L'atto più grande

di Urban BlackWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il coraggio dell'inizio ***
Capitolo 2: *** La paura di Haruka ***
Capitolo 3: *** Gli appigli di Michiru ***
Capitolo 4: *** Quando altri tracciano il tuo destino ***
Capitolo 5: *** Il calcolo delle probabilità ***
Capitolo 6: *** Spavalderia, testardaggine ed un piccolo sasso ***
Capitolo 7: *** Battaglie e rese ***
Capitolo 8: *** Voglio che tu mi senta ***
Capitolo 9: *** Il mio piccolo grande amico ***
Capitolo 10: *** Il segugio e la preda di penna ***
Capitolo 11: *** La densità del sangue e la forza dello spirito ***
Capitolo 12: *** Il vincolo di un'amicizia ***
Capitolo 13: *** Inseguendo la verità ***
Capitolo 14: *** Cicatrici paterne ***
Capitolo 15: *** Ricominciare a vivere ***
Capitolo 16: *** Rabbia disperata ***
Capitolo 17: *** Ghiaccio ***
Capitolo 18: *** I pensieri dell'alba ***
Capitolo 19: *** Il geco rosso ***
Capitolo 20: *** La forza e i silenzi di Michiru ***
Capitolo 21: *** Epilogo - La speranza di una strada verso la redenzione ***



Capitolo 1
*** Il coraggio dell'inizio ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

Avvertenze: lo so che le ambientazione ed alcuni temi trattati possono non convincere immediatamente, ma se le darete un'occasione potrebbe essere una storia piacevole. Buona lettura.

 

 

 

Il coraggio dell'inizio

 


Michiru camminava veloce verso la guardiania vaticana stringendo nella destra il cartellino di riconoscimento. Eludendo una coppia di turisti che pigramente godevano dell'ultimo sole di fine estate, svoltò al cancello d'entrata di Porta Sant'Anna porgendo il tesserino alla guardia svizzera che ormai conosceva bene. Frederick le sorrise cordiale strisciando il codice a barre sul terminale del portatile che aveva di fronte mentre un collega passava rapidamente il metal detector sulla borsa e sulla persona della donna.

“Buona giornata dottoressa Kaiou e buon lavoro.” Disse bonario.

“Grazie e buon lavoro anche a voi.” Rispose di rimando.


Riprese quindi il tesserino ed appuntandoselo con cura al bavero della giacca di lino bianco che aveva deciso di mettere quel giorno, si diresse verso la scala di servizio interna che dal cortile della farmacia dava accesso alla zona riservata al personale. Il sole era stranamente così piacevole e benevolo per la stagione, che rallentò il più possibile l'inesorabile inizio della sua giornata lavorativa.


Appena varcata la soglia d'ingresso ed iniziata la discesa sui gradini di granito, Michiru ritornò ad avvertire quel fastidiosissimo dolore alla bocca dello stomaco che puntuale, come le guardie che vedeva un po' ovunque, tornava a nausearla ogni mattina verso quell'ora. L'ora che, sapeva dolorosamente bene, avrebbe ricevuto la telefonata del medico di Haruka. La sua Haruka. D'istinto afferrò il cellulare controllando la forza del campo e da li continuò a guardare l'orologio digitale senza che alcun pensiero, oltre a quello della sua compagna, le invadesse la mente.


Quando le suole smisero di provocare l'afono suono dei passi nel silenzio delle voltature interne per sfregare con forza sul brecciolino del giardinetto, capì senza neanche alzare lo sguardo che si trovava nuovamente all'aperto. Osservando con quasi noncuranza l'ormai famigliare visione dei fronti rinascimentali di quella piccola corte interna, rallentò ulteriormente l'andatura. Pochi secondi ed il cellulare iniziò a vibrarle nel palmo della destra. Inghiottendo a vuoto lesse il prefisso di Zurigo e mosse veloce il pollice sul display innescando la conversazione.


“Pronto?” Domandò in tedesco mozzando il fiato nella gola. Ogni volta che leggeva quel numero aveva il terrore di ricevere la più orribile e devastante delle notizie.

“Signora Kaiou? Buongiorno, sono il dottor Kurzh.”


“Buongiorno dottore.... Ci sono novità?” E così dicendo sentì chiaramente il suo cuore sforzarsi nel mantenere un battito regolare.


“Purtroppo no. La signora Tenou non risponde al trattamento. Anche le analisi effettuate ieri confermano che il deterioramento cellulare è ripreso. Mi dispiace... contavamo proprio sull'effetto della nuova terapia.”

Michiru strinse i denti. Maledetto male bastardo.

“Signora Kaiou?”

“Si dottore... sono ancora qui.”


“Se veramente ha un'idea per salvare la sua compagna... credo che sia il caso di giocarsi quest'ultima carta il prima possibile. Michiru... non abbiamo più molto tempo.” Ed il passaggio ad un tono più confidenziale fece sentire la donna, se possibile, ancora peggio.


“Si...” Si accorse di quanto appannata fosse la sua voce e schiarendosela con un piccolo colpo di tosse concluse la telefonata.


“Oggi stesso parlerò con la persona della quale le ho accennato qualche giorno fa. Riprende servizio questa mattina. Nel pomeriggio le farò sapere.”


“Perfetto. Vedrò di essere reperibile ad ogni ora. Buona giornata signora Kaiou ed incrociamo le dita.”

“Buona giornata a lei dottor Kurzh.”


Michiru rimase ad osservare il display per qualche secondo fino a quando la foto di lei ed Haruka al mare ricomparve. L'ultima vacanza prima che la leucemia invadesse le loro vite triturando i loro sogni.


Avvertì le gambe pesanti e si sedette su di una panchina all'ombra di un pioppo secolare. Con lo sguardo sempre fisso sulla foto sorrise accarezzando leggermente il viso abbronzato della ragazza che la stava guardando.


Che occhi meravigliosi hai amore mio pensò componendo di getto un numero di telefono.

Pochi secondi ed una voce familiare le rispose assonnata.

“Michi!? Tutto ok?”


Ed a quella ingenua quanto fuori luogo domanda, l'altra rise tristemente.


“Ma come, sei tu a stare male e mi togli anche la battuta d'entrata!?” Disse sentendo Haruka ridere a sua volta.


“Bhe, è un'ora insolita per una chiamata d'impulso. Non sei ancora in camice bianco assorta a salvar tele per i posteri?”


“Se ti chiamo vuol dire di no. Lo sai che dentro il cellulare prende poco o niente. Allora, come ti senti oggi?”

“Domandina di riserva?”

“Ruka....”

“Benone, tutta un fuego.”

“Ruka....”

“Va bè... benino dai.”

“Ruka...”


Qualche secondo di silenzio ed il teatrino terminò. "Una schifezza.”


“Adesso è più veritiero. Sei riuscita a mangiare qualcosa per colazione?”


“Io ci ho provato, ma non devo essere per niente simpatica al pane e marmellata che sto cercando di tenermi nello stomaco.”


A Michiru si strinse il cuore nel petto. Se non fosse stata costretta ad accettare quel posto da capo restauratrice ai Musei Vaticani per pagarle le cure in una delle più avanzate cliniche svizzere, non si sarebbe mossa dal suo letto ed ora sarebbe al suo fianco, per aiutarla, per vincere insieme quella cosa che la stava portando via.

“Perdonami amore.”


“Michiru stai tranquilla. Ti ho già promesso che non stirerò le zampe fino al tuo ritorno.” Ma anche se la bionda voleva scherzarci su, all'altra non sfuggì la debolezza nel timbro della sua voce. Era il caso che si riposasse e per non farla sentire menomata buttò li una scusa per terminare la conversazione.


“Stupida zotica, lo sai che non le voglio sentire queste cose. Comunque, ho intravisto il Cardinal Berti e devo parlargli. Se non lo ragguaglio almeno una volta ogni due giorni sullo stato d'avanzamento dei lavori mi si sente male.”


“Nuuuu, per carità. Nell'ultimo anno ho già incamerato sfiga a sufficienza. Se mi accoppi un gran prelato sono fottuta.”


Questa volta Michiru rise di gusto. Se la coccolò ancora con un paio di frasi piccanti che sapeva sarebbero state gradite e poi chiuse.


Sospirando chinò la testa vinta. Il cinguettio dei passeri sui rami del pioppo la ghermirono come fossero stati falchi portandola lentamente a riflettere su una cosa. Era vero che se non fosse stata costretta dalle circostanze ad allontanarsi da Zurigo adesso sarebbe stata accanto alla sua compagna, ma era pur vero che non avrebbe scoperto lo straordinario legame che il sangue di Haruka aveva con un giovane Architetto che lavorava anch'essa nella corte della “Pigna” e che, forse, poteva salvarla. Ora doveva solo trovare il coraggio di parlarle e di rivelarle segreti che con molta probabilità l'avrebbero sconvolta.


Si alzò dalla panchina decisa ad affrontare la giornata e riprendendo la strada si diresse verso gli spogliatoi dove sapeva l'avrebbe trovata.

 

 

 


Giovanna Aulis non amava la tecnologia. Tralasciando stereo, televisioni e, forse, il computer nella sua forma base, ovvero monitor, scrittura, visione foto e filmati, per il resto era da sempre guerra aperta con tutto quello che rispecchiava i tempi moderni nei quali stava vivendo. Non essendo stupida, ammetteva che la tecnologia aveva portato la vita degli esseri umani ad un livello di semplificazione superiore, ma sentendosi di contro parte una totale mentecatta, capiva benissimo che con quelle macchine non avrebbe mai potuto spuntarla. Ed anche in quella prima mattina di fine estate, le sembrò palese la dissonanza tra la sua scarsa cultura informatica e le richieste che il PC le stava facendo.


“Che cacchio vuoi da me bastardo!?” Sbotò non accorgendosi dell'entrata di Michiru nella stanza.


“Porca di quella zozza, te le ho date le coordinate, che altro vuoi!?” Sbraito' rilasciando sulle assi del tavolo improvvisato un poderoso pugno.


L'altra sorrise appoggiando la borsa sulla panca di fronte agli armadietti. Le sembrava di rivedere la sua Haruka. Viste da dietro le due donne erano quasi due gocce d'acqua. Dalla corporatura proporzionalmente molto simile, anche se più bassa e minuta di quella della sua compagna, al modo di gesticolare, parlare ed approcciarsi con gli altri. Giovanna le ricordava Haruka sia nel fisico che negli atteggiamenti. Soprattutto negli atteggiamenti. Michiru non la conosceva che da qualche settimana, ma aveva trovato nel giovane Architetto italiano una serie infinite di peculiarità talmente tanto vicine all'animo di Haruka da sembrare di conoscerla da sempre.


Sin dalla prima volta che si erano viste in caffetteria, durante una pausa pranzo, a Michiru era risultata subito simpatica, mettendo poi in moto un'empatia che lei per prima si era stupita di possedere.


“ E dai cazzo...”Scivolò sul triviale prima di alzarsi di scatto dalla sedia.


“Prima o poi ti butto di sotto! Voglio vedere chi la vince poi.” Abbaiò all'indirizzo della blincatura rossa apparsa nel monitor.

“Difficile Architetto... visto che siamo al piano terra.”

L


Voltandosi di scatto l'altra dilatò gli occhi sorpresa. E la prima figuraccia della giornata era servita.

“Dottoressa Kaiou... Buongiorno. Da quanto tempo è arrivata?”


“Abbastanza per godermi il suo quotidiano alterco con il portatile.” Rispose togliendosi la giacca ed aprendo il suo armadietto.


Spalancando le braccia la donna di qualche anno più grande ammise la sconfitta chiedendo aiuto. "Non è che saprebbe dirmi cosa diamine vuol dire questo banner rosso? E' inquietante. Non sara' un virus spero...”


“Non ci eravamo ripromesse di darci del tu prima della sua partenza?” chiese Michiru togliendosi la camicia per sostituendola con una più comoda e funzionale T-shirt.


Ti prego abbandoniamo il lei o non riuscirò mai a chiederti quello che devo chiederti. Ti prego Giovanna, ti prego.


“O certo, scusa. Sono ancora fuori fase.”


“Per colpa della vacanza?” Chiese osservandola grattarsi la testa dai corti capelli castani. Un'altro gesto che l'accomunava alla sua Haruka.

“Non essendoci troppo abituata...”

Ghignò.


Michiru finì di togliersi i bracciali e gli orecchini ed afferrando il suo camice mise tutto nell'armadietto richiudendoselo alle spalle.

“E' il banner rosso il problema di oggi?”


All'altra non sfuggì la velata nota sarcastica, ma essendo di indole gioviale non se la prese. Rispose affermativamente per lasciarle il posto di comando. Una rapida occhiata e Michiru snocciolò il suo responso.

“Dio, che confusione.”

“Scusami?”


“Invece di un programma di restituzione grafica sembra un campo di battaglia. Come fai a capirci qualcosa?”


Colta sul vivo Giovanna si mise sulla difensiva ammettendo che non era proprio tutta colpa sua, che il PC era della ditta e che ci mettevano mano un po' tutti i tecnici del cantiere.


Sentita l'arringa difensiva Michiru si morse le labbra chiedendole scusa. Non stava parlando con Haruka dannazione. Doveva essere più educata.


“Ti prego di scusarmi. Non era mia intenzione offenderti.”


“Per carità! - Scoppiando a ridere di gusto chiuse il PC con un gesto secco. - Hai ragione da vendere. Di solito i programmi di grafica per architetti riesco a gestirli alla grande, ma non ho intenzione di portare in cantiere il mio piccino con il rischio di farmelo inzozzare da qualcuno e perciò mi devo accontentare di utilizzare il muletto di turno e dicendola tutta, sono meno accorta nell'utilizzarlo facendo spesso, mmmm... come hai detto? A si, confusione.”


Più sollevata Michiru la seguì fuori dallo spogliatoio. Ricordava anche troppo poco spesso che il popolo italiano e nella fattispecie quello romano, era goliardico e buontempone, che di rado si offendeva ed ogni tre per due buttava letteralmente la vita quotidiana sullo scherzo. Lei era svizzera, con delle lontane ascendenze giapponesi dovute al bis nonno. Per loro era tutto dannatamente serio ed a volte asettico.


Quanto aveva penato prima di abituarsi a quelle energiche strette di mano, alle pacche sulle spalle, al gesticolare, al parlare veloce e ad alta voce. Per non parlare poi degli uomini, che smettevano di ronzarle attorno solo dopo aver notato la fede d'oro bianco e giallo che portava all'anulare della sua mano sinistra. E alle volte non bastava neanche quella. Non tralasciando alcune sue colleghe impiccione, civettuole, altezzose e chiecchierone, che si sentivano chi sa chi solo per il semplice fatto di stare lavorando per il Vaticano.

Spesso e volentieri per il pranzo la Dottoressa Michiru Kaiou preferiva immergersi nella solitudine della magnificenza dei giardini retrostanti la Basilica, invece che perdersi nell'afosa e caotica mensa. Questo l'aveva portata ad un'inevitabile ghettizzazione che in altri tempi l'avrebbe fatta sorridere fiera, ma che ora, straniera in terra straniera e con un fardello tanto doloroso come la salute della sua anima gemella, la faceva sentire sola e vulnerabile. E se soltanto qualcuno avesse subdorato la sua omosessualità sarebbe stata una tragedia. Era sempre una dipendente della Santa Sede. Non poteva permettersi passi falsi. Non poteva permettersi di perdere il lavoro.


Ma da come si erano messe le cose, il repentino peggioramento delle condizioni di Haruka la costringevano ora a fare un salto nel buio, a rivelarsi ad una persona che non conosceva affatto, con la speranza di non essere tradita. Una persona che avrebbe dovuto possedere la non comune predisposizione alla comprensione, all'accettazione ed all'aiuto. La sua ultima ancora di salvezza o come l'aveva chiamata il dottor Kurzh, la sua ultima carta da giocare.


Michiru pensava queste e mille altre cose mentre camminava lentamente accanto alla collega dirigendosi verso i rispettivi cantieri; restauratrice di una pala d'altare del Perugino lei, capo cantiere del restauro lapideo di uno dei terrazzamenti ad est della Basilica, l'altra. Poi ad un tratto, spinta dall'immagine della compagna che sempre portava nel cuore, Kaiou bloccò il passo e dopo un profondo respiro iniziò quella che sarebbe divenuta una lunga ascesa per uscire dal suo personale inferno.

“Giovanna..."

“Giò, preferisco.” Rispose l'altra continuando a camminare.

“Il nome Tenou... ti dice qualcosa?”

 

 

 


Note dell'autrice: salve a tutti. Mi cimento per la prima volta in uno scritto riguardante Haruka e Michiru. Ho letto numerose fanfiction su di loro e molte di queste sono scritte benissimo. Nella vita non scrivo molto, ma spero che l'originalità delle situazioni trattate possa essere di vostro gradimento.


Una cosa importante. Non lascerò la storia incompiuta e cercherò di scriverla nel minor tempo possibile. Da per me ci rimango sempre troppo male quando una storia mi cattura, ma non viene terminata. Perciò è una promessa. Spero piaccia e la dedico a tutti gli scrittori e le scrittrici che hanno e scrivono in queste pagine. Quando la vita si fa rognosa è bello poter evadere un po' con l'aiuto della fantasia e della dedizione degli altri.

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Capitolo 2
*** La paura di Haruka ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

 

 

La paura di Haruka

 

 

Haruka sbuffò tornando a guardare fuori dalla grande vetrata della sala d'aspetto. Quel panorama fatto di case a due piani dalla cortina gialla, dai giardini con l'erba tagliata di fresco, le altalene per i bambini e le utilitarie parcheggiate ordinatamente sul ciglio delle strade, iniziava a darle sui nervi. E poi lei era una donna di montagna e per quanto potesse amare il lago di Zurichsee che si apriva poco distante dalla clinica, iniziava a starle stretto anche lui.

Si sistemò meglio sulla sedia facendo attenzione a non strapparsi per errore l'ennesima flebo dal braccio sinistro. Grugnì incrociando le braccia sul petto fissando in cagnesco il bastone metallico che sorreggeva la sacca di fisiologica. Sospirando si concentrò poi sulla punta delle sue scarpe da ginnastica. Non odiava Zurigo, ne il suo lago, ne le case basse dalla cortina gialla, ne le altalene di ferro colorato o i palazzi storici del centro città. Non odiava Haruka Tenou. Non lo aveva mai fatto in tutta la sua vita. Non odiava la morte che le aveva strappato la madre cinque anni prima, ne tanto meno la famiglia di lei, che dopo aver scoperto che si era fidanzata con la sua Michiru aveva preso, per usare un eufemismo, a latitare leggermente. Non era riuscita ad odiare neanche suo padre quando anni addietro, molti per la verità, dopo aver visto compiere alla figlia il suo terzo compleanno, aveva deciso di lasciare baracca e burattini sparendo dalla vita sua e di sua madre.

No, non odiava nessuno Haruka Tenou, tranne che lo stare così, in tuta, con un cappellino della Toro Rosso calato sulla frangia bionda, stravaccata su una fredda sedia della sala d'aspetto di una clinica, sapendo in cuor suo, nella parte più recondita del suo animo, che avrebbe dovuto comunque ringraziare quella struttura ospedaliera, quelle case che vedeva in lontananza, quel lago tanto diverso dai monti che vedeva dalla sua casa di Bellinzona, perché stava a significare che era ancora in piedi, a combattere, viva, in mezzo ad un mondo che qualunque cosa le fosse accaduta, sarebbe andando comunque avanti anche senza di lei.

Lei che era sempre stata un fuego del viento, come l'avevano soprannominata alcuni suoi amici tecnici spagnoli, lei che si era ritagliata un lavoro come collaudatore motociclistico in un mondo praticamente ancora tutto al maschile, lei che sfrecciava sulle piste da sci come un demone biondo imprendibile, lei, indomabile, instancabile, implacabile, lei, costretta ora all'ombra di se stessa. Ecco cosa odiava Haruka; la fragilità e la ribellione di un corpo che non riusciva più a sentire come suo, il dover dipendere quasi interamente dagli altri, il non essere libera di farsi una passeggiata perché, semplicemente, non le reggevano le gambe ed il fiato le si arenava nei polmoni. Come dieci minuti prima, quando armata di tutte le buone intenzioni del mondo aveva deciso di scendere da basso per andarsi a godere un po' di sole e cercare di non pensare alla colazione che stava tentando di scalare le vette del suo esofago. Ora vinta e costretta alla resa, se ne stava seduta intenta a richiamare le energie che le sarebbero servite per tornarsene in camera sua con le pive nel sacco.

Avvertendo gli occhi pizzicare scosse la testa serrando i pugni nell'incavo delle ascelle. No, lacrime mai!

Haruka falla finita! Adesso riprendi fiato e poi, piano piano torni in camera. Si disse toccandosi la visiera per calarsela ancora più sugli occhi.

Voglio Michi. Non ce la faccio più a stare qui da sola. Piagnucolò mentalmente incassando il collo nelle spalle.

No maledizione! Tenou falla finita! Sei forte! Sei indomabile! Ce la puoi fare!

Ricominciando la sua periodica battaglia interiore, non si accorse di due enormi occhi celesti che la stavano fissando soddisfatti.

“Stai per piangere eh!?” Così dicendo Mattias, piccolo teutone dallo sguardo impertinente, tornò a sfogliare avidamente le figurine dell'ultimo anno di coppe europee appena comprategli dalla madre.

Uscendo come una tartaruga dal guscio del suo momentaneo rifugio di lycra lei lo sfidò apertamente. “Sta zitto bonzo, io almeno ce li ho ancora tutti i peli sul cranio!"

Il dodicenne che era entrato in clinica qualche giorno dopo di lei a causa di una leucemia acuta, la fissò allora con la stessa faccia tosta.

“Non avrò più i capelli, ma almeno non sono una femminuccia piagnucolante. Credi non ti abbia sentita ieri sera?” Si difese parlandole in italiano, ma con un buffissimo accento tedesco.

“A parte che non stavo affatto piangendo, che non sono una femminuccia e che, arrivata a questo punto non credo neanche che diventerò mai un monaco shaolin come te, ti ho già detto che puoi anche evitarti di parlarmi in italiano. Si da il caso che il tedesco sia la mia seconda lingua. Ostinarti con questa calata assurda ti porta solo ad assomigliare ad un piccolo papa Ratzinger, il che non ti si addice, primo perché a capelli sta meglio lui e secondo, perchè ha più carne sulle ossa. Di un po', che figurine hai estorto a quella povera santa di tua madre?” Chiese mentre con un sorriso disarmante lui le si sedeva al fianco.

“Quelle del Barcellona!” rispose tutto tronfio.

“Ti piace vincere facile vero?”

 

 

Mattias era per Haruka il classico raggio di sole che inondava le giornate deprimenti di un posto come quello. Avevano preso a trattarsi a quel modo dopo la prima vera crisi che il piccolo aveva avuto come reazione al cambio di terapia. Passando di fronte alla sua camera ed avendolo visto attaccato ad una decina di macchine, ad Haruka era sembrato naturale fargli un sorriso ed entrare per fargli un po' di compagnia. Non aveva mai amato i bambini, anche se spesso e volentieri Michiru le ripeteva che alle volte si comportava più come una di loro che come una donna di quasi quarant'anni. Si era resa conto senza non poca sorpresa, che la malattia le aveva risvegliato una sensibilità verso il dolore altrui che non credeva di possedere. E così aveva trasgredito alla prima regola che si era imposta all'entrata in clinica. Mai, per nessuna ragione, affezionarsi ad un paziente. Mai! Ancor più se giovane. Non poteva dedicarsi anche alla sofferenza degli altri. Doveva concentrarsi su se stessa, sulla sua guarigione. Era già abbastanza vergognoso pensare che il proprio organismo così, all'improvviso, un bel giorno avesse deciso di sua sponte di rincoglionirsi iniziando una programmatica autodistruzione. E poi diciamola tutta, non aveva intenzione di soffrire come un cane se qualcuno al quale aveva iniziato a voler bene fosse passato a miglior vita.

Ma come Tenou aveva proposto, Haruka aveva disposto. La regola base era andata a farsi benedire ed ora quei due erano praticamente inseparabili. Anzi, quel piccolo rompipalle oltre che da compagno di giochi le faceva anche da grillo parlante, bacchettandola ogni qual volta si arrendeva al cibo piegata in due sulla tazza del water, o le capitava di piagnucolare, o era scontrosa con Michiru per questo o quel dolore, ed ogni qual volta osava flirtare con un'infermiera per far passare il tempo o per avere il monopolio dello schermo più grande della sala d'aspetto.

“Guarda che lo dico alla tua ragazza che fai gli occhi dolci a quella del turno di notte.” Minacciava saccente il ragazzino convinto che Michiru non sapesse e per giunta, nonostante la lontananza, non approvasse. Ma Kaiou forte del reciproco amore approvava che il suo angelo biondo scherzasse un po' e soprattutto, che in cambio di un paio di sorrisetti regalati qua e la si facesse consegnare il telecomando per seguire i campionati calcistici di mezzo mondo.

“Zitto pippia, guarda che io sono la donna più fedele sulla faccia del pianeta.” E non mentiva. Michiru le aveva irretito il cuore ed ormai le apparteneva totalmente.

Chi l'avrebbe mai detto che una come lei, testarda, bastian contraria, avvezza alla libertà che mai l'avrebbe portata a stringersi un'anello al dito in segno di un rapporto duraturo, avrebbe consegnato anima e corpo ad una dea come Michiru Kaiou. Talentuosa, elegante, spigliata, mai fuori posto, sia che parlasse con un alto prelato o un dirigente, sia che si rapportasse con il benzinaio sotto casa. Bellissima dentro e fuori. Burbera al punto giusto. Decisa al punto giusto. Femminile al punto giusto. Bhè, nulla da dire. Quel giorno di quattro anni prima la vita di Haruka era cambiata per sempre.

Spesso nei momenti di dolore fisico o scoramento morale, lasciava che i ricordi volassero lontano, a Berna, ad un pomeriggio dal freddo micidiale ed alla sua benedetta ostinazione nel volere andare a vedere una temporanea dedicata al Futurismo italiano. Neanche quell'inverto tanto nevoso le avrebbe impedito di gustarsi una mostra dove la velocità e lo sport si fondevano così bene.

Era rimasta per minuti davanti a due quadri, indecisa su quale dei rispettivi poster si sarebbe fiondata a comprare nell'esplorazione finale del Bookshop. Velocità in motocicletta di Balla o Depero con la sua moto futurista?

Poi l'aveva vista o meglio, si era sentita penetrata da due occhi color cobalto. Si era voltata lentamente alla sua sinistra notando come quella donna più bassa di lei dai capelli mossi e morbidi come seta la stesse fissando. Vista l'insistenza si era voltata per un'attimo anche a destra, per vedere se per caso ci fosse stato qualcun'altro. No. Era proprio lei l'oggetto di tanta curiosità. Leggermente sulle sue Haruka era tornata a guardarla quando l'altra aveva affermato convinta “Mi permetto, ma credo che lei sia più tipo da Balla. ” E aveva sorriso. Ed Haruka si era ritrovata fottuta.

“ A si?” Aveva allora detto sorniona, infilandosi le mani nelle tasche del cappotto scuro che tanto la faceva sentire uno schianto.

Tesa la corda dell'arco alla cerbiatta che sfrontata si era palesata di fronte a lei senza neanche un po' di paura e scoccando la prima freccia aveva fatto sfoggio di tutta la sua abilita'. “ Io credo invece che sceglierò Depero... in omaggio ai suoi splendidi occhi.” Ed era stata piu' che certa di aver centrato la preda.

Michiru aveva allora inarcato le sopracciglia fissando le sfumature di blu che componevano l'opera. “ Ben gentile, ma io sono sempre più convinta che lei sia tipo da Balla.” Aveva detto tornando ad incatenarsi agli occhi dell'altra.

Faretra, incoccata e rilascio. Seconda freccia. Sfoggiando un sorriso che tante volte aveva fatto tremare le ginocchia della preda di turno e pigiando forte sull'acceleratore, Haruka aveva inclinato la testa da un lato dando fondo a tutta la capacità d'osservazione che possedeva.

“ Non è da molto che è entrata alla mostra, ho dunque qualche altro minuto per convincerla della mia buona fede.” E così dicendo aveva scansato dalla spalla dell'altra gli ormai piccolissimi rimasugli di neve.

“ In effetti...”

Solo a distanza di anni Michiru avrebbe rivelato ad Haruka che a quella battuta era stata sul punto di riderle in faccia, perché era stata lei a seguirla alla mostra pedinandola dopo averla vista scendere dal tram. Inzuppandosi le scarpe e prendendo un freddo spropositato, Kaiou era stata attratta da quella donna dal favoloso magnetismo androgio ed incurante di tutto, razionalita' e buon senso in primis, si era comportata come una ragazzina sfidando le intemperie che da li a qualche ora l'avrebbero costretta ad un uso smodato di Tachipirina.

Quel giorno d'inverno Michiru era stata al gioco di Haruka, concedendole così una terza, una quarta, una quinta freccia, godendo di quell'incontro come il vino sorseggiato da una coppa. Lentamente, cosi' da non venirne stordita. In breve si erano fatte il giro della temporanea, sostando al Bookshop per più di un'ora, ed in caffetteria per due. Michiru in quel lasso di tempo aveva compreso quanto il suo intuito femminile avesse fatto centro e quanto quella che da li a breve sarebbe diventata la sua ragazza, fosse fatta per lei. Haruka scelse comunque Depero, ma non perché volesse averla vinta a tutti i costi, ma perchè, le confessò una notte, realmente quelle sfumature di blu le ricordavano gli occhi di colei che era riuscita ad incatenarle il cuore.

 

 

“ Bhè? Neymar o Messi? Scegli dai. Non ho tutto il pomeriggio Haru.”

“ Scusa?”

Mattias ritrasse le figurine che le stava mostrando. Si era nuovamente persa dietro alle sue fantasie di adulta.

“Che palle Haru. Hai la stessa capacità di concentrazione di una mosca.” Disse scocciato alzandosi dalla sedia.

“Hei Gollum teutone... vedi di parlare pulito.”

“ E tu vedi di darmi retta. E' chiaro perchè al fantacalcio fai schifo.”

Haruka si alzò cautamente notando con sollievo che i capogiri che l'avevano inchiodata alla sedia erano cessati. Lentamente seguì il bambino verso gli ascensori.

“ Ancora?! Il rispetto alla tua generazione lo davano via con il tre per due?” E lo seguì all'interno di uno di loro.

“ Sei tu che mi chiami Gollum teutone!”

“ Preferisci bonzo? No, perché per me non fa alcuna differenza. E comunque ricordati che se flirto con l'infermiera di notte è per permetterti di vedere la tua squadretta su uno schermo decente.”

Offesissimo nel sentire chiamato il Barcellona una squadretta, Mattias aspettò l'arrivo al piano e prima di fiondarsi fuori le lasciò una linguaccia piena di sdegno.

“ No no, Gollum teutone è perfetto!” Disse lei evitando un paio di ospiti per poi prendere la strada per la sua camera.

“Signora Tenou, venga da me verso le 14. Ho bisogno di parlarle.”

Il dottor Kurzh scomparve com'era apparso. Dietro ad un'angolo.

Ecco, si preparava l'ennesima lavata di capo. Era stato fin troppo chiaro. Lei NON doveva uscire dalla sua camera se i suoi leucociti non superavano la soglia settimanale che lui considerava di sicurezza. “Vogliamo rischiare di prenderci qualche altra infezione o stramazzare al suolo com'è già accaduto? No... vero?! Allora stia ai patti per cortesia o sarò costretto a riferirlo alla sua compagna!”

Ma che palle! Pensò e prima che uno sfondone riuscisse ad uscirle liberatorio dalle labbra una vocetta petulante la raggiunse impietosa.

“ Haru!”

Mattias spuntò fuori come un funghetto in autunno.

“ Cosa vuoi anche tu.” Chiese con la destra già sulla maniglia.

“ Dopo cena ci vediamo un film di paura in camera mia?”

Lei lasciando l'altra mano fino a quel momento arpionata all'asta della flebo, rispose con il pollice all'insù notando quanto anche gli uomini, al pari di alcune donne, se pungolati potessero diventare assai appiccicosi.

Ed e' anche per questo che preferisco le gattine si disse entrando e richiudendosi la porta alle spalle.

La vista dalla sua camera non era male ed anche gli arredi erano gradevoli. Era pur sempre una clinica privata. Ma in quell'ambiente ormai pericolosamente famigliare, vi era un solo elemento che interessava realmente ad Hatuka. Un poster incorniciato che lei stessa aveva inchiodato al muro il giorno prima che Michiru partisse per l'Italia. L'occhio le si fermò alla scritta posta sotto alla riproduzione; Fortunato Depero – Moto futurista 1914 e spalle alla porta a capo chino Haruka pianse, perché la sua paura, quella che la faceva svegliare di soprassalto la notte e che la seguiva di giorno, non era tanto l'idea della morte in se per se, o della sofferenza fisica o della solitudine che a suo modo sapeva gestire, la paura di Haruka era quella di non avere più dalla vita l'occasione di rivedere gli occhi di colei che le avevano incatenato il cuore

 

 

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Capitolo 3
*** Gli appigli di Michiru ***


 

L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Gli appigli di Michiru

 

 

Michiru aveva dunque sparato la sua prima cartuccia liberandosi finalmente di quel peso che sentiva dentro da troppi giorni. Ma a quell'innocua domanda - Il nome Tenou ti dice qualcosa - si aspettava realmente una risposta che le desse un'appiglio? Veramente era così preparata all'innesco della serie di bombe che sicuramente avrebbero cambiato la vita della donna che le stava davanti? Aveva realmente progettato nei minimi particolari il piano che avrebbe potuto portarla fuori dal turbine di disperazione che la stava trascinando nel baratro?

No, sicuramente non era tanto ingenua Michiru. Era solo dannatamente stanca e quando Giovanna scosse la testa solcando la fronte con due piccole rughe tra le sopracciglia, anche la remota speranza di un punto di partenza crollò.

“Perdonami Michiru, ma non mi sembra proprio di conoscere qualcuno con un nome tanto originale. E' forse qualche professionista del settore con il quale collabori?”

“ No! Era tanto per chiedere... - quanto poco si sentiva credibile - vedi io... dovrei dirti una cosa. Veramente svariate cose...” Poi il silenzio.

E si che Michiru Kaiou ci sapeva fare con le parole. Aveva da sempre un'estrema facilità di sintesi, riuscendo ad esprimere con cristallina chiarezza concetti anche molto lunghi e dispersivi, rendendo fluente un discorso e riuscendo a portare il suo interlocutore sul suo stesso livello. Haruka la sfotteva spesso chiamandola la sua Miss Win Zip Professional. Adesso questa dote sembrava essersi completamente estinta, volatilizzata a favore di una goffaggine che proprio non le apparteneva.

Mani strette in grembo cercò nell'altra ancore di salvezza che non poteva offrirle.

“ Ti ascolto, dimmi.”

“ Vedi, la cosa è un po' complicata....”

No Michi, che diamine stai facendo!? Fermati... Respira... Pensa. Strinse il labbro inferiore tra i denti tanto forte da farsi quasi uscire il sangue.

Quante volte aveva provato quell'approccio in un discorso fantasioso ripetuto all'immagine riflessa nello specchio del suo bagno, la mattina, prima di uscire di casa, o nelle lunghe notti insonni passate a guardare le pareti color pesca della sua camera da letto, o sul lavoro, mentre dalla lente d'ingrandimento la sua mano compiva precise velature a rigatino. Pensava veramente che sarebbe bastato seguire un filo logico imparato ormai a memoria per disintegrare la serenita' di un'altra persona? Si stava parlando di entrare nella vita di una perfetta sconosciuta e modificarne i contorni come un maremoto su una costa. Si stava parlando della vita di Haruka che stava spegnendosi in una clinica svizzera. Si stava parlando della sua di vita, che senza la presenza della compagna al fianco non sarebbe stata neanche più degna di essere vissuta.

Forse proprio per liberarsi finalmente di quel macigno aveva commesso un enorme errore di valutazione ed ora che aveva innescato l'ordigno, questo non poteva più essere disinnescato.

“ Michiru tutto bene?”

“Scusami. Mi rendo conto di stare facendo una figura meschina.” Disse riprendendo a camminare verso l'ala del palazzo apostolico adibita ai laboratori di restauro.

“ No figurati. E che mi sembri strana. Ammetto di non essere una grande osservatrice, ma hai cambiato totalmente atteggiamento da quando siamo uscite dagli spogliatoi. Se vuoi chiedermi qualcosa... o se posso fare qualcosa.... io sono qua.” Appiglio.

Ma Mhiciru non volle approfittarne. Non per paura o perchè non ne avesse un disperato bisogno, ma perchè si era accorta che non era quella la sede giusta per il compito che si era prefissa. Non era giusto ne corretto nei confronti di Giovanna.

Decise di cambiare drasticamente strategia. Basta piani studiati a tavolino o passi preimpostati. Non servivano a nulla. Avrebbe giocato la sua personale partita di getto.

“ Quello che ti volevo chiedere era...”

“ Dottoresse!” Il Cardinal Berti uscì dall'ombra del corridoio invitandole con la mano ad avvicinarsi. Uomo sulla sessantina, grande, grosso e bonario, aveva la facoltà di spuntare fuori dal nulla come un enorme geco rosso.

Oddio, pensarono all'unisono.

Giovanna aggiunse un cacchio m'ha beccata fuori dal cantiere, mentre Michiru ammise un semplice e lapalissiano, sono in un ritardo mortale.

“ Sua Eminenza buongiorno!” L'Architetto sfoderò un sorriso talmente convincente che perfino l'altra ne restò stupita.

Al baciamano di entrambe seguirono le classiche frasi di circostanza prima che la stilettata giornaliera arrivasse puntuale.

“ Allora Architetto Aulis, come procedono i lavori sugli stucchi del frontone? Sono appena passato, ma ho notato che sul cestello del ragno non c'è ancora nessun operaio. Problemi?”

Adesso mi sentono quei lavativi. Gli spezzo tutte le dita.

“ No Eminenza, nessun problema. Preferisco farli lavorare sul cestello dopo la fine delle varie funzioni.” Si difese abilmente.

“ Bene bene. E lei dottoressa Kaiou? Come sta il nostro Perugino?”

Come ieri pomeriggio dopo che ho chiuso il laboratorio, avrebbe tanto voluto dirgli, ma optò per un gesto gentile invitarlo a seguirla.

“ Vogliamo vederlo assieme?” E gli avrebbe intortato qualcosa li sul momento.

Si accomiatarono da Giovanna per incamminarsi discutendo amabilmente.

L'Architetto rimase totalmente spiazzata. Il turbine d'acqua che si era vista davanti agli occhi fino a pochi istanti prima aveva lasciato il posto ad un lago perfettamente immobile e conciliante. Come riuscisse quella donna a rapportarsi con gli altri in maniera tanto consona proprio non riusciva a spiegarselo. Abitudine? O forse un ambiente familiare rigido e socratico? Sicuramente un'innata femminilità che la spingeva prima all'ascolto, alla riflessione e poi all'azione.

Tale e quale a me, si disse auto schernendosi mentre si dirigeva sul posto di lavoro pronta a spezzar ossa. Muchiru Kaiou le piaceva, anche se non avevano che pochissime cose in comune.

Circa un'oretta più tardi il cellulare le segnalò l'arrivo di un SMS.

Quello che volevo chiederti prima era se ti sarebbe piaciuto cenare da me questa sera. Avrei bisogno di alcuni consigli per illuminare meglio la pala. Michiru.

Mi farebbe piacere. Ci vediamo. Rispose Giovanna ed inviò.

 

Michiru lesse la risposta riponendo poi il cellulare nella tasca del camice. Non le piaceva mentire, ma non poteva fare altro. Se soltanto avesse avuto piu' tempo. Se si fossero conosciute prima, non ci sarebbe stato alcun bisogno d'inventarsi una scusa tanto stupida, le avrebbe semplicemente detto di portare una buona bottiglia di rosso. Avrebbero parlato e lei si sarebbe potuta sfogare. Come si fa tra amiche. Ma di tempo Michiru non ne aveva più, anzi, guardando l'ora sulla grande pendola settecentesca posta all'entrata della stanza adibita a laboratorio, inizio' a fare mente locale. Se il dottor Kurzh le aveva garantito che sarebbe risultato raggiungibile ad ogni ora, questo voleva dire solo una cosa; sarebbe rimasto in connessione Skype fino a tarda sera. Tutt'è vedere se Giovanna avrebbe capito ed accettato la situazione di Haruka.

Sospirando fisso' gli occhi cerulei della Vergine con bambino che le stava davanti. Una pala imponente, alta quasi tre metri, che mai come in quel momento la faceva sentire così misera.

“ Tu come ti comporteresti?” Chiese alla dolcezza di quell'immagine secolare come se fosse stata sua madre.

“ Lo so che è per tentare di salvare Haruka, ma allora perchè mi sento come se stessi per compiere una vigliaccata?”

Gettando sul tavolo poco lontano il pennello roteò lo sgabello alzandosi vinta. Iniziò a pulire la tavolozza riprendendo a guardare l'immagine.

“Magari accetterà tutto senza batter ciglio, in fin dei conti mi sembra una brava ragazza. Giusto?"

O magari mi darà della pazza.... o peggio, concluse ripiegando lo straccio sporco da un'infinità di colori.

“ Mi spieghi perchè mai Haruka ed io ci siamo dovute trovare in questa disgraziata situazione!? Passi me, ma lei... Che ha fatto di male lei!? Haruka è più credente di me ed ha sempre cercato di mettere in pratica gli insegnamenti di un Dio che considera uguale per tutti. E' forse per la nostra sessualità che la Sta punendo? Se Lui è davvero amore come tutti qui dentro affermano, allora non credo proprio sia per questo e se dovesse esserlo, allora... perchè non me!?”

Scuotendo la testa tornò a sedersi lasciando che i ricordi scivolassero sulla prima volta che lei e la compagna avevano intrapreso un discorso tanto delicato.

 

“Guarda Ruka... questa cosa mi manda sinceramente il sangue alla testa.”

“ Addirittura?”

“ Fai poco la spiritosa ed abbassa quel telegiornale per favore. L'ennesima catastrofe... Non se ne può più!” Nervosamente le aveva passato la Rivella Rossa ghiacciata che l'altra le aveva chiesto di prepararle.

“ Su dai Michi. Non possiamo certo essere empatici nei confronti di tutto il mondo. Daremo di matto credimi.” L'aveva esortata prima che anche Michiru non si fosse seduta sul divano al suo fianco.

“ Non si tratta di empatia, ma di capire perchè il Padre Eterno a volte sembri fregarsene un tantino dei suoi figli. Se davvero esiste dovrebbe quantomeno far qualcosa, non trovi?” Aveva detto in piena sfida con entrambi.

“ Michi.... Lo sai che mi fai impazzire quando fai la teologa?!” Una carezza gentile sulla guancia ed uno dei sorrisi più convincenti dei suoi.

“ Non fare la ruffiana Ruka. Avanti... spiegami allora che senso possa avere un incidente che strappa via dalla vita un padre o per esempio la malattia di un bambino.” Razionale come sempre. Nulla da dire.

Haruka aveva sospirato profondamente avendo ormai capito di essersi impelagata in un discorso molto più che complicato. Spinoso. Posando la bevanda sul tavolinetto in vetro posto alla sua sinistra aveva iniziato ad arrotolarsi le maniche della camicia per tirarsele più su. Gesto che compiva generalmente quando voleva concentrarsi su qualcosa. Fosse un motore, un buon piatto di pasta in bianco o un discorso sull'essenza della vita.

Aveva cercato di far capire alla sua dolce metà che, secondo lei bene inteso, agli albori dei tempi Dio o chi per lui aveva dato al genere umano il dono della libertà e di conseguenza del libero arbitrio e non c'era bisogno di elucubrazioni sui massimi sistemi per capire che si era portati anche a scegliere di perseguire una strada sbagliata.

“ Non credo proprio che Dio c'entri qualcosa se un padre di famiglia viene spiaccicato sull'asfalto per colpa di un demente ubriaco.”

“ Questo te lo concedo, anche se potrebbe sempre metterci una mano per evitare...”

“ Libertà!” - L'aveva interrotta l'altra. - “ E poi chi ti dice che a volte non intervenga. Quando nessuno si accorge del tuo lavoro vuol dire che lo hai fatto bene.”

“ D'accordo, d'accordo. Allora le malattie?”

E li, Haruka aveva smesso di guardarla per andare verso una delle finestre del loro salone, aprendola poi per poggiare entrambe le mani sul davanzale in breccia. Una lunga pausa ed infine le aveva risposto dolorosamente, ma con una consapevolezza che a distanza di due anni a Michiru ancora metteva i brividi.

“ Se sapessi rispondere a questa domanda avrei sicuramente una pace interiore che non ho, però mi piace pensare che ogni singolo dolore che abbiamo in questa vita possa servire ad uno scopo più grande, molto più grande di noi Michi. Magari per aiutarci ad essere migliori o per aiutare quelli che ci sono accanto, ad esserlo. Ed i dolori dei bambini valgono più di tutti.”

Mentre sentiva la sua compagna parlare, Michiru l'aveva osservata. La schiena dritta, le spalle forti, i muscoli tesi. I capelli biondi e ribelli appena mossi dal vento. La presa salda delle dita sulla fredda breccia del davanzale. Da li un brivido ed una sensazione d'angoscia che l'avevano spinta a raggiungerla per cingerle la vita con le braccia, come a volerla trattenere per evitare chissa quale partenza.

“ Cosa hai?” Le aveva chiesto la bionda un po’ sorpresa.

“ Basta parlare di queste cose. Non mi piacciono i massimi sistemi.”

“ Vorrei sottolineare che l'avresti iniziata tu questa conversazione. Io volevo solo la mia bibita mentre guardavo il telegiornale.” Aveva concluso rigirandosi tra le braccia dell’altra regalandole un bacio carico d'amore.

 

 

I massimi sistemi, Michiru sorrise tornando a scrutare i pigmenti di colore dalla lente d'ingrandimento. Forse era colpa sua. Era lei a dover essere aiutata a diventare una persona migliore e l'improvvisa malattia di Haruka era il semplice messaggio dell'universo che la stava aiutando contro il suo volere. Non che fosse una cattiva perona Michiru Kaiou, anzi, cercava sempre di comportarsi nella maniera più corretta con tutti ed in qualsiasi situazione. Forse non tanto per una fede che a volte sentiva di possedere poco o nulla, ma quantomeno per un retaggio educativo impostole dalla sua famiglia sin da piccola. Probabilmente questo per i massimi sistemi non era sufficiente.

D'improvviso il suono di un cinguettio proveniente dalla tasca del suo camice. Riprese il cellulare controllando il twitter appena arrivatole.

Testuali parole; Non è successo niente e non ho fatto niente. Qualunque cosa ti dica lo psicopatico in bianco, non prestargli troppo caso...

Lo psicopatico in bianco, ovvero il dottor Kurzh, ed il non è successo niente e non ho fatto niente, l'ammissione più candida della sua donna per dirle che era uscita per fare un giretto ed era stata beccata in flagranza di reato.

Non mi ha ancora chiamato nessuno per ragguagliarmi sulle tue scappatelle, Ruka. Amo la tua sincerità, ma questa volta ti sei fregata da sola...

Haruka schiacciò il cellulare sulla coperta stringendo le labbra. E già, questa volta si era proprio fregata da sola.

 

 

Usare un joystick per un cingolato dal braccio telescopico di quaranta metri metteva Giovanna Aulis in una sorta di bolla euforica di ludica rimembranza. Era come se nelle mani avesse un enorme macchina telecomandata gialla ricca di optional e luci punsanti al seguito.

Incurante del povero restauratore che si trovava ancora sul cestello schiavizzato a star fermo piu' di un nano da giardino, non si era accorta che le cinque del pomeriggio erano passate da un pezzo e che forse il malcapitato aveva anche una vita privata e pervasa da un gusto quasi sadico, la donna aveva messo su un sorrisetto tipo bambola assassina continuando a far muovere il cingolato a destra e a sinistra per farlo entrare in bolla.

“ Non vorrei dire Architè, ma s'è sarebbe fatta na certa.”

“ Se sarebbe fatta na certa!? Te se starebbe a scoce la pasta? Con la figura di merda che mi avete fatto fare questa mattina, ringraziarmi che non ti lascio la sopra a far muffa!” Disse ad alta voce ripensando al Cardinal Berti. Non amava accampar scuse, soprattutto sul lavoro, ma negli ultimi periodi capitava anche troppo spesso che dovesse inventare scuse per coprire qualche suo operaio.

“ Se ci tieni a scendere ti consiglio di stare fermo o non si metterà mai in bolla.”

“ Magari potreste lasciarlo fare a...”

“ A nessuno!” Urlò trovando finalmente la quadratura del cerchio.

Il cestello la smise di oscillare e lentamente il braccio telescopico iniziò la sua discesa.

Michiru ghignò fermatasi a poca distanza. La scena esilarante terminò con un reciproco scambio di occhiatacce tra capo cantiere e sottoposto, lo spegnimento da parte di entrambi dei componenti vitali della macchina ed un saluto mezzo abbozzato tipo grugnito ancestrale.

“ E' questa la tua particolarissima sedia di Giuda?” Le chiese Kaiou mentre l'altra si girava sorridendole sfilandosi dal collo la cinta che legava l'enorme joystick.

“ E' il minimo dopo questa mattina. Nessuna tortura medioevale o moderna o entrambe fuse insieme basterebbe.”

“Credi che il Cardinal Berti non ci sia cascato?” Chiese mentre la seguiva verso la rimessa degli attrezzi.

“ Per niente. Lui sa tutto e vede tutto, tipo occhio di Saturno.. Sembra tanto buontempone, ma ha una gran testa ed io faccio abbastanza schifo nel raccontare palle.”

Armeggiando con la chiave che chiudeva il lucchetto, Giovanna chiese a Michiru l'indirizzo e l'ora alla quale avrebbe preferito vederla arrivare per la cena. Le sembrava un tantino strano che per parlare del progetto di una nuova istallazione luminosa ci volesse una cena, ma Michiru le stava simpatica e allora perché farsi troppe domande.

“ Abito qui vicino. Se per te va bene verso le venti la cena dovrebbe essere in tavola.” E si incamminarono verso gli spogliatoi.

“ Perfetto. Ho tutto il tempo di tornare a casa per lavarmi e rendermi presentab....” Ma Giovanna si bloccò di colpo. L'altra quasi le franò contro.

“ Aspetta un attimo Kaiou. Con qui vicino, intendi dire... salgo alla stazione di Cipro, prendo la metro per tipo quindici fermate, poi un autobus per altre venti e sono... qui vicino. Oppure qui vicino.... vicino?”

Michiru ridacchiò alla domanda e rispose quasi con una punta d'imbarazzo. “ Qui vicino... vicino. Dopo Porta Cavalleggeri.”

Un fischio e l’altra tornò a camminare. “ Ah... però! Posso chiederti come diamine hai fatto a trovare un'appartamento in zona?”

“ Sono svizzera Giovanna. Lavoro in Vaticano... Mi è stato assegnato dalla Curia.“

“ Giusto. Capito.” E dividendosi perchè Michiru si era già cambiata, si salutarono con una stretta di mano. Quella sera avrebbe finito per cambiare radicalmente la vita ad entrambe.

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Quando altri tracciano il tuo destino ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Quando altri tracciano il tuo destino


La donna entrò nell'abitazione senza neanche chiedersi perché la porta dell'ingresso fosse stata lasciata semi aperta. Varcata la soglia una strana musia gotico dark le formicolò nelle orecchie mentre un odore d'incenso pervadeva tutto l'ambiente. Il chiarore dell'unico punto luce, un'abat jour dal paralume a tinte fosche, rendeva il monolocale ancora più tetro. Qualche altro passo e la donna si trasformò nell'ennesima vittima del serial killer che da mesi stava terrorizzando l'upper west side newyorchese. Il primo fendente e schizzi di sangue andarono a macchiare le pareti fino a quel momento immacolate, mentre un profondo squarcio sulla carotide le mozzava parzialmente la testa decretando la fine della vita della donna. Da li a breve il suo corpo sarebbe stato fatto a pezzi.

Mattias infilò l'intera testa sotto l'ascella destra di Haruka. Perché quel piccoletto si ostinasse a voler guardare film che lo avrebbero tenuto sveglio per gran parte della notte, la bionda non riusciva proprio a capirlo. Lo guardò raggomitolarsi sotto le lenzuola trasformandosi in un fagotto di cotone. E pensare che era stata indecisa fino all'ultimo su quello che quella sera avrebbero guardato insieme, stando bene attenta e puntando su un thriller che dal titolo sembrava apparentemente innocuo. Da una ventina di minuti però, ovvero da quando era partita la prima musichetta inquietante, si era convinta che sarebbe stato più idoneo un cartone o una partita di calcio.

“La prossima volta andiamo sul soft, Matty. O alla ricerca di Dorys o il libro della giungla. Non mi farò fregare ancora. Domani mattina tua madre ci metterà un nano secondo a capire che hai visto l'ennesimo film da bollino rosso e se la prenderà con me.”

Così dicendo scansò il braccio ed il viso spaventato del ragazzino riemerse. “Non mi piaccio i film animati.”

“Come non ti piacciono! Piacciono a tutti, andiamo!”

“A me no!” Piccatissimo ritornò a rintanarsi nel calduccio del corpo di lei.

“Ma sei ben strano, lo sai!?”

“Haru... ti offendi se ti dico una cosa?” E nel sentire un dipende riemerse sorridendo.

“Credo che sia il caso che tu ti faccia una doccia.”

“Ma... e tu esci da li sotto allora.”

Alle risa di Mattias, Haruka mise su un finto broncio prima che le braccia le si chiudessero in un forte abbraccio. Lui sotto le coperte, con il pigiama del Barcellona, lei sopra, in uno più “adulto” a scacchettoni rossi e bianchi terminante con due calzini neri che le tenevano ben caldi i piedi. Entrambi con l'inesorabile ed ormai consueta linea di febbre e la spossatezza tipica della loro condizione.

“Il tuo Barcellona dovrebbe fare lo sforzo di giocare tutti i giorni. Tu saresti contento ed io non farei più da balia tanto spesso.”

“Haru?”

“Mmmm....”

“Lo sai che domani è il mio compleanno?” Annunciò quasi stentoreo tornando a guardare il film.

E si che Haruka aveva sempre creduto e detto con una certa punta d'orgoglio, che al momento del concepimento i suoi genitori avessero tralasciato di dotarla del gene materno. Quanto poteva sbagliarsi. Scansando la testa di Mattias dal petto scese dal letto e dopo essersi infilata le pantofole ed avergli detto che sarebbe tornata subito, mise in pausa il film ed uscì dalla stanza per andare nella sua.

Una manciata di minuti dopo Mattias si sentì un cappellino calzato in testa.

“Auguri bonzo. Così sarai meno... bonzo e molto più figo.” Si gettò letteralmente sul letto tornando a distendersi al suo fianco.

Il bambino se lo tolse rigirandoselo fra le mani a bocca aperta.

“E trattalo con cura. Mi è stato regalato personalmente da Ricciardo nel 2014.”

Daniel Ricciardo conosceva molto bene Haruka il fuego del viento. La stima lavorativa che li legava era forte come la loro amicizia, nata sulle piste dei gran premi d'Europa, ed anche se lui gareggiava in ambienti automobilistici e lei lavorava in quelli motociclistici, quando riuscivano ad incontrarsi si facevano volentieri una bevuta assieme. Quando era entrato come pilota stabile nella Toro Rosso, non aveva perso l'occasione di regalarle quel cappello come porta fortuna per la sua carriera alla Ducati e lo aveva impreziosito con una dedica speciale: to my dear friend Haruka... the strong wind fiery of the Alps. Daniel R.

“Lo so che la dedica non è per te, ma almeno quando tornerai a casa ogni tanto ti ricorderai di me.

Lui lesse la scritta in inglese riuscendo a tradurla quasi subito, poi guardandola le saltò al collo ringraziandola con un sonoro bacio.

 

 

Finito di apparecchiare il tavolo, Michiru tornò a guardare la foto di Haruka posta sopra la libreria. Aveva lo stomaco sottosopra ed i battiti accelerati sin da prima che la carne fosse stata messa sul fuoco, ed ora che le venti erano dietro l'angolo del tempo, aveva preso a guardare quell'immagine come a volerne fare la propria forza. Non poteva tornare indietro, ma senza quell'incontro non sarebbe potuta andare avanti.

Andò a prendere la cornice sullo scaffale sfiorandola poi con le dita. La prima volta che era riuscita a scattarle una foto facendo finta di guardare distrattamente il cellulare. Una foto rubata in una caffetteria di un museo di Berna. Bella. Bellissima la sua Haruka. Un angelo biondo che in quel giorno dalla temperatura sottozero aveva deciso d'indossare un cappotto color canna di fucile dal taglio militare che le donava da impazzire, una sciarpa verde scuro che le accarezzava il collo, un maglione bianco di kashmir, pantaloni neri benedettamente di flanella e due scarponcini imbottiti. Bella. Bellissima, con il portafogli nelle mani pronta a saldare il conto al bancone della cassa. Una delle foto preferite da Michiru. Una di quelle dove non c'è la staticità di una posa, ma la naturalezza del momento. Il loro momento. Il giorno nel quale si erano conosciute. Il giorno dove le loro mani si erano strette per la prima di un'infinità di volte.

Piacere, Haruka Tenou.

Piacere mio, Michiru Kaiou.

Il citofono suonò e per istinto la donna si portò la cornice al petto. Dammi la forza tu anima mia, si disse prima di rimettere la rappresentazione del suo amore sullo scaffale ed andare a rispondere. Aprì la porta blindata ed attese l'arrivo al piano dell'ascensore. Pochi secondi e Giovanna uscì sfoderando un sorriso contagioso che riuscì a rilassarla un po.

“Buonasera dottoressa. Vista la zona ero abbastanza sicura che avrei dovuto fare le scale a piedi con un enorme rischio per le mie coronarie.”

“Niente palestra, Architetto? - L'accolse gentilmente mentre richiudeva la porta. - Buona serata a te. Prego, accomodati pure nella mia magione.”

Giunta nella sala da pranzo l'altra si voltò porgendole un presente. “Lo so che avrei dovuto scegliere un vino di zona, ma sono ignorante in materia e con questo vado sul sicuro.”

Michiru prese la bottiglia di Muller-Thurgau affermando con estrema sincerità che fosse un gesto graditissimo.

Intanto che Giovanna prendeva confidenza con la casa, Michiru controllò la pasta fredda che avrebbe servito.

“Hai trovato parcheggio facilmente?” Chiese dalla cucina iniziando ad aprire la bottiglia.

“Si... Diciamo in un punto non bene identificato del lungo Tevere. La tua casa è proprio bella, lo sai? L'hai arredata tu?”

“Qualcosina. Non sono a Roma da tanto e finito il restauro della pala tornerò a casa.” E vedendo che l'altra stava guardando un suo quadro non poté non chiederle cosa ne pensasse.

“Notevole. Rappresenta una costa greca, vero? Quei colori e quel mare sono inconfondibili.”

“Già... - Le si avvicinò guardando anch'essa quello che per lei era l'ennesimo ricordo - L'ho dipinto io. E' una delle coste di Santorini. Un viaggio che ho fatto con il mio amore qualche tempo fa.”

“Complimenti! Hai talento.”

Molti avrebbero immediatamente chiesto del suo amore o avrebbero esordito con un sei fidanzata!Ma nulla di tutto questo aveva deviato l'altra dalla contemplazione dei dettagli del suo dipinto. Michiru capì che Giovanna non era quel tipo di persona che s'intromette nella vita altrui e questo le piaque molto.

Si misero a tavola qualche minuto dopo. La padrona di casa rispose alle domande generiche dell'ospite mascherando calma ed un'estrema rilassatezza. Michiru le raccontò di come la sua carriera di pittrice si fosse trasformata in amore verso il restauro, di come era arrivata a tagliare un traguardo tanto prestigioso come quello di lavorare nella sede Apostolica, di come quel monolocale fosse e non fosse proprio casa e di cento altre cose.

Dal canto suo Giovanna le spiegò come la posizione di capo cantiere in una delle imprese che lavoravano per la Fabbrica di San Pietro fosse temporaneo, come la precarietà di un Architetto italiano fosse una cosa all'ordine del giorno, come però, avendo una casa lasciatale in eredità dalla madre deceduta sette anni prima, fosse almeno sicura di un tetto sulla testa e cento altre cose ancora.

Finito il dolce e parte della bottiglia di vino, si resero così conto che tra una chiacchera e l'altra si erano fatte le ventidue passate.

“Accidenti Kaiou, tra tutte e due abbiamo una bella parlantina.” Ammise Giovanna appoggiando i piatti sporchi accanto al vaso del lavabo.

“Giovanna sei mia ospite. Ti prego.”

“Non se ne parla Michiru e grazie, era tutto buonissimo. Come fai a lavorare e tornare a casa pronta per i fornelli? Io vado avanti a cibi precotti. Che tristezza.”

“Cucinare mi rilassa e mi aiuta a non pensare e poi, ricordi? Io vivo qui, vicino... vicino. Non devo farmi ore di traffico per tornare a casa.” Sorrise fissando tristemente il piatto che aveva tra le mani.

Era da una vita che Michiru non cucinava per qualcuno. E non mangiava con qualcuno. E non sparecchiava con qualcuno. Strinse la mascella cercando di non crollare. La compostezza era da sempre la sua miglior arma di attacco e di difesa. Era il momento di provarlo.

“Tutto bene?” Chiese Giovanna tendendole la mano per prendere il piatto ed inserirlo nella griglia della lavapiatti e Michiru asserì con convinzione.

"Assolutamente. Vuoi che prepari il caffè?”

“Magari, grazie. Ho bevuto troppo e devo guidare. Piuttosto..., credo sia ora di parlare delle istallazioni luminose.”

Ma non ebbe risposta, anzi, l'altra sembrò perfino non aver ascoltato concentrata com'era sulla macchinetta del caffè. A Giovanna non sfuggì la cosa.

Poggiando la schiena al pianale di uno dei mobili ed incrociando le braccia sul petto, chiese a che gioco stesse partecipando a sua insaputa. Ancora nessuna risposta.

“Non c'è nessuna istallazione luminosa della quale parlare, dico bene dottoressa?” Vide le spalle irrigidirsi e capì d'aver colto nel segno.

Sempre girata, Michiru finì di mettere la macchinetta sul fuoco, ma prima che le parole riuscissero ad uscirle dalla bocca il suo cellulare cinguettò.

“Mio non è.... Ricordi quella brutta cosa chiamata tecnologia?!” Ed uscendo dalla cucina Giovanna attese che rispondesse risedendosi al tavolo.

Buona notte amore mio.... Sognami. La quotidiana buona notte della sua Ruka.

Buona notte a te, anima mia.... Sognami. Rispose poggiando poi il cellulare accanto ai fornelli per dirigersi in sala da pranzo.

Michiru sospiro' pesantemente dando cosi' il via alla sua dolorosa confessione. Si sedette così di fronte a Giovanna, come avevano cenato, arpionandosi poi le mani assumendo una posa estremamente composta. Di rimpetto la sua interlocutrice si slacciò le maniche della camicia arrotolandosele sugli avambracci puntando poi i gomiti sul tavolo ed appoggiando le nocche di entrambe le mani al mento.

“ Ti ascolto Michiru.”

 

 

Erano passati secondi e la Dottoressa Kaiou aveva ancora gli occhi fissi sulla cornice della libreria. Nella testa mille pensieri e nella gola zero parole. Ad un certo punto notò che anche l'altra l'aveva seguita con lo sguardo e facendo apparire ai lati delle labbra un leggerissimo sorriso, spiegò chi fosse la persona della foto.

“E' il mio amore. Mi manca....”

“Era lui che ti twittava prima?” Osò.

Lui. Michiru non si meravigliò affatto che Giovanna non avesse riconosciuto in quei tratti gentilmente androgini una lei. Solo con il giusto spirito d'osservazione si poteva capire a primo impatto che in quel bel viso nordico vi fossero tratti distintivi di una femminilità segnata da linee morbide.

