Masquerade

di Lunaticalene
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Masquerade - Il Bianco e Il Nero ***
Capitolo 2: *** Masquerade - Solo uno sbuffo di Rosso ***
Capitolo 3: *** Masquerade - Frammento Indaco ***
Capitolo 4: *** Masquerade - Nero su fondo ghiaccio ***
Capitolo 5: *** Masquerade - Nero su fondo bianco ***
Capitolo 6: *** Masquerade - Azzurro su fondo Nero ***



Capitolo 1
*** Masquerade - Il Bianco e Il Nero ***


Nota sul Rating: Il rating arancione è dato dalla tinta leggermente meno fluff del terzo capitolo. Questa è la mia prima fan fiction, abbiate misericordia di me. 
Masquerade - Il Bianco e il Nero
 
È silenzio. Manca quel buio confortevole che la sua mente immagina e delinea ma rompersi una gamba, adesso, non fa parte dei suoi prossimi programmi. La mano destra è stretta sul telecomando dell'impianto di filodiffusione della pista mentre la sinistra si stringe, semplicemente, contro la balaustra. Le lame scoperte, le protezioni di plastica abbandonate, incrociate, sul quella stessa semplice recinzione. Lo sguardo rivolto al centro vuoto di quella lastra di ghiaccio liscio. Un respiro profondo, come un piccolo anatroccolo che poggia, per la prima volta, la zampetta nell'acqua dello stagno.
Eppure, in quello stagno, lui è il principe. Lui può ancora permettersi di allenarsi da solo, di mostrare davanti al suo allenatore una coreografia solo una volta che l'ha ideata e pensata. Lui può permettersi tutto questo. Anche se sono le sei del mattino e le strade di San Pietroburgo sono una lastra di marmo, quasi più assassina della pista che ha davanti. Le palpebre si chiudono, regalando uno spazio di buio. Un respiro profondo prima di premere il pulsante che inonda la pista di note. Una traccia non ancora tagliata che conserva tracce del parlato di introduzione, dando il tempo alle mani di liberarsi, alle lame dorate di raggiungere il centro della pista. Alle dita della destra di accostarsi, quasi troppo delicatamente al lato sinistro del volto, sfiorando l'argento dei propri capelli e privandolo, figurativamente, di una parte della sua stessa essenza. Nascondendo, per la frazione di un secondo, una parte della sua stessa anima azzurra.
L'azzurro è un colore infame. È un colore che punta al cielo, che si riflette nell'acqua ed ha la pretesa di dettare legge sulla scala cromatica. Si finge di un candore irreale mentre le labbra, pallide e morbide, si spingono nella sillabazione della frase che rimbomba nell'impianto.
« E' un peccato che il fantasma non sia qua »
Una spinta in avanti, per acquisire con la pista confidenza e velocità. Ascoltando ogni parola che viene scandita dalle casse. Una musica che ha una pretesa di allegria che in realtà, nelle parole sfugge via.
Il salto che si prepara, la mano che si allontana in un movimento fluido del braccio che anticipa, quello che vuole essere il meccanismo di alternanza sul suo volto. Ma quando l'occhio sinistro torna a vedere, su quel ghiaccio vuoto lo vede scattare. Un flash bianco.

Flash of mauve, splash of puce
Fool and king, ghoul and goose
Green and black, queen and priest
Trace of rouge, face of beast, faces1

E il lutz non atterra a dovere, portando il baricentro lontano dalla posizione che dovrebbe essere mantenuta. Gli addominali che vengono contratti, ad evitare una caduta che di fatto non si realizza mentre il corpo, nonostante la ripresa si arresta. Le mani, entrambe tra i capelli, a spettinarli. Premendo appena contro le palpebre chiuse. Torna il nero. Si concentra sul respiro prima di ripartire. Occhi aperti e quel bianco che ritorna. Che conclude un triplo toe lop, seguito da un axel e un doppio loop. Il labbro inferiore che viene morso, torturato per una frazione di secondo. Prima di ripartire, cacciando quella creatura bianca via dalla propria ottica. Nessuna fata danza in quel cerchio. Nel gelo della steppa, le fate possono solo morire di freddo. Devono morire di freddo.
È un pensiero che non gli fa onore, ma a volte l'onore cade, almeno nel pensiero, quando una minaccia sale e scivola lungo le proprie mani. Per un attimo le vede. Quelle mani bianche che accolgono le sue. Che hanno la pretesa di guidarlo lungo la pista, lungo la coreografia che lui stesso ha disegnato nella fantasia e che adesso incide sul ghiaccio, sollevando frammenti di neve estinta. Quel braccio bianco, che adesso cinge il suo busto, accompagnando la mano destra di nuovo sull'occhio. L'ombra di fili d'oro contro quel volto troppo giovane e sfrontato. Axel. E la fata scompare, mentre la musica prosegue. Mentre le braccia disegnano nell'aria le linee delicate delle trottole, recuperando la piena consapevolezza di sé.
Quel fantasma bianco lo accompagna dal programma breve a Barcellona. Quando immobile sulle gradinate ha visto quel ragazzino polverizzare il suo record personale. Per un attimo c'è stata una gioia sincera. Quell'attitudine sportiva che si muove per empatia sulle stesse corde del successo altrui. E quella risposta, altrettanto spontanea, atta a recuperare quello che, di diritto, era sua. Quella competizione che scivola sottile sotto pelle e che porta a sorridere. La stessa che ha letto sul volto di Yurio quella mattina, davanti a quello spicchio di oceano. Quella gara contro se stessi che finalmente ha un volto. Un riflesso. Che ha smesso di essere una lotta interna contro il proprio limite. Quando il limite è esterno, raggiungere l'infinito diventa una realtà migliore. L'era dei due campioni di Russia. La fata e lo Zar. San Pietroburgo in trionfo.
Ancora niente è iniziato e già si parla al plurale. Un plurale che la sua vera pelle non sopporta. Non sotto la maschera dell'onore. Come una macchina nera, quel noi non esiste. Quella possibilità di essere in due su un podio non è considerabile. Non può e non deve esistere.
Prosegue il programma, scivola alla perfezione. Un sorriso si delinea sul volto, nel quadruplo salchow che termina perfettamente allineato.
« Solo io. Solo e soltanto io. » un pensiero rassicurante. Fermo e liscio come il drappo di velluto di un palcoscenico. Rosso e oro, brillante di una sicurezza che si riflette nell'ombra che il volto disegna naturalmente ora che entrambe le mani sono impegnate a disegnare nell'aria il decoro di un trionfo. E' allora che spunta. Una macchia nera che scivola e disturba il rosso.

Watching us, watching them
All our fears are in the past
Three months of relief
Of delight, of Elysian peace1

