Victoria Cross

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


VICTORIA CROSS




Abu Klea, Sudan, 17 gennaio 1885. Ore 09,30.

La Gardner si è inceppata di nuovo. Dannato aggeggio, non vuol saperne di funzionare.
Se ne sta lì sul suo affusto, sfacciatamente lucida sotto il sole cocente, come una specie di principessa viziata.
I suoi serventi, marinai della HMS Alexandra, si danno da fare come matti per convincerla a ripartire, ma con tutta la polvere che c’è in giro sarebbe come avere la pretesa di persuadere un gatto a farsi una nuotata in un fiume.
Tutt’intorno c’è l’inferno.
Un groviglio rabbioso di uomini e bestie, pallottole che fischiano, urla, nitriti, fumo, detonazioni. Ufficiali che gridano ordini, il fanatico acclamare di dervisci spiritati.
Allahu àkbar!
Giubbe color kaki, tuniche bianche, bandiere nere e naturalmente ovunque il rosso del sangue.
Momentaneamente disarmati, i marinai dell’Alexandra vengono attaccati con violenza. Uno sciame di mahdisti armati di lance e pugnali piomba su di loro, schizzi vermigli imbrattano la neghittosa principessa, che ancora non si decide a rientrare in funzione.

Il tenente Grosvenor assiste alla scena dall’alto del proprio cammello.
Smonta dalla cavalcatura, per prima cosa. È un fuciliere, e quelle bestie dinoccolate e imprevedibili non gli hanno mai dato un grande affidamento. Si trova maggiormente a suo agio col terreno solido sotto i piedi.
Si guarda rapidamente intorno, adocchia un gruppo di scozzesi della Black Watch. Li chiama e si dirige di corsa verso gli ormai esausti marinai.
Lo scontro è furioso. Il tenente ha la rivoltella d’ordinanza, ma strada facendo ha raccolto anche un moschetto con la baionetta inastata e dopo aver scaricato la pistola assalta i nemici all'arma bianca.
Quello che segue è solo un magma di sensazioni a tratti confuse e a tratti spaventosamente vivide.
Un servente si accascia a terra con la gola squarciata, roche urla di guerra, due dervisci gli si scagliano contro brandendo micidiali scimitarre. Para, scivola, c'è sangue dappertutto. Si rialza, un uomo dagli occhi di folle gli si avventa addosso. Cadono, corpo a corpo violento, il tenente riesce a rotolare via, la polvere imbevuta di sangue è una fanghiglia fetida che prende alla gola.
Si rialza, ha ancora il moschetto. Si terge il sudore dal viso, para un colpo quasi d'istinto, replica con un affondo.
La principessa nel frattempo si è decisa a funzionare di nuovo.
Il tenente sorride, abbassa il fucile, vede che si sta avvicinando di gran carriera il capitano Lewis. Brav'uomo Lewis.
Tutto a posto, i serventi sono salvi.
Il colpo alla spalla sulle prime sembra solo un pugno particolarmente forte. Lo fa barcollare all'indietro alla ricerca di equilibrio. Non sente dolore.
“Santo cielo, tenente!” esclama Lewis precipitandosi verso di lui.
All'inizio Grosvenor non capisce cos'abbia il suo superiore da urlare tanto, poi abbassa gli occhi e si accorge di avere la spalla destra trapassata da una lancia.
Riesce addirittura a stirare le labbra in un sorriso stentato, come se in definitiva si trattasse solo di uno scherzo estremamente originale.
Un rivolo di sangue gli scende da un angolo della bocca.
“Signore, credo di avere un problemino...” dice faticosamente. E si accascia al suolo.

§

Il colonnello Turner alza gli occhi dal documento che ha appena terminato di leggere e rivolge al capitano Lewis uno sguardo a metà fra l’incredulità e lo sdegno.
“State scherzando per caso?” gli chiede con voce tagliente.
“No, signore.”
“Quindi devo dedurre che avete seriamente proposto il tenente Grosvenor per la Victoria Cross?”
“Sì, signore.”
Alcuni secondi di silenzio, sembra che il colonnello semplicemente non si capaciti di quanto ha appena udito.
“E come avete maturato questa vostra decisione, se posso chiedere?” domanda poi in tono sarcastico.
Senza lasciarsi smontare, il capitano risponde: “Signore, il tenente Grosvenor è un eroe.”
“Nientemeno!” Manca poco che Turner scoppi a ridere.
“Signor colonnello, Grosvenor ha impedito che la mitragliatrice Gardner cadesse in mani nemiche e ha reso possibile il salvataggio della maggior parte dei suoi serventi. Nel corso dell'azione è rimasto gravemente ferito.”
L'altro continua a fissarlo scettico.
“Come vedete, i criteri per il conferimento di una Victoria Cross ci sono tutti,” aggiunge Lewis. Poi compuntamente recita: “cospicuo coraggio o audacia, o importanti atti di valore o auto-sacrificio, o estrema devozione al dovere in presenza del nemico.”
Il colonnello fa un sospiro infastidito. “Il vostro tenente Grosvenor, che voi definite eroe, non è altro che un cialtrone debosciato. È un insolente e uno spaccone, non sa stare al suo posto, non ha alcun senso della disciplina né rispetto per l'uniforme che porta. Conferire una decorazione come la Victoria Cross a un elemento del genere sarebbe il peggiore esempio che potremmo dare alle truppe.”
“Signore, il tenente Grosvenor merita quella decorazione,” risponde caparbio il capitano.
“L'unica cosa che Grosvenor merita è di essere radiato dall'Esercito.”

