L'ultima stella

di Lady_Levi_Malfoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La verità ***
Capitolo 2: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 3: *** Il vuoto ***
Capitolo 4: *** Le ali della libertà ***



Capitolo 1
*** La verità ***


Il sole scaldava l'aria in modo non troppo prepotente e illuminava il cielo, rassicurante come la prima volta in cui l'aveva visto. Levi diede un'occhiata distratta alla finestra e si ritrovò a pensare che sarebbe stata una bella giornata fuori dalle mura, dimenticandosi per qualche secondo gli orrori e le morti che avrebbero trovato a Shiganshina. Si rese conto dell'ingenuità del suo pensiero e fece un movimento stizzito con il capo mentre si ricordava che cosa sarebbero andati a fare in quello splendido inferno che era il mondo. Sarebbero partiti due giorni dopo, ma lui aveva già finito i preparativi, perché nella sua vita non c'era mai stato molto da preparare; ora aveva soltanto più una cosa di cui prendersi cura. Entrò negli appartamenti di Erwin senza prendersi la briga di annunciare il suo arrivo. Non era la prima volta che andava là: già in altre occasioni, quando il peso da sopportare diveniva troppo grande, il comandante lo aveva invitato per dargli un pasto o un luogo in cui dormire lontano dai problemi che lo attendevano fuori, ma quella volta Levi non andava a chiedere aiuto per sé, ma a cercare un'ultima volta di dissuaderlo dai suoi piani. Capiva perché Erwin volesse andare con loro, ma non poteva accettare una follia simile, non da parte dell'unica persona che ancora significasse qualcosa per lui. Era fermamente intenzionato ad andare a cercarlo e urlargli contro tutto quello che pensava prima che lui riuscisse a prendere fiato per rispondergli. Aprì la porta della stanza con intenzioni bellicose, ma non appena vide il comandante tutta la sua rabbia gli morì in gola. Erwin non si era accorto di lui e stava seduto sul letto nel tentativo di indossare il sistema con una sola mano. Si piegava su se stesso tirando le cinghie e cercando rabbiosamente di allacciare le fibbie, ma era un lavoro impossibile da compiere in quello stato e dopo un po' rinunciò con un gemito di frustrazione. Levi si sentì la gola asciutta di fronte a quel gesto che compiva in continuazione e si accorse solo in quel momento di cosa stesse vivendo il suo comandante. Non sarebbe dovuto accadere a lui, avrebbe dovuto proteggerlo e non ne era stato in grado. Fece un passo avanti, silenzioso come sempre, e si sedette accanto a lui per aiutarlo al posto suo. Non appena Erwin si accorse di lui, si ritirò per l'imbarazzo di essere visto così in difficoltà, ma poi lo lasciò fare con uno sguardo indeciso tra la gratitudine e l'umiliazione. Levi accomodò il sistema con cura per non ferire il suo orgoglio, ma quando ebbe finito si decise a parlare. «Erwin, tu non puoi venire. Non ti rendi conto che è una fottuta pazzia?» si sentiva pieno di rabbia e la sua voce gelida tremò appena «Sei patetico! In questo stato non puoi usarlo il tuo maledetto sistema: è inutile, lo sai, e allora perché vuoi buttarti disarmato in mezzo ai giganti? Vuoi farti uccidere?» Lo aveva detto solo per smuoverlo, ma il comandante rimase in silenzio guardandolo fisso con i suoi occhi color del ghiaccio. Levi sentì un brivido e improvvisamente ebbe l'impressione che tutto crollasse, perché quel silenzio era una risposta. Scoppiò e gli urlò in faccia «Cazzo, Erwin, vuoi farti uccidere?». Sapeva già la verità, gliela aveva letta nello sguardo, ma quando l'altro parlò fu come se lo avessero trafitto. «Devo guidare le reclute perché facciano da esca mentre tu ucciderai il titano bestia» disse Erwin calmo «È necessario». Levi respirò a fondo e strinse i denti per non perdere il controllo, perché se fosse crollato allora non si sarebbe più rialzato. «Lo può fare un altro. Lo posso fare io» disse senza speranza. Erwin sorrise gentile e scosse il capo «Tu devi abbattere il titano bestia e lo puoi fare solo tu perché sei il migliore: accetto la tua offerta, ma non è realizzabile. Riguardo agli altri... chi potrei mandare a morire? Hanje? Lei sarebbe l'unica in grado di sostituirmi, ma è un elemento troppo valido per sacrificarlo» si guardò con disprezzo «Io ormai sono inutile. Mi resta soltanto la lealtà dei miei uomini e la userò un'ultima volta per massacrarli come ho sempre fatto». Sospirò amaro e si appoggiò al muro con le sue spalle ampie che reggevano sempre tutto. «Levi, lasciami morire. Sono troppo stanco... Liberatevi della mia ingombrante presenza. Ho già preteso troppo da voi per le mie illusioni» lo guardò negli occhi «Tu credi nel mio sogno?». Levi esitò un attimo prima di rispondere «No». Non ci credeva, ma per sopravvivere aveva bisogno che fosse lui a sperare. Erwin si alzò in piedi, come se quanto stava dicendo non fosse importante e continuò con un sorriso triste «Neanche io. O meglio, ci credo, ma sto iniziando a pensare che non ne valga la pena. Vi ho uccisi inutilmente» chinò la testa «Ora lascia che paghi il mio debito: non sentirai la mia mancanza». Era una condanna senza speranza e ferì Levi perché quella era l'unica persona di cui non poteva sopportare la sofferenza. Nel suo petto si agitava quel groviglio