Divergente

di EveLWilliams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53 ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54 ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55 ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56 ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57 ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58 ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59 ***
Capitolo 60: *** Capitolo 60 ***
Capitolo 61: *** Capitolo 61 ***
Capitolo 62: *** Capitolo 62 ***
Capitolo 63: *** Capitolo 63 ***
Capitolo 64: *** Capitolo 64 ***
Capitolo 65: *** Capitolo 65 ***
Capitolo 66: *** Capitolo 66 ***
Capitolo 67: *** Capitolo 67 ***
Capitolo 68: *** Capitolo 68 ***
Capitolo 69: *** Capitolo 69 ***
Capitolo 70: *** Capitolo 70 ***
Capitolo 71: *** Capitolo 71 ***
Capitolo 72: *** Capitolo 72 ***
Capitolo 73: *** Capitolo 73 ***
Capitolo 74: *** Capitolo 74 ***
Capitolo 75: *** Capitolo 75 ***
Capitolo 76: *** Capitolo 76 ***
Capitolo 77: *** Capitolo 77 ***
Capitolo 78: *** Capitolo 78 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Chissà se il cielo sarà così bello anche visto dalla città e se mi mancherà il profumo delle mele. Amo tutto quello che mi circonda e presto potrebbe diventare solo uno sfocato ricordo.
Mi sdraio sul prato e lascio che i miei occhi si perdano nel blu del cielo.
Il frinire delle cicale e il tubare delle colombe mi aiuta a rilassarmi.
Tra poche ore ci sarà il test attitudinale e, sebbene il mio orgoglio non voglia ammetterlo, sono terrorizzata dal suo esito.
Cosa sono? Qual è la mia inclinazione?
Non mi sento una Pacifica fino in fondo, amo la vita che facciamo ma non le persone che mi circondano. Sono sempre allegre e gentili, ogni minuto della giornata, se qualche forestiero passeggiasse in uno dei campi o nei frutteti, penserebbe di essere finito in un luogo incantato, dove tutto va sempre bene. Non è così. Non va sempre tutto bene, gran parte delle persone fingono di essere quello che nel profondo non sono.
È vero, siamo una delle fazioni più fortunate e dove le persone sono davvero felici e la loro gentilezza non è forzata come negli Abneganti.
Noi amiamo davvero quello che facciamo, ma non siamo come le altre fazioni ci immaginano. Non è sempre tutto pace e amore, litighiamo e, a volte, capita di essere più cruenti di quello che si dovrebbe, ma gli episodi peggiori vengono tenuti gelosamente nascosti.
Anche in questa fazione, ritenuta la più pacifica, si sono consumate violenze o, come li chiama Johanna Reyes, errori d’impeto. Le persone che si macchiano di un crimine vengono allontanate dalla fazione e poi reintegrate dopo un lungo esilio oltre i campi più lontani ma, a volte, alcuni di essi non fanno più ritorno. Cosa c’è oltre i campi più distanti nessuno lo sa, ma quando gli esiliati fanno ritorno, sembrano in qualche modo cambiati.
«Theia, sei nervosa per il test?»
Johanna Reyes si siede accanto a me e, sorridendomi come una madre, forse un po’ troppo preoccupata, ma fiera della figlia, mi passa una mano tra i capelli.
Questa è una delle tante cose che non sopporto dei Pacifici, trattare tutti come se fossimo una grande famiglia. Ho già dei genitori e a volte sembrano anche troppo, non voglio altri madri o padri o dei fratelli, soprattutto invadenti fino quasi a sembrare morbosi.
«Forse un pochino, è un momento importante, devo decidere cosa fare per il resto della mia vita» le rispondo con voce un pochino tremolante, non tanto per la preoccupazione, quanto per il nervoso che mi suscita essere trattata come una figlia da una persona che non sa nulla di me. Non è una mia amica, è solo una conoscente che passa gran parte del suo tempo con la sua ristretta cerchia di persone fidate.
Lei è la nostra capofazione e, anche se si proclama più una mediatrice, in realtà è un capo vero e proprio.
«È un semplice test, serve per aiutarti a capire quali sono le tue potenzialità, ma sarai tu l’artefice del tuo destino, sarà tua la scelta. Segui quello che ti suggerisce la tua voce interiore, lei non sbaglia mai.»
Si alza e mi tende la mano.
«Il camion è pronto. È ora di andare.»
Prendo la sua mano e lascio che mi aiuti ad alzarmi più per educazione che per il reale desiderio di farlo. La ringrazio e la saluto velocemente in modo da evitare almeno l’ennesimo abbraccio del quale non sento per niente la necessità.
 

Il camion è rumoroso e il tanfo del gas di scarico è quasi soffocante.
È vecchio e cammina per miracolo, ma in fondo mi piace perché è il mezzo che prendo da anni per andare in città.
Noi ragazzi lo prendiamo solo per andare a scuola, è raro che ci permettano di seguire gli adulti durante le consegne, sarebbe vietato ma, soprattutto in inverno, quando è coperto dal telone, ci permettono di nasconderci tra le casse in modo che gli Intrepidi di guardia alla recinzione non facciano storie.
Siamo quasi in estate e quindi il telone è stato tolto ed io posso guardarmi intorno e osservare la grande città, circondata dall’imponente recinzione, avvicinarsi in questo viaggio speciale, forse uno degli ultimi per me.
Resto in silenzio a fantasticare su come potrebbe essere vivere in città. Alcuni dei miei compagni di viaggio chiacchierano rumorosamente, mentre altri cantano una canzone accompagnati dal banjo suonato da un uomo tarchiato e quasi del tutto pelato che si è offerto di accompagnarci.
Il camion si ferma alla base della recinzione e due Intrepidi si avvicinano all’autista. Non riesco a sentire quello che si dicono e non mi importa. La mia attenzione è catturata dall’imponente struttura e dagli Intrepidi che passeggiano tranquillamente a poca distanza dalla cima di essa. Sono vestiti di nero, maglie aderenti che mettono in mostra muscoli perfetti e pantaloni larghi pieni di tasche. Guardo il mio abito arancione, sbiadito e scomodo. La gonna mia arriva fino quasi alle caviglie e, anche se sono cresciuta indossando questi abiti, adesso li sento più scomodi di come li ho sempre percepiti, la stoffa sembra diventare pesante e opprimente, sembrano più una prigione di lino che i vecchi e leggeri abiti di una vita. Mi ritrovo a pensare a quanto sarei agile con quei vestiti neri, quanto sarebbe facile arrampicarsi su un albero o correre. So bene che il vestito non fa la differenza e che l’oppressione che sento non è fisica, è la mia fazione a opprimermi davanti alla libertà degli Intrepidi.
Il camion riprende la sua marcia facendoci sobbalzare ogni volta che passa sopra una delle tante buche sull’asfalto ormai sbriciolato dal tempo e dalla mancanza di manutenzione, solo quelle del centro sono state ripavimentate, lasciando la periferia in uno stato pietoso.
Si mormora che l’unico quartiere periferico ad essere stato sistemato sia quello che ospita la fazione degli Abneganti e che i loro privilegi non si fermino solo a strade intatte. Credo sia solo una delle malignità che da qualche tempo sembra stiano crescendo in maniera esponenziale.
Caleb, un Abnegante che frequenta il mio stesso corso di matematica, afferma che il suo quartiere è uno dei più disastrati e smentisce la notizia che circola con più insistenza. Mi ha ripetuto più volte che gli Abneganti non nascondono risorse utili a tutte le fazioni. Sostiene che vivono in maniera umile in modo da poter aiutare di più le persone che non hanno una fazione: gli Esclusi.
Mi fido di Caleb, è il ragazzo più dolce che abbia mai conosciuto, sembra l’Abnegante perfetto e mi chiedo se deciderà di restare nella sua fazione o sarà così coraggioso da seguire la sua passione per la conoscenza.
Lascio che i ricordi mi cullino per tutto il viaggio fino alla scuola, unico luogo dove i ragazzi delle fazioni possono mischiarsi.
Mentre cammino per i corridoi della scuola mi chiedo se anche io avrò il coraggio di seguire la mia voce interiore o scapperò via, tornando a rifugiarmi nella mia sicura, anche se poco sopportabile, vecchia fazione.
Entro nell’aula di matematica avanzata e vedo Caleb, già seduto al suo posto, assorto nella lettura di un libro.
I suoi capelli e gli abiti sono perfetti, non una piega sulla giacca o sui pantaloni, nessun ciuffo ribelle, mentre io sembro appena uscita da una tempesta. I miei capelli, lisci e scuri, sono legati in una treccia ma ci sono ciuffi che spuntano ovunque e il mio vestito ha talmente tante pieghe che sembra stato appallottolato prima di essere indossato.
Mi avvicino a lui e appoggio i libri sul mio banco.
«Il grande giorno è arrivato.»
Lui solleva gli occhi dalla sua lettura e appena mi vede le sue labbra si allungano in un sorriso che farebbe impallidire quelli dei miei compagni di fazione.
«Ci siamo. Nervosa?»
«No, sono calmissima. Sono così rilassata che se mi sparano me ne accorgo domani.»
Scoppiamo entrambi a ridere e io inizio sentire la tensione allentarsi.
Il modo in cui Caleb mi guarda e il suo sorriso hanno qualcosa di magico, mi fanno sentire a mio agio e mi aiutano a tenere lontane le preoccupazioni.
Cerco di non pensare che le nostre scelte ci separeranno e che, molto probabilmente, non troverò mai più un amico come lui.
«È solamente un test.»
«Non è il test a spaventarmi, è quello che verrà dopo. La scelta.»
«Non devi aver paura, il test ti farà capire chi sei e cosa vuoi. Devi fidarti del test.»
Invidio la sua fede nella scienza, ma dentro di me sento che le cose non saranno affatto facili come lui crede.
Ho sedici anni e dovrò prendere una decisione che cambierà in modo irreversibile la mia vita e ad aiutarmi ci sarà solo un test.
Nessuno mi ha mai detto in cosa consiste, tutti l’hanno fatto, ma nessuno vuole rivelare di cosa si tratta. Come faccio ad avere fiducia in qualcosa che non conosco?
Johanna mi ha detto che il test mi aiuterà, ma che alla fine dovrò seguire la mia voce interiore, quindi potrebbe essere un test inutile e io mi ritroverei nelle stesse condizioni in cui sono ora: pericolosamente vicina al panico.
Guardo Caleb, è il ritratto della pace e della tranquillità. Vorrei essere come lui.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il momento della verità si avvicina.
Siamo tutti seduti ai lunghi tavoli della mensa e i nostri esaminatori ci stanno chiamando a gruppi di dieci persone alla volta.
Anche se siamo tutti nella stessa sala, ognuno è seduto accanto ai membri della propria fazione. Io sono una dei pochi Pacifici rimasta seduta sulla sedia accanto al tavolo, tutti gli altri sono seduti in cerchio sul pavimento intenti a giocare alla variante canterina di “mano, mano”.
Il loro comportamento mi fa sentire in imbarazzo, immagino cosa staranno pensando gli altri nel vederli giocare a uno sciocco gioco da bambini di sei anni. Avrei preferito che decidessero di giocare a nascondino in modo da potermi nascondere in un posto dove non farmi trovare ed evitare gli sguardi dei nostri coetanei che hanno avuto la fortuna di nascere in una fazione meno chiassosa.
Mi guardo intorno e noto che in pochi stanno facendo caso al rumoroso gruppetto di persone vestite in giallo e arancione seduti sul pavimento.
Al tavolo accanto al mio, un gruppo di Candidi sta discutendo animatamente su qualcosa che riguarda gli animali domestici, le verdure e i diritti delle formiche, anche se dubito che siano questi i reali argomenti, ho capito solo pochi frammenti di frasi a causa del baccano che fanno gli Intrepidi.
Ai tavoli nel centro del salone sono radunati gli Eruditi. Siedono composti e non gesticolano come fanno i Candidi. Stanno discutendo di qualcosa ma in modo talmente pacato da non riuscire a sentire neanche una sillaba di quello che dicono.
Mi sporgo leggermente per cercare Caleb al tavolo degli Abneganti e i nostri sguardi si incontrano. Cerco di nascondere il nervosismo, ma lui sembra riuscire a vedere direttamente la mia anima. Mi sorride e mi fa l’occhiolino ed io inizio di nuovo a sentirmi più tranquilla, ma purtroppo la pace appena ritrovata sfuma rapidamente quando sento chiamare il suo nome.
Caleb si alza e io mi trovo a invidiare la sua calma e la sua sicurezza. Per lui è più facile, sa già quello che vuole, gli serve solo il coraggio per abbandonare la sua famiglia per seguire il suo amore per la conoscenza e trasferirsi negli Eruditi. Passano solo dieci minuti e vedo Caleb tornare al suo posto. Immaginavo di vederlo più rilassato e sereno, ma non è così, è pallido e anche da questa distanza vedo le sue mani tremare.
Sento una morsa allo stomaco e un brivido percorrere il mio corpo, come se un tornado ghiacciato si fosse formato sul mio collo e stesse scendendo lungo la mia schiena avvolgendomi con ghiaccio talmente freddo da sembrare incandescente.
Un volontario Abnegante chiama il gruppo successivo: due Intrepidi, due Eruditi, due Candidi, due Abneganti e poi me e Althea, la mia unica vera amica.
Ci guardiamo per un attimo, i nostri sguardi sono terrorizzati e io vorrei alzarmi ma i miei muscoli sembrano essersi disconnessi dal cervello. Althea mi prende per mano e mi trascina con sé fino davanti alla porta della mia saletta, la numero 8, lei si affretta a entrare nella numero 10.
Faccio un profondo respiro e apro la porta.
Le pareti della saletta sono coperte di specchi, io cerco di evitare di guardare la mia immagine riflessa che avanza titubante verso il centro della stanza, dove una poltrona reclinabile mi sta aspettando insieme a un’inquietante macchinario dal quale escono lunghi fasci di cavi.
«Non avere paura» mi rassicura l’uomo «non sono un dentista» aggiunge sorridendo, mentre mi fa segno di sedermi.
Mi siedo e sento l’uomo, un Abnegante di mezza età, canticchiare una canzone lenta e dolce che mi ricorda la ninna nanna che mi cantava mia nonna nell’inutile tentativo di farmi dormire di pomeriggio.
Canto mentalmente la stessa melodia e solo quando l’uomo mi chiede chi me l’ha insegnata, mi accorgo di aver iniziato a canticchiare a bocca chiusa.
«Me la cantava sempre la mia nonna materna per farmi addormentare.»
«Lo faceva anche mia madre ma con scarsi risultati» dice, mentre mi applica un elettrodo sulla fronte.
«Adesso, fai un profondo respiro e bevi» ordina, ma con un tono di voce così rassicurante da non farlo sembrare un ordine.
Prendo la fiala che contiene un liquido trasparente e lo bevo tutto d’un fiato, ripetendomi che prima lo faccio e prima uscirò da qui.
Sento la testa leggera e le palpebre pesanti. Gli occhi mi si chiudono.

 

Quando riapro gli occhi è passato solo un istante, ma non sono più nella saletta dei test. Sono nella mensa della scuola, è completamente deserta e regna un silenzio surreale.
Mi chiedo come può essere possibile chiudere gli occhi in un luogo e un attimo dopo riaprirli in un altro. Se tutto non fosse così reale penserei di stare sognando, ma quando guardo la mia immagine allo specchio mi riconosco perfettamente.
Una volta ho sentito dire da un ragazzo Erudito che quando si sogna ci sono cose che ci fanno capire che stiamo sognando e una di queste è la nostra immagine riflessa in uno specchio: non è mai quella reale. Non sto sognando ma mi trovo in qualcosa di simile a un sogno.
«Scegli!» sento una voce tuonare da un posto indefinibile alle mie spalle.
Guardo su uno dei tavoli della mensa. Ci sono due cesti: in uno c’è un pezzo di formaggio e nell’altro un lungo coltello.
Cerco di capire il senso di quella scelta, ma la voce non mi dà il tempo di formulare ipotesi.
«Scegli!» ripete.
«Perché? In base a cosa?» le domando, guardandomi intorno.
«Scegli!» urla la voce.
Inizio a spazientirmi. Sbuffo mentre mi incammino lentamente verso le grandi finestre, allontanandomi dai tavoli e da dove penso che provenga quella voce.
«Come vuoi» dice lei.
I cesti scompaiono. Alle mie spalle sento il cigolio di una porta che si apre.
Piccoli e veloci passi, accompagnati da un ticchettio, sembrano dirigersi verso di me. Conosco quel rumore, le unghie di un animale che picchiettano sulle mattonelle del pavimento.
Mi volto e vedo un cane. Assomiglia a un cane lupo ma è molto più grande.
I suoi occhi scuri si fissano nei miei, il suo passo rallenta e le sue labbra si sollevano mostrando denti bianchi e aguzzi. Sento un ringhio crescere nella sua gola mentre le sue orecchie si appiattiscono all’indietro. Rallenta e il suo corpo si tende, testa, spalle e fianchi sono allineati. Si sta preparando ad attaccare.
Non posso scappare, mi raggiungerebbe in un attimo e combattere è fuori questione, è troppo grosso. L’unica cosa che posso fare è mettere in pratica quello che ho imparato in sedici anni da Pacifica: scongiurare l’attacco.
Dicono che i cani siano in grado di fiutare la paura, in parte è vero, ma sono le azioni che essa ci spinge a compiere a farli sentire più sicuri o minacciati e quindi ad attaccare.
Distolgo lo sguardo. Fissarlo dritto negli occhi è un atteggiamento di sfida. Premo le braccia lungo i fianchi e chiudo dolcemente le mani a pugno mentre lentamente mi lascio scivolare sulle ginocchia ruotando leggermente il mio corpo, in modo da mettermi lateralmente rispetto al cane, ma tenendolo nel mio campo visivo. Tutto questo dovrebbe fargli capire che non rappresento una minaccia.
Sento di nuovo il rumore che fanno le sue unghie sulle piastrelle del pavimento, il suo passo è lento e regolare. Mi sta studiando.
Chiudo gli occhi anche se so che è una cosa sbagliata. Se lui decidesse di attaccare, mi coglierebbe impreparata, non avrei il tempo di reagire.
Qualcosa di umido e ruvido mi tocca la guancia sinistra. Apro gli occhi e lo vedo seduto accanto a me. Mi guarda incuriosito e continua a leccarmi la faccia.
«Mi dispiace piccolo, niente bistecca, c’era solo del formaggio ammuffito» gli dico ridendo mentre cerco di pulirmi il viso con la manica della camicia.
Quando mi volto di nuovo verso il cane, noto che non siamo più soli, in fondo alla sala c’è una bambina vestita di bianco. Lei stende le braccia e, correndo verso di noi, strilla: «Cucciolo!»
Non ho il tempo di avvertirla, il cane scatta verso di lei.
Mentre mi alzo e mi lancio sopra il cane, l’unica cosa che riesco a pensare è che devo fermarlo a tutti i costi, altrimenti la sbranerà. So esattamente cosa devo fare, come so che dopo mi sentirò un mostro, ma non ho scelta: il cane o la bambina.
Punto i piedi a terra tenendo ben stretta la testa del cane. Lo sollevo e lo sento guaire mentre scalcia nel vuoto. Cerco di non andare in pezzi. Raccolgo tutta la forza che ho e chiudo gli occhi, ma quando ruoto le mani per spezzare l’osso del collo dell’animale, mi ritrovo a stringere il nulla.
Non è sparito solo il cane, anche la mensa. Adesso sono nella saletta dei test che è completamente vuota. Faccio un sospiro di sollievo.
La stanza è più buia di quando l’ho vista l’ultima volta, ma non abbastanza per non notare che la mia immagine non si riflette in nessuno degli specchi.
Mi domando se tutto sia solo un sogno, ma il fatto di esserne cosciente senza avere la capacità di gestirlo è la prova che non è un normale sogno.
Decido di fare un tentativo. Mi avvicino alla porta, chiudo gli occhi e immagino di essere davanti alla portafinestra della mia camera. Quando aprirò questa porta sarò fuori dalla mia stanza, a pochi passi dal bosco.
Varco la soglia e quando riapro gli occhi mi ritrovo su un autobus. Tutti i posti sono occupati e le persone sembrano non fare caso a me, tutte tranne una.
È un uomo e stringe in mano un giornale. Noto che le sue mani sono coperte di cicatrici.
«Conosci questo tizio?» mi chiede picchiettando nervosamente con un dito la fotografia in prima pagina.
Riesco a leggere solo il titolo: Finalmente arrestato brutale assassino!
Sotto c’è una grossa fotografia di un giovane con la barba, un viso anonimo, ma ho l’impressione di averlo già visto da qualche parte. So di averlo già visto ma non ricordo né dove né quando. L’unica cosa ben chiara nella mia testa è che sarebbe una pessima idea dirlo all’uomo seduto di fronte a me.
«Ebbene?» la sua voce è carica d’ira «Sì o no?»
Il mio istinto mi dice di mentire ma c’è qualcosa che mi blocca. Non ho mai avuto problemi a mentire e la sensazione di essere in pericolo di vita dovrebbe aiutarmi a mentire meglio, ma non riesco a farlo e non ne capisco il motivo.
«Sì o no?» ripete lui.
Mi volto dall’altra parte, sperando che qualcuno abbia notato la scena, ma nessuno sembra essersi accorto di nulla, come se io e l’uomo fossimo due fantasmi.
«Ebbene?» incalza.
«No, non so chi sia» in fondo è la verità, mi è familiare ma non ricordo niente di lui.
«Stai mentendo!» afferma l’uomo.
«Ho detto che non ho idea di chi sia» inizio a non sopportare più la sua insistenza.
«Stai mentendo. Te lo leggo negli occhi.»
Mi ha stancata. Lo fisso dritto negli occhi, anche se non posso vederli perché indossa occhiali scuri, non importa, voglio che lui veda il mio sguardo risoluto.
«Se lo conosci» insiste lui abbassando la voce «Puoi salvarmi. Tu puoi salvarmi!»
Sento vacillare la mia sicurezza. Davanti a me c’è un uomo disperato e malconcio e pare che la sua vita dipenda dalla mia sincerità. Purtroppo anche la mia vita sembra dipendere dalla risposta che gli darò, se mento sarò salva ma se dico la verità sento che potrebbe accadere qualcosa di terribile.
Cosa potrebbe accadermi? Tutto questo non è reale.
È soltanto un sogno un po’ diverso dagli altri e forse c’è un modo per modificare luoghi e avvenimenti, devo solo capire come.
Ho bisogno di pensare, devo liberare la mente, smettere di concentrarmi su singoli avvenimenti e guardare tutto da una prospettiva diversa, avere una visuale più ampia.
Ho focalizzato la mia attenzione sullo scenario che stavo vivendo e ho escluso quelli già vissuti perché non avevo il tempo di pensare ad altro, ma qui non ci sono cesti che scompaiono e cani enormi che attaccano tutti, qui c’è solo un uomo che aspetta una risposta.
Faccio un profondo respiro e chiudo gli occhi cercando una connessione logica tra tutte le cose che ho vissuto in questo bizzarro sogno. Le immagini delle varie stanze scorrono velocemente nella mia mente fino a fermarsi nella mensa dove avrei dovuto fare una scelta che non ho fatto. Tutto inizia ad avere un senso.
Il coltello e il formaggio, crudeltà o gentilezza, Intrepidi o Pacifici, ma potrebbe essere anche intelligenza e quindi Intrepidi o Eruditi.
La bambina e il cane, sacrificarsi al posto suo, Abneganti.
L’uomo davanti a me, dire la verità o mentire, Candidi.
È un test a esclusione.
«Sì, l’ho già visto ma non ho idea di chi sia» gli dico, agitando la mano in segno di saluto. Mi dirigo verso l’uscita dell’autobus e tiro il freno di emergenza.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mi sveglio nella stanza dei test con il collo dolorante ma con un grande sollievo, l’incubo è finito.
L’uomo Abnegante, in silenzio e con sguardo preoccupato, stacca gli elettrodi dalla mia fronte e dalla sua.
Qualcosa non va, il suo atteggiamento nei miei confronti è cambiato, non è più amichevole e rilassato, sembra essersi incupito e ho paura di essere io la causa.
Ho fatto qualcosa di sbagliato nel test, ma cosa si può sbagliare in un test come quello, dove si deve scegliere tra le risposte A o B? Come si può sbagliare un test che non ha risposte giuste o sbagliate ma solo risposte che evidenziano un’attitudine?
Forse è stata la scelta che non ho preso all’inizio a farmi fallire il test.
Fallire. È una ipotesi assurda, nessuno ha mai fallito il test attitudinale.
Si fa largo in me un timore, che io stessa considero assurdo, ma lo sguardo preoccupato dell’uomo e il silenzio che regna nella saletta lo rendono plausibile: io sono la prima ad aver fallito. Sono anomala e mi sbatteranno immediatamente tra gli Esclusi.
«L’esito è incerto» finalmente l’uomo rompe il silenzio. «Scusami, torno subito.»
Incerto non è sinonimo di fallimento, ma potrebbe esserlo di anomalo.
Osservo l’uomo uscire dalla saletta e chiudersi la porta alle spalle.
Sono sola, seduta su una poltrona e circondata da specchi che riflettono la mia immagine, quella di un’anomalia nel perfetto sistema delle fazioni.
Man mano che i minuti passano, divento sempre più nervosa e nella mia mente appaiono gli scenari più assurdi.
Se non fossi tagliata per nessuna fazione? La risposta è semplice: Esclusi.
Passerei il resto dei miei giorni per strada, cercando di sopravvivere in qualche modo, al freddo, sotto la neve e la pioggia, dimenticata da tutti, abbandonata dalla società. Vivrei alla giornata perché non avrei uno scopo, una ragione per vivere.
Finalmente la porta si apre. L’uomo non è più solo, con lui c’è una donna alta e magra, con lunghi capelli neri e piccoli occhi scuri. Indossa jeans e una giacca da uomo nera e ha tatuaggi su entrambi gli avambracci. È un’Intrepida e dice di chiamarsi Tori.
A differenza dell’uomo, che è preoccupato ma calmo, lei è tesa e pallida.
«Theia, il risultato del tuo test è inconcludente» afferma «Generalmente, a ogni passaggio della simulazione vengono eliminate una o più fazioni, ma nel tuo caso non è stato possibile eliminarne nessuna con certezza.»
«Nessuna?» domando sbigottita e sgranando gli occhi fino quasi a temere di sentirli schizzare fuori dalle orbite come due palloncini impazziti.
La donna continua come se stesse tenendo una conferenza, ignorando la ragazza esile che si sbraccia sul fondo della sala per farsi notare.
«Se avessi mostrato un’avversione per il coltello e avessi scelto il formaggio, la simulazione ti avrebbe portata in uno scenario diverso, per confermare la tua predisposizione per i Pacifici. Non è andata così, tu hai rifiutato di fare una scelta creando un’anomalia che il computer non è stata in grado di gestire, quindi non ha potuto scartare i Pacifici.»
Anomalia, il nuovo sinonimo di fallimento. Inizio a preoccuparmi seriamente. Se l’Abnegante ha chiamato una Intrepida vuol dire che presto sarò trascinata fuori di qui e abbandonata nella più vicina zona occupata dagli Esclusi.
«Normalmente, la simulazione progredisce in modo lineare e identifica una fazione per esclusione delle altre. Le scelte che hai fatto non permettevano neanche di escludere i Candidi, che erano l’opzione successiva, per cui Jedediah ha dovuto alterare la simulazione per metterti sull’autobus. E lì, inizialmente, la tua insistenza nel mentire avrebbe dovuto eliminare i Candidi, ma anche gli Abneganti. Quello che hai fatto dopo li ha rimessi in gioco» continua. «Il che pone un altro problema.»
Tori si gratta la testa.
«Da una parte, ti sei gettata sul cane invece di lasciare che attaccasse la bambina, che è una reazione compatibile con gli Abneganti. Dall’altra, le risposte che hai dato all’uomo sull’autobus sono incompatibili con gli Abneganti» fa una breve pausa per riprendere fiato. «Il fatto che tu non sia scappata dal cane, e da come lo hai affrontato per difendere la bambina, suggeriscono un’inclinazione per gli Intrepidi, ma avresti anche dovuto prendere il coltello, cosa che non hai fatto.» Si schiarisce la gola e continua: «L’intelligenza della tua reazione di fronte al cane indica una forte consonanza con gli Eruditi. Non so some interpretare la reazione che hai avuto nella fase finale del test.» Sospira. «Qualcosa ti ha fatto modificare il modo di agire, hai detto la verità all’uomo, ma poi te ne sei andata in modo spavaldo e hai azionato la leva del freno. È un comportamento totalmente fuori dagli schemi, un’anomalia che ha fatto bloccare il computer.»
È questa la vera anomalia, cercare di prendere il controllo sugli eventi della simulazione. È visto dal computer come barare.
«Quindi non hai idea di quale sia la mia attitudine?» la interrompo prima di sentire di nuovo la parola anomalia.
«Sì e no. La mia conclusione» spiega «è che hai mostrato predisposizione per tutte le fazioni, alcune in modo più marcato di altre, ma in ogni caso non è possibile escluderne nessuna.»
Lancia una rapida occhiata a Jedediah e riprende. «Le persone che ottengono questo tipo di risultato sono chiamate Divergenti.» Pronuncia l’ultima parola a voce così bassa che quasi non la sento. Si china su di me e riprende: «Theia» sussurra «non rivelare questa informazione a nessuno, per nessuno motivo, mai.»
«Non è permesso comunicare i risultati del test.»
Tori si inginocchia e appoggia le sue mani sulle mie braccia.
«No, è una cosa diversa. Non devi parlarne con nessuno, mai, qualunque cosa accada e chiunque sia a chiedertelo. Non devi parlarne con nessuno, che siano i tuoi genitori, la tua migliore amica, il tuo fidanzato o i tuoi capifazione» dice fissandomi dritto negli occhi.
«La divergenza è molto pericolosa. Capisci?»
«No. Non capisco come può essere pericolosa, ma in ogni caso non avevo intenzione di confidare l’esito a nessuno» rispondo con un tono di voce risoluto.
Tori si alza e cammina nervosamente per la stanza scuotendo la testa.
«Tu non hai capito la gravità della situazione.» Si volta verso di me e mi fissa sempre più preoccupata.
«Certo che non l’ho capita, come posso se non ho idea di cosa siano i Divergenti?» Il mio tono di voce è leggermente più alto del dovuto. Tori mi fa segno di fare silenzio.
«Tu sai cosa sono?» le domando, cercando di tenere la voce bassa.
«I Divergenti vengono percepiti come una minaccia al sistema delle fazioni e alla pace. Sono individui difficili da controllare perché la loro mente è in grado di vedere le cose in modo diverso, da più punti di vista» torna a inginocchiarsi accanto alla poltrona e aggiunge: «Theia, se un individuo non può essere inserito in una fazione e controllato, rappresenta una grossa minaccia e quindi dovrà essere…»
«Eliminato» concludo io la sua frase.
Tori annuisce. «Se qualcuno scopre cosa sei, verrai uccisa.»
Mi si gela il sangue. Questa ipotesi va ben oltre il peggio che mi ero immaginata. Essere allontanata dalle fazioni e vivere da Esclusa non fa più così paura. Se qualcuno scopre cosa sono, io morirò.
«Ti consiglio di trovarti un posto tranquillo dove aspettare il camion che ti riporterà nella tua fazione» dice Tori «Hai molte cose a cui pensare. Aspettare insieme agli altri non ti aiuterebbe.»
Mi aiuta ad alzarmi dalla poltrona, ma io fatico a mantenere l’equilibrio, le mie gambe sembrano diventate di gelatina.
Quando sono entrata in questa saletta, la mia preoccupazione più grande era la possibilità che il test confermasse la mia attitudine ai Pacifici e quindi non aiutarmi nella scelta di domani, mentre ora so di avere inclinazione per tutte le fazioni e di essere una Divergente.
Non ho concluso nulla, volevo un aiuto nella scelta e, alla fine, non solo non l’ho avuta, ma ho scoperto di essere in pericolo di vita.
«No. Aspetta.» mi fermo, guardo Tori negli occhi e continuo: «Questo test avrebbe dovuto aiutarmi a scegliere e invece mi ha confuso di più le idee.»
«È soltanto un test. La decisione finale spetta a te.»
«Facile da dire quando il tuo test non ha indicato cinque attitudini» dico, stringendole il braccio.
«Nel test ho inserito Pacifica.»
«Perché è l’attitudine più marcata?» le domando, ma Tori sposta lo sguardo.
«Quali sono?» insisto, mettendomi tra lei e la porta e fissandola dritta negli occhi. Non uscirò di qui senza una risposta.
Tori cerca di sostenere il mio sguardo, ma alla fine si arrende.
«Tutte secondo il test, quindi sta a te decidere. Sei la persona che ti conosce meglio. Io non posso fare altro» sospira e poi aggiunge: «Scegli con giudizio.»
Apre la porta ed esce velocemente lasciandomi in balia di tutti i dubbi e le angosce che porta con sé questa nuova consapevolezza.
La decisione sta a me ora, a prescindere da quello che dice il test.
Pacifica. Intrepida. Erudita. Candida. Abnegante.
Divergente.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il silenzio del bosco mi aiuta a distendere i nervi e dopo una giornata come questa ne ho un disperato bisogno.
Osservo tramontare il sole dalla cima dell’albero su cui mi sono arrampicata e penso che questa pace mi mancherà se prendessi la decisione di cambiare fazione.
Solo ieri ero convinta che ci sarebbe stata solo una opzione per me: Pacifica, mentre oggi sono diventate cinque.
Cerco di analizzare di nuovo gli scenari del mio test per capire quale fazione sembra predominare sulle altre ma, quella che Johanna chiama voce interiore, continua a intromettersi sussurrandomi: Intrepidi.
Cerco di ignorarla e pensare alla mia vita all’interno delle singole fazioni.

      Eruditi. Sono di natura curiosa e mi piace imparare cose nuove, ma per farlo passerei le mie giornate in biblioteca o in laboratorio a studiare e fare test. Visualizzo il loro quartiere. Alti palazzi che sembrano enormi gabbie di vetro. Mi sentirei in trappola e il contatto con la natura, che io amo tanto, si ridurrebbe all’analisi di qualche campione o a una veloce passeggiata in qualche piccolo parco sopravvissuto al cemento.
La mia mente sarebbe allenata, mentre il mio corpo perderebbe le sue forme, sempre fermo su una sedia e il mio collo risentirebbe delle ore passate a sostenere il capo, chino su libri o macchinari. Nel giro di qualche anno mi trasformerei in una larva con gli occhiali. Non è questa la vita che voglio fare, ho bisogno di muovermi e di scaricare tutta l’energia che sento scalpitare dentro di me e poi odio il loro atteggiamento di superiorità e la totale mancanza di umiltà. Non sarò mai un lasso.

      Candidi. Loro perseguono ordine, onestà e giustizia. Sono valori che condivido, soprattutto l’ultimo, ma a differenza di loro, io non sono capace di dire sempre la verità. Sono profondamente convinta che, a volte, sia necessario mentire perché la verità potrebbe creare più problemi delle bugie.
Le persone commettono errori, a volte sono gravi, mentre altre volte sono cose di poco conto, ma che se non venissero tenute nascoste potrebbero rovinare la vita, non solo della persona che ha sbagliato, ma anche di chi le sta vicino.
No, ci sono troppe sfumature tra il bianco e il nero e io non riesco a ignorarle come fanno i Candidi. Non riuscirei a dire sempre la verità, sopratutto dopo il test di oggi. Ho un importante segreto da mantenere.
Un’amica di famiglia ha sposato un trasfazione che veniva dai Candidi e mi ha detto che, durante l’iniziazione, viene fatto un test con un siero che lei ha chiamato siero della verità e che impedisce di mentire. Se mi domandassero il risultato del test o di rivelare un segreto, tutti saprebbero che sono una Divergente e per me sarebbe finita.
Se voglio vivere devo escludere i Candidi dalla mia scelta.

      Abneganti. Una vita per gli altri. Mi rende felice aiutare gli altri e non ha importanza a quale fazione appartengono, se qualcuno è in difficoltà non riesco a voltargli le spalle, qualcosa dentro di me mi spinge a fare qualcosa per loro.
A volte basta così poco per aiutare una persona e mi domando perché molti non se ne rendano conto. Un sorriso, un gesto gentile, una piccolissima rinuncia e all’interno della recinzione le cose andrebbero meglio, e non solo per i membri delle fazioni, anche per gli Esclusi. Loro non hanno nulla, ma se ognuno di noi si privasse di una piccolissima parte di ciò che ha per darla a loro, la vita degli Esclusi sarebbe migliore. Non è una grande privazione, molto spesso abbiamo più di quando è veramente necessario.
Riuscirei a dedicarmi totalmente agli altri e a vivere con le loro rigide regole? Sarà dura, ma con un piccolo sforzo potrei farcela. È questo ciò che voglio veramente?

      Intrepidi. Coraggiosi, arditi e liberi. Paradossalmente hanno molte cose in comune con gli Abneganti. Dicono di credere negli atti di coraggio ordinario, il coraggio che spinge una persona ad ergersi in difesa di un’altra. Esiste forma di altruismo più grande di rischiare la propria vita per salvare quella di uno sconosciuto? No, non credo.
Il primo scenario del test poneva la scelta tra gli Intrepidi e i Pacifici e in effetti sono due opposti. Verrebbe da chiedersi come fanno a coesistere dentro di me. Non lo so. Forse non sono una Pacifica al cento per cento, in fondo ho passato parecchio tempo sotto l’effetto di grosse dosi del siero della pace. Sono sempre stata una persona un po’ problematica, non violenta, solo più agitata delle altre e non sono mai riuscita ad essere felice come i miei compagni di fazione. Magari il mio carattere difficile è legato alla mia divergenza.
Negli Intrepidi imparerei a combattere e a usare le armi, questo mi sarebbe utile nel caso qualcuno scoprisse cosa sono. Saper combattere e sviluppare una buona forza e agilità mi darebbe qualche possibilità di fuggire e di sopravvivere nascosta ai margini della società. Mi darebbe anche la possibilità di proteggere i Divergenti, non so ancora in che modo ma spero di scoprirlo.
Una cosa è certa, sono molto più brava di loro ad arrampicarmi.

      Pacifici. Le mie radici. Natura, gentilezza e armonia. Casa. La fazione in cui sono nata e cresciuta, dove vivono le persone che amo. Il mio mondo. Anche se a volte mi va un po’ stretto, so che mi mancherà.
Vorrei andarmene per esplorare il mondo tutto nuovo della città ma, allo stesso tempo, vorrei anche restare nel mio nido caldo e sicuro. Il sole caldo sulla pelle, il profumo delle mele mature e la pace del bosco, non le troverei in nessun’altra fazione. Non troverei persone allegre che a volte mi infastidiscono ma che alla fine rendono i miei momenti bui meno pesanti e opprimenti.

È difficile scegliere quando in fondo alla tua anima non riesci completamente a credere nelle fazioni. Non riesco a immaginare un modo migliore per mantenere pace e armonia, però non riesco ad essere d’accordo con il nostro motto: la fazione prima del sangue.
So che serve a gestire meglio il sistema delle fazioni, ma credo che i legami non possono essere mai spezzati completamente. Abbandonare la vecchia fazione per una nuova comporterebbe chiudere con il proprio passato, ma come facciamo a costruire il nostro futuro ignorando il passato che rappresenta le nostre fondamenta?
Non voglio dimenticare o rinnegare ciò che sono stata fino ad ora. Non voglio perdere le persone che hanno contribuito a farmi diventare la persona che sono.
«Hey lassù!»
Guardo verso il basso e vedo Althea che inizia ad arrampicarsi sull’albero.
I suoi lunghi capelli rossi sono sciolti e ad ogni ramo la sento sbuffare perché le rimangono incastrati sotto le mani.
Si siede accanto a me e nei suoi grandi occhi verdi rivedo tutta la nostra vita insieme: le marachelle combinate da bambine, le risate fatte mentre correvamo verso il bosco cariche di mele rubate nel frutteto, le confessioni delle nostre prime cotte.
Sento una stretta al cuore, questa è la nostra ultima serata insieme, domani forse le nostre strade si divideranno.
«Com’è andato il test?» mi domanda, mentre si lega i capelli in una treccia.
«Bene» le mento.
«Ti ha chiarito le idee?»
Assolutamente no.
Questo non posso dirglielo, mi fido di lei ma non voglio farla preoccupare.
«Un pochino, ma come dice Johanna: la scelta spetta solo a noi.»
«La voce interiore, bla bla bla…» dice alzando gli occhi al cielo.
«Resterai con Dill nei Pacifici?» le domando e spero che non mi ponga una domanda simile.
«Sì, lo amo, è lui la mia fazione» sospira mentre accarezza il ciondolo che lui le ha regalato. Un po’ la invidio, lei ha trovato la sua persona, quella che la completa.
«Tu invece, raggiungerai Neem negli Abneganti o…» lascia in sospeso la frase.
Neem è stato per qualche mese il mio ragazzo fino a quando, l’anno scorso, per lui è arrivato il momento della scelta. Mi disse che mi avrebbe aspettata nella sua nuova fazione, ma io non mi sentivo molto coinvolta e così gli dissi che era meglio che le nostre strade si separassero. Vorrei essere stata capace di amarlo come Althea ama Dill, ma non è successo e, a volte, mi chiedo se esiste davvero un ragazzo capace di farmi perdere completamente la testa.
«No. Sai come sono andate le cose, abbiamo deciso di lasciarci. Spero abbia trovato una brava ragazza negli Abneganti.»
Althea mi abbraccia. «Vedrai che troverai anche tu un bravo ragazzo. Sai che ti dico? Adesso uso le mie carte magiche e ti dirò anche chi è!»
Un’altra cosa che mi mancherà saranno le sue carte magiche. Non sono altro che cartoncini sui quali lei ha fatto dei disegni e, per ognuno, ha inventato vari significati.
«Ci sto!» le dico ridendo.
So che non mi daranno nessuna risposta, lo fanno molto raramente e credo sia solo un caso, ma voglio che questa sia una normale serata e non una logorante attesa della scelta di domani.
«Adesso concentrati sull’amore e prendi sei carte dal mazzo.»
Prendo le carte e le dò a lei. Le mette in fila sulla sua gonna e le volta lentamente una ad una.
Davanti a me ci sono sei carte su cui sono disegnati: una pietra azzurra, un toro, una fiamma, una spada, una corona e uno strano essere con il lato destro del corpo scuro con una mano che sembra un artiglio e il sinistro chiaro con una mano che stringe una rosa. Non ho idea di cosa rappresenti ma credo siano due opposti riuniti in un’unica cosa.
«La carta della Pietra Azzurra. Lui avrà occhi azzurri come un cielo terso, oppure freddi come il ghiaccio» riflette per un attimo «in ogni caso avrà gli occhi azzurri» conclude.
«Il Toro. Sarà forte e risoluto, ma potrebbe anche essere una caratteristica fisica, quindi potrebbe avere un corpo da favola e… ehm.. saprà usarlo molto bene» dice, ridacchiando e facendomi l’occhiolino.
«Il Fuoco. Sarà passionale e, se la leghiamo alla precedente, non avrai da lamentarti.»
Mi fa di nuovo l’occhiolino ed entrambe scoppiamo a ridere.
«Ok, andiamo avanti. La Spada. Se fossi maliziosa la legherei alle ultime due carte, ma sono una persona seria. Significa molte cose, ma io credo che si riferisca al suo approccio alla vita, non è uno che la subisce, ma lotta per quello in cui crede. È un guerriero.»
Althea è molto convinta di quello che dice, ma io sto iniziando a dare a quelle carte un’altra interpretazione.
«La Corona la portano i re e quindi sarà una persona importante. Magari svolgerà un buon lavoro all’interno della fazione oppure no, magari rappresenta la sua popolarità e viste le prime carte…» ridacchia dandomi una gomitata. Oggi è più sciocca del solito.
«Questa è la carta più difficile da interpretare: la Dualità. Di solito le altre carte aiutano a suggerirne il significato, ma stranamente non lega con nessuna» il suo sguardo per un attimo si fa cupo, «rappresenta i due opposti che convivono in un’unica essenza. Magari ha una mente complicata o forse rappresenta i due opposti che si attraggono.»
«Tipo luce e oscurità, bianco e nero, acqua e fuoco?» le domando.
«Esattamente!»
«Quindi la mia anima gemella ha gli occhi azzurri, è muscoloso, forte e passionale, ci sa fare a letto ed è molto conosciuto nella sua fazione.»
«Magari un capofazione o il primo della classe…» suggerisce lei.
«O lo scemo del villaggio» la interrompo.
«O lo scemo del villaggio, che per te è perfetto» scherza.
«Sei una pessima veggente.»
«Lo so. Non ho mai azzeccato una previsione.»
Scoppiamo a ridere tutte e due.
Mi mancherà davvero e inizio a pensare che forse riuscirei ad essere felice tra i Pacifici, ma l’idea di restare in questa fazione mi angoscia quanto la scelta di cambiare fazione.
Ormai resta poco tempo per decidere e io ho ben cinque opzioni.
Razionalmente ho già deciso di escludere la vita in provetta degli Eruditi e l’inconcepibile sincerità dei Candidi.
Ho molte affinità con gli Abneganti ma non so quanto resisterei con le loro rigide regole.
La riservatezza, la compostezza e l’austerità non fanno parte di me, non lo faranno mai ed io mi ritroverei a vivere in una prigione invisibile.
No, io sono nata libera, nelle mie vene scorre sangue caldo, non posso reprimere la mia natura.
Ne restano solamente due.
Pacifici. Intrepidi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


È giunto il gran momento, quello che abbiamo aspettato e, allo stesso tempo, temuto per sedici anni: il giorno della Cerimonia della Scelta.
L'ingresso del Centro è molto affollato e la fila per gli ascensori si muove molto lentamente.
Davanti a me c'è un gruppo di Abneganti che, come loro abitudine, pensano prima agli altri e poi a loro stessi e così ci cedono il loro posto in ascensore. Tra di loro c'è anche Caleb ma nella confusione non mi vede. Sembra calmo, lo sarei anche io se avessi le idee ben chiare come lui, ma purtroppo non è così.
Avrei voluto che il viaggio in ascensore durasse di più, ma sarebbe stupido voler prolungare l'agonia.
Insieme ai miei genitori entro nella sala della scelta, probabilmente sarà l'ultima cosa che faremo insieme. Questo pensiero mi fa sentire una fitta al cuore. L'ultima volta. No. Non devo pensare a queste cose o crollerò. Non voglio essere tra quelli che piangono, li ho sempre trovati patetici.
La sala è enorme e divisa in centri concentrici; quello esterno è assegnato ai sedicenni di tutte le fazioni. Noi non siamo ancora considerati membri, con la decisione che prenderemo oggi, diventeremo iniziati e, solo al completamento del rito di ammissione diventeremo membri a tutti gli effetti.
Come ci è stato spiegato, dovremo disporci in ordine alfabetico sulla base del cognome. Io verrò chiamata dopo Althea e Caleb.
Il cerchio successivo è riservato ai nostri familiari ed è diviso in cinque settori, uno per ogni fazione. La cerimonia non è aperta solo a noi e alle nostre famiglie, ma anche agli altri membri delle fazioni, non tutti partecipano ma ne arrivano abbastanza da costituire una folla immensa. Mi sento quasi soffocare.
L'incarico di presiedere alla cerimonia ruota di fazione in fazione ogni anno, quest'anno tocca agli Abneganti e sarà Marcus Eaton a tenere il discorso di apertura e a leggere i nomi in ordine alfabetico inverso.
Nel cerchio più interno ci sono cinque grossi piedistalli sui quali sono poggiate cinque grandi coppe. Ognuna contiene l'elemento simbolo di una fazione: pietre grigie per gli Abneganti, acqua per gli Eruditi, terra per i Pacifici, carboni ardenti per gli Intrepidi e vetro per i Candidi.
Quando verrò chiamata dovrò raggiungere il centro della sala e prendere il coltello che mi porgerà Marcus, farmi un taglio nella mano e lasciare gocciolare il sangue nella coppa della fazione che sceglierò.
Inizio a non sopportare più l'attesa, non solo quella della scelta ma anche quella dei saluti. Mi avvicino ai miei genitori che mi guardano sorridenti. Il loro sguardo è sereno anche se nei loro occhi vedo un velo di rassegnazione, come se già sapessero che questa sarà l'ultima volta che mi vedranno. Non riesco a sostenere i loro sguardi, non sono mai riuscita a sopportare gli adii. Ascolto le loro parole di incoraggiamento stringendo i pugni così forte da sentire pizzicare la pelle dei palmi delle mani. Se non mi allontano subito scoppierò a piangere come una bambina.
Li stringo a me, in quello che potrebbe essere il nostro ultimo abbraccio e mi dirigo nel settore al quale sono stata assegnata.
Restare nel mio nido sicuro o spiccare il volo verso l'ignoto?
Mi mordo l'interno delle guance per cercare di fermare le lacrime. Mi mancheranno e non so come farò ad andare avanti senza averli al mio fianco.
Mi siedo al mio posto, tra me e Althea ci sono una decina di persone, ma io riesco comunque vederla bene. È seduta e scruta la sala, intuisco chi sta cercando: Dill. Lo vedo dall'altra parte della sala mentre manda un bacio ad Althea. Lei sorride e, in tutti gli anni che la conosco, non l'ho mai vista così felice; presto si tornerà dal suo amato.
Faccio scorrere lentamente lo sguardo più volte per tutta la sala e non vedo Neem, mi sento sollevata, non dovrà assistere alla mia decisione e sentirsi tagliato fuori dalla mia vita per sempre.
Marcus è sul podio e si schiarisce la voce nel microfono.
«Benvenuti alla Cerimonia della Scelta. Benvenuti alla cerimonia in cui onoriamo la filosofia democratica dei nostri antenati, che riconosce a ciascuno di noi il diritto di scegliere la propria strada nella vita.»
Cinque strade, solo una è quella che non reciderà per sempre i legami con le persone che per sedici anni sono stati tutta la mia vita.
«I nostri figli hanno ormai sedici anni, sono sulla soglia dell'età adulta e ora sta a loro decidere che tipo di persone saranno.»
Marcus ha un tono di voce solenne e soppesa con cura tutte le parole come farebbe un Erudito. Il capo del nostro governo si comporta come quelli che sembrano cospirare per diventare loro stessi il governo. Forse sto viaggiando un po' troppo con la fantasia.
«Decine di anni fa, i nostri antenati capirono che le guerre non erano dovute a ideologie politiche, fedi religiose, divisioni di razza o nazionalismi. Scoprirono che l'origine stava nella natura dell'uomo, nella sua inclinazione al male, in qualunque sua forma. Così si divisero in fazioni, per cercare di sradicare quei comportamenti che pensavano fossero la causa del disordine nel mondo.»
Mi domando se crede davvero in ciò che dice. Dividerci in fazioni non cambierà la nostra natura, non sradicherà il male da dentro di noi. Il male continuerà ad esistere insieme al bene, non c'è modo di separarli perché senza l'uno, l'altro non può esistere. L'unica cosa che possiamo fare è trovare il giusto equilibrio tra di essi e cercare di mantenerlo.
«Quelli che davano la colpa all'aggressività fondarono la fazione dei Pacifici.»
La gente ci immagina sempre gentili e affettuosi e credono che siamo liberi. Forse è vero ma, tra le pareti delle nostre case, non regnano sempre pace e amore, e la libertà è un pallido eco di un sogno lontano.
«Quelli che incolpavano l'ignoranza divennero gli Eruditi.»
Padroni della conoscenza, spocchiosi e a volte noiosi. Non è stato molto difficile escluderli dalla mia scelta, sopratutto dopo gli articoli del loro capo, Jeanine Matthews.
«Quelli che accusavano l'ipocrisia si chiamano Candidi.»
Non supererei viva l'iniziazione.
«Quelli che condannavano l'egoismo formano gli Abneganti.»
Anche io condanno l'egoismo e inizio a pensare che potrei trovarmi bene in quella fazione, dai racconti di Caleb sembra un bel posto in cui vivere e invecchiare.
«E quelli che incolpavano la codardia diventarono gli Intrepidi.»
Forse dovrei abbandonare l'idea di questa follia di voler cambiare fazione, forse dovrei restare dove sono nata e cresciuta.
«Queste cinque fazioni vivono in pace da molti anni, lavorando insieme e facendosi carico ciascuna di una diversa esigenza della società. Gli Abneganti soddisfano la nostra richiesta di governi altruisti; i Candidi ci forniscono autorità affidabili e competenti in materia legislativa; gli Eruditi ci procurano insegnanti e ricercatori intelligenti; i Pacifici preparano consulenti e assistenti ricchi di umana comprensione; e gli Intrepidi garantiscono protezione dalle minacce, sia interne che esterne. Ma la funzione delle fazioni non rimane circoscritta a questi settori. Noi ci diamo gli uni agli altri molto più di quanto possa essere adeguatamente riassunto. Nelle nostre fazioni troviamo un senso, troviamo uno scopo, troviamo la vita. Senza di loro, non sopravviveremmo.»
La fazione prima del sangue.
Guardo la mia famiglia e poi Althea che sorride a Dill e sento di credere sempre meno in questo motto.
«Perciò» continua Marcus «in questo giorno celebriamo una lieta ricorrenza: è il giorno in cui accogliamo i nostri iniziati, che lavoreranno con noi per una società migliore e un mondo migliore.»
Uno scroscio di applausi arriva ovattato alle mie orecchie. La mia mente è distante, prigioniera in una stanza dove è circondata da tre coppe: terra, fuoco e pietra.
Marcus legge i primi nomi ma la mia mente continua ad aggirarsi tra le coppe nella sua angusta prigione alla ricerca di un segno, di qualcosa che l'aiuti a decidere.
Sentire pronunciare il nome della mia migliore amica mi riporta nella grande sala della Cerimonia.
Althea si alza e cammina con passo sicuro e mantenendo, anche in un momento come questo, tutta la sua grazia. Sorride a Marcus mentre prende il coltello e, senza un attimo di esitazione, si ferma davanti alla coppa dei Pacifici e lascia che il suo sangue ricada nella terra che contiene. Dall'altra parte della sala, Dill si asciuga una lacrima di gioia. Li invidio.
Arriva il momento di Caleb. Lo seguo con lo sguardo e mi tornano in mente tutte le volte che l'ho visto immerso in un libro, seduto sul pianerottolo più alto delle scale di emergenza, al riparo dagli sguardi dei ragazzi troppo pigri per salire così in alto a fumare. So già quello che sceglierà. Lo vedo fermarsi davanti alla coppa degli Eruditi e aprire la mano facendo creare altre piccole macchie scure nell'acqua che ormai ha quasi lo stesso colore del succo di mirtillo rosso.
Si sentono mormorii crescere fino quasi a diventare grida indignate mentre le persone del gruppo degli Eruditi ostentano sorrisi compiaciuti e si scambiano colpetti di gomito.
Estirpare il male un corno! Mi ritrovo a pensare osservando la scena.
«Beatrice Prior» dice Marcus.
La sorella di Caleb. La osservo alzarsi, il suo passo è incerto. Immagino cosa sta pensando. L'ultima figlia rimasta dopo il tradimento del fratello, se la sua decisione sarà quella di andarsene avrà bisogno di una grande forza e un coraggio che non avrebbe neanche il più ardito degli Intrepidi. Verrà considerata una traditrice. La sua famiglia avrà il permesso di farle visita, nella sua nuova fazione, tra una settimana e mezzo, nel Giorno delle Visite, ma forse non lo farà, perché lei li ha abbandonati. La sua assenza aleggerà come uno spettro nei loro corridoi e lei sarà un vuoto che loro non potranno colmare.
La vedo prendere il coltello e ferirsi il palmo della mano e sono convinta che non abbandonerà la sua fazione ma quello che la vedo fare mi fa sobbalzare il cuore in petto e sento una strana euforia invadermi. Ha scelto gli Intrepidi.
Dentro di me una voce mi sussurra che se lei ha avuto il coraggio di cambiare anche io posso farcela. La mia parte razionale cerca di farla tacere scatenando una tempesta interiore che si placa solo quando Marcus chiama il mio nome.
Faccio un profondo respiro e mi alzo in piedi. Cerco di mantenere la calma e procedere con passo deciso mentre nella mia mente scorrono ricordi della mia vita tra i Pacifici accompagnati da un'unica domanda che sembra voler ripetersi all'infinito.
Rimanere nel nido o volare via?
Marcus mi porge il coltello, lo guardo negli occhi e prendo l'arma. Lui mi sorride e io mi volto verso le coppe. Stringo il coltello con la mano destra e premo la sua lama affilata sul palmo della mano sinistra sulla quale si forma velocemente una striscia rosso acceso. Guardo le coppe. La fredda terra e i carboni ardenti sono separati solo dalle piccole pietre grigie.
Chiudo la mano sinistra e allungo il braccio sopra la coppa degli Abneganti. Sento il calore delle piccole fiamme arancioni salire dalla coppa degli Intrepidi e avvolgere la mia mano. Nel silenzio della sala, il debole crepitio delle fiamme diventa una melodia dolce e ipnotica ma imperfetta, le manca qualcosa per essere completa.
Sposto la mia mano sopra la coppa degli Intrepidi e la apro. Il sangue gocciola sui carboni ardenti dando ritmo e voce alla melodia che ora è finalmente libera di vibrare nella sua interezza.
Folle o coraggiosa?
Intrepida.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


La Cerimonia è finita, cerco con lo sguardo Althea e Dill, ma gli Intrepidi sono tutti più alti di me, anche sollevando la testa vedo solo spalle vestite di nero.
Sono sicura che quei due si staranno già abbracciando e sbaciucchiando, ma mi sarebbe piaciuto vederli per l’ultima volta anche solo da lontano.
Non dovrei pensare alla mia vecchia vita, sto per iniziarne una nuova e, anche se non è possibile dimenticare tutto in un attimo, so che presto la nostalgia sarà sopportabile.
Gli Intrepidi escono per primi, io esito per un attimo, ma la gente dietro di me mi spinge avanti aiutandomi a muovere i miei primi passi all’unisono con quelli della mia nuova fazione.
Il mio gruppo si dirige verso le scale, sento grida e risate tutto intorno a me e decine di piedi che si muovono rimbombando a ritmi diversi.
Quando arriviamo al pian terreno mi sento carica, la corsa per le scale ha allentato la tensione che avevo accumulato durante la Cerimonia.
Seguo gli Intrepidi fuori dall’edificio e correndo tutti dubbi e le paure svaniscono. Amo correre, spingere il mio corpo fino al massimo, sentire i miei muscoli tesi e compatti, i polmoni che si gonfiano d’aria e il sudore che scivola lungo tutto il mio corpo. Mi sento viva e forte, mi sento invincibile.
Corro insieme gli Intrepidi lungo la strada, svolto l’angolo e sento il fischio del treno e so già cosa mi aspetta: saltare.
Quando ero a scuola ho visto gli Intrepidi farlo centinaia di volte e, almeno una volta, anche io ho sognato di farlo. Li studiavo attentamente analizzando ogni loro movimento.
Correre, arrampicarmi, saltare dai rami degli alberi mi ha dato una buona agilità e aiutare con il lavoro nei campi mi ha dato un minimo di forza. Solo a una cosa non sono preparata: la resistenza dell’aria nel momento in cui afferrerò la maniglia del vagone e salterò dentro. Sono allenata ma ho paura che domani le braccia mi faranno parecchio male.
Il gruppo si distribuisce in una lunga fila mentre il treno si avvicina a noi. Le porte dei vagoni sono tutte aperte. Il figli degli Intrepidi iniziano a saltare sul treno con una naturalezza che per me è sconcertante ma che per loro è normale.
In una manciata di secondi tutti i figli degli Intrepidi sono sul treno, solo noi trasfazione siamo rimasti sul marciapiede.
Cominciamo a correre e affianchiamo il vagone per qualche metro e poi ci gettiamo di lato. Non sono abbastanza allenata per saltare direttamente nel vagone, quindi decido di puntare alla maniglia vicino all’entrata.
Salto usando la mia gamba di spinta, la sinistra, in modo da poter atterrare con la destra che è quella che controlla meglio l’equilibrio ed è più abituata agli atterraggi. Mi aggrappo saldamente alla maniglia e vengo spinta dall’aria contro la parte esterna del vagone, faccio forza con le braccia e mi butto dentro.
Mi siedo contro una parete e mi guardo intorno. Sono circondata da trasfazione mezzi sconvolti e non riesco a capirli, è stata dura ma dannatamente divertente.
Cerco con lo sguardo la sorella di Caleb e la vedo seduta a terra in fondo al vagone, sta parlando con una Candida alta, con la pelle scura e i capelli corti. Il sibilo del vento che soffia sempre più forte dalle porte aperte mi impedisce di sentire quello che si stanno dicendo. Non ha importanza, sono sul treno che mi porterà alla residenza degli Intrepidi, la mia nuova vita è iniziata nel più elettrizzante dei modi.

 

«Stanno saltando giù!» grida qualcuno.
Mi alzo di scatto e mi sporgo da una delle entrate del vagone. Gli Intrepidi stanno saltando giù dai vagoni anteriori, mentre il convoglio passa accanto al tetto di un edificio di sette piani.
Sapevo che avrei dovuto saltare ma non pensavo di farlo a una quarantina di metri dal suolo. I binari non scorrono attaccati al tetto, sono distanti qualche metro. Non è una distanza enorme, devo solo ignorare che in quei pochi metri c’è un baratro di sette piani e se manco il tetto e ci finisco dentro morirò di sicuro.
È largo quanto il canale che c’è dopo l’ultimo campo vicino alla recinzione, l’ho saltato senza problemi decine di volte.
Mi ripeto per evitare di concentrarmi troppo sulla profondità invece che sulla distanza.
Concentrazione, questa è la parola chiave, devo ignorare il baratro e visualizzare nella mia mente tutte le fasi del salto.
Rincorsa, stacco, salto, atterraggio.
Se cerco di atterrare perfettamente in piedi, la botta sarà troppo forte e comunque finirei a terra, magari rompendomi un braccio o una caviglia. Devo solo ammortizzare l’atterraggio, lasciarmi rotolare e me la caverò al massimo con qualche graffio.
Faccio qualche passo indietro fino a quando sento la parete del vagone. È il momento. Faccio un profondo respiro e scatto verso l’uscita del vagone. Salto.
Per un momento mi libro in aria, senza peso, vorrei potermi godere questa sensazione così piacevole ma non posso, devo affrontare la fase peggiore del salto. I miei piedi toccano il suolo, mi sbilancio in avanti e mi lascio rotolare, una semplice capriola ma che la ghiaia del tetto e la velocità rendono dolorosa. Quando mi fermo sono piena di graffi, il mio vestito è lacerato in più punti ma sto bene. Sono sul tetto, ce l’ho fatta.
Alle mie spalle sento un lamento e delle urla. Qualcuno è caduto nel baratro, non mi serve voltarmi e andare a vedere, so che è così. Mi guardo intorno sperando di vedere la sorella di Caleb ma non la trovo.
Non può essere lei… fa che non sia lei…
Mi alzo e la vedo allontanarsi dal cornicione, tiene la testa bassa e sembra sul punto di piangere. Sta bene, è viva, non era lei. Tiro un sospiro di sollievo.
Dovrei essere turbata da quello che è appena accaduto e un po’ lo sono, ma non quanto mi aspettavo. Dentro di me sembra essersi svegliato qualcosa che mi sta dicendo di abituarmi, di iniziare a costruire la mia corazza e di farla bella robusta perché ne avrò bisogno. Non sono più nei Pacifici, sono negli Intrepidi. Compiamo azioni pericolose e la gente muore e noi non possiamo fermarci perché dobbiamo passare all’azione successiva. Prima me lo faccio entrare in testa e maggiori saranno le possibilità di superare un’iniziazione che si preannuncia dura e difficile.
«Attenzione! Mi chiamo Max e sono uno dei capi della vostra nuova fazione!» urla un uomo a pochi metri da me.
È più vecchio degli altri, la pelle scura del suo viso è segnata da profonde rughe e ha i capelli grigi sulle tempie. Passeggia sul cornicione come se niente fosse, come se oltre non ci fosse un altro baratro.
«Diversi piani sotto di noi c’è l’entrata del nostro complesso residenziale. Se non riuscirete a trovare la forza di saltare, questo non è il posto per voi.»
Dobbiamo saltare di nuovo? Mi mordo il labbro inferiore per evitare di ridere al pensiero di essere finita in una fazione di cavallette.
Un’Erudita con i capelli di un castano spento chiede a Max se sul fondo c’è qualcosa, tipo dell’acqua, ma lui è deciso a non rivelare nulla su quello che ci attende sette piani sotto di noi.
Nessuno pare intenzionato ad essere il primo a scoprire cosa c’è la sotto, tutti evitano lo sguardo di Max, tutti tranne la sorella di Caleb.
La vedo andare verso Max e sporgersi, dubito che riesca a vedere qualcosa. La osservo mentre si slaccia la camicia e la lancia addosso al Candido spocchioso che ho odiato dal primo momento che ha aperto bocca.
Sale sul cornicione e non esita un attimo, la vedo saltare e sparire.
Gli iniziati si raggruppano vicino al cornicione sperando di vedere, o almeno capire, su cosa è atterrata. Io non mi muovo, so che è una tattica per spaventarci e, qualsiasi cosa ci sia là sotto, attutirà la caduta.
Lascio saltare qualche altro iniziato e poi decido che è il caso di abbandonare quel tetto da dove riesco a vedere la recinzione e so che oltre ad essa ci sono i campi dei Pacifici.
Saltare da quel tetto sarà l’ultimo colpo di forbice che reciderà per sempre il legame con la mia vecchia fazione.
Mi sporgo oltre il bordo e guardo giù. L’edificio su cui mi trovo forma una piazza insieme ad altri tre palazzi, al suo centro c’è una voragine così profonda che non riesco a vederne il fondo. Un salto nel vuoto, un salto dalla luce all’oscurità. Morte e rinascita. Si deve prima morire in una vita per poter nascere in un’altra.
Mi metto in piedi sul bordo, guardo verso la mia vecchia fazione come per dirle addio e poi salto.
Sebbene stia cadendo mi sento leggera, espiro in modo da rendere meno sgradevole la sensazione della caduta. Tutto è così bello ma purtroppo anche veloce, l’oscurità della voragine mi inghiotte, non vedo altro che buio e sento il mio corpo atterrare su qualcosa di rigido sul quale rimbalzo più volte prima di fermarmi. È una rete.
Simbolicamente parlando avrei preferito dell’acqua, ma l’impatto sarebbe stato più doloroso visto che sono atterrata di schiena, buttarmi di testa mi sembrava una follia.
L’oscillare della rete inizia a farmi girare la testa, devo scendere e mettere i piedi sul solido terreno.
Rotolo verso il bordo ma non riesco a scavalcarlo. Dal buio vedo due mani allungarsi verso di me e afferrarmi per le spalle. La rete continua a oscillare e sono certa che finirò per cadere fuori e farmi più male di quando sono saltata giù dal treno. Sarebbe una cosa davvero imbarazzante essersi fatta solo qualche graffio saltando da un treno in corsa ma rompersi un braccio cadendo da una rete a pochi metri da terra.
Un ragazzo alto, con splendidi occhi nocciola e che sembra più grande di me solo di pochi anni, mi aiuta a scendere e a mettermi in piedi.
«Il tuo nome?» mi domanda prima che io possa ringraziarlo.
«Theia» rispondo con voce tremante non di paura ma di qualcosa che non riesco a decifrare.
Non so cosa sia, ma è lo sguardo di quel ragazzo a scatenarlo. Ha uno sguardo severo ma allo stesso tempo dolce e sensuale. Non sono fisicamente attratta da lui, ma stargli accanto e guardarlo negli occhi, mi fa sentire uno strano calore dentro.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


I miei occhi finalmente si abituano al buio e riesco a vedere dove mi trovo.
Sono all’interno di un’ampia grotta che si apre verso l’alto, davanti a me c’è uno stretto passaggio e il gruppo degli iniziati si sta incamminando verso quel tunnel. Mi affretto a seguirli. L’unica fonte di luce arriva da lampade molto distanti tra loro e, nelle zone d’ombra, sono costretta a far scivolare le dita sulle pareti di roccia per evitare di inciampare.
«Qui ci dividiamo» dice Lauren, una delle nostre tre guide. «Gli iniziati interni vengono con me. A voi il giro turistico non serve.»
I figli degli Intrepidi si staccano dal gruppo e spariscono nell’oscurità insieme a Lauren.
Guardo i miei compagni. Siamo in dieci e la maggior parte vengono dagli Eruditi e dai Candidi. Io sono l’unica della mia fazione e Beatrice, la sorella di Caleb, che ora ha scelto di cambiare il suo nome in Tris, è l’unica trasfazione degli Abneganti. Non mi stupisco, le nostre due fazioni sono le più pacifiche del sistema e credo sia molto raro che uno dei nostri membri decida di trasferirsi negli Intrepidi.
Io e Tris siamo due mosche bianche, questo mi fa sentire meno sola.
«Di solito lavoro al centro di controllo, ma nelle prossime settimane sarò il vostro istruttore. Mi chiamo Quattro.»
«Quattro? Come il numero?» chiede Christina, la Candida che sedeva accanto a Tris sul treno.
«Sì» risponde lui. «C’è qualche problema?»
«No.»
«Bene. Stiamo per andare al Pozzo, a cui vi affezionerete con il tempo. È…»
Christina lo interrompe nuovamente ed io mi domando se i Candidi siano in grado di stare in silenzio per più di dieci secondi. Quattro sembra severo ma non minaccioso, interromperlo mentre sta parlando non è comunque una buona idea.
Quattro si china su di lei, stringe gli occhi e la fissa per qualche secondo e poi le chiede: «Come ti chiami?»
«Christina» risponde con voce stridula.
«Bene Christina, se fossi stato disposto a sopportare l’impertinenza dei Candidi, avrei scelto la loro fazione» sibila. «Lezione numero uno: impara a tenere la bocca chiusa. Chiaro?»
Christina annuisce.
Quattro riprende a camminare e noi tutti lo seguiamo in silenzio verso il buio in fondo al tunnel. Apre una doppia porta a spinta ed entriamo in quello che lui ha chiamato “il Pozzo”.
Davanti ai miei occhi c’è un’immensa caverna sotterranea con una base così larga che da dove mi trovo non riesco a vederne la fine.
Nella mia fazione ci sono molti pozzi e sono profondi e molto stretti, questo posto è enorme, mi viene difficile associarlo a quei cunicoli verticali stretti e bui che ci hanno insegnato a temere.
Sopra la mia testa si innalzano per decine di metri pareti irregolari di roccia, nelle quali sono stati ricavati degli antri adibiti alla distribuzione di scorte alimentari, abiti, attrezzature e anche spazi per attività ricreative. Sono tutti collegati tra loro tramite stretti canali e gradini scavati nella pietra e non ci sono protezioni per impedire alla gente di cadere giù.
Forse devo ricredermi, questo è un pozzo, un gigantesco ma sempre pericoloso pozzo.
Il soffitto del Pozzo è formato da pannelli di vetro, sopra i quali c’è un palazzo attraverso cui i raggi del sole penetrano fino a qui illuminando le pareti di roccia della debole luce arancione del tramonto. Per un attimo mi domando se saranno così tutti i tramonti della mia vita, deboli fasci di luce proiettati su pareti di roccia; addio sole che sparisce dietro l’orizzonte e benvenute fredde lampade azzurre.
«Se mi seguite» dice Quattro «vi mostro lo strapiombo.»
Lo seguiamo tra la folla. Ci sono persone ovunque, tutte vestite di nero, che gridano, parlano e gesticolano. Mi guardo bene intorno e non vedo nessun adulto nella folla. Non esistono Intrepidi vecchi? Forse non si vive abbastanza a lungo, oppure si viene semplicemente mandati via quando non si è più in grado di salire e scendere da treni in corsa.
Ci fermiamo su un lato del Pozzo particolarmente buio ma, a differenza di canali e rampe di scale, qui c’è una robusta barriera di protezione in ferro. Appoggio le mani sulla ringhiera e mi sporgo per vedere cosa c’è oltre ad essa. Il terreno precipita bruscamente e molti metri sotto di noi c’è un fiume impetuoso.
Questa volta trovo che il nome, Strapiombo, sia azzeccato.
«Lo Strapiombo ci ricorda che c’è una sottile distinzione tra coraggio e idiozia!» grida senza un apparente motivo.
«Saltare da qui per gioco è un modo sconsiderato di porre fine alla vostra vita. È già successo e succederà ancora. Siete avvertiti.»
Davvero molto teatrale, ma ce n’era bisogno? Pensa che siamo così stupidi da scavalcare la ringhiera e saltare?
Porre fine alla vostra vita. Se non fosse un’ammonizione ma un suggerimento? La risposta perfetta alla domanda che mi sono fatta poco fa: che fine fanno gli Intrepidi anziani?
Hanno due scelte, gli Esclusi o la morte.
Cerco di non pensare a quante persone hanno scavalcato questa ringhiera perché so quale sarebbe il pensiero successivo: quale sarebbe la mia scelta?
Quattro riprende a camminare. Ci sta portando dall’altra parte del Pozzo, verso un varco aperto nel muro. C’è abbastanza luce da poter capire dove stiamo andando: la sala mensa.
Al nostro ingresso, gli Intrepidi presenti si alzano e applaudono, battono i piedi, gridano. Il frastuono quasi mi stordisce.
Cerco un posto libero accanto ai miei compagni di iniziazione, ma il tavolo è completo, così sono costretta a spostarmi al tavolo a fianco al loro.
Mi siedo accanto a un iniziato interno con la pelle scura, grandi occhi castani e un sorriso che subito mi conquista per la spontaneità che trasmette. Dice di chiamarsi a Uriah e mi presenta suo fratello maggiore Zeke e altri iniziati dei quali fatico a capire i nomi nel baccano della sala.
È gentile, mi mette nel piatto un hamburger e inizia a fare battute sui Pacifici, non quelle classiche che girano tra fazioni e che mi farebbero infuriare, ma battute assurde e senza senso che mi fanno morire dal ridere.
Le porte della mensa si aprono e sulla sala piomba il silenzio. Mi volto. Sta entrando un ragazzo, e il silenzio è tale che si sentono i suoi passi sul pavimento. È molto alto e muscoloso, fin troppo per i miei gusti, sfiora il ridicolo.
Ha i capelli rasati sui lati e dietro la testa ma sopra ad essa ha un ammasso di capelli che sembra una cresta schiacciata. Cerco di studiare i suoi lineamenti ma è troppo lontano da me, l’unica cosa che riesco a notare sono i due piercing sopra il sopracciglio destro che brillano alla luce delle lampade e il tatuaggio che ha sul collo: due strisce nere, interrotte in più punti in modo armonico, che partono dalla base del collo e arrivano fin sotto la mandibola. Mi chiedo se gli servono per trovarsi la testa, o magari, per ricordarsi che ne ha una. Gli Intrepidi non sono conosciuti per la loro intelligenza.
Lo osservo mentre passa in rassegna tutti i tavoli e la freddezza del suo sguardo mi fa sentire un brivido gelido scendere lungo la schiena.
Si siede accanto a Quattro ma non riesco a sentire quello che si dicono.
Mi concentro sul linguaggio del corpo. Prima che il ragazzo entrasse, Quattro aveva i gomiti appoggiati al tavolo, spalle morbide e il corpo sbilanciato verso il tavolo, una postura rilassata e forse un po’ annoiata.
Quando il ragazzo si è seduto accanto a lui e ha iniziato a parlare, la sua postura è cambiata, il suo peso si è spostato all’indietro, come se volesse allontanarsi dal suo interlocutore. I suoi muscoli non sono più rilassati ma tesi, non è un atteggiamento che si ha con un amico.
Anche il ragazzo non sembra percepirlo come un amico, sebbene sia bravo a mantenere il controllo non riuscirà mai a fregare una Pacifica, è teso quanto Quattro ed è infastidito, qualcosa lo innervosisce. Tamburella con le dita sul tavolo, è nervoso ma non abbastanza da essere agitato.
Lo vedo dare una manata sulla spalla del nostro istruttore, con un po’ troppa forza e alzarsi. Sulle sue labbra appare un sorriso compiaciuto e la sua andatura non è più rigida come al suo ingresso, è sollevato, come se si fosse tolto un peso che lo opprimeva.
C’è qualcosa nel suo modo di sorridere che mi inquieta, ma forse è solo suggestione. L’ingresso ad effetto, i cambiamenti di atteggiamento mentre parlava con Quattro, ma soprattutto il suo sorriso baldanzoso unito alla freddezza del suo sguardo è come se mi avessero paralizzato il cervello.
Ho avuto una giornata pesante, sono solo stanca, è normale che la mia capacità di sondare le persone sia un po’ appannata. Probabilmente è il classico bulletto, tronfio e sbruffone. Tutte le fazioni ne hanno qualche esemplare, lui è uno di quelli degli Intrepidi.
A occhio e croce potrebbe avere solo qualche anno più di me, non è più pericoloso di quei ragazzini che da bambina mi tiravano le trecce.
«Abbiamo anche una Pacifica» sento mormorare da una voce dietro di me. «Ti sei trasferita per insegnare agli Intrepidi a suonare il banjo prima di finire tra gli Esclusi?»
Mi volto e la prima cosa che vedo sono due grandi occhi azzurri come un cielo terso e freddi come il ghiaccio. Il ragazzo che stava parlando con Quattro è chinato su di me, il suo viso è a pochi centimetri dal mio e mi sta fissando con un sorriso beffardo.
Lo stomaco mi si contorce come se qualcuno lo stesse stuzzicando con una forchetta.
Piega leggermente la testa di lato e comincia a ridacchiare.
Il suo modo di fare mi manda in bestia. Se fossi ancora nei Pacifici so come finirebbe: lui  con un occhio nero e io chiusa in camera mia a ridere come una scema a causa del siero della pace.
Ora sono negli Intrepidi e lui, oltre ad essere addestrato a combattere, è due volte me.
«No. Pare ci sia in libertà un pazzo furioso e io devo trovarlo. È sul metro e ottantacinque, robusto, capelli castano chiaro e occhi chiari. Fammi un fischio se lo vedi» gli dico, fissandolo dritto negli occhi, ma appena finita la frase mi volto verso il tavolo e fingo di riprendere a mangiare.
Ho lo stomaco chiuso, non per la paura ma perché c’è qualcosa in quel ragazzo che sconvolge il mio mondo in un modo che non riesco a capire.
Mi hanno insegnato come riconoscere, interpretare e calmare ogni tipo di sentimento o stato d’animo, ma quello che sto provando in questo momento non riesco ad associarlo a niente di studiato e a niente di provato, è una cosa del tutto nuova per me.
«Quest’anno ci sarà da divertirsi» mormora così vicino al mio orecchio che sento i cortissimi peli della sua barba solleticarmi il collo.
Non appena si allontana sento i miei muscoli rilassarsi, non mi ero accorta di essere così in tensione.
Osservo gli Intrepidi al mio tavolo, mi guardano sbigottiti, qualcuno ridacchia ma la maggior parte resta in silenzio.
Credo di aver appena combinato un casino.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Dopo cena, Quattro sparisce e al suo posto appare il ragazzo con cui ho avuto un infelice scambio di battute in sala mensa. Ho la certezza di aver combinato il mio primo casino nella nuova fazione: dare del pazzo a uno dei miei istruttori.
Ci conduce lungo una serie di corridoi illuminati da lampade azzurre che però non sono sufficienti a illuminarli completamente e io devo stare attenta a non incespicare nel terreno irregolare.
Il ragazzo si ferma davanti a una porta di legno e incrocia le braccia.
«Per quelli di voi che non lo sanno, mi chiamo Eric» esordisce. «Sono uno dei cinque capifazione degli Intrepidi» fa una pausa e mi lancia una veloce occhiata, giusto in tempo per vedermi sbiancare.
Ho dato del pazzo furioso a un capofazione, sono finita.
Come potevo immaginare che un ragazzo così giovane potesse essere un capofazione? Non può avere più di diciotto anni, al massimo venti, è troppo giovane per guidare una fazione. Forse negli Intrepidi l’età non conta, ma resta il fatto che lui non credo sia ancora maturo per un incarico del genere. Avrà solo pochi anni più di me e io non mi sentivo ancora pronta a prendere una decisione che avrebbe cambiato la mia vita, come potrei, con solo qualche anno in più, prendere decisioni che possono cambiare le vite di molte persone?
«Qui prendiamo il percorso di iniziazione molto seriamente, per cui mi sono offerto di sovrintendere alla maggior parte del vostro addestramento.»
Qualcosa mi dice che la mia iniziazione sarà molto più dura di quella dei miei compagni. Eric non mi sembra il tipo da avere molto senso dell’umorismo, scommetto che è uno di quelli che se la legano al dito e che renderà la mi vita un inferno.
«Alcune regole di base» prosegue. «Dovete essere nei locali per gli allenamenti entro le otto di ogni mattina. L’addestramento si svolge tutti i giorni dalle otto alle sei di sera, con una pausa per il pranzo. Dopo le sei di sera siete liberi di fare quello che volete. Avrete qualche giorno libero tra una fase e l’altra dell’iniziazione.»
Avrò ben quattordici ore al giorno libere che probabilmente passerò in infermeria. Mi chiedo se avrò almeno una possibilità di superare l’iniziazione o lui ha già deciso di farmela pagare con allenamenti al limite della sopportazione fisica solo per vedermi agonizzare e poi sbattermi fuori.
«Vi è permesso lasciare la residenza solo se accompagnati da un membro effettivo degli Intrepidi» aggiunge Eric. «Questa è la porta della camerata in cui dormirete nelle prossime settimane.»
«Ci sono dieci letti ma noi siamo partiti in tredici» fa notare Christina.
«C’è sempre almeno un trasfazione che non riesce neanche ad arrivare qui» dice Eric, mangiucchiandosi le pellicine delle dita.
Noto che ha le nocche coperte di croste, proprio nel punto in cui si spaccherebbero se prendesse a pugni qualcosa di troppo duro. Le sue mani rovinate stonano con le sue labbra che sembrano così morbide e perfette, come se fossero state disegnate da una mano divina.
No, ho già abbastanza guai, questo sarebbe troppo.
«A ogni modo, nella prima fase dell’iniziazione teniamo i trasfazione separati dagli interni, ma questo non significa che verrete valutati separatamente. Alla fine dell’iniziazione la classifica includerà anche loro, che partono avvantaggiati rispetto a voi. Per cui mi aspetto…»
«Classifica? Perché fate una classifica?» chiede l’Erudita con i capelli castano spento.
Eric sorride e nella luce azzurra ha un che di malvagio. Nella mia mente si accende la luce rossa che segnala il pericolo ma, quando lui mi lancia un’altra occhiata, la lampadina si fulmina. Non va affatto bene.
Non riesco a metterlo a fuoco come vorrei e non capisco il perché. Sento che è una persona pericolosa ma allo stesso tempo sento di non temerla.
Forse ho scavalcato la protezione dello strapiombo, forse ho passato il limite tra coraggio e idiozia, ma trovo quel ragazzo dannatamente bello.
«La classifica serve a due scopi» spiega. «Il primo è determinare l’ordine in cui sceglierete un lavoro dopo l’iniziazione. Sono pochi gli incarichi ambiti disponibili. Il secondo scopo è che solo i primi dieci iniziati vengono accolti come membri» dice lanciandomi un’altra occhiata.
Messaggio ricevuto. Ti sei giocata la tua permanenza tra gli Intrepidi, prendi il tuo banjo e vai a suonare per gli Esclusi.
«Cosa facciamo se veniamo eliminati?» azzarda Peter.
«Ve ne andate da qui» dice Eric con indifferenza «e vivete da Esclusi»
Un’altra occhiata, ma questa volta decido di non subirla, mi faccio coraggio e sostengo il suo sguardo.
Se pensa di intimidirmi si sbaglia di grosso, non mi lascerò sbattere fuori tanto facilmente. È diventata una questione personale, più sarà duro e più diventerò forte. Non gli lascerò il piacere di vedermi vacillare, preferisco morire durante l’addestramento che permettergli di farmi fuori.
«Ma non è giusto!» protesta la Candida con le spalle larghe. «Se l’avessimo saputo…»
«Stai dicendo che se l’avessi saputo prima della Cerimonia della Scelta, non avresti scelto gli Intrepidi?» la interrompe Eric. «Perché se è così dovresti andartene subito. Se sei davvero una di noi, non ti importa di poter fallire, e se ti importa, sei una codarda.»
Eric apre la porta del dormitorio. «Voi avete scelto noi» dice in tono lapidario. «Ora tocca a noi scegliere voi.»
Sfiliamo lentamente davanti a lui con la stessa gioia di un condannato a morte che sale sul patibolo. Io mi affianco a Molly in modo che lei stia tra me e Eric, ma il mio piano fallisce.
Eric mi prende per un braccio e, con un sorriso falso, mi chiede: «Come vanno le tue ricerche del pazzo furioso?»
«Crede di darmi del filo da torcere» lo guardo dritto negli occhi e aggiungo: «si illude, io non mollo».

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Sei ore di sonno fa ero una Pacifica eccitata all’idea della sua nuova vita negli Intrepidi, ora sono un’Intrepida mezza addormentata con una pistola carica in mano.
Quattro è davanti a noi, sveglio e pimpante come se avesse dormito dieci ore filate.
«Per prima cosa, oggi imparerete a sparare con una pistola. Poi passeremo ai combattimenti corpo a corpo. Fortunatamente, se siete qui significa che già sapete salire e scendere da un treno in corsa, quindi non c’è bisogno che ve lo insegni» dice mentre ci guarda tenere malamente in mano le pistole e sorride come se non si trovasse davanti a dieci persone armate che probabilmente non hanno mai preso in mano un’arma. Io se fossi in lui mi leverei dalla linea di tiro.
«L’iniziazione si compone di tra moduli. Misureremo i vostri progressi e vi classificheremo in base alle vostre prestazioni in ciascuno dei tre. I moduli non hanno tutti lo stesso peso nel determinare il punteggio finale, per cui è possibile, anche se difficile, migliorare di molto i vostri risultati.»
Ci sono undici interni e dieci di noi, quattro verranno eliminati nella prima fase. I figli degli Intrepidi partono molto avvantaggiati, sono allenati e probabilmente sanno già combattere e sparare, spero che ne terranno conto.
«Noi crediamo che con un’adeguata preparazione si possa sconfiggere la viltà, che noi definiamo come l’incapacità di agire nelle situazioni di paura» continua Quattro. «Ogni stadio dell’iniziazione è finalizzato ad affrontare un aspetto specifico della preparazione. Il primo è fisico, il secondo emotivo e il terzo mentale.»
«Cosa c’entra sparare con un pistola con il coraggio?» lo interrompe Peter sbadigliando.
Quattro fa ruotare l’arma che ha in mano, la impugna e preme la canna contro la fronte di Peter che rimane a bocca aperta.
«Sveglia!» lo apostrofa Quattro. «Hai in mano una pistola carica, idiota. Agisci di conseguenza.»
Abbassa l’arma e io vorrei tanto essere al suo posto. Puntare una pistola alla testa di Peter è una cosa che non mi dispiacerebbe fare. Non lo sopporto, ci ha tormentati da quando siamo saltati sul treno e ho paura che solo una pallottola in testa lo farà smettere. Non voglio ucciderlo o vederlo morto, ma non ho mai sopportato le persone come lui. Si nasconde dietro al suo essere un ex Candido ma non dice la verità ogni volta che apre bocca, lui si limita a dire solo le verità che sa creerebbero scompiglio o quelle che ferirebbero le persone. Tris sembra il suo bersaglio preferito. Tormentare un’Abnegante, quanta originalità e coraggio. Perché non prova ad attaccar briga con me o con un Intrepido? Perché è vile, sa che troverebbe pane per i suoi denti.
«Per rispondere alla tua domanda, è molto meno probabile che te la fai addosso e cerchi la mamma, se sei preparato a difenderti. Questa sarà un’informazione che vi sarà utile anche più avanti, in questo modulo. Dunque, guardatemi.»
Si gira verso la parete su cui sono appesi i bersagli: dei quadrati di compensato con disegnati tre cerchi rossi.
Si sistema con i piedi divaricati, stringe la pistola con entrambe le armi e spara tre colpi. Guardo il bersaglio, il cerchio al centro ha un unico foro, ha fatto tre centri perfetti.
Osservo l’arma che ho in mano e mi tornano in mente le ultime due estati passate nella mia vecchia fazione.
I Pacifici non dovrebbero avere armi, ma i nostri campi attirano molti animali selvatici e alcuni non sono solo pericolosi per le coltivazioni ma anche per noi, quindi è stato concesso a un ristrettissimo gruppo di usare vecchi fucili e pistole.
Quella che tengo in mano è più nuova ma più pesante di quelle che mi hanno fatto usare gli amici di Dill. Erano tutti ragazzi più grandi di me e uno di essi aveva accesso alle armi, così d’estate rubava la pistola e il fucile del padre e andava sotto il vecchio ponte a sparare a barattoli di latta insieme ai suoi amici. Alcune volte anche io e Althea li seguivamo, è lì che ho imparato a sparare. A differenza di Quattro, i ragazzi mi hanno spiegato come fare prima di mettermi una pistola carica in mano.
La postura, il modo di impugnare l’arma, come mirare e soprattutto mi hanno avvertita del contraccolpo. Tutto questo però non mi ha evitato di rischiare di cadere dopo aver premuto il grilletto, ma almeno sapevo cosa mi aspettava.
Ora sono pronta. Mi metto nella stessa posizione di Quattro, stringo l’arma con la mano destra e la sostengo con la sinistra. Accarezzo il grilletto con il dito prima di fare fuoco per concentrarmi bene sono su quello che avverrà dopo: il contraccolpo.
Premo il grilletto e la detonazione è più fastidiosa di quanto ricordavo, ma i miei piedi sono rimasti ancorati a terra e le mie braccia hanno retto al contraccolpo, il mio corpo non si è mosso di un millimetro.
Purtroppo la mia mira ha bisogno di essere migliorata, sono riuscita a centrare solo il cerchio più esterno. Non mi sorprendo, erano molto rare le volte che colpivo il barattolo facendolo schizzare via, credo siano stati solo colpi di fortuna.
Althea non ha mai amato le armi e quindi, mio malgrado, ho dovuto abbandonare quel passatempo che iniziava a piacermi più di quanto sarebbe stato tollerato dai Pacifici.
Mi faceva sentire potente tenere in mano una pistola e la sensazione che provavo quando premevo il grilletto e il contraccolpo che faceva vibrare le mie braccia erano qualcosa che non sapevo spiegare. Detonazione. Questa era l’unica parola che la mia mente riusciva a trovare. Un’esplosione di forza dentro di me che non era l’eco di quella della pistola ma era la sua versione amplificata.
L’arma che sto stringendo tra le mani sarà la mia compagna, pericolosa ma succube, io sono quella con il controllo, sarà mia la responsabilità di come verrà usata.
Sono convinta che chi ha il potere deve avere anche la consapevolezza di ciò che comporta. Usarlo solo quando ce n’è davvero necessità e non abusarne come si è portati a fare quando si ha un vantaggio su qualcuno. Controllo e responsabilità, sono queste le parole da tenere bene a mente.
Continuo ad allenarmi e a correggere la mira e, lentamente ma con costanza, mi avvicino al cerchio nel centro. Dovrò allenarmi ancora molte volte per imparare a rimanere all’interno del cerchio più piccolo, non so se diventerò brava come Tris che è passata dal mancare il bersaglio a centri quasi prefetti in pochissimo tempo, ma riuscirò a cavarmela. Mi serve solo un bel po’ di pratica, ma so che molto del mio tempo sarà dedicato al combattimento corpo a corpo perché, a parte qualche zuffa, non ho mai combattuto contro nessuno e soprattutto contro ai miei compagni. Questo sarà duro da mettere in pratica. Le mie zuffe erano alimentate dalla rabbia, ma a parte Peter, non odio ancora nessuno a tal punto da volerlo vedere a terra mezzo sanguinante.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Dopo pranzo, Quattro ci porta in un posto enorme, con un pavimento in legno, rovinato e scricchiolante, nel cui centro è dipinto un grande cerchio.
Sulla parete a sinistra c’è una lavagna di ardesia sulla quale sono scritti i nostri nomi in ordine alfabetico. Dall’altro lato della stanza, a circa un metro l’uno dall’altro, sono appesi sacchi da pugilato di un arancione sbiadito e quasi informi, o meglio, una forma me la ricordano bene, quella di Molly, la Candida che sembra essere tra la favorite di Peter e si sta facendo velocemente strada nella mia lista dei più detestati. Questo mi aiuterà molto durante l’allenamento.
«Come vi ho anticipato» esordisce «ora imparerete a combattere. Lo scopo è prepararvi ad agire, allenare il vostro corpo a rispondere alle minacce e alle difficoltà, cosa di cui avrete bisogno se intendete conservarvi la vita negli Intrepidi.»
Mi auguro basti solo questo, ma dopo il risultato del test, temo che niente mi farà sentire davvero al sicuro. Mi domando se la scelta degli Intrepidi sia stata saggia.
È ciò che desideravo, ma forse non è ciò di cui ho bisogno. Avrei dovuto nascondermi e non farmi notare e Pacifici o Abneganti sarebbero state le scelte perfette, ma non è quello che desidero.
Non voglio passare una vita di ripiego solo per stare al sicuro, voglio vivere davvero e l’unico modo per farlo è seguire la mia voce interiore ed è stata lei ha suggerirmi gli Intrepidi. Forse avrò una vita breve ma intensa, non importa, voglio vivere, non sopravvivere.
«Oggi esamineremo la tecnica e domani inizierete a combattere tra di voi. Perciò vi consiglio di prestare attenzione. Quelli che non imparano in fretta si faranno male.»
Elenca alcuni tipi di pugno, mostrandoli uno per uno mentre li spiega, prima colpendo l’aria e poi il sacco.
Lo osservo attentamente, la sua postura, il gonfiarsi dei suoi muscoli ad ogni suo movimento, ma quando provo a ripeterli il risultato è quasi imbarazzante. Non ho tecnica. Mi tornano in mente le mie zuffe nei Pacifici, spesso era Jace a separarmi dal mio avversario di turno. Lui è un ex Intrepido e ora so perché si lasciava sfuggire un sorriso ogni volta che vedeva due Pacifici venire alle mani. Siamo del lottatori imbarazzanti per uno che probabilmente ha imparato le tecniche di combattimento quando era ancora un bambino.
Quattro ci lascia allenare un po’ sui pugni prima di spiegarci i calci. Ci mostra solo i fondamentali perché sono più difficili dei pugni.
Le mani mi fanno male e sono diventate rosse a furia di colpire il sacco, non mi dispiacerebbe far prendere loro una pausa e usare di più le gambe. Magari in questo modo il sacco si muoverebbe più di qualche millimetro. Ci sto mettendo tutta la forza che ho in corpo ma sembra non essere sufficiente. Tutto ciò è davvero frustrante.
Quando vedo Quattro allontanarsi dandomi le spalle, decido di concedermi una piccola pausa. Lo osservo camminare lentamente accanto agli iniziati intenti a colpire malamente i sacchi, ma non ne osserva nessuno, il suo sguardo è fisso su Tris.
Si ferma davanti a lei e la osserva. Quando Tris si accorge di lui, si blocca per un brevissimo istante.
Quattro si è dimostrato un buon insegnante, è severo ma non in modo crudele, in alcuni frangenti mi è sembrato addirittura gentile. Riesce a farci mantenere la giusta attenzione e tensione senza farci cadere nell’insidiosa trappola dello stress.
Tris è più sveglia di quanto immaginavo e anche lei avrà tirato le mie stesse conclusioni su Quattro e quindi non si è fermata perché intimorita ma per altri motivi.
Quando lui appoggia le mani sul torace di Tris, la vedo irrigidirsi e le sue guance avvampare. Pare che la sorellina di Caleb subisca molto il fascino del nostro tenebroso istruttore.
Se Althea fosse qui, inizierebbe a farsi i suoi viaggi mentali e a decretare questo momento come l’inizio di una promettente storia d’amore.
Io non sono come lei, non vedo amori ovunque, io non so neanche se mai riuscirò solo a comprendere una milionesima parte di cosa sia l’amore. Inizio a pensare che non sono tagliata per innamorarmi.
Tutti hanno qualcosa che non sanno fare, io non sono capace di innamorarmi.
Credo che Neem fosse solo un amico che io ho cocciutamente cercato di trasformare in qualcosa di più. Ho scimmiottato gli atteggiamenti di Althea, ma quando, io e Neem, ci abbracciavamo o ci baciavamo, non sentivo il brivido che lei tanto adorava, non desideravo spingermi oltre. Io non sentivo nulla. Lo trovavo carino ma la testa non mi girava e non sentivo le farfalle nello stomaco o un calore salire dalle mie parti intime. Provavo affetto, simpatia e tanti altri sentimenti, ma erano gli stessi che provavo per le altre persone, solo un po’ artefatti dal mio ossessivo desiderio di provare cosa si sente ad essere innamorata.
Johanna mi diceva: tutto a suo tempo, con la persona giusta e nel giusto momento, anche io avrei provato le stesse cose.
Inizio a pensare che forse per me quel tempo non arriverà mai. Ho già sedici anni e se non è ancora successo, è probabile che non accadrà mai.

