The One

di arangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Malinteso ***
Capitolo 2: *** Un Nuovo Inizio ***
Capitolo 3: *** La Festa ***
Capitolo 4: *** Il Destino ***



Capitolo 1
*** Il Malinteso ***


Lexa non aveva mai creduto alle storie sull’anima gemella, nonostante il vistoso tatuaggio con una C che si portava appresso da quando aveva undici anni, come un marchio a fuoco sulla spalla sinistra.


Non ci aveva mai creduto, almeno finché non aveva incontrato Costia; allora aveva cominciato a credere veramente che potesse essere vera quella storia assurda di due anime destinate a incontrarsi.


E ci aveva creduto per un bel po’, almeno finché Costia non l’aveva lasciata per andarsene in Canada a fare la modella perché, come le aveva detto, era innamorata di lei, ma non abbastanza da rinunciare alla sua carriera.


E Lexa aveva capito che era stata un’ingenua anche solo a considerare l’idea che un’altra persona potesse amarla per sempre, essere la sua compagna di vita; avrebbe fatto come facevano tutti quelli che non erano abbastanza fortunati da trovare la loro metà, accontentandosi di relazioni fugaci destinate a finire ancora prima d’iniziare.


Non che ne avesse avute molte da quando Costia era andata via, pensò preparando l’ennesimo bicchiere di cioccolata calda della giornata, servendolo con un sorriso finto alla cliente davanti a lei.


Avrebbe potuto trovarsi un altro lavoro, odiava i convenevoli di rito al bar, il dover essere sempre sorridente e disponibile con chiunque entrasse da quella porta. In realtà non le erano mai piaciute molto le persone in generale, ma era a corto di soldi e sua cugina era stata abbastanza gentile da assumerla nel suo bar, quindi era meglio smettere di lamentarsi.


Anya uscì in quel momento dal retro e la guardò con desolazione “Un sorriso non ti ucciderebbe di certo Lexa.”


Lexa le rivolse elegantemente il dito medio prima di tornare a pulire il bancone, e Arya rise di gusto “Lo sai che non mi diverto a vederti ogni giorno qui con la faccia di una che preferirebbe lavorare in miniera. Pensavo fosse una cosa temporanea…”


Lexa sbuffò “E’ una cosa temporanea Anya.”


“Mi hai detto la stessa cosa tre mesi fa. E tre mesi prima. Non potresti tornare a scrivere?”


Lexa appoggiò lo strofinaccio sul tavolo, pronta a imbarcarsi nella stessa discussione che lei e la cugina facevano da mesi, quando la campanella della porta trillò, e Lexa lasciò stare, preparandosi a servire l’ennesimo cliente.


Quando guardò la persona davanti a lei però, il motivo della discussione svanì dalla sua mente; doveva essere morta per le esalazioni nocive della vecchia macchina del caffè di Anya, perché davanti a lei poteva esserci solo un angelo.


“Lexa, controllati. “Anya le bisbigliò all’orecchio passandole accanto, avendo notato l’evidente espressione idiota che Lexa doveva avere in viso, e lei tornò per un attimo alla realtà.


“Buongiorno. Che cosa posso servirle?”


La ragazza bionda davanti a lei si era avvicinata al bancone con un sorriso timido, guardandosi intorno “E’ davvero carino questo locale. Non c’ero mai stata.”


Lexa sorrise, ricordandosi improvvisamente come farlo in modo sincero “Grazie… noi facciamo del nostro meglio.”


Anya dietro di lei sbuffò “Noi…” e Lexa si trattenne dal darle un calcio solo perché era troppo distratta dalla ragazza di fronte a lei; non si ricordava di aver mai visto una ragazza così bella.


“Sono nuova in città e stavo giusto cercando un posto come questo… Non vivo senza caffè.”


“Hai trovato il posto giusto allora!” Lexa rise, stupendosi di se stessa; si era dimenticata di poter essere così cordiale; Anya sembrava stupita quanto lei.


La ragazza la fissava negli occhi, come se l’avesse vista in quel momento per la prima volta, e Lexa sentì un lieve rossore colorarle le guance; da quando era tornata a essere una quattordicenne?


“Ehm… Lexa, perché non chiedi alla nostra cliente cosa vuole ordinare?” Anya indicò la cliente con un cenno della testa guardandola intensamente negli occhi, e Lexa sembrò risvegliarsi dalla bolla in cui lei e la nuova ragazza sembravano immerse da quando era entrata.


“Certo, dimmi pure!”


La ragazza sorrise scuotendo la testa “Scusami io… i tuoi occhi sono davvero verdi. Sono molto belli.” Le sue guance arrossirono lievemente mentre distoglieva lo sguardo “Vorrei un cappuccino da portar via.”


Lexa fu grata di avere una scusa per distogliere lo sguardo dalla sua nuova cliente, il cuore che le batteva all’impazzata. Che cosa stava succedendo?


Mentre finiva di preparare il cappuccino, un’idea le balenò in mente, e girandosi verso Clarke le sorrise “Che nome devo scrivere?”


Afferrò l’indelebile che tenevano nel portapenne dietro il bancone con nonchalance che non le apparteneva, mentre la ragazza e Anya la guardavano entrambe confuse “Nome?”


Lexa rivolse ad Anya uno sguardo che sperava interpretasse nel modo giusto “Ma certo Anya, non ti ricordi? Scriviamo sempre il nome dei nuovi clienti sul loro caffè, tipo Starbucks.”


Anya rimase un attimo in silenzio, e Lexa sperò con tutto il cuore che il criceto che girava la ruota nella sua testa non avesse deciso di tirare le cuoia proprio in quel momento.


“Ma sì certo. Il nome. Che stupida.”


La ragazza sorrise, e Lexa non riuscì a fare a meno di notare che anche i suoi occhi erano splendidi, di un azzurro così limpido da sfidare quello del cielo in una giornata senza nuvole.


“Allora puoi scriverci Octavia.”


Lexa cercò di non apparire troppo delusa mentre scriveva il nome nella confezione di caffè. Niente C, avrebbe dovuto aspettarselo.


La ragazza, Octavia, pagò con un sorriso e guardò per un attimo l’etichetta che Lexa portava sulla divisa “Grazie mille Lexa, buona giornata.”
 
 



Appena uscì dalla porta, Anya scoppiò a ridere “Ommiodio cosa ho appena visto.”


“Stai zitta Anya.” Lexa non riusciva a perdonarsi per aver sperato, anche per un solo momento, che fosse lei.


“Scriviamo il nome come Starbucks” Anya la imitò tra le risate “Cuginetta sei davvero un genio del male.”


“Smettila Anya! Non sapevo cosa fare, dopo quella cosa sui miei occhi io… io…” Lei aveva perso completamente la testa, partendo con dei film mentali degni di una bambina dalla fervida immaginazione.


“Volevo solo controllare.” Anya si asciugò una lacrima con la mano e le strinse la spalla “Mi dispiace che non fosse la tua C. Ma pensavo che non ci credessi più a quella storia ormai.”


“Infatti, non ci credo. Era solo per sicurezza.”


Anya annuì con serietà “Certo. Come io per sicurezza mi sono fatta tutti quelli con il nome che inizia per R che sono riuscita a trovare, ti capisco.”


Lexa alzò gli occhi al cielo, riprendendo a pulire il bancone anche se non ce n’era bisogno “E’ un pochino diverso. Io non me la sono fatta.”


Anya le passo accanto per andare sul retro “Però avresti voluto!” Si sciolse i capelli con un gesto fluido, imitando la ragazza che era uscita poco prima “Oh Lexa, i tuoi occhi sono così verdi… Baciami!”


“Vai a farti fottere Anya”


“Se ti può consolare, anche lei sembrava abbastanza delusa dal tuo nome.”


Lexa si chiese con un sospiro se fosse vero.
 
 




Clarke camminava lentamente con il cappuccino bollente in mano, pensando ai mille modi in cui si era appena resa ridicola in quel bar; ma non aveva potuto evitarlo. Quando aveva visto la ragazza al bancone del bar, Lexa, il suo cuore aveva perso un battito.


Non le era mai successo prima, ma c’era qualcosa nello sguardo della ragazza che l’aveva incantata. Era per questo forse che il suo cervello era andato in pappa, facendole fare la figura dell’idiota.


“I tuoi occhi sono davvero verdi… Ma come si fa…” borbottò tra sé entrando in classe, dove le sue amiche la aspettavano già sedute.


“Oh chi si vede. Volevi essere in ritardo il primo giorno di lezione?” Raven la lanciò distratta prima di accorgersi della confezione che aveva in mano.


“Clarke mi hai preso il caffè! Troppo gentile…”


“Giù le mani Raven. E’ per Octavia!” Octavia la guardò con un sorriso “Clarke, grazie! Non dovevi.” Clarke scrollò le spalle “Era il minimo che potessi fare dopo che ci hai lasciato dormire da te ieri.”


