Wildest Dreams

di Stella94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La via verso il tramonto ***
Capitolo 3: *** Tutta una menzogna ***
Capitolo 4: *** Lo scudo dal mondo ***
Capitolo 5: *** Incubo ***
Capitolo 6: *** Bello come essere liberi ***
Capitolo 7: *** Resta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                  Wildest Dreams 

         


                                                                                           
                                                           
                                                               Prologo




─Dove andrai?
Gli domandò con voce gracile, quasi con timore. Perché non voleva pensarlo nuovamente lontano, non voleva pensare che stava per perderlo ancora, non voleva pensare che non poteva più raggiungerlo, che lo aveva riabbracciato solo per dirgli addio.
Jon si voltò verso di lei. Il fuoco gli illuminò il profilo del viso più maturo di come ricordava. Aveva occhi grandi e profondi, due cerchi oscuri ricolmi di ombre nelle quali ci si specchiava vedendosi fragile, vulnerabile, un fuscello nella balia della tempesta.
─Dove andremo semmai. ─ Le rispose inarcando le sopracciglia, come se fosse una risposta ovvia ─ Se non ti proteggessi, il fantasma di nostro padre tornerebbe per uccidermi.
─Allora dove andremo?
Si corresse, sentendo fiorire una nuova speranza dentro di se. Era una bella sensazione, che credeva perduta. Quasi la fece sentire un po’ più felice perché non aveva combattuto per nulla. Perché non aveva rischiato la vita per nulla, perché non aveva sofferto per nulla, e affrontato la morte per nulla.
Aveva lui, lo avrebbe avuto ancora.
─Non posso restare qui. Non dopo quello che è successo. ─ Si voltò verso Sansa, il calore del fuoco colorì le sue guance di un pallido rosa ─Ti ricordi le storie della vecchia Nan? Sulle Isole dell’estate e le città libere?
─Le terre dal tramonto rosso.
Disse Sansa, la mente ricolma di sussurri lontani.
─L’inverno in quei luoghi non arriva mai ─ Jon era serio mentre parlava. Ritornò a rivolgere l’attenzione alle fiamme, che bruciavano nei suoi occhi fitti ─E non senti mai freddo. Puoi dormire sotto le stelle, riscaldarti con un lenzuolo. I cieli sono alti e immensi, sempre puliti e colorano il mare di un azzurro limpido. Hai pensato al cibo? La vecchia Nan diceva che potevi trovarci frutti di tutti i tipi, e che le terre sono fertili e le acque brulicano di pesci. E poi il vino, il vino più buono mai assaggiato dagli uomini è da lì che viene, e puoi berne fino ad ubriacarti, c’è spazio per tutti. In alcune isole è vietato scontrarsi senza la benedizione degli Deii, e la guerra è bandita, persino alcune tipo di armi.
─Tutto sembrava molto bello, raccontato dalla vecchia Nan.
Sansa sorrise, intrecciandosi le dita sul vestito logoro di fango e sangue. Ricordava quelle storie, e ricordava anche quella sensazione di fastidio al pensiero di dover essere costretta ad ascoltarle.
Avrebbe dato qualunque cosa per ritornare indietro nel tempo, in quelle notti gelide d’estate,  quando fuori era troppo buio e fitto, il cielo chiuso e la nebbia densa.
In quelle sere in cui si radunavano accanto al fuoco, tutti i fratelli Stark. E anche a Jon era permesso ascoltare, purché sedesse più in disparte, purché stesse attendo a non confondersi con coloro che si sarebbero presi cura dell’eredità di Eddard.
E in quelle sere Sansa guardava Jon, lo guardava spesso, chiedendosi cosa ci fosse dietro quell’espressione sempre cupa e pensierosa.
A Jon piacevano le storie della vecchia Nan. A Sansa piacevano le storie dei cavalieri dal cuore nobile. A Sansa piaceva sognare. Ora Sansa preferiva tenere gli occhi aperti.
─E se fosse vero?
Jon la sorprese, osservandola con un’espressione seria.
Anche così era bello. Più bello di come lo ricordava. Con la pelle del viso leggermente pallida, e gli occhi grandi capaci di abbracciarla tutta e farla annegare nella loro profondità. Sansa non ne conosceva il fondo, ma lo immaginava pieno di cose, che adesso le sarebbe piaciuto imparare.
─Vuoi spingerti così a sud?
─Pensaci, Sansa, non c’è più nulla che ci trattiene qui ─ Affermò con un tono solenne ─Solo ricordi dolorosi, rimpianti e sangue. La nostra casa, la nostra famiglia, le nostre speranze, ogni cosa è andata distrutta. Siamo tutto quello che ci rimane. Io e te. Nient’altro è più prezioso
─Ma Grande Inverno…
─Cosa ne è rimasto di Grande Inverno che ricordavamo? Il Nord non ci vuole più, Sansa. Siamo degli stranieri qui, senza casa né nome. Pensi che qualcuno sia disposto a stare dalla nostra parte? Cosa abbiano noi da offrirgli?
Sansa incrociò le braccia al petto ─Siamo degli Stark.
Il ragazzo scosse la testa, un ghigno appena accennato sul volto. Era un’espressione acerba, quasi amara. Distorceva il suo viso come una maschera accartocciata. C’erano cose di Jon che ancora le sembravano nuove e altre cose che non avrebbe mai davvero imparato.
─Tu sei una Stark ─ Ripose, gli occhi rivolti verso le fiamme, ardevano insieme alla brace ─Io sono uno Snow. I signori del Nord non mi ascolteranno mai, e non ascolteranno te perché sei una donna. Abbiamo perso, Sansa. Entrambi.
─Ma non è da codardi? ─ Nella semioscurità della stanza, Jon appariva come una figura di linee luminose e ombra ─ Scappare via e dimenticare tutto?
─Non stiamo scappando e non stiamo dimenticando. Stiamo raccogliendo tutto quello che rimane di noi, per farne una fortezza ancora più solida.
Sansa abbassò lo sguardo, il cuore palpitante. Si sentiva confusa e spaesata, come se continuasse a girare in tondo senza capire il motivo.
La prospettiva di Jon l’allettava a tal punto da lasciare libera la fantasia di immaginare un futuro che fino a quel momento non aveva concepito.
Giornate calde, piene di luce, una casa che affacciava sul mare sempre sereno, lunghe dormite su un letto di sogni, assaggiando cibi mai provati. E poi il sorriso di Jon aperto e splendente, le sue braccia che la tenevano al sicuro, nessuna minaccia, nessuna guerra, nessun trono, nessun inganno.
Oh, che bella vita che sembrava! Diversa da quella che aveva sperato ma pur sempre bella.
Non credeva che sarebbe stato tutto semplice. Il cammino era lungo, insidioso, alle calcagna un marito crudele e impietoso che non avrebbe esitato a torturarla più di quanto avesse già fatto.
Il nord era un luogo ostile, difficile. Le terre dei Setti Regni altrettanto minacciose e irte di ostacoli. Sembrava un’alternativa facile raccontata da Jon, ma Jon non conosceva il mondo nel modo in cui lo conosceva lei.
E inoltre che ne sarebbe stato della sua casa? Di ciò che era rimasto della sua famiglia? Arya, Rickon e Bran erano scomparsi, probabilmente alcuni di loro anche morti, ma non spettava forse a lei il compito di ritrovarli e metterli al sicuro? Se fossero stati in pericolo? Se avessero bisogno di aiuto?
Brienne le aveva assicurato che Arya stava bene, e che era felice di seguire un uomo di cui si fidava. Ma le sorti di Rickon e Bran rimanevano risucchiate nell’ignoto e Sansa sentiva che non poteva lasciare nulla al caso.
D’altra parte suo fratello aveva ragione, non c’era più nulla che potessero fare, o qualcuno che fosse in grado di aiutarli. Se avessero solo commesso un’unica mossa falsa, i cani di Ramsay non avrebbero tardato a trovarla, come la sua ferocie che non l’avrebbe risparmiata.
Cosa poteva fare? Cos’era giusto fare?
Non c’era dubbio sul fatto che dovevano lasciare la Barriera al più presto. Ma per dirigersi dove? Verso un tramonto di luce o un'alba di sangue?
─Ho paura, Jon.
Ammise soltanto, perché era vero ed era scritto nel suo sguardo smarrito. Sapeva che non sarebbe stato in grado di sfuggirgli.
─Sansa, non posso proteggerti se continueremo a rimanere qui. Ogni minuto che passa è un minuto in più che condiamo al nemico. Ramsay Bolton presto sarà al Castello Nero. Non ho abbastanza uomini con me per riuscire a contrastarlo, e come tuo marito può disporre della tua vita nel modo in cui più gli compiace. Questo non è più il nostro posto. Ci troviamo su una terra di spade. Ad ogni passo una lama ci trafigge. Senza contare che ci sono forze oscure al di là della Barriera, pronte a capovolgere tutto quello che conosciamo. ─Passò una scintilla nel suo sguardo, e si aprì una crepa, come uno squarcio. All’interno Sansa riusciva a vedere ogni cosa, anche quella più intima e nascosta. Una voragine che si era spalancata veloce e si stava richiudendo con altrettanta rapidità─Sono morto, Sansa. Morto. E ho visto cosa c’è oltre. Nulla. Voglio cominciare a credere che meritiamo di avere qualcosa qui. Senza più combattere. Sono stanco.
Lo guardò, come non aveva mai fatto prima. Il profilo di Jon era una linea dorata nella semioscurità della stanza. Avrebbe voluto scavare ancora nella nebbia dei suo sguardo, ma non era certa di cosa ci avrebbe trovato e non era sicura di voler rischiare.
Il cuore le batteva forte contro il costato. Ecco due strade che le si aprivano davanti agli occhi.
Erano illuminate, entrambe distanti, dai confini indistinguibili in nuvole bianche che si perdevano nel vuoto. Ma solo in una di queste, si rese conto con sgomento, vi era Jon, ad aspettarla con le braccia spalancate e la promessa di una vita che non le era mai sembrata tanto bella.
Non scelse quella promessa, non scelse nessuna gloria, non scelse la felicità o la codardia, non scelse di barricarsi e nascondersi nel terrore.
Scelse Jon. Semplicemente. Scelse il luogo in cui l’aspettava, il luogo in cui sentiva che adesso in poi avrebbe dovuto stare.
─Quanto lontano distano le Isole dell’Estate?
Non era una vera e propria domanda, era un grido d'aiuto.
Dimmi che andrà bene. Dimmi che sarà per sempre.
Jon la osservò con gli occhi carichi di stelle, l’ombra di quello che sembrava un leggero sorriso sul suo viso sempre corrucciato.
─Molto lontano. Così lontano che neppure l’odio potrà raggiungerci.
E fu come se avessero dormito per tutto il tempo e all’improvviso, ora con le palpebre aperte, guardavano il mondo, in quel verso tanto sorprendente da togliere il fiato.
 
 
CONTINUA…

 
 
 
 
Si si lo so, ho un’altra Jonsa da continuare, ma questa idea mi ossessionava e ho deciso di provare a scrivere il primo capitolo. La poterò a termine solo se vi ha incuriosito. A me come idea piace. Mi è venuta in mente mentre leggevo alcune cose. Ho pensato che Jon effettivamente voleva allontanarsi dalla Barriera e sembrava proprio di voler cambiare vita. Lui dice che vuole andare al caldo – o in un posto caldo- e mi sono venute in mente le Isole dell’Estate. Ho fatto alcune ricerche, e ci saranno dei cambiamenti che adotterò io per far seguire alla storia un certo filo e… nulla, mi sono chiesta come sarebbe stata la loro vita da un’altra parte, a partire da zero, mentre cercano di ricomporre i pezzi di loro stessi e iniziare tutto un’altra volta.
Forse dal prossimo capitolo capirete qualcosa di più su come voglio impostarla.
Se deciderò di continuarla, vi avverto, vi troverete in una fiction ben lontana dal mondo di GoT, pur mantenendo alcuni punti fondamentali. Sarà una storia che esplorerà i loro sentimenti, quindi sarà questo il perno di tutto. Non aspettatevi, insomma, scene di guerra o complotti sadici, ma è una fiction che esplorerà Jon e Sansa nella loro quotidianità, uno scorcio nella loro vita.
Ma fatemi sapere cosa ne pensate!! Ci tengo! Grazie comunque per averla letta! Un bacione grande da Stella! 

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Capitolo 2
*** La via verso il tramonto ***


                                                                 

                                                       La via verso il tramonto

 
 
 




La strada alle sue spalle si perdeva nella nebbia e nella neve, un paesaggio spettrale dalle ombre lunghe e affilate, ma che continuava a richiamare la sua attenzione, come se ci fosse qualcosa che necessitava di essere vista.
Avevano già viaggiato a lungo, dopo aver lasciato la Barriera in un miscuglio di abbracci e rassicurazioni, l’espressione di Brienne di Tarth dura e contrariata, il braccio teso lungo la spada che portava al fianco.
Sansa ricordava bene le sue parole. Lungo tutto il tragitto ci aveva pensato spesso, sentendole rimbombare nella testa come il fragore di un martello che picchia duro contro la roccia.
La donna guerriera si era rivelata ostile alla sua scelta, altrettanto avversa a lasciarla andare. Jon le aveva assicurato che l’avrebbe protetta, ma Brienne di Tarth si fidava solo di Brienne di Tarth, e con le labbra piegate in una smorfia gli aveva intimato di stare attento, pregandoli alla fine di accettare nuovamente i suoi servigi e permetterle di seguirli a Porto Bianco, dove avrebbero preso la nave che li avrebbe condotti a Sud.
Ma anche Jon Snow si fidava solo di Jon Snow, ed era stato gentilmente risoluto nel rifiutare la sua richiesta, ricordandole, senza pavoneggiarsi troppo, di essere un guerriero altrettanto valido.
E così tutti li avevano guardati, lasciare la Barriera, il Nord, un pezzo della loro vita.
Sansa si sentiva scomoda sul cavallo, con Jon che la teneva ben salda da dietro imprigionandola tra le sue braccia, ma stava zitta e teneva i denti ben saldi, combattendo il freddo e un senso di vuoto che diventava sempre più profondo nello stomaco.
Aveva alzato il cappuccio del mantello sulla testa per evitare di essere riconosciuta, addosso abiti pesanti, di lana e cotone spesso. Si era premurata di magiare bene prima di partire, di lavarsi sfregandosi con forza, di adempiere a tutti i suoi bisogni corporali e di riflettere con attenzione su ogni singola conseguenza che quella scelta avrebbe portato.
Sembrava che ogni cosa fosse nel posto in cui avrebbe dovuto essere, ma continuava a stare fissa sul sentiero che avevano già percorso, come se avesse abbandonato un moribondo per strada e si sentisse in colpa di non avergli prestato le cure che necessitava.
─Non fai altro che guardarti le spalle. Non avere paura. Nessuno ci sta seguendo.
Procedevano sicuri sul cavallo bianco di Jon, Spettro che teneva il passo scomparendo di tanto in tanto.
─Ho come l’impressione di aver dimenticato qualcosa.
Confessò Sansa, riportando l’attenzione sulla stradina fangosa che si apriva davanti ai loro occhi come una cupola di rami secchi e neve.
─Io sono qui ─ Jon la guardò dall’alto, il grigio del cielo nei suoi occhi era macchia bianca di luce ─Cos’altro puoi aver dimenticato?
Sansa gli sorrise, esponendo le guance arrossate dal gelo sotto il cappuccio di lana grigia.
A volte lo dimenticava quanto fosse bello essere solo Sansa. E non Sansa Stark, la figlia di Eddard, moglie di un Lannister e di un Bolton. Forse era per questo che adorava la compagnia di Jon.
Con lei poteva essere quel pezzo di se stessa che si era sempre negata. E stava imparando ad amarlo, più di quanto avesse immaginato.
Si spostò lentamente sulla sella del cavallo. Erano in viaggio da ore, senza fermarsi per sgranchirsi le gambe, concedersi un pasto, chiudere gli occhi per qualche minuto. Jon era apparso testardamente risulto nel voler raggiungere entro la notte Ultimo Focolare, così avrebbero potuto attraversare il Lago Lungo, e allontanarsi dalla Strada del Re. Sia Sansa che Jon erano stati d’accordo sul fatto che sarebbe stato più sicuro percorrere le strade che tagliavano tra i boschi, ed evitare quelle principali, esposte agli occhi della gente e ai cavalieri di Bolton.
Per fortuna Jon conosceva ogni anfratto di quelle foreste, ogni più piccolo sentiero o scorciatoia.
Era stato suo padre Eddard a mostrargliele nelle battute di caccia, e molte altre erano state scoperte di fortuna che aveva condotto insieme a Robb. Ricordava quei giorni come i più felici della sua vita, i più rimpianti dei suoi ricordi.
Sansa non conosceva qui luoghi, nonostante il Nord fosse stata la sua casa per molti anni.
Le signore non andavano a caccia e non percorrevano viottoli insidiosi. Uscivano servendosi di case su ruote, andavano a cavallo ma solo se scortate, e si potevano di certo considerare piacevoli passeggiate, più che scorazzate in sella ad un animale.
Non era abituata a muoversi in quel modo. Sentiva un fastidio lanciante tra le cosce, la schiena percorsa tutta da un doloroso bruciore. Aveva stretto i denti per molto, ma era stanca, affamata, le facevano male le ossa e gli occhi stavano per chiudersi.
Voleva lasciarsi andare indietro, sul petto di Jon che profumava di bosco bagnato, limone e zucchero bruciato.
Ma non voleva mostrarsi debole e in qualche modo deluderlo. Vedeva il suo viso dal basso, concentrato, dagli occhi di ombre carichi di convinzione. Jon aveva affrontato numerose battaglie, se ne rendeva conto, in posti decisamente più angusti e difficili dei sentieri di Grande Inverno.
Possedeva quella giusta resistenza che lo avrebbe fatto stare in sella anche tutta la notte, se fosse stato necessario.
Ma tutte le forze di Sansa la stavano abbandonato, e non c’era modo di resistere, la neve fin sotto le ossa.
─Jon, perché non ci fermiamo qui? Troviamo un posto dove poter passare la notte. Ogni cosa andrà bene. so adattarmi.
Il ragazzo si guardò intorno con gli occhi ridotti in due fessure oscure e impenetrabili.
─No ─ rispose con un tono che non ammetteva replica ─Questi boschi non sono sicuri.
─Non ci sta seguendo nessuno ─ Protestò lei allora, osservando con disperata cocciutaggine ─ Potremmo fermarci anche solo per qualche ora. Cosa potrebbe succederci?
─Sansa, il sole non è ancora calato e ti sto dicendo che questo posto non è sicuro. Capisco che sei stanca, lo sono anch’io. Ma dobbiamo proseguire.
─Mi dispiace, non ci riesco ─ Sansa cercò la sua attenzione afferrando un braccio teso sulle briglie. Quando la ottenne scoprì un’espressione dura sul viso del fratello, come una roccia massiccia di determinazione e severità. Tuttavia Sansa possedeva la sua stessa testardaggine, e non si fece intimorire ─ Io non sono come te, Jon. Non voglio essere il tuo peso morto sulle spalle, ma non ti chiederei di fermarci se non ne avessi davvero bisogno.
─Non possiamo. Non qui. Non ora.
─Anche il cavallo ha bisogno di riposarsi. E dobbiamo mettere qualcosa nello stomaco se vogliamo proseguire il viaggio senza ammalarci. Edd mi ha consegnato delle provviste. Potremmo nasconderci in un luogo appartato e stare lì per un po’. Ci farebbe bene.
─Non lo nego ─ Imperterrito Jon spronò il cavallo al trotto ─ Ma tu non conosci questi posti quanto me, e nella nostra attuale posizione non è saggio concederci al ristoro. Devi imparare ad ascoltarmi, Sansa.
─E tu ad ascoltare me. Ho bisogno di scendere da questo cavallo, e di riposarmi, anche solo per qualche minuto. Sono esausta.
 