di emozioni che aveva trattenuto per anni, impedendosi ogni volta di ascoltarlo. Ora non poteva più tenerlo nascosto, perché era l'unico modo che forse gli permetteva ancora di salvarlo, così gli appoggiò una mano sul petto e disse duro «Non permetterti di insultare il mio comandante». Erwin lo scrutò per qualche secondo, poi chiese sorpreso «Perché mi difendi? Io ti ho rovinato la vita». Levi fece un gesto stizzito e ribatté «Come puoi essere così cieco?». Sapeva che avrebbe rovinato tutto, ma in quel momento l'unica cosa di cui aveva bisogno era di tenerlo costretto vicino a sé, di impedirgli di andarsene. Ora che rischiava di perderlo rimpiangeva tutto il tempo che aveva sprecato prima di compiere quel gesto che desiderava con tutto se stesso. Per la prima volta da tempo si sentì cadere in preda al panico e, strette le cinghie di Erwin tra le dita, lo attirò a sé e lo baciò sulle labbra. Era un bacio calmo, ma le sue mani gli stringevano la camicia con disperazione: aveva paura che se non lo avesse tenuto prigioniero se ne sarebbe andato via da lui. Restò così per diversi secondi, gustando sulle labbra quella sensazione che aveva solo osato immaginare, poi si costrinse a lasciare la presa e fece un passo indietro. Erwin non aveva reagito e rimase immobile a guardarlo con gli occhi spalancati mentre realizzava che cosa fosse successo. Levi sapeva che non lo avrebbe accettato e si ritrasse cupo come faceva sempre. «Scusa, non avrei dovuto farlo» si voltò dandogli le spalle «Non sono nessuno per te e non avevo nessun diritto di farlo. Tu mi rifiuterai e io non avrò ottenuto altro che farmi disprezzare, o peggio, farti morire tra i sensi di colpa». Si odiava per aver osato toccarlo e restò fermo in attesa che Erwin si arrabbiasse con lui. Strinse gli occhi e per diversi secondi non sentì nulla, poi il comandante si avvicinò dietro a lui e, con sua sorpresa, gli circondò la vita appoggiando le sue lunghe dita sul suo fianco. Gli si mozzò il fiato e provò un brivido di piacere e di felicità per quello che significava. Erwin si chinò sul suo collo e gli sussurrò piano «Non permetterti di accusare il mio caporale» lo sfiorò appena, scaldandolo con il proprio respiro «Cosa ti fa credere che tu non sia nessuno ai miei occhi?». Lo serrò forte contro il torace, come se volesse ascoltarne i battiti accelerati del cuore. Levi si abbandonò su quel petto e per la prima volta confessò «Erwin, ti amo. Ti amo da sempre». Lui iniziò a baciargli piano il collo. Levi si era dovuto trattenere per dieci anni e improvvisamente non ne poté più: si voltò di scatto e strinse il suo comandante, poi iniziò a baciarlo appassionatamente, quasi con furia. Lo spinse contro il muro mentre l'altro ricambiava con sempre più sicurezza e lo tenne fermo nonostante non accennasse a scostarsi. Erwin fece cenno di chinarsi per poterlo raggiungere meglio e lui lo trascinò giù facendolo sedere contro alla parete e inginocchiandosi a sua volta mentre gli scioglieva l'imbracatura. Senza mai separarsi da lui, Erwin si chinò costringendolo a sdraiarsi sul pavimento e gli slacciò i pantaloni mormorando sul suo viso «Sei mio». E Levi sentì che sì, era vero. Per quella notte erano uno dell'altro e questo gli avrebbe dato la forza di affrontare quello che sarebbe venuto dopo. Lasciò che Erwin lo guidasse perché era l'unico uomo di cui aveva mai accettato il comando e rabbrividì di piacere ogni volta che si chinò su di lui per serrarlo a sé, per prenderlo. Erwin lo amò con la disperazione della morte e una grande gioia insieme, in modo prepotente e dolce allo stesso tempo e quando alla fine si appoggiò al suo petto respirando piano, Levi desiderò poterlo stringere per sempre. Gli accarezzò i capelli biondi che tanto aveva sognato, spaventato dall'idea che avrebbe dovuto lasciarlo, e sentì di volere tutto di quell'uomo che amava. Sapeva a che cosa il comandante stesse per andare incontro, ma per una volta pretese per sé e, tiratosi su sui gomiti, chiese «Erwin, so che non è il momento adatto, ma... posso averti?». Si sarebbe aspettato esitazione, timore, ma Erwin per tutta risposta lo baciò su una spalla. Non riusciva a credere all'opportunità di avere quel corpo che esprimeva autorità e che aveva sempre agognato da lontano, ma si sollevò sopra di lui coprendolo con il suo peso, sentendolo fremere al suo tocco. Prese tutto, ebbe tutto dall'uomo che amava. Quando ebbe finito si rannicchiò sul suo petto e restò là a lungo ad ascoltare il suo respiro lento. Erwin gli accarezzò il fianco, passando con delicatezza il pollice sulla linea delle sue costole. «È stato magnifico» disse rompendo il silenzio. Levi sorrise, perché era ciò che voleva per entrambi, perché quella era la sua gioia ma voleva che lo fosse anche per lui. «Era quello che desideravo da sempre» ammise «Grazie». «Grazie a te» ribatté Erwin «Grazie per non avere paura di me. Per avermi scelto e voler restare al mio fianco». La luce era ormai completamente calata per cui non riusciva più a cogliere la sua espressione, ma era sicuro che stesse sorridendo. Levi chiuse gli occhi e per la prima volta dopo tanto tempo lasciò che i muscoli delle spalle si rilassassero. «Come fai a essere così fantastico?» mormorò. «Davvero