Un leggero movimento di assenso con il capo e finalmente si guardarono. Michiru iniziò così a raccontarle di loro. Illuminandosi alla storia del loro primo incontro e di quel freddo micidiale che improvvisamente non era stato più tale. Della paura che provava nel sapere che la sua anima gemella si guadagnasse da vivere rischiando la vita in pista un giorno si ed uno no, ma di come grazie anche a quel lavoro, avessero potuto finalmente acquistare un'appartamento insieme. Ma dovette per forza di cose rabbuiarsi nel dirle delle prime febbriciattole, della stanchezza sempre più marcata, dei malesseri che avevano portato alla diagnosi di una leucemia cronica, delle illusorie terapie con gli inibitori della crescita dalle molecole intelligenti. Della chemio non gestibile.

“Per i primi sei mesi la malattia non era sembrata neanche troppo aggressiva, anzi. Vivevamo come sempre e cercavamo di non pensarci troppo. Poi tutto è cambiato ed i medici hanno dovuto optare per la chemio ed il successivo trapianto di midollo. Per poco non ci moriva sotto quelle flebo e così abbiamo anche scoperto che il mio amore ha il cuore un po’ capriccioso. La conseguenza dell’impossibilita’ di concludere il ciclo di chemioterapia è stata quella di non vedere il midollo sano attecchire.”

Michiru inghiottì a vuoto un paio di volte.

L'altra l'ascoltava senza fiatare. Pur non essendo un medico sapeva più o meno che gli interventi midollari venivano eseguiti dal donatore al ricevente solo dopo che quest'ultimo aveva affrontato un bombardamento chemioterapico per l'abbattimento totale delle difese immunitarie. Ma se il paziente non riusciva a sopportare la terapia, era quasi inesorabile che il corpo attaccasse le cellule sane trapiantate.

Michiru avvertì l'odore del caffè che stava uscendo ed andando in cucina vi tornò un paio di minuti dopo con una tazzina fumante. Giovanna accolse entrambe con un sorriso di gratitudine.

“Mi sono permessa di zuccherartelo. Ho visto che in caffetteria non lo prendi amaro.”

La caffetteria; già, quel posto a Michiru sconosciuto fino a poche settimane prima e che aveva iniziato con malavoglia a frequentare solo perché c'era lei.

Giovanna bevve velocemente e poi chiese se il donatore fosse stato un parente o uno sconosciuto, il che faceva tutta la differenza del mondo.

“Un donatore estraneo.” Rispose tornando a sedersi.

“Non un genitore o un fratello? Un cugino....”

“No. La madre avrebbe tanto voluto, ci metterei la mano sul fuoco, ma è morta cinque anni fa. Il padre...., be non si sa neanche dove sia ora. A quel che sappiamo potrebbe essere a Timbuktu come al ....” La frase lasciata incompiuta perchè troppo signora per dire all'inferno.

“Conosco il tipo purtroppo.”

“Già, lo so....” E Michiru strappò finalmente la spoletta.

“In che senso?....”

“Fidati, lo so perfettamente. Tuo padre si chiama Sebastiano Aulis. - E notando quanto la fronte dell'altra si stesse aggrottando, continuò - Emigrò in Svizzera all'incirca trentacinque anni fa abbandonando la sua prima moglie e... te.”

“Tu conosci mio padre?”

“Non di persona. Non so dove sia ora, ma so che una volta lasciata l'Italia, si e' rifatto una vita con una nuova compagna.

A quelle parole Giovanna iniziò ad innervosirsi. “ Ma tu come...”

Quella situazione non le piaceva per niente. Chi diavolo era quella donna e perchè conosceva così bene suo padre?

“Non so come tu lo conosca e non me ne frega niente se si è rifatto una nuova famiglia o sta in un fosso, ma so che non ho intenzione di parlare di lui e francamente... guarda Michiru... - i palmi delle mani sul tavolo pronta ad alzarsi - ... non riesco neanche a capire dove tu voglia arrivare.”

“Aspetta.” Disse Michiru bloccandola con un gesto della mano.

Suo malgrado aveva provocato una reazione negativa e decise che doveva compiere quel gesto che tanto stava procrastinando, se voleva fare in modo che l'altra si fidasse di lei.

“Ti risponderò, ma prima vorrei che sapessi una cosa su di me. Ti ricordi quando questa mattina ti ho chiesto se il nome Tenou ti diceva qualcosa? Ebbene Tenou è il cognome della mia anima gemella. Haruka Tenou,... la mia compagna.”

Giovanna si allontanò lentamente dal bordo del tavolo poggiando la schiena alla scocca della sedia. Ci mise qualche secondo prima di elaborare il senso di una confessione tanto personale e poi comprese in quale posizione si era messa Michiru Kaiou. Ora era esposta, vulnerabile. Dicendole apertamente della sua omosessualità le stava facendo il dono della fiducia. Dire una cosa tanto intima ad una persona che era poco più che una buona conoscenza, poteva portarla allo sgretolamento della carriera, perchè anche se la Chiesa e nella fattispecie le alte schiere vaticane si erano molto ammorbidite sull'argomento, un'aperta dichiarazione non sarebbe stata vista bene da una larga fetta della Curia.

Cosa portava quella donna a giocare in maniera tanto pericolosa? La disperazione forse? La stupidità? Cosa?!

Tenendo sempre gli occhi in quelli di Michiru decise che l'azzardo di lei valesse un'ascolto.

“Io non ho nessun tipo di problema in merito, ma sai lavorativamente parlando cosa potrebbe significare l'avermelo confessato?”

“Perfettamente. Se riferito all'orecchio sbagliato potrebbe polverizzarmi la carriera. Non troverei più uno straccio di lavoro in nessuna Curia, ne in Italia, ne altrove. Lo so. Lo so bene, ed è per questo che te l'ho detto, perchè vorrei che tu ti fidassi di me Giovanna... Come io mi sto fidando di te.”

L'altra sembrò rifletterci sopra e poi chiese “ Allora, come conosci mio padre?! Hai fatto forse delle ricerche su di me?”

“Non proprio.” - Ammise. - “Mi è bastato sapere il tuo cognome e visto che di Aulis non ce ne sono molti, sono riuscita ad intrecciare tutto abbastanza rapidamente. Qualche tempo fa hai perso il tesserino di servizio, vero?”

“Si, mi era caduto chissà dove.”

“Ti era caduto negli spogliatoi e lo so perché sono stata io a trovarlo sotto una delle panche e a portarlo in guardiania. Durante la strada mi è caduto l'occhio sul tuo cognome ed è da li che ho saputo che uno degli Architetti che stavano lavorando ai restauri esterni si chiamava Aulis.”

In effetti a Giovanna la cosa apparve abbastanza lineare. A pensarci bene non aveva avuto modo di frequentare Michiru fino a quando lei per prima non le si era presentata allacciando discorso. Fino al momento del ritrovamento del suo tesserino, nessuna delle due conosceva il nome dell'altra ed i rispettivi ruoli all'interno della struttura vaticana. Si erano salutate educatamente qualche volta, ma nulla più. Ci rifletté ancora meglio. Kaiou aveva preso a spuntarle intorno ad ogni dove, attaccando bottone per qualunque cosa. Poi la scusa dell'aiuto per l'illuminazione della pala, ed ora quella cena strana, quella confessione. E se...

“Non mi sono invaghita di te, sia ben chiaro.” L'anticipò Kaiou più che convinta, sorridendo poi al sospiro di sollievo dell'altra.

“Non offenderti Michiru... Sei uno schianto di donna, ma... non saprei bene cosa farmene di un corpo femminile.”

“Quello s'impara e da anche parecchie soddisfazioni. Credimi.”

“Kaiou! - L'ammonì leggermente imbarazzata. - Comunque continua. Perchè hai preso a gironzolarmi intorno? E come conosci quella brava personcina che mi ha generatà?”

“Perchè.... - Michiru inondò esageratamente d'aria i polmoni sganciando la seconda spoletta – Perché conosco il nome della donna con la quale ha convissuto per alcuni anni e con la quale ha avuto un'altra figlia; Ilde Antonia Tenou... La madre della mia Haruka.”

 

 

La deflagrazione fu devastante. Michiru se ne rese conto non appena l'ultima frase fu recepita dal cervello di Giovanna. Tornata alla postura che aveva assunto appena quella conversazione era iniziata, l'altra inizio' a torturarsi le dita con lo sguardo perso in un punto imprecisato della stanza.

“Giovanna. .."

Michiru avrebbe voluto chiederle un'infinita di cose, ma le stava mancando la forza. Lo sapeva che le avrebbe stravolto la vita. Lo sapeva. Ecco perché s'era sentita male per giorni dopo che aveva deciso come comportarsi. Cercò allora un contatto fisico allungando una mano, ma l'altra scattò in piedi uscendo dal torpore.

“No, no, aspetta... Fammi capire bene Kaiou. Stai insinuando che avrei una sorella più piccola e che quest'ultima sarebbe la tua ragazza?!”

“Ho le prove della prima cosa e ti garantisco che la seconda non è mai stata tanto sentita.” Si alzò a sua volta. Lentamente.

"Allora perché mio padre non me lo avrebbe mai detto?!" Soffiò imbufalita iniziando a fate su e giu' per la stanza.

"Non lo so." Dio quanto le ricordava Haruka. Lo stesso modo di affrontare i discorsi tirandosi su le maniche. La stessa necessità di movimento dopo aver ricevuto una qualche notizia bomba. Lo stesso vizio di battere il lato interno di un pugno contro il palmo della mano opposta. Proprio come stava facendo l'altra in quel momento.

“Come le somigli.” Ammise teneramente e si morse la lingua, perché l'altra la fulminò con lo sguardo. Uno sguardo grigio verde spaventato e confuso.

“Che fai Kaiou? Prendi per il culo adesso!?” Ringhiò con voce incrinata.

“Forse non ti rendi conto di quello che hai fatto! Di quello che hai detto! E te ne stai così! Calma. Tranquilla. Come se non te ne fregasse un cazzo....”

Michiru rimase immobile. “ Non sono calma,... ne tanto meno tranquilla, Giovanna.”

“A si?! A me sembra il contrario. - Le urlò contro. - Adesso capisco perché cercavi di essermi amica. Grazie, ben gentile. Vuoi da me un pezzo d'osso che salvi la vita alla tua ragazza!”

“A tua sorella.” Disse Michiru contenendo la voce e le lacrime che sentiva negli occhi.

Giovanna si bloccò di colpo spostando lo sguardo da Michiru alla foto sulla scaffalatura. I pugni tanto stretti da lasciare bianche le nocche. Il cuore che le martellava nelle orecchie. L'ossigeno che non le era mai sembrato tanto essenziale.

Tua sorella, le riecheggiò nelle orecchie. Stava andando tutto troppo in fretta. Si riteneva un tipo di persona abbastanza statica, non amante dei cambiamenti. Ora quella serie di notizie datele di getto. una appresso all'altra, le stavano togliendo la terra da sotto i piedi.

“Perdonami...”

La voce di Michiru le arrivò leggermente ovattata. Scosse la testa cercando di scuotersi.

“Questa cosa non sta né in cielo, ne in terra...”

“Posso solo lontanamente immaginare quello che ho scatenato dentro di te, ma ti assicuro Giovanna..., ti sto divertendo la verità. Non era mia intenzione e non mi sarei mai permessa di fare ciò che sto facendo se non avessi le spalle al muro. Te lo assicuro. Ti prego di credermi.” La guardò andare verso la libreria ed afferrare la cornice.

“Lei lo sa?” Il tono di voce era tornato calmo, anche se solo in apparenza.

Michiru prendendo coraggio le si avvicinò dicendole che non aveva voluto mettere la compagnia a conoscenza di nulla. Aveva scelto così per sollevarla da ogni tipo di pensiero o scelta che si sarebbe presentata.

“E' solo mia la responsabilità di tutto questo. Lei non c'entra niente.”

“E' veramente molto bella.” Convenne fissando l'immagine.

Giovanna aveva sempre desiderato una sorella, grande o piccola che fosse. Un'altra se stessa con la quale dividere la vita, litigare per il bagno, l'affetto dei genitori, le cose, i ragazzi. No, magari in questo caso i ragazzi no, ma sarebbe stato bello se Haruka avesse fatto parte della sua vita. Ed invece il destino che suo padre aveva tracciato per loro era stato ben diverso. Le aveva tenute separate e se non fosse stato per una serie di circostanze assurde non avrebbe neanche saputo della sua esistenza.

Toccando con il pollice il vetro della foto, Giovanna si ritrovò a pensare a tutto quello che Michiru le aveva detto su Haruka e sulla malattia che l'aveva colpita. Al senso di rabbia che stava provando per il genitore se ne aggiunse di colpo un altro; la paura. Aveva perso già troppe persone nella sua vita per sopportare anche quello.

“Scusami. Non avrei dovuto urlarti contro Michiru.” E lasciandole la cornice nelle mani si diresse verso la porta d'ingresso.

“Giovanna!” La chiamò bloccandola con la mano già sul pomello.

“Non ce la faccio...”

“Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.

“Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.

Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta che le avrebbero tolto ogni speranza.

Giovanna riusì a staccarsi dall'acciaio con una fatica immensa e lentamente voltò la testa verso Michiru sempre immobile al centro della stanza. Si sentiva ferita, tradita, offesa, confusa. Forse anche lei avrebbe agito allo stesso modo se ne avesse avuto la necessità. O forse no. Non lo sapeva e forse arrivate a quel punto non importava neanche. Nel guardare quella donna magra resa ancor più minuta da un dolore che sembrava stare sul punto di divorarla, provò un'immensa tenerezza. Dovevano amarsi tanto quelle due e dovevano aver sofferto tanto.

Michiru avvertì la mano dell'altra serrarle la spalla sinistra e la destra sulla cornice che ancora continuava a tenersi al petto.

“Quanto tempo ha?”

“Poco...” Riuscì a dire con un filo di voce.

“Allora sarà il caso che domani mattina vada a fare il test di compatibilità.” E a Michiru sembro di tornare a respirare.

"Dici sul serio?!"

"Sì, Kaiou."

Giovanna guardò nuovamente la foto mentre un sorriso sempre più evidente le marcava le labbra. “Però! Mia sorella è una top model spacca culi alla Lady Oscar.” E due lacrime sottilissime eludero le ciglia scivolando indisponenti giù per le guance.

Michiru non sentì di fare altro che abbracciarla finendo di piangere tutta la disperazione accumulata in quei mesi di battaglie solitarie. 

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Capitolo 5
*** Il calcolo delle probabilità ***


L'atto più grande

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi
Sviluppo della storia ed altri personaggi  sono idea di Urban Blackwolf



Il calcolo delle probabilità


Michiru avvertì la gamba frenetica di Giovanna farsi sempre più veloce e decise di mettere fine di quel dondolio tarantolato. Con la mano le bloccò il ginocchio continuando a guardare le sedie vuote del laboratorio di analisi disposte in nell’ordine davanti a loro. Roteando gli occhi l'altra ritrovò la postura sedendosi in maniera più femminile iniziando di rimando a tamburellare il piede opposto sul pavimento di ceramica bianca. Non aveva potuto mangiare per via del prelievo, aveva dormito pochissimo e dopo tutte le notizie ricevute poche ore prima, aveva ancora un senso latente di confusione mentale. Il corpo perciò aveva iniziato ad andare per conto suo e quella sadica donna che le sedeva ora accanto avvolta da un odore asettico di disinfettante, la stava costringendo alla tortura dell'immobilità. Giovanna tornò ad osservare i poster medici appesi alle pareti ingoiando la poca saliva che ancora era presente nella sua bocca. Non aveva certo paura di un paio di prelievi, perché tanti ne bastavano, ma di tutta la situazione in generale.

Erano state le prime ad entrare e visto che non avevano potuto prendere un appuntamento per l'ovvia fretta, si erano dovute presentare allo sportello accettazione praticamente all'alba. Prive di un sonno sufficiente per via della sera dilatatasi sin quasi alle quattro del mattino, erano riuscite a dormire si e no un'oretta per poi farsi una doccia, vestirsi e bere un caffè al volo. Michiru aveva convinto una reticente Giovanna ad ottimizzare i tempi dell'arrivo al laboratorio della città vaticana rimanendo a dormire da lei, prestandole una camicia da notte, uno spazzolino da denti ed un posto, per dirla tutta non certo comodissimo, sul suo divano letto. Ed ora oltre ad avere un buco allo stomaco ferale, Giovanna si sentiva anche gran parte delle vertebre cervicali fuori posto. Aveva perciò il sacrosanto diritto di muoversi come meglio le piaceva.

“ Continuare a dimenarsi così non porta a nulla, credimi.” Le disse Michiru.

“ Come riesci a stare tanto calma?! A me questi posti mettono ansia.”

“ Ci ho fatto l'abitudine.” Confessò arrivando a scorgere l'abisso della sopportazione fulminandola con un rapido sguardo.

L'altra rallentò il movimento del polpaccio non fermandolo però del tutto. "Scusa. Chissà quante volte l'avrai vissuta quest'esperienza. Ammiro il sangue freddo che stai dimostrando.”

L’altra sorrise addolcendo leggermente i lineamenti del viso. Era stanca morta ed agitata da morire, ed anche se fatto non con cattiveria, il vedersi rimarcata la sua capacità di autocontrollo per l'ennesima volta, non faceva altro che innervosirla ancora di più. E poi le sembrava di stare vivendo l'ennesimo dejavu, solo che invece che cercare di bloccare una bionda incontrollabile nella gestione del trittico, analisi, dottori, responsi, doveva adesso arginare una donna che non conosceva affatto. Per bloccare la sua compagna sarebbe bastato uno sguardo di affine complicità, o uno dei suoi baci dolcissimi. Ma per calmare Giovanna? Una pistolettata forse!?

“ Non è che non voglia che tu dia sfogo alle tue pulsioni muscolari, ma l'esperienza mi ha insegnato che serve solo a farti stancare ed agitare di più. Cerca di non pensarci. Concentrati, che ne so, sulla lettura.” Le consiglio provando la carta della comprensione.

Ma niente. Anzi, peggio. Afferrando un opuscolo informativo adocchiato e studiato poco dopo il loro ingresso, l'altra glielo sventolò davanti agli occhi con saccenza. “ Il 25% di probabilità Kaiou! Ci sono solo il 25% di probabilità che io sia compatibile. E' una miseria lo sai?!"

“ Lo avresti letto su quello?“ E all'assenso sorrise scuotendo leggermente il capo.

Michiru sapeva perfettamente quante probabilità ci fossero ed ammise non senza una punta di rammarico, che nel caso del legame fraterno tra lei ed Haruka, quel valore statistico scendeva ulteriormente di circa la metà.

Facendo mente locale Giovanna tornò mestamente ad incrociare le braccia al petto riprendendo un leggero dondolio del piede. 

" Dannazione! Non ci avevo pensato. Abbiamo solo mezzo DNA in comune...” 

Michiru sospirò pesantemente. Era pur qualcosa. Era tutto. Era comunque una percentuale altissima. La più alta che avessero mai avuto, che avrebbero mai potuto trovare. Accarezzò dolcemente la spalla dell'altra che quasi di rimpetto cessò ogni tipo di movimento. Prese nota. 

Pochi istanti dopo un'infermiera uscì da una delle sale prelievo. “ Signora Aulis prego, si accomodi. Il dottore sarà qui a momenti.”

“ Ti metti allora d'accordo tu con il medico appena arriva?” Chiese mentre si alzava per seguire l'operatrice sanitaria.

“ Tranquilla.” Rispose Michiru prendendo la borsa dove avrebbe cercato l'agenda con l'appunto dell'indirizzo Pec che il laboratorio avrebbe dovuto usare per inviare i risultati delle analisi al dottor Kurzh. Celerissimo e speranzoso le aveva inviato tutto non appena era stato contattato da Michiru nella tarda sera del giorno precedente.

Verso le nove del mattino avevano già finito e dirigendosi verso Porta Sant'Anna si ritrovarono a camminare lentamente ognuna persa nei propri pensieri. Avevano fatto colazione ed ora loro malgrado dovevano prendere servizio e la voglia era poca.

“ Non mi va per niente. Ho un'infinità di cose da fare oggi e non ricordo neanche bene quale siano.” Pigolò Miciru guardando distrattamente il cielo.

Ma Giovanna non rispose. Mani in tasca ed occhi fissi alle lastre di basalto che componevano il marciapiede, camminava semplicemente mettendo un sandalo di fronte all'altro senza un'apparente meta. Come immersa in un mondo ovattato tutto suo.

“ Avremo i risultati in tarda mattinata...” Continuò l'altra ancora ignorata.

Così Kaiou decise di provare una sua teoria. Si fermò bloccando lievemente l'avambraccio della collega avendo finalmente attenzione. Tornò a prendere nota; Giovanna aveva bisogno di lievi contatti fisici per interrompere un loop come quello. Così com'era avvenuto nella sala d'aspetto.

“ Posso chiederti a cosa stai pensando? Se riguarda la malattia di Ruka o qualsiasi altra curiositá su di lei o noi, puoi farmi tutte le domande che credi.

Ruka. Ancora quel diminutivo che spesso aveva usato la sera precedente nel chiamare la sua compagna e che a Giovanna piaceva tanto. Racchiudeva un senso di famiglia.

Michiru si era sforzata concentrandosi il più possibile nel cercare di rispondere esaustivamente ad ogni domanda, sfamando così tutta l'ovia curiosità che una Giovanna più che frastornata, le aveva posto in quella specie d'interrogatorio che era stato il loro chiacchiericcio notturno. Quando la descrizione del carattere della bionda, le sue piccole manie, i gusti in fatto di musica, gli hobby, l'amore per i motori, per gli sport che praticava, per i piatti che mangiava, erano stati snocciolati con dovizia di particolari, Michiru aveva deciso di passare ad un atto più pratico; il suo album di foto ed i contesti nelle quali quelle immagini avevano preso vita. Non avrebbe mai immaginato che lei per prima avrebbe goduto di tali ricordi. Era stato come un balsamo rigenerante. Dolcissimo e sottilmente triste.

Si erano sedute sul divano sfogliando un quaderno in pelle chiara non troppo voluminoso, che conteneva al massimo una trentina di foto, ognuna con il proprio carico di storia vissuta. Nel corso dei minuti, lentamente, quelle tessere visive erano andate sistemandosi ordinatamente componendo così il grande mosaico che era la storia d'amore di Michiru ed Haruka. Due di queste avevano colpito più di tutte la curiosità di Giovanna.

Assieme a quella nella quale Haruka inforcava una Ducati 1299 Panigale S dalla carena rosso fuoco, nell'atto di sorridere ad un tecnico che le stava porgendo il casco, serena, a suo agio e perfettamente conscia che da li a qualche ora avrebbe firmato un contratto d'assunzione che le avrebbe finalmente permesso d'iniziare a vivere il grande sogno di lavorare per una casa motociclistica di altissimo livello, ve n'era un'altra che ricordava il suggello dell'unione di quelle due donne straordinarie.

Come quasi tutte le foto dell'album di Michiru, anche quella di lei ed Haruka durante una gita in montagna, era stata scattata a loro insaputa. Ferme cartina alla mano, sulla piazzola di un campo sosta prima d'iniziare un percorso di trekking che le avrebbe condotte a quota 2000, sulla Paganella, in uno dei posti più belli della catena del Brenta. L'immagine le ritraeva intente a decidere quale strada battere per evitare i banchi di nebbia che in quelle mattine di maggio serpeggiavano tra il sottobosco. Haruka che teneva saldamente la carta di zona e Michiru che indicava un punto su di essa. Entrambe vestite con comodi pantaloncini corti, entrambe con i necessari scarponi ben saldi ai piedi, entrambe con gli zaini sulle spalle e gli occhiali da sole sul naso. La sola differenza nel loro abbigliamento stava nella canottiera verde acqua di Michiru e nella maglietta tecnica dai colori appariscenti di Haruka.

“ Sai Giovanna, non credo di aver mai camminato tanto. - Le aveva confessato Michiru divertita al ricordo di quella tortura. - Ho avuto le vesciche ai piedi per giorni. Sopra, sotto, ai lati. Per non parlare del dolore alle gambe. Ho persino scoperto muscoli che non sapevo di avere. E lei niente. Imperterrita su per quelle salite, riuscendo simultaneamente a camminare, respirare e sfottermi. Se non l'avessi amata così tanto credo che avrei commesso un omicidio.”

“ Perché allora non le hai detto di rallentare?” Aveva chiesto Giovanna ridendo divertita della buffa faccia fatta dall'altra che inarcando le sopracciglia l'aveva guardata come a voler dire "neanche morta".

"Ho un carattere troppo coriaceo per arrendermi alla mia donna."

Michiru non era testarda come la bionda, ma quanto a spirito di competizione, bhe, se si metteva in testa una cosa, si doveva abbatterla per mettere termine ai suoi deliri. 

“ Dovresti capire quando smetterla, Michi mia.” L'aveva sbeffeggiata Haruka con lo sguardo da mammina impietosita nel vederla seduta su di una roccia con la schiena piegata in avanti e la fronte poggiata sulle ginocchia.

Il respiro ansante, il collo imperlato di sudore lasciato libero dai capelli legati con una coda di cavallo. "Ma tu..., tu non sei stanca?” Aveva rantolato umiliata.

" Per niente! Anzi. Mi sento forte come un toro!” E girandosi verso lo strapiombo che si inabissava a pochi metri da dove si erano fermate, alzando le braccia come per abbracciare quel magnifico panorama, aveva continuato con l'enfasi di una ragazzina. “ Ma non ti sembra la cosa più bella del mondo? Guarda che spettacolo, Michiru.”

Mani sui fianchi aveva cercato un imprinting visivo ed olfattivo che le avrebbe permesso di ricordare il lago di nuvole che il quel momento stava coprendo Trento e che si perdeva sotto di loro fino all'orizzonte, le guglie dolomitiche che ne bucavano la lattea consistenza come zanne rosa ed argentee, il sole caldo a bruciarle la pelle ed il vento leggero che le accarezzava i capelli.

Da per se l'altra aveva mugugnato qualcosa, perché se pur ammettendo lo spettacolo pazzesco, aveva ogni fibra del corpo intenta ad urlare volgarissime parole verso entrambe."Non mi farò mai più coinvolgere nelle tue follie deliranti, Tenou. Mai più!"

La vita di coppia è compromesso. Così a volte Haruka si doveva piegare a Michiru ed al suo amore viscerale per il mare, ed altre, come in quel caso, era lei a dover abbozzare per la felicità del suo bizzoso amore.

“ Mamma mia Kaiou. Ma che mosciume! Pensa a come il tuo bel culetto si manterrà sodo dopo questa prova.” Neanche il tempo di sedersi al suo fianco che le era arrivata una manata gettata a caso.

Sempre prona su se stessa, Michiru le aveva così giurato che con il sesso avrebbero chiuso ed il suo rampante fondo schiena avrebbe potuto gustarselo solo in un sogno sporco, che lei sarebbe comunque riuscita a pulire massacrandola di sensi di colpa.

" Quanto sei permalosa! Se avessi saputo che per farti una sorpresa avrei dovuto essere picchiata e minacciata in una delle cose a me più care, ti avrei dato il mio regalino a valle.” Aveva detto fintamente offesa vedendola alzare leggermente la testa curiosa.

" Neanche avessi un gomitolo nelle mani. Kaiou..., sei proprio femmina! - E dallo zaino era uscito magicamente una scatolina di raso rosso. - Una premessa però; fino a qualche mese fa non avrei mai immaginato una situazione come questa, ma ora..., visto che mi sopporti già da un pò..., credo che questo premio sia più che meritato."

Michiru aveva aperto così la scatola trovandoci una fedina piatta d'oro bianco con due lamelle esterne di oro giallo. Un'anello semplice, come l'animo di Haruka, ma estremamente fine, come quello di Michiru. Un oggetto che rappresentava in maniera perfetta la diversità di due donne che ora si completavano. All'interno inciso il nome di una città, Berna, e la data che aveva sancito il loro incontro.

“ E se ti stai chiedendo del perchè non sono due... - Dal collo era spuntata una catenina da dove penzolava un anello identico. - E si... la metterò. Così sarà come avere una lettera scarlatta tatuata sulla fronte e nessuna proverà più a rimorchiare questa sventola che e' la tua donna.”

Neanche a dirlo. Kaiou si era sciolta come un mucchietto di neve al sole e baciandola con trasporto aveva revocato immediatamente il castigo che poco prima aveva giurato d'infliggerle. Quella sera avrebbero fatto l'amore per la prima volta dopo avere alzato l’asticella del loro rapporto. E sarebbe stato fantastico.

“ Veramente Giovanna. Non farti remore se vuoi chiedermi qualcosa.” Pungolò, ma l'altra ebbe pudore nel rivelarle quanto quel ricordo confessatole l'avesse emozionata e quanto sentisse un'ovvia pressione nel sapere di essere l'ultima speranza per quelle due anime.

Scosse semplicemente la testa tornando a camminare tra la gente. Michiru non insistette e per evitarle un surplus di stress, decise di non chiamare Haruka come invece si era ripromessa di fare prima di uscire di casa. Guardò l'ora sul display e si rese conto di quanto fosse tardi.

“ Non è possibile. Anche oggi dovrò saltare il pranzo per rimettermi in pari.”

“ Scusa se te lo dico, ma dovresti mangiare un po' di più. Guarda che ieri sera non è che tu abbia fatto tutta queta gran giustizia alla tua buonissima cucina.” Ammonì bonariamente.

“ Lo so..., anche se ieri ero un tantino agitata per...” Si bloccò di colpo. Il tempo di afferrare l'altra per un braccio e schizzare dentro l'ombra del primo androne disponibile.

incespicando sullo zerbino d'ingresso di quello che era un hotel, Giovanna centrò in pieno un vaso di marmo alto mezzo metro per poi rimbalzare sul muro vicino. Finito d'imprecare fissò allibita la donna iniziando a massaggiarsi una spalla.

" Di un pò! Sei impazzita?!"

" Sssss..... " Michiru si sporse fuori dall'ombra facendo capolino per rientrare subito dopo. Era proprio lui. "Ma non è possibile! Ora si che siamo nei guai!

" Cosa stiamo facendo Kaiou?"

Chiese guardando male alcuni turisti che avendo visto tutta la scena se la stavano ridendo bellamente.

Facendole cenno di venirle accanto, Michiru l'invitò a sporgersi verso il marciapiede. "Guarda affianco all'edicola e poi dimmi se non siamo sfortunate!"

Uscendo dal cono d'ombra e messo a fuoco Giovanna rinculò subito dopo. “ Quell'uomo mi da da pensare. Ma secondo te ce l'ha un lavoro o sta sempre a spasso a non far nulla?”

“ Se continuiamo così tra non molto saremo noi a non avercelo più un lavoro. Cerchiamo di passare dalla parte opposta della strada così da entrare prima di lui.” Suggerì pronta per lo scatto.

E così fecero sgattaiolando tra il traffico dell'ora di punta. Un paio d'ore dopo Michiru venne raggiunta al cellulare dal dottor Kurzh. Le analisi di Giovanna erano state finalmente comparate con quelle di Haruka.

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Capitolo 6
*** Spavalderia, testardaggine ed un piccolo sasso ***


 

L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Spavalderia, testardaggine ed un piccolo sasso

 

 

Giovanna nascose il cellulare dietro la schiena salutando cordialmente un gruppo di francescani. Li vide sparire dopo aver aperto una pesante porta di abete rosso tornando poi a camminare speditamente dietro al novizio che l'aveva presa in consegna. Sentendosi lo stomaco in bocca controllò nuovamente il messaggio che Michiru le aveva inviato mezz'ora prima.

Ho appena sentito il dottor Kurzh. Non ci crede neanche lui. Avete un'ottima compatibilità!!!

Pazzesco, si disse la giovane donna per l'ennesima volta iniziando a fare i gradini di una rampa a due a due. Era tutto così strano. Tutto così veloce. Si sentiva come un sasso preso a calci da qualcuno che controvoglia sta percorrendo una strada e lanciato giù da una scarpata. Era questa la sensazione del tutto nuova che aveva preso ad albergare nel cuore di una Giovanna completamente fuori controllo per l'eccitazione; l'essere un sasso che rotolando a valle diventa valanga modificando gli eventi. Ora con un piccolo gesto aveva la coscienza e la possibilità di poter contribbuire a salvare una vita diventando di fatto una sorella maggiore.

Anche se in tal senso era stata molto chiara con Michiru e di controbalzo quest'ultima lo era stata con il dottor Kurzh. Haruka non avrebbe mai dovuto sapere del loro legame. Giovanna era stata categorica ed anche se in un primo momento Kaiou aveva cercato di dissuaderla, lei non aveva arretrato di un passo. Determinata fino ad una strana, ma comprensibilissima ostinazione. E Michiru non aveva insistito, perchè anche se conosceva Haruka fin nel profondo, in questa situazione non riusciva proprio a figurarsi come avrebbe potuto reagire nel sapere di Giovanna e cosa sarebbe successo nel metterle a confronto. Aveva visto come la notizia avesse scombussolato l'amica. Con quale spirito l'avrebbe appresa la sua Ruka?

“ Se questa cosa dovesse andare a buon fine... - aveva concluso Giovanna parlando del trapianto – ... ed Haruka dovesse guarire, non voglio che debba mai sentirsi obbligata a volermi bene o semplicemente ad accettarmi nella sua vita. Non voglio che si senta in debito.“

Un'altro angolo per poi imboccare il corridoio affrescato che portava agli uffici cardinalizi e il giovane Architetto allungo' il passo stringendo i pugni dalla frenesia.

Era euforica per la sua sorellina spacca culi e conoscendola, lo era ancor di più per una Michiru ormai a corto di forze. Giovanna non si era mai soffermata molto a riflettere sull'amore tra due donne. Non aveva amiche che formassero una coppia e perciò era abbastanza ignorante in materia, ma doveva riconoscere che in quel caso, quelle due creature sembravano far parte di due pezzi di un'unica medaglia. Il loro amore era così bello, così intenso, così maturo.

Notò quanto fracasso stessero facendo le sue scarpe anti infortunistica e rallentando si guardo' indietro. Spolverate di calce erano apparse qua e la tra i marmi multicolori del pavimento opacizzando le figure geometriche degli stemmi papali. Merda..., tuonò mentalmente ed accelerando nuovamente arrivò a diventare l'ombra del novizio.

Arrivati davanti alla porta di un ufficio, il ragazzo bussò ed un istante dopo aprì una delle due ante per lasciarla passare. Sorridendo gentilmente la richiuse alle sue spalle sparendo nel suo talare nero.

 

Michiru lesse il messaggio di risposta di Giovanna ridendo nel palmo della mano.

Daje!!! Quando si parte? Dovremmo chiedere le ferie o che altro? Vabè chi se ne frega... ci pensiamo a pranzo. Vengo a portarti un panino... DAJE!!!

“ Tralasciando il daje, sei tale e quale ad Haruka. Partite subito in quarta.” Disse guardando l'immagine della pala aggiungendo un mentale grazie.

Sentì qualcuno bussare alla porta ed andandola ad aprire si vide il segretario del Cardinal Berti con il suo solito ghigno composto. Le si smorzò il sorriso. L'uomo sulla quarantina, dalle fattezze orientali e dalla statura abbastanza importante, si presentò chinando il capo in segno di rispetto.

“ Dottoressa Kaiou, sua Eminenza il Cardinal Berti vorrebbe parlarle nei suoi uffici.”

Non era orario di ricevimento dipendenti e la cosa la insospettì. Decise quindi di sondare il terreno temporeggiando. “ E' un colloquio urgente? Avrei iniziato la mescola dei pigmenti.” Guardò in direzione della pala sapendo di averla detta grossa. In quella mattina di finto lavoro aveva su il camicie per puro caso.

“ Si. Sua Eminenza avrebbe una certa urgenza.”

Camuffando l'anzia prese le chiavi del laboratorio dalla tasca, chiuse la porta a due mandate ed iniziò a seguirlo lungo il chiostro dalle colonnine binate che portava alle scale. Qualche minuto e l'ufficio le venne aperto dal Cardinal Berti in persona.

 

 

“ Dottoressa Kaiou buongiorno. Prego si accomodi. Stavo scambiando due chiacchiere con l'Architetto Aulis.” Michiru riconobbe il profumo del deodorante che le aveva prestato quella mattina prima ancora d'intravederla appollaiata su una delle enormi sedie ottocentesche poste davanti alla scrivania del prelato.

Le due si guardarono e fu chiaro che stava per accadere qualcosa e dall'espressione poco gioviale dell'uomo, questo “qualcosa” non sarebbe risultata una passeggiata.

Nel prendere posto sulla sedia accanto a quella di Giovanna, Michiru si sistemò con cura le maniche del camicie acquisendo una posa composta e sicura, quasi spavalda. L'amica fece altrettanto anche se di spavaldo sentiva di avere ben poco. Dalla mattina precedente le sembrava di stare vivendo una estenuante quanto lunghissima giornata. Interminabile.

“ Dunque dottoresse, vi confesso che mi trovo in una posizione spiacevole che non avrei mai creduto di occupare. Soprattutto da quando avete iniziato a lavorare qui. Non conoscevo le vostre competenze e se per lei Architetto, ha parlato la e-mail di referenza che mi è stata recapitata dalla ditta con la quale ha lavorato al restauro del chiostro dei Ss Quattro Coronati, per lei Dottoressa Kaiou ha parlato invece direttamente l'ambasciata svizzera. Seguendo i vostri rispettivi lavori, inizialmente mi ero convinto che la scelta nell'assumervi fosse stata più che corretta. Ma devo ammettere con dispiacere che da qualche tempo le cose hanno iniziato a prendere una piega che non mi piace affatto.”

Michiru non si scompose, anzi. “ Sua Eminenza vorrebbe essere più preciso?”

Giovanna la fulmino' come a voler dire di non stuzzicarlo, ma l'altra continuo' a fissare il viso dell'uomo senza palesare il minimo disagio.

“ Mi riferisco al fatto dottoressa, che nell'ultimo mese il suo lavoro ha subito una sorta di involuzione che francamente mi ha deluso parecchio. Lei è sempre stata una professionista calibrata e precisa e non mi ha mai dato occasione di pentirmi sulla sua assunzione. Sono stato io a chiedere che fosse scelta proprio lei per il Perugino, in virtù del suo enorme talento. Mi chiedo ora se non abbia commesso un errore.”

Michiru ammise che sapeva perfettamente di essere calata di rendimento. Se ne scuso' prontamente sperando così di tagliar corto.

“ Almeno è onesta e lo riconosce. Ne sono sollevato. Ma si ricordi che alla precisa domanda che le feci alla consegna dell'incarico, ovvero se la Pala avesse potuto essere esposta in Basilica per la notte di Natale, lei mi rispose affermativamente. Dico bene?”

“ E' corretto Eminenza.” Piego' la testa. Era dispiaciuta, ma non poteva farci nulla. Quando aveva firmato il contratto con la Santa Sede, Haruka stava rispondendo benissimo alle nuove terapie. Poi...

“ Dottoressa Kaiou vorrei farle notare che sarebbe il mio nome ad essere in gioco e non il suo e comunque, se proprio non tiene a rispettare un contratto o la parola data, vorrei fosse ben chiaro che per me entrambi valgono ancora qualcosa.”

Perfetto, allora era di questo che si intendeva parlare?! Del buon nome e della reputazione di un membro della Curia romana? Quando Haruka stava in un letto d'ospedale, a Giovanna aveva sconvolto la vita e lei stessa stava cercando disperatamente di tenere la vita di tutte e tre con uno scotch per pacchi!? Michiru strinse le mani a pugno premendole sulle gambe e pur non avendone facoltà l'altra decise d'intervenire.

“ Eminenza mi perdoni se mi permetto, ma non credo che la Dottoressa Kaiou abbia intenzione di mancare agli accordi contrattuali presi. Potrebbero invece essersi presentate delle situazioni che hanno... in qualche modo deviato la sua concentrazione.” Intervenne Giovanna. E fece peggio.

“ Parla proprio lei Architetto?! Da quando avete iniziato a frequentarvi ha inanellato una serie di fandonie una dietro l'altra ed aggiungerei anche di pessima qualità.” Si alzò dalla poltrona dirigendosi verso una delle finestre.

“ Lei che di Architettura ne capisce senz'altro più di me, non si è mai presa la briga di guardare da una delle finestre che danno sul cortile interno, perchè se lo avesse fatto avrebbe sicuramente notato che dal mio studio privato si vede tutto il cantiere che sta dirigendo. Architetto, la sua presenza si è fatta sempre meno assidua e gli operai hanno iniziato a fare di testa loro. Ed appena se n'e' accorta ha iniziato a mentirmi per coprire la loro scarsa vivacità lavorativa.”

Giovanna guardò Michiru stringendo le labbra. Era stata scoperta ed ora la vedeva veramente brutta.

“ Passi per la Dottoressa Kaiou e le sue... crisi d'identità, ma lei Architetto... Mi ha trattato da idiota.” Concluse il prelato tornando a sedersi per versarsi un po' d'acqua.

“ Per non parlare della pantomima ridicola di questa mattina vicino all'edicola.”

Dopo aver bevuto sembrò tornare più conciliante e quasi in maniera paterna disse ad entrambe che la “carità divina” imponeva loro di fare ammenda, di scusarsi e d'impegnarsi nel mantenere la parola data. In più l'Architetto Aulis avrebbe dovuto ringraziare il cielo che quel giorno si sentiva magnanimo, perchè altrimenti l'avrebbe già cacciata via.

Se non fosse esplosa Giovanna, che comunque tra le tre figure era quella più fuori posto, lo avrebbe fatto Michiru, ma se la prima, una volta accesa la miccia avrebbe provocato solo un enorme cratere nel terreno, zona fertile per la sua sepoltura lavorativa, la razionalità e la buona educazione teutonica della seconda, avrebbe potuto dilaniare il Cardinale, il suo ufficio, lo studio privato e tutta la Santa Sede. E questo successe.

Vedendo lo sguardo dell'altra accendersi improvvisamente di una luce pericolosa, Michiru l'anticipo' entrando il modalità WinZip Professional. “ Eminenza, vorrei farle le mie più sincere scuse e credo di non sbagliare parlando anche per l'Architetto Ausis. - Sorrise a Giovanna prendendo subito dopo a martellare come un fabbro - Ma vede, la questione è più o meno questa. La mia compagna, la donna della mia vita, quella che considero essere la mia anima gemella ed il fulcro di tutta la mia esistenza, è attualmente ricoverata in una clinica di Zurigo dopo che circa un'anno fa le è stata diagnosticata una leucemia cronica. Accettando il lavoro che mi avete offerto, ho provato a far fronte alle spese della clinica e di parte del mutuo per la casa che abbiamo acquistato qualche tempo fa a Bellinzona. Purtroppo le terapie con gli inibitori della crescita prima e le cure sperimentali di ultima generazione ora, non stanno dando i risultati che i medici ed io speravamo. Non siamo speranzosi e l'unica persona che forse potrebbe salvarla siede proprio qui accanto a me. Non le spiegherò come, ma da poche settimane ho scoperto in maniera del tutto fortuita che l'Architetto Aulis è la sorella da parte di padre della mia compagna. Quando questa mattina ci ha viste, venivamo dal prelievo per la compatibilità del midollo osseo e poco meno di un'ora fa, il dottore che ha in cura la mia Haruka ci ha informate che l'esito di tale prelievo è positivo. Spero che capisca il perchè del comportamento e della scarsa professionalità che ho dimostro nell'ultimo periodo, come spero capisca che l'Architetto Aulis è stata portata a mentirle solo per coprire i ritardi che ero io a farle fare. Volevo conoscerla il più possibile prima di rivelarle quello che avevo scoperto su un legame che lei per prima non sapeva di avere. Ed in ultima battuta..., spero accetti le mie dimissioni con effetto immediato.”

Fu come se un enorme fungo atomico fosse deflagrato nella stanza. Un fall out dalle dimensioni devastanti. Giovanna spalancò gli occhi per poi coprirseli con una mano.

E che cazzo, Michiru....Pensò come se una mattonata l'avesse colpita in pieno stomaco.

“ So che l'Architetto Aulis ha preso un breve permesso proprio pochi giorni fa, ma vorrei comunque chiederle di fare in modo che ne abbia un altro per malattia cosi' che possa seguirmi a Zurigo.” Terminò Michiru sicura del fatto suo.

Non gli aveva staccato gli occhi di dosso e lui aveva sostenuto tranquillamente quello sguardo penetrante con la luce dei suoi occhi scuri. Non era da tutti.

Un silenzio improvviso scese allora nella stanza sospendendo il tempo per qualche secondo, poi, come se le informazioni appena ricevute fossero state all’ordine del giorno, l’uomo spostò lo sguardo dalla donna che aveva appena parlato, a quella che di parlare sembrava proprio non averne intenzione. “ Davvero Architetto, non sapeva di avere una sorella?” Domandò a brucia pelo e sentendosi Sentendosi parte in causa, lei scosse la testa senza però dire una parola. Sembrava uno scontro fra due titani e lei era la fornichina capitata proprio nel mezzo.

Il Cardinal Berti mise allora i gomiti sulla scrivania riflettendo. Poi, iniziando a tamburellare sul piano della scrivania con l'indice della destra, sembrò estraniarsi per qualche secondo prima di partire a raffica come un vero e proprio inquisitore.

“ Lei Dottoressa Kaiou, è dunque omosessuale?! - E a un assenso convinto proseguì. - Ha una relazione stabile con quella donna?”

“ Haruka. Haruka Tenou. Si Eminenza, siamo legate da quattro anni.”

“Haruka... Tenou. - Ripete' lentamente.- Ed intendete... sposarvi?”

Michiru si toccò la fede all'anulare sinistro inarcando i lati della bocca. “Non credo sia così importante, ne ai nostri occhi, ne a quelli di Dio, Eminenza. Ma non mi dispiacerebbe se un giorno mi venisse fatta una proposta."

“ Ed intendete avere dei figli?”

O terra ti prego... apriti ed inghiottimi, pregò Giovanna non riuscendo più a stare chiusa nella stessa stanza con quei due. E quella maledetta sedia. Dio del cielo quanto poteva essere scomoda!

“Con tutto il rispetto, credo che questa conversazione stia scivolando troppo sul personale. Sarei estremamente sollevata se accettasse le mie scuse e le mie dimissioni. Per non far sfigurare Sua Eminenza, le posso segnalare due ottime restauratrici. Saranno certamente in grado di consegnarle il Perugino nel tempo stabilito. Così che possa essere sfoggiato la notte di Natale.” Concluse piccandolo.

“ Non reagisca cosi' con me, dottoressa Kaiou. Ammetto che ha un gran coraggio, ma rischia di bruciarsi la mano talentuosa che il Signore le ha concesso se continua a giocare con il fuoco.” Disse continuando a guardarla dritta negli occhi ed alzando la cornetta del telefono che aveva alla sua destra, compose un numero a tre cifre riattaccando subito dopo.

Due colpi alla porta ed il segretario comparve. Il Cardinale allora gli fece cenno di avvicinarsi alla poltrona e bisbigliando diede degli ordini. Un assenso e l'uomo sparì frusciando via. La porta si richiuse e la tregua cessò.

“Crede veramente che potrei rinunciare a lei per un altro professionista? Chiunque esso sia? Sa benissimo che qui non stiamo parlano di una pulitura o di una semplice doratura, ma di una reintegrazione pittorica. Non può essere tanto ingenua da pensare che possa esserci un altro tecnico con il suo stesso stile. Andarla a sostituire ora equivarrebbe a gettare al vento il suo lavoro ed i soldi che la Curia ha investito. Stiamo parlando di una pala con uno svariato valore economico ed artistico Dottoressa.”

Voglio andare a casa mia. Giovanna sentiva di stare sull'orlo di una crisi. Non era quello il suo ambiente e non erano certo quelle le frasi che potevano stemperarle l'ansia che sentiva attanagliarle lo stomaco. Lei era una donna semplice, poco avvezza a quel tipo di contesto. Le piaceva si, era una storica, ma si era trovata a fare quel lavoro per puro caso. kaiou invece, sembrava trovarsi perfettamente a proprio agio nel discorrere a quel modo e di argomenti tanto delicati con un uomo come quello. Improvvisamente si senti' una ragazzina immatura.

Michiru ammise di non averci pensato. In effetti sarebbe stato come se un pittore avesse terminato il quadro di un altro. Follia solo il pensiero.

“ Vedo dalla sua espressione di aver colto nel segno. Comunque... facciamo finta che io acconsenta a mettere in stand-by il lavoro alla pala e riesca a sostituire il capo cantiere, come intenderebbe procedere? Spero abbia messo in conto le spese del vitto e dell'alloggio che lei e l'Architetto Aulis sareste chiamate a sostenere in una città cara come Zurigo.” Un altro paio di colpi all'anta e si alzò nuovamente per dirigersi verso la porta. Aprendola afferrò un foglio consegnatogli dal suo segretario. Pochi istanti e troneggio' davanti alla sedia di Michiru.

“ Questo è l'indirizzo del convento dei Cappuccini di Zurigo. Non abbiamo una struttura femminile nei dintorni, ma per il turismo religioso hanno comunque una foresteria bene attrezzata. Sarà mia premura avvertirli del vostro arrivo. Quando pensavate di partire?”

Michiru fu presa in contropiede. Aveva appena dato le dimissioni e si ritrovava in un convento di frati?!

“ Eminenza..., non credo di capire...”

“ Ha capito benissimo Michiru – La chiamò per nome – L'Architetto Aulis avrà i giorni di malattia che vi servono e lei, bhe lei... ha una bella faccia tosta. E questo devo ammettere che mi piace.”

Le mise una mano sulla spalla e finalmente tornò ad essere il buontempone di sempre. “ Penserò qualcosa per far procrastinare la data di ultimazione del restauro. Dal Santo Natale potremmo passare alla Santa Pasqua. O al compleanno del Santo Padre. Vedremo.”

“ Eminenza, io...” A Michiru pizzicarono violentemente gli occhi.

“ O su via! Restituite i tesserini di servizio in guardiania ed andate ad organizzare la partenza.” Disse facendo loro cenno di alzarsi e spingendole praticamente fuori dalla stanza dove il segretario le stava attendendo per riportarle giù da basso.

“ Dottoressa Kaiou... - concluse – Non sono tutti aperti come me riguardo ad alcuni argomenti trattati in questa sede. Sia saggia, mi raccomando. Mi sono spiegato?”

Michiru sorrise all'uomo facendo un leggero assenso con la testa e poi seguì velocemente gli altri due verso le scale.

Quel giorno il Cadinal Berti si dimostrò più un burbero padre che un alto dignitario del clero.

 

 

L'acqua calda della doccia stava finalmente sciogliendo il freddo che sentiva nelle ossa. E pensare che quella giornata era iniziata così bene.

Era riuscita a vincere Mattias a PES 2016, il che era una rarità da segnare sul calendario con tanto di evidenziatore, il pranzo sembrava domato e rinchiuso negli anfratti più bui del suo stomaco ed essendo il turno infrasettimanale delle coppe europee, da li a qualche ora si sarebbe trasformata nel boss della rete satellitare. E si, era proprio una bella giornata quella.

Seduta sul piatto doccia, Haruka si portò le gambe al petto appoggiando la testa sulle ginocchia lasciando che il tepore le martellasse il collo e le spalle. E allora perchè quella bella giornata aveva sbandato come un auto sul ghiaccio trasformandosi improvvisamente in una schifezza?!

Tutta colpa dello psicopatico in bianco e delle sue geniali idee, si disse.

Non aveva mai sopportato quell'uomo. Troppo alto, troppo bene educato, troppo fascinoso, con quegli occhiali rotondi che non facevano altro che arricchirlo donandogli un'aria da intellettuale. Michiru lo aveva definito da subito un “uomo interessante” e da allora era stata guerra aperta. E si che Haruka era un'adulta ormai e sapeva perfettamente cosa le s'innescava negli istinti primordiali più abietti del suo “io” ogni qual volta la sua donna provava delle simpatie, anche se assolutamente ingenue, per l'altro sesso. Non poteva farci nulla se in circostanze come quelle il mostro dagli occhi verdi le toccava la spalla per dar cenno di se. Come sapeva Haruka, da cosa dipendesse tutta quella gelosia che non faceva altro che crescere al “crescere” della sua Michiru e mentre la compagna si avvicinava al punto del non ritorno dell'età biologica, che poi per una donna è la mezza età, lei si chiedeva se la loro storia avesse come unico lato negativo il privarla di una gravidanza.

“ Ma cosa stai dicendo!? Haruka falla finita.” Le ringhiava contro ogni volta si ritornava sull'argomento.

“ Io non voglio nessun figlio. Io voglio solo te.”

Ma Haruka lo vedeva come l'altra si comportava in presenza dei bambini e non riusciva proprio a non domandarsi se a Michiru sarebbe realmente bastata solo lei. Ed allora giù con il lavoro per cercare di comprarle le cose che più amava e portarla in giro per mezzo mondo, quando magari a Michiru le cose belle ed i viaggi piacevano si, ma fino ad un certo punto, perchè tutto quello che realmente voleva era stare insieme alla sua amata Ruka.

Come sapeva che il dottor Kurzh era un notevole professionista, in realtà uno degli oncologi migliori del paese e doveva ringraziare il cielo che avesse ancora voglia e tempo di starle dietro. Ma lui non capiva, non poteva capire come si potesse sentire una come lei a stare in quella situazione tanto frustrante. Lei, un'atleta, una giovane donna che in vita sua non era mai stata male. Un paio di malattie santematiche da bambina, un'influenza ad anni alterni, tracheiti, quelle si, ma più per distrazione che per un'effettiva debolezza immunitaria.

Si toccò i bicipiti tornando a schiacciare la testa contro le ginocchia. Stava continuando a perdere massa muscolare ed ormai era arrivata al punto di non riuscire più a sopportare la sua immagine riflessa nello specchio. Perciò quello psicopatico in camice bianco avrebbe fatto meglio a tenersi le sue fottutissime idee per se, invece di andarle a spifferare ai quattro venti.

Cos'era questa storia di un nuovo donatore! Che cosa si erano messi in testa lui e Michiru? Si, perchè se lui l'aveva chiamata nel suo studio annunciandole che avrebbe dovuto provare a rifare immediatamente un ciclo di chemio perchè avevano trovato un midollo compatibile, lei aveva rincarato la dose chiamandola al cellulare felice come una tortorella sopra una grondaia.

Haruka afferrò lo shampoo alla mela verde iniziando a massaggiarsi i capelli. Si erano indeboliti anche loro, come tutto il resto, ma erano ancora tutti al loro posto, come lei. Non avrebbe fatto da cavia un'altra volta. Non avrebbe rischiato la vita per nulla, anche se quest'ultima le stava scivolando via dalle dita. Era ancora troppo fresco il ricordo di com'era stata male prima e dopo il primo innesto. Non l'avrebbero convinta a farlo ancora. Non ne valeva la pena.

Per sperare in cosa? Una guarigione? Ma non diciamo stronzate, si disse puntando il viso verso il getto d'acqua.

“ Haruka è un'occasione irripetibile. Tu devi fare la chemio, altrimenti il midollo del donatore non attecchirà. Ti prego amore.”

“ Guarda che lo so Michiru e non trattarmi con condiscendenza! Ricordati che c'ero io in quel letto metre mi pompavano veleno in vene che bruciavano tanto da farmi quasi urlare. C'ero io quando il corpo ha iniziato a rigettare le cellule di un'altra persona, perchè ancora si ostinavano a voler fare il proprio lavoro. C'ero io a sentirmi "profanata" da un siero estraneo. C'ero io quando ho creduto che non ti avrei più rivista! C'ero io, non tu o Kurzh.” Ed aveva alzato la voce come non si era mai permessa di fare.

“ Si Haruka, c'eri tu a sopportare fisicamente tutto questo, ma ricorda TU una cosa... che IO non ti ho lasciata sola neanche un istante. Non vuoi fare la chemio? Va bene, la vita è tua! Ma apri bene le orecchie, Tenou; io non sarò li a tenerti la mano quando morirai, perchè troppo vigliacca per poter accettare il dono della vita...” E la conversazione era finita così.

Michiru si era pentita immediatamente di quelle parole. Non erano vere e lo sapevano entranbe. Sapeva che la sua Haruka non accettava quell'azzardo non per codardia, ma solo per avere la possibilità di vivere la loro storia ancora per un po. Come sapeva che qualunque cosa fosse accaduta, lei le avrebbe SEMPRE tenuto la mano. Ma troppo orgogliosa, stanca e avvilita, non aveva provato neanche a richiamarla. Doveva sbrigarsi a preparare le valigie. Le avrebbe chiesto perdono a quattr'occhi da li a poche ore.

Gli stessi pensieri li aveva la bionda. “Sono un'egoista.”

Haruka si alzò chiudendo l'acqua. “Come posso averla trattata così!” Un pugno contro le mattonelle bagnate ed il conseguente dolore alla mano.

“ Sto completamente perdendo il senso delle cose.” Disse a mezza voce aprendo il cristallo del box doccia.

Cacciò un urlo nel vederlo fermo in piedi con l'aria incavolata nera.

 

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Capitolo 7
*** Battaglie e rese ***


 

L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Battaglie e rese

 

 

“Posso entrare? - Chiese lasciando il borsone al lato dell'ingresso. - Michiru, ci sei?”

Giovanna andò verso la camera da letto. Restia nell'entrare in case che non conosceva, quasi camminò in punta di piedi. Affacciandosi dallo stipite la vide indaffarata a riempire un volumetrico trolley, ricordandosi che avrebbe dovuto star fuori molto più di lei.

“Scusa se non ti ho aspettata alla porta, ma come vedi sono parecchio indietro...” Rispose la bernese non guardandola nemmeno.

“Figurati... - Con quanta decisione e non cutanea stava facendo i bagagli. - Tutto bene?”

“Certamente...” Sarcasmo allo stato puro ed un altro tuffo verticale fatto fare ad un paio di jeans. Alla piu' grande fu chiaro che quei poveri indumenti stessero interpretando la parodia di un malcapitato sparring partner.

Appoggiandosi meglio allo stipite ed incrociando le braccia al petto Giovanna attese solo una manciata di secondi prima che l'altra esplodesse come un fuoco pirotecnico.

“ Mi sono piegata per lei! Sono scesa a compromessi con la mia coscienza trasformandomi letteralmente in una stronza per lei. Ho unto ruote disgustose per entrare negli archivi del personale per capire chi fosse tuo padre e l'ho fatto per lei. Solo per LEI. Ma questo non è niente se paragonato al venire meno alla parola data, mentendo e deludendo prima di tutto me stessa e poi quella brava persona del Cardinal Berti. - Un'altra maglietta scaraventata dentro il calderone di una rabbia via via crescente - Ho fatto i conti con un senso di colpa talmente pesante da costringermi ad un'insonnia che ultimamente non mi apparteneva più, arrivando a mentirle quotidianamente per giustificare il fatto che non tornassi ancora a casa. Perche' non potevo certo dirle quello che stavo cercando di fare qui! Sono arrivata a torturarmi tra l'esigenza di rimanere, pronta ad incasinarti la vita al momento giusto e la viscerale necessità che sento di starle accanto. Il sapere che è sola mi fa impazzire! Ma ho continuato ad andare avanti verso l'obbiettivo che mi ero imposta ed ora che tutto sembra stare andando per il verso giusto, ora che si poteva tornare a sperare, ora...”

Si fermò e finalmente si girò a guardarla. “Giovanna..., vuole fare la chemio per il trapianto.” E finalmente crollò seduta sul letto arpionandosi la testa con le mani.

Lentamente l'altra liberò le braccia dimenticandole lungo i fianchi. Che cos'è che non voleva fare?!

“Stupida. Stupida. Stupida...” Continuò Michiru sentendosi sull'orlo di una crisi di pianto.

Le lacrime altrui turbavano Giovanna da sempre, regalandole un senso di disagio. Non era certo un animo sensibile il suo, ma cercò comunque di fare del suo meglio. Entrò allora nella stanza accovacciandosi di fronte all'altra e poggiandole le mani sulle ginocchia cercò di essere il più dolce possibile.

“Ascoltami. Io credo che Haruka abbia solo paura. Sono convinta che appena ti vedrà cambierà idea vedrai.”

“No Giovanna. Tu non sai cosa le stia passando per la testa. Non sai quanto possa essere caparbia quando crede di essere dalla parte della ragione.”

“Ma non è dalla parte della ragione...”

“Certo, ma questo lo sappiamo io, tu e il dottor Kurzh. Ma per Haruka la questione è diversa.” Michiru alzò la testa mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso.

“Non ha mai creduto nel trapianto. E' sempre stata scettica anche prima di provarci la prima volta - Sorrise ironica muovendo una mano in aria - E' diventata una pessimista lei! Poche possibilità equivalgono a zero possibilità. Poi, apriti cielo, quando abbiamo scoperto che non sopporta la chemio. Allora strada chiusa. Interrotte tutte le comunicazioni. Su quel fronte Haruka ha deciso di arrendersi.”

Ebbe allora una devastante folgorazione. La sua Ruka si era arresa. Presa dal turbine degli eventi non ci aveva mai pensato. Non aveva capito. La sua compagna aveva smesso di battersi già molto tempo prima, preferendo il limbo di uno stato di torpore fisico che la stava pian piano spegnendo ad un'ultima decisiva battaglia in campo aperto. Tornò a chinare la testa mentre le lacrime bagnavano il dorso delle mani di Giovanna. Non era da Ruka arrendersi. Da quando la conosceva non lo aveva mai fatto.

“No, no, no, Kaiou. Non mi crollerai proprio ora?! Ascoltami! Adesso finisci di fare i bagagli mentre io chiamo un taxi. - Ordinò docilmente controllando l'ora per poi tornare a fissare quello scintillio cobalto. - Tra più o meno quattro ore saremo a Zurigo. Potrai romperle la faccia prima di cena! E se poi le tue argomentazioni non dovessero risultare convincenti..., bhe, c'è sempre l'ultima cartuccia.” Michiru la seguì con lo sguardo mentre si alzava prendendo il cellulare dalla tasca posteriore dei bermuda.

“Se ha paura che il trapianto non funzioni... le dirai chi sono e quante possibilità hanno in più le mie fichissime cellule di far vedere alle sue come si lavora. Forse questo la invoglierà a provarci. Si, ma... prova prima con armi... meno dilanianti e più femminili. Sai... lo scoprire dopo più di trent'anni di avere una sorella è un tantino traumatico.” Giovanna sapeva sempre come sdrammatizzare e a Michiru non rimase che asciugarsi gli occhi, alzarsi e ricomporsi.

“Tutto ok?” E questa volta si sentì nella stanza un si convinto.

"Ti ringrazio Giovanna. E' stato un momento di debolezza. Non era mia intenzione dare spettacolo, scusami."

L'altra sorrise a quella ritrovata compostezza nordica. "Figurati Kaiou, non c'è problema. Ogni tanto fa bene sfogarsi un po'. Coraggio, finisci di massacrare i tuoi poveri vestiti. Io faccio la chiamata." E stava per uscire quando Michiru la blocco' per un braccio.

“Giovanna, perdonami la domanda, ma... hai mai preso un aereo?” Chiese Michiru timidamente mentre la scrutava da capo a piedi inarcando le sopracciglia.

“Aerei? Nooo... Perchè?!”

Maglietta senza maniche, bermuda ed un paio di sandali. Un po' troppo easy per l'aria condizionata di un 747. “Non per criticare il tuo abbigliamento, ma credo che sia il caso che tu ti metta qualcosa di più pesante.”

“Ma fuori fa trenta gradi!” Rispose l’altra componendo il numero del pronto taxi.

“Si, ma in aereo no.” E a quell'espressione persa che un poco le ricordava la sua bionda, a Michiru Kaiou tornò un debole buonumore.

Giovanna si stava rivelando un aiuto prezioso, soprattutto per il suo spiroto. Un aiuto che andava oltre il gesto che stava per compiere.

 

 

“Ma che cazzo stai facendo qui!?” Haruka richiuse lo sportello del box doccia facendo pericolosamente vibrare il cristallo. Nuda come un verme cercò di schiacciarsi tra l'angolo delle due pareti come un ramarro contro un sasso.

“Non si usa più bussare?!” Abbaiò sforzando di ricordarsi dove avesse lasciato l'accappatoio.

“Io ho bussato, sei tu che sei sorda. Tranquilla non ho visto niente ed anche fosse stato, ho due sorelle maggiori, cosa credi!? Conosco come siete fatte voi femmine.” Disse Mattias mettendo su l'aria da ragazzino navigato.