§

L'ospedale da campo è un gruppo di capanne di terra e paglia ombreggiato da qualche palma e circondato da una zeriba. Il posto è piuttosto lontano dall'essere confortevole, ma i dintorni sono troppo pericolosi per spedire una carovana di feriti a Suakin o in altri centri più attrezzati.
È il dottor Owen, il capitano medico, che si occupa delle cure assieme ai suoi assistenti. Ha ricavato una sorta di sala operatoria e un'infermeria nella più grande delle capanne e usa le altre come luogo di degenza per i pazienti.
Eldred Grosvenor è da solo, non si sa se per riguardo al suo blasone, dal momento che è pur sempre un nobile, o per evitare la sua nefasta influenza sugli altri feriti. La capanna dov'è sistemato è un po' isolata, anzi, ed è dotata di una specie di tettoia di foglie di palma che la rende leggermente meno torrida delle altre.
È sdraiato su una branda militare, qualcuno gli ha premurosamente sistemato un paio di cuscini dietro la schiena per consentirgli di leggere, e infatti il tenente ha un libro aperto in mano.
Lewis si ferma a guardarlo qualche secondo prima di dar segno di sé.
Un bel ragazzo dall'aria spavalda, con occhi di un azzurro indubbiamente particolare e il profilo di un cammeo classico.
Si chiede se sia vero quello che alcuni dicono di lui, ovvero che non gli piacciono le ragazze, per usare un eufemismo.
“Salve, tenente,” lo saluta.
Grosvenor si volta, gli sorride. “Capitano Lewis! Scusate se non mi alzo per accogliervi come si conviene, ma al momento temo di essere impossibilitato.”
Accenna al bendaggio che gli immobilizza la spalla destra quasi con noncuranza, come se si stesse scusando perché un precedente impegno gli impedisce di prendere parte a una partita di bridge.
“Non datevi pena, tenente,” risponde il capitano sedendosi su uno sgabello lì vicino. “Come vi sentite, piuttosto?
“Benissimo, signore.”
Il capitano fa una certa fatica a capire come sia possibile sentirsi benissimo in una capanna di fango in cui regna un caldo soffocante, con un buco largo un pollice in una spalla e due galloni di sangue in meno, tuttavia non indaga.
“Ve la sentite di parlare un po'?” gli chiede.
“Ne sarei felice, signore. Qui ho davvero poche distrazioni.”
“Parlare della battaglia, intendo.”
“Certo, perché no? Per caso il signor colonnello sta cercando di scoprire se mi sono nascosto da qualche parte e incidentalmente sono inciampato su una lancia mahdista?”
Rivolge al capitano uno sguardo di vaga complicità, come per dire: io e voi lo sappiamo com'è fatto, vero?
Lewis non può fare a meno di sorridere. “A dire la verità la faccenda interessa a me, tenente. Come siete finito nel British Camel Corps, per esempio?”
“Intendete il Circo del Nilo? Un grande colpo di fortuna del mio precedente comandante, il colonnello Davis. Quando ha scoperto che tutta l'alta società di Londra stava facendo carte false per entrare nel reparto, si è improvvisamente ricordato delle mie ascendenze aristocratiche e non gli è parso vero di rifilarmi al colonnello Turner montato su un bel dromedario.”
Fa una breve pausa e sorridendo con aria vagamente sorniona aggiunge: “Gli ha fatto una bella sorpresina, non credete?”
“So che avete cambiato molti reparti,” dice Lewis evitando diplomaticamente di rispondere.
“Di continuo, signore. Sembra che i miei comandanti non gradiscano certe mie innocenti e del tutto inoffensive stravaganze.”
Il capitano rimane di nuovo in silenzio. La lista delle punizioni di Grosvenor, arrivata insieme alle sue note caratteristiche, è un tomo che sembra il Libro di Kells.
“I duelli, per esempio?”
“Un gentiluomo avrà pure il diritto di difendere il proprio onore, no?”
Come sempre la risposta è tra il serio e il faceto. Non si capisce se il tenente sia davvero convinto di ciò che dice o se stia solo bonariamente prendendo in giro il suo superiore.
“E dite...” ancora una volta Lewis ritiene più saggio cambiare discorso, “vi dà molta noia la vostra ferita?”
“Beh, se non altro posso ritenermi fortunato. Almeno non sono stato ferito a El Teb.”
Il capitano sa a cosa alluda il suo subalterno: durante quella battaglia i mahdisti hanno ucciso tutti i feriti inglesi che non erano stati immediatamente tratti in salvo.
“Avete combattuto anche lì, tenente?”
“Sì, signore.”
“Anche a Tamai?”
“Sì.”
“Perbacco, tenente, siete stato in parecchie battaglie.”
“Ritengo che sia un’attività consona ad un militare, signore. Del resto i circoli ufficiali da queste parti sono talmente deprimenti che ci si risolve ad affrontare i mahdisti anche solo per disperazione.”
L’impertinente battuta, che avrebbe senz’altro mandato in bestia il colonnello Turner, strappa invece un sorriso divertito al capitano Lewis. Se quel Grosvenor finirà mai all’inferno, la prima cosa che farà sarà prendere in giro il diavolo. E la seconda andare in cerca di qualcosa da bere.
“Dov’eravate prima di finire qui in Sudan, tenente?”
Grosvenor sorride. “In luoghi quanto mai vari e pittoreschi, signore. La mia prima assegnazione è stata Colonia del Capo, nel 1882.”
“Buon Dio! Cos’avevate combinato di così orribile per finire in quel posto disgraziato?”
“In quell’occasione niente, signore. L’ho chiesta io.”
“Voi?”
“Sì. Diciamo che volevo mettere un paio di continenti fra me e la mia famiglia.”
Lewis lo guarda stupito. “Io… temo di non capire.”
“Non ci amiamo particolarmente,” risponde Grosvenor con la sua solita aria noncurante.
“Mi spiace, tenente.”
“Ci sono guai peggiori,” replica il giovane con filosofia. Sorride al capitano. “Per esempio qui in Sudan non c’è verso di trovare un gin tonic accettabile. Questa sì che è un’autentica tragedia.”
Il capitano sta per rispondere quando si affaccia alla porta l’ufficiale medico dicendo: “Per oggi basta con le visite. Il tenente Grosvenor deve riposare.”
Lewis si alza obbediente.
“Peccato,” sospira il giovane. “Tornerete a trovarmi, signore?”
“Certo, volentieri,” gli assicura il capitano con calore, poi prende commiato. Mentre si allontana capta lo svolgersi del seguente dialogo:
Tenente, è l’ora della vostra medicina.”
Oh, no. Di nuovo?”
La dovete prendere tre volte al giorno se volete rimettervi in fretta.”
Ma è orrenda! Non la si potrebbe almeno sciogliere in un bicchiere di Brandy?”
Tenente!”
Chiedevo.”
Se ne va sorridendo fra sé e sé.

§

I marinai se ne stanno per conto loro. Ufficialmente con la scusa di occuparsi della Gardner, ovvero la loro beneamata quanto neghittosa principessa, in realtà perché nel bel mezzo di un deserto non si sentono per niente a loro agio.
Nella moltitudine in kaki e grigio che li attornia le loro casacche bianche appaiono in effetti grottescamente fuori posto.
“Signor Larkin, avrei bisogno di farvi qualche domanda” dice il capitano Lewis avvicinandosi al nostromo dell’Alexandra.
Il sottufficiale abbandona ciò che stava facendo e si mette sull’attenti. “Aye aye, sir!” esclama secondo l’usanza della marina.
“Cosa ricordate della battaglia, nostromo?”
A giudicare dall'espressione del marinaio, la domanda conferma in pieno il suo sospetto che i terrazzani siano gente decisamente strana, tuttavia prontamente risponde: “Ogni dannata cosa, con rispetto parlando, signore!”
“Potreste raccontarmi cos'è successo quando si è inceppata la Gardner, per favore?”
A quelle parole il nostromo si rabbuia, probabilmente pensa che le domande abbiano a che fare con un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità nell'incidente.
“Niente di ufficiale,” si affretta allora a chiarire il capitano, “Ho solo bisogno di sapere come sono andate le cose esattamente.”
L’espressione franca di Lewis evidentemente convince il signor Larkin che non ci sono tiri mancini in agguato, per cui l’uomo prende a narrare coloritamente l’episodio:
“Ebbene, signore, ci siamo io e i miei uomini a riva, voglio dire sulla cima di quella collinetta laggiù. Abbiamo il nostro bel tubo da stufa, lucido come alla rivista della domenica mattina, e aspettiamo quella banda di gran figli di buona donna pronti a scaricargli addosso le nostre bordate, per così dire.
Quando comincia la buriana, per un po’ ci diamo da fare come matti, consumando pallottole come alla notte di Guy Fawkes, poi ad un certo punto il nostro macinino si pianta. Niente, nemmeno più un colpo. Non che gli si possa dare torto, con tutta quella sabbia in giro si sarebbe inceppato anche un cannone prodiero dell’Alexandra, ma la bambina è troppo bollente per metterci le mani sopra. Come certe ragazze di Suakin, con rispetto parlando. A quei dervisci dannati non gli pare vero e ne approfittano per saltarci addosso a prua e a poppa. Da tutte le parti, volevo dire,” precisa notando l’espressione perplessa del capitano.
“E poi cos’è successo, nostromo?” chiede Lewis.
“Beh, signore, siamo lì che stiamo dicendo le ultime preghiere, non so se mi spiego, quando vediamo questo tenente che si avvicina a tutto vapore a bordo di un cammello. Salta giù con la pistola in mano e chiama degli scozzesi che sono lì in giro. Quella è gente che non ha paura di nulla, ve lo dico io, signore. Quasi come i marinai. Hanno la gonnella, ma diavolo se picchiano!”
“Andate avanti, signor Larkin, prego. Cos’ha fatto il tenente?”
“Un demonio dell’inferno, signore! Avrebbe fatto paura anche a Satana in persona, parola mia d’onore. Scarica la pistola sulla massa di leccapalle fottuti, poi raccoglie da terra un moschetto con la baionetta inastata e quanto è vero Dio li carica all’arma bianca! Campassi mille anni, non vedrò mai più una scena del genere.”
“Avete avuto l’impressione che quel tenente fosse un vile?”
Il nostromo trasecola. “Vile? Un coraggio del diavolo, signore! E sono pronto a prendere a pugni chiunque osi sostenere il contrario!”
Lewis ha un vago sorriso al pensiero del rissoso nostromo che fa a cazzotti con il colonnello Turner.
“Secondo voi agiva per secondi fini?”
“I fini non li so, signore. So soltanto che se adesso io e voi stiamo parlando lo devo a quell'ufficiale.”
“Sareste disposto a mettere per iscritto quello che mi avete raccontato, nostromo?”
“Si capisce! Questa qui è tutta sacrosanta verità peggio della dannatissima bibbia del reverendo, signore!”