lo sono stato?». «Davvero...Il modo in cui mi accarezzi, in cui mi hai parlato in quei momenti, la voce che usi mentre sussurri il mio nome... E poi quella dannata maniera di andare lento che mi snerva ed eccita al tempo stesso!». Erwin rise piano e lo morse delicatamente dietro l'orecchio. «Spero di essere stato all'altezza delle tue aspettative» si sistemò meglio contro di lui «Io non sapevo cosa aspettarmi, ma è stato magnifico ugualmente». Levi si voltò e lo abbracciò. «È stata la cosa più bella della mia vita» si accoccolò contro di lui sperando che il tempo smettesse di scorrere «Ti prego, non andare via da me. Non lasciarmi solo...». Erwin gli baciò i capelli e disse per tranquillizzarlo «Sono qui, sono qui...». Levi si strinse a lui e sentì la frustrazione di tutta la sua vita tornare a bruciargli nel petto. «Ma ora scomparirai. Mi lascerai indietro e questa volta sarà per sempre» sentiva le lacrime premere per uscire ma le trattenne «Ti amo, Erwin. Non posso sopportare di perderti». «Anche io, ora che ti ho trovato, non vorrei più separarmi da te». La sua voce era ferita, ma Levi non trovò traccia di esitazione e seppe che non voleva salvarsi. Erwin era disperato, ma sicuro come sempre. Si accasciò su di lui, nascondendo il volto contro il suo petto e sussurrò «Vuoi veramente morire, Erwin?». E in quel momento il comandante cedette; lo sentì tremare mentre esclamava con voce spezzata «No che non lo voglio! Io non voglio farmi ammazzare: vorrei poter mandare a morire tutti gli altri pur di salvarmi la pelle e la cosa esasperante è che ho il potere di farlo!» riprese a fatica il controllo «Ma non sarebbe giusto. Ho la possibilità di fare qualcosa di veramente utile per l'umanità: lo devo ai miei uomini». Levi restò un po' in silenzio, poi sibilò tra i denti «Vorrei poterti obbligare». «Ma non lo farai, vero?» gli chiese Erwin preoccupato. Gli prese il volto per costringerlo a guardarlo in volto. «Promettimi che non mi salverai se questo metterà in pericolo qualcun altro». Levi avrebbe voluto urlargli contro che non lo accettava, che nessun figlio di puttana là fuori lo meritava, ma il comandante sussurrò ancora «È un ordine. Il mio ultimo ordine» e lui crollò. Erwin gli baciò dolcemente la testa cercando di rassicurarlo e aggiunse «Però non disperare. Ora che ho te ti prometto con tutto me stesso che lotterò con ogni forza per tornare. Cercherò di fare in modo che il mio sacrificio non sia necessario: me la sono cavata in situazioni peggiori, non credi che io abbia una possibilità di salvarmi?». Lo guardò negli occhi con il suo sorriso sicuro che vedeva al di là dei loro tristi confini, quel sorriso che Levi aveva deciso di seguire per avere vita. Per un attimo, un solo disperato attimo, gli credette. Annuì. «Grazie Levi» disse Erwin improvvisamente più sereno «Ti prego, fidati di me».

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Capitolo 2
*** La quiete prima della tempesta ***


La sera stava per calare anche sul loro ultimo giorno trascorso nelle mura. Levi aveva abbandonato la sua squadra perché come a ogni missione andassero a salutare i cari che erano loro rimasti. Lui non aveva più nessuno da rassicurare sul suo ritorno: tutta la sua vita, per quanto poco gli piacesse, si era ridotta all'interno dell'esercito e non aveva nessuno ad attenderlo. Si sedette sul camminamento delle mura e assaporò la vertigine che gli dava ancora ogni volta veder quello spazio senza confini che lo aspettava prepotentemente fuori. Gli gridava che era libero, che poteva sempre abbandonare quel mondo di orrori e cercare qualcosa di meglio. In fondo che cosa lo aveva trattenuto fino ad allora? «Ehi, posso restare un po' con te?». La voce di Erwin in qualche modo rispose alla sua domanda silenziosa. Aveva l'aria stanca con la quale tornava dalle riunioni e faceva un cenno per indicare il posto al suo fianco. Sì, esisteva ancora una ragione per rimanere in mezzo ai suoi simili. Gli fece segno di sedersi ed Erwin si sistemò accanto a lui respirando a fondo. Era dalla sera prima che non si vedevano e Levi non era sicuro di come comportarsi. «Come facevi a sapere che ero qui?» chiese sospettoso. «Non lo sapevo, infatti» rispose l'altro tranquillo «Sono venuto qui per riposare un po', ma sono contento di averti incontrato». Lo guardò negli occhi e Levi sentì il bisogno di stringerlo per la giacca e baciarlo. Erwin ricambiò abbracciandolo, poi si voltò a guardare il sole che stava ormai tramontando coprendo con pennellate vermiglie tutto ciò che sfiorava. Il cielo aveva assunto tutti i colori dell'iride e spargeva una luce calda e dorata. Erwin intrecciò le sue dita con quelle di Levi e osservò le nubi come se quella luce color bronzo gli rivelasse qualcosa di comprensibile a lui soltanto. «Non è in mondo meraviglioso?» chiese tenendo lo sguardo sull'orizzonte. Levi non seppe rispondere: quello che vedeva era bellissimo, ma era lo stesso mondo che voleva strapparlo all'uomo che amava. Erwin sembrò capire ciò a cui stava pensando e cominciò a dire «Senti, Levi, se domani dovessi...». Levi non volle ascoltare una parola di più e lo interruppe brusco. «Ti prego, non parliamone. Non questa sera. Facciamo finta che domani non