Hurt

di Cry_Amleto_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** {Save me} ***
Capitolo 2: *** {Together} ***
Capitolo 3: *** {8 Aprile 1912} ***
Capitolo 4: *** {"After all this time?"} ***
Capitolo 5: *** {Last call} ***
Capitolo 6: *** {Tears} ***
Capitolo 7: *** {Silet Music} ***
Capitolo 8: *** {Murderer} ***
Capitolo 9: *** {Message} ***
Capitolo 10: *** {Tombstone} ***
Capitolo 11: *** {See you soon} ***
Capitolo 12: *** {Enough Love} ***



Capitolo 1
*** {Save me} ***


{Save Me}

 

[Stony!Post Civil War]

"Io e te.
Tu ed io.
Tony e Steve.
Steve e Tony.
Iron Man e Captain America.
Captain America e Iron Man.
Insieme.
Era semplice, elementare, inevitabile.
Era magnifico.
Ma poi... oh, poi ho rovinato tutto.
Come sempre. Come al solito. Come di consueto.
Con le mie stesse mani, ho tramutato questo bellissimo sogno nel più terribile degli incubi, questo mondo perfetto in un disastro.
Perché non ti ho ascoltato? Perché non ho messo da parte il mio orgoglio, quando potevo? Perché mi sono rifiutato di capire?
Perché non sono riuscito a chiamarti?
Perché...
Perché...
Perché...
Perché mi hai lasciato solo Steve?
Senza di te... Non so cosa ne rimane di me. Tutto ciò che ho di buono, solo tu riesci a tirarmelo fuori, solo tu riesci a farmi capire che forse il destino non esiste.
Ma ho rovinato tutto.
Ho rovinato la cosa più bella che mi fosse mai capitata.
E non riesco a mettere più insieme i pezzi, sai Steve? Non ci riesco. Non ci riuscirò mai. Sei tu che mi tenevi unito, saldo. Eri la mia ancora, e ora che non ci sei più non posso che perdermi, andare alla deriva in questo mare di lacrime che no, non sono riuscito a piangere.
Neanche quello mi è rimasto, Steve. Non mi sono rimaste neanche le lacrime. Hai portato via con te tutto ciò che mi rendeva umano.

Torna Steve.
Torna, ti scongiuro.
Torna, anche se non mi riesci a sentire mentre in silenzio urlo il tuo nome.
Torna, cancella queste macchie di sangue dalle mie mani. Del tuo sangue.
Torna, afferra la mia mano e dimmelo, per favore, illudimi che tutto andrà meglio, che tutto tornerà ad essere come prima.
Come prima.
No.
Niente sarà come prima.
Niente, nessuno, noi.
Ci siamo persi, Steve.
Mi sono perso.
Ho perso la mia direzione, la mia strada.
Ti ho perso, Steve.
Ti ho perso. Ti ho perso. Ti ho perso.
E non so come riaverti indietro.
Non so se mai potrò riaverti indietro.

Rispondi, Steve.
Rispondi a questa linea muta.
Rispondi a questo cumulo di lettere mai inviate.
Rispondi a queste parole, domande mai formulate.
Rispondi, per favore.
Ho bisogno di sentire ancora la tua voce.
Ho bisogno di seguire con un dito la tua grafia di altri tempi.
Ho bisogno di vedere il tuo sorriso, di sprofondare nei tuoi occhi.
Ne ho bisogno, Steve.
Ne ho bisogno più dell'ossigeno.

Ho paura, Steve.
Ho paura della solitudine.
Ho paura di incontrare ancora e ancora lo sguardo che avevi, mentre ti colpivo, mentre le mie mani si sporcavano del tuo sangue.
Ho paura che tu possa andare lì dove non potrò mai raggiungerti.
Ho paura di poter andare lì dove non potresti più trovarmi.

Trovami, Steve.
Trovami, perché non so più dove sono.
Trovami, perché solo tu puoi salvarmi."

Parole mai pronunciate, le mie.
Parole a cui non potrò mai dar voce, Steve.
Perché... oh Steve, perché è troppo tardi.
Sono morto in una guerra che da solo non potevo vincere.

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Capitolo 2
*** {Together} ***


{Togheter}

 

[Stony! PostCivilWar]

Bianca. 
Era bianca la neve che lentamente scendeva, ricoprendo i palazzi di Manhattan.
Respirò a pieni polmoni quell'aria pungente, chiudendo brevemente gli occhi.
Era tornato, era tornato a casa.
Bucky era salvo, al sicuro, benché in quel momento fosse in una cella di ibernazione. E lui, dopo un lungo periodo di confusione dovuto al ritrovarsi – come mai prima di allora – completamente solo e allo sbaraglio, aveva capito che non gli rimaneva altro che tornare a casa. Non gli rimaneva altro che tornare a casa e chiedere scusa.

Erano passati 18 mesi dall'ultima volta che aveva messo piede in quella caotica città. Con un sorrisetto appena accennato, abbracciò con lo sguardo tutto ciò che lo circondava, seguendo poi brevemente con gli occhi la lenta caduta delle candida neve. 
Fece un alto respiro profondo, questa volta volto ad infondergli coraggio, poi girò l'angolo.

Rimase impietrito sul posto, gli occhi sgranati.
Il cuore gli rimase in gola, mentre il suo respiro si tramutava in un gemito sorpreso.
L'Avengers Tower, colei che un tempo aveva funto da Faro della Salvezza, colei intorno alla quale l'intera Manhattan sembrava essersi modellata, era spenta, dimessa. I vetri della Tower erano resi opachi dalla mancanza di manutenzione, il metallo esterno sembrava sempre più corroso dalla ruggine, l'intera struttura emanava abbandono.
Colui che era stato Captain America, si portò una mano alla bocca, un espressione di sgomento che ben presto gli accartocciò i tratti.
Fece scivolare lentamente la mano, mormorando a fior di labbra uno sgomentato "Cosa è successo?".

Trascorse le seguenti settimane a cercare di mettersi in contatto con i membri di ciò che restava della squadra, non riuscendoci. L'unico che non cercò fu Tony Stark, Iron Man, l'uomo che gli aveva rubato il cuore, l'uomo che a lungo, ricambiato, aveva amato. L'uomo che aveva brutalmente tradito.
No, lui lo avrebbe rivisto per ultimo. Gli avrebbe chiesto scusa, anche mettendosi in ginocchio se fosse stato necessario. Lo avrebbe supplicato di perdonarlo, lo avrebbe supplicato di non odiarlo. Benché lo meritasse, oh se lo meritava.
Davanti al computer dell' Internet Point, chiuse brevemente gli occhi, cercando di scacciare le immagini del proprio scudo che lo colpiva ancora e ancora, fino a rompergli il reattore al centro del petto, spezzando definitivamente il cuore dell'inventore. E il proprio.

Riuscì in fine a trovare il nuovo indirizzo della signorina Potts, colei che aveva gestito la Stark Industries anche più dell'inventore. 
Dopo meno di un quarto d'ora, stava bussando alla sua porta.
Gli aprì la donna stessa.
Rimase impietrita per un po' davanti all'uscio della porta, sorpresa. Poi la sua espressione divenne glaciale.

«Cosa ci fa lei qui, Capitano?» la voce di Virginia Potts calcò sprezzante su quell'ultima parola.

Steve rimase un po' spiazzato da quel trattamento, ma mantenne la sua postura e la sua espressione sicura, benché i suoi occhi tradissero la sua colpevolezza.

«Io... Ho provato a raggiungere la Tower ma-» iniziò il Capitano subito dopo interrotto dalla donna.

«Gli Avengers non esistono più e con loro anche l'Avengers Tower ha perso la sua utilità.» disse secca la donna, poi, dopo un ulteriore attimo di esitazione, si fece da parte per lasciar entrare nell'appartamento colui che era stato la Sentinella della Libertà.

«Ho provato a contattare gli altri, ma nessuno risulta rintracciabile... Ho trovato solo lei, signorina Potts, ed è per questo che sono qui. Vorrei sapere cosa è successo dopo...» lasciò in sospeso la frase, il Capitano, incapace anche solo di pronunciare quelle due parole che sigillavano la sua colpa, il suo peccato.

«Vuole sapere cosa è successo dopo la Guerra Civile?» un sorrisetto amaro si aprì sul volto di Virginia Potts.

Pepper si appoggiò al tavolo della cucina, guardandolo dritto negli occhi.

«Hai provato a contattare Tony?» gli chiese.

Steve distolse lo sguardo, un espressione colpevole sul volto.

«Come immaginavo.» concluse la donna, il tono della voce amaro.

Si voltò verso il tavolo, per poi versare due bicchieri d'acqua. Ne offrì con un cenno uno al Capitano che le si avvicinò per prenderlo.

«È a Rikers Island, incarcerato come il peggiore dei criminali. E come tale verrà giustiziato.» gli sussurrò, mentre l'altro prendeva il bicchiere a pochi centimetri da lei. « Per colpa tua.»

Steve si impietrì, il bicchiere che lentamente gli scivolò dalle mani, come se fossero state private della loro forza. Aspettò che il suono dei vetri che si rompevano lo facesse svegliare dallo stato di shock in cui era scivolato, ma non ebbe neanche quel "conforto": la signorina Potts prese al volo il bicchiere, poggiandolo con forza sul tavolo.

«Qualcuno doveva pagare per tutte quelle vite strappate impunemente, la scelta era tra te e lui. E figurati se avrebbe mai permesso a qualcuno di toccare il suo Capitano.» il tono della donna si fece sempre più aspro e amaro, ma ormai Steve non ci faceva più caso.

Tony. Quello che a lungo era stato e per sempre sarebbe rimasto il suo Tony, stava per morire a causa sua. Stava per morire al posto suo.
Si passò una mano sul volto, l'altra chiusa a pugno che gli premeva contro l'anca, le labbra tese in una linea sottilissima, gli occhi che danzavano da un punto all'altro della stanza senza mai soffermarsi realmente su niente, prendendo in considerazione diverse ipotesi. In fine, dopo un paio di minuti, girò sui tacchi e fece per andarsene.

«Dove vai?» gli chiese Pepper.

«A consegnarmi al suo posto ovviamente. Sono io a dover pagare, lui non ha colpe se non quella di aver seguito gli ordini dettati dal governo...» disse in un sussurro Steve, fermandosi a pochi passi dall'uscio, senza voltarsi.

«Non puoi.» disse semplicemente la donna «Il patto è già stato stipulato: la sua vita e la sua società per la vita degli altri Avengers, tua e del tuo amichetto.» le sue labbra si inarcarono in un sorrisetto mesto «Tipico di Tony... Benché lo sapesse nascondere, è sempre stato il classico martire.»

Il Capitano si girò di scatto e la signorina Potts sgranò gli occhi incontrando lo sguardo dell'altro. Pepper lesse un tormento, un angoscia e un dolore, in quello sguardo, che non riuscì a sostenere oltre, distogliendo velocemente il proprio.