Si fermarono, nonostante l’evidente riluttanza di Jon nell’arrestare in loro cammino nel bel mezzo di un bosco sconfinato, dominato da animali feroci e chissà quali altre minacce altrettanto brutali.
La neve continuava a cadere in piccoli fiocchi soffici e bianchi. Scelsero di ripararsi in una caverna non troppo profonda che Jon si era premurato di controllare. Impossibilitati ad accendere fuochi, mangiarono del pane duro e qualche fetta sottile di formaggio di capra.
Jon era sempre più inquieto e nervoso. Guardingo, teneva le orecchie tese, la mano sempre ferma sull’impugnatura di Lungo Artiglio, mentre Sansa osservava ogni cosa le stesse intorno, come se l’avessero appena lasciata libera di vedere il mondo.
Non aveva mai davvero capito quanto fosse innaturalmente spettacolare Grande Inverno. Con i suoi cieli sempre grigli, e un’aria pura, di pino e di ghiaccio, che ti entrava dentro, fino ad abbracciarti il cuore.
Il paesaggio che si apriva davanti ai loro occhi, era macchia bianca di querce e faggi.
Gli alberi, alcuni del tutto spogli, tendevano i loro rami rinsecchiti verso il cielo, quasi a volerlo toccare, sotto la terra era neve e fango, sulla quale cerbiatti e lepri sbucavano di tanto in tanto, fuggendo spaventati.
Niente sarebbe stato come il Nord. Nulla avrebbe avuto più importanza di casa sua.
Quando riportò l’attenzione su Jon, lo trovò chino ad affilare la lama della sua spada. Non era mai stato un ragazzo sociale ed espansivo, ma tutta quella riservatezza faceva parte del suo fascino. Jon lasciava a te capire cosa nascondesse dentro, e Sansa desiderava ardentemente imparare a farlo.
─Quella Donna Rossa, non voleva lasciarti andare. Tu ha supplicato affinché tu rimassi alla Barriera.
Convenne Sansa, sperando di poterlo costringere a rompere il silenzio, nella testa ancora le immagini di quella donna tanto bella quanto misteriosa, che scuoteva la testa afferrandogli un braccio.
Mio Signore, vi imploro. Il vostro posto è qui.  
Il ragazzo alzò gli occhi verso di lei, la testa leggermente abbassata.
─Crede che io sia il suo Dio.
─Ed è così?
Jon si rimise in piedi rifoderando Lungo Artiglio. Gonfiò il petto come esausto e sconfitto.
─Un vero Dio avrebbe potuto prometterti qualcosa di più di una vita di bugie, fughe e miseria. ─ C’era sincera amarezza nel suo tono incrinato dalla frustrazione ─ Vado a cercare Spettro, così possiamo riprendere il cammino. Tu resta qui.
Le diete le spalle e si incamminò curvo affondando gli stivali nella neve. Più lo vedeva allontanarsi e più sentiva aprirsi un vuoto nello stomaco, come un soffio funesto, gelido e paralizzante. La paura che non ritornasse più a riprenderla.
─Jon? ─ Si affrettò a chiamarlo con apprensione, lui che si voltò offrendogli un’espressione imperturbabile scalfita dalla neve ─Tutto ciò di cui ho bisogno è avere te al mio fianco.
Lui annuì soltanto con le labbra stette. Sembrava aver capito ma era difficile sapere quanto di Jon si nascondesse in Jon.
A poco a poco divenne solo un punto grigio nell’orizzonte bianco, pieno di ombre. Poi scomparve.
 
 
Le ore scorrevano e Sansa Stark aspettava impaziente che Jon facesse ritorno.
Non era stanca, ma solo preoccupata, che qualcosa fosse andato storto o che suo fratello si trovasse in pericolo. Cominciava a pentirsi di averlo pregato affinché si fermassero per riposarsi.
Si sentiva decisamente più in forma, e capace di affrontare un’intera notte di cammino, se ce ne fosse stato bisogno, ma all’improvviso era sola, infreddolita e vulnerabile, con rumori tutti intorno che si facevano sinistri, grida lontane che giungevano come inquietanti sussurri.
Osservò il circondario, mosse alcuni passi, poi ritornò indietro. Forse avrebbe dovuto mettersi sulle sue tracce, ma la neve aveva già coperto le impronte lasciate da suo fratello e per quanto si sforzasse ad ammettere il contrario, Sansa Stark, lady di Grande Inverno, non conosceva Grande Inverno, né chi lo dominava o i sentieri che si diramavano nelle sue colline rocciose.
Forse un tempo avrebbe pianto, ma non era più la ragazzina di un tempo.
Il valore di Jon Snow era innegabile. Si era spinto oltre la Barriera, tenendo testa ai bruti e meritandosi quindi il loro rispetto. Aveva visto gli Estranei e imparato come ucciderli. Aveva sofferto la fame in luoghi tetri, si era gettato contro l’impossibile e vinto addirittura la morte. Jon sarebbe ritornato, forse gli Déi avrebbero ascoltato le sue preghiere.
Era da molto che non lo faceva, ma si mise in ginocchio e si rivolse al Guerriero, alla Madre, e alla Vecchia. Pregò con le mani giunte e il viso abbassato. Pregò con gli occhi chiusi sussurrando appena.
E poi lo sentì. Un latrato di cani diventare più acuto e prepotente. Spalancò le palpare con forza rimanendo immobile.
Voci di uomini erano accompagnate da nitrirti di cavalli. Urlavano, parevano un esercito, si scambiavano ordini, qualcuno fece notare di aver visto qualcosa proprio nel luogo in cui stava ancora inginocchiata.
Il panico la pervase come lunghe dita serrarsi intorno al collo. Sentì quasi i polmoni stringersi, diventare piccoli, incapaci di inglobare aria.
Dov’era Jon? Perché non tornava?
Si sporse dietro il riparo offerto dalla roccia, e li vide bene quegl’uomini. Armigeri di Ramsay Bolton, gente fedele al Lord di Forte Terrore, armati di lance, spade e picche, accerchiati da cani dalla quali fauci tetramente spalancate, colava una lunga bava bianca e densa, segno che avevano fiutato la preda e non vedevano l’ora di attaccarla.
Sansa strinse le palpebre e guardò il cielo. Si facevano sempre più vicini. Se fosse scappata l’avrebbero sicuramente vista, se fosse rimasta dov’era l’avrebbero sicuramente vista.
Era un topo in trappola, come di quelli piccoli che squittivano tentando inutilmente di aprirsi una via di fuga tra la dura roccia, mentre il suo predatore si faceva sempre più vicino con l’ascia e con la daga.
Sarebbe stata squarciata alla svelta? Ramsay l’avrebbe stuprata ancora prima di ucciderla? Di quali immani torture si sarebbe servito per punirla di un affronto simile?
Era stata una sciocca, fin dal principio, e lo era stata ancora di più perché aveva sminuito il giudizio di suo fratello, pregandolo a compiere scelte che l’avevano sempre visto contrario.
Proseguire, proseguire. Dobbiamo proseguire.
Ora quelle parole le sembravano vuole, sussurri che si stavano trasformando in urla, implorazioni gridate dal fondo di un pozzo oscuro.
Non poteva più stare ferma. Doveva muoversi, correre, tentare di sfuggire agli uomini di Bolton se voleva almeno tentare di salvarsi la vita.
Jon le aveva lasciato il cavallo. Gli armigeri si stavano dirigendo nella sua direzione attirati dall’animale che pascolava placido tra la neve e il fango.
Doveva salire in sella prima che fossero troppo vicini da impedirle qualsiasi movimento. Scoccò un’occhiata a Ombra, il cavallo bianco di suo fratello. Prese due boccate d’aria, il latrato dei cani sempre più vicino. Ancora un lungo respiro, le gambe parevano cederle.
Si rimise in piedi a fatica, la paura era come una voragine nello stomaco vuoto. Strinse i denti e corse. Corse veloce verso la sua salvezza, verso la via di fuga, verso il nulla, o verso tutto.
Rapidamente si mise diritta in sella all’animale. Agitò le redini e questo partì alla svelta, tra un nitrito e uno scalpitio di zoccoli che affondarono nella neve fresca.
Gli uomini dietro di lei si accorsero subito della sua presenza. Il cappuccio che teneva sulla testa si era afflosciato lungo le spalle, i lunghi capelli ramati e lucenti come papaveri rossi agitati dal vento in un campo di margherite candide.
Gli scagnozzi di Bolton urlarono inviperiti, i cani abbagliarono più forte facendo tintinnare le lunghe catene che tenevo strette al collo.
Sansa non era mai stata una brava cavallerizza, non quanto sua sorella Arya o i suoi fratelli maggiori.
Era impacciata ed insicura. Tirava le briglie, poi le agitava.
Ombra correva senza seguire una direzione precisa. Schivava rami, superava con un salto tronchi abbattuti lungo il cammino, buche scavate in profondità, rocce spesse e acuminate, ostacoli improvvisi che gli intralciavano la strada.
Sansa sentiva il cuore in gola, l’aria del Nord sferzarle le guance fino a farle male. Non era sicura della direzione che stava prendendo, dove Ombra si sarebbe fermato o se si sarebbe fermato. Sapeva solo che doveva correre, muoversi alla svelta, tenere gli occhi aperti, la bocca stretta.
Non aveva dubbi che gli uomini alle sue spalle la stavano raggiungendo. Erano esperti cavallerizzi, valorosi guerrieri, che sapevano maneggiare alla perfezione lance, spade e picche, abituati a percorrere lunghe leghe senza mai concedersi respiro, dominavano gli animali su ciò cavalcavano con indubbia destrezza.
Era come avanzare contro un dirupo. Poteva vedere già l’orizzonte aprirsi in un oceano di ombra e tenebre.
Se solo potessi vedere Jon ancora una volta.
Accadde tutto in fretta. Ombra stramazzò a terra, probabilmente colpito da una freccia lanciata senza scampo da uno degli uomini di Ramsay.
Sansa crollò al suolo, atterrando nella neve e nel fango. L’imbatto fu doloroso, improvviso ed accecante. Per qualche secondo perse il contatto con la realtà, che divenne un buco vuoto, dominata da un impercettibile ronzio. Poi sbatté le palpebre più volte, e le ombre divennero macchie bianche, fino ad acquistare contorni nitidi, di facce brutte, dalle bocche aperte in agghiaccianti sorrisi, l’espressioni disgustosamente vittoriose sui loro volti rossi dallo sforzo.
La ragazza si piegò su se stessa. Poco lontana da lei il cadavere di Ombra giaceva inerme in una macchia rossa di sangue tanto vivida contro la neve.
Per la sua ingiustificata stupidità, avevano perso anche il cavallo, innocente e fedele che senza mai chiedere nulla li aveva quasi condotto alla salvezza. Perché non riusciva a cambiare?
Si raggomitolò su se stessa, sputando la paura e l’orrore. Osservava i suoi assalitori con un braccio tenuto inutilmente a proteggerle il viso.
Uno di loro si fece più vicino. Sansa lo riconobbe subito. Era uno dei più fedeli sottoposti di Ramsay. Jeremy faccia da ratto, lo chiamavano, e Sansa aveva subito capito il motivo di un nomignolo tanto spregevole.
Jeremy era alto, ben piazzato, dalla faccia sottile da cui sbucavano quasi per errore due incisivi sempre sporgenti. Jeremy preferiva tenere la bocca chiusa per questo, ma era fedele a Ramsay e implacabile in battaglia.
Si chinò per osservarla meglio, il cane che teneva al guinzaglio sfoderò le zanne facendo colare bava sulla neve.
─Lady Bolton, non immagini quanta gioia mi arreca vederti ─ Bofonchiò con i suoi denti che sbucavano dalle labbra. Gli altri quattro uomini alle sue spalle sghignazzarono divertiti. Era assai evidente che Jeremy si stava solo prendendo gioco del suo terrore. ─ Boschi oscuri e freddi sono questi per una fanciulla bella e delicata quanto te.
Allungò una mano spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, che si era appiccata sulla guancia. Sansa provò disgusto misto ad un senso di strazio che la spinse ad arretrare sulla neve, quasi volesse sprofondare nel terreno.
Come sarebbe stata la fine? Avrebbe riabbracciato i suoi genitori quando il suo cuore si fosse stancato di battere?
─Fareste bene a lasciami andare.
Jeremy ridacchiò, i compagni alle loro spalle lo imitarono producendo verso rochi e strozzati.
─Lasciarti andare? ─ L’uomo sembrava trovare una sorta di godimento nel prenderla in giro, come se per lungo tempo avesse covato dell’odio, e adesso, in un’evidente posizione di vantaggio, si concedesse una sudata rivincita ─E’ da giorni che siamo sulle tue tracce, mia signora. Alla fine gli Dèi ci hanno concesso fortuna, ed eccoti qui, sola e smarrita, senza nessuno al tuo fianco a proteggerti. Ma non temere, ti riporteremo da casa da Lord Bolton. Immensa sarà la sua gioia quando ti riaccoglierà nelle sue braccia. L’amore è forte.
Sansa si sentiva nauseata, le girava la testa, la gola secca.
Quell’altra Sansa, la Sansa ancora bambina, si sarebbe nascosta dietro la sua granitica cortesia.
Ma non era più quella Sansa. Ora strinse i pugni al suolo tenendo lo sguardo ben fisso sul nemico. Prima di intraprendere il viaggio, Jon le aveva consegnato un piccolo pugnale che teneva nascosto sotto le gonne.
Non ne aveva mai usato uno, né tentato di minacciare un uomo con’arma, ma avrebbe lo stesso tentato.
─Lord Bolton non è capace di amare, ma solo di uccidere, torturare e mutilare. Non ho nessuna intenzione di ritornare a Grande Invero per lasciare che faccia di me ciò che più gli compiace ─ Lentamente arretrò nella neve, facendosi forza sulle ginocchia per mettersi in piedi. Veloce estrasse il pugnale nascosto sotto le gonne, stringendo l’impugnatura con entrambe le mani. ─Sono pronta ad uccidere o a uccidermi, se fosse necessario. State lontani da me!
Cercò di metterci determinazione nella voce, così come nella sua postura, a gambe aperte e braccia tese. Jeremy Look però, se ne fu davvero spaventato, non lo diete a vedere, così come i suoi uomini dietro le sue spalle. Al contrario, resero i loro sorrisi maggiormente sghembi, l’impugnatura delle loro spade brillavano nella luce grigia del pomeriggio.
─C’è fuoco nei tuoi occhi, Lady Bolton ─ Convenne con il suo solito tono scherzoso ─  Un fuoco che eccita. Fece un cenno con la testa a uno dei suoi uomini, questo si avvicinò mentre Sansa continua ad arretrare, la presa sul pugnale sempre più incerta.
Senza nessuna fatica l’armigero la disarmò strattonandola fino a farla quasi precipitare nuovamente al suolo. Ma l’uomo la tenne, robusto, forte e imponete dietro di lei, bloccandole le braccia alla schiena mentre Sansa inutilmente si dimenava.
Urlò, senza alcun risultato, numerosi uccelli spiccarono il volo verso il cielo.
Ora tutti i servitori di Bolton le stavano intorno, come i loro cani sembravano sbavare alla vista di una ricompensa preziosa. Sansa non riusciva a guardare neppure i loro volti. Le sembravano solo ombre, buchi scavati nella nebbia. Questi si scambiavano battute difficili da comprendere, occhiate lascive, che penetravano nel suo corpo più di lame.
Ad un tratto si guardò intorno e capì. Non aveva via di fuga, l’aria era pesante e sapeva dell’odore dei suoi assalitori, rancido e stomachevole. I cani abbaiavano in lontananza, legati con delle catene al tronco di un albero di faggio.
Jeremy si fece particolarmente vicino, le mani alle brache dei pantaloni mentre cercava di slacciarsi i lacci dalle fibbie.
Sansa percepì come un incendio freddo, il cuore gonfiarsi nel petto e poi esplodere.
Gli occhi dell’uomo parvero accendersi, lucciole di brace grosse quanto sassi. Era uno spettacolo inquietante, che la spinse ad urlare più forte, a scalciare con tutta la determinazione che le rimaneva nelle gambe.
─Lord Bolton ci ha espressamente ordinato di portarti a casa viva se ti avremmo trovata, ma è stato abbastanza vago sul come ─ le parole gli colavano dalla bocca come il suono di viscidi vermi che solcano un terreno colloso. ─Non vedo perché non approfittarne. Dopo che ti avremo scopata uno dietro l’altro, sono certo che sarai tu stessa ad implorarci di portarti a Grande Inverno. Buona, ubbidente, remissiva.
Le afferrò il viso con una mano, stringendolo con tanta prepotenza da farle mordere la lingua.
Sansa era atterrita dal panico, paralizzata dalla paura e dalla consapevolezza che per quanti sforzi avesse fatto,  non sarebbe mai riuscita a sfuggire ad un stupro.
Non di nuovo. Non di nuovo. Non di nuovo.
Jon, torna da me. Jon dove sei? Sono stata una sciocca. Corri. Ho bisogno di te.
Sansa pensava a tutto questo mentre Jeremy Look l’aggrediva con brutalità e folle desiderio, entrambe le braccia bloccate da altri due uomini che si facevano beffa della sua vulnerabilità.
Look le afferrò un seno da sopra il vestito, lo strinse digrignando i denti, cacciò la lingua dalla bocca e gliela passò untuoso sulla guancia. Fece un verso d’apprezzamento, come se avesse appena gustato qualcosa di squisito. La ragazza chiuse gli occhi e pianse lacrime invisibili, mentre il suo mondo ritrovava a crollare, il cielo a cascarle addosso. Non era dolore, ma qualcosa che faceva ancora più male. Come la consapevolezza di non essere niente, nella desolazione del buio più totale.
Il suo aggressore le infilò la mano sotto la gonna, tastandola, facendo ripugnanti apprezzamenti che i suoi compagni trovarono divertenti. Poi tirò fuori la sua erezione, provò a stappare le gonne della ragazza lacerandone il tessuto.
─Jon…
Implorò soltanto Sansa, o forse immaginò di averlo implorato, mentre lo capiva che anche gli altri dietro di lei erano pronti a servirsi del suo corpo, discutendo di cosa l’avrebbero costretta a fare a breve, tra un ringhio e una risata, un sussurro che le arrivava dritto dietro l'orecchio.
Avrei dovuto uccidermi prima.
Look, impaziente ed eccitato,  lasciò stare la gonna lacerata e afferrò i suoi stracci per alzarglieli fin sopra la vita.
Ma poi ci fu una folata di vento freddo. In un battito di ciglia. Solo un’ombra bianca, un ringhio, seguito da una morsa.
Sansa si sentì improvvisamente libera, mentre crollava a terra confusa e disorientata.
Si guardò intorno, atterrita in un giubilo di urla e di lame sguainate. Look stava a terra dimenandosi come un folle. Sopra di lui incombeva una figura grossa, imponete, bianca, dalle zanne lunghe. Spettro.
Il meta-lupo lo attaccò con rabbia mentre Jeremy urlava scalpitando, in uno zampillio di sangue che gli colava dalla giugulare.
 Sansa girò la testa sconcertata, poi guardò il cielo. E stagliato contro le nuvoli grigie c’era Jon, Lungo Artiglio tesa in una mano, l’acciaio di valyria che risplendeva d’argento nella luce del tardo pomeriggio.
─Mi stavi chiamando?
Le chiese osservandola con gli occhi carici di furiosa determinazione.
E uscì da quel vuoto e tutto dentro di lei si accese.
 