§

“Capitano, questa vostra iniziativa sta cominciando a diventare decisamente fastidiosa,” dice il colonnello Turner.
Ha davanti a sé la deposizione del nostromo Alfred Larkin, e seppure con qualche fatica per il linguaggio non esattamente convenzionale, ha appena terminato di leggerla.
“Signore, non vi farebbe piacere che un vostro ufficiale venisse insignito della Victoria Cross?”
“Tanto per cominciare, quello non è un mio ufficiale,” dice schifato il colonnello. “È uno scarto del colonnello Davis, che il diavolo se lo porti. Garantito che la prossima volta mi informerò meglio quando mi parlerà di un brillante giovane ufficiale proveniente dalla migliore società di Londra.”
“Se posso esprimere un parere, signore, mi sembra una descrizione abbastanza obiettiva del tenente Grosvenor.”
Il colonnello sbuffa. Quel vecchio filibustiere di Davis si era comportato esattamente come un sensale di cavalli che deve vendere un brocco: gli aveva nascosto accuratamente tutti i numerosi difetti dell'esemplare e si era inventato dei pregi inesistenti per convincerlo ad accollarselo.
“Quello è uno scapestrato senza principi morali, altro che brillante giovane ufficiale,” brontola Turner risentito.
“In battaglia ha avuto una condotta decisamente eroica, signore,” insiste imperterrito il capitano Lewis.
“Sarà stato un caso.”
Il capitano tace.
Sotto lo sguardo di muta riprovazione del suo subalterno, il colonnello Turner si sente in dovere di portare ulteriori elementi in favore della sua tesi. Va ad uno schedario ed estrae il famoso Libro di Kells delle punizioni di Grosvenor.
Lo apre a caso.
“Colonia del Capo,” legge, “8 novembre 1882. In un locale denominato La sirena ubriaca situato a Cape Town nei pressi del porto l'allora sottotenente Eldred Frederick Grosvenor, Visconte di Belgrave, attacca briga con un gruppo di Royal Marines sostenendo, testuali parole, che si spacciano per fucilieri ma non sanno neppure trovarsi il buco del culo con due mani. Un linguaggio decisamente consono ad un ufficiale e ad un aristocratico, direi. Naturalmente risulta essere in stato di grave ebbrezza etilica. Viene arrestato da una pattuglia della polizia militare e trascorre il resto della notte in cella.”
Lewis si stringe nelle spalle.
Turner gli rivolge un'occhiata in tralice, sfoglia il Libro di Kells e spietatamente prosegue: “Colonia del Capo, 27 novembre 1882. Il sottotenente Grosvenor si presenta all'adunata in costume locale. Sostiene di non sapere dove sia la sua uniforme. La stessa viene ritrovata alcuni giorni dopo tra gli effetti personali di un oste di dubbia reputazione che gestisce la sua mescita in un sobborgo di Cape Town. L'oste in questione, un indigeno che risponde al nome di Nkosana Mbali, riferisce che l'uniforme gli è stata offerta in pagamento di svariate bevande alcoliche che sono state consumate dal tenente e da un gruppo misto di civili e militari impegnati in una gara di braccio di ferro.”
La vicenda è così comica che a Lewis viene spontaneo sorridere.
“Capitano, il vostro entusiasmo mi pare del tutto fuori luogo,” lo ammonisce Turner con voce tagliente.
“Scusate, signore.”
“Volete sentire altro?” chiede il colonnello. Poi senza attendere risposta sfoglia qualche altra pagina e legge: “Lagos, 15 gennaio 1883. Invitato con alcuni colleghi ad una cena presso l'abitazione di un delegato della Royal Niger Company, il ventenne sottotenente Grosvenor sfida a duello il quarantacinquenne fratello del suo ospite per una non meglio specificata questione di onore. Lo scontro si svolge la sera stessa e termina con entrambi i contendenti feriti, tra scene di panico delle signore presenti e imbarazzo dei colleghi di Grosvenor.”
Nuovo fruscio di pagine.
“Il 5 luglio 1883, a Calcutta, il tenente Grosvenor nasconde un giovane esemplare di tigre del Bengala nello studio del suo comandante. L'animale, che pesa circa duecento libbre, per prima cosa divora l’amatissimo Fox Terrier e i due gatti siamesi dell'ufficiale, quindi sfonda la finestra, balza in strada e fugge per la città seminando il panico tra i civili. In stato di ebbrezza etilica, il tenente non è in grado di motivare le proprie azioni in maniera coerente.”
Il colonnello chiude il fascicolo con un gesto secco che quasi fa sobbalzare Lewis. “Questo è il vostro eroe,” dice con una sfumatura di disprezzo nella voce. “Un cialtrone vanaglorioso e debosciato. Potrei leggervi decine di episodi del genere. Risse, duelli, atti di insubordinazione, insolenze, provocazioni fini a se stesse. Nell'arco di due anni è stato a Città del Capo, a Lagos, a Calcutta, a Galle e a Hong Kong. Vi siete domandato come mai abbia cambiato tante destinazioni in così poco tempo?”
Il capitano non risponde, il motivo è fin troppo evidente. Tutti trasferimenti punitivi.
“Davis ci aveva già provato una volta a disfarsene,” prosegue Turner. “Dopo la battaglia di Tamai l'ha trasferito ad Aden. All'inizio il comandante della guarnigione se l'è preso, là ci sono i pirati e un ufficiale in più fa sempre comodo. Nel breve volgere di tre mesi l'ha rispedito al mittente, pirati o non pirati.”
Il Libro di Kells viene allontanato con vago disgusto.
“Questo è il personaggio di cui stiamo parlando, capitano Lewis,” dice Turner fissando il subalterno negli occhi, “un bellimbusto borioso e depravato convinto che le Forze Armate siano il suo parco giochi personale. Premiare con una decorazione questo individuo equivarrebbe ad insultare tutti i bravi soldati del Regno che invece fanno il loro dovere con disciplina e dedizione.”

