Le Cronache di Castiorn e Terandum

di _maers_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gemelli ***
Capitolo 2: *** Tempeste ***
Capitolo 3: *** Punizione ***
Capitolo 4: *** Hans ***



Capitolo 1
*** Gemelli ***


 
 
 

Capitolo 1: GEMELLI

 
 



 
<< Quindi, con la Peste Nera, i Mollicci cominciarono ad assumere la forma di topi e fu così che poterono espandersi per tutta l’Europa. >>
Graevriel intinse velocemente la penna d’oca nel calamaio e scrisse l’ultima riga di appunti sulla pergamena giallastra. Una mano si alzò da qualche banco dietro di lui. La voce dolce di una ragazza chiese: << Perciò i Mollicci si nutrirono della paura delle persone per diffondersi ancora di più… e aumentare quella stessa paura? >>
<< Esatto. Gigli ha notato un dettaglio importante: il comportamento dei Mollicci, in quella particolare situazione, fa presupporre che essi non usino la paura solamente come mezzo di difesa, ma che se ne nutrano e godano nello spaventare le persone. Certo è che eventi del genere non si sono più ripetuti, o per lo meno non ne abbiamo traccia: potrebbe essersi trattato di un caso isolato. La natura, come le creature che la abitano, non è mai così schematica come i libri di testo la descrivono. Ricordate le mie parole, e un giorno potrebbero salvarvi la pelle. >>
Come per cogliere l’attimo, la campana suonò proprio alla fine del discorso del Professor Hausladen. Ventitre studenti corsero fuori dall’aula, dividendosi in due file che si diressero alle rispettive Torri. A Gaevriel si accodò un altro ragazzo, tale e quale a lui tranne che per il colore molto più chiaro dei capelli: un biondo platino tendente al candido. Aron sarebbe potuto passare per la fotocopia del gemello, se questo non avesse avuto una chioma di capelli castani scuri: l’altezza, gli occhi color ghiaccio, il neo poco sopra lo zigomo sinistro… tutto il resto dell’aspetto esteriore coincideva perfettamente nei due fratelli.
<< Hai deciso, alla fine, quando dichiararti a Sveva? >> chiese Aron, con tono annoiato.
<< Quanto sei all’antica! Ormai fra ragazzi non ci si “dichiara” più! La inveterò ad uscire... Domenica! >> Gaevriel aveva sempre avuto il vizio di gesticolare animatamente quando parlava di argomenti complicati, interessanti o estremamente imbarazzanti.
<< Dici la stessa cosa ogni settimana. >>
<< In che situazione mi sono cacciato, se adesso persino mio fratello mi fa la predica sulle relazioni interpersonali! >>
Aron non poté trattenere un sorriso genuino. << Questo dovrebbe farti comprendere quanto tu la stia tirando inutilmente per le lunghe. Praticamente lo sa tutto il Terzo Anno che Sveva stravede per te! >>
<< E tu cosa ne sai? >> Il fratello moro arrossì leggermente. << Esci dalla Torre solamente per le lezioni. >>
<< Non per questo voglio rimanere disinformato. E poi anche io frequento Sveva… >>
<< Solo quando ti trascino in cortile a prendere una boccata d’aria. Dovresti ringraziarmi, sai? Faresti la muffa nel dormitorio se non fosse per me. >>
<< Non cercare di cambiare discorso >> lo rimbeccò l’altro. << E poi mi bastano quelle sporadiche volte per notare come ti guarda. Sul serio, è illogico che tu sia l’unico a non accorgertene. >>
<< Non puoi spiegare le faccende di cuore con la logica, fratello. Te l’avrò ripetuto miliardi di volte. >>
<< E io sono miliardi di volte che ti rispondo che non c’è niente che non possa essere spiegato con la logica. >>
Gaevriel tirò un finto sospiro esasperato. << Come vuoi, Mister Viva-I-Numeri… >>
Erano arrivati al decimo piano, davanti a un dipinto di un uomo ad altezza naturale. Un principe vestito di drappi e seta era seduto su un trono sontuoso e nella mano sinistra stringeva uno zaffiro, che lucidava attentamente con un fazzoletto bianco. Dopo qualche secondo sollevò lo sguardo verso di loro, palesemente seccato. << Parola d’ordine? >> Il suo tono faceva intuire che avrebbe avuto di gran lunga di meglio da fare, a suo dire, piuttosto che gestire il via vai degli studenti di quel torrione.
<< Lux versus Tenebram >> risposero in coro i due gemelli.
Un lato del quadro si staccò dalla parete e, ruotando su se stesso, concedette l’accesso alla Torre di Zaffiro, una delle tre Sale di Ritrovo della Scuola di Magia e Stregoneria di Castiorn.
L’interno era pieno di studenti di ogni età, impegnati nelle solite frivolezze di fine giornata di studio. C’era chi giocava a gobbiglie, chi a sparaschiocco, chi conversava tranquillamente seduto sulle poltrone blu e azzurre intonate con tutto il resto dell’arredamento. Aron si diresse verso una porta di legno all’altra estremità della stanza, Gaevriel adocchiò due ragazzi del Quinto Anno concentrati in una partita di scacchi.
<< Alascura >> disse, rivolgendosi al fratello e affrettandosi a seguirlo, mentre quello imboccava una stretta scala a chiocciola che conduceva al dormitorio maschile, a quell’ora ancora completamente vuoto. << Dovrei chiederti una cosa… >>
<< Hai sempre qualcosa da chiedermi, Azzannante, quando usi i nostri nomi >> Aron si stese sul suo letto, foderato come tutti gli altri da un caldo e soffice lenzuolo azzurro, e afferrò una copia di “Astronomia avanzata, Universi Paralleli” dal comodino.
<< Beh… >> Gaevriel infilò le mani nei pantaloni bianchi della divisa scolastica. << Hai presente la partita che devi fare contro Flitt, stasera? >>
Gli occhi chiari dell’altro ragazzo fecero capolino da sopra il tomo, in uno sguardo gelido. << Sì, ce l’ho presente. Suppongo di poterlo battere in dodici mosse. >> “Giusto uno del Settimo Anno può durare così tanto” pensò fra sé e sé, senza distogliere l’attenzione dal fratello. Già immaginava dove volesse arrivare, e infatti…
<< Ecco, parlando di quelle dodici mosse… Non è che potresti, che so, arrivare fino a quindici? >>
<< E perché mai? Non è mica colpa mia se punti sempre sugli altri. Se vuoi guadagnare qualche soldo, scommetti su di me, lo sai che la mia vittoria è assicurata. >>
<< Proprio per questo non posso! Sei valutato troppo poco, mi tocca puntare un galeone per vincere uno zellino. Andiamo, Alascura! Quei soldi servono a tutti e due! >>
Aron detestava truccare le partite, soprattutto se significava non poter dare il massimo delle sue capacità, ma le argomentazioni di Gaevriel erano inattaccabili.
<< E va bene >> cedette, sbuffando. << Ma voglio la tua porzione di dolce. >>
Ritornò a leggere il libro, insensibile all’occhiata omicida che il gemello gli aveva lanciato. Questo, rinunciando all’ottima torta al cioccolato in programma nel menù della sera, si sedette sul letto accanto a quello di Aron e iniziò a rovistare nella borsa. << Non ti pare un po’ presto per studiare argomenti tanto avanzati? La teoria degli Universi Paralleli è roba del Settimo Anno. >>
<< Devo prepararmi per l’esame di ammissione all’Ordine. Si dice che serva almeno un’infarinatura generale delle nuove materie, per passarlo. >>
<< E questa tu la chiami infarinatura generale? Rallenta fratello, o non ti rimarrà più niente da studiare al Quarto Anno… >> finalmente, Gaevriel sembrò aver trovato quello che cercava. Tirò fuori dalla tracolla un piccolo tulipano, piantato in un vaso.
<< Cos’è, il tuo regalo per Sveva? >> lo canzonò il gemello.
<< Molto divertente. Me lo porto dietro da Erbologia. >>
Il tulipano cominciò a emettere una dolce e delicata musica, mentre i suoi petali, ammaccati per essere stati schiacciati per due ore da pesanti libri di testo, si illuminavano di luce dorata. Gaevriel passò velocemente una mano sopra il fiore, lo stelo e i petali di questo si raddrizzarono, prendendo nuovo vigore e un colore più acceso.
<< Stai migliorando >> notò Aron, appoggiando di nuovo Astronomia avanzata sul comodino e sedendosi a sua volta; poi osservò con attenzione il fratello e drizzò le orecchie per sentire se qualcuno stesse salendo le scale per entrare in camera. Tirò quindi fuori la bacchetta da una tasca del mantello e la puntò contro la porta. << Peturbatus finis! >>
Gaevriel non ebbe alcuna reazione alla magia del gemello dai capelli di platino. Anzi, continuò a osservare intensamente il tulipano poggiato sulle sue ginocchia, come se fosse custode di chissà quale arcana conoscenza. Anche Aron, ringraziando per l’ennesima volta il cielo che il Professor Proietti gli avesse insegnato quell’incantesimo, si chinò verso il piccolo fiore, sgomberando la mente e regolarizzando il respiro.
<< Sono pronto quando vuoi >> disse Gaevriel, dopo un minuto di completo silenzio.
<< Allora cominciamo. >>
Inizialmente non accadde nulla. Rivoli di sudore cominciarono a scendere dalla fronte dei due gemelli, che fissavano la pianticella così intensamente da non battere nemmeno le palpebre. Poi, tutto a un tratto, le foglie del tulipano cominciarono ad afflosciarsi, una a una. Lo stelo stava lentamente diventando più scuro, quasi nero, il fiore perdeva la sua luminosità, la musica si affievoliva sempre di più… Quando però sembrava che la morte dovesse cogliere prematuramente il magico tulipano, eccolo rinvigorirsi: lo stelo tornò dritto e di un bel colore verde speranza, i petali divennero più brillanti e resistenti.
Aron si lasciò scappare un piccolo sbuffo e l’accenno di un sorriso piegò per un secondo le labbra di Gaevriel.
Tuttavia, il fiore cominciò nuovamente a corrompersi. Stavolta la malattia progrediva più velocemente e cominciò a intaccare perfino le radici. Gaevriel emise un debole gemito e per un momento la pianta si raddrizzò ancora, svettando alta e fiera contro il male che la stava prendendo. Poi, tutto finì. I petali si accartocciarono su se stessi, ridotti a poco più che polvere; il gambo, divenuto troppo esile per sopportare il peso del tulipano morto, si spezzò.
Con un sospiro di frustrazione, Gaevriel si buttò sul letto, tenendosi la testa con tutte e due le mani; lo stesso fece Aron. << Questa volta ho vinto io >> gongolò, con una leggera espressione di dolore dipinta sul viso.
<< Ero stanco per averlo tenuto in vita durante le lezioni. Non ero al mio massimo >> ribatté il fratello.
<< Non sai ammettere la sconfitta, Azzannante. Piuttosto, i mal di testa stanno migliorando. Adesso riusciamo perfino a parlare… >>
<< Sì, ma non me la sento di sostenere una conversazione troppo impegnativa… >> I due scoppiarono in una breve risata.
Dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dallo sporadico ansimare dei gemelli, Aron chiese: << Riusciremo mai a capire perché sappiamo farlo? >>
La risposta di Gaevriel arrivò solo dopo una manciata di secondi: << Lo dici ogni volta che finiamo un allenamento. Penso sia un po’ come l’Occhio Interiore, il dono della Metamorfosi o la Rettilofonia. Ci nasci e basta. >>
<< Non ci credi davvero >> Aron conosceva troppo bene suo fratello per pensare che potesse essere davvero di un parere così banale. << La verità è che sei curioso anche tu. >>
<< Certo che sono curioso! >> Il ragazzo moro si drizzò a sedere. << Ma è una domanda a cui non sappiamo dare una risposta. Per la barba di Merlino, non mi stupirebbe se nessuno al mondo potesse trovare una soluzione! >>
Aron stava per rispondere che una spiegazione c’è sempre e doveva esserci anche in quel caso, ma uno scampanellio nella sua testa lo avvisò che qualcuno si stava avvicinando.
<< L’incantesimo si è attivato >> disse, riafferrando il libro, mentre Gaevriel si sbrigava a nascondere il tulipano di nuovo dentro la borsa. Proprio in quel momento, si aprì la porta del dormitorio e ne entrò un ragazzo dai cespugliosi capelli castani.
<< Ciao, Leo >> mormorò Gaevriel, alle prese con le cinghie della tracolla. L’altro ragazzo gli rivolse un cenno di saluto e si rivolse ad Aron: << Flitt aspetta nella Sala Grande. >>
Con un cenno d’assenso, Aron chiuse il libro, lasciandolo sul letto, e uscì dalla camera. Leo mise una mano sulla spalla dell’altro compagno di Torre e, sussurrando, gli chiese: << Allora? Lo hai convinto a vincere in minimo diciassette mosse? Ho puntato ben tre galeoni! >>
Gaevriel seppe mantenere un tono più che impassibile. << Non so… potrebbe sempre darsi. Mai perdere la speranza! >>
I corridoi erano affollati da tutti gli studenti che tornavano o si dirigevano al cortile esterno, da quelli che ancora dovevano raggiungere la loro Sala di Ritrovo, o dai più rari che avevano come meta la biblioteca, per avvantaggiarsi i compiti prima del weekend. Tutti indossavano pantaloni bianchi, ma il colore delle loro vesti non era solo blu, come quelle di Aron, Leo e Gaevriel, ma anche rosso cremisi e verde chiaro.
Superarono un passaggio segreto dietro il ritratto di un elegante signore con bastone e cappello a cilindro, e arrivarono infine a un grande scala di marmo, che portava fino al mastodontico ingresso della Sala Grande, decorato con due imponenti statue di draghi ai lati. Era il luogo adibito ai pasti e al ritrovo degli studenti durante le pause dalle lezioni. L’illuminazione era garantita di giorno da alte finestre che correvano per tutte le pareti di pietra, mentre di notte piccole sfere di luce dorata fluttuavano sopra i quattro tavoli disposti parallelamente. Uno di questi, all’estremità destra della sala, era drappeggiato con una tovaglia vermiglia. Lì intorno erano riuniti molti ragazzi che indossavano una maglia dello stesso colore, intenti a supportare un loro compagno, seduto con fare pensieroso davanti a una piccola scacchiera.
<< Forza, Christian! Lo batterai di sicuro, hai quattro anni più di lui! >>
<< Infatti, scommetto che lo distruggerai in due secondi! >>
<< Alla Torre di Rubino servono i punti del torneo, non farteli scappare! >>
Un grave silenzio calò sulla folla, quando il terzetto si fece più vicino. Aron si andò tranquillamente a sedere dal lato opposto della tavola e Gaevriel tirò fuori la bacchetta, mentre Leo saettava nervoso gli occhi fra i due sfidanti.
<< Inizia la finale dell’annuale torneo di scacchi, fra Christian Flitt della Torre di Rubino, Ordine d’Ottone, e Aron Ferrante della Torre di Zaffiro >> esclamò il gemello moro, colpendo con la punta della bacchetta un pedone bianco al centro della plancia di gioco. Questo si animò improvvisamente, si guardò un po’ intorno e poi si diresse verso Flitt. << La prima mossa allo studente di Rubino. Che il gioco cominci! >>
 