esista: voglio fingere per almeno una notte di avere una vita normale. Felice, forse». Il comandante lo guardò, poi acconsentì comprensivo. Tornò a guardare il grande sole rosso che scompariva dietro l'orizzonte e si aggiustò distrattamente il ciuffo. Levi sorrise a quel gesto involontario e, senza che l'altro se lo aspettasse, lo agguantò per una spalla e gli scompigliò la testa a tradimento. «Lascia in pace i tuoi capelli!» esclamò divertito. Erwin protestò per scherzo mentre cercava di liberarsi, poi cedette volentieri e si lasciò tirare giù dall'altro. Si sdraiò sul camminamento e appoggiò la testa sulle sue cosce mentre Levi continuava ad accarezzagli i capelli. «Dal momento che non hai pietà per i tuoi sottoposti, dovresti almeno dare pace alla tua frangia che non ha nessuna voglia di stare là dove la sistemi la mattina» continuò con tono giocoso «Sei un maniaco della disciplina». «Questo ormai dovresti saperlo» replicò l'altro cercando di ripristinare l'ordine tra le sue ciocche chiare. Levi gli fermò la mano e gliela baciò, ma rincarò la dose per provocarlo «Andiamo, ammettilo: quanto tempo dedichi ogni mattino per pettinarti così da damerino?». Erwin gli mordicchiò per gioco il polso per liberarsi e ribatté «Smettila di insultare i miei capelli!». Il tono di Levi si ammorbidì e, chinatosi su di lui, lo baciò appena più e più volte per zittirlo, poi ammise «Scherzo, in realtà mi sono innamorato di te anche perché sei biondo». «Una grande dichiarazione, non c'è che dire» commentò Erwin fingendosi offeso. Non ci riuscì che per pochi secondi, poi lo guardò con curiosità e domando serio «Quando ti sei innamorato di me?». Levi non ci pensò quasi prima di rispondere «Praticamente subito. Non so quando me ne sono accorto davvero, ma so dirti quando per la prima volta mi sei sembrato diverso da tutto il resto del mondo» gli accarezzò una guancia guardando lontano «Ero appena entrato nell'esercito: combattevo cercando a tutti di dimostrare quanto fossi migliore, per una sorta di vendetta personale, e nel bene o nel male impressionavo chiunque mi vedesse... tu invece sei arrivato da me e, senza nessun interesse, mi hai detto semplicemente che avevo usato troppo gas». «E continui a farlo». Levi lo ignorò per proseguire il suo racconto «Mi hai smontato: hai mandato il mio orgoglio a fottersi e mi sono accorto di due cose. La prima era che tu non indossavi nessuna maschera, ti mostravi al mondo esattamente come eri senza paura. E questo ci faceva sembrare tutti delle merde al tuo confronto. La seconda era che mi andava bene anche se vedevi che ero una merda: eri l'unica persona al mondo a cui avrei potuto mostrare tutto di me; l'unico da cui mi sarei lasciato correggere e aiutare». Erwin accolse quella confessione in silenzio, ma tutto in lui diceva che era felice di quello che aveva sentito. Levi attese un po', poi domandò a sua volta «E tu? Quando ti sei innamorato di me?». IL comandante scoppiò a ridere e rispose «Ufficialmente ieri, quando per la prima volta mi sono accorto che non eri interessato a me solo perché ti davo uno stipendio». «Questo è perché sei un ottimo stratega, ma quando si deve parlare dei tuoi affari personali fai pena» replicò Levi «Se ne erano accorti tutti tranne te». «Devo ammettere la mia cecità» riconobbe Erwin alzando la mano in segno di scusa «Però, sai, c'era già stato un momento, molto tempo prima, in cui inconsciamente avevo preso ad amarti. È stato dopo la morte dei tuoi amici» le mani che Levi teneva sulle sue spalle si irrigidirono «Quando ho visto il tuo dolore, la tua disperazione, hai cambiato per sempre qualcosa di me. Li ho sentiti come se fossero miei e al tempo stesso mi sono accorto che tu avevi nel cuore più di chiunque altro. Da quel giorno ho giurato che tutto ciò che avrei fatto sarebbe stato per creare un mondo in cui saresti stato ricompensato per quella perdita. Non lo sapevo ancora, ma lì ho deciso che ti avrei amato». Levi non rispose nulla, perché non era certo che la voce avrebbe retto. Per la prima volta dopo anni sentì sciogliersi un poco la scheggia di ghiaccio che si portava nel cuore dalla morte dei suoi amici. Si strinse con tutte le forze che aveva alla schiena di Erwin e per ricomporsi alzò gli occhi verso il cielo che si copriva del velluto scuro della notte. Proprio sopra di lui si trovava una luce distante e flebile, come se l'avessero dimenticata per caso nell'immensità di quel manto nero, ma lui la indicò con un dito ed esclamò «Guarda, una stella!». Erwin la cercò con gli occhi e per farlo si tirò di nuovo su. «La prima stella...» mormorò. Si voltò verso di lui e raccontò come non si era mai spinto a fare «Sai, quando ero bambino io e mio papà avevamo un gioco: subito dopo il tramonto, nei giorni di bel tempo, uscivamo in cortile e aspettavamo che comparisse la prima stella. Il primo che la vedeva vinceva un premio». «Che genere di premio?» chiese Levi sorpreso dal fatto che il comandante si fosse aperto su un passato su cui era sempre reticente. «Qualunque cosa. Un biscotto, un sasso trovato per strada, una storia prima di andare a dormire...». «Quindi io cosa vinco?» lo interruppe Levi rivolgendogli un mezzo sorriso. Erwin sembrò colto alla sprovvista, ma