§

Il sole picchia.
Sotto il casco coloniale di sughero, al capitano Lewis sembra di avere una fornace al posto della testa.
Chi è dunque Eldred Grosvenor? Un combattente feroce animato da un coraggio che va ben oltre l'incoscienza? Uno scanzonato e simpatico giovane ufficiale? Un arrogante figlio di papà che pensa di potersi far beffe di regole e convenzioni a suo piacimento?
L'ha visto coi suoi occhi rischiare la vita per salvare i marinai dell'Alexandra. Gli ha parlato, traendone l'impressione di un giovane cortese, dalla conversazione gradevole e spiritosa.
Ma c'è il Libro di Kells.
In tutta la sua carriera non gli era mai capitato di vedere una sfilza di punizioni come quella. Anzi, non pensava nemmeno che fosse umanamente possibile collezionarla, prima di imbattersi nel tenente Grosvenor.
Così ragionando arriva all'ospedale del dottor Owen.
Il luogo gli pare ancora più inospitale della volta precedente, più caldo e con più nugoli di mosche.
“Capitano Lewis!” lo accoglie il tenente, placido come se fosse sdraiato sulla sua chaise longue in una spiaggia della Costa Azzurra.
Contro la zanzariera della finestra ronza un compendio di entomologia. L’aria torrida che proviene dalla piccola apertura dà l’impressione di trovarsi davanti alla bocca di un forno.
“Scusate se neppure stavolta mi alzo per accogliervi,” prosegue il giovane ufficiale con il consueto tono scanzonato, “ma temo che se ci provassi mi affloscerei al suolo in maniera indegna di un militare.”
Lewis constata che in effetti nonostante la leggerezza con cui gli si è rivolto il tenente ha l’aria piuttosto provata. La ferita deve dargli parecchio fastidio.
“Non sentite il caldo?” gli chiede sedendosi sul solito sgabello.
“Il segreto è non farci caso, signore. Se a Calcutta non avessi fatto così penso che sarei impazzito. Un caldo spaventoso, faceva sembrare gradevole persino il clima di Colonia del Capo.”
“A proposito di Calcutta,” Lewis si schiarisce la voce con fare imbarazzato, “che mi dite della storia della tigre, tenente?”
“Oh, la tigre.” Grosvenor assume l’espressione di chi si aspettava una stretta di mano e invece ha ricevuto uno schiaffo. “Il colonnello vi ha detto di Big Joe, vero?”
“Big Joe?”
“Sì, volevo addestrarlo. L’avevo comprato da un fachiro, o almeno mi sembrava che fosse un fachiro.”
“Ma perché l’avete chiuso nello studio del vostro comandante?”
Pausa meditativa.
“Francamente non mi ricordo, signore,” ammette infine il tenente, “probabilmente non ero del tutto sobrio.”
Diciamo pure che eri ubriaco fradicio.
Per la prima volta da quando lo conosce, il capitano Lewis prova una punta di fastidio di fronte all’atteggiamento noncurante del suo subalterno. “Non vi interessa proprio la considerazione degli altri, tenente?” gli chiede.
“Ho dovuto imparare a farne a meno abbastanza presto, signore.”
“Che intendete dire?”
Eldred Grosvenor sorride come chi sta per raccontare una spassosissima barzelletta. “Volete sapere una cosa divertente, signore? Io non sarei nemmeno dovuto nascere.”
“Prego?”
“È così. Sono uno sbaglio.”
“Intendete dire… che siete figlio illegittimo?” chiede cautamente il capitano.
“Niente di così romantico, signore. Figlio di mio padre al cento per cento. Però dopo mio fratello maggiore mia madre aveva stabilito che la gravidanza non faceva per lei, e così ha fatto del suo meglio per non restare più incinta.” Fa un teatrale sospiro. “Qualcosa dev’essere andato storto per la pauvre maman.”
“E così siete nato voi?”
Maman ha cercato in ogni modo di convincere la Natura a liberarla dell’intruso. Cavalcate, cacce alla volpe, passeggiate in posti impervi, balli sfrenati fino all'alba. Purtroppo però l’erba cattiva è notoriamente difficile da estirpare, quindi eccomi qui.”
Lewis lo fissa esterrefatto. “E voi come lo sapete?”
“Me l'ha detto lei. A onor del vero l'ha fatto in una circostanza in cui l'avevo particolarmente esasperata con le mie marachelle. Ero un ragazzino assolutamente pestifero, per usare un eufemismo.”
“Capisco.”
“Oh no, non potete capire. Mi meraviglio di non essere stato ucciso da piccolo, con tutto quello che ho combinato.” Sorride fra sé e sé con vago compiacimento.
“E vostro padre?” chiede allora il capitano.
“All’inizio era contento di avere un altro figlio. Aveva già un erede a cui lasciare il titolo, ma è sempre meglio averne uno di ricambio, non credete? Nel caso al primo capiti qualche incidente. Poi sono certo che abbia cambiato idea.”
“Vostro padre è il duca di Westminster, giusto?”
“Esatto. E il mio caro fratello Archibald lo sarà dopo di lui.”
“Beh, voi siete pur sempre visconte di Belgrave,” considera il capitano.
“Sì, sono fortunatissimo. Fa decisamente un’ottima figura sui biglietti da visita,” risponde il tenente Grosvenor, e rivolge al suo superiore uno sguardo ironico.
“Mi dispiace, tenente.” Il classico titolo nobiliare attribuito al fratello minore giusto per non lasciarlo completamente a bocca asciutta.
“Poteva andarmi peggio, signore. Potevo nascere brutto e povero per esempio.”


