Veritas post vanitates

di JudeGiuli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parvitas ***
Capitolo 2: *** Dux ***



Capitolo 1
*** Parvitas ***


Vi è mai capitato di provare una forte incertezza?
Quella sensazione per cui, nonostante la lampante ovvietà dei fatti, vi ritrovate a cercare una soluzione nella soluzione ingranando un procedimento di pensieri che non porta a nulla, ma il quale lascia un amaro in bocca come se vi fosse sfuggito qualcosa di importante, all’apparenza futile, che una mente come la sua non avrebbe potuto tralasciare se non con intenzionalità.

 

Veritas post vanitates

 

Circa due anni fa decisi di trasferirmi a Tokyo: niente di personale contro il mio piccolo paesino, ma per potermi garantire una buona università ed un lavoro professionale non era certo l’ideale. Per coronare l’obiettivo avrei – ovviamente – avuto bisogno di un’abitazione vicina il più possibile all’università di giurisprudenza, ad un ragionevole prezzo. Per quest’ultimo motivo decisi di trasferirmi nell’appartamento di un certo Kidou Yuuto – l’immobile era tenuto in ottime condizioni e dividere la casa con qualcuno non sarebbe stato poi così impossibile –; un detective privato abbastanza rinomato ad inazuma-cho. La prima cosa che mi colpì di lui fu l’eleganza, e non parlo semplicemente del tipo di vestiario, ma del portamento carismatico che gli apparteneva: aveva una gestualità ed un modo di muoversi e di porsi che non ti permetteva di staccargli gli occhi di dosso, era lento, preciso ed il suo tocco era delicato quanto era basso il suo tono di voce; la postura era rigida ed il capo era sempre rivolto verso l’alto in un accenno di superiorità. Avevo quindi già realizzato che non era una persona comune, ma quando lo vidi all’opera rimasi ancora più scioccato, ma non intendo rovinare la storia.

“Scusa il ritardo, il professore di diritto mi ha trattenuto più del previsto”
“Il pranzo è in frigo”
“Oh grazie, hai preparato qualcosa tu?”
“No, ho ordinato tailandese”
Feci una smorfia: quasi dimenticavo di accennare ai gusti stravaganti del mio coinquilino in quanto amante dei cibi da asporto. Per fortuna ero troppo affamato per soffermarmi sul mio disgusto.
“So che odi il tailandese” mi sedetti a tavola e roteai gli occhi a quella sua affermazione, mentre masticavo un’abbondante porzione di cibo.
“Ah, Fudou è morto comunque” sputai. Vidi Kidou voltarsi verso di me, ancora seduto sulla sua comoda poltrona, mentre aggrottava le sopracciglia alla situazione penosa in cui avevo ridotto il tavolo.
“Poi pulisci tu”
“È orribile”
“Infatti: potevi almeno degnarti di centrare il piatto”
“Spero tu stia scherzando! Come puoi dirmi una cosa del genere in questo modo?”
“In un modo o nell’altro avrei dovuto dirtela, era inutile tergiversare.”
“Oh mio dio” portai le mani sul mio volto, coprendolo e cercando di trattenere le lacrime, senza però poter impedire il tono incrinato della voce: Fudou era un nostro amico, più di Kidou in realtà, a volte perfino un rivale in lavoro, ma eravamo in buoni contatti  perciò rimasi abbastanza scosso.
“Come lo hai saputo? Che cosa è successo? Come è successo?”
“Shirou dice che è rimasto coinvolto in una sparatoria tra gang. Mi ha messo al corrente di tutto: vuole che indaghi sulla sua morte, non è convinto si tratti di un semplice incidente, e nemmeno io sinceramente” prese il giornale seduto sul tavolino di fronte a sé e nascose il viso dietro quello. Un altro significativo dettaglio è che non ero mai riuscito a vedere i suoi occhi, indossava sempre un paio di occhiali scuri, ma non ho mai avuto il coraggio di chiedergli qualcosa in merito.
“Bene, bene.” presi un grosso respiro e mi alzai, poggiando le mani sul tavolo “Come dobbiamo procedere?”
“Dobbiamo?” inarcò un sopracciglio e scostò leggermente il giornale: suppongo mi stesse guardando di sbieco.
“Certamente. Mi è già capitato di assisterti altre volte e proprio per Fudou non intendo mettermi da parte.”
Rimase in silenzio ed immobile per qualche minuto, prima di alzarsi ed andare a prendere una teiera, riempiendola d’acqua e posandola sui fornelli. “Abbiamo un duro lavoro che ci aspetta, allora” aspettò e dopo versò l’acqua calda in due tazzine, mettendo in ognuna due bustine di tè “Sarà meglio ricaricarci prima di andare in quella che deve essere la scena del delitto”. Mi porse una delle due, prendendo al contempo la propria ed andando in un’altra stanza.
“Pulisci quel macello.”