“Si da il caso che io non sia una delle tue sorelle! E poi si dice donne e non femmine! Che cavolo... neanche fossi un'animale.”

“Si, si, va bene. Ora però esci che devo parlarti!" Serissimo continuò a fissare la smerigliatura del pannello vetrato fino a quando Haruka non gli urlò contro una serie d'improperi da scaricatore di porto. Uscito si mise seduto sul letto con il cipiglio di un poliziotto di dogana.

Un paio di minuti e la bionda uscì con l'accappatoio bene allacciato in vita ed un asciugamano in testa. Si guardarono in cagnesco ognuno spinto dalle proprie ragioni.

“Bonzo, cos’è sta genialata?! Da quando in qua si entra nella stanza di una donna in questo modo?”

“Mi sono rotto le palle di questa storia, Haru. Non chiamarmi bonzo!”

Haruka notò quanto fosse nervoso ed abbassando il tiro si sedette sul letto accanto a lui. Magari aveva qualche dolore o forse lei si era dimenticata chissà quale importante appuntamento sul pianerottolo.

“Facciamo così; visto la tua rovinosa caduta a PES di questa mattina, sarò magnanima e non ti darò del bonzo fino a domani, ok? Ora mi vuoi dire perchè ti girano tanto?”

“E' vero che non vuoi fare la chemio per il trapianto?”

Lei bloccò il respiro corrugando la fronte. “Dove l'hai sentita questa?” Chiese pronta a partire in quarta verso lo studio del dottor Kurzh.

“Da un paio d'infermiere. Ne stavano parlando davanti alla macchinetta del caffè. Dicevano che è un miracolo che si sia trovato un altro midollo compatibile in così breve tempo e che sei completamente fuori di testa perché non lo vuoi accettare. Ma si sbagliano..., vero Haru? Tu lo vuoi quel midollo...”

Ora sono diventata anche un argomento di conversazione da coffee break. Che bellezza, si disse digrignando i denti. Quel posto era come un paesello dove ogni pettegolezzo volava veloce di bocca in bocca fino alla novità successiva. Si strinse nelle spalle. Pazienza, tanto prima o poi lo avrebbero saputo tutti.

“Hai sentito bene.” Ammise semplicemente iniziando a strofinarsi i capelli.

Mattias la guardò allora con un misto di incredulità fanciullesca e rabbia. Per lui, ma non solo, quella decisione era completamente illogica. Si alzò togliendosi dalla testa il cappellino della Toro Rosso che la bionda gli aveva regalato.

“Tieni, riprenditelo. Non lo voglio!”

Haruka sbuffo' sinceramente stanca. Prima Kurzh, poi Michiru e adesso quel piccolo scassacacchi. Possibile che con tutto quello che aveva per la testa non la volessero lasciare in pace?!

“E' un regalo ragazzino ed e' maleducazione ridarlo indietro. Ma cosa credi che abbia preso questa decisione a cuor leggero? No, non l'ho fatto! Anche se tutti non fate altro che pensare il contrario!"

Lui rimase un attimo con la visiera stretta in mano poi, rimettendoselo in tesa fece dietro front. “Sai Haru, io ho due genitori e due sorelle e nessuno di loro è compatibile. Ti atteggerai anche a gran figa, ma sei solo una vigliacca. Se i regali si accettano ricordati che anche un midollo lo è!” Ed esprimendo una maturità invidiabile per un ragazzino della sua età, schizzò fuori dalla stanza con la velocità del suono.

“Aspetta... Matty...” Ma era già uscito sbattendo la porta.

Ma che cavolo!, pensò lasciandosi cadere sul letto a braccia aperte sentendosi come il ladrone cattivo sulla croce - E così salgono a tre le persone con le quali ho discusso oggi, due delle quali mi hanno dato della vigliacca!

Compose il numero ed attese. Irraggiungibile.

 

 

Michiru spense il cellulare. Dopo il check-in ed il pat-down di sicurezza erano dirette al gate d'imbarco.

“Neanche un SMS?” Chiese Giovanna riferendosi al silenzio “radar” di Haruka.

“No. La chiamerò da Zurigo. Ci metteremo si e no un'ora e trenta. Arriveremo che avrà già cenato. Spero che per allora sarà diventata... più docile.”

“Hai deciso dove andremo prima? In clinica o dai Cappuccini?”

“Non lo so, vediamo a che ora riusciremo ad uscire dall'aeroporto. Se dovessimo portare ritardo non voglio scombussolare la vita del convento. Haruka aspetterà domani.”

Giovanna strinse le labbra tornando a studiare la carta d'imbarco. Quelle due dovevano essersele dette proprio di santa ragione.

 

 

Zurigo non era poi tanto diversa da una qualsiasi grande città del nord Italia; lavorativa, frenetica e pulsante di vita. Solo lo stile nordico di molti palazzi e la loro colorazione grigia dettavano la differenza tra due culture gemelle, ma estremamente distanti. Quello che stupiva una Giò sempre più attenta ai particolari, era la pulizia delle strade, le aiuole fin troppo fiorite e l'impalcato curato degli alberi ai lati delle strade. Nulla a che vedere con il lordume che si poteva vedere ultimamente nelle strade della sua Roma, il dissesto dei suoi marciapiedi o il capitozzamento ignorante dei suoi platani.

Una volta salite sul taxi l'occhio d'architetto aveva iniziato a macinare informazioni su informazioni, alleviando secondo dopo secondo, il senso d'ansia che l'aveva assalita una volta arrivate in terra elvetica. Giovanna comparava quelle strutture architettoniche e quei decori urbani con una velocità impressionante, tirando poi le somme e godendo o soffrendo per l'uno o l'altro risultato. Per una persona nata a Roma era sempre difficile non fare paragoni con quella che a suo dire era la città più bella del mondo, ma a lei era stata da tempo portata via quel tipo d'innocenza e su quel punto di vista si sentiva abbastanza critica. Però anche se Zurigo era più ”fresca”, inquadrata e discreta, il colore del tramonto che sapeva tingere di sfumature giallo arancioni gli intonaci a calce dei palazzi del centro, il verde selvaggiamente prorompente dei suoi giardini e la seducente caoticità, rendevano Roma ancora la capitale di una grande bellezza.

Michiru sorrise nel vederla tanto intensamente concentrata. Le ricordava le classiche pubblicità natalizie con protagonista un bambino con il naso appiccicato al vetro di una pasticceria. Aveva già avuto modo di vedere quello sguardo. E più di una volta. Riconobbe in lei una Ruka completamente fuori controllo davanti ad una Ferrari di formula 1, esposta ad una fiera per un qualche campionato mondiale. Occhi sgranati, mani serrate sul cordame di velluto che separava gli spettatori dall'auto, respiro lento, sguardo fisso.

Si ricordò di riaccendere il cellulare. Tra il ritiro dei bagagli e la scarpinata per uscire dall'aeroporto non lo aveva ancora fatto. Qualche secondo e la notifica della chiamata di Haruka comparve sul display. Tenne premuto il dito sul comando di richiamata ed attese. Dopo una quindicina di squilli attaccò stizzita.

“ Che tu sappia questa sera ci sono partite di calcio?” Chiese sapendo quanto l’altra fosse estremamente più ferrata di lei in materia.

"Credo di si...”

Michiru allora sospirando pesantemente chiese all'autista di cambiare strada. Sarebbero andate al Convento per presentarsi, riposare e magari mangiare un boccone.

 

 

Haruka stava sognando e quasi se ne stupì. Era da tanto che non le capitava. La lentezza e l'inattività della vita in clinica avevano finito per scombussolarle tutto il bioritmo del sonno, così che alle volte le succedeva di scambiare la notte con il giorno e all'interno di esso, porzioni di tempo passato a sonnecchiare. Di conseguenza anche i suoi sogni, prima vividi ed inondati di una marea di colori, si erano via via fatti più radi, cupi e confusi. Quello però non sembrava uno di essi, anzi.

La bella donna dal viso nordico che le stava sorridendo aveva ripreso a cucire l'ennesimo paio di pantaloni. Non sembrava arrabbiata, anche se un rammendo appariva ormai quasi impossibile. Lo squarcio all'altezza del ginocchio destro era talmente esteso da essere pressoché irrecuperabile. Consapevole che quel paio di calzoni fossero i suoi e che le era stato detto per l'ennesima volta di tenerseli da conto, Haruka guardò la donna andando a sedersi a gambe incrociate sul pavimento di legno accanto alla sedia dov'era seduta.

Le piaceva fermarsi a guardarla mentre lavorava in casa. Era sempre in fabbrica e non aveva tempo per quel cucciolo di tornado che non faceva altro che ridurre a brandelli qualunque cosa si mettesse su.

“Come fai Ruka mia, a non capire che il vestiario costa e che va tenuto bane. Già mi cresci come se non ci fosse un domani, non aggiungere anche la tua frenesia.” Ma le sorrideva anche se lo sguardo era severo, perchè bastava guardare quella ragazzina frutto di un doloroso rapporto ormai terminato da anni, per farle capire che benedizione fosse stata l'averla.

“Non è tutta colpa mia mamma. Ci hanno sfidati quelli della valle, i ragazzi che abitano nelle case a schiera vicino il torrente. Era per una cosa importantissima sai... Il campo dietro l'oratorio. Dove la domenica i più grandi fanno le partite. Erano anche più di noi. Mica potevo tirarmi indietro.”

“La mia ragazzina... Sempre pronta fionda alla mano per conquistare uno spicchio di mondo ed andare più lontano. Almeno hai vinto la tua importantissima battaglia?”

Un sorriso fieramente luminoso ed un cenno di assenso con la zazzera bionda. “ Le battaglie non si combattono mamma..., si vincono!”

“Ed allora battiti e vinci, mia piccola Ruka e fallo con tutta la forza che ancora ti rimane in corpo.”

Dopo quelle parole, improvvisamente Haruka riconobbe le sue mani, il suo corpo ed il suo io di adulta, ma mentre lei era cresciuta improvvisamente tornando quella di sempre, la madre era rimasta la stessa bella donna dai capelli biondi e gli occhi stanchi.

“Ma questa volta sono sola mamma e questa cosa e' tanto più forte di me.”

"Dunque vorresti arrenderti?” Chiese la donna fermando il suo cucire.

”Non lo so mamma. Sono così stanca di lottare. E se questa volta, solo questa volta, lo facessi? Mi giudicheresti anche tu una vigliacca?”

“Sarò sempre dalla tua parte anima mia, ma da quando sei venuta al mondo non ti sei mai tirata indietro di fronte a nulla. Tutto si sistemerà, ma per tornare ad andare lontano, devi riuscire a conquistare il prossimo spicchio di mondo.”

E mentre al viso di sua madre si sovrapponeva a quello del suo personale angelo terreno in quello che stava diventando il suo risveglio, Haruka avvertì sulla guancia il tocco gentile delle dita delle quali aveva sentito tanto la mancanza.

 

 

Michiru si destò con le ossa peste ed un gran mal di testa. Aveva dormito tutta rannicchiata come una lumachina in un lato non precisato del letto ed ora ne subiva tutto l'effetto. Si guardò intorno non riconoscendo in quelle quattro mura nulla di familiare. Erano arrivate al convento all'imbrunire della sera precedente ed erano state accolte benissimo. Annunciate con grande anticipo dal Cartinal Berti, la piccola comunità aveva messo prontamente a disposizione delle due donne una camera abbastanza spaziosa, con un tavolino, un armadio ed un letto matrimoniale, che veniva infine servita da un bagno ed un angolo cottura. Avevano dato loro anche cibo genuino e vino a profusione. Si sa che gli ordini monastici hanno da sempre come punto di forza il vivere in posti incantevoli, lo stare in piena tranquillità ed il mangiare e bere magnificamente. Quel convento non faceva eccezioni. Era immerso nel verde più lussureggiante della periferia di Zurigo, non si sentiva volare una mosca e si mangiava e beveva... da Dio. Michiru aveva usato il vino come un anestetico naturale, il che era un caso più che raro per lei, convinta che l'agitazione nello stare per rivedere Haruka ed il dormire per la prima volta dopo anni con un'altra persona, per di più in un letto non suo, senza quel nettare non sarebbe riuscita a chiudere occhio. E così dopo essersi fatta una doccia e scambiato due chiacchiere con Giovanna era letteralmente crollata pancia in giù sul materasso.

Arrivate le nove del mattino un odore di caffe appena fatto iniziò ad aiutarla nel risveglio.

“Kaiou! Ben tornata alla vita! Poco ci mancava che sbavassi sul cuscino! Lo sapevo che dovevo fermarti al primo bicchiere di rosso.” Se la rise Giovanna divertita dalla faccia sconvolta di quella inedita visione. Iniziava a sciogliersi con lei ed era arrivata a chiamarla Michi un paio di volte. In fondo dei conti la sempre impeccabile dottoressa Kaiou era pur sempre un essere umano.

A prima vista poteva non sembrare, ma Giovanna Aulis non era solita concedere la sua amicizia a chiunque, anzi. Da molto tempo era diventata estremamente diffidente e di conseguenza selettiva. Aveva imparato a dividere le conoscenze dalle amicizie in maniera molto efficace. Non lo faceva per cattiveria o superbia, ma per difesa e dopo aver ricevuto un paio di sonore batoste che avevano finito per incrinare la fiducia che aveva sempre riposto in questo tipo di rapporto.

”Allora..., sei tra noi?” Già docciata, vestita e con una mezza escursione fatta nella cucina, la guardò spalancando un sorriso a trentadue denti.

“Ma... è odore di caffè questo?!” Chiese Michiru sedendosi sul lato del materasso.

“Non ti sfugge proprio niente! Guarda qui e dirmi se non sono una grande e talentuosa stratega del risveglio all'italiana.” Ed estremamente tronfia alzò una Bialetti da quattro completa di fornelletto elettrico e zucchero al seguito.

“Bazzicando per cantieri non me ne separo mai. Lo sapevo che sarebbe servita. Non saprò come ci si veste per volare, ma quanto a comodità made in Italy..., non mi batte nessuno.”

“Gran talento..., ma dove la trovi tutta questa energia? - Andandole incontro Michiru prese con gratitudine la tazzina che le era appena stata offerta. - Anche in questo sei tale e quale ad Haruka.”

“ Non so ancora se prenderlo come un complimento o meno, ma vedrai che con questo ti si apriranno gli occhietti.”

“ Grazie...” L’altra si sedette massaggiandosi le tempie mentre l'amica prendeva posto sulla sedia vicina facendosi seria nel chiedendole cosa avesse intenzione di fare in quella mattina.

“ Devo andare a parlare con il dottor Kurzh, ma prima voglio vedere Haruka. Tu?”

“ Io cosa...”

“Tu non vieni in clinica con me?”

“E cosa vengo a fare? Fino a quando non le farei cambiare idea... Comunque mi terrò pronta. Tranquilla.”

“Credevo volessi almeno vederla. Non vuoi che sappia chi sei, ma puoi comunque girarle intorno.”

L'altra non rispose subito. Finì velocemente di bere il caffè ed alzandosi andò a lavare la sua tazzina. Michiru era in possesso di un'arguzia finissima, ma a Giovanna non le stava sfuggendo la mossa che voleva mettere a segno con lei. Stazionare nei pressi di Haruka voleva dire iniziare ad affezionarsi a lei e a rivedere la sua posizione sul non rivelarle chi fosse. Dopo tutte le cose sapute su quel diavolo biondo, già iniziava a sentire il sangue urlargli qualcosa. Se l'avesse vista il suo proposito sarebbe crollato.

Che se ne farebbe una come lei di una come me, e quella che era una grande idiozia, aveva ormai fatto breccia nella scarsa fiducia che alle volte Giovanna aveva di se.

“Me ne andrò a fare una passeggiata nei boschi e magari lavorerò di braccia aiutando giù da basso. Tu vai Michiru. Avete bisogno di stare insieme.”

 

 

Ed ora Michiru era arrivata a stringere la maniglia della camera di Haruka sentendosi le gambe molli ed il fiato insufficiente. Aprì piano la porta vedendola sdraiata su di un fianco sopra la coperta del letto. La tuta viola e bianca della Nike, il suo Ipod rosso stretto in una mano, mentre l'altra rimaneva abbandonata sul cuscino, le cuffiette ben calzate nelle orecchie ed il viso sereno di chi sta facendo un gran bel sogno.

Michiru richiuse lentamente l'anta sentendo il cuore esploderle nel petto. Restò qualche secondo a guardarla per poi sederle accanto iniziando ad accarezzarle la guancia liscia con il dorso del medio e dell'indice.

Quanto ti sei smagrita amore mio, pensò mentre due fessure smeraldine si schiudevano su di lei.

Michiru le sorrise mentre le sfilava una cuffia. “Guarda che cosa devo fare per avere la tua attenzione, Tenou. Mi devi un biglietto aereo.” Disse piegandosi a baciarla sulla fronte.

“... Michi...” Incredula la bionda si poggiò sugli avambracci e mentre la mano della compagna da dietro la nuca l'attirava a se, avvertì quelle labbra calde e morbide che da anni le erano ormai diventate indispensabili.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Voglio che tu mi senta ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Voglio che tu mi senta

 

 

Haruka si aggrappò alla schiena di Michiru con maggior forza, come spinta dalla paura di perderla, come se credesse che quella pelle calda, quell'odore di mare proveniente dal profumo del suo collo, quell'altrettanto forte stretta, potessero dissolversi nella nebbia di una menzogna. La baciò la sua Michiru, con un ardore che non ricordava di avere mai posseduto, non vergognandosi di stare piangendo e di sentir piangere. Erano così intensi quegli attimi che avevano tanto bramato, che rimasero abbracciate per minuti interi, sentendo il bisogno di guardarsi, di accarezzarsi il viso per memorizzarne nuovamente le reciproche fattezze, come un imprinting già vissuto.

Michiru sotto il tocco delle dita aveva notato subito che la sua Ruka sembrava più fragile, ma la presa era sempre la stessa; salda, passionale, protettiva. Solo lo sguardo sembrava essere diverso, più maturo, come se la sofferenza e la solitudine di quelle ultime settimane l'avessero temprata a nuove e più profonde consapevolezze.

“Perdonami amore... Non avrei mai dovuto dirti quelle cose. Non sono vere, non...” Finalmente un macigno tolto dall'anima.

“Ssss... Sono io che ti devo chiedere perdono Michiru. Sono stata una bestia ingrata. Dopo tutto quello che hai fatto per me... Non meritavi che ti urlassi contro tutte quelle idiozie.” Ed Haruka si rituffò nell'incavo del suo collo respirando a pieni polmoni quell'ossigeno benedetto che era il suo odore.

Si erano lacerate nello stare lontane, sentendosi incomplete giorno dopo giorno, vivendo una vita a metà. Ora era così incredibilmente appagante lo stare nuovamente vicine, anche semplicemente nello stringersi e nel gurdarsi.

“Mi sono mancate le tue mani.” Sorrise Michiru nel sentire le dita della sua compagna premute ai fianchi.

“Mi sono mancate le tue labbra.” Rispose Haruka assaporandola nuovamente.

Si sdraiarono sul letto tenendosi strette. “Altro che biglietto aereo. Credo proprio che per questo regalo dovrò superare me stessa per sdebitarmi. A saperlo avrei fatto la stronza prima.” Disse la bionda avvertendo il peso della testa della compagna sul petto ed un colpetto sulla stalla subito dopo.

" Basta così Tenou! Non sei affatto divertente!"

" Hai ragione... I regali non necessitano di repliche." Sfotè guascona stringendosela forte contro.

Michiru non controbatè, chiudendo gli occhi si concentrò invece sul battito del cuore di Haruka. Mai le era sembrata musica tanto carnalmente perfetta.

Non ci sarebbe regalo più grande nel vederti riprenderti la vita che ti spetta, amina mia, le avrebbe voluto dire, ma non parlò, perchè ora, stretta tra quelle braccia, con l'orecchio teso al ritmo di quel tamburo vitale, le carezze gentili sulla carne smagrita dove si intravedevano le ossa sternali, le certezze di Michru iniziavano a farsi meno incrollabili. Così lasciò che una piccola tregua prendesse spazio tra le pieghe della sua convinzione, decidendo di godersi solo il momento. Ci sarebbe stato altro tempo per parlarne.

Iniziò a saziare la curiosità di Haruka che non capiva com'era riuscita a sganciarsi da un lavoro tanto impegnativo come quello del restauro di un quadro famoso.

“E' una pala lignea non una tela.- e al fa lo stesso, sempre stessa robba vecchia è, le lasciò un pizzico sull'addome continuando - hai ancora sufficiente carne Tenou. Non continuare a provocarmi.” E risero di gusto, perchè... Semplicemente risero.

”Ruka non ti nascondo di essere in ansia e di voler passare con te un po’ di tempo, ed è per questo che ho chiesto ed ottenuto un permesso.” Michiru iniziò a raccontare a grandi linee cosa si erano detti lei e il Cardinal Berti e di come, capendo il momento delicato che stavano affrontando le due donne, fosse stato estremamente generoso.

“Michi mia... generosa? Ti ha sbattuta in un convento ad ora et labora!” Giù risa fino alle lacrime.

“Ruka... non essere dissacrante. Sai quanto risparmieremo?!” Giù il finto broncino.

" Ti ci vedo sai? Suor Michiru reverendissima..."

" Guarda, sono proprio la persona meno indicata."

" Lo so, e' per questo che e' buffo. Comunque non devi essere in ansia. Te l’ho detto, non sto poi così male." Menti più a se stessa che alla compagna, perché le ultime analisi dicevano tutto l’opposto.

A quell’ennesima incapacità di guardare in faccia la realtà, Michiru non replicò. Andarono avanti così per più di un'ora, ridendo, scherzando, accarezzandosi l'anima con gli occhi e la pelle con le dita, com'erano solite fare da quando si erano incontrate la prima volta. Haruka che provocava e Michiru che se la coccolava di rimando. Ma nessuna delle due sentiva la forza o il coraggio per imbastire il discorso che poi era stato la causa scatenante di tutto; della loro discussione, del cercare una salvezza per la prima, del ritorno a Zurigo della seconda.

“ Michi.”

“ Dimmi amore...”

Haruka si alzò improvvisamente in ginocchio sul materasso sorridendo come una bambina. “Portami a fare una gita!”

“Che!?”

“Si dai. Prendi una macchina a noleggio ed andiamo da qualche parte. Al lago magari. Non sarà il tuo mare, ma sempre di acqua si parla. Dai... ti prego.” Haruka che la pregava. Aveva nello sguardo una luce fatalista che le gelo’ il sangue nelle vene.

“Non credo sia il caso. E poi dovremmo chiedere al dottor Kurzh...”

“Si lallero. Figuriamoci se quello psicopatico non avrà controindicazioni da sciolinare...” E tornando a distendersi accanto all'altra le alzò il braccio per sistemarsi nell'incavo ascellare. “Mattias ha proprio ragione. Si sta comodi così.”

“Mattias? Che ne sa il tuo amichetto di merende di come si sta accoccolati? Devo essere gelosa Ruka?” Chiese sorridendo maliziosa.

“Forse...” Le sussurrò all'orecchio prima di mordicchiarglielo.

Continuarono a parlare di tutto e di niente fino a quando Haruka non le crollò fra le braccia.

Michiru sospirò accarezzandole la frangia bionda. Quante le cose che non le aveva potuto dire. Importantissime. Fondamentali. Delicatamente tolse il braccio facendo attenzione a non svegliarla e legandole ad uno dei polsi il nastro azzurro per capelli che aveva deciso di mettersi quella mattina, scese dal letto dirigendosi verso la porta.

 

 

E fu camminando per i corridoi che lo vide. Lo riconobbe subito anche se Haruka lo aveva descritto con un semplice “ E' alto poco meno di te. Faccia furba. Occhi chiari ed intelligenti. Una gran pelata e guarda sempre tutto e tutti con avida curiosità. Gran cacasotto nelle prove serali di resistenza agli horror e notevole scassaballe quando cerco di rimorchiare.”

Si guardarono e si scambiarono simultaneamente un gesto d'intesa.

“Tu sei la ragazza di Haru!” Disse andandole incontro soddisfatto per l'intuizione.

“E tu devi essere Mattias. Il giovanotto con il quale si addormenta guardando i films.”

“Sai, devo farle compagnia, perchè ogni tanto Haru piange. Anche se non lo ammette."

Michiru strinse forte le mani che teneva in grembo avvertendo la gola chiudersi. Con la semplicità propria di ogni bambino, le graffiò involontariamente il cuore sottolineando la più cruda delle verità.

“Ti ho riconosciuta subito. Mi ha fatto vedere una tua foto.”

“Anche io ti ho riconosciuto, per via di questo.” Disse sfiorando la visiera del cappellino della Toro Rosso tralasciando tutto il resto della descrizione.

“Me lo ha regalato per il mio compleanno, ma... abbiamo litigato.”

Invitandolo con una carezza sulla schiena andarono a sedersi sulle poltrone del salottino presente sul piano.

“Perchè avete litigato?”

Mattias sembrò restio, ma poi le confessò che la colpa era di quella gran zucca vuota della sua ragazza e del suo rifiuto di fare la chemio, ammettendo anche di essere un po' geloso della fortuna che l'aveva colpita e di non sentirsi a posto con la coscienza per questo.

“Mia madre dice che l'invidia è una brutta cosa e che rende gli uomini cattivi. Io non voglio essere cattivo... - confessò con vergogna. - ..., ma è Haru ad essere stupida!”

Michiru gli sorrise accarezzandogli il mento. “Sai, ti confesso che anche io a volte sono invidiosa. Credo che sotto sotto un po' tutti lo siano. Ma l'inportante è non esserlo mai con cattiveria, perciò non preoccuparti. Tu vuoi bene ad Haruka, giusto?”

Un assenso convinto e l'altra continuò la sua talentuosa opera di persuasione. “ Visto?! E poi anche lei te ne vuole. E' molto affezionata a questo cappellino e se te lo ha regalato vuol dire che ci tiene veramente tanto a te.” Solo qualche tempo dopo Michiru avrebbe compreso la verità di quelle parole.

“ A eccoti Mattias. L'infermiera ti sta cercando per il prelievo.” Al suono di quella voce potente, il bambino balzò in piedi deformando il viso in una smorfia di disapprovazione. Guardando l'uomo alto dal camice immacolato e capendo perfettamente l'antifona, si rivolse a Michiru salutandola con la mano.

“ Puoi dire ad Haru che passerò a trovarla più tardi? E' stato un piacere." Disse per poi correre via.

“ Vai piano...” Si sentì urlare dietro dal dottor Kurzh rallentando, ma solo un pò.

“ Quanta pazienza. Devo ammettere che fra lui e la sua compagna non so chi sia il paziente più indisciplinato. Signara Kaiou, è un piacere rivederla. E' arrivata prima del previsto.”

Si scambiarono la mano ed iniziarono a parlare.

 

 

Si svegliò di soprassalto e d'istinto toccò il cuscino dov'era stata Michiru. Guardandosi intorno rimase interdetta per alcuni istanti, ma quando l'attenzione le cadde sul nastro che aveva legato al polso, capì che non era stato tutto un sogno ed odorandolo, si alzò dal letto infilandosi le pantofole e con rinnovata energia uscì. Camminò sino al punto dove la resepscionist stava accogliendo dei visitatori, li agirò e puntando decisa al blocco ascensori vide con la coda dell'occhio Mattias che schizzava come il vento verso la sua stanza.

Corre così solo quando lo spicopatico è sul piano, pensò aguzzando la vista. Poi li vide. Michiru ed il dottor Kurzh stavano in piedi nella zona ristoro, lui con su quell'aria da belloccio piacione e lei tranquillamente a suo agio.

Per istinto o chissà cos'altro, Haruka fece un passo indietro nascondendosi dietro l'angolo di un pilastro e con la schiena poggiata alla vernice verde acqua, vi rimase incollata per tutto il tempo della conversazione, guardandoli parlare.

“Allora siamo d'accordo dottore.” Terminò la donna porgendogli nuovamente la mano.

“Mi raccomando Michiru. Mi affido al suo senso di responsabilità.” Ed accomiatandosi con una forte stretta si allontanò con il suo solito incedere deciso.

Lei ne osservò le spalle fino a quando non lo vide entrare in un ascensore, poi alzando gli occhi al cielo scosse la testa incredula. Non sapeva affatto di avere come compagna una salamandra. Girò i tacchi andando verso la colonna ed una volta svoltata, afferrò la vita di Haruka attirandosela contro. Un bacio sulle labbra ed uno scappellotto subito dopo.

“Ahia, ma... perché?!” Lagnò Tenou massaggiandosi la nuca.

“Adesso ti sei messa anche a spiare? Ruka..., sei alta, bionda ed a volte hai le movenze di un puledro di fanteria. Non passi inosservata!”

“Non volevo... disturbare...” Borbottò prima che un secondo buffetto non le arrivasse sulla spalla.

“Non dire stupidagini! Piuttosto... è ancora valido l'invito per un'uscita in macchina?”

L'altra massaggiandosi la parte "lesa" sgrano' gli occhi incredula. Lo spicopatico in bianco le aveva dato il permesso?!

“Tre condizioni però. - Disse l’altra alzando le dita della destra. - La prima è che dovrai restartene in macchina. Niente scorribande. La seconda è che prima di uscire dalla clinica dovrai assumenre liquidi via endovena e la terza è che dovremmo portare una sacca di fisiologica per ogni evenienza.” Concluse prendendola sottobraccio trascinandola verso la camera.

“Tanto vale rimanersene in camera! E poi non voglio andare in giro con la canula nel braccio come se fossi una tossica. Mi vergogno!”

“Che problema c'è?! Ti metterai una camicia.”

" Michi..."

" Si amore?"

" Ti sei accorta che da quando sei arrivata non fai altro che prendermi a schiaffi?"

" Vorrà dire che te li meriti, Tenou."

 

 

Una Volkswagen giallo Daytona. Michiru non era riuscita a trovare una macchina meno appariscente. In realtà aveva smesso la ricerca innamorandosene appena vista. Da sempre la sua casa automobilisticha preferita, vedeva in quel Maggiolino uno dei veicoli più romantici che fossero mai stati prodotti. Quella particolare punta di giallo poi, era uno dei colori preferiti di Haruka. La scelta era stata perciò inevitabile. Lo sveva preso non decappottabile, per evitare al suo angelo il supplizio di non poter aprire la cappotta e godersi il vento che le avrebbe goduriosamente scarmigliato i capelli, ed aveva preferito un modello moderno, più comodo e confortevole. Ora, dopo aver costeggiato l'intero lago di Zurichsee ed aver apprezzato la bellezza dei castelli adagiati sulle sue rive, stavano correndo verso i campi e le foreste che lambivano la città, beneficiando del sole caldo e del cielo terso di settembre.

Non avevano parlato molto, volendo forse rimandare il più possibile l'inevitabile discorso sul trapianto che prima o poi avrebbero dovuto affrontare. Haruka si era persa nel guardare fuori dal finestrino tutta quella gamma di colori dei quali i suoi occhi erano stati privati per settimane, mentre Michiru continuava a tenere la strada diretta verso una meta immaginaria, portando il Maggiolino fuori dalla città, verso il rincorrersi dei campi, con in lontananza le vette alpine imbiancate dalle nevi perenni.

“ Un soldino per un tuoi pensieri.” Disse Kaiou dopo svariati minuti svoltando a sinistra per uscire dalla statale.

“ Come?”

“ A cosa stai pensando?”

La bionda sembrò rifletterci sopra poi le chiese di accostare appena possibile. Così arrivate alla fine di una strada mezza sterrata parcheggiarono. Le ruote scricchiolarono sul pietrame polveroso ed una volta che il motore venne spento, l'abitacolo s'immerse nel suono del vento tra le fronde, del cinguettio degli uccelli che le avevano scelte e dei loro respiri.

“ Stai male?” Chiese Michiru vedendola leggermente affaticata. Haruka scosse la testa continuando a guardare fuori. Allora l’altra capì. Puntando l'attenzione alla cucitura rossa del cuoio del volante attese con il cuore in gola.

“ Sarebbe ora di uscire allo scoperto, Kaiou...” Ma la bionda non avendo risposte continuò.

“ Non vuoi dirmi nulla? Non vuoi cercare di convincermi? Di dissuadermi dalla decisione che tutti state ostracizzando con così tanta forza?” Ancora silenzio.

" Non ho voluto fare questa uscita solo per cercare di togliermi da dosso l’odore della clinica, o di passare qualche ora con te, amore mio, ma anche e soprattutto per farti capire a che punto siamo arrivati. - La vide chinare leggermente la testa continuando a demente le mani arpionate al volante. - Vedo che hai capito. - Concluse Haruka rassegnata abbandonandosi al sedile ad occhi chiusi. - Non ci sono analisi o consigli medici che tengano. Solo io conosco realmente il mio corpo. Adesso sai perchè mi sto impuntando. Adesso ti è chiaro cosa mi stia passando per la testa da giorni." Tornò a guardarla iniziando ad accarezzarle la guancia con infinita dolcezza.

“ Io lo so che siete tutti convinti che sia una stupida zuccona ingrata, ma...”

“ Ma se non riesci a stare in una macchina per più di due ore senza avere l'affanno...” L'interruppe Michiru fissandola.

“ Come posso sperare di svangarla con una terapia che ha come unico scopo quello di distruggermi il sistema immunirario e che mi ha quasi uccisa quando stavo molto meglio di così?!" Domandò toccandosi il petto all’altezza del cuore prendendo l'ennesimo respiro.

E si: le carte erano ora sul tavolo, forse non tutte scoperte, ma il “gioco” era diventato sufficientemente chiaro. Michiru avrebbe voluto dirle che comunque valeva la pena provarci, che qualunque cosa fosse successa sarebbe stato meglio del non far nulla. Era stata convinta di quelle parole per giorni, settimane. ed avevano guidato tutto il suo operato. Le scelte fatte sin li. Ma non appena si erano riviste, era stato messo tutto in discussione dal peggioramento fisico che Haruka aveva avuto durante le poche settimane nelle quali non si erano potute vedere e adesso non sentiva più di avere sufficientemente cuore per chiederle nulla.

“ Ho tanta paura. Ma non posso costringerti a lottare solamente per me.” Ammise accarezzandole per un attimo il viso.

Ma la bionda non rispose, anzi, voltando la testa prese a guardare fuori. Assorta.

“ Cosa vuoi che ti dica Ruka? Cosa vorresti sentirti dire?” Chiese quasi disperata.

Qualche secondo poi la compagna sporgendosi iniziò a baciarle lievemente il collo.” Che mi ami...”

Michiru accettò quel gesto rimanendo però stupita. Non le aveva mai fatto una richiesta del genere. D'un tratto il contatto delle dita dell'altra sulla pelle dell'addome.

“ Cosa stai facendo?”

“Tocco la mia donna.” E si avvicinò di più.

“Non possiamo... Ruka... Fermati.” Soffio’ Kaiou cercando di farla ragionare.

“Ssss... Lasciami fare.”

“... Amore.”

“ Michi... – disse la bionda continuando a baciarla sul collo – ...potrò anche essere a corto di fiato, a un passo dal baratro e con le ore contate, ma non impedirò alle mie mani di farti sentire ancora il loro tocco. Voglio che tu ti senta amata. Fosse l'ultima volta,... voglio che tu mi senta.” Ed iniziando sapientemente a slacciarle i bottoni del vestito la bionda lasciò che le labbra tornassero ad assaporare il gusto cristallino della pelle del suo collo.

 

 

Giovanna inarcò la schiena lasciando che la cariola sversasse la terra all'interno della fioriera. Aveva trovato il modo migliore per non pensare. Un antisettico contro tutti i cantivi pensieri e l'angoscia che sentiva di stare provando. Il lavoro manuale. Quello pesante, quello sfiancante, quello logorante ed anche un po' ignorante. Solo mani, muscoli, calli e vesciche.

“ Sorella Giovanna, non stancarti troppo.” Le disse un vecchio cappuccino seduto all'ombra di una pianta con il suo breviario nelle mani. Lo sguardo beato ed un sorriso secolare sulle labbra.

Sorella Giovanna?! Pensò cercando di non sbottare a ridere, facendogli cenno di non preoccuparsi.

Ultimamente la mia vita è circondata da prelati e “abiti” di tutti i tipi. Non intendo pensare che sia un segno, perchè... Padre Santo... guarda pure altrove. E Via verso un nuovo carico.

D'improvviso la vibrazione del cellulare e la risposta al numero sconosciuto proveniente dalla città.

“ Pronto.” Disse sottovoce rimanendo in ascolto.

“ Si... sono io. Va bene. Chiamo subito un taxi. Il tempo di arrivare in clinica...”

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Capitolo 9
*** Il mio piccolo grande amico ***


 

L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il mio piccolo grande amico

 

 

Bene Tenou... Vediamo di cosa siamo capaci, pensò la donna pagando ed uscendo dal taxi fermo davanti alla struttura bianca dalle grandi vetrate. Michiru le fece un cenno di saluto con la testa osservandola guardare la facciata. Una leggera smorfia e via, verso l'amica. Passo militaresco, zaino in spalla, sorriso leggermente tirato e lo sguardo di una persona che ha un bel po' di domande da fare.

“Ciao Giovanna. Scusa lo scarso preavviso con il quale ti hanno chiamata, ma il dottor Kurzh vuole parlarti.” Una carezza sulla spalla e Kaiou cercò di dissimulare l'ansia che aveva iniziato a provare dopo il ritorno alla clinica.

“Non importa, anzi. Devo ammetterlo Michiru. Credo tu abbia un bel po' di ascendente sulle zucche vuote. Sappiamo entrambe con quali argomentazioni mi hai convinta a venire a Zurigo, ma Haruka? O hai armi bene affilate o la sua reticenza nel non volere provare anche questa chance non era poi così tosta.” Disse mentre la seguiva all'interno.

Armi affilate? Si disse al ricordo di quello che la compagna era stata in grado di farle provare solo due ore prima. Ma naturalmente tacque. Ammise solo di non essere stata un gran che convincente, anzi tutt'altro, ma che al ritorno da una breve “escurzione” automobilistica, Haruka era andata nello studio del dottor Kurzh e come niente fosse gli aveva detto di iniziare a preparare il cocktail di farmaci per la chemio.

“Tutto qui?!”

“Non so cosa dirti. All'entrata in clinica mi ha dato un bacio e si è scusata per non essersi ricordata prima di una cosa molto importante. Poi è sparita.”

Giovanna si guardò allora alle spalle chiedendole dove fosse in quel momento. Il panico d'incontrarla le fece quasi puntare i piedi.

“Stai tranquilla è a fare un elettrocardiogramma al piano interrato. Non passa mai di qui per tornare ai piani delle camere, perchè c'è un ascensore diretto e più comodo sul retro della struttura. Comunque... sei proprio sicura di non volerla vedere? Ci vorrà ancora qualche ora prima che la terapia sia pronta.”

L'amica strinse le labbra cambiando discorso. Forse se ne sarebbe pentita, ma era troppo per lei.

“E ti ha detto quale cosa si era dimenticata?” Chiese fermandosi davanti alla porta dell'ascensore ad osservare la freccia rossa blincare verso il basso.

“Veramente no, ma penso sia riferito ad un sogno che ha fatto questa mattina su sua madre.”

“E questo famoso oncologo com'è?”

L'altra stirò le labbra affermando che era un bravissimo e stimato professionista, ma che per Haruka era solo un “belloccio pompato”. Il ting della campanella di piano e le porte metalliche si aprirono in simultanea. Michiru si bloccò di colpo al sorriso luminoso della sua donna. Haruka uscì dall'ascensore raddrizzando tutta la postura.

“Michi!” La salutò cingendole il fianco con un braccio.

“Amore?! Cosa ci fai nell'ascensore che porta alle stanze?!” Chiese l'altra sentendo una folata di corrente al suo fianco destro. Non staccando lo sguardo da quello della bionda intuì che Giovanna dovesse essere letteralmente schizzata via rifuggiandosi su per le scale.

Grazie al cielo il suo angelo aveva occhi solo per lei e non si era accorta di nulla. “Ho finito prima e ne ho approfittato per salire di sopra a trovare Mattias, ma pare che oggi stia talmente bene che e' andato al parco con i genitori.”

“Vuoi raggiungerlo?”

Haruka scosse la testa imbarazzata. Per quel giorno aveva dato tutto. Si sentiva esausta.

“Bene allora torniamo un po' in camera, vuoi?” Ed aspettando che le porte si riaprissero continuarono a parlare.

Accidenti a te Kaiou. Per un pelo non mi viene un infarto! Pensò Giovanna mentre iniziava a fare le scale ed il cervello memorizzava la voce dal tono profondo di sua sorella.

Certo che è alta. Non ha preso dalla famiglia Aulis. Certo che è bella... - sorrise sentendo nel petto un incomprensibile moto d'orgoglio - ...e testarda... e visto cosa vuol fare anche coraggiosa...

Fece lentamente le scale giungendo alla zona dove tutti i medici della clinica avevano gli studi. Guardò prima a destra, poi a sinistra, tanto per evitare di fare un nuovo incontro del Tenou tipo e sgattaiolando verso la porta che le era stata indicata dall'infermiera che l'aveva chiamata al telefono, bussò ed attese. Qualche secondo ed un uomo alto, dai capelli castano chiari e lo sguardo azzurro, le aprì.

Sorridendo schiuse le labbra per presentarsi, quando lui la bloccò prontamente. "Deduco che lei sia la signora Aulis? Benvenuta. Entri pure, io sono il dottore che ha in cura Haruka. Daniel Kurzh... è un piacere.”

 

 

Seduta a gambe accavallate sulla sedia, Giovanna non riusciva ad evitare di pensare a quante persone stava incontrando in quegli ultimi giorni, che avessero caratteristiche somatiche schifosamente affascinanti.

Ma guardatelo... è davvero belloccio. Sono convinta che Haruka non lo possa vedere, si disse mentre l'uomo rispondeva in lingua elvetica ad una telefonata. E' tanto perfetto da sembrare appena uscito da uno schermo ultrapiatto HD.

“Mi perdoni signora Aulis, ma non potevo esimermi.” Si scusò lui alloggiando la cornetta.

“Per carità dottore. Ho una cugina medico e so che la reperibilità è indispensabile per poter svolgere al meglio la vostra professione. Piuttosto..., mi tolga una curiosità. Come ha fatto a capire chi sono?”

Lui sembrò stupirsi, ma poi rammentando quello che gli aveva raccontato Michiru su le due sorelle, ammise con una leggera punta di noncuranza di non far caso alla sua spiccata dote fisionomista. “Dimenticavo. Una storia veramente particolare quella tra lei e Tenou. Non ha mai avuto modo di vederla altrimenti saprebbe che avete molti tratti somatici in comune. Stesso taglio del viso e degli occhi. Stesse orecchie piccole, stesso modo di aggrottare la fronte.... - Rise poggiando la schiena alla comodità della sua poltrona - ... proprio come sta facendo ora. E stesso sorriso. Anche se sua sorella non sorride poi un gran che. Almeno non con me.” Terminò.

Ma che cosa sei? Uno scanner! Certo che l'ho vista, ciccio. Dieci minuti fa. E non la conoscerò, è vero, ma lo sapevo che ad Haruka stavi sulle palle... "Con l'aiuto di diverse fotografie, la signora Kaiou ha provveduto a soddisfare ogni mia curiosità in merito, ma non mi sembra proprio di trovare molte somiglianze." E fu forse troppo fredda perché lui se ne scuso' immediatamente.

"Sono stato indiscreto, mi perdoni."

”Si figuri, non c’è problema.” Giovanna accetto' quel formalismo spicciolo, ma inizio' comunque a mettersi sulla difensiva modificando inconsciamente la postura, incrociando le braccia al petto nella convinzione via via sempre più marcata, che quell'uomo stesse prendendosi un po' troppe libertà.

“Bene, passiamo a cose più spiacevoli. Credo sappia già a cosa dovrà sottoporsi tra poco, giusto?!”

“ Mi sono informata, si. Un prelievo delle cellule presenti nel mio femore.”

“Esatto. Una volta estratte verranno trattate in laboratorio per poi essere iniettate nel corpo della signora Tenou. Non sarà un intervento lungo, ma non le nascondo che potrebbe avere qualche fastidio. Non dovrà muoversi per alcune ore ed e' per questo che la terremo qui per questa notte. Domani con calma, potrà essere dimessa, ma sempre sotto regime di assoluto riposo per almeno un altro paio di giorni. Le prescriverò degli antidolorifici e...”

La donna lo bloccò con un gesto della mano. Non gliene fregava nulla del suo di dolore, voleva sapere a cosa stava per andare incontro sua sorella. “Io la ringrazio in anticipo dottor Kurzh, ma sarei rimasta comunque accanto alla signora Kaiou, visto che è della vita di Haruka che si sta parlando. In più non mi servono antidolorifici. Mi serve solo sapere cosa le farete nelle prossime ore e cosa Michiru ed io dobbiamo aspettarci.”

“Bhè, non credevo volesse rimanesse visto che siete praticamente due estranee... Comunque, ecco come io ed i miei collaboratori intendiamo procedere.” E finalmente Giovanna si rese disponibile all'ascolto.

Il ciclo completo della chemioterapia consisteva in tre flebo, somministrate ognuna a due ore di distanza dalla precedente. Tutto il trattamento durava perciò sei ore trascorse le quali, si lasciava al corpo del paziente sufficiente tempo per riprendersi e poi si procedeva con l'iniettare le cellule staminali del donatore.

“Nel giro di poche ore dall'innesto, il corpo di Haruka dovrebbe iniziare a reagire.”

Giovanna continuò a guardarlo aspettandosi l'immancabile però.

“Devo però avvertirla che il cuore di sua sorella mal sopporta la chemioterapia. Le daremo degli integratori prima dell'inizio del trattamento e cercheremo di mantenere il regime cardiaco stabile durante tutto il tempo, ma non essendo mai arrivati alla terza flebo dobbiamo stare pronti ad ogni eventualità. In più signora Aulis, lei ha superato l’età per essere una donatrice ed in più non c’è stato il tempo per farle assumere trattamenti che ci permettessero di fare aumentare le sue cellule staminali. Perciò... - conclude distaccato - ... non sappiamo cosa aspettarci.”

“Insomma, mi sta dicendo che potrebbe essere un salto nel buio?!” Domandò rendendosi finalmente conto di quanto tutto fosse complesso.

”Ogni caso è un salto nel buio, ma si, la situazione di sua sorella è parecchio complicata.”

”Ma allora visto l’azzardo, per avere più possibilità perché non aspettare ancora un po’? Magari con un altro donatore Haruka avrebbe più chance.”

“No. Visto l’aggravarsi delle condizioni di Tenou, non abbiamo più tempo. Lei rappresenta comunque il miglior donatore possibile e l’anzianità delle sue cellule è l’ultimo dei nostri problemi.”

“Perciò non potete prevedere cosa aspettarvi? Non cerchi di indorarmi la pillola, dottore. Sappiamo tutti cosa potrebbe succedere, altrimenti Haruka non sarebbe stata tanto reticente. Se il suo cuore stava per cedere alla terapia che le avete fatto qualche mese fa, quando lei era più forte, motivata e psicologicamente più pronta, cosa le fa pensare che questa volta andrà diversamente?” Era lo stesso pensiero che la bionda aveva cercato di far capire alla compagna.

“Nulla.” Ammise massaggiandosi il mento.

“Incoraggiante!” Una rasoiata che l'uomo accolse mal volentieri.

“Guardi signora Aulis è tutto quello che questa struttura all'avanguardia può offrirvi. Sto cercando di mantenere sua sorella in vita da settimane, a volte anche contro la sua volontà. Più di questo non saprei che fare.”

Giovanna si rese conto di avere esagerato e scusandosi cercò di rimediare ringraziandolo a prescindere dall'esito che il trattamento avrebbe avuto.

“Non si preoccupi signora Aulis, non importa. Il suo è un comportamento normalissimo per un parente. Adesso capisco cosa voglia dire il detto avere il sangue più denso dell'acqua. Prego, l'accompagno a fare i controlli di routine prima di procedere con il prelievo.” Disse alzandosi.

Uscirono sul piano e mentre Giovanna lo seguiva ribadì mentalmente il concetto; quell'uomo le stava proprio sullo stomaco.

 

 

Ho parlato con il dottor Kurzh. Sto andando a fare i controlli. Per ora tutto ok. Ps Mi sono quasi sfranta sui gradini per evitare che mi vedesse. Sei una pessima vedetta Kaiou. Ps2 Non per dire, ma è REALMENTE un belloccio pompato.”

Michiru rise mettendo via il cellulare dopo aver letto l'SMS di Giovanna.

“Che c'è? Perchè stai ridendo?” Chiese Haruka mentre stava finendo di appuntare su un foglietto alcuni numeri.

“Nulla. Un'amica molto spiritosa. Molto generosa e molto molto testarda. Andreste d'accordo.”

L'altra non badò al concetto porgendole il foglio. “Se non dovessi riuscire a vedere Mattias prima della chemio, glielo potresti dare tu? Sono i miei account e le pass per un paio di giochi."

“O Santo Dio, Haruka. Che cosa macabra.” Ringhiò Kaiou di rimando guardando in cagnesco il foglietto.

“Cos'hai capito! Non è nell'eventualità che crepi sotto le flebo. E' che sembra stare meglio e se dovesse essere dimesso mentre sono rinchiusa in intensiva... Lo sai che nessuno può entrare no?!”

Tornò a sedersi sul letto guardandola con un sorrisetto sornione. Quella giornata era stata proprio... gustosa. Michiru faceva sembrare tutto così bello. Anche e soprattutto quel tristissimo posto.

“Io entrerò con te.”

“Non credo proprio. Non alla terza flebo.”

“Lo so, ma resterò fin quando mi sarà possibile.” Era terrorizzata da quello che sarebbe potuto succedere da lì a qualche ora.

Haruka stirò le labbra immaginando mentalmente una schermata video con su scritto a caratteri cubitali: Kurzh VS Kaiou e se la rise. “Vorrei proprio non perdermi la sfida del secolo. Ma credo che sarò troppo impegnata a non schiattare per godermi lo spettacolo di te che scleri e lui che cerca di placcarti mentre ti butti tra le mie braccia sofferenti.”

“Ora stai esagerando Ruka. Non fare dello stupido spirito. Non riusciranno a tenermi lontana da te.”

“Un’ultima cosa Michiru; tu sai dove tengo il mio testamento, vero?” La baciò dolcemente sul collo, ma la compagna si irrigidì di colpo.

“Haruka!”

“No! Ora stammi a sentire!” Ma scattando la testa l’altra si sottrasse definitivamente.

“Ti prego! È già sufficientemente difficile così senza che tu ci metta sopra il tuo solito fatalismo. So già tutto. Me lo avrai ripetuto mille volte!”

“Ok! Ok. Non voglio discutere proprio ora. Mi fa solo stare tranquilla. E poi cosa credi ti possa lasciare a parte qualche debiticcio?”

“Stupida. Comunque durante la chemio sarò sempre li. Fuori dalla stanza. Ogni volta che vorrai.” Confermò Kaiou prendendole il viso tra le mani.

Quella si, era un buona prospettiva. Un altro bacio e Michiru si sistemò sulla sua spalla. Le pesava una domanda. Perchè era diventata tutto d'un tratto così ben disposta ad una terapia che aveva rifiutato con tutta se stessa fino a poche ore prima?

“Lo vuoi proprio sapere? Ti ho detto che ho sognato mia madre questa mattina, vero? Bene, durante il sogno, che poi è stato un misto tra un ricordo e un sogno vero e proprio, le ho detto una frase. Un concetto che da ragazzina era sempre stato il mio pensiero ispiratore e che pian piano ho perso. Le battaglie Michiru non si combattono... si vincono, o almeno si cerca di farlo in tutti i modi. Mi rendo conto che negli ultimi mesi mi solo lasciata andare. Come so che hai cercato di darmi la forza ed il coraggio per tornare a lottare per la mia vita. Ma è stata una me stessa bambina a ricordarmi come ci si batte veramente. Io non so se riuscirò a farcela o crollerò nel tentativo di svangarla, ma so che non voglio più restare qui ad autocommiserarmi facendo stare male anche te. Rivoglio la nostra vita e la rivoglio ora.”

Michiru ascoltò continuando ad accarezzarle il fianco. Da quando era iniziata tutta quella storia, Haruka aveva passato varie fasi della malattia. Le classiche. Dal diniego alla rabbia, dal patteggiamento all'accettazione, ma non aveva mai parlato di determinazione o di lotta. Carte queste che se lanciate sul tavolo del destino al momento giusto, avrebbero anche potuto fare la differenza.

Due colpi alla porta ed un'infermiera fece capolino.

“Haruka dobbiamo andare. Il dottor Kurzh vuole farti assumere degli integratori prima che il trattamento sia pronto.” Sparì aspettando nel corridoio.

“Se non dovessi passare il controllo anti dopping mi raccomando Michi..., testimonia che la colpa non è stata mia.”

Si alzò serenamente prima che la mano dell'altra si arpionasse alla sua.

“Haruka... - un bacio ed un'abbraccio fortissimo - Ti amo.”

 

 

La porta vetrata a scorrimento automatico le si richiuse dietro la schiena con un suono ovattato. Michiru sospitò girandosi verso Haruka salutandola con la mano. La terza flebo, la più violenta, stava per iniziare e da quel momento in poi nessuno, a parte i medici, avrebbe potuto accedere alla camera sterilizzata. Guardò quel “bozzolo” vetrato come a volerne trovare una falla d'accesso, soffermando lo sguardo sul perimetro di sterilizzazione formato dalla prima di due porte identiche poste a protezione della salubrità dell'ambiente interno. Era una camera ben progettata, dove sembrava essere stato messo tutto al posto giusto. Dal punto di vista medico la sua donna si trovava nel luogo più sicuro ed idoneo per poter essere curata, ma da quello umano, sembrava che fosse stata rinchiusa in una cella di un carcere di massima sicurezza.

“Posticino allegro! Ottimo gusto negli arredi. ”Ci aveva scherzato su Haruka durante la prima flebo.

L'ottimismo e la goliardia erano lentamente scemate nel corso della seconda, che pur facendo meno danno di quella alla quale si era già sopportata mesi prima, le aveva comunque preso a calci lo stomaco riducendola uno straccio. Crollata la pressione si era dovuta arrendere all'evidenza; la lotta, quella vera, non era ancora neanche in vista. E a Michiru non era stato concesso altro tempo. Ora doveva accontentarsi di guardarla da lontano, sempre che non fosse successo qualcosa e le veneziane non fossero state chiuse.

Sentendosi tutto il peso del mondo sulle spalle andò a sedersi su un divanetto nei pressi del corridoio. Da li non le avrebbe solo potuto aspettare.

 

 

“Haruka..., come andiamo?” Le chiese il dottor Kurzh notando il respiro troppo forzato.

“Una me...raviglia...”

“Non mi piace questo affanno. Infermiera, mi passi la maschera, ossigeno al 80%... Haruka cerchi di respirare più lentamente... Haruka... mi sente?! Haruka...”

 

Dovete schiodare da qui ragazzini... Non voglio ripeterlo due volte. Il campo serve a noi, perciò sparite o sono cavoli amari!”

Franz Weber pur non avendo la stoffa del leader, amava il comando ed il potere scaturito da esso e messo su un gruppo di dodici compagni, non avrebbe avuto remore a far sloggiare quattro dodicenni da nessun pezzo di terra della zona. Così vuoi il numero nutrito della “banda”, vuoi l'età degli oppositori, gli adolescenti provenienti dalle case a schiera della valle, in quel giorno di settembre avevano deciso che il campo dietro l'oratorio doveva essere loro. I bambini lo avevano capito e non rimaneva loro che temporeggiare con ogni sorta di arma diplomatica portata in dotazione.

Non me ne frega se oggi il campo è stato assegnato a voi. Dovete andare via e farlo prima di subito!”

Non fare il prepotente Franz. Perchè non aspettate la fine del nostro allenamento.” Cerco' di controbattere quello che fra i bambini sembrava fisicamente il più grosso.

E a quale scopo ciccione?! Fate schifo con la palla ai piedi e non siete neanche in grado di trovare altri giocatori per fare un'allenamento decente. Andatevene schiappe!” Ma proprio dopo quest’ultima minaccia una piccola voce andò alzandosi dal coro.

Lascialo idiota! Ha ragione!”

L'erede dei Weber comincio' allora a ridere prima ancora di vederla farsi largo tra i compagni.

Ma senti senti chi fa la voce grossa. Tenou! - Una spinta al ragazzino che si era opposto per lasciar spazio alla bambina che aveva appena parlato. - Anche tu a dettar legge... randagia?”

Franz, è stato Padre Angelo a dirci che potevamo allenarci a quest'ora. Finisci di comandartela e lasciaci in pace.”

Io non prendo ordini ne da te, ne da quell'italiano in gonna. Vedi perciò di stare zitta randagia, oppure oggi ce le prendi.” Minacciò borioso.

Ad Haruka l'essere additata come una randagia non dispiaceva affatto, perché in fin dei conti era un nomignolo che la rappresentava. Più propensa a starsene per conto suo, di tanto in tanto non disdegnava far branco con altri per giocare, ma dal carattere solitario e poco incline alle amicizie durature, per non dare pensiero alla madre, Haruka cercava comunque di tenersi sempre fuori dai guai, anche se spesso, come quel giorno, erano i guai stessi a venirla a cercare.

Sfoderando un gran sorriso, la bambina inizio' ad applaudire con provocazione. “Tu vorresti darmele? Ammetto di essere più piccola di te, ma sono più veloce e dovresti prima prendermi, Weber.”

Allora uno degli amici del ragazzo si avvicino' parlandogli all'orecchio."Avanti Franz, lascia stare. Lo sai che Tenou non ci sta tanto con la testa. E poi non vorrai mica picchiare una bambina.”

Hai sentito? - Urlò lui di risposta. - Vattene prima che dimentichi che sei una femmina!”

La testa bionda mossa lentamente in segno di diniego, le mani serrate a pugno e lo sguardo fisso su di lui.

Allora le vuoi proprio?! Bene... Vieni a prenderle, Tenou.”

Ed Haruka partì come una locomotiva a vapore. Convinta di potere avere la meglio grazie ad uno scatto da centometrista, dovette però ricredersi non appena il ragazzo le balzo' di lato sferrandole un calcio in pieno addome, più o meno all'altezza della milza. Inciampando la piccola rovino' a terra non potendo far altro che tenersi la parte colpita con le mani.

 

 

Strinse le lenzuola con tutta la forza che aveva, inarcando la schiena cercando di prendere più ossigeno possibile dalla mascherina. Sentiva la milza contrarsi come se fosse stata sul punto di esplodere. Era anche li che i suoi anticorpi si formavano ed era li che ora stavano morendo. O Signore... che dolore, pensò sentendosi in bocca il gusto dolciastro del sangue per poi tornare a scivolare nella semi incoscienza.

 

 

Sputando nella polvere del campetto da calcio un po' di sangue e saliva, era nuovamente in piedi. Tutto qui quello che quel teppistello sapeva fare? “Ti fai forte del nome che porti, ma sei solo patetico Franz.”Disse la piccola massaggiandosi il fianco sinistro mentre riguadagnava la posizione eretta.

Bada figlia di un emigrante! Gran parte dei vostri genitori lavora nella fabbrica della mia famiglia!”

E’ per questo che ti senti in diritto di fare quello che vuoi?!" Gli urlo' con dispezzo facendo un passo in avanti accorgendosi di aver lacerato i calzoni all'altezza del ginocchio. Ora anche se non le avesse beccate da lui, le avrebbe prese da sua madre. Poco male.

Ti ripeto che di qui io non me ne vado... Dovrai fare molto meglio di così per buttarmi fuori dal campetto!" Minacciò lei pulendosi la bocca con il dorso della mano per mostrargli poi il rosso del sangue.

Haruka sta zitta, non provocarlo.” Le consigliarono gli altri bambini indietreggiando di qualche metro. Non prevedevano nulla di diverso da una scazzottata e questo non piaceva. Ci sarebbero andati di mezzo tutti ed una volta scopertala, Padre Angelo avrebbe interdetto il campo per settimane.

Voi andate pure se vi tremano le gambe. Ci si batte anche se le speranze sono poche! Io non sono una vigliacca!E nuovamente alla carica.

Questa volta lo avrebbe atterrato colpendolo alle gambe azzerando così il vantaggio che aveva su di lei. Poi sarebbe stato coperto da una pioggia di pugni.

Lui si preparo' a riceverla e notando che per una frazione di secondo il suo sguardo aveva puntato ai suoi polpacci, non ci mise niente ad anticiparne la mossa. Avvertito sotto le ascelle il calore degli avambracci del ragazzo, Haruka non riusci' ad impedire che il mondo si capovolgesse tutto intorno a lei, ed aspettandosi il peggio, serrò gli occhi attendendo l'inevitabile impatto tra la sua schiena ed il terreno. Fu un attimo. Volando sopra la testa di Weber atterrò ad un paio di metri di distanza. Il respiro le si mozzò in gola ed ebbe l'impressione che tutto si fermasse, incluso il suo cuore.

 

 

Haruka gemette dal dolore. La spina dorsale iniziò a bruciarle diventando una serpentina arroventata. Era come se avesse ricevuto una badilata in piena schiena. Urlò serrando gli occhi non riuscendo più a prendere fiato. Una sensazione di soffocamento le contrasse i polmoni mentre la voce del dottor Kurzh le arrivava alle orecchie come un suono lontanissimo.

“Haruka, Haruka dannazione. Non molli proprio ora!”

Schizzata in piedi, Michiru riuscì a vedere solo le piastre del defibrillatore nelle mani dell'uomo. Poi le veneziane vennero chiuse facendole portare una mano alla bocca.

 

 

Alzati piccola italiana! Alzati mezzo sangue! Non fai più la fighetta ora?!” Cantileno' il ragazzo facendole cenno con le dita delle mani.

Weber basta..., così l'ammazzi!” Consiglio' uno dei suoi amici. Quel piccolo teppista non aveva il senso della misura.

Distesa tra la polvere del campo, Haruka si tenne il petto con la destra provando a far tornare normale il battito del suo povero cuore. Che dolore aveva alla schiena! Lo schianto era stato così violento che sentiva le gambe intorpidite e percorse da scariche elettriche.

Brutto bastardo... Che mi hai fatto?!” Mugolò non trovando la forza per rialzarsi.

Ti ho dato ciò che meriti! Così la prossima volta ci penserai due volte prima di fare la Robin Wood dei poveri!”

Non ci sarà una prossima volta! Tu ad Haru non la tocchi più! Mi sono spiegato?” Intimo’ una nuova voce.

Con la vista ancora un poco appannata Haruka guardò il ragazzino che aveva parlato frapporsi tra lei ed il capo banda. Sorrise nel riconoscerlo. Ci aveva messo anche troppo nel venirla ad aiutare.

“Possibile che fai sempre tardi? Non sta bene fare aspettare le donne.” Lo rimproverò riuscendo finalmente a girarsi su di un fianco.

Scusa Haru, ma anche io ho le mie battaglie da combattere e purtroppo non sempre vengono vinte.”

Franz agrottò le sopracciglia non riconoscendo assolutamente il bambino. Maglietta verde, calzoncini gialli ed un cappellino della Toro Rosso ben piazzato su una testa piena di capelli castani.

Chi cavolo sei tu?”

Quello che ti spacca il culo se ti azzarderai ancora a toccarla. Si da il caso che Haruka sia mia amica, come si da il caso che io conosca tuo padre e se non vuoi che gli racconti che ti sei messo a pestare una bambina dietro l'oratorio, sarà il caso che tu e la tua banda di sfigati vi togliate dalle palle.”

Stai bleffando!”Ma troppa sicurezza nelle parole del nuovo arrivato.

Mettimi alla prova, dai!” Disse porgendo la mano all'amica perchè si rialzasse.

Franz andiamocene. Se tuo padre lo viene a sapere...”

Ascolta il tuo amico bello. So quanto tuo padre possa essere cattivo quando impugna la cinta dei calzoni.” E bastarono quelle parole a far fare dietro front a Weber e a tutta la sua banda.

Allora Haru... , sono stato bravo?” Chiese sottovoce facendole l’occhiolino.

Lei si sentì issata dalla forte stretta dell'amico."Sei un grande Mattias! ma è proprio vero che il padre di Franz lo mena?”

Haru, non puoi immaginarti quante cose so... ora.”

