un luogo in cui erano accadute cose
piacevoli e positive. Aveva varcato la soglia dell'appartamento una
buona mezz'ora prima, ma da allora non era stato in grado di muovere un
solo passo. Aveva richiuso la porta alle sue spalle ed era rimasto in
piedi in silenzio ad osservare il salotto. Non era cambiato molto da
allora. C'erano ancora le stesse poltrone dal rivestimento a righe
azzurre e bianche, i medesimi quadri alle pareti. La vecchia e
ingombrante TV con il suo tubo catodico era rimasta al suo posto.
Ovunque regnava un ordine impeccabile: nonostante l'assenza della
figlia, Keith aveva mantenuto le vecchie abitudini, e l'assenza di una
donna in casa a stento si percepiva. Dall'altro capo della stanza,
nemmeno la cucina era cambiata. Tutto pulito e ordinato. Erano sparite
però le scatole di cereali, evidentemente Keith non ne
andava matto. Anche la tazza di Veronica era rimasta al suo posto, come
se in realtà lei non se ne fosse mai andata.
Quando era arrivato il
sole era ancora piuttosto alto, e tutto all'interno dell'appartamento
di Veronica era illuminato dall'intensa luce del pomeriggio
californiano. Il riflesso dei raggi solari sull'acqua della piscina
creava un gioco di luci azzurrognole, dando alla stanza principale
un'atmosfera quasi asettica. A Logan sembrò che il tempo non
si fosse mai fermato, tutto sembrava bloccato a 9 anni prima,
all'ultima volta che era entrato in quella casa. Lui e Parker avevano
rotto. Veronica era sulla bocca di tutti a causa del video. Veronica
l'aveva appena cacciato dalla sua vita, e lui cos'aveva fatto? Aveva
picchiato un pazzo mafioso di fronte a tutti gli studenti dello Hearst
College per difendere il suo onore. Non poteva lasciar correre, non
poteva farla scappare. Soprattutto dopo quello sguardo... epico.
-------------------------
Era
impaziente e gli sudavano le mani. Aveva appena bussato alla porta
dell'interno 101, ma non riusciva ad aspettare. Perché ci
mettevano così tanto ad aprirgli? Poi una voce
all'improvviso “Arrivo!” No, non era la voce di
Veronica. Stava pensando di scappare in fretta, prima che Keith
arrivasse ad aprire la porta, ma non fece in tempo. Gli occhi dell'ex
sceriffo lo squadravano con aria interrogativa.
“Logan?” era in accappatoio e pantofole. Della
schiuma gli covala lungo il collo massiccio. Goccioline d'acqua gli
imperlavano il volto. Era chiaro che stava facendo la doccia, rituale
di pulizia che Logan aveva interrotto. Il giovane si passò
la mano tra i capelli corti, fino a massaggiarsi la base del collo.
“Mi dispiace Keith, cercavo Veronica, ma evidentemente non
c'è. Tornerò più tardi...” e
si voltò per andarsene. “Lo vuoi un
caffé, amico?” l'apostrofò Keith. Logan
sollevò lo sguardo fino ad incontrare quello dell'uomo in
piedi di fronte a lui. Keith stava sorridendo, e Logan
ricambiò il sorriso. Fece dietrofront ed entrò in
casa.
Keith
si scusò “Ti dispiace se vado a vestirmi? Tu
intanto prepara due tazze, sai dove trovare il necessario” e
scomparve in camera sua per riapparire pochi istanti dopo. Logan nel
frattempo aveva preparato il caffè. Nero e bollente come
piaceva allo sceriffo Mars. Si sedettero ai due capi della penisola di
pietra lucida.
“Come
va, Logan?” Keith non era masi stato particolarmente felice
che sua figlia frequentasse una testa calda come Logan, ma meglio lui
di molti altri. Sotto lo strato di boria e aggressività,
quel ragazzo celava fragilità e onestà. Non aveva
mai mentito sul suo legame con Veronica, solo era spesso stato fuori
controllo nel dimostrarlo. Fin da bambini erano stati molto legati, e
il loro scontro dopo la morte di Lilly li aveva scombussolati entrambi.
Avevano faticato per ritrovare un equilibrio, e ci erano riusciti, per
brevi ed intensi periodi.
“Bene...
mi dispiace per le elezioni” Era sincero. Era sempre stato
sincero quel ragazzo vittima di abusi, vittima del destino, circondato
dalla morte delle persone cui voleva più bene, tradito dalla
propria famiglia. Si, Keith sapeva, anche se non ne aveva mai parlato
con Veronica. Sapeva delle bruciature di sigaretta, sapeva delle
cinghiate. Lo sapeva dai referti medici, lo sapeva dal volto di Lynn.
Gli occhi di una madre non mentono mai. “Cosa vuoi farci,
Vinnie farà del suo meglio, spero.” Sorseggiarono
in silenzio il caffè. “Cosa ci fai qui
Logan?” “Volevo parlare con sua figlia signor
Mars... sono successe tante cose in questi giorni e io credo che... che
lei abbia bisogno di me. Come io ho bisogno di lei...” Gli ci
volle tutto il coraggio di cui disponeva per far uscire quelle poche
balbettate parole dalla sua bocca di fronte al padre di Veronica. Keith
lo guardò con una dolcezza della quale Logan non lo credeva
capace. Lo guardava come un padre guarda il proprio figlio. Lo
stupì che uno sguardo del genere fosse rivolto a lui:
pensava di non essere mai piaciuto all'ex sceriffo. “Logan,
quando la smetterete voi due con questo tira e molla? Da quanto vi
siete lasciati? 4 mesi? E siamo di nuovo da capo. Ma se vi ributtate
nella vostra storia senza risolvere i problemi che avete, senza mettere
a posto le questioni irrisolte, senza affrontare ciò che non
avete intenzione di affrontare, come pensi che possiate arrivare
all'anno prossimo?” Non c'era rabbia nella sua voce,
né irritazione. Solo dispiacere.
“Non
lo so, Keith, non so dove potremmo essere. Non so nemmeno se voglio
tornare indietro, se lo vuole lei. So solo che in questo momento ho
bisogno di lei e lei ha bisogno di me. So che dovremo superare molti
ostacoli però...” Keith sorseggiò il
suo caffè, lo finì, e mise la tazza nel
lavandino. Recuperò la tazza di Logan e si
avvicinò al mobile che stava affianco alla TV. Ne
tirò fuori due bicchieri dal fondo spesso e una bottiglia di
skotch. Versò il liquido ambrato nei due bicchieri e
indicò a Logan il divano. “Ragazzo mio”
disse, porgendogli il suo bicchiere “lasci che ti spieghi una
cosa sulle donne. Per quanto possano essere arrabbiate, severe, decise,
le donne quando sono innamorate commettono un sacco di errori. Prendi
mia moglie, la mia ex moglie. Lei è sempre stata innamorata
di un uomo che la ricambiava ma con il quale non poteva stare. E
così ha commesso il suo primo grande errore. Ha sposato me.
Non mi fraintendere, siamo stati bene assieme, felici. Abbiamo avuto
una figlia meravigliosa, per la quale ringrazierò Lianne per
il resto della mia vita. Ma la felicità di cui vivevamo ogni
giorno era una bugia. Una piccola bugia all'inizio, ma man mano che il
tempo passava diventava sempre più grande. Lei e Jake
però non smisero mai di frequentarsi, avevano una relazione.
Non so quando sia ricominciata, so solo che Lianne non era sicura che
io fossi il padre di Veronica. Secondo errore, perché per
quanto ne sapeva lei e Duncan erano fratellastri e quando si misero
assieme lei avrebbe dovuto fermarli. Ecco servito un altro trauma alla
nostra bambina. Come se non bastasse, appena ne ha avuto l'occasione,
Lianne è scappata, lasciandomi solo con Veronica. Ecco il
terzo errore di Lianne: non ci si può perdonare per aver
abbandonato il proprio figlio. E Lianne l'ha fatto per ben due volte...
Ma non voglio annoiarti. Insomma, Veronica è innamorata di
te, e per questo motivo potrebbe commettere un grave errore: passare
sopra a tutte le vostre difficoltà, le vostre differenze.
Cosa otterreste a quel punto? Di scoppiare per una delle solite ragioni
di qui a qualche mese? Di litigare furiosamente?” aveva
finito il suo drink e fissava Logan.
“Io
non so... ma ha importanza? Sono sicuro che io e lei potremmo risolvere
tutto assieme!” Keith si alzò e si
versò un secondo drink, offrendone un altro po' al giovane
che accettò porgendo il suo bicchiere. “Io penso
che prima tu e Veronica dobbiate risolvere i vostri problemi, le vostre
questioni. Siete entrambi troppo feriti e troppo giovani per farvi
dell'altro male a vicenda. Perché non vi prendete un po' di
tempo e non provate a rielaborare tutto ciò a mente
fresca?”
Tra
i due calò un lungo silenzio. Bevvero il loro skotch con
calma. Poi fu nuovamente Keith a interrompere il silenzio.
“Non immaginavo che ti avrei mai detto queste parole,
però, ragazzo, tu mi piaci. E penso che tu farai sempre
parte della vita della mia bambina. Ma non adesso, non con tutta la
rabbia che vi portate dietro. Non prima di aver risolto le vostre lotte
interiori. Solo allora potrete combattere la vostra battaglia per stare
assieme. Rifletti sulle mie parole e prendi la tua decisione. Non mi
intrometterò in nessun caso, sappilo. E avrai il mio
appoggio, e la mia amicizia.” Si alzò dal divano
“Ora penso che tu debba andare. Veronica rientrerà
a momenti e non penso che sarebbe contenta di trovarci a
metà pomeriggio seduti sul divano a sorseggiare
superalcolici!” gli sorrise e gli porse la mano. Logan
strinse la mano di Keith e uscendo lo ringraziò.
---------------------
Mentre Logan riviveva
quel momento fugace in cui lui e Keith avevano parlato e si erano
capiti per la prima volta in vita loro, il sole era calato, proiettando
lunghe ombre nel salotto di casa Mars. Logan si avvicinò
alla parete di fondo per accendere la luce. Lo sguardo però
vagò fino alla porta di camera di Veronica, stanza nella
quale era entrato una sola volta. Era la notte dei diplomi. Beaver si
era appena buttato dal tetto del Neptune. Veronica era convinta che suo
padre fosse morto. Dopo aver accompagnato Mac a casa e aver risposto
alle domande di Don Lamb lei era crollata tra le sue braccia. L'aveva
portata a casa ed era stato a lungo seduto sul divano, con lei tra le
braccia, sfinita e fragile. Dopo un po' l'aveva sollevata e
portata in camera sua. L'aveva adagiata sul letto, le aveva baciato la
fronte. Poi l'aveva lasciata sola per tornare sul divano.
Ora era lì
davanti alla stanza di Veronica e l'unica cosa che voleva fare era dare
una sbirciatina, vedere se fosse cambiato qualcosa. Aprì la
porta e la presenza di lei si fece fortissima. Sembrava che vivesse
ancora lì. Le fotografie, i fascicoli, i cd, i quadri
appesi, perfino il copriletto... tutto urlava “Veronica
Mars”!Non entrò però nella stanza, si
sentiva di violare un luogo nel quale lui non era ammesso. Richiuse la
porta e si mise all'opera. Cena per tre.
Tirò fuori
l'elenco del telefono ed estrasse tre numeri di telefono. Ristorante
cinese, pizza a domicilio e ristorante argentino. Telefonò e
ordinò da mangiare. Non sapeva con chi avrebbe cenato, ma
questo non lo giustificava nel farsi trovare impreparato.
Dopo le tre telefonate
apparecchiò la tavola e accese la TV. Erano le 7, mancava
poco perché questo mistero gli venisse svelato.
-------------------------------------
Logan era seduto sul
divano che guardava il TG locale. Pare che un agente dell'FBI fosse
stato arrestato per abuso di potere nella contea di Balboa. Un
campanellino suonò nella mente di Logan, ma non riusciva
ancora a capire perché quella notizia fosse tanto
importante. Stava cercando una spiegazione per la sua reazione quando
bussarono alla porta. Logan spense la TV e si alzò dalla
poltrona di Keith. Era agitato. Chissà
chi c'è dietro questa porta. É tutto il
pomeriggio che me lo domando. Beh ora avrò la mia risposta. Aprì
la porta di casa Mars e il suo stupore scemò improvvisamente
per lasciare posto ad una faccia divertita. “E
così saresti tu il mio appuntamento per la
serata?” esclamò con tono ironico. In piedi
davanti a lui stava un quantomeno irritato Eli Navarro.
“Ceeeerto Mr. Echolls. La nostra comune amica ha fatto una
serie di pazzie improponibili, tra le quali quella di farsi arrestare,
per concederci una serata intima. Io, tu, la fiamma tremolante di una
candela. Per buttarci il passato alle spalle e costruire un felice
futuro assieme.” Dicendo questo si appoggiò allo
stipite della porta e provocò Logan facendogli gli occhi
dolci. Il giovane attore sembrava davvero divertito da tutta quella
situazione. La presenza di Eli se non altro aveva sciolto la tensione.
L'ispanico gli diede qualche secondo prima di riprendere a parlare.
“Non ho mai pensato che tu fossi particolarmente
intelligente, però questa volta hai battuto ogni previsione.
É ovvio che non sono io il tuo
“appuntamento”, e credimi non è un
appuntamento, anche se cenerai in compagnia di una graziosa
biondina!” Si voltò e si sporse dalla balconata
fece segno di salire a due figure in ombra sotto il ballatoio.
“Mi
raccomando, Echolls, acqua in bocca. Questa volta non stiamo giocando,
ci sono in ballo delle vite. Però se Veronica ha deciso che
tu potevi gestire la situazione... non mi resta che fidarmi di
lei.”
Le due figure si
stavano avvicinando. Eli sussurrò a Logan una minaccia ben
poco velata “Ti tengo d'occhio!” e fece spazio ai
due affinché entrassero nel piccolo appartamento. Anche
Logan si fece da parte, lasciando libero lo specchio della porta.
I due erano
incappucciati, i volti nascosti. Due figure scure, che si muovevano
rapidamente e silenziosamente. Una era alta, piuttosto massiccia. Con
fare protettivo stringeva la mano alla seconda persona, minuta e
gracile. Sembrava più piccola di Veronica ed era sicuramente
una donna. L'altra figura, mascolina, era familiare a Logan, molto
familiare. La camminata, il ritmo dei passi, la posizione delle spalle.
Appena varcarono la soglia, Eli si gettò dentro
l'appartamento e richiuse la porta alle loro spalle. Poi la
più alta delle due persone appena entrate si
abbassò il cappuccio della giacca. Lo stupore di Logan
esplose sul suo volto, presto sostituito dalla rabbia. La persona che
stava in piedi davanti a lui e gli sorrideva era Duncan Kane.
----------------------------
Non aveva sentito
Veronica da giorni, quindi per lui fu una vera sorpresa, una volta
sceso dal treno alla stazione di San Clemente, essere accolto da Eli
Navarro e non dalla bella bionda. Era tutto organizzato: lui e la
piccola Lilly dovevano arrivare il giovedì pomeriggio a
bordo di quell'anonimo e lentissimo treno regionale che da Los Angeles
arrivava al confine col Messico. Avevano diviso lo scompartimento con
un'anziana coppia di messicani che avevano fatto visita ai parenti a
San Francisco. Non avevano parlato molto con loro, la parola chiave era
"basso profilo". Lui e la bambina erano partiti il giorno prima da Las
Vegas, città nella quale, con gli pseudonimi di Richard e
Martha Appelgate, si erano trasferiti tre anni prima. Duncan aveva
comprato un casinò, facendolo diventare uno dei posti
più in
della città che non dorme mai. Lilly era cresciuta sapendo
che erano in fuga e che doveva stare attenta a ciò che
diceva e faceva. Lei era Martha, figlia di Richard Appelgate, ricco
ereditiero australiano che aveva deciso di trasferirsi negli Stati
Uniti più per capriccio che per necessità.
Avevano comunque vissuto nell'anonimato: niente scandali, niente
fotografie, niente scoop. Nessuno sapeva che faccia avesse il signor
Appelgate, ma a Las Vegas tutti sapevano a quanto ammontava il suo
patrimonio. E Mrs. Appelgate? Non era dato sapere.
Passare dallo sfarzo
della sua villa ai bordi del deserto a quel treno maleodorante era
stato uno sforzo non da poco per la viziata bambina bionda che aveva da
poco compiuto dieci anni. Era nata il primo gennaio, e per questo
motivo si sentiva molto speciale. Come era speciale per lei quel
viaggio: suo padre le aveva parlato così tanto di Veronica,
di Logan, di Neptune, che non vedeva l'ora di conoscere quelle persone,
di vedere i posti dove suo padre e sua madre erano cresciuti. Duncan
non le aveva mai nascosto nulla: sapeva che sua madre era morta, sapeva
che Veronica Mars li aveva aiutati a scappare, sapeva che poteva
fidarsi di loro. Come sapeva che non averbbe potuto fidarsi dei suoi
nonni: il papà l'aveva avvisata e lei aveva capito. Era una
bambina molto sveglia.
Duncan era stato un
ottimo padre. Scappando si era portato dietro un bel po' di soldi,
quindi nel primo periodo non avevano avuto problemi. Poi era dovuto
ricorrere al conto segreto che Clarence aveva aperto e amministrato a
suo nome. Non avevano mai avuto problemi economici. Si, è vero, ho
costretto mia figlia a vivere come una fuggiasca, a non affezionarsi
alle persone, ad avere solo me. Però le cose possono
cambiare adesso. Devono cambiare. Voglio che la mia bambina, qualunque
cosa accada, abbia una vita normale. Smetta di scappare. Abbia una
famiglia, vera. E tutto grazie a Veronica... Duncan si era
spesso tormentato con pensieri di questo genere. E non vedeva l'ora di
poter riabbracciare colei che lo aveva salvato in passato e che lo
avrebbe slavato anche questa volta.
Eli accolse Duncan con
una stretta di mano, che si trasformò quasi subito in un
abbraccio. “Non pensavo che ti avrei rivisto da queste parti,
Mr. Kane...” Duncan si districò dall'abbraccio e
mise una mano sulla spalla della figlia. “Eli Navarro, ti
presento Lilly Kane. Lilly, saluta Il signor Eli”. Due occhi
scuri e profondi si fissarono in quelli dell'ex motociclista. Mag...
pensò Eli. La bambina aveva molto della madre, ma anche
molto dei Kane. C'era qualcosa in lei che gli ricordava incredibilmente
Lilly... la sua Lilly, la Lilly che in realtà non era mai
stata sua. Le strinse la mano e li condusse alla macchina: avevano
ancora un po' di strada da fare.
---------------------
Logan e Duncan stavano
in piedi, l'uno di fronte all'altro. E si fissavano in silenzio.
Nessuno dei due mosse un muscolo per un bel po' di tempo. Era
così strano trovarsi dopo dieci anni di nuovo assieme nella
stessa stanza. Duncan osservò Logan e i suoi cambiamenti:
era più muscoloso, più robusto, più
forte. La barba sfatta e gli occhi tristi gli davano quell'aria
tormentata che, secondo Duncan, aveva sempre affascinato le ragazze. Lo
aveva visto spesso sulle copertine dei magazine
scandalistici circondato da belle ragazze, era anche andato al cinema
per vedere un paio dei suoi film. Era un attore decisamente migliore di
suo padre. Ma averlo in carne ed ossa davanti a sé era tutta
un'altra storia. Eli l'aveva avvisato che Veronica non ci sarebbe stata
al loro arrivo, e che al suo posto avrebbe trovato Logan Echolls ad
accoglierlo, però comunque era sorpreso dalla persona che il
suo migliore amico era diventato. Fece un passo nella sua direzione e
l'abbracciò, mentre calde lacrime gli rigavano le guance.
Logan in un primo
momento non reagì e lasciò che le braccia gli
penzolassero lungo i fianchi. Poi iniziò a singhiozzare e,
mentre piangeva, abbracciò l'amico con forza.
“Diamine, DK...” “Lo so, lo so amico.
Scusa”. Eli e la piccola Lilly restarono in silenzio a
guardare i due amici che si ritrovavano dopo dieci anni.
Dopo un lasso di tempo
che parve lunghissimo, i due uomini si separarono. E Logan
posò finalmente gli occhi sulla giovane Kane. “Tu
devi essere Lilly... io mi chiamo Logan e...” “La
piccola esplose in un sorriso “Echolls, si so benissimo chi
sei. Sei il migliore amico di papà. Posso chiamarti
zio?” La dolcezza con cui lo chiese non ammetteva obiezioni.
“Certo, Lilly. Sai che sei proprio come ti ho sempre
immaginata? Bella come la tua mamma! Spero anche altrettanto
intelligente” si era già innamorato di lei. Aveva
i colori di Mag e la sua dolcezza, ma lo sguardo, i movimenti, i
gesti... era tutta uguale a sua zia Lilly. Lui e Weevil si scambiarono
uno sguardo carico di sottintesi: entrambi avevano visto quanto di
Lilly ci fosse nella piccola figlia di Duncan.
“Vado a
prendere i vostri bagagli e poi vi lascio...” disse Eli
uscendo. “Perché non ti fermi con noi?”
“Perché ho fatto abbastanza, e perché
la mia donna mi aspetta.”
-------------------------------
Logan, Duncan e Lilly
mangiarono la pizza, il piatto preferito della piccola che non la smise
di parlare per tutta la durata della cena. Raccontò a Logan
tutto della propria vita: chi fosse la sua migliore amica; della volta
che la sua gattina era rimasta bloccata su un albero; del suo
compleanno di tre anni prima, quando lei e il papà erano
andati alle Hawaii. Poi mangiarono il dessert. Duncan poi
preparò il letto per sé e sua figlia. Cliff gli
aveva detto che avrebbero potuto dormire nella camera di Keith, e che
avrebbero trovato le lenzuola nell'armadio dello stanzino. Poi
accompagnò la bambina in camera, dove la aspettavano i suoi
giochi e la TV. “Puoi guardare un po' di TV, ma alle 10 ti
voglio sotto le coperte, intesi?” “Va bene
papà!” Diede un bacio a Logan “A domani
mattina, zio” e scomparve nella stanza del padrone di casa
chiudendosi la porta alle spalle.
Logan nel frattempo
aveva sparecchiato e lavato i piatti. Ora stava in piedi, le mani
appoggiate alla penisola, e fissava il suo migliore amico. Era davvero
cambiato. Era cresciuto in altezza, almeno cinque centimetri. Si era
fatto crescere la barba e i baffi, come quando era scappato a Cuba.
Aveva un'aria matura e vissuta. Era sempre stato un tipo piuttosto
serio e responsabile, ma il peso della paternità e le
fatiche della fuga lo avevano temprato moltissimo. Non era
più un ragazzino, era un uomo, un padre, e i segni sul suo
volto, la postura, ogni cosa in Duncan Kane raccontava la sua storia. I
due ragazzi presero due sedie, quello che avanzava di una bottiglia di
skotch vecchia di dieci anni e due bicchieri, e si misero in veranda.
Nessuno avrebbe fatto caso a loro in quel posto dove tutti si facevano
gli affari loro.
“Allora, DK,
ai ritorni!” suggerì Logan, invitando l'amico a
fare un brindisi. “Ai ritorni!” e sorseggiarono il
drink “Cosa ti porta da queste parti, vecchio mio?”
“Affari! E tu?” Logan sorrise “Ah, che
domande il grande ballo del liceo. Come potrei vivere senza quei
favolosi anni passati assieme tra le mura della scuola? Non mancherai,
spero.” “Se tutto va come previsto da Veronica,
entro domani sera potrei mostrare la mia brutta faccia in giro senza
rischiare di essere arrestato. Quindi, si, penso che
verrò!”
Restarono un po' in
silenzio. “A proposito della nostra comune amica... non mi
aveva detto niente... come vi è venuto in mente di
nascondermi tutto questo? Insomma, lo so che vi è sempre
piaciuto tenermi all'oscuro delle cose, però insomma, forse
questa cosa avreste potuto dirmela prima... no?”
“Logan, hai perfettamente ragione ad essere infuriato, ma
lascia che ti spieghi. Sono stato io a volere che la cosa non si
sapesse troppo in giro, e Veronica era d'accordo. Meno persone
sapevano, meno persone rischiavano di finire in galera nel caso le cose
si fossero messe male. E, credimi, il rischio c'era. E ancora pende su
di noi come la spada di Damocle: fino a che Veronica non mi
darà l'OK non posso essere tranquillo.” era
sincero, e Logan lo capì.
“Sai, adesso
sono padre, ho delle responsabilità, ho dei doveri. E non
posso giocare con la sua vita. Lilly è la persona
più importante della mia vita, ed è mio compito
proteggerla a costo della vita. In questi dieci anni non poter contare
su nessuno al di fuori di Clarence e di Veronica non è stato
sempre facile. I primi anni non ho nemmeno provato a farmi degli amici,
ci spostavamo in continuazione: abbiamo girato tutta l'Australia
finché non sono finiti i soldi. Poi ci siamo dovuti fermare,
io mi sono trovato un lavoro, ho preso in affitto una casa e ho
iscritto Lilly all'asilo. Poi un bel giorno qualcuno ha iniziato a fare
domande e siamo dovuti scappare di nuovo.” Logan lo
osservò e poi gli rispose “Non posso nemmeno
immaginare cosa significhi vivere così... nell'anonimato,
senza affetti. Ah no! Quello so benissimo cosa significa.”
Il silenzio
calò sui due uomini. “Io e Veronica ci siamo
sentiti molto raramente. Una volta l'anno, nell'anniversario della
morte di Lilly, l'ho sempre contattata. Non ci siamo mai detti molto,
era solo il nostro momento, quello in cui ricordavamo l'un l'altro che
una volta eravamo amici, che una volta eravamo vicini, che una volta ci
volevamo bene. Per non dimenticare. Ma non abbiamo mai provato ad
oltrepassare quel silenzioso confine che ci eravamo imposti: sessanta
secondi a testa ogni anno. Pensa, non sapevo nemmeno che foste tornati
assieme, e men che meno che vi foste poi lasciati. L'ho scoperto dai
tabloid. Cos'era? All'uscita del tuo primo film? Che hai avuto quel
flirt con la co protagonista? Non male la biondina. Beh... un
settimanale scandalistico australiano la paragonava alla tua ex, e
c'era una foto di voi due assieme. Ma Veronica aveva i capelli molto
lunghi e ricci, quindi doveva essere una fotografia scattata dopo la
mia partenza... Ricordo di averti odiato in quel momento,
perché lei era così bella e sembrava
così felice...” bevve un lungo sorso di skotch, e
prima di riprendere a parlare si versò il secondo bicchiere.
“Mi stupisci, sai Logan!”
“Perché?” “Mi aspettavo una
scenata, uno scoppio d'ira, almeno un cazzotto...”
“ Oh... credimi quando ti dico che l'avrei tanto voluto fare.
Ma non davanti a tua figlia. E ora... beh ora voglio sentire cosa hai
da dire prima di ridurti a uno straccio. Diritto alla difesa,
no?”
Duncan alzò
il bicchiere “Grazie. Beh, che dire. A ottobre di due anni fa
sono venuto a Neptune, avevo un anniversario da commemorare. Ho
lasciato Lilly con la sua migliore amica. Quando sono arrivato in
città sono passato davanti a casa di Veronica e l'ho vista.
Sapevo che il giorno dopo sarebbe andata al cimitero, così
le ho lasciato un biglietto con il mio numero di casa. Abbiamo rotto il
nostro patto silenzioso e da allora in un modo o nell'altro ogni mese
Veronica mi chiamava da un telefono pubblico e abbiamo riallacciato i
rapporti. Per quanto fosse possibile. Abbiamo deciso che io dovevo
poter tornare a casa, poter essere libero, dare a mia figlia la vita
che si merita, la famiglia che si merita. E così abbiamo
elaborato un piano. Questo è stato solo il momento adatto
per metterlo in atto, nulla di più. I Manning non potranno
nuocere a me o a mia figlia, di questo sono sicuro. Se ne è
occupata Veronica e sono certo che entro domani mattina sarà
tutto a posto. Bene, ho detto quanto dovevo dire, tocca a te, vecchio
mio.”
“Sei stato
tu a chiedere a Veronica di indagare su di me?”
domandò Logan diretto.
“Si”
“Perché?”
“Perché
volevo essere sicuro di potermi fidare di te. Non ci vediamo da dieci
anni e per quanto ne sapevo potevi essere un tipo... pericoloso. Ho una
figlia da proteggere...” sapeva che non stava raccontando
tutto al suo più caro amico, ma non era ancora il momento
giusto.
“Mi sembra
che tu fossi molto informato su di me, o almeno sulla mia vita
sentimentale...”
“È
stato solo un caso...”
“Anche che
si trattasse di Veronica e me?”
“Logan...
possiamo seppellire questa maledetta ascia di guerra?”
“Forse.
Veronica sapeva perché stava indagando su di me?”
“No, non lo
sapeva. Non lo sa ancora, se è per questo.”
“La
questione dell'arresto era pianificata?”
“No,
è stato un caso, immagino. Il piano è che ad
accogliere me e Lilly ci fosse Veronica oggi. Ma non la sentivo da
settimane. Avevamo pianificato tutto da tempo. L'avevo fatta venire a
Las Vegas per parlarle e pianificare tutto faccia a faccia. Elaborato
il piano siamo rimasti che non ci saremmo sentiti: il caso sul
rapimento stava per essere riaperto e lei avrebbe avuto
riflettori puntati su di sé. Troppo rischioso.”
“E
Keith?”
“Keith?”
per la prima volta in tutta la serata Duncan sembrò perdere
la propria sicurezza “Cosa diamine è successo al
papà di Veronica?”
“Non lo sai?
È stato rapito, è sparito e da giorni non si
hanno sue notizie...”
Duncan rimase in
silenzio per alcuni istanti poi si alzò. “Vado a
controllare che mia figlia dorma e non stia facendo la furbetta come
suo solito...”. Lasciò Logan solo con i suoi
pensieri.
E
così quei due sono rimasti in contatto? Perché
Veronica non mi ha detto nulla. Che domande... perché DK
è DK. Il suo primo amore, il suo vero amore... che sciocco
che sono stato. Per tutto questo tempo ce l'hanno fatta sotto il naso e
nessuno se ne è accorto. La bella famiglia felice...
chissà perché la cosa non mi stupisce. Duncan...
Veronica... un'equzione perfetta. Come ho fatto a non pensarci prima?
Ecco il perché di tutti quei segreti, ecco il
perché di tutti questi misteri. Oltre al danno la beffa! E
io che stavo pensando... che idiota, Logan, non impari mai!
Gettò la
testa indietro e scoppiò in una sommessa risata. Avrebbe
voluto urlare, ma non poteva. Duncan era a pochi metri di distanza,
tutti dormivano e non era proprio il caso di attirare l'attenzione su
di sé! E così rimase qualche istante con gli
occhi chiusi. Quando li riaprì gli occhi glaciali di
Veronica lo fissavano da in cima alle scale. “Ma vi siete
ammattiti? Ma dico io, state scherzando spero?” Era
arrabbiata, molto arrabbiata. “Cioé, spiegatemi
bene, io mi faccio una notte in galera, denuncio un agente dell'FBI,
faccio partire un'operazione di polizia come non se ne vedono da
decenni qui a Neptune, e voi ve ne state in terrazzo a bere e
scherzare?” Ormai era arrivata alla sua altezza.
“Parlo anche con te, Mr. Kane!” Il suo sguardo si
posò sul giovane rampollo in fuga. Strappò il
bicchiere dalle mani di Logan e trangugiò in un solo sorso
ciò che restava del drink. “Io ora mi faccio una
doccia, voi abbassate la cresta e tornate dentro. Poi
vediamo!” Posò il bicchiere in mano a un
quantomeno stupito Logan, abbracciò Duncan dicendoogli
“Sono contenta che tu sia tornato! Ma adesso tornate
dentro.” E così dicendo entrò in casa,
iniziando a spogliarsi mentre si dirigeva verso la sua stanza. I due si
scambiarono uno sguardo d'intesa ed entrarono lentamente in salotto.
Spazio
autrice: E finalmente aggiorno! E svelo molti dei misteri! Grazie a
tutti!
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Capitolo 19 *** L'ora dei conti ***
L'ora dei conti
Veronica
uscì dalla sua stanza indossando una tuta. I capelli le
gocciolavano ancora, così li raccolse nell'asciugamano e,
piegata la testa di lato, iniziò a sfregarli energicamente.
Delle scure occhiaie le cerchiavano gli occhi chiari: erano state delle
giornate lunghe e faticose e lei aveva bisogno di rilassarsi e di bere
qualcosa. Però aveva come la sensazione che le sorprese e le
fatiche non fossero finite lì.
“Ed eccoci
qua! Chi l'avrebbe mai detto!?” esclamò,
gettandosi sul divano. I due la osservavano trascinare le sue stanche
membra per la sala di casa Mars: aspettavano che lei scatenasse
l'inferno. Logan era appoggiato al bancone di granito, rigido e a
disagio. Si sentiva di troppo, ma voleva delle spiegazioni: quei due
avevano cospirato contro di lui, gli avevano nascosto la
verità, gli avevano mentito spudoratamente. E lui ora voleva
delle risposte. Non si sarebbe mosso da quella stanza finché
non si fosse ritenuto soddisfatto.
Duncan al contrario
sembrava quasi spaventato. Tamburellava le dita, si grattava i capelli,
guardava l'orologio. Logan non riusciva a capire perché il
suo amico fosse così in soggezione: era tornato a casa,
aveva salvato se stesso e la sua bambina, e come se non bastasse stava
per avere Veronica tutta per se. Cosa poteva mai turbarlo? Logan si
staccò dal bancone e raggiunse il minibar. “Cosa
prendete?” Veronica si rilassò sul divano, i
capelli raccolti nell'asciugamano “Fai tu, conosci i miei
gusti!” “Fin troppo bene...” rispose
Logan. Duncan rimase interdetto, ma poi si riprese: “Vodka...
mi sa che lo skotch l'abbiamo finito!” e andò a
prendere del ghiaccio dal frigorifero. La sua voce era incerta e
tremolante. Logan si domandò se anche Veronica se ne fosse
accorta. La squadrò di sottecchi e la vide aggrottare le
sopracciglia; evidentemente anche secondo lei qualcosa non quadrava. Il
tremolio di Duncan si diffuse dalla sua voce alla sua andatura a tal
punto che stava per cadere a terra. Fortunatamente Logan si trovava
poco distante e riuscì ad acchiapparlo al volo.
“Pessima idea mischiare un mese di notti in bianco e un sacco
di alcol. Grazie amico!” esclamò il giovane
fuggiasco, regalando a Logan un sorriso rassicurante.
Veronica era
già scattata in piedi, e l'asciugamano le era caduto in
terra. Si chinò per raccoglierlo, fulminando Duncan con lo
sguardo. Logan era convinto che quel gesto fosse un silenzioso
rimprovero per l'eccessivo bere: quante volte era stato rivolto a lui?
Non se lo ricordava nemmeno. Aiutò l'amico di una vita a
rialzarsi e cercò di smorzare la tensione “Non ti
ricordi più come si beve, DK?” e i due scoppiarono
a ridere assieme. Ma nella risata di Duncan c'era un tono amaro e poco
divertito.
I tre giovani si
versarono da bere e si accomodarono attorno al tavolino, dove Logan
appoggiò le bottiglie di Vodka e di Tequila.
“Tequila due volte in poche ore?”
Domandò Veronica “Pessima idea, Logan, potrei non
rispondere delle mie azioni!”, e facendogli l'occhiolino
sollevò il bicchiere “Agli amici
ritrovati!” suggerì. Fecero tintinnare i bicchieri
e bevvero tutto d'un fiato. Logan era stufo di aspettare e finito il
suo drink prese la parola. “Per quanto mi piaccia l'idea di
essere di nuovo assieme a voi attorno a un tavolo, e per di
più in piacevole compagnia” e indicò i
liquori sul tavolo con il capo “vorrei tanto sapere cosa vi
è passato per la testa?!?” Lo disse con tono quasi
indifferente, ma in realtà ribolliva. Veronica e Duncan si
scambiarono un lungo e silenzioso sguardo, poi fu lei a parlare
“Logan, io sono stata assunta da Duncan, punto. Non
c'è molto altro da dire: lui mi ha chiesto di mantenere il
riserbo e così ho fatto. Tra l'altro non era proprio il caso
di informare nessuno di questo inaspettato ritorno...”
“Capisco”.
La biondina riprese
“Io e Duncan ci sentivamo una volta all'anno, ma anche questo
doveva essere un nostro segreto. Ogni persona in più che
sapeva di Duncan e del suo ritorno su suolo americano era una
possibilità in più che ci fosse una fuga di
notizie. In realtà non sapevo nemmeno dove fosse, sapevo che
era tornato nel continente americano, ma per quanto ne sapevo io poteva
trovarsi in Canada come in Brasile. Non ho mai provato a cercarlo, era
troppo pericoloso!” Fece una lunga pausa. “Avevamo
rinunciato a davvero tanto per permettergli di scappare e
mettere in salvo sua figlia; e poi io lo avevo promesso a Meg e non
potevo venire meno alla mia parola. Meg era morta da meno di un mese e
io avevo messo in gioco la mia vita e i miei affetti per lei.