Di nuovo. Per la seconda volta si ferma. Immobile, al centro della pista, mentre il nero scivola verso di lui. Non è il nero degli occhi chiusi. Non è il nero del petrolio che avanza. Non è la danza di una fata che sa di dover evitare. È una creatura diversa, quella che adesso scivola sul ghiaccio. Un respiro di calore, di lava che sfrigola contro l'acciaio. È argento che intossica l'oro. L'eco di due mani che scivolano lungo le braccia, che raggiungono il collo. Sono passi, dannatamente incerti, che guidano. Così dannatamente delicati e infami che resistere è più difficile. È la voglia di stringere il nero, di divorarlo fino a intossicarsene completamente. L'eco di unghie contro le guance. Che premono, risvegliando un sibilo assopito.
« Be my coach » un respiro spezzato. Una memoria che si fonde con quella fantasia distorta. Quella punta di dolore che preme all'angolo sinistro degli occhi. Quella voce che rimbalza mentre le ginocchia si abbassano sul ghiaccio. Le mani strette nei fili d'argento, percorrendone tutta la lunghezza, allungandole verso l'alto, spingendo le punte verso il riflettore. Il fantasma nero che lo avvolge da dietro, stringendo le spalle strette nel micropile dalle tinte scure, spingendo le sue mani invisibili contro le costole, premendo le punte invisibili in direzione degli organi interni. Punte di spillo che scivolano in una voce distorta contro le orecchie. Quelle litania spezzata. Be my coach. Gli occhi chiusi, serrati contro la luce artificiale. Di nuovo le mani sugli occhi. Nel silenzio che si condensa sul ghiaccio. Il petto che si alza e si abbassa, mentre la schiena si poggia contro la balaustra.
Termina la danza, accompagnata come sempre da quei due fantasmi che scivola sul ghiaccio con lui da quando ha iniziato a pattinare. Le gambe che vengono fatte scivolare, distese contro il gelo che sporca di bianco il nero, facendo di lui la somma dei due orrori che lo convivono. Anche le mani vengono accompagnate contro il freddo, dandogli modo di ritrovare l'ibrido sospeso tra quelle due L che hanno sempre più la forma di due Y.
Le unghie si stringono, grattando via piccoli cristalli artificiali e secchi. I denti che si conficcano nelle labbra. Prima che arrivino le voci. Che lo obbligano a scattare di nuovo in piedi, a scuotere il ghiaccio dalla tuta scura e a raggiungere l'esterno della pista ghiacciata. Le dita gelide contro la pelle, a risistemare la maschera di un sorriso contro il mondo che compie il suo ingresso. I suoi due fantasmi che arrivano chiacchierando e imprecando contro il tempo, contro di lui e contro il mondo intero. Un sorriso di vetro che si sposta verso quel fantasma bianco che lo ricambia con una smorfia mentre quella macchia nera si avvicina, allungando tra le sue mani una tazza di carta colorata che fuma vaniglia verso l'alto.
« Yakov approva questa colazione » commenta, prima di allungare un sacchetto nella sua direzione « Quindi è meno invitante di quello che appare » replica, con moto di sincerità eccessiva mentre avvicina alle sue dita un sacchetto di carta arrotolato in chiusura. Quella linea d'oro stretta all'indice.
« Victor? Va tutto bene? » una domanda, fatta a bassa voce, quasi una confidenza segreta « Hai le mani gelate »
« Ma tu mi hai portato un tea che me le scalderà di sicuro » ribatte inclinando il capo di alto, facendo ondeggiare un poco il ciuffo argentato.
Occhi perplessi, che si tradiscono preoccupati « Uhm. » le labbra increspate, la mano sinistra che si allunga verso il suo fianco destro, sfiorandolo. Congelandolo, come l'ombra è stata capace di fare nella pista. Sollevando il palmo verso di lui. Mostrando un cristallo di ghiaccio che non ha scosso a dovere.
« Sembra che anche io sia capace di cadere » ride, portando il cappuccio di plastica verso le labbra « ma tu non sei ancora nella posizione di farmi una ramanzina. Posso ricordarti che nel tuo scorso allenamento sei caduto per un totale di … » un oceano di parole che allontana l'attenzione, in quella maschera perfetta che nella critica, quasi troppo mordace, conduce il giapponese in direzione della sua sezione di riscaldamento. 

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1. Andrew LLoyd Webber, Masquerade, The Phantom of Opera.
Si ringrazia Arydubhe per l'assistenza e il tenetivo di scuola di grammatica e la correzione <3

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Capitolo 2
*** Masquerade - Solo uno sbuffo di Rosso ***


Solo uno sbuffo di Rosso
 
La base musicale rimbalza nelle cuffie mentre cammina avanti e indietro per il corridoio posto davanti agli spogliatoi. Si tratta solo di un Gala. Di una scelta di ritorno per fare rumore. Per dare un substrato e un'enfasi a quella maschera che rischia di scardinarsi ogni volta che sale sul ghiaccio. Ha ritagliato quello spazio solo per se stesso, lasciando le sue due Y qualche passo indietro. Uno è semplicemente sugli spalti, l'altro semplicemente, si prepara altrove. Sono due mani che gli si poggiano sugli occhi a bloccarlo sul posto, a portare le palpebre a chiudersi per non impattare nel fastidioso rosa fucsia che la luce elettrica regala alle linee carnose dei palmi altrui.
« Indovina chi è? »
Un sorriso spiana le labbra mentre le dita accarezzano le mani andando a stappare le orecchie e rendere più nitide quelle parole.
« Non dovresti parlare con qualcuno che indossa le cuffie. Rischia di non sentirti sai? » commenta andando a stringere i polsi per allontanarlo da sé.
« Eh no bello mio. Non hai indovinato chi sono. Non puoi vedermi se non indovini »
« Chris. » replica quando ha effettivamente acquisito la possibilità di allontanare le sue mani, liberando la propria visuale e il collo, permettendosi di voltarsi in direzione dello svizzero, di profilo « Hai intenzione di distrarmi o sei qui per augurarmi buona fortuna? »
« E da quando ti serve la fortuna sul ghiaccio? » replica abbassando le braccia a cingere il busto del russo, avvicinandosi di un passo che infrange ogni principio di spazio personale.
È qualcosa che cambia nelle ombre del viso dello Zar. Gli occhi azzurri si abbassano contro il pavimento mentre le spalle si appoggiano contro il sostegno che gli viene offerto. Il respiro tradisce un bisogno nascosto. Scivola via per un attimo una delle maschere senza infrangersi. E' una macchia scarlatta, che viene da uno ieri che esiste e si infrange come il mare. È una macchia che toglie via uno strato di porcellana che nasconde segreti di cenere e di sporco.
« Da quando non sono più solo io sul ghiaccio Chris » e per un attimo, i due fantasmi tornano. Fuori dalla pista. Ai lati del suo sguardo. A sinistra il nero. A destra il bianco. Le mani cercano l'ancora del rosso, mentre le palpebre si sigillano. Il corpo che un poco trema. « e io non posso permettermelo » sibila, con un velo di egoistica crudeltà che si concentra a destra.
« E non è mai stato un problema » sussurra piano. Il rosso che vela ogni cosa. Il sipario che cala lentamente quella maschera che viene riposata contro la pelle deformata e resa fragile. « vuoi che li mandi via Victor? Vuoi che allontani i tuoi fantasmi per te? » un sussurro, pieno di tutto e di niente.
« Non ti dispiace? » domanda, voltandosi verso i suoi occhi. Scrutando con l'anima congelata e troppo azzurra la sua. « Non ti dispiace di non essere mai diventato un fantasma? ».
Sfiora la punta del suo naso, sfiorando la fronte con la sua.
« E perdermi tutto questo? No. » sussurra piano « Forse c'è stato un momento in cui volevo esserlo. Essere capace di scalfire e terrorizzare uno zar. Chi non lo sognerebbe Victor? Mandarti in pezzi è qualcosa che chiunque ti veda da lontano desidera. È il motivo per cui gli idoli esistono: per essere mandati in frantumi. » l'indice svizzero sfiora appena le labbra chiare e ferme in quel sorriso dipinto spostandosi lentamente verso l'angolo destro, abbassandolo, come una materia plastica « non mi hai permesso di toccarti fino a quel punto Victor. Ma mi hai permesso di vedere oltre il tuo sorriso. » raggiunge l'angolo sinistro « io lo so che cosa c'è oltre la maschera dello Zar » sussurra « ma a differenza tua so quando la creatura che nascondi sa essere forte. Esci da quella porta Victor. » aggiunge, sfiorando la sua fronte con le labbra « e ricorda a tutti quanto sei stato egoista a nasconderti per un anno intero. Quei fantasmi, sono solo fantasmi. Tu sei la primadonna, vai e fatti guardare. ».
 

