Undoing Time

di Hermes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Nota: Questa storia è il seguito de 'A step to the left/A step To the Right'. Si potrebbe anche leggerla per prima ma i personaggi secondari meritano un approfondimento per comprendere le dinamiche dietro le loro azioni passate e per arrivare nel punto dal quale Undoing Time inizia. Quindi Herm vi consiglia - se avete tempo - di leggere le parti precedenti per non entrare in confusione. xD
Detto questo buona lettura e ci rivediamo nelle note finali.

Undoing Time.

Time present and time past
Are both perhaps present in time future
And time future contained in time past
If all time is eternally present
All time is unredeemable
What might have been is an abstraction
Remaining a perpetual possibility
Only in a world of speculation
What might have been and what has been
Point to one end, which is always present
Footfalls echo in the memory
Down the passage which we did not take
Towards the door we never opened
Into the rose-garden
T.S.Eliot ~ Estratto da ‘Four Quartets’
Performed by Lana Del Rey ~ Burnt Norton (Interlude)

La sveglia suona per l’ultimo giorno di scuola, subito smorzata.
Uno sbadiglio, il palmo della mano sugli occhi.
Piedi nudi giù per la scala a chiocciola.
Raggi dorati sul muro, la porta del frigo che si chiude.
Il biglietto sul bancone della cucina, ci vuole qualche momento prima di mettere a fuoco il netto stampatello sulla carta.

Sono al lavoro (sì, di nuovo), domani volo a San Diego.
Occorrente per pancakes al mirtillo nel frigo, ai piatti ci pensa Alice.
Divisa pulita appesa all’armadio della porta d’ingresso (rock that track!)
Divertiti e fai buon viaggio domani.
Ti voglio bene,
Mamma

La radio a cubo vintage che si accende, accompagnando lo sfrigolio di una padella ed il brontolio della macchina da caffè.
Non ho nulla da dire….
…a parte la mia fame del boia.

[…]
Linee di prospettiva.
Una stanza è visivamente facile da comporre.
Un punto o due per regolare le dimensioni.
Ogni angolo tre linee, il concetto basilare.
Concetti basilari, un po’ come i secondi prima che un semaforo da verde scatti a rosso.
Fermata del tram, alcuni isolati recitando le formule legate al numero di Nepero per il test di Matematica Avanzata di quel mattino.
Non era particolarmente preoccupato per i risultati ma più di non perdere la concentrazione necessaria per le gare d’atletica leggera: si stavano giocando il titolo come squadra più veloce di tutta la Circoscrizione ed il coach l’avrebbe arrostito vivo se avesse fottuto la coppa alla squadra per una mera disattenzione.
Oh beh…campanella che suona…
[…]
E con lo sparo dello starter il mondo rimpiccioliva, prendeva la lunghezza della pista.
Kurt avrebbe potuto correre ad occhi chiusi, ascoltando le vibrazioni sotto i suoi piedi.
~
“Stai scherzando, vero?”
Non era la prima volta che Jack Clearwater – attualmente uno dei professori del corso di biologia avanzata della Washington High - ripeteva quella domanda mentre guardava la finale solista d’atletica leggera maschile dove Kurt, al suo solito, aveva iniziato a seminare gli altri concorrenti ancora prima della fine del giro d’inizio, manco fosse aiutato dal vento.
“No, quando gliel’ho chiesto è stato categorico.” sbottò frustata la collega, sedutagli accanto “È assurdo! Perché si ostina a non voler partecipare?!”
“È un suo diritto credo…”
“Ci sono alcuni che farebbero carte false pur di far parte della squadra per il torneo federale!”
“Forse dovresti smetterla di ostinarti.”
“Non ti rendi conto di cosa stai parlando, vero?!” un indice punzecchiò il suo petto con aggressività “Lo sai chi è suo padre?! Delle innovazioni che le sue teorie hanno portato nel campo delle energie rinnovabili?! Il contributo ad P versus NP?! Oso pensare che Kurt non avrebbe problemi a sbaragliare tutte le gare federali! Immagina l’esposizione di una vittoria, il premio economico per la WHS…maledizione!”
“Tutto quello che ho sentito è ‘niente’, Samantha. Cerca di non scambiarlo per suo padre.” replicò, scocciato dalla testa dura della sua vicina “Non parla della sua vita privata ed è uno studente modello.”
Intanto Kurt vinceva – come prevedibile – per il terzo anno di fila con un distacco minimo di ottanta metri dal suo sfidante.
“Ho parlato con sua madre.” c’era un diverso tipo di frustrazione nella voce di Samantha, ora, quasi incandescente “Sono riuscita a convocarla dopo una settimana di attesa a causa dei suoi ‘impegni inderogabili’ e sai cosa mi ha detto quella stuck-up little bich!?”
“Greene, modera-”
“Ha detto ‘Se mio figlio non ha interesse ad occupare un posto nella sua squadra non è la fine del mondo. I suoi voti in matematica avanzata mi paiono ottimi e non vedo perché mi ha fatto cancellare un volo di lavoro per LA solo per dirmi come devo assolutamente sviare le vedute, peraltro ragionevoli, di mio figlio. Buongiorno.’”
Il collega alzò gli occhi al cielo cosa che le fece ribollire il sangue ancora di più.
“Fai come credi ma questa cocciutaggine non ti porterà da nessuna parte. La dottoressa Hervas ha ragione, Kurt è bravo in tutto, più che eccezionale magari su argomenti nel quale è portato naturalmente ma se ti dice che non è interessato non puoi farci nulla, no?”
Do me a favor, Jack, go fuck yourself.” e con quello si era alzata ed allontanata, l’irritazione che si espandeva in ondate intorno alla sua persona.

~

Il sole pomeridiano era inclemente attraverso le foglie a raggiera delle palme; la brezza atlantica non riusciva a dissipare del tutto l’ondata di calore umido irradiata dall’asfalto nelle strade.
L’aria sapeva di salsedine e la George Washington High School sulla 32nd Avenue di San Francisco era quasi deserta, nessuno davvero rimaneva nell’edificio scolastico dopo l’orario delle lezioni se non si contavano le squadre sportive.
L’anno scolastico era finito da quattro ore ormai e l’estate imminente non aiutava di certo i cervelli dei senior in biblioteca nel loro studio pre-esami universitari.
Intanto una ragazza bionda continuava a camminare per il corridoio con una certa tranquillità, dietro le sue spalle penzolava una sacca da ginnastica tenuta precariamente con la mano sinistra. La tomaia delle sue bianche scarpe da tennis che batteva il pavimento quasi senza far rumore.
Aveva svoltato in un altro corridoio più piccolo di quello principale e prese a salire le scale scattante, al ritmo del balletto d’incoraggiamento da pon-pon girl messo a punto solo alcuni minuti prima con le sue compagne di squadra, la sua coda di cavallo che ondeggiava a tempo.
Ancora qualche metro e si fermò davanti ad una porta nera, sbirciando dal vetro nel club dei Programmatori.
Un A4 era appiccicato con dello scotch al pannello e diceva chiaramente ‘NON BATTERE SUL VETRO. I programmatori si spaventano facilmente ed inizieranno a piangere violentemente. Per piacere se l’edificio sta andando a fuoco o c’è un’altra emergenza entrare in silenzio, al massimo cantando l’Ave Maria di Schubert. Grazie.’
Perché devono essere così nerd?!!??!?
Trovata subito la testa nera che le interessava ed entrò.
Nessuno dei membri del club l’aveva nemmeno notata, tutti presi dai loro programmini nerd intesi per far aprire i lettori cd o scambiare le immagini di avvio con fotografie disinibite…almeno quelli che non avevano un senso dell’umorismo superiore alla media.
Si sedette su una delle poltroncine, in attesa che Kurt la notasse.
“Sempre qui, lizard? Non hai niente di meglio da fare?”
“Oh, do shut up, Kurt!” mise il broncio ma - come al solito - quel brutto muso rimase indifferente: le mani poggiate ai braccioli della poltroncina e gli occhi penetranti che la squadravano da sotto i capelli scarmigliati dal vento della track che aveva corso alcune ore prima, le labbra sottili in un arco meditabondo e lievemente malinconico; gli aveva fatto notare un mucchio di volte che quell’espressione seriosa tendeva a farlo sembrare più vecchio ma lui aveva risposto che erano stupidaggini e che “L’età è solo un numero, Lisa. Tende ad aumentare non ad diminuire, a meno che tu non abbia una malattia cerebrale degenerativa.”
Un paio di dita le schioccarono davanti agli occhi per farla tornare alla realtà.
“Allora?” ripeté Kurt impaziente “Hai intenzione di dirmi cosa vuoi o hai deciso di sognare ancora un po’?”
“Smettila di fare il maleducato!” sbottò lei, muovendo di scatto la testa “Sei tu che mi hai chiesto di accompagnarti!”
“Proprio no.” quindi si era voltato per mandare in arresto il suo Mac.
La ragazza gonfiò le guance indispettita e pronta a dirgliene quattro ma poi abbassò le spalle con un sospiro rassegnato…era capace di cambiare le carte in tavola come ridere, uffa!
[…]
Avevano lasciato la Washington High School a piedi per prendere un BART per la city nella luce ramata di quella fine giornata.
Era stata questione di una dozzina di minuti entrare ed uscire dall’ufficio federale.
Non era riuscita nemmeno a sbirciare la documentazione che gli avevano consegnato: Kurt l’aveva subito fatta sparire nel suo zainetto e non aveva sprecato più parole del necessario a proposito.
Giusto il tempo di un giro per le avenue più in della city, osservando le macchine, la gente ed ‘il nostro riflesso nelle vetrine’ come lo definiva Kurt, poi si erano fermati da un In&Out per il solito milkshake di lei ed il megaburger lui in auge dei festeggiamenti per la vincita del titolo di migliore squadra d’atletica leggera di tutta la Contea.
Al parlarne Kurt sorrideva quieto, Lisa non l’aveva mai visto esprimere più emozione di così e la cosa le faceva piacere.
In quel fine pomeriggio di inizio Giugno trovava salutarlo quasi troppo facile…almeno finché il ragazzo non apriva bocca.
“Kurt, comportati bene.”
Occhi che la fissano con un non so che di sprezzante mischiato ad humour “Puoi parlare così al tuo cane, Lisa.”
“Rock almeno si preoccupa!”
“Lungi da me dal rivelarti che ti fa le feste solo perché gli riempi la ciotola…”
“Grrrrrrrr”
“Ecco, adesso gli somigli pure…”
Ed a quel punto, se voleva davvero essere presa seriamente, poteva solamente fare una cosa.
Non l’avrebbe rivisto per tutta l’estate ed era il suo migliore amico.
Quindi lo avviluppò per l’addome in un abbraccio.
Il gesto l’aveva zittito immediatamente.
Non si era irrigidito ma rimaneva immobile come se non sapesse bene come comportarsi.
Disconnected from time and humanity.
“Kurt…?” sussurrò, il naso premuto contro il suo sterno solo a malapena data la sua stazza.
“…”
“Torna indietro.”
“…”
“Non cambiare.”
“…” non aveva avuto reazioni fino a quel momento e poi, lentamente, le sue braccia si erano alzate ad circondarla in un gesto rilassato, senza urgenza "Non essere sciocca."
Quindi era rimasto in silenzio.
Lasciandole la sensazione di non aver risposto solo per non deluderla con una delle sue frasi da ‘psicologia’.
L’aveva fatto per dire arrivederci nel suo personale modo.
La sensazione che le dava quel suo abbraccio disinteressato la uccideva.

~
[…]
Ultima notte a casa prima di partire.
Era un vecchio edificio, probabilmente aveva ospitato un fabbrica di qualche tipo dalle ampie vetrate ad arco che lasciavano cadere una grande quantità di luce naturale ed i muri di mattoni, le scale per salire agli intramezzi di ferro battuto originali lasciate nel corso della ristrutturazione.
Se fuori dava l’impressione di vecchio dentro era stato completamente rinnovato dalle scale comuni all’installazione di un ascensore d’ultima generazione all’impianto centralizzato dell’aria condizionata, tubature rifatte ex-novo e collegamenti telefonici/smart tv ad banda ultra larga che - diciamolo – ormai fanno comodo in tutte le occasioni.
Ma la vera bellezza – e qui Kurt l’avrebbe negato – era il fatto che era riuscito a scassinare il lucchetto della porta anti-incendio che dava sul tetto con una forcina di sua madre.
Aveva già passato più di una serata a godersi il tramonto, appollaiato su uno dei cornicioni con le gambe a penzoloni nel vuoto, sotto le dita la pietra calda di sole.
Totalmente solo, ma accerchiato da milioni.
La definizione ultima della vita peraltro.
Quella sera non era diverso ma i suoi occhi fissavano l’orizzonte lontano con studiata attenzione in modo da non dimenticare; l’ultima sera a SF prima del deserto e…
I suoi occhi si abbassarono, posandosi sullo zainetto.
End of innocence, Kurt.
Le labbra sottili si piegano in un sorriso, compiaciuto ma senza calore alcuno.
Il futuro vero non avrebbe tardato ancora molto.

Sometimes you hold the world in your hands
Some days you drift oh so easy and free
Some nights you sleep in blissful harmony
[...]
The more I learn of history the more I hate it
'Cause we're repeating things we did a thousand years ago
We're building palaces of fortune in the sky
There's an underclass dying whilst we smile
Richard Ashcroft ~ God in the numbers

~~~

Canzoni del capitolo:
- Lana del Rey ~ Burnt Norton (Interlude);
- Richard Ashcroft ~ God in the numbers.

Le note di questo capitolo sono:
- La storia è ambientata a San Francisco, un terreno già conosciuto da chi bazzicava le altre mie storie quindi rimando i nuovi arrivati alla pagina Wikipedia se non conoscete molto su questa metropoli;
- Il numero di Nepero (anche chiamato 'numero di Eulero') od e è una costante matematica collegata con la funzione esponenziale, che associa ad un numero reale x il numero dato dalla potenza e alla x con la funzione logaritmo naturale (la funzione inversa dell'esponenziale). In breve questo numero è irrazionale e trascendente, ossia non esiste un'equazione algebrica a coefficienti razionali che lo ammetta come soluzione. Nel corso della storia (il primo riferimento letterario ad e risale al 1618) si sostiene che e fosse usata dai Greci per la costruzione del Partenone e dagli Egizi per la Grande Piramide.
- P Versus NP è uno dei massimi problemi irrisolti della matematica tecnologica. Una esposizione del problema non ufficiale è "Qualsiasi problema del quale la soluzione possa essere velocemente verificata da un computer può anche essere velocemente risolta da un computer". Il termine 'velocemente' è riferito all'esistenza di un logaritmo che possa risolvere il quesito in tempo polinomiale, ovvero che il tempo per completare l'operazione varia in funzione polinomiale sulla dimensione dell'input all'algoritmo (al contrario del tempo esponenziale). Tutti problemi risolvibili da un algoritmo entrano nella classe P, i restanti nella NP. Per maggiori informazioni potete visitare la pagina Wiki in inglese;
- La Washington High School si trova alla 32esima avenue fra Balboa St e Geary Blvd, ed è una scuola pubblica. Ha la sua suadra di Rugby i Washington Eagles ed è proprietaria di una pista per atletica, calcio, basket, tennis. Ovviamente potrebbe non essere come l'ho descritta quindi lasciatemi un po' di licenza poetica;
- End of innocence è una citazione voluta ad un DVD dei Nightwish del 2003.

Vi avevo lasciati diciassette anni prima su un molo di Santa Barbara in California ed rieccoci qui con la nuova storia, un esperimento che devia dal mio modo di scrivere solito (quando mai ho avuto un tipo per questi due...LoL).
Preparatevi a capitoli non lineari in cronologia e pieni di flashback perché come da titolo ho tutte le intenzioni di 'disfare il tempo'.
Abbiamo diciassette anni di giorni da spiegare, capire, mettere a fuoco all'ombra del ponte di San Francisco e sotto il sole cocente del deserto del Nevada.
Abbiamo alcuni nuovi personaggi che spero vi appassioneranno e torneranno alcuni selezionati 'veterani'.
Sono elettrizzata per questa nuova storia ma - al solito - il tempo è tiranno, la musa è una grande str**** e son quasi certa che senza una cronologia lineare mi ci vorrà un mucchio di tempo per aggiornare fra un capitolo e l'altro...quindi ringraziamo Ashcroft e la Del Rey, le mie ispirazioni musicali! *o*
Per il resto sapete cosa fare *indica il bottone 'recensisci'* ed ancora benvenuti nel terzo branch di 'Steps'. ;)
Hermes

ps. Se qualcuno fosse arrivato qui direttamente da StepRight vi consiglio vivamente di fare un salto anche da Magnetism Laws, niente di che ma Herm ci tiene ed anche Linds&Michelle. xD

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Capitolo 2
*** 2 ***


You're like me
You can flip in a second
Step into rage what d'you reckon?
Serenade or use a weapon
You're like me
Your scars are like your badges
Climb up into these branches
I guess that's the way your life is

Don't be afraid
Fear does you no good
It will take you for all you own
Richard Ashcroft ~ Songs of experience

Il mattino dopo, con suo grande dispetto, la sveglia aveva suonato alle sei.
Il suo risveglio non fu dei migliori dato che aveva passato buona parte della notte per portarsi avanti con i compiti assegnati per la durata delle vacanze estive…
Per fortuna era abituato a organizzarsi per tempo e con metodo e per lei sei e trenta, nonostante la mancanza di sonno, era già uscito di casa trascinandosi dietro un borsone, lo zainetto ed una fetta di toast fra i denti diretto verso il capolinea dei pullman.
Alle sette il mezzo motorizzato si muoveva a velocità sostenuta per Sacramento e lui – resuscitato da un’intero thermos di caffè espresso - scriveva qualche riga sul Mac a proposito di una tesina sulla storia moderna americana che gli interessava particolarmente.
Contava di finire i compiti estivi per la fine della prossima settimana e spedirli ai diversi professori.
E poi ci diamo alla pazza gioia, Kurt tesoro…
[…]
Parecchie ore dopo gli occhi di suo padre lo guardavano dal riflesso del finestrino e la bocca di Kurt si arricciò in una smorfia mentre Saint Vincent scavalcava la playlist ed il secondo pullman della giornata continuava a correre sulla federale in un tardo pomeriggio di fuoco, dirigendosi verso Rachel, NV.
Il deserto gli ricordava la piccola casa di Grandma Ines a nord-ovest da lì, era parecchio che sua madre si era presa qualche giorno di ferie per andarla a trovare.
Ma ora che siamo arrivati qui, in questo punto di mezzo nel viaggio per il non si sa dove, è meglio levare qualche curiosità…che ne dite?
Kurt non era mai stato un ragazzo molto socievole.
Aveva compito diciassette anni quel marzo ed a quindici aveva raggiunto la sua altezza massima di sei piedi e due pollici , un’accelerazione fomentata dallo sbalzo ormonale tipico dell’adolescenza.
In fisionomia era una perfetta copia del padre: il fisico smilzo e nervoso, viso angolare, zigomi alti e guance incavate, il naso leggermente curvo dopo averlo rotto più di una volta in alcune risse, labbra sottili ed occhi neri e brillanti.
Nel suo bouquet genetico erano rimasti pochi tratti della fisionomia da parte materna: un accenno quasi invisibile nel colore della pelle ed i capelli di un nero corvino, il taglio degli occhi. La presenza di lei era tutta insita nel carattere, nei suoi gesti mentre parlava.
Sua madre concentrava tutto il suo amore – quasi morboso – in poche scelte ore della giornata; solitamente il mattino e la sera se era libera dal lavoro.
Kurt non aveva dubbi sul suo affetto materno ma da quando aveva raggiunto i nove anni Michelle aveva lasciato il part-time per tornare a lavorare a tempo pieno, tutta presa dalla ricerca.
Rinchiusa dal mattino alla sera nel suo laboratorio a districare la formula esatta della nascita della specie umana.
Kurt dovette reprimere una risatina, scuotendo la testa.
Sua madre era Michelle Hervas, un nome noto nel campo della genetica.
Era una splendida donna ispanoamericana quarantaseienne che il tempo non era riuscito ad intaccare se non per qualche ruga d’espressione ed un paio di capelli grigi che avevano fatto capolino di recente nella sua folta chioma un po’ crespa; per il resto aveva il fisico snello di una trentenne e la grinta di una tigre.
Intanto il deserto continuava, all’orizzonte i contorni frastagliati delle montagne giallastre sullo sfondo blu del cielo sfumati dalla nuvola di fine sabbia che le ruote del pullman alzavano in aria.
Riusciva quasi a sentirla in bocca quella dannata polvere.
Che cazzo di posto…
Si passò distrattamente la mano fra i capelli dando un’occhiata all’ora, aveva ancora dieci minuti prima che il bus si fermasse e lo consegnasse ad un Giugno in compagnia dell’altra persona che l’aveva generato.
Kurt non aveva mai preso abbastanza in considerazione suo padre negli ultimi anni per evitare di trarre conclusioni difficili da digerire o – nel peggiore dei casi – spaccargli la faccia.
Non aveva buoni motivi ma se avesse provato a cercarli era sicuro che non sarebbero mancati.
Da bambino tutto era stato diverso…il suo papà lavorava fuori, quindi non lo vedeva che qualche volta a colazione quando – se - tornava dal deserto.
In quei brevi anni di beata innocenza e dalla sua piccola statura non aveva potuto che immaginarlo come un supereroe, capace di tutto.
Poi era arrivata la cosiddetta doccia gelata. Papà e mamma avevano iniziato a chiudersi un’immaginaria porta alle spalle quando parlavano di ‘loro’.
Quindi le visite si erano fatte sempre più rare finché non si erano fermate completamente e lui aveva iniziato ad andarlo a trovare.

Kurt non soffriva lo sguardo di suo padre quando erano costretti a vivere sotto lo stesso tetto in quel mese.
Ogni anno Linds lo guardava meravigliato come se lo vedesse per la prima volta nella sua vita, faceva qualche domanda di base sull’andamento dei suoi studi e su come stava poi gli argomenti di stampo personale si esaurivano.
Non parlavano mai della mamma se non per qualche vago accenno alla sua salute. Come se non esistesse…
Il pullman aveva iniziato a rallentare per poi fermarsi con un leggero scricchiolio ed un distinto odore di gasolio sotto la pensilina del distributore dove avrebbe fatto rifornimento per continuare il suo viaggio sulla famosa Extraterrestrial Highway.
Kurt disincastrò le lunghe gambe dal sedile, recuperando il suo borsone dalla rastrelliera e agganciando lo zainetto alla spalla, deambulando goffamente nello stretto passaggio centrale e scendendo dal mezzo con gli occhi stretti a fessura per evitare che il sole a picco gli togliesse la vista.
La fermata di servizio consisteva in un’officina, un minuscolo negozio/bar di prime necessità con accanto due pompe del carburante – a quell’ora in self-service – e dall’altra parte uno spiazzo di roulotte di medie dimensioni, la vernice dei mezzi opaca dalla polvere. La costruzione più grande era lo sgangherato motel leggermente più in là.
Di suo padre neanche l’ombra.
Tipico…figurati se viene ad aspettarmi, il vecchio.
Kurt rimase dov’era, dove i 105° Fahrenheit sembravano appena sopportabili e si appoggiò al muro in attesa a braccia conserte mentre il sudore gli incollava la maglietta addosso.
Il guidatore del bus di linea finì di fare rifornimento e si portò due dita alla tempia in un saluto prima di risalire ed allontanarsi.
Ping!
Recuperò il telefono dalla tasca dei jeans.
*Allegro il deserto, K? Ti sei già ridotto in cenere od aspetti il canto del gallo? ;*
Kurt sorrise appena per poi iniziare a rispondere.
*Per ora Dracula aspetta, Lizard.*
*Papino in ritardo?*
*Yep.*
Aveva appena mandato la risposta quando un rombo aveva iniziato a far tremare l’aria pesante di quel pomeriggio e Kurt aveva strizzato ancora di più gli occhi dove la strada si perdeva nell’orizzonte, sfocato dal calore.
Non ci volle molto prima che avvistasse un puntino bianco in rapido avvicinamento in proporzione con il boato.
Mezzo minuto dopo una Jaguar F type bianca scivolò nel minuscolo agglomerato addormentato per la siesta, subito seguita da un nugolo di polvere provocato dal brusco spostamento d’aria. Lo sorpassò poi fece retromarcia cambiando senso di direzione ed il cofano posteriore si aprì.
Kurt si affrettò a caricare il suo bagaglio per poi salire dal lato passeggero, nell’abitacolo l’aria condizionata pompava al massimo ed al volante c’era l’unica persona in quella spopolata Contea nel bel mezzo del nulla che poteva permettersi di possedere una sportiva di quel tipo.
Suo padre.
Linds Lagden.
“Ciao, Kurt.”
“Ciao.”
“Tutto bene?”
“A-ha.”
Il ruggito amichevole dell’auto era perfetto per coprire l’ostentato silenzio mentre marciavano alla velocità sostenuta di cento miglia orarie sulla pista di strada sterrata che si diramava dalla federale per finire in mezzo al nulla.
Od almeno così sostenevano le cartine, finché non era arrivato in gioco Google Maps ed i servizi d’immagine satellitare giapponesi e russi vent’anni prima.
Kurt fissava avanti a sé, per niente curioso di analizzare il profilo di Linds dopo un anno esatto da quando l’aveva visto l’ultima volta.
Con lui il tempo non era stato magnanimo quanto con sua madre.
Quell’inverno aveva raggiunto i cinquant’anni.
I suoi capelli biondo platino avevano perso parte del loro lustro ed si erano striati di bianco sulle tempie.
La pelle pallida, esposta al sole del deserto, si era permanentemente dorata e punteggiata di nei.
Il viso asciutto e squadrato aveva iniziato a perdere elasticità, mentre una serie di fini linee iniziavano a marcare la sua bocca e la fronte quando si concentrava su qualcosa. Il fisico ancora magrissimo si era un po’ appesantito sulla vita a causa della continua alimentazione da fast-food.
Il silenzio dell’abitacolo si ruppe da parte dell’uomo al volante che non sembrava particolarmente desideroso di continuare la conversazione se non per una serie di informazioni basilari.
“Ho sbloccato la connessione wi-fi e ci dovrebbero essere delle birre nel freezer. Se hai fame c’è una lista per l’asporto appesa accanto al telefono, ordina a mio nome.”
Cinquant’anni e dubito che abbia mai imparato a cuocere un uovo sodo…
“’Kay.” gli rispose indifferente.
La Jaguar aveva progressivamente rallentato mentre arrivava in vista di una piccola costruzione bianca costituita da un solo piano, delimitata davanti da una recinzione di filo spinato sgangherato.
Home Sweet Home!” canticchiò ridacchiando Linds, fermando l’auto e rovistando nelle tasche del camice che indossava sopra una maglietta stinta dei Metallica, estraendo un mazzo di chiavi e porgendolo al figlio “Tornerò tra un paio di giorni. Goditi l’NBA, Kurt.”
L’adolescente accettò l’offerta con un grugnito, sbattendo la portiera e recuperando il borsone prima che la Jaguar ripartisse a tutta manetta facendogli assaggiare la polvere.
Sbattuto come un pacco postale sulla soglia di casa.
[…]
“Oh Cristo…”
Dopo una doccia aveva dato una scorsa al frigo, chiudendolo subito dopo, disgustato dall’odore di carcassa e dalla sostanza giallo-verde che era cresciuta sopra un piatto di pasta al sugo che sembrava essere stato abbandonato a se stesso da minimo sei mesi, una forchetta ancora conficcata rigidamente nel bel mezzo della poltiglia.
No, suo padre non sarebbe sopravissuto in un luogo senza mensa aziendale, tavole calde o Burger King.
Pinzandosi il naso Kurt riaprì lo sportello ed afferrò il piatto, affrettandosi ad aprire uno spiraglio nella vetrata a specchio e poggiarlo fuori.
Questa volta tentò il freezer trovandoci una dozzina di bottiglie di birra semi-congelate, estraendone una ed accomodandosi sul divano nel centro della stanza scorrendo con lo sguardo cosa aveva intorno.
Quasi dieci anni e quella casa non era cambiata.
Non c’erano segni del passaggio di suo padre, di quadri o di fotografie.
Era solo un’insieme di mura e mobili lasciate lì dal proprietario precedente.
Una tana per dormire.
Un vuoto.

La casa gli era stata assegnata solo per la collaborazione con la base quaranta chilometri più a sud, faceva parte del primo blocco di sorveglianza – abbandonato da forme di vita umane - che delimitava la zona militare.
Kurt raggiunse il telefono a muro non degnando di uno sguardo i numeri dell’asporto, alzando il ricevitore e schiacciando un bottoncino rosso poi una combinazione di quattro numeri: trucchetto che aveva scoperto un paio d’anni prima per mettersi in contatto con la mensa della base.
“Sì?” rispose una professionale voce di donna che Kurt riconobbe con un sorriso.
“Buongiorno, Signora Hunter.”
“Ohò, Lagden Junior! Di nuovo qui eh?!” la fredda serietà si era sciolta al sole come un cono gelato “Di cosa hai bisogno?”
“Beh…mi chiedevo se potevate passarmi qualche bene di prima necessità. Un po’ di verdura, della pasta…il frigo è una landa desolata.”
“Con la fame da lupo che ha il Dottor Lagden quando ci degna della sua presenza non mi stupisce! Tranquillo caro, ci penso io. Un paio d’ore e mando il primo aiuto-cuoco che trovo da te!”
“L’adoro Signora Hunter.”
Kurt sorrise al saluto allegro della donna e riattaccò la cornetta, sfregandosi le mani compiaciuto.
Al diavolo il take-away…
A differenza di Linds, Kurt sapeva cucinare anche un po’ a causa dell’assenza semitotale di Michelle da casa.
Ad un certo punto si era stufato di ingozzarsi di patatine e hotdog ed aveva imparato in una serie di trial and error come nutrirsi da solo, con un piccolo aiuto da parte di quella chioccia di Alice.
Il ragazzo aveva anche la fondata impressione che suo padre mangiasse meglio e con gusto i suoi sforzi culinari dato che raramente trovava gli avanzi della sera precedente al mattino.
Vivere con il padre era in tutto e per tutto come vivere da solo.
Linds passava la quasi totalità della settimana imbucato in qualche laboratorio sotterraneo della base, dormendo nelle stanze adiacenti se era troppo occupato od il progetto richiedeva la sua presenza. Quindi sempre.
Di solito spuntava dal nulla verso il giovedì sera/venerdì mattino, dormiva cinque o sei ore poi passava due giorni in assoluto relax o partiva per Las Vegas tornando solo la Domenica notte e ricominciando il ciclo.
La prima volta che aveva passato il mese di Giugno a Rachel, aveva scoperto presto cosa comprendevano quelle visite…e da quel momento in poi le loro conversazioni si erano ridotte ad un solo argomento: lo studio.
Suo padre andava a donne.
Ma non toccava sua madre.

La fatidica chiacchierata sulle api e sui fiori era stata affrontata l’anno dopo, quando aveva compiuto undici anni. Completa ed estensiva sulla meccanica dell’atto in sé, senza alcun fronzolo o zucchero per alleggerire la pillola.
Quando Linds gli spiegava qualcosa era conciso e distaccato, e quando Kurt aveva domandato rare volte qualche approfondimento sul passato il padre non gliela aveva mai negato, rimanendo vago ma di una sincerità brutale.
Un tipo di atteggiamento che dimostrava l’alienazione del suo ruolo nella vita del figlio.
Si era accorto subito in tenera età che la sua non era una famiglia ma non era nemmeno un surrogato.
Portava il cognome Lagden solo per qualche motivazione ignota di Linds.
Un padre che non c’era mai stato ma che gli aveva permesso di vivere agiatamente, senza contare l’introito più che rispettabile di sua madre.
Ma quel last name senza alcun apparente significato nascondeva il cuore del radicato risentimento di Kurt.
Lagden era la parola d’ordine che gli spalancava le porte dei migliori college americani senza alcun merito suo personale.
Lagden, la parola che avrebbe pagato la sua retta universitaria, senza bisogno di mutui studenteschi, senza problemi.
Quando un ragazzo della sua età invece si sarebbe fatto sanguinare le mani per entrare in una league, ma l’avrebbe fatto con il proprio sudore e con il proprio orgoglio intatto.
Lagden Kurt no, lui partiva avvantaggiato con il peso di un cognome che l’avrebbe seguito fino alla fine.

Tutti si aspettavano che seguisse le orme di Linds come un bravo cagnolino, immatricolandosi al MIT e fondendosi il cervello.
Le poche volte che aveva visitato la base parecchie persone commentavano sempre nelle linee ‘Son sicuro che lavorerete assieme in futuro!’
Suo padre a quelle dichiarazioni sorrideva rigidamente ma non aveva mai replicato, c’era solo indifferenza nelle sue pupille buie.
Kurt invece mandava telepatico sempre la solita risposta mentale del: Manco da morto!
Aveva tutte le intenzioni di strappare il tessuto di quelle convinzioni il più presto possibile.
Non aveva ereditato l’intelligenza mostruosa di suo padre e ne era più che felice.
Poi otto dottorati non erano proprio la sua idea di divertimento…la vita era fatta anche per essere vissuta.
Sì, era abbastanza bravo nelle materie scientifiche e più che discreto in fisica e biologia ma aveva dei propri piani per dopo il diploma. Anzi ho già dei piani per la fine della prossima settimana…figurati.
A guardare dai libri sparsi sul tavolino della zona soggiorno suo padre stava per collezionare una nona laurea in Astrogeologia.
Come sua madre…rinchiuso in gabbia per districare la formula esatta della nascita dell’universo con il suo talento universale.
Con dei genitori così simili e diversi non aveva potuto che crescere presto.
Si sentiva un individuo a sé stante, perfettamente capace di trarre conclusioni. Adulto.
In tutta coscienza Kurt non riteneva i genitori parte della propria vita.
Due macchine per far soldi, dove il denaro non interessava a nessuno dei due.
Due idioti che non vedono più in là dei loro stessi passi.

Two things are infinite:
the universe and human stupidity;
and I'm not sure about the universe.
~ Albert Einstein

~~~

Canzone del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ Songs of experience.

Le note di questo capitolo sono:
- Saint Vincent è il nome d'arte di Anne Erin "Annie" Clark, una polistrumentista, cantautrice e compositrice statunitense, la canzone che sente Kurt è più precisamente The Antidote uscita nel 2012, potete ascoltarla qui;
- La cittadina di Rachel si trova nello stato del Nevada e non ` molto diversa da come la descrive Kurt. Si trova veramente lungo la Extraterrestrial Highway e la sua popolazione di 54 persone (censimento 2010) è composta perlopiù da maniaci degli UFO, pensionati e ricercatori. Dall'autostrada lì intorno si diramano varie strade sterrate che portano alla famosa Area 51; il clima di questo pezzo di deserto è proibitivo ma non invivibile, Kurt parla di 105°F che si possono convertire in 40,5°C, stiamo parlando della massima temperatura misurabile da Giugno a Luglio;
- Kurt è alto sei piedi e due pollici, in conversione con il sistema metrico stiamo parlando di quasi 1,90 metri...un'adolescente stangone praticamente! xD
- Jaguar F-type è un modello di sportiva biposto, ovviamente il topo monta il modello R 5.0 v8 550CV Supercharged (0-100 Km/h in 4,2 secondi, velocità massima nominale di 300 Km/h) . Per immagini di riferimento potete vederla qui e qui. Piccola nota: ADORO questa auto e Linds...come dire...ci fa la sua porca figura, fortunato lui!
- Fare le le cento miglia orarie su un strada sterrata significa pressapoco fare i 160Km/h, e noi ci fidiamo delle capacità da pilota di Linds, ovviamente;
- L'NBA oppure la National Basketball Association è la principale lega professionistica di pallacanestro degli USA, il livello complessivo della competizione è considerato il più alto del mondo. L'NBA fu fondata a New York nel 1946. Il campionato si suddivide in tre fasi che portano all'assegnazione del titolo di campioni: la regular season (fine ottobre), i playoff (aprile/maggio) e le finali;

Ed rieccomi qui...eh scusate per l'attesa! -__-""
Comunque abbiamo conosciuto meglio Kurt...vi gusta?
Nel prossimo torneremo in California per un breve momento, tanto per mettere un po' di basi e far partire la miccia...LoL
Si saluta e ringrazia petitecherie per la recensione al capitolo precedente (ho visto che hai pubblicato due storie...vorrei leggerle ma non trovo il tempo! Uffa! xP).
Per il resto dei lettori silenti sapete cosa fare se vi và...
*indica il bottone 'recensisci'*
Ci rivediamo nel prossimo, spero più velocemente =)
Hermes

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Capitolo 3
*** 3 ***


Imagine your life without the melody
No sweet love song for you, for me to sing
Imagine my life without your morning smile
That look of love that says, 'Stay awhile'
[...]
Coult there be life without the melody?
A soixante-neuf without the erotique?
[...]
We're moving through a different part of our lives
On a raging sea, they say no man survives
We move into a different part of our heart
Come on baby now
Let us start
Richard Ashcroft ~ These people

Nella base californiana del J. Craig Venter Institute a San Diego, la ricerca non si fermava mai; erano considerati una delle thinking pots più innovative a livello mondiale.
Per esempio erano a tanto così dal rilasciare in conferenza una scoperta sul genoma umano che avrebbe potuto rivoluzionare la genetica dei prossimi vent’anni.
Ma per arrivare a scoperte così importanti e restare al passo con i tempi e la tecnologia bisognava avere tenacia, pazienza e dedizione.
E lei lo sapeva, eccome se lo sapeva.
Sul bancone stavano sei rastrelliere di campioni di DNA modificati.
Quel giorno, come molti altri, era governato così; passare ore con l’occhio al microscopio e tablet alla mano.
Sì, aveva imparato ad usarlo per pura disperazione ed sopravvivenza…avere un figlio teen ed un cagnone nerd per amico aveva i suoi ups, ecco.
Sono ancora Michelle Hervas la biochimica ed ingegnere genetico (avevo dati altri esami supplementari ed una tesina, solo per raggiunger i requisiti per entrare nel team).
E non lo sono più, non completamente almeno.
All’occasione ho qualche brutto sogno, faccio jogging lungo la costa solo in compagnia e durante le ore di luce, a volte mi capita di accendermi una sigaretta e divagare col pensiero sulle strade, sui passi.
Sono diventata madre ed ancora in parte non riesco a capacitarmene, magari un giorno vi spiegherò il perché…
Per ora sono in trasferta a San Diego dal mio boss supremo. No, non lo chiamiamo Darth Vader dietro le spalle…anche se sono tentata assai!
Occupo un posto fisso nel team di innovazione da quasi dieci anni ormai ed ogni mattina al pensiero di andare al lavoro sono la persona più felice di questa terra. Stacanovista convinta e-
Il silenzio del laboratorio si spezza d’improvviso con la cara, vecchia voce di Ashcroft che intona The Miracle e quando poso gli occhi sull’ora dello smartphone mi scappa un’imprecazione.
Striscio il dito sul display per accettare la chiamata mettendo la vivavoce…so già cosa mi aspetta, purtroppo.
“…” eccolo, il silenzio per farmi sentire in colpa.
“Com’è andato il viaggio, tesoro?” domando, l’occhio premuto al microscopio e la mano sulla messa a fuoco.
“Bene, Mom. Hai cenato?”
Faccio una smorfia, cambiando i vetrini “No, ma ci sto lavorando.”
Liar.
Fisso il telefono per un secondo, chiedendomi come fa ad essergli così simile.
Spengo il microscopio e metto all’orecchio l’apparecchio.
“Okay Kurt, recepito il messaggio.” sospiro “Mamma chiude la baracca e finisce la serata al ristorante dell’hotel. Mi racconti qualcosa?”
As in?
“Carte blanche, love.”
[…]
E solo mezz’ora più tardi che chiudo la telefonata, giocando con la bistecca cotta a puntino con contorno di broccoletti che mi è appena arrivata.
Sono preoccupata.
Vi sembrerà un controsenso ma Kurt non è un asociale, tutt’altro.
Non sopporta gli idioti.
E ogni anno all’arrivo della sua partenza per il deserto non posso che preoccuparmi.
So che lo fa per me, che se fosse per lui non metterebbe piede a Rachel nemmeno se fosse il biglietto d’ingresso per un posto nel team olimpico.
Non so nulla di cosa esattamente succede durante le quattro settimane all’ombra della Base ma posso immaginarlo.
Tale madre, tale figlio.
Sospiro rassegnata.
Se guardo indietro con il senno di adesso il passato è un perfetto caos.
Chiaro come lo specchio, fatto di decisioni che non avevano vie d’uscita.
Non per me, almeno.
Dopo tutti gli sforzi – perché ci aveva provato il topo, e tanto - Linds alla fine non ce l’aveva fatta ed era fuggito via, verso il deserto.

Kurt aveva due anni quando era avvenuto il distacco definitivo ed avevamo raggiunto la decisione di prenderci una pausa a tempo indeterminato.
Da quando ci siamo separati posso contare sulle dita delle mie due mani le volte che l’ho rivisto.
E non mento quando le telefonate non superano nemmeno la dozzina nell’arco degli ultimi quindici anni.
Pausa…più che altro io sono diventata incandescente e radioattiva e lui non riesce più a toccarmi, figurarsi guardarmi.

I termini della pausa non li avevamo mai veramente incisi sulla pietra e dopo un anno di assoluto silenzio – che solo io avevo cercato di rompere con una parvenza minima di contatto con qualche mail o telefonata - decisi che non avevo più sangue da versare.
Ed era venuta l’ora di farsi un drink.
All’epoca Kurt stava per compiere quattro anni: una creaturina intelligente e briosa, il mio bambolotto già alto più di tre piedi e mezzo che scorrazzava come una mina impazzita per tutto il loft. Sempre con un sorriso sulle labbra.
Adorava costruire con i mattoncini, ed ogni linea di tasselli era regola farla con lo stesso colore od il gioco era perso. Tanto metodico da ricordarmi qualcuno.
Quella particolare sera avevo ceduto – meglio dire che Alice mi aveva sbattuta fuori a calci – ed accettato di passare una cena pre-weekend fra colleghi e vecchie conoscenze.
Non mi sono mai convertita a Facebook ma alcuni dei miei vecchi compagni di corso all’Uni erano riusciti a rintracciarmi tramite le mail di contatto sul sito del Venter Institute.
Ero genuinamente curiosa di rivedere vecchie facce e magari nuovi volti.
Tanto Kurt non avrebbe dato problemi guardato da Alice ma…
Aveva troncato il pensiero sul nascere con un taglio netto.
Era inutile aspettare che Linds tornasse dalla base quando era ovvio che non lo desiderava.
Quindi aveva cercato di godermi la serata.
Avevo rivisto Max e Richard ormai affermati ingegneri civili della city e Barbara, una manciata di altri corsisti ed alcune ore dall’inizio avevo scoperto che ci ero riuscita: mi stavo divertendo.
Arrivati al terzo martini del dopo cena le conversazioni si erano fatte più ristrette.
Alcuni ormai avevano messo su famiglia ed avevano deciso di tornare a casa, altri avevano programmato un ultimo weekend fuori per sciare sulla Sierra.
Io ero tranquilla e senza particolari impegni; non me la sentivo ancora di gettare la spugna…non avevo rivelato a nessuno di essere madre, o di avere una relazione con Lagden.
Il treble bass del locale nel quale ci eravamo spostati faceva vibrare il liquido nel vetro, l’oliva ondeggiante a ritmo.
Avevo legato con un amico di qualche mia collega – non mi ricordavo più chi a dire il vero – ed ci eravamo immersi in una conversazione fitta.
Si chiamava Jude ed aveva delle mani bellissime.
Un paio di perforanti occhi color azzurro ghiaccio che pizzicavano in modo piacevole quando mi guardava.
Ed m’aveva guardata, parecchio.
Ci eravamo scambiati frecciatine per un po’ – avevo una leggera titubanza - poi alla fine ci eravamo allontanati per il suo appartamento ed eravamo finiti a letto.
Semplicemente.
Sono una donna e non l’ho sentito come un tradimento, pensate pure cosa volete.
Avevo atteso che Jude si addormentasse poi ero scivolata via per rivestirmi e tornare a casa, senza la minima intenzione di rivederlo o risentirlo in futuro.
Il giorno dopo ero di nuovo Mom, avevo cucinato per colazione i waffles e tutto era perfettamente normale nel mio piccolo mondo con Kurt che mi trotterellava al fianco.

Jude non era stato l’ultimo ma solo il primo di una dozzina di uomini nel corso degli anni.
Li sceglievo con discrezione, in modo di non portarmi dietro delle palle al piede il mattino dopo, anche se con qualcuno avevo tergiversato ancora un paio di volte per poi troncare.
Intanto il tempo passava inesorabile, Kurt cresceva e se avevo sentito una punta di risentimento nei confronti di Linds ormai era sparita – come era sparito lui, in pratica – e non mi fermavo a pensare al significato delle mie azioni.
Non più.
Poi…poi avevo trovato Hugo.
Un incontro di nuovo segnato da una cena allargata, un’animata conversazione sulle nostre divergenze di opinione a proposito delle politiche pro/contro l’immigrazione e prima ancora che me ne rendessi conto si erano fatte le tre di notte e mi era venuto un colpo pensando a Kurt.
Quella fu la prima volta che scambiai il mio numero telefonico con un esponente del sesso opposto che non fosse un mio collega di laboratorio.
La settimana dopo avevo ricevuto un invito per uscire fuori a cena ed avevamo passato un’oretta piacevole in una autentica pizzeria italiana.
Hugo era un’anima solare ed aperta, lavorava come avvocato civile nel team municipale di San Francisco ed si occupava anche di politica, era perfettamente capace di raccontarmi tutta la sua vita assieme alle sue ombre senza alcuna vergogna, mentre io mi sforzavo di non sembrare poco interessata od ermetica.
Fu lui che mi sorprese…

“Michelle sei a disagio.”
“Scusa…?”
“Siamo qui da due ore e non mi hai ancora raccontato nulla di te…sei sposata?”
“No, certo che no.”
“Allora perché continui a guardare l’orologio?” per un momento lo vidi ricacciare indietro il biasimo e mi sentii una grandissima stupida.
“Non sono sposata, te lo assicuro Hugo…io…”
“Non sei obbligata a dirmi niente se non lo vuoi.” si era passato una mano fra i capelli con un principio di nervosismo “Perdonami, dopo il divorzio da Agatha mi capita di vedere ombre in tutte le cose…”
“Ho un figlio di sei anni.”
I suoi occhi blu si erano fissati su di me, sorpresi.
Avevo preso a giocare con il tovagliolino di carta, continuando a parlare “Siamo solo noi due ed ho sempre paura che gli capiti qualcosa…”
Una delle sue mani si era posata sulla mia ed il contatto mi lasciò muta.
“Io ho una bambina, si chiama Giulia ed ha solo quattro anni, me l’hanno affidata dopo il divorzio. Non siamo poi così diversi quindi.”

Sorridemmo insieme e da quel momento le cose cambiarono.
Avevo trovato molto più di un amico e, dopo qualche mese, avrei potuto mettere un braccio sul fuoco per lui all’occorrenza.
Pensavamo allo stesso modo – se non si parlava di politica - lavoravamo entrambi con passione ed avevamo una predilezione per le serate tranquille e le sessioni di corsa sul lungomare la domenica mattina presto.
Eravamo quasi sulla stessa lunghezza d’onda anche come priorità.
Non gli avevo raccontato che un surrogato accuratamente editato del mio passato, non falso ma nemmeno completo.
Di Linds sapeva solo che lavorava fuori ed era uno scienziato.
Ci erano voluti un paio di mesi prima che alle uscite in due si aggiungessero anche Kurt e Giulia.
Non erano passati cinque minuti ed avevano iniziato a scorazzare per il parco accanto al nostro condominio, giocando a guardia e ladri.
Qualcuno si schiarì la gola accanto a me, strappandomi dai miei pensieri.
“Mi scusi per l’intrusione, signora ma il ristorante chiuderà in dieci minuti.”
“Certo, scusi lei…”
In fondo non c’era altro da raccontare. No, avevo proprio detto tutto.

~

La consegna di cibarie era arrivata un paio d’ore prima con un camion, un soldato gli aveva passato un paio di scatoloni ed una cassetta di frutta e verdura.
Avevano parlato per un po’ poi il camion aveva ripreso la sua strada sotto il sole.
Ora l’astro infuocato aveva deciso di piantarla per quel giorno e si era abbassato dietro le montagne, colorando il cielo di rosa ed arancione e portando la sgombra valle in semipenombra.
Quell’angolo di deserto vantava la bellezza di quattordici ore di sole al giorno e punte termiche fra i 91° ed i 110° Fahrenheit. Di notte la temperatura si abbassava progressivamente fino a toccare i 50°, abbastanza sotto da doversi infilare un maglione.
Un Inferno in poche parole dove i pochi animali capaci di resistere erano una cinquantina di esseri umani dichiarati ‘civili’, coyote, serpenti a manetta e lucertoloni.
Nella fauna c’erano cactus e qualche yucca, non contando gli sparuti cespugli di fiori selvatici e le quasi obbligatorie balle rotolanti di fieno.
Kurt odiava con tutto il cuore quel postaccio infame ma ne apprezzava con riluttanza come la vita si adattava al clima proibitivo.
Per lui era l’unico posto al mondo che conosceva dove il tempo si fermava quasi completamente, giorno o notte il silenzio regnava con l’aria bollente che ti faceva bruciare i pori della pelle ancora prima di sudare.
In più era il posto perfetto per leggere senza essere disturbato, ora che si era assicurato che la mamma mangiasse qualcosa.
E da leggere ne aveva una valanga.
Nel suo borsone aveva trovato a posto anche una dozzina di libri che aveva racimolato un po’ dalla biblioteca di San Francisco, da scuola ed ordinato da un libraio a qualche isolato da casa per evitare di intersecare i propri ordini con quelli di sua madre, avida lettrice di qualsiasi ed ogni cosa.
Più o meno tutti giravano in tondo sullo stesso argomento ma spiegato/descritto da punti di vista differenti.
Il fine ultimo. Alpha Omega.
Certo non intendeva fondersi gli occhi con grossi volume dallo stampo ultra-tecnico per tutta la durata della sua permanenza, quindi a tarda sera – e dopo una cena di spaghetti e polpette in solitaria - aveva riesumato l’ultimo numero di Mighty Heroes e si era seduto davanti casa leggendo alla luce che colava dalla portafinestra. Mentre il suo telefono trillava quasi tenendo il tempo.
Liz non la smetteva di messaggiarlo come una matta…regolare amministrazione con il suo rifiuto per le materie scientifiche in generale se non fosse stato per la sua attenzione verso il futuro.
Kurt iniziava ad trovarla irritante ma per fortuna di Liz era troppo occupato a dipanare i complessi di Iron Man ed la doppia personalità di Loki.
No la mente umana era troppo interessante per staccare davvero.

The fears of time past
Are the ghosts of time present.
~ Anonymous

The future shall be known when it will arrive;
Before then, forget it.
~ Aeschylus

~~~

Canzone del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ These people.

Le note di questo capitolo sono:
- J. Craig Venter è un famoso biologo americano a livello mondiale. Ne avevo già accennato nella precedente storia della serie ma se qualcuno fosse interessato lo rimando alla sua biografia su Wikipedia. A proposito, non ho avuto tempo per controllare, e non sono completamente certa che il J. C. Verter Institute abbia una sede a San Diego, anche se è molto probabile;
- The Miracle è una b-side del singolo Check The Meaning compreso nell'album del 2002 Human Conditions di Richard Ashcroft. Abbiate presente che questa traccia farà la sua comparsa più volte nel corso della storia essendo legata a Kurt in maniera particolare. Nel frattempo potete ascoltarla qui;
- Il clima di Rachel è corretto. In gradi Celsius il picco termico và dai 32 gradi ai 43,3; la massima e minima media notturna è di 10 e 2 gradi;
- Mighty Heroes è una mia invenzione...LoL...non ho fatto in tempo a correggere ma l'idea rimane che sia uno di quei numeri a fumetti tipo Marvel. Chiedo licenza poetica perché sono sicura che chiunque sa cosa intendo per fumetti americani. xD

So che questo è un capitolo mini ma ho avuto idee che - se le avessi inserite qui - mi avrebbero richiesto troppo tempo ed l'aggiornamento sarebbe scivolato a data da destinarsi...
Se l'ispirazione mi continua ad incasinare così dovrò mettermi sotto con lo studio se voglio che il prossimo mi esca prima di Pasqua! Accidenti!
Per fortuna Michelle (la madre di Kurt) mi ha dato una mano a coprire il vuoto, è una donna forte che mi ha accompagnato per molti anni nel corso di questa serie e spero che vi piaccia. xD

Ora un grazie a Petitecherie per aver commentato ed atteso paziente il nuovo chappy heh, la Musa si è fatta sentire forte e chiaro negli ultimi giorni...forse fin troppo decisa e perentoria dato che devo ricostruire una parte di UT adesso...LoL

Per il resto dei lettori silenti sapete cosa fare se vi và...
*indica il bottone 'recensisci'*
Ci rivediamo nel prossimo quando riuscirò a renderlo leggibile, spero presto! =)
Hermes

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Capitolo 4
*** 4 ***


Look at me now
Grew up to be a whore
And I want it
I believe it
I'm a million different things
and not one you know
Marylin Manson ~ I want to disappear

Non aveva visto suo padre da quando l’aveva scaricato davanti alla casetta, una settimana prima.
Almeno fino a quel mattino.
Il vecchio doveva essere tornato nella notte ed invece di andare a letto aveva optato per qualche ora di studio prima di crollare lungo e stravaccato sul divano dell’angolo salotto, uno dei suoi libri di testo sopra gli occhi ed un rumore da fagotto che borbottava da sotto mentre russava.
Tipico.
Dapprima Kurt ignorò Linds dormiente per raggiungere la cucina in silenzio, in cerca di una ciotola di metallo per iniziare la colazione.
Ma la tentazione…la speranza che tutto potesse cambiare, che per una volta avesse potuto fare felice sua madre ed andare d’accordo con suo padre. Tutto troppo attraente per essere ignorato, ahimè.
A quel punto la ciotola – per puro caso eh! - gli scivolò dalle mani, cozzando rumorosamente contro il piano di granito del bancone spezzando il silenzio della stanza bruscamente ed, con esso, il coma indotto del vecchio.
“…”
Suo padre si era sfilato il libro da sopra gli occhi gonfi ed arrossati, sbattendo le palpebre nella sua direzione.
“Efficiente come sveglia.”
“Non l’ho fatto apposta.” stava rompendo le uova una per una ma la voce gli uscì monocorde, senza inflessione di pentimento anche se avesse voluto.
Linds si era messo a sedere, passandosi le mani sulla faccia per poi stirarsi “Vado a farmi una doccia, ti dispiace aggiungere due uova in più per me?”
“Certo che no.”
“Grazie. ”
Quindi Kurt lo guardò scomparire per il disimpegno, con la camminata ciondolante di una persona poco abituata a muoversi sulle proprie gambe e completamente assente circa la sua occhiata fulminante.
Le uova strapazzate subirono una spedizione a dire poco punitiva quel mattino, tanto che raggiunsero la consistenza perfettamente omogenea ed a contatto con l’olio bollente della padella sparsero un profumo invitante per la stanza che attirò indietro Linds come il miele il grizzly.
“Toglimi una curiosità Kurt, quale magia hai attuato per far uscire fuori tutto questo cibo dalla dispensa vuota?” era genuinamente curioso e il ragazzo gli lanciò un’occhiata con sopracciglio alzato mentre spadellava con delicatezza le uova nei piatti. Pensavi davvero che mangiassi come te? Grazie ma ci tengo al mio fegato, eh!
“Ho le mie fonti.”
Linds sbuffò con un sorrisetto, scuotendo la testa ed iniziando a mangiare.
Nient’altro da dire? Che fortuna stamattina…
“Novità da San Francisco?”
Kurt ci provò, sul serio, ma i suoi occhi rotearono nelle orbite prima di rispondere “Niente di nota.”
“Hai bisogno di aiuto con il workload estivo o sei già a buon punto?”
Stessa domanda ripetuta ad nauseam ogni anno...come se ti avessi mai chiesto aiuto! Come se ‘veramente’ ti interessasse qualcosa!
“Conto di finire oggi senza tanta fatica.” non avrebbe voluto ma una punta della scocciatura che sentiva gli era finita nella voce ed il vecchio se ne era accorto perché il sorriso svanì e divenne improvvisamente quieto.
“Bene, pensavo di andare fino a Las Vegas per i prossimi giorni.”
“...” Scappa, bravo.
“Vuoi venire con me, Kurt?”
A quella domanda aveva smesso di mangiare mentre la bile nel suo stomaco aveva iniziato a salire su ed a quel punto la diplomazia era ufficialmente scappata a gambe levate “No, grazie. Non ci tengo a vedere le showgirls ed ho francamente altro di meglio da fare.”
Il vecchio sbatté le palpebre prima di arricciare la bocca e replicare molto pacatamente “Pensi davvero questo di me?”
Occhi negli occhi sopra le uova strapazzate; nero nel nero dove non c’è spazio per delicatezze.
Il momento in cui vedo il suo sguardo cambiare e mio padre decide che, in fondo, non gliene frega niente di cosa penso e ricomincia a mangiare mentre a me passa l’appetito.
Non passano dieci minuti che rimango seduto da solo al bancone, poi il vecchio torna dalla sua stanza vestito di tutto punto mi fa un cenno e sparisce letteralmente a bordo della Jaguar. In mano la sua solita valigia ‘delle meraviglie’, come dice lui.
Se potessi…se riuscissi solo…no.
La forchetta continua il suo và e vieni dal piatto alle mie labbra ma è come se inghiottissi catrame e petrolio.
Venti minuti dopo avevo inforcato le mie scarpe per correre ed i wayfahrer, un paio di minuti di stretching e via in mezzo alla sabbia.
Dieci chilometri e tutto sarebbe tornato alla normalità, poi in retrospettiva è meglio che inizi con il pre-allenamento o schiatterò tra due settimane.
Non c’era niente di meglio di quel deserto, e del nulla assoluto.
Della pressione del sole che gli infuocava la nuca corvina mentre correva a passo controllato.
Era un ottimo metodo per mettere a tacere la voglia assoluta di urlare che si sentiva addosso.
Sapeva perfettamente bene cosa andasse a fare suo padre nella capitale del gioco.
Andava a donne ma non toccava sua madre.

La prima volta che Linds l’aveva portato con sé, aveva solo otto anni.
Arrivati a LV erano principalmente stati il più del tempo in una camera d’albergo un po’ scialba ed in giro per vari locali dalle luci scure e pieni di specchi.
Linds non gli aveva negato burger con patatine e ketchup due volte al giorno, Mom se avesse saputo li avrebbe sgridati entrambi di mangiare ‘immondizia’.
Ricordava che c’erano strani odori in quei posti, gli facevano arricciare il naso e starnutire.
I suoi ricordi però rimanevano nebulosi, il più delle volte stava fuori attorniato da un mucchio di ragazze tutte in fila per vedere il suo papà e molte di loro erano contente di poter passare alcune ore a parlare con lui.
Alcune lo avevano anche portato a mangiare un gelato od un milk-shake al cioccolato quando era stanco od annoiato.
Ma certe volte ricordava che la porta dietro alla quale suo padre si rinchiudeva rimaneva accostata e lui poteva curiosare…

Papà che parlava con varie ragazze e si prendeva il suo tempo con ognuna di loro.
Le guardava nelle pupille, il naso, dentro la bocca, e qualche volta anche sulle braccia.
Certe volte assumeva uno sguardo cattivo ed una voce brusca certe altre lasciava che gli parlassero sottovoce mentre tiravano su con il naso ma si impedivano di piangere.
Non le aveva mai viste piangere ma, se sorridevano, il loro sorriso non era mai come quello della mamma.

Il Kurt adolescente non era sicuro che una minima parte di quelle immagini fossero vere od il frutto della sua immaginazione infantile, buona solo per dell’innocenza che il mondo non rispecchiava.
Una parte di lui – sentiva - non voleva svelare l’arcano.

~

“The machine of a dream
Such a clean machine
With the pistons a pumpin'
And the hub caps all gleam”

L’impianto a dodici autoparlanti era una figata assoluta…
Con quello che l’ho pagato.
Aveva raggiunto Las Vegas a buon passo.
Merito della sua amata Jag che filava meglio di tutte le auto che avesse mai posseduto.
Più o meno tutte sportive, la peggiore era stata una Mustang Fastback del ‘67 blu metallizzata di terza mano…girava come un orologio, un motore da schianto ma il tettuccio perdeva…sigh!
Quella Ford aveva fatto una bruttissima fine ma gli aveva lasciato dei ricordi stupendi.
A causa della sua corrente postazione lavorativa aveva dovuto cambiare auto quasi ogni sei mesi…per una causa o per l’altra la meccanica non reggeva alle temperature estreme ed alla sabbia o l’elettronica andava a caput a causa delle radiazioni del parco atomico.
Con crescente disperazione le aveva provate tutte, quasi arrivando al punto di cercarsi un’altra auto d’epoca a doppio carburatore ed senza centralina.
La Jaguar invece – contro tutte le sue aspettative – aveva preso bene il clima tremendo ed non sembrava cedere di un millimetro nemmeno ad otto anni dal suo acquisto…Jaguar te amo!!!
Dato che era in anticipo aveva girato un po’ per la strip prima di cercare un parcheggio sorvegliato ed raggiungere a piedi la sua destinazione, gli occhi schermati da un paio di occhiali a specchio ed la giacca del grigio completo di lino agganciata con due dita.
La zona non era una delle più frequentate di Las Vegas, probabilmente quella meno satura di casinò e spettacoli ma Linds sembrava conoscerla bene.
Raggiunta una particolare via secondaria si era riparato sotto una pensilina dal sole del mattino che già faceva scottare l’asfalto ed entrò nella reception di un alto edificio di vetro, infilandosi nell’ascensore e spingendo il bottone del dodicesimo piano.
Arrivato a destinazione la segretaria l’aveva fatto accomodare nella saletta d’aspetto ma l’attesa non fu lunga e presto fu ammesso nello studio della donna che negli ultimi dieci anni aveva accettato di ascoltarlo.
“Linds, sono felice di rivederti, siediti.” i suoi occhi erano di un caldo color nocciola ma non traspariva calore, non dopo tutti gli anni col quale aveva esercitato la sua professione “Sono passate due settimane dall’ultima volta che abbiamo avuto una sessione…hai qualcosa di nuovo da raccontarmi?”
“Kurt è arrivato alcuni giorni fa.” Linds aveva annuito, stirando i polsini della camicia sovrappensiero.
“Come ti senti?”
Un cenno di frustrazione gli corrugò la fronte “Come al solito.”
“Descrivimi il tuo stato d’animo.”
“Non è cambiato negli ultimi anni, Creane!!!” aveva sbottato, le mani strette.
“Mister Lagden, abbiamo fatto progressi nel corso della nostra relazione ma solo quando la collaborazione risultava esserci da entrambe le parti. Ora le chiedo di rispondere alla mia domanda.”
“Sono…sono indeciso, non so cosa devo fare…Kurt è ostile.” sbuffò, senza incrociare lo sguardo con quello della donna di mezz’età seduta sulla poltroncina opposta.
La donna strinse le labbra alla risposta/non risposta del suo paziente…sapeva che c’era molto di più oltre la sua apparente inabilità nel confronto, ma continuò con le sue domande di routine.
“Dall’anno scorso ci sono stati cambiamenti in Kurt?”
“Deve essersi di nuovo rotto il naso, l’osso mi sembra più storto. In statura e peso non ho rivelato molta differenza a parte la maggiore ostilità.”
“È uno stato d’animo che pensi sia legato alla sua fase adolescenziale?”
“No…sì…non lo so.”
La donna segnava alcuni piccoli punti sul blocco note ma si fermò quando l’uomo biondo iniziò a grattarsi gli avambracci in un tic nervoso che non aveva più fatto la sua ricomparsa da anni.
“Linds, è ovvio che qualcosa ti disturba.”
Aveva abbassato gli occhi ed le sue dita si erano fermate di scatto, le braccia si erano posate meccanicamente sui braccioli, rigide. Deglutì.
“Penso…I’m biased…” un cenno secco del capo “Il mio Asperger potrebbe essere ereditario alla fin fine.”
“Hai visto aspetti di questo tipo in Kurt?”
“Oltre la sua rabbia? È difficile da dimostrare.”
“Il suo stato emotivo è in linea con la fase dell’adolescenza, Linds.”
L’uomo fece una smorfia, incrociando le dita “Lo so.”
“Nel caso che tu abbia ragione e Kurt avesse anche lui una forma di Asperger…cosa ti spaventa?”
“…”
Il mutismo del suo paziente lasciò a Claudia il tempo di annotare quella particolare svolta di pensiero per poi prenderla in esame più tardi.
“Ho sempre sperato che non fosse come me.” la confessione era stata fatta con una piattezza tonale che non aveva più sentito da tempo “Che potesse crescere ed avere una vita totalmente normale. Ho fatto tutto il possibile per non influenzarlo, Claudia.”
La dottoressa Creane sospirò, brevemente.
Ed ecco che erano arrivati al nocciolo di uno dei tanti problemi che Lagden dimostrava a rotazione cronica.
“Linds, sai che trovo ammirevole la tua lucidità e logica di pensiero ma in questa particolare situazione non sei né logico né lucido.
La crescita di un individuo si rifà a fattori emotivi ed ambientali. Nessuno si sviluppa allo stesso modo e da ciò deriva la formazione del carattere in relazione allo spettro del bene e del male.
Kurt ha un risentimento marcato per una figura paterna con cui non ha mai avuto legame.
Hai preso una decisione con buone intenzioni che si è rivelata controproducente, Linds ed ora ti trovi ad affrontare un ermetismo difensivo ed un’irritazione fondata su basi che vanno oltre l’arco di una decade. Ardue da appianare.”
“Non volevo fargli del male.”
“Esatto. Il tuo sbaglio si fonda sul ‘non volere’. Mi hai esposto all’inizio della nostra avventura dottore-paziente la tua gelosia innata nei confronti del terzo, la paura di non essere più abbastanza. Il categorico rifiuto di adattamento a nuove relazioni e la fuga istintiva dallo scontro.” Claudia aveva lasciato la cartellina sul tavolino fra di loro incrociando le gambe e rilassandosi “Non ti sei confrontato con il futuro e hai lasciato che questo ti si modellasse intorno formando un archetipo – l’idea che Kurt ha di te – che dimostra un pensiero totalmente differente dal tuo. Mi stai seguendo, Linds?”
“Trasparente.”
“Non sarà facile, ma cosa ne pensi se provassimo a fare un passo in avanti ed instaurare un dialogo vero con tuo figlio Kurt, Linds?”
Gli occhi neri si alzarono per guardarla, sorpresi.
“Non credo che sia possibile.”
“A piccoli passi nulla è impossibile ma per riuscire bisogna procedere con tatto ed – sopra ogni cosa – calore emotivo. Abbiamo comprovato che sei in grado di esprimere le tue emozioni in determinati casi ma spesso causano reazioni estreme o contrarie ai tuoi intenti.”
“Non sono convinto.”
“La decisione rimane tua, Linds.”
Un battito di silenzio mentre la cartellina veniva di nuovo sfogliata.
“Tre settimane fa avevi acconsentito a contattare Michelle, com-”
“Non l’ho fatto.”
“Per quale motivo?”
“Non ho avuto un momento per pensare a cosa… intendevo costruirmi una struttura dietro alla telefonata e-”
“Linds, stai mentendo.” il tono paziente ma fermo di Claudia gli chiuse la bocca “Vuoi credere di avere l’intenzione ma al solo affacciarsi il momento di fare la telefonata hai trovato una scusa. Abbiamo già discusso che l’approccio migliore è la spontaneità nelle relazioni extrapersonali, vero Linds?”
“Sì, ma-”
“È importante che le tue parole siano sincere e mai ‘costruite’. Immaginare una conversazione a pennello non ti aiuterà nella sfera emotiva.”
L’uomo biondo scosse il capo, sospirando; le sue mani sui braccioli si erano finalmente rilassate e lo sguardo acuto della donna notò lievi tremori che percorrevano le dita.
“Hai fatto uso dei tuoi preparati, Linds?”
“No.”
“…”
“Sì. Avevo bisogno di rimanere sveglio. Nulla di allucinogeno. Sono pulito!” l’uomo le aveva lanciato un sorrisetto.
“Come dottore il mio consiglio è di non utilizzare più composti. Il tuo stile di vita ed l’ultimo check medico che mi hai mostrato alcuni mesi fa non sono in linea con i risultati di un uomo medio sano della tua età.”
“So perfettamente le statistiche, Claudia.”
“Vuoi parlarmi dei tuoi pensieri degli ultimi giorni?”
“Sai benissimo che non penso al di fuori dal lavoro.”
“Un motivo in più per esercitare il cervello, Linds.”
[…]
La sessione era durata un’ora e mezza ma per lui sembravano durare sempre di più.
A volte non si sentiva meglio ma quelle ‘conversazioni’ lo mantenevano sano e con una seppur flebile speranza.
Quale speranza alcuni giorni non sapeva…ma se fosse stato possibile tornare indietro nel passato e ricostruire il futuro.
Come scoprire le mosse da attuare perché il Rubik si risolvesse fra le sue mani una volta per tutte e rimanesse risolto permanentemente.
Vivere una vita normale, senza attacchi di panico, senza sentirsi in un angolo, senza cercare ogni volta una via d’uscita.

Si era lasciato alle spalle lo studio della Dottoressa Creane ed aveva recuperato l’auto per parcheggiare nel cortile posteriore di un poco noto locale notturno, nella periferia della city.
A quell’ora era ancora chiuso ma le porte per lui si aprirono comunque con un occhiolino seducente di una delle ragazze arrivate per provare il numero prima di quella serata.
“Hi, sweetheart!”
Linds strizzò complice gli occhi, mostrando appena il braccio con il quale teneva la borsa di cuoio “Mi faccio un bicchierino, passi parola tu?”
“Don’t worry, baby.”
Passò dal dietro le quinte al locale ed i lustrini lo abbagliarono per un attimo nonostante tutto fosse in semipenombra.
Un ritmo sensuale usciva dall’impianto ed due ragazze stavano ballando a tempo, ancheggiando e provando acrobazie al palo.
“Il solito annacquato?” gli chiese la barista dietro il bancone ed quando lo vide annuire posò un bicchiere sul ripiano “Non capisco come fai a bere dell’ottima roba allungata, è uno spreco Doc.”
Linds alzò le spalle, bevendo un piccolo sorso con una smorfia di disgusto “Novità?”
Gli occhi della barista si fecero seri e duri, quella donna era gli occhi e le orecchie di quel locale di striptease ed una volta ogni quattordici giorni era in grado di raccontargli tutto quello che aveva bisogno di sapere per fare bene il suo lavoro.
[…]
Era arrivato il tramonto ed aveva passato sette locali come quello, tutti allo stesso modo, a quel punto era quasi pronto per darla vinta alla giornata e farsi una bella doccia. Il completo grigio pronto per la lavanderia dell’hotel.
Toc-Toc.
Gli occhi neri di Linds si alzarono verso la porta e smise di riporre i suoi strumenti nella borsa.
Non aveva uno studio ma quando faceva le sue visite le ragazze gli avevano lasciato uno dei loro camerini per dare almeno un minimo di dignità e di privacy ad ognuna.
“Avanti.”
La porta si aprì e Linds sbatté un paio di volte le palpebre per essere sicuro di vederci bene.
Click.
La porta si era richiusa ed lì vicino stava una ragazzina che si torceva le mani.
“Mi hanno parlato di te.” aveva subito detto con tono autoritario nonostante si vedesse il suo nervosismo.
“Posso fare qualcosa-”
“Voglio uscirne.”
Linds alzò un sopracciglio, squadrandola per bene.
Era davvero solo una ragazzina, nemmeno maggiorenne, altro non riusciva a vedere con i lunghi ed ossigenati capelli biondi che le nascondevano il viso.
“Lavori qui?”
“Che ti importa?!”
“Stammi bene a sentire sugar, se vuoi il mio aiuto trova dentro di te un minimo di educazione, dacci un taglio con la difensiva e rispondi quando ti faccio una domanda.”
“…”
“Riproviamo?”
Un mezzo accenno del capo ma la tregua sembrava tenere.
“Sostanze in ordine di utilizzo, prego.”
L’adolescente si sedette su uno degli sgabelli per gli specchi ed parlò mentre ascoltava pazientemente.
[…]
Era riuscito finalmente a trovarsi una camera per passare la notte in uno qualsiasi dei vari hotel/casinò disseminati per Las Vegas.
Una doccia ristoratrice, qualcosa portato su dal servizio in camera ed era a posto.
Dopo la magra cena – nel quale era assente qualsiasi forma di goccetto digestivo – aveva preso in mano le dispense sulla formazione e sullo studio fisico-chimico delle rocce marziane; una ripassatina leggera ci stava dato il giorno dopo avrebbe dato l’esame.
Non che ci fosse possibilità di fiasco ma almeno avrebbe passato un paio d’ore occupato in revisione.
Purtroppo per lui il suo cervello era troppo sveglio per essere messo a tappeto da seicento pagine di statistiche.
Le sessioni con Claudia lo rendevano più irrequieto del normale, ogni domanda di quella donna lo obbligava a pensare, a soppesare le proprie scelte nel passato.
A rendersi conto di quanto quel tempo era finito: chiuso e immodificabile.
Erano solo le dieci e mezzo.
Senza rendersene conto stava lisciando con le dita la forma del cellulare.
Se io…
No.
Anche se dovrei.
Davvero no.
Erano passati più di dieci anni dall’ultima volta che l’aveva vista in carne ed ossa, e quel particolare incontro non era andato per niente bene.
Un altro pezzo di quel passato, di quel Linds non completamente cresciuto, non del tutto ‘sano di mente’.
Aveva spostato il telefono sul comodino, spento la luce ed atteso il sonno.
Troppe cose da dire, e poco tempo rimasto a disposizione.

I wanna die young
And sell my soul,
Use up all your drugs
And make me come
Yesterday man,
I was nihilist and
Now today I'm
Just too fucking bored
By the time I'm old enough
I won't know anything at all
Marylin Manson ~ I want to disappear

~~~

Canzone del capitolo:
- Marylin Manson ~ I want to disappear.

