Fragili ali

di Starishadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Di uomini e fate ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Promesse e partenze ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Nel mondo degli umani ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Il mercato ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Ali ***



Capitolo 1
*** Prologo - Di uomini e fate ***


- Fragili ali -
Prologo: di uomini e fate

 
Per gli abitanti del regno fatato, gli incontri col genere umano erano rari e non privi di attrattiva, specie per le fate più giovani che puntualmente si affollavano incuriosite davanti ai grandi portoni di legno e tentavano di sbirciare all’interno per vedere almeno di sfuggita quei forestieri che di tanto in tanto si presentavano alla loro corte per incontrare i loro regnanti; erano per lo più esseri umani disperati, imbruttiti dal dolore e dalla disperazione, magari consumati da qualche malattia, spinti dalla necessità a chiedere aiuto al popolo più ambiguo di tutti, disposti a pagare qualsiasi prezzo pur di ricevere un po’ della loro magia.
Probabilmente non veniva loro insegnato che non bisognava mai fidarsi di una fata, o forse nessuno gli aveva mai detto che, per poter accontentare certi tipi di richieste, una fata avrebbe dovuto rinunciare alle proprie ali, e naturalmente erano ben poche quelle disposte ad un simile gesto.
Girava voce che in passato gli umani fossero soliti presentarsi di continuo alla corte fatata in cerca di aiuto, portando con sé doni e beni di scambio, ma col tempo le richieste si erano fatte sempre più assurde, sempre più ingorde, e il loro atteggiamento sempre più minaccioso, fino al giorno in cui uno di loro afferrò le ali della regina delle fate e gliele strappò dal corpo, causandone la morte immediata; così era scoppiata la prima guerra fra gli umani e il popolo fatato, che aveva quasi portato all’estinzione di quest’ultimo e l’aveva spinto a rifugiarsi sulle cime innevate del monte El’brus.
Avevano pensato di essersi allontanati sufficientemente da quel popolo di ingrati, la storia aveva giocato in loro favore riducendo le voci sulla loro esistenza a mere leggende, ma ovviamente qualcuno che ci credeva esisteva ancora, qualcuno caduto tanto in basso da aggrapparsi anche alla speranza di una fiaba per bambini.
Le fate erano indecise se compatire o ammirare tale atteggiamento.
L’umano che tre giovani fate incontrarono quel giorno, però, non aveva nulla a che fare con quelli che avevano intravisto fino a quel giorno: non sembrava vecchio o malato, né aveva visibili malformazioni. Però se ne stava fermo a terra, rannicchiato contro il gelido manto bianco della neve, quasi altrettanto pallido.
«Dite che è morto?», chiese una delle tre fate, svolazzandogli attorno con fare curioso, le ali leggere che riflettevano i freddi raggi di luce ogni volta che venivano colpite da essi.
«Che ne so io?», scattò su l’altra, ferma a terra e di cattivo umore per il freddo che iniziava a farsi sentire persino sulla sua pelle. Erano pur sempre fate del ghiaccio, non del vento, e quell’aria gelida si accaniva crudelmente sui loro corpi.
«Penso di sì, guardalo, non si muove…», intervenne una terza, volando vicino al volto dell’umano e punzecchiandogli una guancia con due dita.
Con un grido, tutte e tre le fate si ritrassero quando il corpo dell’umano ebbe un sussulto, e le due che erano già in volo scomparvero in pochi istanti.
«Hey! Aspettatemi!!», protestò quella rimasta a terra, correndo più veloce che poteva, nonostante l’intralcio della neve. «Mila! Georgi!».
Ma ogni richiamo era inutile: l’avevano lasciato indietro, e ancora una volta il fatto di non avere ancora ottenuto le sue ali si faceva sentire. Solo che finora non si era mai trovato in una vera e propria situazione di pericolo.
«Brutti maledetti», sibilò fra i denti la fata, voltandosi lentamente verso l’umano, preoccupato di vederlo in piedi e pronto a catturarlo.
Fu sorpreso invece di vederlo ancora a terra, immobile come prima. Forse era morto davvero stavolta.
Spinto da qualche forza sconosciuta si avvicinò di nuovo, timidamente, all’erta, pronto a saltare di nuovo lontano. Si inginocchiò davanti al volto dell’umano, sempre più pallido e con le labbra quasi viola.
“Chissà come c’è finito qui”, si chiese distrattamente, mentre dentro di sé prendeva una decisione che sperava di non rimpiangere in futuro e le sue mani iniziavano ad illuminarsi di calda luce dorata. “Non sembra come gli altri… magari si è semplicemente perso”. Appoggiò le mani sul corpo dell’umano, concentrandosi, e presto la luce si sparse su tutto il corpo dell’altro, avvolgendolo e riscaldandolo. “Dovrebbe bastare”, pensò la fata, interrompendo l’incantesimo e allontanandosi di qualche passo quando vide l’umano iniziare a muoversi; quando quello si sollevò a sedere, confuso, l’altro si buttò in un cumulo di neve lì vicino, nascondendovisi e osservandolo incuriosito.
L’umano era decisamente giovane per la sua specie, di questo era ora piuttosto sicuro: il suo viso era liscio e privo di quella peluria scura che sembravano avere tutti quelli che aveva visto a corte fino a quel momento, e il suo corpo era piuttosto piccolo, anche se naturalmente - rispetto alle dimensioni comunemente tenute dalle fate in territori sconosciuti - abbastanza grande da costituire una minaccia.
L’umano si alzò e si portò le mani su tutto il corpo, come ad accertarsi della presenza di ogni arto, e una volta realizzato che , era tutto intero, ebbe come un sussulto, si chinò a cercare qualcosa nascosto nella neve e - recuperata una sacca di cuoio - corse via, lungo la discesa del monte, probabilmente diretto al villaggio da cui era venuto.
La fata emerse allora dal suo nascondiglio, togliendosi di dosso la neve rimasta, e tornò alle dimensioni “umane”: ora che non gli serviva più nascondersi, essere più grosso dello stelo di un fiore sarebbe tornato utile. Quell’umano l’aveva incuriosito più degli altri che aveva incontrato fino ad allora nella sua breve vita, e il fatto di essere riuscito a salvarlo lo riempiva d’orgoglio tanto da fargli gonfiare il petto e camminare baldanzosamente per i primi venti minuti, passati i quali, la stizza di essere stato lasciato a piedi e di non poter ancora volare tornarono a farsi sentire, e per quando arrivò a casa, il suo atteggiamento era tornato ad essere quello irritato e schivo di sempre.

 
***********
Nota dell'autrice: 
salve a tutti! Primo tentativo col genere fantasy e in questo fandom, quindi sono un po' preoccupata a dire il vero... spero che vi piaccia!
Il rating e gli avvertimenti potrebbero subire cambiamenti in base al corso della storia, ma in linea generale di massima ho intenzione di restare più o meno su questo genere; magari potrebbero spuntare delle scene erotiche e altre un po' violente in futuro, ma mi assicurerò di segnalare tutto preventivamente.
Se vi va, fatemi sapere cosa pensate della storia, soprattutto se notate qualsiasi problema fatemelo pure notare e provvederò a rimediare immediatamente! 
Per quanto riguarda gli aggiornamenti ho la prima parte già scritta, quindi sarò più veloce nell'aggiornare, intanto continuo a scrivere il resto sperando che l'università mi permetta di scrivere ad un ritmo decente ^^"
Grazie per la vostra attenzione e a presto!

- Starishadow

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Promesse e partenze ***


 
Capitolo 1
- Promesse e partenze -

Tre anni dopo
 
«Coraggio, Yura! Fai come me».
La faceva facile, sua altezza reale: a lui volare veniva facile quanto respirare, e le sue ali erano luminose e forti, rese sicure da anni e anni di pratica, oltre che da una certa dose di puro talento naturale.
«Ci sto provando», sbuffò il minore, imbronciato, mentre si concentrava su quei nuovi muscoli che sentiva sulla sua schiena, collegati ad un paio di ali trasparenti e delicate che sembravano l’incarnazione della fragilità. «Non capisco cosa devo muovere», ammise infine, con un sospiro.
«Ok, vediamo un po’», replicò l’altro, atterrando delicatamente al suo fianco e facendolo girare in modo da poter osservare la sua schiena. Rimase in silenzio qualche secondo, poi toccò con decisione un punto in particolare, sorridendo divertito nel vedere l’ala più vicina a quel punto cominciare a fremere. «Esatto!».
«Che diamine stai facendo?? Victor, non so controllarla! Come faccio a farla smettere?», domandò impaurito il più piccolo, sgranando gli occhi a quella sensazione sconosciuta, e quando sentì la stessa sensazione sprigionarsi dall’altra ala dopo il tocco del suo “insegnante” non riuscì a trattenere un piccolo gemito di sorpresa, che si trasformò in esclamazione quando vide i suoi piedi staccarsi dal suolo. «Sto volando!», disse, illuminandosi, cominciando ad agitare braccia e gambe senza ben sapere che fare.
La risata del maggiore risuonò vicino al suo orecchio:
«Sai, Yuri, è più facile di quanto tu creda. Non stai nuotando, non hai bisogno di muovere braccia e gambe per restare in aria».
«Levati quell’espressione dalla faccia, Victor! Scommetto che tu hai fatto di peggio la prima volta», replicò Yuri fulminandolo con lo sguardo.
Le fate incaricate di monitorare quella loro lezione e assicurarsi che nessuno dei due si facesse male si accigliarono a sentirlo usare quel tono, ma in realtà nessuno ormai si sorprendeva più di quel rapporto informale fra la giovane fata e il loro principe: finchè sua altezza non riteneva offensivo tale atteggiamento, il giovane Yuri poteva fare ciò che voleva.
«Beh, effettivamente sono andato a sbattere su una finestra», ricordò Victor con tono leggero e una scrollata di spalle, «però non ho avuto bisogno che qualcuno mi attivasse dei riflessi incondizionati per muovere le ali», aggiunse con un ghigno.
«Vieni qui e ti faccio vedere io!», sbottò Yuri, tentando di colpirlo, ma il principe fu rapido a spostarsi, ridendo, e lui finì col perdere l’equilibrio che aveva a stento mantenuto fino a quel momento e si ritrovò presto a testa in giù, faccia a faccia con quella grande seccatrice di sua sorella maggiore, Mila, che lo osservava divertita da terra. «Credevo di essere più in alto», brontolò, accettando a malincuore il suo aiuto per tornare con i piedi bene a terra.
«Beh, è un buon inizio, comunque! Meglio di Georgi, almeno».
«Anche quando non avevo le ali e facevo un salto ero meglio di Georgi, Mila, non conta», sospirò il minore arricciando il naso, aggiungendo per buona misura un’occhiataccia a Victor, appena atterrato davanti a loro. «Perché non ho imparato nulla?», chiese, imbronciato.
«Perché nessuno impara in una volta sola!», replicò Mila con naturalezza, arruffandogli i capelli e ottenendo uno sguardo infuriato da parte del minore. «A parte Victor, forse», aggiunse, volutamente rigirando il dito nella piaga.
Il risultato fu una giovane fata irritata e una piccola bufera di neve nella grande sala del palazzo.
«Aww, non fare così, Yuratchka!», lo prese in giro il principe, annullando gli effetti della sua magia con un vago gesto della mano. «Prometto di continuare ad aiutarti finchè non avrai imparato a volare senza problemi, va bene?».
Il minore sapeva che non avrebbe dovuto reagire con tanto entusiasmo, ma non esitò a illuminarsi - letteralmente - e porgere la mano all’altra fata, con espressione seria e decisa.
Victor fece una risatina sorpresa ma bonaria, e restituì la stretta con altrettanta decisione.
«Promesso, allora!».
 
