Beast Hunter

di eyes_in_the_fire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~Prologo ***
Capitolo 2: *** ~II - Meetings ***
Capitolo 3: *** ~III - Magnetism ***
Capitolo 4: *** ~IV - Pain ***
Capitolo 5: *** ~V - Distant ***



Capitolo 1
*** ~Prologo ***


Una nuvoletta opaca si condensò, uscendo dalle labbra del ragazzo che aveva espirato l'aria ghiacciata.
​Si stringeva nelle spalle per riscaldarsi quel poco che poteva dal freddo che attanagliava i picchi delle Montagne Freeme, mentre stringeva convulsamente con le dita - coperte da guanti di cuoio, - l'elsa della sua spada. La lama di questa era quasi appoggiata ad una sua guancia tanto era vicina al volto, ma non poteva toglierla da lì: era certo che, alla prima occasione, il Lupo Fry grigiastro che si era ritrovato davanti lo avrebbe attaccato mirando al volto, cercando di accecarlo e quindi portarsi in vantaggio durante quello scontro.
Era una creatura dannatamente furba, e il ragazzo lo sapeva.
​Gli occhi gialli striati di turchese dell'animale - se quel coso si poteva chiamare "animale", - lo fissavano apparentemente assenti, quasi vitrei, mentre il ringhio provocatorio metteva in mostra i denti bianchi e aguzzi.
​Lo guardava, esaminandolo, dalla testa, presentante capelli corvini e una cresta verde, ai piedi, che indossavano stivaletti di pelle.
Nessuno dei due accennò un attacco, fino a che...
​“Quando è troppo, è troppo!”
​Con questo pensiero Duncan - questo era il nome del ragazzo, - si lanciò verso il lupo con un grido frustato, la spada ora puntata davanti a sé.
​Il Fry non esitò: schivò alcuni colpi con movimenti scoordinati - esageratamente scoordinati, - e tirò artigliate imprecise ma potenti.
​Il moro, intanto, se la cavava splendidamente, parando attacchi con la spada e slittando a destra e sinistra evitando morsi.
​Presto il Fry fu al limite delle forze. Il corvino ne approfittò subito, provando a metterlo fuori gioco con un'ultima spadata.
​Ma, a sua sorpresa, l'avversario schivò saltando all'indietro e gli tirò una zampata.
Il ragazzo fu veloce a ritrarsi, ma il lupo lo colpì comunque in viso, incidendogli la pelle e bagnandosi gli artigli di sangue.
​Il corvino si tastò le ferite: non erano troppo profonde ma, cavolo, quanto bruciavano!
​Nel frattempo la Bestia si leccava la zampa sporca, con avidità ingoiava il sangue che gli bagnava la lingua. Avrebbe continuato a lungo, se Duncan non l'avesse colpito con una forza tale da tramortirlo e graffiarlo anche.
​Il Fry cadde a terra svenuto, moribondo quasi.
«Vaffanculo» sibilò il corvino alla creatura ora appoggiata alla neve, che piano piano si mescolava col sangue del lupo, creando un miscuglio che sapeva di freddo e di morte.
​Duncan osservò il suo operato con una strana espressione, quella che un pittore utilizza verso un quadro mal riuscito.
​Poi sospirò, lasciò cadere la spada e andò verso la sua borsa, che prima aveva lanciato via per avere più possibilità di movimento. Ne tirò fuori una piantina con un fiore dai delicati colori violetti, spezzandone lo stelo. Il liquido giallognolo che fuoruscì dal gambo cadde sulle ferite, iniziando a cicatrizzarle: la Lavendria - così si chiamava quel fiore particolare, - aveva qualità curative formidabili.
​Dopo poco Duncan sentì un verso. Girandosi, notò con sorpresa Buit - un Buittero blu con tre occhi, appartenente a lui e Gwen, sua cara amica, - planare verso di lui.
​Il volatile si poggiò sulla spalla del padrone, che non risentì del peso dell'uccello nonostante esso fosse abbastanza grande, mettendo in mostra il collo, dove capeggiava una lettera allacciata ad esso con un nastrino azzurro e nero.
​Il moro la sfilò accuratamente da lì, e lesse avidamente. Durante la lettura la sua preoccupazione nacque e aumentò man mano.
“Caro Duncan,
​qui al villaggio è successo un casino: le Bestie sono arrivate.
​Noi ci siamo difesi come potevamo: io, Court, Geoff, Al e Trent usavamo le spade e gli archi (con noi c'erano altri due o tre Cacciatori) e Dawn, Noah, Leonard, Ellody e Harold ergevano scudi e lanciavano incantesimi.
Non ne siamo usciti tutti illesi:
​-Harold è stato attaccato da un Fry, ha battuto la testa ed è tutt'ora svenuto;
​-Noah si è slogato un polso (non chiedermi come);
​-Heather si è rotta un braccio;
​-Geoff è stato ferito all'addome;
​-ho visto Al zoppicare;
​-Trent si è ferito ad una spalla, ha rischiato il dissanguamento ma Sierra l'ha curato in tempo.
​Io e gli altri stiamo bene... ma il villaggio è comunque mezzo distrutto...
​In certe condizioni, non potremmo resistere ad un secondo attacco.
​Se tornano siamo fottuti.
Duncan, ci serve aiuto.
Scrivimi presto,
​Gwen”




​Angolino infuocato:
​Ok, volevo "provare ad entrare in questo mondo", perciò eccomi qui!
Le regole sono poche:
​•Max 2 OC a testa;
​•Per favore, NON SPARITE, mi serviranno le recensioni per sapere l'esito della storia e capire se sto caratterizzando bene il vostro OC;
​•Nessuno è perfetto, niente Gary Stu o Mary Sue.

​Ed infine, ecco la scheda! (i campi con * non sono obbligatori)

​NOME:
​COGNOME:
​SOPRANNOME*:
​ETÀ: (dai 17 ai 21 anni)
SESSO:
​COMPLEANNO: (giorno e mese)
​AMICIZIE/INIMICIZIE: (saranno presenti vari personaggi Canon, voi ditemi con chi potrebbe andare d'accordo)
ORIENTAMENTO SESSUALE:
(se Cacciatore) ARMA/I:
​CACCIATORE O CURATORE?:
ASPETTO E CARATTERE: (dettagliati)
STORIA:
SEGRETO/I:
PAURE:
​UN PREGIO E UN DIFETTO DI RILIEVO:

Finito, spero aderiate in tanti! ^^
​Ah, un'ultima Cosa: mi servono cinque Maghi, se volete esserlo ditelo nella recensione!

​Arrileggerci!
​•Eyes•

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Capitolo 2
*** ~II - Meetings ***


Duncan rilesse la lettera un'altra volta, con una sensazione viscida e viscosa che stava salendo dallo stomaco: al solo pensiero che qualcuno avrebbe potuto riportare ferite più gravi ogni cosa sembrava perdere importanza, comprese la missione, la propria incolumità e il dolore della ferita sul volto. Quando alzò gli occhi dalla calligrafia elegante ma frettolosa di Gwen non passò neanche un secondo: aveva già iniziato a correre, con la neve che scricchiolava sotto la suola degli scarponi e col cuore stretto nella morsa ferrea di una corda robusta e invisibile, una corda che ti mozzava il fiato e ti spingeva a muoverti sempre più velocemente. Quella corda aveva un nome: si chiamava preoccupazione.
Buit, nel frattempo, si era alzato in volo dato lo scatto improvviso del padrone e, non potendo chiedere cos'era successo, lo stava fedelmente seguendo, muovendo le alucce piumate più rapidamente possibile.

Quando Duncan fu arrivato al villaggio, dopo un'estenuante corsa, lo accolse un terribile odore.
”Odore di sangue...”
Piegato e con le mani poggiate sulle ginocchia per riprendere fiato, fece una smorfia disgustata e si tappò il naso con l'indice e il pollice, rinunciando subito alla posizione precedente. Si lasciò cadere sulla neve, sempre con le narici bloccate dai polpastrelli, e incominciò ad osservare il suo quasi completamente distrutto paesino.
«Duncan?»
Una voce maschile gli fece spostare lo sguardo -che prima era rivolto ad una casa col tetto sfondato- davanti a sé.
«Ce l'hai fatta ad arrivare, era ora»
Noah gli porse una mano -quella il cui polso era ancora sano,- per farlo alzare, con la voce piatta.
«Scusami se ero a sette chilometri di distanza da qui, a piedi» sbuffò il corvino, accettando l'aiuto e rialzandosi lentamente.
Il famigliare verso di Buit ruppe il silenzio, mentre l'esserino poggiava le zampette arancioni sulla spalla di Duncan, col petto che si alzava e si abbassava in fretta.
«Dobbiamo andare nell'arena, ci aspettano tutti lì» Noah afferrò il braccio di Duncan; «Di' a quel cosetto di non mollare la presa»
Il moro avrebbe volentieri replicato che Buit non era un "cosetto", ma si rese conto di quel che Noah era in procinto di fare e preferì chiedere: «Aspetta, non vorrai teletrasportarci?! Sai che lo odio!» protestò strattonando l'avambraccio.
«Facciamo prima» fece l'altro ad occhi chiusi, con un piccolo sorriso divertito, stringendo le dita ancora di più sull'arto del Cacciatore.
Presto vennero avvolti da una luce accecante, con spirali colorate che, però, apparivano solo a loro. Duncan sentì la terra scomparire sotto i piedi, il cuore scivolargli nello stomaco e una spinta troppo forte schiacciargli la cassa toracica. Il cervello sembrò svuotarsi e la vista si fece doppia, conferendo alla luce e ai suoi disegni una composizione vacillante.
Quando l'incantesimo venne concluso con successo i tre erano spariti, al loro posto un vortice argenteo.

Quando la visuale si fu ristabilizzata e i piedi tornarono al suolo, la cittadina era svanita: ora si trovavano in un campo di terra battuta, circondato da muri in legno e protetto dalle neve e dalla grandine da un grande tetto di vetro a cupola. Le pareti erano adornate da armi e bassorilievi complicati, raffiguranti scene di lotta o eventuali tecniche di combattimento. Qua e là si stagliavano incantevoli arazzi colorati, sui quali le ombre e la luce disegnavano splendidi effetti.
Duncan si guardò intorno: c'erano tutti. Gwen, Alejandro, Sierra, Cody, Courtney... dal primo all'ultimo, tutti i suoi amici e compaesani.
Il loro arrivo venne accolto da parole su parole, che s'impastavano con l'aria e roteavano attorno ad ogni persona, ma che nessuno udiva veramente.
Per quanto riguardava lui, esse praticamente gli rimbalzavano addosso, quasi fosse fatto di gomma, perché per quanto potesse impegnarsi con lo scopo di ascoltarle non avrebbe capito nulla, tanto erano mescolate fra di loro.
«Eh-Ehm» richiamò l'attenzione su di sé. Il silenzio arrivò assoluto, e i vocaboli si bloccarono in aria.
Una ragazza dai capelli scuri e gli occhi grigi fu la prima a riprendersi dallo stupore, rendendo lo sguardo una lama gelida: «Ho notato che te la sei presa comoda, Piercing»
«E io ho notato che ti sei alzata con la luna storta oggi, Heather» rispose a tono lui, esibendo un ghigno soddisfatto allo sbuffo dell'altra.
«Vogliamo passare subito a cose serie?» irruppe brusca Courtney, impaziente.
«Come vuole, Principessa»
Lei lo ignorò, trattenendo una sfilza di insulti serrando le labbra. Prese parola poco dopo, apparentemente calmatasi: «Espongo il mio concetto: non ho intenzione di rischiare la vita inutilmente»
Duncan capì subito. Si riferiva alla missione.
Dawn, una bionda minuta e pallida, sgranò gli occhi cerulei: «"Inutilmente"? Courtney, siamo al servizio del Regno, non c'è cosa più utile della nostra missione! Rammenti le parole del Re, no? "Ho radunato i migliori Cacciatori e Maghi del Regno, aggiungendo la più abile Curatrice di mia conoscenza. Ricordate: fermare le Bestie è...»
«... è tutt'ora la cosa più importante", sì. Ma perché dobbiamo rischiare di morire per qualcun altro? Il resto degli abitanti può perfettamente arrangiarsi, no?»
«No.» la risposta arrivò, inaspettatamente, da Gwen, che scosse la testa, facendo ondeggiare il caschetto nero e verde petrolio; «Ci ha scelto con cura, si fida e noi non possiamo deluderlo. Se moriremo combattendo, sappiate che non c'è modo più onorevole di lasciare questo mondo. Se avete troppa paura d'accordo, affari vostri, ma io mi impegnerò al massimo per soddisfare le aspettative del Re. Facciamo a democrazia. Chi è con me?»
Uno dopo l'altro la raggiunsero tutti, chi deciso chi titubante, non proferendo parola.
La determinazione sconfisse l'egoismo.
Courtney rimase sola di fronte agli altri, e sospirò.
«E va bene» grugnì quella dopo un po', afferrando la sua spada con un gesto secco; «Andiamo a farci ammazzare!»

«Mai che qualcuno mi dia ascolto... aiutiamo tutti, dai, facciamo i paladini della giustizia!» Courtney tagliò con la spada un ramo che le intralciava la strada.
Sbuffava e camminava, ripensando a ciò che avevano accordato dopo la riunione: alcuni di loro sarebbero partiti, con direzioni diverse, cercando Curatori o Maghi o Cacciatori che li avrebbero aiutati. Il motivo era semplice: per annullare gli attacchi di quelle Bestie, erano pochi. Decisamente pochi. Quindi dovevano chiedere una mano, sebbene alcuni di loro -come lei stessa- odiassero ricevere aiuto altrui e domandarne andasse contro la loro natura. Gwen era certa che chiunque avrebbe accettato di unirsi al gruppo, perché le Bestie erano un nemico comune.
Persa nei suoi pensieri non captò il sottile sibilo dell'aria, tranciata in due da una sfera infuocata. Questa andò a sfiorarle la mano, ustionando la pelle e bruciando la carne.
La castana si lasciò sfuggire un gemito e un verso sorpreso mentre portava la mano al petto: non se l'aspettava!
E ancor meno si aspettava di sentire una modesta pressione sulla giugulare, che le provocò un brivido freddo.
Una goccia di sudore scese dalla tempia, passando sulla guancia abbronzata e strisciando sul collo, mescolandosi col rivolo di sangue già fuoriuscito dal taglietto che la grande lama dello spadone le aveva procurato sulla gola.
«Ti spiace dirmi le tue intenzioni, dolcezza?» sussurrò flebile una voce, profonda tanto da far sentire Courtney circondata da un oblio scuro.
Solo per un momento, però.
Si riprese subito ed era pronta a rispondere a tono: aveva sì un'arma puntata alla trachea, ma il suo "dolce" caratterino non glielo toglieva nessuno!
«Senti un po'...» aveva iniziato, quando una voce dal marchio vagamente infantile la precedette.
«... ma... ma è una persona! Anser, lasciala respirare, è solo una ragazza, dopotutto... Oh, cavolo, pensavo fosse una Bestia, e adesso guarda: le ho bruciato la mano, poverina, e non siamo nemmeno Curatori, noi! Deve fare un male tremendo... e lasciala!»
Anser, seppur scettico e con una vena dubbiosa nei movimenti, si allontanò piano. Ovviamente, non prima di aver preso la spada di Courtney.
Quest'ultima si girò, lenta, squadrando le due persone che le si stagliavano davanti.
La prima era una ragazza: aveva un sorriso amichevole e un poco imbarazzato, quasi di scuse, sulle labbra sottili, e tante lentiggini le decoravano il naso, rendendole il viso dolcemente bambinesco.
La castana non notò altro, dato che il resto della faccia e i capelli della ragazzina erano celati dal cappuccio di un mantello, però giurò di aver intravisto due occhi dalle iridi cremisi e screziati d'oro sotto l'ombra che l'indumento gettava sulla pelle.
Il secondo era tutt'altro: stava a braccia incrociate, le labbra pallide serrate in una linea sottile, che si trasformò in un minuscolo sorriso senza significato -Courtney lo definì vuoto- quando la bruna lo guardò.
I suoi occhi erano coperti quasi completamente dai capelli corvini, ma sotto le ciocche si potevano intravedere due cristalli che parevano liquidi tanto la loro colorazione leggermente azzurrina era intensa. Era il colore del ghiaccio che si scioglie, delle stelle che esplodono.
«Io sono Altair, e lui è il mio scorbutico fratello Anser! Piacere, siamo i fratelli Mizar!» i denti vennero scoperti quando gli angoli delle labbra viaggiarono verso l'alto.
L'altra rimase inizialmente muta, studiando la situazione: una Maga che a quanto pare controllava il fuoco e un Cacciatore nerboruto e dal fisico allenato. Chi meglio di loro poteva aiutarli?
«Courtney. Courtney Barlow.
Ascoltate, che mi direste se...»