Perché rischiare che trovassero Duncan e gli portassero via
la bambina anche se erano passati anni? No, non avrei mai potuto
rischiare...” Fece una lunga pausa e bevve un lungo sorso di
tequila. Aveva svuotato il bicchiere, così
allungò il braccio per versarsi ancora da bere. Poi si
rimise comoda sul divano e guardò i due uomini che si erano
litigati il suo cuore. Come erano cambiati. Non erano più i
due ragazzini con i quali aveva condiviso pomeriggi prima e nottate
insonni poi. Erano due uomini adulti e responsabili adesso; si erano
trasformati intimamente e ora erano di fronte a lei, nella stessa
stanza. Non le sembrava vero e lei era combattuta tra il desiderio di
vivere quel momento pienamente e con spensieratezza, e il desiderio di
fuggire da quella situazione piuttosto tesa e imbarazzante quanto
prima. Logan non le staccava gli occhi di dosso, ed era chiaro che da
lei voleva solo chiarimenti, una volta per tutte. Inspirò
profondamente, osservò Duncan, che dal canto suo pareva
seduto su un trono di spine da quanto era agitato. Non riusciva a
capire perché lui fosse il più agitato nella
stanza, dal momento che era lei ad essere sotto esame.
“Da oltre un
anno non avevo notizie di Duncan. Eravamo già
all'università, finché” riprese con un
sospiro “un giorno Clarence Widman si è presentato
fuori dalla porta del dormitorio di Mac. Era chiaro che mi stava
seguendo da un po' e cercava l'occasione giusta per parlarmi. Ci
eravamo rivisti nel salotto di Jake in occasione del caso
“Castle”, ma a quanto pare non era il momento
giusto per parlarmi di Duncan. Evidentemente Jake non sapeva nulla.
Quando si è presentato alla mia porta per riprendersi gli
hard disk, mi ha lasciato un numero di telefono." Bevve un lungo sorso
di tequila.
"Io e te ci eravamo lasciati da un po' Logan, avevamo litigato, tu
avevi picchiato a sangue Piz... e in ogni caso non te lo avrei potuto
raccontare.” Era il suo modo di chiedere scusa, e Logan lo
sapeva, ma non gli bastava. Non questa volta. “Vai avanti,
sono curioso!” Il suo tono era sempre più
stizzito. “Avrei voluto dirtelo, ma non potevo. Dopo la prima
breve chiamata che gli ho fatto quel giorno da una cabina del campus io
e Duncan siamo rimasti in contatto, rispettando l'accordo di sentirsi
solo una volta l'anno. In quell'occasione ci aggiornavamo sulle nostre
vite, senza scendere troppo nei particolari. Più che altro
volevo farmi raccontare di Lilly: sapere che lei era viva e felice con
il suo papà, che poteva crescere con qualcuno che le voleva
veramente bene, e non passare da una famiglia affidataria ad un
altra... beh questo era tutto ciò che mi bastava sapere.
Così potevo essere sicura della correttezza delle mie
azioni, dell'aver fatto la cosa giusta. E così è
andata avanti fino al giorno in cui Duncan mi ha chiesto di
raggiungerlo a Las Vegas perché doveva chiedermi un favore."
Lei e Duncan si scambiarono uno sguardo complice che piacque poco a
Logan; aveva sempre di più la sensazione che lo stessero
prendendo in giro.
"Poi così, come per magia... anche tu ricompari nella mia
vita a pochi giorni di distanza. E guarda caso dovevo indagare su di
te, o meglio questo era quello che Duncan mi aveva chiesto di fare.
Avrei tanto voluto dirtelo, avrei voluto dirti che Duncan era vivo, che
stava bene, che ci sarebbe stato anche lui alla riunione. Che stavamo
risolvendo il suo problema con la legge e che probabilmente avrebbe
potuto smettere di fuggire e nascondersi. Avrei voluto ma non
potevo...”
“Se non
potevi, perché non te ne sei semplicemente stata zitta?
Perché mi hai chiesto di aiutarti nelle indagini? Per
prendermi in giro?” Veronica arrossì e
abbassò lo sguardo “No, Logan, per
distrarti”. Anche se erano in tre in quella stanza, era
chiaro che Logan voleva sentire parlare lei. “Per distrarmi?
Stai scherzando? Il mio migliore amico torna dopo dieci anni e tu non
hai avuto la decenza di informarmi? Peggio: negli ultimi anni il mio
migliore amico ha vissuto a poche centinaia di chilometri da qui e tu,
pur sapendolo, hai deciso di non mettermi a conoscenza di questo
cambiamento? Ho visto la piccola Lilly per la prima volta nella mia
vita questa sera, ho potuto riabbracciare Duncan solo oggi e tu sapevi
tutto... da quanto? Da quanti anni?” Era arrabbiato,
frustrato, si sentiva tradito da lei, ma anche da Duncan. Ma era lei
che avrebbe potuto fare qualcosa per cambiare quella situazione, era da
lei che Logan si aspettava rispetto e sincerità, dato che
era quello che lei pretendeva dagli altri.
“Logan”
interruppe Duncan “lei non ha colpe... lei non
sapeva...” “Piantala DK, piantala di fare il
principe azzurro. Non occorre nemmeno che ti sforzi per poterla
riconquistare, sai? Quindi lascia che me la prenda con lei in santa
pace per un'ultima volta!” Il tono di Logan non ammetteva
repliche, e Duncan rimase a bocca aperta. Veronica, dal canto suo,
osservava la scena con occhi sgranati... “Logan” lo
interruppe, ma lui non la lasciò finire “Non
provare nemmeno a scusarti o a giustificarti. Non so come ho fatto ad
essere così cieco: era ovvio che ci fosse qualcosa sotto,
avrei dovuto capirlo nel momento in cui mi hai chiesto di collaborare.
Veronica Mars che apprezza la mia compagnia? Impossibile, in
realtà vuole solo tenermi lontano dalla verità. E
quale sconvolgente verità, poi? Lei e Duncan che complottano
e bisbigliano!” “Logan, sei paranoico e ti stai
solo rendendo ridicolo. Io e Duncan non abbiamo complottato contro di
te...” ma la cascata di Logan non sembrava volersi fermare
“Andiamo Veronica, per forza sono ridicolo: ci sei tu di
mezzo, e farmi sembrare un deficiente ti è sempre riuscito
piuttosto bene. E io che pensavo... Mi sono sempre illuso! É
tutta la vita che mi illudo che tu mi guardi, quando in
realtà i tuoi occhi vedono solo la superficie di me
perché sono troppo impegnati a cercare Duncan... Il tuo
primo amore, il tuo grande amore... Io sono solo stato un rimpiazzo
come tutti gli altri, sono stato solo una perdita di tempo, un
tappabuchi in attesa che lui facesse la sua comparsa! Sai, la prima
volta che ti ho vista davvero... non ha nessuna importanza ormai
perché tanto...” ma fu interrotto bruscamente.
Veronica si era alzata e gli aveva rifilato uno schiaffo da guinnes dei
primati. Ora lacrime le rigavano il volto. “Tu non hai mai
capito niente Logan Echolls. Mai!” Detto questo
lasciò la stanza e si rifugiò nella sua camera da
letto. La giornata era veramente finita. O almeno così
Veronica sperava.
----------------------------------
Duncan assistette alla
scena in allibito silenzio. Non riusciva a capire cosa fosse appena
accaduto, qualcosa gli sfuggiva. Veronica non si era mai comportata
così, non era mai stata così emotiva e fragile.
Certo, gli ultimi giorni erano stati molto stressanti per lei, era
anche finita dietro le sbarre, però nonostante tutto Duncan
Kane non riusciva proprio a capire la sua più cara amica. E
non riusciva nemmeno a capire Logan e il suo comportamento aggressivo.
Come se non bastasse, quei due stavano complicando e ritardando la sua
missione, il vero motivo per cui si trovava lì, e
ciò non era ammissibile! No, no e po no. Lui aveva bisogno
che quei due mettessero la testa a posto, ragionassero e iniziassero ad
andare d'accordo. Dovevano farlo, per lui ma soprattutto per Lilly. Non
era ammissibile che si comportassero ancora come due ragazzini.
Così si alzò e senza nemmeno bussare
spalancò la porta della camera di Veronica. “Io ho
bisogno di voi. Ho bisogno che smettiate di comportarvi come due
stupidi. Avete quasi trent'anni, per l'amor di Dio, volete smetterla di
giocare ai ragazzini?” Veronica era sconvolta da quelle
parole.
Duncan uscì
in fretta, prese il suo amico Logan per un braccio e lo
trascinò dentro la stanza. “Ora voi due vi
chiarite una volta per tutte, senza urlare, magari, e poi venite in
salotto. Devo parlarvi di una cosa e non ho molto tempo. Se non potete
farlo per voi, fatelo per me. Anzi, fatelo per Lilly!” Si
chiuse la porta dietro le spalle e li lasciò soli al loro
destino.
----------------------------------
Veronica stava seduta
sul letto, mentre cercava di ricacciare indietro le lacrime. Stringeva
forte l'asciugamano che fino a pochi minuti prima le serviva da
copricapo. Logan la fissava in silenzio. “Vorrei che al posto
dell'asciugamano ci fosse il tuo collo!” lo
fulminò. “Sei davvero un cretino, Logan, non hai
mai capito niente di me. Non capisco perché mi stupiscano
ancora i tuoi comportamenti idioti...” “Senti chi
parla!” Lei rimase a bocca aperta per alcuni secondi prima di
riprendere a parlare “Non andiamo da nessuna parte
così, Logan. Che ne dici se ripartissimo da capo? Come se
nulla di tutto ciò fosse accaduto, ok. Scusami sono una
stupida, ti ho nascosto un sacco di cose e ora pretendo che tu ti fidi
di me.” Si alzò e si avvicinò a lui. Lo
prese per mano e ripeté “Scusa!”. Questa
volta fu il turno di Logan di rimanere esterrefatto: si potevano
contare sulle dita di una mano le volte in cui Veronica Mars si era
scusata con qualcuno. Forse su due mani. “Scuse accettate
solo se tu accetti le mie!” Il sorriso di Veronica fece
finalmente capolino sotto i capelli arruffati e le occhiaie scure. Ma
Logan la trovava fantastica anche così. Lo sguardo di lui
doveva averle suggerito qualcosa, perché si stacco da lui e
cercò di sistemarsi i capelli “Devo essere un vero
disastro... maledizione ho passato delle giornate tremende, e bisogna
dire che tu non mi hai di certo aiutata...”
Finalmente la tensione
era scemata. Veronica si sedette nuovamente sul letto, mentre Logan si
accomodò per terra, di fronte a lei, la schiena appoggiata
alla scrivania. “Dovremmo smetterla di farci del
male” disse non appena si fu seduto “lo so che
è la cosa che ci riesce meglio!”
“No” rispose lei “la cosa che ci riesce
meglio e soffrire in silenzio e non affrontare i nostri problemi.
Secondo te cosa nasconde Duncan?”
“Vorresti
farmi credere che non lo sai? Che l'infallibile Veronica Mars non ha la
più pallida idea di quello che sta capitando?”
“Ebbene si, questa volta anche io brancolo nel buio. Ho
provato a scavare nel passato di Duncan, ma come puoi immaginare non
è facile scoprire qualcosa su qualcuno che da anni vive in
incognito. Non ho trovato nulla al di fuori di ciò che
sapevo già ai tempi del liceo.”
“Vorresti farmi credere che non sei neanche un po'
curiosa?” “Un po'? Ma se non sto nella pelle!
Allora, adesso abbiamo due possibilità per scoprirlo, e sono
sicura che anche tu vuoi far luce su questo mistero. Possiamo fingere
di esserci chiariti, oppure farlo veramente..” “Per
quanto trovi allettante la prima opzione... beh sai che amo le
sfide!” “Va bene, comincio io. Non ti ho detto la
verità su Duncan perché non potevo, per lui ma
anche per te. Essere a conoscenza di dove si trovi un ricercato
federale e non condividere quest'informazione con le
autorità è un reato serio. Inoltre fino a qualche
giorno fa non avevo idea di come mettermi in contatto con te. A dire il
vero non volevo farlo. Il mio orgoglio me lo impediva. Ero arrabbiata
con te e avrei continuato ad esserlo, questa era la mia posizione e
tale sarebbe rimasta. Per quanto riguarda gli ultimi sviluppi... beh
avevo promesso che non ti avrei detto nulla, fine.”
“E non ti sei mai sentita in colpa per non avermelo
detto?” “Credimi, ogni giorno. Avrei tanto voluto
avere la forza... di andare oltre la mia testardaggine. Io e te avevamo
già rotto definitivamente, e soprattutto malamente. La
ferita sanguinava ancora quando Clarence si è fatto vivo, e
mentre i mesi prima e gli anni poi passavano, il dolore si attenuava,
ma per me diventava sempre più difficile parlarti e
soprattutto ammettere di averti nascosto una cosa così
importante per così tanto tempo. Con che coraggio avrei
potuto presentarmi alla tua porta e... cosa avrei potuto dire? Ciao Logan, sai, sono anni che
ti nascondo una cosa: ti ricordi il tuo migliore amico, Duncan, beh ci
sentiamo spesso e volentieri! Se vuoi, la prossima volta che lo sento,
ti chiamo! Come avresti reagito?” “Non
bene, ma non ci sarei rimasto male come nel saperlo quasi dieci anni
dopo, no? Tu come avresti reagito?” “Non lo so
Logan, era tutto estremamente complicato, è ancora tutto
così complicato tra noi...”
“Finché tu e Duncan mi nasconderete le vostre
tresche clandestine...” “Come scusa?”
Veronica era allibita. Poi una lucetta si accese nella sua testa.
“Secondo te
io Duncan... ommioddio... Logan, ma sei impazzito? Io e Duncan siamo...
storia antica, superata. Gli voglio bene e gliene vorrò per
sempre, però non sono più innamorata di lui, non
lo sono più da anni, dalla morte di Lilly direi. Ho pensato
di essere stata ancora innamorata di lui durante l'ultimo anno di liceo
ma mi sbagliavo. Me ne sono accorta nel momento in cui l'ho dovuto
salutare e mi sono resa conto che in realtà per me non era
così penoso e doloroso separarmi di lui. È stato
sì triste, ma nel momento in cui ho capito che io e lui
avremmo potuto non rivederci più... ho provato tristezza ma
non senso di vuoto e abbandono. Nulla a che vedere con
quando...” lo osservò e la voce le morì
in gola “... lasciamo perdere. Insomma, non ti ho nascosto
nulla in merito a me e lui e a un eventuale relazione amorosa tra me e
lui. Era tutto finito all'epoca della morte di Lilly... abbiamo solo
creduto che fosse possibile tornare indietro, ma non è
così. Non si può mai tornare indietro, bisogna
andare avanti e mi dispiace non averlo capito prima.”
Rimasero in silenzio per alcuni secondi, poi Logan rise e
parlò per la prima volta da giorni con l'intento di farsi
ascoltare, dopo aver per la prima volta da giorni ascoltato.
“Se l'avessi capito, allora probabilmente anche noi avremmo
evitato alcuni... errori, se così vogliamo chiamarli. Ci
saremmo risparmiati un sacco d sofferenze, no?!” Veronica,
che fino a quel momento se ne stava rannicchiata sul letto, la fronte
appoggiata alle ginocchia, alzò lo sguardo e
fissò gli occhi in quelli stanchi e tristi di Logan per
quello che parve ad entrambi un tempo lunghissimo. Per due volte
aprì la bocca, ma nulla uscì dalle sue labbra.
Poi finalmente riuscì a buttare fuori tutto. “Ma
di cosa stai parlando, Logan, la mia storia con Duncan e la mia storia
con te non sono nemmeno paragonabili... non...” ma lui la
interruppe “Ti prego, non infierire... lo so che quello che
c'è stato tra di noi non è nemmeno lontanamente
vicino al magico amore da favola che avete avuto tu e lui, ma ti prego,
lasciami credere che abbia avuto almeno un minimo di importanza nella
tua vita”. Il suo tono era struggente, e mentre pronunciava
quelle parole si passò la mano nei capelli, tormentandosi la
testa. Veronica balzò giù dal letto e gli si
avvicinò, fissandolo negli occhi. Pochi centimetri li
separavano, lei poteva sentire il respiro di lui, pesante di skotch,
accarezzarle le labbra e lui poteva sentire i capelli di lei sfiorargli
le guance. Non erano stati così vicini da anni...da prima
prima che venisse fuori la storia di Madison...
Veronica si sentiva
come quella volta fuori dal Camelot: appena uscita dalla stanza del
motel aveva guardato Logan negli occhi e l'unica cosa che per lei aveva
senso in quel momento era sporgersi sulle punte e baciarlo. Per quanto
fosse sbagliato, per quanto fosse folle, null'altro in quel momento
poteva avere senso. Anche in quel momento le mani le sudavano, il cuore
le batteva a mille, la gola le si era seccata. Erano passati undici
anni, eppure la vicinanza a Logan le faceva ancora quell'effetto.
Tornava improvvisamente adolescente, le ginocchia le tremavano.
Chissà se anche per lui era lo stesso? Ne dubitava, ma un
po' ci sperava. “Logan, so che tu e Duncan siete sempre stati
in competizione, ma, giusto per la cronaca, quello che ho provato per
lui era un'amore adolescenziale, infantile, immaturo, fatto di trine,
pizzi e sogni. Nulla di ciò che abbiamo vissuto assieme
è stato genuino, maturo. Era tutto perfetto,
perché non era reale. Io e te, invece, tutta un'altra
storia... come ci hai definiti una volta? Epici, giusto? Beh.. siamo
stati epici anche se autodistruttivi e folli!” Gli
accarezzò una guancia. “Direi che questa sfida
l'hai vinta tu, no?!?” e finalmente gli sorrise. Maliziosa e
sincera come solo lei sapeva essere, ma anche un po' spaventata. Logan
sapeva che quei sorrisi erano tutti per lui, lo erano sempre stati fina
dalla prima volta fuori dal motel Camelot quando, dopo quel breve e
fugace primo bacio, si era voltata sorridendogli. Ecco, quella era
stata la prima volta che lei gli aveva regalato quel sorriso complice,
malizioso, fragile, insicuro... la prima di una lunga serie.
Senza nemmeno
accorgersene, ripetendo un gesto che aveva compiuto migliaia di volte
nella sua vita, fissandola negli occhi le prese il volto tra le mani e
la baciò. Un bacio breve e fugace come quel primo bacio che
lei gli aveva regalato fuori dal motel Camelot. Un bacio che lo colse
di sorpresa non meno di quanto avesse colto di sorpresa Veronica.
Si separarono
lentamente. Veronica rimase ancora qualche istante con gli occhi
chiusi, mentre lui la scrutava aspettando la sua reazione. Quando
finalmente lei li riaprì non c'era rabbia nel suo sguardo,
ma stupore e... gioia. Sorrise e si morse il labbro. Come era sensuale
quando lo faceva! “Beh... penso che questo dovrai
spiegarmelo, Logan...” “Spiegartelo? Veronica,
credevo che una delle prerogative del tuo mestiere fosse quella di
essere intelligenti, acuti, svegli... E poi mi sembrava di avertelo
già detto: io ho il cuore spezzato!” E senza darle
tempo di ribattere la baciò di nuovo. Ma questa volta non
fuggì via per paura di aver sbagliato: si
soffermò sulle labbra di lei per tutto il tempo necessario
ad assaporarle di nuovo, a riconoscerle, a riconquistarle.
Spazio autrice:
aggiorno al volo! Finalmente! Buona notte!
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Capitolo 20 *** Segreti svelati ***
Segreti svelati
Sto perdendo il controllo, ecco
cosa sta succedendo. Sto perdendo il controllo, oppure mi trovo in un
sogno. Non c'è altra spiegazione. L'odore di
Logan, misto all'alcol e al profumo fruttato del bagnoschiuma le
stavano dando alla testa. Era tutto vero? Beh, i suoi sensi, seppur
appannati, le dicevano di si, anzi lo urlavano! Se apriva gli occhi, li
poteva fissare in quelli di lui, profondi e tormentati, e perdersi in
essi. Mentre le mani forti e grandi di Logan le sfioravano la pelle, le
si infilavano tra la felpa sformata e la schiena, il respiro di lui
copriva ogni altro suono. Il sapore della sua bocca e l'odore della sua
pelle le dicevano “bentornata!”.
Poi all'improvviso la razionalità fece una breccia nella
solida muraglia che i suoi sensi avevano rapidamente costruito, e lei
si rese conto che non andava affatto bene. Che come al solito stavano
facendo il passo più lungo della gamba, saltando alcuni
passaggi fondamentali. Ma chissà per che non le importava:
tutto ciò che contava, in quel momento, era abbandonarsi
alle braccia di lui, ai suoi tocchi, ai suoi baci. Veronica fece
scivolare le mani lungo le spalle larghe di Logan, per poi farle
scendere lungo il suo muscoloso petto, fino ad arrivare alla fine della
maglietta, dove si soffermò brevemente, prima di sollevarne
il lembo inferiore. Aveva deciso che si sarebbe lasciata andare:
perché combattere contro qualcosa che le riusciva
così bene e che la accendeva con tale passione? Non ne
valeva davvero la pena!
Aveva appena preso
questa decisione, spinta dal calore che il corpo di Logan emanava, e
che, dai palmi delle mani di lui le entrava fin nelle ossa; ma si era
dimenticata che le cose si fanno in due. Logan, senza staccare le sue
labbra da quelle di lei, sfilò le mani di Veronica da sotto
la maglietta. Solo allora si staccò da lei, senza lasciarle
le mani. “Veronica” lei finalmente
rallentò il respiro e lo fissò, decisamente
stupita da quella reazione “Lo sai che di solito non
è da me tirarmi indietro. Soprattutto se ho per le mani una
bella bionda come te...” le sorrise, ma lei continuava ad
essere allibita: effettivamente Logan non si era mai tirato indietro di
fronte ad un'occasione come quella!
“Sei stato
tu a cominciare!” disse in tono capriccioso ma sensuale. Oh
no, non gli avrebbe permesso di lasciarla a bocca asciutta.
Si fece più vicina e gli posò una mano sulla
gamba. Logan abbassò lo sguardo, per rialzarlo subito dopo.
Le regalò una delle espressioni più divertite che
lei avesse mai visto. “Sono onorato, Veronica, e credimi se
fossimo soli in questo momento non avrei un istante di esitazione.
Anzi, penso che adesso come adesso avresti ben poca stoffa
addosso!” Il discorso si stava facendo interessante alle
orecchie di Veronica, che languida si sporse verso di lui , con poco
successo “Ah-ha” fece lui, mettendo le mani avanti
“devo ricordarti che lì fuori c'è un
certo Mr. Kane pronto a rivelarci il suo grande segreto? Ti facevo
più attenta, Ronnie, molto più attenta di
così! E soprattutto molto più curiosa!”
e sorrise malizioso prima di prenderle nuovamente il volto tra le mani
e baciarla dolcemente sulle labbra. “Ma non ti preoccupare,
perché il nostro randevù
è solo rimandato!” Veronica dovette accettare la
sua argomentazione e, di malavoglia, alzarsi dal letto per tornare in
salotto e affrontare, una volta per tute, Duncan Kane e il suo segreto.
---------------------------------
Duncan era seduto sul
divano, si tormentava i corti capelli. Era combattuto tra l'ansia di
dover dire loro tutta la verità e la voglia di fuggire. Non
vedeva l'ora che arrivasse quel momento e allo stesso tempo ne era
terrorizzato; non sapeva se liberarsi la coscienza valesse
ciò che lo aspettava anche perché non sapeva
ciò che lo aspettava. Erano i suoi migliori amici, di questo
era certo, nonostante gli anni di lontananza; quello di cui non era
certo, era come avrebbero reagito alla notizia, e alla sua richiesta.
Si sarebbero arrabbiati? Poco ma sicuro. Ma avrebbero capito
perché lo chiedeva proprio a loro? Di questo non aveva
certezza, come non sapeva se avrebbero accettato.
Doveva essere
convincente, mettere da parte orgoglio e paure, se non altro per la sua
bambina. Doveva mettere da parte il passato, superare una volta per
tutte quelle che c'era stato tra di loro, quello che li aveva separati,
ma anche quello che una volta li aveva uniti.
Da quando aveva ricordi, la dolce e delicata Veronica aveva sempre
fatto parte della vita sua e di sua sorella: le due avevano fondato
un'associazione a delinquere fin dalle scuole elementari. Tutte
chiacchiere e segreti, avevano condiviso ogni momento della loro vita.
In realtà non sapeva nemmeno come avevano fatto a
conoscersi... ricordava che la madre di Veronica era stata un tempo la
segretaria di suo padre. Forse era cominciato tutto lì.
Magari un giorno Veronica e Lilly erano arrivate assieme alla Kane
Software e la scintilla era scoccata nella sala d'attesa. O forse far
conoscere e socializzare le due bambine era una scusa per continuare a
frequentarsi... insomma Jake e Lianne erano stati re e reginetta del
ballo al liceo e ora, a oltre vent'anni di distanza, stavano finalmente
consumando la loro storia d'amore. O almeno questo era quello che gli
ha riferito Clarence.
Lui e Logan, beh erano
destinati ad essere migliori amici. Le loro madri avevano seguito lo
stesso esclusivo corso pre-parto ad Oceanside. Aaron stava girando un
film, e Lynn non ne poteva più di stare da sola a Los
Angeles, così si era rifugiata a sud, presso una clinica
estremamente costosa e altrettanto di classe. Era lì che,
mangiando uva e sorseggiando succo di aloe arricchito di vitamine, lei
e Celeste erano diventate grandi amiche. Era naturale che i due
maschietti che stavano per nascere avrebbero condiviso un legame
altrettanto forte e forse più sincero. Fin da dentro la
culla, Duncan e Logan avevano condiviso spazi, momenti, vizi e regali.
Poco dpo il parto Lynn era tornata a Los Angeles, ma le due famiglie si
incontravano spesso e volentieri, rafforzando un legame che
già esisteva. Era a casa di Duncan che finalmente, quando
gli Echolls si erano trasferiti a Neptune, che i fab-four erano
diventati una cosa unica, si erano conosciuti, fusi e non si erano
più separati... beh quasi.
Ora Duncan sapeva che stava per mettere a dura prova la loro amicizia,
e aveva paura di quello che sarebbe successo. Tremava come una foglia,
ma dove smetterla: la voce doveva essere forte, il tono risoluto. Non
doveva dare loro la sensazione che avrebbero potuto dirgli di no.
La maniglia della
porta della camera di Veronica si abbassò, e i due, testa
bassa e sguardo colpevole, uscirono finalmente. Lui li
squadrò “Sono di fronte a due persone adulte con
le quali parlare una buona volta, o no?”
“Si” rispose Logan, dopo aver scambiato uno sguardo
complice con Veronica. I due si sedettero sul divano, vicini ma non
troppo, tesi l'uno verso l'altro ma in direzioni opposte. La cosa
insospettì Duncan, che però non aveva tempo di
approfondire la sua riflessione: se non l'avesse fatto ora, sapeva che
non ci sarebbe riuscito mai.
“Devo
chiedervi una cosa, e voglio che mi promettiate due cose prima che io
cominci a spiegarvi il tutto. La prima è che mi ascolterete
fino in fondo, senza commentare né giudicare. La seconda
promessa sarà per voi molto più difficile da
mantenere, ma non voglio che, nel rispondere alla mia richiesta, voi vi
facciate guidare dall'affetto o dai sensi di colpa, ma solo dal
raziocinio e dalla logica. Se non mi prometterete questo, io
prenderò Lilly e uscirò dalle vostre vite per
sempre.”
I due lo fissarono esterrefatti. Veronica non amava i paletti, e sapeva
benissimo che nel momento in cui gliene avessero imposti... beh, quello
era il momento in cui lei, tranquilla tranquilla, li scavalcava. Duncan
lo sapeva, e quindi se le poneva dei limiti significava che per lui era
necessario che lei li accettasse. Lo osservò, e lesse nei
suo occhi, non solo paura, ma anche panico. Gli sfiorò la
mano e gli sorrise. “Hai la mia parola. Niente interruzioni,
niente intromissioni. E quando mi avrai chiesto ciò che
devi, beh, ci penserò attentamente e non mi farò
guidare dall'impulso!” Logan si limitò ad annuire,
facendogli l'occhiolino.
Duncan non aveva mai
detto a nessuno quello che stava per riferire ai suoi più
cari amici, ma a qualcuno doveva pur dirlo, anche per liberarsi di quel
peso opprimente che gli schiacciava il petto da mesi ormai. Gli
costò davvero una fatica immensa tornare a quel giorno di
qualche mese prima, raccogliere ricordi e pensieri, quei pochi che
aveva.
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Finalmente
aprì gli occhi. Aveva l'impressione di aver dormito per
secoli, che avrebbe dovuto essere sveglio e cosciente, ma
chissà perché era accaduto qualcosa e non si
ricordava né che giorno fosse, né cosa ci facesse
a casa. La luce filtrava dalla finestra, quindi era giorno.
Perché non era al lavoro? Perché c'era silenzio
in casa? Perché gli doleva così tanto la testa?
Alzò il braccio per toccarsi la nuca, che pulsava come un
martello pneumatico, ma non ci riuscì. Si guardo allora le
mani e si rese conto di essere legato al suo letto da spesse catene.
Era disteso, una flebo gli pendeva dal braccio sinistro, in casa solo
un leggero brusio di voci. Non capiva cosa fosse successo, la testa non
gli dava tregua, e mentre il cervello sembrava sbattere contro le
pareti del cranio, dei flash, delle immagini, gli riempivano gli occhi
ogni volta che li chiudeva. Vasi infranti, finestre in frantumi, una
sedia, le grida di sua figlia, le mani forti della sua guardia del
corpo, Don, che lo afferrano. Si sente la gola in fiamme, deve aver
urlato. Gli fanno male le mani, deve aver tirato dei pugni. Intontito
si domanda se sua figlia stia bene, se qualcuno li abbia trovati. La
paranoia è una costante nella sua vita. Non possono
trovarli, devono scappare. Pensieri sconnessi si susseguono nella sua
mente: il sorriso di Meg l'ultima volta che l'ha vista viva; le notti
in bianco a cullare Lilly; Lilly, sua sorella, che balla in piscina
assieme a Logan e Veronica; suo padre e sua madre, la delusione dipinta
sui loro volti nel momento in cui ha detto loro che stavano per
diventare nonni; la prima volta che aveva picchiato qualcuno: i
corridoi del Neptune High, lui e Logan; Veronica alla festa di Shelly,
fuori di sé, che lo trascina nel letto della stanza degli
ospiti, la loro prima volta; la fuga dal Messico; Clarence che lo
informa che Aaron è morto e che sua sorella è
stata finalmente vendicata; lui e Lilly da bambini; il primo compleanno
di sua figlia... Non è pronto a dover ricacciare tutto
dentro un compartimento stagno, fuggire e dimenticare nuovamente. Non
possono...
All'improvviso
si domanda cosa sia successo a sua figlia. La sua bambina. Prova ad
urlare, ma dalla sua bocca non esce nulla. La testa pulsa
più forte. Perché è legato? Li hanno
rapiti? Ma allora perché si trova nella sua camera da letto?
Sente avvicinarsi dei passi, percepisce delle voci. Sua figlia!
É viva! Ma allora...
Poi capisce: un'altra crisi.
---------------------------------
“Saranno
anche passati gli anni, saremo cresciti, ma alcune cose non sono
cambiate” dopo quasi cinque minuti di silenzio, finalmente
Duncan aveva deciso di aprire bocca e raccontare la sua storia, svelare
il suo segreto. Veronica e Logan, in perfetto silenzio, avevano
aspettato e ora, in perfetto silenzio, avrebbero ascoltato.
“Andrò subito al punto, senza girarci troppo
intorno: sarebbe solo una perdita di tempo, e io non ne ho molto. Lo
sapete tutti e due di cosa soffro, quale malattia mi tormenta da
sempre. Logan ha anche assistito a una mia performance. Non male, vero?
Beh, come potete immaginare, l'epilessia non passa da sola! Ha delle
fasi acute e delle fasi dormienti, connesse allo stress, all'ansia, ma
anche a fattori assolutamente imprevedibili. In questi anni ho avuto
pochissime crisi epilettiche, quasi nessuna. I farmaci che prendevo
hanno sempre fatto effetto, e quindi per me è sempre stato
relativamente semplice gestire la mia malattia.”
sospirò, prendendo tempo. Raccontare quelle cose era per lui
estremamente penoso. “Ma ero terrorizzato da quello che avrei
potuto fare a mia figlia. Nei primi anni di fuga, mosso dalla paura di
non poterla proteggere da me e dalla mia follia, prendevo doppia dose
di farmaci. Pessima idea: il mio sistema nervoso si è
lentamente assuefatto, e così il farmaco ha smesso di fare
effetto e di controllare i miei momenti bui. Tutto ciò
è accaduto gradualmente, ma nell'ultimo anno e mezzo le cose
hanno cominciato a complicarsi. Ho iniziato a maturare una rabbia che
all'inizio ho confuso per legittima e reale: ero costretto a vivere
sotto falso nome per colpa dei Manning. I miei genitori erano due
traditori. Il mio migliore amico era ripetutamente stato con colei che
ritenevo l'amore della mia vita. Lei era lontana e a quanto pareva
voleva rimanerci: non era voluta fuggire con me anche se avrebbe
potuto.” Fece una pausa, e poi, fissando Veronica riprese a
parlare. “Sai, mi sono sempre chiesto perché non
sei fuggita via con me quella volta. Non avevi poi molto da perdere...
ma a quanto pare mi sbagliavo!” e fulminò Logan
con lo sguardo. La situazione si stava facendo imbarazzante: poco prima
lei e Logan stavano per esibirsi in costume adamitico dopo anni, e
adesso Duncan li stava rimproverando per essere stati assieme anni
prima. Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo di quanto
stava accadendo pochi minuti prima... Però aveva promesso
che non avrebbe interrotto e così fece.
Abbassò lo sguardo e lo piantò per qualche
istante sulle grandi mani di Logan. Qualcosa le si mosse dentro. Fatti una doccia fredda,
Veronica, e frena i bollenti spiriti: non è decisamente il
momento adatto per pensare a certe cose... Dopo essersi
mentalmente rimproverata, decise che avrebbe posato lo sguardo solo su
Duncan per il resto della serata. Il contatto visivo con Logan o con
una qualunque delle sue parti del corpo era decisamente fuori
discussione.
Duncan
riprese la parola “Beh ecco, insieme alla rabbia sono
comparsi momenti di defiance:
a volte mi mancavano dei pezzi della mia giornata, alle volte non
sapevo perché mi trovavo in un posto. Ho scoperto che erano
messaggi che il mio corpo mi stava mandando, ma li ho letti troppo
tardi. Poi sono cominciate le crisi di panico, la paranoia,
l'insonnia... attribuivo tutto ciò allo stress e al fatto
che non ce la facevo più a vivere come un criminale, come un
fuggiasco. E la mia soluzione? Aumentare il dosaggio di tranquillanti.
Il mio sistema nervoso non ce l'ha più fatta: un bel giorno
sono ricominciati gli attacchi. Prima brevi e rari, poi sempre
più lunghi e frequenti. Per fortuna Don, la mia guardia del
corpo, non mi lascia solo un attimo. È il cugino di
Clarence, qualcuno di cui posso fidarmi!” Guardò i
suoi amici e, sorridendo, esclamò “Si, se ve lo
state domandando, mi sta tenendo d'occhi anche adesso. Diciamo che sa
essere molto... discreto!” “Potrebbe tornarmi
utile!” disse Veronica, per smorzare la tensione. Sapere di
essere osservati e spiati non era affatto rassicurante per una abituata
a spiare e osservare...
“È
solo grazie a lui che non ho ucciso mia figlia.” L'aveva
detto. Finalmente. Ma l'aveva detto con una pacatezza, una freddezza
che spaventarono Veronica. Sapeva che Duncan non avrebbe mai fatto del
male a sua figlia, per questo era per lei sconvolgente sentire quelle
parole. “Un giorno ho avuto un crisi...vera. Una crisi seria,
di quelle che non mi capitavano dalla morte di Lilly, come quelle che
avevo quasi tutti i giorni in quel periodo, e nel periodo in cui ci
eravamo lasciati” proseguì, indicando Veronica
“So che lo sai, Veronica, quindi non fare la faccia stupita:
sappiamo benissimo entrambi di cosa sto parlando, quindi non facciamo
finta che non sia così. Dicevo... ah si. Era una domenica di
qualche mese fa ed eravamo tutti a casa. La domenica mattina io leggo
il giornale mentre preparo la colazione a Lilly, perché
quello è il giorno dedicato a me e lei, al bene che ci
vogliamo, ai nostri capricci reciproci. Magari prendiamo e andiamo
sulle Montagne Rocciose a sciare, o alle Hawaii a fare un bagno...
insomma. La domenica è il nostro giorno. Ma è
anche il giorno in cui io leggo i giornali californiani per tenermi
aggiornato. Sei giorni alla settimana il mio passato non esiste, ma la
domenica è per il ricordo e la memoria dela mia vita passata
e delle persone che ho amato. Beh stavo leggendo il Neptune Tribune
quando ho avuto una crisi violenta. Don mi ha raccontato che ho
praticamente distrutto la cucina, e che si è dovuto lanciare
addosso a me per evitare che raggiungessi Lilly...” Era
freddo, gelido, come se quello che stava raccontando non lo
riguardasse... “Per fortuna che c'era Don... mi sono
svegliato 8 ore dopo come se nulla fosse. Non sapevo cosa fosse
successo, ma ero terrorizzato. Non capivo, non ricordavo. Ero disteso
su un letto, avevo paura per la vita mia e per quella di Lilly. Ho
pensato che ci avessero trovati e aggrediti, che ci avessero rapiti,
che ci stessero ingannando... Poi ho visto la mia bambina e ho capito
che dovevo cacciare via quella maledetta paura e finalmente reagire.