poi sorrise e rispose con slancio «Ciò che vuoi». Per tutta risposta Levi gli mise le braccia attorno al collo e avvicinò il suo viso al proprio. Erwin lo baciò appena in modo dolce e Levi lo lasciò fare per un po', poi però si insinuò con la lingua tra le sue labbra e lo costrinse ad aprirsi a lui. Lo baciò ardentemente, stringendolo e quasi sedendoglisi sopra. Non gli importava che qualcuno li vedesse, non gli importava che fosse evidente il suo desiderio anche se non poteva averlo là in mezzo agli spalti. Rimase stretto a lui baciandolo come se fosse l'unico modo di possederlo veramente per sé solo, senza condividerlo con il resto del mondo che dirigeva. Erwin gli cinse la vita in un gesto che gli veniva spontaneo e che a Levi piaceva fino a impazzire: sentire le sue dita che gli accarezzavano i fianchi lo compiaceva allo stremo e percepì che anche il compagno avrebbe voluto avere il pieno controllo sul suo corpo, ma fu costretto a rinunciare perché lassù erano troppo visibili. Si separarono con il fiato ansimante e Levi fece per tornare al suo posto, ma Erwin lo trattenne e appoggiò la propria fronte alla sua per sentirlo vicino. Levi si accoccolò tra le sue gambe e tornò a guardare a notte tenendogli la mano. «Ho visto il cielo per la prima volta quando tu mi hai permesso di uscire all'aperto» disse a un certo punto, perso nei propri pensieri «E ogni sera provo la stessa emozione. Ogni volta che alzo gli occhi mi stupisco di quanto sia bello e mi spavento perché mi sembra impossibile che sia vero. Non è possibile che una simile meraviglia esista davvero per un criminale come me». La sua frase era morta in una sorta di accusa ferita, ma Erwin rispose con voce rassicurante «Ci sono le stelle a confermarlo». Indicò la manciata di piccole perle che li sovrastava e continuò «Le stelle serviranno sempre a mostrarti la differenza tra il cielo e il soffitto buio sotto cui hai vissuto. Se guardi le stelle ti rendi conto che questo dono è vero e che quindi tu lo meriti». Quella frase lo lasciò senza parole. Annaspò per diversi secondi prima di mormorare «Davvero merito di vivere?». Tutto il suo passato gli passò davanti premendogli sul cuore: lui non vedeva né giustificazioni né salvezza per quello che era stato costretto a diventare. Erwin si accorse del suo turbamento e rispose calmo «Chiunque sia stato amato ha il suo posto nel mondo» si chinò sul suo collo «Guarda le stelle per ricordarti che almeno per me sei stato la cosa più bella di tutta la mia vita». Levi avrebbe voluto trovare le parole adatte per rispondergli, ma l'altro si alzò prima che potesse farlo e scese dagli spalti per tornare all'interno. Levi si alzò a sua volta e lo seguì tenendosi al suo fianco. Camminarono così per diversi minuti, ognuno perso nei propri pensieri, ma a un certo punto Levi si accorse che Erwin si era fermato ed era rimasto indietro di un paio di passi. Si voltò stupito e si accorse che lo guardava con un'ombra negli occhi che prima non gli aveva visto, forse perché l'aveva tenuta nascosta a causa della promessa fatta di fingere che andasse tutto bene. Ora, guardando il suo volto fino ad allora determinato, Levi si sentì in colpa per averlo fatto recitare una tranquillità che non aveva. «Va tutto bene?» chiese con delicatezza. Erwin lo osservò, immobile salvo per gli occhi adombrati, e impiegò diversi secondi prima di ammettere «Levi, ho paura...». Levi non rispose, ma lo strinse forte a sé, questa volta come avrebbe fatto come un bambino, e rimasero così fino a quando non riuscirono a passarsi un po' di calore l'uno con l'altro.

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Capitolo 3
*** Il vuoto ***


Non c'era nulla. Attorno a lui non c'era nulla: le cose che erano successe in quegli ultimi giorni erano tutte ombre e illusioni. La missione, Shiganshina, il ritorno, i discorsi che avevano cercato di riversargli addosso... Finzioni e bugie, come quelle che gli aveva detto Erwin illudendolo che non sarebbe morto. Era rannicchiato nella sua stanza al buio, come sempre da quando era rientrato, in quello stato simile al delirio che non lo lasciava da allora. Era tutto finto, irreale... Fino a quando non avesse accettato la verità, forse sarebbe riuscito a resistere. C'era solo la rabbia. Rabbia nei confronti di Erwin, per avergli mentito e averlo lasciato solo... Perché fino a quando l'ira avesse nascosto il dolore, forse sarebbe riuscito a sopravvivere. Continuava ad aspettare che qualcuno lo svegliasse da quell'incubo. Attendeva una speranza, ma l'unica cosa che arrivò fu Hanje. La donna aprì la porta circospetta e il fascio di luce che entrò con lei abbagliò Levi, facendogli ritrarre il viso come una belva. Ignorò la presenza dell'amica fino quando non si fu seduta al suo fianco. «Levi...» mormorò. Se solo avesse tentato di consolarlo, l'avrebbe aggredita come un lupo ferito, ma lei non lo toccò e disse solo «Lo abbiamo preparato per il funerale. Vuoi vederlo?». Vedere cosa? Non c'era nulla da vedere... Perché parlavano di Erwin come se fosse morto? Che cosa pretendevano che fosse successo al comandante? Non poteva vederlo in quel momento, perché era troppo arrabbiato e gli avrebbe urlato contro: forse era meglio aspettare che