 

Quando Quattro ci congeda per la cena, mi incammino verso il Pozzo dove Tris e il suo gruppo si sono fermati a parlare.
Essendo una ex Pacifica dovrei stringere amicizia molto facilmente, ma io sono sempre stata una persona solitaria, avevo pochi amici, ma il nostro rapporto diventava talmente profondo che io li consideravo come fratelli e sorelle.
«Un tatuaggio, Theia?» mi domanda Al sorridendo.
«Mi piacerebbe ma non saprei che farmi. Voi ne fate uno?»
«Certo! Prima però, io e Tris dobbiamo fare una cosa. Ci vediamo dal tatuatore» risponde Christina mentre trascina via Tris.
Io seguo Al e Will su per un canale che sale verso i livelli più alti incespicando e calciando i ciottoli. Al mi offre il suo braccio e io accetto volentieri, non voglio rischiare di cadere e rotolare indietro fino al centro del Pozzo.
Arrivati allo studio del tatuatore, i mie due accompagnatori iniziano a sfogliare libri con immagini di tatuaggi, mentre io preferisco gironzolare per lo studio.
Alle pareti sono esposte alcune opere artistiche e mi chiedo se sono fatte dagli Intrepidi oppure c’è la mano dei Pacifici dietro quelle opere.
Una donna alta e con lunghi capelli scuri mi passa accanto, la riconosco subito, è l’Intrepida che mi ha spiegato perché il mio test attitudinale non era andato come doveva, ma non mi ha dato spiegazioni soddisfacenti su quello che sono.
«Ci si rivede» dico seguendola.
Le si volta, mi squadra e il suo sguardo per un attimo si fa cupo.
«Ciao Theia. non pensavo che ti avrei rivista.»
Sorride, quando in realtà non vorrebbe farlo, ma anche un sorriso forzato è meglio di uno sguardo cupo.
«Volevo chiederti una cosa.» Prendo in mano uno dei libri con i tatuaggi e lo apro a caso. «Quando finiremo il nostro discorsetto?» domando mentre indico il disegno del simbolo degli Intrepidi.
«Non sono sicura che sia saggio» obietta, «ti ho aiutato per quanto ho potuto, ma adesso devi cavartela da sola.»
Non intendo farmi liquidare così velocemente. Ha detto che sono in pericolo di vita e ho la certezza che lei sa molto di più di quello che mi ha detto.
Questo non è il posto migliore per parlare di certe cose, non importa, troverò il luogo e il momento adeguati.
«Forse non ora, ma dovrai farlo» le dico risoluta.
«Vuoi fare un tatuaggio?» mi chiede.
«Non ancora. Voglio farne uno che abbia un significato profondo» ripongo il libro, «con il tempo capirò cosa c’è dentro di me».
«Inizia escludendo la saggezza» mormora Tori, tenendo la voce talmente bassa da costringermi a sporgermi verso di lei. «Hai sbagliato a scegliere gli Intrepidi.»
«Perché?» le domando.
«Qui non sei al sicuro, ti scopriranno…» un Intrepido passa tra noi due interrompendo Tori.
«Ora devo andare» dice allontanandosi velocemente.
Le sue parole alimentano i miei dubbi sulla scelta che ho preso.
Sarebbe stato saggio restare al sicuro nella mia fazione e vivere una vita soffocante ma tranquilla, eppure io non riesco a biasimarmi per aver scelto di vivere invece di sopravvivere. Ora so di essere in una fazione pericolosa per i Divergenti, ma se potessi tornare indietro sceglierei di nuovo gli Intrepidi.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Sono sdraiata sulla mia branda e aspetto che tutti si siano addormentati per poter sgattaiolare fino in palestra e ricominciare ad allenarmi. So che è vietato andarci a quest’ora, ma io ho assoluto bisogno di allenamenti extra, almeno fino a quando non avrò la meglio sui sacchi da pugilato. Questo pomeriggio, uno di loro mi ha quasi stesa. Essere stata quasi messa al tappeto da un oggetto inanimato è davvero imbarazzante, per mia fortuna nessuno mi stava guardando.
Finalmente il silenzio regna nella camerata, prendo i miei vestiti ed esco in punta di piedi. Mi vesto velocemente continuando a inciampare sul terreno irregolare dei corridoi. A quest’ora di notte c’è un silenzio irreale in questa fazione che, in quanto a chiasso, batte quella che ho lasciato.
Sono sicura che la palestra è come i corridoi: completamente deserta.
Apro le porte e vedo che le luci sono accese. Resto nascosta nell’oscurità del corridoio mentre scruto con attenzione ogni angolo della palestra e trattengo il respiro per sentire se c’è qualcuno all’interno. Il silenzio è totale e la grande stanza sembra completamente vuota.
Faccio un profondo respiro e raggiungo la fila dei Mollychini.
Coniare questo termine mi aiuta ad avere più grinta nel colpirli. Non assomigliano molto a sacchi, ma più a manichini stretti sulla cima e che si allargano man mano che si raggiunge il fondo. Il paragone con il grosso sedere di Molly è inevitabile.
Ripasso mentalmente tutto quello che ci ha spiegato Quattro e lo visualizzo mentre lo esegue.
«È vietato venire qui fuori dagli orari dell’addestramento» tuona una voce alle mie spalle.
Non mi serve voltarmi per capire a chi appartiene, ormai la voce di Eric è inconfondibile. Il canto di una spietata sirena che mette i brividi ma allo stesso tempo affascina.
Mi volto. Lui è in piedi davanti a me e tiene le braccia conserte. Mi fissa con sguardo torvo, ma non sembra furioso come mi aspettavo.
Mi osserva come se fossi una preda da cacciare. Mi guarda dall’alto al basso e sento il suo sguardo sulla mia pelle come se fosse una piuma ghiacciata che sfiora ogni millimetro del mio corpo facendomi quasi tremare.
Beccata a infrangere le regole dal capofazione a cui ho dato del pazzo furioso e che si mormora essere crudele o addirittura sadico e totalmente privo di senso dell’umorismo. Questo mi fa supporre che la domanda che mi ha fatto al dormitorio deve essere interpretata come: ora sai chi sono e ti farò rimpiangere di essere nata.
Io stupida che gli ho pure risposto per le rime, ma a mia discolpa posso dire che non sapevo che fosse una persona malvagia, sembrava solo un ragazzo arrogante e montato.
«Lo so. Speravo di non essere beccata» ammetto, tenendo basso lo sguardo in modo da mostrarmi sottomessa.
Mentire peggiorerebbe le cose, si sentirebbe preso in giro e l’ultima cosa che voglio è farlo arrabbiare.
Lui mi fissa e io mi aspetto di sentirlo sbraitare da un momento all’altro, ma resta immobile e in silenzio. Se è davvero come lo descrivono, il suo silenzio non è una cosa positiva. Mi sta studiando mentre pensa a come punirmi. Preferirei sentirlo urlare le minacce più terribili, perché gridando scaricherebbe parte della sua rabbia, la butterebbe fuori invece di tenerla dentro accumulandola e comprimendola fino a farla scoppiare in solo Dio sa cosa.
«Eric, faccio schifo!» esclamo.
Quando sono nervosa tendo a scaricare la tensione parlando, non credo che con lui sia la cosa giusta da fare, ma è più forte di me, non riesco a fermarmi.
«Oggi pomeriggio sono quasi stata messa al tappeto da uno di questi affari» dico imbarazzata indicando i Mollychini.
Vorrei rimangiarmi quello che ho appena detto. Adesso mi crederà una povera incapace.
Eric non si scompone, resta impassibile, è una statua carica di rabbia, una bomba pronta ad esplodere e a spazzarmi via.
Vedo le sue labbra tremare e mi preparo ad essere travolta dalla sua furia.
Eric scoppia in una fragorosa ma inquietante risata.
Lo guardo sbigottita. Perché sta ridendo? Non dovrebbe ridere, non Eric che Uriah e suo fratello mi hanno descritto. Dovrebbe urlare, prendermi per un braccio e trascinarmi fuori dalla palestra o magari fino allo strapiombo e lì, terrorizzarmi in modo da non farmi più ripetere il grosso errore di fare qualsiasi cosa che lui considera un insulto a se stesso o alla sua fazione.
«Come…» cerca di smettere di ridere ma con scarsi risultati. «Come hai fatto a farti stendere da qualcosa che non hai neanche la forza di spostare?»
«Non mi ha steso, mi ha solo messa un po’ in difficoltà…e poi ce l’ho la forza per spostarlo» ribatto.
«Ok, allora fammi vedere» dice indicando il Mollychino davanti a noi.
Inizio a colpirlo con forza cercando di mettere in pratica tutti gli insegnamenti imparati da Quattro.
«Non si è mosso di un millimetro» mi fa notare sogghignando.
Colpisco il Mollychino con tutta la forza che ho ma si muove appena.
«Hai ragione, fai schifo» sentenzia.
«Facile da dire per uno che ha passato tutta la vita negli Intrepidi» gli dico, cercando di ingoiare tutto il veleno che avrei voluto mettere in quella frase.
«Non sono nato negli Intrepidi.»
Si leva la giacca, la piega e la sistema con cura su uno dei Mollychini.
«Eruditi» mi lascio scappare.
«Da cosa l’hai capito?» domanda colpendo ripetutamente il Mollychino accanto al mio e facendolo dondolare così tanto che mi chiedo se sia stato ben fissato a terra.
«La giacca. Solo gli Eruditi sono così ordinati…anche gli Abneganti, ma tu non sembri uno di loro.»
Eric è un trasfazione e non sembra molto più vecchio di me, come fa ad essere già un capofazione? Forse è uno di quei ragazzi che sembrano più giovani dell’età che hanno realmente. Althea li chiama viso d’angelo, perché anche una volta diventati adulti mantengono un aspetto da ragazzini.
«Da quanto sei negli Intrepidi?» mi azzardo a domandare.
«Due anni.»
Ha solamente due anni più di me! È diventato capofazione a diciotto anni?
Lui è un trasfazione, quindi non è nato negli Intrepidi e non ha avuto la possibilità di farsi notare sin da ragazzino, o avere una spinta da qualcuno influente nella fazione.
«Vuoi dire che ti hanno promosso capofazione a soli diciotto anni pur essendo un trasfazione?»
«No. Sono diventato capofazione subito dopo aver concluso l’iniziazione.»
Quindi aveva praticamente la mia età quando è diventato capofazione. Deve essere stato il migliore del suo corso per aver ottenuto un incarico del genere.
Un momento, se ha due anni più di me, ha la stessa età di Quattro, e da quello che mi ha detto Will, è stato lui a piazzarsi primo in classifica. Perché non è stato Quattro a diventare capofazione?
Quello che ho visto la prima sera in mensa comincia ad avere un senso.
Il loro linguaggio del corpo lasciava intuire che si conoscessero ma che non fossero amici. Entrami erano tesi ma non sembravano sulla difensiva, erano come infastiditi l’uno dall’altro. Sono rivali.
Questo mi fa pensare che il posto di capofazione sia stato offerto a Quattro ma alla fine è andato a Eric. Quattro, per qualche motivo che non riesco a immaginare, deve aver rinunciato all’incarico, ma questo non basta a non farlo percepire da Eric come una minaccia. Eric ha paura che Quattro reclami il suo posto. Eric teme Quattro.
Dopo tutto quello che ho combinato è il caso di chiudere il discorso qui, meglio non ricordargli chi dovrebbe essere il nostro capofazione, anche se sarei molto curiosa di sapere perché Quattro ha rinunciato lasciando gli Intrepidi nelle grinfie di Eric.
«Erudito e Intrepido, non potevano scegliere meglio. Intelligente e coraggioso, quello che ci vuole per guidare una fazione come questa.»
Sono sicura di aver detto quello che il suo ego voleva sentire, ma ho paura di avere un po’ esagerato con i complimenti.
Credo che Eric sia davvero intelligente, molto più di quanto dovrebbe essere una persona che sceglie gli Intrepidi e sono sicura che lui ha analizzato ogni mia singola parola, scoprendo che quello che ho appena detto non era per niente spontaneo.
Quando vedo apparire un sorriso compiaciuto sulle sue labbra, mi rilasso; forse lo sto idealizzando troppo, è solo il galletto di questo pollaio grazie alla rinuncia di Quattro.
«Ti ho dato il permesso di fermarti? Continua ad allenarti» ordina senza smettere di colpire il Mollychino.
Io riprendo il mio allenamento ma ad ogni colpo il male alle mani aumenta. Le mie nocche sono piene di lividi e mi chiedo come farò domani a colpire il mio avversario. Dopo un paio di pugni le mani mi faranno così male da cercare di evitare ogni contatto e finirò al tappeto in un attimo. Eric si farà grasse risate.
Un momento, forse è questa la sua vendetta. Potrebbe mettermi a combattere contro Peter, sa benissimo che non smetterebbe di colpirmi neanche se fossi priva di sensi. Perché sporcarsi le mani quando può farlo fare a qualcun altro?
Eric è il risultato di una combinazione perfetta e letale: Eruditi e Intrepidi. Intelligenza e forza. Non l’ho idealizzato, l’ho inquadrato perfettamente.
Smetto di allenarmi sui pugni e inizio con i calci in modo da limitare i danni alle mani.
«Hai paura di rovinarti le unghie?» domanda in tono beffardo.
«Certo. Sono una buona arma.»
«Come tirare i capelli» ridacchia.
Mi mordo la lingua per evitare di sottolineare che con lui avrei problemi visto il suo assurdo taglio di capelli.
«Posso mordere?»
«Perché non ti limiti ad imparare a tirare calci seri? Non hai muscoli nelle braccia, ma le tue gambe ne hanno abbastanza per diventare pericolose» mi fa notare.
Assomiglia ad un complimento ed è l’ultima cosa che mi sarei aspettata dopo tutto quello che ho combinato. È anche l’ultima cosa che ho bisogno di sentire uscire dalla sua bocca.
Eric ha qualcosa che mi attrae ma non riesco a capire cosa. Non è né simpatico né gentile, non posso provare sentimenti positivi per una persona che, a quanto si dice, prova piacere nel tormentare la gente. Come tutti gli Eruditi è fastidiosamente spocchioso e in più ha acquisito la stupida spavalderia degli Intrepidi. Però inizio a sentirmi attratta da lui ed è una cosa che non deve accadere. Lui è il mio capofazione ed è lontano anni luce dal mio ideale di uomo perfetto.
«Non alzare troppo la gamba se non sei capace di mantenere l’equilibrio» mi riprende, «ma che accidenti vi ha insegnato Quattro?»
«Ci ha mostrato solo i fondamentali. I nostri pugni facevano schifo, immagina i calci come sarebbero stati.»
«Lo vedo. Quel sacco si starà chiedendo quando smetterai di accarezzarlo e inizierai a colpirlo.»
«Il tuo credo sia morto ormai. Non sarebbe il caso di passare al Mollychino successivo?» dico senza pensare.
Eric si ferma e mi guarda. Io mi paralizzo. Dentro di me c’è più Candida di quanto pensavo.
«Il che?» mi domanda.
«Niente, una cosa mia, una stupidaggine.»
Continua a fissarmi e il suo sguardo mi fa capire che non intende smettere fino a quando non gli avrò dato una spiegazione.
Vorrei sprofondare, penserà che sono una povera scema.
«Mi ricordano vagamente le forme… ehm… generose di Molly»
«Ah, è per questo che lo accarezzi invece di colpirlo» dice in modo fastidiosamente malizioso.
«Perché? Sei uno a cui piace guardare?» ammicco.
Merda! Adesso mi uccide.
«Si è fatto tardi. Vai a dormire, domani dovrete combattere fra di voi» dice con freddezza. Prende la giacca, si avvicina a me e aggiunge: «quella è una cosa che mi piacerebbe guardare».
Lo osservo uscire dalla palestra con la consapevolezza che domani mi farà combattere contro Molly. Ho le mani distrutte, i miei calci sono molto lontani dall’essere pericolosi e dovrò lottare contro la versione femminile di Peter. La mia iniziazione non poteva cominciare peggio.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Questa mattina non ho un muscolo sano, mi fanno male tutti, anche quelli di cui ignoravo l’esistenza.
Mi avvicino alla lavagna con i nostri nomi, guardo accanto al mio e con mia sorpresa non c’è scritto Molly ma Tris. Una parte di me è sollevata, ma l’altra si sta torturando al pensiero di dover combattere contro la sorella di Caleb.
Non si assomigliano molto, Tris ha lunghi capelli biondi, magnetici occhi verdi e i suoi lineamenti sono molto più delicati di quelli del fratello. È minuta, proprio come me e chi ha scelto le coppie per i combattimenti deve averne tenuto conto.
Una scelta così saggia può essere solo di Quattro perché l’aguzzino aveva in mente di farmi massacrare da Molly.
«Mi hanno messo contro il carro armato» si lamenta Christina.
Cerco il suo nome sulla lavagna, è accanto a quello di Molly.
«È la tirapiedi di Peter, la versione vagamente più femminile di lui» dice indicando il malefico trio: Peter, Drew e Molly.
Li conosco solo da due giorni e già non li sopporto.
Tutti è tre vengono dai Candidi, Christina dovrebbe conoscerli bene e, se anche lei li odia, devono essere davvero individui insopportabili.
Non bastava un capofazione come Eric, dovevano capitarmi anche compagni di iniziazione un pelino meno amichevoli di una muta di cani inferociti.
«Peter è la cattiveria fatta a persona. Quando eravamo piccoli, attaccava briga con i bambini delle altre fazioni e poi, quando interveniva un adulto a separarli, si metteva a piangere e inventava storie per dare la colpa agli altri. Naturalmente gli credevano, perché eravamo Candidi e non potevamo mentire» racconta Christina. «Drew è solo il suo galoppino, dubito che sappia concepire un pensiero originale. Molly… lei è il tipo di persona che brucia le formiche con la lente d’ingrandimento solo per guardarle contorcersi.»
Sono certa che Eric li adorerà, sembrano mandati per diventare i suoi favoriti e, in futuro, i suoi tirapiedi.
Il pensiero mi fa innervosire più di quanto pensavo. Sono semplicemente tre posti in classifica già assegnati, ma visti gli elementi era intuibile che sarebbero stati ai vertici della classifica. Allora perché mi sento così infastidita?
Peter mi fa prudere le mani, Drew è odioso ma mi è quasi indifferente e Molly…
La guardo e il mio cuore sembra fermarsi, sento un brivido caldo salire lungo la schiena, ma non è piacevole, è una sensazione che mi fa chiudere lo stomaco e avvampare di… non lo so, è qualcosa che non capisco. Rabbia, o forse invidia… Gelosia.
Sono gelosa di Molly. No, non ci credo. Non posso essere gelosa di lei, per cosa poi? Per Eric? Lo conosco appena, non basta per prendersi una cotta, o forse sì? In ogni caso io e lui non abbiamo niente in comune. Molly ha più affinità di me con Eric, sono tutti e due crudeli e sarebbero una coppia perfetta. Il pensiero di loro due insieme mi fa venire voglia di scappare via da qui e tornare nella mia vecchia fazione dove non c’è niente in grado di ferirmi in questo modo.
Non posso e non voglio credere di essere attratta così tanto da Eric. Lo conosco appena e il poco che conosco dovrebbe farmi scappare a gambe levate.
Cerco di distrarmi osservando il combattimento nell’arena. Al contro Will, una coppia abbastanza equilibrata, sarà un incontro lungo.
Al colpisce con forza Will sul mento con un pugno. Dall’altra parte della palestra, Eric sorride ad Al, compiaciuto.
Un pugno invisibile colpisce il mio stomaco. Sarà lo stesso sorriso che rivolgerà a Molly dopo ogni suo combattimento. Sarà quella la scena che vedrò poco prima di perdere i sensi dopo essere stata sconfitta da quella stronza senza cervello.
No, non sarà così. Non sarò io a finire al tappeto, dovessi passare tutte le notti ad allenarmi. Lui sorriderà a me.
Cerco di studiare attentamente il combattimento tra Al e Will, ma sembrano più interessati a girare in tondo nell’arena che a lottare seriamente.
Li vedo lanciare un’occhiata a Quattro come aspettandosi che chiami la fine dell’incontro, ma lui se ne sta lì con le braccia conserte, senza fare niente. A pochi passi da lui, Eric controlla l’orologio, alza lo sguardo e grida: «Pensate sia un passatempo? Volete fare una pausa per la pennichella? Combattete!»
«C’è un punteggio o qualcosa del genere? Quando finisce l’incontro?» domanda Al.
«Finisce quando uno dei due non è più in grado di continuare» risponde Eric.
«Secondo le regole degli Intrepidi» interviene Quattro «uno di voi può anche arrendersi.»
Eric scruta Quattro con gli occhi stretti a due fessure.
«Secondo le vecchie regole» lo corregge. «In base alle nuove, nessuno si arrende.»
«Un uomo coraggioso riconosce la forza degli altri» risponde Quattro.
«Un uomo coraggioso non si arrende mai.»
Quattro è il nostro istruttore ma purtroppo in questa palestra è Eric, il più giovane capofazione degli Intrepidi, a detenere il comando e sono certa che questa ridicola regola sia stata creata da lui.
Al e Will riprendono a combattere e, sebbene seguire i combattimenti sia un buon esercizio per studiare non solo la tecnica ma anche il modo di combattere dei miei futuri avversari, io preferisco guardare altrove. Non voglio vedere due compagni di fazione, due amici, picchiarsi fino a quando uno dei due non crollerà a terra privo di sensi.
Quattro ed Eric si fissano per alcuni secondi. Ho l’impressione di avere davanti due diversi tipi di Intrepidi: quello virtuoso e quello spietato.
Mi domando perché io sia attratta da quello sbagliato, quello con cui non sento di avere molte affinità, ma che prepotentemente si sta insinuando nei miei pensieri. Cerco in tutti i modi di respingerlo, ma è come la forza di gravità: mi attrae senza lasciarmi possibilità di sfuggirgli. Tutto questo mi spaventa perché lui è Eric, il capofazione crudele e l’unica cosa che lascerà dentro di me saranno cicatrici.
«Tiratelo su» ordina Eric.
Mi volto di nuovo verso l’arena e la mia nuova gravità vacilla. Eric guarda con occhi famelici il corpo inerte di Will, come se quella vista fosse un pasto e lui non mangiasse da settimane.
La sua bocca ha una piega crudele e sento che la forte attrazione si sta sgretolando, che potrei liberarmi da quel sentimento che la mia razionalità considera malsano e distruttivo.
Osservo quel ragazzo tanto pericoloso e per un attimo i nostri sguardi si incrociano. I suoi occhi sembrano volermi divorare, penetrare fino nel profondo della mia mente e renderla sua schiava. Io non riesco ad oppormi, la mia capacità di giudizio sembra essere svanita e il mio autocontrollo si scioglie come ghiaccio sotto il torrido sole d’agosto. La sua attrazione è troppo forte, non ho scampo.
Il mio centro è stato inesorabilmente ripristinato, tutto riprende a girare intorno a quel ragazzo così crudele ma che ha qualcosa, nel profondo di quegli occhi azzurri come il cielo estivo, che mi fa desiderare di cedere a quella letale attrazione.
Non sono mai stata una brava Pacifica, forse quello che vedo nei suoi occhi è il riflesso di quello che sono in realtà. Forse non voglio ammetterlo ma in fondo sono come lui, magari non così tanto crudele, ma probabilmente siamo fatti della stessa pasta.
Crudele e spietata, è dunque questo quello che sono? È questo ciò si nasconde nel profondo della mia anima? Un mostro addormentato che aspettava solo che mi specchiassi negli occhi di un altro mostro per potersi destare?
Diventerò come Eric?
No. Io non sono così. Io non avrei mai inserito una regola così crudele, ma soprattutto stupida. Siamo un esercito e dovremmo restare uniti, mentre Eric sembra voglia metterci l’uno contro l’altro in nome della competizione.
Essere competitivi ci spingerà a superare i nostri limiti, ci renderà forti, ma anche aridi e spietati. Come può una persona del genere ergersi in difesa di un’altra persona rischiando la propria vita? Ci vuole una grande dose di altruismo per riuscirci ed Eric, con il suo modo di fare, sembra volerlo cancellare completamente da noi e trasformarci in feroci macchine da guerra.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


«Prossima coppia… Molly e Christina!» grida Eric.
Quattro sta trascinando via Will e la cosa non mi piace, resteremo soli con occhi di ghiaccio proprio durante il combattimento tra Christina e il grizzly.
Lei è molto alta, ma molto più esile di Molly. Se dovessero combattere fino a quando una delle due perderà i sensi, Christina finirà dritta in ospedale.
Entrambe sono al centro dell’arena. Molly scruta Christina con un ghigno e senza preavviso si tuffa, con le braccia tese, contro il centro del suo torace colpendola con forza e facendola finire a terra. Sale sopra di lei bloccandola, Christina si dimena ma il grizzly è pesante e non si sposta di un centimetro.
Fatico a guardare, la sta massacrando. Dovrei osservare la tecnica per imparare, ma che cosa c’è da imparare da un colosso che prende a pugni una ragazza più esile, che non ha forza a sufficienza neanche per parare un colpo?
Vorrei che Christina fingesse di perdere i sensi ma lei non lo fa, continua a resistere mentre Molly si accanisce senza tregua su di lei, colpendola alla mascella, al naso, alla bocca… vedo il suo sangue scorrerle lungo una guancia sporcando il pavimento intorno alla sua testa.
Stringo i pugni fino quasi a ferirmi con le unghie. Dentro di me sento crescere la rabbia a ogni colpo di Molly e ad ogni grido di Christina. Non c’è giustizia in tutto questo. Vorrei prendere Molly per i capelli e sbattere la sua testa contro una colonna fino a quando il suo naso a patata non sparisce completamente da quella faccia da schiaffi, fino a quando non le farò sputare tutti i denti.
Mi volto verso Eric. È immobile e sorride compiaciuto. Se durante il combattimento di Al e Will il suo sorriso mi sembrava crudele, adesso mi disgusta. Il suo sguardo sembra quello di un ragazzino che sbircia dalla finestra dello spogliatoio femminile, ma lui non sta guardando ragazze mezze nude, ma un massacro. È un mostro. Non posso credere che stia godendo per quello che vede, non può essere così deviato.
«Ferma!» geme Christina.
Allunga un braccio e mi vengono i brividi. Prego che non stia per dire che si arrende.
«Mi arrendo.»
È finita. L’aguzzino non avrà pietà. Non oso immaginare quello che le farà, ma sono convinta che finire tra gli Esclusi potrebbe essere la punizione meno dolorosa o pericolosa.
Eric cammina, con passo lento, verso il centro dell’arena e si ferma sopra Christina.
«Scusa, che cosa hai detto? Ti arrendi?» mormora.
Christina si solleva sulle ginocchia, si stringe il naso per fermare il sangue e annuisce.
«Alzati» le ordina.
Quattro, dove sei…
Prego invano di vederlo ricomparire e fermare Eric.
La sua voce è bassa e le sue parole precise. Sta accumulando e comprimendo, ma non scoppierà all’improvviso, non è una semplice testa calda, è freddo e calcolatore. Ha già deciso quale sarà la fine di Christina, sta solamente allungando la sua agonia. Vuole vedere il terrore nei suoi occhi, gustarselo prima di punirla in un modo che nessuno di noi riuscirà mai a dimenticare.
Non è solo una lezione per Christina, ma per tutti noi. Vuole che sia ben chiaro cosa accade se si trasgredisce alle sue regole. Vuole terrorizzarci e, dalle espressioni che vedo sui volti dei miei compagni, ci sta riuscendo molto bene.
Afferra il braccio di Christina, la tira bruscamente in piedi e la trascina fuori dalla porta.
«Seguitemi» dice a tutti.

 

Siamo accanto a una ringhiera, sotto di noi il fiume scorre impetuoso.
Il Pozzo è quasi vuoto a metà pomeriggio, ma dubito che se ci fosse qualcuno vicino a noi fermerebbe Eric. Forse perché in questa fazione ci sono regole che non escludono il ricorso alla crudeltà, o forse, gli Intrepidi non sono abbastanza coraggiosi da ergersi davvero in difesa dei più deboli.
Eric spinge Christina verso la ringhiera.
«Sali qui sopra» le dice.
«Cosa?» Christina lo chiede aspettandosi quasi che lui si corregga, ma i suoi occhi spalancati e il viso cinereo suggeriscono il contrario.
«Sali sul parapetto» dice di nuovo Eric, scandendo ogni parola. «Se riesci a rimanere appesa nel vuoto per cinque minuti, dimenticherò la tua viltà. Se non ci riesci, non ti permetterò di continuare l’iniziazione.»
La ringhiera è stretta e di metallo, gli spruzzi del fiume l’hanno ricoperta di una patina fredda e scivolosa. Anche se Christina avesse il coraggio di accettare la sfida di Eric, non so per quanto tempo riuscirà a rimanerci appesa.
«Bene» mormora lei con voce malferma mentre scavalca la ringhiera e lascia le sue gambe a penzolare nel vuoto.
La immagino perdere la presa, cadere nel vuoto e finire sulle rocce appuntite sotto di noi.
Al fa partire il cronometro.
Per i primi tre minuti Christina resiste bene, la sua presa è salda e il suo viso è determinato. Non mostra nessun segno di cedimento psicologico e so che questo è come una pugnalata per Eric.
Il fiume colpisce la parete e la schiuma bianca schizza contro la schiena di Christina facendole sbattere la faccia contro le sbarre. Le mani le scivolano e si ritrova a tenersi solo con le dita. Un’altra onda colpisce la parete e questa volta gli schizzi le bagnano tutto il corpo. Le sue mani scivolano ancora e questa volta una perde la presa. Ora è aggrappata solo con quattro dita.
Non ce la farà. Non posso restarmene qui a guardarla morire, ma non riesco a muovere un muscolo. Eric e le sue reazioni esagerate non mi spaventano, quello che temo è di peggiorare le cose. Se riuscissi a raggiungerla e afferrare la sua mano, non sarei abbastanza forte per tirarla su e forse neanche per sopportare il suo peso. Dubito che qualcuno mi aiuterebbe. Tutti temono di finire al posto di Christina. Se non riuscissi a fare neanche quello? Le sue mani sono bagnate, potrebbe scivolarmi via e non potrei fare altro che guardarla mentre cade nel vuoto. L’immagine dei suoi ultimi attimi di vita mi accompagnerà per il resto dei miei giorni. Tutte le volte che chiuderò gli occhi la rivedrò sparire nel fiume, o peggio, morta su una roccia con i suoi occhi vuoti fissi nei miei.
Sento i nostri compagni incitarla ma io resto in silenzio. Mi accorgo di aver iniziato a trattenere il respiro e non ho il coraggio di ricominciare a respirare, come se, respirando, potessi far peggiorare la situazione facendole perdere completamente la presa.
Christina fa oscillare il braccio, cercando di riafferrare il corrimano e finalmente l’altra mano ritrova la presa.
Guardo Al per cercare di capire quanto manca. Il suo sguardo si sposta rapidamente dall’orologio a Christina e viceversa, per un tempo che mi sembra infinito. Di colpo alza la testa e guarda in direzione di Eric.
«I cinque minuti sono finiti» esclama.
Eric controlla il suo orologio. Si prende il suo tempo, inclinando il polso, con calma, facendomi venire voglia di fargli assaggiare uno dei miei calci dove gli farebbe più male.
«Bene» dice Eric. «Puoi tornare su, Christina.»
Al va verso la ringhiera.
«No» lo ferma Eric «deve farlo da sola.»
«No, non deve» ringhia Al. «Ha fatto quello che hai detto. Non è una codarda. Ha fatto quello che hai detto.»
Eric non risponde.
Touché. Ora levati dai piedi e lasciaci in pace, per oggi ci hai tormentato abbastanza.
Gli passo accanto lanciandogli un’occhiata di disgusto, lui si limita ad osservarmi con il suo solito sguardo rabbioso. Una parte di me teme di vederlo scattare verso di me e appendermi alla ringhiera, ma l’altra parte sa che non lo farà. Ha già esaurito la sua dose giornaliera di atti di crudeltà, continuare riuscirebbe solo a farlo odiare.
Lui non vuole essere odiato, vuole essere temuto.
La nostra paura gli garantisce il controllo assoluto e lo fa sentire potente. È questo quello che desidera più di ogni altra cosa: il potere.
Mi chino su Christina che ora è seduta sulla passerella, ma continuo ad osservare Eric con la coda dell’occhio. Al suo sguardo rabbioso si è aggiunta una sfumatura di frustrazione. Anche questa notte non sarò sola a colpire sacchi da pugilato nella grande palestra.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


La mia giornata non è ancora finita, è arrivata l’ora del mio clandestino allenamento serale. Oggi sarà più dura, ho i muscoli a pezzi e il corpo pieno di lividi.
Anche se io e Tris eravamo d’accordo nel fare un po’ di scena e concludere il combattimento con un mio ko, dovevamo essere abbastanza convincenti da far credere ad Eric che fosse un vero combattimento. Credo che Tris si sia lasciata un po’ troppo prendere la mano.
È svelta ma non ha muscoli, i suoi colpi non mi facevano tanto male e non mi causerebbero grossi problemi neanche in un normale combattimento, ma lo faranno quando il suo corpo sarà abbastanza allenato. Per il futuro, confido nella sua natura di Abnegante.
Aver atteso il momento del mio allenamento seduta in un angolo del Pozzo è stato più comodo che sgattaiolare fuori dalla camerata e vestirmi inciampando per il corridoio. In più è stato utile per tenere d’occhio Eric, in modo da non farmi beccare di nuovo, anche se temo che me lo ritroverò tra i piedi. Oggi sembrava parecchio nervoso e credo che prendere a pugni qualcosa sia il suo modo per scaricare la tensione.
Colpisco il Mollychino ma, come al solito, non si muove di un centimetro. Dopo qualche pugno le mani mi fanno talmente male da farmi lacrimare gli occhi.
«Ti sei fatta mettere al tappeto da una Rigida» sghignazza Eric, camminando verso di me.
Vorrei poter affermare che si è materializzato dal nulla, ma devo ammettere che, anche con la sua stazza, ha il passo felpato come quello di un gatto.
Entrambi sono predatori, peccato che Eric è affettuoso quanto un gatto selvatico al quale hanno pestato la coda.
«Non la sottovalutare, è veloce ed è più forte di quanto immagini.»
«Sulla forza ho qualche dubbio, ma in quanto a velocità…» trattiene a stento una risata, «solo i tuoi Mollychini sono più lenti».
«Almeno questa volta mi ha stesa un essere vivente» dico, lasciandomi scappare un sorriso.
«Metti questi.»
Mi lancia dei guanti imbottiti, che suppongo servano a proteggere ciò che resta delle mie mani. Non faranno sparire il dolore ma spero che almeno lo rendano più sopportabile.
«Magnanimo da parte tua. Darli a tutti prima che ci massacrassimo le mani lo sarebbe stato di più.»
«Ridammeli» ordina spazientito.
«Perché?»
«Non hai più questo privilegio.»
«Se mi rifiuto che fai? Mi appendi a una delle passerelle del Pozzo?» non riesco a trattenermi dal domandare in modo pungente.
Sto firmando la mia condanna a morte.
Eric raggiunge velocemente l’ultimo sacco della fila e inizia a prenderlo a pugni.
Mi sento sollevata, quei pugni erano destinati a me. Mi ha graziata, o almeno spero, non so cosa aspettarmi da lui.
Colpisco di nuovo il Mollychino ed ora ho capito cosa mi serve oltre alla tecnica.
Visualizzo tutte le atrocità che ho visto nel mio secondo giorno come iniziata.
Molly che si accanisce su Christina, il sangue che le esce dalla bocca e dal naso e scivola sulla guancia tingendo il pavimento di rosso, i sorrisi che Eric faceva a Molly. Sembra assurdo ma è questa la cosa che mi manda di più in bestia. Eric che sorride a Molly. Eric fiero di lei.
Un mio pugno manca il Mollychino, inciampo e finisco con la faccia contro quel pesante sacco arancione. Il mio naso, non esattamente piccolo, prende il colpo più forte.
Lo massaggio con le mani sperando di non essermelo rotto, perché dovrei coniare un altro termine che sia la versione di imbarazzante elevato all’ennesima potenza.
Eric mi guarda nello stesso modo in cui ha guardato Christina oggi pomeriggio, facendomi sentire, non solo una nullità, ma una persona non gradita, indegna di essere in questa fazione.
Mi stringo il naso per cercare di fermare il sangue. Lui non mi degna di uno sguardo. Vedere sanguinare le persone credevo che gli piacesse, che gli procurasse un deviato impulso sessuale, forse non sto sanguinando abbastanza per lui.
«Troppo poco sangue o hai anche bisogno di brutalità per eccitarti? Se vuoi vado a chiamare Molly.»
Mi taglierei la lingua. Non ho avuto neanche il tempo di pensare quella frase che già la stavo pronunciando.
Questa volta mi sono messa in un brutto guaio. Non ho fatto una semplice allusione, gli ho sputato in faccia quelle parole e l’ho fatto con la stessa brutalità con cui lui ha trattato Christina.
Lo sguardo di Eric cambia, serra la mascella e stringe a pugno le mani.
Non so se sta tremando di rabbia o sono io a tremare di paura.
Scusarmi. Devo scusarmi immediatamente.
Eric scatta verso di me e mi colpisce al volto con uno schiaffo. Cado a terra e lo fisso terrorizzata, so che non gli basterà, so che continuerà a colpirmi, ma io non riesco a muovermi.
Cammina lentamente verso di me, guardandomi come se fossi un insetto da schiacciare. Il suo sorriso ha un che di malvagio, come se gli fosse stato tagliato nel viso con un coltello.
Come ho potuto pensare che quelle labbra fossero perfette per essere baciate? Come ho potuto sperare che il suo sguardo potesse diventare gentile?
Come faccio a pensarlo ancora?
Odio me stessa più di quanto odio lui, anche se mi sta facendo sentire come se valessi meno di niente, anche se so che ora i suoi unici pensieri sono massacrarmi e poi sbattermi fuori dagli Intrepidi.
Non lo accetto. Un ragazzo poco più grande di me, che non sa ancora nulla della vita, ma che qualche idiota ha messo al comando di questa fazione, non può decidere di sbattermi fuori solo perché gli ho detto in faccia quello che penso di lui.
Lo fisso dritto negli occhi, voglio fargli capire che può anche ridurmi ad un ammasso di carne sanguinante, ma io non intendo dargli la soddisfazione di vedermi cedere e implorare.
Non voglio farlo sentire potente.
Resto immobile a fissarlo. Lui mi afferra per un braccio e mi tira in piedi.
Siamo l’uno davanti all’altra e nessuno dei due intende cedere.
Eric mi colpisce di nuovo, ma questa volta non cado, faccio solo qualche passo indietro per non perdere l’equilibrio.
«Forza, colpisci. Riducimi come Christina!» allargo le braccia e poi aggiungo: «Lo terrai per te o andrai in giro a vantartene?»
Eric si scaglia contro di me ed entrambi finiamo a terra rotolando fino al bordo dell’arena. Lui mi blocca le braccia sopra la testa con una mano e alza l’altra stringendola a pugno.
Mi preparo al colpo che, ne sono sicura, mi farà perdere i sensi.
Non m’importa, può farmi tutto quello che gli pare, me lo merito. Non per quello che gli ho detto, ma per sentirmi ancora così tanto attratta da lui.
Ripenso a Neem, a quanto era dolce e premuroso e a quanto non me ne importasse nulla. Ero quasi infastidita dalle sue attenzioni romantiche, mentre adesso vorrei che fosse Eric a trattarmi in quel modo.
Mi mordo l’interno della guancia per non scoppiare a piangere e cerco di mantenere il mio sguardo freddo, ma è impossibile riuscire a nascondere tutta l’amarezza che provo in questo momento.
Vedo il pugno di Eric abbassarsi velocemente verso il mio viso, chiudo gli occhi come se così facendo, il male delle mie ossa che si rompono diventasse più sopportabile.
Sento le nocche di Eric sfiorarmi la pelle e fermarsi. Apro gli occhi. La sua mano è così vicina alla mia guancia che i peli delle sue dita la solleticano.
Eric mi osserva. Il suo sguardo non è più furioso ma sembra frustrato, o meglio, deluso.
Dovrei essere contenta, ho vinto io, gli ho negato ciò che voleva, ma questa vittoria non mi appaga quanto speravo. Lui resta sempre un mostro e io sono sempre attratta da lui. Forse qualcosa non funziona come dovrebbe nella mia testa se continuo a sperare che, nel profondo, Eric non sia così malvagio come sembra.
«Impara a ingoiare il tuo veleno o la prossima volta ti porteranno via in un sacco nero. Non tollero la mancanza di rispetto.»
Eric si alza e finisce di sfogare la sua rabbia sul sacco da pugilato, facendo ondeggiare i cavi metallici che lo tengono appeso al soffitto e ancorato al pavimento.
«Pensare quello che ti ho detto e fingere di idolatrarti sarebbe una mancanza di rispetto… e anche viltà» puntualizzo, dimenticandomi, per l’ennesima volta, di collegare la bocca al cervello.
«Darmi del deviato non è coraggio, è stupidità.»
«Tu non sei esattamente un santo…» sottolineo.
La mia totale incapacità a mentirgli mi spiazza. Nella mia mente ci sono centinaia di lusinghe, ma quando apro bocca escono frasi che dovrebbero restare nella mia testa.
Eric mi piace, ormai mi sono rassegnata a questa follia, ma non posso permettermi di essere sincera con un ragazzo come lui.
«Eric, tu sei un capofazione, il mio punto di riferimento, l’unico di cui posso davvero fidarmi qui dentro. Il mio modo per dimostrartelo è essere sincera, ovviamente quando nessuno oltre a te può sentirmi» ci riprovo, ma questa volta esagero con le lusinghe.
«Non sei curioso di sapere quello che pensiamo di te?»
«Non m’importa quello che pensate, dovete solo ubbidire agli ordini.»
«Quindi, se scoppiasse una guerra e tu dovessi scegliere di chi fidarti, in che modo lo faresti? Come saresti sicuro di circondarti di persone che non ti tradirebbero mai?» domando.
«Smettila di chiacchierare e continua ad allenarti o non resterai abbastanza negli Intrepidi per scoprirlo» dice, chiudendo la discussione.
Seguo il suo consiglio. Mi alzo e riprendo il mio allenamento mentre penso che se non mi ha colpita forse, dentro di lui, c’è davvero un Eric che nessuno conosce. Stupidamente si riaccende in me la speranza che un giorno riuscirò a conoscerlo.
Concentro la mia rabbia sul Mollychino.
Le sue stupide regole, il corpo di Will inerte ai piedi di Al, Christina appesa alla passerella e… Molly, sì anche lei, la ragazza perfetta per Eric.
Colpisco il Mollychino così forte che il dolore alla mano mi fa vedere le stelle, ma con mia grande sorpresa lo vedo dondolare.
«Stai imparando a tirare pugni o hai stretto un’alleanza segreta con il Mollychino?» domanda, cercando di ostentare freddezza e disinteressamento come suo solito, ma non ci riesce bene come spera. L’ho visto mordersi l’interno del labbro inferiore per trattenere un sorriso.
«Nessuna alleanza segreta. Non hai notato come sono vestiti?» indico l’intera fila e poi aggiungo: «Arancione, uno dei colori dei Pacifici.»
«Parli tanto di lealtà ma poi invadi la mia fazione con un esercito di Mollychini Pacifici» scherza.
«E nessuno di voi se n’è accorto» rispondo stando al gioco.
Eric mi fa paura quando scherza perché non è una cosa che mi aspetterei da lui, soprattutto dopo quello che è appena successo tra di noi.
«Cosa intendete fare tu e il tuo assurdo esercito di dissidenti?»
«Cadervi addosso durante gli allenamenti?»
«Non è un gran piano» guarda il mio naso «però con te ha funzionato.»
«Molto divertente. Davvero carino da parte tua mettere il dito nella piaga» dico sorridendo.
Eric smette di colpire il Mollychino e si avvicina a me.
«Quando combatti, o fingi di combattere, non te la cavi tanto male. Ma se non avessi deciso di metterti con la Rigida, invece che con Molly, saresti finita al tappeto senza riuscire a colpirla neanche una volta.»
Quindi è stato lui a decidere le coppie. Perché ha deciso di farmela passare liscia e mi ha messo contro la più debole di tutti? Io non capisco. Sono stata sgarbata, ma lui ha fatto l’esatto contrario di quello che mi aspettavo.
«Dovremo lavorare parecchio e molto duramente per riuscire a farti avere qualche possibilità di superare la prima fase.»
«Dovremo?» domando sgranando gli occhi.
«Domani mattina ti voglio qui alle cinque»
«Stai cercando di scoprire se muoio prima di sonno o di fame?»
«Domani. Qui. Cinque in punto. Se mi fai venire per niente, il tuo prossimo combattimento sarà contro Peter e senza Quattro a fare da balia» dice mentre si incammina verso la porta.
Io non capisco. Lui vuole allenare me. Perché? Non è il tipo da perdere tempo con chi ha scarse probabilità di superare l’iniziazione e, in più, tutte le volte che apro bocca ne esce solo veleno.
Sono l’esatto contrario di ciò che lo può attrarre, non sono né forte né crudele, gli manco di rispetto in continuazione e faccio di tutto per non dargli quello che vuole da tutti. Eric desidera che il suo rango nella gerarchia degli Intrepidi venga riconosciuto, lui è il potente capofazione e tutti noi dovremmo chinare il capo al suo passaggio.
Questo è quello che fanno tutti, non perché riconoscono il suo potere o perché lo stimano, ma perché non vogliono problemi o non lo sopportano.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Perché lo fa? Perché addestrare me che non sono un armadio come Molly, non sono crudele come Peter e ho poche possibilità di superare l’iniziazione? Gli ho mancato di rispetto sin dalla prima volta che ci siamo parlati e sono un grosso spreco di tempo.
Non riesco a pensare. Questa notte ho dormito solo tre ore e non ho un muscolo sano, per non parlare di lividi, graffi ed escoriazioni. Sono in ritardo di un quarto d’ora. Eric se ne sarà già andato e sarà furioso. Di male in peggio.
Entro nella palestra e lo vedo sdraiato sulla panca. Sono le cinque del mattino e lui fa sollevamento pesi mentre io fatico a tenere gli occhi aperti.
Non indossa la maglietta e io resto incantata a guardare i suoi muscoli che solo pochi giorni fa trovavo esagerati, mentre adesso scatenano in me quelle vampate di calore di cui parlava tanto Althea.
«Sei in ritardo. Oggi doppio allenamento» dice, appoggiando il bilanciere ai supporti, come se farlo non gli costasse nessuna fatica.
«Se sopravvivo» mi lamento stropicciandomi gli occhi.
«Siediti» mi ordina, indicando quello che io definirei uno strumento di tortura, ma che lui definirebbe una postazione multifunzionale, e dove ogni mio dolorante muscolo ha un attrezzo specifico che lo renderà ancora più dolorante.
Mi lascio cadere sul sedile di quel macchinario infernale, sono troppo stanca e indolenzita per lamentarmi. Non spero nella sua clemenza ma in quella del mio corpo. Mi auguro di non metterci troppo tempo a svenire.
«Da quale tortura iniziamo?» gli domando.
Lui mi spinge contro lo schienale e si siede davanti a me.
Non sento violini come diceva Althea ma tamburi. Il mio cuore sta battendo così forte e ho paura che lui riesca a sentirlo.
È seduto a cavalcioni sulla panca e le mie gambe sono tra le sue. Non siamo mai stati così vicini. So chi è e perché siamo qui, ma l’influenza di anni di Althea-pensiero riescono quasi a convincermi che, nel tempo di un battito di ciglia, le nostre labbra saranno unite in un bacio che mi farà girare la testa.
Eric si china verso di me e, ora ne sono certa, non solo può sentire il mio cuore impazzito ma potrebbe anche vederlo. Batte così forte da scuotermi a ogni suo battito.
Mi guarda e io sento le mie guance avvampare. La cosa lo fa sorridere. Si ferma per un attimo a guardarmi e poi raccoglie da terra una tazza di caffè.
«Ormai sarà freddo. Ti servirà da lezione per la prossima volta.»
Io mi sento una stupida per aver immaginato che potesse anche solo sfiorarlo l’idea di baciarmi.
Resto in silenzio e bevo il caffè che è ancora caldo. Lo guardo. Non ha una goccia di sudore e il profumo del suo docciaschiuma è forte. Se si fosse davvero allenato con i pesi per un quarto d’ora, sarebbe sudato e sarebbe rimasto ben poco del fresco profumo del thè verde.
«È ancora caldo e tu non hai una goccia di sudore. Non fare il furbo, non eri qui da molto.»
«Ritardo giustificato. Sono tornato a casa per fare il caffè» si giustifica.
«Come mai tanta gentilezza?»
«Non voglio fermarmi ogni cinque minuti per rianimarti.»
Eric non perde tempo e inizia a trafficare sul macchinario infernale, non voglio pensare con che tortura ha intenzione di cominciare. Preferisco abbandonarmi ai viaggi mentali che Althea mi ha lasciato in eredità e immaginare che lui sia ancora seduto davanti a me, alle mie gambe strette tra le sue e a quanto sarebbe stato bello se il bacio fosse stato reale e… ma sono diventata scema?! Io non penso a queste melensaggini! Non sono una di quelle che si fissa su dettagli insignificanti rendendoli più di quello che sono in realtà. La panca è fatta per una sola persona, è normale che parti del nostro corpo siano entrate in contatto e lui si è chinato solo per raccogliere la tazza di caffè. Theia, torna in te!
«Hai finito con quel caffè?» domanda, strappandomi la tazza dalle mani.
«Avrei dovuto intuire che era solo una forma di tortura.»
Eric sbuffa e mi ridà la tazza. «Mi stai facendo perdere tempo.»
«Perché? Che impegni hai alle cinque del mattino?»
«Dormire. Oggi non ho potuto farlo perché dovevo allenare la Pacifica più stronza della storia.»
«Sono un’Intrepida» puntualizzo.
«Non ancora» ribatte con un sorriso che mi ricorda quello che aveva mentre guardava gli iniziati svenuti dopo i combattimenti.
Non riesco a inquadrarlo come vorrei. So che tipo è, Zeke mi ha avvisata e l’ho anche visto con i miei occhi, ma i suoi cambi di atteggiamento nei miei confronti mi confondono.
Ieri sera, dopo aver insinuato la dubbia sanità dei suoi impulsi sessuali, era furioso a tal punto da picchiarmi, ma poco dopo si è messo a scherzare. Ammetto di avergli fatto una bella sviolinata con quel discorso sulla sincerità e sul fatto che lui è il mio punto di riferimento, ma non pensavo che si sentisse così lusingato da fare cessare le ostilità.
Eric è intelligente, molto più di quanto lascia trasparire, ha capito benissimo che lo facevo solo per rabbonirlo.
Lui non è il mio punto di riferimento, è Quattro l’unica persona di cui mi fido. Eric è quello da evitare, quello da tenere buono se si vuole sopravvivere qui dentro, solo un pazzo si fiderebbe di lui.
Bene, sono pazza. In un modo che non riesco ancora a comprendere, sto iniziando davvero a fidarmi di lui.
Se questo è l’amore di cui tanto parlava Althea, preferisco farne a meno. Ma come si fa? Non è qualcosa che posso comandare, va oltre la mia volontà. È questo sentimento che comanda me e ho paura che non smetterà mai di farlo neanche quando sarò vecchia.
«Vuoi anche dei pasticcini con quel caffè? Una manicure? Un massaggio?»
«I pasticcini si prendono con il thè, le mie unghie stanno bene, ma un massaggio non mi dispiacerebbe» rispondo ironica mentre gli passo la tazza.
«Vedremo… se farai la brava…» dice ammiccando.
Sento un calore proprio lì, dove diceva Althea e mi piace, anche se un po’ mi imbarazza.
Eric non è un bravo ragazzo come Neem. Questo pensiero fa aumentare il calore. Non va bene, devo allontanarlo immediatamente.
«Ok. Cosa devo fare?» domando, mentre cerco di reprimere ciò che so di non poter domare.

 

Le due ore passate ad allenarmi con Eric sono state dure ma soprattutto tormentate. Neanche la fatica e il dolore dei miei muscoli che sembravano in fiamme sono riusciti a tenere lontano dalla mia mente pensieri che trovo naturali ma non se è Eric l’oggetto del desiderio.
Non va bene. Non va affatto bene. Ogni volta che mi sfiorava mi sentivo fremere. Lui è il nostro supervisore, è un capofazione, non posso sciogliermi come cera calda ogni volta che si avvicina a me o mi guarda. Dovrò passare tutta la mia vita in questa fazione e non posso trascorrerla in queste condizioni.
«Hai quindici minuti per fare colazione. Combatterai per ultima e vedi di non farti stendere anche da Myra» mi intima Eric.
«Colazione, massacro, pranzo, massacro, cena e massacro serale. Non credevo fosse così monotona questa fazione.»
«Questa sera puoi anche sprecare tempo oziando con gli altri. Io non ci sarò a controllarti.»
«Perché?»
«Ho un appuntamento» dice, infilandosi la maglietta e interrompendo una fantasia che definire sconcia è un eufemismo.
Ha un appuntamento. Certo, come ho potuto anche solo sperare che lui non uscisse con nessuna. È bello, sa di esserlo, e anche se è un bastardo avrà la fila alla porta.
Come posso competere con le Intrepide? La maggior parte sono mascoline, ma alcune hanno forme generose, mentre io sono solo una sciocca ragazzina magrolina e soprattutto inesperta. Noi Pacifici siamo meno rigidi degli Abneganti ma, a differenza di molte ragazze della mia età, non sono mai stata con nessuno. Io e Neem non siamo mai andati fino in fondo perché io non me la sentivo.
Il test attitudinale ha evidenziato anche una predisposizione per gli Abneganti, ma io non mi sento molto altruista e spero di non avere dentro di me anche il loro puritano approccio con tutto quello che riguarda l’amore romantico e la sessualità.
Stupidaggini. Io sono cresciuta nei Pacifici, è lì che si è formato il mio carattere e non credo che la predisposizione agli Abneganti sia così marcata. Come e dove si è cresciuti è importante quanto le doti innate e poi, quello che immaginavo guardando Eric a petto nudo mentre mi allenava, non è da Abnegante.
L’unica cosa di cui sono certa è che ho la gelosia di un’Intrepida.
«Ok. Buon divertimento» gli dico, fingendo un totale disinteresse per i suoi programmi serali quando, dentro di me, la gelosia mi sta divorando.
Mi alzo e mi affretto a raggiungere i miei compagni di iniziazione in mensa, anche se la fame mi è passata. Dovrò sforzarmi di buttare giù qualcosa, mi aspetta una giornata dura e voglio arrivare in forze al mio solitario allenamento serale.
Dopo che Eric mi ha detto del suo appuntamento, sento un’angoscia e un’energia malsana, come se fossi stata morsa da decine di serpenti e dovessi buttare fuori tutto quel veleno. Dentro di me so che l’unico modo per farlo, per liberarmi da quella fastidiosa energia, è sfogarmi sui Mollychini.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Dopo una colazione forzata e falsi sorrisi a Uriah, entro di nuovo in palestra, i miei compagni sono già tutti lì.
Complimenti Theia, due ritardi in un giorno, Eric sarà fiero di te!
Evito di dar retta alla voce nella mia testa e raggiungo Tris e il suo gruppo.
Sono radunati sotto la lavagna e lei ha un’espressione preoccupata, ma nei suoi occhi brilla la stessa luce che ho visto negli occhi degli Intrepidi sin da quando ero bambina.
Ha paura, ma il desiderio di sconfiggerla è più forte. Risoluta e ardita. Non avevo mai immaginato che la silenziosa Tris potesse essere un’Intrepida nata.
Leggo il nome sulla lavagna: Peter.
Muscoli d’acciaio ci va giù pesante, mi domando se lo fa per piacere personale oppure se vuole eliminare subito Tris.
Perché dovrebbe volerla fuori, lei non gli ha mai mancato di rispetto, è sempre stata al suo posto, in silenzio e con la testa bassa. Ha dato il massimo, è determinata, queste sono cose che dovrebbero farle avere un posto tra i suoi preferiti, magari non in cima alla sua classifica personale, ma comunque dovrebbe averlo colpito in modo positivo. Invece sembra detestarla senza motivo.
Lei è un’Abnegante e lui un Erudito e tra le due fazioni non corre buon sangue. Gli articoli che attaccano gli Abneganti pubblicati da Jeanine Matthews sono chiari: gli Abneganti devono farsi da parte.
Quando ho confidato ai miei genitori questa mia teoria, loro sono scoppiati a ridere dicendomi che è solo la mia immaginazione, che ingigantisco le cose e quindi vedo complotti dove non ci sono. Forse hanno ragione loro ma più il tempo passa e più gli articoli diventano velenosi e la sete di potere degli Eruditi rende plausibile tutto quello che ho immaginato.
Tris raggiunge il centro dell’arena con passo incerto. Non posso biasimarla se ha avuto un calo di coraggio. Peter è più alto di lei di quasi trenta centimetri e ieri ha battuto Drew in meno di cinque minuti. Oggi, la faccia di Drew è più bluastra del suo colore naturale.
«Tutto bene, Rigida?» la provoca Peter. «Sembri sul punto di scoppiare in lacrime. Potrei andarci piano con te, se piangi.»
Peter non ha capito con chi ha a che fare, punzecchiare Tris non è saggio, ma purtroppo la sua stazza gli dà un vantaggio troppo grande. Tris perderà. Spero nel suo buonsenso anche se dubito che si arrenderà fingendo di perdere i sensi.
Quattro è accanto alla porta e la osserva a braccia conserte. Ha la bocca contratta, come se avesse appena ingoiato qualcosa di acido. Vicino a lui, Eric batte il piede a terra a una velocità preoccupante. Si sta innervosendo, anche se è difficile capire cosa prova realmente e cosa finge di provare. Questa è un’altra cosa che mi confonde.
La maggior parte delle volte, il suo essere ombroso come un mulo è genuino, ma a volte sembra che stia recitando una parte. Non ho dubbi sul suo carattere per niente docile e gentile, ma alcune esagerazioni mi fanno pensare che sia più freddo che montato, che tutto quello che fa sia studiato, ogni atteggiamento, ogni parola e persino ogni gesto. Non devo dimenticare che era un Erudito.
«Su, Rigida» insiste Peter. «Solo una piccola lacrima, magari qualche supplica.»
Negli occhi di Tris si riaccende il suo fuoco Intrepido e tira un calcio a Peter, che purtroppo para facendola cadere. Tris si rialza immediatamente, sa che restare a terra è dare un grosso vantaggio all’avversario.
Sono di nuovo in piedi, l’uno davanti all’altra e si studiano per qualche secondo.
«Smettila di giocare con lei» interviene Eric. «Non ho tutto il giorno.»
Sento un irrefrenabile desiderio di entrare nell’arena e sfogare la mia rabbia su Peter.
Eric non ha tutto il giorno, questa sera ha un appuntamento romantico e io non posso farci nulla e sentirmi del tutto impotente mi rende nervosa, quello spocchioso di Peter sarebbe il bersaglio perfetto.
Stringo i pugni, ingoio il mio veleno e cerco di reprimere la rabbia. Peter che infierisce su Tris e lei che si ostina a non voler cedere, non mi aiuta per niente.
Il loro incontro dura solo qualche minuto. Eric guarda Peter e di nuovo mi ritrovo a fare i conti con il mio impulso di aggredire, prima quel fastidioso Candido, poi passare a Eric.
È una cosa stupida, non solo perché Eric non si accorgerebbe neanche che lo sto colpendo, ma perché non ha senso rompergli qualche osso sperando di evitare che esca con qualcuna.
Le mie reazioni iniziano a spaventarmi, io non sono così, non è il mio modo di affrontare o risolvere i problemi. Io non sono brutale come Eric e senza cervello come Molly. Eccola di nuovo, la coppia perfetta. Spero uscirà con lei questa sera perché mi aiuterebbe molto in un combattimento contro di lei. Aiuterebbe anche i miei compagni perché si libererebbe immediatamente un posto in questa fazione.

 

Il mio combattimento contro Myra è stato più semplice di quello che pensavo, non per la mia bravura, ma per la sua decisione di finire al tappeto. Mi ha lasciata vincere e vorrei chiederle il motivo ma non posso, Eric non deve sapere che parte dei combattimenti sono truccati. Precauzione inutile, lui sa benissimo che alcuni di noi si stanno aiutando a vicenda.
Entro in quella che credo sia una specie di infermeria dove gli Intrepidi vengono quando sono malati o feriti in modo lieve. L’ospedale della città non è lontanissimo ma, visto la vita degli Intrepidi, dover fare avanti e indietro sarebbe scomodo.
Ho portato due hamburger e due bottigliette d’acqua, sapevo che Tris non sarebbe venuta a cenare in mensa e così le ho portato qualcosa da mangiare. Saltare un pasto in una fazione come questa è una cosa da evitare e quindi, volente o nolente, dovrà sforzarsi di mangiare.
Dovremo sforzarci. In realtà sono qui perché spero che scambiare quattro chiacchiere con Tris mi aiuti a buttare giù qualcosa.
È sera, Eric starà andando al suo appuntamento e questo pensiero mi fa passare del tutto la fame.
«Sveglia Intrepida!» esclamo.
Tris apre l’occhio messo meglio e accenna un sorriso.
«Per essere una che ha combattuto contro il Candido bastardo non sei conciata male» mento. Ha un occhio talmente gonfio da non riuscire ad aprirlo e il resto del viso ha parti con sfumature che vanno dal rosso cremisi al blu tenebra.
Questo è uno di quei momenti in cui mentire è la cosa migliore. Lei ha bisogno di qualcosa che le sollevi il morale. A volte, far sentire forte una persona la fa diventare più forte di quello che è, anche se si rischia di spingerla verso l’incoscienza. Non è il caso di Tris, lei conosce bene i suoi limiti.
«Sono solo un po’ ammaccata e non ho niente di rotto. Suppongo sia una specie di piccola vittoria.»
«Una bella vittoria visto l’elemento» commento mentre prendo un hamburger. «Ti ho portato la cena.»
Tris storce il naso.
«Non si saltano pasti se si vuole sopravvivere negli Intrepidi. Quindi niente storie.»
Cerca di rifiutarsi, ma alla fine, si arrende e, dolorante, addenta il suo hamburger.
«Perché non hai mangiato insieme agli altri?»
«Avevo bisogno di un po’ di tranquillità» e non vedere Eric con il suo appuntamento di questa sera, vorrei aggiungere.
«Pensi che le nostre famiglie verranno a trovarci nel Giorno delle Visite?» le domando.
Il giorno delle visite si avvicina e so che sarà doloroso, ma pur di non pensare ad Eric appartato con un’Intrepida parlerei dei miei incubi più spaventosi.
«Non lo so. Non so neanche se sarebbe un bene o un male.»
«Probabilmente un male» Annuisco. «Però non mi dispiacerebbe rivedere un volto familiare» le dico, ripensando alla mia famiglia. Mi sembra che siano passati mesi e non solo pochi giorni.
«Eri amica di mio fratello?» mi domanda Tris, studiandomi come se per tutti questi giorni le avessi tenuto nascosto uno scottante segreto. Niente di più lontano dalla realtà.
«Più o meno. Caleb è un bravo ragazzo, mi ha aiutato molto in alcune materie» le dico, aiutandola a bere un sorso d’acqua dalla bottiglietta. «Immaginavo da tempo quale sarebbe stata la sua scelta» aggiungo.
«Io no» mormora abbattuta.
Immagino come si sente, non conoscere il proprio fratello, quello che ha passato ogni giorno della sua vita insieme a lei e che sembrava un buon Abnegante, ma che alla fine si è dimostrato essere un traditore. Credo che Tris lo veda in questo modo e ho paura che veda così anche se stessa.
Noi non siamo proprietà dei nostri genitori, è loro dovere aiutarci a crescere e spronarci a seguire le nostre aspirazioni. Ho visto il volto del padre di Tris, non è stato felice delle scelte dei figli e probabilmente non andrà a trovarli. È un adulto, perché non ha capito quanto è stata sofferta la scelta dei suoi figli? Lui è nato Abnegante o ha “tradito” anche lui? Vorrei chiederlo a Tris ma non è il caso di deprimerla più di quanto non lo sia già.
«Perché non eri nel suo corso di matematica avanzata» dico cercando di porre rimedio a una delle mie solite affermazioni che sembravano una buona idea ma che si sono rivelate il solito disastro. «Era comunque un bravo Abnegante» la rassicuro.
Annuisce abbassando lo sguardo.
Non ne sto combinando una giusta. Dovrei contare fino a mille prima di aprire bocca e anche in quel caso sarebbe saggio consultarmi con qualcuno prima di parlare.
«Resti qui o vuoi che ti accompagni al dormitorio?» dico buttano in un cestino la carta dei nostri hamburger.
«Sembri avere molta fretta» mi fa notare.
Cerco di evitare il suo sguardo. Non voglio che scopra quello che sta succedendo dentro di me e degli allenamenti con Eric.
«Vai al Pozzo a spiare Eric?»
Ecco appunto, colpito e affondato il primo incrociatore.
«Cosa? No. Io non spio Eric» dico con la voce un po’ troppo alta, sperando di non arrossire come una bambina.
Lei mi guarda in un modo che mi fa capire che non l’ha bevuta. Tremo al pensiero che non sia l’unica.
Durante l’addestramento cerco di mantenere un certo contegno e sono sicura che nessuno si è accorto che Eric mi piace, ma pare che lei l’abbia intuito.
Penserà che sono un mostro ad essermi presa una cotta per lui.
Peccato, avrei voluto fare amicizia con Tris, sento che abbiamo molte cose in comune.
«No, oggi preferisco evitare il Pozzo» confesso. «Ho sentito che Eric ha un appuntamento e ho deciso di andare ad allenarmi ancora un po’ in palestra» confesso. «Quando il gatto non c’è…»
«I topi sfogano la loro frustrazione sui sacchi da pugilato» conclude la mia frase.
Davvero molto pungente, non me l’aspettavo. Dovrebbero chiamarla Cactus e non Rigida. In ogni caso mi piace il suo essere schietta e sincera. Niente stupide allusioni, dritta al punto.
«Io ci andavo la mattina, prima dell’inizio degli allenamenti quotidiani» mi confida.
Vorrei chiederle come mai questa mattina non c’era, ma poi si fa largo in me il pensiero che forse lei c’era e che mi ha vista insieme a Eric. Sarebbe una cosa positiva. Ha scoperto della mia cotta per Eric quando io e lui eravamo soli in palestra e non durante le giornate d’addestramento. La mia bravura resta innegabile.
«Non ci vai più?» le domando, cercando di sembrare più innocente di quello che sono.
«No, ci vado ancora.»
Beccata. Anche il secondo incrociatore è andato.
«Anche oggi?» le domando, cercando di mantenere la calma.
«No perché?»
«Oh, niente… mi sono svegliata presto e ne ho approfittato, ma tu non c’eri»
«Purtroppo ho avuto altro da fare…»
«Peter. Lo so, me l’hanno detto. Un giorno gli farai ingoiare tutti i denti e io sarò lì a godermela fino in fondo» dico, tirando un sospiro di sollievo, il mio segreto è ancora al sicuro.
«Avrei voluto allenarmi e scaricare la tensione ieri sera, ma la palestra era occupata» dice facendo una smorfia, ma il suo viso è conciato così male da non permetterle di ammiccare come vorrebbe.
Addio segreto.
Perfetto, adesso penserà che sono la cocca della maestra e, quel che è peggio, la maestra è Eric.
«Hai avuto fegato a sfidare Eric.»
«Stupidità, non coraggio» ammetto «e non l’ho sfidato. Semplicemente, non sono stata capace di stare zitta quando dovevo farlo.»
«Cosa gli hai detto?»
«Gli ho fatto notare, non esplicitamente, che è un deviato.»
«Sì è stupidità» accenna un sorriso facendo riaprire uno dei tagli che ha sulle labbra. «Però, quando ti ha colpita, non ti sei lasciata intimorire, gli hai tenuto testa.»
«Sapevo che mi avrebbe massacrata e non volevo dargli la soddisfazione di vedermi implorare perdono.»
«Una cosa non capisco» dice tamponandosi con una garza il labbro sanguinante «perché si è fermato?»
«Non lo so neanche io. Forse è psicopatico» le dico mentre mi avvio verso l’uscita.
Non voglio che questa conversazione diventi troppo personale. Non voglio arrivare al punto in cui mi fa notare quando e come ha capito che sono attratta da lui. In più non posso dirle che ora lui ha deciso di addestrarmi in privato. Non lo troverebbe corretto verso gli altri, ne sono certa.
«Come fa a piacerti uno così?» mi pone la domanda che speravo di evitare.
«Non lo so se mi piace, è bello, tutto qui» mento mentre esco dalla stanza.
Non voglio dare a Tris modo di portare avanti questa conversazione.
Mi domando se davvero ho mentito. In fondo è la prima cosa che ho notato, tutto il resto l’ho solo sognato. Lui non ha fatto nulla per spostare la mia attrazione dal piano fisico a quello mentale. Allora, perché non faccio che pensare a lui?
Non credo che riuscirò mai a capire l’amore. Non so neanche distinguerlo dall’attrazione fisica. Certo, come potrei, non mi sono mai innamorata in vita mia.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


I miei compagni di iniziazione sono già tutti nel mondo dei sogni ed io li invidio. Vorrei dormire anche io e sognare qualcosa di piacevole, ma sono sicura che sognerei Eric al Pozzo insieme al suo appuntamento.
Entro nella palestra tormentandomi, pensando ad Eric avvinghiato a un’Intrepida, quando lo vedo appoggiato a una colonna.
Sento allentarsi tutta la tensione che ho accumulato dopo un giorno di pensieri ossessivi e deprimenti.
Se lui è qui vuol dire che il suo appuntamento non è andato molto bene… oppure si è già piacevolmente concluso.
Non deve essere stato un gran appuntamento se è durato così poco. Dimenticavo, lui è Eric, probabilmente non ha perso tempo chiacchierando davanti a una birra, niente corteggiamento, sarà andato subito al sodo.
Lo trovo squallido. Incontrarsi, flirtare per pochi minuti, appartarsi per fare quello che si deve fare e poi andare ognuno per la propria strada.
È questo che mi aspetterebbe se fossi così fortunata da essere notata da lui in quel senso. Una botta e via.
«Già finito il tuo appuntamento?» gli chiedo in tono annoiato.
«No. Non è ancora cominciato ed è colpa tua.»
«Colpa mia?» domando perplessa.
«Sei in ritardo come al solito.»
«Hai detto che potevo perdere il mio tempo oziando perché tu non saresti venuto.»
Io non capisco. Mi ha detto che aveva un appuntamento e che non poteva venire ma è qui. Mi sta prendendo in giro oppure…
«Ho capito. Ti ha dato buca.»
«No, è arrivata in ritardo.»
«Così tu ora te la prendi con me?»
«Certo, così imparerai ad essere puntuale» dice, facendomi davvero sentire presa in giro.
Sarei io il suo appuntamento?! No, non può essere. Quando si dà appuntamento a una persona, questa deve capire che è lei l’appuntamento. Eric mi ha detto che non sarebbe venuto in palestra e quindi ho dedotto che non ero io la fortunata. Sto fraintendendo sicuramente.
«Da quello che mi hai detto questa mattina non ero tenuta a venire qui.»
«Sei stupida o cosa?»
«Ok. Sono in palestra per il mio solito allenamento, puoi andare dalla tua focosa Intrepida.»
Eric scoppia a ridere.
Perché ha il potere di farmi sempre incazzare?
«Va bene, non vuoi ammettere che ti ha dato buca, chiudiamo qui il discorso.»
«Non avevo nessun appuntamento, volevo solo vedere la tua reazione.»
«A cosa esattamente?»
«Non eri al Pozzo come al solito e quindi…»
Lascia la frase a metà. Non è difficile intuire cosa sta insinuando.
Non ero al Pozzo perché non volevo vederlo insieme ad un’altra. È vero, ma non intendo fargli capire che ha ragione.
Se fossi in me e non succube di questo assurdo sentimento, starei schiumando di rabbia, ma sono stupidamente felice.
È assurdo. Io sono contenta, non solo di sapere che non è uscito con nessuna ragazza, ma anche per il suo assurdo giochetto. È il modo più infantile e crudele per capire se sono attratta da lui, ma io non riesco ad essere arrabbiata.
Se fossi padrona del mio cervello, gli urlerei contro di tutto, ma io non sono padrona di me, questo assurdo sentimento mi tiene in trappola e mi controlla come un burattino.
Devo darmi una calmata. Lui non è un normale ragazzo, lui è Eric e questo potrebbe essere solo un modo crudele per tormentarmi. Non ci casco bello mio.
«E quindi ero in infermeria. Tris era conciata male, le ho portato qualcosa da mangiare e abbiamo cenato insieme» dico iniziando a colpire un Mollychino e ignorando completamente il suo sguardo deluso.
«No. Basta Mollychini. Oggi si combatte.»
Mi prende per un braccio e mi trascina fino al bordo dell’arena.
«Preparati» ordina mentre si toglie la giacca e gli stivali.
Mi siedo a terra e, mentre mi sfilo gli stivali, mi domando se finirò nel letto accanto a quello di Tris o sarà solo un combattimento simulato.
Eric raggiunge il centro dell’arena ed io mi fermo poco più in là del bordo e lo osservo incredula. Fa scrocchiare le dita, ruota lentamente la testa facendo un cerchio e io capisco che si sta preparando a combattere seriamente.
«Muoviti, non voglio stare qui a combattere tutta la notte» dice, facendomi cenno di raggiungerlo.
«Eric, dopo Tris e Myra passo subito a te, niente preliminari? Non so, tipo Molly o Peter?»
«Muoviti!» grida.
Io mi avvicino a lui titubante e alzo i pugni.
Eric cerca di avvicinarsi mai io mi sposto indietro e poi lateralmente.
Questa scena si ripete più volte e sono sicura che presto Eric perderà la pazienza.
«Dobbiamo combattere, non ballare» sbuffa «e in tutti e due i casi dovresti avvicinarti a me».
«Non sento la musica.»
Lui alza gli occhi al cielo e sbuffa di nuovo.
Ne approfitto per colpirlo alla mascella, ma non ci riesco.
Il mio pugno si ferma a pochi centimetri dal suo volto e le mie nocche si appoggiano delicatamente alla sua guancia.
Non riesco a colpirlo. Non è quello che voglio in questo momento. Non ho la grinta e la concentrazione necessarie per affrontare un combattimento. Dentro di me non c’è il desiderio di lottare contro di lui ma di essere stretta a lui.
«Ti sembro la tua amica Rigida? Combatti!»
«Eric è solo un allenamento, devo imparare cosa fare, non ha senso colpirti davvero.»
«Credi di riuscire a farmi male?» domanda, scoppiando in una risata piena di boria che quasi mi fa venire voglia di colpirlo davvero.
«Non credo» ammetto abbassando lo sguardo.
Tutto d’un tratto, vedo la stanza girare, come se qualcuno l’avesse capovolta e solo quando la mia schiena sbatte violentemente contro il pavimento capisco che sono io ad essermi capovolta. Eric mi ha sollevata e buttata a terra così velocemente che non ho avuto neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo.
Lui è sopra di me e la sua mano stringe il mio collo. Non esercita nessuna pressione, neanche lui sta combattendo seriamente.
«Il primo round è mio. Alzati!» mi ordina.
Cerco di muovermi ma la schiena mi fa così male che gambe e braccia si rifiutano di collaborare.
«Vuoi un cuscino e un orsacchiotto?» domanda in modo beffardo.
«Anche latte e biscotti, grazie.»
Mi prende per un braccio e mi tira in piedi, ma appena mi lascia, io crollo di nuovo a terra.
Mi colpisce con un calcio e, mentre finisco di nuovo stesa sul pavimento, sento il mio orecchio destro fischiare come se ci fossero decine di treni al suo interno.
Mi ha colpito al volto e non l’ha fatto piano. È un bastardo ed io sono stata così stupida da non colpirlo.
Rimango a terra dolorante e stordita, lui mi grida qualcosa ma la sua voce è coperta dai fischi che sembrano venire direttamente dalla mia testa. Devo stringere i denti, restare concentrata e rendergli pan per focaccia.
Eric mi guarda ed io cerco di recitare al meglio la parte del ferito grave.
«Smettila. Ti ho colpita piano.»
Adesso la sua voce è più forte del fischio ma io continuo a fingermi disorientata. Voglio che si avvicini di più.
«Theia?»
Si inginocchia su di me. La mia gamba destra è esattamente dove la volevo: tra le sue.
«Eric…» dico allungando un braccio verso di lui come se stessi chiedendo il suo aiuto.
«Hai battuto la testa?» mi domanda con un velo di preoccupazione nello sguardo.
È il momento. Faccio scattare il ginocchio che colpisce con forza la sua parte più vulnerabile. È un colpo basso ma se l’è cercata.
Eric grida e si lascia cadere di lato tenendo i suoi gioielli con entrambe le mani.
Mi alzo di scatto e appoggio il mio piede sul suo pomo d’Adamo.
«Il secondo round è mio. Alzati!» gli ordino trionfante.
«Questo è un colpo basso.»
«Secondo le nuove regole, l’incontro finisce solo quando l’altro non è più in grado di continuare. Colpire il tuo secondo cervello e poi finirti, era l’unico modo per vincere.» Sposto il mio piede dalla sua gola e aggiungo « Me l’hai insegnato tu.»
Sorride scuotendo il capo.
«Potevi colpirmi con meno forza.»
«L’ho fatto.»
Eric rimane a terra continuando a contorcersi e lamentarsi. Forse l’ho davvero colpito troppo forte.
«Eric fa davvero così male?» domando, chinandomi su di lui.
Eric mi prende per un braccio e mi fa cadere sopra di lui. Mi stringe talmente forte che quasi fatico a respirare.
«Mai abbassare la guardia» mormora.
«Eric, non riesco a respirare, lasciami andare o tu non riuscirai più a procreare» lo minaccio.
Allenta la stretta ma non mi lascia andare. Cerco di liberarmi ma appena mi muovo lui riprende a stringermi.
«Ok. Il terzo round è tuo. Due a uno. Continuiamo o posso tornare al dormitorio?»
«Nessuna delle due» dice sorridendomi in modo strano.
Non ho mai visto quel sorriso sul suo volto.
Eric ha due sorrisi, quello inquietante e quello cinicamente beffardo. Quello che vedo ora è del tutto nuovo e fa sembrare il crudele capofazione quasi innocuo.
Sento di nuovo quel calore salire lungo tutto il mio corpo e noi due siamo così vicini che non vorrei fare qualcosa di cui potrei pentirmi.
Lo voglio.
No! Non devo cedere, perché tutto finirà nel più squallido dei modi. Non solo perché siamo in questa sudicia palestra, sdraiati dove i miei compagni hanno combattuto fino a perdere i sensi, ma perché lui vuole solo divertirsi.
Non è il tipo in grado di avere una relazione ed io non sono il tipo da farsi sbattere dal primo che passa. Lui sarebbe la mia prima volta ed io non voglio perdere la verginità in questo modo.
Questo assurdo sentimento che tiene in scacco la mia mente non intende cedere, sento la mia razionalità sgretolarsi e il mio autocontrollo scricchiolare. Ancora pochi minuti tra le sue braccia e rovinerò uno dei momenti più importanti della mia vita. Non deve succedere.
«Se devo restare qui tutta la notte, almeno prestami la giacca» dico, allungando un braccio verso la sua giacca.
Lui mi lascia libera, non pensavo che ci sarebbe cascato. Ora devo solo alzarmi e allontanarmi da lui il più possibile. Ottimo piano, peccato che Eric non è così ingenuo.
Le sue braccia ricominciano a stringere costringendomi a restare immobile.
«Non mi crederai davvero così stupido?»
«No, ma ci ho provato lo stesso» ammetto.
«Ok, se ti dà tanto fastidio stare qui con me, vai pure.»
Eric allarga le braccia e mi lascia libera.
Dovrei essere contenta, andarmene via è quello che volevo, ma allora perché non lo faccio? Perché non ho più così tanta voglia di scappare? Già, è vero, la forza di gravità che mi impedisce di allontanarmi troppo da lui.
Questa sensazione è talmente forte da sembrare quasi fisica.
Mi sdraio accanto a lui.
So cosa starà pensando, come so che sto commettendo un grosso errore, ma sono anche consapevole che è inevitabile, ormai credo di essermi innamorata di lui.
Mi torna in mente la lettura delle carte che mi ha fatto Althea e mi aggrappo con tutte le mie forze all’ultima carta: la dualità. Luce e oscurità che convivono nella stessa persona. Bene e male. Buono e cattivo. Come sarà Eric con me?
«Non mi dà fastidio, ma a volte mi dà sui nervi il tuo modo di fare, non mi piacciono i tuoi giochetti e mi infastidisce il modo in cui…»
«Tu parli troppo» mi interrompe Eric.
Si china su di me e preme le sue labbra sulle mie.
Io mi abbandono a quel bacio casto, quasi dolce, che non mi aspettavo da un tipo come lui.
Le nostre labbra continuano a sfiorarsi in baci lenti ma che pian pano iniziano a farsi più lunghi e passionali. Io sono persa, completamente.
Le sue dita si muovono lentamente sulle mie cosce, risalendo fino ad arrivare a sfiorare oltre il limite consentito.
Il suo tocco mi fa sospirare e contrarre i muscoli, come se il mio corpo cercasse di sfuggire a un piacere che solo le mie dita erano state in grado di darmi. Indosso gli spessi pantaloni degli Intrepidi ma la sua leggera e fugace carezza è stata più stuzzicante delle mie abili dita sotto la biancheria intima.
Le labbra di Eric abbandonano le mie e scendono fino a indugiare sul mio collo facendomi gemere.
Tutto questo è paradisiaco anche in un luogo squallido e nel modo che continuo a considerare sbagliato.
È come essere intrappolati tra paradiso e inferno. Ho voglia di lui ma so che, per quanto sarà abile, non mi basterà, perché non mi darà tutto se stesso come io desidero.
Tutto inizierà e finirà su questo pavimento. Un piccolo assaggio di paradiso e poi l’inferno senza fine: doverlo vedere tutti i giorni ed essere trattata come se non fosse successo nulla.
Le sue labbra continuano il loro lento e sensuale cammino, scendendo fino al mio seno. Eric cerca di abbassare la spallina della mia maglietta, ma io lo fermo incrociando le mie dita con le sue. Tiene la mia mano nella sua mentre le sue labbra tornano a sfiorare le mie.
È lui il ragazzo che voglio.
So che è una follia e ho più possibilità di essere la prima in tutti i tre moduli di addestramento, ma io voglio che lui sia mio. Completamente mio.
Non è stato abbastanza folle decidere di scegliere gli Intrepidi pur sapendo che è una delle fazioni più pericolose per una Divergente, adesso ci aggiungo anche sedurre un capofazione con il cuore di pietra.
Ora ho capito perché ho scelto gli Intrepidi, non riesco a resistere alle sfide e a stare lontana dai guai.
Non so come far innamorare un uomo, ma qualcosa mi dice che concedermi al primo appuntamento fa parte delle cose da evitare.
I baci di Eric si fanno di nuovo passionali e le sue mani iniziano a muoversi velocemente sul mio corpo. Le sento suo seni, sui glutei e poi di nuovo sui seni.
Ogni suo tocco alimenta il mio fuoco, che cresce sempre più velocemente, presto non sarò più in grado di oppormi e della mia risolutezza non resteranno neanche le ceneri.
Prendo di nuovo le sue mani tra le mie e lui si ferma, ma questa volta non le tiene strette tra le sue, le porta fino alla cerniera dei suoi pantaloni. Le ritraggo immediatamente.
«Cosa c’è?» mi domanda sospirando.
«Eric…io non…cioè…vedi…» balbetto.
Lui mi guarda perplesso, ma quando mi vede arrossire scoppia in una fastidiosa risata.
«Una calda e irriverente verginella Pacifica» mormora sfiorandomi le labbra con un dito.
Sento il fuoco spegnersi soffocato da quella fastidiosa affermazione e il sapore del mio veleno invadermi la bocca. Cerco di ingoiarlo.
«Non ti preoccupare piccola, farà male solo per un attimo ma dopo ti piacerà molto» mi sussurra, sfiorandomi l’orecchio con le labbra.
Mi mordo le labbra, ormai sono un concentrato di veleno, presto schizzerà fuori assieme a parole che mi pentirò di aver detto.
«Smettila di fare la Rigida, non rovinare la reputazione delle Pacifiche»
Questo è troppo.
«Io sono un’Intrepida» mormoro a denti stretti.
«No, non lo sei. Hai ancora addosso i vestiti.»
Non sono la tua puttana. Vorrei gridargli, ma mi trattengo.
Autocontrollo, determinazione e pazienza. D’ora in avanti queste parole saranno il mio mantra.
Alzo le gambe e le appoggio sulla sua schiena, per fargli capire che ha libero accesso a ciò che desidera, ma non gli dò il tempo di premere il suo corpo contro il mio.
Faccio velocemente scivolare le gambe tra i nostri corpi, punto i piedi sul suo torace e lo spingo via con tutta la forza che ho. Eric cade all’indietro imprecando.
Mi alzo, raccolgo le mie cose e mi allontano da quel ragazzo che non sa ancora di essere diventato mio.
Sono consapevole che non sarà un corteggiamento tradizionale, visto come tutto è cominciato, credo assomiglierà più a una guerra. Non so quanto ci vorrà, forse giorni o settimane, oppure… solo un attimo, ma dopo ti piacerà molto, piccolo.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Il mattino successivo non sento la sveglia, né lo strascicare di piedi, né le conversazioni tra gli altri iniziati mentre si preparano.
Mi sveglio perché Al mi scuote la spalla con una mano e con l’altra mi passa sotto il naso un muffin al cioccolato.
Indossa un giubbino nero con la cerniera chiusa fino alla gola ed io cerco di capirne il motivo.
Ho avuto incubi tutta la notte. Eric che mi prendeva in giro per la mia inesperienza. Eric che alla fine riusciva ad ottenere quello che voleva e, con un sorriso malvagio, mi diceva che ero la Divergente più sessualmente incapace che si era fatto. Dulcis in fundo, si alzava e andava via abbracciato a Molly. Vorrei buttarmi sotto un treno. Il treno!
Ecco perché tutti indossano il giubbino!
Ieri pomeriggio, Eric ci ha detto che avremmo fatto un’escursione di gruppo fino alla recinzione per conoscere i mestieri degli Intrepidi.
Mi metto seduta sul letto e una fitta alla schiena mi toglie il respiro. Non pensavo che la botta fosse stata così forte, ma fatico a muovere agevolmente braccia e gambe e sono costretta a vestirmi quasi lentamente come Tris che sembra essere scivolata sulla tavolozza di un pittore visto quante sfumature di blu e viola ha sulla pelle.
Christina mi lancia un’occhiata e mi fa cenno di prendere la giacca di Tris mentre lei si china ad allacciarle le scarpe.
Insieme ci dirigiamo in fretta verso il Pozzo anche se con me e Tris, la povera Christina è costretta a fermarsi ogni sei passi per aspettarci e ricordarci che siamo in ritardo.
Saliamo i gradini che dal Pozzo portano al palazzo di vetro soprastante e corriamo verso l’uscita.
A ogni passo sento una scarica di dolore alla schiena che scende avvolgendomi le gambe. Correre è una tortura ma io non posso fermarmi. Vorrei che fosse il mio spirito da Intrepida a parlare, ma è solo la voglia di uscire da questo posto e vedere di nuovo il cielo. Ho bisogno di una piccola pausa da questo luogo e da quello che è successo al suo interno.
Riusciamo a raggiungere i binari proprio mentre arriva il treno.
Quattro è in testa al gruppo, così vicino ai binari che se avanzasse anche solo di un centimetro, il treno gli porterebbe via il naso. Fa un passo indietro per lasciare salire prima gli altri.
Uno ad uno, con qualche difficoltà, tutti salgono sul vagone, solo le due zoppe restano indietro: io e Tris.
Corro dietro di lei e vedo Al aiutarla a salire e poi sporgersi di nuovo e tendermi la mano.
Il dolore alla schiena è insopportabile ma cerco di ignorarlo. Stringo i denti e mi aggrappo alla maniglia. Il dolore mi annebbia la vista. Al mi prende da sotto le ascelle e senza sforzo mi tira dentro.
Lo ringrazio con un sorriso e mi siedo contro la parete del vagone. Lascio che l’aria fresca del mattino, che entra dal portellone aperto, mi accarezzi il viso sperando che porti via con sé gli incubi di questa notte che non vogliono smettere di tormentarmi.
Quattro guarda fuori dal portellone aperto. Si tiene alle maniglie su entrambi i lati, le braccia completamente spalancate, e si sta sporgendo così tanto che ha il corpo quasi tutto fuori dalla carrozza, anche se i piedi sono ben piantati all’interno. Il vento gli schiaccia la camicia contro il petto.
Deve essere una bella sensazione, come essere a metà tra due mondi, sul confine tra schiavitù e libertà.
«Secondo te, che cosa c’è là fuori?» chiede Tris a Christina, indicando con la testa il portellone aperto. «Oltre la recinzione, intendo.»
Lei scrolla le spalle. «Le fattorie, immagino.»
«Sì, ma voglio dire... oltre le fattorie. Da cosa difendiamo la città noi?»
Lei le agita un dito davanti al viso. «Dai mostri!»
«Orchi, mostri a sei teste e coccinelle mannare» intervengo.
Scoppiamo a ridere e per un attimo il mio tormento interiore si placa.
I freni stridono e il treno rallenta di colpo, scaraventando tutti in avanti.
Gli edifici diroccati sono finiti, sostituiti da campi gialli e binari ferroviari. Il treno si ferma sotto un tendone. Scendo, tenendomi alla maniglia per non cadere.
Davanti a me c’è una recinzione di rete metallica sormontata da filo spinato. Mi avvicino, camminando sull’erba. La rete continua a perdita d’occhio, perpendicolare all’orizzonte. Oltre la recinzione c’è un gruppo di alberi, la maggior parte morti, alcuni verdi, e lungo la rete c’è un gran movimento di Intrepidi armati di fucili.
«Seguitemi» ci ordina Quattro.
Si dirige verso il cancello, largo quanto una casa, che blocca la strada sconquassata che porta in città. Conosco bene questa strada, la facevo tutte le mattine per andare a scuola.
Sento una stretta al cuore.
«Se alla fine dell’iniziazione non vi sarete classificati tra i primi cinque, probabilmente finirete qui» dice Quattro quando raggiunge il cancello. «Nel corpo delle guardie di recinzione c’è qualche possibilità di fare carriera, ma non molte. Potreste riuscire a entrare nelle pattuglie dislocate oltre le fattorie dei Pacifici, ma...»
«E che cosa pattugliano?» chiede Will.
Quattro alza una spalla. «Presumo che lo scoprirai se ci lavorerai. Stavo dicendo, chi comincia come guardia di recinzione molto probabilmente continuerà a fare la guardia di recinzione. Se vi può consolare, alcuni di loro affermano che non è poi così male come sembra.»
«Sì. Almeno non dovremo guidare un autobus o raccogliere i rifiuti degli altri, come gli Esclusi» sento Christina sussurrare a Tris.
«Tu come ti sei piazzato in classifica?» chiede Peter a Quattro.
Non mi aspetto che Quattro risponda, ma lui guarda Peter fisso e dice: «Primo».
«E hai scelto di fare questo? Perché non hai scelto un lavoro al governo?» domanda Peter.
«Perché non lo volevo» risponde freddamente Quattro.
A scuola abbiamo studiato gli impieghi delle varie fazioni. Gli Intrepidi hanno opzioni limitate. Possono sorvegliare la recinzione o provvedere alla sicurezza interna della città. Oppure possono lavorare nel complesso residenziale degli Intrepidi, facendo tatuaggi, costruendo armi o perfino combattendo tra di loro negli spettacoli pubblici.
Altrimenti possono lavorare per i capifazione. Questa è l’opzione che preferirei se Eric non si fosse insinuato nei miei pensieri in modo così profondo da farmi quasi pensare che sia sempre stato dentro di me.
Se le cose andassero male dovrei vederlo tutti i giorni e, soprattutto all’inizio, sarà un supplizio. Se invece andassero bene? Sicuramente tutti diranno che ho ottenuto quei risultati solo grazie a lui e la cosa non mi piace, agli occhi della fazione non avrei meriti, solo una relazione con un capofazione.
In ogni caso non arriverò mai ad avere un buon incarico, non con i miei punteggi. Eric è stato chiaro, ho scarse possibilità e sarà una fortuna se non finirò tra gli Esclusi già alla fine del primo modulo.
Le cose si complicano ulteriormente dopo quello che è successo tra di noi ieri sera. Non so cosa devo aspettarmi. Sarà tutto come prima o nasceranno dei problemi?
Cerco di scacciare via il pensiero che lui ha usato la scusa dell’addestramento per fare sesso e, ora che l’ho rifiutato, potrebbe aver perso ogni interesse nei miei confronti.
Non mi spaventa finire il modulo con le mie forze, sento di potercela fare, è l’essere ignorata da lui che mi fa star male. Io non so come ho fatto ad arrivare a questo punto, non so quando lui è diventato così importante. Non so neanche cosa ci trovo in lui. Razionalmente so che non lo conosco abbastanza per innamorarmi, ma questo non è sufficiente per convincermi che quello che provo non è solo un banale desiderio di stare insieme a qualcuno. L’ho già provato con Neem ed è tutto diverso, Eric mi attrae in un modo che non so spiegarmi, desidero da lui cose che non ho mai cercato in nessuno.
Essere innamorati fa paura.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Ci fermiamo accanto al cancello. Alcune guardie ci lanciano un’occhiata, ma non molte. Sono troppo occupate ad aprire il cancello, che ha battenti alti il doppio di loro e parecchie volte più larghi, per lasciar entrare un camion.
L’uomo alla guida ha un cappello, la barba e un bel sorriso. Lo riconosco, è Isac. Si ferma appena entrato e scende. Il retro del camion è aperto e alcuni Pacifici siedono tra cassette piene di mele.
Mi avvicino per cercare di riconoscerli tutti, quando una testa piena di capelli rossi attira la mia attenzione.
«Theia!» esclama Althea mentre salta giù dal camion.
Mi abbraccia così forte che tutto il mio corpo si lamenta, ma non m’importa, la mia migliore amica è qui con me ed io mi sento di nuovo a casa.
Dentro di me sento qualcosa sciogliersi come neve scaldata dal sole. Se resterò ancora un attimo tra le sue braccia so che scoppierò a piangere. Non voglio che mi veda in quello stato, non voglio turbarla.
Mi stacco da lei e mi impongo di sorridere come facevo un tempo.
«Che hai fatto alla faccia? Ti ha colpito un treno?»
«Più o meno… solo un semplice combattimento di addestramento» dico, omettendo che era contro un capofazione grosso come un armadio a due ante e che io sono completamente andata per lui.
«Picchiate i treni?» domanda ridacchiando.
«Sì, dalla mattina alla sera. E non solo quelli, anche autobus, camion e muri. Un vero spasso.»
«Dai, raccontami qualcosa sulla vita degli Intrepidi, qui è sempre tutto uguale!»
Meglio di no Althea, quello che ho da raccontarti non è affatto bello e non intendo solo quello che è accaduto tra Eric e me, ma anche il modo in cui hanno distorto gli ideali della fazione. È già in atto una campagna diffamatoria contro gli Abneganti, meglio evitare di aggiungerci anche gli Intrepidi.
«Non c’è molto da dire. Ci alleniamo molto duramente in modo da essere in grado di proteggervi tutti e i lividi sono all’ordine del giorno.»
«Com’è il vostro quartier generale? Ci sono bei ragazzi?» domanda con sorriso sornione.
Sì, uno è davvero carino, peccato che sia un gran bastardo.
«Hai già incontrato il ragazzo delle carte?» mi dà una gomitata al fianco, proprio dove un pugno di Eric mi ha colpita questa notte.
Il ragazzo delle carte, la mia anima gemella. Occhi azzurri come il cielo estivo, forte come un toro e con la sua stessa mitezza quando gli si tira un calcio, anche se Eric non ha bisogno di calci, lui è già così al naturale.
Quale altre carte c’erano? Fuoco e Corona, niente principi passionali, solo un capofazione Intrepido con l’hobby di tormentare la gente, me per prima a quanto pare.
La carta della Spada non riesco ad associarla ancora a nulla e anche sulla Dualità ho qualche riserva. Non ho visto una parte buona, chiara e ben definita in lui, anzi, inizio a pensare che Eric non abbia una parte buona. A parte non avermi uccisa dopo tutto quello che gli ho detto, cos’ha fatto di gentile per me? Un paio di guanti e un caffè? Allenarmi fino a rompermi le ossa? Sai che sforzo.
«Hai azzeccato solo il Fuoco, il simbolo degli Intrepidi. Se non voglio restare sola dovrò stare con uno della mia fazione. Una su sei non è male, stai migliorando» le dico sorridendo.
«Sicura? Nessun passionale Intrepido di alto rango, con occhi azzurri, forte come un toro e con una bella spada tra le…»
«Althea!» esclamo imbarazzata.
I miei compagni di fazione ci stanno osservando e quella carogna di Peter sta ridacchiando.
Perfetto! Althea gli ha appena dato parecchio materiale per potermi sfottere per settimane.
Immagino già il nostro primo combattimento con lui che fa allusioni su un Intrepido con occhi azzurri, forte come un toro e con un sesso lungo quanto una spada, mentre Eric è a pochi passi da noi e mi fulmina con lo sguardo perché pensa che io abbia raccontato in giro quello che è accaduto ieri notte in palestra.
Conosco poco Eric, ma qualcosa mi dice che finirò appesa ad una passerella con lui che mi cammina sulle dita.
«Carina la tua amica, non me la presenti?» domanda Peter avvicinandosi a noi.
Ho voglia di dargliele.
«Peter, lei Althea, una cara amica» mi volto verso di lei e sollevo il labbro superiore facendo una smorfia di disgusto «Althea, lui è Peter, ex Candido e ora iniziato Intrepido.»
«Se avessi saputo che nei Pacifici ci sono ragazze così belle sarei venuto da voi.»
Adesso gli cavo gli occhi. Ormai è istintivo, ogni volta che sento la sua voce, provo un forte desiderio di prendere a pugni e calci qualcosa. Lui sarebbe un perfetto qualcosa.
Althea gli sorride dondolandosi da un piede all’altro e stringendosi le mani al petto.
Lo sguardo di Peter si illumina ed io cerco di non ridere. Althea, non è una stupida, sta fingendo e si sta preparando a sferrare un colpo che farà molto male a quel cretino.
«Mi dispiace. Impegnata» dice alzando il dito medio, sul quale, un attimo prima, aveva spostato l’anello di fidanzamento.
Lo guarda dall’alto in basso soffermandosi proprio sotto la cintura dei suoi pantaloni.
«Niente spada, forse un taglierino» continua a squadrarlo per un po’ mentre io mi godo la scena di vedere Peter colpito e affondato.
«No…decisamente non è lui il tuo uomo. Non ti preoccupare Candido, troverai la donna adatta a te. Guarda, quel tricheco con la parrucca sarebbe perfetto» dice indicando Molly.
Dietro di noi Christina scoppia a ridere e quando Peter le lancia un’occhiataccia, lei ride ancora più forte.
Peter se ne torna mestamente dai suoi tirapiedi. Osservarlo camminare con la testa bassa mi dà quasi lo stesso piacere che proverei nel vederlo steso al centro dell’arena dopo un combattimento contro di me.
Guardo oltre le spalle di Althea. Le guardie sembrano aver finito di esaminare il camion. L’uomo con la barba ritorna al posto di guida e chiude la portiera.
«Non finisce qui. Ti ricordi della nostra promessa?» domanda mentre sale sul camion.
Annuisco salutandola con la mano.
Il camion riparte ed io mi trovo a fantasticare su una delle vite che avrei potuto scegliere. Adesso sarei seduta accanto a lei a canticchiare e a casa ci attenderebbe il nostro piccolo rifugio segreto, una minuscola radura nel centro del bosco, che sin da bambina ho sempre considerato il posto più sicuro e tranquillo del mondo.
Le guardie chiudono a chiave il cancello, la serratura è sull’esterno. Che strano, non ci avevo mai fatto caso. Perché chiudono il cancello dall’esterno e non dall’interno? Sembra quasi che non si tratti di tenere fuori qualcosa, ma di tenerla dentro.
Respingo il pensiero, come al solito sto fantasticando troppo. Non sono più nei miei tranquilli campi, non posso permettermi di abbandonarmi ad assurdità. Devo restare concentrata e con i piedi per terra, la mia nuova fazione non ha nulla di tranquillo e sicuro.
In lontananza vedo arrivare il treno. È il momento di abbandonare di nuovo la terra dei dolci ricordi per fare ritorno alla realtà.
Cerco di non pensare a cosa nascondono quelle pesanti porte e mi concentro su come poter migliorare nel combattimento facendo tesoro degli insegnamenti di Eric, ma evitando di pensare ossessivamente a lui.
Non sono la paura e le difficoltà che mi fanno quasi desiderare di non aver mai lasciato i Pacifici, è Eric.
Vorrei potergli dare la colpa di tutto, ma sono io quella che non smette un attimo di chiedersi cosa accadrà dopo quello che c’è stato ieri sera tra di noi e come dovrò comportarmi.
Forse tutto tornerà come è sempre stato. Se questa sera tornassi in palestra lo troverei lì pronto a darmi ordini e a fare battute sulla mia armata di Mollychini.
Vorrei tanto che fosse così, ma lui ci ha provato e io ho risposto picche. Non sarà facile rientrare nelle sue grazie.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Il viaggio di ritorno è stato agrodolce. L’inaspettato incontro con Althea mi ha rasserenata e riportata indietro alla mia “altra vita”, quella che ho vissuto per sedici anni.
Seduta sul pavimento del vagone, ho ripensato a com’era la mia vita solo pochi giorni fa e, per la prima volta dopo la Cerimonia della Scelta, ho rimpianto di non essere rimasta nei Pacifici, al sicuro tra la gente con cui sono cresciuta e dove tutto sarebbe stato più facile.
Una vita semplice e tranquilla ma noiosa. Forse è la noia il prezzo da pagare per la serenità ed io ho sbagliato a scappare e a tuffarmi nell’ignoto per provare il brivido che solo la novità è in grado di dare.
Ho inseguito la libertà scegliendo gli Intrepidi e se invece la libertà nascesse da dentro di noi indipendentemente da dove siamo?
Forse è qualcosa che ha a che fare con il mio essere una Divergente. Magari è insito in noi questo desiderio e tutte le fazioni ci andrebbero strette. In fondo io ho attitudini verso tutte le fazioni e quindi potrei vivere bene in ognuna di esse o… in tutte.
Vivere solo in una potrebbe essere una limitazione alle potenzialità di un Divergente e forse è per questo che sento sempre il desiderio di volere di più, di non accontentarmi, ma cercare di spostare sempre più avanti i miei limiti.
«Non credo che sia stato un sacco da pugilato a farti quel livido.»
Tris si siede sul letto accanto a me e mi osserva con sguardo severo.
So che dovrei tenere per me tutto quello che faccio con Eric fuori dagli orari dell’addestramento, ma qualcosa dentro di me mi spinge a fidarmi di Tris. La conosco appena ma sento che c’è qualcosa che ci unisce, non riesco a capire cosa sia, è come se fossimo legate da un filo invisibile.
Mi guardo intorno e mi avvicino di più a lei.
«Eric ed io abbiamo simulato un combattimento.»
«Simulato? Questa mattina quasi non riuscivi a camminare!»
«Non è niente, ho solo battuto accidentalmente la schiena.»
«E la tua faccia ha sbattuto accidentalmente contro la sua mano?» domanda con un filo di voce carico di rabbia.
«No. Non la sua mano, la sua tibia.»
Tris sgrana gli occhi.
«Non avete combattuto, lui ti ha picchiata, non è così?»
«No. Tris, è stato un combattimento, solo quello, non voleva farmi del male, solo capire il mio livello di allenamento.»
«Perché lo difendi?» incalza.
«Non lo sto difendendo, ti sto solo dicendo come sono andate le cose.»
Lei mi guarda fisso negli occhi, vuole farmi cedere e confessare, ma spreca il suo tempo, non le sto nascondendo niente. Almeno per quanto riguarda le ferite fisiche, per quelle emotive, le sto nascondendo tutto e ho paura che lei lo abbia intuito.
«Per questo adesso sei qui con noi e non in palestra?»
Centro. Inutile andare avanti a mentire, sa già troppe cose ed è una che non molla.
«Ci ha provato» dico senza girare troppo intorno al discorso.
«Ti ha picchiata perché lo hai rifiutato!» esclama Tris indignata.
Le faccio cenno di abbassare la voce.
«No, è successo dopo il combattimento ed io non l’ho rifiutato subito, solo quando la situazione stava diventando troppo…ehm… spinta» confesso arrossendo, faccio un profondo respiro e riprendo a parlare: «Io non sono mai andata fino in fondo con un ragazzo e non voglio concedermi al primo che passa e lui…»
«Lui cosa?»
«Niente, lascia perdere, non ha importanza, i lividi me li ha fatti prima» cerco di tagliare corto, ma lei non me lo permette.
«Cosa ti ha fatto quel bastardo?»
La sua voce carica di rabbia e le parole che ha usato mi sconvolgono. Non si adattano per niente all’immagine che mi ero fatta di Tris, la piccola Abnegante.
«Mi ha dato della verginella e io ho perso il controllo. L’ho spinto via con un calcio e me ne sono andata» evito di raccontarle anche che mi ha definita una Rigida. Tris è già fin troppo arrabbiata.
«Adesso non so cosa fare. Non ho il coraggio di andare in palestra, non perché ho paura di affrontarlo ma perché temo di non trovarlo ad aspettarmi.»
«Tu non andrai più in palestra fuori dagli orari consentiti ed eviterai di stare sola con lui. Eric è una carogna, devi levartelo dalla testa.»
Le sue parole fanno male. Sapevo che non avrebbe incoraggiato il mio assurdo desiderio di sedurlo, ma non credevo che mi avrebbe ferita così tanto sentirmi dire che è una pessima idea.
«Forte la tua amica. Mi piace!» dice Christina sedendosi tra a me e Tris e interrompendo una conversazione che era diventata troppo dolorosa.
«Cos’è questa storia delle carte?» mi domanda.
Apro il baule ai piedi del letto e prendo una busta di plastica.
Tiro fuori le sei carte che Althea mi ha regalato e che ho conservato per avere un ricordo di noi due.
«La sera prima della Cerimonia della Scelta, Althea ha voluto farmi le carte per dirmi come sarebbe stato il mio futuro ragazzo.»
Le dispongo in fila, una ad una, come fece Althea quella sera: la pietra azzurra, il toro, la fiamma, la spada, la corona e la dualità.
«Credi a queste cose?» mi domanda Tris.
«No, per niente e neanche lei, però è divertente cercare di dare un significato alle carte. Non avevamo molti passatempi durante le giornate di pioggia.»
«Dove ha visto il superdotato?» domanda Christina, attirando l’attenzione di Will che ci raggiunge sul mio letto insieme ad Al.
A volte la schiettezza dei Candidi è davvero imbarazzante, mi domando come sia vivere in una fazione dove tutti dicono quello che passa loro per la testa.
«Vanno interpretate secondo la simbologia legata all’oggetto raffigurato» risponde Will.
La sua risposta non soddisfa Christina che incrocia le braccia e lancia un’occhiata a Will come se volesse dirgli: Visto che sai tutto, forza, spiega.
«Una gemma azzurra. Azzurro richiama subito alla mente il colore del cielo, ma secondo antichissime credenze popolari, è legato all’elemento Acqua che rappresenta l’inconscio e può simboleggiare l’amore. Anche se…»
«Si può avere la spiegazione breve?» lo interrompe Christina.
«No, non si può. Devono essere interpretate correttamente, prendendo in esame tutte le simbologie possibili e le combinazioni tra di esse» dice Will, dimostrando che, anche se ha cambiato fazione, è rimasto e sempre rimarrà un Erudito.
«Dai è solo un gioco!» lo riprende Al «Theia, la tua amica che significato ha dato alle carte?»
«Avrà gli occhi azzurri. Sarà forte e potente come un toro, passionale e…ehm…la spada legata all’interpretazione del toro e della fiamma…voi capite vero?» domando imbarazzata.
Dalle loro risatine capisco che, grazie al cielo, non devo aggiungere altro.
«Vediamo… la corona. Ha detto che la portano i re e quindi lui è una persona importante o molto conosciuta.»
«Tipo un capofazione?» domanda Christina.
Io e Tris ci scambiamo una rapida occhiata. Come me, lei ha già interpretato tutte le carte e sa che la domanda di Christina non deve avere una risposta. Sta per intervenire ma io l’anticipo.
«Oppure lo scemo del villaggio.»
«Qui ne è pieno! Come farai a riconoscerlo?» scherza Al.
«Dalla spada ovviamente!» esclama Tris, ridendo come se nulla fosse.
Mi stupisce, gli Abneganti non sono inclini a battute di carattere sessuale, anzi credo che non sappiano neanche cosa sia una battuta.
Christina scoppia a ridere talmente forte da far voltare tutti. Mi guarda e, indicandomi, ride ancora più forte, fino a farsi scendere le lacrime.
«Christina? Sei impazzita?» le domanda Tris.
«No…è che…mi immagino Theia che gira con un metro da sarta e…misura…» risponde, senza smettere di ridere.
Scoppiamo a ridere anche noi e io mi rilasso. Pericolo scampato, Christina si è già dimenticata di chi potrebbe portare la corona, o forse, non le è mai interessato veramente.
«Ok, resta solo questo tizio mezzo cornuto e mezzo piccione. Che cos’è?» domanda, dopo essersi calmata e asciugata le lacrime con il dorso della mano.
«La rappresentazione della congiunzione di due opposti. Il discorso è molto lungo e complesso, ma Christina vuole la spiegazione breve, possiamo riassumere tutto come il bene e il male che convivono nello stesso individuo.»
«Quindi una normalissima persona» suggerisce Al.
«Esatto. In tutti noi vivono sia il bene che il male» spiega Will.
«Eccetto Eric, lui è solo male. Malvagità concentrata senza un briciolo di bontà» puntualizza Christina.
Tris mi guarda e io cerco di restare sorridente.
Christina ha ragione, solo un individuo malvagio appenderebbe una ragazza sopra uno strapiombo o godrebbe nel vedere due persone picchiarsi fino a svenire.
«Magari anche Eric ha un lato buono» si intromette Peter avvicinandosi a noi. «Non è vero Theia?»
Mi si gela il sangue. Peter deve avermi vista con Eric, è l’unica spiegazione per la sua affermazione.
Tutti gli occhi sono puntati su di me e non hanno sguardi rassicuranti. Sono sconcertati e increduli e sembrano gridare in coro: traditrice.
«A cosa ti riferisci, Candido?» gli domando.
Se lui lo sa, presto lo sapranno tutti gli iniziati o magari l’intera fazione, anche se dubito che diano retta a un pivello. Peter non lo dirà agli Intrepidi, non è così stupido. In fondo sta parlando di un’infrazione alle regole da parte di un capofazione, non uno normale, ma Eric, quello che te la fa pagare nel peggiore dei modi.
«Al vostro addestramento privato» risponde ammiccando.
Il desiderio d fargli sputare tutti i denti è forte ma non voglio finire nei guai per colpa di un cretino.
«Se ti riferisci a quando mi ha beccata in palestra fuori dall’orario consentito, non era un allenamento, solo una bella lavata di capo» dico con voce fredda e sguardo annoiato.
«Strano che tu non sia corsa a piangere da Quattro» dice indicando il livido che ho sullo zigomo.
«Io non sono senza palle come te.»
«Questo lo vedremo» dice chinandosi su di me e sbirciando nella scollature della mia maglietta.
Calma. Stai calma. Ti sta provocando. Vuole essere attaccato per poi andare a piangere da Eric e questo potrebbe complicare di più le cose tra voi due. Vuoi rischiare di perderlo solo per levarti il prurito dalle mani? È una bella tentazione, devo ammetterlo, ma Eric lo è di più.
Raccolgo le carte e le metto via ignorando Peter che, come se niente fosse, se ne torna da cervello di rapa e tricheco con la parrucca.
So bene che non è finita qui e che presto tornerà alla carica, ma questo non mi spaventa.
Anche se ci avesse spiato dall’inizio alla fine, come lo userebbe contro di me senza finire nei guai con Eric? Potrebbe dirlo agli altri iniziati e metterli contro di me, ma non lo farà, perché se la voce arrivasse a Eric, Peter sa benissimo che diventerà il suo bersaglio preferito. Non ho nulla da temere.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Sono passati due giorni dalla famosa notte con Eric, non ho più avuto il coraggio di tornare da sola in palestra e cerco di stare sempre vicina a qualcuno durante l’addestramento, in modo da evitare il più possibile Eric.
Lui si è comportato come se non fosse accaduto nulla, ma credo che anche lui stesse prendendo le distanze. Di solito mi lanciava sempre frecciatine, come fa con tutti, ma in questi due giorni non l’ha fatto, mi ha completamente ignorata. Da una parte è buono, non devo sopportare i suoi commenti, ma dall’altra è terribile perché significa che davvero non gli è mai importato di me e voleva solo divertirsi.
Mi stendo sul materasso e sospiro, ma nel momento esatto in cui appoggio la testa sul cuscino, la porta del dormitorio si spalanca e la camerata si riempie di persone munite di torce elettriche. Scatto a sedere cercando di capire che cosa sta succedendo.
«Tutti in piedi!» ruggisce qualcuno.
La luce di una pila dietro la sua testa fa luccicare i piercing nelle sue orecchie. Eric. Intorno a lui ci sono altri Intrepidi, alcuni li ho visti nel Pozzo, altri non li ho mai visti prima.
Senza pensare, scivolo fuori dalle lenzuola e mi ritrovo davanti a Eric che, con un sorrisetto osceno, fa scorrere più volte lo sguardo sul mio corpo. Realizzo solo in quel momento che indosso solo una canottiera e degli slip.
Nella mia testa lo sento ripetere la parola “verginella” e rivedo l’espressione di quando l’ha detto. L’imbarazzo svanisce di colpo lasciando il posto alla rabbia.
È da innocente verginella questo?
Penso mentre mi volto dandogli le spalle, mi sfilo la canottiera e metto il reggiseno come se niente fosse.
Mi volto di nuovo verso di lui e indosso la maglietta senza smettere di guardarlo negli occhi. Non si scompone, si limita solo a sostenere il mio sguardo. In questo gioco nessuno dei due è intenzionato a perdere.
«Avete cinque minuti per vestirvi e venire ai binari» dice Eric. «Faremo un’altra escursione.»