Le note di questo capitolo sono:
- La canzone che ascolta Linds in auto è I'm in love with my car, una traccia di A Night at the Opera album dei Queen del 1975, potete ascoltarla qui;
- Mustang Fastback del '67 ovvero per me 'La Mustang' (se non si tiene in conto la più giovincella Boss 302 del '69 OMG!), sono patita di macchine e questa mi pareva un ottimo veicolo come prima autovettura per Linds (sopratutto ai suoi inizi in America Centrale! xD). Già negli anni sessanta quest'auto era considerata un 'mostro' dell'asfalto e montava quattro dischi freno ventilati per permettergli di inchiodare in sicurezza. Per darvi un aiuto vi rimando all'ultimo video dei Rollin' Stones Ride 'em on down dove la inquadrano per bene e ci giocano pure un po'...LoL la colonna sonora è ok ma io amo l'auto!
- Asperger Hans era uno psichiatra e pediatra austriaco il cui lavoro e teorie non furono riconosciute fino all'inizio degli anni novanta quando la psichiatra inglese Lorna Wind coniò il termine 'Sindrome di Asperger'. Non voglio dilungarmi troppo sull'argomento perché ci ritorneremo in dettaglio più avanti nel corso di UT ma posso dirvi che è considerato un disturbo pervasivo dello sviluppo e viene ritenuta una forma dello spettro autistico 'ad alto funzionamento'. Non è comunque una condizione genetica od ereditaria;
- La Valigetta delle meraviglie ed i preparati di Linds si riferiscono al suo fitto passato alcaloide che qui ho solamente accennato, per maggiori info vi rimando alle prime due storie.

Sono reduce dall'influenza e dal 'ritorno alla vita reale'...LoL
Eccomi qui con il quarto di UT fresco fresco di scrittura!
Questa volta passiamo un po' di tempo con il caro vecchio Linds, il topo genio per definizione. xD
Questo capitolo aveva tutta un'altra struttura all'inizio ma - come Michelle - Lagden ha sempre degli assi nella manica apposta per farmi sclerare come una scema quando meno me l'aspetto. Lo rivedremo ancora one-on-one nel corso degli eventi, mi sa.

Grazie a Petitecherie per la rece al capitolo precedente (non ti ho risposto per un motivo...ah il nostro Lindor right?).
Spero che questa storia interessi a qualcuno dei suoi lettori...sto scrivendo per non fondere la mia sanità mentale a causa di plot bunny quindi sarebbe bello leggere le vostre idee!
*indica il bottone 'recensisci'*
Ci rivediamo appena trovo il tempo di finire un'altro capitolo! =)
Buonanotte e non correte troppo che ci penso già io, LoL
Hermes

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Capitolo 5
*** 5 ***


I'm trying very hard to have patience with
the ones who keep letting me down.
Never saying anything,
expecting me to be their clown.
Richard Ashcroft ~ Make a wish

Quella corsa gli aveva fatto un mondo di bene.
Era tornato bagnato fradicio e si era buttato sotto la doccia, il momento in cui era arrivato all’angolo cucina si sentiva di nuovo una persona totalmente normale.
Si era preparato per pranzo un’insalata mista fischiettando ed aveva consumato il tutto stravaccato sul divano con i playoffs dell’NBA alla tv.
Il pomeriggio quindi lo aveva passato a fare avanti ed indietro fra i suoi libri di psicologia profilare ed qualche piccola tesi che, sentiva, aveva ancora bisogno di qualche input per potersi considerare perfetta.
Le ombre si allungavano dietro le vetrate a specchio e Kurt aveva deciso di cenare al Alien Diner di Rachel quindi si era vestito pesante ed si era incamminato sotto la luna piena appena sorta, armato di torcia, mantenendo con buon passo la direzione grazie alla posizione di Vega ed Altair.
Per fortuna la casa non era così distante dai limiti della microscopica cittadina, tre quarti d’ora ed l’insegna mezza fulminata del locale iniziò a brillare all’orizzonte.
Appena entrati il primo odore che raggiungeva l’olfatto era quello dell’olio della friggitrice e del grasso bruciato sulla piastra dei burger.
Le imprecazioni del tavolo di poker mandato avanti dai pensionati nel booth d’angolo ed il rumore rotondo di un vecchio jukebox che suonava vecchie glorie.
Il locale non era molto frequentato, Rachel era un buco in fondo, e la sua entrata fece alzare tutte le teste dei presenti.
Perché era il figlio di Lagden.
Linds nel corso del tempo aveva dato una mano alla gente del posto, progettando nel suo tempo libero un nuovo tipo di pompa per pozzo idrico azionata dal vento.
La leggenda era che, giocando con nuovi materiali a disposizione degli scienziati dell’Area 51, avesse scoperto una nuova lega metallica così leggera e resistente da sostituire le pale normalmente usate con altre capaci di girare da sole in assenza di vento grazie ad un complesso gioco di pendenze e piccoli pesi regolabili a seconda delle esigenze.
Linds quindi aveva brevettato la lega ed il meccanismo, sostenendo economicamente la costruzione delle nuove pompe di Rachel: cinque in tutto.
Da quel momento l’acqua non era più stata un problema ed era iniziata una produzione di Crop Circles di mais con ricavi nell’ordine dei quattro zeri se l’annata era buona.
Suo padre aveva creato un’invisibile oasi d’oro sfruttando le falde sotto i loro piedi, come il più perfetto degli eroi.
Peccato che non si potesse dire lo stesso per lui.
“Ohi! Kurt, ciao ragazzo!”
Kurt spense la torcia, fece un cenno al tavolo da gioco e si sedette in uno dei due booth centrali senza guardarsi intorno.
Quella sera aveva spento lo smartphone per godersi una seratina tranquilla indisturbato senza messaggini o altro, tanto era certo che suo padre non l’avrebbe chiamato nemmeno se fosse stata una questione di vita o di morte. Ma non fatemi ridere…proprio lui!
“Cosa vuoi ordinare?”
“Cheeseburger doppio, bud media, patatine grande.”
In a minute.
Nell’attesa si sfilò la giacca mentre uno degli uomini al di là dei cinquanta aveva posato un braccio sullo schienale del sedile di vinile e lo stava guardando con un sorriso.
“Come butta tutto solo con il babbo?”
“Come al solito.” Aveva alzato le spalle, per niente desideroso di parlare di Linds al momento e farsi passare l’appetito.
“Quando viene qui sembra che non tocchi cibo da una settimana, un po’ come te!”
Gli stava dando la schiena, una fortuna.
“Smettetela e lasciatelo mangiare in pace!” Wendy, la cameriera era tornata con un vassoio carico di cibo spazzatura bollente e che emanava un profumino invitante tanto che il suo stomaco brontolò.
Il rumore aveva fatto scappare un risolino alla ragazza, sedutasi di fronte a lui.
Wendy era più vecchia di lui di qualche anno e – per qualche strano scherzo del destino – anche lei era condannata a passare una parte delle sue vacanze estive in quel buco di posto.
Era una ragazza mora, sveglia ed intelligente ma con una sensibilità particolare, aveva appena finito il suo secondo anno a Tonopah come Assistente insegnante in una scuola superiore
Era la nipote dei padroni del diner e si erano conosciuti quasi dieci anni prima, il primo Giugno che Kurt avesse mai passato interamente con Linds.
All’epoca lo vedevano talmente spesso a pranzo e cena che alla fine l’avevano praticamente adottato e gli permettevano di mangiare qualsiasi cosa volesse, immaginava che suo padre saldasse il conto quando ripartiva per SF.
Il ragazzo ringraziava di averla conosciuta in quel momento della sua vita o, probabilmente, sarebbe morto di fame a causa dell’assenza totale del padre dal villino appena al di là del gate della base.
“Stai contando i giorni vero?” aveva domandato di punto in bianco Wendy, con un sorriso.
You have no idea.
Un’altra risatina limpida proprio come gli occhi azzurri di lei, luminosi come il cielo sopra il deserto; crescendo quegli occhi erano rimasti uguali e facevano a pugni con la maglietta viola con lo stemma del locale: un disco volante con la testa di un UFO che sbucava fuori.
Intanto aveva affogato le patatine fritte nel ketchup e spinse il cartoccio verso Wendy che accolse l’offerta.
“Come stanno Meg e Jack?”
“Come al solito…vispi e-”
WEN!!!
“…-e dittatori!” finì Kurt con un ghigno mentre Wendy roteava gli occhi e gli lasciava un piccolo calcio sotto il tavolo del booth, rispondendo al richiamo.
Intanto in quei cinque minuti rimasti aveva divorato il burger ed il resto della birra, si era passato un tovagliolo sulla bocca e le mani ed aveva cacciato fuori dieci dollari “Tieni il resto, Wen. Vado a ripulire le tasche al tavolo dei quaranta ladroni.”
Questa volta la ragazza rise sul serio “Sei una faccia di bronzo, Kurt!”
“Beh, se devo sopportarmi una serata di commenti sulla santità di mio padre che almeno sia pagato per farlo!” replicò sfregandosi le mani e avvicinandosi al tavolo dei pensionati.

~

Era tornata a San Francisco per il weekend ma l’ora e mezza di volo – due ore e mezza a sentire il suo orologio – da San Diego l’aveva gradatamente resa partecipe che intanto a casa non avrebbe trovato nessuno ad aspettarla.
Il June Gloom che avvolgeva la city poi l’aveva intristita maggiormente mentre aveva preso un taxi per arrivare al loft.
Il momento che aveva scalzato i tacchi dodici e si era lasciata cadere sul divano, aveva sentito il silenzio totale che le premeva nelle orecchie, l’immobilità completa dell’ambiente intorno a lei.
Questa casa vuota è…
Le metteva la voglia di andarsene subito via.
Purtroppo di lavoro non se ne era portata ed Paul - il suo assistente giù a San Diego – era partito per una due giorni in barca con la sua clique.
All’aeroporto aveva composto il numero di Kurt ma il figlio aveva spento il telefono come era solito quando non voleva essere disturbato.
Manco a farlo apposta, Hugo era anche lui fuori città per una riunione politica a Sacramento.
E lei si ritrovava lì, nel bel mezzo di un silenzio di tomba che un po’ la spaventava pure.
Non aveva alcuna idea sul come passare la serata quindi Michelle aveva optato per una doccia in primis, secundis una pizza da asporto se il frigo era vuoto.
Quindi aveva fatto una veloce sortita nella cabina armadio e poi era entrata nella doccia scivolando fuori dall’abito aderente che aveva indossato dodici ore prima.
Per un momento la sua mano era scesa sotto l’ombelico ma per fortuna era riuscita a combattere l’istinto di grattare la cicatrice in bella vista sul suo ventre.
Era una sottile striscia argentea ma a volte la stoffa la irritava ancora, anche dopo tutti quegli anni.
C’era stato un periodo nel suo passato in cui si era vergognata di quel segno sulla sua pelle.
Alla fine è più un fattore emotivo che fisico.
Per fortuna – tornata in accappatoio nel living – aveva trovato una porzione di pasta al forno vegetariana ed un semifreddo al cocco nel frigo, cortesia di Alice.
E per quella sera la sua felicità poteva considerarsi completa davanti alla tv.

~

Elvis is my daddy, Marilyn's my mother,
Jesus is my bestest friend.
We don't need nobody 'cause we got each other,
Or at least I pretend.
[...]
I sing the body electric
Lana del Rey ~ Body electric

Elizabeth Cone, anche conosciuta come Betty o Lisa, era appena tornata da un pomeriggio di shopping con le sue compagne di classe che aveva coinvolto anche un incontro ravvicinato di terzo tipo con un Sugar Daddy a caccia di vittime per i suoi ovvi intenti pedo-pornografici.
Era talmente facile incontrarne uno in California, bastava lanciare un’occhiata un po’ azzardata è un po’ da Barbie rincretinita ed il gioco era fatto…non ci voleva nemmeno troppo se eri già bionda!
Al porco avevano sganciato la bellezza di cinquanta dollari fra tutte loro con la scusa di un gelato nella gelateria più bio ed in della city e poi l’avevano salutato con un bacetto sulla guancia ed il palmo di naso.
Solo a pensarci mi viene il vomito, bleah!
Aveva raggiunto il vialetto della villa dei suoi, saltando lo scalino ed infilando la chiave nel cancelletto blindato mentre il tramonto allungava le ombre delle palme piantate più di cent’anni prima.
Era fuori coprifuoco ma i suoi genitori non c’erano quindi l’unico che avrebbe potuto farle la ramanzina era il mastino Rock…peccato che l’intelligente bestia non avesse il dono della parola comunque.
L’aveva seguita un po’ correndo un po’ saltellando fino alla porta di casa per poi sedersi sul suo tappetino accanto all’isola della cucina, in attesa.
Aveva aperto lo sportello e fatto scivolare una porzione di crocchette corredata da qualche pezzo di carne poi aveva recuperato un bicchiere di Kool-Aid e si era allontanata per il cortile dietro dove l’acqua clorata della piscina brillava fosforescente alla luce delle lampade subacquee.
Con i piedi a bagno aveva tirato fuori l’i-phone dalla tasca posteriore degli shorts per vedere se Kurt era tornato online.
Dove cavolo è finito!
Era da due giorni che non l’aveva più sentito ed iniziava ad preoccuparsi un pochino.
Elizabeth sapeva benissimo che il suo interessamento nei confronti di quel ragazzo sforava dal ridicolo all’ossessione da prima cotta.
Non era innamorata di lui.
La verità era che Kurt era il suo migliore amico onesto.
Al ragazzo non gli era mai fregato niente se era figlia di un manager e di una giornalista di moda che giravano il mondo senza di lei, o se aveva l’armadio traboccante di abiti parigini.
Kurt l’aveva subito inquadrata per quella che era…una ragazzina che passava troppo tempo da sola davanti allo specchio ed in giro con la ‘compagnia’.
Beh…quella realtà era cambiata in parte e di questo bisognava anche ringraziarlo…

L’aveva visto per la prima volta qualche anno prima in un allenamento d’atletica quando lei aveva appena iniziato le superiori ed era entrata a fare parte delle cheerleader junior, ovvero le riserve.
Si era adattata alla mentalità quasi come una seconda natura.
Aveva iniziato a fare attenzione ai capelli, tingendoli di un biondo più chiaro ed imparato a truccarsi la prima settimana.
Nel giro del primo anno aveva raggiunto una buona posizione nel club dove tutte le componenti abbagliavano con confortanti sorrisi fluorescenti ed un coltello sempre pronto nascosto dietro la schiena: la lama da infilarti in mezzo le scapole il momento in cui avessi fatto il primo errore.
Aveva imparato il gioco del tira-e-molla con i ragazzi quasi di pari passo.
Fra lei e Kurt c’era un anno di differenza e non si erano mai rivolti la parola anche se frequentavano quasi la stessa gente per andare in spiaggia il pomeriggio.
Si vedeva subito che il ragazzo - a differenza dei suoi coetanei - non aveva alcun desiderio di farsi notare, non prendeva parti, non era turbolento e non fischiava dietro le ragazze quando era con il suo nugolo di amici anche se si godeva il panorama.
Riempiva perfettamente la parte del ragazzo tenebroso e di poche parole del pacchetto e più di qualche ragazza della compagnia diceva che i suoi occhi neri puntati davano la pelle d’oca.
Elizabeth non era d’accordo: Kurt non era che un adolescente e non aveva niente di diverso dagli altri.
Da cosa aveva sentito mentre lo osservava aveva voti perfetti, passava i suoi free period nella biblioteca della scuola od a programmare nel club informatico.
L’aveva notato più di una volta in caffetteria accerchiato dai suoi compagni di classe che speravano in qualche dritta.
Faceva anche parte della squadra di atletica, guadagnando ottimi tempi grazie al suo fisico leggero ed alle sue gambe lunghe e nervose.
In spiaggia giocava spesso e volentieri a pallavolo sotto il sole estivo in pantaloncini corti, due strani cicatrici a forma di punto perfettamente allineate su una gamba. Mollava delle schiacciate formidabili per essere così smilzo.
Quel giorno alcune ragazze l’avevano preso apertamente in giro per il suo fisico scarno e pallido.
E, per qualche motivo che Lisa non capiva, quelle stesse ragazze più grandi quando lo guardavano sospiravano e commentavano enigmatiche, come se fossero privè di qualche grande verità insvelata.
Dal canto suo non l’aveva mai preso in considerazione, e come avrebbe potuto?
Ormai era abituata ad essere al centro dell’attenzione, guardata e fischiata dai ragazzi.
Non usciva di casa se non era perfetta.
I capelli tinti di biondo, la piega talmente rigida che non si sfaldava mai grazie ai doppi appuntamenti settimanali dal parrucchiere.
A due anni dal suo arrivo alle superiori la sua vita era perfetta, era popolare e vezzeggiata, faceva parte fissa nella squadra delle cheerleader ed ogni sua parola era ascoltata e presa in considerazione dalle vamp più grandi che vedevano in lei la continuazione del loro status di fighe.
Una totale pesca sciroppata.
In quell’esatto momento del suo passato Kurt non esisteva nemmeno come zerbino.
Tutto questo almeno fino ad un sabato sera di un’estate piena di ritrovi nei dance club e party in piscina.
Rabbrividiva al solo pensarci.

Quel sabato sera - fra un drink di troppo ed uno spinello - aveva attaccato bottone con Craig, un ragazzo più grande che faceva parte di una squadra di baseball non della loro scuola che prima le aveva procurato lo spinello e poi aveva cercato di infilarsi senza troppe cerimonie fra le sue gambe.
Stava cercando – nella bruma opaca che le era calata sul cervello – di toglierselo di dosso quando in un momento il ragazzo era sparito dalla sua visuale.
Aveva alzato gli occhi, la testa leggera come un palloncino, non ci vedeva bene ma una macchia scura sembrava essersi materializzata in quell’angolo del giardino accanto alla piscina.
Craig stava prendendo a pugni Lagden ed un secco crunch! era risuonato mischiato alla musica, il sangue era caduto come al rallentatore in piccole gocce brillanti al suolo.
Aveva visto Kurt, sfregarsi l’avambraccio sulla faccia cercando di portare via inutilmente il sangue che aveva preso a scendergli dal naso e sgocciolava dalle labbra al mento.
Quegli intensi occhi neri – normalmente così tranquilli - che iniziavano a bruciare e prendergli tutta la faccia.
Il sorriso freddo macchiato di rosso, quasi un ghigno dove spuntavano i denti mentre respirava con la bocca.
Un momento dopo era addosso all’altro con uno scatto, violento e feroce, la sola vista l’aveva rimessa sobria e spaventata.
Il minuto dopo Kurt si era dimostrato preciso e per niente debole anche se l’apparenza smilza avrebbe detto il contrario. Il fatto che l’altro avesse abusato dei stupefacenti rendeva solo le cose più facili.
Impresso nella sua memoria rimaneva lui che afferrava per le spalle Craig e lo colpiva allo stomaco con una ginocchiata che l’aveva fatto piegare in due, Craig lanciò un verso soffocato somigliante quasi ad un guaito.
Quindi l’aveva spinto con un calcio per terra, si era seduto sulla sua schiena con un tonfo, togliendogli il respiro e facendo passare un braccio intorno al collo e stringendo.
Tutto questo l’aveva fatto in completo e totale silenzio, incurante del sangue che aveva iniziato a macchiargli lo scollo della maglietta nera.
Lisa vedeva come in slow motion il viso di Craig cambiare colore, le labbra prendere una sfumatura bluastra e gli occhi iniziare a sporgere mentre le iridi scivolavano dentro l’interno del cranio ed il ragazzo che cercava disperatamente di liberarsi, afferrando il braccio di Kurt e graffiandolo, sputando saliva.
“Basta!” aveva strillato, spaventata “Basta! Smettila! Non respira!”
Per un altro, lunghissimo istante non ci furono cambiamenti poi Kurt allentò la stretta, fissandola mentre l’altro inghiottiva aria e tossiva, per poi svenire.
Quegli occhi neri che la inchiodavano sul posto e sembravano risucchiarla, elettrici.
Un attimo dopo aveva distolto lo sguardo e si era alzato dalla sua posizione senza più degnarla.
Aveva tastato il naso con una smorfia e – Liz non ci avrebbe creduto se non l’avesse visto con i propri occhi - l’aveva rimesso in posizione con un grugnito poco confortante ed una nuova perdita di sangue che non sembrava preoccuparlo più di tanto.
Quindi le aveva voltato le spalle per inginocchiarsi sul bordo della piscina illuminata e lavare via il sangue in una piccole nube rossa.
Con la calma di una fiera che si lecca le ferite.
Il silenzio vibrava di tensione e la sua voce indifferente, leggermente distorta per la botta, la sorprese “Vattene da qui, trova una delle tue amichette e tornatene a casa.”
Aveva preso un asciugamano per tamponare il poco sangue che ancora usciva poi se n’era andato.
L’aveva fatta sentire una mocciosa con il moccolo al naso che giocava a fare la donna fatale quando non aveva nemmeno messo via le bambole.
Da quel momento aveva guardato con luce diversa Kurt Lagden.
Aveva scoperto presto, cercando di attaccare bottone con lui, che non gli interessavano le sue chiacchiere e che
“Noi due non abbiamo niente in comune quindi fammi un piacere: tornatene da dove sei venuta.”
Nonostante l’acido si era decisa a bucare la sua corazza perché – in fin dei conti - non era una ragazzina stupida.
Aveva sempre avuto dei buoni voti ed un desiderio - nonostante le apparenze e finite le superiori - di entrare al college.
A Kurt questo non interessava ma Lisa non aveva intenzione di dargliela vinta.

Non era stato facile.
C’era voluto molto tempo prima che Kurt iniziasse a fidarsi di lei ed ancora di più perché si sbottonasse un po’.
Kurt le dava la certa impressione che fosse convinto di non aver bisogno degli altri.
Il suo menefreghismo sorpassava il limite il più delle volte.
Ma i suoi occhi cinici e freddi non mentivano mai.
Le aveva detto che sarebbe tornato.
Quando faceva una promessa, Kurt la manteneva.

This world is so full of people,
they're just masquerading.
I wanna know the real you
Not the mask you have been wearing.
Richard Ashcroft ~ Make a wish

~~~

Canzone del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ Make a wish;
- Lana del Rey ~ Body electric.

Le note di questo capitolo sono:
- L'Alien Diner di Rachel esiste davvero! Completo di grill ed meta di turismo per il solo fatto di essere vicino all'area 51. LoL Offre anche una zona all'aperto all'ombra di una gru con disco volante incluso... fate un giro su GEarth perché è da vedere LoL;
- Sì Kurt sta navigando di notte in mezzo al deserto grazie alle stelle, not kidding! Rispettivamente Vega è una stella bluastra di prima magnitudine della costellazione della Lira ed Altair appartiene allo costellazione dell'Aquila. Vi dico già che la loro posizione è in linea con il cielo estivo notturno di quelle parti quindi non preoccupatevi, Kurt sa perfettamente quello che sta facendo;
- I Crop Circles tradotti letteralmente come 'Cerchi di grano' sono delle colture a circonferenza variabile che si possono trovare facilmente in vari punti aridi della nostra terra grazie a GEarth. Praticamente si scava un pozzo o si pone una potente pompa di irrigazione nel mezzo e si semina tutt'intorno rimanendo dentro al suo raggio d'azione. In questo modo non si spreca una goccia d'acqua ed è possibile coltivare vari tipi di cereali anche nei posti più impensati...basta avere l'acqua!
- La città di Tonopah si trova a sud rispetto a Rachel ed ha qualcosa come 2600 abitanti;
- Il June Gloom è un fenomeno meteorologico tipico della baia di San Francisco. È anche conosciuta come 'Aria condizionata'. La città è circondata dal mare su tre lati e l'aria fredda che spira dall'oceano si scontra con l'aria più calda ed umida che scende giù dalla Sierra, questo mix crea una nebbia densissima somigliante a delle vere e proprie nuvole che - in assenza di vento - possono rimanere ferme sulla città anche per giorni di seguito, lasciandola inghiottita nel buio;
- La Kool-Aid è una famosa marca di bevanda in polvere originaria del Nebraska che in preparazione si mischia ad zucchero ed acqua. Una curiosità della bevanda è che la colorazione varia in base al gusto e può anche essere usata per tingere i capelli o la lana. xD
- Nel flashback a fine capitolo ho descritto Kurt che si rimette in posizione il naso...questa cosa in determinati casi è possibile. Il naso è composto da un osso nasale e da un certo numero di cartilagini ed in caso di frattura lieve (tipo una hairline) basta solo rimetterlo in posizione. Sarebbe meglio comunque farsi vedere da uno specialista ma sappiamo per esperienza che Kurt è già stato in mezzo a delle risse e che ha l'esperienza e le nozioni per rimetterlo in sesto. Mi raccomando non fate come lui!

Ehhhh…
Sono imperdonabile e cronicamente in ritardo…mi capita spesso in questi ultimo tempi! -___-“
Nuovo capitolo di transizione/flashback ma che mi ‘serve’ per porre delle basi.
Nel prossimo andremo in ottovolante fra presente e passato con una sfilza di cose e la storia inizia a partire sul serio! *Herm sa per filo e per segno dove vuole arrivare ma ha difficoltà a mettere i propri pensieri su carta in questo periodo…*
Nonostante la mia assenza da EFP devo ringraziare le due anime buone che hanno recensito UT e ML: Petitecherie e Chexemille.
Spero di aggiornare presto la prossima volta dato che due terzi del sesto ci sono già xD
Nel frattempo buona settimana a tutti! <3
Hermes

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Capitolo 6
*** 6 ***


If we can't remember
we will never understand.
~ Edward Morgan Foster

Un nuovo mattino ed aveva ricominciato a studiare/sclerare sui suoi amati tomi.
Kurt non era una persona eccezionalmente mattiniera ma si era auto convinto di non essere ancora stanco morto, aveva scolato l’ultimo mezzo litro di succo d’arancia con uova e salsiccia e si era messo al lavoro.
La notte precedente prima di andare a dormire aveva contato i guadagni della seratina poker e si era trovato fra le mani la bellezza di duecento dollari che sarebbero finiti nel suo fondo ‘viaggio’ a breve.
Quel mattino il cielo sopra la terra ocra era plumbeo e tutto viveva come sotto un’ombra quindi, con un gran trambusto, aveva iniziato a venire giù acqua tutta insieme, allagando le buche della dissestata strada sterrata e lavando via la polvere dai vetri del villino.
Nel giro del mattino aveva smesso ma il cielo era rimasto coperto.
Era quasi mezzogiorno e aveva sotto gli occhi un articolo molto interessante sulla mitologia vista sotto la lente della psicologia quando la bassa luce spoglia della giornata si oscurò quasi di colpo.
Il ragazzo alzò gli occhi verso la vetrata per trovarci un nugolo di bagnata sabbia rossa in movimento.
Sorpreso, riportò in vita il portatile per controllare che non stesse arrivando una tempesta di vento e – a risultato negativo – abbandonò la sua postazione di studio per dare un’occhiata.
Ed eccolo qui il vecchio megalomane…
La Jaguar era spuntata lì vicino e ci avrebbe contato che il fango l’aveva tirato su l’auto grazie alla guida da rally che suo padre teneva su quella sabbia infida.
Il vecchio aveva appena finito di scaricare dall’auto la valigetta, un borsone e quella che sembravano due borse di asporto strapiene.
Kurt gli aprì la porta e Linds gli fece un cenno con sorriso sotto i Wayfahrer aviator.
“Porto cibo!” esclamò, lasciando cadere il borsone e sganciandosi gli occhiali da sole, scalzando le sneakers inzaccherate “Fame?”
“Sei tornato presto.” commentò Kurt.
Il padre aveva posato le borse sull’isola prima di girarsi verso il frigo per incastrare due cartoni di birra nel ripiano più in basso “Avevo un esame da dare stamattina, pensavo fosse più difficile ma l’ho sbrigata in meno di mezz’ora…”
“Esame…?”
“Composizione e possibili teorie sulla formazione delle rocce marziane. Tra un paio di mesi arriveranno nuovi dati dalle sonde spaziali giù al Lambda Department, ho bisogno di una laurea in Astrogeo-qualcosa per metterci le mani sopra se voglio analizzarli.”
“…”
“Lo sapevi che ad Alamo hanno aperto una nuova deli? Un profumino…e che ciambelline!”
“…” Kurt rimaneva in silenzio, mettendo mano nel cassetto delle posate per iniziare un pranzo anticipato. Il vecchio non lo stava nemmeno ascoltando, a dire il vero.
“Kurt?”
“Eh? Sì, dad?”
“Tutto ok?”
Il ragazzo a quel punto aveva fiutato qualcosa che puzzava di rancido e non stava parlando di cibo.
Suo padre che gli ‘parlava’…cos’era quell’apparente svolta?
“Sì.” risposta a monosillabo, attendendo che la trappola scattasse a vuoto.
Intanto gli occhi scuri di Linds si erano posati sui vari libri disposti a ventaglio sul tavolino e commentò con un sorriso “Ah…sei sulle nuvole, scusa se ho disturbato lo studio.”
“Nah…”
Intanto nel congelatore erano finiti sei cartoni di pizze precotte, due vaschette di gelato, quattro buste di patatine fritte e – nella giara degli snack –due chili di leccalecca e caramelle assortite, manco stessero programmando un party.
Dieta sana ed equilibrata…my ass.
Intanto avevano iniziato a dare fondo al contenuto delle vaschette di alluminio: pollo arrosto, hot dogs e alette alla paprika per quattro, tutto tirato giù con una sana dose di pepsi al limone.
“Pomeriggio di studio quindi? Devo finire un paio di relazioni, me lo lasci un angolino del divano?”
Kurt annuì, deglutendo.
“Hai già pensato dove mandare applicazioni per dopo il liceo?”
Lo sapevo che c’era qualcosa dietro…
“Perché ti interessa?” diretto e caustico, il giusto equilibrio, bravo K.
“Non mi interessa, di per sé. Sono solo curioso.” replicò suo padre con un sorrisetto.
Ancora vi chiedete perché non lo sopporto?!
“Sì, ho già iniziato a mandare applicazioni e no, non ho intenzione di seguire le tue orme e quelle della mamma.”
I’m glad.” Stavolta Linds aveva sorriso con una sincerità genuina, poi era tornato a mangiare.
Kurt lo guardò ancora per qualche momento, in silenzio, spiazzato.
Non riusciva a capire quella new leaf del padre e – sotto sotto – non era sicuro di volerlo.
O di iniziare a chiedere consigli.
O di raccontargli tutti i suoi segreti in cerca di affetto paterno.
O di trovare un fottutissimo punto d’incontro sul quale costruire qualche cazzo di rapporto.
L’idea non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello.
A quel punto sarebbe stato meglio smontare le tende e stare alla larga dal vecchio per qualche tempo, purtroppo l’idea non avrebbe dato frutti ora che Linds si era autoinvitato con il suo benestare.
No, quel pomeriggio gli toccava e Kurt pregava tutti i Rolling Stones di non perdere le staffe ed avere abbastanza concentrazione da assimilare almeno qualcosa di quello che avrebbe letto.

~

L'amore è solo una questione chimica
Un espediente dell'evoluzione
Un compromesso fra il dovere e la passione.
[...]
Il peggio è che ho bisogno di te, delle tue mani
Che resti e ti allontani
Di carne e di senso
Ragione e sentimento
Di te, dei tuoi silenzi e anche dei tuoi giorni stanchi.
Mina Celentano ~ A un passo da te

Si era appena seduta al bancone del coffee shop all’angolo con la palestra di Ju-Jitsu dal quale era appena uscita.
Aveva ricominciato a gareggiare dieci anni prima, più per sfizio che per desiderio di vincere e – alla fine – era diventata istruttore nei weekend.
Il suo approccio era l’uso dello ju-jitsu per pura autodifesa e quando riusciva a insegnare era sempre felice di mostrare mosse semplici ma perfette per neutralizzare un potenziale assalitore.
Almeno ho qualcosa da fare…
Aveva offerto qualcosa da bere a Giulia – la figlia di Hugo - prima di riaccompagnarla a casa.
Lei e l’adolescente avevano sviluppato un bel rapporto fin dall’inizio, Michelle non aveva mai cercato di sostituirsi alla sua vera madre e la quindicenne aveva apprezzato fin da subito.
“Non so se è l’arte marziale che più mi piace, Zia Mi. Non ho l’equilibrio necessario.”
“Hai solo iniziato e so per esperienza che la coordinazione motoria arriva dopo un po’ di allenamento e di riordino mentale.”
“Parla la campionessa!”
“Mancata.”
Una linguaccia dall’altra parte del tavolo e lei strizzò gli occhi con un sorriso mentre arrivava il cameriere con le ordinazioni.
“Hai più sentito Kurt, zia?”
“No, ho provato a chiamarlo ma ha il telefono spento.”
“Uffa…arriva l’estate ed è sempre in mezzo al deserto! Per una volta potrebbe anche tornare per la mia festa di compleanno!”
Non lo fa per suo padre. Lo fa per me.
A Michelle quella verità le rimaneva incastrata fra la gola e lo stomaco, non andava giù nemmeno con una dose di ottimo espresso, ahimè.
“Zia?”
“Mmh?”
“Che differenza c’è fra una cotta e l’amore vero, secondo te?”
Questa sì che è una bella domanda…
Una domanda che la trascinava indietro in un vortice senza capo né coda…

~ Circa diciotto anni prima in un hotel di Las Vegas
È passato quasi un anno dal nostro ritorno in pianta stabile in California.
Avevo trovato un posto a San Diego sotto l’ala di Venter e mi avevano appioppato le solite mansioni della nuova arrivata…di quel passo avrei toccato un microscopio e delle provette da lì al prossimo Natale!!!
In pratica ero diventata una portavoce di relazioni con il pubblico, in altre parole pubblicità aziendale: PowerPoint a manetta e conferenze in giro per gli stati alla ricerca di qualche consenso e beneficiario in più alla santa crociata per il totale dipanamento dei segreti del DNA.
In questo preciso momento son reduce da una convention lunga due giorni di assoluta, pura trucidazione fotonica ed in più stavo cenando con dei potenziali interessati, evento fuori programma.
Prima di partire per la capitale del gioco avevo sentito Linds e c’eravamo messi d’accordo per passare qualche giorno insieme.
Il topo era alla base e – fra trasferte e imprevisti dell’ultimo minuto – non ci eravamo più visti da quasi due mesi.
La cena non si poteva dire emozionante ma era da fare quindi stavo cercando di mantenere continua e variegata la conversazione, creando dibattito sano e conclusivo.
Ormai le portate si erano esaurite ed era rimasto solo il dessert: un piattino con tre fettine di panna cotta, sciroppo di fragola, alcuni grani di ribes e una pallina di gelato al cioccolato.
Non l’avevo toccato; il gelato si stava sciogliendo lentamente, creando una piccola pozzanghera marrone sul bianco del piatto.
In una pausa nel discorso avevo dato un’occhiata furtiva sotto il tavolo, allo schermo dello smartphone.
Ancora niente.
Dove cavolo si è cacciato stavolta?!
Ero un po’ seccata – non per il suo ritardo – ma per gli occhi con un non so che di accondiscendente che si spostavano da me al posto vuoto e il sorrisetto da schiaffi dell’assistente.
Per fortuna il mio sorriso reggeva o li avrei presi a frustate, anche se erano interessati alla ricerca per investire fondi.
Alcuni minuti dopo – quando ormai avevo perso tutte le speranze – un paio di labbra premono sul mio zigomo ed una figura dinoccolata a me ben nota s’incastra al mio fianco nel piccolo booth.
“Scusate il ritardo.”
Chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo prima di rimettere su il sorriso plastificato “Posso presentarvi Linds Lagden? Linds, Mister Raymond.”
Si scambiano alcune strette di mani poi Linds occhieggia con evidente golosità il mio dolce intoccato “Scusami darling, ti dispiace?”
“No, affatto.” replico con un sorriso, in effetti l’avevo ordinato per lui…
Mentre i nostri altri due interlocutori ci osservano il silenzio viene rotto appena dopo che Linds infilza una delle fette di panna cotta con la forchettina.
“Ahem…mi scusi…Lagden as in il Fisico Lagden?” domanda l’assistente con quella che sembra non reverenza ma beatitudine negli occhi.
Linds ha alzato lo sguardo ed un sopracciglio platino alla sua espressione adorante “The very same…?
Il topo lancia un’occhiata veloce verso di me cercando qualche risposta ma rimango anch’io sorpresa.
Normalmente nessuno nota troppo Linds; se non per la sua zazzera di capelli che sfida le leggi di Mendel e fa a pugni con il resto dei suoi tratti genetici.
“Ho letto la sua relazione sulla teoria della relatività temporale e i vari composti chimici di cui espone le proprietà tutta d’un fiato!” esclama con fervore fanatico “I concetti, le sue idee! Groundbreaking, so che sta lavorando per privati ma mi chiedevo…”
Io e Linds incrociamo lo sguardo in una conversazione muta ed istantanea.
Lagden, sai di cosa cavolo sta parlando?
Ovvio che sì, Hervas.

Intanto il giovane va avanti ed avanti senza quasi riprendere fiato, roba da sub e Linds alza la forchetta.
“Okay…the applications of my theories are not something I shall conduce an interview on at any stage tonight.”
A quel commento asciutto ero rimasta a metà fra lanciargli una gomitata nel fianco e ridacchiare mentre gli occhi del sophomore si aprivano come due scodelle, poi arrossì sotto lo sguardo di Linds e abbassò gli occhi. “I’m…sorry.”
Oh god…Linds you’re such a killjoy…
Appena il fanboy recede Linds ritorna al suo festino di panna cotta e la conversazione riprende i propri binari.
Venti minuti e siamo già ai saluti, ho la sensazione di aver conquistato qualche benefattore in più per il nostro laboratorio e quindi inizio a rilassarmi nel booth, finendo il mio cuba libre mentre Linds si è fatto portare una doppia fetta di red velvet e la sta divorando a bocconcini golosi.
“Qualche verdurina? Un po’ di proteine?” domando ironica.
“Io vado a glucosio, Michelle. Non ho bisogno di mettere su muscoli.”
Come no…
Scuoto la testa mentre finisce il dolce, si toglie gli occhiali e stropiccia la faccia con uno sbadiglio.
Afferro la manica della giacca e tiro appena “Andiamo dai…”
Annuisce e raggiungiamo gli ascensori.
Nei quaranta secondi che ci mette il lift per scalare i dieci piani alla mia camera, lo zucchero ha fatto collisione con il metabolismo del topo e la porta della stanza non fa in tempo a richiudersi che siamo uno addosso all’altra in una lotta di mani e labbra. La lingua che esplora la cavità della bocca ritrovando il sapore di quell’ultimo bicchierino della buonanotte amaro e bruciante.
Le sue mani che si stufano della stoffa sulla mia schiena e cercano cieche la zip del vestito senza trovarla.
Dopo il fuoco e le scintille eravamo rimasti sì e no dieci minuti a parlare sommessamente con grandi sbadigli.
Scopro quindi che no, Linds non arrivava dalla base su nel deserto ma da qualche sede a me sconosciuta della NASA in quel dell’Arizona giù dopo il Lake Mead.
Si era fatto un mucchio di strada in auto solo per mantenere quella promessa: sei, sette ore da passare in una camera d’albergo insieme.
Quando sono con te, non riesco a pensare a nient’altro.” aveva borbottato sull’orlo del sonno “Che cosa ho fatto di buono per meritarmi di stare con te, Michelle?
Quella notte non gli avevo dato risposta.
[…]

“Zia?”
Gli occhi grigi della donna rimisero a fuoco il presente quasi al rallentatore e scosse la testa.
“Ho meditato un momento sul cosa risponderti…” replicò a Giulia con un sorriso.
“A me sembravi persa in un filmino di quelli coloratini, sappilo.”
Questa volta la linguaccia l’aveva tirata fuori lei.
“Per risponderti: fra le due cose c’è differenza. La cotta nel più dei casi non viene corrisposta da entrambi i lati, mentre l’amore è un qualcosa di più complesso da spiegare.
L’amore non si merita Giulia, si costruisce. Se scegli di stare insieme ad una persona lo fai perché senti qualcosa di forte con/e per essa. Qualcosa che non puoi comparare a un’altra tua relazione extrapersonale con altri.
Sei tu che elevi, ostensivamente, questa sensazione/percezione sopra ogni altra.
Se è ‘vero amore’ questa scelta succede anche dall’altra parte della barricata.
Non penso di riuscire a spiegartelo meglio.
Comunque mi pare un po’ prestino per cercare il vero amore, Giulia.”
“Scusa se te lo chiedo Zia ma…allora non eri innamorata del papà di Kurt?”
Il fischio del vapore delle macchine per l’espresso, il chiacchierio degli altri tavolini e il volto giovane della ragazzina che sbianca quando si rende conto della domanda totalmente fuori luogo che mi ha posto.
Ed io, io che ritorno di nuovo ad un passato che non ci tengo a riesumare.

~ quattordici anni prima
Era un luglio di fuoco in California e più di una foresta di sequoie stava bruciando sotto San Diego.
Quell’estate Venter mi aveva convinto a volare in Europa per la prima volta da quando ero tornata; mi voleva a tutti i costi laggiù, tanto che ero riuscita a strappargli un aumento di stipendio e che, al mio ritorno, avrei avuto diritto ad una settimana intera di ferie pagate.
Il mio problema era Kurt.
Aveva solo compiuto quattro anni quel Marzo e non c’era verso che sarei riuscita a lasciarlo a mia madre o Alice per una settimana intera senza battere ciglio.
Quindi avevo deciso di portarlo con me.
Ci eravamo spostati in treno fino a Santa Barbara, dove Raph e Mel ci avevano ospitato per un giorno prima di partire in tarda serata con un volo da Los Angeles per Madrid.
Kurt non aveva fatto una piega, lasciandosi adorare dalle hostess per poi farsi un sonno di piombo per buona parte del volo tenendosi stretto il suo pupazzo preferito di sempre: l’Incredibile Hulk.
Ero un po’ preoccupata che alla fine si sarebbe annoiato a passare ore in una conferenza di vecchi rincitrulliti ma, durante la settimana, Kurt non aveva fatto molti capricci; soprattutto se riusciva a trovare un sedile da poter usare come tavolo per disegnare con i pastelli accanto a me. Qualche buon spuntino nella borsa ed il gioco era fatto.
Avevo cercato di ricompensare quella pazienza ultraterrena bigiando un giorno del congresso e portandolo allo zoo dove avevamo passato qualche ora a guardare gli animali nelle gabbie.
“Perché sono nati in gabbia, mamma?”
Dopo la visita allo zoo eravamo tornati sui nostri passi verso il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia.
Avevo riportato in auge il mio spagnolo mal accentato per assicurare in biglietteria che non avevamo bisogno di una guida e quindi avevamo iniziato a camminare per le grandi sale del museo d’arte mano nella mano, commentando ogni nuova tela astratta o modernista con calma.
“Perché si chiama ‘Chitarra, partitura e bicchiere’? Dov’è il bicchiere?!”
Passeggiando eravamo arrivati alla sezione che raccoglieva alcune opere di Picasso fra cui la grande tela della Guernica Y Luno che sembrava ancora più immensa nella scura saletta dedicatale; quasi illuminata da luce propria.
Kurt si era fermato con il naso rivolto all’insù in contemplazione.
La guardammo in silenzio per qualche minuto, il dinamismo del quadro che quasi si staccava dalla tela e prendeva vita come un film muto, l’occhio divino che dondolava sopra le nostre teste.
Il rumore degli zoccoli di un cavallo pazzo dal terrore che spezzavano la cassa toracica dell’uomo riverso sulla strada.
Stavo osservando ancora la fiamma della lampada – la speranza che rimpicciolisce fino a scomparire – quando mi sentii tirare per la mano.
Kurt aveva fatto un passo indietro ma nei suoi occhi neri non c’era spavento.
Aveva corrugato la fronte, cercando di vedere la tela nella sua interezza, la bocca arricciata in una smorfia del tutto identica a quella di suo padre quando era obbligato a fare qualcosa che non gli interessava minimamente.
Quell’espressione mi aveva sconvolto.
In quei pochi anni mi ero quasi dimenticata di Linds.
E lui era lì, nel volto di Kurt e nei suoi occhi innocenti ma sprezzanti e calcolatori.
Mom?
Inghiottii saliva ma la mia bocca era asciutta come un deserto “Sì?”
“Che ci fa un cavallo in una stanza?”
A quel punto la tensione accumulata se ne era andata via.
Kurt era un bambino molto intelligente ma, senza un riferimento alla storia dietro alla tela od al simbolismo delle figure, non aveva i mezzi per comprendere il significato di quel caos.
Quindi ci eravamo allontanati verso il centro della stanza per sederci su una panca e osservare il quadro ancora un po’.
Per qualche motivo ne era affascinato e anch’io mi ero ritrovata a notare cose che non avevo mai visto prima nelle varie volte che l’avevo guardata in una riproduzione o nei poster.
Alla fine, prima di uscire dal museo eravamo passati dal negozio di souvenir e gli avevo comprato un magnete di quella stessa tela come ricordo.
Gli avevo chiesto se non ne voleva qualcuno di più colorato come la famiglia degli acrobati ma Kurt era deciso, quindi acconsentii.

Tutt’ora quello stesso magnete – scolorito ed un po’ rovinato – stava appeso sulla porta del frigo.
Kurt qualche anno prima aveva fatto inquadrare un poster della Guernica e l’aveva appeso in camera sopra alla sua scrivania.
Non ho mai capito che cosa lo affascini ancora di quella visione a piene mani nel terrore ora che sa cosa rappresenta davvero.
Probabilmente non lo saprò mai.
Chiudo gli occhi mentre sento una stanchezza che non ha niente a che fare con la nostra ora di Ju-Jitsu.
“Probabilmente non era vero amore. Vivere non è facile, Giulia.”

~

Kurt non ci credeva…
Dopo il loro festino di rosticceria e salsine il vecchio non aveva più aperto bocca.
Si era seduto a gambe incrociate dall’altra parte del tavolo con una pila di dispense da un lato e un faldone dall’altro.
Notebook sul tavolino e cuffie da deejay in testa del tipo anti-rumore. Peccato che Manson si sentisse perfettamente…
Quindi non si era mosso da lì per tutto il pomeriggio un po’ digitando qualcosa un po’ leggendo.
La prima mezz’ora l’aveva tenuto sott’occhio poi – preso dai propri libri – non ci aveva fatto più caso.
Verso le sei di sera il ragazzo aveva deciso di staccare per quella giornata e si era alzato con le rotule che fecero un rumore secco.
“Kurt, se vai di là mi porti per favore il telefono? Devo averlo lasciato sul mobiletto del corridoio in carica.”
Aveva annuito e si era infilato nello stretto passaggio senza finestre che portava al bagno e alle due camere da letto, illuminato da un’applique minuscola e storta che pendeva dal muro alla sua sinistra.
Suo padre aveva lasciato il blackberry in carica nella presa d’angolo e – chinandosi – aveva notato con la coda dell’occhio che la porta della sua stanza era rimasta aperta.
Normalmente la teneva chiusa a chiave.
Con quello che distilla non mi stupirebbe se avesse un laboratorio clandestino e ne inalasse i fumi…
Aveva spinto l’uscio lentamente con un dito rivelando alla luce che filtrava dal corridoio un letto disfatto e un casino infernale.
La scrivania era sommersa di libri universitari e una vecchia tv coperta di polvere.
L’anta dell’armadio a muro spalancata rivelava una dozzina di appendini vuoti e – lì sotto – un borsone con i vestiti di suo padre.
Aveva fatto un passo dentro quella caverna, accendendo il neon, nello sfarfallio aveva notato il riflesso di un vetro vicino al letto.
Sopra al comodino c’era una cornice semplice e senza fronzoli con accanto il portafogli gonfio di Linds.
Dentro la cornice c’era un ritratto a matita di sua madre.
La carta era ingiallita e gli pareva di vedere una macchia a forma di cerchio che spuntava da un angolo come se il vecchio avesse abbozzato quelle linee fra una riunione e l’altra.
Sua madre.
Era lei, non aveva dubbi, anche se la grafia di Linds sotto il ritratto diceva Ma Belle.
Il viso ovale, il labbro inferiore più pieno rispetto al superiore piegato in un sorriso leggero, il netto arco scuro delle sopracciglia e l’attaccatura dei capelli corvini che scendevano sotto le spalle in un’onda naturale.
Gli occhi decisi sfumati con la grafite e quasi vivi a causa del neon difettoso.
Era un ritratto perfetto di una Michelle di almeno dieci - quindici anni prima, ed alcune linee del volto sembravano state tracciate con un irrefrenabile tremore alle mani.
Perché lo tiene qui se…
Era l’unico oggetto in tutta quella stanza a non essere coperto da un dito di polvere.
A Kurt venne la forte impressione che Linds – nei giorni che tornava al villino – guardasse quel disegno spesso.
Quindi si era riscosso ed aveva distolto lo sguardo da quello di sua madre su carta.
Era uscito dalla stanza quasi correndo, non aveva idea di come il padre avrebbe reagito a quella infrazione nella sua privacy e non ci teneva a saperlo.
Al suo ritorno nel salotto Linds aveva alzato lo sguardo, corrucciandosi e togliendo le cuffie.
“Ci hai messo una vita…cosa hai? Mi sembri malaticcio.”
Kurt non rispose, posando il telefono sul tavolino al suo fianco per poi raggiungere il frigo ed andare per una birra, ignorando lo sguardo del padre.
Che significa? Perché la tiene lì?
Ma più importante – se non gliene frega niente – perché l’ha disegnata!

Non gli piaceva la sensazione che risiedeva in quel momento sotto il suo sterno.
Non gli piaceva proprio.
Tolto il tappo alla birra e, scostato uno dei vetri, era uscito fuori dove una folata d’aria fredda l’aveva investito lasciandolo a rabbrividire.
Si era alzato un vento deciso sopra le loro teste che stava portando via la perturbazione e Kurt si trovò a comporre il numero di casa, d’impulso.
Il segnale di attesa mentre quasi riusciva a sentire la suoneria che risuonava per il loft a San Francisco.
“Pronto?”
Mom?” “Kurt! Ciao tesoro, come stai?”
“Beh…” Lo sapevi mamma?
“Lascia stare…ti stai annoiando da morire, lo so.”
“Veramente…mamma, volevo solo…” Cosa voglio? Questa sì che è una bella domanda…
Si era passato una mano fra i capelli “Senti…”
“C’è qualcosa che non va, Kurt?” il tono di Michelle dall’altra parte del filo aveva cambiato registro in un millisecondo da tranquillo a pronta per fare tabula rasa.
“No. È che non ho più chiamato e volevo…sapere come stavi, ecco.” Utile balla. Kurt Lagden stai sfiorando il ridicolo, sappilo.
[…]
Aveva appena chiuso la telefonata - durata solo altri due squallidi minuti - che la voce di suo padre arrivò dietro di sé.
“Tutto bene?”
“Sì.”
Nel buio Linds gli lanciò qualcosa e Kurt prese l’oggetto al volo: una felpa.
“Sono stufo di studiare, ho bisogno di sgranchirmi le gambe, vieni con me a fare un giro?”
Come…come ha fatto a scoprirmi?!
Non aveva osato rispondere e quindi l’aveva seguito a lato del villino, dove era parcheggiata la Jaguar, le frecce brillarono nell’oscurità completa.
“Voglia di guidare, Kurt?”
“Pensavo volessi camminare un po’?”
“Non mi diverto a camminare, son.” gli aveva porto le chiavi ma a quel punto le ritrasse “Okay, guido io ma quando arriviamo alla track non accetto scuse!”
Oh no…la pista no…

The present contains nothing more than the past,
and what is found in the effect was already in the cause.
~ Henry Bergson

~~~

Canzone del capitolo:
- Mina Celentano ~ Ad un passo da te.

Le note di questo capitolo sono:
- I Sophomore sono degli studenti al secondo anno in un programma di studi/college/od università;
- Il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia è un museo di Madrid d'arte moderna e contemporanea dedicato a tutta la produzione artistica dall'inizio del '900 fino ad oggi. Venne inaugurato nel 1992 ed ospita moltissimi artisti famosi tra i quali Dalì e Picasso;
- Chitarra, partitura e bicchiere è una tela di Picasso del 1912, la potere trovare qui;
- Guernica Y Luno conosciuta anche solo come 'Guernica' è una delle più famose opere di Picasso ed ha dimensioni enormi (3.49 x 7.77m!) che commemora le vittime del bombardamento aereo dell'omonima città basca durante la guerra civile spagnola del 1937.
Come già accennato nella precedente ASTTR Michelle ha una affinità particolare con questo artista spagnolo e trovo che il dipinto si sposa bene con la confusione emotiva passato/presente del capitolo, non parliamo dell'effetto bicromatico! xD
Potete vedere l'opera a questo link;
- La famiglia degli acrobati è un dipinto di Picasso molto colorato ed allegro del 1904-1905, potete vederlo qui.

Arriva la Pasqua e ritorno pure io, magia! LoL
Giuro che sto andando avanti a scrivere (un paio d'ore la sera tipo compiti a casa!) ma non ho mai un briciolo di tempo per betare e codificare come si deve...uffi!
Spero che questo capitolo intriso di presente e passato vi sia piaciuto, nel prossimo entreremo nelle manie del topo e, come sempre, posso solo dirvi di tenervi forte al sedile della Jag...xD
Passate un buon weekend!!!
Hermes

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Capitolo 7
*** 7 ***


I'm a kick stand in your mouth
And I'm the tongue slamming on the brakes
Pull the choke in
As hard as it will take
All your pictures are getting dirty
I don't want anyone else's hand on my gears
And I'll choke on all the diamonds
like a vulture on your face
Marylin Manson ~ Are you the rabbit?

I vetri della Jaguar vibravano mentre suo padre guidava verso la base lasciando una nuvola di sabbia bagnata dietro di loro che avrebbe potuto portare via la vernice al sedere dell’auto se fossero andati leggermente più lenti.
Il motore V8 ringhiava ed i fari lunghi erano abbastanza potenti da illuminare i primi sessanta metri di strada sterrata ed ancora umida, le ruote che scivolavano sulla sabbia.
Kurt aveva già intravisto nell’oscurità gli occhi iridescenti di qualche animale selvatico, probabilmente qualche volpe o coyote, che era fuggito a gambe levate al loro passaggio.
Linds non ci faceva caso e canticchiava sottovoce un motivetto frizzante, tamburellando le dita sul volante.
Da quando erano saliti in auto, un venti minuti prima, Kurt stava diventando di momento in momento più teso finché la sua calma non resse più al silenzio.
“Che ci stiamo andando a fare alla Base?”
Kurt vide il vecchio sbattere le palpebre sorpreso per poi spostare gli occhi verso di lui.
“Non te l’ho detto? Stiamo testando dei nuovi carburanti, prima ho fatto una telefonata a Jimmy giù al Lambda…dice che è tutto pronto per un test drive, quindi…”
Cosa…?
“Fammi capire…state provando dei carburanti sulla Jaguar?” quasi non ci voleva credere.
“Esatto!” ridacchiò suo padre “Una test semi-teorico a dire il vero, un paio di mesi fa le camme sono quasi esplose da allora abbiamo diluito…”
Volevate una prova di quanto il vecchio fosse fuori di melone? Bastava solo chiedere!
“Mi è passata la voglia, papà.”
“Beh, non sai cosa ti perdi Kurt…comunque puoi sempre riprendere l’esperimento o tenere sotto controllo il crono.”
“Hai preso in considerazione che i freni non sono più di tanto sovradimensionati?”
“Non freno, Kurt. Faccio il pendolo.”
Folle.
Ancora qualche minuto ed eravamo arrivati ai cancelli che si aprirono con uno stanco vrrrr, riconoscendo il pass ad infrarossi montato sulla Jaguar.
Quindi l’auto entrò a buon passo nello spiazzo asfaltato ricoperto dalla sabbia rossiccia del deserto e da chiazze di acqua che brillavano nell’oscurità alla luce dei potenti gruppi elettrogeni in funzione.
Uno degli hangar era aperto ed alla luce che colava da dentro si stagliava una figura d’uomo con in mano una cartellina ed a fianco un macchinario, probabilmente il distributore di carburante.
Linds aveva parcheggiato l’auto dentro alla rimessa e fatto scattare il cofano del motore, non era ancora salito che tre meccanici ci avevano già infilato le mani dentro.
Non eravamo ancora usciti dall’abitacolo che l’assistente di suo padre aveva già iniziato a parlare a manetta, aiutandosi con le annotazioni mentre Linds annuiva.
Kurt aveva voltato le spalle al Team da Formula Uno, dando un’occhiata in giro.
La base era nascosta in una valle stretta e profonda tanto che era protetta dal vento e da occhi indesiderati.
La famosa Area 51 in tutta realtà non aveva niente di così incredibile a parte il fatto di essere schermata da tutte le radiocomunicazioni e recintata con filo spinato oltre alle guardie che pattugliavano i suoi limiti armate fino ai denti.
Lo spiazzo oggetto del test drive era lungo come cinque campi da calcio e largo due, in lontananza vedeva delle luci a led intermittenti a delineare un qualche tipo di percorso.
“Allora, come ti và Kurt?” James – o Jimmy – gli si era affiancato mentre la squadra di meccanici spingevano a mano l’automobile fuori dall’hangar e Linds li seguiva con le mani nelle tasche fino al punto di partenza delineato da un piedistallo ed una bandierina catarifrangente.
“Da quanto tempo fa questi esperimenti?” dissi solo, fissando il gruppetto mentre si allontanava.
James mi lanciò un’occhiata un po’ ansiosa “Non molto a dire il vero…sei mesi fa siamo arrivati ad un punto morto e-”
“Non poteva offrirsi nessun’altro?” sembrava quasi che James facesse finta di non vedere il vero nocciolo della questione: l’estremo pericolo di un carburante ad alto numero di ottani in combustione dentro un motore progettato per esplosioni di minor potenza. Riusciva quasi a vederla la macchina detonare come una bomba, improvvisamente.
“L’idea è…il Dottor Lagden si è offerto. Cerca di capirci non possiamo mica mettere un annuncio sul quotidiano locale ‘Cercasi pilota per prove ad alto rischio…’ dai Kurt!”
Le mani strette a pugno mentre la Jaguar si avviava con un inconfondibile ringhio, le luci posteriori che brillavano a nuova vita come due occhi rossi nel buio.
Ho visto abbastanza.
“Ho fame. Vado in mensa.”
“Ma-”
“Se chiede di me sa dove trovarmi.”
Quindi non mi ero più guardato indietro, non c’era proprio niente da vedere.
Dietro le mie spalle l’auto era partita con uno stridio di gomme assordante.

~

Well I can go a million miles an hour
Well I've been bored so try to drag me down into the night
But if in the morning sun
In the arms of a miracle
I'll come back and see where you've gone
But it starts as a battle of luck
Well when it ends you're in the hands of a ghost
Eastern Conference Champions ~ A million miles an hour

Il volante vibrava fra le sue mani.
L’abitacolo in completo silenzio per sentire il ciclo del motore.
Il cruscotto pieno di spie di avaria che quasi lo abbagliavano.
L’accelerazione che lo incollava al sedile in pelle mentre lasciava le gomme sull’asfalto.
‘Is everything alright, Doctor?’
‘Shut up, Jimmy!’
Quindi aveva sganciato l’auricolare Bluetooth, lanciandolo sul sedile del passeggero.
Nella frazione di secondo che gli ci era voluta la macchina aveva sbandato leggermente a sinistra.
Claudia che gli fissava le mani e…
“…l’ultimo check medico che mi hai mostrato alcuni mesi fa non è in linea con i risultati di un uomo medio sano della tua età.”
Certo che non potevano.
Quel tremore lo perseguitava da più di dieci anni, senza peggiorare.
Tremore essenziale benigno, cercatelo pure su Google.
Non riusciva più a disegnare e certi giorni gli risultava difficile scrivere.
Quando non dormiva era peggio.
La lancetta aveva appena toccato le 190 miglia l’ora ed l’unico rumore percepibile era il boato del V8, al limite delle sue prestazioni.
7700 giri al minuto, nuovo record.
Aveva quasi raggiunto la fine della pista aerea tenendo l’accelerazione costante fino a quel momento perché venisse registrata dai server del laboratorio, quindi aveva alzato il piede.
Il cambio automatico si era sganciato mentre girava il volante tutto verso sinistra ed il momento accumulato in accelerazione si scaricò sulle ruote che fischiarono sull’asfalto sporco di sabbia.
La Jaguar fece un testacoda, quindi un altro ed un altro ancora prima di fermarsi a metà del quarto nella sabbia del deserto; in lontananza un paio di piccoli puntini rossi, le guide luminose della track.
“Quale sarebbe il maledetto nocciolo della questione, Linds?!” Michelle l’aveva affrontato, gli occhi grigi stanchi “Ti dispiace, mi dispiace, siamo tutti dispiaciuti a quanto pare! Sai cosa? Non importa e non mi interessa. Non posso più farlo, ne ho abbastanza di continuare a farmi del male e sanguinare.”
Il motore ringhiava sommessamente nel silenzio del deserto mentre quella frase rimbombava nelle sue orecchie.
Una delle tante.
Genio mondiale, physique extraordinaire, un intelletto della Madonna, soldi a palate ed incapace di ‘relazionarsi’.
La magagna da qualche parte doveva pure nascondersi.
Nelle variabili.
Linds scosse la testa, cercando di zittire la vocina sarcastica.
Aveva del lavoro da fare.
Reinserito l’auricolare e tolto la folle.
‘Jim?’
‘Yes, Doc?’
‘I’m comin’ back, be careful with the time ‘cause I’m not stopping.’
‘Aye Cap!’

You are an unmarked car
I can't remember where I parked you
But I love you,
Can't afford you,
I'll take a cab to the funeral.
Faster, faster
I'm late, I'm late
And the hands on my clock are starting to shake.
Marylin Manson ~ Are you the rabbit?

~

Non c’era stato verso, aveva camminato per i corridoi sotterranei della base quasi in autopilota talmente era furioso.
I suoi piedi l’avevano portato di loro iniziativa alla mensa della Base, a quell’ora vuota a parte una squadra di pulizia ed qualche addetto dietro al bancone tra i quali la signora Hunter che l’aveva osservato per un po’, confusa.
“Kurt? Sei tu?”
Non aveva risposto, aveva tirato giù una sedia da uno dei tavoli e si era seduto in silenzio, le dita affondate nella zazzera nera.
La donna non aveva più fiatato.
Kurt avrebbe solo voluto poter demolire qualcosa.
Vedeva rosso, e non poteva fare assolutamente nulla a proposito.
Perché avrebbe dovuto agire poi? Se aveva deciso di farla finita…

Una nuova ondata di sangue alla testa con le mani strette a pugno che tremavano.
È innaturale! Porco cane!
Non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe detto sua madre se lo avesse saputo.
Le reazioni possibili erano due: o avrebbe schiaffeggiato il folle o avrebbe stretto le labbra lasciandolo ai suoi piani fatali. Non aveva idea di cosa avrebbe scelto.
Aveva preso a strofinarsi energicamente i muscoli trapezi per allentarne la tensione prima che gli partisse una cefalea ed a inspirare profondamente ad occhi chiusi.
“Ecco qui, caro.”
Aveva sbattuto le palpebre trovandosi davanti un vassoio della mensa con un tramezzino dalla crosta tagliata ed una tazza di plastica color avorio piena di tè che fumava.
Devo essere una bella scenetta…
“Signora H-”
“Niente scuse, Kurt. Divora e lasciati alle spalle il resto, da bravo.” gli aveva battuto la spalla con due colpetti gentili della mano “Quando hai finito lascia tutto sul bancone accanto la cassa e spegni le luci.”
Aveva annuito con un principio di magone e l’aveva guardata allontanarsi.
[…]
Erano passate le undici ed – dopo aver lavato la tazza ed il piatto – stava riemergendo nel piazzale illuminato a giorno degli hangar.
L’aria era appestata dal puzzo di gomma bruciata, due assistenti di laboratorio stavano togliendo le segnaletiche.
Si era pinzato il naso per attraversare la distanza fra l’edificio e l’hangar dove la Jaguar subiva un relifting completo montata su dei sollevatori. Poco più in là due meccanici soldati sostituivano i pneumatici sopra i cerchi in lega, quelli vecchi erano finiti in pezzi.
Suo padre stava con James, chino su alcuni diagrammi proiettati sullo schermo di un portatile.
“Ci siamo vicini. Come carburante per i caccia è superiore al vecchio ma dobbiamo concentrarci ancora sul numero di ottani e sul legante chimico…tornati giù in laboratorio ho un paio di idee per quella rastrelliera di sostanze nuove.” Linds aveva voltato il capo, osservandolo, poi aveva continuato a parlare “Stila un rapporto sull’esperimento ed infilaci un paio di tabelle e dati sensibili, abbiamo una riunione tra un paio di giorni e non voglio sentirmi fiatare sul collo.”
Quindi si era drizzato, lanciandogli delle chiavi.
“Sta venendo tardi, Kurt. Quando hanno finito con la Jag fai che prenderla e tornare a casa.”
Stai parlando di SF? Parto subito, accidenti!
Suo padre sapeva leggergli lo sguardo e – da bravo giocatore – sapeva come aggirare l’ostacolo, ignorando le sue idee geniali di un’ora prima.
Intanto aveva tirato fuori il portafoglio contando uno, due, trecento dollari e tendendoglieli ripiegati.
“Domani mattina vai a fare rifornimento a Rachel e fatti un giro, il sistema di iniezione ha bisogno di una ripulita.” gli aveva strizzato l’occhiolino complice “Io rimango qui, ho delle cose in sospeso.”
Non gli rispose ed aveva accettato i bigliettoni. La verità era che avrebbe voluto solamente strangolarlo.
Non so nemmeno se in Nevada posso guidarla…fanculo, mi faccio passare per un suo collaboratore in ‘missione’…
Quindi Linds era sparito alla volta degli ascensori con James che gli saltellava intorno stile cagnolino.
C’era voluta un’altra mezz’ora prima che l’auto fosse abbassata ed i meccanici gli dessero il via libera.
“Sappiate che mi fido, eh…” aveva commentato, sedendosi al lato guidatore.
“Tranquillo, son. L’abbiamo controllata da cima a fondo questa bella ciccina.”
Detto da uno che metteva le mani tutti i giorni nei motori dei mezzi della Base era abbastanza rassicurante…
Quindi aveva fatto manovra ed era uscito dall’hangar con la dovuta cautela del quale suo padre era sprovvisto, avviandosi al cancello.
Per tornare a casa ci aveva messo una vita un po’ perché la Jag era veramente una bella macchina ed un po’ perché aveva tenuto il finestrino abbassato per godersi il fresco della notte.
Arrivato al villino e parcheggiato con cautela si era poi svuotato le tasche sul tavolino, i centoni che gli aveva dato Linds si erano aperti, lasciando intravedere un cartoncino bianco.
Kurt l’aveva preso per osservarlo meglio, vagamente incuriosito.