Due anni dopo
 
Il popolo delle fate era nel panico: dicerie si sovrapponevano ad altre dicerie, le opinioni di alcuni si sovrapponevano a quelle di altre, e presto la notizia si sparse per tutto il Paese Fatato.
«Il principe è scomparso?».
«Pare che sia scappato!».
«No, no! Sono stati gli umani, l’hanno rapito loro!».
«Io avevo sentito che erano stati gli orchi».
«Ma che dici! Sicuramente è tutta un’altra scusa per farci scatenare un’altra guerra...».
In mezzo a tutte quelle persone che parlavano per la strada, fra tutta quella confusione, una sagoma si spostava agilmente e rapidamente, diretta al palazzo reale; solo una volta raggiunto il ponte levatoio questa si alzò in volo e raggiunse una delle finestre della torre più bassa.
«Yurachka!», esclamò Mila vedendo il fratello fuori dal vetro che bussava per farsi aprire. «Che hanno le porte che non va?», chiese con un sospiro appena l’ebbe lasciato entrare.
«Troppa gente, troppa confusione», fu la rapida risposta del minore, mentre si spazzava via dalle spalle e dai capelli della polvere fatata. «Hai sentito?», chiese poi seriamente.
«Del principe? C’è qualche possibilità di non averlo fatto?», replicò l’altra con un sospiro, massaggiandosi la fronte. «Papà strilla ininterrottamente da ieri sera. Tu dove sei stato?».
Lo sguardo della ragazza si fece sottile e sospettoso, ormai abituata all’abitudine presa dal fratello minore di sgattaiolare fuori dal palazzo e andarsene chissà dove praticamente ogni notte, e l’altro le rivolse un’occhiata che stava a significare “non sono affari tuoi”. Con un sospiro, la maggiore lo afferrò e lo tirò a sé, tenendolo stretto, e per una volta non era un abbraccio soffocante o irritante, semplicemente… caldo, e come se fosse lei ad averne bisogno.
Che probabilmente era l’unico motivo per cui Yuri non si era ancora ritirato spingendola via con uno sbuffo infastidito.
«Mila?», chiese con una voce incerta.
«Scusami, scusami, è solo che… per favore, smettila di sparire così! Ho già abbastanza paura per Victor»¸ mormorò lei, «e tu sei il mio fratellino, non voglio nemmeno immaginare se-».
«Ok, ok, vecchiaccia! Non diventare sentimentale, ora!», la bloccò Yuri, staccandosi quel po’ che bastava a premerle le mani sulla bocca e zittirla.
 
Qualche tempo dopo, quando fu solo nella sua stanza, Yuri si lasciò cadere sul suo letto con un sospiro irritato. Non credeva molto alle teorie di rapimenti e guerre imminenti, se doveva essere sincero, era piuttosto propenso a credere che si trattasse di una delle follie del loro principe. A dire il vero, tutta quella sorpresa da parte del popolo non riusciva proprio a capirla: Victor sembrava determinato a stupire tutti in ogni maniera possibile immaginabile, magari presentandosi senza alcun preavviso alla porta di una famiglia in difficoltà per aiutarla come poteva, o magari facendo organizzare a palazzo il matrimonio di una coppia che non avrebbe potuto permettersi alcun festeggiamento altrimenti, quindi perché sorprendersi ora che di punto in bianco aveva preso e se n’era andato?
«Yuri!».
La fata sbuffò irritata prima di andare ad aprire la porta a suo padre, nonché tutore di corte che si era curato di crescere ed educare il principe fino alla sua maggiore età, ma anche dopo aveva continuato a vegliare su di lui, seppur fingendo di non tollerare i suoi atteggiamenti.
«Che c’è?», chiese incrociando le braccia e lanciandogli uno sguardo seccato. Era Victor che era scomparso, perché tutti sembravano intenzionati a controllare lui ora?
«Non sparire così!».
Ecco, come volevasi dimostrare.
«Non sono sparito, ero solo in camera mia. Al contrario di qualcun altro, non ho poi così tanta intenzione di andarmene in giro senza lasciare un biglietto».
Si preparò a ricevere una sfuriata da parte dell’uomo, invece tutto quello che ottenne fu una specie di grugnito esasperato e una frase che per poco non riuscì a sentire:
«Ha lasciato un biglietto».
La sorpresa di Yuri causò una piccola pioggia di cristalli di ghiaccio intorno alle loro teste, ma sparì in fretta:
«Quindi avevo ragione io? Non l’ha rapito nessuno? Anche perché, siamo onesti, chi lo sopporterebbe».
«Yurachka», lo ammonì il padre, lanciandogli un’occhiata laterale prima di accomodarsi nella poltrona su cui normalmente il minore era solito appollaiarsi e divorare libri di incantesimi che non avrebbe dovuto conoscere.
«Ok, chi oltre a te lo sopporterebbe? Se l’avessero rapito, dopo due minuti invece di un riscatto ci avrebbero dato soldi per riprendercelo…».
Non ottenne risposta stavolta, piuttosto l’uomo gli porse un bigliettino, che molto probabilmente era proprio il biglietto incriminato.
Yuri lo prese e per poco non lo incenerì fra le sue dita.
«È uscito di senno?», chiese spalancando gli occhi.
«O vuole farne uscire me!», sbraitò l’altro scattando in piedi, paonazzo in volto.
Se fosse stato una fata, Yuri avrebbe temuto per l’incolumità della propria stanza, ma Yakov, tale era il nome del tutore di corte, era semplicemente un umano, che da bambino era stato portato via dalla propria famiglia umana e scambiato con un bambino del regno delle fate.
Perché alcune fate si ostinassero a compiere simili scambi, era un mistero: forse per noia, o magari per puro divertimento, fatto sta che quei bambini sottratti alle famiglie umane venivano poi cresciuti insieme alle altre fate, nutriti con lo stesso nettare e imbevuti della stessa magia, la differenza era che non avrebbero mai sviluppato le proprie ali e sarebbero stati in grado di compiere solo piccole magie, per lo più semplici incantesimi curativi.
Inoltre sarebbero diventati immortali, pur continuando a crescere, il che non era proprio allettante per un umano, che era quindi costretto a legarsi ad una fata che ne potesse garantire l’eterna giovinezza che caratterizzava il loro popolo.
«Ok, sì, forse vuole farti impazzire, ma perché sei venuto qui?», si informò Yuri volando fino al caminetto e sedendovisi sopra mentre osservava il pare con aria curiosa.
«Perché sei la mia miglior speranza», ammise l’altro. «Ho provato a chiedere a Georgi, ma è impegnato a rincorrere quella ninfa con cui è fissato da anni e non mi dà ascolto», sbuffò.
«Certo, quando una fata si innamora, è per sempre», fece spallucce l’altro. «Se è così stupida da innamorarsi di una figlia dei fiumi che non accetta costrizioni, peggio per lei».
«E Mila deve restare qui a finire il suo addestramento».
«Uhm, anche io devo finire il mio addestramento… Aspetta. Non vorrai forse che vada a cercare quel deficiente!», d’un tratto tutto il motivo di quella discussione apparve chiaro davanti agli occhi del minore, che fissò in cagnesco l’altro mentre un vento minaccioso cominciava a soffiare all’interno della stanza.
«Yuri, non credere che non sappia che ti sei portato avanti da solo con il tuo addestramento, ho visto i libri che sparivano dalla biblioteca reale».
“Ops”.
«Ma sicuramente ci sarà qualcuno più qualificato di me… non voglio andare fuori a fare da babysitter al principe, quello è il tuo lavoro».
«Pensavo avessi dichiarato tu stesso di essere “meglio di chiunque altro in questo gelido regno”».
Ok, sì, l’aveva fatto… ma non pensava certo a quello mentre ne parlava!
«Abbiamo delle guardie che possono farlo!».
«Non darebbe retta ad una guardia, lo sai. E comunque, di quel biglietto nessuno sa nulla tranne me e te».
Ecco dov’era la fregatura.
«Se mi rifiutassi?».
«Il regno cadrebbe nel caos, dato che Vitya era l’ultimo erede legittimo, si scatenerebbero lotte per il trono, spargimenti di sangue, morti… diventeremmo come gli umani, in poche parole».
«Buffo che sia proprio tu a dire una cosa del genere», sogghignò Yuri, lasciandosi cadere a terra e atterrando senza il minimo rumore. «Se vado a cercare Victor, cosa ci guadagno?», si informò con tono fintamente disinteressato mentre si avvicinava al baule che conteneva i suoi vestiti da viaggio e un paio di incantesimi che aveva preparato per un’evenienza simile - dato che forse non era del tutto vero che non aveva intenzione di prendere e andarsene da quel posto - e iniziava a frugarvi dentro.
Probabilmente Yakov non aspettava altro che quella domanda:
«Mi pare che Vitya ti avesse fatto una promessa, anni fa, e che non l’abbia più mantenuta…».
Touchè.
Yuri smise di frugare nel baule e si voltò a guardare suo padre con un’espressione affilata, la postura rigida e determinata:
«Va bene. Lo troverò e lo riporterò qui, a costo di trascinarlo con la forza».
Yakov annuì con un sorriso compiaciuto e si alzò, uscendo dalla porta e lasciando Yuri ai preparativi della sua nuova - nonché prima - missione, sperando intimamente di non aver appena commesso l’errore più grande della sua vita.
 
**********************
Nota dell'autrice: ed ecco qua il secondo (in realtà primo ma shhh) capitolo! Un po' più lungo dell'altro perchè finalmente posso far partire la storia, yeah!
Ed ecco che compare anche un certo qualcun altro, che mi è piaciuto parecchio da scrivere, a dire il vero ^///^"
Piccola informazione di servizio: ho messo Yuri, Mila e Georgi come fratelli e figli di Yakov, ma prendete questa informazione un po' con le pinze perchè non è del tutto esatta, ma spiegherò meglio la dinamica nei prossimi capitoli (che spero continuiate a leggere xD).
In più ero indecisa fra scrivere "Victor" o "Viktor", ma dato che solitamente uso la C - e a lezione di russo mi hanno insegnato a trascrivere la K in C - alla fine ho optato per quel modo... Spero non sia un problema :) 
Mi auguro che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e grazie mille a chi ha recensito/messo nelle preferite/ricordate/seguite! Non mi aspettavo tanto supporto OwO
Fatemi sapere che ne pensate,
a presto!