 

Arriviamo ai binari subito dopo gli iniziati interni.
Accanto alle rotaie c’è una massa nera. Riesco a distinguere un mucchio di lunghe canne di fucile e di paragrilletti.
Di fianco alle armi ci sono scatole che potrebbero contenere munizioni. Mi avvicino per leggere l’etichetta. C’è scritto “proiettili di vernice”.
Fantastico. Eric si divertirà un mondo usandomi come bersaglio.
«Ognuno prenda un fucile!» grida Eric.
Corriamo verso la pila. Afferro il primo fucile che mi capita, prendo anche una scatola di proiettili di vernice, me la infilo in tasca e mi metto il fucile a tracolla.
«Tempo stimato?» chiede Eric a Quattro.
Lui controlla l’orologio. «Da un minuto all’altro, ormai. Quanto ti ci vuole per memorizzare gli orari del treno?»
«E chi me lo fa fare, quando ci sei tu a ricordarmeli?» ribatte Eric, dandogli una spintarella con la spalla.
Il treno arriva e sta diventando una routine saltarci dentro, anche se in fondo l’ho fatto poche volte.
Una volta che tutti sono entrati, Quattro spiega: «Ci divideremo in due squadre per giocare a strappabandiera. In ognuna ci saranno sia interni che trasfazione. Una squadra scenderà per prima e cercherà un posto in cui nascondere la propria bandiera. Poi scenderà la seconda e farà la stessa cosa». La carrozza dondola e Quattro afferra lo stipite del portellone aperto per tenersi in equilibrio. «È una tradizione degli Intrepidi, per cui vi suggerisco di prenderla seriamente.»
«Che cosa si vince?» grida qualcuno.
«Questo è il genere di domanda che un Intrepido non farebbe mai» osserva Quattro, inarcando un sopracciglio. «Vinci che hai vinto, naturalmente.»
«Quattro e io saremo i vostri capisquadra» prosegue Eric, guardando il compagno. «Cominciamo a dividerceli dai trasfazione, ok?»
Sollevo il viso al soffitto. Se sono loro a fare le squadre spero che Quattro mi scelga prima di Eric.
«Comincia tu» dice Quattro.
«Edward.»
Quattro si appoggia allo stipite e annuisce, fa scorrere distrattamente lo sguardo sul gruppo dei trasfazione e dichiara: «Voglio la Rigida».
Un brusio di risatine soffocate percorre la carrozza.
«Stai cercando di dimostrare qualcosa?» chiede Eric con il suo tipico sorrisetto. «O scegli i più deboli così, se perdi, sai già a chi dare la colpa?»
Quattro scrolla le spalle. «Qualcosa del genere.»
«Tocca a te» dice Quattro.
«Peter.»
«Christina.»
Prima Tris e poi Christina. Scelta interessante. Eric ha scelto due ragazzi ben piazzati mentre Quattro due ragazze, non forti come loro, ma agili. Sarà questa la sua strategia? In ogni caso ho una certezza: verrò scelta da Quattro.
«Molly.»
«Will.»
«Theia» dice Eric con uno dei suoi fastidiosi sorrisetti.
Quattro lo guarda con sorpresa, non si aspettava questa scelta. Siamo in due.
Tre energumeni e poi sceglie me, perché?
Vorrei poter pensare lucidamente al tipo di strategia di Eric, ma il solo sentire pronunciare il mio nome mi ha mandato in acqua il cervello.
Non va bene. La mia mente sta iniziando a fantasticare che non ci sia una strategia dietro questa scelta ma solo un interesse personale. Vorrei cedere a questo pensiero ma, la botta che mi arriverà quando scoprirò che non è così, mi aiuta a non farmi troppe illusioni.
«Drew» chiama Quattro, mordicchiandosi un’unghia.
«Al.»
«È rimasta solo Myra. È tutta tua» dice Eric.
«Ora gli interni.»
Smetto di ascoltare quando finiscono con noi.
Se Quattro non sta cercando di dimostrare qualcosa accaparrandosi i più deboli, che cosa sta facendo?
Osservo tutte le persone che ha scelto. Che cosa hanno in comune?
Prima che Eric facesse il mio nome, mandando in tilt il mio cervello, un’idea me l’ero fatta. A parte Will e un paio di altri, hanno tutti la stessa struttura fisica: spalle strette, corporature piccole.
Tutte le persone nella squadra di Eric sono grosse e forti. Tutte eccetto me. Fantasticherie a parte, durante uno dei nostri allenamenti notturni, Eric mi ha detto che sono veloce. Questo gioco si basa più sull’agilità che sulla forza e forse lui, scegliendo i più grossi, deve aver capito che la strategia di Quattro era migliore della sua e ha inserito me per compensare. Spero tanto che sia così. Sospiro. Non mi sarebbe dispiaciuto essere scelta solo per suoi interessi personali.
Finiscono di formare le squadre ed Eric dice a Quattro, in tono di scherno: «La tua squadra può scendere per seconda».
«Non darmi nessun vantaggio» risponde Quattro. Sorride un po’. «Lo sai che non ne ho bisogno per vincere.»
«No, so che perderai a prescindere da quando scendi» infierisce Eric, giocando con uno dei piercing sul sopracciglio. «Prendi la tua squadra di mingherlini e scendi per primo, allora.»
Osservo la squadra di Quattro saltare e poi vado a sedermi accanto ad Al, come se fosse un riparo caldo e sicuro nel bel mezzo di una tempesta. Lui è l’unico che conosco, a parte il malefico trio, tutti gli altri, compreso Uriah, sono nella squadra di Quattro.
Appoggio la testa sulla sua spalla mentre osservo la luna illuminare il tetro paesaggio che scorre fuori dallo sportello aperto del treno.
«Prepararsi! Si scende!» grida Eric.
Lascio andare avanti Peter e i suoi tirapiedi, non mi fido di loro e non è una cosa positiva essendo nella stessa squadra. Eric non solo si ritrova con elementi poco adatti a questo gioco, ma anche con persone che si odiano tra di loro. Non vinceremo mai.
Al mi tende la mano ed io lascio che mi aiuti ad alzarmi. Insieme saltiamo giù dal treno. Questa volta sono preparata all’inerzia creata dal movimento del treno e faccio solo qualche passo di corsa per controllarla, riuscendo così a conservare l’equilibrio.
Devo ammetterlo, non sono affatto male e sto iniziando a prenderci gusto.
Mi guardo intorno mentre ci incamminiamo verso un grande spazio aperto circondato da alberi che non sono abbastanza per farmi sentire a casa.
Il silenzio di questa parte della città è inquietante; sembra un incubo. È difficile vedere dove sto andando, perché è passata la mezzanotte e tutte le luci della città sono spente, ma, anche se fosse più presto, dubito che ci siano lampioni ancora funzionanti in questo parco.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Eric si ferma al centro di una radura e io ho la certezza che perderemo.
Siamo in un grosso spiazzo circondato da alberi, tanto vale smontare i proiettili e disegnarci dei bersagli su petto e schiena.
Mi allontano di qualche metro dal gruppo e mi siedo su quello che resta di una panchina.
«L’altra squadra ha già deciso dove posizionarsi, quindi decidete in fretta la strategia da adottare» dice Eric, mentre passa la bandiera a Peter e si siede sulla panchina accanto alla mia.
Come immaginavo, i componenti della mia squadra hanno tutte idee diverse e iniziano a discutere tra di loro.
Osservo Eric. Se ne sta tranquillo a guardarli.
Perdere a strappabandiera credo sia umiliante per un Intrepido, quindi ha già deciso di lasciarci discutere e poi ordinarci cosa fare. È nel suo stile darci l’illusione di contare qualcosa e poi strapparcela via.
«Hai deciso di battere la fiacca?» mi domanda, voltandosi verso di me.
«Scusa?»
«Non ti ho più vista in palestra.»
«Ti stavo evitando» rispondo con freddezza.
La mia risposta fa calare il silenzio tra di noi.
La sua domanda sembra suggerire che lui è tornato in palestra in queste sere e quindi non ho fatto un gran casino come credevo.
Allora perché ha smesso di punzecchiarmi? Dalla sera del nostro ultimo allenamento non mi ha rivolto più la parola e non sembrava che lo facesse per insicurezza o per risentimento, ma per totale perdita di interesse.
«Perché?» mi domanda.
«Secondo te?»
«Quanto sei permalosa» dice, rigirandosi tra le mani un proiettile di vernice.
«Vorrei vedere te dopo quello che mi hai detto!»
«Ti ricordo che mi hai dato del deviato» sottolinea, guardandomi di traverso.
Ha ragione, ma l’avevo pure io, tutte e due le volte.
Eric potrebbe essere benissimo malato in quel senso. Come ha detto Christina, potrebbe non avere una parte buona, ma io sono così stupida da continuare a cercarla. Forse ha ragione Tris, devo levarmelo dalla testa.
«Non ti sei chiesta perché ti ho scelta?»
«Sadismo. Vuoi usarmi come scudo.»
«Non mi tentare» mormora sorridendo.
«Hai stupidamente scelto i più grossi e poi ti sei accorto che serviva qualcuno di veloce per prendere la bandiera» dico, come al solito, senza collegare il cervello con la bocca.
«No.»
«A questo punto resta solo lo scudo umano» gli faccio notare.
Eric si alza e mi raggiunge sulla panchina fermandosi in piedi davanti a me.
Dentro di me inizio a tremare, mi sento come se fossi fatta interamente di gelatina e qualcuno mi stesse scuotendo. Sarebbe una sensazione piacevole se non fosse Eric a causarmela.
«Una volta, una persona fastidiosamente sincera, mi ha detto che, se scoppiasse una guerra, dovrei circondarmi di persone fidate.»
«Come fai ad essere così sicuro che non ti tradirò?» lo interrompo.
«Per la tua totale incapacità di mentirmi.»
«Non mi pare di averti appena giurato fedeltà» obietto.
«Sono il tuo punto di riferimento, l’unico di cui riesci a fidarti in questa fazione. L’hai detto tu stessa» dice sorridendo, ma il suo sorriso si spegne subito. «È ancora così oppure…»
Oppure quello che mi hai detto e che mi hai fatto ha cambiato qualcosa.
Io non mi sono mai fidata completamente di lui, ma per la prima volta vedo un velo di umanità nel suo sguardo. Sembra così indifeso da farmi quasi dubitare che sia lui e quel suo sguardo ha fatto un enorme buco nella mia corazza. La sento scricchiolare e so che non c’è modo di riparare al danno; la mia corazza presto andrà in mille pezzi ed io non avrò più difese contro di lui e da quel sentimento assurdo dal quale cerco di nascondermi.
«Mi ha ferita quello che hai detto e il modo in cui l’hai detto» confesso evitando di guardarlo negli occhi. «Però siamo nella stessa squadra, se perdi tu, perdo anche io.»
Questa volta ho pensato prima di aprire bocca perché quello che ne sarebbe uscito mi avrebbe fatta sentire patetica. Sento il bisogno di fargli capire che mi interessa molto più di quanto dovrebbe interessare un capofazione a un’iniziata.
È la prima volta che provo un’attrazione così forte e non so come gestirla, ma  dirgli che mi piace non è la cosa migliore da fare con un tipo come lui. È bello ed è consapevole di esserlo, se cedo ora sarò solo una delle tante, mentre lui sta diventando qualcosa di speciale. Questo mi spaventa, ma ormai ho capito che più cerco di reprimere, più quello che sento per lui diventa forte.
Il resto della squadra reclama il suo capo. Il tempo stringe. Abbiamo dato a Quattro un grosso vantaggio perdendo tempo prezioso a litigare sulla strategia da adottare. Presto loro verranno a cercarci. È il momento di prendere una decisione.
«Mi fido di te, non deludermi» dice prima di raggiungere il gruppo.
Quelle parole polverizzano la mia corazza, ora sono nuda e vulnerabile. Il mio centro è stato ripristinato per l’ennesima volta e tutto riprende a girare intorno a lui.
«Ascoltatemi. Ci apposteremo tra gli alberi. Al e Theia si posizioneranno là dietro» dice, indicando un piccolo edificio che non ho idea di cosa fosse prima di cadere in rovina.
«Al, tu sarai la sua guardia del corpo. Quando l’altra squadra si avvicinerà, voi, senza farvi vedere, correrete fino alla ruota panoramica. È là che si sono posizionati. Trovate la bandiera e prendetela.»
Prende la bandiera dalle mani di Peter e si arrampica su un albero ed io inizio a pensare che non sia intelligente quanto credevo. È il posto più accessibile di questo parco, almeno per me che sono abituata ad arrampicarmi su alberi molto più alti di quello. Posso solo sperare che gli altri non siano bravi quanto me anche se so che non è così.
«Noi resteremo qui a difendere la nostra. Andate» ordina, saltando giù dall’albero.
Io e Al corriamo a nasconderci. Da dove siamo riesco a vedere oltre agli alberi, la squadra di Quattro è già qui. Faccio segno ad Al di seguirmi e mi sposto rapidamente dietro a un muretto. È lungo solo qualche metro ma ci coprirà fino a quando l’altra squadra non sarà arrivata alla radura.
Alle nostre spalle si leva un coro di grida così alte che mi fanno sussultare. Con piccoli scoppiettii cominciano a volare i proiettili di vernice, che poi si spiaccicano umidi e molli contro i loro obiettivi. La squadra di Quattro ha attaccato. Mi volto e vedo il nostro gruppo dimezzato e la bandiera completamente incustodita sul ramo dell’albero.
Scatto verso il nostro obiettivo anche se so che è tutto inutile, la mia squadra sarà annientata prima che io riesca a raggiungere la ruota.
Continuo a correre anche quando sento grida di vittoria levarsi dalla radura.
Abbiamo perso. Ho deluso Eric.
È un pensiero stupido, non è colpa mia, le sue scelte ci hanno portato alla sconfitta, ma le ultime parole che mi ha detto mi fanno sentire dannatamente in colpa. Lui si fidava di me.
Mi fermo di colpo e mi lascio cadere sulle ginocchia. Per quanto sia stupido, una parte di me mi incolpa per la sconfitta. Se non mi fossi fermata a parlare con Eric, ma avessi agito subito, forse le cose sarebbero andate diversamente. Avevo intuito il piano di Eric e avrei dovuto portarmi subito in una buona posizione. Non dovevo osservarli invaderci, ma guardarli allontanarsi dal dalla loro bandiera. Se fossi stata là avremmo vinto noi. Eric si sarebbe preso tutto il merito ma sarebbe stato fiero di me.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


È notte fonda e dovrei essere al dormitorio, ma non ho sonno.
Durante il ritorno in treno, Eric non ha detto una parola, è rimasto in silenzio appoggiato alla parete del vagone. Non credo abbia preso bene la sconfitta, domani sarà più insopportabile del solito.
So già dove trovarlo, anche se è molto tardi, sono sicura che non riesce a dormire e ha bisogno di sfogarsi, c’è solo un posto dove può farlo.
Apro la porta della palestra e lo vedo colpire con rabbia il sacco da pugilato. La sconfitta di questa notte gli brucia parecchio a quanto pare.
Quando mi vede si ferma, mi lancia un’occhiata e poi riprende quello che sembra più un violento sfogo che un allenamento. Non è il caso di mettermi a scherzare con lui.
«Mi dispiace, avrei dovuto muovermi prima.»
Si ferma di nuovo, tampona il sudore con un asciugamano e poi lo appoggia sul sacco accanto al suo. È furioso, lo leggo nei suoi occhi, ma non perde il suo fastidioso ordine da Erudito. Chiunque avrebbe gettato l’asciugamano a terra, lui invece no, lo ripone con una calma che mi dà i brividi. Pensavo che la sua compostezza fosse una farsa, invece pare che la sua fazione di nascita lo domini ancora completamente.
«Ormai è andata» sbuffa.
«Ma tu non lo perdi mai il controllo?»
Mi guarda e solleva le spalle.
Dovrebbe essere una risposta? Un’alzata di spalle non è né un sì né un no. So che gli brucia, è inutile che fa finta di niente. Voglio vedere il vero Eric e non una delle sue maschere.
Schivo un suo pugno diretto al Mollychino e mi fermo davanti a lui.
«Smettila, non è colpa tua» dice spostandomi di peso e poi ricomincia a colpire il sacco.
«Sai che il Mollychino che stai colpendo dice che sei un ottimo capofazione? Questo qui invece, afferma che i tuoi pugni fanno il solletico e che dovresti darti al ricamo.»
Eric si ferma e mi guarda. Si morde il labbro inferiore, sta lottando contro un sorriso. Non pensavo bastasse così poco.
Fa qualche passo di lato, si posiziona davanti al Mollychino che gli ho indicato e inizia a colpirlo.
Scoppio a ridere e lui finalmente si lascia scappare un sorriso. Non credo laverà via il dramma Intrepido di aver perso a strappabandiera ma almeno riesco a vederlo sorridere. È bellissimo quando smette di fare il gelido Eric e abbassa la guardia. I suoi occhi si illuminano ed è quasi impossibile pensare che lui sia la stessa persona che ha appeso Christina a una passerella e che ci tormenta tutti i giorni.
La Dualità. Ora riesco a vederla chiaramente, ma solo per un breve istante, purtroppo Eric riprende il controllo e il suo sguardo torna ad essere minaccioso e inquietante.
«Vieni sempre qui quando sei nervoso?»
Annuisce continuando a guardarmi ed io ho la sensazione che stia aspettando qualcosa da me. È un Erudito, dovrebbe avere una buona parlantina ed essere una fonte inesauribile di argomenti, ma credo che non sappia cosa dire e sta sperando che sia io a guidare la nostra conversazione.
«Io mi arrampicavo sugli alberi o, se ero particolarmente arrabbiata, attaccavo briga con qualche Pacifico che di pacifico aveva ben poco» confesso.
«Qui non ci sono molti alberi… però c’è una torre…»
«Mi arrampicherò su quella! Dov’è?» esclamo. Me ne pento subito ma, per stare vicino a lui e vederlo sorridere di nuovo, farei qualsiasi pericolosa assurdità tipica degli Intrepidi.
«Attenta, hai appena accettato di giocare a Sfide.»
Prende la sua giacca e mi fa segno di seguirlo.

 

Usciamo dalla palestra e imbocchiamo un corridoio. Ora non ho più bisogno di appoggiarmi alla parete per non rischiare imbarazzanti cadute, mi sono abituata alla poca luce e ai pavimenti scavati nella roccia.
Il corridoio termina con una porta di metallo. Eric prende delle chiavi dalla tasca della giacca e la apre. Saliamo su per una scala di metallo mezza arrugginita fino a fermarci davanti a un’altra porta. Quando Eric la apre sento il vento fresco sulla mia pelle.
Siamo sul tetto del complesso residenziale e, a qualche decina di metri da noi, vedo una sagoma scura che alla pallida luce della luna sembra un’illustrazione di un libro di racconti di paura.
«Prima le signore.»
«Lo fai per prendermi se cado o per vedermi meglio cadere?»
«Lo faccio per essere certo che non ti tiri indietro» risponde, sfoggiando un sorriso non meno inquietante della torre nera che ci sovrasta.
«Io tirarmi indietro? Tu sogni!»
«Le regole. Se guardi in basso dovrai scendere e ricominciare. Se cadi, sono affari tuoi e se ti tiri indietro…»
«Devo abbandonare gli Intrepidi?» domando ridendo.
«No. Paghi pegno.»
«Fammi indovinare, non c’è modo di sapere prima in cosa consiste il pegno.»
«Esatto.»
Inizio ad arrampicarmi. La pietra è dura e liscia, non è facile come arrampicarsi su un albero, ma noto grossi chiodi arrugginiti spuntare dal muro di mattoni. Non sono messi a caso, sembrano formare una scala, o meglio, la versione Intrepida di una scala.
Li hanno messi per questo motivo, scalare questa torre deve essere una specie di iniziazione non ufficiale degli Intrepidi. Il loro modo per vedere se hai abbastanza fegato per entrare nella loro cerchia di amici.
L’arrampicata è più dura di quanto pensavo. Gli alberi hanno rami a cui appoggiarsi per riprendere fiato, questa torre va scalata senza fermarsi o si rischia di perdere l’equilibrio anche senza guardare in basso. Mi chiedo se qualcuno ha mai fatto la sciocchezza di guardare giù; è il modo migliore per cadere e rompersi tutte le ossa.
Finalmente arrivo sulla cima e vedo una figura scura davanti a me. Lo spavento mi fa sbilanciare all’indietro e perdere la presa. Mentre le mie mani cercano di aggrapparsi al nulla, la mia mente si prepara al doloroso, e probabilmente letale, impatto con il cemento.
Sento delle mani che mi afferrano per le spalle e un attimo dopo mi ritrovo seduta all’interno della torre.
«Non so se devo interpretarla come una caduta oppure no.»
Alzo lo sguardo e vedo Eric chinato sopra di me.
«Come hai fatto ad arrivare qui prima di me?»
«Ho preso le scale» risponde, indicando una botola a pochi passi da noi.
«Io rischio la vita da vera Intrepida e lui prende le scale da bravo Erudito!»
«Una vera Intrepida non si sarebbe spaventata rischiando di volare di sotto» puntualizza in modo meno fastidioso del solito.
«Eric, onestamente, in quanti hanno reagito nel modo che hai appena descritto?»
«Non lo so. Di solito nessuno usa le scale.»
«Quindi sei tu quello che paga pegno. Secondo la logica assurda degli Intrepidi, non ti sei arrampicato e quindi non hai superato la prova!» esulto.
«No. Io ho lanciato la sfida e…» si interrompe, riflette per qualche secondo e poi conclude: «Ok. Accetto di pagare pegno».
Sarò una verginella Pacifica ma ho già capito quale pegno spera di pagare. Se lo può levare dalla testa. Non sarebbe un pegno ma un premio.
«Parliamo.»
«Vuoi discutere con me il pegno?» domanda ingenuamente.
«No. Il pegno è parlare di te.»
Eric mi guarda perplesso. È una cosa che non si aspettava e sono certa che non è tra le cose che ama fare. Non mi piace usare un gioco come scusa per sapere qualcosa su di lui, però credo che sia l’unico modo per conoscerlo più a fondo.
«Vieni con me.»
«Cosa? No! Devi pagare pegno! Non puoi scappare così!»
Eric sbuffa alzando gli occhi al cielo e mi prende per mano. Scendiamo una rampa di scale e quello che vedo non mi entusiasma molto.
Siamo in una piccola stanza illuminata solo da una torcia elettrica appoggiata su un mobiletto di legno, unico arredo della stanza, a meno che non si considerino dei materassini da palestra parte dell’arredamento. In ogni caso sembra un luogo più adatto a fare che a parlare.
Non ho nessuna intenzione di riprendere quello che abbiamo interrotto in palestra. Lascio andare la sua mano e vado verso la rampa di scale che scende al piano sottostante.
«Dove stai andando? Non dovevo parlarti di me?»
«Mi credi davvero così ingenua?» domando in tono acido.
«Nato negli Eruditi diciotto anni fa, membro degli Intrepidi da due anni e capofazione da uno» dice, sdraiandosi su uno dei materassini, poi aggiunge: «Cos'altro vuoi sapere?»
Forse vuole solo parlare ed io sono solo una stupida paranoica a pensare che nasconde ben altre intenzioni. Mi siedo sul mobiletto e chiudo il giubbino fino al collo. Ormai siamo in estate ma le notti sono ancora fresche.
«Perché hai scelto gli Intrepidi?» domando.
Eric si alza e si avvicina. Mi guarda negli occhi mentre si china su di me.
Come volevasi dimostrare.
Apre l’anta del mobiletto e tira fuori una vecchia coperta.
Sono paranoica, devo smetterla di pensare male di lui solo perché…
Non mi lascia il tempo di finire il pensiero. Mi solleva con un braccio e mi porta sul materassino. Lo guardo di traverso per fargli capire che non ho intenzione di riprendere da dove avevamo interrotto qualche notte fa in palestra.
«Se vuoi gelare, fai pure» dice sdraiandosi.
So che me ne pentirò.
Mi sdraio accanto a lui e mi lascio avvolgere dal suo abbraccio. Fa freddo e lui è così caldo e invitante che è impossibile resistergli.
«Il test attitudinale ha dato come esito Intrepido.»
«Non sembri un’idiota senza cervello.»
«Neanche tu, eppure sei qui.»
«Visti da fuori sembrate eroi, arditi e liberi. Mi avete affascinata.»
«Da come parli sembra che il risultato del tuo test non sia stato Intrepidi. Che risultato hai avuto?» domanda stringendomi di più a sé.
«Pacifici. Condannata a noia eterna in una fazione di suonatori di banjo sempre sorridenti.»
«Quindi non hai seguito il suggerimento del test, come mai?»
«Ho preferito seguire il mio istinto e non dimenticare che sono in missione segreta per scovare il pazzo furioso.»
«Non l’hai ancora catturato?» domanda divertito.
«È un’osso duro, ha neutralizzato il mio esercito di Mollychini.»
«È vero. Resti solo tu adesso» mormora sfiorando le mie labbra con le sue.
«Anche io sono un osso duro» dico, prima di abbandonarmi completamente ai suoi baci.
Le nostre labbra continuano a sfiorarsi lentamente in piccoli casti baci ed io mi arrendo a questo assurdo sentimento capace di farmi fare tutto ciò che vuole. Non posso batterlo, né farmelo amico, ormai ho capito che posso solo arrendermi e lasciare che mi trascini via con sé. Tutto quello che la mia parte razionale mi aveva imposto di non fare è stato spazzato via. Non mi importa cosa accadrà, se per lui sono solo uno sfizio oppure no, se farà ciò che deve e poi mi scaricherà. Voglio vivere fino in fondo questo momento con lui.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Un cielo terso, il frinire delle cicale e il calore del sole sulla mia pelle, quanto mi è mancato tutto questo.
Sono sdraiata sotto una piccola quercia e osservo il fiume che scorre tranquillo a pochi passi da me. Resterei qui in eterno e per nulla al mondo mi volterei indietro, perché non voglio vedere le sagome grigie dei grattacieli circondate dalla soffocante recinzione.
Eric. Penso a lui e finalmente mi sento bene, sono serena e questo è strano. Lui non mi fa questo effetto, soprattutto quando non è accanto a me. Non so spiegarlo, ho come la sensazione che lui presto arriverà. È assurdo perché il complesso degli Intrepidi è lontano da quello dei Pacifici e in più non è permesso stare insieme ad un membro di un’altra fazione.
Sono un’Intrepida. Allora cosa ci faccio nella zona dei Pacifici?
Mi alzo a sedere e mi guardo intorno. Dietro di me c’è una palazzina di tre piani con un giardino e un gatto che sonnecchia sulle scale della veranda. Non è un edificio dei Pacifici, non sono a casa. A fianco alla palazzina ce ne sono altre simili, una lunga fila che si estende da entrambi i lati di quell’edificio che mi sembra tanto familiare. Dove sono?
«Theia…»
Sento la voce di Eric chiamarmi. Mi volto in quella direzione e vedo uno scoiattolo che si arrampica veloce sulla mia spalla destra. È così carino che mi è impossibile non accarezzarlo.
«Theia, svegliati!» esclama lo scoiattolo usando la voce di Eric.
Non ha senso… penso, mentre tutto inizia a dissolversi e svanire come inghiottito da una nebbia nera.

 

Apro gli occhi e davanti a me c’è Eric. Niente cielo terso e morbido prato, solo lo scuro ventre della torre che ho scalato questa notte.
«I Pacifici non sono mattinieri?» domanda massaggiandosi il collo. Ha l’aspetto di chi non ha dormito molto bene.
«Sì, ma vanno a dormire presto» rispondo mentre cerco di snebbiarmi. «Gli Intrepidi non dovrebbero adattarsi a dormire ovunque e svegliarsi sempre pimpanti?»
«Non quando dormono con qualcuno che scalcia e si gira nel letto tutta la notte.»
«Io non scalcio e comunque questo non è un letto» puntualizzo indicando il materassino.
«Come vuoi. Non ho tempo di discutere, tra venti minuti dobbiamo essere tutti e due in palestra.»
«Che si fa di bello oggi?» gli domando, inseguendolo per le scale.
Non mi aspettavo un bacio del buongiorno, ma neanche essere ignorata in questo modo. Questa notte era così gentile e i suoi baci appassionati, mentre adesso sembra tornato Eric il gelido.
«Come te la cavi a lanciare coltelli?»
«Non lo so, non ho mai provato…»
«Un’altra prima volta. Scapperai via come hai fatto quella sera?»
La sua allusione mi innervosisce. Il fatto che io non mi sia voluta concedere non fa di me una codarda ma una persona responsabile, che riflette bene prima di fare un passo così importante, forse non è da Intrepidi dare tanto peso alla prima volta.

 

Quando entro nella palestra, vedo Eric nel centro della stanza e mi domando come ha fatto a trovare il tempo per farsi una doccia e cambiarsi. Io sono riuscita a malapena a darmi una pettinata e bere mezza tazza di caffè.
«Domani sarà l’ultimo giorno del primo modulo» esordisce. «Riprenderete i combattimenti più tardi. Stamattina imparerete a colpire un bersaglio. Ognuno prenda tre coltelli.» Ha la voce più cupa del solito e non ne capisco il motivo, sconfitta a parte, il resto della serata credo sia stata abbastanza piacevole.
«Quattro vi mostrerà la tecnica corretta per lanciarli.»
Nessuno di noi si muove e noto che non sono l’unica ad avere profonde occhiaie e una lentezza che, ne sono certa, non verrà apprezzata da Eric.
«Adesso!» urla.
Tutti scattano verso il tavolo dove sono ammucchiati i coltelli.
Eric potrebbe essere una valida alternativa al caffè, una sua parola o un suo sguardo hanno il potere di svegliare tutti in un attimo. Personalmente continuo a preferire quel caldo nettare nero.
«È di cattivo umore, oggi» mormora Christina.
«E quando non lo è?» bisbiglia Tris.
Ieri sera per esempio o in qualsiasi altra sera dei nostri allenamenti privati. Anche quando ci siamo svegliati sembrava rilassato e… no, non certo sereno, ma decisamente meno cupo di adesso.
I suoi sbalzi d’umore iniziano seriamente a preoccuparmi, non capisco cosa è cambiato negli ultimi venti minuti.
Lo vedo lanciare un’occhiata velenosa a Quattro che gli sta dando le spalle. Capito. La solo presenza di Quattro ha riaperto la ferita della sconfitta di ieri notte a strappabandiera. Solite cose da uomini che io non capirò mai.
«Allinearsi!» ordina Eric.
È il caso di concentrarmi sui movimenti di Quattro in modo da imparare il più velocemente possibile, non voglio dover sopportare di nuovo le frecciatine di Eric. Dopo il piccolo incidente del nostro ultimo allenamento aveva smesso di tormentarmi ma credo che dopo quello che è accaduto questa notte ricomincerà a farlo.
Osservo la posizione del corpo di Quattro e il movimento del braccio che lancia il coltello. L’eleganza dei suoi movimenti e la naturalezza con cui li esegue mi ipnotizza e resto a fissarlo come un’ebete.
«Hai intenzione di fissare Quattro per tutto il tempo? Se vuoi gli faccio togliere la maglietta» esclama Eric in tono beffardo.
Sento risatine provenire dal malefico trio. Cerco di ignorarle e mi concentro sul bersaglio immaginando che al posto della sagoma ci sia uno di loro. Non ho mai lanciato un coltello ma sono sicura che questo pensiero mi renderà più semplice avvicinarmi al centro del bersaglio.
Purtroppo la realtà è molto diversa dalla fantasia. I miei coltelli mancano clamorosamente il bersaglio. Il fatto che non sia l’unica non mi è d’aiuto.
Eric cammina a passi troppo rapidi dietro di noi e questo mi mette ansia. Non basta la mia incapacità, deve mettercisi pure lui a peggiorare le cose con il suo passo pesante e lo sguardo da avvoltoio.
Cerco di ignorarlo, ma lui si avvicina a me e mi fa segno di fermarmi.
«Ho quasi paura a passarti dietro. Sei talmente incapace che potresti lanciartelo alle spalle.»
«Carino, davvero gentile. Non esagerare con le parole dolci o potrei montarmi la testa» mi lascio scappare.
Non va bene, mi sto allargando un po’ troppo. Lui è uno dei miei istruttori e anche un capofazione e non dovevo lasciarmi andare a certe affermazioni davanti ad altri Intrepidi. Loro non sanno che io ho due Eric, l’istruttore e… non saprei come definirlo… non è mio amico e, purtroppo, neanche il mio ragazzo, è solo un Eric diverso da quello che mi tormenta dalle otto alle sei. È un Eric privato. Forse dovrei dire era, dopo questa mia uscita non si fiderà più di me, penserà che non sia in grado di mantenere un segreto.
«Flirtare con me non ti aiuterà a colpire il bersaglio» dice con il suo solito sorriso inquietante. «E neanche a far levare la maglietta al tuo Quattro.»
La sua affermazione mi lascia perplessa. Avrebbe dovuto rispondere qualcosa di crudele per umiliarmi davanti a tutti. La Pacifica respinta dal capofazione. Questo avrebbe senso, avrebbe chiarito davanti a tutti che non apprezza quel tipo di attenzioni da parte mia. Invece Eric ha scelto di stare in qualche modo al gioco, cosa che non è da lui, e ha coinvolto anche Quattro.
Devo smetterla di fissarmi su Eric, ho cose più importanti da fare durante l’addestramento, tipo allenarmi in modo da riuscire a superare il primo modulo e non finire a suonare il banjo tra gli Esclusi.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Dopo quasi un’ora di esercitazione, Al è l’unico che non ha ancora messo a segno un tiro. I suoi coltelli finiscono per terra o rimbalzano contro il muro. La cosa non mi piace, per Eric i suoi fallimenti sono come una candela per le falene, solo che sarà Al a fare la fine della falena che si è avvicinata troppo alla fiamma.
Dopo altri due giri di lanci, Al non ha ancora colpito il bersaglio. Eric gli si avvicina e gli chiede: «Quanto sei lento, Candido? Hai bisogno di un paio di occhiali? Devo avvicinarti il bersaglio?»
Al diventa paonazzo e lancia un altro coltello, le sue mani tremano ed esegue il suo peggior lancio. Il coltello finisce sul pavimento a un metro dal bersaglio.
«Che cos’era questo?» sibila Eric, avvicinandosi ancora di più ad Al.
Trattengo il respiro. Non lo sta punzecchiando come fa sempre, questa volta è diverso, ho paura che dovremo assistere a un’altra tortura come quella che ha inflitto a Christina.
«Mi è... mi è scivolato» balbetta Al.
«Beh, penso che dovresti andare a raccoglierlo.»
Eric fa scorrere lo sguardo sulle facce degli altri iniziati, che hanno tutti smesso di lanciare, e dice: «Vi ho detto di fermarvi?»
Anche se titubanti, ricominciamo a lanciare e l’unico rumore che si sente è quello dei coltelli che colpiscono la tavola.
«Andare a raccoglierlo?» Al ha gli occhi sbarrati. «Ma stanno tutti lanciando.»
«Quindi?»
«Quindi non voglio essere colpito.»
«Penso che tu possa contare sul fatto che i tuoi compagni hanno una mira migliore della tua.» Eric sorride, ma il suo sguardo è feroce. «Vai a prendere il tuo coltello.»
«No» dice Al.
Sgrano gli occhi e mi blocco all’istante. Dire di no ad Eric è qualcosa che non mi aspetterei da nessuno, soprattutto da Al che sembra avere un’incredibile tolleranza ai soprusi di Eric. Non oso pensare a cosa potrebbe fargli. Ho due Eric nella mia testa, quello crudele e quello quasi umano e, purtroppo, in questo momento è Eric crudele ad essere in piedi accanto al mio compagno di iniziazione.
«Perché no?» Eric gli pianta addosso due occhi piccoli come spilli. «Hai paura?»
«Di essere infilzato da un coltello volante?» scatta Al. «Sì, certo!»
È una scena surreale, il mite Al che disubbidisce a Eric, il peggiore degli aguzzini. Se il terrore di quello che può succedere non mi paralizzasse, mi darei un pizzicotto per essere sicura di non stare sognando. Non ho paura di quello che potrebbe fare Eric, è Al che mi spaventa. Se ha risposto in quel modo vuol dire che è davvero arrivato al limite della sopportazione e potrebbe fare qualcosa di molto stupido. Molto più folle che disubbidire al più crudele dei capifazione.
«Fermi!» grida Eric.
Tutti si fermano e, come me, restano immobili come statue.
«Allontanatevi.» Eric guarda Al «Tutti tranne te.»
Lo sguardo di Eric è furioso. Ho già visto quello sguardo, l’ho sentito su di me la sera che mi ha picchiata, quando gli ho dato del deviato. So come si sente Al in questo momento, il più devastante twister incombe su di lui e sta per travolgerlo con tutta la sua furia.
«Mettiti davanti al bersaglio» ordina Eric.
Al va verso il bersaglio con la testa bassa. Un agnello che va al macello e nessuno può fare niente per salvarlo.
«Ehi, Quattro. Vieni qui a darmi una mano.»
Quattro si gratta un sopracciglio con la punta di un coltello e si avvicina a Eric. Ha gli occhi cerchiati di scuro e la bocca tesa, è stanco quanto noi.
«Rimarrai là, mentre lui lancia i coltelli, finché non impari a non battere ciglio.»
«È proprio necessario?» azzarda Quattro.
Eric lo fissa in silenzio e lui sostiene lo sguardo.
L’atteggiamento di Quattro non sta aiutando Al. Dovrebbe mitigare la furia di Eric e non aumentarla.
«Comando io qui, ricordi? Qui, e da ogni altra parte» sottolinea Eric, senza staccargli gli occhi di dosso.
Non ce la faccio. Non riesco a starmene qui ferma a guardare Al fare da bersaglio mentre due idioti si contendono il ruolo di maschio alfa. Mi sento così impotente e… crudele.
È quello che sono. Lascio un ragazzo mite nelle mani di un aguzzino, non perché non ho il coraggio di contrastarlo, ma perché ho paura di indispettirlo. È questa la riprovevole verità, l’unica cosa che m’importa è non perdere le attenzioni di Eric. Io non mi riconosco più.
«Smettetela!»
La voce di Tris rimbomba nel silenzio della palestra.
Tutto questo non può essere reale. Il mite Al e adesso Tris, un’Abnegante, che si ribellano al regime di crudeltà e terrore di Eric.
«Qualunque idiota può stare davanti a un bersaglio» continua Tris «Non dimostra niente, se non che state facendo i bulli con noi. Il che, se non ricordo male, è un comportamento da vigliacchi.»
«Allora non dovresti avere problemi a prendere il suo posto» la provoca Eric.
Tris cammina con passo sicuro fino alla tavola e si posiziona davanti al bersaglio. Tiene la testa alta e lo sguardo fisso su Quattro. Non c’è paura nei suoi occhi, è sicura e determinata. Lei è una vera Intrepida, incarna quelli che ho sempre immaginato fossero gli ideali più importanti di questa fazione: coraggio e altruismo. Non è uno sciocco moto di ribellione, sta proteggendo Al.
«Se chiudi gli occhi, Al prende il tuo posto, chiaro?» l’ammonisce Quattro.
Tris annuisce senza scomporsi.
Quattro lancia il coltello che si conficca nella tavola a pochi centimetri dal viso di Tris. Lei chiude gli occhi un solo istante ma non si muove, resta in piedi, risoluta.
«Ne hai abbastanza, Rigida?» domanda Quattro.
«No.»
Lui lancia il secondo coltello che va a conficcarsi appena sopra la testa di Tris.
Nessun sussulto, resta immobile e continua a fissarlo. Lui sostiene il suo sguardo con la stessa determinazione, ma leggo qualcos'altro negli occhi di Quattro. È come se, in un modo che non comprendo, la stesse quasi rassicurando, o meglio, spronando.
Coraggio e altruismo. Abneganti. La loro vita è dedicata agli altri, è così che Tris è stata cresciuta ed è in questo modo che agirà sempre. Quattro sta solo cercando di tirare fuori il coraggio che è in lei.
«Su, Rigida» continua lui. «Lascia che qualcun altro prenda il tuo posto.»
«Stai zitto, Quattro!» esclama Tris.
Se davvero sta cercando di tirare fuori il suo lato Intrepido attraverso la rabbia, credo ci stia riuscendo molto bene.
Quattro lancia l’ultimo coltello e Tris contrae i muscoli, ma la sua espressione rimane imperturbabile anche quando si sfiora un orecchio con le dita e le vede sporche di sangue. Quattro l’ha colpita, ma lui non è Eric, sono certa che l’ha fatto solo per appagare l’assurdo desiderio di brutalità del nostro supervisore.
«Mi piacerebbe fermarmi e vedere se voi altri siete coraggiosi quanto lei, ma penso sia abbastanza per oggi.» dice Eric con voce melliflua mentre le sorride come di solito fa con Peter o Drew.
Tris ne è disgustata quanto me e sono convinta che il motivo è lo stesso: si sta prendendo il merito di quello che lei ha appena fatto.
Esco dalla palestra insieme agli altri ma cerco di restare in fondo alla fila, Eric è dietro di noi e, dovessi finire tra gli Esclusi, non voglio fargliela passare liscia.
«Hai avuto anche oggi la tua dose di brutalità, ma dimmi, riuscirai a trattenerti fino al tuo appartamento o ti infilerai in qualche sgabuzzino?»
Eric si ferma e mi fulmina con lo sguardo. Ormai non mi fa più paura, ho già assaggiato la sua furia e so che non è così stupido da aggredirmi a pochi passi dagli altri iniziati.
«Dipende da quanto vuoi camminare» risponde sorridendo in modo osceno «Ah già, dimenticavo, tu quelle cose non le sai fare.»
«Ne sei sicuro? Forse non volevo farle con uno come te» contrattacco guardandolo come se fosse uno scarafaggio. «Insomma, i tipi come te, che si eccitano con la violenza, fanno spesso cilecca o, se sono fortunati, durano giusto una manciata di secondi.»
Eric si irrigidisce ma mantiene un sorriso spavaldo. Ho fatto centro, nessun falso sorriso lo salverà questa volta.
«Ti inviterei a provare ma so già che hai pronta una bella scusa.»
«Nessuna scusa, semplicemente ho…»
«Trovato di meglio? Il ciclo? Sai benissimo qual è la verità.»
«È vero, ma è qualcosa che posso distruggere o cambiare» dico, mentendo più a me stessa che a lui. «Io merito di meglio.»

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Il momento tanto temuto è arrivato, appena Edward e Drew avranno finito, dovrò affrontare il mio primo combattimento contro Peter. Spero che Tris ricambi il favore e mi porti in infermeria qualcosa da mangiare, magari un semolino perché non so quanti denti mi resteranno in bocca.
Mancano pochi giorni alla fine del primo modulo di addestramento e se perdo questo combattimento non so come potrei fare a recuperare punti. Gli iniziati che accettano di truccare gli incontri non sono piazzati molto bene in classifica, far vincere me metterebbe a rischio la loro permanenza negli Intrepidi.
«Prossima coppia!» grida Eric.
Avanzo fino al centro dell’arena senza guardare niente e nessuno. Sento gli occhi di tutti su di me e sembrano raddoppiare ad ogni passo. Quando mi fermo mi sembra di essere tornata al giorno della Cerimonia della Scelta, il centro dell’attenzione, tutti mi stanno fissando per vedere cosa farò. Davanti a me non ci sono le cinque innocue coppe ma quel bastardo di Peter.
Mi osserva mentre fa scrocchiare le dita e mi rivolge uno dei suoi sorrisi più fastidiosi. Di solito le conserva tutti per Tris ma pare che ne abbia riservato uno speciale tutto per me. Avrei preferito farne a meno ma mi è utile. Il modo in cui mi sta guardando ora alimenta il disgusto che provo per lui e questa è una buona cosa perché so che subito dopo arriverà la rabbia.
«La Pacifica scorbutica, quella che mi ha dato del senza palle. Vediamo se sei brava a combattere quanto lo sei a parlare» dice Peter ridacchiando. «Io dico di no.»
Fa qualche passo verso di me e io mi sposto lateralmente.
Peter è grosso e forte ma non è veloce, devo evitare che attacchi per primo e sperare che continui a sottovalutarmi. Se per lui non rappresento un pericolo, se continua a non prendermi sul serio, forse posso riuscire a stare in piedi abbastanza per evitare le ferite peggiori, quelle all’orgoglio.
Peter scatta verso di me caricando tutto il peso nell’attacco. Me lo aspettavo. Io mi abbasso e gli tiro un pugno nello stomaco, appena sopra l’ombelico. Prima che possa afferrarmi, gli scivolo accanto, le mani sollevate, pronta al suo prossimo tentativo.
Lui continua a ridere e corre verso di me come se volesse placcarmi, ma io schizzo via. Con l’avambraccio blocco il pugno successivo, ma lui invece di colpirmi mi afferra saldamente con la mano destra.
«Se vuoi possiamo finirla sul pavimento, come è successo con Eric quella notte» dice in tono sprezzante, tenendo la voce molto bassa. «Ti farei un grosso favore, ti serve esperienza.»
So esattamente dove vuole arrivare, l’ha fatto anche con Tris. Cerca di innervosirmi per farmi perdere la concentrazione. Si sbaglia di grosso, non sono così stupida da farmi turbare dalle sue insinuazioni.
Con il braccio libero gli tiro una gomitata al fianco ma lui mi blocca anche l’altro braccio. Mi restano solo le gambe e, se proprio vuole fare come quella notte, il mio ginocchio è pronto a farlo entrare nel coro delle voci bianche.
«A Eric piacciono molto esperte, si annoierebbe presto con te» insinua senza perdere il suo fastidioso sorriso. «Sei solo uno sfizio, una verginella da deflorare. Non avrai davvero sperato di poter stare insieme a lui.»
Cerco di ignorare il suo veleno ma lui ha capito esattamente cose dire per farmi vacillare.
«Guardati, sei pelle e ossa, non c’è molto da toccare» infierisce Peter. «Le Intrepide invece…cioè le hai viste? Sono tutte sventole!»
Mi sta massacrando, sono certa che se iniziasse a colpirmi con calci e pugni non mi farebbero così male come le sue parole.
«Ha portato anche te nella torre?» domanda, sferrando il colpo di grazia.
Le sue parole mi colpiscono come una coltellata ma, invece di farmi crollare, fanno accendere in me una violenta rabbia. Non solo nei suoi confronti ma anche in quelli di Eric.
Le cose stanno così dunque, la chiacchierata, dormire abbracciati e tutto il resto è qualcosa che ha già fatto e che mira ad un unico scopo. Non posso essere stata così stupida e lui così bastardo.
Alzo di scatto la testa. Peter non ha neanche il tempo di vedere il mio sguardo furioso, colpisco con forza il suo naso con la fronte. Lui mi lascia andare e barcolla indietro tenendosi il naso sanguinante con una mano.
Mi lancio verso di lui buttandolo a terra. Peter cerca di divincolarsi ma io salgo sopra di lui, gli stringo il collo con una mano mentre con l'altra lo colpisco al volto. Una, due, tre volte…continuo a colpire come se la sua faccia fosse la causa di tutta la frustrazione che sento dentro di me.
Lui geme, il sangue gli gorgoglia in gola e gli cola dalla bocca.
«Hai vinto» mormora Quattro. «Basta.»
Vorrei fermarmi, so che dovrei farlo ma non ci riesco. Quello che ha detto Peter brucia ancora e io ho bisogno di sfogarmi. Continuo a colpirlo ignorando il mio istruttore.
Qualcuno mi prende per le spalle e mi solleva. Cerco di divincolarmi calciando nel vuoto.
«Così sarei io quello brutale» mi sussurra Eric mentre mi trascina lontano dal mio avversario.
Peter è rannicchiato al centro dell’arena, immobile, intorno alla sua testa si sta formando una chiazza di sangue, ma questo non placa la mia rabbia. Dovrebbe farlo, anche se è una carogna, dovrei sentirmi almeno un po’ in colpa ma non è così, non mi basta. Sento come un fuoco dentro di me. Un fuoco che mi divora e quel poco di lucidità che mi è rimasta è sufficiente a farmi capire quanto è malsano e distruttivo ciò che provo.
Quel pensiero mi fa tornare in me come una secchiate di acqua ghiacciata.
Non è possibile, io non sono come Eric. Io non faccio del male gratuito, Peter mi ha detto cose orribili è normale perdere le staffe quando qualcuno tocca un tasto dolente.
No, non ho giustificazioni, la mia furia è stata scatenata dalle parole di Peter e non da lui, avrei colpito chiunque, anche Tris o Al, le uniche due persone qui dentro alle quali non farei mai del male. Il problema sono io. È vero, forse sono davvero come Eric.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Oggi è la vigilia del Giorno delle Visite. Domani rivedrò la mia famiglia, ne sono sicura, loro verranno. Solo ieri ero felice di vederli, mi mancano, ma oggi tutto è cambiato.
Ho picchiato quasi a morte un ragazzo della mia età, è un tipo odioso e mi ha detto delle cose orribili, ma quello che gli ho fatto è molto peggio.
Come farò a guardare in faccia i miei genitori e sorridere come facevo un tempo, quando credevo di essere solo una ragazzina un po’ turbolenta, quando ancora non conoscevo la me stessa violenta? Non riuscirò a nasconderlo, mi conoscono troppo bene. Li deluderò.
Mi vergogno di me stessa, sono diventata un mostro. Sono innamorata di un deviato, ho picchiato a sangue un ragazzo ma queste cose non sono niente paragonate a quello che mi preoccupa di più: non sono pentita di ciò che ho fatto.
Una parte di me continua a ripetere che Peter se lo meritava e che ho fatto quello che era giusto fare.
«Quel muffin lo mangi o hai intenzione di giocarci e basta?» mi domanda Eric sedendosi accanto a me.
Lo guardo di traverso. Ci mancava solo lui, la fonte di tutti i miei problemi. Speravo di evitarlo il più possibile ma pare sia impossibile sfuggirgli. Forse dovrei fare sesso con lui, si toglierebbe lo sfizio e mi lascerebbe in pace. Io distruggerei uno dei momenti più importanti della mia vita, ma forse è quello che mi merito visto che sono un persona orribile.
«Che sguardo cupo» mi prende il muffin dalle mani e gli dà un morso. «Qualcosa non va?»
Gli lancio un’altra occhiataccia.
«Ok. Tieni. Continua a rigirartelo tra le mani» dice ridandomi il muffin.
«Non ho fame, mangialo tu.»
«Come mai? Le cose ti stanno andando bene e ieri sei stata eccezionale.»
«Proprio per questo» mormoro.
Eric prende di nuovo il muffin e mi osserva perplesso. Adesso è lui a rigirarselo tra le mani. Immagino che si starà chiedendo cosa ci vedo di male nel massacrare un compagno di iniziazione.
«Ti sei assicurata un posto nel prossimo modulo, dovresti esserne felice.»
«Dovrei gioire per essere diventata una sadica come te?»
Eric mi guarda perplesso e poi scoppia a ridere.
Assomiglia alla risata del mio Eric preferito ma la sua espressione è quella di Eric il capofazione sadico. È inquietante come riescano a convivere due Eric così diversi nello stesso momento.
«Hai vinto, hai tirato fuori il te che c’è in me, sei contento adesso?»
«Non dire scemenze.» Beve tutto d’un fiato il suo caffè e poi si alza. «Andiamo a parlare in un posto più tranquillo.»
Lo seguo senza battere ciglio, tanto ormai non può rendermi peggiore di quel che sono diventata o farmi più male di quanto hanno fatto ieri le parole di Peter.

 

Camminiamo in silenzio fino al Pozzo e ci fermiamo in uno dei punti da dove spiavo Eric quando ancora speravo di riuscire ad evitarlo nelle mie nottate in palestra. Speranza vana, lui non ha saltato una sera.
«Saltiamo la parte dove mi chiedi se mi ha eccitato tanta brutalità e arriviamo subito al punto» esordisce. «Qual è il tuo problema?»
Come gli spiego cos’ho senza fargli capire cosa mi ha ferita?
Non posso riferirgli le parole di Peter perché capirebbe che sono cotta di lui e non voglio dargli questa soddisfazione proprio adesso che ho scoperto che tutto quello che temevo è reale e non una mia paranoia. Vorrei dirglielo solo per fargli sapere che Peter ci ha spiati e… un momento, questo posso dirglielo, magari eviterà a tutti la presenza di Peter durante il secondo modulo.
«Peter ci ha visti quella notte in palestra.»
Eric non sembra turbato dalla notizia. Non devo essere la prima iniziata con cui ci prova.
«Cosa ha visto esattamente?» domanda con un filo di voce, come se avesse paura di essere sentito da qualcuno.
«Tutto quello che c’era da vedere, credo.»
«Credi?»
«Se vuoi possiamo finirla sul pavimento, come è successo con Eric quella notte» dico imitando il fastidioso tono di voce di Peter. «Questo è quello che mi ha detto. Tira tu le somme.»
«Non è un problema. Se vuole vivere terrà la bocca chiusa» dice con un sorriso spavaldo. «Dobbiamo parlare per ore di cose che già so oppure intendi dirmi subito cosa ti turba?»
«Essere diventata te» dico abbassando lo sguardo.
«Hai solo combattuto come si deve, non sei stata l’unica…»
«Sono stata l’unica che una volta sconfitto il suo avversario voleva continuare a infierire!» lo interrompo.
Eric scoppia a ridere lasciandomi inebetita. Gli lancio un’occhiata furiosa che fa impallidire tutte quelle che ha lanciato lui a noi iniziati da quando ha cominciato a tormentarci.
«Lasciami indovinare ti ha detto quelle cose su di me quando ti ha immobilizzata, non è vero?»
Arrossisco, ha fatto centro ma io non voglio ammetterlo davanti a lui.
«In effetti hai ragione, è una reazione esagerata per una come te. Siamo più simili di quanto credevo» mi squadra girandomi intorno come se stesse osservando il suo miglior trofeo. «Potresti essere peggio di me, sono sicuro che dopo qualche anno negli Intrepidi riusciresti a battermi, come è logico che sia, le donne sono più crudeli degli uomini, ma tu sei speciale. Ti aiuterò a sviluppare questa tua dote innata.»
No questo no, io non sono un mostro, io non torturo la gente perché mi piace, mi limito a rispondere, forse in maniera un po’ estrema, alle frecciatine lanciate da bastardi come Peter.
«Io non sono come te! È solo colpa tua! Sei tu quello marcio!» esplodo. La mia mente mi dice di smetterla ma sono un fiume in piena che ha rotto gli argini, niente può fermarmi.
«Dimmi, i tuoi giochetti fanno parte del tuo sadismo o è solo mancanza di palle?» Mi alzo e mi levo il giubbino. «Perché mostrarti umano invece di arrivare dritto al punto? Vuoi divertirti? Ok, divertiti, fatti la verginella!»
Butto il giubbino a terra e inizio a slacciarmi i pantaloni. Eric mi blocca le mani.
«Scusa, è vero, preferisci andare nella torre dove hai portato tutte le altre. Ok andiamo, facciamola finita in fretta.»
Eric scoppia di nuovo a ridere, la mia rabbia sale.
Cerco di colpirlo al mento con un pugno, ma lui lo blocca con una rapidità e semplicità ed io capisco che vincere contro Peter è come aver vinto contro un bambino Abnegante.
«È questo che ti ha fatta infuriare?» domanda continuando a ridere.
Io non rispondo, mi limito a guardarlo di traverso, ancora piena di rabbia e frustrazione.
«Non sei una sadica, hai solo perso le staffe, come adesso. È una reazione normale nel mondo reale, quello senza banjo e girotondi.»
Ha ragione ma questo non mi è d’aiuto, io ho perso il controllo a causa sua. Forse non sarò una sadica ma sono comunque innamorata di un sadico e quindi devo avere qualcosa che non va. Più mi domando cosa mi attrae in lui più non trovo una risposta. In questo assurdo sentimento non c’è nulla di logico. Eric è una carogna con tutti, mi ha anche picchiata, ma la mia mente si focalizza solo sulle poche volte che è stato gentile con me. L’addestramento notturno, il caffè quella mattina e la notte alla torre, sono gli unici momenti buoni passati con lui, anche se ora temo che siano stati molto addolciti dalla mia immaginazione. Quello che ha detto Peter continua a tormentarmi e io non posso chiedere direttamente a Eric se ha detto la verità oppure no perché capirebbe che… al diavolo, non ho voglia di passare giornate in balia di quella maledetta frase.
«Banjo e girotondi sono meglio di squallidi incontri in una torre» dico, guardandolo dritto negli occhi.
«È il posto meno squallido del complesso…si vede il cielo, pensavo ti sarebbe piaciuto, ma a quanto pare mi sbagliavo» dice con sguardo abbattuto.
«Non mi riferisco al posto ma a quello che ci vai a fare.»
«Ci vado quando voglio stare tranquillo.» Sorride, scuote il capo e domanda: «Cosa ti ha detto il Candido?»
«Mi ha fatto intendere che è il posto dove porti tutte» ammetto arrossendo.
«L’ha detto per farti perdere il controllo. Ti facevo più sveglia.»
Scuoto il capo incredula, si sta arrampicando sugli specchi. Peter ha detto tutte cose vere, perché mentire proprio su quella più logica?
«Sei impossibile. Credi quello che ti pare. Ci vado sempre da solo, per quello che pensi tu è più comodo il mio letto.»
Ha senso, o forse sono solo io che spero sia così. In fondo non abbiamo fatto nulla, solo parlato e poi devo essermi addormentata. Non ci ho fatto una bella figura, mentre lui è stato carino, mi ha avvolta nella coperta e lasciata dormire. Non ha preteso niente, è stato leale.
«Farai tardi all’addestramento» raccoglie il mio giubbino, me lo mette sulle spalle e aggiunge: «Per la cronaca, se avessi voluto solo scoparti l’avrei già fatto e saresti stata tu a implorarmi di farlo.»
Si incammina verso la palestra lasciandomi in bilico tra pace e paranoia.
Non mi vuole, quindi? Non gli piaccio?
Io non riesco proprio a capirlo, continua a fare un passo avanti e due indietro. Forse sono solo io, immagino cose assurde perché questo sentimento mi annebbia il cervello. Se fossi nel pieno delle mie facoltà penserei che gli piaccio e ha capito che insistere su certe cose mi avrebbe fatta allontanare. No, sto ancora fantasticando. Prima accetto la realtà e prima riuscirò a fare uscire Eric dalla mia testa.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Ennesimo pomeriggio di combattimenti, però questa volta non sono più una tra tanti, ma la Pacifica che ha sconfitto Peter. Molti mi guardano come se fossi una divinità da venerare, mentre altri, ovvero il malefico trio, mi fissano con odio. Se la sono legata al dito e la cosa mi rende nervosa, quei tre insieme potrebbero rendermi la vita un inferno e sperare che vengano eliminati va oltre l’utopia. Sono tra i migliori, è più facile che sia sbattuta fuori io.
Il mio avversario di oggi è Al. Ci posizioniamo al centro dell’arena e restiamo immobili a fissarci.
Non sento più il fuoco che mi divorava ieri, niente rabbia, solo un grande vuoto e il desiderio di essere ovunque ma non qui, davanti a un ragazzo gentile che sono sicura si lascerà mettere al tappeto per non farmi del male. Lui sarebbe il ragazzo da amare, ma io non ci riesco, sono talmente marcia da avere occhi solo per il sadico Eric.
Iniziamo a combattere ma i nostri colpi sono fiacchi, nessuno dei due vuole fare male all’altro, ma purtroppo uno di noi deve finire al tappeto. Non voglio che sia lui, purtroppo questo mio desiderio non è dettato dall’altruismo ma dal bisogno di uscire da questa palestra per evitare gli sguardi del malefico trio e a un altro pomeriggio di violenza gratuita.
Mi lancio verso Al che para il mio pugno ma mi dà la possibilità di sussurragli di colpirmi al viso. Mi spinge via e mi fissa. Io resto immobile sperando che non si tiri indietro. Non lo fa. Mi colpisce con un gancio ed io mi lascio cadere a terra. Mi aspetto di sentire Eric lamentarsi, dire di smetterla di giocare e combattere seriamente ma, incredibilmente, annuncia la vittoria di Al. Ha capito benissimo che sto fingendo e mi sta reggendo il gioco. Non ho voglia di chiedermi il perché, non mi importa, voglio solo uscire da questa palestra il prima possibile.

 

Quattro mi ha portata in braccio in infermeria senza dire o chiedere niente, anche lui ha capito che stavo benissimo e che quella palestra, con Eric che sovrintende l’addestramento, è diventata un luogo di tortura dal quale è meglio uscire il prima possibile.
Ho passato tutto il pomeriggio sdraiata su uno dei lettini dell’infermeria a fissare il soffitto cercando di capire cosa ci sia di sbagliato in me e perché preferisco una bastardo a un bravo ragazzo, ma l’unica cosa che vedevo apparire sul soffitto grigio è la carta della dualità. Eric. Sempre e solo lui, seduto sul trono dei miei pensieri a osservarmi come se fosse il posto al quale era destinato ed io fossi di sua proprietà.
«Hai intenzione di punirti per tutta la durata dell’iniziazione?» La voce di Eric mi strappa ai miei pensieri. «È solo per sapere se devo perdere ancora tempo con te.»
«Non ti ho mai chiesto aiuto, sei stato tu a tormentarmi per primo, se tu che hai fatto perdere tempo a me» gli ringhio contro.
Lui alza gli occhi al cielo e scuote la testa ridacchiando. È così fastidioso che vorrei essere nel centro dell’arena con lui e levargli quel sorriso con un pugno.
«Bevi qualcosa?» mi domanda lasciandomi basita.
«Cosa? Stai scherzando? Tu non ci stai con la testa e…»
«No. Quella che non ci sta con la testa sei tu. Non ti va mai bene niente, ogni cosa che faccio ti manda in bestia. Io… io non so più cosa fare con te.» Mi mette in mano una fetta di torta al cioccolato e aggiunge: «Adesso scusami, vado a imparare a suonare il banjo.»
Lo guardo allontanarsi velocemente e ricomincio a fantasticare su di lui e le carte di Althea. È tutto così assurdo, è solo un gioco, eppure ogni carta sembra avere sempre più senso e condurmi a un’unica persona: Eric.
Essersi offerto di addestrarmi, il caffè caldo che mi ha portato quella mattina in palestra, la scelta per lo strappabandiera, la nottata alla torre, la torta e tutto ciò che di gentile ha detto o fatto, sono piccole cose che nessuno si aspetta da uno come lui. Io mi sono talmente fissata su quello che dicono gli altri da ignorare completamente ciò che accadeva tra me e lui. Mi sono fatta influenzare dalle chiacchiere sul suo conto fino al punto di convincermi che quello che vivevo era tutto addolcito dalla mia immaginazione. È vero, non è uno stinco di santo ma con me non è stato crudele. Credevo di essere una persona difficile da influenzare, capace di pensare con la mia testa, ma a quanto pare non è sempre così, basta un ragazzo carino a farmi vacillare. Come fa la gente a sopravvivere all’amore? A guardare gli altri sembra tutto così semplice, ma è un casino. La testa se ne va per conto suo ed è impossibile pensare razionalmente, si fa il contrario di quello che si farebbe normalmente. Mi domando se sarà sempre così o a un certo punto diventerà tutto più chiaro e si smetterà di essere in continua lotta con se stessi e l’altra persona.
«Non è saggio quello che stai facendo.»
Alzo la testa per capire chi mi sta parlando e vedo Tori in piedi davanti a me. Ha le braccia conserte e mi fissa con sguardo scuro. Non mi dà il tempo di replicare, mi prende per un braccio e mi trascina nel corridoio che porta al fiume.
«Dovresti stare lontana da Eric.»
«Perché?» le domando. Sono risoluta, niente più chiacchiere, crederò solo a ciò che vedo. Seguirò il mio istinto.
«Chi ha avuto un risultato come il tuo farebbe bene a stare lontana da lui.»
«Non capisco cosa c’entra Eric con il risultato del mio test attitudinale. Ad essere onesta non ho ancora capito perché è così rischioso essere una Divergente.»
Tori mi fa segno di star zitta ma non ne comprendo il motivo, non c’è nessuno oltre a noi in questo corridoio.
«Loro sono difficili da controllare, per questo rappresentano una minaccia.»
«Questo lo avevi già detto. So che chi non può essere controllato o conformato è probabile che venga eliminato.»
«Non è probabile, viene eliminato, è una certezza» dice, spalancando talmente tanto gli occhi che ho quasi paura di vederli rotolare fuori dalle orbite. «È solo questione di tempo e il tuo sembra che stia per finire.»
«Quindi sono destinata a morire?»
«Non necessariamente. I capifazione non sanno ancora di te. Io ho cancellato immediatamente il risultato del tuo test attitudinale dal sistema e ho inserito manualmente Pacifica come esito. Ma non commettere errori, se scoprono che cosa sei, ti uccideranno.»
La osservo in silenzio. Sta vaneggiando. Non sembra pazza, al contrario, appare calma, anche se il suo tono è insistente. Eppure deve essere fuori di testa. Questa città e le sue fazioni hanno i loro problemi ma gli omicidi sono rari e non ho mai sentito di leader di fazione che hanno ucciso qualcuno.
«Tu sei paranoica» sbotto. «I capi degli Intrepidi non mi ucciderebbero. La gente non fa queste cose, non più. È a questo che serve il sistema delle fazioni.»
«Ah, ne sei convinta?» Lei mi fissa, i suoi lineamenti improvvisamente si fanno tirati, feroci. «Hanno fatto fuori mio fratello, perché non te, eh? Che cos’hai di speciale?»
«Tuo fratello?» domando.
«Sì, mio fratello. Sia lui che io ci siamo trasferiti dagli Eruditi, solo che il suo test attitudinale era stato inconcludente. L’ultimo giorno delle simulazioni hanno trovato il suo corpo sul fondo dello strapiombo. Hanno detto che si è trattato di un suicidio. Solo che mio fratello stava andando bene nell’addestramento, era felice…» Il suo sguardo diventa triste, infinitamente triste.
Io non lo sapevo, non ne avevo idea… questo non mi giustifica ma almeno capisco perché mi sta proteggendo e forse non lo sta facendo solo con me. È il suo modo per far tacere il dolore per la morte di suo fratello, aiutare chi è come lui non lo riporterà in vita ma eviterà agli altri il suo stesso dolore.
«Io non…mi dispiace…» abbasso lo sguardo e mi mordo il labbro per non piangere.
Non sono mai stata brava a confortare gli altri, mi blocco e finisco sempre col restare in silenzio.
Tori fa un profondo respiro e poi ricomincia a parlare. «Nella seconda fase dell’addestramento, Georgie andava molto bene, era molto veloce. Diceva che le simulazioni non lo spaventavano nemmeno... erano come un gioco. Così gli istruttori cominciarono a interessarsi in modo particolare a lui. Quando veniva il suo turno, si ammassavano nel laboratorio, invece di aspettare semplicemente che gli venissero riportati i risultati. Parlottavano di lui tutto il tempo. L’ultimo giorno delle simulazioni entrò un capofazione per vederlo di persona, il giorno dopo Georgie era morto.»
«Per questo devo stare lontana da Eric? Pensi che stia fingendo di essere interessato a me solo perché ha dei sospetti?» domando.
Annuisce. «Ho paura di sì. Mi dispiace. Non gli hai detto niente del test o di te, vero?»
Ripenso a tutte le volte che ci siamo parlati e l’unica confessione pericolosa è stato l’esito del mio test attitudinale. So che non avrei dovuto dirlo a nessuno, ma non dire o mentire avrebbe potuto insospettirlo e avrebbe fatto dei controlli scoprendo che il test era stato alterato. Una Pacifica che sceglie gli Intrepidi di testa sua è strano ma non quanto scoprire che l’esito di un test è stato modificato.
«Gli ho detto il risultato del test. Intendo quello che tu hai inserito.»
Tori strabuzza gli occhi. «Sei impazzita?»
«Mentirgli sarebbe stato peggio, se avesse indagato avrebbe potuto scoprire che il risultato del test era stato modificato da te. Saremmo finite entrambe nei guai.»
«Non c’è modo di stabilire se un test è stato manomesso oppure no.» Appoggia una mano sulla mia spalla e aggiunge: «Ti sei condannata a morte.»
«Per avergli detto un risultato? Stai vaneggiando. Se Eric mi avesse voluta morta ora sarei sul fondo dello strapiombo.»
«Forse sta solo aspettando la giusta occasione. Sei alla fine del modulo, potresti essere tra gli ultimi e in molti preferiscono lo strapiombo agli Esclusi.»
«Se mi avesse voluta fuori perché avrebbe perso tempo ad aiutarmi?» mi lascio scappare. Non so quanto posso fidarmi di Tori, ma non credo che andrà in giro a dire che un capofazione sta facendo favoritismi, soprattutto se la persona in questione è Eric.
«In che senso aiutarti?» domanda perplessa.
«Niente. Dimentica. Non sono cose che ti riguardano.» Mi incammino verso l’entrata del Pozzo ma lei mi blocca mettendosi davanti a me.
«Aiutarti come?»
«Lui mi sta addestrando fuori dagli orari, la notte o la mattina presto, io e lui da soli. Mi ha insegnato a combattere e credo abbia formato le coppie in modo da aiutarmi. A parte Peter, ho combattuto sempre con iniziati meno preparati di me. Perché assicurarsi di portarmi al secondo modulo se deve uccidermi? Eric non sospetta nulla, credo lo stia facendo solo per…ehm… ottenere altro in cambio» confesso arrossendo.
«No. Non è così disperato da perdere più di dieci minuti per portarsi a letto qualcuna, sta tramando qualcosa.»
«Non può essere semplicemente interessato a me?» le domando, fissandola dritta negli occhi.
«È possibile, ma non nel modo che speri tu, perché…» un rumore di passi e delle voci la interrompono. Un gruppetto di Intrepidi ci passa accanto, saluta Tori e si siede su una pietra a pochi passi da noi.
«Scopriremo la verità solo dopo la classifica. Se hai ragione tu, stai molto attenta a ciò che fai durante le simulazioni, ma se ho ragione io, scappa, perché lui ti ucciderà.»
«Non credo che Eric voglia farmi del male.»
«È l’unica cosa che sa fare» dice in tono lapidario prima di allontanarsi e sparire tra la folla del Pozzo.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Un’altra giornata è finita, domani la mia famiglia verrà a trovarmi per il Giorno delle Visite, questa è l’unica certezza che ho in questo momento di caos assoluto. Sin da quando ho fatto la mia scelta mi sono sempre domandata se sarebbero venuti per vedere me o solo per il patto che abbiamo fatto io e Althea prima di salutarci, la mattina della Cerimonia della Scelta. È così assurdo, questo dubbio mi ha sempre tormentata mentre ora è il male minore, purtroppo ho altro a cui pensare. Vorrei riuscire a non pensare a Eric ma è inevitabile, ormai è presente nei miei pensieri appena apro gli occhi la mattina e non mi abbandona fino a quando non mi addormento la sera.
Tutti dicono che è una persona da evitare, che è un sadico bastardo che sa fare solo del male e una parte di me è fermamente convinta che dovrei dare retta agli altri, soprattutto a Tori che, anche se fa tanto la dura, in qualche modo ci tiene a me e sta cercando di proteggermi. Però non posso ignorare quella piccola parte di me, che cerco di zittire da tutta la vita, che mi sta dicendo di non lasciarmi influenzare dagli altri e di abbandonarmi a ciò che provo, al mio istinto. Lo farei, come sempre, ma questa volta è diverso.
L’amore, questo assurdo sentimento che non mi fa ragionare in maniera razionale e che mi spinge tra le braccia di un ragazzo pericoloso ma che non mi ha fatto del male, almeno non ancora. Tori dice che è tutta una farsa, che lui mi sta studiando, raccogliendo prove e, quando ne avrà a sufficienza, mi ucciderà.
A chi devo credere? Me stessa, gli altri o alle assurde carte di Althea?
La dualità. Questa parola si ripete ossessivamente nella mia testa e sembra dare un senso a tutto. Forse è la chiave di questo enigma.
Ho sempre diviso tutto in bianco o nero, uno esclude l’altro, ma se invece potessero davvero convivere? Se Eric fosse davvero un bastardo ma avesse anche una parte buona, con sentimenti che nessuno ha mai notato?
In fondo, a parte quando gli ho dato del deviato e ci siamo azzuffati, è sempre stato gentile con me, mi ha aiutata e, quando eravamo soli, non ha più provato a togliermi i vestiti. Ha lanciato frecciatine molto velenose ma, visto il suo carattere, è normale un po’ di risentimento, soprattutto se io continuo a rispondergli per le rime e ad essere acida con lui.
Ripenso a tutto quello che è successo tra di noi e a come mi sono comportata e, se raccontassi tutto a uno sconosciuto, risulterei io la stronza. Lui ha cercato di avvicinarsi a me, ma io stupidamente continuavo a restare sulla difensiva e lo attaccavo. È stato fin troppo paziente e io una vera idiota. Spero di non averlo capito troppo tardi.
Prendo il blocco per gli appunti dal baule, è venuto il momento di tenere fede al patto fatto con Althea. Non credo sia consentito lo scambio di lettere tra iniziati di due diverse fazioni, ma in fondo non scriveremo i dettagli delle rispettive iniziazioni ma solo quello che abbiamo provato. Althea è stata chiara con le regole, niente nomi, descrizioni di prove da superare e qualsiasi altra cosa che sveli le pratiche delle rispettive iniziazioni. A fare lo scambio delle nostre lettere ci penseranno i miei genitori, per questo so che verranno a trovarmi, Althea riesce sempre a ottenere ciò che vuole grazie alla sua insistenza, o la accontenti o ti fa venire un esaurimento nervoso.

“Cara Althea,
è la sera prima del Giorno delle Visite ed io sono sulla mia branda nel dormitorio del complesso residenziale degli Intrepidi. Lo so, starai pensando che è ovvio, dove altro dovrei essere? Tra gli Esclusi per esempio. L’iniziazione degli Intrepidi è molto dura e così deve essere, perché noi dovremo essere in grado di proteggere tutti voi.
All’inizio non è stato facile, arrampicarsi sugli alberi e le giornate passate nei campi sono una passeggiata in confronto agli allenamenti degli Intrepidi. All’inizio non avevo un muscolo che non gridasse dal dolore mentre adesso mi sto abituando.
La gente di questa fazione è assurda ma non come la immaginavi tu. Non sono pazzi scatenati, cioè lo sono, ma non sono incoscienti, non del tutto almeno. Dietro alle loro follie c’è preparazione e, non ci crederai, anche un minimo di buonsenso.
Quando sono arrivata qui non credevo che mi sarei mai adattata a vivere in una fazione più chiassosa della nostra, ma adesso non vedo l’ora che finisca l’orario di addestramento per passare la serata in mezzo a loro… ok, lo ammetto, mi manca il nostro albero, il bosco e la radura vicino al laghetto. Però ci sono anche qui posti tranquilli da dove si vede il nostro amato cielo stellato.
Hai letto quello che ho scritto o stai semplicemente facendo scorrere gli occhi alla ricerca della parola ‘ragazzo’?
Va bene, ti evito l'agonia e arrivo alla parte che ti interessa.
Sì, c’è un ragazzo carino che ha mandato il mio buonsenso a farsi un giro e che mi manda completamente in paranoia. Non posso dirti molto di lui, erano questi i nostri ‘accordi di sicurezza’ però, posso affermare che questa volta le tue carte hanno fatto centro. Tutte.
L’ho conosciuto il primo giorno e al primo sguardo ho sentito qualcosa che non sono riuscita a capire, o forse non ho voluto farlo, ma alla fine non ho avuto scampo.
Mi hai parlato tanto dell’amore ma non mi hai detto quanto fosse incasinato come sentimento. Non mi lascia pensare, si è insinuato lentamente dentro di me e quando ho realizzato che cosa stava succedendo ero già completamente cotta.
Starai facendo i salti di gioia, vorrei farli anche io ma purtroppo la situazione è complicata ed io non posso raccontarti molto.
Lui non è come Dill o Neem, non credo sia interessato a stare con qualcuna per sempre… o forse sì… la verità è che non lo conosco abbastanza e lui è un ragazzo davvero complicato. I miei nuovi amici mi dicono di stargli lontano, che non è un tipo di cui fidarsi troppo, ma le poche volte che sono rimasta sola con lui non mi è sembrato affatto la persona che loro descrivevano. Non è dolce e affettuoso, o arrendevole come Neem, è  un ragazzo imperscrutabile e credo poco incline a dimostrazioni di affetto.”

Le sto mentendo, sto addolcendo troppo Eric ma non capisco se lo faccio per evitare preoccupazioni ad Althea oppure perché non voglio accettare la realtà. Anche se Eric provasse qualcosa per me, non sarà mai il tipo da smancerie, non lo sono neanche io, ma ogni tanto non mi dispiacerebbe un po’ di miele.
Forse dovrei strappare questa lettera e inventarmi qualcosa di banale e scontato, evitando di parlare di ragazzi, o inventarmene uno, tanto lei non scoprirà mai la verità e non ci sarà una lettera di risposta. Se non finirò tra gli Esclusi, potrà capitare di incontrarci in città ma non avremo tempo per chiacchierare e in ogni caso non potrò raccontarle le due cose che più mi spaventano: Eric e l’essere una Divergente. Non potrò mai dirle le due cose più importanti, quelle per le quali serve il consiglio dell’amica più cara.
Ho bisogno di confidare tutti i miei problemi, se non lo faccio subito finirò per scoppiare o impazzire, o tutte e due le cose insieme.

“Althea, vorrei che tu fossi qui con me. Sono successe tante cose ed io mi sento persa, ho bisogno delle nostre chiacchierate, dei tuoi consigli. Credo di essere nei guai.
Il ragazzo di cui mi sono innamorata si chiama Eric, è uno dei nostri capifazione ed è un tipo molto pericoloso. So che ci eravamo promesse di non fare nomi, ma io non ce la faccio a tenermi tutto dentro. Non posso parlare di lui con i miei nuovi amici perché lo odiano e lo temono. Se dicessi loro che non faccio altro che pensare a lui, non capirebbero, penserebbero che sono fuori di testa o che sono una persona senza scrupoli come lui. Io non so come spiegarlo ma, nei pochi momenti che abbiamo passato insieme, da soli, ho sentito che lui non è solo un freddo despota, ma c’è dell’altro, qualcosa di meraviglioso che è rimasto inespresso per troppo tempo.
Tu mi conosci bene e sai che le mie sensazioni non sbagliano mai. Sono convinta di avere ragione anche questa volta ma, allo stesso tempo, ho paura di commettere il mio primo errore e quindi continuo a trattarlo male perché so che non avrei la forza di scappare da lui e da questo folle sentimento, così spero che sia lui ad allontanarsi da me.
Vorrei che tu fossi qui con me perché mi faresti ragionare e non perderei Eric. So che alla fine si stancherà se continuo a fare la stronza, ma io ho troppa paura di quello che potrebbe succedere se mi lasciassi andare.

Ripenso a tutte le volte che sono andata in panico e come Althea riusciva a calmarmi.
Fai un grosso respiro. Adesso fanne un altro e un altro ancora.
Lo ripeteva sempre stringendomi in uno dei suoi abbracci da perfetta Pacifica.
Faccio tre profondi respiri e poi riprendo in mano la penna per scrivere l’ultima frase della mia lettera:

“Io sono innamorata di lui e non so dove mi porterà tutto questo. Probabilmente finirà male, molto male, ma io non riesco a smettere di amarlo.
Se mi accadesse qualcosa, proteggi tu il nostro tesoro. Consegnerò la mia chiave ai miei genitori insieme a questa lettera.
Ti voglio bene.
Theia.”

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Finalmente il gran giorno è arrivato. Questa notte non ho chiuso occhio, continuavo a ripensare a quello che ho scritto nella lettera per Althea e alle possibili conseguenze.
È stupido, ma la cosa che mi spaventa di più è che possa finire tra le mani dei miei genitori. Sto infrangendo una delle regole più importanti e l’unica cosa che mi preoccupa è l’imbarazzo che mi causerebbe sapere che i miei genitori leggano le mie confessioni amorose. Se uno dei capifazione trovasse quella lettera nelle tasche dei miei, potremmo finire tutti nei guai. Non so cosa deciderebbero per noi, ma gli Esclusi mi sembrano la migliore delle ipotesi, soprattutto se sarà Eric a trovarla. Per quello che ne so, potrebbe farci giustiziare come traditori del sistema delle fazioni.
Mi siedo sulla mia branda, tiro fuori dalla tasca la lettera e la tengo stretta nella mano sinistra. Forse dovrei strapparla, deluderei Althea ma nessuno correrebbe dei rischi inutili.
Mi convinco che eliminarla è la cosa più saggia da fare, ma quando apro il baule che contiene tutti i miei effetti personali, sento dei passi alle mie spalle. So già chi è, sta diventando prevedibile, o forse sono io ad essere diventata più sveglia.
«Buongiorno Eric» esclamo senza muovere un muscolo.
La lettera è ancora nella mia mano, se non m’invento qualcosa lui la vedrà e inizierà a fare domande. Prendo dal baule la prima cosa che mi capita, ma la fortuna non mi assiste, adesso oltre alla lettera, stringo tra le mani le sei carte di Althea. Sarà imbarazzante dovergli raccontare tutta la storia, ma almeno lo distrarranno mentre nascondo la lettera.
«Come vanno le tue lezioni di banjo?»
«Sei tu l’insegnate. Quando iniziamo?» domanda, sedendosi accanto a me.
Sarà difficile far sparire la lettera.
«Io non so suonare il banjo» rispondo e con nonchalance mi piego in avanti fingendo di allacciare la scarpa mentre prego che Eric non mi veda infilarci la lettera.
«Come? Che razza di Pacifica sei?» ridacchia.
«Non so suonare il banjo, canto malissimo e disegno anche peggio. Che ci vuoi fare, sono una Pacifica anomala.»
Fingo di controllare che anche l’altra scarpa sia allacciata e poi inizio a giocherellare con la busta di plastica che contiene le carte. Voglio che lui le veda così forse non sospetterà che ho qualcosa da nascondere. Meglio le carte che la lettera in cui confesso di essere innamorata di lui.
«Quindi, quello non l’hai disegnato tu?» domanda indicando la carta con la Dualità.
«No. Lo ha disegnato una vecchia amica.»
«Non dovresti tenere nulla che viene dalla tua vecchia fazione» mi riprende ed io tiro un sospiro di sollievo. Non si è accorto della lettera. Questo non mi salva da una situazione imbarazzante ma almeno mi salva da un’altra molto più imbarazzante ma sopratutto pericolosa.
«Lo so, ma queste carte sono un’enigma da risolvere. È roba da Eruditi, dovrebbe interessarti.»
«Io sono un Intrepido» puntualizza con una voce suadente che non si adatta a una situazione come questa.
È solo lui oppure tutti i ragazzi non perdono occasione per provarci?
In ogni caso, meglio così, posso evitare di fare per l’ennesima volta la figura della scema.
Mi infilo in tasca le carte e mi avvio verso l’uscita del dormitorio.
Eric mi supera e si mette tra me e la porta. Non c’è niente da fare, sembra che sia scolpito nella pietra che io debba sempre rendermi ridicola davanti a lui.
«Però sono curioso di scoprire la tua ennesima assurdità» dice, sorridendo in un modo che non riesco a decifrare.
È il classico sorriso di Eric il gelido ma è più vivace e quasi umano. È una via di mezzo tra i due Eric, però resta comunque inquietante ma allo stesso tempo irresistibile.
Signore e signori, la parte imbarazzante sta per cominciare, mettetevi comodi.
Torno alla mia branda e mi siedo. Prendo le carte e le dispongo lentamente una ad una sulla coperta. Eric le osserva divertito.
«La sera prima della Cerimonia della Scelta, la mia amica ha deciso di leggermi il futuro» esordisco, suscitando ancora di più l’ilarità di Eric. «Lo trovo anche io assurdo, ma era meglio ascoltare i suoi vaneggiamenti che passare la serata a tormentarmi per la decisione che avrei dovuto prendere il giorno successivo.»
«Il responso?» domanda lui.
«Chiedilo al piccolo Erudito dentro di te» rispondo strizzandogli l’occhio.
«Gli Eruditi non credono alla magia» puntualizza.
«Ma hanno una mente logica, quindi dovrebbero trovare divertente interpretare il significato delle carte e risolvere l’enigma» lo sfido.
So che non lo considera un vero enigma, però so anche di interessargli e scoprire qualcosa in più su di me è sufficiente per convincerlo a stare al gioco sebbene possa considerarlo una cosa stupida.
«Possono significare qualunque cosa» ipotizza. «Tutto dipende dalla domanda. Tu che cosa avevi chiesto alle carte?»
Di descrivere te in modo da poterti riconoscere al primo sguardo. È questo quello che vorrei dirgli ma non ne ho il coraggio e inizio a pensare che non lo avrò mai.
Lui è così bello e mi viene difficile credere che possa stare con uno sgorbietto scorbutico come me quando ha un’intera fazione di belle ragazze spigliate e compiacenti.
«Io non ho chiesto nulla, è stata Althea a voler sapere come sarebbe stato il mio ragazzo» confesso abbassando lo sguardo.
Eric osserva attentamente tutte le carte e, se non lo conoscessi, direi che sta davvero cercando un’interpretazione di quei sei cartoncini colorati.
«È un guerriero, fedele ai suoi ideali ed equilibrato. È un Intrepido ma viene dagli Eruditi» fa una piccola pausa, prende in mano la carta con disegnato il Toro e domanda: «È daltonico?»
Lo guardo stupita. Pensavo che tirasse fuori un’interpretazione talmente scabrosa da far sembrare casta quella di Althea. Sembra più serio di quanto credevo, ma soprattutto sembra che la descrizione che ha dato gli calzi a pennello. Difficile evitare il pensiero che abbia manipolato il responso a suo favore.
Johanna una volta ha detto che gli uomini, pur di sedurre una donna e sottometterla per placare i loro pruriti sessuali, sarebbero capaci di fare qualsiasi cosa. Si è raccomandata di stare attenta perché portarmi a credere di essere davvero interessati a me è uno dei loro classici trucchi.
Potrebbe essere il mio caso oppure no. Si fottano Johanna, Tori e tutti gli altri, sono stufa di fare sempre quello che mi consigliano gli altri. Ho scelto di venire in questa fazione per essere finalmente libera di decidere solo e unicamente con la mia testa. Io decido di voler sbagliare con la mia testa.
«La tua versione del Toro è decisamente più sensata e casta di quella di Althea» ridacchio e mi sento ridicola a flirtare con lui in un modo così stupido.
«Com’era la sua versione?» domanda spostandosi più vicino a me.
«Non lo vuoi sapere, è…imbarazzante» arrossisco come una bambina.
Eric riflette per un po’ e poi scoppia a ridere.
«Appunto» sospiro mentre raccolgo le carte.
Io decido di sbagliare con la mia testa e tutti gli altri buoni propositi appena fatti sono già andati a farsi un giro fuori dalla recinzione, l’imbarazzo di dire certe cose a Eric è più forte di quanto pensassi. Perché nella mia testa sembra tutto così facile ma quando è il momento di passare ai fatti sembra la cosa più difficile al mondo? Forse dovrei bere qualcosa di molto alcolico, per sciogliermi. Althea lo faceva spesso prima di sparire con Dill.
Questo non è il momento di ubriacarsi, i miei saranno già arrivati al Pozzo, non ho mai bevuto niente di alcolico e vorrei essere sobria quando li incontrerò.
«Dove credi di andare? Devi dirmi che interpretazione ha dato la tua amica» incalza Eric.
«Adesso non posso, ho un appuntamento al Pozzo. Però magari una di queste sere, seduti da qualche parte a bere qualcosa…»
Mi alzo lasciando la frase volutamente in sospeso e mi incammino velocemente verso l’uscita. Sento le guance bollenti e, ne sono sicura, sono più rossa di un pomodoro. Non voglio che lui mi veda in queste condizioni, voglio assomigliare il più possibile alle Intrepide con cui esce e loro non arrossirebbero mai per una cosa del genere.
«Quindi è un sì?» domanda Eric alzando leggermente la voce in modo che possa sentirlo. «Non puoi più tirarti indietro adesso» aggiunge.
Continuo a camminare e arrivata alla porta mi volto un attimo. Lui mi sta osservando con un sorriso che mi fa sciogliere e tutti i miei dubbi e le mie paure sembrano così lontane da non essere neanche un ricordo.
«Sai che lo farò» ricambio il suo sorriso e dopo aver preso un profondo respiro e aggiungo: «però tu, non lasciarmi scappare.»

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Nel Pozzo sono già radunate alcune famiglie, per la maggior parte di Intrepidi, ma riconosco anche volti famigliari di altri trasfazione in compagnia delle loro famiglie.
Noto con piacere che Drew e Molly stanno facendo da tappezzeria, completamente soli, poco distanti dalle scale. Nessuna visita, scommetto che per la loro famiglia è stata una liberazione osservarli mentre facevano gocciolare il loro sangue nella coppa degli Intrepidi.
Poco distante da loro c’è Tris insieme a una donna con capelli raccolti in uno chignon, pantaloni grigi e una giacca grigia abbottonata fin sotto il mento. Si stanno abbracciando e credo che Tris sia sul punto di piangere, posso capirla, io sono nelle sue stesse condizioni e non ho ancora individuato la mia famiglia. Credo che solo vederla da lontano mi renderebbe difficile trattenere le lacrime.
Ho sentito spesso la mancanza dei miei genitori, soprattutto prima di addormentarmi, quando mi immaginavo ancora a pochi passi dalla loro camera e avevo l’illusione che uno di loro sarebbe venuto a confortarmi dicendomi di tenere duro e che ce l’avrei fatta a superare l’iniziazione. Erano solo fantasie per non crollare ma adesso è diverso, saranno qui e saranno reali e questo rende tutto doloroso. Vederli per poche ore e poi non vederli chissà per quanto tempo. Non sono ipocrita, so benissimo che, comunque andrà, io cercherò un modo per incontrarli di nuovo. Non sono capace di tagliarli completamente fuori dalla mia vita e questo è un comportamento sbagliato, qualcosa che devo sradicare da me, ma come si fa a sradicare le proprie radici senza perdersi e crollare? Forse quando sarò più grande questa domanda avrà una risposta accettabile. Vorrei che fosse così ma non credo che accadrà mai.
Cerco tra la folla del Pozzo e, in mezzo a tante sagome scure, ne vedo due con i colori vivaci dei Pacifici. Un uomo magro, con i capelli scuri e un sorriso tirato, accanto ad una donna poco più bassa di lui con i capelli biondo scuro legati in una lunga treccia che chiacchiera con un’altra donna vestita di bianco e nero. Una Pacifica più chiacchierona di una Candida e suo marito, un Pacifico quasi più rigido di un Abnegante. Non c’è da stupirsi che da due elementi come loro sia uscita una persona bizzarra come me.
Allungo il passo e cerco di seguire il consiglio che ci ha dato Eric: non apparire troppo affezionata a loro. Ci riesco, almeno fino a quando i nostri sguardi si incontrano e i loro volti si illuminano. Perdo il controllo del mio corpo e mi ritrovo a camminare così veloce che se avessi corso sarei andata più lentamente.
«Piccola istrice! Sei davvero tu o un’Intrepida ti ha rubato la faccia?» scherza mio padre abbracciandomi così forte che quasi non riesco a respirare.
Tra tutti i soprannomi che mi ha dato, istrice è il suo preferito. Lui dice che siamo identici, coperti di spine che ci proteggono quando ci sentiamo in pericolo ma, nel profondo siamo creature fragili e graziose. Anche io lo trovo appropriato ma ultimamente, a differenza dell’istrice, i miei aculei sono sempre alzati anche in assenza di reali pericoli.
«Ha ragione!» interviene mia madre. «Tesoro, sembri un’altra persona. Te l’avevo detto che con qualche chilo in più saresti stata molto più bella! Ancora qualche sforzo e sarai perfetta.»
Questa storia non avrà mai fine. Mia madre è fissata, per i suoi gusti sono troppo magra, eppure alla mia età era come me, le sue forme si sono ammorbidite solo dopo la mia nascita. Adesso manca solo mio padre e il suo desiderio di un nipotino e sarà tutto com’era prima della mia scelta.
Un tempo non sopportavo queste loro piccole ossessioni, ma adesso mi fanno sentire bene, come se intorno a noi si fosse creata una piccola bolla con dentro tutta l’essenza della mia vecchia fazione. È come tornare a casa, ma adesso è questa la mia casa e questa consapevolezza mi fa salire le lacrime agli occhi.
Non sembrare troppo coinvolti. Quando Eric ci ha dato questo consiglio pensavo si riferisse al fatto di non far notare agli altri Intrepidi di avere ancora un forte legame con la nostra vecchia fazione, ma forse, in un modo tutto suo, voleva metterci in guardia dai rischi che comportava lasciarsi andare a ricordi e sentimentalismi.
No. Eric intendeva quello che ha detto, sono io a dargli una sensibilità che non avrà mai.
«Niente abbracci alla tua sorellina?» domanda una voce alle mie spalle.
Sobbalzo. Lei non può essere qui, sto sognando. Mi volto ma lei è lì, reale come i miei genitori.
«Althea!» esclamo stringendola forte a me.
«Ahi! Mi stritoli! Fate sollevamento treni per caso?»
Non credevo di essere diventata davvero così tanto forte. Allento un po’ la presa ma non la lascio andare.
«Come se riuscita a intrufolarti qui?» le sussurro all’orecchio.
«Ho detto di essere tua sorella e nessuno ha fatto domande» risponde cercando di tenere il più possibile la voce bassa. «In questo posto la sicurezza non esiste, è preoccupante quanto siano creduloni quelli che dovrebbero proteggerci» aggiunge.
«Non sei una pericolosa ricercata ma sono una testa di carota Pacifica. Ti temono quanto un coniglietto paffutello.»
«Testa di carota? Non è affatto carino dire una cosa del genere alla tua unica sorella che ha dovuto affrontare un lungo viaggio per venirti a trovare» dice mia madre, alzando la voce come se volesse attirare l’attenzione su di noi.
All’inizio non ne capisco il motivo, ma poi vedo Eric a pochi passi da noi che ci fissa con sospetto. Sebbene, agli occhi di un Pacifico, gli Intrepidi sembrano tutti uguali, vestiti di nero e coperti da piercing e tatuaggi, è difficile dimenticarsi di un capofazione talmente giovane da poter essere il proprio figlio.
«Scusa mamma e scusa sorella che ha fatto un lungo viaggio solo per me.»
Eric sorride e si allontana lentamente senza staccarmi gli occhi di dosso.
Non avevo già abbastanza problemi, adesso devo pure inventarmi una sorella, ma non ha importanza, averla qui con me mi riempie di gioia, è la più bella sorpresa che mi sia stata fatta in tutta la vita.
«Quello è il capofazione giovane di cui tutti parlano?» domanda mio padre, fissandolo come ha fatto con Neem quando ha scoperto che stavamo insieme.
Mi fa venire i brividi, possibile che si sia accorto di qualcosa in quei pochi secondi che ci siamo scambiati uno sguardo.
«Sì, è lui. Si chiama Eric e sta seguendo personalmente il nostro addestramento» rispondo, cercando di restare fredda e distaccata, come lo sarei se stessi parlando di un normale istruttore e non del ragazzo di cui sono innamorata.
«È lui!» esclama Althea.
«Non cominciare, per favore» mi lamento.
«Lui chi?» incalza mia madre.
Vorrei sotterrarmi o lanciarmi nello strapiombo pur di evitare di ascoltare Althea che racconta la lettura delle carte che mi ha fatto la sera prima della scelta.
«Il ragazzo di Theia. Lo sentivo che ci avevo preso questa volta!» esclama trionfante Althea e poi racconta velocemente l’imbarazzante responso delle carte.
I miei genitori commentano ridacchiando ogni carta rivelata e interpretata. Sono sicura che non la stanno prendendo sul serio, nessuno sano di mente lo farebbe. Semplicemente hanno trovato nuovi spunti per prendermi in giro tutte le volte che mi incontreranno di nuovo. Il lato positivo è che capiterà molto raramente o magari mai. Le fattorie dei Pacifici sono all’esterno dalla recinzione e, se riesco a non farmi assegnare al pattugliamento oltre le fattorie dei Pacifici o alla sorveglianza della recinzione, ho alte probabilità di non incontrarli mai più. Mi sento quasi sollevata, ma so che questa sensazione durerà poco e che accetterò qualsiasi battuta pur di rivederli ancora.
«Brava Theia, è davvero un bel bocconcino» si complimenta Althea dandomi una pacca sulla spalla.
«Stai scherzando? È un capofazione!»
«Questo non vuol dire nulla.»
«Sarà anche un capofazione ma non ti ha staccato gli occhi di dosso da quando sei entrata qui dentro» sottolinea mia madre.
«È vero, ti divorava con gli occhi!»
Althea ormai ha deciso, inutile cercare di farle cambiare idea, è più testarda di me.
«Conosco quello sguardo» interviene mio padre, fissando Eric come se fosse una cipolla che lui ha deciso di voler sbucciare. Rimuovere, strato dopo strato, ogni singolo pezzo della sua corazza fino ad arrivare a scoprire la sua vera essenza, quella che tiene ben nascosta, come facciamo tutti del resto.
«Il giovanotto sembra interessato ma, conoscendo la natura maschile, non so fino a che punto lo sia» conclude.
La cosa non mi aiuta. Non mi aspettavo che lo facesse, nessuno è in grado di capire una persona limitandosi a guardarla, senza conoscerla almeno un po’. Non ci sono riuscita neanche io dopo tutte le nottate passate insieme in palestra.
«Perché non ce lo presenti?» domanda mia madre, guardando me e poi spostando lo sguardo su Eric. Lui di risposta sfodera uno dei suoi inquietanti sorrisi.
«Scherzi? È un capofazione, che figura ci faccio davanti agli altri? Non voglio essere bollata come una lecchina!»
«Vogliamo solo conoscere il nostro futuro genero» si intromette mio padre ridacchiando.
Cosa ho fatto di male per meritarmi una famiglia di matti?!
Non vogliono proprio capire che non è il caso di farli familiarizzare troppo con lui. Ho gli occhi del malefico trio puntati su di me e, ne sono sicura, userebbero contro di me ogni imbarazzante comportamento della mia famiglia. Se mi vedessero presentare Eric ai miei, mi darebbero il tormento per tutta l’iniziazione. Sono certa che, se superassi tutte le fasi dell’iniziazione, loro metterebbero in giro la voce che è stato grazie all’intervento dei Pacifici. Questo non mi farebbe certo amare dai miei compagni di fazione. Una raccomandata non piace a nessuno.
«Ok, va bene. Basta tormentarla, abbiamo tante cose di cui parlare e anche una piccola cosa da fare» interviene in mio soccorso Althea.
So di cosa parla: il nostro piccolo segreto.
Mi guardo intorno. Eric sta parlando con un uomo alto con capelli viola e il corpo coperto di tatuaggi. Mi sta dando le spalle, è il momento di prendere la lettera dal suo nascondiglio d’emergenza e darla ad Althea.
Mentre mi chino e la sfilo dalla scarpa lei mi guarda divertita. Se sapesse che ero a un passo dal farmi beccare non avrebbe tanto da ridere.
L’abbraccio e le infilo la lettera nella tasca della giacca e lei fa la stessa cosa.
Abbiamo provato tante volte questo scambio quando eravamo ancora nella stessa fazione e siamo diventate piuttosto brave in questo strano gioco di prestigio.
Quando mi stacco da lei guardo di nuovo davanti all’entrata del Pozzo, dove Eric stava parlando con l’Intrepido con i capelli viola, ma lui è sparito.
Faccio scorrere lo sguardo su tutte le teste mezze rasate ma non trovo la sua. Sento il panico crescere dentro di me. Non sapere dove sia mi inquieta. Ha il brutto vizio di apparire dal nulla come un fantasma facendomi sobbalzare per la sorpresa di trovarmelo davanti. Non è mai stato un grosso problema, gli lanciavo un’occhiataccia e mi preparavo a qualche battuta pungente o all’ennesimo approccio lascivo. Adesso ho molto da temere. Se ha visto lo scambio di lettere non solo non me la farà passare liscia, ma potrebbe fare del male anche alla mia famiglia.
Resto immobile e mi preparo alla vista dei suoi occhi di ghiaccio che mi fissano con così tanta ferocia da assomigliare a quelli di una belva famelica, ma non succede niente. Lui non compare dal nulla e la gente che mi circonda non sta osservando il crudele capofazione che incenerisce con lo sguardo una famiglia di Pacifici.
Mi preoccupo troppo, è Eric ad essere il centro del mio universo e non il contrario. Probabilmente sarà già andato via, non sembra il tipo da amare le riunioni di famiglia.
Tiro un sospiro di sollievo e dedico tutta la mia attenzione a quello che mi sta raccontando Althea, sorridendo e annuendo come se avessi seguito il suo monologo sin dall’inizio.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


È sera, la mia famiglia è tornata a casa già da diverse ore. In questo momento mia madre starà lavando i piatti e mio padre sarà seduto fuori, sulla sua sedia a dondolo, a guardare il tramonto sopra la città, mentre fuma la sua pipa. Se fossi rimasta con loro, adesso sarei in camera mia insieme ad Althea, a chiacchierare e a sistemarmi i capelli per la sera. Lei uscirebbe con Dill ed io dovrei sopportare le chiacchiere di qualche Pacifico solo come me. Invece sono qui, sotto il complesso residenziale degli Intrepidi, in un freddo cunicolo che dal Pozzo scende verso il fiume. Solamente una cosa non è cambiata: sono sola. Almeno non dovrò fare sorrisi di cortesia e parlare di cose che mi annoiano a morte.
Scendo lungo lo stretto corridoio illuminato solo dalla luce di una torcia che ho rubato nel deposito degli attrezzi. Non posso leggere la lettera di Althea nel dormitorio o al Pozzo, qualcuno potrebbe farmi domande scomode.
Zeke mi ha detto che se scendo fino al fiume, lo attraverso usando le rocce piatte che affiorano dall’acqua e continuo nel corridoio che sale verso la Caverna Segreta, dovrei trovare molti anfratti dove nessuno mi verrà a disturbare.
Dubito che quella grotta sia davvero tanto segreta come dice, visto che ci vanno sempre le coppiette ad appartarsi. Conoscendo gli Intrepidi, quel corridoio sarà più trafficato delle strade del centro nelle ore di punta. In ogni caso, è ancora presto per le coppiette, devono scolarsi parecchie birre al Pozzo prima di decidere che è il momento di imboscarsi.
Arrivo al fiume sotterraneo e cerco di individuare quale siano le famose rocce a forma di hamburger gigante che mi ha descritto Zeke. Io vedo solo acqua che schizza da tutte le parti e, tra un’onda e l’altra, piccole pietre che non saprei centrare neanche se avessero bandierine piantate sopra.
«Non puoi guadare il fiume. La pioggia degli ultimi giorni ha fatto alzare il livello dell’acqua.»
Eric, ancora lui. Silenzioso e letale.
«Mi spieghi come accidenti fai a non far rumore quando cammini?!»
«È un segreto, se te lo rivelassi, poi dovrei ucciderti» risponde, sorridendo in un modo che definirei inquietantemente sexy. «Sei venuta qua sotto a piangere perché ti mancano mamma e papà?» aggiunge, risvegliando il mio veleno.
«No. Sono qui per evitare i rompiscatole ma a quanto pare…» dico, indicandolo con un gesto della mano. «Tu invece cosa ci fai qui? Sei venuto a piangere perché mamma e papà non sono venuti a portarti il tuo orsacchiotto preferito? Quello che hai decapitato quando avevi due anni?»
Eric sorride scuotendo il capo e mi raggiunge sulla riva del fiume. Mi prende tra le sue braccia e mi stringe a sé. Ricambio il suo abbraccio e restiamo immobili mentre spruzzi di acqua gelida sembrano quasi piovere dal soffitto per quanto la corrente è impetuosa. Li sento appena, mi bagnano la pelle nuda delle spalle, ma non sono freddi come dovrebbero essere, ma caldi quasi quanto me. Mi sento andare a fuoco e so bene di chi è la colpa.
Sollevo la testa e guardo in quegli splendidi occhi azzurri sperando in un suo bacio, ma lui continua a fissarmi sorridendo. Sento la sua mano accarezzarmi la schiena e scivolare sui miei glutei. Le sue dita fredde si insinuano lentamente sotto i miei pantaloni per poi ritrarsi immediatamente.
«Sono venuto per questo» dice, mostrandomi la lettera di Althea. «Che cos’è?»
Sono fregata. Inutile chiedermi come fa a sapere della lettera se quando è avvenuto lo scambio lui neanche c’era, ormai non mi stupisco più di niente che riguarda Eric.
Compare all’improvviso, cammina senza fare rumore e, a quanto pare, è onnisciente.
«Niente di importante. Ci sono le indicazioni che mi ha dato Zeke per arrivare dall’altra parte del fiume» dico fingendomi disinteressata a quel pezzo di carta che tiene stretto tra le dita.
«Quindi non è il biglietto che ti ha infilato nella tasca della giacca quella rossa al Pozzo. Come si chiama…» Appoggia sulla fronte l’indice e il medio uniti e finge di faticare a ricordare il nome della mia amica-sorella. Lo sa benissimo, vuole solo fare un po’ di scena per torturarmi meglio.
«Althea» dice, spalancando la bocca e fingendo di essere sorpreso. «Incredibile, tua sorella ha lo stesso nome della tua amica. Quella che ti ha fatto le carte, ricordi?»
Perché non viene subito al punto e non mi spinge nel fiume invece di giocare con me in questo modo?
«Credi di essere l’unico Eric della recinzione? Althea è un nome molto comune nei Pacifici.»
«Avete tutti occhi scuri e capelli scuri nella tua famiglia, come mai lei ha i capelli rossi e gli occhi verdi? È un po’ strano» insinua con un tono di voce che inizia ad assomigliare sempre più a quello di Eric il gelido torturatore di poveri iniziati.
«Magari ha preso da suo padre. Sai, a volte capita che la mamma abbia un bambino da qualcuno che non è il tuo papà. Credevo fosse normale negli Intrepidi, visto i loro comportamenti libertini.»
Credo che Eric sia sul punto di perdere la pazienza. Il suo sorriso svanisce, ma i suoi occhi non si riempiono della rabbia che ho sperimentato più volte sulla mia pelle. Sembrano spegnersi, come se gli avessi dato una grossa delusione continuando a mentirgli spudoratamente.
Sospira ed io mi sento quasi in colpa. Non ho mai visto il suo sguardo diventare così triste e non riesco a non intenerirmi. Sembra così indifeso e forse lo è davvero. Magari è crudele perché la crudeltà è quello che la vita gli ha sempre riservato e adesso sono io ad aggiungere un’altra ferita sopra quelle che hanno segnato la sua esistenza.
«Io e Althea siamo cresciute insieme, è come se fossimo veramente sorelle e…»
Lui sorride ed io capisco di essere un’idiota. Il suo sguardo da cane bastonato era solo una trappola, uno dei suoi tanti trucchi per convincere le persone a confessare. È dannatamente astuto.
«Come facevi a sapere che nascondevo una lettera della mia amica?» domando.
Vorrei imitare il suo sguardo sperando di intenerirlo ma temo che non funzionerebbe, tanto vale mostrarmi sinceramente offesa.
«Me l’hai appena detto tu.»
«Tu me l’hai presa dai pantaloni prima che il tuo finto sguardo da cucciolo tradito mi intenerisse fino a confessare, quindi sapevi già dove cercare» puntualizzo.
«Non lo sapevo, ho sentito qualcosa di strano mentre ti toccavo. Ho solo guardato cos’era, il resto l’hai fatto tutto tu.»
Tiro un calcio a una roccia. Maledetta paranoia. Se avessi mantenuto il sangue freddo e continuato a recitare bene la mia parte, probabilmente me la sarei cavata. Eric non si sarebbe insospettito e mi avrebbe ridato la lettera senza fare troppe storie.
«Aver controllato che sei figlia unica mi ha aiutato molto» ammette, forse impietosito oppure stanco di giocare a “tortura Theia fino a quando non si getterà da sola nel fiume.”
«Ti sei informato su di me, mi hai seguita fino qui senza un valido motivo e…» Lui cerca di interrompermi ma io non gli dò il tempo di dire una parola. «Mi stavi spiando al Pozzo, non è così? Dove ti eri nascosto?»
«Da nessuna parte, ero proprio dietro di te e ho visto la tua amica infilarti questo biglietto nella giacca. A proposito, come è finito nei pantaloni?»
«Nel reggiseno mi dava fastidio.» rispondo con un misto di rabbia e ironia nella voce. «Ora me la ridai, per favore?»
«No. Lo scambio di informazioni tra diverse fazioni è vietato. Sono costretto a confiscarla e dovrei prendere seri provvedimenti se il contenuto mette a rischio la sicurezza della fazione, ma mi limiterò a distruggerla. Questa volta la passi liscia, ma se lo farai di nuovo finirai in guai grossi.»
«Eric, è semplicemente la lettera di un’amica. Probabilmente sarà piena di ricordi e aggiornamenti sulla sua storia con Dill» confesso, è la cosa migliore da fare. «Ci siamo promesse di non scriverci niente riguardo alle iniziazioni e cose riguardanti le fazioni, solo i nostri stati d’animo e le nostre amicizie…» mi mordo la lingua, adesso sa che le lettere sono due e mi tormenterà per sapere cosa ho scritto nella mia.
Eric sorride. So già cosa mi chiederà.
«Tu cosa hai scritto?»
Appunto. Ora posso scegliere se mentire o dichiararmi. Non so quale delle due scelte sia la peggiore. Se mento lo scoprirà e se gli dico che sono innamorata di lui… No. La sola idea mi fa tremare. Un conto è l’essere consapevole che lui sa, un’altra è confessarlo guardandolo negli occhi. È imbarazzante e riesco a immaginare un unico finale: lui che scoppia a ridere ed io che vado in pezzi.
«Niente che possa arrecare danno agli Intrepidi» mento, non voglio venire devastata da un suo crudele rifiuto.
«Hai scritto di me?» domanda, sorridendo malizioso.
Abbasso lo sguardo. Ha fatto centro, la cosa non mi stupisce, anche un bambino ci sarebbe arrivato.
Se fossi una vera Intrepida, come quelle con cui esce, adesso dovrei almeno rispondergli che è così, non sarebbe una vera e propria dichiarazione, ma io non ho il coraggio di farlo. Me ne resto in silenzio tenendo lo sguardo basso. Sono peggio di una ragazzina Abnegante.
«Come vuoi. Ti avrei ridato la lettera della tua amica se mi avessi detto qualcosa sulla tua» guarda frettolosamente l’orologio e poi continua: «Ma adesso è tardi. Ho un impegno molto importante.»
«Un altro dei tuoi finti appuntamenti?»
«No. La classifica di fine modulo verrà esposta tra pochi minuti nel dormitorio. Non sei curiosa di scoprire quante possibilità avrai di restare negli Intrepidi?»
Mi ero completamente dimenticata che questa sera verranno esposti i punteggi. Non saprò se ho superato il modulo fino a domani, quando verranno annunciati i quattro Esclusi, ma potrò comunque farmi un’idea sulle probabilità di farcela. La classifica riguarda solo noi trasfazione, quindi non rivela molto. Alla fine verremo giudicati insieme agli interni e dubito che possano fallire un addestramento che probabilmente hanno seguito per anni. Solo chi sarà in cima alla classifica può ritenersi al sicuro.
Grazie a Eric sono migliorata molto e credo che anche la mia naturale predisposizione a una cattiva gestione della rabbia possa aver contribuito a non farmi finire sul fondo della classifica. Almeno spero sia così. Se il mio nome fosse tra gli ultimi, questa sarebbe la mia ultima conversazione con Eric.
Condannata a una vita da Esclusa e per sempre lontana dal ragazzo che amo. Inizio a capire perché in molti preferiscono lo strapiombo.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


La mia cena di oggi è stata una fetta di torta al cioccolato buttata giù a forza. Adoro le cose dolci ma dopo la chiacchierata con Eric, l’ansia è salita alle stelle. Non tanto per la lettera di Althea, so che l’ha letta appena sono andata via, ma per la classifica. L’ossessione per Eric mi ha fatto dimenticare cose molto più importanti e, dalla sera del nostro incontro piccante in palestra, ho iniziato a concentrarmi più su di lui che sull’addestramento. Avevo sempre la testa fra le nuvole, a parte quando ho combattuto contro Peter, in quel momento non avevo proprio testa, solo furia cieca. Non posso sperare che qualcuno o qualcosa possa far di nuovo scattare l’interruttore della rabbia per farmi svegliare dai miei sciocchi sogni romantici.
La lavagna è ancora a terra, appoggiata contro le gambe di Quattro e girata con il retro verso di noi. Lui è in piedi, con in mano un gesso e guarda annoiato l’orologio.
Quando anche gli ultimi ritardatari si sono radunati intorno a lui, finalmente inizia a parlare.
«Per quelli che sono appena entrati, sto spiegando come vengono calcolati i punteggi» esordisce. «Dopo il primo turno di combattimenti, vi abbiamo assegnato un livello di abilità. Il numero di punti che guadagnate dipende dal vostro livello di abilità e dal livello della persona contro cui vincete. Guadagnate più punti se migliorate e se battete una persona di livello superiore. Non premiamo chi si accanisce sui più deboli. Quella è vigliaccheria.»
Sono certa che l’ultima frase sia riferita a Peter, ma non riesco a non pensare a come mi sono accanita su di lui. È più forte di me e anche una gran carogna, questo è vero, ma non giustifica quello che gli ho fatto. Mi sono trasformata in una bestia furiosa che neanche Eric, che è due volte me, sarebbe riuscito a fermare. Il fatto che sapevo chi era il più forte non mi fa sentire meglio come vorrei.
«Chi ha un punteggio alto perde punti se viene sconfitto da un avversario con un punteggio basso» puntualizza, dandomi un effimero sollievo.
«La seconda parte dell’addestramento ha più valore della prima, perché è più strettamente legata al controllo della paura» prosegue. «Ciò premesso, è estremamente difficile raggiungere una posizione alta a fine iniziazione, se si è ottenuto un punteggio basso nella prima fase.»
Inizio a non sopportare più l’ansia. Spero che Quattro termini in fretta il suo monologo e appenda quella maledetta lavagna alla parete.
Sconfiggere Peter mi ha dato un grosso vantaggio, ma ho anche perso volutamente contro iniziati meno abili di me. So che Eric ha preso parte al calcolo dei punteggi e non ha mai approvato il mio perdere di proposito, soprattutto dopo tutto il tempo e le energie che ha speso per addestrarmi.
Potrebbe farmela pagare, ma sarebbe stupido impuntarsi per una cosa del genere dopo tutto quello che ha fatto per aiutarmi.
«Annunceremo chi non ce l’ha fatta domani» conclude. «Il fatto che voi siate trasfazione e non interni non sarà tenuto in considerazione. I quattro Esclusi potreste essere solo voi o solo loro, ma è possibile qualunque altra combinazione. Detto questo, ecco i vostri punteggi.» Finalmente appende la lavagna al gancio e si sposta per lasciarci vedere la classifica:

1. Edward
2. Peter
3. Will
4. Christina
5. Theia
6. Tris
7. Molly

Sono quinta? Non posso essermi piazzata quinta. Battere Peter deve avere alzato il mio punteggio più di quanto pensassi e perdere contro di me sembra aver penalizzato lui. Non è primo come pensavamo tutti. A quanto pare la stessa cosa sembra essere accaduta a Tris. C’è una logica, potrebbe essere così. Ma Molly? Possibile che Tris mi abbia aiutata a farla scendere in classifica? Sarebbe un bel lavoro di squadra se solo avessi formato una squadra, ovviamente escludendo la pianificazione degli incontri per evitarci nottate in infermeria.
Continuo a scorrere la classifica.