si riprendesse un poco... Una parte della sua mente si accorse che stava impazzendo e lo riportò alla realtà. Senza accorgersene, senza volerlo, annuì. Hanje si alzò silenziosa e lo aiutò ad alzarsi, poi lo accompagnò attraverso i corridoi della caserma fino a una stanza poco illuminata. Lo fece entrare e rimase alle sue spalle per controllare che non commettesse pazzie. Levi alzò gli occhi sul letto posto sotto alla finestra e sul corpo che vi avevano rispettosamente composto. Erwin era sdraiato con cura, con il braccio sinistro sul cuore in quello strano saluto che aveva dovuto inventare. Avevano bendato e nascosto la ferita all'addome, ma non avevano potuto nascondere il pallore del suo volto immobile. L'unica cosa che in lui sembrava avere ancora una scintilla di vita erano i capelli che il sole faceva risplendere come fili d'oro. Levi odiò il sole. Odiò la luce che glielo mostrava e lo riportava a una verità insopportabile. Tutta la barriera di ottuso rancore che si era costruito per non crollare si sgretolò alla vista di quel corpo nel quale non riusciva più a ritrovare il suo comandante. Si avvicinò a lui barcollando come un ubriaco e gli prese la mano trattenendo il fiato e tremando. Gliela strinse e intrecciò le dita con le sue nella disperata speranza di sentirlo ricambiare. «Erwin...» mormorò. Serrò forte quel braccio inerte, lo baciò con il desiderio di urlare, ma non accadde nulla. Scoppiò a piangere come non aveva mai fatto. Sotto gli occhi vigili di Hanje, lasciò che i singhiozzi lo sconvolgessero mentre si lasciava cadere su Erwin abbracciandolo. Aveva perso la sua ultima ragione di vita: il suo comandante era morto e l'ultimo gesto che gli aveva rivolto era stato respingere la sua mano perché lo lasciasse andare. Si appoggiò al suo petto come aveva amato fare, ma questa volta non c'erano i battiti lenti del suo cuore a calmarlo; il suo respiro profondo che gli permetteva di addormentarsi senza incubi si era spento per sempre. Non ce la fece più. «Erwin... Erwin, ti prego, torna da me» implorò con la voce spezzata, accarezzandogli piano il volto. Sotto le sue dita il capo ormai incapace di reggersi si reclinò di lato. Era finita. Levi continuò a ripeterselo mentre il dolore si faceva così intenso da intorpidirlo. Sollevò con delicatezza il suo viso e lo baciò. Le labbra che si ostinava a sfiorare erano fredde e gli gelarono il cuore, ma non si ritrasse da quell'ultimo addio. Si staccò a fatica e fece per allontanarsi, poi però non ce la fece e tornò indietro quasi febbricitante. Si sdraiò al suo fianco come per fare attenzione a non svegliarlo e restò là. Prese la sua mano e se ne circondò la vita, tenendola stretta su di sé. Accoccolato contro di lui aveva quasi un'impressione di pace. Erwin era lontano da loro, ma lui lo avrebbe seguito come aveva giurato di fare. Fino alla fine. Sarebbe rimasto al suo fianco fino a quando non fosse riuscito a raggiungerlo: non c'era più nessun legame, nessuna promessa a tenerlo legato laggiù. Hanje gli si avvicinò preoccupata e sussurrò «Levi... Levi, dobbiamo andarcene». La ignorò. Ignorò la sua voce come se fosse venuta a dirgli di alzarsi la mattina e disse rivolto al comandante «Erwin, io non ce la faccio senza di te. Lasciati raggiungere». Hanje strinse i pugni: anche lei soffriva per il suo migliore amico, ma cercò di mascherare la tristezza per aiutare l'altro compagno rimasto. Si rivolse a lui con tono duro e ordinò «Levi, andiamocene. Lo devono preparare per il funerale: non puoi restare qua fino a quando il cadavere non comincerà a marcire. Sono già passati troppi giorni, non senti che puzza? Andiamo!». Levi si incupì alle sue parole e, voltatosi appena per stringersi di più a Erwin, rispose in un ringhio «No». La sua amica prese un respiro profondo e, fatto un passo verso di lui, lo agguantò per le braccia per tirarlo giù dal letto. Levi si divincolò e lottò, ma lei non mollò la presa nemmeno quando incominciò a morderla. «Puttana, lasciami andare!». La rissa durò per qualche minuto, poi caddero entrambi sul pavimento. Levi riuscì a liberarsi e la bloccò a terra tirandole un pugno sullo zigomo, ma lei non reagì più e urlò solo «Sei impazzito? Che cosa stai facendo?». Fece per colpirla di nuovo, ma questa volta Hanje si sollevò a sedere e gli bloccò la mano. Levi rimase qualche secondo immobile, poi gridò di frustrazione ingoiando le lacrime e la lasciò andare accasciandosi contro il muro. Si coprì gli occhi con le mani e disse disperato «Hanje. Io non ho più un motivo per vivere... Voglio morire». Lei lo guardò comprensiva e rispose piano «È per questo che lui prima di partire mi ha voluto dare questo» frugò nella tasca della divisa e ne tirò fuori un foglio ripiegato «Tieni, sono le sue ultime parole e sono rivolte a te». Lo porse a Levi, che non riuscì ad accettarlo subito. Lo prese riluttante e lo aprì con gesti quasi impacciati. Non lasciò trapelare nulla mentre leggeva, ma alla fine lo ripiegò con cura e se lo rimise in tasca. Alzò gli occhi su Hanje, che attendeva ansiosa, e si alzò in piedi. Il suo sguardo era duro come l'acciaio e freddo come una tomba: ogni traccia di emozione era stata nascosta dalle ombre dei suoi occhi. «Andiamo» disse soltanto.