Octavia prese il bicchiere e sorrise “Hanno anche scritto il nome, che carino!”


Clarke arrossì al ricordo di poco prima “A proposito, mi è successa una cosa stranissima.” Entrambe le ragazze alzarono lo sguardo “Bè raccontaci prima che inizi la lezione.”


“Sono andata in questa caffetteria qui vicino, sapete che volevo trovare un posto in cui andare dopo lezione, no?”


“Si l’avevi accennato ieri. Quindi?”


Clarke si fermò per un attimo, senza sapere bene cosa dire “Quindi… c’era questa ragazza.”


“Adesso è una storia interessante!” Octavia zittì Raven con un’occhiataccia “Continua Clarke”


“Ed io, bè io sono andata in palla. Le ho detto che aveva degli occhi bellissimi. Davanti alla sua titolare probabilmente.”


Raven scoppiò a ridere “Clarke, la grande seduttrice!”


“Comunque non avevo mai… mai sentito una cosa simile per una completa estranea. Era come se fossi magneticamente attratta da lei, come se avessimo qualcosa in comune che non riuscivo a vedere, ma potevo percepire chiaramente. E’ stato stranissimo.”


Octavia la guardava con occhi spalancati “E’ la stessa cosa che ho provato quando ho conosciuto Lincoln! Deve essere quella giusta Clarke!”


Clarke scosse la testa, senza riuscire a nascondere la sua delusione “Niente da fare. Si chiama Lexa.”


Octavia fece un’espressione delusa, ma Raven le sorrise “Potresti uscirci lo stesso! Non sarà la tua anima gemella, ma potrebbe essere interessante, no?”


Clarke scosse la testa “No ragazze, dopo Finn… Non me la sento. Voglio essere sicura. Lasciare lui è stata una tragedia, non voglio mettermi con qualcuno solo per poi lasciarlo perché non è la mia anima gemella.”


Raven la strinse la spalla con la mano in un gesto rassicurante “Ehi, non devi per forza credere a quella stronzata dell’anima gemella. Non funziona per tutti. E’ solo una lettera, non vuol dire niente.”


Clarke guardò Octavia che alzare gli occhi al cielo, e sollevò le mani prima che le sue due amiche iniziassero l’ennesima discussione sull’esistenza o meno dell’anima gemella.


“Non importa ragazze, davvero. E’ stata solo una sensazione, probabilmente non vuol dire niente.”


Octavia la guardò con un sorriso “Vedrai che troverai anche tu la tua A, Clarke.”


L’insegnante entrò in classe in quel momento, ponendo fine alla loro discussione e Clarke cercò di concentrarsi sulla lezione, anche se la sua mente continuava a rivivere la scena di quella mattina, incapace di pensare ad altro che alla bella ragazza dagli occhi verdi che l’aveva completamente stregata.






Note: Ciao a tutti! Volevo fare una piccola premessa, questa è probabilmente la cosa più trash di sempre e non so da dove mi sia venuta l'idea, ma mi serviva una pausa dalle mie long-fics e ho voluto scrivere questa storiella. Durerà circa 3-4 capitoli, che ho già scritto quindi aggiornerò con una certa puntualità (tanto per cambiare). Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima!

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Capitolo 2
*** Un Nuovo Inizio ***


Lexa si era decisa a mettersi alle spalle l’accaduto e andare avanti, cosa non facile visto che Anya aveva continuato per una settimana a prenderla in giro con la storia di Octavia, ma finalmente sua cugina sembrava aver trovato di meglio da fare, e Lexa si sentiva decisamente più tranquilla.

 

O almeno, così si era sentita finché non l’aveva rivista, in piedi davanti al bancone, lo stesso sorriso disarmante che aveva annullato le sue capacità mentali appena una settimana prima.
 


“Ciao!” Lexa respirò profondamente prima di rispondere, intenzionata a non fare un'altra figuraccia.
 


“Hey…   E’ bello rivederti. Pensavo ti avessimo spaventata l’altra volta. Io e Anya… siamo cugine sai, ci piace scherzare.”
 


“Capisco. E no, non mi avete spaventata, ma è la mia prima settimana qui, ed è tutto abbastanza caotico. Ora che mi sono presa con l’orario delle lezioni e il mio appartamento non sembra più una discarica in fiamme, mi vedrai più spesso.”
 


“Non vedo l’ora!” Lex fissò un punto indeterminato vicino alle sue scarpe per un secondo, dandosi dell’idiota.
 


“Volevo dire… è sempre un piacere avere clienti. Sai, l’economia…”
 


Lexa avrebbe voluto prendersi a pugni da sola. La sua unica magra consolazione era che Anya non era presente per vedere lo scempio che stava facendo.
 


Il problema era che quella ragazza le piaceva, e davvero tanto; e questo stranamente sembrava portare il suo quoziente intellettivo molto vicino a quello di un’alga marina.
 


Octavia sorrise leggermente in imbarazzo “Certo, capisco. E volevo… volevo scusarmi per quello che ti ho detto l’altra volta. E’ stato davvero fuori luogo.”
 


“Figurati, nessun problema. Nessuno è mai molto gentile con me… sono la cameriera quindi di solito non mi calcolano.”
 


“Faccio fatica a crederlo” La ragazza si morse il labbro in un modo che Lexa trovò adorabile “Ecco che lo faccio di nuovo. Forse è meglio se prendo il mio caffè e me ne vado.”
 


Lexa rimase per un attimo interdetta prima di ricordarsi che la ragazza non era andata lì per parlare con lei.
 


“Certo, un cappuccino?”
 


La ragazza scosse la testa “Un macchiato, grazie.”
 


Lexa la guardò pagare e andare via con un sorriso, cercando di fissare il più possibile nella mente i tratti del suo viso, giusto in caso si accorgesse finalmente che Lexa era un’imbecille e non tornasse mai più. Invece, stranamente prima di uscire dalla porta si fermò a guardarla con un ultimo sorriso.
 


“A domani Lexa.”
 


Il negozio tornò a essere immerso nel silenzio, e Lexa pensò che forse avrebbe dovuto dirle il suo vero nome, prima di ricordarsi che era inutile, visto che Octavia di certo non iniziava per C.
 

*
 
 
Nelle settimane seguenti Clarke iniziò ad amare quel piccolo momento che si ritagliava per se stessa andando a bersi il caffè; a volte restava là solo pochi secondi, giusto il tempo per Lexa di prepararle il caffè da portare via, altre volte si fermava anche per ore, seduta sempre nello stesso tavolino vicino alla finestra, a leggere o studiare, e a volte a parlare con Lexa.
 



Non avevano mai fatto un discorso che esulasse dai soliti convenevoli fino al giorno in cui Clarke non si era presentata con un libro di poesie, e dopo qualche minuto aveva sentito la voce bassa e dolce di Lexa accanto a lei “Io amo Baudelaire.”
 


Clarke per poco non aveva fatto cadere il caffè sul tavolino, e Lexa si preoccupò immediatamente “Scusami, non volevo spaventarti.”
 


Clarke sorrise “Non preoccuparti, sono io che quando leggo esco dal mondo. Non ti avevo sentita.”
 


Lexa si era sistemata una ciocca dei suoi capelli scuri dietro l’orecchio, con un gesto che Clarke trovò molto tenero “Allora, davvero ti piace Baudelaire?”
 


Lexa annuì “Non era per farmi gli affari tuoi, ma quando ti ho visto leggere i Fiori del Male… Dovevo parlartene. Studi letteratura?”
 


Clarke chiuse il libro dalle pagine consumate con un sospiro “No, arte contemporanea.” Lexa sembrò confusa da quell’affermazione e lei si mise a ridere “Uno studente di arte non può essere appassionato di poesia?”
 


“Certo che si! Solo che… io ho studiato letteratura, per quello lo conosco.” “Era l’autore preferito di mio padre. Il libro è suo.”
 


Lexa sorrise “Tuo padre ha davvero dei buoni gusti.”
 


“Aveva.” Clarke si chiese con una punta di stupore perché l’avesse detto; di solito non parlava di suo padre con nessuno. Lexa la guardò con espressione triste “Mi dispiace.” Non chiese altro, e Clarke lo apprezzò molto. Esitò solo un attimo prima di indicare la sedia davanti a lei “Vuoi sederti?”
 


Lexa si era guardata intorno, il locale era vuoto a parte loro due “Se mi vede Anya mi uccide.”
 


Clarke non si lasciò scoraggiare “Anya non è qui.”
 


Lexa esitò solo un secondo prima di sedersi davanti a lei con un sorriso “Allora, arte? Che tipo di arte?” Clarke arrossì “Dipingo se si può dire così. Vorrei avere una galleria tutta mia un giorno. Mia madre voleva che facessi medicina, ma… non era per me.”
 