Comunque per la cronaca... ce l'avrei fatta anche da sola!”

Non dire idiozie. Nessuno può farcela da solo.” E le strinse con maggior forza la mano.

 

 

La doppia porta a vetri si spalancò ed il dottor Kurzh ne uscì notevolmente provato. Andando lentamente verso Michiru si tolse guanti, mascherina e cuffietta gettandoli nel secchio predisposto per gli scarti ospedalieri. Aveva le braccia e le spalle che gli dolevano e adesso doveva spiegare a quella donna il perché. Inarcando debolmente le labbra in quello che era un mestissimo sorriso, iniziò col dirle che la terza flebo era finita e che ora Haruka si trovava in uno stato d'incoscienza dal quale solo lei poteva uscire.

“Venga a sedersi Michiru.” Un invito con un tocco gentile, ma avvertendo resistenza all’altezza dei reni si fermò cercando di tranquillizzarla.

“L'abbiamo persa un paio di volte. Il cuore ha ceduto e l'ho defibrillata. La seconda volta le ho praticato il massaggio cardiaco. Ora è stabile, ma non è fuori pericolo. Vorrei aspettare ancora qualche ora prima di iniziare con l'innesto. Vede, c'è una sacca perfetta, un momento ideale nel quale il corpo del ricevente si è parzialmente ripreso, ma è ancora vulnerabile per poter ricevere le cellule estranee senza attaccarle. Dobbiamo aspettare quel momento.”

Michiru chiuse gli occhi facendo un lungo respiro. Viva. Haruka era ancora viva.

 

 

La bionda sentì una mano piccola e calda stringere la sua. Aprì gli occhi facendo una fatica indescrivibile, come se fosse stato il gesto più complicato ed ingestibile del mondo. Fu costretta a sbattere le palpebre più volte, perchè aveva la vista annebbiata. In verità le sembrava che tutto il corpo fosse immerso in un fumo denso ed appiccicaticcio, di quelli che ti impediscono di respirare bene. Di quelli pesanti, opprimenti, uniti. Forse era per questo che aveva sul viso una maschera per l'ossigeno.

Non appena fu in grado di mettere finalmente a fuoco riconobbe colui che le stava stringendo la mano ed anche se i muscoli del braccio le tremavano, ricambiò la stretta. Era felice di vederlo. Lo aveva cercato tanto.

“Che... ci fai... qui?” Disse flebilmente spostandosi la maschera dal viso.

“Sono venuto a salutarti Haru. Torno a casa. “ - Disse Mattias guardandola fieramente. - “Senti tanto male, lo so, ma hai lottato bene. Lo sapevo che non eri una vigliacca.”

Avvertendo una delle tante fitte che le stavano prendendo a schicchere i nervi della spina dorsale in maniera quasi ritmica, lei gli fece un mezzo sorriso continuando a tenerlo per mano. Sapeva che la sua presenza avrebbe potuto ucciderla, ma francamente non le importava.

“Non credo di aver mai sofferto tanto, Matty. - Due lacrime di dolore le scivolarono dagli occhi. - Vorrei solo che finisse tutto.”

“Allora vieni con me.”

“Bella roba... Ma lo vedi come sono conciata?” Dovette rimettersi la mascherina.

“Lo so, non sono stupido. Lo vedo come stai, ma se vuoi io ti aspetto. Non appena sarai pronta usciremo ed in barba a tutti verrai da me.”

Le sarebbe piaciuto. Lui era Mattias; il suo piccolo, grande amico. “Sarebbe bello Matty, ma...”

“Ma?”

“Michiru. Non posso lasciarla sola.” Disse spostando lo sguardo dai suoi occhi azzurrissimi ai vetri oscurati della stanza. Sapeva che lei era li, dall’altra parte, a pochi metri.

Il bambino annuì puntando anch'esso lo sguardo aire veneziane. “L'ho vista. E' qui fuori. Va bene Haru, non ti aspetto, ma io devo andare.”

Con riluttanza le lasciò la mano facendo un passo indietro.

“Ciao Haru. Ci rivedremo un giorno. - Ma prima di voltarsi per uscire sorrise nuovamente. – Ascoltami, non fare la zuccona anche quando scoprirai chi è, intesi? Da ora in poi sarà lei che guarderà i films horror e giocherà alla PES con te. Anche se tra tutte e due non so chi faccia più schifo. Ciao Haru. E' stato bello essere tuo amico.”

Non capendo molto di ciò che il bambino aveva inteso dirle, lo salutò muovendo debolmente un paio di dita. “Ciao... Matty...” Ed Haruka sprofondò nel sonno senza sogni dell'incoscienza.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti. Scrivo questo capitolo prima di Natale e ne prendo spunto per augurare a tutti un buon periodo. Per digerire una frittatina fatta d'impulso a cena, mi sono fatta un micro bicchierino di Mirto e perciò..., si... credo che alcuni tempi siano forzati o totalmente errati.

Essendo parecchio distratta rileggo spesso ciò che scrivo e se dovessi trovare macelli vari li correggerò prontamente.

Un bacio a tutti!!!

 

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Capitolo 10
*** Il segugio e la preda di penna ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il segugio e la preda di penna

 

 

Era rimasta nei pressi di quel divano per più di sei ore, consumando una quantità spropositata di te e caffè, seguendo con lo sguardo ogni movimento all'esterno della stanza dove era Haruka. Il dottor Kurzh aveva dovuto allontanarsi perchè chiamato altrove per un'emergenza e lei era rimasta sola, senza un riferimento, senza che nessuso le dicesse se e quando le cellule midollari di Giovanna sarebbero state impiantate. Aveva cercato più volte di chiedere ad un'infermiera, ma la sua ignoranza era apparso agli occhi di Michiru più reticenza che altro.

Verso le quattro del mattino il dottor Kurzh riapparve come un fantasma stringendo tra le mani un contenitore bianco e blu molto simile a quello usato per il trasporto degli organi, ma molto più piccolo. Attraversò la prima porta attendendo sotto la lama di gas antisettico i secondi necessari per essere decontaminato, ed inforcando guanti, mascherina e cuffietta entrò nella stanza. Avendo ancora i vetri oscurati Michiru potè solo ipotizzare che l'uomo avesse deciso che fosse arrivato il momento di procedere con il trapianto. Si sedette nuovamente sentendosi esausta.

All'incirca venti minuti dopo Kurzh uscì per occuparsi anche di lei. “Michiru mi perdoni se sono sparito così all'improvviso, ma c'è stata un'emergenza al piano delle degenze e sono dovuto scappare.” Aveva un viso sbattuto e due occhiaie che la donna non gli aveva mai vsto.

“Non si scusi Daniel, vedo la sua stanchezza. Spero non sia stato nulla di grave.”

Lui andando verso la macchinetta del caffè grugnì facendole capire tutto il contrario. “Purtroppo un decesso.” Odiava con tutto se stesso quella parte del suo lavoro ammantata d'impotenza.

“Era un giovane paziente al quale tenevo molto. Non so proprio come la prenderà... - Uno sguardo sfuggente alla stanza di Haruka per poi fissare gli occhi della donna ferma accanto a lui. - Comunque, abbiamo iniettato le cellule ed ora dobbiamo solo aspettare. Ci vorrà qualche ora, ma credo che prima delle otto dovremmo essere già in grado di capire l'evoluzione del trapianto. Michiru vedo molto provata anche lei, perchè non va un po' a stendersi nella camera di Haruka. Adesso è stabile e se dovessero esserci novità la manderò a chiamare.”

Rifiutando gentilmente il consiglio, la donna sfoggiò per l'ennesima volta una testardaggine cronica irrisolvibile, accettando però con gratitudine il nuovo caffè che le stava venendo offerto. Il medico serrò le labbra poco convinto domandandosi come facessero due donne dalla testa più dura del cemento armato, ad andare tanto d'accordo. Ad amarsi cosi intensamente.

“Michiru non tiri troppo la corda! Se dovesse crollarmi lei, chi baderebbe ad Haruka?”

“Non ho nessuna intenzione di crollare.” Sorrise afferrando il bicchierino.

“Sarà, ma...” S'interruppe notando che l'infermiera addetta al bancone del piano lo stava chiamando cornetta alla mano. Andò a sentire cosa fosse successo e tornando scuro in volto dovette ammettere che le teste dure in realtà fossero tre.

“Che cos'è successo?” Chiese Kaiou aggrottando la fronte.

“Non si allarmi, ma un mio collega del day-hospital mi ha appena riferito che la signora Aulis è sparita.”

“In che senso... sparita?”

“Nel senso che dopo l'estrazione del midollo, invece di distendersi buona buona sul letto a lei assegnato, ha preso una stampella e si è volatilizzata. La stanno cercando, ma non riescono a trovarla. Hanno guardato anche nel parco. Lei ha un'idea di dove possa essere?”

Michiru lo guardò incredula non sapendo cosa pensare. Dopo il messaggio ricevuto in serata non aveva più sentito l’amica ed in tutta onestà, non aveva neanche avuto la testa per ricordarsi di chiamarla.

“Mi faccia una grandissima cortesia Michiru; mi aiuti a trovarla. Anche se il prelievo è un'operazione semplice, c'è sempre il pericolo che la gamba ceda e che cada da qualche parte. Io proprio non capisco; neanche gli antidolorifici ha voluto. Ma cosa diavolo le passa per la testa?!" Allargando le braccia vinto sfondò il cielo con un'imprecazione. Anche questo adesso, come se la nottata non fosse già stata sufficientemente impegnativa.

Così si divisero. Lui sarebbe andato verso le zone interdette ai visitatori ed ai pazienti e lei verso le camere di lunga degenza ed il piano terra. Uno squillo sui rispettivi cellulari, il codice per il ritrovamento della fuggitiva.

Michiru camminò e frugò in ogni punto della struttura a lei non precluso, avvertendo i nervi montare rabbia passo dopo passo. Era stanca, provata, preoccupata, perchè Haruka non era ancora fuori pericolo e lei avrebbe avuto per tutta la vita incisa a fuoco vivo l'immagine di Kurzh con le piastre del defibrillatore nelle mani pronto a scaricarle corrente nel corpo. In più, aveva intravisto un gruppo di persone dilaniate dal dolore consolare una donna che aveva intuito essere la madre di qualcuno. Pensando al decesso che c'era appena stato, Kaiou era sparita il più velocemente possibile verso le scale ed ora si trovava a fissare il muro con appese le piantine della clinica con i pugni serrati e lo sguardo omicida. Appena l'avesse trovata gliene avrebbe vomitate quattro.

Ma dove cavolo sei?! Pensò spostando le iridi a destra ed a sinistra tra le linee dei disegni. Stanze, bagni, uffici. Sale operatorie, degenze, obitorio. Corridoi, accoglienza, bar, cappella.... Cappella!

Premendo con forza il maniglione rosso della porta anti-incendio si fiondò sul pianerottolo spinta da quella che sentiva essere quasi una certezza.

 

 

Giovanna alzò leggermente la testa avvertendo un rumore ritmico di tacchi avanzare alle sue spalle. Aveva imparato a riconoscere quella cadenza. Aggraziata, ma decisa. L'aveva trovata. Soffiando con forza via l'aria dai polmoni tornò ad appoggiare la fronte sugli avambracci. Si era rifugiata in quell'atollo di pace notturna per pensare e stare un po' per conto suo, ma sapeva che prima o poi Kaiou l'avrebbe snidata come un segugio da riporto con la sua preda di penna. Anche se non avrebbe mai creduto di riuscire nell'intento del tutto involontario, di sfilacciarle i nervi.

“Che cos'è uno scherzo?! Ti sta cercando mezza clinica!” La voce alterata di Kaiou risuonò per il piccolo ambiente.

L’amica non si mosse. Restò seduta sulla panca con i piedi poggiati sull'inginocchiatoio, la schiena incurvata in avanti, gli avambracci dimenticati sulle ginocchia e le mani serrate alla stampella dritta come un fuso di fronte a lei.

“Giovanna... Mi stai ascoltando?!” Michiru era sull'orlo della rottura. Come una diga al culmine di uno svaso, stava per cedere al peso di tutta la pressione accumulata in quelle ore.

“Allora?!” Ancora nessuna risposta.

Imbestialita fece per andarsene quando un leggerissimo singulto non le fermò il passo corrugandole la fronte. Tornando a guardare l'amica notò che le stavano tremando le braccia.

“Giovanna... stai bene?” Si avvicinò per toccarle la schiena quando l'altra le chiese come stesse Haruka. Se fosse ancora viva.

La carica nervosa di Michiru si azzerò di colpo. Sedendosi di peso sulla panca con ancora la mano sulla schiena dell'altra, si rese conto di avere completamente mancato di empatia ed ora che ne sentiva il leggerissimo pianto, capiva di essere stata un'egoista. Si era preoccupata solo di se stessa, di Haruka e di quello che stava provando per lei, ed anche se questo era l'ovvietà del vincolo di un’amore profondo come il loro, non poteva essere una scusante per aver dimenticato un'altro essere che a modo suo, si era prodigato e stava continuando a farlo per rendere possibile la prosecuzione della loro felicità. Non l'aveva accompagnata al prelievo, come non si era preoccupata di tenerla informata sull'evoluzione della chemio. Doveva a quella donna tutto e l'aveva lasciata sola. Si sentì improvvisamente un mostro e stringendola forte poggiò la guancia sulla sua schiena.

“Perdonami... Haruka è stabile. Ha superato la chemio e le hanno appena innestato le tue cellule.”

“Il cuore ha retto?”

“Insomma. Hanno dovuto defibrillare, però ora va meglio. Non è ancora fuori pericolo, ma...” Avvertì i muscoli di Giovanna contrarsi accorgendosi di un nuovo tremore.

“Che cos'hai? Hai male alla gamba?” Chiese allarmata ricordandosi di quello che le aveva detto il dottor Kurzh in merito agli antidolorifici. Anche Haruka quando aveva dei dolori prendeva a tremare.

“Mi spieghi perchè sei qui?”

E finalmente l'altra alzò il busto poggiandosi alla traversa di legno. Non era mai stata un tipo da lacrima facile e non lo sarebbe mai stata. Credendo fermamente in un dopo, non aveva pianto neanche alla morte di sua madre e non lo avrebbe mai fatto. Sopportava mal volentieri il sentir piangere ritenendola, a torto o a ragione, l'espressione di un'enorme debolezza. Ma ora non poteva esimersi dal farlo. Forse a causa della scoperta di avere una sorella, il saperla malata, il sentirsi inadeguata, lo stare in un paese straniero, il non poter chiedere a Michiru di rassicurarla, perchè lei per prima in quella storia non aveva certezze, l'aver provato paura per un intervento che anche se semplice, era stato pur sempre un intervento, il provare dolore fisico, il sapere Haruka immersa in una sofferenza di gran lunga più violenta della sua, il saperla in pericolo, il sentirsi sola. Tutto questo aveva portato Giovanna a sedersi di fronte a quello che riteneva essere il suo Dio e a piangere un pò. Come una bestiola sofferente e spaventata, aveva scelto di rintanarsi in un cantuccio caldo ed ovattato, dove sentirsi al sicuro e magari dove chiedere anche un “piccolo” miracolo.

“Le cappelle mi rilassano. C'è pace qui.” Spiegò tirando su con il naso.

“Non mi hai risposto... Hai male?”

“Un po’, ma è sopportabile”

“Mi hanno detto che non hai preso nulla per il dolore. Credi forse che soffrendo anche tu potrai rendere meno dolorosa la lotta di Haruka?” Se fosse stato così semplice Michiru si sarebbe strappata il cuore già da molto tempo.

L'altra prese a massaggiarsi la coscia destra avvertendo sotto le dita il cerotto e l'ematoma che quell'ago da diciotto le aveva provocato. “Per lei non ho mai fatto nulla ed anche se non è stata colpa mia, mi sento... Michiru lo so che è un'idiozia, però mi sento responsabile per non esserci mai stata. Credo che la sua vita non sia stata semplice...- Non sapeva bene come spiegarsi. - Lascia che ora faccia questa cosa che io per prima ritengo stupida, ma che mi permette di sentirmi un po' più vicina alla mia... sorellina spacca culi.” Concluse tornando nella posizione precedente riprendendo un pianto silenzioso.

Michiru scosse la testa. “Giovanna le hai dato una speranza. Le hai dato una parte di te e non hai battuto ciglio nel farlo. Guarda che Haruka ha anche parenti da parte di madre e nessuno s'è mai degnato di aiutarla. Non c'è bisogno che tu le dia anche questa sofferenza.” Soffiò iniziando a massaggiarle la schiena.

Adesso era l'Architetto Aulis, divertente, alla mano, distratta, sicura del fatto suo, restia alle amicizie facili ed accattivanti, amante della solitudine e delle cose belle, che stava crollando. Continuarono a stare in quella posizione per parecchio tempo, Giovanna a lasciare andar via dall'anima tutto quel bailamme emozionale accumulato in giorni e Michiru che prendeva definitiva consapevolezza che non c'era più solo Haruka nella sua vita, ma che in tutto quello che stava accadendo aveva trovato il dono incomparabile dell'amicizia. Così Kaiou decise che avrebbe fatto di tutto per far si che quelle due donne iniziassero ad avere dei ricordi in comune. Lo doveva ad entrambe.

Quando la giovane donna finì di sfogarsi tornando definitivamente a poggiare la schiena alla traversa della panca, Michiru le sorrise porgendole un fazzoletto. L'altra lo prese senza guardarla sperando che la frangia castana le coprisse gli occhi arrossati.

“Anche in questo siete molto simili. Vi vergognate di piangere neanche fosse la cosa più disdicevole del mondo.”

“È un segno di debolezza.”

”Appunto. Siete uguali.”

”Scommetto che non le capita spesso.”

“Di piangere? No, ma le volte che è accaduto mi ha fatto giurare di non rivelarlo mai a nessuno. Perciò... acqua in bocca.” E si sentì sollevata nel vederla sorridere a sua volta capendo che il beneficio delle lacrime c'era stato.

Osservando la piccola stanza dalle pareti bianche con un modesto altare ed un crocefisso, chiese improvvisamente. “Credi davvero in tutto questo?”

Giovanna face un cenno d'assenso respirando pienamente il leggero odore di fumo proveniente dalle candele poste sotto l'immagine dei santi Felice e Regola. I protettori di Zurigo.

“Anche Haruka ci crede. Molto più di me.” Ammise Michiru.

“Penso che in una coppia ci sia sempre quello che trascina e quello che viene trascinato. Tu spingi Haruka in alcune cose e lei te in altre. La fede, anche se soggettiva, ricade nella stessa formula.”

Michiru perse lo sguardo al crocefisso mentre l'altra le confessava che secondo lei gli avvenimenti salienti della vita degli esseri umani, non potevano essere solo una serie di coincidenze.

“Lo sai che il posto da capo cantiere in Vaticano era stato assegnato ad un'altra persona ed è stato per puro caso che abbiano scelto me? Io sono subentrata ad una collega andata in maternità. Poi ho perso il cartellino e l'hai trovato tu. Ci siamo ritrovate a lavorare nello stesso posto e nello stesso momento. Il resto... è storia. - Illuminandosi continuò. - Mi piace pensare che il nostro incontro non sia stato solo frutto di un assurdo caso, ma di un disegno più grande.”

L’altra aveva già sentito parole simili. Ci pensò su decidendo poi di alzarsi.

“Te la senti di venire con me a farle un po' di compagnia? Non possiamo entrare nella sua stanza, ma c'è un salottino con un divano e ti posso assicurare che è comodissimo.”

Giovanna guardò il crocefisso e l'altra d'istinto le porse la mano. “Guarda che non è solo qui, ma in ogni dove.”

La più grande si lasciò convincere afferrandole la mano e facendo leva sulla testa della stampella uscì dal banco chiedendole un appoggio. Michiru le mise un braccio sotto l'ascella e lentamente si diressero verso la porta. Per la prima volta Giovanna sarebbe stata vicino ad Haruka.

”E tu Michiru, come stai?”

”La verità? Sono esausta.”

 

 

Il bip del tracciato cardiaco iniziò a darle fastidio nell'istante esatto nel quale il suo io tornò a riemergere dal torpore dell'incoscienza. Le piaceva addormentarsi con il silenzio, tollerando mal volentieri anche i suoni naturali se prolungati e ripetitivi, ed il risveglio ricalcava fedelmente quella strada. Adesso perchè era costretta ad ascoltare un suono tanto fastidioso?

Haruka aprì il verde degli occhi puntandolo al monitor. Se ci fosse arrivata da sola l'avrebbe spento lei quell'aggeggio, come aveva già fatto altre volte, ma non aveva forza nei muscoli. Si sentiva la febbre ed era sufficientemente zuppa di sudore da desiderare quanto meno un cambio di camicia. Si guardò intorno cercando un aiuto, ma purtroppo per lei nella stanza trovò solo lo psicopatico in bianco, vestito di verde menta e per di più acchitato come un fesso.

Kurzh smise di leggere i fogli che stringeva in mano mentre la bionda tornava a guardare il monitor. Lui capì spegnendo il sonoro.

“Haruka, l'ultima volta è riuscita a resettare una macchina da diverse migliaia di franchi. Facciamo che oggi ci penso io. Allora... come andiamo?”

Ma perchè sempre la solita domanda idiota? Non aveva voglia di parlare. Aveva la gola secca. Ed anche un gran mal di testa.

Avvertendo il tocco di due dita premute sull'arteria del collo iniziò a fissarlo storto. Non amava essere toccata da lui e sapeva che da li a breve le avrebbe slacciato la camicia per auscultarle il torace con lo stetoscopio. Puntuale l'uomo iniziò a sbottonarle un paio d'asole piazzandole l'amplificatore gelato in mezzo al seno. D'istinto Haruka mosse la mano destra bloccandogli le dita. Una presa debolissima, ma pur sempre una presa.

“Bene, bene, bene... Tenou è tornata!” Disse soddisfatto ridacchiando dietro la mascherina.

Se non togli immediatamente le dita da li... te le spezzo, pensò lei cercando di mettere a fuoco registrando che la vista presentava come una foschia.

“Ma non abbiamo ancora forze a sufficienza e perciò... - una pressione leggera al disco metallico - ...fino a quando sarà costretta in questo letto, farà quello che il suo medico le dice di fare. Allora,... come si sente?”

Capendo l'andazzo cercò di rispondergli notando con stupore di avere un po' di fiato. “Ho male... al petto. Mi sento la febbre e... vorrei... una camicia pulita... per... favore... Ho un gran freddo e sete.”

Lui le misurò la temperatura annuendo con crescente soddisfazione. Era il primo segno di attività leucocitica. Era un'ottima notizia.

“Per i lividi che ha sullo sterno la colpa è mia. Ha cercato di morirmi davanti e non ho potuto lasciarglielo fare. Per quanto riguarda una camicia pulita, glienela faccio portare immediatamente. Guardi, la sua compagna è proprio qui fuori. Ci metterà un attimo ad andarla a prendere. Ora beva questa.” Le porse un bicchiere d’acqua ed una volta tolta la maschera d’ossigeno l’aiuto’ a bere. Poi riaprì le veneziane in modo che la bionda potesse vederla.

Anche se offuscata da un'alone scuro Haruka la riconobbe subito. Era seduta su un divano o una cosa simile.

“Sta riposando un po'. Non dorme da ore. Ed anche lei sarà meglio che non faccia sforzi. Avanti Haruka... la battaglia continua.” E prima che lei potesse controbattere qualcosa la stanchezza tornó a ghermirla. Sentì le palpebre chiudersi, ma riuscì comunque a guardare ancora una volta attraverso il vetro la sua donna seduta sul divano con al fianco un'altra persona.

Michi e tornò a dormire.

Michiru si svegliò con l'esatta convinzione di essere stata chiamata. Alzando il mento dimenticato nel palmo della mano si guardò attorno. Avvertendo la testa di Giovanna sulle gambe si accertò che stesse ancora dormendo. Era stato un calvario riuscire a portarla sin li, perchè mai quella donna caparbia si sarebbe fatta scarrozzare per i corridoi in sedia a rotelle. Una volta riuscita a farla sedere, l'aveva sentita scivolarle addosso poco a poco fino a crollarle in grembo. E nonostante tutta la caffeina che aveva in corpo, lei l'aveva seguita nella terra di Morfeo qualche minuto dopo.

Sentì il suono delle porte scorrevoli della camera di Haruka aprirsi e vide che le veneziane erano state tirate su. Il suo angelo biondo dormiva. Kurzh venne avanti con un gran sorriso stampato sul viso. Un'occhiata a Giovanna e Michiru decise di svegliarla. Non l'avrebbe più tenuta in disparte.

 

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Capitolo 11
*** La densità del sangue e la forza dello spirito ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La densità del sangue e la forza dello spirito

 

 

Con il palmo della mano appoggiato all'esterno del vetro, il sorriso luminoso di chi ha ricevuto una notizia sperata da troppo tempo, gli occhi leggermente lucidi perchè la paura è ormai pronta ad essere abbandonata, il respiro leggero proprio del non voler arrecare disturbo, Michiru se ne stava in piedi fuori dalla stanza mentre Haruka continuava a fissarla non capacitandosi di come l'enorme fortuna di averla incontrarla fosse toccata proprio a lei. La sua dea era li ed aveva mantenuto la promessa di non lasciarla mai. Non riuscivano a smettere di guardarsi, nonostante i prelievi, le creme messe per alleviare il fastidioso pulsare dei lividi, il sudore ed i respiri ansanti. Non riuscivano a smettere di guardarsi, perchè dopo quella forzata lontananza, quell'angoscia soffocante che le aveva spinte a contare a ritroso le ore che mancavano prima di rischiare di perdersi per sempre, quella battaglia ancora in bilico, non si erano mai sentite tanto unite.

Haruka aveva l'affanno, ma questa volta era un sintomo positivo, benedetto, salutato da tutti, Kurzh in testa, come il primo vero traguardo che indirizzava la diagnosi verso un trapianto riuscito. Le analisi appena effettuate: la conferma. I leucociti si stavano moltiplicando con una velocità esponenziale vertiginosa.

“Non è una brutta sensazione.” Confesso' la bionda ammettendo che anche i brividi di freddo erano cessati ed ora avvertiva in tutto il corpo solo calore.

Kurzh le fece un cenno con il pollice annuendo convinto, perchè almeno lei si sentiva di averla strappata alla malattia e mai come in quelle ore aveva bisogno di una vittoria.

“Bene Tenou. Adesso è tutta discesa. Veda di non sbandarmi sul più bello.”

“Dottore... in non sbando... tanto facilmente.” Rispose lasciando che un sorriso marcatamente spavaldo le invadesse le labbra mentre lui usciva dalla stanza per andare a ragguagliare Michiru.

“La sua compagna ha la scorza dura. Le analisi sono molto incoraggianti. Tra un'oretta le ripeteremo per avere un quadro della situazione più chiaro.”

“Ce l'ha fatta?” Chiese lei quasi sottovoce.

“Non amo pronunciarmi prima di avere tutte le informazioni in mano, ma la ripresa che sta dimostrando il suo organismo è un chiaro indice positivo. Comunque, io aspetterei per cantare vittoria. Andiamoci piano.” Consigliò ancora troppo scottato come medico, da recuperi fittizi che poi si erano rivelati l'ultima esplosione d'energia di corpi ormai ridotti allo stremo.

Ma questo non era il caso, n'era sicuro. Tenou era troppo caparbia per mollare.

Michiru tornò a guardare la sua donna osservandole il petto alzarsi ed abbassarsi velocemente, mentre un'infermiera iniziava a tirare la cornicina delle veneziane per poter provvedere all'ennesimo cambio della camicia da notte. Aveva capito che quell'attacco di febbre era una cosa buona e tutto d'un tratto si ricordò del segnale che usavano farsi quando una delle due l'aveva. Mettendo il pollice in orizzontale con il pugno chiuso attese la risposta. Haruka ridacchiò facendo altrettanto con l'aggiunta di un occhiolino. La bionda ricordava quel giorno e come quel codice era nato.

“Michi sono a casa.” Gettando le chiavi della macchina sulla consolle di mogano dell'entrata ed il borsone della palestra accanto allo stipite della loro camera da letto, quella sera Haruka si era guardata intorno alla ricerca della sua cuoca personale, avvertendo nel frattempo una voragine allo stomaco degna di un bovino. Sapeva che Kaiou era rientrata perchè imboccando la discesa che portava ai box, aveva visto le luci accese del bagno della loro camera da letto.

“Amore, dove sei?” Strano non vederla in cucina. L'ora era quella dove di solito la trovava a spignattare dentro il suo personalissimo bunker mangereccio.

“Sono qui...” Una voce flebile seguita da un colpo di tosse e Haruka aveva sniffato il pericolo del contagio ancor prima di vederla avvolta in un plaid, con gli occhi semi chiusi ed un viso bianco latte.

“Che c'è? Perchè stai sul divano a quest'ora? Stai male?”

“... Si... Ho la febbre.”

Due passi in dietro e alla germofobica bionda si era drizzata la peluria della schiena. “No Michi mia, la febbre no! Lo sai che mercoledì devo partire per il gran premio della Catalogna. Dimmi che non sei contagiosa..., ti prego.”

“E che ne so! Credi che ce l'abbia scritto sulle linee del termometro se sono contagiosa o meno?!”

Chinando la testa Haruka si era arresa all'evidenza di un repentino cambio di programma. Dall'essere servita di una buona cena, al trasformarsi in crocerossina tuttofare. Figura che poco le calzava. Sospirando aveva richiamato il coraggio andandole vicina per metterle una mano sulla fronte. “ E si. Hai un bel febbrone. Continua ad andartene in giro con le scarpe aperte anche in questa stagione che poi lo vedi come ti riduci.”

“Mmmmm... Non trattarmi male...”

"Non fare il cucciolo con me Kaiou..."

Michiru si era sentita prendere in braccio e di rimpetto le si era stretta al collo come una bambina. Le piaceva quando Haruka le faceva la paternale, perchè poi scattava il momento “coccole”. Cosi' aiutata a spogliarsi e a mettersi un pigiamone di flanella, molto poco sexy, ma molto molto caldo, era stata messa a letto, le era stata preparata una tisana calda con l'offerta più che allettante di una cena leggera e sostanziosa.

“Haruka sei proprio sicura di voler cucinare? Non che non mi fidi, ma...”

“Lo so, lo so. Hai da poco cambiato tutta la disposizione dei pensili e hai paura che faccia un casino nel tuo piccolo mondo antico. Sii fiduciosa amore mio.... Ci vuole fiducia nella vita!” Ed era sparita prima che l'altra avesse potuto controbattere qualcosa.

Haruka era stata single per anni e vivendo da sola aveva imparato anche piuttosto discretamente a provvedere ai suoi pasti. C'era una cosa però che proprio non le riusciva; quella di mantenere ordine. Michiru lo aveva capito gia' dalle prime settimane di convivenza, perciò faceva in modo di tenerla lontana dai fornelli il più possibile.

Ma contro ogni apparente previsione ed in meno di un'ora, si era vista recapitare direttamente a letto un brodino succulento, un piatto di patate lesse condite a crudo, un paio di aspirine, una spremuta d'arancia e poi via, sotto le coperte, pronta ad una bella sudata che l'indomani sarebbe passato tutto. E in effetti la mattina successiva tutto sembrava essersi rimesso in carreggiata. Svegliatasi dopo una buona notte di sonno, Michiru si era alzata per prima vogliosa di te, biscotti ed una doccia calda e mentre Haruka si stiracchiava riemergendo dal letargo, si era diretta in cucina con tutte le migliori intenzioni di questo mondo.

“Rimani a letto Michi... Ci penso... io.” Aveva sbiascicato l’altra stropicciandosi un occhio mettendosi poi seduta qualche secondo tra le lenzuola, in stand by, con la netta sensazione di essersi dimenticata qualcosa.

E questo qualcosa era apparso qualche secondo dopo nella lucida consapevolezza che sarebbe stata trucidata da li a qualche secondo. Schizzando giù dal materasso evitando persino di mettersi le pantofole, Haruka aveva infilato la porta con terrore. “No, no, no... Michi aspet....” Un tonfo colossale ed un successivo sfondone avevano fatto eco ad una specie di gemito doloroso.

Non avendo visto la sacca lasciata colpevolmente per terra la sera prima, Tenou l'aveva arpionata con il collo del piede schiantandosi sul parquet. Un istante dopo e per l'appartamento era riecheggiato forte solo un nome. Il suo.

“HARUKA!!!”

“Son qui!” Un balzello e nuovamente in piedi mentre l'altra si girava indicando i pensili e la penisola del suo adorato regno, trasfigurati nella più orrenda valle di lacrime.

“Ma... cosa... diavolo hai combinato?!"

“Pulisco subito tutto. Ti assicuro!” Pietismo ed alzata di braccia in segno di resa.

“Vorrei vedere!” Ed inferocita l'altra aveva rinunciato alla colazione dirigendosi a passo svelto verso il bagno principale.

Chinando la testa Haruka era allora avanzata zoppicando mestamente verso il campo di battaglia osservandone i resti. “Ma l'ho fatto davvero tutto io questo casino?”

“Haruka...”

“Si amore...”

E la sua dea le era apparsa mezza nuda con un sorriso invitante sulle labbra. “E... amore mio dolcissimo... usa la candeggina!”

Ma per non darle soddisfazione per il fremito di lussuria che era riuscita a provocarle, Haruka le aveva fatto cenno con il pollice di stare tranquilla, ma uscendole un po' sbilenco ed incompleto, era venuto fuori un mezzo ibrido.

"Non dubitate mia signora..."

“Mi raccomando. Sii fiduciosa.... Ci vuole fiducia nella vita.” Aveva concluso Michiru sfottendola chiudendo la porta ed aprendo sadica l'acqua della doccia lasciandola con quel mezzo segno monco e la disperazione di passare il sabato mattina china a far faccende invece che una dolcissima ginnastica fra le lenzuola.

Da quel giorno in avanti ogni volta che una delle due aveva qualche linea di febbre avevano preso a farsi quel segno ridendoci su.

 

 

A poca distanza e sempre rigorosamente in campo visivo “protetto”, se ne stava Giovanna ad osservare tutta la scena. Felice come non mai nel vedere quella speciale affinità elettiva. Caparbiamente in piedi, come se non fossero state presenti sul piano sufficienti sedute, come se fosse stato di vitale importanza continuare a farlo, come se da quella posa pseudo militaresca fosse dipesa l'integrità del mondo intero, aveva imitato Michiru non muovendosi, sbirciando al di la del vetro il letto della bionda.

Vistala, il dottor Kurzh la puntò andandole incontro ed abbassando lo sguardo questa volta lei decise che non avrebbe provato a difendersi. “Non starò ad elencarle le innumerevoli complicanze che un atto tanto stupito potrebbe aver provocato alla sua gamba, signora Aulis, però mi lasci dire che nessun paziente si era mai comportato in questo modo con me o con questa struttura. Neanche Tenou, che da quando è qui di alzate d'ingegno ne ha avute tante! - Ringhiò cercando di trattenersi. - Ora, ce la fa a seguirmi nel mio studio o devo prenderle una sedia a rotelle? Voglio darle un'occhiata.”

Giovanna guardò allora Michiru lanciandole un segnale di soccorso che l'altra raccolse al volo. Anche se dalla parte del torto, non avrebbe mai dato occasione a quel medico di prendersi gioco di lei, ma non poteva farcela da sola. Salutando la compagna con la mano e facendole cenno che sarebbe ritornata a breve, Kaiou fu al fianco dell'amica afferrandole il braccio privo della stampella. A Kurzh non sfuggì la scena ipotizzando che tutta la follia accomunata nel binomio Tenou-Aulis, geneticamente dovesse dipendere dal padre. Quelle due avevano lo stesso sconsiderato modo di agire.

Quando qualche minuto più tardi il cerotto venne strappato via senza grandi complimenti dalla coscia di una rabbuiata Giovanna, non si potè che constatare quanto male quell'inutile supplizio avesse provocato al muscolo.

“Mi compiaccio nel vedere che dovrà portarne due di stampelle se vorrà sperare di poggiare il piede in terra prima della fine della settimana.” Disse sarcastico l'uomo.

Michiru agrottò la fronte notando quanto la coscia fosse gonfia e tumefatta. O Giovanna..., pensò desolata.

“Devo ammettere che tra lei e Tenou avete una soglia del dolore notevolmente alta.” - Disse alzandosi dallo sgabello per andare a rovistare in uno degli armadietti presenti nello studio. - Ma devo altresì dispiacermi sull'uso distorto che fate della vostra forza.”

Giovanna respirò pronta a scattare come uno scorpione quando le dita di Michiru le serrarono le spalle convincendola a rivedere l'attacco.

“Mi scusi, ma... ero abbastanza preoccupata per pensare alla mia gamba.” E sperò bastasse.

Non bastò. Daniel Kurzh non era uomo docile ed incline alla comprensione, ed essendo superbo come gran parte dei medici arrivati ad una certa posizione di comando, decise che non ci sarebbe andato leggero. ”Io proprio non capisco... - disse iniziando a passarle una crema giallognola sull'ematoma. - ...come si possa essere preoccupati stando nella sua posizione?! Non dico che non si debba provare ansia, ma non avendo mai avuto alcun tipo di rapporto con Tenou non mi spiego cosa possa averla spinta a ridursi una gamba in questo modo.”

E come era accaduto a Roma, durante il colloquio che avevano avuto con il Cardinal Berti, fu Michiru a prendere la parola e a difendere l'altra prima che potesse farlo da sola facendo diplomaticamente peggio.

“Daniel... mi sembra che stia esagerando! Giovanna ha fatto quello che ha fatto, ma non deve spiegazioni a nessuno. Il rapporto che la lega ad Haruka riguarda solo loro e non mi sembra corretto che lo si sminuisca così.”

Alzando un sopracciglio lui cercò una garza pulita iniziando a fasciare stretta la coscia. “ A me sembra che sia stata lei a non essere corretta nei riguardi della dedizione e del lavoro di questa clinica. Comunque faccia come vuole signora Aulis, la salute è la sua, ma sta di fatto che oggi rimane qui in osservazione.”

Giovanna avvertì un dolore sordo alla carne. Non se ne parlava proprio. A parte il costo spropositato di un giorno di degenza, in quella struttura non voleva rimanerci un secondo di più. Comunque non con quel beccamorto saccente pronto a giudicarla. Glielo disse e con determinazione.

“Mi dispiace per il tempo e le cure spese per me. - Digrignò i denti mentre lui le chiudeva la fasciatura. - Come mi dispiace non poter accettare il suo paterno invito, perchè ho intenzione di beneficiare quanto prima del regime di dimissione protetta.” Si alzò dal lettino aiutata dall'amica.

“Verrò a fare tutti i controlli che vuole e se dovessero essere necessari, prelievi e quant'altro, ma non dormirò qui. Vorrei solo che mi faceste la cortesia di prestarmi un'altra stampella.”

“Il sangue è dunque più denso dell'acqua.” Disse il medico a mezza voce riprendendo il concetto già espresso il giorno precedente.

“A cosa allude? Anche ieri ha detto la stessa cosa.”

“Alludo al fatto che pur non conoscendo sua sorella si sente in qualche modo legata a lei.”

 

 

Intravisto il taxi imboccare il vialetto alberato della clinica Giovanna salutò Michiru concedendosi un abbraccio.

“Ma perchè ora fai così?!”

“Te l'ho già detto Michi. Ho bisogno di riposare in un posto dove mi senta a casa e qui non posso farlo.”

“Ma qui ci siamo noi. E se proprio non mi vuoi considerare un'amica pensa almeno ad Haruka.”

Giovanna stava letteralmente fuggendo. E lo sapeva benissimo. Ora che la sorella si stava riprendendo, si sentiva dannatamente fuori posto e non solo per le parole maligne che un frustrato Kurzh le aveva gettato contro, ma anche per aver toccato con mano il rapporto esclusivo che legava quelle due donne. Il vederle finalmente insieme le aveva fatto pensare che per lei non ci fosse spazio. Ne come sorella, ne come amica.

Michiru le bloccò il braccio prima che potesse aprire la portiera della macchina. “Non crederai che ti abbia trascinata qui solo per usarti! So di essermi comportata in maniera ignobile in questi giorni, ma ti prego Giovanna, lascia che rimedi. Non andartene proprio ora. ”

Facendo scattare la maniglia l'altra sorrise dolcemente. “Michiru non devi darmi spiegazioni, perchè se fossi stata nella tua stessa situazione avrei fatto altrettanto. Mi sembra di avertelo già detto. Ma ti ho anche spiegato come non voglia rimanere vicino ad Haruka più del necessario. Hai visto come ho reagito questa notte! E' vero; il sangue e' più denso dell'acqua. Cosa accadrebbe se continuassi ad affezionarmi? Non credo di riuscire a gestire questo sentimento. E poi a lei basti tu. Sei tu la sua famiglia e sei tu tutto quello del quale ha bisogno. Non le serve una sorella senza arte ne parte che per di più porta il cognome dell'uomo che l'ha abbandonata.”

Michiru non accettò stringendole il braccio. “Non parlare anche per Haruka, non è giusto. Non puoi affatto sapere come reagirebbe se sapesse di te. Ascoltami bene Giovanna,... Kurzh ha detto una marea di stronzate prima, ma un concetto giusto è riuscito a partorirlo; il sangue è più denso dell'acqua, e' vero, ma come ha urlato a te potrebbe urlare anche a lei. Dalle la possibilità di volerti nella sua vita."

“E lo spirito è più forte del sangue.” Concluse l’altra guardandola. Haruka era ben protetta. Era inutile restare.

“Non servo anche io, perchè ci sei già tu che l'ami e la proteggi. Ora lasciami andare e... io ti considero mia amica.” Le disse accarezzandole con l'indice una guancia.

Michiru avvertì il braccio scivolarle via dalla stretta. Un passo indietro ed il taxi partì.

A pugni serrati seguì la macchina fino al cancello d'ingresso per vederla poi dirigersi verso i sobborghi della città. Giovanna stava dimostrando di avere un carattere complesso. Ben disposta su molti fronti, riusciva a chiudersi a riccio verso altri e non c'era modo di farla retrocedere se prendeva la strada dell'ostinazione. Poteva essere un problema, perchè man mano che passavano i giorni e la conosceva, in Michiru prendeva sempre più corpo la convinzione che ad Haruka sarebbe piaciuta. Erano veramente troppe le sfaccettature che le univano. Avrebbero giovato entrambe di quel legame spezzato alla nascita e riannodato dal caso. Ne avrebbe giovato anche lei. Giovanna si stava rivelando un'ottima amica, una spalla come non aveva da decenni. Ma non avrebbe potuto continuare quel rapporto se avesse continuato a comportarsi così.

Sospirando si girò a testa bassa per tornare dentro quando con la coda dell'occhio vide il dottor Kurzh ed un altro medico parlare con una coppia. Michiru riconobbe una delle due persone. Era la stessa inconsolabile donna che aveva intravisto la notte precedente mentre stava vagando per la struttura. L'attenzione le cadde su un oggetto che stava stringendo nelle mani ed il cuore le sobbalzò nel petto.

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Il vincolo di un'amicizia ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il vincolo di un'amicizia

 

 

E ora come te lo dico anima mia? Pensò mentre usciva dallo studio del dottor Kurzh.

Erano passati quattro giorni dal trapianto ed Haruka era ancora nella camera sterile ed avrebbe dovuto rimanerci per minimo un altro paio di settimane. Michiru lo sapeva bene. Era stata informata di questo. Com'era stata informata del repentino blocco e conseguente azzeramento dei nuovi leucociti donati da Giovanna e di come questa fosse una prassi normalissima dopo il trapianto. Quello per Haruka sarebbe stato il periodo più pericoloso e solitario di tutti. Bombardata di antibiotici, flebo e trasfusioni, avrebbe dovuto aspettare pazientemente l'aprirsi delle fatidiche tre strade. La prima; il rigetto. La seconda; l'attacco delle cellule estranee al suo organismo. La terza; la convivenza e la conseguente fusione di queste ultime con le proprie.

Kurzh ed i suoi colleghi sapevano perfettamente che la prima ipotesi era ormai improbabile, non tanto per le confortanti avvisaglie avvertite dalla bionda immediatamente dopo l'innesto, ma quanto per il legame parentale che aveva a sua insaputa con il donatore. Cosa che abbatteva il rischio di un rigetto. La seconda ipotesi poteva sempre verificarsi e stavano cercando di fare di tutto per scongiurarla nonostante Giovanna non avesse avuto il tempo di prendere alcun che per produrre più cellule staminali. Così la terza strada sembrava la più probabile. Haruka stava avendo pochissimi effetti collaterali ed anche se scientificamente non avevano basi di alcun tipo, tutti coloro che avevano saputo la storia di quelle due ragazze, non potevano che dirsi speranzosi che il trapianto fosse riuscito.

Michiru entrò nella camera della compagna che in pratica ormai era diventata la sua. Non aveva più pernottato al convento, facendo solo sporadici blitz per farsi una doccia, cambiarsi e controllare Giovanna, divenuta improvvisamente scostante e pensierosa. Andando verso l'armadio ed aprendolo vi pose l'oggetto che il dottor Kurzh le aveva vigliaccamente affidato con la convinzione ed il tacito accordo che avrebbe dovuto essere lei a darlo a Tenou.

Capitani coraggiosi, si disse sbuffando all'idea per niente entusiasmante di quello che sarebbe accaduto non appena la sua donna lo avrebbe avuto fra le mani.

“Non ora. Non è il momento di farle anche questo. Dopo tutto quello che sta passando proprio non me la sento.” Mugulò abbandonando l'oggetto richiudendo l'anta per andare poi verso la porta ed uscire.

Percorse il corridoio che portava agli ascensori, ne prese uno diretta al reparto d'intensiva e mentre si sentiva spingere verso l'alto dalla cabina, pensò anche a come affrontare il discorso Giovanna. Non poteva certo uscirsene con un sai amore mio, non devi aver paura del rigetto, perchè hai una sorella che sì è immolata per te, ma ora si è rintanata in un convento perchè ha una paura illogica di te.

E no! Proprio non poteva uscirsene in questo modo. Ma la sua Haruka non era stupida, ed aveva già iniziato a fare qualche domanda mirata, stupendosi del fatto di non stare assumendo praticamente alcun farmaco anti rigetto. Doveva perciò pensare a qualcosa e doveva farlo alla svelta.

Appoggiando entrambe le mani alla sbarra di ferro posta orizzontalmente alle sue spalle, inarcò la schiena respirando profondamente. La verità rende liberi e fino a quando non avesse confessato tutto alla compagna si sarebbe sentita prigioniera dei desideri altrui; quelli di Kurzh e della sua vigliaccheria nel non riuscire a dire alla bionda cosa era accaduto la notte nella quale l'aveva sottoposta alla chemio e quelli di Giovanna, incomprensibilmente fagocitata in un loop quasi nichilista. Osservò un poster appeso alla sua sinistra riconoscendo il mare delle Cicladi. Da quanto tempo non aveva modo di stare accanto a quello che considerava il suo elemento. Michiru era la figlia di un diplomatico e di una musicista svizzeri e per questo motivo aveva passato gran parte della sua esistenza in giro per il mondo, soprattutto in posti dove era presente il mare. Giappone, Grecia, Africa meridionale, America latina, nord Europa, tutti luoghi dove lo aveva ritrovato come un padre liquido totalmente diverso da quello carnale che l'aveva messa al mondo. Avvolgente, protettivo, alle volte severo e bizzoso, altre invece calmo e rilassante. Sospirò sorridendoci su. Avrebbe veramente tanto voluto fare un tuffo in quelle acque per sentir scivolare via le preoccupazioni della sua anima.

Arrivata al suo piano uscì passando di fronte al salottino del punto ristoro. Si fermò di colpo inclinando leggermente la testa da un lato. E lei? Che cosa ci faceva li!?

 

I miei Franchi sono uguali a tutti gli altri, perciò vedi di non fare la stronzetta razzista e dammi questa cavolo di merendina o ti assicuro per tutti i santi del Paradiso, che ti prendo a calci da qui fino all'inizio del Canton Ticino!!!

Giò strinse i denti mostrando un leggero ringhio. Era da più di cinque minuti che quella macchinetta bastarda si stava prendendo gioco di lei.

E metti e sputa! E metti e sputa! E metti e sputa! O la prendi,... o la prendi! Pensò ed ormai persa nelle sue maledizioni non si accorse dell'amica fermatasi alle sue spalle.

“Giovanna?”

L'altra si voltò quasi di scatto tenendo ancora sollevata a mezza altezza la banconota colorata. “Ciao Michiru.”

“Come ciao Michiru. Cosa ci fai qui?” Chiese guardando per istinto la camera di Haruka non troppo lontana.

“Mi ha fatto chiamare il dottor Kurzh. Voleva che mi facessi controllare la gamba. In più ho anche donato il sangue, perciò... mi faresti la cortesia di aiutarmi con questa str... Con lei. Ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.” Strinse le labbra indicando la macchinetta.

kaiou prese i franchi stizzita. Adesso perchè aveva dovuto donare anche il sangue? Non era sufficiente quello che aveva già fatto?!

“Anche io l'ho donato ieri. Non stanno facendo altro che farle trasfusioni. Sono l'unico mezzo per immetterle globuli bianchi fino a quando le tue cellule diventeranno mature iniziando a produrli da sole.”

“Visto che sono le mie cellule... non garantisco che lo saranno tanto presto.” Disse divertita.

Espulsa con successo una “gustosissima” merendina alle carote priva di ogni sorta di porcheria, Kaiou gliela porse schiudendo un dolcissimo sorriso.

“Comunque non credevo che per avere delle risposte certe ci volesse così tanto. Speravo in qualcosa di più rapido Michiru. Forse è perchè non ho fatto la profilassi per l'aumento delle cellule staminali?”

“No Giovanna, non è per questo. La guarigione è un processo lento. Il corpo di Haruka e' stato sottoposto ad un enorme stress. Ci vorrà tempo."

Più sollevata l'altra guardò la confezione scritta in tedesco. “Ma che cos'è? Siamo nella patria del cioccolato ed avessi visto una barretta di qualcosa anche solo lontanamente somigliante!”

Kaiou rise lasciando che il nervosismo si stemperasse. Non le stava piacendo il comportamento di Kurzh nei confronti dell'amica e sentiva di stare diventando molto protettiva. Prendendo anche un paio di caffè si sedettero su quello che ormai stavano considerando il loro divano.

“Kurzh mi ha detto che Haruka è stabile. Tu invece? Come stai? Riesci a riposare un po'?” Le chiese Giovanna non potendo non notare quanto il viso della donna fosse provato.

"Si, stai tranquilla." E le spiegò come il dormire nel suo letto, immersa nel il suo odore, le conciliasse il sonno e le rendesse la notte meno solitaria. Aveva chiesto alle infermiere di non cambiare le lenzuola e pur sentendosi patetica, era arrivata al punto di fregarsene di quello che avrebbero potuto pensare.

"Ruka ha un odore molto buono. Mi e' piaciuto sin dalla prima volta che l'ho sentito."

Era strano, non parlava mai di cose tanto intime con gli altri, ne con le amiche di vecchia data, ormai comunque perse nella frenesia della vita quotidiana, ne tanto meno con sua madre, che ancora non si era arresa nell'avere una figlia omosessuale.

"E la tua gamba?” Chiese Kaiou ansiosa.

“Meglio. Mi fa un po' male, ma la crema cortisonica che mi hanno dato da metterci su è una bomba. Credo che tra un paio di giorni sarò in grado di volare per tornare a casa.” Disse azzannando il fagottino arancione facendo un'espressione a dir poco disgustata.

Ormai abituata a pasteggiare al convento, quella robba insipida e marcatamente salutare racchiusa in un involucro di plastica le sembrava un insulto alle sue papille gustative. “Ecco, lo fanno apposta per intossicarti e costringerti a rimanere qui! Ora mi è tutto chiaro. E' furbo il nostro Kurzh.”

“Giovanna non scherzare. Che vuol dire che tra un paio di giorni torni a casa!?”

“Vuol dire proprio questo Michiru. Ieri sera ho avvertito il segretario del Cardinal Berti. Non c'è motivo che io rimanga oltre. Se potessi continuare a donarle il sangue lo farei, ma lo sai meglio di me che non si può.” Sorrise appallottolando la confezione.

Fece allora per alzarsi, ma l'altra la bloccò. “Avresti anche potuto dirmelo. Lo so che sto latitando, che non ti sto vicino, ma cerca di capirmi...”

“kaiou non ti sto punendo per qualcosa. So che devi e vuoi passare qui più tempo possibile. Ma se ci pensi bene, la mia permanenza a Zurigo è diventata totalmente inutile. Nessuno può starle vicino. Tu per prima. E' costretta a vivere in una bolla asettica nella speranza che nessuno le attacchi qualcosa. E' ancora debole e credo che si senta peggio di una reclusa. E se aggiungi il fatto che nel convento siamo delle ospiti, bhe, mi sembra avvio che io torni a Roma.”

“Ma non vuoi sapere se il trapianto ha avuto successo?” Si stava inspiegabilmente comportando da bambina capricciosa.

L'altra sorrise alzandosi facendo leva sulle stampelle. "Lo sai che ci vorrà almeno un mese prima che si sappia con certezza se Haruka è fuori pericolo. Non posso restare così allungo. Ci sono sempre i cellulari.”

A differenza di Haruka e Giovanna, Michiru esprimeva senza remore i propri sentimenti con le persone che amava. Aveva ancora paura e la presenza dell'amica le infondeva coraggio. Anche se si vedevano sporadicamente, già il sapere che fosse a venti minuti di macchina dalla clinica le dava forza. Iniziava a considerarla una sorta di ancora. Qualunque cosa fosse successa lei sarebbe stata li.

“Mi sento ancora più egoista nel chiederti anche questo, però sono più sicura nel saperti qui... Accanto a noi.”

Accanto a noi. Quanto a Giovanna faceva strano quel plurale visto che era riferito anche ad una donna che non sapeva neanche della sua esistenza. Guardò in direzione della sua stanza. Le veneziane erano nuovamente chiuse. Chissà quale sevizie le stavano infliggendo.

“Chiamerò Roma nel pomeriggio. Visto come sono conciata penso di poter strappare un'altra settimana.”

Si sentì le braccia di Michiru al collo e sorridendo le diede una leggera grattatina alla testa.

“Kaiou, che cos'è tutto questo appiccicume?”

“Grazie Giò. Grazie...”

 

 

Dio Santissimo... non ne posso più! Quanto ancora dovrà durare questo supplizio, pensò Haruka sentendosi sfilare la cannula dal braccio. Era sempre stata una fifona per quanto riguardava il dolore fisico, prediligendo le cure "fai da te" ai camici bianchi, tollerando mal volentieri anche le farmacie. Col crescere e con un lavoro abbastanza pericoloso come il suo, aveva dovuto abituarsi a fisiatri ed ortopedici, ma essendo piuttosto brava come collaudatrice era riuscita a non farsi mai male in maniera troppo seria. Sta di fatto però, che nell'ultimo anno aveva dovuto piegarsi nell'accettare che quelle persone, nel bene o nel male, fossero li per salvarle la vita, capendo anche che a quel dolore un animale adattabile come l'essere umano si abitua presto.

Ma alla prigionia... La bionda era uno spirito libero e se la si chiudeva per troppo tempo in uno spazio angusto, impossibilitata a muoversi, diventava insofferente, intollerante ed ignorante. Guardando l'infermiera tentare per l'ennesima volta di prenderle una centrale le sbuffò praticamente in faccia.

“Se le sue intenzioni sono quelle di uccidermi, tanto vale che si tolga la mascheria. Faremo molto prima.”

“Mi dispiace signora Tenou. Non vorrei farle altro male, ma le sue vene...”

“Sono stanche di tutto questo, mia bella signorina!" Concluse la frase spostando violentemente il braccio sinistro.

“Cosa succede Haruka?” Il dottor Kurzh entrò dalla seconda porta tenendo le mani guantate a mezza altezza come se stesse in procinto di operare.

Ecco un altro rompiballe!

“Dottore mi dispiace, la colpa è mia. Ho dovuto cambiarle la canula ed ora non riesco a trovarle una centrale per la trasfusione.” Si scusò l’infermiera.

Prendendo in mano la situazione e dimostrando un'innata delicatezza nel tocco, lui riuscì la dove la povera ragazza aveva fallito, inserendo l'ago e la conseguente sacca di sangue.

“La colpa non è di nessuno. Le vene si sono ridotte di spessore ed è normale far fatica.”

“Non sarà che state usando tutto il sangue di Zurigo per me sola, dottor Kurzh?” Chiese Haruka maliziosa non trovando però risposta.

Lui glisso'. Sapeva che il nervosismo della donna non avrebbe fatto altro che crescere con il passare dei giorni e se avessero iniziato a punzecchiarsi ora, cosa sarebbe successo più avanti?

Avendo visto Michiru sul piano, l'uomo ebbe l'intuizione di smorzare l'aggressività di Tanou alzando le veneziane ed una volta fatto, uscì dalla camera con l'infermiera.

Haruka lo seguì con lo sguardo fino a quando la compagna non fu entrata nel suo campo visivo. Il vestito verde chiaro, le scarpe aperte allacciate alle caviglie con un'immancabile accenno di tacco, la coda di cavallo con il fermaglio d'osso lavorato che le aveva portato da un viaggio di lavoro a Budapest. Sorrise sentendosi meglio.

Era in piedi e stava parlando con un'altra donna dai capelli castani tagliati corti e la carnagione abbronzata di chi è abituato a stare al sole, con una corporatura simile a quella dell'altra, ma forse più robusta nella muscolatura. Aveva la gamba destra leggermente sollevata da terra e si stava poggiando su due stampelle, dando però l'idea di non esserci abituata, perchè ad ogni movimento del busto, contraeva in maniera eccessiva le mani come se avesse paura di cadere da un momento all'altro.

Rideva la sua bellissima compagna e sembrava conoscerla bene.

Kurzh interruppe le due donne rivolgo dosi direttamente a Kaiou. “Michiru, vorrei chiederle la cortesia di avere il cellulare di Hatuka.” Quel vulcano biondo in miniatura avrebbe reso quei giorni di “prigionia” un vero inferno per tutti se non avesse avuto almeno un “contentino”.

“Vorrei farlo sterilizzare. Così che possiate parlarvi. Tra qualche giorno la farò entrare con me nella stanza, ma fino ad allora dovrebbe cercare di tenerla tranquilla. Oggi ad esempio è parecchio nervosa.”

Giovanna ridacchiò sotto i baffi. Ce ne aveva messo di tempo quella gran zucca gialla a fare la voce grossa e nel pensarlo il viso prese un'espressione talmente tanto loquace che Kurzh la fulminò prima di sparire dietro alle porte scorrevoli di un ascensore.

“Mamma mia, che cazzone!”

“Proprio non vi sopportate.” Confermò Michiru dirigendosi verso le vetrate della stanza salutando il suo angelo con la mano, cercando di farle capire a gesti che presto avrebbero potuto parlarsi.

Certo che non lo sopporto. Ha una tale tracotanza. Sia intellettuale che fisica. Ma su, siamo sei... Non ha neanche un filo di pancetta. Come fa ad andare in palestra se è inchiodato qui dentro H24?! Cos'è... geneticamente modificato? borbottò continuando a fissare gli ascensori non accorgendosi di stare seguendo l'altra.

E in una frazione di secondo le iridi di Haruka e Giovanna s'incrociarono e la più grande smise di respirare. Se si esclude la ritirata fulminea presa su per le scale che aveva messo in campo qualche giorno prima, non erano mai state tanto vicine. Potevano addirittura vedersi il reciproco colore degli occhi; verde smeraldo, intensissimo e molto profondo, da sempre uno dei punti di forza della bellezza di Haruka e quello grigio verde, particolarmente cangiante, proprio di Giovanna.

Michiru si voltò verso l'amica sperando che si avvicinasse ancora un po', ma come ogni animale selvatico che si rispetti, invece che fare un passo in avanti, si ritrovò a farne due in dietro. Giò staccò a forza lo sguardo da quello di Haruka e guardando l'amica la salutò con un cenno del capo. Girandosi lentamente ricalcò la strada fatta dal medico poco prima andando verso le porte metalliche.

 

 

“Chi ti ha insegnato a sorridere così, Michi mia?”

“Sei stata tu, amore...”

“Mi mancava tanto la tua voce.” Disse Haruka sfoderando un sorrisone entusiasta.

“Sembri una bambina davanti ad un albero di Natale, Ruka.” Rispose Michiru ridendo dalla parte opposta del vetro.

Erano passati due giorni e con summa riconoscenza di medici ed infermieri, all'insofferente Tenou era stato recapitato il cellulare lindo, pinto e sterilizzato.

“Credono veramente di riuscire a tenermi buona con così poco?”

“Perchè... Non è così?” Inquisì bonaria Michiru sapendo già la risposta.

“Si.... - ammise Tenou arrossendo un po'. - Il nemico inizia a conoscere bene le mie debolezze. Dovrò inventarmi qualche altra cosa per essere odiosa.” E finalmente Haruka rise di gusto. Veramente bastava poco per farla sentire a casa dovunque si trovasse. Bastava solo che Michiru stesse al suo fianco.

“Di un po'. Chi era quella ragazza con la quale stavi parlando l'altro giorno?” Vedendola titubante continuò nella descrizione credendo di non essere stata chiara. “Ma si..., quella con le stampelle. Con i capelli corti tipo i miei e la faccia buffa.”

Faccia buffa, ripetè mentalmente Michiru notando quanto avesse ragione.

“Sembra che tu la conosca da un po'. E' una paziente del garrulo posto? Mi sembra un viso noto."

Viso noto... Se sapessi amore mio. Ti è noto si. Assomigliate entrambe molto a vostro padre, pensò con rammarico la compagna ricordando una vecchia foto, l'unica e ben nascosta, che Haruka ancora aveva di Sebastiano Aulis.

Scuotendo la testa Michiru disse solo che era una parente in visita. Il che era vero. “Abbiamo legato, perchè qui dentro si fa gruppo, lo sai. Sei gelosa?”

“Forse solo un pochino. Mi manca la fraganza della tua pelle amore. Vorrei tanto accarezzarti."

“Porta pazienza anima mia. Ci siamo quasi. - E partì la reprimenda giornaliera. - Piuttosto Ruka..., cerca di essere un pò più disponibile con ii medici e gli infermieri... Sii più gentile. Lo sai che non lo fanno apposta a farti male.”

Haruka mostrò allora le braccia piene di lividi inarcando le sopracciglia. Macellai! Si sentiva un quarto di bue.

“Oh insomma..., basta fare la vittima! Questo è un gioco di squadra! Se vogliamo vincere dobbiamo indossare tutti la stessa maglia.” La bacchettò Kaiou provando una tenerezza infiita nel vedere la sua ragazzona distesa inerme su quel letto.

“A proposito di squadre. Sai chi ha avuto la faccia tosta di entrare qua dentro contravvenendo a tutte le raccomandazioni dello psicopatico? Mattias... Si è presentato mentre stavo sotto terza flebo più morta che viva. Se Kurzh dovesse venirlo a sapere...”

Michiru avvertì un brivido gelato percorrerle la spina dorsale. “Cosa?”

“Non inquietarti con lui Michi, e' solo un ragazzino. Non si e' reso conto della gravita' del suo gesto. Stava per essere dimesso e voleva salutarmi. Pensa che era talmente contento di uscire da chiedermi di andare con lui. Ammetto di aver pensato che fosse pazzo visto in quali condizioni fossi, ma poi ho capito che fosse per la troppa gioia di andarsene finalmente da qui. Sono comunque felice che abbia pensato a me. Mi ripeteva spesso che una volta dimesso non avrebbe guardato in faccia nessuno correndo verso l'uscita senza voltarsi indietro per paura che Kurzh ci ripensasse. In più avevamo anche discusso. Non mi piaceva l'idea che andasse via arrabbiato con me.”

Michiru non sapeva cosa rispondere." Haruka, ma... non puoi averlo visto.”

“Ti dico di si! Ho anche sentito il calore della sua mano dentro la mia. Ho fatto dei sogni strani riguardanti la mia infanzia dove c'era anche lui, è vero, ma ti assicuro che gli ho parlato Michi. E sei poi riuscita a dargli il foglietto con le pass?”

La compagna scosse la testa. Non credeva che l'ora di dirle la verità sul bambino fosse già arrivata.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti e buonissimo anno!!!