8. Drew
9. Al
10. Myra

Al non è proprio l’ultimo, ma a meno che gli interni abbiano completamente fallito la loro versione del primo modulo, è un Escluso.
Non riesco a non sentirmi in colpa. Lui mi ha fatto vincere quasi tutti i combattimenti e sarà anche colpa mia se verrà sbattuto fuori. Se sapesse che dietro al mio quinto posto c’è anche l’aiuto di Eric sono certa che finirebbe con l’odiarmi a morte.
Non ho la forza di guardarlo, ho paura che riesca a leggermi negli occhi tutti i miei peccati che saranno la causa della sua rovina. Non so neanche se riuscirò a guardarmi io stessa, l’immagine che lo specchio mi mostrerà sarà quella di una persona che si è guadagnata un buon posto grazie alle poco onorevoli attenzioni di un capofazione. Non saprò mai quanto è merito mio e quanto lo devo all’aiuto di Eric.
Peter mi passa accanto senza dire una parola e si siede sulla sua branda.
Non ha detto niente da quando la lavagna è stata appesa, il che, considerata la sua tendenza a lamentarsi di tutto quello che non va secondo i suoi desideri, è molto strano. Non mi sembra la persona che si accontenta di un secondo posto e, quello che più mi preoccupa, è che non mi ha detto nulla su quanto l’aver perso contro di me mi ha aiutata a piazzarmi così bene in classifica.
È troppo calmo e non mi ha rivolto neanche uno sguardo, sta architettando qualcosa. Dovrò guardarmi le spalle perché presto mi piomberà addosso come un avvoltoio ed io sono una preda facile. Questa volta non mi farà infuriare con insinuazioni su Eric, sarà più cauto e non avrò scampo.
Mi allontano velocemente dal dormitorio  e vado al Pozzo: ho bisogno di Eric.
So che è un comportamento infantile correre dalla mamma quando ci si trova davanti a un problema, ma io ho paura e non voglio restare un secondo di più in una stanza con Peter.

Non tutti i miei compagni di iniziazione sono venuti qui a festeggiare, alcuni sono rimasti alla camerata, ma io non mi sento comunque al sicuro.
Eric sta parlando con alcuni Intrepidi e mi dà le spalle. L’unico modo per farmi notare è avvicinarmi a lui e chiamarlo, ma sarebbe stupido dopo l’inaspettato quinto posto. Non mi faccio illusioni, so cosa pensano i miei compagni: Theia non è così brava, ha barato.
«Hey nanetta! Com’è andata?» mi domanda Uriah, dandomi una pacca sulla spalla che quasi mi fa cadere.
«Non male, spero» sorrido alzando le spalle «e a te?»
«Sono domande da fare al grande Uriah? Alla grande!» esclama, bevendo un sorso dalla fiaschetta che tiene in mano. A giudicare dal suo alito deve essere qualcosa di molto alcolico.
«Un sorso?» domanda, allungandomi la fiaschetta.
Dicono che bere alcolici aiuta molto in queste situazioni, farmi trovare ubriaca da Peter però non mi sarebbe di grosso aiuto. Declino l’invito.
«Sei così rigida che sembri una statua! Bevici su!» insiste Uriah.
Sposto lo sguardo e vedo Eric fissarmi ridacchiando. Troppo poco Intrepida per uno come lui? Va bene.
Prendo la fiaschetta e bevo fino a riempirmi la bocca.
Qualsiasi cosa sia è disgustosa. È amara e brucia come se fosse fuoco liquido.
Faccio un verso di disgusto soffiando fuori dalla bocca più aria possibile sperando che dia un minimo di sollievo alla mia gola in fiamme.
Uriah scoppia a ridere e, purtroppo, lo stesso fa Eric a pochi passi da noi.
Non mi arrendo, prendo un altro sorso, che è addirittura più insopportabilmente schifoso del primo, ma fingo che sia la cosa più buona del mondo.
La mia testa inizia a girare però inizio a sentirmi bene, meno nervosa e più leggera. Forse la testa gira in questo modo perché si sta svuotando da tutte le mie paranoie e quando avrà finito sarò euforica come Uriah.
Bevo un altro sorso, forse se aumento la quantità la mia testa si svuoterà più velocemente.
«Hey, non te la bere tutta, lasciane un po’ anche a noi!» si lamenta Zeke, prendendomi la fiaschetta dalle mani.
«Dai, bel ragazzo, solo un altro sorso» dico ridacchiando.
La testa continua a girare, ma io mi sento finalmente serena, libera da tutti i pensieri opprimenti. Ne voglio ancora, è così bella questa sensazione, non voglio tornare ad essere la Theia paranoica. Mai più.
«Zeke, adesso ci provi anche con le iniziate?»
Mi volto e vedo Eric con il suo solito ghigno stampato in faccia. È dannatamente sexy e invitante. Voglio vedere se ha davvero la spada delle carte di Althea.
«Ma che bel torello che abbiamo qui!» esclamo buttandogli le braccia al collo.
Lui si scansa ed io inciampo nei miei passi. Mi afferra per un braccio evitandomi una caduta di faccia sul pavimento di pietra del Pozzo.
«È ubriaca persa. La riporto al dormitorio prima che finisca nello strapiombo» dice Eric con uno dei suoi toni minacciosi che però adesso mi fa ridere a crepapelle.
«Vuoi farlo davanti a tutti gli Intrepidi?» domando senza smettere di ridere.
«Stai buona e tieni bassa la voce» mi intima Eric.
«Ma io voglio vedere la tua spada!» esclamo facendo voltare tutti.
Sento Eric sbuffare e scoppio a ridere. Non so perché sto ridendo ma è divertente.
Ci fermiamo in un posto che conosco ma però non ricordo cosa sia. È assurdo, lo so e non lo so. La cosa mi fa ridere ancora di più.
Davanti a noi c’è un uomo che mi guarda sorridendo. Ha i capelli di tre colori diversi e sta trafficando con qualcosa. Non riesco a vedere cosa sta facendo perché l’uomo sta girando insieme a tutto il Pozzo. Comincio a trovare tutto un pochino meno divertente.
Mi stacco da Eric, barcollo fino a una lastra di pietra e mi ci sdraio sopra. Mi sento un po’ stordita e tutto questo girare mi sta facendo venire la nausea.
«Non provare ad addormentarti. Bevi questo.»
La voce di Eric sembra venire da lontano eppure sento la sua mano che strattona la mia spalla. La afferro e lo tiro verso di me sperando che mi cada addosso così da sentire di nuovo la sua spada, ma lui non si muove di un centimetro.
«Non fare il prezioso» mormoro, cercando di aprire la cerniera dei suoi pantaloni, ma lui mi blocca le mani.
«Se l’avessi saputo, quella mattina, ti avrei portato liquore al posto del caffè» ridacchia ed io faccio la stessa cosa.
«Sei completamente andata. So che me ne pentirò…» dice sospirando, poi lo sento chiamare Quattro.
«Vuoi fare una cosa a tre? Quattro non è male, sarebbe divertente!» esclamo.
«Quattro cosa? Levatelo dalla testa!» ringhia.
«Geloso… tu sei geloso… il mio torello è geloso…» canticchio come una bambina.
Chiudo gli occhi e continuo a canticchiare nella mia mente. Sento una risata, non è di Eric ma sembra una voce maschile.
«Quattro, piantala di ridere. Portala al dormitorio e falle passare la sbornia.»
«Sembrate tanto intimi, perché non lo fai tu?» domanda Quattro. Dal suo tono di voce sembra divertito oltre il consentito. Eric non credo sia un problema per lui.
«Perché è una tua iniziata ed è una tua responsabilità» risponde Eric seccato.
«Andiamoci tutti e tre!» m’intrometto.
Li sento tutti e due ridere e non capisco perché questa sera sono tanto divertente. Eric e Quattro non ridono mai, sembra quasi che i loro visi siano sprovvisti dei muscoli che si usano per ridere.
Mi sento sollevare. Non so chi sia dei due ma non riesco a trattenermi dal mormorare il nome del gelido torello con gli occhi di ghiaccio e la spada, mentre gli accarezzo la base del capo. Quando sento i capelli capisco che non è Eric ma non mi importa, ho soltanto voglia di dormire.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


«Accendete le luci!» urla qualcuno facendomi svegliare di colpo.
Alzo la testa dal cuscino di scatto e un forte dolore l’attraversa come un proiettile. È un dolore lancinante che conoscevo solo grazie alle confidenze di Althea. Non credo berrò più in vita mia.
Apro gli occhi e la luce accesa del dormitorio fa aumentare il dolore alla testa. Mi metto seduta e cerco di capire cosa sta succedendo.
Intorno a me vedo volti bianchi come lenzuoli e occhi sbarrati e capisco che non è un’altra scampagnata notturna. Sento delle voci, ma nella mia testa sembra che al posto del cervello ci sia un cuore che batte come un martello pneumatico.
Edward è a terra, di fianco al suo letto, e si copre il viso con le mani. Dalla sua testa cola del liquido scuro, appena capisco che è sangue sento il mio stomaco rivoltarsi. Non sono una persona che si impressiona per queste cose, ma il dopo sbornia rende tutto più disgustoso.
Tra le sue dita stringe qualcosa di argentato. Le tempie iniziano a pulsare più forte e la mia testa sembra voler scoppiare. Cerco di sforzare gli occhi a mettere a fuoco e alla fine riesco a identificare l’oggetto che Edward tiene ben stretto: è un coltello da burro della mensa e la lama è conficcata nel suo occhio.
Myra, in piedi vicino a lui, si mette a strillare. Grida anche qualcun altro, e qualcuno chiama aiuto. Edward, sul pavimento, si contorce e si lamenta.
Vedo Tris chinarsi accanto alla sua testa, le ginocchia nella pozza di sangue. Uso tutto il mio autocontrollo per trattenere nello stomaco tutto il suo contenuto. Sta cercando di calmarlo, ma Edward continua a urlare e agitarsi. Vorrei poter fare qualcosa ma non credevo che i postumi di una sbornia fossero così fastidiosi. La testa mi scoppia e ogni sussurro è come un chiodo che mi si conficca dritto nel cervello.
Sposto lo sguardo da Edward e cerco di rendermi utile in un altro modo. Passo in rassegna i volti dei miei compagni alla ricerca di qualcuno che non sia terrorizzato o anche solo sbigottito, ma tutti sembrano avere la stessa espressione sconvolta. Tutti tranne quelli che mancano: Drew e Peter.
Peter, vile bastardo, scommetto che dietro a tutto questo c’è lui. Poco furbo da parte sua colpire e poi sparire. Se fosse rimasto nel dormitorio sarebbe un sospettato quanto lo siamo tutti noi, avrebbe anche potuto passarla liscia, ma scappare dal luogo del misfatto è come una confessione. Peter non è molto intelligente, ma neanche così stupido da scegliere Drew, il suo tirapiedi, come alibi. Non è vietato uscire dal dormitorio durante la notte ma è alquanto sospetto in circostanze come queste.
No. Non posso credere che sia davvero uno sprovveduto. L’aggressione è stata premeditata e non dettata da un raptus. Lui deve aver pianificato tutto: rubare il coltello della mensa e aspettare che tutti dormissero per aggredire Edward. L’essere fuggito è stato un errore. Forse ci sto ricamando troppo sopra, accoltellare una persona lascia tracce, probabilmente il sangue di Edward gli è finito sui vestiti ed è per questo che è scappato.
Mentre guardo l’infermiera portare via Edward, seguito da Myra, mi domando perché proprio lui. La risposta non mi piace per niente: con Edward fuori dai giochi, Peter è primo in classifica.
Perché fare una cosa del genere solo per una posizione in una classifica che comunque dominava? Non era tra quelli che rischiano di finire tra gli Esclusi.
Drew è ottavo, lui rischiava di uscire, ma questo non giustifica l’assenza di Peter. Non avrebbe mai accettato di essere l’alibi di Drew rischiando di finire nei guai, non si sarebbe mosso dal dormitorio e avrebbe finto di essere sconvolto quanto noi. Onestamente penso che avrebbe anche fatto la spia facendo eliminare Drew. Venderebbe chiunque per essere tra i migliori. Secondo questa logica, il sospettato numero uno resta Peter.
Mi domando se riuscirà a farla franca. Aggredire nel sonno una persona è vigliaccheria e dovrebbe essere condannata, non solo dagli Intrepidi, ma da tutte le fazioni.
Se ordinassero di indagare non ci metterebbero molto a trovare il colpevole e a punirlo. Sarà ancora così? Ho visto talmente tante crudeltà in questa fazione che inizio a pensare che nessuno muoverà un dito per quello che è successo questa notte. L’unico che sembra avere tutte le qualità di un vero Intrepido è Quattro, ma non può fare molto e la colpa, mi fa male ammetterlo, è di Eric. Non può essere così marcio da insabbiare quello che è accaduto, non può lasciare libera una persona senza scrupoli come Peter.
Mi sdraio e cerco di non pensare di essermi innamorata di un ragazzo tanto crudele. Lo immagino prendere in mano la situazione e punire il colpevole. So che non sarà così, ma quel pensiero almeno mi aiuta a prendere sonno.

Quando mi sveglio il dormitorio è semivuoto e la mia testa sta decisamente meglio.
Mi alzo e il mio sguardo si posa sul letto di Edward: è disfatto. Guardo dalla parte opposta della camerata e anche quello di Myra è nelle stesse condizioni. Se ne sono andati?
Mi avvicino al letto di Edward e apro il baule che conteneva le sue cose. È vuoto. No mi serve aprire anche quello di Myra per capire che anche lei se n’è andata. Loro due stavano insieme da quando erano negli Eruditi. Ha preferito diventare un’Esclusa per non perdere il suo ragazzo. Non è solo romantico, è coraggioso. Rinunciare alla sicurezza del sistema delle fazioni per seguire il proprio cuore sapendo che avrà un’esistenza difficile, ma restando insieme sarà meno dura affrontare un futuro incerto. Sono convinta che Myra abbia fatto la scelta giusta e che il motto “la fazione prima del sangue” sia solo una sciocca utopia e che, alla fine, nessuno ci crede veramente.
Io lo farei per Eric. Sussurra la parte di me che crede ancora nella possibilità che le persone possano cambiare. Seguire un tipo come lui negli Esclusi non solo sarebbe stupido, ma anche patetico. Lui non lo farebbe per me. Se io venissi sbattuta fuori lui neanche se ne accorgerebbe, è troppo preso da se stesso e dalla sua smania di potere. La prima sera, quando l’ho visto parlare con Quattro ho intuito che la sua presenza lo infastidiva e, quando ho scoperto il motivo, ho capito che l’unica cosa che desidera è il potere. Sentirsi il più forte, giocare con le vite degli altri, gli provoca un brivido e un’euforia talmente forti che il solo pensiero di perdere tutto lo spaventa a morte. Io sono solo un passatempo per lui o al massimo una piacevole aggiunta, ma se dovesse scegliere tra me il potere, io perderei miseramente.
Mi vesto velocemente e mi incammino verso l’uscita del dormitorio, ma la lavagna con la classifica attira la mia attenzione.
Qualcuno ha tracciato una linea sui nomi di Edward e Myra e ha cambiato i numeri accanto agli altri nomi. Ora Peter è primo, Will secondo e io sono quarta.
Abbiamo cominciato il primo modulo in dieci. Ora siamo otto.
Chi sarà il prossimo a cadere per mano di un suo compagno?
Non posso accettarlo, devo trovare il modo di convincere Eric a fare qualcosa.

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


La mensa è quasi vuota, non importa, non mi serve l’intera fazione ma solo uno dei suoi membri: Eric.
Le modifiche alla classifica sono state fatte da uno dei nostri istruttori, sicuramente non è stato lui, ma sono certa che l’ordine è partito da lui. Questo vuol dire che per gli Intrepidi quello che è accaduto questa notte non è sufficientemente grave da dover prendere in considerazione un’indagine. Nessuno prenderà provvedimenti, Peter la farà franca e questo proprio non mi va giù.
Prendo un vassoio e salto la fila al buffet fregandomene delle lamentele degli Intrepidi. Mi fermo dietro a Eric che mi lancia una veloce occhiata.
«Come vanno i postumi della sbornia?» mi domanda come se nulla fosse.
«Come vanno le ricerche dell’aggressore di Edward?»
«Quali ricerche?» domanda, mettendo una fetta di pane tostato nel suo piatto.
«Eric, vuoi che inizi a gridare qui davanti a tutti o preferisci trovare un luogo con meno spettatori?» mormoro cercando di tenere a bada il mio veleno.
Lui mi guarda e sbuffa, sollevando gli occhi al cielo come se stessimo parlando di una inutile seccatura invece di un’aggressione avvenuta nella sua fazione.
«Va bene» sospira. «Aspetta che io sia uscito e poi raggiungimi nel deposito attrezzi vicino alla palestra.» Prende dal suo vassoio la tazza di caffè e abbandona il resto su uno dei tavoli della mensa.
Mi domando il motivo di tutta questa segretezza. Perché non possiamo andarci insieme?
La zona vicina alla palestra è sempre deserta, tutti preferiscono il Pozzo, nessuno ci vedrebbe entrare nel deposito. Solamente nei corridoi fuori dalla mensa e intorno al Pozzo c’è gente e non vedo cosa ci sia di strano in due persone che scambiano quattro chiacchiere. Sa benissimo che non gli mancherei mai di rispetto davanti agli altri.
Prendo la mia tazza di caffè e mi affretto ad uscire dalla mensa cercando di scacciare via l’idea che forse lui non vuole farsi vedere insieme a me, perché so che se ci pensassi finirei divorata da assurde paranoie.

Arrivata davanti al deposito trovo Eric seduto su una vecchia panca che beve il suo caffè con una tranquillità che mi manda in bestia. Un iniziato è stato aggredito ma per lui sembra una giornata come tutte le altre.
«Forza, parla, o meglio, aggrediscimi come fai di solito» dice, alzandosi e chiudendo la porta alle sue spalle.
«Tu non mi dai altre scelte. Edward è stato accoltellato, probabilmente da Peter e tu non stai facendo nulla!»
«Hai delle prove?» domanda con voce calma. Inizio a sentirmi presa in giro.
«No, ma chi altro potrebbe essere stato? Sai bene che tipo è, e in più, quando le urla di Edward ci hanno svegliati, lui non c’era nel dormitorio.»
«Interessante teoria. Se non ricordo male, tu e Peter avete avuto uno scontro parecchio acceso. Io stesso ho dovuto separarti da lui.»
«Eric, era un addestramento!» esclamo, ormai sul punto di perdere il controllo.
«Ottima scusa. Hai usato l’addestramento per aggredirlo in modo da passarla liscia e adesso cerchi di farlo sbattere fuori incolpandolo di quello che è successo a Edward.»
«Sai benissimo che non è vero! Perché fai così?» grido, cercando di soffocare il desiderio di tirargli addosso il caffè bollente. «Sei un capofazione, un iniziato dovrebbe far parte delle tue responsabilità.»
«Lui non è più una mia responsabilità.»
«Come?» domando allibita.
«Edward non è più in grado di continuare l’addestramento e quindi non può più far parte dei nostri iniziati.»
«Eric, sei fuori di testa? Un ragazzo è stato accoltellato. Non posso credere che non vengano presi provvedimenti!»
«Non sei più nella bambagia dei Pacifici, ora sei negli Intrepidi e se vuoi sopravvivere devi imparare a guardarti le spalle. Accettalo o vattene» dice, guardandomi con una freddezza che mi fa vacillare.
Io non capisco. Perché mi tratta in questo modo? È tornato ad essere il crudele Eric che tutti conoscono. Tutti tranne me. Lui non mi ha mai trattato con tanta freddezza.
Mi mordo il labbro per cercare di fermare le lacrime ma non ci riesco.
«Perché mi tratti in questo modo?» domando singhiozzando.
«In quale modo?» domanda. Il suo sguardo non è più freddo, ma annoiato. Mi fa sentire come se non contassi nulla per lui e questo mi manda in pezzi.
«Niente. Non ha importanza. Spostati, voglio uscire.»
Lui resta immobile con la schiena appoggiata alla porta. Probabilmente non vuole perdersi la patetica Pacifica che piange come una bambina perché ha finalmente capito di essere semplicemente un passatempo che adesso è diventato solo un noioso peso.
Mi scaglio contro di lui e inizio a colpirgli il petto con le mani strette a pugno.
«Sei solo un bastardo! Uno stupido bulletto senza cervello, freddo come il ghiaccio e probabilmente avevo ragione a pensare che fossi un deviato, no anzi, neanche quello, sei solo una grandissima carogna che si diverte a giocare con i sentimenti delle persone!»
Le sue braccia si chiudono intorno a me. Non fa nulla per fermare i miei colpi, si limita semplicemente ad abbracciarmi restando in silenzio.
Io continuo a colpirlo con rabbia perché quello che ha fatto non ha senso, prima mi tratta come se tra di noi non fosse mai successo nulla e poi mi stringe a sé.
Forse è solo un modo crudele per prolungare la mia agonia. Forse lui è come quegli assassini che uccidono le loro vittime soffocandole, stringendo le mani intorno al loro collo fino a quando non perdono i sensi e poi le rianimano e ricominciano da capo.
È questo il significato del suo abbraccio, mi sta solo rianimando per poi ricominciare a soffocarmi.
Alla fine mi arrendo e affondo il mio viso nel suo petto lasciando che le lacrime scendano come pioggia. Può farmi quello che vuole, non credo sarà in grado di ferirmi ancora di più.
«Ci sono delle regole che vanno seguite anche se non le troviamo giuste» dice, accarezzandomi i capelli. «È una cosa necessaria se vuoi andare avanti. Devi riuscire ad accettarlo, ma se pensi di non farcela, forse è meglio non proseguire.»
«Quindi se non lo accetto devo lasciare gli Intrepidi?» gli domando.
«Non mi riferivo agli Intrepidi.»
«Non capisco…» mormoro alzando lo sguardo. Davanti a me c’è di nuovo il mio Eric, quello con il sorriso angelico e gli occhi limpidi.
È troppo per me. I suoi cambiamenti d’umore iniziano ad essere devastanti. Scivolo via dal suo abbraccio e barcollo fino a una pila di vecchi materassini.
Lui si siede accanto a me e mi prende le mani tra le sue.
«Non sono come mi immagini e forse neanche come desideri che io sia. Ci sono molte cose che non sai di me e temo che non tutte ti piaceranno, ma sono cose che devo fare. Io sono sicuro che, con il tempo, riuscirai ad accettarle, ma non posso rivelartele fino a quando non sarò certo che non mi tradirai e…» si interrompe e mi guarda dritto negli occhi. Le sue labbra tremano come se avesse paura e i suoi occhi sono lucidi. Lo sento inspirare profondamente e, come se fosse la cosa più difficile del mondo ma allo stesso tempo una liberazione, esclama: «al diavolo!»
Mi prende tra le sue braccia e mi bacia con veemenza.
Non so e non mi chiedo se rivedrò ancora il gelido Eric, ma sento che se mi abbandono completamente a lui, non m’importerà più quale dei due si mostrerà a me, saprò che il ragazzo che mi sta stringendo a sé con tanta passione, sarà sempre dentro di lui.
La porta si apre di colpo e una figura scura entra senza neanche accorgersi di noi, almeno fino a quando non arriva a pochi passi dalla pila di materassini su cui siamo seduti.
È Quattro. Per un attimo ci osserva confuso, poi fa velocemente dietrofront e si richiude la porta alle spalle. Eric impreca e io inizio a averne piene le scatole di tutta questa segretezza.
«Perché non vuoi farti vedere con me?» gli domando contrariata.
«Cosa ti aspettavi? Passeggiate mano nella mano? Serate insieme al Pozzo? Sei ancora un’iniziata» esclama infastidito. Questa sua reazione conferma la mia ipotesi: non vuole far sapere a nessuno che usciamo insieme.
«Pessima scusa, da un Erudito mi sarei aspettata qualcosa di più credibile.»
«Non è una scusa» dice, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Io non ho problemi a lasciar pensare a tutti che sono stato io a farti entrare negli Intrepidi, ma tu?»
«Già mi guardano con sospetto per essermi piazzata quinta, figuriamoci se scopro che esco con te. Quindi…» faccio un profondo respiro, «non possiamo vederci fino a quando non sarò entrata?»
«Dovremo solo stare più attenti. Cosa ne dici di questa sera al fiume?»
«Non so se riuscirò a ritrovare la strada senza la mappa di Zeke» dico, sperando che si ricordi della lettera che mi ha confiscato. «L’hai distrutta?»
«No. Te la porto questa sera. Però dopo averla letta devi ridarmela. Se qualcuno la trova non potrò fare nulla per aiutarti.»
Annuisco e inizio a fantasticare sul mio primo vero appuntamento.
Ho bisogno di un vestito carino, un po’ di trucco e i consigli di Althea su cosa fare e cosa evitare. Purtroppo lei non è qui ed io dovrò cavarmela da sola.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Ho freddo. Potevo almeno portare un giubbino per ripararmi dall’acqua del fiume che sembra avere un radar: ovunque mi metto riesce a colpirmi con schizzi gelati.
Un giubbino però avrebbe rovinato l’effetto di questo vestitino attillato e talmente corto da sembrare una maglietta. Mi sento un po’ a disagio, nella mia vecchia fazione mettevo sempre abiti lunghi, ma le Intrepide indossano quasi tutte abiti succinti e io non voglio essere da meno. Lui è abituato a uscire con ragazze che si vestono in questo modo e non voglio sembrare una ragazzina inesperta. Cosa che sono realmente, ma spero che vestirmi in maniera così provocante possa aiutarmi ad essere più disinvolta.
Eric sbuca fuori dal tunnel e si blocca appena mi vede. Ha un sorriso al limite dell’osceno e fa scorrere il suo sguardo più volte lungo tutto il mio corpo. La cosa mi imbarazza, non sono abituata a vestirmi in questo modo e soprattutto ad essere guardata con così tanta insistenza. In fondo è quello che volevo, allora perché mi sento così tanto a disagio?
Lui non smette di fissarmi, dovrei esserne felice, ho fatto centro, ma adesso tremo all’idea di quello che vorrà fare. Se una ragazza si mette un vestito provocante lo fa solamente per farselo togliere ed io non so se sono ancora pronta a riprendere da dove ci siamo fermati quella notte.
«Eric, devi giocare alla bella statuina ancora per molto? Sto gelando.»
Dovrei contare fino a dieci prima di dire qualsiasi cosa. Volevo solo farlo smettere di fissarmi in quel modo ma ho peggiorato la situazione. Dire che ho freddo è come spalancare le gambe. L’ho appena invitato a saltarmi addosso.
Lui si avvicina lentamente a me e mi bacia.
Theia, pensa prima di parlare! Mi rimprovero.
Lo sento levarsi la giacca e le mie gambe sembrano diventare gelatina. Non può davvero iniziare a fare i suoi comodi senza neanche offrirmi qualcosa da bere o almeno fare due chiacchiere. Non voglio che accada in questo modo, è tutto troppo veloce e non c’è tenerezza. Siamo in un luogo freddo e squallido e non voglio farlo per la mia prima volta contro un’umida parete di roccia con il vestito sollevato. Non sono il tipo che pretende che sia tutto perfetto, ma speravo in un posto dove non devo preoccuparmi che qualcuno possa sbucare dal tunnel in qualsiasi momento.
«Copriti o il prossimo modulo lo passerai in infermeria con la febbre alta» dice, mettendomi sulle spalle la sua giacca.
Io ne approfitto per spostare la sua attenzione dal mio corpo mezzo nudo a qualsiasi altra cosa.
«Il prossimo modulo? Questo vuol dire che ho superato la prima fase?» gli domando. Faccio qualche passo indietro e poi mi siedo su una roccia.
«Sì, sei passata. Dovremmo festeggiare.»
Mi allunga una fiaschetta ed io ripenso a quanto sono stata male la scorsa notte. Non voglio ripetere l’esperienza ma soprattutto preferisco mantenere integre le mie facoltà mentali per non rischiare di trovarmi contro una parete con il vestito sollevato. Dovrà aspettare, o almeno portarmi in un posto meno squallido.
«No, grazie. Penso che non berrò più alcolici per un bel po’ di tempo.»
«Ci ho messo qualcosa di analcolico. Non voglio passare la serata a tenerti la testa.»
«E come farò a scaldarmi senza alcol?» domando pentendomene all’istante.
Cosa mi è preso? Sto flirtando con lui. Eric non è Neem, non farà tutto quello che gli dico e non si fermerà sul più bello come faceva lui. Neem è una persona arrendevole e facile da controllare. Forse è per questo che non ero molto attratta da lui, ubbidiva ai miei ordini come un cagnolino. Eric è tutto l’opposto e non credo che, quando avrò le mani nei suoi pantaloni, mi permetterà di tirarmi indietro.
«Ti scaldo io» dice, tirandomi a sé e costringendomi a sedermi a cavalcioni sulle sue gambe.
Inizia a baciarmi sul collo e io mi irrigidisco, aveva ragione, sono una stupida verginella.
«Eric…io…» balbetto.
Stupida verginella e anche codarda.
«Lo immaginavo, ma ci ho provato lo stesso.»
«Scusami ma ho i miei tempi e poi questo posto…» indico con il cenno del capo le rocce dure e fredde accanto a noi. «Insomma è squallido. Non sono una di quelle che si fa viaggi mentali con candele e petali di rosa, ma un letto almeno…» abbasso lo sguardo e aggiungo: «ma forse io non sono da letto, ma da una botta e via contro una parete».
Solo dopo aver pronunciato quelle parole realizzo che forse Eric vuole veramente solo fare sesso. Quello che mi ha detto nel deposito degli attrezzi, il fatto di non volere che nessuno ci veda insieme, sembrano i pezzi mancanti di un puzzle che sta finalmente mostrando il suo squallido disegno.
Sono una stupida, come ho potuto pensare che lui cercasse qualcosa di più.
Devo andarmene da qui, quello che ho detto mi ha mostrata per quello che sono: patetica.
Cerco di alzarmi ma lui mi stringe più forte.
«Pensavo che non ti importasse il dove» mi sussurra.
«Forse il posto no, ma m’importa il perché» ringhio.
«Quello l’avevo capito» dice sorridendo.
Lo guardo allibita. Sa cosa desidero e se ne frega. Se non lo avessi fermato lui si sarebbe divertito e poi mi avrebbe scaricata senza problemi, tanto nessuno avrebbe mai scoperto nulla.
Gli tiro uno schiaffo ma lui mi blocca stringendomi il polso.
«Quello che non capisco è perché reagisci sempre così male.»
«Sai come stavano le cose e tu ci hai provato lo stesso!»
Sono a un passo dal liberare tutto il mio veleno.
«Ti sei presentata mezza nuda, cosa avrei dovuto pensare? E poi non intendevo andare fino in fondo, solo farti scoprire parti di un ragazzo che ancora non conosci.»
Questa poi, mi sta parlando come se fossi una bambina Abnegante! Conosco quelle parti e so cosa farci, ho fatto pratica con Neem. Solo che con lui era diverso, mi sentivo sicura e rilassata, ma con Eric è tutta un’altra cosa. Lui mi sconvolge completamente. La prima volta che mi ha baciata ho provato sensazioni che Neem non è riuscito a scatenarmi in mesi passati ad annaspare nelle mie mutandine.
«Le conosco, non sono così inesperta come credi» dico usando lo stesso fastidioso tono di voce degli Eruditi. «Stavo insieme a un ragazzo l’anno scorso…»
«No, un momento. Se sei già stata a letto con qualcuno perché mi hai fatto credere di essere ancora vergine?» mi interrompe lui.
«Non siamo andati fino in fondo, ma ci siamo andati vicini» rispondo arrossendo.
«Ho capito. Ti ha scaricata perché non eri brava e adesso tu hai paura che accada di nuovo» insinua.
«No! L’ho lasciato io perché non volevo seguirlo negli Abneganti!» esclamo indignata.
«Era un aspirante Rigido?» Scoppia a ridere. «Qualcosa mi dice che non ti ha fatta divertire molto.»
Mi infastidisce ammetterlo ma ha ragione. Però non è stata tutta colpa sua, ero io il problema. Stavo con lui solo perché volevo essere come Althea, provare le stesse cose che provava lei, ma non ha funzionato. Avrei dovuto essere, non dico innamorata, ma almeno attratta fisicamente da Neem.
«Neem è un bravo ragazzo ed era anche abile in certe cose. Il problema ero io…»
«Sei frigida?» mi interrompe di nuovo.
«Cretino!» esclamo colpendolo al petto con la mano aperta. «Non era il ragazzo giusto per me, speravo che lo fosse ma non lo era.»
«Sapevo anche questo, me l’ha detto la tua finta sorella» dice prendendo la lettera di Althea dalla tasca dei pantaloni.
«Dammela!»
«Non ancora. Non vuoi prima sapere…come diceva lei…» fa scorrere lo sguardo sulla lettera e poi continua: «Che effetto fa sentire le dita di un vero uomo che accarezzano il caldo paradiso che hai tra le gambe?»
«Te lo sei inventato, lei non scriverebbe mai certe cose.»
«Hai ragione, me lo sono inventato, però so che tu sei curiosa di scoprirlo» dice con sguardo sornione.
Certo che lo sono, ma vorrei che fosse un ragazzo che è per metà te e per metà Neem a farmelo scoprire. Un ragazzo che mi fa scaldare come Eric ma che è dolce come Neem. Un ragazzo che non avrebbe mai fatto quella crudele battuta sulla mia virtù.
«Anche se fosse?» domando, ricominciando a flirtare.
Eric non risponde. Mi solleva il viso con le dita e mi bacia. Un lungo bacio dolce e lento che mi fa sciogliere.
So che non dovrei lasciarmi andare, non fa parte dei miei piani concedergli subito ciò che vuole, ma non riesco a resistere alla sua passione. Lui ha il potere di farmi perdere completamente la testa e questo mi spaventa ma sento che è così che deve andare. È solo un piccolo assaggio, niente di più. Non mi sto svendendo, ma lo sto solamente stuzzicando, gli offro un frammento di ciò che lo aspetta se mi dimostrerà che fa sul serio.
Lascio che la sua mano scivoli sul mio seno e gli permetto di scendere sempre più giù, fino ad arrivare oltre il limite consentito.
Questa volta non intendo tirarmi indietro, anche se il solo pensiero mi fa tremare, voglio sentire quello che si prova quando un vero uomo mi accarezza proprio lì.
Non riesco a credere che gli sto permettendo davvero di farlo, mi ero promessa di non concedergli niente fino a quando non fosse stato pazzo di me, invece eccomi qui con il vestito sollevato e la mia mano che scende velocemente verso quella parte del suo corpo che ha insinuato essermi totalmente sconosciuta.
Theia, nessuno comprerà la mucca se può avere il latte gratis.
Scaccio dalla mente le parole di Johanna. Mi sento così serena e appagata, non voglio rovinare tutto con le mie stupide paranoie.
Lui non se ne andrà, non mi abbandonerà.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Eric è andato via. Non mi piace questa regola di non farci vedere insieme, ma in fondo ha ragione, se gli Intrepidi ci vedessero passeggiare mano nella mano penserebbero che sarà solo grazie a lui se supererò l’iniziazione.
È vero, mi ha addestrata, è un buon vantaggio, ma sono stata io a battere i miei avversari. Io ho fatto finire Peter al tappeto mandandolo dritto in infermeria e sarò sempre io a dover affrontare la seconda parte del modulo.
Eric mi ha spiegato che mi inietteranno una sostanza che scatenerà le mie paure e dovrò affrontarle da sola, lui e Quattro si limiteranno solamente a fare da spettatori. Da quello che ho capito deve essere qualcosa di simile al test attitudinale, solo che le immagini che scorreranno sullo schermo saranno create da me. Mi troverò faccia a faccia con le mie paure, il solo pensiero mi terrorizza, inizio a pensare che non riuscirò a superare il secondo modulo.
Nell’oscurità del corridoio, che mi separa dalla prima serie di tunnel, sento il rumore di sassolini calpestati, mi volto per capire da dove proviene e due mani emergono dal buio e mi afferrano. Una preme sulla mia bocca e l’altra mi trascina verso l’uscita sul fiume. Cerco di divincolarmi ma il mio aggressore non molla la presa.
«Sta ferma, cagna» sussurra la sgradevole voce di Peter.
Ancora prima di sentire la sua voce sapevo che era lui, mi aspettavo una sua mossa, ma non credevo che si sarebbe fatto avanti così presto. Devo mantenere la calma, se mi faccio prendere dal panico farò la stessa fine di Edward.
Mordo la mano che mi tiene tappata la bocca e lo sento soffocare un urlo. Peter mi lascia andare e impreca guardando il sangue colare dalla sua mano. Mi complimento con me stessa, un bel morso, al bastardo serviranno dei punti, possibilmente messi senza usare l’anestetico.
«Solo un codardo aggredisce una ragazza in questo modo» dico sputando il suo sangue.
Lui scatta verso di me, ma io riesco a schivarlo. Inciampa su una roccia e cade pericolosamente vicino al fiume.
Mi basterebbe un calcio per farlo finire tra le acque gelide che lo trascineranno chissà dove, facendo rimbalzare il suo corpo contro le rocce e riducendolo a una poltiglia sanguinolenta.
No, non posso desiderare una cosa del genere per un essere vivente, anche se si tratta di Peter il bastardo. Io non sono un mostro, colpisco solo per difendermi e non per uccidere.
Tentenno, solo per un attimo, lui ne approfitta e con un balzo è subito sopra di me.
Questa volta non riesco a schivarlo, ma almeno non cado all’indietro. Resto in piedi e questo mi dà ancora qualche possibilità di ribaltare la situazione.
Cerco di spingerlo via, ma purtroppo lui è molto più forte di me e riesce a bloccarmi contro la parete.
Avrei dovuto colpirlo quando era vicino al fiume e liberarmi di lui definitivamente. Non sarebbe stata crudeltà ma sopravvivenza.
«Che bel vestitino» mormora. «Vediamo cosa c’è sotto.»
Infila un coltello nella scollatura e lo spinge verso il basso. Sento la lama fredda sfiorarmi la pelle mentre il sottile strato di stoffa si lacera come se fosse fatto di carta velina.
Questa volta non ha rubato un coltello da burro, ha la lama seghettata ed è molto affilato, non viene dalla mensa, deve essersi spinto fino in cucina per rubarlo.
Se mi muovo rischio di ferirmi con la lama, non posso fare altro che aspettare che la allontani da me e poi colpirlo sperando che indietreggi anche solo di qualche passo. Quando lo farà mi lancerò contro di lui e lo spingerò nel fiume. Nessuno piangerà la sua morte, nemmeno io: la sua vita per salvare la mia.
«Sei un po’ piatta… cosa porti, la prima o la seconda scarsa?» domanda con un tono di voce che mi fa rimpiangere di non averlo ucciso quando ne ho avuto la possibilità.
Mi preme il coltello sulla gola e sento la punta fredda della lama pizzicarmi la pelle.
«Il tuo Eric si è svuotato per bene, ma non ti ha scopata. Posso capirlo, c’è ben poco di interessante sotto questo vestito.» Mi prende per i capelli e mi fa voltare verso il muro senza allontanare il coltello dal mio collo. «Non ti preoccupare, sarò magnanimo, non ti farò morire vergine.»
Le sue parole mi fanno gelare il sangue. Non finirò come Edward, non me la caverò con una ferita, lui mi ucciderà.
Il mio interruttore della rabbia sembra essersi inceppato e al suo posto è scattato quello del pianto. Cerco di ricacciare indietro le lacrime ma non ci riesco. Il pensiero che solo qualche minuto fa ero in questo posto, al sicuro tra le braccia di Eric, mi fa scoppiare a piangere.
Appoggio la fronte contro la parete e ripenso a tutti i momenti che ho passato insieme a Eric. Se devo morire voglio che sia lui il mio ultimo pensiero.
«Ma che bel quadretto, una Pacifica indifesa e un Candido morto.»
Per un attimo penso che la voce di Eric sia solo nella mia testa ma poi lo vedo a pochi passi da noi. Ha le braccia conserte, sembra rilassato ma i suoi muscoli sono talmente tesi da tremare e il suo sorriso non è mai stato così inquietante e minaccioso.
Credevo di aver visto l’apice della furia di Eric ma mi sbagliavo. Io e lo sventurato Peter ci troviamo davanti alla sua parte oscura, un concentrato di pura malvagità che, per mia fortuna, scatenerà la sua ira contro il mio aggressore.
«Metti giù il coltello e allontanati immediatamente.»
La voce di Eric è calma, scandisce lentamente ogni sillaba.
Tutti noi abbiamo imparato sulla nostra pelle le sfumature della sua voce: più sembra calma e più lui è furioso.
Peter lascia cadere il coltello e indietreggia lentamente. Ha la bocca spalancata e trema come una foglia.
«Cosa stavi facendo?» gli domanda piantandogli addosso due occhi piccoli come spilli.
Peter balbetta qualcosa di incomprensibile nel vano tentativo di giustificarsi anche se sa benissimo che qualsiasi cosa dirà non lo salverà dalla furia del più spietato capofazione della storia.
Eric, con una calma che mette i brividi, si leva la giacca e me la porge. La indosso e la tengo chiusa con le mani perché del mio vestito nuovo non restano che piccoli brandelli di stoffa nera e viola.
«Vieni più vicino, non ti sento» dice, facendo segno a Peter di avvicinarsi, e lui stupidamente obbedisce.
Non può fare altro, allontanarsi o scappare peggiorerebbe solo la situazione.
Eric lo afferra per la giacca e lo spinge violentemente contro alla parete facendogli sbattere la testa. Peter sembra sul punto di farsela addosso.
«Senti scarafaggio. Se ti vedo anche solo guardarla ti farò pentire di essere nato. Fai parola di quello che è successo qui sotto con me e ti troveranno morto in fondo allo strapiombo» Lo scaraventa a terra e aggiunge: «Se trovo anche solo un taglietto sul suo corpo verrò a prendermela con te, è chiaro?»
Lui annuisce e resta immobile, completamente paralizzato dalla paura.
«Adesso sparisci se non vuoi scoprire di persona dove porta quel fiume» ringhia Eric.
Peter cerca di alzarsi ma sembra che le sue gambe non abbiano intenzione di collaborare. Si trascina sulle rocce cercando di alzarsi ma inciampa un paio di volte prima di riuscire a mettersi in piedi e correre via.
«Tutto bene, piccola?» domanda prendendomi tra le sue braccia.
Annuisco e mi stringo forte a lui. Ora sono al sicuro.
Questa sera è stato tutto così surreale, fare quelle cose con lui e sentirmi finalmente serena, svuotata da ogni paranoia, ma poi è arrivato Peter e con lui il terrore che quel momento sarebbe stato il primo e l’ultimo. Nemmeno per un attimo ho pensato di sopravvivere all’aggressione e quando mi sono arresa al mio destino, Eric è tornato e mi ha salvata.
È strano, come avrà fatto a sentirci? Era andato via da una decina di minuti, con la sua andatura avrebbe dovuto essere già al Pozzo e con il baccano degli Intrepidi non ci avrebbe sentiti nemmeno se avessimo urlato a squarciagola.
«Come hai fatto a sentirci dal Pozzo?»
«Ero in fondo al corridoio. Aspettavo di sentire i tuoi passi avvicinarsi prima di spostarmi un po’ più avanti. Quando non ti ho vista arrivare ho pensato di venire a vedere cosa stavi combinando.»
Quindi mi stava tenendo d’occhio, aspettava di vedermi sbucare da uno dei tunnel per usare il suo magico passo felpato per nascondersi in quello successivo e così via fino a quando non fossi arrivata all’ingresso del Pozzo e quindi al sicuro. Se si preoccupa così tanto della mia incolumità forse vuol dire che ci tiene davvero a me.
Lo guardo con un sorriso malizioso. Voglio che confessi il motivo che lo ha spinto ad agire in quel modo. Ora sono sicura che non vuole solo divertirsi, ma ho un disperato bisogno di sentirglielo dire.
«Smettila di guardarmi in quel modo. L’ho fatto solo perché sei maldestra e potevi inciampare da qualche parte» si giustifica.
Non gli credo. La sua voce dice una cosa ma il debole rossore delle sue guance smentisce quello che ha appena affermato.
«Non l’hai fatto solo questa sera, vero?»
Non risponde, ma io sono certa che questa non è stata la prima volta. Lui mi ha tenuta d’occhio anche in luoghi che non erano pericolosi come questi tunnel e soprattutto quando ancora non ero uno dei bersagli di Peter. Ci scommetterei tutti i miei pochi punti moneta che, dopo l’aggressione di Edward, Eric ha iniziato a temere seriamente che Peter mi avrebbe fatto pagare la mia vittoria contro di lui.
«Andiamo via di qui» mi sussurra, sfiorandomi la tempia con le labbra.
«No. Non voglio tornare al dormitorio dove quel bastardo mi starà già aspettando con i suoi amichetti.»
«Non ti farà niente, non è così stupido» cerca di rassicurarmi. «In ogni caso non stiamo andando al dormitorio.»
«Allora dove andiamo?» domando.
Cerco di immaginare dove ha intenzione di portarmi e l’unico posto che mi viene in mente è la torre. Spero che mi permetta di usare le scale perché le mie gambe stanno ancora tremando e non riuscirei a scalarla di nuovo neanche se lui mi aiutasse.
«Andiamo in un posto tranquillo e sicuro.»

Eric dovrebbe rivedere la sua definizione di “posto tranquillo e sicuro” anche se effettivamente nessuno verrebbe mai su un tetto in piena notte e con un temporale che avanza rapidamente verso la residenza.
Mi dimentico sempre di essere negli Intrepidi, magari potrebbe essere un loro punto di ritrovo per ululare alla luna oppure per fare una gara di arrampicata estrema. In ogni caso, non è un buon posto per passare la notte, fa ancora fresco ed io sono praticamente nuda.
Mi guardo intorno e, a parte la cima del vano ascensori, non c’è altro, solo un lungo e piatto tetto. Da questo lato del complesso residenziale non ci sono torri o strutture che possano ripararci dal vento e dal temporale che ormai è quasi sopra di noi.
Eric si sporge dal parapetto e mi fa segno di raggiungerlo.
Scuoto il capo e non mi muovo di un centimetro.
Non conosco benissimo il complesso, ma so che da quel lato non ci sono edifici più bassi con buchi nel centro e reti su cui atterrare sani e salvi, ma solo i binari del treno. Proprio qui sotto ci siamo radunati per la serata dello strappabandiera e le rotaie erano al livello della strada. Noi siamo parecchi piani sopra.
«Vieni o preferisci il temporale?» domanda, indicando i lampi che illuminano il cielo notturno rendendo spettrali le sagome scure dei grattacieli del centro.
«Sempre meglio che rompermi l’osso del collo» mormoro non molto convinta di volerlo seguire.
«È un salto di quattro metri, se ti rompi il collo per così poco, hai sbagliato fazione.»
Mi avvicino e mi sporgo mentre lui scavalca il parapetto.
Sotto di noi c’è una specie di terrazzo, largo due metri al massimo, che termina con un muretto di mattoni che, dal punto in cui mi trovo, sembra così basso da non arrivarmi neanche alle ginocchia. Se non atterro nel punto giusto non ci sarà niente a fermare la mia caduta se non i binari della ferrovia, sette piani sotto di me.
Eric salta e atterra senza problemi nel centro di quel terrazzo, non perde neanche l’equilibrio, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Certo, lui l’avrà fatto un milione di volte e da altezze maggiori. Il mio massimo è stato saltare giù dal ramo di un castagno. Poco più di due metri e mi sono slogata una caviglia. Adesso i metri sono raddoppiati e io indosso stivali con il tacco.
«Eric non so se sia una buona idea, forse potrei tornare al dormitorio e…»
«No. Aggrappati al parapetto e lasciati cadere, ti prendo io.»
L’idea di dormire a pochi metri dal ragazzo che mi ha minacciata con un coltello mi aiuta a vincere l’imbarazzo di una rovinosa caduta proprio sotto gli occhi di Eric. So che dovrei temere più per la mia incolumità che per la mia reputazione da Intrepida, ma sembra che per me l’unica cosa davvero importante sia fare bella figura con Eric.
Scavalco il parapetto, mi aggrappo a una delle sbarre verticali della ringhiera e punto i piedi sulla parete di cemento. Non è tanto difficile, almeno fino a quando i miei piedi non iniziano a camminare nel nulla ed io mi ritrovo appesa alla base della ringhiera a scalciare nel vuoto. Alla fine Eric è riuscito ad appenderne un’altra nel vuoto, almeno sotto di me non c’è un fiume impetuoso.
«Smettila di tirare calci o ti lascio appesa lì tutta la notte» esclama Eric afferrandomi una caviglia. «Decidi tu, io non ho fretta e guardarti sotto la gonna è un passatempo piacevole.»
Mollo la presa sperando di cadergli addosso e fargli male, ma lui mi prende al volo ed io resto imbambolata a guardarlo.
Le mie mani sono appoggiate sulle sue spalle e le mie gambe sono strette saldamente ai suoi fianchi, non so come sono finita in questa posizione, ma ci resterei per sempre.
«Hai un bel sedere, lo sai?» mormora con uno dei suoi sorrisi osceni.
Questo basta a farmi tornare con i piedi per terra, nel senso letterale del termine.
«Era un complimento, quanto sei malmostosa.»
Si avvicina a una finestra semiaperta e la spalanca completamente.
«Cosa stai facendo?» domando tenendo la voce bassa, come se stessimo per entrare di nascosto in casa di qualcuno, cosa che probabilmente stiamo facendo.
«Rientro a casa» si limita a rispondere.
«Dalla finestra?»
«Se vuoi facciamo il giro ed entriamo dalla porta, ma dobbiamo camminare su quel cornicione per raggiungere le scale antincendio» dice, indicando uno stretto cornicione che si perde nel buio.
«La finestra è perfetta.»
Un giorno pagherà per questa rocambolesca passeggiata fatta solo per non farci vedere insieme dagli altri.
«Perché tanta segretezza? Quattro ci ha visti mentre ci baciavamo, ormai lo saprà tutta la fazione» gli faccio notare.
«Quattro sa tenere la bocca chiusa.»
«Cosa ti dà tanta sicurezza?»
«Se lui parla, anche io parlerò. Conosco le sue origini» risponde, aiutandomi a scavalcare il davanzale della finestra.
«Non è un grande vantaggio, si vede lontano un miglio che era un Abnegante.»
«Lui non è un semplice Rigido.»
«Cosa intendi?» domando, seguendo la sua voce per orientarmi nel buio.
«Stai attenta al…»
«Ahi!» esclamo, sbattendo il ginocchio contro qualcosa di rigido.
Sento le dita di Eric sfiorare la manica della giacca ma non fa in tempo ad afferrarmi ed io cado di faccia su qualcosa di morbido.
«…divano» dice, accendendo la luce.
Un’altra bella figura, Eric penserà che sono un’idiota totale.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


L’appartamento di Eric è come l’avevo immaginato: spartano, ordinato e con molti libri.
Gli Intrepidi non sono esattamente amanti della lettura, ma ero fortemente convinta che Eric non avesse mai reciso completamente il suo legame con gli Eruditi. Avevo ragione.
Poco distante dal divano su cui sono caduta, c’è un macchinario come quello che mi ha costretta a usare per allenarmi e, appeso al soffitto, un sacco da boxe.
In casa ha tutto quello che gli serve per tenersi in forma ma va comunque ad allenarsi nella palestra del complesso. È una cosa strana. Lui non sembra un ragazzo molto socievole, l’ho visto parlare poco con i suoi compagni di fazione, forse vuole solo pavoneggiarsi davanti alle Intrepide che, come me, potevano passare dalla palestra e ammirarlo a petto nudo. Dentro di me si fa prepotentemente largo un’altra ipotesi, l’Intrepida era solo una: io.
È assurdo, mi conosceva appena, perché avrebbe fatto una cosa del genere? Non ci vuole un attimo per innamorarsi, o forse sì? Non nascondo che lui è stato l’unico pensiero costante sin dalla prima volta che l’ho visto. Non me ne sono resa conto subito ma continuavo comunque a pensare a lui, poi ho cercato di reprimere ma Eric era sempre al centro dei miei pensieri. Sarebbe bello se anche per lui fosse stato così, ma non mi faccio illusioni, i maschi ragionano in modo diverso. Non si innamorano, desiderano possedere, almeno all’inizio, poi con il tempo magari anche loro cominciano a provare sentimenti profondi come noi femmine.
Eric non è come tutti gli altri, non so neanche se è in grado di amare davvero un’altra persona. L’ha detto lui stesso che probabilmente non è come sogno che sia. Vorrei andarci con i piedi di piombo ma ormai sono completamente persa, non c’è modo di tornare indietro. Spero solo di non soffrire troppo.
«Metti questo» dice passandomi un golfino. Si volta di spalle e incrocia le braccia.
Non me lo aspettavo, non è da lui. Dovrebbe gustarsi la scena con un sorriso lascivo e invece decide di fare il cavaliere.
Lo indosso e mi lascio scappare un sorriso quando mi accorgo che è più lungo del vestito che indossavo. Mi sento così minuscola dentro il suo golfino che per un attimo dubito della mia scelta. Sono sempre stata esile, è la mia costituzione ed è completamente inadatta a questa fazione. So che ci sono molti lavori che potrebbe svolgere una persona mingherlina come me, come il centro di controllo e la mensa, ma avrebbero poco a che fare con l’essere una vera Intrepida.
Lui è Eric, ha un corpo da urlo ed è un capofazione, non può stare con una pseudo Intrepida, lui può avere di meglio.
«Che hai?» mi domanda sedendosi accanto a me.
«Niente, sono ancora un po’ scossa per quello che è accaduto questa sera.»
In parte è vero, ma sentire di non essere all’altezza per uno come lui è un grosso peso.
«Non dovresti. Sei un’Intrepida.»
Gli lancio un’occhiataccia e lui abbassa lo sguardo.
«Non me la cavo bene in queste cose» ammette imbarazzato. «So che sei sotto shock ma devi imparare a superarlo e farlo il più velocemente possibile.»
«Voi Eruditi non dovreste fare corsi di psicologia? Non eri tra i migliori, vero?»
«Sappiamo come funziona la mente ma siete voi Pacifici quelli bravi a confortare le persone.»
«Non dovresti, ci sono io adesso» dico in tono dolce. «Ti bastava dire questo.»
«Quindi dovrei mentirti? Sai che non posso proteggerti da tutto…»
«Lo so benissimo, ma le persone hanno bisogno di qualcuno che dica loro che andrà tutto bene anche se non sarà così» lo interrompo.
Possibile che da solo non ci arriva? Non voglio credere che sia così limitato.
«Sarebbe una bugia ma darebbe un attimo di sollievo, mi farebbe sentire al caldo e al sicuro.»
«Tu sei al sicuro» dice prendendomi in braccio e portandomi oltre la fila di armadietti di metallo che credo sia una specie di tramezzo per dividere la camera da letto, se così si può chiamare, dal resto dell’appartamento.
Mi fa sdraiare sul letto e inizia a spogliarsi. Dovrei voltarmi come ha fatto lui, ma mi limito ad abbassare lo sguardo. Non voglio approfittarne, è la situazione ad essere diversa. Sarò paranoica ma ancora non riesco a fidarmi completamente di lui, in fondo non ha fatto che provarci da quella sera in palestra.
Spero di vederlo allontanarsi e prendere dei pantaloni e una maglietta, ma non è così, resta con solo i boxer addosso. Si china su di me ed io mi volto dall’altra parte. Non posso credere che ci sta provando dopo quello che mi è accaduto questa sera.
«Adesso cosa c’è?» domanda, come se non fosse normale girare in mutande con una ragazza in casa.
«Non me la sento di…» non riesco a finire la frase ma sicuramente non sarà difficile per lui capire cosa intendo dire.
Eric sospira e dice: «Infila le mani sotto il cuscino.»
Titubante, faccio quello che mi ha detto e mi ritrovo a stringere tra le mani una maglietta e dei pantaloni.
«Capisco quando non è il momento» sbuffa mentre indossa la versione Intrepida di un pigiama. Il nero inizia ad uscirmi dagli occhi.
«Al caldo e al sicuro.» Si infila sotto le coperte e aggiunge: «Vieni.»
Scivolo sotto le coperte e tra le sue braccia. Eric mi stringe a sé e mi massaggia la schiena.
Al caldo e al sicuro. È davvero così che mi sento adesso e vorrei che questo momento non finisse mai, ma so che domani mattina sarò di nuovo al freddo, sola accanto al mio aguzzino.
Ripenso a quello che ha detto questa sera quando mi puntava un coltello alla gola: Il tuo Eric si è svuotato per bene. Peter era lì mentre Eric ed io… oh no, che imbarazzo, lui ci ha visti fare quello che abbiamo fatto. Ma questo non è il peggio. Non è la prima volta che Peter mi sputa addosso veleno ricordandomi cose che ho fatto con Eric.
Quel maledetto mi segue da un bel pezzo, da quando ancora non ero una minaccia per lui o forse, sono diventata pericolosa proprio perché ha notato che Eric aveva un interesse personale nei miei confronti. La cosa non mi piace.
«Non trovi che il comportamento di Peter sia un po’ inquietante?» domando.
Eric mi guarda perplesso, in effetti non sono stata molto chiara. Non so se inquietante sia l’aggettivo giusto, ma come potrei definire uno che spia le coppiette? Maniaco sarebbe perfetto. «Io credo che ci stia spiando.»
«Cosa te lo fa pensare?»
«Prima che tu arrivassi ha detto una cosa che può sapere solo chi era lì mentre io e te…» lascio la frase in sospeso e arrossisco. Non riesco proprio a dirlo davanti a lui. In teoria, se ho avuto il coraggio di farlo dovrei essere in grado anche di dirlo ma sembra che le parole scivolino fino alla mia bocca per poi bloccarsi sulle labbra. Una vera Intrepida non sarebbe imbarazzata a dire certe cose, forse dovevo scegliere di unirmi agli Abneganti.
«Cioè lui ha detto…» provo ma non riesco neanche a ripetere la frase di Peter. Mi sento patetica.
«Ho sentito tutto» interviene, forse per togliermi dall’imbarazzo.
«Sei stato lì sin dall’inizio e hai lasciato che mi tagliasse il vestito e mi puntasse un coltello alla gola? Perché non hai fatto niente?»
Lo fulmino con lo sguardo e lui fissa il soffitto per un attimo ma poi i suoi occhi sono di nuovo nei miei.
«Cercavo di non perdere il controllo» fa una pausa, si massaggia la fronte e poi aggiunge: «Se fossi intervenuto subito gli avrei spezzato il collo.»
«Quindi non volevi fargli del male» dico con un tono di voce quasi accusatorio, come se volessi fargli notare che la crudeltà fa parte di lui e l’averlo graziato non è un comportamento che ci si aspetta dallo spietato Eric.
«Forse non sono crudele come tutti pensate» dice amareggiato.
Non intendevo accusarlo, io forse sono l’unica che crede che in lui ci sia una parte buona. Lui non è bravo a confortare le persone e io non sono brava con le parole, o meglio, non sono brava a collegare il cervello alla bocca e finisco sempre con il dire la cosa meno appropriata. Però qualcosa non mi convince nel suo comportamento.
Eric non fa sconti a nessuno, ma soprattutto, ogni cosa che fa è calcolata, pianificata per ottenere qualcosa.
«No, io non credo che tu sia sadico. Però è strano che dopo quello che ha fatto tu abbia deciso di risparmiarlo» cerco di ponderare bene le parole ma non ci riesco molto bene, così preferisco essere schietta e sincera: «Cosa c’è sotto?»
Eric sospira, come se fosse sul punto di confessare qualcosa che potrebbe ferirmi e che avrebbe preferito tenere per sé.
«Peter può tornarmi utile. Vuole raggiungere i vertici e…»
«Quindi mi fai rischiare la vita per comodità?!» lo interrompo scivolando via dal suo abbraccio. Non vado molto lontano, le sue forti braccia mi stringono riportandomi in quella calda e sensuale prigione.
«Lasciami finire» dice, appoggiandomi un dito sulle labbra per zittirmi. «Ha del potenziale ma non molto cervello. Può diventare un ottimo tirapiedi ed è vero, mi fa comodo, ma lui non ti farà del male. Fare del male alla donna del tuo capo non ti aiuta a fare carriera e quindi tu sei al sicuro.»
«Quindi sono costretta a sopportarlo e magari scherzarci pure?»
«No, però almeno evita di provocarlo. Ho bisogno di idioti come lui, facilmente plagiabili. Ti ho detto che c’erano cose che non ti sarebbero piaciute e questa è una di quelle.»
Gli servono persone come Peter? Sbruffoni, facili da manipolare e crudeli. Cosa hanno a che fare questo tipo di persone con gli Intrepidi? La prima ipotesi che mi suggerisce la mia mente è inquietante: un esercito. Muscoli e crudeltà senza un minimo di cervello, burattini da usare per arrivare a qualcosa, ma cosa? Non credo per difendere, piuttosto per attaccare.
Mi fido di Eric ma chiedergli se sta mettendo su un esercito mi spaventa, non solo perché non so contro chi verrà usato, ma anche perché sapere troppo potrebbe mettermi in una posizione pericolosa. Essere una Divergente sembra già di per sé un pericolo e… gli serve per eliminare i Divergenti… Questa ipotesi mi spaventa a morte. Se fosse così, io sarei uno dei bersagli di Eric e del suo spietato esercito.
«Sei troppo pensierosa questa sera. Non hai voglia di parlare, sfogarti o qualsiasi cosa un Pacifico consiglierebbe?» domanda ignaro che ciò che mi preoccupa di più non è l’aggressione. Dopo l’ipotesi della guerra ai Divergenti, sembra una sciocchezza quello che è accaduto questa sera.
«Mi farebbe sentire meglio parlare d’altro.»
«Tipo?»
«Eric, non lo so… qualcosa che mi aiuti a distrarmi, a non pensare a…» faccio un profondo respiro e aggiungo: «A tutto questo.»
Mi dà un bacio sulla fronte e poi allunga un braccio verso la sedia su cui ha riposto con cura i suoi vestiti. Fruga nelle tasche dei pantaloni e tira fuori un biglietto tutto stropicciato.
Lo apre, si schiarisce la voce e inizia a leggere.
«Cara Theia, vorrei scrivere che da quando te ne sei andata sono accadute tante cose ma mentirei, qui non cambia mai nulla. L’unico avvenimento degno di nota è l’arrivo dei trasfazione, che Johanna ha trasformato in una gara di gentilezza al limite della pazzia. Se prima i Pacifici ti sembravano gentili in modo assurdo, dovresti vederli adesso, mettono i brividi.»
Eric cerca di trattenere una risata ma quando mi vede sorridere, si lascia andare.
«Riuscite ad essere ancora più gentili? Cosa fanno, vi drogano?» domanda divertito.
«Secondo me, mettono il siero della pace nell’acquedotto» cerco di trattenere una risata ma è difficile dopo aver passato sedici anni nei Pacifici. «Nel periodo dell’iniziazione sono tutti così gentili da non sembrare umani. Davvero, sono grotteschi!»
«Ora capisco perché hai ignorato il risultato del test e sei scappata. Come hai fatto sopravvivere per sedici anni in mezzo a quei matti?»
«Evitandoli il più possibile, altrimenti mi toccava una dose extra del siero» rispondo ridendo.
«Che effetto fa?»
Io sono un’esperta sul siero della pace, me ne hanno dato talmente tanto che non mi stupirei se nell’infermeria ci fosse uno scaffale interamente dedicato a me.
Il siero va somministrato in base al peso ma con me spesso sbagliavano le dosi ed io finivo col girare per la fazione con un sorriso ebete in faccia trovando ogni cosa buffa, anche una foglia o un filo d’erba. Althea cercava di tenermi buona e riportarmi nella mia camera ma io riuscivo sempre a sfuggirle. Ho fatto divertire molto i Pacifici saltellando per i campi ridendo e mandando baci a tutti.
«Ti calma e ti rende più tollerante e mite. Però…» cerco di trattenermi dallo scoppiare a ridere. «Spesso sbagliavano la dose, me ne davano troppo e così vagavo per la residenza ridendo come un’ebete.»
«Tu che ridi? Dovrò procurarmi un po’ di quel siero» scherza Eric.
«Te ne metterò una dose nel caffè. Voglio vederti ridere, cantare e suonare il banjo.»
«Piccola Pacifica traditrice saresti capace di farlo davvero. Ricordati che sono io quello che controllerà le tue simulazioni e potrei intervenire e vendicarmi.»
«Puoi inserirti nello scenario?» domando. Intravedo una piccola possibilità di evitare che qualcuno scopra che sono una Divergente. Se quello che ha detto Tori è vero, avere qualcuno che mi copre sarebbe la mia salvezza.
«Sì, è una cosa che si può fare.»
Perfetto, o quasi. Eric è l’unica persona che non dovrebbe sapere che sono una Divergente.
Vorrei ma non posso fidarmi di lui, è ancora troppo presto e il mio segreto sembra essere molto più pericoloso che lasciarsi scappare qualche informazione su come vengono scelti i nuovi membri degli Intrepidi. Alla fine non mi ha confessato niente, non ha detto che fanno comodo alla fazione ma a lui ed è normale scegliere spiriti affini.
«Ti sei di nuovo persa nei tuoi pensieri» mormora sfiorandomi la tempia con le labbra. «È tardi, domani inizierà il secondo modulo. Devi riposare.»
Sfiora le mie labbra con le sue e, premendo la sua fronte contro la mia, aggiunge: «Non ti preoccupare, ci sono io adesso».

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


«Piccola Istrice…»
Una voce maschile e una mano che mi massaggia la spalla mi svegliano da un sogno strano ma bellissimo. Non so dove fossi ma c’era un lago immenso ed era talmente limpido che si vedevano i pesci nuotare. Erano pesci stranissimi, con colori talmente vivaci da non sembrare veri. Lo sciabordio delle onde era piacevole da ascoltare, quasi ipnotico.
Voglio tornare nel sogno, i campi aspetteranno.
«Papà… lasciami dormire ancora un pochino…» mormoro con la voce impastata dal sonno.
«Papà?!» esclama la voce maschile.
Ormai lontana da quel meraviglioso sogno, la mia mente comincia a snebbiarsi ed io ricordo che ora sono un’Intrepida e che quella non era la voce di mio padre.
Apro gli occhi di colpo e vedo Eric seduto accanto a me che ride di gusto.
Un’altra bella figura.
«Mio padre mi chiama così, come facevi a saperlo?» domando stiracchiandomi.
«Giornata delle visite» si limita a dire.
Fantastico, Eric ha il passo felpato di un gatto e l’udito fine come quello della tarma della cera, sarei curiosa di conoscere quali altre assurde doti ha, se solo non si manifestassero quando dico o faccio qualcosa di stupido.
«Tra tutti i soprannomi che mi ha dato quello è il suo preferito. Lui dice che siamo identici, coperti di spine che ci proteggono quando ci sentiamo in pericolo, ma nel profondo siamo creature fragili e graziose» dico con una punta di orgoglio.
«È vero, ti descrive alla perfezione. Almeno per quanto riguarda gli aculei, l’altra parte è appena percettibile.»
«Non è che hai fatto molto per farmi abbassare gli aculei. Sembravi più interessato a farmi spostare la coda di lato» mi lamento.
«Dovrai rinfacciarmi ancora per molto quello che è accaduto in palestra? Non è colpa mia, sembravi più smaliziata la prima volta che ti ho vista» sbuffa.
«Smaliziata?!» esclamo indignata. «Per tua informazione, adesso sto agitando la mia coda munita di aculei a sonaglio.»
«Ok, non mi caricare. Non ho uva ma del caffè, va bene lo stesso?» domanda ridacchiando.
Gli Eruditi sanno proprio tutto, anche se conoscere i gusti dell’istrice non so che utilità possa avere per il benessere delle fazioni.
Eric mi dà una tazza di caffè fumante e poi sparisce dietro la fila di armadietti.
Chissà se anche lui trova di cattivo gusto l’arredamento degli Intrepidi. Probabilmente la casa in cui viveva prima, oltre ad essere divisa in stanze, aveva anche mobili veri e non ferraglia riciclata.
Il letto su cui sono sdraiata è una semplice rete metallica con sopra un materasso e sia le librerie che i due comodini sono scaffali di metallo che probabilmente un tempo erano in qualche polveroso magazzino. Non ho mai visto la casa di un Erudito ma la immagino piena di mobili in legno, o al massimo in fòrmica, completamente bianchi, asettici come i loro laboratori. È un luogo comune, ma in fondo è vero che le abitazioni rispecchiano un po’ la fazione, ad esempio, le case dei Pacifici sono in legno grezzo, dalle pareti e i pavimenti fino ai mobili.
Eric ricompare dalla fila di armadietti con in mano una busta di plastica dalla quale tira fuori degli abiti neri.
«Li ho presi a caso dal tuo baule. Non so se sono i tuoi preferiti ma vedi di farteli piacere perché ho dovuto aspettare che si svuotasse il dormitorio.»
Il pensiero che lui sia andato al dormitorio per prendermi dei vestiti mi manda in brodo di giuggiole, ma torno in me appena mi accorgo che oltre ai vestiti ha preso anche la biancheria intima. È imbarazzante. Non solo perché ha frugato in qualcosa di molto personale, ma anche perché ha preso quella che di solito uso durante gli allenamenti in palestra. È molto comoda ma è orribile e fa parte di quelle cose che non mostrerei mai a un ragazzo.
«A caso? Sicuro di non aver scelto l’intimo più brutto di proposito?»
«Perché? Cos’ha di male? Sembra comodo» risponde candidamente.
Dal suo sguardo capisco che non l’ha fatto apposta. Probabilmente non dà molto peso all’intimo a differenza di me. La cosa assurda è che noi ragazze ci mettiamo cose carine ma scomode solo per loro sperando che lo notino ma, a quanto pare, è tutta fatica sprecata.
«Eric, sarà anche comoda ma è inguardabile!»
«Sta sotto i vestiti, nessuno la vede» piega la testa di lato e stringe gli occhi. «La trovo appropriata per una simulazione da sola con il Rigido.»
«Non me ne frega niente di Quattro, sei tu quello che non doveva vederla!»
Lui mi guarda confuso ed io mi pento di aver speso i miei pochi punti moneta per il vestito che ho indossato ieri sera. Probabilmente Eric non l’ha neanche notato, i suoi sguardi non erano per il vestito ma per quello che lasciava scoperto. Aveva ragione Johanna: tutti i ragazzi sono uguali, inutile sperare.
«Un momento. Sola con Quattro? Mi lascerai da sola?» domando preoccupata.
Aveva promesso di aiutarmi e invece mi lascia sola proprio il primo giorno, quando ho più bisogno di lui.
«Sei diventata paonazza perché ho frugato nella tua biancheria, vuoi davvero che io sia con te quando ti risveglierai urlando e piangendo?» domanda guardandomi dritta negli occhi. «Oltre ad essere molto orgogliosa, tu hai paura di perdere il controllo, ma capiterà ed essere lì in quel momento ti farebbe sentire peggio.»
Ha ragione. Sapere che lui è accanto a me mi aiuterebbe ma non ho pensato a quali saranno le mie condizioni quando la simulazione sarà terminata. Affronterò le mie paure e non sarà un dolce risveglio. Lui vedrebbe le mie paure e poi vedrebbe me nel panico più totale. Lui è un Intrepido, non ha paura di nulla, le mie paure gli sembreranno infantili e la mia reazione esagerata. Sarei la Pacifica fifona e non la temeraria Intrepida che sogno di essere.
«Adesso ti spiego meglio cosa dovrai affrontare oggi» dice con voce calma.
Si alza e si volta in modo da lasciarmi un po’ di privacy mentre indosso l’imbarazzante intimo e la divisa degli iniziati.
«Qui utilizziamo una versione più avanzata della simulazione» mi spiega. «Un siero diverso e niente fili né elettrodi per te, solo l’operatore li avrà, in modo da vedere cosa sta succedendo. Nel siero c’è un minuscolo trasmettitore che invia i dati al computer.»
«Quindi potrà vedere tutto quello che c’è nella mia testa?» lo interrompo.
«No. Solo la paura che stai affrontando» risponde sorridendo come se stesse parlando a una bambina di tre anni. «Oltre a contenere il trasmettitore, il siero stimola l’amigdala, che è la parte del cervello responsabile della gestione delle emozioni negative, come la paura, e quindi induce un’allucinazione. L’attività elettrica del cervello viene trasmessa al nostro computer, che traduce la tua allucinazione in un’immagine simulata che l’operatore può vedere e registrare. Una volta finito invierà la registrazione a noi capifazione che la esamineremo.»
Questa non è affatto una buona notizia. Non saranno solo Quattro ed Eric a vedere la mia simulazione, ma anche gli altri capifazione. Se faccio qualcosa di sbagliato, come è capitato al fratello di Tori, farò la sua stessa fine. Tutto sarà registrato ed Eric, anche se volesse, non potrebbe aiutarmi in nessun modo.
George ha attirato l’attenzione perché era molto bravo e veloce a superare le simulazioni, quindi l’unica cosa che posso fare è metterci più tempo possibile.
«Nel test attitudinale, le allucinazioni, o quello che erano, svanivano dopo aver fatto una scelta, è la stessa cosa che accadrà con il vostro siero?» chiedo.
«No. L’allucinazione scompare solo quando ti calmi, cioè quando il battito cardiaco rallenta e la respirazione torna sotto controllo.»
Tiro un sospiro di sollievo, andare in panico dovrebbe venirmi facile con in corpo un siero in grado di scatenare le mie paure.
Parte del problema è risolto ma resta comunque un aspetto che non sono in grado di gestire: le paure che appariranno nella registrazione.
Il mio più grande timore è che qualcuno scopra che sono una Divergente e se si presentasse questa paura sarei spacciata. Tutti vedrebbero ciò che sono ed io finirei come il fratello di Tori. Dubito che Eric possa fare qualcosa per convincere gli altri capifazione a non farmi fuori.
Mi immagino in una di quelle simulazioni. Sono nella saletta del test attitudinale ma al posto di Tori ci sono tutti i capifazione degli Intrepidi. Gli specchi della sala si trasformano in enormi monitor sui quali scorrono le immagini del mio test attitudinale. Io sono sveglia, mi hanno legata alla poltrona e costretta ad osservare ciò che ho fatto quel giorno e mi stanno giudicando, come la giuria in un processo. Ad ogni mia scelta vedo i capifazione parlottare tra di loro e quando arrivo all’ultima, quella dove tiro il freno d’emergenza dell’autobus, le immagini svaniscono e al loro posto appare, a lettere alte quanto me, la parola DIVERGENTE. Tutti smettono di parlare e mi osservano con stupore. Restano immobili come statue, tutti tranne Eric. Lui si avvicina a me, estrae la pistola e, con uno sguardo glaciale, mi la punta alla testa. Un lampo, un esplosione e poi il buio eterno.
«Theia, calmati. Saranno solo allucinazioni, non corri nessun pericolo» esclama Eric prendendomi le mani.
Non mi sono resa conto di aver stretto talmente tanto i pugni da essermi ferita i palmi delle mani con le unghie.
«Come fai a dirlo, c’è gente che è morta!» mi lascio stupidamente scappare.
Eric scoppia a ridere.
«Te l’ha detto Zeke? È una cosa che i membri raccontano agli iniziati per spaventarli, lo fanno tutti gli anni. Nessuno è mai morto. Se il tuo battito cardiaco aumenterà troppo l’operatore interromperà la simulazione.»
Questo è confortante, peccato che la mia paura sia un’altra e, per fortuna, lui non l’ha intuito.
Forse dovrei confessargli che sono una Divergente, so che è un azzardo ma ho più possibilità di salvarmi se ne parlo solo a lui. Se tutti i capifazione scoprissero la verità osservando le mie simulazioni non avrei scampo.
Tori ha detto che è pericoloso, che è l’ultima persona a cui dovrei svelare il mio segreto, ma è anche l’unica che potrebbe aiutarmi. Se mi addestrasse a superare le simulazioni senza destare sospetti sarei salva, ma come faccio ad essere sicura che lui non mi ucciderà appena confesso? Se fosse solo una trappola come ha detto Tori?
«Mi sentirei più tranquilla se la prima simulazione la facessimo solo noi due, da soli» dico tenendo lo sguardo basso.
«Non ti preoccupare, la prima simulazione non viene tenuta in considerazione, è una specie di punto di partenza. Non ci aspettiamo che siate perfetti sin dall’inizio, quello che ci interessa è quanto riuscirete a migliorare» mi strizza l’occhio a aggiunge: «E per quello ci sarò io ad aiutarti.»
Vorrei che andasse come spera, ma ho una brutta sensazione. Forse è solo paranoia ma sento che questa storia non finirà bene.
«È ora. Ho detto a Quattro di farti entrare per prima» guarda l’orologio. «Ma sei già in ritardo quindi ti conviene fare in fretta.»
Annuisco con poca convinzione. Eric mi guarda e sospira. Non sembra seccato ma piuttosto preoccupato.
«Esci dalla porta sul retro, io sarò lì ad aspettarti» dice dandomi un bacio sulla fronte.
Lo abbraccio ed esco velocemente dal suo appartamento, un altro minuto con lui e avrei confessato cosa sono. Non mi sento ancora pronta a perderlo. So che al massimo guadagnerò solo qualche ora, ma almeno avrò la possibilità di rivederlo di nuovo prima di dirgli addio per sempre. Non mi faccio illusioni, la simulazione mi smaschererà.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Sono in ritardo ma sembra che nessuno abbia fatto molto caso alla mia assenza. Tutti sono seduti in silenzio e osservano la porta della saletta delle simulazioni.
Mi siedo accanto a Tris e osservo i miei nuovi compagni di iniziazione. Ne conosco solo tre, Uriah che è di fronte a me, Marlene seduta alla sua sinistra e Lynn alla sua destra. Zeke direbbe che è beato tra le donne ma non mi sembra molto a suo agio. Non credo sia per le due ragazze accanto a lui ma per quello che c’è dietro alla porta chiusa.
Interni e trasfazione sono stati tenuti separati durante il primo modulo, ma d’ora in poi ci addestreremo insieme, ce l’ha detto Quattro prima di sparire nella camera delle torture. Non ci sono mai entrata ma so cosa succede là dentro: un faccia a faccia con le proprie paure. Se non è una tortura, che altro può essere?
Dalla stanza in fondo al corridoio esce solo un mormorio, e ho il sospetto che anche questo faccia parte del gioco che a loro piace giocare con noi: terrorizzarci ogni volta che è possibile.
La porta si apre e Quattro mi fa un cenno. «Theia, tocca a te.»
Mi alzo e cammino velocemente verso la sala, voglio farla finita in fretta.
Dentro c’è una poltrona reclinabile di metallo, simile a quella su cui mi sono seduta per il test attitudinale, e lì accanto c’è la macchina che già conosco. La stanza non ha specchi ed è quasi al buio. Su un tavolo, nell’angolo, c’è il monitor di un computer.
«Siediti» mi invita Quattro, prendendomi per un braccio e spingendomi avanti.
«Che simulazione è?» chiedo, fingendo di non sapere nulla.
«Mai sentito la frase “affronta le tue paure”?» dice lui. «Noi la prendiamo alla lettera. La simulazione ti insegnerà a controllare le emozioni durante una situazione di paura.»
Mi tocco la fronte con una mano tremante. Le simulazioni non sono reali, non rappresentano una minaccia reale, per cui non dovrei preoccuparmi, ma dopo quello che mi ha detto Tori so che non è così.
Mi lascio cadere sulla poltrona e faccio un profondo respiro. Sono terrorizzata ancor prima di iniziare, spero che questo non aumenti il potere del siero.
Sento un picchiettio e giro la testa per vedere che cos’è. Quattro ha in mano una siringa con un ago lunghissimo, piena di un liquido arancione.
Ci siamo. Faccio un altro respiro profondo per cercare di calmarmi ma non serve a nulla.
Quattro mi spiega cosa succederà, ma è come se la sua voce provenisse da molto lontano. So già cosa capiterà, voglio solo che accada velocemente.
Mi sposta il braccio e infila delicatamente la punta dell’ago nella pelle morbida del collo. Un dolore profondo mi si diffonde in tutta la gola. Cerco di concentrarmi sul suo viso tranquillo.
«Il siero farà effetto entro sessanta secondi.»
Sono le ultime parole che gli sento dire prima di vederlo sparire insieme alla sala e tutto quello che contiene.

Sono in un posto buio e nell’aria c’è un forte odore di terra e acqua stagnante. Fa freddo e sono immersa fino alla vita nell’acqua torbida e melmosa. Pareti di roccia mi circondano e non mi ci vuole molto a capire dove mi trovo: sul fondo di un pozzo.
Alzo lo sguardo e vedo il cielo, sembra lontano chilometri, un piccolo cerchio azzurro alla fine di un lunghissimo tunnel.
Inizio a gridare per chiedere aiuto perché non si può fare altro quando si cade in un pozzo, solo sperare che qualcuno venga attirato dalle urla.
Grido fino a sentire la mia gola bruciare ma nessuno compare il quel piccolo cerchio di cielo. Vedo l’azzurro diventare arancione e poi, piano piano, scurirsi fino a diventare nero.
Quante ore sono passate? Da quanto sono qui? Troppo. È notte e la zona dei pozzi è lontana dal complesso dei Pacifici. Nessuno verrà a salvarmi, morirò qua sotto.
Scoppio a piangere e batto i pugni sulle pareti. Le sento vibrare, come se fossero vive ed si stessero lamentando per i miei colpi. Un rombo sale dal fondo del pozzo e tutto intorno a me inizia tremare. Sassi e terra iniziano a cadermi addosso, cerco di proteggere la testa con le braccia ma appena stacco le mani dalla parete, perdo l’equilibrio e cado all’indietro finendo sott’acqua. La sento entrarmi in bocca, ha un sapore disgustoso. Mi alzo di scatto e sbatto la testa contro la roccia della parete.
Tutto questo non ha senso. Penso quando mi accorgo che il pozzo si è ristretto di quasi un metro e l’acqua è salita: ora mi arriva quasi alle spalle.
Cerco di arrampicarmi ma le pareti sono troppo scivolose ed io troppo agitata.
L’allucinazione scompare solo quando ti calmi. Sento la voce di Eric nella mia testa.
L’acqua continua a salire, tra poco non riuscirò più a stare in piedi. Affogherò.
Theia, calmati. Sono solo allucinazioni, non corri nessun pericolo. Sento dire di nuovo dalla sua voce calma.
Chiudo gli occhi e lo immagino accanto a me. Mi sorride come nel sogno che ho fatto questa notte, quando nuotavamo insieme tra gli strani pesci di quel lago immenso.
Apro gli occhi, sono completamente sommersa dall’acqua torbida ma, davanti a me, a pochi centimetri dal mio naso c’è uno di quei pesci del sogno. Ha il corpo azzurro e una pinna gialla sul dorso, i suoi colori sono talmente intensi e brillanti che sembra quasi emettere un tenue bagliore.
Nuota tranquillo davanti a me e poi scende verso il basso. Senza rendermene conto lo seguo come ipnotizzata.
Man mano che avanzo nuotando, l’acqua si fa meno torbida fino a diventare cristallina e vedo della sabbia bianca sotto di me.
Mi fermo per guardarmi attorno, il pozzo è svanito e intorno a me c’è solo un’immensa distesa blu. Sono libera da quella prigione di pietra coperta di melma ma non dall’acqua che mi circonda e sembra non avere fine. Alzo la testa e vedo la luce del sole danzare pochi metri sopra di me. Sono salva, qualche bracciata e finalmente potrò di nuovo respirare.
Nuoto più velocemente possibile verso la superficie ma, anche se sento di muovermi verso l’alto, la luce sembra allontanarsi da me.
I muscoli mi fanno male e mi sento scoppiare, ho bisogno d’aria. Cerco di calmarmi per scacciare il bisogno di inspirare. So di non averne bisogno, di non essere ancora arrivata al limite, è il panico a farmelo credere. Mi piace nuotare sott’acqua sin da quando ero bambina e ho imparato molto sull’apnea e so che devo scacciare dalla mia mente il pensiero che non ce la farò. Devo restare calma.
Il cuore mi batte forte nel petto, devo farlo rallentare. Espiro un po’ d’aria dal naso per far attenuare la pressione che sento sul mio torace.
Non è reale. Nuotando verso l’alto la superficie sia avvicina e non il contrario.
Nuoto, con tutte le forze che ho, il mio corpo grida dal dolore, i miei polmoni reclamano aria ma finalmente la luce si avvicina.
Calmati.
Vedo le nuvole sopra l’acqua increspata, ci sono quasi. Sono al limite, ma resisto all’impulso di respirare e finalmente sento il calore del sole sulla pelle.
Sono fuori, sono salva. Penso spalancando la bocca e inspirando profondamente.

Apro gli occhi e mi ritrovo seduta sulla poltrona di metallo. Il mio corpo è teso verso l’alto e la mia bocca è spalancata. Inspiro con talmente tanta forza da sentire i polmoni farmi male.
Una mano mi tocca la spalla e il mio braccio scatta, istintivamente, colpendo qualcosa di solido ma morbido e mi aggrappo ad esso. «Aria!» esclamo boccheggiando.
«È finita» mi rassicura Quattro. La sua mano afferra la mia delicatamente ma con fermezza. «Theia calmati, mi stai staccando un braccio.»
Come tutti quelli che stanno affogando mi sono aggrappata alla prima cosa che ho sentito, in questo caso il suo braccio, sul quale la mia mano si è chiusa come l’artiglio di un predatore.
«Scusami» dico, lasciando andare il suo braccio su cui le mie unghie hanno lasciato piccoli segni a forma di mezzaluna.
Il mio respiro è ancora affannoso e nella mia gola continuo a sentire il disgustoso sapore dell’acqua del pozzo. I miei muscoli fanno male, come se avessi davvero nuotato disperatamente per salvarmi la vita. In realtà non mi sono mai mossa da questa poltrona, ma è difficile accettarlo dopo quello che ho vissuto. Sembrava tutto spaventosamente reale, anche quello strano pesce che non ho mai visto se non in un sogno. Però, in qualche modo mi era familiare, sento che era qualcosa di reale e non inventato dalla mia mente.
«Eric ti aveva preparata?» domanda Quattro guardandomi con sospetto.
Non mi stupisco che ci sia arrivato. Lui è il tipo di persona che parla poco e osserva molto. Potrebbe essere più letale di Eric se volesse, ma è un bravo ragazzo e, a differenza del mio occhi di ghiaccio, di Quattro ci si può fidare.
«Mi ha solo spiegato come funziona la simulazione e cosa devo fare per superarla» ammetto candidamente. «Ma non credo di esserci riuscita come lui sperava.»
«Non sei stata perfetta come lui ma in qualche modo te la sei cavata.» Si leva gli elettrodi e li appoggia sopra la macchina per la simulazione.
«Quante paure aveva Eric?» non riesco a trattenermi dal domandare.
«Dodici» risponde.
«Come lo sai? Non mi sembrata esattamente amici voi due.»
«Il nostro istruttore ha deciso di darci il benvenuto attaccandoci a questa macchina» dice indicando il macchinario per le simulazioni. «Eric è stato il primo.»
«Anche lui si è svegliato urlando?» domando divorata dalla curiosità su come fosse Eric al suo primo giorno negli Intrepidi.
«No. Lui era calmo, sia durante che dopo la simulazione. È rimasto immobile per tutto il tempo e quando è arrivato alla fine, ha aperto gli occhi e ci ha guardato tutti con un sorriso pieno di boria.»
È molto strano, Eric mi ha fatto intendere che è normale svegliarsi in preda al panico, come mai per lui è stato diverso?
Eric non solo sapeva a cosa andava incontro, ma anche come superare l’allucinazione in maniera impeccabile. Le soluzioni possono essere solo due: non era la sua prima simulazione oppure è anche lui un Divergente. Non so quale delle due sia la più improbabile.
«Un momento, tu hai detto che l’istruttore vi ha dato il benvenuto con la simulazione, e il primo modulo?» domando.
Quattro mi guarda e sospira.
«Molte cose sono cambiate non solo nell’iniziazione ma anche nella fazione.»
«Che cos’è cambiato?» incalzo.
«I vertici. La persona che sovrintende all’addestramento stabilisce le norme di comportamento degli Intrepidi. Sei mesi fa Max e gli altri capi hanno adottato nuovi metodi per rendere l’addestramento più competitivo e più brutale. Dicevano che sarebbe servito per mettere alla prova la forza degli iniziati. Questo ha cambiato le priorità dell’intera fazione.»
«Eric» esclamo fissandolo dritto negli occhi. «È una sua idea.»
Quattro annuisce e sostiene il mio sguardo, sono io la prima ad abbassarlo.
Il ragazzo che amo è la causa di tutti i mali, se Eric non si fosse mai trasferito negli Intrepidi tutto sarebbe diverso, meno brutale e difficile. Questo mi fa vergognare di me stessa, solo un mostro può innamorarsi di un altro mostro.

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Quattro mi accompagna fuori da quella camera delle torture e, a pochi metri dalla porta, c’è Eric appoggiato contro la parete. Il suo sguardo è freddo e questo non aiuta le mie mani a smettere di tremare. Anche se non sono più nella simulazione, la paura e l’angoscia di quello che ho vissuto non sembrano volermi abbandonare.
Sento Quattro chiudere la porta alle mie spalle e le labbra di Eric si distendono in un sorriso che mi dà la sensazione di sicurezza e calore che ho provato alla fine della simulazione, quando ho sentito i raggi del sole accarezzarmi la pelle.
Mi butto tra le sue braccia e affondo il viso nel suo petto.
«Com’è andata?» domanda sollevandomi il mento con le dita.
«Non ho né pianto, né urlato. Boccheggiavo.»
«Paura di affogare?»
«In un pozzo» rispondo sentendomi un’idiota. Nei pozzi non si affoga, si muore per traumi oppure di fame e di freddo. «Quattro mi ha detto che sei stato bravo. Che trucco hai usato?»
Dovrebbero rivedere il test attitudinale, perché credo di avere ben poco degli Eruditi. Loro non avrebbero fatto una domanda così diretta, come farebbe un Candido, ma ci avrebbero girato intorno un po’ e alla fine avrebbero ottenuto la risposta in modo spontaneo, senza neanche porre la domanda. Sono sicura che Eric è un asso in queste cose.
«Non ho usato nessun trucco» risponde orgoglioso.
Credo che fingere sia un’altra dote degli Eruditi e anche in questo lui sembra essere molto bravo.
«Non vorrai farmi credere che ti sei davvero svegliato rilassato dopo la tua prima simulazione?»   
«Autocontrollo» si limita a rispondere.
Non gli credo, è impossibile mantenere la calma con quel siero in corpo.
«Quattro ha detto che eri calmo e hai anche sorriso» gli faccio notare.
«Ero scosso ma non lo davo a vedere» dice Eric quasi infastidito.
Nella mia mente lampeggia la parola Divergente, ma la mia bocca non riesce a pronunciarla. Ho paura. Non dovrei neanche sapere cos’è un Divergente e come si comporta. Lui lo troverebbe sospetto, ma lo è anche la sua reazione alla simulazione.
In ogni caso non lo confesserebbe mai, neanche se fosse la verità, cosa della quale inizio a dubitare. Tori mi ha detto che lui è pericoloso per i Divergenti, che li uccide. Perché qualcuno dovrebbe uccidere i suoi simili? Sarebbe più logico che li difendesse. In ogni caso non ci sono prove e George è morto prima dell’arrivo di Eric negli Intrepidi.
«Cos’hai fatto nella simulazione?» domanda fingendosi meno curioso di quello che è in realtà.
«Ho nuotato» rispondo titubante.
Non è normale nuotare in un pozzo, non c’è spazio e la prima cosa che viene in mente, dopo aver pianto e gridato a squarciagola, è arrampicarsi, o almeno provarci. Di solito si fallisce e, se nessuno arriva a salvarti, si muore di stenti e di freddo.
Nella mia allucinazione il pozzo si stringeva e l’acqua saliva, sarebbe stato logico aspettare un’altra scossa che probabilmente avrebbe fatto stringere ancora di più il pozzo rendendo più facile arrampicarsi. Non sarebbe stata una scalata facile ma avrei potuto farcela.
Nuotare credo equivalga alla scelta che non ho fatto durante il test attitudinale, un’anomalia pericolosa, quindi una cosa da Divergente. Intuire l’andamento della visione ed elaborare un piano sarebbe stata la cosa più logica da fare. Non ha importanza, non posso mentirgli, la mia simulazione verrà guardata dai capifazione e la mia bugia avrebbe le gambe molto corte. Eric è l’unica persona che potrebbe salvarmi e indispettirlo mentendo non è una buona scelta.
«Come ti è venuto in mente di nuotare in un pozzo?» chiede, osservandomi come se avessi parlato al contrario.
Appunto. Se gli dico che dal nulla è apparso un pesce che neanche esiste, capirà che cosa sono. Non ho avuto il tempo di prepararmi una buona scusa e non sono nelle condizioni di inventarmi qualcosa di credibile. La mia mente sembra divisa tra la realtà e l’allucinazione. So di essere al sicuro in un corridoio ma la mia mente è ancora allerta, pensa che da un momento all’altro arriverà l’acqua e mi spazzerà via.
«L’acqua saliva e io mi sono ritrovata sommersa. Mi sono fatta prendere dal panico, l’acqua era torbida e il pozzo buio, non avevo punti di riferimento e così ho nuotato» rispondo fingendomi più agitata di quanto sono in realtà. Il panico è l’unico modo per guadagnare tempo.
«Quindi il livello dell’acqua è aumentato fino a raggiungere la superficie?» dice come se fosse più un suggerimento che una domanda.
«No, non sono stata così fortunata» rispondo sospirando. «Ho nuotato per un po’ e quando l’acqua è diventata meno torbida mi sono ritrovata sul fondo di un lago.»
Eric mi guarda perplesso.
«Non ti è mai capitato di fare sogni strani? Di quelli dove un attimo sei in un posto e quello dopo sei da tutt’altra parte?»
«Associazione?» domanda.
«Esatto. Adesso applicalo a un siero che fa scatenare le paure» rispondo quasi sentendomi salva.
«Ha una sua logica» mormora massaggiandosi il mento. «E dimmi…»
«No. Basta! Perché mi torturi in questo modo? Poco fa stavo affogando, ero in preda al panico e tu adesso mi costringi a rivivere tutto. Perché mi fai questo?» esclamo coprendomi gli occhi con le mani. Non sono così terrorizzata da piangere ma devo farglielo credere, è l’unico modo per farlo smettere con il suo interrogatorio.
«Pensavo avessi bisogno di raccontare quello che hai vissuto. Parlarne aiuta ad allontanare la paura, dovrebbe farti sentire meglio e non mandarti fuori di testa.»
«Un po’ mi aiuta» ammetto. «Ma non è il momento. Ho bisogno di starmene un po’ tranquilla in un angolo a tremare.»
«Come vuoi. Ti porto a casa e ti leggo un altro pezzo di lettera della tua amica. Questo ti calmerebbe?» domanda con un tono paterno che proprio non si addice al capofazione famoso per la sua freddezza.
«Passiamo ancora dal tetto o hai trovato un modo per arrivarci dalle fognature?»
«Io pensavo di passare da corridoi e scale interne, ma se preferisci trovo il modo di passare per le fognature» si lascia scappare un sorriso e poi aggiunge: «Tu magari riesci a passarci agevolmente ma io farò parecchia fatica».

Camminiamo l’uno a fianco all’altra ed io mi domando se, appena arrivati al Pozzo, dovrò ricominciare a tenere una distanza di sicurezza. È mattina e di solito il Pozzo è deserto ma con Eric non si sa mai.
«Hai visto che non sei morta? Non sei stata brava come me, ma sei la prima iniziata che vedo così calma» dice come se niente fosse, ma so che non è così. Sta fingendo.
La scritta Divergente è tornata a lampeggiare sulla mia testa e, per la prima volta, sento di essere davvero in pericolo.
«Ho pensato a te» confesso. «Quando sono finita sott’acqua ho immaginato che tu fossi lì accanto a me e ho ripreso il controllo.»
«È uno strano modo di superare una paura.»
«Non stavo pensando a come superare la paura. Credevo di morire e volevo che fossi tu il mio ultimo pensiero» faccio scivolare la mia mano nella sua e, con un filo di voce, aggiungo: «L’ho fatto anche l’altra sera, quando ho capito che non sarei sfuggita a Peter».
Eric si ferma e mi stringe a sé. Non dice una parola ma non m’importa, non ho bisogno di sviolinate, non da lui. So che non è un tipo sdolcinato, è l’esatto opposto di sdolcinato, per questo il suo abbraccio mi basta. Non è accontentarsi, ma comprendere il suo modo di dimostrare affetto.
«Dovresti imparare a contare solo sulle tue forze» sussurra.
Ha i suoi limiti, dico tra me e me, ma la cosa non mi aiuta. Quello che ha detto suona come un imminente due di picche.
«Però sapere che pensi a me…beh…mi piace» aggiunge con un filo di voce, dopodiché riprende a camminare. Se questi sono i suoi limiti, non mi dispiacciono affatto, anche io non sono una persona sdolcinata.

Quando arriviamo al Pozzo lui mi prende per un braccio, non come farebbe con la sua ragazza, ma come se dovesse aiutarmi a camminare perché io non ne sono in grado. Capisco quale scusa ha scelto: sto riportando al dormitorio un’iniziata alla sua prima simulazione perché Quattro fa il lavativo.
Inizio a pensare che le cose non cambieranno mai.
Adesso sono un’iniziata, dopo sarò un nuovo membro. Arriverà mai il momento in cui sarò la sua normale ragazza Intrepida?
Passiamo accanto a un capannello di Intrepidi che mi guardano e ridacchiano. Eric sembra soddisfatto, il suo piano ha funzionato: il capofazione che sovrintende all’addestramento riporta al dormitorio un’iniziata incapace.
«Questa me la paghi» mormoro appena superato il gruppo di Intrepidi.
Lui non risponde, si limita a ridacchiare.
«Eric!» esclama una voce alle nostre spalle.
A pochi passi da noi c’è Max, il capofazione che ci ha dato il benvenuto sul tetto, l’uomo che probabilmente ha scelto Eric al posto di Quattro per l’incarico di capofazione.
Eric lascia andare il mio braccio e si avvicina a lui. Non riesco a sentire quello che si dicono, ma di sicuro non stanno parlando di me, o meglio, non ancora. C’erano ancora molti iniziati in attesa di fare la simulazione e quindi Quattro non ha consegnato le registrazioni.
Vedo Eric fare cenno a Max di aspettare e, con passo veloce, mi raggiunge.
«Ho una cosa da fare» dice, mantenendo la voce bassa e lanciando veloci occhiate a Max. «La strada la conosci. Cerca di non farti vedere.»
Restando tra me e Max mi dà un mazzo di chiavi e, prima di voltarsi e andarsene, aggiunge: «Secondo cassetto della scrivania sotto la vaschetta portaoggetti».
Lo guardo andare via con Max mentre stringo le chiavi nella mia mano e cerco di capire la sua ultima frase. Se voleva distrarmi con una specie di caccia al tesoro, ci è riuscito molto bene, peccato che durerà il tempo che ci metterò ad arrivare nel suo appartamento e frugare nella sua scrivania.