C’era qualcosa in Lexa, Clarke non riusciva a definirla, ma era come se si sentisse immediatamente a suo agio nel parlare con lei. Non aveva mai avuto problemi a parlare con altri, nemmeno con persone che erano quasi delle estranee, ma c’era qualcosa di diverso, di intimo nel parlare dei suoi sogni futuri con una ragazza appena conosciuta nella sua caffetteria deserta.
 


Lexa annuì “Ti capisco. Io ho fatto un anno di economia, ma il mio cervello stava impazzendo. Sono molto più brava con le parole che con i numeri.”
 


“Davvero?” le uscì dalle labbra prima di potersi fermare, e Lexa finse un’espressione offesa “Sì, davvero miss simpatia. Ho pubblicato qualche pezzo, racconti brevi più che altro.”
 


“E poi come sei finita qui?” Lexa sembrò interrompersi per un attimo, e Clarke pensò di aver esagerato “Non sono affari miei, scusami.”
 


Lexa scosse la testa “No no… non preoccuparti. Diciamo che sono stata scaricata dalla donna che pensavo potesse essere la mia anima gemella. Sai, le lettere combaciavano e tutto… ma a volte non basta.”
 


La ragazza prese a giocherellare con una bustina di zucchero, le mani che quasi tremavano, e Clarke sentì l’improvviso impulso di allungare la mano a stringere la sua.
 


“Dopo è stato tutto un disastro. Stavo scrivendo il mio primo vero libro, ma mi sono bloccata. Sono mesi che non scrivo più niente. Sono venuta qua a lavorare per Anya solo per non ritrovarmi in mezzo alla strada.”
 


“Mi piacerebbe leggere qualcosa di tuo.” Clarke lo disse tutto d’un fiato, come se avesse paura delle sue stesse parole.
 


“Davvero?” Lexa sembrò molto sorpresa, ma prima che Clarke potesse aggiungere altro, un gruppo di ragazzi entrò nel bar, e Lexa si alzò per andare a servirli.
 


Lei crede nell’anima gemella, pensò Clarke con una punta di dispiacere; non c’era nessun tipo di possibilità per loro.
 

*
 
 
Lexa stava pulendo il pavimento del bar quando notò una cosa. O meglio, notò l’assenza di qualcuno. Erano le sedici in punto, e a quell’ora Octavia veniva sempre di giovedì a bere il caffè; non che Lexa avesse imparato a memoria i suoi orari, ovviamente.
 


Aspettò ancora dieci minuti, fermandosi ogni volta che vedeva l’ombra di un passante, oppure non c’era traccia della ragazza.
 


“Anya, posso fare una pausa?” Sua cugina uscì dal retro e si guardò intorno “Perché, adesso stai lavorando?”
 


“Anya… per favore.” Lexa voleva bene a sua cugina, ma c’erano dei momenti in cui Anya si divertiva fin troppo a comandarla.
 


“Va bene vai, ci penso io qui.”
 


Lexa si sfilò la traversa che di solito usava per le pulizie e preparò in fretta due caffè, uno macchiato e uno liscio, che versò in due bicchierini di plastica che usavano per le ordinazioni d’asporto.
 


“Facciamo anche servizio a domicilio? Non lo sapevo…” Anya alzò gli occhi al cielo, ma Lexa la ignorò, uscendo al caldo sole pomeridiano.
 


Era la fine di settembre, ma l’autunno sembrava ancora lontano, e Lexa si gustò a pieno il clima mite mentre camminava verso il polo universitario non lontano dal bar. Non aveva bene in mente un piano, ma se Octavia non era venuta quel giorno doveva esserci un motivo, e Lexa voleva assicurarsi che stesse bene.
 


La trovò dopo qualche minuto, in una delle aule studio immersa nella lettura di un libro dall’aspetto noioso. Lexa le andò vicino, ma per un attimo la ragazza non si accorse nemmeno della sua presenza.
 


“E’ occupato?” Lexa indicò la sedia davanti a lei, e quando finalmente Octavia alzò lo sguardo il suo viso s’illuminò con un sorriso; Lexa capì che era valsa la pena fare tutto quello solo per vederla sorridere.
 


“Lexa! Cosa ci fai qui?”


 
Lexa le porse il caffè con un sorriso “Non ti ho vista oggi al bar e mi sono preoccupata. Lo so che non puoi vivere senza caffeina.”
 


“Shhhhh”
 


Una ragazza dietro di loro gli fece cenno di abbassare la voce e Octavia scoppiò a ridere, cercando di non fare troppo rumore “Ho un esame domani e sono messa male. Volevo restare qui a studiare oggi, ma sei stata davvero gentile. Ne avevo bisogno.”
 


Era il momento per Lexa di andarsene, lasciarla sola a studiare e tornare a lavoro, ma non ne aveva davvero nessuna voglia “Vuoi fare una pausa? Possiamo fare due passi.”
 


La ragazza scosse la testa, ma c’era qualcosa nei suoi occhi che diceva a Lexa che era esattamente quello che voleva.
 


“Dai, cinque minuti, prima che la signorina qui dietro ti bandisca per sempre dalle aule studio per disturbo della quiete pubblica.”
 


Octavia sembrò cedere, e quando si alzò per prendere il cappotto Lexa non riuscì a trattenere un sorriso vittorioso.
 


Camminarono per qualche minuto in silenzio, sorseggiando il caffè, godendosi la reciproca compagnia che non aveva bisogno di parole. Era questa una delle cose che a Lexa piaceva di più di quella ragazza; non era mai stata una grande chiacchierona, ma c’era qualcosa anche nei loro silenzi, che la faceva sentire a suo agio.
 


“Sei stata davvero premurosa a venire qua. Nessuno aveva mai fatto una cosa così gentile per me.”
 


Lexa alzò le spalle “Sei la mia cliente preferita.”
 


Octavia rise, un suono così bello che Lexa avrebbe voluto poterlo ascoltare per sempre “Davvero?”
 


“Decisamente. Non che ci sia tanta concorrenza…” La ragazza la colpì alla spalla e Lexa rise “Scherzavo. Non parlo mai molto con nessuno, ma mi piace davvero parlare con te.”
 


Octavia sembrò arrossire “Anche a me piace parlare con te.” Seguì un silenzio che, per la prima volta, Lexa percepì come imbarazzante: sapeva di parole non dette. E lei avrebbe voluto dirle, far capire ad Octavia come si sentiva quando erano insieme, ma non osava rompere quel delicato equilibrio che si era creato tra loro.
 


“Posso farti una domanda?” Octavia le sorrise, annuendo mentre prendeva un altro sorso di caffè. “Come mai ti sei trasferita proprio qui? Polis è un buon centro universitario, ma sono sicura che ne avevi di migliori a New York.”
 


La ragazza rise “In effetti non è stata una scelta dettata dalla qualità dell’università. Le mie amiche erano state prese qui, mentre io sarei dovuta rimanere a New York ma… diciamo che avevo bisogno di cambiare aria.”
 


Lexa la guardò incuriosita, perché le sembrava di percepire il suo bisogno di parlare, di sfogarsi.
 


“Stavo con un ragazzo, Finn. Lui… lui non era la mia anima gemella, ma dal momento in cui l’ho visto mi sono sentita… subito in sintonia con lui. Stavamo bene insieme. Siamo stati insieme per quasi tutto il liceo e poi siamo andati a convivere e per qualche tempo ha funzionato. Poi… poi qualcosa si è rotto. Non è stata colpa sua o colpa mia, semplicemente ci siamo resi conto che cercavamo entrambi cose diverse. Ma è stata molto dura. Sentivo che lo amavo… ma non era abbastanza. Mi ci è voluto del tempo per accettarlo.”
 


“Così sei scappata via?” Lexa non avrebbe voluto farla sembrare un’accusa, ma la ragazza sembrò non essersela presa più di tanto, anzi, si mise a ridere.
 


“Cosa c’è di divertente?”
 


Chiuse gli occhi, prima di recitare a memoria “Escluse dall’umano consenso, erranti, condannate, come i lupi correte i deserti; fino in fondo vivete il vostro destino, anime disordinate, fuggendo l’infinito che in voi si nasconde!”



Lexa la guardò stupita “Versi di Baudelaire a memoria? Tu si che sai come stupire una scrittrice.”
 


Octavia arrossì “In realtà so solo questa. E’ il mio verso preferito della mia poesia preferita... Quando hai parlato di scappare mi è venuta in mente… Scusami, sono un disastro.” Lexa non commentò la scelta della poesia, limitandosi a ridere.
 


“Un disastro? E’ stato bellissimo. Anche se devo dire che preferisco l’originale… Faites votre destin, ames désordonnées. Non vivete il vostro destino, fate il vostro destino. Piace molto anche a me… è un verso molto potente.”
 