«Io... Non era questo quello che volevo. Volevo solo proteggere un amico... Io... Troverò una soluzione. Contatterò il governo e scambierò la mia immunità con la sua, loro vogliono solo un capro espiatorio non sarà troppo difficile convincerli.» disse il Capitano, un urgenza e una disperazione nella voce che la donna non avrebbe mai pensato che l'altro sarebbe stato in grado di provare.

«Steve...» disse gentilmente, avvicinandosi lentamente e posandogli una mano sul braccio muscoloso, cambiando repentinamente atteggiamento «Il Governo ha iniziando una propaganda contro Tony sei mesi fa e ora il mondo è convinto che sia una persona terribile, un assassino che si nasconde dietro un armatura. Il Governo non ti permetterà mai di prendere il suo posto, altrimenti perderebbe credibilità. E poi davvero pensi che Tony permetterebbe proprio a te di prendere il suo posto?»

Il tono della signorina Potts era gentile, quasi consolatorio, mentre si rendeva conto del proprio errore di considerazione: il Capitano teneva ancora all'inventore, forse quanto quest'ultimo teneva all'altro. 
In quei lunghi mesi era arrivata ad odiare l'ex Captain America, convinta che quest'ultimo si fosse lavato le mani di tutti i problemi che aveva creato. E invece eccolo lì, in casa sua, un uomo distrutto dal dolore.

«Non posso... Non posso lasciarglielo fare...» gemette piano il Capitano, alzando poi lo sguardo e incrociando quello dell'altra «Io...»

«Tu lo ami, non è così?» disse Pepper sorridendogli dolcemente «L'ho capito fin da subito. Litigavate come una vecchia coppia sposata.»

Il viso sbiancato di Steve riprese un po' di colore sulle guance.

«Per questo ti sto dicendo che non puoi farlo. Il governo ha distrutto con le sue menzogne tutto ciò che erano e rappresentavano Tony Stark e Iron Man. Anche se tu riuscissi a prendere il suo posto, Tony rimarrebbe in una situazione non preferibile alla morte. Quindi vivi, Capitano, e porta a termine quello che Tony ha iniziato. Salva il mondo.» concluse la signorina Potts, guardandolo negli occhi.

Occhi in cui Steve lesse il perdono. E la fiducia.

~o~

Sarebbe stata un esecuzione pubblica, un'esecuzione esemplare. Tutti lì, riuniti nella più grande piazza di Manhattan ad attendere che iniziasse lo "spettacolo". Sgomitò tra la folla, fino a raggiungere il palco, sorpassò la sicurezza stordendola, poi si diresse spedito dietro di esso. 
E lo vide.
Il volto scavato, la forma del pizzetto solitamente in perfetto ordine confusa nella barba disordinata, i capelli scompigliati come mai prima d'allora.
Ma per quanto il suo aspetto potesse essere disastrato, il suo sguardo era rimasto quello di sempre: magnetico, un po' arrogante, sprizzante di vita.
E ben presto quella vita avrebbe lasciato quegli occhi, rendendoli opachi e vitrei. Una morsa dolorosa gli strinse il costato, stritolandogli il cuore.

«Tony!» urlò, la disperazione e il dolore più inesprimibile che trasparivano dalla sua voce, correndogli incontro.

Gli uomini che lo stavano scortando si serrarono intorno a lui. Poi però un uomo in giacca e cravatta – un uomo del Governo probabilmente – lo guardò attentamente. Quando lo riconobbe, fece segno agli altri uomini di lasciarlo andare.

«5 minuti.» disse secco questo, per poi fare cenno agli altri di spostarsi in disparte. 
I due non sarebbero potuti fuggire da nessuna parte disarmati com'erano e in un edificio pieno di soldati scelti. E l'uomo del governo in questione non aveva dimenticato come Captain America aveva salvato sua figlia insieme ad un'altra cinquantina di persone, il giorno dell'attacco dei Chitauri.

«Tony...» questa volta quello del Capitano era un gemito.

Circondò il volto dell'altro con le proprie mani, prendendo poi ad accarezzargli gli zigomi. 
L'inventore gli sorrise dolcemente, cercando di abbracciarlo, i suoi movimenti impediti dalle mani legate.

«Dovrei essere io in catene... È tutta colpa mia... Mi dispiace così tanto...» continuò Steve, interrotto da Tony.

«Shh, Stevie. Va bene così. Una guerra si combatte in due, anch'io ho mietuto le mie vittime... La mia condizione non è assolutamente colpa tua. Sono stato io a proporre il patto al governo, per garantirvi l'immunità.» alzò le mani incatenate fino a raggiungere il volto dell'altro, che accarezzò dolcemente.
Poi alzò le braccia e fece passare le mani legate dietro il collo dell'altro, attirando le sue labbra contro le proprie. Il corpo del Capitano reagì immediatamente a quel contatto, e le braccia scivolarono intorno alla vita dell'altro, attirandolo a sé in una morsa soffocante.
Il loro bacio fu da prima timido, poi sempre più intenso, fino a diventare più struggente e doloroso di una crisi di pianto.

«Tony ti prego, non lo fare... Il mondo ha ancora bisogno di te, io ho ancora bisogno di te...» mormorò Steve contro le sue labbra, mentre le lacrime prendevano a solcargli il volto.

L'inventore di scostò appena, rivolgendogli un dolce sorriso mesto ed asciugandogli impacciatamente il volto.

«No, Capiscle, sono sempre stato io
ad aver avuto bisogno di te.» gli disse, in un basso mormorio, lasciandogli un tenero bacio sulla fronte.

Poi gli sorrise, l'inventore, le sue labbra si curvarono nel tipico sorrisetto alla Tony Stark, un sorrisetto che il Capitano non credeva avrebbe mai più rivisto.

«I 5 minuti sono finiti.» intervenne quindi uno degli uomini che stavano scortando Tony.

L'inventore annuì seccamente.

«Ti amo.» gli disse Steve frettolosamente, quasi come se temesse di non riuscire a dirglielo in tempo, quasi come se temesse che l'altro avesse potuto dimenticarlo.

L'inventore si girò un ultima volta verso di lui.
«Lo so.» disse sorridendogli.

Fu un sorriso, quello di Tony Stark, che comunicava perdono. Perdono per averlo tradito, perdono per aver combattuto uno contro l'altro, perdono per averlo indirettamente condannato a morte. E poi... Poi quel sorriso comunicava qualcosa che Steve Rogers non avrebbe mai voluto vedere su altre labbra: comunicava Amore. Amore, quello con la "A" maiuscola, quello che si incontra solo una volta nella vita, quello di cui non si può fare a meno. Amore, che non era nient'altro, ma molto di più.

~o~

«Anthony Edward Stark. Reato: omicidio di massa. Pena: Morte. » recitò un uomo su di una pedana, la voce insopportabilmente nasale, a sinistra del palco. 
Al centro di quest'ultimo, c'era Tony, in ginocchio, la maglietta strappata via scopriva il busto ricoperto di lividi e dalle costole visibili per la mal nutrizione – regalini del periodo passato in carcere probabilmente. Il suo sguardo nocciola, ancora uguale a se stesso persino in quel momento, non aveva lasciato neanche per un attimo quello cristallino dell'altro.
«L'imputato ha qualche ultima parola, prima che l'esecuzione abbia luogo?» chiese lo stesso uomo.

«Noi salveremo il mondo. Insieme.» 
Furono queste le ultime parole di Tony Stark, parole dirette a Steve Rogers, parole che non avrebbero mai abbandonato la mente di quest'ultimo.

Insieme.Era questa la promessa che Steve aveva fatto agli Avengers, a Tony, alla vigilia della battaglia contro Ultron. Avrebbero vinto o sarebbero caduti insieme. Eppure non aveva mantenuto quella promessa. Non lo aveva fatto, e ora Tony gliela stava ricordando, gli stava dando una possibilità di redenzione.
Un piccolo sorriso si allargò appena sul volto rigato dalle lacrime del biondo, e annuì appena in direzione dell'altro. Aveva capito, avrebbe mantenuto fede alla sua promessa.

Poi però l'inventore fu fatto alzare e portato in fondo al palco, contro la sua parete rigida.

Quando Tony fu poi fatto girare verso la folla, gli occhi del Genio e del Soldato si fusero nuovamente l'uno nell'altro. Per un ultima volta. Lo sguardo ambrato di Tony, rassicurante, addirittura sereno perché sapeva di aver compiuto la scelta giusta; lo sguardo limpido di Steve, che rispecchiava il dolore e il tormento che gli stavano dilaniando il cuore.

Uno.
Due.
Tre colpi di pistola in pieno petto.

Uno.
Due.
Tre.
Quattro secondi prima che il corpo di Anthony Edward Stark, colui che nelle veste di Iron man aveva salvato il mondo numerose volte, che aveva messo a rischio la vita per esso in innumerevoli occasioni, si accasciasse come una marionetta a cui erano stati staccati i fili nella pozza del suo stesso sangue.

Uno.
Due battiti di cuore, prima che avesse voce un urlo che sembrò scuotere Manhattan dalle fondamenta. Un urlo carico di dolore, di angoscia, di tormento, di agonia. L'urlo di una bestia morente.
L'urlo che scoppiò dal petto di Captain America, nel vedere Iron Man cadere al suolo sconfitto da nemici che non poteva vincere.

 

"Non doveva finire così"

 

 

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Capitolo 3
*** {8 Aprile 1912} ***


{8 Aprile 1912}

[Stony!AU (accenni Titanic)]

8 Aprile 1912

Steve,
Steven. Adoro scrivere il tuo nome, lo sai, forse perché fu la prima cosa che t'insegnai a scrivere, quando da bambini ci conoscemmo. Ricordi quel giorno? Pioveva, pioveva come mai aveva piovuto nei precedenti anni, benché fosse pieno Agosto. Io mi persi tra le stradine di Brooklyn, e un bambino di buona famiglia come me, inesperto del mondo come lo ero io, non sarebbe durato molto in quell'ambiente. Mi avevano accerchiato degli alti e muscolosi ragazzacci, quando tu venissi in mio soccorso. Uno scricciolo di ragazzo proprio come me, di fronte a sei ragazzoni che avrebbero potuto metterti al tappeto con uno sciocco di dita. Eppure gli urlasti contro, agitando i tuoi scheletrici pugni e stringendo le tue dolci labbra carnose in una linea sottile. Ma non fu esattamente questo, quello che mi colpì in quell'istante, che mi fece innamorare immediatamente, irreparabilmente, perdutamente di te, no, furono i tuoi occhi. Brillavano, brillavano come la più brillante delle stelle, vivi come io non mi ero e non mi sarei mai sentito.