<< Troppo facile >> Fece Aron, mentre usciva dalla Sala Grande con il suo esaltato gemello, dalle tasche appesantite, e con un mogio Leo, dalle tasche alleggerite.
<< Penso che la Coppa delle Torri sarà nostra anche quest’anno >> esclamò Gaevriel.
<< Già >> un po’ del buonumore era tornato anche a Leo. << Abbiamo vinto la prima partita di Quidditch e anche quella di scacchi. In più, con tutti i voti alti di Aron, abbiamo guadagnato ancora più punti. Quelli della Torre di Smeraldo non possono raggiungerci, neanche con tutto l'anno davanti. >>
<< E con questo fanno tre anni di fila >> Gaevriel incrociò le mani dietro la nuca. << Da quando siamo arrivati noi, la Torre di Zaffiro ha fatto faville! >>
<< Che vi va di fare? Mancano ancora tre quarti d’ora alla cena. >>
<< Io vado in Biblioteca >> disse freddamente il campione di scacchi. << Ho bisogno di un libro sulle Rune Antiche. >>
<< Ma non ne hai già preso in prestito uno? >> domandò Leo. << Mi pare che non si possa portare fuori dalla Biblioteca più di un libro alla volta. >>
Gaevriel alzò le spalle e scosse la testa. << Si sa che Anita fa favoritismi. Aron potrebbe anche prendere in prestito tutta la collezione, e a quella megera di una bibliotecaria non importerebbe un fico secco! >>
<< A proposito di Aron, dov’ è finito? >>
Il ragazzo, senza attendere risposta dagli altri due, aveva imboccato da solo un corridoio laterale, per tagliare più velocemente verso la Biblioteca.
Il fratello non ne restò sorpreso. << Sai com’è fatto: quando si tratta di libri e di studio, non perde mai troppo tempo in chiacchiere. >>
Leo, come sovente, sembrò quasi preoccupato: << Gavriel, lui dà ascolto solamente a te. Dovresti convincerlo a non essere così reticente con gli altri. Se lo conosco, dopo aver preso quel libro se ne tornerà al dormitorio della Torre e lì resterà fino a cena; scenderà giusto per mangiare un boccone e tornerà di nuovo a leggere fino a notte fonda, senza spiaccicare parola con nessuno. >>
L’altro ragazzo trattenne a malapena un sorriso sarcastico e malinconico. “No, Leo. Non lo conosci quasi per niente”.
Infatti, non era raro – anzi, si poteva dire che accadesse quasi sempre dopo aver utilizzato la sua singolare abilità –, che Aron si chiudesse ancora di più in se stesso.
Faceva finta di dover leggere un libro o portarsi avanti con i compiti, ma in verità passava le ore a riflettere sull’unico problema che non sapeva risolvere.
Lui e il fratello chiamavano i loro poteri:  “Accendere” e “Spegnere”. Fin da quando avevano memoria, Gaevriel era sempre stato capace di creare calore dal nulla, di rinvigorire piante e animali, di manipolare il fuoco; Aron, invece, riusciva a provocare tristezza negli animi delle persone, a indebolire la vita e a controllare il freddo. Avevano custodito queste loro abilità gelosamente, guidati da un saggio istinto che diceva loro di non rivelare a nessuno di cosa fossero capaci.
Per Gaevriel era facile convivere con questo fardello, la sua personalità solare ben si accompagnava al potere di Accendere, ed era sempre stato grato di quella sua dote; Aron invece non faceva altro che tormentarsi sulla causa di quel misterioso fenomeno e sul perché proprio lui fosse patrono di qualcosa di tanto sinistro come lo Spegnere.
Il gemello, ovviamente, non ci vedeva niente di malvagio. “Sono le nostre scelte che dimostrano quello che siamo veramente, molto più delle nostre capacità” continuava così a citare un famoso mago inglese, ma ad Aron non bastava qualche frase fatta per placare la sua morbosa curiosità.
“Avevo sperato che a Castiorn ci potessero essere le risposte che cercavo” pensava, mentre con il libro Congruenze fra le Antiche Rune e le Lineari dei popoli Greci sotto braccio si dirigeva verso la sua Sala di Ritrovo. “Pensavo che, almeno nel mondo dei maghi, doti simili fossero comuni… Non potevo essere più in errore di così”.
 