(fine prima parte)

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


(seconda parte)


Allontanandosi dall'ospedale, Lewis incontra il cappellano militare.
“Siete andato a trovare i feriti, capitano?” gli chiede il reverendo stringendosi come sua abitudine il messale al petto, “un'attività molto commendevole.”
“Ho fatto visita al tenente Grosvenor, padre,” risponde Lewis.
“Povero giovane,” sospira il prete.
“Sì, una brutta ferita.”
“Oh, non alludo certo alle piaghe della carne,” risponde il cappellano. “Un ragazzo davvero sfortunato.”
Il capitano lo fissa incuriosito. “A cosa vi riferite, reverendo?”
“Non dev’essere facile crescere senza l’amore dei genitori, non credete? Senza un padre che vigili su di te, che mostri orgoglio quando ti comporti bene e ti faccia capire quando stai sbagliando perché ti ritiene degno di migliorare.”
“Come sapete della famiglia di Grosvenor?”
“È stato lui a parlarmene. A suo modo, s’intende, ma io dico sempre che bisogna andare al di là delle apparenze e saper ascoltare col cuore, più che con le orecchie.”
Sospettando che stia per arrivare una predica su buoni sentimenti e amore per il prossimo, il capitano nasconde a fatica un moto di fastidio. Quando il reverendo ci si mette sa essere piuttosto prolisso, e senza neanche qualcosa di fresco da sorseggiare mentre parla diventa difficile sopportarlo.
Ma il religioso non sembra intenzionato a concionare. “Povero giovane,” ripete invece con fare rassegnato, “quanti talenti sprecati.”
Guarda in direzione delle capanne pomposamente definite ospedale, quindi torna a voltarsi verso il capitano e dice: “È intelligente e coraggioso, avrebbe tutte le potenzialità per essere un ottimo ufficiale.”
“A giudicare dal suo fascicolo personale, sembra che la cosa non gli interessi molto,” risponde cautamente Lewis.
“Non fatevi ingannare anche voi, capitano,” replica il reverendo, “quel ragazzo è un incompreso. Tutto ciò che chiede è un po’ di considerazione.”
“Non mi sembra che abbia scelto il modo migliore per ottenerla.”
“Non gli si può fare una colpa se non avendo mai ricevuto amore non sa come fare a chiederlo, non vi pare?” Sospira di nuovo, guarda il breviario come alla ricerca di ispirazione. Infine prosegue: “Tutte le sue bravate, come vengono con spregio definite, sono in realtà dei tentativi di ottenere quella considerazione paterna che non ha mai ricevuto. Se solo trovasse qualcuno in grado di capirlo, credo che gli darebbe anche l’anima.”
“Come Bucefalo con Alessandro Magno?” chiede ironico il capitano.
“Una cosa del genere.”

§

Lewis guarda il cappellano procedere verso l’ospedale traballando sul terreno irregolare. L’idea del mite religioso che cerca di portare conforto al tenente Grosvenor lo fa sorridere. Quel diavolo di un tenente se lo rigirerà come vuole. Gli farà due moine, gli rivolgerà quel suo sguardo da furbetto e riuscirà a farsi portare di nascosto persino il brandy che il dottore gli ha così energicamente proibito.
Mentre si incammina verso gli alloggi degli ufficiali riflette sulle parole del religioso.
Ecco che emerge un'altra faccia del tenente Grosvenor, ovvero il ragazzino in cerca d’affetto. Certo che se è veramente così fa di tutto per dissimularlo: i suoi comportamenti sembrano quelli di chi è intenzionato a farsi detestare, piuttosto. Non sarebbe più facile essere un bravo ufficiale, rispettoso e capace? Così sì che otterrebbe quella considerazione cui tanto sembra anelare.
Ma forse il cappellano ha ragione, non bisogna fermarsi alle apparenze.
Così camminando e ragionando tra sé e sé passa davanti alla tenda che funge da circolo ufficiali e decide di fermarsi a bere qualcosa.
Non che ci sia una gran scelta, ma con quaranta gradi all'ombra anche un semplice bicchiere d'acqua diventa decisamente piacevole. Basta poi avvolgere le bottiglie in una pezzuola bagnata e per effetto dell’evaporazione le bevande in esse contenute diventano anche piacevolmente fresche. Trucchi da colonie.
All’interno ci sono alcuni suoi colleghi: il capitano Ross della compagnia comando, il maggiore Feldman e il tenente Hogarty delle neo-costituite truppe cammellate, il capitano Stevens del diciannovesimo ussari e un tenente dei dragoni di cui non conosce il nome.
“Capitano Lewis!” lo accoglie Ross, “Dite, è vero quel che si sente ripetere in giro?”
“Cosa?” chiede il nuovo arrivato.
“Che state cercando di convincere Turner ad autorizzare l'avvio delle pratiche per il conferimento della Victoria Cross al tenente Grosvenor.”
Si sentono alcune risatine soffocate.
“È così,” risponde Lewis, come se si trattasse della cosa più normale del mondo.
“Decisamente, capitano, siete una persona cui non fa difetto il senso dell'umorismo!”
Le risatine aumentano di intensità, serpeggia persino qualche commento ironico.
Stoicamente, Lewis fa finta di nulla. Si siede a un tavolino e si appoggia all'indietro sulla sedia con l'aria di non dare alcun peso alla faccenda.
Un'ordinanza in giacca bianca gli porta un bicchiere di limonata accettabilmente fresca.
A questo punto il capitano percepisce intorno a sé un silenzio innaturale. “Ebbene?” chiede, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“Allora è proprio vero? La vostra non era una battuta?” s'informa cautamente Ross, che evidentemente non si capacita della questione.
“Certo che è vero,” il capitano Lewis è anche un po' piccato. “Il tenente Grosvenor ha compiuto un'azione eroica, l'ho visto io con questi occhi. Ha caricato all'arma bianca un gruppo di mahdisti per proteggere i marinai dell'Alexandra, e nel corso dell'azione è anche rimasto gravemente ferito!”
“L'ho sentito dire,” conferma il maggiore Feldman.
“E non credete che sia un'azione degna di encomio?”
“Teoricamente lo sarebbe,” concede l'altro.
“Anche in pratica.” Con la solita compunzione Lewis recita i requisiti per il conferimento della Victoria Cross: “Cospicuo coraggio o audacia, o importanti atti di valore o auto-sacrificio, o estrema devozione al dovere in presenza del nemico.”
Silenzio siderale. Qualcuno tossicchia con fare imbarazzato.
“Il coraggio non gli manca, in effetti,” ammette il capitano degli ussari.
“Io la definirei faccia di bronzo più che coraggio, signore,” replica freddamente Hogarty.
Cominciano a parlare di Grosvenor. La fazione più moderata lo classifica essenzialmente come un giovane scapestrato che però quando c'è da sparare non si tira indietro, mentre i censori più severi lo definiscono un cialtrone arrogante e debosciato del tutto inadatto alla vita militare.
Sono tutti d'accordo però nel ritenere che la più alta decorazione dell'Impero conferita a uno come Grosvenor segnerebbe la fine della leggendaria disciplina per cui l'Esercito britannico va giustamente famoso.
“L'unica sarebbe che morisse in seguito alle ferite,” conclude Feldman con salomonica equanimità, “così non ci sarebbe più il problema di questa benedetta Victoria Cross. Non mi risulta che venga conferita alla memoria.”
L'unico a commentare la frase è Hogarty, che freddamente dice: “Dubito che il Signore Iddio ci farà un dono così grande.”