«... vi dicessi che il Regno ha chiesto aiuto e che voi potete essere utili? Per fermare le Bestie, insieme. E tu non guardarmi così!»
Il corvino sbuffò, annullando lo sguardo scettico che le stava rivolgendo: «Io non ho nulla di meglio da fare nella mia vita, ma te e i tuoi compagni farete bene a non darmi sui nervi e lasciarmi fare ciò che voglio. Mi sono spiegato o te lo devo far capire in un altro modo, bambola?» Kurai Shikage alzò la mano destra chiusa a pugno, fulminando con gli occhi neri Gwen. O meglio, con l'occhio nero. Il destro, infatti, era chiuso e non sembrava intenzionato ad aprirsi.
«Non agitarti, la rabbia non porta a nulla» parlò dolcemente una ragazza, le labbra rosee sorridenti.
«Oh, cara signorina, vorrei ricordarti che la qui presente moretta non ha esitato a cercare di tranciarmi la mano!» sbottò Kurai, ringhiando esattamente come un Fry. Era arrabbiato per quanto accaduto poco prima: il corvino aveva notato una ragazza dai capelli scarlatti camminargli a una decina di metri di distanza, e con poca gentilezza le aveva gridato un: “Ehi, Rossa, hai visto qualche Bestia da ammazzare?” e Gwen, che passava di lì, l'aveva sentito e avvertito la frase come una minaccia, aveva difeso la ragazza tirando all'altro un fendente sulla mano e l'aveva di conseguenza ferito.
Tutt'ora, sulla pelle stava un profondo graffio, dal quale il sangue usciva copioso e cadeva sulle foglie secche del bosco Forowly.
Ovviamente il ragazzo si era arrabbiato -anzi, avrebbe volentieri ucciso la corvina sul momento con la sua falce a doppia lama-, ma i due avevano chiarito e adesso lui si limitava a scagliarle contro frecciatine intrise nel veleno.
«Tu, Scarlett, che mi dici?»
Scarlett -la "famosa" ragazza dai capelli rossi- sembrò pensarci un attimo, il sorriso non aveva abbandonato il suo volto. Poi acconsentì, chiudendo e riaprendo gli occhi un paio di volte, mentre le lunghe ciglia scure sfarfallavano: «Vi aiuterò volentieri»
«E tu invece? Ehi, Lola, parlo con te»
Lola Kishimoto sorrise, addolcendo lo sguardo celeste. A dire il vero, celeste non era un modo appropriato per descrivere le due iridi dalla colorazione che vorticava su quell'azzurro ghiaccio: minimizzava troppo. Era una ragazza dalla personalità colorata, possidente un carattere screziato di giallo.
«Io sono sempre pronta ad aiutare il prossimo!» esclamò convinta, spostando una lunga ciocca castano chiaro dietro l'orecchio.
D'accordo, Gwen non le era sembrata molto simpatica, e per questo era stata pensierosa prima di fare una scelta, però non era tipa da tirarsi indietro!
«Grandioso!» sorrise la corvina.
Fece loro cenno di andarle dietro, e tutti seguirono il consiglio -nel mentre, Kurai si legava attorno alla mano una benda fornitagli da Scarlett, categoricamente rifiutando l'aiuto offertogli da questa.
«Ora seguitemi. Torniamo al mio villaggio, quindi...»

«... dobbiamo dirigerci verso nord» spiegò Sierra, girandosi contenta e iniziando a camminare.
«Io sono ancora un po' incerto, Amy...» commentò in un sussurro Richard, fissando la ragazza dalla treccia viola che si allontanava assottigliando gli occhi castani.
«Oh, andiamo Riccardino! È una ragazza così amichevole e simpatica! Sei sempre il solito asociale!» protestò Amalia con lo stesso tono, scuotendo la testa e facendo quindi ondeggiare la lunga chioma lilla.
«Non sono asociale! È solo che... sì, insomma... non mi fido, ecco» si difese l'altro, grattandosi imbarazzato la testa e spettinando i già disordinati capelli biondi.
«Tu non ti fidi mai...» commentò giustamente sua sorella, per poi rincorrere Sierra e raggiungerla.
“Richard non si fida più di nessuno...” pensava; “da quel giorno...” un flash le attraversò la mente, riportandole in testa le consapevolezze sbagliate, quelle che non dovevano tornare, quelle che si era imposta di cancellare ma che continuavano a riscriversi in matita, come per sbeffeggiarla, su un foglio bianco, aspettando di essere tolte di nuovo per poi ricomparire e riprendere l'attesa. Era dolore ogni volta che tornavano, implacabile, terribile.
Scosse la testa violentemente, strizzando le palpebre.
«È tutto okay?» chiese Sierra, dubbiosa; «O qualcosa non va? Ti sei appena ricordata che dovevi innaffiare le piante? Ti è morto il gatto? Tuo nonno è caduto dalle scale?»
L'altra riaprì gli occhi azzurri, ridacchiando silenziosamente: di sicuro non poteva sapere se suo nonno era caduto dalle scale in quel momento, ma lei adorava ridere e, nonostante fosse totalmente seria, Sierra era proprio divertente!
«No...» le rispose sorridente; «Va tutto bene... piuttosto, dicci qualcosa...»

«... di te»
«Come vuoi Arthie, allora... mi chiamo Duncan Nelson e ho diciannove anni; sono un Cacciatore e mi sono innamorato di una ragazza del mio villaggio, che di nome fa...»
«Non credo intendesse questo, genio» commentò una ragazza dark, preoccupandosi di intingere la punta della freccia in una boccetta di sarcasmo prima di scoccarla.
«E io credo che tu ti debba preoccupare del tuo carattere e non di quello che dicono gli altri» fece Seamus, freddo, assottigliando gli occhi blu.
Quella ragazza, Milah, non sembrava intimidita dal suo aspetto, perciò lui intendeva prenderla di mira. Voleva impaurirla, leggere il timore sul suo volto, vedere le sue iridi dense di incertezza. Ne sentiva il bisogno.
«Perché non ti fai gli affari tuoi, Silver?» rispose allora lei, girandosi e fronteggiando il fisico imponente del ventunenne.
«Perché dovrei ascoltarti, Darkice?» fece lui, fissando l'occhio blu notte della ragazza: il destro era coperto da un ciuffo dei suoi capelli bruni a ciocche biondo platino.
«Stanno usando i cognomi...»sussurrò Matisse Wright a Duncan, mentre i capelli castani ondeggiavano col vento; «... l'atmosfera si scalda» continuò, mantenendo il tono duro come marmo.
«Puoi dirlo...» rispose il corvino, piantando lo sguardo celeste in quello dorato dell'altro.
«Oh, no, nonononono, non va bene, se continueranno così andrà a finire male, molto male, ne sono sicuro... prima si insulteranno, man mano più pesantemente; poi si urleranno contro fino a che non voleranno anche imprecazioni degne di uno scaricatore di porto; dopo verranno alle mani, agli schiaffi e, povero Seamus, anche ai calci dove non batte il sole; in seguito si attaccheranno alla faccia dell'altro, baciandosi come due sposini; quindi finiranno a letto, coinvolgendo il gruppo per intero e costringendoci ad accoppiarci fra di noi e, infine, si grideranno di nuovo contro, e si ammazzeranno tagliandosi gli arti uno a uno, a vicenda, mentre noi staremo a guardare il sangue che si espande sulla neve e...» Arthur era convinto della sua teoria -o, più che altro, del suo film mentale- e, mentre la spiegava, colpito dal nervosismo, iniziò ad accarezzare i boccoli castano chiaro a ciocche bionde di Charlotte, con gli occhi grigi spalancati e le pupille ridotte a due puntaspilli, lo sguardo perso chissà dove. Intando la ragazza non sembrava essersene accorta, e timidamente cercava di convincere Milah a lasciare stare, ogni tanto provando anche con Seamus -però molto più flebilmente-, mentre un sorriso incerto le incurvava le labbra.
Matisse fissò la scenetta per un paio di secondi, poi incrociò le braccia e alzò le iridi dorate al cielo: «Cominciamo bene»

Cody camminava fra le piante, tagliando ogni tanto una felce o un fiore carnivoro che gli bloccava la strada con la spada che gli aveva prestato Trent.
«Perché mi hanno mandato in ricerca? Non sono neanche un Cacciatore!» si lamentò, "lottando" con un arbusto che aveva davanti: per passare doveva scostarlo. Peccato che esso non intendeva spostarsi: per quanto provava, la maglia si incastrava tra i rametti e l'alberello sembrava incollato completamente al terreno.
Si sentì picchiettare la spalla.
«Ehi, tipo che non ho mai visto in vita mia, serve una zampa?» pronunciò una voce dietro di lui, concludendo la frase con un vivace miagolio...
“Fermi un momento: miagolio?”
Il castano girò la testa, trovandosi davanti due occhioni azzurri dalla pupilla verticale e sottile, uguali a quelle dei felini.
«Cosa...»
La domanda di Cody venne sovrastata da un richiamo.
«Neko! Neko! Dove ti sei cacciato?!» era una voce femminile: la ragazza cui essa apparteneva urlava, mentre le sue parole si perdevano nel folto della foresta creando la ripetente voce dell'eco.
Lo sconosciuto ridacchiò, scoprendo i denti bianchi e due canini stranamente appuntiti.
Cody si era fermato a fissarlo, con occhi e bocca spalancati. Guardò prima i capelli marrone ramato -che avevano dei ciuffi ai lati simili ad un paio di orecchie di gatto-, poi gli occhi, poi i denti, dopo ancora la pelle ambrata decorata da strisce nere -identiche a quelle di una tigre- e infine le unghie lunghe e affilate: quel tipo non aveva nulla di normale!
Intanto l'altro pensava che il castano fosse confuso avendo sentito la voce di un'altra persona, perciò spiegò sorridente: «Non preoccuparti, è la mia ragazza, Clarissa! Vedi, siamo una coppia di Cacciatori che va in giro a combattere Bestie di tutti i tipi, ci conoscemmo tempo fa e da allora vagabondiamo insieme come dei veri innamorati! D'accordo, a dire il vero inizialmente lei mi trattava come un pazzo, ma alla fine iniziai ad essere ricambiato e tutt'ora siamo fidanzati e ci amiamo da morire! Ehi, non è che hai già visto Clarissa? E' alta più o meno così, ha la pelle lattea con dei tribali scuri tatuati un poco ovunque e i capelli neri, corti, con qualche sfumatura viola... e sulla parte sinistra sono rasati! Ah, lo sai che ho tre cicatrici sulla schiena? Me le sono fatte quando...»
Qui Cody smise di ascoltare.
Quel ragazzo parlava proprio a macchinetta, come diamine lo si fermava?
«Neko...! Ah, eccoti qui!»
Una ragazza magra spuntò dalla boscaglia; corrispondeva alla descrizione che Neko aveva fatto poco prima: era Clarissa.
Il castano scoprì che ella aveva anche due profondi occhi neri, un piercing sulle labbra sottili e una cicatrice ad "X" sulla guancia.
Quando la mora notò un ragazzo sconosciuto, scivolò velocemente vicino a un ormai zitto Neko e puntò lo sguardo al suolo polveroso, diventando silenziosa e schivando ogni contatto visivo fuorché quello che ebbe col suo ragazzo.
“Mi sembrano in gamba, tutto sommato...” si ritrovò a pensare Cody; “Perché no...? Neko è anche simpatico...”
Interruppe schiarendosi la voce le fusa -sì, avete letto bene- di Neko, e spiegò ai fidanzati la missione che lui e i suoi compagni dovevano compiere. I due si guardarono un momento, poi la risposta arrivò dal ragazzo: «E va bene, ci stiamo!»

Noah tutto si sarebbe aspettato, tranne trovare qualcuno possidente il suo stesso elemento. Era una cosa più unica che rara, e quelle poche volte che accadeva i due Maghi facevano parte della stessa famiglia o erano gemelli. Ma lui e Romano, parenti? Per nulla!
Si girò a guardarlo, per fare in modo che i suoi occhi castani incrociassero quelli di un ipnotico viola ametista dell'altro.
Romano accennò un leggero sorriso, scostando dalla fronte un ciuffo di capelli biondi, talmente chiari da essere praticamente albini. Noah gli era subito stato simpatico, era un tipo silenzioso e che sapeva il fatto suo, ma non era sbruffone, e possedeva un sangue freddo invidiabile e una calma razionale. Si assomigliavano da questo punto di vista, erano due tasselli di un puzzle che si incastravano perfettamente.
Elijah osservava le due persone davanti a sé. Si sentiva in armonia con entrambe, una cosa incredibilmente strana per lui, dato che -lo ammetteva- non aveva mai cercato contatti con le persone.
Scrutò con gli occhi blu mare il paesaggio che gli si presentava attorno: ghiaccio, neve e qualche pino. C'era anche un fiumiciattolo, miracolosamente non congelato. Era un luogo perfetto, pensò, per i suoi allenamenti.
«Noah, Romano...» iniziò, nonostante non sapesse bene come cominciare un discorso; «Possiamo fermarci per un po'... qui?»
I due si guardarono un secondo, poi scrollarono le spalle e annuirono, il tutto completamente in sincronia.
Elijah rimase sorpreso dai loro movimenti in simultaneità, ma si riscosse presto e li ringraziò con un cenno della testa, avvicinandosi al torrente.
Notò che l'albino e il bruno lo stavano seguendo in silenzio, e sorrise internamente: forse potevano andare d'accordo.
Romano si sedette su una sponda, tendendo le mani e chiudendo gli occhi. Sentì un leggero formicolio ai polpastrelli, perciò riaprì le palpebre di scatto. Quando si accorse che l'acqua aveva semplicemente qualche increspatura sospirò deluso e abbassò la testa: eppure quell'incantesimo non era così complicato!
«Qualcosa non va?»
«Sto provando una magia... ma non mi riesce!»
«Cerchi di far fluttuare l'acqua... Telecinesi?» Noah si mise accanto a lui, ricevendo un cenno positivo col capo; «Non è difficile, basta concentrarsi» commentò poi, alzando un sopracciglio.
«Lo so, ma non ci riesco!» gli sfuggì un gridolino frustrato, mentre si strofinava velocemente i capelli.
«Prova a parlare con Elijah, il suo elemento è l'acqua, magari ti dà un consiglio su come controllarla» suggerì il bruno.
L'albino osservò Elijah, che stava camminando ad occhi chiusi sul liquido: sì, poteva provare.
Non notò che, dove gli scarponi dell'altro toccavano, il torrente si congelava.

«Si può sapere perché ho dato la mappa a te?» Jeremy si batté una mano in fronte, frustrato, ringhiando e gettando a terra la propria borsa; «Ad un idiota?»
«Yo, io non so cosa passa in quel tuo testone, quindi non prendertela con me, sei tu che mi hai detto di darti le indicazioni» Kennedy tese una mano avanti, aprendola bene in segno di difesa, e chiuse gli occhi a mandorla.
«Ma come diavolo fai a non riuscire a leggere una mappa?! Ed io come faccio a sopportarti?!» non si trattenne più, non ce la faceva. Perché proprio a lui doveva capitare un gemello così? Odiava il fatto che nel fisico fossero identici in tutto, nei capelli neri lunghi fino a metà collo, negli occhi castano chiaro dal taglio leggermente a mandorla e nella corporatura magra.
L'unica cosa che li differenziava erano gli occhiali di Jeremy.
“Senti saputello, anche io devo stare a sopportarti tutto il giorno, quindi stai calmino eh,” pensò Kennedy, alzando gli occhi al cielo.
Grosso errore.
L'altro gli lanciò una stilettata micidiale, con il palmo della mano sulla fronte: «Che hai detto?» sibilò, assottigliando ancor di più lo sguardo.
«Io non ho detto nulla»
«Riformulo: che hai pensato?» e questa volta era davvero incavolato.
«Il potere...» se ne ricordò solo in quel momento, aggiungendo alla fine della frase una parola che evito di trascrivere.
«Sì, il potere...» fece lentamente; «Sei un po' smemorato... vieni qui, che ti metto a posto io!»
«Come vuoi. Fatti sotto!»
Iniziarono una vera e propria lotta, con calci, pugni e qualche morso.
«Vai a quel paese!» gridò Jeremy, quando il fratello iniziò a tirargli i capelli.
«Eh? Quale paese?» Kennedy si bloccò sul momento, allentando la presa per pura confusione.
L'urlo dell'altro si propagò attraverso la vallata...

... arrivando alle orecchie di Dawn, Novella e Ciel.
Le tre ragazze si guardarono un momento, con un'espressione sorpresa e confusa.
Dopo l'attimo di tentennamento quella dai capelli castani -talmente scuri da essere quasi neri- e mossi prese l'iniziativa: «Che dite? Seguiamo l'urlo?»
Dawn la guardò, acconsentendo lentamente, mentre Novella esitò, scostandosi una liscia ciocca bruna dietro l'orecchio e sistemandosi poi la coda di cavallo.
«Silenziose oggi, eh?» continuò Ciel, ironizzando con le labbra rosso sangue piegate in un sorriso sarcastico: «Allora, andiamo?»
Spostò leggermente la frangia che le ricadeva sulla fronte e puntò gli occhi azzurrastri su quelli grandi e verdi di Novella, che interruppe il contatto visivo girandosi: lo sguardo dell'altra aveva un qualcosa di convincente.
«Perché no? Sì, insomma, dopotutto sembra vicina, la fonte del grido» disse, sorridendo e facendo cenno a Dawn di seguirla.
Quella fece sì con la testa ricambiando l'espressione e andando al suo fianco.
Ciel guardò la Maga bionda di sfuggita, giusto una frazione di secondo: si assomigliavano. Entrambe minute, gracili, dalla pelle che pareva fatta di ceramica e gli occhi di quel colore insolito, che celavano un grande potenziale. Intendeva conoscerla meglio.

«Mia signora...» il servo s'inginocchiò, tenendo gli occhi neri abbassati. La zazzera di capelli rossi sfiorava il pavimento, tanto aveva chinato la testa.
«Mh?» la bionda gli rivolse uno sguardo di sufficienza.
«E stato trovato morto per dissanguamento un altro Fry... sulla vetta di una delle montagne Freeme»
L'altra imprecò fra i denti. Il controllo che il suo potere esercitava sulle Bestie non bastava a renderle difficilmente battibili. Serviva di più. E, sebbene non riuscisse a convincersene, necessitava aiuto.
Così prese una decisione che poteva definirsi drastica.
«Chiama B. e S., ho bisogno di contattarle per dire loro delle cose»
«Ma... mia signora... q-quelle due sono pericolose e...»
«Io di più, Rodney» lo fulminò; «E poi... non vuoi accontentare la tua bella regina?»
Lo guardò con quegli occhi magnetici, e lui si convinse quando l'altra accennò un sorriso malizioso e attraente. Ovviamente falso.
«Io... sì. Ai suoi ordini, mia signora» e si allontanò, velocemente.