Una settimana dopo sono andato da uno specialista a Seattle. Mi ha
visitato e le notizie non sono buone. Devono operarmi, quanto prima.
Devono recidere il corpo calloso, separare i due emisferi per rompere
le sinapsi difettate. E sperare che basti questo a far cessare gli
attacchi.”
Veronica stava per
aprire bocca, ma lui la interruppe “No, Veronica. So che se
mi fermo non riuscirò più a ricominciare. Fammi
finire e poi risponderò a tutte le tue domande.”
La giovane donna annuì, e poi appoggiò la schiena
ai cuscini del divano, cercando di rilassarsi. “L'intervento
è di routine, ma ha anche una serie di punti critici
connessi al mio caso specifico, ma anche al fatto che ti devono
dividere in due il cervello. Come potete immaginare, nel peggiore dei
casi ci rimetto la pelle, ma potrei anche perdere l'uso della parola,
la memoria, la capacità di distinguere realtà e
immaginazione. Per questo motivo devo mettere le mani avanti e
assicurare a mia figlia un futuro, una vita, con o senza di me. Ho
riflettuto a lungo e sono giunto a questa conclusione. Se dovessi
morire o non essere più in grado di badare a mia figlia, non
posso permettere che finisca in affidamento, quindi devo designare dei
tutori che s'impegneranno a darle tutto l'affetto di cui ha bisogno, ma
che siano anche in grado di prendere le decisioni giuste per lei e che
sappiano amministrare il piccolo capitale che è di mia
figlia per diritto. Non voglio che i Manning mettano le mani su di lei,
ma per questo Veronica ha già fatto molto. Dovremmo avere
notizie a breve, giusto?” lei annuì.
“I miei
genitori non sono stati in grado di crescere decentemente né
me né mia sorella. Nulla mi fa pensare che potrebbero
riuscirci con mia figlia. Per di più si sono separati, e la
bambina rischierebbe di diventare merce di ricatto. No grazie, voglio
per lei un mondo d'amore e affetto, non di odio e mistificazioni.
Insomma... mi rendo conto che forse parlare di amore e affetto
è eccessivo, ma sono sicuro che... beh... voi sareste i
tutori migliori del mondo per mia figlia. Siete le persone a me
più care, siete le due persone più forti che
conosca, ma anche le più fragili. So che assieme siete una
coppia potenzialmente esplosiva, ma essere tutori non implica
necessariamente lo stare assieme, anzi.” Era quasi entusiasta
mentre pronunciava quelle parole. “Vorrei che ci rifletteste,
ma sarei veramente felice se, in qualche modo, voleste far parte della
nostra famiglia.” Veronica e Logan rimasero a bocca aperta.
Nessuno dei due si aspettava una richiesta del genere.
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Erano ore che
Veronica, Logan e Duncan alternavano spiegazioni a silenzi, dubbi a
domande. Veronica stava crollando, erano state delle giornate molto
pesanti e lei non ce la faceva più fisicamente. Sbadigliando
pronunciò la frase con la quale l'argomento si sarebbe
chiuso per un po'. “Devo parlare con mio padre prima di
prendere una decisione” Logan la squadrò
dall'altro capo del divano “Veronica, temo che prima dovremo
trovarlo!” “Mhh... scommettiamo che posso
rintracciarlo ora?” “Scommettere con te Mars
è sempre un rischio... che sono disposto a correre! Cosa ci
giochiamo?” Logan sapeva che avrebbe perso, ma gli era sempre
piaciuto veder sorgere negli occhi di Veronica quella scintilla
particolare di quando sapeva di aver vinto. “Chi perde domani
esaudirà ogni desiderio dell'altro per quanto riguarda il
ballo?!” Logan annuì, ben disposto a pagare pegno
se si trattava di vedere Veronica in abito lungo, tacchi alti, e magari
ringalluzzita da qualche bottiglia di champagne! “Fatta!
Vediamo, le 6 del mattino... non dovrei disturbarlo. Non troppo per lo
meno...” si alzò ed estrasse un telefono cellulare
usa e getta dalla scrivania. Compose il numero e mise in viva voce.
“Tesoro... sono le sei del mattino... a meno che tu non sia
in pericolo di vita, sappi che potrei essere molto
arrabbiato...” la voce era proprio quella dell'ex sceriffo.
“Scusa papà, saluta Logan e Duncan. Volevano
essere sicuri che tu stessi bene.” “Ciao ragazzi.
Stavo meglio cinque minuti fa, tesoro, e starò meglio tra
cinque minuti quando riprenderò il mio bellissimo sogno. A
presto!” La linea suonò a vuoto. Veronica
posò il telefono e si voltò verso i suoi
interlocutori. Il sorriso carico di soddisfazione le morì
sulle labbra. “Ops!” esclamò viste le
facce truci dei due uomini “Mi sa che tocca a me darvi
qualche spiegazione... beh mio padre non è stato rapito.
È in un motel al sicuro: nessuno a parte me e Cliff sa dove
si trova. Per rispondere alla vostra domanda... beh è stata
una mia idea. Tua madre Duncan l'aveva ingaggiato per ritrovarti, e ci
sarebbe riuscito, ne sono sicura. Non potevo permettere che
ciò accadesse. Dato che non sarebbe stato credibile che lui
abbandonasse il caso ho pensato che inscenare un rapimento sarebbe
stata la soluzione ideale. Inoltre è stato un ottimo
diversivo per focalizzare l'attenzione delle autorità!
Così Leo ha potuto lavorare con Angela senza correre il
rischio di essere beccato. Tra poche ore il signor Manning
verrà arrestato, e sua moglie ritirerà la
denuncia contro Duncan. È il padre di Lilly e ha il diritto
di portarla ovunque voglia, se non c'è nessuna denuncia di
rapimento. Quindi... sì, la sparizione di mio padre, seppur
improvvisata, rientrava perfettamente nei piani.”
Sbadigliò vistosamente.
“Che ne dite
se andiamo a dormire? Qualche ora di sonno ci aiuterà a
rinfrescarci le idee. E poi domani Logan è
impegnato!” “A fare cosa?”
“Come? Devo comprare abito e scarpe per il ballo!”
E detto questo si avviò verso camera sua. “Buona
notte signori! A tra poco!”
Si era infilata a
letto, e aveva sentito la porta della camera di suo padre chiudersi;
evidentemente anche Duncan era crollato. Probabilmente Logan si era
sistemato sul divano. Stava giusto per addormentarsi quando la porta
cigolò e Logan varcò la soglia. Con la sua solita
aria da cane bastonato, chinandosi le sussurrò all'orecchio
“Posso dormire qui con te? Il divano è troppo
piccolo!”
Come se il letto di
Veronica fosse stato molto grande.
---------------------------------
Era quasi
ora di pranzo quando il telefono di Logan cominciò a
suonare. Ci misero qualche secondo prima di svegliarsi e rendersi conto
che quel suono fastidioso proveniva dal pavimento. Logan
allungò la mano e cercò a tastoni il cellulare.
Lo portò all'orecchio e biascicò un poco convinto
“Pronto?” all'altro capo del telefono Wallace gli
regalò una favolosa e cristallina risata “Amico,
sei riuscito a trovare una tua fan anche qui a Neptune? Nottata di
bagordi, eh?!?” Logan arrossì: Wallace non sapeva
che tra le braccia del giovane attore non c'era una fan qualunque, ma
la sua migliore amica. Chissà cosa avrebbe pensato, o
meglio, come avrebbe reagito se avesse sentito la voce di Veronica. Si
portò l'indice alle labbra, intimandola di stare zitta.
“Wallace, è mattina. Non per fare l'antipatico
ma... che cosa diamine vuoi? Io sarei tipo ancora in fase
rem...” “Volevo solo chiederti conferma dell'orario
per la tua accompagnatrice del ballo di questa sera... il suo volo
arriva alle due di pomeriggio, vero?” Logan balzò
quasi in piedi, lasciando Veronica allibita e svegliandola
all'improvviso. Pessima mossa! Se prima non voleva che lei sentisse la
telefonata, ora aveva tutta la sua attenzione.
“Hem... si
arriva alle due... Si amico, grazie... no non dirle che ero in
compagnia di un'altra... davvero ti devo un favore!” Veronica
era imbestialita. Gettò il braccio oltre il bordo del letto
e recuperò i suoi pantaloni. Il resto lo indossava ancora,
lo aveva sempre indossato. Qualche ora prima, quando si erano
finalmente ritrovati in posizione orizzontale, si erano semplicemente
addormentati. Abbracciati.
In quel momento ringraziò la stanchezza. Se Logan aveva
un'altra, come sembrava dalla telefonata che si erano appena scambiati
lui e Wallace, sarebbe stato troppo umiliante per lei essere stata a
letto con Logan poche ore prima dell'arrivo di questa famigerata
accompagnatrice...
Non fece in tempo ad
immaginarsi tutti gli scenari possibili che lui le prese il volto tra
le mani e, con aria sicura e tranquilla le disse “Nessuna
accompagnatrice, Veronica. Ferma il tuo cervellino e ascoltami. Senza
saperlo Wallace sta per andare a prendere Jackie”.
---------------------------------
L'aereo era in
perfetto orario. Wallace aspettava all'uscita dei voli domestici,
appoggiato alla sbarra. Durante il viaggio verso l'aeroporto si era
domandato che aspetto avesse il “più
uno” di Logan Echolls per la festa del decennale dal diploma.
Si immaginava che il ragazzo non si sarebbe smentito: sarebbe stata una
ragazza copertina, tutta gambe e curve, dal sorriso smagliante, i
capelli perfetti, un abito da sogno. Tutte le loro ex compagne di
scuola sarebbero morte d'invidia, e qualcuno di sua
conoscenza sarebbe stato roso dalla gelosia. Anche
perché Veronica sarebbe stata senza accompagnatore.
Situazione che vedeva coinvolto anche Wallace. Probabilmente sarebbero
andati assieme, avrebbero potuto fingere di essere una coppia per
apparire un po' meno falliti.
Falliti, insomma, tutto è relativo. Entrambi avevano una
carriera di successo, erano ancora giovani e si divertivano. Di cosa
avrebbero dovuto vergognarsi? Di non essersi ancora omologati? Di non
aver fatto il grande passo? Ma ne valeva la pena? Non senza la persona
giusta, e Wallace era sicuro di non averla ancora trovata. O meglio di
averla persa.
Era così
immerso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse che la gente
cominciava ad uscire dalle porte a vetri, e neppure delle tre figure
che si stavano avvicinando a lui. Si rese conto che qualcuno lo stava
fissando quando ormai gli occhi di lei erano a pochi metri di distanza.
Cosa ci faceva Jackie Coock all'aeroporto? Non aveva ancora realizzato
che fosse in compagnia. La osservò avvicinarsi in silenzio.
Poi lei sorrise e aprì bocca. Miele ne uscì. Il
suo tono era titubante, e a stento mascherava l'emozione.
“Non pensavo che saresti venuto a prendermi tu” Gli
occhi le luccicavano. “Wallace, vorrei presentarti i miei
bambini: lei è Tessa” Una splendida ragazzina di
circa dodici anni si fece avanti e porse la mano a Wallace. Era
stupenda, tutta sua madre. Wallace le strinse delicatamente la mano.
“Ciao Tessa. É un piacere conoscerti, ho sentito
tanto parlare di te!” la ragazzina gli restituì un
sorriso carico di felicità. “E lui è
Michael, come Michael Jordan”. Mani in tasca, capelli
ribelli, la faccia di uno che voleva solo proteggere le sue donne. Fece
un passo avanti, ma non si mosse. Wallace era sconvolto. Jackie aveva
avuto un secondo figlio. Con chi? “Ha dieci anni, ed
è un'appassionato di basket. Tutto suo padre!” lo
disse come se la cosa non avesse importanza, ma invece ne aveva un
sacco, e Wallace lo capì al volo. Jackie lo
abbracciò e gli sussurrò all'orecchio
“Mi sei mancato Wallace... ci sei mancato!”
Si separarono
dall'abbraccio e Wallace prese le valige. Logan Echolls,
pensò Wallace mentre intontito li accompagnava alla
macchina, non sai in che guaio ti sei cacciato.
Spazio autrice: e qualche nodo
è venuto al pettine! A presto!
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Capitolo 21 *** Comode verità ***
Comode
verità
“Logan, stai
scherzando, vero?” Veronica stava urlando ma a bassa voce.
Era infuriata, e Logan era sicuro di non averla mai vista
così. Va bene, le aveva tenuto nascosto qualcosa che avrebbe
dovuto dirle, del resto si trattava del suo migliore amico.
Però Logan era sicuro che lei sarebbe corsa da Wallace a
dirgli tutto, cosa che Logan non avrebbe permesso. Aveva fatto una
promessa a Jackie e avrebbe fatto di tutto per mantenerla.
“Veronica,
per piacere... ho mal di testa e ho dormito due ore. Potresti non
azzannarmi alla giugulare di prima mattina?” Disse Logan,
passandosi la mano sulla fronte. Non aveva voglia di discutere con lei,
e men che meno di chiedere scusa. La sua era stata la scelta corretta:
tra le due donne non era mai corso buon sangue, vuoi perché
Veronica si sentiva sempre attaccata, vuoi perché Jackie non
si era mai risparmiata nel criticare la bionda. L'ultima cosa di cui
aveva bisogno Wallace in quel momento è che Veronica si
intromettesse in una questione così delicata.
“Azzannarti?
Dovrei sbranarti, maledizione. Ma come ti è saltato in mente
di non dirmi che Wallace ha un figlio che nemmeno conosce?”
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“Grazie per
averci accompagnati all'albergo, Wallace” disse Jackie
sorridendogli. “Bambini, io accompagno Wallace alla macchina.
Fate i bravi e disfate i bagagli. Vado a cercare anche una baby sitter per
questa sera, potrebbe volerci un po'. Se volete accendete pure la TV.
Torno subito!” Li baciò sulla fronte e si chiuse
la porta dietro le spalle. Lei e Wallace si avviarono verso l'ascensore
senza parlare.
Wallace non sapeva cosa dire, non aveva molto da dire per essere
precisi. Non sapeva se aveva capito bene, e non sapeva cosa Jackie si
aspettasse da lui. Era come ubriaco: troppe emozioni, troppi pensieri,
troppi ricordi che non riusciva a gestire. Aspettarono l'ascensore
senza nemmeno guardarsi negli occhi. L'ultima volta che erano stati
lì, il loro futuro era carico di aspettative, il loro
presente colmo di amore. Avevano appena passato la notte assieme, e
stavano lasciando il Neptune Grand. Non la smettevano di baciarsi,
sfiorarsi, abbracciarsi. Non potevano farne a meno, come ora non
potevano fare a meno di tenere una certa distanza. Come erano cambiate
le cose. Dieci anni li separavano, ma allo stesso tempo un figlio li
univa.
“È
tuo figlio” esclamò Jackie non appena fu salita in
ascensore “L'avevo capito” rispose laconico Wallace
“Non sono così stupido, sai?” Era
arrabbiato ma felice, triste e su di giri. Era padre, Jackie era
lì con lui... cosa voleva di più dalla vita.
“Grazie per avermelo detto!” “Wallace
io... non volevo costringerti a rinunciare alla tua vita per me, dopo
che ti avevo esplicitamente chiesto di non farlo solo un paio di mesi
prima. Non potevo farlo. Per me crescere due figli invece che uno da
sola con mia madre non sarebbe stato più complicato:
comunque la mia vita tornata a New York sarebbe cambiata... Non potevo
in cuore mio importi la mia decisione.” “Non hai
pensato che forse avrei avuto qualcosa da dire in proposito? Capisco
che a portarlo in grembo per nove mesi sei stata tu, ma metà
del suo patrimonio genetico è come il mio. Questo mi da dei
diritti, non credi? E anche dei doveri, non solo economici ma anche
affettivi, ai quali non ho potuto adempiere negli ultimi dieci
anni!” fermò l'ascensore. Jackie
impallidì, la scossa era stata piuttosto forte, e lei non si
aspettava una reazione così aggressiva da parte di Wallace.
“Sarei potuto essere un ottimo padre!”
“Non puoi saperlo, Wallace. Quel che è certo
è che non saresti arrivato dove sei ora. E l'avresti
rimpianto...” “Questo è qualcosa che tu
non puoi sapere Jackie. Non puoi sapere cosa ne sarebbe stato di me,
né se avrei rimpianto la mia decisione. Cavoli, so cosa
significa vivere senza il proprio padre, e guarda cosa mi hai imposto:
non essere presente nei primi dieci anni di vita di mio figlio. Come
hai potuto farmi questo?” le lacrime iniziarono a scendere
copiose sulle sue guance “Io ti ho amata dal primo momento
che ti ho visto, avrei dato la vita per te, non sono mai riuscito a
cancellarti dalla mia vita, e tu come mi ripaghi? Nascondendomi
l'esistenza di mio figlio? Ma lo hai un cuore, Jackie? Lo hai mai
avuto?” La giovane donna, appoggiata alla parete,
singhiozzava rumorosamente. Tremava e piangeva, non riusciva a
proferire parola. Come poteva spiegargli quanto fosse stata difficile
per lei quella scelta? Con che coraggio ammettere che aveva pensato a
lui ogni giorno da quando si erano lasciati all'aeroporto JFK? Come
ammettere di aver commesso il più grande errore della sua
vita quel giorno? Come...
Alzò la
testa e puntò gli occhi in quelli di lui. “No,
Wallace, non ho più un cuore. É andato in
frantumi il giorno in cui ho dovuto dirti addio.”
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Veronica
uscì dalla stanza quasi correndo, dimentica della presenza
di altre persone nell'appartamento. E così quando, entrata
in cucina, si trovò davanti ad una ragazzina bionda dai
profondi occhi scuri che le ricordava immensamente Meg e Lilly
contemporaneamente, rimase spiazzata per un secondo. Scosse la testa,
confusa e frastornata. Poi la ragazzina aprì bocca:
“Zio Logan buongiorno!” sorrise all'uomo che era
sbucato dalla camera di Veronica. La voce della piccola Lilly ebbe
l'effetto di una secchiata d'acqua fredda sulla giovane donna.
“Lilly?” domandò, mentre gli occhi le
pizzicavano. No non stava piangendo. O forse si.
Veronica fece un passo
verso la ragazzina, e cadde in ginocchio. Non la toccò, non
si mosse, rimase ferma, gli occhi puntati sulla figlia di Duncan e Meg,
mentre le lacrime sgorgavano copiose lungo le sue guance. Non
capiva perché: non era sua figlia, avevano passato assieme
pochissimi giorni, quindi non poteva avere un rapporto privilegiato con
lei. Eppure vederla, viva, felice, quasi una donna... l'emozione che
provava in quel momento era indescrivibile!
“Sei...
bellissima, Lilly!” “Grazie Veronica. Anche tu sei
bellissima, come mi ha sempre detto papà!” e
saltò al collo della bionda investigatrice. Abbraccio che
Veronica, dopo un momento di spaesamento, le restituì!
Logan, appoggiato allo
stipite della porta, le osservò sorridendo. In quel momento
comparve anche Duncan, dalla stanza di Keith. Fece cenno al suo
migliore amico, e restarono tutti fermi, come in una fotografia per
alcuni istanti. Poi Logan decise che era il momento di interrompere
quella scenetta, per quanto commovente fosse. “Che ne dite di
mettere qualcosa sotto i denti? Io ho una fame...” Lilly si
staccò da Veronica e, saltellando per la stanza si mise ad
urlare “Pancake, pancake!” “Sciroppo
d'acero, fragole e panna?” la provocò Logan
“Sì!” “Sono proprio la mia
specialità! Mi dai una mano?”
“Siiiiiii!” era evidente che il fascino di Logan
aveva colpito un'altra volta!
Duncan si
avvicinò a Veronica e le posò una mano sulla
spalla. “Non è meravigliosa?”
“No Duncan, è molto più che
meravigliosa: è magnifica! Hai fatto un lavoro splendido con
lei. Sei un padre fantastico. Nessuno potrà mai accusarti di
non aver offerto il meglio alla tua bellissima figlia!!” Si
era alzata in piedi e guardava Duncan fiera di lui. “Hai
pensato alla mia proposta?” Le domandò Duncan.
“Ci sto ancora pensando. Ho bisogno di un po' di tempo, devo
riflettere bene e soprattutto confrontarmi con mio padre. Dammi un po'
di tempo...” e si avviò verso la cucina. Il
discorso era chiuso, almeno per il momento.
Logan e Lilly stavano
per servire la colazione, così Veronica accese la TV. Erano
due giorni che non riceveva notizie dal mondo esterno. Lo speaker stava
parlando di un arresto avvenuto da poche ore nella contea di Bilboa.
Veronica alzò il volume e attirò l'attenzione di
tutti. Sullo schermo il volto di una giovane agente dell'FBI, autrice
dell'arresto. La donna era proprio bella, di origine sudamericana: la
pelle olivastra, i capelli scuri e mossi. Dietro di lei un volto noto,
quello di Leo D'Amato. I due uomini si voltarono verso Veronica che,
soddisfatta, sorrideva al televisore. “Opera tua?”
“Opera mia. Lei è Angela Weiss, e direi che
è riuscita perfettamente nel suo compito.”
“Vuoi dire...” “Si, DK, sei libero. Il
Signor Manning è appena stato arrestato per maltrattamento
di minori. Per tenere la potestà sulla figlia più
piccola ancora minorenne, la signora Manning ha promesso di ritirare la
denuncia. Così fa l'FBI! Bentornato a Neptune Mr
Kane!”
Duncan
fissò il televisore per un lungo momento, mentre le immagini
del signor Manning in manette si alternavano alle interviste all'agente
Weiss e alle immagini della città di Neptune. Poi, cercando
di non farsi notare da sua figlia, in silenzio, lasciò che
la tensione accumulata negli ultimi mesi fluisse dalle sue lacrime,
mentre Veronica e Logan distraevano la piccola Lilly, mettendo nei
piatti i pancake appena fatti e ricoprendoli di panna e fragole.
La sensazione di
libertà che Duncan provò in quel momento lo
travolse per alcuni minuti, poi si ricompose e si rivolse a sua figlia.
“Ho come la sensazione che dovremo cercarci una casa. Come la
preferiresti, tesoro? Sulla spiaggia o con un bel giardino e la
piscina?” “Ovunque ci sia tu, e ovunque tu sia
felice, papà!” Esclamò la bambina,
mentre lo sciroppo le colava lungo il mento. Duncan non era stato
così felice da fin troppo tempo!
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Si stava preparando
per uscire. Aveva appuntamento con Mac per un caffè e
quattro chiacchiere. Erano capitate un sacco di cose dall'ultima volta
che si erano viste, non da ultima i quattro o cinque minuti in paradiso
con Logan.
Ah,
e come dimenticare la folle richiesta si Duncan? Come se la mia vita
non fosse già abbastanza incasinata di per sé?
Sono tutti ammattiti a 'sto mondo? Maledizione... come se non bastasse
tutto l'alcol che ho ingerito nelle ultime ore mi si sta rivoltando
contro e la mia testa non la smette di pulsare... l'avevo detto io che
era meglio stare lontana dai guai, da Neptune, da Logan... maledizione,
maledizione, maledizione...
Stava cercando una
maglietta da indossare che non gridasse “liceale
ribelle”, ma non riusciva proprio a trovarne. Del resto il
suo guardaroba si era trasferito con lei a L.A., e ciò che
era tornato con lei a Neptune era nell'armadio a casa di Mac e Dick. Si
ripromise di passare da loro a recuperare le sue cose nel pomeriggio.
Ripescò una T-shirt bianca e una felpa rosa, un paio di
jeans piuttosto lisi e delle Convers che avevano almeno otto anni.
Si stava vestendo quando Logan entrò nella stanza.
“Hey!” esclamò lei, infilandosi la
maglietta. Non la imbarazzava farsi vedere in biancheria da Logan. Non
era mai stato imbarazzante, e questa abitudine le era rimasta.
“Hey!” rispose lui “Stai
uscendo?” “Si, girl
talk, come si suol dire. Ho un po' di cose delle quali
parlare con Mac, un po' di cose in sospeso e un po' di segreti da
svelare...” “Immagino anche qualche consiglio da
chiedere, no?” lo domandò con fare divertito, come
per prenderla in giro. Veronica lo squadrò con aria
scocciata. Con il dito indice disegno il contorno del suo viso
“Mi conosci... la mia faccia ti dice che
preferire...” e lasciò la frase in sospeso. Logan
rise di gusto “Fare speleologia?” “No...
passare una settimana con Madison Sinclaire su un isola
deserta!” Poi sorrise “No, non lo preferirei,
forse. No io e Mac non parliamo di certe cose, non siamo
così girl
talk! Ma non ti preoccupare, non mi sono dimenticata di te
e del nostro appuntamento. Io e Mac prendiamo un caffè e poi
andiamo dalla parrucchiera e dall'estetista: unghie e acconciatura per
la serata. Poi io e te penseremo a vestito e scarpe!” Logan
sorrise. Non era cambiata, in fondo!
“Veronica...
volevo parlarti di una cosa.” Lei era in bagno, che cercava
di pettinare i capelli tutti arruffati. “Dimmi”
esclamò, guardando l'immagine di lui riflessa nello
specchio. “Io pensavo... quello che ha detto Duncan mi ha
fatto riflettere. Lui... non è che è ancora
innamorato di te? Cioè, alcuni suoi discorsi mi sono
sembrati molto connessi al passato. Sembra che lui non si sia mai mosso
oltre il giorno in cui vi siete dovuti salutare. Tu non hai avuto
questa sensazione?” Veronica finalmente uscì dal
bagno. Non voleva affrontare quel discorso che era per lei estremamente
doloroso. “Logan... non lo so. Penso che se fuggi e ti lascio
tutto alle spalle, ma allo stesso tempo non puoi costruire nulla nel
tuo futuro... beh forse aggrapparti con le unghie e con i denti al
passato, a ciò che ti rendeva felice come salvagente per la
tua felicità presente... Magari è l'unico modo.
Ma non credo che lui sia innamorato di me, della Veronica che sono
diventata, della Veronica che sono stata dal giorno della
morte di Lilly. Non mi ha mai capita, non è mai andato oltre
l'immagine fittizia che si era costruito di me, di noi. Penso che se le
cose stanno così, presto si renderà conto che io
non sono ciò che vuole e potrà finalmente andare
oltre. Duncan non mi ama, e quello che conta è che io non
amo lui. Non lo penso da anni...”
Logan sembrava essere
molto più rilassato. Chissà perché, ma
aveva bisogno di costanti conferme. Veronica sarebbe stata
più che contenta di dimostrargli quanto fosse legata a lui,
al loro passato, alla loro storia... quanto l desiderasse e quanto lo
avesse segretamente desiderato negli ultimi dieci anni. Dieci anni di
struggenti ricordi. Sapeva benissimo come ci si sente a vivere con il
passato come proprio futuro.
“Mettiamo
che sia effettivamente così” riprese Logan
“Beh... visto che non ne abbiamo ancora parlato e non abbiamo
né il tempo né la forza di parlarne adesso, che
ne dici se tenessimo un basso profilo e, qualunque cosa sia quella che
stiamo facendo, tenessimo per noi... questo?” Lo disse
baciandola “E questo” e la baciò con
crescente entusiasmo “E questo” finalmente lei lo
ricambiò. Era un sì alla sua richiesta: avrebbero
mantenuto il loro piccolo segreto, per qualche tempo almeno.
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Mac la stava
aspettando con due caffè in mano davanti alla sua estetista
preferita: tutte le dipendenti erano asiatiche e nessuna di loro amava
parlare con le clienti. Servizio veloce e preciso, e non era necessario
intrattenersi con loro. Cosa chiedere di più?
Quando vide la bionda
arrivare, si abbassò gli occhiali sul naso e la
fissò avvicinarsi con fare malizioso. “Allora,
Bond? Come ci si sente ad essere una donna libera?”
“Come potrei esprimere la mia immensa gioia se non attraverso
un imbarazzante abbraccio?” e così
saltò al collo dell'amica, che allargò le braccia
per salvare i caffè e si lasciò trascinare
dall'enfasi dell'amica. “Vacci piano V la mia vita dipende
dall'esistenza di questo caffè!” e porse uno dei
due bicchieri di carta all'amica che lo accolse con estrema
gratitudine. “Mac, se tu non fossi già impegnata e
se nello storico stato della California fosse permesso ti chiederei di
sposarmi!” “Allora come è andata nelle
ultime ore? In quali altri guai ti sei cacciata?” la sua era
una battuta, ma il volto di Veronica le fece capire che, per l'ennesima
volta, c'aveva azzeccato: Veronica tanto per cambiare si era infilata
in guai seri.
“Ok, sai
cosa facciamo adesso? Entriamo in questo posto dove tutti sono
estremamente discreti e mi racconti il raccontabile. E intanto ci
facciamo coccolare un poco in previsione della grande serata che ci
aspetta!”
“Mac, leggo
emozione nella tua voce? Come è possibile. Rituffarsi nel
passato... il liceo... le umiliazioni... davvero? Non ti facevo
così sentimentale!” “Oh, Veronica, non
hai idea di quanti sentimenti repressi io abbia bisogno di
sfogare!” La prese sotto braccio e la trascinò nel
salone di bellezza.
Salone dal quale
uscirono due ore dopo: manicure perfetta, mesa in piega di classe e un
sacco di pensieri nella testa. Veronica aveva parlato tutto il tempo e
ora toccava a Mac dire la sua. “Beh, innanzitutto mia cara
devo dire che non ti facevo così brava nel mantenere i
segreti. Anche se forse la cosa non dovrebbe stupirmi così
tanto...sei pur sempre Veronica Mars... Che dire, sono molto contenta
che tuo padre stia bene e che quindi non gli sia capitato nulla di
male. Ma... era proprio necessario fingere un rapimento?”
“Necessario no, ma è stato estremamente utile e
anche un po' divertente!” “Ovvio, se non ci metti
tutti nel sacco non sei contenta... comunque. Non abbiamo molto tempo,
a quanto mi dici per cui andrò dritto al sodo: tu e Logan?
Che novità. Mi sarei stupita del contrario. Come potete ogni
volta cascare nello stesso errore senza aver prima affrontato una volta
per tutte le questioni che da quasi dieci anni tenete in
sospeso?” Le due donne stavano camminando lungo il
marciapiede “Insomma, lui ti ha ferita più di una
volta. Ti sei dimenticata di come ti ha trattata dopo la morte di
Lilly? Era proprio un bastardo. Ti ha nascosto dei segreti, ti
ha mentito, ti ha infilata nella faida tra 09 e PCHers, si
è fatto trovare a letto con Kendall poche ore dopo averti
dichiarato amore epico, che tra parentesi suona molto meglio di eterno,
è andato a letto con Madison... Beh non che tu sia una
santa. L'hai accusato ripetutamente di omicidio, hai tradito la sua
fiducia, l'hai sempre trattato come manchevole e bugiardo, come se non
si meritasse di stare con te... Insomma Veronica, queste sono cose
pesanti. Non si lavano via con un colpo di spugna, non si dimenticano
come se niente fosse. E voi non avete mai affrontato questi
argomenti.”
La delusione sul volto
dell'amica le fece capire di dover addolcire la pillola. “Non
sto dicendo che tu e Logan non dovete stare assieme, sia chiaro. Non
sono io a doverlo decidere. Inoltre voi due siete veramente epici... ti
ha salvato la vita, ti ha protetta, tu non l'hai abbandonato quando
tutto il mondo gli urlava contro e gli hai dato fiducia quando alla
fine hai capito. Quello che penso è che prima o poi dovrete
sedervi attorno a un tavolo, possibilmente con tutti i vestiti addosso,
e parlare. Parlare di voi, arrabbiarvi, chiedere scusa, ma soprattutto
ascoltare quello che l'altro ha da dire. E poi decidere se potete o non
potete stare assieme.” Si sedettero ad un caffè e
ordinarono due spremute d'arancia e due sandwich. Era ora di pranzo
ormai.
“Io l'ho
perdonato. Gli ho perdonato tutto un sacco di tempo fa. Non provo
rancore verso di lui e...” Non fece in tempo a finire la
frase “L'hai perdonato o ci sei passata sopra? No
perché la litigata dell'altra sera mi fa pensare che almeno
lui non ti abbia ancora perdonata!” Dire quelle cose faceva a
Mac tanto male quanto il dolore che provava Veronica nel sentirle.
“Veronica” disse, stringendole la mano “A
maggior ragione dopo quello che vi è stato chiesto ieri sera
dovreste prendere le cose sul serio, riflettere bene e capire se potete
farcela. Non fatevi trascinare dai sentimenti e dall'attrazione.
Metteteci un po' di testa questa volta. Se accettate di diventare
tutori della bambina, non ci saranno solo le vostre vite in ballo, ma
anche la sua. Sua madre è morta, suo padre è...
un fuggiasco. Se anche i suoi punti di riferimento la abbandonano come
crescerà?” Veronica non aveva ancora assaggiato il
suo sandwich. Un vago senso di nausea la permeava, la testa le girava e
le sudavano le mani. Rispondere a Mac sarebbe stato rendere reale la
sua decisione, che fino a quel momento era stata una questione intima e
personale.
“Mac, io non
voglio essere il tutore legale di Lilly. Non posso esserlo!”
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Duncan e Logan erano a
casa, con la piccola Lilly che disegnava sul tavolo della cucina. La
televisione andava, ma nessuno dei due vi prestava attenzione. Stavano
parlando degli ultimi dieci anni, di come erano cambiate le loro vite.
Duncan sorrise all'amico, prima di coglierlo alla sprovvista.
“Certo abitudini, però, non cambiano
mai?” “Di cosa stai parlando?”
domandò Logan, anche se aveva come la sensazione di sapere
dove i suo vecchio amico stesse andando a parare. “Come
essere più chiaro...” Duncan sembrava sia
divertito che irritato da ciò che stava per dire
“Tu e Veronica. Può accadere di tutto e voi due,
chissà perché, vi ritrovate sempre l'uno tra le
braccia dell'altro. Ma non vi ricordate dei disastri che combinate,
ogni volta che siete assieme? Siete una bomba a
orologeria...”
Logan
scoppiò in una risata nervosa, quasi isterica. “Ma
di cosa stai parlando DK? Io e V? Spero tu stia scherzando, insomma,
non è che ci siamo frequentati spesso negli ultimi dieci
anni. Anzi, ci siamo sapientemente evitati. Dopo che mi ha chiuso la
porta in faccia dopo l'affare Piz, ci siamo visti solo in occasione del
matrimonio di Mac e Dick. Ma visti è il termine adatto:
abbiamo condiviso lo spazio visivo solo in quanto testimoni, ma a mala
pena ci siamo rivolti la parola. Dopo i brindisi lei è
evaporata! Non c'è più stato nulla tra di
noi...” “Fino a ieri sera, no? Dai Logan non
trattarmi come se fossi un imbecille. Conosco i segnali: tu e lei che
vi stuzzicate meno aggressivamente del solito, la tensione è
palpabile. E poi, ricordati, gli sguardi che oggi lancia a te una volta
erano rivolti a me! Anche se non erano così... passionali.
Penso che la maturità le stia facendo bene, almeno da quel
punto di vista. Siete stati silenziosi la scorsa notte...”
“Non so cosa
pensi di aver visto, Duncan, ma io e Veronica non siamo stati assieme
la scorsa notte, né una notte qualunque degli ultimi anni.
Si, ho passato la notte in camera sua, ma non è successo
nulla tra di noi: te lo giuro!” “Logan, non so cosa
sia successo, ma so cosa succederà: tu è Veronica
è matematico, si tratta di chimica e fisica, non
può che essere così. Lo sanno tutti quelli che vi
hanno conosciuti e visti assieme, tutti tranne voi.”
“Io non
posso... io non so... DK... ci siamo rivisti dopo dieci anni e tu vuoi
tirare fuori questo argomento subito?” “Si Logan,
perché voglio mettere in chiaro una volta per tutte che
Veronica per me è una delle persone a cui sono
più legato e a cui voglio più bene. Se fossi
rimasto a Neptune magari le cose sarebbero andate diversamente, ma
dieci anni di distanza, una figlia illegittima e la mia fuga hanno
diciamo offuscato i miei sentimenti. L'immagine di Veronica che ho
portato via con me non ha molto a che spartire con la Veronica in carne
ed ossa che entrambi conosciamo. È molto vicina alla
Veronica delicata e sensibile, candida e innocente della quale mi sono
innamorato anni fa. La Veronica con la quale abbiamo a che fare oggi
è invece molto simile a quella di cui ti sei innamorato tu.
Ed era anche quella che ti ha ricambiato fin dal primo momento. Non
incondizionatamente, ma Veronica ti ha amato moltissimo: almeno quanto
tu hai amato lei.” Duncan tacque brevemente. “ Ti
sto dando la mia benedizione Logan, per quanto valga. Io non penso
più a Veronica in quel modo da anni. Ho avuto mia figlia e
la nostra fuga a riempirmi la testa da quando ho lasciato Neptune, e
ben poco tempo per rimpiangere il passato. Ma mi sono reso conto che
non desideravo più Veronica, e soprattutto che lei non
desiderava più me, nel momento in cui ha risposto al
telefono la prima volta che ci siamo sentiti. C'era affetto, forse un
po' di nostalgia nel suo tono; ma di sicuro non c'era struggimento.