- Starishadow

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Nel mondo degli umani ***


Capitolo 2

- Nel mondo degli umani -

 

«Certo, Yuri, vai a cercare Victor non si sa dove e convincilo a tornare!», sbuffò Yuri a mezzavoce mentre si liberava per l’ennesima volta una gamba dalla rete di fogliame e fanghiglia nevosa che copriva il terreno del bosco e minacciava di farlo inciampare ad ogni passo.
Aveva provato a volare, o a ridurre le proprie dimensioni, ma il vento che si accaniva ferocemente sui pendii del monte El’brus non sembrava intenzionato a rendergli semplice la vita, e fra le cose che Victor non gli aveva più insegnato c’era anche - e soprattutto - volare in giorni così ventosi.
Certo, aveva avuto altri tutori dopo di lui, prima fra tutti Lilia, la fata legata a Yakov nonché madrina dello stesso Victor, ma per quanto fosse diventato abile e quasi esperto nell’usare le proprie ali e fosse capace di volare anche per lunghe distanze, non riusciva ancora a padroneggiarle del tutto in situazioni non ottimali.
“Maledetto Victor, povero te appena ti trovo…” pensò stizzito, scagliando una scintilla ghiacciata contro il tronco di un albero e osservandolo mentre si trasformava in quella che sembrava una scultura di ghiaccio, non senza una certa forma di soddisfazione.
Il contenuto del biglietto che lui e Yakov si erano affrettati a bruciare era chiaro, e delirante, a suo avviso. I membri della famiglia reale, da secoli, avevano un dono che si tramandava ogni tre generazioni: il potere di avere visioni del futuro. Non erano visioni chiare, naturalmente, e chiamarle “visioni” non era nemmeno corretto, dato che potevano essere immagini, ma anche solo suoni, o addirittura profumi.
Nel caso di Victor - il fortunato destinatario di tale dono - le visioni erano state rare, vaghe e troppo brevi per poter essere interpretate fino a quel momento, al punto che persino lui aveva iniziato a non dar peso a quel potere.
Almeno fino a due notti prima: in sogno, aveva sentito una voce chiamare il suo nome, e la visione di un paio di caldi occhi castani era lampeggiata nella sua mente per poco più di un secondo. Al suo risveglio, oltre all’impellente bisogno di scoprire chi era che lo chiamava nella sua visione, Victor aveva trovato un marchio rossastro sul proprio anulare destro, come il segno lasciato da un anello tolto dopo tanti anni.
Ovviamente tutta quell’esperienza era stata documentata dettagliatamente nel biglietto lasciato a Yakov, nel tipico stile esagerato ed esuberante di Victor, che non si era fatto il minimo problema a prendere e abbandonare il suo regno per inseguire quello che - a suo dire - era il suo vero destino.
«Certo, Victor, corri pure dietro a una qualche visione senza nemmeno sapere quando si avvererà! Non preoccuparti per noi, in fondo sei solo l’unico erede! E no, non preoccuparti neanche della promessa che mi avevi fatto, tanto sono solo due anni che miglioro sperando che tu finalmente riconosca il mio merito e mi aiuti a volare… Atteggiamento davvero maturo, vostra altezza!», ringhiò Yuri, sempre più esasperato mentre camminare nel bosco si faceva più difficile e irritante.
Non aveva paura a vagare da solo in quelle zone, non era la prima volta che si avventurava così lontano, ma mai prima di allora aveva progettato di arrivare ad uscire dal bosco: quello fuori era il territorio degli umani, un mondo caotico, bruto, che le fate stentavano a comprendere.
“Come fa a sapere che quello della sua visione è un umano, poi?”, si chiese distrattamente, superando la penultima fila di alberi e avvicinandosi al limitare del bosco. Davanti a lui si stendeva una collina coperta di neve sottile e sporca, ben lontana da quella soffice e candida del loro regno, segni di zoccoli, ruote e piedi ne solcavano il manto bianco, in direzione di una serie di casupole di legno e pietra da cui si alzavano colonne di fumo.
Yuri non avrebbe mai usato il termine “esitare” per descrivere le sue azioni: ogni volta che decideva di fare qualcosa, vi si buttava a testa bassa, affrontando tutto ciò che derivava dalle sue decisioni senza un lamento, senza un ripensamento, e allo stesso tempo, se decideva di non fare qualcosa, lasciava che una porta si chiudesse fra lui e ciò che avrebbe potuto essere, separandoli per sempre; non c’era motivo di stare a rimuginare su una serie infinita di “se” utili quanto un paio d’ali in una tormenta di neve. Ma ecco, nonostante questa sua particolare caratteristica, in quel momento Yuri si fermò al confine fra il mondo che conosceva bene, che era in grado di gestire senza il minimo tentativo, e quello sconosciuto e a tratti minaccioso che si stagliava davanti a loro, esitando.
Quante fate si erano avventurate in quel mondo prima di lui? Non era sicuro di averne mai conosciuta qualcuna, sebbene sapesse che esisteva qualcuno che c’era riuscito.
“Ok, puoi farcela” si disse, raddrizzando le spalle e scuotendo i capelli, spostandoseli dietro le spalle: erano lunghi, come i capelli di quasi tutte le fate, e se doveva essere sincero, era abbastanza orgoglioso della massa dorata che fluttuava dietro di lui ad ogni movimento, ma anche lui doveva riconoscere che - se il suo obiettivo era non dare nell’occhio - quella avrebbe potuto essere un problema.
A meno che…
“No, non ci penso nemmeno”, pensò per un momento, cercando di valutare altre opzioni, che naturalmente gli sembravano ben peggiori. “Victor, ti ammazzerò due volte per questo”, si disse mentre cominciava già a cambiare aspetto, rimpicciolendosi sempre di più. Ben presto non divenne altro che un puntino luminoso, impossibile da distinguere da una lucciola o una scintilla sfuggita ad un fuoco.
Yuri non amava viaggiare in quella forma, lo faceva sentire vulnerabile; era più facile nascondersi, sì, ma era l’unico vantaggio, dato che in quel modo non poteva usare altra magia, e di sicuro non poteva difendersi a mani nude. Senza contare il rischio di essere schiacciato o ingoiato da qualche animale…
Con l’ennesimo sospiro indispettito, Yuri spiccò il volo, ringraziando il fatto che almeno ora che era uscito dal regno dei ghiacci, il vento si era fermato, e l’aria della collina era fresca e ferma.
“E ora dove dovrei andare?”.
 
Il mondo degli umani era decisamente rumoroso, e frenetico: c’era gente che urlava, martelli che battevano su incudini, carri che avanzavano per le strade sconnesse in una cacofonia di cianfrusaglie che cozzavano fra di loro… Yuri impiegò solo tre secondi a decidere di detestarlo quasi quanto detestava Victor, forse persino di più.
La luce del sole ormai al tramonto copriva a sufficienza il lieve bagliore che emanava il corpo di Yuri, il quale avrebbe dovuto trovare qualche altra soluzione per la notte, e la fata riuscì a procedere attraverso quel villaggio senza eccessive complicazioni, solo un gatto tentò d’un tratto di afferrarlo con una zampata, ma gli bastò volare un po’ più in alto per liberarsi di quell’impiccio, oltretutto l’espressione del felino quando gli scrollò un po’ di polvere di fata sul muso curioso fu abbastanza da metterlo quasi di buon umore.
Fu col calare delle tenebre che la situazione si fece più difficile, al punto che Yuri decise di nascondersi momentaneamente dietro un paio di botti vicino all’ingresso di quella che - a quanto recitava l’insegna sulla porta - era l’unica taverna del villaggio.
Che diamine era una taverna, comunque?
Una volta al riparo da occhi indiscreti, la fata si assicurò di essere solo prima di provare a tornare alle sue dimensioni consuete, ma fu in quel momento che si accorse della tragedia appena consumatasi: quelle botti erano vecchie, e piene di schegge e chiodi sporgenti. Proprio in alcuni di quei chiodi e schegge, nel momento in cui si era tuffato rapidamente, i suoi capelli erano andati ad aggrovigliarsi senza modo di riparo, e questo gli impediva di trasformarsi.
Le fate sono creature libere, la loro magia stessa nasce dall’assenza di costrizioni, e anche un impiccio all’apparenza piccolo come dei capelli incastrati da qualche parte bastava a spezzare l’equilibrio. Niente magia se non sei libero.
«Merda!», sbraitò Yuri, strattonando e girandosi nel tentativo di liberarsi, senza successo. Continuò a imprecare ad alta voce, sapendo bene che in quel momento la sua voce poteva sembrare al massimo il rumore di un soldo che cade per terra, o magari un flebile scampanellio. «Dannazione!», ringhiò mentre provava a tirare con più forza di prima, ciocca dopo ciocca, di nuovo senza successo.
Non era tipo da farsi prendere dal panico, ma ora era sull’orlo della disperazione: sarebbe riuscito a liberarsi con la magia, ma ora la sua magia era bloccata proprio dalla situazione che avrebbe potuto risolvere in uno schiocco di dita con essa… Alle fate i paradossi piacciono, ma solo quando non ne sono vittima.
A metà dell’ennesimo sproloquio su quanto quella situazione facesse schifo e su quanto odiasse tutti e tutto, ma particolarmente Victor, qualcosa calò su di lui, causandogli un momento di paralisi totale.
Una mano, una mano umana l’aveva afferrato!
Non era possibile, ora era rinchiuso dentro un palmo chiuso, e probabilmente se l’umano avesse stretto anche di poco la presa, l’avrebbe distrutto.
Chiuse gli occhi e si preparò al peggio, invece sentì solo il rumore di qualcosa che viene spezzato e staccato, e poco dopo ricominciò a vedere la luce delle stelle, e a sentire l’aria maleodorante del villaggio.
Spostò il capo, cercando di capire, e vide un volto davanti a sé, che lo scrutava attentamente.
“Oh no. Ora mi strappa le ali, se ha capito cosa sono, o peggio, mi vende a qualcuno, o…”.
«Bel nodo».
Di sicuro, Yuri non si sarebbe aspettato che l’umano si mettesse a parlare. La sua voce era seria, profonda, e calma, non sembrava una minaccia, nonostante tutto.
«Vediamo cosa riesco a fare».
Ben poco, come intuirono entrambi alla fine, e a quel punto l’umano tirò fuori qualcosa di appuntito e luminoso, che mise subito in agitazione la giovane fata, fino a quel momento seduta sul palmo dell’altro, ma che ora scattò in piedi, solo per cadere malamente indietro sotto il peso di ciò che era intrecciato ai suoi capelli.
«No, non voglio farti male! Ma non posso lasciarti così, per tirarti via da dietro quelle botti ho dovuto staccare un paio di chiodi e schegge grossi quanto te, non mi sorprende che tu non riesca a stare in piedi. Lasciami fare».
Umiliante.
Farsi aiutare da un umano in quel modo era umiliante, e poi perché cavolo quel tipo lo stava aiutando? Era piuttosto sicuro che se un umano l’avesse visto, si sarebbe messo a urlare nella migliore delle ipotesi, l’avrebbe catturato e portato al mercato nella peggiore.
D’un tratto si sentì la testa leggera, molto leggera, come se…
«Oh, non hai osato», ringhiò furiosamente balzando in piedi una seconda volta, e ora senza impedimenti.
Scrollò la testa, pronto a sentire i propri capelli ballargli attorno, accarezzargli la schiena e i fianchi, ma stavolta non avvenne: sentì solo del solletico sul collo.
«Tu!», sbraitò, mentre la luce che emanava si colorava di rosso e lui volava via dalla mano dell’altra persona per volargli davanti agli occhi, un concentrato di rabbia e scintille rosse che però non sembrava intimidire minimamente quell’umano.
Semmai gli sembrava quasi divertito.
«Credo che la cosa non ti abbia fatto piacere, mh?», notò distrattamente, alzando una mano e facendo dondolare da essa una matassa dorata intrecciata a materiali sporchi e arrugginiti.
«I miei capelli!!».
Probabilmente, l’uomo stava sentendo solo dei tintinnii e scampanellii, ma Yuri era piuttosto sicuro di aver reso abbastanza la propria furia senza nemmeno aver bisogno di trasformarsi: aveva notato che l’umano era piuttosto robusto e probabilmente con forza da vendere, forse anche più alto della sua forma normale.
«Senti, mi dispiace averteli dovuti tagliare, ma non avresti potuto andare da nessuna parte così, no?».
La luce di Yuri tornò sul bianco-celeste, e la fata si avvicinò leggermente a ispezionare quelli che una volta erano i suoi bellissimi capelli.
Sì, si erano intrecciati così bene che non sarebbe mai riuscito a liberarsi, probabilmente i suoi tentativi precedenti avevano solo peggiorato le cose.
Questo non voleva certo dire che avrebbe ringraziato quel vandalo!
«E oltretutto stavi spargendo troppa luce e polvere di fata, avresti finito con l’attirare l’attenzione di qualche malintenzionato».
Di nuovo, quell’umano aveva fastidiosamente ragione.
«Che ci fai qui, comunque? Da queste parti le fate sono ormai ritenute quasi una leggenda, di sicuro non venite a trovarci per puro spirito di buona vicinanza».
Yuri alzò gli occhi al cielo: quel tipo iniziava a dargli il nervoso. Si allontanò un po’ dal suo volto e si sistemò i vestiti, snobbandolo volontariamente mentre usava qualche scintilla di ghiaccio per sistemarsi i capelli, tentando di adeguarli come meglio poteva al suo gusto estetico, l’umano lo lasciò fare, anzi si mise a sistemare il coltellino che aveva usato per liberarlo, rimettendolo nel fodero che nascondeva in uno stivale, e poi passò a riordinare le cose che aveva nella sacca di cuoio che gli pendeva da un fianco.
«Ti farebbe comodo una guida?», chiese poi, quando notò che Yuri aveva finito le scuse per ignorarlo.
Come cavolo riuscisse a distinguere la sua forma così bene nonostante le minuscole dimensioni, era un mistero.
Yuri lo osservò in silenzio, prima di prendere a svolazzargli intorno, scrutandolo con attenzione mentre valutava la situazione.
Quel tipo sapeva che era una fata, quindi, e sapeva qualcosa della sua specie.
Non era una buona cosa, per un nemico.
Però l’aveva aiutato, e si stava offrendo di aiutarlo ancora, inoltre forse non sapeva che Yuri avrebbe potuto cambiare forma e - volendo - combattere quasi ad armi pari.
Poteva essere un buon alleato.
Alla fine sospirò e, tornato nella visuale dell’umano, annuì lentamente, assicurandosi di fissarlo in cagnesco.
Non ne era sicuro, ma sospettava che l’umano avesse fatto un sorrisino mentre lo invitava ad accomodarsi nella sua tasca.
«Dovremo trovare un modo per comunicare, così potrai dirmi dove dobbiamo andare».
Ecco, quello forse sarebbe stato un problema, perché ormai nemmeno Yuri ne aveva la più pallida idea.
 