Michiru si ritrova sempre a dover mettere ordine anche per gli altri.

Scusate ma ho dovuto fare un pò di chiarezza sulla tempistica e sui vari trattamenti per un trapianto. Mi erano sfuggite un paio di cose, perciò perdonatemi. Spero che non sia stato uno spicchio troppo pesante. Ho gettato Giò nella mischia per cercare di stemperare i toni.

Preparatevi alla mazzata del capitolo successivo e non ce l'abbiate troppo con me. Come dice spesso Haruka: non è colpa mia.

 

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Capitolo 13
*** Inseguendo la verità ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Inseguendo la verità

 

 

Possibile che fai sempre tardi? Non sta bene fare aspettare le donne.

Scusa Haru, ma sai, anche io ho le mie battaglie da combattere che non sempre vengono vinte.

Haruka si raggomitolò ancora di più su se stessa. Era passato un altro giorno da quando l'aveva saputo. Michiru aveva cercato di dirglielo con tutto il tatto e la dolcezza delle quali era capace, ma non aveva potuto impedirle di provare un dolore spaventoso dopo.

Haru, non puoi immaginarti quante cose so... ora.

Lo aveva solo sognato, ma ora che sapeva tutto, ora che la battaglia combattuta da Mattias era stata persa, ora, solo ora, capiva il senso di quelle parole.

Sono venuto a salutarti Haru. Torno a casa. Lo aveva visto il suo piccolo amico, avvertendone il calore della mano nella sua, ed ancora, nonostante tutto, non riusciva a credere che fosse stato solo frutto del suo delirio.

Eppure sia Michiru che successivamente il dottor Kurzh, le avevano detto che negli istanti nei quali affermava di averci parlato, lei stava lottando contro la morte e quest'ultima vinceva abbattendo le ultime resistenze del giovane Mattias.

“Si è spento serenamente Haruka.” La rassicurazione del medico. Ma questo non era certo bastato per consolarla. Come non erano bastate le parole di Michiru e come non poteva bastare il cappellino della Toro Rosso che stringeva ora nelle mani.

Una volta che Kurzh aveva ricevuto dalla madre di Mattias il cappellino che tanto rappresentava quell’amicizia così particolare, lo aveva consegnato a Michiru perché lo custodisse. Lei lo aveva riposto con cura nella stanza della compagna, in attesa, come se sapesse che presto sarebbe servito. Ora che alla bionda avevano detto tutta la verità, quel piccolo oggetto era stato portato personalmente in laboratorio dal medico per farlo sterilizzare e sempre quello stesso medico che mai si scomponeva di fronte ai suoi pazienti, glielo aveva consegnato, quasi con pudore, stupendosi lui per primo per quel gesto tanto lontano dal suo essere tutto d'un pezzo. Era stato reticente nel farlo, forse sentendosi in colpa per non essere riuscito a salvare il bambino e di fatti una volta visti gli occhi umidi di Tenou, era sparito subito dopo gettandosi anima e corpo nel lavoro quotidiano.

Haruka tornò a guardare i colori rosso e bianco della visiera, leggendo per l'ennesima volta la scritta che quel “piccolo teppista” aveva lasciato sul suo preziosissimo cappellino.

Anche se dovessi frignare o aver paura, sei e resterai sempre la più figa di tutti, Haru. Il tuo grande amico Mattias.

Com'era possibile che durante un recupero fittizio, dove il corpo prima della fine si sente meglio e le energie sembrano tornare ad inondare i tessuti, un bambino avesse intuito l'ineluttabilità del momento lasciando un ricordo così vivido di se. La madre aveva confessato al dottor Hurzh che Mattias aveva avuto un comportamento strano per tutto il giorno, insolitamente affettuoso, imponendosi poi di scrivere quella dedica a tutti i costi, nonostante la sera iniziasse a sentirsi molto stanco.

Haruka sorrise coprendosi gli occhi con una mano. Perchè non l'ho capito prima, stupida idiota che sono! Sotto la visiera eri pieno di capelli castani e non parlavi più con quel tuo ridicolo accento teutone..., pensò risentendo nella mente quella vocina petulante che la canzonava.

Stai per piangere he!?

“Non ci penso proprio piccolo disgraziato. Bello scherzo del cazzo che mi hai fatto...” Disse a bassa voce accarezzando la stoffa com'era solita fare con la sua guancia quando guardando un film lui stava per arrendersi al sonno.

Che strano - Penso’ infine guardando le dediche di Ricciardo da un lato e quella ancora più preziosa di Mattias dall'altro.-I miei due più cari amici hanno avuto la stessa idea. Uno per incoraggiarmi nella passione per il mio lavoro e l'altro per incoraggiarmi nella vita.

E tornando a raggomitolarsi sotto le lenzuola strinse quell'oggetto come se fosse stato il corpo del suo piccolo amico.

 

 

Michiru salutò un paio di monaci proseguendo verso il giardino delle erbe mediche. Sentiva sulla pelle delle braccia una leggera brezza e nelle orecchie il gracchiare di alcuni corvidi che tornavano nei nidi per la notte. Il sole stava tramontando incendiando di una luce calda e quasi autunnale la foresta che si estendeva tutto intorno alle strutture monastiche. Camminando ancora per svariati metri si diresse dove le avevano detto che l'amica era solita aspettare il crepuscolo godendo della pace di quel luogo tagliato fuori dal mondo.

La produttività di Giovanna all'interno del monastero si era arrestata di colpo ed impossibilitata nello svolgere una qualsiasi delle mansioni di fatica che tanto le piacevano, si era dovuta accontentare di brevi lavoretti in cucina, tipo pelare le patate o sbucciare fagiolini. Insomma, per lei una vera e propria tortura. Così aveva preso a scrivere suo portatile tornando a dar cenno di se al mondo lasciato a casa. E mail in primis e contatti social in secundis.

Svoltato l'angolo di uno dei terrazzamenti che accoglievano gli alberi da frutto, Michiru la vide scrivere velocemente alla tastiera seduta in terra con la schiena poggiata al mattonato di un muro.

“Allora lo vede che la tecnologia non è poi tanto male, Architetto!?"

L'altra sorrise non staccando lo sguardo dal monitor. ”Spiritosa Dottoressa Kaiou, molto spiritosa.” Terminò salvando e chiudendo il Pc.

“Non vedendoti arrivare credevo ti fermassi in clinica anche questa notte. - Le confessò osservandola curiosa prendere posto sul terreno battuto accanto a lei. - U là là. Non è da lei sedersi in terra.”

Michiru non rispose che con un debole sorriso, lasciando che lo sguardo andasse a perdersi oltre la palizzata che recintava la piccola piazzola dov'erano, fermandolo poi alla scarpata sottostante da dove proveniva il suono di un torrente in lontananza. Quella sera aveva bisogno di stare con qualcuno e di cercare di non pensare a nulla.

“Che cos'è successo? La zucca vuota ti ha trattata male? Con il cellulare non si è data una calmata?”

Certo che si era calmata, anzi. Ma era quello che era accaduto successivamente e proprio grazie al contatto telefonico, che aveva scombussolato tutto. “Ho dovuto darle una brutta notizia, di quelle alle quali non basta il conforto di una voce, ma ci sarebbe la necessità di abbracci e parole sussurrate nell'intimità della propria casa, non nel via vai di una stanza sterile.”

L'altra strinse le labbra afferrando. “Posso fare qualcosa?”

Michiru piegò allora le ginocchia poggiandovi la fronte. No, proprio non poteva. Aveva cercato di consolarle la compagna in ogni modo, ma non era servito a nulla. E come poteva. Lei per prima era rimasta sconvolta nell'apprendere la notizia della morte di Mattias.

“No Giovanna, grazie. A questo non c'è rimedio.”

Qualche istante di silenzio poi l'amica cercò un qualcosa da dire.

“Dai Kaiou... Sai cosa facciamo? A cena ci prendiamo una ciucca come il primo giorno così ti fai una bella dormita fino a domani. Ti porterei in un Pub irlandese se potessi, perchè per divertirsi in posti come questo ci vuole più della fantasia che si partorisce dopo due o tre bicchieri di rosso, ma... accontentiamoci.”

Michiru sospirò. Nella mente ancora gli occhi increduli di Haruka, il suo scuotere la testa, il suo mutismo.

“Non mi piace perdere il controllo, Giovanna. Ho solo bisogno di un po' di pace per pensare, perché questa volta Ruka mi ha presa in contropiede. Non l'avevo mai vista reagire così. In clinica è venuto a mancare un ragazzino con il quale aveva legato tantissimo. Si spalleggiavano come amici di vecchia data. Forse a causa della malattia o al fatto che alle volte la mia donna è più una bambina che un'adulta fatta, ma sta il fatto che quei due erano inseparabili. Credevo che ...” Lasciò cadere continuando a tenere la testa poggiata alle ginocchia.

“Credevi urlasse, sbraitasse, o piangesse per elaborare il lutto?” Domandò elencando le classiche ed umane reazioni ad una perdita di quel tipo.

“O se la prendesse con Kurzh, con Dio o con qualcun'altro. Ma niente. - Concluse alzando finalmente lo sguardo su di lei. - Sono convinta che se avesse potuto, avrebbe afferrato le chiavi della sua moto stando fuori tutta la notte a correre su e giù per le autostrade di mezzo Canton Ticino, ma chiusa la dentro... Non so neanche se lo stia elaborando un lutto o creda ancora che quello che è successo a Mattias sia solo il frutto di una nostra malsana fantasia. A continuato a dirmi fino allo sfinimento di averlo sognato, di averlo visto, di averci parlato. Il che non puo' essere, visto che entrambi erano sospesi tra la vita e la morte. Questa volta non credo di poterla aiutare.”

“E' per questo che sei andata via dalla clinica?”

Michiru annuì ammettendo che Haruka le aveva fatto ben capire di volere restare un po' da sola e comunque divise da un vetro sarebbe stato difficile non fare altrimenti.

“Capisco.”

“Ecco lo vedi?! Ora ti è chiaro perchè la mia spiritualità sia tanto labile Giovanna!? Quando sembra che stia andando tutto nel verso giusto arriva inesorabile lo schiaffo divino.”

Facendosi estremamente seria l'altra la penetrò con uno sguardo severo. “Ricordati Kaiou che per uno che muore, un altro vive. Per una famiglia che soffre, un'altra tira un sospiro di sollievo. Per una donna che piange..., un'altra sorride.”

Michiru comprese a cosa stesse alludendo e poggiandosi sua sua spalla aspettò in silenzio l'ora della cena.

 

 

Nonostante il vino, il cibo, la cordialità e la pace che pervadeva ogni pietra di quel posto benedetto, Michiru non era riuscita a cambiare umore, anzi. Ora che la notte era alta ed il silenzio ne aveva preso lo scranno, tutto le sembrava più cupo e triste di prima. Immobile a fissare il soffitto voltato, non poteva non domandarsi che cosa stesse facendo Haruka in quel momento. Dormiva? Era sveglia non riuscendo a chiudere occhio? Cosa.

Forse avrei dovuto restare, si chiedeva ad intervalli regolari, ascoltando il respiro ritmico della donna distesa accanto a lei.

Giovanna ha ragione. Questa volta non posso prendermela con i “massimi sistemi”. Non sono forse stata ascoltata? Avevo chiesto una possibilità di lotta e l'abbiamo ottenuta. Cosa pretendi Michiru, che si salvino tutti? No, non è così che va la vita. Lo sai bene. Lo sai fin troppo bene.

Si girò nuovamente sul fianco puntando la finestra. La luce della luna illuminava l'impalcato dei castagni del giardino antistante disegnando strane ombre sulle persiane chiuse. Rimase per un pò a guardare i giochi chiaroscurali che il movimento delle fronde formavano sulle doghe di legno, poi spostò la sua attenzione alla schiena davanti a lei. Sorrise al ricordo di quella di Haruka. Le mancava tutto di lei, persino i difetti, ma una delle cose delle quali sentiva più la necessità erano le spalle, perchè adorava letteralmente abbracciarla da dietro per appoggiare il suo viso a quel tepore muscolare.

“Proprio non riesci a dormire, eh Kaiou?!”

Michiru si arrese all'evidenza tirandosi su a sedere. "Scusami."

"Scommetto che stai pensando ad Haruka."

"Mmmm.... "

“Lo sai, mi piacerebbe arrivare ad amare tanto una persona come tu ami lei. Ho visto cosa vi lega. Perdonami, nonostante tutto quello che hai fatto e detto su Haruka non avevo bene inteso la forza del vostro rapporto fino a quano non ho visto come vi guardate. Un amore come il vostro non dovrebbe mai essere sporcato da segreti e mancate verità. Ci ho pensato su parecchio in questi giorni e credo non sia giusto chiederti di nasconderle ancora di me. Anche se ho una paura fottuta di lei e delle aspettative che potrebbe nutrire nei miei confronti se volesse conoscermi. Se riterrai opportuno dirle chi sono Michiru..., fallo pure in qualsiasi momento. Confido nel tuo giudizio e nel fatto che cercherai di non farla sentire in debito verso di me o spingerla in tutti i modi ad accettarmi. - Disse rimanendo voltata. - “Ora però cerca di dormire un po' o per tirarti giù dal letto domani dovrò farne due di macchinette del caffè.”

Michiru allungò una mano per toccarle una spalla, anche se in piccola così simile a quella di Haruka. Era riconoscente a quella donna ogni giorno di più.

 

 

Giovanna partì per Roma qualche giorno dopo. Notando quanto la gamba fosse migliorata e quanto Kurzh avesse avuto ragione, le stampelle erano state restituite ed anche se ancora zoppicante, aveva potuto imbarcarsi senza troppi problemi. Michiru aveva insistito per accompagnarla all'aeroporto, convinta in cuor suo che si sarebbe persa al primo tabellone informativo. Ed in effetti il suo aiuto era stato provvidenziale. Quella sorta di Gianburrasca troppo cresciuto non riusciva proprio a muoversi a suo agio in quegli spazi con il loro fluire di umanita'.

“Mi raccomando chiamami quando atterri a Fiumicino. Mettiti la felpa quando sei in aereo e non mangiare niente. Ricorda che all'andata hai avuto la nausea. Non trascinarti la sacca con la gamba ancora ancora debole, aspetta un carrello. Intesi?” Le aveva raccomandato abbracciandola.

“Ma anche con Haruka fai così o credi che sia io ad essere limitata?"

“Tanto lo so che fate come vi pare e piace e il mio e' solo fiato sprecato.

“Ok mammina. Farò la brava. Ci vediamo al tuo ritorno nella capitale. Qualunque cosa..., fammi uno squillo.”

“Si. Fai buon viaggio.” E guardandola prendere la sacca in una mano e lo zaino nell'altra, l'aveva seguita con lo sguardo mentre si dirigeva al check-in, sentendosi un po' più sola.

Così tra luci ed ombre, in breve i giorni di isolamento di Haruka passarono. Sempre un po' taciturna, ma di umore leggermente più sostenibile, una mattina come tante si vide recapitato a domicilio dalla sua donna un bacio a fil di labbra, capendo così in maniera più che concreta, che i suoi leucociti avevano finalmente raggiunto la soglia considerata sicura per poter tornare in mezzo al mondo.

Seduta sul suo letto Michiru se la tenne stretta al petto, comparando il tempo trascorso senza che avesse avuto la possibilità di baciarla, con quello che l'aveva vista vivere da sola in Italia. Un inferno sulla terra.

“Arguisco che sono fuori dal pericolo di un contagio, mia piccola untrice.” Le sussurrò all'orecchio la sua tremenda bionda contraccambiando la stretta. E da quell’ennesimo passo di vittoria scattava l'ora del secondo countdown, ovvero quello di un’agognata e fino ad un mese prima, insperata dimissione.

 

 

Bussando alla porta Haruka attese ed entrò subito dopo l'invito dello specialista. Erano arrivati alla fine del mese senza pestarsi troppo i piedi e grazie anche alla mediazione esercitata da Michiru, avevano convissuto all'interno della struttura come un cane ed un gatto dentro un'appartamento; guardandosi da lontano senza venire quasi mai a contatto. Ora con summa soddisfazione del medico ed una velata riconoscenza della paziente, si lasciavano quell'interminabile periodo alle spalle salutandosi in maniera pressoché definitiva. Haruka avrebbe dovuto presentarsi in clinica per le periodiche visite di controllo, ma se tutto avesse continuato ad andare così bene, passati sei mesi non avrebbero più avuto occasione di vedersi. E forse era anche per questo che, in quella mattina di pioggia, nel guardarsi le rispettive iridi chiare sembravano quasi dispiaciuti nel lasciarsi.

“Si accomodi Haruka. Ho qui le ricette e la dieta da seguire. - Disse porgendole i fogli mettendosi comodo a sua volta. - “Nulla di crudo almeno fino a Natale. Verdure, pesce o carne. Latte o... pizza.”

“Pizza! Come niente pizza!” Ecco la prima lagna.

L'uomo smorfiò il viso rimanendo impassibile. "Si Haruka. Nel caso solo fatta in casa. Almeno fino al periodo natalizio. Poi vedremo.” La guardò corrugare la fronte mente leggeva rapidamente le indicazioni sentendosi soddisfatto del suo operato.

Aveva contribuito a salvare quella giovane donna e se ne sentiva compiaciuto. Sorrise notando quanto il colorito, la respirazione, il tono muscolare di lei fossero migliorati. Aveva preso anche qualche chilo e non l'aveva mai vista tanto vitale neanche durante i primi giorni di ricovero, accorgendosi forse per la prima volta, di quanto fosse bella. Molto bella.

“Per quanto riguarda le medicine? Sono tutte per via orale?”

“Si. Basta con gli aghi. Le sue vene hanno bisogno di riposo, proprio come lei. Non ricominci a lavorare subito e si ricordi che dovrà restare chiusa in casa per almeno un altro mese. Niente contatti con altre persone che non siano la sua compagna. Niente animali. Se dovesse uscire usi la mascherina e copra sempre la gola, soprattutto quando inizieranno le prime nevicate. L'aria fredda non gioverebbe ai suoi polmoni.”

Non troppo convinta la bionda rilesse più volte l'elenco dei farmaci. Parlando spesso con altri pazienti, sapeva benissimo quali venivano dati dopo un trapianto. “Scusi dottor Kurzh, ma ho notato che sia nella profilassi post intervento al quale mi avete sottoposta, sia in questa lista, i soliti farmaci anti rigetto che in genere si usano non ci sono. So che a differenza di altri trapianti, quello di midollo non costringe ad assumerli per tutta la vita, ma questi che leggo... - Fece una pausa corrugando la fronte. - ..., non li conosco proprio.”

Lui strinse la mascella non sapendo cosa risponderle. Bella ed anche molto perspicace. Binomio pericoloso. Glissando con un mezzo sorrisetto cercò di eludere dalla trappola. Se si fosse trattato di un'altra paziente avrebbe sfoderato il suo charme, ma con Tenou rischiava la vita. Monto’ cosi una mezza verità, anche abbastanza puerile.

“Anche il suo cuore deve riposare. I farmaci che le ho prescritto sono a basso dosaggio. Li assumerà per circa sei mesi, poi valuteremo se interromperli definitivamente. - Alzandosi frettolosamente si diresse verso l’uscita non dandole gli occhi. - Haruka vorrei restare per spiegarle, ma ho un intervento. Comunque non si dia pensiero e lasci che il medico lo faccia io. Nei farmaci che prenderà sono presenti alcuni fattori di tolleranza che l’aiuteranno con il nuovo innesto. Perciò ribadisco..., stia tranquilla.” Sottolineò compensando vistosamente il suo essere stato preso in contropiede ed aprendole la porta la guardò alzarsi a sua volta.

“Come crede lei, dottore. Comunque grazie... Per tutto. So di non essere stata un soggetto facile, ma non può negare che le ho anche dato delle belle soddisfazioni.” E finalmente piegarono entrambi le labbra in un sorriso sincero scambiandosi una stretta di mano.

“Al prossimo controllo, Haruka. Mi raccomando.”

Lei uscì per dirigersi nella stanza che era stata sua e che ora conteneva solo il suo borsone da viaggio. Percorse lentamente i corridoi che portavano alle degenze, sapendo di stare compiendo il giro più lungo per non passare così davanti alla camera che era stata di Mattias. Non era più riuscita a farlo, tenendosene rigorosamente alla larga e quando qualche giorno prima la madre del suo piccolo amico era venuta in clinica per ritirare alcuni certificati, l'aveva intravista e contro ogni previsione della bionda, la donna se l'era abbracciata stretta, sollevata nel vederla finalmente in piedi ed in procinto di lasciare quel posto. Haruka aveva avvertito un'ondata di amore materno travolgerla ed aveva contraccambiato quell'abbraccio nascondendo il viso nel suo collo trattenendo a stento le lacrime.

“Figlia mia, come sono felice di vedere che stai bene. - Le aveva detto lasciandola per poggiarle il palmo della mano sulla guancia. - Vivi anche per lui Haruka e ricordalo ogni tanto.”

Lo avrebbe sempre portato nel cuore il suo piccolo amico e nessuna morte avrebbe mai potuto strapparle questa convinzione.

Arrivata alla sua stanza vi entrò richiudendosi la porta alle spalle. Guardò nuovamente le ricette scuotendo la testa. Qualcosa proprio non quadrava. Aveva letto e riletto più volte ogni sorta di articolo in merito e quel tipo di farmaci erano essenziali, ed avrebbe dovuto assumerli per non correre il rischio di mandare tutto all'aria. In un solo caso avrebbe potuto farne a meno, ovvero se il suo corredo genetico fosse stato molto simile a quello del donatore. Il che non poteva essere. Guardò il cappellino della Toro Rosso accanto al borsone e prendendolo lo mise con cura nella sacca. Richiuse la lampo puntando lo sguardo lontano, alle case basse dai giardini curati che tanto le avevano fatto compagnia in quei mesi di lotta.

Si sentiva strana. Da quando aveva ricevuto le cellule di un'altra persona e queste si erano insediate nel suo corpo, aveva come l'impressione di essere stata profanata. Naturalmente questo non macchiava il gesto di un donatore che si ritrovava a benedire tutti i giorni, ma quella sensazione di disagio non accennava ad abbandonarla. Forse era solo un cambiamento naturale dettato dall'esperienza vissuta o forse avevano ragione molti trapiantati quando dicevano che avendo un organo nuovo dentro di loro, un cuore, un fegato, un rene, era come se avessero unito la loro personalità a quella del donatore.

O forse ho solo bisogno di tornarmene a casa mia, pensò mentre Michiru faceva capolino dalla porta.

“Amore, la macchina è pronta. Possiamo andare.”

“Si... arrivo.” Rispose tornando a guardare le ricette.

“Hai le ricette! Sei già' passata dal dottor Kurzh.” Sorrise vedendosi allungare i fogli.

“Dagli un'occhiata tu, per favore e dimmi se sono io ad essere paranoica o qui manca qualcosa.” La guadò fare un'espressione strana avvertendo uno scampanellio nell'istinto.

Michiru capi' al volo e come aveva fatto il medico poco prima, cercò di svicolare non sentendosi ancora pronta.

“Dai Ruka, cosa vuoi che manchi. Andiamo o non arriveremo mai a Bellinzona entro il primo pomeriggio.”

La compagna socchiuse gli occhi mentre l'intuito si faceva certezza. Conosceva troppo bene le mille sfaccettature dell'espressività di Michiru e mentre poteva confondere gli altri dissimulando, non avrebbe mai potuto ingannare lei.

“Piuttosto... Quello lo vuoi davvero lasciare qui? In fin dei conti è un ricordo.” Le chiese riferito al poster incorniciato di Depero.

L'altra lo guardò di sfuggita. Tanto era stato un salvagente e tanto ora non le interessava più avercelo sotto agli occhi. “ Lascia che se lo goda qualcun'altro.” E il tono improvvisamente gelido lascio Michiru di sasso.

“Non sono d’accordo. È un ricordo del nostro primo incontro.”

Alzando le spalle la bionda divenne se possibile ancora più acida. “Fai come credi. A me non interessa.”

Sai qualcosa e non hai il coraggio di dirmela. - Continuò tra se quasi con rabbia mentre arpionava i manici della sacca e ed imboccava la porta. - Ma parlerai molto presto mia cara Michiru. Te lo posso assicurare.

 

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Capitolo 14
*** Cicatrici paterne ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Cicatrici paterne

 

 

Facendo una breve sosta a Lucerna, proseguirono con la macchina presa a noleggio sulla E35 dritte verso casa. Il tragitto da Zurigo a Bellinzona durava un paio d'ore, ma si presero tutto il tempo del mondo. Soprattutto per Michiru quello era un viaggio che voleva godersi chilometro dopo chilometro, attimo dopo attimo, perché da quando Haruka era stata costretta al ricovero e lei aveva iniziato a fare la pendolare per non lasciarla troppo sola, quella spola fatta di asfalto e pensieri le era terribilmente pesata. Ed ora che quel sogno mai espresso ad alta voce per paura che non potesse avverarsi se urlato al cielo stava realizzandosi, la completa guarigione della compagna, incurante della pioggia che batteva sincronicamente sul parabrezza unita al trepidante abbaglio di una ritrovata quotidianità, la donna teneva saldamente le mani sul volante non riuscendo a togliersi l'espressione di serenità che aveva messo su appena aveva acceso il motore. Guardando dritto davanti a se trovava ancor più belle le vette rocciose tutte intorno a loro, rendendosi conto, stupendosene, di accarezzare con estrema gratitudine ogni singolo campanile dal tetto vertiginoso che si vedeva in lontananza.

“Sta per spiovere.” Esordì dopo alcuni minuti nei quali una taciturna Haruka aveva spento la radio con la scusa di avere un po' di mal di testa.

Un grugnito e Michiru tornò a sorridere intravedendo le prime abitazioni della periferia cittadina. Non abitando in centro, ma sulle alture, calcolò rapidamente il tempo di arrivo e le successive cose che avrebbe dovuto fare; spesa, consegna dell'automobile al vicino noleggio ed un po' d'ordine in casa. Cena inclusa naturalmente.

“Guarda gli alberi, Ruka, hanno già messo su un bel colore rosso. Tra non molto inizierà il freddo vero.” E continuando ad avere grugniti in cambio di risposte, iniziò a pensare che ci fosse un qualche problema. La compagna aveva lasciato la clinica ed avrebbe dovuto essere la donna più felice della terra, come lo era lei, invece sembrava tutto l'opposto. Un’umore malmostoso incomprensibile.

“Perchè sei di cattivo umore? Ho fatto qualche cosa di sbagliato?” Una domanda ingenua, posta con il sorriso sulle labbra.

“Perchè non me lo dici tu?”

Svolta a destra e fermata al primo semaforo. “Non capisco a cosa tu alluda Ruka.”

“A non capisci? - Un sorrisetto maligno per nulla rassicurante. - Credi che io sia stupida, Michiru? O stai facendo finta di esserlo tu?”

E fu chiara la dichiarazione di guerra.

A Michiru non piaceva affatto quando la compagna faceva proprio quell'atteggiamento seccato che rasentava la cattiveria ed ingranando la prima al verde, cercò di temporeggiare provando a capire cosa volessero dire quelle occhiate glaciali. In quei casi i loro diverbi si trasformavano in vere e proprie partite a scacchi, dove la prima a sbagliare mossa provocava sempre l'inevitabile rottura dei nervi dell'altra.

“Perchè dovrei pensare in una tua improvvisa perdita di senno, Haruka?” Iniziò lentamente, studiandone gli atteggiamenti del corpo. Braccio destro poggiato sulla scocca del finestrino e mano sinistra chiusa a pugno accanto all'allaccio della cintura di sicurezza. Nulla di buono. Posizione di veglia pronta all'attacco. Doveva fare attenzione.

“Allora vuol dire che il senno l'hai perso tu.” Controbattè la bionda puntando l'attenzione alla strada che si inerpicava verso le colline.

Un'altro paio di tornanti e Michiru decise di osare di più offrendole apparentemente il fianco. “Ruka, perchè non smetti di girarci intorno e mi dici che cosa ti sta disturbando tanto.”

La vide fare un sorriso sghembo e scuotere la testa. “Tu e Kurzh credete davvero di potermi infinocchiare in questa maniera?! Passi lui, ma tu... Bella considerazione che hai di me e della mia intelligenza.”

Ed a quelle parole l'altra sentì di stare per perdere la pazienza. Le chiese che cosa c'entrasse lo specialista e la risposta le gelò il sangue nelle vene.

“Lo chiedo a te, perchè lui ha glissato e lo ha fatto anche in maniera piuttosto infantile. Come se in mesi di malattia io non avessi imparato un cazzo di medicina. Di chi sono le cellule che mi sono state impiantate, Michiru?” E fu tutto chiaro.

La ricetta, pensò allarmata l’altra stringendo con maggior forza il volante avvertendo un'esplosione di adrenalina.

“Allora? Lo sai tu come lo so io. Vediamo se hai il coraggio di ammettere di aver fatto un’enorme cazzata..., amore!”

Ammettere di aver fatto cosa?! Per esempio provare a salvarle la vita?! La bionda stava scherzando?

”Non mi piace questo linguaggio, lo sai.” Ingranando la terza per rafforzare la spinta del motore, Kaiou pigiò sull'acceleratore in maniera piuttosto brusca tanto che la compagna se la rise.

“Finirai per ingripparlo se non ci vai giù più dolcemente.” Accuse ed ora scherno. Nulla da dire. Haruka era carica a molla.

“Piantala di fare questi giochetti con me, Tenou e cala le tue carte.” Rispose seccamente intravedendo la loro casa. Un appartamento all'attico di una palazzina a cortina composta da tre piani.

“Le mie carte? Bene, le mie carte sono una ricetta dove sono presenti farmaci anti rigetto ridicoli, che in genere vengono assunti quando si ha avuto un midollo molto compatibile. Quello di un parente... E questo vuol dire solo una cosa, mia cara Michiru; che le cellule che mi sono state impiantate sono quelle di Giovanna Aulis!”

Michiru avvertì una vergata alle tempie nel momento esatto nel quale la macchina attraversava il cancello dello spazio condominiale e ringraziò il cielo, perchè se fossero state ancora su strada con molta probabilità sarebbero finite contro un albero. Inchiodando nei pressi del posto a loro riservato la fissò a bocca semi aperta sgranando gli occhi ed Haruka capì di aver dato scacco alla sua regina.

Sbattendo violentemente il braccio destro contro la scocca dello sportello inveì. “Dannazione Michiru, no... Dannazione, no!” E slacciandosi la cintura uscì dalla vettura come una furia.

All'altra ci volle qualche secondo prima di mettere a fuoco. Ma cosa diavolo stava succedendo? Uscendo anche lei, la inseguì quasi correndo su per le scale e facendo i gradini a due a due la raggiunse con le chiavi dell'appartamento già inserite nella toppa.

“Aspetta... Chi ti ha detto di Giovanna?” Chiese, perché Daniel non poteva essere stato visto i preamboli lambiti prima che quell'ordigno carico a pallettoni che era ora la sua donna, non le esplodesse tra le mani.

Tenou spalancò la porta e l’altra la richiuse poggiandovi la schiena. “Ruka sto parlando con te! Rispondimi!” Ma la compagna sembrò non avere sentito, perché troppo impegnata a cercare nei cassetti della consolle qualcosa per lei vitale.

Dove sono dannazione. Ricordo di averle lasciate qui, porca puttana...

“Haruka, rispondimi!”

“Potrei farti la stessa domanda, ma ora sono troppo imbestialita per ascoltarti!” Una furia completamente fuori controllo. Vaffanculo, dove stanno!? Vaffanculo!”

“Cosa sai di Giovanna Aulis?!” Martellò Kaiou con un tono di voce bassissimo.

“Molto più di quanto tu e quell’imbecille di Kurzh possiate immaginare.”

“Haruka...- Michiru sospirò pesantemente allungando il braccio destro verso il muro. - Cerchi queste?” Non le rimase che l’ironia guardandola bloccarsi all'istante.

Haruka ebbe quasi un sussulto. Le chiavi della sua adorata Ducati. Le chiavi che Michiru aveva spostato infilandole in una delle tasche del suo giubbotto dimenticato appeso al muro accanto alla porta e che ora stringeva tra l'indice ed il pollice.

“Dammele.” Un’imposizione più che una richiesta. E si avvicinò pericolosamente. Il cuore a martellarle nella testa fin quasi alle vertigini.

D'impulso Michiru le strinse nel palmo nascondendole dietro alla schiena. Un'azzardo in moto dopo essere appena uscita dalla clinica? Le avrebbe gettate dalla finestra piuttosto. “Haruka..., dimmi cosa sai di quella donna?!”

“Non sono cazzi tuoi! Ti sei già impicciata abbastanza!” Le urlò contro ferendola in un modo indicibile.

“Haruka...”

“Dammi immediatamente quelle fottutissime chiavi!”

“No!”

“Dammele...”

“Se le vuoi dovrai strapparmele dalle mani...”

“Kaiou!” Ringhiò e nell’immediato la porta tremò dietro alle spalle della compagna.

Michiru serrò gli occhi inclinando la testa dalla parte opposta avvertendo lo spostamento d'aria all'altezza del suo orecchio destro. Nell'appartamento tornò il silenzio. Poteva sentire solamente il respiro affannoso di Tenou a pochi centimetri dal suo viso ed il calore emanato dal braccio ancora disteso verso il legno. Sapeva che Haruka la stava fissando con gli occhi di un demonio, come aveva la certezza che il palmo della sua mano sinistra fosse ancora schiacciato e dolente contro la porta.

“Ti sei calmata ora?” Le chiese con un filo di voce continuando a tenere gli occhi chiusi.

“Dammi le chiavi...” Un timbro tagliente, violento, mai sentito prima. Ne fu atterrita, ma non si piegò.

Poi tornando a guardarla, dolorosamente mosse per dare scacco matto al suo re. “E come intenderesti ottenerle Ruka? Picchiandomi come faceva mio padre? Lui aveva una scusante che tu non hai...”

Il sussulto silenzioso che provocò nella compagna la toccò. Non avrebbe voluto difendersi così, ma c'era stata costretta. Portava ancora sulla pelle della schiena i segni di quelle percosse e sapeva che, ricordarle il periodo di un'adolescenza segnata dai vertiginosi sbalzi umorali di suo padre, dove alla violenza si mescolavano carezze ed abbracci, ne avrebbe arrestato la furia. La osservò indietreggiare di qualche passo, come una fiera davanti ad una fiamma, poggiando le spalle al muro del corridoio. Si guardarono ancora, poi Haruka chinando la testa si coprì gli occhi con una mano.

“Perdonami...” Un filo di voce mortificato e pentito uscì dalle sue labbra, mentre tornavano entrambe a respirare normalmente.

“Comprendo che il periodo di stress al quale sei stata sottoposta ti possa aver provato, ma Haruka ... non permetterti mai più. Spero di essere stata chiara!” La vide incurvare le spalle muovendo la testa in un cenno di assenso, per poi osservarla dirigersi verso la camera da letto richiudendosi la porta alle spalle.

Questo fu il loro ritorno a casa.

 

Quando Haruka riaprì la porta Michiru stava lavando le verdure che avrebbe cotto per cena. Era uscita per fare un po' di spesa ed aveva restituito la macchina usufruendo del circuito elvetico dei noleggi a quattro ruote. Era voltata di spalle e guardava alternativamente la lista della dieta che aveva appeso con uno Smile calamita al frigo e l'acqua che stava scorrendo sopra le foglie. Si accorse della sua presenza, ma non si girò, attendendo che fosse il re pentito a tornare a capo chino dalla sua regina, trovando finalmente un po' di pace per entrambe. Nei quattro anni nei quali avevano fuso le loro vite non aveva mai visto Haruka reagire con quella disperata violenza. Mai. Michiru aveva capito come la compagna tenesse dentro di se molti più segreti di quanti gliene avesse celati lei e questa cosa l'aveva sconvolta e rattristata. Come non poteva capacitarsi del fatto che sapesse dell'esistenza di Giovanna e non avesse mai detto nulla. Avrebbe davvero atteso la morte senza fare nulla per impedirlo? Una domanda incomprensibile che doveva avere una risposta.

Haruka andò a sedersi su uno dei tre sgabelli della penisola continuando a fissarle la schiena. Tutto intorno il loro appartamento; la porta scorrevole vetrata che dava sul terrazzo, il camino in stile moderno dai pianali in peperino scuro ed il divano proprio davanti, il tavolo di cristallo, la porta dello studio dove Michiru lavorava e si rilassava dipingendo. Tutto il loro mondo, oggetti scelti con cura. Un ambiente sereno, amato sin dalla prima volta che l’agente immobiliare glielo aveva proposto. Tenou respirò a fondo sentendosi i polmoni pesanti. Aveva pianto e tanto, per tutto; per Mattias, per la tensione accumulata in mesi di lotta, per quel segreto che si portava dentro da anni, che poi segreto non lo era più, perchè Michiru, la sua Michiru, l'aveva ingannata agendo alle sue spalle, scoprendolo chissà in quale modo, ma soprattutto, aveva pianto di rabbia verso se stessa, per essersi permessa di perdere il controllo in quella maniera. Aveva gli occhi arrossati e questa volta non gliene fregava niente di apparire debole, perchè aveva esagerato e debole si, lo era stata davvero e non certo per aver ceduto ai sentimenti con i singulti provenienti dal suo spirito. Stava per colpirla, lo sapevano benissimo entrambe ed aveva deviato il colpo sulla porta solo all'ultimo momento, colta da un bagliore di lucidità.

Michiru sospirò chiudendo il rubinetto ed asciugandosi le mani sul canovaccio, lo dimenticò sul piano di granito. Si voltò andando poi verso l'altra che aveva ora la testa bassa e le mani nelle mani abbandonate mollemente sulle gambe.

“Guardami Ruka.” Disse una volta arrivatale davanti e non vedendo reazioni, le afferrò il mento con due dita costringendola ad incrociare il suo sguardo.

Michiru amava quella donna, con tutta l'anima, con tutto il corpo, con tutta se stessa e vederne gli occhi gonfi le fece male al cuore. Le lasciò un bacio sulla fronte prima ed uno sulle labbra poi, delicatissimi e di riconciliazione. Si sentì stringere la vita avvertendo il viso caldo della compagna premuto sul petto.

“Perdonami...” Soffocò nella stoffa del maglione.

“Non voglio mai più vederti perdere il controllo in quel modo. Mi hai spaventata.” Ammise iniziando ad accarezzarle i capelli mentre la stretta si faceva più forte.

”Sul mio onore...”

“Mi basta.” Sentenziò sommessamente Era giunto il momento di sapere tutta la verità.

 

Seduta sul divano con la bionda al fianco, Michiru aspettò pazientemente che giungesse il momento nel quale avrebbe trovato il bandolo di quell'assurda matassa. Poi sarebbe toccato a lei spiegare tutto e si sarebbero fatte le somme di una storia al limite dell’assurdo. Ma tirare fuori dalle labbra di Haruka un qualcosa non era cosa facile e dovette attendere svariati minuti prima che, arpionandosi i capelli con la sinistra, Haruka non si incurvasse sulla schiena chiedendole nuovamente scusa.

“Non so cosa mi sia preso... E non è vero che non avresti dovuto impicciarti, sei la mia donna e non ci dovrebbero essere segreti tra di noi. È che... non volevo più pensarci, ecco tutto.”

“A cosa?”

A quella domanda Haruka prese un grosso sorso d’aria ed arrotolandosi la manica sinistra le mostrò la cicatrice che Michiru conosceva dalla prima notte passata insieme.

“Ti ricordi quando ti dissi che me l'ero fatta a diciotto anni guidando la mia prima 250? Ebbene... non è vero. In realtà me l'hanno fatta a sedici, dietro la palestra del liceo. Diciamo... - sorrise al ricordo - ... che al giorno d'oggi si chiamerebbe bullismo, ma dove sono nata e cresciuta io si chiamava; dare una lezione alla lesbica che ha toccato mia sorella.”

Si sfiorò la pelle più chiara scusandosi per la prima menzogna. “Vedi, quando abiti in una piccola cittadina dove praticamente almeno di vista si conoscono tutti, hai gli ormoni scombussolati per via della giovane età ed una spada di Damocle sulla testa dal nome adolescenza, è facile che prima o poi tu vada a cacciarti nei casini. Oppure siano loro a trovare te. - Grattandosi la testa le venne da ridere. - Ed io da ragazzina di casini ne attraevo una quantità industriale, te lo assicuro, tanto che dopo il primo appuntamento con una ragazza di poco più grande, i suoi due fratelli maggiori decisero che era il caso di darmi una lezione subito e di raddrizzarmi... la schiena.”

“Sono stati loro due a farti quella?” Chiese solcando la fronte con una profonda ruga d’espressione.

“Si, grazie a Dio. - E vedendo Michiru scuotere la testa non capendo, le spiegò che dalle sue parti raddrizzare la schiena equivaleva a cambiarti la vita. - E come si cambia la vita ad una ragazzetta di sedici anni che non è ancora mai stata con un uomo? Stando con due. Con o senza la sua approvazione.”

“O Dio, Ruka.” Una mano alla bocca, ma una carezza arrivò prontamente a rassicurarla.

“Tranquilla Michiru. Gia' allora ero abbastanza alta e robusta. Ero una ragazzina e' vero, ma sufficientemente forte per oppormi. Alla frase brutta lesbica bastarda ora ti faccio capire cosa vuol dire stare con un uomo così la finirai di importunare le ragazze per bene, mi ricordo che, anche se bloccata per le braccia, riuscii a mollare un paio di ginocchiate, una delle quali colpi' al basso ventre uno dei due e mentre quello mi spingeva a terra portandosi le mani all'inguine, il fratello mi rendeva la pariglia spezzandomi con un pestone l'avambraccio. Si fece subito tutto nero, ma urlai abbastanza forte da attirare l’attenzione di alcuni compagni usciti dalla palestra che corsero subito in mio aiuto e nel vedere il mio osso sanguinante che mi aveva squarciato la pelle, i due impavidi giovani se la diedero a gambe levate. Tornai a casa dall'ospedale non dicendo nulla a mia madre, sapendo che se avessi parlato sarebbe andata a spaccargli la faccia di persona. Poi vallo a spiegare ai genitori di quei due dementi che l'abbordaggio non l'avevo fatto io, ma la loro dolce figliola. Ero ancora troppo inesperta e... confusa. Non capivo il perché di quella violenza. Mamma sapeva della mia omosessualità e l'ha sempre accettata senza problemi, ma quello che non sopportava era che gli altri cercassero di prevaricarmi per questo. Se tuo padre fosse ancora qui ci penserebbe lui a tutta questa valanga di ignoranti. Mi ripeteva spesso. Talmente spesso che qualche mese dopo, con la scusa di una gita scolastica, racimolai un po' di soldi ed andai a cercarlo.”

Michiru iniziò a capire.

“Mi misi in caccia con ogni mezzo allora disponibile ed anche se non era ancora il tempo dei social e di internet, mi basto' l'elenco telefonico dell'ultima città dove aveva lavorato.”

“E lo trovasti?”

“Lo trovai. - Sorrise perdendo lo sguardo in un ricordo lontano. - Era un tipo interessante e completamente diverso dall'idea di padre che mi ero fatta in tutti quegli anni guardando la tristezza negli occhi di mia madre. La cosa che mi intrigava di più di lui erano gli interessi. I motori, la storia, il Medioevo, il tiro con l'arco, lo sport. Tutte cose che sai benissimo piacciono anche a me. E poi, il modo di gesticolare, di parlare, alcune caratteristiche fisiche. Era una sensazione nuova rapportarmi con lui e mi piaceva.... Porca miseria Michiru se mi piaceva avere un padre.”

L'altra strinse le labbra stirando un sorriso di comprensione. Era la prima volta che la sentiva parlare così tanto e tanto bene di Sebastiano.

“Però poi dev'essere accaduto qualcosa che ha cambiato la tua percezione, vero?”

L'altra annuì abbassandosi la manica per poi poggiare i gomiti alle ginocchia. “Esattamente. Mi confesso' cose con le quali convivo tutt'oggi e che mi hanno portata a troncare qualsiasi tipo di legame con lui.”

Giovanna, pensò Michiru ed attese.

“Erano passati alcuni anni da quando, all'insaputa di mia madre, avevo iniziato a frequentarlo ed un giorno, presentandomi ad alcuni amici, disse loro: questa è mia figlia Haruka, la più piccola.

Michiru si ricordò della sera nella quale aveva messo al corrente Giovanna dell'esistenza dell'altra. Fammi capire bene Kaiou. Stai insinuando che avrei una sorella più piccola e che quest'ultima è la tua ragazza? Entrambe avevano ricevuto quella particolarissima notizia, che gran parte dei fratelli sa da sempre, come una doccia gelata in piena estate.

“La più piccola. Io ero la più piccola di due figlie, nate dallo stesso uomo ed abbandonate nello stesso modo. Giovanna Aulis ha quasi cinque anni più di me, ed è... È mia sorella maggiore. Questa notizia mi sconvolse profondamente e mi apri' gli occhi su una cosa. Mentre lui era sparito dalla mia vita a causa del logorio del rapporto con mia madre, per Giovanna è stato diverso.” Concluse poggiando la fronte sulle nocche delle mani.

“In che senso?”

Haruka le rivelo così che il padre mentre era ancora sposato con la madre di Giovanna, durante una fiera in Svizzera, aveva conosciuto Ilde Tenou, che non sapendo del legame che Sebastiano aveva in Italia, si era invaghita di lui allacciando così una relazione. L'uomo aveva tenuto il così detto “piede in due staffe” fino a quando la donna si era accorta di essere rimasta in cinta. Così lui aveva deciso di andare a convivere con lei, trasferendosi in maniera definitiva in un altro paese e lasciando terra bruciata dietro di se.

“Perciò tua madre non è mai venuta a conoscenza di questa storia.”

“No. I miei non si sono mai sposati e perciò lei di carte in mano per matrimoni pregressi non ne ha mai avute. D'altronde era una donna molto libera e lo dimostra il fatto che è suo il cognome che porto.”

Haruka sospirò pesantemente sentendosi messa a nudo, rivelando anche che le sarebbe talmente piaciuto incontrare quella sorella, che per il suo ventesimo compleanno si era regalata un viaggio a Roma con l'intento di cercarla. “Mi sarei accontentata di vederla anche solo una volta, da lontano, ma non... Non ci sono riuscita. Scoprii il suo indirizzo facendole la posta sulle scale dell'androne per ore. Poi una donna che rientrava, mi disse che Giovanna era all’Università e sarebbe andata a dormire a casa di un’amica per preparare un esame. Era sua madre. Visto il buco nell’acqua gettai la spugna, anche perchè il coraggio, come i soldi, iniziava a scarseggiare ed avrei già dovuto pernottare su una panchina della stazione nell'attesa del diretto per Trento. Molto probabilmente... non era destino.”

Nell'ascoltare quell'inedita Ruka, arresasi ad una fragilità emozionale che prima non aveva mai dimostrato, Michiru non potè che costatare le stesse paure riscontrate nell'altra, ma questa volta rivide Giovanna in Haruka e non viceversa. Lo stesso timore di non essere accettate, ma la stessa voglia di provare comunque ad avere un legame. Forse era la conseguenza del traumatico abbandono di un padre.

“Ti rendi conto che avremmo risparmiato tempo ed energie, sia fisiche che nervose, se all'aggravarsi della malattia avessi cercato di contattarla per farci aiutare?!”

Haruka la guardò in modo strano, come se avesse appena sentito un'eresia. La risposta arrivò piatta e concisa. “A parte il fatto che un donatore mi era già stato assegnato, secondo te avrei potuto avere la faccia tosta di chiedere ad una perfetta estranea, alla quale ho involontariamente rovinato la vita e che nei miei confronti prova solo rancore ed odio, di donarmi il suo midollo! Proprio non mi conosci se mi fai una domanda del genere Michiru.” Tornò fredda ed implacabile. Quella storia l'aveva logorata per gran parte della vita e da come si esprimeva, dialogava e si rapportava con la compagna, si vedeva perfettamente che la ferita era ancora aperta e purulenta.

“No aspetta, fammi capire. Perchè credi che Giovanna ti odi?” Chiese allarmata da un'atroce sospetto.

L'altra si alzò andando verso i pensili per prendere un bicchiere d'acqua. Aveva una gran sete. “E' stato Sebastiano a dirmelo. Giovanna sa perfettamente chi io sia e non ha mai voluto avere niente a che fare con la causa dello sfascio della sua famiglia.”

Michiru quasi urlò. Alzandosi a sua volta allargò le braccia scuotendo energicamente la testa. “No amore, no! Non è assolutamente vero! Sono stata IO a dire di te a Giovanna! Lei non ha mai saputo nulla della tua esistenza, te lo posso assicurare.” Vide lo sguardo di Haruka trasformarsi da torvo ad incredulo. Dimenticato il bicchiere stretto nelle dita continuò a guardarla avanzare verso di lei fino a quando le mani di Michiru non le arpionarono le spalle.

“Ma cosa stai dicendo?! E poi non ho ancora capito cosa diavolo c’entreresti tu in tutta questa storia. Non prendermi per i fondelli, Kaiou!”

“Ti dico che è così. Non ti sto mentendo! Conosco personalmente Giovanna e ti assicuro che non ha più notizie di vostro padre da trentacinque anni!"

"La conosci? E da quanto? Come..."

"Da qualche mese. Una pura casualità. Anche se arrivate a questo punto, inizio a credere che il caso non esista. Vedi amore, sono stata io a sospettare che uno degli Architetti che lavorava in Vaticano e che portava lo stesso insolito cognome di Sebastiano, potesse avere con te un qualche tipo di legame di parentela e sono stata sempre io a prendere informazioni su di lei ed una volta acclarato che fosse tua sorella maggiore, a dirle di te, a chiederle di aiutarci. - Addolcì la voce continuando a tenere le mani alle spalle della compagna. - E lasciami anche dire che ci ha messo poco meno del tempo di una cena ad accettare la situazione, la tua malattia e ha decidere di farsi il test per la compatibilità midollare. Certo, all’inizio e' rimasta un tantino sconvolta dal sapere di avere una sorella e non puoi certo darle torto, ma si è resa subito disponibile ed è stata la tua ombra fino a quando non sei stata sufficientemente forte da essere considerata fuori pericolo.”

“La mia ombra?” Quasi un sospiro.

“Si Ruka. Era a Zurigo con me. Non sei mai stata lasciata sola. Se non era in clinica, gironzolava nei paraggi e comunque sempre a stretto contatto telefonico. Ti racconterò tutto; su come l'ho conosciuta, di quanto abbia fatto per noi, di com'è testarda e sfuggente quando ci si mette e di quanto benedettamente vi somigliate, ma ora ti prego di credermi se ti dico che Giovanna Aulis non ti ha mai odiata, anzi ti vuol bene e tanto anche.”

Proprio così; Giovanna si era comportata più da sorella maggiore in poco meno di due settimane, che Sebastiano Aulis da padre in anni. Il perché dell’enorme e disumano inganno che aveva rovinato sul nascere il rapporto che avrebbe potuto instaurarsi tra due sorelle forse non si sarebbe mai capito, perchè la mente umana a volte arriva a nascondere dei buchi neri talmente tanto perversi da rasentare le fiamme di un averno senza fine.

Stordita Haruka si sciolse dalla presa di Michiru abbandono il bicchiere per poggiare le mani al piano della penisola. Si sentiva le gambe molli. Perché una cosa tanto meschina. Quale motivo per farla vivere con un macigno di quella portata sul cuore. Una cattiveria gratuita che non si meritava. Che non meritavano entrambe. Come si era permesso di decidere per loro, muovendo i fili delle loro esistenze senza un briciolo di pudore.

“Sebastiano mi ha mentito...”

“Purtroppo si, amore...” Confermò catturando nello sguardo smeraldino della compagna uno scintillio di pura dolore.

 

 

Distese sul letto, abbracciate strette per continuare a sentirsi anche dopo aver fatto l'amore, Haruka e Michiru si confidarono fin quasi all'alba i loro pensieri più nascosti, le ansie avute e mai confessate, le cicatrici ottenute e quasi mai del tutto guarite, nonostante la maturità di un'età ormai adulta.

Haruka aveva voluto sapere tutto della sorella maggiore e Michiru l'aveva saziata per quel che era riuscita a capire di quel carattere complesso. Divertente ed alla mano con tutti, l'aveva accolta come un'amica assecondando ogni sua richiesta. Impacciata e disposta all'apprendimento, non dimostrava paura nel mettersi in gioco nella praticità di tutti i giorni. Sfuggente e latitante, quando decideva di non essere all'altezza delle aspettative di qualcuno. Testarda fino alla stupidità, quando pur di giocarsi una gamba, aveva seguito ostinatamente il filo di un pensiero irrazionalmente folle, ma carico di affetto. Generosa, altruista e molto, molto simile alla sua donna. Giovanna ed Haruka avevano sicuramente avuto verso il padre un imprinting visivo che le portava a fare spesso gesti fisici simili se non addirittura identici, ma caratterialmente era ancora un mistero per Michiru come quelle due si somigliassero tanto.

Poi il racconto concreto del loro incontro, del cartellino perduto, dei primi approcci per farsela amica e le scuse sincere che Michiru fece ad Haruka nel confessarle che avrebbe già potuto tornare da lei molte settimane prima, ma che aveva deciso di restare a Roma per tentare di giocarsi bene quell'ultima chance. La cena, eterna e drammatica, dove Giovanna aveva in fine stemperato i toni dando alla sua sorellina della top model spacca culi alla lady Oscar. Il Cardinal Berti che l'aveva presa di petto per le sue bugie, il prelievo, la compatibilità ed il viaggio, che voleva essere affrontato bellamente in bermuda e maglietta. La mancanza di affinità con Daniel Kurzh, apostrofato come uno scanner belloccio da soap opera e le sue continue fughe. I discorsi sui massimi sistemi e su una casualità che anche a Michiru iniziava a non sembrare più tale.

“E così è quel tappetto dalla faccia buffa.” Confesso' Haruka cercando di ricordarsi il viso della donna con le stampelle che Michiru le aveva indicato essere Giovanna.

“Guarda che è alta quanto me.”

“Appunto. Un tappetto.”

“Ruka!"

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Ricominciare a vivere ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Ricominciare a vivere

 

 

Lo sciabordio delle onde che s'infrangono meste sugli scogli artificiali della banchina, i raggi del solclan accarezzarle la pelle del viso di calore rigenerante, il cinguettio degli uccelli tra i rami degli alberi tutt'intorno, il vociare dei bambini che giocano a pallone in lontananza, verso le prime darsene del lago. Bambini?! Anche qui!

Haruka aprì gli occhi trovandoselo davanti con un sorrisetto sornione sulla faccia. Con una posa plastica degna del miglior album Panini, stringeva tra l'incavo del braccio un pallone di cuoio tipo “anni ottanta” a rombi bianchi e neri, indossando fieramente la maglietta blaugrana del suo amato Barcellona.

Appoggiata al muretto alto di un'aiuola, Haruka si coprì con le dita della destra gli occhi per proteggerli dal sole. “Ma che palle Mattias! Ancora a girarmi tra i piedi?”

Sempre la solita scontrosa Haru! Non capisco proprio come ti possa essere accasata.” Disse iniziando a passarsi la palla tra le mani come a volerle dire che era sua e se avesse voluto giocare avrebbe dovuto essere un pizzico più gentile.

Ma sei cresciuto?”

L'hai notato?!”

Lei tornò a beneficiare del sole richiudendo gli occhi ed incrociando le braccia al petto.

"Non disturbarmi..."

Non è il caso che ti svegli e ti metta a produrre qualcosa?” Le sussurrò ad un orecchio divertito nel vederla sobbalzare, perchè era ora alle sue spalle, accovacciato sul terrapieno in mezzo alle piante.

Ma che cavolo... Piantala bonz...” S'interruppe continuando a tenersi l'orecchio. Ormai non poteva più chiamarlo a quel modo visto la quantità smisurata di capelli che aveva sulla testa.

Di un po', lo sai che fine ha fatto il grillo parlante?”

E tu lo sai perchè sono ancora presente nei tuoi sogni Haru?”

Sarai una proiezione del mio io. Oppure non avrò ancora elaborato il fatto che hai tirato l'ala. Oppure sei solo un sogno... Rompiballe!”

Il ragazzino, ora dall'apparente età di quindici anni, scosse la testa continuando a sorridere. Era bello, robusto ed abbronzato ed anche quando stava male, lei ricordava di averlo sempre visto così con gli occhi del cuore.

“Sempre gentile Haru. Potevi anche dirmi che, per esempio, ora sono il tuo angelo custode.”

Io ce l'ho dalla nascita l'angelo custode, non prenderti appellativi che non son tuoi ragazzino e poi..., sono ancora abbastanza incavolata con te!” L'avevano sempre divertita quelle ingenue diatribbe senza capo ne coda.

Continuando a tenere sul viso quel sorriso luminoso che tanto mancava ad Haruka, lui alzò le spalle inarcando le sopracciglia docilmente. “Non l'ho mica fatto apposta...”

Lo so..., ma non avresti dovuto lasciarmi sola senza darmi il tempo di capire che te ne stavi andato.”

Vero, anche se sono passato a salutarti.”

Certo! Ho rischiato il ricovero in psichiatria per questo. Ho smesso di ripetere di averti parlato quando tutti hanno iniziato a sussurrarsi alle orecchie.”

E ti ricordi quando ti ho detto di non fare la zuccona una volta scoperto chi fosse?

Più o meno.... Ma insomma, che vuoi!?”

Che ti svegli e ti metta a produrre qualcosa.”

Haruka si svegliò avvertendo la testa della compagna tra la clavicola ed il collo. Tornò a chiudere gli occhi per poi riaprirli definitivamente, mentre l'immagine del viso di Mattias si dissolveva in quella particolare porzione d'incoscienza che si trova tra il sonno e la veglia. Riconobbe le pareti della stanza come quelle della loro camera, dove tutto era famiglia, dalla finestra che dava sulla valle dove si estendeva la città, al capiente armadio quattro stagioni che mai bastava per i vestiti di due donne, dalla cassettiera, ai quadri di Michiru.

Sono di nuovo a casa mia. Si disse come se stesse realizzando quell'evento per la prima volta.

Grattandosi la testa sentì di stare abbandonando definitivamente il sonno, ed anche se il calore della sua dea era avvolgente ed invitante, decise di tirarsi su dalle lenzuola, intimamente convinta che il “suo” grillo parlante nel dirle di darsi una mossa non si riferisse al lavoro alla Ducati, ma a ben altro.

Scese lentamente ed afferrando i vestiti del giorno precedente disseminati un po' dappertutto, uscì dalla stanza chiudendo dolcemente la porta.

 

 

“Ragazza mia, che piacere vedere il tuo bel viso!”

Henry Smaitter, capo tecnico del distaccamento Ducati del Canton Ticino, era l'unico che poteva prendersi con Haruka certe libertà. Era considerato da tutti un genio dei motori, un grandissimo professionista ed un uomo che, pur se non più giovane, aveva ancora un mondo di conoscenze da poter regalare alle nuove leve come lei. Ma per Haruka era più di un mentore, era un esempio d'integrità, intelligenza ed intuito al quale avrebbe voluto assomigliare un giorno. Se avesse avuto una figura paterna degna di tale nome, lo avrebbe innalzato a quel ruolo, ma nella sua situazione lungi da lei compararlo a quel mascalzone. A maggior ragione dopo le rivelazioni della sera precedente.

“ Hei Capo Smaitter, come stà? Gran cosa Skype! Per esempio, vedo che a pranzo è ancora al lavoro mentre gli altri stanno trangugiando in sala mensa.”

“Già. - Disse lui muovendo il portatile da destra a sinistra così che lei potesse avere la videata parziale della sua adorata officina. - Piuttosto, quando sei uscita dalla clinica?! E quando intendi riprenderti il posto di Primo Ingegnere meccanico?”

Progettare scocche e studiare algoritmi di sviluppo sugli pneumatici, non era per Haruka come collaudare una moto su pista, ma faceva parte delle sue mansioni, ed aveva preso una laurea per questo.

“ Mi hanno dimessa ieri mattina. - Abbassò il tono della voce controllando la porta della camera da letto. - Torno appena Michiru allenta il guinzaglio.”

Una fragorosa risata e lui scosse la testa polverizzando sul nascere ogni intento di fuga. “ Beata ignoranza, Haruka. Lo sai che mi ha tenuto informato sulla tua salute da quando sei entrata in malattia e perciò so modi e tempi del tuo recupero? Perciò per un'altro mese ti devi scordare moto, spostamenti e persone. Perciò niente circuito, sella o casco.”

“E allora che me lo chiede a fare, capo?!” Il viso smorfiato dalla delusione. Michiru era sempre, immancabilmente, inesorabilmente, indiscutibilmente, due passi avanti a lei.

“Te lo chiedo perchè nella stagione invernale la pista di Bremgarten è chiusa e tu di solito lavori in ufficio. Perciò, visto che hai sicuramente già istallato sul tuo Pc il software di simulazione dinamica che siamo soliti utilizzare per la messa appunto delle moto, mi chiedevo se ti andasse di lavorare da casa.”

All’uomo comparve un sorriso talmente beato che quasi s'intenerì. Quella ragazzona bionda dai modi arruffati e decisi era come la figlia che non aveva mai avuto.

“Davvero potrei lavorare da casa, Capo Smaitter?”

“Se ti ho posto la domanda vuol dire che le alte schiere sono d'accordo, no?! Sei una persona più che leale ed alla Ducati sanno che non faresti mai il gioco della concorrenza vendendo loro file secretati. Perciò, si, puoi lavorare da casa, Tenou!”

Per Haruka quel gesto non significava solamente che sarebbe tornata in pianta stabile ad essere utile alla sua scuderia, che poteva allontanare definitivamente lo spettro del licenziamento, sia come Ingegnere che come pilota, ma cosa ancora più importante, quel gesto era il segno tangibile della fiducia che i suoi manager riponevano in lei, un apprezzamento per tutta la dedizione spesa in tre anni di duro lavoro.

“Allora intesi Haruka. Ti invio a mezzo Pec, i file ai quali stà lavorando la squadra e le chiavi d' accesso. Per qualunque cosa fammi uno squillo sul cellulare. Domani mattina briefing in sincrono con i ragazzi alle 9:30, ok?”

“Ok capo. A domani.”

Haruka era al settimo cielo. Si alzò dalla sedia iniziando a fare avanti ed in dietro lasciando che l'interno del pugno della mano destra sbattesse ritmicamente nel palmo della sinistra, com'era solita fare da tutta la vita. Ormai aveva perso l'occasione di finire il lavoro al quale aveva partecipato l'inverno precedente, dovendosi ritirare perchè non ce la faceva a star dietro a quella commessa. Così non aveva potuto assistere all'uscita della Panigale 2017. Ma il suo obbiettivo adesso sarebbe tato un altro; la Ducati Panigale 2018. Ancora un embrione su carta, con il suo team ne avrebbe progettato la struttura, le singole parti e la meccanica, finendo poi per testarne l'aereodinamicità e la tenuta su strada. Che fortuna lavorare in un posto lontano dalla casa madre di Bologna. In pratica ci si ammazzava di lavoro, ma l'essere in pochi aveva i suoi vantaggi!

Si diresse a stron battuto verso la camera da letto pronta per saltare addosso a Michiru, seviziarla un po' per la sua lingua troppo lunga e coccolarla per la gioia che sentiva nel petto nel tornare finalmente a fare ciò che amava, ma già con la mano sulla maniglia si fermò storcendo la bocca. Visto la notte appena trascorsa forse sarebbe stato carino lasciarla dormire ancora un po'. Guardò in direzione della cucina e poi del grande orologio appeso ad uno dei pilastri. Perchè no?! Sorrise furbescamente andando verso il frigo pronta a seguire diligentemente la dieta lasciatale dallo psicopatico in bianco.

 

 

Michiru si stiracchiò sentendosi riposata. Finalmente una notte tranquilla, o forse avrebbe dovuto dire una mattina tranquilla, visto che si erano addormentate tardissimo. Dopo tutte le rivelazioni del giorno precedente e l'amore completo, ricevuto, ma soprattutto donato alla sua Ruka, dopo mesi nei quali la malattia l'aveva abbattuta, era crollata tenendosela stretta, ed anche se ad occhio e croce aveva dormito sulle cinque ore, si sentiva pronta a ricominciare la sua vita.