§

“Signor capitano, posso dirvi due parole?” È il tenente Hogarty.
Lewis lo fissa perplesso.
“In privato,” specifica il giovane ufficiale. A giudicare dalla sua espressione tesa e risoluta, sembra che la sua missione sia quella di scongiurare il verificarsi di un disastro.
“D'accordo, tenente, seguitemi.”
I due si allontanano di qualche centinaio di iarde dall'accampamento. Hogarty cammina svelto, addirittura superando il capitano. Sembra che abbia una certa urgenza di parlare con il suo superiore. Continua a guardarsi in giro, come per essere sicuro che il luogo sia effettivamente deserto come sembra.
Quando tutt'intorno ci sono solo sassi bruciati dal sole e sabbia rossastra, il tenente dice: “Io ho fatto l'accademia con Grosvenor, signore, quindi posso dire di conoscerlo meglio di chiunque altro.” Fa una breve pausa poi specifica: “ Anche di voi, con rispetto parlando, signore.”
“Voi dite, tenente?”
“Sì, signore. E perdonatemi se vi dico che il tenente Grosvenor vi ha ingannato nascondendovi chi è... cos'è veramente.”
“Che intendete dire?” chiede Lewis incuriosito.
“Senza dubbio avrà fatto la parte del giovanotto simpatico, vero?” prosegue Hogarty come se non avesse neppure sentito la domanda del capitano, “sarà stato ironico e signorile, vi avrà detto delle battute spiritose, non è così?”
“Sì, l'ha fatto.”
“Quello è il suo modo di ingraziarsi le persone. Probabilmente cercherà di ottenere qualcosa da voi.”
“Un momento, tenente. Grosvenor non sa nulla della Victoria Cross, se è questo che intendete.”
“Allora vorrà qualcos'altro,” replica con sicurezza Hogarty, “probabilmente nei prossimi giorni ve lo farà discretamente sapere. Comunque non è questa la cosa di cui volevo parlarvi.” Si morde il labbro inferiore e distoglie lo sguardo dal capitano come se di colpo fosse molto imbarazzato.
L'altro non dice nulla limitandosi a fissarlo.
Dopo qualche secondo di silenzio, il tenente dice: “Signore, conferire la Victoria Cross a Grosvenor sarebbe un abominio.” Sillaba la parola con espressione disgustata, come per assicurarsi che al capitano sia ben chiaro il concetto.
La conversazione è privata e informale, quindi Lewis non dà peso al modo in cui il subalterno gli ha rivolto la frase. “Perché, tenente?” gli chiede invece incuriosito.
“Signore, il tenente Grosvenor è un...” esita, di nuovo si morde il labbro inferiore. “...è un invertito.”
È come se sputasse fuori la parola perché troppo schifosa da tenere in bocca.
“E voi come lo sapete?” chiede con calma il capitano.
“Tutti lo sanno,” risponde Hogarty, non accorgendosi, o fingendo di non accorgersi delle possibili implicazioni della domanda.
Il capitano deve ammettere a se stesso che in effetti anche lui ha sentito strane voci sul tenente Grosvenor.
“È un crimine molto grave,” dice comunque, “come può essere ancora nell'Esercito se tutti sanno delle sue tendenze?”
“Suo padre, ovviamente.”
“Sarebbe a dire?”
“Il duca di Westminster ha sempre messo a tacere gli scandali che la vergognosa condotta di Grosvenor periodicamente sollevava. Non certo per amore paterno – quale padre degno di questo nome amerebbe un figlio del genere? – quanto piuttosto per far sì che il buon nome della famiglia non venisse sporcato dalla depravazione di quell'individuo sordido e corrotto.”
“Siete sicuro di quello che dite, tenente?” chiede Lewis dopo aver ascoltato quello che ha più che altro l'aria di uno sfogo esasperato.
“Certo che ne sono sicuro. Pensate forse che sia una mia invenzione? Grosvenor è un essere spregevole, un pervertito abietto e senza moralità.”
“Se è tutto così chiaro e alla luce del sole, perché non l'avete mai denunciato?”
Hogarty ha un sorriso sprezzante. “A che servirebbe? Tanto suo padre metterebbe tutto a tacere.”
Lewis sospira allontanandosi di qualche passo. Dà un calcio a un ciottolo, che rotola via con un rumore sordo. Nel cielo di smalto azzurro non si ode nulla, nemmeno il richiamo d'un uccello o il frinire di un insetto. L'aria è perfettamente immobile.
È vero? Non è vero? Hogarty vuole difendere il decoro della Nazione o è semplicemente invidioso della noncurante spregiudicatezza del collega?
Quello che lo fa parlare è il fiero sdegno dell'appassionato censore o l'astio meschino di uno spasimante respinto?
“Conferire la Victoria Cross a Eldred Grosvenor sarebbe un abominio,” ripete il giovane ufficiale alle sue spalle. “Faccio appello al vostro senso etico, signore. Disonorerebbe le Forze Armate.”

§

“Caporale Bruce McKenna a rapporto, signore!” esclama il robusto graduato della Black Watch, peraltro a voce ben più alta del necessario.
È un montanaro delle Highlands grosso come un armadio ed estremamente fiero del suo kilt.
“Riposo, caporale,” dice Lewis. “Immagino che sarete curioso di sapere perché vi ho fatto chiamare.”
“Con tutto il rispetto, signore, credo di saperlo!” risponde il caporale con un tono che vorrebbe essere basso e confidenziale ma somiglia al muggito di un elefante marino. “È per quella faccenda della Victoria Cross, vero?”
“Abbassate la voce, che diamine! Volete che vi senta Osman Digna in persona?”
“Scusate, signore.”
“Come sapete della Victoria Cross?”
“Ne parlano tutti, signore, e se volete la mia opinione è una cosa dannatamente giusta.”
Il capitano sospira con fare rassegnato. Per quanto abbia cercato di fare le cose con la massima discrezione, i misteriosi canali di informazione della truppa sono stati più efficienti di lui.
“Ditemi quello che ricordate, allora, così vediamo se riesco a convincere il signor colonnello a mandare avanti questa benedetta pratica.”
“Il problema è nato con quei marinai,” esordisce lo scozzese. Si interrompe un istante con l'aria di riflettere su quanto ha appena detto, quindi con tono che denota una certa familiarità prosegue: “Che poi non è che gli si possa fare una colpa a quelli là se fuori dalle loro bagnarole non sanno nemmeno tenere un fucile in mano.”
Dopo l'inciso si stringe nelle enormi spalle con fare rassegnato e continua col racconto: “Finché sono riusciti a far funzionare la mitragliatrice le cose sono andate per il loro verso, ma poi l'aggeggio si è inceppato. A quei pecorai non gli pare vero. Partono di corsa urlando come invasati e agitando le armi con una gran voglia di fare usare le frattaglie dei ragazzi dell'Alexandra per fare lo haggis.”
“Voi dov'eravate, caporale?” chiede Lewis.
“Lì vicino, signore. I miei ragazzi ed io ci stavamo guadagnando la paga.”
“Non lo metto in dubbio, caporale.”
“Era per dire che ne stavamo facendo fuori parecchi, signore,” precisa il caporale.
“Certo, capisco.”
“Insomma, ad un certo punto ci accorgiamo che quelli in bianco sono nella merda fino al collo, con rispetto parlando.”
“Erano attaccati dai mahdisti?”
“Se erano attaccati? C'erano più mahdisti su quella collina che pulci su un cane randagio!”
“Capisco, caporale.”
“A questo punto arriva Grosvenor, salta giù dal suo dromedario e ci fa: venite, ragazzi. Andiamo a dargli una mano! Poi tira fuori la pistola e parte in testa a tutti.” Il tono di voce del caporale si alza nel rievocare l'episodio. “Avrebbe potuto restarsene tranquillo sul suo animale, capite, signore? Avrebbe potuto mandarci avanti e starsene a guardare lo spettacolo dall'alto, e invece niente di tutto questo. A piedi e per primo. Uno così lo si segue anche all'inferno, dico io.”
“Anch'io sono del parere che sia un bravo ufficiale,” dice il capitano Lewis.
“Allora gliela farete avere?” chiede il caporale McKenna dopo una pausa.
“Ci proverò, caporale. Ci proverò.”