Creane Claudia, PhD
5213 N Conho Heights St,
North Las Vegas, NV 89081
(Appointment by request only)
Non conosceva quella donna, non l’aveva mai sentita nominare.
Probabilmente il vecchio non si era nemmeno accorto di aver preso in mezzo quel biglietto da visita.
Perché lo teneva nel portafogli?
Intanto che ruminava quelle nuove scoperte aveva schiuso il Mac…
Nell’attesa aveva fatto una capatina alla porta di Linds scoprendo che questa volta era stata chiusa a chiave…quindi era stata una svista prima. Porco cane…che avrà mai da nascondere!
Tornato nella sala si era trovato davanti a Liz, in attesa sullo schermo del portatile.
Devo ricordarmi di bloccare l’avvio col sistema operativo.
Quindi aveva accettato la chiamata.
“Hai problemi a dormire?”
“Sono tre giorni che non ti sentivo…iniziavo a preoccuparmi!”
“Così mi fai venire l’ansia.” replicò Kurt del tutto sarcastico.
“K, smettila di fare lo stronzo e non credere di prendermi per i fondelli. Lo so che nel deserto non hai niente da fare!”
“Mi arrendo, Liz. Raccontami tutto il gossip che mi sono perso…”
“…”
“…”
“Kurt…cosa hai?”
“Niente.” Ho un padre che non vale un’emerita cicca, ecco cosa c’è.
L’aveva vista aprire la bocca pronta a ribattere per poi richiuderla, persa in contemplazione.
A quel punto aveva ridimensionato la finestra ed aperto Chrome.
“Che stai digitando?”
“Cosa ti fa pensare che io stia digitando?”
Aveva inserito nome e cognome della donna nella casella di ricerca ed premuto enter, senza distogliere gli occhi dalla fotocamera del portatile.
“Kurt, sei strano.”
“È quasi l’una del mattino, Lizzie…che ne dici se condividiamo una tisanina immaginaria ed andiamo a nanna?”
Aveva azzardato un’occhiata al motore di ricerca.
“Kurt?”
“Seee?”
“Che cosa stai facendo?”
Metto il naso in cose che non mi riguardano…
Aveva mandato all’aria il tentativo di sviarla e si era messo a leggere la lista di risultati per sceglierne uno che l’aveva mandato ad una pagina di Google Plus.
Niente di fatto quindi era sceso di un link e-
“Oh, Cristo…”
Il collegamento l’aveva portato ad una comunità online che pubblicava articoli destinati a riviste del settore.
Claudia Creane aveva scritto un articolo alcuni giorni prima.
Quella donna è una psicologa psicanalista?!
“Kurt…?”
“Liz, senti, ci risentiamo poi? Scusa.”
Non aveva aspettato risposta, abortendo il programma e tornando all’inizio della pagina con il principio di due occhi a scodella.
Mio padre e una psicanalista?
Sul serio?!

[…]

Aveva letto l’articolo.
Ci aveva dormito sopra.
Non ci credeva ancora.
Quel mattino era partito verso le nove per la pompa della benzina, con la mezza idea di ‘ripulire’ l’iniezione arrivando fino ad Alamo e tornando.
Doveva essere uscito il nuovo volume di Mighty Heroes, per non parlare del mensile Avengers...poi c’era anche da fare della spesa seria od le patatine fritte gli sarebbero uscite dalle orecchie…
Mentre era fermo in rifornimento era passato il postino che gli aveva affidato un mazzetto di buste indirizzate a suo padre, un paio di bollette, qualche pubblicità e cinque o sei multe per divieto di sosta.
Una delle buste non era stata ben chiusa ed aveva intravisto un indirizzo di Las Vegas. Un altro! Alè!
Le aveva infilate nel portaoggetti quindi si era voltato verso est, parcheggiando di fianco all’Alien Diner.
Entrato nel locale, vuoto per il giorno di chiusura, aveva richiamato Wendy dalla cucina.
“Senti…ti và una gitarella?”
“Che vuoi dire, Kurt?”
“Ho la Jaguar e non mi va di guidare da solo. Pensavo che se volevi potevi accompagnarmi fino ad Ash Springs e Alamo.”
“Kurt…”
“A-ha?”
“L’hai già presa la patente o è una scusa per non farti arrestare?”
A quel punto aveva sfilato dal portafoglio il tanto paventato tesserino svolazzandolo davanti al naso della ragazza con un certo divertimento.
“Esibizionista…”
“Solo perché sono riuscito a prenderla al primo colpo?”
“Non girare il coltello nella piaga!”
“Andiamo dai che abbiamo un’ora d’asfalto…”
L’ora divenne solamente più quaranta minuti grazie al fatto che – per quanto tenesse il piede leggero – la macchina non mollava nonostante tutta la ginnastica che aveva fatto la notte prima.
Mentre tornavano indietro da Alamo dove avevano visitato lui un giornalaio fornitissimo di fumetti e lei la libreria per nuovi libri scolastici, Wen aveva fatto breccia nel discorso che non avrebbe mai voluto toccare almeno per un altro millennio.
“K, come mai tuo padre ti ha lasciato l’auto?”
“Probabilmente si è reso conto che avevo bisogno di un po’ d’aria.”
La ragazza l’aveva osservato con un’espressione confusa.
“Senti, Wen-”
“So che non hai voglia di parlarne Kurt ma tenerti tutto dentro non è sano. Ci sono cose che non puoi perdonargli ma devi imparare a lasciarle andare.”
Aveva stretto le mani sul volante al punto che gli facevano male.
“Non sono proprio il tipo da lasciare correre certe sue prese di posizione.”
Gli aveva lanciato uno sguardo a metà tra il preoccupato ed il comprensivo ma non aveva più detto nulla.
Kurt sapeva che Wendy non aveva intenzioni cattive ma iniziava già ad averne piene le tasche di quelle due settimane scarse, figurarsi del resto del mese…
Quindi si erano fermati al minimarket di Alamo per le cose essenziali ed in mezz’oretta Kurt aveva lasciato Wen davanti al diner con un sorriso e la promessa che sarebbe tornato almeno una volta a cenare prima di andare via.
Il sole batteva sulla sua nuca come un martello, lontano era il fresco del giorno precedente ed il ragazzo si affrettò ad chiudersi in casa.

~

“Signora Michelle!!! Non c’era bisogno ci avrei pensato io!”
Quel weekend sembrava non dovesse finire mai…
Avevo passato la Domenica un po’ a leggere l’ultimo thriller su cui avevo messo le mani ed un po’ a fare i pochi lavori di casa che avevo trovato in giro.
Avevo un volo per San Diego quel pomeriggio ed Alice m’aveva sgamata in procinto di lavare i piatti a mano nel lavabo della cucina, ancora in pigiama.
Con un frullio quasi scocciato si era liberata della borsa di rete nel quale aveva comprato delle verdure e della frutta per il pranzo e m’aveva scacciata via.
“Vada a farsi una doccia e domi quella paglietta che ha sulla testa!!! Ha un volo tra meno di tre ore e scommetto che non si è ancora preparata la valigia!”
“Sì, capo.”
Alice è una forza organizzata…se non ci fosse lei la mia vita sarebbe un casino infernale! <3
[…]
Tre quarti d’ora dopo ero presentabile in un bel vestito di lino grigio piombo ed un paio di ballerine mentre gustavo un’insalata di lattuga, pomodorini, mais, olive ed altre verdurine con un enorme bicchiere di spremuta d’arancia.
Alice annuiva e mi guardava con fare benevolo.
“Ha parlato con Kurt, signora?”
Corrucciò la fronte, addentando una carotina “Mi ha telefonato due giorni fa…mi sembrava un po’ strano.”
“Qualsiasi persona impazzirebbe con il padre che si ritrova.”
Abbassai gli occhi sulla ciotola, era inutile commentare…
Alice aveva avuto una reazione scontata nei confronti di Linds fin dall’inizio.
Soprattutto quando aveva scoperto che il topo ci aveva lasciato e non era quasi più tornato a San Francisco dal momento in cui il mio pancione aveva iniziato a concretizzarsi.
Avevo provato a spiegarle la situazione ma la sua visione era talmente netta che non prevedeva scala di grigi tra il bianco ed il nero.
A volte mi ritrovavo a pensare che forse ero stata troppo buona, troppo facile da manipolare…altre sapevo che la verità stava nel mezzo, che un giorno avevo pronunciato parole spietate.
Non avevo combattuto come lui non aveva provato a rimanere.
In comune almeno avevamo qualcosa.

And people just untie themselves
Uncurling lifelines
But still you stumble, feet give way
Outside the world seems a violent place
But you had to have him, and so you did
Some things you let go in order to live
While all around you, the buildings sway
You sing it out loud, "Who made us this way?"
Florence and the Machine ~ Various storms & saints

~~~

Canzoni del capitolo:
- Marylin Manson ~ Are you the rabbit?;
- Eastern Conference Champions ~ A million miles an hour;
- Florence and the Machine ~ Various storms & saints.

Le note di questo capitolo sono:
- Il tremore essenziale benigno è una forma di tremore che si sviluppa naturalmente nel 5-6% della popolazione sopra i 40 anni d'età. Viene teorizzato che possa essere causa di una particolare predisposizione genetica e si manifesta come disturbo alla voce, al capo ed ai movimenti della parte superiore del corpo.
Per darvi un quadro di quello di Linds lui non è predisposto, se l'è fatto venire. Sul come e sul perché ci ritorneremo più avanti ma immaginate bene se pensate alle sostanze della 'valigetta delle meraviglie';
- Le 190 miglia orarie sono i nostri 300 km/h abbondanti, proprio come la Formula 1;
- L'indirizzo di Claudia Creane è stato creato ad hoc, stessa cosa vale per il personaggio!

OMG sono in anticipo rispetto all'aggiornamento mensile...paura!xD
Nah, più che altro ho passato una settimana molto frenetica più una buona dose di insonnia che rende le mie nottate diciamo interessanti...;)
Sono leggermente avanti nello scrivere ed oggi sono in 'ferie' quindi eccovi un nuovo capitolino...occhio che tra poco ci sarà suspence!
Non dite che non vi avevo avvertito ed allacciate le cinture! xD Passate una buona settimana!!!
Hermes

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Capitolo 8
*** 8 ***


You don't make a sound
You keep it all inside
One day it's gonna come flooding out
Everybody needs somebody to hurt it seems
Caught in the middle of life
It's just a riddle full of bad dreams
Richard Ashcroft ~ Everybody needs somebody to hurt

Si era ricordato della posta solo alcune ore dopo essere tornato al villino.
Aveva di nuovo messo gli occhi su quella lettera mal chiusa ed era stato più forte di lui.
O la busta si era aperta da sola a causa della colla scadente.
Fatto rimaneva che il contenuto non era niente di fabulous
Era una multa per divieto di sosta non pagata di un mese prima.
L’indirizzo non gli diceva un bel nulla ma una veloce ricerca su internet lo fece fermare e pensare.
Ho iniziato a ficcanasare? A questo punto sono all in!
Dieci minuti dopo le sei multe per divieto di sosta stavano aperte in fila sul tavolino.
Kurt le fissava con un che d’incredulo.
Tutte prese in periferia di LV, sempre verso sera ma non hanno mai tentato di portargli via l’auto, in più…
Sullo schermo del Mac si rifletteva Google Maps, una mappa di Las Vegas ed alcuni puntini posizionati agli indirizzi delle multe.
I vari indirizzi erano gli stessi o quasi di vari nightclub.
Fortuna o coincidenza? Si accettano scommesse!
Che ci andava a fare suo padre là?
Perché in alcuni casi i nomi di quei locali gli risultavano stranamente familiari, pure a lui?
Possibile che…nah, non ci credo…quei miei ricordi sono solo fantasie imbecilli di un moccioso.
A quel punto – in mancanza di altri dati sensibili – aveva deciso di mettere in pausa quel progettino da detective e beccare con Skype Edward su alla British Columbia prima che il San Bernardo se ne scappasse a qualche convention nerdista.
Lagden aveva una battaglia a scacchi da vincere e Fremount era spacciato.

~

Your face was somber
You paced around like you'd been waiting,
Waiting for something
Your world was burning
And I stood watching
Lana Del Rey ~ Big eyes

“Hiya Honey!”
Sì, ciao. Ciao e non tornare almeno fino a Settembre.
Quei pomeriggi passati con la compagnia delle ragazze Cheerleader le toccavano almeno due volte alla settimana, purtroppo.
Vuoi diventare vice capo squadra Betty? Ingoia il vomito e tieni le orecchie ed gli occhi bene aperti!
In sé e per sé il cheerleading era uno sport duro: oltre la prestanza da ginnasta bisognava avere una roccia al posto del cuore e dei riflessi micidiali.
Lei fortunatamente era rimasta indenne da incidenti fino a quel momento ma sapeva che il gruppetto del quarto anno dietro i loro sorrisi zuccherini e le moine aspettavano solo il momento di farla precipitare a terra e – se possibile – romperle qualcosa di debilitante a vita.
Il duro mondo dell’ambizione…ah!
Se doveva essere sincera negli ultimi giorni aveva messo a punto un piano perfetto per metterle alla sbarra, complice il fatto che ce l’aveva a morte con Lagden.
Sì, Lagden.
Dopo quella videochiamata su Skype non era più riuscita a trovarlo in alcun modo.
Sembrava sparito dalla faccia della terra ed aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa sotto oltre i – a lei già noti – piani per Luglio.
Qualcosa di nuovo, qualcosa che il ragazzo non attendeva o sul quale è capitato per caso.
Fatto stava che Kurt - normalmente così calmo – era capace di reazioni estreme, a volte pericolose e non era tipo da starsene con le mani in mano quando c’era da agire.
Almeno, se proprio non poteva essergli d’aiuto sul posto, avrebbe voluto poterlo ascoltare…magari anche calmarlo un po’ prima che facesse più danni!
Rimaneva che, di tutta la gente che girava attorno a Kurt, era quasi sicura di saperne di più dei suoi problemi: era di una privacy assoluta.
Lei non aveva mai conosciuto la mamma di lui o qualche altro parente per il semplice fatto che – il paio di volte che avevano fatto un salto a casa sua per qualche ora di studio – l’unica persona presente era una colf di mezz’età con il pallino per i beveroni caraibici.
Sapeva che andava fino nel deserto a causa di suo padre ma non come si chiamasse o di cosa si occupasse e – da quel poco che era sfuggito dalle labbra di Kurt – era ovvio che fosse persona non grata.
Lizzie era finita a bordo della piscina ora completamente deserta ma un disastro completo a causa della reunion appena conclusasi e si era seduta su uno dei lettini, Rock appollaiato su quello a fianco le lanciò un’occhiata annoiata prima di riappisolarsi.
Avrebbe dovuto occuparsi di qualche essay ma l’unica cosa che desiderava fare era fissare l’acqua, in quel momento di un blu terso, fino a quando non avrebbe visto sulla sua superficie le prime stelle della sera.
Godersi il silenzio con le cicale, l’aria calda ed immobile intorno ai fiori del paradiso e le palme.
Se ci pensava avrebbe potuto fare una puntata da sua cugina Simone a Hollywood, un weekend distensivo ed un po’ di sano shopping erano sempre capaci di metterla di buonumore!!!
Deciso!

As I looked down
The flames grew high
You watched me frown
I said good-bye
Lana Del Rey ~ Big eyes

~

“Per oggi abbiamo finito, procedete con le vostre ricerche come stabilito. Nella prossima riunione mi aspetto un debriefing sulle vie per potenziare una forma di vita sintetica in modo che sia geneticamente abile a sopravvivere alle temperature estreme, un miglior sistema di screening per i nostri esperimenti di laboratorio e nuove idee per far avanzare più rapidamente le nostre ricerche sulle nostre strutture hitman contro il cancro. Se avete idee che non possono aspettare la porta del mio ufficio è sempre aperta. Buon lavoro a tutti.”
La sala riunioni si pervase da un basso mormorio mentre i genetisti si alzavano dal lungo tavolo ovale e, discutendo si avviavano ai vari dipartimenti del Venter Institute of Research.
Stava ancora riordinando i suoi appunti quando sentii la voce di John a pochi passi da me.
“Michelle, so che siamo in pausa pranzo ma ti dispiace venire un momento nel mio ufficio?”
“Arrivo, Dottor Venter.”
L’uomo mi aveva sorriso scuotendo la testa e si era allontanato, accettando una tazza di caffè che uno della sua squadra personale gli porgeva.
Capo supremo mi cerca…che sarà successo?
Avevo lasciato tutta la documentazione sulla mia scrivania poi ero tornata due piani più sopra, scambiando qualche parola con la segretaria personale di Venter mentre lui si sbrigava con qualche telefonata importante.
Alcuni minuti dopo John in persona mi aveva fatto accomodare nell’angolo informale del suo ufficio dove sul tavolino era stato preparato uno spuntino degno di una colazione fra Primi Ministri.
Avevo aggirato le ostriche, la carne ed i dessert ma mi ero servita una piccola ciotola di insalata di frutta con noci, ananas, melone e papaya.
“Voleva vedermi, Dottor Venter?”
L’uomo sorrise fra la barba, gli occhi chiari che brillavano.
“Quante volte dovrò ancora ripeterti di chiamarmi John, Michelle?”
“Ancora, probabilmente.” sorrisi, masticando un piccolo pezzo di ananas.
Ogni volta che mi trovo al suo cospetto rimango totalmente abbagliata.
Nel corso della sua carriera aveva sconvolto la genetica con scoperte e dimostrazioni che sarebbero entrate nella storia umana.
Sarebbe stato difficile crederlo quando, da ragazzo, non gli interessava la scuola e preferiva andare a pescare o fare surf.
Solo qualche anno fa ha ricevuto il Dickson Prize per la medicina e tenuto un discorso per il terzo anno di fila al Congress for Future Medical Leaders.
Era un genio mondiale ed un’ispirazione, prediligeva l’open workplace ed il dialogo sopra ogni gerarchia lavorativa e più di una volta nel corso di questi quattordici anni era rimasto con noi in laboratorio a bruciare l’olio delle ore piccole su qualche struttura di rilievo che non voleva saperne.
Eravamo una squadra e poter lavorare per e con lui è un onore.
“In tutti gli anni che hai passato in questo laboratorio hai sempre lavorato con grande passione, Michelle.”
“Grazie.” quell’inizio di discorso m’incuriosiva e lasciai la forchetta nella ciotola.
“Sei uno dei ricercatori più agili in pensiero e hai una completa dedizione ai tuoi progetti di ricerca ma…”
Si era fermato, fissandomi mentre il sorriso perdeva smalto.
Adesso inizio a preoccuparmi.
“Le mie teorie sul Synt 3.0 non sono compatibili?” azzardai cercando di frenare la mia ansia per il fallimento fuori dal tono di voce.
Venter ridacchiò, scuotendo la testa con calma “Il tuo lavoro è perfetto, Michelle. Questa conversazione è puramente informale.”
Oh no, di male in peggio…
Poso la ciotola sul tavolino, mi è passata la fame.
“Sono venuto a sapere che negli ultimi tre anni non hai più preso un giorno di ferie.”
“A dire il vero…”
“Le trasferte per conto dell’azienda non contano.”
Ahi…ha usato il tono da boss.
“Ho sempre cercato di sostenere i miei ricercatori, Michelle e so che a metà settimana partirai per il Congresso a New York insieme a Wastings e Martin.” si era alzato dalla poltrona per versarsi della limonata ed affrontarmi “Vorrei solo che prestassi più attenzione alla tua vita ed alla tua famiglia.”
“Non sta cercando di sbarazzarsi di me quindi?” replico allegramente ma rassegnata.
Totally!” sta al gioco con un sorrisone poi torna serio “So che tuo figlio ormai è alla fine del liceo e, per esperienza personale, che il lavoro non è importante quanto i nostri figli. Passa del tempo con i tuoi affetti, Michelle.”
“Kurt è in Nevada.”
Venter corrugò la fronte per un attimo prima di capire ed sorridere a squalo “Perfetto. Passerai la seconda metà della settimana in trasferta poi immagino che San Francisco sia splendida a fine Giugno!”
Accidenti, mi toccano le ferie coatte!!!
Era inutile cercare di resistere quando la partita era persa quindi lasciai cadere la questione e finimmo di pranzare serenamente.
Alla fin fine – mi rassegnavo – non sarebbe stato male fermarsi un po’, magari trovarsi con qualche vecchio amico o con Hugo…
Di certo non sarei partita per Rachel.
Una volta mi era bastata ed avanzata.

~

La sua buona volontà non era bastata.
Si era rimesso a studiare ma – alla fine – la curiosità aveva preso il sopravvento sul suo buonsenso.
Aveva mandato una mail giù a Jimmy nel Lambda Dep tramite la rete unificata della base sul cosa doveva fare con le multe senza dire come le aveva avute.
Vediamo se tira fuori la coda di paglia.
Mezz’ora dopo gli era arrivato di risposta un laconico messaggino sul cellulare con in allegato gli estremi di una delle carte di credito del vecchio ed la richiesta scocciata di pensarci da solo.
Che gratitudine!!!
Quindi aveva proceduto sul sito apposito e si era fumato una cicca del pacchetto che teneva nello zainetto per le emergenze funeste.
Fatto quello era passato al piano B.
Aveva preso le due forcine di sua madre che teneva appuntate all’astuccio ed aveva scassinato senza molta fatica la porta della camera del padre.
Un’oretta dentro quel ricettacolo di polvere e carta aveva riesumato una cartellina nascosta fra il telaio del letto ed il muro. I documenti dentro risalivano ad una decina d’anni prima e facevano parte di un dossier medico incompleto.
Adesso era così curioso che sarebbe andato a fondo di quella storia a tutti i costi.
A quel punto vigeva a grandi lettere il Piano C: chiamare Lizard perché gli facesse da esca.
Quando gli fu chiaro che la ragazza non c’era arrivò il momento del Plan D…
Aveva telefonato di persona alla cara Dottoressa Claudia Creane con l’adrenalina che gli scorreva nel sangue come una droga.

~ Al tramonto del giorno dopo…

Too stressed to eat, too tired to sleep
Alien to all you meet
Richard Ashcroft ~ Running away

Aveva lavorato settantadue ore filate.
Almeno così diceva l’orologio dipendenti del Lambda Dep.
Non uno dei miei record migliori.
Aveva deciso per una pausa, preso l’ascensore con due reclute che occhieggiarono con curiosità il suo pass appuntato al camice.
Solo quando arrivò in superficie si rese conto del tramonto e che era sprovvisto di mezzo motorizzato.
Fuck me…
A quel punto era finito nella mensa per un boccone ed elemosinare un passaggio da uno dei dipendenti non di stanza nella caserma.
Prima che fossero sulla strada per Rachel la luce era sparita completamente e la temperatura scesa.
Non si sentiva particolarmente chiacchierone quella sera ed aveva tuned out la conversazione fra marito e moglie dai sedili davanti.
Eppure sentiva la sua voce…
“Non ti ho chiesto di cambiare! Non ti ho chiesto di sparire!”
Non riusciva a togliersela dalle orecchie complice il fatto che aveva come un presentimento.
E lui nelle ‘percezioni’ non ci aveva mai creduto.
Forse stava invecchiando.
[…]
Dopo quaranta minuti di pura noia era uscito quasi a gambe levate dall’auto per trovarsi davanti Kurt seduto di fronte la portafinestra del villino su una vecchia sdraio stinta che leggeva qualche comic al lume di una lanterna da campeggio ed la scia di una sigaretta mezza consumata.
Quando l’odore del fumo gli colpì le narici Linds arricciò il naso di cattivo umore “Non sapevo fossi in cerca di un cancro ai polmoni.”
“Non sento il desiderio di suicidarmi a differenza di qualcun altro.” aveva commentato Kurt, girando una pagina del fumetto, non aveva nemmeno alzato gli occhi.
Michelle.
L’uomo scosse la testa, stizzito ma rimangiandosi le parole che stavano per fuoriuscire “Qualche novità? Hai sentito tua madre?”
Occhi neri, acidi come il vetriolo, si alzarono a fissarlo.
~
“Mamma? Mamma sta benissimo, è felice.” si era passato le mani nei capelli neri con un gesto distratto per poi tornare a leggere, tirando una boccata e scuotendo la cenere “Esce, si diverte ed ha relazioni extrapersonali. Attualmente sta uscendo con un tipo niente male.”
Kurt sei fantastico, quando ti ci metti!!!
Silenzio.
Linds entrò dentro, per fermarsi a guardare la tv e per farsi una doccia ma non gli aveva più rivolto la parola per tutta la serata. Apparentemente intoccato dall’argomento.
Kurt invece aveva passato il tempo fuori, seduto su una delle sdraio a sbollire il nervoso e fumare.
C’è l’aveva con suo padre, con il coraggio che aveva a fare domande dopo tutti quegli anni e dopo non essersi mai interessato, emotivamente parlando.
C’è l’aveva con Creane perché non ci aveva ricavato niente.
Quella donna era brava a fare il suo lavoro e – parole testuali – ‘Le consiglio Kurt, di provare ad essere più ricettivo nei confronti di suo padre. Si confronti con lui invece di cercare carcasse e fango.’
Quelle parole gli bruciavano, non erano del tutto vere!
Kurt lo sapeva, se rimaneva alcune settimane nel deserto con Linds, era solo per fare un piacere a sua madre.
Non traeva nulla da quell’esperienza se non aumentare la voglia di spaccargli la faccia.
Un giorno o l’altro sarebbe successo, ormai era solo questione di tempo.

Don't drink me I'm like turpentine
Make you blind, burn your insides
If I don't know me then I don't know you
Can't figure out what I'm supposed to do
[...]
There's a killer in me and a killer in you
A little talent but a lot would do
If I don't know me then I don't know you
I don't know why I do the things I do
Richard Ashcroft ~ Running away

~~~

Canzoni del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ Everybody needs somebody to hurt;
- Lana Del Rey ~ Big eyes;
- Richard Ashcroft ~ Running away.

Le note di questo capitolo sono:
- Edward Fremount è Ed/Eddie, il primogenito di Raphael Fremount. Maggiori informazioni sul San Bernardo le potete trovare nelle storie precedenti;
- La British Columbia University è una rete composta da due università pubbliche con sede in Canada;
- Il Dickson Prize è stato introdotto per la prima volta nel 1969 e viene consegnato annualmente dall'Università di Pittsburgh per riconoscere i cittadini americani che hanno fatto 'significanti e progressive scoperte' nella medicina e nella scienza. Il premio include una somma di 50.000 dollari, una medaglia ed il Discorso di accettazione. Ricevere un Dickson è quasi messo alla pari con un Premio Nobel o un Lasker Award;
- Il Congress for future medical leaders è una conferenza reale al quale possono solo partecipare solo alunni con un GPA di 3.5+ o più alto ed il desiderio di specializzarsi come medici o ricercatori;
- Il Synt 3.0 fa parte delle scoperte genetiche di questi ultimi anni (marzo 2016), in breve è il progetto di Venter di creare dal nulla ed in provetta una forma di vita con un genoma sintetico dal quale si eliminano tutti i geni non considerati vitali per soppravivere;
- Il vetriolo è un altro nome per l'acido solforico in soluzione acquosa concentrata maggiore del 90%. Per definizione è un acido minerale forte, liquido a temperatura ambiente, oleoso, incolore e inodore.

NOTA: UT torna ma il mio HIATUS rimane in vigore. Ho trovato un paio d'ore per betare ma nulla di più quindi portate pazienza, per favore.

Questo chappy era praticamente pronto ed pone le basi per il 'plot-twist' - nella mia testa si chiama gorgo muto LoL - che ruoterà la storia di 180 gradi.
Non faccio anticipazioni a parte che il prossimo capitolo è il più lungo di tutta UT con all'attivo 5018 parole non betate.
Cercherò di tirarlo fuori in tempi accettabili ma come già detto il mio hiatus continua fino a data da destinarsi...non ho orari e non trovo nemmeno il tempo per mettere in ordine la mia vita quotidiana, figurarsi quella dei miei personaggi...xD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio anche laboncry86 che ha recensito ASTTR! <3
Mi raccomando se avete tempo fatemi sapere cosa ne pensate! Non mordo! LoL

Vi auguro un buon inizio settimana ed una buona estate!
Notte & 'Derci!
Hermes

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Capitolo 9
*** 9 ***


Nota: Questo capitolo ha molti trigger fra i quali droga, comportamenti condannabili, prostituzione, violenza, vandalismo e qualche frase/minaccia poco educata. Io vi ho avvertiti e sapete a cosa andate in contro. Ci rivediamo nelle note in fondo.

Everything is energy and that's all there is to it.
Match the frequency of the reality you want
and you cannot help but get that reality.
It can be no other way.
This is not philosophy.
This is physics.
~ Albert Einstein

La notte nel deserto è cielo trapunto di stelle e silenzio.
Una luna bianca immobile che proietta ombre sulla terra slavata.
Il movimento sinuoso di qualche serpente che si nasconde fra le aloe.
Non di certo un telefono che suonava.
Erano appena le due di notte ed aveva quasi finito di leggere il suo fumetto tutto d’un fiato.
Le luci all’interno del villino si erano spente già da un po’, immaginava che il vecchio fosse nel mondo dei sogni a quel punto.
Il tono polifonico l’aveva fatto saltare sulla sdraio, prendendolo di sorpresa.
Non aveva fatto in tempo ad scostare la porta a vetri che il vecchio – in boxer – aveva risposto con tono perfettamente sveglio e presente nonostante si vedesse che si era appena svegliato.
Linds l’aveva sentito entrare mentre ascoltava l’altro capo del filo ma la sua espressione non tradì emozione.
“Calmati, Gin. Riparti da capo e dimmi cosa sta succedendo.”
Gin…?
Un momento dopo il vecchio si era voltato di scatto verso il corridoio con un’energia nervosa.
“Mi ha mentito quindi.”
Era entrato nella sua stanza accendendo la luce ed afferrando il primo paio di pantaloni disponibili.
“L’avevo avvertita delle controindicazioni con l’eroina, ad ogni modo sarò lì al massimo tra un’ora e mezza.”
Aveva chiuso la comunicazione e fatto partire un’altra telefonata.
“Jimmy vai dal comandante e fatti firmare un’autorizzazione per l’uso del tunnel in direzione North Las Vegas. No, non tra un quarto d’ora, io tra venti minuti ci entro dentro quindi alza le chiappe dal letto della tua fidanzatina ficcati le mutande e vai!”
Quindi aveva finito di vestirsi con gesti secchi, gli occhi cerchiati dalla stanchezza si erano fissati e messi a fuoco su di lui, ostili.
“Cosa c’è?!” aveva abbaiato.
Non so cosa diavolo stia succedendo ma…
“Vengo anch’io.”
Labbra sottili si curvarono in un sorriso quasi diabolico poi il vecchio sembrò cambiare idea e gli dette un ultimatum “Hai tre minuti Kurt, poi ti lascio qui.”
Centosessanta secondi dopo la Jaguar ringhiava ed Kurt si era lanciato di schianto nel sedile passeggero con in braccio il suo zainetto.
Il momento dopo erano in corsa, il momento di accelerazione l’aveva incollato al sedile.
“Che cos’è il ‘tunnel’?”
Linds sorrise nel buio dell’abitacolo “Adesso inizi ad incuriosirti eh? Mi dispiace ma il botteghino delle spiegazioni stasera ha chiuso prima, adesso ho delle telefonate da fare.”
Quindi aveva ricomposto un numero con il vivavoce dell’auto ritrovando Jimmy e dettandogli un paio di cose da caricare sulla Jaguar tra cui un additivo per il carburante ed alcune sostanze.
Sta a vedere che finiamo arrosto sottoterra!
Un quarto d’ora e Kurt riusciva già ad intravedere le luci della Base ma Linds eseguì una deviazione prendendo una nuova strada sterrata che, nel buio, sembrava andare dritta dritta contro il fianco di una montagna.
La Jaguar rallentò fino a fermarsi, nella completa confusione di Kurt.
Una specie di laser blu sembrò flashare l’auto prima che con un cigolio una paratia coperta di sabbia si sollevasse, lasciando intravedere una piattaforma di metallo mentre Linds manovrava per salire e spegnere l’auto.
Il momento che furono fermi iniziarono a scendere di colpo verso il basso a più di dieci metri al secondo, tanto da mettere a Kurt sottosopra lo stomaco.
Il padre nell’attesa si era portato in grembo la borsa di pelle da medico – anche conosciuta come la ‘valigia delle meraviglie’ – ed aveva iniziato a frugare nei scomparti interni tirando fuori un laccio emostatico, un kit per iniezioni completo di garze ed una boccetta dall’aria ospedaliera.
“Papà…?”
“Sono senza caffè Kurt, ho bisogno di un aiutino.” stava arrotolando la manica sinistra della camicia come se fosse un’abitudine assodata.
“Papà!”
“Credimi andare ai duecento l’ora in una galleria di cemento armato larga otto metri non è il massimo, se poi ti tremano le mani prega di non toccare o diventi sugo di carne. Stessa cosa accadrebbe se ti venisse torto un capello e tua madre lo venisse a sapere a conti fatti…”
Intanto il laccio aveva trovato il suo posto sopra l’incavo del gomito e Linds aveva aspirato un paio di millilitri dalla boccetta tenendo il tappo fra le labbra, quindi l’aveva girata al contrario e battuta con gli occhi strizzati per trovare bolle d’aria all’interno.
A quel punto Kurt aveva abbassato le palpebre, incapace di continuare a guardare.
L’unico indizio della malefatta: il respiro di suo padre che si distendeva e rallentava.
La sua risata rauca e rilassata dopo un po’.
“Kurt, smettila di fare quella faccia ed apri gli occhi che non mi sono trasformato in Mister Hyde, da bravo.”
Che avrebbe potuto dirgli?
“Perché ti tremano le mani?”
“Chi l’ha detto che mi tremano le mani?” aveva replicato suo padre, sbattendo le palpebre stupito e guardando le estremità ora perfettamente immobili.
“Papà…” giuro che adesso lo prendo, lo scuoto e-
“È una storia vecchia, Kurt. Non ha importanza e non c’è tempo adesso. Siamo quasi arrivati.”
Non gli sembrava che la piattaforma avesse diminuito la velocità in discesa ma il vecchio aveva ragione perché all’improvviso il ragazzo rimase abbagliato da dei neon riflessi sul cofano bianco dell’auto.
Quando Kurt ritrovò la vista la macchina aveva concluso la sua discesa in una grossa camera sotterranea apparentemente rotonda dal quale si diramavano tre grandi gallerie.
Il colore principale era il grigio del cemento, l’assenza di altre vie di fuga o condotti d’areazione gli stava dando una sensazione di claustrofobia.
Il finestrino dalla parte del guidatore si era abbassato e suo padre aveva fatto un segno di saluto ad tre uomini in attesa davanti delle porte basculanti.
Doc!
“Ciao Jim, bello vero il sole che spacca le pietre qua sotto, eh?”
Cretino!
Ad una prima stima l’aria di quel posto non poteva essere sopra i cinque gradi centigradi, la pelle delle sue braccia era cosparsa di pelle d’oca.
“Dottor Lagden, il comandante mi ha pregato di dirle che questa via di trasporto è ad esclusivo uso militare e mi ha assicurato che la prossima volta che la incontra le farà lo scalpo!”
“Addirittura…come se fosse un punto di aggregazione, andiamo!”
La pompa mobile del carburante vibrava piano pompando dentro il serbatoio dell’auto e bloccando il flusso qualche momento dopo.
We’re off, Jimmy. Ciao!
Kurt sperava solamente di uscire vivo da lì prima o poi.

I know you can buy it in bottles, and
I know you may find it with pills
I know it all so very well

Stuck in this life where nothing changes
I'm born of man, I'm born of ages
Richard Ashcroft ~ Buy it in bottles

Era stato un viaggio senza tempo di cui non si sarebbe ricordato molto.
La galleria si snodava dritta ed uguale come una di quelle figure impossibili che sfruttano le limitazioni dell’occhio umano.
Un’illusione che magari suo padre non percepiva con le tossine che aveva in corpo.
Non voglio saperne niente ma sono curioso…proprio come un soffio del demonio dritto nell’orecchio.
Ma chi sono i demoni se non curiosità? Tarli che ci rodono?

Chissà se la mamma aveva avuto a che fare con suo padre in una situazione simile?
“Kurt che ore sono?”
La domanda un po’ rauca l’aveva preso alla sprovvista ed aveva recuperato il telefono dai jeans.
“Sono quasi le tr-”
“Perfetto, siamo arrivati.” Linds l’aveva interrotto e la Jaguar rallentò fino a raggiungere una stanza alta come quella dalla quale erano partiti.
Non c’era nessuno ad aspettarli ma Kurt venne di nuovo abbagliato da una sorta di flash che attraversò l’auto prima che un motore elettrico si mettesse in moto ed alzasse la piattaforma stavolta verso la superficie.
L’ascesa gli sembrò molto più lunga ma infine rividero le stelle, sbiadite dalle luci artificiali di Las Vegas.
Meno di quaranta minuti d’auto…se lo raccontassi in giro non ci crederebbe nessuno.
Suo padre aveva abbassato il finestrino per firmare una tavoletta con sopra pinzato un foglio dall’aria amministrativa che gli tendeva un ufficiale della base prima di salutarlo e far muovere l’auto verso il cancello d’uscita, ad un chilometro di distanza.
“Non abbiamo tempo di fare un giro sulla Strip, Kurt. Vero che non ti dispiace?”
“Perché siamo venuti qui?”
“Una delle showgirls – come le chiami tu – ha deciso di non ascoltarmi.”
Eh?!
Intanto la Jaguar scivolava abilmente nelle corsie della city come su un binario, con una guida fluida e mai ferma.
Kurt aveva smesso di mandare a mente le svolte già da un pezzo ma si era accorto che man a mano che avanzavano il vecchio stava lasciando la LV turistica e battuta per una città conosciuta solo da chi ci sopravviveva.
Vecchie insegne di neon blu, rosa e rossi che dipingevano figure di donne in pose intermittenti, negozi di liquori con grate alle vetrine, pawn shops, 24-hours Laundromats e palazzi che non riflettevano i soldi dei casinò ma la patina oleosa della ludopatia; lo specchio frantumato di una vincita che non sarebbe mai avvenuta.
Dove si era cacciato?
Perché cavolo aveva avuto la bella idea di lasciare il deserto?!

Quando si erano finalmente fermati il vecchio aveva parcheggiato la Jaguar accanto ad un cassone dell’immondizia stracolmo in una stretta via secondaria fra due edifici.
La zaffata di urina e cibo andato a male che gli colpì il naso per poco gli fece venire i conati.
Suo padre sembrava assente, aveva recuperato la valigia e raggiunto una porta di metallo una decina di metri più in là coperta da graffiti e stickers aprendola con una lieve spinta che fece scattare la serratura difettosa.
“Kurt, fammi il favore di non farti notare da bravo, ok?”
Aveva cercato di ribattere ma Linds aveva scosso la testa e si era avviato silenzioso per il corridoio mal illuminato e sporco.
La qualità dell’aria non era migliorata: sudore, alcool e profumo scadente.
Erano entrati in una stanza piena di rastrelliere di vestiti di scena che lasciavano davvero poco all’immaginazione.
Linds navigò fino in fondo aprendo un’altra porta che dava direttamente in un camerino striminzito dove c’erano cinque donne del quale era difficile stimare l’età a causa del trucco pesante e dagli abiti indecenti.
Doc, te la sei presa comoda, vedo.”
“Allora?”
Una di loro, una donna statuaria dai lunghi capelli neri e pelle bianchissima, mosse di scatto la testa verso la porta “Sta ballando, il suo numero finisce tra cinque minuti.”
“Non potevate sostituirla? La sua pressione sanguigna non mi sarà d’aiuto.”
“No, stasera abbiamo visite.”
“Visite as in?”
Di risposta la bionda del gruppo alzò un sopracciglio pesantemente marcato “Ci sono tutti, e per tutti intendo tutti, Doc.”
Merde.
“Esatto Doc, sono felice che tu abbia compreso la situazione…”
Kurt aveva ascoltato quello scambio quasi sperando nell’incubo da indigestione quando sapeva che invece…
I suoi ricordi prendevano nuova dimensione, non erano solo fantasie ma immagini di un passato reale.
Un pomeriggio estivo dal cielo di un azzurro perfetto e l’odore dell’asfalto appena colato; lui seduto al tavolino di una gelateria anni ’50 azzurra e bianca, il vinile del booth bucherellato e di fronte una ragazza giovane ed abbronzatissima col quale stava dividendo un sundae mal zuccherato artificialmente.
Non aveva mai saputo il suo nome ma se la ricordava come se l’avesse appena salutata: bella e perfetta.
Una bellezza incrinata ed una perfezione triste.

They call me firecracker,
'Cause I sparkle, sparkle.
But they call me sunshine,
In the dark I glow like,
Neon gold, neon gold.
On the dance floor, dance floor,
I'm your midnight answer.
Lana Del Rey ~ Midnight dancer girlfriend

Attesero ancora una manciata di minuti prima che la porta del camerino si aprisse ed entrassero due altre ragazze, una bionda e l’altra rosa shocking con quello che sembrava almeno mezzo chilo di piercings solo sul volto.
La metallara entrò imprecò fra i denti, trascinando la sua compagna su una divanetta demolita accanto alla porta.
Infilò una mano nei capelli quasi color porpora e giocò nervosamente con uno dei piercing che le passava attraverso il labbro inferiore.
Doc, ce ne siamo accorte troppo tardi.”
“Ciò che le avevo dato fa passare l’astinenza. Chi gliel’ha passata la roba, Meg?” il vecchio aveva recuperato una sedia e si era seduto accanto alla ragazza iniziando a controllarle le pupille sotto le palpebre “È completamente fatta, come è stata su fino adesso?”
“Deve averla accettata da qualcuno del pubblico e si è scolata vodka in shot e whiskey mentre non era in scena. Ho provato a non servirla ma dava in escandescenze e con la gente che c’è di là…” la rockettara scosse la testa, lanciando un’occhiata alla porta dal quale era entrata, il gesto non sfuggì a Linds.
“Vai, Meg. Anzi, andate tutte prima che si rendano conto che c’è qualcosa che non và.” suo padre aveva premuto due dita al polso della ragazza bionda con gli occhi sul proprio orologio da polso ed una smorfia ad arricciargli il naso.
“Grazie, Doc.”
Cinque di loro sfilarono via mentre la più anziana rimase a braccia conserte contro uno dei banconi per il trucco, tenendo una sigaretta fra le dita perfettamente curate complete di artigli laccati di rosso corallo.
“È messa male, vero?”
“Molto male.”
“C’è qualche speranza?”
Il vecchio aveva alzato un labbro alla ragazza, passando sulla gengiva il proprio pollice per poi infilarselo in bocca e fissare il muro prima di rispondere.
“Ha preso una dose pesante. Se ho fortuna posso tentare di stabilizzarla con qualche tranquillante, ma ci vuole una lavanda gastrica per l’alcool e delle cure ospedaliere per l’intossicazione.”
La donna rise amaramente “Non ha i soldi per una disintossicazione, Doctor.”
“Se vuoi vederla vivere oltre domani Gin, ci vuole un ambulanza.”
Kurt aveva osservato quella conversazione con stupore, muto come un topolino, mentre il silenzio fra i due si allungava.
Alla fine la donna scosse la testa, spegnendo il mozzicone in un posacenere lì accanto.
“Una stupida ragazzina…non mi accollerò le sue spese mediche.”
“Certo che no.”
“Ti occuperai della clinica per la disintossicazione?”
“A questo punto non ci sono alternative.”
“Chiamo il 911.”
“Dammi dieci minuti e sparisco.”
“Affare fatto.”
Quindi il vecchio era entrato in God Mode, alieno alla realtà che lo circondava.
Aveva ripetuto una operazione simile a quella prima di partire, controllando l’iniezione aiutandosi auscultando il polso della ragazza che sembrava una marionetta a grandezza naturale al quale avevano tolto i fili, una bambola con un pallore mortale.

You got that medicine I need
Dope, shoot it up, straight to the heart please
I don't really wanna know what's good for me
God's dead, I said 'baby that's alright with me'
Lana Del Rey ~ Gods & Monsters

“Perché papà?”
A quel punto, Kurt aveva ritrovato la propria voce, un senso di malessere e inquietudine che gli faceva salire la nausea.
Lo scoprire che la verità si nasconde nell’angolo buio che non hai preso in considerazione mentre, nel frattempo, hai adorato senza sosta un idolo falso.
Quelle due parole erano quasi rimbombate nella stanza vuota se non per loro.
Il vecchio sembrava non averlo sentito, ancora preso a somministrare i suoi intrugli per poi inclinare il capo nella sua direzione.
“Perché no?”
Rispondi, maledizione!
Era pronto per replicare focoso quando la ragazzina dette segni di vita ma non come suo padre aveva sperato.
Aveva inspirato poi un rantolo e dopo – alla vista di Linds - urlò, acuta ed isterica.
“No, nonononononoonooo! I want to die!
Suo padre aveva smorzato il volume mettendole una mano sulla bocca.
“Mi dispiace per te cara, ma se mi chiedi aiuto non è una prova, è un impegno. Non lascio morire i miei pazienti. Adesso, dato che ci sono brutti musi nelle immediate vicinanze fammi il piacere di smetterla. Non ho voglia di altri guai.”
Fuck you!
“Capito tutto, eh…” Linds aveva alzato lo sguardo in giro, in cerca di qualcosa che aveva trovato appena dietro il figlio a quanto pare “Kurt mi porti quella sciarpa appesa lì? Sì? Mi serve come laccio emostatico.”
“Ce l’hai già un laccio emostatico.”
“Attualmente occupato…ho bisogno di tranquillizzarla no?”
Quindi – dato che logicamente aveva un senso – l’aveva accontentato.
Una cattiva idea.
“Papà!”
“Devo fermare l’emorragia di cretinate o ci rimettiamo le piume, son!” aveva appena finito di legare la striscia di stoffa come bavaglio tagliando di fatto il frastuono poi si era di nuovo occupato a somministrare altre sostanze.
“Sei sicuro che tutte queste…queste non le facciano male?” si vergognava di non trovare una definizione adeguata ma non aveva una minima idea con cosa stesse avendo a che fare.
Il vecchio rise amaro “Davvero Kurt, certe volte sei così ingenuo che mi fai pena. Mai sentito parlare di quel foglio di carta che chiamano laurea? Sappi che ufficialmente ne possiedo otto.”
Quel commento era stato mandato in porto con un sarcasmo tagliente e, inusualmente, cattivo.
Kurt rimase in silenzio, cercando una soluzione – un qualsiasi tipo di spiegazione – a quell’enigma pericoloso che era diventato suo padre.
He cut me down to size with an easygoingness like he couldn’t care less. Like he hates me…
Non aveva risposta ed il suo cervello stava girando a mille, come un criceto impazzito.
Linds invece era la calma fatta persona, aveva continuato i suoi trattamenti e la ragazza era tornata incosciente, come se stesse dormendo di un sonno salutare e senza preoccupazioni.
“Ho fatto tutto quello che potevo per te, Sugar.” mormorò l’uomo biondo, battendo affettuosamente la mano della ragazza “Ora la strada è in salita e devi percorrerla di tua iniziativa. Ci saranno persone che ti aiuteranno. Dai una possibilità alla vita, non è così brutale come sembra.”
Era rimasto muto ed immobile per una manciata di secondi poi aveva fatto su le sue cose metodico ed era scattato in piedi, come un altro uomo.
Quali strade ha percorso? Quali situazioni ha attraversato? Qual è la chiave di volta sotto alla sua pelle?
“Vieni Kurt. Dobbiamo uscire di qui il più in fretta possibile prima che-”
Una sirena l’aveva anticipato e Linds imprecò, muovendosi verso la porta dal quale erano entrati quasi a passo di corsa.
Non sapeva da cosa stavano scappando ma raggiunta la porta tagliafuoco che dava sulla strada secondaria Kurt seppe che era tardi – troppo tardi – per scappare.
Sull’asfalto della strada principale le luci blu e rosse di un’ambulanza si erano fermate davanti la porta d’ingresso del locale ma la visione era ostacolata in parte da una banda di uomini fra i vent’anni ed i cinquanta.
Stavano trucidando la carrozzeria della Jaguar.
“Ma guarda un po’ chi si rivede…il Signor mistero!” l’uomo che aveva parlato sembrava essere il capo di quel gruppo ed occhieggiò con curiosità Kurt.
“Una bella serata vero?” rispose Linds con un sorriso accomodante e disinvolto, riportando l’attenzione su di sé.
“Ottima, finché non mi sono trovato piedipiatti e crocerossine sulla soglia!” replicò l’uomo sulla stessa lunghezza d’onda ed un sorriso paterno “Dimmi Signor Mistero…cosa ci trovi a farti massacrare?”
“Sono un devoto di San Giuda.”
“Molto divertente.” il tono dell’uomo non aveva nulla di divertito “Ti ho già avvertito più di una volta di girare al largo e di non intrometterti negli affari di questo quartiere. A quanto pare hai una sordità selettiva o credi che fare il martire ti serva a qualcosa…”
Intanto alcuni dei suoi scagnozzi, seguita la conversazione, avevano accerchiato Linds.
Come un lampo di fulmine Kurt si rese conto che suo padre si era tolto gli occhiali ed aveva lasciato la valigetta accanto ai suoi piedi.
“Non mi hai mai tolto questa curiosità ma se il sadomasochismo ti fa così tanta gola non sarò io a togliere il divertimento ai miei ragazzi…”
Il momento prima Kurt aveva percepito cosa sarebbe successo, il momento dopo suo padre era stato afferrato per le spalle e colpito con un pugno al volto così forte da fargli girare la testa.
“Spero davvero che questa lezione vada a segno.”
Un altro cazzotto questa volta allo stomaco mentre il vecchio grugniva e si piegava, un altro di loro gli sferrava un calcio nel fianco.
A quel punto aveva smesso di stare a guardare.
Si era mosso di soppiatto, afferrando il polso di quello che teneva suo padre e torcendolo in un modo particolare, lo schiocco delle ossa del braccio suonò sordo e finale. L’uomo urlò.
“Ringrazia che non fosse l’osso del collo.” commentò Kurt gelido, intercettando uno dei suoi compagni e mandandolo a tappeto usando la sua forza mal distribuita.
Dentro stava ringraziando sua madre per avergli insegnato i principi del Jujitsu e le dieci lezioni di Judo che aveva preso a tredici anni, oltre a cagarsi leggermente addosso.
Erano almeno una decina ed lui era solo.
Subito dopo aveva visto il lampo metallico di un coltello a farfalla ai limiti della sua percezione visiva e si era scansato per un pelo, afferrando il braccio ed usandolo come leva per far sbattere con tutta la propria forza chi lo stava attaccando contro il muro.
L’uomo crollò a terra ed a Kurt rimase in mano il coltello, perdendosi un secondo di troppo a fissarlo.
“Sei bravo ragazzino.” la voce del capobanda era arrivata da lì vicino e lo prese di sorpresa.
Maledizione!
Aveva fatto per muoversi ma il rumore di un grilletto tirato l’aveva lasciato congelato mentre la pelle d’oca gli saliva sulla schiena sudata.
“Sei veramente bravo e mi dispiacerebbe mettere fine al tuo coraggio. Adesso, da persona educata, ti volti e mi dai il giocattolo od il tuo cervello sarà l’ultima opera d’arte dipinta su questo muro.”
Aveva inghiottito la saliva e aveva obbedito, girandosi lentamente e tendendo l’arma bianca, la canna della pistola a pochi centimetri dal naso.
“Davvero un bravo bambino.” il commento aveva provocato delle risa ed l’uomo si era voltato verso suo padre che osservava la scena appoggiato al muro, un braccio tenuto sullo stomaco e del sangue che aveva preso a colargli dal naso, un occhio che si stava gonfiando.
“Oggi ti è andata bene e di questo devi ringraziare il coraggio del ragazzino. Fatti vedere da queste parti ancora una volta e sei un uomo morto, Signor Mistero.”
Aveva abbassato la pistola e fatto un cenno e la banda aveva recuperato i due uomini a terra e si era ritirata dall’altra uscita del vicolo.
Silenzio mentre padre e figlio si fissavano.
“Hai l’abitudine di mischiarti alle risse, Kurt?”
“Ti piace farti picchiare, papà?”
Le labbra di Linds guizzarono un momento prima di scuotere la testa ed avvicinarsi lentamente alla macchina.
Kurt lo seguì con lo sguardo, dubbioso che la vettura sarebbe ancora partita.
Avevano incrinato il vetro davanti in tre punti differenti senza riuscire a bucarlo ed i fianchi posteriori erano stati tranciati probabilmente nel tentativo di danneggiare il motore. Per fortuna i pneumatici non li avevano toccati.
“Sono proprio dei vandali…il motore è davanti!” commentò Linds rassegnato ed facendo scattare l’apertura centralizzata “Meno male che ho la casko!”
“Papà…”
“Fammi il piacere Kurt. Sali.”
“…”
“Kurt, hai mandato in porto il fatto che qui sei come un pesce fuor d’acqua, adesso piantala e torniamo nel mondo civile!”
Pure la ramanzina?! E la fa a me?!
Quanto sarebbe ancora durata quella notte?

~ mezz’ora dopo
La macchina era partita altroché.
La carrozzeria scricchiolava un po’ ed un fanale sfarfallava on/off a causa delle vibrazioni ma la Jaguar era scattante come sempre e suo padre la guidava senza occhiali, come se non avesse un occhio nero.
Si erano lasciati indietro la periferia e se Kurt aveva sperato in un ospedale, almeno per la salute del vecchio, era rimasto amaramente deluso.
Linds aveva esclamato a gran voce di avere una fame del boia ed aveva parcheggiato davanti un IHOP, completamente sordo ai suoi tentativi di farlo visitare da dei professionisti.
No, Kurt non si era mai sentito così stupido.
Seduto in quell’anonimo locale di Las Vegas.
Suo padre dall’altra parte del tavolino con l’occhio che si stava gonfiando ancora, annerendosi sempre di più.
Alcune tracce di sangue sotto il naso e sul colletto della camicia inamidata che portava arrotolata ai gomiti.
Il vecchio non aveva ordinato nulla se non caffè e la cameriera era tornata con un sacchetto del ghiaccio, una salvietta, ed l’ordinazione e Linds la ringraziò prontamente, schiaffandolo poi sulla parte dolorante.
Fuori alcuni passanti – probabilmente turisti – stavano osservando l’auto semi demolita.
“Questo episodio è meglio tenerlo off the record od a Michelle verrà una coronaria, Kurt.” spezzò il silenzio Linds, ironico.
L’adolescente annuì, con espressione scura…sua madre avrebbe potuto anche venire fin lì solo per ucciderli tutti.
“La macchina…mi dispiace.” masticò infine, alzando lo sguardo e rimanendo sorpreso dal sorrisetto dell’uomo.
“Posso parlarti francamente, Kurt?” Linds si riposizionò meglio il ghiaccio “L’importante è che i tuoi giochini da supereroe non ti si siano rivoltati contro. Me ne infischio della Jaguar.
Un sopracciglio nero di Kurt si alzò e Linds ridacchiò appena “Non sono mai stato molto attaccato alle automobili, in fondo…certo sarà un po’ difficile tornare alla base con velocità.”
L’adolescente brontolò qualcosa, infilandosi le mani nei capelli. Non riesce a dirmi grazie manco per scherzo…porco cane!
“Perché, papà?”
“Perché cosa?”
Adesso voglio delle risposte.
“Cosa ci trovi in aiutare delle persone che non vogliono essere aiutate?”
“Non sono tua madre, Kurt.”
Cosa c’entra la mamma?!
“Quella ragazza mi ha chiesto aiuto, come molte altre. La differenza sta nel fatto che non aveva abbastanza forza di volontà per riuscire a ripulirsi da sola.” Linds inclinò la testa critico “Avevo la vaga impressione l’altro giorno che tu avessi confuso ciò che facevo per tutt’altro ma immagino che oggi volessi solo prendermi con le mani nel sacco.”
“…”
“Perché, Kurt?”
Due paia d’occhi si incontrarono a metà strada.
Identici nel loro essere incolori.
Diversi nelle emozioni che riflettevano.
“Nessuno mi ha mai detto perché sono qui.”
Suo padre aggrottò la fronte a quel cambio d’argomento, poi abbassò lo sguardo sulla vetrina “Non credo di dover rispondere a questa domanda retorica. Lo sai già come funziona.”
“E tu, as always, eviti di darmi spiegazioni.” l’acido in quella frase avrebbe potuto lasciare un buco nel tavolo “Mi duole informarti che il tuo genio non l’ho mai ereditato e di questo ringrazio tutte le potenze cosmiche!”
Linds aveva arricciato le labbra ma non ribatté, sorridendo all’ultima parte.
“Allora?”
L’uomo biondo si lasciò andare sullo schienale del sedile “Allora, come ovvio, io e tua madre siamo finiti a letto ed è rimasta incinta.” fece una pausa, lanciando un’occhiata al ragazzo per poi inumidirsi le labbra e continuare “Quando tua madre si è accorta della gravidanza era sotto uno shot di medrossiprogesterone acetato della durata di tre mesi, quindi non si è resa subito conto della mancanza del suo ciclo finché non ha iniziato ad avere le nausee.”
“…”
“Quando l’ho scoperto mi è venuto un accidente. Avevamo deciso assieme di non avere figli e quella prospettiva per me non esisteva.” stava lisciando con un dito la montatura dei suoi occhiali, lasciati aperti sul tavolo “La verità è che le ho chiesto di abortire e lei si è rifiutata.”
“…”
“…”
“L’hai lasciata perché voleva tenermi.” il tono di Kurt era piatto, incredulo.
“Ti rendi conto che non sono tenuto a spiegarti le mie azioni, vero?”
“L’hai comunque lasciata!”
“Ci ho provato a far funzionare le cos-”
“Non abbastanza a quanto pare.” con quel sibilo furibondo il ragazzo era scattato in piedi, puntando le mani sul tavolo e facendo tremare il liquido nelle tazze, quei suoi stessi occhi così ostili che avrebbero potuto tagliare l’aria come un coltello “Come pensi che mi sia sentito in questi anni? E la mamma? Di lei almeno te né mai fregato qualcosa oltre divertirti sulla sua pelle?!”
“Non tentare di farmi sentire in colpa.” replicò tranquillamente Linds, per niente sorpreso “Michelle sa perfettamente bene i miei motivi e li ha accettati.”
Lo ammazzo di botte!
L’aveva preso per il bavero stropicciato della camicia, alzandolo dalla sedia mentre il sacchetto di ghiaccio cadeva con un tonfo umido.
Le mascelle premute una contro l’altra e l’intenzione di aggiungere un altro occhio nero a quello che già adornava quel bel faccino che implorava solo di essere gonfiato di pugni.
“Se colpirmi ti può fare sentire meglio, và avanti.” lo incitò sereno il vecchio, gli occhi semichiusi e languidi “Prendi un bel respiro profondo e picchiami.”
Le sue dita si strinsero di più sul colletto della camicia e Kurt lo ammise a se stesso, ne era tentato.
Non risolverei niente.
Il momento dopo l’aveva lasciato andare e Linds era scivolato scomposto sull’imbottitura del sedile, osservandolo sorpreso mentre Kurt chiudeva gli occhi e raddrizzava la schiena cercando il suo centro per tornare calmo.
Quando lo rivide aprire gli occhi li trovò perfettamente vuoti e freddi ed un brivido inusuale gli percorse la spina dorsale.
“Vero che non ti sei mai chiesto perché ogni estate passo un mese con te, papà?” domandò il ragazzo sarcastico, le narici gli fremevano mentre era riuscito a rilassare le mani con una serie di tentativi.
“Kurt-”
“Pensavi che fosse affetto filiale? Non farmi ridere.” sorrideva senza gioia, diverso da ogni Kurt che avesse mai visto fino a quel momento “Vengo qui perché alla mamma fa piacere, ringraziala. A questo punto non sono più disposto a sprecare il mio tempo in questo buco di posto con uno stronzo come te.”
“Kurt, ascolt-”
“Grazie, ma no grazie, non ho alcun bisogno di te. Torna nel tuo laboratorio sottoterra a risolvere la formula del teletrasporto o su cosa cazzo stai lavorando.” da quel sorriso studiato a tavolino traspariva qualcosa peggiore di una arrabbiatura passeggera “I truly had it. Ne ho piene le tasche della tua manipolazione, del tuo ‘non c’era altro modo’. Dovresti essere contento, non mi hai mai voluto, goditi la tua pace e non provare a cercarmi. Puoi anche crepare, per quanto mi riguarda.” si era rimesso lo zainetto su una spalla.
“Asp-”
“Addio.” Kurt aveva già quasi superato un altro tavolo vuoto, sordo al richiamo del padre.
Linds lo guardò andare via in silenzio prima di recuperare il sacchetto del ghiaccio e rimetterlo al suo posto, stringendo i denti al sordo mal di testa che stava mangiando a poco a poco la sua sanità mentale.
Ha ragione il mio fallimento come padre è plateale.
C’era da trovare un carrozziere per la Jag, magari un paio di antidolorifici ed un letto; per non parlare delle telefonate per conto della ragazzina.
La vita andava avanti.
Chiudi gli occhi, raccogli i pezzi e fai un respiro.