Seduta sul materasso iniziò a massaggiarsi il collo avvertendo nell'aria un odore di cucinato che poco calzava con un risveglio mattutino.

Ma cos'è? Soffritto? E in un attimo di terrore s'infilò le pantofole scendendo dal letto.

“No, la cucina no! Ruka...”

Spalancata la porta pronta ad assistere ad un trailer in 3D del film “Attacco su Nettuno”, la vide placidamente seduta al tavolo della sala da pranzo armeggiare con la tastiera del suo portatile. Si forzò allora di guardare verso la penisola e con suo grande stupore, non soltanto era apparecchiata di tutto punto, ma ogni cosa era rigorosamente al suo posto. Le pentole che aveva usato per cucinare erano state già stipate nella lavapiatti, i pensili erano lindi e riordinati e nulla, a parte il cibo sui fornelli e l'odorino che emanava, sembrava dire; Haruka è stata qui.

“Paura he?!” Una punta neanche troppo velata di soddisfazione e Haruka ghignò continuando ad usare velocemente il mouse.

“Vedi Michi, quando sei costretta a vivere in dieci metri quadrati per settimane, o impari ad essere ordinata, o rischi che le tue cose prendano il sopravvento e ti soffochino durante il sonno.”

Michiru sorrise andando al tavolo ed abbracciandole le spalle le ridacchiò nell'incavo del collo respirando il suo sensualissimo odore. Di Haruka le era mancata anche l'ironia e quella non sembrava essere cambiata di una virgola. Iniziando ad accarezzarle i capelli si ritrovò fra le dita l'elastico con il quale era ormai solita legarli in un corto e basso codino. Osservandolo si rese conto di quanto le erano cresciuti, arrivando ormai a lambirle le spalle.

“Vuoi farteli crescere?” Le chiese continuando ad accarezzare quei fili dorati.

“Veramente no. Anche se a causa del mio cuore ballerino non mi hanno fatto chissà quali trattamenti, si sono comunque indeboliti e credo sia ora di sistemarli un po’.” Ammise la bionda avvertendo ad ogni carezza piacevoli brividi di piacere.

“Vuoi che ci pensi io? Non sarebbe la prima volta che lo faccio.”

Smettendo di guardare il monitor, Haruka si voltò lasciandole un casto bacio sulla guancia. “Magari. Mi piace quando lo fai.”

“Allora dopo pranzo. Ma dimmi cosa stai facendo?”

Haruka la ragguagliò sulla chiamata Skype di Henry Smaitter e sull'offerta fattagli dalla dirigenza di lavorare per qualche tempo da casa, rimproverandola sardonicamente delle sue telefonate in scuderia e rivelandole che la vendetta sarebbe stata implacabilmente portata alla sua persona quando meno se lo sarebbe aspettata.

“Per adesso Michi mia, ti farò godere di una doccia ed un buon pranzo. Ma bada... sarai punita.”

 

 

Giovanna attaccò il cellulare tornando a respirare normalmente. Quell'uomo aveva il potere di darle agitazione anche a distanza. Che gran rottura. Non lavorava più al Vaticano da due settimane e già l'aveva sentito tre volte.

E ora, questo. No, proprio non le andava! Rimanendo a godersi il sole all'aperto, perchè quando aveva cambiato operatore telefonico si era dimenticata di dire che abitava in una specie di cava e che il suo cellulare non prendeva neanche per miracolo all'interno del suo appartamento costringendola a fare il geco sul balcone per avere un briciolo di campo stabile, sbuffò controllando l'ora sul display. Sorrise furbescamente andando alla rubrica muovendo il dito fino alla lettera “M”, guardò la piccola foto che ritraeva la bellissima donna dai capelli mossi e gli occhi cobalto e schiacciò sull'icona del telefono. Chissà se avevano già avvertito anche lei.

 

 

Il telefonino trillò portando Haruka a corrugare la fronte in segno di disappunto. Perchè Michiru si ostinava a non metterci su una canzone o un tono meno penetrante? Con le mani ancora nell'acqua calda per finire di lavare le ultime cose che non erano entrate nella lavastoviglie, la compagna le fece cenno di vedere chi fosse. L'immagine di Giovanna comparve a schermo intero e ad Haruka quasi venne un colpo.

“Chi è amore?”

“Mmmmm...” Grufolò mostrandole l'apparecchio allontanandolo dallo sguardo.

La proprietaria del cellulare sorrise chiedendole di aprire la conversazione e di metterla in vivavoce sul pianale accanto al vaso del lavandino.

“Heilà Kaiou, disturbo?”

La bionda fece per defilarsi quando l'altra le arpionò il braccio bagnandola. “ Non ti azzardare...” Ordinò sottovoce costringendola a rimanere esattamente dov'era come un bravo soldatino.

“Ciao Giovanna. No, assolutamentei. Abbiamo appena finito di mangiare.”

“Avete?...” Ed il silenzio. Michiru alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa. No, due in simultanea non riusciva a gestirle.

“E si! Ti avevo detto che avrebbero dimesso Ruka.”

“Mmmm, già.... E... dov'è... ora?” Chiese timorosa a un'interlocutrice che avrebbe tanto voluto dirle qui accanto a me, stupida fifona

Ma preferì soprassedere. "A guardare la TV."

“Come stà la tua zuccona oggi?” Haruka sgranò gli occhi mentre Michiru cercava di non scoppiare a ridere.

“Benone. Ha salutato con grande affetto il dottor Kurzh e lo ha ringraziato caldamente per le cure ricevute.”

Ma fu l'altra a ridere. “Si! Come no! Non ci crederei neanche se fosse lei in persona a dirmelo. Comunque è stata fortunata, con me si è limitato ad uno sguardo assassino ed una stretta di mano. Pensavo che il belloccio mi avrebbe chiesto i danni morali per avergli leggermente calpestato l'ego.”

“Leggermente? Giovanna, non hai fatto una sola cosa che ti abbia detto."

“O su, che sia mai.... Ha contribuito a guarire Haruka e avrà sempre la mia riconoscenza per questo, ma per il resto..., non e' una persona che mi porterei a cena.” E nel dirlo non poteva certo immaginare che, in maniera quasi impercettibile, Haruka stava sorridendo.

“Comunque, rimanendo in tema di simpatie... , ti ha già chiamata il segretario del Cardinal Berti?”

“No, perchè?” Chiese interdetta asciugandosi le mani nel grembiule.

“Allora preparati ad un invito, per ora informale, ma che diventerà ufficiale quanto prima con tanto di carta pecora al seguito, per una cena di Natale che si terrà il Vaticano.” Haruka sempre poggiata al piano di granito, chinò la testa disperata.

“Ma che cosa carina!" Esplose Michiru.

“Ma Kaiou! Come che cosa carina?! Non scherzare dai. Una cena di gala!"

"E allora?"

“No... io non ci vengo! Mi farò venire un accidente! Non e' un ambiente adatto a me. Lo sai quanto mi trovi in difficoltà nel relazionarmi con certa gente.

“No Giovanna, tu ci vieni. Come ci verrà Haruka. - L'altra mosse l'indice in segno di diniego. - Glisseremo sul fatto che siamo una coppia, ma ci verrà... anche lei.” Michiru stirò un ghigno per nulla rassicurante.

“Tenou in abito da sera?” Chiese perplessa ed un tantino curiosa.

“Credo opterebbe per un sobrio smoking. Comunque, a parte gli scherzi dovremmo vedere cosa ne pensa Kurzh. L'ultimo controllo dell'anno lo avrà proprio la settimana di Natale, ma se dovesse andare bene come speriamo, ci saremo.” Sentì Haruka sbuffare pesantemente.

“Questo vuol dire che dovrai dirle di me prima della fine dell'anno.”

Michiru si portò una mano alla bocca guardando la compagna e poi il cellulare. Era Giovanna che avrebbe dovuto sapere delle cose. Avrebbe dovuto dirle che la sorella minore sapeva di lei da più di quindici anni, che il padre aveva fatto in modo di tenerle separate “giocando” in maniera abietta con la psicologia di Haruka e che, ma questo era un discorso da fare senza la compagna davanti, anche lei aveva una paura fottuta di inbastire quel tipo di legame.

“Michiru sarà tutto stressante da morire. Per te. Per me. Per Haruka. Invece, come la vedi se ad una settimana della cena mi facessi venire un'influenza? Del tipo sto per morire, ed evitassi di raccogliere l'invito? Avresti tutto il tempo di dirle di me e saresti più tranquilla e serena."

"Stressante cosa? La cena o il ritrovarvi?"

"Entrambe Kaiou..."

“E' inutile che ti giochi questa carta con me Aulis. Tanto prima o poi dovrete accettare l'una l'esistenza dell'altra. Non sei stata tu che mi hai detto di sentirmi libera di dirle tutta la verità in qualsiasi momento? Ebbene, questa mi sembra l'occasione giusta.”

"Prima di una stressantissima cena di gala in Vaticato?!"

“Prima di una stressantissima cena di gala in Vaticano." Ripete’ sorridendo.

Giovanna ci pensò su qualche secondo e poi disse un semplice “No!”

“Fifona...”

“Non e' paura, solo che non mi sembra una buona idea, tutto qui!"

“Fifona...”

"Kaiou... Piantala!"

“Ti farò cedere Giovanna. Fattene una ragione.”

“Non credo proprio.”

"Non mi conosci ancora bene, ma io non mollo tanto facilmente. Potresti chiedere ad Haruka, ma sei troppo fifona per farlo."

E mentre continuavano a battibeccare, nell’ascoltare il viva voce Haruka iniziò a pensare a quel rapporto, a com'era nato e proprio a causa della sua malattia, come si era consolidato. Lei era stata il tramite tra due donne intimamente legate a lei, anche se per strade diverse, ed ora che il periodo di sofferenza era finito , rimaneva tra Michiru e Giovanna un'amicizia che sembrava rafforzarsi di giorno in giorno. In fin dei conti anche Haruka si era attaccata a Mattias per lo stesso motivo. Per la necessità di avere delle amicizie anche al di fuori del loro rapporto esclusivo e questo non portava a sminuirne i contenuti, anzi, evidenziava solamente come si potesse crescere anche con l'aiuto di altre persone.

In effetti Haruka non aveva mai avuto troppe amicizie e comunque mai femminili, perchè come con il legame uomo-donna vissuto al di fuori del rapporto di coppia, anche per lei era sempre risultato difficile riuscire a fermarsi prima che l'amicizia non si trasformasse in attrazione. Così aveva tagliato la testa al toro frequentando solo uomini e per di più, in ambito lavorativo. Per Michiru le cose erano state un po' diverse. I continui spostamenti in giro per il mondo della sua famiglia prima, ed un lavoro abbastanza individualista dopo, unito ad un carattere introspettivo e silenzioso, l'avevano portata suo malgrado a vivere più con se stessa che con gli altri. Sentirla dialogare goliardicamente con Giovanna era per Haruka la riprova che non soltanto la compagna aveva beneficiato tantissimo di quel nuovo rapporto, ma anche che la sorella maggiore doveva dirsi tipo abbastanza in gamba per aver fatto così profondamente breccia nell'animo della compagna.

 

 

Nel tardo pomeriggio Michiru si dedicò a fare dei giri in città per riallacciare alcuni rapporti lavorativi. Non intenzionata a lasciare la compagna per almeno un altro mese, voleva vedere di trovare qualche lavoretto sbrigativo che portasse guadagno e la tenesse impegnata.

Haruka ne aveva approfittato per finire di comporre degli algoritmi, sonnecchiare un pochino sul divano e farsi una doccia al volo. Passando la mano sul vetro appannato dal calore dell'acqua, sorrise convinta al riflesso che le stava rimandando l'immagine di una bella donna bionda dagli occhi verdi nuovamente accesi di vita. Sfiorandosi il collo avvertì sotto i polpastrelli il leggero pizzicore dei capelli rasati di fresco. Michiru aveva talento anche in quello. Taglio perfetto. Haruka Tenou era tornata.

 

 

 

 

Note dell'autrice: salve a tutti. Come avete potuto notare questo è un capitolo di transizione. Di riposo. Di normalità, perchè nel precedente di cose se ne sono dette tante e credo servisse rallentare.

Non volevo che Mattias fosse dimenticato troppo presto così resterà a “guidare” la nostra pilota ancora per un po'.

Ormai basta ospedali e sofferenze. Si apriranno nuovi scenari e se ne dovranno per forza di cose, chiudere altri.

Un saluto a tutti e a presto.

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Capitolo 16
*** Rabbia disperata ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Rabbia disperata

 

 

Haruka si grattò la testa mettendo su una smorfia di disappunto. Credeva che lavorare da casa sarebbe stato più semplice e meno impegnativo, invece si stava rivelando più complesso del previsto. Erano passate tre settimane e aveva capito una cosa; un conto era interagire con il suo team di persona, ed un'altra era il dialogare tramite e-mail, video chat o rimanere ore al telefono, cosa quest’ultima che francamente lei detestava. Per non parlare dell'impossibilità di cavalcare la moto dell'anno precedente, mettendola sul simulatore per testarne le prestazioni ed avere le sensazioni necessarie per poter approntare il nuovo progetto. Poteva fidarsi solo della valutazione di altri e non era la stessa cosa.

Grazie alle spiccate doti comunicative che saltavano magicamente fuori quando si parlava di motori, non ci aveva messo niente a rientrare in squadra, ma non avendo un contatto fisico, a volte si sentiva un po' tagliata fuori. E poi c'era il nuovo collaudatore, ovvero quello che alla Ducati avevano preso per sostituirla nei mesi di assenza e che adesso diffidava di lei, non volendo in alcun modo lasciarle spazio. Più giovane, più audace, più strafottente di lei. Un piccolo Haruka insomma, che però non possedeva ne il suo talento, ne la competenza o l'abnegazione per il lavoro e la passione che le appartenevano. Neanche a dirlo che proprio non riuscivano a digerirsi.

Si alzò dal tavolo stiracchiandosi vogliosa di un caffè. Prese una delle cialde nella biscottiera accanto alla macchina espressa ed infilandola nel braccio portafiltro lo serrò con forza. Pochi secondi ed il liquido scuro iniziò ad uscire dall'ugello. Gurdando in direzione della portafinestra della cucina che dava sul terrazzo, notò quanto il cielo fosse diventato bianco. Le previsioni avevano già preannunciato che la notte avrebbe nevicato e abbandonando la tazzina, si avvicinò al vetro guardando il panorama addormentato ammantato dall'inizio del crepuscolo. Lei lo aveva sempre saputo di essere un tipo strano, ma quell'aria da tundra siberiana, di “Valacchia alpina”, quel tempo cupo da lupi che ai più faceva rimpiangere l'estate, le metteva da sempre pace. Vuoi per il camino acceso che rendeva irrimediabilmente i vestiti intrisi dell'odore di cenere e carbone, per il freddo che eccitava i muscoli invitandoli al movimento o per il sapore dell'aria carica di neve e i colori lividi, ma quella era per Haruka Tenou la sua stagione.

La bionda conosceva il perchè di quell'amore per fratello inverno. Le ricordava la sua infanzia e la casa che l'aveva vista bambina. Le ricordava sua madre ed un ambiente sereno e ricco d'amore. Aveva solo bei ricordi di quel periodo dell'anno e forse era per questo che si sentiva impaziente ed euforica prima di ogni nevicata.

Mettendo lo zucchero nel suo caffè prese ad osservare l'orologio della cucina con fare meditabondo. Si stava facendo tardi. Michiru ancora non era tornata. Prima che le strade fossero state impraticabili la sua dea aveva deciso di passare allo smorzo per acquistare dei solventi per finire la pulitura di un quadro, ma non vedendola rientrare iniziava ad essere un po' preoccupata.

Michi, non mi piace saperti in macchina con questo tempo, si disse controllando il cellulare nella speranza di aver ricevuto un messaggio. Niente. Così non volendo rischiare di distrarla alla guida decise d'aspettare ancora un po' a chiamarla, ed appoggiandosi alla grande finestra della sala da pranzo, contemplò la valle e le Alpi che si stagliavano a perdita d'occhio finendo il suo caffè. Sorrise al pensiero di quanti pomeriggi aveva lasciato passare lenti quando era in clinica, perdendo lo sguardo al panorama cittadino di Zurigo, impossibilitata dalla stanchezza a muovere dieci passi filati, conscia che quello che si stava profilando all'orizzonte, sarebbe benissimo potuto essere il suo ultimo inverno. Ed invece ora era li, nel suo appartamento, ad aspettare la co-proprietaria, sentendosi stanca si, ma perchè aveva lavorato tutto il giorno.

Beatamente poggiò la testa al metallo dell'infisso abbandonando la tazzina sul davanzale interno. Dovrei decidermi a chiamare Giovanna, si rimproverò guardando il cellulare che aveva continuato a tenere stretto nell’altra mano.

Andando alla rubrica lasciò scivolare il pollice fino a quando l'immagine della donna non comparve accanto al suo numero. Sentendosi quasi ridicola, aveva trascritto quel contatto all'insaputa di Michiru e vi aveva inserito l'immagine dell'unica foto che la compagna era riuscita a scattare all'amica.

Sono veramente patetica... E zummando la studiò come le era già capitato di fare altre volte. Rigorosamente di nascosto.

“Certo che sei buffa parecchio...” Disse piegando un angolo della bocca.

Giovanna, a figura intera, scarponcini anti infortunistica neri taglia 37 ai piedi, jeans arrotolati alle caviglie perchè troppo pigra per fargli l'orlo, polo bianca, immancabilmente macchiata di calce, con sulla schiena scritto ITALIA e sulla manica, Roma, capelli corti castani con rare paglie ramate, un joystick giallo tra le mani e sul viso, per alcuni versi decisamente somigliante a Sebastiano, la punta della lingua fuori dalle labbra in una posa da massima concentrazione. Gli occhi fissi su qualcosa. Lo sguardo intelligente ed intenso. Haruka rifletté sulla fisionomia genitoriale. Indubbiamente l’altezza, il colore delle iridi e dei capelli, come il naso piccolo ed alcune espressioni del viso, le aveva prese da sua madre, ma guardando Giovanna era impossibile non notare una certa somiglianza con Sebastiano. Ovviamente aveva sempre saputo di possedere anche un qualcosa del ramo Aulis, ma solo ora, nell’avere un raffronto con la sorella, stava scoprendo quanto.

“Sei proprio un tipo assurdo... e... generoso.” Ammise riconoscendo onestamente che se era davanti alle sue Alpi ora, a casa, ad aspettare l'amore della sua vita, lo doveva principalmente a lei.

“Chi sa come sarebbe stata la nostra vita se avessimo potuto crescere insieme.” La stessa domanda sorta nell’esatto istante nel quale, da ragazza, era stata messa al corrente di avere una sorella e che dopo la menzogna del padre sul presunto rancore che la maggiore avrebbe nutrito verso di lei, era riuscita senza quasi nessuno sforzo a soffocare in un cantuccio del suo cuore. La.stessa domanda che alla luce di una nuova, diametralmente opposta verità, Haruka aveva ripreso a farsi avvertendo dentro un marcato disagio.

Che situazione di merda..., si disse mentre i fari di una macchina catturavano la sua attenzione.

Mettendosi in tasca il cellulare aprì un’anta della finestra riconoscendo prima di vederne il bianco della carrozzeria, il suono fischiante del motore elettrico di una Toyota Prius. Osservò la sua donna parcheggiare ed uscire dall'abitacolo, aprire il portellone del portabagagli per afferrare poi una busta abbastanza capiente. Quanto poteva essere bella la sua Michiru, anche se infagottata dal cappotto avana e dalla sciarpona di lana turchese che riusciva a tener su anche quando guidava. Il baschetto alla francese ed i capelli immancabilmente sciolti sulle spalle. Doveva fare un gran freddo fuori. Haruka si sentì un po' in colpa, perchè Michiru era costretta a parcheggiare fuori, mentre la sua bella Ducati poltriva nel box assieme alla sua auto e a tutti gli attrezzi da officina che era riuscita ad “inzuppare” dentro a 25 metri quadrati. Ma quello era il suo mondo, come la seconda camera del loro appartamento era quello di Michiru. Ognuna delle due aveva i suoi spazi, ed ognuna delle due aveva promesso di non invadere mai quello dell'altra. Anche per questo la loro relazione si era sempre mantenuta serena. Uno dei tanti compromessi stipulati e sanciti a furor di labbra.

Haruka richiuse per bene la finestra ed andò davanti al caminetto riattizzando le fiamme. Il tempo di una corsa in ascensore e sentì la chiave girare nella toppa.

“Ruka, sono a casa.” Disse abbandonando la busta in un angolo.

“Ben tornata. - Le sorride alzandosi per andare verso la penisola. - Che tisana vuoi?”

“Mmmmm..., tisana! Mi hai letto nel pensiero. E' rimasta quella alla fragola e zenzero? - Chiese mentre si sfilava il cappotto agganciandolo all'appendiabiti per poi togliendosi gli stivaletti a favore di due comode pantofole. - Sta per nevicare. E dicono che durerà tutta la notte. Sei contenta?" La raggiunse davanti al piano cottura abbracciandole la vita mentre l’altra armeggiava con il bollitore e la scatola dei filtri.

“Ci hai messo tanto. Iniziavo a preoccuparmi.”

“Scusa, ma ne ho approfittato per fare un salto alla cattedrale e parlare della tela con il parroco. Si è meravigliato che abbia già quasi finito di pulirla e me ne ha commissionata un'altra.”

“Ottimo.” Disse girandosi per portarle un bacio sulla fronte.

“Ho dovuto dirgli di no.” La bionda sembrò stupirsene per poi venire colpita dalla consapevolezza che Michiru sarebbe dovuta rientrare in Italia da li a qualche giorno per finire la pala del Perugino.

“Sempre quella pala del cazzo! Che palle...” Stizzita forse anche più del dovuto svicolò dall’abbraccio per sedersi poi pesantemente sul divano.

“Haruka! Per favore... Non c’è alcun bisogno di sbottare così. Ho dato la mia parola. Sia verbale, che scritta. Il Cardinal Berti ci tiene e non posso più temporeggiare. E comunque glielo devo.” E la conversazione finì velocemente come era iniziata, perché lo sapevano entrambe; dividersi nuovamente, anche se per poco tempo, sarebbe stato difficilissimo.

Versata l'acqua ormai in ebollizione nella sua tazza preferita, guardò il filtro preparatole galleggiare iniziando a tingerla. Una volta zuccherata la seguì sedendosi sul piano del camino. “Lo sai che mi ha chiamata questa mattina?”

“Chi?”

“Sua Eminenza.

Sbuffando sonoramente ed alzando entrambe le braccia sullo schienale, Haruka puntò le fiamme davanti a lei. “Quell'uomo è un po' troppo insistente. Se gli hai detto che tornerai... Tornerai! E' completamente inutile che ti stia col fiato sul collo.”

“Non mi ha telefonato per il Perugino. Non ne abbiamo neanche parlato. Come non mi ha chiesto di tornare o fatto velate pressioni in merito. Mi ha chiesto solo di... te.”

“Di me?” Chiese stupita.

“Già e non chiedermi il perchè, perchè io per prima non lo so.”

La compagna sembrò calmarsi e Michiru ne approfittò per riscaldarsi un po' iniziando a sorseggiare la tisana. Passarono svariati minuti dove non si sentì altro che il crepitio del fuoco, poi Haruka ruppe quel silenzio con una semplice domanda. Quasi una preghiera.

“Le parlerai, non è vero?” E l'altra capì immediatamente a chi si stesse riferendo.

“Ne abbiamo già discusso Ruka. Se vuoi che sia io a dirle di Sebastiano, lo farò.”

“Non mi sembra corretto sia tu a farlo, sia per te, che per lei, ma credo che sarebbe ancora peggio se lo facessi io.” Per carità! Da come Giovanna aveva sempre reagito anche al semplice stare nelle vicinanze della sorella, se se la fosse trovata davanti agli occhi le sarebbe venuto un colpo.

“Sapere di Sebastiano non le farà piacere e devi essere preparata all'eventualità abbastanza concreta che dia di matto. Io stessa ancora faccio fatica ad accettare la cosa.”

“Questa volta non è stata colpa mia!” Ammise Haruka con durezza continuando a fissare il piano del fuoco.

Allora lasciata la tazza sul peperino, Michiru andò a sedersi al suo fianco poggiandole la testa sul petto. “Lo so e non essendo stupida sono convinta che lo capirà anche lei. Ma ha un carattere fumantino, ed anche se fondamentalmente è una pacifista... a volte tende a non dar freno ai primi impulsi bizzosi.”

Haruka avvertì le dita della compagna insinuarsi sotto il maglione per iniziare ad accarezzarle lentamente il fianco ed abbandonando la testa all'indietro sullo schienale, iniziò a godersi quel tocco.

“Amore...”

“Mmmm...”

“Fai forse ginnastica quando sono nel mio studio a lavorare?” La sentì irrigidire l'addome e così prese a guardarla come un secondino.

“Nooo....”

“Ruka! Sono muscoli questi?” Inquisì.

"Belli, vero?"

"Kunzh ha detto che devi riposare!" E partì la reprimenda pizzicandole gli obliqui.

“Aiooo... Ma che fai?!”

“Da quanto ti stai allenando di nascosto?”

Ecco perchè aveva iniziato a dormire con il pigiama a manica lunga, lei che di notte era un termosifone e prendeva a sudare se si addormentava con qualcosa di diverso da una t-shirt. E si che quando facevano l'amore, presa com'era, non si era ancora accorta di nulla. Sotto le dita di Haruka staccava il cervello e sarebbe anche potuta deflagrarle accanto una bomba H che lei si sarebbe girata dalla parte opposta.

“Sei impossibile! - La rimproverò tastandole anche braccia e spalle. - Senti qui!"

“Ma Michi mia... Io devo riprendere tono muscolare. Ci stò andando leggera, te lo assicuro.”

"Me lo avevi promesso!"

"No Kaiou, io ho solo detto che avrei seguito la dieta e non sarei uscita di casa. Per il resto... dammi pace."

"Vuoi pace, Tenou?!" Chiese fissandola intensamente per poi catturarle le labbra schiacciandola con il peso del proprio corpo.

Haruka si accese come una torcia ad un sabba. Iniziò a toccarla dappertutto e quando Michiru decise che era giunto il momento, si fermò di colpo, le accarezzò una guancia e sussurrandole all'orecchio disse – Chiamami quando la cena sarà pronta, amore mio. Questa sera cucini tu. Così la prossima volta ci penserai due volte prima di fare di testa tua. - E mollandola come un'allocca sul divano trotterellò soddisfatta verso la camera da letto.

"Ma... che.... Io lo faccio anche per te, sai?! Di che ti rode per non essertene accorta prima nonostante di notte in questa casa non si dorma più!" Urlò.

“Ora potrai ritornare a coricarti in boxer e maglietta!” E la porta si chiuse senza possibilità di appello.

Così ormai scoperta, alla sedotta ed abbandonata bionda non restò altro che fissare con gli occhi inebetiti le fiamme che danzavano nel camino, mentre fuori iniziava a scendere la prima neve dell'anno. Tanto mi sa tanto che questa sera andrò in bianco.

Michiru partì per Roma una settimana più tardi.

 

 

La partita domenicale si era conclusa da un'oretta ed ormai usciti tutti gli spettatori e bonificata la zona, lei e la sua unità si stavano dirigendo verso gli uffici stewards per beggiare il cartellino di servizio. Giovanna amava quel lavoretto, le faceva staccare il cervello e pur se rischioso, mal pagato e deriso dai frequentatori “più caldi” dello stadio, la vedeva stare a stretto contatto con gli ambienti della sua squadra del cuore, a portare un'uniforme che la faceva sentire parte di un qualcosa di più grande ed a rendersi utile. E si, anche se venivano visti come “Minions scassa pifferi”, era felice di essere riuscita a passare le selezioni che la vedevano, dopo tre anni di dura gavetta, finalmente promossa a Capo Unità.

“Aulis, com'è andata oggi?” Le chiese un Coordinatore piazzandole una poderosa pacca sulla schiena.

“Prima o poi mi farai sputare un polmone per terra.” Rispose lei sorridendo.

Certo, non che fosse l'ambiente più aggraziato del mondo e lei come Architetto che spesso non riusciva ad esercitare a pieno il suo mestiere avrebbe forse dovuto sentirsi un po' avvilita, ma quanto meno le permetteva di pagarsi le bollette nei periodi di inattività come quello e di vedersi qualche scampolo di partita. Non era il Vaticano con le sue infinite restrizioni, anzi si poteva dire senza far difetto che era tutto l’opposto e forse era anche per questo che ci si trovava meglio. Niente inchini e bacia anello, niente parole soppesate, nessun tono basso nel timbro vocale. E poi, oltre ad omoni enormi e gretti, a lavorare al suo fianco c'erano anche i suoi amici più stretti. Tutte persone a modo, amanti dello sport, della loro squadra, delle gite goliardiche fuori città e del buon cibo. Si sentiva bene in quel posto ed era grata di farne parte.

“Ho sentito che te la sei cavata bene ai varchi oggi." Disse lui ridendo.

“Ho avuto ottimi insegnanti.” Ed era vero.

“Ci vediamo mercoledì per la partita di coppa.” La salutò il superiore mentre andava ad ampie e cavernicole falcate agli uffici per lasciare la cartellina del suo settore.

Dopo aver finito di parlottare con alcuni colleghi, una mezzoretta più tardi Giovanna uscì da uno dei carrabili dirigendosi verso in compagnia di alcuni amici verso il parcheggio della Farnesina. Era stanca morta e continuava a non capire perchè quella zona portasse da sempre almeno tre gradi in meno di tutto il resto della città.

“Ma perchè in questo porco posto fa sempre così freddo?!” Chiese alla sua amica sfregandosi le mani.

“E si che oggi abbiamo fatto la pomeridiana. Mercoledì ci tocca la serale.” Disse l'altra avvinghiandosi al marito, anch'esso steward, per poi farle notare che una donna dai capelli lunghi li stava salutando dalla parte opposta della strada.

“Giò, ma la conosci?”

“Ma chi?”

“Dai cecata. Quella li! La vedi?”

Socchiudendo allora gli occhi, Giovanna cercò di mettere a fuoco. Michiru!? E quella visione composta le risultò tanto stridente quanto inaspettata.

 

“Lo so, lo so, non è la macchina più spettacolare del mondo, ma faccia pure come se fosse la sua, Dottoressa Kaiou.” Rise Giovanna imboccando il sottopassaggio che le avrebbe portate verso il centro città.

“Guarda che non sono io quella che s'intende di macchine. - Disse l’altra facendole poi i complimenti per l'uniforme. - Stai bene, ti dona.

“Chissà, magari sarei stata un buon soldato.”

“Devo ammettere che ci ho messo un po' a capire che eri tu. Siete tutti uguali.”

“Ah, ma questa è una tattica per confondere i facinorosi. Il giallo del fratino abbaglia la vista, i combat neri e gli anfibi da guardia, ci rendono più cazzuti, lo scalda collo con i colori sgargianti della nostra squadra suggerisce ai più violenti che siamo anche noi dei tifosi e le giacche, beh, su noi donne sono abnormi, ma fanno sì che si assomigli... più a dei pesci palla che ad agenti di pubblico servizio.”

“Pesci palla?”

“Ma si, non lo sai che quando vedono un potenziale nemico si gonfiano per sembrare più minacciosi?”

Michiru rise fino alle lacrime nel vedere le guance dell’altra piene d’aria, anche perché, in effetti, tutte le donne che aveva potuto vedere all'uscita dello stadio erano più o meno alte quanto loro due. Haruka avrebbe detto che facevano tutte parte di un massivo esercito di tappe gialle.

A Giovanna piaceva sentirla ridere ed era per questo che a volte sparava buffe sciocchezze. “Purtroppo per la mia femminilità questi abiti non sono proprio il massimo, ma sono quelli che preferisco. Ma dimmi un po', come hai fatto a trovarmi? Mi pedini forse?” Domandò curiosa puntando alla meta di una pizzeria d'asporto, vogliosa di offrirle una cena più che informale.

“No, tranquilla. Non ti spio. Mi hai detto che lavori allo stadio e visto che nel pomeriggio giocava la tua squadra, ho fatto due più due. Sono tornata ieri sera e francamente oggi non mi andava di stare da sola.”

“Sagace Kaiou... Sagace.”

“Nel caso non fossi riuscita a trovarti ti avrei telefonato.”

“”Mmmm...”

“Spero di non averti disturbata o messa in imbarazzo davanti ai tuoi amici.” Spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro la guardò di sottecchi avendo notato in quell’incontro una certa dose di disagio.

Come poteva immaginare che agli occhi dell’altra, la sua grazia e compostezza stonassero drammaticamente con quell’ambiente. “Lo stadio non è il Vaticano, Dottoressa Kaiou.”

“Cosa vuoi intendere?! Mi sembra di essermi comportata come sempre.”

Smorfiando le labbra Giovanna capì di averle involontariamente dato della snob ed archiviata la gaffe cambiò radicalmente discorso. “Mi sono espressa a cavolo, scusami. Comunque hai fatto benissimo a farmi questa sorpresa. Dunque, non ti dico che ti porterò a cena fuori, perché francamente sono esausta, ma se metti tu i locali... ti faccio assaggiare la pizza d'asporto più buona di Roma.”

Anche Michiru lascio correre. Erano diverse e questo era un fatto, ma come per la sua Haruka, quell’ovvietà non avrebbe incrinato il loro rapporto d’amicizia. Ora quello che le premeva maggiormente era di metterla a conoscenza di quello che aveva fatto Sebastiano e non cercare di farle capire che Michiru Kaiou in realtà fosse molto diversa da come appariva da fuori. E così optarono per una cosa intima, tra le mura della casa che la straniera avrebbe lasciato per sempre una volta terminato il restauro della pala. Presero due pizze ed una birra grande, parcheggiarono come al solito in un punto indecifrato del lungo Tevere e si incamminarono verso la zona del Vaticano.

Un'oretta più tardi Michiru presentò una tazzina di caffè fumante ad una Giovanna finalmente più che satolla schiantatasi sul suo divano. “Avevo una fame allucinante.” Ammise l’amica tirandosi su le maniche della felpa nera iniziando a girare il cucchiaino.

“Ho notato. Non hai neanche respirato.”

Colta in fragranza di reato alzò le spalle portandosi la tazzina alle labbra. Come era cambiato quel rapporto in soli due mesi. Le volte che Giovanna era stata in quella casa si era sempre sentita un'ospite mentre adesso aveva come l'impressione di essere entrata a far parte dell'arredo, tanto si sentiva a suo agio. Ed era grazie a Michiru, ai suoi atteggiamenti, alle sue premure, ai suoi sguardi e alle sue risate. E pensare che la prima volta che si erano cordialmente salutate nello spogliatoio dipendenti le era sembrata quasi antipatica, la classica restauratrice di un certo calibro, sempre sulle sue, mai con una virgola fuori posto, pulita ed in ordine anche dopo otto ore di lavoro.

“Che c’è? Perché mi guardi così?” Chiese la padrona di casa inarcando ancora gli angoli della bocca.

“No, stavo pensando che se non fosse stato per un grandissimo dramma, non saremmo mai andate oltre una stretta di mano.

Michiru stava per aprire bocca per obbiettare, ma l’amica proseguì sogghignando. “Sei radiosa.”

Abbassando gli occhi per un istante si senti imbarazzata. “E' merito di Haruka. Non puoi nemmeno immaginare quanto bene si stia riprendendo. Due giorni fa l'ho accompagnata al primo controllo post dimissioni ed anche il Dottor Kurzh è rimasto sorpreso. Vuoi per aver ripreso a lavorare, l'aria di casa, il buon mangiare...”

“... La tua presenza.”

Michiru sorrise riprendendo la tazzina ormai vuota posandola sul tavolo.

“Può darsi, ma sta di fatto che tua sorella ne sta uscendo come meglio non ci saremmo potuti aspettare.” E le si sedette accanto.

“Tua sorella... Dio quanto a Giovanna faceva ancora strano. “Non avevo dubbi. Haruka è una tosta.”

La serata trascorse serenamente tra una chiacchiera e l'altra. Michiru raccontò dell'invito alla cena di Natale fattole dal Cardinal Berti in persona e come lo strano interessamento che quest'ultimo stava dimostrando verso Haruka avesse gettato sulla bionda un pò di nervosismo. Le parlò anche della pulitura della tela che aveva appena terminato per la cattedrale di Bellinzona, allungano il così detto brodo a dismisura. Sapeva di stare procrastinando il momento nel quale avrebbe dovuto confessare a Giovanna tutto e quando questo arrivò, sospirando profondamente come prima di un'immersione inesplorate, si lanciò nel vuoto sperando di fare uscire entrambe illese. La classica postura composta; mani sul grembo e schiena dritta. Tirandosi leggermente indietro, l'altra inarcò le sopracciglia sorridendo.

“La conosco bene quella posa e lasciami dire non mi piace per niente. - La schernì poggiandosi ancora più comodamente allo schienale incrociando le braccia al petto ed accavallando le gambe. - L'ultima volta che ti ho visto così composta e con quell'espressione sul viso mi hai strappato la spoletta di una granata dritta sui denti. Ed eravamo proprio qui, in questo appartamento.”

Aveva ragione. Michiru storse le labbra guardandola dritta negli occhi. Stavano rivivendo un deja vu. “Lo so. Scusa.”

“Ecco qui! Allora qualcosa c’è davvero!” Se la rise conscia che visto le buone notizie, nulla avrebbe potuto minare un tale stato di grazia. Che errore.

“Haruka sa tutto.” E l’ennesima granata in perfetto stile Kaiou saltò.

Qualche secondo di silenzio poi Giovanna la stupì rimanendo quasi impassibile. Alzando un sopracciglio le chiese se fosse tutto qui prendendola totalmente in contropiede.

“Oddio, non credevo reagissi così.

“Pensavi sclerassi?” Chiese alzando le spalle.

“No, non dico questo, ma sinceramente pensavo in un’altra reazione. All'inizio non sei stata forse tu a pregarmi di non dirle nulla?”

“Si, ma poi ho anche cambiato idea. Ti dissi che non volevo portarti a mentirle e che mi fidavo del tuo giudizio. Non fraintendermi ..., ho sempre avuto paura che prima o poi, per forza di cose, la tua bionda venisse a sapere della mia esistenza. Mi domandavo solo quando sarebbe successo. Sinceramente credevo glielo avessi già detto da tempo.

Si perse mentre Giovanna continuava punzecchiandole i nervi. “Perciò? Il responso è?”

Non era un concorso a premi! Michiru aggrottò la fronte. “Ma che modo sarebbe, scusa?!”

L’amica cercò allora di spiegarsi, in fin dei conti le scelte di Haruka si riducevano a due; o accettarla o non accettarla nella sua vita. “Ti sembrerò pragmatica, ma vedi, sono settimane che mi arrovello il cervello pestellandomi i nervi con questa storia e sono arrivata al punto di sentirmi felice anche solo nel sapere che stà bene e vive la sua vita serenamente. Una volta che accetti questo...”

“Oh... Capisco. Comunque vorrei dirti che credendo che io non lo sappia, tiene una tua foto ed il tuo contatto sul suo cellulare.”

Sorridendo Giovanna respirò profondamente. “Non la facevo tanto intimista.”

“In verità mi trovo fortemente in difficoltà con te, perchè di spoletta ne dovrei strappare un’altra, ma non so proprio come uscirmene.” Confessò facendosi ancora più seria, tanto che la più grande deglutì invitandola con uno gesto a proseguire.

“Una sola premessa; che mi lascerai finire di parlare.”

“C'è qualcosa di peggio che venire a sapere di avere una sorella malata di leucemia? Kaiou... mi stai mettendo ansia. Avanti! Via il cerotto.” Esortò leggermente sarcastica, forse perché convinta in cuor suo che nulla fosse realmente peggiore di quello.

E invece si sbagliava. Per sua somma sfortuna non era così e quando Kaiou iniziò a percorrere con regolare logicità gli eventi che avevano visto un Ruka adolescente cercare il padre e trovarlo, stringere quel legame parentale che lui stesso le aveva negato, rivelarle dopo qualche anno di avere già avuto una famiglia e che aveva abbandonato una figlia dopo aver saputo che Ilde era rimasta in cinta, a Giovanna servirono molto più che parole di conforto per cercare di riprendersi, servì dell'alcool.

“Non ci posso credere... Hai da bere?” Chiese a mezza voce toccandosi la fronte.

“Credo... Non lo so, ma... stai bene?”

“Michiru, ti prego...”

“Va bene. Aspetta.” Alzandosi armeggiò con le ante di un mobiletto poco lontano prendendo del brandy e un bicchiere.

“Lo uso per cucinare. Non so neanche se sia ancora buono, ma ho solo questo in casa. Mi dispiace.”

“Vuoi farmi intendere che Haruka sapeva già di me?” Chiese come conferma afferrando il bicchiere ormai pieno per metà e vedendo l’altra muovere lentamente il capo, spostò lo sguardo dal blu profondo dei suoi occhi all’ambrato del liquido.

“Andrà benissimo, grazie. - E se lo sparò tutto d'un fiato tossendo poi un paio di volte. L’incandescenza che avvertì nei polmoni la spinsero a proseguire. - O...K... Ma... una cosa non mi è chiara. Haruka e Sebastiano si vedono ancora? E perchè una volta ammalatasi non è venuta subito a cercarmi!? E tu? Allora la storia del cartellino è stata tutta una cazzata!” Allarme rosso. Kaiou ne bloccò l'aggressività sul nascere rimarcando che allora non sapeva ancora nulla di quella storia.

“Haruka me lo ha confessato solo dopo essere tornate da Zurigo. Ha visto che non avrebbe dovuto prendere farmaci anti rigetto di un certo spessore e ha capito che il donatore non potevi che essere tu. Solo successivamente le ho raccontato di come ci siamo conosciute.”

L'impeto di rabbia tornò ad uno stato di quiescenza. “Nulla da dire..., ho una sorella sveglia. Allora Sebastiano è ancora vivo...”

“Questo Ruka non lo sa, anche perché una volta confessato di aver lasciato la prima famiglia per vivere con lei e la madre, non ha più voluto averci niente a che fare. Le è costato, perché si era affezionata tanto, ma non poteva considerare come padre uno che se ne frega del sangue del suo sangue.”

Giovanna si concesse del tempo per riflettere. Per quel poco che la conosceva dai racconti della compagna sembrava un gesto degno di lei. Poi la sua espressione da pensierosa si fece d'un tratto allarmata. Perchè Haruka non era comunque venuta a cercarla? “Rischiava di morire....” Disse impercettibilmente tanto che Michiru non fu del tutto sicura di aver capito bene.

“Cosa aveva la tua donna per la testa?! Ha reagito come se si sentisse responsabile per la mia situazione.” Continuò cercando nell’altra un’aiuto.

“Vedi Giovanna ...” E basto’ la sua espressione per aprire il vaso di Pandora.

“Michiru, non avrà mica pensato di avere una qualche colpa per l’allontanamento di Sebastiano dall'Italia!?”

“Le cose stanno anche peggio.” Una mano a stringerle il braccio.

“Spiegati.”

”Vedi ...- sperò che il colpo che stava per darle non la spezzasse, anche se sapeva che le avrebbe fatto male - ...è che... è stato vostro padre ha dirle che..., che sapevi da sempre della sua nascita e che non volevi avere nulla a che fare con lei proprio perchè la consideravi la causa dello sfascio della tua famiglia.”

Le pupille di Giovanna si dilatarono a dismisura. “Cosa?!” Scattando in piedi come una molla avvertì alle tempie una schicchera dolorosa.

Michiru la imitò staccandosi a fatica dalla seduta. “Haruka non lo ha mai perdonato per averti fatta crescere senza di lui e nonostante foste venute su divise, era tanto vogliosa di conoscerti. Una volta adulte avreste comunque potuto recuperare il tempo perso. Non lo so, ma forse è per questo desiderio che lui si è sentito di imbastire questa assurda pantomima.”

Non riuscendo a mettere ordine in quel puzzle assurdo che erano ora i suoi sentimenti, Giovanna scosse la testa ripensando a tutte le sofferenze morali che la sorella aveva dovuto sopportare per colpa di quell'uomo. “Porco bastardo... - Sospirò serrando gli occhi dalla rabbia. - Ci ha tenute lontane con una canagliata.”

”Lo so. Non ci sono parole per quello che ha fatto.” Cercò di abbracciarla, ma l’altra fece un passo in dietro iniziando a massaggiarsi la fronte.

”Haruka ha rischiato di morire anche per colpa sua.”

“Si...”

“E mi ha fatto passare per un’infame che sputa in faccia ad una ragazzina dandole la colpa di essere venuta al mondo!?”

“So anche questo.” Confermò riuscendo finalmente a circondare le spalle.

“E a lui non è fregato un cazzo.” Ringhiò poggiando la fronte sul collo dell'altra che se la strinse ancora di più contro.

“Giovanna, ascoltami. Come ho detto ad Haruka lo ripeto a te; per quanto sia difficile, dovete cercare di lasciarvi questa storia alle spalle. Tutte e due. Me inclusa.”

“Come faccio?! Mia sorella ha creduto per anni che io la odiassi. - Contraccambiò finalmente quell'abbraccio. - Non avrebbe dovuto farle tanto male...Non avrebbe dovuto. Lo odio. Odio quell'uomo.”

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Capitolo 17
*** Ghiaccio ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Ghiaccio

 

 

“Ma sei proprio sicura di voler prendere il treno così tardi? Arriverai alla stazione nel tardo pomeriggio e lo sai che non voglio saperti alla guida col buio. Con l'aria artica di questi giorni le strade si ghiacciano subito dopo il tramonto.” La punta di apprensione nella voce di Haruka le riscaldò egoisticamente il cuore.

“Da quando in qua sei così protettiva, Ruka? Non è da te.” Una leggera risata che animò il broncio nell’altra.

“Non si tratta di essere protettivi, ma concreti. Se hai da fare a Roma un altro giorno, parti sabato mattina. Con il diretto per pranzo sarai a casa. Anche se staremo insieme solo un paio di giorni questa volta preferisco così.”

“Ma che vuoi che sia se invece di arrivare per pranzo sabato arriverò venerdì in tempo per preparare la cena?! E poi non mi va di stare un altro giorno senza di te. Mi manchi amore. Voglio dormire con te questa notte.”

Haruka strinse le labbra stando sul punto di cedere. Guardando nuovamente dalla finestra non potè che constatare per l'ennesima volta quanto la patina biancastra che altro non era che ghiaccio, fosse per larghi tratti ancora presente ai lati della strada che portava al loro comprensorio. Ed erano già le nove del mattino e l’allerta meteo diramata per tutto il Canton Ticino preannunciava diffusi fenomeni di freezing rain.

Tentò l'ultimo assalto a quella che ormai era un'impuntatura di Kaiou memoria. “Mi sentirei più tranquilla se tornassi dopo domani Michi.”

“Conosco la strada dalla stazione a casa come le mie tasche ormai. Perciò Tenou... non preoccuparti.”

Sbuffando la bionda non potè che cedere. Se Kaiou s'impuntava era praticamente impossibile farla desistere. Sedendosi al tavolo della penisola iniziò a fare colazione. Si era svegliata tardi, perchè presa com'era da un problema alla carena della nuova moto si era coricata in un orario indecente e non avendo risolto nulla, si sentiva presa in un loop che non faceva altro che farle iniziare da cani la giornata. In più, sapeva che Giovanna da quando la compagna le aveva parlato era latitante e la testardaggine mattutina di Michiru era la classica ciliegina sulla torta.

“Come credi, ma chiamami quando il treno è in arrivo, intesi? - E guardando la marmellatina pigolante sulla tovaglietta, continuò afferrando il coltello chiedendole notizie fresche della sorella. - Giovanna s'è poi fatta viva?”

“Ci siamo sentite ieri sera sul tardi. E' stata parecchio elusiva. Credo voglia solamente un po' di spazio per ripensare a tutto quello che le ho detto.”

Arrivata alla guardiania vaticana, Michiru sorrise ai due gendarmi lasciandosi passare il metal detector sul tronco e strisciando il cartellino nel lettore entrò nel piccolo Stato come aveva ripreso a fare da qualche giorno. Tutto era rimasto uguale a quando era partita per Zurigo. Tutto tranne due cose; l'assenza dell'amica, che ormai aveva portato a fine il suo cantiere alla piazza della Pigna e del Cardinal Berti, partito per un breve viaggio apostolico in Nuova Zelanda.

“E adesso come starebbe?” Le chiese Haruka mentre, disgustata, addentava un panino con l'ormai uccisa marmellata di albicocche. Dio quanto odiava quella melma giallognola viscida e squisitamente insapore.

“Non saprei. Lei dice bene, ma io sono straconvinta che sia tutto l'opposto. Non riesce ancora a credere che Sebastiano possa averti fatto credere, beh, quello che ti ha fatto credere.” Confessò ricordando la sera della domenica precedente, quando una Giovanna incollerita aveva inveito contro il padre per più di un'ora calmandosi solo dopo aver dissipato l'ultima briciola d'energia e tutto il Brandy presente in casa.

“Devo ammettere che da quando vi conosco la mia vita è diventata parecchio movimentata, ma non mi piacciono i cambiamenti, perciò da ora in avanti... andateci piano. D'accordo Kaiou?” Aveva infine detto sorridendo tristemente per poi chiederle se veramente fosse stato detto tutto.

“Si. Ora è veramente tutto.”

“Ok. Siamo tutte e tre ancora in piedi. Dobbiamo considerarla una vittoria.”

Michiru aprì la porta degli spogliatoi e l'occhio le cadde al tavolo dov'era solita trovare l'amica ad armeggiare con il computer.

“E davvero ha capito perchè all'insorgere della malattia non ho cercato di contattarla?”

“Si Ruka. Anche se, sia lei, che bene inteso IO, la consideriamo ancora una mossa alquanto idiota, anche se umanissima. Comunque è bene quel che finisce bene e perciò ringraziamo i massimi sistemi per essersi scomodati nell'indirizzare tutto al proprio posto.”

La bionda rise perchè era stranissimo sentirla parlare a quel modo. La spiritualità della compagna sembrava avere avuto un'evoluzione.

“Adesso devo cambiarmi. Mi raccomando a te. Prendi le vitamine e mangia. Non fare cose che io non farei e dato che so che tanto le farai lo stesso, almeno prima di scendere nel box a caricare la batteria della tua macchina, copriti bene. Per favore.”

"Chi ti ha detto che andrò al box!?"

"Ti conosco Ruka..."

“Alle volte mi fai paura. Comunque per la cronaca, le marmellatine che mi ha dato lo psicopatico in bianco fanno vomitare. Buona giornata amore e salutami... il Perugino.”

"A te, anima mia." La sentì ridere riattaccando.

 

 

Michiru scese dal treno alle 18 passate di quel venerdì pomeriggio. La linea del diretto Roma – Bellinzona, che in genere ci metteva cinque ore precise, aveva subito un ritardo dopo l'altro, ed ora che guardava la banchina della stazione, ne capiva il perchè. Uno strato di sottilissimo ghiaccio si era formato sulle panchine di marmo e su parte delle scale dei sottopassaggi. Doveva sbrigarsi a tornare a casa prima che fosse stato veramente troppo pericoloso mettersi alla guida.

Avvertì la compagna con un sms prima d'incamminarsi verso il parcheggio.

Sono alla stazione. Aspettami amor mio, sto arrivando.

Haruka guardò il display e poi l'ora. Trenta minuti al massimo e la sua dea sarebbe stata di nuovo a casa. Sorridendo andò verso il frigo controllandone il contenuto. Aveva intenzione di prepararle qualcosa di davvero speciale.

 

 

“Devi portare pazienza, Haruka. Vuole solo imitarti, perchè sa che è e rimarrà sempre il tuo sostituto. E' un cucciolo che gioca a travestirsi da pilota. ”

“No, Capo Smaitter... è un cretino! Semplicemente e puramente un deficiente patentato che non ha rispetto per il lavoro degli altri!"

“Non è stata poi tutta colpa di Patrik. Anche Stefano ci ha dato giù forte. Lo sai che è sempre dalla tua parte e non fa nulla per nasconderlo.” Henry Smaitter si stava ritrovando suo malgrado, a dover spiegare al suo Primo Ingegnere del perchè un ragazzetto di venticinque anni, avesse quasi perso un dito durante una delle sfide più stupide alla quale il suo team avesse mai assistito, ovvero tentare di battere il tempo che aveva fatto Haruka al simulatore l'anno precedente.

“Bene! Allora sono cretini tutti e due! Mi dica che almeno non hanno rotto nulla.”

“No, a parte il dito che Patrik si stava per strappare sotto la ruota anteriore, nessuno si è ferito.”

“Me ne frega un cazzo delle dita di quel decerebrato! Per quel che conta potrebbe anche staccarsi quell’ammennicolo ciccioso che tiene gelosamente chiuso nei pantaloni! La pedana sta bene?”

Una risata e Smaitter ammise che la “sua” ragazzona era sempre la stessa. Neanche un accenno di umanità per coloro che avevano attentato alle tecnologie alle quali lei aveva tanto lavorato.

“Niente che non possa essere riparato Haruka.” Immaginò come il viso di lei stesse cambiando colore, passando dal rosso fuoco al bianco panna.

"Come riparato! Che cazzo hanno fatto alla MIO simulatore?!"

L’uomo roteò la poltrona del suo ufficio di cento ottanta gradi cercando una mediazione. “Stai calma, domani ci penserò io e lo farò prima che lo sappiano le alte sfere."

“Dovrebbero essere licenziati in tronco! Brutte teste di ca...”

“Tenou, basta. Non essere triviale o Michiru se la prenderà con me. A proposito passamela, la vorrei salutare.” Disse cercando di direzionare la conversazione su frequenze più dolci.

La bionda guardò distrattamente l'ora e per qualche istante ebbe come la sensazione che il tempo si fosse in qualche modo dilatato. Erano quasi le 20.

“In verità capo... Ma sono le 20?” Chiese continuando ad avvertire una sorta di buco temporale nelle previsioni celebrali che si era fatta dopo aver letto il messaggio della compagna.

“Perchè, non è a casa?” E il tono improvvisamente preoccupato registrato nella voce del suo superiore allarmò anche lei.

Dovrebbe essere già qui da più di un'ora. Pensò mentre lui le consigliava di chiamarla.

“Haruka non agitarti, ma so dai ragazzi che sono appena tornati dal pronto soccorso del San Giovanni, che ci sono stati parecchi incidenti stradali questa sera. Chiamala, perchè magari è ancora bloccata nel traffico.” Ma sapevano entrambi che se fosse stata realmente quella la causa del suo ritardo, lei avrebbe quantomeno avvisato.

Haruka non perse tempo, rigraziò l'uomo, lo salutò e settò il numero di Michiru. Suonò libero, ma nessuna risposta. Al partire della segreteria la bionda attaccò fissando lo schermo fino a vederlo offuscarsi diventando nero. Una decina di secondi e si riaccese facendo comparire il numero e l'immagine sorridente della compagna.

Sospirando di sollievo rispose pronta ad una ramanzina memorabile. Lei e le sue enormi borse fagocita tutto.

“Ce ne hai messo per rispondere! E poi mi prendi in giro perché porto sempre tutto nelle tasche.” Sfottè sorridendo aspettandosi moine dolci e compassionevoli che però non arrivarono. Dalla parte opposta una voce femminile, ma del tutto sconosciuta.

“E' la signora Haruka?”

“Michi?”

“No, guardi, sono spiacente. Qui è il pronto soccorso dell'Ospedale Regionale di San Giovanni di Bellinzona. Mi è apparso il suo nome come riferimento famigliare."

“Si..., ma... cos'è accaduto a Michiru?”

“La signora Kaiou ha avuto un incidente d'auto. Se si trova in città farebbe meglio a venire subito.”

Una pugnalata le avrebbe fatto sicuramente meno male.

 

 

Il cellulare squillò proprio sopra la sigla del primo telegiornale della sera. Giovanna sbuffò aspettandosi la classica telefonata pubblicitaria pre cena ed abbassando la fiamma del gas controllò da quale parte del paese arrivasse. Si sentiva di umore nero, pseudo depressa ed un tantino ignorante. Una condizione che dalle rivelazioni di Michiru non accennava ad abbandonarla. Perciò povero chi avesse trovato dalla parte opposta.

Nord o sud? Vediamo da dove mi chiamano per scassarmi i “così detti”! Pensò leggendo sotto al numero sconosciuto il nome della città di provenienza.

Bellinzona? Ma che c'entra la Svizzera adesso. E non essendo Michiru, stava per riattaccare quando una sorta di sesto senso le spinse il dito sul verde invece che sul rosso.

Attese un paio di secondi e non sentendo nessuno si decise a parlare. - Si? - Dall'altro capo solo un respiro affannoso, poi una voce, roca, profonda, una voce che aveva avuto modo di sentire una volta, una volta soltanto, ma che l'era entrata dentro come se ci fosse sempre stata.

“Giovanna?” E l'altra riconobbe in quel timbro sua sorella.

“Haruka?!”

“Giovanna... “ Il silenzio. Solo un nome, ma carico di un'angoscia talmente pesante d'avere il potere di lacerarle l'anima come se fosse stato urlato.

“Haruka che hai? Che è successo?!”

“... È per Michiru..., Giovanna... ti prego... aiutami.”

“Haruka che cos'è successo a Michiru? - Ma non avendo risposta provò a mantenere la calma. - Haruka... Dimmi che succede!”

E mettendosi seduta al tavolo della cucina, ascoltò la bionda per poi aprire il computer ed acquistare al volo il primo biglietto utile per la Svizzera. Meno di un'ora dopo era alla stazione centrale su un treno in partenza per Bellinzona.

 

 

Cinque ore e mezza. Tanto era durato l'interminabile viaggio che l'aveva portata in Svizzera e per tutto il tempo aveva avuto modo di pensare, rivivendo la conversazione avuta con una bionda in preda al panico. Parole dette ed ascoltate, ritmi concitati e, soprattutto, tanti silenzi. L'angoscia di Haruka, tangibile, che aveva spinto Giovanna ad afferrare uno zaino per riempirlo di cose prese a caso mentre aspettava il taxi che l'avrebbe portata alla stazione per prendere l'ultimo treno utile della giornata. E durante l'andare inghiottito dal buio illuminato solamente dalle sporadiche luci del vivere di altre persone, nel silenzio del suo posto, aveva cercato con il cellulare il sito del Comune di Bellinzona trovandone le news, scoprendo così che a causa del ghiaccio, quel pomeriggio c'erano stati quattro incidenti, due dei quali gravissimi. Uno di un uomo e l'altro di una donna. Entrambi deceduti all'ospedale dov'era stata ricoverata Michiru.

Non è possibile! - Aveva continuato a ripetersi come un mantra esorcizzante. - Questo è un incubo. Non può stare succedendo davvero.

Giovanni non amava viaggiare da sola, per di più la notte. Non che avesse particolari paure, ma essendo figlia del suo tempo cercava per quanto possibile di evitare di infilarsi in situazioni rischiose o potenzialmente tali. Così arrivata in una sorta di tundra gelida completamente sconosciuta e soprattutto deserta, abbassò la testa evitando di guardarsi troppo intorno. Quando scese sulla banchina venendo investita da un vento maligno, si strinse nella giacca e portandosi la sciarpa fin quasi sopra le orecchie, chiese al primo addetto dove trovare dei taxi e vedendosi indicare la piazzola fuori dalla porta secondaria della stazione, vi si diresse sentendo il ghiaccio scricchiolarle sotto le suole dei suoi scarponcini. Trovate le macchine, ma non gli autisti, si infilò dentro l'unico bar aperto dove un benedetto tepore stava riscaldando alcune persone. Scannerizzando rapidamente andò alla cassa chiedendo ad un uomo baffuto se avesse potuto aiutarla.

“Buonasera. Ho urgenza di arrivare all'Ospedale Regionale. Potrebbe aiutarmi per favore. Qui fuori vedo dei taxi, ma...”

“Con questo tempo non troverà nessuno disposto a guidare, signora. Ma lo sa quanti incidenti ci sono stati in città oggi?”

A Giovanna mancò la voce per un momento. Incidenti! Lo sapeva. Lo sapeva bene.

Michiru ha avuto un incidente... mentre stava tornando a casa. Sono al pronto soccorso, ma... non so ancora come stia. Non mi dice niente nessuno. Pare che... ci siano dei... decessi.

Il ricordo della voce rotta di Haruka la scosse. “Lo immagino, come immagino che visto l’ora e tutto il ghiaccio che c’è per strada, mettersi alla guida sia appunto molto pericoloso, ma vengo da Roma proprio perchè una mia parente è stata coinvolta in uno di loro. La prego...”

L'uomo cambiò drasticamente espressione e lei avvertì il cuore sobbalzare.

“Ah, capisco.” Disse spostando rapidamente lo sguardo dagli occhi di lei a quelli di un ragazzo poco lontano che aveva ascoltato tutto nel mentre di una degustazione mangereccia.

“Dai. Datti una mossa. Hai sentito la signora? Accompagnala con la tua macchina.”

“Ma papà!”

“Ho detto di darti una mossa! Finirai di mangiare dopo. Lo dico io a tua madre. - Poi rivolgendo un sorriso a Giovanna le augurò il meglio. - Il pronto soccorso è a meno di venti minuti da qui. Stia tranquilla. Arriverete subito.”

“Lei è un angelo, grazie. Grazie mille.” Sorrise seguendo il ragazzo fuori dal bar.

 

 

Stava continuando a tremare e non capiva il perchè. Forse per il freddo, la tensione, la stanchezza del viaggio, per Michiru o per Haruka, che aveva cercato appena entrata al pronto soccorso non trovandola. Giovanna era ferma ora davanti al banco delle accettazioni, spalleggiata da uno degli sguardi più pietosi e succubi del suo repertorio, ma trovandosi di fronte un muro di zelo, molto probabilmente avrebbe dovuto far meglio di così.

“La prego infermiera. Io devo sapere qualcosa.”

“Mi dispiace, ma fino a quando non scenderà il medico di guardia non sono autorizzata a dire niente a nessuno.”

Si..., lallero. “Ma sono una parente. Per favore...” Controbatè gettando il carico da novanta.

“Non insista signora. Neanche all'altra donna abbiamo potuto dire nulla.”

Altra donna?! Allora Haruka è qui! Immaginò voltandosi di tre quarti per guardare una ad una tutte le sedie presenti nella sala.

“Può dirmi almeno se l’altra donna è ancora qui?”

L’infermiera controllò allora la sala con un rapido movimento degli occhi alzando poi leggerne le spalle. “Non saprei. Però c’è un’altra sala di là. Può controllare li.” E quando all’altra fu indicata una stanza più piccola in fondo ad un breve corridoio, la sentì masticare un grazie.

Ridicolo! Neanche fossimo alla NASA, pensò Giovanna issandosi lo zaino sulla spalla.

In quel secondo ambiente faceva più freddo e non c'erano persone, salvo che per un ragazzo che se ne stava a capo chino seduto su una sedia posta vicino ad un grande termosifone in ghisa. Giovanna lo guardò per un attimo e mentre stava per ritornare alla reception, ne notò il colore dei capelli. E fu proprio quel colore a bloccarla iniziando a farle galoppare il cuore. Un biondo dorato, che aveva già visto. Non capacitandosi di quello che il suo istinto già sapeva, si avvicinò di qualche passo. Il ragazzo aveva la schiena curvata in avanti e si teneva la testa con le mani. Non poteva vederne il viso. Aveva i capelli corti ed in quella posizione, con un giubbotto invernale nero calzato addosso, non riconosceva nulla di lei, nulla, tranne il colore di quegli splendidi fili d'oro.

“Haruka.” Un sospiro appena percepibile.

Continuò ad andare verso di lei fino ad esserle vicinissima, tanto vicina che avvertendone la presenza l'altra alzò la testa.

Oh Haruka, pensò inginocchiandosi mentre le porgeva un leggerissimo sorriso posandole le mani sulle ginocchia. Ora si. Ora sapeva chi fosse; la sua sorellina spacca culi, bellissima, come nelle foto dell'album di Michiru, ma con uno sguardo talmente perso che Giovanna fece un sforzo enorme per non stringersela al petto.

“Sono qui.” Disse accorgendosi di quanto fosse basso il timbro della sua voce e sfiorandole con l’indice della sinistra il collo ormai privo dei capelli lunghi, ammise il suo scarso spirito di osservazione.