Angolo Serio-Ma-Non-Troppo
*seduta sul suo Trono della Ritardataria* Ebbene. Ebbene. Sono consapevole del mio ritardo e per questo vi chiedo, umilmente, perdono. Spero che il capitolo sia almeno stato gradito e che i vostri OC siano ben caratterizzati... perché io mi sono impegnata al massimo. Che dire... ah, non so fare la seria, ho capito!
Ditemi che ne pensato o il vostro OC muore ^^ Dai, scherzo XD Comunque ho cosette da chiedervi:
-Come è caratterizzato il vostro OC? (dico solo: questo è il primo capitolo, siamo agli inizi. Pertanto l'OC non è venuto fuori completamente, vi prego di non ammazzarmi subito XD)
-Che ne pensate di quelli altrui?
-La profezia di Artur si rivelerà corretta? XD
Vabbè, ho finito di delirare.
Arrileggerci (presto, mano sul cuore) <3
•Eyes•

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Capitolo 3
*** ~III - Magnetism ***


La mattina dopo erano tutti riuniti nell'arena.
La sera del giorno precedente quasi ogni gruppo era arrivato al villaggio sano e salvo, perciò i ragazzi nuovi e - definizione di Heather appoggiata da Duncan con un “In effetti”, - "anormali" erano stati perlomeno visti e avevano potuto dare almeno un'occhiata alla cittadina.
Perché ho scritto quasi? Perché Dawn e Noah, con rispettiva compagnia, avevano raggiunto gli altri di notte. Noah aveva detto “Prendetevela con Elijah” e Dawn aveva farfugliato parole su un urlo e una lotta familiare, crollando poi per il sonno.
In ogni caso, ora si trovavano tutti nel campo di terra battuta, pronti alle dovute presentazioni.
«Allora, Duncan Nelson, diciannove anni, Cacciatore... cose così, il minimo essenziale. Dai, chi inizia?».
«Io dire gli ospiti» Heather stava a braccia conserte, con la schiena dritta, e scrutava i nuovi arrivati con un'espressione fredda e indecifrabile.
«Non ci vuole tanto» fece allegramente Neko; «Mi chiamo Neko Feltron, ho venti anni e sono un Cacciatore».
«Avrei giurato fossi un gatto» commentò Matisse; «Matisse Wright, diciannove anni, Cacciatore».
«Lola Kishimoto, diciotto anni, Cacciatrice» a parlare era stata la ragazza col piccolo neo sotto l'occhio sinistro. Era sorridente, anche se si poteva notare fosse un po' a disagio.
A disagio come Elijah, non abituato a stare in mezzo a tanta gente. Si sistemò il morbido ciuffo corvino-bluastro che gli ricadeva sulla fronte con una mano, guardandosi intorno.
Quasi tutti gli altri lo fissavano: volevano parlasse lui. Non abituato a tanti sguardi indagatori preferì esitare, desiderando di essere altrove, quando sentì una stretta delicata alla spalla. Girò lo sguardo, incontrando quello ametista di Romano, che gli sorrideva leggermente.
Sentì un improvviso calore partire dal petto e salire fino alle guance. Le sue gote erano un po' più arrossate, cosa strana in mezzo a tutto quel gelo, se lo disse anche lui. Ed era un sensazione strana... nuova. Quel contatto lo stava mettendo in imbarazzo, ma, anche se non capì particolarmente perché, ebbe la forza di incoraggiarlo.
«Elijah Mercury, diciannove anni. Sono un Mago e controllo l'acqua» era di nuovo tranquillo, come suo solito. E pensare che poco prima era in soggezione.
«Romano Maximov...».
«Abbinamento strano» Ciel gli rivolse un sorriso sghembo, incurvando le labbra rosso fuoco.
«Già. Comunque ho venti anni e sono un Mago anch'io» concluse l'albino, mentre i fiocchi di neve gli cadevano sulle guance coperte di lentiggini grigie come piccoli cristalli.
«Se stiamo parlando di Maghi mi unisco: sono Altair Mizar, ho diciassette anni e possiedo l'elemento del fuoco!» era la ragazza col cappuccio del mantello scuro calato sul volto, che non aveva smesso un secondo di essere allegra e sorridente.
«Perché non ti togli quel cappuccio e ci mostri il tuo bel visino?» intervenne Kurai, a braccia conserte, rimediando un ringhio da parte di Anser. Il ragazzo, però, lo ignorò - a fatica, - e continuò a parlare; «Magari sei rossa, e se devo essere sincero le rosse sono le mie preferite» ghignò in direzione di Scarlett, che arrossì appena, rompendo il contatto visivo girandosi.
«Beh, se devo essere io sincera i corvini a me non piacciono. Escluso mio fratello» fece Altair, incrociando le braccia e imbronciandosi leggermente, facendo sporgere il labbro inferiore.
Il moro sbuffò, corrucciandosi, ma si limitò a dire schiettamente: «Kurai Shikage, diciannove, Cacciatore».
«Scarlett Verlac, diciassette anni. Sono una Curatrice» intervenne una ragazza gracile, dagli zigomi accentuati. Il tono era basso, e timido come il sorriso che aveva sul volto. Osservandola bene, si poteva addirittura definire il suo aspetto "adorabile".
Talmente adorabile che riuscì ad attirare l'attenzione del ragazzo abbronzato e alto, il cui sguardo poco prima era rivolto al bel viso di Lola.
Richard sorrise debolmente a Scarlett, che ricambiò, e a lui sembrò che quel sorriso emanasse una fioca luce fra i respiri opachi e condensati dal freddo.
Per un momento si diede dell'idiota: cos'era quello, un pensiero quasi-romantico?
No, doveva girarsi, a lui non piacevano le cose adorabili. O, almeno, non l'avrebbe mai ammesso.
«Richard Perez, ho vent'anni. Cacciatore» non riuscì comunque a distogliere gli occhi castani da Scarlett, anche se lei aveva iniziato a parlare con Charlotte.
«Amalia Perez. Ho diciassette anni e sono una Curatrice» sua sorella prese parola, con un'espressione talmente sorridente che pareva illuminarla.
Fece girare lo sguardo limpido e azzurro su tutti i presenti, ma esitò mezzo secondo in più sul volto del ragazzo pallido e imponente dalle iridi del medesimo colore, solo molto più chiare.
Lui se ne accorse e si girò subito verso sinistra. Odiava i propri occhi. Erano così tristi, spenti... a volte, quando si guardava allo specchio, gli sembrava di caderci dentro. Ma non come puoi cadere nell'oceano blu di quelli di Elijah, o in quello d'inchiostro di Clarissa, o ancora nel cielo tempestoso che sembrava stare in quelli di Arthur. Cadevi in un oblio scuro e quasi senza fine, che ti faceva sentire freddo, insensibile. Ti faceva sentire vuoto. E non voleva che un'allegria angelica come Amalia ci precipitasse, gli ricordava tanto sua sorella...
«Io sono Ciel Climel, Cacciatrice diciannovenne» disse la bruna, mantenendo quell'espressione che diceva solo: “Fidatevi di me, so quello che faccio”, con gli occhi furbi che vagavano alla ricerca di un volto specifico. Di certo, nessuno poco prima aveva notato lo sguardo di fuoco che aveva lanciato ad Elijah.
«Arthur Kirkland... ho diciotto anni e sono un Mago» a parlare questa volta era stato il ragazzo pallido e basso. Si sistemò il lucido ciuffo corvino piegandolo leggermente verso il cielo per apparire più alto.
«Sei maggiorenne?!» sgranò gli occhi Matisse; «Pensavo avessi quindici anni... ehi, senza offesa» alzò poi le mani, come a difendersi. Guardò nuovamente la statura gracile del moro, poi le leggere occhiaie sotto agli occhi e infine le orecchie un poco appuntite.
Sì, forse l'ultimo dettaglio non era necessario, ma gli sembrava decisamente un ragazzino che studiava ogni notte per la verifica a sorpresa del professore sadico e insensibile di turno.
Accanto a lui fu la ragazza alta e fin troppo magra a prendere parola, attorcigliando sull'indice una ciocca castana che le incorniciava il viso: «Novella Spike, diciannove, Curatrice»
Sembrava pensierosa, con la fronte leggermente aggrottata e lo sguardo dritto di fronte a sé. Matisse continuò a fissarla, non capiva dove la sua mente risiedesse in quel momento. Eppure voleva saperlo. Ma perché diamine a lui avrebbe dovuto importare? Forse perché detestava veder soffrire gli altri. Era, in fondo, preoccupato, temeva che lei si stesse sentendo male. Ma bocciò l'idea, si disse che non sembrava dolorante.
Quando d'improvviso lei girò il volto e le loro iridi s'incrociarono, lui fece scattare il viso verso la parte opposta, indossando un'espressione forzatamente imbronciata.
Troppo tardi. Novella sorrise, chiudendo gli occhi e inclinando poco la testa.
«Milah Darkice. Diciotto anni, Cacciatrice» fulminò con lo sguardo Seamus, che aveva fatto un verso ironico roteando gli occhi al cielo quando lei aveva pronunciato l'ultima parola.
«Seamus Silver. Cacciatore. Ventuno anni».
Molti si domandarono come riuscisse a mantenere lo sguardi fisso, piatto, quando la cosa più naturale era osservare i nuovi compagni. In buona parte lo fissavano incerti, e questo non sfuggì al Cacciatore dai capelli argentei, che dentro di sé si sentì soddisfatto.
Nascose un piccolo sorriso dietro la maschera di metallo che portava. Aveva imparato a riconoscersi anche con addosso quella copertura, quel freddo ferro dietro cui celava increspature di labbra o qualunque altro spiraglio emotivo. Anche se, talvolta, si ricordava cos'era, com'era in realtà e la maschera scivolava a terra, e lui doveva ricucirsela addosso.
Gli angoli della linea retta che erano le sue labbra s'incurvarono appena verso il basso.
Tornò ad ascoltare le presentazioni, che continuavano.
«Jeremy Lovan, Curatore. Diciannove» la voce era un poco storpiata per via del labbro spaccato, la frase si concluse con un gemito di dolore. Grandioso, gli faceva male anche solo parlando.
Il suo gemello ghignò soddisfatto, prima di dire: «Kennedy Lovan, diciannove, sono Curatore».
Era felice, aveva ferito suo fratello al labbro e gli aveva lasciato graffi e lividi qua e là. Certo, lui non era preso molto meglio, con una macchia violacea sulla spalla, lo stomaco dolorante e l'occhio sinistro gonfio e nero, ma almeno riusciva a parlare e il male era quasi passato.
Per un momento si chiese perché si sentisse tanto bene sapendo che suo fratello stava provando dolore fisico, ma accartocciò in fretta il pensiero ricacciandolo nell'angolo buio della sua mente e riprendendo ad ascoltare gli altri.
Era una ragazza bassa e il fisico gracile a parlare, con le mani unite in grembo e l'attenzione rivolta al suolo per dimostrare l'imbarazzo e la timidezza che avevano, probabilmente, impegnato la sua testa.
Parlava con voce flebile, ma si potevano sentire le parole che esalava se si tendeva l'orecchio.
«... Charlotte Rosengate, diciassette... Curatrice» l'ultimo pezzo venne pronunciato mentre il suo dito indice indicava la borsa di pelle che portava. Sembrava pesante, rigonfia com'era, ma lei non appariva in difficoltà e, anzi, strinse forte la bretella, come spaventata all'idea che qualcuno gliela potesse togliere.
Sentendosi addosso più che qualche paio di occhi, decise infine di accennare un piccolo sorriso e rivolgere lo sguardo alla propria destra - sperando di trovare quello della dark, -, ma incontrando quello duro di Seamus il buon proposito evaporò in un attimo, cosa che la fece riportare le iridi dorate e con sfumature verdi a terra. Sentì una mano sulla spalla: era Milah.

La donna scoppiò in una risata senza controllo. Guardò un'ultima volta la sfera che S. le aveva passato tramite uno dei suoi Buitteri. Dentro, sfumato come in un sogno, c'era ancora il volto della Curatrice dai capelli a boccoli. Era così debole... sarebbe stata così facile... così semplice da manipolare...
Sentì passi dietro di sé.
«Signora...» Rodney chinò il capo; «B. è qui per vederla»
La bionda sgranò appena gli occhi. Era andata lì?
L'aveva raggiunta!
Perché mai?
Mentalmente si disse che le possibilità erano due: o passava da quelle parti e intendeva trovarla (dopotutto, quando aveva cercato di contattarla con una lettera, la donna non aveva riposto: non era presente in casa), o...
«TU! Mi devi delle spiegazioni!».
... o la lettera l'aveva ricevuta e l'aveva letta, e ciò che vi era scritto l'aveva fatta imbestialire.
“A 'sto punto, direi la seconda”.
Assottigliò lo sguardo: «Ammetto che sì, te ne devo, ma chiudi quella bocca rifatta che ti ritrovi e non gridare con quella vocetta stridula, è insopportabile!» le puntò un dito contro.
«Come ti permet-».
«Riguardo alle dovute e richieste spiegazioni» urlò per sovrastare la voce dell'altra, lanciandole una stilettata, che quella ricambiò volentieri; «Se ti ho contattata è perché...».
«Lo so perché! Ora quel che devi spiegarmi è perché il tuo potere ha fatto cilecca di punto in bianco, tanto da obbligarti a richiedere il mio aiuto!».
«Non ha fatto cilecca» sibilò fra i denti l'accusata; «Semplicemente inizia a perdere potenza. E ci credo, se quella scema continua a contrastare il mio incantesimo di controllo, io o mi devo preoccupare di rafforzarlo per farlo resistere ad altre magie o devo continuare ad esercitarlo. Se pratico entrambe le cose insieme, come sto facendo si recente, il cervello delle Bestie riprende a ragionare, anche se solo in parte, da sé, iniziando a respingere i comandi della sottoscritta dalla mente».
«Per “quella scema” intendi la tua cara...».
«Non. Occorre. Precisare» scandì bene le parole, facendo attenzione a lasciare uno strato di gelo a ricoprirle. Quando però notò il sorrisetto sul volto della donna, capì che l'aveva fatto di proposito.