And you cause me hurt
And you cause me pain
And you turned the tap
On my burning rage
And I can't put it out

Gonna leave no sign
Gonna leave no trace
Gonna leave this town
In a state of grace
Give me the power
Rolling Stones ~ Gunface

~~~

Canzoni del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ Buy it in bottles;
- Lana Del Rey ~ Midnight dancer girlfriend (unreleased);
- Lana Del Rey ~ Gods & Monsters.
- Rolling Stones ~ Gunface.

Le note di questo capitolo sono:
- Mister Hyde, qui Linds sta facendo un riferimento al romanzo gotico 'Lo strano caso del Dottor Jekyll e di Mister Hyde' di Robert Louis Stevenson del 1886;
- Con figure impossibili intendo perlopiù certe opere di M. C. Escher un grafico olandese capace di giocare abilmente con gli stilemi dell'architettura e della realtà. Ha creato disegni dal fortissimo impatto visivo irreale con una sorta di dinamismo che trascina in molteplici dimensioni a ciclo continuo. Le sue opere sono molto interessanti e vengono spesso utilizzate come decori ornamentali o grafici pubblicitari. Un buon libro sul suo lavoro è ‘Le miroir magique de M.C. Escher’ scritto da Bruno Ernst ed edito dalla TASCHEN in francese nel 2007;
- Preciso che il tunnel è una mia invenzione anche se non mi sorprenderebbe ci fosse davvero per questioni di trasporto. La mia idea è che ci sia una 'rete' fra le varie basi intorno alla Area 51 e, che una di queste, sia la Nellis Force Air Base situata a North Las Vegas proprio di fianco l'autostrada civile. Ovviamente queste sono supposizioni personali alla stregua delle teorie UFO, LoL;
- La Strip di LV per chi non lo sapesse è una delle strade principali sul quale sono affacciati tutti i principali casinò ed centri commerciali della city;
- Il sundae è un gelato da dessert ricoperto da sciroppo, in alcuni casi guarnito con granella di nocciole, pecan, panna montata ed ciliege maraschino;
- San Giuda è tradizionalmente il santo delle cause perse. Non è mai stato identificato con certezza ed la teologia moderna tende a lasciarne l'identità irrisolta. La Lettera di Giuda, uno degli scritti attribuiti a questo santo, esorta a combattere 'impostori che si comportano secondo le loro empie passioni';
- Gli IHOP, anche chiamati International House Of Pancakes sono una catena multinazionale americana di ristoranti specializzati perlopiù nei piatti da colazione fondata nel 1958 da i fratelli Lapin e Albert Kallis. È conosciuta per i suoi orari in continuato di 24 ore 7 giorni su 7;
- Il medrossiprogesterone acetato è un ormone contraccettivo progestinico che viene somministrato iniettandolo ogni tre mesi nella donna e bloccando di fatto l'ovulazione. La percentuale di fallimento è minore di 1/100 donne. Fra gli effetti collaterali a lungo termine c'è il rischio di una osteoporosi precoce infatti viene consigliato di interrompere l'utilizzo dopo due anni;

Emergo dalla mia assenza in un momentino di pace zen per lasciarvi il plot-twist...LoL
No, vabbè, questo capitolo in particolare è da mesi che aspetto pazientemente di postarlo...ed eccolo qui! xD
Ovviamente sono aperta a critiche e commenti quindi se volete la cassettina del postino degli dei è aperta! xD

Buon fine Luglio!
Hermes

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Capitolo 10
*** 10 ***


Nota: Questo capitolo è un puro Michelle POV che racconta una buona parte di ciò che accade subito dopo ASTTR. Non è totalmente completo in quanto ricordo del singolo ma tocca molti piccoli slice che avevo in testa su Linds e Michelle. Buona lettura ci rivediamo in fondo nelle note!

If I seem edgy
I want you to know
I never meant to take it out all on you
Life has its problems
And I get more than my share
But that's one thing I never mean to do
'Cause I love you
Lana del Rey ~ Don't let me be misunderstood

Le sembrava che quella mezza settimana di trasferta non sarebbe mai finita.
Per qualche strano motivo non era riuscita a rimanere concentrata per più di dieci minuti consecutivi alla volta, guadagnandosi occhiate sorprese dai suoi colleghi.
Hervas, ti lamenti delle ferie coatte ma a quanto pare non ti fanno poi così schifo, eh!
Alcune ore prima era atterrata a Los Angeles da New York quindi si era imbarcata su un treno espresso per San Francisco, non avendo voglia di attendere una coincidenza aerea.
A volte aveva il desiderio di un viaggio in treno, di ore ed ore passate in un posto di mezzo dove il dinamismo della vita presente non poteva toccarla.
Per pensare senza essere interrotta.
Per ricordare giorni senza rimorsi.
Per rivivere ancora una volta il passato e trovarlo là ad attenderla.

Non si reputava una persona malinconica ma alcune volte il tuffo era così facile…

Eravamo appena tornati a San Francisco e già litigavamo come degli ossessi.
Erano discussioni animate ma ‘buone’.
Il topo aveva deciso di farmi impazzire in tutti i modi, primo fra tutti la scelta della residenza.
Ci eravamo messi in contatto con alcune agenzie immobiliari e Linds aveva piantato una serie di ‘pali’ sotto i quali non voleva andare.
Alcune cifre che avevo sentito mi avevano fatto girare la testa.

Fino a quel momento non mi ero mai resa veramente conto di quanto denaro avesse accumulato negli anni senza intaccarlo.
Vi basti sapere che allora avrebbe potuto tranquillamente comprare casa in centro e dieci Ferrari ultimo modello senza chiedere un mutuo.

Quel Febbraio, dopo decine di appartamenti ed anche qualche casa entrammo nel loft.
Fu un amore a prima vista, per me.
L’open space con il soffitto alto e le finestre ad semiarco.
I pavimenti in legno scuro e la scala a chiocciola in ghisa ed ottone che saliva alla passerella del piano superiore, circondante tutta la stanza come un teatro.
Era uno spazio nudo ed anche un po’ polveroso.
L’edificio – in origine una fabbrica tessile ricostruita in mattoni dopo il seguente incendio del Grande Terremoto del 1906 - era stato appaltato ad una grande ditta di costruzioni per essere rimesso in regola con le nuove leggi urbanistiche, oltre che dotato di moderni sistemi di videosorveglianza e servizi di ultima generazione.
Eravamo in Downtown ma in quel periodo un metro quadro costava una piccola fortuna che – a malincuore – non sarei mai riuscita a permettermi.
Mi guardavo attorno cercando di non perdermi con la mia immaginazione e non dare a vedere che il posto mi piacesse quel granché, il prezzo era veramente troppo esagerato per un appartamento da ristrutturare…

Sorrido amara, voltata verso il finestrino.
Per quanto avessi fatto finta di niente Linds mi aveva lanciato una sola occhiata ed aveva capito.
La settimana dopo eravamo proprietari di quello che sarebbe poi diventato il nostro ‘nido d’aquila’ di centoottanta metri quadri.
Eravamo stati i primi ad acquistare dentro l’edificio quindi avevamo avuto anche la scelta dei posti auto ed vari dettagli estetici. Linds si era sbizzarrito, ingaggiando una squadra di dieci uomini per sbrigare la messa in regola ed i lavori interni con un contratto a scadenza e con mora se avessero tardato nella consegna.
Pazzo, ma intransigente. Definizione perfetta.

Sei mesi dopo.
Era il primo giorno di un Agosto torrido.
Il loft era pronto ed ci avevano appena consegnato le chiavi quel mattino, con una settimana di anticipo.
Avevo contribuito a chiudere il conto con l’hotel nel quale ci eravamo accampati nell’attesa con il mio primo incasso del Venter Institute ed eravamo andati a scegliere i mobili di prima necessità.
Un’eccitazione di fondo che vibrava nella tranquilla aria dorata che colava dai finestroni.
Avevamo cenato sull’isola della cucina con dell’asporto indonesiano e poi…

Chiudo gli occhi.
Nei miei ricordi quelle sensazioni sembrano irreali ora.
Eppure sono avvenute.
Quella prima notte l’avevamo passata non esattamente a dormire sopra un materasso matrimoniale sul parquet.
Il giorno dopo la schiena ci stava uccidendo ed avevamo entrambi giurato che non l’avremmo mai più sperimentato.
La carrozza del treno prende uno scossone, distogliendomi, ancora con il sorriso sulle labbra.
Osservo il paesaggio al di fuori del finestrino, disinteressata.

Avevamo passato il resto di quell’estate ad aggiungere cose un po’ qui ed un po’ là.
Eravamo andati in vacanza alle Hawaii per sette giorni: io ero ingrassata di tre chili a forza di mangiare avocado, mango e papaya e lui si era scottato come un gambero.
Linds aveva provato ad imparare ad cucinare ma era stata una guerra persa in partenza, preferendo di gran lunga rimpinzarsi di cosa preparavo io.
Fino a quel momento il topo non aveva cercato un lavoro, passava del tempo davanti il suo nuovo portatile a scrivere e-mail e – nonostante fossi fuori casa per buona parte della giornata – ero sicura al 100% che fosse pulito di sostanze.
Ero un po’ preoccupata di quella sua apparente inerzia ma quel sorriso sghembo che mi lanciava quando tornavo a casa la sera era capace di rassicurarmi.
Lo vedevo sano e felice, parlavamo liberamente e certe volte era una comic relief gratuita che avrebbe potuto uccidermi dalle risate!

Non era successo nulla di strano se non qualche momento un po’ imbarazzante da entrambe le parti sulle nostre abitudini ed a volte tendevamo ad isolarci nel nostro mondo personale.
Le cose andavano e filavano a meraviglia, nonostante tutto.
Sembra quasi impossibile come siamo passati da quel passato a questo presente.
Non vi chiedo di comprenderlo, solo di accettarlo.

A inizio settembre Linds aveva ufficialmente dato i primi segni di prurigine.
Avevo passato una sera per aiutarlo a rivedere il suo CV ed l’aveva spedito a varie e differenti organizzazioni, società e laboratori dalle attività più disparate.
Credo che nei mesi precedenti avesse sondato il terreno intorno a lui e si fosse chiesto quale fosse la prossima grande avventura di Lagden il topo genio.
Il momento che aveva preso una decisione la nostra routine cambiò bruscamente.
Linds si era comprato una Audi di seconda mano, una macchina non egregia ma senza infamia e senza lode ed aveva preso a girare.
Da quel momento in poi il nostro tempo insieme si era normalizzato alla sera, al mattino prima di andare a lavorare ed nei weekend.

Quel passaggio di routine era stato un toccasana.
Avere qualcosa sul quale concentrarsi lo rendeva il topo che avevo conosciuto.
Mi piaceva sentirlo sgonfiare con birra alla mano mentre preparavo da cena alla sera e le sue impressioni a volte erano al limite del ridicolo tanto che finivamo a ridere insieme con le lacrime agli occhi giocando a backgammon fino a tardi.
Ed ero felice…mi era ancora capitata qualche nottata da incubo ma il topo era con me e la vita era divina.

Dalle consulenze al lavoro vero e proprio il passo era stato brevissimo.
Lavoravo ancora nel laboratorio di San Francisco all’epoca e Linds aveva accettato un posto come ricercatore e formatore di un nuovo team per una ditta di Sacramento nella corsa ai carburanti da biomassa.
Aveva lasciato l’auto per fare il pendolare con il treno e passava le serate a sfornare diapositive per lezioni intensive di chimica organica complessa.
Avevo già avuto a che fare con l’apprendimento alla Lagden ed avevo un po’ pena per quei poverelli.
“Professore, non li sprema troppo…”
“Miss Hervas, ma lo sa che io adoro la limonata…”

Avevamo superato i sei mesi insieme.
Iniziai a fare trasferte una, due volte al mese verso San Diego; giusto per mantenermi in linea con i progetti fra i laboratori e le riunioni.
Linds invece aveva di nuovo cambiato il passo, in un crescendo continuo che conoscevo bene.
Ci vedevamo ancora tutti i giorni ma…

Il lavoro era la sua vita, come il laboratorio era la mia.
Non aveva resistito più di sei mesi nel campo delle biomasse.
Quindi era tornato a fare il consulente freelance mentre si era iscritto alla facoltà di Ingegneria Civile di SF.
Vederlo in modalità ‘spugna umana’ era spaventoso, anche per me che all’Uni non avevo scherzato andando dritta per la mia strada.
In quel periodo aveva convertito una delle due camere per gli ospiti come studio ma le dispense ed i materiali fuoriuscivano ad intervalli regolari in tutti gli angoli del loft a causa della sua propensione allo snack ed al brainstorming.
Lavorava di giorno, studiava di notte e faceva consulenza per il Governo a bisogno.
L’ottanta per cento della sua tesi l’aveva scritto a letto con il portatile sulle ginocchia ed in grembo un sacchetto di popcorn al caramello.
Mi ci era voluto una buona dose di irritazione ed seduzione sottile per distoglierlo, stancarlo e riuscire a dormire entro le tre di notte in quel periodo.

Non era una vita sregolata, tutt’altro.
Era la vita che non avrei mai scambiato per tutto l’oro del mondo.
A Giugno – nel giro di un anno – gli avevano consegnato la laurea cum laude, anche se lui non l’aveva manco presa in considerazione dicendo che era solo un pezzo di carta e che il divertimento sarebbe arrivato dopo, io ero orgogliosa e felice per lui, il mio topo genio.
Aveva accettato uno stage in uno studio della città.
Nel frattempo la mia carriera subiva un impasse.
John Venter aveva notato la mia etica lavorativa ma non avevo tutti i requisiti per entrare nel vero ‘team’ di professionisti che lo circondava ed la filiale nord californiana iniziava a starmi molto, ma molto stretta.

Ero indecisa poi arrivò l’ennesimo cambiamento di rotta.
Non erano passati nemmeno quattro mesi dalla laurea in ingegneria e Linds una sera tornò a casa meditabondo e distratto.
Avevamo ordinato una pizza Fonzie formato famiglia e mi raccontò di aver ricevuto una telefonata al lavoro.
Gli avevano offerto un posto come scienziato pazzo.
Nel deserto del Nevada.
A quattrocentonovantacinque miglia di distanza.
Con il veto assoluto di studiare cosa voleva, come e quando voleva.
Gli avevano offerto il giardino dell’Eden all’Area 51.
“Accetta, topo.”
“Michelle sei davvero sicura…”
“Certo che sono sicura. So che non vedi l’ora e sai che sopravvivrò.”
“Non voglio lasciarti da sola.”
“Non cambierà nulla Linds.”
Si era fidato.
Il mese dopo aveva preso residenza alla Base.
Il mese dopo avevo iniziato un corso accelerato alla Lagden per diventare ingegnere genetico a tutti gli effetti.

I primi tempi Linds tornava dal deserto tutte le settimane per passare almeno il weekend a San Francisco.
Lo vedevo meno ma sapevo che era felice come un bambino al parco giochi e mi bastava.
Le routine da convivenza a stretto contatto si erano di nuovo ribaltate, soppiantate da quelle del singolo.
Quando tornava finivamo spesso e volentieri a mangiare fuori, il resto delle nostre abitudini passate spazzate via.
Niente più partite a backgammon o film in bianco e nero la notte tardi.
Niente discorsi totalmente sciroppati alle due del mattino dopo aver fatto all’amore.
Il tempo utile lo passavamo fuori, a dormire ed a parlare di lavoro.

Con il passare dei mesi il topo divenne sempre più preso dalla Base tanto che le sue settimane lavorative iniziarono ad allungarsi sempre di più.
Dieci, quattordici, ventuno giorni.
A volte mi chiedevo se non stessero seguendo un calendario marziano là dentro.
Intanto avevo dato gli esami necessari e ricevuto l’abilitazione.
Ciò significava trasferte a San Diego settimanali ed un aumento di stipendio non male.
Il più della settimana il loft di San Francisco rimaneva vuoto e muto.
Al topo era capitato di tornare indietro per ritrovarsi belle e solo.
Da quel momento avevamo iniziato a darci appuntamento come uno farebbe con il dentista.

Non potevo più dire di essere felice.
Certo il lavoro era importante – avevo iniziato le prime trasferte per conto del Venter Institute - ma la solitudine palpabile ed il quasi totale silenzio delle camere d’albergo mi facevano sentire un’animale in gabbia.
Linds non diceva nulla a proposito della lontananza ma quando, per grazia divina, riuscivamo ad incontrarci fra lo spazio ed il tempo era il tumulto.

Sesso.
Puro e semplice.
Il più di quei momenti non me li ricordo nemmeno.
Dietro c’era solo il desiderio di colmare una distanza bastarda che forse si era già infilata fra di noi come una premonizione.
La ricerca di qualcosa che non ci appagava davvero fra le lenzuola di un hotel.
Scopavamo come dei conigli in calore.
Non ero felice.
A quel punto la soluzione era una, ed una soltanto.
L’avevo presa per entrambi, piantando un totem.
Avevo deciso che ogni tot di tempo avremmo messo da parte tutto per passare almeno tre o quattro giorni da tranquilli.
Il topo aveva accolto la cosa di buon grado senza protestare, forse più sollevato che irritato.

Cerco una posizione più comoda mentre il treno si ferma a Fresno sotto il sole del mezzogiorno californiano che non proietta ombre ma nasconde le verità.
Vero che da quel momento in poi le cose migliorarono…
Riprendemmo a visitare con regolarità Raphael e Mel – ormai genitori di una ciurma di due maschi ed una femminuccia in arrivo – mia madre e, occasionalmente, anche alcuni giorni in vacanza come non avevamo più fatto.
Il sesso all’inizio rovente, ritrovandosi e passando del tempo senza i minuti contati, era di nuovo in grado di darmi emozioni oltre la solita petite mort.
Dopo quella che sembrava una vita, se non riuscivamo a prendere sonno, parlavamo nel buio della stanza a cuore aperto e con l’idea che non stavamo veramente parlando ma che era un sogno del quale probabilmente ci saremmo scordati venuti la mattina.

Lui voleva a tutti i costi rendermi felice.
Io cercavo di renderlo felice a costo della mia felicità.
Forse il nostro era solo un problema di comunicazione alla fine.
Forse parlavamo due lingue diverse ma volevamo le stesse cose, almeno in parte.

Quindi era capitato un piccolo blip.
Il mio piccolo blip.
Era avvenuto il miracolo.

Oh baby, I'm just human
Don't you know I have faults like anyone?
Sometimes I find myself alone regretting
Some little foolish thing
Some simple thing that I've done
Lana del Rey ~ Don't let me be misunderstood

~~~

Canzoni del capitolo:
- Lana del Rey ~ Don't let me be misunderstood.

Le note di questo capitolo sono:
- Il grande terremoto del 1906 fu un sisma molto violento che colpì la città di San Francisco il 18 Aprile del 1906 con un magnitudo di 8.3 sulla scala Richter. Il terremoto distrusse buona parte della città che venne maggiormente danneggiata dall'incendio in seguito a causa delle fughe di gas. Si calcola che ci furono più di tremila morti solo in SF e più di 250000 sfollati. In seguito la città venne ricostruita ex novo con una griglia pensata per impedire la diffusione degli incendi.

Long time no see! xD
Sì, son sparita totalmente per un bel po' ma ora che siamo a fine Settembre e le cose sembrano essersi appianate ho trovato il tempo per aggiornare UT con un piccolo capitolo che non porterà avanti la trama ma chiude alcuni buchi. Adoro queste duemila parole ed il modo di Michelle di raccontare qualcosa che mi è rimasto in testa a ciclo continuo fino dalla fine di ASTTR! QQ

Per il resto ho tolto sulla mia pagina autore la nota di Hiatus ma non so quanto potrò essere regolare negli aggiornamenti: non trovo il tempo di scrivere e l'ultima volta che ho buttato giù qualcosa di Steps è stato da qualche parte agli inizi di Agosto, rimane però che questa storia ho tutta l'intenzione di concluderla prima o poi quindi non disperatevi e portate una pazienza mastodontica. xD
Buon inizio autunno,
Hermes

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Capitolo 11
*** 11 ***


11.

My dagger and swagger are useless in the face of the mirror
when the mirror is made of my face.
[...]
When they're waiting to pull you apart like a scarecrow
on death row so now all your secrets are shown.
Marylin Manson ~ Odds of even

Era un giorno normale.
Dove il ‘giorno’ era solo una parola inconsistente dato il costante luccichio dei pannelli LED che non venivano mai spenti.
La temperatura non saliva mai sopra i 21 gradi ed il colore predominante era il grigio satinato dell’alluminio.
Un perfetto scenario da Star Wars tanto che, per farsi due risate, quelli del terzo sub livello avevano incollato Darthie Vader completo di spada laser accesa sulla porta di vetro antisfondamento visibile dall’ascensore.
La base militare era formata da grandi livelli sotterranei accessibili attraverso varie entrate, disseminate per il paesaggio ed ascensori con vari livelli di clearance a seconda della propria missione.
Ovviamente ogni checkpoint era suddiviso in base alla sezione di ricerca ed ogni piano era fornito di tutto quello che uno scienziato potesse avere mai bisogno compresi fondi governativi, alloggi temporanei per seguire minuto per minuto i propri esperimenti, banda internet ultralarga, patatine e caffè ad æternum ed una miriade di materiali ufficialmente ‘da classificare’ pronti per essere sperimentati a ‘scopo puramente scientifico’.
Ovviamente questi ultimi non lasciavano per nessuna ragione la base a meno che non venissero inseriti e/o richiesti in una missione di assoluta emergenza o, caso ancora più raro, un ordine diretto del Presidente.
Sempre più logico il fatto che, dal quindicesimo in poi, l’equipe avesse appiccicato l’adesivo Department of Misteries – Unspeakables HQ sulle porte, licenza poetica ovviamente deficiente grazie all’alto tasso di popolazione nerd presente.
I militari scelti per la sicurezza non venivano lasciati scendere nei piani sotterranei dato il sofisticato sistema ad informazione biometrica e DNA, quindi passavano il più del loro tempo ad esercitarsi nei poligoni di tiro, uscendo in volo per missioni di carattere puramente scientifico o percorrendo i limiti dell’area per allontanare i curiosi in ricerca dell’incontro alieno.
Era estremamente difficile che vedessero anche uno solo dei ‘cervelli su due gambe’ impiegati dalla base data la quasi perfetta autosufficienza dell’edificio.
L’unica nota bianca in mezzo tutta quella sabbia giallo rossiccia era un auto che usciva/entrava fuori ad intervalli regolari, lanciata in corsa.
Regolari era una parola grossa ma la sua apparizione non era una grande novità per la stragrande maggioranza dei soldati di stanza.
Alcune volte spuntava fuori da un tunnel di entrata top secret, altre usciva dal piazzale principale, altre ancora dal capannone dei velivoli segreti.
Il guidatore della suddetta macchina bianca era uno dei pochi scienziati ad avere il permesso di vivere in pianta stabile in uno degli edifici inutilizzati disseminati per l’area della base e - se quello che le voci in circolo dicevano era vero - faceva parte dell’ultimo livello ricercatori con clearance assoluta su tutte le missioni in svolgimento.
Il ventesimo livello o chiamato anche Lambda Dep. aveva la fama delle ricerche aliene, delle ‘metamorfosi’ genetiche e – Kurt non aveva sbagliato – degli studi sul teletrasporto di macromolecole a grande distanza.
Il piano era quasi vuoto se non si contava Lagden e la sua equipe di assistenti che non superava la dozzina, ed altre due squadre minori che si occupavano di ricerche a tempo determinato finanziate da fondi federali.
Per Linds – in quegli ultimi diciassette anni – il Lambda Department era diventato una casa molto più che la superficie.
Lì sotto c’era tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno: enigmi amletici, nuove teorie, mensa aziendale quasi a tutte le ore, un laboratorio privato e – usualmente – conversazione intelligente.
Tutto era asettico, logico ed efficiente ed se c’era bisogno di una pausa bastava mandare un paio di messaggi qua e là per la rete unificata ed nel giro di un quarto d’ora erano tutti connessi a giocare a D&D Neverwinter come se ne valesse l’onore dei vari dipartimenti.
Mi ricordo ancora la ‘guerra’ di un paio di anni fa…due settimane di gameplay continuo con gente che si dava i turni per vedere chi l’avrebbe avuta vinta. Ad un certo punto era dovuto intervenire il comandante a calmare l’entusiasmo.
Tornando al presente...
Linds era tornato alla base per via normale quattro giorni dopo.
Ci era voluto un po’ a far sistemare l’auto ed quindi aveva ingannato il tempo alla facoltà di Astrogeologia, fatto un check-up medico con tanto di analisi e, per ultimo, una visita dovuta da Creane.
Intanto la sua discesa con l’ascensore si era finalmente fermata e le porte scivolarono ai lati con un ding!
Dall’altra parte c’era Jimmy ad aspettarlo al quale si allargarono gli occhi alla vista dell’occhio nero.
Doc…
“Sì, lo so della decorazione. Novità?” l’aveva liquidato bruscamente, puntando lo sguardo sulla tavoletta onnipresente del suo capo assistente.
“Ehm…” non sembrava che Jim avesse voglia di raccontargliele. Se hanno di nuovo mandato a puttane qualcosa come sei mesi fa giuro che li licenzio tutti quanti.
“Cosa è successo? Sputa il rospo o taci per sempre.”
“Immagino che non le sia arrivato il mio memo, vero?”
Il biondo rimase in silenzio, in effetti non aveva più controllato i suoi account della base – quattro giorni prima il portatile era rimasto nel villino - quindi era nel buio più totale.
“Il comandante è stato avvertito che la sua Jaguar era da un carrozziere autorizzato vicino alla Nellis. Ha saputo anche tramite alcuni suoi contatti che si era fatto visitare all’ospedale della Base e-”
“Ho capito.”
Cristo…braccato come un animale pericoloso.
“No, doctor. Vede il comandante…”
C’è altro?!
Linds aveva inarcato un sopracciglio in attesa che Jimmy smettesse di deglutire e sudare.
“Il comandante a quel punto ha ordinato ad un team di dieci persone di irrompere nel suo ufficio privato in un raid in cerca di- di-”
“In breve gli è venuto il sospetto che mi fossi andato a schiantare grazie a qualche cosina, corretto?” l’aiutò Linds, continuando “Ed il tuo memo – no, non dirmelo - era che il Comandante voleva vedermi.”
“Sissignore.”
Quindi il biondo aveva attuato una piroetta di centottanta gradi verso il lift con una espressione che la diceva lunga sul suo umore.
“Jimmy vado su a trapanare un po’ di buonsenso in quello zucchino, fai che mettere su della broda tra dieci minuti eh?”
Il suo assistente annuì, timoroso di cosa sarebbe avvenuto ma sollevato di non essersi buscato la tirata iniziale.
[…]
La porta dell’ufficio si era aperta di scatto.
L’uomo seduto al di là della scrivania alzò gli occhi da alcuni documenti.
“Dottor Lagden.”
“Non ha il diritto di frugare fra i miei effetti personali o le mie ricerche private.”
“Con i suoi precedenti, posso.”
“Non ha trovato nulla, nemmeno nel villino. Come lo spiegherà questo dettaglio ai suoi superiori?”
“Forse non si rende conto che ho la prerogativa di controllarla. La mia Base acconsente ad ospitarla come scienziato. Non ho però alcuna intenzione di offrire una copertura per i suoi divertimenti illeciti.”
“Non ho divertimenti illeciti.”
“Li sa nascondere bene, Lagden.”
“Sono rimasto in mezzo ad una rissa, la mia auto ne ha risentito, e so che le mie analisi del sangue non riscontrano sostanze. Lo sa anche lei.”
“Suo figlio?”
“Non sono affari che la riguardano, comandante.”
Le labbra del militare si incurvarono in un sorrisetto capace di innervosirlo.
“La prossima volta che decide di prendersi alcuni giorni di vacanza mi avverta.”
Of course, le fornirò anche un depliant con ogni mio spostamento del caso…pure le mie dirette al bagno se preferisce.”
“Molto divertente, Lagden.”
“Solo il meglio per lei, comandante.”
“Torni a giocare a Risiko e mi lasci continuare a lavorare ora.”
La porta sbatté malamente riportando l’ufficio ad una parvenza di calma.
L’uomo alla scrivania scosse la testa.
Quell’uomo era peggio di una crisi adolescenziale…

~

The worst thing about being lied to
is knowing you're not worth the truth
~ Anonymous

Welcome my son!
Welcome to the machine!
What did you dream?!
It's alright we told you what to dream...
Pink Floyd ~ Welcome to the machine

~ tre giorni prima…
La patina rossastra che aveva tinto ogni suo pensiero si era a poco a poco diffusa ed aveva perso colore.
Nel mentre aveva vagabondato per le strade di Las Vegas.
No, non ero un anima in pena. Ero una scatola piena di gatti rognosi.
Aveva sempre immaginato che suo padre non provasse molto per lui, ma da lì a scoprire la verità…
Kurt scalciò con forza una lattina buttata per terra e quella cozzò rumorosamente contro un fungo di cemento, brillando alle luci notturne.
Il vecchio gli aveva detto la verità, in ritardo forse ma la verità.
Non voluto. Non cercato. Non desiderato.
Entrambi i suoi genitori non avevano avuto intenzione di metterlo al mondo.
Alla faccia di sua madre che gli aveva mentito.
Mentiva ogni volta che gli diceva di essere il suo miracolo.
Quella frase l’aveva seguito fino dai suoi primi ricordi.
La voce di sua madre che ripeteva quelle quattro parole ed il suo nome.
C’era talmente abituato che non si era mai chiesto qual’era il significato dietro; almeno fino a quando quella curiosità non gli era stata sbattuta in faccia dai suoi compagni di classe, per sbeffeggiarlo.
Si era seduto su uno dei funghi cercando di avere abbastanza presenza di spirito per decidere cosa fare adesso.

Era solo un moccioso al quinto grado quando era successo.
Non si era mai chiesto perché vivesse da solo con la sua mamma.
Al mattino il più delle volte faceva da solo la strada per andare a scuola, ponendo particolare attenzione nell’attraversare come Alice gli raccomandava sempre prima di tendergli il sacchetto con la merenda.
Quando arrivava nei dintorni della scuola, l’entrata dell’edificio era sempre saturata di macchine di altri genitori e l’arrivo dei pulmini gialli tanto che era obbligato a fare slalom fra le vetture quindi si sedeva sugli scalini ad attendere la campanella, magari con un nuovo numero di fumetti sulle ginocchia se aveva ricevuto la sua paghetta settimanale.
Eccola la definizione di buono o cattivo, annidata nella carta, dove il bene vinceva sempre.
Una di quelle mattine uguali alle altre il numero gli era stato strappato dalle mani.
Aveva alzato lo sguardo verso il gruppetto capitanato da Robert Steves un altro ragazzino di una classe del sesto grado.
“Posso riaverlo, per favore?” domandò, calmo ed educato.
“No.” un ghigno.
“Perché?”
“Non sei nessuno ed esisti.”
Ci volle qualche momento in più prima che quel bambino mingherlino con quegli occhi così neri replicasse candidamente “Penso quindi sono.”
Vide la confusione sui volti del gruppetto, ovviamente non avevano capito di cosa stesse parlando ma a quanto pare il loro malato divertimento mattutino non era ancora finito.
“Dov’è il tuo papino? Eh?”
Kurt corrugò la fronte e rispose laconico “Lavora fuori.”
All’epoca non sapeva con esattezza dove o di cosa si occupasse il vecchio, non lo vedeva molto spesso.
La mamma gli voleva bene e non se l’era mai chiesto; in quel momento si rese conto dell’anomalia…
“Io dico che tu non ce l’hai un papà!”
“Non è vero.”
“E nemmeno la mamma!”
“Non è vero!”
Il gruppetto rideva ora che aveva scorto una debolezza, crudeli come solo dei bambini sanno essere.
Quel fumetto non ebbe mai la possibilità di finirlo.

Erano le quattro del mattino, il suo borsone era rimasto a Rachel con dentro tutti i vestiti ed una parte dei suoi libri.
Shit…
Col cavolo che sarebbe tornato alla Base.
La situazione non era però così tremenda come sembrava.
Nello zainetto c’era il Macbook, il portafogli, un pacchetto di liquirizia, il ‘fondo viaggio’ che contava seicento dollari e qualche altro spicciolo.
Non aveva il passaporto, quello era rimasto a San Francisco dato che non aveva preveduto di averlo bisogno prima di Luglio.
Devo tornare a casa, porco cane.

Le prese in giro erano continuate da quel giorno.
Robert ed i suoi amichetti cercavano sempre di coglierlo da solo, lontano dagli occhi o le orecchie di genitori od insegnanti.
Nel cortile della scuola, in bagno, anche per strada.
Gli altri bambini iniziarono ad evitarlo per non essere presi di punta da Robert e la sua banda.
Erano passati a spintonarlo ed un giorno era caduto sul marciapiede.
Quando era tornato a casa sua madre aveva lasciato cadere i fogli che aveva in mano e l’aveva subito raggiunto, inginocchiandosi per vedere meglio.
“Kurt, cosa hai fatto alla faccia?”
“Niente mamma, stavo correndo e sono inciampato.”
“Oh tesoro…”
Aveva passato il pranzo a sentirsi un verme per aver detto una bugia a sua madre.

L’unica era prendere un mezzo terrestre, preferiva un treno al pullman.
A questo punto avrebbe dovuto prelevare per rimpinguare un po’ il fondo e non poteva fare di meglio che cercare un bancomat mentre attendeva che lo sportello in stazione si aprisse per comprare il primo biglietto per SF.

La persecuzione era continuata per tre/quattro mesi.
Kurt non aveva mai replicato, ma in quel periodo nel ragazzino si stava attuando una metamorfosi, era diventato più chiuso ed immusonito, sfuggente.
Tutte le cose che Robert ed i suoi scagnozzi continuavano a ripetergli si erano radicate dentro di lui ed iniziava a credere che in quelle cattiverie ci fosse un fondo di verità…
Perché il suo papà lo vedeva così poco?
Perché la mamma preferiva parlarne di rado?
Perché non aveva anche lui un padre che lo portasse a scuola, gli comprasse il triplo cono al sabato al campo da golf e che lo difendesse a spada tratta anche col torto?
Lentamente la gelosia aveva preso ad innaffiargli i pensieri finché…

Non era stato difficile trovare un bancomat e, per la prima volta nella sua vita, aveva messo mano alla Amex Centurion che gli era stata affidata da sua madre con la promessa che l’avrebbe usata solo ed esclusivamente in caso d’emergenza.
Più emergenza di questa…in assoluto bisogno di uno spazzolino!
Aveva arrotolato il tutto nel suo gruzzolo ed aveva deciso di fare colazione lì vicino prima di dare una controllata agli orari delle partenze.
Non sapeva cosa sarebbe riuscito a buttare giù con il nodo che aveva allo stomaco, ma ci avrebbe provato.

Era un mattino di Ottobre.
Si ricordava il mese perché due settimane dopo sarebbe stato Halloween e la mamma gli aveva promesso di portarlo a Los Angeles da suo zio Raphael. Già contava i giorni che rimanevano e non ne vedeva l’ora…
Le foglie erano cadute sul marciapiede gelato e Kurt aveva fatto attenzione a non scivolare per tutta la strada.
Alice quel giorno l’aveva costretto a mettersi una sciarpa ed un berretto in testa e le era grato perché faceva davvero molto freddo.
Era arrivato nel cortile davanti alla scuola un po’ più tardi del suo solito ed leggermente prima che iniziassero le lezioni, il momento più sbagliato di tutti.
Quel giorno qualcosa dentro di lui era scattato ed aveva dato ‘pan per focaccia!’ come diceva Alice.
Era piccolo ma tutt’altro che debole e Steves non aveva avuto la meglio, almeno finché il gruppetto dei suoi amici del cuore si era ripreso dallo shock e non gli avevano dato manforte.
Erano finiti tutti dritti e filati nell’ufficio della preside.
Robert ed i suoi amichetti piagnucolavano come dei poppanti.
Kurt in silenzio con un labbro spaccato ed un livido in faccia ma per il resto indenne.
Nonostante la ripetuta richiesta autoritaria della donna si era rifiutato di chiedere scusa.
Occhi duri e neri, fissi come proiettili sotto i folti capelli scuri.

I don't know if I can open up
I've been opened enough
I don't know if I can open up
I'm not a birthday present
I'm aggressive regressive
The past is over
And passive scenes...so pathetic
Marilyn Manson ~ Fated, fateful, fatal

~

I feel sole and alone like a heretic
I'm ready to meet my maker
Lazarus has got no dirt on me
And I'll rise to every occasion
Marilyn Manson ~ Fated, fateful, fatal

Linds sbatté le palpebre lentamente, il monitor riflesso sulle lenti dei suoi occhiali.
L’occhio menomato iniziava a fargli male e lacrimargli.
La quattro giorni a Las Vegas più che una vacanza era stata una maratona con assenza di sonno.
Solo a pensarci…

La Jag era dal carrozziere, aveva ritirato alcuni documenti in facoltà e prenotato altri esami quindi aveva deciso per il check medico e, per finire, dalla disperazione aveva scelto di fissare un appuntamento lampo con Creane.
“Di cosa vuoi parlare Linds?”
“...”
“Vuoi dirmi cosa ti è successo?”
Linds scosse la testa.
“Tutto quello che so per certo Claudia, è che Kurt mi ha diseredato. Il resto non è importante.”
“Vuoi parlarne?”
“No, non credo.”
“…”
“Me lo aspettavo ma c’è qualcosa…non so nemmeno perché ho deciso di prendere un appuntamento se non ho intenzione di parlarne. Poco intelligente, no?”
“Immagino che quel ‘qualcosa’ sia simile ad un momento nel tuo passato.”
“No, lo esc-” l’uomo si era fermato a metà prima di continuare, guardingo “Non ho intenzione di fare nulla, Claudia.”
“Fare nulla sarebbe un vero peccato.”
“Credo di essere solo stanco, null’altro.”

Si era sfilato gli occhiali e posato le mani sugli occhi con un sospiro pesante.
Stanco.
Una definizione astratta ed approssimata.
Che non bastava.

~ Nello stesso momento, vicino a San Francisco…

It took thirteen beaches to find one empty,
but finally it's mine.
[...]
But I still get lonely
And baby only then
Do I let myself recline?
Can I let go?
And let your memory dance
In the ballroom of my mind
Across the county line
Lana del Rey ~ 13 Beaches

Era tornata a casa da alcuni giorni ormai e la forzata distanza dal lavoro mi aveva lasciato con troppo free time per le mani.
Non ero più abituata ad occuparmi della mia vita personale o del loft.
Avevo dato le ferie ad Alice tornata da NY.
Quindi mi ero data una calmata, spegnendo il cellulare, infilando una tuta e correndo un po’.
Il giorno dopo avevo provato a telefonare a Hugo ma era ancora occupato a Sacramento per qualche riunione politica ed una causa che seguiva per conto del Municipio.
Quindi avevo sentito i miei compagni di Università se per caso ci fosse qualche riunione sociale in corso ma erano quasi tutti in ferie.
Ero preda della mia mente senza sbarramenti e San Francisco non brillava con i suoi colori sotto il sole…
Da quando ero tornata nuvole grigie ed alte avevano coperto la città fino dove si perdeva l’orizzonte nell’oceano.
Tutto era muto, una sfumatura di grigio data dal vento tagliente che spirava dal mare e tirava dritto per la propria strada, le pinete che vibravano e la sabbia che si alzava, minacciando di finirmi negli occhi.
Non avevo niente di meglio da fare, avevo noleggiato un’auto ed ero scesa lungo la costa trovando pace nel traffico pigro e nei fazzoletti di oceano grigio che intravedevo dagli spiragli fra le case a dirimpetto sulla scogliera.
Mi ero fermata più o meno all’altezza della San Pedro Rock, parcheggiando la piccola utilitaria e scendendo le scale fino alla spiaggia.
Avevo deciso di dormire lì in qualche motel e poi, il mattino dopo, sarei tornata indietro per imboccare l’I-80 ed fare una sorpresa a Mamma Ines. Avevo preparato una valigia per cinque o sei giorni fuori.
Non voglio stare da sola e farle visita sembra solo la cosa più logica date le mie vacanze forzate.
Avrei preferito tornare a Reno in moto ma rimpiangere la mia vecchia Jackal California ormai non sarebbe servito a più a niente e comunque non me la sentivo più di usare una due ruote per i lunghi viaggi.
Ah…vi state chiedendo che le è successo? L’ho venduta quando sono rimasta incinta di Kurt ad un patito di Guzzi, immagino che ormai l’abbia immatricolata come d’epoca e la tenga tipo vacca sacra in un garage…
Per il viaggio mi ero accontentata quindi di una piccola Ford focus che spero ce la faccia a scalare le montagne.
Riesco quasi a sentire lo sbuffo irritato di Linds se mi vedesse girare con un catorcio del genere.
Il topo però non è qui.
Non ho nemmeno idea di dove sia in realtà…chissà magari ha lasciato questa dimensione per entrare nello Stargate e diventare il nuovo Faraone di un altro popolo.
L’idea che si stia godendo la compagnia di Kurt e che passino serate a divertirsi insieme mi sembra troppo bella per essere vera.
Ho provato a telefonargli – a Kurt – ma il cellulare continua a darmi spento.
Probabilmente starà finendo i compiti estivi o sarà immerso in una delle sue maratone di comics.
Il vento che tira è quasi freddo e mi stringo il maglione un po’ di più mentre i capelli si alzano ad accecarmi.
Quest’atmosfera di tempesta in arrivo mi riporta indietro…

Ero al lavoro al Lab di SF.
Ottobre aveva portato sulla città una umidità gelida che mi faceva attaccare la macchinetta del caffè a più non posso per qualcosa di caldo.
Il mattino sembrava procedere come al solito finché non avevo ricevuto una telefonata e quasi avevo riso in faccia alla segretaria scolastica quando mi aveva detto che Kurt aveva fatto scoppiare una rissa.
Tutta la mia ilarità però era morta quando mi ero resa conto che non era uno scherzo.
Ero corsa alla scuola elementare ed la prima occhiata a Kurt mi aveva tolto ogni dubbio.
Quegli occhi così neri – normalmente tranquilli e calmi – erano un rogo pieno d’odio.
Avevo ascoltato senza commentare il racconto della preside, le mani posate sullo schienale della seggiola sul quale era seduto.
“Kurt? Vuoi spiegarmi?” gli chiesi gentile.
La testa scura si mosse a destra e sinistra in un diniego, alta e diritta di un orgoglio innaturale per un bambino di dieci anni.
Avevo aspettato un po’, poi avevo sospirato ed ascoltato le decisioni disciplinari.
Kurt venne sospeso da scuola per una settimana mentre gli altri ragazzini nell’ufficio ricevettero un ammonimento e dei compiti in più.
Quindi tornammo a casa a piedi, in un silenzio ostinato da parte sua.
Avevo dovuto combattere un po’ per potermi occupare del suo labbro spaccato poi avevo telefonato al lavoro e mi ero inventata qualcosa per pranzo mentre Kurt si era rannicchiato accanto uno dei finestroni, osservando fuori e tenendo il muso.
E poi finalmente…
“Mi hanno detto che non ho un papà ed hanno ragione.”
“Kurt…”
“Perché papà non vive qui con noi?! Non lo sopporto!” quel piccolo scoppio emotivo si fermò bruscamente mentre gli occhi neri di Kurt si abbassarono ed infilzava con una certa passione la coscia di pollo nel suo piatto.
Sospirai e sciolsi il nodo del grembiule, appendendolo e sedendomi allo sgabello libero al suo fianco.
Occhieggiai il bicchiere di vino, ma decisi che il coraggio liquido non m’avrebbe aiutata per niente.
“Kurt voglio che lasci perdere cosa dicono di tuo padre per un dieci minuti e mi ascolti con attenzione…puoi farlo?” risposi con calma, livellando i miei occhi grigi sulla sua testa corvina.
Per la prima volta non mi degnò di una risposta, la bocca piegata in una smorfia.
“Kurt.”
A quel punto mi guardò con quegli occhi così neri – gli occhi di Linds - una luce ribelle nelle pupille.
In quel momento mi sentii invecchiare di dieci anni e qualcosa doveva essere filtrato nella mia espressione.
Kurt lasciò andare la forchetta riluttante e incrociò le braccia al petto, continuando a fissarla e dicendo più docile “Okay.”
Quindi mi ero messa il cuore in mano ed avevo cercato di spiegargli seppur vagamente…
“Io e tuo padre non siamo mai rientrati nello standard. Il mondo sopravvive anche grazie ad una percentuale di caso. Ci siamo incontrati ed attratti, abbiamo superato assieme tutta una serie di situazioni mentre ero ancora una matricola al college. Ci siamo divisi e rincontrati nella peggiore delle circostanze e tuo padre mi ha aiutato a suo modo.” pausa “Hai ragione: non è facile capire od accettare i suoi comportamenti ma siamo riusciti a convivere per molto tempo.”
Avevo smesso di parlare, gli occhi assenti sul vino nel bicchiere, un’espressione contemplativa e lontana che faceva agitare Kurt sulla sedia.
“Io e Linds siamo due esseri umani.” ricominciai con fermezza mentre trasaliva al nome di suo padre “Non siamo supereroi e tendiamo a prendere decisioni che ci sembrano giuste ed invece non lo sono. Anche tu un giorno sceglierai cosa è meglio.”
L’espressione del bambino era perplessa “Ma…”
Scossi la testa e Kurt si zittii “Un giorno tutto è inevitabilmente cambiato, abbiamo provato a superare i nostri problemi e non ci siamo riusciti. Quindi ci siamo separati.”
“Mamma…”
“Per finire, io e papà abbiamo fatto entrambi tanti sbagli, scelte quasi senza pensare. Il comportamento di Linds che tu trovi così strano non è altro che il prodotto della sua esistenza non facile.” sorrisi appena, senza cattiveria “Non ho il diritto di parlarne, ma voglio la promessa che cercherai di comprenderlo sempre prima di arrabbiarti. Kurt non è cercando colpe in Linds il metodo per rendermi felice o trovare la quadra dell’universo.”
Conclusi il discorso con voce pacata, seguita da un silenzio imbarazzato.
Kurt tirò su con il naso, stropicciandosi le mani in grembo.
“È per questo che papà non vive con noi?”
“Non credo che se vivesse qui avrebbe molta dimestichezza come figura paterna.” concessi con delicatezza.
“Allora papà non mi vuole. Quando, q-quando sono a-arrivato io, l-lui…” non era una domanda, quella frase sottovoce, ed il balbettio riuscì a colpirmi dritta nell’anima.
Tanto che fui tentata di pronunciare una piccola bugia per il suo bene.
“Kurt, se davvero non gli interessasse niente di te non verrebbe a trovarti.” patteggiai alla fine poi mi inginocchiai per guardarlo dritto in quei occhi così neri e grandi, umidi di lacrime non versate.
Le mie mani a coppa sulle sue guance “Ricordati sempre che non sei solo. Ci sono io, Alice, la nonna, e lo zio Joe, Raph…tutte persone che ti vogliono bene. Tu sei il mio miracolo, Kurt. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Mai.”
Il ragazzino annuì, sfregando via alcune piccole gocce traditrici.

Venter aveva ragione…
Kurt era cresciuto troppo in fretta: il giorno prima lo prendevo in braccio e giocavamo insieme con i mattoncini, il giorno dopo era totalmente autosufficiente tanto da raggiungere Rachel da solo.
L’avevo cresciuto da sola, ogni tanto a distanza con l’aiuto di Alice.
Non era stato un peso ma, a volte, guardavo indietro al passato che non era avvenuto.
A porte che non si erano mai aperte e rimanevano chiuse ancora oggi.
Mi trovavo ad immaginare una linea temporale mai realizzata ed inaridita in partenza.
Passi che echeggiano al ritmo delle onde, alle prime gocce di pioggia che prendono a cadere come frecce.
Io avevo Kurt.
Prova che i miracoli avvenivano ancora nel terzo millennio.
Ma a che prezzo?
Ed Linds?
Linds cosa aveva ricevuto in cambio?
Entrambi ci eravamo persi nelle nostre vite.
In un roseto pieno di porte chiuse e sentieri obbligati fra le spine.
Non impietosisci nessuno con le tue speculazioni ed i tuoi rimorsi, Hervas.

It hurts to love you
but I still love you
It's just the way I feel
And I'd be lying
If I kept hiding
The fact that I can't deal
And that I've been dying
For something real
Lana del Rey ~ 13 Beaches

~~~

Canzoni del capitolo:
- Marilyn Manson ~ Odds of even;
- Pink Floyd ~ Welcome to the machine;
- Marilyn Manson ~ Fated, fateful, fatal;
- Lana del Rey ~ 13 Beaches.

Le note di questo capitolo sono:
- Department of Misteries - Unspeakables HQ sì...qui Herm ha totalmente preso in prestito il Dipartimento Misteri Potteriano... xD
- D&D Neverwinter è un classico gioco MMORPG online nel quale ci si crea un personaggio femminile o maschile che intraprende una serie di quest aumentando di volta in volta i propri punti personaggio/livelli. Non sono sicura che si possano creare compagnie di più giocatori ma l'idea era quella;
- I flashback di Kurt sono posizionati al quinto grado ovvero quando un bambino ha già 10/11 anni a seconda del periodo dell'anno in cui è nato;
- 'Penso quindi sono' o 'Cogito ergo sum' conosciutissima citazione di Cartesio;
- La Amex Centurion ovvero una delle carte di credito più esclusive del mondo e destinata solo ai 'veri' ricchi quelli con redditi annuali sopra i cinque zeri per intenderci. Negli anni '80 esisteva già la leggenda metropolitana della carta di credito glossy black American Express. Ovviamente quella che maneggia il nostro Kurt è collegata al conto di Lagden senior! La mia idea è che l'Amex gliel'abbiano data tipo honoris causa in qualità del suo status di topo genio! xD
- San Pedro Rock è una penisola di scoglio accanto ad uno strapiombo che confina con due piccole baie a sud di San Francisco. La roccia vera e propria si può solo raggiungere con la bassa marea perché in alta il passaggio può essere solo fatto in proprietà privata;
- Stargate qui sto citando il film di fantascienza omonimo uscito nel 1994, diretto da Roland Emmerich.

*Herm si schiarisce la gola*
Hi...
Son di nuovo qui dopo un'attesa di mesi dall'ultimo aggiornamento della storia per portarvi un bel capitolo polposo.
Giusto oggi prima che domani parta prestissimissimo per il mio lungo weekend lavorativo...mannaggia! @@
Anche se Natale sta arrivando di gran carriera mi sa che gli aggiornamenti rimarranno molto sporadici se non rari...quest'anno non mi danno le ferie ahimè e non trovo davvero più il tempo QQ
A proposito, verso Settembre circa ho postato una short novel collegata a Steps e più precisamente a Linds chiamata 'Sapphire Blue'.
Se ve la siete persa potete leggerla qui a patto che siate maggiorenni. xD

Come al solito le recensioni sono ben accette e se avete voglia e tempo passate pure a salutare la Herm! ^^
Vi auguro un Buon Natale etc...passatelo al caldo ed in buona compagnia!
Hermes

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Capitolo 12
*** 12 ***


Is it true what they say?
Nothing in life is free.
Are you looking this way?
Surely this can't be.
I know that you ain't like the other ones.
March to a different beat babe.
Banging a different drum.
Richard Ashcroft ~ They don't own me

Era tornata solo da un paio di giorni a San Francisco e già avrebbe voluto di nuovo essere ad Hollywood solo per il gusto di fare casino assieme a sua cugina nelle avenue.
Invece no, la vita vera aveva ripreso il posto dei drink e delle strade residenziali dove il cielo blu si ombreggiava alle palme sottili ed altissime, il riflesso di vecchie auto anni cinquanta con le scocche lucidate da togliere la vista.
Lizzie era appena tornata da un’altra riunione delle Cheerleader ed il caldo nei corridoi della Washington High era peggio che soffocante.
L’edificio durante i mesi estivi rimaneva aperto agli studenti ma era lasciato a se stesso per buona parte se non si contava il custode che controllava solo le aree principali del complesso.
Se non fosse stato per i libri che doveva rendere in ritardo non si sarebbe nemmeno avventurata e sarebbe filata dritta assieme alle altre per uno smoothie e un drive lungo la spiaggia per vedere le novità della settimana.
Dannati libri…per non parlare di quelli che devo leggere per quella vecchia zitella. Austen e Brontë…e chi cavolo sarebbero poi?!
Era finalmente arrivata alla biblioteca dove – manco a farlo apposta – il posto dietro al bancone era completamente vacante. La ragazza lasciò cadere neanche tanto gentilmente i tre libri che teneva fra le mani nel cesto dei ritorni per poi partire alla ricerca dei due testi di riferimento che aveva bisogno per completare delle tesine di storia americana e lingua francese.
Il silenzio era totale fra gli scaffali e, da cosa le aveva indicato l’indice, i due libri che cercava erano uno opposto all’altro come posizione. Sempre sperando che ci fosse ancora una copia disponibile in giro.
Sorpassò il corridoio dedicato alla medicina per tornare sui suoi passi, sbattendo le palpebre.
Sembrava essere passato un ciclone.
Intere sezioni di libri erano stati tirati giù dalle mensole e sparsi in un caos metodico sul pavimento in alcune piccole torri cadenti, al centro di quella tempesta di sapere c’era l’ultima persona che avrebbe creduto di vedere prima della fine dell’estate.
“Quando sei tornato?”
“Mmnngh…” fu la sua sola risposta, distorta dalla matita che mordicchiava distrattamente con il naso incastrato nel grosso tomo che teneva fra le mani. Il Mac chiuso era per terra a poca distanza collegato con una presa di corrente.
“Perché cavolo non mi rispondevi ai messaggi?!”
“Mmmmmnngh!” il ragazzo aggrottò le sopracciglia, sfilando dalla tasca il cellulare, a sua volta collegato al portatile.
A quel punto Elizabeth aveva perso la pazienza e percorse in pochi passi la distanza, facendo slalom fra i libri, chinandosi e strappandogli prima il libro dalle mani, buttandolo dietro le spalle, poi la matita “Non credere di cavartela con dei mezzi versi, Kurt Lagden!”
Il ragazzo, che fino a quel momento l’aveva guardata con una certa rabbia sembrò quasi sottrarsi alla menzione del suo cognome.
Questo non le sfuggì e si sedette più comodamente nei suoi pantaloncini al fianco del ragazzo, abbracciandosi le ginocchia.
“Cos’è successo?”
“Niente.”
“Non hai la faccia di un ‘Niente.’”
“Sei insopportabile e ti sarei davvero grato se tornassi a fare cosa diavolo stavi facendo prima di vedermi.”
“Piantala Kurt.”
“Piantala Elizabeth.”
“Okay, non mi chiami mai Elizabeth ed a questo punto so che il papino l’ha fatta molto grossa se sei scappato a gambe levate.”
“…”
Ecco infatti.
Lizzie non aveva mai conosciuto il padre di Kurt come tutti gli altri suoi coetanei, ricordava ancora quando al quinto grado il ragazzo era uno dei pochi bambini a venir preso in giro perché non aveva un papà ed il bullismo era continuato finché un bel giorno non aveva perso le staffe, finendo in una rissa che era diventata l’argomento di conversazione principale per una settimana.
Quella fu la prima e l’ultima volta che Lizzie vide Michelle Hervas e subito la denotò come una persona ricercata e dall’aria poco simpatizzante, avvolta in un elegante soprabito blu che la snelliva e slanciava sui suoi tacchi molto classici. Era entrata all’inizio di una pausa fra le lezioni e si era diretta a passo sicuro verso la Presidenza, ignorando le loro occhiate curiose.
Kurt fu sospeso per una settimana e quando tornò a scuola aveva iniziato a fingere di non vedere i suoi aggressori. Da quel momento in poi le prese in giro si erano fatte sempre più rare ed alla fine erano cessate del tutto.
Quella era stata l’unica nota di demerito su un curricula scolastico immacolato.
Curricula che, a quanto sembrava, era in serio pericolo di essere modificato da un momento all’altro.
“Kurt, da quand’è che te ne stai nascosto qui?” gli domandò piano, occhieggiando la quantità di volumi e notando l’aria sciupata dei jeans e della maglietta che sembravano in serio bisogno di un appuntamento con una lavasciuga.
“Non mi sto nascondendo da nessuno.” sospirò esasperato, ravviandosi con la mano i capelli che ricadevano sulla fronte e che, Liz notò, erano inusualmente oleosi “Adesso vuoi lasciarmi in pace? Sto cercando di farmi una cultura!”
“Ci crederei…se non sapessi che hai già letto quel libro almeno quattro volte di fila!” ridacchiò appena per poi tornare seria “Kurt, non puoi rimanere accampato nella scuola. Se il custode ti trova sei nei guai.”
“E cosa ti dice che sono ‘accampato’ qui?” aveva ripetuto ironico, facendo le virgolette con uno sguardo stanco.
“Dalla puzza.” rimbeccò lei con un gocciolone.
Ed ecco che la corazza si crepava appena mentre le spalle di Kurt si abbassavano, mostrando l’arco magro e nervoso delle sue clavicole.
Ciò succedeva di rado.
In quel momento avrebbe voluto tempestarlo di domande con nel tono una buona vena di curiosità mischiata ad preoccupazione, invece…
“Kurt che ne dici di accompagnarmi fino a casa?”
Occhi neri su di lei che la innervosivano con la loro fissità, fino a farla giocare con le punte della sua coda bionda.
“I miei sono a Miami per una settimana, Jeff è al ritiro della squadra di rugby. Clara mi ha lasciato cibo in frigo per anni, finirò per lasciarlo a Rock o buttarlo via.”
“…”
“La dependance è libera, sai.”
“…”
“Okay, smettila di perforarmi! Sono insufficiente in matematica e geometria! Contento?!”
“Sapevo che doveva esserci una controparte a tutta questa tua generosità.”
Liz lasciò passare il commento, fermando un piccolo sorriso mentre percepiva l’umore del ragazzo risollevarsi almeno un pochino.

~

Is it really this strange to try and find some peace?
Is it so opaque, that you still can't see?
Nimrod up above
I wonder what they can hear.
I guess we all mess up baby, hmm
We're here, then disappear.
Richard Ashcroft ~ They don't own me

La vita nel deserto rallentava seguendo il ciclo del sole.
Mamma Ines era sempre la stessa nonostante gli anni.
La casa rimaneva dipinta di azzurro ed il giardino ghiaioso era un tripudio di fiori in vaso.
Sembrava che il tempo si fosse fermato ma Michelle sapeva che non era così.
Maya, la gatta che sua madre aveva adottato alcuni anni prima, si stava strusciando sulle sue caviglie in cerca di attenzioni.
Intanto lei ‘giocava’ nello studio/serra dietro la casa, vestita male ed inzaccherata di creta fino sulla fronte.
Le mani rosse fino quasi ai gomiti ed il sudore che gli imperlava il viso mentre formava con i palmi una ciotola alta.
Buñuelo! Hora de cenar!”
“Sì, Mamà! Un momento.”
Ancora un attimo solo per riportare in vita le mani nodose di Clio, sua nonna.
Riusciva ancora a sentire la coppia di sottili bracciali in argento che tintinnavano al suo polso.
Clio Hervas née Cervantes era stata un’artista vasaia conosciuta in città ed i suoi lavori fra gli anni quaranta ed i sessanta erano entrati in quasi tutte le case di Reno.
Aveva iniziato creando solo piccoli oggetti funzionali come ciotole o vasi per fiori per gli amici della famiglia, ma quasi subito la voce si era sparsa per la via, poi per il quartiere ed infine suo marito aveva convertito la veranda della casa in uno studio per la sua giovane moglie appena ventiduenne.
Michelle, in verità, non ricordava molto di Clio.
La nonna passava il suo tempo nello studio quando non era occupata con i lavori di casa.
Aveva passato più di un pomeriggio estivo con lei a plasmare la terra sopra al tornio a pedale.
Era di natura solitamente taciturna ma con una lingua tagliente all’occorrenza.
Piccola di statura e minuta, una lunga treccia di capelli scuri arrotolata sul capo e l’occhio che vede l’opera palesarsi prima ancora di darle forma.
Ne io ne mamma Ines siamo mai riuscite ad creare niente di lontanamente simile…mia madre poco interessata a continuare sulle sue orme, io troppo presa dallo scoprire il segreto della vita.
Eppure quella donna era ancora lì in quel piccolo studio/veranda pieno di piante, pezzi non finiti, pennelli e pitture, il sole che filtrava attraverso gli stuoini e indorava l’aria.
“Buñuelo!”
Michelle scosse la testa con una smorfia ed il tornio rallentò la sua rotazione “Sarà meglio che non ti afflosci capolavoro incompiuto o questa è la volta buona che smetto di tentare!”
Quindi aveva proceduto a pulire il più grosso con uno straccio macchiato per poi passare dal bagno e finalmente la cucina dove Ines attendeva, con qualche capello bianco e ruga in più dall’ultima volta che l’aveva vista.
Mirarte! Dovevi proprio cacciarti così?!”
La donna l’ammansì con un bacio sulla guancia ed afferrò la ciotola dell’insalata.
Quindi seguì una pausa nella conversazione mentre si servivano entrambe.
¿Kurt esta bien, sì?
“L’ultima volta che l’ho sentito mi ha detto che andava tutto bene.” annuì Michelle, fra un boccone e l’altro, improvvisamente pensosa “Mamà? Che ne diresti se provassi a chiamarlo? Magari potrebbe raggiungerci e passare una settimana qui con noi.”
Ines rise “Kurt es mi sobrino, es tu hijo. Jasì que el trabajo de persuasión depende de usted!”
A quel punto la figlia le aveva lanciato un’occhiata rassegnata “Sì, certo…come se tu non sapessi che Kurt farebbe carte false per ingozzarsi della tua cucina!”
“Potrebbe venire anche Lindo. La última vez que lo vi fue hace al menos dos años.”
Per poco Michelle non aveva lasciato cadere la forchetta in grembo.
Occhi grigi spalancati e bocca aperta prima di chiedere “Linds è stato qui?”
La fronte abbronzata di Ines si increspò, appena una nota di difesa nel tono “Sì.
“Da quanto va avanti quest-” lo sguardo di sua madre bloccò l’inquisizione sul nascere, la curiosità che rimase a bruciare nel fondo della sua gola come del succo di arancia.
Mi casa es su casa. Non ho niente contro Lindo, comprehende buñuelo?
“Non…non è che sono arrabbiata! Non lo sapevo!” aveva alzato le mani per mitigare Ines dall’altra parte del tavolo.
Invece, c’era una stizza nel suo petto che continuò ad ardere, imperterrita.
Tanto che il cibo squisito non le andava più giù e si alzò per accendere sotto al bollitore.
Niña…?”
“Vuoi una camomilla, mamma?”

Cosa dovrei pensare?
O sentire?
O dire?
Davanti a Michelle stava un metaforico vuoto, seduta ancora una volta nello studio di Clio.
Il tornio era fermo.
Non si è mai degnato di tornare a San Francisco una, UNA volta negli ultimi dieci anni!
Iridi grigie, rese più scure dalle ombre della sera, che fissavano il deserto attraverso i vetri.
Forse fa bene ad evitarmi come la peste.
No.
Niente forse.
Linds ha fottutamente ragione.

L’ultima nostra conversazione nel corridoio dell’infermeria della Base dieci anni fa.
Fino a quel momento mi ero sforzata di accettare la situazione, anima e corpo nel credere che un giorno tutto si sarebbe risolto.
Quella sera avevo totalmente perso il controllo, nessun filtro fra ciò che pensavo realmente e le mie labbra.
Il peggio era stato non trovare soddisfazione.
Linds non aveva risposto, non era scappato e non aveva cercato di difendersi minimamente.
Gli avevo sbattuto la porta della camera per i pazienti in faccia ed il mattino dopo non si ripresentò.
Da quel momento non l’avevo più visto e nessuno aveva saputo dirmi dove trovarlo, non che in quei giorni avessi calcato troppo la mano sulla faccenda della sua sparizione.
La verità era che, una settimana dopo, tornata a San Francisco con Kurt, nel ripensarci ero stata preda di un attacco di panico in piena regola.
Avevo subito catalogato quella sfuriata come una perdita di controllo alla pari di quelle che mi accompagnavano quando vivevo ancora a Londra.
Istintivamente sentivo già rimorso per essere andata troppo oltre una linea che negli ultimi anni avevamo violato sempre più spesso, lanciando sassi e nascondendo la mano.
La verità stava lì, nel petrolio emerso fra la sabbia.
L’avevo cercato dopo, pentita nel profondo.
Umiliata dalle parole che erano uscite dalle mie labbra.

It is not the criminal things which are hardest to confess,
but those things of which we are ashamed.
~ Rousseau

~

I paint my nails black,
I dye my hair a darker shade of brown
'Cause you like your women Spanish,
Dark, strong and proud.
I paint the sky black.
You said if you could have your way,
You'd make a night time of today
So it'd suit the mood of your song.
[...]
Life is beautiful but you don't have a clue.
Sun and ocean blue.
Their magnificence, it don't make sense to you.
Lana del Rey ~ Black beauty

Elizabeth lo vedeva, durante quella settimana in cui si era accampato nella dependance, Kurt non aveva mai veramente smesso di rimuginare su quello che era successo per ultimo in Nevada.
Era lì sulla superficie di quegli occhi neri insondabili e nella piega dura della bocca sottile.
Qualsiasi cosa fosse non riusciva a scrollarselo di dosso e lo portava ad annullarsi nei libri.
Aveva tentato di farlo aprire almeno un po’ ma il ragazzo ad ogni tentativo si era chiuso a riccio sempre di più quindi aveva lasciato perdere e deciso di usare una nuova tattica, ovvero cercare di distrarlo.
Aveva provato di tutto.
A volte studiava con lui portandosi i libri nella dependance nonostante gli sbuffi di Kurt, altri giorni lo strappava dalla tana con la scusa che se avessero passato ancora un’ora a quel modo si sarebbero fritti il cervello quindi – dato che lei stava ancora per prendere la patente – lui la scarrozzava in giro sulla 500 coupè nuova fiammante, brontolando, ma ascoltandola in silenzio.
Erano andati a fare shopping, Kurt aveva messo il paletto quando aveva cercato di farlo entrare in un negozio di biancheria femminile e Bettie lo aveva preso in giro.
Per il resto era bravissimo a smaltarle le unghie senza una sbavatura ed aveva un particolare occhio nel consigliarle come vestirsi anche se, a volte, virava molto sull’effetto classico.
Nei primi giorni del suo arrivo alla villa era spuntato fuori un borsone dal nulla, segno che doveva aver fatto una sortita a casa di sua madre per i vestiti.
La domenica era addirittura riuscita a trascinarlo in spiaggia assieme a Geoffrey una mezza giornata, accompagnati da Rock.
Il mastino era aggressivo ma adorava Kurt quasi allo sfinimento, il ragazzo gli grattava l’addome e lasciava stare quando il cane lo leccava e gli mordicchiava i capelli nell’ovvio intento di liberarlo da pulci che non aveva. Lizzie quando capitava non riusciva a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
Di solito i tre passavano le serate con Netflix, popcorn e pepsi alla mano, il ragazzo sommerso dal cane accanto a lei.
Kurt si era preso fin dal primo giorno il compito di pensare a cucinare per entrambi dopo aver visto i penosi risultati di Lizzie e Jeff ai fornelli che, piuttosto, sarebbero sopravvissuti con pizza, cibo d’asporto e l’unica cosa che la ragazza sapeva preparare ovvero il banana split.
Erano anche tornati alla scuola, lei con la scusa delle Cheerleader e lui era finito a correre veloce come una gazzella sulla pista di atletica a trenta gradi, il sole che avrebbe potuto liquefare l’asfalto.
Si era seduta all’ombra sugli spalti per guardarlo mentre continuava a pieno ritmo, lanciato come se fossero gli ultimi cento metri di una gara vera.
“Accidenti!”
Si era voltata verso chi aveva esclamato e sulle scale aveva trovato il Professor Clearwater ed Coach Hill entrambi con racchette da tennis e palline alla mano, congelati a guardare il passo di Kurt mentre raggiungeva la curva prima del secondo rettilineo che l’avrebbe riportato verso di loro.
Il professore di biologia l’aveva vista, uno sguardo interrogativo mentre l’allenatore sembrava meravigliato ma ad un passo dal perdere le staffe.
Uh-oh…
A quel punto Kurt volava sul rettilineo occhi alla pista.
“LAGDEN! FERMATI IMMEDIATAMENTE!”
Lana incassò il capo all’ordine urlato quasi da megafono mentre Kurt aveva alzato lo sguardo e rallentato fino a fermarsi, il sudore che gli colava negli occhi e luccicava, cadendo.
“Sei totalmente impazzito, Lagden?! Vuoi farti venire un infarto?!”
“No, signore.” una voce rigida era uscita senza un filo di sforzo, gli occhi neri e cattivi.
“Usa quel tono di sfida con me ancora una volta e sei espulso dalla squadra. Vai a cambiarti Lagden prima che decida di spedirti negli spogliatoi a pedate!”
Bettie osservava la scena con una punta di nervosismo perché il ragazzo non sembrava intenzionato ad piegarsi, le narici dilatate.
Dieci secondi dopo Kurt aveva distolto lo sguardo, avvicinandosi al tunnel degli spogliatoi e non degnando il Coach di un’altra occhiata, mandandolo ancora più in bestia.
“Quell’idiota!”
“Dai Robert…”
“Corre come una macchina da corsa ma non ha un briciolo di intelligenza nemmeno a pagarlo! Con questo caldo non bisogna scherzare!” quindi Coach Hill l’aveva indicata “Ragazzina, dì a quel cretino di bere almeno due litri d’acqua!”
“O-okay.” quindi aveva guardato l’allenatore scendere le gradinate verso il capanno dell’attrezzatura brontolando ancora sottovoce.
“Miss Cone?” Jack Clearwater era rimasto indietro e le sorrideva gentile “Come mai qui?”
“Riunione delle Cheerleaders, professore.”
“Pensavo che Kurt fosse ancora in vacanza con suo padre.”
“…” Lizzie abbassò lo sguardo sulle scarpe da tennis, non sapendo cosa rispondere e non volendo mentire senza un buon motivo.
“Cone, non voglio mettere il naso nei problemi di nessuno ma se Kurt ha bisogno di aiuto digli che può parlarmi se vuole, okay?”
Quella offerta l’aveva un poco sorpresa ma sorrise “Ho paura che non succederà, Prof.”
“Tentar non nuoce, passa un buon pomeriggio Cone.”
“Grazie Prof.”
Quindi l’uomo si era allontanato nella direzione che aveva preso il Coach.

Era la notte di Halloween di un anno prima.
San Francisco si era coperta di nebbia apposta per l’occasione, rendendo spettrale ogni angolo della metropoli in una atmosfera da brivido.
Per i corridoi della Washington High, sopra le teste degli studenti, si tendevano lunghe ragnatele finte e festoni di scheletri e zucche, nelle bacheche vari annunci ed il grosso manifesto della festa di Halloween ospitata nella palestra coperta.
Il club di cucina aveva lanciato una serie di baking days a tema che aveva inondato tutto il terzo piano con un profumo da attentare seriamente alla sua linea.
Elizabeth a pochi giorni dalla festa aveva stanato Kurt nella biblioteca della scuola per metterlo sotto torchio.
“Dai!!! Ci sarà tutta la scuola!”
“Ti ho detto che non mi interessa.”
La ragazza bionda aveva messo il broncio, cercando di essere il più carina possibile “Pensavo che mi avresti invitata!”
“Non sei il mio tipo, Lizard.”
“Ah sì, eh? Ti piace Morticia Addams?!” quel commento l’aveva irritata ed Kurt aveva ghignato appena.
“Forse…”
“Comunque dovresti venire!”
Occhi neri rotearono nelle loro orbite “Dico sì solo per farti smettere, allora.”
“YAY! Allora bisogna fare shopping per il costume.”
“Non ho parlato di mascherarmi, Liz.”
“È Halloweeeeeennnnnn! Bisogna mascherarsi! Non hai in mente niente?!”
Era rimasta interdetta quando Kurt aveva sollevato gli occhi dal libro che stava leggendo e l’aveva guardata come se non la vedesse.
“Okay, vedrò cosa posso fare.”
[…]
La grande sera era arrivata ed i due si erano incontrati davanti l’entrata della palestra.
In verità Lizzie non l’aveva riconosciuto perché rimase leggermente spaventata quando si voltò per litigare con chi continuava a tirarle una ciocca della sua lunga parrucca alla Morticia che copriva i capelli biondi.
Era un ragazzo alto più di lei di tutta una testa con un camice bianco da scienziato e tanto di penne nel taschino, occhiali finti sul naso ed una zazzera di un biondo platino che ricadeva liscia fino sulle spalle, occhi neri e ghignetto famigliare.
“Kurt?”
“The one and only, Morticia cara!”
L’aveva osservato da testa a piedi ma non era riuscita a capire chi impersonava e quando aveva indagato Kurt aveva riso brusco, partecipe di una ironia fra se e se.
“Ringrazia che non hai mai conosciuto questo incubo, Lizard.” le aveva detto criptico.
Nemmeno i suoi amici avevano saputo dirle nulla e l’arcano si era risolto solo quando, passando per il tavolo buffet, aveva sentito una conversazione fra il professor Clearwater e quella arpia della professoressa Greene.
“Lagden ha uno strano senso dell’umorismo, Jack.”
“Che intendi?”
La donna aveva alzato il mento verso il ragazzo, visibile fra gli altri per merito di quella parrucca biondo platino che brillava sotto le luci colorate.
“È una copia spiccicata di suo padre cacciato così.”

Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro,
ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Tolstoj, Lev Nikolaevic ~ Anna Karenina.

~~~

Canzoni del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ They don't own me;
- Lana del Rey ~ Black beauty.

Traduzioni dallo spagnolo in ordine di utilizzo (più o meno corrette):
Mirarte! = Guardati!
Kurt es mi sobrino, es tu hijo. Jasì que el trabajo de persuasión depende de usted! = Kurt è mio nipote, e tuo figlio. Quindi l'opera di persuasione spetta a te!
La última vez que lo vi fue hace al menos dos años. = L'ultima volta che l'ho visto sarà stato almeno due anni fa.

Le note di questo capitolo sono:
- Il Tornio o ruota del vasaio è una macchina azionata a elettricità od a pedale che aiuta il mastro vasaio a formare opere di forma rotonda o cilindrica perfettamente simmetriche;
- Clio Hervas ha già fatto una piccola comparsa in ASTTR ma qui la sua storia viene espansa, ovviamente il personaggio è di fantasia come tutti gli altri.

Yep, sono appena riemersa da una assenza di mesi.
Ho appena finito il primo betaggio serio da una vita e devo ammetterlo mi sento leggermente arrugginita quindi se mi è scappato qualcosa fatemi un fischio!
Capitolo di media lunghezza, niente di fenomenale ma ricordo quando l'ho scritto ed è stato un momento di una rilassatezza unica.
Per il resto non ho nessuno da ringraziare se non un buon cucchiaio di Nutella ed 'The Beast from the East' che mi ha convinto a starmene rintanata a casuccia.
Come sempre ripeto che gli aggiornamenti regolari ormai non sono più probabili...il mio tempo è diviso fra il portatile per lavoro, falegnameria varia, sortite in lungo ed in largo con la Chevrolet e qualche sparuta sessione di gioco a TS2 (tra l'altro sul blog ho postato varie shot a tema 'Steps'! Non perdetele!!!).
Rimane il fatto che questo cap è ormai solo la punta dell'iceberg del materiale non postato, sono più avanti in scrittura ma trovassi il tempo di fare tutto! xD

Beh, come sempre saluto tutta la gente che si è fermata su questi lidi per leggere, so che ci siete o miei silenziosi lettori. ;)
Buonanotte e buon weekend
Hermes

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Capitolo 13
*** 13 ***


I build a house
For your bones
I build a home
[...]
I wrote a song
Go on and listen
That's all you'll hear
When I'll go missing
The dead weather ~ Bone house

Per quanto mi riguardava le ferie erano finite, checché ne dicesse Venter.
Un cambio repentino di direzione la mia, sì, potete dirlo forte.
Avevo bisogno di lavorare o sarei diventata matta.
La mia routine di stacanovismo compulsivo, qualche match all’ultimo sangue con uno dei miei compagni istruttori di Ju-Jitsu, magari anche qualche bella corsetta.
Prima di tornare a SF mi ero fermata a Sacramento, io e Hugo avevamo passato un paio di giorni a girare per la città ma non avevo resistito di più.
Ero tornata verso Ovest dove il Pacifico brillava sotto un sole pesante e le palme vibravano nervose mentre la brezza si mischiava con l’aria bollente che scendeva dalle montagne.
Ero tesa come una corda, inspiegabilmente.
No, lo sai benissimo perché.
Rivangare il passato ti rende malleabile, indifendibile. Come la creta sotto le tue unghie.