La ragazza la fissò a lungo in silenzio e Lexa pensò di aver esagerato, passando per sbruffona.
 


“Ovviamente sai anche il francese. Tu si che sai come stupire una ragazza. Hai davvero un bel accento.” Lexa scosse le spalle “Ho passato qualche anno a Parigi.”
 


“Con lei?” Non c’era bisogno di dire a chi si stava riferendo “Sì, con lei. E’ stato uno dei momenti più belli della mia vita. Ti capisco sai… quando dici che è stato difficile. Non sono ancora sicura di averla superata completamente.”
 


“Così sei scappata via?” Si guardarono con un sorriso.
 


“Sono venuta per ricominciare. E’ quello che voglio.” Ci fu una pausa in cui nessuna delle due osò dire niente, come se ci fossero troppe cosa da dire, ma allo stesso tempo nessuna era quella giusta, quella adatta in quel momento. “E’ quello che vuoi anche tu?” La ragazza annuì, senza distogliere lo sguardo “Più o meno. Ma volte mi sembra di fare sempre gli stessi errori.”
 


Lexa cercò di non leggere nulla in quella frase, per quanto ambigua potesse essere detta in quel momento, limitandosi a guardarla negli occhi, incapace di distogliere lo sguardo dalla purezza di quell’azzurro. Sussultò lievemente quando lo sguardo di Octavia passò per un attimo dai suoi occhi alle sue labbra, e improvvisamente percepì che erano troppo vicine, e che questo le stava dando alla testa.
 


“Dovrei andare… Anya mi uccide se la lascio da sola troppo tempo.” Lexa si costrinse a dirlo, e Octavia sembrò rendersi conto solo in quell’istante dell’ora che si era fatta, e distolse lo sguardo, spezzando il momento che si era creato tra loro.
 


“Ed io dovrei tornare al mio libro. Grazie Lexa… mi ha fatto davvero piacere parlare con te.” Lexa le sorrise, incapace di trattenersi “A domani?”
 


“A domani.”
 


Nonostante le emozioni contrastanti che provava, Lexa tornò al bar con un sorriso stampato in volto; nemmeno una sfuriata di Anya avrebbe potuto cancellare il suo buon umore.






Note: Ciao a tutti! Sono stata davvero contenta della risposta al primo capitolo, mi ha fatto piacere sapere che l'idea vi è piaciuta! Spero che anche questo capitolo sia stato interessante, lo so che Baudelaire non c'entra niente ma io lo adoro e cerco di infilarlo ovunque, spero che abbia un qualche senso. Volevo aggiornare prima e rispondere alle recensioni, ma ho avuto dei problemi con internet che spero di risolvere presto; fatemi sapere cosa ne pensate, anche se in questo capitolo non succedono grandi cose, solo queste due che si innamorano senza capirlo, as usual. Alla prossima!


Ps: ovviamente quando il punto di vista è di Lexa, Clarke diventa Octavia, spero si capisca che parlo comunque di Clarke XD

Pps: la poesia di Baudelaire citata è "Donne Dannate", leggetela se avete tempo, è davvero stupenda.

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Capitolo 3
*** La Festa ***


 
Non passò molto prima che la vita di Lexa cominciasse a orbitare attorno a quegli incontri pomeridiani. La presenza di quella ragazza spuntata dal nulla riusciva a ridare a Lexa emozioni che pensava fossero perdute per sempre; si sentiva più solare quando Octavia era nella stanza, più viva. Ma era più di questo.

 
 
Erano passate solo alcune settimane, eppure per la prima volta in quasi un anno Lexa aveva ricominciato a scrivere, non solo, ma desiderava farlo. Lasciava post-it ovunque a lavoro con idee che le venivano in mente all’improvviso, scriveva, cancellava e riscriveva pagine al computer dopo la fine del suo turno, chiusa nella camera del piccolo appartamento che condivideva con Anya sopra al bar, mentre tra una riga e l’altra i pensieri tornavano sempre a lei.
 
 

Nonostante questo, non era ancora riuscita a capire cosa fare. C’era una parte di lei che non voleva altro che chiedere ad Octavia di uscire, la sua parte più razionale però, quella che di solito l’aveva sempre vinta, le ricordava che non c’era futuro per loro, se non una storia destinata a finire male, malissimo.
 
 

Se lo doveva ricordare ogni volta che la vedeva studiare o leggere al tavolo vicino alla finestra, i capelli dorati che rispendevano alla luce del sole, l’espressione concentrata che le dava un’aria più matura. Così viveva in un limbo, grata per questa nuova presenza nella sua vita e allo stesso tempo disperata nel sapere che non sarebbe mai potuta essere altro che una semplice estranea.
 
 

Il fiume dei suoi pensieri fu interrotto da Anya, che le schioccò le dita davanti agli occhi per qualche secondo.
 
 

“Terra chiama Lexa, terra chiama Lexa.”
 
 

Lexa tirò via la mano di Anya come avrebbe fatto con una mosca fastidiosa.
 
 

“Che cosa vuoi? Sto lavorando.”
 
 

“Non mi sembra di pagarti per pensare a possibili scenari futuri con miss perfezione.” Lexa arrossì violentemente evitando lo sguardo della cugina.
 
 

“Si vedeva tanto?”
 
 

“Hai questa espressione… ebete quando pensi a lei. O quando lei è nella stanza. E’ inconfondibile.”
 
 

“Non posso farne a meno… Lei… lei mi fa sentire in un modo… è inspiegabile. Non capisco perché il destino ci ha fatto incontrare se non possiamo stare insieme.”
 
 

La voce di Lexa si era fatta all’improvviso triste, e Anya le strinse il braccio con la mano “Non mi sono mai sentita così. Ho persino ripreso a scrivere. Ed io so… so che è a causa sua. Non è giusto non poter avere nemmeno un’occasione.”
 
 

“Potresti provare a uscirci lo stesso. Non è detto che debba andare male.”
 
 

Lexa scosse la testa “L’ultima volta, con Costia… E’ stato terribile. Non potrei sopportarlo ancora.”
 


Anya la scosse un attimo, costringendola a guardarla negli occhi “Se non ti conoscessi bene cuginetta, direi che stai facendo la fifona.”
 
 

A quelle parole Lexa si liberò dalla presa, irritata “Non sono una fifona!”
 
 

“E allora smettila di piangerti addosso e vai a prenderti la tua ragazza! Qui il caffè potrebbe annacquarsi con tutte le tue lacrime.”
 
 

Lexa stava per risponderle a tono quando il soggetto della loro discussione entrò nel bar sorridendo. L’umore di Lexa cambiò improvvisamente, solo per affievolirsi di nuovo nel vedere che la ragazza non era sola.
 
 

“Ciao Lexa!” Anya sbuffò spazientita ed entrò nel retro mentre Octavia le indicava la ragazza accanto a lei “Questa è Raven, la mia coinquilina.”
 
 

Lexa fece per stringerle la mano, ma dietro di lei Anya sbucò quasi dal nulla, spostando Lexa e mettendosi davanti alla nuova arrivata.
 
 

“Hai detto Raven?”
 
 

La ragazza sorrise “Esatto. Raven Reyes.”
 
 

Gli occhi di Anya s’illuminarono per un attimo mentre si girava a guardare Lexa “Ci sono pure due R. Molto piacere, Anya, la cugina intelligente della famiglia Woods.”
 
 

Anche Raven sembrava incuriosita da sua cugina, e Lexa rimase interdetta per un attimo mentre le due donne si guardavano intensamente da un capo all’altro del bancone; si girò per intercettare lo sguardo di Octavia, ed entrambe si misero a ridere.
 
 

“Sai Anya, io e la mia coinquilina siamo venute qua giusto per invitare Lexa alla festa d’inaugurazione del nostro appartamento, dovresti venire anche tu.”
 
 

“Festa?” Octavia la guardò confusa, ma Raven non si scompose “Certo, ne avevamo parlato, sei tu che non ricordi mai niente.”
 
 

La ragazza fece per ribattere, ma Raven fu più veloce “Venerdì alle nove a casa nostra, ditemi che ci sarete!”
 
 

Octavia ci provò di nuovo, guardando Lexa con imbarazzo “Raven, non penso che abbiano voglia di venire a una festa di gente sconosciuta…”
 
 

Lexa cercò di darle appoggio, perché la sola idea di passare una sera a casa di Octavia le faceva rigirare lo stomaco per il nervosismo “In effetti forse venerdì abbiamo da fare, vero Anya?”
 
 

“Ma no Lexa, tu non esci mai, hai la vita sociale di un bradipo!” La cugina le diede una lieve pacca sulle spalle “Veniamo molto volentieri!”
 
 

“Anya…”
 
 

“Ti do il mio numero di telefono Raven, così puoi scrivermi l’indirizzo.”
 