Come d'altronde non c'era nel mio di tono.”
Logan sorrise al suo
vecchio amico. Non sapeva ancora cosa sarebbe successo, non aveva fatto
piani e non aveva intenzione di farne. Voleva fare un passo alla volta,
cercando di godere di ogni momento quanto più possibile
senza però dimenticare i loro problemi o passare sopra alle
questioni lasciate in sospeso. Voleva confrontarsi con Veronica, capire
cosa desiderava lei, scoprire se almeno uno dei riusciva ad immaginarsi
una vita assieme e fosse quindi disposto a combattere per riuscirci.
Avere il benestare di Duncan era per lui fondamentale. Stava per
alzarsi ad abbracciarlo quando le immagini alla TV attirarono la loro
attenzione. Lo sceriffo stava ammanettando accompagnando la signora
Manning e le due figlie in centrale. Logan alzò il volume.
La giovane e avvenente speaker stava raccontando l'accaduto
“Pare che le tre donne siano state convocate presso l'ufficio
dello sceriffo della contea di Balboa all'interno del processo che vede
coinvolto Derek Manning, arrestato ufficialment poco fa. Le
autorità federali stanno prendendo in mano il caso. Da
Darline Connor è tutto, a voi la linea.”
“Beh, a
quanto pare sei un uomo libero, amico mio! Questa sera avremmo un sacco
da festeggiare!”
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Era seduto al bar con
lei da almeno una ventina di minuti ed era già al terzo
whisky. Non le aveva ancora permesso di aprire bocca, ma sapeva che
prima della fine del quarto whisky avrebbe dovuto permetterle di
parlare. Prese in mano il bicchiere, la guardò fissa negli
occhi, poi, prima di avvicinare il vetro alle labbra finalmente le
parlò. “Hai cinque minuti per dirmi quello che hai
da dire. Poi vedremo...” e iniziò a sorseggiare il
suo drink.
“Wallace,
che dire, come scusarmi o giustificarmi? Nulla. Ti posso solo
raccontare come è andata. Ci siamo lasciati al JFK. Io sono
tornata alla mia routine, rimpiangendo il fatto di averti lasciato
andare, di non averti seguito. Ma avevo una figlia da crescere, una
bambina che mi aveva vista per pochi mesi... avrei rinunciato comunque
a qualcosa. Ho optato per lasciarti andare via: mia figlia non poteva
crescere senza di me, tu senza di me saresti stato libero. Sono passati
due mesi. Io avevo il mio tran tran. Stavo cercando di portare avanti
la mia vita: studiavo per iscrivermi all'università,
lavoravo alla tavola calda con mia madre e finalmente facevo il mio
dovere, facevo la mamma. Avevo detto a Tessa che ero io la sua mamma.
Poi le nausee sono cominciate. L'avevo passata da poco, il mio ricordo
della maternità era così fresco che ho capito al
volo cosa fosse successo. Le prime settimane sono state un incubo,
perché non sapevo proprio cosa fare. Chiamarti e dirtelo?
Cosa avrei ottenuto? Le opzioni erano due: che tu corressi da me e
rinunciassi alla tua vita, e io mi sarei sentita in colpa per tutta la
vita. Oppure avresti potuto ignorarmi."
Poi proseguì. "Non ero preparata a dirtelo,
a sconvolgerti la vita e a subirne le conseguenze. Non volevo ferirti,
non volevo costringerti... e non volevo anche questa
responsabilità. Ne avevo già abbastanza di
crescere due figli. Gestire anche il padre di uno dei due che magari mi
avrebbe odiata o addirittura avrebbe voluto portarlo via da
me...” Tacque per un lungo momento, cercando di leggere
qualcosa negli occhi quasi inespressivi di lui. Dato lo scarso
risultato riprese a parlare.
“Sono stata
profondamente egoista, lo so, e mi sono sempre detta di averlo fatto
per te. Anche per pulirmi la coscienza. Ma ti ho sempre pensato, non
sai quante volte ho pensato, provato, tentato di contattarti per dirti
tutto, ma più il tempo passava più per me era
difficile dirti la verità, informarti che eri diventato
padre, farti conoscere tuo figlio. Ero sicura che non mi avresti mai
perdonata e volevo posticipare il più possibile il momento
in cui tu mi avresti detto che mi odiavi. Ero certa che sarebbe stato
il momento più difficile della mia vita e volevo solo
rimandarlo...”
“Ma io non
ti odio!” l'aveva interrotta all'improvviso. Finalmente aveva
parlato e ciò che aveva detto non si avvicinava nemmeno
lontanamente a ciò che Jackie si aspettava da lasciarla
esterrefatta. “Non mi odi? Nonostante quello che è
successo?” “No Jackie. Trovo ingiusto quello che
hai fatto, e sarà difficile buttare giù questo
boccone amaro. Ci vorrà del tempo, ma è qualcosa
su cui dovremo lavorare. Non ho intenzione di odiare la madre di mio
figlio, la prima donna che ho amato, la donna che non ho mai
dimenticato. Dovremo lavorare per sistemare questa cosa, ma prima di
tutto vorrei conoscere mio figlio, riconoscerlo e occuparmi di lui.
Fare tutto quello che posso per lui ma anche per te.”
Wallace
parlò ancora a lungo, ma l'unica cosa che Jackie aveva
registrato era che lui non l'aveva dimenticata. Forse era valsa la pena
aspettarlo.
Spazio autrice:
Promessa mantenuta! Manca poco alla fine! Grazie a chi segue!
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Capitolo 22 *** Preparativi ***
Preparativi
Ne aveva abbastanza di
confidenze e segreti, e idem valeva per Mac: non erano mai state due
classiche ragazze che passano il tempo a colorarsi le unghie e parlare
di ragazzi. Avevano sempre ridotto al minimo i momenti femminili,
scambiandosi le informazioni solo quando necessario. Mac non aveva mai
chiesto consigli a Veronica su come vestirsi, con chi uscire e via
dicendo. Veronica si era confidata con Mac solo per quanto riguardava
l'essenziale, senza scendere troppo nel particolare nonostante Mac
fosse la sua più cara e intima amica. Mac sapeva che
qualcosa era successo alla festa di Shelly Pomroy, ma non sapeva cosa.
Veronica non aveva mai voluto sapere cosa fosse successo a Mac la sera
con Beaver, nulla oltre a ciò che l'amica aveva deciso di
raccontarle. Aveva deciso che avrebbe rispettato il desiderio di
intimità della sua amica e così era stato.
Insomma, avevano fatto
il pieno per i prossimi sei mesi al salone di bellezza e stavano per
salutarsi quando il telefono di Veronica suonò: la sua
segreteria telefonica aveva raccolto la voce di qualcuno. Era un
messaggio di Wallace. Mac era già salita in macchina e stava
per mettere in moto quando Veronica le si lanciò
praticamente sul cofano. “Abbiamo un'emergenza, Mac... che ne
dici se andassimo assieme a comprare il vestito per questa sera in
compagnia anche di un atletico e stupendo uomo?”
Mac abbassò
gli occhiali da sole e annuì. Le erano sempre piaciute le
sorprese.
Estrasse le chiavi dal
pannello di accensione. “Ma non avevi un appuntamento
importante con qualcuno di molto importante?” Veronica
sbiancò. Si era dimenticata della promessa fatta a Logan
qualche ora prima nel momento in cui aveva sentito la voce disperata di
Wallace. Recuperò il telefono dalla tasca e si
preparò a una dolorosa telefonata.
-----------------------------
Era in ritardo. Lei
non era mai in ritardo, mai. Poteva significare solo due cose: o era
successo qualcosa o si stava tirando indietro. Entrambe le opzioni lo
mettevano in agitazione. Quel tizio dell'FBI sembrava non aver
dimenticato lo sgarro che Veronica gli aveva fatto più di
dieci anni fa, e sembrava più che disposto a fargliela
pagare. La presenza dell'agente Patterson lo preoccupava non poco:
Veronica aveva sempre avuto la magica capacità di ficcarsi
nei guai senza volerlo e soprattutto senza accorgersene. Sperava che
non fosse così, che Veronica non si fosse messa contro uno
più grosso e cattivo di lei.
Per quanto si
augurasse che Veronica stesse bene, dall'altra non poteva che
interpretare il suo comportamento come un rifiuto. L'alcol, la
stanchezza, lo stress. Forse ci stava ripensando e non voleva
più avere a che fare con lui... era confuso e preoccupato.
Avrebbe voluto chiamarla, ma allo stesso tempo non voleva chiamarla,
non voleva metterla sotto pressione e costringerla a rispondergli, a
decidere.
Mentre si tormentava,
faceva passare il telefono cellulare da una mano all'altra. Chiamarla o non chiamarla?
Proprio in quel momento il cellulare squillò: era Veronica,
finalmente.
“Hey,
iniziavo a temere che mi volessi dare buca senza nemmeno una
chiamata!” “Hey! Sai che chiamo sempre per darti
buca!” Ok,
non è arrabbiata, ma c'è qualcosa che non va,
pensò Logan, dopo che la biondina ebbe risposto.
“Non verrai...” provò.
“Avresti dovuto aspettartelo, Logan: Jackie che torna con un
pacco sorpresa per Wallace e secondo te io non vengo
coinvolta?” non erano delle scuse... “Scusa
Logan...” il tono di Veronica era veramente dispiaciuto
“Avevo proprio voglia di passare un paio di ore con te.
Però se vuoi posso mettere sul tuo conto gli acquisti miei e
di Mac! Insomma, potrai far felici due donne!” Logan
scoppiò a ridere “Ti prego, Veronica, spendete
tutto quello che volete, purché siate meravigliose. Ci
vediamo questa sera, ok? Saluta Mac e chiedi scusa a Wallace da parte
mia!”
Era più
tranquillo ora, anche se gli dispiaceva molto non poterla accompagnare.
Ma almeno si sarebbe goduto la sorpresa.
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Wallace le
raggiunse alla boutique che Mac gli aveva indicato. Le due stavano
già provando la prima mise.
Mac indossava un abito lungo mono spalla di un bel verde acceso. Le
curve della giovane donna si erano arrotondate dopo la gravidanza, e il
vestito le metteva in evidenza. Forse un po' troppo. Certo, il colore
le donava, ma forse l'abito era un po' troppo formale per l'occasione.
Veronica, seduta su un divanetto, sorseggiava un aperitivo analcolico
mentre osservava l'amica che camminava su e giù per il
camerino. “Non so, Veronica, non stiamo andando alla serata
degli Oscar... e poi mi toccherebbe mettere delle scarpe troppo
alte...” Non si era accorta dell'arrivo del giovane uomo che,
ridendo, attirò la loro attenzione
“Già, Veronica, tu che sei così
femminile, cosa ne pensi?” Veronica, che indossava una
vestaglia di seta si alzò e gli girò attorno.
“Beh, mi sembra che l'esperto potresti essere proprio tu! Sto
ancora cercando di capire quale delle ragazze Gilmore tu
sia!” e gli sfilò la giacca. “Ti
dispiace se, mentre ci racconti cosa è successo, io e Mac
diamo fondo alla carta di credito di Logan Echolls? Questa sera abbiamo
tutti un appuntamento importante, no?” Wallace
annuì e si accomodò sul divanetto
occupato fino a poco prima dalla sua migliore amica. Era troppo agitato
per rendersi conto di ciò che la sua migliore amica aveva
appena detto: lei stava spendendo i soldi di Logan Echolls.
Dopo un profondo
sospiro Wallace cominciò a parlare. La sua voce era
leggermente tesa. “Che dire... sono papà di un
bellissimo bambino di dieci anni. È sveglio, simpatico, in
salute. A quanto mi ha detto Jackie è intelligente, va bene
a scuola, è bravo negli sport e ha un sacco di amici.
È un bambino sereno e felice che però
è stato costretto a crescere senza un padre, tutto per colpa
di Jackie, delle sue paure e del suo egoismo.” Veronica a e
Mac lo fissavano senza aprire bocca. Aveva bisogno di sfogarsi, non di
sentire le due donne criticare o giustificare Jackie. Era lui che
doveva trovare un equilibrio e in qualche modo fare pace con lei e il
suo passato.
“Però in fondo la capisco”
continuò, mentre Veronica sguisciava in camerino per provare
un vestito senza maniche, lungo fino alle caviglie di un acceso blu
elettrico. Mac nel frattempo stava adocchiando un abito corto, a
tunichetta viola con delle trasparenze sulla scollatura. Era elegante e
classico, sensuale ma non eccessivo. A Dick sarebbe piaciuto
moltissimo.
“Vedete ragazze, non me la sento di accusarla e basta. Non so
io come avrei agito, al posto suo. Insomma, già la sua vita
era rovinata, perché rischiare di rovinare anche la mia?
L'ha fatto per me. O almeno questo è quello che dice. Dovrei
crederle secondo voi?” Veronica sbucò da dietro la
tenda e guardò la giovane madre negli occhi. Cosa fare
adesso? Mac prese la parola. “Le credi o no? Insomma Wallace,
tu la consoci, tu l'hai amata e non sei mai riuscito ad andare oltre...
crederle o meno non può dipendere da noi!”
Veronica sorrise: Mac aveva trovato la soluzione giusta e soprattutto
l'aveva fatto senza tirarla in ballo.
“Già Wallace, è una domanda che devi
porre a te stesso. Ma secondo me la prima cosa che devi chiarire a te
stesso e a Jackie è se vuoi entrare a far parte della vita
di tuo figlio, e quindi, anche di quella di Jackie...”
“Io voglio... cavoli, è mio figlio. Ha diritto di
avere un padre e io ho il diritto di stare con lui. Jackie non
avrà voce in capitolo. Se non mi vuole vedere... beh sono
affari suoi. Ma non può impedirmi di crescere mio
figlio!”
“Quindi tu
vuoi stare vicino a tuo figlio con o senza Jackie?”
domandò Veronica mentre mostrava all'amica l'abito appena
indossato. Mac scosse la testa. “Troppo lungo e formale. Che
ne dici di questo? E le allungò un vestito senza maniche, di
raso rosso, lungo solo fin sopra le ginocchia. Veronica ebbe un
sussulto. Lei era da raso rosso senza maniche? Forse, ma non in
quell'occasione. Quel vestito le ricordava una giovane donna molto
arrabbiata nella quale lei non si riconosceva. Fece cenno all'amica che
avrebbe fatto un giro alla ricerca di qualcosa di più
divertente. Dopo poco si bloccò di fronte a un espositore.
Forse aveva trovato quello che cercava. Era rosso e senza spalline, ma
la sottoveste in raso scuro era coperta da un leggero strato di tulle
trasparente, rosso e tempestato di lustrini. Una fascia sotto il seno
faceva partire l'ampia gonna che arrivava poco sopra il ginocchio. Era
il suo vestito: scarpe col tacco nere, capelli legati, trucco discreto.
Niente collana, solo gli orecchini e il braccialetto che Logan le aveva
regalato per il suo compleanno tanti, troppi anni prima. Perfetto!
Wallace non aveva
proferito parola per un po', pensieroso. Poi finalmente
ricominciò a parlare. “Sarebbe molto meglio se ci
fosse anche lei nella mia vita... io non l'ho mai dimenticata e dubito
di poterci riuscire. A maggior ragione ora che so che è la
madre di mio figlio. Come posso solo immaginare di avere un'altra donna
nella mia vita, ora che io e lei dividiamo non solo un passato assieme,
ma anche il nostro futuro? Non so se lei pensi ancora a me, sta di
fatto che non ha avuto altri uomini nella sua vita. Forse
perché non aveva tempo... probabilmente è per
questo... però...” ammutolì
all'improvviso, quando le due ragazze uscirono dai loro camerini,
indossando due abiti perfetti ed elegantissimi. Erano gli abiti che
facevano per loro! Mentre le guardava compiaciuto non poté
non pensare a quanto bella fosse Jackie la sera del ballo
alternativo... la sua pelle così morbida, il colore
così caldo fatto risaltare dal bianco candido dell'abito che
indossava quella sera; i capelli di lei, lisci, che gli solleticavano
il volto... “Ragazze, e se io provassi a riconquistarla?
Sarei folle a riprovarci con lei?” le due si guardarono con
fare complice. “Ditemi la verità! Siate sincere!
Come reagireste se... beh se il vostro ragazzo del liceo vi chiedesse
di sposarlo dopo dieci anni che non vi vedete?”
Veronica era davvero
in imbarazzo. Lei e il matrimonio non erano due concetti in grado di
convivere dopo tutti i tradimenti cui aveva assistito e dopo quello che
era accaduto alla sua famiglia. Inoltre il suo non amore per Jackie le
impediva di essere obbiettiva in merito all'idea di Wallace.
Lasciò quindi che fosse Mac, felicemente sposata con Dick
Casablancas, a dire la sua.
“Sarebbe un
gesto... quasi eccessivo. Insomma, potrebbe essere frainteso e a dire
il vero non è chiaro nemmeno a me perché tu
voglia chiedere a Jackie Cook di diventare tua moglie. Non mi
fraintendere però... scopri di essere padre e dopo nemmeno
ventiquattr'ore chiedi alla madre di tuo figlio di sposarti dopo anni
di lontananza... sarebbe legittimo domandarsi se lo fai
perché sei ancora innamorato di lei, lo sei sempre stato e
lo sarai per sempre, oppure se lo fai perché ti senti in
dovere di prenderti cura di lei e dei suoi figli...” Mac
tacque, rimirandosi nello specchio mentre Veronica provava
due diverse paia di scarpe e Wallace si tormentava le mani.
“Se
è per questo secondo motivo, beh, basta che tu riconosca la
paternità e decida di non far mancare loro nulla. Non devi
rimediare a nulla, Wallace, non devi sposarla per mantenere un impegno
che nemmeno hai preso. Se invece sei ancora legato a lei, e non solo
perché avete un figlio assieme, beh allora hai tutto il mio
appoggio, Wallace. Il vero amore capita forse solo una volta nella
vita, e quando lo si trova è bene non lasciarselo sfuggire.
Se ami Jackie e l'hai sempre amata, beh... sai cosa devi
fare.” Detto questo si diresse al reparto accessori: lei e
Veronica dovevano trovare due copri spalle, e scarpe e borse in
coordinato. Mancava veramente poco alla loro grande serata.
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Le mani di
Weevil sudavano... era una serata molto molto importante per lui, molto
delicata. Parker si stava truccando in bagno. Lui indossava uno smoking
preso a prestito, grigio; la camicia era nera, la cravatta rosa. Era
elegante. Tanto elegante quanto teso.
“Tesoro,
dimmi un po'... da chi devo tenermi alla larga questa sera? Non mi va
di passare il mio tempo in mezzo a spocchiosi e noiosi californiani
pieni di sé... ho a che fare con loro tutti i giorni...
genitori terribili che viziano i loro figli. È l'unica cosa
che sono in grado di fare... e come crescono questi ragazzini?
Diventano dei moderni Logan Echolls o Dick Casablancas... mioddio. Ma
sai a cosa mi tocca assistere ogni giorno? Però hai ragione
tu, non devo sputare nel piatto in cui mangio. Insomma, sono questi
ricconi sfacciati che mi pagano lo stipendio. Sono stata fortunata a
conoscere te, Eli, sono stata così fortunata. Tu sei un uomo
meraviglioso. Però sono contenta, sai, questa sera
rivedrò Veronica dopo un sacco di tempo. Non pensavo che
l'avrei mai detto, ma mi è mancata la ragazza! Serata tra
ragazze: io, lei e Cindy! Non capitava dal college! E poi ci sarai tu.
Vedrò la tua scuola, i tuoi amici di un tempo. Mi
presenterai anche quelli della tua gang vero? Sono così
emozionata... e curiosa... e felice. Sono così felice con te
Eli! Ma sai che il giorno in cui ci siamo conosciuti io sarei
già dovuta essere a Denver? Il caso... che strani giochi che
fa!” Poteva andare avanti così per delle ore.
Weevil lo sapeva. E lui poteva stare ad ascoltarla per ore. Adorava la
sua voce, fresca e squillante; gli dava serenità. Era uno
dei motivi per cui la stava aspettando in camera da letto, in
ginocchio, con una scatoletta di velluto aperta, e qualcosa di
luccicante dentro.
Il fiume di parole di
Parker continuava ininterrotto. La voce si stava avvicinando e le mani
di Eli Navarro sudavano sempre di più. “... e
allora le ho detto...” si ammutolì all'improvviso,
portando le mani alla bocca. Eli rimase in silenzio per un brevissimo
istante, ammirando la sua bellezza. Indossava un abito di pizzo nero,
con una sottoveste rosa. Era corto, e metteva in mostra le lunghe ed
abbronzate gambe della sua ragazza. Lunghezza esasperata dalle scarpe
col tacco, munite di zeppa. I capelli sciolti le cadevano sulle spalle.
Era meravigliosa.
Eli deglutì
e poi finalmente parlò. “Parker Lee, sei troppo
bella per essere vera... per essere qui. Non ho mai osato sognare che
una ragazza come te prendesse in considerazione uno come me. Eppure
è successo. E allora oggi voglio osare ancora di
più... vuoi sposarmi?”
Parker rimase
immobile, la sua figura si stagliava nello specchio della porta per un
tempo che a Eli sembrò pressoché infinito. Poi
Parker crollo sulle ginocchia, piangendo. “Potevi chiedermelo
cinque minuti fa, così non mi rovinavo il trucco?”
Eli sorrise, estrasse dalla scatoletta l'anello e le prese la mano.
Singhiozzando lei sorrise “Si Eli, è un si. Voglio
sposarti, voglio diventare la signora Navarro...” Solo a quel
punto le infilò l'anello al dito. “Se non altro
avrete qualcosa di cui parlare, voi tre!”
-----------------------------
Logan e Duncan erano
pronti, aspettavano che arrivasse la baby sitter. Logan aveva anche
chiamato Jackie, che era stata entusiasta della proposta. In fin dei
conti i bambini avevano la stessa età, si sarebbero potuti
conoscere e fare amicizia. Jackie stava arrivando lì con i
bambini, Wallace li stava portando a casa Mars. La speranza di tutti
era che Keith sarebbe rientrato prima e si fosse preso cura lui dei
bambini, ma secondo Cliff era meglio tenere un profilo basso, e quindi
Keith si era preso un paio di giorni di vacanza. Non aveva detto a
nessuno dove sarebbe andato, ma lui e Cliff avevano deciso di sparire
un po' dalla circolazione. Forse erano andati a pesca, forse a Las
Vegas, per giocarsi tutti i loro risparmi. Non aveva importanza.
L'assenza di Keith aveva permesso a Duncan e prole di rimanere in casa
Mars, senza doversi far vedere.
Per Duncan era stato
abbastanza umiliante dover andare all'ufficio della contea. Aveva
passato lì tutto il pomeriggio, a rispondere alle domande
fastidiose dello sceriffo Van Lowe, uomo che a suo tempo lo aveva
aiutato a scappare. Era stato imbarazzante dovergli spiegare come aveva
fatto a scappare, e perché lo avesse fatto. Dove fosse
andato e via dicendo. Aveva anche incrociato Dominick Patterson che lo
aveva fulminato con lo sguardo. Subito lo sceriffo era intervenuto,
allontanando l'agente dell'FBI dalla stanza degli interrogatori.
Quando, quattro ore dopo, era uscito dall'ufficio dello sceriffo,
Duncan era a dir poco sfinito. Arrivato a casa di Veronica aveva
lasciato sua figlia a Logan e si era buttato sotto la doccia. Voleva
buttarsi quel pomeriggio dietro le spalle. Dimenticare lo sguardo
derisorio con cui lo sceriffo lo aveva fissato, le parole taglienti con
le quali aveva tentato di ferirlo. Di lì a due giorni l'FBI
avrebbe aperto una commissione d'inchiesta per accertare i fatti. Per
fortuna a capo di tutto c'era Angela, che desiderava per Duncan solo la
serenità. Avrebbe fatto di tutto per archiviare la questione.
Ma il momento
più difficile della giornata era stato quando, uscendo dalla
centrale, aveva incontrato la mamma di Meg. I suoi occhi non erano
carichi di odio e astio, ma di infelicità e rimorso. L'aveva
guardato mentre trascinava con sé la sua nipotina. Sapeva
che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quella questione, mettere
tutte le carte in tavola e decidere cosa fare con i Manning. Avevano
diritto di conoscere la loro nipotina, ma lui voleva concederglielo?
Non era quello il
momento di pensare a cose così tristi, si disse, mentre
annodava il farfallino. Ora
mi aspetta un bel tuffo nel passato: vediamo di godercelo fino in fondo!
Era tutto a posto. Finalmente.
“Papà,
sei stu-pen-do! Non ti ho mai visto così elegante in vita
mia! Ti prego facciamo una foto assieme!” Gridò
Lilly, correndogli in contro ed estraendo il cellulare dalla tasca.
Come dirle di no? Lui, dal canto suo, non c'era mai riuscito! La
abbracciò forte e sorrise alla videocamera. La
baciò sulla guancia e le raccomandò di fare la
brava con la baby sitter e con gli altri bambini.
In quel momento
bussarono alla porta. Logan diede il benvenuto a Heather con la quale
da anni manteneva un'amicizia sui
generis. La ragazzina era estremamente intelligente, tanto
da essere due classi avanti rispetto alla sua età. Aveva
quindici anni e si stava preparando all'ultimo anno di scuola. Poi
college, probabilmente Harvard, anche se l'MIT aveva richiesto un
colloquio con la giovane studentessa. I due stavano ridendo amabilmente
in salotto, mentre Logan collegava l'X-Box e tirava fuori un po' di
giochi da una scatola. “Sono un po' datati, ma di sicuro
troverete qualcosa con cui divertirvi. Non faremo troppo tardi,
spero!” “Oh, io spero proprio di si!”
disse Heather, con fare malizioso. “Allora questa
è la casa di Veronica... interessante”
“Oh no, lei non ci vive più da anni”
rispose Logan, tirandosi in piedi.
“E questo
è Duncan Kane, con sua figlia Lilly. Duncan, lei
è Heather, la ragazzina più intelligente che
conosco. Probabilmente l'unica persona al mondo in grado di mettere nel
sacco anche la nostra amica Veronica!” Duncan era stupito.
Con poche persone Logan si dimostrava così aperto, solare...
spontaneo. Quella ragazzina aveva un potere su di lui non indifferente.
“Signor Kane, mi occuperò io di sua figlia. Non si
preoccupi, ho seguito un corso di primo soccorso e ho una reputazione
da mantenere. Facendo la baby sitter mi sto pagando il college, quindi
non si preoccupi, sua figlia è in buone mani!” e
poi si diresse verso la camera di Keith, per conoscere Lilly Kane.
“Chi
è quella forza della natura?” domandò
Duncan non appena la ragazzina scomparve dietro lo stipite della porta.
“Te l'ho
detto, DK, l'unica persona al mondo in grado di farla sotto al naso di
Veronica Mars!” e dicendo questo si sistemò il
bavero della giacca. Indossava un doppio petto con gilet di raso a
fantasia floreale, come quello che era stato di suo padre e che aveva
indossato al limo-party con Veronica Duncan e Lilly. Ma questa volta il
panciotto era rosso, per indicare continuità e rottura con
il passato, il suo passato, quello di Duncan e di Veronica. Quella sera
per Logan rappresentava un nuovo inizio, una svolta. Tutto doveva
essere perfetto.
Bussarono alla porta:
era Wallace, accompagnato da una sempre stupenda Jackie e dai due figli
di lei. Jackie era come sempre elegantissima: negli ultimi anni
avrà anche fatto la barista e la cameriera, ma il suo era
come sempre un portamento da modella. Aveva i capelli raccolti in uno
chignon morbido dal quale alcuni boccoli sfuggivano. La figura magra e
affusolata era messa in risalto da un abito da sera estremamente
elegante: pizzo marrone chiaro, quasi grigio, impreziosito da dettagli
oro su una sottoveste morbida. Nonostante le due gravidanza Jackie non
era cambiata di una virgola, e Wallace sembrava non riuscire a staccale
gli occhi di dosso.
“La
limousine è già sotto che aspetta!”
disse uno sconvolto Wallace, cappello a cilindro e smoking... sembrava
di tornare indietro nel tempo. L'attenzione dei bambini era tutta per
Heather, i giochi in scatola e Lilly. Heather li accolse con un sorriso
e invitò gli adulti ad andare “Farete tardi. Da
qua ci penso io, ok? Divertitevi e non pensate troppo a noi... ce la
caveremo!” Jackie baciò i suoi bambini, Duncan
raccomandò alla figlia di fare la brava e Logan fece
l'occhiolino alla ragazza responsabile e matura che si sarebbe presa
cura dei bambini. Recuperati i portafogli e gli inviti, gli ex compagni
di classe uscirono da casa Mars. La serata stava per cominciare.
Sarebbero andati direttamente alla scuola, Mac Dick e Veronica li
avrebbero raggiunti lì. Logan non stava nella pelle...
Veronica gli aveva mandato una fotografia, un particolare dell'abito
che avrebbe indossato. Non vedeva l'ora di ammirare il resto.
-----------------------------
Veronica
stava sistemando il trucco. Nulla di eccezionale, non voleva essere
troppo appariscente. Già il vestito lasciava ben poco
all'immaginazione, non voleva certo passare per un'esibizionista.
“Veronicaaaaa”
urlò Mac dal piano di sotto “a che punto
sei?”
“Quasi
finito, Q, e tu?”
“Sono
pronta, ma altrettanto non si può dire di mio marito... lui
e mio padre si sono messi a giocare con i bambini quando glieli ha
portati... non so chi è più infantile tra i due.
Abbiamo ancora dieci minuti prima che arrivi, quindi tranquilla. Se
vuoi ti aspetto sul terrazzo per un aperitivo. Bellini?”
“Non hai
qualcosa di più forte... chennesò... glicerina!
Mac, stiamo per tornare nel luogo die nostri tormenti...”
“E bellini
sia! Ti aspetto!”
E con un rumore di
tacchi Mac si diresse verso la cucina.
In quel momento il
telefono di Veronica suonò.
“Papà!
Dove sei? Come stai? Riusciamo a vederci prima di questa serata
terribile che mi aspetta?”
“Tesoro! Sto
bene, grazie. Io e Cliff siamo in viaggio...”
“In
viaggio?” rispose veronica, stupita. “Si tesoro,
tornare oggi potrebbe sembrare un po' sospetto, non ti pare? Le accuse
contro Mister Kane crollano, lui torna e io, che dovevo indagare su di
lui, ricompaio. Tutto questo in meno di ventiquattr'ore potrebbe far
accendere una lampadina anche in quella zucca vuota che è
Vinnie... E poi ho proprio bisogno di un paio di giorni di vacanza. Ti
dispiace? Torno domani o dopo domani! Adesso ho solo voglia di starmene
con Cliff seduto in riva ad un laghetto, in silenzio, canna da pesca in
una mano e birra nell'altra...”
“Ma certo
papà... rilassati e riposati. La questione di Duncan la
posso gestire io senza problemi, quindi prenditi una pausa. Saluta
Cliff da parte mia e ringrazialo. Buona serata
papà...” disse infine, sorridendo al telefono come
se suo padre fosse lì con lei. “In bocca al lupo
tesoro! Eh... vedi di non metterti qualcosa di troppo corto, va bene?
So che Logan Echolls è in città!”
Veronica arrossì. Forse
è molto meglio che lui non sia qui in questo momento.
Chissà cosa penserebbe di me e Logan che... cosa stiamo
facendo di preciso? Non ha importanza... “Ciao
papà!” “Ciao tesoro, fai la
brava.”
La linea dava di nuovo
libero.
Veronica
provò a infilare il telefono in borsetta. Maledette pochette, non ci sta
nulla. Beh, papà l'ho sentito ora, il cellulare non mi
servirà proprio questa sera... quasi quasi lo lascio qui!
Pensò, infilandosi le scarpe e recuperando il copri spalle. Mah si, niente stress questa
sera! Solo un rilassante tuffo nel passato. Rilassante... insomma...
forza Veronica, inspira ed espira. Andrà tutto bene.
Appoggiò il telefono sul comò e uscì
dalla stanza. “Allora questi Bellini?”
gridò all'amica che la aspettava sulla terrazza.
-----------------------------
“Non
ti vergogni, Keith?” domandò l'avvocato, fissando
la strada.
“Di cosa,
Cliff? Di viaggiare con te? No, in fin dei conti non sei
così male per essere un avvocato. Direi che sei quasi un
tipo onesto...” rispose Keith, riponendo il cellulare in
tasca. “No, so di essere una buona compagnia per te...
parlavo di quello che hai appena fatto...” Keith rise
“Di cosa stai parlando?” era nervoso.
“Del gesto
estremamente educativo che hai appena compiuto. Hai mentito a tua
figlia non solo sulla tua meta, ma anche sul perché ci stai
andando. E sul perché io mi trovi con te in questo
momento...”
“Eddai
Cliff, ho appena detto che sei una persona simpatica. Non costringermi
a cambiare idea.” Si mosse sul sedile, chiaramente a disagio.
“Innanzitutto Veronica non si è mai fatta troppi
problemi a mentirmi: il nostro rapporto è sempre stato
così, fiducia cieca. E poi... le sto mentendo per il suo
bene. Non è il momento di schiaffarle in faccia una cosa di
queste dimensioni...”
Cliff tacque
brevemente. Poi riprese a parlare “Ha il diritto di saperlo,
Keith... non far sì che sia troppo tardi. Ascoltami...
Veronica merita di sapere.” “Lo saprà,
Cliff, lo saprà, ma prima voglio sistemare la cosa, e voglio
farlo assieme a te. Mia figlia ha sofferto abbastanza, non si merita
altro dolore!”
-----------------------------
Più tardi quella
sera
Il telefono di
Veronica suonò a vuoto. Angela Weiss era disperata.
sarà stata la ventesima volta che provava a rintracciarla. Perché Veronica non
risponde? Non è da lei... che le sia capitato qualcosa? Che
l'abbia già trovata? Il probelma di Angela era
che non sapeva come rintracciarla. O meglio, come rintracciarla
velocemente senza mobilitare l'FBI e i suoi tecnici...
Poi l'illuminazione.
Leo D'Amato, quel bel fustacchione di sicuro sapeva come aiutarla!
Spazio
autrice: ci siamo quasi!
Per quanto riguarda il
prossimo capitolo, avviso a tutti: sarà breve e non
aspettatevi troppi passi in avanti nella storia. Sarà molto
introspettivo!
Per chi è
curioso, ecco gli abiti che ho “scelto” per le
nostre dame (non voglio fare pubblicità ho solo preso spunto
da alcuni abiti veri, mi era più facile non essendo io una
gran esperta di vestiti e moda!):
Mac:
http://www.zalando.it/coast-sylvia-vestito-elegante-malva-c9821c01d-404.html
Parker:
http://www.zalando.it/even-odd-vestito-di-maglina-rosa-ev421c044-854.html
Jackie:
http://www.zalando.it/manoukian-kelly-vestito-lungo-marrone-m6721c05s-702.html
Veronica: (stessa
forma ma di colore rosso)
http://www.zalando.it/vila-topside-vestito-elegante-nero-v1021c05n-802.html
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Capitolo 23 *** Il primo giorno ***
Il primo giorno
Per
lui non era stata affatto una buona giornata. Decisamente. Ma non lo
sarebbe stata per nessuno se si fosse trovato, beh, in quella
situazione. Che, ad essere veramente onesti e sinceri, era una
situazione davvero delicata. E imbarazzante.
Il
peggior incubo del 90% delle persone coinvolge nudità o
liceo. Beh, lui si trovava nel peggior incubo che si potesse
immaginare. Non solo era al liceo, periodo difficile per tutti, ma si
era appena trasferito e quella per lui era la prima settimana in quella
cittadina così strana e contraddittoria. Non solo le sue
nudità erano in bella mostra nel piazzale della scuola,
coperte solo da un po' di nastro adesivo. Il peggio era che non si
trattava di un incubo ma della nuda e cruda realtà. Quella
realtà che ti sorprende e ti atterra, ti lascia a bocca
aperta e senza ossigeno nei polmoni. Quella realtà che gli
stava dicendo “Wallace Fennell, lo vedi, questo è
il giorno peggiore della tua vita! Ricordatelo bene! Ne avrai pochi di
così terribili davanti a te!”
Era
lì, legato ad un palo, lo skotch che gli bruciava la pelle,
ma la cosa che gli bruciava di più era l'essere diventato in
poche ore la fotografia più scattata dai suoi compagni di
scuola. Se la ridevano, loro, mentre lui faceva di tutto per non
pensarci. Provava a ignorarli, ma era difficile quando il clic delle
macchine fotografiche, le risate, le battute erano tutte rivolte a lui.
E poi era comparso lui. Aveva la classica aria da snob viziato,
sfondato di soldi, figlio di papà: a lui tutto era permesso,
tutto era perdonato. “Bene bene bene, cosa abbiamo qui? Cosa
sei, un eroe o un martire? A chi hai pestato i piedi bello
mio?” Wallace aveva alzato gli occhi al cielo. Era proprio
irritante quel tipo che, di lì a poco avrebbe scoperto
essere Logan Echolls, figlio di una star del cinema a molti zeri.
Multimilionario e famoso. Insomma, c'aveva azzeccato.