Avevo chiamato giù a San Diego ma le mie telefonate non avevano risposta.
Venter doveva aver dato le ferie anche a Paul, il mio assistente.
Maledizione!
Potevo sempre ripiegare sul laboratorio distaccato di San Francisco, una briciola in confronto.
Il loft era buio, silenzioso.
Alice doveva essere passata per controllare e dare da mangiare ai miei colorati pesci tropicali nell’acquario ma non mi aveva lasciato nulla di pronto.
Proprio loro muovevano le loro delicate code a velo nella mia direzione quando rientravo.
I primi giorni li avevo passati ad riorganizzare la dispensa come non avevo più fatto negli ultimi anni, la parte responsabile della mia coscienza risvegliata e vendicativa.
Della serie…Hervas! Tu pigra idiota! Non lasciare i vestiti sporchi sparsi per il bagno e ripulisci i vetri della doccia subito!
Non ti ci provare nemmeno a mangiare sul divano che poi bisogna pulire!
E, porco cane, se proprio devi continuare imperterrita a scavare un solco nel pavimento non passare sul tappeto con le scarpe, cazzo!
Accidenti!

Maniacale e riled up.
Già.
Peccato che non avessi più fumato una sigaretta da almeno un decennio.

~

“Dottor Lagden…” Jimmy era appena rientrato nel laboratorio, avvicinandosi alla sedia del suo capo che gli dava la schiena “…signore?”
Lo schermo del portatile a luminosità ridotta che creava un alone azzurrino sull’uomo addormentato, il mento puntato al petto e le mani in grembo, l’occhio menomato ora un viola violento.
Jim decise subito di non disturbarlo.
Gli ultimi dieci giorni erano stati un inferno nel loro dipartimento grazie al suo capo.
Avrebbe potuto testimoniare la sua abilità di non dormire per lunghi periodi di tempo e di sfornare idee, schiavizzandoli a turni.
Genio mondiale con la pietà di una pietra mentre ti frana addosso.
Adorava il suo capo ma c’erano momenti che avrebbe voluto rinchiuderlo in una delle celle criogeniche un paio di settimane solo per tirare il fiato.
Quell’uomo non sembrava avere una vita personale, a sua memoria non aveva chiesto ferie negli ultimi dieci anni, nemmeno quando il figlio si installava nel villino ai limiti della Base.
Si era sempre chiesto che tipo di donna fosse quella che era riuscita a concepire con Lagden, Kurt era intelligente ma non sembrava un fuoriclasse, per intenderci.
Eppure il suo capo era particolarmente spinoso quando qualche nuovo arrivo azzardava la battuta idiota nel suo range uditivo.
Di solito quelle reclute venivano isolate e bombardate di lavori odiosi dal quale tornavano pallidi, maleodoranti e – a volte – con l’odore di peli bruciati.
“Jimmy.”
L’assistente saltò su, preso di sorpresa “Sì, dottore?”
“Voglio un doppio espresso ed un mega pretzel di Hunter, grazie.”
“S-”
“Dopo i 6 minuti e 40 secondi che ti ci vorranno per questa semplice missione ti consiglio di studiarti i materiali per la prossima riunione con il generale in visita alla Base tra una trentina di minuti in quanto sarò totalmente irreperibile.”
“Dot-”
“Mi fido di te, Jimmy. Perché non ho alcuna attenzione di leccare il culo a quello stronzo del Comandante.” Lagden aveva ruotato la poltrona verso di lui, occhi scuri e vigili “Cosa ci fai ancora qui?”
L’assistente imprecò contro il karma e, prima di uscire di corsa dalla stanza, urlò “Voglio un aumento di stipendio!!!”
“Chiedilo al Comandante!” borbottò Lagden, tornando al suo portatile ed alla ricerca del momento.

~

Erano passati un paio di giorni, giusto il tempo perché Giugno diventasse Luglio portando sulla città folate di aria sempre più rovente.
Contro tutti i miei principi ecologisti e salutisti avevo acceso l’aria condizionata del loft, sollevata che l’impianto funzionasse nonostante il costante disuso.
Quell’ultima settimana da sola mi aveva forzato a trovare un baricentro e l’energia in più l’avevo riversata in una nuova avventura: il Crossfit.
Prometteva di diventare uno dei miei passatempi preferiti solo per il fatto che dopo le prime due lezioni mi ero sentita un tappetino.
Sì, perché non sono felice finché non sento i muscoli stanchi! Yay!
I pesci nell’acquario mi guardavano andare e venire nella più completa indifferenza.
Avevo fatto partire un piccolo esperimento personale nel laboratorio secondario, riallacciando anche qualche vecchio legame lavorativo.
Insomma, tutto era okay.
Okay, se non ci aggiungevo il fatto che non riuscivo a contattare mio figlio in nessun modo da almeno dieci giorni.
Mi aspettavo il suo ritorno a casa ma quel silenzio iniziava a darmi sui nervi.
Proprio lui l’anno prima mi aveva raccontato che avevano installato una nuova torre per le telecomunicazioni alla base ed erano riusciti ad agganciare addirittura delle televisioni russe, il segnale disturbato ma stabile.
Ero preoccupata, perché Kurt sembrava volesse evitarmi.
Avevo cercato di sentirlo almeno due volte al giorno ma trovavo sempre la segreteria.
Gli avevo lasciato qualche voice mail ma senza preoccuparmi.
Non c’era niente di urgente, in fondo.
No.

Ero rimasta ragionevole fino a metà settimana, fino al dieci di Luglio.
What the hell!
A quel punto iniziavo a sentire una punta di panico che cresceva ogni volta che il tono di libero si trasformava in quello della segreteria.
Dopo più di due settimane sfido qualunque madre a non preoccuparsi.
Quindi quella sera, tornata a casa dal lavoro, avevo di nuovo composto il numero di Kurt, ricevendo sempre la solita risposta.
Occhieggiai malamente lo smartphone, con il dubbio che la diavoleria fosse alla sua ultima ora.
Ma non poteva essere, avevo telefonato a più di sei persone nelle ultime otto ore mentre ero al lavoro…
Decisi di cenare ma dopo aver atteso fino alle nove di sera la segreteria non era cambiata di una virgola.
Ero rimasta in quieta contemplazione del telefonino sotto i faretti alogeni dell’isola per un po’ prima di incassare la testa nelle spalle con un “Oh, fuck it!
Ormai non c’erano più altre soluzioni, con nuova determinazione dissotterro i meandri della mia rubrica e faccio partire una telefonata sul numero di Linds, dopo tutti questi anni ancora sotto l’assurda dicitura ‘Marylin Zen’.
Roteo gli occhi quando parte un’altra segreteria telefonica.

‘State ascoltando la segreteria telefonica di Lagden.
Se siete interessati a qualche mia ricerca, lasciate perdere per il bene della vostra salute mentale.
Se invece desiderate una consulenza potete contattarmi sulla mail che trovate da qualche parte sul sito governativo Pinco Pallino alla voce ‘sviluppo e ricerca’.
Se invece avete sbagliato numero compratevi un paio di occhiali. ‘derci!’

Che razza di messaggio!
Sbuffo, chiudendo ed passandomi distrattamente una mano nei capelli.
Non potevo arrendermi per così poco, ed avevo il vago ricordo che Linds avesse scribacchiato da qualche parte un numero ‘per le emergenze’ casomai non fossi riuscita a sentirlo o fosse successo qualcosa di serio.
Avevo frugato per un buon venti minuti nell’agenda dell’ingresso finché non trovai la sua mano su una delle prime pagine.
Lambda Department…eh?
Le mie dita si muovono sul tastierino dello smartphone, ripetendo i numeri mentre li leggo, digitandoli per la prima volta nella mia vita.
Quindi mi porto il telefono all’orecchio ed mi risiedo all’isola della cucina, osservando gli abitanti dell’acquario.
Il segnale di libero continua a suonare mentre tamburello nervosamente le dita sul bancone della cucina ed il giorno muore lentamente fuori dal finestrone ad arco.
La linea viene agganciata dal centralino.
“Pronto?” domanda una voce di donna annoiata.
“Buonasera, mi favorisca per favore un collegamento con Linds Lagden del Lambda Dep.” replico inflessibile, ignorando la procedura per questo tipo di collegamenti.
“Questa postazione telefonica non è autorizzata a collegare contatti esterni alla base e la avviso che questa conversazione sta venendo registrata.” m’informa la voce con tono sospettoso.
“Bene…” faccio passare un respiro dal naso, Linds non sei capace ad informarti prima di darmi numeri a casaccio?! “Allora mi faccia la cortesia di dettarmi il numero del centralino apposito. Il mio nome è Michelle Hervas.”
“Attenda un momento prego.”
Per grazia divina durante l’attesa non parte l’Inverno di Vivaldi né l’ultima hit di Beyoncè ma passano comunque un bel po’ di minuti prima che la donna dica “Devio la sua chiamata direttamente ai laboratori, dovrà attendere qualche minuto.”
Ritorna il segnale d’attesa risposta e spero che qualcuno si degni di alzare la cornetta.
Base fantasma…o tutti troppo impegnati a giocare a Monopoli…
“Sì?”
“Sto cercando Lagden.” vengo subito al dunque, la pazienza ormai esaurita ed innervosita.
“Il Dottor Lagden.” sottolinea altezzoso quello dall’altra parte della cornetta “Mi dispiace ma in questo momento è in riunione.”
Si sta formando una crocetta sulla mia fronte. Brutto leccapiedi…scommetto che lo segue come un cagnolino questo!
“Il suo assistente?”
“Esattamente!”
CVD!
“Sì, eh? Allora dica al Dottor Lagden che se non smette di giocare a solitario e non mi risponde al telefono, mi attivo per cercare Raphael e tra dieci minuti il suo hard-disk – ma che dico – i server di tutto il vostro caro laboratorio subiranno un’improvvisa morte per cause incerte. Corre a dirglielo da bravo?”
“Chi sarebbe lei?” sbotta secco.
“Hervas.”
Sento distintamente la cornetta sbattere su un ripiano orizzontale. Fanculo anche a te.
Le mie dita continuano a tamburellare sul bancone, le unghie che ticchettano.
Non è passato un minuto e sento un improvviso rumore di passi frettolosi in avvicinamento dalla cornetta.
“Sei sicuro che ha detto Hervas?!”
“Sì.”

“Michelle?!” finalmente Linds si degna con tono sorpreso ed anche un po’ preoccupato.
“Gentile da parte tua rispondere…” ribatto acida “Senti non riesco a parlare con Kurt, probabilmente non c’è copertura lì nel deserto o ha il telefono morto.”
“Michelle…”
“Sì?”
“Non vedo Kurt da una dozzina di giorni.”
La mie dita smettono di tamburellare per poggiarsi sul granito.
Un brivido mi percorre lo spazio dietro agli occhi.
“Cosa…come sarebbe a dire non lo vedi…Linds spiegati.” metto il morso con voce acuta.
Sarà rimasto alla base tutto questo tempo, preso nei suoi progetti in corso e Kurt sarà nel villino di sorveglianza a scassarsi come al solito…sì…
Peccato che la mia opera di auto-convincimento sia inutile appena Linds riapre bocca dall’altra parte del filo.
“Ero convinto che fosse tornato a casa.”
Batto le palpebre e devo poggiarmi tutta al bancone perché le gambe non mi cedano.
“Linds, spiegati meglio.” ripeto, quasi sull’orlo di un attacco di panico vero e proprio.
“Se né andato venerdì scorso, ero sicuro che-”
“Cosa è successo?”
“Eh?”
“Linds, ti avverto…”
“Abbiamo avuto una conversazione.” arriva la sua risposta stringata.
“Che tipo di conversazione?”
“…”
“Rispondi!”
“Gli ho detto la verità.”
“Ovvero?”
“Sai perfettamente di cosa sto parlando.”
È un momento ed il bancone non basta più per tenermi in piedi.
Scivolo giù e siedo per terra.
Oh Dio, no.
No.

“Tu sei pazzo.” mi esce con un filo di voce.
“…”
“Sei completamente demente…”
Ma Belle…
“LINDS!” ho ritrovato la voce, suono talmente isterica che faccio fatica ad sentirmi “TI RENDI CONTO CHE NON HO VISTO KURT?! CHE NON HO ALCUNA IDEA DI DOVE SIA?!”
Continuerei ad urlare ma mi manca il fiato dal panico e Linds cerca di intromettersi “Michelle-”
Ma non ho alcuna intenzione di farmi calmare e tengo all’orecchio l’apparecchio con una stretta che minaccia di incrinarne il vetro.
“Adesso tu rimedi a questo casino.” suono folle, non mi interessa “Per diciassette anni hai fatto finta che Kurt non esistesse, adesso molli tutte le tue scuse, prendi e vieni qui. Se gli è successo qualcosa sappi che ti ritengo il diretto responsabile.”
Schiaccio la fine chiamata e ricompongo il numero che ho già provato quattro volte nel corso della giornata senza successo.
Suona poi entra il servizio di segreteria.
“Ciao, sono ancora la mamma…” mi mordo un labbro con la gola chiusa dal magone “Kurt, lo so che non ho il diritto di chiedertelo ma chiamami. Per favore…”
Poso il telefono per terra poi premo le dita contro gli occhi sperando come ultima spiaggia che sia un brutto sogno.
Mi permetto ancora un minuto di commiserazione self-made poi mi rimetto in piedi, con l’intenzione di cercare indizi nella camera di Kurt. Fat chance.

Non sono stata una buona madre.
Ho cercato di esserlo ma chissà…
Oh Hervas…

She was powerful,
not because she wasn't scared
but because she went on so strongly,
despite the fear.
~ Atticus

~

“Adesso tu rimedi a questo casino. Per diciassette anni hai fatto finta che Kurt non esistesse, adesso molli tutte le tue scuse, prendi e vieni qui. Se gli è successo qualcosa sappi che ti ritengo il diretto responsabile.”
Aveva trattenuto il respiro per qualche secondo prima di lasciarlo andare, abbassare la cornetta e rimetterla in posizione con un ‘clic!’
Erano passati dieci anni dall’ultima volta che aveva udito la voce di Michelle.
Chiara, limpida e satura di vetriolo.
Proprio come l’ultima volta.
Vedeva distintamente la propria mano tremare contro la plastica del telefono, quindi la strinse a pugno prima di riaprirla in contemplazione.
Tremava ancora.

La giornata passata in riabilitazione non si era ancora conclusa, non per lui.
Stentava a tenere gli occhi aperti ma si sforzò di apparire almeno vigile al suo arrivo.
Las Vegas brillava appena fuori dalle finestre a mezza altezza dello studio.
I crampi alle gambe lo stavano uccidendo, nonostante fosse seduto sulla carrozzina.
“Buonasera Mister Lagden.”
Aveva grugnito, ricevendo un’occhiata che ignorò in favore di fissare sospettosamente il gioco da tavolo apparso sulla scrivania.
Creane aveva seguito il suo sguardo, aveva sorriso e si era seduta dietro la scrivania di fronte a lui.
“Ho saputo che le piace giocare a backgammon, so che è stanco e mi chiedevo-”
“Non a backgammon.”
“Pardon?”
“Qualsiasi cosa ma non quello.”
Creane l’aveva studiato per un po’ prima di accondiscendere e portare sulla scrivania il Goban che teneva in un angolo della stanza.
[…]
Erano al secondo gioco.
Aveva stracciato la psicanalista nel primo round quasi senza preoccuparsi della propria strategia.
Qualcosa però gli diceva che la donna l’aveva lasciato vincere per osservare il suo modus operandi e nei suoi occhi ora c’era una luce ed una intelligenza da stratega che prometteva un match da ore.
Guardò sorpreso quando Creane sollevò la mano su una delle sue sezioni di pedine nere attuando una manovra rischiosa per inizio partita e mandando uno dei suoi angoli meno protetti nel caos.
Aveva risposto muovendo a casaccio, il sopracciglio di Creane si alzò in una lieve sorpresa.
“Perché non segue una strategia?” gli aveva quindi domandato, inferendo un altro colpo alla sua difensiva già instabile.
“Non desidero vincere.”
Occhi su di lui “O non vuole giocare?”
“È la stessa cosa, Creane.”
Il tavoliere ripiegabile si inclinò sotto i suoi occhi e le pedine scivolarono di lato, ammucchiandosi in montagnole bianche e nere senza più regole o limiti.
“Fra desiderio e volontà c’è differenza Mister Lagden. Non sempre portiamo a termine le cose che desideriamo. Spesso vogliamo qualcosa ma ci manca il coraggio di intraprendere il viaggio per raggiungerla. La vera forza sta nel scegliere cosa si vuole: desiderare o volere?”

Occhi neri sul display del telefono fisso, led rossi che mostravano le nove e diciotto post meridian.
Quel pomeriggio invernale Creane aveva ragione quindi?
Era arrivato il momento?
Tirare su la testa dalla sabbia. Svegliarsi dal sogno.
Meccanicamente aveva lasciato la saletta ed era tornato nel corridoio, bussando al piccolo ufficio di Jimmy ed aprendo appena la porta, rimanendo sulla soglia.
“Dottore?”
“…”
“Posso aiutarla?”
Un sorriso sinistro su labbra sottili.
“Sì, James. Tu puoi aiutarmi.”
[…]
“Ma…ma…signore!”
James aveva cercato di sviarlo appena aveva fiutato le sue intenzioni.
Gli era rimasto alle calcagna per l’intero tragitto al suo laboratorio ed il giro di ricognizione con il team, quasi si aspettava che lo trattenesse fisicamente in quell’ultima passeggiata fino agli ascensori.
“Giù al ventunesimo si bloccherà tutto senza di lei! Non può!!!
Linds chiuse gli occhi dopo aver chiamato l’ascensore, mordendosi un labbro per non ridere di gusto e rimanendo in silenzio.
“Ed il Comandante?! Ci ha pensato a quel- quel- quello è un incompetente! Non capisce niente di antimateria e dimensioni delta in realtà relativa!” una nota di isteria alzava di mezza ottava la voce del suo assistente.
A quel punto aveva finto di tossicchiare, aggiustando le tracolle e sperando che Jimmy non lo seguisse anche per andare su.
DING!
“No, sul serio, è stato un bello scherzo Mister Lagden. Adesso-”
“Passa una buona nottata, James.”
“Dottore!” il viso aggrondato dell’uomo era una copia quasi identica dell’urlo di Munch alla Homer Simpson “La supplico!
“Oh, piantala Jimmy…”
“Il momento che il Comandante capirà che lei è sparito bloccherà tutte le ricerche non approvate! Sarà il caos!”
“Quando arriverà quel famigerato momento tu digli la verità.” era entrato nella cabina, passando pigramente il proprio pass prima di lanciarlo a Jimmy e premendo il pulsante per la superficie.
“Sarebbe?”
Linds alzò le spalle con un ghigno.
“Mi sono dato le ferie.”
DING!
Dall’altra parte delle porte di metallo sentì ancora Jimmy imprecare, pugni che battevano contro la paratia.
“Ma si può sapere chi cavolo è quella maledetta Hervas?!”

Where I cope, where I fit
Where there's hope to forgive
Where this dark comes to light
[...]
I miss you so much - it's killing me
Do they know where I've been?
About the hurt, and the blood,
and the loss, and the love
Lord forgive me - here I come
Richard Ashcroft ~ Let my soul rest

~~~

Canzoni del capitolo:
- The dead weather ~ Bone house;
- Richard Ashcroft ~ Let my soul rest.

Le note di questo capitolo sono:
- Per cella criogenica intendo quello che significa letteralmente, per maggiori informazioni potete trovare delucidazioni sulla pagina wiki dedicata all'Ibernazione. Ho varie teorie sul tema e sono certa che al Lambda Dep studiano anche l'idea del sonno criogenico...non mi stupirebbe se stessero facendo esperimenti con cavie umane e che Linds si sia già fatto un giro, chi non vorrebbe risvegliarsi magari tra due secoli e vedere cosa ne abbiamo fatto del mondo che ci circonda?
- Il Crossfit è un sistema di fitness ad alta intensità che raggruppa insieme vari tipi di esercizio fisico anche a livello agonistico, sollevamento pesi olimpico, powerlifting, kettlebell, strongman e altro. Per Michelle è il pane, io che l'ho provato preferisco la Mountain Bike ed è tutto detto. LoL
- Il Go è un gioco da tavolo strategico per due giocatori. Ebbe origine in Cina ma è molto popolare in tutta l'Asia Orientale. La scacchiera (Goban) è composta da una griglia 19 x 19. Ha regole semplici ma come gioco è molto complesso, pensate che una partita di livello professionale puo' anche durare giorni;
- Con Antimateria accenno alla ricerca attualissima del quale sentiamo parlare recentemente anche ai telegiornali nell'ambito della fisica di particelle. Linds è uno studioso nel midollo ma il suo amore principale rimane comunque la Fisica ed in questo caso la Materia oscura del quale è costituito al 90% il nostro Universo rimane uno dei misteri più insoluti ancora oggi. Di mio ho sempre avuto il desiderio di studiare Astronomia ma se siete interessati potete leggere maggiori informazioni sulla Antimateria e sulla Materia Oscura (anche se vi consiglio le pagine in inglese che trovo le più complete);

Tredicesimo capitolo, here I come!
Non era previsto un aggiornamento nei prossimi giorni ma eccolo qui. Ringraziate la sfiga della sottoscritta che ci vede benissimo e gode nel mettermi i bastoni fra le ruote della chevrolet darling.
Da qui in poi la trama si infittisce quindi tenete gli occhi pelati mentre leggete anche se so che tra un capitolo e l'altro rischia di passarci un secolo (sigh!)
Chissà che fine ha fatto Kurt? ?o?
Io posso solo dirvi che le sorprese non sono finite and the road goes ever on ;)
Spero che il chap vi sia piaciuto!!!
Per me è già estate ormai e se la mia sfortuna si attenua un pochino ho tutte le intenzioni di godermela in pieno quindi Hasta la vista, Au revoir, Auf Wiedersehen and Adios! xD
Hermes

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Capitolo 14
*** 14 ***


Énouement
{The bittersweetness of having arrived in the future, seeing
how things turn out, but not being able to tell your past (self)}

Per fortuna il comando del garage risponde ancora al vecchio segnale ed ho parcheggiato l’auto con facilità.
Non ci sarà niente di facile, Linds. Niente è ancora facile per te.
Sono quasi le cinque del mattino e non so come spiegare il mio umore dopo aver guidato per otto ore consecutive.
Non sono in una situazione che mi è solita, dovermi difendere per le mie azioni.
Sapevo che quella conversazione si sarebbe rivoltata contro di me, ma non potevo immaginare che Kurt sparisse.
Ho detto la verità, può far male, ma è sempre meglio che mentire e comunque non sono così preoccupato.
Il ragazzo è grande e vaccinato!

L’ascensore sale i piani e lancio un’occhiata allo specchio, notando le mie occhiaie e l’occhio nero.
E meno male che avevi tutte le intenzioni di passare i prossimi giorni a dormire, Linds…damn it!
Stropiccio il volto, passando una mano sotto gli occhiali e combattendo uno sbadiglio.
Mi sento fisicamente stanco e non sono mai stato il tipo da tenere in grande considerazione il mio stile di vita ma, raggiunto il mezzo secolo, devo ammettere che inizio a sentire la stanchezza di tutte le notti passati ad occhi aperti, la caffeina ormai installatasi nelle vene ma gli alcaloidi quasi dimenticati nel passato.
L’ascensore si ferma ed estraggo le chiavi, infilandomi nel loft immerso nel denso silenzio dell’alba.
Per un attimo trovo una simmetria in questa mia entrata e le altre, appartenenti ad un diverso periodo, prima della nascita di Kurt.
Quando a fine settimana correvo come una freccia nel tramonto, stanco ma senza sbandare, puntato verso un polo come l’ago di una bussola.
Ore di libertà che passavo con la Mia Bella.
Percorro l’open-space, passando a fianco dell’acquario che emana una luce bluastra e salendo la scala a chiocciola.
Anche nell’oscurità realizzo che non è cambiato molto questo posto se non per la presenza di un’altra persona.
Il piano superiore è buio, passo nel salottino e scosto una delle doppie porte scorrevoli, entrando nella camera padronale.
Michelle dorme sopra al copriletto, non da molto dati i suoi capelli bagnati.
L’aria condizionata non è accesa e lei è rannicchiata in una posizione quasi fetale in un paio di pantaloncini ed una maglietta che, ad occhio e croce, devono essere di Kurt.
Saranno quasi dieci anni che l’ho vista in carne ed ossa ma è sempre la stessa.
Bella da togliere il fiato.
Quel volto ovale e le labbra piene…
Le sue gambe abbronzate dal sole, lisce e morbide.
Vorrei solamente baciarle l’incavo del ginocchio come ero solito fare quando eravamo a letto, e morderle appena la pelle morbida dell’interno coscia.
L’eco del suo respiro tremulo che vibra nelle mie orecchie.
Linds, piantala vecchio porco.
Sorrido appena poi afferro un vecchio afgano e glielo apro addosso senza svegliarla.
Lancio un’occhiata di striscio all’orologio: cinque e un quarto.
Le accarezzo la guancia con un dito e torno di sotto.
Chissà se c’è ancora quella caffetteria due isolati più in là…
[…]
Al mio ritorno l’aroma del caffè ci ha messo poco a svegliare Michelle.
Siamo finiti sul divano del salottino di sopra a fare una colazione improvvisata.
Solo le sette del mattino e ma belle ha le mani fra i capelli, i suoi piedini scalzi poggiati contro la mia coscia e l’aura di una persona costretta al patibolo.
Un amore di nervi, in poche parole.
“Hai provato a contattare i suoi compagni di scuola?” tento con cautela, Michelle alza gli occhi nella mia direzione
“Non ne conosco molti. E se anche fosse con loro…” non conclude la frase ma il suo tono di voce mi basta per sapere cosa sarebbe venuto dopo “Sto pensando di chiamare la polizia.”
“Vuoi sapere cosa ne penso?”
“Non proprio-”
“Penso che Kurt sta perfettamente e che non vuole essere disturbato, Michelle.”
“Bel modo per insabbiare la tua mancanza di tatto!” sbotta, un lampo negli occhi grigi.
“Lo dici come se fosse ancora un bambino di quattro anni.” non abbasso gli occhi “Kurt aveva il diritto di sapere la verità.”
“La tua verità Linds, l’ha allontanato da me.” precisa acida.
“Tornerà Michelle. Non chiamare la polizia.”
Ci scambiamo uno sguardo poi si allontana per il piano di sotto con il suo bicchiere, sospirando.
Linds smettila di scendere con lo sguardo perché ne hai del damage control ancora da attuare!
Topastro scimunito!

Mi gratto il capo, finendo il caffè e stravaccandomi sul divano per un pisolino meritato.

~

È qui.
Qui, porco cane.
Per poco non ho avuto un infarto stamattina.
La prima cosa che ho visto sono stati i suoi occhi neri su di me, espressivi ed un po’ stanchi.
Stava seduto sul limite del materasso, avrei potuto toccarlo.
All’inizio avevo creduto in una allucinazione.
Ma più lo guardavo più lo riscoprivo.
Era invecchiato in quegli ultimi dieci anni e – ci avrei scommesso la mia cintura di Ju-Jitsu - non aveva chiuso occhio da un po’.
Quell’occhio nero.
La barba punteggiata appena di bianco, come i capelli.
Le mani grandi e sottili in grembo.
Ero saltata seduta, incredula.

“Che cavolo ci fai qui?!”
Linds aveva alzato un sopracciglio, voce calma e posata “Fino a prova contraria me l’hai chiesto tu.”

A quel punto ero pronta a prendermi a calci da sola…
Sì certo, ieri sera gli avevo imposto istericamente di trovare un rimedio alla situazione ma non pensavo – non potevo crederci – che me lo sarei ritrovato davanti.
Avevo cercato una calma che non avevo, Linds mi aveva indicato il fautore del mio risveglio: caffè da asporto.
Quindi ci eravamo spostati nel mini salottino che avevo ricavato nell’angolo cieco della passerella.
Ora che sono scesa al piano terra del loft tiro un sospiro a fondo e mi occupo di cibare i miei poveri pesciolini affamati.
Adesso che facciamo, Hervas? Care to enlighten me?
Bella domanda.
Alzo lo sguardo verso la passerella.
Se fossi stata matematicamente certa in passato che si sarebbe presentato qui solamente chiedendo…
Devo sbattere le palpebre più volte per ricacciare indietro una rabbia umida.
Volto di scatto la testa verso il frigo e gli sportelli della dispensa, tornando pratica.
Dieci minuti dopo ero tornata di sopra mi ero cambiata in jeans e camicia e scesa di sotto.
In mano lista della spesa e chiavi dell’auto di Linds – tanto mentre dorme non l’ha bisogno – ed ero scesa.
Nel garage comune non era stato difficile trovare l’auto e fischiai quando vidi il giocattolino, passai una mano sul cofano bianco ancora tiepido.
Linds si era sempre trattato bene in autovetture ma rimaneva che preferivo le due ruote.
Dieci minuti dopo, al volante e disinnescata la musica a palla, mi ero già convertita al nuovo bolide.

~ Quartiere Sea Cliff, San Francisco
Non erano nemmeno le nove del mattino e stava già pensando di farsi un’altra doccia o buttarsi nella piscina.
Lizzie guardò con invidia Rock, sdraiato all’ombra della veranda in piena siesta.
Quel pomeriggio aveva l’allenamento delle Cheerleaders ma era davvero tentata di passare con quel caldo.
Annoiata si sedette al tavolo della cucina trovando un minimo di sollievo nella superficie di pietra e scegliendo una pesca dal vassoio.

Quel lunedì Kurt aveva fatto su tutti i suoi averi, raddrizzando la dependance nel pomeriggio meglio della donna di servizio.
“Sei proprio sicuro di non voler restare ancora un po’?”
Il ragazzo aveva scosso la testa poi l’aveva guardata “Posso chiederti un paio di favori?”
“Okay.”
Quella sera aveva prenotato un biglietto aereo per il giorno dopo a suo nome con la carta di credito, il prezzo salatissimo.
Kurt non aveva fatto un piega e si era limitato a sfilare la somma da un rotolo di banconote tirato fuori dallo zainetto.
“Hai svaligiato una banca? E comunque sono troppi.”
“La differenza è per il taxi.”
“Kurt…sei proprio sicuro che sia quello che vuoi?”
“…”
“So che richiedono un mucchio di certificazione e test di tutti i tipi.”
“Cos’è hai fatto un visitina al sito? Preoccupata?” fredda ironia mentre si chinava a controllare il pollo nel forno.
“Dovresti esserlo tu piuttosto.”
“Non lo sono.”
“Sei matto.”
“Ovviamente.” aveva sorriso, scuotendo la testa e tirando dal mozzicone che aveva recuperato dal posacenere “Solo un matto vorrebbe entrare nella fossa dei leoni…”
“Non voglio che te ne vai.” aveva ammesso lei, stringendo forte le banconote fra le dita.
I suoi occhi neri la puntarono, curiosi.
“Non credo che i miei si renderebbero conto della mia assenza e parliamo solo di qualche settimana. Non morirai, Lizard.”

“Cocciuto e scemo.”
La sua voce aveva fatto alzare un orecchio pelosino a Rock sotto la tettoia.
Il cellulare di Kurt era rimasto spento da quando si era imbarcato sull’aereo.
Lo sapeva perché aveva provato un paio di volte a contattarlo.
E di nuovo, quella sensazione dentro il suo stomaco quando l’aveva guardata serio e deciso, immovibile e pronto a spiccare il salto.
Quel coraggio glielo invidiava con tutta l’anima.

~

Ero tornata al loft giusto in tempo utile per il pranzo, avevo scaricato i sacchetti della spesa sull’isola dando una pacchetta amichevole alle chiavi della Jaguar.
La piccola è un mostro, no wonder he likes it!
Messi i deperibili nel frigo chiamai Linds a voce alta.
“Preseeentee!”
Avevo roteato gli occhi “Vieni giù e dimmi cosa vuoi per pranzo.”
“Nah, mi fido Michelle.”
Tipico…
Tre quarti d’ora dopo stavo dando gli ultimi tocchi culinari ad una pasta fredda e Linds era sceso con i capelli bagnati e la barba fatta di fresco, gli occhi incollati sul San Francisco Chronicle che avevo comprato quel mattino.
Feci il giro dell’isola con la terrina e la brocca del tè freddo nell’altra, iniziando a servirmi.
Sto cercando di comportarmi normalmente ma sono davvero tesa.
Non so cosa fare, sono preoccupata per Kurt ed allo stesso tempo non so come gestire Linds.
Cosa dovrei dirgli dopo questi dieci anni?
Accidenti in che pertugio mi sono cacciata e perché cavolo ha deciso di tornare?!
Sbatto le palpebre, tornando alla realtà e scoprendo che il mio monologo mentale è stato osservato dal centro dei miei pensieri.
Corruccio la fronte passando all’offensiva “Che c’è?”
“Ti ho chiesto perché non sei al lavoro.”
“Ho…sono…il capo mi ha mandato in ferie.”
“…” non parla, per qualche strano motivo sorride sghembo.
Continuiamo a pranzare in un silenzio pesante, roba da indigestione sicura.
Se questa è l’atmosfera che ci sarà qua dentro per i prossimi giorni io scappo in esilio, accidenti!
“Michelle…”
“Sì?”
“Che cosa hai fatto in questi ultimi anni?” ha appoggiato la testa sulle mani, occhi vigili ed emotivamente chiusi “Ho letto un paio di articoli sul Venter Institute ma non ho seguito molto l’azione sulla genetica.”

~

Chi cavolo è questo e che ne ha fatto di Linds?!
Era passato bellamente sopra la tensione ed aveva rotto il ghiaccio lasciandomi a sparlare sulla passione della mia vita per buona parte del primo pomeriggio prima di fare domande molto precise su qualche particolare nuova tecnica di ingegneria genetica.
Ad un certo punto discutevamo a tutto spiano e mi prudevano le palme delle mani dalla voglia di lavagna e gessetto per dimostrargli che ‘in teoria’ le mie idee avevano un dannato senso.
E l’imbecille mi lancia quei suoi ghignetti saputelli! Accidenti al suo genio megalomane!
No, non era cambiato assolutamente niente.
Lo ammetto di malagrazia, sia chiaro.
Si è fatta sera, il suo stomaco ha brontolato tipo valanga di montagna e si è offerto di portarmi a cena fuori.
Semplice e cristallino come un pezzo di vetro, peccato per i bordi taglienti.
Abbiamo camminato per un paio di isolati fianco a fianco.
Ho una voglia matta di chiedergli che ha fatto alla faccia.
Non mi ha ancora sfiorata nemmeno inavvertitamente e di questo almeno gli sono grata.
Se per quello non mi ha ancora chiamata Ma Belle.
Invece Linds è rimasto il mio topastro.
Accidenti a lui.

~ A 3900 chilometri di distanza, FAIT Program, Federal Bureau Investigation Academy.
Un boato di applausi risuonò nella Aula Magna alla fine del suo discorso di benvenuto e l’anziano Senatore Wieder alzò una mano annuendo alla folla di nuove reclute prima di essere seguito dal suo entourage fuori dove la sera estiva era già scesa sul parco del campus.
Questione di una mezz’ora – tempo di un caffè e dei complimenti del rettore dell’accademia ed l’anziano uomo si era seduto sull’auto blu, il suo segretario da oltre trent’anni in coda.
“Avete un vero tocco con i discorsi, Signore.”
“Fottuta perdita di tempo, ecco cosa, agente May.”
L’aiutante passò sopra al commento del proprio superiore, sfogliando la lista di aspiranti al campus finché non si sfilò gli occhiali per pulirli, sorpreso.
Ma no, i caratteri erano chiari e precisi.
“Colonnello.”
“Sì?”
“Legga qui.”
Wieder brontolò, inforcando gli occhiali e chinando il mento al petto, dando una scorsa alla lista di studenti del corso estivo a numero chiuso.
Occhi grigi si allargarono sensibilmente.

Lagden Kurt, nato il 6 Marzo 20** al San Francisco California Pacific Medical Center.
Madre: Hervas Michelle, ricercatrice presso il San Diego Venter Institute (California).
Padre: Non Pervenuto.
Nota d’archivio: Lagden Linds, capo-ricercatore presso il Lambda Department (Nevada).

Le labbra marcate del Senatore si curvarono in un sorriso.
“Curioso…abbiamo una foto del giovanotto?”
“Un momento.”
Il tablet passò di mani, gli occhi del vecchio si posarono su un viso famigliare a tratti.
Occhi neri, naso leggermente storto ed un non so che nello sguardo…
Sta a vedere che ciò mancava in quel piccolo scienziato stronzo è passato al figlio.
Il sorriso si allargò e l’uomo si accomodò meglio sul sedile, pregustando una buona lettura.
“May, mi tenga aggiornato sui progressi del nostro giovane, sì?”
“Come desidera, signore.”

~~~

Canzoni del capitolo: Nessuna!

Le note di questo capitolo sono:
- Maggiori informazioni sul programma FAIT potete trovarle sulla pagina ufficiale dedicata alla community outreach del FBI.

Sì, sono di nuovo qui, in questa sera di fine Giugno a preparare un chapter solo per voi, miei pochi lettori.
Non sembra vero neppure a me! xD
Aggiornamento estivo questo, in perfetta linea temporale o poco meno con UT!
Menate a parte, capitolo corto ma con balzi e scarti fra diversi posti, persone e tempi! Non avete nemmeno una vaga idea di quanto mi diverta a scrivere questa mia storiella scema nel poco tempo che mi avanza...LoL
Esploriamo (alla buon'ora) la nuova chimica fra Lagden e Hervas...e rivediamo nonno ragno!!! (muahahahah)
Secoli fa alcuni avevano recensito con astio nei confronti del topo...io preferisco tenermi nella neutralità e fare in modo di rendere il passato per ciò che è stato. Commettiamo errori ogni giorno ahimè, questo ci rende umani anche se Linds non lo convincerò mai, temo.

Chiuso l'angolino pensieri autore lascio solo un piccolo ringraziamento a alessandroago_94 per aver lasciato un commento allo scorso chapter.

Prossimo aggiornamento? Non ne ho la più pallida idea.
La verità sacrosanta è che questa storia verrà finita un giorno o l'altro e, molto probabilmente, dopo abbandonerò carta e penna per qualche tempo.
Buona Estate a tutti. =)
Hermes

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Capitolo 15
*** 15 ***


Nota: Questo capitolo inizia con un lungo flashback che potrebbe non essere gradito ai più sensibili al tema della droga. Io vi ho avvertiti e sapete a cosa andate in contro. Ci rivediamo nelle note in fondo.

You have your way.
I have my way.
As for the right way, the correct way, and the only way...
...it does not exist.
~ Friedrich Nietzsche

Claudia Creane era una persona che amava la routine, perché le cose solite erano le fondamenta di una vita equilibrata.
Ogni giorno scandito da eventi senza sorprese: la colazione con la lettura del quotidiano, il cruciverba, un quarto d’ora di commutazione per il lavoro e poi appuntamenti prestabiliti con i suoi vari pazienti.
Aveva orari facilmente prevedibili, flessibili solo in occasione di sessioni di emergenza.
Per il resto la sua vita era tranquilla, le sue due figlie gemelle si erano distaccate dal nido famigliare da alcuni anni ed erano al college con ottimi voti, suo marito Chris aveva ancora cinque anni prima di andare in pensione ma era entusiasta della sua vita attiva.
Ma ora torniamo al passato.

~ Dieci anni prima
Era la domenica pomeriggio di una primavera che era tardata tanto ad arrivare.
Lei e Chris erano usciti per la city, per passare un weekend insieme e divertirsi con qualche spettacolo del momento.
Il suo telefono personale aveva suonato senza rimandare il numero del chiamante.
Aveva ignorato cinque telefonate prima di rispondere, curiosa e innervosita.
La sua routine così perfetta, dal momento che aveva accettato la telefonata, si era spezzata.
La telefonata era stata fatta da un soldato decorato dell’esercito del quale non le era stato rivelato il nome per segreto governativo, la veridicità delle sue credenziali però era stata suffragata dall’ordine del quale lei faceva parte come psicanalista specialista.
Il militare aveva richiesto una lista di persone – senza discriminazioni di sesso ma solo di esperienza – con possibilità di accettare un nuovo caso da subito.
“Ovviamente per una visita di pre-accettazione del caso è un requisito firmare un contratto di non-disclosure, Dottor Creane.”
Il suo istinto aveva scosso vigorosamente la testa ma le sue labbra avevano accettato, troppo tentata a livello professionale.
Un’ora dopo aveva raggiunto il Sunrise Hospital and Medical Center grazie alle precise indicazioni che le erano state date via telefono.
Appena entrata nella Hall era stata avvicinata da due uomini, militari in borghese, che l’avevano isolata con discrezione in una saletta nel quale le avevano presentato un contratto di dieci pagine con clausole così restrittive da far alzare parecchi sopraccigli pure nel suo ordine e – senza leggerlo – sapeva che avrebbe leso la sua libertà di cittadino americano e la clausola di ‘rivelazione del segreto professionale’ caso fosse che ciò che avrebbe scoperto avrebbe potuto ledere alla sicurezza nazionale.
Chi mai poteva essere questo ‘paziente’ con un grado talmente alto di sicurezza e privacy da mettere in moto l’esercito?
Meglio ancora…se era così importante da essere monitorato…

Aveva accettato.
La firma non si era ancora asciugata sul documento che l’avevano guidata verso un ascensore prima, poi ad una stanza singola piantonata da altri due soldati, uno di loro bussò alla porta.
Da dentro la camera ne uscì un uomo sui quarantacinque con la fronte bassa e gli occhi scoloriti e giallognoli, vestito come una qualunque persona normale ma si vedeva subito che non era abituato a portare vestiti civili.
Il suo collo era segato dalla metà in su da un’abbronzatura piuttosto evidente mentre inferiormente la pelle spiccava pallida: la sua norma era un alto colletto molto stretto, quindi, con cravatta.
“La ringrazio per avere accettato, Dottor Creane.” strinse la sua mano brevemente “Come ha potuto constatare il suo segreto professionale è fondamentale ma non le nego che non ho molte speranze a proposito del suo nuovo paziente.”
“Perché accanirsi?”
“L’individuo di cui stiamo parlando è una delle menti più geniali di tutti gli Stati Uniti.” aveva abbassato la voce di un tono, tenendo quella conversazione privata alle poche infermiere ferme al bancone delle accettazioni “Non esattamente conosciuto ma se la notizia dovesse trapelare…”
“Ho capito. Per quale motivo è finito in ospedale?”
“È collassato nel proprio dipartimento, il team medico ha subito riscontrato un aritmia ed una quantità di tossine e metalli pesanti nel sangue, anche droga comune: cocaina e mescalina principalmente. Quanto alle cause del suo stato di salute attuale, non le so dire nulla…immagino che la cartella clinica le darà più ampio riscontro sui fattori.”
“Grazie per le sue informazioni.”
“Il suo paziente è cosciente ma non sembra in grado di formulare frasi di senso compiuto. Sono a sua disposizione per altre domande.”
“Capisco.”
A quel punto era entrata nella camera singola e trovandoci tutto meno quello che si era potuta immaginare fino a quel momento.
Nel letto stava un uomo con meno di quarant’anni.
Scheletrico e perfettamente immobile.
Occhi scuri fissi e cerchiati non solo da occhiaie marcate ma da una fitta corona di vene nella sclera che incorniciavano l’iride, in alcuni punti si scorgevano piccoli ematomi dove non avevano retto al trauma.
Le labbra secche e semi-ritratte per la disidratazione, mostravano delle gengive bianche e nel procinto di ritrarsi.
Le braccia erano entrambe collegate a flebo, una in particolare alla cannula di una macchina per l’emodialisi che girava a pieno ritmo.
Le mani cadevano sul lenzuolo, ormai solo più ossa e tendini che tremavano spasmodicamente; le uniche cose veramente vive.
La sua entrata non aveva provocato movimenti involontari da parte dell’uomo quindi Claudia si avvicinò al fondo del letto dando un’occhiata alla cartella clinica, nutrita come se quel rifiuto fosse stato lì un paio di settimane invece che un paio di giorni.
Anche su quel documento erano state apportate modifiche in modo che la privacy non fosse violata quindi poté solo constatare che il nome del suo nuovo cliente era ‘Linds’.
Per il resto aveva sentito di cadaveri più sani nelle camere mortuarie stando a ciò che recavano gli esiti: entrambi i reni erano in tilt, il fegato era finito in insufficienza epatica a causa della scarsa – se non nulla – alimentazione, il peso in continua diminuzione a causa dell’uso pazzesco di sostanze aveva innescato le misure estreme di un organismo portando al consumo dei muscoli e degli altri tessuti nel disperato tentativo di mantenersi in vita.
Sembrava che Linds avesse raggiunto il suo limite.
La quantità di mercurio-alchile , piombo ed alcaloidi d’origine vegetale presente nel suo sangue (tra l’altro Claudia notò l’estraneità del gruppo sanguigno in base alla media della popolazione) sfiorava a dire poco una concentrazione che avrebbe ucciso un ventenne pazzo di fitness e abitudini alimentari bio.
Un tentativo di suicidio, quindi.
Dalla concentrazione risultava chiaro che l’avvelenamento era stato fatto per gradi, come uno sviluppo di tolleranza per l’arsenico: dosi sempre maggiori finché il corpo sarebbe caduto in shutdown forzoso, immune in parte ma incapace di detossificarsi.
Un tentativo voluto, programmato…pensato nei minimi dettagli.
Aveva posato la cartella, immersa nei propri pensieri…
“Divertita?”
Una voce rauca era arrivata dall’uomo nel letto che fino a quel momento non sembrava affatto essere cosciente di sé, le dita continuavano a tremargli involontariamente.
Era sorpresa ma la sua esperienza le permise di non mostrare emozioni ed un momento dopo era diventata ciò che era stata per gli ultimi vent’anni…uno specialista in psico-analisi e psicoterapia.
“Cosa dovrebbe divertirmi?”
Linds aveva tentato di corrugare la fronte con scarsi risultati “Chi è lei?”
“Ha importanza?”
Stava cercando di ridere ma i muscoli gli rispondevano solo per metà. Quindi la risata uscì ma non espresse nulla: secca ed impastata, con un tocco di follia.
“Strizzacervelli…quindi ora sono pazzo…bene, mi fa piacere!”
“Crede di esserlo?”
“…”
“Per quale motivo ha cercato di togliersi la vita, Linds?”
Il suo nome aveva portato una reazione aggressiva, illogica “So perfettamente le mie mancanze mentali!”
“Non sono una ‘strizzacervelli’…ho una laurea in medicina, una specializzazione in psicoterapia ed psicoanalisi. Mi chiamo Claudia Creane.”
“Non ho alcuna intenzione di ‘parlare’ con lei, Creane.”
“Sono stata ingaggiata con un contratto di un anno e mezzo di sessioni con lei tre volte a settimana, pagate dal dipartimento di Sicurezza americano. Temo che le sue intenzioni non valgano molto al momento.”
Le mani si erano strette a pugno, tremavano ancora “Avrei dovuto dare le dimissioni prima di provarci, lo sapevo.”
A quel punto si era seduta sulla sedia imbottita.
“Stando ai suoi esami so perfettamente che è quasi riuscito ad uccidersi senza che nessuno potesse metterle un freno. Non sono qui per giudicarla, Linds. Sono qui per farla tornare a vivere.”
“No.”
“Alcune volte si trova la forza di rialzarsi solo facendo un passo per volta.”
Ho detto no.” il volto emaciato era una maschera dura e testarda, percorsa da crepe.
“La avviso che se non collabora io non sarò responsabile né della sua perdita di tempo e nemmeno delle conseguenze.”
“…” gli sbiaditi occhi neri si erano come allontanati e la donna si alzò senza mostrare espressione.
“Vorrei solo darle una regola da seguire nelle nostre prossime sessioni: si ricordi di essere umano.”

Continuava a chiedersi se dopo quel primo colloquio aveva continuato a seguirlo per pura curiosità accademica o se quel suo fare asettico la attirasse più del dovuto.
Fatto rimaneva che le loro sedute erano continuate in quegli ultimi dieci anni e, se da una parte sembrava avessero prodotto dei risultati, Claudia non era certa che sarebbero durati.
Linds Lagden era un ossimoro vivente.
Capace della più lucida logica e della isteria emotiva allo stesso momento.
Umano ed inumano.

“Non pretendo di essere capito da nessuno.”
“Nemmeno da tuo figlio?”
“No, nemmeno da Kurt, Creane.”

~

The sun also rises
On those who fail to call
My life, it comprises,
Of losses and wins and fails and falls.
Lana del Rey ~ Money Power Glory

L’open space al piano terra del loft era uno spazio gigantesco e luminoso, invaso da un sole mitigato da alcuna barriera.
Linds strizzò gli occhi, sdraiato sulla penisola del divano.
Il sangue gli stava andando alla testa ed aveva nascosto le mani dietro la schiena perché il loro tremore non fosse immediatamente visibile a Michelle casomai fosse passata di lì.
No, nessuna intenzione di andare sul pesante.
Sì, sono cazzi miei, grazie ed auguri.

Lei aveva continuato a girare per la casa come una tigre in gabbia, pure di notte.
L’aveva sentita muoversi fino alle quattro del mattino poi silenzio fino alle otto, quando aveva sentito aprirsi il getto della doccia nel bagno padronale.
Lui di suo non aveva chiuso occhio.
Si era preso la camera degli ospiti ed il nuovo ambiente, i rumori notturni di San Francisco contro il silenzio quasi totale a cui era solito alla Base, i propri pensieri non gli avevano conciliato il sonno nemmeno un po’.
Quando ho mai dormito io...
Un sospiro rassegnato, il sole che gli incendiava di rosso le palpebre.
“Linds.”
“Dimmi…”
“Hai intenzione di startene lì a far niente ancora per molto o intendi darmi una mano?”
L’uomo biondo strizzò un occhio aperto, notando le braccia conserte della donna in piedi accanto a lui.
“Posso esserti utile?”
“Tanto per cominciare potresti provare a dare un occhiata se Kurt avesse fatto pagamenti con la carta di credito.”
“…”
“…”
“Non me lo stai chiedendo sul serio.”
“Invece sì.” si era infilata una mano nei capelli, mostrando disagio “Hai ragione. Non è più un bambino ma è più forte di me.”
Linds la osservò cercando ciò che non vedeva, quindi chiuse gli occhi.
“Okay.”
“Grazie…”
I passi di Michelle che si allontava e saliva la scaletta a chiocciola.
Il calore del sole sui suoi zigomi.
La sensazione di sconfitta che gli premeva contro lo sterno.
[…]

~

[…]
Era il terzo giorno sotto lo stesso tetto.
No, non abbiamo ancora pomiciato, Dio sia lodato.
Stavano discutendo su una notizia appena apparsa al telegiornale quando d’un tratto aveva deciso di infilzare la patata bollente.
“Linds, sei sicuro di stare bene?”
Si era voltato a guardarla, il ritratto dell’innocenza.
“Sì, perché?”
Michelle non avrebbe saputo rispondere, la sua era più una sensazione che una certezza.
Il topo lo conosceva da anni, l’aveva perso di vista sì ma non pensava davvero che una persona potesse cambiare così radicalmente.
Eppure è cambiato.
Silenzioso da stranirla.
Più calmo, sicuro del proprio se stesso.
Indifferente, nessuna scintilla nello sguardo.
Avevano discusso del suo lavoro, le aveva lanciato qualche ghignetto ma niente – niente – l’aveva preparata ad fare i conti con quell’uomo al suo fianco.
Somigliava a Linds.
Nient’altro.
Magari è solo l’età che avanza…
Avrebbe voluto crederci, ma dentro di se scuoteva la testa.
Il bianco degli occhi che si sarebbe intravisto da lì a poco.
[…]

~

Non era a suo agio nel frugare seppur vagamente fra le cose di suo figlio.
So già che non ha lasciato indizi, lo sa pure Michelle ma a quanto pare non riesce a darsi per vinta.
Si era seduto alla scrivania di Kurt, lanciando uno sguardo inquieto alla Guernica appesa alla parete.
Un dito a lisciare alcuni libri di scuola che teneva sul piano, tanto per le apparenze ne aprì uno, sfogliandolo.
Le pagine erano perfettamente intonse: non una nota ai margini, nemmeno il nome scribacchiato dietro la copertina.
Scommetteva che anche la collezione di fumetti era nelle stesse condizioni immacolate ed i vinili dei Rolling Stones li toccava solo con un paio di guanti bianchi.
Al diavolo!
Si era alzato di scatto, alzando il coperchio del giradischi, scegliendo dalla libreria un disco e girandolo sulla seconda parte, aveva fatto partire il piatto quindi aveva posato la puntina con cautela.
“Feeling so tired, can’t understand it, just had a fortnight’s sleep…”
Michelle era emersa dalla piccola cabina armadio lanciandogli un’occhiata senza parlare.
L’aveva ignorata, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.
“Every night you’ve been away I’ve sat down and I have prayed that you’re safe in the arms of a guy who will bring you alive.”
Strano a dirsi ma più passavano i minuti e più quel lato B lo rispecchiava.
Kurt aveva gusto nella musica.
E tutte le fortune…
Si era trovato a scuotere la testa per mandare via quella vocina invidiosa.
Col tempo aveva imparato ad ignorarla, gli esercizi di Creane qualche effetto lo avevano avuto.
Peccato che la marea nera, oleosa dentro la sua mente minacciasse di schiantarsi contro la battigia del suo inconscio.
Aveva timore di quello tsunami, una paura ovattata dagli anni passati senza sovvradosarsi.
Una paura che rimaneva e sarebbe rimasta fino alla fine dei suoi giorni.

~ FAIT Program, Federal Bureau Investigation Academy
L’afa estiva della West Coast gli mancava.
Almeno quella era quasi arida.
A Kurt gli sembrava di correre nella melassa da ore e non aveva ancora concluso il terzo giro della pista per l’allenamento mattutino quotidiano.
L’umidità gli costringeva i polmoni ed abbassava la sua resistenza, anche se correva sempre più veloce degli altri suoi compagni.
Era quasi una settimana che si era installato nel programma FAIT ed era felicissimo di aver fatto domanda d’iscrizione a Gennaio. A parte questo caldo umido della Madonna…
Al mattino presto avvenivano gli allenamenti, un’ora di libertà per doccia ed colazione nella mensa allestita per il progetto, poi una serie di lezioni nell’edificio principale, fianco a fianco con esperti del settore e agenti in addestramento.
Pranzo veloce ed nel pomeriggio alcune ore venivano dedicate a lezioni outdoor od in laboratorio di tipo puramente strategico e pratico.
Prima di cena era loro concesso di concentrarsi sullo studio con accesso anche alla biblioteca dell’Accademia.
Il coprifuoco scattava verso le dieci della sera lasciando loro alcune ore di assoluta libertà nel quale erano concessi l’uso del wi-fi e di telefonate a famigliari o amici senza limitazioni.
Kurt era felice.
Il corso di formazione era accelerato e piuttosto duro, alcuni dei suoi compagni faticavano ancora ad adattarsi alle lezioni di carattere universitario nel quale era assente qualsiasi forma di mollycoddle invece lui si era trovato a suo agio al secondo giorno.
Altro punto di forza il fatto che tutti gli studenti che avevano aderito volevano essere lì.
Niente demenza adolescenziale, niente ribellione e soprattutto un senso di appartenenza e cameratismo.
L’adolescente si sentiva nel suo elemento come mai gli era capitato alla Washington High dove la qualità dell’apprendimento era buona ma bassa rispetto al suo livello.
Non sono un genio, non credo che mi abbiano mai fatto un test di IQ ma rimane che qualche gene mi permette una intelligenza istintiva e veloce.
Nonostante le regole lo permettessero non aveva riacceso né Mac né cellulare.
In quel preciso momento aveva deciso di rimanere egoista fino all’ultimo.
Non sapeva se sua madre si fosse accorta di qualcosa o se il vecchio avesse spifferato.
Fatto rimaneva che aveva messo in moto tutti i metodi per non farsi trovare, nemmeno da Raph.
Emotivamente aveva inscatolato i propri sentimenti e li aveva buttati nell’angolo più remoto del proprio inconscio.
Sono venuto qui per mettermi alla prova, per assicurarmi che il percorso che mi sono scelto sia quello giusto e non ammetto interferenze di alcuna sorta.
“Finish line, Mister Lagden. Take another lap walking.”
Kurt annuì, accettando la bottiglietta d’acqua dall’agente donna che faceva loro da coach ed iniziando a respirare a fondo.
Camminava da un po’ quando si sentì colpire sulla spalla.
“Hey, K!”
“Stai migliorando se hai già finito anche tu.” Kurt si era voltato. Un ragazzo più alto di lui di qualche centimetro l’aveva raggiunto. Aveva un fisico da giraffa e la pelle scura come un carboncino. Volto ovale e le orecchie leggermente sproporzionate rispetto al viso. I capelli castano scuro erano tagliati cortissimi ed gli occhi marroni grandi e sinceri.
L’aveva conosciuto il primo giorno del Programma alla cerimonia di inizio corso.
Si chiamava Nigel e proveniva dal South Carolina, faceva parte di una squadra di basket junior league. Il ragazzo aveva ottimi voti ma aveva in mente di continuare a giocare a pallacanestro anche se aveva accettato di buona grazia l’idea di seguire le orme del padre: sceriffo di contea.
“Mai veloce come te, amico. Sembri una gazzella, cavolo.”
Il ragazzo al suo fianco prese a camminare, tenendo il suo passo rilassato mentre venivano superati dai loro compagni ancora in corsa.
“Nigel…sei riuscito a finire quegli esercizi di statistica per la lezione di oggi?” domandò Kurt, rompendo il sigillo della bottiglietta.
“Magari!” una smorfia sul volto sudato “Credo di averci provato trenta volte ieri ma non riesco a capire dove sta la fregatura…”
“Hai provato anche tu la curva Gaussiana?”
“Yep…alla fine ho anche spedito il problema a mio padre.”
“Risposta?”
Nigel si portò una mano sulla faccia “Zero assoluto, credo di aver messo in crisi il vecchio.”
Kurt scosse le spalle “Son quasi convinto che ci sia un errore di stampa.”
Il fischietto li fece voltare verso le gradinate dove il coach aveva radunato la classe e faceva loro segno di tornare indietro.
Afrodite chiammmmaaaaaaa!
“Non fare l’idiota, Nigel. Potrebbe essere tua madre.”
Thank God she’s not. Smettila di buttarmi giù, K.”