Hai visto le stelle ultimamente, Steve? Le hai viste? Nel cielo primaverile sembrano brillare ancora di più, o forse è l'aria del Galles a renderle diverse. Diverso, tutto qui sembra diverso da New York, da Brooklyn. C'è questo... tempore, quest'aria di dolce tranquillità, una tranquillità che non è sporcata dall'aspettativa. Non ci sono nuvole di nero smog, non ci sono ragazzini che urlano il nome del giornale che stanno vendendo, non si sente in lontananza un treno partire... Sembra tutto più primitivo, Steve, meno inquinato dalla sporcizia umana, è tutto così naturale. Ti piacerebbe. Forse un giorno riuscirò a portarti con me senza destare sporchi e superficiali sospetti. Sospetti... Come se fossimo dei criminali. Quale crimine è il nostro, se non quello di amarci? Gli esseri umani stanno facendo passi da giganti con la tecnologia, eppure la loro mentalità cinica e incredibilmente ottusa non riesce a capire quale sia il vero Male: come può il Peccato risiedere in due persone che si amano? Che scelta hanno quelli come me e te se non quella di tuffarsi alla cieca tra le confortevoli calde braccia che l'Amore, che il Destino, ti tende? Io non ho mai creduto nel Destino, nel Fato, così come non ho mai creduto fino in fondo al dio in cui tanto ferventemente credi – un dio buono e giusto non dovrebbe dipingere come dei mostri quelli che come noi hanno amori "sbagliati" – ma da quando ti ho conosciuto... tutte le mie certezze sono venute meno. Ora ne ho solo una, che mi permette di alzarmi la mattina con il sorriso sulle labbra e che mi consente di sopravvivere in questo grigio modo: l'amore che provo per te, incondizionatamente. Non m'importa se sei un uomo, non m'importa se non appartieni alla classe di eletti cui fa parte la mia famiglia, non m'importa se il mondo giudica il nostro rapporto un peccato capitale... M'importa solo di te. E sarà così per sempre, fino alla morte, oltre la morte.

Mi manchi, Steven, mi mancano i tuoi occhi nei miei. Mi manca l'accartocciarsi dell'aria, quando siamo noi due a respirarla, distanti solo di pochi centimetri l'uno dall'altro. Mi manca sentire le tue grandi mani sempre così calde avvolgere le mie gracili e fredde. Mi mancano i tuoi baci sulla fronte, leggeri come carezze. Mi manca la tua voce, quando sussurriamo in quell'umida soffitta frasi d'amore proibito, sperando che nessuno possa sentirci.

Solo il così vicino ritorno a casa, il così vicino ritorno tra le tue braccia, scalda le mie giornate.

La conferenza e le innumerevoli assemblee che ne sono seguie sono finalmente terminate. Sono felice di informarti che sono riuscito ad impressionare piacevolmente la comunità scientifica, che finanzierà con laute somme di denaro le mie ricerche. Presto dunque potrò lasciare il paterno ostello in cui sono stato costretto a vivere per fin troppi anni, e una volta costruita una nuova – periferica – abitazione, potremmo trasferirci lì, e vivere finalmente a pieno il nostro amore.

Mi imbarcherò tra due giorni sul Titanic – l'enorme imbarcazione di cui tanto si è parlato – per il suo viaggio inaugurale. Il viaggio mi è stato regalato dal professor Watson in persona, il rappresentante della comunità scientifica Europea, e il fatto che a me solo tra tutti i coloro che erano lì giunti per ottenere finanziamenti fosse offerto tale lusso, mi ha riempito il cuore d'orgoglio.
Date le nuove tecnologie di quest'ultimo, dovrei arrivare a New York tra 10 giorni esatti, già mi sembra di sentire le tue forti braccia ancorate intorno a me.

Con infinito amore, 
per sempre tuo,
Tony.

 

Perché Tony... Perché ancora non torni? Sono passati ormai due mesi da questa tua lettera che ancora stringo come il più caro dei miei tesori, che ancora bagno di lacrime ogni notte...
Perché non sei qui, con me, a progettare la casa che abbiamo sempre sognato? 
Perché non sei qui, con me, ad illuminarmi le giornate con il tuo bellissimo sorriso? 
Perché non sei qui, con me, ad agitarti nel nostro letto come ogni notte, aspettando che io ti consoli con le mie carezze? 
Perché non sei qui, Tony?
Perché...
Perché mi hai lasciato solo?

 

 

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Capitolo 4
*** {"After all this time?"} ***


{"After all this time?"}

[Stony!Hogwarts!AU] [Steve/Gryffindor >> Tony/Slytherin]

Non ne valeva la pena.

Io non volevo si arrivasse a... quello. Non l'ho mai voluto. 
Io... io non me lo perdonerò mai. Non ci sarà mai punizione che possa essere equivalente a ciò che ho fatto, al crimine di cui mi sono macchiato, al sangue che mi incrosta le mani. 
Io... io lo amavo, sapete? Lo amavo e lo amo tutt'ora con ogni fibra del mio essere. Eppure... eppure sono diventato un assassino.

Oh, Steve, se solo avessi saputo.

Andavamo entrambi alla scuola di magia di Hogwarts, entrambi discendenti di una lunga dinastia di abili maghi. 
Io... Io un Serpeverde, come i miei genitori, e i loro genitori e quelli prima ancora: tutti si aspettavano che seguissi le orme della famiglia e per quest'ultimo motivo mi guardavano con rispetto misto a timore reverenziale, benché mi fossi rivelato fin da subito la pecora nera della famiglia - amavo più la scienza delle arti oscure, cosa che però non mi salvò dalla perdizione-. 
Tu... Tu un Grifondoro, come i tuoi genitori entrambi deceduti, amato e stimato da tutta la comunità scolastica, o semplicemente da tutti quelli che ti circondavano. Emanavi una luce... una luce che sembrava poter rischiarare qualsiasi tenebra, anche tenebre come quelle che mi vorticavano furiosamente nel petto. E fu naturale, naturale come se prescritto dal Destino, che noi due ci avvicinassimo, ci completassimo a vicenda. Eravamo inseparabili, la nostra era quel tipo di amicizia che non poteva non diventare qualcosa di più.

E successe.
Andai in camera tua, quel giorno come tanti, in un momento come tanti durante il quale in dormitorio era deserto. Gli eventi si susseguirono velocemente, l'uno sospinto dall'altro, in un vorticoso incalzarsi di azioni che sapevamo essere inevitabili. Eravamo in balia del Destino, del Fato... dell'Amore, di una forza troppo grande per potersi ribellare ad essa.
E io finalmente iniziai a brillare. Tra quei baci, tra quelle carezze, le Tenebre che da sempre avevano abitato nel mio cuore, si dissiparono lasciando spazio alla più splendente delle Luci.

Ma poi... Poi mi hai ucciso, Steve, mi hai pugnalato alle spalle nel modo più crudele in cui potessi farlo.

Iniziasti ad evitarmi. Ignoravi ogni messaggio; accartocciavi quelli che ti inviavo al tavolo durante i pranzi, come era diventata nostra abitudine; mancavi a tutte le lezioni che avevamo in comune. Quando ti cercavo nella sala comune, eri sempre troppo impegnato, sempre alle prese con qualcosa di più importante. Iniziai a chiedermi dove avevo sbagliato, se quella che per me era stata la prima volta non fosse stato abbastanza per uno come te, se ti fossi stufato di me e le mie imperfezioni.
Mai, MAI, avrei immaginato che la realtà fosse più.. dannatamente... semplice.

«Perché mi stai evitando, Steve?» ti chiesi quando finalmente riuscì a trattenerti abbastanza dallo scappare via.

‹Non ti sto evitando, Tony› mi dicesti tu, distogliendo lo sguardo, cercando – ancora – una via di fuga.

"Non riesce nemmeno a guardarmi..." e qualcosa in me, lentamente iniziò a morire. Quella luce che avevi acceso, ben presto si sarebbe spenta per lasciare le tenebre più totali, ancora più buie e fredde di quelle precedenti.

«Non mentirmi è inutile...» dissi allora, cercando di non farmi prendere dal panico, convinto ancora che ci potesse essere una soluzione a qualsiasi mio errore, che ben presto le cose si sarebbero aggiustate «Voglio solo sapere il perché.»

Un attimo di esitazione, alcuni battiti di cuore che ancora non sapevo essere gli ultimi.

‹Quello che è successo la scorsa notte è stato un errore. ›

Ecco. 
Finito.
Con un ultimo spasmo, il mio cuore si arrestò. 
Il mio mondo cadde in frantumi, che si andarono spietatamente a conficcare nel mio cuore facendolo sanguinare copiosamente.

«Perché mi stai dicendo questo?» Come un uomo morente che guarda sorpreso un pugnale penetrare nel proprio petto, così continuai a guardarti, gli occhi velati dalle lacrime, a chiedere spiegazioni sul perché mi stessi uccidendo.

‹Siamo due uomini, Tony! › esclamasti a quel punto, incrociando finalmente il mio sguardo distrutto.

«E allora?» chiesi ancora, mentre lacrime prive di pudore prendevano a scorrermi sulle guance «Due uomini non possono amarsi l'un l'altro?»

‹È sbagliato. › rispondesti seccamente tu, distogliendo lo sguardo, incapace di reggere il dolore che avevi causato, nonostante continuassi a pugnalarmi ancora ed ancora, ripetutamente, senza pietà.

E io continuai ad accusare il colpo, immobile, ad assorbire il dolore. Un singhiozzo sfuggì senza controllo dalle mie labbra, eppure tu, ancora, non facesti una piega, continuando imperterrito la tua "opera".

«No, non lo è» gemetti piano, mentre la più dolorosa delle agonie mi straziava dall'interno. Tu rimanesti in silenzio, e le parole mi uscirono in piena fuori dalle labbra urlate, singhiozzate: «È non mi importa se sia giusto o sbagliato, perché voglio stare con te.»

Ecco, sì lo avevo detto. Chiaro e tondo, senza possibili fraintendimenti.
Perché io ti amavo, dio se ti amavo.

‹Ma io non voglio.› 
Eccolo, il colpo di grazia, la stoccata finale che spense ogni luce presente nei miei occhi, nella mia anima, lasciandolo solo le più oscure delle tenebre.

E caddi.

Iniziò la mia caduta nel baratro senza fondo dal quale non sarei più risalito, nel quale ho trascinato giù con me tutto ciò che di umano il mio cuore conservava.
Divenni un Mangiamorte, seguendo infine quelle orme paterne che così veementemente avevo rinnegato. Strinsi un patto col diavolo, perché ormai non avevo nulla da perdere. La mia mente, la mia anima... ti eri portato tutto via con te.
Passarono gli anni, e finalmente ci rincontrammo. L'uno contro l'altro.
Tu, un Auror, io , un Mangiamorte.
Mi dicesti che lo eri diventato per me, perché era il mio sogno, perché speravi che, lavorando nello stesso ambiente, ci saremmo rincontrati.
Mi chiedesti come stavo, poi... poi ti accorgesti di ciò che ero diventato.
Indietreggiasti, sorpreso, chiedendo spiegazioni.
E fu allora che la mia oscurità esplose, distruggendo, annientando, riducendo in cenere tutto ciò che mi circondava.
Scatenai su di te un Crucio, affinché anche tu provassi quel dolore devastante che avevi scatenato in me, distruggendomi come tu avevi distrutto me. Uccidendoti come tu uccidesti me. 