 

Lexa guardò uscire le due ragazze con espressione frastornata, mentre Anya la guardava con un sorriso sornione “Visto? Ti ho fatto guadagnare un appuntamento.”
 
 
*
 

Clarke rincorse Raven per strada mentre l’amica si dirigeva a passo spedito verso casa.
 
 

“Raven, cosa diavolo ti è saltato in mente? Non volevamo dare nessuna festa.”
 
 

Raven si fermò un attimo per guardarla negli occhi “Clarke, hai visto il feeling tra me e Anya? Perché io riuscivo a percepirlo benissimo. Non potevo lasciarmi scappare l’occasione!”
 
 

“E che ne è stato del favore che dovevi farmi? Ti ho chiesto di venire con me perché non volevo più parlare da sola con Lexa dopo l’ultima volta e tu l’hai invitata a casa nostra!”
 
 

“Senti Clarke, stai diventando paranoica. Se ti piace parlare con lei parlale, non è successo niente l’ultima volta, e non deve succedere per forza.”
 
 

Clarke sospirò passandosi la mano tra i capelli “E’ questo il problema. E’ quasi successo qualcosa. Quando sono da sola con lei… E’ più forte di me, rischio di espormi troppo. Quando mi ha portato il caffè all’università avevo così tanta voglia di baciarla Raven… mi sono trattenuta a stento. Non voglio restarci male, e non voglio che ci resti male lei; è una delle persone più speciali che io abbia mai incontrato.”
 
 

Raven sembrò rendersi conto della tristezza di Clarke e abbassò lo sguardo “Scusami, non avevo capito che era una cosa così seria per te. Ma Anya… lei sta cercando una R e io una A, e mi sembra davvero che possa esserci una connessione tra noi due.”
 
 

Clarke accennò una smorfia “Non eri tu quella che diceva che l’anima gemella era solo una stronzata?”
 
 

Raven sorrise “Perché non mi era mai successo niente del genere. Octavia aveva ragione, capisci subito che c’è qualcosa. Non dirle che l’ho detto!”
 
 

Clarke scosse la testa “Promesso. Ma se facciamo questa festa devi promettermi che mi starai vicina tutto il tempo, così eviterò situazioni imbarazzanti con Lexa.”
 
 

Raven le strinse la mano “Promesso.”
 
 
*
 
 
Clarke l’avrebbe uccisa. Avrebbe ucciso Raven in un modo molto doloroso per farle rimangiare le sue promesse false e ingannevoli. C’erano voluti circa due minuti prima che Raven e Anya sparissero dopo l’arrivo di quest’ultima, lasciando Clarke e Lexa da sole nel bel mezzo della festa.
 
 

Avevano invitato parecchia gente del loro corso, e la casa era piena di musica e schiamazzi, ma Lexa non conosceva nessuno a parte lei. E lei naturalmente aveva cercato di evitarla per quasi tutta la sera.
 
 

Era stato facile dileguarsi con una scusa, lasciandola a parlare con il suo compagno di corso Monty, cercando di sparire tra la gente.
 
 

Era una cosa terribile da fare, ma sapeva di non essere abbastanza forte per stare da sola con Lexa, che si era presentata alla sua porta vestita come una modella. Non l’aveva mai vista fuori dai suoi abiti da lavoro, e quella sera aveva addosso una camicia che metteva in risalto il suo corpo slanciato e tonico. Era bella, bella da morire, e Clarke si sentiva debole.
 

Si era lasciata distrarre più di una volta dalla figura affascinante della ragazza, persino mentre stava cercando di evitarla, parlando con persone a caso all’altro lato della sala, senza prestare attenzione ad una sola parola.
 

I loro sguardi si incrociarono per un istante, ma Clarke non riuscì più a distogliere gli occhi dall’oceano verde che erano quelli di Lexa. Persino a quella distanza Clarke riusciva a capire che qualcosa non andava; sotto una calma impassibile, poteva leggere la delusione nel suo sguardo. Il senso di colpa le attanagliò il cuore, bloccandola per un attimo. Ma quando la vide prendere la giacca e dirigersi verso la porta, qualcosa scattò in lei. Non poteva lasciarla andare così.
 
 

“Lexa!” Clarke la raggiunse a metà delle scale, e la ragazza si fermò nel sentire la sua voce, i grandi occhi verdi puntati verso di lei “Lexa non andare via per favore.”
 
 

“Non mi sembrava di essere una presenza molto desiderata.” Si girò per riprendere a scendere le scale, ma Clarke le afferrò il braccio, costringendola a guardarla negli occhi, le dita che sembravano bruciare al solo contatto con la pelle di Lexa “Scusami se non ti ho parlato…”
 
 

Lexa alzò le spalle “Se ti dà fastidio essere vista con la ragazza che serve i caffè all’angolo della strada bastava che non mi invitassi.”
 
 

“Non è quello Lexa… Per favore lasciami spiegare. Andiamo a fare due passi.”
 
 

Lexa rimase in silenzio per un lunghissimo istante prima di annuire, e camminarono insieme in silenzio fino al piccolo parco davanti all’appartamento di Clarke.
 
 

“Io volevo davvero… passare del tempo con te. Ma mi fai paura.”
 
 

Lexa la guardò confusa e Clarke scosse la testa, sorpresa della sua stessa ammissione “Mi fa paura quello che provo per te. Perché tu piaci Lexa, e molto.”
 
 

Lexa la guardò negli occhi per un secondo, con un’espressione di stupore e contentezza in volto che Clarke non le aveva mai visto.
 
 

“Anche tu mi piaci. Mi sei piaciuta dal momento in cui ti ho vista in piedi davanti al bancone del bar. Mi piace parlare con te, e guardarti leggere. Mi piace pensare al momento in cui entrerai dalla porta e illuminerai la mia giornata. Continuo a pensarti e non riesco a smettere.”
 
 

Clarke aveva voglia di piangere; sentire quelle parole la faceva essere così felice e così triste allo stesso tempo che era spiazzante.
 
 

“Ma sappiamo entrambe che non può esserci… questa cosa tra noi.”
 
 

Lexa abbassò lo sguardo “Non capisco come possa essere possibile.”
 
 

Una lacrima solitaria solcò il viso di Clarke “Nemmeno io. Credimi Lexa, sono giorni che ci penso. Ma non vedo una soluzione. Io non posso rischiare di ripetere i miei errori, non ci sarebbe futuro per noi.”
 
 

Quando Lexa alzò lo sguardo pochi secondi dopo, Clarke riuscì a leggerci dentro una luce nuova “Io so cosa vuol dire soffrire per amore. E sono rimasta ferita già una volta. Ma per te…”
 
 

Lexa le prese la mano “Per te sono disposta a rischiare ancora. E’ solo una lettera, non vuol dire niente.” La ragazza prese un respiro profondo prima di continuare “Ed io penso di amarti. Questo dovrebbe voler dire molto di più.”
 
 

Le prese il volto tra le mani e la baciò, appoggiando delicatamente le sue labbra su quelle di lei, e Clarke non riuscì a resisterle a lungo.
 
 

Ricambiò il bacio con foga, stringendo Lexa con una disperazione che non pensava di avere in lei, e dentro il suo cuore sapeva che quello era il momento che aveva aspettato più di ogni altra cosa dall’istante in cui l’aveva incontrata; il profumo di Lexa le inebriava la mente, i suoi capelli le accarezzavano il viso, e lei si sentiva esattamente dove avrebbe voluto essere, come se in quel momento avesse trovato il suo posto nel mondo.
 
 

Lexa le accarezzò i capelli con la mano, stringendola ancora di più a sé, e Clarke si lasciò scappare un gemito quando sentì la lingua di Lexa accarezzarle le labbra, chiedendole con dolcezza di aprirsi a lei. E per poco Clarke non si lasciò completamente andare in quel bacio, incapace di fermare quella voce dentro di sé che le diceva che quello che stavano facendo era sbagliato.
 

 
Allontanarsi da Lexa si rivelò più difficile del previsto, più difficile di qualsiasi altra cosa avesse mai fatto. Non appena le loro labbra si staccarono Clarke sentì la pelle orfana di quel contatto che tanto aveva desiderato.
 
 

“Scusami Lexa io… io non posso. Non posso davvero.”
 
 

Corse via senza guardarsi indietro, lasciando Lexa sola e sconvolta nel cuore della notte, mentre il cuore che le si spezzava in petto.









Note: Ciao a tutt*! Sono davvero super felice della risposta che sta avendo questa storia, non me l'aspettavo davvero! Quindi grazie mille a tutti quelli che commentano e seguono, mi interessa moltissimo saperela vostra opinione! Lo so che doveva essere una storiella leggera, ma se non scrivo angst io non sono contenta, e poi dai, serve per dare quel pizzico in più alla storia secondo me, anche se fa male... Quindi fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, spero vi sia piaciuto!
Alla prossima!