 
CONTINUA…

 
 
Ed eccomi qui con il secondo capitolo di questa Jonsa. Prima di arrivare alle Isole dell’Estate, ho voluto movimentare un po’ il loro viaggio e descrivervelo. Mi pareva giusto così. Quindi, prima di arrivare alla meta, ne passeranno un po’. Ho lavorato tanti giorni a questo capitolo, scrivendo cose, cancellandole e poi scrivendone delle altre, spero che vi sia piaciuto.
Vi comunico anche che questa storia avrà due versioni. Questa che sarà pubblicata su EFP, e un’altra versione estesa ( con lemon ) in un altro sito, oppure provedderò solo a pubblicare il capitolo esteso altrove, comunque non dovete preoccuparvi perchè sicuramente vi comunicherò dove. 
Vi ringrazio per il vostro appoggio. Ogni volta mi commuovo a leggere le vostre recensioni, e vi sono grata per tanto affetto!
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo! A presto!
 
 
 

 
 
 

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Capitolo 3
*** Tutta una menzogna ***





                                                      Tutta una menzogna
 
 
 






Tutto quello che ne seguì fu un turbinio di lance, grida, sangue e mal pronunciate implorazioni sull’orlo di una morte quasi certa.
Sansa stava a guardare senza vedere per davvero. Suo fratello Jon si destreggiava tra i nemici con sorprendente abilità, facendo ruotare la sua lama come se non pesasse nulla, l’acciaio di Valyria che emanava sbarluccichii argentati sotto il bagliore pallido del tardo pomeriggio.
Scoprì che in battaglia Jon assomigliava a suo padre più di quanto l’aspetto già non suggerisse. Era nei suoi affondi afflitti con precisione, nel suo modo di muovere le gambe tenendole puntate e ben aperte che Sansa lo riconosceva.
Sul viso Jon aveva un’espressione si insaziabile furore, e vide in lui impeto e collera, fuochi di ghiaccio nei suoi occhi d’ombra.
Jeremy Look non aveva avuto possibilità di difendersi. Giaceva già privo di vita in una pozza di sangue assorbita dalla neve. Spettro si era accanito su di lui con ferocia, e prima di distogliere lo sguardo, Sansa lo aveva visto tendere una mano verso di lei - la stessa che poco prima aveva infilato tra le sue gambe – scongiurandola di richiamare la bestia. Era stata zitta e aveva stretto i denti.
Altri due uomini erano caduti sotto la furia di Jon, ma gli armigeri di Bolton non erano facili da mettere a terra. Era con due di loro ora che si stata destreggiando, mentre Spettro affondava le zanne nel corpo di un altro.
Sansa si sentiva come pietrifica e impossibilitata a muoversi. Tutto ciò che guardava diventata sfuocato e indistinto, girava, poi si perdeva nella nebbia.
Era presente eppure si sentiva come in un incubo, in cui non era padrona delle sue azioni e poteva sperare solo che si risolvesse tutto per il meglio prima di svegliarsi.
Jon aveva tutta l’aria di chi non voleva essere intralciato e lei era consapevole che non sarebbe stata capace neppure di andare in suo soccorso stringendo un pugnale.
Ma loro erano in due e Jon era appena crollato in ginocchio. Si decise a farsi coraggio senza neppure sapere con certezza cosa una simile follia l’avrebbe spinta a fare. I due uomini torreggiavano su Jon come ombre di ghiaccio e pietra. Suo fratello riuscì a farne crollare una a terra facendogli perdere i sensi con un fendente sullo stinco. Ritornò dritto e puntò la spada sull’avversario che aveva di fronte, che parò un colpo prima di essere sorprendentemente trafitto nel fianco.
Questo stravaccò a terra, il tempo di un ultimo respiro, e dalla sua bocca fuoriuscì una lunga colata di sangue, che le scivolò sul mento imbrattando l’armatura finemente istoriata.
Jon si concesse un attimo per riprendere fiato. Intorno a lui una desolazione di morte e volti esangui trafitti dalla sofferenza. Era troppo distratto per accorgersi della presenza dietro le sue spalle.
L’ultimo avversario ancora in vita, che si era illuso di aver abbattuto, si stava rimettendo in piedi, imprecando a denti stetti, sul viso sbarbato l’ombra di un ghigno sadico.
Fu in quel momento che Sansa perse il senno, o qualcosa l’accecò tanto forte che riempì la realtà di una luce nuova, più chiara, abbagliante.
Si guardò intorno, trafelate e ansimante. Scorse un masso non poco distante dai suoi piedi. Lo sollevò da terra scoprendo che era molto più pesante di quanto pensasse. Poi si avviò svelta, con l’adrenalina che le pompava dentro, e una furia accecante che la riempiva di una forza nuova.
Alzò le braccia sopra la testa sollevando il masso, colpì il cranio dell’uomo senza neppure rendersene conto, mentre aveva già la spada sguainata pronto a sorprendere Jon alle spalle. L’agguato improvviso lo fece gridare come un animale.
Sansa si scansò prima che le crollasse addosso, inorridita dall’abilità con in quale l’aveva colpito profondamente alla testa, un fiotto di sangue che già gli stava colando lungo la mascella.
Jon si voltò allarmato. Sembrava sorpreso ma non atterrito. Lo sguardo che lanciò a sua sorella fu di stupore, e forse di gratitudine. Finì l’uomo con un colpo di spada al centro del petto. Questo si contorse sul terriccio ricoperto di neve, poi smise di respirare e tutto fu solo silenzio.
 
Furono costretti a tagliare per boschi, abbandonando l’idea di servirsi dei destrieri lasciati incustoditi dai nemici ormai morti.
Erano riusciti a sbarazzarsi di tutti loro, ma il latrato dei cani aveva messo in guardia altri uomini di Bolton. Decine forse, o anche di più. Li avevano visti correre nella loro direzione, e nel tentativo di seminarli, si erano trovati obbligati a nascondersi negli anfratti della foresta, nelle buche scavate dalle radici degli alberi, dietro le siepi spoglie imbottite di neve bianca.
A Sansa sembrava che il cuore dovesse uscirle dal petto da un momento all’altro. Era stanca, scossa da tremiti di terrore, e traumatizzata da uno stupro che per fortuna Jon era riuscito a sventare.
Sentiva ancora le loro mani grandi e viscide sulla sua pelle sensibile. Vedeva i loro volti affamati, nelle orecchie ancora quelle frasi oscene e le terribili minacce.
Ma questa volta non osava chiedere a Jon di concederle riposo. Adesso lo guardava negli occhi e non le serviva altro per capire.
Dobbiamo proseguire.
La strada li condusse lungo un sentiero lastricato di massi, alberi dai rami bassi che erano costretti a scavalcare, piegando anche la schiena per passarci sotto. Era un cammino arduo e faticoso. La terra era scivolosa e più di una volta Sansa era stata costretta a reggersi a Jon per non cadere. Il giorno stava lasciando spazio alle ombre di una notte che si prospettava gelida e piena di incubi.
L’idea di trascorrerla in un luogo tanto ostile, a Sansa faceva accapponare i peli dietro la nuca. Ma non confessò neppure questo timore a suo fratello. Entrambi avevano rischiato la vita perché era stata toppo testarda da non capire. Era pronta a lasciarsi condurre. La Sansa senza Jon era una Sansa disarmata e fin troppo vulnerabile.
─Ho ucciso un uomo.
Confessò rompendo il silenzio.
Jon le fece strada strappando un ramo secco dal suo cammino.
─Io l’ho ucciso, Sansa. Tu l’hai solo tramortito. E comunque nessuno di loro merita il tuo rimorso o la tua pietà. Stavano per stuprarti.
Bastò quella parola per riportarla alla mente la sera in cui Ramsay Bolton prese la sua verginità con la forza e la violenza.
Il suo fiato che sapeva di vino sul collo, la ferocia con cui le lacerò i vestiti e si insinuò tra le sue gambe strappandole un urlo di disprezzo.
Non fu un brivido quello che le percorse il corpo, ma come un’entità gelida e invisibile, un sussurro di ghiaccio, una morsa stretta alla gola.
Si costrinse a respirare a concentrarsi sul sentiero. Era quasi tutto buio, e in quell’oscurità densa solo il rumore delle foglie che si spezzavano sotto i loro passi a rompere il silenzio.
Sansa stava cominciando a temere che quella boscaglia non avesse fine e che loro si fossero smarriti, perennemente costretti a girare in tondo lungo un perimetro che non conoscevano.
Ma ecco che una flebile luce rese la realtà più chiara, meno spaventosa. Il tetto di rami sopra la loro testa si stava biforcando a poco a poco, fino a lasciare spazio al cielo, di un blu intenso, macchiato da qualche sprazzo di nuvole grigie, che prometteva altra neve.
Jon doveva conoscere bene quei luoghi, perché non c’era esitazione nei suoi passi lunghi e decisi. Si sentiva così vulnerabile e piccola dietro le sue spalle, e allo stesso istante nel posto più sicuro possibile.
Jon era una roccia inespugnabile, più tenace di qualsiasi altra fortezza. Jon era intuizione e  destrezza, era forza e genialità. Era onore e benevolenza. Tutto quello che forse lei non sarebbe mai stata e che aveva sognato di poter ammirare.
─Dobbiamo attraversare il torrente.
Le disse guardando davanti a se. Sansa alzò lo sguardo, lo scrosciare dell’acqua che si infrangeva lungo la riva pietrosa.
Il fiume aveva l’aspetto di un fiotto d’acqua non eccessivamente profondo, ne impetuoso. La corrente scorreva veloce tra gli argini fangosi e intrisi di neve. Dall’altra sponda si ergeva un ponte quasi del tutto distrutto. Per raggiungerlo non disponevano di una chiatta, ne di qualsiasi altra imbarcazione che potesse aiutarli ad attraversarlo senza essere costretti a immergersi nell’acqua gelida. Ma gli occhi di Jon, profondi, quasi colpevoli, sembravano suggerirle che quell’alternativa era inevitabile, per quante altre possibilità avrebbe tentato di proporgli.
Annuì, per forza sconfitta. Afferrò la mano del fratello che già gli tendeva con i piedi ben saldi sulla riva. Sansa strinse i denti e si concentrò a guardare il cielo.
Era bello, per quanto potesse sembrare oscuro e lugubre.
C’era qualcosa nella sua vastità che assicurava quasi una promessa. La certezza che da qualche altra parte quello stesso cielo era di un azzurro vivo e privo di nuvole. Che la notte risplendeva di stelle e che si accedeva di rosso al tramonto. Quella guida che lei avrebbe seguito per acciuffare quel giuramento.
E quando i suoi stivali si immersero nell’acqua gelida, lei continuò a guardarlo. E lo guardò anche quando l’acqua le arrivò alla vita, rendendole il corpo rigido, quasi di pietra.
Lo guardò anche quando sentì la corrente farsi forza contro di lei per trascinarla lontano fino a che sarebbe annegata.
Ma quando arrivò dall’altra sponda, con gli abiti fradici, il respiro fermo in gola e il corpo scosso da incessanti tremolii, Sansa osservò Jon e si raggomitolò nel suo abbraccio di speranza.
Nei suoi occhi c’era qualcosa di più bello di qualsiasi cielo, e perfino più rassicurante di una promessa felice.
Nei suoi occhi c’era desiderio di riempirla di se stesso, e la voglia di farle passare qualsiasi paura.
Nei suoi occhi c’era ogni parte più segreta di se stesso, che le stava donando, consapevole che se ne sarebbe presa cura.
 