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Nota dell'autrice: rieccomi! Perdonate l'attesa ignobile, ma ho avuto un piccolo blocco e non ero sicura di cosa far succedere nel capitolo... Anzi, in realtà non ne sono totalmente soddisfatta nemmeno adesso ^^"
Finalmente "un incontro" :3 per il momento non si fanno nomi, ma.. ;)
Mi spiace che per il momento i capitoli possano sembrare lenti, ma fino ad ora ho dovuto un po' introdurre la storia, per poterla fare arrivare all'azione, ma già dal prossimo le cose cominceranno a muoversi più rapidamente.
Quindi spero che restiate con me!
Grazie a chiunque abbia letto/recensito/messo nelle storie seguite, o ricordate, o preferite, un po' di supporto fa sempre bene!
Poi, se qualche lettore silenzioso avesse voglia di non essere più tanto silenzioso e darmi un'opinione, sarà sempre il/la benvenuto/a
Con questo mi ritiro, ma ho un'ultima domanda da fare: dal momento che il rating della storia potrebbe andare a salire con il resto dei capitoli, c'è qualche minorenne che ha iniziato a leggerla? più che altro per sapere se arrivare al rating rosso - in tal caso costringerei magari persone che hanno iniziato a leggere ad interrompere perchè EFP non permette di visualizzare il rating rosso ad account minorenni, naturalmente - o limitarmi all'arancione ^^ fatemi sapere anche via messaggio privato e ci sentiamo al prossimo capitolo!
Ricordate che potete trovare la storia anche sul mio account Wattpad -> WarlockOmi
Baci