Logan
si mise a fianco di Wallace e, estratto il cellulare, scattò
una fotografia. “Se non sbaglio questo è lo stile
dei PCHears... direi che sei nei guai, amico!” e dopo avergli
dato un buffetto sulla spalla lo salutò“Beh, in
bocca al lupo!” e, abbracciata una bionda filiforme vestita
come una Barbie sparì in mezzo alla falla. Mentre lo seguiva
con lo sguardo, Wallace incontrò gli occhi glaciali di un
ragazzo ben vestito ma dall'aria quasi spaventata. I suoi occhi erano
profondamente tristi e Wallace vi lesse comprensione e dispiacere, ma
anche impotenza. La faccia di Duncan Kane gli era nota, almeno quanto
la sua storia. Provò quasi pena per lui, anche se quello
appeso al palo non era certo l'erede della più grande
industria di software della California.
E
così i minuti passarono lenti, lunghi come ore. I suoi
compagni di scuola che fino a quel momento lo avevano ignorato, non
avevano occhi che per lui. Era diventato il nero legato al palo, quello
che aveva fatto l'errore di disturbare la banda di motociclisti che
dettava legge – o meglio la non legge – a Neptune,
quello che ora stava per morire dalla vergogna. E così
aspettava che tutto finisse, che finalmente qualcuno si avvicinasse e
lo tirasse giù. La statistica non era certo dalla sua parte:
stava a Neptune da poco tempo e non era certo ricco o famoso. Le
probabilità che qualcuno lo tirasse giù di
lì erano veramente basse. Restavano solo i professori.
E
così non gli restava che aspettare che succedesse qualcosa,
che la campanella suonasse, che qualcuno intervenisse... e poi, eccola
lì, la sua salvezza. Inaspettatamente era arrivata sotto
forma di una lei e piccola, bionda. Non sembrava certo una che... no,
dovette contraddirsi Wallace, era una che si portava dietro un coltello
a serramanico, e che sembrava decisamente intenta ad utilizzarlo. Si
era arrampicata sul blocco di cemento e lo aveva liberato.
Ecco come era
cominciata. Ed ecco come Wallace Fennell ricordava il suo primo giorno
al Neptune High a oltre dieci anni di distanza.
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Non
poteva dimenticare quanto era stato imbarazzante per lui quando, il suo
primo giorno di scuola superiore, varcata la porta si era trovato
travolto da sua sorella. Lilly doveva aver deciso di rovinargli la
reputazione: maledetta. Aveva sperato di passare inosservato alla
bionda sorella, almeno per i primi giorni. Ma perché, si
domandava, mentre sua sorella lo abbracciava e gli urlava
nell'orecchio, perché doveva sempre fare così.
Più volte nelle settimane che avevano preceduto l'inizio
della scuola, Duncan si era trovato a sperare che sua madre mettesse in
atto la minaccia di spedirla in collegio, ma a nulla erano valsi i
tentativi di irritarla, provocarla e infastidirla messi in atto da
Lilly. Per quanto si rifiutasse di seguire le regole, per lei nessun
collegio svizzero, solo l'assolata e vivace California.
Però,
a pensarci bene, per Duncan la vita non sarebbe stata così
divertente se sua sorella fosse stata effettivamente spedita tra le
alpi. Con lei ogni giorno era una sorpresa, anche perché
Lilly faceva tutta una serie di cose che lui non avrebbe mai avuto il
coraggio di mettere in pratica: rubare i liquori dal mobile di
papà, invitare a cena la figlia della domestica, portare a
casa un cane... Lilly era così ribelle, vivace, entusiasta
che riusciva a compensare la compostezza, l'educazione, la misura che
caratterizzavano il più giovane dei Kane.
E
poi, se veramente Lilly fosse finita in collegio, Duncan avrebbe
rischiato di perdere il suo contatto con Veronica. Veronica... come gli
piaceva Veronica, anche se lei ancora non lo sapeva. E forse non
l'avrebbe mai saputo. Duncan era un ragazzino timido, insicuro, e sua
madre gli aveva insegnato che avrebbe sempre dovuto mirare in alto.
Veronica era abbastanza in alto? Ne dubitava... Fattostà che
lui non riusciva a pensare ad altro. A Veronica e a quanto lei gli
piacesse. Se ne era accorto quell'estate, un pomeriggio. Lui e Logan
erano in piscina e poi all'improvviso erano arrivate loro due. Veronica
indossava la divisa da calcio, Lilly quella delle Cheer Leader. Lilly
stava decantando la bellezza del liceo, delle possibilità
che offriva, del gusto dolce della popolarità. Se anche
Veronica avesse deciso di abbandonare la palla da calcio per i
pon-pon l'avrebbe sperimentata. Ma Veronica non sembrava
interessata a un'attività extrascolastica così
femminile, nonostante tutto di lei parlasse di candore e delicatezza. I
capelli lunghi e setosi, raccolti in due trecce un po' spettinate, la
pelle delicata, le labbra rosee, le gote arrossate per il gran caldo ma
soprattutto gli occhi, così gentili, quasi fragili. Duncan
si era soffermato a lungo su quegli occhi, e quando finalmente li aveva
lasciati aveva preso la sua decisione. Veronica Mars era la ragazza
giusta per lui. E lui l'avrebbe conquistata, protetta e difesa. Lilly
se ne era accorta subito e, a suo dire, approvava, anche
perché così il loro quartetto sarebbe divenuto
indissolubile. Lei e Logan, che avevano cominciato a frequentarsi da un
po', e Duncan e Veronica... uniti... come una famiglia... per sempre.
Questi
erano i piani di Lilly e Duncan, mentre sul sedile posteriore della
macchina di Jake lei lo accompagnava al suo primo giorno di scuola.
Piani che non si
sarebbero mai realizzati, pensava Duncan, mentre, seduto nel retro
della Limousine si apprestava nuovamente ad entrare in quell'edificio.
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Ok,
era tutto come se lo era immaginato: sarebbe stata ignorata!
Trasparente per la maggior parte dei suoi compagni di scuola. Ma lo
aveva messo in conto e soprattutto... non è che lei fosse un
tipo da feste esclusive e uscite in limousine. Non la interessava
affatto quel genere di cose: Si riteneva più un tipo curioso
e pratico. Lei leggeva libri, immaginava viaggi, studiava. E nel tempo
libero hackerava i computer della scola, giusto per prenderci la mano.
Aveva sviluppato questa passione per i computer fin da bambina, e
ricordava con entusiasmo la prima volta che era riuscita ad accedere a
internet. Era stato emozionante superare tutte le password e i blocchi
che i genitori avevano messo al computer di casa. Aveva dieci anni
all'epoca.
Ora
ne aveva quattordici e si apprestava a fare il suo ingresso nel mondo
degli adolescenti. Lei era preparata: aveva il suo bagaglio di armi da
difesa a portata di mano. Non che temesse di venir importunata, no di
certo. Lei era solo un'anonima moretta con il computer nello zaino e
dei ciuffi colorati tra i capelli. Non era famosa né ricca,
né lo erano i suoi genitori. Lei era solo Cindy Mac Mac
Kanzie, figlia di un impiegato della Kane Software e di una segretaria.
Sorella maggiore. Fissata con i computer e la musica celtica. Non era
una ragazza alla moda come le sue compagne di scuola. Non aveva
l'ultima borsetta firmata e non aveva l'autista. Insomma, non era come
Madison Sinclaire, bionda finta dei quartieri bene. La conosceva dal
corso di danza cui la madre l'aveva iscritta in prima elementare. Per
fortuna ad un certo punto le suppliche di Mac avevano trovato terreno
fertile e tutto d'un tratto sua madre l'aveva ritirata dal corso. E
pensare che lei e Madison stavano quasi per fare amicizia all'epoca. Si
erano ritrovate in classe assieme in quarta, e Madison lì
era tutta un'altra persona: l'aveva ignorata fina dal primo momento.
Frequentava invece la signorina Kane, di un anno più
vecchia, e le altre ragazzine ricche della scuola.
Insomma,
la sua dose di invisibilità Mac l'aveva già
avuta, e sapeva come fronteggiarla. Era preparata al liceo, si diceva,
mentre smontava dalla macchina del padre. Lo era. Si dovette ricredere
poco dopo. Un ragazzo biondo, abbronzato, un po' goffo le era appena
andato a sbattere contro. Dopo essersi scusato e averla aiutata a
raccogliere i libri, però si era alzato e non l'aveva
più guardata. Ecco, essere trasparente a uno come lui era
una cosa a cui Mac non era preparata.
E pensare che a oltre
dieci anni di distanza, quel ragazza, quel giovane uomo in smoking e
papillon non aveva occhi che per lei... L'edificio del Neptune High era
sempre più vicino. Mac si domandò, in quel
momento, se Dick si ricordasse della prima volta che si erano visti.
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L'ultima
volta che era uscito dalla porta del Neptune High non rappresentava
certo uno dei migliori ricordi per lui. Aveva le manette ai polsi e non
era riuscito ad ottenere il diploma. Maledetto Don Lamb... Al contrario
la prima volta che ci era entrato era stato per lui un giorno epico.
Già durante l'estate si era unito al gruppo dei PCHeras,
rubacchiando qua e là con alcuni di loro. Ma il liceo, e
soprattutto quel liceo, era per Eli Navarro l'occasione giusta per
stringere amicizie con persone giuste e cominciare, piano piano, a
risalire la scala gerarchica della banda.
Tutti
lo avevano sempre trattato come un buono a nulla, un incompetente, un
incapace. Ma questa cosa gli riusciva bene, gli era sempre riuscita
bene. Già alle medie si era organizzato con alcuni compagni
di scuola per rastrellare le tasche gonfie di soldi dei ragazzini
più ricchi, e così si era comprato la sua prima
bicicletta. Insomma, lui era fatto per essere un capo. Ma non era nato
con la camicia, no signore, bensì con il chiodo di pelle.
E
così, anfibi e giubbotto neri, si apprestava a varcare la
soglia di quella che sarebbe stata la sua scuola, ma soprattutto il
luogo della sua rivincita.
Rivincita che, anni
dopo, voleva tradurre in un altro modo: lui non era più il
ladruncolo, il capo della banda, il criminale. Era un onesto cittadino
che aveva appena chiesto alla sua donna di sposarlo. Gliel'avrebbe
fatta vedere lui!
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Jackie
Cook aveva sempre amato i cambiamenti. O meglio, aveva sempre amato
essere al centro dei cambiamenti, meglio ancora se era proprio lei il
cambiamento, la novità. A New York era lei a dettare la
moda, trovando il nuovo taglio, il nuovo smalto, le nuove scarpe. E
tutti, dopo averla adeguatamente ammirata, la seguivano, la imitavano.
Era Jackie a dettare legge in quanto all'ultima tendenza in fatto di
locali e di drink. Era lei che veniva invitata all'apertura, era su di
lei che i gestori puntavano per far funzionare bene il locale. E quindi
consumazioni gratis, servizio speciale, sconti extra.
Quella
volta però Jackie Coock non aveva nessuna voglia di essere
al centro dell'attenzione, di trovarsi in un nuovo stato, in una nuova
città, in una nuova scuola. Non aveva voglia di essere
scansionata, osservata, squadrata, apostrofata come “quella
nuova”. Lei voleva essere la novità. Ma suo padre
era stato irremovibile: doveva andare a scuola, conoscere i suoi amici,
stringere amicizia e soprattutto, una buona volta, fare la brava. Non
le era mai riuscito di fare la brava bambina, e la prospettiva di
irritare e indispettire suo padre in qualche modo la tentava.
Però forse non era il caso...
In
realtà la cosa che meno le piaceva di quella situazione era
il fatto di trovarsi a diverse centinaia di miglia da casa sua... da
sua madre... ma soprattutto da sua figlia. Era costretta a vivere con
un padre che a stento conosceva, una leggenda non solo nel mondo del
baseball ma anche nella sua vita. Era costretta a limiti con i quali
non si era mai dovuta confrontare: il coprifuoco, i compiti, la
paghetta ridotta. L'aveva combinata grossa, e ora doveva rigare dritto.
Non poteva nemmeno divertirsi un po': niente alcol nella vita di
Jackie, almeno per un altro po'. Queste erano state le condizioni.
Eppure
i suoi genitori lo facevano per lei, lo sapeva, anche se ciò
non rendeva la prigionia più sopportabile. Sua madre si era
sacrificata per lei tutta la vita, e avrebbe continuato a farlo. Non
poteva essere ingrata. Doveva alzarsi da quel letto, mettere addosso
qualcosa di carino e affrontare quel mondo nuovo. Lo doveva a sua
madre, lo doveva a sua figlia.
E
poi chissà, magari dietro l'angolo ci sarebbe stato un
ragazzo carino! Mai dubitare!
Quanto si era rivelato
giusto quel pensiero... del suo primo giorno di scuola. E ora
quell'affascinante ragazzo era seduto accanto a lei ed era pure padre
di suo figlio. Si domandava se sarebbe riuscita a riconquistarlo...
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Dick
Casablancas non era certo un tipo complesso. O almeno così
gli era sempre stato detto. Che non fosse un genio era stato chiaro fin
da subito: aveva quattro anni e suo fratello Cassidy di un
anno più piccolo non solo lo batteva nello spelling, lo
stracciava. Cassidy sapeva fare di conto quando Dick ancora provava a
scrivere in corsivo. Cassidy aveva vinto le olimpiadi di Matematica e
Dick era stato rimandato in grammatica... insomma è naturale
che la tua vita sia così se tuo fratello è un
genio.
E
così per Dick era meraviglioso il momento in cui, per un
anno, le loro strade si separavano. E ciò accadeva ogni
volta che Dick passava a un diverso livello dell'istruzione scolastica.
Era anche il motivo per cui aveva sempre evitato di farsi bocciare:
sarebbe stato beffato due volte! Non che qualcuno evidenziasse in
qualche modo la superiorità scolastica di Cassidy. Il
secondo genito restava sempre e comunque il secondo genito, soprattutto
se socialmente non aveva troppo successo. Dick, al contrario, era
Richard Casablancas Junior per più di un motivo: era un
vincente, era simpatico ed era soprattutto il favorito di suo padre.
Quindi no, non erano l'opinione che gli altri avevano, né i
confronti che facevano a mettere in crisi Dick: nessuno, mai, aveva
decantato le doti di Cassidy; nessuno aveva, mai, fatto confronti.
Insomma,
la persona che metteva in dubbio il valore di Dick Casablancas era Dick
Casablancas stesso. E liberarsi per qualche mese dell'opprimente
presenza del fratello non poteva che renderlo felice.
Con
questo spirito si stava recando a scuola. Avrebbe incontrato i suoi
amici, che lo preferivano a Cassidy, avrebbe conquistato nuove ragazze,
cosa che Cassidy nemmeno immaginava di poter fare, sarebbe stato tra i
più popolari, caratteristica che sicuramente mancava a suo
fratello. E così, mentre attraversava il piazzale, non
faceva troppo caso alle persone. Non aveva fatto caso alla goffa
moretta contro cui era andato a sbattere. Era carina, aveva l'aria
intelligente. L'aria di una che, se ne avesse avuto l'occasione,
avrebbe di sicuro messo in luce tutti i difetti e le mancanze di Dick.
Una che avrebbe preferito Cassidy.
Per
questo, quasi spaventato, dopo averla aiutata era sparito, cercando di
evitare il suo sguardo indagatore.
In qualche modo Dick
c'aveva visto giusto. Mac era stata con suo fratello e loro due lo
avevano umiliato. Ma da un altro punto di vista era stato Cassidy a
unirli, lui e Mac; Cassidy con la sua follia, Cassidy con le sue
debolezze. Li aveva travolti, investiti, e stavano leccandosi le ferite
in solitudine quando avevano capito che avrebbero potuto curarsi a
vicenda. E così era stato, e sarebbe stato per sempre,
pensò Richrad Casablancas Junior, stringendo la mano di sua
moglie mentre si recavano al loro primo ballo scolastico assieme.
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Oh
si, gli sembrava ieri quando si stava preparando al primo giorno di
scuola superiore. Aveva deciso di festeggiare per bene la sera
precedente, rubando un paio di bottiglie di birra... beh forse
più di un paio. Lui, Duncan, Dick e alcuni altri 09 si erano
trovati sulla spiaggia per celebrare il loro ultimo giorno di
libertà. Libertà... quando mai si era sentito
veramente libero? Logan sorridi di qua, Logan abbraccia tua madre di
là, Logan avvicinati a tua sorella, Logan fatti fare una
fotografia, Logan indossa questo, Logan mangia quello... essere figlio
di un affascinante e ricchissima star del grande schermo aveva
certamente dei lati positivi, molti a dire il vero. Però
esisteva allo stesso tempo un'etichetta, una serie di regole da
rispettare, una legge non scritta... ma che andava rispettata, che lo
riguardava anche se non era lui la star del cinema. Lui... era solo il
figlio, ma in quanto figlio doveva dare un'immagine di suo padre che
rispecchiasse quella pubblica. Quella dell'uomo buono, onesto,
corretto, del padre e marito modello, della star senza macchia.
Senza
macchia... certo! Candido come la neve. Chi avrebbe mai potuto
affermare il contrario. L'immagine pubblica era... stupenda...
accecante. Come il dolore che Logan provava a ogni cinghiata, a ogni
pugno, a ogni sigaretta spenta sul braccio. Non lo sapeva nessuno...
beh nessuno... una parola grossa. Sua madre, per quanto facesse finta
di nulla, lo sapeva. Doveva saperlo. Era stata lei ad accompagnarlo in
ospedale con il braccio rotto o l'occhio nero. Sono ragazzate, diceva,
stava giocando... mio figlio è così distratto...
così maldestro... stavamo andando a cavallo... l'avevo detto
alla domestica di asciugare bene per terra... dovevo farlo sistemare
quel gradino... in lacrime, aveva sempre una scusa pronta. E tutti le
credevano. Trina, al contrario, non sapeva nulla. Non c'era mai e
quando c'era era troppo concentrata su se stessa e sulla sua carriera
di attricetta da strapazzo.
E
poi c'era stato lui, quel paramedico. Era la quarta volta in un mese
che si incrociavano nei corridoi dell'ospedale. E non perché
Logan fosse sotto osservazione. La prima volta? Una bruciatura.
L'ultima un braccio rotto... E così quel giovanotto si era
insospettito. Aveva seguito Logan nella stanza e aveva cercato di
parlare con lui. Due settimane dopo si erano trasferiti a Neptune.
Avevano lasciato Los Angeles all'improvviso.
E
così il suo primo giorno di scuola Logan non poteva certo
smentirsi e venire meno al suo carattere. E allora, la sera prima, si
era ubriacato. E appena tornato a casa a nulla era valsa la sua
discrezione. Era appena arrivato alla cucina quando il pugno di suo
padre si era scontrato con il suo zigomo sinistro. Non sarebbe stata
una serata facile. Non sarebbe stata una vita facile, se Logan non
avesse cambiato atteggiamento.
Il
giorno dopo, a scuola, entrava ridendo e scherzando, evitando lo
sguardo indagatore dell'unica persona che, a quanto pare, riusciva ad
andare oltre alle scuse... sono caduto... ieri sera ero proprio
sbronzo... certo che è tutta colpa tua Dick... Quella
persona non era la sua esuberante ragazza, Lilly, troppo concentrata su
se stessa e troppo impegnata a vivere per accorgersi dei problemi degli
altri. Non il suo migliore amico, Duncan, spaventato all'inverosimile
dal concetto di verità, di problema: lui viveva nel mondo
perfetto delle favole. Non i suoi compagni di bevute: con loro solo
scherzi e battute. No, lo specchio della verità, della sua
terribile verità, del suo incubo era negli occhi di Veronica
Mars.
Ora doveva affrontare
altri demoni, vivi e morti. Erano passati un sacco di anni. Sentiva le
cicatrici grattargli sulla schiena. Sentiva la puzza di carne bruciata.
Sentiva l'indifferenza e la paura delle persone che lo circondava. Ma
sapeva, aveva sempre saputo fin da quel pomeriggio estivo in cui si
erano conosciuti, che lei non avrebbe mai abbassato lo sguardo o
voltato la testa dall'altra. E quella persona era quella che lui voleva
affianco a se per il resto della sua vita.
----------------------------
Non
era più la stessa persona. Non lo era stata dopo poco,
pochissimo tempo. Il liceo all'inizio le sembrava la sua grande
occasione: sembrava tutto scintillante, tutto perfetto. Un futuro
radioso che la vedeva fidanzata con un tipo sportivo, elegante,
benestante. O almeno così prevedeva Lilly. Sarebbe diventata
una cheer leader, sarebbe diventata amica di alcune delle
più popolari ragazze di Neptune, sarebbe sostanzialmente
stata felice. Sua madre le avrebbe pettinato i capelli, suo padre
l'avrebbe controllata. Tutto sarebbe stato perfetto.
Eppure,
non appena aveva varcato la soglia di quell'edificio le era stato
chiaro fin da subito che le cose non sarebbero andate così.
Quella scuola aveva un'aria strana. Le persone si ignoravano, si
stuzzicavano, si provocavano. C'era chi ti guardava dall'alto in basso,
come quella gallina di Madison Sinclaire e le sua amiche. C'era chi,
invece di guardare te valutava il tuo orologio e le dimensioni del tuo
portafoglio, come quella banda di messicani in sella alle loro
motociclette. C'era chi era troppo impegnato a sfuggire dai propri
demoni, come Dick Casablancas, per accorgersi di non essere l'unico ad
averne. C'erano gli emarginati, gli invisibili, come quella ragazza dai
capelli scuri sempre al computer o con le cuffie nelle orecchie.
C'erano quelli che nessuno poteva ignorare, ma che avrebbero molto
volentieri essere ignorati, come il suo amico Logan. E c'erano quelli
come Duncan, con la tristezza negli occhi.
Per
fortuna c'erano poi le persone come Lilly... che era la sua persona,
che lo sarebbe sempre stata. Lilly le dava la forza di entrare
attraverso quelle porte a vetri e affrontare una nuova giornata tra le
mura della scuola. Perché c'era un'ombra su di loro, su
tutti loro. C'era qualcosa che non funzionava, c'era qualcosa che
stonava in tutto quel luccicare, quella perfezione, quel lusso. Prima o
poi l'immagine si sarebbe incrinata. Restava solo da aspettare che
accadesse.
E l'immagine si era
incrinata, una volta per tutte. Quando Lilly era morta, quando aveva
scoperto che Aaron era l'assassino, quando i Kane avevano ammesso di
aver coperto le tracce dell'omicidio, quando Logan era stato accusato
d'omicidio, quando le tensioni tra ricchi e meno ricchi erano arrivate
al limite. E poi quando il bus era uscito di strada, quando Meg era
morta, quando Duncan era scappato, quando Cassidy si era buttato dal
Neptune Grande.
Tutti erano crollati.
Ma poi si erano rimessi in piedi, chi prima chi dopo, chi da solo e chi
con l'aiuto di qualcun altro. Ora toccava a lei rimettersi
definitivamente in piedi, ricostruire le sue certezze e finalmente
ripartire. Era pronta a farlo, doveva farlo.
Veronica Mars era
finalmente pronta.
Spazio autrice: Ed ecco
il capitolo introspettivo. Ho fatto fatica a scrivere entro la
domenica, probabilmente il prossimo aggiornamento arriverà
tra due settimane. Scusatemi, ma tra lavoro e quel poco di vita sociale
che mi rimane ho davvero poco tempo per scrivere!
IN ogni caso, grazie! :)
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Capitolo 24 *** Il ballo ***
Il
ballo
E così era
giunto il momento. Era lì, in piedi di fronte alla porta
d'ingresso della sua vecchia scuola. Macchine arrivavano da tutte le
parti, voci che si avvicinavano, la superavano e si perdevano nella
musica. Lei era lì, ferma, mentre il mondo andava avanti, le
persone le ronzavano attorno, la sfioravano senza quasi accorgersi di
lei. Qualcuno si era fermato, forse per salutarla, ma era andato oltre.
Veronica Mars in fondo non era cambiata tanto: aveva sempre avuto
l'abitudine di bloccarsi in un punto, e perdersi nei suoi pensieri,
osservando il mondo che scorreva tutto intorno. In quel momento il suo
sguardo era fisso sulle luci che provenivano dalla palestra. Voci note,
la cui memoria affiorava appena, per poi sfuggire nuovamente in qualche
angolo sepolto della sua mente.
Poi qualcuno
finalmente la risvegliò dal torpore in cui era piombata. Una
sagoma si era frapposta tra lei e la porta, controluce, impedendole
quindi di distinguere i tratti dal volto, la sua espressione. Le spalle
larghe si stagliavano sullo sfondo luminoso, la postura rilassata, le
mani in tasca. Quando aprì bocca, il suono della sua voce
era dolce e piccante allo stesso tempo. L'avrebbe riconosciuto
comunque, l'aveva riconosciuto fin dal primo istante, come la volta che
era andato a casa sua dopo quella terribile e interminabile notte tra
il Coronado Bridge, l'ospedale e casa Kane. Ma solo quando lui aveva
parlato era divenuto tutto vero. Era vero che erano lì,
loro, Logan e Veronica, e che lo sarebbero sempre stati.
“Veronica,
sei meravigliosa!” disse lui, e lei ripiombò sulla
terra, ma senza farsi male: la caduta era stata rallentata dal tono
dolce della sua voce. Veronica sorrise “Dici? Eppure
è solo una cosetta... nemmeno il tuo profilo è
così male!” rispose lei, spostandosi di lato.
Voleva vederlo, guardarlo, assaporare la luce che illuminava il taglio
perfetto dei suoi occhi, perdersi sulle sue labbra morbide che si
increspavano finalmente nel suo classico sorriso ironico, accarezzare
con lo sguardo la sua guancia ben rasata e illuminata dalla luce calda
che proveniva dai corridoi della scuola.
“Non siamo mai andati al ballo assieme io e te, Logan, ci hai
mai pensato? Siamo stati assieme per così tanto tempo eppure
non abbiamo mai condiviso un momento così importante come
quello del ballo scolastico. Importante per ogni adolescente americano
medio, non mi fraintendere... la cosa non vale certo per me e per te!
Noi abbiamo sempre preferito rituali a base di rapimenti, ricatti e
armi da fuoco, no? Non era una festa se mancava lo sceriffo!”
Si stava difendendo con l'ironia e il sarcasmo, ma era chiaro il fatto
che lei fosse preoccupata e tesa. Non sapeva bene cosa aspettarsi da
quella serata.
“In
realtà una festa non era una festa finché tu non
mi accusavi di qualcosa, a scelta: tradimento, rapina, omicidio... cosa
manca alla lista? Ah si, penso di aver vinto un paio di volte il premio
come peggior fidanzato della storia!” Rise fragorosamente,
avvicinandosi a lei e prendendole la mano. “Per fortuna che
ora non hai più accuse da formalizzare a mio
carico!” Poi avvicinandosi a lei le sussurrò
“Che ne dici, V, vogliamo affrontare assieme questo mostro
sacro della nostra adolescenza? Entriamo, dai!” e la
guidò verso l'entrata.
Lei inspirò
profondamente e lo seguì lentamente verso quell'edificio,
sede di tanti ricordi, dolci e amari.
----------------------------
Era ovvio che sarebbe
andata così. Non poteva che andare così: la prima
persona in cui si sarebbe imbattuta varcata quella soglia non poteva
essere qualcuno che era stato solo un'incontro occasionale nella sua
vita scolastica. Oppure qualcuno che le era stato simpatico, almeno una
volta, qualcuno che non l'avesse solo guardata dall'alto in basso. No,
lei era entrata a scuola, e come catapultata indietro nel tempo, nei
panni di una ragazza arrabbiata e infelice, si era scontrata con
Madison Sinclaire.
La sua nemesi, la sua rovina, la sua peggior nemica. Ogni volta che i
loro sentieri si erano incrociati si erano viste le scintille e
qualcuno si era fatto del male. Il più delle volte
si trattava di Dick o di Logan, ma spesso le scornate se le erano
scambiate a vicenda. Alle volte era stata Veronica a leccarsi le
ferite, altre volte Madison aveva subito le conseguenze del loro
incontro.
Seppur colta alla sprovvista, Veronica decise che non avrebbe permesso
a Madison di rovinarle la serata: non le avrebbe dato nessuna
soddisfazione. E così, si distanziò dalla bionda
e la osservò brevemente prima di aprire bocca. I capelli di
Madison erano biondissimi, platinati e raccolti in un'arzigigolata
acconciatura. Il trucco, pesante e estremamente ricercato, la
invecchiava. E parecchio. Il corpo, perfetto dotato di curve
decisamente più abbondanti e ufficialmente troppo sode, era
fasciato da un mini abito rosa ricoperto si strass. Le scarpe, dorate,
alte la facevano muovere goffamente. Non era a suo agio e
sgranò gli occhi quando riconobbe Veronica.
Perché si concia così? Sembra una quarant'enne
frustrata. Sii carina Veronica, sii carina. “Madison! Come
sei... in forma. Tutto bene?”
“Veronica”
rispose Madison con tono irritato, quasi schifato. “io sto
bene. Mi sto riprendendo dall'organizzazione di questa festa...
è stato quasi delirante. Ho passato così tanto
tempo qui dentro che a momenti prendevo il domicilio. L'avrei preso se
i bagni non fossero così... squallidi!” e taque,
attendendo che Veronica le ponesse un'altra domanda.
“Che lavoro!
Hai preso alcuni giorni liberi dal lavoro? Che generoso da parte
tua!”
“Lavoro?
Tesoro, ho fatto di tutto per non dover lavorare... quando tuo marito
è proprietario di una fabbrica di Yatch, non ho bisogno di
lavorare!” e mostrò l'anello di matrimonio. Un
solitario grande come una noce.
Veronica sgranò gli occhi. “Beh, congratulazioni!
Incontreremo tuo marito più tardi, immagino...”
“Oh, si, forse. Lavorava...” e la tristezza le
velò gli occhi. Fu un breve, brevissimo secondo, durante il
quale Veronica provò quasi pena per quella ragazza infelice
che si comportava come una donna soddisfatta. Poi quell'aria affranta
svanì, e la vecchia Madison riemerse. “A proposito
di cambiamenti... vedo che voi due siete ancora fermi al liceo. Ma non
vi siete ancora stufati di tenervi per mano tra i corridoi della
scuola? Oh che sbadata sono: no, Veronica, tu e Logan non vi siete mai
fatti vedere in giro molto. Se non sbaglio la tua mano era stretta per
lo più a quella di Duncan a quei tempi” e sorrise,
ma in maniera cattiva.
Poi, rivolta a Logan “A proposito, l'ho visto poco fa nella
sala da ballo. Avete intenzione di fare a botte per questa scialba
biondina? No perché se mi rovinate la festa giuro che vi
faccio a fettine...” lo minacciò. E poi se ne
andò, senza nemmeno degnarli di un saluto.
Nessuno dei due
l'aveva amata, anche se qualcuno aveva condiviso con lei momenti
piacevoli o supposti tali, quindi che finalmente se ne fosse andata fu
un sollievo per entrambi. Eppure Veronica provò quasi pena
per lei, per quella donna che le aveva rovinato la vita, quella donna
che l'aveva inconsapevolmente drogata e gettata tra le braccia di uno
stupratore, quella donna che l'aveva portata a lasciare Logan...
Logan la
osservò, e la costrinse a incrociare il suo sguardo.
“Veronica, tutto ok... io... Madison...” lei lo
interruppe con la mano. “Logan, passato. Possiamo chiudere
questa porta una volta per tutte. Non ha più importanza e
non doveva avere così tanta importanza allora. Basta
distribuirci le colpe. Questa sera non pensiamo al passato.
Divertiamoci!” e lo trascinò dentro la sala da
ballo, dove un gruppo rock intratteneva già molti dei loro
ex compagni di classe.
----------------------------
Non era ancora
completamente a suo agio al fianco di Logan, non c'aveva ancora fatto
l'abitudine... insomma, lui era la super star, lei era abituata a
vivere nell'ombra, a non farsi notare, a rimanere un po' defilata.
Facevano due mestieri così diversi... non che la cosa la
stupisse: erano sempre stati profondamente diversi. Lei amava l'arte e
la lettura, lui il surf e le feste. Lei non sopportava la carne cruda e
le meringhe, lui le verdure cotte e il cioccolato piccante. Lei adorava
la musica introspettiva, lui era più un tipo da discoteca.
Insomma, erano sempre stati agli antipodi sotto molti, moltissimi punti
di vista.
Eppure esisteva un
filo esile che li aveva sempre legati, tenuti vicini anche quando si
erano profondamente odiati. A volte Veronica aveva pensato che fosse il
filo di chi ha subito lo stesso destino di sofferenze, tristezze e
tradimenti. Di chi aveva visto morire o scappare alcune delle persone a
loro più care. Di chi non aveva mai sentito di avere un
posto nell'universo. Poi un giorno aveva capito. Il loro non era il
destino di chi è stato spezzato, rovinato, distrutto. Il
loro filo comune era senza ombra di dubbio l'essere ancora in piedi,
l'essere forti e resistenti, delle rocce. Di chi non ha bisogno
dell'aiuto degli altri per andare avanti, ma che in fondo in fondo non
disprezza il sorriso di un amico, un aiuto da parte di chi ti
vuole bene. Perché la cosa che li aveva sempre accomunati
era il fatto di non essersi mai arresi, di aver sempre lottato, di aver
resistito.
Erano appena entrati
nella palestra adibita a sala da ballo. Un lungo tavolo, ricoperto di
fiori e statue di ghiaccio, vassoi elaborati e bicchieri di cristallo,
seguiva la parete di destra. Sul fondo, dove una spesso Veronica aveva
visto Wallace saltare verso il canestro, avevano organizzato un palco
sul quale una band si stava esibendo. Tra la porta e il palco,
illuminata da luci intermittenti e colorate, una folla danzante
festeggiava. Non erano tantissimi, eppure a Veronica sembrò
che, appena lei e Logan furono entrati nella sala, tutti si fossero
voltati a guardarli. E tutti si stavano domandando perché,
uno famoso ricco e bello come Logan Echolls fosse venuto al ballo della
scuola con l'altrettanto famosa ma non altrettanto amata Veronica Mars.
In quel momento,
quando tutti gli occhi si erano posati su di loro, si era sentita come
quella sera in cui la loro storia d'amore, ancora agli inizi, era stata
sorprendentemente rivelata da un ignaro Aaron Echolls. E quella
sensazione non la faceva sentire a proprio agio: non sapeva se essere
la donna al braccio del bell'attore di Hollywood le pesasse o meno. Ma
in realtà non aveva importanza. Non aveva nemmeno importanza
che loro non avessero ancora risolto i loro problemi, o che non
avessero preso una decisione definitiva su quale sarebbe stato il loro
futuro. Voleva solo passare una bella serata con lui, fare come se
nulla fosse mai accaduto. Poteva permetterselo, no? E così,
incurante degli sguardi che la trafiggevano, entrò nella
sala assieme a quello che forse avrebbe potuto considerare l'amore
della sua vita.
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La sala era
gremita, la musica forte, la gente ballava. Veronica era quasi
frastornata: facce che non vedeva da secoli le si paravano davanti, la
intrattenevano per alcuni secondi chiedendo al suo cervello di fare uno
sforzo notevole nel cercare di dare un nome a quel volto. Persone che
erano cambiate moltissimo. Casey l'aveva visto solo qualche giorno
prima, ma c'erano alcuni compagni di classe di cui a malapena si
ricordava. Ad esempio l'allora bellissima e superficiale Caitlin Ford
ora, dopo cinque gravidanze, aveva perso le sue forme spigolose e
lasciato spazio a rotondità fino ad allora inimmaginabili su
una quasi modella come lei. Non vestiva elegantemente, e i suoi capelli
erano raccolti in una semplice coda di cavallo. La sua scelta di allora
aveva avuto ricadute non da poco sulla sua vita sociale, e soprattutto
aveva avuto ricadute a lungo termine. Veronica aveva scoperto che si
era sposata con un impiegato di Pasadina e che faceva la mamma a tempo
pieno nella loro modesta casetta, munita comunque di giardino e
barbeque. Sembrava felice e serena.
Ed ecco Sean, con la
sua faccia antipatica. Si avvicina, scambia qualche convenevole con
Logan e poi si rivolge a lei. Le lancia un paio di frecciatine, cui
Veronica risponde a tono. Non ha mai avuto paura di personaggi di
questo genere. Sean ora si destreggia tra un lavoretto e l'altro,
cercando di conquistare quel prestigio negato a suo padre. È
e rimarrà un infelice, pensò Veronica,
allontanandosi da lui e stringendo più forte la mano di
Logan.
Stavano andando verso
il tavolo, per servirsi qualcosa da bere quando si fece loro incontro
una coppia alquanto sui generis: una bionda abbracciata a un messicano.
Eli e Parker si avvicinarono e non appena li vide, la ragazza di Denver
lanciò un urlo che fece convergere gli occhi di moltissimi
su di loro. “Veronicaaaaaaaaaa! Logaaaaaaaaaan! Ommioddio che
bello vedervi!” e si lanciò letteralmente addosso
alla minuta biondina, travolgendola. Insomma, anche senza tacchi Parker
superava Veronica di buoni quindici centimetri. Tra zeppe e tacchi la
distanziava di testa e collo. “Parker”
esclamò Veronica, un po' a disagio “devo dire la
verità, ma non ho la più pallida idea di quanto
tempo sia passato ma... sembra davvero una vita. Quasi due! Ma come
stai, cosa combini e... cos'è quel luccichio che vedo alla
tua mano sinistra?” con fare malizioso rivolse uno sguardo
complice a Weevil che intanto si era avvicinato e stava ponderando il
da farsi con Logan.