 
***

 
 
Ci si annoiava, quel lontano giorno di Novembre, all’orfanotrofio di San Giorgio. Incuranti del vento freddo che tirava fuori dalle mura del complesso, due minute figure, imbacuccate in scuri cappotti rattoppati, correvano per il cortile.
<< Gaevriel, vieni a vedere! >> il bambino dagli scompigliati capelli bianchi chiamava l’altro a gran voce, identico a lui eccetto che per la chioma dal colore molto più scuro. Indicava con veemenza un piccolo picchio a terra, dall’aria stanca e affamata. L’ala sinistra pendeva con un’angolazione innaturale. Il gemello gli si avvicinò e si inginocchio davanti l’animaletto ferito.
<< Non possiamo lascialo qui >> disse. << Fa troppo freddo, morirà. >>
<< La Signora Cetri però non ci lascia tenere animali… >> Aron era preoccupato dei guai in cui sarebbero potuti incorrere se avessero portato l’uccellino dentro l’orfanotrofio. Come minimo, avrebbero saltato la cena per tutta la settimana, e forse gli sarebbe toccato anche passare il pomeriggio con Bernardo, il giardiniere. Un brivido percorse la schiena di Aron al solo pensiero.
Gaevriel, però, sembrava fin troppo deciso. << Lo nasconderemo. E’ piccolo, non ci vedrà nessuno. >>
Quatti quatti, con il picchio nella tasca del giacchetto di Gaevriel, rientrarono nell’edificio, passando davanti la porta chiusa dell’ufficio della Signora Cetri con il cuore che batteva all’impazzata, per poi salire su per le scale fino alla loro stanza. La condividevano con Marco, un bambino di un paio d’anni più grande di loro, non troppo sveglio e  che non sarebbe stato un problema per il loro “piccolo crimine”. Tra l’altro, in quel momento non era in camera: probabilmente si trovava nella sala della ricreazione a dare fastidio agli altri orfanelli più piccoli.
Aron, il più veloce e silenzioso dei due, sgattaiolò in cucina per sgraffignare un pezzo di pane. Si appostò dietro alla porta socchiusa e osservò il giovane aiuto cuoco dal naso storto intento a tagliuzzare dei broccoli per la minestra della sera. Reprimendo lo sconforto alla vista di ciò che avrebbe mangiato di lì a poco, si concentrò su una padella appesa al muro opposto rispetto alla porta. Era un trucco che lui e suo fratello avevano già provato tantissime volte. Come previsto, la padella cominciò a oscillare avanti e indietro, fino a che non cadde a terra, con un frastuono assordante che rimbombò per tutta la cucina.
<< Giovanni! Ma che diavolo combini?! >> Aron sentì la voce del cuoco provenire da un punto fuori dalla sua visuale.
<< Non sono stato io! E’ caduta da sola! >> Rispose il ragazzo dei broccoli. Aron lo vide fasciarsi il dito con un tovagliolo: il rumore doveva averlo fatto sobbalzare tanto da fargli sfuggire il coltello.
<< Non dire scemenze, raccoglila! >>
Sentendosi un po’ in colpa, Aron aspettò che Giovanni si fosse allontanato abbastanza, prima di sgusciare furtivo nella cucina e afferrare una rosetta dal cesto del pane proprio accanto a un broccolo ancora da pelare.
 
Gaevriel passò le due settimane seguenti a prendersi cura del picchio. Ogni giorno, non appena aveva un minuto libero, saliva su in camera e controllava se l’uccellino, nel piccolo nido di fortuna che i due gemelli avevano costruito con un pezzo di cartone e qualche tovagliolo, avesse abbastanza acqua, e ogni sera rubava una fetta di pane dalle cucine. Incredibilmente, l’uccellino sembrava essere sempre più in forma, mentre Gaevriel era ogni giorno più stanco. Aron lo sentiva agitarsi nel sonno, vedeva enormi occhiaie cerchiargli le palpebre, durante il giorno cadeva addormentato, come se gli mancassero le forze perfino per tenere gli occhi aperti. Preoccupato com’era per il fratello, Aron non poteva fare a meno di notare che più il picchio recuperava le forze, più queste sembravano abbandonare Gaevriel.
Accadde di pomeriggio.
Durante il pranzo, Gaevriel cadde dalla sedia, come svenuto. La fronte gli bruciava, le palpebre gli tremavano, agitava la testa e delirava.
La Signora Cetri lo portò personalmente in braccio fino alla sua stanza, lo adagiò sul letto e andò a chiamare il dottore. Questo arrivò qualche ora dopo, avvolto in un pastrano scuro, la testa quasi completamente calva e profonde rughe sul volto. A nessuno dei bambini, nemmeno ad Aron, fu permesso di entrare nella stanza mentre il Dottor Caglioni visitava il suo piccolo paziente.
A Gaevriel venne diagnosticata una grave forma di broncopolmonite, fu trasferito nell’infermeria dell’orfanotrofio. La febbre non accennava ad abbassarsi, non c’erano i soldi per tutte le medicine di cui aveva bisogno. Tutti cominciarono a darlo per spacciato. Aron si sentiva inutile, disperato, spaventato. Il pensiero di perdere il suo gemello, l’unica famiglia che avesse mai avuto, lo tormentava giorno e notte.
<< Vorrei non averti mai trovato! >> gridò un giorno al picchio dall’ala ormai completamente guarita. << Hai fatto stare male mio fratello! >>
Una parte di lui sapeva che non poteva essere davvero colpa di quel piccolo uccellino, ma la rabbia e la disperazione avevano da tempo preso il sopravvento. << Vorrei che fossi morto lì fuori! Vorrei che morissi adesso! >>
Il picchiò lo fissò per qualche secondo, come per accertarsi di aver sentito bene. Poi, tutto a un tratto, si piegò sulle sottili zampette nere, cadde riverso come aveva fatto Gaevriel tre giorni prima, e non si mosse più.
Quella stessa sera, la febbre di Gaevriel sparì e il bambino guarì completamente.