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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


Ho passato le ultime due ore seduta sul divano di Eric fissando la parete davanti a me. Essere completamente sola a casa sua mi fa sentire un po’ a disagio. Non so come devo comportarmi, cioè, lo so benissimo: guardare nel famoso cassetto e poi mettermi seduta ad aspettarlo. Però, dentro di me, una voce mi sussurra che frugare tra le sue cose mi aiuterebbe a scoprire molte più cose su di lui. Non l’ascolterei se non pensassi che in fondo si tratta solo di sopravvivenza. Lui è pericoloso per quelli come me e nel suo appartamento potrei trovare degli indizi sulla sua carriera di cacciatore di Divergenti.
Va bene, lo ammetto, sono curiosa di scoprire qualcosa in più su di lui e non è una curiosità strettamente legata a quello che potrebbe fare ai Divergenti. Forse tiene un diario, non è una cosa da ragazzo, ma Neem lo faceva, magari anche Eric è come lui, un’eccezione.
Smettila Theia! Ti piacerebbe se lui facesse la stessa cosa a te? Penso, ma non riesco a vergognarmi della mia curiosità, anche lui ha frugato tra le mie cose e ha preso la mia biancheria intima. L’ha fatto solo per non mandarmi in giro mezza nuda, ma comunque, se io facessi la stessa cosa, saremmo pari.
Vado verso la scrivania e cerco di far tacere la voce che mi dice di guardare in ogni armadio e cassetto. Ci vuole uno sforzo enorme: la curiosità è uno dei miei tanti difetti.
Apro il secondo cassetto e sollevo la vaschetta portaoggetti.
Sopra a un quaderno con la copertina blu c’è un biglietto, capisco subito di cosa si tratta: la lettera di Althea.
La prendo, ma il mio sguardo indugia sul quaderno sul quale era appoggiata. Sembra molto vecchio e, se era nascosto sotto quella vaschetta, potrebbe contenere qualcosa di molto personale. Se fosse il suo diario?
No. Non pensarci neanche.
Sono combattuta, chiudere il cassetto e avere la coscienza pulita oppure violare il suo piccolo spazio privato e conoscere tutti i suoi segreti.
Non sareste più pari, dovresti dargli la chiave. Mi ammonisce un’altra voce nella mia testa, molto più fastidiosa di quella che mi spingeva a curiosare.
Ha ragione, se leggo il suo diario, lui poi dovrebbe leggere il mio. Il mio unico vantaggio è che i miei segreti sono chiusi in una cassetta di metallo seppellita nel bosco vicino alla mia vecchia casa.
No, non è giusto, mi dico. Chiudo il cassetto e mi siedo sul divano.

“Cara Theia,
vorrei scrivere che da quando te ne sei andata sono accadute tante cose ma mentirei, qui non cambia mai nulla. L’unico avvenimento degno di nota è l’arrivo dei trasfazione, che Johanna ha trasformato in una gara di gentilezza al limite della pazzia. Se prima i Pacifici ti sembravano gentili in modo assurdo, dovresti vederli adesso, mettono i brividi.
Mi mancano le nostre serate insieme e non vedo l’ora che arrivi il Giorno delle Visite.
Sono sicura che la vita negli Intrepidi è eccitante e voglio sapere tutti i particolari.
Quando ti ho vista insieme a loro, davanti al grande cancello, quasi non ti ho riconosciuta. Non solo hai messo su qualche muscolo ma sembravi molto più sicura di te. Però i lividi non ti donano molto, capisco che gli Intrepidi devono allenarsi duramente, ma sembravate dei dalmata! Josh mi ha detto dei combattimenti, ma mi ha anche spiegato che servono solo a imparare e al massimo se ne esce con qualche livido mentre voi sembravate usciti da un feroce pestaggio. Lui dice che molte cose sono cambiate da quando lui si è trasferito da noi e non solo nell’addestramento, anche nei principi della fazione. Josh è andato via per questo motivo, dopo l’arrivo del nuovo capofazione il clima nella fazione è cambiato.
A parte il nome, Eric, non mi ha detto molto di lui, solo che è insolitamente giovane per il ruolo che ricopre e che è un tipo spocchioso e insopportabile.”

Mi ricordo di Josh, si è trasferito dagli Intrepidi l’anno scorso. Se solo avessi saputo che ha passato un anno intero nella stessa fazione di Eric gli avrei fatto il terzo grado. Come potevo, un anno fa non sapevo neanche dell’esistenza di Eric.
Josh era sul camion insieme ad Althea quando abbiamo fatto il giro alla Recinzione, stupida io che non ci ho pensato! In ogni caso non avremmo potuto parlare molto, non solo per il poco tempo a disposizione, ma anche perché Quattro e i miei compagni di iniziazione erano lì con me e avrebbero sentito tutto. Però posso ancora rimediare, Josh è stato assegnato alle consegne e quindi mi basta solo aspettare che i Pacifici vengano a rifornirci. Anche se lui non fosse su uno dei camion destinati alla zona degli Intrepidi posso sempre lasciare un messaggio a un mio vecchio compagno di fazione e aspettare la prossima consegna. Sono sicura che Josh non mi negherebbe questo piccolo favore.
I Pacifici riforniscono le altre fazioni due volte a settimana e, se non hanno cambiato l’ordine delle consegne, dovrebbero essere qui tra quattro giorni.
So che non dovrei farlo, ma in guerra e in amore tutto è lecito. La mia situazione riguarda tutti e due: la caccia ai Divergenti e quello che provo per Eric.
Riprendo a leggere sperando che Althea non abbia scritto qualche imbarazzante aneddoto su di me visto che Eric ha già letto questa lettera.

“Questo Eric potrebbe essere un problema e così ho fatto qualche ricerca.
Non immaginerai mai cosa ho scoperto! O forse sì? Io dico di no, sei troppo distratta e smemorata per ricordartene.
Ho chiesto a Dill e lui mi ha detto che noi lo conosciamo! Lui ha la sua stessa età e quindi a scuola avevano molti corsi in comune. Non si frequentavano perché Eric era sempre con il suo gruppetto di Eruditi ma, come tutti, anche Dill è stato preso di mira da quegli spocchiosi. Erano davvero delle carogne e mi ha rivelato che davano voti alle ragazze. Noi Pacifiche e le Intrepide venivamo considerate praticamente delle sgualdrine. Non mi ha voluto dire che voti ci hanno dato ma si ricorda che lui ce l’aveva in modo particolare con te per qualcosa che era accaduto quando eravate ai livelli inferiori.
Così ho chiesto a tua madre e sai cosa mia ha detto? Quando eri ai livelli inferiori è stata più volte chiamata dagli insegnanti perché tu litigavi con un bambino Erudito. Purtroppo non si ricorda più il suo nome, ma visto che tipo è questo Eric, sicuramente è lui! Mi ha raccontato che vi siete azzuffati parecchie volte e tu ti sei giustificata dicendo che ti tirava le trecce e ti faceva i dispetti.
Theia, vuoi vedere che le mie carte ci hanno preso? Per i bambini, tirare le trecce e tormentare una femmina è una specie di dichiarazione d’amore!”

Althea vede storie d’amore ovunque, tirare i capelli non è esattamente una dimostrazione di affetto.
Cerco di ricordare. Ai livelli superiori me ne stavo con i miei compagni di fazione per evitare di mettermi nei pasticci e venire riempita di siero della pace. Sapevo che i ragazzi Eruditi davano voti alle ragazze ma ho sempre preferito evitare di approfondire perché avrei finito col mettermi nei guai. Possibile che non abbia notato un bel ragazzo come Eric? Magari non era ancora sbocciato, probabilmente era ancora una larva con gli occhiali come gran parte degli Eruditi, per questo potrei non essermi accorta di lui.
Il periodo dei livelli inferiori è avvolto dalla nebbia, ho pochi ricordi e sono molto confusi. Bambini che mi tiravano le trecce e mi facevano i dispetti erano quasi all’ordine del giorno, quindi è possibile che tra di loro ci fosse Eric, ma non ricordo per niente l’episodio che mia madre ha riferito ad Althea. Avevo preso in antipatia un bambino, ma mi sembra di ricordare che fosse un Candido. Dei miei compagni dei livelli inferiori, a parte Althea, ricordo solo un bambino Abnegante molto taciturno che se ne stava sempre per conto suo e un altro bambino, non ricordo di quale fazione, ma anche lui veniva preso di mira da quello che tormentava me.
«Voi Pacifici tenete sempre la porta aperta?»
La voce di Eric mi fa sobbalzare. Lo osservo mentre si avvicina a me e cerco di studiare bene i suoi lineamenti. Lo immagino bambino, senza piercing e tatuaggi, ma nei miei ricordi sfocati non riesco a trovare un bambino che gli assomigli.
«Eric, quando eravamo piccoli io ti picchiavo?» gli domando, senza collegare il cervello alla bocca come mio solito.
«Nei tuoi sogni forse» risponde fermandosi davanti a me. «Non ero io quel bambino» aggiunge prendendomi la lettera di Althea dalle mani. La infila nella tasca della giacca e incrocia le braccia. Il suo volto è serio, non sembra arrabbiato, bensì preoccupato.
«Ho appena visto la tua simulazione. Dobbiamo parlare.»
È la fine. Ha capito che sono una Divergente. Mi ucciderà.
«Di cosa?» chiedo.
«Da dove veniva il pesce?»
Inutile fare la finta tonta, peggiorerei solo la situazione, ma almeno devo provare a salvarmi la vita.
«Non lo so, dalla mia testa forse» rispondo.
E se fosse una cosa da Divergente far materializzare cose che non esistono?
«Potrei averlo visto in una foto o un disegno» gli spiego. «Quando ero nei Pacifici, io e Althea ci divertivamo a fare le esploratrici ed entravamo nei vecchi edifici oltre i campi. Abbiamo trovato tantissime cose strane. La carta della Dualità è la copia di un disegno che abbiamo trovato in una delle nostre escursioni. Magari anche l’immagine del pesce colorato viene dallo stesso posto.»
Eric mi guarda e si massaggia il mento con le dita. Non credo di essere ancora fuori pericolo.
«I pesci vivono nell’acqua, la mia mente deve aver fatto questa semplice associazione mentre era sopraffatta dal vostro siero» aggiungo.
«Come passare dal fondo di un pozzo a un lago?» domanda guardandomi con sospetto.
«Esatto, delle semplici associazioni» rispondo immediatamente. Non posso mostrarmi titubante o capirà che mi sto arrampicando sugli specchi. Non so neanche se quello che gli ho confessato è normale o è una cosa da Divergente.
«Lo vedremo» dice con aria di sfida. «Dopo cena farai un’altra simulazione e io la osserverò.»
«Un’altra? Sono ancora sconvolta da quella che ho fatto questa mattina!» mi lamento.
«Dovrai farci l’abitudine, il secondo modulo è incentrato proprio sulle simulazioni. Se c’è qualche problema è meglio scoprirlo subito.»
Il tono di voce che usa per sottolineare la parola problema mi fa venire i brividi. Ho capito a cosa si riferisce, non a un comportamento bizzarro che comunque potrebbe rientrare nella normalità, bensì a qualcosa che solo un Divergente è in grado di fare.
Dovrei fidarmi di lui. Non sono né ammanettata né morta e questo vuol dire che non intende farmi del male.
«Ok. Lo farò, ma prima mi ridaresti la lettera? Devo ancora finire di leggerla.»
«Ti ho lasciata sola per ore, che cosa hai fatto in tutto quel tempo?»
«Ho cercato di resistere all’impulso di frugare tra le tue cose» confesso.
«E ci sei riuscita?» domanda con un sorriso sornione.
«Certo» rispondo orgogliosa. «Sono stata l’ospite perfetto.»
«Lo so» dice usando il fastidioso tono di voce degli Eruditi. «Vedi, ho lasciato un quaderno in bella mostra sotto la lettera della tua amica. Se avessi letto quello che ho scritto mi avresti già cavato gli occhi.»
Non replico, corro alla scrivania e prendo il quaderno dal cassetto. Appena lo apro, un foglio scivola fuori, ma riesco a prenderlo prima che cada a terra. C’è una breve annotazione scritta con una grafia praticamente perfetta che non si addice a Eric il crudele. Continuo a dimenticarmi che lui è un Erudito, ma con un corpo così muscoloso e pieno di tatuaggi, è difficile pensare che provenga dalla fazione delle larve con gli occhiali.
Quello che leggo invece si addice perfettamente a Eric che tutti conoscono: false e pesanti affermazioni sulla mia virtù e oscenità riguardanti il mio fondoschiena e quello che dice di averci fatto ma che non gli permetterò mai di fare.
«Non ti avrei cavato gli occhi» dico mettendo a posto il quaderno. Mi volto verso di lui e continuo: «Ti avrei evirato.»
Eric scoppia a ridere ed io mi rilasso.
Se uccidermi facesse parte dei suoi piani non scherzerebbe in questo modo, o forse sì, lui è pur sempre un Erudito. Johanna diceva sempre che hanno una doppia faccia: ti fanno i complimenti e poi, quando ti volti, ti pugnalano alle spalle. Quello che mi rende tanto sicura della sincerità di Eric sono i suoi occhi. Sono limpidi, non c’è traccia di inganno nel suo sguardo, è davvero come si sta mostrando, non sta indossando una delle sue maschere. Il suo sorriso mi dice che qualsiasi cosa io sia, lui non mi farebbe del male, che mi proteggerebbe anche a costo di disubbidire agli ordini che ha ricevuto.

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Mi trovo in una piccola stanza, le pareti sono interamente coperte da specchi, posso vedere la mia immagine riflessa all’infinito. È fastidioso, non ho problemi con gli specchi, ma così tanti creano un effetto che mi fa girare la testa. Non avere un punto di riferimento è spiazzante.
Alzo la testa ma non riesco a vedere il soffitto. So che c’è perché la luce arriva da lì, ma non ci sono lampade o pannelli che indicano la sua presenza. Abbasso lo sguardo e, con mio sollievo, il pavimento è al suo posto. Sotto ai miei piedi riconosco il grosso cerchio dipinto sul pavimento della palestra. È grande quanto la stanza.
Nel silenzio sento un’asse del pavimento scricchiolare dietro di me. Guardo la mia immagine allo specchio ma non c’è nessun altro in questa stanza. Resto immobile, sento di non essere sola, c’è qualcuno ma io non riesco a vederlo.
Di nuovo, alle mie spalle il pavimento scricchiola. Trattengo il respiro e tendo l’orecchio. Nel mio petto il cuore inizia a galoppare e il suo battito mi rimbomba nel cervello. Cerco di ignorarlo e mi concentro sui rumori intorno a me. Lo scricchiolio sembra più vicino, chiunque sia, è proprio dietro di me.
Mi volto di scatto e vedo una macchia scura spostarsi alla mia sinistra, è talmente veloce che non riesco a capire cosa sia: un animale, una persona o qualcosa di più inquietante.
Sento uno spostamento d’aria alle mie spalle e so che qualsiasi cosa sia è di nuovo dietro di me: sento il suo fiato sulla pelle del mio collo.
Devo mantenere la calma e usare la logica, Eric mi sta guardando e se faccio qualcosa di strano potrei pagarlo con la vita.
Se mi volto, quella cosa potrebbe schizzarmi di nuovo alle spalle e tutto ricomincerebbe daccapo. Faccio un profondo respiro e di scatto alzo il gomito e lo spingo dietro di me con forza. Lo sento affondare in qualcosa di morbido e caldo. L’ho colpito. Non faccio in tempo a voltarmi per sferrare un altro colpo che quella cosa mi spinge in avanti. Cado a terra e le schegge del legno del pavimento mi feriscono le mani.
«Abbiamo anche una Pacifica» esclama la creatura. È la voce di Eric.
Alzo lo sguardo, ma ciò che vedo davanti a me non è Eric, sono io.
È inquietante come gli specchi riflettano solo la mia immagine e non la sua. Non mi serve sapere che questa è una simulazione e che lei non è reale. Quella cosa sembra me ma non lo è. Il suo sguardo è freddo e vuoto e il suo sorriso è identico al ghigno che fa Eric quando si diverte a tormentare qualcuno. Ha il corpo pieno di tatuaggi e sul volto ha gli stessi piercing di Eric. È una proiezione di quello che temo di diventare: crudele e spietata, un mostro.
«Tesoro, sono a casa» esclama tirando fuori dalla giacca una frusta. La fa schioccare in aria e un attimo dopo sento il cuoio della frusta stringermi la caviglia.
La me stessa crudele mi trascina verso di sé come se fossi una bambola di pezza.
«Il tuo Eric ci sta guardando.» Si china su di me e aggiunge: «E sono sicura che sono io quella che preferisce».
«Ma sono io quella reale» esclamo a denti stretti mentre la colpisco allo stomaco con un calcio.
Il suo sorriso si trasforma in un ghigno carico di rabbia e in un attimo, la frusta che mi avvolgeva la caviglia, si stringe intorno al mio collo.
Non riesco a respirare, è troppo stretta. Cerco di liberarmi ma riesco solo a graffiarmi. Sento la testa scoppiarmi, la vista inizia ad annebbiarsi e fatico a restare lucida. Devo reagire.
Mi alzo e tutto inizia a girare. Tieni duro Theia.
Mi lancio verso di lei, afferro il suo collo e lo stringo con tutta la forza che mi è rimasta. Lei continua a ridere come se non sentisse nessun dolore.
Non è reale, è solo il mio riflesso malvagio. Riflesso. Quella parola mi fa riacquistare lucidità. È per questo che non la vedo nello specchio, è da lì che viene.
La spingo con forza contro lo specchio dietro di lei ma, invece di fermarsi, lei lo attraversa. Le sue risate lasciano il posto a un grido di terrore. La vedo agitare le braccia, come se oltre quel confine ci fosse un baratro.
Afferro l’impugnatura della frusta e la colpisco allo stomaco con un calcio. L’altra me attraversa lo specchio e sparisce nel nulla.
«È finita» mormoro accasciandomi a terra.

Quando riapro gli occhi sono nella sala delle simulazioni. Eric è seduto accanto a me e si tiene la testa tra le mani. Non dice una parola ed io non riesco a vedere la sua espressione, ma la posizione che ha assunto mi fa capire che ho fatto qualcosa di sbagliato.
Divergente. È l’unica interpretazione che riesco a dare al suo silenzio.
«Eric» lo chiamo con voce tremante.
Ho paura della sua reazione. Conosco la sua reputazione e so che dovrei scappare, ma lui non sembra minaccioso. Se avesse capito cosa sono mi starebbe fissando con il suo sguardo freddo e distaccato. Invece sembra più sconvolto di me.
Allungo il braccio e appoggio la mia mano sulla sua. Lui non si muove, continua a tenere la testa bassa come se quello che ha appena visto fosse troppo per lui.
«Ti prego, dimmi qualcosa, qualsiasi cosa!» esclamo disperata.
«Perché proprio tu…» mormora. Io mi sento il cuore in gola. Lui ha capito cosa sono.
«Proprio io, cosa?» domando, anche se conosco già la risposta.
Eric alza la testa e mi guarda. È affranto, non pensavo che Eric potesse provare tristezza per qualcuno.
«Sei una Divergente.»
La paura mi percorre come una scarica elettrica. I suoi occhi mi dicono che non vuole farmi del male ma che dovrà farlo.
«Che cosa significa Divergente?»
«Theia, mentirmi non ti aiuterà» dice sospirando. «L’avevo già intuito l’altra volta, ma adesso è evidente. Hai manipolato la simulazione.»
Ormai il mio destino è segnato, non posso più salvarmi, solo Eric potrebbe farlo, ma non so se è ciò che vuole.
«È una cosa molto brutta?» domando abbassando lo sguardo.
«Sì» risponde in tono lapidario.
Il panico mi assale. Mi alzo dalla poltrona ma lui mi afferra per la spalla costringendomi a sedermi di nuovo. Cerco inutilmente di liberarmi dalla sua presa ma, alla fine, mi arrendo al mio destino.
«Eric, ti prego, non farmi del male. Abbandonerò la fazione e mi nasconderò da qualche parte e non causerò problemi a nessuno.»
«Mi vuoi lasciare?» domanda con un candore talmente inappropriato alla situazione da lasciarmi inebetita.
Gli ho appena promesso che non sarà più costretto a prendersi cura di me, che sarà libero dal peso della mia divergenza e l’unica cosa che ha pensato è che voglio lasciarlo. Possibile che per lui io sia più importante della sua missione?
«Io non voglio lasciarti, ma…» faccio un profondo respiro. «Ho paura. Io non so cos’è un Divergente, dici che è una cosa brutta… come faccio a capire se sono quello che hai detto oppure no?»
«Qual è il risultato del tuo test attitudinale?» mi domanda.
«Pacifica, te l’ho già detto» mento e non capisco perché lo faccio. Lui ha già capito cosa sono.
Io non mi sento lucida, è da quando Quattro mi ha iniettato per la prima volta il siero che mi sento agitata e so che fino a quando avrò quella sostanza in circolo rischierò di fare dei passi falsi. Ho bisogno di sapere più cose sui Divergenti, quello che mi ha detto Tori non mi ha chiarito le idee.
I Divergenti sono difficili da controllare: è questa l’unica cosa che so e non mi aiuta.
«Eric, se tu mi spiegassi cos’è un Divergente, forse riuscirei a capire se davvero sono quello che sospetti.»
«I Divergenti ottengono più di una predisposizione al test attitudinale» mi spiega. «Queste persone sono pericolose perché hanno comportamenti imprevedibili, spesso violenti, e sono ostili alle regole di comportamento del sistema delle fazioni.»
«Io non sono antisociale e neanche violenta» mi difendo.
Ripenso a quello che è accaduto con Peter e inizio a dubitare di me stessa. Forse Eric ha ragione. Io sono nata e cresciuta tra i Pacifici, siamo la fazione che più di tutte è contro la violenza, ma io non riesco ancora a sentirmi in colpa per quello che ho fatto a Peter. Se i Divergenti sono di natura violenta allora è vero che sono un mostro.
«È per questo che mi sono accanita in quel modo su Peter?»
«No. Lui ti ha provocata. Credeva di farti crollare dicendoti quelle cose su di me, pensava che tu fossi vulnerabile ma tu sei forte» mi rassicura ed io mi domando perché lo fa. Sta cercando di trovare una scusa per non dover ammettere che sono una Divergente.
«Io non sono in conflitto con il sistema delle fazioni, anzi, mi fa sentire tranquilla e al sicuro. Non riesco a immaginare di vivere senza, mi fa molta più paura di quello che vivo nelle simulazioni.»
Le simulazioni. È grazie al mio comportamento durante le allucinazioni che Eric ha capito cosa sono e l’unico modo per salvarmi è capire dove sbaglio.
«Eric, cosa ti ha fatto capire che io sono una diversa?» gli chiedo indicando il macchinario delle simulazioni.
«Solo un Divergente è in grado di manipolarle come fai tu.»
«Io non le ho manipolate, ho seguito solo la logica. Ero davanti a me stessa, non è una cosa che si vede tutti i giorni ed è normale intuire che la situazione non può essere reale» mi giustifico.
«È proprio questo il problema. Tu non dovresti essere cosciente che quello che accade durante la simulazione non è reale. E comunque non hai usato la logica» puntualizza.
«Come fai a dirlo? Cosa ho sbagliato?»
«Avresti dovuto combattere e l’altra te non avrebbe attraversato lo specchio ma l’avrebbe mandato in frantumi» mi spiega.
Nella mia mente sembrava logico: non esiste e quindi posso farla scomparire. Forse è questo il mio errore, sapere che non era reale e creare qualcosa di surreale per superare lo scenario.
È così che ragiona un Divergente? Crea cose dal nulla come pesci luminosi e baratri oltre gli specchi.
Devo cambiare il mio approccio alle simulazioni, ma non saprei come fare perché per me è normale comportarmi in quel modo.
«Insegnami» dico risoluta fissandolo dritto negli occhi.
Eric si guarda intorno come se temesse di essere spiato, avvicina il suo viso al mio e mi sussurra: «Andiamo a fare una passeggiata».

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Eric si siede su una roccia piatta a pochi metri dal fiume sotterraneo, mi allunga una fiaschietta che teneva nella giacca, e che suppongo contenga qualcosa di alcolico, ma io scuoto il capo e gli mostro la mia bottiglietta d’acqua. Niente alcolici a pochi passi da un fiume impetuoso, soprattutto nelle condizioni in cui sono ora.
«So che effetto ha l’alcol su di te.» Sorride porgendomi di nuovo la fischietta e aggiunge: «È aranciata.»
Mi siedo accanto a lui e restiamo in silenzio per quella che mi sembra un’eternità ma che probabilmente nella realtà corrisponde solo a qualche minuto.
Bevo il mio succo di frutta osservando l’acqua scorrere davanti a me e domandandomi se resterò accanto a lui oppure finirò in quelle acque gelide. Vorrei potermi fidare completamente di Eric ma, dopo quello che mi ha detto Tori, una parte di me pensa che se mi ha portata in un luogo così isolato e pericoloso, e dove ho già rischiato la vita una volta, l’ha fatto solamente per eliminarmi senza lasciare traccia.
«Non vuoi proprio dirmelo il risultato del test?» mi domanda dopo essersi schiarito la voce.
La domanda non mi piace. Una Divergente, Eric e un fiume che trascinerebbe un cadavere chissà dove. Quindi è davvero per questo motivo che mi ha portata qui, per mettermi sotto torchio, farmi confessare e poi uccidermi? Io scema che ho pensato che volesse davvero aiutarmi.
«Mi hai fatta venire fino qui solo per questo? Sei un bastardo» esclamo disgustata dal suo comportamento.
Cerco di alzarmi, ma lui mi circonda i fianchi con un braccio e mi tira verso di sé.
«E tu sei isterica e paranoica» sbuffa. «Sei talmente allucinata dal siero che potrei ripeterti un milione di volte ciò che devi fare durante la simulazione ma nella tua testa non resterebbe nulla. Volevo solo fare conversazione, distrarti, tutto qui.»
Domani dovrò fare un’altra simulazione e lui non intende dirmi cosa devo fare? Non mi vuole aiutare, mi sta mandando al macello. Però ha ragione, non ho testa, non resterebbe niente dei suoi suggerimenti. Forse ha ragione, dovrei rilassarmi, staccare per un attimo la spina. Però lui non mi è di grande aiuto se il suo modo di fare conversazione è parlare di cose che mi ricordano che sono una Divergente.
«Che fine hanno fatto: “come va?” e “com’è andata oggi?” o altre banalità simili?»
«Com’è andata oggi?» domanda come se mi stesse prendendo in giro.
Io lo fulmino con lo sguardo e mi impongo di contare almeno fino a dieci prima di mandarlo al diavolo.
«Ok, scherzavo. Non è facile parlare con te. È come essere su un campo minato, è difficile trovare un argomento che non nasconda una mina.»
«Anche con te non è facile trovare una argomento che non ti faccia arrabbiare» gli confesso.
«Prova ad evitare di darmi del sadico o del deviato» dice sorridendo.
Appoggio la testa sulla sua spalla. Lui mi sfiora la fronte con le labbra ma la paura che sento non svanisce. Eric è così strano, riesce a passare da crudeltà a dolcezza così velocemente da farmi dubitare che mi stia mostrando quello che prova davvero.
Tori mi aveva messa in guardia ma io non ho voluto credere che Eric avesse un piano sin dall’inizio e che tutto quello che è successo tra di noi fosse solo una trappola ben congegnata per farmi confessare la mia vera natura.
«Cosa vuoi fare con me? Svuotarti, toglierti le tue curiosità e poi annegarmi?» gli chiedo, sperando che almeno segua questo ordine. So che è disgustoso ma, a questo punto, credo che Eric potrebbe davvero torturare una persona, ucciderla e poi farci sesso.
«Nessuna delle tre. Anche se la prima è allettante.»
Lo fulmino con uno sguardo.
«Ma immagino che per quello mi toccherà aspettare la fine dell’iniziazione e procurarmi delle candele» dice prima di darmi il tempo di ribattere.
«Ti ho detto che le candele non mi interessano» gli ricordo, anche se una parte di me fantastica su una serata speciale che temo non arriverà mai. Io non completerò l’iniziazione, morirò prima.
«E se… se non superassi l’iniziazione?»
«La supererai. La seconda simulazione è stata meno insolita della prima, ma purtroppo non è ancora sufficiente per non destare sospetti.»
Il modo in cui lo dice mi fa venire i brividi, la sua preoccupazione è sincera oppure no? Mi aiuterà o farà quello che deve fare anche se prova qualcosa per me? No, non può essere, altrimenti me lo avrebbe detto subito, o meglio, mi avrebbe già buttata nelle gelide acque del fiume.
«Vedo che proprio non vuoi cambiare discorso. Pacifici, è questo il risultato del mio test.»
«Inutile continuare a mentire. I tuoi scenari contengono troppe anomalie» beve un sorso dalla fiaschetta. «Ti conviene confessare subito.» dice lapidario fissandomi dritto negli occhi. Io non ce la faccio, non riesco a sostenere il suo sguardo.
È finita. Sono morta.
«Mi sparerai o ti limiterai a tramortirmi e spingermi nel fiume?»
«Il rumore dell’acqua non copre quello di uno sparo» sorride nel modo inquietante di Eric malvagio.
«Quindi è questo che fai, dai la caccia ai Divergenti?»
L’ho detta, la parola che non dovrebbe mai essere pronunciata è appena uscita dalla mia bocca.
Credevo che confessare a Eric ciò che sono mi avrebbe fatta sentire come quando ho capito che Peter mi avrebbe uccisa: terrorizzata ma, in qualche modo, rassegnata. Invece non è così. Ho paura, non posso negarlo, ma mi sento quasi sollevata, come se mi fossi tolta un grande peso. Morirò, questo è certo, ma sembra la fine di un’agonia, qualcosa di liberatorio che mi fa percepire la mia morte imminente come la meritata pace dopo una lunga ed estenuante battaglia.
«Esatto» dice tirandomi di più a sé e costringendomi a sedermi sulle sue gambe.
Adesso si alza e mi butta nel fiume.
Guardo per l’ultima volta in quegli splendidi occhi azzurri mentre sento la sua mano salire su per la mia schiena e fermarsi sotto il mio capo.
Cerco di liberarmi ma è troppo tardi e lui mi stringe troppo forte.
«Puoi provare a fidarti di me, tipo per un minuto?» domanda sorridendo ed io non resisto ai suoi sorrisi, sono come una leggera brezza in una torrida giornata estiva.
«Ok, ma dopo che succede?» chiedo con voce tremante.
«Quello che è successo in quel minuto» mormora avvicinando le mie labbra alle sue.
Preme le sue labbra sulle mie ed io mi ritrovo a desiderare di non essere in fondo al Pozzo ma nel silenzio della sua camera da letto. È assurdo, sono tra le braccia del mio assassino e l’unica cosa a cui riesco a pensare è come sarebbe fare l’amore con lui.
«Pacifica» dico interrompendo il nostro bacio.
«Perché non riesci a fidarti di me?» domanda prima di ricominciare a baciarmi.
È un bacio vero o sta solo cercando di farmi cedere e confessare? Non ha senso, io ho già confessato.
Le mie labbra abbandonano di nuovo le sue.
«Pacifica» mormoro.
«Ho capito, smettila di ripeterlo. Non ti ho portata qui per farti il terzo grado.»
«Allora perché è stata la prima cosa che mi hai chiesto?»
«Non lo so, per fare conversazione? Perché forse sono preoccupato per te?» risponde esasperato. «Ok, va bene. Come vuoi. Qual è il tuo colore preferito? Cosa ti rilassa? Dolce o salato? Il tuo piatto preferito?»
«Eric, esattamente, quanti veri appuntamenti hai avuto?»
Lui mi guarda imbarazzato e abbassa lo sguardo. Forse ho esagerato a fargli una domanda così personale.
«Il blu. Sdraiarmi su un prato e guardare il cielo. Tutti e due, dipende. Carne e patate, ma anche la vostra torta non è male» rispondo, anche se nella mia testa le risposte sono ben diverse.
Il mio colore preferito è quello dei suoi occhi. Il modo in cui mi stringe mi rilassa. Torta degli Intrepidi e hamburger perché, la prima volta che l’ho visto, nel mio vassoio c’era un hamburger e una fetta di torta al cioccolato che Zeke mi aveva messo nel piatto dicendo che mi avrebbe fatta innamorare. In effetti aveva ragione, peccato che non è della torta che mi sono innamorata.
«Preoccupato per me?» domando.
«Quello che fai nelle simulazioni attirerà l’attenzione di gente pericolosa» dice bevendo un sorso dalla fiaschetta e poi passandola a me. «Ti ho detto di concentrarti sul fatto che quello che vedi non è reale, ma tu ci riesci così bene che potrebbero indagare più a fondo. Se sei brava non sarebbe un problema, ma se dietro a quella bravura si nascondesse altro…»
Lo guardo negli occhi, è preoccupato e dentro di me sento che non è uno dei suoi trucchi. Eric è sincero.
Quando ho deciso di unirmi agli Intrepidi ho seguito il mio istinto, accettando di pagare le conseguenze delle mie scelte, ma da quando sono arrivata in questa fazione ho permesso che le opinioni degli altri influenzassero le mie scelte. Credevo di essere io a decidere, da sola, e invece non ho mai smesso di appoggiarmi a qualcuno. È giunto il momento di scegliere davvero come vivere ed io non mi accontento solo di essere coraggiosa come un’Intrepida, io decido di essere una Divergente.
Il ragazzo che mi stringe a sé con tanta tenerezza e che potrebbe essere disposto a rischiare tutto per me, merita sincerità, gentilezza, devozione e lealtà.
Raccolgo tutto il mio coraggio e confesso: «Il mio test è risultato inconcludente».
Eric mi sorride. È sereno, rilassato, come se anche lui avesse portato il mio stesso peso per tanto tempo e la mia confessione lo avesse finalmente liberato.
«Non sarà facile d’ora in avanti. Dovrai imparare a superare le paure in modo razionale, imparare a non perdere il controllo della tua mente» mormora. «Non ti preoccupare, andrà tutto bene.»
«Lo dici solo perché è quello che ho bisogno di sentire o è la verità?»
«Tutti e due. Mi hai insegnato che le persone hanno bisogno di essere confortate e farti sentire al sicuro ti aiuterà ad affrontare questa importante prova. Ma sono anche convinto che sarai in grado di superarla brillantemente.»
«Quindi non mi butterai nel fiume?» domando sentendomi sciocca.
«Non posso, il tuo esercito di Mollychini mi tiene in pugno» mi fa l’occhiolino e poi prende dalla tasca della giacca un piccolo contenitore arancione. «Prendi una di queste.»
«Cosa sono?» gli domando rigirandomi tra le dita una pillola azzurra.
«Calmanti. Ti aiuteranno a dormire e mi eviteranno di prendere altri tuoi calci. Ho le gambe piene di lividi.»
«Scusa. Lo faccio sempre quando sono nervosa» ingoio la pillola e aggiungo: «Le simulazioni non mi spaventano tanto, eri tu il problema.»
«Hai ancora paura di me?» domanda con voce calma e un sorriso che mi fa sentire rilassata più di quanto potrebbero fare tutte le pillole in quel flacone.
«Un po’ meno di prima» rispondo.
Vedo Eric rabbuiarsi e capisco che ha frainteso. «Non è colpa tua, sono un po’ insicura a volte, soprattutto con i ragazzi come te» mi affretto ad aggiungere, ma riesco solo a peggiorare la situazione. «Sei bello e popolare, puoi avere tutte le ragazze che vuoi. Ragazze belle e spigliate, non pastrocchi come me.»
«Non so che idea ti sei fatta su di me, ma non ho esattamente la fila alla porta. E in ogni caso, non m’importa delle altre, mi piaci tu.»

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Il silenzio del bosco è irreale, non un gufo o una cicala, neanche un alito di vento a muovere le foglie degli alberi. Il sole è ormai sceso sotto l’orizzonte ma, in questa piccola radura c’è una luce strana che sembra diffondersi dal denso banco di nebbia che sale dal terreno e mi arriva appena sopra le caviglie.
Che paura è questa? Io sono abituata a girare di notte tra campi e boschi, so che non c’è nulla da temere, gli Intrepidi pattugliano il perimetro e gli Esclusi sono tutti all’interno della Recinzione.
Mi siedo sul tronco di quella che un tempo era una grande quercia e aspetto che la paura si manifesti. Sono calma e rilassata ma allerta. Questa volta non devo sbagliare, Eric e Quattro mi stanno osservando. In questi giorni sono migliorata parecchio, ma Eric continua a trovare stranezze nelle mie simulazioni.
Si è raccomandato di mantenere la mente lucida in modo che il panico non mi spinga ad avere comportamenti irrazionali. Devo superare lo scenario usando la logica e lo posso fare solo se mantengo il controllo.
Sento un fruscio alle mie spalle. Faccio un profondo respiro, devo restare calma e stare attenta alle mie reazioni. Non sono fortunata come i miei compagni, oltre ad affrontare le mie paure, devo anche preoccuparmi di farlo in modo meno sospetto possibile. Le paure non sono razionali, come posso affrontarle usando la logica?
Mi alzo di scatto e guardo nella direzione dalla quale veniva il rumore, ma quello che vedo mi paralizza e il mio cuore inizia a battere all’impazzata.
A qualche metro da me c’è una figura evanescente, è una donna e fluttua sopra la nebbia. La sua pelle è bluastra e i lunghi capelli neri le coprono il volto, ma purtroppo riesco lo stesso a intravedere i suoi occhi rossi, sembrano due tizzoni ardenti. Mi fanno gelare il sangue e fatico a mantenere il controllo, vorrei scappare via gridando a squarciagola. Non posso, mi stanno osservando, devo restare calma. Tutto questo non è reale.
So che i fantasmi non esistono ma io ho paura lo stesso. Come si fa a affrontare in modo razionale qualcosa che non esiste? Arrampicarsi per uscire da un pozzo, nuotare verso la superficie o combattere contro il mio doppio malvagio, sono cose che possono accadere anche nella realtà, doppio malvagio a parte che comunque potrebbe essere un’altra persona, ma i fantasmi non esistono, non si può sconfiggere qualcosa che non esiste.
Potrei correre via ma questo non aiuterebbe il mio battito a rallentare e poi so già come andrebbe a finire: mi apparirebbe davanti appena mi volto.
Cammino all’indietro lentamente e mi concentro sulla nebbia sotto a quella spaventosa creatura mentre cerco di calmarmi e rallentare la respirazione.
Il fantasma si muove più lentamente di me, forse posso farcela a superare questa paura semplicemente calmandomi e riportando il mio battito cardiaco nella norma. Facile a dirsi, quella cosa si muove in modo così innaturale da mettere i brividi.
Respiro profondamente, dentro e fuori. Ignoro lo spettro e mi concentro sul debole bagliore che illumina la nebbia. Ce la sto facendo, inizio a calmarmi.
La figura svanisce, è finita. I battiti del mio cuore tornano ad essere regolari, ma qualcosa ancora non va. Perché lo scenario non svanisce? Il fantasma è andato via ed io sono calma. Mi guardo intorno ma non vedo nulla, solo alberi.
Tutto d’un tratto qualcosa sbuca dal terreno e mi afferra le caviglie. Sono mani, le vedo emergere dalla nebbia intorno a me, sono ovunque. Cerco di liberarmi ma quelle fredde e ossute dita sembrano catene dalle quali è impossibile liberarsi. Altre mani si aggiungono e mi trascinano sempre più in basso fino a seppellirmi. Sento il sapore della terra in bocca, i vermi strisciare sulla faccia e il mio sangue caldo colarmi sulle mani mentre scavo furiosamente per cercare di riemergere.
Calmati. Non ci riesco, non ci riesco. La testa mi martella.
Respira. Tengo la bocca chiusa e inspiro attraverso il naso. È così strano riuscire a farlo sottoterra. Espiro, sempre dal naso. Il cuore mi batte forte nel petto, devo farlo rallentare. Respiro di nuovo, il viso bagnato di lacrime.
Invisibili unghie mi graffiano la pelle, si ritraggono per tornare alla carica e spingersi più in profondità, lacerandomi. Le lascio fare, lascio che strappino brandelli di carne dal mio corpo, e cerco di rilassare un muscolo alla volta, rassegnandomi a diventare una carcassa scarnificata.
Sono sopraffatta dal dolore.

Mi sveglio da questo incubo scalciando e urlando. Quattro è chinato accanto a me e sta raccogliendo qualcosa da terra.
Il carrello che di solito resta accanto all’operatore è finito contro la parete e si è rovesciato, il suo contenuto è sparso sul pavimento. Questa volta devo essermi agitata troppo.
«Eric tienila ferma prima che distrugga tutto» brontola Quattro.
Eric non muove un muscolo, si limita a guardarlo divertito.
Mi piacerebbe sapere cosa gli ha fatto di tanto grave per meritarsi l’odio di Eric. Non può avercela ancora con lui perché si è piazzato primo nella classifica, è storia vecchia e comunque Eric ha ottenuto il posto migliore, è un capofazione.
Riprendo il controllo del mio corpo e mi chino ad aiutare Quattro, ma lui mi ferma facendomi un gesto con la mano e poi lancia un’occhiataccia a Eric che contraccambia all’istante.
«Non sei troppo grande per avere ancora paura dei fantasmi?» mi domanda Eric in tono beffardo.
«Ha ragione» interviene Quattro. «Sarebbe più logica la paura dell’uomo nero» aggiunge sorridendo e fissando Eric.
Frecciatina arrivata, temo che anche Eric l’abbia capita. Non si metteranno a litigare o azzuffarsi durante l’addestramento spero. Chissà se l’hanno mai fatto. Sicuramente hanno combattuto l’uno contro l’altro durante l’iniziazione ed io sono curiosa di sapere come’è andata. Sicuramente loro due mi daranno versioni diverse, ognuno a suo favore, quindi credo che chiederò a Zeke. Probabilmente anche lui sarà di parte, ma non importa, ormai sono ossessionata da Eric, voglio sapere tutto su di lui.
«Non ho paura dei fantasmi, mi incuriosiscono molto.»
«Per questo motivo ti sei messa a gridare?» domanda Quattro sghignazzando.
«Deve essere il modo che usano i Pacifici per comunicare tra di loro» dice Eric, rincarando la dose.
Era meglio vederli litigare che fare comunella per prendermi in giro. I maschi sono un mistero, ma questi due dovrebbero essere studiati a fondo dagli Eruditi.
Faccio la linguaccia e mi alzo dalla poltrona. Le gambe mi tremano, inciampo e finisco contro il carrello che Quattro aveva appena messo di nuovo in piedi.
«Facciamo una pausa» dice Eric prendendomi per un braccio. «L’accompagno fuori e mi assicuro che non terrorizzi qualche fantasma.»
«Davvero molto spiritoso» brontolo, lasciando che Eric mi guidi fino alla porta.
Mi vergogno ad ammetterlo ma questa è stata la paura più terribile che mi sia capitata fino ad ora ed è così sciocca che me ne vergognerò a vita. Sono certa che Eric non perderà occasione per prendermi in giro.
«Allora, com’è andata?» gli domando appena chiude la porta.
«Ti sei arresa. Non hai lottato. Un’Intrepida…»
«Non ricominciare, chiunque si spaventerebbe davanti a un fantasma. È una cosa irreale. Credo che in qualche modo rappresenti l’ignoto e ciò che non si conosce fa paura. Sempre.»
«Allora perché se qui? Se volevi una vita tranquilla potevi restartene nei Pacifici. Qui si lotta, si corrono rischi, se non superi le tue paure non sarai mai un’Intrepida.»
Mi siedo per terra e mi stringo le ginocchia al petto. Forse ha ragione, non sono all’altezza e se supererò l’iniziazione sarà solo grazie a lui. Gli allenamenti in palestra, i combattimenti ben pianificati e tutti i suggerimenti che mi ha dato per affrontare le simulazioni, sono il mio unico biglietto d’ingresso in questa fazione.
No. Non è vero. Io ho combattuto e lo faccio tuttora, molto più dei miei compagni che non devono preoccuparsi di come reagiranno durante la simulazione, loro devono solo preoccuparsi delle paure, è molto più facile in quel modo.
«Io ce la sto mettendo tutta e mi sono arresa solo questa volta perché non trovavo un modo razionale di affrontare la paura.» Appoggio la testa contro la parete e continuo:  «Perché sei così crudele con me? Perché ogni tanto non provi ad incoraggiarmi invece di rimproverarmi sempre? Trovi sempre qualcosa che non va in quello che faccio.»
Eric si siede accanto a me e mi circonda le spalle con un braccio.
«Perché non si tratta più di entrare negli Intrepidi, c’è la tua vita in gioco ed io devo essere duro per spronarti a migliorare» mi sussurra. «Vedi, più io ti do addosso e più tu ti infiammi. Ho capito che questo è l’unico modo per farti reagire e dare il meglio di te.»
È vero, è il modo migliore per farmi fare qualcosa. I miei genitori usavano sempre questo fastidioso trucchetto per spronarmi a fare di più del minimo necessario. A volte sono un po’ troppo pigra ma, a differenza di Eric, loro riconoscevano i miei sforzi e me lo facevano notare e anche questo mi aiutava.
«Però, ogni tanto, potresti fare una pausa come istruttore ed essere semplicemente il mio ragazzo» mormoro imbronciata.
«Quindi sono il tuo ragazzo?» domanda con un timido sorriso sulle labbra.
«Mi piacerebbe» mi limito a rispondere.
«Sicura? Anche se dovrai accettare alcune mie scelte che molto probabilmente non condividi?»   
«Sto imparando ad accettare che sei un cacciatore di… beh, lo sai» dico tenendo bassa la voce e guardandomi intorno. «Cosa ci può essere di peggio?»
«Niente. Ma, prima di entrare negli Intrepidi ho fatto delle scelte, ho un incarico ben preciso, non posso più tirarmi indietro e anche tu ne pagherai le conseguenze se decidi di stare con me.»
«Ormai la frittata è fatta, spero solo che le tue scelte non mi faranno più male di quanto lo farebbe costringermi a restarti lontana.»
Vorrei conoscere questo peso che porta con sé da chissà quanti anni, ma ho paura di quello che potrei scoprire. Cosa c’è di peggio di uccidere i Divergenti? Non lo so, ma temo che riuscirei ad accettarlo, non perché sarò in grado di capirne il motivo, ma perché sarò accecata da questo stupido sentimento.
L’amore. La peggiore delle debolezze umane.

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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Ho passato tutto il pomeriggio a sfogliare quaderni con disegni nello studio del tatuatore e non ho trovato niente che desidererei vedere sul mio corpo per il resto della mia vita.
Molti intrepidi hanno almeno un tatuaggio con il simbolo della fazione, ma io non voglio avere il marchio degli Intrepidi sulla mia pelle, mi farebbe sentire troppo legata a questa fazione. Lo sono, ma le etichette non fanno proprio per me. Non sento di essere solo un’Intrepida, so che sono molto di più. Non sono solo coraggiosa e temeraria, ho anche altre qualità e, ne sono convinta, anche tutti gli altri le hanno. Forse, in quantità differenti, siamo un po’ tutti Divergenti. Credo nelle persone e nel loro potenziale, sono sicura che, se solo si sforzassero ed esplorassero loro stessi, sarebbero in grado di essere più di una sola fazione.
Sembrano solamente vaneggiamenti da Divergente, ma so che non è tutto bianco e nero e questo non è una cosa da Divergenti, è una cosa reale con cui conviviamo ogni giorno.
«Hai almeno una vaga idea di quello che vuoi farti?» domanda Tori avvicinandosi a me.
Scuoto il capo. No, la mia mente è vuota e sta lottando per non farmi tatuare l’iniziale di Eric. È il tatuaggio più stupido che si possa fare. Se le cose andassero male avrei qualcosa che me lo ricorda per il resto dei miei giorni.
Ho sentito di Intrepidi con il corpo pieno di nomi che poi sono stati coperti da altri tatuaggi ed io non voglio finire così, non sarà un’aggiunta di inchiostro a cancellare il ricordo del nome che era stato tatuato con il cuore pieno di speranza. Se mai dovessi scegliere un nome da farmi tatuare sceglierei quello dei miei figli, ma ancora non ne ho e quindi credo che dovrò aspettare.
«Ho sentito dire che è un po’ che non ti fai vedere al dormitorio» continua Tori, dopo essersi seduta accanto a me.
«È per le simulazioni, non riesco a dormire e così vago come un fantasma e mi addormento dove capita.»
Tori resta in silenzio e mi fissa con sguardo serio.
Non l’ha bevuta, eppure mi sono impegnata ad essere convincente ma, a quanto pare, mi viene più facile quando sono attaccata alla macchina per le simulazioni.
«Dormo da un Intrepido» confesso.
Tori spalanca gli occhi così tanto che per un attimo ho paura di vederli schizzare fuori dalle orbite.
«Seguimi» si limita a dire alzandosi dallo sgabello.
Mi porta nel retro del salone, si assicura che non ci sia nessuno e poi inizia il suo interrogatorio.
«Sei stata da Eric per tutto questo tempo? Ti avevo detto di evitarlo e tu ti trasferisci a casa sua?»
«Non mi sono trasferita» puntualizzo. «Mi sta ospitando per un po’, lo fa per il mio bene.»
Appena finisco la frase capisco quanto può suonare assurda questa affermazione per chi non conosce Eric come lo conosco io. Eric non si prende cura di nessuno, solo di se stesso.
Tori scoppia a ridere, me lo aspettavo. Sta pensando che sono una povera scema che è cascata nella trappola di Eric.
«Lo fa per il bene del suo pisellino» insinua, flettendo l’indice più volte.
«Non è vero!» esclamo irritata. «Non abbiamo ancora fatto sesso.»
Lei mi guarda stupita, ma non come se avesse appena sentito qualcosa di impossibile ma positivo, ma come se avessi appena affermato che il sole invece di tramontare a ovest è tornato indietro scomparendo a est.
Si lascia cadere sulla poltroncina davanti alla mia. Immagino i suoi pensieri e credo siano gli stessi che ho avuto io quando, per la seconda notte di fila, Eric si è sdraiato accanto a me, mi ha abbracciata e pochi minuti dopo era già nel mondo dei sogni.
«Se non è per scopare, perché ti tiene a casa sua?» domanda.
«La notte prima dell’inizio del secondo modulo sono stata aggredita giù al fiume e…»
«Che cosa?! Un’altra aggressione insabbiata da quel bastardo? E tu, cosa ci facevi là da sola?» mi interrompe Tori.
«Ero là con Eric, è stato il nostro primo appuntamento. Aspettavo che lui si fosse allontanato perché non vuole che la gente ci veda insieme» confesso. So che avrà da ridire sulle regole di Eric, ma non avevo altra scelta che accettarle. «E comunque lui ha preso dei provvedimenti anche se non in modo ufficiale.»
«E come?» domanda in tono acido.
Inizia a darmi sui nervi tutta questa sfiducia nei confronti di Eric.
«Ha risolto la cosa giù al fiume. E, prima che tu possa accusarlo di chissà quale nefandezza, non ha ucciso nessuno, gli ha fatto solo un bel discorsetto nel suo stile.»
«Ne sei davvero sicura?»
«Sì, purtroppo il bastardo è ancora vivo» rispondo facendo una smorfia di disgusto.
Tori si zittisce e mi guarda come la prima della classe che viene ripresa dalla maestra. Fastidioso non avere sempre ragione, vero?
«Strano comportamento. Tu non gli hai confessato niente di pericoloso?» domanda.
Avrei preferito che il suo silenzio durasse più di trenta secondi.
Sì, gli ho detto del test inconcludente e solo ora realizzo che l’ho messa nei casini. È stata lei a farmi il test e a inserire manualmente il risultato.
Abbasso lo sguardo. Non ce la faccio a guardarla negli occhi sapendo che potrei averla condannata a morte.
«Theia, guardami» ordina.
Io faccio un profondo respiro e alzo la testa. Cerco di sembrare calma ma so che i miei occhi mi stanno tradendo e lei può leggerci le mie colpe.
«Scusami, io non ho pensato che ti avrei messa nei guai.»
«Sei stata così stupida da confessargli il vero risultato del test?» domanda inferocita.
«Non è come pensi, vedi…»
Tori si alza di scatto dalla poltrona e inizia a camminare per la stanza. Ha le mani strette a pugno e tutti i muscoli del corpo tesi. Mi spaventa, più di quanto abbia mai fatto Eric. Da lui ci si aspetta un attacco di rabbia, ma non da Tori. Lei è sempre stata gentile, non nel modo assurdo dei Pacifici, ma in maniera più sobria, senza perdere il suo modo di fare da vera dura.
«Eric ha visto la mia simulazione e mi ha costretta a farne un’altra da sola con lui. Ha notato delle anomalie» dico cercando di placare la sua ira. «Lui l’aveva già capito, mentire non sarebbe servito a nulla. Tori, se sei ancora viva vuol dire che non corri nessun rischio.»
«Come fai ad esserne sicura?» ringhia.
«Perché sei l’unica amica che ho in questa fazione e lui lo sa. Sei la sola con cui posso parlare di quello che sono ed Eric l’ha capito. Senza di te…»
«Hai detto a Eric quello che ci siamo dette?» mi interrompe.
«No, gli ho semplicemente detto che ti ho parlato di cosa sono perché mi fido di te. All’inizio non l’ha presa bene, aveva paura che tu andassi a dirlo in giro, ma poi l’ho convinto che tu non mi metteresti mai nei guai.»
Tori mi guarda. La sua rabbia sembra scemare via lentamente. Vorrei tirare un sospiro di sollievo, ma quello che ho fatto è imperdonabile, dovevo pensare che la mia confessione avrebbe coinvolto anche lei.
Vorrei che la piccola Erudita dentro di me fosse più loquace in modo da farle capire che Eric non le farebbe mai del male perché non vuole togliermi la mia unica amica fidata. Purtroppo si è attivata solo la piccola Abnegante che afferma che pecco di superbia dicendo che Tori è ancora viva solo perché è una mia amica.
Dalla stanza accanto sento Bud chiamare Tori. Temo che la nostra conversazione termini qui e senza darmi modo di spiegare bene come stanno le cose.
«Devo andare, ma vedi di farti trovare in giro, noi due non abbiamo ancora finito.»
Apre la porta e se ne va, lasciandomi da sola a tormentarmi per la mia ennesima cavolata.

Dopo aver girovagato per il complesso residenziale ripensando a quello che ho fatto alla mia unica amica, decido che una fetta della magica torta degli Intrepidi mi aiuterebbe a tenere a bada i sensi di colpa almeno per una decina di minuti.
Ormai è tardi e la mensa è quasi vuota. Prendo un vassoio e ci metto dentro un piatto con una fetta di torta al cioccolato. Mi siedo ad un tavolo in fondo alla mensa e inizio punzecchiare la torta con la forchetta.
«Non ti hanno insegnato che non si gioca con il cibo?» domanda Eric sedendosi davanti a me.
Il suo vassoio è stracolmo di cibo. Ecco perché è così grosso, mangia per due, anche se oggi pare avere più appetito del solito.
Eric si guarda intorno un paio di volte e poi prende dal suo vassoio un piatto con hamburger e ci aggiunge patate e pomodori.
«Niente torta se non finisci quello che c’è nel piatto» dice scambiando la mia adorata torta con carne e verdura.
Mi viene difficile mangiare la torta, figuriamoci un hamburger che mi sembra enorme. Allontano il vassoio e incrocio le braccia come farebbe una bambina davanti ai cavoletti.
«Ho lo stomaco chiuso.»
«Hai lo stomaco vuoto» dice indicandomi con una forchetta.
Possibile che abbia davvero sentito il mio stomaco brontolare? In ogni caso questo non cambia le cose, può brontolare quanto gli pare ma se la mia testa rifiuta il cibo non c’è modo di riuscire a buttare giù neanche un boccone.
«Devo imboccarti come i bambini? Ok.»
Taglia un pezzo di hamburger con la forchetta e si sporge verso di me.
«Mi sento ridicolo» mormora.
Se prima non avevo voglia di mangiare, adesso ne ho ancora meno. Davanti a me c’è Eric che tiene sollevata una forchetta a pochi centimetri dalla mia bocca e lo trovo una cosa dannatamente sexy ma allo stesso tempo anche imbarazzante.
Mi guardo intorno velocemente e vedo che gli Intrepidi presenti in mensa ci stanno fissando.
Eric che imbocca un’iniziata, non riesco a immaginare che genere di pettegolezzi metteranno in giro. L’assurda coppia o una nuova forma di tortura di Eric? Non voglio saperlo.
Strappo la forchetta dalla mano di Eric e mi infilo in bocca il pezzo di hamburger. Mi sforzo di masticarlo come si deve ma alla fine lo mando giù quasi intero.
«Ok, riproviamo. Questa volta devi anche masticare, ok?»
Non gli do il tempo di ripetere la scena, prendo un pezzo di hamburger e me lo infilo in bocca.
Chi dice che l’appetito vien mangiando non è mai stato una Divergente innamorata del più pericoloso degli Intrepidi.
Intorno a me sento la gente bisbigliare e vedo qualcuno rientrare in mensa insieme ad altre persone.
«Eric, forse dovresti allontanarti, stiamo dando spettacolo» dico, indicando il capannello di Intrepidi che si sta formando davanti alla porta.
«Non so di cosa tu stia parlando. Siamo semplicemente seduti allo stesso tavolo. Cosa c’è di strano?» domanda.
«Non ti siedi mai a un tavolo dove ci sono iniziati, la cosa può apparire strana, ma se ci aggiungi che ne stavi imboccando una… beh immagina cosa stanno pensando.»
«Quello che è logico pensare, in fondo io non ho fatto nulla per nasconderlo. Non ce n’era motivo, è Quattro quello che assegna i punteggi, io supervisiono e basta» dice come se niente fosse.
«E tutti modi assurdi per arrivare a casa tua, le distanze di sicurezza e tutte le altre assurdità? Tu mi avevi detto che lo facevi per non farmi bollare come raccomandata!» esplodo tenendo però la voce bassa e restando immobile come una statua. Sembro imperturbabile ma dentro di me si sta scatenando un ciclone di dimensioni epiche.
«Ti prendevo in giro» dice scoppiando a ridere e per un attimo mi sento come se fossi tornata indietro nel tempo, quando ancora non ero certa delle intenzioni di Eric.
Se fosse stato tutto un trucco e adesso lui avesse deciso di mostrarsi per il bastardo che è in realtà?
«Eccolo qua, Eric il torturatore si è rivelato! Ed io scema che ho creduto che ci fosse del buono in te.»
«Ed ecco qua l’istrice isterica. Perché prendi sempre tutto così male?»
«Perché?» ringhio preparandomi a sputargli addosso tutto il mio veleno. «Hai detto che era per quel motivo che non volevi che la gente ci vedesse insieme, ma ora scopro che non è così! Cosa dovrei pensare, eh?»
«Lo facevo per te, come avrebbero reagito le tue amichette Tori e Tris sapendo che stavi con me?»
«Loro due lo sanno già e, anche se non erano d’accordo, hanno accettato la cosa.»
Eric sgrana gli occhi proprio come ha fatto Tori questo pomeriggio. Me li immagino tutti e due girare con le orbite vuote e gli occhi in mano. In un modo bizzarro la trovo una scena molto comica.
«Tris ci ha visti quella sera in palestra e Tori, beh lei sa cosa sono e quindi le ho confessato anche questo peso» gli spiego prima che la sua testa esploda rendendo decisamente più macabra la scena che ho appena immaginato.
«Ma quanta cazzo di gente c’era quella sera?!» esclama allibito. «Questo peso?» aggiunge scandendo bene ogni sillaba. «Sono un peso per te?»
«No, sei il mio rifugio sicuro in mezzo al caos. Però prima, quando ancora non ero certa delle tue intenzioni, eri il mio tormento quotidiano, dalla mattina a… alla mattina visto che neanche nei sogni mi lasciavi in pace» confesso guardandolo negli occhi. Se non lo facessi la mia affermazione mi suonerebbe patetica, ma quando i nostri sguardi si incrociano sento che anche la frase più smielata non sembra poi così tanto stucchevole.
«Anche tu non eri da meno» i suoi occhi abbandonano i miei per esaminare il nostro fastidioso pubblico. «Meglio andare in un posto con meno spettatori curiosi. Prendo qualche sandwich al formaggio e ti porto in un bel posto.»
Io resto seduta a fissare il mio piatto ancora pieno. Non ce la faccio ad affrontare gli sguardi degli Intrepidi. Eric aveva ragione, era meglio tenere tutto segreto almeno fino alla fine dell’iniziazione.

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


Sono in un enorme garage pieno di auto, furgoncini blindati e camion. Eric, oltre a rivedere il suo concetto di posto tranquillo e sicuro, dovrebbe ridefinire anche quello di bel posto.
All’inizio ho sperato di salire con lui su una di quelle auto per andare da qualche parte in città, ma lui si è seduto su una panca e ha iniziato a spiegarmi l’utilizzo di ogni singolo veicolo di questo posto. Sono passate quasi due ore e siamo ancora qui: io a trattenermi dallo sbadigliare e lui a parlare del prezioso contributo degli Eruditi nella progettazione di batterie di nuova generazione che renderanno obsolete le batterie al litio con gel al diossido di titanio.
Almeno credo, molte delle parole che ha detto erano solo gruppi di lettere con un suono piacevole da ascoltare ma senza alcun senso.
Non ho il coraggio di interromperlo, non l’ho mai visto entusiasmarsi tanto per qualcosa, il più delle volte il suo sguardo è annoiato mentre adesso gli brillano gli occhi e non la smette più di parlare. È così diverso da Eric che tutti conosciamo, sembra un’altra persona e, anche se capisco la metà di quello che dice, mi piace vederlo così elettrizzato.
«Ti sto annoiando?»
«No, è interessante, ma credo di non essere abbastanza intelligente per capire tutto quello che dici» mento, ma solo in parte. Tutto quello che dice mi interessa anche quando sono cose incomprensibili e noiose, ma la sua scelta di portarmi in questo posto proprio non la capisco.
«Eric, mi hai portata in un garage, perché?» gli chiedo indicando con la mano la lunga fila di auto accanto a noi.
«Volevo portarti al Pozzo e aspettare lì fino al coprifuoco ma avevi ragione tu, ho esagerato in mensa» abbassa lo sguardo, sospira e continua: «Non manca molto al test finale e comunque non credo che le cose cambieranno quando farai parte degli Intrepidi e… no, non cambieranno. Dovrai accettare anche questo.»
«Non me ne frega niente dei loro sguardi o di quello che diranno. Non ho bisogno della loro approvazione, faccio quello che voglio» dico con lo stesso sguardo risoluto che usa Tori, ma credo che sulla mia faccia sembri più una pessima imitazione, come una bambina che scimmiotta una donna.
«Aspettare il coprifuoco per cosa?» gli domando avvicinandomi a lui.
Eric sorride e preme il tasto di un piccolo telecomando che ha tenuto in mano tutta la sera. A pochi metri da noi i fari di un auto lampeggiano velocemente due volte. Ho aspettato questo momento per due ore, se mi avesse detto subito che siamo stati in questo posto solo per tirare tardi, almeno gli avrei suggerito di aspettare seduti comodamente nell’automobile, non sarebbe stato il massimo ma sempre meglio di questa dura panca di ferro.

La strada è illuminata solo dai fari dell’automobile, il regolamento vieta di tenere accese le luci dopo il coprifuoco, ma pare che la legge non sia uguale per tutti. In lontananza il palazzo della sede degli Eruditi ha parecchie finestre illuminate e mi chiedo cosa stiano facendo a quest’ora della notte.
La strada, come gran parte delle strade in questa città, è piena di buche, Eric cerca di evitare le più grandi ma è impossibile sfuggire alle più piccole. Ogni volta che l’automobile ne prende una, sento Eric fare dei versi a metà tra un grugnito e un lamento. Le automobili sembrano l’unica passione che hanno in comune i maschi di tutte le fazioni.
Guardo fuori dal finestrino e le sagome scure dei palazzi hanno lasciato il posto a edifici bassi e diroccati. Ormai la città è finita, restano solo prati e poi la grande Recinzione. Non ci sono cancelli da questo lato e intuisco che Eric non mi sta portando nei campi della mia vecchia fazione.
Continuiamo ad andare avanti su una strada sterrata ed io immagino quanto stia soffrendo Eric pensando alla sua adorata auto macchiata dal fango delle pozzanghere, andrà a finire che mi costringerà a mettermi dei pantaloncini e una maglietta per lavargli l’auto.
Questa è un’altra ossessione dei ragazzi che proprio non capisco, perché dobbiamo spogliarci per lavare un’automobile? O meglio, perché devono trasformare un lavoro fastidioso in qualcosa di erotico? Erotico solo per loro, perché noi ragazze oltre a sgobbare per far splendere l’auto dobbiamo pure essere provocanti. Alla fine facciamo un lavoro che spetterebbe a loro e in più si godono lo spettacolo. Se mi vuole vedere in quella situazione dovrà parcheggiare nel centro del Pozzo, davanti a tutti maschi della fazione.
Eric si ferma nel centro di un prato e spegne i fari. Mi guardo intorno, e non c’è niente, solo erba e qualche cespuglio. Davanti a noi, in lontananza, vedo la Recinzione, un lungo muro nero che si staglia contro un cielo stellato. La trovo soffocante, ma mi inquieta meno delle case mezze crollate qualche decina di metri dietro di noi.
Lui scende dall’auto e, senza dire una parola, apre il bagagliaio, prende un sacchetto e un plaid, lo stende sul prato e mi fa cenno di raggiungerlo.
Noi due soli, una coperta e la luna piena alta in un cielo stellato, dovevo capirlo che non ha intenzione di fare due chiacchiere come mi aveva promesso.
In fondo è romantico, amo la natura, però i palazzi sono troppo vicini e non sono sicura che siano tutti disabitati, gli Esclusi sono ovunque, non si limitano a restare nella loro zona, è una cosa che sanno tutti e un motivo di lamentele per il servizio che gli Intrepidi svolgono per la città.
«Questa sono sicuro che non l’hai mai assaggiata» dice tirando fuori dal sacchetto una lattina.
Mi siedo accanto a lui e la apro con un’unica certezza: non contiene alcolici, entrambi sappiamo che effetto hanno su di me.
L’assaggio ed è una cosa disgustosa. È effervescente e dolciastra, sembra una medicina, ma lui la beve come se non avesse mai assaggiato niente di meglio nella sua vita.
«Non ti piace» dice sorridendo.
«No, non è male. È una cosa che non avevo mai provato, è… strana.»
«Ho capito, l’acqua è meglio» dice Eric prendendo una bottiglietta d’acqua dal sacchetto.
«Un mix dei due può essere un perfetto punto di partenza» affermo, anche se con poca convinzione.
Mi sdraio e guardo il cielo e i ricordi della mia vecchia fazione mi assalgono.
Quante notti passate sdraiata con Althea a chiacchierare guardando le stelle. Quante volte mi sono trovata con Neem in questa stessa situazione cercando di trovarla anche solo minimamente romantica senza mai riuscirci.
Adesso è diverso, Eric non è dolce come Neem ma io fatico a tenermi lontana da lui. Siamo sdraiati l’una accanto all’altro a fissare il cielo, ci separano solo una ventina di centimetri ma a me sembrano metri. Vorrei essere tra le sue braccia, ma so cosa potrebbe pensare, che voglio continuare quello che abbiamo interrotto in palestra. In fondo non è male come posto, è tranquillo come i campi dei Pacifici ma non sono a mio agio. Sento rumori provenire da ovunque e so che non sono animali come nella mia vecchia fazione, o forse lo sono ma la mia mente immagina che siano persone, magari Esclusi. Non riesco a rilassarmi, a lasciarmi andare, in queste condizioni.
«Bada bene che mi sono sdraiata solo per guardare le stelle» puntualizzo.
«Io non ho detto niente.»
«Però l’hai pensato.»
«Hai ragione. Cosa ci posso fare…»
«Pensa ad altro!»
«Ok» sbuffa. «Ricorda che te la sei cercata» aggiunge.
Non riesco a capire cosa intende ma non mi viene in mente niente di buono.
«Le tue simulazioni sono ancora troppo sospette.»
«Cos’hanno di tanto sospetto?»
«Si capisce che stai manipolando le allucinazioni. Non è evidente, riesci a camuffare tutto molto bene, ma al test finale ci saranno persone che studieranno attentamente ogni tua decisione, ogni tuo movimento e capiranno cosa sei.»
Non c’è scampo quindi, presto mi scopriranno e per me sarà finita.
«Cercherò di migliorare» prometto, pur sapendo che non sarò in grado di tenere fede a questa promessa. Mi sto già impegnando al massimo e se ancora non basta, temo che non riuscirò a migliorare più di così.
«No. Devi cambiare metodo.»
«Cosa intendi?»
«Intendo che devi affrontare le tue paure e non eliminarle. Non è solo una questione di non farsi scoprire, è qualcosa che devi imparare a fare per te stessa e non solo per restare negli Intrepidi» mi spiega.
«Smetterla di scappare. Affrontare le mie paure e diventare più forte, giusto?»
«Ma soprattutto crescere.»
«Le allucinazioni mi fanno paura» mormoro fissando la luna.
«Lo so, ma è inevitabile se non vuoi restare una ragazzina immatura.»
«Immatura?» domando innervosita. «Perché non voglio fare subito sesso?» non riesco a trattenermi dal puntualizzare.
«No, è per il tuo atteggiamento. Evitare di affrontare le paure, il tuo sciocco atteggiamento di sfida. Sono tutti comportamenti infantili.»
Purtroppo devo riconoscere che Eric ha ragione, ma non mi piace sentirmi dire che sono una bambina capricciosa. So di essere troppo orgogliosa per poter ammettere le mie mancanze e anche per ammettere che lui ha sempre avuto ragione su tutto quello che mi riguarda.
«Quello fa parte dell’adolescenza ed io ho solo sedici anni, quindi sono nella giusta fase» cerco di giustificare i miei atteggiamenti, ma nel profondo so che li sto solo confermando.
«Vedi di superarla in fretta se vuoi sopravvivere negli Intrepidi. In questa fazione o diventi adulto subito o rischi di finire male.»
Non mi piace che ogni volta che restiamo soli l’argomento principale siano le mie simulazioni e i miei comportamenti, mi fa sentire stupida, non all’altezza di un ragazzo come lui.
Mi avvicino a Eric e appoggio la mia testa sulla sua spalla nella disperata ricerca di un po’ di coccole. Lui mi cinge le spalle con un braccio mentre con l’altro mi circonda i fianchi.
«Non ti fare strane idee» gli dico dandogli un colpetto con il gomito.
«Non te le fare tu» mi sussurra cominciando a baciarmi.
I suoi baci questa volta non sanno di birra ma di medicina effervescente e dolciastra, anche se non amo quella bevanda, assaggiata dalle sue labbra ha un sapore piacevole. È lui ad avere un buon sapore, quello del frutto proibito. Un ragazzo pericoloso ma così affascinante da farmi dimenticare chi è veramente e tutto quello che ci fa passare durante l’addestramento.
So che non è virtuoso come Quattro, ma non sembra neanche un mostro come tutti lo dipingono. Forse sto solo cercando di trovare tutto quello che c’è di buono in lui per giustificare questo mio folle sentimento nei suoi confronti, ma non riesco a credere che sia unicamente un concentrato di malvagità.
In questi giorni l’ho osservato e non l’ho mai visto fermarsi in uno dei gruppetti di amici che si radunano al Pozzo. Ha sempre vagato da un gruppo all’altro e non si è mai fermato molto a parlare. Non è amato come dovrebbe essere un vero leader, c’è chi lo teme e cerca di tenerselo buono e chi non lo sopporta e cerca di evitarlo il più possibile. Non ha veri amici in questa fazione ed io mi chiedo come fa ad andare avanti in questo modo. Non si confida con nessuno, non ride o scherza come dovrebbe fare un ragazzo della nostra età. Possibile che non c’è nessuno che gli sia davvero amico e di cui si possa fidare? Temo che il problema non siano gli altri, ma lui. È lui a non poter stringere amicizie profonde. No, potrebbe benissimo farlo, lo sto giustificando di nuovo. L’unico suo segreto è quello che fa ai Divergenti e potrebbe benissimo tenerlo per sé, potrebbe avere legami forti senza dover essere sincero come un Candido, anche se sono certa che pure loro hanno dei segreti, non si può essere completamente sinceri, è più folle della gentilezza dei Pacifici o l’altruismo degli Abneganti.
«A che pensi?» mi domanda.
«Mi domandavo cosa ti spinge a non creare forti legame con i tuoi compagni di fazione.»
«Lo sai benissimo il perché» sospira e il suo sguardo si fa triste.
«Non sei costretto a dire tutto, qualche segreto lo abbiamo tutti» gli spiego. «I tuoi amici non devono conoscere la tua missione segreta e neanche la tua ragazza.»
Questa mia ultima affermazione vorrei essermela tenuta per me, se Eric non mi avesse confessato chi è e cosa fa e lo fossi venuta a sapere in qualche altro modo, non l’avrei mai perdonato.
«Beh con la tua ragazza non dovresti avere questo tipo di segreti. Dovresti fidarti di lei e anche lei dovrebbe fare la stessa cosa» puntualizzo stringendomi a lui.
«Comprendere e accettare. È difficile nel mio caso.»
«Ma io lo sto facendo e dovrei essere l’ultima persona in grado di farlo» lo rassicuro. Dentro di me però c’è una domanda che spinge per uscire e lo fa ormai da troppo tempo. Lui mi ha detto di avere pazienza e che non può rivelarmi tutto subito, ma io ho bisogno di sapere chi è davvero e quello che deve fare.
«Eric, ho sentito di un uomo, Amar, era un tuo istruttore ma dicono che si sia tolto la vita. È successo dopo un controllo sulle simulazioni» mormoro. Le parole mi escono a fatica, ho bisogno di conoscere la verità ma allo stesso tempo la temo. «Tu l’hai…» non riesco a finire la domanda.
«No, non sono stato io» dice rattristato fissando la luna. «Credo che sapesse di avere i requisiti per essere studiato dagli Eruditi e per evitarlo si è ucciso.»
«Era questo che dovevi fare, portare una cavia agli Eruditi?» domando, cercando di mantenere il mio tono di voce calmo e gentile.
Mi mette i brividi l’idea che un essere umano venga sottoposto a chissà quali test e che Eric sia convinto che è una cosa giusta.
Lui annuisce. I suoi occhi sono tristi, non perché quello che fa è sbagliato ma perché non vuole farlo a me.
«Io ho i requisiti?»
«No, sei ancora troppo giovane, il tuo processo di maturazione cerebrale non è ancora finito» risponde come se stesse recitando a memoria una pagina presa da un libro di medicina. «E no, non sto con te perché voglio studiarti» aggiunge come se mi avesse letto nel pensiero.
«Mi fido di te, ma a volte la paranoia è più forte di me e peggiorerà man mano che si avvicina il test finale. Ho dato il meglio di me ma ancora non riesco ad affrontare in modo pulito le mie paure.»
«Te l’ho detto il motivo» mi rimprovera. «Però posso provare ad aiutarti affrontando lo scenario insieme a te.»
«In che senso?»
«Possiamo affrontare uno scenario insieme. Sarò lì con te e potrò aiutarti a fare le scelte giuste» mi spiega.
«Quindi tu puoi entrare nelle mie allucinazioni e guidarmi? Perché mi hai fatto patire le pene dell’inferno quando potevi sistemare le cose subito?»
«Perché affrontare le tue paure non è solo un crudele test, ma ti aiuta anche a crescere e diventare più forte. Tu ne hai bisogno ed è per questo che non ti ho suggerito subito la via più semplice. Anche se adesso ti viene difficile crederlo, l’ho fatto per il tuo bene.»
«Da quando farmi beccare corrisponde al mio bene?» domando ingoiando il mio veleno per non aggredirlo.
«Gli unici che controllano le simulazioni siamo io e Quattro. I capifazione non hanno né voglia né tempo di guardare tutte le vostre paure. Sottopongo loro solo le simulazioni che contengono anomalie» mi spiega quasi pavoneggiandosi. Eric è l’ultimo arrivato tra i capi ma è quello che sembra avere più potere in questa fazione.
«Quattro esegue i miei ordini senza fiatare e quindi tu non corri nessun rischio» aggiunge e io mi chiedo se sia così oppure il suo ego smisurato mi farà finire sul fondo dello strapiombo.
Un altro tormento si aggiunge alla lunga lista. Il potere che ostenta Eric è reale o è tutto nella sua testa? Non so quale delle due ipotesi sia la più inquietante.
In meno di due anni è riuscito ad arrivare al vertice degli Intrepidi e prenderne il controllo cambiando le regole dell’iniziazione. Non può aver fatto tutto da solo, è solamente un ragazzo, nessuno darebbe una responsabilità così importante a un diciottenne. Forse anche Max ha legami con gli Eruditi e quindi quella di Eric è solo un’illusione di potere.
Al contrario, se fosse solo tutto nella sua testa, sarei in guai seri. Sto prendendo per oro colato tutto quello che dice un ragazzo con manie di grandezza.
Sto delirando, lui è troppo intelligente e calcolatore, tutto quello che fa è studiato come se la sua vita in questa fazione fosse una partita a scacchi e, per quanto ho visto fino ad ora, lui ha scelto con cura ogni mossa, posizionando ogni pezzo sulla scacchiera in modo da vincere la sua partita.
La vincerà, ne sono certa, ma chi c’è dall’altra parte della scacchiera? Io, i Divergenti, gli Intrepidi o l’intero sistema delle fazioni? Per quanto mi senta meschina a sperarlo, vorrei essere tra i pezzi che non intende sacrificare.

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Capitolo 48
*** Capitolo 48 ***


Eric è seduto davanti al computer e sembra così a suo agio mentre inserisce i codici per la simulazione che non posso non riconoscere qual è la sua vera inclinazione: Eruditi.
Mi siedo accanto a lui, ma subito mi fa cenno di alzarmi.
«Questa simulazione è diversa, affronterai direttamente la prova per il test finale: lo scenario della paura» mi spiega «il primo modulo era incentrato sulle abilità fisiche e il secondo sul controllo di quelle emotive, nel terzo modulo dovrai controllare sia le emozioni che il corpo.»
«Quindi mi arrampicherò sui muri e nuoterò sul pavimento?» domando lasciandomi scappare una risatina.
«Più o meno» dice senza smettere di digitare sulla tastiera poi, di colpo, si blocca e scoppia a ridere.
È imbarazzante che trovi divertente immaginarmi a tirare calci al nulla o cercare di arrampicarmi su un muro, l’unica cosa che mi consola è che lui potrebbe aver fatto le stesse cose e, ai suoi occhi, dovrei apparire meno ridicola, o almeno lo spero.
«Nello scenario avrai qualcosa che gioca a tuo favore: sarai cosciente di trovarti in una simulazione. Questo potrebbe giustificare alcune delle tue azioni, ma non le più strane come fare apparire una porta dal nulla.»
Capisco a cosa si riferisce: la mia paura di essere sepolta viva. Durante il test finale ci saranno anche gli altri capi e lui non potrà cancellarla come ha fatto fino ad ora.
«C’è la possibilità che quella paura non si manifesti?» domando con la voce tremante. Ricordo ogni dettaglio di quella simulazione, sembrava tutto così reale ed io ero paralizzata dalla paura. Ho cercato di immaginare di essere in un altro posto, per calmarmi, e alla fine, non so come, davanti a me è apparsa una porta.
«Mi dispiace, dovrai imparare ad affrontarla in modo logico. Durante il test finale sarà il computer a scegliere, non posso settarlo come sto facendo ora, è troppo rischioso.»
«Stai dicendo al computer quale paure scegliere?»
Si alza in piedi e annuisce. Prende la siringa e io piego la testa per esporre meglio il collo. Sento un dolore acuto quando l’ago entra, non credo che mi abituerò mai a queste iniezioni.
Una volta fatto, mi porge la scatola con dentro un’altra siringa.
«Se fossi in te non mi lascerei sfuggire l’occasione che tutti i tuoi compagni coglierebbero al volo» dice, indicando in che punto del collo deve essere fatta l’iniezione.
Forse gli altri iniziati lo trasformerebbero volentieri in un puntaspilli, ma io non riesco a fargli del male. È soltanto un’iniezione, in questi due anni chissà quante ne avrà fatte, eppure quasi mi gira la testa al pensiero di bucargli la pelle con quel grosso ago.
Titubante, mi sollevo sulle punte dei piedi e gli infilo l’ago nel collo. La mano mi trema un po’, mentre lui è perfettamente immobile e tiene gli occhi puntati su di me per tutto il tempo e, quando ho finito, ripone le siringhe nella scatola e la posa accanto alla porta.
Mi porge la mano e io vi faccio scivolare la mia. Mi sento come se dovessi dire qualcosa, ma sono troppo nervosa e non mi viene in mente niente.
Lui apre la porta con la mano libera ed io lo seguo nel buio. Mantengo il respiro regolare e tengo saldamente la sua mano.
La porta si chiude alle nostre spalle portandosi via tutta la luce. Stringo più forte la mano di Eric e di risposta lui massaggia con il pollice il dorso della mia.
La simulazione comincia. L’aria fredda diventa calda e pesante, come se la camera fosse chiusa ermeticamente e l’ossigeno iniziasse a scarseggiare. Muovo la mano libera e sbatto contro qualcosa di duro, capisco all’istante quale paura ha inserito nel computer: sepolta viva. Sebbene ora mi trovo sdraiata sopra a Eric questo non mi aiuta a scacciare il terrore che lentamente mi invade.
«Tra tutte le paure hai scelto proprio la più angosciante per cominciare?» domando con la voce che mi trema dalla paura.
«Se ti può consolare, angoscia anche me» mi risponde e percepisco un velo di paura nel suo tono di voce. «Quindi non perdiamo tempo. Cosa fai?» aggiunge.
«Nella realtà piangerei e griderei, ma è una simulazione, non è reale, se riuscissi a calmarmi potrei far rallentare il battito cardiaco e la respirazione e quindi passare alla prossima paura.»
«E farai apparire una porta oppure trasformerai la bara in un letto?» mi sussurra all’orecchio con voce suadente.
«Pensi mai a qualcosa che non sia il sesso?» domando, facendo profondi respiri nell’inutile speranza di calmarmi.
«La situazione non mi aiuta pensare ad altro.»
«Eric, siamo in una bara sottoterra, non puoi eccitarti per una cosa simile, è morboso!»
«Concentrati» mi ordina.
Vuole apparire calmo e distaccato ma sento il suo cuore battere più forte del mio e i suoi respiri farsi sempre più brevi. Non so se fa parte delle sue paure, ma Eric sembra sul punto di perdere il controllo.
«Ok. Non riesco a calmarmi quindi, se vogliamo uscire da qui, dobbiamo scavare.»
Inizio a prendere a pugni il coperchio della bara. Lo sento scricchiolare e poi cedere. Il cuore mi batte all’impazzata mentre scavo nella terra che velocemente riempie la bara. La sento ricoprire il mio corpo, mi entra in bocca e nel naso. Trattengo il respiro e scavo furiosamente alla ricerca di una via d’uscita. Mi sembra di scavare da ore, ma sono cosciente che non è passato neanche un minuto da quando il coperchio della bara ha ceduto, poi finalmente le mie dita incontrano il vuoto. Ce l’ho fatta, sono fuori.
Esco dalla mia fossa e mi sdraio sul terreno, ma ancora qualcosa non va. É buio e c’è odore di muffa e acqua stagnante.
«Pronta per la prossima?» mi domanda Eric.
Non faccio in tempo a rispondergli che non sarei pronta neanche in un milione di anni, quando dal buco che abbiamo appena scavato inizia a uscire dell’acqua e in pochi secondi mi ritrovo immersa fino alle spalle e circondata da pareti di pietra. Sono nel pozzo.
Mi avvicino a Eric e mi aggrappo a lui.
«Non puoi evocarmi nel tuo scenario» mi rammenta.
«Lo so, ma sei già qui e… non lo so, è la prima cosa che mi è venuta in mente.»
«Devi imparare a cavartela da sola, non puoi sempre dipendere dagli altri.»
«Non è questo il motivo» confesso «mi ricorda un sogno che ho fatto.»
«Hai sognato noi due insieme in fondo a un pozzo? Poi sarei io quello morboso» mi rinfaccia ridacchiando.
«Non eravamo in un pozzo, ma in un lago con l’acqua talmente limpida che riuscivo a vedere chiaramente la sabbia bianca e i pesci che nuotavano intorno a noi.»
«A costo di sembrare monotono, eravamo vestiti?» domanda usando di nuovo quel suo tono di voce suadente che quasi mi fa girare la testa.
«Ehm…solo la biancheria» ammetto e, prima che possa replicare, aggiungo: «ci stavamo solo baciando.»
«Così» sussurra prima di premere le sue labbra sulle mie.
So che non è reale e forse è proprio questo che mi spinge a premere il mio corpo contro il suo e a slacciargli la cintura.
Nella realtà non lo farei, vuol dire che sono una Rigida? Temo l’intimità? No, non è così, sono solamente nervosa per la prima volta, capita a tutte, è normale.
Mi irrigidisco e interrompo il nostro bacio.
«Ok, niente pesci colorati e luminosi» esclamo cercando di non far capire a Eric il vero motivo che mi ha costretta ad abbandonare le sue labbra.
La terra inizia a tremare e dei sassi si staccano dalle pareti. Eric si china su di me e mi stringe per proteggermi la testa.
Ci siamo, adesso comincia a restringersi, penso mentre cerco di restare calma. Devo solo aspettare che le pareti siano più vicine tra loro in modo da potermi arrampicare e raggiungere l’uscita.
Quando la terra smette di tremare mi guardo intorno e il pozzo non si è ristretto solo di qualche centimetro, è più piccolo di tre quarti. Se aspetto ancora un po’ rischia di trasformarsi in uno stretto cunicolo e poi, alla fine, ci schiaccerà.
Inizio ad arrampicarmi, la roccia è scivolosa e ogni tanto perdo la presa, ma le pareti sono così vicine che la mia schiena va a battere contro il muro dietro di me impedendomi di cadere di sotto travolgendo Eric.
Arrivata in cima scavalco il bordo del pozzo e mi sento libera, quasi euforica. Il sole caldo e l’erba mi fanno sentire come a casa. L’incubo è finito.
Mi volto verso Eric ed esclamo: «Hai visto, niente stranezze, sono stata brava a…»
Non riesco a finire la frase, quello che vedo mi paralizza.
Lui è in piedi davanti a me, ha una pistola in mano e la tiene sollevata all’altezza della mia testa.
Mentre il cielo diventa nero, continuo a ripetermi che il computer non può aver memorizzato questa paura perché non si è mai presentata durante le mie simulazioni. Nel profondo mi fido di Eric, so che non mi farebbe mai del male e quindi tutto questo non può essere uscito dalla mia testa.
«Io mi fido di te, come è possibile…» cerco di spiegargli, ma Eric non mi dà modo di finire la frase.
«Ho settato il computer con le paure di entrambi, questa fa parte del mio scenario» dice tremando «è una paura nuova, quella di essere costretto a eliminarti.»
Dovrei essere terrorizzata ma sento solo una stretta al cuore. Vorrei stringerlo forte a me, accarezzargli i capelli e rassicurarlo, ma in questa allucinazione non sono io ad avere il controllo, solo Eric può decidere cosa fare.
Se fossimo davanti agli altri capi ci sarebbe solo un modo per superarla senza fargli correre dei rischi.
«Sparami» gli ordino «fai quello che devi fare, sappiamo entrambi che non è reale.»
«Lo so, ma non ci riesco» mormora singhiozzando e il mio desiderio di correre da lui e stringerlo forte diventa quasi irrefrenabile.
Eric sta lottando contro sé stesso e lo sta facendo per me. La sua mente logica sa che è una cosa che deve fare se vuole mantenere il suo status, ma il suo cuore si oppone con tutte le forze.
Faccio un passo verso di lui e sento premere contro la mia fronte il ferro freddo della volata della pistola.
Eric chiude gli occhi, fa un respiro profondo e rivolge l’arma verso di sé. Mi lancio immediatamente verso di lui e gli blocco la mano.
«Non farlo!» grido con le lacrime agli occhi. «Non voglio perderti!»
Abbiamo la stessa paura. Se fossimo in due diversi scenari finirebbe nello stesso modo: ci toglieremmo la vita per salvare l’altro, ma siamo insieme e la decisione che Eric ha preso per superare la sua paura ha scatenato la mia. Entrambi sappiamo che non c’è modo di superare lo scenario senza che uno dei due sia costretto a veder morire l’altro.
Eric abbassa la pistola e mi guarda frastornato. La sua mente da Erudito si è bloccata come farebbe un computer davanti a un algoritmo errato.
Cerco di evocare l’Erudita che c’è in me e subito la soluzione mi appare chiara. A fianco a noi c’è ancora il pozzo, un profondo baratro che non lascerebbe scampo a nessuno.
«Non vuoi uccidermi ed io non voglio vederti morire. Nessuno dei due vorrebbe andare avanti senza l’altro, giusto?» domando lanciando un’occhiata al bordo del pozzo.
Eric annuisce, lascia cadere la pistola e mi prende tra le sue braccia.
Insieme ci lasciamo cadere oltre il bordo e precipitiamo nell’oscurità, l’uno stretto all’altra.

Quando riapriamo gli occhi siamo in ginocchio sul pavimento della stanza delle simulazioni, abbracciati e tremanti. Non avevo mai visto Eric spaventato e, d’impulso, lo bacio con passione.
È l’ultima cosa che dovrei fare, mi hanno insegnato come calmare le persone in difficoltà e la passionalità è del tutto fuori luogo, ma io non riesco a fermarmi. Ho bisogno di lui, di sentire le sue mani calde sul mio corpo e le sue labbra morbide sulla mia pelle.
Sono consapevole che era solo una simulazione ma lui era davanti a me e stava per uccidersi, l’unica cosa che allevia il tormento di questa paura è lasciarmi travolgere dalla passione.
«Usare il sesso come arma contro la paura non è nelle tue corde» dice Eric interrompendo quel perfetto idillio.
«Come mai sei diventato così virtuoso?» gli domando un po’ contrariata.
«Non perdi occasione per biasimarmi per quello che è successo in palestra e non oso pensare a cosa faresti se approfittassi di questa situazione.»
Non gli credo, ma non capisco perché sta negando di avere un lato umano, quasi dolce. Io avrò una marea di problemi, ma anche lui non è messo benissimo. Non riesce a staccarsi completamente dall’immagine da duro che si è costruito. So che non è dolce e affettuoso e non lo sarà mai, però non è neanche gelido e senza cuore come vuol far credere a tutti. Posso capire che non vuole mostrare agli altri certi lati del suo carattere, ma quando siamo soli non ha motivo di fingere, dovrebbe venirgli naturale abbassare la guardia. Forse dopo aver passato anni a vivere come lo spietato Eric non è facile per lui lasciarsi andare.
«Era diverso, non ti conoscevo, credevo che tu fossi Eric il gelido che se la spassava con tutte le sue schiave Intrepide.»
Eric scoppia a ridere ed io mi sento per l'ennesima volta una bambinetta stupida.
«Hai davvero una fervida immaginazione» dice cercando di smettere di ridere.
«Comunque, non approfitti proprio di niente, sono pronta e consapevole» confesso.
«Peccato, non ho portato con me candele e…»
«Ti sei proprio fissato con le candele» esclamo interrompendolo.
«Colpa tua» dice strizzando l’occhio e sorridendo. «In ogni caso non ho tempo. Devo esporre la classifica finale del secondo modulo.»
«Ci sono eliminazioni dopo il secondo modulo?» domando preoccupata, io ho parecchie cose di cui preoccuparmi e spero che la classifica non sia un’aggiunta imprevista.
«Non ce ne sono, è solo una valutazione del vostro andamento» si alza, mi porge la mano ed io lascio che mi aiuti a mettermi in piedi. «Non sei curiosa di sapere il tuo posto e il tuo tempo medio?»
No, non lo sono. Troppo in alto in classifica e troppo veloce a completare la simulazione attirerebbe troppo l’interesse dei capi e, ne sono certa, alla fine scoprirebbero che sono una Divergente. Posso solo sperare che Eric abbia costretto Quattro a non tenere conto dei miei risultati e segnare il mio nome in una posizione che non desti sospetti.

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


Quando torno al dormitorio vengo accolta dagli sguardi curiosi dei miei compagni di iniziazione. Non trasmettono una curiosità positiva, se potessi aggiungere delle nuvolette a fianco ad ogni viso vedrei apparire frasi come: “guarda chi è tornata dopo quasi una settimana di assenza” oppure “La Pacifica che si fa un capofazione”. Anche Tris mi guarda con sospetto e la cosa mi fa male, oltre a Tori, è stata l’unica ad essere gentile con me. Devo parlarle, spiegare perché non ho seguito i suoi consigli, ma non è il momento, Eric è in fondo alla camerata e tiene in mano la lavagna, voltata verso di lui in modo da non farci vedere cosa c’è scritto.
Quando ci siamo raggruppati tutti intorno a lui, la solleva sopra la testa e l’appende al chiodo. Si sposta di lato e nel dormitorio cala il silenzio. Io allungo il collo per vedere cosa c’è scritto.
Il nome di Tris occupa la prima riga. Alcune teste si voltano a guardarla, ma lei li ignora e tiene gli occhi fissi sulla lavagna.
Guardo la durata media delle sue simulazioni: due minuti e quarantacinque secondi. È un risultato stupefacente, il tempo di Peter, che è secondo, è di otto minuti, mentre il mio è di cinque, ma non è quello che Quattro ha scritto sulla lavagna. Sono al sesto posto con dieci minuti e quaranta secondi. Eric è riuscito a convincerlo e questo non è positivo: avrò un’altra persona che mi terrà d’occhio. Non bastava dovermi guardare le spalle da Peter, adesso devo stare attenta anche a Quattro. Eric mi ha assicurato che non dirà una parola ma ho visto gli atteggiamenti di Quattro e non so quanto Eric sia in grado di controllarlo. Lui sa, probabilmente ha capito cosa sono sin dalla prima simulazione e questo potrebbe crearmi grossi problemi. Mi fido di lui, ma mi ha vista baciare Eric nel deposito e adesso probabilmente mi crede uguale a lui.
Devo parlargli per capire quanto può essere una minaccia. Dovrò parlare anche con Tris perché il suo risultato è sospetto quanto il mio e anche lei potrebbe essere una Divergente, ma a differenza di me non ha Eric il gelido che la copre e io non sarò in grado di convincerlo a lasciarla in pace. Se lei è davvero come me, essere una delle mie poche amiche in questa fazione non fermerà Eric dal suo compito di mietitore di Divergenti.
Mentre i miei compagni iniziati commentano la classifica, io ne approfitto per uscire velocemente dal dormitorio sperando di trovare Eric, ma ad aspettarmi c’è Quattro. Mi afferra per un braccio e mi trascina fino in fondo al corridoio.
«Adesso mi spieghi cosa stanno complottando gli Eruditi» dice tenendo la voce bassa e guardandomi dritto negli occhi.
Non mi piace il suo sguardo, lo sento attraversarmi come una lama, entrarmi dentro e sezionarmi. Mi tremano le gambe, non mi sarei mai aspettata di vedere Quattro comportarsi come l’esatta copia di Eric. Lo sguardo talmente risoluto da sembrare crudele non si addice all’istruttore che ho sempre considerato la parte buona degli Intrepidi.
«Io non lo so, ero una Pacifica, gli Eruditi non ci hanno mai considerato molto» gli rispondo, cercando di rimanere calma, ma dentro di me tremo come se fossi nel bel mezzo di una bufera di neve.
«A quanto dice Eric hanno fatto un’eccezione per te» mi accusa.
Eric gli ha detto che io sono in combutta con gli Eruditi, ma per che cosa? Ma soprattutto, perché Eric ha raccontato una balla così colossale?
È un bluff, sta mentendo, vuole farmi confessare e finge di sapere cose che in realtà non sa. Peccato che io non ho niente da confessare a parte stare con Eric e questo non mi sembra essere un legame con gli Eruditi.
«L’unico legame che ho con gli Eruditi è Eric e non è finalizzato a nessun complotto, solo… sono solo innamorata di lui. È questa l’eccezione di cui parli? Un Erudito che si abbassa a stare con una Pacifica?» gli domando senza scompormi troppo.
Quattro scuote il capo senza staccare i suoi occhi dai miei.
«Ascolta, non ho intenzione di nuocerti, ho capito cosa sei» dice facendomi gelare il sangue «non puoi fidarti di Eric, lui…»
«No, non cominciare anche tu con questa storia, tu non lo conosci, non sai com’è realmente» lo interrompo.
«Lo conosco bene invece, e non da qualche settimana, ma da due anni e so di cosa è capace. Qualsiasi cosa ti abbia detto è finalizzata al suo scopo, se non sei sua alleata finirà molto male.»
«Smettila. Non è vero, non mi farà del male, l’avrebbe già fatto e invece mi sta aiutando a nascondermi da…»
«Dai suoi simili?» finisce la mia frase e lo fa nel modo corretto. Eric era un Erudito e forse lo è ancora.
Tutti gli articoli scritti dal loro capo, Jeanine Matthews, e i cambiamenti avvenuti negli Intrepidi dopo l’arrivo di Eric, mostrano un inquietante legame. Mettere in cattiva luce gli Abneganti, farli sembrare il marcio che potrebbe distruggere l’equilibrio del sistema delle fazioni. Non sono semplici critiche, ma una vera e propria campagna politica. Un crescendo di articoli diffamatori, probabilmente falsi, per insinuare il dubbio nelle altre fazioni fino a portare tutti a credere che ci sia un livello di corruzione e incompetenza talmente alto da giustificare la seconda parte del piano degli Eruditi: usare gli Intrepidi come un esercito. Per questo motivo Eric cerca individui come Peter, crudeli, violenti e facili da manipolare, sta creando un esercito per un colpo di stato.
«Anche se Eric fosse ancora legato alla sua vecchia fazione, io che ruolo avrei nei suoi piani? Non servo a nulla» gli faccio notare.
«Quando Eric mi ha costretto a modificare i tuoi tempi e la tua posizione in classifica, ha affermato che erano ordini che venivano da molto in alto» mi spiega « è per questo che volevo sapere perché sei tanto importante per gli Eruditi.»
«Io non servo neanche come cavia agli Eruditi, non ho nulla a che fare con loro.»
«Perché lui dice il contrario?»
«Non ne ho idea, a volte Eric è strano» gli rispondo, ripensando a quello che è accaduto questa sera. C’è una parte di sé che non riesce ancora a mostrarmi, il suo lato umano, quello che si preoccupa per me.
«So che può sembrarti impossibile, ma se ti avesse mentito per non ammettere che lo fa solo per proteggermi, senza un tornaconto?»
Quattro scoppia a ridere. Non mi crede, non posso biasimarlo, se Eric non si lascia andare con me figuriamoci con la sua nemesi.
«Tu non lo conosci come lo conosco io. Non è solo un gelido bastardo, ha anche una parte buona ma non riesce, o non vuole, mostrarla agli altri.»
Quattro mi guarda come se fossi una di quelle ragazze che si lasciano abbindolare da un ragazzo fino a diventare completamente dipendenti da lui e non accorgersi di che persona meschina è in realtà. Non ha idea di quanto ho combattuto prima di lasciarmi andare e che ancora non ci sono riuscita completamente.
«Disturbo?» tuona Eric dietro di noi.
L’irritazione che traspare dal suo sguardo mi mette i brividi. Non capisco perché sia tornato ad essere Eric il furioso fino a quando mi accorgo che Quattro mi tiene una mano sulla spalla ed io la avvolgo con la mia.
Lascio andare la mano di Quattro e mi avvicino a Eric, ma questo sembra peggiorare la situazione.
Non posso iniziare a giustificarmi, a dirgli che non è come crede, perché sembrerei colpevole di qualsiasi cosa lui stia immaginando.
«Mi sa che forse hai ragione» mormora Quattro girando i tacchi e andandosene via come se niente fosse e lasciandomi sola con Eric che mi osserva furioso.
«Eric, stavamo solo parlando» lo guardo dritto negli occhi e poi aggiungo: «delle grandissime balle che vai in giro a raccontare.»
Eric mi guarda stupito ma io non ci casco, continuo a fissarlo dritto negli occhi. Incrocio le braccia e resto in silenzio, voglio vedere fino a quando intende andare avanti con la sua farsa.
Lui sbuffa e domanda: «Cosa ti ha detto il Rigido?»
«Mi ha accusata di essere tua complice.»
«Perché ti stava toccando?»
«Eric, tu vai in giro a raccontare frottole su di me e la tua unica preoccupazione è che lui teneva una mano sulla mia spalla?» esclamo stizzita e seguo l’esempio di Quattro: mi volto e me ne vado.
Eric mi afferra per un braccio e mi tira verso di lui con forza.
«Eravate troppo vicini» ringhia fuori di sé.
Possibile che sia così geloso di Quattro? So che non lo sopporta, ma il suo comportamento è esagerato. Penso alla stessa situazione, ma immagino che al mio posto ci sia lui insieme a Molly. Fermi in un angolo buio e così vicini che l’immagine successiva potrebbe essere benissimo quella di un bacio appassionato. Sento la rabbia invadermi. Come posso biasimare Eric se anche io reagirei più o meno nel suo stesso modo?
«Ha detto che io sono importante per gli Eruditi e che falsificare la classifica era un ordine che veniva da molto in alto. Perché hai mentito?» gli chiedo, sperando che cambiare discorso serva a qualcosa.
«Stava facendo troppe domande» risponde seccato, come se volesse scaricarmi addosso la colpa di quello che lui ha fatto. «Sarà una bugia ancora per poco. L’unico modo che abbiamo di stare insieme senza farti correre rischi è far credere a Jeanine che condividi i miei stessi ideali.»
«Uccidere i miei simili e attaccare gli Abneganti? Non sono né un’assassina né una guerrafondaia. È strano, questi comportamenti dovrebbero far parte del carattere dei pericolosi Divergenti e invece pare che siano parte anche di voi “normali”» puntualizzo.
«Non dovrai fare niente di tutto questo, solo fingere lealtà e devozione alla nostra causa» guarda l’orologio e poi aggiunge: «Adesso devo andare.»
«Dove?» gli chiedo afferrandolo per un braccio.
«Una riunione con gli altri capi. Aspettami a casa» risponde sorridendo.
Mente. In quest’ultima settimana ho studiato il suo linguaggio del corpo. Mi ha sorriso alzando solo l’angolo sinistro della bocca ed è una delle cose che fa tutte le volte che vuole nascondermi qualcosa.
Una settimana fa avrei subito pensato che ha un appuntamento con qualche Intrepida ma adesso, dopo aver scoperto ciò che fa e i suoi legami con gli Eruditi, so che potrebbe esserci di peggio di un’altra ragazza.
È assurdo come sono cambiate le cose in così poco tempo e quasi mi mancano i tempi in cui pensavo che la cosa peggiore che mi potesse capitare fosse vederlo tra le braccia di una tettona tatuata.
Non ho intenzione di lasciare perdere e andare ad aspettarlo a casa come una brava mogliettina, voglio scoprire cosa mi nasconde.