§

Il capitano congeda lo scozzese con la sensazione che il tenente Eldred Grosvenor abbia più avatar di una divinità indù.
Ne ha appena scoperti altri due: il sodomita vizioso e il condottiero carismatico.
Certamente nella Storia non mancano esempi di personaggi che assommavano in sé entrambe le caratteristiche, ma ormai conciliare in un uomo solo tutte le versioni del tenente Grosvenor di cui è venuto a conoscenza sta diventando complicato.
I suoi passi meditabondi lo conducono all'ospedale.
Là c'è il dottor Owen con un diavolo per capello. “Volete per caso vedere il vostro caro tenente, Lewis?” ringhia vedendolo arrivare.
“Beh, sì. Sarebbe la mia intenzione,” risponde cautamente il capitano. Lanciandogli un'occhiata preoccupata chiede: “Qualcosa non va?”
“È ubriaco fradicio!” sbraita il dottore, “qualcuno gli ha portato una bottiglia di brandy e lui se l’è scolata fino all’ultima goccia! Con questo caldo e nelle sue condizioni!”
“E come sta adesso?” chiede Lewis preoccupato.
“Come sta? Benissimo, che Dio lo strafulmini!”
Non è chiaro se il medico sia più arrabbiato perché Grosvenor ha bevuto di nascosto o perché nonostante abbia bevuto non è morto e non manifesta particolari aggravamenti delle sue condizioni.
“Posso vederlo?”
“Ma certo, vedetelo finché volete! Portatevelo anche via, già che ci siete!”
Lewis ritiene più saggio non insistere e raggiunge autonomamente la capanna dove è ricoverato Grosvenor.
Il tenente è molto allegro. Non si riesce a capire quanto sia ubriaco, perché dissimula con consumata abilità. Solo l’umore garrulo e lo sguardo ancora più brillante del solito fanno sospettare una generosa assunzione di derivati della Vitis Vinifera.
“Caro capitano!” lo accoglie, “siete venuto a farmi un po’ di compagnia?”
È in piedi accanto al buco pomposamente definito finestra. Indossa una vestaglia di seta blu recuperata chissà dove e ha il braccio destro al collo.
“Come state, tenente?” gli chiede Lewis.
“Molto bene, signore.”
“Per caso avete… ehm… bevuto, tenente?” La bottiglia vuota troneggia al centro del tavolino tra le garze e l’ovatta per le medicazioni.
“Certo, signore,” risponde Grosvenor con la massima naturalezza.
“Ma il dottore ve l’aveva proibito.”
Il tenente sorride. “È la ferita. Da quando mi hanno colpito sono terribilmente smemorato, non so perché. Sicuramente sarà colpa dell’indebolimento legato alla perdita di sangue.”
Fissa il suo superiore con un’espressione che probabilmente instillerebbe anche in San Francesco d’Assisi un prepotente desiderio di prenderlo a sberle.
“Ma tenente! E se vi avesse fatto male?”
“Ma no, era solo un sorso per buttare giù meglio le medicine.”
“La bottiglia è vuota!”
“Beh, diciamo allora due o tre sorsi. Ma vi assicuro, non è niente di così terribile, e se il dottor Owen non fosse così apprensivo lo riconoscerebbe lui stesso. Comunque lo capisco, è un tipo molto affezionato ai suoi pazienti.”
L’ultima frase suona ferocemente sarcastica, e forse lo è anche, ma al solito è impossibile capire se Grosvenor stia parlando sul serio o stia scherzando.
“Vedo che siete in piedi, tenente,” dice Lewis cambiando discorso.
“Ormai quella branda mi aveva ammaccato tutte le ossa, signore.”
“Non vi sentite debole?”
“No, non particolarmente.”
Il giovane ufficiale muove qualche passo per dimostrare al suo superiore che non ha alcun bisogno di riposo a letto, ma barcolla miseramente e si affloscerebbe al suolo se il capitano non si precipitasse a prenderlo fra le braccia.
Rimangono teneramente avvinti al centro della piccola stanza.
“Che irruenza, signore,” sussurra Grosvenor con un sorriso impertinente, “ma non vi sembra una cosa un po’ prematura? In fondo ci siamo appena conosciuti.”
Lewis fa un salto indietro come se di colpo avesse scoperto di essere abbracciato a un serpente velenoso. Lo fissa torvo, incapace di trovare una risposta adeguata. Dannato tenente, anche su quello deve fare battute?
“Non prendetevela, signore, scherzavo,” gli dice Grosvenor con la più grande tranquillità.
“Scherzi di cattivo gusto, tenente,” non può fare a meno di replicare Lewis.
Grosvenor lo guarda con un’espressione che sembra voler dire allora anche tu sei come gli altri.
“Intendevo dire che mi avete colto un po’ alla sprovvista,” brontola il capitano, come se di fronte a quello sguardo sentisse il bisogno di giustificarsi in qualche modo.
“Naturalmente, signore.”
Ma l’atmosfera in certo qual modo confidenziale che si era creata sembra essersi incrinata irrimediabilmente. Il capitano ha la sensazione di aver rovinato qualcosa, come se dopo aver abituato un animale selvatico a mangiargli dalla mano l’avesse fatto scappare colpendolo senza motivo.
“Sarà meglio che vada,” dice.
“Sono certo che abbiate innumerevoli cose da fare.” Il tono del tenente gronda letteralmente di spocchia aristocratica. Ecco un altro dei suoi avatar: il rampollo con otto secoli di nobiltà nel gentilizio.