Starishadow

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Il mercato ***


Capitolo 3 - Il mercato



Passarono cinque giorni di viaggio prima che Yuri si decidesse a mostrare la propria forma al suo taciturno compagno, e non si può esattamente dire che ciò avvenne per sua scelta.
Per tutto quel tempo, la fata aveva viaggiato stando comodamente a sedere sulla spalla dell’umano, o occasionalmente - nei giorni più ventosi - nascondendosi nella sua tasca, il che era stato un sollievo per lui: preso dalla sua missione e dalla sua irritazione nei confronti del principe, non si era accorto di quanto quella spedizione l’avesse effettivamente stancato, e se avesse continuato a camminare, ma soprattutto volare, non avrebbe fatto poi molta strada.
La pacchia, comunque, non era destinata a durare ancora molto: mentre si apprestavano a superare una foresta nota agli umani per i suoi loschi abitanti, presto si erano trovati circondati da quelli che dovevano essere banditi. Yuri fu felice di essersi raggomitolato nella tasca dell’umano poco tempo prima, mentre sentiva i furfanti iniziare a chiedere denaro e qualsiasi oggetto prezioso contenuto nella sacca dell’altro; se avessero saputo di lui, le cose non avrebbero tardato a degenerare.
Se n’era quindi rimasto in silenzio nella tasca, riducendo al minimo il suo bagliore, ma evidentemente non era destinato ad avere un po’ di pace: a giudicare dai rumori e dal movimento, i banditi e il suo compagno di viaggio - di cui si era rifiutato di memorizzare il nome - dovevano aver iniziato a lottare.
“Che seccatura”, si disse, mettendosi sul chi vive e stando pronto a intervenire. Se solo avesse avuto modo di vedere qualcosa, avrebbe potuto collaborare un po’ di più, ad esempio congelando il terreno sotto i piedi dei loro nemici, o gettando schegge gelate nei loro occhi, o scatenandogli una tempesta di ghiaccio nello stomaco… Gli piacevano tanto le tempeste di ghiaccio, ci si sarebbe quasi potuto divertire!
Le sue macchinazioni furono bruscamente interrotte da qualcosa di metallico e appuntito che lacerava la stoffa che lo proteggeva e si conficcava nella carne dell’umano, mancando Yuri di così poco che la fata realizzò cos’era successo solo quando vide una ciocca dei suoi capelli recisa.
“Non di nuovo”, fu il suo primo pensiero, mentre già iniziava a ribollire di rabbia, ma presto un’emergenza più grossa di quella si presentò: la tasca in cui era adagiato si stava bagnando di qualcosa di caldo, e dall’odore ferroso, e…
«Oh, no», sussultò, finalmente lanciandosi in volo fuori dalla tasca, ignorando il mormorio di protesta dell’umano, e si trasformò, aumentando la propria stazza e diminuendo la sua luce.
La sorpresa dei banditi fu tutto ciò di cui aveva bisogno per poterli mandare tutti e quattro a terra e trasformarli in sculture di ghiaccio mentre cercavano di strisciare via come vermi.
«Creature inutili», mormorò freddamente prima di sospirare e voltarsi verso l’umano, che lo fissava con gli occhi sgranati.
«T-tu…».
«Amerei parlare di tutto questo ancora per molto, ma stai sanguinando, nel caso non te ne fossi accorto», tagliò corto la fata, trattenendosi dallo schiaffarsi una mano in faccia quando quello cadde a terra con un grugnito di dolore appena soffocato, portando una mano alla freccia che gli spuntava dal petto ed estraendola lentamente.
Raramente le fate provano empatia, ma in quel momento Yuri si sorprese ad arricciare il naso e soffocare un brivido, provando una sorta di fastidio a immaginare ciò che stava provando l’umano.
“Non perdere tempo con questo”, si disse scrollando la testa e affrettandosi a raggiungere il compagno di viaggio.
«Ma tu…».
«Poi vi chiedete perché voi umani siete così mortali», sospirò Yuri, impedendo per l’ennesima volta all’umano di parlare, avvicinando la mano al suo petto e concentrandosi.
Non aveva fatto spesso incantesimi di guarigione: erano fra i libri che aveva sottratto alla biblioteca reale mentre si annoiava, certo, ma un conto era leggerli, un conto…
“L’hai già fatto in passato”, gli ricordò una vocina all’interno della sua mente, e i suoi occhi si aprirono di scatto.
L’ombra di un ricordo stava aleggiando nella sua mente: neve, un piccolo umano assiderato, Mila e Georgi che se ne andavano. Quel bambino… Yuri era riuscito a salvarlo da solo, prima ancora di studiare quei manuali.
Un sorrisino danzò sulle sue labbra e uno sguardo non esattamente rassicurante gli attraversò lo sguardo, mentre una luce calda e dorata si sprigionava dalle sue dita e si irradiava fino al petto dell’altro.
Cercò riscontro nell’espressione dell’umano e si illuminò nel vedere le sue sopracciglia distendersi, le labbra non più serrate, ma ora leggermente dischiuse per la sorpresa.
Quando si reputò soddisfatto, Yuri interruppe l’incantesimo, aggiungendo solo un ultimo dettaglio quando, con delle piccole scintille di ghiaccio, andò a coprire la macchia di sangue: quella tasca doveva pur sempre essere il suo mezzo di trasporto.
«Uhm, grazie».
«Figurati. Mi avrebbe scocciato veder morire la mia guida», replicò facendo spallucce e alzandosi, guardandosi intorno con aria assorta. «Dici che questa è la strada giusta?», domandò poi, distrattamente.
«Sai, non è che io sapessi di preciso dove stavi andando… non sei stato esattamente loquace, finora».
«Cioè stavamo vagando alla cieca?», esclamò inorridito Yuri, voltandosi a fronteggiare l’altro, nonostante la differenza di altezza fra loro. «Mi hai fatto perdere tempo? Come hai osato, razza di sottocreatura---».
«Ho un nome, innanzitutto. E in secondo luogo, io so benissimo dove sto andando, tu non mi hai dato una destinazione, ma hai accettato di seguirmi, nessun trucco».
L’umano avrebbe dovuto essere grato che Yuri avesse cambiato la propria statura, in quel momento: quando sono nella loro forma ridotta, le fate possono provare solo un’emozione per volta, e quando tale emozione è particolarmente negativa, tendono a diventare dispettose, o pericolose, e in quel momento, Yuri era furioso.
«Io ti parlavo, eri tu che non capivi!», sbraitò.
«Non è facile capire che quella specie di scampanellio erano parole», replicò l’altro senza scomporsi poi così tanto, quasi fosse abituato a simili atteggiamenti.
Andarono avanti con quel battibecco ancora un po’, finchè l’umano non si decise a tagliar corto:
«Quindi, ora che ti sei deciso ad avere una voce udibile, dove vorresti andare? E magari, sapere come ti chiami non mi dispiacerebbe. “Scampanellio” non sembra più tanto adatto, ora».
In quel momento a Yuri sorse il sospetto che l’umano stesse facendo apposta a provocarlo e innervosirlo, per qualche malsano istinto che gli esseri umani dovevano avere; non c’era altra spiegazione, altrimenti.
«Mi hai chiamato “Scampanellio” tutto questo tempo?», chiese con aria nauseata, prima di scuotere la testa, rassegnato, notando finalmente l’entità del danno subìto prima di trasformarsi: fortunatamente la ciocca recisa era sottile, gli sarebbe bastato fare una piccola treccia da quella parte e avrebbe risolto. Si apprestò a farlo, un po’ perché non tollerava uno scempio simile nei suoi capelli, ma soprattutto perché era consapevole dell’umano che teneva lo sguardo fisso su di lui.
Non si era mai trovato in una situazione simile, ma in quel momento, sentendo un vago senso di soddisfazione e piacere nascere in fondo al suo stomaco sentendo gli occhi dell’altro sul proprio corpo, presenti quasi quanto un reale contatto, Yuri iniziò a chiedersi se quelle voci che aveva sentito girare per anni nel regno riguardanti una lontana parentela fra le fate e le sirene, non fossero reali.
Magari anche le fate si sarebbero divertite a sedurre e attirare umani verso la loro morte, se non avessero visto di quanta crudeltà era capace quella specie.
Anche l’umano probabilmente dovette essersi accorto di aver guardato un po’ troppo, e si affrettò a distogliere lo sguardo con la scusa di controllare i dintorni, parlando mentre continuava a tenere gli occhi  ben lontani dalla fata:
«Se non ti piace, dimmi il tuo vero nome».
«I nomi sono una cosa pericolosa», notò innocentemente Yuri, fingendosi assorto in altri pensieri - mentre in realtà stava solo cercando di ricordarsi come accidenti si faceva quella treccia. «Perché non mi dai prima il tuo?».
Il silenzio dell’altro lo costrinse a spostare lo sguardo verso di lui, trovandolo fermo e con gli occhi fissi in lontananza, verso un punto indistinto, coperto dagli alberi, ma che sembrava il torrione di un castello molto distante.
«Quanto sono potenti?», chiese poi quello, tornando a guardare lui.
«Oh, beh, spesso le fate sfilano il nome di un neonato dalle labbra della madre per poter creare degli incantesimi di protezione, altre volte rubano il nome ad un uomo così sciocco da avvicinarsi troppo a loro, e gli fanno dimenticare se stesso finchè quello non perde la ragione, oppure usano i nomi per legare indissolubilmente due creature… Ci sono molte cose in un nome», fu la risposta, anche troppo sincera, dell’altro.
Non aveva molta scelta: le fate non possono mentire, soprattutto davanti a una domanda così diretta.
«Aspetta… Rubare un nome? Un nome non è solo un nome?».
La fata alzò gli occhi al cielo e ricominciò a intrecciarsi i capelli.
Sapeva che stare fermi in quella foresta non era una buona idea, ma era piuttosto confidente di poterli difendere da nuovi banditi, e soprattutto non era ancora del tutto sicuro che l’umano stesse bene, voleva aspettare un po’ e controllare che l’incantesimo gli fosse riuscito realmente.
«Per voi umani sì, per noi un nome è qualcosa di decisamente più concreto. Però sì, serve anche a chiamarci e identificarci. Quindi, tu ti chiami…?».
L’umano parve divertito da quella domanda, il che non fece altro che irritare la fata.
«Se è così importante, perché non hai memorizzato il mio la prima volta che te l’ho detto?».
Ecco, quell’umano si stava guadagnando decisamente il suo disprezzo. E che era quel sorrisino compiaciuto e soddisfatto di sé? Oh, gliel’avrebbe cancellato dalle labbra con un pug---.
“Però, è quasi… carino mentre sorride”.
Yuri sapeva che non avrebbe dovuto perdersi nel modo in cui quelle labbra rosate, screpolate dal freddo ma non per questo meno interessanti, si curvavano all’insù, facendo alzare le guance sugli zigomi definiti e dando una nuova luce a quegli occhi scuri che - nonostante il sorriso - gli sembravano in qualche modo spenti, chiusi…
No, non avrebbe dovuto farlo e non l’avrebbe fatto. Non era mica Victor, lui!
«Non mi interessava», disse semplicemente. «Ma ora credo che sapere come chiamarti per dirti che stanno per attaccarti alle spalle, potrebbe essere una buona idea».
L’umano parve concordare:
«E magari, la prossima volta, quella cosa del pietrificare gli altri con un cenno della mano… falla prima».
«Ti stavo dando fiducia! Credevo te la cavassi a combattere contro degli umani! E comunque li ho congelati, non pietrificati».
«Io sono uno e quelli erano quattro! Una mano poteva farmi comodo».
«Oh, ma stavi andando benissimo… Finchè non ti sei trasformato in un grosso paglione per le loro frecce».
«Potevano benissimo colpire anche te».
Niente, probabilmente Yuri avrebbe fatto meglio a tornare nella sua versione fata e nascondersi di nuovo nella tasca a urlare insulti contro quell’essere che tanto lo snervava. E magari ogni tanto volare fuori a tirargli quei capelli corvini ingiustamente ordinati nonostante il vento e la lotta da poco avvenuta. Chissà se erano morbidi al tatto come sembravano…
“La piantiamo?!”.
«Va bene! Mi chiamo Yuri e sto cercando una persona, ora che te l’ho detto, possiamo per favore chiudere la faccenda e muoverci? Ormai è appurato che il mio incantesimo non cederà e tu rimarrai vivo, direi di rimetterci in marcia».
Lasciando stare la treccia, la fata si trasformò nuovamente e si infilò nella sua tasca, facendo sporgere il capo quel minimo necessario a continuare a fissare in cagnesco l’altro.
«Bene, Yuri-che-cerca-una-persona», commentò l’altro con un sorrisino sornione. «Piacere di conoscerti, finalmente. Mi chiamo Otabek, e - fortuitamente - anche io sto cercando una persona».
Viaggiare con Otabek, Yuri fu costretto ad ammetterlo suo malgrado, non era poi così male, ora che effettivamente i due riuscivano a comunicare.
Insomma, “comunicare” era relativo: solitamente Yuri decideva di rendersi comprensibile quando non c’era nessuno che potesse vedere la sua trasformazione, lui e Otabek parlavano un po’, ma poi finivano inevitabilmente per bisticciare su qualcosa, e la fata tornava al suo nascondiglio con fare indispettito.
Era ormai routine, per loro, e più parlavano, più imparavano a conoscersi, più finivano con l’apprezzarsi l’un l’altro, anche se difficilmente uno dei due l’avrebbe ammesso.
Otabek era curioso quanto un bambino riguardo al mondo delle fate, e aveva confessato di non aver mai smesso di credervi, anche quando tutti gli abitanti del suo villaggio avevano cercato di convincerlo altrimenti; incontrare Yuri, ottenere risposte ad ogni sua domanda - beh, quasi, dato che Yuri si rifiutava categoricamente di rispondere a domande riguardanti la sfera amorosa e sessuale delle fate, oltre che altri dettagli prettamente fisici - riusciva a illuminargli lo sguardo di un’innocenza che non mostrava in altri momenti, togliendogli anni dal volto e facendolo somigliare di più al ragazzo che realmente era.
E Yuri rimaneva affascinato ad osservare tale cambiamento, a volte tanto incuriosito dalle espressioni che si rincorrevano sulla faccia dell’umano da perdere il filo di ciò che stava dicendo, cosa che aveva giustificato rapidamente accusando la scarsa capacità di concentrazione di una fata. Non era una vera e propria bugia: l’attenzione delle fate è volubile quanto le fate stesse, basta un minimo dettaglio per distrarle, se non sono fermamente decise a restare concentrate su qualcosa, quindi era una buona scusa. Yuri non mentiva e allo stesso tempo non perdeva la propria dignità.
Dignità che andava comunque a farsi benedire quando era il turno di Otabek di raccontare della vita nel mondo degli umani alla giovane fata: Otabek non l’avrebbe mai detto all’inizio, ma Yuri era curioso di tutti gli oggetti creati dagli umani, delle loro abitudini, delle loro medicine, persino. Ma soprattutto, la fata era andata in estasi quando gli aveva accennato della sensazione di pattinare su un lago ghiacciato. Non si era aspettato una simile reazione dall’altro, eppure la sua intera figura si era illuminata, e le sue ali, prima elegantemente ripiegate dietro la sua schiena, avevano iniziato a fremere, facendolo sollevare dalla roccia su cui si era seduto.
Era stato uno spettacolo che aveva lasciato Otabek incredulo, ma anche intenerito: Yuri poteva rispondere male la maggior parte delle volte, avere un caratteraccio, minacciare di congelargli una parte del corpo diversa ogni giorno, a volte anche più di una volta al giorno, sembrare gelido ad un primo approccio, ma poi era una delle creature più vitali, curiose e calde che Otabek avesse mai incontrato nella sua vita, e le sensazioni che provava stando intorno all’altro, certe volte lo spiazzavano.
Non era sicuro che sentire il bisogno di farlo entusiasmare così altre volte, di vedergli quel sorriso e quella luce addosso, di proteggerlo da chiunque volesse anche solo provare a gettargli delle ombre addosso e - soprattutto - di sfiorare quella pelle candida per vedere se era glaciale come la neve che sembrava scivolare costantemente dalle sue ali, o calda come Otabek invece sospettava, fossero positive.
Yuri, nei suoi racconti, era stato chiaro: è difficile che una fata si innamori di un umano e scelga di legarvisi, e Otabek poteva anche capire perfettamente il motivo. Una fata, se si innamora, si innamora per sempre, ma il “per sempre” di un umano sarà sempre non abbastanza per una creatura immortale. Innamorarsi di un mortale, destinato a crescere e invecchiare, segnava condannare se stessi a una vita passata in lutto, a piangere la perdita del proprio amato, oppure a rinunciare ad essere una fata, rinnegare la propria natura pur di avere accanto la persona amata.