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Capitolo 50
*** Capitolo 50 ***


Sono riuscita a perdermi nei corridoi del complesso residenziale, se lo sapesse Eric riderebbe per due giorni.
Ho passato la serata nascosta in uno sgabuzzino vicino alla saletta riunioni poco distante dall’uscita del complesso e non ho concluso niente, a parte aver sterminato ragni e altri schifosi insetti. Quando Eric è entrato, tutti erano già all’interno della saletta e l’unica voce che ho sentito è stata quella di Max.
Dopo quasi due ore la porta della saletta si è finalmente aperta. Ho sentito passi che si allontanavano e, tra il rumore degli stivali con la suola in gomma che usano gli Intrepidi, c’era anche quello di scarpe con il tacco. C’era una donna alla riunione, ma il suo passo non era pesante come quello delle Intrepide, ma leggero, lento e regolare. La mia mente ha immaginato una donna di classe, affascinante e sofisticata.
Ho provato ad aprire la porta dello sgabuzzino, ma sono inciampata su una scopa e per poco non mi facevo scoprire. Mezzo minuto o forse uno, non ho cronometrato quanto sono stata maldestra, ma è bastato perché sparissero in questo dedalo di corridoi.
Adesso sto girando a vuoto, sono certa che l’uscita non è lontana ma, in questo posto, il mio senso dell’orientamento proprio non funziona.
Svolto a destra e imbocco un corridoio con metà delle lampade fulminate, sperando di vedere le scale che portano all’uscita, ma finisco in un vicolo cieco.
Sono sul punto di arrendermi quando sento delle voci provenire dal fondo del corridoio opposto. Mi avvicino di soppiatto, contando di nascondermi nel buio.
«Finora non abbiamo riscontrato nessun segno.» È la voce di Eric.
«Non potresti averne trovati molti comunque» risponde qualcuno. Una voce femminile, fredda e già udita, ma non riesco a ricordarmi dove e quando. «Durante l’addestramento ai combattimenti non emerge niente. È dalle simulazioni, invece, che si possono identificare i ribelli Divergenti, se ce ne sono. Dobbiamo esaminare le registrazioni più volte per esserne sicuri.»
La parola “Divergente” pronunciata da quella donna mi fa raggelare. Sporgo un poco la testa, la schiena schiacciata contro la parete di pietra, per vedere a chi appartiene la voce familiare.
«Non dimenticarti il motivo per cui ho chiesto a Max di nominare te» sta dicendo. «La tua prima priorità è sempre scovarli. Sempre.»
«Non me ne dimenticherò.»
Avanzo di qualche centimetro, sperando di rimanere ancora nascosta. A chiunque appartenga quella voce, è lei che muove i fili; è lei la responsabile della posizione di comando occupata da Eric; è lei che vuole i Divergenti morti, è Jeanine Matthews.
Mi sporgo ancora un po’ e finalmente la vedo, avvolta nel sue tailleur azzurro con i capelli raccolti mentre cammina verso l’uscita al fianco di Eric.
«Hai trovato qualche elemento utile alla nostra causa tra i nuovi arrivati?» domanda con una voce fredda e piatta che sembra uscire da un sintetizzatore vocale.
«Ho individuato un paio di iniziati che possono fare al caso nostro. Li sto studiando, ma ce n’è una in particolare che ha tutti i requisiti che ci servono» risponde Eric.
Sono io, sta parlando a Jeanine di me. Mi domando quale siano i requisiti di cui sta parlando. Stupidità, crudeltà e mancanza di ideali?
«Il nome?» domanda, aprendo il fascicolo che tiene in mano.
«Theia, ma…» Jeanine lo interrompe con un cenno della mano e subito Eric si zittisce e abbassa il capo.
Lo spavaldo Eric trasformato in un ubbidiente cagnolino, fatico a credere ai miei occhi.
Mentre Eric si fissa la punta degli stivali, Jeanine legge con attenzione una pagina del fascicolo, mi chiedo cosa ha scritto Eric su di me. Sicuramente che non creo porte dal nulla o invento pesci luminosi durante la simulazioni.
«I risultati del secondo modulo sono incompleti, motivo?» domanda Jeanine senza alzare gli occhi dal fascicolo.
«Un errore nella somministrazione del siero. La dose era troppo alta per il suo peso e abbiamo dovuto interrompere le simulazioni.»
«Un errore grossolano, avresti dovuto prestare più attenzione» lo rimprovera «Manca più di una simulazione, come mai?»
Jeanine ora fissa Eric, ma lui non si scompone e, con il suo solito sguardo freddo, risponde: «Negligenza. Il suo istruttore non ha voluto approfondire i motivi del malessere. È stata lei ad informarmi di quello che stava accadendo.»
Sta accusando Quattro di essere un pessimo istruttore quando non è così, vorrei tanto sapere che cosa è accaduto tra loro due per giustificare un odio così profondo.
«C’è stata negligenza anche da parte tua. Non tollererò altri incidenti come questo» lo ammonisce Jeanine.
«Ci sono stati dei problemi con gli iniziati di cui mi sono dovuto occupare, ma che mi hanno permesso di eliminare subito elementi inutili» si discolpa.
Parla dell’accoltellamento di Edward come se fosse una cosa di poco conto, una scaramuccia senza conseguenze, ma le ha avute, lui ha perso un occhio e adesso è un Escluso.
Eric mi sta spaventando, non so se sta mentendo per non insospettire Jeanine oppure perché quelle cose le pensa davvero. Non abbiamo parlato molto di quello che è accaduto a Edward a causa della mia aggressione, ero spaventata e in più anche innamorata, Eric mi riempiva di attenzioni e mi sono lasciata distrarre, ho perso di vista ciò che era davvero importante: capire quanto sia forte il suo lato oscuro.
«Il risultato del suo test è Pacifica, come mai ha scelto di trasferirsi negli Intrepidi?» domanda Jeanine.
Sono curiosa di sentire cosa si inventerà Eric per giustificare una scelta così strana. Può far apparire un’aggressione come una banalità e far passare Quattro come un mediocre istruttore, ma il macchinario dei test è stato creato dagli Eruditi, non può dire che non funziona come dovrebbe.
«Ho avuto la tua stessa curiosità ed ho fatto qualche ricerca» spiega con voce piatta «L’iniziata ha mostrato sin da bambina una predisposizione per gli Intrepidi. Credo che l’educazione abbia giocato un ruolo fondamentale nel determinare le sue scelte durante il test.»
«Pensi che non sia efficace?» domanda Jeanine in tono acido.
«Assolutamente no. Credo semplicemente che il suo caso rientri nei margini d’errore.»
Margini d’errore? Allora il test attitudinale può sbagliare. Per un attimo mi illudo che il mio risultato sia solo l’errore di un computer, ma poi torno con i piedi per terra. Mostrare una predisposizione per due fazioni simili potrebbe rientrare in quei margini, ma tra Pacifici e Intrepidi c’è un abisso e in più il mio test non ha evidenziato solo due fazioni.
«Theia è insicura ed è alla costante ricerca di approvazione. È stato estremamente semplice diventare il suo punto di riferimento e conquistare la sua totale fiducia» dice Eric e sul suo viso vedo apparire un sorriso compiaciuto che mi manda in bestia.
Io non sono insicura e non cerco l’approvazione di nessuno, ma come si permette? Mi sta facendo apparire come una ragazzina senza cervello che non è capace di fare niente senza una guida. La sua guida. Questa è la cosa che mi fa arrabbiare di più, il bisogno di compiacerlo per sentirmi qualcuno. È lui che pur di sentirsi il numero uno fa il lecchino con Jeanine, ci manca solo che si stenda a terra per farle da zerbino.
«Quindi la ragazza ubbidisce ai tuoi ordini senza fiatare?» domanda.
Eric annuisce continuando a sorridere soddisfatto.
«Non è quello che mostrano i filmati delle telecamere di sorveglianza.» Jeanine prende dalla sua valigetta dei fogli tenuti insieme da una graffetta e li passa a Eric. «Non sembra malleabile come vuoi farmi credere.»
Mi domando cosa ci sia su quei fogli e guardare Eric non mi aiuta, il suo volto non tradisce nessuna emozione.
«Sai bene che la sua reazione è giustificata per quello che stava accadendo. Non sei infastidita dal suo gesto ma…»
«La tua vita sessuale non mi interessa, ma avere un legame del genere rende instabile la candidata e quindi sono costretta a scartarla» dice lapidaria.
Sta parlando di quello che è successo in palestra, come ho fatto ad essere così stupida, avevo notato le telecamere sin dal primo giorno, ma ero così presa da Eric da dimenticarmene completamente. Anche se me ne fossi resa conto non avrei mai pensato che il filmato sarebbe finito tra le mani di Jeanine Matthews, il mio nuovo pericolo numero uno.
Eric resta impassibile, come se non gli importasse nulla di me, come se fossi uno dei pezzi che è disposto a sacrificare per la sua arrampicata al potere.
«Ok» dice alzando le spalle «se vuoi, scartala pure, ma non troverai nessuno più motivato di lei nella ricerca dei ribelli.»
Quello che Eric ha appena detto accende la curiosità di Jeanine, e non solo la sua: sono curiosa di sentire quale frottola si inventerà.
«Quando era una bambina ha subito abusi da parte di un Divergente, o almeno è quello che crede. Non ha importanza, quello che conta è che ora lei li odia.»
È impazzito? Ma come gli vengono certe idee? Poteva limitarsi a dire che condivido ogni singola parola degli articoli che ha scritto, avrebbe funzionato, ma Eric ha preferito strafare. In giro si dice che Jeanine è talmente intelligente da non sembrare neanche umana e capirà che Eric mente spudoratamente.
«Questo spiegherebbe anche la sua decisione di unirsi agli Intrepidi.»
Jeanine sembra dubbiosa ma credo che Eric sia riuscito a convincerla. In fondo, perché dovrebbe dubitare di quello che dice il suo schiavetto?
«In ogni caso, il legame sentimentale che si è creato potrebbe causare dei problemi. Non voglio rischiare» aggiunge.
«Non succederà» esclama Eric con un sorriso spavaldo «ma se insorgessero problemi la eliminerò personalmente.»
Se non ci fosse Jeanine lo starei già prendendo a calci. Prima mi fa sembrare una delle sue squallide scopate, poi una vittima di abusi e infine una pedina che sacrificherebbe senza pensarci troppo.
Mi rendo conto che sta mentendo, ma Jeanine gli crede, ai suoi occhi sono solo una patetica ragazzina che si è innamorata di un bastardo e lei mi tratterà di conseguenza.
Eric me la pagherà, questa volta ha passato il segno.
«Ti prendi tu la responsabilità?» domanda. Eric annuisce. «Va bene, ma prima di decidere voglio sottoporla a un colloquio individuale
Individuale. Io e lei da sole. Niente sguardi di Eric che mi faranno capire se quello che dirò sarà giusto oppure no. Sarà un massacro, capirà dopo due frasi che Eric ha mentito e finiremo entrambi nei guai.
«Nel caso ci fossero problemi ti riterrò responsabile e ne pagherai le conseguenze» aggiunge prima di salutarlo con un cenno della mano.
Lui resta immobile, come sull’attenti, mentre la segue con lo sguardo fino a quando la doppia porta non si richiude alle sue spalle. Finalmente può rilassarsi, o almeno è quello che crede, il peggio deve ancora venire.
Esco dal mio nascondiglio e cammino rumorosamente verso di lui. Appena mi vede, il suo sorriso soddisfatto si spegne e, per la prima volta da quando lo conosco, lo vedo sbiancare. Bene, ha già capito cosa lo aspetta.

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Capitolo 51
*** Capitolo 51 ***


«Insicura e alla costante ricerca di approvazione» tuono «che paroline dolci, grazie Eric.»
Lui mi fissa impietrito e, come al solito, la mia mente parte per uno dei suoi assurdi viaggi.
L’espressione preoccupata sul suo volto mi fa immaginare il peggiore degli scenari: non stava mentendo, quello che parlava era il vero Eric. Tutto quello che ha detto su di me lo pensa davvero.
Io non so più cosa pensare, appena credo di aver finalmente capito chi è, accade qualcosa che di nuovo mette tutto in discussione.
«E dimmi, come mi eliminerai?» gli domando, camminando lentamente verso di lui.
Sto per rinfacciargli anche il suo ostentare un enorme potere su di me, ma non ne ho il tempo. Eric mi prende per un braccio e mi trascina lontano dall’uscita. Lo seguo in silenzio, non per assecondare la sua ossessione per la segretezza, ma perché la mia bocca è così piena di veleno che potrei inserire tre insulti ogni due parole.
Ci fermiamo davanti alla porta del ripostiglio dove sono rimasta nascosta tutta la sera, la apre e mi spinge dentro.
«Non sia mai che ci vedano insieme!» esclamo adirata.
«Non con te che gridi come un’invasata» dice, accendendo la luce «possibile che tu sia così stupida da non capire che erano tutte balle?»
Certo che lo capisco, ma quando si tratta di lui il mio raziocinio va a farsi benedire. Possibile che io sia così tanto ossessionata da lui? Ho sempre preso in giro le ragazze che si riducono a delle sceme che pensano costantemente al proprio ragazzo. Althea per esempio, non che la reputi una stupida, ma quasi a ogni frase inseriva qualcosa che aveva detto o fatto Dill. Era come se mettendosi insieme a lui avesse perso parte della sua personalità. Mi sono sempre detta che non avrei mai fatto quella fine, che sarei rimasta io nella mia interezza, senza lasciarmi condizionare o ossessionare da un ragazzo, ma alla fine l’ho fatto, Eric è il mio chiodo fisso da quando sono entrata qui. L’iniziazione, ma sopratutto, il mio essere una Divergente, sono passati in secondo piano, come se fossero solo una piccola parte della  mia vita, quando in realtà sono le cose più importanti, sicuramente più di un fidanzato. No, io non voglio essere così.
«Eric hai detto cose terribili su di me, mi hai fatta apparire come una persona totalmente priva di personalità!»
«Perché è proprio quello che ti salverà la vita. Loro vogliono menti deboli da plasmare, vogliono portarti a pensare in un certo modo, così sarai facile da capire e non rappresenterai una minaccia.»
«Loro oppure tu?» gli domando e me ne pento subito, perché mi accorgo che la mia ossessione mi sta divorando. Questa non sono io.
«No, scusami. Non volevo insinuare che tu…» dico premendomi una mano sulla fronte, come se avesse il potere di fermare i miei pensieri assurdi «Io non so cosa mi prende, straparlo. Mi sento agitata e ho paura anche se non so di cosa.»
«È il siero. Non serve solo per la simulazione, è studiato per mantenervi in tensione e capire come reagite allo stress. Ti ho dato dei calmanti per questo motivo» mi spiega.
«Me li ha dati solo la prima sera» mi lamento, anche se non dovrei. Sono stata io a non volerli più prendere, non mi sembrava giusto avere anche quel vantaggio sui miei compagni.
«Sciolgo le pillole nel succo d’arancia che ti faccio bere dopo le simulazioni» confessa e una parte di me è in brodo di giuggiole per il suo atteggiamento protettivo. L’altra parte invece mi ricorda che l’essere dipendente da una persona è una delle cose che mi ero promessa di non fare.
«Mi droghi. Dovrei essere furiosa ma in un certo senso mi fa piacere. Non so cosa mi hai dato ma non sono più io» dico massaggiandomi nervosamente il dorso della mano. «Io non sono come mi hai descritta a Jeanine, ma a volte mi sento come se non fossi all’altezza di stare con uno come te.»
Eric mi sorride e fa scivolare le dita tra i miei capelli. Mi guarda come se fossi qualcuno di cui essere fiero e non come una bambina da guidare e proteggere come mi ha fatta sentire fino ad ora.
«Come mi immagini?» mi domanda con voce calda.
Praticamente perfetto. È quello che vorrei dirgli, ma è così banale e sdolcinato che preferirei tagliarmi la lingua.
«Sei forte e intelligente. Sai gestire le tue emozioni e cambi approccio a seconda di chi hai davanti con una velocità e una naturalezza che a volte mi confondono. Mi fai sentire come una bambina di fronte a un uomo adulto» abbasso lo sguardo e arrossisco «e poi sei affascinate e… ehm molto più esperto di me in… beh sai cosa…. anche questo mi fa sentire inadeguata.»
Vorrei che sotto ai miei piedi si aprisse una voragine e mi inghiottisse, non posso credere di aver davvero pronunciato l’ultima frase, è imbarazzante.
Eric scoppia a ridere ed io vorrei trovarmi in una simulazione per far apparire quella voragine o far sparire me. L’unica cosa che riesco a fare è abbassare lo sguardo.
«Non so che strane idee tu ti sia fatta» mi solleva il mento con le dita, non sta più ridendo, è imbarazzato forse più di me. «Ma tutto questo è nuovo anche per me.»
«Vuoi dire che tu non hai mai…» Inarco le sopracciglia «Io credevo…»
Che un ragazzo così bello, popolare e che si è sempre mostrato smaliziato, fosse stato con chissà quante ragazze.
«Beh, credevi male.»
Abbassa lo sguardo, ha le guance rosse e credo sia molto di più che imbarazzato. Mi sarei aspettata di tutto da lui ma non avrei mai immaginato che fosse ancora vergine.
Abbasso lo sguardo e resto in silenzio. È una situazione imbarazzante e io non so come uscirne. Di nuovo desidero di essere in una simulazione e inventarmi qualche trucco da Divergente, ma sono nella realtà, nessuna scappatoia, proprio come diceva Eric, ci sono cose che devo imparare ad affrontare perché prima o poi mi capiterà qualcosa che non potrò evitare. È accaduto ed io sono qui che fisso il pavimento sperando che qualcuno venga a tirarmi fuori da questa situazione imbarazzante.
«Ho passato la serata in questo ripostiglio a difendermi dalle aggressioni di ragni e altri insetti ma, adesso che vorrei un aiuto per uscire da questa situazione imbarazzante, non ne vedo neanche uno. Secondo me sono nascosti da qualche parte a godersi lo spettacolo della Pacifica imbranata» rompo il silenzio e, anche se ho detto una stupidaggine, mi sento più leggera.
«È un modo astuto per vendicarsi, hanno tutta la mia stima» dice ridendo.
«Quindi ammetti di averli addestrati ad attaccarmi?»
«Dovrò pur difendermi dal tuo esercito di Mollychini e tenerti d’occhio» esclama indicandomi con la cartelletta che gli ha lasciato Jeanine.
«Ci sono foto molto compromettenti lì dentro?» domando indicandola con un cenno del capo.
«Fai tu» dice passandomela.
La apro e rabbrividisco. Non ci sono solo le foto dei nostri incontri in palestra, c’è praticamente tutta la nostra storia, dal nostro primo incontro in mensa a quando lui mi ha imboccata. Non credo che Jeanine abbia apprezzato molto quella fotografia, non è un comportamento che ci si aspetta da Eric, quella sera ha osato troppo e lei l’avrà di sicuro capito.
«Lei crede che io sia solo un divertimento, giusto?»
Eric annuisce.
«Queste foto sembrano mostrare qualcosa di più» gli faccio notare.
Lui le guarda con disinteresse, ma quando arriva alle ultime sgrana gli occhi. È una serie di scatti che ci ritraggono insieme, a casa sua, mentre ci tiriamo dei muffin, sorridenti come una zuccherosa coppietta. A giudicare dall’angolazione, la telecamera deve trovarsi sul palazzo di fronte e alla stessa altezza della sua finestra. Che senso ha piazzare una telecamera all’ultimo piano? Per la sorveglianza delle vie del complesso sarebbe logico metterle al primo piano.
«Sapevi di quella telecamera?»
«No, non ha senso metterla lì, è inutile» risponde perplesso.
«Forse Jeanine non si fida così tanto di te. Se non fosse l’unica? Se ne avesse piazzate anche dentro casa tua?»
«No, lo escludo. Saprebbe cosa sei e…» Eric si blocca e impallidisce. Non è difficile immaginare a quale conclusione sia giunto.
Se Jeanine sa cosa sono, il colloquio è solo una scusa per attirarmi nella sede degli Eruditi. Ha capito che Eric prova qualcosa di più di una semplice attrazione e teme che ordinargli di portarmi da lei potrebbe far vacillare la fedeltà del suo tirapiedi. Eric potrebbe tradirla e aiutare me a nascondermi.
Davvero un bel piano, anche se mi sembra un po’ banale per un genio come Jeanine, probabilmente contava proprio su questo: spingerci a credere che sia solo una nostra paranoia.
«Quando tu mi porterai dagli Eruditi lei mi farà fuori, è una trappola.»
«Lo escludo, se ti avesse scoperta, ora non saremmo qui a parlare. Non sono l’unico che ammazza i Divergenti» obietta lui.
«Magari vuole studiarmi.»
«Dovresti essere davvero speciale» dice alzando le spalle poi, come se niente fosse, mi chiede: «Quante fazioni ha evidenziato il tuo test attitudinale?»
Sono sul punto di dirglielo ma dentro di me qualcosa ancora si oppone. È la parte di me che dubita di tutto, Johanna lo chiamava istinto, ma ha anche detto che non sbaglia mai, mentre più di una volta quello che mi ha suggerito si è dimostrato solo una paranoia. Se dovessi abbandonarmi a quella parte penserei che questa trappola non mi sia stata tesa solo da Jeanine, ma che anche Eric è coinvolto. Il suo compito è semplice da intuire: conquistare la mia fiducia, farmi confessare le mie cinque fazioni e trascinarmi all’ingresso del complesso dove Jeanine sta aspettando nella sua auto.
«Tori mi ha detto che non c’è modo di capire se un test è stato manomesso oppure no» gli faccio notare.
«Il test è come le simulazioni, viene registrato e se ci sono anomalie viene visionato dagli Eruditi.»
«Jeanine te lo avrebbe detto e…» No, non è possibile, ha finto tutto questo tempo «E tu l’avresti saputo sin dal primo giorno. Anche tu sei coinvolto.»
Mi copro il volto con le mani e fingo di singhiozzare. Devo scappare, ma lui non deve capirlo, deve credere che sia così stupida da accettare passivamente la mia fine.
Mi appoggio contro la porta e continuo la mia finzione ignorando quello che Eric mi sta dicendo. Non voglio sentire altre menzogne, io lo amo e lui mi ha presa in giro, mi ha studiata e usata, non sono niente per lui, solo una cavia.
Afferro la maniglia, apro la porta e scappo. Sento Eric chiamarmi ma sembra che la sua voce sia distante chilometri.
Corro fino a sentire i polmoni in fiamme, non ho idea di dove sto andando, la cosa importante è allontanarmi da Eric e dall’entrata del complesso perché so che Jeanine è lì ad aspettarmi.

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Capitolo 52
*** Capitolo 52 ***


Le luci della città si stanno lentamente spegnendo, una ad una, sembra quasi che seguano un’ordine prestabilito. L’inizio è stato dato dagli Abneganti e poi il buio è calato sui Candidi. Noi Intrepidi siamo stati gli ultimi ad aggiungerci a questo coro di bagliori morenti. Vorrei tanto vedere anche i miei cari Pacifici ma la nostra zona è troppo lontana e i nostri edifici troppo bassi per riuscire a vederli da questa torre.
Ho corso fino a restare senza fiato per allontanarmi da Eric, ma il fato ha voluto che la mia corsa finisse proprio ai piedi della torre che ho scalato la notte della sfida a strappabandiera.
Non so cosa mi abbia spinta a scalare di nuovo la torre invece di girare i tacchi e trovare un posto che non ci ha mai visti insieme. Forse inconsciamente voglio essere trovata da lui ma non so quale dei due possibili finali vorrei che si presentasse.
Spero forse che lui arrivi, mi baci e mi sussurri che mi ama oppure lasciare che mi catturi e mi porti a morire dagli Eruditi? In ogni caso avrei una certezza. La vita è avida di certezze e potrei trovarmi davanti ad un prolungamento dell’agonia. Davanti a questa possibilità, diventare la cavia degli Eruditi o finire sotto terra diventano alternative allettanti, saprei come stanno davvero le cose e scoprirei finalmente la verità sul ragazzo che mi tiene in pugno da quando sono arrivata qui.
È stupido, dovrei lottare per la mia vita, seguire i miei ideali, ma quali sono? In cosa credo? E come voglio che sia davvero la mia vita?
Quando ho scelto di entrare negli Intrepidi sono stata attratta dalla loro vitalità, dal loro coraggio, ma soprattutto dalla loro libertà.
Essere libera, è sempre stato questo il mio sogno. Libera di decidere cosa fare e dove andare, libera di scegliere. Ma tutto questo non è possibile, o meglio, quello che davvero desidero non è realizzabile. Le fazioni sono l’unico e insormontabile ostacolo.
Scegline una e restaci, dice il sistema, fregatene di quello che è stato e di quello che sarà. Non è questa la vita che desidero.
Vorrei essere altruista, onesta, coraggiosa e gentile, imparare tutto quello che è possibile studiare. Vorrei tornare nella mia casa ai margini del bosco ogni sera, fare due chiacchiere con i miei amici d’infanzia e i miei genitori. Vorrei sposarmi, avere dei figli e vederli crescere, diventare adulti e poi, quando sarò vecchia, sedermi su una sedia dondolo e raccontare ai miei nipoti ciò che la vita mi ha insegnato. Ma non si può fare, ci sono le rigide regole delle fazioni e, tra di esse, regna la più ottusa: la fazione prima del sangue.
Non ci ho mai creduto e non riuscirò mai a farlo. Se solo ci fosse un modo per cambiare le cose, decidere con chi vivere a prescindere dal lavoro che si è scelto.
«Bambina degli scoiattoli» la voce di Eric, dolce e calda, mi strappa ai miei pensieri.
Mi volto e lui è in piedi davanti a me, il suo sguardo è sereno, come sollevato per avermi ritrovata sana e salva.
«Come mi hai chiamata?» gli domando meravigliata.
Mio padre mi ha dato quel soprannome, ma non mi chiamava più in quel modo da quando ero bambina, io stessa l’avevo dimenticato, come fa Eric a saperlo?
«Davvero non te lo ricordi?» mi domanda sedendosi accanto a me.
Ricordo che me l’aveva dato quando ero alle elementari, il primo anno mi pare. La mia abitudine a sfamare ogni forma di vita esclusi insetti, umani e rettili, non si limitava a rubare qualche pezzo di pane o di torta dalla cucina di casa, ma la mantenevo anche a scuola, dividendo la mia merenda con gli scoiattoli del cortile.
«È uno dei soprannomi che mi ha dato mio padre perché a scuola aspettavo che ci portassero in cortile per dar da mangiare agli scoiattoli.»
Eric sospira avvilito, forse c’è qualcosa che ho dimenticato ma che lui ricorda bene.
Ricordo Althea che mi rimproverava, diceva che se continuavo a dare la mia merenda agli scoiattoli sarei diventata una ragazza pelle e ossa, senza le curve che piacciono tanto ai maschi. Quando siamo cresciute e lei si è ritrovata un corpo da urlo mentre io sono rimasta uno stuzzicadenti, non ha perso occasione per tirare fuori quella storia. Non credo sia colpa degli scoiattoli, anche ingozzandomi non avrei raggiunto la sua perfezione.
Guardo le mie ossa e poi guardo Eric e nella mia mente si forma un’immagine: un bambino biondo con un sorriso candido seduto accanto a me sotto l’albero degli scoiattoli. Non riesco a vedere che abiti indossava, ma se dovessi azzardare un’ipotesi, direi che erano grigi come quelli degli Abneganti. È logico, loro dividono le loro scorte di cibo con gli Esclusi, è normale immaginare che facciano la stessa cosa con animaletti così graziosi come gli scoiattoli.
Ora ricordo, non è stato mio padre a definirmi come la bambina degli scoiattoli, ma una donna che indossava abiti simili a quelli di Jeanine.
«Andiamo, è tardi, potrai tornare domani a giocare con la bambina degli scoiattoli» dico ad alta voce mentre nella mia mente vedo quella donna chiamare il bambino e poi salutare con la mano mio padre.
«Eri tu quel bambino?» gli domando.
Il viso di Eric si illumina e le sue labbra si distendono in un sorriso raggiante.
«Ero al terzo anno e tu al primo» mi racconta «mi sedevo sempre a leggere sotto al castagno vicino al cancello, era il posto più tranquillo del cortile, ma poi sei arrivata tu ed è finita la pace. Cercavo di ignorarti ma tu non mi davi tregua, volevi sapere cosa stavo leggendo e perché non giocavo con gli altri bambini. Così un giorno mi sono spostato sotto un’altro albero ma tu mi hai seguito. Non hai detto una parola, hai preso i tuoi biscotti e li ha divisi con me, poi sei andata dai tuoi scoiattoli. Non so perché ti ho seguita e ho cominciato anche io a dividere la mia merenda con gli scoiattoli. Forse perché sembravi l’unica a trattare tutti allo stesso modo, indipendentemente dalla fazione da cui provenivano.»
Inizia ad essere tutto più chiaro nella mia mente. Ricordo un bambino taciturno e solitario, ma il fatto che dividesse la sua merenda con gli scoiattoli mi ha ingannata. Ho collegato il suo gesto altruistico e la sua compostezza alla fazione che ha queste caratteristiche e la mia mente gli ha fatto indossare abiti grigi da Abnegante. Il fatto che avesse sempre in mano un libro è passato in secondo piano. Gli Eruditi sono spocchiosi sin da piccoli e trattano tutti gli altri con sufficienza, mentre quel bambino si limitava a starsene per i fatti suoi, non legava con nessuno, neanche con me. Ho ricordi di noi due insieme solo fino alla fine del primo anno, poi più niente e questo mi fa pensare che io e gli scoiattoli eravamo solo un curioso diversivo per ingannare la noia della routine di fazione.
«Mi ricordo solo degli scoiattoli e poi più nulla. Perché hai smesso?»
«Alla fine del terzo anno il mio rendimento scolastico era il più alto e Jeanine mi ha fatto seguire alcuni corsi avanzati. Non ho avuto più tempo per giocare.»
Jeanine, sempre lei, ancora non la conoscevo e non sapevo di essere una Divergente ma lei si era già insinuata nella mia vita. Magari se avessi frequentato di più Eric, lui non sarebbe diventato così crudele o almeno avrei capito prima che tipo era e adesso non sarei qui a tormentarmi.
In ogni caso, quei brevi momenti passati insieme da bambini non cambiano la situazione in cui mi trovo ora. Sono una Divergente e lui è il tirapiedi della persona che mi vuole morta.
«Un giro nel giardino dei ricordi, bella mossa Eric. Cos’è, un bieco trucco per convincermi a seguirti? Anche la tua entrata è stata molto spettacolare. Dimmi, quanto hai aspettato nell’oscurità della torre? Non sono così stupida da pensare che non è il primo posto in cui mi hai cercata» dico lasciando uscire tutto il mio veleno. Se lo merita, mi ha presa in giro.
«Primo. Sono capitato qui per caso, stavo andando al fiume ma ho dovuto cambiare strada quando ho incrociato la coppietta di Rigidi» dice con voce calma e scandendo bene le parole, come fa quando è sul punto di perdere la pazienza.
«Secondo. Sono stanco delle tue paranoie, non so più come farti capire che non ti sto mentendo. Sei la mia ragazza, dovresti fidarti di me come io sto facendo con te. Ho deciso di parlare di te a Jeanine quando avrei potuto dirle che eri solo un passatempo che sarebbe durato fino al giorno…» si interrompe. La sua calma apparente svanisce e nei suoi occhi vedo un velo di timore.
«Al giorno di cosa?» incalzo, decisa a far crollare il suo muro di segreti. Se davvero vuole che io mi fidi di lui, è arrivato il momento di dirmi tutto.
«Qui non è sicuro, meglio tornare a casa» dice indicando con lo sguardo la cima del vano ascensori che si trova pochi metri sotto di noi.
C’è una telecamera che punta in questa direzione e capisco che non trasmette solo immagini ma anche audio.
«Come facciamo ad essere sicuri che non ce ne siano anche a casa tua?»
«Controlleremo» dice, porgendomi la mano e strizzando l’occhio.

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Capitolo 53
*** Capitolo 53 ***


Eric ed io abbiamo passato le ultime due ore a guardare in ogni angolo del suo appartamento, ma non abbiamo trovato nessuna telecamera. Anche dopo la minuziosa ispezione non mi sentivo al sicuro e così abbiamo deciso di chiuderci in un ripostiglio, ovviamente dopo averlo svuotato completamente per essere sicuri che davvero non ci fossero telecamere o microfoni. Eric non ha perso l’occasione per ricordarmi che la mia paranoia riesce a raggiungere livelli sempre più alti. Forse ha ragione, ma dopo aver scoperto cosa accade ai Divergenti, ho iniziato a vedere tutto con occhi diversi e ad avere davvero paura.
«Tutta la verità. Ora.» esordisco sedendomi a terra.
Eric si siede davanti a me e sospira.
«Lavoro per Jeanine, sono qui perché serviva apportare qualche modifica a questa fazione.»
«Un esercito al servizio degli Eruditi» intervengo io «suppongo per rovesciare gli Abneganti. Non basta qualche anno per fare il lavaggio del cervello a un’intera fazione, come pensate di farvi ubbidire senza provocare una rivolta interna?»
Eric sospira di nuovo e si guarda intorno, come se cercasse un modo per scappare da questa discussione. Ha paura, crede che quello che sentirò mi farà cambiare radicalmente idea su di lui e che lo abbandonerò. Mi sottovaluta, so che uccidere i miei simili è uno dei suoi compiti, il più importante a quanto dice Jeanine, ma in un modo che non mi so spiegare lo sto accettando, cosa ci può essere di peggio?
«Jeanine ha creato un nuovo e potente siero in grado di controllare le persone a distanza e per lungo tempo» confessa tenendo lo sguardo basso.
Mi si gela il sangue quando quest'ultima tessera del mosaico prende il suo posto. Intrepidi, addestrati a combattere e armati fino ai denti, senza più coscienza e volontà, che marciano uniti verso gli Abneganti che, come noi Pacifici, hanno bandito aggressività e violenza. Sarà un massacro.
«Non ti limiterai ad uccidere solo i Divergenti, ti spingerai oltre, sterminerai gli Abneganti» esclamo sconvolta e mi copro il viso con le mani perché lui non possa vedere il mio disgusto. «È orribile.»
«No, non accadrà loro niente di male» si affretta a replicare. «Non reagiranno, non è nella loro natura. Si arrenderanno e nessuno si farà male.»
«Se vi sbagliaste?» gli chiedo, domandandomi se crede veramente in ciò che dice o sta mentendo anche a sé stesso.
«Ragiona, sono Abneganti, nessuno di loro avrà il coraggio di affrontare un esercito di Intrepidi. Preleveremo i loro capi e gli Eruditi subentreranno al loro posto. Non sarà una guerra come stai immaginando, solo una riorganizzazione dei loro vertici.»
«Cosa accadrà dopo?»
«Gli Eruditi saliranno al Governo e guideranno le fazioni in una nuova era, fatta di prosperità e ricchezza. Le risorse tenute nascoste dagli Abneganti verrano divise equamente tra le fazioni» gli brillano gli occhi mentre lo dice «sarà un bene per tutti quanti.»
Non è possibile che ci creda veramente. Gli Eruditi non sono altruisti, sono convinta che queste fantomatiche risorse nascoste finiranno tutte nella loro fazione. Ma Eric sembra esserne davvero convinto ed io non posso che provare tenerezza per lui.
Lo hanno plagiato per bene, probabilmente gli hanno anche offerto una buona posizione nel nuovo Governo, ma temo che alla fine saranno solo briciole della ricchezza e del potere che tanto desidera. Lo capirà, ma sarà troppo tardi e allora il suo mondo crollerà.
So che quello che sta facendo è sbagliato, che ci saranno vittime e lui le avrà sulla coscienza per tutta la vita, ma se lo abbandono, lui sarà solo quando capirà di essere stato solamente una pedina e l’impatto con la realtà lo distruggerà.
Lo amo, ma sono pronta a congiungere le mie mani con le sue e lasciare che il sangue degli innocenti le bagni e scivoli dentro di me fino a macchiare per sempre la mia anima? È mostruoso, ma sì, temo di riuscire a sopportarlo.
«Quando sarà quel giorno?» prendo le sue mani tra le mie e aggiungo: «Quale sarà il mio compito?»
Prima di avere modo di rispondermi, qualcuno bussa con forza alla porta. Eric va ad aprire ed io non riesco a resistere alla curiosità di sapere chi è così coraggioso da disturbarlo a casa sua a notte fonda.
È un uomo pelato con un tatuaggio di una tigre che gli occupa tutta la testa. Sembra agitato, gesticola e scuote il capo, ma tiene la voce bassa ed io riesco a sentire solo poche parole: iniziati, infermeria e pestaggio.
Non mi serve sapere altro, non è difficile immaginare chi può aver aggredito degli iniziati. Peter ha colpito ancora e questa volta la prima in classifica è Tris.
Esco dal ripostiglio, incrocio le braccia e fisso l’uomo come se la sua presenza fosse un fastidioso imprevisto.
Lui non fa una piega, si limita a lanciare una veloce occhiata d’intesa a Eric e poi riprende a parlare. Domani sarò il pettegolezzo del giorno, di nuovo.
Eric lo liquida velocemente dicendo che se ne sarebbe occupato l’indomani.
«Questa volta chi è stato aggredito da Peter?» domando, facendo una smorfia.
«Non si sa, ma sia lui che Drew adesso sono in infermeria.»
«Grande!» esulto.
Finalmente qualcuno l’ha fatta pagare a quei due bastardi, dovrebbero farlo capofazione solo per questo motivo.
«La Rigida…» mormora Eric «Quattro questa volta non ha scampo» esulta.
«Cosa c’entra Quattro?» gli domando.
È stato aggredito insieme a Tris? Non ha senso, Peter non è così pazzo da attaccar briga con un istruttore.
«Quando ti sono corso dietro, l’ho visto spuntare da un corridoio con in braccio la Rigida. Non era messa bene e lui aveva le mani sporche di sangue» mi racconta, sorridendo in modo inquietante. «È stato lui ad aggredire Peter e Drew, è sufficiente per farlo sbattere fuori.»
«Ha solo fatto il suo dovere di Intrepido: salvare una persona in difficoltà. Peter ce l’ha a morte con Tris e non solo con lei, Edward ed io abbiamo provato sulla nostra pelle cosa vuol dire essere sulla sua lista nera.»
«Doveva lasciare che se la vedessero tra di loro» esclama Eric seccato.
«Certo, proprio come hai fatto tu quella sera al fiume» ribatto.
«Stava per ucciderti, cosa dovevo fare?» si giustifica.
«Quello che hai fatto, salvarmi, come Quattro ha fatto con Tris.»
Eric mi guarda sconfitto. Non può rimproverarlo per quello che ha fatto perché lui si è comportato esattamente nello stesso modo.
«Perché ce l’hai tanto con Quattro, cosa ti ha fatto?» gli domando candidamente, ma capisco subito che avrebbe preferito che gli domandassi quanti Divergenti ha torturato e ucciso.
Abbassa lo sguardo, solleva le spalle e poi scuote il capo. Sta cercando una scusa credibile per non dirmi la verità. Non posso biasimarlo, farei la stessa cosa se qualcuno mi ponesse una domanda alla quale non risponderei neanche sotto tortura.
«Aveva scoperto il mio legame con gli Eruditi e mi ricattava» risponde tenendo i suoi occhi fissi nei miei.
È credibile, il suo linguaggio del corpo suggerisce che è il solo e unico motivo, ma l’odio per Quattro è così profondo da rendere inefficace la sua finzione.
«Non sono così stupida, tu odii a morte Quattro, c’è sotto dell’altro.»
«Non ne voglio parlare, sono affari miei e basta.»
«È per la classifica?» incalzo.
«Basta!» grida «ti ho detto che non ne voglio parlare!»
Nei suoi occhi leggo frustrazione e imbarazzo. Essere stato battuto da Quattro e diventare la seconda scelta dei capi deve bruciarli più di quanto immaginavo. I ragazzi sono orgogliosi e competitivi di natura, non avrei dovuto insistere in quel modo.
Mi avvicino a lui e lo abbraccio. «Scusami» mormoro stringendolo.
Sento i suoi muscoli rilassarsi e le sue braccia stringersi intorno ai miei fianchi.
«È umiliante sapere che proprio un Rigido mi ha battuto» confessa «e come se non bastasse, devo sopportare commenti come: tu ha fatto l’iniziazione con il leggendario Quattro, quello che ha solo quattro paure. È frustrante e mi fa sentire una nullità.»
Per questo motivo si chiama così, non è lui ad avere scelto quel soprannome, gli è stato dato dagli altri, magari proprio dai capi. Eric, il prescelto da Jeanine, superato da Quattro, non un normale iniziato, ma un trasfazione venuto dagli Abneganti che per gli Eruditi sono come il fumo negli occhi.
Non mi sono mai fermata a riflettere su quanto potesse pesare a Eric la loro rivalità, per me era solo un posto in classifica, la sconfitta in un combattimento o un tempo migliore nelle simulazioni, non ho tenuto conto dell’odio che c’è tra le loro fazioni d’origine. Sono una Pacifica, la gente ci scherza continuamente sulla mia fazione, ma nessuno la odia, come potevo immaginare l’inferno di Eric?
«Tu non sei una nullità. La persona più intelligente del mondo ti ha scelto per un incarico molto importante e delicato» gli sussurro accarezzandogli la base del capo «Hai ottenuto il rispetto dei membri degli Intrepidi e tutto ciò che dici è legge. Quattro è solo un istruttore e il suo unico risultato degno di nota è il punteggio ottenuto nella sua iniziazione. Siamo onesti, che altro ha fatto di importante in questi due anni?»
Sto mentendo, Quattro è un ottimo istruttore e una brava persona, ma le mie parole hanno un effetto miracoloso su Eric. Mi sorride compiaciuto e vederlo così fa sentire bene anche me.
Non vado fiera di ciò che gli ho visto fare durante l’iniziazione, ma sono fiera di quello che sta facendo per me: cercare di salvarmi quando dovrebbe consegnarmi agli Eruditi.
Ormai ho capito come ragiona Eric, aiutarmi significa tradire gli Eruditi, rischiare di perdere tutto ciò per cui ha lavorato. Io, una ragazzina pasticciona e paranoica, sto stravolgendo i suoi ideali.
Non mi faccio strane illusioni, so che le persone non cambiano, ma sono convinta che possano migliorare ed Eric mi sta dimostrando che questa mia speranza non è solo un’illusione creata dalla mia testa, lui è la prova che, anche se non radicalmente, una persona può cambiare.
«Lo so che non lo pensi davvero» mormora Eric.
«Forse non vado fiera di ciò che hai fatto in passato, ma i rischi che hai accettato di correre per proteggermi, fanno di te un vero Intrepido. Questo mi rende fiera di te.»
Sono pronta, sento di poter affrontare tutto quello che comporta stare insieme ad una persona come Eric. Tutti mi odieranno e probabilmente mi odierò anche io quando quel giorno arriverà, ma Eric è diventato tutto il mio mondo. È lui la mia fazione.

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Capitolo 54
*** Capitolo 54 ***


«Quindi stai insieme a Eric?» mi domanda Christina con la classica delicatezza dei Candidi, facendomi andare il caffè di traverso.
Tossisco, Will mi dà qualche colpetto sulla schiena e poi si rivolge a Christina: «Il tatto non è una delle tue qualità.»
Lei gli fa una smorfia e poi torna a fissarmi con curiosità.
Eric ed io non abbiamo mai discusso su cosa dire in una situazione simile, di logica dovrei mentire ma, dopo quello che è accaduto con lui in mensa e quello che mi ha detto subito dopo, mi convinco a confessare ai miei amici come stanno le cose.
«Mi odierete per il resto dei miei giorni se dico di sì?»
«Ovvio!» esclama Christina scoppiando a ridere.
L’hanno presa meglio di quanto immaginassi. Forse Eric ha ragione, sono paranoica. In fondo non c’è niente di male a stare insieme al capofazione che li sta tormentando dal primo giorno… oh cielo, perché non mi odiano? Io stessa mi odio!
«Ma come fa a piacerti?» domanda Uriah spuntandomi alle spalle.
Bella domanda, me la sono fatta molte volte anche io, soprattuto all’inizio. È un bel ragazzo, trovavo i suoi occhi bellissimi. Sebbene solo rabbia, noia e distacco, fossero gli unici sentimenti che trasparivano dal suo sguardo, in fondo a quegli occhi azzurri c’era qualcosa che mi attraeva, qualcosa di buono. Ripenso a tutto quello che è successo da quando l’ho visto la prima volta e non riesco a capire come una semplice attrazione fisica si sia trasformata in qualcosa di più. All’inizio non era dolce, in realtà non lo è mai stato, però è riuscito a dimostrarmi che dentro di lui c’è davvero qualcosa di buono che lui tiene nascosto agli occhi di tutti. Dopo l’aggressione si è preso cura di me, non mi ha coccolata o altre cose zuccherose di quel genere, ma mi ha donato tutto il suo tempo e la sua attenzione. Credo sia il suo modo di dimostrare affetto e mi va bene, non sopporterei un Eric dolciastro perché non sarebbe lo stesso Eric che mi ha fatta innamorare.
«È carino e poi non è così crudele come sembra, almeno non con me. Non è un tipo sdolcinato, non mi fa serenate o cose simili, è più discreto e questo mi piace» gli rispondo, cercando di mantenere un certo contegno, ovviamente non ci riesco.
«Non capisco perché vi sembra così strano che Eric esca con qualcuna» continuo, «insomma, non sarò l’unica ad essere uscita con lui.»
Uriah scoppia a ridere. «Dici… dici sul serio?» domanda senza smettere di ridere di gusto.
«Oh certo, tu sai tutto quello che succede in questa fazione» esclamo facendo una smorfia.
«Io no, ma mio fratello ha fatto l’iniziazione con lui e nessuno lo poteva vedere» mi fa l’occhiolino e poi aggiunge: «e le cose non sono cambiate.»
Anche se l’intera fazione mi dicesse la stessa cosa troverei difficile crederci. Non riesco proprio a farmi entrare in testa il fatto che se io lo trovo irresistibile, non vuol dire che anche tutte le altre la pensino allo stesso modo. Però mi sembra davvero strano che in questa fazione non ci sia un’altra matta come me.
Do un morso al muffin e lancio un’occhiata alla porta della mensa. Vedo entrare Quattro, la mia mente immagina un’infinità di scenari romantici nei quali sono presenti lui e Tris. Allungo il collo per vedere meglio l’entrata di Tris, pronta a cogliere ogni sognante sfumatura nel suo sguardo, ma la porta si richiude alle spalle di Quattro. Ci resto un po’ male, pensavo che si sarebbero presentati insieme, magari non mano nella mano, ma comunque insieme. Sospiro. Non sono l’unica che deve sopportare la regola di non farsi vedere insieme in pubblico prima della fine dell’iniziazione.
Sto per voltarmi di nuovo, quando Tris fa la sua entrata in mensa. Cammina lentamente rasentando il muro e tenendo la testa bassa. Gli scenari romantici sfumano via e al loro posto appare la più amara delle delusioni: il rifiuto di Quattro. Però nel suo sguardo non c’è delusione o tristezza, c’è paura. Forse non è Quattro a turbarla, ma quello che i due bastardi le hanno fatto e, a giudicare dall’espressione di Tris, deve essere stato qualcosa di molto peggio delle minacce che mi ha fatto Peter quella sera al fiume sotterraneo.
Si avvicina al nostro tavolo e si siede accanto a Will.
«Che cos’è successo?» sbotta Will a voce bassa.
«Peter, Drew...» mormora e prende un toast facendo una smorfia.
I due bastardi ci sono andati pesanti. So che Eric non muoverà un dito ma qualcuno dovrebbe farlo e la voglia di essere io quel qualcuno è molto forte. Sono stanca di vedere i miei amici tormentati da quei bastardi.
«E...» Inghiotte a vuoto. «E Al.»
«Oddio» esclama Christina, sbarrando gli occhi.
«Stai bene?» chiede Uriah.
Io sono troppo sconvolta per dire qualsiasi cosa, la mia lingua sembra essersi addormentata sul fondo della mia bocca.
Al, il dolce e sensibile Al, non può aver fatto una cosa del genere, lui non farebbe male a una mosca. Ha rischiato di farsi sbattere fuori perdendo volontariamente i combattimenti per non ferire i suoi compagni e, da come ha sempre guardato Tris, credo che ne sia innamorato. Non può averle fatto una cosa del genere.
«Non proprio» risponde Tris.
«Ma tu sei solo...» Uriah si interrompe. «Non è leale. Tre contro uno?»
«Già, perché Peter ci tiene molto a essere leale. È per questo che ha attaccato Edward nel sonno e gli ha cavato l’occhio» ringhia Christina, fa un verso rabbioso e scuote la testa. «Ma Al? Sei sicura, Tris?»
«Sì, sono sicura» dice fissando il suo piatto.
«Deve essere disperato» dice Will. «Si sta comportando... non so... come una persona diversa da quando è cominciato il secondo modulo.»
Le porte della mensa sbattono ed io mi volto per vedere cosa sta accadendo.
Nella sala entra Drew, trascinando i piedi. Il muffin mi cade di mano e rimango a bocca aperta.
Parlare di lividi è un eufemismo. Ha la faccia gonfia e viola, un labbro spaccato e un taglio sul sopracciglio. Tiene gli occhi bassi mentre raggiunge il suo tavolo.
Dentro di me esulto, ma non quanto vorrei. Drew è conciato male ed è stato Quattro a ridurlo così, questo mi fa invidiare Tris. Vorrei che anche Eric avesse conciato in quel modo Peter invece di limitarsi a minacciarlo.
«Sei stata tu?» mormora Will.
Scuote la testa. «No. Qualcuno, non ho visto chi, ma mi ha trovata appena prima che mi gettassero nello strapiombo.»
«Volevano ucciderti?» dice Christina a voce bassa.
«Forse. O forse volevano farmelo credere, solo per spaventarmi.» Solleva le spalle. «Ha funzionato.»
Peter. Non può esserci che lui dietro a tutto questo, riconosco la sua firma. Al e Drew sono il braccio, ma è lui la mente. Eric non può ignorare due aggressioni mortali causate da Peter. Già, dimenticavo, lui è un elemento utile per la sua causa, vorrei sapere quale sia il suo ruolo e quanto è importante.
«Dobbiamo fare qualcosa» suggerisce Uriah a voce bassa.
«E cosa? Picchiarli, per esempio?» Christina sorride. «Si direbbe che ci hanno già pensato.»
«No, il dolore fisico passa» risponde Uriah. «Dobbiamo sbatterli fuori dalla classifica, rovinargli il futuro. Per sempre.»
Sono d’accordo con Uriah, sbatterli fuori è la soluzione migliore, Vivere il resto della loro vita da Esclusi è una condanna perfetta, anche se non mi dispiacerebbe farceli arrivare con un occhio o qualche dito in meno.
Quattro si alza e si ferma in mezzo ai tavoli. La nostra conversazione si interrompe bruscamente.
«Trasfazione, oggi facciamo una cosa completamente nuova» annuncia. «Seguitemi.»
Ci alziamo, Uriah ha un’espressione preoccupata. «Tris, stai attenta» le raccomanda.
«Tranquillo» risponde Will. «La proteggiamo noi.»
Io sono con loro, ma in ogni caso voglio che Eric prenda provvedimenti, magari non ufficialmente, ma deve fare almeno un discorsetto a quei due come ha fatto quella sera al fiume. Non ad Albert, lo conosco e non è una persona capace di fare del male, deve essere successo qualcosa, magari l’hanno costretto ricattandolo in qualche modo. Sono convinta che lui è stato l’ennesima vittima di Peter. Non so come Eric intenda impiegarlo ma dovrà pagare per quello che ha fatto e voglio essere io quella che gli presenterà il conto.

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Capitolo 55
*** Capitolo 55 ***


Quattro ci porta fuori dalla sala mensa e su per i canali lungo le pareti del Pozzo.
Saliamo più in alto di quanto siano mai stati prima i miei compagni, io conosco bene questa strada e credo di aver capito dove ci condurrà: alla stanza dello scenario della paura.
Non riesco a sentirmi in colpa per averla visitata prima dei miei compagni, forse stare con Eric mi sta lentamente trasformando e presto diventerò cinica e malvagia come lui. Non voglio pensarci, basta paranoie, devo concentrarmi sull’iniziazione o non avrò neanche la possibilità di scoprire se davvero, un giorno, diventerò come lui.
Ci avviciniamo sempre di più al soffitto di vetro, Quattro sale una rampa di scale di metallo che porta a un’apertura nel soffitto, i gradini scricchiolano sotto i miei piedi e guardo giù per vedere il Pozzo e lo strapiombo dall’alto.
Camminiamo sopra il vetro, che ora fa da pavimento invece che da tetto, attraversando un salone circolare con pareti anch’esse di vetro. Sono stata qui solo una volta, era notte e non ho notato che, intorno al complesso, ci sono edifici fatiscenti che sembrano abbandonati. Mi ritrovo a sorridere pensando che tutte le volte che ho osservato la città dal tetto del complesso era buio e riuscivo a intravedere solo sagome scure che si fondevano con il cielo notturno. C’era Eric con me e i miei occhi erano sempre fissi su di lui. Anche se ci fossero state fiamme alte il doppio dei palazzi avrei ignorato del tutto la loro presenza.
Il salone è pieno di Intrepidi che si muovono continuamente, o si raccolgono a parlare in capannelli. Su un lato ce ne sono due che combattono con i bastoni, ridendo quando uno sbaglia e manca il colpo. Due corde sospese in aria attraversano la stanza, una un po’ più alta dell’altra, probabilmente hanno a che fare con le spericolate acrobazie per cui gli Intrepidi sono famosi, come i chiodi fissati sui lati della torre che ho scalato la sera della sfida a strappabandiera.
Quattro ci conduce a un’altra porta, che si apre su un enorme locale umido, illuminato da una serie di tubi fluorescenti con coperture di plastica. I muri sono pieni di graffiti e ci sono tubature scoperte. Io continuo a stupirmi di non averle notate quando Eric mi ha portata qui. Ricordo solo lui, la sue mani grandi e i suoi occhi chiari, tutto il resto era solo un’inutile cornice.
Eric è in piedi, appoggiato contro il muro. Mi lancia un’occhiata e fa un mezzo sorriso che scompare in un attimo per lasciare il posto al broncio di Eric il tormentatore. Non importa, ho capito, ormai ci basta una frazione di secondo per comunicare attraverso lo sguardo.
«Qui» dice Quattro, «si svolge un tipo diverso di simulazione, chiamato “scenario della paura”. In questo momento è disabilitato per noi, per cui non è così che vedrete questo posto la prossima volta.»
Mi fingo interessata come i miei compagni, quando in realtà non c’è niente di nuovo per me, conosco già tutto quello che succede in questa stanza, dalla fastidiosa iniezione a ciò che accade quando il siero inizia a circolare nelle vene e il computer dà inizio all’incubo.
«Durante le simulazioni, abbiamo immagazzinato dati sulle vostre peggiori paure. Lo scenario accede a quei dati e vi pone di fronte a una serie di ostacoli virtuali che potranno rifarsi a fobie già affrontate durante il secondo modulo, o a paure nuove. La differenza è che nello scenario della paura sarete consapevoli di trovarvi in una simulazione, per cui lo affronterete nel pieno possesso di tutte le vostre facoltà.»
Da quando Eric mi ha detto la stessa cosa, non ho mai smesso di domandarmi se il fatto che tutti abbiano la consapevolezza di essere in una simulazione sia un bene o un male. Saranno tutti come i Divergenti, si combatterebbe ad armi pari e magari non sarei l’unica a fare stranezze. È positivo, non dovrò fingere di non essere consapevole che non c’è nulla di reale e potrei concentrarmi solo su come superare le paure, proprio come hanno sempre fatto i miei compagni, anche se loro erano terrorizzati mentre io solo un po’ spaventata. Però potrei perdere il mio vantaggio di Divergente, se loro sanno di trovarsi in una simulazione, riuscirebbero a controllarsi meglio e quindi superare molto più velocemente le loro paure. Per la prima volta mi troverei in svantaggio.
«Il numero degli ostacoli varia in base a quante paure avete» continua Quattro. «Vi ho già anticipato che il terzo modulo dell’iniziazione si focalizza sulla preparazione mentale» aggiunge.
Smetto di ascoltarlo. Eric mi ha spiegato mille volte quello che succederà e me l’ha anche fatto provare, entrando con me nello scenario. Quello che è accaduto durante la simulazione ha fatto sgretolare anche l’ultimo muro della fortezza che avevo eretto per nascondermi da ciò che provavo per lui. Vederlo così vulnerabile mentre combatteva contro ciò che era giusto fare e ciò che il suo istinto gli suggeriva, mi ha fatto capire cosa prova veramente. Non so se posso definirlo amore, mi viene ancora un po’ difficile immaginare “Eric” e “amore” nella stessa frase, ma sento di essere qualcosa di più di un’avventura o un passatempo, come sento che posso davvero fidarmi di lui. Non mi venderà a Jeanine e agli Eruditi come la cavia perfetta, ma mi terrà al suo fianco, rischiando ogni giorno di essere scoperto.
Forse sì, potrebbe essere davvero amore.
«La prossima settimana attraverserete il vostro scenario della paura nel minor tempo possibile di fronte a una commissione di capifazione. Quello sarà il test finale, che determinerà il vostro punteggio nel terzo modulo. Come il secondo stadio dell’iniziazione conta più del primo, così il terzo è quello che conta più di tutti. Chiaro?» conclude Quattro.
Tutti annuiamo, persino Drew, che lo fa sembrare un gesto molto penoso, e da qualche parte dentro di me, sto ridendo come farebbe Eric il sadico durante un combattimento particolarmente cruento.

Lascio uscire i miei compagni di iniziazione e mi fermo accanto ad Eric. Lui non mi degna di uno sguardo fino a quando l’ultimo iniziato non è scomparso oltre la porta.
«Perché la Candida mi fissava con uno stupido sorrisetto malizioso?» esordisce.
Io evito di girarci troppo intorno, tanto prima o poi lo scoprirà e con lui è sempre meglio confessare invece di farsi beccare.
«Mi ha chiesto se stavamo insieme e io le ho risposto di sì.»
Eric mi guarda storto ed io gli restituisco lo sguardo e aggiungo: «Hai iniziato tu con quella zuccherosa scenetta in mensa, quindi la colpa non è solo mia.»
«In quanti lo sanno?» mi domanda.
«Tutti quelli che ti hanno visto imboccarmi» rispondo con un sorrisetto che di solito manderebbe Eric su tutte le furie, ma questa volta sembra soprassedere.
«A quanti l’hai detto?»
«C’erano Christina, Tris, Will e Uriah che sicuramente lo dirà a Zeke.»
«E lo saprà l’intera fazione» lui finisce la mia frase. «Sarà fastidioso» aggiunge.
«Fastidioso? Se ti secca così tanto stare con me, perché non mi molli?»
«Smettila di fare la commedia. Non sei tu, sono loro» risponde.
«Vuoi dire che non hai le palle per sostenere i loro sguardi e sopportare i loro commenti?» lo accuso e, anche se so che i sensi di colpa mi divoreranno, aggiungo: «Sai cosa si dice in giro su di te? Che nessuna ti vuole.»
Abbasso lo sguardo, i sensi di colpa sono arrivati ancora prima che finissi la frase. Sono stata crudele, se lui mi avesse detto la stessa cosa, dentro di me sarei crollata in mille pezzi. Sono un mostro, lui non si merita tanta cattiveria.
«Dovresti andare in giro a vantarti. Loro hanno torto. Ok, forse mi considerano una povera pazza, ma non un’arrivista, perché anche un’idiota capirebbe che quello che provo per te non è finzione, solo tu ci hai messo settimane!» cerco di rimediare e mettere a tacere la mia coscienza.
«Veramente l’ho capito la prima sera, quando mi hai dato del pazzo furioso.»
«Rispondevo solo a una tua provocazione, non sapevo che eri uno dei capi e… non sapevo neanche che mi piacevi. Mi hai solo fatta sentire strana. Non potevi saperlo se neanche io lo sapevo.»
«Quando mi hai visto, sei arrossita, hai trattenuto il respiro e le tue pupille si sono dilatate.»
«Mi sono trovata il tuo faccione davanti, cosa avrei dovuto fare?» So benissimo che è una scusa, ma è vero che non sapevo di essere innamorata di lui.
«Smettila di arrampicarti sugli specchi.»
«Non lo sto facendo, dico solo che è impossibile che tu sapessi qualcosa che non immaginavo neanche lontanamente.»
«Conosco il linguaggio del corpo. Ti piacevo anche se non volevi ammetterlo con te stessa» mi spiega sorridendo.
Forse ha ragione. In fondo, superato lo shock di ritrovarmelo a pochi centimetri e la sua fastidiosa arroganza, io lo trovavo un bel ragazzo, ma non posso affermare che è stato amore a prima vista.
«Ok, lo ammetto. Ho pensato che eri carino, ma il tuo atteggiamento da bulletto senza cervello mi ha innervosita e tutto è finito lì. Ragazzo carino ma antipatico.»
«E dimmi» sussurra, accarezzandomi la guancia «sono ancora tanto antipatico?»
«No, non più, non con me almeno» dico abbassando lo sguardo.
«Cosa ho combinato di tanto grave questa volta?» domanda sorridendo.
«Peter ha cercato di uccidere Tris e tu non hai fatto niente, come al solito. E non venirmi a dire che quello che ha fatto rientra tra i comportamenti di un’iniziato Intrepido.»
«Non ricominciare con questa storia» sbuffa «poi non era solo, c’era anche Drew e il tuo amico speciale.» dice con lo sguardo di Eric il furioso. Possibile che sia geloso?
Al è un mio amico è basta. È vero, ho passato più tempo con lui che con gli altri, ma non per il motivo che pensa Eric, bensì perché Al è il più fragile tra tutti noi iniziati e volevo stargli vicino, tenerlo su di morale perché temevo che si sarebbe lasciato abbattere finendo col fare qualche cavolata. Cosa che ha fatto, ma non avrei mai immaginato che cercasse di uccidere Tris. Farsi sbattere fuori dalla fazione o abbandonarla erano le mie ipotesi.
«Al è solamente un amico ed è un bravo ragazzo, ma si abbatte molto facilmente e sente molto la mancanza della sua famiglia.»
«Allora ha sbagliato fazione, doveva restarsene con mamma e papà.»
«Smettila. A tutti manca la famiglia, sono sicura che mancava anche a te.»
Eric non risponde. Sa bene che se dicesse che non è vero io non gli crederei e non può ammettere che, nelle solitarie notti della sua iniziazione, anche a lui è mancata la sua famiglia, perché questo andrebbe contro lo stupido motto: la fazione prima del sangue.
«Eric, non puoi farla passare liscia a Peter» dico fissandolo dritto negli occhi.
«Ne abbiamo già parlato. Lui mi serve.»
Io abbasso lo sguardo e sospiro. Pare che la giustizia si sia dimenticata che all’interno della Recinzione ci sono persone che hanno bisogno di lei.
«Almeno all’inizio» dice sollevandomi il viso con le dita e strizzando l’occhio. «Devi sopportarlo ancora per un po’ e poi direi che potremo eliminarlo.»
Uccidere Peter, vorrei farlo io. È assurdo, quando sono arrivata in questa fazione non avrei mai pensato di ritrovarmi a desiderare di uccidere una persona, magari dargli una lezione, ma l’omicidio proprio no. Perché è di questo che si tratta, decidere di togliere la vita a una persona. Peter è malvagio, ha fatto del male ad altre persone oltre che a me, ma è giusto fare la stessa cosa a lui? Diventerei esattamente come lui, anzi, peggio, perché so che non avrò il coraggio di ucciderlo e alla fine chiederei a Eric di farlo.
«Eric, io voglio dare una lezione a Peter, ma non so se davvero lo voglio morto. Non è giusto.»
«Quello che ti ha fatto lui lo trovi giusto?» ringhia a denti stretti «Violentarti poi buttarti nel fiume non credi sia sufficiente per una condanna a morte?»
Eric stringe i pugni, i suoi muscoli sono tesi e le sue braccia tremano dalla rabbia. La stessa rabbia che ho provato io quando Peter mi ha aggredita, ma col tempo è diminuita, mentre quella di Eric sembra essere cresciuta.
«Sono costretto a sopportarlo fino a quando il nuovo governo sarà stabile e dopo avrà quello che si merita» dice con uno sguardo carico di odio. «Ha toccato la mia donna, dopo quello che gli farò, la morte sarà un sollievo.»
«Edward e Tris? Loro non contano nulla?»
«No» risponde lapidario.
Io lo guardo sconvolta. So che tipo è, ma continuo a sperare che possa diventare un vero Intrepido, che protegge le persone a prescindere dal legame che ha con loro.
«Non sono perfetto come Quattro e tu lo sapevi benissimo quando hai deciso di stare con me. Non me ne frega niente di loro, penso solo a me.» Fa un profondo respiro, si inumidisce le labbra e aggiunge: «E tu fai parte di me.»
Io non so cosa dire, sono combattuta, l’uomo che amo è freddo come il ghiaccio e probabilmente non conosce l’empatia ma, quello che prova per me, mi fa sperare che dentro di lui ci sia davvero qualcosa di buono, bloccato da qualche parte e incapace di uscire fuori. Forse è stata l’educazione alla sterilità emotiva degli Eruditi, unita a un carattere un po’ difficile, a creare il ragazzo freddo che adesso mi sta guardando con uno sguardo quasi colpevole, come se si rendesse conto che ciò che ha detto è sbagliato ma non avesse la forza di ribellarsi a quello che è diventato dopo una vita passata negli Eruditi.
Mi butto tra le sue braccia e lo bacio con dolcezza. I suoi muscoli si distendono e lui ricambia il mio bacio con una tenerezza che, ancora una volta, mi sorprende.

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Capitolo 56
*** Capitolo 56 ***


Mi sento stordita. Dentro di me il rimorso, la tristezza, la rabbia e l’incredulità gridano come sirene in agonia, straziandomi. Il senso di colpa mi schiaccia.
Sono seduta in un angolo del Pozzo, con le ginocchia strette al petto e mi dondolo avanti e indietro fissando il ciglio dello strapiombo. In quel punto, solo poche ore fa, giaceva il corpo senza vita di Al, infilato malamente in un sacco nero troppo piccolo per lui.
Non riesco a credere che sia successo veramente, la mia mente non lo accetta, penso ancora che sia vivo da qualche parte, magari sdraiato sulla sua branda nel dormitorio o seduto ad un tavolo della mensa. Allo stesso tempo sono consapevole che non lo rivedrò mai più.
Vorrei odiarlo per la sua scelta, ma non riesco a condannarlo per quello che ha fatto. Non posso sapere cosa sentiva dentro di sé quando ha deciso di buttarsi nello strapiombo. Mi aveva confidato di aver scelto gli Intrepidi anche per la stima che hanno di loro i suoi genitori, il suo sarebbe stato un doppio fallimento e, ne sono certa, la cosa che gli faceva più male era l’aver deluso la sua famiglia.
Mi domando se, prima di saltare, ha pensato a come si sarebbero sentiti i suoi genitori.
Il peso della sua morte graverà sulle loro vite ed è un peso immensamente più grande di quello del fallimento. La vergogna di avere un figlio Escluso non è niente in confronto al non avere più un figlio.
Saperlo vivo, anche se ai margini della società, sarebbe doloroso ma non straziante come fissare la sua foto che, anno dopo anno, sbiadisce sopra alla fredda lastra di pietra della sua tomba.
«Silenzio, tutti quanti!» grida Eric.
Qualcuno colpisce qualcosa che sembra un gong e le grida della massa di Intrepidi a poco a poco si placano, anche se i mormorii proseguono.
«Grazie» continua Eric. «Come sapete, siamo qui perché la scorsa notte Albert, un iniziato, si è gettato nello strapiombo».
Anche i mormorii cessano e rimane solo il fragore dell’acqua contro le rocce.
«Non sappiamo perché» dice Eric «e sarebbe facile piangere la sua perdita, stasera. Ma noi non abbiamo scelto una vita facile quando siamo diventati Intrepidi. E la verità è…»
Lo sappiamo benissimo il perché e ne siamo tutti responsabili. Io che non ho fatto niente quando la notte lo sentivo singhiozzare e tu perché non sei intervenuto per mettere un freno alle violenze di Peter. Sono convinta che se lui fosse stato sbattuto fuori dalla fazione Al sarebbe ancora vivo.
«La verità è che Albert ora sta esplorando un luogo ignoto, incerto. È saltato nell’acqua impetuosa per raggiungerlo. Chi tra noi è così coraggioso da avventurarsi in quella oscurità senza sapere che cosa nasconde? Albert non era ancora un membro effettivo, ma possiamo essere sicuri che sarebbe stato uno dei più coraggiosi
Grida e ovazioni si levano dal centro della folla. Mi fanno venire il voltastomaco.
«Noi lo celebriamo ora e lo ricorderemo sempre!» grida Eric. Qualcuno gli passa una bottiglia scura e lui la solleva. «Ad Albert il Coraggioso!»
«Ad Albert!» strepita la folla. Tutt’intorno a me gli Intrepidi sollevano le braccia mentre scandiscono il suo nome. L’unica cosa che conoscono di lui. Un nome, un volto nella folla, senza una storia, per loro è questo Al: uno dei tanti. Nessuno lo conosceva ma tutti lo acclamano come se fosse un’eroe della fazione. Questa è una delle cose che odio delle commemorazioni, siamo tutti eroi e santi da morti. A peggiorare la cosa, sul pulpito, al posto di un signor nessuno c’è Eric e quello che ha detto mi mette i brividi. Da quando togliersi la vita è un gesto coraggioso? Solo un attimo e tutto è finito, niente più problemi, dolore, paura e… niente più vita. Ne vale davvero la pena?
Non è coraggio scappare. Il vero coraggio è andare avanti, per quanto sia dura e per quanto incerto e angosciante possa apparirci il futuro.
Al è stato codardo, il vero coraggio lo ha dimostrato Myra quando ha deciso di seguire Edward. Avrebbe potuto voltargli le spalle e combattere per restare negli Intrepidi, è lei la più coraggiosa, non degli Intrepidi ma di tutte le persone all’interno della Recinzione. Lei si sarebbe meritata un discorso di commiato come questo. Lei deve essere ricordata per il suo grande coraggio.
Mi volto verso Eric, mi sta osservando. Mi alzo, gli lancio un’occhiata carica di disappunto ed esco velocemente dal Pozzo.

Cammino in uno dei corridoi che portano al Pozzo, non so dove sto andando, mi sembrano tutti uguali e non credo sarò mai in grado di distinguerli. Non importa, io non ho una meta, voglio solo allontanarmi da Eric e dalle sue pecore Intrepide.
Nella semioscurità vedo due figure che si allontanano dalla luce azzurra vicino alla fontanella.
«È tutto quello che sai dire?» Riconosco la voce di Tris. «Che devo stare attenta? Tutto qui?» Dal suo tono di voce capisco che è irritata.
Peter. Non posso credere che sia già tornato alla carica. La rabbia esplode dentro di me. Questa volta non intendo starmene in un angolo a non fare niente. Non mi importa se per Eric è un elemento importante, io gli spezzo il collo.
Mi levo la giacca ma, prima di avere il tempo di lanciarla a terra, la voce di Quattro frena la mia furia.
«Non intendo ripetertelo più, per cui ascoltami bene» lo sento dire «Ti stanno tenendo d’occhio. Te, in particolare.»
Vorrei poter affermare che è una sorpresa ma mentirei a me stessa. La classifica del secondo modulo mi ha insospettita, ho sperato fosse solo una delle mie tante paranoie ma purtroppo non è così. Tris è una Divergente.
Non è difficile intuire chi la sta tenendo d’occhio. Immagino che uccidere una delle mie amiche faccia parte delle cose che Eric non può rivelarmi perché non sarei in grado di accettarle e che mi farebbero allontanare da lui. Pensava di sistemare le cose con un altro bel discorso su quanto sia coraggioso buttarsi nello strapiombo? Vorrei odiarlo, sbatterlo fuori dalla mia vita, ma non ci riesco e questo mi fa odiare me stessa.
«Se fossi in te, mi preoccuperei di far credere che stai perdendo l’inclinazione all’altruismo, perché se lo notano le persone sbagliate... beh, non sarà un bene per te» sento dire da Quattro. La sua affermazione mi incuriosisce.
«Perché? Che gliene frega delle mie intenzioni?» domanda Tris.
«Le intenzioni sono l’unica cosa che gli importa. Ti fanno credere che è quello che fai che gli interessa, ma non è così. Loro non vogliono che tu agisca in un certo modo, vogliono che pensi in un certo modo. Così sei facile da capire, così non rappresenti una minaccia.»
È la stessa cosa che Eric ha detto a me. Come fa Quattro a sapere tutte queste cose?
Se fosse anche lui un Divergente? No, non è possibile, ha fatto l’iniziazione insieme a Eric e a lui non sfugge niente. Potrebbe essere stato bravo a nascondere la sua natura, magari Eric l’aveva intuito ma Quattro è riuscito a non lasciare prove della sua divergenza e questo l’ha salvato. Il profondo odio di Eric ne suoi confronti inizia ad avere più senso, aveva capito ma non era in grado di dimostrarlo. È stato sconfitto da Quattro in tutti i modi possibili: il migliore del loro corso, una leggenda per il numero delle sue paure, primo scelto per il ruolo di capofazione e, dulcis in fundo, il Divergente che Eric non è stato in grado di smascherare.
Non ha molto senso, se Eric l’avesse voluto morto se ne sarebbe infischiato delle prove, l’avrebbe fatto fuori come Peter ha cercato di fare con Tris. Ma lui è ancora vivo, quindi qualcosa o qualcuno ha impedito a Eric di eliminarlo.
Quattro durante l’iniziazione ha scoperto che Eric era in combutta con gli Eruditi, poteva riferirlo ai capifazione ma, a quanto pare, sarebbe stato inutile perché, da quello che ho scoperto ascoltando la conversazione tra Eric e Jeanine, è stata lei a fargli avere il posto di capo. Questo mi fa supporre che non sia l’unico in questa fazione ad avere legami con gli Eruditi.
In ogni caso, non spiega come Quattro sia sopravvissuto a Eric. Lui mi ha detto che non è un normale Abnegante e che questo bastava a fargli tenere la bocca chiusa. Credo che sia questa la chiave dell’enigma. Eric gode della protezione degli Eruditi mentre Quattro quella degli Abneganti. Questo non risolve l’enigma ma ne crea altri. Quanto potere possono avere gli Abneganti? È stato affidato loro il Governo, ma non riesco a credere che dietro al loro altruismo e alla loro umiltà ci siano torbidi giochi di potere.

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Capitolo 57
*** Capitolo 57 ***


Dopo il discorso di Eric e quello che ho sentito dire da Quattro, avrei voluto andarmene da questa fazione, ma alla fine il buonsenso ha avuto la meglio e mi sono limitata a vagabondare per la residenza.
Ho camminato senza una meta per i corridoi del complesso e, senza accorgermene, sono tornata dove tutto è iniziato.
C’è ancora la rete sospesa sopra la voragine, proprio come allora. Salgo le scale fino alla piattaforma di legno, afferro la sbarra a cui è agganciata la rete e rotolo fino al suo centro. Sopra di me vedo gli edifici vuoti che circondano la piazza e il cielo nero senza luna.
Non sono più venuta in questo posto dal giorno della Cerimonia della Scelta.
Sono passate solo poche settimane da quando ho fatto quel folle salto ma a me sembra che sia accaduto in un’altra vita. In un certo senso è così.
Quella mattina mi sono svegliata nel mio letto nella tranquillità della casa in cui sono cresciuta e la sera mi sono addormentata nell’umida camerata della mia nuova fazione. È stato quello il primo passo verso la mia nuova vita: abbandonare quella vecchia. Nelle settimane seguenti ero come una falena che lottava per uscire dal bozzolo. Il mio corpo è diventato più forte, ma la mia mente?
Mi sento diversa, più sicura e forte, eppure mi ritrovo sdraiata su questa rete con la testa piena di paure e incertezze.
Mi hanno detto che la vita non è facile, di godermi la spensieratezza dell’infanzia e dell’adolescenza perché una volta diventata adulta tutto sarebbe stato più duro e complicato. Avevano ragione. Avrei voluto capirlo prima, invece non facevo altro che desiderare di essere già grande. Ora riesco a comprendere l’importanza di vivere appieno ogni stagione della vita e quanto sia sbagliato voler bruciare le tappe. Quanto vorrei poter tornare indietro a quando ero una bambina e i miei drammi più grandi erano i compiti e i cavoletti.
«Posso?»
La voce di Eric, dolce e calda, mi salva da quello che sarebbe stato un doloroso viaggio nei ricordi della mia vita passata.
È in piedi accanto alla rete e ha lo sguardo serio. Non è il classico sguardo di Eric il tormentatore, ma è triste, come se si sentisse in colpa.
«Vieni» dico, battendo la mano sulla rete.
Lui scavalca il bordo e si lascia cadere sulla rete facendomi sobbalzare. La grazia non è tra le sue doti. Trattengo una risata mentre mi immagino sbalzata in aria con talmente tanta forza da farmi saltare fuori dalla voragine.
Eric rotola accanto a me e quando guardo nei suoi grandi occhi chiari, il dolore e la rabbia svaniscono. In tutto il tempo che ho passato girovagando per i corridoi ho cercato il modo più brutale per dirgli cosa pensavo del suo discorso e del modo in cui tratta gli iniziati. Ero determinata a fargli una bella predica ma adesso la mia determinazione si sta sgretolando. No, devo essere forte, non posso fargliela passare liscia.
«Ad Albert il Coraggioso» esordisco con voce piatta «da quando togliersi la vita è diventato un gesto di coraggio?»
Lui non risponde, si limita a fissare il cielo con sguardo colpevole. Non credo sia dispiaciuto per quello che ha detto ma perché io l’ho sentito mentre lo diceva. Sa che non avrei approvato e, probabilmente, è per questo motivo che non voleva che partecipassi alla commemorazione. Ha detto che ero già abbastanza sconvolta per la morte di Albert e sarebbe stato crudele costringermi a mantenere un’immagine da Intrepida quando avevo bisogno di abbandonarmi al dolore. Gli ho creduto perché è la stessa cosa che io avrei consigliato a chi si fosse trovato nelle mie condizioni: buttare tutto fuori, come se fosse veleno e poi, lentamente, riprendere a vivere. Però non ho voluto dargli ascolto, volevo mostrarmi forte, una vera Intrepida e così l’ho raggiunto al Pozzo. Col senno di poi, avrei fatto una scelta diversa, almeno mi sarei evitata il suo assurdo discorso e la scioccante scoperta che sia Quattro che Tris sono Divergenti. Adesso sarei a casa sua, con gli occhi gonfi e distrutta, ma ignara delle sue omissioni. Ciò che ha detto nel suo discorso mi turba ma non quanto il fatto che mi abbia tenuto nascosto che la mia amica è il prossimo bersaglio degli Eruditi.
«Cosa avrei dovuto dire?» esclama rompendo il silenzio. «Albert era un perdente e un codardo, e l’unica cosa giusta che ha fatto nella sua inutile vita è stato levarsi dai piedi buttandosi nello strapiombo? Voi Pacifici ricordate così i morti?»
«No, ma non andiamo neanche in giro ad esaltare il suicidio» gli rispondo con rabbia. «D’ora in poi gettarsi nello strapiombo sarà una delle opzioni possibili. Insomma, perché non farlo se, dopo, tutti ti considereranno un eroe?»
«Gli Intrepidi, al contrario di te, sanno che era semplicemente un discorso per ricordare un defunto e non un suggerimento» dice in tono pungente, facendomi sentire per l’ennesima volta una bambina che gioca a fare l’Intrepida.
«Per gli Intrepidi, lo strapiombo è la fine di tutto, il termine del loro viaggio. Il modo più onorevole di abbandonare la fazione quando non sono più in grado di farne parte» mi spiega usando il fastidioso e piatto tono di voce tipico degli Eruditi.
Loro. Interessante scelta. Conferma quello che ho sempre pensato: lui non si è mai sentito un Intrepido, lui era ed è rimasto un Erudito.
«Quindi è quello che faresti anche tu se restassi ferito in modo grave o, semplicemente, quando sarai troppo vecchio per mantenere questo ritmo di vita?» gli chiedo, sperando in una risposta negativa.
«Tu no?» replica, riuscendo a sfuggire alla mia domanda.
«No. Io sono coraggiosa, me ne andrei. Vivrei la vita fino in fondo» rispondo fiera e aggiungo: «E farei la stessa cosa se fossi tu quello costretto a lasciare la fazione.»
«Mi seguiresti negli Esclusi?» domanda incredulo.
«Sì, non ti lascerei affrontare tutto da solo. Proprio come Myra ha fatto con Edward. Il suo nome è quello degno di essere ricordato, perché è lei che adesso sta esplorando un luogo ignoto, incerto.»
Eric resta in silenzio e vorrei che anche la mia mente facesse la stessa cosa. Invece lei si tormenta, si chiede se ho fatto bene ad essere così sincera con lui o se forse sarebbe stato meglio dire quello che vorrebbe sentirmi dire. La ignoro. Non voglio fingere per tutta la vita di essere qualcuno che non sono. Desidero che lui ami me e non la mia copia riveduta e corretta in base alle sue aspettative.
«E se io morissi?» mi domanda spiazzandomi.
Vorrei dirgli che andrei avanti comunque, ma il solo pensiero mi fa tremare. Nella simulazione, pur di non perderlo mi sono lanciata con lui nel pozzo, cosa mi fa pensare che nella realtà agirei in modo diverso? Sarei davvero così forte da finire il mio percorso negli Intrepidi e poi affrontare la vita da Esclusa senza di lui? Vorrei poter affermare senza ombra di dubbio che è quello che farei ma mentirei a me stessa.
«Sono io quella che ha buone possibilità di morire giovane» gli rispondo e mi fa rabbrividire il pensiero che non è solo un modo per evitare la sua domanda, ma anche un mio desiderio. Se io morissi per prima non sarei costretta a sopportare il dolore della sua morte.
«Non hai risposto alla mia domanda» puntualizza.
«Neanche tu l’hai fatto. Siamo pari.»
Abbandono i suoi occhi e torno a osservare il cielo sopra di noi, è blu e senza stelle.
Una lunga notte senza luna, sarebbe questa la mia vita senza di lui. Salterei. Penso mentre una lacrima scivola sulla mia guancia. L’asciugo prima che Eric si volti verso di me e si accorga che sto piangendo. Lo guardo e mi sento sollevata, sta fissando il cielo.
«Com’è stato saltare?» domanda indicando la voragine.
«È stato come morire e rinascere allo stesso tempo. Ho guardato verso i campi oltre la Recinzione per dire addio ai Pacifici e poi ho saltato» chiudo gli occhi per fermare una lacrima.
Questa volta lui se ne accorge, si avvicina di più a me e appoggia la sua fronte contro la mia tempia. «Ti manca?»
«È normale, ci sono cresciuta. Credo sia così per tutti all’inizio» cerco di giustificarmi ma so benissimo che Eric non ci crederà. Mi conosce meglio di quanto credo.
«In questo momento vorrei essere là, insieme alla mia famiglia, che mi conosce bene e sa come aiutarmi a superare la morte di un amico di cui anche io sono responsabile» confesso e sento il peso della mia colpa farsi un pochino più leggero, ma purtroppo non abbastanza per farmi stare meglio.
«Non è stata colpa tua. Ha fatto la sua scelta e…»
«Sì invece! Ogni notte lo sentivo piangere ma non mi sono mai alzata per rincuorarlo. Sapevo che stava andando lentamente in pezzi ma non ho fatto nulla perché ero troppo presa da te. Vorrei darti la colpa anche di questo ma la verità è che forse di lui non mi importava quanto avrebbe dovuto. Lui è sempre stato gentile, mi ha aiutata ed io l’ho abbandonato proprio quando aveva più bisogno di qualcuno che lo confortasse» lo interrompo sommergendolo con un fiume di parole. «Avrei dovuto parlare con lui dopo quello che è successo a Tris, dirgli che era tutta colpa di Peter, che lo aveva manipolato per renderlo come lui e usarlo per eliminare un’iniziata scomoda. Se l’avessi fatto lui adesso…»
«Sarebbe morto» mi interrompe. «Non avrebbe fatto nessuna differenza, non lo avresti salvato da se stesso. Non ci sarebbe riuscita neanche la Rigida.»
Tris, non ho pensato a lei. L’ultima volta che li ho visti insieme è stata molto dura con lui, non posso biasimarla, ha cercato di ucciderla, ma come ha fatto ad essere così cieca da non vedere che dietro a tutti c’era la mano di Peter, la malvagità fatta a persona. Al era un ragazzo dolce ma debole, per uno come Peter è stato un gioco da ragazzi manipolarlo, ma se davvero provava qualcosa per Tris non le avrebbe fatto del male. Possibile che fosse così disperato da uccidere la ragazza che ama per restare in questa fazione? Per quanto mi sforzi di negarlo, la risposta è sdraiata accanto a me. Prima dell’arrivo di Eric l’iniziazione non era così competitiva e logorante, è stato lui a trasformarla in un gioco al massacro.
«Tu avresti fatto la differenza. Hai reso l’iniziazione talmente snervante da fare a pezzi le nostre menti spingendoci a metterci l’uno contro l’altro. Scaricare tutta la colpa su Al ti rende più facile vivere con le mani insanguinate?» lo accuso, ma questo non mi fa sentire meglio.
Eric non risponde, continua a fissare la voragine. Mi metto a sedere e mi chino su di lui in modo da non permettergli di evitare il mio sguardo.
«È una cosa che posso sopportare ma…» sospira e si volta dall’altra parte «quello che non riesco a sopportare è il modo in cui mi stai guardando ora. Fa male.»
Mi lascio cadere sulla schiena sopraffatta da troppi sentimenti e tutti contrastanti tra loro.
So che incarico svolge Eric per conto degli Eruditi ma speravo che provasse rimorso per tutte le atrocità che è costretto a compiere, pare che non sia così. Causare sofferenze non sembra turbarlo ma, al contrario, un mio sguardo di disapprovazione lo fa stare male. Non ha alcun senso, se fosse davvero crudele e arido, quello che penso non dovrebbe sfiorarlo minimamente, invece sembra che ciò che penso e che provo per lui sia più importante di una vita umana.
«È una delle cose che fanno parte della scelta che hai preso e che io faticherei ad accettare, giusto?»
Eric annuisce. «Non lo accetti a quanto pare» dice abbassando lo sguardo.
«No. È solo una cosa che preferisco ignorare.»
Non esistono vie di mezzo, o accetto quello che è oppure no. Ignorare è già una scelta, quella di stare dalla sua parte e quindi diventare io stessa un mostro. Lo ammetto, spero che un giorno cambierà sopprimendo il suo lato malvagio, ma so che non sarà mai virtuoso come Quattro o sensibile come Albert.

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Capitolo 58
*** Capitolo 58 ***


Ho avuto incubi per tutta la notte. Al gonfio e bluastro che risaliva lentamente le pareti dello strapiombo fissandomi con occhi vitrei ma carichi di rancore. Io ero incatenata alla ringhiera della passerella e lo guardavo avvicinarsi, mi dimenavo per liberarmi ma alla fine lui mi raggiungeva e mi squarciava il petto con unghie più simili ad artigli.
Il sogno si ripeteva ogni volta che riprendevo sonno ma con piccole variazioni, come Tris legata ad un palo che gridava disperata mentre Eric la cospargeva di benzina e le dava fuoco.
Quando mi sono svegliata ero più stanca della mattina dopo il primo estenuante giorno di addestramento. Non ho battuto ciglio quando Eric mi ha trascinata nel garage e infilata in auto. Non ho idea di dove mi stia portando, forse dagli Eruditi per farmi vivisezionare, mi sento talmente a terra che non ho voluto fare domande.
«È inquietante» esordisce.
«Cosa?» gli domando, cercando di tenere aperti gli occhi, gonfi dopo un giorno e una notte di pianti.
«Il tuo silenzio. Di solito non stai zitta un attimo.»
«Eric sono stravolta. Ieri un mio amico è morto, non me la sento di parlare, voglio solo un posto tranquillo dove starmene rannicchiata in silenzio» mormoro abbassando lo sguardo.
«Sei un’Intrepida, devi imparare ad accettare la morte ed elaborare il lutto in fretta perché è una cosa che ti capiterà spesso in questa fazione» dice con il tono di voce che di solito usa per rimproverarmi. «Cosa pensavi di trovare negli Intrepidi? Libertà, divertimento, trasgressione? Tutti gli iniziati che sono venuti qui con quella idea sono finiti male.»
È vero, mi hanno sempre affascinata per la loro libertà ma anche per il loro coraggio. Non li ho scelti per il desiderio di trasgredire, ma perché non mi bastava aiutare le persone con i soliti discorsi motivazionali dei Pacifici, volevo fare di più. I Pacifici danno supporto psicologico e quindi entrano in gioco quando tutto si è già concluso e non resta altro da fare che aiutare le vittime a voltare pagina. Ho scelto gli Intrepidi perché voglio evitare che ci siano vittime da psicanalizzare, fermare qualcosa prima che accada in modo da non arrivare al doloroso momento del supporto.
«Non ho scelto Intrepidi per quei motivi e sto cercando di elaborare il lutto in fretta, ma è difficile.»
Guardo fuori dal finestrino, i palazzi del centro sono ormai alle nostre spalle, davanti a noi ci sono solo edifici bassi mezzi crollati e, dopo di loro non c’è altro, solo la Recinzione.
«Sicuramente sarà più facile che per i tuoi compagni» dice, fermando l’auto a pochi metri dal grande cancello.
Un Intrepido armato di fucile si avvicina all’auto con passo veloce, ma quando vede Eric al volante, si ferma, fa un cenno di saluto con la mano e torna alla sua postazione. Il cancello si apre ed io mi stupisco di quanto potere sia riuscito ad ottenere Eric a soli diciotto anni. Noi Pacifici di solito eravamo costretti a lunghe soste per la perquisizione anche se sul camion c’era uno dei membri più conosciuti e fidati della fazione.
L’auto oltrepassa il cancello e continua la sua corsa sulla strada sterrata che costeggia i campi dei Pacifici.
Eric allunga un braccio dietro al suo sedile e mi appoggia sulle gambe un sacchetto di plastica. Lo guardo perplessa.
«Cambiati» si limita a dire.
Apro il sacchetto e dentro c’è il vestito che indossavo il giorno della Cerimonia della Scelta. Eric ha frugato di nuovo tra le mie cose, sta iniziando a diventare una fastidiosa consuetudine. Sono certa che sa esattamente cosa contiene il mio baule e che potrebbe farmi un’elenco dettagliato senza dimenticare nulla. Rimpiango di aver rispettato la sua privacy mentre lui non ha avuto problemi a invadere la mia.
«Non mi cambio qui in auto davanti a te» esclamo fingendomi indignata.
Eric sbuffa. «Ho già visto quasi tutto quello che c’è da vedere.»
«E adesso vuoi togliere il quasi?» ribatto.
Lui sbuffa di nuovo, svolta in una stradina laterale che costeggia il bosco e ferma l’auto.
Conosco questo bosco, è stato il mio luogo segreto per sedici anni, o almeno era così che lo immaginavo. Credo sia la versione Pacifica dei cunicoli sotterranei degli Intrepidi, però noi siamo più territoriali, ci spartiamo il bosco e stiamo sempre nello stesso punto. Non sono mai nati problemi perché c’è spazio per tutti, anche per gli Intrepidi che, durante il pattugliamento, si appartavano nel bosco.
Scendiamo dall’auto ed io gli intimo di non guardare, Eric sbuffa e si appoggia alla portiera dandomi le spalle.
«Perché mi hai portata qui?» gli domando, anche se intuisco il motivo: un luogo familiare che evoca solo bei ricordi può aiutarmi ad affrontare e superare questo triste momento.
«La rossa ti conosce meglio di me ed è più brava in queste cose.»
Mi ha portata qui per farmi incontrare Althea? Non riesco a credere alle mie orecchie. Proprio lui, che ci ha più volte ricordato di non dimostrarci troppo legati alla nostra vecchia fazione, ha infranto questa regola solo per farmi sentire un pochino meglio. Non è una cosa che farebbe Eric il gelido e inizio a chiedermi se è un gesto di spontaneo altruismo oppure sta solo cercando di rendere meno amara la mia decisione di stare con lui accettando gran parte dei suoi crimini.
«Credevo che certe cose fossero da evitare.»
«Lo sono. Questa volta vedi di non raccontarlo alle tue amichette» mi ammonisce «Se la voce arriva alla persona sbagliata, Peter sarà l’ultimo dei tuoi problemi.»

Insieme raggiungiamo i margini del bosco. Alcuni Pacifici stanno lavorando in un campo poco distante dal punto in cui siamo. Cerco di capire se tra di loro c’è qualche vecchio amico oppure qualcuno di cui mi posso fidare, ma portano tutti un cappello di paglia che rende impossibile vedere i loro volti.
Restando dietro agli alberi, cerco di avvicinarmi il più possibile e, a pochi metri da me, vedo un ragazzo intento a strappare delle erbacce. Quando solleva lo sguardo, mi si gela il sangue, se mi riconosce sono fregata. Il ragazzo si asciuga la fronte con la manica della camicia e si allontana. Non mi ha vista. Mi nascondo dietro a un albero e tiro un sospiro di sollievo.
«Theia, cosa ci fai qui?» domanda una voce familiare.
Mi volto e vedo Dill in piedi davanti a me. Oggi deve essere il mio giorno fortunato.
Non so cosa rispondere, non ho pensato a come giustificare la mia presenza in una fazione che non è la mia e durante il periodo dell’iniziazione. Non posso certo dirgli che è stato il mio ragazzo-capofazione a portarmi qui perché Eric mi mangerebbe viva. Sono scappata. Questa è una buona risposta anche se non è un comportamento da Intrepida prendersi una vacanza dalla sua fazione per cercare conforto negli amici d’infanzia.
Sto per rispondergli quando lo vedo fissare un punto all’interno del bosco. Il suo sguardo è severo, come se si trovasse davanti a qualcosa che non gradisce. Non ho bisogno di sporgermi per capire chi sta fissando: Eric. A quanto pare la sua fama lo precede.
«Uno dei miei amici ha avuto un brutto incidente ed io ne sono rimasta sconvolta. Eric ha pensato che passare un po’ di tempo con i miei cari mi avrebbe aiutata a sentirmi meglio» mi affretto a spiegare prima che uno dei due dica qualcosa di poco piacevole.
I due si studiano a vicenda come farebbero dei cani prima di una lotta per il territorio. Da Eric me lo aspettavo, ma Dill è sempre stato un perfetto Pacifico. Non può conoscere così bene la reputazione di Eric da odiarlo come gli iniziati tormentati da lui. Hanno la stessa età, forse tutto questo astio è la conseguenza di qualcosa accaduto a scuola, ma io non riesco a ricordare nessun episodio tanto grave da giustificare tanto disprezzo.
«Dill, per favore, puoi portare qui Althea senza dire niente a nessuno?» domando, sperando di farli smettere di guardarsi in cagnesco.
«Cosa è successo al tuo amico?» mi chiede senza staccare gli occhi da Eric.
«È caduto nello Strapiombo» ometto di dire che l’ha fatto di proposito. Mi rendo conto che chi non fa parte degli Intrepidi non sa cos’è lo Strapiombo e quindi aggiungo: «Parte del complesso residenziale è costruito sopra una vecchia cava.»
«Possiamo rimandare la chiacchierata a dopo e in un luogo meno esposto? Noi non dovremmo essere qui» si intromette Eric, usando il suo classico tono di voce annoiato.
Dill torna a vestire i panni del perfetto Pacifico, annuisce e si incammina verso il campo.
Fa solo qualche passo poi si ferma e lancia un’ultima occhiata a Eric che sostiene il suo sguardo.
«Alla fine ci sei riuscito» mormora andando via.

«Ci sei riuscito a fare cosa?»
Questa volta non intendo accettare risposte evasive e meschini tentativi di cambiare discorso facendo lo sguardo da cucciolo bisognoso o, peggio ancora, mentire. Se mente lo scoprirò subito, non credo sia così stupido da fare una cosa del genere.
In ogni caso, uno dei due deve parlare, è più facile che sia Dill, non perché è mio amico da quando ero piccola ma perché Althea non si lascia manipolare come me, lo farà confessare in un attimo.
Incrocio le braccia e fisso Eric usando il suo sguardo “ti spello vivo se non fai quello che dico”.
Lui sospira. Ha capito che questa volta non può scappare.
«È una sciocchezza, una cosa vecchia, ero un ragazzino» cerca di giustificarsi.
Come se adesso fosse adulto, solo tre anni fa andava ancora a scuola.
«Riuscito a fare cosa?» domando di nuovo. Quella sarà l’unica frase che mi sentirà pronunciare se non mi racconta tutto.
«Non quello che pensa il tuo amico.»
Continua ad evitare di rispondere. Va bene, come vuole, riprenderò a parlargli quando si deciderà a confessare quello che ha fatto.
Mi allontano da lui e mi siedo a terra dandogli le spalle. Incrocio le braccia e resto in silenzio.
«Erano solo discorsi da maschi che voi femmine non capireste» dice sedendosi accanto a me.
Gli lancio un’occhiataccia, mi alzo e vado a sedermi un po’ più in là.
«E va bene» dice sospirando esasperato «Ai livelli superiori tu avevi un bel caratterino, avevi da ridire su tutto e attaccavi briga con chiunque, così ho scommesso con i miei amici che ti avrei domata.»
Mi volto verso di lui e sgrano gli occhi. Questa lui la chiama una sciocchezza?
«È finito tutto lì, un’ora dopo ci eravamo già dimenticati e stavamo dicendo altre cazzate. Non fare tanto l’offesa, anche voi ragazze non eravate da meno.»
«Io non facevo parte di quelle oche» dico stizzita.
«È vero, come potevi, avevi già trovato il ragazzo perfetto. Tutti gli altri non esistevano per te.»
Lo guardo sorpresa. Era geloso di Neem? Sto viaggiando troppo con la fantasia. O forse no.
«Eri geloso di Neem?»
«Le ragazze dicevano che era il ragazzo dei loro sogni. Anche se era un Pacifico, tutte le Erudite non facevano che parlare di lui.»
Forse dei loro sogni, non certo dei miei. Era troppo remissivo per i miei gusti. Althea diceva che eravamo una bella coppia perché ci compensavamo, ma il suo essere obbediente e mansueto faceva parte delle cose che non sopportavo di lui. Io non voglio un cagnolino obbediente, ma un uomo che sia in grado di tenermi testa e… domarmi.
Cielo, è per questo che mi sono sentita attratta da Eric sin dal primo sguardo. Anche se cercavo di negarlo con tutte le mie forze, il suo essere duro e forte mi affascinava perché dentro di me sapevo che faceva parte di quello che cerco in un uomo. La sua brutalità e spietatezza mettevano a tacere la parte di me che aveva capito che è lui l’uomo dei miei sogni. Se non avesse fatto la scelta di schierarsi con Jeanine e fosse un normale Intrepido tutto sarebbe più facile.

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Capitolo 59
*** Capitolo 59 ***


«Piccola Istrice!»
Mi volto di scatto in direzione della voce e, con grande imbarazzo, scopro che Dill non si è limitato a chiamare solo Althea, ma anche i miei genitori. Vorrei sotterrarmi.
L’incontro tra Eric e la mia famiglia è qualcosa che speravo di evitare. Li conosco bene, sono tutti e due assurdi, in modo simpatico ovviamente, ma restano comunque imbarazzanti. A volte sono peggio dei Candidi, non hanno filtro, non pensano prima di dire una cosa, e con Eric non è il caso di essere troppo sinceri, men che meno troppo civettuoli. Sono certa che Eric avrà il buonsenso di mostrarsi rispettoso e tenersi per sé commenti e giudizi su quei due bizzarri esseri che mi hanno generata, ma purtroppo non si farà scrupoli ad usare quello che diranno per prendermi in giro a vita.
«Tu sei il fidanzatino che Theia aveva alle elementari, accidenti se sei cresciuto!» esordisce mio padre ed io cerco di mantenere il sorriso mentre incasso il primo colpo.
«Io sono Phil, il padre di Theia» dice allungando la mano, che per fortuna Eric stringe mantenendo un sorriso che sicuramente è tra i più falsi che abbia mai fatto. «Lei è Rose, mia moglie.»
«Il giovane capofazione Intrepido. Eric, giusto?» domanda mia madre stringendogli la mano. Eric annuisce. «La tua fama ti precede» aggiunge con il tipico sorriso gioviale dei Pacifici che io ho sempre trovato inquietante.
Non riesco a capire se è un complimento oppure se devo segnare un altro colpo basso sulla mia lavagna immaginaria.
Si riferisce ai risultati raggiunti alla sua giovane età o alla sua fama di spietato aguzzino? In ogni caso Eric sembra lusingato quindi non ho di che preoccuparmi.
«Fidanzatino delle elementari?» si intromette Althea, osservandoci come se la risposta alla sua domanda fosse tatuata sulle nostre fronti.
«Quando erano bambini giocavano sempre insieme» spiega mio padre, «così io e sua madre, scherzando, dicevamo che erano fidanzati. Dovevi vedere come si arrabbiavano quando li chiamavamo in quel modo!» dice scoppiando a ridere.
«Allora il vostro è un amore epico!» esclama Althea. Questa affermazione vale cento colpi, la mia lavagna immaginaria è quasi piena.
Guardo Eric imbarazzata, ma lui è tranquillo e sta persino sorridendo divertito. Vorrei essere brava quanto lui a fingere.
Dill invece ha lo sguardo serio, Eric non gli piace e non fa nulla per nasconderlo. Josh potrebbe avergli detto che è un tipo arrogante e una carogna ma, quando Eric si è mostrato all’apice della sua crudeltà, lui si era già trasferito nei Pacifici. Escludo che sappia dei suoi legami con gli Eruditi e dei compiti che svolge per loro, quindi posso solo supporre che deve essere accaduto qualcosa di grave quando erano a scuola. Quello che mi ha confessato Eric è riprovevole ma alla fine i ragazzi, tra di loro, fanno affermazioni ben peggiori, è il loro modo di pavoneggiarsi. Noi ragazze invece siamo più portate a fare comunella tra di noi e a supportarci a vicenda, anche se spesso la nostra unione è ai danni di altre ragazze che vengono prese di mira perché meno belle o popolari. Tra i due sessi sono le femmine quelle da biasimare. Per questo motivo attaccavo briga con tutti, difendevo chi era preso di mira dai bulli o dalle oche svampite che si credevano divinità scese in terra.
«Althea, questa mania per le storie d’amore devi fartela passare. Davvero, sei ai limiti dell’ossessione» intervengo io per rompere l’imbarazzante silenzio che si era creato dopo l’affermazione di Althea.
«Non posso, perché io sono romantica, passionale e…»
«Svitata» dice Dill ridacchiando.
«No, quella è Theia, io al massimo sono stravagante.»
«Sinonimi» dice mio padre sorridendo e sollevando le spalle.
Althea fa la linguaccia e poi mi prende per un braccio. «Dai, andiamo nel nostro posto segreto, voglio sapere tutto sul tuo ragazzo.»
Non c’è niente da fare, quando si fissa su una cosa neanche Eric sarebbe in grado di dissuaderla. Sono convinta che resisterebbe a tutte le sue torture e dopo la situazione si rovescerebbe. Sarebbe Eric quello che verrebbe tormentato e ne uscirebbe con un esaurimento nervoso.
«Andate pure ragazzi» dice mio padre, poi rivolge lo sguardo verso Eric «Io voglio fare due chiacchiere con questo giovanotto.»
No, questo no. Mio padre solo con Eric sarà una catastrofe, per me ovviamente. Racconterà tutti gli episodi più imbarazzanti delle mia vita o, peggio ancora, gli farà chissà  quale assurdo discorsetto tra suocero e genero.
«No!» esclamo. Tutti mi guardano come se fossi un’invasata ed io capisco di aver esagerato con i decibel. «Eric deve tornare all’auto, non può farsi vedere dai Pacifici» aggiungo cercando di sembrare calma e per niente preoccupata.
«Stai tranquilla, li tengo d’occhio io» mi rassicura mia madre.
La cosa non mi fa sentire per niente sicura. Lei è peggio di mio padre per quanto riguarda le storielle sulla mia infanzia. Di tutte le cose che ho fatto da bambina lei racconta solo le più bizzarre e imbarazzanti. Lei ha sempre affermato che erano cose tenere e carine, ma non ci vedo niente di tenero nel cucirmi i capelli in un abito che stavo rammendando. Mi fa sembrare una povera incapace anche se avevo solo cinque anni. Il problema è che non sono migliorata da allora. Spero che Eric sappia cucire o siamo rovinati.

La radura è identica a come l’avevo lasciata, so che gli alberi non si spostano e quindi è difficile che cambiasse aspetto in poche settimane, ma è ciò che suscita in me a non essere cambiato. Mi sento come se non fossi mai andata via e le cose che mi sono accadute non fossero mai successe. Dopo tanto tempo sono serena e tutti i problemi sembrano essere scomparsi. Mi sento finalmente a casa.
«Forza dimmi, l’avete già fatto?» mi domanda con il suo sguardo malizioso da confidenze più che intime. Peccato che non siamo sole, Dill ci ha seguite.
Non importa, tanto non ho niente di imbarazzante da dire a parte quello che è successo durante il nostro primo appuntamento, ma non è molto diverso da quello che in passato ho cercato di fare con Neem. Althea avrà sicuramente riferito tutto a Dill senza lesinare dettagli.
«No, non l’abbiamo ancora fatto» rispondo arrossendo.
Dill trattiene una risata. Mi chiedo cosa ci trova di tanto divertente, sono troppo poco smaliziata anche per lui? I ragazzi sono tutti uguali.
Lancio a Dill un’occhiataccia e lui risponde con un sorriso così tanto malizioso da apparire sospetto. È come se sapesse più di quanto dovrebbe. Per un attimo mi sfiora il pensiero che anche al fiume sotterraneo ci fossero delle telecamere di sorveglianza e il filmato di me ed Eric in intimità abbia fatto il giro di tutte le fazioni.
«Cosa c’è di tanto divertente?» mi rivolgo a lui guardandolo di traverso «Avrei dovuto dargliela subito, prima ancora di stringergli la mano?»
«In effetti, è quello che hai fatto» risponde fissandomi dritta negli occhi.
«Tu sei fuori, io non farei mai una cosa del genere, per chi mi hai presa?»
«Tu no, ma lui sì» replica.
I suoi occhi sono carichi di rabbia, Non sta attaccando me, è Eric il suo bersaglio.
«Mi spieghi perché ce l’hai tanto con Eric? È per quello che ha detto a scuola, la scommessa di riuscire a domarmi? Ok, quello che ha detto non è affatto carino ma è una cosa che fanno tutti i ragazzi quando sono insieme. Non fare il santo, anche tu avrai fatto affermazioni simili» dico seccata.
«È così che ha giustificato la mia affermazione?» Dill ride e scuote il capo. «Beh, non ti ha detto la parte peggiore. Come biasimarlo, l’avresti mollato all’istante.»
C’è dell’altro? Cosa mai avrebbe potuto dire per farmi arrabbiare al punto di lasciarlo? Se mi avesse dato uno zero nella loro classifica o avesse fatto apprezzamenti pesanti sul mio corpo, al massimo gli avrei dato uno schiaffo. Capisco che erano solo stupidi discorsi tra maschi e, anche se erano cattiverie, lui era solo un ragazzino Erudito, tutti sappiamo che dalla loro bocca raramente esce qualcosa di positivo sulle altre fazioni.
«Ha ragione, tu e i tuoi amici a volte fate dei discorsi molto più volgari» interviene Althea.
Dill si siede accanto a noi e si schiarisce la voce come se stesse per tenere una lunga conferenza.
«Una sera, prima di iniziare l’ultimo anno di scuola, io e dei miei amici abbiamo beccato un gruppo di Eruditi nel bosco vicino al laghetto. Non volevamo rogne e così li abbiamo evitati. Erano con delle ragazze e con loro c’era anche Eric.»
Mi si ferma il cuore. Eric con una ragazza in un bosco, di sera, può esserci venuto solo per un motivo. Questo è un bel colpo, ma non so se mi fa più male scoprire che mi ha mentito sul fatto che non era mai stato con nessuna, oppure che ci sia stata una ragazza prima di me.
«Prima che tu diventi pazza di gelosia: No, Eric non era tra i ragazzi accompagnati» mi rassicura.
«Un momento» si intromette Althea «Perché sei andato nel bosco da solo con i tuoi amici?»
La mia gelosia è stata stroncata sul nascere ma la sua è divampata come un incendio.
«Theia ne aveva combinata una delle sue e le avevano dato una bella dose di Siero. Tu le stavi facendo da balia come al solito» spiega Dill, e questo sembra placare la gelosia di Althea.
«Eravamo tranquilli a fare i nostri discorsi volgari» sottolinea l’ultima parola lanciando un’occhiata di scherno ad Althea «quando ho sentito la voce di Theia provenire proprio dalla direzione del laghetto. Ho pensato che, come capita spesso, fosse riuscita a sfuggirti e stesse vagando per i boschi, così sono andato a vedere cosa stava combinando.»
Cerco di ricordare una passeggiata notturna fatta più o meno tre anni fa, ma nella mia mente non sembra essercene traccia.
«Beh, per farla breve. Tu ed Eric eravate insieme, immersi fino ai fianchi nell’acqua e…» fa una pausa per creare abbastanza pathos per prepararci al finale del suo racconto. «Eravate avvinghiati l’uno all’altra, completamente nudi
No. Sta mentendo. Me lo ricorderei se fosse successo. Magari non tutto, solo qualche frammento e comunque, se io ed Eric avessimo fatto sesso, me ne sarei accorta una volta finito l’effetto del siero. Althea mi ha detto che la prima volta lascia dei segni e si resta un po’ indolenzite.
«Per questo odio Eric, si è approfittato di te mentre eri sotto l’effetto del Siero. Se non si fossero intromessi i suoi amici l’avrei gonfiato.»
«Dill, perché non mi hai detto nulla?» domanda Althea scioccata.
«Perché saresti andata dritta da Eric per sistemare la cosa in modo non pacifico. Johanna, per evitare problemi con gli Eruditi, ti avrebbe punita e poi tutto sarebbe stato insabbiato.»
No, sarebbe andata molto peggio. Jeanine aveva già messo gli occhi su Eric e infangare la reputazione del suo pupillo sarebbe costato ad Althea molto più di una punizione di Johanna. Avrebbe potuto farla passare per Divergente ed eliminarla.
«Viscido verme schifoso. Adesso gli faccio sputare tutti i denti» ringhia Althea alzandosi in piedi. Dill la blocca e cerca di farla ragionare.
Io mi stupisco del mio autocontrollo. Solo qualche settimana fa sarei corsa subito da Eric e lo avrei preso a calci, mentre adesso, grazie a lui, ho imparato a controllarmi, restare lucida, elaborare un piano e risolvere la cosa in modo più sottile. Il male fisico passa, ma il tormento si insinua dentro di noi e continua a divorarci per molto tempo. Eric merita questo.