Perché, diciamocelo, non è che loro due fossero
mai stati grandi amici, per intendersi. Anzi, il più delle
volte i loro incontri si erano trasformati in scontri, e anche
abbastanza violenti. Bagni, parcheggi, spiagge... nessun posto era al
sicuro se la serata era quella giusta. E così, ora, i due
uomini stavano fermi, uno di fronte all'altro, entrambi in attesa che
fosse l'altro a fare la prima mossa. Eli rimase quasi stupito quando il
ghigno sarcastico e divertito che segnava il volto di Logan Echolls si
trasformò in un sorriso sincero. E ancora di più
quando le parole che pronunciò furono “Weevil,
vecchio mio! Sono contento che tu sia venuto questa sera: una riunione
al Neptune High senza di te non avrebbe avuto lo stesso piacevole
sapore!!” e lo abbracciò, stringendogli la mano.
“Hey hey hey, vacci piano” esclamò il
messicano “mi sgualcisci il vestito!” e scoppiarono
a ridere. “Vedo che alla fine te lo sei aggiudicato tu il
premio Parker Lee...” esclamò Logan, indicando con
la testa la bionda spilungona “non ti sei stufato dei miei
avanzi?” “Oh, Logan, potrà suonare
strano per te, ma sei tu lo scarto, non lei. Lei è
meravigliosa, stupenda, unica. E sono contento che tu sia stato un
idiota di proporzioni epiche: ti ha scaricato e poi sono arrivato io, a
curarle le ferite!” e i due si diedero di gomito.
Veronica nel frattempo
aveva preso la mano di Parker e con gesti vistosi stava esaltando le
dimensioni e la brillantezza del diamante che portava al dito
“E così il buon Eli ha deciso che sarebbe stato
veramente stupido a lasciarti andare?” “Eh
già” rispose divertita Parker “ma sai,
non gliel'avrei permesso! Veronica non sai quanto sono
felice” in quel momento Mac e Dick li raggiunsero. Mac e
Parker si abbracciarono mentre Dick raggiungeva “i
ragazzi”. “Signorine, cosa vi portiamo?”
domandò Logan, contento di allontanarsi per un po' da
anelli, fidanzamenti e storie d'amore.
Ricevute le ordinazioni i tre uomini si avviarono al tavolo dove,
ordinati elegantemente, stavano i bicchieri e le bottiglie di Champagne
nei vasi intagliati nel ghiaccio. Versarono due bicchieri a testa, ma
decisero di fermarsi a parlare un po' di sport e politica, lasciando le
tre donne alle loro chiacchiere. Nemmeno a farlo apposta in quel
momento si presentò al tavolo delle bevande il signor
Clemmons, che li squadrò dalla testa ai piedi prima di
aprire bocca. “Signori” disse infine, con un cenno
del capo “che piacere vedervi qui questa sera. Spero non
abbiate intenzione di rovinare tutto con una delle vostre solite
bravate!” e, senza attendere risposta li lasciò. I
tre rimasero interdetti per un lungo momento, prima di scoppiare a
ridere. Brindarono ai bei tempi andati e riempirono nuovamente i loro
bicchieri.
Quando tornarono al
terzetto si era aggiunto Duncan, elegantissimo in doppiopetto e
cravattino giallo. Logan era già al quarto bicchiere di
champagne e porse a Veronica il suo. Poi salutò Duncan con
un fragoroso colpo sulla spalla. “DK, bentornato! Sei venuto
a prenderti il diploma?” e gli passò l'ultimo
bicchiere rimastogli. “Vado a fare il pieno e
torno!” Veronica gli sorrise, ma c'era qualcosa di strano in
lei. Non l'aveva lasciata così tesa. Si, insomma, non era
nemmeno rilassata, però era come se la presenza di Duncan la
mettesse a disagio. Appena
avrò un minuto cercherò di capire cosa le passa
per la testa. Saranno anni che non ci vediamo, non lo nego, ma la
conosco ancora come le mie tasche. E so quando qualcosa non quadra.
Ma non fece in tempo a
portare a termine la sua piccola indagine privata: mentre stava
tornando verso i suoi amici, la musica sfumò e sul palco
apparvero Madison, scintillante nel suo vestitino di strass, Gia,
elegante in un vestito nero di pizzo, e un ancor più
elegante Wallace. Smoking, cilindro e bastone. Madison prese il
microfono in mano “Diplomati del 2006, benvenuti! Grazie per
essere accorsi così numerosi a questo evento mondano. Sono
sicura che tutti vi ricordate chi sono e spero di riuscire a salutarvi
a uno a uno. Ma se così non fosse, benvenuti e buon
divertimento!” e passò il microfono a Gia, che la
guardava con aria annoiata.
“Cosa posso
aggiungere che la mia meravigliosa ex-compagna nonché
collaboratrice nell'organizzare questa festa non abbia già
detto? Ah... forse che la vostra quota di partecipazione, oltre a
coprire le spese, andrà a formare una borsa di studio
promossa dal nostro sensibilissimo compagno, Wallace Fennell. Questa
borsa permetterà a un ragazzo o a una ragazza proveniente da
un paese africano devastato dalla guerra di venire a studiare in
America, qui al Neptune High. Un applauso al nostro unico e
insostituibile Wallace Fennell!”
La sala proruppe in un
fragoroso applauso. Wallace arrossì e si tolse il cappello.
Poi chiese il permesso
di parlare. Gia si fece da parte e gli passò il microfono.
“Grazie,
grazie a tutti voi, per essere qui. Grazie al nostro preside, Wan
Clemmons, che si è offerto di ospitare noi e la nostra
iniziativa. Perché, grazie alle vostre sempre e comunque
gradite donazioni, anche se più generose sono più
saremo contenti, potremo offrire a un giovane ragazzo africano non solo
un'adolescenza libera da sofferenze e ingiustizie, ma anche una
formazione tale da permettergli di tornare poi nel suo paese e
cambiarlo. Costruire qualcosa. Il nostro obbiettivo, per il momento,
è quello di trovare una famiglia disponibile ad ospitare il
fortunato e pagare per lui e le sue spese. L'iscrizione al liceo di
Neptune, grazie al preside Clemmons, sarà ridotta. E poi, se
le donazioni saranno sufficienti, possiamo pensare di iscriverlo al
college.
Per ora è
un tentativo, un'esperimento, ma con il vostro aiuto vorrei provarci.
Vorremmo provare ad offrire ad un giovane o ad una giovane un futuro
che forse non si era nemmeno immaginato. Diventare medico, economo,
infermiere, maestro, ingegnere e tornare nel suo paese per fondare
un'azienda, costruire una scuola, privatizzare un ospedale. Quindi,
detto questo, invito i signori qui presenti a posare la mano sul vostro
cuore... poi infilatela sotto la giacca ed estraete il portafogli o il
libretto degli assegni dal taschino interno e fate del bene! Voi
signore, aprite la pochette! Grazie!” Tutti risero e un
fragoroso applauso riempì la sala.
Ma Wallace non aveva
intenzione di scendere dal palco e lasciare il microfono al cantante.
Era lì, tentennava, e Veronica e Mac si scambiarono uno
sguardo complice nel momento in cui Dick domandò a gran voce
“Perché Wallace non scende?”. Veronica
si guardò attorno, finché non
individuò una chioma riccia poco distante. Veloce come un
fulmine la raggiunse seguita a ruota da Mac. Con tutta la delicatezza
possibile le prese il braccio “Ciao Jackie,
bentornata!” la mora rimase interdetta. Veronica non era mai
stata troppo gentile con lei, e quel gesto era decisamente fuori luogo.
Poi vide, dietro di lei una sorridente Mac. Non capiva, non sapeva cosa
dire. Quel momento di silenzio le costò il tempismo,
perché dal palco Wallace si schiarì la voce e
riprese a parlare.
“Tutto
quello che vi ho detto è importante pur una lunga,
lunghissima serie di ragioni, che non starò qui a elencarvi.
Ma c'è un motivo per cui è cruciale offrire un
futuro a qualcuno... perché possa costruirselo. Essere nati
in un determinato ambiente non può limitare il nostro
destino, mai. Questo non vale solo per i bambini nati in africa: vale
per tutti noi.
Pendete me, essere
nato nel mondo occidentale con le capacità per diventare un
giocatore di basket professionista non significa che io sia solo
questo. Io voglio essere anche molto altro: voglio essere qualcuno che
fa del bene, voglio essere qualcuno di cui mia madre possa dirsi fiera,
le cui orme mio fratello voglia seguire. Voglio anche poter essere
padre di mio figlio, voglio questo onore e diritto, voglio seguirlo
mentre fa i compiti, voglio insegnargli a giocare a basket ma anche a
baseball se preferisce, voglio sgridarlo quando si comporta male,
voglio esserci quando andrà alle medie, quando
avrà la sua prima ragazza, quando appena presa la patente mi
righerà la macchina. Voglio esserci e voglio esserci assieme
a te, Jackie Cook...” e lasciata la frase in sospeso si
infilò la mano nel taschino interno e si
inginocchiò.
Nel frattempo attorno
a Jackie si era fatto il vuoto. Solo Veronica e Mac le stringevano
ancora il braccio, delicatamente. Jackie si portò la mano
libera alla bocca.
“Jackie
Cook, vuoi sposarmi?” domandò la voce calma e
rassicurante di Wallace che usciva dagli altoparlanti, mentre lui non
le toglieva gli occhi di dosso.
Veronica in quel
momento sussurrò piano alla donna impietrita
“Jackie, non lo fa perché deve, lo fa
perché vuole...”. Solo allora la giovane donna si
staccò dalle due ex compagne di classe e, piangendo per
l'emozione si avvicinò al palco. Prima impercettibile, poi
sempre più visibilmente annuì ripetutamente con
la testa, incapace di parlare. “Sarebbe un si?”
domandò Wallace. “Si...” rispose lei con
un filo di voce. Solo allora il giovane uomo lasciò il
microfono sul palco, saltò giù e corse da lei,
baciandola.
E, come in un film,
tutti applaudirono e urlarono.
Veronica non pianse, e
nemmeno Mac, ma erano entrambe molto felici per il loro amico. Poco
dopo il resto del gruppo le raggiunse. “Cavoli, ragazzi, chi
l'avrebbe mai detto!” esclamò Dick. Logan
scoppiò a ridere e indicò le due ragazze.
“A quanto pare loro!”
Poi la musica riprese,
con Wallace e Jackie che ballavano al centro della sala.
Logan porse la mano a
Veronica e le chiese “Balli con me?”
“Volentieri!” e le mani di lui le cinsero
i fianchi. Furono seguiti a ruota dalle due coppie di amici, e infine
da Duncan che chiese a Gia di fargli compagnia. Lei fu ben lieta di
accontentarlo.
Poi la canzone
cambiò all'improvviso. Chitarra, batteria e piano si
destreggiavano in un giro che alle orecchie di Veronica e Logan
suonò improvvisamente familiare. Sway. Come la prima volta
che avevano condiviso la pista da ballo. “Questa
canzone...” parlò finalmente lui “...
non ti facevo così romantico signor Echolls!”
esclamò lei, con fare canzonatorio. “Non hai mai
voluto vedere questo mio lato!” e lei posò il capo
sul petto ampio e forte di lui fino alla fine della canzone.
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Furono
interrotti da Duncan che chiese il cambio. “Hey amico, posso
rubartela per un giro?” “Cero... Gia? Beviamo
qualcosa e mi racconti cosa hai combinato nel corso degli ultimi dieci
anni?” propose Logan allontanandosi e facendo l'occhiolino a
Veronica.
“Allora...
che serata!” disse infine Duncan non appena furono soli.
“Eh già...” rispose fredda lei.
“Veronica...
che succede... non potresti essere più fredda e distante di
così con me. Ti conosco, qualcosa non va. Hai voglia di
parlarmene?” lei si staccò e gli propose di bere
qualcosa. Duncan accettò, evidentemente era qualcosa di
importante e delicato. Recuperarono due bicchieri di champagne e
uscirono dalla sala, diretti al cortile interno. Si sedettero ad uno
dei tavoli da pranzo. Era buio da un po' e il metallo freddo fece
rabbrividire Veronica quando si sedette: la gonna era piuttosto corta e
la pelle toccava la seduta della panchina.
“Duncan
io... hai presente mia madre... tuo padre... insomma. Non ho avuto gran
modelli materni. Mio padre è sempre stato un genitore
favoloso: non mi ha mai fatto mancare nulla, soprattutto l'affetto.
Peccato che altrettanto non si possa dire per mia madre.”
Duncan la interruppe “Veronica se vogliamo parlare dei nostri
genitori ben venga, ma non capisco proprio dove tu voglia andare a
parare...” “Oh, Duncan, fammi finire. Stavo
dicendo... ah si mia madre. Beh, l'alcolismo è una malattia
di cui mia madre ha sofferto e, per quanto ne so, soffre ancora. Questo
genere di dipendenza è... deleterio. Non solo per
l'individuo ma anche per chi vive assieme a quella persona. Mia madre
mi ha rubato il futuro due volte: avevo speso tutti i miei soldi del
college per pagarle una clinica di riabilitazione e lei
nemmeno c'è andata. Poi, non contenta, la notte in cui l'ho
cacciata si è portata via l'assegno di tua madre.
Chissà come sarebbe la mia vita a questo punto... comunque
sto divagando.” e bevve un lungo sorso di champagne. Poi
sollevò il bicchiere e lo indicò a Duncan.
“Vedi Duncan
questo genere di dipendenza è... recidivo e ereditario. Non
geneticamente ma psicologicamente. Io ho il 50% di
probabilità di diventare un'alcolista come mia madre, di
essere dunque una donna pessima sotto molti, troppi punti di vista. E
visto quanto ho bevuto negli ultimi giorni... beh sto iniziando a
dubitare di essere nel 50% vincente.” posò il
bicchiere sul tavolo e lo fissò lungamente.
“Io... se
non posso essere una donna decente, come pensi che possa essere buona
madre? A maggior ragione, se c'è questa
possibilità non posso... non me la sento di mettere in
pericolo la vita e l'esistenza di una creatura che non è
mia? Una creatura per la quale tutti noi hanno rinunciato a molto,
forse troppo? Come posso dirti serenamente che mi prenderò
cura di tua figlia quando a stento sono in grado di prendermi cura di
me?” finalmente alzò lo sguardo e Duncan vide che
stava piangendo.
“Veronica tu
sei solo spaventata...” cercò di rassicurarla,
ottenendo però l'effetto contrario.
“Certo che
sono spaventata!” urlò lei “Sono
terrorizzata! Io... potrei essere una bomba a orologeria. Che ne
sappiamo che tra sei mesi non sarò in qualche centro di
disintossicazione? E se accade tra due anni, tra tre, tra dieci? Come
posso assicurare a una bambina che ne ha già vissute tante,
troppe, un'infanzia serena? Quello che diceva Wallace prima... che
futuro posso offrire a tua figlia nel momento in cui tu... e poi tu non
morirai. No. Non esiste! Non hai bisogno di me, non ci sarà
nessun tutore... Duncan...”
“Veronica”
provò a calmarla lui “è solo una forma
preventiva... un'assicurazione. Mia figlia...”
“Tua figlia
sarà più sicura con tua madre che con me. Io ho
un passato che non mi permette di costruire serenamente il futuro, mio
o degli altri. Io fuggo dalle responsabilità Duncan,
soprattutto se sono responsabilità che non posso
affrontare...” piangeva e gridava.
Duncan non ce la fece
più e sbottò “Sei solo un'egoista. Una
maledetta egoista! Ma vuoi capirlo che non mi posso fidare di nessuno a
parte di te e Logan e Clarence. Ma Clarence non può tradire
i miei e io penso che mia figlia abbia bisogno di una maledetta figura
femminile, che la aiuti le insegni...”
“Hai detto
bene, una figura femminile ma sana, non corrotta come la mia. Io...
Lilly è morta, Meg è morta, mia madre
è fuggita, tu sei scappato, Logan mi ha sempre
destabilizzata...”
“Lilly
è morta per tutti noi, non solo per te. Tutti noi le
volevamo bene e abbiamo sofferto, io forse più di tutti. Era
mia sorella, Veronica, ma io ho deciso di andare avanti di combattere
contro questo fantasma. E tu cosa fai? Ti crogioli ancora in questo
dolore dopo più di dieci anni? Non credo che tu stia facendo
questo... penso che tu sia così egoista da usare mia sorella
e la sua morte come una scusa!” si alzò,
arrabbiato. “Me ne vado, prima di arrabbiarmi davvero e
perdere la pazienza. Da te non me l'aspettavo. Non pensavo che mi
avresti abbandonato... forse... forse si, sei cambiata. E non mi piace
questa nuova Veronica! Penso però che tu abbia ragione: mia
figlia non dovrebbe crescere con una persona orribile come
te...” e scagliando il bicchiere mezzo pieno a terra la
lasciò sola ai suoi pensieri e alle sue torture interiori.
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Mac e Dick
stavano ballando, avvinghiati come due fidanzatini al loro primo
appuntamento. “Sai che mi sento un po' in colpa...”
disse lui ad un certo punto. “Perché?”
domandò incuriosita sua moglie.
“Perché
la mia proposta di matrimonio non è stata nemmeno
lontanamente paragonabile a quella di Wallace...” Mac
scoppiò a ridere “Sei incorreggibile! La tua
proposta in volo appeso ad un paracadute è stata
favolosa!” e lo baciò appassionatamente.
Un risolino isterico
li interruppe. Davanti a loro Madison sembrava molto divertita dalla
scena.
“Oh,
scusate, non volevo interrompere. Vi prego, andate avanti! È
solo che mi piacciono le scene grottesche!” Mac
digrignò i denti. Poi, esibendo il sorriso più
posticcio possibile “Ciao Madison, come stai? E tuo marito? I
reumatismo gli hanno impedito di venire al ballo oppure è
impegnato con l'amante?”
Madison
incassò senza una piega il colpo basso. “Beh, se
non altro io non rubo dall'immondizia degli altri” e
indicò Dick “sei stata carina a rimettere assieme
i pezzi che io avevo rotto! Solo... un po' patetica!”
Mac fece per
andarsene, quando la voce di Dick la fermò. Quel tono
l'aveva sentito solo quando parlava con i suoi genitori, pessimi esempi
di amore genitoriale. Lui era fuggito con i soldi, lei li aveva
abbandonati per il lavoro. “Tu, invidiosa e acida megera.
Devi portare rispetto per Mac, non perché sia mia moglie, ma
semplicemente perché è una persona decisamente
migliore di te. Siete inconfrontabili, tu non hai idea di quanto per me
sia stato fortunato il giorno in cui mi hai scaricato. Lei... se tu
sapessi quello che sa lei l'avresti già trascinata nelle
fogne con te. Non hai idea di quanto le costi tenere questo segreto, di
quanto dolore le provochi il vederti, il sentirti parlare, il solo
pensare che tu esista” “Dick, ti prego, lascia
perdere... questi sono affari privati... non qui, non ora... avevamo
detto... mai. Ti prego!” Esclamò Mac, prendendolo
per la manica della giacca.
Ma lui parve non
averla udita. “Madison tu sie una persona così
fortunata e nemmeno te ne rendi conto. Ti comporti come la regina del
mondo e invece dovresti essere solo la figlia di un impiegato e di una
segretaria, non la figlia di due dei più illustri cittadini
di Neptune. Quel posto spetterebbe a mia moglie!”
Lo aveva urlato
così forte che le persone più vicine a loro
avevano udito tutto, e ora fissavano a turno lo sguardo su Madison
Sinclaire e su Cindy Mackenzie in attesa della loro reazione.
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La scena
era stata a dir poco imprevista e quasi esilarante. O per lo meno lo
era stato il mutamento dell'espressione di Madison: da soddisfatta a
stupita a scioccata. Infine disperata. Le due donne, accompagnate dalla
signora James, allora consulente scolastica, erano uscite dalla sala.
Mac era impietrita, Madison in lacrime.
Logan stava osservando
la scena a poca distanza, assieme a Eli. “Tu ne sapevi
qualcosa?” domandò l'ispanico. “No di
certo, ma conosco qualcuno che di sicuro è informato sui
fatti... a proposito dove è finta Veronica?”
“L'ho vista uscire in giardino con Duncan” rispose
Wallace, mentre lasciava la pista da ballo abbracciato alla sua
fidanzata. “Ragazzi, vi presento la futura signora
Fennell” “Congratulazioni ragazzi!”
esclamò Parker, che stava tornando con due piattini carichi
di stuzzichini. “Vado a recuperare una bottiglia e dei
bicchieri così appena tornano Mac, Duncan e Veronica
facciamo un bel brindisi!” esclamò Dick, di
ritorno. In realtà sapeva di averla combinata grossa, e
aveva bisogno di tenersi occupato. Poi, rivolgendosi a Logan gli chiese
di accompagnarlo.
“Sei proprio
nei guai, amico” esclamò Logan, battendo un colpo
secco sulla schiena dell'amico. “Eh già... beh
almeno potrò dire di aver vissuto pienamente la mia vita.
Ricordami biondo, ubiraco e felice nel discorso commemorativo, ti
prego. E niente statue, solo la foto di me e Mac in viaggio di nozze,
quella in cui le slaccio il costume...!” Beh, se non altro l'ha presa bene,
pensò Logan.
Con la cosa
dell'occhio Logan vide Duncan entrare dalla porta. “Scusa
Dick, ti raggiungo subito...” e corse in contro all'erede
Kane, che aveva l'aria tutt'altro che felice. Cosa diamine era succeso?
E dove era Veronica?
“Hey,
DK” Duncan si voltò “Tu lo
sapevi?” Lo attaccò Duncan.
“Cosa?” domandò Logan, colto alla
sprovvista da quella reazione. Duncan era agitato, e Logan non voleva
certo peggiorare la situazione. “Che la tua ragazza ha deciso
di piantarmi in asso, di abbandonarmi proprio ora che ho bisogno di
lei. Pensavo che avreste accettato. Sei d'accordo con lei? Ti vuoi
tirare indietro? No perché se è così
io non so proprio cosa fare...” la rabbia si era tramutata in
lacrime. Duncan era disperato. “Mi vuoi spiegare di cosa stai
parlando?” domandò Logan posando una mano sulla
spalla dell'amico.
“Veronica
non vuole accettare di essere la tutrice di Lilly. Ha paura di non
essere una brava madre...” disse infine Duncan fissando il
suo più caro amico negli occhi.
“Dove
è lei?” chiese Logan, mentre terrore e rabbia si
facevano spazio dentro di lui.
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Era a
pezzi. Doveva essere una bella serata, doveva divertirsi, stare con gli
amici, non rintanata in giardino, al freddo, a tormentarsi.
Perché doveva andare sempre tutto storto? Perché
la sua vita non poteva essere... normale? Perché non poteva
tornare tutto come prima...
Ma prima quando? Prima
che Lilly morisse, prima che sia madre la abbandonasse, prima che suo
padre perdesse il lavoro... o prima che Duncan mettesse in cinta Meg,
prima che Cassidy facesse saltare in aria lo scuola bus... o ancora
prima, prima che Woody Goodman approfittasse dei ragazzini
più deboli. Ma forse la rottura era avvenuta dopo, e quindi
bastava tornare a quella volta che non ha risposto alla chiamata di
Logan, oppure a quella volta che aveva incontrato Maidson, o al momento
in cui aveva deciso di intrufolarsi a casa di Jake Kane, facendo
perdere le elezioni a suo padre. Tornare alla normalità.
Quando era stata l'ultima volta che tutto era stato normale?
Un brivido freddo le
corse lungo la schiena, come se qualcuno la stesse osservando. Poi la
canna della pistola si era appoggiata alla sua nuca, rovinandole
l'acconciatura.
“Veronica,
che piacere vederti. Se non sbaglio è qui che ci siamo
conosciuti... che tutto è cominciato!” Quella
voce... “Nick... che ci fai qui? Se non sbaglio tu non ti sei
mai diplomato al Neptune High, devo aver sbagliato a mandarti
l'invito!” Lui premette la pistola più forte, e
Veronica iniziò a tremare.
“Scherza
poco, ragazzina. Qui è cominciato tutto, il declino della
mia carriera. Per colpa tua mi hanno revocato il distintivo e la
pistola d'ordinanza. Per colpa tua sono fuori dall'FBI... ma ora
salderai il conto. Che ne dici di farci un bel giretto?”
Veronica si rese conto
che non poteva che ubbidire, e lo seguì verso il parcheggio.
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Non c'era.
Strano, che fosse rientrata senza che lui se ne accorgesse? Rientrando
incrociò Corny. “Hey, hai visto
Veronica?” “Sempre a seguire le sue gonne, eh,
Echolls? Come darti torto! Beh, no, almeno non nell'ultima mezz'ora. Ci
becchiamo!” e lasciò Logan alla sua ricerca.
Tornando dagli amici
chiese un po' in giro, ma sembrava che nessuno l'avesse vista dopo che
era uscita con Duncan.
Quando
arrivò da Eli e dagli altri non aveva ancora avuto sue
notizie. Decise di andare a controllare il parcheggio. Proprio in quel
momento andò a sbattere contro una sua vecchia conoscenza.
Leo. Cosa ci faceva lì? E chi era quella bella donna... ah
Angela, l'agente dell'FBI. “Leo... che sorpresa!”
“Logan cercavamo proprio te:" lo interruppe il
bell'investigatore.” Poi Angela prese la parola
“Logan, Logan Echolls... dove è
Veronica?”
“Non lo so.
La stavo giusto cercando. È successo qualcosa?”
rispose allarmato Logan.
“Dominick
Patterson... l'abbiamo arrestato per abuso di potere. Abbiamo trovato
dei diari perquisendo la sua stanza d'albergo. É
ossessionato da Veronica. E c'è sfuggito!”
Spazio autice: non
pensavo di riuscirci e invece ecco a voi il capitolo 23! Per il 24 temo
che dovrete davvero aspettare, il prossimo WE sono a Roma a vedere
l'Italia che gioca contro l'Irlanda! Mi raccomando fate il tifo! :P
Enjoy!
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Capitolo 25 *** Found raising ***
No, non è un nuovo capitolo, e mi scuso per questo.
Volevo solo fare un appello a tutti i fans di Veronica Mars.
Kristen Belle e Rob Thomas non hanno mai perso la speranza in questi
lunghi anni. La WB, che ha comprato i diritti, non li ha mai voluit
cedere, anche di fronte a una convintissima Kristen Bell che si
proponeva di finanziare interamente un eventuale film. Ma niente. Rob
Thomas è andato più volte alla WB ma senza
successo.
Poi, l'illuminazione. Perché non coinvolgere i fans?
Nel 2007 le risorse web erano limitate e infatti la campagna di inviare
barrette mars alla WB non ha riscosso molto successo.
Ma oggi il web è cresciuto e esistono molti modi per
mobilitare l'opinione publlica.
E così per prima cosa attraverso il suo account twitter una
incintissima Kristen ha chiesto ai suoi fan di spedire una mail alla WB
chiedendo di liberare i diritti per un film.
Io l'ho fatto, come molti altri fan del telefilm.
Il risultato? La WB ha dato una unica possibilità a Bell e
Thomas. Ora mancavano i soldi.
Come trovarli? Ma attraverso un motore di found raising: Kickstarter!
Aperta la pagina, in meno di 12 ore il budget ( per il più
grande progetto di foud raising della rete fino ad ora) di 2 milioni di
dollari è stato ampiamente raggiunto e superato.
Quindi la buona notizia è che il film di Veronica Mars si
farà!
Le riprese cominceranno non appena Kristen sfornerà il
bambino. Data d'uscita prevista? Febbraio 2014 nelle sale americane. Il
DVD un mese dopo.
Ma vorrei spiegarvi anche che più soldi raccoglieranno
migliore sarà il risultato del film.
Io per il momento ho versato 10 dollari, ma ne verserò di
più se i gadget (DVD del film compreso) potranno essere
spediti anche in Europa. Pare che stiano lavorando per questo
(probabilmente non si aspettavano un pubblico così vasto da
oltreoceano).
Questa è la pagina
http://www.kickstarter.com/projects/559914737/the-veronica-mars-movie-project
Ma ora altre buone notizie. Chi ci sarà?
Beh, Veronica ovviamente, Ryan/ Dick, Enrico/Keith e Logan.
A proposito, questo è quello che Kristen ha postato un paio
di giorni fa... LoVe shippers sarete (come me) accontentati!
Per concludere vi lascio un altro paio di link e vi saluto.
Non perdetevi il
bellissimo video che hanno girato (un anno fa!) per il found raising!
http://insidetv.ew.com/2013/03/13/veronica-mars-movie-kristen-bell-kickstarter/
http://www.serialmente.com/2013/03/13/il-film-di-veronica-mars/
http://www.guardian.co.uk/tv-and-radio/tvandradioblog/2013/mar/14/veronica-mars-fans-fund-movie-kickstarter
Io ho donato e voi? Pensateci!
A presto
Sghisa
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Capitolo 26 *** Eroi ***
Eroi
Furono
gli applausi a ridestarla dal momento di distrazione. Si
ritrovò inconsapevolmente circondata da tante, troppe
persone in una sala illuminata da luci accese. L'aria era stantia,
odore di alcol e di sudore. Corpi che le sbattevano contro, facendola
traballare sui tacchi alti. Stava per cadere quando un braccio robusto
le si insinuò dietro la schiena, reggendo il suo leggero
peso. "Sei già ubriaca, tesoro?" le domandò
Logan, sorridendole con aria sorniona e provocante. Poi la
baciò sulla fronte. "E così sono passati dieci
anni… l'avresti mai detto? Io e te, sempre insieme, come al
liceo." Si mise davanti a lei, le cinse la vita e cominciò a
ondeggiare, guidandola a ritmo della musica. Lei lo
abbracciò, ricambiando il sorriso dell'uomo che amava.
Erano
nel pieno della festa. Un urlo attirò la sua attenzione.
Dick Casablancas stava dando spettacolo, come suo solito.
Alzò il bicchiere di cristallo e la bottiglia di Christal e
incitò i loro ex compagni di classe a brindare.
"Un
brindisi speciale per il mio migliore amico, Logan Echolls, e per suo
padre che si è generosamente offerto di pagarci questa
serata di festeggiamenti e ubriacature! A Aaron Echolls, l'uomo
più generoso che conosco!" e trangugiò il
contenuto schiumoso del bicchiere in un solo sorso. Poi
saltò giù dal tavolo che aveva fatto da podio al
suo profondo discorso e si incollò al seno rifatto della sua
epocale ex, Madison Sinclaire, che però on sembrava
interessata. "Perdente!" gli urlò, prima di allontanarsi nel
suo mini abito.
"Certe
cose non cambiano mai, vero?" domandò una voce femminile
alle spalle di Veronica. Lei si girò e incontrò
lo sguardo severo di una moretta tutta pepe che faticava a riconoscere.
Come si chiamava? Cindy qualcosa… non riusciva proprio a
ricordarselo. Indossava pantaloni svasati e una camicetta blu elettrico
come i ciuffi che portava nei capelli. Al liceo non avevano mai fatto
amicizia, eppure Veronica percepì in quel momento che
avrebbero potuto esserlo. Se non ricordava male, lei e il fratello di
Dick, Beaver o meglio Cassidy si erano fidanzati qualche mese prima. Lo
aveva saputo da Logan, che con la famiglia Casablancas aveva ancora
rapporti piuttosto stretti.
Beaver,
un altro dimenticato del liceo di Neptune, era sempre vissuto all'ombra
del fratello e sempre l'avrebbe fatto. Per Veronica non era certo una
persona interessante, e si era sempre limitata al minimo contatto
indispensabile. Sorrise alla moretta e concentrò nuovamente
l'attenzione sul bellissimo uomo che le stava davanti. Su suo marito.
L'uomo della sua vita, o almeno l'uomo della sua vita quando non
passava la notte fuori con chissà chi. Ma Veronica aveva
deciso di ignorare le lunghe e ingiustificate assenze del marito,
perché anche se la tradiva, comunque le offriva la migliore
vita possibile. E poi c'era Mary. A casa la loro piccolina li
aspettava, accudita dai nonni Mars per l'occasione. La piccola Mary
aveva appena compiuto tre anni, e era la gioia di mamma e di
papà.
"Beviamo
qualcosa?" propose Veronica, stanca di ballare. Mentre si avvicinavano
ai divanetti sulla parete di fondo osservò il suo vestito.
Bianco candido, di pizzo con ricami dorati, le maniche di tulle a
sbuffo. Teneva i capelli raccolti a mostrare il collier di diamanti e
gli orecchini in pandan che Logan le aveva regalato al loro quinto
anniversario di matrimonio. Sulla parete di fondo un poster ricordava
chi non era potuto venire alla festa per i dieci anni del diploma.
C'era chi mancava perché si trovava in galera, come quel
tale, messicano, era stato il capo dei PCHears fino a un anno prima,
quando Don Lamb l'aveva arrestato per l'omicidio del suo rivale, Felix
Thumbs. E poi c'erano i loro illustri ex-concittadini, come Wallace
Fennell. Assolutamente sottovalutato durante il liceo, ora era un
professionista del Basket e viveva a New York. Aveva mandato dei
laconici saluti, che comprendevano anche una serie di irripetibili
insulti ai suoi compagni di scuola. Per lui il liceo era stato un vero
e proprio inferno, e voleva comunicarlo a tutti.
Mentre
si avvicinavano al tavolo dello champagne si imbatterono in Duncan e
Meg. Meg la abbracciò con trasporto e Veronica
ricambiò sorridendo a Duncan. "Veronica, tesoro, come stai?
Non ti ho vista questa settimana al circolo… io e le ragazze
eravamo in pensiero. Pensa che ci è addirittura toccato far
sedere al nostro tavolo quella odiosa di Madison, lei e il suo
linguaggio volgare. Non farlo più di abbandonarmi in una
situazione come quella, ok?" Meg era un'adorabile moglie modello. Lei e
Duncan si erano sposati subito dopo il diploma, e lei non aveva mai
dovuto lavorare un solo giorno, solo badare alla piccola Faith,
finché non era nato Nathan, e poi Joline. Ora avevano deciso
di fermarsi e dedicarsi un po' a loro stessi. Duncan si era candidato
come governatore dello stato della California e Meg aveva dovuto
affrontare con lui una a dir poco estenuante campagna elettorale. Le
possibilità c'erano, insomma era pur sempre l'erede
dell'impero Kane, si era laureato in legge a Stanford e era un
conservatore. La California aveva bisogno di un Repubblicano. E lo
voleva. Duncan avrebbe anche potuto vincere.
Se
non fosse per quella macchia sul curriculum. No, non la figlia nata
prima del matrimonio, ma sua sorella. Lilly Kane era letteralmente
sulla bocca di tutti. Era cominciato tutto con un filmino a luci rosse
di lei e due star del cinema, fratelli. Poi un matrimonio a Las Vegas
con un cantante rock, fallito nel giro di pochi giorni. Era stata vista
ovunque e con le persone meno raccomandabili a fare le cose
più folli e indicibili. Duncan, che l'aveva sempre difesa,
iniziò ad allontanarla. Voleva fare il politico, diventare
presidente. Non poteva permettere che il suo nome fosse associato a
quello di sua sorella, che entrava e usciva dai centri di
riabilitazione. Veronica non era riuscita a starle dietro, l'aveva
persa e rimpiangeva moltissimo i tempi in cui loro due erano grandi
amiche e tutto filava liscio. Ma era così che le cose
dovevano andare, pensò sorseggiando del delicato champagne.
Si
fermò e fissò il bicchiere con disappunto.
Qualcosa
non andava, lo champagne non aveva quel retrogusto di ferro.
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Sapore di ferro.
Quella fu la prima cosa che percepì riprendendo coscienza.
Sapore di ferro. Non riusciva proprio a spiegarselo. Come non riusciva
a spiegarsi il cerchio alla testa. E il silenzio che la circondava:
l'ultima cosa che ricordava era che si trovava alla festa, insieme ai
suoi amici. Non che fosse una festa così divertente,
soprattutto dopo la litigata con Duncan. Aveva litigato con Duncan...
Gli eventi della
serata cominciarono a riordinarsi nella sua testa. La limousine, Mac e
Dick, Wallace e la proposta a Jackie, Eli e Parker. Era stata una
serata piacevole, lei e Logan erano riusciti a non bisticciare, anzi si
stavano quasi divertendo. Poi Duncan… si ricordava di lui
che le gridava contro, della tristezza che aveva provato nel deluderlo,
della paura di essere tornata la vecchia Veronica, quella che scappa e
che fa fuggire gli altri. Duncan l'aveva lasciata sola, era scappato da
lei, lei l'aveva allontanato come sempre faceva con tutti. E Duncan
l'aveva lasciata sola, seduta sulla panchina di ferro.
Sola, il freddo che
passava attraverso la stoffa leggera del suo vestito.
E poi… poi
cosa era successo? Perché attorno a lei c'era silenzio e
buio? Non avrebbe dovuto trovarsi in mezzo a musica, suoni, luci e
persone? Perché non si ricordava dove si trovava e come
fosse arrivata in quel posto?
Poi un rumore,
leggero. Una sedia che scricchiolava leggermente. Tese l'orecchio.
Silenzio, solo silenzio attorno a lei. Era chiaro che si trovava in una
stanza, sdraiata su un letto. Dalla finestra entrava una brezza
leggera. La tenda si scostò rivelandole l'arredamento
scadente.
La testa continuava a
pulsare e il sapore di sangue, non ferro, non se ne era ancora andato.