E lo feci, ti uccisi, nonostante tu mi implorassi di smetterla. E tu sei morto, lì, quel giorno, per mano mia, mentre mi confessavi quanto tu mi amassi.

Ti uccisi, senza riuscire a fermarmi se non quando era troppo tardi.
Ti uccisi, e piansi inutili lacrime sul tuo corpo senza vita.
Ti uccisi, uccidendo tutto ciò che di vivo restava nel mio mondo. 
Non mi consegnai alle autorità: né Azkaban né la morte non sarebbe stato abbastanza per ripagare ciò che ho fatto.
Così ho continuato a "vivere", le mie notti tormentate dal tuo fantasma, i miei giorni pensando continuamente a te, al tuo sorriso al tuo cadavere stretto tra le mie braccia, odiandomi come nessuno sarebbe capace di odiare sé stesso, bramando la morte ma negandosela perché una via di fuga troppo facile.

Sono diventato professore ad Hogwarts ora, sai? Insegno Pozioni, quella materia che tanto amavo perché così simile alla scienza babbana. Ricordo ancora come tu, ogni volta che ne decantavo le virtù, mi guardavi come se fossi completamente fuori di testa.
Ora sono qui, nel mio studio, a scrivere queste righe... non so neanche il motivo. Forse è perché dal quadro che ho appeso proprio accanto alla mia scrivania, tu sorridi, ammicchi verso di me, proprio come quella volta in cui andammo in gita ed io ti scattai quella foto tra uno scherzo ed un altro.

Vorrei che fossi qui, al mio fianco. Vorrei che qualcuno, che tu mi avessi fermato, avrei preferito che mi uccidessi. 
E invece sei stato tu quello a perire, senza neanche provare a difenderti, dicendo quanto mi amavi mentre io ti urlavo quanto ti odiassi.

Oh, Steve... mi manchi. Mi manchi così dannatamente tanto.
Lo so, lo so che merito tutto questo dolore che giorno dopo giorno mi auto-infliggo, lo so che è tutta colpa mia... Solo... Solo che ti amo. 
"Dopo tutto questo tempo?" ti starai chiedendo in questo momento, magari inclinando un po' la testa di lato come eri solito fare di fronte a un problema di dubbia soluzione.

Sempre. 

_________________________________________________________________________________________________________________________
Hi guys! Per chi mi avesse mai seguito fin qui - fioca speranza la mia - arigatou gozaimasu! *fa inchino* Premetto che è dapo che mi sono iscritta su questa piattaforma - avendo stanziato fin ora su Wattpad - quindi nel caso questi "spazi autrice" fossero fuori luogo, goomen! Mi piacerebbe sapere i vostri pareri su queste mie piccole cosette.
See you soon~

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Capitolo 5
*** {Last call} ***


{Last call}

[Stony!PostCivilWar]

- Steve...-

Un mormorio spezzato. Un respiro affannato. Un cellulare usa e getta da cui non si separava mai.
Ed ora eccola, quella telefonata tanto attesa. Anche se... Anche se sembrava che non fosse solo ciò che appariva.

-Tony...?-

Una strana preoccupazione, dettata dall'istinto, prese a stringergli la gola in una stretta morsa.

-Volevo... volevo solo... sentire la tua voce. –

Parole strozzate quelle dell'inventore, come se qualcosa gliele bloccasse in gola. 
Colpi di tosse, forti, spietati. Respiro affannato.

-Che succede? Tony, cosa c'è che non va? Hai... hai bevuto?-

La grande mano di Steve era stretta intorno a quel piccolo aggeggio di plastica, le nocche sbiancate, la sua invisibile espressione tradiva il suo nervosismo crescente.

- Non ho... molto tempo ma... ci sono cose che non ho mai avuto il coraggio di dirti... E non importa se adesso è troppo tardi, io...-

Un silenzio, un lungo silenzio in cui il Capitano ebbe Paura, una Paura che mai aveva provato prima. Paura che in ballo ci fosse più di un bicchiere di scotch di troppo, paura che i suoi sospetti fossero verità.

-Perché Tony? Perché è troppo tardi?-

Ma voleva davvero sentirla la risposta a quella domanda? Non ne era certo. L'unica cosa che sapeva, è che il cuore aveva iniziato a battergli all'impazzata nel petto e i suoi occhi si erano velati di lacrime.

-Steve, Steve, Steve.-

La voce dell'inventore che pronunciava il suo nome come se volesse accarezzarlo lettera per lettera, come se stesse esprimendo il più recondito dei propri desideri.

-Mi dispiace... mi dispiace così tanto per non aver capito, per non essermi riuscito a fermare, per averti ferito durante quella stupida guerra. Sono stato un idiota, ho versato il sangue dell'ultima persona che mai avrei voluto ferire...-

Erano calde, lente, silenziose, le lacrime che gli rigavano il viso, irrigidito da qualcosa molto simile al dolore, all'agonia. E fu folgorato dalla consapevolezza che quella no, non fosse una semplice telefonata. Quello era un addio.

-È una guerra che abbiamo combattuto in due... E anch'io ho fatto, ti ho fatto, cose terribili...Non hai fatto niente che io non ti abbia già perdonato.-

Le parole che il suo cuore urlava, le sue labbra tramutavano in disperati sussurri spezzati.

-Sono in ritardo, Capitano, come sempre. Sono stato un codardo... ho aspettato troppo a lungo. Ma io... io devo confessartelo, anche se in ritardo, anche se non dovessi accettare le mie parole... -

Piangeva, piangeva Captain America, perché sapeva, sapeva ciò che l'altro stava per dirgli. Se lo erano già detti, in fondo, più volte, tramite sguardi infuocati che avevano già detto tutto quello che c'era da dire. Sguardi a cui non avevano mai osato dare voce.

-Io... io ti amo, Steve.-

Un singhiozzo irruppe dalle sue labbra, senza controllo, rimbombando nella stanza, nella sua mente, nel suo cuore. Distruggendolo.

-Dove sei, Tony? Dimmi dove sei, ti prego...-

Lo stava supplicando, lo stava supplicando di tornare da lui, di lasciargli dire quanto anche lui l'amasse, quanto lui l'avesse sempre amato, sprofondando in quei magnetici occhi nocciola che lo stregavano ogni volta che li incontrava.

-Sono...sono dove non puoi raggiungermi... Dovevo aspettarmelo... andare in missione senza di te... Che mossa stupida... Dovrei averlo capito... che senza di te non valgo niente... che non sono nessuno.-

Una risatina appena accennata. Dolorosa. Un'ombra sbiadita di quella che era stata la risata arrogante di Tony Stark. Un'ombra che, come tale, sparì al calar delle tenebre, del Silenzio.

-Non è vero... Mi hai dato più di quanto tu hai ricevuto... Mi hai donato uno scopo, Tony, qualcuno a cui guardare le spalle, qualcuno da proteggere, anche da se stesso. Dimmi dove sei, risolveremo tutto come al solito, insieme.-

No. Non l'avrebbe abbandonato. Aveva detto di essere in missione, quindi non gli rimaneva che raggiungerlo e trarlo in salvo da qualsiasi situazione l'altro si fosse cacciato. Lo avrebbe rivisto. Gli avrebbe detto quanto lo amava.

-È troppo tardi... Mi dispiace... mi dispiace così tanto...Sono stato colpito, Steve... Io... io non credo che riuscirò a cavarmela questa volta... Ma dovevi sapere... dovevi sapere che io...-

Le parole dell' inventore furono interrotte da forti colpi di tosse. E non poteva evitarsi di immaginarlo, il Capitano, non poteva impedirsi di immaginare Tony, il suo Tony, riverso in una pozza di sangue, a tossire il liquido vermiglio. Un basso gemito lasciò le sue labbra, mentre si rendeva conto che no, non l'avrebbe rivisto, mai più. Non l'avrebbe sentito più ridere, non avrebbe più potuto osservare come gli si formavano quelle piccole rughe accanto agli occhi quando lo faceva, non si sarebbero più incontrati/scontrati nei corridoi della Tower attaccando giocosamente battaglia. Non si sarebbe mai più perso nel suo sguardo ambrato. Non avrebbe potuto mai più dirgli quanto lo amasse e baciarlo come tanto a lungo aveva sognato di fare.

-Anch'io ti amo, Tony. Ti ho sempre amato, dalla prima volta che ci siamo visti, quando mi spalleggiasti contro Loki in quella piazza gremita di gente. Ti ho amato così a lungo che non ricordo più com'era quando ancora non ti conoscevo... Ti ho amato anche durante la Guerra, sai? Ti amato tanto intensamente da odiare con altrettanto fervore me stesso. Ma non potevo lasciarti uccidere Bucky, e non solo perché avrei perso un caro amico, ma perché avrei perso te, tu ti saresti perso. Mi dispiace non essere riuscito a dirtelo prima, ma ti amo Tony, ti amo come non amerò mai nessun altro.-

E mentre quelle parole si rincorrevano fuori dalle sue labbra, materializzando tutto quello che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire, una parte di sé lentamente si spegneva, così come lentamente il respiro dell'altro si faceva via via più impercettibile dai microfoni di quel piccolo cellulare.

-Grazie Steve, per avermi amato come nessun altro ha osato fare.-

Un sussurro appena percettibile. Un rantolo. Un piccolo cellulare usa e getta stretto in una ferrea presa dolorosa.

Un silenzio. 
Il rumoroso silenzio mortale.

Un grido.
Il grido sordo di un cuore andato in frantumi, di una storia cancellata prima ancora di essere stata scritta.
Il grido di chi ha appena perso l'anima.

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Capitolo 6
*** {Tears} ***


{Tears}

 

[Stony!PostCivilWar]

-Ehi.-

«Ehi...»

-Sai da quanto sei qui dentro? Non hai un bell'aspetto.-

«Non lo so... Ho perso la cognizione del tempo un bel po' di tempo fa.»

-Perché non sei salito in camera da letto, almeno per dormire? Fa freddo, ed il letto è enorme...-

«Potevi usare quello della camera degli ospiti.»

-Cos'è questa freddezza? Pensavo che... insomma... avessimo chiarito.-

«Avevo bisogno di pensare... e di tenere la mente occupata.»

-Non puoi usare due scuse che sono l'uno l'opposto dell'altro! Pensavo che come bugiardo non ci fosse nessuno meglio di te, Tony.-

«Non sono bugie, è la verità.»