Era semplicemente successo al suo terzo oro mondiale. Era il re del mondo e quel podio, semplicemente, era il suo trono. Non la scheletrica asse in poppa al Titanic ma un dannatissimo trono da cui guardare il mondo dall'alto. Un nome, nato per essere storia. Un nome da incidere a fuoco sul ghiaccio. I capelli lunghi sciolti sulle spalle per l'ennesimo elastico saltato. La felpa a coprire il torace e quella voglia di spogliarsi delle effigi del suo stesso stato per dichiarare la propria supremazia sovranazionale. I deliri di un ventiquattrenne. Quel senso di potenza attaccato alle dita, scivolato sotto le lame. Le bestemmie di Yakov per quei salti inseriti a sua discrezione personale e il mondo, disteso sul ghiaccio, pronto a dichiarare osanna. Una discesa, un paio di inviti. Il tempo di cambiarsi che si dilata a lungo, fino a quando nello spogliatoio non rimane da solo. Lui e qualche altra manciata di atleti da cui arrivano sportivi complimenti e altrettanto sportive maledizioni. Lascia scorrere l'acqua calda sulla pelle, bagnando anche i capelli con fin troppa scarsa cura della propria salute considerato che sa già di mancare del tempo necessario ad asciugarli. Il suo cellulare prende a suonare, rimbombando la soundtrack del suo programma libero.
« Esibizionista » qualcuno mugola. Qualcun altro ne richiama semplicemente l'attenzione mentre lui si nega con un sorriso beffardo. Un re ha tutto il tempo del mondo.
C'è qualcuno che insiste e ad un tratto qualcuno entra nel bagno, senza rispetto dello spazio e dell'arroganza dello Zar. Lo sanno tutti che è un'arroganza di facciata. Quella che gli dipingerebbero addosso comunque è che è solo uno scudo per la stanchezza. Sono gli occhi scuri dello svizzero a trascinarlo via dalla doccia, dopo che si è addirittura bagnato una manica per chiuderla. Ha ancora sui capelli le tracce del balsamo e una replica che stà per muoversi dalla bocca.
« Ne pas. » l'indice che la ostacola. « Tu adesso vieni con me non apri bocca fino a quando non sei in albergo con me. Però puoi vestirti anche se questo è un rapimento. Ma prometto alcol al fine della fuga. Ma spicciati prima che i giornalisti arrivino »
Un sopracciglio inarcato e una risata. Una protesta che viene uccisa mentre l'altro gli lancia l'asciugamano e lo guida a raggiungere un passaggio laterale per evitare i giornalisti. Ci vuole tutto l'impegno dello svizzero a convincerlo che il rapimento merita il mancato bagno di folla.
« Insomma, se ti fai vedere così sarà il mio nome quello sulle testate: giovane promessa svizzera rapisce il campione del mondo. Su, la fama può aspettare domani. Il brivido di farti rapire da me no, giusto? » gioca sul filo di un rasoio su cui, entrambi, giocano da sempre. Su una linea che nessuno dei due ha intenzione di passare. In una danza di eroi in cui nessuno cede il passo e la soddisfazione all'altro. Semplicemente un gioco che consente allo svizzero di traghettare lo zar in una camera d'albergo dove, effettivamente, c'è un frigo bar che sembra adempiere alla promessa di alcol fatta in precedenza.
« Quindi tu mi hai trascinato nella tua camera d'albergo, coi capelli sporchi di balsamo solo per bere qualcosa con me...lo sai che questa scusa non regge vero? » accenna, con un sorriso velato di malizia mentre sfiora con le labbra il vetro di un bicchiere pieno di bollicine.
«...dici che devo impegnarmi di più di così? » replica di rimando lo svizzero « mi rendo conto che la mia tuta non è il migliore del outfit ma ho giusto dimenticato il mio completo da rimorchio »
«...hai un completo da rimorchio? »
Le sopracciglia rivolte in alto, in un vago dubbio che viene espresso lentamente dalle labbra che si attorcigliano « Uhm...no. Dici che dovrei procurarmelo per il prossimo rapimento? »
« Dipende. Hai intenzione di rapirmi di nuovo? » un passo per avvicinarsi allo svizzero, allungando la mano sul materasso su cui lui si è semisdraiato. Io sono il Re del mondo. Quella voce che rimbalza nella testa. Il mondo è qui per amare me.
Eppure anche i Re sono vittime del destino. E un banale telecomando, posto per errore sul materasso si incunea sotto il ginocchio destro. Lo schermo della televisione appesa nell'angolo a destra scricchiola e si accende. E non è mai l'era delle televendite. Non c'è una signora over sessanta che sovraintende un'asta per un anello placcato oro. C'è la sua fotografia. C'è il suo ritratto, a mezzo busto, a coprire la metà dello schermo. E la parola verità incisa a caratteri di fuoco. Rimane immobile su quel letto. La mano sinistra ad un soffio dal ginocchio di Chris che viene inghiottito dal mare di parole che la televisione restituisce. Nessuna azione è rapida o efficace. Ogni parola si scandisce a chiare lettere facendo esplodere l'azzurro degli occhi dello Zar. Cade a terra il bicchiere, sporcando il letto di polvere di stelle. Macchiando il pavimento senza rumore. Quella è solo plastica. È il rumore di una maschera che cade. Di parole rifiutate, dimenticate.
« V..victor » una voce che lo chiama, che lo stringe forte dalla schiena. Fiumi di lacrime che scivolano lungo le guance senza preavviso.
« N...non per questo. » un sibilo. Che segue ad un grido « Non per questo c***o » crolla una sicurezza mostrata, una calma placida che si infrange. « tu. » l'azzurro sporco di rosso dei capillari sporchi « TU LO SAPEVI B******O » le mani vengono portate a stringere la tuta dello svizzero con sentimenti decisamente contrari alle premesse di pochi istanti prima.
La madre di Victor Nikiforov è, o meglio era, una prostituta alcolizzata. Una sgualdrina che lo ha partorito in un sottoscala per poi mollarlo in un cassonetto della spazzatura. Per lasciarlo lì, a piangere come un cucciolo abbandonato nella neve di San Pietroburgo. Una madre che si è rifatta viva quando quel bambino non aveva più di sei anni, consapevole di poter ottenere tramite lui un assegno di mantenimento. Una madre che nella sua memoria non esiste. Una madre che è stata solo spettro di dolore nei tempi della scuola. Una madre da cui il ghiaccio lo ha salvato. Una madre che adesso riemerge, dall'ibernazione in cui l'ha sigillata per tutto quel tempo. È annegata in un fiume, una siringa in un braccio quando aveva otto anni. Pattinava già da due. Viveva sulla pista di ghiaccio, evitando quella donna come si evita una malattia. Una malattia tornata adesso a rimbalzare nel cervello. Ora che la televisione la mostra davanti a lui. Così troppo simile, con quella cascata di capelli lunghi. Li vede in una fotografia oscena di quando quella donna era ancora bella. Di quando ancora, almeno, faceva la prostituta di un qualche livello. Quando fingeva magari di essere una ballerina. Quando giocava con le luci come lui ha fatto fino ad ora con il ghiaccio. Se non puoi dominarli incantali. Era una frase persa in un vecchio libro di fiabe. Per questo aveva fatto crescere i capelli. Per questo ogni volta saliva sulla pista cercando di catturare gli occhi di tutti. Così aveva risposto alle prime botte. Con sguardi appena indecenti aveva confuso quelli che volevano spaccargli il naso. Qualche volta aveva funzionato. Qualche altra no. Adesso non funzionava.
Adesso tutto cadeva. Il suo trono sul mondo moriva.
« Sono certo che Yakov abbia trovato il modo di fermare tutte queste voci. Non volevo che tu le sentissi Victor » ma è solo quella la voce che adesso non sente. Mentre scivola via dal letto raggiungendo lo specchio del bagno. Osservando quel riflesso ancora umido. Quella cascata d'argento. Quel velo da sposa che doveva nasconderlo dagli occhi del mondo. Guardatemi. Guardatemi come io voglio che voi facciate. Quei capelli che adesso rimandano solo e unicamente a lei. A cerchi di sigaretta bruciati sulle braccia. Ai crampi della fame. Le mani catturano i fili d'argento. Ti strappo via da me maledetta pu*****a. Ma l'argento non si spezza, non fino a quando non cattura dal cassetto un paio di forbici. Spezzandoli. Tagliandoli. Rumore di fibre e di metallo. Fino a quando non crolla a terra. Le ginocchia contro il pavimento. Le mani, anche quelle crudelmente armate di forbici, contro il viso. Due braccia che semplicemente lo avvolgono. Un custode fino a quel momento silenzioso che scivola con le dita tra i capelli disastrati, allungandosi fino a raggiungere le forbici, scastrandole dalle sue dita. Afferrando quei fili rimasti lunghi per tagliarli. Per dargli un senso, anche se vago. Dandogli il tempo di piangere. Dandogli il tempo di accettare il suo petto come sostegno per la schiena, fino ad accompagnarlo a sollevarsi lentamente dalle mattonelle, avvicinandolo allo specchio, poggiando le lame contro il lavandino. Accarezzando piano il suo volto.
« Guardati » sussurra piano, contro il suo orecchio, lottando contro le palpebre chiuse « Guardati » mormora sfiorando il suo collo senza toccarlo davvero, accarezzando le sue guance per asciugare « L'hai mandata via. » incoraggia « L'hai mandata via Vitya » quel nomignolo che ha appreso da Yakov lo invita ad aprire lentamente gli occhi contro lo specchio. Quel velo d'argento se n'è andato. La mano destra lentamente scivola verso la zip della felpa, rivelando, oltre alla stoffa leggera e rossa di una maglietta confederata la medaglia d'oro appesa al suo collo. « Io sono il Re del mondo » sussurra con un filo di voce.
« No, » è la risposta pronunciata contro la sua guancia che viene sfiorata con il naso « Tu sei Victor Nikiforov, tre volte campione del mondo e stella del pattinaggio internazionale. Un Re può essere spodestato sempre. Una leggenda rimane immortale. »
« E tu credi che io sia una leggenda? »
« La domanda è un'altra Vitya: vuoi essere una leggenda? »