Non si mosse, non se la sentiva. Qualcuno doveva averla tramortita e
portata lì. Chi e perché?
Provò a
girarsi, e non appena si mosse una voce rauca ruppe il silenzio che
fino a quel momento l'aveva circondata.
"Ben svegliata!"
E tutto le fu
immediatamente chiaro. La botta in testa era tutta colpa di Nick, che
l'aveva tramortita e portata chissà dove. Senza farsi
notare, distese la mano. Il copriletto sotto di lei era ruvido e
puzzava di stantio, il buio indicava che non era passato troppo tempo,
e i rumori provenienti dalla strada che era ancora sera e non mattina.
Non avevano lasciato l'area urbana di Neptune, questo era poco ma
sicuro. E l'odore di birra marcia e di muffa le indicavano che si
poteva trovare solo in un posto. E quel posto aveva senso: era il posto
dove tutto era cominciato, il motel Camelot.
"Veronica, suvvia, non
facciamo giochetti. So che sei sveglia e sono molto contento che tu sia
qui con me. Pensavo di chiudere questa storia dove ha avuto inizio, in
un senso poetico e circolare. Tu, io, questa stanza ad
angolo…"
Veronica
cercò di esplorare il letto, alla ricerca della borsetta,
senza dare nell'occhio, ma evidentemente non ci riuscì.
"Ah-ha, cara mia" la
interruppe Dominick, muovendosi sulla sedia e facendola scricchiolare
"sono un agente dell'ABI, insomma, non uno stupido. La tua borsetta
è rimasta alla scuola, dovessero provare a rintracciare il
tuo telefono. Quindi sappi che siamo io e te da soli, in questa stanza.
Questa volta farò le cose per bene, e non ti
permetterò di mettermi più i bastoni tra le
ruote. Mai più."
"Sospetteranno di te!"
Esclamò Veronica, cercando di essere più
minacciosa possibile mentre cercava di tirarsi seduta sul letto. "La
tua carriera è finta, rovinata. Hai seminato una scia che
porterà necessariamente a te…" "Non
necessariamente" la interruppe lui "Ti ricordi del buon Duncan,
immagino. Beh, è l'ultima persona con cui sei stata vista, e
a quanto pare non ha preso bene il tuo riappacificarti con Logan
Echolls. Mi sembra che entrambi siano sempre stati piuttosto gelosi e
possessivi nei tuoi confronti. E poi Mr. Kane non ha una buona
reputazione da noi a Quantico. Ha rapito la figlia ed è
scappato. L'abbiamo cercato per anni, e ora salta fuori che ha ucciso
la sua ex fidanzatina del liceo… insomma prigione a vita! O
pena di morte… chissà in che stato
verrà processato? Dipende da dove lo acciufferanno! Sai, mi
sono premunito di raccogliere una serie di prove incriminanti e
portarle in questa stanza. Capelli, oggetti utilizzati dal signor Kane,
addirittura un coltello proveniente dalla sua cucina, con le sue
impronte. verrà trovato a fianco della vasca da bagno, nella
quale ti troveranno esangue… Ah mi immagino la scena: il
volto sconvolto dello sceriffo, della tua amica Angela. Peccato non
poter essere presente…"
"Come pensi di non
venir tirato in ballo?" Domandò Veronica, cercando di
alzarsi, ma ricadendo sul materasso a causa di un capogiro.
"Non esagerare, mia
cara, non vorrei ti facessi male cadendo. Evidentemente ha
già cominciato a fare effetto…"
"Cosa mi hai dato?"
domandò lei, tenendosi la testa tra le mani. Non ci fu
bisogno di risposta: quella sensazione non le era nuova…
GHB… la nausea montò. "Non la passeri liscia!"
urlò, ma le forze la stavano abbandonando.
Dominick si
avvicinò al letto, e la aiutò a stendersi
"Shhhh… vedrai, non te ne accorgerai nemmeno.
Sarà come cadere in un sonno profondo…!"
Le poggiò
la testa sul cuscino e andò verso il bagno. Veronica aveva
percepito le mani guantate di lui toccarle la nuca, e un brivido le era
corso lungo la schiena. Poco dopo Veronica sentì scrosciare
d'acqua. Il vapore si condensò rapidamente, l'acqua doveva
essere caldissima. In questo modo anche un piccolo taglio l'avrebbe
fatta dissanguare in fretta. Riusciva a malapena a tenersi cosciente.
Cosa fare? Non poteva finte così. Mentre calde lacrime le
rigavano le guance Veronica ripensava a tutte le volte che se l'era
cavata, che ce l'aveva fatta. Erano troppe? Aveva forse consumato la
sua buona stella?
La cosa che
però la stupì nel profondo fu che si
ritrovò a pensare non a sé, ma alle persone cui
voleva più bene. A suo padre, che le avrebbe perdonato
tutto, tranne il fatto di abbandonarlo in questo mondo crudele e
difficile. A Lilly, che l'aveva lasciata sola. A Logan, che non l'aveva
mai lasciata andare. A Duncan che le aveva permesso di essere libera. A
Mac che non aveva mai fatto domande e a Wallace che gliele aveva poste.
A Meg che l'perdonata. A sua madre, che voleva perdonare con tutte le
sue forze. A Dick, che aveva sottovalutato… sempre. E si
augurò che ognuno di loro avrebbe avuto una buona esistenza,
anche senza di lei. Le forze la stavano abbandonando, il mondo
tornava sfarzi confuso, non riusciva a distinguere
realtà e immaginazione, sogno e verità.
Era di nuovo alla
festa, assieme a Meg e Duncan, Logan e gli altri… poi veniva
catapultata in una stanza d'albergo squallida e buia… aveva
cinque anni e sua madre la stava portando alle giostre… poi
ne aveva dodici e incontrava Logan a casa di Lilly per la prima
volta… era il giorno del diploma e lei e Logan avevano
fermato Cassidy dal gettarsi dal tetto… una porta sbatteva
nell'oscurità… suo padre le baciava la fronte
nella navata di una chiesa e lei aveva il velo tra i
capelli… grida maschili e corpi che cadono… Lilly
che le sorride mentre le racconta di avere un segreto, un bel
segreto… una sedia che si rompe e va in mille
pezzi… sua madre che abbraccia una bambina e le domanda se
è sua nipote… silenzio, poi, all'improvviso, uno
sparo nell'oscurità. Poi nulla.
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Non c'era stato
nemmeno il tempo di pensare. Veronica era sparita, e lo era anche quel
pazzo di Dominick Patterson. Ma questa volta non l'avrebbe passata
liscia, no signore. Aveva già messo le mai addosso alla sua
veronica fin troppe volte, e ora era proprio ora di chiedere la
questione.
Leo e Angela si erano
precipitati ad ispezionare la stanza d'albergo dell'agente Patterson,
mentre lo sceriffo aveva diramato l'ordine d'arresto. Il confine con il
Messico era stato allertato, pattuglie si muovevano in tutta Neptune.
Veronica era sparita
da meno di un'ora, quindi non potevano essere troppo lontani! E lui
aveva una mezza idea di dove fossero, ma questa volta avrebbe fatto a
modo suo. Niente polizia, niente PI, niente di niente a impedirgli di
spaccare qualche osso a quel folle. Una volta per tutte.
Era ancora a scuola,
la musica era stata spenta da un po', e la gente se ne stava andando
alla chetichella. Passando, Madison esclamò "Deve sempre
rovinare tutto, quella bionda spennacchiata…". Lui si
trovava in un capannello di persone che comprendeva gli amici
più cari di Veronica, le persone che doveva distrarre se
voleva via libera verso il motel Camelot. Alzò lo sguardo e
incontrò quello di Parker. L'idea lo raggiunse come un
fulmine. Avrebbe decisamente potuto sfruttare quella situazione a suo
vantaggio. Madison era ancora a poca distanza, calcolò i
tempi e poi aprì bocca.
"Madison sa essere
davvero di cattivo gusto…"
Tutti lo fissarono,
poi Parker, la donna tutto pepe che, seppur diversamente da Veronica,
tendeva a proteggere le sue amiche, alzò lo sguardo
più in fretta degli altri e scambiò uno sguardo
al vetriolo con Mac. "In che senso?" proruppe la bionda.
"Non avete sentito? ha
appena accusato Veronica di averci rovinato la festa…"
rispose Logan con aria innocente.
Parker
aggrottò le labbra e le sopracciglia. Porse la borsetta a
Eli e, guardando Mac negli occhi, esclamò "Amore, mi reggi
la borsetta? Devo dire un paio di cosette a quella strega!" e si
avviò come una furia verso l'uscita principale, seguita a
ruota da Mac e da Jackie. Dopo un secondo di spaesamento, Dick, Wallace
e Eli si voltarono. Giusto in tempo per cogliere Parker mentre, con la
velocità di un fulmine, afferrò i capelli di
Madison e li tirò con tutta la sua forza. La scena colse
alla sprovvista tutti i presenti, che si fermarono come immortalati
dalla pellicola fotografica. "Cosa hai detto, brutta gallina? Chi ti
credi di essere?" esclamò Parker, e tirò ancora
più forte. Eli e gli altri si avvicinarono rapidamente al
teatrino, mentre Logan, convinto di essere passato inosservato,
lasciava la sala dalla porta di servizio. Un po' gli dispiaceva non
assistere a quella stupenda scena, ma aveva una bionda minuta che
profuma di speranze da salvare.
-----------------------
Leo e Angela erano
arrivati al Central Hotel, una decorosa via di mezzo tra lo squallido
Camelot e il super lussuoso Grand. Lì Dominick Patterson
aveva alloggiato nelle ultime settimane, e da Lì sarebbero
cominciate le loro ricerche. In realtà non si aspettavano di
trovarlo in albergo: sapeva di essere ricercato, e difficilmente si
sarebbe fatto trovare nella sua stanza d'albergo. E così
anticiparono lo sceriffo e si recarono alla recepito , dove una donna
bruna li accolse con un sorriso annoiato. "In cosa posso esservi utile?"
Angela fece un passo
in avanti, lasciando Leo indietro. "FBI" disse, mostrando il tesserino
"stiamo cercando Dominick Patterson. E' ancora qui?"
"No" rispose la
ragazza, fissando il tesserino di Angela. Non avrebbe distinto un
originale da una copia, ma non voleva certo farlo capire. "Ha lasciato
la stanza due ore fa. Ha pagato in contanti anche per questa notte e si
è dileguato nella notte."
"immagino che la
stanza sia già stata pulita e rassettata?"
domandò lei, senza perdere la calma né quell'aria
seria e professionale.
"No, non ancora. Il
turno di Juanita inizia tra mezz'ora…" Senza farla finire
Angela riprese "Allora non le dispiacerà certo se diamo
un'occhiata. Non ci metteremo molto. Stanza…" "Stanza
137… ma…" non fece in tempo a finire,
perché Angela e Leo si congedarono con un sorriso.
La stanza era vuota,
e, ovviamente, non trovarono nulla di interessante. O utile.
"Veronica, dove sei?
domandò Angela, guardando fuori dalla finestra.
-------------------------
Non
parcheggiò la macchina sotto le stanze del motel, ma si
fermò qualche metro prima dell'ingresso al motel.
Attraversò la strada e si diresse al Camelot. C'erano tre
stanze illuminate, ma in quella che interessava a lui nessuna luce. Dal
bagno, dotato di una microscopica finestra, filtrava della luce. Sapeva
che era lì, che doveva essere lì.
Approfittò di un gruppo di ragazzi ubriachi per correre su
per le scale e portarsi davanti alla porta della stanza in angolo, la
227. Sentiva solo il rumore dell'acqua, ma nella camera ancora nessun
rumore. Non una voce, non un suono. Posò la mano sulla
maniglia, e provò ad aprirla, con poca speranza che non
fosse chiusa a chiave. E invece il meccanismo non fece resistenza,
l'uscio si dischiuse e lui si trovò dentro la stanza.
Richiuse la porta alle sue spalle, lasciandola però
accostata. Doveva lasciarsi una via d'uscita.
C'era odore di alcol,
di stantio, ma anche di Veronica. Si guardò attorno e la
intravide, sul letto, assopita sperava. Dominick doveva trovarsi in
bagno. Fece per avvicinarsi a Veronica, al letto, ma una trave del
pavimento scricchiolò, e lui capì di essere nei
guai. Si preparò, e fece bene. Poco dopo L'agente dell'FBI
spalancò la porta facendola sbattere fragorosamente e gli
saltò addosso. Ma Logan, era, per l'appunto preparato.
Piegò leggermente le ginocchia e quindi l'impatto divenne
spinta. Dominick si ritrovò spinto indietro. Logan sorrise e
prese la rincorsa, assestandogli un destro sullo zigomo. Dominick
andò a sbattere contro la sedia e la ruppe in mille pezzi.
Non fece a tempo di rialzarsi, perché Logan gli fu addosso e
cominciò a colpirlo con pugni ben assestati. Ben presto il
naso di Nick iniziò a sanguinare e il volto
cominciò a gonfiarsi. Logan continuava a colpirlo.
Ma accadde qualcosa
che Logan non si aspettava, che non aveva calcolato. Dominick Patterson
estrasse una pistola e la puntò a fianco di Logan. Poi
sparò un colpo. Logan sentì un dolore lancinante
farsi largo nel suo fianco, sempre più a fondo nella sua
carne. Il sangue cominciò subito a sgorgare, caldo, da sotto
le sue costole. La camicia s'impregnò quasi subito di quel
liquido denso e appiccicaticcio, che presto gocciò sul
pavimento di moquette ispida. Logan sentiva le forse che lo
abbandonavano lentamente, ma riuscì a strappare di mano da
Nick la pistola. Lo colpì nuovamente, ma la mano
scivolò, seguita dal corpo di Logan che si accasciava.
Era ancora cosciente,
e si trascinò lentamente verso Veronica, nell'estremo
tentativo di difenderla. Ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. Poi si
lasciò, quasi esanime, ai piedi del letto.
In quel momento la
porta dell'ingresso si spalancò e una figura scura si
stagliò sullo specchio della porta. Accese la luce. Era
Duncan. Prima di svenire, Logan lo vide lanciarsi sulla pistola e
puntarla contro Dominick. Poi nulla. Lontano, sentì delle
voci, dei suoni indistinti di sirene e macchinari. Ma era tutto confuso
e appannato. Quasi un sogno.
Spazio
autrice: Lo so lo so, c'ho messo un sacco. Ma lavoro scrivendo al pc e
faccio fatica a scrivere anche nel tempo libero. Breve ma (spero)
intenso questo capitolo. Ancora uno, massimo due!
Grazie
per la pazienza!
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Capitolo 27 *** L'onda perfetta ***
L'onda perfetta
Una calma quasi
innaturale, la luce intensa di una giornata estiva, le onde sulla
banchina che si infrangevano a ritmo, regolari, uno…
due… uno… due. L'onda più grande,
quella vera e propria, seguita dalla risacca. Era sempre
così il mare di Neptune a quell'ora, se il vento del
Pacifico non lo provocava: calmo e regolare, una certezza.
Le onde grandi, quelle
tutt'altro che calme e regolari, non si facevano vive quando il sole
era alto nel cielo, no di certo. Le onde grandi, quelle che ti facevano
sognare sulla tavola, l'Oceano le regalava la mattina presto, quando il
sole stava ancora sorgendo alle spalle della città, verso
l'entro terra. A quell'ora, con il sole alto e la spiaggia piena non
c'era da divertirsi per quelli come lui.
A quell'ora la muta
era ad asciugare, appesa alla tavola, cosa che il proprietario faceva
disteso a terra sull'asciugamano. La birra in una mano, l'altra a
riparare gli occhi dalla luce intensa del sole, Logan Echolls stava
sdraiato in spiaggia, la sabbia umida ancora appiccicata ai polpacci
stanchi dopo una mattinata di surf. Quando andava a surfare da solo
quello era senza ombra di dubbio il suo momento preferito, quando
disteso in spiaggia lasciava che i pensieri volassero via assieme alla
brezza marina. Nella sua mente solo lo sciabordare delle onde e il
ricordo dello sforzo fisico appena compiuto.
O forse il momento che
preferiva era quando, con il cielo ancora buio, infilava il primo piede
nell'acqua ghiacciata. Un brivido freddo gli saliva lungo la caviglia,
la gamba, il ginocchio. Invadeva la pancia, gli irrigidiva i muscoli e,
risalendo lungo la colonna vertebrale, arrivava fino al cervello. Una
scossa ghiacciata che lo costringeva a svegliarsi immediatamente, a
prescindere da quanto poco avesse dormito la notte precedente. Una
scossa fredda che lo preparava alla lotta contro il freddo, il mare e i
suoi limiti. Una lotta che voleva combattere e vincere.
Altre volte aveva la
sensazione che il momento più bello di una mattina di surf
fosse quando prendeva l'onda perfetta, quella che rigira su
sé stessa, che torna al punto d'origine. E che vorrebbe
trascinare te e la tua tavola nelle profondità del mare.
Quella che a volte aspetti invano. Quella che altre ti sorprende e ti
travolge.
Ma a pensarci bene
l'onda perfetta, quella che sogni di attraversare fin da bambino,
quella che è un tunnel azzurro, di un azzurro
così intenso che la luce fa fatica a filtrare e diventa
quasi blu… quell'onda, quella che ha il colore degli occhi
di Veronica, la stessa intensità e che ti costringe ad
affrontare insidie non meno pericolose… beh quell'onda se
sei fortunato la vedi una sola volta nella vita. E solo se sei
fortunato, e bravo, ma soprattutto se sei abbastanza sveglio
da non fartela scivolare tra le dita della mano.
Perché il
surf, come tutto ciò che conta nella vita, è
questione di fortuna, di abilità e di tempismo. Se sei
titubante, se hai paura, se ti fermi a pensare un secondo di troppo,
può essere che ti lasci scappare la grande occasione della
tua vita. O l'onda perfetta, dipende dai casi.
Logan Echolls aveva
avuto la sua onda perfetta. se lo ricordava ancora. Era successo il
giorno prima che sua madre si buttasse dal Coronado Bridge e lui si era
svegliato alle 5 per andare da solo a fare surf. Lui, la sua tavola, i
suoi lividi e i suoi pensieri. Suo padre l'aveva picchiato di nuovo,
sempre con la cinghia. Ultimamente era il suo strumento di tortura
preferito, una tortura lunga e logorante che comprendeva una parte
psicologica, la scelta da parte di Logan della cintura del giorno, e
una fisica, quando quella cinghia impattava violentemente con la
schiena di Logan. Quando accadeva, il giorno dopo Logan scompariva dai
radar per qualche ora, lasciando solo un messaggio ispirato per la
segreteria. Quel giorno, prima di spegnere il telefono, aveva
registrato una citazione di Scott Fizgerald "A volte è
più difficile privarsi di un dolore che di un piacere.".
Nonostante fossero passati così tanti anni se lo ricordava
ancora. Dopo aver buttato il telefono spento sul sedile del passeggerro
della sua X-terra, quella mattina di oltre dieci anni prima aveva
indossato la muta, nonostante il dolore provato mentre la cerniera si
chiudeva, premendo il tessuto rigido e pesante contro la pelle
martoriata di Logan.
Era lì,
nell'acqua gelida del Pacifico che cercava di stare in piedi quando
l'ha vista arrivare. Perfetta, schiumosa, sinuosa e pericolosa. Non
c'aveva pensato nemmeno un secondo, si era buttato. L'aveva raggiunta
giusta in tempo. Si era insinuato in quel tubo azzurro e tutto era
improvvisamente scomparso, inghiottito da quella luce così
strana, dal rombo distante ma assieme così pericolosamente
vicino del mare che divora sé stesso. I suoi pensieri, le
sue preoccupazioni, la rabbia e perfino il dolore erano svaniti,
inghiottiti da quel luogo non-luogo dove il tempo sembrava fermarsi. E
così era stato. Saranno stati pochi secondi, una manciata di
esistenza, quasi impercettibili. Eppure per lui avevano significato
davvero tanto: si era pulito, lavato, purificato. E quando era emerso
dall'onda, giusto in tempo prima che lo travolgesse, si era sentito
libero. Libero dal peso della morte di Lilly. Libero dal peso che
essere il figlio di suo padre comportava. Libero dal dolore per la
debolezza di sua madre. Libero dalla nostalgia per Veronica, e anche
dalla rabbia che provava per lei. Libero.
Quella sensazione era
svanita presto. A scuola Eli e i suoi amici avevano attaccato le foto
dei giornali scandalistici sul suo armadietto. Aveva
incontrato Veronica. Era passato davanti al punto in cui lui e Lilly si
incontravano tutte le mattine. Suo padre era venuto a prenderlo
infuriato. Sua madre l'aveva ignorato. Tutto era tornato come prima,
eppure nell'animo di Logan era rimasta la sensazione che avrebbe potuto
essere di nuovo libero, come quando era dentro l'onda perfetta.
Libero…
Perché
sì, il nostro destino è questione di fortuna e
tempismo e abilità. Ma bisogna essere liberi per poterlo
costruire. Se catene, gabbie, strade precostituite, obblighi, sensi di
colpa ci guidano nelle nostre scelte non saremo mai in grado di
costruire ciò che vogliamo essere. E se il destino di Logan
si era compiuto era proprio grazie a quell'onda, e a quella sensazione
di libertà, di possibilità, che lo stare in
quell'onda seppur per pochi brevissimi secondi aveva "seminato"
nell'animo di un ragazzino infelice e ribelle. Solo sapendo di essere
libero di costruire il proprio futuro Logan non si era fatto scappare
la cosa più bella della sua vita, la donna della sua vita.
Colei con la quale aveva sempre lottato, litigato. Quella che l'aveva
lasciato, che era stata lasciata, che l'aveva ingannato che lui aveva
tradito. Colei che però, per quanto tentassero di
allontanarsi vicendevolmente, costituiva per Logan Echolls un centro di
gravità permanente… il suo asse di rotazione.
Nonostante tutti gli anni passati, infatti, gli era bastato rivederla,
sfiorarla, annusare il suo dolce profumo per ritrovare la direzione. E
per capire che non ci sarebbe stata un'altra volta. Nessuna fuga,
nessuna messa in fuga. Sarebbe stato al suo fianco una volta per tutte.
Aveva preso quella
decisione e ora stava in spiaggia, sereno, a bere una birra e a pensare
a lei. Alla sua bionda preferita. A quella che era stata davvero
l'unica, che lo era stata probabilmente da sempre.
Una figura su
stagliò sopra di lui, controluce. Per quanto ci provasse non
riusciva a distinguere i tratti del volto, solo le spalle delicate, il
corpo femminile nascosto da un largo vestito da spiaggia, ma
soprattutto quei lunghi capelli biondi e morbidi. Lei si distese sulla
sabbia, poggiando la testa sulla pancia di Logan che
cominciò ad accarezzarle i capelli. Non se li ricordava
così lunghi. Gli solleticavano il collo. Prese le punte tra
l'indice e il pollice della mano libera e chiuse gli occhi. Il sole
bruciava proprio a quell'ora, ma non aveva nessuna voglia di alzarsi
per andare a recuperare gli occhiali da sole. Voleva godersi quel
momento.
Restarono in silenzio
per un lungo momento. I gabbiani in cielo gracchiavano quello strano
suono che solo loro fanno: una via di mezzo tra un grido e un ghigno.
Poi Logan
aprì la bocca.
"E' poco bello, qui?
L'avresti mai detto che sarebbe potuto essere così bello,
Veronica?"
"Veronica?" rispose la
voce. Qualcosa non andava. Quella non era la voce della sua Veronica.
Era una voce che conosceva bene e che non sentiva da oltre dieci anni.
"Il sole deve averti proprio dato alla testa, Logan. Non riesci
più a distinguere un'amante dall'altra?" gli
domandò Lilly, mentre si alzava e si metteva a sedere al
fianco di Logan. Logan rimase per un secondo interdetto a guardare la
sua ex. La sua ex morta. La bellezza di Lilly Kane era quasi immutata;
un piccolo particolare però stonava. Il suo volto, una volta
perfetto, era sfigurata do un profondo solco di sangue raggrumato sul
alto destro della fronte. Gli occhi di Logan si riempirono di lacrime.
Non aveva mai visto il
cadavere di Lilly, nemmeno una fotografia. Si era rifiutato. La sua
Lilly.
Si alzò a
sedere, poi allungò una mano verso il volto sfigurato di lei.
"Lilly…"
balbettò.
"Si, Logan sono io! Ti
sono mancata?" domandò, sorridendo dolce e piccante come
solo lei sapeva fare.
"Mancata? Non hai idea
di quanto tu mi sia mancata. Ma… come fai ad essere qui? Sto
sognando?"
"Diciamo
così… diciamo che stai sognando. Che poi non si
allontana così tanto dalla verità. Ma ci
arriveremo tra poco. Come stai Logan? Mi sembra che le cose non vadano
proprio al massimo…"
In quel momento il
fianco di Logan fu straziato da un dolore lancinante. La felpa che
indossava si macchiò di rosso. Rosso e umido. Sangue. Come
era possibile? Si osservò le mani sporche di sangue. Lilly
gli prese il mento tra le mani e lo fissò negli occhi. Logan
era sconvolto e terrorizzato.
"Oh…
tesoro, Come mi dispiace. Ma adesso devi concentrarti. Resta qui con me
e ascolta le mie parole. So che non sono mai stata troppo affidabile,
però questa volta devi fidarti di me. Ignora tutto il resto,
guarda me, ascoltami e rispondi alle mie domande. Se farai
così, andrà tutto bene."
Lui annuì,
senza parole.
"Bene. Tanto per
cominciare, scusa. E' anche colpa mia. Sono stata una stronza, davvero.
Ma che ci potevo fare, ero così… piena di energie
e di forza vitale. Tutto per me era una prigione… ma non
divaghiamo: non siamo qui per parlare di me, bensì di te. Io
sono stata una stronza, e appurato questo abbiamo già fatto
un piccolo passo. Anche tua madre non è che sia stata
proprio un modello di donna da seguire. Non mi fraintendere…
una cara, cara signora. Anche una brava madre, a modo suo. E fino a un
certo punto. Troppo debole e troppo ceca. Insomma, due donne tra le
più importanti della tua vita sono state delle
stronze…"
"La signora Navarro
è sempre stata buona con me" scherzò lui. Si
sentiva a suo agio con Lilly. Il dolore al fianco era sparito.
"Si la signora
Navarro. e come l'hai ripagata? Dovrai chiedere scusa un giorno o
l'altro, Logan… Comunque, torniamo al mio discorso, non
vorrei si facesse tardi, capisci?"
Lui non capiva, ma gli
sembrava brutto interrompere di nuovo, quindi si limitò ad
annuire. Era anche molto stanco.
"Anche tua sorella non
è che sia stata un grande modello di donna: volubile e
viziata. Il denaro ha per lei avuto più importanza
dell'affetto. Ma come darle torto, insomma, moltissimi bambini adottati
hanno qualche squilibrio, soprattutto se crescono in un mondo come
quello delle star di Hollywood. Insomma, nella tua vita non sei stato
certo circondato da donne che ti hanno spinto a fidarti del genere
femminile. Poi è arrivata Veronica. Angelica prima,
diabolica poi. Ha trovato un equilibrio che ha destabilizzato te dopo
la mia morte. E vi siete fatti la guerra. Ma non ho voglia di annoiarti
con qualcosa che conosci già fin troppo bene. Comunque
Veronica è certamente uscita da ogni modello tu avessi di
donna, e questo suo essere così unica penso sia
ciò che vi ha avvicinati prima e uniti poi."
Lilly
sollevò un po' sabbia e la fece scivolare nel vento.
"Veronica è
un'anomalia nel tuo sistema di riferimento. Non è forte, non
è debole. Non è solo forte e non è
solo debole. E è così anche grazie a te. Per
quanto abbia provato ad allontanarti ripetutamente in questi molti anni
che ci separano dalla mia morte, tu e Veronica, pur non sapendolo, vi
siete costruiti e influenzati. Perché vi siete sempre
compensati, come due pezzi di un oggetto rotto. Un oggetto che si
è rotto quando sono morta io ma che aveva già
delle crepe. Crepe provocate dai vostri genitori, dai loro segreti,
dalle loro violenze, dalle loro forze e dalle loro debolezze. Crepe
provocate da me, dal mio carattere instabile ma forte, dal mio
trascinarvi come una tempesta."
Lilly prese la lattina
di birra di Logan e la rigirò fino a rompeva sul lato. Poi
prese un pugno di sabbia e cominciò a versarla nella lattina
di birra. "Le tue crepe Veronica è riuscita a riempirle,
come la sabbia sta facendo con la lattina, rinforzandola dall'interno."
Fino a quel momento con la mano libera dalla sabbia Lilly stava
tappando il buco nella lattina.
"Ma se non la tieni
assieme, la sabbia esce dalle falde, e tutto collassa." Come tolse la
mano, la sabbia iniziò a sgorgare dal foro, come una piccola
cascata in miniatura. Il vento se la portava via. Lilly prese la mano
di Logan e tappò il buco. La sabbia smise di uscire.
"Sei tu che devi
contenerla, difenderla e proteggerla. Devi capire che questo
è il tuo compito, se lo vuoi. Devi smetterla di creare nuove
rotture, nuovi buchi. Devi diventare saldo, reggerti per reggerla, e
permetterle così di reggere te." Lasciò la
lattina tra le mani di Logan e continuò, pazientemente a
riempire la lattina. Quando fu completamente piena si alzò.
Si ripulì i vestiti dalla sabbia e poi si chinò
su Logan. Gli baciò la fronte.
Gli sorrise e poi si
voltò. Logan fece per alzarsi. Per riuscirci
allentò la presa sulla lattina, che doveva tenere con due
mani perché i buchi erano davvero molti. Come lo fece la
sabbia ricominciò a uscire. "Merd…"
esclamò lui.
Lilly si
girò e con uno sguardo di fuoco lo rimproverò
secca "Cosa ti ho appena detto? Basta distrazioni, basta guardarsi
indietro. Dovrai aiutarla a farlo. Non a dimenticare, ma ad avere uno
sguardo diverso, improntato sul presente e sul futuro. E se adesso ti
alzi per seguirmi non lo potrai fare. Non lo potrai fare, come non
potrai impedire a quella lattina di svuotarsi se non la terrai assieme,
quindi, Logan, è il momento di fare una scelta, la scelta.
Questa è la tua onda perfetta, ed è una volta
nella vita!" lo ammonì.
Logan la
guardò, gli occhi traboccanti di lacrime. "Lilly, non mi
lasciare…"
"Logan, sei tu che
devi lasciarmi andare. E dopo che l'avrai fatto insegna a Veronica a
farlo. A perdonare, a dimenticare, a ricordare. Se non mi lasci andare
ora perderai lei." e si incamminò. Dal mare si stava alzando
la nebbia, una nebbia densa e calda. Decisamente anomala per quell'ora
del giorno, ma decisamente non la cosa più strana che Logan
avesse vissuto nelle ultime ore.
"Lilly…"
urlò Logan, mentre i contorni di lei iniziavano a svanire in
quella nebbia sempre più luminosa.
"Logan, non la senti?
Non senti quello che ti sta chiedendo? Ascoltala e dalle un bacio da
parte mia…"
Logan tese l'orecchio.
Una voce in lontananza… man mano più
distinta… e più si faceva distinta la voce,
più la nebbia attorno a lui diventava solida. La sabbia
sotto di lui sparì, non c'era nemmeno più il
rumore del mare. I gabbiani non stridevano più nel cielo. Il
ritmico alternarsi delle onde fu sostituito da un suono altrettanto
ritmico ma molto meno armonioso. Era un "bip" regolare. Acuto e
fastidioso.
Stringeva
ancora qualcosa tra le mani, era caldo, ma non aveva la forma di una
lattina schiacciata e piena di sabbia del mare. Ma la cosa che
percepiva meglio di tutto era una voce femminile, che adesso ricordava
presente anche durante il "sogno". Una voce stanca e debole, ma che
trasmetteva un desiderio forte e impellente. Una necessità,
un bisogno. Una voce che ripeteva come un mantra cinque semplici parole:
"Non osare
abbandonarmi, Logan Echolls…"
L'aria all'improvviso
gli mancò, non riusciva a deglutire e qualcosa di fastidioso
era infilato nella sua trachea. Un conato lo travolse e lo costrinse ad
aprire gli occhi. Una testa bionda era appoggiata al suo fianco, la
fronte a contatto con il suo braccio. Dalla posizione in cui si trovava
Logan vedeva due piccole e delicate mani che stringevano le sue. Quando
un secondo conato lo investì, il suo corpo fremette. La
testa bionda si alzò. Due occhi stanchi ma combattivi si
fissarono nei suoi. Due occhi azzurri come l'onda perfetta.
"Logan… sei
vivo… Logan" E Veronica cominciò a piangere, in
modo dignitoso, forte ma debole allo stesso tempo. Staccò
una mano da quelle di Logan e suonò il campanello per
chiamare il dottore. "Adesso arriva il dottore, Logan. Adesso che sei
tornato andrà tutto bene!" esclamò lei, piangendo
senza mai abbassare lo sguardo.
Spazio
autrice: Ok, mi sono fatta prendere la mano. Questo capitolo doveva
occupare un solo paragrafo e infatti non è lunghissimo. Ma
nella mia testolina doveva essere molto più breve. Solo che
le parole sono venute da sole! Bonus a sorpresa!
Non
prometto nulla sui tempi dei prossimo 2 (?) capitoli, o forse tre...
buona notte!
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Capitolo 28 *** Piccoli grandi passi ***
Documento senza titolo
Piccoli grandi passi
Erano state giornate molto dure per lei. Si era svegliata intontita in un letto di ospedale e non aveva la più pallida idea del perché si trovasse lì. Le lenzuola ruvide e l'odore di disinfettante. Quella era stata la sua prima sensazione, e quell'odore se lo era portato dietro per molti giorni, per settimane. Anche perché, nonostante l'avessero dimessa, non aveva lasciato l'ospedale di Neptune se non per fugaci visite a casa di suo padre, dove faceva una doccia veloce prima di tornare di corsa al reparto di terapia intensiva. Questo pellegrinaggio era durato giorni, ma lei non aveva mai mollato. A nulla erano valsi la stanchezza, i rimproveri del padre, i muscoli doloranti, le scuse delle infermiere, gli ordini dei medici. Anche lei era in fase di recupero: la quantità di GHB che Patterson le aveva somministrato in quella maledetta stanza d'hotel era massiccia, e le erano occorsi tre giorni prima che gli effetti passassero del tutto. Tre giorni in cui l'avevano bloccata a letto con la forza. Tre giorni di tormenti. Logan era a pochi passi da lì, ma lei non poteva andare da lui.
In tanti però erano andati da lei. Suo padre prima di tutti, ma anche Wallace con sua madre - Keith e Alicia si erano timidamente salutati nel corridoio - e poi Mac e Dick, che le avevano portato le poche notizie su Logan che erano riusciti a carpire a un'infermiera meno riservata delle altre.
"Come diceva sempre qualcuno, si devono baciare un po' di rospi…" aveva risposto vago Dick alla domanda di Veronica su come fosse riuscito a ottenere quelle informazioni segretissime. Segrete perché nessuno di loro era un parente del signor Echolls, e solo i parenti del signor Echolls sarebbero stati informati dal Dottor Evans, nessun'altra. Comunque Logan era stazionario. L'attività cerebrale c'era, ma non si era ancora svegliato dopo la lunga operazione. Sette ore in sala. La pallottola aveva perforato il fianco, attraversando l'intestino, risalendo verso lo sterno e scalfendo due dei tre strati dell'aorta. Logan respirava grazie a un macchinario e il suo corpo si nutriva attraverso una flebo. I medici l'avevano messo in coma farmacologico, aspettando che l'organismo si riprendesse. Non lo avevano ancora svegliato.
Nella stanza di Veronica si erano alternati molti amici, molti più di quelli che si ricordava. Eli e Parker, Jackie, Leo e Angela, ma anche Corny, il preside Clemmons, Trina tornata di fretta dalle Haway dove stava partecipando a un reality. E poi Duncan, colui che aveva salvato lei ma che soprattutto aveva slavato Logan. Come l'unico erede di casa Kane aveva varcato la porta, Veronica era scoppiata a piangere. Lui era rimasto interdetto per un breve momento sulla soglia, poi si era avvicinato al letto e le aveva sorriso.
"E' tutta colpa delle droghe, sappilo. Veronica Mars non piange mai!" e aveva continuato a singhiozzare sotto lo sguardo divertito del giovane rampollo.
Poi l'avevano dimessa, ma lei non aveva lasciato l'ospedale. Si era intrufolata nel reparto dove Logan occupava una stanza tutta per sé. Veronica era entrata, in silenzio, cercando di fare meno rumore possibile e non sapendo bene come comportarsi. Dietro una tendina Logan era sdraiato in un letto bianco, troppo bianco. E da quelle lenzuola immacolate sbucavano un sacco di fili e tubi. Alcuni entravano nel suo corpo, altri uscivano. Ma soprattutto, tutti facevano un gran rumore. Chi soffiava, chi bippava, chi gocciolava. E nel silenzio innaturale, quasi ovattato di quella stanza che puzzava di disinfettante e farmaci, per quanto delicati fossero tutti quei suoni si trasformavano in un baccano infernale. Come fa a non svegliarsi con tutto questo rumore? Come fa a non accorgersi di avere aghi, tubi, cerotti che gli martoriano la pelle, che penetrano nella sua carne? Logan, come fai a non provare fastidio, prurito, dolore? Poi gli guardò il volto e si rese conto che un tubo era infilato nella sua gola. Un macchinario pompava aria nei suoi polmoni, aria che serviva a Logan per sopravvivere, aria che Logan non riusciva a recuperare da solo. Senza esitare, senza riflettere, si avvicinò al letto e strinse la mano di Logan, lasciando libero il dito indice, da cui partiva un sondino per le pulsazioni cardiache. Al polso portava un braccialetto che indicava il suo codice di previdenza sociale, la data di ospedalizzazione, il reparto, il medico di riferimento. Non avrebbe permesso che Logan fosse ridotto a quel braccialetto. Lo decise in quel momento, e da allora non abbandonò quasi mai quella stanza, quella mano, quella persona.