-Allora perché mi hai fatto entrare? Perché dopo tre settimane, hai aperto quella porta?-

«Perché mi sbagliavo.»

-Ti sbagliavi?-

«So che non è da me ammettere le mie colpe, ma è così. Mi sbagliavo sul fatto che potesse tornare tutto come prima.»

- T-Tony... che stai dicendo? È GIÀ tornato tutto come prima...-

«Mi stavo illudendo che fosse così, ci stavo illudendo. Dopotutto quello che è successo... Dopotutto quello che ci siamo fatti a vicenda...»

-IO TI HO PERDONATO! Non rinvangare il passato inutilmente!-

«Tu, forse, ora ti sei convinto che ciò che la Guerra Civile ci ha portato via non fosse così importante; tu, forse, ti sei perdonato e hai perdonato anche me. Ma io... Io non mi perdonerò mai di essermi macchiato le mani del tuo sangue, così come non dimenticherò mai il tuo scudo che correva verso di me, mirando alla gola per poi abbassarsi sul reattore che fortunatamente non mi teneva più vita... Non ci riesco, Steve.»

-Tony... Insieme supereremo anche questo. Insieme possiamo farcela.-

«Davvero non capisci, Captain?! Bene, allora te lo mostrerò. Indossa questo casco, per favore

-Ma questi...-

«Sì, sono i miei ricordi, i miei pensieri, le mie emozioni... Ho perfezionato la mia invenzione, sperando che vedere tutto dall'esterno mi avrebbe aiutato. Invece mi sbagliavo terribilmente, come puoi immaginare.»

-Dio Tony...-

«Capisci, ora, Steve? Capisci

-Tony... T-ti prego... fallo smettere...-

«Anch'io pensavo a questo, mentre mi distruggevi il cuore, mentre mi costringevi ad attaccarti... Volevo solo che la smettessi, la smettessi di combattere contro di me, che la smettessi di difendere quell'assassino.»

-Tony... Basta... Per favore... Non voglio più vedere...-

«NO! Tu DEVI vedere, DEVI sentire!»

-BASTA! BASTA TONY! Ti supplico... Non ce la faccio più... Ti prego... Basta...-

«D'accordo, hai visto abbastanza.»

-Come... come fai a tollerare anche solo la mia vista?-

«Ti amo, e non smetterò mai di farlo. Così come non smetterò mai di odiare le mie mani lorde di sangue. Così come non riuscirò mai a perdonare fino in fondo il tuo tradimento... Ma ti amo, nonostante ogni cosa, e so che ora come ora non posso darti ciò che meriti... Ormai sono guasto, rotto come non lo sono mai stato in vita mia, irrimediabilmente.»

-No... Tony, non... non farlo per me... Ti ho procurato così tanto dolore... Non merito il tuo amore incondizionato. Ma non smetterò neanche io mai di amarti, e di tentare forse inutilmente di farmi perdonare. Quindi... che si fa? Mi sembra di essere finito in una situazione di stallo che è difficile superare...-

«Non si fa nulla, ormai è troppo tardi per tutto...»

-Non dire questo, ci siamo sempre noi due, no? Uno al fianco dell'altro e viceversa, come sempre, per sempre.-

«Amo questo tuo ingenuo positivismo in un modo che non puoi neanche immaginare, ma devo dare per impossibili le tue affermazioni... Non lo so se ci è mai stato veramente un noi, non so se mi ami come affermi- »

-Tony, IO TI AMO! È questa la mia unica certezza, e deve essere anche la tua. Ho fatto una scelta sbagliata, credendo scioccamente che, se mi fossi "messo in mezzo", nessuno si sarebbe fatto male. Che errore è stato il mio... il più grande che io abbia mai fatto. E ora che comprendo in pieno il male che ti ho inferto, so che probabilmente anche per il sottoscritto si sono aperte le porte dell'inferno ma... Te lo ripeto, io ti amo, e al momento non è forse l'unica cosa che conta?-

«Gradirei che non mi interrompessi mentre parlo, ma va bene, apprezzo le tue parole così sincere in un modo che non puoi neanche immaginare. Ora però... Beh, avevi ragione. Il "dover pensare" non era proprio il solo motivo  che mi ha spinto a quest'isolamento...»

-Tony, parlami ti prego. Questo silenzio mi sta uccidendo. Dimmelo, perché ti sei nascosto nel tuo antro solitario, perché sei fuggito da me...-

«Perché ho scoperto una data di scadenza. Friday...»

-Cos'è questo display? Perché... è un conto alla rovescia?-

«22 ore, 28 minuti, 46 secondi. Ciò che mi resta da vivere.»

-COSA?! COSA STAI FARNETICANDO?!-

«Non è abbastanza chiaro, Capiscle? Ci sono stati dei danni collaterali, danni a cui non avevo dato troppo peso... L'acceleratore di particelle con il quale ho alimentato il reattore Arc, mi si è rivoltato contro negli ultimi istanti, mentre finalmente estraevo quelle schegge. È da un po' che ne sono a conoscenza, da ben prima della Civil War. Questo è anche stato il motivo della mia rottura definitiva con Pepper, se proprio lo vuoi sapere... Fatto sta che nelle ultime tre settimane ho cercato insistentemente una cura che non esisteva, provando ad inventarla, ma i risultati come puoi vedere sono stati inconcludenti... »

-No... Tony... Cosa stai dicendo? Io... io non capisco...-

«Sto morendo, Steve. Non c'è alcun futuro per noi. Mi manca un giorno, un solo, piccolo giorno, poi il mio corpo si spegnerà, non so nemmeno se sarà una cosa veloce.»

-No... Una soluzione...-

«Non esistono soluzioni, Stevie.»

- N-no... Io troverò un modo... Una cura...-

«Stevie, smettila... vieni qui. Sono stanco di litigare, e non voglio iniziare una discussione su false speranze.»

-Cosa... cosa posso fare? Per favore... dimmi cosa posso fare per salvarti...-

«Resta al mio fianco, ti chiedo solo questo. Se non mi hai veramente amato, per favore fingi ancora un po'. Ho... ho bisogno solo di te adesso. Di te e basta.»

-Perché non me l'hai detto prima? Perché mi hai taciuto una cosa simile?-

«Perché sarebbe stato inutile, e avresti preso a guardarmi come se fossi un agnellino ferito, come stai facendo ora... »

-Se me lo avessi detto, forse avremmo potuto evitare tutto quello che è successo...-

«Forse, o forse no... Non ha più importanza.»

-Non posso dirti addio Tony... Non... Non posso.-

«E allora non farlo. Vivi con me la vita che mi rimane al meglio delle tue possibilità. E dopo... dopo continua a lottare, fallo per entrambi. Continua a proteggere questo mondo che ha un costante bisogno di noi, benché non voglia ammetterlo...»

-No. Non puoi chiedermi di continuare a vivere la ma vita come se non fosse successo nulla, non puoi.-

«E infatti non è quello che sto facendo. Ti sto chiedendo di vivere come se ti scorresse il fuoco nelle vene, portando avanti la nostra missione.»

-L'unica persona che ho mai voluto salvare sei tu, e ora non posso farlo...-

«Noi siamo i Vendicatori, Capitano. Non mi devi salvare, mi devi vendicare. Vendica la mia morte dimostrando a quel Dio infame che non è riuscito a placare il mio spirito ma solo il mio corpo... Posso chiedertelo, Steve?»

-Oh, Tony...-

«Piano! Ricorda che sono un semplice mortale, e che le costole le voglio ancora tutte intere!»

-Solo tu puoi strapparmi una risata in un momento come questo!-

«È il mio dono, questo, no? Uno dei tanti, oserei aggiungere.»

-Ti amo.-

«Anch'io ti amo. Lo farò per sempre. Neanche quella bastarda con la falce potrà impedirmelo!»

-Linguaggio Tony!-

«Smettila di lamentarti e baciami.»

-È un ordine questo, Uomo di Metallo?

«Esatto, Capitan Ghiacciolo, e non si discutono gli ordini.»

-No di certo...-

________________________________________________________________________

Hi, guys! Come vi è parso questo nuovo stile? Volevo provare qualcosa di diverso, così eccolo qui! Per qualcuno fissato con le descrizioni come la sottoscritta, è stato quasi un tormento scrivere qualcosa di così radicalmente opposto a ciò che è il mio stile, but... ogni tanto ci vuole un po' di cambiamento, per rendere le cose più interessanti (??) Datemi i vostri pareri siceri, e vi prometto che non scriverò più in questo modo, se non mi gradisce.

Al prossimo capitolo,

la vostra cara piccola sadica masochista ~~

 

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Capitolo 7
*** {Silet Music} ***


{Silet Music}

[Stony!Special Fluffy]

Una musica dolce, cadenzata, allegra a tratti, malinconica ad altri.
Un brano trasmesso da altoparlanti invisibili, che accarezza l'ambiente, avvolgeva i due ascoltatori, ritti al centro dell'ampia stanza in quell'attico d'albergo. 
Le luci erano soffuse, e la maggiore illuminazione la regalava la grande vetrata della parete finestra che sembrava raggruppare tutte le luci della città sottostante, in pieno fermento nonostante la tarda ora, e illuminava così la sagoma dei due uomini, ritti uno difronte all'altro. Questi si guardavano, si guardavano e basta, le mani unite, intrecciate teneramente. Due mani, grandi, morbide, calde e nivee che raccoglievano altre due mani, più gracili, callose, gelate e abbronzate. Si sostenevano a vicenda, quelle mani, erano l'uno il rifugio dell'altro.

La musica raggiunse il suo culmine, e le due figura iniziano a muoversi in sincrono, come se riuscissero a comunicare attraverso i loro sguardi magnetici fusi l'uno nell'altro. Uno cristallino, simile a due misteriose pozze marine che nascondono indicibili meraviglie, l'altro ambrato, che trasmetteva energia, l'eterna mutazione del pensiero umano. Sguardi diversi, corpi diversi, cuori diversi, fusi in uno come la più meravigliosa delle combinazioni.

I loro corpi iniziano a volteggiare, guidati da quella musica incalzante che tocca entrambi nel profondo, muovendoli e conducendoli verso un posto mistico e surreale, dove non esiste altro che loro, e il loro silenzio carico di sguardi che esprimono ciò in cui la parola è limitata. 
Si tengono per mano, mentre si allontanano, si riavvicinano, si inseguono, fuggono. Il sorriso sulle loro labbra non si spegne neanche per un attimo, i loro occhi non perdono quelli dell'altro neanche per pochi frangenti.
La danza continua, e loro ormai sono altrove dove nessuno potrà raggiungerli, da soli con il proprio amore che scalpita in petto, premendo per uscire e avvolgersi ancora più stretto intorno alla mani unite dei due giovani amanti.