“Milah...” pensava Charlotte, socchiudendo le palpebre ricoperte di ombretto rosa.
La dark le stava rivolgendo un sorriso tranquillo, sperando che trasmettesse calma anche alla Curatrice. Sì, Milah le era sempre rimasta accanto.
Era stata quella Milah a diventare la sua prima nonché migliore amica, quella Milah a farla uscire - almeno in parte, - dalla sua timidezza. Quella Milah che ora le stava stringendo la spalla, con un'espressione che la fece ridere quando venne accompagnata da un sussurro percettibile solo a loro due: «Ignora Seamus. Avrà il ciclo».
Alcuni si chiesero perché la castana stesse ridacchiando, ma a lei non importava più di tanto.
Milah le era stata vicino anche quella volta.
Le due riportarono lo sguardo di fronte a sé, per continuare a seguire le presentazioni.
«Anser Mizar. Ventuno» si girò verso Altair, come per controllare che fosse ancora lì, per poi concludere con un'ultima, lapidaria parola; «Cacciatore».
Passarono circa dieci secondi, nei quali ognuno - eccetto un certo ventunenne dai capelli e barba argentei che si stava rigirando l'elsa della spada fra le mani e un ragazzo mezzo gatto che sembrava stesse parlando da solo, dato che gesticolava girato di spalle, - si guardò attorno controllando che tutti avessero fatto la presentazione.
«Beh... voi nuovi avete fatto todos, no?» esordì Alejandro, sorridendo caldamente. La frase fece notare un tono calmo e delicato, mentre il ragazzo abbronzato si passava una mano fra i capelli castani per pulirli dalla brina e dalla neve.
«No!» prima che un coro d'assenso si levasse dal gruppo, un miagolio ben sonoro interruppe i “Sì” sul nascere, per poi parlare velocemente; «No, manca lei!».
Neko spinse avanti Clarissa - non senza un po' di difficoltà, -, che ritornò velocemente al suo posto facendo passi indietro, ancora con le labbra serrate quasi il rossetto violaceo fosse stato colla. Era evidente la sua voluta silenziosità, dato che gli occhi scuri stavano fulminando Neko per averla fatta "scoprire". Il Cacciatore alzò le spalle innocentemente, scusandosi con un sorrisino.
La ragazza si morse il labbro - odiava essere al centro dell'attenzione, -, ma quasi subito decise che il danno era fatto. Distolse lo sguardo e intrecciò le dita dietro la schiena, spostando il peso sui talloni.
«Clarissa Makor... diciotto... Cacciatrice» quando finì di parlare Duncan si permise di fare un fischio, alludendo alla bellezza della mora, guadagnandosi un soffio felino da Neko. Il fidanzato le scattò davanti, continuando a ringhiare e emettere sibili, mentre lei arrossiva - lo faceva sempre, ad ogni complimento.
«Adesso che i novellini hanno fatto tutti, possiamo fare anche noi del villaggio così ci togliamo le presentazioni dalle scatole?» Heather e la sua finezza.
«Dopo di te, chica».
Heather fulminò Alejandro con gli occhi grigi, per poi presentarsi: «Heather Thompson, Cacciatrice, venti anni».
«Cacciatore Alejandro Burromuerto, ventuno anni, al vostro servizio» fece un piccolo occhiolino ad alcune ragazze, inchinandosi con enfasi.
«Courtney Barlow, Cacciatrice diciottenne».
E avanti così, fino all'ultima ragazza.
«Gwen Fahlenbock, Cacciatrice. Ho diciotto anni» si posò le mani sui fianchi, spostando il peso sul piede sinistro, per aggiungere con un sorriso divertito, forse anche leggermente provocatorio: «E adesso che sappiamo i nomi di tutti, una sorpresina: pronti a combattere?».
Jeremy si fece avanti.
«Ma siamo appena arrivati! E io non sono nelle condizioni più ottimali» si indicò il volto, chiaramente soffriva ancora per le botte ricevute.
«Hai accettato di venire qui, perciò ti conviene abituarti alle lotte, tesoro» intervenne Seamus, con sarcasmo marcato nell'ultima parola.
«Jeremy, tu e Kennedy siete pregati di andare a curarvi le ferite, in modo almeno superficiale» si aggiunse Courtney; «Ma, per testare le capacità dei Curatori... tu, coi boccoli castani e biondi, Charlotte giusto? Dovrai accompagnarli e utilizzare ciò che ti sei portata dietro per far provare loro meno dolore e lasciar cicatrizzare il più possibile i graffi» scelse attentamente una ragazza ma non espose i motivi, per poi indicarle con la mano le due ante per uscire dall'arena.
Charlotte sussultò, sorpresa di essere stata scelta tra tutte le possibilità. Annuì forse con troppa forza, dicendosi che era l'occasione buona per dimostrare a tutti che era abile, nonostante la timidezza. E poi, doveva aiutare una persona che sembrava così seria, e garbata, e gentile... e una che non dava la stessa idea, ma mai giudicare un libro dalla copertina, no?
«Dove... dove devo andare a curarli?» fu schietta e pratica, diretta, non utilizzò giri di parole perché non intendeva sembrare esitante. Se la si guardava bene, quasi si potevano notare la determinazione e la sicurezza che stavano prendendo posto dentro di lei, e delle piccole scintille che sembravano scaturire nei suoi occhi. La sua mente stava già lavorando, e analizzava le varie tecniche di cura che pensava sarebbero potute essere utili per aiutare i due gemelli.
«Esci di qui, seconda struttura alla tua sinistra. E' la biblioteca, in caso volessi ripassare gli effetti di una pianta prima di utilizzarla. Muoviti» Heather e la sua finezza parte seconda.
«Sissignora» si strinse nelle spalle, sistemando il colletto della sua maglia rosa scuro e srotolandone le maniche bianche, facendo notare che erano lunghe fino a tre quarti del braccio. Infine aggiustò la sua mantellina azzurra, facendo un timido cenno a Jeremy e Kennedy, che la seguirono in silenzio fuori dal portone.
Attesero che il legno si richiudesse dietro i fratelli, poi l'attenzione venne spostata nuovamente su Gwen.
«Allora... chi vuole fare un piccolo incontro amichevole? Possibilmente non ammazzatevi a vicenda. Se un Cacciatore o un Mago durante la lotta riporterà ferite particolarmente dolorose, verrà scelto a caso un Curatore, che dovrà rimediare. Tutto chiaro? ... bene. Iniziamo?».
«Mi offro volontaria».
«Voglio combattere io».
Rispettivamente Lola e Richard alzarono la mano e fecero un passo avanti.
Il ragazzo sentì una famigliare scossa di eccitazione scivolare lungo la spina dorsale. Era elettrizzato, anche se non lo dava a vedere, e in cuor suo sperava lo fosse anche Lola, allo stesso modo. Quel freddo gelido che aveva preso possesso del suo cuore da qualche anno venne spodestato da un calore che bolliva come lava, allagandogli lo stomaco e occupandogli il petto - rabbia.
In lui c'era poi quella parte dormiente, che si destava quando bisognava mettersi in gioco - ed era violenta. Si stiracchiava, stava sbadigliando, era pronta allo scontro - anche se, in fondo, Richard non la voleva. Sospirò, un respiro impercettibile, ma che per lui era così pesante e carico di frustrazione.
Al contrario, la ragazza stava ancora sorridendo e osservava le reazioni altrui. Riusciva a leggere nello sguardo di alcuni la loro sorpresa, forse perché lei sembrava insicura e timida, e forse perché Richard appariva riservato e tranquillo. Sì, si disse che era così.
In effetti, pochi si erano aspettati che i due si sarebbero fatti subito avanti. Esclusivamente quelli molto legati a uno di loro - come Amalia, - o le persone che avevano intuito una sfaccettatura combattiva nel carattere di lei o in quello di lui - tipo Romano, lui lo aveva capito, - avevano pensato che la castana e il biondo avrebbero fatto richiesta di combattere per primi.
«Perché non dovreste? Il campo è vostro!» sorrise Geoff, aggiustandosi il cappello posato sopra i capelli biondi.
Sierra si esibì in un urletto acuto, per poi dire, con quella sua vivacità brillante: «Il mio Codichino vi farà da arbitro! Vero? Vero? Vero?!» e si lanciò al capezzale di Cody, che un po' agitato - o spaventato? - annuì vigorosamente, non avendo il coraggio di contraddirla.
«Se possibile non uccidetelo sbagliando bersaglio» Noah non riuscì ovviamente a trattenere uno sprazzo di sarcasmo nella frase.
«Su, non serve essere dei geni per capire che gli spettatori si devono togliere di mezzo e che i due combattenti devono mettersi uno di fronte all'altra e iniziare al via dell'arbitro, datevi una mossa!» Heather e la sua finezza parte terza.
La ventenne aveva già raggiunto una delle pareti, e si era sistemata accanto ad una spada argentea appesa al legno.
«Potete usare le armi, se non le avete tolte con l'armatura quando siete entrati» fece Duncan, ignorando l'intervento alquanto sbrigativo della mora roteando gli occhi. Dopodiché raggiunse il lato destro dell'arena, appoggiandosi ad un muro privo di decorazioni.
Poco prima dell'inizio dell'incontro, Elijah approfittò del movimento massiccio di gente, e avvicinandosi a Romano gli tirò la manica per parlargli.
«Ascolta...» iniziò lentamente, mentre nella sua testa tentava di soppesare le parole; «Prima mi hai poggiato la mano sulla spalla... perché?».
Era dubbioso. Non lo stava incolpando, no. Solo, nutriva una certa curiosità per le persone, e per le azioni tanto "intime" che le caratterizzavano. Era consapevole di essere lui stesso una di quelle persone, ma c'era qualcosa che non percepiva, o che non capiva, quindi la risposta dell'albino poteva anche fargli presente qualcosa da questo punto di vista. Insomma, perché mai degli amici sentono il bisogno di cercare nell'altro - o nell'altra, - un contatto di qualsiasi tipo? Mani sulle spalle, abbracci, baci sulle guance, dita intrecciate le une con le altre. Non se lo spiegava, proprio no. E l'essere vissuto completamente solo per gran parte della sua vita non lo aiutava certo nel rispondere a certe domande.
L'altro alzò un sopracciglio continuando a camminare meccanicamente, come un automa - sì, leggermente inquietante, - e sembrò pensarci un secondo, ma dopo optò per la verità: «Beh, ho intuito che sei una persona riservata. Non mi pare tu sia abituato a stare in mezzo a molte persone, quindi ho voluto... incoraggiarti, diciamo. Ed è servito anche a me... vedi, ho una specie di fobia per il luoghi troppo affollati... per il resto, mi è venuto automatico. Ci si incoraggia tra amici, no?».
Elijah alzò le sopracciglia arcuate. Quindi loro erano amici? Normalmente avrebbe pensato che era troppo presto per utilizzare quella definizione, ma il pensiero non gli attraversò minimamente la mente e, anzi, di colpo gli sembrò tutto più chiaro.
Ecco il perché di tutti quei gesti d'affetto fra le persone: serviva a dimostrare l'amicizia che li legava, il filo sottile sottile che congiungeva i due cuori, serviva a rassicurare, a strappare un sorriso. Assunse un'espressione più rilassata, rallentando il passo e fermandosi poco dopo accanto a Romano, sul lato sinistro della struttura.
«Sai,» aveva subito parlato l'albino, attirando la sua attenzione, con gli occhi che sondavano però il centro del campo; «... a volte, un legame inizia proprio con un gesto del genere. E spesso, quel legame diventa qualcosa di molto importante».
Poi, quando il castano gli guardò il volto, vide le labbra del ragazzo incresparsi verso il cielo, e seguì il suo sguardo d'ametista. Notò che gli sfidanti erano in procinto di stringersi la mano, e quindi sorrise: anche quei due potevano diventare amici.
«Allora Lola, pronta a perdere?» provocò Richard, tendendo il braccio.
«Non ho mai perso un incontro prima d'ora, ragazzo avvisato, mezzo salvato» gli fece un occhiolino la castana, accettando poi, lievemente imbarazzata, la stretta.
«Okay ragazzi, potete usare armi ma niente colpi fatali. Non avete addosso nemmeno l'armatura, perciò occhio a quel che fate. E adesso, senza ulteriori indugi, potete iniziare!» Cody allargò le braccia, colpendo dritta in faccia Courtney, che lo fulminò con lo sguardo mentre lui si scusava piano.
E lo scontro ebbe inizio.
Richard era consapevole di non essere mai stato troppo veloce nel ragionare. Certo, preferiva di gran lunga essere razionale piuttosto che impulsivo, ma era senza armatura, la spada l'aveva tolta e lo scudo era dalla spada, di conseguenza non poteva permettersi errori o esitamenti. E poi, provare una nuova tattica non poteva nuocere... giusto? Decise quindi di combattere come veniva e si disse che ormai non poteva tirarsi indietro - non che volesse, sia chiaro, -, che ormai era in pista. E anche la rabbia che saliva, il sangue che sentiva bollire nelle vene ogni qualvolta lottava lo aiutarono a smuoversi. Fece la prima mossa lanciandosi contro l'avversaria, premettendo a sé stesso che non le avrebbe fatto del male.
Dal canto suo, Lola voleva essere silenziosa nella lotta. Stava già elaborando un piano quando Richard le corse incontro, veloce tanto che dovette bocciare l'idea preparandosi per un combattimento meno furtivo e più rapido.
Il biondo non aspettò tempo e attaccò con un calcio laterale, prontamente schivato dalla ragazza con un balzo indietro - e le era sembrato troppo facile.
«Non devi andarci piano con me solo perché sono una ragazza, non sono indifesa e so come funziona» Lola tentò con un pugno, ma Richard si abbassò in tempo.
«Come vuoi» provò con un montante.
L'altra mise le mani sotto al mento parando l'attacco, subito dopo si scostò in fretta per lasciar rialzare il ragazzo. Preferiva vederlo negli occhi - erano così freddi, ma quella tonalità, quel castano così chiaro da perdersi in un limpido color mandorla, la attirava come una calamita, -, non voleva fissarlo dall'alto. Con un movimento deciso mirò con un calcio il volto dell'altro, ma quello alzò l'avambraccio parando il colpo e respingendolo.
«Sei veloce» si concesse un commento.
«Anche tu» rispose Richard, prendendo un profondo respiro e calmando il battito accelerato del suo cuore.
Per qualche minuto il loro scontro divenne un ballo, di calci e parate e pugni e schivate, veloce e fluido, completamente naturale. Poi Lola si decise: era ora di smuovere l'atmosfera. Constatò che iniziavano entrambi a stancarsi troppo per andare avanti ancora a lungo. Prese dalla tasca dei jeans un coltello dal manico nero, con disegnata su quest'ultimo una K racchiusa in un cerchio, stringendolo sicura.
Voleva chiudere.
Scattò verso il biondo a testa bassa, come se cercasse di fendere l'aria e, brandendolo come una piccola spada, quando fu abbastanza vicino, mosse dall'alto verso il basso il pugnale, mirando alla fronte. Richard si sarebbe sicuramente spostato, e a quel punto lei l'avrebbe sorpreso con un calcio che avrebbe messo fine all'incontro.
Ciò che non si aspettava, era un movimento più rigido.
Il ragazzo, vedendo arrivare la lama dall'alto, non pensò nemmeno di scostarsi a lato - eppure, ciò che stava facendo avrebbe potuto essergli fatale: se lei avesse continuato l'affondo, cosa che non aveva fatto perché aveva previsto uno slittamento (sbagliando), il pugnale lo avrebbe probabilmente colpito. Impulsivamente si accucciò in fretta, tendendo una gamba verso l'esterno e tenendola ben ritta, poggiando a terra i polpastrelli.
Poi accadde tutto in un secondo.
Forse per istinto forse ragionando, Richard roteò su sé stesso, colpendo alle caviglie Lola con il piede, facendola cadere a terra inevitabilmente. Quando la castana rovinò sul terreno, si accorse con orrore che l'impatto le aveva fatto sbalzare via il pugnale.
Si girò, svelta, pronta ad alzarsi, ma era già troppo tardi: davanti a lei stava Richard, a differenza sua già in piedi, col coltello brandito nella sua direzione, la lama che le sfiorava la punta del naso.
«Allora, ti arrendi?» chiese, con un sorrisetto che la ragazza reputò vagamente fastidioso.
Lola riconobbe allora la sua sconfitta, abbassando lo sguardo e alzando le mani: era andata...
Il biondo le restituì l'arma, alzando poi un pugno al cielo e correndo ad abbracciare la sorella. Alcuni ragazzi e un paio di ragazze gli fecero anche dei complimenti.
La castana tenne le iridi chiare a terra, sentendo l'orgoglio scricchiolare sotto il peso dello scontro perso, quando una voce, vivace e frizzante ma ferma e decisa, le fece rialzare gli occhi.
«Allora, intendi rialzarti o vuoi restare qui fino alla fine dei tuoi giorni? Non dirmi che ti arrendi per così poco!» Ciel le porgeva una mano, con un sogghigno che scopriva i denti.
Lola accettò l'aiuto per rialzarsi, mentre la sua espressione mutava in una più determinata. Lei era forte, non debole, non si sarebbe certo arresa per una sconfitta sola. Anche se, doveva ammetterlo, bruciava. Bruciava da morire - e le raschiava la trachea, mandava in fiamme lo stomaco e faceva formicolare le mani. Deglutì con convinzione il groppo di rabbia che le si era annidato in gola, scacciando quel sentimento che non le si addiceva - né tantomeno le piaceva, - per nulla.
Solo una volta in piedi notò quanto la bruna fosse bassa e gracile. Perfino lei, che era di altezza media, la sovrastava di dieci centimetri circa, forse otto o nove, o forse undici.
«Beh, neanche un grazie? Ti ho appena tirato fuori dalla depressione» chiuse un occhio, allargando il sorriso. Per un momento l'altra pensò che avrebbe di lì a poco perfino tirati fuori la lingua.
Sorrise di rimando, lasciando che una risatina limpida scivolasse via dalle sue labbra, dove era rimasta impigliata poco prima.
Gli avrebbe chiesto la rivincita, ma non adesso. Ora l'importante era andare avanti.



Angolo Autrice:
Sì ragazzi, I'm back. E con una buona notizia.
Ieri sono andata a comprarmi un computer nuovo - perché l'altro si è rotto e mi hanno da qualche giorno riferito che era irrecuperabile (mi mancherai, Gianni ;w; [?]) - e di conseguenza gli aggiornamenti avverranno più frequentemente. Sì, autori e autrici, ho lo champagne e i festoni qui.
Ma parliamo del capitolo. Ho delle domande anche stavolta, ma prima analizziamo le cose più importanti: si iniziano a formare i primi legami, qualcuno si sente già attirato da qualcun altro (da qui il titolo del cap., magnetismo, nel senso che iniziano ad avvicinarsi e sentirsi, per l'appunto, magnetizzati verso un'altra persona) e Lola e Richard fanno un combattimento. Mi scuso con Regina, ma ti avevo avvertito XD
Nel prossimo chappy seguiamo Charlotte inizialmente, per poi tornare dal gruppo più numeroso :3
E ora, le domande!
1- Come caratterizzo il vostro OC? (sì, ve lo chiedo di nuovo)
2- Avete rivalutato qualcuno?
3- Vi è già partita qualche ship? x3
4- Ho fatto errori? Se sì ditemelo che correggo immediatamente.
D'accordo, ho concluso gente ^^
Arrileggerci!
•Eyes•

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Capitolo 4
*** ~IV - Pain ***


«... non vi chiederò perché vi siete picchiati così duramente, ma state fermi! Capisco che brucia, ma... Kennedy, se continui a grattarti non si cicatrizzerà mai...!» Charlotte era esasperata, aveva provato di tutto, ma quelle ferite erano molte, e per di più i due continuavano a muoversi, doveva passare da un gemello all'altro con piante e intrugli strani, ma puntualmente i due si muovevano per il dolore e il lavoro si rovinava. Per non parlare delle bende di Kennedy, il ragazzo continuava a strofinare la mano sul braccio fasciato, lamentandosi per il prurito.
«Ken, dacci un taglio» fece Jeremy, cercando di dare manforte alla ragazza, che lo ringraziò con un sorriso timido.
Kennedy si fermò con un sbuffo, decidendo di mordersi la mano per cercare di non grattarsi nuovamente.
Charlotte allora si avvicinò a Jeremy con un fiore di Lavendria in mano, che aveva poco prima trovato frugando nella borsa.
«Coraggio, alza la testa» la ragazza teneva il fiore con entrambe le mani, come se non volesse affatto toccare l'altro. E in effetti era così.
Il moro alzò il volto, permettendo alla Curatrice di spezzare lo stelo della pianta e lasciare cadere con più precisione il liquido sul labbro spaccato del ragazzo.
«Ora è meglio se non parli per qualche minuto, così faciliti la cicatrizzazione del taglio» spiegò imbarazzata, mentre riponeva con cura la pianta dal gambo spezzato in un vasetto trasparente, tirato fuori dal borsone. Le guance le si erano imporporate di un tenue rosa scuro, rendendo la bellezza del suo viso ancora più dolce e delicata. Jeremy la ringraziò mentalmente, e l'altra sobbalzò, sgridandolo poi, con calma: «Non parlare... ti ho già spiegato perché».
“Non sto parlando, comunico con la telepatia. E' forte essere dei Maghi” spiegò, fissandola e concentrandosi, tentando di non metterla però in soggezione.
Charlotte sbatté un paio di volte le palpebre.
«Ti sta parlando nella testa, vero? Odio quando fa così, da piccolo mi spaventava mentre dormivo mettendosi a fare strani versi nella mia mente» s'intromise Kennedy.
«Capito...» notando che entrambi gli sguardi dei fratelli erano puntati su di lei arrossì un poco nuovamente. Era sempre stata una ragazza abbastanza amichevole, ma in compagnia di ragazzi diventava molto più timida e titubante, era per questo che durante la presentazione aveva tenuto basso lo sguardo.
«Non fa caldo qui, perché sei rossa?».
«Ken, non si diventa rossi solo quando si ha caldo» Jeremy si era tastato il labbro, constatando che la Lavendria aveva già concluso il suo dovere, e aveva quindi ripreso a parlare; «E' imbarazzata».
La Curatrice gli sorrise, poi tornò a controllare le ferite di Kennedy, ma sempre con leggero timore.
«Non devi essere così titubante, non ti facciamo nulla, tranquilla. ... Possiamo diventare amici, magari!» aveva detto lui, sorprendendo positivamente Charlotte, il cui volto tornò al solito colorito roseo, mentre sulle sue labbra nasceva un sorriso luminoso.
«Certo!» annuì, felice, e istintivamente prese le mani del ragazzo, guardandolo negli occhi; l'imbarazzo sembrava svanito, soffocato da una felicità che pareva farla scintillare; «Grazie» sussurrò. Gli altri non potevano saperlo, ma un amico in più per lei era come un nuovo mattone posto per costruire una barriera in cui si sarebbe sentita protetta e sicura. In cui si sarebbe sentita a casa.
Aveva sentito già da prima che quei due avevano qualcosa di diverso dagli altri, qualcosa che aveva soppresso in parte la sua timidezza, ma non ci aveva dato molto peso. Forse, era la loro limpida semplicità. Era stato facile capirli, ed era a suo agio con loro. Ovviamente un po' di titubanza era rimasta, ma si era ritrovata a parlare a entrambi e dare qualche ordine senza difficoltà e con leggerezza. Non la intimidivano, né cercavano di farlo, e adesso, adesso tutta la soggezione era scivolata via.
«Hai detto qualcosa di intelligente, Ken. Dovrei bere qualcosa per festeggiare».