§

Quando si allontana dall’ospedale, il capitano è stranamente scombussolato.
Brutta esperienza deludere una fiducia così spontaneamente concessa.
Ripensa alle parole del reverendo: Grosvenor desidera considerazione, ma non avendone mai ricevuta non sa come chiederla.
Raccoglie le sue carte e va dal colonnello Turner con insolita trepidazione. È tutto pronto: ha scritto una relazione di suo pugno, ha la testimonianza di McKenna e quella di Larkin. Ora basta solo che Turner dia il parere positivo e la pratica partirà col prossimo corriere. Arriverà prima al generale Stewart e poi al Cairo, da lì a Londra e a Dio piacendo nelle mani di Sua Maestà la Regina, che graziosamente stabilirà se concedere o meno la Victoria Cross al coraggioso tenente Grosvenor.
Lewis ci spera, nonostante tutto quel ragazzo la meriterebbe.
Il colonnello però non è dello stesso parere. “Capitano, ora basta,” dice con tono esasperato. “Ho avuto pazienza, ho tollerato la vostra idea stravagante per dieci giorni, ma ora la misura è colma. Lasciate perdere la Victoria Cross e tornate alla realtà.”
Il capitano è sull’attenti di fronte al suo comandante. Fissa con impegno un punto all’infinito dietro di lui, tipico atteggiamento del militare che non vuole cedere ad un superiore ma non vuole nemmeno uscire dai limiti imposti dalla disciplina. “Signore, mi permetto di insistere,” dice imperterrito.
Turner sospira innervosito.
“Riposo, capitano,” dice per prima cosa, poi pazientemente prosegue: “Lewis, io non sono il papà di Eldred Grosvenor, io comando un Reggimento. Questo significa, come voi potete immaginare, che non ho solo il vostro tenente a cui pensare, sebbene lui faccia di tutto per essere sempre al primo posto nei miei pensieri, e non certo per la sua buona condotta. Ho seicento uomini che si aspettano da me giustizia, correttezza e imparzialità.”
“Se posso permettermi, signore, gli uomini vedrebbero di buon occhio il conferimento di questa decorazione” interviene il capitano.
Duramente, il colonnello risponde: “Gli uomini vedrebbero allo stesso modo una distribuzione straordinaria di liquore o una licenza a Suakin, capitano. Sono persone semplici e amano le cose insolite e divertenti. Tocca a noi, come accorti genitori, dare loro ciò di cui veramente hanno bisogno, ovvero comportamenti esemplari cui conformarsi. Una decorazione, come potete ben capire, non è solo un premio per chi l'ha meritata, ma anche un esempio per tutti gli altri. Conferire una Victoria Cross a Grosvenor sarebbe come dire: ma certo, comportatevi pure da cialtroni, rientrate in ritardo dalla libera uscita, siate insolenti, ubriacatevi. Basta che poi spariate quando c’è da sparare e si passa sopra a qualsiasi cosa.”
Fa una pausa, fissa il capitano negli occhi. “E come diretta conseguenza questo non sarebbe più un esercito,” dice con vago disgusto, “diventerebbe una banda di predoni. I nostri nemici, forse, potrebbero accettare un ragionamento del genere, noi decisamente no.”
Nella tenda c’è un silenzio greve, rotto solo dal marciare cadenzato di una colonna di soldati all’esterno.
“Fino ad ora ho tollerato la vostra iniziativa, capitano,” prosegue Turner, “siete un bravo ufficiale e tutti abbiamo bisogno di svagarci un po’, ma ora basta. Questo scherzo è durato anche troppo, e sta già avendo un effetto negativo sulla truppa e sugli ufficiali. Datemi le vostre carte e consideriamo chiusa la questione.”
Tende la mano.
“Signore, mi permetto di insistere,” ripete Lewis.
La mano non si muove.
“Signore…” la voce del capitano ora suona vagamente implorante.
“Datemi quelle carte e facciamola finita,” dice il colonnello.

§

Quando esce dalla tenda del colonnello Turner, il capitano Lewis sta fremendo di rabbia impotente. È furibondo, fuori di sé, avrebbe solo voglia di prendere a pugni qualcuno e ubriacarsi, non necessariamente in quest’ordine.
Ce l’ha col suo superiore, che non ha voluto concedere a Grosvenor la possibilità di ottenere un’onorificenza che gli spettava di diritto, ce l’ha con se stesso per non aver resistito con maggiore fermezza alle pressioni del colonnello e ce l’ha anche col tenente, che col suo comportamento da stupido si preclude una carriera che date le sue indubbie capacità sarebbe senz’altro rapida e smagliante.
Entra nella tenda che funge da circolo ufficiali e chiede un doppio whisky.
Lo sorseggia cupamente, nessuno osa rivolgergli la parola. Persino Hogarty, che con ogni probabilità ha intuito il motivo del suo umore plumbeo, evita saggiamente di avvicinarsi per godersi il trionfo della virtù sulla perversione.
Lewis finisce di bere ed esce.
“Qualcuno sa cosa gli sia accaduto?” chiede il capitano Ross seguendo con lo sguardo le spalle rigide del collega che si allontanano.
“Niente Victoria Cross,” spiega il tenente Warren, segretario del colonnello Trurner.
“Manco l'avessero dovuta conferire a lui,” commenta Ross scuotendo la testa.

§

Il capitano Lewis si dirige per l'ennesima volta verso l'ospedale. Sta calando la sera e le capanne immerse nella penombra acquisiscono un aspetto quasi gradevole. Spira anche una brezza relativamente fresca, che mormora gentilmente tra le foglie delle palme.
Stavolta Eldred Grosvenor è confinato a letto, proibite le passeggiate in vestaglia di seta. La medicazione è stata rifatta di recente, probabilmente la sua ultima prodezza gli aveva fatto riaprire la ferita.
Ma come sempre il tenente dice che sta benissimo. Mai stato meglio.
Il capitano si siede sul solito sgabello. Si sente piuttosto infelice. Colpa dell'alcol a stomaco vuoto, probabilmente. Forse non è stata una grande idea scolarsi quel doppio whisky. Forse neppure la questione della medaglia è stata una grande idea.
“Qualcosa non va, signore?” gli chiede ad un certo punto Grosvenor.
Lewis sospira. “Soliti problemi coi superiori, sapete com'è.”
“Se c'è qualcuno che lo sa sono proprio io,” risponde il tenente con un sorriso.
“Già, avete ragione.” Il capitano sorride a sua volta.
I due rimangono in silenzio per un po', infine con il consueto tono noncurante Grosvenor dice: “Non datevi pena per quella decorazione, signore. Sono piuttosto allergico alla retorica, per cui temo che sarei arrivato alla cerimonia completamente ubriaco e Turner non me l'avrebbe mai perdonato. Inoltre Sua Maestà sarebbe dovuta salire su una predella o qualcosa del genere per arrivare ad appuntarmela sul petto. Una cosa decisamente antiestetica.”
Le parole di Grosvenor giungono talmente inaspettate che Lewis non può fare a meno di esclamare: “Cosa?”
“La Victoria Cross, signore,” spiega il giovane ufficiale col tono svagato di una conversazione da salotto, “apprezzo i vostri sforzi, ma è una decorazione piuttosto inadatta a me, non credete?”
“Ma cosa... come sapete della Victoria Cross?”
“Non esiste categoria umana meno discreta dei militari. Buffo, no? Dal momento che teoricamente dovremmo vivere nella segretezza.”
Fa un teatrale sospiro come di esasperazione.
“Mi dispiace, tenente,” dice il capitano dopo una pausa.
“Davvero, non datevi pena,” risponde Grosvenor, “sono certo di poter fare a meno delle dieci sterline annuali della rendita, e di sicuro l'aspirazione della mia vita non è farmi salutare anche dai generali quando passo per la strada. Poveri generali, vi immaginate? Costretti a salutare uno come me.”
Rivolge al capitano uno sguardo ironico.
“La meritavate, tenente” dice Lewis con convinzione.
“Meritare e ricevere sono due concetti che raramente coincidono, signore. Almeno nel mio caso,” risponde Grosvenor, serio forse per la prima volta da quando il capitano lo conosce.
Lewis lo fissa esterrefatto, ma lo spiraglio si è già richiuso ermeticamente e il tenente gli mostra di nuovo la sua espressione da guascone sfrontato.
“Volete rendermi davvero felice, signore?” chiede con un sorriso, “assolutamente, perfettamente felice?”
“Lo farei volentieri, tenente.”
“Vi prego, allora, fatemi avere un gin tonic decente. Non pretendo il ghiaccio, per quello temo che dovrò aspettare di essere al Cairo, ma se fosse anche solo accettabilmente fresco, e con la sua bella fetta di limone, sarebbe già una gran cosa.”


(FINE – e un grande grazie a chi si è sobbarcato la lettura fin qui^^)

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