Ps: Io amo la Ranya, sorry but not sorry

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Capitolo 4
*** Il Destino ***


Note: Questa volta per cambiare, una piccola nota prima del capitolo... Come avevo anticipato, questo è l'ultimo capitolo della storia. Ci ho messo un pochino a pubblicarlo, scusatemi ma avevo già scritto un finale che però non mi soddisfaceva molto, quindi ho riscritto tutto e ho dovuto aspettare di fare qualche esame! Grazie di aver seguito questa mia piccola storia e spero che questa conclusione vi piaccia, fatemi sapere! Buona lettura e come sempre, alla prossima!




(Alla mia C., questa storia è per te, buon San Valentino. La tua A.)







Lexa sentì la porta del piccolo appartamento che condivideva con Anya aprirsi lentamente, e sbuffò quando sentì i passi della cugina avvicinarsi alla sua camera.
 
 

“Lexa, posso entrare?”
 
 

Lexa non rispose nemmeno; non aveva voglia di vedere nessuno.
 
 

“Lexa dai, voglio solo parlarti. Sono giorni che non esci da casa.”
 
 

Silenzio. Lexa non aveva nessun interesse nell’uscire di casa, ancora meno nel parlare con sua cugina. Era stata lei a portarla a quella maledetta festa e a lasciarla sola.
 
 

“Va bene. Se hai bisogno, sono qui.”
 
 

Lexa voleva soltanto sprofondare in un abisso molto profondo. Le parole di Octavia risuonavano ancora nella sua mente, affilate come lame. Era un dolore insopportabile, che le schiacciava il petto, impedendole quasi di respirare.
 
 

“Senti Lexa lo so che sei arrabbiata ma devo davvero chiedertelo, pensi di tornare a lavoro? Ho bisogno..”
 
 

Lexa si alzò dal letto e aprì la porta con uno scatto, riservando alla cugina uno sguardo di fuoco “Davvero? Davvero mi stai chiedendo questo?”
 
 

Anya la guardò con espressione dispiaciuta “Lexa, non ho capito bene cosa sia successo, ma ti ho coperto finché ho potuto, non posso fare tutto da sola.”
 
 

Lexa sentiva la rabbia salire dentro di lei come un fiume in piena “E allora trovati qualcun altro, perché io non lo voglio il tuo lavoro di merda. Non l’ho mai voluto.”
 
 

Anya a quel punto la guardò stupita e, notò Lexa con una punta di rammarico, delusa “Ti ho dato il lavoro solo e soltanto per farti un favore. Non è colpa mia se da sola non riesci a guadagnarti da vivere, ingrata.”
 
 

“Ci sarei anche riuscita forse se non mi avessi costretta ad andare a quella dannatissima festa!” Lexa stava urlando, lo sapeva, eppure non riusciva a smettere.
 
 

“Mi vuoi dire cosa diavolo è successo? Non ho visto niente.”
 
 

“Non hai visto niente perché mi avevi lasciata sola per andare a farti l’ennesima ragazza senza curarti minimamente di me! Ho detto a Octavia che sono innamorata di lei, e lei ha detto che non vuole stare con me.”
 
 

Solo in quel momento si accorse di avere il volto rigato da lacrime, scese prima che le potesse fermare “E adesso sono punto e a capo. E fa schifo, fa tutto schifo. Avevo una cosa bella e sono riuscita a rovinare anche quella.”
 
 

Anya aveva smesso di agitarsi nel vederla così distrutta, e le andò vicino, circondandola con il braccio; Lexa la lasciò fare, si sentiva terribilmente stanca.
 
 

“E’ venuta tutti i giorni sai, a chiedere di te. Vuole parlarti…”
 
 

Lexa scosse la testa “Io non posso parlare con lei, non ci riesco. E non riesco nemmeno a tornare a lavoro. Devo andarmene da qui…”
 
 

Anya si staccò da lei per guardarla negli occhi “Sei sicura Lexa?”
 
 

Lei annuì “Non è il mio posto. Pensavo di sì, pensavo di averlo trovato, ma non c’è posto per me qui. Ed io devo andare via, ne ho bisogno.”
 
 

“Se pensi sia meglio così… Mi mancherai Lex…” Lexa l’abbracciò “Mi mancherai anche tu.”
 
 
*
 

Raven bussò alla porta della camera di Clarke per l’ennesima volta, cercando di catturare la sua attenzione
 
 

“Clarke per favore, è una cosa seria.”
 
 

“Vattene via Raven. Non ti voglio vedere.”
 
 

Octavia dall’altro lato della stanza guardava la scena incuriosita “Che cosa succede? Mi perdo una festa per andare da Lincoln e qui scoppia il finimondo?”
 
 

Raven la guardò con espressione desolata “Clarke è arrabbiata con me. Avevo invitato Anya e Lexa alla festa e le avevo promesso di non lasciarla sola con Lexa… Ma poi le cose tra me e Anya si sono fatte un pochino… spinte diciamo, e me ne sono dimenticata.”
 
 

Octavia alzò gli occhi al cielo “Raven! Possibile che pensi solo a te stessa? Cos’è successo poi?”
 
 

“Non lo so, non me lo vuole dire. So solo che a un certo punto è rientrata a casa in lacrime e Lexa era sparita.”
 
 

Il telefono di Raven iniziò a squillare e lei si allontanò per rispondere mentre Octavia si avvicinava alla porta di Clarke.
 
 

“Clarke, sono io. Posso entrare?”
 
 

Dopo qualche secondo di silenzio Octavia sentì la chiave girare nella serratura, e Clarke aprire lentamente la porta. Non aveva un bell’aspetto, doveva aver pianto, e i capelli biondi erano in completo disordine sulla sua testa.
 
 

“Clarke… cos’è successo?”
 
 

“Ho combinato un casino Octavia. Lexa mi ha baciata e io ho dato di matto, le ho detto che non potevamo stare insieme… penso di averle spezzato il cuore.”
 
 

Octavia la fissò per un attimo in silenzio “Clarke… lo pensi davvero?”
 
 

“Era distrutta, ho cercato di parlarle per scusarmi, ma non la trovo da nessuna parte…” “No intendevo, pensi davvero di non poter stare con lei?”
 
 

Clarke la guardò sorpresa “Tu me lo chiedi? Dopo tutti i tuoi discorsi sull’anima gemella…”
 
 

“Sono solo parole Clarke… Io ho trovato Lincoln, ma sono sicura che l’avrei amato indipendentemente dal suo nome. Se tu pensi di provare veramente qualcosa per questa ragazza, non dovrebbero esserci lettere che tengano. Tu vuoi stare con lei?”
 
 

Clarke ripensò a Lexa, al suo sorriso luminoso quando la vedeva entrare nel bar, alla sua gentilezza, alla passione che leggeva nei suoi occhi quando parlavano di poesia e letteratura, la rivide chiaramente davanti a lei mentre diceva che l’amava.
 
 

“Sì.”
 
 

Riuscì a dire solo quello.
 
 

“E allora vai a dirglielo Clarke.”
 
 

“Possibilmente nei prossimi minuti.”
 
 

Si girarono entrambe verso Raven, che era spuntata sulla porta “Anya mi ha appena chiamato e ha detto che Lexa sta andando via. Partirà tra poco.”
 
 

“Via? Via dove?”
 
 

Raven alzò le spalle “Non l’ha detto, ma sembra una cosa piuttosto definitiva.”
 
 

Clarke si alzò di scatto “Devo andare.”
 
 

Octavia si alzò dietro di lei “E noi veniamo con te.”
 
 
*
 
 
Clarke bussò ripetutamente sulla porta del bar prima che qualcuno venisse finalmente ad aprirle ma, sfortunatamente per lei, non era chi voleva.
 
 

“Cosa ci fai qui? Non pensi di aver già fatto abbastanza danni?” Anya la guardò in cagnesco, e Clarke abbassò gli occhi, il senso di colpa che si faceva largo nel suo cuore.
 
 

“Anya… piccola, non fare così.” Raven cercò di mettersi in mezzo ma Anya la fulminò con lo sguardo “Stanne fuori Raven, ed ero stata chiara, niente nomignoli davanti alle tue amiche.”
 
 

Raven arrossì leggermente e si fece da parte, lasciando Clarke da sola a fronteggiare Anya “Senti Anya, lo so che sono stata una stupida…”
 
 

“No, tu non ne hai idea. Ho capito che non sei l’anima gemella di Lexa, ma questo non ti dà il diritto di spezzarle il cuore. E’ a pezzi.”
 
 

Clarke scosse la testa “Anch’io Anya, anch’io sono distrutta. Lasciami solo parlare con lei, voglio sistemare le cose.”
 
 

“E come pensi di poterle sistemare? Hai per caso una bacchetta magica?” Anya scrollò le spalle, ma Clarke riuscì a capire che le sue parole stavano avendo effetto su di lei.
 