 

Riuscire a tenere lo stesso passo di Kidou era molto difficile: i suoi ragionamenti erano sempre molto complessi, ma lui riusciva sempre ad elaborarli in poche frazioni di secondo, come se avesse una visuale dall’alto dell’accaduto. Purtroppo per me non era lo stesso. Non che mi ritenessi poco intelligente - modestamente parlando ero il più bravo del mio corso -, ma posso dire con certezza che lui fosse su tutt’un altro livello. Per questo una volta arrivati al pub dove era avvenuta la suddetta sparatoria tra gang, non rimasi tanto sorpreso da come il mio coinquilino si mise a vagare là dentro in cerca di prove, maneggiando gli oggetti lì presenti come se non ci fosse alcun poliziotto che lo stesse guardando ed inseguendo in cerca di motivazioni. Spiegazioni che ovviamente toccò a me dargli.
“Non è pazzo” cercai di articolare con difficoltà mostrando sia i miei, sia i suoi documenti e l’autorizzazione che nel frattempo gli avevo sfilato dal giubbotto. Non credo non se ne fosse accorto, più che altro me lo aveva lasciato fare.
“Siamo autorizzati, lui è il detective Kidou Yuuto ed io sono il suo…” fece una smorfia e pensò velocemente una definizione che più si addicesse al suo ruolo là dentro.

Porta oggetti ed animale da compagnia.
Socchiuse gli occhi seccatamente: “Assistente” disse infine. Sì, definitivamente il suo assistente.
Dopo aver superato l’ostacolo della polizia raggiunsi Kidou che nel frattempo era impegnato ad osservare un’asse del pavimento insistentemente, piegato sulle proprie ginocchia. Restammo così per un paio di minuti, finché non decisi che quell’attesa stava diventando snervante e priva di senso: sapevo che non amava essere interrotto durante il suo lavoro, ma quella era solo una stupida asse.
“Kidou…”
“Non una parola, sto lavorando Shindou”
“Stai fissando il pavimento da minuti ormai”
“Ho i miei motivi”
“Cioè?” mi piegai anche io ed osservai il più a lungo possibile l’oggetto della sua attenzione, ma dopo ancora qualche minuto di attesa continuai a non ottenere alcun risultato.
“Okay Kidou, è chiaro che io non ci arrivo”
“Mh” si limitò a borbottare lui, inarcando un sopracciglio in risposta, come a sottolineare il fatto che ai suoi occhi la cosa doveva apparire davvero molto strana.
“Perciò ti sarei grato se tu mi aiutassi. Sono lento, ma credo di riuscire a seguire i tuoi ragionamenti, se me li esplichi”
“Va bene” rispose lui dopo qualche secondo, alzandosi con la sua solita flemma ed aggiustandosi il cappotto sulle spalle e gli occhiali sul volto. “Guarda in mezzo alle assi”
In mezzo? Non avevo controllato là effettivamente, ed una volta fatto notai che effettivamente sembrava esserci qualcosa…
“Polvere da sparo” esclamai infine, voltandomi verso di lui con entrambe le sopracciglia inarcate: continuava a non avere senso. Era ovvio che ci fosse polvere da sparo, erano o non erano nell’ambientazione finale di una sparatoria?
“Infume”
“eh?”
“Polvere da sparo infume Shindou. Quella usata per i proiettili delle pistole”
Ma dai?
Feci per interromperlo, ma lui alzò una mano come a farmi segno di lasciarlo finire e così feci “Hai notato che fuori dal locale c’era altra polvere da sparo?”
“Certamente”
“Hai visto di che tipo era?”
Stetti qualche attimo a riflettere: non essendo ferrato nell’argomento non riuscivo a distinguere i due tipi, ma forse ero riuscito a capire dove voleva andare a parare.
“Il foro di proiettile nel corpo di Fudou… non è quello di una pistola, vero?” Kidou sorrise alla mia affermazione e replicò con un “proprio così”, prima di portarmi fuori dall’edificio e mostrarmi l’altra prova prima citata: “è polvere da sparo nera, usata per le armi da avancarica: non propriamente maneggevoli e preferite dalle gang”.
Si voltò verso il locale, guardandolo attraverso la finestra “e considerando la distanza, posso dire quasi con assoluta certezza che si tratti di un archibugio”
Sul mio viso comparve un’improvvisa espressione di realizzazione e nella mia mente tutto si fece più chiaro, arrivando finalmente a definire la tela di indizi che aveva costruito il detective accanto a me.
“L’armeria di Tobitaka: è l’unica che vende questo tipo di fucili” gli sorrisi orgoglioso e lui ne accennò uno di risposta.
“Esatto”