Questa volta fu Jon a volersi fermare. Il buio aveva reso il bosco una foschia imperscrutabile, e c’erano ben poche strade che potessero percorrere senza correre il rischio di inciampare, perdersi in sentieri senza via d’uscita.
E non potevano trascurare il fatto che entrambi avevano i vestiti fradici, che attaccati sulla pelle sembravano pesare il doppio. Anche solo spostarsi in quelle condizioni era difficile, e il gelo era impossibile da sopportare quando non vi era nessuna protezione tra il corpo nudo e il ghiaccio.
Rischiavano di congelare. 
Percorsero una stradina sgombra e silenziosa, che li condusse ad una vecchia locanda malmessa di nome “La Bella”
Jon le assicurò che conosceva quel posto, c’era stato da bambino con Robb, a tracannare corni di birra all’oscuro di suo padre. Non l’aveva trovata piacevole a quell’età.
Sansa non osò obbiettare, anche se entrare in un luogo affollato le arrecava un forte senso di disagio, soprattutto considerate le loro miserevoli condizioni.
La locanda aveva l’aspetto di un luogo a cui i padroni non prestavano molta attenzione, con le stalle all’aperto dalle quali proveniva un odore sgradevole, e le finestre dai vetri opachi e incrostarti di polvere, dove era impossibile scorgere chi ci fosse all’interno.
Sansa alzò il cappuccio, se pur fradicio, sui capelli umidi, e strinse la mano del fratello, grande, rassicurante.
Quando si fecero spazio all’interno de “La Bella”, la trovarono incredibilmente affollata, di contadini, mercenari, uomini con il vizio del gioco d’azzardo, e prostitute emaciate che mostravano senza alcune vergogna quello che avevano da offrire.
Alla vista dei nuovi ospiti, molti di loro spalancarono le labbra stupiti, altri sembravano semplicemente curiosi della  ragione per il quale avessero deciso di farsi un bagno con temperature tanto impietose, e altri ancora avevano l’aria sospettosa di chi fiutata i guai e voleva starne alla larga.
Anche il locandiere dietro al bancone ricolmo di bicchieri sporchi svuotati a metà e di bottiglie di vino impolverate, li squadrò dalla testa ai piedi, con un grugno sul viso e le braccia incrociate al petto dal quale svettava una prominente pancia.
Sansa si chiese se avesse riconosciuto Jon, ma Jon continuava a mantenere un profilo basso ed era evidente che tutte quelle occhiate di sospetto, stavano aizzando la sua ira.
Dal conto suo, la ragazza si teneva nascosta dietro la schiena di suo fratello cercando di non tremare troppo. Era una sofferenza implacabile che partiva dalle ossa. Avrebbe solo voluto spogliarsi, e gettarsi nuda accanto ad un fioco bello vivo e caldo. Il pensiero delle fiamme sul viso quasi la fece lacrimare.
─Che cosa volete?
Dichiarò il locandiere panciuto. Aveva una faccia rotonda quasi quanto tutto il grasso che gli si era accumulato sulla vita. Doveva essere ubriaco, o semplicemente il fatto che lavorasse in quel posto aveva avuto un effetto alquanto bizzarro sul suo viso rosso come un melograno. Gli occhi piccoli nascondevano ciglia folte, ricciolute e bianche, mentre sulla testa era completamente calvo, cosa che Sansa trovò decisamente curiosa.
─Io e mia moglie vogliamo semplicemente una stanza in cui poterci riposare. La notte è gelida lì fuori.
Io e mia moglie.
Io e mia moglie.
Un brivido improvviso e svelto trapassò il corpo di Sansa e aveva poco a che fare con la sua tunica bagnata.
Era evidente che Jon avesse in mente qualcosa, e forse spacciarsi per una coppia di sposi non era del tutto una cattiva idea. Ma non era preparata a sentirsi definire moglie. Moglie di Jon Snow.
Quel pensiero le provocò uno strano formicolio nello stomaco. Sansa era già una moglie, ma essere quel tipo di moglie sembrava diverso.
Sembrava restituire alla parola un senso tutto nuovo, un peso che prima non aveva mai del tutto contemplato. Si strinse ancora di più al suo braccio.
─E io non voglio guai nella mia locanda ─ Dichiarò l’uomo mettendo ancora più in mostra il suo ventre prominente ─Chi siete? Malfattori? Ladri? Nemici della corona? Ricercati? Assassini?
─Siamo solo una coppia di sposi che sono diretti verso sud in cerca di fortuna ─mentì Jon con un tono piatto, apparentemente tranquillo ─Ho conio con me, abbastanza da pagare qualsiasi luogo asciutto tu abbia da offrirmi, e un pezzo di quel caprone che sta arrostendo sul fuoco.
Il ragazzo indicò il camino non poco lontano dal bancone ricolmo di bibite, bicchieri mezzi vuoti e briciole di pane nero. Il grasso della carne scura sfrigolava e colava sopra la brace ardente. Il profumo che ne proveniva era buono, anche se Sansa sentiva lo stomaco chiuso per il gelo e per la paura.
Il locandiere assottigliò gli occhi da ratto, era evidente che non era del tutto convinto della sincerità di suo fratello. Sansa fu tentata di tirarlo per un braccio, sussurargli di andare via e cambiare posto. Ma probabilmente questo avrebbe dato ai presenti motivi per avere maggior sospetti nei loro confronti.
L’uomo che stava loro di fronte, era un tipo che nella vita doveva essersi trovato in parecchi guai, tanto da riconoscere l’odore a leghe di distanza. Non era facile da ingannare, nonostante il suo aspetto che suggeriva una personalità bonaria e balorda. Sansa desiderava solo che la smettesse di osservarla tanto insistentemente.
─Perché avete gli abiti bagnati?
Domandò ancora più guardingo di prima.
A questo punto Jon rise, di gusto e vivacità. Un suono che in qualche modo le fece quasi sciogliere quel nodo di apprensione che aveva legato intorno al cuore e incastrato in gola.
Girò la testa di poco, solo per vederlo mettere una mano sul viso e strizzare gli occhi. Sembrava realmente divertito, tanto che Sansa ebbe l’istinto di imitarlo allungando un angolo della bocca serrata.
─Mia moglie è così maldestra ─ balbettò tra una risata e l’altra. A Sansa il divertimento era improvvisamente passato ─E’ caduta da cavallo in un acquitrino e ha trascinato anche me dietro. La bestia è scappata via e noi ci siamo ritrovati in questo stato. Per fortuna che avevo ben attaccate addosso le monete.
Anche il locandiere dovette trovare la storia al quanto buffa, e con lui alcuni ospiti che sghignazzarono tra i tavoli, mentre sorseggiavano corni di birra scura.
─E la lama?
Continuò  l’uomo dal ventre prominente indicando Lungo artiglio ben visibile sotto il mantello.
Jon arricciò le labbra ─Questa? ─ Fece cenno all’impugnatura intarsiata nella forma di un lupo ─Una fortunata vincita parecchi anni fa. Molto bella, non c’è che dire. Ma di poco valore. Efficace però a mettere in fuga i malintenzionati.
─Andiamo, Kyk! ─ Sbottò un uomo dalla faccia butterata all’estremità della locanda, con un sorriso sdentato e capelli neri e unti appiccicati sulla fronte ampia ─Sei il solito stupido! Non fare storie e concedi a questi ragazzi ciò che vogliono. È un miracolo che qualcuno sia disposto ancora a pagare del conio per venirsi a riparare sotto questa lurida baracca, mangiando la robaccia insipida che cucina tua moglie Liana.
─Chiudi quella bocca, Edyr, brutto ubriacone rinsecchito ─Proruppe Kyk puntandogli contro un dito grassoccio dalle unghie ingiallite ─Altrimenti te la chiudo io con un calcio su per le palle. Ho tutto il diritto di fare domande ai miei ospiti. Ci tengo alla mia testa io sai? ─ Poi rimase in silenzio per quelli che parvero interminabili minti, con una mano a reggersi il mento e le labbra chiuse in un broncio pensieroso. Espressione che si tramutò in una più disponibile e paciosa tanto velocemente che pareva quasi che qualcuno lo avesse tramortito, per trasformarlo in una persona completamente diversa alla precedente.
La sua bocca esplose in un sorriso sincero, le guance si colorarono di rosso per lo sforzo, gli occhi quasi lacrimarono e la prominente pancia andava su e giù scossa dai tremiti di un’incontrollabile risate.
─Ma si si, certo che potete restare! Mi siete simpatici. Hai del conio, hai detto? La gente che paga è sempre la benvenuta da queste parti. Mia moglie dice che sono logorroico, ma mi spedirebbe dritto ai sette inferi se mandassi via dei clienti. Liana? Liana? ─Urlò voltandosi di spalle, verso l’ingresso di quella che sembrava essere una cucina ─Liana? Dove sei finita, vecchia? Liana?
La donna che rispondeva al nome di Liana, era grassa quasi quanto al marito, con i capelli stopposi di un marrone sbiadito, le labbra sottili e le guance rosse per il caldo. Si stava asciugando le mani con un grembiule che teneva avvitato proprio sotto il seno cascante e generoso. Rivolse a Kyk uno sguardo tanto truce che Sansa quasi pensò che sarebbe stata in grado di incenerirlo.
─Cos’hai da urlare così tanto? Lurido grasso verme?
─Accompagna i signori in una stanza e offri loro un pasto caldo. ─Gracchiò il locandiere ─E non usare quel tono con me davanti ai clienti, donna!
─Oh, chiudi quel becco! ─ Liana lo liquidò con un gesto della mano ─Lo sanno tutti chi porta i pantaloni in questa baracca.
Quando li scrutò entrambi, Sansa ebbe quasi paura di fissarla. Si nascose ancora di più dietro le spalle di suo fratello, ma la donna corpulenta emise solo uno squittio schiudendo le labbra. In un attimo la sua espressione era mutata, le rughe del volto gonfio si erano rilassante in lunghe linee sulla fronte, gli occhi piccoli, curiosi, sembravano essersi aperti diventando più grandi. La vide sorridere e allungare le braccia.
─Per gli dei, per qualche ragione due pulcini bagnati girovagano di notte per queste strade fredde e balorde?
Il suo tono era severamente preoccupato, ma per nulla acerbo o sospettoso. Non sembrava neppure appartenere alla stessa persona che prima aveva osato farsi beffa di suo marito.
─Siamo in viaggio, mia signora ─ Intervenne Jon visibilmente a disagio ─Ma una sventura ha arrestato in nostro cammino. Chiediamo ospitalità per la notte.
─Oh! ─La donna spalancò ancora di più la bocca, era Sansa che stava guardando. Claudicando sui passi incerti, si fece sempre più vicina, fino a quando le fu inevitabile sentire il suo forte odore acre di cipolla, spezie assortite e quello più intenso di carne affumicata. Sansa notò che a Liana mancava un dente nel posto in cui doveva esserci un incisivo, e le sue dita erano corte e callose quando gliele passò sul viso ─Che splendida, fanciulla. Delicata come una mattina di pallida estate. Mai viste di fanciulle tanto belle da queste parti.
Sansa percepì il sangue correre veloce verso le guance, e una sensazione d’imbarazzo sostituire quella più atroce del freddo e della paura.
─Sei gentile.
Jon le si avvicinò ancora di più, una mano stretta sul suo fianco. Il commento della donna aveva attirato l’attenzione di molti uomini, ora più silenziosi e interessati dietro ai tavoli su cui stavano cenando.
Sansa era consapevole di ognuna di quelle occhiate, ed erano quasi dei piccoli morsi, punture di un insetto sulla pelle morbida.
─Avevo una figlia bella tanto quanto te ─La donna la stava fissando, ma il suo sguardo era essente, indubbiamente perso in ricordo lontani e dolorosi ─Ma poi… ─Fece una pausa, il petto gonfio da un sospiro ─Vieni cara, stai tremando. Seguimi. Ti darò una delle stanze più grandi. E ti preparerò una buona zuppa di rape e cipolle fumante. Ti riscalderà lo stomaco, piccola. Mia figlia la adorava!
 
 
La stanza in cui li condusse Liana, era effettivamente grande, con un ampio letto in cui avrebbero potuto starci anche sei persone, e le lenzuola di lino candide, che giurò di aver appena lavato.
L’ambiente era polveroso, dal pavimento fatto d’assi di legno scricchiolanti e il soffitto basso. Jon dovette piegarsi per entrare, ma Sansa non fece nessuna fatica, il cappuccio ancora ben celato sulla testa.
Liana la riempì d’attenzioni. A dispetto delle apparenze era una donna gentile che rideva spesso.
In realtà le sue erano per di più grida isteriche ma stranamente contagiose, tanto che Sansa si sentì quasi di più a suo agio. Quasi.
Rimasti soli, in balia di un silenzio teso, anche l’aria divenne più fredda e il peso dei vestiti fradici sulla pelle era un fardello impossibile da sostenere. Sansa era sicura che il gelo le fosse penetrato fin sotto le ossa, e che non avrebbe mai più smesso di tremare, neppure sotto un cumolo di morbide pellicce.
Si liberò del mantello fradicio constatando che era valso a ben poco. Doveva togliersi di dosso tutto il resto dei vestiti, dall’abito di lana, al corpetto, sino alla biancheria intima.
Ma quando alzò lo sguardo notò che Jon la stava già fissando, con gli occhi grandi e profondi, l’espressione colpevole e sofferente come se avesse già capito tutto quanto.
─Mi girerò di spalle, non ti guarderò.
E fu esattamente quello che fece. Tuttavia Sansa non riusciva a muoversi. L’idea di doversi spogliare in presenza di Jon la metteva a disagio, l’idea che anche lui avrebbe dovuto liberarsi dei suoi abiti la faceva stare ancora peggio.
Era un diverso tipo di vergogna. Come la paura di dover mostrare ogni aspetto più intimo che aveva sempre cercato di proteggere, e allo stesso tempo farsi carico della consapevolezza che stava compiendo un atto quasi peccaminoso, sbagliato, come se più per la sopravvivenza si stesse denudando per altri scopi.
Trasse un respiro profondo, lo sguardo fisso sulla sagoma del fratello stagliando contro la finestra che affacciava su uno scenario spettrale, reso bianco dalla neve.
Deglutì. Le mani erano incerte sui bottini della veste. Ne riuscì a rimuoverne solo alcuni, mentre ansimava contro il freddo e la morsa del gelo.
Se lo fece scivolare dal petto, si sentì decisamente più leggera ma tentennò ancora nel liberarsi delle calze e del corpetto stretto.
Per qualche strana ragione non riusciva a distogliere gli occhi da Jon, che con la testa china sembrava aver preso a respirare più intensamente. Il silenzio era rotto solo dal movimento dei suoi piedi nudi sulle assi del pavimento scricchiolante. C’era una sorta di tensione nell’aria, sottile ma abbastanza spessa da poter essere tagliata con la lama di una daga. Una forza, una presenza, sussurri, che sembravano insinuare cose senza mai dirle per davvero.
Lo sto facendo solo perché altrimenti sarei congelata. Non ho scelta. Dovevo svestirmi. Anche lui deve. Diventeremmo due pezzi di ghiaccio altrimenti.
Ma sembrava una menzogna così grande, che quando restò completamente nuda, coperta solo dalla sua pelle e dalla vergogna, rimase dritta, inerme, come pietrificata.
Cosa succederebbe se si girasse adesso?
In quella pazzia quasi lo desiderò davvero, flebilmente, impercettibilmente, solo un  bisbiglio nell’orecchio. Ma Sansa Stark l’aveva sentito e si chiese da dove fosse venuto.
Sei solo stanca, affamata, impaurita.
Si disse e per un po’ ci credette. Eppure quando raggiunse il letto per coprirsi usando il lenzuolo, quel desiderio ritornò. E questa volta non era un sussurro era quasi un grido. Lo stesso grido che trovò negli occhi di Jon Snow quando rimase a fissarla in quel bozzolo bianco di lino pulito.
Sei stanca, affamata, impaurita.
Ma era tutta una menzogna.
 
 
CONTINUA…

 
 
Ed eccomi ritornata, con il continuo di questa storia. Penso che si stia un po’ delineando. Jon ha definito Sansa sua moglie, e sarà questo il fulcro della storia. Li vedremo affrontare questa loro unione, nata dal tentativo di proteggersi, fino a scoprire dove li porterà, in una terra sconosciuta, lontana, dalle spiagge bianche, paesaggi da sogno e tramonti rossi.
Spero che sarete a bordo insieme a me per tutta la durata di questo viaggio. Come sempre vi voglio ringraziare del vostro appoggio, e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo! Vi mando un bacio e un grande abbraccio!

 

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Capitolo 4
*** Lo scudo dal mondo ***


                                                                           


                                                        Lo scudo dal mondo      
   
 
 
 
 