Entrambe le possibilità davano i brividi a Otabek, e a giudicare dall’espressione che aveva Yuri nel parlarne, i pensieri dell’altro non erano poi così lontani dai suoi.
L’unica cosa di cui non avevano parlato, era di chi stavano cercando.
Yuri si era limitato a dire che cercava un’altra fata che aveva scelto di avventurarsi nel mondo degli umani, Otabek aveva parlato semplicemente di una bambina bisognosa di aiuto; era stato sufficiente, avevano messo su un piano nel giro di un paio di notti, decidendo di iniziare le ricerche dal maggior centro abitato più vicino, la capitale del regno in cui vivevano, cercando di trovare indizi e raccogliere informazioni per poi spostarsi ai borghi minori se se ne fosse presentata la necessità.
«Giusto per pura informazione, hai dei soldi con te?», chiese d’un tratto Otabek, mentre si trovavano alle porte della città. Vedere Yuri rimpicciolirsi di colpo e sentirlo rifugiarsi nella sua tasca gli bastò come risposta e gli strappò un sospiro rassegnato. «Sei incredibile, partire così, alla ricerca di qualcuno, senza nemmeno preoccuparti di avere dei soldi dietro? Credevo che le fate fossero previdenti».
Yuri non sprecò nemmeno tempo o energie a rispondergli per dirgli che le fate a malapena sapevano cosa fosse il denaro umano, e Otabek scelse di lasciar cadere il discorso, tirandosi un cappuccio sul capo e addentrandosi nel paese.
La città era vivace e rumorosa, subito superato l’arco d’ingresso ci si affacciava su una grossa piazza che ospitava un mercato, pieno di colori, suoni e odori. Otabek rimase impassibile e continuò a camminare, addentrandosi fra la gente, evitando anziane signore col capo e le spalle coperte da scialli variopinti e bambini che correvano e si spintonavano allegramente.
Quell’atmosfera gli era dolorosamente familiare: quello dove era cresciuto era un piccolo villaggio, certo, ma nei giorni in cui veniva montato un modesto mercato nella piazza, una volta a settimana, tutta la popolazione sembrava incapace di resistere al bisogno di riversarvisi, richiamata a gran voce dai venditori e dalle loro mercanzie.
Nessuno avrebbe mai pensato che proprio quel momento di allegria generale avrebbe potuto portare tutto quel dolore…
Un fremito sempre più intenso all’altezza del petto distolse Otabek dai suoi pensieri, il ragazzo si accigliò mentre abbassava lo sguardo verso il taschino che ospitava Yuri, confuso. La fata sembrava irrequieta, il frullio che aveva sentito era quello delle sue ali, probabilmente, e una luce a malapena soffocata dal tessuto dei suoi vestiti iniziava a irradiarsi.
“Che cavolo stai combinando, Yuri?”, si chiese, svoltando rapidamente in un vicolo fortunatamente vuoto e portando subito le dita ad allargare il taschino, facendo cenno all’altro di uscir fuori.
Un lampo di bianco e celeste, e Yuri era in piedi davanti a lui, in tutto il suo splendore… Letteralmente.
«Yuri!», esclamò Otabek a denti stretti, sforzandosi come meglio poteva di coprire con il proprio mantello la sagoma dell’altro, temendo che quella luce potesse attirare qualcuno.
«Lasciami!», si ribellò la fata, allontanandosi dalle braccia dell’altro ma riducendo la propria luce.
«Si può sapere che ti prende?! Volevi farti scoprire?».
Otabek capì in fretta che Yuri non lo stava ascoltando: era più impegnato a far vagare lo sguardo da una parte all’altra del vicolo, allungando leggermente il collo per sbirciare oltre l’angolo che li nascondeva… e finalmente, la risposta gli fu evidente, così semplice da strappargli una risata.
«Sei curioso di vedere com’è questo mondo!».
Come avrebbe potuto prevedere, Yuri lo fulminò con un’occhiataccia e si imbronciò, perdendo ogni apparenza di interesse che l’aveva animato prima e incrociando le braccia davanti al petto.
«Dovrei? Voi umani siete solo noiosi e rumorosi».
Sarebbe potuto anche apparire credibile, forse, se nel dirlo i suoi occhi non fossero saettati di nuovo verso la piazza lì vicina da cui ora giungeva della musica che prometteva l’arrivo di qualche saltimbanco.
«Credevo che le fate non potessero mentire?».
«Che siete noiosi e rumorosi non è una bugia».
Otabek decise di smettere di infierire sulla povera fata, piuttosto preferì seguire un’altra idea:
«Torna qui nascosto, dobbiamo fare una cosa».
Naturalmente, Yuri parve sospettoso e piuttosto contrario all’idea, ma alla fine sospirò e obbedì, tornando nella sua solita tasca e standosene  buono buono ad aspettare il segnale di poter uscire nuovamente; tale segnale arrivò dopo quelle che erano sembrate ore alla povera fata, chiusa al buio in quella tasca senza niente di meglio da fare che giocherellare con i propri capelli, intrecciandoli distrattamente mantenendo un’espressione corrucciata per tutto il tempo. Quando Otabek allargò la tasca facendo entrare la luce del giorno nel suo nascondiglio, però, Yuri si prese il suo tempo ad uscire, finendo prima la treccia a cui stava lavorando e usando del ghiaccio per fissarla in modo tale che restasse ben tesa su un lato della sua testa.
«Ok, ora che non ci vede nessuno, mettiti questi», disse l’umano, tenendo in mano quello che sembrava un mucchio di stoffa. Yuri vi svolazzò attorno, osservandolo incuriosito ma stando attento a mantenere un’espressione critica sul viso, per poi decidersi a trasformarsi e prendere gli abiti fra le mani.
«Voltati», ordinò bruscamente, e Otabek obbedì prontamente, dandogli le spalle e limitandosi a controllare che nessuno si avvicinasse alla nicchia che aveva trovato per nascondersi in quel momento. Dopo pochi secondi, la voce di Yuri gli diede il permesso di voltarsi nuovamente.
La fata ora era avvolta da abiti scuri, che fasciavano perfettamente la sua figura esile e facevano risaltare il candore della sua pelle e dei capelli, su cui facevano bella mostra due trecce ai lati del viso che tenevano indietro le ciocche più ribelli.
«C’è un problema», gli fece notare il biondo con aria contrariata, indicando con un cenno del mento le ali che al momento erano piegate malamente sotto il tessuto spesso della maglia. Non c’era traccia di dolore sul volto della fata, ma Otabek aveva la netta sensazione che ancora qualche minuto incastrate in quel modo, e riuscire a sopportarlo sarebbe stato difficile anche per Yuri.
«Aspetta», disse, prendendo il pugnale che teneva nascosto nello stivale e facendo voltare delicatamente l’altro ragazzo in modo da poter agire liberamente sul retro della casacca. Poco dopo, quando il pugnale fu di nuovo al suo posto, le ali di Yuri erano morbidamente appoggiate alla sua schiena, ripiegate con cura in modo tale da aderire perfettamente al corpo e non intralciare alcun movimento. «Ora basterà coprirle con questo…», Otabek si chinò e prese l’ultimo capo d’abbigliamento che era rimasto a terra, aprendolo e rivelando uno spesso mantello verde scuro, che fece illuminare per qualche secondo lo sguardo di Yuri mentre l’altro glielo metteva sulle spalle e lo allacciava. A quanto sembrava, nemmeno le fate erano del tutto immuni al fascino di quegli abiti svolazzanti.
In particolare, notò Otabek con un certo divertimento, Yuri apparve entusiasta del cappuccio, che si apprestò a tirarsi sul capo, e delle tasche nascoste all’interno.
«Ora puoi vedere anche tu com’è il mondo in cui siamo», gli comunicò Otabek, osservando con una certa soddisfazione il risultato. «Sempre che tu non ti metta a lampeggiare e svolazzare, naturalmente».
L’occhiataccia che ricevette stavolta era totalmente giustificata, ma si affrettò ad ignorarla e spazzarla via con una risatina.
«Bene, uhm… come si comporta di preciso un umano?», chiese Yuri, cogliendo l’altro di sorpresa. «Nel senso, avete formule di cortesia o che so io?», precisò dopo aver notato lo sguardo confuso che era comparso sul volto del suo compagno di viaggio. Quella delle fate era una società altamente gerarchica, in cui ognuno aveva il proprio posto e ognuno aveva il proprio appellativo più consono a tale ruolo, e data l’alta natura orgogliosa di quelle creature, sbagliare una volta poteva portare a conseguenze decisamente spiacevoli.
Ora che ci pensava, Victor era stato il primo dei principi del loro popolo a non fare troppo caso a quelle formalità, il che aveva inizialmente spiazzato e insospettito i sudditi finchè non si erano abituati alle sue stranezze, arrivando ad apprezzarlo particolarmente proprio per quelle.
“Hai fatto del sorprendere tutti il tuo motto, eh, Victor? Beh, questa sorpresa ti costerà cara”, pensò Yuri, accigliandosi al pensiero di quel principe immaturo e capriccioso prima di tornare a concentrarsi su Otabek, che stava iniziando a parlare e spiegargli quanto serviva sapere.
La conclusione di quella “lezione”, però, fu uno Yuri estremamente seccato e un Otabek vagamente divertito:
«Andiamo, non è così difficile!».
«Ma assolutamente no! Siete strani».
In conclusione, decisero che Yuri avrebbe dovuto semplicemente fingersi uno straniero di ben poche parole, lasciando a Otabek il compito di parlare.
«Va bene, allora, cosa dobbiamo fare ora?».
«Intanto, qualche provvista potrebbe andar bene, in secondo luogo… sai usare qualche arma?».
Le sopracciglia di Yuri schizzarono in alto, quasi fino all’attaccatura dei capelli:
«Arma? Uhm…», effettivamente sì, era stato addestrato a tirar di scherma e nel tiro con l’arco, ma non gli andava del tutto di ammettere che per le fate era considerato ancora troppo piccolo per poter usare liberamente una qualsiasi arma. «Me la cavo meglio con gli incantesimi», disse infine con una scrollata di spalle.
«Ma volendo sapresti difenderti con una spada? O un pugnale?», insistette l’altro, stavolta più serio del solito. «Nel caso dovessimo separarci per qualche motivo, non puoi rivelare la tua identità usando la magia», aggiunse abbassando la voce, nonostante al momento non ci fosse nessuno intorno a loro.
«Credo di sì, so usare la spada e l’arco, ma…», con un sospiro sconfitto, Yuri concluse la frase. «finora non li ho mai usati al di fuori dell’addestramento».
Fu sollevato quando l’altro non fece alcun tipo di commento, ma si limitò a sorridere e alzare le spalle:
«Va bene, mi auguro che non arriverai ad usarla, ma per lo meno sai come bloccare un attacco e guadagnare del tempo per fuggire».
«So anche come trapassare lo sterno di chi ha osato attaccarmi», ringhiò Yuri, assottigliando lo sguardo con un’espressione minacciosa, ma quando vide Otabek scuotere la testa, non riuscì a trattenersi dall’aggrottare le sopracciglia e guardarlo con aria interrogativa.
«Ma l’hai mai fatto davvero? Hai mai sentito la spada trapassare vestiti, carne ed ossa mentre si conficca nel petto del tuo avversario? Hai mai respirato l’odore del sangue? Te lo sei mai sentito scorrere e raffreddarsi lungo la tua mano? Hai mai guardato negli occhi l'altro mentre moriva?».
La risposta fu chiara senza nemmeno bisogno di parlare: la fata si irrigidì, col fiato momentaneamente mozzato in gola, un leggero brivido che gli scorreva lungo la schiena. Non era stato causato solo dall’ immaginarsi tutte quelle sensazioni, ma dal tono e dall’espressione dell’altro ragazzo: nel raccontarlo, la sua voce era vuota, gli occhi distanti, e la sua mano destra aveva cominciato a tremare impercettibilmente.
Non serviva soffermarsi troppo a pensare per capire che lui invece l’aveva già fatto, e probabilmente non una sola volta.
La scarica di paura, e al tempo stesso eccitazione, che attraversarono il corpo di Yuri lo lasciò silenzioso e spaesato per qualche minuto, anche quando Otabek cambiò discorso e passò a spiegargli come funzionava il denaro umano e come comportarsi in mezzo a un mercato.
«Per il momento, questo è tutto quello che ti serve sapere, rimani vicino a me e osserva quello che faccio, d’accordo?», concluse poi l’umano, sorridendogli incoraggiante. «Benvenuto nel mio mondo», aggiunse poi alzando le sopracciglia.
«Uhm, sì… certo».
Se la poca convinzione di Yuri l’aveva lasciato sorpreso, Otabek non lo diede a vedere mentre si limitava a fargli cenno di avanzare e lo portava nuovamente in mezzo alla gente che si affollava intorno ai venditori.
Lentamente, la tensione che si era creata andò a scemare, mentre la curiosità di Yuri tornava a manifestarsi in maniera meno palese di prima. Non si allontanò dalla sua guida, seguendolo in silenzio e senza perderlo di vista un secondo, ma ogni rumore e ogni colore catturavano la sua attenzione, e i suoi occhi continuavano a saettare da una parte all’altra, vivaci e più colorati che mai, così come il suo volto non era più teso e corrucciato, ma simile a quello di un bambino impaziente di scoprire il mondo.
Non che Otabek stesse facendo caso a tutto questo, naturalmente.
Recuperato tutto quello che gli serviva, stavano per dirigersi di nuovo verso uno dei vicoletti stretti e poco affollati quando Yuri tirò leggermente il mantello di Otabek per attirare la sua attenzione, indicandogli silenziosamente un punto poco lontano da loro in cui si stava creando una piccola folla rumorosa, al centro della quale una donna strillava:
«Stregoneria! Chiamate le guardie! Al rogo, al rogo!!».
Istintivamente, Otabek fece un passo per coprire Yuri, guardandosi intorno per cercare di capire cosa stesse succedendo e da dove poter fuggire rapidamente, ma il suo cuore - che aveva preso a battere rapidamente in quei pochi secondi - tornò a un ritmo normale quando realizzò che quelle accuse non erano rivolte a loro.
Piuttosto, la donna ce l’aveva con quello che sembrava un ragazzo non molto più grande di lui, al momento a terra, circondato dalla folla che gli urlava contro ma non osava avvicinarsi.
«Che sta succedendo?», sussurrò Yuri da dietro di lui, appoggiandosi leggermente alla sua schiena per riuscire a sbirciare oltre la sua spalla.
Non si era mai accorto del profumo che emanava la fata, che ricordava quello delle mattine invernali quando la neve aveva appena finito di posarsi sull’erba e sui rami e riportava alla mente ricordi di un’infanzia innocente che non avrebbe mai riavuto…
In effetti era un odore che, ora che ci pensava, era sicuro di aver già sentito da qualche parte, anni prima, ma non riusciva a ricordare dove, né quando. Probabilmente la sua mente gli stava solo facendo qualche scherzo, ad ogni modo, non era quello il momento di pensarci.
«Ricordi che ti ho detto "meglio una spada di un incantesimo"?», chiese a bassa voce, mentre il ragazzo circondato si rannicchiava il più possibile come se così facendo potesse sparire. «Questo è il motivo».
«Guardie! Guardie!». La folla continuava a urlare, implacabile. «Aiuto! Ha i marchi del diavolo!».
Yuri si strinse inconsciamente di più a Otabek, disturbato da quelle parole.
Aveva quasi dimenticato quanto potesse essere tremenda la stirpe degli umani.
«Quello non è un demone», sussurrò a denti stretti, indignato. «Razza di idiota».
Ci fu del trambusto, e presto degli uomini del re accorsero, protetti da pesanti armature e con i volti nascosti dagli elmi, tutti puntarono le armi contro il ragazzo accucciato a terra.
«Ci conviene allontanarci, Yuri», sussurrò, spingendo delicatamente l’altro indietro, verso il vicoletto più vicino. L’ultima cosa che voleva era una fata irritata e le guardie del re nello stesso luogo.
«Non possiamo aiutarlo?».
«No, non possiamo. Andiamocene».
Le guardie afferrarono il ragazzo e lo buttarono in una gabbia, mettendo fine alla commozione generale.
Otabek afferrò Yuri e iniziò a trascinarlo, lasciando alla fata solo il tempo di incrociare lo sguardo con l’altro, ora terrorizzato, che veniva portato via.
Cosa aveva visto quella gente di tanto spaventoso in lui? Cosa c’era di anormale nei suoi capelli corvini e in quei grandi occhi castani, caldi e spaventati?
Yuri si lasciò trascinare senza interrompere il contatto visivo finchè non fu l’altro a dargli le spalle, lasciandosi cadere contro il bordo della gabbia e appoggiando il capo sulle ginocchia, rassegnato al proprio destino; solo in quel momento fu possibile notare un paio di ali scure e nere sulla sua schiena, solo un istante prima che sparissero.
«Otabek, Otabek, fermati! Non possiamo lasciarlo lì!».