Quella che portava adesso, e che Chris gelosamente custodiva, era la seconda delle maschere che nel corso di poco più di un quarto di vita Victor Nikiforov si era attaccato alla faccia. Quello scandalo aveva avuto breve durata. Un sorriso, un taglio di capelli nuovo. Un servizio fotografico. Una serie di video su YouTube avevano cancellato il sapore della cenere nascosta dietro la maschera. Non erano tornati gli anni di insulti che avevano accompagnato la sua infanzia e lui, semplicemente, era diventato quella leggenda immortale che adesso scivolava sul ghiaccio di Mosca, per tornare di diritto nel suo regno.
Nessuna anticipazione del suo programma e quell'assenza di Yuuri sul ghiaccio del Gala, semplicemente, gli permettono di pattinare senza i suoi fantasmi. Non c'è niente di dichiarato in suo onore, ma è una posizione che si prende, sulla pista e alla conferenza stampa. Il fantasma bianco è al suo fianco destro, sbuffa e replica secco alle domande che gli sono rivolte in merito al prossimo programma, alle sue scelte artistiche, fino a quando non tocca a lui. Ogni risposta è perfetta. Ogni risposta è un sorriso stampato fino a quando quella domanda non arriva.
«Quindi è sempre deciso ad essere il coach di Yuuri Katsuki? Non trova in questa sua scelta un minimo di conflitto d'interesse?»
«Assolutamente no.» risponde, congelando il giapponese sul posto che occupa nella folla.
«Intendo dire che non esiste alcun conflitto d'interesse. Preparare due coreografie per me e Yuuri è qualcosa di favoloso. È come avere a disposizione una doppia occasione per raggiungere l'oro, piuttosto che una in meno» un occhiolino perfetto mentre il fantasma bianco replica il suo posto sul podio.
«Oh, tu devi darti da fare il doppio allora» replica Victor sorridendo mentre il fantasma nero ghigna piano oltre la soglia della sua mente, insinuandosi lento e velenoso nel pensiero. Uno sguardo, verso il giapponese, sorridendo e accarezzando la fede d'oro all'anulare. Mentre le mani del fantasma stringono piano alla gola, premono con gli indici e i medi contro le sue labbra, ricercando la crepa nella maschera.

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Capitolo 3
*** Masquerade - Frammento Indaco ***


Masquerade - Frammento Indaco

We never said "our love was evergreen"
Or "as unchanging as the sea"
But if you can still remember,
Stop and think of me1

 

Scatta a sedere sul letto stringendo le mani nelle lenzuola e respirando a fatica. La gola secca, le guance salate. La ferma consapevolezza di aver gridato e pianto nel sonno. La punta delle dita che sfiora la fronte, mentre il torace si alza e si abbassa, nudo e coperto di sudore. Deglutisce a vuoto e sobbalza quando una mano si appoggia sulla spalla e cinque dita, dolcemente, premono contro le ossa cesellate. Lentamente solleva il volto, gli occhi azzurri spalancati nel buio, in cerca del volto che va a sedere davanti a lui. Fino ad ora è stato perfetto. Fino ad ora è stato magnifico. Fino ad ora la maschera è rimasta dove doveva stare. Sbatte le palpebre nel buio scuotendo il capo e sfoggiando un sorriso disonesto e ricercato.
«Va tutto bene Yuuri. Ho solo avuto un incubo»
«Ansia?» domanda, e il tono della voce usato disegna l'arco delle sue sopracciglia inarcate e un velo preoccupate.
«No.» mente allungando le dita in ricerca del suo volto, accarezzando appena il profilo della guancia morbida e fresca «O forse sì. In effetti è ansia doppia la mia. Come allenatore e come pattinatore. Non ci avevo ancora pensato sai?» bugie. Leggere e delicate come farfalle.
«Beh. Se non pattino dopo di te almeno hai il tempo di riprenderti e farmi un discorso...no?»
«Uhm. Forse dovrei registrarlo?» ride appena nel tono, ma non ride in alcun altro. Lo vede. Fermo nell'ombra. Il fantasma nero siede ai piedi del letto e ride. Una lama di silenzio al suo fianco mentre scivola piano sulle coperte, appesantendole ora che lui gli è vicino. Deglutisce, ma nel farlo sposta il capo di lato, quasi temesse di essere scoperto nonostante il buio che lo circonda, ovattando i dettagli. Lo osserva, in quella punta di contorno che l'oscurità non assoluta gli concede. Un respiro.
«Ok. Io te lo devo dire» inizia umettando le labbra tra loro «Domani devi puntare necessariamente all'oro per essere sicuro di qualificarti. Alla Coppa di Cina l'argento è una buona posizione ma in questo caso l'argento è molto difficile da raggiungere. Chris, Michele, Emil, sono tutti possibili medaglie d'argento.»
«Ma tra me e l'oro ci siete tu e Yurio»
Deglutisce. Di nuovo.
«Si. Ma siamo solo in due e…»
«Victor.» lo ferma, guardandolo dritto negli occhi, anche se non riesce a vederli. «Tu devi prenderti quell'oro.»
Parole che lo gelano sul posto. Il fantasma nero che adesso gli accarezza pigramente le braccia. Si avvicina al suo orecchio, sussurrando le parole sbagliate.
«Io...io farò il possibile per l'oro, per qualificarmi per la finale ma tu...nemmeno per un momento devi pensare al mio oro invece che al tuo.»
Il fantasma è lì, accarezza le sue labbra socchiuse con le dita cercando di sfiorare i denti bianchi.
«Io…»
«No, Victor.» le dita del fantasma e quelle di Yuuri si toccano, mentre il giapponese lo zittisce quasi troppo audace con l'indice «Ci ho pensato a lungo a come mi sarei sentito a vincere l'oro al tuo posto ed è una sensazione terribile. Così come sarebbe terribile non vincerlo. È tremendamente complicato. Ma te l'ho promesso.» lo vede, in quei contorni interrotti sollevare la mano sinistra «e anche se ho davanti a me la più grande leggenda vivente del pattinaggio io non posso arrendermi senza aver combattuto con tutto me stesso. Te lo dico perché non vorrei che ti venisse in mente una cosa stupida come quella di lasciarmi vincere o il sentirti in colpa per avermi stracciato. Domani sul ghiaccio sei il mio avversario e io sono il tuo. Voglio solo che sia così. E so che non mi avresti mai fatto un discorso del genere per la mia ansia ma davvero. So che vincerà il migliore» e lui capisce che lentamente suggerisce un “Victor”. È il sussurro di quel fantasma nero. E un crick, inudibile, della maschera che si rompe. In quel silenzio che non risponde, semplicemente scivolano le lacrime. Le stesse di quel sogno. Mentre il fantasma nero lo avvolge e lo stringe in un abbraccio perpetuo che lo porta ad allungare le dita vero il giapponese.
«Scusami» pronuncia, quasi che lui non possa sentirlo. «для не подумав2». Parole che l'altro non può comprendere. Parole che scavano nell'egoismo e tracciano il solco indecente del confine tra un abbraccio e il momento in cui sfiora la sua pelle con le labbra. Un punto del collo, in cui si nasconde. In cui ricerca il suo profumo con le narici, fino a confondersi con il battito del suo cuore. Catturando ogni frammento di tempo da quando le mani del giapponese scivolano tra i suoi capelli per sfiorarli, accarezzandolo delicatamente. Costringendolo a sollevare il volto da quella fuga apparente, ma mal letta.
«Dovrei smettere di farti piangere»
«Non smettere mai di farmi piangere» è un sussurro, contro la bocca del fantasma nero. Mentre schiude le labbra sopra quelle dell'uomo che ha davanti, respirando la sua stessa aria per la frazione di un secondo. Prima di allungare le mani verso le sue guance, allungando la punta delle dita in direzione della nuca a sigillarlo, immobile, nello spazio. Gli occhi chiusi, mentre il fantasma nero allunga la lingua nella sua bocca, in una doccia gelida e terribile. Mentre si insinua definitivamente sotto pelle, allungando le dita in ogni angolo di quel corpo accaldato, che si fa lentamente di lato, occupando una sola porzione del materasso, trascinando con sé il corpo fresco di Yuuri. Il fantasma bianco della vita è dannatamente facile da sconfiggere. Il fantasma nero dell'amore è infame e terribile. Attende in silenzio e sa esattamente dove porre la propria radice ultima. In quel respiro. In quel principio di contatto in cui esplora una bocca che desidera. Io sono leggenda. Io sono tornato per essere quella leggenda. Un sospiro e un gemito, generato dai suoi denti che affondano nel labbro inferiore, a cui lui concesso. Un momento di distacco. Un respiro ad occhi che si aprono lentamente.
«Dormi con me» un sospiro rubato alla notte. Il movimento leggero delle coperte e le braccia, silenziose, che lo stringono, una volta che si è girato di fianco. La guancia destra sul cuscino.
Perdonami Yuuri. Non ho mai pensato di lasciarti vincere.  
 