 

“Io amo Lexa.” Dirlo ad alta voce le fece più effetto di quanto non avesse immaginato; rimase per un attimo immobile, senza fiato. “E non m’interessa se le nostre lettere non coincidono. Voglio stare con lei. E tu devi lasciarmi passare perché non resisto un secondo di più senza dirglielo.”
 
 

Anya la guardò con stupore, prima che una piega amara le sfiorasse il viso “Bè è un peccato allora, perché è andata via quaranta minuti fa.”
 
 

“Andata via? Dove?”
 
 

“All’aeroporto. Il suo volo parte tra poco.”
 
 

Clarke rimase immobile per un attimo prima di capire cosa doveva fare “Non posso lasciarla andare via. Octavia posso prendere la tua macchina?” la ragazza accanto a lei annuì “Vengo con te.”
 
 

“Anche noi veniamo!” Raven circondò la vita di Anya con il braccio, spingendola fuori dal negozio.
 
 

“Va bene, va bene.” Anya alzò gli occhi al cielo mentre chiudeva a chiave la porta del bar e s’incamminò con loro prima di fermarsi di punto in bianco “Aspetta un momento… Tutte e due vi chiamate Octavia?”
 
 
*
 
 
“Quindi fammi capire bene… Tu ti chiami Clarke, ma quando vi siete incontrate hai detto a Lexa di scrivere Octavia sul tuo cappuccino perché era per lei e… da quel momento lei non ti ha mai nominata?”
 
 

Clarke scosse la testa, prendendo l’ennesima curva troppo veloce; se riusciva a non schiantarsi quel giorno avrebbe potuto intraprendere la carriera di pilota professionista.
 
 

“Non hai mai detto il mio nome… ed io non ci ho mai pensato. Che stupida.”
 
 

“Stupida è dire poco Griffin, è tipo la prima cosa da fare, la prima!”
 
 

“Si grazie Raven, ora me ne rendo conto.”
 
 

“E come se non bastasse…” Octavia strinse spasmodicamente il sedile della macchina mentre Clarke cambiava corsia senza prestare molta attenzione alle macchine intorno a lei “Lexa non ti ha mai detto che il suo vero nome è Alexandra, probabilmente perché non pensava che la cosa potesse cambiare i fatti.”
 
 

Anya sbuffò “Vedete, è per questo che odio la gente. Troppi casini.”
 
 

“Odi anche me?” Raven la guardò con un sorriso accattivante mentre con una mano le sistemava una ciocca di capelli, e Anya arrossì leggermente “Tu sei… tu sei passabile, suppongo.”
 
 

“Ragazze possiamo concentrarci per favore? Lexa non risponde al telefono?” Avevano provato a chiamarla in continuazione da quando erano partite. Anya provò ancora una volta, ma dopo qualche secondo chiuse il telefono e scosse la testa “Niente di niente, deve averlo spento.”
 
 

“Quanto tempo abbiamo ancora?” Clarke aveva il cuore in gola al solo pensiero di non farcela. Ora che sapeva che Lexa era la sua anima gemella non poteva resistere un minuto di più senza averla accanto. Doveva dirglielo, dirle che erano fatte per stare insieme, dirle che nonostante le sue paure,nel suo cuore l’aveva capito dal primo istante.
 
 

“Il volo di Lexa parte tra mezz’ora.” Anya guardò il traffico davanti a lei con espressione preoccupata “Dobbiamo sbrigarci.”
 
 

Clarke cambiò corsia bruscamente, scatenandosi contro l’ira degli altri guidatori e di Octavia che la guardava con espressione omicida “Sai che ci tengo a te Clarke, ma non sono disposta a morire per…”
 
 

“Shhhh”
 
 

Il coro delle voci di Clarke, Anya e Raven zittì per un attimo Octavia, che le fissò con espressione oltraggiata “La prossima volta prendete la macchina di qualcun’altro, ingrate!”
 
 
 
*
 
 
Lexa mostrò nuovamente il suo biglietto a una delle hostess che stava passando accanto a lei, osservandola distrattamente mentre etichettava il suo bagaglio. Era in fila da quelle che le sembravano ore, ma non si era mossa di un centimetro.
 
 

Era impaziente come non mai di salire su quel dannatissimo aereo e lasciarsi tutta quell’orribile vicenda alle spalle. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vederla, chiara come il momento in cui era davanti a lei, l’espressione addolorata di Octavia quando le aveva detto che l’amava.
 
 

Era stata solo una stupida a pensare che le cose potessero funzionare tra di loro, a pensare che quella ragazza potesse tenere tanto a lei da starci insieme nonostante tutto. Le ho detto che la amo, pensò, e non la conosco nemmeno da due mesi. Eppure Lexa sapeva, sentiva che c’era qualcosa di speciale tra loro.
 
 

Evidentemente per Octavia non era così.
 
 

E il solo pensiero le schiacciava il cuore, le impediva il respiro, le offuscava la vista. Nonostante la scelta improvvisa, Lexa sapeva che andarsene era la cosa migliore. L’unico modo per far scomparire il dolore era rinchiudere i suoi sentimenti in un angolo della sua mente, e andare avanti; non aveva altra scelta.
 
 

Davanti a lei, la fila cominciò lentamente a muoversi.
 
 
*
 
 

Clarke parcheggiò malamente in doppia fila davanti all’ingresso dell’aeroporto, togliendosi la cintura con mani tremanti e precipitandosi all’interno, seguita da Raven, Anya e Octavia, che si lamentava mestamente di come le avrebbero portato via la macchina.
 
 

“Qui dice che stanno chiudendo il gate. Sono in ritardo, forse siamo ancora in tempo.” Clarke guardò Anya per un attimo, senza sapere bene cosa fare “Andiamo a prenderti un biglietto.”
 
 

“Un biglietto? Anya sei impazzita? Sono sicura che Clarke potrà raggiungere Lexa più tardi…” Anya scosse la testa “Il problema è che non ho idea di dove Lexa stia andando. Il volo è diretto a New York, ma lei ha detto che poi voleva andare in Europa, a visitare nuovi luoghi, trovare se stessa e cazzate simili. Non mi ha lasciato nessun itinerario.”
 
 

Octavia si zittì allora e lo sguardo di Clarke si fece più risoluto che mai “Devo salire su quell’aereo.”
 
 

L’hostess sorrise quando le quattro ragazze le chiesero in coro un biglietto per il prossimo volo per New York.
 
 

“Intendete quello delle sedici, vero?”
 
 

Clarke scosse la testa, esasperata “Quello che parte tra quindici minuti.” Il sorriso della donna vacillò per un secondo.
 
 

“Non si può mi dispiace, è troppo tardi. Non c’è il tempo di passare il bagaglio e…”
 
 

“Non ho nessun bagaglio.” Clarke respirò profondamente “Senta, io devo salire su quell’aereo. E’ una questione della massima importanza. Lei mi dia un biglietto, di qualsiasi tipo, al resto ci penso io.”
 
 

La donna davanti a lei esitò ancora solo per un secondo prima di digitare qualcosa sul computer “E’ rimasto solo un biglietto di prima classe.”
 
 

Anya dietro di lei sbuffò “Ovviamente.” Allungò la carta di credito e guardò Clarke con uno sguardo di fuoco “Ti conviene muoverti principessa, vai a prenderti la tua ragazza.”
 
 
*
 
 

Lexa cercò di sistemarsi al meglio nello stretto sedile, le lunghe gambe che si rifiutavano di accavallarsi nel minuscolo spazio davanti a lei. Ci stavano mettendo davvero troppo, troppo tempo per decollare.
 
 

Prima avevano avuto dei problemi con i bagagli, poi c’era stato un disguido con i posti, e quando finalmente Lexa aveva pensato che la sfortuna avesse smesso di perseguitarla, si era rotta la scala per l’ingresso dei passeggeri e avevano dovuto cambiarla.
 
 

Il risultato era che il volo era terribilmente in ritardo e lei aveva già letto metà del libro che doveva bastarle per tutto il volo; non aveva nessuna voglia di restare sola con i suoi pensieri. Avrebbe scritto una mail per protestare, quello era sicuro.
 
 

Pensò al futuro incerto che l’aspettava, alla vita da nomade che aveva deciso di intraprendere nei prossimi mesi, in cerca di qualcosa che temeva di aver già trovato e perso nel soffio di un momento. Non pensava di poterci riuscire di nuovo. Sperò almeno che il cambio di ambiente le potesse servire per trovare nuove idee per il suo libro, perché era nuovamente a un punto morto.
 
 

Il suono trillante degli annunci catturò la sua attenzione, strappandola dai suoi pensieri e lei non poté che essergliene grata.
 