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Capitolo 2
*** Tempeste ***


 

 
Capitolo 2: TEMPESTE

 
 






 
Il vento ululava con forza tra le alte torri di pietra dell’antico bastione, spazzando selvaggiamente i prati del grande parco che lo circondava e smuovendo le acque nere del lago poco lontano. Castiorn si stagliava nella notte tra le colline umbre, imponente presenza invisibile a tutti coloro che non fossero maghi. Costruita centinai di anni prima dai grandi stregoni del passato, pareva indifferente alla tempesta in arrivo: la struttura a forma di L era massiccia e articolata su più piani; attorno alle mura di cinta vi erano serre, stalle ed orti; da sopra il tetto tre torri svettavano sul panorama circostante, e in mezzo ad esse una grande cupola argentea costituiva l’osservatorio di astronomia; dalle numerose finestre del castello era possibile scorgere in lontananza un campo di Quidditch e un bosco spogliato dall’arrivo dell’autunno. Quello che si preparava sarebbe stato il primo grande temporale dell’anno.
In netto contrasto con la tempesta in arrivo, all’interno Castiorn era avvolta dalla quiete del sonno profondo di tutti gli studenti, che si riposavano per affrontare una nuova giornata di lezioni. O meglio, quasi tutti. 
« Dico solo che devo trovare una soluzione, ecco. »
« Sono tre anni che dici la stessa cosa, Gaevriel. Faresti meglio a capire che è una questione che va oltre le tue possibilità. Rinunciaci. »
« Sei ingiusto, Aron, mai una volta che credessi in me! »
« Da quando ti metti a frignare come una ragazzina? »
« Volete fare silenzio, voi due?! »
Un cuscino venne lanciato con forza e volando attraversò il dormitorio buio, fino ad arrivare dritto sulla testa sollevata di Gaevriel, che subito si accasciò sul suo letto sbuffando. Non gli andava di litigare, ma quell’idiota di Andrea non si rendeva conto dell’importanza della conversazione che stava interrompendo. Tutto per delle stupide ore di sonno.
« Se proprio vuoi riscattarti, devi prendere coraggio e farlo. Bada bene che però ti servirà una strategia ben precisa » gli sussurrò Aron, sporgendosi dal letto accanto al suo.
« Mi darai una mano? Ad esempio, se mi prestassi il tuo libro di incantesimi floreali e mi insegnassi qualche bel trucco, potrei creare un’atmosfera perfetta e…»
« Neanche per idea. Sono incantesimi troppo difficili per te, finiresti per combinare guai. Non mi farò coinvolgere in questa cosa, è un problema tuo. »
« Ma insomma! » il gemello bruno reclinò il capo contrariato. « Sei tu quello intelligente dei due. Sveva è tua amica, la conosci quanto me, e per chiederle di uscire io… »
« Proprio perché è mia amica non voglio immischiarmi. Te lo ripeto, è una faccenda che devi risolvere da solo. »
Gaevriel sospirò, socchiudendo gli occhi e sentendo tutto il peso della stanchezza che quell’ora tarda portava con sé. Stranamente, però, non aveva alcuna intenzione di cedere al sonno.
« Ti ricordi il giorno in cui l’abbiamo conosciuta? » chiese piano, per non svegliare gli altri. « E anche Leo… » 
« Come dimenticarlo. Era il nostro primo giorno qui a Castiorn » un velo di nostalgia calò sugli occhi color ambra di Aron, identici a quelli del gemello. « Dormiamo adesso, è tardi. » Gaevriel provò a protestare, ma lui fu irremovibile. Quando finalmente nel dormitorio calò il silenzio più totale, il biondo rimase ancora per un po’ a fissare le fronde del suo letto a baldacchino avvolte dalle tenebre.
Ripensò a quella sera di due anni prima, quando lui e suo fratello avevano varcato le soglie di Castiorn, iniziando una nuova vita in quel mondo incredibile e magico oltre ogni immaginazione. All’epoca avevano appena compiuto undici anni, erano piccoli e spaesati, intimoriti da quell’universo in cui si erano di punto in bianco ritrovati. Appena messo piede nel castello ed entrati nel grande ingresso al pian terreno, una donna dai capelli corti e rossi e dall’aria severa era venuta loro incontro, seguita da un nutrito gruppo di ragazzini.
“Ora dovremmo essere al completo” aveva detto, squadrandoli dall’alto del suo naso adunco. “Io sono la professoressa Cesareo. Prendete posto in fila senza commenti” poi si era voltata verso il resto del gruppo. “Adesso vi condurrò nella Sala Grande, vedete di non fare disordine e di mantenere un comportamento accettabile.”
Gaevriel ed Aron avevano obbedito subito, abituati ad eseguire gli ordini delle maestre dell’orfanotrofio senza fiatare. Gli altri bambini, invece, avevano impiegato un po’ di tempo ad attenuare il loro vociare entusiasta.
Percorsero ordinatamente numerosi corridoi, tanto lunghi da sembrare infiniti, adornati con fiaccole e quadri alle pareti. I gemelli dovettero trattenersi dall’urlare quando videro per la prima volta i personaggi dipinti muoversi e salutarli.
Stavano per attraversare una porta scavata in una parete di pietra, quando i due bambini in fila davanti a loro si erano voltati nella loro direzione. Uno era basso, grassottello e con una montagna di ricci castani che gli scendevano sugli occhi e sulle spalle. L’altra, invece, era vispa e magrolina, con due grandi occhi azzurri che si aprivano sul volto pallido, incorniciato da due treccine scure. Subito sui visi di entrambi comparvero due larghi sorrisi e il bambino esclamò, tendendo una mano verso i gemelli: “Molto piacere! Io sono Leonardo, Leo per gli amici. Lei è Sveva... State attenti però, che morde!”. La bambina gli aveva tirato un ceffone, sussurrando: “Taci, stupido! Non dovete farci caso… Vi abbiamo notati prima, dalle vostre facce direi che venite da una famiglia babbana! Come vi chiamate?”
“S-siamo Aron e Gaevriel” aveva risposto timidamente il biondo, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di Leo e Sveva.
“E siete gemelli?”
“No, curioso vero? Ci siamo incontrati oggi” la battuta di Gaevriel aveva fatto ridacchiare i quattro, che avevano appena varcato la porta nel muro insieme agli altri. “Posso chiedervi dove stiamo andando? Come avete notato io e mio fratello non sappiamo molto su questo posto… L’uomo che ci ha portato qui non ci ha detto quasi niente…”
“Stiamo andando alla Sala Grande, per la Cerimonia dell’Estrazione!” aveva spiegato Leo, trattenendo a stento l’emozione.
“La cerimonia di… Che cosa?” aveva fatto Aron, perplesso. Fin da piccolo, aveva sempre detestato non essere preparato su un argomento, o non sapere di cosa si stesse parlando.
“Dell’Estrazione!” aveva risposto prontamente Sveva. “È il metodo utilizzato per dividere i nuovi alunni di Castiorn fra le varie Torri.” Avendo visto che la facce perplesse dei gemelli non mutavano, la bambina dopo un profondo respiro aveva cominciato: “Castiorn è divisa in tre Torri: la Torre di Smeraldo, la Torre di Zaffiro e la Torre di Rubino. Gli studenti del castello sono assegnati ognuno a una torre e questa guadagna o perde punti a seconda del comportamento dello studente. E alla fine dell’anno, la Torre con più punti vince la Coppa delle Torri!”
“E alle Torri si viene assegnati in modo del tutto casuale, in modo da sfruttare i punti di forza di ogni membro” aveva aggiunto Leo con un sorriso.
“E in che modo?” Sveva però non aveva fatto in tempo a rispondere ad Aron, perché la professoressa Cesareo aveva tuonato: “Silenzio, voi quattro!”. I bambini dopo quel rimprovero non avevano più proferito parola, continuando a camminare vicini e lanciandosi occhiate complici.
Ma non avevano atteso a lungo prima di giungere a un massiccio portone di legno, che la professoressa Cesareo aveva spalancato con aria d’importanza. Davanti a loro, un’immensa sala colorata – la più grande che avessero mai visto! – si era aperta: grandi vetrate sui lati lasciavano intravedere la penombra della sera; sei lunghi tavoli occupavano il centro dello spazio e ad essi stavano seduti centinaia di ragazzi tra i dodici e i diciotto anni; numerose fiaccole al soffitto illuminavano l’ambiente, adornato da stendardi e stemmi dai significati sconosciuti; in fondo alla sala, su un piano rialzato da pochi scalini, stava una tavola in ebano ovale, attorno alla quale erano accomodati poche decine di adulti, probabilmente i colleghi della professoressa Cesareo.
Al loro arrivo, il vociare nella sala si era spento, tutti i ragazzi ai tavoli si erano voltati curiosi verso di loro, e un uomo anziano dall’aria austera seduto al centro della tavola d’ebano si era alzato. Aveva teso le braccia verso i bambini appena entrati, increspando il volto rugoso in un lieve sorriso, e un’ampolla colma d’acqua era lentamente comparsa davanti a lui. “Benvenuti” aveva annunciato in tono solenne. “È con piacere che io, preside Erasmus Nichil, vi accolgo qui, alla Scuola di Magia e Stregoneria di Castiorn, cuore delle Arti Occulte italiane. Avvicinatevi, futuri studenti, e la Cerimonia dell’Estrazione potrà avere inizio.”
Preceduti dalla professoressa Cesareo, i bambini avevano avanzato timorosi per la grande sala. “Aspettate qui. Uno alla volta chiamerò il vostro nome e dovrete raggiungermi per estrarre dall’ampolla la vostra pietra, che rivelerà a quale Torre sarete stati assegnati” aveva spiegato l’insegnante, avvicinandosi al preside davanti al tavolo ovale con un lungo rotolo di pergamena in mano.
“Sveva De Flandre!” aveva chiamato, leggendo il primo nome scritto sul rotolo.
“State a vedere” aveva sussurrato Sveva ai gemelli, prima di dirigersi senza paura verso l’ampolla, tendervi la mano ed estrarne una brillante pietra verde. “Torre di Smeraldo!” aveva esclamato la professoressa Cesareo, mentre la bambina correva felice verso uno dei tavoli adornati da stendardi verdi, dove i suoi nuovi compagni la applaudivano entusiasti.
Aron, sdraiato sul suo letto nel dormitorio silenzioso, ricordò il sorriso dell’amica e le treccine scure dondolare mentre lei correva. Ricordò come suo fratello e Leo vennero dopo di lei e dopo tanti altri bambini assegnati alla Torre di Zaffiro, e ricordò la paura di rimanere solo in un’altra Torre. Infine, ricordò l’emozione nell’astrarre una scintillante pietra azzurra dalla fatica ampolla, per raggiungere poi Leo e Gaevriel al tavolo della Torre di Zaffiro, con un sollievo e una felicità nel cuore che ovviamente non lasciò trasparire.
Fu con questo pensiero in testa e con un timido sorriso sulle labbra che Aron si addormentò quella sera, mentre fuori dalle mura di Castiorn la tempesta cominciò con un imponente scrosciare di pioggia.