**********************************
NdA: scusatemi tanto per l'attesa e per il cliffhanger! Ma sappiate che, per quanto possa impiegare del tempo fra un capitolo e l'altro, non mollerò questa storia finchè non sarà terminata, ho la trama delineata e anche diverse scene pronte, vi prego di sopportare l'attesa fra un capitolo e l'altro, il fatto è che ci tengo a darvi capitoli decenti e non robe sfornate così tanto per finire prima. Grazie ancora per la pazienza e ci vediamo al prossimo capitolo! Non abbandonate le speranze ;D
P.S. fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
Baci,
Starishadow

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Ali ***


Capitolo 4

- Ali -

 

       Ore e giorni erano passati, accavallandosi, intrecciandosi, sfumando le une negli altri, ma nulla variava all'interno della cella buia e umida.
La fata si raggomitolò per terra, ormai incurante della sporcizia che si attaccava alla sua guancia e ai suoi capelli, nonché su quel poco che restava dei suoi vestiti: il dolore sordo alle ali non gli permetteva di concentrarsi su nient’altro, offuscava tutti i suoi sensi, riempiva i suoi pensieri e gli limitava i movimenti.
I primi tempi di prigionia aveva tentato di ribellarsi, urlare, chiedere aiuto, ma lentamente aveva ceduto alla consapevolezza che tutto quello era inutile: quella cella era buia, fredda e silenziosa, nessuno l’avrebbe mai sentito e nessuno sarebbe arrivato in suo soccorso.
Non capiva come le cose avessero potuto giungere a quel punto, non era quello che le sue visioni gli avevano mostrato, qualcosa era andato storto, solo che non riusciva a capire cosa.
“Sarei dovuto restare a casa”, pensò tristemente prima di cedere al dolore e lasciare che i suoi occhi si chiudessero, senza però riuscire a trattenere un paio di lacrime che brillarono per pochi secondi nel nero della prigione, prima di spegnersi contro la scura sporcizia del pavimento.

       «Yuri, per l’ennesima volta, non possiamo andare a salvarlo! Perché ti interessa così tanto?», sbottò Otabek a mezza voce, quando la fata gli lanciò nuovamente un’occhiata quasi offesa con la coda dell’occhio dopo quasi un’ora passata in silenzio.
«Mi interessa perché non mi piace vedere un innocente rinchiuso e condannato a bruciare su un rogo, è così difficile capirlo?», replicò bruscamente la fata, regalandogli uno sguardo tagliente quanto il ghiaccio.
«In effetti sì, è difficile», esplose infine l’altro, fermandosi di botto e voltandosi a fissare la fata negli occhi. «Specie quando voi fate avete vissuto così tanto tempo a vivere nel vostro regno isolato, fingendo di non esistere, lasciando il resto del mondo a bruciare e soffrire quando sarebbe magari bastato un niente, per voi, e impedirlo!».
La fata si accigliò a quelle parole e si fermò a sua volta, fissando il suo compagno di viaggio con aria incerta.
«Ora la faccenda comincia a sembrare personale», notò con tono distaccato, incrociando le braccia al petto e spostando il peso su una gamba, senza lasciare lo sguardo dell’altro.
Otabek sembrava aver riguadagnato il controllo di sè, e aveva l’aria di chi si è pentito delle proprie parole nel momento stesso in cui queste sono state pronunciate, ma sapeva che non sarebbe bastato lasciar cadere il discorso, quindi sospirò sconfitto:
«Sì, c’è qualcosa di personale. Ora rispondimi: voi fate siete sempre esistite?».
Una sensazione spiacevole si impossessò di Yuri, una che lui finora aveva sperimentato solo in presenza di Yakov o Lilia; era quella sensazione che costringeva le fate a dire solo la verità di fronte a una domanda diretta, era una costrizione che loro detestavano, ma che era parte della loro natura.
Nei secoli, avevano imparato a pesare bene ogni parola, a calibrare ogni frase, avrebbero potuto rigirare un discorso in mille modi e plasmare la verità a loro piacimento, ma questa era solo una piccola difesa, che nulla poteva contro domande secche a cui andava data una risposta secca.
«Sì», rispose infine, assottigliando le labbra e affilando lo sguardo.
Forse Otabek non ne era consapevole, ma le fate ritenevano una grossa violenza ricevere domande così dirette, e qualcosa in Yuri in quel momento si stava sentendo tradita da quell’atteggiamento, come se in quel momento quel po’ di fiducia che aveva dato all’umano stesse venendo ferita… Si affrettò a scrollar via il pensiero, non era poi così probabile che l’altro ne sapesse tanto sulla sua specie.
Le leggende non erano mai troppo dettagliate, no?
«E hanno sempre saputo delle sofferenze del genere umano?».
Stavolta la sensazione fastidiosa non comparve, e Yuri si trovò a sorridere sardonicamente:
«Quale delle tante? Le vostre lotte fratricide? La vostra incapacità di ricavare dalla natura quanto vi serve? Il vostro bisogno di uccidere tutto ciò che ritenete inferiore a voi? O forse… la vostra mortalità?», il sorriso si era spento mentre elencava tutto quello, e il suo sguardo si incupì, senza però perdere il bagliore di rabbia che l’aveva acceso nel momento in cui Otabek aveva iniziato a porgli domande. «Sì, ne siamo consapevoli. Ma se abbiamo scelto di smettere di aiutarvi, è stato per proteggerci. La tua specie ci avrebbe fatti sparire, se gliel’avessimo lasciato fare».
Lasciò agire le sue parole sull’altro, soddisfatto nel vederlo riconoscere la verità di quel discorso.
«Non… non tutti gli umani sono così», mormorò infine.
«Ne sono consapevole».
«Eppure non ne aiutereste nemmeno uno?».
A quel punto, un ricordo riaffiorò alla mente di Yuri, portandogli un sorriso sulle labbra.
«Aiutiamo coloro che se lo meritano… Ma a volte il prezzo per farlo è troppo alto, e alle fate non piace molto sacrificarsi».
L’umano avrebbe chiesto quale fosse il prezzo, a quel punto, ma poi vide il modo in cui Yuri aveva leggermente incurvato le spalle, stringendosi fra le braccia, e vide la punta delle sue dita sfiorare delicatamente il bordo di una delle ali, ancora al sicuro nel calore del mantello, e spalancò gli occhi:
«Le vostre ali?».
La fata sussultò, prima di annuire.
«Se una fata offre volontariamente le proprie ali a un umano, potrà garantirgli l’eternità. Il sangue raccolto da un’ala strappata, con o senza consenso, ha poteri curativi in grado di rimediare ad ogni ferita o malattia… Nel passato, si è scatenata una vera follia fra il tuo popolo, che è subito corso a cercarci, nel tentativo di prendere quante più ali possibili. Per questo ci siamo nascosti, per questo quasi tutte le fate detestano gli umani e non gli importa di vederli bruciare… Quasi tutti hanno perso un padre, un fratello, un antenato - come li chiamereste voi, ma per noi quella parola ha un altro significato - per mano di uno di voi», stavolta fu Yuri a notare un certo disagio sul volto dell’altro, che sembrava non solo intristito, ma disgustato, e non riusciva a capirne bene il motivo.
«T-tu…?», chiese poi quello, esitando. «Hai visto tutto questo?», mormorò infine.
Non si era soffermato davvero a ragionare sul fatto che l’immortalità delle fate garantiva loro un aspetto eternamente giovane e sano, che poteva nascondere qualsiasi età, e per qualche motivo, il pensiero di uno Yuri infinitamente più grande di lui, che camminava - o volava - su quella terra da molto più tempo di lui, lo spiazzava.
Una risata cristallina e inaspettata spazzò via dalla sua mente quei dubbi.
«No, no! Non sono così vecchio!», esclamò l’altro, mordendosi il labbro inferiore per bloccare le risate, ma non riuscendo a nascondere un’espressione divertita. «Mio nonno, però, ha combattuto una delle ultime guerre contro di voi, e mi ha raccontato molto di quel periodo», spiegò infine, con una scrollata di spalle. «Ad ogni modo, spero tu possa perdonarci questa crudele noncuranza delle tragedie del vostro mondo», concluse con una sfumatura di sarcasmo, e ricominciando a parlare prima che l’altro avesse occasione di rispondere. «Per quanto riguarda quel ragazzo, e il motivo per cui voglio salvarlo… è per via delle sue ali», ammise con un sospiro.
«Aveva delle ali?».
Yuri annuì abbassando lo sguardo.
«Erano nere… Le ali nere significano che qualche fata ha scelto di sacrificare le sue per salvare la persona su cui queste appaiono. E se quel ragazzo ha quelle ali, significa che un’altra fata, tempo fa, è morta per lui, quindi, se ora lo lasciamo morire —».
«Il sacrificio di quella fata sarà reso vano, giusto?».
Yuri annuì nuovamente, senza incontrare lo sguardo dell’altro.
Otabek alzò gli occhi al cielo prima di fare un lungo sospiro e valutando attentamente quello che stava per dire.
«Le persone accusate di stregoneria vengono rinchiuse al castello, di solito», disse, parlando lentamente e valutando la situazione nel frattempo. «E la persona che sto cercando io, potrebbe essere prigioniera proprio lì».
Il suo sguardo si era fissato sulla sagoma di una fortezza che si stagliava controluce in lontananza, ma nonostante ciò, riuscì comunque a notare con la coda dell’occhio una nuova luce che si emanava dalla sagoma di Yuri.
Si rese conto che avrebbe dovuto capire prima che si trovava in compagnia di una fata decisamente giovane: sospettava che quelle più anziane fossero capaci di un autocontrollo sufficiente a non risplendere di luce propria ogni volta che qualcosa catturava il loro interesse o scatenava il loro entusiasmo.
«Dal momento che non abbiamo molto da perdere, e da qualche parte dovremo pur iniziare… propongo di trovare un modo per farci accogliere a corte».
Un altro bagliore, e stavolta si voltò a guardare Yuri, sorridendo nel vedere un’espressione soddisfatta e determinata dipingersi sul suo viso, mentre la sua pelle perdeva un po’ della luce di prima e tornava alla sua diafana colorazione normale.
«Spero per te che tu non abbia intenzione di farlo anche quando saremo dentro», lo avvertì, sussultando e schivando di scatto una palla di neve comparsa improvvisamente fra le mani dell’altro.
Mentre soffocava una risata, si ripromise di non provocare mai più una fata che - a quanto pareva - aveva la capacità di far comparire neve e ghiaccio dal nulla.