─E così adesso sono tua moglie?
Sansa gli dava le spalle, stesa sul materasso avvolta dal lino e calde pellicce, mentre Jon si spogliava dei suoi abiti fradici e freddi come ghiaccio. Nonostante fosse ben coperta, e priva dei suoi indumenti umidi, Sansa Stark continuava a tremare. Se di freddo o di paura non riusciva del tutto a capirlo.
─E’ molto più sicuro, soprattutto per te. Gli uomini tendono ad essere più rispettosi nei confronti delle donne sposate. Ancora di più in presenza del marito.
Sansa non poteva dargli torto ed era stata una mossa astuta, che lei stessa avrebbe dovuto prevedere. Tuttavia non riusciva a smettere di pensare.
È questa la mia vita adesso? Sarò la moglie di mio fratello? È così che ci vedrà la gente d’ora in poi?
─Dovremmo anche cambiare i nostri nomi. ─ Proseguì Jon mentre si muoveva facendo scricchiolare le assi del pavimento ─Quelli che abbiamo non vanno bene.
Ancora.
Sansa aveva già vissuto l’esperienza di essere una fuggiasca, costretta a mentire per non destare sospetti. Era stata Alayne Stone, un tempo. Una bastarda, proprio come Jon. Alayne aveva avuto un passato tormentato, e un padre da cui rifugiarsi che l’aveva fintamente protetta, per poi tradirla nel momento in cui era stata troppo vulnerabile e sciocca da sentirsi al sicuro.
Ora chi sarebbe stata? Una moglie, a quanto pareva. La moglie di un uomo dai riccioli neri come l’inchiostro e gli occhi profondi, tanto da poterci annegare dentro.
La moglie di un uomo che non sarebbe mai stato il suo uomo, e l’unico uomo che non aveva mai capito per davvero.
Siamo solo dei topolini in gabbia. Alla fine in un modo o nell’altro riescono a scappare. Ma vengono schiacciati subito dopo, nel tumulto di una libertà che non sanno gestire.
Sansa si sentiva già schiacciata.
Si girò lentamente e scorse Jon stagliato contro la finestra, a coprire la sua nudità solo uno straccio lungo che Liana aveva lasciato nel caso avessero voluto lavarsi.
Jon era pallido, eppure il suo corpo sembrava emanare calore. La luminosità soffusa delle candele creava giochi di luce sul suo petto duro, dai muscoli ben delineati. Vide ognuna delle sue cicatrici.
I tagli della morte.
Quella al centro del petto, più giù sul costato, una accanto al cuore, e ripensò a quanto avesse perso e a quanto le fosse stato dato.
Jon era tutto quello che lei non aveva mai visto in un uomo, ma immaginato che ci potesse essere.
Forme definite, virili, che i segni del dolore non avevano reso meno allettanti.
Puntò lo sguardo dritto contro la parte, nel momento in cui Jon si rese conto che lo stava fissando.
Stupida.
─Ci troverà non è vero? ─ Chiese, quasi come se non fosse una domanda, il sussurro di un incubo ─E’ solo questione di tempo. Non potremmo sfuggirgli a lungo.
─Non ci troverà nessuno ─ Non l’aveva mai sentito parlare così, imperioso, quasi irritato ─Domani mattina riprenderemo il nostro cammino. Avremo vestiti asciutti e qualcosa nello stomaco. Non siamo molto lontani da Porto Bianco.
─Ramsay non si fermerà davanti a nulla ─Sansa si strinse il lenzuolo contro il seno, sentiva le lacrime bloccate in gola. Voleva lasciarle andare, ma si rifiutava di credere che fosse ancora quella ragazzina ingenua e dal pianto facile ─ È l’odio a renderlo tanto determinato. Sarebbe capace di bruciare il Nord intero pur di vedermi strisciare ai suoi piedi implorando pietà. Tu non lo conosci nel modo in cui lo conosco io.
─E lui non conosce me.
Quando Sansa si girò ad osservarlo, Jon teneva lo sguardo rivolto verso il pavimento, i riccioli ancora umidi che gli pendevano sul viso incorniciandolo di nero. Con i pugni chiusi, stava fermo, mezzo nudo, come se si preparasse ad una sanguinosa battaglia.
C’era una strana determinazione nel suo sguardo, una certezza che quasi la fece ricredere delle sue parole. Jon sembrava una roccia in quel momento, una fortezza. Se ci avesse impiegato tutte le forze non sarebbe potuto passare nessuno oltre. E lì Sansa fu sicura di volersi nascondere. Forse Ramsay davvero non l’avrebbe vista. E non avrebbe visto lui. Forse.
─Non voglio che ti faccia del male.
Ammise, accorgendosi solo in quel momento di quanto fosse incerta la sua voce, il corpo scosso incontrollabili tremiti.
Non era solo per il freddo, che ancora le intorpidita il corpo provato, facendole battere i denti. Era per l’improvvisa e spaventosa consapevolezza delle sue scellerate azioni.
Fuggendo da Grande Inverno non solo aveva condannato se stessa ad una morta quasi certa, ma spinto nello stesso baratro chiunque avesse avuto la sfortuna di incappare nel suo cammino, offrendole aiuto e confortevole protezione.
Se Jon fosse partito senza di lei, nessuno gli avrebbe mai dato la caccia e neppure minacciato la sua vita. Ma nel  nasconderla dietro quella roccia che era il suo corpo di cicatrici e muscoli, si era automaticamente tramutato in un bersaglio facile da centrare.
E Jon aveva troppo onore nelle ossa per tirarsi indietro. Sarebbe stato lì inerme, con le braccia spalancate, pronto a farsi colpire pur di accettarsi che nessuno le facesse del male.
Ma erano colpi, affondi e frecce destinate a Sansa e a lei soltanto. Quante altre persone dovevano morire affinché lei riuscisse a sgattaiolare via sana e salva dalle trappole in cui era finita incastrata?
Si rese conto che c’era ancora molto della bambina ingenua e innocente in lei quando lacrime calde cominciarono a scendere lungo le guance. Sotto le lenzuola sembrava essersi formata una cappa di vento e gelo, che sferzava la sua pelle nuda sconquassata dai tremiti del freddo.
Era paura e terrore, senso di colpa e angoscia. Odiava farsi vedere in quello stato, soprattutto da Jon. Ci aveva provato con tutte le forze ad atrofizzare le sue più cruente sensazioni.
Stupida. Stupida. Stupida.
─Nessuno mi farà del male. ─ la rassicurò Jon, le braccia tese lungo i fianchi ─Sansa, stai tremando. Vieni qui.
E poi lo vide avvicinarsi, mezzo nudo, con solo uno straccio a coprirgli la virilità. In brevi falcate raggiunse il letto, le ginocchia piegate sul materasso.
Sansa lo osservò quasi intimidita, le dita che stringevano le lenzuola fin sotto al mento.
─Cosa vuoi fare?
Gli chiese sbigottita.
Cosa credi che stia per fare, stupida? Rimbombò una voce melliflua nei suoi pensieri in subbuglio. Credi davvero che sia capace di approfittarsi di una situazione simile?
All’improvviso vide la sua stessa paura attraversare l’espressione di Jon, paralizzato, colpevole, imbarazzato, gli occhi scuri grandi quanto monete d'inchiostro. Si fece subito indietro, quasi come se il letto fosse fatto di carboni ardenti, e puntò lo sguardo dritto a terra, le guance sembravano aver preso una colorazione più accesa.
─Perdonami, Sansa ─ Ammise, sinceramente a disagio, i riccioli neri che gli coprivano la fronte e gli occhi ─Ti ho vista tremare, e ho pensato che se ti avessi abbracciato... sono stato uno sciocco. Perché mai avrebbe dovuto farti piacere...
─Proteggimi ─ allungò un braccio verso la sua direzione, un dolce invito a non avere più indugi. Perché lo voleva, con tutta la luce che aveva impresso nei suoi occhi di cielo ─Ti prego. Stammi accanto. Non lasciarmi. Tienimi più che puoi. Dammi calore. Sono stanca di avere freddo.
E c’era una sorta di desiderio nello sguardo di Jon, come uno sberluccichio di comete bianche stagliate contro il buio.
Si stese sul materasso mantenendosi ad una debita distanza. Appoggiato sul fianco osservava Sansa come in una fabbricante attesa, sembrava quasi che si stesse imponendo di stare fermo.
Fu Sansa stessa a tuffarsi contro la sua pelle, schiudendo piano le labbra al contatto con il suo corpo sorprendentemente caldo. A quel punto Jon si sentì libero di circondarla con le braccia, e tenne stretta la presa, facendosi carico del suo gelo e delle sue paure, asciugando le sue lacrime e dissipando ogni incubo crudele, di un passato che non avrebbe mai potuto cancellare.
Immobile, nella sua confortevole presa d’acciaio, Sansa provò una strana sensazione, simile alla gioia ma più timida, percettibile quanto uno sfarfallio d’ali nello stomaco.
Eppure c’era, e la faceva stare bene, come non era mai stata prima. Quello era un abbraccio diverso, che non aveva nulla a che fare con la menzogna e il disprezzo. Era un abbraccio e basta. Quello fra tanti, che si dona e si vuole ricevere.
Sansa alzò leggermente lo sguardo, scoprendo che Jon la stava già osservando, solo pochi strati di stoffa a coprire le loro nudità.
Il ragazzo aveva ancora i capelli umidi, e si stavano formando graziosi riccioli lungo le sue tempie, sull’attaccatura del collo dietro la testa. Tenebre e sprazzi di luce si rincorrevano nei suoi occhi grandi e aperti, le labbra piene leggermente schiuse come per dire tutto e negarle qualsiasi segreto.
Jon era bello, pensò. Indubbiamente, inoppugnabilmente, indiscutibilmente bello, in una maniera selvaggia e proibita che le fece chiedere quante donne fossero state disposte a fare follie per uno solo dei suoi sguardi.
A lei era servito implorare la sua protezione e un braccio teso. Ed eccolo qui, la sua fortezza contro il mondo, la sua unica promessa, quella speranza in cui non aveva mai creduto.
Forse gli Dei questa volta le sue preghiere le avevano sentite, perché fu certa di diverse cose in quel momento.
Che quella stretta poteva durare anche per sempre. Che in Jon le piaceva specchiarsi, perché le mostrava solo il meglio di lei e le cose che voleva vedere. E che c’era qualcosa dentro, che si muoveva veloce, contorcendosi senza farle male. Era calda, grande, imponente, nello stomaco sembrava prendersi tutto lo spazio che avesse. Una cosa a cui non sapeva dare un nome, ma che per qualche ragione era arrivata. Era arrivata con lui.
─Non capisco cosa ci sia in te ─ Sussurrò sentendo la sua voce distante, come se non le appartenesse ─Ma non mi fai avere più paura. Cancelli tutto, lo rendi solo un incubo al risveglio. Avrei dovuto avere cura di te.
Sentì la mano grande di Jon passare sulla sua guancia e poi immergersi nei capelli, proprio sopra l’orecchio.
─Avrai cura di me adesso, come io avrò cura di te ─ E Sansa sapeva che era vero, non c’erano dubbi nella sua espressione amorevolmente sincera ─E’ una promessa, capito? Non sentirai mai più freddo. Sarò sempre qui, pronto a scaldarti con tutto quello che ho dentro.
In realtà sotto la pelle sentiva un incendio. Era davvero possibile?
Lui lo rendeva possibile.
Rimasero in silenzio, ad ascoltare i loro respiri, mentre anche l’ultima briciola d’imbarazzo sembrava scivolare via insieme alla paura. Pareva che quell’abbraccio avesse cambiato tutto quanto, ora Sansa era capace di vedere prospettive che non aveva mai osato sperare.
Non può ferirmi più nulla.
Jon continuava a tenerla stretta, un braccio piegato dietro la sua testa, l’altro appoggiato sulla spalla.
 Lei stava di fianco, avvolta nel lenzuolo bianco di lino, nuda e viva, seguiva i contorni del viso del ragazzo studiandone le linee dure, tipiche degli uomini del Nord. Anche lui la stata osservando, ma in modo diverso, meno curioso, quasi assorto.
Con l’indice Sansa tracciò i contorni del suo mento, reso più ispido dalla barba incolta. Seguì il profilo della mascella, quello più morbido del lobo dell’orecchio. Delineò la cicatrice che aveva sulla fronte, fino sotto l’occhio aperto e vigile. Accarezzò la forma del naso, raggiungendo la linea che separava le narici.
Poi si fermò ed osservò le labbra morbide e piene, schiuse a prendere respiri sempre più profondi.
Erano belle labbra, che una donna avrebbe trovato piacevoli da baciare, pensò con un po’ di invidia.
Quante avevano avuto un simile privilegio?
Sansa sapeva che agli uomini della confraternita in nero era proibito avere mogli, ma dubitava seriamente che molti di loro rinunciassero del tutto ad avere rapporti sessuali con chi era ben disposto ad accettare di esaudire i loro bisogni.
Dovevano essere state tutte donne fortunate, sospettò, e forse belle, più belle di lei. Meno rotte di lei.
─Tu gli assomigli molto.
Mormorò appoggiandogli le dita sulla bocca per accarezzargliela piano. Era morbida proprio come aveva sospettato.
─A chi assomiglio?
Jon le parlò contro la pelle. Il fiato caldo del ragazzo sui polpastrelli fu una piaceva sensazione.
─A nostro padre ─Rispose Sansa continuando a toccarlo ─Ma tu sei più luminoso. Sembra quasi che dentro di te ci sia una stella.
A quel punto Jon le afferrò la mano, delicatamente, baciandole il palmo. La barba incolta era un pizzico contro le dita, ma Sansa trovò gradevole il contatto.
Lo vide spostarsi leggermente, ora incombeva su di lei riempiendole la realtà del suo corpo, e dei suoi occhi tanti profondi da poterci quasi annegare dentro. Ci stava annegando. Le mancava il respiro.
─Dove vuoi che brilli allora?
La risposta le venne naturale, come addormentarsi e spalancare le palpebre al mattino. Come se le fosse sempre stata dentro, ed era lì solo per quel momento.
─Sopra di me.
E non seppero quanto tempo rimasero li a fissarsi, a dirsi tutto senza dire niente.
I respiri che s’incontravamo a metà strada, diventando un solo fiato.
Alcune mani distese sulle lenzuola, altre sulle pelle. Occhi grandi, stanchi eppure vivissimi. Le labbra appena schiuse, petto contro petto, la vergogna, il dolore e il rimpianto, e poi quell’affetto. Diverso, come un’onda calda che si agitava nello stomaco. I pensieri  confusi, troppi, inconfessabili e presenti. La paura a tenerli uniti, la stessa a tenerli distanti.
Bum bum bum.
I cuori che battevano.
Bum bum bum
Una melodia sconosciuta.
Bum bum bum
Sempre più forte.
Bum bum bum
Quanto sarebbe costato poter fermare il tempo?
─Ecco a voi. Una bella minestra di piselli e cipolle che… oh! ─ Liana rimase ferma sulla porta, tra le mani un vassoio sotto ciotole di zuppa fumanti. Era entrata senza bussare, spalancando la porta probabilmente rimasta socchiusa ─Perdonate, pulcini miei, non era mia intenzione interrompervi.
Jon si allontanò da Sansa con un balzo, come se all’improvviso il suo corpo fosse stato fuoco e lui sterpaglia secca pronta ad ardere fino ad incenerirsi. Aveva le guance rossissime, i pugni chiusi. In piedi, coperto solo da uno straccio, sembrava quasi un bambino, dall’aria colpevole dopo essere stato sorpreso a rubare dolciumi prima dell’ora di cena.
Sansa si strinse ancora di più sotto il lenzuolo, sperando di poter coprire anche la sua vergogna e l’evidente disagio.
─Non preoccuparti, Liana ─Anche la voce di Jon non sembrava più la stessa, ma incrinata, appena un borbottio. Sansa non l’aveva mai sentito tanto insicuro ─Noi stavamo…
─So cosa stavate facendo ─La donna posò il vassoio su una cassettiera accanto alla porta. Aveva un mezzo sorriso stampato sulla faccia rugosa, gli occhi languidi sembravano quasi emozionati ─Sono vecchia. Non stupida. Nel mondo ho visto molto più cose di quanto voi riusciste a immaginare. Passate una buona serata, pulcini.
E si chiuse la porta alle spalle, lasciando solo un vago olezzo di cipolle bollite e carne affumicata.
Sansa si rannicchiò sotto le coperte.
Quella donna pensava che lui e Jon stessero…
Non poteva neppure immaginarlo. Arrossì violentemente, sentendo il sangue diventare caldo sulle guance.
Jon era suo fratello. Una parte di se stessa. Jon era solo il suo scudo, la sua stella. Jon non si nutriva di lei brillava per coprirla dalle ombre del mondo.
Eppure… eppure… si chiese cosa avesse pensato lei se si fosse trovata davanti ad una scena simile. Un ragazzo e una ragazza, quasi nudi, una sopra l’altro su un grande letto dalle lenzuola bianche.
E così adesso sono tua moglie?
Forse anche Jon si stava chiedendo quanto male avrebbe fatto quella menzogna.
 

 
CONTINUA…
 
 
Ed eccomi qui con un nuovo capitolo! Questa volta non vi ho fatto aspettare tanto. Vi dirò, questo è uno dei miei capitoli preferiti fino ad ora, perché penso sia completo. C’è l’amore, l’imbarazzo, c’è l’affetto, quella voglia di scoprirsi ma anche la paura. C’è la confusione e il desiderio. È un mix di sentimenti. Spero sia piaciuto anche voi!
Come al solito vi ringrazio per le vostre recensioni, a chi legge, a chi mi segue. Non avete timore di scrivermi, mi farebbe piacere sapere i pareri anche di quelle persone che non ho mai conosciuto, che però mi seguono, perché siete il mio carburante. Senza di voi, la macchina va a rilento. Per cui recensite se ne avere voglia!
Per ora è tutto. Io vi abbraccio e vi mando un grosso bacio!
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Incubo ***


                                                                                                   
                                                                                   Incubo
 
 
 
 



Sansa Stark stava correndo a perdifiato, lungo un sentiero tetro, pieno di ombre e buchi neri.
Non sapeva dove si trovasse, ma quel luogo la spaventata, immenso e privo di luce appariva come un pozzo nel quale non riusciva a riconoscerne il fondo.
Si trovava in quel posto da giorni, ne era stata intrappolata per un tempo indefinito e tenebroso, durante il quale aveva pianto disperata, cercando di reclamare un aiuto che non era arrivato.
Poi si era alzata, e aveva deciso che correre l’avrebbe portata lontana. Così avanzava, incespicando tra le gonne, inciampando nella nebbia. Ma qualcosa nel buio prese vita e una luce divampò sempre più grande, sempre più forte, accecante.
Sansa sorrise, le lacrime a rigarle il viso gonfio di frustrazione. Seguì quel bagliore, poteva essere l’ennesimo inganno, ma Sansa era già in trappola e restare ferma sarebbe stato come arrendersi alla sua dipartita. Doveva tentare, almeno provarci fino in fondo.
La luce prese la forma di una porta, e la porta si aprì rivelando un nuovo mondo di meraviglie e cose mai viste.
Sansa rimase senza fiato. Ad attenderla dall’altra parte una distesa verdeggiante di prati fioriti, sotto un cielo alto scombro di nuvole. C’era una soave musica, un’arpa liberava note melodiose e dolci. Era un luogo incantevole, ma troppo perfetto per essere il posto giusto.
Sansa si guardò indietro, e anche l’oscurità era svanita. Al suo posto si ergevano le mura alte, imperiose e scalfite dal tempo di Grande Inverno, i vessilli della casa Stark che garrivano al vento sopra le torri alte.
Devo tornare a casa.
Le suggerì una voce nella sua testa. Ma quel luogo incantato la tentava più di quanto negli anni passati avesse fatto il desiderio di vedere la sua vecchia dimora.
Appartieni a Grande Inverno.
Sansa lo sapeva. La cosa giusta era ritornare sui propri passi, fare in fretta prima che la strada ritornasse nuovamente buia.
Ma ecco che l’arpa suonava più forte, intonando la melodia di una vecchia canzone che lei conosceva. Guardò meglio oltre la porta di luce. C’erano bambini che correvano nei prati acciuffando farfalle, fanciulle che danzavo facendo svolazzare i loro abiti leggeri di seta dai colori sgargianti.
Vorrei poter danzare anch’io con loro.
Si guardò nuovamente alle spalle. Grande Inverno stava scomparendo in una cortina di nebbia grigia.
Non posso. Devo tornare a casa.
Ma Sansa lasciò che l’ombra inghiottisse nuovamente quelle mura familiari e amate, e attraversò senza rimpianti la porta di luce.
Ma anche quella luce divenne tenebra, e il paesaggio si colorò di nero.
Sansa precipitò nel vuoto e urlò.
 