 
*

 
« Glielo ripeto, signor preside, non ho alcun dubbio su quei due ragazzi. »
« Sei sempre stato un uomo avventato, Bron. »
« Stavolta è diverso! Dobbiamo intervenire subito, forse abbiamo già perso troppo tempo… »
« Non voglio correre il rischio di sbagliarmi su questioni così delicate. Prima di compiere qualsivoglia mossa dovrò accertarmi personalmente che le cose stiano cambiando a Nord. »
« Ma potrebbe essere già troppo tardi! Il mio collega, il professor Hausladen, sarebbe perfettamente in grado di preparare i ragazzi nel modo migliore possibile. Bisogna agire adesso. »
« Bron, cerca di ragionare… »
Due uomini, uno più giovane e uno molto anziano, si fronteggiavano ai lati opposti di una scrivania, ma la loro conversazione fu interrotta da un leggero bussare. « Avanti » fece l’uomo anziano, mentre l’altro lo scrutò perplesso. « Ha fatto venire qualcuno…? » L’uscio si aprì cigolando e Aron si fece avanti nell’ampio e ordinato ufficio del preside Erasmus.
« Buongiorno signor preside, buongiorno professor Lycaion » salutò il ragazzo, rimanendo rispettosamente al suo posto e chiudendo la porta. « Desideravate vedermi? »
« Accomodati, Ferrante » fece il preside, mentre l’insegnante lo guardava sempre più confuso. Aron ubbidì, dirigendosi verso la scrivania e prendendo posto. « Perdona la presenza del tuo professore, ignorava che ti avessi convocato qui… Ha scelto di venirmi a far visita nel momento sbagliato » continuò il preside lanciando uno sguardo di rimprovero a Bron, che impallidì dietro la barba scura.
« Non mi crea nessun fastidio. Cosa posso fare per lei? »
« Oh, non devi fare niente per me » disse l’anziano increspando le labbra. « Vedi, i tuoi insegnanti mi hanno riferito della tua straordinaria propensione allo studio. I tuoi risultati sono sorprendenti e le tue doti notevoli. Per cui, se sei d’accordo, vorrei darti la possibilità di saltare un anno. »
« Come? » fecero in coro stupiti Aron e il professor Lycaion. Nonostante fosse stato interpellato il ragazzo, fu l’uomo a prendere parola. « Non le pare una decisione affrettata, signor preside? Certo, il giovane Ferrante ha un incredibile talento, ma non credo sia il caso di fargli saltare un anno importante come il terzo, che è quello che precede la scelta dell’Ordine… È un passaggio molto delicato, che condiziona tutta la vita, e non credo che Aron sia pronto ad affrontare l’Esame adesso ».
“Ma certo che sarei pronto ad affrontare l’esame…” pensò il ragazzo tra sé, con muta superbia.
« Bron, prima o poi dovrai smettere di contraddirmi… » iniziò il preside, subito interrotto però dal giovane. « Non deve preoccuparsi, professor Lycaion, perché non ho alcuna intenzione di affrontare l’esame adesso, né di passare prematuramente al quarto anno. Per quanto io eccella negli studi, penso di dovermi prendere il mio tempo per prepararmi. »
« Sei sicuro? » chiese il preside Erasmus, mentre Bron tirava un sospiro di sollievo. « È un’opportunità concessa a pochi, ti aprirebbe la strada a molti orizzonti. Puoi sempre ripensarci, se vuoi. »
« Non credo che lo farò » ribatté sicuro Aron. “Non lascerei mai indietro Gaevriel” pensò tra sé, senza rimpianti. Erano sempre stati uniti in tutto, loro due, e per lungo tempo non avevano conosciuto altro affetto se non quello reciproco. Venendo a Castiorn, si erano promessi di affrontare insieme quell’avventura. E Aron avrebbe sempre mantenuto le sue promesse.  
Il preside stava per ribattere nuovamente, mentre Bron lo guardava in tralice, quando un cavaliere dipinto corse affannato nel quadro alle loro spalle.
« Signor preside, signor preside! » esclamò tentando di riprendere fiato. « Il giudizio universale! La tempesta! Un disastro! »
« Con calma, sir Arcibaldo » invitò l’anziano, inarcando un sopracciglio bianco e cespuglioso. 
« Sì, sì, certo, con calma… » balbettò il cavaliere, respirando profondamente.  « L’ala est del piano terra, signor preside, dove si trova il mio ritratto… È del tutto inaccessibile! »
« Come sarebbe a dire? » domandò il professor Lykaion, raddrizzandosi sulla sedia.
« Una tempesta floreale incontrollata sta investendo quell’area! Se non si fa qualcosa subito si espanderà in tutta la scuola! La sua potenza è devastante! » spiegò frettolosamente il dipinto, sull’orlo delle lacrime.
A quelle parole Aron si sentì gelare. Ripensò a Gavriel e alla sua richiesta di prendere in prestito Incantesimi Floreali  per fare una “sorpresa” a Sveva. Con un’intuizione fulminea mise insieme i pezzi, pregò che suo fratello e i suoi amici stessero bene e subito si alzò dalla sedia, proferendo un solenne: « Signor preside, professore, vogliate scusarmi. »
Poi, senza attendere risposta, si catapultò fuori dall’ufficio, correndo giù per le scale che conducevano al pian terreno. Giungevano fin là le grida atterrite degli altri studenti, intenti a fuggire in ogni direzione, e man mano che Aron avanzava un pesante vento si alzava e dei petali rosei volavano in ogni direzione tagliando l’aria circostante ed emettendo fischi acuti. “Quel deficiente di Gavriel!” riuscì solo a pensare nel turbinio confuso che c’era nella sua testa.
Fuori la pioggia continuava dalla notte precedente a battere incessante: ma una tempesta ben più terribile era iniziata all’interno del castello. 





 

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Capitolo 3
*** Punizione ***


 
 
 
 

Capitolo 3: PUNIZIONE

 
 
 
 