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Capitolo 4
*** Le ali della libertà ***


Il giorno del funerale diluviava. Il cielo livido non lasciava trapelare nessuna spiegazione per quanto era successo e la pioggia scrosciava sui presenti come per sostituire tutte le lacrime che non vennero versate. Levi non si curava dell'acqua che gli colava sul volto e sul cappotto perché era come se una barriera si fosse frapposta tra lui e il mondo. Non soffriva più come i primi giorni, tutto il suo dolore si era pietrificato in una calma stanca che lo lasciava insensibile: guardava con occhi vuoti la bara di legno che lo separava dal corpo del suo amato e in qualche modo quell'ostacolo lo estraniava. Ormai apparteneva a un mondo in cui i vivi non avevano spazio. Anche le altre persone sembravano accorgersene e si tenevano alla larga da lui e dal suo volto perso dietro ai fantasmi. Lo ignoravano così come lui ignorava loro: ora che non c'era più Erwin a unirli, aveva perso ogni interesse nei confronti di quanti lo circondavano. Non c'era più nessuna ragione per restare. Non aveva dovuto organizzare nulla per le esequie perché la Polizia militare, con la scusa delle loro perdite, si era occupata di tutto. Avevano sequestrato quel funerale nel quale non avevano voce in capitolo e ora riempivano la ferita di altri con i loro discorsi infamanti. Parlavano di Erwin e del suo valore dopo averlo insultato per tutta la vita e distorcevano il suo ultimo ritratto con arroganza. Levi poteva percepire alle sue spalle la rabbia della propria squadra, costretta a subire quelle menzogne che suonavano come affronti, e si accorse che se la Polizia avesse tirato troppo la corda non avrebbe potuto trattenerli. Lui si obbligava a non ascoltare. Fino a quando lo avessero lasciato oltre il suo confine, fino a quando lo avessero dimenticato assieme alla bara che stavano coprendo di terra, tutto sarebbe stato sopportabile. Improvvisamente, nella triste messinscena che era quella cerimonia, chiesero al comandante della Legione di dire qualcosa e Hanje si fece avanti con lo sguardo cupo. Tutti si aspettavano che tenesse un discorso, ma lei esitò per qualche secondo, furiosa, poi si avvicinò a Levi e gli fece cenno di andare al posto suo. Levi la guardò con occhi di fiamme, odiandola per averlo costretto ancora una volta a tornare alla realtà, ma incontrò il suo viso e capì che era giusto così. Non gli era concesso fuggire: almeno alla fine era giusto che qualcuno dicesse la verità e facesse giustizia a Erwin. «Non rispondo delle mie parole» minacciò in un soffio. Hanje alzò le spalle: era ciò che voleva. Levi fece un respiro profondo e si portò nel mezzo dello spiazzo. Aveva addosso gli occhi di metà esercito, ma l'unica cosa che riusciva a farsi spazio nella sua coscienza era la bara di legno massiccio che attendeva nella fossa. Si tolse i capelli bagnati dalla fronte ed esordì ad alta voce «Non ho nessun diritto di parlare a nome del comandante Smith, come non ce l'ha nessuno dei presenti. Cercare di dire cosa ci fosse nella sua testa è soltanto presunzione di merda: credo che tra tutti noi non ci fosse uno solo in grado di capirlo veramente, quindi chiudete quelle bocche del cazzo e ingoiatevi i vostri discorsi!» ignorò i mormorii contrariati che si levarono attorno a lui e continuò «L'unica persona che vale la pena ascoltare oggi è lui stesso, quindi lasciate che vi legga le sue ultime parole». Mise una mano in tasca e ne tirò fuori il foglietto che gli aveva dato Hanje. Lo protesse con la manica del cappotto perché la pioggia non lo rovinasse e lo aprì con il cuore in gola. Non avrebbe voluto condividere con nessuno quel tesoro, tanto meno con i suoi nemici, ma sapeva che era giusto farlo. Quanto meno lo doveva ai suoi uomini. Prese un respiro profondo, poi iniziò a leggere l'ultima lettera di Erwin. «Perdonami Levi» disse con voce roca «Ho sempre saputo che sarei morto così, lottando per voi, per salvarvi, perché siete l'unica cosa per cui valga la pena morire. Ero orgoglioso della strada che avevo scelto, poi ho incontrato persone come te che mi avrebbero pianto e ho iniziato ad avere paura. Scusami, Levi, se ti infliggo un nuovo lutto. Scusami se ti lascio ancora una volta solo. Se le mie non sono solo illusioni, io sarò l'ultima vittima» esitò un secondo «Ti pregò non ti lasciare schiacciare: sei l'unica persona rimasta per loro, non perderti dietro ai nostri fantasmi. Vivi per dare la vita, ti imploro. È il mio ultimo ordine. Non seguirmi: portali a vedere il mare e quando ti chiederanno di me chiedi perdono a nome del loro comandante, perché anche se li ho amati non sono riuscito a proteggerli». Terminò con la voce spezzata e abbassò gli occhi cercando di riacquistare il controllo mentre riponeva il biglietto nella divisa. «Ha voluto che questo fosse il suo testamento» mormorò piano «Non sprecatelo». Nel cimitero era calato un silenzio assoluto. Stavano in silenzio tutti coloro che avevano servito Erwin e stavano in silenzio tutti coloro che lo avevano osteggiato: in qualche modo quelle parole erano stato il suo ultimo colpo di stato. Levi quasi gustò la cappa di gelo che si era stesa sulla folla: aveva avuto paura di parlare perché temeva che sarebbe crollato di nuovo, ma a quanto pareva anche il suo dolore si era spezzato con lui. Non aveva più nulla a che vedere con quella gente, era ora di andarsene, però c'era ancora un compito da portare a termine. Alzò il capo con una sicurezza che non sapeva più di avere e disse con voce sarcastica «Ho promesso che non avrei detto niente di mio, ma dopo questa toccante cerimonia credo di dover fare alcuni ringraziamenti» si voltò verso gli alti ufficiali e sorrise loro con cattiveria «Innanzitutto devo ringraziare la Polizia militare: nessuno aveva chiesto loro di venirci a rompere i coglioni con i loro convenevoli del cazzo, ma si sono sentiti in dovere di non lasciarci in pace nemmeno in un giorno come questo». I soldati della Gendarmeria