«Sul serio? Ma scherzi spero!» sbottò B., guardando con stizza l'altra; «Dovrei inviare il mio esercito per fermare... beh, degli sfigati del genere?!».
«Tu li sottovaluti troppo. Anche se non c'è da meravigliarsi, sei sempre stata parecchio ottusa» rispose, tirandole una stilettata.
Quella sbuffò.
«Va bene, i due gemelli hanno un fisico allenato, ma la Curatrice è gracile quanto un ramoscello. E quello senza occhiali, quello è proprio idiota!».
«D'accordo, togliamo quella coi boccoli e quello stupido. Restano gli altri diciotto, più quelli della cittadina. Come la mettiamo?».
«Che diavolo! Ma arrangiati!» fece la donna, mentre si lasciava sfuggire un verso frustrato: non aveva la minima intenzione di aiutare l'altra, ma quella la stava davvero mettendo alle strette.
«Mi devi un favore, converrai con me almeno su questo; te lo ricordi, no?» ghignò.
“E te pareva che lo tirava fuori”.
B. le lanciò un'occhiataccia, ma limitò la sua reazione a quello e a poche parole, soffocate da un ringhio a denti stretti: «Va b...n...».
«Come? Non ho sentito...» cantilenò la bionda, sorridendo soddisfatta. Era un sorriso maligno, velenoso, che scioglieva. Ma non scioglieva perché era dolce quanto lo zucchero o il miele: scioglieva come può scioglierti l'acido, e esprimeva tutta l'amarezza che un cuore marcio di cattiveria aveva ed era pronto a sputarti addosso. Un piegamento di labbra, uno solo, bastava quello a nascondere una lingua tagliente, il cui unico obiettivo era realizzare i propri scopi e far cadere e affondare gli altri.
«Va bene, ho detto!».
«Eccellente» si alzò, mantenendo quel ghigno che lacerava le sicurezze altrui; «Comanda ora alle tue Bestie di andare a radere al suolo quel dannatissimo lo villaggio, voglio vederli cadere. Uno ad uno» e si sedette sul suo trono, accavallando le gambe; «Un mio servo ti scorterà a casa con la mia carrozza, farai prima».
B. annuì, nei suoi occhi si leggeva la furia e la vergogna di essere stata aggirata e comandata, e, reprimendo in gola un insulto, si girò per andarsene.
«Blaineley».
L'altra la guardò da sopra la propria spalla, con bollente ira, scottante rabbia... e pesante disprezzo.
«E' sempre un piacere fare affari con te» sogghignò.
Blaineley sbatté la porta con più forza che poté.

«Finito» sorrise Charlotte, togliendo definitivamente la benda a Kennedy, che rimirò il braccio precedentemente ferito. Sulla pelle c'era solo poco più di una cicatrice chiara, ma sarebbe andata via anche quella.
La ragazza si lasciò andare ad un sorriso soddisfatto, appoggiandosi ad uno dei tavoli che c'erano nella stanza, mentre il Curatore si alzava dalla sedia e andava ad osservare la neve che cadeva fuori.
«Jeremy, hai fatto l'impacco con il ghia... Jeremy?».
«Eh? Oh, ehm... sì, sì certo» le passò un sacchetto dove dentro stavano dei cubetti di grandine, che il ragazzo era andato a prendere fuori. La castana gli aveva chiesto di andare a raccoglierne alcuni, in modo da farne un impacco e posarlo sull'occhio rigonfio di Kennedy. Jeremy, non riuscendo a dirle di no, sebbene non tollerasse l'altro, l'aveva accontentata, e adesso le porgeva l'operato con una mano.
«Qualcosa non va? Sembri... preoccupato...» aveva ammesso quella, prendendo il ghiaccio e lasciandolo all'altro gemello, che se lo posò con uno sbuffo sulla palpebra dolorante.
«E' solo un brutto presentimento...» aveva parlato con nonchalance, alzando le spalle, non intendeva farla preoccupare per niente; «... nulla di cui preoccuparsi».
E Kennedy d'improvviso s'era fatto attento. Se c'era una cosa di cui era certo, era che i presentimenti di suo fratello erano come delle visioni, comprese nelle abilità che il suo essere Mago gli conferiva. Fece però finta di nulla, tornando a guardare il paesaggio freddo attraverso il vetro trasparente.
«D'accordo» fu sollevata Charlotte, iniziando a rimettere nella borsa tutto ciò che prima era stato tirato fuori. Si muoveva meccanicamente, di qua e poi di là, mentre la gonna rossa lunga oltre le ginocchia volteggiava delicatamente sulle calze grigie. Gli stivaletti bassi e marroncini producevamo un lieve e sottile ticchettio sulle assi di legno.
Mentre Jeremy di tanto in tanto le passava oggetti che trovava in giro per la stanza, Kennedy era ancora davanti alla finestra che ammirava il manto candido che c'era fuori. Ogni cristallo cadeva a terra, erano piccoli, quasi incorporei, eppure erano riusciti a formare una morbida coperta bianca che ricopriva, quasi tentando di proteggerlo, tutto il terreno. Inconsapevolmente sorrise, continuando a guardare quello spettacolo gelido ma magico, dove i raggi flebili del sole stavano creando il caratteristico effetto corrusco che la luce donava.
Perfino per lui, che non era mai stato un tipo "filosofico" - né tantomeno abbastanza attento da creare una bella metafora o restare a osservare le bellezze della natura, -, quel paesaggio era splendido.
Ma, d'improvviso, i suoi occhi sgranarono, e percepì il sorriso venirgli strappato via dal volto.
«Ragazzi...» esordì, la voce soffocata, il battito a mille; «Sono qui».
«Certo che sei qui» scosse la testa Jeremy, pensando che no, non si sarebbe mai abituato alla stupidità di suo fratello.
«Non io. Loro».
E Charlotte sembrò capire, perché si lanciò alla finestra e scrutando lontano sforzando lo sguardo. Lasciò cadere per terra una busta contenente foglie di Maltia, pianta che, se spremuta, rilasciava un liquido disinfettante.
«No...» aveva sussurrato, per poi girarsi verso Jeremy; «Jeremy, vai ad avvertire gli altri. Ora».
Lui comprese, annuì e corse fuori, lasciandosi dietro una scia di preoccupazione.

«Vai Ciel!» gridò Lola, le mani a coppa attorno alle labbra per amplificare il suono. La sua nuova amica stava combattendo contro Kurai - che, diavolo, era un osso duro, -, ed erano entrambi senza armi. Erano due abili Cacciatori, ma il ragazzo lottava con rabbia e furia, e sembrava non fermarsi mai, perché Ciel a malapena riusciva a schivare e tentare di attaccarlo. Se poi ci riusciva, lui, puntualmente, bloccava il calcio o il pugno e tirava un altro colpo. Nonostante sembrasse veramente in svantaggio, la bruna non mollava, e Cody non si sentiva in grado di interrompere quello scontro, dato che nessuno dei due dava segni di cedimento.
Ciel aveva appena parato un attacco avversario con le braccia, quando le ante della porta di spalancarono rumorosamente, facendo voltare tutti i presenti verso esse: sulla soglia c'era Jeremy, con i fiocchi di neve impigliati ai vestiti e una bufera visibile dietro di lui.
«Tutti fuori, presto!» aveva urlato, pronto a spiegare la situazione, quando venne interrotto.
«Cos'è, avete dato fuoco alla biblioteca e ora avete bisogno dei pompieri per spegnere l'incendio?» Kurai fece a Ciel uno sgambetto a tradimento, approfittando della sua distrazione, per poi ignorare la ragazza ora a terra e pronunciare la frase ricolma di sarcasmo. Si sentì però trascinato al suolo, e una volta disteso sul terreno girò la testa accorgendosi di Ciel, che aveva ancora le mani sulle caviglie del corvino e manteneva in volto un sorrisetto soddisfatto, che si allargò quando il moro non riuscì a trattenere un ringhio irato.
«E' una situazione seria, Kurai!» rispose comunque Jeremy, lanciando un'occhiata a tutti con un respiro profondo. Si passò una mano fra i capelli, cercando di far scivolare via la tensione e il tremolio che avevano preso possesso del timbro che stava usando; «Le Bestie stanno arrivando».



La donna ghignò soddisfatta.
«B. le ha ubbidito, mia signora?».
«Dubitavi, Rodney?».



“Non di nuovo!”.
Duncan represse un brontolio frustrato, girandosi verso Trent, in cerca di un qualsiasi cenno. Era più saggio di lui. L'altro lo fissò preoccupato, poi comprese e cercò Gwen.

“Non è possibile!”.
Courtney era incredula. Scattò all'entrata dell'arena e afferrò spada e scudo.

“Non perderemo!”.
Con questo pensiero Sierra strinse Cody, aspettando un comando dagli altri.

“Non possiamo subire ancora!”.
Noah percepì l'agitazione intorno a sé e raggiunse Dawn, che richiamò anche Leonard e Harold. Ellody li raggiunse da sé.

“Non adesso!”.
Gwen imprecò mentalmente, ma tentò di mantenere lo sguardo serio e freddo. Vide l'attenzione di Trent, e capì dove lui volesse andare a parare. Annuì e rintracciò Alejandro.

“Non ci credo!”.
Heather si mosse troppo in fretta e il braccio reclamò pietà. Non poteva combattere. Geoff le poggiò una mano sulla spalla, negando con la testa.

«D'accordo» il castano annuì, e Gwen fu veloce a raccogliere con sé Milah e Seamus, chiedendo loro di riprendere armi e armatura e venire con lei.
«Tutti in ascolto!» la voce forte e alta di Alejandro attirò l'attenzione; «Non è uno scherzo e non si giocherà, i Cacciatori e i Maghi fuori, e i Curatori nell'arena. Se arriverà qualcuno nell'arena significa che è ferito, perciò voi dovrete guarirlo e portarlo fuori pericolo.
Riguardo a quelli che andranno in battaglia, verrete divisi in gruppi casuali, Gwen è già uscita con Seamus e Milah, cercheranno di capire la gravità della cosa. Un'ultima cosa: Heather, Geoff e Harold...» i diretti interessati lo osservarono; «... voi non combatterete».
I due ragazzi accettarono in silenzio, ma la mora non voleva assolutamente restare a guardare.
«Non siamo nelle condizioni adatte, Heather» aveva giustamente osservato il Mago, lanciando un'occhiata all'addome fasciato di Geoff e picchiettando piano un dito sulla propria testa avvolta in bende.
«Io non combatterò per adesso, ma andrò a chiarire ciò che faremo con Charlotte e Kennedy, poi mi aggiungerò. Oh, Richard, tu verrai con me» finì il bruno.
«Maghi con Maghi, Cacciatori con Cacciatori. Elijah, Romano, con me» i due seguirono Noah e andarono fuori.
«Altair e Arthur... vi va?» fece timida Dawn. I ragazzi si lanciarono un'occhiata e la raggiunsero in fretta, attendendo però le altre squadre.
«Io vado con Ellody» intervenne Jeremy.
Quella alzò un sopracciglio: «Ma tu sei un Curato-».
«So praticare la magia».
La ragazza si mostrò leggermente stupita, ma mantenne quell'aria sicura e saccente e gli si avvicinò.
Era incredibile come alcuni di loro apparissero calmi di fronte ad una situazione del genere, contando il disastro che stava danzando e vorticando all'interno delle loro menti, e le emozioni che s'impastavano mescolandosi dentro di loro.
«Lola... e Kurai?» Trent appariva tranquillo, ma la leggera ruga che gli era apparsa sulla fronte mostrava tutta l'agitazione e l'indecisione. Sembrò scegliere bene, poiché il moro non fece storie e la castana tentò un sorriso evanescente, che però apparì più come un smorfia mutata da preoccupazione e nervosismo.
«Matisse, Anser, a voi l'onore di venire con me» e anche Duncan cercò ancora di mantenere la sua immagine, di sembrare il ragazzo duro e sarcastico, forse un po' infantile, sicuro nella sua spensieratezza - o presunta tale.
«Ciel e Clarissa, va bene?» Courtney ancora trafficava con spada e scudo, dato che aveva già indossato il pezzo superiore dell'armatura e ora allacciava una cintura in cuoio alla vita, dove probabilmente intendeva appendere le armi. Le due Cacciatrici annuirono, la seconda scambiò un veloce bacio con Neko e raggiunsero la castana.
Ciel fu subito sicura di una cosa: ora sapeva che Courtney era una perfettina anche nell'abbigliamento per andare in battaglia.
«Ehm... ragazzi, non per fare il guastafeste, ma adesso ci vorrebbe tanto lo zoom in bianco e nero sulla mia faccia con una musica triste, perché rimango solo io» il fidanzato, giustamente, lo fece notare. Courtney, percependo lo sguardo di Clarissa su di sé, gli fece un cenno secco e il gruppo da quattro andò allora fuori.
«Ci siamo divisi per proteggere meglio le abitazioni ancora intatte, scegliete voi quale area tentare di preservare. Duncan, tu portati dietro pure Leonard» così Alejandro congedò gli altri, e ignorando il “COSA?! Pezzo di-!” brusco del corvino uscì coi suoi compagni, subito seguito dalle squadre rimanenti.
Erano pronti. O, perlomeno, lo sentivano.

«Com'è la situazione?» Noah osservò Gwen, che si sistemava sulla schiena una faretra piena di frecce, ignorando volutamente qualche occhiataccia che Seamus e Milah riuscivano a tirarsi fra uno sguardo e l'altro.
«Sono in grande numero da quel che ho visto col binocolo, ma non può trattarsi di un intero esercito. Se le ha mandate qualcuno, e temo sia così dato che sembrano voler aggirare le trappole lentamente e con minuzia, prima o poi ci raggiungerà anche il resto per il secondo round» afferrò l'arco in legno, stringendo sull'impugnatura con fare frustrato - dopotutto, anche lo sguardo assottigliato dimostrava quel sentimento, se così lo si poteva definire.
Noah storse la bocca leggermente: «Pensi ce la faremo?» rifilò uno sguardo incerto a Romano e Elijah, che parevano pendere dalle labbra della Cacciatrice.
«In guerra, e in amore, tutto è possibile. E ora diamoci da fare, le prime file sono composte da Lupi vari, non daranno troppi problemi, cerchiamo di tenerli lontani finché non tornano anche gli altri».
L'altro annuì e si girò verso gli altri due Maghi, squadrandoli velocemente. L'albino tremava leggermente per il freddo, ma esso non sembrava dargli troppo fastidio, mentre il corvino pareva assolutamente a proprio agio.
Il bruno fece un cenno veloce con la testa, indicando loro i gruppi di Bestie che continuavano ad avvicinarsi, per poi affacciarsi da dietro il cumulo di neve che li copriva, mormorando: «Si divideranno di certo in gruppi se incontreranno uno scudo». Poi, un effetto sorpresa sarebbe potuto essere utile, perciò si concentrò sull'innalzare una barriera che li avrebbe resi non visibili per del tempo.
Romano gli si avvicinò, capendo l'idea e dandogli manforte copiandolo.
Elijah si sentiva un po' inutile, ma non disse nulla e si limitò a guardare Gwen, Seamus e Milah che si allontanavano, dirigendosi verso destra, utilizzando lo scudo di magia per cercare di sorprendere i nemici da un lato.
Sospirò, soffiando lontano nervosismo e batticuore, ricomponendosi e riassumendo il suo fare tranquillo, sperando di infondere calma innanzitutto agli altri due, piuttosto che a sé stesso.