Quando aprì gli occhi stava ansimando, la fronte umida di sudore.
Un incubo.
L’ennesimo.
Si guardò intorno passandosi una mano sul viso.  Si trovava in una locanda, lungo la strada per raggiungere Porto Bianco.
Era ancora nuda, i vestiti ormai asciutti sparsi sul pavimento. Nel stropicciarsi gli occhi la realtà le apparve più nitida e ogni cosa assunse la sfumatura giusta, quella che più conosceva.
Aveva dormito parecchio, si sentiva indolenzita ma stranamente riposata come non le succedeva da tempo. Prima che l’incubo la svegliasse, Sansa ricordava un confortevole calore che l’aveva cullata per tutta la notte, dei sussurri dolci, rassicurazioni, mani sul suo viso e lungo la sua schiena. L’ultimo ricordo che aveva della notte trascorsa, era lei che chiudeva gli occhi, con la guancia contro il petto duro e accogliente di Jon. Lui che le baciava la fronte…
Si girò intorno trovando l’altra metà del letto vuota. Con il cuore in gola si accorse di essere sola, gli abiti del fratello scomparsi, così come Lungo artiglio, e la sua bisaccia. Deglutì presa dal panico.
Non poteva averla abbandonata, non lui. Non Jon. Ma dove poteva essere andato così di soppiatto, senza avvisarla della sua assenza o premurarsi di lasciarle un biglietto in cui le spiegava il motivo della sua fuga tanto repentina?
Lo chiamò un paio di volte ricevendo solo il silenzio come risposta, e dei chiacchiericci che provenivano dalla sala comune al piano inferiore, risate, colpi di tosse, qualcuno che inveiva contro un altro.
Si strinse il lenzuolo al petto. Aspettò quelli che le parvero interminabili minuti, di panico e incertezza.
Forse aveva capito, si era reso conto di quanto fosse impossibile fuggire via da un abominevole individuo come Ramsay.
In fondo il Lord suo marito non era sulle tracce di un guardiano della notte dato per morto, ma sulle sue; Sansa Stark, lady di Grande Inverno.
Sansa non sapeva cacciare, non sapeva combattere, non sapeva stare a cavallo, neppure impugnare una daga. Nel fuggire via lasciandola all’oscuro delle sue intenzioni, Jon non si era liberato solo di un’ingombrante presenza che poteva costargli la vita, ma anche di un fardello inutile e pesante sulle spalle già provate. Poteva biasimarlo?
Jon era stato vittima di un tradimento, ucciso da chi riteneva meritevole della sua fiducia quanto un fratello. Quando lei era accorsa nelle sue braccia alla Barriera, Jon era già in fuga, desideroso di lasciarsi il Nord alle spalle, l’intero continente occidentale alle spalle, per tentare la fortuna e vivere una vita che in quelle terre maledette, impregnate di sangue, non avrebbe mai potuto avere.
Lo capiva. Tra loro due non c’era mai stato nessun tipo di rapporto fraterno. Sansa aveva trascorso metà della sua vita a disprezzarlo, a deriderlo chiamandolo bastardo, a lanciargli occhiate truci e piene di risentimento, a fare finta che nei banchetti e nelle feste non esistesse tanto da voltargli le spalle ogni qual volta Jon tentava di porgerle la mano.
Stupida. Non crescerai mai.
Come poteva essere meritevole del suo affetto? Jon si era dimostrato gentile con lei, proteggendola con la sua spada, riscaldandola usando il suo corpo per non farla più tremare, raccontandole cose che voleva sentire tanto profondamente da farla sentire a casa.
Ma forse anche quello era solo un inganno, come la porta di luce del suo incubo che si era trasformata nella sua tomba.
No, non può essere. L’ho visto nei suoi occhi.
Sansa ricordava com’era stato facile annegare in quello sguardo di pura tenebra. Dentro ci aveva trovato cose oscure, fredde, sconosciute, ma proibite e bellissime, tanto che era stata certa di aver sentito fiorire dentro di se un sentimento nuovo, mai provato, stupefacente. Suo.
Eppure era rimasta sola, il freddo aveva ricominciato a farla tramare.  Piegò le gambe contro il petto.
Non devo piangere. Non devo piangere. Non devo piangere.
Ma eccole le lacrime, calde e traditrici, solchi invisibili di dolore sul suo viso già colmo di rimpianto.
Cosa avrebbe fatto adesso? Dove sarebbe andata?
Era una donna sola, ricercata dai più temibili degli aguzzini, non aveva soldi, ne armi e ne cavalli.
Forse Liana mi prenderà con se. Forse mi vorrà come sua sguattera. Le ricordo la figlia, ha detto, forse avrà pietà delle mie lacrime.
Ma suonava come una follia.
Si strinse le gambe con le braccia, incredibile come la mente le sembrava vuota e offuscata. Prese a singhiozzare, mormorando frasi sconnesse. Ma in quella confusione di frustrazione e rimpianto, solo un nome riuscì a pronunciare chiaramente, e urlandolo sempre più forte, fino a sentirlo rimbombare nelle orecchie.
Jon! Jon! Jon!
La porta si spalancò con un tonfo sordo, e Jon comparve dietro di essa, con un’espressione allarmata, ancora ansimante.
Era completamente vestito, asciutto e pulito. Stringeva un fagotto sotto un braccio, le labbra spalancate per prendere aria.
Quando Sansa lo vide, fu come se il suo cuore si spalancasse, così lo stomaco, il centro del petto. Nelle zone aperte e vulnerabili, entravano cose meravigliose e calde, come il sollievo, la felicità, il conforto.
─Sansa? ─ Balbettò Jon ancora provato ─Cos’è successo perché stai piangendo?
E lei aprì le braccia, senza preoccuparsi che il lenzuolo potesse scivolarle dal petto, e Jon capì che l’aveva fatto perché non le importava nulla. Aveva bisogno del suo abbraccio, di sentirlo contro di se, di sentire che c’era per davvero.
Si precipitò sul letto accettando il suo invito. Jon la tenne stretta contro il corpo, il viso nascosto nel collo del ragazzo.
Sansa sentiva le sue mani grandi e fredde dietro la schiena nuda, la sua presa era salda, ma delicata e attenta, come se fosse stata un oggetto fragile e prezioso che doveva custodire con cura.
─Ho pensato che te ne fossi andato via ─ spiegò provata e imbarazzata ─Che mi avessi abbandonata qui, da sola.
Jon aveva un buon profumo, non era come quelli degli altri uomini. Era come annusare la liberà sconfinata, un leggero sentore d’acqua salmastra, un pizzico di limone, pino tagliato. Le piaceva perché poteva riconoscerlo tra mille, e tra mille l’avrebbe scelto.  Era il modo in cui lo sentiva, e sapeva che gli stava accanto anche ad occhi chiusi, e allora poteva lasciarsi andare ai sogni.
─Ma come puoi pensare una cosa del genere? ─ Sentendo il tono della sua voce, deluso e smarrito, Sansa provò vergogna per aver creduto che potesse lasciarla sola sul serio ─Ho promesso di proteggerti, ricordi?
Tirò su col naso e lo osservò, le mani ferme sulle sue spalle. Jon aveva gli occhi grandi quella mattina, ancora un po’ spossati dal sonno, le lunghe ciglia gettavano ombre sottili sulle guance.
Sembrava uscito da un ricordo, uno lontano, felice, rimpianto.
─Dove sei stato allora?
─A procurarti qualcosa da mangiare. Guarda qui. ─ lasciò la presa su di lei solo per mostrarle il fagotto che aveva portato con se. Lo aprì con cura con una mano, mentre l’altra reggeva il contenuto. Il tessuto di cotone bianco si rivelò l’involucro di una pagnotta ancora calda e croccante. Emanava un profumo invitante e dolce, Sansa sentì lo stomaco contorcersi dai crampi della fame ─Liana lo ha appena tolto dal forno. Avevo chiesto se avessero quelle tortine al limone, ricordo che ti piacevano tanto. Ma non sapeva neppure cosa fossero. Nella sala comune c’è una tazza di latte di capra che ti aspetta. Liana non ha…
Sansa si allungò per dare un bacio sulla guancia al ragazzo. Veloce e inaspettato interruppe le sue parole facendolo azzittire.
Quando si tirò indietro, vide qualcosa di diverso nel suo sguardo. Gli occhi prima vacui e svigoriti, ora sembravano vivi, più intensi, di una profondità affascinante e seducente.
Le guance avevano preso la colorazione di un tenero rosa pallido, e le labbra leggermente schiuse sembravano parlare di uno stupore che non era in grado di nascondere.
─Sei così gentile con me.
Forse avrebbe dovuto essere anche lei stupita, imbarazzata, confusa, stranita. Si rese improvvisamente conto del suo aspetto, e di quanto fosse vicino suo fratello e di quanto lo fosse stato.
Forse fu lo stesso pensiero che per un attimo sfiorò la mente di Jon, perché giurò di vederlo osservarla dalla testa, alle spalle nude, al petto nascosto dal lenzuolo, che però lasciava ben visibili le sue forme tonde e pronunciate.
─Ho buone notizie.
Jon le consegnò il pane per andare a chiudere la porta lasciata aperta. Sansa strappò una mollica e la portò alla bocca. Era buono e soffice, o era semplicemente la fame a farle sembrare qualsiasi cosa un pasto squisito e prelibato.
─Davvero?
─Ho trovato qualcuno che ci aiuterà a raggiungere Porto Bianco in pochi giorni. E soprattutto mi sono assicurato una cabina in una nave diretta a Dorne.
─Cosa stai dicendo?
Sansa lasciò perdere il suo pezzo di pane stupefatta e confusa.
─Ho conosciuto il nipote di Liana, un certo Tristifer. ─ Spiegò Jon rimanendo diritto nella stanza che si stava dipingendo della luce bianca di un sole pallido e fioco ─Un tipo abbastanza sfrontato e irriverente, ma mi ha raccontato che è il figlio di un capitano di una nave mercantile, Il Sorriso della Fanciulla, e che suo padre è sempre alla ricerca di mozzi volenterosi per le sue traversate. E così mi sono proposto io come aiutante, e gli ho spiegato che sono disposto a lavorare senza pretendere alcun guadagno, in cambio di un posto sulla sua imbarcazione per me e per mia moglie. Attualmente la nave è proprio ormeggiata a Porto Bianco.
Sansa abbassò gli occhi, stringendo le labbra. Jon sembrava così entusiasta del suo piano che quasi aveva paura a rivelargli le sue perplessità. Forse stava diventando eccessivamente paranoica, e quella effettivamente era davvero una buona notizia.
Nell’osservare suo fratello lo scoprì fermo con le mani aperte, come nell’attesa di un urlo di gioia, delle sue braccia pronte a stringersi intorno al suo collo, ringraziandolo con sincera gratitudine. Ma Sansa scosse solo la testa.
─E tu ti fidi di questo Tristifer?
─No! ─ Esclamò avvilito ─Ma non c’è atra scelta. Non abbiamo più soldi, né cavalli. L’esercito di Bolton ci sta alle calcagna, una volta saliti su quella nave saremo al sicuro. E quando arriveremo a Dorne, prederemo un’altra imbarcazione che ci poterà dritti a Walano. O potremmo restare a Lancia del Sole, o qualsiasi altro posto tu preferisca.
Era una prospettiva che certamente l’allettava. Era come se stesse per uscire dalle ombre, scorgendo luce e meravigliose possibilità oltre una porta splendente.
Ma poi ripensò al sogno, al modo in cui aveva voltato le spalle a Grande Inverno, varcando quella soglia oltre la quale aveva intravisto cose incantevoli e bellissime, precipitando poi in un baratro ancora più buono delle ombre in cui si era trovata.
Non voglio essere codarda.
Jon tornò a sedersi sul letto, interpretando il suo silenzio come una strana forma di paura e indecisione. Sfiorò le sue dita abbandonate sul grembo.
─Sansa, andrà tutto bene, te l’ho prometto. 
Ritornò ad osservalo in quei suoi occhi grandi e lucidi. Se anche lui avesse dei ripensamenti, non vi era alcuna traccia nel suo sguardo tutto spigoli e ardimento.
Annuì, non ancora del tutto sicura, ma tanto bastò per fargli assottigliare la lebbra, sistemarsi la cappa calda sulle spalle.
─Finisci di mangiare e vestiti ─ Le disse alzandosi dal letto ─Io ti aspetto fuori. Dobbiamo fare in fretta. C’è una nave che ci aspetta.  
 
 
CONTINUA..
 

 
Un nuovo capitolo giunge al termine, ed eccoci qui all’inizio del viaggio! Vediamo una Sansa molto più restia a lasciarsi andare, rispetto a un Jon che è molto determinato. Il fatto che Jon ha visto la morte, è morto, è stato tradito, ed è come colui che adesso vuole cominciare a vivere la sua vita in modo diverso, viversela a pieno, perché sa che potrebbe finire da un momento all’altro. Sansa ha conosciuto gli uomini, ha visto cosa si nasconde nelle sue menti, sa che possono tradire, sa che possono giocare, e non è sempre pronta a fidarsi.
Sono due personaggi che stanno affrontando lo stesso discorso in modo diverso, vedremo questo a cosa li porterà.
Grazie mille come sempre per il vostro appoggio! Non dimenticate di farmi sapere cosa ne pensate! Allora prossima cari!! 

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Capitolo 6
*** Bello come essere liberi ***


                                                                                    

                                                           Bello come essere liberi

 
 
 






Quando ebbe finito di vestirsi, trovò Jon ad aspettarla fuori dalla porta, come aveva promesso. Gli abiti erano ancora umidi sulla pelle, ma Sansa nascose comunque la testa sotto il cappuccio del mantello.
I suoi capelli rossi erano una particolarità troppo evidente da nascondere.
─Vieni qui, moglie mia.
Sansa sentì le guance andare in fiamme. Non era ancora abituata a sentirsi chiamare a quel modo da suo fratello, ma accettò comunque l’invito del ragazzo, e con grazia gli strinse la mano, lasciandosi guidare.
La locanda doveva essere già affollata, nonostante fossero solo le prime luci del mattino.
 I chiacchiericci che provenivano dalla sala comune erano incessanti, risate e imprecazioni che suggerivano un locale gremito di quelli che sembravano gente semplice e contadini dall’insaziabile appetito.
Non si sbagliò. Le venne naturale nascondersi dietro la schiena di Jon, nel momento in cui si rese conto di quanti uomini fossero stipati nella locanda, dietro i tavoli già cremiti di latte, vino e pane nero.
Alcuni nel vederli, gli lanciarono occhiate di curioso scetticismo, altri semplicemente non si accorsero della loro presenza, le bocche piene e avide di cibo.
Jon accostò le labbra al suo orecchio.
─Ho detto a Liana di chiamarmi Sam. ─ Le fece sapere sussurrando ─Se dovesse chiedere il tuo nome, inventatene uno.
Annuì non troppo certa di essere capace di dire addio a Sansa ancora una volta. Interpretare Alayne era stato un gioco addirittura semplice, ma ora non era più la figlia bastarda di un ereditario intrigante e astuto. Ora era una moglie, amabile, taciturna, attenta moglie di un uomo che le stava stringendo la mano, e che sembrava del tutto diverso da qualsiasi uomo le si era presentato davanti facendole promesse e concedendole sorrisi.
A Jon non interessa il mio aspetto, e neppure le mie terre. A Jon interessa la vera me, quella parte rotta che posso rendere di nuovo pura, limpida, per lui.
─Oh ecco i miei pulcini ─ gracchiò Liana dall’altra parte del bancone. Quella mattina sembrava particolarmente allegra, nella sua tunica di lana scura e un grembiule pasticciato di farina e impasto secco ─Vieni, Tristifer, voglio farti conoscere la moglie di Sam.
Tristifer, che fino a quel momento era stato di spalle, seduto ad un tavolo occupato da tre brutti ceffi, si girò con svogliato interesse, prima di mettersi diritto impugnando un corno di birra.
Nonostante Sansa se lo fosse immaginato come un tipo grassoccio, dalla barba lunga e ispida e labbra sottilissime come due vermi viscidi, si rivelò in realtà un ragazzo giovanissimo e addirittura di gradevole aspetto.
Con i suoi capelli corti di un biondo bruciato come il miele, ed occhi chiari e piccolissimi, Tristifer assomigliava ad  un affascinante contrabbandiere che pareva nascondere segreti intriganti e avventure dall’oscura natura. Dal modo in cui avanzò verso di loro, con le spalle dritte e la testa inclinata verso l’alto, Sansa capì che doveva fare quell’effetto a quasi tutte le donne, aspetto di cui ne era fieramente certo.
Venne così vicino che Sansa riuscì a distinguere alla perfezione le sfumature cristalline dei suoi occhi di cielo, e la forma obliqua di una piccola cicatrice sulla fronte, che gli conferiva un’aria seducentemente selvaggia.
Bevve un sorso di birra dal suo corno prima di alzare un sopracciglio. Dietro le spalle di Jon, improvvisamente rigido e guardingo, Sansa sperò di scomparire, diventando quasi invisibile.
Ma nonostante i suoi sforzi e il cappuccio che le celava gran parte del viso, Tristifer la vide lo stesso, osservandola a lungo, quasi come se fosse riuscito a liberarla di quell’rimbombante indumento solo con lo sguardo, e lei fosse li, ferma davanti a lui, con il viso ben in vista e i capelli rossi sciolti sulle spalle.
Non le piacque il modo in cui alzò un angolo della bocca.
─E così questa è tua moglie? ─ Anche il suo tono ostentata una sfaccia sicurezza ─E ha un nome?
Sansa si schiarì la voce, la mente improvvisamente vuota.
─Jeyne.
Mormorò con un tono gracile, la prima cosa che le passò per la testa. Non seppe perché scelse proprio Jeyne, c’erano tanti nome che conoscevano, più nobili e meno comuni di quello. Ma Jeyne era un ricordo prezioso di un passato fatto di ballate e di canzoni, sussurri dolci e risate gioiese. Forse le avrebbe portato ancora fortuna.
Oh Jeyne…
─Sei stato davvero gentile ad offrirci un passaggio sul tuo carro per Porto Bianco ─ Ringhiò Jon nascondendo Sansa ancora di più dietro la sua schiena. Se lei non aveva gradito il modo in cui Tristifer si era soffermato ad osservare il suo viso, Jon doveva aver provato un fastidio addirittura maggiore, a giudicare dal suo tono solenne e grave ─Ma abbiamo fretta, preferirei che partissimo al più presto.
─Tranquillizzati, compagno ─ Disse Tristifer bevendo dal suo corno di birra, se è possibile il suo ghigno divenne ancora più irritante ─Tristifer ha osservato e ha capito. Fuggiaschi non è così? Vi terrà nascosti per bene tra le sue merci in cambio del doppio della somma pattuita.
Era troppo impegnato a guardarsi le unghie per accorgersi della mano di Liana, che come un fendente d’accio si abbatté dietro la sua nuca facendogli perdere l’equilibrio, gocce di birra che stillarono dal suo corno.
─Maledetto farabutto! ─ Liana, rossa in viso, gli urlò contro facendolo arretrare ─Non ti dovranno un bel niente. Li accompagnerai a Porto Bianco e ti assicurerai che  arrivino sani e salvi, dopodiché dirai a tuo padre che Sam è disposto a lavorare per lui in cambio di una cabina sulla sua nave. Sono stata abbastanza chiara?
 