 
Il freddo vento di Ottobre risaliva per il prato di Castiorn fino alle mura, penetrando nel castello sotto forma di gelidi spifferi. Il sole che sporgeva timidamente fra le montagne era una ben magra consolazione per gli sventurati studenti di Rubino, che erano costretti ad attraversare il cortile per rientrare dalla lezione di Erbologia.
Nel dormitorio della Torre di Zaffiro, Aron pungolava il petto del gemello con la bacchetta. Fortunatamente, nessuno era lì ad assistere alla scena.
<< Che cosa ti avevo detto? >>
<< Di non prendere quel libro. >>
<< E perche te l'avevo detto? >>
<< Perché quegli incantesimi erano troppo difficili. >>
<< E tu che cosa hai fatto? >>
Gaevriel non riuscì a trattenere un sorriso mentre rispondeva: << Ho preso il libro e ho utilizzato un incantesimo. >>
Aron sbuffò, premendo ancora di più la bacchetta sulla gabbia toracica del fratello. << E cosa è successo? >>
Gaevriel arrossì un poco. << Che Lycaion ha dovuto far sparire la tempesta che si era scatenata proprio davanti al suo ufficio >> dopo qualche secondo, aggiunse: << Uscendone fuori con un mazzo di rose appeso ai capelli. >>
Entrambi scoppiarono a ridere e finalmente Aron smise di tenere Gaevriel sotto tiro d'incantesimo. Il gemello moro si buttò sul letto a baldacchino, passandosi le mani sul viso. << Sicuro che Sveva abbia capito chi ci fosse dietro tutto quel casino? >>
"È solamente questo che lo preoccupa?" Pensò stizzito Aron, ma dopo un bel respiro profondo si costrinse a rispondere con voce più o meno calma: << C'eri solo tu sul posto e hai raccolto una bella folla. >>
Sul luogo del misfatto si erano catapultati, oltre a Lykaion, anche il Professor Proietti e il Professor Hausladen. Tutti gli studenti che non erano stati attirati lì dal rumore del vento e delle armature sbatacchiate di qua e di là erano stati avvisati dai personaggi nei quadri, che erano andati in giro per la scuola a gridare di allontanarsi dall'ala est del primo piano.
Ovviamente, avevano ottenuto l'effetto opposto.
Mentre Hausladen e Lykaion rispedivano gli studenti alle loro Torri, Proietti aveva placato la tempesta floreale. Gaevriel era apparso come dal nulla dove un attimo prima infuriava il vento, sotto lo sguardo sbalordito di alunni e insegnanti, miracolosamente illeso.
<< È stato il quarto d'ora più brutto della mia vita. >>
<< Almeno Hausladen ha avuto il tatto di portarti lontano dalla folla, prima di strigliarti per bene. >>
<< Beh >> Gaevriel si mise a sedere sul bordo del letto, gomiti sulle gambe e aria affranta << Mai troppo presto. Sveva mi ha visto. >>
<< Ti ha visto più o meno tutta la scuola, ma almeno non hanno capito PERCHÉ avessi fatto quella stupidaggine. Pensano tutti a un incantesimo finito male. >>
Il gemello moro parve recuperare un pò del solito buonumore, ma dopo qualche secondo ricadde di nuovo sul letto. << Fantastico. Se non fosse che ho fatto perdere cinquanta punti alla Torre di Zaffiro e che stasera mi aspetta una punizione con Lykaion. >>
Aron raccolse la sua borsa e se la mise sulla spalla. Trattenendo un "avresti dovuto aspettartelo", si diresse verso la porta del dormitorio. << Andiamo. Fare tardi a lezione non gioverà alla tua situazione. >>
Seppur con malavoglia, Gaevriel afferrò la sua tracolla e seguì il fratello.
Non c'erano altri studenti oltre a loro nella Torre di Zaffiro. Percorsero di fretta i corridoi e le lunghe scalinate fino all'aula di Storia della Magia al terzo piano. La loro straordinaria conoscenza dei passaggi segreti della scuola non fu comunque abbastanza per permettergli di arrivare puntuali.
<< Ferrante e Ferrante, siete in ritardo. Meno cinque punti a Zaffiro per ognuno di voi. >>
Sotto gli sguardi contriti dei compagni di Torre, i due gemelli si sedettero all'unico banco vuoto, quello proprio davanti la cattedra. L'unica consolazione era l'abitudine della professoressa di passeggiare per l'aula durante la spiegazione, così che Gaevriel potesse tranquillamente discorrere con il fratello, che intanto prendeva fogli e fogli di appunti sulla Rivolta dei Folletti. 
<< A volte la Cesareo mi sta veramente antipatica. Insomma, eravamo in ritardo solo di due minuti! >> sussurrò contrito. Aron annuì.
Gaevriel si sentiva osservato, e a ragione. Gli studenti della Torre di Zaffiro e di Smeraldo, con cui condividevano l'ora di lezione, non prestavano particolarmente attenzione alle parole della Cesareo, quanto a lui, chi con sguardo arrabbiato e chi con fare curioso. Gaevriel, invece, aveva occhi solo per una di loro, una ragazza dai lunghi capelli castani seduta alla sua sinistra, un banco più indietro. Anche lei, come Aron, aveva la testa china sulla pergamena e la penna d'oca stretta in mano.
Sveva alzò velocemente lo sguardo verso Gaevriel e gli sorrise, per poi reimmergersi negli appunti.
<< Lei non sembra arrabbiata... >> fece il ragazzo, esitante e speranzoso.
<< Ovvio. Hai accorciato un bel po’ il distacco fra la Torre di Zaffiro e quella di Smeraldo per la corsa alla Coppa. Non potrebbe essere più felice >> lo canzonò Aron, senza trattenere un sorriso e alzare gli occhi dalla pergamena.
<< Smettila di prendermi in giro! >>
<< Un importante punto di svolta si ha con Fox Mogiobraccio, che… Ferrante e Ferrante! Se non vi interessa la lezione potete anche uscire dall’aula, ma abbiate la decenza di non disturbare i vostri compagni! >> la voce acuta e imperiosa della Cesareo li zittì immediatamente.
Alla fine dell’ora, che passarono nel più completo silenzio per paura di togliere altri punti alla loro Torre, la donna redarguì la classe, annunciando ufficialmente che avrebbe iniziato le interrogazioni dalla lezione successiva.
<< E niente storie! >> intimò, prima che potesse levarsi anche solo una protesta.
<< Mi passerai gli appunti, vero Alascura? >> chiese quasi supplichevole Gaevriel al fratello, mentre scendevano una scalinata di marmo diretti a Incantesimi.
<< Solo se mi giurerai di non prendere più i miei libri. >>
<< Giuro. Sul serio, stavolta. Tanto ho visto come va a finire… >> Gaevriel osservò mogio Sveva prendere una direzione diversa dalla loro, e dirigersi con i suoi compagni di Torre al quinto piano.
Un ragazzo di qualche anno più grande le si affiancò, e Gaevriel dovette trattenersi dall’estrarre la bacchetta e trasformargli le gambe in due tentacoli da piovra. “Potrei farlo davvero” si ritrovò a pensare. “Copro la mano con la cartella e…”
<< Nemmeno per idea >> la voce del fratello lo sradicò dalle sue fantasie.
<< Ora sei anche un Legilimens? >>
<< No. Sono tuo fratello. >>
Proietti era, come al suo solito, in ritardo. Entrò trafelato nell’aula, con il capello sulle ventitré da cui sfuggivano varie ciocche di capelli corvini e la bacchetta dietro l’orecchio. Gli studenti ci avevano ormai fatto l’abitudine; sapevano che l’aspetto distratto e trascurato del professore non aveva niente a che vedere con la sua reale abilità da mago. Posata sulla cattedra la borsa aperta da cui continuavano a uscire fogli e documenti, Proietti andò verso l’armadio della classe, pieno di oggetti di ogni genere: candele, cuscini, tabacchiere, penne d’oca, portagioie, collane… Senza nemmeno togliersi la bacchetta dall’orecchio, li fece volare a terra davanti a sé, mentre tutti i banchi e le sedie si disponevano contro il muro in pile pericolosamente traballanti.
<< Oggi ci eserciteremo con gli incantesimi d’appello. Abbiamo parlato la volta scorsa della teoria, oggi li metteremo in pratica. Forza, ognuno di voi Appelli una cosa qualsiasi. Entro la fine dell’ora mi aspetto per lo meno che si muovano di qualche centimetro >> detto ciò si sedette, i piedi sopra la cattedra e la sedia reclinata leggermente all’indietro, e si mise a leggere un pesante tomo di magia in lingua russa.
Dopo la noia e la serietà di Storia della Magia, Incantesimi fu un vero toccasana. I giovani maghi in erba poterono approfittare della lezione, ovviamente più chiassosa e caotica delle altre, per farsi due chiacchiere e dare sfogo alle loro doti magiche. Nel brusio di venti studenti fra quelli di Zaffiro e Rubino, cianfrusaglie di ogni tipo volavano per la stanza e, ogni volta che qualcuno rischiava di essere colpito, uno svolazzo della bacchetta del professore, che non toglieva gli occhi dal suo libro, deviava la traiettoria del proiettile improvvisato. Leo, arrabbiato con Gaevriel non più di quanto lo fosse Aron, si unì ai due gemelli nello sperimentare il nuovo incantesimo. Il gemello dai capelli di platino non partecipò ai discorsi del fratello e del suo amico, che vertevano su argomenti per lui privi di interesse – la Coppa del Mondo di Quidditch, la festa che avrebbe dato Francesco del Settimo Anno, il Torneo dei Duellanti che si sarebbe tenuto da lì a qualche mese –, ma non era una novità per nessuno dei tre.  Al suono della campana, Proietti posò il libro e cominciò a girare per l’ampia stanza, esaminando le prestazioni di ogni alunno. Molti avevano trovato difficoltà, ma tutti erano riusciti a far spostare almeno di mezzo metro i loro oggetti. Gaevriel e Aron furono gli unici che dimostrarono una completa padronanza dell’incantesimo. Al suono del loro: << Accio! >> un copriteiera e un centrino da tavola volarono nelle loro mani tese.
<< Ottimo, Febbrante >> I due gemelli avevano da tempo rinunciato a correggere il professore sul loro nome. << Cinque punti a ognuno di voi. Potete andare >>
 