“Non ti riconoscevo, scusa.”

“Sei venuta...” Sussurrò incredula l’altra.

“Certo che sono venuta.”

Haruka la guardò incatenandole gli occhi addosso. In un istante quella che sapeva essere sua sorella maggiore, il sangue del suo sangue, non appariva più buffa o assurda, ma matura e determinata, un'ancora, che era accorsa quando lei aveva creduto di stare perdendo il suo mondo, quando si era scoperta vulnerabile all'attacco, non di una malattia, ma di un hackeraggio ben più violento, perchè tra infermieri e dottori che andavano e venivano, ambulanze ed altri parenti sconvolti quanto lei, aveva ceduto per un attimo alla disperazione. Ed in quel momento aveva composto il suo numero non sperando in tanto.

“Sei venuta...” Ripetè piano come a volersene dare conferma, ed allo sguardo dolcissimo che Giovanna le donò come risposta, si sentì come liberata da un macigno. Non la odiava, non l’aveva mai fatto, ed anche se aveva creduto alla storia raccontatale da Michiru, forse, sotto sotto, Haruka si sentiva ancora la stessa ragazza sofferente che si era portata addosso per mezza vita una colpa che non le era mai stata affrancata.

“Haruka dimmi, da quanto tempo sei qui? - Chiese allarmata dal suo stato di tensione. Era un pezzo di ghiaccio nonostante avesse accanto un termosifone a diciotto elementi. - E soprattutto, da quanto non ti aggiornano?”

L'altra scosse la testa vinta. “A una come me le notizie non si danno. Non sono una parente. Non siamo sposate ed anche se lo fossimo...”

Non sapeva come stesse, a quali cure fosse sottoposta la sua indomita, dolcissima, dittatoriale dea, ed ogni volta che aveva provato a chiedere qualcosa, si era ritrovata a camminare a ritroso sui propri passi. Adesso capiva cosa avesse provato Michiru per tutto il tempo della sua permanenza in clinica. Lo smarrimento dell'impotenza. Insopportabile.

Improvvisamente la bionda puntò l'attenzione al corridoio. “ E' lui.” Disse rivelando che si trattava del medico che aveva preso in cura Michiru. L'uomo guardò entrambe per poi dirigersi verso l'accettazione.

”Stronzo...” Mastico’ amaramente Tenou mentre la sorella facendo leva sulle sue gambe tornava lentamente eretta.

”Ci penso io.” Sospirò capendo dall'occhiataccia quasi schifata riservata loro che avrebbe dovuto fare la bastarda per ottenere qualcosa.

Pronta! “Mi perdoni. - Disse mentre ne attirava l'attenzione avvicinandosi con sicurezza. - Sono la sorella della compagna della signora Michiru Kaiou e gradirei sapere come sta.”

Cartellina alla mano guardò prima lei e poi Haruka. “Come ho già detto a sua sorella, per qualunque informazione in merito deve aspettare domani mattina, quando arriverà il responsabile del reparto.”

“Ma il medico ora... è lei.”

“È la prassi, signora.”

“E nel frattempo non le dite in quali condizioni versi la compagna?” Inquisì muovendo leggermente il mento per indicare Haruka ormai alle sue spalle.

“La... COMPAGNA non è una parente di sua sorella, signora e questa struttura non è autorizzata a rivelare informazioni tanto riservate a... chi che sia.”

A chi che sia e Giovanna partì a tromba e questa volta non ci sarebbe stata la dottoressa Kaiou a fermarla.

Sbattendogli praticamente addosso lo guardò usando un tono di voce pacato, cercando di scandire al meglio le parole, così che fosse ben chiaro a quell’ignorante titolato con quale animale cornuto si stesse per scontrare.

“Adesso apra bene le orecchie brutto omofobo del cazzo. Se non mi dice immediatamente come sta la signora Kaiou, mi vedrò costretta a chiamare i miei legali, che saranno ben lieti d'intentare una causa contro di lei e tutta la garula struttura per la quale lavora con tanta dedizione.”

Un passo indietro di lui. “Non ha capito signora. Non è nella posizione di pretendere niente da me e badi a come parla. Non mi minacci.” Si difese.

“No, è lei che non ha capito dottor...- lesse il cognome sul cartellino. - Altieri. La vede questa donna? Bene, deve sapere che ha subito un trapianto di midollo neanche due mesi fa. Adesso, segua bene il filo logico dei miei pensieri: secondo lei cosa direbbe il Professor Dottor Daniel Kurzh, uno dei più stimati professionisti elvetici, nonché primario della clinica oncologica di Zurigo, nel sapere che la sua fantasmagorica struttura ha tenuto una sua assistita per più di sette ore, in un ambiente non protetto, a rischio di infezioni e al freddo? Per non parlare dei giornali della città, che sarebbero ben lieti di grufolare scandalisticamente sulla notizia che lei, scientemente ed aggiungo anche godendone, non abbia ritenuto umano e necessario tenere informata mia sorella sulle condizioni della sua compagna, solo perchè non è... una sua parente?!” E nel dirlo Giovanna mimò con le dita di entrambe le mani le virgolette come a volergli suggerire qualcos'altro.

Lui guardò Haruka e lei lesse in quello sguardo un lampo di paura.

“Non c’è bisogno di...”

“Allora? Stiamo aspettando..., dottore.”

Ancora qualche secondo di stallo, poi il camice bianco cedette. “La signora Kaiou è stata molto fortunata. I sistemi di sicurezza dell'abitacolo l'hanno protetta. Ha riportato l‘incrinatira di due costole e della clavicola sinistra. Le è stata riscontrata una leggera commozione cerebrale, ma ora sta riposando e lo farà ancora per parecchie ore. Credo che se il collega del reparto sarà d'accordo e non subentreranno complicazioni, potrà essere dimessa tra un paio di giorni.”

L’energia nervosa delle due donne scemò di colpo. Visto imbecille che non era poi tanto difficile? Avrebbe voluto dirgli, ma Giovanna si limitò ad un gesto con il capo, un sorriso quasi sardonico ed un grazie.

Con un moto di stizza ed una faccia imbronciata da bambino offeso lui si congedò allontanandosi rapidamente.

“Che testa a vongola... - Soffiò grattandosi la fronte più che soddisfatta della sua performance. - Un tipino veramente fastidioso, per usare un eufemism...

Si bloccò. Il tocco della mano di Haruka nella sua. Una stretta, reciproca e profondissima. Fu scioccante, incredibile ed intenso. Prendendosi qualche secondo restarono immobili.

“Non mi piace attaccar briga così, ma avrebbe potuto essere più rispettoso e soprattutto... meno stronzo. - Cercò di stemperare. - Adesso andiamo a casa, Haruka. Non devi stare in un posto simile. Hai le mani gelate.” Consigliò guardando verso un punto anonimo della sala sentendo il contatto sciogliersi improvvisamente.

“Io non mi muovo di qui!” Minacciò ancora non del tutto convinta di lasciare definitivamente andare la grande paura avuta.

“Guarda che non stavo bleffando. Streptococchi, stafilococchi e chissà quali altri milioni di cocchi... Davvero gli ospedali sono i posti più ricchi di germi ed infezioni del pianeta. Michiru sta dormendo e non c'è motivo di rimanere a giocare alla roulette russa. Torneremo domani mattina. - Ci pensò su un attimo. - Che poi sarebbe tra qualche ora.”

L'altra respirando profondamente chiuse gli occhi, poi dandole una pseudo ragione si incassò le mani nelle tasche incamminandosi verso l'uscita. Roteando gli occhi Giovanna iniziò a capire cosa avesse ricevuto in sorte; una sorella testarda si, ma non stupida.

“Certo è che sarà una vera impresa con tutto il ghiaccio che c'è per strada. Abitate fuori città, vero?”

“Giovanna...”

“Si?”

Voltandosi sfoderò un sorriso sghembo degno di una batteria di schiaffi. “Sono una pilota professionista...”

"Mmmmm, ok.”

 

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Capitolo 18
*** I pensieri dell'alba ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

I pensieri dell'alba

 

 

Sei un'idiota! Si, sei proprio un'idiota. Ma che cosa diavolo ti è saltato in mente! Perchè ti sei andata ad impelagare in questo casino, Tenou!?

Haruka si rigirò tra le lenzuola per l'ennesima volta e per l'ennesima volta non potè che chiedersi del perchè, pur in preda ad una crisi, avesse composto il numero di telefono di quella donna e si fosse sfogata con lei. Continuava a ripetersi che nulla le legava, che il sangue che le univa era una pura e semplice questione biologica, che sarebbe stata in grado di fronteggiare quell'emergenza da sola, senza il bisogno di una "sorella maggiore", ma la verità delle cose era un'altra e stava nel fatto che Giovanna Aulis stesse dormendo beatamente nella sala da pranzo.

E tutto mi sarei immaginata tranne che vedermela comparire davanti. Neanche abitasse dietro l'angolo!

Tornando a fissare il bianco del soffitto la bionda si portò un avambraccio sotto la nuca. Da quando aveva reso partecipe Michiru del rapporto che aveva riallacciato con il padre e quello che quest'ultimo le aveva fatto credere sulla sorella, era vissuta in bilico tra la voglia d'incontrarla ed il sacro terrore di essere rifiutata. Haruka Tenou era forte. Haruka Tenou era impavida. Haruka Tenou era un’isola che permetteva solo ad una persona di avvicinarsi. Proprio così, perchè da anni erano solo lei e Michiru e solo alla compagna era riuscita ad aprire il cuore e a manifestarle il suo vero io. Mentre ora era bastata un'emergenza a farle saltare tutte le certezze consolidate negli anni.

Vero era che in quella notte Haruka fosse stata fuorviata a vedere il peggio dalle circostanze, ma aveva perso il controllo. Aveva assistito al riempirsi del pronto soccorso in poco meno di due ore, con casi appartenenti a tutti i livelli di criticità; da femori rotti per cadute ad incidenti stradali. Quello che aveva provato nel lasso di tempo intercorso tra l'aver sentito degli infermieri parlare di una donna dall'apparente età di Michiru estratta in gravissime condizioni da una macchina bianca ed il nome di colei che poi aveva perso la vita comunicato al marito seduto proprio accanto a lei, l'aveva colta totalmente impreparata. Per un anno era sempre stata lei quella bisognosa di cure, quella in pericolo di vita e la compagna invece quella in attesa, spesso lasciata per forza di cose fuori dalla porta, relegata al ruolo molto performante e logorante, di colei che ascolta, gestisce i ritmi, sopporta ed incassa. Ora che le parti si erano invertite di colpo, anche se per pochissimo tempo, Haruka aveva preso coscienza dell'ennesimo lato fragile del suo carattere. E questo la imbestialiva.

Non potevo darmi una controllata e prima di farmi esplodere il cervello, aspettare che fossero arrivati i dottori a ragguagliarmi? No... Io no! Io parto in quarta senza una meta, schiantandomi contro il primo muro utile! Bene. Brava Tenou.... sette più... Ora che cosa cazzo t'inventi?!

Per di più si era fatta difendere di fronte all'ignoranza di quel dottorino come se fosse stata incapace di farlo da sola.

Ho sempre combattuto questo tipo di battaglia senza l'aiuto di nessuno. Mi sono rammollita! Si toccò la cicatrice al braccio sinistro che le avrebbe sempre ricordato di non vergognarsi mai di esprimersi a modo suo.

Michiru lo avrebbe fronteggiato nello stesso modo. Ammise.

Nuovamente sul lato destro in cerca della sagoma mancante della sua dea. Le avranno dato tanta di quella roba da stendere un cavallo, pensò accarezzando il cuscino sapendo per esperienza quanto dolore provocassero le crinature alle costole.

E con Giovanna cosa faccio adesso? Non sono abituata ad avere gente per casa. Ad avere ospiti. Di queste cose se ne occupa Michi. O porcaccia di quella miseria schifa. Ferma con quelle dita! Dovevo stare ferma e pensare, invece che agire d'istinto come al mio solito...

Haruka afferrò con frustrazione la camicia da notte della compagna portandosela al viso. No, non era proprio abituata ad avere gente per casa. Una volta solcata la porta d'ingresso, se fosse stata da sola avrebbe sfogato tutta la tensione prendendo a pugni il muro per poi piangere sopra a tutto, dolore alla mano incluso e nell'immediatezza avrebbe sicuramente afferrato il sonno. Già fatto altre volte. Già vissuto. Ma con quella donna dietro alle spalle non aveva potuto far altro che togliersi giacca e scarpe, mettersi le pantofole e darle quelle di Michiru, prepararle il letto, indicarle il bagno e via, in camera sua. Sonno zero. Pensieri mesciati a caso. Tenou... persa.

Perchè non mi dai mai retta, amore mio!? Te l'avevo detto che saresti dovuta tornare questa mattina, ma tu niente. Sempre la solita.. - Rimproverò sentendosi un groppo alla gola. - No,... la colpa è mia! Avrei dovuto impormi. Essere irreprensibile. So come fare per farti desistere. Per farmi dare retta.

Haruka andò avantì così per un tempo indecifrato, rimuginando alternativamente su Michiru e Giovanna, fino a quando, all'alba, il corpo, mente inclusa, decise di spegnere l'interruttore e la bionda crollò per un paio d'ore.

 

 

Giovanna cacciò fuori la testa dalla trapunta guardando la struttura del caminetto spento davanti a lei. I lampioni del parcheggio condominiale donavano alla notte sufficiente luce da rendere tutta la sala da pranzo a tinte grigie, ma visibili. Non era riuscita ad addormentarsi subito e quando lo aveva fatto era stato per brevissimo tempo, presa dall'agitazione e da una fame atavica che la stava portando ora ad uscire dal guscio caldo delle coperte per rovistare nel suo zaino in cerca di viveri d'emergenza. Due pacchetti di cracker ed una banana che aveva afferrato gettandoli in mezzo ai cambi dopo aver abbandonato l'acqua per la pasta sui fornelli ormai spenti. Aveva ipotizzato che sul treno sarebbe riuscita a consumare la sua frugale cena, ma attaccata dall'ansia non ci aveva neanche pensato. Una volta arrivata alla stazione era stato tutto così veloce che francamente non aveva certo sentito la necessita' di riempirsi lo stomaco. Poi l’incontro con Haruka ed il sentirsi ancora frastornata. Una volta riuscite ad arrivare a casa sane e salve, l’altra le aveva indicato il bagno, dato gli asciugamani, preparato un letto di fortuna sul divano ed era andata stravolta in camera mollandola da sola.

Così Giovanna non aveva potuto far altro che spogliarsi, mettersi il sotto della tuta, la t-shirt, usufruire del bagno padronale, che poi era quello di Michiru e ficcarsi tra la flanella delle lenzuola sperando che la stanchezza facesse il resto. Ma che! Ora, mani dentro lo zaino, stava cercando ossigeno per alleviare i crampi di uno stomaco ormai vuoto da più di quindici ore.

“Ma che cavolo. Dov'è?” Disse a mezza voce squassata da un brivido di freddo. E si, ne avevano preso parecchio per tornare a casa.

Scusa, ma non posso mandare in circolo troppa aria calda. La macchina è stata ferma per mesi. Ho paura di sforzarla troppo e se dovesse abbandonarci ora... sarebbero guai.” Le aveva detto una bionda concentratissima salendo a passo d'uomo lungo la strada. Giovanna non aveva fatto altro che darle ragione non potendo non notare quanta padronanza nella guida stesse dimostrando.

Però, ci sai fare!”

Te l'ho detto; sono una pilota professionista.” Le aveva sorriso con imbarazzo.

Imbarazzo che era rimasto in Haruka e se possibile, si era dilatato esponenzialmente quando avevano lasciato il box per andare a prendere l'ascensore.

Vedrai, la casa è calda.” Aveva cercato di stemperare notando i vestiti poco pesanti dell'altra, puntando poi lo sguardo prima alla pulsantiera ed infine al linoleum grigio steso a terra. Chi l'avrebbe mai detto che la grande Tenou sarebbe rimasta in assenza di parole in presenza di una donna.

Ed in effetti Giovanna aveva trovato quella casa decisamente calda ed accogliente, accorgendosi subito che tutto all'interno di quelle quattro mura arredate con semplice eleganza parlava delle proprietarie. Dal casco di Haruka lasciato accanto alla porta, al paio di guanti di Michiru poggiati con ordine sopra la consolle dell’ingresso. Aveva sorriso iniziando a sbottonarsi la giacca mentre la bionda le porgeva le pantofole.

Prendi pure quelle di Michi. Ne abbiamo sicuramente un paio per gli ospiti, ma in tutta onestà non saprei dove cercare.” Riecheggiò nei vividi ricordi appena formatisi.

Sospirando Giovanna guardò la porta chiusa della camera da letto fermando per un istante la sua ricerca. Sei scappata da me alla velocità della luce., pensò con un pizzico di rammarico.

Che pretendevi Aulis? Momenti catartici fatti di baci e abbracci? Bella faccia tosta tu che per prima non hai fatto altro che fartela sotto da quando hai saputo di lei. E certo, ne avevi ben donde. Ma hai visto che tipo è? Che occhi ha? Quanto può essere figa? Ritieniti soddisfatta di essere riuscita a farla schiodare dalla sala d'aspetto e prega Dio che non abbia una ricaduta... E cerca sta benedetta banana o non arriverai alla prossima ora, si schernì sbuffando per tutta quella situazione che, come a sua insaputa aveva apostrofando anche la bionda, appariva in tutto e per tutto un gran guazzabuglio di liquame.

Michiru, benedetta ragazza. Appena ti vedrò te ne dirò talmente tante che sarai costretta ad offrirmi pizze per il resto dei tuoi giorni.

“Pizza...” Mugulò prima che la mano andasse a toccare qualcosa di freddo, viscido ed appiccicaticcio.

“Ma porca di quella puttana lurida schifa... Che casino!”

 

 

Aprì gli occhi infastidita dalla luce al neon, mentre una giovane donna vestita di blu scuro con un il camicie bianco le stava sorridendo.

“Bene signora Kaiou, vedo che si stà svegliando. Come si sente?”

In effetti non si sentiva male. Aveva solo un senso di vertigine ed un gran mal di testa.

“Sono la dottoressa Colarossi e sono il suo medico. E' stata ricoverata all'ospedale Regionale di San Giovanni, ieri sera, dopo che la sua macchina è stata coinvolta in un incidente.”

“Un... incidente?”

“Si. La Polizia Municipale ci ha riferito che mentre stava transitando ad un incrocio, un'altra auto scivolando sul ghiaccio, l'ha presa in pieno sul lato passeggero. Grazie al cielo, altrimenti non avrebbe solo... – diede una rapida occhiata alla cartella che stringeva al petto. - ... la clavicola sinistra e la settima ed ottava costola crinate.”

“Ho male alla testa.” Disse accorgendosi di stare leggermente farfugliando. Aveva la bocca impastata e le sembrava che dal corpo illuminante posto al centro del soffitto provenisse un fastidiosissimo ronzio.

“Ha riportato anche un leggero trauma cranico. Le abbiamo somministrato degli antidolorifici. Stia tranquilla. Voglio tenerla in osservazione, ma ritengo che tra due giorni al massimo potrà essere dimessa.”

“Haruka. Devo avvisare Haruka.” Ma quando fece per muoversi una fitta dolorosa le mozzò il fiato.

“Non cerchi di muoversi. Ha un ematoma sternale piuttosto vasto. Per almeno altre cinque o sei ore gradirei che provasse a stare ferma il più possibile. Posso chiederle che è Haruka?”

“La mia compagna.” Rispose riparandosi con la mano destra gli occhi del neon.

“Ho capito, allora credo di sapere come aiutarla.” Spento l'interruttore, la dottoressa lasciò che la luce del primo mattino entrasse nella stanza per poi tornare a guardarla indicando il comodino accanto a lei.

“Tra i suoi oggetti personali la polizia ha ritrovato anche il telefono, i documenti, il portafoglio e la sua borsa. Vede, sono tutti qui. Ed ecco il cellulare. Può usarlo per chiamare la sua compagna, anche se credo fosse qui questa notte. Nella sua scheda è stato registrato un parente.”

Come qui!, si disse prendendolo.

“Chiami se desidera sentirla, ma la prego di non sforzarsi.” Con l’aiuto di una cannuccia l’aiutò a bere qualche sorso d'acqua e congedandosi la lasciò sola.

Michiru controllò le telefonate ricevute, ed in effetti una di Haruka risalente alle 20 della sera precedente c'era. Come anche una in uscita. Non capisco. Si sentiva confusa. Poi andò ai messaggi e qui tutto le fu più chiaro.

Una quindicina di sms da parte di una Haruka prima disperata, poi solo agitata, poi più tranquilla, poi rassicurante sul fatto che era riuscita a tornare a casa nonostante le strade. Socchiudendo gli occhi Michiru innescò la telefonata come una delle sue solite bombe.

 

 

Io non ti capisco Haru. Non vedo perchè tutta questa confusione. Ammetti di volerla conoscere e falla finita.”

Mattias seduto sul pontile tornò a guardare le onde del lago dondolando i piedi nel vuoto.

Tu la fai sempre troppo facile Matty. Lo hai sempre fatto. Prima perchè eri un ragazzino, ora perchè sei... che cos'è che saresti poi?”

Chinando la testa da una parte sorrise lui dolcemente come sempre. “Se non me lo dici tu, io che ne so.

“Giusto. Con molta probabbilità un grillo parlante rompiballe.”

Allora essendo il tuo grillo debbo avvertirti che facendo così non arriverai a nulla. Lei se la sta facendo sotto quanto se non più di te e se non vuoi che scappi, datti un freno e stalla a sentire.”

Haruka si distese mani dietro la testa imitandolo nel lasciare le gambe penzolanti dal pontile. Perchè si ritrovassero sempre davanti a quel lago poi. Sentiva il legno scaldato dal sole emanarle tepore lungo tutta la schiena ed una pace ed una serenità sconvolgenti.

Che vuoi che debba dirmi una che neanche mi conosce?”

Tanto non ti conosce che era davanti a te in sala d'aspetto, accanto a te in macchina e ora sta dormendo a dieci metri dal tuo letto. Per non parlare che il midollo che non volevi Haru, è il suo.”

Lei sospirò sapendo che stava dicendo cose giuste, ma che era anche tutto più complicato di come lo facesse apparire lui. ”E che dovrei fare, sentiamo.”

Nulla di troppo difficile. Lei è più grande e prenderà l'iniziativa. Lasciala fare.”

Non sono brava in queste cose Mattias.”

E' per questo che ti ho detto di lasciare fare a lei, tonta. E poi ad aiutarvi ci sarà Michiru. A proposito Haru, è ora che ti svegli.”

Come?”

Svegliati...”

 

 

Haruka spalancò gli occhi perdendo momentaneamente il ricordo di quel sogno e tutti i buoni consigli che vi erano contenuti. Al riconoscere “this love”, la suoneria di Elizabeth Frazer e Craig Armstrong, che aveva scelto per Michiru, una botta di adrenalina le vergò le tempie facendola scattare a sedere. Afferrando il cellulare sul suo comodino rispose pregando che non fossero altre brutte notizie.

“Michi?”

Una voce flebile e calma. La sua. “Ruka.”

Inginocchiandosi sul materasso l'altra chiuse gli occhi beandosi di quel tono. “Amor mio, come stai?”

“Io bene, tu piuttosto.” Chiese lentamente facendo un po' fatica a tenere gli occhi aperti.

“Io? Non sono stata io a fare il botto con la macchina, sai?”

“Mi sono venuti addosso. Almeno così dicono, perché francamente... non ricordo nulla.”

“Tu non puoi immaginare che paura ho avuto. A causa del ghiaccio, ieri sera per la città c'è stato il delirio.”

“Ed è per questo che ti sei messa alla guida venendo all'ospedale?!” Bacchettò più inquietata che sorpresa.

“Allora hai letto i miei messaggi.”

“Pochi istanti fa e... devo dirti che sono... arrabbiatissima con te.” Borbottò stropicciandosi un occhio.

Inarcando le labbra l’altra si strinse nelle spalle provando una tenerezza infinita. “Michiru è mattina presto. Torna a riposare. Verso le dieci verrò a trovarti.”

“Non ci provare Ruka. Non voglio... E' pieno di germi... qui.”

“Si, Michi mia. Si... Come vuoi. Ma ora dormi un po'.”

“Mmmm. Mi stai... prendendo in giro.”

“Buon riposo amore.”

Michiru cedette ai farmaci tornando a sprofondare nel sonno mentre Haruka chiudeva la telefonata con un sorriso raggiante stampato sul viso.

Dio mio ti ringrazio, sta bene. Pensò scendendo dal letto infilandosi il sotto della tuta e le pantofole. Andò verso la porta non badando al fatto che Giovanna stesse dormendo nella sala da pranzo, anzi, non ricordando proprio che fosse in casa forzo’ con vigore sulla maniglia e quando uscendo come un treno se la vide in piedi davanti alla porta finestra, ci mancò poco che cacciasse un urlo. L'altra se ne stava ferma come una statua con il naso appiccicato al vetro della portafinestra ad osservare un qualcosa, come se avesse visto un miracolo, una magnificenza, una delle sette meraviglie del mondo.

La bionda le fissò per qualche secondo le spalle, poi la vide voltarsi verso di lei con lo sguardo incredulo. “Haruka.”

“S... Si?...”

“Nevica!”

E Tenou dovette arrendersi all'evidenza di un cuore ormai sanato. Fu in quel preciso istante, guardando quegli occhi pieni di stupore mediterraneo, quella cristallina sincerità tanto rara nelle persone della loro età, che accettò Giovanna nella sua vita, perdonando Sebastiano ed iniziando ad azzerare la paura ed il disagio che quel rocambolesco incontro le aveva gettato addosso. Mettendo le mani nelle tasche della tuta le andò vicino.

“E si. Ne sta facendo parecchia. Ti piace la neve?” Chiese a bruciapelo improvvisamente curiosa.

“Da morire, ma purtroppo da noi non nevica spesso. Giusto qualche spolveratina ogni tanto. Sai, credo che l’estate sia sopravvalutata, ma quando lo dico mi prendono per pazza.

“Non dirlo a me... Comunque anche qui a Bellinzona nevica poco, ma quando lo fa..., ne fa da goderne. - E si sentì stranamente contenta di quella prima affinità fraterna. Così continuò. - E sciare?”

Vedendola asserire convinta con la testa gonfiò il petto soddisfatta. “Le temperature devono essersi alzate di colpo. Se vuoi dopo ti porto a fare... un angelo di neve.”

“Un angelo di neve? - Inquisì Giovanna guardandola con sospetto prima di comprendere. - Ma che fai Tenou, prendi per il culo?”

L'altra scoppiò a ridere grattandosi la testa. “Va bene. Va bene.”

“Non è carino sai?” Continuò nello scherzo. Era bello vedere Haruka così, mentre la barriera d'imbarazzo e leggera ostilità l'abbandonava per far spazio ad una cordialità ed una serenità fino a quel momento sconosciute.

Di rimando la bionda si prese qualche secondo per osservarla meglio di quanto non avesse fatto la notte precedente, constatando quanto Giovanna assomigliasse al padre e quanto stranamente, non le desse fastidi di nessun tipo, poi dirigendosi verso la penisola con il preciso intento di preparare una buona colazione, l’aggiorno sulle condizioni della compagna. “Ho appena sentito Michiru.”

“Come sta?”

“Abbastanza bene. Solo un po’ frastornata, ma sufficientemente in forze per puntualizzare quanto la mossa di andare all’ospedale sia stata a suo dire, stupida.”

Giovanna strinse le labbra divertita, ma non si sentì di infierire.

“Ascolta, mi sono resa conto solamente all'alba di non averti offerto nulla da mangiare. Perdonami, ma non mi ci ritrovo a fare la padrona di casa. E se ti fossi chiesta del perché ti abbia fatto dormire su un divano che non è neanche un letto invece che nella camera la in fondo, sappì che è il laboratorio, nonché regno incontrastato, della dottoressa Kaiou.” Rivelò iniziando a rovistare tra i pensili.

“In realtà ero troppo stanca per chiedermi qualcosa, ma visto che è stato tirato in ballo il cibo... Credo che avrò bisogno di un aiuto, perché quello che avevo portato da casa è esploso suicidandosi sulle mie magliette pulite.” Giovanna prese lo zaino abbandonato accanto al camino ed avvicinandosi agli sgabelli della penisola lo aprì rivelando la banana maciullata in tutta la sua drammatica magnificenza intestina.

Aggrottando la fronte la bionda storpio’ le labbra alquanto schifata. “Ma che gli hai fatto? Ti ci sei seduta sopra?”

“Probabile...”

“Va bene, non è un problema. Ti presterò qualcosa di mio, anche se... Quanto porti di taglia?”

“La S.”

“Ti andrà decisamente grande. Visto il tuo stile non credo che i fronzoli di Michi siano di tuo gradimento, ma fai come credi.”

“Una tua felpa andrà benissimo, grazie.”

“Ok, questo lo posso fare tranquillamente. Poi ci penso io.”

Nel vederla tanto attiva Giovanna sorrise, perché in fondo Tenou non era affatto un dramma cosmico come padrona di casa e di contraltare, L’altra non le chiese del perché si fosse stampata in faccia quella strana espressione simil beota. Anzi, tornando a preparare la colazione la ragguagliò sulla decisione di fregarsene di tutte le raccomandazioni di Kurzh ed andare a trovare Michiru quella mattina stessa. E come il suo “grillo parlante” le aveva suggerito, lasciò che fosse la sorella maggiore a fare i primi passi, notando come fosse non soltanto molto socievole, ma anche benedettamente loquace quando i momenti di silenzio si facevano imbarazzanti. Non parlarono mai di Sebastiano, della sua menzogna o di dove fosse andato a finire dopo aver visto Haruka tagliare i ponti con lui e con quel legame che proprio la figlia aveva tanto insistentemente voluto.

Haruka aveva notato anche come Giovanna fosse molto attenta e rispettosa degli spazi altrui, intuendo ancor prima che lei disponesse le tovagliette a tavola, quale fosse il posto di Michiru ed il suo e sedendosi nell'ultimo rimasto senza dire una parola.

Mangiarono, riordinarono e si prepararono per uscire. Giovanna aiutò a suon di muscoli a spalare la neve davanti alla salita che portava dai box al parcheggio esterno e si misero in auto facendo solamente una sosta da un fioraio.

 

 

Michiru avvertì le labbra calde di Haruka premute sulle sue ed aprì gli occhi assaporandole lentamente. Come una novella Biancaneve guardò il suo bellissimo principe dall'armatura scintillante prima di mollargli uno scappellotto dietro l'orecchio.

" Ai!"

Si, Michi mia... Come vuoi!” Le fece il verso riprendendo l'ultima frase di senso compiuto che era riuscita ad afferrare prima che il sonno la travolgesse come un'onda.

La compagna sorrise massaggiandosi la nuca porgendole l'orchidea blu che aveva nascosta dietro la schiena.

“Eterno come il mio amore e blu come i tuoi occhi.” Le sussurrò perchè potesse sentire solo lei.

Dopo quattro anni quella sfacciata bionda sapeva ancora come farla arrossire.

“Ruka, se per queste tue alzate d’ingegno avrai una ricaduta... Basta, anche solo una linea di febbre e io...” Un altro bacio e le velleità d'attacco di Kaiou vennero del tutto disintegrate. Tenou sapeva sempre come svangarla con lei.

“Non mi verrà nessuna febbre. Come ti senti?”

“Meglio. La testa non mi fa più male e mi hanno assicurata che non mi daranno più nulla che mi offuschi la coscienza. Mi da solo un po' fastidio lo sterno.”

Haruka si sedette lentamente sul bordo del letto. “Mettila così; passerai molto più tempo in piscina a fare fisioterapia.”

“Magra consolazione. Mi hanno detto che il muso della mia povera macchina è distrutto. Costerà rimetterla su strada.

“Ci penserà l’assicurazione, stai tranquilla.

”Per non parlare della pala... Se per qualche settimana non potrò tornare a Roma, cosa dirà il Cardinal Berti?!”

Facendo spallucce l'altra ammise che visto che stava dimostrando di avere una predilezione per lei, lo avrebbe chiamato di persona per raccontargli tutto.

“Si, scherza tu.”

“Senti Michi, visto che stiamo parlando di preti, credo di doverti fare una confessione. Questa notte ero talmente agitata che ho finito per chiamarla. Ti chiedo scusa.” Si disse pentita godendo intimamente della faccia via via sempre più spaventata della sua dea. La sua ingenuità alle volte era disarmante.

“No Ruka. Non dirmi che hai chiamato...”

“Ebbene si.”

“MIA MADRE!”

Facendo una faccia da cane sorpreso in chiesa, la bionda tirò fuori dalla giacca il cellulare. Digitò rapidamente un nome e le passò l'apparecchio con la chiamata innescata.

“Sii carina, mi raccomando. M'è stata tanto vicina in queste ore.”

Michiru si ritrovò il telefono in mano indecisa se frullarlo fuori dalla stanza o cedere a quello che iniziava a sembrarle un'assurdità. Haruka e sua madre? Due persone di un'incompatibilità quasi mortale anche se non si erano mai viste, ne parlate

Un paio di squilli e Michiru parlò con titubanza. Quasi sotto voce. “Mamma?”

Haruka, con Giovanna dalla parte opposta della cornetta, risero all'unisono.

“Ma chi è?!”

“Mamma a chi, dottoressa Kaiou?!”

Nel riconoscere la voce dell'amica, Michiru sgranò gli occhi non credendo alle proprie orecchie. Guardò la serenità gioviale nello sguardo di Haruka e comprese il senso di quella messa in scena. Si erano sentite!

“Giovanna, non ci credo!”

“Beh credici. Quella frignona della tua donna mi ha tenuto sveglia per gran parte della notte.” Disse mentre Michiru accarezzava la guancia dell'altra ricordando il tono spaventato di gran parte dei suoi messaggi.

“Comunque, non mi ha fatto perdere solo una notte di sonno.”

“Cosa vuoi dire?”

“Vuol dire che mi ha anche offerto per colazione una di quelle piccole schifosissime marmellatine piene di vitamine che a te e al belloccio in camice bianco piace tanto farle mangiare e fatto spalare una montagna di neve giù per la rampa dei vostri box.”

Michiru avvertì la voce arrivare non più dal telefono, ma dalla porta. Un paio di secondi dopo la vide entrare sorridente salutarla con la mano.

 

 

Due giorni dopo Michiru era in dimissione. Seduta sul letto si guardò contrariata il tutore mentre Haruka le allacciava al petto il maglioncino pulito portatole da casa.

“Davvero il segretario del Cardinal Berti ha capito la situazione?” Chiese mentre l'altra le prendeva il cappotto.

“Perchè non avrebbe dovuto, scusa. E' un prete, non uno stupido. Appena pronto gli invierò anche il certificato dell’ospedale. Dai, ti aiuto ad alzarti. Fai piano, non c'è fretta.”

“La fretta c'è. Non mi piace che tu stia in posti tanto affollati. Avresti dovuto portare la mascherina." La sentì ridere mentre le porgeva il braccio libero dal tutore.

“Ho capito da molto tempo che vuoi questo schianto di donna solo per te, ma... Michi mia, il mondo è abitato da un'infinità di persone. Fattene una ragione.” Delicatamente le adagiò il cappotto sulla spalla sinistra.

“Haruka... Una sola linea di febbre e ti assicuro che te la faccio pag...” L'ennesima frase uccisale da un dolcissimo bacio.

“Basta ospedali! Parola d'onore. Ora andiamo. Giovanna è andata a ritirare la tua cartella clinica e ci aspetta al parcheggio.”

"Come ti sembra? Ti piace?"

"Non si può certo dire che non sia simpatica, ma ti confesso che e' cosi' strano averla avuta per casa."

“Avete parlato di Sebastiano?”

“No.” Disse piano continuando ad aggiustarle con maniacale precisione parte del colletto.

“Amore...”

“Mmmm...”

Alzandole il mento per costringerla a guardarla, Michiru piegò la testa da un lato sorridendo. “Andrà bene. Quando arriverà il momento ne parlerete.”

“E se non fosse necessario? Non si deve sempre parlare di tutto.”

“Di questo, si. Lo dovete ad entrambe. - E sentendola sospirare pesantemente continuò convinta. - Non sono una psicologa e non ho fratelli, ma in una situazione come la vostra credo sia perfettamente normale provare un certo imbarazzo. Ma vedrai amore, pian piano vi abituerete l'una all'altra e al fatto che siete parte l’una dell’altra." Michiru trovò il giusto passo per non provare troppo fastidio al costato ed uscì dalla stanza appoggiandosi alla compagna

"Michi..."

“Dimmi...”

“Io appartengo solo a te.” Soffiò stirando le labbra e tronfia alzò il mento al mondo un po’ più serena.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Il geco rosso ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il geco rosso

 

 

Michiru girava lentamente il cucchiaio nel denso liquido scuro tenendo sempre sott'occhio il terrazzo. Non aveva assolutamente voglia di inquietarsi. Non con il dolore pulsante al costato che stava avvertendo da quando si era alzata dal divano. Non dopo aver saputo il costo ed il tempo che ci sarebbero voluti per rianimare la sua povera auto.

Perché quelle due continuassero ad ostinarsi a voler spalare quantità industriali di una neve che tanto sarebbe andata ad accumularsi nuovamente sul lastrico da li a poche ore, era irrazionalmente incomprensibile per lei. L'ennesimo innesco dell'ennesima sfida.

Era il terzo giorno filato che nevicava, a volte con più intensità, altre meno, ma sempre senza soluzione di continuità, come non accadeva da anni, ed in quel pomeriggio prima dell'imbrunire, Haruka aveva decretato che fosse giunta l'ora di dar noia alla sua amata, facendo si che l'ansia, leggermente calata da quando erano tornate a casa senza che i contatti con il mondo esterno avessero portato danni, ricominciasse a montare. Era stata troppo docile nei giorni nei quali aveva posato i suoi occhi scrutatori su Giovanna, che Michiru avrebbe dovuto sub dorare che prima o poi il suo puledro di fanteria avrebbe manifestato la necessità di muoversi.

Così dopo essersi diretta verso i vetri della porta finestra della sala da pranzo osservando in perfetta posa militaresca da riposo l'ormai troppo accumulo di neve sul lastrico, aveva deciso di vestirsi di tutto punto, armarsi della pala, darle un bacio sulla fronte, ed uscire in terrazzo come una bambina partita con il suo zainetto alla conquista del mondo. E Michiru non aveva neanche provato a fermarla, perchè sapeva che tanto sarebbe stato totalmente inutile. La testardaggine di Haruka era direttamente proporzionale alle energie che sentiva nel corpo. Più queste risultavano alte e più lei tendeva a spingersi oltre. Lo aveva sempre fatto ed avrebbe continuato a farlo, perchè quella era la sua natura e neanche la compagna avrebbe mai potuto farci nulla.

Alla Dottoressa Kaiou non era rimasto altro che puntare su due cose; le braccia complici di Giovanna ed una gola smodata che la bionda aveva da sempre per il cioccolato.

“Ti dispiace?! Usa pure i miei scarponcini imbottiti.” Aveva soffiato all’amica scattando il mento verso il terrazzo e questo era bastato perché anche l’altra si alzasse dal divano, si preparasse e si avventurasse sul terrazzo anche lei, a fornire il suo valido contributo.

Figuriamoci, Giovanna amava talmente tanto la neve che a Michiru non era servita che quella mezza frase ed uno sguardo. Ma quella che per Kaiou era stata una speranza per frenare la vertiginosa ascesa spacca nervi della sua compagna, paradossalmente le si era ritorta contro. Non aveva infatti ancora ben chiaro quanto anche l'amica fosse d'indole competitiva e quanto questo eccitasse quella di Haruka. Così ogni volta che in quei tre giorni passati gomito a gomito si erano ritrovate a fare qualcosa insieme, era inevitabilmente scattata la gara. Gara che si stava consumando anche in quel frangente, sul terrazzo, a suon di vangate scaraventate con vigore fuori dal parapetto.

“Questa volta ho commesso un grave errore di valutazione.” - Borbottò corrugando la fronte mentre guardava il cacao addensarsi nel bricco. - “Avrei dovuto servirmi solo della cioccolata ed avrei dovuto farlo molto prima.”

"Muoviti Giovanna! Sei lenta!" Sentì provenire da fuori.

"Ma non credo proprio!”

“Accidenti! Adesso basta! - Spegnendo la piastra, Michiru schizzò verso la porta finestra spalancandola di colpo. - “Allora!? La facciamo finita?!”

Arrossate, sudate fradicie e con il fiato corto le due si bloccarono guardandola come se avesse appena fermato la finale dei campionati di calcio bucandone il pallone. Nuvole di vapore acqueo uscivano dalle loro bocche, mentre mani e braccia iniziavano ad essere invase dall'acido lattico. Un leggero sorriso all'indirizzo della compagna e via, tolto dalla bionda lo standby dal videogioco.

"Che c’è?”

“Haruka, non sto scherzando! Il sole è calato, avete fatto ciò che dovevate. Ora rientrate immediatamente in casa.”

“Aspetta Michi, ci manca poco.” Una garanzia mal celata da un successivo forza schiappa, sono in vantaggio io, all'indirizzo della sorella che le fece saltare i nervi.

"Haruka Tenou!” Ringhiò mentre quatta quatta Giovanna ne approfittava riprendendo a spalare.

"“Ecco! Lo vedi?!” Sottolineò platealmente indicando la sorella grufolare alacremente.

Michiru chiuse gli occhi inalando profondamente l’aria secca della sera. Non era possibile. Entravano in risonanza amplificando la reciproca competitività neanche stessero giocandosi dei soldi. Ogni volta. per qualunque cosa. E quando capitava che Haruka surclassasse Giovanna, all'altra non rimaneva che glissare facendo finta che la cosa non le importasse nulla buttandola in caciara. Com'era accaduto durante la cena del giorno precedente, quando si era sentita sfottere per l'altezza e proprio non ci era voluta stare.

“Di solito sono le sorelle maggiori ad essere più alte. Tu... che scusa hai?” Aveva sentenziato Haruka alzandosi dalla tavola per andare a riempire la brocca dell'acqua.

E quella che agli occhi tranquilli di una Michiru serena nel godersi un'altra bellissima serata era sembrata solo una frase innocente, si era trasformata in uno spaccato cabarettistico degno di un palco.

Giovanna aveva seguito la bionda fino ai pensili frapponendosi tra lei e la penisola. Le mani sulla vita, lo sguardo a scrutarne tutta la persona. “Di un po', quanto è che saresti alta? Un metro e settantacinque circa?”

Colta alla sprovvista la minore aveva annuito.

“Bene. Io sono un metro e sessanta. Dunque, questo vuol dire che ci dividono quindici centimetri, giusto?”

“Direi.

“Ottimo. Vedi, io non volevo, ma siccome sei tu che hai provocato, mi vedo costretta ad informarti che sette virgola cinque di quei centimetri sarebbero i miei. Perciò, che fai Tenou? Concili... o me li dai un po' per volta?”

Haruka era rimasta talmente spiazzata da non sapere come controbattere lasciando così il punto all'altra.

E l'andazzo era quello da tre giorni. La copiosa nevicata che stava paralizzando la parte meridionale della Svizzera, aveva creato terreno fertile per una sorta di full immersion conoscitiva che stava spingendo Michiru a pensare seriamente di aprire un asilo nido.

“Giovanna, di grazia, almeno tu! Per favore! Andatevi a fare una doccia. - Ma l’amica non avrebbe abbandonato la partita se non fosse stata la bionda a farlo per prima e così rivolgendosi alla sua donna, cercò di addolcirsi anche se stava provando forte l’impulso di tirarle il cucchiaio abbandonato nel bricco, dritto dritto in mezzo agli occhi. - Dai Ruka. Fallo per me.”

Capito che stava esagerando e notato quanto Michiru si stesse toccando il tutore che ancora le teneva ferma la spalla sinistra, finalmente si convinse a darle retta. “Ok.”

“Io però la doccia con Haru non la faccio.” Rise Giovanna prendendo un’ultima vangata di neve.

“Neanche fosse l'unico box della casa...” Concordò la bionda togliendosi lentamente lo zuccotto nero per asciugarsi la fronte.

Una folata gelida sferzò la pazienza di Kaiou. Avrebbe tanto voluto chiuderle all'addiaccio, ma grattò l'ultima azione di classe dal barile del suo vivere civile chiedendo serissima. “Allora vuol dire che la cioccolata che ho appena finito di preparare non ti interessa, Ruka.”

La compagna ci pensò guardando prima Giovanna, poi la pala ed infine il bricco fumante sul fornello che appariva languido ed invitante alle spalle della compagna. Mollò tutto e nel giro di tre secondi rientrando come un bambino alla base.

“Beh, ti fai corrompere con così poco, Tenou? Mi aspettavo di più da una top model come te. Che delusione vincere per abbandono.” Urlò Giovanna gongolando per l'ennesimo trionfo.

“Abbiamo anche la panna montata...” Le arrivò da Michiru tornata ai piano dei fornelli.

“A...., se è così!” Ed anche il secondo bambino riportato all'ordine.

“Ma che tristezza, Aulis...” Haruka già china sui fornelli con un biscotto tra le dita.

“Giovanna togliti gli stivali prima di entrare, non fare come quella zotica di tua... Ruka! Aspetta, non fare l'ingorda, ne ho fatta per tutte...”

Ed un'altra giornata di full immersion conoscitivo calava sulla casa Tenou-Kaiou, dove la vita stava trascorrendo anche così.

Quarantotto ore dopo Giovanna si girava per l'ultima volta verso le finestre del terzo piano del primo stabile del comprensorio a cortina che dava sulla valle di Bellinzona, salutando con la mano Michiru ed Haruka, prima di salire sul taxi che l'avrebbe portata alla stazione.

“Avrei potuto accompagnarla io.” Haruka aveva cercato d’imporsi, ma questa volta Michiru era stata irreprensibile.

“Amore, ti ho già chiesto la cortesia di non esagerare. Fuori fa freddo.” Ed avvertendo il disappunto dell'altra nel sonoro sbuffo che le uscì dalle labbra, cercò quegli stessi terminali addolcendone l'irritazione con un lunghissimo bacio.

 

 

Haruka strinse la mano della compagna guardandosi intorno. La magnificenza artistico architettonica unite alla storia millenaria riecheggianti Concili, crociate, scismi ed intrighi propri di quegli ambienti, era un qualcosa di unico, che spalancava gli occhi di meraviglia lasciando però anche una leggera soggezione. Avevano appena salito la rampa di una delle scale di servizio dal corrimano di porfido rosso che portava al secondo piano, ritrovandosi in un corridoio dalla voltatura a botte riccamente affrescata con motivi a grottesca e dai numerosi arazzi settecenteschi che ne impreziosivano le pareti. A terra, intarsi musivi dei più disparati marmi, componevano figure geometriche romboidali che portavano al loro interno citazioni bibliche in latino e stemmi araldici del patriziato romano. Camminavano scortate dall'ormai conosciuto segretario del Cardinal Berti, lasciando che il sole che filtrava dai vetri dei grandi finestroni del corrente, accarezzasse loro la pelle del viso scaldandolo nel tepore del tardo pomeriggio.

Michiru aveva ripreso a lavorare in pianta stabile da un paio di settimane e visto ormai il clima natalizio, Haruka l'aveva raggiunta a Roma dopo aver passato la visita di fine anno dal dottor Kurzh. Estremamente soddisfatto, l'uomo le aveva dato il permesso di viaggiare, ma per comodità, lei aveva preferito la sua auto ad altri mezzi di trasporto. Ora, dopo essere entrata nella Città del Vaticano con un pass da visitatrice ed aver conosciuto da vicino “l'amante” della sua compagna, ovvero il famoso Perugino, si stava dirigendo assieme all’altra da colui che con un'incredibile disponibilità, altruismo ed empatia, aveva contribuito a rendere possibile la sua guarigione.

Il Cardinal Berti aveva continuato a chiedere di lei e con l'avvicinarsi dell'annuale cena di Natale, aveva manifestato a Michiru la voglia di scambiare quattro chiacchiere con la donna che era definita dalla stessa dottoressa, la sua compagna. Haruka non aveva celato una leggera apprensione per un comportamento che sembrava rasentare quanto meno la stranezza, ma aveva comunque accettato, primo per ringraziarlo di persona e secondo, perchè se avesse avuto qualcosa da ridirle sull'amore tra lei e Michiru sarebbe stata in grado di rispondergli a dovere. Così pronta ad un alterco che non sapeva neanche se e come avrebbe dovuto affrontare, stava camminando al fianco dell'altra ascoltando il ritmo dei loro passi riecheggiare per quei luoghi carichi di mistero.

Appena Michiru riconobbe la porta dello studio del cardinale strinse con maggior forza la mano di Haruka, le sorrise e la lasciò per poggiarla sull'altra davanti al grembo. La bionda le fece l'occhiolino lasciando le braccia lungo i fianchi. Un leggero bussare del prelato ed il Cardinal Berti in persona venne ad aprire. Con Michiru era sempre stato così. Si scomodava di persona ed ogni volta, per darle il giusto benvenuto.

“Dottoressa Kaiou, ben venuta. Prego accomodatevi. “Disse lasciando il segretario ad altri compiti.

“Eminenza... è un piacere.” Michiru entrò nello studio seguita dall'altra, baciando poi l'anello con un leggero inchino.

“Le ho già detto che quando siamo fra noi non c'è alcun bisogno di tali formalismi. - Rise sommessamente notando l'assenza del tutore. - Vedo con piacere che la scapola sta migliorando. E le costole?”

“Vanno molto meglio Eminenza, grazie.”

L'uomo spostò allora la sua attenzione su Haruka e le sorrise. “Lei dev'essere la famosa Haruka Tenou, immagino.”

“Beh Eminenza, sulla fama avrei dei dubbi, ma si, sono proprio io.” E mentre stava per chinare la testa per portarla alla destra dell’uomo, lui le prese inaspettatamente le spalle e con vigore le diede un paio di energiche scosse.

“Santissimo cielo, quanto sei cresciuta!”

“Scusi?” Haruka lo guardò interdetta per poi cercare con gli occhi Michiru che per la verità sembrava ancora più stupita di lei.

Il prelato scoppiò a ridere questa volta in maniera più grassa e profonda lasciandola per fare un passo in dietro. Mani alla fascia cardinalizia, la osservò per qualche secondo continuando a sorridere soddisfatto. “Lo sapevo che saresti diventata alta. Il calcio non poteva essere il tuo sport. Avresti dovuto continuare con l'atletica.”

“Haruka?” Michiru non stava afferrando.

“Veramente io. Non...”

“Proprio non mi riconosci, vero? E si, come darti torto, sono passati più di vent'anni e ho due taglie in più e molti capelli in meno. Ma tu Haruka, tu sei sempre la stessa. Certo, ora sei una donna, ma lo sguardo..., NO, non è cambiato affatto da allora.”

Le due donne tornarono a guardarsi per poi vederlo andare verso la scrivania, aprire un cassetto, ed estrarne una foto.

“Questa ti aiuterà a ricordare.” E gliela porse.

Lei la guardò riconoscendo immediatamente il campo da calcio dell'oratorio della sua cittadina d'origine, il piccolo gruppo di mocciosi vestiti con la maglietta della loro squadra e nel mezzo, una lei bambina, di circa dieci anni. Un caschetto dorato, occhi grandi come il suo sorriso e dietro di lei, un giovane sacerdote dai capelli neri e dalla pelle abbronzata.

“Non posso crederci. Padre Angelo!”

 

 

Angelo Berti aveva fatto carriera da quando, non senza dolore, aveva dovuto trasferirsi in un'altra diocesi lasciando così senza la guida preziosa che era stato per cinque anni, Haruka e tutti i ragazzini della zona. Aveva visto quel piccolo diavolo biondo crescere tra le strade ed i campetti di una periferia industriale e mentalmente chiusa, decidendo quasi nell’immediato che avrebbe provato a raddrizzarne il carattere schivo e taciturno di quella bambina. Cresciuta senza un padre, all'ombra di una madre amorevole, ma per forza di cose dedita al lavoro, Haruka tendeva per carattere all'isolamento, arrivando a volte ad auto ghettizzarsi, ed essendo già la figlia di un emigrante, con genitori non sposati e per molti versi non corrispondente ai canoni delle bambine della sua età, con il crescere avrebbe anche potuto prendere strade dagli indirizzi pericolosi.

Ed il giovane sacerdote lo aveva intuito subito, sin dal loro primo incontro, avvenuto durante una delle tante zuffe che Haruka era solita portare con qualche altro ragazzino. Pietra dello scandalo; un gatto maltrattato. Angelo era intervenuto a salvare bambina e felide ancora con la valigia in mano, medicando le ferite di entrambi una volta capita la strada per la nuova parrocchia. E da quel giorno era scattata una fiducia che via via era andata consolidandosi negli anni, arrivando addirittura a farle servire messa.

“Ma io sono una femmina..., non posso fare il chierichetto.” Aveva borbottato scocciatissima una domenica d'estate strappandosi l'ennesima crosta dal ginocchio sbucciato.

“Si dice donna, non femmina. Haruka cerca d'imparare la differenza. Non sei uno dei tanti gatti randagi che porti a quella povera santa di tua madre e poi ricorda, che tra uomo e donna non c'è poi tutta questa gran differenza. Nella vita potrai fare tutto ciò che vuoi, ed arrivare dove vuoi, basterà solo che impari a tenere a freno la lingua e quei micidiali pugnetti che tieni.”

“E allora perchè le donne non possono fare le sacerdotesse?” L'ennesima domanda scottante di quel cervello avido di conoscenza.

“E' una questione teologica che non capiresti visto che da giorni non ho il piacere di vederti al catechismo. E poi smettila di giocare con quelle croste o andrà a finire che da grande avrai tutte le gambe segnate. Piuttosto, vediamo come ti sta questa tunica. Forza! Non capisco come tu faccia a crescere tanto in fretta.”

“Ma avrò caldo con sotto i vestiti!”

“Ti lamenti sempre e poi sei quella che tra tutti conosce i passaggi della funzione a memoria. Forza piccola Tenou!”

 

 

Michiru non riuscì a trattenersi dal ridere nel pugno della mano. Il chierichetto!

“Non posso credere che tu abbia servito messa Ruka.” Disse riguardando nuovamente la foto che la ritraeva bambina. Quanto poteva essere dolce da piccola.

“Ebbene si. Costretta come lo sono stata a seguire il catechismo, a fare sport di gruppo, ad andare a portare la spesa agli anziani della parrocchia, a dipingere l'interno della sacrestia...”

“Quella fu una punizione.” Interruppe con un gesto l’uomo ormai seduto tranquillamente davanti alle due donne altrettanto a loro agio.

“Già... Per cosa poi?”

“Liberasti tutti e venti i conigli che il macellaio aveva nelle gabbie del retro bottega.”

“Vero. Le botte che quella volta presi da mia madre. Con il mestolo... Quello di legno...”

Michiru non avrebbe mai creduto che la compagna fosse stata tanto scavezzacollo da bambina. Completamente diversa da lei, sempre posata, ordinata e soprattutto, obbediente.

“Non mi avevi mai parlato della tua infanzia.”

“Non facevo nulla di particolarmente diverso dalla maggior parte dei bambini e poi in verità, molte cose credo proprio di essermele dimenticate.”

“E' per questo che allora ti chiesi di tenere un diario, ma naturalmente tu non mi ascoltasti.”

"Naturalmente...” Sorrise di rimando all'uomo.

Il cardinale era contento di quello che aveva davanti. Due donne straordinarie, che si amavano, si rispettavano e si aiutavano a crescere. Anche se trasferito, per diversi anni aveva continuato a tenersi in contatto con Haruka, diventando per una bionda che cresceva in un'adolescenza sofferta, un amico più che un padre spirituale, un confidente, che si era sentito però impotente nel saperla confusa per via della sua sessualità, comprendendo come in quel piccolo spicchiò di mondo avrebbe fatto fatica nel venire accettata o semplicemente lasciata in pace. Adesso nel vedersela davanti, sentiva come quell'ormai giovane donna avesse trovato un suo equilibrio.

“Allora eri una piccola teppista...” Costatò Michiru allungando la foto all'uomo che gli rispose inarcando le sopracciglia.

“No, teppista non direi. All'inizio, quando ci siamo conosciuti, era più una ribelle, o una randagia, come amava farsi chiamare. Poi, con il passare degli anni, aveva preso ad assomigliare più ad un poliziotto di quartiere in miniatura. Sempre pronta a far rispettare le regole dell'oratorio.”

“Bè, adesso non esageriamo.” Cercò di difendersi Haruka sempre più in imbarazzo.

“Ma come, non ricordi le tante risse che tu e la tua banda di nani avevate con Franz Weber ed i ragazzini delle case a schiera della valle?”

Lei glissò un mezzo sorriso ricordando Mattias. Accorgendosene Michiru cercò di cambiare discorso. Aveva infatti saputo dalla compagna degli strani sogni deliranti fatti dorante la chemioterapia con il bambino come protagonista. Tornò a ringraziare l'uomo per la disponibilità che aveva dimostrato, ormai sapendo che era stato spinto non soltanto dalla generosità, ma anche dalla conoscenza che aveva con Haruka e la sua famiglia.

“Lo avrei fatto comunque Michiru. Non mi è costata nulla la telefonata al convento dei Cappuccini o darle un permesso per malattia, ma ammetto che il sapere che era Haruka ad avere bisogno di un trapianto, mi ha dato maggior slancio. A proposito, ora come vanno le cose?”

“Meglio. Molto meglio. L'ultimo controllo è andato bene.” Rispose la bionda non aggiungendo altro. Si era intristita nel ripercorrere alcuni tratti della sua infanzia e nel ripensare a Mattias.

“E sai anche del...” Ma il cardinale si morse la lingua non sapendo come porre la domanda.

Michiru intervenne nel toglierlo dall'ambasce, confermando che si, l'altra sapeva l'identità del donatore e che lo aveva persino incontrato.

“Ho capito e l'Architetto Aulis? Come sta?” Il tono fino a quel momento corposo come un buon vino d’annata, si fece d’un tratto acido come succo d’uva troppo giovane.

Architetto Aulis. Ad Haruka suonò strano. Se il Cardinal Berti era tanto affettuoso con lei e rispettoso nei riguardi di Michiru, continuando a darle del lei, ma riservandole un tono confidenziale, perchè tanta freddezza nei confronti di Giovanna?

“Bene Eminenza.” Rispose Michiru piatta.

“Mi fa piacere. So che ci sarà anche lei alla cena di Natale. Avrò il piacere di salutarla in quella occasione. Ora però debbo lasciarvi. Ho un incontro con un paio di ospiti stranieri tra dieci minuti. Mi ha fatto piacere ricordare il passato. - Ammise porgendo la mano ad Haruka e poi a Michiru. - Ci vedremo la prossima settimana.”

“Ci saremo.” Disse Haruka lasciando che l'uomo aprisse loro la porta e facendo passare prima Michiru, gli sorrise un'ultima volta ricevendo una pacca sulla spalla.

 

 

Era stata di pessimo umore per tutto il resto del pomeriggio e giunto il post cena lo era ancora. Seduta sul divano con un'aria corrucciata sul volto, gli occhi fissi al pavimento e le dita della mano destra a torturare un unghia della sinistra, Haruka non riusciva proprio a togliersi dalla testa tutti i ricordi che la conversazione avuta con il Cardinal Berti era riuscita a tirar fuori dalle pieghe irrigidite della sua memoria. Tutto l'opposto di quello che era accaduto a Michiru, che sembrava invece essere rimasta pervasa da una beatitudine incomprensibile.

“Eri spettacolare da piccola. Un angelo.” Esordì una volta finita di caricare la lavapiatti ed averla raggiunta nella sala da pranzo.

“Lo sono ancora...” Le rispose accogliendo le mani ancora umide dell'altra fra i capelli.

Michiru si era resa conto che qualcosa non andava e conoscendola ormai troppo bene, aveva deciso di lasciarla sbollire fino a quando non fosse stata la stessa Ruka a riavvicinarsi.

“Io non lo ero altrettanto.” Le disse con un soffiò vicinissimo ad un orecchio.

“Non è vero. Ho visto le tue foto da bambina ed eri bellissima.”

“Non intendevo dire questo.”

Tamburellando il palmo della mano sinistra sulla stoffa della seduta la invito' a sedersi sul divano e Michiru capì che la resa era stata dichiarata. Dopo ore di silenzi Hatuka era pronta al dialogo.

“Non ho mai avuto il gusto della libertà così sfacciatamente stampato sul sorriso. Lo sai, ero piuttosto controllata da mia madre o dalle tate che mi appiccicava addosso.”

“Non eri una randagia come me.” Confermò ridendoci su.

“Non mi piace. Mi sa di abbandono.” Le alzò il braccio per appoggiarsi al suo petto.

“Ma è quello che ero; abbandonata a me stessa. D'inverno tanto tanto. Tra neve, temperature basse, giornate corte e la scuola, erano veramente poche le ore che riuscivo a passare all'aperto, ma con l'estate... Tornata dal lavoro mia madre mi vedeva scomparire per pomeriggi interi e quando tornavo, due volte su tre avevo combinato qualcosa.”

Ecco, era questo che Michiru voleva intendere. Nel bene o nel male Haruka aveva avuto modo di fare esperienza, sin da piccola, mentre lei no e quando una volta cresciuta si era trovata davanti i problemi della vita vera, come la fine prematura della sua carriera di violinista, la malattia nervosa di suo padre ed il menefreghismo di sua madre, questi l'avevano investita come un treno. Lo scoprire di non essere attratta dai ragazzi, era stata l'incrinatura finale che aveva portato la sua campana di vetro a frantumarsi in mille pezzi.

“Forse se avessi fatto a botte anche io un paio di volte, avrei visto che dopo il primo atterramento non ero fatta di porcellana ed avrei affrontato i problemi dell'età adulta in maniera più diretta.”

Haruka la strinse con forza. “Oddio..., non ti ci vedo proprio a tirar pugni per la strada.”

“In verità... neanche io. - E ne cercò le labbra contraccambiando poi la stretta. - E’ per Mattias che ti sei intristita?” La sentì irrigidirsi per una frazione di secondo.

“Mmmmm.... - Mugugnò iniziando ad accarezzarle pensierosa il viso. - No, non solo. Nel parlare del passato mi sono ricordata anche del senso di inadeguatezza che quella città riusciva a provocarmi. Ho dovuto faticare parecchio per strapparmi via di dosso quell'orrenda sensazione di soffocamento che provavo ogni qual volta ero costretta a stare in mezzo alla gente. Per questo preferivo starmene per conto mio. Per questo non ho mai avuto molti amici ed è per questo che appena ho potuto, sono letteralmente scappata via e credo sia per questo che Angelo Berti, fino a quando ha potuto, ha cercato di farmi da guida.”

Si liberò dalla stretta per portare il busto in avanti ed appoggiare gli avambracci ai quadricipiti. “E poi...”

“E poi?” Chiese Michiru socchiudendo gli occhi.

“E poi non mi piace il tono freddo e totalmente impersonale che Berti usa riferendosi a Giovanna.”

“Forse è per colpa mia.” Ammise mentre la compagna scrollava le spalle per nulla convinta.

 

 

 

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Capitolo 20
*** La forza e i silenzi di Michiru ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La forza e i silenzi di Michiru

 

 

Guardandosi allo specchio del bagno, Haruka si snodò il cravattino scuro slacciandosi il primo bottone della camicia di seta bianca. Di rimando poteva osservarsi in tutta la sua gloriosa stanchezza, conscia però, di quanto lo smoking le donasse in maniera pazzesca, sollevata che quella serata in tiro avesse avuto fine e fosse sopravvissuta a quattro ore di supplizio, sia mangereccio che intellettuale. Tanto era durata quella farsa fatta di sorrisi forzati e silenzi imbarazzanti, mani strette a persone dallo sguardo acquoso e dall’arrivismo privo di scrupoli. Costruttori, imprenditori, professoroni dai nomi altisonanti, financo un paio di capitani d’indistria e qualche militare dalle spalline troppo dorate per essersele meritate su un campo di battaglia.