Non ci sono parole.
Non ci sono suoni, se non quello delicato della musica che va sempre più a sfumare, fino a diventare nient'altro che un dolce mormorio di sottofondo.
Poi il Silenzio.
Un Silenzio palpabile, che gravita su di loro conservando il loro mondo tutto loro.

E continuano a muoversi, Steve e Tony, Tony e Steve, senza più bisogno di una guida. I battiti all'unisono dei loro cuori solo l'unica musica di cui hanno bisogno, gli intrecci dei loro sguardi sono gli unici passi di cui non possono ormai più fare a meno, le loro mani fuse le une nelle altre sono l'unica guida che li porterà verso quel mondo mistico e bellissimo, che ormai fa indissolubilmente parte di loro.

Poi, d'improvviso, la loro danza ha fine.
Entrambi con gli occhi chiusi, l'uno tra le braccia dell'altro.
Il volto dell'inventore è nascosto nel confortevole incavo del collo del Capitano, aggrappandosi a lui come se avesse paura che, lasciando la presa, l'altro sarebbe scomparso via dal loro mondo privato, lasciandoselo alle spalle. 
Le forti braccia del Capitano cingono dolcemente l'inventore, come se volesse proteggerlo da tutto ciò che è al di fuori della circolare barriera protettiva innalzata dal loro Amore reciproco. 
Solo allora, due sussurri scostano il silenzio come se fosse una morbida tenda, per poi farla scivolare nuovamente dietro di loro.

-Steve...- mormorò semplicemente l'inventore.
-Tony...- sussurrò in risposta il Capitano.

E fu quella la promessa, più solenne di ogni altra, che si scambiarono, l'uno perso, smarrito, nell'altro: loro c'erano, erano presenti lì, in quel momento, insieme. E così sarebbe rimasto fino alla morte, oltre la morte. 
E fu quella muta promessa che sancì la loro immortalità.   

______________________________________________________

Hi, guys! Eccoci qui, al primo speciale fluffy della raccolta, spero vi piaccia, nonostante non sia in grado di scrivere cose molto happy e - per l'appunto - fluffy... Anyway, eccoci qui. 
Okay, smetto di ammorbarvi, alla prossima~~

 

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Capitolo 8
*** {Murderer} ***


{Murderer}

[Stony! Civil war! What if...?]

Non era riuscito a fermarsi, non ci era riuscito. 
E non erano bastate le sue lacrime per cancellare il sangue che gli imbrattava le mani e il viso. 
Sangue non suo. Sangue della propria famiglia. Sangue dell'unica persona che avesse mai veramente amato. Sangue di colui che lo amava più di ogni altro.

Non era riuscito a fermarsi, non ci era riuscito.
E aveva detto addio alla propria anima, a tutto ciò che rimaneva di caldo nel suo cuore di ghiaccio.
Cuore di ghiaccio, che lo aveva spinto a compiere quel gesto atroce di cui si sarebbe pentito fino alla fine dei propri giorni. Gesto del quale non si sarebbe mai riuscito a perdonare.

Non era riuscito a fermarsi, non ci era riuscito.
E aveva stroncato l'unica vita che in realtà desiderava salvare. L'unica vita che in quel disastro meritava più della propria di essere salvata.

Lo aveva ucciso... lo aveva ucciso... lo aveva ucciso...
E l'altro non aveva fatto quasi niente per difendersi, compromesso dall'amore che provava per lui. Lo aveva ucciso, consapevole che l'altro avrebbe preferito morire pur di non togliergli la vita. 
Aveva approfittato della sua debolezza, del suo amore, e glielo aveva ritorto contro.

-Credevo che mi amassi.- gli aveva detto mentre combattevano –Credevo che non saremmo mai arrivati a questo punto.-

Eppure il Capitano aveva continuato a colpirlo, senza dar peso allo sguardo ferito, distrutto, dell'altro. 
Lo aveva colpito ancora e ancora e ancora, fin quando non si era ritrovato sopra di lui, aveva afferrato la maschera del casco di Iron Man e l'aveva strappata via, mettendo in mostra il volto insanguinato e l'espressione spaventata e sorpresa di Tony Stark.
Spaventata, sì, Tony aveva paura di lui, di quel mostro dalle mani grondanti di sangue che presto sarebbe diventato. Ma era anche sorpreso, Tony, di quel sorpreso che si avvicina allo sgomentato, perché colui che aveva davanti, con quell'espressione fredda e impassibile mentre lo colpiva accanitamente, non poteva essere l'uomo che l'aveva baciato sotto quel temporale, quell'uomo che lo proteggeva dal mondo e sa sé stesso, quell'uomo che amava incondizionatamente.
E invece fu proprio quell'uomo ad abbassare lo scudo con forza sulla gola scoperta dell'inventore. 
Sì lo aveva fatto. 
Non era riuscito a fermarsi. 
Accecato dall'ardore della battaglia, aveva squarciato la gola all'unica persona per la quale per lui aveva senso vivere. 
E mentre il sangue sgorgava a fiumi, allargandosi come una cremisi aureola intorno al capo dell'inventore, nonostante il Capitano premesse con forza le mani sulla ferita nel vano tentativo di fermare l'emorragia, Tony gli sorrise.
Gli sorrise, invece di guardarlo con aria accusatoria per ciò ce aveva fatto.
Gli sorrise, per poi mormorare quelle parole completamente fuori luogo, eppure così dannatamente Vere.

'Ti amo, Steve' mormorò Tony, spirando, per poi far precipitare il silenzio.

Non c'erano più i gorgoglii di Tony, mentre affogava nel suo stesso sangue.
Non c'era più il cupo rumore dello scorrere nel sangue su quello sporco cemento.
Non c'era più il respiro affannato di Steve, mentre cercava inutilmente di salvare quella vita che aveva lui stesso strappato via.

C'era solo il silenzio, fatto di immobilità. 
Immobile era il cuore di Tony.
Immobili, sospese nell'aria densa, erano quelle parole che non avrebbero mai smesso di rimbombare nella mente stravolta del Capitano.
Immobili erano le mani insanguinate di Steve, che giacevano prive di forza sul volto sempre più freddo di Tony, come se bloccato nell'atto di accarezzarlo.

-Tony, svegliati.- disse, il tono paziente, dolce, come se avesse sorpreso l'inventore a dormire un'ennesima volta sul tavolo del proprio laboratorio, pronto portarlo a letto, scuotendolo leggermente per una spalla.

-Tony, apri gli occhi.- continuò, la voce incrinata, mentre lentamente iniziava a capire cosa aveva fatto, scuotendolo con più foga.

Ma il volto dell'inventore rimase immobile, ingrigito e irrigidito dalla morte.

Tirò lo scudo lontano, il più lontano possibile, e nel movimento esso rilasciò una scia di sangue che andò a sporcare il muro.
Prese quindi il corpo dell'altro e se lo mise sul grembo, iniziando a cullarlo dolcemente, mentre copiose lacrime gli bagnavano le guance, mescolandosi con l'ancora fresco liquido vermiglio che le imbrattava.
Iniziò a sussurrare il nome dell'altro ripetutamente, come in un mantra, la voce che si faceva via via più disperata, fin quando si ritrovò ad urlarlo, singhiozzando impudicamente. 
Rimase in quella posizione per quelli che gli apparvero come millenni, poi sentì, attraverso l'auricolare, la voce di Bucky, l'amico per il quale si era sporcato le mani di quel rosso che non faceva che accusarlo. 
Quella voce gli disse di sbrigarsi, di andarsene via di lì, che lo S.H.I.E.L.D. sarebbe arrivato di lì a poco.
Ma il Capitano rimase immobile, continuando a cullare quella vita da lui tolta, gettando via lo strumento di comunicazione. 
Abbracciando quella salma ormai priva di calore, gli chiese perdono, nonostante lo negasse anche a sé stesso.

E continuò a sussurrare quel "Ti amo", lasciandogli teneri baci sulla fronte, anche mentre il rumore degli hovercraft che atterravano poco distanti da lui sovrastava la sua esile voce. 
E continuò a sussurrare quel "Ti amo", stringendoselo al petto sporco di sangue, mentre una squadra di agenti armati fino ai denti lo circondava, puntandogli i fucili contro.
E continuò a sussurrare quel "Ti amo", senza staccare neanche per un attimo lo sguardo dal volto pallido ed insanguinato, eppure ancora così bello, di quell'uomo che aveva giurato di proteggere e che poi aveva ucciso, mentre i soldati lo esortavano ad alzarsi e a tenere le braccia in alto.
E continuò a sussurrare quel "Ti amo", mentre gli agenti gli sottraevano Tony dalle braccia, nonostante Steve quasi si aggrappasse ad esso.

-Sono stato io.- disse semplicemente Captain America, il volto stravolto dal dolore, il tono di voce apatico, spento, morto.

-Sono stato io.- disse in un gemito agli agenti, mentre gli ammanettavano le mani dietro la schiena.
-Sono stato io.- disse quasi urlando, al cospetto della giuria incaricato di condannare il suo crimine.
-Sono stato io.- disse in un mormorio, difronte al proprio plotone di esecuzione.

9, i proiettili che si impiantarono con forza nei suoi organi vitali.
6, i secondi che passarono prima di cadere a terra privo di vita.
3, le parole che pronunciò mentre la vita si spegneva nei propri occhi esausti.

-Ti amo, Tony.-

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Capitolo 9
*** {Message} ***


{Message}

[Stony!PostCivilWar]

"Salve, state parlando niente meno che con la segreteria telefonica di Tony Stark, altrimenti noto come Iron Man. In questo momento non ci sono, probabilmente sto salvando il mondo da qualche terribile disastro, quindi lasciate pure un messaggio dopo il segnale acustico."

Perché non rispondi più, eh Tony? Perché hai deciso di non rispondere più a nessuno? Perché hai scelto la strada più facile? Perché, quando finalmente hai chiamato il mio numero, non sono riuscito a capire niente? Perché... Perché non sono riuscito ad arrivare in tempo?

Tante domande... Tanti rimorsi... Tony, ti sei lasciato dietro proprio un bel casino, un casino da cui non riesco ad uscire, un casino che mi sta uccidendo lentamente, chiamata dopo chiamata alla linea muta di questo numero telefonico che ancora nessuno ha avuto il coraggio di cancellare per sempre.

Ti ho lasciato 11 messaggi in segreteria, fin ora.

Uno ogni notte passata a stento, con la schiacciante consapevolezza che non avrei mai più incrociato i tuoi occhi, visto il tuo sorriso, udito la tua voce.

11 messaggi, nei quali non ho potuto fare a meno di urlarti contro il tuo egoismo, nei quali non ho potuto fare a meno di implorarti di tornare, nei quali non ho potuto fare a meno di piangere, di singhiozzare.

11 messaggi, fin troppo uguali a loro stessi.