Gonna find my way in life
In or out of sight
I'm still seeing things in black and white
Gonna rise straight into the light
In or out of time
The verve ~ This time

~~~

Canzoni del capitolo:
- Lana del Rey ~ Money Power Glory;
- Rolling Stones ~ Bitch;
- Rolling Stones ~ I got the blues;
- Rolling Stones ~ Sister Morphine;
- The verve ~ This time.

Le note di questo capitolo sono:
- L'aritmia per definizione è una condizione clinica nella quale viene a mancare la normale frequenza o la regolarità del ritmo cardiaco, ovvero è alterata la fisiologica sequenza di attivazione atrio-ventricolare. In altre parole il cuore non funziona come dovrebbe;
- Linds ci ha provato sul serio questa volta. Se avete letto Sapphire Blue il quadro è chiaro. Comunque cercate di immaginare la situazione di un corpo umano alle prese con una tossicodipendenza pesante che diminuisce od annulla i bisogni primari tipo il sonno o la fame: quando la dieta fornisce un apporto calorico particolarmente ridotto, l'organismo inizia a utilizzare a scopi energetici le proprie riserve di grassi e, esaurite queste, le proteine che compongono la massa muscolare e tutti gli altri tessuti divenendo cannibale di se stesso. Raggiunto un certo grado di indebolimento, il corpo non è più in grado di adempiere alle proprie funzioni fisiologiche e va in default;
- Un avvelenamento da mercurio-alchile avviene per bocca, mangiando cibo contaminato. Il primo caso descritto di questo particolare tipo di avvelenamento è stato chiamato Minamata una malattia che prende il nome da una baia dell'isola giapponese di Kyushu: i pescatori rimasero intossicati consumando pesce contaminato da mercurio-alchile. La sintomatologia è particolarmente grave, consiste in parestesie (alterazione della sensibilità e nella percezione di crampi e formicolii), perdita della visione, tremori, convulsioni, sordità e disturbi mentali;
- Linds ha messo sul piatto del giradischi il Lato B di Sticky Fingers disco del 1971 dei Rolling Stones, parallelamente ad UT trovo che Bitch, I got the blues e Sister Morphine siano molto adatte per il nostro topastro. Se interessati all'ascolto potete trovare i link alle canzoni sopra.

Heilà!
Sì sono nuovamente qui, solo per questi pochi attimi che mi ci sono voluti per postare il nuovo capitolo! xD
Scherzi a parte la Herm ormai è solo più pronta per un ricovero. Non ho fatto manco sei giorni di ferie quest'estate e vi assicuro che mi sento un po' rintronata... @o@
Comunque bando alle ciance e passiamo alle novità, perché, sì, direi che ci sono novità in sviluppo per chi è ancora rimasto a leggere UT.
Abbiamo scoperto per quali vie traverse Linds e Claudia si incontrano e dove il nostro mini-Lagden si è andato a cacciare.
Ovviamente sono avanti nella stesura ma di tempo non ne ho per scrivere a parte qualche mezz'ora ritagliata qui e là dove mi capita.
So solo che UT rivolve nella mia testa diventando più difficile da gestire ad ogni giro sul proprio asse, pagherei oro se riuscissi a trovare il tempo per piazzarmi davanti al computer e finire questa storia senza distrazioni di sorta.
Purtroppo ciò non è possibile al momento ma nutro la pallida speranza di riuscire per fine autunno/inizio inverno. X(

Beh, c'è che devo ringraziare chi ancora mi segue nonostante il mio stato di dispersa, in particolare alessandroago_94 per la sua recensione in Giugno.
Bene a questo punto non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento al prossimo aggiornamento...vorrei poter dire quando ma non voglio contare menate, quindi...xD
Arrivederci a tutti e buon fine estate!
Hermes

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Capitolo 16
*** 16 ***


I shared my body and my mind with you,
That's all over now.
Did what I had to do,
'Cause it's so far past me now.
Lana del Rey ~ Cruel world

Sono passati cinque giorni dal mio arrivo e la convivenza forzata con Michelle si sta rivelando decisamente tesa.
Forzata…Linds avresti potuto cercarti una camera d’albergo!
Michelle non riesce a stare ferma un momento, presa da un’energia nervosa mentre controllo – per un suo scrupolo – i movimenti registrati sui nostri conti bancari in cerca di qualche informazione utile.
Ovviamente Kurt non è così stupido.
“Allora?” mi assilla ma belle, sedutasi al mio fianco ed osservando la schermata del notebook poggiato sulle mie ginocchia, devo fare uno sforzo cosciente per frenare i tremori alle mani…stanno aumentando progressivamente da quando sono tornato.
“Allora niente.” replico monotono, indicando un’operazione “Ha ritirato al bancomat seicento dollari in una filiale di Las Vegas, da quel momento in poi la carta non è più stata usata.”
“Non è una grossa cifra…dici che possono essere serviti per un biglietto aereo?”
“Anche più di uno.” ecco, non avrei dovuto dirlo, mannaggia!
“Cioè?” ha corrugato la fronte.
“Ha lasciato i vestiti che aveva nel villino, di certo non si è portato dietro il passaporto in autobus per passare il confine fra California e Nevada. Mi hai detto che mancano alcune cose dal suo armadio e non hai trovato i suoi documenti…deve essere tornato qui.”
“Questo significa che è venuto a casa quando sapeva che ero fuori.” si è allontanata un poco, la voce che si sfuma ferita. Not a good move, Kurt.
“Non ho modo di tracciare dei contanti. Possiamo solamente aspettare un nuovo prelievo e partire da lì.” offro, spegnendo.
Michelle non mi risponde, improvvisamente indifferente.
“O posso chiamare Raph.” continuo, non volevo arrivare a questo “Se Kurt si è agganciato ad una banda wi-fi avresti buone probabilità di trovarlo nel giro di cinque o sei ore, conosco il suo identificativo, ho dovuto resettare la criptazione del villino alla base all’inizio di Luglio.”
Dalle mie parole segue un silenzio meditativo che mi fa pensare al peggio.
“No, Linds.”
Sospiro di sollievo e lascio il pc sul tavolino posandoci i piedi sopra, accomodandomi sui cuscini del divano di pelle.
Sono già quasi pronto per un pisolino ristoratore quando la voce di Michelle mi riporta alla realtà “Come mai non ti hanno ancora telefonato dal Lambda Dep?”
“Mi sono preso le ferie.” Michelle ha un’espressione scioccata e continuo con le dita rigide a graffetta “Delle ferie che valgono diciassette anni di straordinari.”
“Non sei completamente sano di mente, Linds.”
“Mai stato in effetti.” annuisco con espressione stupida, sperando di alzare l’atmosfera della stanza ma recupero solo uno sbuffo “Se Kurt torna a casa come un bravo bambino in tempo utile pensavo di scappare alle Bahamas…”
Michelle non mi sta già più ascoltando ed annuisce distratta, ricomponendo il numero di nostro figlio e telefonando per l’ennesima volta della giornata.
La osservo con disincanto quando rimette giù lo smartphone e scrolla il capo, prima di tornare ai fornelli per la cena.
Claudia aveva ragione…

“Descrivimi la Michelle che conosci dalla Michelle che hai idolizzato.”
“È la prima volta che non capisco una domanda.”
“Parlami di lei senza ingigantire le sue qualità.”
“…” l’uomo biondo aveva abbassato gli occhi, muovendo la caramella al limone da una parte all’altra della bocca mentre rifletteva “Stacanovista, realista, un po’ troppo protettiva.”
“Ora la Michelle che fa parte del tuo inconscio.”
“No…non voglio parlare di ma belle, Claudia.”

Quel giorno mi ero rifiutato di seguirla su quella linea di pensiero, ma più stavo di nuovo a contatto con Michelle e più capivo cosa Claudia aveva cercato di suggerirmi.
Michelle era umana.
Non c’erano piedistalli sotto i suoi piedi o aureole di santità intorno al suo capo corvino.
Non c’era motivo per averla lasciata a se stessa e tenuta all’oscuro.
Mi stropiccio gli occhi, alzandomi dal divano.
“Vero che c’è tempo prima di cena?”
“Direi una mezz’oretta, perché?”
“Doccia e telefonata…e meglio che non lasci a brancolare nel buio la mia equipe troppo a lungo, questo silenzio inizia a darmi sui nervi.”
I knew it…” Michelle aveva sorriso appena.
L’avevo osservata ancora un momento prima di voltarmi e raggiungere la scala a chiocciola.

Camminava nervoso avanti ed indietro come un animale in gabbia, le braccia rigide.
Claudia gli aveva appena esposto la possibilità di mettere al corrente Michelle dell’accaduto e della riabilitazione.
“Non c’è bisogno.”
“Penso invece che il suo supporto potrebbe essere molto utile ora che hai riacquistato la mobilità.”
“NO!”
“Non c’è bisogno di urlare, Mister Lagden. La sento benissimo.”
Si era fermato, l’aveva squadrata e quindi si era seduto, le mani sulle ginocchia “Non le do il permesso di violare il suo segreto professionale con Michelle Hervas nemmeno in un caso disperato. Comprende cosa intendo, Creane?”
“Mi atterrò alle sue disposizioni in merito, Mister Lagden.”
“Bene.”
“Tornando alla nostra sessione: la Dottoressa Hervas è una figura ricorrente ma vorrei che mi spiegasse meglio il perché cerca di tenerla così lontano da sé.”
“La verità è che non vede l’ora di ficcanasare nella mia vita privata.”
“Sono pagata per aiutare gli altri.”
“Non mi sento ‘aiutato’ in questo momento.”
“Forse perché cerca in tutti i modi di ostacolare il processo.”
L’uomo biondo roteò gli occhi, esasperato.
“Va bene, diciamo che mi ha convinto. Da dove dovrei iniziare?”
“Da qualsiasi punto si sente confortevole.”
“...”
“...”
“Avevo...avevo promesso a Michelle che non avrei più giocato al piccolo chimico.”
“Era una promessa che intendeva mantenere?”
“Sì.”

~

Oh, my God, I feel it in the air
Telephone wires above are sizzling like a snare
[...]
Nothing scares me anymore
Lana del Rey ~ Summertime sadness

Faceva un caldo tremendo.
Definizione di tremendo? Umidità perenne e zanzare, cavoli!
Aveva già appioppiato due sberle ad un paio di zanzarini nel booth del telefono pubblico.
Lizard senti…non che non sia interessato alle conquiste del mio best buddy eh…i dettagli della pomiciata con Jeffy tienteli per te, per piacere.
Quindi aveva staccato la cornetta dall’orecchio prima che la ragazza potesse trapanargli il timpano, Nigel aveva fischiato alla tirata spostandosi da un piede all’altro mentre attendeva sotto alla luce del lampione.
Aveva atteso un paio di secondi prima di interromperla.
“Voglio solo sapere se è successo qualcosa.”
“No, Kurt. Calma piatta, cosa pensavi che accadesse? Perché non chiudi questo casino con tuo padre di tua iniziativa?!”
L’adolescente rimase in silenzio, senza rispondere.
“Scusa…non intendevo…mi dispiace, K!”
“Non fa niente, Liz. Ci ribecchiamo poi.” Aveva agganciato la cornetta di plastica, recuperando i pochi cents e ficcandoseli in tasca quindi riprese la birretta che Nigel gli porgeva, i ragazzi camminavano verso le luci del campus.
~
No, non voleva ammetterlo.
Elizabeth Cone stava pestando i piedi come una mocciosa d’asilo nella cucina ultra accessoriata e mai usata di sua madre.
Quel…quel…!!!...Lagden!
Non le aveva telefonato per rassicurarla, no.
L’aveva sentita solo per sapere le ultime notizie tipo gazzettino di San Francisco!
Aveva sbattuto la porta del frigo, stappando la lattina d’aranciata e saltando sull’isola.
Una brutta smorfia sul suo visino d’angelo biondo.

Non era passata nemmeno una settimana dalla festa nel quale Kurt l’aveva salvata da una molestia.
Perché non si poteva definirla in maniera differente.
Importava avere l’ultimo paio di sandali D&G e magari lasciarsi infinocchiare da un piccolo produttore televisivo come una delle vice cheerleader degli anni precedenti solo perché si doveva ‘sfondare’?
Finire in una camera in affitto a vivere di particine al limite del softcore, party orgia e droghe pesanti per combattere la depressione?
No, i suoi occhi si erano aperti, mettendo in prospettiva la vita che stava vivendo con quella che alla fine sarebbe contata sul serio.
Era pomeriggio ed l’aria si era fatta ambrata, colorata dal tramonto.
Elizabeth lo stava aspettando, appoggiata alla rete di protezione del campo sportivo scolastico in attesa che la squadra di atletica tornasse dagli spogliatoi.
Il più dei ragazzi la guardavano stupiti, la conoscevano di vista ma lei non attaccò parola con nessuno di loro, in attesa.
La testa nera e bagnata di Kurt spuntò nell’ultimo gruppetto e Lizzie riusciva a sentire il brusio della loro conversazione e qualche risata.
“Ancora qui? Hai intenzione di diventare la mia ombra?” commentò Kurt, un po’ seccato.
“Anche se fosse?”
“Mi pareva di essere stato chiaro: non voglio i tuoi ringraziamenti. In nessuna salsa.”
“Potresti essere un po’ più carino!”
“Per gonfiare maggiormente il tuo ego? No, grazie.” l’aveva detto squadrandola con una smorfia antipatica.
“Te l’ha mai detto nessuno che sei un bastardo?”
“Novità dell’anno.” Kurt aveva spostato lo sguardo, già pronto ad andarsene per la sua strada.
“Chi vedevi mentre mandavi Craig K.O.?”
Si era fermato e l’aveva guardata forse per la prima volta.
Il suo scrutinio era durato almeno un minuto.
“Se anche te lo dicessi, non cambierebbe niente.” aveva ricominciato a camminare, lasciandola presto indietro.
[…]
L’aveva esasperato fino all’inverosimile quel pomeriggio, ed non aveva mollato.
Alla fine Kurt aveva ceduto più per fame che per altro.
Elizabeth era riuscita a trascinarlo in un locale con la promessa di offrirgli qualcosa da mangiare,quindi si erano seduti ad un tavolo davanti ad un milk-shake, patatine vertigo alla paprika e megaburger.
“Lo sai che parecchie ragazze ti credono gay?”
“Sono molto etero. Parola chiave: molto.”
“Non sembra, non ci degni nemmeno!”
“Potrei avere altre priorità oltre quel chiodo fisso.”
“Almeno ammetti che ne hai voglia!”
Il ragazzo sorrise, dissoluto, con un occhiolino.
Il primo sguardo non ostile che le avesse mai rivolto.

~ Washington D.C.
“Sì, capisco, certo.”
Lungo il piano un solo ufficio era ancora occupato, la luce gialla che filtrava nel corridoio sterminato attraverso il vetro della porta.
“No, il senatore non ha alcuna intenzione di tenere una lezione collettiva.”
L’uomo alla scrivania osservò il proprio orologio da polso, rassegnato.
“Se vuole dare una risposta negativa al senatore, Agente Rosen, lo farà di sua iniziativa.”
“Andiamo, May! Come spiego-”
“Non posso aiutarti, Julian. Mi dispiace.”
Aveva premuto il pulsante quindi aveva posato la cornetta sulla scrivania, stropicciandosi gli occhi.
Già la sentiva sua moglie lamentarsi…un’altra serata a fare gli straordinari, cena gelata e litigio ad un passo.
Sbadigliò e si alzò, agganciando la giacca.
Lo pagavano troppo poco per la merda che era costretto a spalare quotidianamente a causa di Wieder.

~ San Francisco
Avevo cercato di trattenermi ma alla fine ho ceduto, almeno in parte.
Linds aveva scosso la testa deluso, quindi si era accoccolato a guardare la tv.
Ero al telefono, collegata a Santa Barbara con casa Fremount.
Raph ha passato gli ultimi dieci minuti a raccontarmi per filo e per segno le meraviglie e le prime frasi che Juliet – l’ultima arrivata – aveva iniziato a ciangottare ora che aveva quasi tre anni.
“Ma scherzi, Raph…certo che vengo a trovarvi questa estate!” esclamai con un minimo di voglia.
“Tra l’altro Ed mi ha accennato che Kurt stava lavorando a quel progettino in basic…sai quello per velocizzare Pong, avrei proprio voglia di darci un’occhiata.”
Mi ero morsa un labbro.
Forte.
Kurt…Kurt…
“Michelle? Pronto?”
“Raph, senti…” mi umettai le labbra, la bocca asciutta “Non è che per caso…Edward non sa mica quale sarebbero stati i programmi di Kurt quest’estate?”
“No, il ragazzo torna nel weekend per un paio di giorni di sole ma…aspetta un momento, Michelle cosa è successo?!”
“Non…non ne sono molto sicura.” mentii dubbiosa, lanciando un’occhiata alla zona salotto dove l’alone bluastro dello schermo tv profilava il divano “Kurt è andato fino a Rachel poi…beh, non risponde al telefono ecco.”
“Non ne sei sicura.”
Il San Bernardo non ha manco fiutato la foglia e andato dritto per il calcagno…ahi!
“Se è opera di Linds, lo sfondo.”
“Raph…”
“Aspetta un momentino che vado a mandare in black out il Lambda Dep giusto il tempo per far partire un deep wipe irreversibile sui loro server…”
“Raphael Fremount!” esclamo autoritaria “La colpa sta nel mezzo!”
“Ma-”
“Desidero solo sapere se sai qualcosa dei suoi programmi, non voglio il panico assoluto in un dipartimento governativo o informazioni dettagliate sugli ultimi movimenti di mio figlio!”
“Potrei programmare un piccolo tracker…” tentò comunque.
“Ti ho detto di no, Raph.”
“L’ultima volta che ho sentito Kurt è stato via mail alcuni mesi fa per una struttura di comandi che non riusciva a far funzionare a dovere. Era totalmente alla canna del gas.”
“Oh…okay.” sentivo le spalle più pesanti, una scintilla di speranza che si spegneva.
“Dov’è Linds, Michelle?” la domanda mi aveva fatto tornare al presente.
“È qui da qualche giorno. Vuoi…?”
“Avrei davvero un paio di paroline da dirgli ma non ho voglia di sprecare il mio tempo. Senti appena ne ho l’occasione provo a scoprire se Eddie ne sa qualcosa in più…abbi fede in Kurt, okay?”
“Lo dice anche Linds, a suo modo.”
Un brontolio rimbombò nel ricevitore e sorrisi, quindi parlammo ancora un po’ e chiusi la chiamata.
Spensi le luci dell’isola e scoprii che Linds si era addormentato davanti a Big Bang Theory, bello comodo sulla penisola del divano.
Gli occhiali gli erano finiti di traverso, l’immagine della tv che si rifletteva sulle lenti.
Afferro le asticelle con delicatezza e gli sfilo la montatura prima di posarli sul tavolino lì a fianco ed abbassare il volume.
Quindi mi siedo anch’io, chiudendo gli occhi e cercando di rilassarmi.
Logicamente sapevo che Kurt era mio figlio ma anche una entità a se stante.
Che non avrebbe passato tutta la vita attaccato al mio fianco.
Ma la mia testa non era il mio cuore.
Ed ero madre.

"Be it ever so humble, there's no place like home for sending one slowly crackers."
~ Diogenes Small

~

Take a little walk to the edge of town
Go across the tracks
Where the viaduct looms
Like a bird of doom
As it shifts and cracks
Where secrets lie in the border fires,
In the humming wires
Hey man, you know
You're never coming back
Past the square, past the bridge,
Past the mills, past the stacks
On a gathering storm comes
A tall handsome man
In a dusty black coat with
A red right hand
Nick Cave and the Bad Seeds ~ Red right hand

"Revenge is the fire that consumes without compunction or conscience.
Nobody is safe from a man with revenge in his eyes and rage enshrouding his heart."
~ C. Allison

“Non ci sono libri o regole che spieghino in dettaglio come interrogare un mostro, questo è il termine più usato per descrivere uno psicopatico.
Mostro o uomo crudele sono definizioni che non hanno alcun peso in nomenclatura legale o nello studio della sanità mentale.
Molti agenti si credono dei professionisti grazie al loro addestramento e alla estensiva esperienza in interrogatori accumulata durante la loro carriera.
Questo è un errore comune perché nell’interrogare uno psicopatico la dinamica del dialogo può deragliare se non si tiene un fermo controllo della personalità dell’individuo che ci troviamo davanti.
Sono intelligenti e carismatici, capaci di entusiasmare con pochi gesti o parole-”

Un lieve bussare arrestò l’agente uomo nella sua lezione ed i sessanta allievi si voltarono verso la porta dove stava un quarantino con una espressione decisa, in divisa dell’FBI ed i capelli simili ad una spazzola.
“Scusi se l’ho interrotta Agente Gray, può prestarmi Mister Lagden per un po’?”
“Certamente.”
“Grazie.”
Kurt si alzò, chiudendo il suo notebook e slalomando fra i suoi compagni e Nigel, sorpreso.
Questione di un’attimo scendere la scaletta ed uscire dalla porta che l’agente gli teneva aperta.
“Seguimi, ragazzo.”
“Sì, signore.”
Avevano preso a camminare per il corridoio del secondo piano fino all’ascensore.
“È successo qualcosa, signore?”
“…”
Il ragazzo interpretò quel silenzio per un invito a chiudere la bocca mentre i suoi pensieri tornavano indietro, all’ultima volta che aveva visto sua padre od ancora più in la, la mamma.
E se fossero riusciti a trovarmi?
Non era pronto per affrontarli ma se quello era il momento…
Erano usciti dal lift avevano ancora percorso un pezzo di corridoio per fermarsi davanti l’ufficio del rettore della Federal Bureau Academy, Julian Rosen.
Cazzo mi hanno davvero trovato!
L’agente che l’aveva prelevato da lezione bussò alla porta.
“Avanti!” non era un richiesta ma un ordine dato con un tono secco ed autoritario.
La maniglia scese ed l’agente gli fece cenno di entrare da solo.
Kurt rimase fermo dov’era esitante, il mac tiepido che premeva contro le sue costole e la biro appoggiata all’orecchio.
“Muoviti, perdio!”
Era stato spinto oltre la soglia quindi la porta si era richiusa ed era rimasto alcuni secondi a sbattere le palpebre per cercare di mettere a fuoco la stanza in penombra, la luce rossiccia del tramonto che filtrava dalle veneziane dietro alla scrivania vuota.
“Buonasera, Mister Lagden.”
Si era voltato di scatto verso destra dove distingueva una forma massiccia su una delle poltrone dell’angolo informale, dietro di lui un uomo ritto in piedi con le mani dietro la schiena.
Che cosa cavolo…
“Mi scusi se l’ho fatta prelevare da una delle sue materie preferite. La prego Lagden, si sieda. Agente May sia così cortese da portarci uno spuntino.”
“Sì, signore.”
Kurt strinse gli occhi ma obbedì in silenzio mentre venivano lasciati soli nell’ufficio.
Questo di certo non è Rosen, e questa voce l’ho già sentita…
Si era seduto sulla divanetta, pronto a scattare in piedi, il mac posato al suo fianco.
“Non ha nulla da temere, mi creda.”
“Chi è lei?”
“Arthur Wieder.”
Kurt inspirò con un sibilo, nell’oscurità gli occhi dilatati “Il senatore Wieder?”
Una risata breve “Vedo che segue la politica contemporanea, mi fa piacere.”
“È stato uno dei commendati a Sergente Maggiore dell'Arma nella guerra del Vietnam.”
“Esatto, esatto.”
“Ho letto la sua biografia per un progetto scolastico qualche mese fa.”
“Mister Lagden lei mi onora.”
L’uomo chiamato May era tornato con un vassoio di tramezzini, un bicchiere alto ed una caraffa di limonata quindi aveva fatto un saluto ed era di nuovo uscito.
Erano rimasti in silenzio per un momento prima che Wieder prendesse di nuovo la parola.
“Ho letto la essay che ha mandato con l’applicazione, Mister Lagden. Il crimine psicologico. Una lettura davvero illuminante.”
“Difficilmente credo di aver scritto un capolavoro, senatore.”
Più che vederlo Kurt intuì che le labbra dell’anziano uomo si erano piegate in un sorriso.
“Vuole sapere perché l’ho voluta incontrare, Mister Lagden?”
“…”
“Voglio essere franco con lei. Ho avuto l’opportunità di lavorare con suo padre in passato per una questione di sicurezza nazionale.”
Cristo papà…riesci ad infilarti dappertutto come un prataiolo!
“Dalla sua espressione vedo che l’argomento non è di suo gradimento, Kurt. Posso chiamarla Kurt, vero?”
Annuì distrattamente, non notando l’espressione di trionfo del vecchio subito nascosta dietro una gentilezza informale.
“Il Dottor Lagden all’epoca ha svolto il compito che gli era stato dato a suo modo. Non posso dire che mi abbia impressionato favorevolmente. Strano, vero? Immagino che lei sia abituato solo a sentire plauso su suo padre.”
A quel punto l’attenzione di Kurt era rimasta totalmente assorbita dal senatore che accavallò le gambe.
“Sa che per accedere al programma FAIT viene fatto un controllo di routine sulla situazione famigliare del richiedente?”
“E con questo?”
“Lei è uno studente provetto, non mi sarei mai aspettato il contrario. Ma ho notato un dettaglio nel suo file che mi ha lasciato incredulo.” Il senatore aveva preso una piccola cartellina dal tavolino “Proprio qui…nella voce ‘relazioni di famiglia’…vedo che ha compilato i campi per sua madre ma non per suo padre.”
“Non vedo cosa l’abbia potuta sorprendere.” non era riuscito a fermare quelle parole dal fuoriuscire.
Questa volta non gli sfuggì il sorriso, la scintilla negli occhi grigi dell’uomo.
“Sì, all’inizio mi ha sorpreso. Poi, quando ho riportato alla mente la persona in questione, no.”
Kurt distolse nervoso lo sguardo, lanciando un’occhiata all’ambiente in penombra.
“Mi tolga una curiosità Kurt, come ci si sente ad essere figlio di un genio mondiale?”
“…”
“Immagino che una buona parte dei suoi conoscenti sia convinta di trovarsi davanti ad una copia di Linds Lagden e non si fermi a cercare la differenza.”
“…”
Vedo la differenza, Kurt. Sono vecchio ma comprendo il suo desiderio di mettere più distanza possibile fra lei e suo padre.”
“Senatore-”
“Non neghi l’evidenza, Kurt. Solo una persona totalmente opposta al Dottor Lagden avrebbe potuto scrivere una essay di quel calibro. Un individuo ambiguo come Linds Lagden è troppo abituato a vivere in mezzo le penombre per avere un’opinione così chiara e definitiva.”
Il ragazzo avrebbe voluto dire qualcosa ma Wieder aveva colto la situazione meglio di chiunque altro.
Una strano senso di sollievo nell’essere capito che gli faceva morire sul nascere ogni tentativo seppur debole di proteggere suo padre. Perché proteggerlo quando non ha mai fatto nulla per me?! Al diavolo!
“Sbaglio a credere che la sua presenza nel FAIT Program è stata una decisione totalmente personale e che la Dottoressa Hervas non ne è conoscenza?”
“No.”
“Apprezzo la sua intraprendenza nel pensare al proprio futuro fin da ora. Ci vorrebbero più giovani come lei, Kurt.” Le mani tozze del senatore sfogliavano lentamente la cartellina “Vedo che ha già mandato applicazioni in una serie di Università tra le quali Harvard, Stanford, Yale, e la University of Virginia che ha una delle migliori facoltà di psicanalismo e psicologia…”
“Esatto, mi piace avere possibilità di scelta.”
“Pensa che dopo la Laurea sarebbe disposto a diventare un agente dell’FBI?” occhi grigi duri capaci di incollare la lingua di Kurt al palato, il viso del senatore si trasformò appena dopo diventando più gentile “La prego di non sentirsi forzato a darmi una risposta definitiva ma sono sempre stato un buon giudice di carattere e – la prego di perdonarmi questa confidenza – la vedo già in divisa, Kurt.”
“…” il ragazzo rimase muto ed immobile ed il vecchio sogghignò in silenzio.
“Capisco la sua titubanza, non mi dia una risposta. Ci pensi.” gli occhi grigi brillarono verso le finestre dove la luce rossastra andava scurendosi in una sfumatura magenta “Temo che le lezioni siano terminate, Mister Lagden. Mi dispiace di averla trattenuta a priori. Le auguro un buon proseguimento e spero di rivederla tra qualche anno.”
“Grazie Senatore.”
“Si avvii alla mensa e sia così cortese da non divulgare questo incontro informale con i suoi compagni di corso. Il mio è stato solo un invito a proseguire questa strada, non una raccomandazione. So perfettamente che lei non si abbasserebbe a tanto.” Non come tuo padre.
Il pensiero rimase in sospeso nell’ombra, facendo indurire gli occhi scuri del giovane prima che annuisse ed uscisse fuori dall’ufficio.
Nelle ombre della sera il volto sorridente e bonario di Arthur Wieder si trasformò in una smorfia crudele e deforme.
~
Mentre ritornava di sotto gli sembrava di star camminando su un materasso.
La testa che girava a mille miglia al secondo, le luci dei neon che sfarfallavano nella sua retina dandogli un lieve fastidio.
FBI. Agente.
Era così chiuso nei suoi pensieri che non si rese nemmeno conto di aver passato le porte della mensa e di aver afferrato meccanicamente un vassoio.
Aveva appena finito di servirsi quando un richiamo lo distolse dalle parole di Wieder.
“Terra chiama K! L’abbiamo perso! Ehi!” Nigel gli indicava la sedia vuota accanto a lui, gli occupanti del tavolo che lo fissavano con curiosità.
“Arrivo, Nigel.” si era seduto, non toccando il vassoio, fissando le bollicine che si alzavano nella sua soda.
“Dove cavolo sei stato fino ad ora?”
“…”
“No comment, okay. Potresti almeno smettere con quella espressione?! Mi stai facendo venire ufficialmente la pelle d’oca…”
Kurt dovette sforzarsi di tornare al presente e mettere a fuoco il volto dell’amico “Scusa.”
“Ecco, adesso va meglio. Sembra che ti sia buttato sotto un treno…che ti è successo?”
Kurt rispose solo dopo una pausa “Non ne sono sicuro.”

He'll wrap you in his arms,
Tell you that you've been a good boy
He'll rekindle all the dreams
It took you a lifetime to destroy
He'll reach deep into the hole,
Heal your shrinking soul
But there won't be a single thing
That you can do.
[...]
You're one microscopic cog
In his catastrophic plan
Designed and directed by his red right hand.
Nick Cave and the Bad Seeds ~ Red right hand

~

“No, Ines. A questo punto sono certo che sia tornato a San Francisco…sa, passo talmente tanto tempo nel laboratorio. Sì, mi dispiace, senora. Venire a trovarla? Sicuro, lo terrò a mente appena si presenterà l’occasione, grazie. Arrivederci e mi raccomando non si stanchi troppo al corso di ballo con quei giovanotti, eh!”
Ero rimasta in silenzio mentre Linds telefonava a mia madre, strabiliata dalla sua tranquillità.
Non sapevo che si sentissero, non sapevo nemmeno che fossero in così buoni rapporti.
“Beh, Kurt non è stato a Reno, Michelle.” aveva concluso il topo, bloccando il cellulare e infilandolo nella tasca posteriore dei jeans, i suoi occhi neri che mi fissavano in attesa, mani dietro la schiena.
“Da Raphael non è passato.” mi riscossi, disaccavallando le gambe e cercando di spremermi le meningi il più possibile “Non abbiamo trovato prova di altri prelievi…non so più dove cercare.”
“Forse stiamo cercando nei posti sbagliati.”
“Che intendi dire?”
“Sei sicura che Kurt non si sia iscritto a qualche attività scolastica?”
Corrugai la fronte “So che fa parte della squadra d’atletica…”
Un senso di vuoto che mi attanaglia lo stomaco…non conosco mio figlio come penso.
Sono sempre fuori, Kurt ha voti perfetti e non mi hanno mai chiamato…non credo nemmeno di sapere i nomi dei suoi professori a parte quella bisbetica che insegna matematica.
Cattiva madre.
Ingoiare il magone diventa sempre più difficile.
“Il mio consiglio è di fare una visita alla Washington High.” propone Linds con calma metodica.
“Con quale scusa?”
“Nessuna.” occhi neri, innocenti e sorrisetto “Una visita di piacere della serie ‘Sa ci tengo alla formazione di mio figlio e mi chiedevo se si potessero attuare migliorie ai laboratori scolastici…’, niente di allarmante in fondo.”
“E secondo te funzionerà?”
“Al cento per cento se fiutano soldi e non sono idioti.”
La classica tattica del topo bastardo.
Ci sono atteggiamenti che non muoiono mai a quanto pare.
Non mi piace questa idea ma se riuscissimo ad trovare qualche indizio in più…
“Okay, ma non esagerare.”
“Mi conosci, Michelle. Sono parsimonioso e poco samaritano.”

Avevamo cenato con dell’asporto davanti alla TV.
Devo ammetterlo…sono a disagio.
L’atmosfera è pesante, irrespirabile.
Ci sono momenti che mi chiedo come faccia Linds a stare così calmo.
Non riesco a spiegarmelo.
Sì, okay che fin dall’inizio non è sembrato troppo preoccupato dalla scomparsa di Kurt…
“Linds…”
“Sì?”
“Hai chiesto di me e del mio lavoro ma tu negli ultimi anni cosa hai fatto di bello?”
Ha alzato le soppraciglia, sorpreso.
“Le solite cose.” si è passato una mano fra la sua zazzera bionda, nervosamente “Laboratorio, calcoli…davvero niente di che.”
“Non hai più dato lezioni all’uni?”
“No.”
Ci fissiamo, sto disperatamente cercando qualcosa per continuare la conversazione ma non trovo nulla.
Siamo davvero così diversi?! Se è così come cavolo abbiamo fatto in passato a…a…
“Michelle non sei obbligata a chiacchierare con me se non te la senti.”
“E se ti dicessi che mi farebbe piacere parlare con te?” sbotto punta nel vivo.
Non siamo diversi, mi rifiuto di credere che…Hervas sei una cretina se pensi che questi ultimi dieci anni e la tua isteria non facciano la differenza.
Osservo gli angoli della sua bocca alzarsi in un sorriso nervoso, scuote appena le spalle in silenzio.
“Non sono bravo con le parole.”
“Sei perfettamente acculturato invece, e lo sai benissimo.”
“…”
“Senti Linds…” ho il battito in gola e le mani sudate, non so il perché “Non voglio farmi gli affari tuoi, non pretendo di sapere ogni singola cosa che hai fatto ma…”
La voce mi si smorza in gola al tocco della sua mano che stringe la mia.
“Fai tu le domande e deciderò se risponderti o no. Non saprei proprio da dove incominciare altrimenti.”
Il suo sorriso smagliante, zampe di gallina ai lati degli occhi.
Ho un po’ paura ma nell’abisso prima o poi bisogna buttarsi, dicono.

It is a miserable state of mind to have few things to desire, and many things to fear.
~ Sir Francis Bacon

~~~

Canzoni del capitolo:
- Lana del Rey ~ Cruel World;
- Lana del Rey ~ Summertime Sadness;
- Nick Cave and the Bad Seeds ~ Red Right Hand.

Le note di questo capitolo sono:
- Piccola ed unica nota del capitolo. Come già accennato da qualche parte sia qui che nelle precedenti storie il Senatore Wieder è un personaggio totalmente inventato e tutti i riferimenti a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Se lo cercate non lo troverete mai nominato in realtà.

Ed rieccomi!
Sì l'avviso del ritorno è stato postato tanto tempo fa ma la vita riserva sempre delle sorprese!!! <3
Per farmi perdonare posto questo doppio capitolo ed annuncio ufficialmente che sto per finire di scrivere UT.
Yep, posso dire che al punto dove sono arrivata la fine è vicina *parte bgm Morte nera* ho davvero la speranza di concludere la scrittura della prima bozza verso Natale al massimo e poi da lì la strada sarà tutta in discesa, anche per voi lettori che avete avuto la pazienza di santi, tra l'altro si ringrazia come da rito alessandroago_94 per il suo commento. =)
Alla prossima!
Hermes

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Capitolo 17
*** 17 ***


“Testi carburanti da caccia su quella Jaguar?! Ti sei totalmente rincretinito, Linds!?!”
“Non è così pericoloso dai…”
“Sgrunt!!!”
Sì sono riuscita a sbuffare degnamente, meglio di un fumetto di Paperino.
E il topastro screanzato ride! Idiota!
“Tu e Kurt siete due gocce d’acqua, Michelle…è affascinante.”
Sbatto le palpebre, dimenticando la mia arrabbiatura.
“Guarda che nei suoi cromosomi ci sei pure tu.”
“Sì, ma da te ha preso tutte le cose migliori.”
“Speravi che avesse il tuo IQ?”
Scuote la testa, con vigore “No, e lo sai.”

Era la mattina del Giorno del Ringraziamento.
Kurt aveva superato i venti mesi ed sgambettava come un nanerottolo, già frequentava l’asilo nido.
Puccioso e terribilmente commovente, non c’era giorno che non pensassi almeno una volta a lui come ad un miracolo.
Quel mattino mi ero svegliata con Linds accoccolato ed profondamente addormentato al fianco.
Un ritorno a sorpresa che mi aveva fatto sorridere.
Linds, Kurt ed io a casa nello stesso momento, un motivo in più perché quella festa mi facesse felice…quindi mi ero alzata quieta come un topolino per non svegliarlo ed avevo fatto partire la giornata.
Circa un’ora dopo Kurt disegnava forme con i cheerios caduti sul tavolino del seggiolone, di ottimo umore perché facevo finta di non aver ancora notato il disastro.
Avevo frugato dappertutto per la cucina in cerca di qualcosa di speciale da preparare agli adulti per colazione, specialmente a Linds, e l’organizzazione di Alice aveva dato i suoi frutti.
I pancakes al mirtillo erano ad un passo dall’essere pronti ed ero sicura che il profumino aveva raggiunto il primo piano.
Anche Kurt aveva notato l’aroma ed ora stendeva le braccia verso di me con occhi scuri e umidi, totalmente dimentico di essersi divorato una ciotola stracolma appena prima.
Passi sulla scala a chiocciola ed uno sbadiglio, mi volto a guardare il topo mentre scende di sotto e si stropiccia gli occhi.
Sorrido, sono certa che mi si legge in faccia la felicità di vederlo qui almeno per oggi o magari fino a domani…
Linds sembra ancora leggermente nel mondo dei sogni e si siede sullo sgabello dell’isola accanto a Kurt, sbattendo lentamente le palpebre.
“Heilà, Linds…quando sei tornato ieri?”
“Tardi…cibo?”
Scuoto la testa ed appoggio il piatto dei pancakes davanti a lui con un sorriso mentre si serve la sua porzione extralarge ed aggiro il bancone per sedermi.
“Ma-ma!”
“No, Kurt.”
Gli pulisco la bocca sporca con il bavaglino, mi guarda quasi come se gli avessi strappato di mano il pupazzo di Hulk.
“Ma-ma!!!” ha alzato la voce di un tono e sento più che vedere le spalle di Linds irrigidirsi.
Lo so che quando è davvero stanco il topo non sopporta il casino di primo mattino ma…
“Kurt hai già mangiato, se continui ti verrà male alla pancia.”
“No-no.”
Gli accarezzo il capo, scuotendo la testa, spero solo che non si metta a piagnucolare.
E in quel momento sul seggiolone appare un piattino con il corpo del reato tagliato in ottavi così precisi che sembrano fatti con goniometro e squadretta.
“Zitto e mangia, marmocchio. Ce la puoi fare?” il tono di Linds non ammette repliche, sto quasi per dargli del cafone quando Kurt annuisce e si quieta, facendo gli occhi a cuore al pancake.

Era sempre stato così con Kurt, le rare volte che tornava a casa.
Non cattivo, mai gli aveva torto un capello.
Ma nemmeno l’aveva preso in braccio o speso il tempo minimo per ascoltarlo.
Se gli parlava lo faceva con tono sbrigativo e gelido, raramente si lasciava convincere a giocare coi mattoncini.
In breve lo preferiva muto e buono, possibilmente fuori dai piedi.
“Linds…?”
“Sì?”
Silenzio.
“Niente.”
“Sicura? Perchè la vedo la domanda nel tuo sguardo.”
“È una di quelle domande a cui tanto non risponderesti.”
“Mettimi alla prova, Michelle. Potrei sorprenderti.”
Sorrido “Okay. All’inizio eri geloso di Kurt?”
“Cavolo sì.”
“Lo immaginavo ma…”
“Non è colpa tua o di Kurt, non ero totalmente sano di mente Michelle.”
Lo osservo sorpresa, i suoi occhi che mi fissano melanconici ed un sorriso tranquillo che penetra e riesce a farmi male.

Ero ancora sulla carrozzina.
Incazzato come una iena che non potevo fare cosa diavolo volevo e perfettamente cosciente che, se avessi potuto, avrei ripreso la distruzione da dove si era fermata.
Avevo paura di entrambe le idee.
La giornata era iniziata storta.
Per comodità dalle dimissioni del Sunrise Hospital mi avevano sistemato nell’infermeria della Nellis Air Force Base, forzandomi a dormire con dosi massicce di sedativi e metadone.
Sempre quel veleno quando sarebbe bastato una dose molto minore di qualcosa di molto più potente…
Svegliarmi presto al mattino per una colazione che solo vederla induceva alla nausea.
Loro la chiamavano riabilitazione…io no.
Io la chiamavo rottura di palle con culate all’ordine del giorno, le mie gambe non mi reggevano ed avevo rifiutato la riabilitazione in acqua.
L’acqua è umida, io odio l’acqua.
E per culminare una giornata già da poter dimenticare c’era l’appuntamento da Creane.
Odiavo quella donna forse più di tutto il resto.
Odiavo le sue domande ed il fatto che le rispondevo, più di tutto.
“Lo odio…” mi era uscito dalla bocca una specie di ringhio.
“Chi?”
“Kurt.”
“Perché?”
Mi ci vuole un po’ prima di rimuginare una risposta adeguata.
“Probabilmente perché esiste.”

“Usi tanto questo ‘sano di mente’, perc-”
“Non mentire Michelle.” m’aveva interrotta, scuotendo la testa vigorosamente “Quando abbiamo scoperto della gravidanza sono finito in autopilota. Conosci i miei modi di fare…ero terrorizzato. Ad un certo punto nel mio esilio alla Base mi ero quasi convinto che non eri davvero incinta. Ti pare un comportamento scusabile?”
No, maledizione no.
Ho la nausea, perché da una parte vedo cristallina la sua fuga di allora mentre ero incinta e dall’altra quel disprezzo nello sguardo il momento che Kurt era nato.
Avevo assistito dal letto di ospedale a quell’ira che Linds irradiava per la prima volta da quando l’avevo conosciuto.
“Linds se noi…se la contraccezione avesse funzionato e io non fossi-”
“Non pensarci, Michelle.”
Mi stava stringendo la mano nella sua e quel contatto mi faceva venire delle stupide lacrime agli occhi.

~ quasi diciotto anni prima, laboratori sotterranei del Lambda Department
6 Marzo.
Un giorno come un altro sottoterra.
Laboratorio, mensa, laboratorio.
Lui, esperimenti e provette.
Giornata scandita e perfetta.
Non erano nemmeno le sette e mezza del mattino quando il suo cellulare suonò, aveva modificato la banda del blackberry in modo da bypassare gli schermi di controspionaggio della Base anche se sapeva che tutte le comunicazioni non provenienti dai terminali fissi venivano registrate e documentate.
A prima occhiata non aveva saputo riconoscere il chiamante ma, considerando tutto il lavoro di calcolo borioso che lo attendeva quel giorno, ogni distrazione era la benvenuta.
Tra l’altro devo decidermi a fare una telefonata a Ma Belle…magari questa sera se riesco a trovare il tempo per tornare al villino.
“Sì?”
“Il signor Lagden? È lei?!”
“Sì, ma-”
“Deve venire subito! Mi sente? SUBITO!!!
“Venire dove? Chi è lei?”
“La dottoressa Hervas sta male! Si sbrighi!”
Era scattato in piedi, battendo con le ginocchia il ripiano del tavolo e facendo rotolare alcune provette per terra dove si infransero.
“Non è possibile, sono...”
“Mi creda Michelle è in travaglio da almeno diciotto ore.”
Diciotto- no-
“Dove.” suonava calmo, forse troppo calmo mentre il suo cervello andava in overdrive.
Ascoltava quella voce di donna – che poi avrebbe conosciuto come Alice – e non la stava ascoltando, assimilava i dettagli ben sapendo che la sua memoria avrebbe fatto il resto mentre si toglieva secco il camice di protezione ed lasciava detto al suo assistente di spegnere tutti gli apparati.
“Ma dottore…!”
“Ho da fare. Se mi cercano non ci sono e non provare nemmeno tu. Mi farò vivo quando posso.”
“Ma la conferenza-”
“Falla da solo. Hai tutti i rapporti e mancano solo un paio d’ore di calcoli, esistono i computer. Non cercarmi.”

Quindi era saltato in auto e dato gas.
Per qualche grazia divina non aveva incontrato auto della polizia, dubitava però che avrebbero potuto anche solo prendergli il numero di targa alla velocità col quale stava viaggiando.
Non si era praticamente fermato se non per fare rifornimento imprecando a metà strada ma senza mangiare o bere.
Aveva probabilmente intaccato un nuovo record Rachel-San Francisco senza contare il numero di violazioni del Codice della Strada.
Verso le quattro del pomeriggio posteggiava nel parcheggio del San Francisco California Pacific Medical Center senza aver ricevuto altre novità.
Ventidue ore e rotti…Cristo, ma belle.
Il momento che marciò nella reception dell’ospedale e si fermò al bancone…
“Sono qui per una donna, dovrebbe partorire.”
“Cognome?”
“Hervas...Michelle.”
In quel momento qualcuno gli toccò una spalla e si ritrovò davanti una donna bionda sulla quarantina, magra e dalla faccia stanca, Alice.
L’aveva riconosciuta dalla voce e si lasciò aggiornare brevemente sulla situazione mentre salivano al reparto di maternità.
“Ho trovato il suo numero sul telefono della Dottoressa e l’ho chiamata. Hanno detto che il bambino non è nella posizione giusta e non vuole saperne di girarsi.”
“…”
“Ho atteso nella sala d’aspetto finora ma vogliono parlare con un parente e la Dottoressa si è rifiutata di chiamarla fin da subito.”
Mi ero rivolto alla centralinista della reception confermandogli chi ero.
Il padre di uno spocchioso marmocchio che prima vuole uscire con un mese di anticipo e poi cerca di ucciderla!
Altra perdita di tempo in attesa che qualcuno arrivasse dalla sala parto, altra conversazione quasi superflua che le orecchie filtrano a spezzoni come disturbata.
“Il parto naturale…la donna è in perfetta salute…la posizione del bambino…”
Io che mi infilo come in trance un camice verde, cuffietta, copri scarpe e mascherina.
Il momento che metto piede nella saletta e torno bruscamente alla realtà all’urlo emesso da Michelle al momento di una nuova contrazione che si trasforma in un lamento da farmi rizzare tutti i peli sulla nuca.
“Su cara, va tutto bene, tesoro.”
Allargo gli occhi trovando la proprietaria di quella voce smielata, una ostetrica.
Va tutto bene…?
No, non andava per niente bene.
Dopo quasi ventitré ore di travaglio Michelle era l’ombra di se stessa mentre annaspava per respirare, semisdraiata sul lettino e sudata fradicia.
La sofferenza che le contorceva il volto, le borse sotto gli occhi grigi socchiusi.
Quel pancione sulla cui superficie si vedevano movimenti dall’interno, deboli.
Mi ha visto, la sua mano tesa verso di me afferra la mia.
Non riesco a parlare, non sento nemmeno il dolore alla mano che sembra presa in mezzo ad una morsa.
Il grigio slavato delle sue iridi.
“Voglio un cesareo. Adesso.” l’ordine mi è uscito meccanicamente, lo sguardo ancora puntato su Michelle che ha chiuso gli occhi.
“Se la paziente non-”
“Posso farlo io se lei non se la sente, ho dato gli esami di medicina necessari alcuni mesi fa. Tolga quel maledetto coso da lì dentro, ora!”

~ un’ora dopo
Ventitré ore.
L’avevano fatta soffrire ventitré ore quando in quaranta minuti tutta la faccenda si era risolta, come per magia.
Sono calmo e civile, seduto sulla sedia accanto al letto dove dorme Michelle.
Dentro no, dentro sta per attuarsi una esplosione a livello nucleare.
Sapevo che Michelle non avrebbe approvato ma stavo soppesando i pro ed i contro di una denuncia ai danni dell’Ospedale. Ventitré ore di travaglio…Cristo Santo!
Il fatto di essere diventato padre non mi tocca nemmeno.
Michelle si è addormentata mentre le davano i punti al taglio sul ventre.
Non potevo biasimarla se avesse dormito per tutta la settimana.

~

~ present time
Glielo leggo in faccia.
Me lo ricordo come se fosse ieri.
Le ore interminabili che avevo passato in quella sala parto.
Perdendo il senso del tempo, scandito da contrazioni violente che non portavano da nessuna parte.
Il terrore che il bambino morisse asfissiato.
Il nero degli occhi di Linds.
Il dolce oblio dell’epidurale e poi…

Ero sveglia.
Non ero sveglia.
Luce sopra la mia testa.
Lenzuola ruvide sotto le mie mani.
Cosa ci fa Linds addormentato su una sedia?
Linds?!

Non riuscivo a parlare…sete, tanta sete.
Flebo sulla mia mano, perché?
Fastidio, prurito…bende?
Perché il mio stomaco è…
Occhi in basso, sulle lenzuola dove qualcosa era strano, fuori posto.
Un lungo momento confuso quando…
Bambino. Pancione. Doglie.
Le orecchie mi fischiano assieme alla intermittenza sempre più corta di un fastidioso beep! sopra la mia testa.
Il rumore sveglia Linds che aveva lanciato un’occhiata a qualcosa sopra alla mia testa.
“Michelle…”
Gli rispondo senza parole, il suo nome in un verso terrorizzato.
Abortito…no troppo tempo…non lo so! Non lo so!
Non mi ricordo niente, la mia memoria che non collabora ed i miei arti che sembrano pesanti come del piombo mandandomi ancora più in agitazione.
“Michelle…Michelle! Sta ferma!”
Mani bianche che mi afferrano appena sopra i gomiti, tenendomi di fatto a letto.
Occhi neri fissi sopra di me, la mia visione appannata che distingue il riflesso di un monitor sopra le lenti dei suoi occhiali.
“Respira un po’ da tranquilla prima che arrivi l’intero team di infermiere, per favore o mi cacceranno fuori.” la sua voce roca ma pacata “Adesso ti lascio andare, non dimenarti hai una sutura fresca sull’addome. Non mi allontano, ti verso solo un bicchiere d’acqua. Hai capito?”
Cerco di annuire ma nessun muscolo collabora, il beep! sta ancora continuando all’impazzata come se il mio cuore stesse correndo una maratona.
Il mio bambino…
Tre minuti dopo, Linds ha fatto alzare il letto con attenzione e mi ha portato il bicchiere alle labbra.
Quindi si è riseduto sulla sedia, in silenzio.
Non riesco a decifrare la sua espressione.
“Cosa è successo?”
“Hai partorito.” ha alzato un sopracciglio, come se quelle due parole fossero le più ovvie ed esemplificative di questa terra.
“Il bambino…sta bene?” mi sento un peso sul petto e le parole mi escono a fatica.
“Sì.”
“Linds voglio sapere se è…”
“È un fottuto moccioso, Michelle. Non gli manca nulla, urla peggio di una scimmia e non vede l’ora di farti perdere il sonno.” Linds aveva parlato senza filtro e chiuse la bocca di scatto voltando la testa, gli occhi spalancati a quella preoccupante mancanza di self control.
Un momento dopo si era alzato, pronto per la fuga.
L’avevo afferrato per le dita, solo distendere il braccio mi sembrava di averlo rotto.
“Linds, rimani.”
Non mi guardava, per un momento pensai che mi avrebbe scrollato di dosso invece si lascia cadere sulla sedia, la mia mano fra le sue.
Continua a non alzare lo sguardo, l’espressione scura mentre massaggia le mie dita con movimenti meccanici ma delicati.

~ present time
Linds ride con gli occhi chiusi, il sorriso che gli prende tutta la faccia come un clown, le dita lunghe che strofinano la fronte.
“Eri lì, in quel letto, e mi sentivo totalmente impotente per la prima volta nella mia vita. Avevo il disperato bisogno di trovare qualcuno con cui prendermela. Ho scelto Kurt, Michelle. Ero convinto della sua colpevolezza…appena venuto al mondo e già ti reclamava a gran voce, giustamente.”
“Linds…”
Scuote la testa “C’è solo una cosa che posso dirti, Michelle. Mi dispiace. Per come ti ho trattata in quella stanza d’ospedale e per i giorni a venire.”
Si alza dallo sgabello senza un’altra parola, fisicamente incapace di stare fermo un minuto di più.
“Faccio una passeggiata, che ne dici di take out stasera?”
“’kay.”

Eravamo rimasti in silenzio per un minuto, mi ero quasi riaddormentata per la stanchezza.
“Non farmi più uno scherzo del genere, ma belle.”
Riapro gli occhi ed attraverso la bruma che mi appanna la vista mi sembra – no, impossibile… - che Linds abbia gli occhi lucidi, mentre tiene ancora la mia mano fra le sue.
“Hai rischiato di rimanerci in quella sala parto.”
L’aveva detto senza esitare, faccio per parlare quando mi punta dritto con quei suoi occhi scuri tagliando di fatto i miei pensieri sul nascere.
“No, Michelle. Il rischio non era proporzionato al premio. Non per me. Sono…” fa fatica a trovare una parola che spieghi il suo stato d’animo “Sono furioso, Michelle. Con te, con quei maledetti deficienti che hanno cercato di ammazzarti con un parto naturale per la bellezza di ventitré ore consecutive quando era ovvio che non era possibile, con quel maledetto moc-”
Linds!” l’ho fermato, terrorizzata.
Si è zittito, ma il pensiero rimane dietro le sue pupille scure.
Mi spaventa e vorrei ritrarre la mano ma la tiene stretta in una morsa, le mie nocche premute sulle sue labbra.
Infine chiude gli occhi e preme la fronte contro la mia mano, è fredda e rabbrividisco.
“Non sono perfettamente in me, lo ammetto.” respira profondamente, poi continua a voce bassa “Sono contento che il tutto si sia concluso e che tu abbia ricevuto qualcosa a cui tenevi tanto. Non ne vedo il valore in tutte le sue sfumature, comunque.”
Le sue parole che alzano il sipario sul futuro.

~ present time
Reckoning.
Cerco di mettere in ordine fra il presente ed il passato seduta in questo loft vuoto.
I pesci che guizzano nell’acquario senza una preoccupazione.
Linds non ha chiesto di essere perdonato, anzi.
Sbatto le palpebre.
C’è una differenza in lui, seppur invisibile.
Finalmente guarda le cose dalla prospettiva giusta, come se si fosse svegliato da un sonno durato diciassette anni.
Semplice come uno specchio.
Crudele come la verità.
Insoluto come un enigma.

~~~

Eccomi qui, in ritardo più del solito ma ancora assolutamente decisa a finire questa storia!
Ci sono vari motivi per cui ho tardato tanto ma i più importanti sono solo due: la vita vera e la morte del mio computer di trincea.
L’ultimo l’ho riesumato ieri alle tre/quattro del mattino dopo una settimana di guerra senza esclusioni di colpi, ed il resto sta gradatamente uscendo fuori dal mio controllo per quanto riguarda il tempo libero.

Ma UT è di nuovo back on track!
È un capitolo particolare questo, passato e presente mescolati insieme e difficili da distinguere.
Che non ci siano quotes musicali o frasi famose è stato voluto, perché quando la sabbia cade nella clessidra non c’è distinzione di colore fra presente, passato e futuro; tutto viene rimescolato tornando allo stato originale e creando ciò che siamo stati, divenuti e saremo fra un momento o dieci anni.
(sto divagando, accidenti! xD)

In realtà io devo solo ringraziare di avere ancora gente che si interessa a questa storia ed a questi personaggi.
Prima della morte del mio pc avevo dato una rilettura spensierata ad UT e ci ho trovato magagne e cose che rifarei da capo: allo stesso tempo so benissimo che non modificherò una virgola per mancanza di drive e di tempo.
Quindi ringrazio non solo alessandroago_94 per il suo interesse ma anche tutti gli altri, perché ci siete ora, ci siete stati prima e (spero) ci sarete ancora in futuro a leggere i prossimi capitoli e la fine di UT.
Non sento di meritarmi quel granché quindi…
Grazie. <3
Fra

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Capitolo 18
*** 18 ***


Doubt grows with knowledge.
~ Goethe

Un uomo biondo platino sulla cinquantina scendeva le scalette di Lombard Street, smartphone all’orecchio e mano libera in tasca, gli aviator a specchio che gli scivolavano appena lungo il naso.
“Stiamo parlando, Claudia.” disse tranquillo “No, non credo che sia una buona cosa.”
No overthinking, Linds. Come ti senti dopo questi ultimi giorni?” arrivò la voce dall’altra parte del filo.
L’uomo inghiottì, osservando le aiuole di begonie sgargianti al livello dei suoi occhi.
“Male.”
“Definisci la parola ‘male’.”
“Il tremens sta aumentando e non penso di poterlo nascondere ancora per molto a meno che non prenda qualcosa.”
“Perché lo nascondi?”
Claudia!
“Sii sincero con te stesso e con la dottoressa Hervas, Linds.”
Il capo biondo si scosse seccato “Cosa dovrei fare?! Se scopre che mi tremano le mani Michelle andrebbe nel panico, è già preoccupata per Kurt.”
“Cosa ti terrorizza Linds? Il fatto di essere scoperto od il fatto di apparire umano?”
L’uomo biondo smise di camminare, le labbra strette prima di replicare glaciale “Vuoi che spiattelli a Michelle gli ultimi dieci anni, Creane?”
“Cosa voglio è che la tua esistenza sia sana ed equilibrata, Lagden.”
“Oltre ai miei soldi.”
“Le mie parcelle sono in linea con il minimo tariffario degli specialisti in psicoanalisi.”
Linds sorrise appena, riprendendo a scendere le scale mentre il sole fissava vitamina D nel suo organismo.
“Ammetto che parlare con Michelle non è così difficile.”
“…”
“Piantala con i tuoi silenzi accusatori, ok?! Va bene, sono fottutamente sollevato! Contenta!?”
“…”
“Il prossimo passo sarà depurarmi da pollo fritto e diventare vegetariano per contrastare la violenza nel mondo.”
“…”
“Stavo scherzando, Claudia. La tua diagnosi?”
“Misurati con la dottoressa Hervas, Linds. Non nasconderti e non analizzare più di tanto le sue emozioni, cercando di schermarla dalla verità.”
“Claudia…”
“Sì, Linds?”
“Rivoglio indietro la mia vita.”
“Giunto il momento, il resto dipende solo da quanto sei disposto a metterti in gioco.”
I know.

~

“Kurt! Here!
La sua mano era già pronta a ricevere il passaggio di Nigel prima di correre più avanti verso la metà campo e l’area dei tre secondi, palleggiando e sgusciando fra le guardie mentre i trenta secondi dell’azione scivolavano avanti.
Muoviti Nigel o qui ci freghiamo.
Aveva scansato e fatto finte prima di vedere movimento amico con la coda dell’occhio ed attuare un passaggio raso cemento.
Una frazione di secondo dopo Nigel volava su, infilando la palla nel canestro come se fosse nato per farlo e chiudendo il primo tempo della partita in loro vantaggio di un punto.
Abbraccio collettivo e sudato prima di raggiungere il bordo campo e sedersi in crocicchio tecnico per scambiarsi impressioni, punti di forza e debolezze dell’altra squadra in attesa del secondo.
Alla faccia dell’amichevole…li stendiamo!
“Hey, K.”
“…?” aveva alzato il capo verso Nigel con sguardo interrogativo.
“Hai cose da fare dopo la fine del corso?”
“No…veramente no.”
“Voglia di venire a Charleston per qualche giorno?”
“Mi farebbe piacere, grazie.”

[…]

Keep my head under the water, pride buried in my chest
Not counting all the minutes, the seconds, not holdin' my breath
Now sinkin' from the surface, swimmin' in my lungs
Losin' all my vision, religion, I'm holdin' my tongue
Whetan & Dua Lipa ~ High

È passata un’ora da quando Linds è uscito.
Ho deciso per un bagno caldo, nonostante ci siano trenta gradi.
Le mie spalle mi stanno uccidendo.
Sono un fascio di nervi, ho smesso con la palestra da quando avevo scoperto della fuga di Kurt e non ho alcuna intenzione di ricominciare, troppa la paura di lasciare casa e magari perdere un segno.
Sembro rilassata e paciosa magari, infilata in questa vasca di metallo smaltato enorme.
Non ricordo l’ultima volta che l’ho usata, troppo presa dal correre ogni secondo della mia vita.
Correre per non pensare.
MAI pensare.
Piego le gambe e scivolo con tutta la testa dentro l’acqua.
Il mio respiro che sale e mi lascia sul fondo, dove la superficie è solo uno specchio inverso.
Torno al mondo reale mezz’ora dopo.
Mi sento decisamente meglio.
Certo che stai meglio, Hervas.
Hai fottutamente frignato come una bambina ma nessuno potrebbe provarlo, no?

--ping!--

A piedi nudi raggiungo il tavolino del salotto ed afferro lo smartphone.
“Vieni di sotto? Mangiamo fuori.”
Rimango in silenzio, guardando lo schermo spegnersi.
Due minuti dopo ho calzato l’unico paio di all stars che possiedo ancora ed mi son chiusa la porta di casa alle spalle, con un tonfo.
Stoica ma imbecille…come di tuo solito quando Lagden ti gira intorno, Hervas.
Non imparerai mai.

~

I've been losing my religion
Makin trouble for myself
and these nights are getting longer
You know I just need your help
I keep running for you baby
And it's eating me alive
I'll be dying for you baby
'Till you'll bring me back to life
JRY feat. Rooty ~ Pray

Sto giocando con il fuoco, ne sono perfettamente consapevole.
Le dita che battono sulla scocca della Jag, mentre aspetto.
DING!
Il momento che si aprono le paratie dell’ascensore ed gli occhi grigi di Michelle mi trovano e puntano, inchiodandomi on the spot da venti metri di distanza.
Ho sempre adorato i suoi occhi.
Si avvicina in silenzio, la domanda ovvia nel suo sguardo.
Vorrei smettere di fissarla.
Vorrei davvero.
Blue jeans slavati, maglietta bianca e coda di cavallo.
Bella.
Apro la bocca ma Michelle lo fa per prima.
“Aspettavo del take-out.”
“Già…” non mi vengono le parole “Ecco…”
“…” ha inclinato il capo nella mia direzione, i capelli scuri che scivolano dietro le spalla.
Lagden,non fare la figura del deficiente…smettila con gli occhi a cuore e – per l’amore della fisica molecolare – rimetti in moto i due neuroni che ti sono rimasti e respira!
“Okay, lo ammetto.” affermo calmo, aprendo la portiera per metterla fra di noi “Questa città mi è diventata sconosciuta, Michelle.”
“…” ha allargato gli occhi, sorpresa. Potrei affogare dentro tutto quel grigio argento…no, Linds, rimani razionale!!!
Lancio le chiavi della macchina verso di lei che le prende al volo, sbattendo le palpebre.
“Guida e scegli tu. Mi fido di te, ma- Michelle.” quindi mi siedo al posto del passeggero, con le dita incrociate nelle tasche dei jeans.
Michelle mi osserva con sospetto poi gira intorno al muso e si infila con grazia alla guida, aggancia la cintura ed accende l’auto senza un’altra parola, mettendola in moto.
Continuo a fissarla – maledizione a me – ma lei mi ignora, salendo sulla rampa d’uscita ed immettendosi nel tremendo traffico di fine giornata con cautela.
Un’ora dopo, più a causa del traffico che della distanza, ha parcheggiato la Jaguar sotto la luce di un lampione a filo della costa sul Pacifico.
Scende dall’auto ed inizia a camminare, senza guardarsi indietro.
E solo quando arriviamo a destinazione che mi scappa una risata.
Pier 46.
Michelle vuole la mia testa, e di questo passo...

Il posto è stato rimaneggiato, le vetrate ora prendono tutte le pareti in una visione unica ed indisturbata dell’orizzonte blu.
Gli arredamenti moderni e informali con dettagli in acciaio che mi ricordano un po’ il laboratorio.
“Un piacere rivederla, Miss Hervas. Preferisce un tavolo o sedersi al bar?”
“Un tavolo per due.”
Il cameriere sorride “Prego, seguitemi.”
Passiamo in mezzo ad altri tavoli occupati.
Anche la clientela è cambiata dopo tutti questi anni…prima era di stragrande maggioranza anziana e piena di colletti bianchi, ora vedo alcuni tavoli di soli studenti che si godono un cocktail di gamberi e fritture di pesce sofisticate.
Il bar è diviso dalla cucina a vista da un acquario pieno di aragoste vive, pronte per essere preparate sul momento a seconda delle richieste dei clienti.
Il cameriere tiene la sedia a Michelle, ci lascia un paio di menù e sparisce, letteralmente.
Troppo presto per i miei gusti.
“Non sapevo che questo locale fosse ancora aperto.” tento di fare conversazione, il menù aperto ma senza leggerlo, Michelle non mi degna di uno sguardo.
“Potresti perlomeno parlarmi.”
Una sola occhiata, una stilettata argentea nella mia direzione.
Fa un cenno al cameriere “Un filetto di salmone aromatizzato e come contorno insalata di quinoa. Per vino un bicchiere di bianco abbinabile, possibilmente secco.”
“Per lei signore?”
“Lo stesso, acqua frizzante per me.”
Sorrido al cameriere mentre occhi grigi e calcolatori mi pesano addosso.
Come faccio ad essere sincero con lei quando sembra una cassaforte a combinazione?! Cristo!
Non sono passati dieci secondi da quando siamo rimasti soli e…
“Va bene, adesso ne ho abbastanza Linds.” ha incrociato le braccia, i muscoli delle sue spalle leggermente più gonfi e voluminosi che mi affascinano “Cosa vuoi?”
“…”
Rotea gli occhi, un muscolo sulla sua guancia che guizza “Okay…il succo della questione è che non capisco cosa credi di ottenere. Ti ho chiesto di tornare, lo hai fatto su due piedi. Non mi sembra che tu abbia cambiato atteggiamento nei confronti di Kurt…eppure solo questo pomeriggio hai ritrattato. In teoria, mi hai invitata fuori a cena; esattamente che cosa vuoi?”
Logica, lucida e acida come un limone.
Michelle ma belle.

Il suo sguardo si è indurito mentre mi scappa un sorriso, non posso farci niente.
Arriva il vino ed la mia acqua.
“Vuoi la verità?”
“Possibilmente sì.”
Unisco le punte delle dita sopra il tavolo.
Non è così semplice come sembra, Michelle.
“Ricordi quando è iniziata la nostra pausa?” inizio nervoso, non la guardo.
“Sì.”

~ Quindici anni prima, Michelle POV
Sento l’atmosfera cambiare, Linds il fulcro di quello che sembra un campo magnetico di insicurezza.
Un umore che, per quanto ci ho provato, so di non riuscire a fargli passare.
Kurt ha ululato fino ad un’ora e mezza fa, sta mettendo gli ultimi denti da latte ed il processo è doloroso.
Una tragedia dato che gli ho vietato nel modo più assoluto caramelle dure e cioccolata per evitare di far gonfiare o sanguinare le gengive più del necessario.
Ha quasi due anni con l’intelligenza di uno di sei e non c’è modo di farlo ragionare se vuole qualcosa.
La giornata è stata pesante, Linds era tornato dalla Base il giorno prima con un sorriso che si era sciolto come un cono di gelato il momento che aveva capito cosa stava succedendo.
Aveva messo più distanza possibile fra se stesso e Kurt, rinchiudendosi nello studio con la scusa di lavoro in arretrato.
Ha passato il weekend agli arresti domiciliari davanti al notebook mentre mi barcamenavo con un Kurt capriccioso e pronto allo scontro.
Ora sono coricata al suo fianco in un silenzio fondo.
Linds non dorme, fissa il soffitto.
Mani intrecciate poggiate sull’addome, una piega scontenta nelle labbra.
La verità è che vorrebbe solo più fuggire da questa gabbia di matti.
L’ho appena pensato che Linds si alza, spostando le gambe sul pavimento e ravviandosi i capelli dietro il capo, la schiena tesa sotto il cotone della t-shirt.
Le parole che mormora appena dopo non mi stupiscono molto…le aspettavo da un po’ a dire il vero.
“Non ce la faccio, Michelle.”
Chiudo gli occhi, ascoltando il silenzio della stanza prima di rispondere calma, quasi indifferente.
“Cosa pensi di fare?”
I suoi occhi neri che calano nei miei, nel bel mezzo dell’oscurità.
Lo sguardo di un Linds che non sa cosa sia meglio ma che si sente fuori posto, braccato da demoni che non vuole – o non può – affrontare.
Non avrà mai il coraggio di parlarne, anche se combatte da solo stringendo i denti.
Sento l’amarezza che mi ribolle nell’addome e si mischia con un senso di tristezza.
Lagden ci ha provato, Hervas. Il fatto che non abbia funzionato rimane.
Vorrei fermarlo e provare ancora in un nuovo tentativo ma…
Sai perfettamente bene che il risultato non cambierebbe. Linds non è pronto, non è capace di adattarsi. Andrebbe a finire ancora peggio.
Sbatto le palpebre, fissando il soffitto bluastro, mentre il topo mi guarda assorto, in attesa.
“Penso…” inghiottisco, cercando di suonare calma, ragionevole “È da un po’ che non và, Linds.”
“Huh?”
“Fra di noi.”
Non solo ‘un po’’…Kurt occupa una buona fetta dei miei pensieri e delle mie giornate festive.
È già capitato più di una volta che un momento fra me e Linds venisse interrotto.
Con un bambino piccolo non c’è pace.
“…” ha abbassato gli occhi, i gomiti poggiati sulle ginocchia.
“Non voglio trattenerti qui.”
“Mi stai dicendo che è finita?”
“Sto dicendo che hai bisogno di un po’ d’aria Linds, incolparti non mi fa sentire meglio.”
Non è colpa ne mia ne sua, la colpa sta in mezzo invisibile.
“Posso rimanere.”
“Hai appena detto che non ce la fai più.”
Ma Belle.
Scuoto la testa di scatto sul guanciale “Non negare l’evidenza, Linds. Non fuggirò via appena svolterai l’angolo. Vai, prenditi un po’ di tempo.”
Il biondo apre la bocca per ribattere poi la richiude, torn.
Non parlo più, sono svuotata e di parole ne ho abbastanza.
Alcuni minuti dopo sento il materasso muoversi, mi ha voltato la schiena.
Ho perso Linds.
Non ha bisogno di dirmelo.
Il mattino dopo non ci salutiamo.
E la nostra pausa inizia ufficialmente.

Il cameriere ci ha servito i nostri due filetti mentre vedo le iridi argento di Michelle acquistare una nuova durezza.
Il momento che siamo di nuovo soli prendo un respiro prima di continuare.
“Il mattino dopo sono tornato alla Base.” apro il tovagliolo posandolo in grembo prima di afferrare coltello e forchetta “Per una settimana o due, non ricordo con precisione, ho funzionato come di mio solito.”
“…” Michelle sta ignorando la sua cena.
“Non ricordo per quale motivo ma sono arrivati al Lambda dei campioni di alcaloidi vegetali, piante nuove ottenute incrociando famiglie botaniche molto diverse fra loro.”
“La tua curiosità non ha retto.”
Ringrazio di essere in un luogo pubblico, solo dal tono è pronta per schiaffeggiarmi.
“Esatto.”
“Stai scaricando su me e Kurt il fatto che hai ricominciato a drogarti?”
“No.” porto alla bocca il primo boccone di salmone, masticando lentamente “Mangia o diventerà freddo.”
“Mi è passata la fame.”
Alzo gli occhi per trovarmi dei dardi acuminati lanciati nella mia direzione “Non fare l’idiota, Michelle.”
L’argento delle sue iridi che diventa mercurio liquido a pari passo con la sua furia.
“Ho ricominciato a drogarmi per mia deficienza personale. In quel periodo mi sentivo un fallito.”
Sbatte le palpebre, schiude le labbra poi ci ripensa e sta zitta.
“Non ero pronto, lo sapevamo entrambi. Sono scappato con la coda fra le gambe per il deserto e da lì è iniziata la mia discesa a spirale.”
“…” ha corrucciato la fronte, con la forchetta punzecchia un angolo del filetto senza romperlo.
“Per un paio d’anni costruii una routine: lavoravo durante la settimana ed nel weekend assumevo. Per la maggior parte erano allucinogeni piuttosto pesanti che perduravano anche fino a metà settimana, poi altri miscugli di droga comune.”
“Non sei più tornato.”
“Credimi è stato un bene e comunque non mi ricordavo di te o di Kurt.”
Si è portata una mano alla tempia, gli occhi strizzati. Rimango in silenzio un po’, continuando a mangiare.
“Linds.”
“Dimmi.”
“Eri fatto quando Kurt è stato morso, vero?”
“…”
Oh God…
Vorrei sprofondare qui ed ora…troppo occupato a cavalcare gli arcobaleni e salire le scalinate verso il vuoto.
“Quando…” devo continuare a parlare o non avrò più il coraggio di farlo “Abbiamo litigato…non capivo perché ce l’avevi tanto con me, non mi era sembrato importante.”
“…” ha nascosto la faccia fra le mani.
“L’effetto dell’acido scemò tre o quattro giorni dopo. Tornato sobrio la gravità della situazione mi investì in pieno.”
“A scoppio ritardato…” digrigna a denti stretti da dietro le mani.
“Sì.” annuisco, anche se non può vedermi.
“Perché non hai mai telefonato per sapere come stava?” chiede Michelle, una domanda che probabilmente la rode da anni.
“Non…decisi di non farlo.”
Perché?!
“Non ricordo, Michelle.” cancello la condensa dal mio bicchiere con il dito “Di quel periodo non ricordo quasi nulla.”
“Cosa significa?”
Mi mordo la lingua, impaziente poi inspiro.
“La mia assunzione era fuori controllo. Avevo difficoltà a riconoscere la realtà dallo sballo. Non ricordo.”
“Riuscivi a lavorare, però.”
Barely. Ho una sfilza di assistenti e omini che mi girano intorno, delegavo a destra e manca.”
“Non mi sembri in astinenza, ora.”
La osservo, gli occhi grigi si sono fatti ancora più scuri.
“Pardon?”
“Non mi dai l’impressione di aver assunto acido.” ha spostato il piatto di lato con una smorfia, attaccando il vino ed ingollandone metà.
“Ho smesso con quella roba.”
“Come?”
“Sono stato aiutato, Michelle.”
Ride.
Una risata incredula ed isterica.
“Non hai mai voluto essere aiutato!”
Sorrido.
In realtà è un ghigno.
“Vero.”
Di nuovo mi inchioda alla sedia con tutta la forza bruta del suo sguardo, non ha bisogno di parole per rendermi quanto è delusa di me.
“Perché mi stai dicendo tutto questo?” occhi argento schermati, armati fino ai denti.
Non rispondo alla sua domanda, non ho ancora finito.
“Mi hanno tirato fuori per i capelli solo perché non ho fatto bene i miei calcoli e sono collassato al lavoro.”
Ci vuole qualche secondo prima che le mie parole registrino sul suo viso, anche quelle che non ho detto.
Sbiancata e rigida come uno stoccafisso.
Frugo per il locale ed aggancio con gli occhi un inserviente “Un doppio whisky, senza ghiaccio.”
“Sì, subito.”
Nei cinque minuti non aggiungo null’altro. Quando il drink arriva e Michelle lo prende di mano al cameriere per berne un sorso e arricciare il naso subito dopo.
“Cosa…cosa è successo dopo?”
Perché continua a farmi domande?
Perché è ancora seduta qui a fissarmi con quegli occhi?

“Un ossimoro.” sbatto le palpebre, confuso dal suo comportamento “In quel periodo ero l’unico scienziato in grado di mandare avanti il Lambda. Il Governo mi pagò le spese mediche e la riabilitazione solo perché gli servivo vivo. Venni messo in isolamento per la disintossicazione e quasi un anno dopo ritornai al lavoro con il divieto assoluto di avvicinarmi al magazzino degli alcaloidi se non accompagnato dal Comandante della Base.”
Le sue dita ancora intorno al vetro del doppio whisky.

Would you pray for me?

“Check, please.”
Un cameriere di passaggio annuisce e si dirige alla cassa quindi si porta il bicchiere alle labbra.
Fa tutto questo senza smettere di fissarmi.
Vorrei scappare…datemi un’uscita d’emergenza!
Ha prosciugato l’ultimo goccio del liquore senza dire un’altra parola.
Il silenzio permane mentre salda la consumazione e torniamo fuori dove la sera è immobile, falene che ronzano intorno agli aloni di luce dei lampioni sulla passeggiata che costeggia la spiaggia.
Non ci siamo ancora lasciati indietro il Pier 46 che-
“Che diavolo vuoi da me, Linds?”
Non vedo la sua espressione mentre continuiamo a camminare ma la voce è come un diamante su un vetro.
Cosa voglio Michelle?
Principalmente ciò che ho stupidamente lasciato indietro.
Se possibile trovare un po’ di pace.
Conservare ciò che è stato senza guardarlo con amarezza.
Non chiedo di essere amato da una famiglia che non ho mai riconosciuto come tale ma se potessi-

Esco fuori dalla mia reveriè quando dita color caramello si serrano sulla manica della mia giacca, per poco non me ne accorgevo.
Occhi grigi quasi neri come i miei, così vicini.
“Perché non me l’hai detto?” parla piano, il suo respiro sa di liquore e soffia all’altezza del mio labbro inferiore.
Per un decimo di secondo vorrei chinare il capo e…
Mordo il labbro, occhi chiusi, respiro profondo.
Non sei più adolescente, Lagden.
“All’inizio, non sapevo se dirtelo…e poi, come dirtelo, perché non ero esattamente sicuro di cosa significasse averci provato sul serio.” dico questo con voce fredda e distaccata.
Un Lagden che non sono più da un po’…
Ma l’irritazione di fondo è vera, anche quando cerco di addolcire il tono “Non mi è mai piaciuto raccontare la verità censurandola.”
“C’è altro, vero?” ha lasciato la stoffa, le dita ancora rigide ed il capo ritto e fiero, Michelle ma belle che mi sfida, spavalda.
Sorrido, inclinando la testa verso il basso e di lato, i nostri nasi che quasi si sfiorano.
Lei che si allontana di qualche centimetro.
“Sì ma per stasera ne ho abbastanza, Michelle. Tu no?”
Apre la bocca.
La richiude.
La riapre e quindi…
…tace.

Where do we go from here?
This isn't where we intended to be...
We had it all
You believed in me
I believed in you
Certainties disappear.
What do we do for our dreams to survive?
How do we keep our passions alive,
as we used to do?
Lana del Rey ~ You must love me (Evita Cover)

~~~

Canzoni del capitolo:
- Whetan & Dua Lipa ~ High;
- JRY feat. Rooty ~ Pray;
- Lana del Rey ~ You must love me (Evita Cover).