       Dei rumori lo svegliarono dal suo topore, e con la coscienza, tornarono anche le fitte di dolore, peggiorate dalla posizione in cui si era addormentato.
Con un leggero gemito, si sollevò un ginocchio e strisciò come meglio poteva verso le sbarre, socchiudendo gli occhi quando le luci delle fiaccole li ferirono.
C’era del movimento fuori: le guardie erano entrate e sembravano trascinare pesantemente qualcuno, come testimoniava il rumore di catene e i lamenti sommessi di qualcuno che implorava di essere risparmiato.
I suoi occhi si erano appena adattati alla luce improvvisa, quando finalmente il nuovo prigioniero passò davanti a lui, e per un secondo tutta l’aria nei suoi polmoni parve sparire.
Gli occhi castani del nuovo arrivato si incatenarono a quelli azzurri e arrossati dell’altro, e si sgranarono.
Entrambi socchiusero le labbra per dire qualcosa, ma prima che potessero riuscirci, una delle guardie strattonò prepotentemente il nuovo prigioniero e lo portò via, lontano dalla prigione in cui era rinchiusa la fata dai capelli argentati e le ali coperte di sangue.
Nel momento stesso in cui il corteo si allontanò, il buio tornò a regnare nella cella, ma anche se solo per qualche istante, la pelle della fata rimase illuminata.
Una luce fragile, flebile, delicata, candida come la neve, che si spense dopo solo qualche secondo.
La fata si accigliò e abbassò lo sguardo sulle proprie gambe, scorrendo fino alle caviglie incatenate e ai piedi nudi, coperti di sporcizia, di croste insanguinate, di lividi… Se quelle erano ridotte così, non osava immaginare come potessero essere le proprie ali e i propri polsi, legati dietro la schiena e martoriati da ore e ore di tentativi di liberarsi.
Era disgustato da se stesso, eppure, nel momento in cui lo sguardo di quello sconosciuto si era posato su di lui, l’espressione sul suo volto era stata di assoluta meraviglia, come se avesse appena visto l’essere più perfetto della terra.
E per lui era stato lo stesso: la stessa sorpresa, la stessa meraviglia, e per un attimo tutto il dolore, la paura e il rimpianto erano scomparsi.
Per questo la sua luce era tornata, seppure per pochi secondi. C’era stato qualcosa, in quel momento, che non era riuscito a interpretare, ma che in fondo gli aveva ridato un po’ di speranza… E la speranza era tutto ciò di cui una fata ha bisogno per non cedere al buio della rassegnazione e perdere del tutto le proprie ali.
Non era sicuro di cosa sarebbe riuscito a fare, adesso, ma una cosa era certa: qualcosa sarebbe cambiato, in un modo o nell’altro.
Gliel’avevano promesso gli occhi di quello sconosciuto, nel momento in cui anch’essi avevano perso ogni traccia di paura e sconforto, nel momento in cui anche loro avevano brillato, per poco meno di un secondo, di speranza…
Nel momento in cui nelle loro menti, ognuno aveva sentito la voce dell’altro sussurrare il suo nome.
«Hey, Viso d’angelo! Il principe ti ricorda di mangiare, se vuoi sperare di uscire vivo da qui».
Il filo dei pensieri della fata fu interrotto dalla voce ormai familiare di una delle guardie che gli passava un piatto con avanzi bruciati di carne e un boccale pieno d’acqua dall’aria oleosa attraverso le sbarre. «Non fare lo schizzinoso, mangi meglio di alcuni di noi qua dentro!», aggiunse vivacemente quando lo vide arricciare il naso davanti a quel pasto. «Andiamo… lo sai che ti fa più male quando non hai toccato cibo, Victor».
L’altro sospirò rassegnato e si avvicinò nuovamente alle sbarre, con espressione corrucciata e scontenta, aprendo la bocca per permettere all’altro di imboccarlo.
Per lo meno quella guardia era sempre abbastanza gentile con lui, consapevole del fatto che quel momento era per lui infinitamente umiliante, e non si divertiva a lanciargli cibo da lontano per vedere se l’avesse preso al volo come un cane ben addestrato.
«Sai… magari si convincerebbe a liberarti le mani, se smettessi di tentare di uccidere tutti ogni volta che ti concede un briciolo di libertà», gli disse con voce quasi divertita l’umano, una volta finito di aiutarlo a nutrirsi. Victor rispose semplicemente con una smorfia che gli strappò una risatina. «Hai ragione. Probabilmente farei anch’io la stessa cosa, se fossi prigioniero come te», sospirò poi a bassa voce, recuperando il piatto e il boccale e alzandosi. «Spero tu riesca a dormire almeno un po’, stanotte… Potrebbe essere più rumoroso del solito, a quanto pare hanno catturato un altro stregone, non è improbabile che si metta a urlare chiedendo di liberarlo».
A quello, Victor seppe dissimulare il proprio interesse, ma intimamente sperava che l’altro gli rivelasse di più.
Così non fu, purtroppo, perché in quel momento altre guardie entrarono per andare a dar da mangiare agli altri prigionieri, e il suo - improbabile - informatore fu costretto ad allontanarsi rapidamente e in silenzio, dissimulando come al solito la strana simpatia che aveva sviluppato per quel prigioniero dagli occhi color del cielo.
Nonostante le sue previsioni, però, quella notte fu tranquilla: il nuovo prigioniero doveva essere o molto silenzioso o molto lontano da Victor, il quale riuscì a scivolare lentamente nel dormiveglia e infine nel sonno, sperando ancora una volta che i suoi sogni accorressero a consolarlo come avevano sempre fatto sin da quando era piccolo.
A volte erano visioni rapide e confuse, altre volte semplici ricordi, ma negli ultimi tempi, era qualcosa di decisamente più gradito: negli ultimi tempi, non era mai solo nei suoi sogni.

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NdA: e rieccomi! Che vi avevo detto? "Non perdete le speranze" :3 allora... sì, finalmente abbiamo anche la Victuuri, come potevo lasciarla fuori? E sì, lo so, probabilmente al momento siete abbastanza confusi e vi chiedete che diamine abbia intenzione di combinare... Beh, sarete felici di sapere che ho uno schema e ogni singolo dettaglio è stato attentamente scelto per poter avere un senso alla fine, quindi abbiate pazienza e confidate nelle risposte (?).
La smetto con le blatere inutili. Allora... intanto,10 punti a chi mi indovina qualcosa sulla guardia di Victor pfffft in secondo luogo, volevo solo dirvi che mi è stato detto in altri fandom che a volte potrei "intimidire" le persone, e sono rimasta abbastanza sorpresa... QUINDI ci tengo a dire che se mi lasciate una recensione e io vi rispondo, se poi vi va di continuare la conversazione per poter fangirlare insieme, o se avete dubbi o curiosità su questa storia o su altri work in progress (molte Otayuri, perdonatemi), o magari volete suggerirmi anche vostre storie, sentitevi più che liberi di farlo tramite PM! Sono sempre curiosa e felice di fare nuove amicizie su EFP e poter parlare con chiunque ne abbia voglia di qualcosa che mi appassiona non potrebbe rendermi più felice!
Detto ciò, mi ritiro e mi auguro che la lettura sia stata di vostro gradimento! Lasciatemi pure i vostri commenti, se vi va!
A presto,
Baci!
Starishadow

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