1. Think of me, A. Lloyd Webber
2. «Per non averlo pensato»

N.d.A.
Quello che trovate in russo così me lo ha detto Google Translate. Potrebbe esserci scritto "Mangio piccioni per colazione" per quanto, purtroppo, ne so io. Sig.
Grazie a chi di voi ha letto la FF fino a qui, davvero. Grazie infinite <3

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Capitolo 4
*** Masquerade - Nero su fondo ghiaccio ***


Masquerade - Nero su fondo ghiaccio

«Una vera e propria battaglia quella di oggi sulla pista della Rostelecom Cup qui a Mosca. Una pista straniera anche per il team Russo che ha tuttavia dato una prova di assoluta maestria nelle due esecuzioni che tuttavia confermano al momento il ritorno in trionfo di Nikiforov, presente al primo posto con un vantaggio notevole rispetto al più giovane Plisetsky.»
«Esatto. Entrambe interpretazioni magistrali, davvero. Ma quello che Nikiforov ha dimostrato, in un confronto diretto il suo erede, è che la capacità artistica di un pattinatore può decisamente fare la differenza anche in punteggi tecnici che, da soli, cavalcano la classifica »
Momenti di cronaca che servono a dare alle parti il tempo di scambiarsi, rivelando il realismo concreto delle sue previsioni. Il punteggio di Chris, che esce adesso dal Kiss and Cry, non è così lontano da quello di Emil e Michele. Neppure da quello di Yurio, il che rende la competizione semplicemente più interessante. Almeno fino a quando l'ultimo concorrente in gara non viene chiamato, segno che quel fantasma nero è davvero lì, pronto a salire sul ghiaccio. Quegli occhi scuri lo guardano, stretto nella felpa della federazione russa e il suo sorriso scivola fuori dalle labbra, così. Semplice e quasi banale. Come se non fosse cambiato niente. Si avvicina alla balaustra, trovandolo quasi fin troppo calmo.
«Sembra che Yuuri Katsuki non stia pattinando con l'ansia al suo fianco.» accenna inclinando il capo di lato.
«Non ho tempo per l’ansia» accenna, sollevando la mano sinistra al volto, sfiorando con le labbra il cerchietto d'oro «Devo rubare l'oro ad un pluri-medagliato» replica, in uno slancio che fa sorridere entrambi.
«Allora devo avvisare il pluri-medagliato di prepararsi ad essere spodestato?» domanda, sollevando il sopracciglio destro.
«Ricordagli solo che deve guardare soltanto me adesso» accenna con un occhiolino, conquistando il centro della pista.
Le mani si serrano attorno al metallo allungando lo sguardo verso Yuuri.
«Ed ecco l'ultimo concorrente in gara, Yuuri Katsuki. Oserei dire che è atteso su questa pista quando le stelle di Russia no?»
«Esatto. L'argento dello scorso Gran Prix presenta una coreografia preparata dall'allenatore Victor Nikiforov che, appunto, si trova in cima alla nostra classifica come pattinatore. Le male lingue sostengono che sia una posizione prefetta per sabotare un possibile rivale»
«Certo, le malelingue che non sono impegnate a vedere nei due atleti una coppia danzante. Ma ecco che Katsuki è pronto. Presenta il suo programma breve su un brano di Maurice Ravel, scelto dal proprio allenatore. Decisamente in contrasto con quello che Nikiforov ha scelto per sé stesso, ma coerente con il tema dello scorso anno presentato dal pattinatore nipponico»
Un mezzo sorriso è quello che sfugge al russo a quelle considerazioni. Ha scelto di proposito di non discostarsi dal programma dell'anno precedente del suo atleta, mentre ha voluto sancire la loro distanza. Ha imposto a Yuuri il carico di un nuovo Eros da trascinare sul ghiaccio, lo stesso che adesso osserva, vestito di nero, al centro della pista. Una giacca di pelle, in cui strisce di cinture cingono la vita del giapponese, scivolando, in continuità, nel pantalone nero, facendo di lui una linea sottile e cesellata. Uno stilo pronto ad incidere sul ghiaccio il principio ritmato, scandito da quelle note che prendono a rimbalzare nella sala. Una dopo l'altra si inseguono come le lame contro il ghiaccio. Accompagnando ogni affondo, come una lama di coltello, si muovono le braccia, dando alla figura una grazia che rende impossibile scivolare con gli occhi via da lui mentre il primo salto si avvicina fin troppo presto, mostrandosi in una piroetta perfetta e aggraziata. Il ritmo di base che sembra uscire direttamente fuori dai fianchi di quel fantasma nero che scivola sul ghiaccio. Lo sguardo perso, che si incastra negli occhi di tutti. Il capo che accompagna, accondiscendente e con una punta di voluttà quasi invisibile ogni gesto. Ogni piroetta. Sequenza di salti. Quadrupli e tripli. Eseguiti ormai senza timore. Sequenza di passi in laterale, fino a quando non si avvicina, con quella rapidità esaustiva del programma breve, il climax del brano che abbassa le note prima di un trionfo corale. Danza il suo fantasma in quadruplo flip che lo porta a stringere forte il metallo. Che lo spinge alle lacrime. Perfetto. In ogni dettaglio. In ogni chiusura. Per me. Solo per me tu danzi così. E sorride davvero. Si commuove davvero tanto che quando la musica finisce lui si ritrova a correre di nuovo per aspettarlo a braccia aperte mentre il palaghiaccio esplode in un applauso.
«E contro ogni possibile previsione Nikiforov dà il meglio di sé come allenatore e coreografo regalandoci due coreografie stupende ed eseguite alla perfezione da entrambi gli atleti. Qualunque sia il punteggio di Katsuki possiamo dire che adesso, vedendole sullo stesso palcoscenico e a breve distanza, le due coreografie di Nikiforov lo traghettano ad uno stadio ulteriore della sua stessa leggenda»
Parole che lo avvolgono tanto quando le braccia di Yuuri che stringe a sé. Senza riuscire nemmeno a tirare fuori una sillaba, fino a quando non gli prende il volto tra le mani.
«Sei stato magnifico. Ogni singolo passo. Ogni singolo movimento. Ogni...ogni dannatissima cosa.» Occhi incassati nei suoi, nel desiderio di sfiorare di nuovo quella bocca. Di catturarla nell'unico modo possibile ad esprimere l'eco delle emozioni appena ricevute. Lui. Una leggenda oltre sé stesso. Grazie a Yuuri. L'eco della cosa perfetta che li accompagna al Kiss and Cry, il braccio destro ancora avvolto intorno alle sue spalle.