Le note di questo capitolo sono:
- Lombard street è una strada a senso unico molto nota di San Francisco a causa della sua pendenza. Per supeare il dislivelli infatti la strada è stata modellata con un grosso numero di tornanti;
- Ovviamente Linds non ha niente contro i vegani o altri stili di vita green, ma si sa il topo è abituato a mettere le zampette dove non gli conviene...xD
- Charleston, qui stiamo parlando della città balneare in South Carolina dove risiede la famiglia di Nigel. Degno di nota ricordare Fort Sumter, guarnigione federale nordista che venne attaccata nel 1861 dai sudisti, evento dal quale scoppiò la Guerra di Secessione americana;
- Il Pier 46 è il nome del ristorante nel quale Michelle e Linds cenano per la prima volta insieme in ASTTL. Consideriamola una licenza poetica dato che non ho mai accennato al nome del locale nella storia pilot. Ammetto di essere stata molto affascinata dall'idea che i due tornassero a confrontarsi in un posto già conosciuto, per così dire. In UT Linds e Michelle sono due persone molto diverse da i due giovani della prima storia ed anche la loro conversazione prende una piega molto più pesante di quella d'allora...eh beh...non voglio dilungarmi troppo!

Sì, un altro pezzo di questa storia pubblicato...paura!
E già che siamo in vena di cose impossibili la domenica sera un annuncio: la storia è completa al 99.9%, l'unica cosa che mi manca è l'epilogo che riesca a legare le ultime tre scene del finale.
Ormai è già estate, almeno nei posti che frequento abitualmente ed UT verrà conclusa e postata. Almeno è questo quello che intendo fare.
Non so chi legga ancora ma per chi è rimasto spero solo che vi divertiate ancora.
Saluti, tanto sole e copacabana.
Hermes

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Capitolo 19
*** 19 ***


Let's dig a hole in the sand, brother
A little grave we can fill together
I got myself a problem
That I been looking to sell
The dead weather ~ Die by the drop

Impasse.
Sembra così figo dirlo in francese.
La realtà delle cose invece è molto diversa.
Sono due giorni che abbiamo cenato fuori.
Quarantotto ore passate ad evitarci, sostanzialmente.
Il giochino idiota l’ho iniziato io, lo confesso.
Al nostro ritorno mi son chiusa nella mia stanza ed il mattino dopo ero uscita all’alba per non tornare fino al tardo pomeriggio.
Da parte sua Linds non ha tentato di mettermi i bastoni fra le ruote.
Il topastro non è propriamente mogio e dispiaciuto, tutt’altro.
Mantiene il silenzio e si fa i cazzi suoi, in poche parole.
Sì, ho ricominciato a fumare…si nota?
Questo silenzio, pieno di calma apparente, mi logora.
Sono stata tentata di schiaffeggiarlo, abbracciarlo, buttarlo fuori di casa, cercare di comprenderlo, urlargli contro e fargli altre domande.
Sunto della situazione o qui facciamo notte, Hervas!
Non posso perdonarlo.
Non credo nemmeno che a Linds interessi essere perdonato.

~ dieci anni prima, Rachel, Ospedale della Base.
Avevo viaggiato nel primo pomeriggio estivo, dalle tre alle quattro ore.
Faceva un caldo infernale e fare gli ultimi cocenti dodici chilometri su una camionetta militare sprovvista di portiere, con la polvere che entrava dappertutto non era stato uno dei viaggi più comodi della mia esistenza.
Non aveva migliorato il mio umore.
Quel mattino avevo ricevuto una telefonata insolita dal comandante di quella Base-a-casa-del-Diavolo dove Linds lavorava a proposito di un ‘incidente’ nel quale Kurt era stato coinvolto.
Subito avevo pensato a qualche malfunzionamento da laboratorio…Linds all’epoca mi aveva parlato – seppur raramente – dei delicati esperimenti con particelle, quanti, eccetera al quale aveva assistito.
Poi la verità era giunta: il mio bambino morso da un crotalo, un fottutissimo serpente a sonagli.
Per poco non ero svenuta a quella notizia.
Quindi avevo lasciato San Diego con un volo diretto a Las Vegas, ero poi salita prima su un camion e dopo su quella camionetta militare muta come una tomba, non prestavo nemmeno attenzione a quel poverello al quale era stato dato l’ordine di portarmi alla base di Rachel e che aveva cercato di attaccare bottone amichevolmente.
Ero peggio che livida mentre attraversavamo la stretta pianura dove si proiettavano le lunghe ombre della sera imminente ed il profilo della recinzione della zona militare.
Ero stata munita di pass ‘Visitatore’ che avrei voluto tanto far ingoiare a qualcuno quindi introdotta nel braccio ospedaliero della Base.
Ricominciai a respirare solo quando misi a fuoco il letto sul quale stava Kurt, sette anni compiuti, pallido come un cencio.
Ascoltai paziente il sunto del dottore poi mi installai seduta.
In attesa.

~

Un ragazzo magro e alto camminava tranquillamente, sulle sue spalle sedeva Nala, una bimbetta di quattro anni, felice come una pasqua, le braccine che gli circondavano il collo, incrociandosi sotto il suo mento ed il visetto nascosto fra i capelli neri del ragazzo.
Al fianco di Kurt camminava Savannah la sorella dodicenne di Nigel mentre percorrevano la strada principale del quartiere per il chiosco dell’Ice-Cream alcuni isolati più in là.
Era a Charleston da quasi quattro giorni e il ragazzo californiano si era innamorato della città, ma soprattutto della gente.
Il clima tropicale mitigato dalle correnti atlantiche e quell’aria così rilassata della cittadina balneare ma non ‘centro del mondo’ al quale era abituato.
La parlata stretta, tanto che faticava a comprenderla.
La cucina a base di pesce, il sole verticale e una quantità di gabbiani che volteggiavano sulla banchina del porto.
Vogliamo parlare della storia? In ogni angolo si trovavano le tracce di civiltà differenti, mischiate dalla costante emigrazione e la tratta degli schiavi per le piantagioni.
Just a few more days for to tote the weary load…
Anche San Francisco vantava edifici storici ma non con quella concentrazione ed diversità.
Solo il giorno prima il padre di Nigel aveva accompagnato la famiglia a mangiare fuori con il loro ospite in un autentico ristorante del posto che, un secolo e mezzo prima, vantava essere un bordello di gran lusso.
L’esperienza era stata interessante, si era sbellicato dalle risate quando Nigel era stato preso per le orecchie da sua madre alla sua insistenza nell’esaminare le foto-testimonianza del locale.
La famiglia del ragazzo di colore era cattolica praticante ed osservante, c’era stato un leggero disagio due giorni prima – una domenica – Kurt si era rifiutato di seguirli a messa ma ciò non aveva alzato che il sopracciglio della signora di casa.
Quindi aveva finito per fare una passeggiata per il quartiere nella calma tranquillità del mattino mentre i tosaerba rapavano senza sosta i prati dei vicini dove l’erba, come nelle migliori pubblicità americane, è sempre più verde...
KUT! KUT!
Il ragazzo allampanato strinse appena gli occhi mentre la vocina eccitata della bambina appollaiata sulle sue spalle gli perforava un timpano, eppure aveva un sorriso sulle labbra.
“Dimmi, Nala.”
“Is-Crem!” un piccolo indice entrò nella sua zona visiva, indicando il chiosco sgargiante in azzurro e bianco, due isolati più in là.
Yep! Perché non pensi a cosa vuoi?” aveva battuto delicato una mano sul ginocchio sinistro della piccola.
“Tanto non la smuovi dal cioccolato, Kurt.” esclamò Savannah al suo fianco, saltando un blocco di cemento e precedendoli.
“Perché tu hai altro in mente, Sav?”
Fratello e sorella si scambiarono un’occhiataccia quindi iniziarono a litigare per il resto della strada come solo dei consanguinei avrebbero potuto fare.
Kurt li ignorò, passando le strisce pedonali, mentre dentro provava una minuscola punta di invidia.
Abituato a vivere da solo non si era mai veramente chiesto come sarebbe stato avere dei fratelli o delle sorelle…
Il destino aveva voluto che lui fosse un figlio unico.
Oh…se la ricordava eccome quella litigata epocale…
“Kut…?”
“Sì? Cosa c’è?”
“Coa prendi?”
“Oh…fammi pensare che è una domanda difficile…” gli piaceva sentirla ridere, e sorrise anche lui scorrendo la lista “Direi che mi basta un ghiacciolo al limone con stecco di liquirizia.”

~ dieci anni prima, Rachel Ospedale della Base.
Il volto di sua madre era rigido e teso, quasi grigio.
Kurt era sveglio da un po’, ma aveva paura di essere scoperto e rimproverato.
Quindi aveva strizzato le palpebre chiuse.
Non si sentiva molto bene, i suoi pensieri sembravano come galleggiare, al di fuori della completa percezione.
Ricordava appena come ci era finito in quella barella d’ospedale.
Non sentiva più la gamba da ore ed non aveva ancora trovato il coraggio di appurare se l’arto ci fosse o meno.
Il viso di un vecchio contadino che gli sorrideva con la bocca sdentata tornava fra i suoi ricordi insieme all’ondeggiare frusciante delle cime delle piante di mais dei crop circles, tre metri sopra il suo capo.
Cicale assordanti, nascoste fra le foglie taglienti come rasoi e maledetti crotali.
Quindi passi pesanti e, allo stesso tempo, vaghi.
La porta che si chiude e il silenzio fondo di una sera tardi.
“È tutto ok, Michelle.” la voce di suo padre, strascicata e senza emozione.
Un sospiro al suo fianco e Kurt immaginò le spalle di sua madre abbassarsi progressivamente ed il rumore della sedia accanto alla parete scricchiolare.
Tu dov’eri, Linds?” il tono di sua madre era accusatorio.
“Di sotto al Lambda Dep. Hanno chiamato subito aiuto ed gli è stato somministrato l’antidoto, è fuori pericolo ma hanno preferito portarlo qui per i controlli del caso.”
Sua madre non rispose a quella spiegazione dettagliata.
Era un silenzio da pelle d’oca.
Uno di quei silenzi nei quali Michelle perdeva qualsiasi sfumatura piacevole.
“Prima o poi sarebbe capitato, me lo aspettavo.”
“Michelle-”
“Com’è stato morso?”
“Un serpente del deserto, Kurt lo ha aizzato in uno dei Crop Circles, gli è andata bene che nei paraggi c’era un vecchio agricoltore.”
“Proprio un culo sfacciato.”
Il ragazzino si era irrigidito alla calma replica di sua madre, segno che il nucleo della sua irritazione aveva raggiunto il grado di fusione, non l’aveva mai sentita imprecare.
“Vieni con me, Linds. Andiamo a prendere un caffè, vuoi?”
Non aveva sentito la risposta di suo padre ma dai passi e dal cigolio della porta semi chiusa, era rimasto da solo.
Quindi si era messo seduto, tendendo bene le orecchie.
Qualche manciata di secondi dopo quella conversazione era continuata.
“Quanto tempo Kurt passa da solo, Linds?”
“…”
“Non sai dirmelo o ti sei semplicemente dimenticato che tuo figlio esiste?”
“Sei così drammatica per un morso…”
“Sì, un morso che avrebbe potuto portarmelo via, topo. Scusa se faccio la parte di sua madre, eh!”
“Tagliata su misura tu sei.”
una risatina idiota.
“La mancanza di aria fresca ti sta rincretinendo ma te lo chiedo lo stesso: quale sarebbe il tuo maledetto problema, Linds?!”
“Problema…?”
“Prima hai appena implicato che Kurt sia andato a cercare un crotalo…ho difficoltà a credere che un bambino abbia istinti suicidi. Ergo non hai ancora cessato di comportarti come il perfetto egoista. Se c’è qualcosa che non va come dovrebbe la colpa è di Kurt, vero?”
“Ti ho perso all’ergo, piccola.”
“Immagino.”
Un brivido, attutito, lungo la sua spina dorsale mentre tornava il silenzio.
“Linds, sono passati quasi cinque anni da quando te ne sei andato. Non ti ho mai chiesto di tornare, ma pensavo...” la voce di sua madre aveva perso il filo tagliente, malinconica “Mi ero stupidamente convinta che almeno di Kurt ti importasse qualche cosa. È solo un bambino, Linds, ed ha bisogno di te.”
“…”

Confusi occhi neri che spariscono lentamente dietro le palpebre una, poi due volte.
Un momento dopo la mamma aveva ripreso a parlare e la sua voce era acciaio puro.
“Vedo che le mie parole non fanno effetto. Sai cosa? Non importa e non mi interessa. Non posso più farlo, ne ho abbastanza di continuare a farmi del male e sanguinare. Passa una buona serata ed addio, Linds.”

Aveva seduto Nala sulla panchina ed acquistato una coppetta di gelato al quale la piccola aveva fatto le feste mentre gli aveva puntato nello scollo della t-shirt qualche tovagliolino perché non si imbrattasse.
Quindi aveva scartato il suo ghiacciolo con gesti meccanici.
“K! Potevi aspettarci!”
“Colpa vostra, la signorina era affamata.” sorrise Kurt, osservando la bimba che dava fondo al suo gelato senza rimorso.
Lui aveva dato un morso alla parte acquosa del suo ghiacciolo, il sapore del limone sintetico troppo dolce ed la promessa della liquirizia più in basso che gli dava una segreta soddisfazione.
Un orologio dentro di lui che ticchettava, ghignante.
Si ricordava ancora l’espressione di sua madre quando era tornata e si era seduta al suo fianco.
Le labbra tirate, il grigio dei suoi occhi quasi fosforescente nella penombra e le narici che fremevano.
Quando lo sguardo di Michelle si era posato sopra di lui quella facciata si era dissolta.
Le spalle si erano abbassate e si era morsa il labbro inferiore.
Una frazione di secondo dopo sua madre era tornata in possesso di se, gli occhi lucidi.
Aveva tirato fuori un faldone ed un notes lavorando l’intera notte, seduta al suo capezzale, nessuna espressione sul viso.

Some people die just a little
Sometimes you die by the drop
Some people die in the middle
I live just fine on the top
[...]
Get right down to the bottom
To my little grave
The dead weather ~ Die by the drop

~

75 degrees
Nothing is bugging me
Heat whispering trees
My baby and me
75 degrees, the killer in me
Rushing through my veins
Taking away my pain
Over me, under me, within me, without me, under me, over me
Richard Ashcroft ~ 75 Degrees

“Michelle, te lo ricordi quel weekend che abbiamo passato a Daytona Beach?”
“Come potrei dimenticare quarantotto ore passate a tirarti per le orecchie prima che ti imbucassi in una corsa d’auto?!”
Linds ride di gusto, tranquillo.
Potreste non crederci ma sì, è davvero successo la seconda estate insieme mentre eravamo di ritorno da una settimana a Miami…dubitavate del topo?
Qualche ora prima ero arrivata a casa per scoprire che la porta antincendio per il tetto era socchiusa, avevo controllato l’anomalia trovandoci Linds che in maniche di camicia si crogiolava al sole di fine giornata sul tarmac bollente come un gatto in siesta.
Sul suo petto dondola il flute che ha starmato da qualche parte in cucina, il poco vino rosso che si muove ad ogni suo respiro.
“Un po’ ho il rimorso di non aver provato uno di quei bolidi quando ancora potevo, sai?”
Mi volto a guardarlo, interrogativa.
Come al solito il sottotesto nelle sue frasi mi stuzzica.
Quando ancora poteva…?
Il calore del sole qua sopra è quasi proibitivo ma a Linds non sembra dare fastidio.
Secondo lui la porta che da sul tetto è stata scassinata da Kurt, non mi fa piacere ma potrebbe anche essere così…
I raggi si fanno via via più rossi e densi, come melassa mentre un clacson sulla strada suona, brutale e sognante insieme.
Clink!
Linds si gira da supino a prono le braccia sotto il mento, gli occhi sans lenti su di me.
Tremendamente serio.
“Lo sapevi che questa parte del tetto in teoria è di proprietà insieme al loft?"
“Quindi...?” mi guardo intorno, un po’ disinteressata. Non è uno spazio che mi ispiri molto con il camino e le grate dell’aria condizionata del palazzo.
“Non ti piacerebbe trasformarlo in una terrazza a giardino pensile?”
Torno a guardarlo, un po’ sorpresa dalla sua idea.
“Non ci ho mai pensato...e comunque non riuscirei a godermelo, Linds...”
“Perché?”
“Passo il 90% della settimana a San Diego al Venter Institute quindi...”
La mia voce sfuma mentre Linds versa altro vino nei bicchieri con uno sguardo pensoso.
Sei restia Hervas? Cos’è hai una patata bollente fra le mani?
“Mi togli una curiosità, Michelle?”
“A-ha?”
“Perché non ti sei trasferita con Kurt là?”
Ecco che il topo arriva, mira, spara e fa bull’s eye!
Non trovo una risposta adeguata anche se le mie meningi vanno a pieno ritmo.
“Ci ho pensato.” riesco a dire, semi impappinata.
Questo posto…qui io e lui siamo stati felici e…
Linds fissa il fondo del suo flute, senza commentare, curiosamente disinteressato.
“Ci ho pensato.” ripeto più decisa “Ma Kurt aveva già iniziato la scuola e fraternizzato…poi comunque per traslocare avrei dovuto vendere il loft e…insomma la casa è di tua proprietà-”
Linds scuote la testa di scatto “No, ti sbagli Michelle.”
“Eh…?”
“Non sono più il proprietario di questo posto.”
“Che vuoi dire? Non capisco.”
Linds ride, seduto al mio fianco “Voglio dire che pago le tasse sì, ma il loft è a tuo nome e quello di Kurt.”
“Credevo…hai avuto problemi con il fisco?”
“No, affatto. Alcuni anni fa ho messo un po’ in ordine le mie finanze e…” si volta a guardarmi “Non ci abito qui, Michelle e se mi capitasse qualcosa verreste sfrattati dall’oggi al domani. Mi è sembrata la cosa più logica.”
Il sole sta scendendo lento sopra la nostra testa, la temperatura che cala con l’arrivo dell’ombra proiettata dai palazzi più alti.
Non riesco a smettere di guardarlo mentre Linds strizza gli occhi e mi sorride appena prima di rialzarsi e scomparire dalla porta antincendio venti metri più in là.
Hai rimesso in ordine le tue finanze…co-intestando a me e tuo figlio un loft a cinque zeri.
Questo prima o dopo l’overdose?
Scommetto che non vuoi niente in cambio, topo?

Ci sono lacrime sulle mie guance e non credo di volerle fermare.
Oh, mio Dio.

You know I'm afraid
You know I'm scared
And so are you, and so is he, and so is she
What's the point of trying to hide?
Give me a reson to breathe
Give me a reason to feel
Richard Ashcroft ~ 75 Degrees

~

Look at you, kids, with your vintage music
Comin' through satellites while cruisin'
You're part of the past, but now you're the future
Signals crossing can get confusing
Lana del Rey ~ Love

“Torni a casa…?”
Lizzie, sentì la propria voce uscire sorda.
“Sì, tra una settimana o dieci giorni…per ora sto da un amico a Charleston ancora per un po’…stammi bene Lizard.”
“Kur-”
La telefonata si era interrotta.
Elizabeth avrebbe voluto strangolarlo.
~
“Oi, K. C’è un particolare motivo per cui ti comporti così con quella poveretta della tua fidanzata?”
“Non è la mia ragazza, Nigel.”
“Sicuro?”
“Positivo.”
Il ragazzo al suo fianco fischiò con un sorrisetto “A me sembra che sia cotta, invece!”
La zazzera corvina scosse il capo disinteressata mentre una nuvola di fumo acre fuoriusciva dalle narici.
“Sei stato davvero gentilissimo ad ospitarmi, Nigel.”
“Nah, Kurt. Da e Ma pensano che tu sia una persona in gamba e poi giochi a Quake II talmente bene che mi dai il terrore, accidenti!”
“Esagerato…”
Avevano ripreso a camminare lungo il viale residenziale dove non si muoveva una foglia mentre l’umidità della sera si alzava appena in foschia.
I ragazzi camminarono ancora per un po’ con le mani cacciate in tasca fino ad un incrocio dove il semaforo lampeggiava fuori uso, attraversarono la strada per scavalcare i muretti e saltare nella sabbia due metri più sotto.
Il rumore della risacca un leggero mormorio che diventava sinistro il momento che l’acqua veniva risucchiata fra gli scogli cento metri più in là dove si delineava il porto.
La spiaggia non era deserta, ad alcuni metri la luce di un falò si alzava fra la sabbia dove una classe di adolescenti si era seduta intorno. Si sentivano gli accordi di una chitarra ed alcune voci cantare qualche vecchia canzone dei Beach Boys.
I due ragazzi si tennero alla larga dal gruppo, puntando per la scogliera dove Kurt iniziò per primo a saltare su una roccia agile come un gatto, seguito da Nigel poco più giù.
Era uno sport pericoloso e decisamente non salutare, Kurt lo sapeva ma la presenza di un rischio rendeva più dolce l’arrivo alla méta: una roccia liscia ed asciutta, quasi piana nel bel mezzo del cumulo di pietra.
Lì il rumore del mare era l’unica vibrazione percepibile e l’aria era ricca di iodio nell’oscurità totale.
Lì non sentiva i battiti del suo cuore.

~

You know I look like a woman, but I
Cut like a buffalo
Stand up like a tower
But I fall
Just like a domino
The dead weather ~ I cut like a buffalo

Niente.
Io e Linds avevamo setacciato la Washington High da cima a fondo ed in pompa magna, accompagnati da una professoressa di Kurt che si era offerta come centurione.
Greene…cavolo l’ho già sentito questo nome…
La donna era rimasta folgorata sulla porta del Preside quando era entrata mentre ci eravamo appena accomodati sulle poltroncine per gli ospiti.
Folgorata era dire poco…quella donna salivava e pendeva dalle labbra del topo.
E lui reggeva il gioco come se fosse una seconda natura: amabile, un po’ timido e pacato e, apparentemente, con un genuino interesse nella carriera scolastica di Kurt.
A quel punto avevo lasciato tutto nelle sue sapienti mani perché a pelle intuivo che la mia civiltà non sarebbe durata più di due minuti.
Intanto i due camminavano avanti - d’amore e d’accordo - parlando di provette, teoremi e materiali scolastici.
Il tour era soporifero, la scuola era ottima ovviamente avevo cercato di indirizzarlo nel modo giusto ma i voti accademici di Kurt erano talmente perfetti e la mia agenda così incasinata che non mi ero mai data la pena di approfondire di più il mio rapporto con i professori oltre i pagellini che vedevo ogni semestre.
“La ringrazio, la sua presenza stamattina è stata illuminante, davvero!” Linds esclamò entusiasta “Certo…qualche piccola miglioria qui e là ai laboratori scientifici sarebbe necessaria sa, per non rimanere indietro con le innovazioni…ne parlerò con il mio commercialista.”
Topo! Il naso ti si allunga, attenzione!
Dieci minuti dopo eravamo di nuovo finalmente soli nell’atrio secondario.
“Non eri il commercialista di te stesso, Linds?” Il topo, impegnato nello scrutare i volantini delle bacheche, si volta e mi squadra, la mansuetudine svanita.
“Beh…ho toppato a quanto pare e giurerei che quella arpia non è la professoressa preferita di tuo figlio, Michelle.”
Roteo gli occhi, passando sopra alla sua bacchettata.
“Punto ed a capo, palla in centro. Altre idee?”
“Dai il tuo contributo Michelle, sono tutto orecchi.”
Okay. Dieci minuti dopo siamo nella segreteria dell’istituto con una delle donne di turno brontolona e pestina per essere stata disturbata nella lettura del suo quotidiano di fiducia, un opuscolo scandalistico con in copertina un titolone sull’ultima soubrette trovata a gambe all’aria.
Linds sbadiglia appoggiato allo stipite della porta mentre scorro l’yearbook di quest’anno alla ricerca dei possibili compagni di classe di mio figlio.
O porco cane…proprio una grande pensata Hervas…settecentosessantotto teenager…finirai al minimo tra qualcosa come due o tre anni e saranno già tutti al campus!
“Mi scusi, non ci sarebbe una lista dei componenti della squadra di atletica?” domando disperata.
“Quella la vada a chiedere al coach!”
Chiudo di scatto l’album.
“Lo farò, stia certa.” replico grave prima di voltarmi ed uscire, Linds che mi apre la porta prima di seguirmi nel corridoio.
“Hai una idea di quale sia la strada più veloce per il campo sportivo, topo?” le narici mi fremono ed i pugni li tengo stretti, Linds da un’occhiata fuori prima di replicare tranquillo.
“Suppongo di sì.”
Lead the way.
[…]

~

[…]
“Suo figlio è un emerito deficiente, signora.”
“Immagino di sì…”
“Non so se l’ha mai visto mentre gareggia.”
“…temo di no.”
“Ha un completo disrispetto delle più semplici nozioni di salute e se ne frega altamente del lavoro di squadra quando è in pista.”
“…”
“Alcune settimane fa l’ho sorpreso a correre al suo solito modo sotto il sole delle tre post meridian, vestito di nero. Ha una minima idea dell’insolazione che avrebbe potuto prendere con questo caldo? Ha avuto pure il coraggio di sfidarmi quel piccolo imbecille quando gli ho intimato di fermarsi.” il coach fece una pausa, strofinando con una mano la pelata sudata “Suo figlio è uno dei migliori corridori che io abbia mai avuto modo di allenare nella mia carriera di professore, signora ma se trovassi un pretesto per cacciarlo definitivamente dalla squadra lo farei per il suo bene, senza pensarci troppo.”
“…”
Ho ascoltato questa conversazione in silenzio, seduto al fianco di Michelle che ha chiuso gli occhi mentre ho visto la sua furia sfasciarsi come una lanterna di riso sotto la pioggia.
“Se vuole posso farle qualche nome ma non credo le sarò molto d’aiuto.”
Michelle inghiotte, lentamente, gli occhi chiusi e non so cosa darei per il poter confortarla.
“Gliene sarei grata.”
È stato un boccone amaro ed nel tempo che ci mettiamo ad uscire dall’ufficio e tornare al parcheggio Michelle evita il mio sguardo.
In mano stringe il biglietto dove il mister ha segnato un paio di nomi ed indirizzi ma per oggi credo che sia abbastanza, anche per lei.
So che non devo…che la sua vita non è più mio interesse…ma è più forte di me.
Guido la Jag fino ad una fila di stalli appena fuori del Golden Gate Park, parcheggio, esco fuori apro la portiera del passeggero e le tendo la mano.
Mi ignora, lo sguardo fisso sul portaoggetti anche se non demordo.
Forse attendo un miracolo che non mi merito.
La mia mano trema, visibilmente, e me ne frego.
Michelle sospira, il capo che si piega poi gli occhi che trovano la mia mano e si fissano.
La sua espressione che diventa grave e poi alza lo sguardo.
Non le offro spiegazioni, non è il momento.
Sembra accettarlo e decide di fidarsi.
Un momento dopo la chiusura dell’auto scatta mentre attraversiamo Fulton Street ed entriamo nel parco, mano nella mano.

And he understands.
He understands why people hold hands:
he'd always thought it was about possessiveness, saying 'This is mine.'
But it's about maintaining contact.
It is about speaking without words.
It is about 'I want you with me' and 'Don't go'.
~ Cassandra Clare

~~~

Canzoni del capitolo:
- The dead weather ~ Die by the drop;
- Richard Ashcroft ~ 75 Degrees;
- Lana del Rey ~ Love;
- The dead weather ~ I cut like a buffalo.

Le note di questo capitolo sono:
- Il crotalo o anche più comunemente chiamato serpente a sonagli è un nome comune di alcuni serpenti velenosi noti per il sonaglio corneo che possiedono sulla punta della coda e che agitano vorticosamente nelle situazioni di pericolo. Il veleno presenta tossine proteiche che possono attaccare la funzione cardiorespiratoria, il sangue e anche altri tessuti...tutto dipende dal tipo di crotalo;
- Just a few more days for to tote the weary load… è un verso della canzone My old Kentuchy home, una ballata da camera anti-schiavista composta da Stephen Foster nel 1852 circa;
- Charleston, qui stiamo parlando della città balneare in South Carolina dove risiede la famiglia di Nigel. Degno di nota ricordare Fort Sumter, guarnigione federale nordista che venne attaccata nel 1861 dai sudisti, evento dal quale scoppiò la Guerra di Secessione americana;
- Daytona Beach è una località balneare molto famosa situata in Florida. Oltre al turismo Daytona ha anche una fitta tradizione di associazioni sportive automobilistiche volte a modificare vetture di serie in bolidi, le stock-cars. Le gare negli anni '20 si tenevano sulla sabbia compatta caratteristica appunto della Beach e poi si spostarono dal 1959 nell'autodromo internazionale;
- Miami città famosa sulla costa sud-orientale della Florida. Chi non se lo ricorda quel singolo di Will Smith e chi non scommetterebbe che il topo lo sa a memoria...LOL
- Quake II era un videogioco realtime 3D genere sparatutto in prima persona nel quale si uccideva tutto ciò che si muoveva praticamente con tanto di sangue e pezzi di cervella in mondovisione, il primo Quake era del 1996 è mi ricordo che aveva fatto assolutamente furore con la generazione di mio fratello. Viene ricordato come successore spirituale della serie Doom. A me (allora avevo appena 8 anni) faceva venire gli incubi...sopratutto nella modalità Nightmare l'audio dei mostri e l'ambient sound era da pelle d'oca:
- I The Beach Boys sono un gruppo rock statunitense del 1961 formato da tre fratelli californiani ricordato perlopiù per la loro musica spensierata e molto legata alla tradizione surfing degli adolescenti californiani;

Altro weekend, altro aggiornamento.
Capitolo lungo questo, un po' frammentato ma giusto almeno per me che scrivevo...
Il finale si avvicina...non sembra ma è così.
Saluti.
Hermes

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Capitolo 20
*** 20 ***


Above them clouds, beneath them winds
Born to fly, I'm here to sing
Now wear your heart on your sleeve
It's okay 'cause we all bleed
Richard Ashcroft ~ We all bleed

Avevamo passeggiato per due ore prima di fermarci in uno dei chioschi e mangiare.
Michelle rimaneva nel suo silenzio e non avevo magiche paroline che avrebbero potuto risollevarle il morale.
Domani, in un nuovo giorno, ma belle sarebbe tornata la donna combattiva e inscalfibile.
In questo primo pomeriggio riesco a leggerla, una miriade di emozioni nella piega delle sue labbra piene e nelle linee leggere che le segnano la fronte.
The muse is better than the portrait.
Avevo ordinato una semplice insalata e due limonate.
Il tavolino era striminzito ed per abitudine avevamo poggiato entrambi gli smartphone nel centro, spostando il dispenser dei tovaglioli.
Ci avevano appena portato i nostri piatti che il mio telefono inizia a vibrare in muto, sul display solo il nome del chiamante ben visibile nell’ombra delle piante.
Claudia C.
“Rispondi pure, Linds.”
“No, non è importante.”
Vedo benissimo che ha tratto le conclusioni sbagliate ed aggiungo con un sorrisino “Mi sento sano di mente, Michelle.”
“Che vorresti dire con questo?”
“Che non sono in bisogno di una sessione psicanalista.”

~ 5213 N Conho Heights St, North Las Vegas, NV 89081
Il segnale di attesa suonò ancora una volta poi la chiamata si interruppe e la donna abbassò la cornetta con un lieve sorriso.
Finalmente.
Avrebbe provato a contattare Linds ancora una volta quella sera prima di chiudere lo studio, ovviamente.
La cartellina davanti a lei un po’ rigonfia e l’agenda organizzata per data e poi per argomenti toccati.
La data di oggi, una riga vuota.

Nonostante la loro prima intervista non fosse stata ottimale Lagden Linds aveva deciso di tentare e collaborare.
I primi sei mesi di terapia furono un incubo, pure per lei.
L’overdose di alcaloidi aveva lasciato in Linds vari problemi tra i quali astinenza da eroina, frequenti allucinazioni e attacchi di panico.
Il sottopeso non accennava ad recedere ed l’uomo doveva essere portato nel suo studio con una carrozzina, le sessioni di riabilitazione per ritornare auto-sufficiente lo snervavano ed arrivava il più delle volte stanco e scontroso se il metadone non lo rendeva sonnolento ed ancor meno collaborativo.
Il leggero miglioramento era frequentemente cancellato via da una forma di negativismo depressivo che in alcuni casi non le permetteva di ‘farsi sentire’ dal paziente.
Dodici faticosi mesi dopo – alla fine dell’anno e mezzo – Linds Lagden aveva riacquistato una parvenza di autonomia, arrivando da solo al suo appuntamento, il tremore delle sue mani quasi nullo ed i lineamenti non più scarni.
Se fisicamente era migliorato, non si poteva dire lo stesso per il suo quadro psicologico.
E Linds lo sapeva.
A fine sessione le aveva chiesto le sue tariffe e di essere inserito nei suoi clienti.
Quindi la collaborazione era divenuta più efficace fino a quel momento nel tempo.
Dopo otto anni di psicoterapia – ed in qualche raro momento – di psicoanalisi di puro stampo Freud-Jung; Linds Lagden viveva di nuovo ed aveva raggiunto i cinquant’anni, nessuna scintilla di umore negli occhi e qualche macchia di malinconia. Lavorava per inerzia ma sembrava aver trovato un piano sul quale appoggiarsi senza l’aiuto di droghe eccessivamente pesanti.
Certo il processo era stato lento ma il paziente le aveva remato contro per molto tempo ed gli apparenti abissi che nascondeva nella sua psiche avevano dato dubbi anche a lei.
Eppure…

Ogni seduta la considerava unica, colorata dall’umore del giorno che col tempo aveva imparato a decifrare.
Lagden era e rimaneva uno dei suoi clienti più difficili da interpretare.

[…]
“Non ho rimorsi.”
Claudia gli aveva lanciato un’occhiata indifferente senza rispondere.
“Ho sempre fatto tutto quello che mi andava. Non ho mai avuto nessuno a cui rendere conto delle mie azioni se non me stesso.”
La donna annuì inserendosi con calma “Questa situazione è cambiata, Linds?”
“…” a quella domanda il biondo aveva iniziato a grattarsi distrattamente la pelle degli avambracci, gli occhi lontani e fissi sulle tende ocra dello studio.
“Nell’ultimo anno hai avuto momenti in cui ti sei mai chiesto se le tue azioni hanno rovinato qualche tua relazione?”
Linds annuì, debolmente.
“Vuoi parlarmi dei tuoi amici?”
“Non sono mai stato un animale sociale.”
[…]
“Non vedo uno scopo.”
“Lo scopo di un essere umano è di vivere, migliorare il mondo che ci circonda ma soprattutto trovare ciò che ci fa più felici.”
“Non…non mi sento un essere umano.”
“Sai dirmi perché, Linds?”
“Molte volte non- non capisco gli altri. Non vedo nulla di nota e quindi vado avanti, i sentimenti non mi sono mai interessati molto.”
“Non tutti siamo empatici allo stesso modo, Linds. L’empatia non è l’unica qualità fondamentale di un essere umano.”
L’uomo aveva corrugato la fronte, mostrando le tempie scarne “In certe situazioni può fare la differenza.”
“Certo. Altri motivi?”
“Oh…” una lunga pausa “…è normale che il mio lavoro ora non mi faccia più felice?”
“Può essere, hai mai pensato di cercarti un’altra occupazione o qualcosa più in linea con i tuoi interessi personali?”
Linds si schiarì la gola, distogliendo lo sguardo “No, meglio di no.”
“Cosa vuoi dire?”
“Mi è sempre piaciuto collezionare alcaloidi e non mi pare sia una professione legale, Claudia.”
[…]
Tutto era silenzio nel piccolo ed accogliente studio.
Claudia osservò la lancetta dei secondi compiere la sua rotazione per la decima volta.
Aveva chiesto al suo nuovo paziente di sgombrare la mente: quella pratica era fondamentale in quei giorni in cui Lagden non le permetteva di ‘entrare’.
Avevano ancora un’ora di sessione e – se non si sbagliava – stavano per raggiungere un punto cruciale.
Undici minuti.
“Linds, mi senti?”
“Sì.” un esalazione tranquilla.
“Descrivimi cosa hai intorno.”
“Una sala server.”
“Mi stai dicendo che immagini la tua mente come un nodo di archivi internet accessibili?”
“Più o meno.”
“Che ne è stato della tradizionale libreria?”
“Siamo nel ventiduesimo secolo Creane, non nel medioevo e nelle sale server almeno c’è l’aria condizionata.”
[…]
Un respiro affannoso riempiva il silenzio della stanza.
Il respiro di un uomo braccato.
“Parlami della tua rabbia, Linds.”
“Non la capisco. Non ha nesso logico. Non è nemmeno rabbia.”
“A volte può essere illogica, ha un punto focale?”
“Me stesso…?” sembrava quasi una domanda ma Claudia non ebbe tempo di aiutarlo che aveva scosso il capo, con forza “No. No! La verità è che sono stanco, stanco!
“…”
“Stanco di essere sempre primo ma mai voluto. Di arrivare fino ad un certo punto e poi dover attendere gli altri. Non trovare una singola luce da seguire senza paura che questa mi volti le spalle o mi pianti un coltello fra le scapole il momento che mi volto. Essere quel fottutissimo Lagden capace di piegare le leggi della fisica ma non riuscire a mantenere in piedi una parvenza di relazione extrapersonale. Non capace di cambiare ed adattarsi ad un evento imprevisto ma impossibile da debellare.”
[…]
“Cosa ne pensi della religione, Linds?”
Occhi neri, piatti ed esanimi.
“Credimi Claudia, lascia perdere finché sei in tempo.”
[...]
“Michelle non si merita un’altra delusione, Claudia.”
“Perché lo pensi?”
“Il lavoro, il moccioso, la sua vita in generale. Non voglio che si preoccupi se sono caduto di nuovo, non ha bisogno di saperlo.”
“Non sono d’accordo, Linds.”
L’uomo sorrise malinconico “Quando mai lo sei?”
[…]
“Sono sano di mente, Claudia?”
“Perché questa domanda, Linds?”
“L’altro giorno ho passato una buona ora a cercare di ricordare di cosa abbiamo parlato l’ultima volta; non ci sono riuscito.”
“Le nostre sessioni sono solo iniziate da un paio di mesi, Linds. Ricordati che stai ancora recuperando dalla tua degenza in-”
“Sono perfettamente sano di mente, Claudia. Ho solo avuto una piccola overdose.”
[…]
“Oggi vorresti dire qualcosa di particolare, Linds?”
“Che lottare non serve a nulla.”
[…]
Lagden era arrivato per il suo appuntamento nella prima serata, la carrozzina era entrata con un cigolio spinta da un soldato infermiere che le aveva rivolto un cenno prima di uscire nella sala d’aspetto.
L’uomo biondo aveva occhiaie marcate ed Creane era stata avvertita che gli ultimi due giorni erano stati costellati da episodi allucinogeni anche violenti.
Le era stato consigliato di proseguire la sessione sotto la supervisione di una seconda persona ma Claudia vedeva benissimo che Lagden aveva appena la forza di stare sveglio dopo la fisioterapia.
“Mi avevi accennato di essere già stato preda di un periodo tossicomane, vuoi raccontarmi qualcosa che credi possa essere utile al nostro cammino?”
Il suo paziente non parlava ma aveva preso a fissare assente la finestra, passandosi la mano sulla bocca.
Claudia attese, non avendo comunque molta fiducia in una risposta.
Lagden invece la sorprese.
“Avevo venticinque anni ed il mondo era ai miei piedi. Mi ero licenziato in Russia ed ero tornato negli Stati Uniti giusto il tempo per trovare un magazzino dove stoccare l’inutile quindi vissi i tre mesi dopo con una valigia, le mie vene e la mia bocca. Tenevo un diario di esperimenti vagabondando per il sud America e provando tutto quello che mi veniva a tiro.”
“…”
Lagden fissò gli occhi su di lei con un sorrisetto “Probabilmente ho fatto cose che non mi ricorderò mai, laggiù la vita è semplice se non dai fastidio ai cartelli della droga normale.”
“Come mai non ti sei fermato là se la vita è semplice?”
Il sorriso su quel volto magro che si allargava sinistro “Non ricordo bene, immagino di aver pestato la coda a qualcosa.”
[…]
“Mi sai dire qualcosa del giorno che sei caduto in overdose?”
“Non mi ricordo molto.”
“Prova a fare uno sforzo.”
I was high as a kite.” sorride, stirando le labbra “Ero riuscito a dimenticarmi chi ero ed oh it was just a perfect day!
[…]
Un altro giorno, un’altra sessione.
Mani dalle dita lunghe e scarne che nascondevano il volto.
Claudia redigeva con apparente tranquillità il riassunto degli ultimi incontri a mano.
L’uomo si era agitato, arrivando a cercare lo scontro, con tanto di urla.
Ma Lagden era ancora confinato alla carrozzina, debilitato dalla propria magrezza e dalle allucinazioni costanti…quell’episodio violento aveva solo contribuito ad affannargli il respiro.
Il silenzio era denso, reso più pesante dal tentativo del suo paziente di trovare un appiglio per sfogare la propria frustrazione.
“Per quale fottuto motivo dovrei rimanere in questa fottuta valle di lacrime, Creane?”
La donna smise di scrivere, posando la penna in mezzo alla rilegatura del quadernino.
“Forse la domanda giusta da porsi sarebbe perché dovresti fottutamente ricominciare.”
Claudia vide appena l’angolo della bocca alzarsi.
“Ne ho abbastanza.”
“No, la verità è che hai deciso di gettare la spugna.”
“Ti assicuro che la spugna meritava di essere gettata.”
“Forse.” ammise la donna “Chiediti però a cosa è servito il tempo che hai vissuto. Tutto ciò che hai fatto fino ad oggi, le persone che hai conosciuto ed i posti che hai abitato.”
“No, non voglio.”
“Trova il motivo del tuo rifiuto, Linds.”
“No.”
“Analizzalo. Scopri cosa è crollato e trova l’errore di calcolo.
“Creane, sei una rompicoglioni ed inoltre non suoni sensata.” il volto dell’uomo era emerso, magro e grigio.
“Linds, non nasconderti dietro la certezza matematica del tuo disastro…non serve a niente dove la verità è visibile e pura.”
“Grazie tante.”
“Il nostro io attuale non è mai simmetrico al nostro io passato, e mai sarà paragonabile all’io assoluto. Lo stampo che ci ha dato forma rimarrà sempre in un modo o nell’altro ma sono gli anni vissuti che contano su di noi. Il tempo è la misura col quale ti devi confrontare e non l’estensione dei tuoi difetti. L’uomo è un essere imperfetto in continuo miglioramento.”
“In parole povere vuoi che mi sforzi di diventare un cherubino puccio, alato e possibilmente con il culetto carino e rosa.”
“Non aspiro a simile miracolo, Linds. Iniziare a prendersi in giro non è malaccio come inizio, no?”
“Inizio penoso e patetico, Creane.”
[…]
“Spiegami il tuo stato d’animo in relazione con la nascita di Kurt.”
“Furioso. Spaventato. Alienato.”
“Linds elabora.”
La smorfia sul volto dell’uomo diceva chiaramente la sua impressione sull’argomento ma continuò, a denti stretti.
“Lei era lì e non stavano facendo niente. Attendevano una mano divina per guidarli a quanto pare. Sono arrivato in quella fottutissima sala parto dopo ore da incubo per dovergli suggerire l’idea di un cesareo!”
“Eri spaventato per Michelle?”
Linds annuì, occhi che deviarono per evitare i suoi “Quel giorno…era come se stessi dormendo e non riuscissi a svegliarmi. Non credo di essere sveglio nemmeno ora.”
“Cosa ti dà questa impressione?”
“L’equilibrio si è ribaltato e all’equazione si è aggiunta l’incognita i del nostro numero complesso.”
“Un numero immaginario?”
“Kurt per me era rimasto immaginario. Almeno fino a quel momento.”
“Cosa hai percepito dopo?”
“Che quell’equazione non ammetteva più soluzioni reali a causa del numero immaginario.”
“Vediamo se ho capito…il momento in cui Kurt ha fatto la sua comparsa nel mondo reale…” aveva atteso che Linds le facesse un cenno prima di continuare “Hai sentito che la situazione non era più sostenibile?”
“No.” un sorriso piccolo, nervoso “Ribaltando l’equazione le regole non valgono più e l’indeterminato non permette soluzioni se non usando dei determinati campi delimitati.”
“Temo di non riuscire a seguirti, Linds.”
“Le mie basi quel giorno hanno iniziato a tremare, Claudia. Kurt è il gatto di Schrödinger. La variabile mai presa in considerazione che si insinua fra le x e la y ed è vera in entrambi i casi.” si era umettato le labbra, una luce illogica negli occhi “Quel giorno iniziai a rendermi conto che Michelle non sarebbe mai stata felice se fossi rimasto.”
[…]
“Non credi sia venuto il momento di darmi un’idea sui miei ‘ovvi’ problemi?”
La domanda era arrivata di punto in bianco dall’uomo biondo.
Erano passati dieci mesi dalla loro prima seduta ed Linds aveva raggiunto a fatica una parvenza di normopeso nonostante la dieta piena di carboidrati e proteine prescrittagli che avrebbe potuto far ingrassare anche un nuotatore olimpionico.
La dottoressa lo scrutò per un lungo momento prima di rispondere “I pazienti tendono ad ‘pensare troppo’ dopo, Linds.”
“Non penso che ci sia qualcosa ancora capace di spaventarmi, Claudia.”
Lagden era persuasivo, soprattutto quando si intestardiva su qualcosa.
Quindi gli aveva porto la prima diagnostica che avesse mai compilato su di lui.
Erano seguiti cinque minuti di silenzio completo mentre gli occhi neri di Linds percorrevano ogni riga del rapporto con un’evidente divertimento.
Quel sorriso aveva iniziato ad incrinarsi verso la metà per svanire a fine lettura.
Sindrome di Asperger? Che significa?”
“Dal tuo file e dai tuoi interessi ho denotato una forma dello spettro autistico ad alto funzionamento.”
Un sopracciglio biondo si era alzato ma Claudia bloccò il suo commento sul nascere.
“Non stiamo parlando di ritardi cognitivi nel tuo caso ma di aspetti molto sviluppati della tua intelligenza. Anche la tua mancanza di empatia cognitiva: su questo livello la tua è una forma considerata lieve data la tua capacità di provare emozioni anche complesse e il tuo relaziona mento con gli altri.”
“Perché questa Asperger l’hai segnata a pari merito con la personalità schizoide?”
“Dimostri molti aspetti di questo disturbo alla personalità, primo fra tutti la tua apatia e avversione nel formare legami di una certa profondità emotiva con gli altri. Ciò che hai vissuto negli ultimi due anni è un perfetto esempio di voluta freddezza ed allontanamento. Altro lato del tuo carattere il non sentirsi importante ed la percezione di non avere uno scopo.”
“Perché non schizofrenico?”
“Le tue capacità logico-cognitive sono rimaste perfette oltre il tuo abuso di allucinogeni. Non hai psicosi o manie paranoiche.”
Linds aveva posato il plico sul tavolino, rilassandosi sulla poltrona con uno sguardo caustico “Ho letto che il disturbo schizoide è ereditario.”
“Può essere ereditario ma nel tuo caso la probabilità è molto limitata. Hai avuto un’infanzia difficile da analizzare da ogni angolo la si guardi; la tua intelligenza al di fuori della media ha avuto un peso sul tuo sviluppo umano.”
“Il complesso della madre.”
L’aveva lasciato per ultimo, lo scoglio.
“Freud ne parla in varie delle sue pubblicazioni. Tutto ciò che mi hai raccontato, incrociato con la tua relazione con Michelle rispecchia molti aspetti delineati.”
“No, sono certo che ti sbagli.” l’aveva interrotta di scatto, le nocche rigide e le dita strette sui braccioli della poltroncina.
“Mi hai raccontato che hai cercato di renderla felice in tutti i modi per paura di essere lasciato solo, un perfetto parallelo con l’abbandono che hai subito in fasce.” Claudia notò l’espressione morire dietro le lenti di Linds ma continuò pacata “La vostra relazione sentimentale non presenta sfumature anormali ma trovo difficile non evidenziare questo tuo sforzo quasi compulsivo verso la perfezione. Il ciclo che si rompe e và in pezzi il momento che Kurt arriva nel quadro.”
“Basta.”
“La presenza di Michelle è un perno fondamentale per il tuo equilibrio e quando, con l’arrivo di Kurt, ti sei sentito messo nell’angolo hai deciso subito che la situazione era da prendere in mano in maniera drastica.”
“Ho detto basta.”
“Tutto questo può essere riassunto come un semplice meccanismo di autodifesa. Quando hai capito che Michelle non ti avrebbe ascoltato hai deciso che l’avevi persa, quindi ti sei fatto da parte volontariamente perché per lei non eri più abbastanza.”
“Chiudi quella maledetta bocca, CREANE!”
Claudia scosse la testa, per nulla impressionata dallo sguardo del suo paziente “Ed ecco che il complesso della madre si chiude a cerchio ed arriviamo al tuo tentativo di suicidio ed il tuo odio/amore/gelosia per il bambino che ora si gode tutta l’attenzione della madre.”
“…”
“La mia valutazione è professionale, Linds. Posso sbagliarmi ma non posso chiudere gli occhi a quello che vedo.” la donna bevette un sorso dal bicchiere d’acqua lì accanto.
“Sono sbagliato.”
“…”
“No, non sono sbagliato. Sono folle.”
“Considerando il tuo quoziente intellettivo non mi sorprenderebbe.”
“…cioè?”
Claudia alzò gli occhi dal blocco note per incontrare lo sguardo incuriosito del proprio cliente.
“Non hai mai sentito parlare di Laing, Linds?”
“No, temo di no.”
“Il dottor Laing ha studiato la follia partendo dal punto di vista soggettivo del paziente. Un’idea rivoluzionaria che fino agli anni ’60 non è mai stata presa in considerazione perché la follia era ritenuta una malattia mentale. Oggi la pazzia in ambito medico è relazionata alla più ampia gamma dei disturbi mentali.”
“Stai parlando arabo, Creane.”
La donna si lasciò scappare un sorriso “Sto cercando di spiegarti che la follia non è così definitiva come sembra. Laing era promotore del movimento antipsichiatrico in quanto la psichiatria è deputata al controllo sociale attraverso l’esclusione dalla società di ogni elemento deviante.”
“…”
“Prima hai detto che sei folle, l’hai consciamente deciso in base all’idea comune che la società in generale non approva un determinato comportamento da una persona adulta.”
“…”
“Quoto Laing: ‘Folly is not necessarily a breakdown; it could very well be a breakthrough.’. Vedi Linds, tutti noi abbiamo particolari momenti in cui le nostre reazioni hanno distinte pulsioni verso l’anti-convenzionale.”
“Stai cercando di convincermi che non sono pazzo o che lo siamo tutti?”
“Sto dicendo che non sei così borderline come credi di essere e che sì, la follia risiede in tutti noi che si manifesti o no.”

~

“Hai…insomma...vedi uno psicologo?”
Non ci crede e mi viene da ridere all’ironia della situazione.
“Beh Michelle…Claudia è una psicanalista, c’è differenza in realtà e poi dopo il tentativo di suicidio mi ci hanno trascinato!” spiego con tono leggero “Forse è stata una delle poche cose sensate che abbia mai fatto il continuare a vedere Claudia.”
Ha un’espressione triste.
“A cosa pensi?” domando piano.
“Che siamo due rottami e che…” scuote la testa “Se invece di tagliare i ponti avessi cercato di –”
“No, hai fatto bene ad allontanarmi Michelle.”
“Ma…”
“Non è colpa tua. Non ero pronto e non volevo guardare in faccia la realtà delle cose. Ero un pericolo per me stesso e per gli altri.”
“Ed adesso?” ha alzato gli occhi nei miei, una speranza ossidata e distorta nell’argento.
Scuoto la testa, non sicuro di cosa mi sta chiedendo.
La verità è che non vuoi risponderle…topastro codardo!
“Adesso ho un certo languorino e ti auguro buon appettito!” alzo la forchetta allegramente e la infilzo in una delle patate lesse del mio piatto.

Thoughts are the shadows of our feelings;
Always darker, emptier and simpler.
~ Friederich Nietzsche

~~~

Canzoni del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ We all bleed;
- Lou Reed ~ A perfect day;

AVVISO: Queste note sono DA LEGGERE per comprendere tutto quello che presento in questo capitolo o temo che non lo capirete appieno!

- Una overdose acuta da allucinogeni come quella che ha subito Linds è debilitante in una miriade di fattori sia fisici (collasso del fegato e altri organi, infarto, visioni) che psicologici. Paranoia, irrealtà, depersonalizzazione, iperattività sono solo alcuni. Nei flashbacks che Claudia propone in questo capitolo abbiamo una perfetta dimostrazione di cosa passa Linds. Il topo non si riconosce più/non si sente conscio ma 'staccato' come se ogni sua azione reale venisse eseguita da qualcun'altro. L'irrealtà rende ciò che lo circonda come un gioco o un palco di un teatro nel quale tutto viene percepito distorto: un'allucinazione continua che non permette di saggiare la vita reale per quella che è;
- 'Oh, it was just a perfect day!' è una citazione voluta alla canzone dei Lou Reed 'Perfect day', potete ascoltarla sopra nei link alle canzoni;
- 'i' che Linds chiama incognita ma in realtà per definizione è una 'unità immaginaria' (anche 'numero immaginario') che permette di estendere il campo dei numeri reali R al campo dei numeri complessi C. La i è caratterizzata dall'essere un numero la cui radice quadrata è uguale a -1. Una curiosità: con i in elettrotecnica si definisce l'intensità di corrente;
- "...quell'equazione non ammetteva più soluzioni reali a causa del numero immaginario..." qui si intende il fatto che nel campo dei numeri reali non è possibile estrarre la radice quadrata di un numero negativo (Kurt, nell'ottica di Linds), pertanto i numeri immaginari non appartengono al campo reale ma, insieme a questi, costituiscono il campo dei numeri complessi. Ogni numero complesso si può rappresentare con l'espressione a + ib (Linds + MichelleKurt), dove a e b sono due numeri reali e i è un numero puramente immaginario, quindi, può essere classificato come un numero complesso che possiede parte reale nulla (Linds + Michelle);
- "...Ribaltando l’equazione le regole non valgono più e l’indeterminato non permette soluzioni se non usando dei determinati campi delimitati..." una equazione indeterminata cioè che ammette più di un insieme di soluzioni, non può essere risolta in modo univoco. Per definizione può avere un numero infinito di soluzioni, e diventa risolubile nel senso ordinario solo se si aggiungono ulteriori restrizioni al problema che essa traduce in forma algebrica; ad esempio, una restrizione piuttosto comune è quella di imporre che la soluzione debba essere costituita da numeri interi. Questo e le note precedenti sono il modo di Linds per trasporre in matematica (una materia fredda e informale) la sua situazione e quella di Michelle e Kurt. Il topo è strano e allucinato in quel momento nel passato, facciamocene una ragione xD;
- Il gatto di Scrödinger è uno dei più noti paradossi per dimostrare come la dimostrazione classica della meccanica quantistica risulti incompleta quando deve descrivere sistemi fisici in cui il livello subatomico interagisce con il livello macroscopico. Kurt è il gatto perché per Linds nel suo periodo tossicomane non esisteva o se esisteva non 'era'. In questo caso il ragionamento si basa sulla decoerenza quantistica cioè l'interazione reciproca delle singole particelle in una realtà macroscopica che ne annulla le proprietà quantistiche. Senza di questa nessuno potrebbe vedere, afferrare, pensare: in una parola il mondo così come lo conosciamo (realtà) non esisterebbe.
- La Sindrome di Asperger è considerata un disturbo pervasivo dello sviluppo ma che non lede l'intelligenza. Linds è portatore di questa sindrome e durante il corso di tutte le mie storie ma sopratutto in ASTTL e ASTTR ci sono scene precise nel quale si presentano alcuni sintomi: compromissione delle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività e interessi in alcuni casi legati a scienze molto 'fredde' o logiche (vedi la sua predilezione per la matematica, la fisica e la chimica dove i sentimenti sono schiacciati dal raziocinio);
- La personalità schizoide rimanda alla predilezione per le discipline 'fredde'. Linds è uno schizoide puro in quanto non ha segni di paranoia o psicosi. Il topo è abituato a difendersi con logicità e intelligenza del nudo pensiero, che non particolarmente sull'aspetto dell'interiorità poggiante sull'emozione, sull'immaginazione e sulla sensibilità aspetto legato invece alla personalità schizofrenica;
- Laing è stato un illuminante psichiatra e psicoanalista britannico. Attivo soprattutto nello studio delle malattie mentali e grande critico della psichiatria come forma di cura della follia. Una delle sue opere più illuminanti è Nodi. Paradigmi di rapporti intrapsichici e interpersonali pubblicato per la prima volta nel 1970. Vi consiglio di leggerlo;
- Psicologia e Psicanalisi sono davvero due branche diverse sulla mente umana. Uno psicologo si interessa dello studio del comportamento e della mente attraverso l'osservazione dei processi psichici, mentali e cognitivi nelle loro componenti consce ed inconsce. Uno psicanalista ricerca le cause dei disturbi mentali indagando le dinamiche inconsce dell'individuo. Per maggiori info vi rimando a questa pagina perché la documentazione a riguardo e molto complessa e difficile da spiegare in poche parole.

E dopo questo mattone (ancora una volta, leggete le note, please!) arriviamo all'angolo qui.
Ve l'aspettavate una immersione di questo tipo?
Io no.
Nel senso che i flashback dovevano rimanere fuori da UT perché tre anni fa quando li ho scritti sono stati un puro esercizio di costruzione (con basi scientifiche solide) del breakdown del topo.
(Tra l'altro lì da qualche parte c'è un chiaro riferimento a Sapphire Blue se non l'avete mai letta fatelo ora...=)
Dopo un po' mi sono resa conto che sono un pezzo importante del puzzle ed - pure in bozza - erano scritti decenti/curati e così sono entrati nella storia in maniera ufficiale.
Ora sta a voi dirmi che cosa ne pensate...azzeccati o troppo pesanti? Realistici o no? OOC o IC?
Fatemi pure sapere se vi và, sono curiosa.

Tra l'altro vi consiglio davvero di ascoltare We all bleed...è più che bella e rappresenta in maniera quasi esatta come vedo Linds nel suo cammino con Claudia, ed anche un po' il suo rapporto con Michelle in questo momento, fatto di dubbi e tentennamenti ma che rimane forte anche con tutto quello che si è interposto fra di loro...eh beh sentitela se avete tempo e penso che capirete...<3

Intanto mi rendo conto di quanto tempo sia passato...il prossimo Novembre sono tre anni dalla pubblicazione del primo capitolo di UT.
Da allora la mia vita si è stravolta: non ho ferie, non ho tempo di rimettermi in pari con qualsiasi serie tv o film (GOT sono alla quarta serie, Marvel mi fermo al Ragnarok LoL), non leggo più, corro come una indemoniata sia in MTB che in auto...scrivere rimane un piacere della notte fonda quando non sono in coma profondo.
Sono ancora Hermes però almeno per UT.
Ed ho ancora intenzione di finire questa storia per la fine dell'estate, i piani non sono cambiati di una virgola.
Godetevi il caldo e arrivederci alla prossima.
Hermes

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Capitolo 21
*** 21 ***


I ain't that supersticious
And life can be so vicious
Learning on your own
Can turn your heart to stone
Apocalyptic mind
My head was full of sorrow
Whispered words of logic
Thing I need to learn
Richard Ashcroft ~ Hold on

La carrozza del treno dondolava, sospesa a duecento chilometri orari sulla rotaia e diretta verso ovest.
Viaggiava dalla sera precedente, erano venuti a salutarlo tutti alla stazione, pure Nala.
Era una prima classe con tanto di sedile reclinabile, wi-fi e aria condizionata.
Spandiamo un po’ di ricchezza tanto il vecchio non se ne accorgerebbe nemmeno!
Aveva abbassato il tavolino e posato sopra il proprio Macbook, hotspot e VPN religiosamente disattivati.
Non era più arrabbiato, al massimo infastidito.
Prima di lasciare San Francisco per Richmond ed il programma federale aveva trafugato alcune cose dal loft tra le quali una scatola da scarpe di sua madre.
In realtà l’aveva solo svuotata del contenuto.
Tanto non se ne accorge!
Erano cose che conosceva come le sue tasche ed aveva scoperto un pomeriggio, giocando alla caccia al tesoro con un tricorno di plastica ed una sciabola di gommapiuma che Alice gli aveva regalato per il suo ottavo compleanno.
La scatola era al fondo della cabina armadio della stanza di sua madre, coperta da una vecchia sacca da ginnastica con un paio di uniformi per arti marziali ed un casino di cinture.
Un perfetto baule del tesoro!
Si era seduto a gambe incrociate ed aveva tolto il coperchio per trovarsi davanti ad un mucchio di fotografie.
Una dozzina di polaroid con i colori sfalsati, un mazzo più nutrito di normali cinque per sette pollici e cartoline vidimate e compilate con l’indirizzo del loft perchè sua madre le aveva spedite a se stessa.
Le date dei bolli postali erano anteriori alla sua nascita e la grafia dietro le foto era sempre quella della mamma, indicante la data ed il luogo.
Hawaii, 20**.09.10 / Acapulco, 20**.12.25 / Bahama 20**.04.14
E quelle in particolare erano solo le più vecchie e le più estranianti.
Suo padre e sua madre che sorridevano all’obbiettivo in posti diversi, mano nella mano.
Alcuni primi piani che documentavano momenti divertenti tra i quali sua madre in facepalm mentre il vecchio si era aggregato ad una banda di Marianos in quello che sembrava un autentico locale messicano.
Sua madre, appoggiata al parapetto di un hotel mentre osservava l’orizzonte.
Cronologicamente riflettevano una storia che lui non aveva mai conosciuto.
E le ultime…
Reno, 20**.09.15 / Santa Barbara, 20**.10
Le foto erano state scattate durante alcuni ritrovi: in quelle di Reno riusciva a distinguere i parenti di sua madre e Nonna Ines mentre in quelle di Santa Barbara era presente Edward e suo fratello Hughie appena nato con zio Raph e Mel.
Quelle poche still raccontavano una storia diversa e misteriosa almeno finchè non aveva fatto mente locale con le date dietro alle fotografie.
In entrambe le occasioni sua madre sfoggiava una brutta cera e sembrava dimagrita.
In una foto in particolare lei e suo padre stavano parlando, seduti sul divano e gli occhi del vecchio erano preoccupati.
Un’altra shot la ritraeva nella cucina di Nonna Ines a Reno con un bicchiere di acqua frizzante in mano ed un debole sorriso.
Sua madre non poteva vederla l’acqua frizzante.
C’era voluto un po’ ma qualche anno prima gli si era accesa una lampadina.
Sua madre era incinta di lui, senza ancora saperlo.
Ma cosa gli faceva più male era lo sguardo del vecchio perché le foto non mentivano la realtà delle cose.
Linds Lagden aveva provato qualcosa per Michelle Hervas.
Le foto si fermavano lì, interrompendo bruscamente quello storyboard.
Ciò che era peggio non riusciva a smettere di guardarle e non poteva guardarle, non erano state scattate per i suoi occhi.
Documentavano la realtà delle cose.
Non c’è nulla di più nudo e crudo di un negativo fotografico.
E tu Kurt Lagden devi accettarlo prima di tornare a San Francisco.

~

Blue jeans, white shirt
Walked into the room you know you made my eyes burn
It was like, James Dean, for sure
You're so fresh to death & sick as cancer
You were sorta punk rock, I grew up on hip hop
But you fit me better than your favourite sweater and I know
That love is mean, and love hurts
But I still remember that day we met in December, oh baby!
Lana del Rey ~ Blue jeans

Vero che vi avevo assicurato Ma Belle sarebbe tornata la vecchia Michelle nel giro di un giorno?
Non mi sono sbagliato…
Perfetta e longilinea nei suoi jeans a sigaretta, scarpe da tennis e camicia bianca dalle maniche arrotolate.
Una calma logica e fredda negli occhi, da fiera in piena caccia.
Il momento che si è messa al volante della Jag ormai ero pronto a seguirla dovunque avesse desiderato andare stamattina.
Sì, sono un povero cretino, una patata lessa e disfatta…praticamente purea.
Non voglio propriamente riavere una relazione sentimentale con lei, no.
Eppure ne sono attratto e non sono riuscito a smettere di guardarla mentre guidava su e giù per le colline intorno a SF fino a fermarsi davanti ad un alto muretto bianco, esattamente all’indirizzo segnato sull’onnipresente fogliettino di ieri.
L’auto si spegne con un brontolio ed scendiamo.
Lei suona al campanello del portoncino in metallo dipinto in grigio.
“Continuo a pensare che non sia una buona idea, Michelle.”
I suoi occhi grigi mi inchiodano, decisi, mentre un cane dall’altra parte del cancello ha iniziato ad abbaiare a più non posso, probabilmente con la schiuma alla bocca. Se Michelle gli appioppasse un’occhiata cadrebbe a terra stecchito…!
Sono ancora appoggiato alla Jaguar a braccia conserte, ad un paio di metri di distanza, fissando il viale dove l’asfalto sembra stato appena colato e le palme ondeggiano perfette, come in un film.
Abbiamo raggiunto il quartiere più in di tutta San Francisco dove – a quanto pare – abita un’amica di Kurt.
Certo la posizione è bellissima, i viali sono curati ed i cancelli delle ville non potrebbero essere sfondati nemmeno da un proiettile a perforazione ma da parte mia non vivrei qui nemmeno se mi pagassero.
Finalmente sentiamo una giovane voce femminile dall’altro lato della recinzione “Piantala Rock! Giù!”
Il suo tono autoritario sembra bastare per calmare la bestia a guardia della proprietà e finalmente il cancelletto si apre e ne esce una ragazzina dall’aria minuta e spaventosamente simile ad una Barbie, almeno nei capelli biondi.
“Elizabeth Cone?” domanda Michelle con il suo miglior tono cortese ma estremamente no no-sense.
“Sì, lei è la madre di Kurt?” risponde la ragazzina con un che di confuso.
Balle, questa biondina sa esattamente chi siamo.
Michelle annuisce mentre l’adolescente mi lancia un’occhiata curiosa e non riesco a trattenermi dal farle l’occhiolino con un sorrisetto. È davvero carina!
~
Cavolo…ed adesso che racconto a questi due?!
Stamattina potevo aspettarmi tutto meno che l’arrivo della mamma di Kurt.
Questa donna mi da i brividi lungo la schiena.
Invece l’uomo di un biondo platino in testa mi dava sui nervi con quel sorrisetto che aveva negli occhi, occhi neri che a differenza di quelli di Kurt non riflettevano la luce del sole.
Per guadagnare un po’ di tempo li avevo invitati ad entrare e fatti accomodare nel salotto, Rock aveva continuato a ringhiare ed ero stata costretta a rinchiuderlo nel suo recinto.
Quindi avevo preparato due caffè.
Uno nero ed amaro, l’altro macchiato e dolce.
Opposti estremi…
Quindi ero tornata da loro e la mamma di Kurt non aveva posto tempo di mezzo.
“Non riesco a mettermi in contatto con mio figlio, desidero solo sapere se ti ha accennato qualcosa riguardo ai suoi progetti. Se fosse andato da qualche parte con i suoi amici o…”
Cavolo…
Era ovvio che sapevo dove si era cacciato – almeno fino ad una settimana prima! – ma non avevo intenzione di dirglielo.
Il buon bugiardo è quello che nasconde ciò che sa con la sincerità subdola.
“Mi dispiace, signora. L’ultima volta che ho sentito Kurt è stato un paio di giorni dopo la sua partenza per il Nevada.”
Sbatto le palpebre lentamente mentre gli occhi grigio-argento sembrano cercare risposte al di là di quello che sono pronta a darle.
Michelle Hervas era identica a quando l’avevo vista l’ultima volta, in occasione della rissa e della sospensione di Kurt. Forse con qualche ruga d’espressione in più ed una manciata di capelli grigi.
Rimaneva pur sempre una donna slanciata e molto elegante, anche in un semplice jeans e camicia.
Continua a farmi domande, ma il mio sguardo si sposta verso l’uomo biondo che rimane in silenzio e mi fissa dietro gli occhiali da vista, un sorriso appena percettibile sulle labbra sottili.
No, lui non si sta mangiando la foglia.
Inquietante…la somiglianza fra padre e figlio…e quegli occhi!
Era come avere Kurt davanti, e non averlo.
Come se l’amico si fosse sdoppiato in due persone totalmente diverse.
In più l’aveva beccato a guardarla con lo sguardo del vizioso!
Non l’avevo mai visto prima di oggi ma tutti gli indizi – addirittura il modo con cui tiene la tazza - lo danno come la seconda batteria di cromosomi che ha generato Kurt.
~
Quella specie di interrogatorio non portava a nulla.
Mi basta guardare come si muove.
La ragazzina ha le gambe accavallate e le braccia incrociate sull’addome, gli occhi marrone-verdi grandi e spalancati.
Il ritratto di un angelo innocente che fa la parte del banco al tavolo da black jack.
Sa preparare un ottimo caffè, però.
“Linds Lagden, piacere.” interrompo Michelle, tendendo la mano ad Elizabeth.
Le due si sono ammutolite ma la biondina si muove dalla sua posizione per accettare la mia stretta di mano, mentre Michelle mi lancia un’occhiata interrogativa.
Aspetto che si sia riaccomodata poi sorrido rassicurante ed affondo la stilettata “Esattamente qual è il tuo rapporto con Kurt, Lizzie?”
No, non l’ho mai vista prima d’ora ma non possiedo un QI stratosferico solo perché mi chiamo Lagden.
Intanto Michelle ha afferrato il significato della mia intrusione ed ha spostato lo sguardo dall’altra parte del tavolino, sulla divanetta, gli occhi che iniziano a stringersi.
Ma Elizabeth, seppur sia sorpresa dalla mia domanda diretta non dimostra più tensione di quanta ne avesse prima quando ci ha fatti entrare.
“Siamo amici.” risponde infine, quasi meccanica.
Ah…l’amarezza…
“Bene, chiarito questo punto penso che nessuno di noi voglia perdere più tempo del necessario.” mi alzo, posando la tazza sul tavolino.
“Linds…?”
Sorrido verso Michelle “Questa cara ragazza ci ha già detto tutto quello che sapeva. Grazie per l’ospitalità, davvero e non c’è bisogno che ci mostri dov’è l’uscita, Elizabeth.”
Nel giro di cinque minuti siamo di nuovo sotto le palme e faccio scattare i comandi della Jaguar.
~
Ero rimasta contrariata dal comportamento del topo.
Voglio dire…che educazione era quella?!
Eppure qualcosa mi diceva che in quell’ultimo minuto Linds aveva trovato oro, estrapolandolo senza bisogno di sotterfugio o fatica.
Così puramente Lagden…
Ci eravamo seduti sulla Jaguar ed aveva rimesso in moto, infilandosi un paio di occhiali da sole.
“Che ne dici di una gitarella lungo la costa?” domanda disinvolto.
“Che ne dici di dirmi cosa ti è preso?”
“Non mi piace sprecare il mio tempo.”
And that means…?
“La piccolina ha avuto una megacotta per il tuo bambino, solo che ora le è passata e Kurt non le ha mai veramente raccontato tutto. Quindi sono amici.”
Oh…ahia…
Non ho idea se la frecciatina del topo sia casuale o no ma ciò che ha appena detto ha un senso.
“Come fai ad esserne così sicuro?”
“All’inizio non lo ero, poi le risposte me le ha date il suo viso.”
Lo osservo mentre guida, con il suo profilo ossuto e le mani sul volante.
L’intelligenza che mi affascina, viva ed imprevedibile, il più delle volte tenuta buona.
Scuoto la testa, osservando l’incrocio al quale siamo arrivati e le indicazioni stradali.
“Topo, prendi a sinistra poi la discesa, un paio di curve e siamo sulla panoramica.”
“Sissignora.”