La cena di Natale in Vaticano non avrebbe potuto essere più pesante, noiosa ed impegnativa di così e le uniche due cose che le avevano alleviato quel giroscopio pompato di formalità inutili ed anacronistiche, erano state il binomio perfetto di spigliatezza intellettuale e bellezza espresse dalla sua dea e le continue prese in giro che aveva rivolto per gran parte della serata ad una, stranamente, taciturna Giovanna, che per sviare alla situazione aveva cercato di concentrarsi sugli affreschi a tema sacro presenti sulle pareti della sala. Ad un certo punto pero', arrivate alla seconda portata del secondo piatto, un brasato, le due sorelle avevano dovuto per forza di cose coalizzarsi per cercare di non prendere a testate la prima parete utile.

A parte loro tre, invitate dal Cardinal Berti in persona, gli altri commensali avevano pagato profumatamente per quella cena, sapendo che il ricavato sarebbe andato come tutti gli anni, a favore delle mense cittadine per i poveri. E quale migliore occasione per avere allo stesso tempo visibilità ed acquietarsi la coscienza con un'opera buona.

Giovanna si era sentita in imbarazzo per tutta la serata, non essendo abituata ne ai comportamenti, ne alle frasi di circostanza usate da una larga fetta dell'alta società, tantomeno al vestito da sera con annessi tacchi che per forza di cose era stata costretta ad indossare. Cosi optando per un buon silenzio non fu mai scritto, sorridendo beotamente se n’era stata attaccata alla spalla di Haruka come una piccola cozza su uno scoglio, mentre quest’ultima, non amando parlare con gente estranea, aveva fatto praticamente scena muta pur rimanendo nei canoni della cortesia e della buona educazione. Una strana coppia che aveva spesso fatto inarcare all’insù i lati delle labbra ammantate di rossetto della dottoressa Kaiou.

Grazie al cielo era stata proprio Michiru a prendere in mano le redini delle varie conversazioni, dettando i ritmi e portando gli interlocutori su terreni più famigliari per le due. Haruka aveva così potuto accennare del suo doppio ruolo di ingegnere progettista e pilota collaudatore alla Ducati e Giovanna del restauro diretto nel cortile della Pigna. Angelo Berti, che non faceva parte del loro tavolo, era passato per salutarle un paio di volte, sparendo verso la metà della serata per ricomparire accomiatandosi solo dopo la mezzanotte. Comportandosi gentilmente con tutte e tre, aveva pero' continuato a dare l'impressione, soprattutto ad Haruka, di avercela con Giovanna, riservando alla donna la solita informale freddezza.

“Sei sicura di non aver fatto qualche cazzata? Magari anche solo involontariamente?” Aveva sommessamente chiesto la bionda avvicinandosi con discrezione all’orecchio dell’altra quando erano ormai sedute attorno ad uno dei grandi tavoli rotondi della sala.

“Non credo proprio. Comunque con tutto il rispetto; ora è l'ultimo dei miei problemi. Con il freddo che fa, ho solo paura che uno dei miei capezzoli buchi la stoffa del vestito. Figurati se mi metto a pensare alle pippe mentali di un prelato!” Le aveva risposto a mezza bocca facendola sorridere nel vederla rabbrividire avendo una delle due spalle scoperte.

“Sarà per il mare di balle che gli hai dovuto imbastire per coprire Michiru. Lui non sopporta chi mente. Non lo ha mai fatto.” Aveva chiarito ricordando quanto l'uomo potesse diventare molto intollerante se, per un motivo o per un altro, si sentiva preso in giro.

“Se fosse per questo... Sai allora dove può andarsene, vero?!”

Una volta saputo della compagna cosa Giovanna aveva dovuto inventarsi per starle accanto, Tenou aveva iniziato a capire. Quello che per lei era e sarebbe rimasto sempre padre Angelo, aveva un carattere socratico ed intransigente, lento all’ira, ma alle volte anche al perdono. Con il suo comportamento, Giovanna si era scavata la fossa da sola.

“Porta pazienza. - E per stemperarne l'insofferenza, aveva strizzato un occhio aggiungendo un semplice e convintissimo - Comunque... lascia che ti dica che sei bellissima questa sera.” Trattenendosi poi dal riderle in faccia all'incandescenza apparsale sulle guance.

Giovanna aveva così chinato la testa lasciando che il lungo orecchino che portava agganciato alla cartilagine dell'orecchio sinistro le solleticasse la spalla nuda. In effetti sapeva di star bene con il suo semplice vestito da sera nero dal taglio a peplo mono spalla, ma sentirselo dire aveva tutto un altro sapore. Era il primo complimento di senso compiuto che la sorella minore le faceva.

Haruka guardò verso la porta aperta del bagno osservando Michiru in piedi ferma nella sala da pranzo armeggiare con la borsetta. Era bella da mozzare il fiato nel suo abito blu notte aderente. Le forme perfette. Sinuose. Accattivanti. Si era acconciata i capelli in modo da lasciare scoperto il collo valorizzato dal collier d’oro bianco che era solita portare in occasioni come quella. Aveva pensato a quel collo per tutta la sera, cercando di non guardarlo troppo e troppo allungo, per non cadere nella tentazione di accarezzarne la pelle e baciarne gli spazi. Che sofferenza era stata. Tantalo a confronto era sembrato alla bionda uno scolaretto nell'attesa della merenda nel primo giorno di scuola.

Estraendo dalla canottiera la catenina argentata dagli anelli d'ancoraggio di fattura marinaresca dove portava la fede di fidanzamento, la guardò penzolare ricordando quando mesi addietro aveva dovuto sfilarsela dal dito perchè ormai con l'anulare smagrito rischiava di perdersela. Slacciando la chiusura lasciò che le cadesse nel palmo della mano sinistra. Era ora di farla tornare al posto al quale apparteneva.

Michiru entrò nel bagno sorridendo. “Cosa stai facendo?” Le chiese non notando la fede stretta nel suo pugno.

Non avendo risposte iniziò a sfilarle il cravattino di seta piegandolo con cura e poggiandolo sul bordo del lavandino. “Lo smoking ti sta benissimo. Ho dovuto fare uno sforzo immane per non saltarti al collo.” Disse ridendo prendendole il polso destro ed iniziando a slacciarle i gemelli.

L'altra alzò gli occhi al cielo respirando pesantemente sapendo di aver avuto lo stesso istinto per tutta la serata.

“Te lo immagini? Che scena sarebbe stata e che scandalo davanti a mezza curia.” Fantasticò puntando sul viso di Haruka il cobalto degli occhi.

La bionda sogghignò avvertendo le dita accarezzarle lentamente la pelle. “Non credere... In quel nido di serpi avremmo innescato in molti ogni sorta di perversione.”

“Lo penso anch’io.” Ammise ripetendo l'operazione anche sul polso sinistro iniziando poi a toccarle lieve l'avambraccio con i polpastrelli. Lentamente.

”Mi piace da matti quando mi spogli così.”

”Lo so...”

“Cosa sta cercando di ottenere dottoressa Kaiou?”

“Pensavo fosse chiaro... Stò cercando di sedurla, ingegnere.” Passò quindi alle asole dei bottoni slacciandole una ad una.

“A... Mi era sembrato, ma volevo esserne sicura.” La bionda sentì la camicia scivolarle lungo le braccia.

“Ma prima che ci si spinga oltre, vorrei che mi aiutasse con questa.” Aprì il pugno rivolgendo il palmo verso l'alto. Michiru guardò la fede sorridendo e prendendola gliela infilò delicatamente all'anulare sinistro baciandole la mano.

Calzava perfettamente. Le dita di Haruka, come tutto il resto del corpo, avevano ripreso la forza e l'energia di una volta.

“Ora si.” Disse sfiorando il viso della sua dea.

“Adesso mi aiuterebbe lei, mio bel cavaliere? Non riesco proprio a slacciarmi il vestito.” Si girò mostrandole la schiena.

“Accidenti dottoressa. Vediamo un po' come porre rimedio a questo spiacevolissimo inconveniente.” E la bionda lasciò che la chiusura della lampo scendesse implacabile verso il basso.

 

 

Michiru si mosse di scatto cercando di sciogliersi dalla stretta di Haruka. Svegliandosi di colpo, l'altra allentò la presa alla vita e dopo l'ennesimo lieve gemito catturato nel silenzio della notte spostò definitivamente la mano alzandola a mezza altezza nel buio. Voltò allora il busto verso il comodino accendendo con la stessa la luce e tirandosi sull’avambraccio, scansò una ciocca di capelli da quel volto leggermente contrito.

“Michi, svegliati.” Disse scuotendola dolcemente.

Non era la prima volta che in quei quattro anni Michiru aveva degli incubi, ma erano mesi che non si presentavano più a falciarle il riposo notturno e speravano entrambe che si fossero estinti. Ed invece si erano sbagliate e di grosso. L'ennesimo gemito ed Haruka intervenne con maggior decisione riuscendo a svegliarla.

“Amore... Ci sei...?” Chiese notando con dolore che all'aprirsi delle palpebre, una leggera lacrima stava scivolando lungo la piega del naso.

Costatando che il respiro affannoso non accennava a rallentare, le baciò la fronte raccogliendo la lacrima con il pollice. - Sssss.... E' solo un incubo. Non permettergli di farti altro male. - Suggerì intuendo il soggetto di quel malessere; il padre.

L'altra non parlò, continuando solamente a respirare cercando di calmarne gli spasmi e di conseguenza il cuore. Non poteva essere! Era realmente convinta che questa volta fosse riuscita a superare la cosa. Era mai possibile che anche a distanza di lustri, continuasse a ripercorrere inconsciamente quel periodo della vita che aveva visto emergere il bipolarismo paterno a danno della serenità della sua famiglia? Intere ore di psicoanalisi gettate dalla finestra! Rimanendo sempre immobile sul fianco, allungò la mano per accarezzare la testa di Haruka semi distesa dietro di lei e chiudendo nuovamente gli occhi tornò a dormire. La bionda la vegliò fino a quando non cadde addormentata accanto a lei.

 

 

Non credevo che accadesse di nuovo.” Gli disse guardandolo palleggiare agilmente a piedi nudi sulla riva del lago.

Purtroppo sono ferite profonde, Haru. Tu per prima dovresti saperlo. Lei somatizza nei sogni. Tu lo fai accelerando in groppa ad una moto cercando di fuggire dal ricordo delle menzogne di tuo padre. Ognuna si difende come può.” Con un rapido movimento della gamba Mattias bloccò il pallone sotto la pianta del piede sinistro.

Erano sempre li, nei pressi di quel lago a lei sconosciuto, immersi in una natura rigogliosa e rilassante. Haruka guardò il ragazzino, poi i sassolini variopinti che affioravano dall'acqua e poi il cielo limpido dalla luce stranamente innaturale.

Ma si può sapere dove siamo?” Chiese non avendo la risposta giusta.

Se quando ti parlavo avessi prestato attenzione, ora lo sapresti.”

Un gesto di stizza e lei fece dietro front pronta ad andarsene. Sul dove, era un'altra storia.

Mattias, non ho tempo da perdere con il sentirmi in colpa per tutte le volte che ho pensato agli affari miei invece che ai tuoi. Ora vorrei solo sapere come aiutare la mia Michiru.”

Restale accanto. Questo basterà.” Disse vedendola voltarsi.

Tutto qui?! Restarle accanto? Cosa credi abbia cercato di fare in questi anni?!”

Per qualche istante il ragazzino sembrò risentirsi, poi tornando a sorriderle ribadì il concetto. - Su questo fronte, Michiru è molto più forte di te. Le basta la tua presenza. - Ma lei aveva già preso la via del declivio per tornare sulla strada sterrata.

Ci passavo le vacanze estive qui. Questo è il lago Tornow.” Le disse ad alta voce richiamandola.

Haruka allora si fermò voltandosi. “Come?” Ma lui non c'era più.

Al suo posto, leggermente più distante, accanto all'inizio degli alberi, stava un uomo dagli occhi scuri e dai capelli del medesimo colore, anche se leggermente spolverati da un inizio di grigio, dalla corporatura non imponente, ossatura piccola, vestito con un completo dozzinale. La guardava con uno sguardo carico di vergogna mista a rimpianto. In quel mondo diventato improvvisamente livido e freddo, Haruka corrugò la fronte cercando di identificarlo. Provò un brivido lungo la schiena avvertendo una leggera corrente gelida formicolarle tutt'attorno.

Lo riconobbe. Non poteva non farlo. “Anche tu qui!” Disse quasi con disgusto, perchè quello spazio era riservato solamente a lei ed al suo piccolo amico e lui non era degno d’intromettersi, ne di guardarla in quel modo.

 

 

Michiru spense il gas poggiando entrambe le mani sul ripiano metallico davanti a lei. Ci si spinse contro con forza abbassando la testa per scuoterla lentamente mentre l’odore del caffè appena uscito dalla macchinetta le invadeva le narici. Non riusciva a crederci, ma quell'incubo era tornato a torturarla. Da quando Haruka si era ammalata non lo aveva più fatto ed era convinta di essersene liberata. Invece era ancora li, in lei, pronto vigliaccamente a lacerarle il sonno, così come il soggetto di quelle immagini confuse le aveva lacerato la carne quando era ragazza. Sbattè con forza i palmi continuando a scuotere la testa. Non erano mai state vere e proprie visioni oniriche, ma piuttosto flash incongruenti e sensazioni di un passato che l'aveva vista inerme davanti ad una malattia faticosa da gestire perché non ancora coadiuvata con farmaci di ultima generazione. E quello che le faceva più male non era il ricordo delle ferite inflitte, no, quelle erano guarite in fretta, anche se le avevano lasciato piccoli segni biancastri nella parte inferiore della schiena ed una carriera da violinista spezzata sul nascere. Il dolore che sentiva scheggiante nell’anima proveniva dal fatto che amasse suo padre, allora come ora, ed il sapere che per lui la sua unica figlia era sempre stata il sole e la luna.

Nei momenti di lucidità era l'uomo straordinario di sempre; corretto, amorevole, capace, degno di fiducia, di amore e rispetto. Tutto l'opposto di quando la violenza prendeva il sopravvento e nel suo delirio paranoie fatto d’immagini e suoni completamente snodati dalla realtà, si scatenava contro qualunque cosa, fosse anche il suo stesso corpo o quello di un membro della sua famiglia. Lei e la madre avevano vissuto così per anni, in bilico, ogni giorno senza sapere cosa sarebbe accaduto nei cinque minuti successivi, uno stillicidio nervoso fagocitante, fino all'ineluttabilità di un suicidio.

Oh pappà..., quanto mi manchi. Si sentì stringere dalle braccia di Haruka abbandonandosi nel suo petto.

“Non ti ho sentita entrare.”

“Sei qui con me?”

Kaiou sorrise tristemente sfiorandole la guancia con il dorso della mano. “Dove dovrei essere?”

“Ti sento distante quando ti succede.” La bionda continuò a tenerla stretta appoggiandole il mento nell'incavo del collo.

“Non lo faccio apposta.”

“Lo so. Non era una critica.”

“Scusa, questa notte non volevo svegliarti, ne scostarmi dal tuo abbraccio.”

“Non scusarti. Lo hai sognato nuovamente?”

Michiru si lasciò scappare un sospiro arpionandole gli avambracci. “Credevo fosse finita. Mi sbagliavo.”

“Ci sbagliavamo entranbe, Michi. Cosa pensi di fare ora? Vuoi riprendere con le sedute di psicoterapia?”

Si sciolse bruscamente dall'abbraccio iniziando a versare il caffè. “Non mi sembra siano servite a molto. Non ho più intenzione di parlare di questa storia con un estraneo, ne tanto meno prendere qualche porcheria per rilassare i nervi. Se la mia mente vuole riprendere a massacrarmi l’esistenza, beh... questa volta glielo lascerò fare senza oppormi.”

“Ma Michiru, non è un discorso da persona mat...”

“No Haruka, basta. Ho chiuso. Non intendo più continuare a dare importanza alla cosa. Cos'è che mi hai detto questa notte? E' solo un incubo. Non permettergli di farti altro male. E' un eccellente consiglio sai?! Voglio metterlo in pratica.” Disse gelida nelle parole, come nei movimenti che stava compiendo mentre prendeva la zuccheriera.

Su questo fronte Michiru è molto più forte di te, le parole di Mattias a riecheggiarle nella testa. “Ma non sarà peggio? Io vorrei che ne parlassi con qualcuno.

“Lo sto facendo!”

“Michiru... Io non sono uno psicoterapeuta e per quanto ti ami, l’unica cosa che posso fare è starti vicina.”

“È tutto quello del quale ho bisogno.”

“Non credo e scappare da questa situazione non servirà a guarire.”

“E se lo facessi? Se per una volta... - Si voltò mostrandole l’indice per ribadire il concetto. - ..., una sola volta scappassi anch’io? Cosa pensi potrebbe succedere, sentiamo?

“Non lo so Michiru.”

“Te lo dico io; NULLA! Negli anni ho imparato a gestire la cosa e se proprio non si riesce ad estirparla dal mio subconscio, allora vorrà dire che ci convivrò. Stai tranquilla e non fare quella faccia. Non arriverò al suicidio solo per qualche notte insonne. È un'opzione che non ho mai contemplato in vita mia. Mai! Neanche nei momenti peggiori. La depressione cronica non è propria del mio carattere, lo sai bene.”

L'altra rabbrividì stringendo le labbra. Quando Michiru si dimostrava tanto determinata, era inutile insistere. Aveva deciso e lei sarebbe stata dalla sua parte comunque. Come sempre, anche se questa volta non condivideva quella che se pur per stanchezza, si stava dimostrando una fuga.

“Come credi, Michiru. Ma io sono qui, lo sai.”

“Certo che lo so amor mio e ti ringrazio. Piuttosto tu. Cos'hai sognato che ti agitavi tanto?” Le chiese sviando nel porgerle una tazzina già zuccherata.

“Mmmm...” Tergiversò sorseggiando il caffè.

“Allora?” Incalzò allargando un sorriso.

“Vedi Michi... Credo.. che non sognero' piu' il mio piccolo amico. Come credo che... Credo che Sebastiano sia morto.”

 

 

Il telefonino di Giovanna iniziò a suonare verso le 7-30. Si decise ad uscire dalle lenzuola per rispondere, intorno alle 8. Haruka le inveì contro fino alle 8-10, per poi farsi aprire la porta e piombarle in casa alle 8-15.

“Ma che cazzo ce l'hai a fare il cellulare, Giovanna?!” Ringhiò entrando nell'appartamento come un'ossessa. L'altra richiuse la porta roteando gli occhi. Da quando quelle due donne erano entrate nella sua vita non c'era più stato un attimo di pace. Prima di allora durante la notte, il cellulare non aveva neanche l'abitudine di tenerlo acceso. Ora, ogni volta che squillava aveva il sacro terrore che fosse successo qualcosa.

“Comunque... buongiorno anche a te.” E richiuse. Un grugnito di risposta è tutto ciò che ottenne.

“Ce l'hai un caffè da offrirmi che devo parlarti?”

“Si... certo. Appena fatto. Potrei andare a fare una capatina in bagno prima?” Un'occhiataccia e rinunciò a qualsiasi tipo di bisogno fisiologico. Anche questa era Haruka; la sua bellissima e fichissima sorellina spacca culi che a volte avrebbe tanto voluto pestare dentro un mortaio. Come in quel frangente.

“Ok, visto che al gabinetto non mi è concesso andare, spara subito quello che hai da dirmi. Che cos'è che avrei fatto questa volta, sentiamo.” Inquisì vinta mentre le faceva strada all’interno della cucina.

“Nulla.” Si sedette senza complimenti al tavolo osservandola tirar via dai fuochi la piccola Bialetti da due che, come single, era solita usare tutta per se.

“Ottimo, perchè da come mi hai divorata al telefono ero convinta di aver fatto qualche incommensurabile casino. Come mi fa piacere vedere che ti senti a tuo agio in casa mia, anche se non mi è ancora chiaro come tu ne conosca l'indirizzo.”

Haruka alzò la testa fissandole la schiena. Colta sul vivo si schiarì la voce e grattandosi la testa le chiese scusa per averla tirata giù dal letto di domenica. “Il tuo indirizzo lo so perchè a vent'anni sono venuta a Roma e ti ho fatto la posta sotto casa. Ecco tutto.”

Voltandosi lentamente l’altra sgranò gli occhi. “Cos'è che avresti fatto a vent'anni?”

“Come... Michiru non te l'ha detto?” Chiese alzando le sopracciglia e nel sentirla negare si scusò anche per quello.

“Mi ha accennato qualcosa su un tuo viaggio a Roma, ma non e' scesa nei particolari. Beh, dopo tutto è una cosa carina. - Tornò ad armeggiare con il caffè. - Un tantino da stalker, ma... carina.”

Dopo quella confessione scese il silenzio e per la prima volta Giovanna lasciò che pervadesse tutto lo spazio. Non fece nulla per impedirlo, attendendo. Poi una volta preparato tutto, si voltò nuovamente costatando con inedita consapevolezza quanto Haruka fosse molto agitata. Non riusciva a tenere una gamba ferma, un movimento tarantolato del polpaccio che si rifletteva per gran parte dell’arto.

“Generalmente è Michiru a farmi esplodere le granate in faccia e quando lo fa è composta e posata. Tutto questo movimento mi sta mettendo ansia. Sta un po' ferma e dimmi che succede.”

Allora la più giovane si bloccò fissandola negli occhi, poi disse tutto d’un fiato. “Credo che nostro padre abbia stirato le zampe.”

Giovanna contraccambiò quello sguardo sentendo il cervello velocizzare i suoi processi cognitivi. Già il fatto di sentire nostro ancora le faceva vacillare il cuore, perchè non si era del tutto abituata ad avere una sorella, poi la parola padre, un mondo di sentimenti contrastanti, infine stirare le zampe, ovvero morte, dove una serie di domande le si aprivano a raggiera sulla punta della lingua.

“Tenou... tu non lanci granate, tu usi un vero e proprio mitra d'assalto.” Ammise serissima stupendosi di come in una frase ci fossero racchiuse tante cose.

La bionda aprì le braccia ed alzando le spalle iniziò col cercare di spiegarle com'era arrivata a quella fantascientifica deduzione ed una volta finito, la guardò sedersi dopo aver poggiato sul tavolo un vassoio contenente tazzine, cucchiai e zucchero. “Lo sapresti da un... sogno?”

“Non è proprio un sogno. In realtà... In realtà non so neanche io cosa sia, ma ti posso assicurare che quello che mi viene detto è attendibile.”

“E ti sarebbe stato detto che Sebastiano è morto?” Chiese iniziando a bere la sua dose di caffeina quotidiana.

“In verità... no. E' solo che l'ho visto là, dove vedo...” Come poteva spiegarle? Con Michiru era stato tutto più semplice. Lei sapeva di Mattias e degli strani sogni che ogni tanto faceva su di lui.

“Va bene Haru. Lasciamo stare la fonte e concentriamoci sul contenuto. Che dovremmo fare ora?”

“Se fosse vero, voglio andare dov'è sepolto. E vorrei che tu venissi con me.”

“Non se ne parla! - Alzandosi di scatto andò verso il lavandino mettendosi a lavare un paio di piatti dimenticati la sera precedente. - Ti dico quello che già dissi a Michiru la prima volta che mi parlò di te; per quanto mi riguarda quell’individuo può stare a marcire anche dentro a un fosso. Non provo pena per lui e ti confesso che da quando ho saputo cosa ti ha fatto credere su di me per tutti questi anni, stò facendo un enorme sforzo cristiano per non maledirlo ogni volta che ti ho davanti agli occhi.”

Nel dirlo cercò di stare calma. Di razionalizzare. Era la prima volta che affrontavano quel discorso e come aveva ipotizzato più volte, quella conversazione non sarebbe stata ne piacevole, ne indolore.

Ed infatti Haruka iniziò subito entrando in scivolata con il piede a martello. “Aulis, ascoltami. Quello che mi ha fatto credere è una cosa che riguarda solo me. È chiaro?!”

Chiudendo di colpo l’acqua Giovanna le si fece sotto. “E no cazzo! Ti stoppo subito, cara! Fino a prova contraria riguarda anche me, anzi, visto che da stronza ci sarei passata io, l’essere parte lesa spetta anche alla sottoscritta.”

“È questo che ti interessa?! Avere l’ennesimo punto?!”

Respirando pesantemente la maggiore abbassò i toni. “Ma no... - Tornando a sedersi si decise ad affrontare la cosa ed asciugandosi le mani sui pantaloni della tuta, strinse la sua tazzina tra i palmi sentendosi scorata. - Tu non ci pensi mai?”

“È un’ovvietà.”

“Può darsi, ma non venirmi a dire che da quando ti ha detto di me, non ti sei mai fatta delle domande.”

Gli occhi della bionda si fecero improvvisamente duri. “Intendi oltre a chiedermi del perché mia sorella maggiore mi odiasse pur non avendole fatto nulla?”

Sbattendo la piccola ceramica sul piano del tavolo Giovanna si stizzì. “E che cavolo, Tenou!”

“Lo vuoi un rapporto onesto oppure no?! Dovrei indorarti una pillola che tu per prima stai dicendo essere amara?”

“Ora sei tu ad essere ovvia.”

“E allora andiamo avanti. Cosa credi che nel vedere due sorelle camminare fianco a fianco lungo una strada o ridere sedute al tavolino di un bar, non mi sia mai chiesta come sarebbe stato crescere insieme?” Haruka sospirò. Non era più sola a gestire quella cosa e la maggiore aveva tutto il diritto di fare domande e di sapere come si fosse sentita lei in tutti quegli anni.

“Non avremo mai la riprova su nulla. Anni, ricordi, esperienze, Nulla. Vuoi la verità? Mi sono sentita sola. Mi sono sentita ferita, da lui e da te, che a suo dire eri arrivata ad odiarmi. Mi sono colpevolizzata per un’infinità di tempo. Da quando so di avere una sorella mi sei sempre mancata, ogni giorno e visto che non potevo farci nulla, per autodifesa sono arrivata ad anestetizzarmi pur di non soffrirci più e se non fosse stato per un caso e la testardaggine della mia donna, per portare avanti la mia scelta mi sarei fottuta la vita. - La guardò, gli occhi chiari di Giovanna una pozza dolente che non avrebbe mai voluto vedere. - Ora però le cose sono cambiate... Ora posso dire con matematica certezza che se mi avessi portato rancore non mi avresti dato un pezzo di te. Abbiamo perso tanto, ma NON abbiamo perso tutto.”

“Trentacinque anni..., sono troppi Haruka.” E le venne un groppo in gola nel sottolinearlo.

“Credimi, so contare anch’io...

“E questa cosa non ti fa incazzare?!”

“Da morire, ma non gliela voglio dare anche questa soddisfazione. Non dobbiamo più recriminare su quello che non è stato. Ci avveleneremmo il sangue facendo solo il gioco di un uomo fuori di testa. Cerchiamo invece di pensare che le donne di oggi, siano anche il frutto della menzogna colossale di un padre verso le sue figlie.”

L'altra ci pensò su. Tutta quella logicità, anomala per un carattere poco riflessivo come quello della sorella, evidenziava quanto quel disagio l’avesse maturata. Riconobbe in quelle parole anche molto di Michiru. “Ora parli proprio come la tua donna.”

“Già, ma tienitelo per te o mi darà il tormento. - Sporgendosi in avanti le strinse un braccio. - Ho bisogno di trovarlo, Giovanna.”

“Vivo o morto non voglio vederlo mai più . Già lo faccio ogni volta che mi guardo in uno specchio.”

Preoccupata per la compagna ed ormai logorata da una storia che si era dilungata per troppi anni, alla bionda non rimase che sparare l’ultima mitragliata, quella che l’avrebbe portata ad esporsi e che sarebbe entrata più in profondità di tutte. “Se ti dicessi... Se ti confessassi che in questo frangente non posso rivolgermi a Michiru e che non mi sento di fare questa cosa da sola?”

“Dici sul serio?”

“Si Aulis, dico sul serio.”

Gli occhi smeraldo puntati contro. “Stai giocando sporco!”

“Lo so. Allora... ci stai?” Chiese arretrando fino allo schienale della sedia sorridendole nuovamente guascona come solo lei sapeva fare.

“Ho altra scelta?!” E la bionda scosse la testa.

“Che te lo chiedo a fare poi. Hai idea di come iniziare questa ricerca? Un luogo, un indirizzo, un nome.”

“Forse si. Dai, vestiti. Michiru vorrebbe averti a casa per pranzo.“

“Ok, vado a farmi una doccia. Faccio subito. - Disse alzandosi. - E... Haru, se mai dovessimo trovare qualcosa, niente momenti catartici, intesi?!”

“"Non sono tipo da baci e abbracci, ormai dovresti averlo capito. In questa storia sei tu l'appiccicosa mia cara Giovanna..."

 

 

“Il lago di Tarnot. Sei sicura di aver capito bene, Ruka?” Michiru si arrotolo' una ciocca di capelli sull’indice non trovando alcun risultato.

“Boh, così credevo. Non mi ricordo cosa ho mangiato ieri a cena, figuriamoci questo! Potrebbe anche essere il nome di un personaggio del Signore degli anelli per quel che ne so.” Disse delusa.

È un problema tuo, pensò Giovanna insofferente.

Erano venti minuti che stavano tutte e tre davanti al portatile sperando di ricavare qualche informazione utile, ma quella che Haruka aveva dipinto come essere una formidabile intuizione, sommando indizi come il lago che vedeva sempre nei suoi sogni con Mattias, il bambino e la comparsa improvvisa di Sebastiano, si stava rivelando un colossale buco nell'acqua.

“Basta, ci rinuncio. E' un'idiozia.” Si alzò dal divano vogliosa di una birra.

Aveva sentito quel nome una mezza volta perdendolo nel risveglio. Era un miracolo che riuscisse a ricordarsi tre o quattro lettere.

“Ti arrendi già?” Pungolò Michiru non staccando gli occhi dal monitor che teneva sulle gambe.

Seduta sul bracciolo del divano, Giovanna guardò la connessione sul suo cellulare continuando a notare quanto l'amica fosse cupa. Michiru aveva una strana luce dolorosa negli occhi.

Tutto bene?” Le aveva chiesto durante il pranzo notandone le occhiaie e lei aveva annuito non convincendola affatto.

“Sentite, andiamo a monte. Vediamo i laghi della Germania che hanno un nome simile a Tarnot.” Propose Haruka versandosi e portando il bicchiere di chiara alle labbra.

La compagna la fulminò e lei fece finta di nulla alzando leggermente le spalle. Passi che stava meglio, che Kurzh le aveva dato il nulla osta per tornare a vivere, cautamente, una vita piena, ma ingurgitare birra solo per sete a Michiru proprio non stava bene.

“Lo sto già facendo e quello che ho trovato è un piccolo lago nella Ruppiner Schweiz, nello stato di Brandeburgo, dal nome Tornow.” Disse Giovanna e la sorella schioccò le dita.

“Si, quello! Michi cerca delle immagini per favore, così vediamo se lo riconosco.”

“Certo che con i nomi, Ruka mia...” Sfottè scuotendo la testa.

Ed in effetti quel piccolo laghetto situato nel nord est della Germania corrispondeva a quel poco che la bionda ricordava di aver visto nei suoi sogni. Il pontile, i sassolini colorati del bagnasciuga, le darsene. Iniziarono così ad identificare i vari cimiteri del luogo e da li, i siti internet che riportavano le liste delle sepolture. In Italia questa ricerca sarebbe risultata infruttuosa, perchè di recente era stata emanata una legge sulla privacy che impediva di cercare on line questi dettagli. Ma nel paese teutonico...

“Santo cielo... eccolo!” Esclamò Michiru dopo aver tentato in uno dei tre della zona.

Mostrando lo schermo alle altre due indicò con l'indice un nome ed una data.

“Porca miseria... C'è davvero.” Disse Giovanna leggendo il nome di Sebastiano Aulis scritto in grassetto.

 

 

Giovanna aveva accolto la notizia quasi senza battere ciglio, perchè in fin dei conti si era sempre considerata e sentita un'orfana. Quella che invece sembrava aver accusato il colpo era stata Haruka, la quale per sua stessa ammissione, aveva trovato in quei pochi anni di riunione con Sebastiano, il padre che le era mancato da bambina. Si, era stato un bastardo su vari fronti e si, lei per prima aveva voluto allontanarsene condannandolo, ma volente o meno lo aveva amato, arrivando addirittura a ponderare sul fatto che la menzogna che le aveva detto su Giovanna potesse essere il frutto della paura di trovarsi giudicato.

Naturalmente la maggiore le aveva dato della deficiente chiudendo la questione. “Haru, tu scusalo se vuoi, ma per me resta solo un disgraziato svalvolato che ha fatto soffrire mia sorella. Ti accompagnerò sulla sua tomba, perchè a differenza sua IO tendo ad onorare gli impegni presi con le persone alle quali voglio bene, ma non pretendere che gli porti anche un fiore adornato del mio rispetto, perchè proprio non riesco.” E se n'era ritornata a casa dopo aver salutato Michiru, non rendendosi minimamente conto di essersi tanto esposta.

Arrivata la sera Haruka, che di tutto quell’accorato comportamento aveva voluto afferrare ben poco, gettò lo spazzolino nel bicchiere dando una manata al bordo del lavandino. “Ma perché non mi capisce!?” Chiese stizzita all'indirizzo di una Michiru comodamente seduta sul bordo della vasca intenta a spalmarsi un po' di olio sulle gambe.

“Cosa dovrebbe capire?! Il fatto che tu lo stia difendendo o che ti sia commossa nel sapere della sua morte?” Domandò di rimando ricordando la mascella serrata e gli occhi leggermente lucidi intravisti sul viso della sua donna mentre leggeva il nome del padre sullo schermo.

“Non lo sto difendendo! E ormai come hai detto, è morto." Scattò come un aspide pronto allo scontro.

Certo che lo stava difendendo, ma non l'avrebbe mai giudicata per questo, anzi, anche se aberrato era un comportamento umanissimo. Haruka era un animo nobile e buono che tendeva suo malgrado ad affezionarsi alle persone. Quei pochi anni nei quali aveva visto sporadicamente il padre le avevano comunque dato tanto, ed anche se delusa, non era riuscita a cancellare del tutto quei ricordi dal suo cuore. Così alzandosi Michiru invece d'intimorirsi per quei due smeraldi infuocati, l'abbracciò teneramente serrandole le dita della mano destra al collo. Consapevole che anche quella storia le stava legando, Haruka contraccambiò la stretta sentendosi stremata.

“Non c'è nessuno che possa capirti meglio di me Ruka. Quando mio padre decise di farla finita mi sentii delusa e tradita come te. Mi manca ogni giorno e anche se sono due uomini completamente diversi, credo che l'amore ci legherà sempre al loro ricordo.”

“Accidenti, non credevo che sapere della sua morte mi avrebbe stravolta tanto.” Soffiò.

“Vuoi piangere?”

Michiru la sentì baciarle la pelle del mento per poi tornare a guardarla con una luce totalmente diversa. “Assolutamente no.” E si grattò la testa sorridendo beffarda.

Uscite dal bagno per infilarsi sotto le lenzuola, Haruka continuò a manifestare il suo disappunto verso l’acredine della sorella. “Trovo che sia comunque troppo definitiva con lui. È vero, lei non ha avuto un padre, ma a me è andata anche peggio.”

“Non è una gara.”

“Lo so. Ma certe volte Giovanna fa di tutto per mandarmi ai matti.

L'altra sorrise sistemando meglio le lenzuola. “È più facile di quel che pensi.”

“In che senso...”

“Nel senso che reagisce così per rabbia ed io la capisco benissimo. Giovanna ha ragione; il tempo che avete perso è un’infinità. Anch’io trovo che tutto questo sia illogico e crudele.”

“Ma la vita va avanti, Michi, l’ho detto a lei e lo ripeto a te. Rimuginarci sopra non serve a restituirci gli anni persi.”

“Lo credi davvero?”

“Devo! - Guardando il soffitto alzò un poco le spalle ammettendo che l’idea di non poter considerare Giovanna una sorella, l’aveva accompagnata per anni. - Io ho avuto tempo per abituarmi all’idea di non essere l’unica figlia di Sebastiano, invece per lei è tutto nuovo. Tutto più difficile. Quasi violento.”

“Prova a darle il tempo di elaborare la cosa. Recupererete vedrai.”

“Questa volta credo tu la veda in maniera troppo romantica.” Disse lasciandosi cadere pesantemente sul cuscino. Avvertì il braccio dell'altra cingerle la vita ed il suo viso sulla spalla.

“Penso che il vostro legame sia già più forte del tempo perso e che nonostante non siate cresciute insieme, vi capiate già molto bene.”

Michiru non vide il suo viso, ma avvertì chiaramente i muscoli del tronco irrigidirsi ed il respiro fermarsi per una frazione di secondo. “Non sono stupida, Michiru. Lo so che avete entrambe ragione. Ho realmente perdonato Sebastiano per avermi mentito e ho perdonato me stessa per assermi colpevolizzata per anni. Ma a differenza vostra, non posso soffermarmi troppo a pensare che tutto questo ci abbia rubato una vita insieme. Mi è insopportabile, lo capisci?”

“Lo sapevo già e ti ripeto amore mio; il vostro legame è già più forte del tempo che Sebastiano vi ha rubato.” E chiedendole di spegnere la luce chiuse gli occhi sperando di riuscire a riposare un pò.”

“Mmmm.... Mi sa che mi sono fatta fregare da un'altra donna.”

“Credo proprio di si amore. Buonanotte.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: salve a tutti. Credevo che questo sarebbe stato il capitolo finale di questa prima storia, ma è andato un po' per conto suo. Come al solito.

Devo fare le mie più sincere scuse a Michiru, perchè anche se vorrei averla coccolata di più, si ritrova ad avere sul cuore un fardello davvero molto pesante proprio verso la fine, dove ho dovuto per forza di cose concentrare l'attenzione più su Haruka. Mi farò perdonare dedicandole qualcosa di speciale, magari una storia, la sua storia. Almeno come la vedo io.

Ps Tutti i luoghi dove ho ambientato questo racconto esistono davvero ed anche se alcuni non li ho mai visti di persona... credo siano veramente posti bellissimi.

Ps 2 Mi sono concessa una licenza: un buon silenzio non fu mai scritto. Lo usavano i miei nonni quando volezzano dire "taci e fai piu' bella figura".

A proposito... oggi è il 27 gennaio: Auguri Haru!

 

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Capitolo 21
*** Epilogo - La speranza di una strada verso la redenzione ***


L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Epilogo – La speranza di una strada verso la redenzione

 

 

Michiru uscì dalla struttura con un foglietto in mano. Il vento stranamente tiepido di dicembre le mosse alcune onde dei capelli e lei quasi ne sorrise. Dopo tre giorni aveva portato a termine la sua missione, come ormai aveva iniziato a chiamare quella ricerca, ed anche se aveva dovuto tenere duro nel compierla, si sentiva vagamente soddisfatta. Non aveva mai sopportato i cimiteri, neanche artisticamente parlando, a maggior ragione dopo la morte del padre, ripromettendosi di non metterci mai più piede e forse anche per questo, sentendosi un po' in colpa nei confronti di Haruka e Giovanna, si era offerta di svolgere per loro conto tutte le ricerche necessarie all'individuazione della sepoltura di Sebastiano.

Scendendo la gradinata del palazzo moderno dov'erano dislocati parecchi uffici statali, calpestò la poca neve rimasta per la strada di quel piccolo sobborgo cittadino, mentre la compagna la guardava dalla parte opposta della carreggiata appoggiata alla sua Mazda RX-9 nera. Rayban sul naso. Braccia conserte. Viso duro. Non le piaceva che Michiru se ne andasse a sbattere la testa per uffici stranieri lenti perchè ridotti di personale a causa delle vacanze natalizie e ancor di più per un compito gravoso come quello, ma in quella folle avventura in terra di Germania, sapeva che quello era il prezioso contributo che la sua dea aveva deciso di offrire a lei e alla sorella.

Avevano viaggiato rigorosamente in macchina, spezzando la monotonia delle autostrade elvetiche percorrendo tracciati secondari, fermandosi in piccole città per mangiare o dormire e per tutto il tempo Michiru non era stata bene, anzi, sembrava che più ci si avvicinasse allo stato di Brandeburgo, più l'insofferenza che aveva iniziato a manifestare per la notte, crescesse. Si coricava mal volentieri cercando di allontanare il sonno con la lettura e quando non aveva incubi, dormiva, ma non riposava.

E certo! Si sta parlando di cimiteri! Penchè non ci ho pensato! Accidenti a me ed al mio schifosissimo egoismo. In questo non sono certo migliore di mio padre, si era colpevolizzata Haruka già la notte del primo giorno, quando aveva deciso di tenersi la compagna stretta tra le braccia per tutto il tempo. Ma l'altra non si era lamentata, tutt'alto, aveva cercato di mantenersi gioviale ed allegra sia con lei che con Giovanna, la quale a differenza dell’amica, aveva invece messo su un viso cupo degno di nota. Questo atteggiamento, unito alla scarsa conoscenza reciproca, unito alla stanchezza, unito alla preoccupazione per la compagna, unito alla tensione della ricerca, avevo creato un mix spettacolare per l’esplosione pirotecnica avvenuta tra le due solo qualche minuto prima.

“Potresti almeno sorridere qualche volta. Tu non puoi saperlo, ma Michiru sta facendo un enorme sforzo per venirci dietro.” Aveva esordito la bionda nell'attesa che l'altra tornasse.

“Non capisco.”

“A... non lo capisci?

“No Haruka, non capisco! Cos’è che ti disturba tanto?!”

“Non abbiamo bisogno di questo! Se non ti frega proprio niente di nostro padre, almeno evita di rimarcarlo con quell’espressione a cazzo.”

E la sorpresa mista ad una vaga presa per i fondelli messa su dalla maggiore, le l’aveva solleticato i nervi ancora di più. “Ma se non ho neanche aperto bocca!”

“Appunto! Sei pesante Giovanna.”

“IO pesante?! Che coraggio!”

“Sarebbe a dire?”

“Senti..., lasciamo perdere.”

Non volendo lasciarle l’ultima parola la bionda aveva continuato staccandosi dalla carrozzeria per puntarle l'indice al petto. “Patti chiari,... sei liberissima di andartene quando vuoi. Non ti ho messo una pistola alla testa per convincerti a seguirmi.”

”Ma guarda che ipocrita!”

“Finiscila! Già tutta questa situazione è una merda senza che ti ci metta anche tu.”

“Io? E tu allora? Da quando siamo partite non ti si può rivolgere la parola senza un grugnito o un’occhiataccia! Mica facile camminare ogni tre per due su una colata di gusci d’uovo!”

“Oh perdonami se ho urtato la tua sensibilità!” Le aveva detto quasi con una punta di cattiveria e l’otre della pazienza che Giovanna aveva tanto faticosamente cercato di tenere a sfioro, si era colmata tracimando.

Fulminandola con lo sguardo acciaio chiarissimo di quel giorno, aveva decretato la fine dello scontro andandosene mani nelle tasche verso il parco che si estendeva di fronte agli uffici.

“Ecco... brava. Vai, vai!”

“Ma fottiti, Haruka!” E aveva guadagnato la strada sterrata a passo di carica.

Da li in avanti Tenou aveva preso a masticare bile che qualche minuto più tardi solo lo sguardo dolcissimo della sua dea era riuscita in parte a mitigare.

“Missione compiuta, capitano.” Annunciò stentorea porgendole un foglietto ripiegato in quattro parti.

“Grazie amore. Sei impagabile.” Le disse cingendole la vita attirandosela contro con possesso.

Assaporandole le labbra leggermente screpolate dal freddo, alzò le sopracciglia fintamente sorpresa. “Impagabile? Non si era detto che per questo servizio mi avresti offerto il pranzo? Dai, andiamo. Il cimitero adesso è chiuso. Riaprirà nel pomeriggio. Giovanna?”

Haruka ebbe un gesto di stizza aprendole lo sportello. “Che si fotta lei!”

“Scusa?!

“Lascia perdere, mi capisco da sola. Quando deciderà di smettere di fare la str...”

“Haruka! Che cos’è successo?”

L'altra sbuffò scocciata facendo un plateale movimento con il braccio. “Ha fatto l’idiota e sono esplosa. E' andata da quella parte. Te l'ho detto Michi, quando deciderà di smettere di fare... l'asociale, tornerà. Noi intanto andiamo a mangiare. Ho fame.” Ordino' salendo in macchina pronta ad arpionare la cintura di sicurezza.

“Ma scherzi?! La vorresti lasciare qui? Non conosce neanche la lingua... Haruka, ma si può sapere cosa vi sta prendendo a tutte e due!?” Chiese come proforma iniziando a dirigersi verso il parco.

“Ora che fai!?” Urlò dal finestrino.

Michiru si girò a mezzo busto alzando l'indice della destra continuando a camminare. “Aspetta li!”

“Come aspetta li. Kaiou!” Ma la compagna aveva già oltrepassato la cancellata percorrendo velocemente il vialetto che portava ad un laghetto poco lontano.

Che palle! Pensò sbattendo violentemente i palmi sul volante.

Non camminò tanto prima di trovarla. Se ne stava poggiata ad una balaustra di metallo posta a protezione delle sponde dello specchio d'acqua. Aveva trovato una posizione comoda per far riposare la schiena e si stava godendo il sole ed il silenzio dell'ora di pranzo in completa solitudine.

“La vostra prima discussione?! Dovremmo festeggiare.” Le disse cogliendola alle spalle.

Giovanna fece una mezza smorfia cacciando pesantemente fuori l'aria dalle labbra. Beccata anche questa volta. Il segugio non aveva perso il fiuto nel dar caccia alla sua preda di penna. “Dottoressa Kaiou... Mi ha scoperta anche qui.”

“A quanto pare. Anche se questa volta non è stato poi tanto difficile, Architetto. La si vede dalla strada. Avrebbe potuto fare di meglio.”

“Ed arrivare a perdermi in un paese straniero? Non sono tanto stupida. - Avvertì la sua presenza accanto al fianco. - Avevo solo bisogno di un po’ d’aria. Io sarò pesante, ma anche Haruka non scherza!”

Michiru si voltò allora schiena al laghetto guardando la macchina nero satinata in lontananza. “Diciamo che al momento non state tirando fuori il vostro lato migliore.”

La più grande abbassò allora la testa lasciandola pendolare mollemente. "Scusami. Non avrei dovuto lasciarmi convincere a venire con voi. So di stare avendo un comportamento odioso ed infantile, ma non mi è mai risultato facile nascondere i miei sentimenti. Se sono arrabbiata, o triste, o felice,... mi si vede e fine dei giochi.”

L'altra sorrise accarezzandole il braccio. Sotto molti punti di vista era una cosa bella e un pò la invidiava. "Anche se non è affatto diplomatica è una dote che a volte vorrei avere anch'io. - Ammise con convinzione. - Sono sempre stata abituata a controllarmi e non puoi immaginare la fatica. Solo con Haruka riesco ad essere pienamente me stessa. Lei mi capisce... Mi capisce sempre.”

“Lo so... Ed è bellissimo.”

“Neanche lei è molto capace a nascondere le emozioni che prova. Ascoltami, non è dispiaciuta solo per la morte di Sebastiano, ma è preoccupata anche per me. Sai, sono orfana di padre anche io.” Vide l'amica rialzare la testa e confessò con estrema naturalezza quello che solo la compagna sapeva.

“Mio padre si ammalò di nervi durante la mia adolescenza. L'ho visto trasformarsi da uomo docile ed amorevole qual'era, ad una persona completamente diversa. A volte arrivava ad essere violento, persino con me e mia madre, per poi non capire, non ricordarsi nulla quando la lucidità ritornava in lui. Forse fu proprio questa dimensione borderline a spingerlo a togliersi la vita. Sono passati anni ed io non ho ancora superato del tutto la cosa.” Le risultò benedettamente facile raccontarle di se.

“Dio, Michiru... Mi dispiace. Non immaginavo...”

L'altra piegò la testa da un lato. “Ora capisci perchè in questi giorni Ruka è tanto protettiva nei miei confronti? In quest’ultimo periodo non sto dormendo bene e non sa come aiutarmi.”

Giovanna si raddrizzò respirando a fondo. “Ed immagino che venire qui non ti sia affatto d'aiuto.”

“Già, ma non potevo lasciarvi sole. Che compagna ed amica sarei? Quando ho avuto bisogno tu ci sei stata, adesso tocca a me. Dai, su, torniamo alla macchina. Non so tu, ma io ho una gran fame.” E la incoraggiò a seguirla lungo il viale.

Ma la donna più grande non si mosse. Ferma, dritta in piedi la fissò serrando i pugni.

“Andiamo... Le sorelle alle volte litigano. Non è successo niente.”

“Non è questo. E' che... non so come reagirò davanti alla lapide di quell'uomo. - Lo sguardo si spostò da quello cobalto dell’amica alle acque scure del lago. - Non riesco a capire, Michiru.”

“Cosa?”

“Perché ci abbia fatto questo. È un tarlo che mi sta rodendo dentro. Vedi, a parte le volte che vorrei spaccarle quella faccia da schiaffi che tiene, mi piace Haruka. Tanto. È una bravissima persona. Leale, onesta, alla mano. Abbiamo tante cose in comune e ti dirò, non come me, ma è anche molto simpatica quando ha la luna dritta. E...” Si fermò schiacciandosi il labbro inferiore tra gli incisivi.

“E...?"

“Michiru..., avremmo potuto avere un bel rapporto.”

“Lo pensa anche Haruka.”

“Ma a differenza mia, lei lo scusa.”

“Cerca di capire; è vero, ha differenza tua, sotto certi versi lo scusa, ma lo ha conosciuto, lo ha amato e sono convinta che una parte di lei lo ami ancora. Forse è ancora più difficile perché rimane combattuta tra il rancore e l’affetto.”

“Per assurdo, se ci fossimo state sulle palle sarebbe stato più facile fronteggiare questa situazione. Si va in un cimitero, ci si mette l’anima in pace, poi si ritorna a casa e dopo una stretta di mano, ognuna per la sua strada. Magari un paio di telefonate l’anno; per Natale ed il compleanno. Zero recriminazioni. Nessun rimpianto. Ma così. Cosi non ci riesco. Cosi non so come affrontare la cosa. - Scuotendo la testa tornò a guardarla sentendosi un’imbecille. - Sono abbastanza patetica, vero?”

Michiru le prese allora il pugno tra le mani dandole un leggero strattone schiudendo le labbra. “No Giovanna. Sei solo tanto arrabbiata. Una cosa per volta. Un passo alla volta. Dai... Andiamo."

 

 

Il cimitero si trovava subito fuori città. Era piccolo, intimo e ben curato. Da lì a pochi anni non avrebbe più accolto tumulazioni e perciò sarebbe rimasto sempre così; cristallizzato nel tempo.

Come pattuito, Michiru avrebbe aspettato fuori accanto alla macchina, mentre le altre due sarebbero entrate in cerca della lapide, ed essendo un quadrato con due viali principali che ne dividevano in quattro parti l'area, la donna avrebbe potuto benissimo osservarle da dietro l'alta cancellata in ferro battuto che ne disegnava tutto il perimetro.

Un ultimo sguardo alla sua compagna poi Haruka si guardò intorno in cerca dei cartelli informativi. Secondo le informazioni raccolte avrebbero dovuto cercare il III quadrante, RS, posto 34.

“Se i quadranti sono quattro e l'ordine fosse in senso orario..., partendo dal cancello d'entrata il III quadrante dovrebbe essere quello.” Indicò Giovanna.

“Lo credo anch'io. Andiamo a vedere.” E si diressero verso una serie di piccoli recinti, anch'essi in ferro battuto, dove lapidi e croci ancora imbiancate di neve spuntavano dal terreno senza un ordine apparente.

“Senti Haru.”

“Mmmm...”

“Vorrei chiederti scusa. Non dovevo sbottare in quel modo. E' vero che ho la faccia appesa. Com'è vero che non mi hai costretta a venire.” Disse cercandone lo sguardo.

“E' a Michiru che dovresti chiedere scusa, non a me.” Rispose roca continuando a camminare lentamente guardo il foglietto ormai imparato a memoria.

“L'ho già fatto.” Confessò vedendola fermarsi per incrociare finalmente il suoi occhi. Un verde più dolce e finalmente la traccia di un sorriso. In meno di tre secondi Haruka aveva ammorbidito i lineamenti.

Accidenti se l'ami, pensò la più grande prima di chiederle scherzando, se dopo la loro prima, vera discussione, poteva ancora considerarla la sua sorellina spaccaculi.

“Ma piantala... - Borbottò riprendendo a camminare. - Be’, comunque scusami anche tu."

“Mi avresti davvero mollata come un cane in autostrada?”

“Ovvio.”

“Ecco!” E sorrise alzando le spalle.

Arrivate al terzo quadrante, Haruka si grattò la testa sentendosi confusa. “Che cosa significherà RS? Accidenti, avremmo dovuto chiedere al custode. Ci sono troppe lapidi qui, non possiamo certo controllarle tutte.”

Giovanna si massaggiò il mento con la mano guantata. “Forse è come per lo stadio. - Ipotizzò. - LD, per il lato destro. LS, per quello sinistro.”

“RS. Rechte seite. Lato a destra! Giusto.” Esultò la bionda sparandole una manata sulla spalla.

“Geniale! Lo vedi che quando fai ragionare il cervello...” E lasciandola a massaggiarsi la parte colpita puntò decisa alle prime iscrizioni ai margini del perimetro, vicino ad un muretto in pietra.

Guardandola tanto attiva, la maggiore penso' di essere piombata nella versione macabra del remake del film i Goonies. La fisso' mentre muoveva l'indice come nell'atto di stare contando mentalmente qualcosa e poi fermarsi di colpo abbassando la mano. Capì che aveva trovato quello che stavano cercando e per un istante ebbe paura. Girò lo sguardo verso Michiru appoggiata alla macchina a braccia conserte a circa duecento metri da loro e facendosi coraggio andò verso Haruka.

E si, la scritta sulla crocie bianca non lasciava dubbi: Sebastiano Aulis GEBURT 1945 – TOD 2010. E sopra la scritta una piccola foto in bianco e nero, molto probabilmente quella della patente di guida.

La bionda sospirò pesantemente chiudendo gli occhi ed abbassando leggermente il capo. Giovanna la guardò per qualche secondo per poi rivolgersi direttamente al titolare della lapide.

E si, sei tu. Non mi ricordo niente di te, ma qualche foto mamma la teneva ancora. Hai fatto soffrire anche lei. - Infossando il collo nella sciarpa ammise che il sole di quel giorno non scaldava. - Ho un freddo cane. Ce l’ho dentro, nelle ossa... E non è colpa di questo clima al quale non sono abituata, ma tua. Di tutto.

Respirando forte condensò parte della stoffa della sciarpa bagnandola leggermente. Bene, siamo qui. La vedi la donna che ora mi è accanto? E’ MIA SORELLA e non puoi più cambiare questa cosa con le tue menzogne. Anche se vorrei saperti in un posto adatto a quello che ci hai fatto, so per estrema convinzione che la Carità Divina ti ha perdonato. Un giorno spero di arrivare a farlo anch'io. Per quanto si cerchi di andare avanti, ci si ritrova sempre al punto di partenza, vero? Mi auguro comunque che prima di lasciare questo mondo, tu sia riuscito a percorrere almeno in parte la tua personale strada di redenzione. Spostando l'attenzione alle punte dei cipressi accarezzati dal vento dove dei piccoli uccelli sembravano stare giocando a rincorrersi tra le foglie aghiformi, Giovanna ripensò al piccolo cimitero della collina romagnola dove i suoi nonni paterni riposavano da anni.

Chissà, magari vi sarete ricongiunti e chissà, un giorno forse lo faremo anche noi. Addio. “Ti spetto fuori.” Si girò per tornare alla macchina quando le dita guastate di Haruka le bloccarono il braccio, scendendo lentamente verso il polso per allacciarsi infine alle sue. Proprio come aveva fatto la prima volta che si erano incontrate.

“Ciao papà, so che qui giace solo il tuo corpo, ma sono comunque voluta venire. Sono cambiate così tante cose nella mia vita da quando ti ho allontanato. Sono diventata la donna di successo che volevi, ma non come te lo eri figurato tu, ma come ho voluto che fosse per me. E ci sono riuscita. Con le mie sole forze. Il mio successo ha il volto di una donna meravigliosa che mi ama, la fatica e la soddisfazione di un lavoro bellissimo, la riconquista della salute. Il mio successo sta in una casa con un mutuo infinito e nel rispetto di chi mi conosce e mi apprezza semplicemente per essere quella che sono. Ma vedi papà, sono venuta qui anche per dirti che ti perdono. Non solo per avermi fatto vivere credendo di aver causato la sofferenza di un'altra persona ed averne acceso l'odio nei miei confronti, ma anche e soprattutto per avermi impedito di crescere al suo fianco. - Strinse con maggior forza la mano di Giovanna continuando con voce profonda. - E' una ragazza in gamba, altruista e generosa, ed è grazie all'atto più grande che una sorella possa compiere per un'altra, che sono qui oggi. Offrendomi una parte di se, mi ha permesso di continuare a vivere e lo ha fatto senza chiedere in cambio nulla. Perciò non soltanto ti perdono, ma ti ringrazio. Ti ringrazio per avermela donata.” Haruka sorrise accarezzando con lo sguardo la croce bianca mentre la maggiore abbassava la testa serrando la mascella sentendosi gli occhi bruciare.

Passarono un paio di minuti dove nessuna delle due parlò, poi fu la donna più alta a muoversi per prima, sciogliendo il contatto iniziò ad incamminarsi verso l’uscita.

“Andiamo Giovanna. Si va.” Disse inforcando gli occhiali ed infilandosi le mani nelle tasche del cappotto. Non soltanto un invito al movimento, ma ad un inizio.

“Haruka... aspetta. - La vide voltarsi rialzando i Rayban sulla testa. - Non chiamarmi sempre così. Gli amici e la famiglia mi chiamano Giò.”

Le andò accanto tornando a percorrere fianco a fianco il viale bianco. “Ok. Allora visto che solo la mia famiglia ha il permesso di farlo, tu chiamami... Ruka. ” Giovanna si bloccò di colpo. Ilde e Michiru. Le donne più importanti della sua vita.

“... Ruka.” Disse assaporando la dolcezza di ogni lettera.

“Vedi di non abusarne troppo.” Puntualizzò la bionda alzando un indice.

“Ruka.”

L'altra si girò portandosi una mano al collo. “Ecco,... lo sapevo che me ne sarei pentit... - Ma non poté concludere la frase avvertendo le braccia della sorella stringerle il petto con una tale intensità da sbilanciarla leggermente all'indietro. - Ma che fai!?"

“Ti voglio bene.”

La bionda sorrise abbracciandola a sua volta. “Ti voglio bene anche io... Gio'."

A quella inaspettata contro stretta questa volta fu Giovanna a sentirsi un po’ in imbarazzo, così stemperando se ne uscì come solo lei sapeva fare. “Sai cosa stavo pensando? Che visto il posto, se ora ci fosse un’apocalisse zombi saremo proprio nella merda.” E con un colpetto al petto, stirò le labbra staccando il contatto.

 

 

Niente momenti catartici avevi assicurato prima di partire. Patetica. Sei veramente patetica, Giovanna!" Se la rise Haruka rinfacciandole l'accorgimento fattole nell'accettare quel viaggio e controllando la strada alla sua sinistra, s'immerse nel caotico corso principale.

“E basta. Ma se sei tu ad aver sbattuto sul tavolo il carico del Ruka. Lo sapevi che mi avresti azzittita!" Controbatte' l'altra seduta sul sedile posteriore con un broncio impacciato disegnato sulla faccia.

“Ma questo non è un problema mio, mammoletta. Ammetti di essere una sentimentale e ti prometto di non rinfacciartelo più per il resto dei viaggio.” Barattò inserendo la seconda.

“Le ragazze in gamba, altruiste e generose... non ammettono proprio niente.”

“Che grandissima bastarda.”

“Non sfidarmi bella. Sono più grande di te! - Fece capolino tra i sedili. - E ti frego quando voglio.”

“C'è mancato poco che non scoppiassi a piangere.”

“Ma quando mai! Ci vuole ben altro, credimi."

"Ti ho vista. Ti luccicavano gli occhietti." E fece la voce in falsetto portandosi la nocca dell'indice sulla guancia destra.

“È' tutta colpa di questo schifo di tempo."

“Ma fammi il piacere..."

“NO, fatelo voi un piacere a me. e finitela. Non costringetemi a metterci bocca e badate che se l'andazzo dovesse rimanere questo ancora per molto, vi trascinero' a vedere ogni singolo mercatino di Natale da qui fino al Canton Ticino e vi assicuro che sono un'infinità. Guardate che lo faccio!” E con finta autorità, nascondendo a forza un sorriso enorme, Michiru mise fine all'ennesima diatriba.

“... Si, Michi mia.”

Giovanna si rituffò spalle al sedile posteriore grufolando soddisfatta. "Guarda come ti ha messo a catena." Costatò incrociando le braccia.

“Come, scusa!? Vuoi che rimanga sotto ai quindici così da farti schizzare fuori? Visto che sei un tappo, se ti appallottoli neanche ti fai male! Dai! Proviamo."

“Haruka..."

“Ma Michiru... È lei che istiga."

“Si, si."

“Giovanna!"

“Scusa... La smetto. La smetto."

 

 

Un Natale migliore non potevano immaginarlo. Abbracciate sul loro divano, con il caminetto acceso, un bicchiere a testa di vin brulè con cannella e chiodi di garofono, una leggera nevicata di contorno, serene dopo un ottimo pranzo. Cosa si poteva desiderare di più!

Haruka sorseggiò il suo vino continuando a giocherellare con i capelli della sua dea.

“Sei felice?” Le chiese Michiru dandole un bacio sulla guancia e tornando ad accoccolarsi sul suo petto mentre in sottofondo risuonavano le note del concerto per violino N. 4 di Paganini eseguito dal maestro Arthur Grumiaux che la bionda le aveva fatto trovare sotto l'albero. Anche se non suonava più da anni quelle melodie avevano ancora il potere di rilassarla.

“Si. Non potrei chiedere altro." Ammise Haruka. La tenerezza gentile nello sfiorandole la fronte con le labbra.

“Grazie per il tuo splendido regalo e grazie di aver aggiustato il giradischi.”

“L'ho trovato nel box sotto una pila di riviste tutto solo soletto e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere riaverlo in casa. I miei studi universitari sono valsi a qualcosa.” Rise pensando a quanto sudore quel semplice oggetto dalla meccanica elementare le aveva fatto versare prima di convincersi a tornare in vita.

“E che ne dici del mio di regalo?”

“Che d'ora in poi avrai l'obbligo di lasciare il cellulare all'ingresso sotto stretta sorveglianza.” Commentò osservando la mensola del camino. Accanto ad una loro foto al mare, ora ce n'era un'altra incorniciata da una semplice lamina d'argento.

“Ma così non potrei più immortalare niente.” Pigolò sorridendo all'immagine di due giovani donne intente a leggere una serie di indicazioni su un pacco di pasta da mezzo chilo che sarebbe servita per la cena.

“Appunto. Questo è lo scopo.” Disse guardando il liquido rosso nel suo bicchiere.

“Io la trovo bellissima. Al pari di quella che ti feci a Berna. E' la vostra prima foto insieme.”

L'altra la strinse posandole il mento sulla fronte arrendendosi. “Hai ragione...è veramente molto bella. Grazie.” Ed in quelle parole Haruka racchiuse tutta la riconoscenza che sentiva nei confronti della compagna per l'insperato dono di avere la sorella finalmente presente nella sua vita.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco qui. Spero che questo lavoretto vi sia piaciuto. Parlo al femminile, perchè credo che questa storia coinvolga un pubblico prettamente in “rosa”. Vi ringrazio per la dedizione che, soprattutto alcune di voi, mi hanno accordato leggendomi non appena mettevo un capitolo on line. Come vi ringrazio tantissimo per i commenti. Spero di aver emozionato qualcuna facendole passare dei momenti piacevoli tra le pieghe della sua fantasia, come spesso è capitato a me nel leggere scritti di altre.

Se il tempo me lo permetterà vorrei dedicarmi un po' anche a Michiru, pensando ad una storia più corta, ma più densa. Vediamo. L'idea di partenza l'ho gettata nel capitolo precedente. Ora devo tirarne fuori qualcosa di bello. E non sarà facile perchè mi rendo conto di scrivere un po' troppo arzigogolato.

Un salutone a tutte.

U BWolf

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