«Avrai un punteggio altissimo, ne sono sicuro.» lo rassicura, quando Yuuri rischia di essere travolto dall'emozione, che diventa un puro shock quando viene annunciato il punteggio. È un brusio di silenzio che avvolge le orecchie di Victor. Il fantasma nero ride, accarezzandogli da dentro il cuore. Graffiandolo appena con la punta delle unghie.
«E si conferma così quanto il punteggio artistico possa fare la differenza e quanto questa sia definitivamente la cifra stilistica di Nikiforov come coreografo! Si chiude così la classifica del programma libero maschile della Rostelecom Cup: al primo posto troviamo Yuri Katsuki con 115,60 punti, seguito da Victor Nikiforov con 114,90 punti e da Yuri Plisetsky con 108,70 seguono, Giacometti, Crispino e Nekola. Possiamo solo aspettarci grandi cose per domani!»
Il boato della folla inghiotte ogni cosa, mentre Yuuri, dopo lo shock iniziale, butta le braccia al collo di Victor che, istintivamente, lo ricambia. Nessuno ha visto altro che il suo entusiasmo vivo ed efficace scivolare sul suo volto. Quell'energia, quella sportività ironica e perfetta. Lo ha abbracciato al momento delle interviste, senza mollarlo per un minuto. Frasi stupende, perfette. Maliziose solo quando domandano, invadenti, dei due anelli. Quando, da un canale Web, viene mostrato entusiasmo per quella che può già designarsi, con la prima gara del Gran Prix, come una coppia d'oro. Solo due occhi leggono oltre la maschera. Due occhi che sono pronti a sospirare addirittura la qualificazione al Grand Prix, malgrado il successo allo Skate America. Sono occhi che aspettano il momento in cui Victor congeda Yuuri, invitandolo ad arrivare celermente in Hotel, per dedicare alla sua famiglia una skype call degna del trionfo che sicuramente gli verrà tributato. Due occhi che si fanno vivi solo quando, di nuovo, nello spogliatoio, rimane solo lui. Senza nemmeno acqua corrente addosso questa volta. Un rubinetto aperto, in cui congela le dita, prima di passarle contro la fronte. Prima che due braccia lo afferrino da dietro. Come ogni volta. Il riflesso nello specchio dichiara la verità senza enigmi.
«Ricordo il giorno in cui li hai tagliati. Anche quel giorno eri rimasto da solo nello spogliatoio, con un cellulare che squillava.»
«Quel giorno sei venuto a rapirmi» l'angolo destro delle labbra che si solleva appena «Sei venuto per farlo di nuovo?»
«Sarebbe sconveniente rapirti adesso.» scivola con le dita sul suo braccio fino a sollevare la mano sinistra del russo e avvicinarla al suo volto «Adesso sei un uomo impegnato.» è una provocazione, quella che porta lo svizzero a sbattere i fianchi contro la ceramica bianca, incastrato tra lo specchio e gli occhi azzurri che adesso lo tengono stretto per un polso.
«Va bene che tanto ho irrimediabilmente perso, ma le anche mi servirebbero ancora domani» prosegue sarcastico lo svizzero sollevando il sopracciglio destro e inclinando il volto dall'altro lato «E non guardarmi come se stessi per sbattermi contro un muro, se non hai intenzione di farlo.» Soffia, istigandolo a proseguire quella linea di condotta, fin troppo serio nello sguardo mentre allunga le dita della mano libera verso le mente dell'altro.
«Piantala»
« Non dovresti essere qui, in questo bagno da solo» Chris sospira, quando l'altro inevitabilmente si allontana «Dovresti dirglielo» sentenzia, come solo rare e sporadiche volte riesce a fare.
«Che cosa? Che sono contento della sua posizione? L'ho già fatto.» replica ricercando sé stesso. La sua impeccabile costruzione.
«No. Che ti rode clamorosamente il culo per il fatto che ti sia passato avanti. Il punteggio non è tanto ma fidati: se questo è quello che gli ha preparato per lo short posso solo piangere davanti al libero. Lo sapevi quando lo hai creato, che gli stavi legando alla vita il pugnale per ammazzarti, vero Giulietta?»
«Chris non è il momento per queste p*****e» replica passando le dita umide nei capelli «Io non dirò niente a nessuno. Andrò in albergo e semplicemente...»
«Farai finta che non sia successo niente? Ti complimenterai con lui fino allo sfinimento? Gli dirai che è stato magnifico e quando domani lui avrà la tua medaglia al collo gli dirai che lo sposi?»
«Solo una qualificazione» mormora a voce basse, tanto che Chris dubita di averla seriamente sentita «Si tratta unicamente di una stupida medaglia di qualificazione che non ha ancora vinto. Il fatto che possa vincere questo oro non significa niente» Graffia il demone nero lungo la gola. Succhia linfa vitale da quel dolore che sale e lo mastica da quella proclamazione parziale «Non significa che ha vinto lui e non significa che io sono finito. Io non ho intenzione di rinunciare al mio oro per nessuno.» la voce alzata di un paio di punti, in quella solitudine di cui è convinto. «Credi che domani prenderò sottogamba la cosa? Ho un punteggio tecnico più alto e posso alzarlo ancora a costo di vendermi l'anima. Io sono tornato per continuare ad essere la leggenda che sono e non qualcuno che può essere spodestato.» sono parole che escono fuori e fanno male. Perché sono la conferma del proprio egoismo, a spese di qualcuno con occhi troppo buoni per covare rancore nei suoi confronti «Possono rompere i miei record ma non prendersi le mie medaglie. Quel piedistallo è mio. Se oggi mi è passato davanti è solo per merito mio. E io posso fare di meglio. Io sono…»
È solo un movimento, oltre il lato sinistro del suo sguardo. L'occhio in cui vive il demone nero. Un occhio azzurro che si spalanca nel terrore della figura che compare appena contro la cornice della porta del bagno. Il suono di un messaggio ricevuto. Il volto dello svizzero che segue la traiettoria dello sguardo del russo prima che questo prenda a correre. Il cellulare, a malapena stretto dalla tasca della felpa che finisce a terra. Si abbassa, e a solo vedere quella prima riga di anteprima, con poco rispetto della privacy lo apre. Un sospiro, prima di scivolare in direzione del borsone di Victor, facendo scivolare il cellulare in una delle tasche.  