 
E chiara lo era stata, senza ombra di dubbio. Dopo aver lasciato la locanda, Tristifier condusse Jon e Sansa sul suo carretto, trainato da due palafreni in buone condizioni. Con il figlio del capitano del Sorriso della Fanciulla, viaggiavo altre tre uomini. Due restarono nascosti tra le merci dentro al carro stipati di carne secca, pelli d’animale, frutta, verdura quasi tutta già andata a male e pesce sotto sale, uno viaggiò con Tristifer accanto al loro signore, così come lo chiamavano.
Il cammino non fu piacevole e comodo. Sansa era costretta a stare piegata, dietro a una colonna di casse da cui proveniva un forte odore di rancido. Jon le era accanto, e per quello che poteva la teneva stretta, rendendole più confortevoli gli urti contro le buche e i sassi delle strade disastrate e fangose.
Durante il tragitto, Jon scorse Spettro che li seguiva, mantenendosi ad una debita distanza. A Sansa non sfuggì il sospiro rammarico di suo fratello, i suoi occhi che persero la lucentezza, diventando profondi e scuri come tenebre senza fondo.
Sa che dovrà lasciarlo andare.
Cercò di confortarlo stringendolo per un braccio. Ma Jon si allontanò ancora di più nella sua frustrazione e per tutto il pomeriggio non aprì bocca.
Dormivano poco e male, accampati come meglio potevano sotto querce e pini, a ridosso di caverne vuote, dove la strada lasciava spazio ad una radura resa bianca dalla neve, e lì cercarono di scomparire, sotto cumuli di pellicce riparati dalle casse.
Più passavano i giorni e più Jon diventava irrequieto, e la presenza di Tristifer sembrava olio colato sulla sua irascibilità già tutta fuoco e fiamme.
C’era qualcosa nel modo in cui si rivolgeva a quel ragazzo e ai suoi scagnozzi, che a Sansa faceva venire in mente un lupo feroce dalle zanne grondanti di bava dalla fame.
Tristifer era un tipo aitante, sicuro del suo aspetto e con numerose disdicevoli storie da raccontare, che secondo il suo parare, facevano crollare ai suoi piedi qualsiasi donna a cui le rivelava.
Sia a Sansa che a Jon non era sfuggito il modo in cui le si rivolgeva, né le occhiate languide che sembravano metterla a nudo ogni qual volta Jon fosse distratto, e neppure i suoi sorrisi, così sempre troppo aperti, o troppo sottili, da spingerti a riflettere su quale sarebbe stata la sua prossima mossa o quale fosse realmente il suo intento.
Ed era in quei momento che Jon diventava più feroce.
La teneva continuamente stretta, al suo fianco. Le imponeva di tenere sempre la testa nascosta quanto più possibile sotto al cappuccio, e di notte non chiudeva occhio, neppure per un misero secondo.
Si stendeva al suo fianco, dietro la schiena. Le afferrava la vita con un braccio premendosela contro. E restava così fermo, senza muoversi, senza quasi respirare, come un abbraccio di granito che neppure mille uomini sarebbero stati in grado di frantumare.
Ed era in quei momenti che Sansa sentiva e si sentiva colpevole. C’era una sorta di intimità in quella stretta, quasi come un voler ribadire al mondo che gli appartenesse e che avesse sfidato chiunque fosse stato abbastanza stolto da ribadire il contrario.
Ci si sentiva davvero. Sua. Ed era quasi bello. Anche Sansa voleva restare sveglia in quei momenti, ma cadeva quasi subito in un sonno profondo, cullata dal rumore dei suoi respiri, quelle braccia forti che la tenevano fino a renderle impossibile capire dove iniziasse uno e finisse l’altro.
E al risveglio era ancora lì, immobile con gli occhi aperti, solo l’ombra di un sorriso quando Sansa gli scostava i capelli dalla fronte.
─Ancora oggi, ti chiedo di fidarti di me.
Le sussurrava, e lei si fidava. Si fidava ogni giorno.
Arrivarono a Porto Bianco all’alba del sesto giorno di cammino. Il cielo di un grigio pallido colorava le acque del Mare Stretto di un blu intenso, carico di ombre, quasi senza fondo.
Fuori da quel carro la realtà pareva immensa e troppo grande da essere contemplata. Sansa si guardò intorno cominciano a respirare un’aria nuova, che sapeva di libertà e promesse. Quasi si concesse addirittura di credere che questa volta sarebbe stata davvero diversa, e per un attimo fu di nuovo quella ragazzina ingenua che piena di sogni superò le porte di Grande Inverno diretta verso quello che credeva il suo sfavillante futuro.
Forse questa volta…
Si guadò intorno rendendosi conto di essere sola. Con lo sguardo trovò Jon poco lontano, nascosto in un angolo, dietro a casse e a vecchi sacchi pieni, la struttura di una vecchia casa decadente a fornirgli da riparo.
Nonostante il sole non fosse del tutto sorto, c’era già grande fermento al porto. Alcune navi, pronte a salpare, stavano per essere riempite di viveri, metalli preziosi, oro e gioielli, vino di Arbor prezioso e frutta matura, dierette dove sarebbero state svuotate e riempite di altri beni di prima necessità.
I loro equipaggi si spintonavano dandosi ordini. Pescatori in arrivo dal male trasportavano il loro carico in carretti sgangherati per le strade fangose della città, altri mercanti di preparavano a scambiare le loro monete in cambio di cibo e particolarità delle terre lontane da rivendere il doppio.
Sansa si fece largo tra la folla con il cappuccio ben calato sulla testa. Quando raggiunse Jon capì il motivo di tanta discrezione.
Spettro gli stava di fronte, la testa leggermente alzata per guardarlo negli occhi. Quando il ragazzo si accorse della sua presenza, stirò le labbra in un pallido sorriso, poi piegò le ginocchia per raggiungere l’altezza dell’animale.
─Sei stato un buon amico ─ gli disse con un tono che Sansa non aveva mai sentito tanto incerto. ─Ma le nostre strade devono separarsi qui.
Il meta-lupo parve comprendere ogni parola. Affranto colpì il suo braccio con il muso, quasi come a convincerlo a restare, a ricordargli quello che potevano essere insieme.
Jon gonfiò il petto. L’impugnatura bianca di Lungo artiglio riluceva di un flebile bagliore sotto il sole rosso. Sansa pensò che quello era molto più di un lupo per Jon, era un’estensione del suo braccio, quell’occhio sempre aperto che gli mancava, il senso del pericolo che lo faceva arretrare quando non poteva esserci via di scampo.
Le venne in mente Lady e la dolcezza con cui le faceva sentire il suo affetto, la certezza della sua protezione.
Sta dicendo addio ad una parte della sua anima
Nel momento in cui suo padre Ned Stark era stato costretto ad uccidere il suo meta-lupo, Sansa si era sentita spezzata, ed ora Jon aveva proprio l’aspetto di un uomo che sta andando in frantumi, le schiena leggermente piegata dallo sconforto.
Gli appoggiò una mano su una spalla, quando Jon alzò il viso scoprì i suoi occhi più lucenti di come li ricordava. Erano umidi.
─Potremmo trovare un modo per portarlo con noi. Nasconderlo.
Il ragazzo scosse la testa ─No. La sua presenza desterebbe troppo sospetti e solleverebbe domande. Inoltre Spettro appartiene al Nord. È questo il suo posto. Non può seguirci. Lui lo sa.
Accarezzò il suo pelo bianco e folto, l’animale mugugnò sconfitto e restò fermo quando Jon appoggiò la fronte tra le sue orecchie, gli occhi chiusi come a volersi impedire di piangere.
─Tornerò, te l’ho prometto. Questo non è un addio. Grazie per tutto quello che hai fatto per me.
Forse se Spettro sarebbe stato in grado di parlare, lo avrebbe implorato di non partire, di ritornare indietro e ricominciare a nascondersi, nel buio, nel bosco, tra le nubi gelide del Nord, a Castello Nero, a Grande Inverno, in una caverna, al freddo.
Ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu solo un ululato straziante e smorzato dal rancore. Jon si rimise in piedi e gli voltò le spalle. Aveva i pugni chiusi, le labbra piegate in una smorfia affranta.
Si era spezzato, pensò Sansa, eppure rimaneva ancora quella inespugnabile muraglia in cui desiderava rifugiarsi. C’era coraggio nella sua espressione impassibilmente dura, e determinazione che faceva muovere i suoi passi.
Jon era tutto quello che Sansa non sarebbe mai stata. Lei era quella che si illudeva di poter nascondere un meta-lupo su una nave, Jon preferiva dirgli addio affinché fosse felice nel luogo in cui era nato.
 
 
─Non vuoi soldi hai detto?
Chiese per la quinta volta Braiden spacca- ossa, capitano del Sorriso della Fanciulla, mentre con le mani sui suoi fianchi osservava entrambi, un cipiglio cinico sul viso paffuto.
Tristifer li aveva presentati a suo padre come cari amici di Liana. Braiden aveva obbiettato dicendo che quella baldracca di sua sorella aveva tanti amici e neppure uno disposto a definirla tale nelle chiacchiere da bordello. Poi imprecò contro la sua lingua lunga e infinite rimase ad ascoltare, per nulla interessato, quasi infastidito.
Braiden era un uomo grasso, ma abbastanza robusto da poter ridurre in poltiglia un otre pieno di vino di Arbor, stringendolo solo tra le sue grosse braccia. Tristifer le aveva raccontato che un tempo suo padre era stato un tipo avvenente, con folti e lunghi capelli color dell’ambra. Di quella sfumatura dorata non era rimasto più nulla, e neppure del suo bell’aspetto.
Sembrava solo lo sfuocato riflesso di quello che un tempo sembrava essere stato in incantevole dipinto. Gli erano rimasti lunghi riccioli bianchi e crespi legati in una lunga coda di cavallo, e le sue folte sopracciglia nascondevano occhi azzurri privi di lucentezza. Non era un giovane nel fiore degli anni, ma non era neppure un vecchio decrepito debole e deperito. Si manteneva in forma e gli uomini del suo equipaggio si rivolgevano a lui con timoroso rispetto.
Perfino Jon sembrava un gracile fanciullo al suo cospetto.
─No ─ Confermò suo fratello con la mano stretta sull’impugnatura di Lungo artiglio ─Solo una cabina per me e per mia moglie. Abbiamo un bisogno disperato di lasciare queste terre, e siamo sprovvisti di conio.
Braiden incrociò le braccia sul suo petto massiccio.
─Niente soldi e immagino anche niente domande.
Jon gli lanciò uno sguardo impassibile, ma nel modo in cui chiuse e aprì le palpebre c’era un severo assenso che non stupì il capitano.
─Sono disposto a lavorare tutto il giorno e a svolgere qualsiasi incarico tu mi assegnerai.
─Aye ─ Braiden si lisciò la sua lunga barba lanciano a Sansa uno sguardo di curioso interesse ─Non ho mai avuto donne a bordo. Tua moglie è una splendida fanciulla, e non ho idea di come reagiranno i miei uomini a vederla aggirarsi sulla nave. Si è deboli a volte di fronte a certi istinti. Non posso garantire la sua incolumità e neppure posso mozzare il cazzo al mio intero equipaggio. Dovrai pensarci tu a proteggerla. Se le dovesse succederle qualcosa, saranno solo problemi tuoi. Non voglio guai su questa nave.
Sansa sentì la morsa del terrore stringerle lo stomaco, e all’improvviso intraprendere quel viaggio le sembrava la cosa più sbagliata che potessero fare. Ma fu solo un attimo, prima di vedere digrignare i denti sotto le labbra, ridurre i suoi occhi a due fessura d’ombra.
─So tenerla al sicuro ─ ringhiò quasi come un lupo ─ Non devi preoccuparti.
Benjen lanciò un’occhiata curiosa a Lungo artiglio che penzolava dal suo cinturone.
─Lo vedo, Sam.
Pronunciò il suo nome quasi come un’accusa, e in quell’istante Sansa capì che il capitano sapeva, o che aveva già immaginato. Cambiare identità non significava cancellare chi erano, come aveva già dolorosamente verificato un tempo. Perfino i sussurri potevano avere la stessa intensità di un grido, e quelli che si portavo dietro erano parecchi rumorosi.
Tuttavia quando salirono a bordo, nessuno parve dare a loro più attenzione di quanto la si dedica ad una coppia di giovani sposi.
Sansa sentiva lo sguardo degli uomini su di se, ma non era una sensazione che le incuteva panico e terrore. Nel muoversi sul vecchio ponte di legno, scoprì di essere imbarazzata, sperduta e disorientata. Poteva quasi essere un moscerino, lasciato libero di ronzare in un mondo troppo grande e imponente per le sue piccole ali.
Ma era bello volare dopotutto, e quando la nave salpò e il porto cominciò a diventare un puntino indistinto all’orizzonte, si sentì finalmente come aperta, e il suo cuore respirò un’aria tutta nuova che sapeva di Jon, di promesse e di una voglia che la fece sorridere ancora.
 
 
 
CONTINUA…

 
 
Innanzitutto mi scuso per il tremendo ritardo. Ma mi capirete, ci sono state le vacanze di natale, quindi ho avuto davvero poco tempo per scrivere, tra parenti, cene pranzi, amici. Sono stata impegnata parecchio, e non trovavo mai neppure un minuto per aggiornare, nonostante avessi finito di scrivere il capitolo da molto tempo. Inoltre ho dovuto accontentare altri miei lettori che mi stavano chiedendo da mesi la fine di una storia, quindi ho dovuto momentaneamente sospendere questa per completare un altro progetto.
Ma siamo qui! Come sono andate le vostre feste? Spero bene! Colgo l’occasione per augurarvi un buon anno (anche se leggermente in ritardo) e tante bellissime cose!
Tornando al capitolo… questo, anche se privo di eventi importanti, segna la fine della prima parte della storia. Ora siamo nel vivo, quindi inizierà il viaggio, la scoperta di questa nuova terra, le prime interazioni importanti tra i protagonisti. Ne ho inseriti alcuni nuovi, teneteli d’occhio perché avranno la loro parte nella storia, e nulla! Spero vi sia piaciuto. Non vedo l’ora di scrivere i prossimi capitolo ( e forse di farci leggere un progetto nuovo che sto scrivendo )
Grazie mille per essere ancora qui! Vi mando un grosso bacio!

 
 
 

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Capitolo 7
*** Resta ***


                                                                                     
 

 

                                                                              Resta                         

 
 