L'unica cosa che è cambiata in essi sono io, la mia voce, che si fa sempre più fioca, perché, dio Tony, mi hai ucciso, mi hai ucciso nel modo peggiore in cui potessi farlo. Uccidendoti.

Eccolo, il segnale acustico. Eccole, le mie parole che, come di consueto, lasciano le mie secche labbra martoriate dai morsi, nel tentativo di provare del dolore vero, fisico, che in qualche modo possa alleviare quello della mia mente esausta.

«Ciao, Tony.» il solito silenzio accompagna quelle prime due parole, mi raggomitolo, le gambe strette al petto, in quel tuo letto che conserva ancora il tuo odore, odore che sta svanendo così inevitabilmente da essere doloroso. «Mi dispiace, Tony. Mi dispiace così tanto... è colpa mia. È tutta colpa mia. Ti ho abbandonato, sono stato cieco difronte al dolore che urlava dal tuo sguardo. Me ne sono accorto solo adesso che è troppo tardi, sai? Ho rivisto tutte le tue foto, da quelle più vecchie in cui eri solo un ragazzino a quelle più recenti. In tutte il tuo sguardo grida aiuto, benché le tue labbra siano arcuate nel tuo solito magnifico sorriso. Ed io... io non l'ho capito, io non ti ho aiutato, io ti ho condannato.

«Tutto ciò mi sta uccidendo, lo sai? Mi manchi terribilmente, come mai prima d'ora qualcuno mi era mancato. Mi manca tutto di te, anche le nostre scaramucce per i corridoi della Tower che adesso sembra così vuota senza te, che sembravi riempire ogni stanza con la tua sola presenza. Dio Tony, non sai cosa darei per averti di nuovo qui, al mio fianco...

«Ma perché, Tony? Perché hai deciso di spararti un colpo in testa, piuttosto che venire da me, tra queste mie braccia che sembrano essere fatte per stringerti? Perché hai deciso di farla finita, quando avevamo appena iniziato? Non voglio neanche immaginare quanto siano stati solitari, bui e tristi questi ultimi sei mesi per te, ma... Non riesco a perdonartelo, Tony, non riesco a perdonarti di esserti arreso così in fretta. Non è da te. Non voglio realmente crederci. E giuro che se questo è uno dei tuoi scherzi...! Quanto vorrei che lo fosse. Quanto vorrei che ora ti affacciassi da quella porta che lascio sempre aperta ad attendere il tuo ritorno, sorridendomi ed dicendo che, effettivamente, come burla è stata di cattivo gusto. Io non troverei neanche la forza per arrabbiarmi con te, ti stringerei e basta, perdonandoti tutto.

«Ma so che non sarà mai così. Lo so, perché ho sentito lo sparo, mentre correvo da te. Lo so, perché ho stretto a me il tuo cadavere, impedendoti di cadere rovinosamente per terra. Lo so, perché ti ho cullato, mentre le tue carni si facevano sempre più fredde. Lo so, perché le mie mani sono ancora sporche del tuo sangue che non sono riuscito a lavare via, non del tutto, mai del tutto.

«Non ho fatto in tempo. Avrei dovuto correre più veloce, avrei dovuto urlare il tuo nome, impedendoti di premere quel grilletto, avrei dovuto essere al tuo fianco fin da subito, mese dopo mese. Ma avevo paura, sai? Avevo paura che, guardandoti negli occhi avrei letto le mie colpe, il dolore che ti ho inflitto in quella stupida guerra. E ti ho abbandonato, ti ho reso di nuovo solo... e tu me lo dicesti, me lo supplicassi, di non andare via, di non lasciarti mai solo perché la solitudine ti stava uccidendo. Non ho mantenuto la mia promessa, e questa è la mia punizione, questo dolore che mi sta pian piano soffocando, sommergendo, uccidendo.

«Io... Io non lo so se riuscirò mai a perdonarti per questo, ma tu devi saperlo, Tony, forse già lo sai o forse lo hai dimenticato: Tony io ti a-»

Un suono acustico, segno che la registrazione si è interrotta. Si è interrotta come sempre, su quella verità che è stata, ed è, la mia unica certezza.

Chiudo gli occhi, mentre gli angoli della mia bocca si sollevano in un sorriso mesto, doloroso, e dico all'oscurità che mi avvolge, sperando che le mie parole rimbombando tra queste vuote mura di raggiungono, dovunque tu sia: «Ti amo, Tony»

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Capitolo 10
*** {Tombstone} ***


{Tombstone}

[PostCivilWar!Variante->Reattore ancora installato]

Nel curato giardino di colei che era stata l'Avengers Tower e che ora non era altro che uno dei tanti palazzi privati disabitati di Tony Stark, si erigeva sobria una lastra con su inciso in un elegante grafia:

Steven Grant Rogers
Captain America
7 luglio 1918/ 26 ottobre 2016
Caduto con onore

"Caduto con onore"... Il resto del mondo non la vedeva così, ma ciò non importava a Iron Man, che non aveva potuto far altro che costruire quella minuscola lapide commemorativa in quel giardino privato.
Non aveva potuto fare altro, lui, che non era riuscito a tenere al sicuro l'unica persona che lo meritasse. 
Che non era riuscito a proteggerlo, mentre le accuse lo lapidavano. 
Che non era riuscito ad impedire che quella pubblica esecuzione avesse avuto luogo. 
Che non era riuscito neanche ad ottenere le sue spoglie per poterlo seppellire con tutti gli onori che meritava. 
Che non era riuscito neanche a dirgli addio. 
Che non era riuscito neanche a dirgli quanto lo amasse, per l'ultima volta.
Che non era riuscito a salvarlo.
Non c'era riuscito.
Non erano bastati i soldi, non erano bastate le minacce, non erano bastate le sue urla, non erano bastate le sue lacrime, non era bastato l'amore incommensurabile che Tony provava verso Steve. 
Ed ora eccolo lì, come ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo nei pressi di quella lastra che non rappresentava niente, NIENTE, eppure era tutto ciò che era riuscito a dare a quel grande uomo che avrebbe continuato ad amare incondizionatamente.

Accarezzò con mano tremante le lettere che componevano quel nome che si ritrovava a sussurrare, a gemere, notte dopo notte, in preda ai più feroci incubi.
I grandi occhi scuri ormai privi di ogni vitalità, ormai privi di ogni lacrima, urlavano la propria agonia.

Non era così che doveva andare. No. No. No. Non doveva finire così. 
Tony si era proposto come merce di scambio, la sua vita e la sua società in cambio della vita di Steve. Semplice, conveniente, fin quando il Capitano, venendolo a sapere, aveva ucciso la guardia incaricato di scarcerarlo, impedendo così all'inventore di prendere il suo posto. 
La sua mano si strinse spasmodicamente contro la fredda pietra della lapide, con talmente tanto vigore da sbiancarle, come se volesse strappare via dal suolo quella testimonianza priva di ogni valore di un'altra vita che era stata brutalmente stroncata.

«Non sono neanche riuscito a darti una degna sepoltura...» il mormorio strozzato dello Stark interruppe brevemente il costante silenzio della torre in cui si era rinchiuso, nella quale stava lentamente morendo, consumato dal più grave di tutti i dolori. 
Si gettò in ginocchio sul prato, difronte alla targa sepolcrale, il capo reclinato verso il basso, le mani che stringevano con forza ciuffi d'erba strappandoli.

«Perché, Steve? Perché mi hai impedito di salvarti? Senza di te... Io sono perduto, non sono più niente. Perché mi hai impedito di salvarci entrambi?»

Grosse, calde, lacrime, presero ben presto a scorrere sul proprio viso, mentre si gettava contro la lapide, stringendola a sé con forza, cercando inutilmente di raccattare un po' di quel Calore che ad ogni suo abbraccio Steve gli regalava. 
Pianse, mentre con le labbra percorreva ancora e ancora le curve che formavano quel nome tanto amato.
Pianse, mentre sussurrava quel "mi dispiace", l'agonia che gli straziava il petto.
Pianse, mentre gli disse addio, chiudendo gli occhi.

E lo rivide.

Eccolo, Steve, che sprizzava vitalità da tutti i pori, mentre avanzava con passo morbido, le spalle rilassate come non mai, portandogli la colazione.
Eccolo, Steve, il suo sguardo che si scioglieva diventando quasi torbido quando voleva essere baciato.
Eccolo, Steve, che gli sorrideva, mentre veniva condannato a morte.

Con gli occhi chiusi, sigillati, con sulle labbra il nome dell'unica persona per la quale sarebbe morto senza pensarci due volte, dell'unica persona che non era riuscito a salvare, si portò una mano al centro del petto, lì dove scontrò le dita con il dischetto metallico che ancora lo teneva in vita. 
Dita che non si fermarono, ancorandosi ai bordi del reattore e facendolo scivolare via lentamente, mentre l'inventore si accovacciava sull'erba soffice di quel prato di cui si era curato a lungo, in quei mesi di solitudine, che sembrava essere l'unica cosa della quale gli importava. 
Le gambe andarono a piegarsi in posizione fetale, portandosi all'altezza del suo petto - del suo cuore- . Petto –cuore- che incominciò a dolergli, un dolore inizialmente appena accennato, poi sempre più violento, che gli mozzava il respiro. 
Petto –cuore- bisognoso di quel congegno elettronico che aveva abbandonato ai piedi della lapide.

Mentre il dolore prendeva il sopravvento del suo corpo, bloccando le sinapsi del suo cervello, irrigidendogli i muscoli, rendendo il suo volto orribilmente cianotico, le sue labbra si mossero, componendo una frase che non avrebbe mai più avuto voce.

«Ti amo, Steve. Sto arrivando.»

 

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Capitolo 11
*** {See you soon} ***


{See you soon}

[Stony!PostTheAvengersAgeOfUltron]

C'era troppo chiasso.
Troppe false lacrime, troppe frasi di circostanza, troppa finzione.
Il profumo esagerato artificialmente dei fiori sembrava bruciargli ipolmoni.
Il sole splendeva alto nel cielo, così fuori posto.

"In una giornata così, scommetto che Tony è rinchiuso nel suo laboratorio. Prima o poi riuscirò a convincerlo ad andare al mare."

Un brivido gli congelò il sangue, gli fece girare la testa.

Tony.

Non lo avrebbe più potuto rimproverarlo per la sua mania di voler usciredalla sua 'tana' solo con la pioggia. Non sarebbero più andati alla spiaggia. Non avrebbe più visto il suo sorriso divertito, mentre lui gli rivolgeva scherzose minacce. Non sarebbe più sprofondato nel suosguardo.
Mai più.
Era troppo tardi.