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NdA: 
Musica: Maurice Ravel, Bolero 1928
L'abito indossato da Yuuri si ispira ad uno dei costumi indossati da Stephane Lambiel 

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Capitolo 5
*** Masquerade - Nero su fondo bianco ***


Masquerade - Nero su fondo bianco

L'aria di Mosca è gelida, e affrontarla, correndole contro con solo una felpa addosso e il sudore che si accumula e raffredda non è di certo una cosa semplice. Lo insegue, lungo strade che non conosce davvero così bene, che per l'altro sono solo una traccia distorta. Si affida alle gambe più lunghe, ad una disperazione che sente crescere lentamente dentro di sé. Fino a quando non afferra il suo polso, circondando anche il giaccone che porta. Stringendo le piume sintetiche per costringerlo a voltarsi in sua direzione.
«Yuri» ha perso il conto delle volte in cui ha urlato il suo nome nella notte moscovita, senza ottenere altri sguardi che quelli dei passanti, fortunatamente ignari dei soggetti della storia. «Yuri, io...»
«Sei soltanto uno stronzo» glielo dice, voltandosi verso di lui con quegli occhi appena una punta più verdi dei suoi. Quella cascata bionda che si volta in sua direzione «In tutto questo io non ho mai contato un cazzo vero?» spunta fuori, rendendo viva una gelosia vivida e precisa «Tanto ti frega solo che quel maiale giapponese ti superi. Te ne sbatti già del fatto che io domani possa stracciarvi tutti e due vero? Che sia io la medaglia d'oro dello scorso Gran Prix che devi battere?»
«Yuri è dannatamente più complicato di così...» le mani stringono i fili d'argento sulla sua testa mentre riprende fiato e ascolta le accuse ricevute.
«Avanti. Sentiamolo questo “più complicato di così”. Perché al momento mi risulti solo un grandissimo stronzo che se ne fotte altamente dei sentimenti di un povero imbecille che ha mollato tutto per seguire il suo grande idolo che, giusto per la cronaca, è un emerito pezzo di merda.»
Le braccia del biondo si incrociano, la destra che tiene il cellulare sospeso, probabilmente utilizzato fino ad ora come una torcia dato lo schermo acceso.
«Un casino. Solo un dannato casino che non ha niente a che vedere con te»
«E quello l'ho capito da solo, genio. La domanda è: per quale motivo non hai detto chiaro e tondo al maiale di starsene a casa a fare la calza invece di illuderlo di poterti davvero battere. Ah. Notizia flash: ti ha fatto mangiare la polvere oggi. Questo non te lo aspettavi vero?»
Le mani del russo si serrano in due pugni contro i fianchi, in quella messa al processo che si intavola di nuovo.
«Io non devo giustificarmi con te.» è una replica secca. Acida. Mentre lo schermo del cellulare gli viene mostrato davanti. Segni verdi di una chiamata aperta. Il minutaggio che scorre mentre dal vivavoce esce l'eco di una voce spezzata, prima che la chiamata venga interrotta.
«Che cazzo hai fatto, Yuri?»
«No. Che cazzo hai fatto tu Victor.» replica il biondo, prima di ricacciare il cellulare in tasca «Io correrei dietro a quello giusto prima che il tuo essere uno stronzo conclamato sortisca l'effetto desiderato. Ma alla fine volevi solo vincere una medaglia d'oro, no?»

-------------

NdA: 
Ho ritenuto necessario pubblicare questo microcapitolo a parte rispetto al precedente.
Volevo in qualche modo produrre l'effetto "gira pagina", ma volevo che ci fosse la pagina da voltare una volta arrivati all'ultima riga. 
In questo caso, la mancata censura è volontaria e non una dimenticanza.

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Capitolo 6
*** Masquerade - Azzurro su fondo Nero ***


Masquerade - Azzurro su fondo Nero
 

«QUANTE STORIE! ME LO SONO MERITATO VA BENE?» borbotta la fata di Russia prima di scendere in pista per il riscaldamento, riguardo allo zigomo scuro che si ritrova interrompendo la mano di Yakov diretta al controllo «e dopo ci mettiamo il fondotinta e ciao. Se cado dalle scale mica è colpa di qualcuno, no?» suggerisce una giustificazione, anche poco probabile, per quel pugno ricevuto in pieno nella notte. Prima di essere lasciato da solo dallo Zar, immobile all'angolo di una strada. Per un attimo, allunga lo sguardo chiaro in direzione Victor, quasi in attesa di una qualche replica diretta alle sue parole.
Non si è sentito meglio dopo avergli mollato un pugno, non quando il pugno era lui a doverlo ricevere. Ha provato, inutilmente, a chiamare Yuuri ricevendo gli squilli aperti di un evidente rifiuto. Solo un messaggio, spia del fatto che anche il giapponese ha avuto modo di assistere a tutta la scena. I due fantasmi, nascosti nello spogliatoio. Semplicemente tornati indietro a recuperare qualcosa di dimenticato. La scelta di nascondersi, del fantasma nero. Un banalissimo “Questa sera Phichit mi ha chiesto di dormire da lui, sai è venuto per farmi il tifo. Ci vediamo domani mattina in pista”. Seguito da una scimmietta stupida. Una scimmietta con le mani poggiate sulle orecchie. La scelta di urlare, del fantasma bianco. La fata di Russia che difende dal ghiaccio delle sue stesse terre uno sventurato straniero, caduto vittima dell'incanto dello Zar.
Il fantasma nero lo ha inseguito, molesto e crudele per tutta la notte. Incassandolo al letto e distruggendolo lentamente. Tortura il labbro inferiore, stringendosi nella felpa, riscaldandosi poco o niente. Troppo distratto per qualunque altra cosa. Nella pista lui non c'è. Non è mai davvero arrivato. Mancano pochi minuti alle chiamate in pista ed è solo allora che, il piccolo cigno nero compie il suo ingresso nel palaghiaccio. Come un'ombra. Dopo che lui ha mostrato la sua maschera davanti a tutti, senza nemmeno accorgersi di averlo fatto così bene. Si avvicina in un moto spontaneo, un cumulo di dolore che scivola alla gola, contro il suo sorriso che un poco si spegne.
«E il prossimo chiamato ad avvicinarsi alla pista è Victor Nikiforov. Per il suo programma libero Nikiforov ha scelto un brano di Andrew Llyod Webber, Masquerade. Anche il costume che indossa è perfettamente in tema con il brano che ricordiamo essere parte del Musical Il fantasma dell'Opera
Parole di richiamo che lo obbligano a raggiungere la pista mentre Yuuri si avvicina alla balaustra. Quel costume, definito in perfetta coerenza tematica col brano, lo obbliga a sistemare una maschera sugli occhi. Una mascherina che copre appena il naso e non scherma davvero lo sguardo. Un vezzo estetico diviso in due, in bianco e nero, come il resto dell'abito che porta addosso i colori dei suoi due fantasmi. Ho rinunciato alla vita per essere leggenda. Ho rinunciato alla scelta di un erede come i re maledetti del passato. Brucerà il mio palazzo d'inverno e io vi brucerò solo. Conquista il centro della pista portando la mano destra davanti al viso. Il fantasma bianco si mostra pigro e lento. Deluso e marchiato di grigio. Una punta d'azzurro. Di quell'azzurro infernale che contamina il mondo. Congelato. Ibernato. Come sua madre. Come ogni creatura incontrata in quei passi compiuti da solo.
Inizia. Scivola sul ghiaccio, nella prima intro, conducendosi, preciso e leggero in quella prima sequenza di salti.

Take your turn, take a ride
On the merry-go-round in an inhuman race
Eye of gold, true is false
Who is who?1

 