A Jon spettavano i compiti più duri sulla nave, che quasi lo tenevano impegnato tutto il giorno, così Sansa riprese a sperimentare sentimenti che aveva creduto persi da tempo, come la solitudine, l’impotenza e soprattutto la noia.
In realtà  cominciò a sospettare che dietro tutte quelle numerose mansioni faticose che Jon doveva silenziosamente ed indiscutibilmente svolgere, ci fosse lo zampino di Tristifer, che dopo anni passati a girovagare di locanda in locanda, rifiutandosi di seguire suo padre nei viaggi di commercio, si era finalmente deciso a salire a bordo, felice di seguire le orme di famiglia.
I loro rapporti non erano migliorati e diventarono ancora più acerbi, soprattutto tra lui e suo fratello, quando scoprirono che in realtà la cabina che era stata a loro assegnata, prevedeva che ci fossero altri sei letti, impilati una sopra l’altro, tutti ovviamente occupati, il più confortevole da Tristifier stesso.
Jon aveva subito obbiettato, dimostrandosi ostile e guardingo, minacciandolo di saltare giù dalla nave se non gli avessero concesso una stanza solo per lui e per sua moglie. Ma Tristifer aveva scrollato le spalle invitandolo a tuffarsi senza troppe cerimonie.
Su quell’imbarcazione era la sua legge quella che contava e doveva essere seguita. Così fecero, amareggiati e sconfitti, con le testa chine, si morsero la lingua e accettarono l’ospitalità.
Le notti erano gelide, lunghe, imbarazzanti, senza sogni e senza fine. Dormire con altri cinque uomini, quasi tutti sconosciuti e non proprio di bell’aspetto e dalle buone maniere, per Sansa rappresentava motivo di apprensione e terrore. Se ne stava quasi sempre rinchiusa nel suo mantello, di rado lasciava che Jon, sotto le lenzuola, le slacciasse i lacci della sua tunica per sentirsi più libera, e ancora più di rado dormiva, perché proprio non riusciva a stare serena quando si sentiva addosso occhi curiosi e lascivi, il corpo di suo fratello premuto contro, caldo e troppo duro.
Il ragazzo si era rifiutato di dormire nel suo letto, e condivideva con lei un giaciglio scomodo, umido, piccolo, dalle lenzuola ispide e privo di luce. E come aveva già fatto nella foresta, la teneva stretta, per la schiena con il viso nascosto nei suoi capelli.
E anche se Sansa non riusciva a guardarlo in faccia, era certamente sicura che non si concedesse neppure qualche minuto di riposo, nonostante la stanchezza e l’affaticamento di un intero giorno passato a sgobbare da poppa a prua.
Per fortuna, tralasciano le allusioni sgradevoli di Tristifer, nessuno degli altri ragazzi con cui condivideva la cabina sembrava intenzionato a farle del male. Alcuni erano abbastanza avanti con l’età, ma un paio di loro, due gemelli, Tito e Bobo, parevano avere lo stesso spirito di spericolata fanciullezza che aveva visto in Bran, prima che cadesse dalla torre, e che ricordava in Arya. Erano vispi, sempre con il sorriso sulla bocca, e la facevano ridere pretendendo solo che lei di tanto in tanto le cantasse una canzone.
C’era poi il vecchio Obar, dalla pancia prominente, sempre troppo stanco la sera anche solo per rivolgerle un cenno di saluto, e Antemio, che aveva già viaggiato con loro lungo la strada per arrivare a Porto Bianco.
Sansa aveva cominciato a conoscerli tutti e a ricordare quali fossero le loro abitudini e le cose che in loro presenza non dovevi mai dire. Era un gioco facile, di cui ormai sembrava esserne l’esperta.
L’aiutava a deviare il pericolo ed era più pericoloso di una spada. L’arma di una donna.
Anche quella notte, come faceva spesso da molti giorni, Jon le respirava tra i capelli, tenendola stretta per la vita furioso nel non lasciarsi sopraffare dal sonno.
Non si era ancora abituata ad averlo così vicino, neppure a sentire quelle mani grandi e callose sul suo corpo. Certe volte, senza non pochi sensi di colpa, provava a immaginare che non fosse suo fratello, altre era proprio lei a cercarlo, facendosi più vicina, strusciandosi contro il suo petto con la schiena, ed era sempre diverso, come se ci fosse  qualcosa da scoprire in ogni occasione e che non aveva immaginato.
In realtà sapeva poche cose di Jon, degli uomini onesti, e di come doveva comportarsi.
Conoscere quel ragazzo, sempre troppo chiuso in una fortezza di segreti e ritrosia, si stava dimostrando l’esperienza più curiosa della sua vita e anche quella più sorprendente.
Ogni giorno imparava qualcosa di nuovo. Per esempio odiava il pesce, sopratutto quello salato, e la carne secca, aveva un dente scheggiato, un ricordo di una brutta caduta da cavallo quando era un bambino, e sapeva i versi di alcune canzoni che per di più recitavano di guerrieri in sella a poderosi destrieri, di draghi e di spade bianche.
Sansa era come ammaliata e nei suoi occhi trovava sempre una scintilla in più.
Quella sera era stata ore a dondolarsi sul letto con le gambe strette al petto e il cuore in gola, chiedendosi quando Brayden gli avrebbe dato il permesso di raggiungerla in cabina a riposarsi. Nel momento in cui l’aveva visto arrivare, Jon era apparso lucido di sudore, i riccioli appiccicati sulla fronte e la bocca chiusa.
Si era lavato passandosi l’acqua gelida sul viso, aveva mangiato del merluzzo bollito, barbabietole conservate nell’olio, e mele secche. Poi si era gettato sul letto, non prima di aver lanciato a Tristifer uno sguardo d’accusa.
La nave oscillava di continuo, ed era un rumore incessante di legno che sfregava producendo scricchiolii sinistri. Sansa sfiorò il braccio teso di Jon lungo il suo addome. Quando si girò nella sua direzione lo trovò con le palpebre aperte e vigili, le profonde occhiaie che suggerivano quanto fosse stanco.
Le sue mani trovarono da sole la strada per raggiungere una guancia del ragazzo. Quando lo toccò non le sfuggì il modo in cui Jon rilassò le labbra.
─Hai bisogno di dormire. ─ Gli sussurrò piano facendo attenzione a non chiamarlo per nome. Le riusciva ancora difficile rivolgersi a lui come Sam ─Nessuno mi farà del male, e in ogni caso so difendermi da sola.
─Non ho sonno. ─Mentì liquidandola alla svelta, e per tutta risposta la strinse ancora di più contro il suo petto ─Sto bene. Non devi preoccuparti per me.
─Nessuno lo ha mai fatto, vero?
Jon le baciò la mano, muovendosi piano per posizionarsi sopra di lei. Sotto le coperte, in un giaciglio in cui non c’era mai abbastanza spazio e il soffitto erano solo assi di legno che potevi toccare allungando un braccio, la realtà di Sansa si ridusse al corpo di suo fratello, alle sua braccia, al suo viso concitato e a quel petto duro e caldo che sfregava contro il suo seno.
Sam e Jeyne non avrebbero provato imbarazzato a stare fermi così a guardarsi con le gambe che si intrecciavano sotto le lenzuola e i respiri ridotti quasi ad un unico fiato. Sansa e Jon invece sembravano come ubriachi. Coscienti di essere nel torto, ma altrettanto lucidi da non provare nessun rimorso.
─Lo sai perché ho deciso di lasciarvi tanti anni fa? ─ Sansa scosse la testa, sapeva che si stava riferendo alla Barriera ─Perché non volevo essere un peso per nessuno, soprattutto per la nostra famiglia. Li sento ancora sulle spalle i miei fardelli, sono pesanti. Non voglio che tu te ne faccia carico.
Le parole di Jon erano bisbigli rauchi, come dolci preghiere mormorate prima di andare a dormire. Anche nell’oscurità di una cabina buia, Jon non si spegneva ed era un fuoco nero che le faceva ribollire lo stomaco. Guardandolo con le braccia tese ai lati della sua testa, le venne in mette quella notte trascorsa nella locanda di Liana.
Dove vuoi che brilli allora?
Sopra di me.
─Lasciami entrare. Non puoi pretendere di far tutto questo da solo ─aveva ripreso ad accarezzarli le labbra senza neppure rendersene conto ─So che sei stato sincero, ma voglio meritare il tuo perdono. Io ci sono.
E lo vide chiudere le palpebre ed appoggiare la fronte sulla sua. La tensione nelle spalle si rilassò e sentì la presente durezza del suo petto scontrarsi contro il seno.
─Lo so. ─Ammise in un sospiro ─Ma hai speso metà della tua vita a difenderti, quanto dolore hai dovuto sopportare? Dammi la possibilità di essere per te ciò che non sono mai stato. È tutto quello che voglio.
Jon era completamente su di lei, le respirava addosso, percepiva il suo peso ed assorbiva il suo calore.
Era ogni pensiero ed ogni sogno. Lo vedeva e sembrava non esistere niente di più grande e niente di più bello.
Che strano, pensò, è come se la mia anima si stesse risvegliando. Sembrava una primavera nel suo corpo. Ecco che i nervi scattavano ad ogni tocco, e i polpastrelli apparivano sensibili sul viso del ragazzo. C’era un battito frenetico e prepotente, e lo stomaco tuonava, faceva capriole.
Non è possibile.
Si mise a guardare le sue labbra e le volle toccare ancora. Morbide, sode e lisce, contornate da fili spuntati di barba incolta che pizzicavano sotto la pelle.
Quante donne hai baciato, Jon?
Tutte, sembrava risponderle, perché di sicuro tutte non erano state abbastanza tenaci da resistergli. Lei stessa si sentiva sporca e intorpidita, quasi l’espediente di fingersi marito e moglie sembrava piacerle tanto da servirsene per mettere a tacere qualsiasi senso di colpa.
Non era forse quello che facevano le mogli con i mariti? Stavano a letto, stretti, a toccarsi. Ed era così.
Se qualcuno intorno a loro si fosse svegliato all’improvviso, li avrebbe trovati una sopra l’altro a guadarsi rossi dal desiderio. A quel punto nessuno avrebbe putto avere più dubbi.
Sono Sam e Jayne, gli sposini fuggiaschi da una vita di miseria.
E aprì le gambe sotto di lui incastrandole contro i suoi fianchi. Lo sentì emettere solo un gemito rauco, il cuore in gola temendo che lui potesse allontanarsi. Ma Jon rimase fermo, come una statua si sale e ghiaccio, a reggersi sui gomiti e a cibarsi dei suoi occhi accesi.
Gli avevo detto di brillare proprio così. Mi sta solo facendo luce.
Aveva ancora i capelli umidi quando glielo accarezzò con una mano lasciandoli dietro la nuca.
Le erano sempre piaciuti i capelli di Jon Snow. Neri e folti, adorabilmente scompigliati.
Constatò quanto fossero serici al tocco e ne rimase sorpresa. L’ennesima cosa di Jon che non immaginava e che ora sapeva.
Il ragazzo chiuse le palpebre gonfiando il petto. E in quel respiro si nascondeva quasi un sussurro, una preghiera che la implorava di non fermarsi, come se ne avesse bisogno più di un battito.
Forse è stato baciato molte volte, ma non è mai stato accarezzato.
Ed ecco che arrivò al momento, ogni contatto con la realtà si perse ed era se stessa in un’altra dimensione. Non vi era nulla, se non Jon, e non sentiva nulla se non Jon. Scomparve la nave Tristifer e i suoi compagni. Ramsay  Bolton e quei cani rabbiosi che ancora sognava e che annaspavano per addentare la sua carne. Scomparve Cersei, e Joffrey, il dolore e la paura. Scomparve Approdo del Re, con il mastino sempre così terribile e crudele. Scomparvero i sorrisi e le menzogne e arrivarono i ricordi, solo quelli belli.
E quasi sorrise quando si aggrappò a uno di questi, venuto a galla per la prima volta dopo essersi costretta a tenerlo sepolto.
─Sai  a cosa sto pensando?
Gli chiese accarezzandogli la fronte. Jon scosse la testa, aprì gli occhi e un battito tuonò più forte.
─A noi. A quando eravamo a Grande Inverno.
Il ragazzo fece una smorfia, il corpo premuto contro il suo. ─A stento riuscivi a sopportare la mia presenza.
─E’ vero ─ammise con una nota di amarezza ─Ma una notte venni a cercarti. Era buio e fuori si era scatenata una tempesta. Avevo cinque anni o qualcosa di più. Me ne stavo nel mio letto arrotolata nelle lenzuola. Continuavo a piangere perché l’ululato del vento mi faceva paura. Sembrava una di quelle creature mostruose di cui ci parlava la vecchia Nan, e ogni volta che chiudevo gli occhi mi immaginavo qualcuno che volesse farmi del male. Volevo andare da Robb, ma sapevo che non avrebbe mantenuto il segreto. Arya non sarebbe stata di conforto e mi avrebbe presa in giro. Così venni da te. La porta della tua stanza era aperta e io entrai. Ti trovai a dormire e mi infilai nel tuo letto, ti accorgesti subito della mia presenza. Eri sconvolto, mi pregasti di andare via. Temevi che se ci avesse scoperto mia madre, si sarebbe arrabbiata. Ma io fui testarda, ti dissi dei miei incubi e che non avevo nessuno se non te. Così mi hai abbracciato e mi hai tenuto stretta per tutta la notte. Ed io non ho avuto più paura. Al mattino non fu mia madre a trovarci, ma nostro padre. Ero felice, gli sorrisi. Ma lui era come inorridito. Ci guardò quasi con disprezzo, mi tirò fuori dal letto, urlò contro di te. Mi sentivo così in colpa. Cercai di spiegargli, ma sembrava furioso. Così lui…
─Mi punì ─ Concluse Jon soffiando appena ─Me lo ricordo. Ricevetti cinque frustate e il divieto di farmi vedere alla festa del raccolto. Forse piansi. Non ne sono sicuro.
Era una storia vecchia, un ricordo passato, ma solo riportarla a galla aveva restituito a Sansa tutta l’angoscia provata, il senso di impotenza e frustrazione, quel bruciore acre in fondo alla gola quando aveva implorato il padre di darle ascolto, ricevendo solo un’occhiata distratta, lo sguardo perso nel vuoto.
A quel tempo Sansa si era sentita piccola e stupida, pentita e logorata dai rimorsi. Ma poi aveva guardato Jon, mortificato e solo, in fondo alla sala grande dove consumavano i pasti.  Le era sembrato un vagabondo capitato in un luogo che non conosceva nel quale non voleva restare.
L’aveva osservato a lungo, pensando che forse sarebbe dovuta andargli incontro, a chiedergli scusa. Ma sua madre le aveva sorriso, uno di quei ghigni ampi, luminosi e sinceri.
È quello il suo posto. Le aveva sussurrato.  Il posto di un bastardo. Ed è quella la faccia che dovrebbe avere un bastardo. Ned può amarlo come un figlio, ma per me sarà sempre e solo un fantasma che si aggira tra queste mura flagellando il mio cuore. Non tollerare mai la presenza di un bastardo, Sansa. Ricorda. È umiliante per una donna.
E Sansa aveva fatto di tutto per non sentirsi umiliata. Si era protetta dietro una muraglia di ghiaccio e diffidenza, e da Jon, suo fratello era diventato il bastardo di Ned Stark, con i suoi silenzi, i suoi sguardi  troppo profondi, quelle buone intenzioni che parevano nascondere sempre un secondo fine.
Non c’era più nulla di quel ragazzo sconfitto e spaventato ora in Jon, e non c’era più nulla in lei di tutte quelle cose che sua madre le sussurrava in un orecchio.
Se ci vedesse adesso…
Gli accarezzò il viso premendogli un pollice sulle labbra.
─Mi sono sempre chiesta perché nostro padre reagì in quel modo. Eravamo solo bambini terrorizzati dal vento. Continuava a urlarci contro che non potevamo farlo, e che non poteva succedere. Cosa? Cosa non poteva succedere?
E per un attimo lo vide esitare, come se una luce fosse esplosa e si fosse subito spenta nei suoi occhi.
Aveva capito.
Questo
Pareva dirle, mentre si faceva più lontano e abbassava la testa, un alido di gelo che le attraversò il petto.
Non le importava.
Lo afferrò per le spalle spingendolo nuovamente su di se. Quella notte di tanto tempo fa, inspiegabilmente, Ned Stark aveva issato una barriera di ghiaccio tra di loro, che il tempo a poco a poco aveva fatto scogliere, fino a trasformarla in acqua limpida. Sansa non avrebbe fatto in modo che si scatenasse una nuova tempesta.
Alzò piano la testa scontrandosi quasi con la sua bocca. Respirava il suo respiro, quello sguardo d’ombra di Jon a rendere la sua realtà intensa, selvaggia e proibita. Nella semioscurità della cabina riusciva a intravedere solo la metà del suo viso perfetto, la linea dello zigomo, quella del naso, le ciglia folte e lunghe che perdevano le loro ombre nel buio delle guance. Schiuse le labbra, pensò di sentirlo fino a dentro lo stomaco.
La pelle era calda sotto il tessuto della tunica leggera, le gambe nude strette intorno ai fianchi del ragazzo sembravano volerlo sfidare e liberarsi di quella stretta.
─Mi dispiace, Jon ─ Sussurrò piano, e la sua voce risuonò incerta. Stava tremando ─Mi dispiace per quella sera, per averti svegliato nel cuore della notte sapendo bene i rischi che correvamo. Mi dispiace se hai sentito dolore, mi dispiace di non essere stata coraggiosa abbastanza, e mi dispiace per non averti chiesto scusa.
─Lo so. ─Sembrava volesse piangere. Più vicino alla sua bocca ─Lo so. Dei!
─Non ti ho odiato, Jon ─ La mano sul suo viso a stringergli i capelli ─Non ti ho mai odiato.
─Sansa…
─Credimi. ─ Era una pazzia. Voleva perdersi in lui, voleva che lui la sentisse. I fianchi che si mossero alla ricerca di un contatto più profondo ─Ti ho pensato quando eravamo lontani. Volevo rivederti. Mi sei mancato.
Lo sentì reprimere un gemito, respirava attraverso la bocca ─Ti ho pensata anch’io. Ti ho sognata anche.
Battiti contro il costato, nei timpani, sotto la punta delle dita. Più vicino, voleva esserci più vicino. E poi chiudere gli occhi. Forse non era tutto vero.  E neppure lei era vera.
─E com’ero nei tuoi sogni?
Si pentì quasi subito di averglielo chiesto, e nel momento in cui Jon strinse gli occhi seppe che avrebbe dovuto implorare per una risposta sincera. Gli tenne la testa ferma con le mani, lo costrinse e guardarla. E lui lo fece, con colpevole stupore e stupefatto sgomento. Le labbra gli tremavano, e così anche le luci nei suoi occhi sempre profondi.
─Io…
─Com’ero?
Insistette e non c’era modo di scogliere quella stretta. Avrebbe potuto allontanarsi, ma si sarebbero comunque toccati, avrebbe potuto voltargli le spalle, ma il suo corpo, duro e caldo sarebbe sempre stata una presenza costante. Un promemoria e un avvertimento. Un peccato e un dono. La fame forse li aveva ridotti allo stremo.
─Bella. ─Ammise come sconfitto ─Bella come adesso. Bella come le cose che voglio.
E lo sentì davvero che la voleva, il suo membro diventato duro che le premeva contro. Fu una scoperta sconcertante, bellissima e spaventosa. Era stata lei e lei soltanto. Aveva come l’impressione di essere potente e invincibile, ma allo stesso tempo colpevole e impudente. Si mosse sotto di lui e Jon capì che lei lo aveva scoperto. Il suo viso si colorò di un rosso acceso, gli occhi divennero lucidi e vuoti. Lo vide stringere i denti, maledirsi silenziosamente. Sansa decisa che sarebbe stato meglio restare ferma, e nello sbigottimento tutto le sembrava confuso, grande e inappropriato.
─Jon…
Le venne da dire e non ebbe neppure paura che qualcuno potesse sentirla. La sua voce era risuonata gracile, sottile, quasi un grido strozzato, e lo sguardo di Jon si trasformò in una maschera di orrore e colpevolezza.
Si allontanò da lei facendo pressione sulle braccia.
─Perdonami, ti prego. Perdonami ─Implorò turbato dal rammarico ─Non sono questo tipo di persona. Non sono così. Io non… abbi pietà di me e perdonami.
E voleva dirgli che non aveva nulla da farsi perdonare, che le era piaciuto averlo accanto, sentirlo parlare, accarezzarlo, e percepire la sua voglia. Voleva dirgli che non aveva paura e che era stata tutta colpa sua, anche questa volta. Voleva dirgli di non andarsene perché aveva ancora bisogno del suo calore, e che erano Jeyne e Sam e loro potevano tutto.
Ma strinse solo le labbra, mentre la vista cominciava ad offuscarsi. Le scese una lacrima lungo una guancia e Jon abbassò la testa, quasi fosse inorridito a guardarla.
È solo il mio cuore. Ha ripreso a vivere. Non so controllarlo. Non riesco a capire.  Resta. Io non ho paura.
Ma non restò.
Scese dal letto con furia, si rivestì alla svelta. Quando tornò a parlare aveva i pugni stretti, i riccioli neri che gli comprovano gli occhi.
─Forse è meglio che ti lasci sola. Ed è meglio che io stia solo. Evidentemente sei più al sicuro lontano da me.
E poteva vederlo, tutto quel peso che si ostinava a portare sulle spalle. Lo spingeva verso un'ombra che Sansa non poteva diradare. Continuò a piangere per tutta la notte, e la ragione le era abbastanza chiara.
Era andato via.

 
 
CONTINUA…
 
Ed eccomi qui con un nuovo capitolo. Piaciuto? Posso dire di per certo che è il mio preferito fino a questo momento. La storia che ho inventato in passato penso sia per entrambi un ottimo spunto di riflessione. In realtà in questo momento Jon e Sansa provano una grande attrazione fisica, tra di loro è come un fuoco. Si vogliono, ma sanno che non possono volersi.
Spero che comunque vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me scriverlo. Forse al più presto pubblicherò una nuova long, non so quando, ma sono a lavoro!
Mi raccomando, lasciatemi una recensione, anche una piccola piccola! Ma ci conto! Un bacione grande da Stella!
 
 

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