~

You never thought it'd come to you
You thought those days had gone
Yeah you've been low
You've been confused
Forgotten what you've done
There's many corners still left to turn
Many plates left to spin
When will we ever learn
Life ain't just about the pain
Richard Ashcroft ~ Ain't the future so bright

Appena sceso dal treno quella sera aveva inalato una boccata di aria calda e densa di salsedine.
West Coast…hah!
Gli era mancato l’Oceano Pacifico e le sue labbra si piegarono in un sorriso.
Quindi era passato da un 24hours raccattando noodles, guacamole e tacos con una lieve innaffiata di paprika e per finire una torta gelato prima di suonare a casa Fremount dove una sola e tremula luce brillava su al secondo piano.
Il pannello della finestra si alzò ed una testa capelluta e bionda si sporse.
Per tutta risposta Kurt alzò il braccio con le borse della spesa quindi mimò una vocina femminile tutta acuti e vetri incrinati.
Fancy some company, Eddie?
La testa si mosse di scatto e battè contro il pannello, imprecando mentre Kurt scuoteva la testa con un sorriso e procedeva per il vialetto di ingresso, tirando via la chiave di riserva da sotto la tartaruga finta ed aprendosi da sé.
Quindici minuti ed i due primogeniti delle casate Fremount e Lagden avevano riempito ciotole di cibi non salutari e si erano seduti sulla veranda dietro la casa, portandosi dietro la scacchiera e disponendo i pezzi con le dita unte di salsa e olio delle patatine.
“Kurt, papà era preoccupato per te!” aveva esclamato Edward “Appena sono tornato dalla Columbia mi ha fatto il terzo grado!”
“Zio Raph è un pezzo di pane, Ed.”
“Come facevi a sapere che i miei sono andati in vacanza con mio fratello e mia sorella?!”
“L’ho chiesto ai tarocchi con i miei temibili poteri di divinazione…” Kurt grugnì mentre incassò un calcio allo stinco “Sapevo che i tuoi avevano in programma qualcosa e ho solo dato una sbirciatina alla mail di tuo padre…tutto qui.”
Hai hackerato la mail di papà?!
“No, non proprio…”
“Sei fuori Kurt?! Se lo viene a sapere ti sfonda il Mac!”
“Se non l’ha ancora scoperto ho buone possibilità che il mio computer rimarrà illeso, dai.” occhio nero in tralice “E se tu glielo fiati preparati perché ti spezzo tutte le ossa della mano!”
“Seee come no!” arrivò la risposta disinvolta ma timorosa.
Una pausa mentre masticavano tacos trasbordanti ed il mare si abbatteva sulla spiaggia sotto di loro.
Eddie fece la prima mossa.
“Tornerai a casa, vero?”
“Che cosa sai della faccenda?”
“Non abbastanza.”
“Certo che sì devo concludere l’ultimo anno delle superiori, no?”
Kurt…
“Non iniziare con il panegirico, schiappa.”
“Ehi!”
In quella il ragazzo della testa corvina aveva attuato una contromossa, mangiando un cavallo avversario con la delicatezza di un bulldozer.

Look at the trap they laid as they're acting out
Suspending the truth and all
We can live forever
We can live right now
Turn up the heat, oh
And don't make a sound
I'll bear witness to your crimes
Oh, I'll be your mirror
Oh, I'll forgive ya
Richard Ashcroft ~ Ain't the future so bright

~

Ooh, I've been wandering around
But I still come back to you
In rain or shine
You've stood by me girl
I'm happy at home
You're my best friend
Queen ~ You're my best friend

“No, davvero signor Poliziotto, sono totalmente sicuro che il vostro auto-velox abbia un errore di tara stratosferico.”
Roteo gli occhi dal sedile passeggero.
Cristo topo, falla finita tira fuori i bigliettoni ed andiamo cavolo!
“Ma no che non stavamo facendo 120 miglia orarie! Al massimo tenevo le 90, insomma!”
“Abbiamo registrato una media oraria di 111 con punte di 120, Colonnello signore!” arriva la protesta dalla volante che ci ha fatto accostare con tanto di sirena e luci, dieci minuti fa.
No vi prego, non mi chiedete perché Linds sta facendo il pagliaccio a meno che il sorbetto al limone del pranzo e la cherry cola stiano dando i loro frutti proprio ora…o magari è solo il suo modo di smaltire la scazzatura.
Ma ricapitoliamo per chi non fosse stato su queste frequenze per un po’…

Dopo la nostra breve ma intensa visita a Miss Cone avevo diretto Linds verso la costa come desiderava, lasciandoci indietro a curve e controcurve San Francisco stretti fra un Pacifico di un blu quasi fosforescente sotto il sole, villette ed a tratti pareti di roccia, la Jaguar che correva come su una monorotaia guidata da lui con quel suo fare tranquillo e spensierato.
Per ora di pranzo avevamo sorpassato Salinas e raggiunto di largo tiro Monterey dove Linds aveva trovato parcheggio sotto ad una palma quindi eravamo andati in ricerca di fritto di pesce e insalata di arance mentre il sole sopra la nostra testa raggiungeva un nuovo picco abbacinante, nemmeno le pale del locale riuscivano a raffrescare un po’ l’aria tropicale.
L’avevo osservato mentre mangiava con il suo solito appettito da bufalo, un non so che di allegria e pace che – per la prima volta da quando era tornato – si mostrava nei suoi occhi neri.
Gli occhi sono la porta dell’anima.
Ero convinta che fosse indifferente a ciò che si era lasciato indietro.
A me, a Kurt.
In realtà era fuggito via e l’avevo lasciato fuggire.
Non mi era nemmeno passato per il cervello il desiderio di andare a salvare la bionda donzella in difficoltà.
Ho dubbi che l’avrei fatto, comunque.
Quel mezzo sorriso però gli dona e lo ringiovanisce.
Mi affascina terribilmente.
Maledizione.
Linds tra un boccone e l’altro aveva sostenuto la conversazione con una leggerezza tutta sua che era rimasta il momento che ci siamo cercati un posticino per fare la siesta ed attendere che il sole si raffreddasse un po’.
Il biondo topo continuava a raccontarmi gli aneddoti più disparati: dai momenti di accelerazione della Jaguar con vari additivi al piano orbitale di una sonda aerospaziale che aveva contribuito a calcolare per la NASA sei mesi prima e che ormai aveva sorpassato Plutone con successo.
Ancora test aerodinamici per nuovi modelli di caccia, ricerche su nuovi e meno inquinanti carburanti aerospaziali e altri progetti che sicuramente non aveva alcun diritto di divulgare ad un cittadino americano.
Alla faccia del ‘In questi anni non ho fatto niente di speciale!’
Linds, a suo dire, si definiva un cervello e delle mani ma in realtà…

“Sai Michelle…”
“Mmh?”
“Sono un po’ stanco.”
Dopo la siesta avevamo passato il pomeriggio in spiaggia a camminare e prendere qualche ora di sole.
Il naso e gli zigomi di Linds si erano arrossati un po’ ma la sua abbronzatura desertica aveva retto lo stress abbastanza bene.
Rimane che magari quando siamo al loft cercherò di convincerlo ad usare la crema idratante o mi si pela come un’aragosta!
“Trova un posto dove accostare, posso guidare io se vuoi.”
Scuote la testa, il riflesso a specchio dei suoi occhiali da sole che mi flashia leggermente.
“Non di guidare.”
“…” temo cosa sta per dirmi, ed allo stesso tempo non trovo uno straccio di argomento per cambiare discorso.
“Stavo pensando di dare le dimissioni dal Lambda.”
Ed eccolo che mi spiazza, il puro contrasto a tutto tondo che è Lagden: capace di parlare due ore dei suoi millemila interessi\lavori alla Base con la passione di un bambino e poi uscire con la più semplice delle contraddizioni, senza dare un motivo valido.
“Mi avevi chiesto se avevo ancora dato lezioni all’Uni quando sono arrivato.”
“A-ha.”
“Mi piacerebbe spalmare un po’ del mio sapere in giro, le quattro pareti del laboratorio iniziano a darmi un tantino di nausea.” sbuffa appena per coprire una risatina nervosa “È assurdo detto da me, lo so.”
“Totalmente.” concordo “Già pensato dove piombare e portare il Terrore Lagdiano?”
Ride genuino “Non cambi proprio mai, vero Michelle?”
“Non vedo perché dovrei, topo.”
Il sorriso che gli si allarga “Beh, non ho bisogno di mettermi sul mercato…mi pervengono un centinaio di inviti all’anno in media da tutti gli Stati senza contare le trasferte extracontinentali.”
“E tu, da bravo eremita, non ne accetti mai.”
“Solo alcune selezionate; la mia barba chilometrica, l’artrite ed il mio intelletto superiore non consentono una grande mobilità.”
Tossicchio appena, troppo presa da spaccarmi qualche costola nel non ridere.
“Cosa ne pensi?”
“Della tua barba invisibile, della tua intelligenza o dell’artrite?”
“Rispondi Michelle, per cortesia.”
“Non saprei…”
Osservo per qualche minuto la strada che corre sotto le ruote della Jaguar poi lo accontento, cercando di spiegarmi il più semplicemente possibile.
“Da come ti conosco penso solo che tu stia attraversando la fase di inversione di polarità, Linds.”
Silenzio mentre la sua fronte si corruga appena.
“Mi piace questo concetto…espandi per piacere?”
O porco cane…
Ci sono cose che non voglio dirgli ma se vuole sentirle…
“Ho notato che tendi a percorrere sempre le stesse strade ad intervalli regolari.
Hai presente i circuiti per le macchine da corsa?
Dopo dieci, venti giri la strada diventa tutta uguale, quasi insita nella memoria dei tuoi movimenti, un po’ come quando si impara ad andare in bicicletta: una abilità che non si dimentica anche a decine di anni di distanza.
Quindi arriva il punto che il circuito ti annoia ma vuoi resistere ancora un po’ perché ti rendeva così felice prima.
Poi è il momento di svolta e cambi direzione di 180 gradi, travolgi la recinzioni e decidi che per un po’ è meglio così, senza regole.”
“…” non mostra espressione e rimane in silenzio.
Un quarto d’ora dopo alla prima piazzola disponibile inserisce l’indicatore di direzione e parcheggia tirando giù i finestrini.
Ha disinserito la chiave, poggiandola sul cruscotto.
“Temevo la pensassi così.” mormora, sfilandosi gli occhiali da sole e la cintura di sicurezza, mettendosi più comodo.
Ho il cuore in gola e le mani gli tremano in grembo.
“Il fatto è che hai centrato esattamente la mia mentalità idiota di allora: lo spingere l’auto al massimo – per usare la tua metafora – e poi abbandonarla quando il giocattolino smette di prendermi perché ne ho trovato uno più bello e veloce.
In realtà ora penso solo che la macchina – per quanto bella e adorata – è rimasta a secco di carburante ed idee e che posso avanzare tranquillamente a piedi almeno per un po’.”
La temperatura piacevole mantenuta dall’aria condizionata si è già alzata di cinque o sei gradi mentre l’aria sopra la scocca del motore ondeggia sfocata.
“Hai ragione. Hai ragione su tutto il fronte.” riprende, scuotendo la testa “Ma sbagli se pensi che sia tornato qui con la scusa di voler qualcosa da te o da Kurt.”
“Ah, sì?”
“Non insultare la mia intelligenza, Michelle.”
“…” okay, vediamo dove vuoi andare a parare e dove topperai.
Sembra quasi che mi abbia letto nel pensiero perché ridacchia un “Oh Michelle!” prima di tornare serio.
“Credo di sapere dove ho sbagliato in passato e non voglio ripetere i miei errori se possibile. So che ti ho fatto male con il mio silenzio negli ultimi anni e, beninteso, sarebbe offensivo da parte mia cercare qualcosa che non c’è più fra di noi.”
Prende un respiro nell’aria immobile ed opprimente di questo pomeriggio prima di continuare
“L’unica cosa che mi sento di offrirti al momento è un tentativo d’amicizia, se lo vuoi. Non chiedo altro e non cerco altro.”
Mi ci vuole qualche attimo prima che la portata delle sue parole mi arrivi.
Amici.
Al momento.

“Linds.”
“Sì?” ha atteso in silenzio, tranquillo e perfettamente indifferente come se la cosa non gli interessasse che il minimo indispensabile. Anni luce dal topolino nervoso, codardo e pronto alla fuga.
“Sei finalmente cresciuto o mi stai prendendo in giro?!”
Si volta e mi sorride “Spero di sì alla prima, no alla seconda.”
Oh porco cane…fa davvero sul serio Hervas!
Devo inghiottire prima di replicare “Fin dall’inizio ho sempre pensato che fossimo amici, Linds. Di base un’amicizia penso sia un’ottima idea ma hai pensato alla possibilità che col passare del tempo-”
“Certo che ci ho pensato e sono perfettamente consapevole di come si potrebbe evolvere o non in futuro.” la risposta è arrivata meccanica, la tensione che per la prima volta affiora in superficie.
L’abitacolo torna nel silenzio mentre rimugino nel modo più concreto possibile.
Sembra troppo perfetto per essere vero.
“Cosa faresti se ti dicessi di no?” tento con una punta di preoccupazione, perché sì ho paura che la sua entrata nel mondo degli adulti sia solo una toccata e fuga.
Si gratta la testa con un sorrisetto, lanciandomi un’occhiata quasi canzonatoria “Oh beh, domani è un altro giorno ed almeno saprò di averci provato. Le dimissioni le darò comunque.”
Il suo sorriso rilassato che per un attimo vedo sfocato, cavolo sto per frignare di felicità per il topo, s’intende.
Scuoto la testa e tendo la mano destra, piegandomi appena in avanti.
“Okay.” dico solo, mentre gli stringo la mano che trema leggermente contro il mio palmo.
“Splendido.” intona lui scuotendo le nostre mani unite.
“Perfetto.”
“Assolutamente.”
È talmente formale e serio che mi verrebbe da ridere se non avessi una domanda sulla punta della lingua, anzi più d’una e non le più semplici o innocenti di questa terra.
“Ascolta, topo. Mi piacerebbe sapere perché ti tremano le mani…”
Gli si è congelato il sorriso in faccia “Non è niente, davvero…l’insonnia, lo stress.”
Non ho nemmeno bisogno di replicare alle sue deboli scuse, mi basta guardarlo perché i suoi occhi si abbassino.
Ha ritratto la mano in grembo e, di fatto, fermando quel movimento involontario incrociando le lunghe dita fra di loro.
Inghiotte saliva prima di rispondere con un borbottio “È roba vecchia. Niente di cui preoccuparsi comunque.”
“Sono già preoccupata, Linds.”
“Beh non sono più così giovane, l'età avanza sai...”
“Non menar il can per l'aia, so benissimo che non è Parkinson.” ho appena toppato come una scolaretta e mi mordo la lingua.
Linds ha alzato gli occhi, curioso “Ah sì? E come fai ad esserne così certa?”
Hervas! La tua intelligenza dov’è, eh??? EH???
“Se devi dirmi qualcosa fai che sputare il rospo, Michelle.” lo dice leggermente corrucciato ma assolutamente calmo.
“Nonseigeneticamentepredisposto.” dico in unico tiro, come se dovessi strappare un cerotto. Oh cavolo…il meglio del peggio!
Un lungo silenzio, Linds è visibilmente sorpreso dalla mia risposta all’inizio poi lo vedo fare due più due ed aprire uno scenario molto preciso per la sua mente di scienziato, i suoi occhi non sorridono più.
“Quando e su cosa avresti fatto il test, perché andiamo è ovvio che lo hai fatto a mia insaputa.”
“Linds...”
“Potrei denunciarti e credo di avere il diritto di saperne di più.” chiuso e freddo, gli occhi neri che mandano lampi.
Sospiro rassegnata, non riesco a guardarlo in faccia “L'ho fatto con un tuo capello che era rimasto in un pettine mentre ero incinta.”
“Per sapere se ero portatore di malattie ereditarie o cos'altro?”
“Ero...avevo bisogno delle risposte.” esito mentre il suo tono di voce passa da freddo ad una furia controllata ma gelida.
“Quindi hai preso e mi hai immesso nel sistema aziendale di Venter che - guarda caso! - è collegato con il database genetico mondiale...davvero intelligente Michelle!
“NO!” esplodo, alzando di scatto il capo ed affrontandolo.
Perché sapevo quanto Linds disprezzasse la genetica e non volesse averci a che fare.
Ne rispettava i principi e le possibilità come avrebbe potuto rispettare qualsiasi altra branca di scienza.
Apertamente l’aveva sempre odiata.

“No!” ripeto e continuo cercando di abbassare la voce ad un volume civile anche se siamo soli in questa piazzola “Le risposte erano per me, volevo essere sicura...Linds ero al quarto mese di gravidanza!”
“L'hai fatto per Kurt.”
“…” non posso negare l’evidenza, le sue labbra si stringono.
“E sentiamo cosa hai trovato? Sono particolarmente curioso.” ha girato il busto, incastrando un gomito sul volante bloccato e poggiando la testa sul palmo della mano, gli occhi scuri che potrebbero accendere un falò.
Te lo meriti, Hervas.
“Lo so che ho sbagliato, Linds. Era la prima volta che aspettavo un bambino e stavo bene...al quarto mese avevo paura che finisse come- avevo bisogno di sapere che sarebbe andato tutto bene almeno in teoria.” mi sto stropicciando le mani in grembo, contrita “Non ho trovato nulla. Non sei portatore di malattie ereditarie. Hai qualche lieve malformazione genetica, null'altro.”
“Quali?”
Mi guarda fisso, tanto che vorrei dimenarmi e fuggire via.
“Hai una lieve alterazione sul gene dei capelli, sei in effetti un mezzo albino.”
Questo genere di informazioni si ottengono solo facendo un esame del DNA approfondito, non quelli quasi flash per provare la paternità e Linds questo lo sa ma sembra sorpreso e me ne vergogno ancora di più.
“Stai scherzando?”
“No.” ho un groppo alla gola ma continuo, sperando che l’essere sincera possa ammansirlo almeno un po’ “I tuoi occhi sono veramente neri: hai due dominanti dello stesso tipo e non mi stupisce che Kurt li abbia ereditati.”
“Null'altro quindi?” domanda ancora brusco e grave.
“In specifico cosa vuoi sapere?” mi trema la voce.
“Se c'è qualcosa che spieghi questo.” si tocca la tempia in un gesto stizzito, che parla da solo.
“No, Linds. Non c'è nulla.”
“Se lo dici tu ci credo.” la sua voce è sardonica, si è infilato gli occhiali da sole e non riesco a fermarmi mentre cerco una spiegazione plausibile.
“Ho sempre pensato che il tuo cervello potesse essere simile in struttura a quello di Einstein, con i due encefali molto più collegati oltre il tipico ponte neuro-”
“Sappi che non mi esalta saperne di più, grazie.” mi zittisce.
Ha fatto ripartire la Jaguar con un inversione in retro e chiuso i finestrini.
Non mi dà l’aria di essere ancora dell’umore per rivolgermi anche solo la parola.
Tu e la tua dannata lingua, Michelle!
Avevate appena messo una bella pietra sopra al passato!
Idiota, cretina, imbecille!

I can't control you
Don't wanna own you
'Cause your my vision
How foolish I've been
You were the witness
to all my darkest days
I said I'm sorry but it
Can't take that pain away.
Richard Ashcroft ~ This is how it feels

~~~

Canzoni del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ Hold on;
- Lana del Rey ~ Blue jeans;
- Richard Ashcroft ~ Ain't the future so bright;
- Queen ~ You're my best friend;
- Richard Ashcroft ~ This is how it feels.

Note del capitolo:
- Per Columbia qui si intende ovviamente la British Columbia University con sede in Canada da non confondere con la University Of Columbia nello stato di New York;
- Ho accennato ai programmi spaziali della NASA per mio sfizio personale e perché davvero attinente alla storia...Linds è un uomo dai mille interessi tra l'altro laureato in matematica e me lo vedo pronto alla sfida di una modifica del piano orbitale di una sonda...
Questo accenno è stato anche voluto per omaggiare il passaggio di New Horizons oltre Ultima Thule! =D

Sono in ritardo questo mese lo so, quindi vi porto un capitolo doppio.
Ringraziate che ho la Chevrolet dall'elettrauto per qualche giorno... LoL
Devo ammettere che sta diventando un po' deprimente continuare a postare questa storia senza avere alcun riscontro, ma d'altra parte il mio interesse ormai e nel mettere la parola 'fine' poi non credo che in futuro avrò ancora il tempo di dedicarmi allo scrivere.

La vita và avanti per tutti ed io di ferie quest'estate non ne ho (sigh!), auguri quindi a chi di voi riesce a farne...rilassatevi anche per me!

Adios ed alla prossima.
Hermes

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Capitolo 22
*** 22 ***


The cold white flamingo wins at black market bingo
That we used to play, but we don't play no more
We used to travel playing hotel games
Eating truck stop dinners with Christian names
Pointing out porn in payphones pinned into the core
Now I just count mile markers between your door and my door
The dead weather ~ Mile markers

Alla fine Linds aveva sganciato duemila e passa dollari in multa per eccesso di velocità ed era ripartito sgommando di proposito.
Temevo che qualche officer me lo sarei ritrovato davanti la porta di casa a breve ma non avevo osato aprire bocca con Linds, troppo codarda e conscia di aver fatto la mia serie di idiozie.
La Jag aveva ringhiato come un demone fino a casa e prima che il tramonto si fosse spento del tutto era stata parcheggiata davanti lo stabile del loft e Linds aveva chiuso l’auto per poi indirizzarmi un “Mangio fuori, buona cena.” ed allontanarsi, incastrando lo smartphone con un numero in speed dial fra la spalla e l’orecchio mentre si infilava una giacca.
Non lo biasimavo ma avrei voluto mostrargli il mio punto di vista.
È un’esponente del sesso opposto.
Il proprietario di ventitré cromosomi che non deve fare altro che eiaculare ed il suo lavoro è finito.
I restanti nove mesi per lui passano normalmente senza nausea, caviglie gonfie od improvvisi attacchi di panico.

Scuoto forte la testa cercando di dissipare quei pensieri di stampo prettamente misandrico.
Sapevo di avere sbagliato e che avrei dovuto dirglielo ma in quell’esatto momento della mia vita non lo vedevo da mesi ed al quarto mese il mio ventre aveva iniziato a gonfiarsi come un piccolo palloncino.
Avevo una paura cieca che una notte mi sarei trovata in un lago di sangue come la volta precedente.
Era stato quasi un caso l’aver trovato quel pettine e non ci avevo pensato due volte.
Sentivo già Kurt muoversi piano, una sensazione nuova che mi alleggeriva e mi pesava.
Dovevo sapere.

Avevo fatto passare quel test nel più completo anonimato e personalmente, arrivando perfino a fare una sortita fino a San Diego dove le attrezzature mi avrebbero permesso una maggiore precisione.
Quando avevo letto i risultati, mano a mano che si palesavano sui monitor, ero riuscita finalmente a esalare un sospiro di sollievo perché tutto a quel punto era nelle mani di Dio se caso mai avesse deciso di attuare il Miracolo che portavo in grembo.

~ Circa diciassette anni prima, Febbraio-Marzo, San Francisco
Erano passati quasi sette mesi e mezzo.
Linds non telefonava regolarmente e non era più riuscito a tornare ad SF a causa di una trasferta in una base in Texas.
Da cosa avevo capito non era nemmeno più di stanza fissa a Rachel ed – considerando il fatto che non avevo disturbi – non lo cercavo nemmeno, non quando arrivava e per tutto il tempo che era qui non mi guardava negli occhi.
Nelle ultime settimane avevo dovuto prendere la maternità parziale dal lavoro ed assumere una donna ad ore perché m’aiutasse con i lavori di casa. Faccio fatica ad allacciarmi le scarpe, figurati se riesco a chinarmi per caricare la lavastoglie…uffa!
Per fortuna, dopo un paio di fiaschi, avevo trovato Alice ed ci eravamo subito capite alla lettera.
La donna era un po’ al di là’ dei quaranta e ci incontrammo per l’intervista in un piccolo locale vicino al laboratorio durante la pausa pranzo.
Gli occhi verdi della donna avevano guardato prima il mio camice - che non avevo avuto voglia o tempo di togliermi, poi avevano lanciato un’occhiata al mio pancione che fuoriusciva di un buon quindici centimetri, tendendo la stoffa colorata di un vestito pre-maman che avevo infilato quel mattino, non volendo osare di provare con i jeans.
“È quasi ora di pranzo, cosa ne dice se continuiamo a parlare da qualche parte dove posso prepararle qualcosa? Ha bisogno di far riposare quelle caviglie, signora.”
Non ha tutti i torti, Hervas.
Il mio addome si era gonfiato ed arrotondato tanto che non riuscivo più a vedermi i piedi da un po’ ed avevo preso a portare le ballerine per comodità ma ogni sera le gambe mi facevano male a causa della mia mania di stare in piedi tutto il tempo.
Dopo una pasta saltata con verdure ed una macedonia fatta con banane, mango e avocado (le voglie erano quelle, ahimè) eravamo passate a fare la lista delle spese e dei lavori casalinghi più impellenti che non mi ero più sentita di fare;
Il momento in cui tornavo a casa la sera era già tanto se passavo del Mac&Cheese nel microonde e poi mi trascinavo di sopra a letto.
A fine pausa ormai la routine si era assodata ed Alice mi salutò prima di andare a fare la spesa ed iniziarmi le pulizie.
[…]
I giorni passavano ed erano già due settimane che Alice era entrata nella mia vita; il menage familiare era notevolmente migliorato grazie a lei.
La donna aveva passato una buona parte della prima settimana a fare le pulizie di primavera ed aiutarmi con gli ultimi preparativi per la cameretta.
Il loft era tornato immacolato, Alice poi si era rivelata una bomba in cucina: preparava degli smoothie di frutta per cui avrei ucciso.
Linds, dal canto suo, non si era fatto più sentire ma non ci davo molto peso.
Avrà trovato qualcosa di talmente interessante che il tempo non ha più importanza.
[…]
Il calendario contava otto mesi e sei giorni quel mattino e mi ero alzata inusualmente presto, la creatura dentro il pancione m’aveva svegliata a suon di calci nemmeno tanto delicati che però all’alzarsi dal letto si erano quietati.
Meglio di una sveglia, peggio di suo padre.
Per colazione mi ero sbafata un intero tubo di yogurt al mango corredato da una tazza di decaffeinato ed un paio di biscotti ai cereali.
Poi ero passata nel bagno ed avevo deciso per una passeggiata dato che l’irrequietezza non mi passava.
Ahimè, lontani i tempi delle corsette liberatorie!
Scelto un paio di leggings invernali ed un vestito di lana per proteggersi dall’umidità di marzo, avevo infilato dalla testa il parka - l’unica cosa che almeno mi copriva interamente - ed ero scesa in strada.
Avevo camminato un bel pezzo di strada sotto alberi coperti di gemme di un verde tenero, comprato il giornale e quindi mi ero avviata senza nemmeno accorgermi verso il laboratorio.
I miei colleghi non si stupirono di vedermi lì nonostante sia poco meno di un dirigibile e passo sopra ai loro borbottii sul fatto che non mi fa bene stare troppo in piedi and on it.
Per un’ora o due mi ero dimenticata dell’irrequietezza, seduta alla mia scrivania davanti al monitor del pc.
Poi ero andata in sortita per una tazza di caffè e all hell broke loose.
Mi ero alzata con una lieve fitta, un piccolo crampo allo stomaco quasi subito sparito facendo due passi: c’erano venti metri dalla saletta relax alla mia postazione quindi non mi ero accorta di nulla fino a che non mi ero fermata davanti alla macchinetta in attesa.
Un altro crampo ed un calcio deciso dal bambino nella mia pancia, per poco non cacciai un urlo.
Da quel momento le mie acque si ruppero e la mia vita non sarebbe stata mai più la stessa.

~ present time
Quella sera la passai in solitaria, Linds tornò al loft solo dopo che mi ero messa a letto e addormentata.
La mattina seguente era chiaro che – se avesse potuto – non mi avrebbe rivolto la parola.
Non aveva atteggiamenti arrabbiati ma rilassati, educati e gelidi.
Colazione con una banana ed caffè quindi si era piazzato sul tavolino davanti al divano con il suo notebook, un paio di auricolari con microfono e un faldone sulle ginocchia passando il tempo a lavorare.
A quel punto l’avevo lasciato a svernare come meglio gli piaceva ed ero uscita per il laboratorio.
Avevo ricominciato a fumare, rapace e controvoglia dopo uno stop di quasi vent’anni dall’ultima volta.
Sbagliato hai sbagliato, Hervas.
Ma che tu sia dannata se ti prostrerai davanti a lui in cerca di espiazione!

No, non avrei mai cercato o chiesto perdono per ciò che avevo fatto.
Punto ed a capo.

Alcuni giorni dopo la situazione era bene o male la stessa ed era arrivato il weekend.
Il silenzio fra me e Linds si era rotto appena quel poco per vivere in maniera civile sotto lo stesso tetto, ma eravamo come due estranei costretti nello stesso ambiente.
So much per una amicizia!
Linds era poco meno di un ghiacciolo, chiuso nel suo mondo di relazioni scientifiche ed esperimenti a distanza.
Io invece ero innervosita all’ennesima potenza.
Era più di due settimane che avevo scoperto della fuga di Kurt.
Quasi quattro se contavo la settimana che avevo atteso prima di iniziare a cercarlo e la sera che Kurt aveva effettivamente abbandonato Rachel e non avevo ancora ricevuto un segnale od una risposta.
Ormai la preoccupazione mi stava rodendo da dentro, ero un fascio di nervi pronto solo a collassare.
Intanto era di nuovo sera, il sole basso ed invisibile dietro le facciate degli edifici che circondavano il loft.
Ero appena tornata da una corsa e morivo di fame.
Dopo la doccia ero ridiscesa di sotto per iniziare la cena mentre Linds si trastullava con il suo portatile-giocattolino, non si era nemmeno voltato a guardarmi quando mezz’ora prima avevo preso la scala a chiocciola.
Negli ultimi giorni aveva intrattenuto più di una videochiamata serale con lo staff del suo dipartimento ma aveva sempre negato il suo ritorno, dicendo che la ‘situazione’ non glielo permetteva ancora.
La situazione… la situazione!
Io avevo continuato a presentarmi al lavoro nella filiale Venter Institute Research di San Francisco ma a livello produttivo stavo dando molto meno del mio solito abituale, tendevo ad uscire alcune ore prima. Mi era impossibile concentrarmi totalmente su qualcosa o qualcuno.
Fu per quello che ebbi un tuffo al cuore quando sentii il buzzer della porta d’ingresso trillare di punto in bianco e saltai su, speranzosa.
Ti prego, fa che sia Kurt. Non sarei nemmeno arrabbiata, ti prego.
“Vado io.”
“’Kay.” rispose Linds, lanciandomi un’occhiata incuriosita da sopra gli occhiali ma senza spostare il portatile dalle ginocchia.
Corro quasi verso l’ingresso ed apro di scatto la porta mentre risuona un secondo trillo.
Oh...
La bolla di speranza si sgonfia letteralmente quando vedo Hugo sulla soglia con il dito ancora alzato per il campanello e l’espressione sorpresa, tiene delicatamente un piccolo mazzo di fiori con l’altra mano – garofani - appoggiati sull’avambraccio.
Fiori?
“Ehm, ciao…” esclamo, improvvisamente molto molto tesa “Cosa…?”
“Forse sono arrivato in un brutto momento?” domanda a voce bassa, con un tatto che è la sua immagine quasi.
“Ehm sì…voglio dire no…!” scuoto una mano poi il mezzo sorriso mi si congela “Oh cielo…dimmi che non avevamo un appuntamento stasera…”
“In effetti…” ammette lui, con un sorrisetto “Avevo mandato un messaggio ma a quanto pare non l’hai letto o non ti è arrivato. Sono tornato ieri sera e pensavo che potevamo recuperare un po’.”
“Oh...scusa. Sono mortificata io non-”
“Non c’è alcun problema, davvero, può capitare a chiunque Michelle. Forse avrei dovuto telefonare-”
“No, non è questo, la verità-”
Non riesco a finire la frase.
“Michelle…chi c’è alla porta?” per poco non salto sul posto quando sento Linds quasi dietro di me.
Oh cavolo cavolo cavolo cavolo…
Devo essere sbiancata e gli occhi nocciola di Hugo si sono stretti a fessura incuriositi ed un pelo sospettosi.
Sono obbligata ad allargare l’angolo della porta in modo che i due si vedano.
Tengo gli occhi fissi su un punto indefinito del corridoio mentre li presento a denti stretti.
“Hugo ti presento Linds Lagden. Linds, Hugo Balesi.”
Il topo non si fa problemi e tende la mano, sorridendo “Mister Balesi, great meeting you.”
“Piacere mio. Mister Lagden, il padre di Kurt?”
“Esatto.” replica asciutto il topo, non ha ancora smesso di sorridere sinistro.
Hugo invece non dimostra alcun sentimento oltre un pacato garbo...il garbo dell’avvocato che sta per infilarti con tutta la dovuta delicatezza immaginabile una lama in mezzo alle costole.
“Una sorpresa conoscerla. Non l’avevo mai vista da queste parti. In visita immagino?” Hugo sorride compiacente e mi volto per guardare un muscolo che guizza sul viso di Linds. Oh cavolo!
“Ehm Hugo, a proposito di questo volevo- ti dispiace se parliamo un momento. Linds torni di là?”
“Non vedo perché dovrei.” replica il topo con un cenno del capo, prima di tornare verso il divano ed il suo portatile in sospensione “Invita Mister Balesi dentro, può sempre cenare qui se lo desidera e puoi spiegargli tutto quello che si è perso mentre perorava a Sacramento la situazione rifiuti deplorevole di San Francisco.”
Peggio di una doccia gelata! Accidenti Linds!
Hugo è rimasto sorpreso quanto me dalle conoscenze di Linds a riguardo su una città in cui non vive ma si riprende e sorride, lanciando comunque un’occhiata curiosa alla schiena di Linds.
“Sarei felice di rimanere se lo desideri Michelle...”
“Ecco...” Al diavolo, Linds! “Entra dai, sono sicura che intanto ho fatto da mangiare per un reggimento!”
[…]
Mezz’ora dopo siamo ancora seduti alla penisola, Hugo a suo agio in maniche di camicia, Linds con la sua maglietta stinta del Rocky Horror Picture Show ed io che nascondo il mio nervosismo occupandomi dei piatti per il dessert: una deplorevole vaschetta di gelato ai gusti tropicali.
“Non ho visto Kurt, ma immagino che sia fuori.” commenta leggero.
“Ecco sì, è a proposito di Kurt…” inizio, senza guardare nessuno dei due uomini di fronte a me “Ha litigato con Linds ed è sparito. Non risponde al telefono, non è a Los Angeles da Raphael o da mia madre in Reno.”
Hugo ha lanciato più di un’occhiata a Linds durante ma il topo aveva ignorato il discorso tipo sordità selettiva ed l’ultima mezz’ora era passata a piluccare appena dal suo piatto. Quindi aveva ignorato il gelato per recuperare un bicchiere, del ghiaccio dal frigo ed un dito scarso di whisky, il tremore dell sue mani che faceva suonare il ghiaccio sul vetro.
Afferra il portatile con l’altro braccio, il filo dell’alimentatore che batte contro ogni scalino della scala a chiocciola e subito dopo la porta dello studio/stanza degli ospiti che scatta chiusa.
“Non gli vado molto a genio…” commenta Hugo, cercando di alleggerire l’atmosfera ed alzandosi dallo sgabello.
“Mi è passato completamente di mente che saresti tornato…mi dispiace davvero.” cambio argomento sperando che mi segua quel poco che basta perché si dimentichi del topo scimunito mentre lavo i piatti.
“Michelle, non scusarti. Sei preoccupata, lo sarei anch’io se succedesse qualcosa a Giulia.” ha la fronte aggrottata ed alcune linee agli angoli della bocca “Se vuoi posso provare io a contattarlo? Vedere se mi risponde?”
“Non so…penso che possa avercela anche con me…non so veramente cosa fare.” gli ero grata del pensiero, aveva sempre avuto un rapporto più che amichevole con Kurt ma mai oltre o vicino ad un rapporto padre-figlio.
“Kurt ti adora, Michelle. Non avete provato ad allertare la polizia?”
“No. Linds è contro l’idea. Dice che Kurt tornerà…”
“Bella faccia tosta se è lui il fautore del scisma!” borbotta, poggiando una salvietta sulla spalla in attesa di asciugare i piatti.
Scuoto la testa con un sospiro, concentrata su quello che sto facendo e meno arrabbiata di quello che sembro “È una persona particolare, Hugo. Il più delle volte parla senza fare le addizioni necessarie per stimare l’emotività dietro ciò che pensa. Se Linds ha detto la verità a Kurt non lo ha fatto per ferirlo, lo ha fatto perché gli è stato chiesto.”
“Come fai a esserne così sicura?”
“…” vorrei avere una risposta, in realtà non ce l’ho e la fronte di Hugo si corruga, afferrando il primo piatto.
“Rimarrà molto?” domanda un po’ brusco, poi fa marcia indietro “Intendo…la situazione è difficile ma…” Gli mando un sorriso, è sempre così gentile ed attento
La tensione dentro questo appartamento si taglia con un coltello, non mi stupisce che l’idea di me e Linds lo irriti.
“Dorme nella stanza degli ospiti. Ti assicuro che non c’è pericolo.”
“Mi fido di te, Michelle.”
“Sono desolata per la serata, cercherò di farmi perdonare appena-”
Scuote la testa “Prima Kurt, poi tutto il resto. Domani proverò a chiamarlo.”
“Grazie, Hugo.” riesco a rispondere un po’ soffocata mentre si china appena per lasciarmi un buffetto sulla nuca breve ma sentito e pieno di calore.
Parliamo ancora per una manciata di minuti prima che Hugo decida di tornare a casa ed il loft ripiombi nel silenzio.
Ed improvvisamente il grande open-space mi sembra una gabbia, una trappola alla Tomb Raider dove le pareti iniziano a muoversi fino a schiacciarti.
Erano solo le nove e mezza, tirai fuori una birra dal frigo e salii sul tetto in solitudine mentre poche deboli stelle brillavano appena contrastate da una luna tonda come una moneta.
Non sapevo più cosa pensare ed avrei ucciso per una sigaretta, peccato che le avessi lasciate di sotto.
Quindi mi accontento per la birra ed una mezz’ora qui ad ascoltare i suoni provenienti dalla strada ed una sirena lontana in effetto doppler amplificato dalle facciate dei palazzi.
È davvero patetica…la situazione fra me e il topo…
Ogni passo tentato sembrava sbalzarci in direzioni diverse, complicando ancora di più le cose di quanto già non lo fossero.
Avrei voluto chiarire ma ero quasi certa che con l’arrivo di Hugo questa sera se avevo delle chance quelle si erano dissolte. Gli occhi di Linds mi avevano detto tutto a proposito.
Parla di amicizia ma si vede ad un miglio che è geloso…e di cosa non è lecito saperlo…
Sorrido appena, esalando mentre la bottiglietta si vuota e rimango ancora seduta un po’ contro il muretto.
Il panorama da qui non è quel granchè ma San Francisco è ormai la mia casa da più di vent’anni e i suoi suoni ed odori hanno un effetto calmante su di me.
Questa città così vitale e colorata, con i suoi dislivelli e negozietti, la nebbia che sale dal mare ed il vento che spira giù dalle montagne e fa vibrare i tiranti del Golden Gate Bridge.
È con un sorriso che faccio un brindisi alla city e mi rialzo per tornare di sotto, con una lieve idea di bussare alla porta del topo e rattoppare non tutto ma almeno qualcosa se possibile.
Scopro però che Linds è uscito dalla sua tana e sta divorando un sandwich imbottito all’isola della cucina con solo il pannello led della cappa acceso come fonte di luce.
Davanti a lui sta un’agenda aperta con una biro a fermare la pagina.
“Pensavo fossi andato a dormire.” mormoro, buttando la bottiglia nel bidone del vetro ed appoggiandomi al bancone.
“Io invece pensavo che fossi uscita con l’avvocato.” arriva la sua replica asciutta tra un boccone e l’altro.
“Linds-”
“È un bell’uomo, da cosa ho letto anche intelligente.”
“…” oh, topo no…
Linds mi lancia un’occhiata, quindi continua “Kurt mi ha messo al corrente di Hugo quando eravamo a Rachel, non è stata una conversazione amichevole.”
“Cosa gli hai risposto, Linds?”
Alza le spalle “Niente. In fondo non è affar mio cosa fai o non fai, Michelle.”
Faccio fatica a collegare le sue parole con il loro significato.
Come se avessi dimenticato come leggerlo…
L’ho afferrato per il braccio, istintivamente.
“Linds, Hugo ed io…” osserva la mia mano con educata curiosità e la ritraggo di scatto, come scottata “Siamo amici.”
“Peccato.” una scintilla di cupa derisione negli occhi neri.
“Smettila di prendermi in giro.”
Beg your pardon?
“Non nasconderti dietro una maschera, Linds. Non ti fa onore.”
Ed è qui che finalmente il teatrino crolla almeno parzialmente e tutta la sua espressione passa da sardonica a non divertita.
“Non sei di mia proprietà, Michelle. Non lo sei mai stata. Sì, la tua relazione mi infastidisce ma non sono nella posizione di rimproverarti qualcosa.”
“Li-”
“Smettila di camminarmi intorno in punta di piedi.” sbotta scocciato, afferrando il piatto e buttandolo nel lavandino.
È un momento al rallentatore mentre il piatto si rompe e Linds si taglia con il coltello che avevo usato quella sera ed avevo riposto nel porta mestoli perché scolasse.
Il topo impreca e ritrae la mano dove un lungo taglio rosso si è materializzato dalla punta alla prima nocca del suo indice.
“Oddio, Linds!”
Sta stringendo alla base del dito mentre ha iniziato a perdere sangue.
Afferro uno degli strofinacci puliti appeso allo sportello del forno e corro ad avvolgergli il dito, comprimendolo.
La mia idea però non sembra avere effetto e la macchia sul cotone si espande.
“Non ti spaventare, Michelle.” mi rassicura il topo “Sto bene, sono solo…”
Non finisce la frase perché lo sto spingendo per di sopra con l’altra mano sperando che non ci vogliano dei punti di sutura.
Dieci minuti dopo, Linds è seduto sul bordo della vasca smaltata paziente mentre cerco di arrangiarmi con la compressa di garza sterile che ho trovato ed una benda semi-elastica.
Linds ha perso un mucchio di sangue, la prova sta nel lavandino dove ho immerso lo strofinaccio in acqua fredda ormai rosata.
“Fatto.”
“Grazie.”
Evitiamo di guardarci.
“Linds stai prendendo degli anti-coagulanti?”
“Sì.”
“Perché?”
“Non è una cosa grave-” tergiversa debolmente ma si zittisce quando gli stringo il polso e ripeto la mia domanda “Diciamo…supponiamo che la mia overdose abbia avuto delle conseguenze.”
Sono immobile, inginocchiata sul pavimento.
Non ho sentito, no ho sicuramente capito male.
Linds non mi osserva e gioca nervosamente con un filo della garza.
“Quali…conseguenze?” mi esce a voce bassa.
Linds rabbrividisce rassegnato e visibilmente restio, muove la mano sana nella mia direzione “Il mio sistema cardiovascolare è andato in tilt per più di un minuto.”
“Hai avuto un infarto…”
“Un infarto, sì.”
“Cos’altro?”
Vedo il suo pomo d’Adamo salire e scendere “Davvero Michelle non c’è bisogno di-”
Cos’altro, Linds?
“Mi hanno inserito un paio di bypass.”
“Non può essere l’unica cosa.”
“Ha importanza, Michelle?”
Lo fisso stralunata, ha uno sguardo esasperato e stanco.
Linds non è mai stanco, non così.
“Sai topo.” inizio con un sorrisetto debole “Per quanto il caratteraccio sia migliorato hai tanta strada da fare riguardo la tua autostima!”
“Proprio vero.” ammette, ricambiando il sorriso “Le mani mi tremano dal trauma…qualcosa dovuto alla mancanza di ossigeno nel cerebello o qualcosa del genere.”
“Non c’è cura?”
“Il più del tempo non è così visibile…” fa con tono leggero “Aumenta e diminuisce a seconda di quanto dormo e dai miei livelli di stress. Non è davvero un grosso problema.”
Sta cercando di rassicurarmi ma sono sul punto di mettermi a singhiozzare.
Perché se è lui che si è infilato l’ago nelle vene anch’io ho la mia parte di colpa.
Finiamo a parlare per buona parte di quella notte, seduti a gambe incrociate sul letto di camera mia come se fossimo tornati indietro di venti anni.
Se c’è una cosa che voglio, oltre il ritorno di Kurt, è recuperare il salvabile con Linds.
In qualsiasi forma o maniera sia...

Lost but now I am found
I can see but once I was blind
I was so confused as a little child
Tried to take what I could get
Scared that I couldn't find
All the answers, honey

Don't make me sad, don't make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets though
I don't know why
Keep making me laugh,
Let's go get high
The road is long, we carry on
Try to have fun in the meantime
Lana del Rey ~ Born to die

~~~

Canzoni del capitolo:
- The dead weather ~ Mile markers;
- Lana del Rey ~ Born to die.

Note del capitolo:
- La Misandria per definizione è un totale e completo odio per gli uomini, perfetto parallelo della misoginia.

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Capitolo 23
*** 23 ***


It's gonna be a long, long road
Gonna be a million paths to sow
Gonna be trouble on the way, yeah
Gonna get your fair share of the pain
And there's gonna be laughter and joy
Gonna be friends that you're gonna destroy
And there's gonna be family that don't exist
And there's gonna be people that
you wished you'd never missed - just like...yeah
Richard Ashcroft ~ The miracle

La radio a cubo blaterava ‘Take on Me’ mentre Linds di primo mattino e a digiuno di sonno sembrava una gazzella.
Avevo dato fondo a tutto ciò che avevo ancora in cucina per preparare una colazione sostanziosa quella mattina.
Non che il topo mostrasse segni funesti ma ero preoccupata di quanto sangue aveva perso la sera prima e contavo sulla sua fame per re-immettere energia nel suo organismo.
Mi sembrava anche che Linds fosse un po’ più tranquillo ora che sapevo.
Non conoscevo tutto, certo, ma era pure sempre un inizio no?
“Sei ancora deciso a dare le dimissioni dal Lambda?” borbotto senza guardarlo, accendendo il fornello sotto la padella per le uova strapazzate.
Sento alcuni sportelli aprirsi e chiudersi mentre il topo prepara l’isola per due ed ignora di proposito la mia domanda.
“Linds?”
Quando alzo gli occhi e volto il capo con un principio di irritazione lo trovo seduto ad uno degli sgabelli a guardarmi.
“Lo sai, Michelle sono questi i momenti nel quale non riesco a comprendere cosa pensi.” inizia calmissimo “Sarebbe interessante se partissi dall’inizio del tuo ragionamento.”
Eh?!
Un angolo della bocca di Linds si piega, sornione.
“Michelle?”
Cosa?!
“Stanno bruciando le uova.”
Volto la testa di scatto.
“Colpa tua!”
“A-ha.”
Lo odio il topastro!
È solo dopo aver salvato il cibo ed essermi seduta al suo fianco che Linds, fra una forchettata e l’altra ricomincia a parlare.
“Ho ancora un paio di progetti importanti da portare alla fine, sto dando gli ultimi esami per laurearmi – sì di nuovo, Michelle – e se tengo conto di tutto sarò fuori dalla Base al massimo per la fine dell’anno.”
Annuisco, pensierosa.
Non sono sicura che sia davvero quello che vuole.
“Certo che è quello che voglio.” esclama di punto in bianco.
Per poco non mi soffoco con il cibo e il topo mi versa del succo di arancia, paziente “Non voglio far felice nessun’altro al di fuori di me stesso e sono davvero stufo di laboratorio perpetuo e sabbia nelle mutande.”
Mi è uscita una pernacchia mentre evito di strozzarmi, ed il succo mi brucia la gola.
“Vabbè dovrò trovare un sostituto a Claudia se decido di tornare in California ma non credo che sarà poi quella grande sfida. E poi non sono nemmeno tanto sicuro di aver bisogno così spesso di shakerarmi la grigia materia.”
Ma come ci riesce…come cavolo fa?!
Ormai sta blaterando con la seria intenzione di farmi crepare qui, con il succo ormai nel naso, ho le lacrime agli occhi.
“Vero che non c’è bisogno della Heimlich, Michelle? Mi sembri un tantino in difficoltà!”
Lo ammazzo…
Inghiotto di forza “Vero che mi lasci fare colazione, Linds?” gracchio.
“Perché? Che ho detto mai?” replica tutto innocente.
Scappa, topastro!
~
Un’altra notte, un altro pullman.
Questa volta era stato Santa Barbara-San Francisco, su una corriera della Amtrack nuova di pacca con tanto di sedili profumati che l’avevano fatto starnutire per tutte le dieci ore di viaggio, non compreso la discografia di Elvis a manetta messa su dal conducente, fan sfegatato.
Kurt si era trascinato quindi con il suo borsone fino a casa, sperando in un sonnellino ed un po’ di pace, magari una tazza di cornflakes ed un succo d’arancia.
La speranza gli rimase almeno finché la blindata di casa non si aprì obbediente.
Cosa cavolo…?
Sua madre stava cercando di uccidere suo padre od il sole di traverso gli stava giocando qualche scherzo?
No no, era tutto vero.
I due erano nel bel mezzo di un serissimo incontro di lotta greco-romana nel quale la mamma la faceva da padrone.
In più si stavano beccando a voce in un botta e risposta di assoluto no-sense e sorridevano.
A quel punto Kurt fece l’unica cosa sensata, chiuse la blindata e decise per la colazione.
Il movimento aveva attirato lo sguardo di suo padre.
Ma belle, ricomponiti che abbiamo visite, dai!”
“Se cerchi di imbonirmi topo io-…!” sua madre aveva alzato gli occhi grigio-argento ed era rimasta immobile a guardarlo per un dieci secondi prima di scattare come lui in pista.
Non aveva quasi avuto il tempo di prepararsi che lei era lì a stringerlo come se potesse fare puff! e svanire.
“Kurt!!! Come ti è venuto in mente! Una telefonata- potevi dirmi che eri vivo!” stava borbottando a mitraglietta stringendolo all’altezza della vita con tutta la forza che aveva, il capo corvino un po’ spettinato.
Mom?” Kurt era rimasto sorpreso.
“Non farmi mai più una roba del genere, porco cane!”
“Sto bene, mom, davvero…” aveva iniziato remissivo.
“Sei in punizione…a vita!” le ultime due parole le erano uscite stridule, mentre Michelle strofinava via una lacrima dall’angolo degli occhi sulla sua maglietta.
Mom…” a quel punto l’aveva abbracciata con un principio di magone, sarebbe morto prima di far stare male sua madre.
Michelle aveva incastrato la testa sotto al suo mento, cercando in tutti i modi di non piangere.
L’adolescente aveva fissato lo sguardo scuro su Linds, seduto a pochi passi con un sorriso.
Un sorriso.
“Che ci fai qui?” quelle quattro parole le aveva dette a denti stretti.
La mamma si era irrigidita.
“Probabilmente quello che ci fai tu, Kurt.”
Linds non aveva cambiato tono, pacifico e calmo.
C’era ancora una scintilla che brillava nel suo sguardo ed il ragazzo rimase a fissarla infastidito ed incuriosito insieme.
Sotto le sue mani sentiva la spina dorsale di sua madre, rigida e tesa.
“Vieni Kurt, andiamo a cercare un minimarket per rimpinguare le scorte o rimarremo a digiuno…” Linds aveva mosso un paio di passi verso di loro e la porta d’ingresso ed il volto di Michelle fece capolino, scrutando l’avanzata del topo con profondo sospetto ed un sottile fondo di panico.
“Non si muove da qui, è in punizione!”
“Tranquilla, non ho intenzione di rapirlo o farlo fuggire via…voglio solo-”
Non sono fuggito via.
Kurt…
Perdio ragazzo, lo so perfettamente bene che non sei fuggito da me, accidenti!” Linds si era spalmato una mano in faccia, già stufo “Voglio solo fare una passeggiata per il minimarket insieme, ti dispiace scendere dalla tua torre d’avorio la mezz’ora necessaria?!”
Silenzio per mezzo secondo.
“Linds…” Michelle si era voltata con occhi argentei ardenti e fuori dalle orbite “Tu sapevi dove…”
“Forse.”
TOPO!
“Papà, spesa.” si era intromesso Kurt al volo e Linds balzò al suo fianco, aprendo la blindata mentre il figlio lasciava un bacio sulla guancia della madre sull’orlo di una invettiva “Andiamo e torniamo, mamma.”

~

Suo padre era stato sincero.
Dopo la capatina minimarket uscendo dal negozio con due sacchetti di carta ricolmi, il vecchio aveva cercato una panchina e lì si era seduto, rifiutando di muoversi.
Era già da cinque minuti che erano fermi, all’ombra di una aiuola e Linds lo aveva indotto a conversare.
“Ho sbagliato in tutti questi anni a tenermi fuori dalla tua vita e da quella di Michelle. Non sono abituato a rendere conto a nessuno delle mie azioni.”
È incredibile come riesce a far sembrare la mancanza di comunicazione una scusa valida!
“Papà ci ho pensato in queste settimane.” ammise Kurt, passandosi una mano fra i capelli “E forse siamo più simili di quanto mi piacerebbe ammettere.”
L’uomo biondo voltò appena il capo nella sua direzione ma rimase in silenzio, gli occhiali da sole che nascondevano l’espressione.
“La mamma ha davvero sofferto quando ha deciso di lasciarti e negli anni seguenti credo che emotivamente abbia concentrato tutto il suo affetto su di me. Non penso che accetterò mai quello che le hai fatto, non lo capisco.” il ragazzo scrollò le spalle e tornò in silenzio.
Non si aspettava risposte dal vecchio, aveva smesso di volerne da un po’.
“Sei stato fortunato Kurt…” la voce di Linds era arrivata con una strana nota di fondo “Ad avere una madre come Michelle, intendo. Io sono stato lasciato appena nato sulla soglia di un orfanotrofio.”
Quindi il biondo ridacchiò, sfilandosi le lenti ed incontrando lo sguardo del figlio “Non è una scusa al mio comportamento. A volte il genio supremo si trasforma in idiozia e sono stato volutamente molto idiota negli ultimi diciassette anni.”
“Volutamente…”
“Michelle aveva ragione stamattina, quando te ne sei andato avevo già una vaga idea di dov’eri.”
Dad…
“No Kurt, fammi finire.” Linds lo vide annuire quindi continuò “Sto cercando davvero di essere sincero nei tuoi confronti.
Non ti volevo, non allora e nemmeno più tardi.
Ma belle invece sì, non lo diceva ma glielo si leggeva in faccia.
Ho continuato a pensarla così per anni, protetto dalle quattro mura della Base mentre tu crescevi.
Ti ho visto crescere a pezzi, come una serie di diapositive mal assortite, sempre più simile a lei.”
Linds aveva lo sguardo basso sulle sue dita incrociate in grembo e Kurt prese un respiro corto.
Il ritratto a matita gli passò a mente, vivo fra il bianco ed il nero.
“A Las Vegas hai detto che mi sono ‘divertito’ sulla pelle di tua madre: non sono mai stato veramente capace di ammettere cosa provo per Michelle ma so che eri e sei lontano anni-luce dalla verità delle cose.”
“Nemmeno con Creane?” frustò l’adolescente, pentendosi subito dopo.
Linds lo guardò stupito, poi sorrise “Gli strizzacervelli aiutano Kurt ma non è che siano onnipotenti. No, non ci sono mai riuscito.”
“Sei schizoide.”
“Ed aspergico.” aggiunse Linds, annuendo.
Kurt tornò a guardare la strada, immerso nei suoi pensieri.
“Hai detto che sapevi dov’ero…mi hai seguito o cosa?”
Il vecchio scosse il capo “Non sei mai stato loquace ma dopo averti visto passare un pomeriggio intero sopra volumi universitari di psicologia e riviste dell’FBI senza emorragie cerebrali un dubbio mi è venuto.”
“Okay.”
Linds lo fissò poi lasciò cadere l’argomento, ben sapendo che era solo una pausa momentanea.
Stai parlando con il figlio di Michelle, non è finita, topastro.
“Quanto tempo rimani ancora?”
“L’idea iniziale era di smontare le tende appena fossi tornato tu.”
“Iniziale…”
“Sì.”
Non gli faceva piacere, e Kurt non aveva bisogno di dirlo.
C’era una piega grama nelle sue labbra che Linds decise di ignorare a piè pari perché, in fondo, erano tutti adulti lì e bisognava raggiungere un compromesso prima o poi.
“Ho intenzione di lasciare il Lambda Dep. per fine di quest’anno. Ne ho già parlato con ma be- Michelle.”
“Perché?”
“Chiamala crisi di mezz’età se ti fa piacere, l’ha detto anche tua madre.” un sorriso pieno sulle labbra di suo padre, senza ironia “Il Lambda non è la parte più importante della mia vita…non fraintendermi, ho vissuto glorie e dolori professionali là dentro ma…”
Kurt lo guardava muto, in attesa che finalmente il vecchio si decidesse ad ammetterlo, una buona volta.
“…qui a San Francisco almeno è ventilato e fresco!!!” esclamò infine il topo, infilandosi gli occhiali da sole.
Idiota io che ci ho creduto…
“Papà senti…”
“Quando hai intenzione di dirlo a tua madre?”
“Eh…?!” Di che parla?
“Del fatto che hai intenzione di andare al college prima e poi iscriverti nel programma dell’FBI.” suo padre non aveva fatto una piega mentre lo diceva.
Alla faccia del non sapere niente!
“Quando sarà il momento giusto.” la sua voce suonò sorda e caustica.
“Bene, fa solo attenzione agli individui che ti circondano.” detto quello l’uomo biondo si alzò, stirandosi in unico movimento felino “Andiamo, ormai tua madre dovrebbe aver sbollito…almeno spero.”

This song believes you're a miracle
Don't believe in the cynical
And if you can hear it too, you better move along
Yes, the time you feel it slip away
Man, you better get a plan today
Karma coming to get you down
You better jump out of the way yeah
Richard Ashcroft ~ The miracle

~ 10 mesi dopo
“Linds!!! Muoviti, siamo in ritardo!” esclamo verso il piano superiore mentre mi infilo i tacchi e controllo che il mio vestito blu non abbia macchie visibili dell’ultima ora.
“Sto cercando la cravatta perfetta con la Jag!” mi ritorna la voce di Linds “Non mettermi fretta!”
Oddio topo…
“LAGDEN! Se non ti presenti qui entro i prossimi venti secondi ti vengo a stanare! Mi hai sentito!?”
“Forte e chiaro!!! Volo da te!”
Gocciolone di rito mentre attendo che il topo la pianti di divertirsi con la mia ansia.
Ho solo una parola per questi ultimi sette mesi: delirio.
A metà novembre Linds aveva fatto su armi e bagagli ed era tornato a San Francisco stabilmente, iniziando una serie di lezioni guest in otto dipartimenti diversi della San Francisco State University portando il panico più totale negli studenti come da mia previsione.
I primi tempi si era preso la stanza degli ospiti ma la camera era piccola e senza armadio.
Fra tutte le sue cose stipate lì dentro era già tanto riuscire a non urtare contro qualcosa.
Inoltre il topo era deciso a cercarsi un alloggio solo per sé, e l’idea mi irritava.
Alla fine dopo una lotta ero riuscita a convincerlo a tornare nella nostra stanza, almeno per dormire e riconvertire la camera degli ospiti nel suo studio.
Intanto la sottoscritta ci dorme solo nei weekend…
Dite che era un pretesto?
No.
Come faccio ad esserne così sicura?
Beh…accidenti sì, era un pretesto! Contenti?!
I primi mesi di convivenza erano passati abbastanza tranquilli.
Kurt aveva scoperto il perfetto, urlato, mondo psichedelico e hard-rock dei Led Zeppelin ed altre vecchie glorie grazie al topo che li sparava a volume da manicomio quando preparava le pointlist delle lezioni.
Eh sì, perché c’era da sopportarci altroché, povero lui.
Quando ci trovavamo nella stessa stanza tempo due minuti ed iniziavamo a punzecchiarci come dei marmocchi.
Kurt aveva la sua routine ma sembrava reggere bene la presenza di Linds e quando proprio non ci sopportava si chiudeva nella sua stanza o prendeva in prestito la Jaguar per farsi un giro o diceva – parole testuali – “Avrei bisogno circa un due orette di pace e tranquillità…devo indicarvi la strada dell’uscita o avete bisogno di una mappa per la vostra camera da letto?”
La prima volta che era uscito con quella trovata per poco a Linds non era andato di traverso il boccone ed a quel punto si era mosso intorno a lui con passettini più silenziosi e squittii quasi delicati.
Vi giuro è stata una serata imbarazzante ma da pagare il biglietto…ah la pace!
Eppure…
Io che cercavo di attirare la sua attenzione e lui che di risposta mi tirava le trecce immaginarie.
Eravamo sempre stati attratti l’uno dall’altro e più di quindici anni non avevano cambiato le cose.
E se ce n’era il bisogno litigavamo davvero ora, discutevamo senza che Linds cercasse di ritrarsi dal discorso.

“Non mi và a genio.” aveva borbottato, seduto all’isola dopo che Hugo era tornato a casa.
“È un mio amico, topo. Se ti dà fastidio che venga a cena qui ogni tanto allora è meglio se esci.”
“No.”
“No cosa?”
“Non vi lascio da soli.”
Avevo smesso di riordinare per fissarlo, quindi domandai guardinga “Sei geloso o cosa?”
“Sono irritato, ma belle.”
“Sei geloso.” finalizzai, ricominciando ad asciugare il piatto fondo che avevo in mano.
“…”
“…”
“Potrebbe essere.”
“Ti informo che io e Hugo ci abbiamo provato ad avere una relazione seria ma abbiamo scoperto che non eravamo compatibili. Siamo buoni amici e credimi, ci basta.”
“Davvero?”
“Yep.” sorrido al capo biondo, mi fa tenerezza e vorrei…

“Allora? Sei pronta o no?” Linds è sceso dalla scaletta finalmente ed sta infilandosi in tasca il cellulare e le chiavi della Jag, osservandomi curioso.
Annuisco e gli mando un sorriso che il topo ricambia con un ghignetto.
“Quel vestito è carino, sai? Ha la zip dietro, si sfila dalla testa o c’è una fila interminabile di bottoncini?” domanda sarcastico.
“Non vedo come questa info ti serva, Linds. Se proprio ci tieni a scoprirlo escogita qualche piano…magari avrai fortuna.” replico un po’ disperata ed un po’ divertita…
Contaci.
Facepalm mentre chiudiamo il loft e ci avviamo fuori mano nella mano.
Oggi Kurt riceverà il diploma.
Il mio piccolo miracolo diventa grande e so che anche il topo in fondo – magari non troppo in fondo – gli vuole bene.
Ci sono ombre nella vita, sì.
Le nuvole passano prima o poi.

The future's bright
Looking good
The wheels are turning now
My words are understood
Richard Ashcroft ~ Future's bright

~

Ultimo giorno di scuola.
Sono arrivato alla Washington High un po’ prima per recuperare alcune cose che avevo lasciato nei laboratori e nel club di programmazione informatica.
Ero tornato in biblioteca a restituire un paio di volumi e quindi ero passato alla pista di atletica per dargli un’occhiata prima di chiudere definitivamente con le superiori.
In realtà quest’anno mi sono ritirato dalla squadra subito, il coach non aveva fatto in tempo ad aprire il suo ufficio a Settembre che gli avevo lanciato divisa e dimissioni.
Il prof era andato su tutte le furie ma alla fine aveva accettato, a patto che allenassi la squadra.
Il club ha comunque vinto un paio di gare quest’anno anche senza di me.
Intanto avevo iniziato a frequentare lo judo e correre nel weekend, con sorpresa di mia madre.
E studiavo.
Giorno, notte, alba e tramonto.
Fermo restando che quei rintronati dei miei genitori non avessero in programma qualcuna delle loro idee imbecilli.
Sopportali Kurt!!! You can do it!
All’inizio mi era costato ammetterlo ma quei due erano fatti e finiti.
Rami di una stessa pianta che si saldano insieme
Finiamo questo riassunto stillicida.
Ci sono arrivato, porco cane!
Mi hanno accettato.
Intendo alla University of Virginia.
Vi giuro che sto contando i giorni e friggendo come un bombolone nell’olio bollente.
In uno dei bagni dell’Aula Magna infilo la tunica ed il cappello, sono entrambi di un rosso acceso che fa male agli occhi.
Raggiungo gli studenti e il mio posto in attesa fra i miei compagni di anno, eccitati come degli scolaretti.
Valedictoriano nerd come pochi, Jimmy da il meglio di se nel discorso che ha provato migliaia di volte in casa di Lizzie mentre studiavamo per gli esami.
Non l’ho vista ma immagino ci sia anche lei oggi.
È il momento che la mia mano tocca il diploma, il flash del fotografo mentre sorrido.
Occhi neri e grigi che si incontrano, un thumbs up.

Ho diciotto anni.
Sono una possibilità perpetua in un mondo astratto.
Schrödinger’s cat.
Il tempo, passato e futuro, irremissibile.
Sento i passi che la gente non ha mai fatto.
Mi chiamo Kurt Lagden.

Everywhere I look I can see the faith
Reflecting back at me
And now I'm in this fate
I'm shaking all the hands
I'm doing all the plan
I guess I'm in control
Oh look how high I go
Look how high I go
Richard Ashcroft ~ Future's bright

~~~

Canzoni del capitolo:
- Richard Ashcroft ~ The miracle;
- Richard Ashcroft ~ Future's bright.

Note del capitolo:
- Take on me è una hit degli anni '80 del gruppo A-Ha, potete ascoltarla qui;
- La Heimlich è una manovra di pronto soccorso mediante la quale è possibile salvare un individuo dal soffocamento da un corpo estraneo nelle vie respiratorie, è stata introdotta negli anni Settanta;
- Corriera Amtrak...Santa Barbara-San Francisco questo viaggio puè essere fatto ed è totalmente possibile, sono più o meno otto / nove ore di strada in pullman;
- Schizoide per definizione è sinonimo di un disturbo della personalità manifestante in chiusura in sé stessi o senso di lontananza, elusività o freddezza. La persona tende all'isolamento oppure ha relazioni comunicative formali o superficiali, non appare interessata a un legame profondo con altre persone e, all'esame clinico, mostra una tendenza pervasiva a vivere emotivamente in un “mondo proprio” rigidamente separato del mondo esterno delle relazioni sociali, e la sua stessa idea del sé è affetta da incertezze. In alcuni casi manifesta "freddezza" all'esterno con atteggiamenti di rifiuto, disagio, indifferenza o disprezzo (rivolto magari a personalità non affini a sé), o comunque altre modalità di chiusura, elusività, blocco emotivo o distacco.

Undoing Time qui finisce, miei cari.
Se siete rimasti a leggere, i miei ossequi...avete stamina! xD
Hermes scribana chiude i battenti; Non ho davvero più tempo per scrivere ed è ora di ammetterlo! LoL
Disseminati per questo capitolo ci sono una miriade di riferimenti e citazioni, aggiunti per mio divertimento personale...chissà se li avete visti?

Kudos ai pochi che hanno recensito questa storia ed a chi l'ha seguita per qualsiasi motivo l'abbiate fatto.
Rimango sempre qui per eventuali commenti od errori da correggere...se volete scrivere due parole io son qui!
Per il resto ho mantenuto la mia promessa: l'estate finisce ed io penno la parola fine...

Hermes

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