---------------
Era diventata una routine, per sette lunghi giorni l'aveva ripetuta. Si svegliava la mattina prima che iniziasse il primo turno della giornata delle infermiere, si vestiva e si fondava in ospedale. Lì, aspettava che cominciassero a uscire le prime che staccavano dal turno di notte. Stanche e annoiate facevano poco caso alle porte, e spesso si dimenticavano di chiuderle. Tanto c'avrebbe pensato qualcuno poco dopo. E così, approfittando della distrazione delle infermiere sgattaiolava nel reparto di terapia intensiva. Senza preoccuparsene raggiungeva la stanza di Logan, che lasciava solo quando arrivavano i medici per le visite. Quello era per lei il momento di lavarsi, nutrirsi, parlare con qualcuno che le potesse rispondere. La visita durava solitamente 45 minuti. 45 minuti nei quali Veronica tornava un essere umano, prima di ripiombare nell'oscurità e nella disperazione di chi aspetta il risveglio di qualcuno.
Era diventata così una routine che quando Logan si svegliò lei inizialmente non se ne accorse. Scambiò quel leggero tremito per un suo movimento involontario. Ma quando la coscienza riprese pieno possesso del corpo di Logan Echolls, e il tremito si fece decisamente troppo forte per essere ignorato, Veronica sussultò e reagì all'istante. Quando vide gli occhi di Logan aperti e imploranti di liberarlo da quel supplizio, seppur in lacrime, Veronica reagì. Chiamò il dottore e vide la fine del tunnel, non sapendo che ci sarebbe voluto ancora un po' prima di emergere nella luce calda e non artificiale del sole.
Furono settimane impegnative per tutti loro. Per altri due giorni Logan fu costretto a tenere il respiratore artificiale, perché i polmoni avevano subito danni non indifferenti. Per comunicare segnava le lettere su un foglio di carta plastificata. Era penoso per Veronica vedere quell'uomo così forte improvvisamente debole e fragile. Ma al contempo era felice, immensamente felice, perché quell'uomo era vivo. Il respiratore venne presto sostituito da una maschera ad ossigeno, che permetteva a Logan di parlare e di nutrirsi. Quello che non passò fu il terrore nei suoi occhi. I farmaci antidolorifici, specialmente la morfina, hanno una piccola controindicazione: agiscono sul sistema nervoso, provocando nelle persone in coma sogni vividi. A volte questi sogni sono piacevoli e divertenti, ma sulla psiche martoriata di Logan Echolls che era sopravvissuto all'omicidio della fidanzata, al suicidio della madre, ad un padre violento, non ebbero certo l'effetto calmante e rilassante che ci si poteva aspettare. Le sue paure ataviche erano tornate a fargli compagnia, e erano così vivide da sembrare vere. Aveva visto suo padre, si era buttato dal Coronado Bridge con sua madre, aveva assistito impotente all'omicidio di Lilly, aveva visto morire Veronica. per fortuna almeno quest'ultima cosa non era vera, e Veronica era con lui ogni giorno ad affrontare il lungo e difficile periodo di riabilitazione.
Presto lasciò il reparto, e fu trasferito in una clinica privata dove l'avevano rimesso in sesto. Due settimane di riabilitazione per recuperare la muscolatura andata persa nei dieci giorni di coma. E poi era arrivato il momento di tornare a casa. Fu in quel momento che si rese conto che non voleva tornare a Los Angeles da solo, in quella casa piena di scale e senza affetto. Non era ancora autonomo e non lo sarebbe stato per un bel po'.
---------------
Era un pomeriggio di sole, e lui, Duncan e Dick stavano chiacchierando al sole, mentre Veronica e Mac erano andate con i bambini a prendere un gelato. Logan aveva fatto una lunga camminata, ed aveva ancora il fittone. Dick gli porse una bottiglia d'acqua. "Allora domani ti dimettono, eh, amico? Dobbiamo proprio festeggiare, che ne dici?"
"Prima che ne dici se mi riprendo? Non penso di essere pronto per una festa vera e propria. Una rampa di scale è per me come scalare l'Everest…"
"Dove andrai?" gli domandò Duncan, cogliendolo alla sprovvista.
"Non so… magari prendo una stanza al Grande… insomma, io e te DK abbiamo molto di cui parlare. Dieci anni da recuperare… e poi c'è Veronica. Non ho ancora capito cosa vuole fare. E non ho capito se il suo futuro mi coinvolga oppure no…"
"Perché non vieni a stare da me? Io ho preso in affitto un villino in riva al mare. Io e Lilly saremmo contenti di avere ospiti. E in dieci minuti di macchina Veronica potrebbe essere da te… che ne dici?"
La proposta arrivò così inaspettata che Logan parlò senza riflettere.
"Perché no?"
E così fu che Logan si trasferì a casa di Duncan Kane.
---------------
Le giornate per Veronica trascorrevano serene. Logan si stava riprendendo in fretta, ma comunque lei si era presa una lunga pausa dal lavoro e passava le sue giornate a casa Kane con Logan, Lilly e Duncan. Come era strano… sembrava quasi che i fab-four fossero tornati. Si respirava un'aria diversa, di serenità, di spensieratezza. Spesso capitavano lì Dick e Mac con i bambini, e anche Wallace e Jackie. Quando erano tutti assieme per Veronica era come vivere in un sogno. Non riusciva a ricordare un momento così sereno nella sua vita. Dalla tragica morte di Lilly era stato un precipitare infinito e indeterminato verso lo socnforto, la rabbia e la solitudine. Anche gli ultimi anni, passati nella città degli angeli, erano stati cupi e freddi per lei. Si era sempre tenuta lontana dalle persone.
Ma lì, nella villa sulla spiaggia di Duncan, assieme ai suoi amici, con i bambini che gridavano e correvano alzando nuvoloni di sabbia… lì sentiva che poteva essere finalmente felice. Che poteva cominciare a fidarsi degli altri, una volta per tutte. Per questo non vide arrivare il colpo basso che la persona a lei più cara le stava tirando. E non fu preparata a riceverlo.
Era una domenica come le altre. Avevano fatto una grigliata sulla spiaggia dopo che Dick e Logan, quest'ultimo dalla spiaggia, avevano guidato i bambini sulle loro prime onde. Dick voleva che suo figlio diventasse un surfista di professione, e Mac gli lasciava credere che glielo avrebbe promesso. Dopo la grigliata erano finiti tutti sul bagnasciuga a costruire castelli di sabbia. Avevano improvvisato una gara a squadre, composta da due adulti e un bambino. Poi avrebbero decretato tutti assieme il vincitore.
Veronica e Wallace, assieme a Lilly, avevano deciso di costruire una foca. La piccola era appena andata a riempire il secchiello d'acqua per compattare la struttura, mentre Veronica e Wallace continuavano il lavoro.
"Allora V, quali sono le tue intenzioni? Pensi che ti fermerai qui a lungo?"
Veronica si fermò e lo guardò stupita.
"Perché?"
"Beh ora che tu e Mr. Logan…"
Veronica lo interruppe bruscamente.
"Alt alt alt, vecchio mio. Non c'è nessun Mr. Logan. Non c'è nulla e nessuno in grado di riportarmi in questo posto per un periodo di tempo medio-lungo. Nemmeno Mr. Logan, che, per la cronaca, è solo un amico."
Si, perché tra ospedali e riabilitazioni, Veronica e Logan non erano riusciti a chiarirsi. Forse perché nessuno dei due voleva fare il primo passo, voleva affrontare la questione. Perché una volta aperta, non si sapeva come sarebbe andata a finire.
"Piuttosto tu, Air Fennell, cosa avete deciso tu e Jackie?" gli domandò la bionda da dietro la spalla.
"Io e Jackie, mia cara, siamo ok. I preparativi fervono e io sto cercando casa. Una bella casa grande dove poter stare tutti assieme. Io qui ho un lavoro, Jackie suo padre. E poi lei è una PR, non avrà problemi a ambientarsi in California e a trovare un lavoro." rispose, gongolante. "E adesso che ti ho fregata, tocca a te darmi una qualunque forma di spiegazione. Veronica, cosa hai intenzione di fare? Quel ragazzo non può aspettarti per sempre".
"Aspettarmi?" rispose lei sdegnata "E' lui che è andato a letto con metà delle subrette della TV…"
"Si, ma non ha fatto altro che pensare a te tutti questi anni. Sai com'è, noi uomini abbiamo le nostre necessità… ma questo non vuol dire che non rimaniamo fedeli con il cuore e la mente a una persona. E tu sei quella persona. Non fingere di non saperlo, come io non fingerò di non sapere che anche tu hai pensato a Logan tutti questi anni, e che è il motivo per cui non sei mai riuscita a trovarti un uomo decente."
Lilly stava tornando.
"Dovrete prendere una decisione: dovrete capire se volete stare assieme o meno. E poi capire dove volete farlo." Si alzò "Se posso dire la mia, ti vorrei qui con me, con noi…" Si pulì le mani sul costume e concluse "Conosco un detective privato che avrebbe proprio bisogno di una mano. Se vuoi te lo faccio conoscere. Sta giusto giusto venendo da questa parte!" e andò in contro a Lilly con altri tre secchielli vuoti.
Veronica si voltò a guardare il suo migliore amico. "Comunque stavo pensando di fermarmi a Neptune ancora per un po'!" gli grodò contro. E continuò a fissare il suo migliore amico.
Suo padre. In spiaggia. Cosa ci faceva? Le scarpe in mano stava arrivando dal parcheggio. Non era vestito da spiaggia, niente asciugamano, niente giornale. Keith Mars la vide e la salutò con la mano. Quando fu abbastanza vicino le fece segno di rimanere a lavorare la sabbia, che sarebbe tornato subito. Poi le sorrise e si avviò verso Logan e Mac che stavano costruendo una sirena assieme a Tessa. I due uomini si salutarono, poi Keith tutto serio si rivolse a Logan che annuì. L'uomo più vecchio alzò il giovane ad alzarsi e poi i due si avviarono in direzione opposta rispetto a quella in cui si trovava Vreonica.
La tentazione di intromettersi era fortissima, ma lei sapeva benissimo che non avrebbe dovuto. Che non era giusto, che non aveva nessun diritto di impicciarsi degli affari degli altri. Però, insomma, due degli uomini più i portanti della sua vita stavano confabulando tra di loro tenendola all'oscuro. Non era ammissibile.
Si alzò, convinta che li avrebbe seguiti. Magari sarebbe anche riuscita ad avvicinarsi abbastanza. Poi li osservò, e vide una cosa che la sorprese: suo padre guardava Logan negli occhi con un rispetto che non cedeva possibile. Lo stava trattando come un suo pari, non come un ragazzino viziato, come un ribelle, un violento. E allora, sorridendo si sedette. Non aveva nessun diritto di interrompere quel momento magico.
E così ricominciò a fare la sua scultura di sabbia.
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Avevano finito la gara. Keith era stato nominato giudice. Aveva vinto il capolavoro di Parker, Duncan e uno dei gemelli, un guantone da baseball. Avevano giocato la carta della passione sportiva e avevano vinto. Era ora di merenda, Mac aveva portato il gelato per tutti e si stavano avviando verso la casa di Duncan, quando una voce che la chiamava fece girare Veronica.
"Tesoro, hai due minuti?" il volto teso, le mani in tasca. Keith Mars aveva qualcosa di veramente importante da chiederle. Camminarono in silenzio verso il portico. Sembravano tutti spariti, all'improvviso. Attorno a loro il silenzio che accompagna il tramonto e l'aria fresa dall'oceano. Si sedettero sulle scale di legno ruvido, levigato dal sale e dall'aria di mare. Keith inspirò profondamente e poi la guardò con tutta la dolcezza possibile. "Come stai, tesoro?"
"Bene" rispose lei, sincera. Perché stava veramente bene.
"Ne hai passate tante nell'ultimo periodo, lo so. E so che tu e Duncan avete ancora in ballo la questione dell'operazione…"
"Non più. Oggi, prima di andare in spiaggia gli ho comunicato la mia decisione. Siccome so che andrà tutto bene e che lui tornerà a occuparsi di sua figlia nel giro di pochi, pochissimi giorni… beh fare la babysitter momentanea non mi crea grossi problemi. Pensavo di fermarmi ancora un po' da queste parti, darti una mano con il lavoro, prendermi una pausa da Los Angeles e tutto quello che ne consegue. Traffico, stress, gente famosa a ogni angolo. Un po' di tempo fuori dalla metropoli non può farmi che bene!"
"E come l'hanno presa Duncan e Logan?"
"Erano stupiti, quais esterrefatti. Direi che non se l'aspettavano…"
Keith la fissò a lungo, poi l'abbracciò stretta.
"Forza papà, spara. Non può essere così brutta, e come puoi vedere io sono di ottimo umore. Cosa può essere di così tragico?"
Keith abbassò lo sguardo e poi le strinse la mano.
"Tesoro, devo chiederti un favore. Un favore immenso, ma sappi che lo faccio per te. Perché i fantasmi del proprio passato vanno affrontati prima o poi, meglio prima che diventino fantasmi veri e propri. Ne ho parlato con Logan ed è daccordo con me. E' un bravo ragazzo, Veornica, non prenderlo in giro questa volta."
Veronica lo fissò dubbiosa.
"Di cosa stai parlano?"
"Mi ha chiamata tua madre. Vorrebbe incontrarti. Vorrebbe il tuo perdono, e io penso sia ora per te di lasciarti alle spalle tutto questo rancore."
A bocca aperta, incapace di rispondere, Veornica non si accorse dello scalpiccio di piccoli piedi. Due paia di occhi curiosi la stavano squadrando. Poi una vocina.
"V'nica, 'io Kit, gelato!"
Si voltarono e la tensione fu smorzata dai gemelli, ricoperti di gelato dalla testa ai piedi.
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Due giorni dopo Veronica era in macchina. Da sola. Stava guidando verso sud, i finestrini abbassati. La sua meta era la villa dove sua madre e Jake Kane vivevano nel periodo estivo, a picco sulla scogliera a qualche chilometro dal confine con il Messico. Stava andando ad affrontare il suo fantasma personale, la sua grande delusione: sua madre.
Sapeva che Duncan e Lilly erano già lì, ma sapeva anche che non avrebbe passato un'allegra giornata al mare.
Suonò il campanello e il pesante cancello in ferro battuto si aprì automaticamente, silenzioso come sua madre quando l'aveva abbandonata. Era stata silenziosa tutte e due le volte. Parcheggiò la macchina sotto un albero grande e frondoso, ma ben curato. Non fece in tempo a scendere che Lyanne Kane le stava già venendo in contro. Era invecchiata, la pelle non più liscia, l'andatura più ingobbita e lenta. Ma rimaneva comunque una bella donna, lo era sempre stata del resto. Veronica sbattè la portiera e si sistemò gli occhiali da sole: nessuna emozione doveva trapelare. Però quando sua madre la abbracciò con trasporto, cogliendola di sorpresa e piangendo come una bambina, Veornica non riuscì a trattenere tutti i sentimenti repressi: la rabbia, la frustrazione, il dolore, ma soprattutto la nostalgia. Scoppiò a piangere, mestamente e dignitosamente, come solo Veronica Mars poteva fare.
Parlarono, a lungo, sedute per terra sotto l'albero frondoso. Si raccontarono quei dieci anni. Si arrabbiarono. Risero. Scherzarono. Piansero ancora. E Veronica, finalmente, cominciò a perdonare sua madre, le sue debolezze e le sue paure.
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Quando entrarono in casa le accolse l'odore di pane fatto in casa e di pizza cotta a legna.
Lilly corse tra le braccia di Veronica e cominciò a raccontarle della stupenda giornata che aveva passato del mare, dei cani, 4, che popolavano la villa. Della piscina e del campo da basket. "Papà e nonno stanno giocando. Anche se è più vecchio, il nonno vince sempre. Vuoi venire a fare il tifo per papà?" domandò la bambina, letteralmente trascinando Veronica per un braccio.
Quando uscirono, le tre ragazze, rimasero in silenzio a guardare gli uomini che si sfidavano.
"Temevo che saresti finita con lui. Per fortuna non è stato così…" disse Lyanne a un certo punto.
"Perché?" domandò Veronica.
"Perché tu meriti di meglio di un Kane…" sorrise la madre, prima di applaudire all'ennesimo canestro del marito.
Duncan osservò Veronica.
"Che te ne pare?" domandò.
"Di cosa stai parlando? Della tua scarsa abilità come giocatore di basket o dello sfoggio di testosterone? Ciao Jake…"
"Veronica." ripose lui in tono sereno mentre abbracciava la moglie.
"Ma no, sciocca, del campo da basket…" la richiamò Duncan
"E' un campo da basket…" rispose lei.
"E' un regalo…"
"E per chi?"
"Ma come" fece Duncan, asciugandosi il sudore dalla fronte "Per il matrimonio di Wallace!"
Spazio Autrice
Meno uno. Il prossimo sarà l'ultimo!
Grazie a tutti quelli che seguono e commentano :)
Good Night
P.S. Formattao il mac NVU non esiste per questa versione di OS quindi sperimento con Dreamweaver... il font non mi piace :(
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Capitolo 29 *** Dejavù ***
Documento senza titolo
Dejavù
Era una splendida giornata di sole, una di quelle tipiche giornate californiane, quelle che nell'immaginario collettivo illuminano San Francisco e Los Angeles. Nemmeno una nuvola in cielo, anche se ormai l'autunno si stava avvicinando. La brezza del mare faceva sollevare i teli candidi che ornavano l'altare in legno, mentre i gigli spargevano il loro aroma intenso e allo steso tempo delicato nell'aria circostante. Dietro l'altare si apriva l'oceano, leggermente mosso ma invitante e accogliente come sempre.
Per una volta qualcuno era riuscito a sorprendere Veronca Mars. Niente ricevimento sfarzoso all'interno di un palazzo elegante, né centinaia di invitati. Solo pochi, pochissimi intimi, scalzi sulla spiaggia. Duncan si era offerto di ospitare il ricevimento, e aveva dato una mano a disporre le semplici sedie di legno e i tavoli. Veronica Mac e Parker, aiutate dalla signora Fennell e dalla madre di Jackie, avevano disposto le pietanze sui tavoli, traballanti ma d'effetto con fiori sparsi su tutta la superficie. I bambini correvano dappertutto, sollevando nuvoloni di sabbia e sporcandosi i vestiti, ma nessuno sembrava farci caso. I responsabili degli alcolici erano, nemmeno a farlo apposta, Dick e Logan. Avevano comprato dell'ottimo Cartizzen e dello Champagne, più dolce e adatto alle signore. Insomma, quello che stava per avvenire era un matrimonio tutt'altro che convenzionale, ma tutti si sentivano a loro agio. Avrebbe potuto essere una qualunque giornata sulla spiaggia, e invece stava per tramutarsi in una delle giornate più importanti della vita di Wallace.
Veronica non aveva resistito: era sgusciata in casa, era salita al primo piano e aveva raggiunto la stanza degli ospiti, momentaneamente adibita a spogliatoio per lo sposo. Wallace non aveva molto con sé, solo una piccola borsa con i vestiti di ricambio e un piccolo beauty.
"Hey, V" esclamò vedendola entrare nella stanza.
"Air-fennell…" rispose lei. "Sei emozionato?" domandò, sedendosi sul letto.
"Un pochino…" "Anche io" rispose la bionda "ti meriti questa felicità e sono sicura che sarai un ottimo padre e un favoloso marito. Wallace Fennell, tu… quello che dirò in questa stanza rimarrà in questa stanza, chiaro?" e lo fulminò con lo sguardo. Wallace annuì divertito. "Bene" riprese la donna "Dicevo. Wallace Fennell, sei l'unica persona della quale io mi sia sempre fidata. Sei l'unica persona che non mi ha mai abbandonata o tradita, sei sempre riuscito a passare oltre, a non fare domande e a rispettare anche troppo la mia insana mente contorta. Quindi, Wallace Fennell, sappi che non sono mai stata così felice in vita mia, e che sono contenta di essere qui, anche se odio i matrimoni."
Wallace la guardò brevemente prima di aprire bocca. "Sto cercando di capire quale delle ragazze Gilmore tu sia…" esclamò infine, abbracciandola.
Lei rispose all'abbraccio, ma ci tenne a sottolineare una cosa. "Tutto ciò non è mai successo, chiaro?"
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Keith Mars era al settimo cielo. Doveva trovare sua figlia. Quella era davvero un'ottima notizia, davvero ottima. Insomma, Veronica aveva solo bisogno di una scusa per restare e lui stava giusto giusto offrendogliela. Il foglio di carta che aveva stampato pochi minuti prima in ufficio era la sua scusa, e lui lo stava tenendo stretto nella tasca del soprabito.
Era appena arrivato al ricevimento. Incontrò lo sguardo di Logan che, ancora zoppicante, gli si avvicinò. "Keith, buongiorno. Come stai?" "Bene, anzi, benissimo!" ed estrasse i foglio, sventolandolo sotto al naso del giovane uomo. "E tutto grazie a questo!" Logan prese il foglio e lo lesse. Sei sicuro che sia la mossa giusta, Keith? Insomma… Veronica non ama che gli altri decidano per lei… non penso che la prenderà troppo bene." Keith gli strappò il foglio di mano.
"Di chi è figlia? Sentiamo… tu sei solo… a proposito, cosa state combinando tu e Veronica? Vi state comportando bene?"
Logan sospirò e si avvicinò al tavolo dei drink. Si servì un bicchiere di succo d'ananas e squadrò l'uomo che stava davanti a lui con aria stupita, come per dire "di cosa stai parlando?".
"Andiamo Logan, non voglio sapere nulla di scabroso. Non mi permetterei mai… per quanto mi riguarda, e sia chiaro che sarà sempre così, tu di mia figlia hai toccato solo parti di corpo dotate di dita. Mi stavo solo chiedendo quali progetti aveste per il futuro a medio lungo termine. Vorrei solo che questa volta non commetteste sciocchezze."
Logan inarcò le sopracciglia, guardando Kith Mars dal basso verso l'alto e poi parlò. "Io non lo so Keith. C'è stato un'avvicinamento, un ritorno al dialogo, però non posso dire se Veronica voglia riprovarci o meno. Da parte mia non c'è nessun dubbio su questo: fosse per me le chiederei di riprovarci. Ma dopo quello che è successo al Camelot Veronica non si è sbilanciata. Quindi non so dirti… io prima o poi dovrò ricominciare a lavorare. Il mio agente sta decisamente pressando perché io partecipi almeno a qualche talk show, sai questa storia della sparatoria… il ragazzo orfano di padre violento e madre suicida ferito mentre tenta di salvare la sua ex del liceo… fa audience. Ho ricevuto proposte a diversi zeri… Penso che dovrò farmi vivo almeno una volta nelle prossime settimane. Los Angeles non perdona."
"Hai intenzione di fare qualcosa per convincerla?"
"No, Keith, ho passato fin troppo tempo a correre dietro a tua figlia. Se le non vuole, non forzerò la cosa: otterrei solo di allontanarla. E poi che senso avrebbe?"
Keith appoggiò una mano sulla spalla di Logan e gli sorrise. "Sei un bravo ragazzo… non pensavo che l'avrei mai detto, ma sei davvero un bravo ragazzo. Anzi un brav'uomo. Penso stia per cominciare. Prendiamo posto?" e aiuto Logan ad avvicinarsi alle sedie.
Veronica comparve dalla casa, e si sedette tra suo padre e Lilly. Sedendosi salutò tutti: Duncan, Parker, Eli, Mac e Dick. Poi incrociò lo sguardo di Logan e sorrise, a lungo, prima di sedersi.
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Jackie l'aveva colta alla sprovvista, presentandosi con una semplice tunica color avorio e i capelli sciolti. Era elegante e semplice allo stesso tempo. Unico gioiello, l'anello di fidanzamento.
Wallace non era da meno. Pantaloni di lino bianchi, camicia scura, gillet candido come le nuvole. La cerimonia fu breve e elegante, poi tutti furono liberi di alzarsi per complimentarsi con gli sposi.
Wallace e Jackie, circondati dai loro genitori, venivano salutati da tutti gli invitati. Keith si alzò e andò verso la coppia. Mentre baciava Jackie incrociò lo sguardo di Alicia. Si salutarono e si allontanarono assieme. "Come stai Kieth?" "Tra alti e bassi, non c'è male. Mi manca molto mia figlia, ma ho come la sensazione che si farà viva più spesso nel prossimo futuro. E tu, come ci si sente a diventare nonni?" "Bene e male… ci si sente vecchi!" "Vecchia, ma se sei stupenda come il giorno in cui ti ho conosciuta?"
Alicia arrossì, e i due si avviarono verso il tavolo delle vivande, continuando a chiacchierare.
"Che ci sia del tenero tra quei due?" domandò Veronica, dando una gomitata al suo migliore amico. "Eddai, è mia madre…" "Non abbiamo già avuto questa conversazione? Comunque… quello è mio padre. Ed è un gentiluomo…" i due scoppiarono a ridere. Poi Veronica abbracciò il suo migliore amico. "Congratulazioni, Wallace!" e poi fu il turno della giovane sposa "Anche a te Jackie, sei stupenda!" "Grazie Veronica. E grazie per essere venuta e per aver dato un paio di consigli a Logan… nulla sarebbe successo senza di lui. A proposito…" e si voltò verso lo zoppo.
Lo abbracciò stretto e gli sussurrò all'orecchio "Grazie". Wallace e Logan si scambiarono gesti molto virili: gli uomini non si abbracciano per davvero, ma si stringono le mani e si abbracciano a metà. "Vecchio mio, sei in trappola ora!" "Non hai idea di quanto sia bello" rispose Wallace, incrociando maliziosamente lo sguardo di Veronica.
"Manchi solo tu, Mr. Echolls, anche Weevil ha deciso di sistemarsi… tocca a te!"
"Oh, non è ancora giunta la mia ora! E mi sa che non giungerà mai!"
Wallace non aveva intenzione di mollare. "Nemmeno la nostra PI preferita potrà mai riuscire a incastrarti?"
Veronica, che aveva seguito in silenzio la scena, decise di salvare il povero Logan da quella situazione. Gli sfiorò il braccio e gli domandò dolcemente: "Balliamo?" e lo trascinò verso la pista da ballo, un semplice spiazzo in mezzo alla sabbia.
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"Dejavù" esclamò Logan guardandola intensamente negli occhi.
"Già" rispose lei, abbassando lo sguardo.
"Che succede Ronnie, non è da te fare la timida!"
"Non è il momento, Logan, siamo a una festa…"
"Beh se c'è una cosa che ti riesce bene, mia cara, è scegliere il momento meno adatto per spezzarmi il cuore, quindi… spara!"
Lei deglutì e si morse il labbro inferiore. "Logan io e te… verso dove stiamo andando?"
"Hey, Bobcat, non è che tutto questo romanticismo ti ha dato alla testa? Se vuoi propormi di sposarti dovrai almeno inginocchiarti!" e le spostò una ciocca di capelli dalla faccia. "E poi, non so, io sono uno che rispetta le tradizioni: grande chiesa, abito bianco, le damigelle le scelgo io!"
Lei sorrise, evidentemente divertita. Eppure non aveva alcuna intenzione di cedere all'ironia e lasciar sfuggire il discorso che aveva introdotto. "Logan, sii serio per una volta. Adesso dovremo prenderci cura di Lilly per un paio di settimane, mentre preparano Duncan per l'operazione e lo ricoverano. E poi? Tu hai una vita a Los Angeles e io pure, due vite così distanti e diverse… direi inconciliabili. Io sono un investigatore privato, tu una stella del cinema. Come la mettiamo? Io non voglio e non posso certo farmi notare in tua compagnia, comparire e apparire sui tabloid. E tu, come potresti adattarti a me e ai miei ritmi di vita: nessun orario, nessuna libertà… Los Angeles è un brutto brutto posto per chi vuole vivere nell'ombra…"
Logan sorrise e la strinse più forte. "V, innanzitutto stai mettendo troppa carne sul fuoco. Non abbiamo ancora parlato, discusso o deciso nulla. Prendiamoci tempo. Io devo ancora rimettermi in piedi, ma comincerò presto a lavorare. Qualche comparsata qui e lì. Però tornerò da te ogni volta che ci sarà bisogno, e anche quando non ce ne sarà! Non ci siamo visti per quanto? 9 anni… forse è il caso che facciamo un passo alla volta!"
Le prese il volto tra le mani e la fissò a lungo. Poi spostò lo sguardo sulla destra, oltre le spalle di Veronica. Penso che tuo padre voglia un ballo con te…" e si allontanò da lei.
La giovane restò qualche secondo interdetta, e poi si avviò verso il padre.
"Hey…" esclamò, cingendogli il collo con le braccia.
"Tesoro! Che onore poter ballare con te! Come stai?"
"Bene, sono molto contenta per Wallace."
"Tu e Logan, che vi siete detti?"
"Nulla… mi ha detto che vuole andare con calma, prendere tempo e non buttarsi in qualcosa che non è chiaro."
"Mi sembra un'ottima idea, che dici?"
"Centri tu con questo? Vi ho visti l'altro giorno sulla spiaggia…"
La musica continuava, e i due rimasero a ondeggiare a ritmo.
"Tesoro, innanzitutto non penso che siano affari tuoi. Però se proprio vuoi saperlo, io e Logan abbiamo parlato di cosa fare con tua madre. Lui ti conosce molto bene, e penso che sia la persona giusta cui chiedere consiglio quando si tratta di mia figlia e di questioni delicate che la riguardino. Sai, a volte tu per me sei un mistero. E' stata sua l'idea di parlartene subito e di lasciare a te la scelta, senza forzarti. E mi sembra che sia stata la scelta giusta…"
Veronica sorrise e inclinò la testa.
"E' un bravo ragazzo, tesoro, e tu devi rispettarlo. Perché ne ha passate tante, troppe, e tu non puoi giocarci come con un bambolotto."
"Mah" lo interruppe lei, indignata.
"E' inutile che tu faccia quella faccia. Sai benissimo che hai tirato la corda fin troppo con lui, l'hai sempre giudicato troppo severamente mentre ti sei sempre aspettata che lui ti accettasse per ciò che eri…"
"Papà, Logan non ti è mai piaciuto!"
"Questo non è vero. Solo pensavo che stare assieme vi facesse più male che bene. Ora avete quasi trent'anni ed è ora che ve la vediate per conto vostro. Comunque non è per questo che volevo parlarti. Estrai il foglio di giornale che sbuca dal mio taschino per favore."
Veronica estrasse il foglio e lo osservò.
"Che ne pensi?"
"Del posto di lavoro al commissariato? Io e Vinnie nello stesso edificio?" scherzò lei.
"No, tesoro. L'annuncio subito sotto. Appartamento in affitto a pochi minuti sia da casa mia che dall'ufficio. Io sto diventando vecchio e ho proprio bisogno di prendermela con comodo. Tu e Leo potreste dividervi il lavoro… che ne pensi? Io vorrei… mi piacerebbe che tu tornassi, che tu rimanessi. Già che devi fermarti per un po' visto che Duncan andrà in ospedale tra poco più di un mese e che ci sarà bisogno di te…"
"Papà… io ho il mio ufficio a Los Angeles. Lì ho la mia vita…" si fermò e pensò a quella che era la sua vita a Los Angeles. Lavoro, lavoro e lavoro. Un po' di solitudine serale e nei week end. Cosa aveva da perdere lì? E restando a Neptune cosa avrebbe guadagnato?
"Ci penserò, va bene?" e sorrise al padre, che ricambiò il gesto.
Veronica si fermò e poi trascinò Keith verso i tavoli. Senza dargli il tempo di reagire, si fiondò al tavolo de genitori degli sposi. "Alicia, io non ce la faccio più. Tacchi alti e mio padre che vuole rivivere i giorni d'oro non sono certo la combinazione ideale. Mi daresti il cambio?" E aiutò la donna ad alzarsi, senza dare a nessuno dei due il tempo aprire bocca per protestare.
"Se non sbaglio, tra l'altro, siete dei gran ballerini!" e scomparve tra la folla.
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La festa stava volgendo al termine. Jackie e Wallace, che ballavano ancora stretti stretti, sarebbero partiti la mattina successiva, lasciando i bambini a nonna Alicia per qualche giorno. Poi, tornati dalle Hawaii, avrebbero finito di preparare la casa e si sarebbero trasferiti.
Logan Dick e Mac continuavano a proporre brindisi e ridevano e scherzavano. Keith e Alicia, per la prima volta dopo anni, stavano chiacchierando amabilmente del più e del meno. Eli e Parker, i prossimi, stavano fissando i bambini che correvano da tutte le parti.
Veronica osservava tutto ciò e sorrideva. Le era mancato tutto ciò, le erano mancate le sue persone. Ora che aveva assaporato di nuovo il gusto degli affetti, della compagnia, e perché no dell'amore, temeva che non sarebbe riuscita a tornare indietro.
Mentre pensava a questo sfiorava con lo sguardo la nuca di Logan, le mani intrecciate di Eli e Parker, gli sguardi complici di Mac e Dick, suo padre e il sorriso che gli increspava le labbra, i piedi nudi di Jackiee Wallace che si muovevano a ritmo. E poi gli occhi azzurri di Duncan, che si accorse dello sguardi di Veronica e, dall'altro lato della pista da ballo, alzò il bicchiere in segno di brindare.
Poi Veronica sentì un rumore alle sue spalle. Una porta che sbatteva e passi che si precipitavano giù dal portico. Veronica si voltò e vide Leo, trafelato, che le correva incontro.
"Veronica, dove è Duncan?"
"Che succede?" domandò lei alzandosi in piedi.
"Veronica, stanno venendo a prenderlo. Mi ha telefonato Angela: hanno riaperto il caso Kane!"
"Ma come, i Manning hanno ritirato le accuse…"
"Non quel caso Kane: Duncan è accusato di aver ucciso sua sorella…"
Veronica rimase impietrita, poi la porta sbatté di nuovo. Rumore di passi, molti, concitati. Veronica calcolò che non sarebbe riuscita ad avvisare Duncan, che non sarebbe riuscito a scappare. Non c'era tempo. Cercò con lo sguardo la piccola Lilly. La vide e gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. "Logan, porta Lilly lontano da qui!" lui non ebbe bisogno di fare domande. Agguantò la bambina che stava correndo verso di lui e sparì dietro la casa.
Veronica prese Leo per un braccio e lo trascinò verso il portico. "Dobbiamo fermarli…"
Ma era già troppo tardi: lo sceriffo scese i gradini.
"Duncan Kane…"
Veronica stava per frapporsi tra i due uomini, ma dietro a Vinnie comparse Angela, che scosse la testa. Veronica si fermò dove era. Suo padre le si avvicinò e le cinse le spalle.
Vinnie aveva raggiunto Duncan che rimase interdetto."…sei in arresto…" continuò lo sceriffo, estraendo le manette "… per l'omicidio di Lilly Kane" concluse chiudendo i braccialetti metallici attorno ai polsi del giovane. E poi lo trascinò verso la casa, accompagnato dalla formula di rito. Mentre veniva trascinato fuori, Duncan si girò verso Veronica e le lanciò una silenziosa supplica alla quale Veronica rispose con un lieve cenno della testa.
Quando la porta della veranda si richiuse dietro le spalle di un'ammutolita e triste Angela, veronica si voltò verso il padre e parlò. "Sai papà, penso proprio che mi fermerò da queste parti ancora per un po'. A quanto pare c'è del lavoro da fare…" e si avviò verso l'uscita. The batch is back.
Spazio autrice: E così finisce "Sulle tracce del passato". Tre anni ci sono voluti perché io riuscissi a partorire questa piccola storia. Se potessi, ringrazierei Rob Thomas e il suo team di autori per aver cerato Veronica Mars e il suo mondo. Ringrazierei Kristen e Jason, Enrico e tutti gli altri per aver interpretato a quel modo i loro personaggi. Personaggi che sono venuti talmente bene da essere entrati nel mio immaginario e non averlo più abbandonato.
Una cosa posso fare, ringraziare voi che avete pazientato fino alla fine, o che avete letto anche solo un capitolo. Voi che avete commentato e voi che avete aggiunto questa FF alle seguite.
Avevo cominciato questa storia perché non accettavo come il telefilm era finito e mi ero costruita un seguito che ho deciso di trascrivere. Ora che il film si farà (e spero che darà anche una degna fine alla storia di Veronica Mars) non sento l'urgenza di proseguire in quello che è il mio mondo marsiano. Tuttavia ho lasciato uno spiraglio, un'opzione. Il ritorno di Veronica a Neptune, il suo ripercorrere le tracce che si era lasciata dietro ricostruendo il suo passato ma gettando anche le basi per il suo futuro, finisce qui. Se dovessi riuscire a trovare il tempo e l'energia, la nostra PI preferita potrebbe tornare, per salvare Duncan.
Ora chiudo e vi saluto!
A presto
Sghisa
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