«... e a quel punto Tammy ha suonato una melodia magica potentissima, tanto che i due bulli dovettero tapparsi le orecchie!».
Matisse - sguardo stanco e capace di assassinare un Fry sul colpo tanto era omicida, - tentava di ignorare i racconti di Leonard, che imperterrito fantasticava sulle “avventure incredibili” che aveva vissuto con una sua amica, Tammy, una ragazza - da quel poco che aveva compreso, nonostante cercasse di isolarlo dalle orecchie, - tarchiata e bionda. Forse il Mago cercava di alleviare la tensione, poiché tentava in tutti i modi di tenere su una conversazione - o più che altro un monologo, - e non lasciare che il silenzio prendesse il sopravvento, ma di certo quell'approccio era il più errato.
L'ultima frase in particolare, fece venire voglia al Cacciatore castano di trapassargli il cranio da parte a parte con la sua alabarda, perché, diavolo, era ovvio che i cosiddetti bulli si fossero tappati le orecchie data la stonatura della "melodia". Da quel che sapeva, gli strumenti erano complicatissimi da incantare, e Tammy non era neppure una Maga, il ragazzo di colore gliel'aveva confermato marcando quanto fosse stata in gamba: era convinto l'amica avesse fatto un incantesimo senza poter utilizzare la magia.
«Oh! Adesso devo assolutamente raccontarti di quando un Buittero ci ha attaccati tentando di cavarci gli occhi!».
E a Matisse l'idea di ficcarsi un coltello nel cuore, d'improvviso, non sembrò poi così male.
«Anser!» la vice appariva lievemente soffocata, ma armato da chissà quanta disperazione aveva afferrato sporgendosi il colletto del mantello in pelliccia di Anser, tirandolo inaspettatamente all'indietro al suo posto, e appostandosi accanto a Duncan con uno scatto.
«Che diav...» aveva mormorato il pallido, ma il sussurro venne presto sovrastato dall'infermabile parlantina di Leonard.
Il Cacciatore castano sospirò, lasciandosi cadere sul muro aderendoci con le spalle.
«Sei stanco e neanche abbiamo iniziato. Ti facevo più resistente, Wright».
«Senti, quel Maghetto fa i discorsi più insensati del regno, non capisco come possa veramente essere stato scelto, Duncan» ringhiò il diretto interessato, con quell'espressione fredda e duramente seria che lo contraddistingueva.
«Me lo chiesi anch'io inizialmente. Ma, sorprendendomi, ho scoperto presto che ha un gran potenziale. Discende da una stirpe di Maghi, è fatto per quel ruolo, e non riesce a controllare il suo potere. Ciò lo rende imprevedibile, e ha una specie di sesto senso: quando è in pericolo, riesce a proteggersi subito e inizia poi a combattere sul serio, è stupido, ma non vuole morire» spiegò l'altro, scrutando teso un Fry che annusava ringhiante il terreno coperto di neve, a una quindicina di metri di distanza.
«Cazzo, chiudi quella fogna che ti ritrovi sulla faccia e stai pronto, tra poco dovremo attaccare e cerca di non farmi innervosire prima del dovuto, o potresti fare la fine del braccio di Heather» ringhiò ad un certo punto Anser, passandosi una mano sul volto diafano e tentando di trattenere l'istinto omicida che potente batteva sul suo sterno, consigliandogli allegramente di spaccare il naso a quel Mago idiota e passare poi al resto del corpo.
«Siamo impazienti qui, ah?» ironizzò l'altro ragazzo dagli occhi celesti, girando appena il volto verso il compagno con un ghigno strafottente sul volto; «E sia. Se proprio ci tieni, possiamo far loro il culo anche subito».
«E che stiamo aspettando, allora?».
«Pensavo di lasciarli avvicinare un po' di più, ma non sono mai stato uno razionale. Signori - e Leonard, -, fuori le armi».
Matisse fu il più veloce e prese fra le mani l'alabarda sottile ed elegante, rimirandola per qualche secondo mentre un lievissimo sorriso si dipingeva sulle sue labbra. Quella era la sua parte preferita.
Lo sguardo splendente cadde sulla lama affilata e perfettamente lucida, che rifletteva i flebili raggi del sole e mandava la luce a scontrarsi sulla pelle del ragazzo e nelle sue iridi, che però si fondevano perfettamente con la tonalità che il riflesso aveva.
Velocemente distolse gli occhi e li puntò sulle armi dei compagni: Anser aveva fra le dita l'elsa di un grande spadone, che dava l'idea di essere molto forte ma estremamente pesante, mentre Duncan stringeva l'impugnatura in legno intarsiato di un'arma dalla lama lunga e leggermente curva. Il ferro era particolarmente chiaro e affilato.
Leonard, ovviamente, non teneva nulla.
«Diamoci da fare!» il moro con un salto si mise in mostra, uscendo dal nascondiglio dopo aver saldato la presa sulla superficie legnosa e aver sospirato probabilmente per calmarsi. Perché sì, per quanto potesse sembrare tranquillo e distaccato, con quell'aria strafottente ancora appiccicata ai suoi movimenti, aveva un tale groviglio di sensazioni diverse in testa che la sentiva scoppiare.
Anser lo seguì subito, senza rinunciare alla sua immagine sicura e decisa che quasi pareva un marchio di fabbrica.
E Matisse sorrise compiaciuto, sapendo di essere, per certi tratti, proprio uguale a quei due. Con passi cadenzati e fermi lasciò il riparo che il muro offriva, e notò che entrambi i corvini erano già impegnati, tutti e due con un Lupo Fry ciascuno. La coppia di esemplari evidentemente era formata dalle creature più audaci - o più stupide, punti di vista, - fra tutto l'esercito, se così potevano etichettarlo. Il resto delle Bestie squadrava con circospezione e in posa per lottare i ragazzi appena comparsi di fronte ai loro occhi.
Il castano si ritrovò ben presto una decina di esserini verdi e minuti davanti, dai denti giallognoli, con bastoni o pietre fra le mani ossute.
“Goblin? Sul serio?”.
Si aspettava un avversario leggermente meno... raro, forse. I Goblin erano molto diffusi circa una ventina di anni prima, ma per via della colonizzazione delle loro terre natie avevano subito un calo di numero impressionante. E poi, detto sinceramente, erano abbastanza deboli, nonostante l'agilità e la furbizia che sapevano tirar fuori.
Il Cacciatore non ci diede troppo peso, e, anzi, si preparò subito all'attacco.
Non vedeva l'ora di ammirare l'opera conclusa, fatta da corpi nemici giacenti gli uni sugli altri, e ricoperti di sangue.

«Kurai!» sbuffò Lola, a metà fra il frustrato e il divertito. Sì, il divertito, perché quel ragazzo si era per l'ennesima volta parato davanti a lei, riuscendo ad atterrare l'essere viscido e grigio che si agitava davanti alla castana con un colpo di falce.
La giovane non era di certo una grande esperta di Bestie, al contrario dell'altro, che sembrava conoscere i punti deboli di qualunque belva.
«Devi colpire i Mildmore al centro del corpo, è lì che hanno il cuore. Le altre parti ricrescono» aveva ghignato soddisfatto, indicando con il capo la creatura che si stava lentamente sciogliendo.
La Kishimoto mise un lieve broncio, falso, mentre si ripeteva in testa quella nuova nozione appresa, imprimendola nella mente. Quel tempo passato assieme a Trent e Kurai l'aveva aiutata a capire che il primo era un tipo tranquillo e composto, preciso con la sua balestra, mentre il secondo un vero misantropo, capace di cambiare espressione da un momento all'altro - anche se le più ricorrenti erano quella arrabbiata e quella canzonatoria, - e inguaribilmente sadico. Ciononostante sembrava avere una specie di ossessione sull'uccisione dei nemici, quindi anche inconsapevolmente riusciva a salvare da situazioni critiche Trent o Lola, concentrando tutta la sua aggressività nei colpi che dava.
Un'altra cosa che la Cacciatrice era riuscita ad apprendere, però, era la sua incredibile irascibilità. Si offendeva per poco, era permaloso, serio fin nelle ossa e far battute ironiche per ridere non funzionava. Inoltre, se le frasi sarcastiche potevano sembrare un insulto verso di lui, diventava intrattabile. Come quando, dopo aver atterrato un Fry colpendolo alla tempia con l'arco, Trent aveva ridacchiato osservando quanto il comportamento della Bestia e del compagno di squadra fossero simili.
Inutile dire che l'altro corvino si era fiondato su di lui ringhiando e placcandolo senza problemi.
Lola lasciò un lieve sorriso a dipingerle le labbra, girandosi e tornando a maneggiare con cura il suo pugnale, per trovare un nuovo avversario.
Kurai invece era già tornato alla carica, con velocità e sangue freddo, e sconfiggeva senza problemi qualunque cosa gli si parasse davanti. Era letteralmente una macchina da guerra.
Il moro recise l'ennesima gola grazie alla sua arma a doppio taglio, ma poggiò male il piede destro a terra e una scarica di dolore lo bloccò un momento, costringendolo a mugugnare arrabbiato e poggiare un ginocchio al suolo. Si stava spingendo troppo al limite, ma, francamente, non gliene poteva fregar di meno. Anzi, nemmeno se n'era reso conto, lasciando che l'ira lo guidasse coi suoi fili; si era nuovamente offerto alla rabbia, lasciandosi comandare perfettamente, come una brava marionetta.
Si considerava e probabilmente veniva considerato un ragazzo ribelle, ma era davvero indipendente anche da quel sentimento distruttivo?
«Amico, fermati un momento. Hai una resistenza impressionante, ma sei umano anche tu» Trent lo raggiunse in velocità, tendendogli una mano per farlo rialzare.
L'altro però tremò impercettibilmente alla proposta di quel contatto, e si rimise in piedi da solo. Mosse il primo passo, ma un lampo bianco gli passo davanti agli occhi e nuovamente si fermò. Il gemito trattenuto scappò alle sue labbra, ed il sangue gli ribollì prepotentemente nelle vene al solo pensiero di essere apparso debole anche se solo per quella frazione di secondo.
«Avete già finito? E noi che volevamo aiutarvi ergendo uno scudo protettivo» fece una voce.
«Quasi mi è mancato il tuo cinismo, Noah» sorrise Trent. Kurai diede una veloce occhiata al campo di battaglia attorno a sé, notando che effettivamente era totalmente ripulito da Bestie ancora vive. Lola doveva aver finito gli ultimi nemici mentre Trent era accorso a chiedergli di riposare.
«Possiamo cambiare zona, allora. Gwen e il suo gruppo hanno fatto la loro parte, voi pure. Abbiamo visto l'esercito dividersi una volta incontrata una barriera fatta da me e Romano, quindi sono sparpagliate di sicuro per il resto del villaggio, quelle belve» il bruno alzò poi lo sguardo verso gli edifici alle spalle di Kurai e Trent; «Le camere? Perché?».
«Abbiamo tutto ciò che è nostro, là dentro, compresi poi i bagagli di tutti gli altri ancora da disfare. Non abbiamo perso i nostri beni e abbiamo ancora un letto dove dormire, così» il ragionamento di Trent non faceva pieghe, quindi il Mago si limitò ad annuire.
«Ma dov'è Lola?» Elijah si era intromesso tranquillamente, incurante della reazione di ansia che scatenò nel petto dell'arciere.
«Diavolo» e si guardò intorno; «non me n'ero accorto!» corse verso le case in legno che erano le loro dimore, cercando dentro e chiamando il nome della ragazza.
«Tu resta qui» con questa frase Noah aveva comandato a Kurai di non muoversi, notando come il moro teneva una mano poggiata sulla caviglia dolorante, e aveva iniziato a cercare raggiungendo Trent. Anche Elijah e Romano si erano guardati intorno, poi il Mago dell'acqua sembrò aver sentito un rumore e si precipitò dietro ad una costruzione. L'albino l'aveva seguito con lo sguardo, per poi, con più calma, raggiungere un edificio differente cercandoci vicino.
Kurai rimase solo, e decise di sopportare il fastidio bruciante al piede per zoppicare al muro della casa più vicina, poggiandovisi di schiena con un ringhio frustrato. Si lasciò cadere seduto sulla neve, con una fastidiosa sensazione di inutilità albergata nel cuore. Sistemò la gamba ferita alla bell'e meglio, distendendola, per provare meno dolore possibile, anche se il suo istinto masochistico diceva che non dava così fastidio, che quel male fisico era sopportabile e, anzi, quasi piacevole.
Gli si gelò il sangue nelle vene, quando qualcosa di bagnato e disgustosamente caldo gli cadde sulla testa. L'istinto gli si insinuò nel corpo, decidendo di comandarlo, e lo costrinse al alzare il volto verso un muso grande e pieno di scaglie grigiastre, con le fauci aperte e i denti appuntiti e gocciolanti di saliva verdognola in mostra. Lo sguardo del ragazzo schizzò un po' più in su, notando come in una delle due code dell'enorme serpente era stretta Lola; il colorito pallido, le labbra sul bluastro e gli occhi chiusi gli dissero che era svenuta.
Non morta, poiché la bocca era dischiusa e si muoveva, come tentando di trovare più aria possibile e inspirarla.
L'altra coda della Bestia si stringeva invece ad un'asse che poggiava la base nella neve e che saliva, andando a sostenere il tetto della struttura. Non avevano notato l'essere prima, poiché un telo bianco, forse un lenzuolo, pendeva dalla copertura. Era evidente che l'avevano disteso, approfittando del sole che c'era in quei giorni, i ragazzi del villaggio: probabilmente avevano lavato i panni da poco e avevano deciso di lasciarli asciugare quella stessa mattina, mentre erano nell'arena coi ragazzi nuovi. Infatti, se solo il moro avesse ruotato lo sguardo, avrebbe visto che anche sugli altri tetti erano appesi vestiti o altro.
Ma Kurai non poté far nulla, se non urlare quando, con uno scatto, la creatura gli aveva addentato una spalla, affondando dolorosamente i denti nella carne e immettendogli nel sangue quella sostanza che gocciolava dalla dentatura aguzza. Il giovane tentò di afferrare la propria falce, ma le forze venivano a mancare, e il mondo girava, tutto girava... e cambiava colore, e si distorceva...
L'ultima cosa che vide prima del buio fu Romano, che aveva sentito l'urlo, scattare da dietro il muro di una delle case più vicine - stava ancora cercando Lola, quindi?, - e avvicinarglisi.
«Kurai!» aveva sgranato gli occhi, e il moro notò appena prima di chiudere le palpebre una luce brillargli nelle iridi violacee. Poi calò il buio, e riuscì a percepire solo la presa dolorosa sulla sua spalla scomparire bruscamente, nell'esatto momento in cui un'altra, delicata ma ferma, gli afferrava un braccio.
Poi, tutto scomparve definitivamente.
E scomparì lo stesso Kurai, poiché Romano lo aveva spinto via, usufruendo del tocco che riuscì a posargli sul braccio per teletrasportarlo nell'arena con più velocità possibile.
Il movimento brusco e il grande sforzo magico costarono un capogiro violento all'albino, che si accasciò contro al muro sbattendoci la nuca.
Lo sguardo si appannò, ma vide la Bestia riprendersi dal contraccolpo ricevuto quando lui stesso aveva scostato con forza il moro, e puntare su di lui. Chiuse gli occhi, aspettando la morsa affilata dei denti sul collo o sulla spalla e il veleno che gli sarebbe stato di lì a poco iniettato nelle vene, ma sentì solamente un verso strozzato e un rumore tagliente, come di lame che perforano la carne. Scoprì nuovamente le iridi, per incontrare il corpo morto della belva, con una lama di ghiaccio bagnata di sangue nero pece a trapassarle la testa, e gli venne da vomitare.
Sugli occhi tornò quel velo che offuscava la vista, ma notò chiaramente un volto dai lineamenti affilati che gli si parava di fronte. L'ultima immagine che riuscì a mettere a fuoco, prima di svenire, fu quella che raffigurava un paio di meravigliose iridi blu mare.





~Angolino Infuocato
Ce. L'ho. FATTA!
Non avete idea di quanto questo capitolo, nelle ultime parti, mi abbia messa in difficoltà. Non mi andavano mai bene le frasi, perché c'era una ripetizione, la lunghezza stonava, avevo sbagliato a mettere una virgola...
Alla fine, però, sono riuscita a pubblicare!
Nel prossimo capitolo provvederò a dare più spazio a Elijah, Kurai e Romano, poiché sono apparsi un po' meno degli altri e si sono anche fatti male (cioè, Elijah è apposto per adesso, ma non è apparso molto). Nel caso di Kurai, molto male. Ma molto male... rimarrà in vita o no? E se sì potrà combattere ancora? Inoltre, approfondirò il rapporto di alcune coppie.
E chi di voi ha capito di chi sono gli occhioni blu a fine capitolo? ;3
Inoltre, Kurai è stato ferito e Romano è riuscito a trasportarlo nell'arena; si accettano scommesse, ragazzi: chi fra i Curatori si farà avanti per curarlo?
Oh, un'ultima cosa: vorrei chiedervi una frase che il vostro OC/i vostri OC (se ne avete due, è una ciascuno) dirà/diranno durante il corso della storia.
Ora ho concluso davvero, a presto ~
•Eyes•

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Capitolo 5
*** ~V - Distant ***


L'aria era tesa - entrava nei polmoni e allentava la respirazione regolare, le persone nell'arena la trovavano troppo pesante e densa.
Sarà stata la preoccupazione o l'insicurezza, ma i Curatori si tormentavano le mani.
In particolare, Novella faceva avanti e indietro, Scarlett tremava leggermente e Amalia mordeva il labbro inferiore, temendo per il fratello.
Kennedy e Charlotte, entrati da poco dopo essere stati avvertiti da Alejandro, stavano vicini, fissando insistentemente il portone il legno. Lui aveva lo sguardo perso, stringeva una spalla alla Curatrice che invece puntava il terreno, i pugni stretti e il cuore che batteva forte. Le domande affollavano insistentemente la sua mente, e esse riguardavano più che altro le condizioni di Milah e del suo nuovo amico, Jeremy, che l'aveva fatta sentire leggera e sorridente senza troppo sforzo. Spostando lo sguardo dal suolo, che improvvisamente le sembrava meno interessante di prima, tentò di distrarsi pensando alle altre Curatrici presenti: c'era Novella, l'aveva vista come una leggermente taciturna ma gentile e calma; c'era Amalia, che subito si era fatta apprezzare data la sua allegria sincera; e infine c'era Scarlett, timida e dolce, appariva informata e razionale. Charlotte sospirò e osservò nuovamente la prima, che proprio non riusciva a stare ferma dalla frustrazione.
La ragazza con la coda percorreva con grandi falcate un pezzo di arena, alzando di continuo polvere dati i passi marcati. La giovane praticamente non ci faceva caso, rimuginava su come fosse appena arrivata, su come avesse appena ottenuto l'amicizia di qualche persona, su come durante la mattina i suoi occhi verde profondo - un colore misterioso, dove potevi perderti facilmente, ma che manteneva quella luce che brillava e portava la maggior parte delle persone a definirlo "verde speranza", - si erano scontrati contro quelli che sembravano oro - la tonalità di giallo più preziosa, lucente, nella quale non riuscivi a sprofondare poiché quelle iridi erano veramente rigide e apparentemente impenetrabili come il tanto ricercato metallo, - del Cacciatore con l'alabarda.
Inutile dire che la castana era rimasta sorpresa e affascinata dal colore dello sguardo fermo di Matisse, ma non ci aveva fatto subito caso e, come sempre, era stata cortese rivolgendogli un tenero sorriso. Il piegamento di labbra non era stato ricambiato.
La ragazza sospirò, e fu quando alzò gli occhi che essi incontrarono un flebile raggio viola che si stava ingrandendo nel centro dell'arena. Portò le mani alla bocca in un urlo silenzioso, quando Kurai apparve al posto di quella luce e venne adagiato morbidamente a terra, da un forza che di certo non era quella di gravità. La cosa che la spaventò realmente, era però la spalla del ragazzo, perché dei lembi di pelle erano stati tolti, e perché l'epidermide si stava corrodendo lentamente: la causa era uno strano liquido verde che usciva dai solchi nella carne. Il Cacciatore era svenuto, ne erano conferma il colorito ancor più pallido del solito e le palpebre serrate - entrambe, poiché normalmente ne teneva solo una chiusa.
Novella ritrovò presto la voce, perché non avevano tempo.
«Ragazze...».