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Capitolo 60
*** Capitolo 60 ***


Il sole sta tramontando. Avrei preferito vivere questo momento nella mia vecchia fazione insieme ai miei amici, ma non sono più una Pacifica e devo fare ritorno alla mia nuova fazione. Se non fosse stato per Eric non avrei avuto il privilegio di una breve vacanza tra i miei cari. Questo non basta per farsi perdonare. Lui non ha la minima idea del vero motivo che mi ha fatta restare in silenzio per tutta la durata del viaggio in auto, o meglio, crede che sia ancora triste per Al o perché la mia giornata tra i Pacifici è finita, non immagina che io so cosa mi ha fatto quando ero solo una ragazzina.
Mi ha portata davanti alla nostra vecchia scuola elementare, dove tutto è cominciato. Lo trovo il posto perfetto per un giro nei viali dei ricordi e questa volta li ripercorreremo tutti, senza saltare nessun ricordo.
«È qui che ci siamo conosciuti» esordisce, indicando il vecchio castagno a pochi metri dal cancello.
«Ed è qui che le nostre strade si sono separate, per ricongiungersi ai livelli superiori, almeno per quanto mi riguarda, io non ricordo di aver passato del tempo con te» intervengo.
«Ognuno stava con i propri compagni di fazione, è normale. Però durante i corsi eravamo costretti dagli insegnanti a lavorare insieme a ragazzi di altre fazioni. Tu sei più piccola e quindi ci incrociavamo solo nei corridoi.»
Prima bugia. Vediamo quante riesce a dirne prima di confessare.
«Per tutto quel tempo non ci siamo detti una parola? È strano stare nello stesso posto per anni e non scambiarsi neanche un saluto, voglio dire, la nostra scuola non è grandissima.»
«Tu avevi i tuoi amici e io i miei, in più eri piccola, io non la trovo una cosa tanto strana.»
Certo, piccola. Questo però non ti ha fermato quella sera al laghetto. Siamo a due bugie ed io inizio a stancarmi di sorridere come se nulla fosse.
«Era la prima volta che visitavi la mia fazione?» gli domando, sperando di vedere un velo di preoccupazione nel suo sguardo. Non accade, lui continua a sorridere e il suo sguardo resta sereno.
«No, ci sono venuto alcune volte per lavoro, ma mi sono fermato poco e nessuno mi ha fatto fare il giro turistico dei boschi» risponde, mostrandosi convinto di quello che dice.
Bugia numero tre. L’accenno ai boschi è una grossa aggravante. Vediamo di essere più specifica.
«Davvero non avevi mai visto i boschi? Gli Eruditi non sono abbastanza curiosi da diventare avventurosi e spingersi oltre la Recinzione?» gli domando incrociando le braccia e fissandolo dritto negli occhi.
Se mente anche a questa domanda, prima gli tiro uno schiaffo e poi gli rinfresco la memoria.
Il sorriso di Eric sbiadisce e il suo sguardo sereno inizia a rabbuiarsi.
Colpito. Vediamo se ha davvero le palle di un Intrepido.
Continuo a fissarlo dritto negli occhi ma lui sostiene il mio sguardo. Cerca di fingere l’imperturbabile serenità che aveva prima ma non ci riesce. Ha capito che un uccellino mi ha raccontato il suo segreto e che non ci sono più posti in cui nascondersi.
«Me lo aspettavo da un tipo come lui» dice scuotendo il capo. «È stato inopportuno a tirare fuori quella vecchia storia.»
Inopportuno? Doveva tacere e continuare a reggerti il gioco? Non è uno dei tuoi amici Eruditi che coprono ogni tua nefandezza, lui è un mio amico e ha fatto bene a raccontarmi i tuoi abusi.
«Certo. Era meglio insabbiare tutto come tuo solito per evitare problemi. Se le confesso anche questa violenza, Theia mi odierà per tutta la vita. Meglio tenerla ben nascosta!» ringhio.
«Violenza?» domanda perplesso. Io non mi lascio convincere dai suoi sguardi creati ad arte.
«Smettila di fare il finto tonto! Dill mi ha raccontato tutto quello che è accaduto quella sera al laghetto!» esclamo, cercando di tenere la voce bassa, ma qui intorno non c’è nessuno e, anche se ci fosse qualcuno, non m’importa se fa la figura del pervertito, perché in fondo è quello che è. «Eric ti sei approfittato di me!» aggiungo quasi urlando.
«Cosa? No! non l’ho fatto. Hai cominciato tu.»
Sgrano gli occhi e stringo i pugni. Non può averlo detto veramente, sta dando la colpa a me! Io ero sotto l’effetto del Siero della Pace, era lui quello lucido e che non avrebbe dovuto approfittare della situazione per fare i suoi porci comodi.
«Eric, ero drogata dal Siero, non avrai creduto che fossi così scema al naturale!»
Lui abbassa lo sguardo e resta in silenzio. Sta cercando una nuova menzogna da rifilarmi oppure ha finalmente compreso la gravità di quello che ha fatto? Per il mio bene, spero la seconda, non posso essermi davvero innamorata di un mostro.
«Ok, lo ammetto… ho approfittato della situazione, ma non abbiamo fatto nulla» biascica come se quelle parole pesassero tonnellate.
«E io secondo te ci credo? Eravamo nudi e avvinghiati l’uno all’altra!»
«Non intendevo andare oltre la seconda base, sapevo che non eri del tutto in te quando ti sei spogliata, ma credevo che fossi semplicemente mezza ubriaca. Come potevo sapere che ti imbottivano di Siero della Pace un giorno sì e l’altro pure.»
Lo guardo storto. Lui non riesce a sostenere il mio sguardo, cerca in qualche modo di difendersi ma sa che non ci sono giustificazioni per quello che ha fatto.
«Davvero, credevo che fossi solo più accondiscendente e non completamente fatta e che questo ti rendeva più disinibita e… pensavo di piacerti.»
Le ultime parole sono quasi un sussurro, come se pronunciarle fosse una vergogna ancora più grande che ammettere quello che mi ha fatto.
«Quando ti ho rivista a scuola volevo parlarti, spiegarti tutto e magari chiederti di uscire, ma tu ti eri messa insieme a quel tizio, Neem, e mi ignoravi… come se quello che era successo quella sera non fosse mai accaduto, o come se io fossi stato solo il gioco di una notte.»
«Eric, avevano sbagliato la dose del Siero e non ho ricordi di quella sera. Quello che mi hai fatto l’ho scoperto oggi grazie a Dill» gli spiego cercando di calmarmi. «Perché non mi hai mai detto niente? Perché hai fatto finta di non conoscermi?»
«Ero arrabbiato. Te l’ho detto, a scuola fingevi di non conoscermi e quando sei arrivata negli Intrepidi hai continuato a farlo. Non sapevo se lo facevi perché mi odiavi per quello che era successo o perché mi consideravi solo uno dei tanti» mormora  evitando il mio sguardo.
Io non riesco a combattere la parte di me che si sta facendo intenerire dalle sue parole e dal suo sguardo triste. Sembra esserci rimasto molto male, ma non devo dimenticare che quello che mi ha fatto è molto grave. Anche se fossi stata solo un po’ alticcia, lui avrebbe dovuto tenere le mani a posto e i vestiti addosso.
«Questo non giustifica l’approfittarsi di una ragazza che non era nel pieno delle sue facoltà.»
«Lo so, ma non ero mai stato con nessuna e i miei amici mi prendevano in giro. Molti di loro ti consideravano carina e… anche io.» Arrossisce ed io sospiro.
Inizio a perdere le speranza di sentirgli dire spontaneamente quello che una ragazza desidera sentire dal ragazzo di cui è innamorata. Non mi aspetto un ti amo, ma almeno un mi piaci detto a voce alta e non sussurrato o mormorato.
«Quando, quella sera, ti sei avvicinata a me ridacchiando ho pensato che li avrei zittiti tutti se ci fossimo allontanati insieme. Io volevo solo far credere loro che avevo fatto qualcosa con te, ma poi, quando tu ti sei tolta il vestito e hai iniziato a spogliarmi, ho creduto di piacerti. Sì, ho approfittato della situazione, ero un ragazzino in piena tempesta ormonale, ma mi sono posto un limite da non oltrepassare. Anche se il tuo amico non ci avesse interrotti mi sarei fermato e ti avrei riportata al vostro complesso residenziale.»
Vorrei odiarlo, non credere a niente di quello che dice, ma il suo sguardo sembra davvero disperato. Sono convinta che lui sia sincero e, anche se ha approfittato di quella situazione, non riesco a condannarlo. Ha sbagliato e sembra sinceramente pentito per quello che ha fatto. Io non ero cosciente di quello che stavo facendo e lui non poteva saperlo, mi credeva alticcia ma ancora parzialmente in grado di prendere decisioni. Mi sono spogliata e ha pensato che fossi consapevole di quello che mi aspettava dopo un gesto del genere. Qualsiasi ragazzo non si sarebbe tirato indietro, ma soprattutto non si sarebbe trattenuto dall’arrivare fino in fondo.
Una parte di me continua a ringhiare che non ci sono giustificazioni per quello che ha fatto, che non dovrei perdonarlo, ma è la stessa parte di me che mi incitava mentre massacravo Peter. Forse non è la parte saggia di me, ma quella aggressiva e violenta, quella che prende le decisioni sbagliate perché ottenebrata dall’ira.
«Io non ne avevo idea. È stato quel tuo comportamento a spingermi a dire quelle cose ai miei amici e poi a tormentarti a scuola.»
«Tormentarmi?» gli domando.
Cerco di ricordare il suo volto tra quelli che mi hanno fatta finire in punizione ma proprio non riesco a trovarlo.
«I libri che sparivano dall’armadietto, gran parte delle litigate con i tuoi compagni e… i voti bassi nei compiti in classe» dice guardandosi attorno, ma stando ben attento a evitare me. «Sono stati tutti colpa mia.»
«Cosa?!» strillo strattonandolo per un braccio.
«L’ultimo anno avevo molti privilegi grazie a Jeanine. Cercavo già Divergenti e studiare i compiti in classe poteva essere un buon modo per scovarli e tenerli d’occhio» mi spiega. «Così, modificavo le risposte ai tuoi test in modo da abbassarti la media…»
«Hai abusato di me, parlato alle mie spalle e poi, come ciliegina sulla torta, mi ha fatta sentire una povera incapace per un intero anno scolastico!» esclamo indignata.
Mi giro e me ne vado. Non ho la minima idea di come tornerò alla residenza, ma preferisco vagare tutta la notte che passare un solo minuto insieme a lui.
Eric mi rincorre e mi afferra per un braccio. Cerco di colpirlo con quello rimasto libero ma lui schiva tutti i miei colpi e alla fine riesce a immobilizzarmi stringendomi a sé.
«Eric, lasciami andare» gli dico con voce calma ma carica di rabbia.
«Perdonami, ti prego» mormora quasi sul punto di piangere.
Resta a fissarmi senza dire altro.
Nessuna frase da perfetto Erudito, nessun tentativo di giustificarsi, niente di niente. Resta semplicemente in silenzio e mi guarda come se fossi l’unica cosa davvero importante per lui e fosse sul punto di perderla.

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Capitolo 61
*** Capitolo 61 ***


Nella mia mente si affollano migliaia di pensieri e ricordi.
L’aumento delle zuffe avvenuto al terzultimo anno e che mi hanno fatta finire dritta dal preside che mi assegnava la pulizia dell’aula di biologia. Le lunghe attese nella saletta dei bidelli per aspettare l’ultimo camion delle consegne che mi riportasse nella mia fazione dove Johanna mi aspettava per una lunga ramanzina. Se ero abbastanza furba da ascoltarla in silenzio, con lo sguardo basso, avrei evitato l’ennesima dose di Siero. Ci ho messo un po’ ad accettare di starmene zitta ad ascoltarla, cercavo sempre di difendermi e spiegare che erano gli altri a cominciare per primi, ma Johanna mi ripeteva che reagire in maniera violenta, sia fisicamente che verbalmente, era sbagliato e che dovevo impararlo se volevo essere una brava Pacifica. Io non lo trovavo giusto e anche adesso penso la stessa cosa, ma alla fine ho dovuto arrendermi e fingere di condividere il suo pensiero per evitare il Siero della Pace.
Ripenso a quando l’insegnante riconsegnava i compiti in classe ed io vedevo un voto basso e non capivo in cosa avevo sbagliato. Studiavo parecchio anche se non ne avevo bisogno, ero sveglia e imparavo in fretta. Mi bastava semplicemente stare attenta in classe per memorizzare tutto, il ripasso a casa mi serviva solo per rinfrescarmi la memoria ed essere certa di arrivare preparata al compito in classe. Era sempre stato così sin dai livelli inferiori, ma quell’anno le cose erano cambiate ed io non riuscivo a capirne il motivo.
Un altro pensiero tormenta la mia mente e non si tratta di qualcosa di poco rilevante come delle litigate o dei brutti voti a scuola, ma qualcosa di intimo e inizio a pensare che abbia influito sulla mia crescita emotiva.
Quello che Eric mi ha fatto è avvenuto prima che iniziassi ad uscire con Neem e, anche se io non ricordo niente di quella serata, forse la mia mente l’ha assimilata e, in seguito, ha contribuito a confondermi le idee su cosa cercassi veramente in un ragazzo. Adesso sembra tutto così chiaro da sconvolgermi.
Neem era simpatico, carino e mi piaceva, eppure c’era qualcosa che non mi permetteva di provare un sentimento profondo per lui. Non riuscivo a capire cosa mancasse a Neem per essere il mio ragazzo ideale. Ora lo so: lui non era Eric.
È vero, non ero lucida quella sera al laghetto, ma il mio cervello funzionava perfettamente. Il Siero della Pace ci rende solo più docili ed è probabile che una dose troppo alta possa causare bizzarri effetti indesiderati, ma non è in grado di alterare completamente le funzioni del cervello. Althea mi diceva che diventavo più sincera e rilassata quando sbagliavano il dosaggio. Mi definiva autentica, priva delle contaminazioni create dal tipo di educazione o dal rimuginare troppo su qualcosa. Forse quella sera mi sono solo lasciata andare e evidentemente trovavo Eric carino. Il Siero mi ha liberata dai blocchi morali e alla fine mi ha fatto dimenticare tutto quello che è successo ma, a quanto pare, il mio inconscio ha registrato tutto.
Seguendo questa logica, Eric è stato il primo ragazzo che ho baciato e con cui ho avuto contatti intimi… se fosse stato proprio questo a creare tutti quei problemi con Neem? Per questo non sono mai riuscita ad abbandonarmi completamente, non era lui che desideravo ma il ragazzo del laghetto: Eric.
Lo guardo, mi sta ancora tenendo stretta a sé e sembra sul punto di piangere.
Non riesco a non provare pena per lui, forse perché il suo pentimento sembra sincero o forse sono così tanto intenerita perché sono innamorata di lui, non da poche settimane ma da anni. È così assurdo, non si può amare una persona che neanche si conosce. Non so cosa sia accaduto al laghetto ma non credo si sia fermato a fare un po’ di conversazione.
«Eric, forse per te non è successo niente quella sera, ma per me è diverso. Potresti anche avermi incasinato la sessualità…»
Lui sorride divertito come se quelle parole fossero uscite dalla bocca di una bambina di quattro anni. Non mi piace che mi veda in quel modo, è vero sono più piccola di lui, ma solo di due anni.
«Non credo qualche bacio possa crearti problemi così gravi.»
«Baci dati mentre eravamo completamente nudi» puntualizzo.
«Questa è un’esagerazione del tuo amico, avevamo tutti i due la biancheria intima addosso.»
Mi torna il mente lo strano sogno che ho fatto prima dell’inizio delle simulazioni. Io e lui eravamo immersi fino ai fianchi nell’acqua cristallina di un grande lago azzurro e intorno a noi nuotavano strani pesci con colori vivaci. Non era un semplice sogno ma il mio inconscio che cercava di mostrarmi un ricordo sepolto. Vorrei dirglielo ma non voglio dargli uno spunto per spostare la conversazione su altri argomenti.
«Non fa molta differenza. È bastato per crearmi problemi di intimità con Neem» mi lascio stupidamente scappare.
«Non ti sembra di esagerare a darmi la colpa anche dei tuoi problemi con quello?»
«Era carino, gentile e abile, ma sentivo che mancava qualcosa…» mi interrompo, confessare non farà altro che gonfiare l’ego di Eric. «forse quel qualcosa era un’altra persona…» aggiungo maledicendomi. Sono irrecuperabile.
«Non credevo di essere tanto affascinante» dice sorridendo soddisfatto.
So esattamente cosa sta pensando: ho battuto il ragazzo più sognato dalle ragazze della scuola. Forse è il caso di non sottolineare troppo che lui è stato anche il mio primo bacio.
«Ho detto forse. Non sono un asso in psicologia» mi giustifico.
«Io sì. Quindi sono stato il primo?» domanda gongolando.
«E io?» ribatto determinata a non essere la prima a cedere.
«Direi che per entrambi la risposta è affermativa.»
Se me l’avessero detto i primi giorni dell’iniziazione, quando lo immaginavo pieno di ragazze, non ci avrei creduto. Adesso è diverso, ho scoperto che Eric il Gelido è stato un ragazzino disperato che per non essere più preso in giro dagli amici ha… ok, ha fatto una cose riprovevole e perfettamente in linea con Eric il Bastardo, però il fatto che fosse disperato mi fa immaginare un’adolescenza vissuta senza qualcuno da amare. Io ho avuto Neem, non posso dire di averlo amato, ma gli volevo bene e lui ne voleva a me. Sono stata più fortunata di Eric.
«Posso fidarmi? Non è che tra qualche giorno scopro che è successo qualcosa che non ricordo perché, non so… ero sotto l’effetto del Siero delle simulazioni?» domando in tono scherzoso.
«Non ti ho mai fatto nulla durante le simulazioni… però aspettavo che i sonniferi facessero effetto per fare sesso con te mentre dormivi» risponde ridacchiando.
«Esiste anche Eric lo Spiritoso» mi ritrovo a dire ad alta voce e prima che lui possa replicare, aggiungo: «È una delle mie tante assurdità, tipo i Mollychini.»
«Perché proprio Molly? La tiri sempre in ballo» domanda lui.
«Non è vero, solo per i Mollychini che hanno un sedere immenso come il suo.»
«No, l’hai anche menzionata quando mi hai dato del deviato. Hai presente?» dice indicandosi il naso per ricordarmi la sera in cui l’ho battuto contro uno dei sacchi da pugilato.
La risposta è sempre la stessa, anche se in realtà ero già gelosa di lei pur non avendone motivo. Molly carogna e lui sadico, sarebbero stati una coppia perfetta, era quello a darmi sui nervi.
La mia esitazione nel rispondere fa incuriosire Eric. Adesso posso fare due cose: confessare o mentire, essere scoperta e costretta a confessare.
«Sembravate fatti l’uno per l’altra…» rispondo guardandomi in giro.
«Eri gelosa di Molly? Tu sei tutta matta» dice scoppiando a ridere.
Io incrocio le braccia e faccio l’offesa ma riesco solo a farlo ridere ancora di più. Mi appoggia una mano sulla spalla e scuote il capo. Ormai so che non esiste solo Eric capofazione e istruttore crudele, ma ci sono tanti altri Eric dentro di lui, però è sempre strano vederlo ridere di gusto. È spiazzante come riesca a tenere separate tutte le sue parti e a mostrare solo quelle più opportune. In questo momento però non sta fingendo, si è semplicemente lasciato andare mostrandosi per quello che è: un normalissimo ragazzo, né più, né meno. Non un Intrepido, non un crudele capofazione o un sadico supervisore, solo un semplice ragazzo di diciotto anni.

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Capitolo 62
*** Capitolo 62 ***


Questa mattina Tris sembra allegra, è la prima volta che la vedo sorridere da quando l’ho conosciuta. Mi domando cosa sia accaduto per metterla così di buonumore. Dopo aver passato una giornata insieme ad Althea non posso evitare di pensare che il suo sorriso sia opera di Quattro. Lui l’ha salvata da una morte certa e in più Eric li ha visti allontanarsi insieme la notte dell’aggressione. Sarà l’influenza di Althea ma sono convinta che quella notte Tris non l’abbia passata né al dormitorio e né in infermeria.
La osservo mentre cammina verso il mio tavolo, è talmente serena che mi aspetto di vederla saltellare tra i tavoli canticchiando come una Pacifica sotto l’effetto del Siero della Pace. Si siede accanto a Uriah. Perfetto, c’è solo una persona tra noi due, posso tranquillamente studiarla senza dovermi spostare.
Afferra un toast dal vassoio nel centro della tavola e comincia a spalmarci del burro senza smettere un attimo di sorridere. Sposto lo sguardo da un tavolo all’altro per vedere dov’è seduto Quattro, quando lo vedo entrare nella sala mensa. I miei occhi tornano subito a fissare Tris. Il suo sorriso sia allarga e capisco di aver fatto centro. Lei solleva una mano per salutarlo ma Quattro la ignora e si siede accanto a Zeke.
Il suo sorriso si spegne. Vorrei dirle che sedurre le ragazze e poi ignorarle quando si è in pubblico deve essere una tradizione delle alte sfere degli Intrepidi, ma lei è così riservata e Uriah così chiacchierone che temo di farle più male che bene. So esattamente cosa le sta passando per la testa in questo momento, ci sono passata anche io ed è stata una tortura.
«Oggi è il giorno dello scenario della paura. Secondo voi, riusciremo a vedere il nostro?» domanda Will.
«No.» Uriah scuote la testa. «Si attraversa lo scenario di uno degli istruttori, me l’ha detto mio fratello.»
«Però non è affatto giusto che voi abbiate tutte queste informazioni e noi no» si lamenta Will, lanciando un’occhiataccia a Uriah.
«Già, perché voi non lo sfruttereste un vantaggio, se ce l’aveste» ribatte Uriah.
Non lo trovo giusto neanche io, ma questo non mi ha fermata quando Eric si è offerto di aiutarmi. Potevo dirgli che non volevo favoritismi, sarebbe stato un comportamento da vera Intrepida, invece ho accettato. Se devo essere onesta fino in fondo, non l’ho fatto solo per passare del tempo insieme a lui, ma anche perché ero terrorizzata dall’idea di essere sbattuta fuori dalla fazione.
In ogni caso, meglio evitare di farmi vedere troppo interessata alla conversazione, sono l’unica trasfazione ad avere quasi gli stessi vantaggi di chi è nato negli Intrepidi.
Vado a prendere altro caffè in modo da apparire poco interessata alla conversazione ma, quando mi alzo, vedo Eric in piedi davanti alla porta e il mio viso annoiato si illumina e comincio a sorridere come faceva poco fa Tris. Vorrei fare come lei e alzare una mano per salutarlo, ma ho paura di ricevere lo stesso trattamento che ha ricevuto da Quattro.
Mi guarda e mi fa cenno con la testa di seguirlo e poi sparisce oltre la porta. Messaggio ricevuto: Ti devo parlare, non attirare troppo l’attenzione su di te quando esci e quando mi cercherai per tutta la residenza per vedere dove mi sono nascosto.
Attraverso la sala come se niente fosse mentre penso se dovrò cercarlo a casa, al fiume sotterraneo o in qualche polveroso stanzino. Quando apro la porta lui è appoggiato alla parete di fronte a me. Io non so cosa devo fare, o meglio, non so cosa vuole che faccia, così resto ferma davanti alla porta. Lui alza gli occhi al cielo e sbuffa.
«Cosa ho fatto questa volta?» domanda lui avvicinandosi a me.
«Niente.»
«Perché te ne stavi imbambolata a fissarmi?»
«Non sapevo cosa fare. Se dovevo venire verso di te o aspettare che ti muovessi per poi seguirti» rispondo.
«Perché?»
«Non lo so, magari non volevi che ci vedessero insieme…» mormoro sentendomi un’idiota. Perché dovrebbe volere una cosa simile, ormai lo sanno tutti che tra me e lui c’è qualcosa. Non hanno un’idea precisa di cosa ci sia, ma in ogni caso sanno di noi.
«Secondo me tra Quattro e Tris c’è qualcosa. Ho visto che lei lo salutava ma lui l’ha ignorata. Ok, lui ha avuto una strana reazione, ma è proprio questo che mi fa pensare che forse tra loro due possa esserci del tenero… tu ne sai qualcosa?» gli racconto, come se stessi parlando con Althea.
«Oggi siamo in vena di pettegolezzi» esclama divertito. «No, non so niente e non mi interessa. Ci sono cose più importanti a cui pensare.»
«Tipo lo scenario che attraverseremo oggi? Sarà quello di Quattro?» domando cercando di darmi un contegno e perdendolo quando aggiungo: «Tris nello scenario di Quattro la voglio proprio vedere!»
«Sei sicura che quella sera eri sotto l’effetto del Siero? Io inizio a non vederci più tanta differenza.»
«Ma quanto siamo spiritosi oggi!» esclamo.
«No, niente Quattro. Attraverserete lo scenario di Lauren» dice tornando serio. «Cerca di liberarti in fretta perché dobbiamo parlare di Jeanine» aggiunge tenendo bassa la voce.
Mi prende per un braccio e mi trascina in uno dei cunicoli laterali del Pozzo.
«L’appuntamento è fissato per questa sera e tu devi arrivare preparata o farai saltare tutto.»
«Questa sera? Credevo di avere più tempo» mi lamento.
Lo scenario di Lauren non è l’unica cosa che devo fare oggi, c’è anche l’appuntamento con Josh dietro al magazzino delle provviste, e ora si aggiunge un’altra lezione su come entrare nelle grazie di Jeanine e poi incontrarla e superare quello che lei ha chiamato colloquio individuale ma che probabilmente è un test per vedere se sono all’altezza di far parte della sua guarnigione.
«Deve decidere prima del test finale di domani. Il giorno dopo entreremo in azione» mi spiega, ricordandomi quello che sto cercando di tenere fuori dai miei pensieri per non andare completamente in panico: il test finale che deciderà il mio destino.
«Cosa succede se non passo il test o se Jeanine mi scarta?»
«Ti riporterò nella tua vecchia fazione» risponde lui come se niente fosse.
«È contro il regolamento. Una volta abbandonata una fazione non vi si può far ritorno, si diventa…»
«Non me ne frega niente del regolamento» mi interrompe lui. «Se qualcosa andrà storto ti porterò al sicuro dai Pacifici come ho promesso ai tuoi genitori.»
Ieri sera gli ho chiesto di cosa avesse parlato con i miei e lui ha risposto che avevano fatto i classici discorsi che si fanno quando una figlia porta a casa il suo ragazzo. Chi era, cosa faceva e se aveva intenzioni serie. Pensavo che gli dicesse che è semplicemente un ragazzo molto dotato che è riuscito a scalare i vertici degli Intrepidi in meno di due anni e non che raccontasse loro la verità.
«Hai confessato tutto ai miei genitori?» domando allibita.
«Non tutto, solo ciò che sei.»
Sgrano gli occhi e mi premo la mano sulla bocca per soffocare un grido che comunque non sarebbe mai arrivato visto che sto trattenendo il respiro per lo shock. Tori mi ha detto di non dirlo a nessuno e adesso sono già tre le persone che conoscono il mio segreto. Mi fido dei miei genitori ma faccio bene? Loro non hanno mai espresso giudizi sui Divergenti, non ne hanno mai neanche parlato e questo mi spaventa. Abbiamo sempre parlato di tutto e se non hanno ritenuto opportuno mettermi al corrente della loro esistenza, forse può far parte di quelle cose che loro ritengono troppo spaventose per essere anche solo nominate.
Se loro avessero evitato il discorso di proposito, tenendomi all’oscuro dell’esistenza di un gruppo di persone reputate pericolose per la società, solo per non spaventarmi? No, non ha senso. I miei genitori mi hanno sempre messa in guardia dai pericoli, anche quelli più banali.
Troppe domande di cui conosco già la risposta affollano la mia mente ed io so che lo fanno solo per creare caos e impedirmi di pormi la domanda che più mi spaventa: Adesso che sanno cosa sono, mi vogliono ancora bene?
«E… e come hanno reagito?» gli domando tormentandomi il dorso della mano con le unghie.
«Hanno sempre pensato di avere una figlia speciale» risponde con un sorriso.
«Sei sicuro che sanno cos’è un… beh lo sai…»
«Sì, tuo nonno paterno è nato negli Eruditi e ha insegnato molte cose a tuo padre» mi spiega.
«Prima che tu parta per i tuoi soliti e assurdi viaggi mentali: No, tuo nonno non conosceva nessuno della mia famiglia.»
Gli faccio una smorfia. Non sono ossessionata da queste cose come lo è Althea.
«Però, tuo padre passava molto tempo con mia madre quando erano ai livelli superiori…» lascia in sospeso la frase e mi osserva. Io cerco di fingere solo un piccolo accenno di curiosità, ma la mia mente sta già immaginando una vita alternativa, dove Eric ed io siamo fratello e sorella. È inquietante come continuo a trovare Eric dannatamente attraente anche sapendo che potrebbe essere mio fratello.
«Stai cercando di farmi credere che siamo fratello e sorella? Non ci casco.»
«Ci ho provato» ammette ridacchiando. «Si sono conosciuti quando noi eravamo alle elementari.»
«Già, gli scoiattoli» mormoro.
Un rumore di passi accompagnato da degli schiamazzi interrompono la nostra conversazione. È ora, i miei compagni stanno andando nella sala dello scenario. Vorrei poterlo evitare come con le giornate pesanti a scuola, quando fingevo di avere mal di pancia e mi mandavano in infermeria, ma non sono più una ragazzina, ora sono cresciuta, sono un’Intrepida. Non mi tirerò indietro, affronterò lo scenario, Jeanine e qualsiasi cosa accadrà dopo la fine dell’iniziazione.

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Capitolo 63
*** Capitolo 63 ***


Lauren, l’istruttrice degli interni, ci aspetta con le mani sui fianchi, fuori dal corridoio delle simulazioni.
«Due anni fa» dice «avevo paura dei ragni, di soffocare, di rimanere intrappolata tra mura che mi si stringevano lentamente addosso, di essere buttata fuori dagli Intrepidi, di morire dissanguata, di essere investita da un treno, della morte di mio padre, di essere umiliata pubblicamente e di essere rapita da uomini senza volto.»
Fa una pausa, ci squadra uno ad uno e poi riprende.
«La maggior parte di voi ha tra le dieci e le quindici paure nel suo scenario. È questa la media.»
«Qual è il numero più basso che avete mai registrato?» chiede Lynn.
«In anni recenti» risponde Lauren «quattro.»
Istintivamente i miei occhi si spostano su Quattro. Tiene gli occhi bassi e, accanto a lui, Eric ci sta fissando tutti con il suo solito sguardo freddo. Mi domando cosa prova realmente in questo momento. Appare distaccato ma so che dentro è pieno di invidia e rabbia. Ogni anno dovrà sentire la stessa cosa, gli verrà ricordato quanto è speciale Quattro e lui lo prenderà come un fallimento personale. Non capisco perché si fissa così su quel dettaglio. Ok, Quattro detiene il record delle paure, ma non è importante quante paure abbiamo ma come le affrontiamo. A quanto dice Quattro, Eric ha superato lo scenario in maniera impeccabile e lo ha fatto al primo giorno di iniziazione. È stato bravo, molto più bravo di tutti noi che ci risvegliamo urlando o piangendo.
«Non lo scoprirete oggi, quante ne avete» continua Lauren. «La simulazione è settata sul mio scenario, per cui vi troverete le mie paure, non le vostre. Lo scopo di questo esercizio, tuttavia, è solo farsi un’idea di come funziona la simulazione, per cui ognuno di voi ne affronterà una soltanto.»
Lauren assegna a ciascuno di noi una paura a caso. A me è capitata la paura di essere sbattuta fuori dagli Intrepidi. Non è tra le mie paure ma si avvicina troppo a quella di venire scoperta, che per fortuna non si è mai palesata durante le mie simulazioni. Per una volta ringrazio il cielo per essere così tanto presa da Eric da far passare in secondo piano il mio essere una Divergente.
Penso a come affrontarla mentre guardo come reagiscono i miei compagni ai loro scenari. Non essendo collegata al computer posso solo vederli muoversi in una stanza vuota e, sarà la tensione, ma li trovo quasi comici.
Lauren si avvicina a me per iniettarmi il siero, cerco di rilassarmi pensando che non sarà tanto difficile, sono in grado di manipolare le simulazioni, l’ho fatto con le mie paure e quindi dovrebbe essere più facile con le paure di Lauren.
Chiudo gli occhi e quando li riapro sono ancora nella saletta ma i miei compagni sono spariti, al loro posto ci sono i capi degli Intrepidi. Mi osservano con sguardo torvo e scuotono il capo bisbigliando tra di loro. Guardo Eric, ma lui non mi degna di uno sguardo, sembra tornato ad essere Eric il capofazione crudele e non c’è traccia in lui degli altri Eric che ho conosciuto. È come se tutto quello che c’è stato tra di noi non fosse mai esistito.
Mi sento piccola e inutile. L’unica cosa che mi ha permesso di arrivare alla fine dell’iniziazione senza crollare in pezzi adesso non esiste più.
Come farò ad andare avanti senza di lui?
Questa domanda mi fa sentire terribilmente patetica e indegna di far parte di questa fazione.
Ho sbagliato tutto. Non sono una vera Intrepida, solo una sciocca ragazzina talmente tanto succube di Eric da essere diventata quello che non è solo per compiacerlo.
No, io non sono così. È vero, Eric fa parte di me, ma quando ho fatto la mia scelta non lo conoscevo. Ho scelto gli Intrepidi perché volevo fare qualcosa di concreto per gli altri, proteggerli, magari salvarli ed evitare che ci siano vittime da psicanalizzare, fermare qualcosa prima che accada in modo da non arrivare al doloroso momento del supporto.
Non ha importanza cosa ha motivato la mia scelta, non più. Sui loro volti leggo che questo non è più il mio posto.
Perché? Cosa ho fatto di sbagliato? Continuo a chiedermi. La porta della saletta cigola e vedo apparire la sagoma di una donna. La risposta alle mie domande mi appare chiara: mi hanno scoperta. Ancora prima di mettere a fuoco la donna so che è Jeanine Matthews.
In un attimo realizzo che questa simulazione verrà registrata. Chiudo gli occhi prima che loro possano mettere a fuoco la donna e rivelare a tutti che si tratta della leader degli Eruditi. La sua presenza in una simulazione incentrata sulla paura di essere cacciata dagli Intrepidi, insospettirebbe i capifazione e non ci metterebbero molto a capire che sono una Divergente.
Mi raggomitolo a terra tenendo le mani premute sugli occhi. Se io non la vedo, neanche chi guarderà la simulazione riuscirà a vederla, e sarò salva.
«Alzati!» mi ordina la voce di Eric.
Io resto immobile, se apro gli occhi so che la prima cosa che vedranno non sarà Eric ma Jeanine.
«Theia, hai intenzione di restare lì ferma a frignare per tutto il giorno?» domanda la voce di Quattro.
Lui non era nella simulazione. È finita, sono fuori. Riapro gli occhi e sono di nuovo nella realtà.

«Stavi per mandare tutto all’aria» esclama Eric lanciando sul letto una grossa borsa di tela.
«Non so cosa mi sia preso. Non era tra le mie paure, pensavo che sarebbe stata una cosa facile da gestire» gli spiego. «Poi ho iniziato a chiedermi perché volessero sbattermi fuori e c’era un’unica risposta logica: hanno scoperto che sono una Divergente. Così la mia mente deve aver evocato Jeanine.»
«Credevo che la tua mente paranoica fosse finalmente sotto controllo, almeno durante le simulazioni, ma adesso, a un giorno dal test finale, pare che non sia così» mi rimprovera Eric.
Ha ragione, abbiamo lavorato a lungo e duramente su come controllare i miei pensieri, sembrava che fossi riuscita ad ottenere il pieno controllo, ma pare che non sia così. Ho fatto tutto quello che mi ha detto eppure la simulazione è andata male lo stesso. Era uno scenario facile, niente poteva turbarmi. Niente a parte lui. È questo il mio grande problema. Tutto è andato bene fino a quando non ho visto il suo sguardo freddo e distaccato.
«Ho perso il controllo quando ti ho guardato. Mi fissavi come fai con gli altri iniziati… come se queste ultime settimane non fossero mai esistite…» mormoro stringendomi le gambe al petto e appoggiando il mento su un ginocchio.
«Durante le simulazioni sei cosciente che quello che vedi non è reale. Sapevi benissimo che quello non ero davvero io, come hai fatto a perdere il controllo?»
«Non lo so… forse sono solo stressata per l’incontro con Jeanine. Come se non bastasse, domani c’è il test finale e dopo… dopo non so cosa aspettarmi.»
«Non ti preoccupare di quello che verrà dopo. Devi concentrarti solo sulla tua iniziazione, al resto ci penserò io» fa una pausa, mi solleva il mento con le dita e poi aggiunge: «Comunque vadano le cose, tu sarai al sicuro.»
Sarò al sicuro per quanto? Non mi ha mai rivelato cosa accadrà dopo il test finale. Forse niente, vivrò semplicemente la mia vita da Intrepida, però ho un brutto presentimento. Tutti gli articoli scritti da Jeanine contro gli Abneganti e il coinvolgimento degli Intrepidi non mi fanno immaginare un bello scenario. Se non fosse per la mitezza degli Abneganti penserei a una guerra. No, non in questa città, forse nel resto del mondo, ma noi siamo diversi, abbiamo sempre vissuto in pace e sarà così per sempre.
Scaccio via dalla mente l’ipotesi assurda di una guerra e l’attenzione della mia mente paranoica si sposta sul borsone che Eric ha buttato sul letto.
«Cosa c’è in quella borsa?» gli domando.
«Tutte le tue cose. Dopo l’iniziazione dovrai lasciare il dormitorio e andare nella tua nuova casa…»
«Oppure tornare in quella vecchia» lo interrompo.
«Oppure tornare in quella vecchia» ripete sorridendo. «Ma sono sicuro che supererai sia il colloquio con Jeanine, sia il test finale.»
Non ho mai pensato a dove vivrò una volta diventata un membro effettivo degli Intrepidi. Ho sentito dire che si può scegliere di stare da soli o condividere la casa con altri membri, ma non so niente su come verranno assegnati gli alloggi. Forse anche quello è legato alla posizione in classifica, oppure si andrà dove c’è posto. Spero di non finire in un appartamento nei sotterranei, sarebbe triste una vita senza i raggi del sole che entrano da una finestra.
«Potrò scegliere dove vivere o qualcuno lo farà per me?»
«Puoi scegliere con chi vivere ma non dove vivere. Se vuoi stare da sola ti verrà assegnato un alloggio e non potrai fare altro che sperare che ti piaccia oppure…» si alza in piedi e spalanca le braccia. «Puoi andare sul sicuro e restare qui. Non è male se ti piace la luce del sole e il rumore della pioggia sul tetto.»
E se ti piace vedere Eric ogni giorno per il resto della tua vita, vorrei aggiungere.
«Invitante… mancano solo piante e scoiattoli» dico ridacchiando.
«Le piante non sono un problema, ma per quanto riguarda gli scoiattoli non posso fare nulla. Però deve esserci un nido di colombe qui da qualche parte» dice avvicinandosi alle grandi finestre. «Puoi dar da mangiare a loro. Faranno casino tutto il giorno e probabilmente spargeranno la voce e saremo invasi, ma se non danno fastidio a te…»
«Il tubare delle colombe mi rilassa» intervengo. «Lo trovo ipnotico e mi aiuta a prendere sonno.»
«Quindi dormivi sempre nella tua fazione?» scherza lui.
«Più o meno…» rispondo.
Ero sempre l’ultima a svegliarsi, a volte i miei genitori dovevano trascinarmi fuori dal letto per farmi alzare. È strano come tutto sia cambiato quando sono arrivata qui. Dormo poco la notte e sono tra i primi a svegliarmi. Forse è solo la tensione dell’iniziazione, quando sarò un membro effettivo mi rilasserò ed Eric prenderà il posto dei miei genitori. Conoscendolo, non credo si limiterà a sussurrarmi di svegliarmi, perderà la pazienza e mi tirerà una secchiata di acqua gelata.
Mi lascio sfuggire un sorriso. Eric mi osserva più perplesso che incuriosito.
«Pensavo a quanto sarà dura alzarsi all’alba per andare al lavoro. Dubito di essere tra i primi in classifica e quindi mi toccherà fare il servizio di guardia alla Recinzione o quello di sorveglianza degli Esclusi. Sarò sempre in ritardo.»
«Qualsiasi sia il tuo punteggio, non potrai scegliere, il tuo ruolo è già stato deciso» dice facendomi gelare il sangue, non per paura che possa non piacermi il mio lavoro, ma perché mi è stato tolto ciò che desideravo quando ho deciso di cambiare fazione: la possibilità di scegliere.
«Sai chi sono e cosa faccio e questo ti rende un’assistente perfetta. Quindi lavorerai per me.»
Dopo questa sua ultima affermazione, tutti i miei buoni propositi e il mio desiderio di libertà e indipendenza, perdono la loro importanza, eclissati dalla prospettiva di vivere ogni giorno della mia vita accanto a Eric, un uomo forte, forse un po’ troppo autoritario, ma che comunque si prenderà cura di me. La donna che volevo diventare sembra allontanarsi sempre di più ogni giorno che passa, lasciandomi con ciò che temevo di diventare: solo la donna di qualcuno. Forse l’ho idealizzata troppo, non ho mai voluto conoscerla e capirla. Adesso, non mi sembra più così patetico decidere di condividere ogni momento della mia vita con un uomo. Non perderò la mia identità, ma semplicemente imparerò ad essere me stessa in maniera più matura, smetterò di pestare i piedi come una bambina ripetendo sempre “Io” e imparerò a dire “Noi”.

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Capitolo 64
*** Capitolo 64 ***


Quando ho salutato Althea le ho chiesto di dire ha Josh che avevo bisogno di parlargli e, sapendo quanto sa essere insistente la mia cara amica, sono sicura che questa mattina lui sia salito sul camion delle consegne diretto alla residenza degli Intrepidi.
Non è stato facile trovare il magazzino delle provviste senza chiedere indicazioni e destare sospetti. Mi sono persa un paio di volte negli intricati cunicoli della residenza ma alla fine ce l’ho fatta.
Josh sta fumando una sigaretta insieme a un altro ragazzo che non conosco ma che ha un’aria familiare. Non sembra molto più grande di me, probabilmente ci siamo incrociati a scuola, di sicuro è un trasfazione, mi sarei ricordata di un bel ragazzo come lui nella mia vecchia fazione.
Esco dal magazzino e mi avvicino a loro. Josh, appena mi vede, mi saluta con la mano e dice qualcosa al suo amico. Io mi guardo intorno. Da dove sono si vede l’ingresso della residenza e temo che qualcuno possa vedermi. Allungo il passo e mi nascondo dietro il camion. Faccio segno a Josh di raggiungermi, lui cammina verso di me come se nulla fosse. Forse sto esagerando, scambiare due chiacchiere non è tradimento alla fazione, ma non so come potrebbe prenderla Eric.
«Nanetta, perché ti nascondi?» domanda Josh.
«Perché è divertente» rispondo facendo una smorfia. «Abbiamo un supervisore che mette i brividi e non so come potrebbe prendere il nostro incontro.»
«È vero, ha un caratteraccio» interviene il bel ragazzo che stava fumando con Josh. «Comunque io sono Gerald» aggiunge, allungando la mano. La stringo fissandolo affascinata.
È molto bello e sento che la mia mente sta per partire per uno dei suoi viaggi assurdi. Basta viaggi mentali, non ho tempo da perdere, più sto qui e più è facile che Eric mi becchi.
«Tu conosci Eric?» gli domando.
«Certo, è mio cugino» risponde strizzandomi l’occhio.
La mia mente si concentra immediatamente su di lui. Sembra un ragazzo gentile, lo deve essere per forza se ha scelto i Pacifici, eppure è imparentato con Eric l’Aguzzino. In ogni caso è un vero colpo di fortuna, probabilmente sono cresciuti insieme e questo fa di Gerald lo scrigno dei segreti di Eric. Non tutti suppongo, dubito che sappia della sua missione segreta, ma in ogni caso può raccontarmi com’era la sua vita prima di trasferirsi negli Intrepidi.
«Althea mi ha dato il tuo messaggio “questione di vita o di morte”. Non so come posso aiutarti, ma dimmi pure» interviene Josh.
«Althea è esagerata, lo imparerai a tue spese» e rimpiangerai di aver scelto i Pacifici, vorrei aggiungere. «Niente, tu eri negli Intrepidi e volevo chiederti un parere su un ragazzo…»
Mi sento una cretina a chiedere queste cose. Sono davvero così sfigata da chiedere agli altri informazioni su un ragazzo, non sono capace di trovarmele da sola? Poi mi ricordo che il ragazzo in questione è Eric e mi sento meno sciocca.
«Ci sono cresciuto con questi matti, li conosco tutti, chi è?» domanda.
«Veramente è un trasfazione… però ha fatto l’iniziazione due anni fa.»
Cerco di prendere tempo, so che è stupido, ma insieme a Josh c’è anche il cugino di Occhi di Ghiaccio e la mia confessione inizia a sembrarmi un po’ imbarazzante.
«Mi dici il nome o devo indovinarlo?» incalza Josh.
«Ehm… si chiama Eric» rispondo stringendo gli occhi per prepararmi a valanghe di “sei impazzita?” e frasi simili dette esagerando con i decibel.
«Eric mio cugino?» domanda stupito Gerald.
Annuisco tenendo la testa bassa. Il suo tono di voce non mi piace. Sapevo che non avrei suscitato reazioni positive, ma sembra incredulo, quando chiunque avrebbe mostrato biasimo per ciò che ho confessato.
«Dipende, è lo stesso Eric che fa il capofazione da noi?»
«Levatelo dalla testa» risponde lapidario.
«Perché?» ringhio, esasperata di sentirmi dire sempre le stesse cose nei confronti di Eric.
«Non fa per te. Fidati.»
«Perché? Perché è un mostro, un sadico, un violento o… non lo so, dimmela tu un’altra cattiveria su di lui!»
«Non ho detto questo. È vero non ha un bel carattere, ma non è quello il problema» dice appoggiandomi una mano sulla spalla. «Non è capace di instaurare una relazione duratura con una persona. Se vuoi divertirti, va bene, ma se cerchi qualcuno con cui passare tutta la vita… beh lui non è il ragazzo giusto.»
«Mi stai dicendo che è un donnaiolo bastardo?»
«No, è semplicemente… limitato» risponde alzando le spalle.
«Cosa intendi con limitato
«A Eric interessa solo di Eric, non è in grado di prendersi cura di altre persone. Non lo fa perché è un egoista, ma perché non è capace di provare sentimenti profondi per altre persone» mi spiega «Non è cattiveria, semplicemente lui è fatto così. Saresti solo una con cui divide la casa, che lava, pulisce e cucina. Saresti la sua serva e non ti tratterebbe mai come…»
«Ti sbagli, non lo conosci!» esplodo. «Se fosse così, non mi avrebbe aiutata, non si sarebbe preso cura di me quando ero terrorizzata e non mi avrebbe portata dalla mia famiglia rischiando di essere accusato di tradimento…»
Entrambi sgranano gli occhi. Forse l’ultima frase avrei dovuto tenerla per me, nessuno doveva sapere della giornata passata nella mia vecchia fazione.
«Lui cosa?» domanda Josh allibito.
«Vi prego, non ditelo in giro, si sta già esponendo troppo a causa mia e non voglio essere la sua rovina.»
Gerald invece rimane impassibile, quello che ho appena detto non sembra turbarlo e questa cosa mi spaventa.
«Lo conosco da quando è nato. Non c’è niente di spontaneo in lui e se ti ha fatto credere di contare qualcosa… beh, faresti meglio a stare attenta perché ti sta usando» insinua.
«Per cosa? Io sono inutile!» esclamo infastidita.
So che probabilmente lui ha ragione, sono cresciuti insieme, ma io sono brava a capire le persone, forse non completamente però capisco quando qualcuno è sincero oppure no. E se non fosse più così? Eric mi ha sconvolta sin dal primo sguardo e potrei sbagliarmi. L’amore, ancora lui, la più grande debolezza.
«Non lo so, ma tu lo scoprirai presto» dice dandomi una pacca sulle spalle e, come se niente fosse, si incammina verso l’ingresso del magazzino.
Io lo osservo basita. Prima mi dice che il ragazzo che amo mi sta usando e che è incapace di provare sentimenti profondi e poi se ne va via come se avessimo parlato del colore delle foglie in autunno.
«Hey! Dove credi di andare? Torna qui!» strillo. Lui non si volta neanche, mi saluta con la mano ed entra nel magazzino.
Decido di seguirlo ma, appena mi muovo, Josh mi trattiene per un braccio. Lo fulmino con lo sguardo.
«Lascia stare, non ti darà retta. Ha un appuntamento con la sua ragazza.»
Sgrano gli occhi. Un Pacifico che ha una ragazza negli Intrepidi. Esiste qualcuno, all’interno della Recinzione, che segue ancora le regole? Prima Althea che si finge mia sorella nel Giorno delle Visite, poi Eric che mi porta a fare una gita nella mia vecchia fazione e adesso questo. Non so cos'altro aspettarmi.
«Ha una tresca con una del servizio di pattuglia?» domando, tenendo per me che è una cosa vietata.
«No, lei lavora all’interno del complesso e non è una tresca, stanno insieme da tre anni» risponde come se fosse una cosa normale stare con qualcuno di un’altra fazione.
«Non facevano prima a scegliere la stessa fazione?»
«Avevano già fatto la scelta quando si sono conosciuti.»
«Non si può è vietato!» esclamo, ma subito mi rendo conto che non è facile ignorare quello che il cuore comanda. «E come fanno? Sono lontanissimi, dovranno tenere tutto nascosto, si vedono due volte a settimana e…»
«Nella zona comune oppure lui va da lei o lei viene da lui.» Josh interrompe la mia valanga di domande. «Non sono gli unici che fanno questa vita» aggiunge sospirando abbattuto.
«Anche tu?» domando tenendo la voce bassa ed avvicinando il mio viso al suo. Lui annuisce.
«Una ragazza Erudita conosciuta durante un turno in ospedale nella seconda fase della mia iniziazione.»
A quanto pare, all’interno della Recinzione non va tutto come credevo, in molti sembrano fregarsene delle regole. Mi domando quali altre infrazioni del regolamento vengano commesse. Magari un giorno scoprirò che i Candidi in realtà dicono più bugie di chiunque altro.
«Cos’è questa storia di Eric?» mi domanda accendendosi un’altra sigaretta.
Gli racconto tutto quello che è successo da quando l’ho incontrato in mensa la prima sera, a quando mi ha portata nella mia vecchia fazione. Lui mi ascolta in silenzio, ma quando gli racconto quello che accadde anni fa al laghetto, si lascia scappare un sorriso e sottolinea quanto il suo comportamento sia stato da sfigato per uno che aspirava a diventare un Intrepido.
«Possibile che abbia recitato bene la sua parte per tutto questo tempo?» domando alla fine del mio lungo racconto.
«Da un tipo come lui ci si può aspettare di tutto» dice spegnendo la sigaretta. «Però l’Eric di cui parli è diverso da quello che ho conosciuto attraverso i racconti di Gerald.»
«Cosa ti ha raccontato?» incalzo.
«È sempre stato molto freddo e calcolatore, mancava totalmente di empatia» mi racconta «Era il classico lasso: intelligente e borioso. Però ogni tanto aveva… Gerald le ha definite crisi… erano degli attacchi di ira. La famiglia li giustificava come conseguenza del suo carattere competitivo, ma a lui sembravano più sfoghi infantili. Sono normali in un bambino piccolo che pesta i piedi e strilla quando le cose non vanno come vorrebbe, solo che lui li ha mantenuti anche una volta cresciuto.»
«Se non può controllare qualcosa, allora la distrugge…» dico più a me stessa che a Josh.
«Io pensavo più a un ragazzo viziato che sbatte la testa contro il muro se le cose non vanno come vuole» dice sorridendo.
«Non sei mai stato un iniziato con lui come supervisore, gli ho visto fare cose terribili.»
«E, a quanto pare, questo non ti ha impedito di innamorarti di lui.»
Perché forse anche io sono un mostro. È l’unica spiegazione. Penso abbassando lo sguardo.
«Perché con te era un’altra persona» mi rincuora. «Ha abbassato la guardia e ti ha mostrato una parte del suo carattere che neanche Gerald conosce.»
Josh mi stringe forte a sé. Appoggio la testa sul suo petto e lo guardo negli occhi. Se qualcuno ci vedesse ora penserebbe che non siamo semplici amici, ma io non riesco a staccarmi da lui. Ho bisogno del caldo abbraccio di un amico, di essere confortata dopo quello che mi ha raccontato Gerald.
«Non ascoltare gli altri, pensa con la tua testa e credi in te stessa» mi sussurra. «Non so come, ma sei riuscita ad entrare nel cuore di quel gelido bastardo.»
Mi dà un bacio sulla fronte e si affretta a raggiungere gli altri Pacifici sul camion che li riporterà a casa.
Credere in me stessa e pensare con la mia testa. Sono gli stessi consigli che darei io, allora perché non riesco a seguirli?
È la cosa migliore da fare, la più logica, ma quando arriva il momento di passare dalle parole ai fatti, accade sempre qualcosa che mi fa dubitare della mia capacità di giudizio. Mille scuse e assurdi ragionamenti mi bloccano, e se fosse questo il problema? Forse dovrei semplicemente smettere di analizzare ossessivamente tutto quello che mi capita e abbandonarmi all’istinto, senza rimuginare troppo sulle conseguenze perché ci saranno sempre e non posso prevedere quali saranno, posso solo affrontarle quando mi si presenteranno davanti. È sciocco fare mille ipotesi per cercare di prevedere ciò che accadrà. Forse dovrei semplicemente vivere attimo per attimo con serenità senza pensare a quello che verrà dopo. In fondo, prima di affrontare il futuro devo vivere il presente.

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Capitolo 65
*** Capitolo 65 ***


Quando arrivo all’ingresso del magazzino mi trovo Eric davanti. È in piedi e mi osserva in silenzio, i suoi muscoli sono tesi e ha gli occhi carichi di rabbia.
Prima di riuscire a dire o fare qualcosa, lui si scaglia con ferocia contro di me. Mi afferra le spalle e mi spinge con forza contro la parete. Il suo sguardo mi paralizza, non l’avevo mai visto così adirato, gli angoli della sua bocca sono piegati verso il basso e le sue labbra tremano. È completamente fuori di sé.
«Eric…calmati…cosa è successo?» balbetto.
Lui stringe gli occhi e serra la mascella. È sul punto di esplodere, lo sento. Davanti a me c’è un Eric che non avevo mai visto, così furioso da non sembrare umano.
Mi colpisce con uno schiaffo, e lo fa con talmente tanta forza da farmi cadere a terra. Cerco di alzarmi ma lui mi afferra una caviglia e mi trascina dietro a una lunga fila di cassette di mele.
Ho paura. Non so cos’abbia scatenato la sua ira e quindi non ho modo di capire come calmarlo. Vorrei riuscire a pensare lucidamente ma sono terrorizzata.
Ogni tanto aveva delle crisi…attacchi d’ira. Sento le parole di Josh risuonarmi nella testa.
Eric mi strattona per un braccio e mi solleva come se fossi una bambola di pezza. Cerco di scappare ma lui mi colpisce di nuovo.
«Eric, per favore, basta!»
Scoppio a piangere e mi lascio cadere a terra. Mi raggomitolo e chiudo gli occhi mentre le lacrime scendono dai miei occhi come pioggia. Io non so, non capisco il perché di tutta la sua collera.
«Che cazzo stavi facendo con quello?» ringhia Eric.
«Stavamo solo parlando» mi discolpo.
«Abbracciati? Parlavate abbracciati?» Mi costringe ad alzarmi tirandomi per i capelli. «Ti ho vista mentre ti lasciavi baciare! Tu mi hai tradito, qui, davanti a tutti, nella mia fazione!»
«Era solo un innocente bacio sulla fronte. Josh è solo un conoscente.»
È la verità, ma purtroppo chiunque abbia assistito alla scena la penserebbe esattamente come Eric. Come faccio a spiegargli che non è andata come crede?
«Solo un conoscente! Mi credi uno stupido?» Si allontana da me e tira un pugno contro la parete del magazzino. «Perché mi hai fatto questo? Perché
Nella sua voce riesco a cogliere una lieve sfumatura di disperazione. Lo guardo e in fondo ai suoi occhi, oltre la rabbia, vedo l’ombra di un Eric deluso, non da me, ma dalla vita.
Mi alzo in pedi ancora tramante e prendo le sue mani tra le mie. Tremano come percorse da scariche elettriche e temo che possano colpirmi di nuovo.
«Io non ti ho tradito, non lo farei mai. Le mie uniche colpe sono l’insicurezza e la curiosità» gli spiego guardandolo negli occhi. «Lui ha passato un anno con te negli Intrepidi prima di trasferirsi ed io volevo solo sapere qualcosa di più su di te.»
Mi sento così stupida adesso, e colpevole, infinitamente colpevole per essermi rivolta a un’altra persona per avere informazioni su di lui. Questo forse è proprio tradimento, non il tipo che pensa Eric, ma qualcosa di molto peggio.
«Dopo tutto quello che ho fatto per te, continui a dubitare di me, preferisci credere a degli sconosciuti…» dice avvilito e abbassa lo sguardo. «Non cambierà mai, vero? Non ti fiderai mai di me.»
«Io mi fido di te, ma non sono ancora abbastanza forte da farmi scivolare addosso tutto quello che dice la gente» confesso e questo mi fa sentire patetica ma anche più leggera.
«Non mi riferisco agli Intrepidi, loro non ti conoscono, ma a quello che ha detto Gerald… siete cresciuti insieme e lui mi ha raccontato di un Eric che non è lo stesso che ho conosciuto io» aggiungo maledicendomi per non aver riflettuto prima di aprire bocca.
Eric sgrana gli occhi. Vorrei indietreggiare ma dimostrerei di non fidarmi davvero di lui. Resto immobile e tengo la testa alta. Il mio sguardo è colpevole ma non spaventato.
«Tu come lo conosci?» domanda.
«Era insieme a Josh» rispondo indicando il punto in cui era fermo il camion.
«Lui non è stato assegnato alle consegne…» mormora Eric turbato.
Mi domando se sia stato il comportamento del cugino a sconvolgerlo oppure il timore di ciò che Gerald potrebbe avermi rivelato.
«Non so che lavoro svolga all’interno della sua fazione, ma era qui per vedere una ragazza» dico sperando che meriti davvero tutta la fiducia che voglio dimostrargli. «A quanto pare è normale avere una relazione con un membro di un’altra fazione.»
«Sì, capita spesso. Non sapevo che stesse con un’Intrepida» dice come se nulla fosse.
Lo guardo allibita. Dov’è finito Eric che segue rigidamente le regole del sistema? Ormai ho capito com’è fatto, segue le regole, quelle nuove degli Eruditi intendo. Sono discutibili, lo riconosco, ma lui le segue comunque, senza chiedersi se siano giuste oppure no. Lui ne ha bisogno perché se non ci fossero si sentirebbe smarrito.
È instabile, forse le crisi di cui parlava Josh sono dovute a questo e lo stesso vale per il violento attacco di gelosia che ha appena avuto. Cerco di convincermi che è stata la vita a fargli del male e a farlo diventare così, ma quelle crisi le aveva da quando era piccolo e quindi è più probabile che sia il suo carattere. Ho accettato di stare insieme a lui pur sapendo le nefandezze che compie, mi sono sempre detta che con me era gentile, che non mi aveva mai fatto del male, ma adesso le cose sembrano cambiate. Mi ha visto con un altro e, senza darmi il tempo di spiegare, mi ha aggredita. È davvero questa la vita che vorrei? Stare attenta a quello che dico o faccio perché ho deciso di stare insieme a un uomo instabile e violento? Sì. Una parte di me continua a credere che lui non sia brutale come tutti lo hanno descritto e come io stessa ho appena provato sulla mia pelle. Questa cosa va affrontata adesso, non voglio passare la mia vita a curare le ferite che lui mi farà.
«Anche io non sapevo molte cose, ma adesso tutto è più chiaro. Se tutti dicono che sei un sadico e un violento, probabilmente hanno ragione. Me l’hai appena dimostrato tu stesso» faccio un profondo respiro per raccogliere tutto il mio coraggio e aggiungo: «Posso tollerare le nefandezze che fai agli altri, ma non ho intenzione di farmi ammazzare da te. Credo che sia meglio se ci…»
«No!» esclama.
Lo osservo frastornata dal suo ennesimo e repentino cambiamento. La rabbia è scomparsa dal suo sguardo, paura e disperazione hanno preso il suo posto.
«Io…io ho perso la testa…»
«Cosa mi dice che non accadrà di nuovo?» lo interrompo prima che possa dire un’altra parola.
«Non ti ho mai fatto del male…»
«Fino ad ora.» Non intendo lasciarlo parlare, so fin troppo bene quanto è bravo a confondere e assoggettare.
«Non accadrà mai più, lo giuro. Io…» si morde il labbro inferiore per cercare di trattenere le lacrime che iniziano a bagnargli gli occhi. «Sono sotto pressione, mi sento scoppiare. Tu non sai quello che accadrà nei prossimi giorni e quindi non puoi capire l’angoscia e il terrore che qualcosa possa andare storto. Non per quanto riguarda il piano degli Eruditi, ma per te. Io non so se sarò davvero in grado di proteggerti e questo mi spaventa a morte.»
«Eric, mi hai colpita con così tanta furia da farmi cadere a terra!»
«Ho perso il controllo. È vero, non reagisco bene allo stress, ma non ti farei mai del male. Sono teso, ormai manca poco all’invasione e la pressione inizia a diventare insopportabile… ti ho vista con un altro e ho perso la testa.»
Invasione? Intrepidi armati contro Abneganti indifesi, mi domando se sia davvero una cosa pacifica come lui ha cercato di farmi credere o se qualcuno resterà ucciso. Non so come reagiranno le altre fazioni. Jeanine ha scritto articoli che spingevano la massa a porsi dubbi sull’operato degli Abneganti. Era convincente, ha fatto un buon lavoro ma non credo basterà a giustificare quello che intende fare.
«Intendete uccidere qualcuno?» gli domando.
Eric abbassa lo sguardo e resta in silenzio. Capisco che la risposta è sì, ma lui non ha il coraggio di dirmelo.
«Un genocidio, è questa la parte della tua missione che sapevi non avrei mai accettato?»
«Se non ci sarà una ribellione, noi non apriremo il fuoco» fa un profondo respiro e poi riprende a parlare: «Però, se troveremo dei Divergenti non idonei per i nostri test, li dovremo eliminare.»
«Quindi chi è sotto ai venticinque anni verrà ucciso…» dico mentre i sensi di colpa iniziano a divorarmi. Se non faccio niente per fermarlo o per salvare i Divergenti, sarò sua complice.
Mi alzo e barcollo verso l’uscita del magazzino. Non so dove voglio andare, non so neanche perché sto camminando, non so più niente. È come se il mio cervello fosse paralizzato. So cosa lo blocca: la scelta.
Pensavo che la decisione più importante della mia vita fosse scegliere a quale fazione unirmi e che poi sarebbe stato tutto molto più facile. Purtroppo non è andata così. Adesso mi trovo davanti a una scelta più difficile e che cambierà, non solo la mia vita, ma anche tutto ciò che sono. Restare accanto a Eric e vivere con il peso di chissà quanti morti o abbandonarlo e avere la coscienza pulita? No, io non ce l’ho la coscienza pulita, è troppo tardi ormai, dovevo cercare aiuto quando Eric mi ha confessato che gli Eruditi stavano tramando qualcosa. Ci sarebbe stato tutto il tempo per trovare un modo per fermarli, ma io non ho fatto nulla, sono rimasta con lui accettando di essere sua complice. Sapevo che sarebbe successo qualcosa di grosso, ero consapevole che ci sarebbero state vittime, ma sembrava una cosa lontana, come se dovesse accadere in un’altra vita e non in questa.
Mi volto verso Eric e lo osservo. È come se nel buio del magazzino degli Intrepidi ci fosse un piccolo angolo di Pacifici. In lui vedo il sole che scalda i freddi pomeriggi primaverili e sento quella pace e quella serenità che credevo ormai perdute per sempre. Io non so come sia possibile provare tutte queste sensazioni meravigliose pur sapendo che lui è capace di fare cose orribili.
Lo osservo avvicinarsi e sento di non avere scelta. Mi hanno detto che l’amore è così, non puoi comandarlo, non puoi sfuggirgli, puoi solo arrenderti.
Resto immobile e lascio che mi stringa a sé.
«Mi dispiace» sospira «non posso farci nulla, sono gli ordini.»
«Puoi non seguirli, ribellarti. Possiamo nasconderci o fuggire.»
«Fuggire dove? Oltre la recinzione? Troppe incognite. Nascondersi tra gli Esclusi? Se sto facendo tutto questo è per tenerti lontana da loro, per farti vivere nella sicurezza e nella prosperità.»
«Lo stai facendo per me? Neanche mi conoscevi quando hai iniziato! Lo fai per te stesso, abbi almeno il coraggio di ammetterlo!» esclamo esasperata dalle sue menzogne.
«All’inizio era così, è vero, ma adesso ci sei tu e tutto è cambiato… la mia vita è cambiata. Le scelte che farò non riguarderanno solo me, ma entrambi ed è dannatamente difficile pensare per tutti e due. Non l’ho mai fatto e non pensavo che mi sarebbe mai importato così tanto di un’altra persona.»
Sarà la verità oppure l’ennesimo discorso creato ad arte per convincermi a fare ciò che vuole? Alla fine, cosa potrebbe volere da me? Niente. Io non vado bene per i test degli Eruditi e quindi come Divergente sono inutile, non gli sarei neanche d’aiuto durante l’invasione perché mi tirerei indietro. Resto solo io, Theia, una ex Pacifica paranoica che combina un guaio dopo l’altro. Possibile che non stia mentendo e che l’unica cosa che desidera sia stare insieme a me? Forse dovrei dargli un’altra possibilità, permettergli di dimostrarmi che quello che è accaduto oggi non si ripeterà mai più.
«Eric, quello che hai fatto poco fa è molto grave, hai picchiato una ragazza, la tua ragazza» esordisco dopo aver fatto un profondo respiro. «Io non so se è stato davvero un raptus dovuto allo stress, ma mi hai spaventata a morte. Mi ci vorrà molto tempo per fidarmi di nuovo di te e…»
«Mettimi alla prova, ti prometto che non accadrà mai più» mi interrompe.
«So che non dovrei, ma voglio darti un’ultima possibilità per dimostrarmi che non sei solo un violento bastardo. Sarai un “ragazzo in prova” e dovrai lavorare parecchio per riguadagnarti la mia fiducia.»
Spero di non pentirmi della mia decisione. È assurdo, solo qualche settimana fa, se mi fosse giunta all’orecchio la notizia di un marito che picchia sua moglie, sarei stata la prima a votare per bandirlo dalla fazione, mentre adesso decido di perdonare Eric e dargli un’altra chance. So bene come vanno a finire queste cose, come so che la mia scelta è sbagliata, da debole. Sono diventata la vittima che non ha la forza di abbandonare un compagno violento. Vorrei tanto che non fosse così.

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Capitolo 66
*** Capitolo 66 ***


La sfuriata di Eric non ci ha dato il tempo di ripassare quello che dovrò dire durante il colloquio con Jeanine, ma ormai ho capito che parte devo recitare: quella della cacciatrice di Divergenti che ha una profonda stima per gli Eruditi.
Da quando ci siamo lasciati alle spalle il quartiere degli Intrepidi e abbiamo percorso la strada che va a sud verso la palude, Eric ha guidato in silenzio senza mai staccare gli occhi dalla strada.
Non so cosa pensare, forse è ancora arrabbiato o deluso, oppure teme di dire qualcosa di sbagliato e passare da ragazzo in prova a ex ragazzo.
Cerco di non pensarci e osservo il paesaggio fuori dal finestrino. Man mano che ci avviciniamo al quartiere degli Eruditi, gli edifici si fanno sempre più grandi. Loro vivono in grossi palazzi di pietra che si affacciano sulla palude. Non riesco a non domandarmi in quale abitasse Eric prima di trasferirsi negli Intrepidi. Forse la sua camera aveva le finestre rivolte verso la palude e magari lui, tra un libro e l’altro, si fermava a contemplare la pianura spoglia che si stende a perdita d’occhio.
Eric ferma l’auto accanto ad un palazzo molto più alto degli altri, non ho bisogno di chiedergli in quale edificio siamo diretti; il più imponente non può essere che la loro sede.
La strada brulica di Eruditi. Le norme della fazione impongono che i membri debbano sempre indossare almeno un capo azzurro, perché l’azzurro stimola il corpo a rilasciare sostanze chimiche calmanti e “una mente calma è una mente lucida”. Quel colore ha finito per diventare il simbolo della fazione.
Lui scende dall’auto senza dire una parola e io lo seguo restando in silenzio. Di fronte alla sede degli Eruditi c’è quello che un tempo era un parco, ora lo chiamiamo semplicemente “Millennium”. È una porzione di terra spoglia disseminata di sculture di metallo arrugginito, tra cui una riproduzione di un mammut in stile astratto e una specie di fagiolo gigante, che mi fa sembrare ancora più piccola.
Ci fermiamo sulla base di cemento intorno al fagiolo di metallo, dove siedono piccoli gruppi di Eruditi con in mano giornali o libri.
Eric si guarda intorno. La gente ci osserva passandoci accanto, e lui ne evita gli sguardi. È ancora nervoso, ma forse non per quello che è accaduto al magazzino, forse dipende da loro. Mi prende per un mano e mi porta sotto l’arco del fagiolo di metallo. Camminiamo sotto la sua pancia vuota. Mi vedo riflessa dappertutto, distorta dalla curvatura della scultura, spezzettata dalle macchie di ruggine e sporcizia.
«Cosa ti ha detto Gerald?» esordisce.
Capisco il motivo del suo silenzio: per tutto il viaggio non ha fatto altro che domandarsi quale sconcertante rivelazione mi abbia fatto il cugino.
«Se voglio divertirmi sei perfetto, ma se voglio qualcuno con cui passare il resto della mia vita tu sei la persona sbagliata» dico in tono quasi annoiato, non perché mi senta realmente così, ma perché voglio fargli capire che quello che ha detto il cugino non mi fa più né caldo né freddo. «Ha detto che non sei in grado di instaurare una relazione duratura con una persona perché sei… lui ha detto limitato
Purtroppo non sono così forte da farmi scivolare addosso le parole di Gerald e tutto quello che ho sentito dire su di lui dagli Intrepidi. Vorrei saper fingere bene come lui ma non ci riesco, quando siamo soli non è facile per me nascondere quello che provo o che penso. Non lo trovo giusto, dovrei essere sincera con lui, altrimenti che senso avrebbe continuare a stare insieme?
«Tutti dicono che sei freddo, calcolatore e sadico e Gerald dice che sei limitato, ma io ho conosciuto anche un Eric diverso, che sembra l’esatto opposto di quello che mi hanno descritto tutti e… io non so più a chi credere» gli confesso.
«A tutti.» Fa una breve pausa, mi guarda negli occhi e aggiunge: «Tutti hanno detto la verità su di me».
Lo guardo perplessa, come fa ad essere tutte e due le cose contemporaneamente? Se Eric è davvero crudele e sadico, come è possibile che quando è con me sia gentile e a volte quasi dolce? Se è incapace di avere una storia d’amore, come fa ad averla? È questo conflitto che mi ha tormentata da quando l’ho conosciuto. Se è davvero un sadico non può essere anche dolce.
«Se davvero non sei in grado di stare con qualcuno, allora io cosa sono? Un esperimento? Un gioco?»
«Tu sei qualcosa di diverso, qualcosa che prima non conoscevo» risponde grattandosi il capo. «Io sono tutto quello che ti hanno raccontato ma sono anche quello che hai conosciuto. Tu sei la differenza.»
Io non sono nessuno, valgo meno di niente, come è possibile che per lui sia così importante da fargli tirare fuori la parte buona che nessuno, neanche chi lo conosce intimamente, ha mai visto?
Forse è solo colpa mia, tendo sempre a sottovalutarmi. Sono goffa, paranoica e, lo ammetto, un po’ infantile, ma ho anche dei pregi e sembra che Eric riesca a scovarli sotto tutti i miei difetti. Anche lui non è perfetto, anzi sembra l’esatto contrario di perfetto, ma quando lo guardo vedo il suo lato buono e tutta la sua spietatezza si eclissa, purtroppo solo per qualche attimo, è difficile ignorare quello che fa alle altre persone e a noi Divergenti, eppure io non riesco a smettere di amarlo. So che è sbagliato, che dovrei stargli lontana, soprattutto dopo quello che è accaduto in magazzino, ma è più forte di me, non riesco ad odiarlo.
«Ha detto anche che hai sempre avuto… lui le ha definite crisi, una sorta di infantili attacchi d’ira.»
«Cosa? No! Non è vero!» interviene. «Ero piccolo e lui mi provocava. Lo faceva di proposito, per questo mi infuriavo. Combinava casini e per salvarsi dava la colpa a me! È sempre stato invidioso della mia intelligenza.»
Ecco l’Erudito che riaffiora. Loro sono i migliori, i più bravi, praticamente il centro dell’universo e noi, miseri mortali, siamo un rumore di fondo e serviamo solo per esaltare la loro perfezione. Sono intelligenti, questo è vero, ma mancano totalmente di calore ed empatia. Non so se sia più importante il cuore o il cervello, ma sono fortemente convinta che dovrebbero essere in perfetto equilibrio, perché se la bilancia pendesse dalla parte della razionalità saremmo tutti freddi automi e la vita si ridurrebbe a una serie di azioni compiute perché è così che deve essere. Al contrario se fossero i sentimenti a prevalere, rischieremmo di prendere decisioni che metterebbero in pericolo non solo noi ma anche chi ci circonda.
«So cosa stai pensando» dice interrompendo i miei pensieri. «Credi che io sia uno squilibrato, uno che passa dalla calma alla furia senza un motivo. Credimi, non è così.»
«Quindi quello che mi hai fatto era meditato?» intervengo mostrandogli il livido che si è formato sul mio braccio.
«No, quello no. Te l’ho già spiegato, ero geloso e…»
«Quindi è quello che mi capiterà quando mi vedrai parlare con un altro ragazzo? Sarà così la mia vita insieme a te?» lo interrompo.
Eric sospira ed io mi preparo al suo ennesimo discorso da perfetto Erudito che mi convincerà per l’ennesima volta a dubitare di ciò che penso.
«No non sarà così, ma io ho bisogno di stabilità, di certezze
Sgrano gli occhi. Le vuole da me? Io non posso assicurargli una vita tranquilla, soprattutto dopo quello che combineranno gli Eruditi insieme agli Intrepidi. Io posso solo stargli vicino e dargli tutto il mio sostegno.
«Io… io vorrei solo essere certo che tu vuoi me e basta e che non ti importa niente di tutti gli altri. » dice fissandosi la punta delle scarpe.
Fa tenerezza vedere Eric, l’Intrepido ed Erudito, perdere la sua corazza e arrossire mentre cerca di tirare fuori i suoi sentimenti. I suoi occhi sembrano quelli di un bambino, innocenti e limpidi. In lui non sembra più esserci traccia del torturatore o del borioso Eric. È questo che mi ha fatta innamorare di lui, l’evanescente segno dell’esistenza di un Eric insicuro e alla costante ricerca di affetto. È una parte che tutti abbiamo, cerchiamo di mostrarla solo a poche persone, quelle più care, ma lui cerca di nasconderla anche a se stesso.
Sto per confessare quello che ho scritto nella lettera che ho dato ad Althea quando vedo che a pochi metri da noi ci sono due Eruditi che ci fissano, fermi a braccia conserte.
«Scusate» dice uno di loro avvicinandosi velocemente a noi. «Jeanine è pronta a ricevervi.»
Eric fa segno di aspettare e ci allontaniamo di qualche passo dai due uomini.
«Perché non hai reagito?»
«Cosa?»
«Ti ho insegnato a difenderti ma tu non l’hai fatto, sei rimasta immobile, hai subito passivamente e questa non è la ragazza che ho osservato ai livelli superiori.»
Ottima domanda, perché non ho reagito? Non sono mai stata una persona violenta ma ho sempre reagito alle provocazioni, ma questa volta mi sono bloccata. Ero spaventata ma non abbastanza da farmi paralizzare dalla paura. Sentivo di avere la coscienza sporca, non tanto per essermi fatta coccolare da Josh ma per continuare a cercare da altre persone la conferma che esiste un altro Eric. Questa è una grande mancanza di fiducia nei suoi confronti e forse è questo che mi ha impedito di reagire. Lui si fida di me a tal punto da rischiare la carriera e magari la vita ed io continuo a dubitare di lui.
«Mi sono bloccata, come durante il primo combattimento che abbiamo fatto» mento, non voglio dirgli la verità, io stessa stento ad accettarla. «Io non ti farei mai del male, non ci riesco e… mi sentivo in colpa, ok? Tu credi in me ma io ogni tanto continuo a temere che l’Eric che si è preso cura di me non sia reale ma il frutto delle mie fantasie romantiche» confesso.
Lui mi guarda perplesso e non posso dargli torto, sembrano i vaneggiamenti di una pazza.
«Non fraintendermi, capisco la differenza tra la fantasia e la realtà, ma dopo tutto quello che ho sentito dire su di te e quello che ti ho visto fare agli altri iniziati, sembra irrealistico che tu ti sia preso così tanta cura di me e in un modo così affettuoso» mi affretto ad aggiungere, anche se non sono certa di essere riuscita a recuperare in extremis.
«Tu e tutti gli altri siete due mondi separati. Loro sono solo persone che sono costretto a sopportare e con cui non voglio avere niente a che fare, mentre tu sei la persona con la quale desidero condividere tutto.»
Uno dei due uomini si avvicina picchiettando la punta dell’indice sul suo orologio. Per quanto desideri continuare questa conversazione e sentire finalmente Eric dirmi quello che aspetto da settimane, purtroppo sono costretta a prolungare questa attesa per seguire i due Eruditi all’interno della tana del lupo.

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Capitolo 67
*** Capitolo 67 ***


Entriamo dalla porta principale e per un attimo rimango affascinata dall’enorme ingresso della sede degli Eruditi. La sala è vasta e immersa nel silenzio, e odora di carta polverosa. Il pavimento rivestito di pannelli di legno scricchiola sotto i miei piedi. A sinistra e a destra i muri sono coperti da scaffali di libri, che però sembrano più che altro decorativi, perché i tavoli al centro sono occupati da computer, e nessuno sta leggendo. Tutti fissano i monitor con occhi attenti, concentrati.
Avrei dovuto immaginarlo che la sede principale degli Eruditi sarebbe stata una biblioteca. Un ritratto sulla parete di fronte attira la mia attenzione: è alto il doppio di me e largo quattro volte me e raffigura una donna attraente, con gli occhiali e due occhi di un blu intenso. Jeanine. Sotto di lei c’è una grande targa che dice: La conoscenza favorisce la prosperità.
Uno dei due uomini mi cammina dietro, così vicino che sento il suo respiro sulla nuca, l’altro ci scorta nella biblioteca e poi lungo tre corridoi fino a un ascensore. Oltre la biblioteca il pavimento di legno è sostituito da piastrelle bianche e le pareti sono luminose come il soffitto del laboratorio per i test attitudinali. La luce si riflette sulle porte argentate dell’ascensore, costringendomi a socchiudere gli occhi che ormai si sono abituati al buio dei cunicoli degli Intrepidi.
Cerco di restare calma e continuo a ripetermi tutto quello che mi ha insegnato Eric durante le simulazioni del colloquio con Jeanine. Sono preparata, non ho nulla da temere, ma il grande ritratto nell’ingresso sembra essersi impresso nella mia mente riempiendomi di angoscia.
Seguo l’uomo in un corridoio vuoto e luminoso e poi in un ufficio con le pareti di vetro. Ora credo di sapere quale fazione ha progettato la mia scuola.
Dietro una scrivania di metallo è seduta una donna. Guardo il suo viso. È lo stesso che giganteggia sul muro della biblioteca degli Eruditi e accompagna ogni loro articolo.
«Accomodatevi» dice Jeanine, indicando le sedie vuote davanti alla sua scrivania.
La sua voce mi suona familiare, soprattutto in questo tono irritato. Mi fissa con i suoi occhi che con questa luce sembrano più chiari di quanto lo sarebbero fuori da questa asettica scatola di cemento e vetro.
«Quindi tu sei Theia, la famosa amica di Eric» aggiunge.
«Compagna» interviene prontamente Eric «Theia è la mia compagna.»
Io cerco di non mostrarmi né sorpresa né sconvolta dall’affermazione di Eric, mentre Jeanine sfoggia il più falso dei sorrisi, chiunque crederebbe che sia realmente interessata e colpita positivamente della notizia, ma non io. Ormai ho una certa esperienza di Eruditi falsi e so che l’essere stata interrotta da Eric l’ha infastidita più di quanto l’ha fatto non aver appreso la notizia sere fa, quando si sono incontrati nel complesso degli Intrepidi.
«Buon per voi» dice con voce piatta che contraddice il suo sorriso.
Decisamente l’ho già sentita, la sua voce. L’ho sentita nel corridoio che parlava con Eric, prima dell’aggressione, ma so di averla sentita prima di quella sera… «È tua la voce nella simulazione» affermo. «Mi riferisco al test attitudinale.»
«Esatto. Il test attitudinale è decisamente il mio miglior successo come scienziata» risponde. «Ho controllato i tuoi risultati, Theia. Pare ci sia stato un problema nel tuo test. Non è stato registrato e l’esito è stato riportato manualmente. Lo sapevi?»
«No» mento.
«Mentre esaminavo la tua documentazione, ho riscontrato un altro errore in un’altra simulazione. Non sono riusciti a registrare neanche questa, lo sapevi?»
Inclina un po’ la testa e mi sorride. Un altro finto sorriso, non le importa del suo siero, sospetta che ci sia qualcosa di storto nei risultati dei miei test. Proprio come i capi degli Intrepidi, sta solo fiutando l’aria in cerca del Divergente. Mi domando se anche Eric se ne sia accorto, e se così fosse, perché ha accettato di portarmi qui.
Lo osservo, sembra tranquillo, non ho nulla da preoccuparmi. Questa non è un’imboscata, perché sarebbe stupido portarmi in questo edificio per uccidermi, sarebbe alquanto sospetto. Non sono qui nemmeno per essere studiata, lui mi ha spiegato che sono ancora troppo giovane.
Non so rispondere a nessuna delle due domande, ma il modo in cui lei mi sta fissando mi ricorda lo sguardo crudele negli occhi del cane del test attitudinale. Vuole farmi a pezzi. Io, però, non riesco più a sdraiarmi in segno di sottomissione, sono stanca di essere Theia la Pacifica.
Non ci sono più Sieri della Pace da subire o compagni di fazione che condannano qualsiasi cosa si allontani da grandi sorrisi e sguardi amorevoli. Ora sono libera dalle loro deliranti regole e, come il cane, sono libera di mostrare i denti e difendermi.
«Per quanto riguarda il giorno del test attitudinale, ero ancora parzialmente sotto l’effetto del Siero della Pace preso la sera prima e mi sono sentita male. Eric mi ha spiegato che mischiare i sieri può portare a fastidiose, se non gravi, conseguenze» le spiego «per le prime simulazioni avevano sbagliato a calcolare la dose in base al mio peso e alla mia altezza. Un errore che facevano anche i Pacifici.»
«Ti veniva somministrato spesso il Siero della Pace, Theia?» Ha la voce affilata come un rasoio, mentre tamburella con le unghie ben curate sul ripiano di vetro.
«Abbastanza spesso e la maggior parte delle volte era più una punizione che una reale necessità» rispondo più tranquillamente che posso. Non devo lasciar trasparire la tensione, anche se mi si stanno contorcendo le budella. «Ero curiosa. Mi ponevo molte domande alle quali loro rispondevano con favolette che possono andare bene per un Abnegante, devoto a una divinità che non ha mai dato prove della sua esistenza. Questo veniva interpretato come una sfida all’autorità, ma se non sbaglio è alla base del pensiero scientifico mettere in discussione ipotesi che non sono supportate da riscontri oggettivi.»
Forse sto esagerando, Eric mi ha detto che devo mostrarmi interessata al lavoro degli Eruditi senza apparire troppo intelligente.
Jeanine inarca le sopracciglia stupita, sebbene la mia affermazione possa sembrare un po’ azzardata pare averla colpita positivamente.
«Una caratteristica della mia fazione è la curiosità e, a quanto pare, abbiamo qualcosa in comune.»
Il suo sguardo e il suo tono di voce cambiano. Se prima mi sembrava essere un predatore che studia attentamente la sua preda prima di piombarle addosso, ora sembra quasi materna. Non sono più la sua preda ma il suo potenziale nuovo cucciolo da addestrare.
Devo ammetterlo, Jeanine è carismatica, e questo la rende letale. Se non sapessi chi è realmente mi conquisterebbe con poche frasi. È anche una donna molto affascinante per la sua età e in me si insinua il dubbio che Eric possa essere attratto da lei. Jeanine non è solo il mio pericolo mortale, è anche la mia acerrima rivale. Immaginare lei ed Eric insieme mi innervosisce molto di più di quando lo immaginavo con Molly o con qualche formosa Intrepida. È un pensiero stupido, ma non faccio in tempo a scacciarlo dalla mia mente che subito uno peggiore cerca di prenderne il posto. Forse il carattere di Eric potrebbe essere dovuto a carenze affettive da parte della madre e, se fosse così, Jeanine ne avrebbe subito approfittato per plagiarlo a dovere. Questo è peggio di una rivale in amore. Se per lui è un surrogato della madre, io ho poche speranze di portarglielo via. Johanna diceva sempre che i maschi sono molto legati alla madre e che la loro compagna dovrà, in qualche modo, prendere il suo posto. Io dovrò essere migliore di Jeanine se voglio eliminarla dalla sua vita e convincerlo a non seguirla in questa folle rivolta.
«Quindi potrai comprendermi se sono molto incuriosita dalla tua scelta. Cosa ti ha spinto a scegliere gli Intrepidi?» mi domanda. Il suo sorriso diventa materno e i miei nervi iniziano a cedere.
«I Divergenti» esclamo cogliendo di sorpresa sia lei che Eric.
Lui mi ha fatto ripetere più volte il lungo discorso che avrebbe dovuto introdurre il mio interesse per i Divergenti, ma adesso mi sembra solo un altro modo di sottomettermi. Non intendo più farlo, le farò credere di essere perfetta ma non voglio apparire come il suo nuovo fido cagnolino, voglio mantenere un minimo di dignità.
«Quando ero piccola sono stata aggredita da un Escluso. Mi dissero che non era la prima volta che infastidiva qualcuno, che era un individuo fortemente disturbato e questo era dovuto alla sua natura di Divergente» le spiego «Scegliere gli Intrepidi l’ho trovato il modo più efficace per scovare e sistemare quei deviati, in modo che a nessun altro toccasse la mia stessa sorte» faccio una breve pausa per rendere tutto più teatrale e poi aggiungo: «o magari una ancora peggiore».
A Jeanine brillano gli occhi, come se si trovasse di fronte alla sua anima gemella: una persona determinata a cacciare i Divergenti, accecata dall’odio e che non si farebbe problemi a eliminarli nel peggiore dei modi. Bene, che continui pure a crederlo.
«È proprio questo il motivo che mi ha spinta a cercarli, studiarli e, se dovessero risultare pericolosi, eliminarli» mi spiega. «Non è un semplice interesse personale, io sto cercando di proteggere l’intera comunità dalla minaccia di questi individui che, se si unissero, potrebbero mettere a rischio il nostro sistema delle fazioni.»
L’ascolto fingendomi d’accordo con lei, annuendo e sorridendo, ma dentro di me mi domando perché ce l’ha tanto con noi Divergenti. Per ora ne conosco solo altri due, Tris e Quattro, e non mi sembrano pericolosi come vuol farmi credere. Sono due persone in gamba e… forse è questo il motivo. Lei ci teme. La donna più intelligente di tutte le fazioni ha paura di due Abneganti e una Pacifica. Non so cosa abbiamo di così tanto speciale, ma lei lo sa di sicuro e l’unico modo per scoprirlo è stare al gioco, fingere di essere la sua marionetta sperando di carpire qualche informazione.
«Pensi di averne individuato qualcuno tra i tuoi compagni di iniziazione?» mi domanda cogliendomi di sprovvista.
«Non ancora» mento d’impulso. «Io non so bene come riconoscerli. Ho solo la mia esperienza personale e, per quanto ne so, nella mia fazione non ci sono individui simili a quello che mi aggredì quando ero piccola.»
È una mezza bugia, in fondo Tris e Quattro non li ho scoperti, li ho solo sentiti parlare e ho capito cosa sono, se non fossi stata presente durante la loro conversazione, non avrei mai sospettato nulla.
«I Divergenti sono molto astuti, non basta semplicemente studiare il loro comportamento» spiega alzandosi dalla sedia e iniziando a camminare avanti e indietro come facevano i miei insegnanti a scuola.
«Non è facile coglierli di sorpresa, ma grazie alle mie ricerche scientifiche sono riuscita a trovare un metodo efficace per scovarli: il siero delle simulazioni.»
Capisco subito a cosa si riferisce: quel siero non ha effetto su di noi. O meglio, non ha l’effetto desiderato. Sia durante il test che nelle simulazioni, io ero cosciente che quello che accadeva non era reale ed è per questo che Eric e Tori hanno cancellato le mie registrazioni.
La osservo camminare davanti a me e mi ripeto di stare calma, se avesse qualche dubbio su di me non saremmo qui a discutere su come scovarli.
«I Divergenti hanno una innata resistenza al mio siero e sarà proprio questo a smascherarli» dice con un sorriso soddisfatto mentre torna a sedersi davanti a noi.
«Inizieremo dagli Intrepidi, il giorno dopo il test finale e, se il piano avrà successo, passeremo alle altre fazioni.»
«Quindi intendi testare il siero in una giornata così importante?» le domando, pentendomene all’istante. Jeanine non è una che rischia, sa già che tutto andrà come prevede.
«Il nuovo siero è già stato testato nei nostri laboratori. Funzionerà. Ma adesso parliamo di cose importanti. Eric mi ha riferito che hai manifestato molto interesse riguardo ai miei articoli» dice fissandomi con i suoi occhi blu che adesso mi mettono i brividi.
È giunto il momento di recitare la mia parte e dire l’esatto contrario di ciò che penso.
«Sorvolando sulle attività sospette che si svolgono all’interno di quella fazione, potrei discutere con te per ore su quanto sia stata pessima la scelta di affidare il nostro Governo a individui che non hanno una preparazione adeguata per gestire una città, ma so quanto è prezioso il tuo tempo, e preferisco citare un passaggio molto significativo di un tuo articolo: Abbiamo affidato la nostra città a un gruppo di predicatori dispotici che non sono in grado di condurci fuori dalla povertà e verso la prosperità.»
Mi sento così sporca. So che sono tutte menzogne e che non condivido neanche mezza parola, ma questo non mi aiuta, sto buttando fango su persone a me care come Caleb, o sua sorella Tris. Jeanine non vale neanche la metà di loro.
«Quindi, concordi sul fatto che sarebbe stato più giusto affidare il Governo agli Eruditi?»
No, io avrei scelto di eleggere un rappresentante per ogni fazione e lasciato a loro il compito di discutere tutte le scelte da prendere per gestire la città.
«Sì, li ritengo i più adatti a prendere decisioni proprio per la loro dedizione alla conoscenza che porta all’illuminazione e alla saggezza. Non riesco a pensare a persone più appropriate» dico distendendo le labbra in un sorriso pieno di ammirazione verso quella donna e la sua fazione. Inizio a diventare brava a fingere.
«Molto bene» esclama, sistemando alcuni fogli sulla sua scrivania. «Sicuramente Eric ti ha già spiegato quello che accadrà, resta solo da definire il tuo ruolo» aggiunge spostando lo sguardo su Eric.
«Durante la prima fase, Theia farà parte del gruppo che presidierà il quartier generale. Ho bisogno di avere qualcuno di fidato che tenga d’occhio gli Intrepidi che non assumeranno il siero e, nel caso fosse necessario, che intervenga per eliminare possibili traditori.»
«Non ti fidi dei tuoi uomini?» gli domanda Jeanine inarcando le sopracciglia.
«Li ho scelti personalmente, quindi sì, mi fido di loro, ma non quanto mi fido di Theia» risponde Eric prontamente.
Mi auguro per lui che non ci siano traditori perché, a parte Peter, non avrei il coraggio di uccidere nessuno.

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Capitolo 68
*** Capitolo 68 ***


I due uomini ci scortano fino alla strada dove Eric ha parcheggiato e ci osservano salire sull’auto. Non vedo il motivo di tanta paranoia, le strade sono piene di persone di altre fazioni, anche di Intrepidi, pare che solo noi due sembriamo essere quelli di troppo.
Eric non li guarda neanche, mette in moto e si dirige verso gli edifici più vicini alla palude.
«Pensiero scientifico?» domanda Eric rompendo il silenzio. «Non avevamo concordato cosa dire e come comportarsi?»
«Ed è quello che ho fatto. Seguace degli Eruditi e mietitrice di Divergenti. Piena di rancore ma non senza cervello come i suoi nuovi mastini. In questo modo sarà certa che non commetterò passi falsi rischiando di mandare tutto all’aria» gli rispondo sentendomi fiera di me. «Smettila di preoccuparti, è andata bene, mi adora» aggiungo.
«È stato un azzardo. Aveva dubbi su di te. Il test attitudinale ha dato come risultato Pacifica ed è in quel modo che avresti dovuto comportarti, ma tu le hai dimostrato che in te c’è anche una parte Erudita.»
«E Intrepida» puntualizzo «Jeanine è un genio e ha capito benissimo che non ho niente degli Eruditi ma volevo solo far colpo su di lei e che è stato il Divergente che ti sei inventato a trasformarmi in un giustiziere Intrepido.»
Eric mi lancia un’occhiata e poi torna a concentrarsi sulla guida. La mia affermazione ha una sua logica e credo l’abbia convinto che non c’è nulla da temere, visto che non ha immediatamente ribattuto.
«Il fatto che la tua non sia l’unica anomalia registrata quest’anno e nella stessa postazione, potrebbe far pensare a un problema con il macchinario o con il siero» dice con un tono che non mi piace. «Però è strano che le uniche due persone coinvolte nell’anomalia abbiano ottenuto buoni risultati nella seconda fase dell’addestramento.»
«Chi è l’altra?» domando, anche se so già la risposta: Tris. Lei è una Divergente, se l’ha capito Quattro, sicuramente l’avrà fatto anche Jeanine.
«La tua amica Tris» risponde sorridendo in modo inquietante.
Io resto in silenzio, non so cosa dire perché temo di peggiorare la situazione di Tris. Potrei dare a Eric la conferma che lei è una Divergente e non so se Quattro sia in grado di proteggerla dagli Eruditi.
«Quante fazioni ha evidenziato il tuo test?» mi domanda, fermando l’auto ai margini della palude.
Un’imboscata. È questo il mio primo pensiero. Eliminarmi all’interno della sede degli Eruditi o in quella degli Intrepidi sarebbe stato rischioso, mentre qui, a pochi passi da una palude dove nessuno troverebbe il mio cadavere, sarebbe il posto ideale.
Non posso credere che abbia recitato così bene per tutto questo tempo. Perché farmi credere di essere innamorato di me? Poteva solo fingersi mio amico, ma probabilmente è davvero sadico come tutti dicono e ha voluto farmi soffrire nel peggiore dei modi.
Cerco di aprire la portiera per scappare via ma lui mi afferra per un braccio.
«Dove credi di andare?» mi domanda in tono annoiato.
«Perché mi hai portata qui? Cosa vuoi farmi?»
Lui sorride come farebbe Eric il crudele torturatore, quello che speravo fosse solo una delle sue sfumature ma che adesso si è rivelata essere l’unica.
«Ucciderti» mi sussurra all’orecchio.
Mi si gela il sangue e mi sento andare in pezzi. Paura, incredulità e sconforto esplodono tutte insieme dentro di me e mi paralizzano.
Eric scoppia a ridere, una risata fragorosa che mi destabilizza ancora di più. Mi trascina a sé e mi abbraccia.
«Sto scherzando» esclama continuando a ridere «volevo solo farti vedere dove sono cresciuto».
Mi lascia andare e scende dall’auto. Lo seguo con le gambe che mi tremano così tanto da dovermi tenere stretta alla portiera per non crollare a terra.
Eric fa velocemente il giro dell’auto, mi prende in braccio e mi mette a sedere sul cofano continuando a tenermi un braccio intorno alla vita per sorreggermi.
«Ti sembrano scherzi da fare?» borbotto con la voce ancora tremolante.
«Vedi quel palazzo?» dice ignorando la mia lamentela e indicando un edificio alto a una ventina di metri da noi. Di tutto il complesso degli Eruditi è il più vicino alla palude ed è separato da quel melmoso acquitrino solo da un basso muro di cemento pieno di graffiti.
«Terza finestra dall’alto e sesta dal lato opposto della colonna degli ascensori» dice contando con il dito le finestre «Quella era la mia camera, poi c’è il bagno e la finestra illuminata è quella della sala» aggiunge con un velo di malinconia nello sguardo.
«Ti mancano?» gli domando appoggiando la mia mano sulla sua.
Eric solleva le spalle e sospira. «Un po’, ma è così che va la vita.»
«Io credo di no» dico stringendomi a lui. «Non sarebbe bello se fossimo liberi di mantenere i rapporti con la nostra famiglia? In fondo cosa cambierebbe? Abbiamo scelto di proteggere la città e i suoi abitanti. Andare a trovare la nostra famiglia non influirebbe sul nostro lavoro, anzi ci aiuterebbe a svolgerlo meglio allentando un po’ la tensione.»
«La Scelta segna il nostro passaggio all’età adulta e tornare da mamma e papà renderebbe più difficile diventare completamente indipendenti.»
«Non sono d’accordo. Non farebbe nessuna differenza, se non quella di avere una responsabilità in più e questo ci renderebbe più maturi» cerco di spiegargli senza riuscirci come vorrei. «Loro si sono presi cura di noi per sedici anni e credo sia giusto fare la stessa cosa quando saranno vecchi. Invece noi li abbandoniamo dimenticandoci di tutto quello che hanno fatto per noi. Non lo trovo giusto.»
«La loro fazione si occuperà di loro.»
«Come fanno gli Intrepidi?» domando polemica.
«Tutti gli animali abbandonano il nido quando raggiungono l’età adulta e…» cerca di rispondere, ma io lo interrompo prima che possa darmi l’ennesima lezione su come vanno le cose all’interno della Recinzione.
«Tu hai da poco abbandonato lo status di figlio, tra qualche anno entrerai in quello di genitore e sedici anni dopo i tuoi “cuccioli” ti abbandoneranno. Pensi davvero di salutarli dopo la Scelta e riprendere la tua routine come se nulla fosse? Senza sentire la loro mancanza?»
«Mi mancheranno, è ovvio, ma queste sono le regole. Le fazioni funzionano così da sempre e quindi è il comportamento più giusto da seguire» afferma, anche se con poca convinzione.
Questo mi fa sentire sollevata perché dimostra che Eric non è ciecamente devoto al sistema delle fazioni ma sembra avere qualche dubbio e quindi ragiona con la sua testa. Tutto ciò mi dà la speranza di riuscire a fargli cambiare idea su quello che accadrà dopo il colpo di stato progettato dagli Eruditi. So di non avere speranze di evitare che partecipi all’invasione, non ho il tempo per convincerlo, però potrei allontanarlo da tutto quello che verrebbe dopo.
Non so esattamente quali siano i piani di Jeanine, ma dopo un massacro non può venire niente di buono. Sono convinta che la situazione precipiterà e non saranno solo i Divergenti a fare una brutta fine. Non credo che le altre fazioni reagiranno in modo pacifico sottomettendosi agli Eruditi e al loro esercito di Intrepidi drogati dal nuovo siero di Jeanine. In più, se è simile a quello delle simulazioni non durerà in eterno, prima o poi dovranno svegliarsi e ricorderanno tutto. Ci sarà una rivolta, non è un dettaglio insignificante, come ha fatto Jeanine a non tenerne conto? No, non è possibile, lei non è una sprovveduta, ma non riesco a immaginare come riuscirà a tenere a bada un’intera fazione inferocita e addestrata a combattere.
«Come funziona esattamente il siero che userete?» domando a Eric costringendolo ad abbandonare il suo viaggio nei ricordi. Mi dispiace, sembrava sereno, ma ben presto avremo una dura realtà da affrontare e voglio essere preparata.
«È un po’ complicato da spiegare a chi non ha dimestichezza con…» si interrompe perché realizza che mi sta dando della stupida. «Quello che voglio dire è che non è facile neanche per gli Eruditi, in pochi hanno accesso allo studio dei sieri di Jeanine» aggiunge.
«Prova con parole semplici. Fai finta che io sia una Pacifica un po’ tarda.»
«È simile al siero che hai provato, agisce sul cervello. Invece di creare una proiezione della realtà come nel test attitudinale o scatenare le paure come nella simulazione dello scenario, prenderà il pieno controllo della mente. Loro vedranno e sentiranno, ma non elaboreranno i dati come prima, gli ordini arriveranno attraverso i trasmettitori contenuti nel siero. Sarà il computer a comandarli come…»
«Come marionette» intervengo «questo l’avevo capito, ma cosa succederà quando gli Intrepidi si sveglieranno e capiranno di essere stati usati?»
«Non lo sapranno mai. Il computer, prima di terminare la connessione, eseguirà un programma che li convincerà che sia stata una loro scelta.»
«Quindi vuoi dirmi che persone come Quattro o Tris, saranno convinti di aver agito spontaneamente anche se quello che faranno va contro ai loro principi? Io non lo credo possibile, dovrebbe far loro il lavaggio del cervello!» esclamo incredula, ma poi ricordo con chi ho a che fare, con gli Eruditi e Jeanine, il loro super genio che sarebbe davvero in grado di creare una simile mostruosità.
«Solo se sono Divergenti» risponde.
Vorrei chiedergli cosa accadrebbe se lo sono, ma conosco già la risposta e mi mette i brividi. Loro moriranno non perché Jeanine crede che siano dannosi o per qualche suo oscuro motivo personale, ma perché saranno gli unici a ricordare cosa è successo realmente. Saranno testimoni scomodi da eliminare per evitare che raccontino cosa sono stati in grado di fare gli Eruditi pur di prendere il controllo della città.

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Capitolo 69
*** Capitolo 69 ***


Sarò tra i primi a sostenere il test finale.
Sebbene l’ordine sia stato stabilito sulla base dei punteggi attuali, Eric ha deciso di ignorare questa regola, anche se non capisco a che scopo.
Non m’importa di come la prenderanno gli altri iniziati, dopo quello che accadrà domani, la loro reazione sarà l’ultimo dei miei pensieri. La cosa che mi preoccupa è non poter vedere i miei compagni affrontare le loro paure, non mi interessa quali siano, ma il tempo che ci metteranno a superare i vari ostacoli. Essere tra gli ultimi sarebbe un vantaggio perché saprei come sono andati gli altri e quindi cosa dovrò fare per batterli.
Insieme saliamo il canale che dal Pozzo porta al palazzo di vetro.
La sala è già piena di Intrepidi, non pensavo di avere così tanto pubblico, ma pare che l’iniziazione sia crudele fino all’ultimo giorno. Tutti ci vedranno colpire il vuoto e sbiancare davanti al nulla. Poteva andare peggio, i monitor nella sala mostrano solo l’interno della stanza dove avverrà il test e non le nostre paure, quelle sono riservate solo ai capifazione.
Theia, guarda il lato positivo, penseranno che stai affrontando cani feroci o pericolosi aggressori e non fantasmi. Sono sicura di essere l’unica ad avere una paura così stupida.
Osservo i primi iniziati mentre gridano, piangono e si rotolano a terra, poi finalmente vengo chiamata.
«Ok, cerca di essere più veloce possibile ma senza destare sospetti» mi dice Eric chinandosi su di me e tenendo bassa la voce, «usa la logica per superare gli ostacoli e se non ci riesci o sei sul punto di perdere il controllo ricorda che non c’è niente di reale. Respira, cerca di calmarti, il tuo battito cardiaco rallenterà e passerai all’ostacolo successivo. Non crollare come hai fatto nello scenario di Lauren o il test si concluderà con un fallimento».
Annuisco. «Rapidità, logica e sangue freddo. Non è reale» ripeto più a me stessa che a lui.
Eric mi sorride e mi accompagna verso la stanza del test. Avrei preferito che mi stringesse, ma in fondo io sono ancora un’iniziata e la sala è piena di Intrepidi. Mi domando che differenza possa fare un test, tra dieci minuti sarò un’Intrepida e potremo uscire allo scoperto.
Dieci minuti o forse meno e finalmente farò parte di una fazione. È un pensiero strano, sono al mondo da sedici anni ma sono sempre stata ospite, prima dei Pacifici e ora degli Intrepidi. Solo dopo l’iniziazione si viene considerati membri effettivi.
«Cominciamo» esclama Eric mentre affonda l’ago nel mio collo e spinge lo stantuffo.