Alle sette e mezza della sera, dopo una lunga giornata di lezioni, le Sale di Ritrovo di Castiorn si stavano rapidamente svuotando. La Sala Grande attendeva i giovani maghi, con i tavoli già apparecchiati e imbanditi dalle pietanze, come sempre, degne di un banchetto reale. Nessuno si sarebbe mai sognato di perdere un appuntamento simile, l’appetito e la voglia di svago erano richiami troppo forti per non cedervi… A meno che non si avesse una buona ragione per farlo.
Purtroppo per lui, Gaevriel aveva un impegno fin troppo urgente: parte della sua punizione, forse la peggiore, era proprio quella di dover saltare la cena. Si diresse così, mogio e svogliato, verso il primo piano del castello, con la faccia scura ogni volta che incrociava un altro alunno. Persino i suoi compagni di Torre gli avevano concesso momentaneamente una tregua dagli sguardi truci e dai sussurri irati. Il Professor Lykaion, docente di Incantesimi Avanzati, lo stava aspettando proprio sulla soglia del suo ufficio. Indossava un elegante abito scuro, con il mantello e il cappello a punta rifinito in argento. Questi si intonavano perfettamente alla sua forma distinta. Anche i suoi capelli, resi bianchi qui e là dall’avanzare dell’età, non facevano altro che rafforzare la sua appariscente figura.
<< Entra pure, Ferrante. >>
L'ufficio era uno dei più grandi della scuola. Alle poche pareti non tappezzate di libri, tomi e pergamene erano appesi quadri surreali dalle figure distorte e indecifrabili. Una sedia dall'alto schienale, posta dietro una scrivania di legno molto scuro, dava le spalle a una portafinestra che si affacciava sul cortile esterno e il lago.
"Si trattano bene…" la riflessione del ragazzo fu subito interrotta dalla voce severa di Lykaion: << Non credo che ci sia ulteriormente bisogno di rimarcare la stoltezza delle tue azioni. Sarai anche stufo di sentirtelo ripetere >> tra sé e sé, Gaevriel ringraziò il cielo per essersi evitato l'ennesima ramanzina. << Quindi procederemo direttamente alla punizione di questa sera. >>
Uno svolazzo di bacchetta fece apparire sul ripiano del tavolo una pila di pergamene ingiallite e dall'aria molto fragile.
<< Tuo compito >> riprese il professore. << Sarà quello di ricopiare, runa per runa, il contenuto di queste pergamene. Fogli e inchiostro li troverai nel secondo cassetto della scrivania. Mi aspetto, per quando sarò di ritorno, almeno quaranta pagine di trascrizione. E non dimenticare di numerarle >> aggiunse, mentre anche il suo mantello svolazzava e spariva oltre la porta, che si chiuse rumorosamente.
Sospirando e sbuffando, Gaevriel si mise al lavoro.
Le pergamene erano tutte scritte in Rune Antiche. Il ragazzo ne ignorava completamente il significato, al contrario del gemello non le aveva mai degnate di attenzione, visto che come materia non facevano parte dell'Ordine che aveva intenzione di scegliere alla fine dell'anno. Si limitò quindi a ricopiare quelle spigolose e arcaiche forme geometriche, cercando di riprodurle il più fedelmente possibile. Era un lavoro lento, stancante e noioso, intervallato solo da sporadici momenti di ansia quando doveva sollevare un nuovo foglio da ricopiare: erano tutti così fragili e vecchi che temeva potessero sbriciolarsi tra le sue dita. 
La mole di lavoro non accennava a diminuire. Dopo quaranta minuti, Gaevriel ci aveva preso la mano e riusciva a procedere più spedito, ma dopo meno di venti minuti la cena sarebbe finita - il suo stomaco gorgogliò al solo pensiero - e gli mancavano ancora dieci pagine per raggiungere l'obbiettivo prefissato da Lykaion. Sempre più in stressato, sempre più affamato, e sempre con il polso più dolorante, Gaevriel cercò di andare il più veloce possibile. 
Qualcuno bussò alla porta.
"Non può essere già così tardi!" pensò Gaevriel, alzando gli occhi stanchi dall'ennesima pergamena. "Me ne mancano ancora cinque!" guardò l'orologio appeso sopra il piccolo camino acceso. "La cena non finirà prima di altri dieci minuti…" ma allora chi era che bussava?
Quando aprì la porta, si trovò davanti un viso affilato, i penetranti occhi grigi cerchiati da due lenti rettangolari. 
<< Signor Hausladen! >> esclamò, sorpreso di vedere il professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
<< Buonasera, Gaevriel. Passavo di qui e ho pensato di venire a dare un'occhiata >> la voce dell'uomo era pacata e lo sguardo gioviale, ma a Gaevriel non tornava un dettaglio. "Passava di qui? Il suo ufficio è al piano superiore…".
Hausladen fece per entrare nella stanza e Gaevriel si spostò dalla soglia, per permettergli il passaggio. Il professore osservò le carte sulla scrivania, chinandosi a osservare la grafia fitta e un po’ affrettata del ragazzo.
<< Deve essere un compito molto noioso, eh? >> disse, strizzando un occhio. Puntò la bacchetta verso le pergamene ed esclamò: << Transfero! >>
In un attimo, buona parte dei fogli ancora bianchi si riempì di Antiche Rune. Gaevriel non riusciva a credere alla propria fortuna. << Grazie infinite, Professore! >> questo alzò una mano per schernirsi, fece apparire una seconda sedia proprio accanto a quella del ragazzo e ci si sedette, facendogli segno di accomodarsi. Gaevriel non se lo fece ripete due volte.
<< Non c’è di che. Spero solo che tu abbia imparato la lezione >> il ragazzo annuì. << In più, volevo approfittare di questi ultimi minuti prima della fine della cena, per essere sicuro di poteri parlare in privato >> Gaevriel ne fu sorpreso e compiaciuto, ma non proferì parola, limitandosi a restare in silenzio e ad ascoltare. << Non è ancora niente di certo, ma stavo pensando di dare a te e a tuo fratello qualche lezione supplementare. >>
<< Vuole insegnarci altro sulla Difesa Contro le Arti Oscure? >>
<< Non proprio, no… >> il professore sembrava restio a scoprirsi di più, come se si trattenesse dal rivelare troppo. << Sarà una forma di magia diversa. Molto diversa. >>
Lo sguardo penetrante di Hausladen nascondeva più di quanto il discorso lasciasse intendere. Gaevriel era pieno di domande: << Perché solo a me e ad Aron, professore? E come mai proprio adesso? Di che tipo di magia sta parlando? E… >>
<< Calma, ragazzo! >> l’uomo tornò ad assumere la sua solita aria giovale. << Te l’ho già detto: non c’è ancora niente di deciso. Dovrò parlarne prima con il Preside, non vorrei che qualche lezioncina supplementare andasse a infierire in qualche modo sul vostro rendimento scolastico. >>
A Gaevriel però non era sfuggito come Hausladen avesse glissato sulle sue curiosità. Prima di poter domandare ancora come mai fossero stati scelti proprio loro due, il Professor Lykaion entrò nell’ufficio, dalla porta lasciata aperta. Non sembrò sorpreso di trovarvi dentro anche Hausladen, il quale fece scomparire la propria sedia e si congedò: << Bron, credo noterai con piacere quanto il ragazzo si sia dato da fare. >>
Il professore raccolse il plico di documenti ricopiati. << Per la barba di Merlino, ben cinquanta pagine! Per lo meno non batti la fiacca, Ferrante. Bene, per oggi può bastare. Ci vedremo domani, al termine delle lezioni, e sabato subito dopo pranzo. >>
Gaevriel raccolse le sue cose e si diresse verso l’agognato letto, con un senso di verace curiosità che lo accompagnò per tutte le settimane seguenti.
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Hans ***


 



 

Capitolo 4: HANS

 




 
 