«Ehi, sono qui! ... no, scherzavo amico, sono qua! ... eh no, ora sono di nuovo qui!» Neko sembrava starsi divertendo molto con quella specie di orso dal manto nero come la pece. Il ragazzo saltellava di fronte, a lato o dietro alla Bestia, che si girava in velocità tentando di acciuffarlo ogni qualvolta percepisse l'odore del Cacciatore a portata delle sua zampe munite di artigli retrattili, che luccicavano come lame. Effettivamente, quelle unghie apparivano proprio come pezzi di ferro.
Le orbite vuote della belva non potevano vedere il giovane, perciò questi rideva e toccava la peluria del nemico, per farlo girare verso di sé, e poi sfuggire agli arti pericolosi nuovamente con scatti agili e atletici.
Le tre ragazze che erano con Neko guardavano la scena con attenzione, pronte ad intervenire, anche se non ce n'era il bisogno. Il ragazzo si stava solo divertendo e tutte le altre Bestie che avevano incontrato erano state sconfitte e rese innocue, perciò avrebbero potuto rilassarsi.
Solo che nessuna delle tre rimirava essa come idea, poiché anche Ciel riteneva la scena particolarmente comica, perciò ridacchiava guardandola, rifiutandosi di cambiare soggetto. Clarissa invece teneva lo sguardo serio fisso sul fidanzato, osservando ogni movimento o possibile passo falso, e scattando con un piede in avanti quando le sembrava che il ragazzo avesse fatto un movimento rischioso, ma puntualmente tornando alla posizione precedente. Infine Courtney, che era quella più scettica riguardo lo svago che il Cacciatore si stava concedendo, restava a braccia conserte, con un sopracciglio alzato e la spada ancora stretta fra le dita, tenendo alta la guardia.
Fu infine Ciel a rompere il silenzio - quella ragazza sembrava essere sempre incline a nuove azioni e a non restare ferma, -, lasciando definitivamente che le risate abbandonassero le sue labbra per rimanere semplicemente con un sorrisetto allegro a decorarle la bocca rosso sangue; «Non credi di esserti divertito abbastanza?».
Neko sembrò pensarci su, poggiandosi l'indice sul mento: «Forse» sorrise infine, lasciando che l'orso percepisse nuovamente la sua posizione per farsi attaccare ancora. La cosa che cambiò fu il movimento del ragazzo, che quella volta decise di saltare evitando la zampata e atterrando proprio sull'arto della Bestia con agilità, invece che slittare a lato rendendo vano il colpo. Afferrò con decisione la sua lancia, e trapassò il petto della creatura usufruendo di forza e velocità. Saltò poi all'indietro, per lasciare che il corpo inerme del nemico cadesse a terra ormai privo di vita. Quando il cadavere fu steso sulla neve, il Cacciatore dai capelli ramati non esitò oltre e estrasse la sua arma dalla vittima, lasciando che uno zampillo rosso uscisse dalla ferita.
«Bene. Adesso?» domandò Clarissa, che non era rimasta stupita come le altre due dalla "ferocia noncurante" che aveva lasciato trasparire il ragazzo per vincere lo scontro.
Courtney sbatté le palpebre e richiuse la bocca: «Torniamo all'arena, nessuno di noi sembra aver ricevuto ferite ma non si sa mai».
Ciel la bloccò afferrandole con forza il polso, dimostrando una presa ferrea nonostante la statura minuta: «Non sarebbe meglio andare a vedere se come noi anche gli altri sono riusciti a battere le Bestie?».
La bruna era una ragazza dalla mentalità aperta, e, sebbene fosse estremamente attiva e vitale, aveva una grande responsabilità. Ciò le impediva anche solo di pensare di tornare "al riparo" quando sapeva che i suoi nuovi compagni erano ancora in pericolo. In particolar modo, nella sua mente ricorreva l'immagine di due occhi profondi dalle intelligenti iridi color ametista.
«No. E' meno rischioso essere là dentro, e devi anche calcolare la probabilità d'incontrare lì un'altra squadra» si liberò Courtney, non ammettendo repliche e girandosi.
Clarissa non fece storie e seguì la castana, e quando Neko la raggiunse intrecciò le proprie dita affusolate a quelle del fidanzato, rivolgendogli semplicemente un'occhiata che durò poco più di un secondo, degna dell'apparenza stoica e matura della ragazza.

Richard fece schizzare lo sguardo su tutto il corpo protetto da pelo marrone del grosso Lupo Moe che l'aveva attaccato, ragionando sul punto debole della Bestia. Il nemico emise un ringhio potente, che non intimidì il ragazzo, sebbene lo fece indietreggiare per sicurezza. Strinse la presa sulla spada con ancora più decisione, mentre dalle labbra gli sfuggiva uno sbuffo frustrato; ragionava sul dove mirare, sulla quantità di forza con cui colpire, sul momento adatto, sulla sua arma chiedendosi se sarebbe bastata per metterlo K.O. con un solo fendente e su tante, troppe altre cose.
Troppe, perché la creatura, invece, approfittando dell'esitazione del ragazzo, non ci pensò due volte e si lanciò verso il biondo - che alzò la spada per parare il colpo, - quando un coltello le si conficcò perfettamente al centro della fronte.
Uno schizzo di sangue bagnò in parte il bel volto del Cacciatore, e il Moe cadde a terra sconfitto a qualche piede di distanza da lui.
«Amigo, dubito fortemente che, se esiterai sempre così in battaglia, da questa missione uscirai illeso» Alejandro gli poggiò una mano sulla spalla, e l'altro si girò.
Richard mantenne l'espressione sorpresa, ma la sostituì presto con una seria e distolse lo sguardo: «E’ una brutta abitudine».
«Allora farai meglio a perdere il vizio, e magari non il pelo» concluse il bruno, incamminandosi verso l'arena.

«Ellody».
«Oh, no! Assolutamente no! Sono stata una principiante, mi sono comportata come una recluta alle prime armi!».
«Ellody».
«Ho fatto un errore infantile, meriterei di essermi slogata ben più di una caviglia per il mio stupido sbaglio!».
«Ellody».
«E adesso? Ah, il mio piano era di uscire illesi dalla battaglia, andare ad aiutare altri e INFINE tornare all'arena, non certo prima! Come faremo ora?! Lasciami qui Jeremy, tu vai, ho fatto un calcolo sbagliato, con questo piede rallenterei tutti, sono inutile alla squadra orma-».
«Ellody, cazzo!» sbottò il ragazzo, riuscendo finalmente a fermare la parlantina dell'altra; «Finiscila di blaterare cose sconnesse, ti sei slogata una caviglia, mica ti hanno staccato un braccio! Ma a cosa stai pensando? Ti sei distratta un momento; capita, sai? Adesso basta che ti accompagni dai Curatori, loro sanno cosa fare. Ti fascerei io la caviglia, ma non ho nulla di adatto, mi servirebbero bende e garze, o qualcosa di ugualmente elastico» le prese un braccio e se lo passò dietro al collo, mettendo poi la mano sulla sua vita, per farla alzare dal terreno e mantenere in piedi con stabilità.
La Maga lo lasciò fare, lasciandosi tirare su dalla posizione seduta che aveva assunto, e tenendosi alla sua spalla per aiutarlo nell'accompagnarla verso la destinazione, leggermente dispiaciuta per il momento di crisi che l'aveva colta. Si vergognò per aver perso la sua immagine calma e saccente, ma le accadeva così molto spesso: quando qualcosa - anche se quasi irrilevante, - non andava come aveva programmato o il suo piano veniva stravolto, sentiva ogni sicurezza crollarle addosso, e percepiva la sua corazza di saccente intelligenza frantumarsi. Perché sì; Ellody, dietro alla sua aria da saputella, era solo una ragazza che si era creata attorno un fragile castello formato da mura di carta.
Però, se era così insicura dopo un intoppo nei suoi piani, un motivo c'era...
«...lody».
Jeremy la stava chiamando?
«Ehi, Ellody...».
Girò il volto di scatto, risvegliatasi dai suoi pensieri, e questo fece scontrare la montatura dei loro occhiali.
I nasi si sfioravano; i due volti erano davvero a poca distanza, poiché il ragazzo ancora la stava sostenendo, e questo comportava vicinanza.
Jeremy arrossì appena, e Ellody sentì del calore premerle sulle guance, quindi si allontanò, rimanendo in piedi da sola. Abbassò lo sguardo, imbarazzata: «Mi ero dimenticata che eravamo ancora attaccati».
«Non importa, ma dobbiamo entrare» indicò col pollice le ante dell'arena.
«Non mi ero accorta di essere arrivata» fece l'altra, cercando di muovere un passo, ma bloccandosi un momento dopo per il dolore.
«Tranquilla, ti aiuto io» fece il ragazzo, riassumendo la posizione di prima.
Lei lo ringraziò, e decise di riflettere su qualcos'altro per distrarsi dal fastidio che il crollo della sua calma le aveva causato. Decise di pensare ai poteri del Mago affianco a lei, perché sì: l'avevano sorpresa. Nonostante fosse un elemento facile da apprendere se il proprio DNA era propenso alla magia, aveva visto o sentito parlare di davvero poche persone che erano in grado di soggiogare le emozioni altrui semplicemente fissando la "vittima" negli occhi, e ancor meno erano quelli che riuscivano a prevedere in parte le azioni avversarie come invece era stato capace di fare Jeremy. Quel potere era un potere che adoperava maggiormente sulla psiche degli altri, e non sulla propria, come invece facevano gli incantesimi che - Ellody sapeva - era in grado di generare e compiere Noah.
Una volta azzerata la distanza che li divideva dalla porta dell'edificio, il ragazzo lasciò che la Maga si sostenesse da sola per qualche secondo, spingendo il legno scuro.
Quando videro che le persone nell'arena erano tutte ammucchiate circa al centro dello spazio, Jeremy domandò con fare confuso: «Che sta succedendo?».
Kennedy, riconosciuta la voce del fratello, si staccò dal gruppetto e gli si avvicinò: «Non sono abbastanza intelligente per capire certe cose e spiegarle, ma Scarlett sembra essere preparata perciò puoi chiedere a lei... come mai qui?».
«Ellody si è storta una caviglia, ma temo possa anche essersi presa un crampo dato che le fa molto male camminare».
L'altro si grattò la testa, teso: «Posso controllare io. Tu... torni là fuori?».
«Ti preoccupi ora? Comunque no. Voglio dare un'occhiata a quello» e indicò il gruppo di Curatrici; «Almeno dimmi chi o cosa c'è là».
«Si tratta di... di Kurai. S-Sembra essere stato morso sulla spalla, ma la pelle si corrode e-... e non so nemmeno io cosa sto dicendo. Santo cielo, che schifo» scosse la testa il moro, evidentemente turbato dal ricordo di ciò che era accaduto al Cacciatore corvino.
Il fratello strinse le labbra: «Intanto... occupati di Ellody» gli lasciò la giovane, poi corse verso Scarlett, che era quella direttamente a contatto col ragazzo che giaceva a terra. Aveva le palpebre sgranate mentre gli sosteneva - premurandosi di nemmeno sfiorare l'acido sull'epidermide, - la schiena, guardando preoccupata Novella che controllava attentamente ciò che stava accadendo al ferito.
Il Mago si fece strada fra Charlotte e Amalia, ed entrambe, nervose, lo lasciarono passare.
Il moro guardò corrucciato le condizioni di Kurai, digrignando i denti: «Dannazione».

Milah non si era mai ritenuta una persona irascibile. Mai aveva reagito con esagerato astio o veemenza ad insulti dispregiativi, né tantomeno le era mai venuto in mente di essere permalosa, perché sapeva che la sua freddezza la rendeva menefreghista e glacialmente calma.
Eppure, con Seamus tutte le sue convinzioni non valevano.
Non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma quel ventunenne la destabilizzava e le faceva montare la rabbia nelle vene, coi suoi atteggiamenti da bello e dannato in piena fase mestruale. Ogni volta che discutevano le sembrava di vedere una specie di lampo di soddisfazione nelle sue iridi blu profondo ogni qualvolta che lei si limitava a rispondergli con una smorfia infastidita, come se lo zittirla o il farla rimanere in silenzio lo appagassero pienamente - che poi quel lampo era passato davvero poche volte, poiché Milah sapeva come farsi rispettare, era un dettaglio.
La ragazza ormai aveva capito come funzionava il mondo, ovvero come si faceva a vivere e non semplicemente esistere e respirare - e questo la rendeva matura e seria. Però, a dire il vero, era ed è una delle cose più facili da comprendere: perché, per riuscire veramente ad essere vivi, serviva e serve solamente non curarsi troppo di ciò che accade. Il comportamento di una persona, prima o poi, fa presente alla stessa che il tempo trascorre e l'universo non si ferma aspettando che qualcuno raccolga tutti i pezzi del suo cuore infranto; sempre e comunque, tutto va avanti. La fortuna in realtà non gira, essa semplicemente è una conseguenza di ciò che viene fatto. Per vivere, basta decidere da soli e ignorare chi ti disprezza, fare di testa propria ed essere sicuri della scelta, perché nessuno può dire se una decisione è giusta o sbagliata fino a che si riuscirà a conseguire un qualche tipo di risultato da essa.
E adesso che lei, assieme ad un Cacciatore ed una Cacciatrice, stava tornando vittoriosa dal campo di battaglia, ripulito dalla vita di tutti i nemici che avevano tentato di ucciderli, sentiva che forse quella situazione sarebbe stata molto più interessante di quel che aveva immaginato. Aveva scelto di testa sua di partecipare a quella missione mezza suicida, con dei completi sconosciuti eccetto Charlotte - anche lei aveva preso una decisione con solo i propri ragionamenti, -, e, a dirla tutta, non se ne pentiva affatto.
«Ti vedo assente. Ti stai pentendo di tutte le frecciatine che mi lanci?».
Lei sghignazzò - perché diavolo lo stava facendo? -, lanciando un'occhiata sbieca a Seamus.
«Nah. Mi sto pentendo di non averti ancora cucito quella dannata boccaccia che hai sul viso».

«...Ahi!»
«Ma che... Altair?! Stai più attenta!»
«Ehi, anche tu potevi esserlo!» mise un broncio Altair, massaggiandosi la testa coperta dal cappuccio.
«Se salto fuori dalle ombre non è che riesco sempre a vedere ciò che ho davanti!» ribatté con una punta di sarcasmo Arthur, tendendo però una mano verso la ragazza; «E poi che stavi a guardare lì?».
Lei scrutò diffidente le dita pallide del compagno, ma dopo poco accettò l'aiuto, rialzandosi dalla neve dove era caduta a sedere: «Volevo vedere cosa stavi combinando» e lo disse con un tono a metà fra il lamentoso e incuriosito, che fece incrinare di poco la corazza in ferro di Arthur.
Il corvino si tastò la fronte: «Ho trascinato quella Bestia in una specie di oblio, semplicemente. Cioè, entro nell'ombra che un oggetto mi fornisce e trascino il nemico con me, per poi lasciarcelo cadere dentro. E' difficile da spiegare, ma poi "il cattivo" non riesce più ad uscirci, a meno che non abbia la mia stessa abilità, e ci rimane intrappolato. Di notte studio vari libri per capire meglio come funziona, ma ogni volta è complicato trovare qualcosa di davvero utile» alzò le spalle.
«Ecco il perché delle occhiaie» mormorò Altair.
«Già. Comunque, la prossima volta non venire a fissare l'ombra in cui scompaio inclinandoti verso il buio, o finiremo per darci una testata come prima quando uscirò» concluse il discorso il ragazzo, tornando distaccato e girandosi.
«Ehi, Altair, Arthur!» la voce dolce di Dawn fece focalizzare l'attenzione di entrambi sulla porta di una casa poco distante, dalla quale la bionda era appena uscita. Stringeva fra le pallide mani qualcosa, e aveva un sorriso rassicurato che drappeggiava di serenità le sue labbra violacee: «Torniamo all'arena, se avete finito. Io ho preso ciò che cercavo».
L'ultima frase la disse più a sé stessa che agli altri due, mentre scendeva i tre scalini in legno, prima di poggiare le suole degli stivaletti neri sulla neve. Fece scivolare l'oggetto che aveva stretto fra le dita in una tasca del vestito viola che fasciava la sua figura, e raggiunse gli altri due Maghi.
Altair, se fosse stata più attenta, sarebbe stata tentata dal chiederle che cos'era, ma era particolarmente concentrata a osservare Arthur, che camminava davanti alle ragazze.
La giovane assottigliò gli occhi: a volte, molto spesso, aveva sentito quel ragazzo distante; una presenza effimera, evanescente, un qualcosa da tenere sott'occhio poiché prima o poi sarebbe sparito dissipandosi nell'aria. Era una specie di genuino interesse e forse soddisfazione, quello che le faceva battere il cuore quando lui la guardava, ricambiando l'occhiata non con la sua tagliente freddezza ma con un'espressione più ammorbidita, meno ruvida, e con le labbra che non speravano di poter fare il più presto possibile una battutina ironica come durante tutto il resto del tempo.
Altair, in Arthur, quasi ci rivedeva suo fratello. Anser era sempre accanto a lei fisicamente, ma talvolta la ragazza lo percepiva assente, rinchiuso sottovuoto in una camera composta da buio denso e viscoso. Un buio nel quale lei doveva scavare e avanzare a tentoni, preoccupata di fare passi falsi mentre si avvicinava al fratello parlandogli, per sentire da che parte provenisse la sua voce in modo da raggiungerlo, e sporcandosi le mani di quella viscida melma fatta di cinismo, solitudine... distanza.
A quel punto si decise: voleva e doveva trovare il modo di abbattere quel muro, a qualsiasi costo.
E, magari, non solo quello che circondava Anser.