 

“Signori e signore, ci scusiamo per il ritardo. Il volo dovrebbe partire tra dieci minuti.” Lexa emise un sospiro di sollievo e si allacciò la cintura, cercando di ignorare il pensiero di Octavia che le tornava sempre alla mente, bellissimo e doloroso come nulla lo era mai stato in vita sua.
 
*
 
 
Clarke arrivò alla porta dell’aereo con il fiatone, le gambe in fiamme e il biglietto stretto spasmodicamente nella mano.
 
 

Una giovane ragazza nell’uniforme della compagnia aerea si fece avanti e allungò la mano con un sorriso, e Clarke lasciò cadere il biglietto con un sospiro, era arrivata in tempo.
 
 

“Molto bene Miss Griffin, sono Niylah e sarò la sua assistente di volo per questo viaggio; l’accompagno al suo posto.”
 
 

“Aspetti!” Clarke riprese fiato per un momento prima di parlare “Non voglio sedermi.” Niylah guardò confusa “Tutti i passeggeri devono sedersi durante il decollo, poi se vuole è libera di…”
 
 

Clarke scosse la testa “Scusi io non voglio prendere questo volo.” La ragazza aprì la bocca, leggermente confusa, ma Clarke parlò prima che potesse dirle niente “C’è una ragazza in quest’aereo, ed io devo trovarla e devo portarla a casa con me. Perché lei è la mia anima gemella e non lo sa. Non posso lasciarla partire, la prego, mi aiuti.”
 
 

Gli occhi di Niylah si spalancarono per un momento “Diavolo, non pensavo che mi sarebbe capitata una scena come quelle dei film. E questa è solo la mia prima settimana!”
 
 

Clarke si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo, stavano perdendo tempo “Allora Niylah, puoi aiutarmi?”
 
 

La ragazza annuì “Certo! Non posso lasciarmi sfuggire quest’occasione. Ma c’è un problema, l’aereo è decisamente troppo grande per controllarlo tutto adesso. Stiamo per partire.”
 
 

Clarke scosse la testa, era così vicina.
 
 

“Ma forse ho un’altra idea.”
 
*
 
 
Lexa era immersa nella lettura quando sentì nuovamente il trillo degli avvisi, e sperò che fosse la volta buona: dovevano essere in partenza.
 
 

“Gentili passeggeri, scusate l’interruzione, partiremo a breve. Ma prima c’è una ragazza che deve fare un annuncio molto importante.”
 
 

Lexa chiuse gli occhi, esasperata. A quale assurda persona poteva venire in mente di fare un annuncio importante in un aereo pronto al decollo? Doveva essere un’elaborata proposta di matrimonio o qualcosa di mielosamente simile, e lei non era davvero dell’umore per una cosa del genere.
 
 

“Lexa.”
 
 

La voce rimbombò per tutto l’aereo, e per un attimo il cuore di Lexa sembrò perdere un battito; lei conosceva quella voce, la conosceva perfettamente.
 
 

“Lo so che probabilmente odi queste cose così teatrali. Ma non avevo davvero altra scelta. Perché io… io non posso lasciarti andare via.”
 
 

La voce di Octavia era tremante, impacciata, ma Lexa poteva sentire la convinzione che si nascondeva ogni parola.
 
 

“Non puoi andare via perché non mi hai lasciato dirti quanto mi dispiace per come ti ho trattata l’altra sera, perché non mi hai lasciato spiegare quanta paura avevo addosso quando mi hai detto che mi ami… e non mi hai lasciato dirti quanta gioia ho provato nello stesso momento. Era l’unica cosa che volevo sentire, ma allo stesso tempo era l’unica cosa che poteva farmi scappare così come ho fatto. Non puoi andare via perché non ti ho ancora detto quello per cui sono andata al bar di Anya questa mattina, per dirti che avevi ragione, che non m’importa se non siamo anime gemelle, perché ti amo lo stesso anch’io, perché ero sicura che nessuna stupida lettera poteva mettersi tra di noi.”
 
 

Lexa, immobile come una statua, lasciò andare il singhiozzo che aveva tenuto dentro da quella sera, un misto di emozioni che si faceva strada nel suo cuore, lasciandola confusa come non mai.
 
 

“Non puoi andare via perché ho deciso di fare il mio destino, come diceva Baudelaire, e non sto più fuggendo, ma sono corsa qui, da te. E ti sto chiedendo di fare lo stesso, Lexa. Perché non puoi andare via, prima che io mi sia presentata, perché, dannazione, non l’ho mai fatto. Il mio nome non è Octavia, ma Clarke.”
 
 

Lexa lasciò scivolare il libro che teneva in mano, mentre dentro di lei sentiva qualcosa tornare esattamente al suo posto; ora tutto aveva un senso, ed era così splendido da toglierle il fiato.
 
 

“Mi chiamo Clarke Griffin e sono la tua anima gemella, so di esserlo. Quindi per favore, scendi da questo aereo e vieni da me, perché ho bisogno di te. Perché voglio stare con te, ogni giorno, voglio leggerti poesie, voglio farti sorridere e farti un ritratto e… voglio tutto Lexa. Voglio te.”
 
 

Clarke fece appena in tempo a finire la frase prima che Lexa la raggiungesse di corsa, stringendola in un abbraccio che esprimeva tutto quello che non erano ancora riuscite a dirsi.
 
 

Lexa la strinse a sé con tutta la forza che aveva, e Clarke si sciolse nel suo abbraccio, mentre la tensione che aveva provato per tutto quel tempo si spezzava, cadendo a terra con le lacrime che sentiva rigarle il volto.
 
 

Lexa si staccò da lei e la guardò negli occhi, asciugandole le lacrime con la punta delle dita, accarezzandole il viso dolcemente “Clarke…” disse con un sorriso pieno di gioia, e lei non riuscì a non amare il modo in cui lei pronunciava il suo nome, il modo in cui le sue labbra si piegavano mentre lo diceva.
 
 

Si sporse in avanti e la baciò, accarezzandole i capelli e stringendola a sé; ora che l’aveva ritrovata non voleva più lasciarla andare.
 
 

“Ehm… scusatemi…” Niylah tossì con imbarazzo, e solo in quel momento Clarke si ricordò che erano ancora nell’aereo, davanti a tutti i passeggeri “Siete davvero bellissime, ma se non volete venire con noi a New York, vi conviene scendere.”
 
 

Clarke sorrise e si girò ad abbracciare Niylah “Non so davvero come ringraziarti.”
 
 

La ragazza sorrise “Invitatemi al vostro matrimonio!”
 
 

Entrambe arrossirono e quando Lexa le porse la mano Clarke la stinse con la sua senza pensarci un secondo, e insieme uscirono dall’aereo mentre quasi tutti i passeggeri applaudivano.
 
 

“Sembra che tu abbia fatto davvero una bella impressione…” Clarke le sorrise “Anche tu non sei male…”
 
 

Lexa si avvicinò di nuovo per baciarla, ma Clarke si fermò a qualche centimetro dalle sue labbra, sorridendo come una bambina “Alexandra…” Lexa rise “Mi è sempre sembrato troppo elegante per una cameriera, lo riservavo per i miei futuri libri.”
 
 

“Come dovrei chiamarti io allora?” Lexa si avvicinò ancora di più, cingendole la vita con il braccio, annullando ogni distanza tra loro “Chiamami come vuoi, è tutto splendido quando esce dalle tue labbra.”
 
 

Clarke arrossì e appoggiò delicatamente le sue labbra a quelle di Lexa, incapace di aspettare ancora.
 
 

“Clarke!”
 
 

Entrambe sobbalzarono nel vedere Anya, Raven e Octavia che le guardavano da poco distante, tutte sorridenti tranne che per quest’ultima, che le osservava a braccia conserte “Andiamo, potete baciarvi dopo, sono sicura che mi stanno portando via la macchina!”
 
 

Lexa guardò Clarke confusa “Chi è lei?”
 
 

Clarke rise “Quella è Octavia…”
 
 

Lexa aprì leggermente le labbra, sorpresa “Capisco… E Anya, cosa ci fa qui?”
 
 

“Mi ha detto lei che eri qui… e ha pagato il mio biglietto.”
 
 

“Che Lexa mi ripagherà lavorando gratis!” Anya sorrise e alzò il pollice in segno di vittoria verso la cugina, evidentemente sollevata nel vederla ancora lì.
 
 

“Forse è meglio se andiamo… Abbiamo tutto il tempo adesso di parlare.”
 
 

Lexa annuì, mentre si avvicinavano alle altre mano nella mano e sorrise alla splendida ragazza che aveva accanto, il suo destino, incapace di spiegarsi la gioia che provava nel suo cuore; alla fine, quella storia dell’anima gemella così assurda era successa proprio a lei.










(PS: lo sapete che mi piacciono i PS... Probabilmente scriverò un piccolo epilogo, perché questo universo mi piace troppo!)

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