Il pavimento di cemento inizia a svanire inghiottito da una fitta nebbia, capisco all’istante cosa dovrò affrontare: i fantasmi. La prima dovrebbe essere la meno spaventosa, e se ci penso bene è così, ma è quella che ho quasi sempre terminato fallendo e risvegliandomi sul pavimento in preda al panico.
Sento un fruscio alle mie spalle e d’istinto mi volto. A pochi metri da me una figura evanescente mi osserva immobile. La sua pelle è bianca come il latte e le sue orbite sono vuote e nere come la pece. La paura mi paralizza e il cuore inizia a martellarmi nel petto, vorrei gridare ma non posso, Eric e i capi mi stanno osservando, devo restare calma o fallirò.
I fantasmi non esistono e lo sai benissimo. Continuo a ripetermi. Perché allora fanno parte delle mie paure? Cosa sono realmente i fantasmi e perché spaventano così tanto le persone? Sono i morti che tornano dalla tomba per perseguitarci, persone a cui abbiamo fatto un torto e che tornano da noi nel modo più spaventoso per regolare i conti.
Io non ho fatto del male a nessuno… non ancora.
Questo pensiero mi trafigge come una lama ghiacciata. La paura svanisce e un grande senso di colpa prende il suo posto.
Domani scoppierà una guerra, anche se non avrò un ruolo attivo la mia coscienza non è pulita perché non ho fatto nulla per cercare di evitarla.
«Mi dispiace» mormoro con le lacrime agli occhi.
Lo spettro piega la testa di lato e mi fissa. Io sostengo il suo sguardo, non in segno di sfida ma come chi è consapevole del male che ha fatto ed è pronto ad accettare di pagare per le sue colpe. Non imploro pietà, non la merito.
Vorrei poter chiedere perdono ma sono consapevole che chi se ne sta in disparte mentre il mondo piomba nel caos non lo merita e i sentimenti che provo per Eric, per quanto puri possano  essere, non mi faranno ottenere il perdono di tutte le persone che verranno coinvolte nel crudele piano degli Eruditi. Sarò quella che ama un assassino, per tutti sarò un mostro come lui.
Con le lacrime che mi rigano le guance, mi avvicino a quella creatura. Ho sbagliato ed è giusto che ne paghi le conseguenze.
Questo pensiero mi fa sentire quasi in pace con me stessa. Espiazione. Fa stare meglio me ma non riporterà in vita tutti quelli che moriranno domani, però pare sufficiente a placare la rabbia di quella creatura. La sento sospirare e poi dissolversi lentamente svanendo nella nebbia.
Non ho fallito, la simulazione non si è interrotta, sono ancora avvolta dalla nebbia e circondata dall’oscurità. Non so come i capifazione interpreteranno quello che ho appena fatto. Sarà normale o da Divergente?
Sento crescere un senso di angoscia e nella mia mente si forma l’immagine dei capi che mi osservano con sguardo severo come nella paura di Lauren di essere cacciata dagli Intrepidi, da me trasformata in quella di essere scoperta come Divergente.
Scaccio immediatamente quel pensiero, se mi ci fisso potrebbe materializzarsi e per me sarebbe la fine.
Mi concentro su me stessa, la turbolenta Pacifica che presto diventerà un’Intrepida. Non so perché lo faccio, non ha senso, ma qualsiasi cosa è meglio della paura di Lauren.
La nebbia comincia a diradarsi, cerco di capire quale sarà il mio prossimo ostacolo da superare ma non ne ho il tempo, qualcosa mi colpisce al fianco facendomi cadere a terra. L’erba del bosco è svanita lasciando il posto a una superficie liscia, credo sia vetro ma non riesco a vederla perché è interamente coperta d’acqua torbida.
Scatto subito in piedi e cerco il mio aggressore, ma vedo solo me stessa ripetuta all’infinito. Sono nella stanza degli specchi, l’antro della Theia che temo di diventare, una donna crudele e spietata.
Alzo lo sguardo e lei è in piedi davanti a me. È diversa dall’ultima volta che l’ho affrontata, non è più la fusione di me ed Eric, ma sembro io trent’anni più vecchia. Non ci sono né piercing né tatuaggi sulla sua pelle, solo rughe e cicatrici.
Mi osserva sorridendo compiaciuta e la cosa mi destabilizza. Il suo sguardo dovrebbe essere freddo e il suo sorriso malvagio, mentre sembra Jeanine dopo il mio discorso su Eruditi e Divergenti.
La me stessa inizia ad applaudire, si sposta di lato ed io vedo la mia immagine riflessa.
Non sono io! Grido nella mia mente.
La ragazza che vedo nello specchio è coperta di sangue e si rigira tra le mani un lungo coltello mentre mi studia come farebbe un torturatore con la sua vittima.
Guardo in ogni direzione sperando di vedere la vera Theia, ma lei è ovunque. Incredula, mi guardo le mani e sono lorde di sangue.
Il mio incubo è diventato realtà, sono diventata un mostro e non ho dovuto fare nulla, ed è proprio questo il problema: non ho fatto niente per cercare di impedire l’imminente guerra.
No. Questa è solo la mia nuova paura. L’evoluzione di quella originale. Non è la realtà, non è ciò che sono. Posso ancora porre rimedio, in qualche modo anche se non so come.
La me stessa che continua ad applaudire è sempre la mia parte oscura, si è solo fatta più furba e sta cercando di farmi credere che io sono già come lei, che per me non c’è salvezza.
«No!» ringhio mentre mi scaglio contro di lei.
Non sono una persona orribile, non voglio fare del male a nessuno, la mia unica colpa è amare Eric e dentro di me sento che anche lui è vittima delle circostanze. Jeanine è l’unica colpevole di ciò che è diventato Eric e della guerra.
Colpisco quella donna che sembra me stessa adulta fino a quando non crolla a terra, fino a quando il suo volto non diventa una maschera di sangue. Lei continua a ridere come se essere picchiata a morte le piacesse. Quella risata sembra volermi dire che c’era anche lei quel pomeriggio nel magazzino, quando Eric mi ha picchiata, e che l’ha trovata una scenetta divertente. È orribile, non voglio più sentirla, devo chiuderle quella maledetta bocca.
Spingo la sua testa contro il pavimento e la vedo scomparire sott’acqua. Lei si dimena ma io non mollo la presa fino a quando ogni suo muscolo si rilassa e il silenzio cala di nuovo nella stanza.
Chiudo gli occhi e mi accascio sopra di lei. Respiro profondamente, sono stremata ma calma. Sento i battiti del mio cuore rallentare e i miei muscoli rilassarsi. Mi sento leggera, come se la gravità non esistesse, mi sembra di fluttuare nell’aria. È piacevole, forse è finita e quando riaprirò gli occhi sarò nella saletta delle simulazioni.
Purtroppo non è così. Non ho sconfitto la forza di gravità, non è aria quella che mi circonda, è acqua.
Sono in un’immensa distesa blu. Sotto di me le alghe danzano sulla sabbia bianca e piccoli pesci nuotano tranquilli intorno a me. Alzo lo sguardo e vedo la luce del sole che illumina debolmente l’oscurità che mi circonda.
Cerco di tenere lontana da me la paura di affogare. Non è reale, potrei respirare se volessi e non mi accadrebbe nulla, l’acqua non invaderebbe i miei polmoni perché non sono in un lago ma nella saletta delle simulazioni.
Comincio a nuotare verso la superficie, dapprima lentamente, immaginando di respirare, poi ricordo che i capi mi stanno osservando e questo comportamento potrebbe insospettirli, così comincio a nuotare più velocemente. Mi concentro sulla distanza. Se continuo a fissare sopra la mia testa, la superficie sembrerà sempre lontana chilometri, è così che funziona questa tortura, quindi chiudo gli occhi e nuoto. Dopo pochi secondi sento il calore del sole e il vento accarezzarmi la pelle.
Sono fuori. Penso riaprendo gli occhi e inspirando profondamente. Nuoto fino alla riva e mi sdraio sulla sabbia in attesa che la prossima paura si manifesti.
In un battito di ciglia, il sole, il cielo e le nuvole sono svanite, l’oscurità mi avvolge per l’ennesima volta.
L’aria fresca diventa calda e pesante, come se la camera fosse chiusa ermeticamente e l’ossigeno iniziasse a scarseggiare. So benissimo dove mi trovo ma non riesco a controllare l’impulso di muovere le mani per cercare un punto di riferimento. Lo trovo, è il legno del coperchio della bara in cui sono chiusa.
Lo colpisco con le mani chiuse a pugno fino a quando non cede e sento la terra iniziare a ricoprirmi. Sebbene sia consapevole che tutto questo non è reale, il mio cuore inizia a battere all’impazzata e i miei polmoni a reclamare più ossigeno. Scavo più velocemente e sento le mani bruciare come se fossero scorticate fino alle ossa.
Il dolore è così forte da sembrare reale e, per un attimo, penso che la simulazione sia solo l’allucinazione di una ragazza sepolta viva. Non cedo a questo pensiero assurdo, sento la terra entrarmi in bocca e nel naso, ma sto respirando, non potrei farlo se fossi davvero sei piedi sotto terra. Non mi fermo, stringo i denti e sopporto il dolore, presto sarò libera da questo incubo.
Finalmente le mie dita incontrano il vuoto. Ce l’ho fatta, sono fuori.
Esco dalla mia fossa e mi sdraio sul terreno umido, ma ancora qualcosa non va. É buio e c’è un forte odore di muffa e acqua stagnante. Il pozzo, la paura che ho affrontato nella mia prima simulazione e che si è ripetuta ogni volta che mi collegavano al computer. La conosco bene, so come superarla.
Resto sdraiata e lascio che l’acqua mi sollevi dal fondo mentre, lentamente, le pareti del pozzo si restringono. Devo solo aspettare che le pareti siano più vicine tra loro in modo da potermi arrampicare e raggiungere l’uscita.
La terra smette di tremare, apro gli occhi. Le pareti sono distanti abbastanza da rendere possibile arrampicarmi fino al piccolo cerchio di cielo azzurro sopra di me.
Inizio ad arrampicarmi, la roccia è scivolosa e ogni tanto perdo la presa, ma il pozzo è così stretto che la mia schiena va a sbattere contro il muro dietro di me impedendomi di cadere di sotto.
Arrivo in cima, scavalco il bordo del pozzo e spalanco le braccia facendo un giro su me stessa. È la mia danza della vittoria, un altro ostacolo superato, presto sarò di nuovo nella realtà.
«Abbiamo anche una Pacifica» esclama una voce che sembra provenire da tutte le direzioni.
«Ti sei trasferita per insegnare agli Intrepidi a suonare il banjo prima di finire tra gli Esclusi?»
È la voce di Eric. Mi guardo intorno ma non lo vedo. Mi sporgo oltre il bordo del pozzo aspettandomi di vederlo sbucare dall’oscurità facendomi sobbalzare, ma lui non c’è.
«Ci sarà da divertirsi» lo sento sussurrarmi all’orecchio mentre le sue mani si stringono attorno alle mie braccia.
Spingo di scatto la testa all’indietro e la mia nuca colpisce il suo naso. Lui grida e indietreggia.
Mi volto e davanti a me vedo Eric il sadico torturatore in tutta la sua crudele spietatezza. Il suo sguardo è feroce e il sangue che gli cola dal naso rende grottesco il suo sorriso.
Quello non è il tuo Eric. Mi ripeto. L’hai già incontrato nello scenario di Lauren. Non è Eric quello che hai davanti, ma un incubo creato dal siero.
So che è solo un’allucinazione e, purtroppo, so cosa devo fare, è questo che mi paralizza. Non la paura di essere faccia a faccia con la crudeltà fatta a persona, ma lo strazio di doverlo affrontare ed uccidere. Non posso scappare e cercare di calmarlo non servirà a nulla, lui non si fermerà fino a quando non mi avrà uccisa. Non ho scelta, se voglio superare il test, lui dovrà morire.
Lo guardo. Sembra una bestia feroce, non ha niente di umano ma ogni volta che i miei occhi incontrano i suoi rivedo il mio Eric e mi sento andare in pezzi.
Immagino la nostra lotta. Le mie mani che si stringono attorno al suo collo, il suo corpo che lotta disperatamente per sopravvivere ma, alla fine, cede e la vita abbandona i suoi splendidi occhi azzurri.
Non ce la faccio, so che non è reale, che è solo una simulazione, ma non ho la forza di ucciderlo.
Indietreggio fino a quando le mie gambe incontrano qualcosa di duro e freddo.
Il pozzo. La terza opzione: morire insieme.
Mi scaglio contro di lui e lo colpisco. Schivo un suo pugno facendo un passo indietro. Lo colpisco e continuo ad arretrare fino a quando non sento di nuovo il bordo del pozzo.
«È tutto quello che sai fare, femminuccia?» lo provoco.
Lui si scaglia contro di me ed io lascio che mi travolga. Il bordo del pozzo cede ed entrambi precipitiamo nell’oscurità.

Le luci si riaccendono. Sono sdraiata sul pavimento della stanza vuota con le pareti di cemento. La porta si apre e mi alzo. Max, Eric, Quattro e alcuni altri che non conosco entrano e si fermano davanti a me.
«Congratulazioni, Theia» esclama Eric. «Hai completato con successo l’esame finale.»
Mi rilasso, è andato tutto bene e finalmente posso dire di essere a casa. Sono un’Intrepida e d’ora in avanti questa sarà la mia fazione, sarà la mia casa.
«Ancora una cosa, prima di lasciarti andare a prepararti per il banchetto di benvenuto» continua lui, accompagnandomi fuori dalla saletta.
Davanti a noi c’è una donna con i capelli blu con in mano un astuccio nero. Lo apre ed Eric prende la siringa e l’ago contenuti al suo interno.
«Sto per inserirti un sistema di tracciamento che verrà attivato solo se sarai data per dispersa. È una semplice precauzione.»
So che in quel liquido arancione non c’è nulla, almeno per quanto mi riguarda, ma per il resto dei miei compagni di fazione, in quella siringa c’è l’inizio di un incubo.
Scosto i capelli e piego la testa di lato, Eric si avvicina con la siringa, mi strofina la pelle con un tampone disinfettante e infila l’ago. Sento una fitta profonda in tutto il collo, dolorosa ma breve. Lui ripone l’ago nell’astuccio e mi mette un cerotto.
«Adesso vai a casa» mi sussurra. «Ti raggiungerò appena avrò finito con i test.»

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Capitolo 70
*** Capitolo 70 ***


Finalmente a casa, e questa volta posso davvero chiamarla in questo modo. Non sono più un’ospite, adesso sono un membro effettivo della comunità. Vorrei poter dire che contribuirò positivamente alla sicurezza e alla crescita di questa città ma purtroppo non sarà così. Almeno non all’inizio, ma non voglio pensarci ora, ho bisogno di staccare la spina.
Devo mettere in pausa il mio cervello, non ho ancora smaltito il siero del test finale e se non mi rilasso finirò raggomitolata sul pavimento in preda ad un attacco di panico.
Non c’è niente di meglio che un po’ di sano esercizio fisico per scaricare la tensione. Qui non c’è molto da fare, è tutto pulito e in ordine, Eric non tollera cose fuori posto a casa sua.
Il borsone con dentro tutti i miei vestiti è ancora su una sedia accanto al letto, Non credo che Eric vorrà vederlo in giro ancora per molto, e neanche io.
Lo apro e lo svuoto sul letto, se lui fosse qui mi lancerebbe un’occhiataccia, ma non c’è ed io posso fare come mi pare. Raggiungo la fila degli armadietti e inizio ad aprirli cercando un posto dove mettere le mie cose. Eric non ha molti vestiti, la maggior parte degli armadietti sono pieni di fascicoli e quaderni.
Se dobbiamo vivere insieme, io devo avere il mio spazio, quindi dovrà trovare un altro posto per tutta questa carta. Prendo una pila di fascicoli dall’ultimo armadietto della fila e li lancio sul letto. Ne prendo un’altra, ma la manica della mia giacca si impiglia nel ripiano di ferro facendolo cadere a terra. Lo raccolgo e sento qualcosa che si muove al suo interno. Se non fossi nell’appartamento di Eric penserei che potrebbe esserci una vite rotta o un pezzetto di metallo all’interno del ripiano e mi affretterei a rimetterlo a posto per non essere incolpata di averlo rotto. Ma sono a casa di un Erudito cacciatore di Divergenti che ha molto da nascondere agli Intrepidi.
Ci metto un po’ per aprire quella specie di piccola cassaforte e dentro ci trovo una chiavetta usb. Corro al computer di Eric, la inserisco e sullo schermo vedo apparire un’icona bianca con sotto scritto “DISCO USB”.
Voglio davvero scoprire l’ennesimo segreto di Eric? Non mi do il tempo di rispondermi, clicco due volte sull’icona e sul desktop appare il contenuto della chiavetta: una miriade di cartelle numerate da uno a duecento. Qualsiasi cosa ci sia, impiegherei giorni a leggere tutto. Apro una cartella a caso e al suo interno ne trovo una centinaia. Ripeto l’azione per ogni sottocartella e capisco che potrei andare avanti all’infinito e non trovare assolutamente nulla. Eric ha creato un buon sistema per scoraggiare chi trovasse questa chiavetta.
Sono sul punto di rinunciare quando il mio sguardo cade sull’icona del database della fazione. Non credo siano in molti ad usarlo, forse solo i capifazione e i loro assistenti. Ho superato il test, sono un’Intrepida ed è stato Eric ad arrogarsi il diritto di scegliere il mio lavoro. Sono la sua assistente e quindi faccio parte della ristretta cerchia di chi può curiosare nel database.
Avvio il programma. Non sono un asso in informatica ma so come usare le ricerche dei file compatibili attraverso il menù dei programmi.
Funziona. Migliaia di cartelle per poco meno di una ventina di documenti e su ognuno di essi c’è un nome di un iniziato. Apro quello con il mio nome.
Contiene un lungo e dettagliato profilo psicologico che nemmeno i miei genitori e Althea sarebbero stati in grado di scrivere. Eric sembra conoscermi meglio delle persone con le quali ho condiviso la mia intera esistenza. Tutto ciò che ha scritto è vero e anche sconcertante perché ci sono cose su di me che io stessa non conoscevo, almeno fino a questo momento.
Devo ammetterlo, è davvero un genio e la cosa mi manda in bestia. Di giorno giocava al fidanzatino per studiarmi meglio e la notte riportava in questo documento tutto quello che aveva scoperto su di me.
Cerco di restare calma, in fondo è solo un profilo psicologico ed è plausibile che lui abbia studiato gli iniziati alla ricerca di un Divergente, è il suo lavoro. Continuo a leggere.
Eric ha minuziosamente preso nota delle mie abitudini, dei miei progressi durante l’iniziazione e di come interagivo con i miei compagni, ma non parla di noi due e neanche delle simulazioni del secondo modulo. Forse è la prassi o forse c’è un file a parte perché questo sembra concludersi con quello che è accaduto durante il primo modulo. Eric ha ragione, sono troppo paranoica.
Continuo a scorrere anche se il documento sembra vuoto, ma alla fine c’è una lista di cinque punti, solo i primi due sono compilati: Pacifici e Intrepidi.
Mi aspettavo qualcosa del genere da un cacciatore di Divergenti però, dopo quello che ho appena letto, è deludente vedere che Eric ha segnato le due fazioni più banali. Pacifici è il risultato del mio test e Intrepidi è la fazione che ho scelto.
La cosa che più mi manda in bestia è trovare le mie inclinazioni su questo documento. Credevo di non fare più parte delle sue prede, ma se lui non ha eliminato Intrepidi dalla lista forse non è così. Sono stanca di questa situazione, di tutti i suoi segreti e di non riuscire mai a capire come stanno veramente le cose. È il momento di dire basta, impuntarmi e farlo confessare. Sarà difficile resistere al suo fascino, ma devo essere forte e risoluta, una relazione si basa soprattutto sulla sincerità e se lui non intende accettarlo non potrà esserci niente tra di noi.
Sento la porta aprirsi ed Eric chiamarmi. Non rispondo, voglio che mi veda davanti a questo computer. Vediamo cosa si inventerà questa volta.
«Che combini?» domanda.
Non lo degno di uno sguardo, mi limito a girare il monitor nella sua direzione.
«Dove l’hai trovato?» dal suo tono di voce sembra stupito, ma ormai lo conosco bene, so che è bravo a fingere.
Non rispondo. Perché farlo quando so che lui conosce già la risposta.
«Theia, dove hai trovato la chiavetta?» ripete, aggiungendo il mio nome, suppongo per qualche giochetto psicologico da Erudito che non ho voglia di analizzare.
«Devo far sparire tutto» esclama chinandosi sulla tastiera.
«Perché l’ho trovato e non te l’aspettavi? Che scusa inventerai questa volta? Fammi indovinare, non trovavi più la chiavetta.»
«No, mi ero dimenticato di questa copia.»
«Le tue scuse iniziano ad essere un po’ fiacche. Tu che dimentichi qualcosa? Non farmi ridere» ribatto.
«Normalmente non dimentico nulla, ma controllarti e rimediare ai tuoi casini mi hanno distratto parecchio. Comunque è roba vecchia.»
«Roba vecchia?!» esclamo esasperata dalle sue bugie.
Mi solleva di peso e si siede al mio posto. Prima che possa mettere le mani sulla tastiera e cancellare il contenuto della chiavetta, mi siedo sulle sue ginocchia e gli blocco le mani.
«È solamente un promemoria per me, non il rapporto per Jeanine. Sono solo appunti su voi iniziati» cerca di discolparsi.
«Perché non li hai cancellati?» gli domando guardandolo dritto negli occhi.
«Perché non ci ho più pensato…» mormora abbassando lo sguardo e arrossendo «Non ho più pensato a fare il mio dovere. Pensavo tutto il tempo a te e il resto passava in secondo piano. Quando ho capito cosa sei ho iniziato ad avere paura, non sapevo cosa fare. Se avessi detto tutto a Jeanine ti avrei persa, ma mentirle sarebbe stato altrettanto rischioso.»
È convincente, dannatamente convincente ed io sento che sta dicendo la verità, ma resta una piccolissima parte di me che continua a dubitare.
«Perché dovrei crederti?» domando sentendomi una pazza paranoica che meriterebbe di essere rinchiusa in una cella e dimenticata per l’eternità.
«Ok. Leggi il documento» sbuffa.
«L’ho già letto. Tutto» replico, sottolineando l’ultima parola.
«Sicura?» domanda con il fastidioso tono da maestrina che gli Eruditi adorano tanto usare.
Rispondo con un grugnito.
«Io non credo. Se l’avessi letto tutto, ti saresti accorta che gli aggiornamenti si sono fermati a quando noi due… beh lo sai…»
Ci siamo messi insieme, innamorati, fidanzati? Usciranno mai dalla sua bocca queste parole? Non mi accontento di “compagna”, può andare bene per Jeanine ma non per me.
«Non sono sicura di saperlo, non ci hai mai definito.»
«Mi sembrava chiaro, no?»
«Non basta. Sai, alle ragazze piace sentirsi dire… lascia perdere, fiato sprecato.»
Non ci credo che lo metta così in imbarazzo dichiararsi, soprattutto vista la sua bravura a fingere e la sua parlantina da Erudito.
La piccola parte di me che dubita di tutto prende il sopravvento. Sposto il cursore sopra l’area destinata alle fazioni per le quali si ha un’inclinazione e compilo i tre cambi rimasti vuoti: Eruditi, Candidi, Abneganti.
So che non dovrei confessare il risultato del mio test attitudinale a nessuno, ma ormai lui lo conosce già, anche se solo in parte. Se questa è una trappola non mi importa caderci dentro, voglio solo che quella piccola parte di me che è schiava della paranoia la smetta di tormentarmi.
«Ti basta o vuoi sapere altro?» dico quasi urlando e allontanandomi da lui.
Eric sgrana gli occhi ed io vorrei gridargli che ha fatto una buona caccia. Cinque fazioni su cinque, Jeanine sarà fiera di lui. Ma decido che peggiorare le cose è più nel mio stile.   
«Sono stanca delle tue sorprese, quindi dimmi tutto adesso o me ne vado via, non dalla fazione, ma dalla città!» esclamo pur non pensando minimamente di allontanarmi da lui. A volte io stessa mi stupisco della mia poca coerenza.
Eric si alza e tira fuori un foglio. È molto rovinato, i punti in cui è piegato sono quasi neri e la carta è talmente sciupata da sembrare vecchia di anni.
«Anche io» mormora appoggiandosi all’armadietto accanto al letto e tenendo lo sguardo basso.  Non l’ho mai visto così imbarazzato e non riesco a capirne il motivo.
Apro il foglio e mi si ferma il cuore. È la lettera che scrissi ad Althea la sera prima del Giorno delle Visite, quella in cui le confidavo i miei timori e le mie speranze, ma soprattutto che ero completamente e irrimediabilmente innamorata di Eric.
Lui non l’ha semplicemente conservata, da come è consumata la carta deve averla letta decine e decine di volte.
Mi sento così stupida adesso, per settimane ho dubitato dei suoi sentimenti, ho temuto che fossero la sua ennesima finzione o il frutto della mia immaginazione, quando in realtà non è così. In quella lettera non c’è niente che possa far pensare che sono una Divergente, solo sfoghi di un’iniziata… e una confessione. Eric non l’ha letta e riletta alla ricerca di un indizio che mi smascherasse, ma per le ultime frasi: “Io sono innamorata di lui e non so dove mi porterà tutto questo. Probabilmente finirà male, molto male, ma io non riesco a smettere di amarlo.”
Lo bacio, forse con un po’ troppa veemenza e finiamo entrambi sul letto.
Lo desidero, ho bisogno di sentire il suo corpo caldo contro il mio e non m’importa se non è la serata perfetta che immaginavo nelle mie fantasie, mi basta solo lui e niente altro per rendere perfetto questo momento.

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Capitolo 71
*** Capitolo 71 ***


Mentre torniamo alla mensa, studio con attenzione il volto di Eric sperando di non vedere il classico sguardo annoiato e un po’ scocciato che di solito sfoggia quando siamo insieme in mezzo agli Intrepidi. Non ce n’è traccia, sembra più rilassato e allegro, addirittura sorride.
Quando arriviamo alla porta, ci separiamo. Io raggiungo il tavolo dove sono seduti Will, Christina e Tris; Eric invece va dalla parte opposta e raggiunge gli altri capifazione.
Arrivo appena in tempo per sentire Tris domandare a Christina quale lavoro vorrebbe svolgere.
«Mi piacerebbe un lavoro come quello di Quattro. Addestrare gli iniziati, terrorizzarli a morte. Insomma, qualcosa di divertente. E tu?» le risponde.
«Credo... potrei fare l’ambasciatrice presso le altre fazioni. Essere una trasfazione mi aiuterebbe.»
«Speravo tanto che dicessi tirocinante-capofazione» sospira Christina. «Perché è quello che vuole fare Peter. Non la smetteva più di parlarne prima, nel dormitorio.»
«Ed è quello che voglio fare io» si intromette Will. «Spero di essermi classificato meglio di lui... ah, giusto, e di tutti gli interni. Mi ero dimenticato di loro.» Geme. «Oddio, sarà impossibile.»
«No, non lo è» lo conforta Christina, allungando la mano e intrecciando le dita con le sue. Quanto vorrei che Eric fosse qui a fare la stessa cosa.
«E tu, Theia?» mi chiede Will.
Se gli dico che vorrei lavorare a contatto con i capifazione lo attribuirebbe a quello che provo per Eric e ne uscirei come la classica scema che non vede altro che il suo ragazzo. Non mi piace che la gente pensi questo di me perché non è così, voglio stare con Eric ma non voglio passare tutto il giorno insieme a lui, anche se siamo una coppia vorrei mantenere un minimo di indipendenza. In ogni caso non ha importanza, ora che so qual è il suo ruolo negli Intrepidi, siamo legati a doppio filo, non posso più tirarmi indietro.   
«All’inizio volevo pattugliare la zona oltre la Recinzione, ma ho capito che volevo solo sentirmi più vicina alla mia vecchia casa» confesso candidamente «Eric mi ha suggerito che lavorare all’interno del complesso sarebbe una scelta più saggia.»
«Che è un modo per dire che lavorerai per lui» dice Will ammiccando.
Arrossisco e sollevo le spalle. Beccata, ma almeno non l’ho dovuto confessare. Sembra meno patetico se lo dice un amico come Will.
«Domanda» cambia discorso Christina, sporgendosi verso Tris. «I capi, mentre guardavano il tuo scenario della paura... ridevano per qualcosa.»
«Ah, sì?» Si morde il labbro. «Sono contenta che le mie paure li divertano.»
«Hai idea di quale ostacolo fosse?» investiga lei. «No.»
«Stai mentendo. Ti mordi sempre l’interno della guancia quando menti. È il tuo segno rivelatore.» Tris smette di farlo all’istante e inizio a farlo io per trattenere una risata.
«Se ti fa sentire meglio, Will sfrega forte le labbra una contro l’altra» aggiunge.
Lui si copre subito la bocca con la mano.
«E Theia trattiene il respiro» aggiunge guardandomi. Io soffio fuori l’aria dalla bocca e rido.
«Okay, d’accordo. Avevo paura... dell’intimità» confessa Tris.
«Intimità» ripete Christina. «Nel senso di... sesso?»
Tris si irrigidisce di colpo e annuisce. Se lo sguardo potesse incenerire adesso Christina sarebbe un mucchietto di cenere.
Will scoppia a ridere ed io, per non diventare rossa come un pomodoro, cerco di non pensare a quello che è successo questo pomeriggio con Eric. Non ci riesco, ma per fortuna i miei amici sono troppo concentrati su Tris per notarlo.
«E com’era?» vuole sapere Christina. «Voglio dire, c’era qualcuno che... cercava di farlo con te? Chi era?»
«Ah, boh. Uno senza volto... irriconoscibile» risponde Tris. «Come te la sei cavata con le tue falene?»
«Avevi promesso che non l’avresti mai detto!» grida, dandole una sberla sul braccio.
«Falene» ripete Will. «Tu hai paura delle falene?»
«Non era solo una nube di falene» si difende lei «ma tipo... uno sciame intero. Erano dappertutto. Tutte quelle ali e quelle zampe e...» Rabbrividisce e scuote la testa.
«Terrificante» esclama Will fingendo compostezza. «Ecco la mia ragazza: dura come un batuffolo di cotone!»
«Oh, piantala.»
Da qualche parte si diffonde un rumore stridulo, così forte che devo coprirmi le orecchie con le mani. Eric è in fondo alla sala, in piedi su un tavolo, che picchietta le dita su un microfono. Finita la prova audio, la sala si fa silenziosa e lui si schiarisce la gola prima di cominciare.
«Non siamo bravi a fare discorsi, qui. L’eloquenza la lasciamo agli Eruditi.»
Il pubblico ride. Mi domando se sappiano che lui era un Erudito, una volta; che con tutta la spavalderia e persino la brutalità da Intrepido di cui fa sfoggio, è più un Erudito di qualunque altra cosa. Se lo sapessero, dubito che riderebbero.
«Per cui sarò breve» continua. «Comincia un anno nuovo e abbiamo un nuovo gruppo di iniziati. E un gruppo leggermente più ristretto di nuovi membri. A loro facciamo le nostre congratulazioni.»
Alla parola “congratulazioni” la sala esplode, non in un applauso, ma in un boato di pugni battuti sui tavoli.
«Noi crediamo nel coraggio. Crediamo nell’azione. Crediamo nel superamento delle paure e nella possibilità di espellere il male dal nostro mondo, così che il bene possa fiorire e prosperare. Se anche voi credete in queste cose, vi diamo il benvenuto.»
Mi domando quanto ci sia di vero in questa sua affermazione. Forse poco o addirittura niente, ma non posso non pensare a quanto coraggio gli è servito per accettare ciò che sono e a tradire quello in cui ha sempre creduto. Non importa se è stata Jeanine a mettergli in testa quelle idee, la cosa davvero importante è che lui sia riuscito a sollevare lo sguardo oltre il muro delle sue convinzioni. L’ha fatto con me e forse, in futuro, lo farà anche con gli altri.
«Domani, il primo atto da membri dei nostri primi dieci iniziati sarà di scegliersi la professione, nell’ordine in cui si saranno classificati» prosegue. «La classifica, lo so che è questo che in realtà state aspettando tutti, è stata stilata sulla base della combinazione dei tre punteggi, relativi rispettivamente al modulo di addestramento al combattimento, al modulo delle simulazioni e all’esame finale, lo scenario della paura. La classifica apparirà sullo schermo alle mie spalle.»
Non appena pronuncia la parola “spalle”, i nomi compaiono sul monitor, che occupa quasi l’intera parete.
Accanto al numero uno appare la foto di Tris con accanto il suo nome. Subito sotto di lei ci sono io.
Dovrei essere felice, ma sospetto che dietro a quel punteggio ci sia lo zampino di Eric. Ha esagerato, qualsiasi posto in classifica non avrebbe influito sul mio futuro lavoro; lui è uno dei capi e pupillo di Jeanine, può fare tutto quello che vuole e ignorare le regole di assegnazione. Il resto della fazione mi avrebbe odiata, ma sarebbe accaduto comunque visto il ruolo che giocherà Eric nel colpo di stato. Memoria modificata o no, prima o poi, tutti capiranno di essere stati manipolati dagli Eruditi aiutati da Eric ed io, come sua ragazza, dividerei con lui l’odio di tutti quelli che vivono all’interno della Recinzione.
Sento acclamazioni, risate, grida. Christina indica lo schermo, gli occhi spalancati e lucidi. Continuo a scorrere la classifica.
3. Uriah
4. Lynn
5. Peter
6. Will
7. Christina
8. Marlene
Peter è solo al quinto posto e domani saremo fianco a fianco, so che troverà il modo di tormentarmi quando Eric non sarà nei paraggi.
Proseguo nella lettura della lista. L’otto, il nove e il dieci sono interni di cui conosco appena i nomi. L’undici e il dodici sono Molly e Drew. Entrambi sono stati eliminati. I due tirapiedi di Peter sono degli Esclusi. Tiro un sospiro di sollievo, sarà solo. I suoi due tirapiedi non potranno dargli manforte d’ora in avanti.
Uriah mi corre incontro si congratula e mi abbraccia con un po’ troppa forza. Sorrido e ricambio. Wille e Christina si baciano e un po’ li invidio, a differenza di me, loro possono manifestare il loro entusiasmo liberamente.
Cerco Eric tra la folla e lo vedo in piedi, appoggiato contro una colonna. Sorride e mi fissa come se si aspettasse che io corra da lui. Forse sto interpretando male il suo linguaggio del corpo, non m’importa, voglio andare da lui.
Quando lo raggiungo si congratula dandomi una pacca sulla spalla. Le cose non sono cambiate. Cerco di nascondere la mia delusione anche se so che a Eric non si può nascondere nulla.
«Che c’è?»
«Una pacca sulla spalla?» mi lamento.
«Tu sei ossessionata» dice sorridendo e, finalmente, mi stringe a sé.
Non sono ossessionata, mi aveva detto che era sconveniente mostrarsi troppo intimi durante l’iniziazione e che dopo avremmo potuto uscire allo scoperto, ma vedo che non è così. So di essere diventata ufficialmente un membro della fazione da pochi minuti e che probabilmente è ancora presto, però ormai quello che c’è tra me e lui è sulla bocca di tutti da giorni, non ha senso mantenere ancora le distanze.
«Non vuoi andare a festeggiare con i tuoi amici come fanno tutti?» mi chiede, indicando con un cenno del capo Uriah che sta agitando le braccia mentre Will e Christina cercano di contenere il troppo entusiasmo che ci sta mettendo. Li capisco, per loro Eric è rimasto il terribile aguzzino.
Io sposto lo sguardo da Eric ai miei amici più volte, indecisa su cosa fare. Non è da lui farmi una simile proposta e la cosa mi confonde parecchio. In più, dopo quello che è accaduto tra di noi questo pomeriggio, speravo che volesse passare la serata con me.
«Vai» mi sussurra Eric all’orecchio «però cerca di non fare troppo tardi, sai bene cosa ci aspetta domani».
Mi dà un bacio sulla fronte e raggiunge il gruppetto dei capifazione in fondo alla sala.
Raggiungo i miei amici pensando che, dopo quello che è accaduto al magazzino, Eric sta cecando di dimostrarmi che non è il ragazzo geloso al limite dell’ossessione che mi ha colpita più volte e che vuole tenermi lontana da tutti. Lo conosco, so che probabilmente passerà la serata a farsi paranoie su quello che combinerò ma, allo stesso tempo, sarà consapevole che non ha nulla da temere e che non lo tradirò.
«Allora, possibile futura capofazione, che si fa di bello per festeggiare?» mi domanda Uriah agitando una bottiglia sotto il mio naso.
Direi che non è il caso di ubriacarsi, domani sarà una giornata pesante e affrontarla con i postumi di una sbornia è una pessima idea, ma sono un’Intrepida ed è il caso di fare cose da Intrepida.
«Niente bevute, ho in mente qualcosa di meglio» rispondo, allontanando la bottiglia. «Cosa ne dite di un po’ di sano esercizio fisico?»
«No! Ancora? Non ti è bastato quello che abbiamo fatto durante l’iniziazione?» si lamenta Christina.
«Uriah, cosa succede agli Intrepidi che si tirano indietro davanti a una sfida?»
«La più terribile e imbarazzante delle penitenze. Se fossi in loro accetterei subito» mi risponde agitando in aria la bottiglia.
«Ragazzi, vi sfido a scalare la torre!» esclamo alzando un braccio e puntando il dito verso l’alto.

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Capitolo 72
*** Capitolo 72 ***


L’aria della sera è fresca e sul tetto regna il silenzio. È difficile immaginare che pochi piani sotto i nostri piedi ci sia un’intera fazione in festa.
Nessuno dei miei amici ha fatto domande su come sia entrata in possesso della chiave che apre la porta di metallo che separa questo paradiso di silenzio dal chiasso degli Intrepidi ormai ubriachi fradici. Inutile chiedere quando si conosce già la risposta: sto insieme ad Eric, è logico che sia stato lui a darmela.
«Sei stranamente rilassata e serena» mi dice Christina trattenendomi per un braccio in modo da lasciare andare avanti i ragazzi.
Suona tanto come il preludio di una confessione intima tra amiche. Possibile che i Candidi abbiano un radar anche per queste cose? O forse mi si legge in faccia quello che ho fatto oggi pomeriggio? Sono contenta di non essere davanti a mia madre, a lei non sfugge mai niente, sarebbe perfetta come capo dei Candidi, è uno straordinario segugio per bugie e segreti.
«Sono passata, adesso sono un’Intrepida e la tortura dell’iniziazione è finita. Trovami un nuovo Intrepido che non sia al settimo cielo come me» cerco di giustificarmi, ma Christina stringe gli occhi e arriccia le labbra.
«Tu lo sei in modo sospetto» sentenzia, facendomi quasi venire i brividi. Se i Candidi sono tutti bravi come lei, dovrò evitarli il più possibile visti tutti i miei segreti.
Inclina la testa e mi studia attentamente. Io trattengo il respiro, poi mi ricordo che è il mio segno rivelatore e così espiro lentamente sperando che non se ne accorga. Lei sgrana gli occhi e il mio respiro si ferma di nuovo.
«Tu ed Eric l’avete fatto!» esclama, attirando l’attenzione di Uriah e Will che non sono abbastanza lontani da non sentire quello che ha appena detto. Si avvicinano divertiti. Vorrei che su questo tetto si aprisse una voragine e che mi inghiottisse per poi richiudersi immediatamente.
«Dorme nel suo letto da settimane e ci arrivi solo adesso?» la punzecchia Uriah.
«Dorme» esclama Christina alzando l’indice come farebbe un Erudito che coglie in fallo il suo interlocutore «Dormire insieme è l’unica cosa che hanno fatto. Fino ad oggi» conclude voltandosi verso di me e sorridendo maliziosa.
«Cosa? Non ci credo, non può essere così sfigato!» esclama Uriah scoppiando a ridere.
«Magari ha qualche problemino… sai…» si intromette Will flettendo più volte il dito indice, «così si spiega anche il suo carattere da despota nevrotico e brutale».
«È la stessa cosa che dice sempre mio fratello Zeke. Eric non scopa, per questo è così carogna.»
Uriah starebbe benissimo insieme ad Althea. Sono molto simili, o meglio, lo sarebbero stati se lei lo avesse conosciuto prima di Dill. Era scatenata e irriverente, se avessi dovuto scommettere su quale fazione avrebbe scelto, avrei puntato su Intrepidi, poi è arrivato Dill e si è calmata. Un po’ mi manca la vecchia Althea.
«Forse è meno bestia di quello che vuole farci credere» interviene Christina «ha avuto parecchio tempo per provarci. Se non abbiamo visto Theia volare fuori da una finestra vuol dire che ha accettato di aspettare».
«Brava Chris!» esclamo allungandole la mano per battere il cinque. «Non ha nessun problemino, semplicemente, lui mi rispetta.»
Mi guardano come se fossi matta o ubriaca, non posso biasimarli, io stessa penso che sia un’affermazione assurda.
«Fare pressioni l’avrebbe mandato irrimediabilmente in bianco… è stato furbo credo… tutto qui» correggo un po’ il tiro. Adesso è decisamente più credibile come affermazione.
«In effetti…» replica Uriah sghignazzando «deve tenerti stretta perché nessuna sana di mente se lo prenderebbe».
«Grazie!» esclamo sarcastica.
«Hey, non voglio darti della pazza, ma devi ammettere che Eric non è molto registrato» infierisce Uriah. «Mio fratello ci ha fatto l’iniziazione e, bastardaggine a parte, ha detto che si è sempre comportato in modo strano.»
Lo guardo storto.
«Hey, te lo se scelto tu!» aggiunge.
«Però potevi concederti un po’ prima, ci avresti reso l’iniziazione più facile» si intromette Will.
«Ne dubito. Anche cavalcandolo dalla sera alla mattina, non credo avrebbe fatto differenza, adora troppo comandare» gli faccio notare sospirando.
«Concordo» scherza Uriah «Non c’è rimedio al suo caratteraccio».
«Avete finito di distruggermi il ragazzo? Devo interpretarlo come un atto di codardia, come una resa e quindi scegliere di pagare pegno per esservi tirati indietro? Vi avverto, potrei coinvolgere Eric nella penitenza»
Sono certa che questo è più che sufficiente per farli smettere, e ho ragione, tutti si dirigono verso la torre.
«L’ultimo che arriva in cima dovrà baciare Eric con la lingua!» esclama Uriah aggrappandosi al primo piolo della versione Intrepida di una scala: grossi chiodi che spuntano dal muro.
Inizia la sua scalata ad una velocità impressionante, sembra un ragno, non manca una presa e in pochi secondi sparisce nell’oscurità.
Will è decisamente più lento, afferra saldamente ogni chiodo e ne verifica la resistenza, immagino che nella sua testa stia facendo difficilissimi calcoli da Erudito.
«Com’è stato?» mi domanda Christina tenendo la voce bassa. «È vero che fa malissimo la prima volta?» aggiunge.
«Chi ti dice che è stata la prima volta?»
«Tu, ti si legge in faccia. Ero una Candida, ricordi? Non mi sfugge nulla» risponde facendomi l’occhiolino. «Però la “faccia da prima volta” è facile da riconoscere, non servono i superpoteri dei Candidi» mi rassicura.
Essere una Divergente in una città piena di Candidi inizia a farmi meno paura. In effetti è vero, anche Althea sembrava diversa dopo averlo fatto per la prima volta. Cielo, ho anche io un sorriso ebete stampato in faccia e lo sguardo da overdose di Siero della Pace? Almeno nei Pacifici avrei potuto dare la colpa a quello, qui non c’è niente che mi salvi dall’imbarazzo.
Christina incrocia le braccia ed io capisco che non si muoverà fino a quando non le avrò risposto.
«È stato bello, intenso e… sì, faceva un po’ male all’inizio ma non così tanto come tutti dicono, è sopportabile e poi… non lo so, ad un certo punto mi sono dimenticata del male e dell’agitazione da prima volta… mi sono lasciata andare ed è stato meraviglioso.»
In realtà non ero tanto nervosa, o almeno, non come lo sarei stata se avessi programmato l’intera serata. Non ho lasciato alle mie paranoie il tempo di soggiogarmi e rendere tutto quasi spaventoso.
Almeno adesso sono sicura di una cosa: Eric non ha mentito, quella notte al laghetto non è successo nulla. Siero della Pace o no, è qualcosa di così intenso che niente sarebbe in grado di cancellare. Anche se non ne sono del tutto sicura, in fondo non ricordo proprio nulla di quella notte, però le sensazioni fisiche non possono essere cancellate. È stato bellissimo, ma le mie parti intime sono un po’ indolenzite e, dai racconti di Althea, dovrebbero restare doloranti ancora per qualche giorno.
Christina è sul punto di dire qualcosa quando un urlo la interrompe.
A meno di un metro da noi, qualcosa di scuro cade dall’alto. Non ho il tempo di realizzare cosa sta accadendo, ma il tonfo e i lamenti che lo seguono non lasciano dubbi: qualcuno è caduto dalla torre.
«Will!» urla Christina correndo verso la sagoma scura.
La seguo immediatamente con le gambe che mi tremano dal terrore. Mi torna in mente Al e sento una fitta al cuore. Questa volta è davvero colpa mia, sono stata io a sfidarlo.
«La gamba…» geme Will mettendosi a sedere e premendo una mano sotto il ginocchio sinistro. «Maledizione! Devo essermela rotta!»
È cosciente e si muove, forse non è una cosa grave. Saliva lento, avrà fatto al massimo qualche metro.
«Theia, dobbiamo portarlo in ospedale» urla sconvolta Christina.
Quando sento la parola “ospedale” l’angoscia per quello che è appena accaduto svanisce e viene rimpiazzata da quello che credo potrebbe essere la salvezza di Will e Christina.
Se loro domani saranno in ospedale non potranno far parte dell’esercito di Intrepidi sotto l’effetto del siero della simulazione.
Sarebbe un piano geniale, peccato che non tiene conto del fatto che le loro menti saranno comandate dal computer e che loro cercheranno di eseguire gli ordini.
Will è caduto mentre stava scalando una torre, potrebbe aver battuto la testa e questo giustificherebbe qualsiasi strano comportamento, ma Christina desterebbe parecchi sospetti. Non posso salvarli entrambi. ma almeno avrò messo al sicuro Will.
«Vado a chiamare Eric.»
«Stai scherzando? Quello non aspetta altro. Lo sbatterà fuori» ringhia Christina strattonandomi.
«È un Intrepido, cavolate del genere sono all’ordine del giorno. Dovrebbe sbattere fuori mezza fazione» le rispondo guardandola dritta negli occhi.
«Fidati di me, non lo farà» aggiungo prima di correre via.
Eric mi serve, è bravo a convincere le persone ed io ho bisogno di medici che credano che Will abbia battuto la testa e interpretino l’amnesia come un sintomo talmente preoccupante da giustificare il suo strano comportamento di domani.
Non so come funziona il siero, ma immagino un silenzioso stormo nero avanzare con occhi spenti verso la zona degli Abneganti.
Un corpo senza mente, le labbra serrate e lo sguardo assente, saranno queste le condizioni di Will domani mattina.
Eric è l’unico che sa cosa accadrà domani e come la penso a riguardo, ma soprattutto, avrebbe un tornaconto a salvare almeno Will. Dimostrerebbe che è davvero pentito per aver scelto di seguire gli Eruditi nel loro spietato piano, o meglio, fingerà che sia così quando in realtà lo farà solo per tenermi buona, per non perdermi. Si pentirà, ne sono certa, ma è ancora troppo presto, ha solo bisogno di tempo.

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Capitolo 73
*** Capitolo 73 ***


Will è in ospedale, al sicuro e lontano da questo inferno. Eric non ha fatto storie quando gli ho spiegato il mio piano e la cosa non mi ha fatta sentire più tranquilla come credevo. Un Intrepido ferito è un soldato inutile, secondo la sua logica sarebbe stato più logico eliminarlo, ma lui ha voluto ugualmente seguire il mio piano. È un comportamento troppo sospetto per uno come lui. Mi nasconde qualcosa, ne sono certa, e deve essere qualcosa di orribile.
Un esercito che invade una fazione di persone miti e disarmate è grave, non quanto uccidere noi Divergenti, ma ormai lui è convinto che sia una cosa che ho già superato. Non è così, ma Eric non lo sa. Ho preferito tenerlo per me, affogare nel senso di colpa e nell’angoscia per evitare discussioni ma, quel che è peggio, per crogiolarmi nella stupida speranza di vederlo sbucare da uno dei corridoi, corrermi incontro e scappare con me da questa follia.
Meno di un’ora fa, ho osservato gli Intrepidi sfilare davanti a lui e salire sul treno, ordinatamente, come uno stormo di uccelli. Marciavano davanti a me muovendosi all’unisono, lo stesso piede avanti mentre lo stesso braccio oscilla indietro. Era tutto così surreale, i loro occhi aperti ma vacui, la perfetta sincronia dei movimenti e il ritmo innaturale del loro incedere mi mettevano i brividi. Mi sentivo come in uno scenario della paura, provavo le stesse identiche sensazioni: essere sveglia in un incubo ma purtroppo questa volta è tutto reale.
«I benefici di andare a letto con un capofazione.»
La voce di Peter è più sgradevole del solito, quanto vorrei prenderlo a calci.
«Perché è solo per questo che adesso sei qui» aggiunge, con il suo solito sorrisetto fastidioso.
«Credi quello che vuoi, se ti fa pesare meno la sconfitta» ribatto in tono annoiato.
Peter serra la mascella e mi guarda con odio. Non è da lui incassare il colpo e restare zitto. Capisco che è il massimo che può permettersi senza rischiare di finire nei guai con Eric.
Potrei infierire, sputargli addosso tutto il mio veleno, ma non mi fido di Peter. Non è una testa calda, ma neanche bravo a controllarsi come Eric. È ancora un pericolo per me, quindi mi conviene seguire i consigli di Eric e restarmene buona.
Con passo lento, mi dirigo verso il centro di controllo continuando a fissare Peter con la coda dell’occhio, ma lui non fa una piega, se ne resta immobile con il suo sorrisetto del cavolo stampato in faccia. Può sorridere quanto gli pare, prima o poi la vita gli presenterà il conto e, se non sarà lei a farlo, sarò lieta di offrirmi volontaria.
Guardo all’interno della sala, la parete di fronte a me è completamente ricoperta di schermi quadrati, di trenta centimetri per lato. Ce ne sono decine, e ognuno mostra una parte diversa della città. La Recinzione. Il Centro. Le strade del quartiere degli Abneganti, ora piene di soldati Intrepidi che marciano tutti allo stesso ritmo, gli unici a non essere ipnotizzati sono gli ufficiali che restano fermi a guardare il loro silenzioso esercito controllato dal computer che si trova in questa sala.
Lo stormo nero inizia a dividersi mantenendo però un ordine innaturale. Capisco che il programma non si limita a dare poche e semplici istruzioni a tutto l’esercito, ma controlla ogni singolo individuo dando ordini diversi a ognuno. È scioccante quello che sono riusciti a creare gli Eruditi. Tremo al pensiero di cosa potrebbero fare migliorando ulteriormente il siero e lo somministrassero a tutta la popolazione. La città sarebbe piena di sonnambuli che servono diligentemente i pochi eletti, probabilmente Eruditi, rimasti svegli. Che senso avrebbe vivere in mezzo a decerebrati? Possibile che la smania di potere li abbia resi folli? Tutto questo va oltre il peggiore degli incubi.
Una soldatessa costringe un uomo vestito di grigio a inginocchiarsi. Riconosco l’uomo, l’ho visto parecchie volte parlottare con Johanna e so che è un membro del consiglio. La donna estrae la pistola dalla fondina e con occhi vitrei gli spara un colpo alla nuca.
La soldatessa ha ciocche grigie tra i capelli. È Tori. Mi si contorce lo stomaco.
Su un altro schermo vedo una scena simile, un altro soldato Intrepido che spara ad un Abnegante e a pochi passi da lui, alcuni Abneganti adulti vengono spinti insieme ai bambini verso un palazzo piantonato da uno stuolo di soldati vestiti di nero.
È il caos. Mi gira la testa e sento lo stomaco rivoltarsi. Li stanno uccidendo. Eric mi aveva detto che nessuno si sarebbe fatto male se non ci fosse stata ribellione, ma l’uomo che Tori è stata costretta ad uccidere non stava facendo nulla, era immobile e impietrito davanti all’esercito nero che stava invadendo la sua fazione.
Mi ha mentito, sono una stupida, dovevo aspettarmelo da uno come lui. Come pensava di nascondermi queste atrocità? Non posso credere che davvero sperasse che io non venissi a conoscenza di un massacro.
Stupidamente mi metto a cercarlo tra le macchie nere e quelle grigie, passando velocemente in rassegna tutti gli schermi fino a quando non lo vedo comparire in uno di essi.
È insieme a una donna magra con i capelli scuri, davanti a loro ci sono Quattro e Tris, ipnotizzati come gli altri Intrepidi. Come è possibile se i Divergenti resistono agli effetti del siero? Non posso essermi sbagliata e poi li ho sentiti parlare, Quattro aveva capito che Tris è una Divergente e credo che lui abbia più esperienza di me, non possiamo esserci sbagliati in due.
Eric si avvicina a Quattro e sorride soddisfatto. Vedo le sue labbra muoversi e vorrei sapere cosa gli sta dicendo, anche se non è difficile immaginarlo. Quattro l’ha battuto, secondo la mente contorta di Eric l’ha umiliato e adesso probabilmente vorrà prendersi la sua rivincita.
Tira fuori la pistola e la punta alla tempia di Quattro. Mi si gela il sangue. Non può sparare, distruggerebbe tutto. Eric mi ha messa a piantonare la sala di controllo e sa quanto sono curiosa. È consapevole che molto probabilmente io lo sto osservando.
Non sparerà. Sento una voce mormorare dentro di me. In questo momento Eric sta combattendo una battaglia interiore, ne sono convinta. La tentazione di eliminare Quattro credo sia fortissima, lo desidera più intensamente di qualsiasi cosa abbia mai desiderato nella sua vita.
Eric odia a morte Quattro, non mi faccio illusioni, aspetta questo momento da quando era un iniziato e sono sicura che ha fantasticato molto su cosa avrebbe detto e fatto prima di ucciderlo, ma adesso le cose sono cambiate, o almeno lo spero. Adesso ci sono io. Cos’è più importante, la sua mente o il suo cuore?
Se uccidesse Quattro, io non glielo perdonerei mai e quindi in questo momento si trova davanti a una scelta: eliminare il suo rivale e perdermi. oppure superare, o almeno ignorare, questa sua ossessione e dimostrarmi che sta davvero cambiando.
Quale decisione prenderà? Non ho il tempo di rispondermi.
Vedo Tris estrarre la pistola e premere la canna contro la fronte di Eric. Lui strabuzza gli occhi, con un’espressione stolida sul viso, e per un attimo sembra solo un altro dei soldati in trance.
Mi premo una mano sulla bocca per soffocare un grido che velocemente sta risalendo la mia gola e mi aggrappo alla porta per non crollare a terra. In pochi secondi i miei pensieri cambiano radicalmente.
L’orrore di vederlo compiere l’azione più stupida della sua vita si trasforma nel terrore di perderlo per sempre.
Tris avrebbe tutte le ragioni per ucciderlo, Eric non è mai stato tenero con lei, non l’ha appesa a una passerella come ha fatto con Chris, ma se n’è fregato quando Peter e i suoi complici hanno cercato di ucciderla.
Vorrei poter dire che io non lo farei, ma se mi trovassi nella stessa situazione con Peter, premerei il grilletto senza esitare.
L’unica cosa che mi trattiene dal crollare a terra in lacrime è la consapevolezza che io non sono Tris. Ho più cose in comune con Eric che con lei. Porto rancore e mi infiammo facilmente, questo mi porta ad agire in modo impulsivo e finire col prendere sempre la decisione sbagliata. Tris non è così, è più altruista e saggia, non permette al rancore di soggiogarla, resta lucida e riesce a domare la rabbia.
La vedo abbassare velocemente l’arma e sparare al piede di Eric. Lui grida afferrandosi il piede con entrambe le mani. In quel momento Quattro estrae di scatto la pistola e spara alla gamba della donna che era con Eric.
Mentre osservo Tris e Quattro scappare, mi lascio cadere sulle ginocchia. Eric è ferito ma è salvo.
«Abbiamo due feriti nel settore B3» esclama una delle guardie del centro di controllo indicando lo schermo.
«Capofazione ferito da ribelli Divergenti in B3» ripete un’altra guardia stringendo tra le mani una ricetrasmittente.
«Localizzati» gracchia la ricetrasmittente «verranno immediatamente trasportati alla base. Ribelli Divergenti individuati e catturati. Li portiamo…».
Non aspetto di sentire la fine della conversazione, mi alzo e corro verso gli ascensori. Peter mi si para davanti ma io lo spingo via. Stanno portando qui Eric ferito, non mi importa né del piano degli Eruditi né delle conseguenze della mia ennesima decisione dettata dall’impeto del momento; voglio essere in infermeria quando Eric arriverà.

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Capitolo 74
*** Capitolo 74 ***


Osservo in silenzio l’infermiera medicare la ferita al piede di Eric. Non è grave, Tris l’ha preso di striscio procurandogli solo una ferita nella parte esterna del piede, a pochi centimetri dal mignolo. Non riesco a non domandarmi se sia stato un caso o Tris l’abbia fatto di proposito. È diventata brava con le armi e avrebbe potuto fargli saltare via almeno tre dita mirando alla punta dello stivale.
L’ho odiata. Mentre aspettavo Eric, l’ho odiata per avergli sparato e avrei voluto andarla a cercare e farle la stessa cosa che lei ha fatto al mio ragazzo. Avrei commesso l’ennesimo errore, perché dopo aver visto la ferita di Eric ho capito che lei voleva solo metterlo fuori gioco per poter scappare e ha cercato di farlo con il minore danno possibile. Purtroppo non riesco ancora a capire perché non ha approfittato della situazione per vendicarsi, perché l’ha graziato dopo tutto quello che le ha fatto passare durante l’iniziazione.
«Non deve camminare almeno per qualche giorno o i punti salteranno» dice l’infermiera voltandosi verso di me. «La pomata va applicata ogni otto ore, la ferita disinfettata una volta al giorno» aggiunge, porgendomi una busta con dentro bende, garze e un tubetto azzurro. Dopodiché si dirige velocemente in fondo alla sala per controllare lo stato di salute della donna che era insieme a Eric e che ora sta fissando il soffitto con aria annoiata mentre giocherella con il bordo della fasciatura.
Quando è arrivata era pallida come un lenzuolo ma calma e incredibilmente silenziosa per una che si è presa una pallottola nella gamba. Lo stoicismo degli Intrepidi è lodevole, ma non fa proprio per me. Io sono quel tipo di persona che sarebbe arrivata qui priva di sensi oppure gridando per il dolore.
«Cosa ci fai qui?» mi domanda Eric con voce così calma da farmi presagire una delle sue solite ramanzine.
«Ho visto sul monitor quello che è successo e sono corsa subito qui» rispondo ingenuamente.
«Non avresti dovuto abbandonare la tua posizione» mi rimprovera Eric, «ma cosa te lo dico a fare, tanto tu fai sempre quello che vuoi» aggiunge sbuffando.
«Oh, scusa tanto se mi sono preoccupata per te.»
Lo abbraccio e sfioro la sua guancia con le labbra.
«Avevi detto nessuna vittima» gli sussurro all’orecchio.
Lo sento sospirare, vorrei vedere la sua espressione, ma allontanare le mie labbra dal suo orecchio vorrebbe dire concludere la nostra conversazione e dargli modo di rimandarla a quando gli sarà più comodo. Non intendo dargli tempo per inventare una buona scusa da rifilarmi.
«I capi dovevano essere eliminati, erano gli ordini… mi dispiace» mormora massaggiandomi la schiena, «mi dispiace, perdonami» aggiunge mentre mi stringe a sé.
«Di questo avremo modo di discutere quando saremo soli…. e anche di quello che stavi per fare a Quattro» gli dico e, come al solito, mi lascio soggiogare dal suo fascino.
Vorrei non essere così tanto innamorata di lui da lasciarmi intenerire così facilmente.
Eric cerca di replicare, ma io appoggio l’indice sulle sue labbra per zittirlo e gli sorrido.
La tizia che era con lui ci sta fissando ed io non mi fido di lei. Fingermi una fidanzata preoccupata è la cosa migliore da fare per non destare troppi sospetti.
«Quattro» esclamo alzando leggermente la voce, «non mi sarai mai aspettata che fosse un ribelle Divergente».
«Non credo sia un Divergente» dice Eric con una punta di amarezza.
Lo capisco, sarebbe stato più sopportabile sapere che gli strepitosi risultati di Quattro erano dovuti alla sua Divergenza.
«Soddisfaceva i requisiti in tutto: risultati del test, simulazioni durante l’iniziazione… la mia teoria è che in realtà lui sia un Abnegante. La sua Divergenza è molto debole» mi spiega.
«Ho sentito che sia lui che Tris sono stati catturati, gli Eruditi intendono studiarli per migliorare il siero?» gli domando, anche se so già la risposta.
Se il siero non ha funzionato, dovrà essere migliorato e loro sono due cavie perfette.
«Tris era troppo ferita per essere utile così Jeanine ha deciso di farla giustiziare, ma è riuscita a fuggire e a far perdere le sue tracce. Quattro ha reagito bene al nuovo siero e adesso è uno dei nostri soldati.»
Gli sorrido compiaciuta e lo stringo di nuovo. La mia domanda potrebbe apparire sospetta e quindi preferisco che l’Intrepida che ci sta osservando pensi che io sia in vena di smancerie.
«C’è un’altra versione del siero?» gli domando accarezzando la sua guancia con la mia.
«Sì. Jeanine non accettava l’idea che i Divergenti fossero immuni al suo siero, per cui ha lavorato per rimediarvi ed è riuscita a sviluppare un nuovo tipo di siero a cui i Divergenti non sono refrattari.»
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia per poi riportare le sue labbra vicino al mio orecchio.
«Jeanine può già controllare quello che vedono e sentono, così per manipolare la loro volontà ha creato un nuovo siero che altera la percezione di quello che li circonda» mi spiega «ma il vantaggio di questa versione della simulazione è che le persone potranno agire in modo indipendente e questo li rende molto più efficienti di soldati privi di volontà».
Mi si gela il sangue. Credevo di aver assistito al peggio che Jeanine potesse fare all’umanità, ma lei è riuscita ad andare oltre al più terribile degli incubi.
Se quel siero funziona efficacemente su tutti, lei avrà il controllo totale della mente di chiunque non dimostri di esserle fedele, ma dubito che vorrà rischiare possibili voltafaccia e tradimenti. Probabilmente, molto presto, tutti saremo sotto l’effetto del siero. Eric non è stupido, sarà arrivato alla mia stessa conclusione e non credo vorrà passare la sua vita come un sonnambulo.
«Quali sono i suoi veri piani?» gli domando.
Ho bisogno di sapere tutto quello che sa lui per pensare a un piano. Sicuramente Eric ne ha già uno, ma preferisco avere più scelte, prevedo che ci saranno molte cose che andranno storte e, presto o tardi, Jeanine scoprirà come stanno veramente le cose.
«Ricchezza e prosperità» risponde scandendo bene ogni sillaba «gli Abneganti rappresentano un salasso per le nostre risorse, quindi verranno assorbiti nell’esercito degli Intrepidi. I Candidi e i Pacifici collaboreranno o faranno la stessa fine».
È questo il suo piano, vuole che tutti siano compiacenti e facili da comandare.
Gli Abneganti erano un ostacolo al suo desiderio di potere, così ha trovato un modo per eliminarli. Non aveva un esercito, e ne ha trovato uno negli Intrepidi. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di controllare un gran numero di persone per poter agire in tranquillità, quindi ha sviluppato i sieri e i trasmettitori. Per lei la Divergenza è solo un altro nodo da sciogliere, ed è questo che fa paura; perché è abbastanza intelligente da risolvere qualunque problema, persino quello della nostra esistenza.
«Vuole tenerci tutti sotto l’effetto del Siero?» domando cercando di nascondere come posso il disgusto che mi provoca la visione di una città piena di persone private completamente della loro volontà.
«Non tutti, chi dimostrerà di esserle fedele potrà godere degli agi che il nuovo governo porterà.»
«Tu vivresti davvero in un posto dove tutti sono ipnotizzati?»
«No, ma sono stanco di essere dominato da un manipolo di idioti moralisti che rifiutano la ricchezza e il progresso.»
Sto per ribattere che, tra tiranni che ci rendono schiavi con i loro sieri e ottusi moralisti che, sì forse ci negano progresso e ricchezza, ma ci lasciano liberi di vivere e di pensare con la nostra testa, io preferisco i secondi, ma vengo preceduta dal cigolio della porta che si apre e dalle due figure che entrano nell’infermeria.
Jeanine, avvolta nel suo abito azzurro, cammina lentamente verso di noi seguita da quello scarafaggio di Peter. Il suo sguardo non tradisce nessuna emozione, invece Peter mi sorride in maniera beffarda fissandomi dritta negli occhi.
Guai, grossi guai. Mormora una voce dentro di me.
Non è la mia solita paranoia, qualcosa è andato storto ed Eric non sarà più in grado di proteggere me e se stesso, lo capisco dal sorriso di Peter. Sta assaporando la vittoria e, se lui ha vinto, io ho perso. Non so come, ma quel bastardo è riuscito ad incastrarmi.

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Capitolo 75
*** Capitolo 75 ***


«Come puoi vedere con i tuoi occhi, non mi sono sbagliato» esclama Peter rivolgendosi a Jeanine.
Vorrei ribattere, ma non so cosa dire. Mi ha incastrata, ne sono certa, le ha detto che sono una Divergente, ma come ha fatto?
Potrebbe aver mentito, lui ne sarebbe capace, ma Jeanine non si accontenta di chiacchiere, vuole prove certe. Affermare che sono una Divergente è la sua parola contro la mia ma, soprattutto, contro quella di Eric. Le uniche prove potrebbero essere il test attitudinale e le registrazioni delle simulazioni. Per entrambe le cose non ha niente in mano per accusarmi, il test è stato cancellato da Tori e le simulazioni da Eric.
Non ci sono altri modi per dimostrare la mia Divergenza, solo supposizioni e Jeanine è una scienziata, la sua mente logica ha bisogno di prove concrete. È questo il paradosso di chi è un genio come lei, l’ossessione per il vero spinge la sua mente verso l’ottusità.
Resto in silenzio. Potrebbe essere un bluff per farmi sentire in trappola e sperare che sia io stessa a tradirmi dicendo o facendo qualcosa di sbagliato.
«A quanto pare stai perdendo colpi» dice Jeanine fissando Eric. «Devo ammetterlo, sei molto astuta» aggiunge spostando il suo sguardo su di me.
Devo restare calma, mi sta provocando e studiando. Ogni movimento e cambio di espressione potrebbe costarmi la vita.
«Eric era un pericolo per quelli come te. Sapevi che non gli saresti sfuggita a lungo e così lo hai sedotto rendendolo innocuo.»
Mi sorride, ma non in modo malvagio, è come se in qualche modo fosse quasi fiera di me, ma allo stesso tempo, anche amareggiata. Credo che sia la sua mente logica a costringerla a sorridermi in quel modo. Come un computer ha esaminato quello che crede sia il mio piano e l’ha trovato valido e geniale. Se non fossi una Divergente entrerei nella sua ristretta cerchia di fidati aguzzini. So che è un pensiero assurdo, ma sono certa che il suo cervello ritenga che la mia morte sia un grosso spreco.
«Eric, tu invece mi hai profondamente delusa» dice rivolgendosi a lui, «ti avevo messo in guardia dalle insidie della debolezza umana, credevo avessi imparato a non lasciarti coinvolgere da sciocchi sentimenti romantici, ma a quanto pare mi sbagliavo».
«Lei non è una Divergente» esclama Eric con voce calma.
So che non è affatto calmo, come me, anche lui ha capito che questa è una trappola e sta cercando di prendere tempo. Scoprire cosa sanno è l’unico modo per evitare di fare passi falsi.
Mi sto illudendo. Se Jeanine mi sta accusando vuol dire che ha trovato abbastanza prove per farlo e quindi non c’è più niente da fare, almeno per quanto mi riguarda, forse Eric può ancora salvarsi ma dovrà sacrificare me.
«Allora perché è ancora sveglia?» si intromette Peter.
«Perché le ho iniettato fisiologica come ho fatto con te» risponde restando calmo. Per la prima volta, la sua freddezza non mi spaventa.
«È qui che ti sbagli» esclama Peter come se aspettasse questo momento da tutta la vita.
Eric si alza in piedi e fa un passo verso Jeanine. La fissa dritta negli occhi in attesa di una spiegazione.
«Peter ha notato sin dal primo giorno dell’iniziazione strani comportamenti da parte di Theia. All’inizio pensava fossero dovuti al radicale cambio di vita, ma andando avanti sembravano aumentare invece di diminuire. Durante il secondo modulo le sue stranezze sono diventate sospette e così è venuto a riferirmi i suoi timori.»
Si è vendicato di quello che gli ha fatto Eric quando quel bastardo senza palle mi ha aggredita al fiume sotterraneo. Questa non è una trappola per me, è per tutti e due, vuole liberarsi della Pacifica scomoda e del capofazione che lo ha minacciato.
Verme schifoso, Eric avrebbe dovuto ucciderlo.
«Abbiamo deciso di tenerti d’occhio» continua «per tutto il secondo modulo Peter raccoglieva informazioni e io le studiavo attentamente insieme al tuo passato»
Ha cercato informazioni su di me, perché perdere tempo ad analizzare la mia vita quando le sarebbe bastato farmi uccidere? Forse l’ha fatto… quella sera Peter non voleva uccidermi per un suo insano desiderio di vendetta, ma stava eseguendo degli ordini precisi. Quando Eric è intervenuto ha mandato all’aria il piano e, probabilmente, ha firmato la sua condanna a morte. Jeanine l’ha inserito nella sua lista nera e adesso è arrivato il momento di cancellare i nostri due nomi.
«Non siamo riusciti ad arrivare a niente purtroppo. Non c’erano prove, sei stata molto brava a farle sparire» continua Jeanine, lanciando una veloce occhiata a Eric.
«Eric ormai era diventato inutile, ma Peter è un valido sostituto. È stata sua l’idea di scambiare la scatola che conteneva la soluzione fisiologica in modo da far somministrare a Theia il vero siero.»
Ci hanno scoperti, siamo morti. Devo fare qualcosa, per me è finita ma posso ancora salvare Eric.
Jeanine non sa che lui mi copriva, crede semplicemente che l’amore l’abbia reso cieco a tal punto da non capire che io sono una Divergente. Se gioco bene le mie carte, posso farlo accusare di stupidità e non di tradimento e lui sarebbe salvo.
«Mi dispiace, era l’unico modo per sopravvivere» gli dico con voce fredda, come se non mi importasse niente di lui, come se lo avessi usato come afferma Jeanine.
Prego che sia abbastanza furbo da cogliere al volo l’opportunità di salvarsi e non decida di dimostrarmi, per la prima volta e nel momento sbagliato, il suo amore.
Lui resta immobile, vedo i suoi muscoli tendersi e vibrare come se fossero percorsi da scariche elettriche. I suoi occhi guardano un punto fisso sul pavimento, sembra perso, deluso.
Quale Eric è in piedi davanti a me? Il crudele capofazione con gli occhi di ghiaccio che vive solo per se stesso oppure il ragazzo gentile con gli occhi limpidi che si è preso cura di me?
Siamo nel suo scenario della paura, lui ha in mano una pistola e deve decidere se uccidermi e salvarsi oppure morire con me.
Ti prego, spara a me. Lo imploro nella mia mente.
Eric scatta verso di me e mi colpisce al volto con il dorso della mano e, anche se il colpo non è stato violento, io mi lascio cadere a terra.
«Lurida cagna!» urla furioso. «Come hai osato prenderti gioco di me in questo modo!»
Il suo corpo vibra di rabbia e il suo sguardo non è mai stato così feroce.
Mi prende per i capelli e mi trascina verso la porta.
«Dove la stai portando?» domanda Jeanine con voce piatta.
È infastidita ma non si scompone, rimane calma e distaccata. Mi fa venire i brividi, sembra davvero un computer con sembianze umane. Tutte le persone presenti in infermeria sono scattate in piedi come molle quando lui mi ha colpita, solo Jeanine è rimasta a osservare la scena, impassibile.
«Fuori. Trovati un’altra cavia per i tuoi esperimenti, lei merita di pagare caro quello che mi ha fatto» ringhia colpendomi al fianco con un calcio.
«Mi divertirò parecchio con te prima di porre fine alla tua miserabile esistenza» aggiunge, guardandomi con talmente tanto odio che per un attimo penso di essermi sbagliata e che davvero mi torturerà e poi mi ucciderà.
«Andate con lui» ordina Jeanine lanciando un’occhiata a Peter e all’Intrepida con la ferita alla gamba.
Entrambi eseguono gli ordini senza battere ciglio e ci raggiungono davanti alla porta dell’infermeria.
Eric mi strattona il braccio per farmi alzare e mi trascina fuori sotto lo sguardo attento di Jeanine.
La porta si chiude alle nostre spalle. Jeanine non ci ha seguiti, è un buon segno, vuol dire che lo spettacolo di Eric ha funzionato. Crede che lui sia una mia vittima, anche se non sono del tutto convinta che ci sia davvero cascata. Jeanine non può essere davvero così ingenua da fidarsi ancora di Eric.
«No. Tu vai al centro di controllo. Non mi fido di Quattro, ci ha già fregati una volta» ordina a Peter.
«Quattro è a posto, Jeanine ha detto…» cerca di controbattere Peter, ma Eric lo interrompe.
«Ha detto la stessa cosa con il primo siero e guarda com’è finita» esclama indicandomi.
Peter cerca di replicare ma Eric lo anticipa.
«Sono ancora io quello che comanda qui. Muoviti!» ordina perentorio.
Peter sbuffa e si incammina verso la scala che porta al centro di controllo. A quanto pare Eric incute ancora timore e il fatto che Jeanine non ci abbia seguiti ha convinto Peter che lui è ancora il nostro capo.
«Dove?» domanda l’Intrepida che era con noi in infermeria.
Inizia a darmi sui nervi. So che non è il momento per assurde gelosie, ma in un angolo della mia mente una voce mi sussurra che lei sarebbe perfetta per sostituirmi.
Non le credo. Lei non è formosa e attraente come ho sempre immaginato potesse essere la possibile ragazza di Eric. È esile quasi quanto me e il suo modo di muoversi non è per niente femminile. Se non avesse un accenno di seno e una voce squillante potrebbe essere benissimo scambiata per un ragazzo.
«Sul tetto» risponde Eric con uno dei suoi sorrisi inquietanti.

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Capitolo 76
*** Capitolo 76 ***


Questo tetto è stato testimone di molti avvenimenti importanti per me da quando mi sono trasferita negli Intrepidi. La prima volta che sono stata a casa di Eric dopo che lui mi aveva salvata da Peter, le tante serate che abbiamo passato a guardare le stelle in silenzio durante i traumatici giorni del secondo modulo, la prima volta che ho dormito insieme ad Eric, sulla torre a una ventina di metri da dove mi trovo ora. La torre è il luogo più carico di emozioni per me, è lì che mi sono nascosta quando ho creduto che lui mi stesse semplicemente usando ed è lì che Eric mi ha raggiunta e, per la prima volta, mi ha parlato del suo passato, del nostro passato.
Bambina degli scoiattoli. È stato quel soprannome che mi ha spinta a fidarmi di lui, che mi ha convinta che provasse davvero qualcosa per me. Eravamo ai livelli inferiori, era passato così tanto tempo che mi ero completamente dimenticata del bambino Erudito che giocava insieme a me con gli scoiattoli, ma lui se lo ricordava bene e questo va molto oltre la buona memoria o l’ossessione per i Divergenti. Ricordava Theia bambina e Theia ragazzina quando, nelle nostre menti, la Divergenza era solo un concetto astratto. Eric era attratto da Theia e non dalla Divergente.
Questo tetto e la sua torre sono stati il mio rifugio, il mio porto quiete, un piccolo pezzetto di paradiso sopra alle oscure sale della residenza che mi ha dato un po’ di pace dai tormenti dell’iniziazione. Mi sono capitate solo cose belle su questo tetto, mi domando se la fortunata serie continuerà o si interromperà qui, per sempre.
Avanziamo fino al parapetto, sotto di noi c’è un baratro di una trentina di metri e poi l’asfalto della strada dove, il giorno della Cerimonia della Scelta, un’iniziata ha trovato la morte quando siamo saltati giù dal treno.
«Fai in fretta, mi fa male la gamba» esclama l’Intrepida in tono seccato.
«Vattene, se hai tanta fretta. La traditrice non merita una morte rapida» Eric mi spinge a terra e aggiunge: «Voglio sentirla gridare e implorare pietà prima di ucciderla».
L’Intrepida, sempre più seccata, estrae la pistola. Temo che questo Eric non l’ha calcolato nel suo piano, se davvero ne ha uno.
«Fallo e ti buco l’altra gamba» ringhia con un tono di voce che fa sembrare gentile quello che usava con noi quando ci dimostravamo troppo indisciplinati per i suoi gusti.
«Non vedo perché dobbiamo perdere tanto tempo a far fuori questa scema» si lamenta lei.
Inizia a darmi sui nervi, le sparerei io stessa alla gamba sana se solo Eric non mi avesse tolto la pistola.
«Ti ho detto che sei libera di andartene» replica Eric.
«Non sono gli ordini di Jeanine. Lei è il mio capo.»
Guardo Eric avvampare dalla rabbia, l’Intrepida lo ha appena rinnegato come capo.
Non è una semplice insubordinazione, per Eric è un tradimento. So cosa sta pensando, l’affermazione dell’Intrepida ha messo in dubbio la posizione che ha faticosamente cercato di guadagnarsi in tutti questi anni, gli ha ricordato che sarà sempre secondo a qualcuno.
Eric sapeva che il capo supremo sarebbe stato uno solo, Jeanine, ma credeva che gli avrebbe lasciato la libertà di guidare gli Intrepidi. Non so come abbia fatto a sperarci pur sapendo i piani di Jeanine. Quando ho scoperto dell’ultima versione del siero e di come lo avrebbe usato, ho capito che in pochi sarebbero rimasti svegli. Eric non sarebbe stato tra questi, la sua tendenza all’abuso di potere è un rischio che Jeanine non avrebbe mai accettato di correre.
«È il capo di tutti noi» dice con voce calma, «e lei ha assegnato a me l’incarico di gestire voi teste calde. Quindi sono ancora il tuo capo» aggiunge con uno dei suoi sorrisi malvagi.
L’Intrepida ripone la pistola e si incammina sbuffando verso le scale. Se è un bluff lei ci è cascata e ha dimostrato la stupidità degli Intrepidi.
«Un’altra cosa» esclama Eric.
L’Intrepida si ferma all’istante, come se con quelle parole Eric avesse fatto scattare l'interruttore nella sua testa che ordina al suo corpo di fermarsi. Fantastico sull’esistenza di un siero segreto che si attiva con la voce di Eric fino quando vedo lo sguardo seccato della donna.
«Che accidenti vuoi adesso?» domanda, voltandosi verso di noi.
In un attimo, la sua espressione passa dalla noia allo sbigottimento. Non ho il tempo di capirne il motivo. Sento un forte scoppio e vedo apparire nel centro della sua fronte un cerchio rosso scuro. Non riesco a realizzare cosa sta accadendo fino a quando l’Intrepida non crolla a terra con gli occhi sbarrati. L’ha uccisa a sangue freddo.
Eric si avvicina al corpo esanime dell’Intrepida e ricomincia a sparare. Sangue, brandelli di carne e ossa schizzano in aria dalla sua testa, dal torace, dalle gambe.
Non voglio vedere, non ce la faccio, è troppo…la sta crivellando di colpi… perché tanta violenza? Eric è davvero un mostro come tutti dicono? Non ce la faccio a rispondermi, è troppo, la mia mente non riesce a sopportarlo.
Intorno a me tutto comincia a girare e poi a diventare sempre più scuro fino a svanire inghiottito dal buio e dal silenzio.
«Theia! Svegliati!»
Apro gli occhi ed Eric è chinato su di me e mi circonda le spalle per sorreggermi. Nell’aria c’è un forte odore di polvere da sparo e di sangue. Cerco di non pensare a quello che è appena accaduto o sverrò di nuovo.
«Perché… perché l’hai uccisa?» balbetto.
«Non ci sei ancora arrivata? Mi serve una prova da portare a Jeanine» risponde Eric mentre mi aiuta ad alzarmi.
Mi aggrappo a lui, le gambe mi tremano e la mia testa ricomincia a girare.
«Tu e lei siete simili, stesso colore di capelli, corporatura e altezza» aggiunge indicando il corpo martoriato dell’Intrepida a pochi metri da noi.
Non la guardo, non voglio vedere come l’ha ridotta, è troppo per il mio stomaco e per la mia mente. Bastava rendere irriconoscibile il suo volto, ma Eric ha continuato a colpirla in tutto il corpo, fino a vuotare il caricatore.
«Perché ti sei accanito in quel modo? Colpirla al viso era sufficiente.»
«E i tatuaggi che aveva sulle braccia? Il piercing all’ombelico e la ferita alla gamba? Dovevo farli sparire e svuotarle addosso due caricatori era il modo perfetto» dice prendendomi il viso tra le mani.
Sul suo volto non c’è più traccia dell’Eric malvagio, è tornato ad essere il mio Eric ed è spaventato quasi quanto me. Non l’ha ridotta in quel modo perché è un deviato, l’ha fatto per salvarmi.
«Ho fatto quella scenata davanti a Jeanine proprio per questo motivo, dovevo farle credere di essere infuriato per giustificare tanta brutalità» mi spiega.
Gli credo, i suoi occhi non mentono e so, dentro di me, che massacrarla non le ha provocato nessun piacere malato. È stata sopravvivenza.
Quindi era questo il suo piano sin dall’inizio. Come ho fatto a non capirlo subito?
Sapevo che in qualche modo si sarebbe liberato di lei, ma non ho pensato a quello che sarebbe accaduto dopo. Speravo che lui decidesse di fuggire via insieme a me per nasconderci da qualche parte ma, a quanto pare, potrebbe non essere così, se ha bisogno di un cadavere come prova, vuol dire che Eric non ha nessuna intenzione di abbandonare Jeanine e il suo folle piano.
«Quindi ora cosa succede?» gli domando, anche se conosco già la risposta.
È un addio. Ognuno per i fatti suoi, mi ha salvata ma per lui non sono abbastanza importante. Non valgo quanto il potere e gli agi che gli porterà essere tra i capi del nuovo Governo.
«Tra pochi minuti passerà il treno. Tu lo prenderai e tornerai a casa, ci penseranno i Pacifici a nasconderti…»
«Quindi è un addio» lo interrompo cercando inutilmente di trattenere le lacrime.
«No. Quando si saranno calmate le acque verrò a trovarti. Non ti preoccupare, troveremo il modo di stare…» si affretta a rispondere, ma io lo interrompo di nuovo.
«No!» grido. «Non voglio vederti una volta alla settimana o al mese! Per quanto poi? Quanto credi che durerà? Quanto ci metterai a stancarti?»
So che finirà così. Lo aspetterò per settimane o forse mesi e poi lo vedrò ogni tanto.
All’inizio verrà da me ogni volta che potrà ma poi, col passare del tempo, inizierà a farsi vedere sempre meno fino a quando, un giorno, deciderà che è troppo complicato portare avanti una relazione che non ha futuro e mi lascerà.
Non voglio passare le mie giornate ad aspettare le sue visite, ossessionandomi su cosa starà facendo quando non sarà insieme a me. È un’agonia che non voglio affrontare. Fa male, ma per il mio bene devo chiudere con lui adesso. Soffrirò, ma alla fine passerà e sarò libera di ricominciare a vivere anche se adesso mi sembra una cosa impossibile.
«Non mi stancherò, staremo insieme, te lo prometto. Ma dovremo avere pazienza, sarà dura, ma non abbiamo altra scelta.»
Si sbaglia, c’è un’altra scelta, ma farà più male a lui che a me: scappare con me.
«Sì che l’abbiamo» esordisco «Puoi scegliere di restare qui e avere tutto quello che hai sempre sognato, ma io non ci sarò. Tornerò nei Pacifici e inizierò una nuova vita senza di te.»
Cerco di farmi forza, non devo cedere alla voce che mi dice di accettare un compromesso.
«Oppure, puoi scegliere di venire via con me e abbandonare Jeanine e il suo nuovo glorioso Governo. Saremo due fantasmi nel sistema delle fazioni, ma saremo insieme, per sempre. A te la scelta.»
Qualunque sarà la sua risposta mi aiuterà a rendere tutto più facile.
Se deciderà di lasciarmi andare saprò che non vale la pena rovinarsi la vita per un ragazzo che rinuncia all’amore per seguire ideali corrotti e vivere negli agi derivati da una posizione di potere. Se mi seguirà saprò che mi ama davvero perché rinuncerà a tutto quello che ha desiderato per tutta la vita solo per non perdermi.
Guardo Eric. È immobile come una statua, la bocca aperta e gli occhi fissi nel vuoto.
Se potessi leggere nel pensiero, troverei il caos nella sua mente.
Paura, incertezza, sbigottimento e disperazione si susseguono sul suo volto. Non posso biasimarlo, gli sto chiedendo di prendere una decisione che cambierà radicalmente il suo futuro e non gli sto dando nessuna certezza di un lieto fine.
Non è stupido, sa che ciò che proviamo l’una per l’altro può rivelarsi effimero e si ritroverebbe da solo contro il nuovo sistema e Jeanine non è una che molla, gli farà pagare caro il suo tradimento.
La sua mente gli sta dicendo di scegliere la sicurezza, ma il suo cuore combatte per me e lo spinge a riflettere sulla frase che ha detto l’Intrepida prima di venire uccisa: Jeanine è il capo e quindi lui è sacrificabile.
Eric sa di averla tradita e inizia a temere che lei l’abbia già intuito. Forse non lo ucciderà, ma quasi sicuramente finirebbe tra gli ipnotizzati.
Qualsiasi sia la sua scelta, non ci sono certezze, l’unica cosa che può fare è decidere come vuole vivere: da fuggiasco o da sonnambulo.
«Ok, andiamo» dice afferrandomi per un braccio.
Sfuggo alla sua presa, faccio qualche passo indietro e incrocio le braccia. Lo guardo dritto negli occhi restando immobile.
«Scelgo te» esclama stringendomi tra le sue braccia. «Adesso andiamo, non abbiamo più molto tempo e…»
Eric viene interrotto da una raffica di forti scoppi che provengono da sotto di noi. Qualcuno sta sparando all’interno dell’edificio, qualcosa deve essere andato storto.
«Cosa sta succedendo?» gli domando spaventata.
«Non lo so e non me ne frega niente. Dobbiamo andarcene via da qui.»

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Capitolo 77
*** Capitolo 77 ***


Il frastuono di spari e grida si è interrotto bruscamente appena abbiamo abbandonato il tetto, adesso c’è solo il rumore dei nostri passi ad accompagnare la nostra corsa giù per le scale che portano dal tetto al corridoio dove ci sono gli ascensori. Il silenzio mi spaventa più degli spari perché non so da quale parte arriverà il pericolo.
Gli Intrepidi presenti nel complesso erano quasi tutti ipnotizzati a parte le persone “meritevoli”, probabilmente scelte per la loro crudeltà e Peter ne è la prova. Come è possibile che ci sia una sparatoria in atto? La risposta può essere una sola: Divergenti.
Quando l’esercito di ipnotizzati mi è passato davanti per salire sul treno, mi sono stupita di vedere che Tris era nelle loro stesse condizioni pur essendo una Divergente, ma quando l’ho vista puntare la pistola contro Eric ho capito che stava solo fingendo di essere sotto l’effetto del siero, quindi è possibile che altri abbiano fatto la stessa cosa, oppure si sono nascosti da qualche parte e quando hanno capito come stavano le cose hanno organizzato una rivolta.
La cosa non mi piace, Divergenti armati ed Eric nello stesso edificio, non si mette bene per lui. Dobbiamo fare in fretta, gli spari sembravano provenire dal centro di controllo e se sono tutti concentrati lì abbiamo la possibilità di scappare senza che nessuno ci veda.
Arrivata davanti agli ascensori mi blocco. Davanti a me ci sono corpi di Intrepidi a terra, li riconosco, erano tra i pochi svegli. Intorno a me, altri Intrepidi si tengono la testa stretta tra le mani come se fosse sul punto di scoppiare. I ruoli si sono invertiti, gli ipnotizzati ora sono svegli, mentre gli altri sono a terra in un sonno dal quale non si sveglieranno mai più.
«Muoviti!» esclama Eric tirandomi per un braccio.
«Che succede? Perché si sono svegliati?» domando.
«Non lo so, qualcosa deve essere andato storto» dice guardandosi intorno.
Non doveva andare così, lo leggo sul suo volto e su quello dei soldati Intrepidi. Sono confusi e smarriti, come bambini che si sono appena svegliati da un incubo.
Il computer non ha terminato correttamente il programma e i ricordi della simulazione non sono stati rimossi.
Non è il caso di fermarsi a pensare, siamo in una sala piena di Intrepidi lucidi e con un vivido ricordo di quello che è accaduto, consapevoli di essere stati delle marionette e non ci metteranno molto a capire che erano gli Eruditi a tirare fili.
«Ci penseremo quando saremo a chilometri da questo posto» dico a Eric.
Corriamo tra gli Intrepidi “risvegliati” che, per fortuna, sono ancora scossi dal brusco risveglio e non badano a noi.

«Fermi!» intima una voce.
La riconosco, è quella di Quattro, ma subito non riesco a vederlo con chiarezza, è solo una macchia scura nell’accecante luce del sole.
«Quattro, non sparare!» grido e d’istinto mi metto tra Eric e le due sagome scure che piano piano riesco a riconoscere come Quattro e Tris.
Non sono soli. Accanto a loro, a pochi metri dai binari, c’è un gruppo di persone che indossano abiti grigi, a parte uno che è vestito di blu.
Stringo gli occhi, non solo per il fastidio che mi provoca la luce del sole, ma soprattutto per lo stupore di trovarmi davanti persone che non mi sarei mai aspettata di vedere coinvolte in una rivolta. Caleb, Marcus Eaton, una ragazza Abnegante che non conosco e Neem. Il tranquillo e pacifico Neem ci sta puntando addosso un fucile. Lui ha sempre odiato le armi e la violenza, era l’unico che se ne restava in disparte quando, una vita fa, andavamo nel bosco a sparare ai barattoli vuoti.
«Sono complici di Jeanine!» esclama una voce fastidiosamente familiare.
Quel verme di Peter è con loro. È il gruppo più strano che abbia mai visto.
«Che accidenti dici! Tu sei suo complice, bastardo doppiogiochista» ringhio estraendo la pistola e puntandogliela contro. «Ci hai venduti a Jeanine, sarei morta se Eric non mi avesse trascinata via da te e da quella pazza!»
«Stai calma. Abbassa la pistola» mi ordina Eric con voce calma.
«Abbassate tutti le armi» dice Marcus in tono pacato. «Non fate niente di cui potreste pentirvi» aggiunge.
Sta negoziando, è quello che mi aspettavo da un Abnegante, ma il modo in cui ci guarda, il suo tono di voce calmo e falsamente paterno fanno suonare un campanellino nella mia testa. Lo stesso che ho sentito quando ho visto i rapidi cambiamenti di espressione di Eric, o quando ho sentito la voce di Jeanine nei corridoi della residenza ancora prima di vederla avvolta nel suo abito azzurro. Marcus prima di essere una Abnegante era un Erudito.
«Theia, togliti dalla mia linea di tiro» mi ordina Quattro ignorando l’ordine di Marcus.
Capisco che non sono io quella che gli interessa, vuole Eric. Mi domando se vuole ucciderlo perché complice di Jeanine o per suoi interessi personali. La seconda. Nei suoi occhi non c’è rabbia ma odio, è una questione personale tra loro due.
Lentamente abbasso la pistola e mi faccio da parte ma, prima che lui abbia il tempo di fare qualcosa, afferro Tris, la immobilizzo e le punto la pistola alla tempia.
«Spara a Eric e io uccido Tris.»
Non è un bluff e Quattro lo capisce immediatamente. Senza Eric sono persa, lui lo sa e questo lo spaventa perché perderei il controllo e la prima a pagarne le conseguenze sarebbe proprio la sua preziosa Tris.
«Dammi un motivo per lasciarlo andare» dice senza staccare gli occhi da Eric.
Dirgli che mi ama sarebbe inutile, non gli importa dei sentimenti di Eric, è convinto che non ne abbia. Non lo conosce, come tutti non ha mai voluto conoscerlo, non ha provato a capirlo, si è fermato solo alla superficie e non si è spinto più a fondo come ho fatto io.
Non l’ha visto cambiare, non era con me sul tetto quando ha deciso di andare contro a tutto quello che ha sempre desiderato e creduto solo per non perdere me, l’unica persona che non si è voluta fermare alle apparenze e ha scoperto un Eric in grado di riconoscere i suoi errori, cambiare e amare davvero.
Non si lascerà impietosire, posso provare a convincerlo che il mostro è Jeanine e se non funzionasse potrei cercare di destabilizzarlo, ricordargli che lui odia Eric da prima che tutto questo cominciasse e che forse volerlo morto è legato solo a vecchi rancori.
«Jeanine l’ha manipolato sin da quando era bambino, non voglio giustificare tutto quello che ha fatto durante la sua permanenza negli Intrepidi, ma spiegarti perché l’ha fatto. Sai anche tu quanto un certo tipo di educazione può pesare sulla formazione del carattere di una persona» gli spiego seguendo la voce dell’Erudita che è in me.
«Ma forse tu lo vuoi uccidere per un altro motivo, qualcosa di personale tra te e lui che non ha nulla a che fare con quello che è accaduto oggi» aggiungo fissandolo dritto negli occhi.
Non so cosa sia accaduto tra loro due, so solo che si odiano a morte e spero per una ragione futile e sciocca, la solita rivalità maschile che, ne sono certa, farà vacillare Quattro nella sua scintillante armatura.
Faccio centro, non so se devo ringraziare l’Erudita che c’è in me, che gli ha fatto il discorso sulla formazione del carattere, oppure la stronza che gli ha ricordato che, se il suo desiderio di uccidere Eric nasce da una semplice rivalità, lui non è migliore di Eric come crede.
«Resta sempre un bastardo» mormora Tris a denti stretti.
«È pericoloso tenerlo con noi, potrebbe essere una spia di Jeanine» Peter porta il suo fastidioso contributo alla conversazione.
«Disse il nuovo cagnolino di Jeanine» intervengo. «Immagino che non l’hai ancora detto ai tuoi nuovi amici. Come non hai detto loro che hai cercato di uccidere sia me che Tris.»
Peter mi lancia un’occhiataccia e poi cambia subito espressione.
Il Candido bugiardo sta per rifilarci qualche menzogna accompagnata dallo sguardo da cucciolo smarrito.
«Chi ci dice che non sei tu la spia mandata da Jeanine?» domando prima che possa aprire bocca.
La mia domanda fa nascere il dubbio in tutti i presenti. Quattro e Tris sanno che è lui il colpevole delle aggressioni e questo gioca a mio favore. Ha già fatto nefandezze per scalare la classifica, perché non alzare il tiro e puntare direttamente ai vertici del nuovo governo?
Quattro guarda Peter e poi i suoi occhi tornano di nuovo su Eric. Lo osserva come se stesse aspettando una spiegazione, che non tarda ad arrivare.
«Ho chiuso con Jeanine e con le fazioni» spiega Eric. «voglio solo prendere Theia e portarla via da qui, il più lontano possibile. Faremo solo una breve sosta dai Pacifici per fare provviste e poi lasceremo la città.»
«Perché dovremmo crederti, ti sei finto un Intrepido per prendere il comando di questa fazione e spianare la strada agli Eruditi, come facciamo a sapere che questo non è un altro trucco?» domanda Tris.
«Ha ragione Beatrice, non possiamo fidarci di lui e della sua complice» si intromette la ragazza Abnegante che è con loro.
Mi domando chi sia e perché stia imbracciando un fucile. Un Abnegante non lo farebbe mai, anche se dopo quello che è successo non sembra tanto insolito, però il suo sguardo freddo e distaccato mi fa venire i brividi. È come se ci fosse qualcosa fuori posto, o meglio, lei sembra fuori posto. Indossa abiti da Abnegante ma non si comporta affatto come una Abnegante.
«Hey, non credo sia il momento di fare una caccia alle streghe» esclama Neem indicando la sagoma scura del treno che si sta avvicinando a noi.
«Ha ragione, se restiamo qui verremo tutti catturati e non ci sarà nessun processo equo, verremo tutti giustiziati» interviene Marcus. «La cosa migliore è andarcene via da qui. Quando saremo al sicuro penseremo a cosa fare di loro tre» aggiunge indicando me, Eric e Peter.
Quattro, quasi infastidito, abbassa la pistola. Io lo guardo mentre la ripone lentamente nella fondina e poi faccio la stessa cosa.
«Per me va bene» replica Quattro «ci penseranno i Pacifici a mandarli a morire là fuori» aggiunge alzando lo sguardo in direzione della Recinzione.
Mi vengono i brividi. Non ho mai pensato davvero a cosa potrebbe esserci oltre la Recinzione. Ci hanno detto che l’umanità è stata annientata dalla guerra e che non c’è altro che rovine, disperazione e violenza. La Recinzione è un piccolo angolo di paradiso in mezzo al caos e adesso, io ed Eric, abbiamo deciso di abbandonarlo.

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Capitolo 78
*** Capitolo 78 ***


Il treno si avvicina e rallenta, non ho ho scelta, restare qui e venire giustiziata oppure rischiare di morire fuori dalla Recinzione.
Inizio a correre accanto a Eric, il suo volto è contratto in una smorfia di dolore. La ferita al piede, non so se riuscirà a saltare ed io non voglio lasciarlo qui.
«Vai per primo, ho bisogno del tuo aiuto per salire» mento, è più facile e veloce che mettermi a discutere sul vero motivo.
Lui annuisce. Sebbene con qualche difficoltà, riesce a saltare e si aggrappa alla maniglia. Si allunga verso di me e mi tende la mano, la afferro e salto dentro il vagone.
Eric si trascina verso il fondo del vagone e, dolorante, si lascia cadere contro la parete lasciando dietro di sé una scia di sangue. La ferita si è aperta. Mi levo la giacca e mi siedo accanto a lui.
«La ferita si è riaperta, dobbiamo fermare il sangue» dico mentre gli sfilo lo stivale e uso la giacca per tamponare la ferita.
«Non morirò dissanguato, non è così grave come ferita» mormora accarezzandomi la guancia. «Andrà tutto bene, vedrai.»
Lascio che mi stringa a sé e appoggio la testa sulla sua spalla. Vorrei che fosse davvero così, ma so cosa ci aspetta una volta scesi da questo treno.
Osservo la città dal portellone aperto, la vedo allontanarsi, diventare sempre più piccola fino a sparire dietro agli alberi dei boschi della mia vecchia fazione. Cosa accadrà? I Pacifici si dimostreranno davvero gentili come tutti credono e ci accoglieranno perdonando i nostri peccati oppure mostreranno la loro vera faccia: gente con una mentalità chiusa quasi quanto quella degli Abneganti e che accettano tra di loro solo persone con la coscienza pulita. Perché è questa la realtà, loro sono gentili solo con chi è “senza peccato”, per tutti gli altri ci sono solo sieri, abitazioni sorvegliate ai limiti dei campi e, in casi gravi, l’allontanamento dalla fazione.
«Quattro ha ragione, i Pacifici ci bandiranno, due come noi sono un pericolo per l’armonia della fazione» singhiozzo stringendomi a lui.
«Johanna ci tiene a te, è la tua madrina e, per quanto si affanni a negarlo, è il loro capo» mi sussurra accarezzandomi la guancia, «ed è anche un osso duro. Jeanine l’ha sempre considerata una spina nel fianco.»
«Come fai a sapere che era la mia madrina?» domando, anche se intuisco già la risposta: sono stati i miei genitori a rivelarglielo insieme a chissà quante cose imbarazzanti su di me.
«Me l’ha detto lei.»
Sgrano gli occhi. La sua risposta mi sconvolge, in modo positivo, ma è una cosa che non mi sarei mai aspettata. Eric mi guarda e sorride.
«Speravi davvero che non venisse a sapere della nostra visita? Me la sono trovata davanti appena io e i tuoi genitori abbiamo lasciato il bosco.»
«Cosa è successo? L’ha detto a qualcuno?» domando stupidamente.
Siamo tornati in città senza dovere affrontare un’intera fazione di Pacifici furenti, è ovvio che non ci sono stati problemi e tutte le persone coinvolte hanno tenuto la bocca chiusa.
«Non ha gradito la mia presenza ma alla fine, da brava Pacifica, ha deciso di chiudere un occhio» dice con un sorriso tirato.
Sta mentendo, non sono una Candida ma ormai conosco bene i suoi segni rivelatori.
«Non è buona quanto sembra» lo metto in guardia, anche se non ce n’è bisogno, lui è abbastanza sveglio da averlo capito da solo.
«Lo so, è una che sa fare bene i suoi conti. Conosce la situazione delle fazioni e le modifiche che ho apportato a quella degli Intrepidi. Non è stupida, ha intuito che in città stava accadendo qualcosa. Io facevo parte di un potenziale problema, ma vedermi lì a causa tua deve averle fatto pensare che tu le stavi già risolvendo quel problema.»
«Ed è così?» domando arrossendo.
«Tu che dici? Sono qui con te adesso, mi sono lasciato alle spalle la mia vecchia vita» dice, indicando la città che piano piano si allontana, «per iniziarne una nuova insieme a te» aggiunge accarezzandomi la guancia.
Sorrido e lo bacio. Un bacio lungo e appassionato ma infinitamente dolce.
Un brusio mi costringe ad abbandonare quell’estasi. Gli occhi di tutti sono puntati su di noi. Ci guardano come se fossimo scarafaggi che camminano sulle loro immacolate tovaglie del giorno di festa.
Johanna non dovrà vedersela solo con i Pacifici, ma anche con i nostri compagni di viaggio. Sette persone che hanno vissuto l’incubo in cui gli Eruditi hanno fatto piombare la città e che chiederanno a gran voce le nostre teste.
«I Pacifici non ci faranno mai restare dopo tutto quello che è accaduto oggi. Non importa cosa siamo ora, per loro saremo sempre traditori e assassini» mormoro abbassando lo sguardo.
«Ci bandiranno, non mi faccio illusioni. Ci daranno qualche giorno per riposarci e poi ci scorteranno oltre i campi più lontani» dice sollevandomi dolcemente il viso con le dita.
Ho sempre pensato che sarebbe stato eccitante scoprire cosa c’è oltre il grande bosco che segna il confine esterno della fazione, ma adesso mi spaventa e mi rattrista.
Perderò tutti quelli che conosco e che amo, non li rivedrò più e questo mi fa mancare il respiro. Mi mordo l’interno della guancia per non scoppiare a piangere.
Io non voglio lasciarli, voglio tornare a casa mia, tra i campi e i boschi che ho tanto amato, voglio i miei genitori e la mia migliore amica, come farò a vivere senza di loro in luoghi sconosciuti e pericolosi?
Ho sbagliato tutto, non dovevo lasciare i Pacifici. Se fossi rimasta con loro adesso sarei al sicuro, ma non avrei mai conosciuto Eric e questo è triste quanto dover abbandonare tutto e tutti.
No, il grande errore è stato non dare retta ad Eric, costringerlo a venire con me. In quel momento ho distrutto la sua vita e l’ho fatto solo per egoismo. Potevamo vederci in segreto, ma io ho voluto di più ed è stato quello a condannarci entrambi, dovevo lasciarlo andare e permettergli di vivere una vita migliore ed evitargli l’incubo di dover affrontare l’ignoto oltre il confine. Mi sento così stupida e immatura per non aver pensato alle conseguenze del mio comportamento infantile e del mio egoismo. Sarà solo colpa mia se a Eric capiterà qualcosa di brutto, sarà colpa mia se lui morirà. Scoppio in lacrime e affondo il viso nel suo petto perché i miei compagni di viaggio non vedano il mio crollo.
«Theia, stai tranquilla, ci sono io, andrà tutto bene» cerca di confortarmi Eric.
«No, non va bene, per colpa mia finirai a vagare per un mondo in rovina. Non dovevo costringerti a lasciare tutto» dico singhiozzando.
«Tutto quello di cui ho bisogno è qui con me, tra le mie braccia» mi sussurra «ti seguirei all’inferno per stare con te anche solo per pochi attimi».
«È proprio lì che ti sto portando, nell’inferno lasciato dalla guerra» replico sentendo tutto il peso di quello che dovrà affrontare a causa mia.
«Io non credo. Ok, non sarà facile, ma sono convinto che troveremo un bel posto dove vivere. Dubito che il mondo sia andato completamente distrutto e le persone che ci vivevano siano tutte impazzite dopo la guerra» mi rassicura con voce calma «sono sicuro che ci sono altre comunità come la nostra. Non ci saranno le fazioni, ma avranno un loro sistema per fare andare bene le cose.»
Gli credo, non perché sto cercando qualcosa a cui aggrapparmi per non crollare, ma perché ciò che dice è più plausibile di un mondo vuoto o interamente popolato da pazzi violenti.
Ho immaginato spesso come potrebbe essere il mondo oltre i nostri confini e mi sono detta che non possiamo essere gli unici che hanno ritrovato pace ed equilibrio, ma quanta strada e quanto tempo ci vorranno prima di trovare una comunità tranquilla e sicura come la nostra?
Come lo era la nostra, mi corregge una voce nella mia mente. La sete di potere di Jeanine ha distrutto tutto quello per cui i nostri antenati hanno lottato.
Le fazioni degli Abneganti e degli Intrepidi non esistono più, i loro membri sono dispersi e adesso noi siamo come gli Esclusi. Non abbiamo una casa, non abbiamo certezze e progetti, solo una lunga strada piena di insidie. Non sappiamo dove ci condurrà, forse alla morte o forse a una nuova vita. Tutto ciò che eravamo è alle nostre spalle, casa, amici, famiglia. Non possiamo far altro che raccogliere tutto il nostro coraggio, impacchettare le nostre speranze e andare avanti, seguire la nostra strada ovunque ci condurrà.
Chissà se il cielo sarà così bello anche lontano dal mio piccolo mondo e se potrò di nuovo sdraiarmi su un prato e osservarlo sentendomi protetta e in pace come quando ero ancora la ragazzina Pacifica che sognava la libertà.
Ora sono libera, ma la Theia ingenua non esiste più, ha dovuto lasciare il posto alla nuova Theia, quella che ha abbandonato il nido ed ora vola verso l’ignoto.
Ho paura, ma so che non sarò sola, Eric sarà al mio fianco e insieme riusciremo a trovare un luogo dove sentirci di nuovo a casa, finalmente liberi da un sistema che non accetta la diversità e ci costringe ad essere un solo e unico colore.
Forse sono un po’ folle, ma credo che da qualche parte, oltre i confini della nostra città, esista un luogo dove la diversità non fa paura, non viene considerata un difetto ma una dote.
Le persone non sono fatte per essere solo intelligenti o altruiste, gentili o coraggiose oppure oneste, sono fatte per essere tutte queste cose messe insieme. Siamo tutti Divergenti.

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