Scarlett sentiva qualcosa di leggero premerle al lato dell'occhio destro. Quando sbatté le palpebre, capì, dalla lieve scia umida che le percorse la guancia, che quel qualcosa era una lacrima. Una lacrima salata, amara. Solo una, ma era pur sempre una lacrima.
Stringeva il polso di Kurai con più forza man mano che, aiutata da Jeremy e da Novella, si avvicinava trasportandolo ad un tavolo addossato alla parete dell'arena. Il battito c'era, ma era come se l'anima di Kurai, invece, fosse già distante. Però non voleva pensarci, né tantomeno ci riusciva. Un ragazzo con una forza d'animo come quella del corvino, che sprigionava dominanza e sicurezza da tutti i pori, non poteva essere veramente caduto così presto. Davvero non poteva.
Novella, invece, non aveva lacrimato, ma era preoccupata visibilmente. C'era una cosa, nella consapevolezza di stare passando una giornata assieme ai tuoi nuovi compagni - le spalle su cui ti dovrai appoggiare, le ancore che ti salveranno dal naufragio, -, che aveva già fatto nascere una ragnatela trasparente fra tutti i Cacciatori, i Curatori, i Maghi. Una ragnatela ancora sottile, debole, che andava di continuo lavorata, in modo che potesse diventare al più presto resistente e più plastica, cosicché, quando e se uno avesse barcollato, gli altri avrebbero tirato prontamente la tela elastica per farlo tornare subito in piedi.
Ecco, Novella, Jeremy e Scarlett stavano tirando il filo che legava il polso di Kurai, ma esso era ancora troppo giovane, e, di conseguenza, se non fossero intervenuti subito ad aiutare direttamente il ragazzo lui sarebbe precipitato nell'oblio.
Poggiarono il ferito sulla superficie piatta, e gli strapparono un mugolio di dolore.
Scarlett si morse le labbra, pensando che doveva essere un male atroce, e tentò di non far scappare una seconda lacrima dai suoi occhi: «Che cosa facciamo? Dovremmo togliergli il veleno dal corpo e quindi anche strappargli la pelle, ma potrebbe morire per il dolore...».
Jeremy espose il pensiero che gli aveva attanagliato la mente fino a quel momento, e lanciò un'occhiata impaziente e preoccupata al ragazzo disteso: «A-A dire il vero, ho visto nella borsa di Charlotte il liquido che secernono dalla bocca quelle Bestie enormi e ricoperte di scaglie» fece una pausa, tornando poi a parlare in fretta: «E mi sono ricordato che è uguale a quello che sta corrodendo Kurai».
«Quindi?» s'impuntò Novella, torcendosi nervosamente una ciocca di capelli.
«Quindi, quello è veleno» gli sguardi già crucciati delle due si fecero quasi spaventati da quel che potevano sentire dopo. Fortunatamente per loro, però, sembrava essere una buona notizia: «Ma un veleno che può essere usato anche come antidoto. Infatti, ho letto in un libro che se lavorato chimicamente può diventare un potente rimedio a mali di tutti i tipi...».
«Se quello di Charlotte è giustamente lavorato, e sono certa di sì, e lo applichiamo sulla ferita di Kurai, a rigor di logica dovrebbe fare l'effetto contrario...» ragionò Novella.
«Esattamente. Ovvero...».
«Rigenerare...» finì la rossa, con più sicurezza negli occhi verdi.
La castana annuì frettolosamente e corse verso Charlotte, ricevendo immediatamente da quest'ultima rassicurazioni sul buon uso dell'antidoto e l'antidoto stesso. Tornò dagli altri e diede il barattolo ricolmo del liquido verde al moro, che lo guardò per poi rivolgere un'occhiata alle due: «Sarà un'operazione lenta e delicata, per sicurezza prima di tutto dobbiamo pur sempre estrarre il veleno».
Heather sentì la conversazione: «Ehi, novellini! Se cercate qualsiasi strumento basta cercare in quella stanza» col capo fece un cenno verso una stretta porta di legno, a circa due metri da lei, Geoff e Harold, tutti e tre rimasti nella struttura data la loro impossibilità di combattere.
Scarlett non se lo fece ripetere due volte e si lanciò verso il luogo, aprendo l'anta e perlustrando con lo sguardo gli scaffali pieni. Quando trovò ciò che serviva, prese tutto il più velocemente possibile e tornò da Jeremy e Novella.
«D'accordo, allora» sospirò il primo, prendendo in mano e studiando una siringa: «Cominciamo».

Voci ovattate, luci soffuse.
La testa pesava, l'aria fredda gli congelava la mente e le labbra gli tremarono.
Dischiuse la bocca, le sopracciglia si inarcarono leggermente e riuscì a sibilare qualcosa di incomprensibile, soffocato, ma che attirò l'attenzione dei presenti.
«Ragazzi, si sta svegliando!».
«Romano, ti senti meglio?».
Romano riuscì a aprire di poco le palpebre. La posizione che aveva era scomoda, perciò cercò di mettersi seduto. Notò che non ne aveva la forza.
«Lo aiuto io».
Era Elijah quello? Sì, era lui. Capelli corvino-bluastro, tratti affilati, e inconfondibili occhi color mare.
Il ragazzo gli poggiò una mano alla base della schiena, scivolando fra il suo dorso e il muro della casa, e l'altra sulla spalla, tirandolo su per farlo appoggiare al legno.
Dopo un po' la vista di Romano si ristabilizzò, e riuscì a mettere a fuoco il volto del Mago d'acqua, che era vicino al suo. Molto vicino.
Quello si tirò immediatamente indietro, lasciandogli spazio, e a quel punto l'albino vide in che condizioni si trovava il ragazzo. Cioè, non era ferito. Solo, aveva il petto e il ventre scoperti. Insomma, Elijah era senza la maglia e la giacca che portava solitamente.
...
Un momento, perché era senza maglia e giacca?
«Che hai...» mugugnò, con la gola che bruciava lievemente, continuando a far scorrere lo sguardo sul fisico perfettamente allenato dell'altro; «Che hai fatto ai vestiti?».
«Elijah ha salvato me e te, uccidendo la Bestia che ha morso Kurai e mi aveva intrappolato con la sua coda. Tu sei svenuto, sbattendo la testa sul legno, e io ero addormentata. E' arrivato appena in tempo, ma tu continuavi a tremare per il freddo così si è tolto maglia e giacca per coprire te... io a quanto pare non avevo i brividi, forse grazie al maglione...» gli spiegò Lola, rossa in viso, che cercava di non guardare il fisico atletico di Elijah, visibilmente imbarazzata.
Romano allora si guardò addosso, e notò che effettivamente portava una maglia e una giacca in più, tra l'altro ricoperti da un lieve e delicato strato di brina, ai suoi vestiti abituali.
Arrossì impercettibilmente, mormorando un ringraziamento. Non incrociò gli occhi di Elijah, che al contrario suo - che era un po' a disagio, doveva ammetterlo, - era perfettamente tranquillo e rilassato.
Non poté fare a meno di mantenere il suo comportamento distaccato, meccanico, e ignorò volutamente l'occhiata maliziosa di Noah - che non si aspettava da un tipo come lui, -, preferendo chiedere, con voce arrocchita: «Torneremo nell'arena adesso che sono sveglio?».
«Sì, ma temo tu sia ancora un po' rincoglionito essendoti appena svegliato. Ti conviene farti sorreggere» quella voce non era né di Trent, né di Elijah, né di Noah, e nemmeno di Lola. Romano alzò quindi le sue iridi ametista, e notò, dato che prima non l'aveva visto - era impegnato a riprendersi, -, il Cacciatore dagli occhi celesti e i capelli scuri, con quella curiosa cresta verde acceso che spiccava fra la chioma corvina. Era a braccia incrociate, appoggiato ad una colonna che sosteneva il tetto della casetta, e il Mago tentò di ricordarsi il suo nome, scavando nella memoria.
“Duncan” gli sussurrò una vocina, e lui decise di darle retta.
«Duncan...?» quello annuì; «... Perché sei qui? Prima non c'eri» poteva sembrare una domanda scontata, ma effettivamente ancora doveva totalmente riprendersi da quella botta in testa per poter fare due più due.
«Per controllare che tu non avessi niente, Noah mi ha chiamato. Mentalmente. Col suo potere che tra l'altro è uguale al tuo».
Ah, già.
«Dai, Duncan, non essere così tagliente» commentò Trent, un poco infastidito dal comportamento quasi perennemente maleducato dell'altro.
Romano intanto si rialzò, aiutato da Elijah e Lola, e si portò quasi subito una mano alla testa, dove una fitta l'aveva fatto mugugnare dolorante. Quando il male si fu calmato, fece per togliersi gli indumenti di Elijah, che però lo fermò: «Tranquillo, non soffro il freddo. Tienili fino a che non entreremo nell'arena, là non ti serviranno».
L'albino strinse le spalle, ma decide di togliersi comunque di dosso la maglia del corvino.
Tenne solo la giacca, insomma.
Muovendo il primo passo sulla neve, lo colse un capogiro, e barcollò, ma venne afferrato prontamente. Elijah si fece sfuggire un sorriso, allo sbuffo insofferente e infastidito di Romano: «Sai, mi hai fatto preoccupare» lo rimise dritto, e iniziò a camminargli al fianco, mentre gli altri li superavano, stando attento a possibili barcollamenti; «Eri pallido, tremavi per il freddo e non volevi svegliarti quando ti chiamavo. E' stata una sensazione... fastidiosa, forse. Mi sentivo impotente... perso. Tutto quel silenzio mi faceva provare niente altro che solitudine. E tu eri così distante... non potevi tranquillizzarmi, calmarmi, perché eri addormentato, dovevo fare qualcosa, ma non sapevo cosa» espirò, quasi sovrappensiero. Era strano per lui aprirsi così, avendo un carattere riservato, ma sapeva che Romano gli era molto simile e non provò imbarazzo nel raccontargli il tutto.
«Tranquillo, ora va bene. Mi sei stato vicino, quindi hai fatto qualcosa» rispose, concludendo il discorso, essendo già tornato alla sua calma glaciale. Solo apparentemente; solo fuori, però. Perché lui sapeva cosa significava sentirsi smarrito, spaesato - non era una bella sensazione, no, -, e perché dentro di lui aleggiava un'ultima frase: ”Ma se ti sei sentito perso, allora io ti prometto che non ti lascerò più solo”.

La porta sbatté dietro Scarlett.
La ragazza premette una mano sulle labbra, piegandosi, temendo che il conato si riversasse davvero sul terreno. Quella sensazione di acido in bocca, che le scottava la gola, era orribile, ma - lei ne era certa, - nemmeno lontanamente paragonabile a quello che stava forse sentendo Kurai.
La giovane e Jeremy non erano riusciti a definire il suo corpo "cosciente", "sveglio" o "addormentato"; l'unico aggettivo che era loro sembrato adatto era stato "lontano", riferito alla sua mente.
Ma, pensandoci, non si adattava solo ad essa.
Lo spirito di Kurai era lontano.
Kurai era lontano.
Scosse la testa prepotentemente all'ultimo pensiero.
Quel "lontano" era stato collegato immediatamente a "vita".
Ovvero, lontano dalla vita.
Però no, non riusciva a crederci, non doveva crederci, perché c'era sempre una speranza.
Anche prima, quando aveva accuratamente ma velocemente tolto assieme a Novella i lembi di pelle già contaminata, avevano creduto che non sarebbe riuscito a sopportare un simile dolore.
Non possedevano quasi nulla per alleviarlo e non sapevano con cosa anestetizzare le parti interessate, perché non conoscevano le reazioni a catena che i medicinali avrebbero provocato se entrati in contatto col veleno, e avevano timore di causare solo qualcosa di peggio. Però quella parte d'operazione era riuscita.
E anche quella seguente, che consisteva nel prelevare tutto il veleno tramite siringhe, non aveva avuto gravi effetti collaterali sul ragazzo ferito.
Scarlett si raddrizzò, assicuratasi che la bile non le sarebbe più salita lungo la trachea - dopo aver tolto tutto il liquido tossico e aver pulito, sempre da esso, la spalla di Kurai, vedere i muscoli rossi, vivi, e i tendini scoperti, in alcuni punti corrosi, e il tutto senza pelle, le aveva fatto salire alla bocca quell'acido conato.
Lei era di suo una ragazza sensibile, ma un tale "spettacolo" difficilmente non avrebbe causato disgusto.
Sia Jeremy che Novella, però, avevano resistito e adesso stavano concludendo l'ultima parte dell'operazione: iniettare nell'arteria situata sul collo l'antidoto, e poi, se necessario, passare al massaggio cardiaco per far accelerare e di conseguenza lasciar tornare normali i battiti del cuore.
Prese un respiro profondo, e si girò, tendendo al contempo una delle piccole mani verso la maniglia. L'aveva appena sfiorata coi polpastrelli, quando la porta venne direttamente aperta dall'altro lato, e un Jeremy con lo sguardo basso e le labbra serrate ne uscì in fretta.
Il moro andò a sbattere contro la rossa, che non aveva fatto in tempo a scostarsi, e alzò di poco le iridi: «Scusa» mormorò.
Scarlett lo guardò in attesa, gli occhi velati di preoccupazione, per sapere come mai era venuto fuori dala stanza anche lui.
«Novella gli sta facendo il massaggio cardiaco» una pausa; «Il cuore di Kurai si è fermato quando l'antidoto ha fatto il giro circolatorio completo...» sussurrò, guardando in basso.
Stava andando tutto così bene... gli altri passaggi erano stati eseguiti perfettamente e avevano avuto l'effetto programmato. Il ragazzo non riusciva a capacitarsi di un "fallimento" del genere, perciò stringeva i pugni e pressava fra loro i denti, tentando di capire dove lui, Novella o Scarlett avessero potuto errare. Era definibile irritante, come ogni certezza fosse stata spazzata via d'improvviso. E avere la consapevolezza di un morto che pesava sull'animo, durante un periodo di guerra - perché sì, era una guerra quella contro le Bestie, -, era una delle cose più brutte con cui convivere. Per non parlare del fatto che, sebbene lo conoscesse da così poco, Kurai era uno dei compagni che l'avrebbero accompagnato valorosamente lungo i combattimenti. Come Novella, anche lui sentiva grande tristezza nel sapere che quella fragile ragnatela si stava già spezzando.
Scarlett, invece, mentre lui era alla deriva nel suo mare di pensieri, aveva sgranato gli occhi, correndo immediatamente dopo nella stanza. Dentro vi trovò Kurai steso sul lettino, immobile, e Novella che, testarda, pressava ritmicamente le mani, posizionate l'una sopra l'altra, sul petto del corvino.
La rossa perse un battito, e cadde in ginocchio accanto al ragazzo. Gli prese una mano, stringendola. Non sarebbe riuscita ad andare avanti tranquilla, se lui fosse morto in quel momento. Fuori imperversava la tempesta, i rumori di battaglie venivano coperti dalla bufera che sibilava, ed era solo il secondo giorno in quel villaggio.
Troppe emozioni in troppo poco tempo, è la giusta frase per definire e giustificare le forti sensazioni - disperazione, tensione; sentimenti che si riflettevano anche negli occhi delle ragazze, perciò facilmente definibili come occhi di una persona che ha smesso di crederci ma continua a sperarci, - che scoppiavano con forza in Scarlett, in Jeremy, in chi era a conoscenza del pericolo che stava correndo Kurai.
L'agitazione che c'era in ognuno dopo la scoperta dell'arrivo delle Bestie, l'adrenalina mixata alla preoccupazione, la consapevolezza improvvisamente più nitida di essere in mezzo ad una guerra, il terrore nel constatare che le braccia della Morte stavano già carezzando uno dei loro compagni... tutto si era concentrato in tutti, tremendamente efficace nell'aumentare l'angoscia e amplificare le reazioni.
Per questo ora Scarlett era accasciata a terra, mentre stringeva febbrilmente la mano di quel ragazzo che l'aveva attratta per l'aura di "Statemi alla larga o vi spacco" che emanava; per questo ora Jeremy era spalmato contro la porta, con la testa incassata nelle spalle, mentre due occhi scuri lo fissavano da lontano; per questo ora Novella stava poggiando, col respiro accelerato lievemente a causa della veemenza con cui aveva eseguito il massaggio cardiaco, un orecchio sul petto di Kurai, delicatamente, in tormentata aspettazione.
Scarlett distolse le iridi dalla mano diafana di lui, che ancora teneva salda nella sua, con lentezza, per guardare la castana, in attesa.
Gli occhi verde scuro di quest'ultima si velarono di lacrime e sgranò lievemente le palpebre.
Scarlett trattenne il respiro.
Novella sorrise.





#AngoloAutrice
(#conGli#PerchéSì)
1. BUON NATALE! (in ritardo, brava Eyes)
2. BUON ANNO NUOVO! (in anticipo, sempre meglio Eyes)
3. *prende uno scudo* Ormai vi siete abituati ai miei tempi, no?
ComunqueH. Sì, so che nella parte di Kurai ho trascinato avanti la cosa per frustrarvi, ma ehi, viva la suspance.
So che il cap. è lunghissimo, ma così ci sono stati tutti i pg (tranne Anser e Matiss, se non erro, ma c'erano nel precedente) ^^" (Distant, parola inglese del nome del cappy, può significare sia "assente, sovrappensiero, non attento" sia "lontano materialmente, distante", che sarebbero entrambe sensazioni ricorrenti. Come quando Seamus definisce Milah "Assente" o Altair pensa quelle cose su Arthur e Anser, o le definizioni di Scarlett su Kurai. Ma questi sono solo esempi. E' una parola che compare parecchie volte, per questo l'ho scelta. Può anche significare che questa "guerra" è appena iniziata, lontano dalla sua fine :3) Poi, volevo dirvi un'altra cosHa: Ellody e Jeremy. NON HO IDEA di quel che ho scritto. La parte mi è venuta così, e servirà a voi per alcuni pezzetti di dialogo che verranno nei capitolo prossimi. The_Malevolent_Girl, autrice del caro Jeremy, mi ha dato il via libera e lei sa il piccolo ma principale scopo che ha avuto quella scenetta. Siete liberi di shippare la #Jellody/#Ellomy xD.
Anzi, facciamo così: se volete, nella recensione scrivete gli # (non so come si scrive la parola lol) con le coppie che shippate xD. Così, a caso. Tanto i nomi li sapete, no?
Le robe di medicina e le reazioni delle sostanze, nelle scene della cura di Kurai (nuovo scioglilingua, cura di Kurai), sono frutto della mia testa bacata. E per fortuna che voglio fare medicina all'università...
E nulla, non uccidetemi per la suspance con cui vi ho lasciato *alza lo scudo*, e arrileggerci!
•Eyes•
P.S. Nella scena del risveglio di Romano, quando Noah fa l'occhiatina maliziosa, Noah praticamente ero io xD
P.P.S. Kurai sono io dopo le lezioni di matematica.

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