Una morsa dolorosa gli strinse il petto, mentre tra quelle lapidi marmoree il prete di turno tesseva le lodi del defunto, davanti alle telecamere, a tutta quella gente che no, non conosceva davvero il'compianto Anthony Edward Stark'. 
No.
Nessuno di loro lo conosceva davvero.
Tony non aveva tutti quei pregi! Era un autentico disastro, la persona più narcisista ed egocentrica che avesse mai conosciuto. Lui... Era il suo Tony. Il Tony che gli sorrideva con gli occhi, anche quando montava su un'espressione arcigna. Il Tony che, benché lo camuffasse in un'eccessiva sicurezza di sé, non faceva che mettersi alla prova per trovare l'ennesimo modo per salvare l'umanità. Il Tony che era costantemente solo, benché circondato da tanta gente. Il Tony che era stato in grado di sciogliere il suo cuore di ghiaccio. 
Non ascoltò nessuna delle vuote parole profuse dal prete, le condoglianze ancora più prive di significato di chi lo circondava, le pacche sulla spalla, i "era un grande uomo" di coloro che avevano cercato di mettere in cattiva luce l'operato dell'inventore fino ai suoi ultimi istanti.
Il suo volto rimase immobile, mentre la platea si disperdeva per lasciare gli ultimi saluti ai cari, prima di seppellire la salma. 
Immobile, già, come quello di un morto. 
Il proprio sguardo cristallino solitamente animato da quella scintilla che faceva di lui Captain America, Steve Rogers, un essere vivo,era del tutto sparita, senza lasciare tracce, come se non fosse mai esistita. 
Quando rimase da solo nella piana assolta, con movimenti lenti, quasi comese a spingerlo in avanti fosse una forza esterna al suo corpo, si avvicinò alla bara in mogano. 
E Tony era lì, circondato da petali vermigli, il volto rilassato che lo faceva sembrare ancora più giovane, bello come sempre. Sembrava essersi semplicemente assopito un attimo, come faceva a volte tavolo del laboratorio. In quei casi era impossibile per il Capitano riuscire a svegliarlo, e con un sospiro a metà tra il rassegnato e l'intenerito, lo prendeva in braccio stringendoselo al petto, per poi portarlo nel loro letto. A quel punto, Steve rimaneva ad osservare il volto addormentato dell'uomo a cui aveva promesso eterno amore, ripercorrendo i suoi tratti che ormai conosceva a memoria finché il sonno non catturava anche lui nelle sue spire. 
Anche in quel momento il Capitano rimase ad osservarlo, come se quella non fosse che un'altra delle loro notti insieme. 
Ma il sole di Agosto batteva implacabile su di loro, mettendo a nudo laverità dei fatti: il suo Tony non si sarebbe svegliato mai più.
Ed ecco che la prima lacrima riuscì a sfuggire dal proprio controllo egli rotolò lentamente lungo la guancia insipida, non accuratamente sbarbata come al solito. E a questa ne seguì un'altra. Poi un'altra ancora. In pochi attimi si ritrovò a singhiozzare in ginocchio, le spalle scosse da tremiti mentre la sua anima, ancora e ancora, cadeva in pezzi. L'assenza dell'abbraccio di Tony, l'unico che lo riusciva a tenerli insieme, fu accentuata dalle proprie braccia con cui cercava inutilmente di colmare il vuoto.

La voce di Steve era fioca, rotta dai singhiozzi, dal tremore che stava scuotendo dalle fondamenta la solida montagna che doveva essere Captain America.

Perché non mi hai portato all'Altro Mondo con te?

Era quest'ultima, quella che non riusciva ad esprimere, l'unica che importava davvero.

Aveva sempre immaginato la propria morte al fianco del proprio compagno,perdere la vita per l'unica persona per il quale valeva davvero la pena vivere.

Invece Tony se ne era andato, salvando con la propria morte 43 dei 48 ostaggi presi dal terrorista di turno.

Captain America aveva sottovalutato il nemico, e a rimetterci la vita era stato Iron Man che con la propria armatura era riuscito a proteggere tutti tranne che se stesso.

Le sue lacrime nel frattempo venivano asciugate dal vento che si era levato. Barcollando, riuscì a rimettersi in piedi. Prese ad accarezzare l'amato volto freddo e privo di vita, lo sguardo arrossato e lucido.

Era questo l'unico compito che mi ero prefissato, proteggerti. Ma non ci sono riuscito... Mi dispiace così tanto, amore mio... Mi dispiace così tanto... Presto ci ricongiungeremo.

Steve Rogers era morto nell'istante in cui il cuore di Tony Stark aveva smesso di battere. Il proprio corpo morto, però, invece di trovarsi in una bara, continuava a muoversi, a respirare, e la sua anima continuava ad essere ancorata a quel mondo sul quale non valeva più la pena di rimanere. Quella sera stessa, sulle note della musica del loro primo ballo, avrebbe detto addio definitivamente a quella Terra che si era scoperto ad odiare, per aver spento la luce negli occhi del suo Meccanico, e finalmente sarebbe tornato tra le sue braccia.
Si chinò sulla salma pallida, poi lasciò un lungo bacio sulle labbra esangui dell'altro.

sussurrò al suo orecchio ormai sordo.

Poi si scostò lentamente. 
Poco dopo, degli uomini arrivarono per posizionare il coperchio sopra la bara. Steve tenne fisso lo sguardo sul volto di Tony anche dopo che fu coperto dal legno di mogano. Rimase ad osservare il medesimo punto anche mentre lentamente la bara veniva calata nel fosso già scavato, e poi con la stessa lentezza ricoperto di terra fino a sparire. Rimase in quella medesima posizione, a guardare quello stesso punto, finché il sole non scivolò oltre l'orizzonte e le prime stelle apparsero a solcare la volta. Solo allora si girò, con un mesto, piccolo sorriso che gli arcuava le labbra.

Sto arrivando, amore mio.

 

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Capitolo 12
*** {Enough Love} ***


[Superfamily!Post Civil War!Pre Infinity War]

È stato inutile sperare che il suo amore bastasse.
L'ha lasciato andare. Non ci è riuscito.  Non ha saputo fermarlo, tenerlo al suo fianco. 
Si versa da bere, la mano trema appena. Il proprio sguardo è lo specchio distrutto della propria anima devastata. Si regge la testa con l'altra mano, il volto nascosto nella speranza che il mondo non si accorga della sua caduta.
Ne è passato di tempo, eppure quando si ferma, quando non riesce a tenere la mente impegnata con le cose più disparate, quando non c'è che silenzio nella grande villa di Malibù, eccolo che torna. Lui. Li sente pulsare come se gli fossero stati appena inferti, quei colpi di cui non sono rimaste che leggere cicatrici che il tempo lava via. 
Butta il contenuto ambrato del bicchiere tozzo giù tutto d'un fiato.

Due anni. Non si sono visti, né sentiti. O meglio, Tony l'ha visto. L'ha spiato di nascosto grazie a FRIDAY, decine e decine di volte, per puro masochismo. Non ha mai provato a contattarlo però. Solo il pensiero di risentire la sua voce gli fa strizzare gli occhi a causa di una fitta improvvisa al cuore. 
Quindici anni di matrimonio. Non sono serviti a trattenerlo. Non hanno avuto lo stesso peso dei suoi ideali. L'amore incondizionato che ha provato e prova non è servito a nulla. Nulla. Non è rimasto nulla di quel sogno che, sin dall'inizio, Tony lo sapeva, era destinato a interrompersi nel più brutale dei modi.

Altro whisky, altre rughe sul volto invecchiato di colpo, un'altra luce che si spegne nello sguardo nocciola. Non deve pensare, non deve pensare, non dev-
Una voce lo sta chiamando. È giovane. È amata. La riconoscerebbe tra tutti. Peter. Sta invocando la presenza di suo padre. Il miliardario finirà per coinvolgere anche lui nella sua distruzione, e questa volta definitivamente. Quante volte, in quegli ultimi anni, è successo che fosse compito di quel ragazzino, del suo ragazzino, prendersi cura di lui, lì dove sarebbe dovuto essere il contrario? Tante, troppe. I sensi di colpa si abbattono sil genio ancora una volta. 
Peter gli si avvicina. Gli sfila con delicatezza il bicchiere dalle mani. Tony non oppone resistenza.

«Stai pensando a lui, non è così?»
Iron Man non ricorda quando la sua voce di diciassettenne sia diventata così tristemente rassegnata. Non ricorda quando il suo nome è diventato un tabù. Non ricorda qual è stata l'ultima volta che è riuscito a sorridere per davvero a suo figlio. Ma come ogni volta ci riprova, a tirare gli angoli della bocca in su. Come ogni volta a Peter sembra bastare.

«Andiamo a dormire insieme, papà?»
Gli chiede il figlio, aiutandolo ad alzarsi e a tenersi in piedi. Durante e subito dopo la Guerra Civile, Peter passava tutte le notti abbracciato al padre in quel letto che era stato dei suoi genitori. Qualche volta, quando Tony si riduce in quelle condizioni, nelle ore più profonde della notte, lontano dagli occhi pieni di biasimo del mondo, lo raggiunge e glielo propone ancora. È l'unico modo che il ragazzo conosce per lenire la sofferenza del padre, non lasciarlo solo in quel letto troppo grande per una singola persona. Sa che il genio avrà ugualmente incubi tremendi, ma Peter sarà lì quando si sveglierà. Sorride quindi all'altro, quando, come al solito, sbotta un "ma non sei troppo grande per questo genere di cose?"

Tony si lascia condurre docilmente in camera da letto, non protesta mai più di tanto. Non può. Peter lo abbraccia stretto, quando si sdraiano, strettissimo. Ha il terrore di vederlo scomparire, da un momento all'altro, come lui. Sa che l'Uomo di Metallo non lo farebbe mai, mai. Sa anche, però, che giorno dopo giorno una parte dell'uomo che era suo padre svanisce. E ha paura, una paura terribile. Non vuole restare da solo. Non vuole, quindi lo abbraccia con quanta forza ha.
Peter spera che il suo amore basti a salvare suo padre, tutto ciò che ha.
Tony, nella posizione in cui era solito mettersi quando era lui a stringerlo, prega che non gli venga strappato dalle braccia anche quanto di più prezioso gli resta. 

________________
Uh, sì, sono viva. Non so perché ho scritto ciò, forse perché ieri sera avevo promesso una Stony fluff a Saeki458 - hii, non uccidermi pls sono giovaneh [più o meno] - e avevo intenzione di farne una fluff. Sul serio. Poi è successo il compito di matematica di domani. So,  awwgst per tutti. Probabilmente domani - oggi in teoria - modificherò ancora questo obbrobrio. Spero di non aver fatto troppi casini [che bello perdere l'abitudine]. Come primo esperimento di Suoerfamily mi auguro di non aver fatto cavare gli occhi a nessuno.
Bye.
[Saeki458 MagicalFox7 - hii, sì, ti sto poco sottilmente informando di ciò di cui necessito -  it schifo is for us. Ora datemi cioccolata. E caffeina. Now.]

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