E scivola. Una mano tocca terra, inevitabilmente. Mentre risale. Il fantasma nero è lì. Si volta. Lo cerca con gli occhi. Una volta. Senza il diritto di trovarlo lì. Stringe le dita attorno all'anello che ancora porta al dito. Avrebbe dovuto toglierlo. Prosegue il suo brano e lui vi annega, mentre il fantasma danza con lui. Triplo lutz, e atterra male. Un idiota. Solo e soltanto un idiota. Vanno meglio gli axel. Mentre il fantasma conduce il suo viso verso il megaschermo, poco prima di una trottola. I cristalli liquidi retro illuminati restituisco il volto di Yuuri, in uno specchio definito e fluido. Le mani raccolta a coppa davanti alla bocca, come a farsi udire da chi non lo sente. L'anello ancora stretto alle dita. Quell'oro che brilla contro il nero.
«Non me lo merito» sussurra piano, voltandosi verso di lui. Quelle parole, adesso le legge contro le sue labbra.
«Non provarci nemmeno» e forse basta quello. Per un attimo lo legge come desidera. Per un attimo decide che non è accaduto niente. Stabilisce che una volta incontrato Chris nello spogliatoio è stato capace di dirgli che “si, appena Yuuri vince l'oro, lo sposo”. Immagina di non aver corso dietro a Yurio, nel gelo di Mosca, ma di essere corso a casa aver preso Yuuri tra le braccia e avergli detto quanto sia orgoglioso di lui. Che non importa chi vincerà l'oro. Che sarà sempre e comunque loro. Mentre strappa la maschera dal volto e la lancia contro il ghiaccio. Mentre ruota il proprio corpo su una gamba sola, l'altra posta in perfetto parallelo del ghiaccio. Quadruplo flip. Anticipato. Ha ancora buona parte della seconda metà. La sequenza di passi che naturalmente si complica seguendo la musica. Masquerade! Seething shadows breathing lies. Ancora una sequenza di salti. Replica quella della prima metà, in un'ovazione che scivola perfetta contro la sua stessa volontà. Masquerade! Run and hide, but a face will still pursue you , lo sguardo azzurro che scivola contro il ghiaccio, che vi si avvicina mentre poggia a terra un ginocchio, le braccia sollevate al cielo. Mentre termina il libero davanti ad applausi che non merita. Mentre si volta di scatto, trovando un sorriso dove non lo aspetta. Ritrovandosi a correre sulle sue stesse lame in direzione dell'ultimo concorrente in gara, quasi pronto a disertare il Kiss and Cry. Forse perché sul suo volto le lacrime già scorrono. Di nuovo. Quella scena. Al contrario. Quando sa di meritare unicamente un muro. Quando sa di meritare il pugno che fino ad ora è toccato unicamente a Yurio come dote per il futuro. Ma quando raggiunge l'uscita trova lì quelle braccia ad accoglierlo. Già libere dalla felpa che ha nascosto il suo abito per l'esibizione. L'organza graffia appena la sua fronte, quando la poggia contro la sua spalla.
«Io...m…m... »
«Non smetterò mai di farti piangere.» replica Yuuri poggiando delicatamente le mani contro le sue spalle, spingendolo un poco indietro, quello che gli occorre a ricercare il suo volto con le mani. I pollici guantati che raggiungono gli angoli delle sue labbra «Victor Nikiforov, vai al kiss and cry e poi torna qui a guardarmi. Mi hai quasi spezzato il cuore. Poi ho capito che dovevo solo aggiustare il tuo» e solo uno spicchio di tempo. Una scheggia di ghiaccio che si stacca da un ghiacciaio. Solo le labbra fredde che sfiorano le sue, umide. Davanti al mondo. Sono stralci di secondi quelli che passano prima che Yakov lo trascini al Kiss and Cry, borbottando i peggiori improperi russi di sua conoscenza. Per la prima volta, davanti alle telecamere, Victor Nikiforov piange. Convinto e certo di aver davanti a sé il record del disastro. Ricorda ogni minima caduta. Ogni imperfezione. Calcola le penalità con precisione matematica. Eppure spalanca gli occhi azzurri contro quel punteggio. Senza smettere davvero di piangere, nemmeno per un momento. Senza timore della maschera che deve scivolare via e che rischia di spaccarsi. Solo lo spazio di un respiro. Davanti a quel punteggio che sa di miracolo. 200,20.
«E adesso ci avviciniamo all'ultima esecuzione, decisiva per stabilire il podio che al momento ripropone la stessa dinamica del programma breve: Nikiforov conduce mentre Plitseky segue al secondo posto. La performance di Katsuki è quindi decisiva per stabilire il podio nel suo ordine esatto.»
«Riguardo alla sua esibizione di oggi Katsuki ha chiesto di presentare una variazione alla base musicale del suo programma pur mantenendolo intatto nella coreografia. Forse il risultato del programma breve ha incentivato il coach Nikiforov nel rendere la loro sfida un'effettiva performance d'insieme? Immagino che la risposta ce la darà direttamente Katsuki, che presenta il proprio programma breve su un altro brano della medesima opera di Andrew Lloyd Webber: Think of me
Gli occhi di Victor si spalancano e scivola via dalla panchina del Kiss and Cry. Lui non ha cambiato niente. Quella scelta è un messaggio. Quelle parole che Yuuri gli ha negato dalla sera prima. Quella promessa, di non smettere di farlo piangere sebbene la curiosità momentanea abbia asciugato le sue lacrime permettendogli di mettere a fuoco il costume indossato da Yuuri. È una copia, sui toni del blu, della giacca che ha indossa al mondiale antecedente al suo ritiro. A quell'anno preso e speso con Yuuri. A quella coreografia filmata su you tube.
«Non smetterai mai di farmi piangere Yuuri.» sussurra piano. Prima che la musica inizi. Senza che lui lo possa sentire. Guardandolo. Come se non fosse cambiato niente. Come se fosse cambiato tutto. Pensami. Si perde in quelle mani. Sente tutto il senso di colpa scivolargli addosso, come il ghiaccio sotto i pattini di Yuuri. Dietro lo slancio di un quadruplo toe lop eseguito alla perfezione. Segue la sua coreografia, adattandola dove occorre alla musica. Come avrebbe fatto lui. E quel quadruplo flip quella mano allungata verso di lui. Le dita sollevate, quasi attendessero di essere strette e raccolte. La musica terminata e sostituita dagli applausi. E una mano sulla sua spalla. Che stringe. Come sempre. Come in ogni momento.
«Questo è il momento in cui gli corri incontro sulla pista e lo abbracci senza aspettare che lui arrivi da te. Sei una leggenda. Immagino tu possa farlo, soprattutto una volta che è finita la musica.»
La voce di Chris lo guarda obbedirgli almeno per una volta nella vita.
«Con la musica sarebbe stato più d’effetto» uno schiocco di labbra mentre incrocia le braccia al petto osservando la leggenda scivolare sul ghiaccio. Solo un grido. Solo un richiamo.
Solo e soltanto quel nome. Quel nome che adesso stringe, conficcando le dita nelle spalle.
«Non farlo mai più. Comunque vada, Victor, non farlo mai più.»
Le dita che stringono i capelli d'argento quasi facendogli male.
«Non mentirmi mai più. Puoi essere egoista. E io risponderò e negherò il tuo egoismo. Ma non mentirmi mai più. Non quando la mia risposta è sì. Combatteremo per quest'oro. Io combatterò per il mio e tu combatterai per il tuo. Ma combatteremo insieme. E è un duello quello che ci aspetta che lo sia. Ma non mascherarlo mai più con un ballo che io non posso capire.»
«Perché mi perdoni Yuuri?»
«Perché non mi interessa niente della leggenda di Victor Nikiforov. Mi interessa l'uomo che si nasconde dietro la maschera di Victor Nikiforov. E se è uno stronzo egoista allora imparerò ad amare questo stronzo egoista che combatte il suo egoismo per me. Non mi avresti mai lasciato vincere. Ma non mi avresti mai nemmeno permesso di perdere.»
«Sono stato tremendamente egoista»

«L’amore è sempre egoista Vitya.»

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1 Masquerade, E. Llyod Webber

NdA:
E siamo alla fine. 
E mi sembra doveroso ringraziare chiunque di voi abbia avuto la voglia di seguirmi fino a qui.
Scrivere questa storia è stata una prova, nata da un banalissimo e mai sviluppato "Ma perchè nessuno mi scrive di Chris e Victor?". Quando ho iniziato a scriverla non avevo la minima idea di come sarebbe finita. 
E scopro, in queste righe, di non essere in grado di parlare di qualcosa di mio, dato che immagino vi annoierebbero i dettagli o le curiosità del caso.
Se non lo avete fatto, vi invito ad ascoltare le musiche che ho scomodato nel testo, anche nelle versioni italiane del caso.
Ringrazio di nuovo Arydubhe e la mia recensora (?) di fiducia Arsea: grazie di aver preso il tuo tempo per leggere e commentare! Come ti ho già detto i tuoi consigli sono stati e sono preziosi <3
Un abbraccio a tutti e davvero, grazie per essere arrivati con me alla chiusura del sipario!

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