si irrigidirono ostili, ma lui riprese senza lasciare il tempo di reagire «Ci avete ostacolato in ogni modo, avete cercato di distruggerci, ci avete mandato a morire per proteggere i vostri preziosi culi, avete torturato Erwin... Vi ringrazio di esservi presi la briga di venire al suo funerale anche dopo tutti questi crimini». Diede le spalle ai commenti indignati che aveva scatenato e continuò sicuro «Ringrazio la Guarnigione, sinceramente, perché ci ha supportati quando era bene farlo e in particolar modo il comandante Pixies perché, anche se non lo appoggiava sempre, ha continuato ad aiutare Erwin a fare la cosa giusta» si voltò verso i soldati che aspettavano dietro di lui, ridicolmente pochi, ed esclamò forte come se avesse avuto davanti un esercito «Ringrazio voi, le Ali della Libertà, perché lo avete seguito fin qui! Grazie per il vostro coraggio e i vostri dubbi perché vi rendono le uniche persone in grado di portare a termine il suo sogno, anche se ora vi sembra di essere stati sconfitti. Io non sono mai riuscito a capirlo, ma so che voi ce la farete!». L'aria era piena di tensione, ma non si alzava più nemmeno una voce: tutti gli occhi erano puntati su Levi, perché sarebbe bastata una sua parola per scatenare il caos. A lui non importava. Aveva già detto addio a tutti loro. «Ringrazio il comandante Zoe per essere stata la nostra migliore amica, mia e sua, e forse un giorno riuscirò a perdonarla per avermi impedito di morire». Trattenne il fiato chinandosi sulla tomba e in quel momento tutto il resto cessò di esistere. Non avrebbe saputo dire se quelle che gli scorrevano sul viso fossero gocce di pioggia o lacrime, ma aveva poca importanza in quell'istante fuori dal tempo nel quale neanche il suo corpo sembrava appartenergli. «Ringrazio te, Erwin» aggiunse in un mormorio dolce «per avermi dato la vita. Mi hai preso come tuo sottoposto nonostante tutti i miei delitti. Hai permesso che giurassi fedeltà soltanto a te, mi hai dato una meta dove andare perché vedevi più lontano di me. Mi hai dedicato i tuoi ultimi giorni» fece una pausa «Hai accettato di lasciarti amare da me e mi hai amato a tua volta. Mi hai dato tutto te stesso ed è stato l'unico dono che io abbia mai ricevuto». Quella era l'accusa di cui avevano bisogno. Non appena ebbe finito, gli uomini della Gendarmeria si fecero avanti minacciosi, ma lui estrasse lentamente le spade e riuscì a zittirli con quell'unico gesto. «Ora che avete sentito questa confessione, potete finalmente venirmi a prendere e farmi pagare gli insulti di prima» esclamò duro «Ma sappiate che non mi lascerò portare via senza combattere, per il solo fatto che non permetterò ai nemici di Erwin di toccarmi senza cercare di ammazzarne il maggior numero possibile» roteò le lame facendole scintillare nella luce cupa delle nubi «Ma prima di venire a sgozzarvi contro le mie spade, ascoltate ciò che devo dire. Vi do l'opportunità di liberarvi di me senza mandare a morire nessuno: mi esilio da solo». Aspettò la reazione inevitabile a quella decisione apparentemente assurda. «Uscirò dalle mura, non per farmi ammazzare, come potreste supporre, ma per cercare di vivere, perché qui non posso più farlo» distolse lo sguardo dalla folla e concluse brusco «È la mia ultima opportunità di obbedire al mio comandante, per cui non rompetemi le palle e lasciatemi andare!». Si voltò e tornò sui suoi passi. Che lo attaccassero, se ne avevano il coraggio: avrebbero finalmente scoperto di cosa fosse in grado quando non c'era nessuno a trattenerlo. Gli uomini della Gendarmeria avanzarono veloci e si prepararono a colpire, ma in quel momento la sua squadra si richiuse ad ala attorno a lui e portò la mano alle spade. Gli avversari esitarono un secondo, ma quando Mikasa si preparò a combattere preferirono ritirarsi. Lo lasciarono passare e Levi non poté non sentirsi suo malgrado orgoglioso. Nessuno dei loro corpi scelti sarebbe stato in grado di competere con uno solo dei suoi sottoposti: la resistenza di Erwin non sarebbe caduta con lui. Non fece nulla per dire addio ai suoi compagni, se ne andò mentre gli coprivano le spalle e si allontanò da tutto. Abbandonò la caserma e, preso un cavallo, si avvicinò al cancello. Con il tramonto aveva smesso di piovere e ora il cielo era coperto di nubi pesanti. Non si accorse subito della figura che lo aspettava davanti all'uscita e fu Hanje ad avvicinarsi per prima, con ancora il cappotto fradicio addosso. Lo aveva seguito fino a lì, ma non disse nulla perché in fondo non c'era nulla da dire. Levi la guardò, poi si tolse lentamente la divisa e gliela gettò addosso. Hanje la prese al volo e lo osservò mentre si accomodava il sistema senza segni di riconoscimento addosso. «Tornerai?» chiese soltanto. Levi alzò le spalle. Non lo sapeva e non voleva pensarci. L'unica cosa di cui era certo era che, se voleva obbedire, doveva allontanarsi il più possibile da quelle mura che avevano preteso la vita di Erwin. Non salutò Hanje, anche se rimase ad aprire il cancello per lui, e galoppò fino a quando ebbe forze. Solo allora, quando si ritrovò solo in terra scoperta, riuscì di nuovo a respirare. Non aveva paura dei giganti, ma non riusciva più a trovare in sé altro che disperazione: cosa resisteva ora che era rimasto solo per sempre? Gli sembrava di affogare in un mare nero e senza coste. E proprio quando gli sembrò che le tenebre lo avessero inghiottito, le nubi si squarciarono lasciando intravvedere uno spicchio di cielo. Alzò gli occhi per guardarlo e lei era là, con la sua luce fioca e traballante, che lo chiamava indietro. Levi riuscì a rivolgere un sorriso stanco alla prima stella e mormorò tra sé e sé «Ho vinto di nuovo, Erwin» chinò il capo in un dialogo silenzioso «Vivere, che razza di ordine... Vedrò quel che posso fare, ma non ti garantisco nulla». Si fermò e, con un movimento delle dita, indirizzò un bacio alla stella solitaria. «Tu però non lasciarmi più solo».

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