« Le informazioni hanno un prezzo… »
« Non provare a intimorirmi. Sai chi mi manda… »
« Chi ti manda non ha alcun potere, qui. »
Era una sera fredda, quella, e umida. Le erbacce crescevano indisturbate nel sudiciume della spoglia campagna di periferia. Un uomo alto e magro, con lunghi capelli biondo scuro raccolti in un codino e sottili occhiali rettangolari, ne fronteggiava altri quattro, schierati di fronte a lui con aria minacciosa. I loro abiti erano scuri e i loro volti erano deformati da ghigni bestiali. Lunghi tagli si potevano scorgere sulle loro guancie, e le stazze massicce non rendevano meno evidenti i denti affilati e i tatuaggi neri sulle braccia.
Da lontano, si sentivano i fischi acuti delle macchine che correvano veloci su un’autostrada.
« Siamo stati fin troppo buoni con te » proferì uno dei quattro uomini scuri. « Chi ti ha dato il permesso di entrare nel nostro territorio? »                  
Il biondo, senza volere, indietreggiò lentamente di un passo. Percepiva chiaro e forte il battito del  suo cuore fin nelle orecchie, ma non era quello il momento per lasciarsi prendere dalla paura. « Non è nella vostra natura attaccare nelle notti di mezza luna. Non sono qui per creare problemi. »
Uno dei quattro uomini gli si avvicinò con un balzo, ringhiando minacciosamente. « Non provare a darci insegnamenti sulla nostra natura, pezzente. » Gli occhi scuri scintillarono, assetati di sangue, e il suo fetore raggiunse con violenza le narici della vittima.
« Greyback » lo richiamò un altro. « Basta così. » Poi si rivolse verso il biondo, ancora impietrito, mentre  l’individuo di nome Greyback si allontanava da lui con uno sguardo carico d’odio. « A noi lupi mannari non piace venir disturbati nei nostri territori. Molti di noi ti avrebbero sbranato senza pensarci due volte. Ma per tua fortuna sono io il capo del branco, da trentadue lune a questa parte, e stasera intendo riceverti come ospite. D’altro canto, quando il Signore Oscuro trionferà e ci concederà i diritti che ci spettano, dovremo dimostrare di saper vivere in civiltà… »
Il biondo deglutì, sforzandosi di mantenere uno sguardo sereno e determinato. Sentiva la bacchetta premere contro il suo petto attraverso la stoffa del mantello, e in un gesto di nervosismo si premette gli occhiali lungo il naso fino.
Come se l’avessero colto in flagrante, i lupi mannari sogghignarono. « Non preoccuparti. Non ti morderemo, per ora » il capo del branco reclinò il  volto con aria sorniona; poi si fece serio e fissò dritto negli occhi il suo ospite. « Ripetimi il tuo nome… E le tue richieste. »
« Sono Hans Heisenman » rispose senza paura il giovane uomo, facendosi coraggio e raddrizzando la schiena. « Non sono qui per contrastarvi. Ho fatto un lungo viaggio per arrivare fin da voi: vengo dal nord d’Italia, dal Trentino-AltoAdige… E voi tutti immagino sappiate cosa significhi » alle sue parole i quattro impallidirono; ma Hans non si lasciò intimorire dalla loro incredulità e continuò: « Il mio padrone è una persona spietata, ma sa essere gentile con chi lo aiuta. Noi vogliamo da voi solo poche informazioni, e in cambio vi garantiremo per quarantotto lune una fornitura mensile di pozione antilupo. »
Greyback gli lanciò una frecciata con gli occhi, incerto se fidarsi o meno. Il capobranco mormorò qualcosa nell’orecchio del suo vicino; poi domandò: « E di preciso, quali informazioni servono al tuo padrone, Hans Heisenman? »
Hans si schiarì la voce. « Ditemi tutto ciò che sapete sui Doni della Morte. »
 
 
*
 
 
Sentiva il freddo dei vicoli sporchi penetrargli fin nelle ossa. Le strade puzzavano; da un locale arrivava il vociare ilare degli ubriachi, volgare sottofondo di quella notte cupa; un grosso topo grigio sgattaiolò di soppiatto in una fogna, con una preda maleodorante stretta tra gli artigli. Hans accelerò il passo, premendosi la sciarpa di lana attorno al collo e procedendo spedito verso la sua meta. Un lampione fulminato scintillò al suo passaggio.
Quando aveva accettato di partire per l’Inghilterra l’aveva fatto consapevole dell’importanza della sua missione, ma non avrebbe mai immaginato che Londra potesse essere tanto sudicia. Comunque, in fin dei conti, era sempre stato abituato al sudiciume che quel tipo di lavoro portava con sé.
 
 « Rieccoti… Mi stavo preoccupando. »
« Sono un uomo adulto, John, posso tornare all’ora che preferisco. »
« Senza dubbio. Però sai, con i brutti soggetti che girano ultimamente da queste parti… »
« Sono perfettamente in grado di badare a me stesso, grazie. »
« Ok, ok, ma non te la prendere! »
Hans chiuse con un rumore secco la porta del piccolo appartamento. La penombra creata da una lampada accesa nell’angolo illuminava il soggiorno spoglio, sul quale si aprivano due camere e un bagnetto, e la carta da parati marroncina non faceva che incupire l’atmosfera desolata creata dall’angolo cucina e dal divano rattoppato al centro della stanza, dove un uomo stava coricato in una posa scomposta.
« Dobbiamo parlare, John » disse Hans, posando le chiavi sul tavolo della cucina. « Non possiamo più essere coinquilini. »
« Come? » fece l’uomo sul divano, alzando la testa corrucciato. « E con chi dovrei dividere l’affitto? Di questi tempi, con la guerra in corso, gli impiegati minori come me al Ministero della Magia sono pagati uno straccio! Tu essendo straniero forse non te ne rendi conto, ma questa è la peggior crisi che la stregoneria inglese abbia mai affrontato! Neanche la caccia alle streghe influì tanto negativamente! Tutti i miei amici sono difficoltà o hanno una sistemazione precaria, io in che modo dovrei… »
« Non ho tempo da perdere per starti a sentire » proferì seccato Hans. « Ho problemi più grandi a cui pensare, e tu mi sei d’intralcio » con un rapido movimento del polso tirò fuori la bacchetta dalle pieghe del mantello, puntandola dritta contro il coinquilino. Quello impallidì, sollevando le mani tremanti come per proteggersi.
« Ha-hans… Cosa… Cosa stai…? »
« Forse è stato un errore dividere l’affitto con te fin dall’inizio. Non dovevo farmi coinvolgere nei tuoi stupidi problemi » il mago italiano allungò il bracciò, prendendo un profondo respiro. « Avrei voluto evitarlo… »
« Fermati! »
« Oblivion. »
 
 
*
 
 
“Tutto quello che faremo, sarà per un bene superiore. Dovrai ricordarlo sempre… Altrimenti sarai annientato da questo mondo”. Queste parole risuonavano nella mente di Hans, coricato sul letto con un braccio piegato sul volto. I suoi occhi erano stanchi, le sue gote pallide, e aveva l’impressione che il cuore avesse smesso di battergli nel petto. Non aveva nemmeno trent’anni, eppure in quelle ultime settimane si era più volte sentito avvizzire. 
Si sarebbe mai abituato alla violenza? E alla crudeltà? Avrebbe tanto voluto esser fatto di ghiaccio e far proprio il coraggio che spesso fingeva di ostentare. Ma la verità era che ogni giorno che passava si sentiva lacerare sempre di più.
La macchinetta del tè fischiò, avvertendolo che l’acqua stava bollendo. Con quella che gli apparve un’enorme fatica, si tirò a sedere e lentamente lasciò cadere i piedi nudi oltre il letto, sul freddo pavimento di pietra.
Avanzò a tentoni per la gelida casa, con la mente ottenebrata come se fosse stato vittima dei più terribili incantesimi. Ripensò al branco di lupi mannari, alla paura di quella notte, e alle importanti informazioni ottenute. Ripensò all’Italia, all’uomo che tanto disperatamente l’aveva lasciato partire in quella missione suicida, e alla casa che non aveva più. Ripensò anche a John, e una morsa dolorosa gli strinse lo stomaco.
Ma non era il caso di farsi prendere dai rimorsi. Con un profondo respiro, spense l’acqua del tè e vi lasciò cadere dentro una bustina aromatica. Doveva essere forte: soltanto lui avrebbe potuto fare quanto doveva essere fatto, e non poteva permettere che i dubbi e le paure lo ostacolassero. “Vai avanti, vai avanti per la tua strada. E non voltarti mai”. Le sorti dell’intero mondo magico potevano dipendere da lui, e non si sarebbe più tirato indietro... Aveva smesso di scappare molti anni prima.
Finalmente gli era stata data la possibilità di cambiare le cose e grazie al suo operato un mondo nuovo sarebbe risorto dalle ceneri: con questi pensieri era partito e con questi pensieri sarebbe tornato, vittorioso.
La sua pista era buona, stava proseguendo nella giusta direzione. Era solo l’inizio, ma dopo tanti mesi passati a cercare nel nulla forse era riuscito a trovare qualcosa di concreto.
Bevve tutto d’un fiato la bevanda calda, nella penombra dell’appartamentino vuoto. Si assicurò di avere la bacchetta a portata di mano e gettò un’ultima fugace occhiata al sudiciume della stanza; poi s’infilò in fretta scarpe e cappotto, e senza più rimpianti si sbatté la porta alle spalle, per avventurarsi nuovamente nel gelo della notte.
Percorse a ritroso i vicoli sporchi, tirandosi dietro una borsa con i suoi pochi averi. I cori degli ubriachi si erano spenti da ore, ormai, e l’atmosfera appariva ancor più desolata. Ma niente l’avrebbe fermato: le tenebre, il freddo e il lerciume della periferia londinese non lo sconfortarono come al solito, ma anzi gli accesero una scintilla nel petto e negli occhi.
Cominciò a correre, desiderando di potersi allontanare quanto più velocemente possibile da quel luogo e speranzoso di cominciare un nuovo capitolo del suo viaggio. All’improvviso si sentì vivo, e per un attimo percepì il suo cuore battere con forza, incurante della paura che il suo incarico portava con sé. Avrebbe osato troppo? Sarebbe mai tornato a casa? In quel momento, un’unica meta occupava la sua mente. Le informazioni dei lupi mannari erano state preziose… Non sapevano granché, ma perlomeno avevano ristretto notevolmente il suo campo d’azione ad una destinazione ben precisa: la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.






 

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