 

Angolo dell’autrice:
E dopo tempo immemore, eccomi ritornata con una nuova
Storia! Anche questa a capitoli, ma per vostra e mia
fortuna la ho già quasi finita, perciò pubblicherò man mano
un nuovo capitolo ad intervalli regolari ancora da decidere:
dipenderà dal voi in sostanza. Se noterò un riscontro
positivo ovviamente sarò più veloce! Dovete infatti sapere
che questa storia non era nata per essere pubblicata,
quindi la lunghezza dei capitoli potrà talvolta risultare
irregolare. Anche la coppia è non convenzionale, ma vi è
ben poco aspetto romantico ed inoltre si tratta di un
esperimento, come la scelta di scrivere un giallo.
Spero vivamente che vi piaccia e di ricevere vostre
recensioni, positive o negative che siano, che mi aiutino
a migliorare il mio operato!
Ringrazio anche Paola per l’aiuto ed il sostegno che sta
apportando a questa opera.

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Capitolo 2
*** Dux ***


“Giulio Acuto è deceduto sette giorni fa, causa monossido di carbonio espulso da una difettosa stufa a truciolato” disse Fubuki mentre leggeva il referto in questione e no, decisamente qualcosa non andava.
La mattina del giorno seguente a quello dell’esame della scena del delitto andai all’armeria di Tobitaka a chiedere chi di recente aveva comprato un archibugio e della polvere da sparo nera, ricevendo come risposta il suddetto nome. E non ci sarebbe stato niente di strano se non fosse che l’arma fosse stata comprata cinque giorni addietro e la sparatoria era avvenuta tre giorni prima.
“Qualcosa non va”
“Come mai? Fa vedere” Mi ero premurato di farmi dare la ricevuta del pagamento, perciò alla domanda del comandante della polizia gliela porsi senza tante cerimonie mentre raccontavo l’intero resoconto della storia.
“Ammetto che non abbia alcun senso” disse Fubuki infine, portandosi una mano sotto al mento ed aggrottando le sopracciglia “sei sicuro che Kidou non si sia sbagliato?” Rialzò lo sguardo verso quello del suo interlocutore prima di guardarsi intorno, spaesato dall’assenza della persona che aveva tirato in questione. Notai chi stesse cercando con lo sguardo e sospirai.
“Non c’è” risposi, arricciando le labbra in tono di disappunto. Quella stessa mattina il detective mi aveva obbligato a recarmi da solo da Tobitaka perché lui doveva “svolgere un lavoro artistico”. Ho preferito non chiedere nient’altro, anche perché non ero certo di volerlo sapere.
Fubuki rimase qualche istante a fissarmi, emettendo un basso verso di assenso e tossicchiando leggermente prima di riprendere a parlare: “Vi farò avere un permesso per esaminare la casa di Giulio Acuto, così potremo recarci lì insieme”. Gli sorrisi mestamente e lo ringraziai. Shirou Fubuki era - come ho già detto - il comandante del reparto poliziesco di inazuma-cho, aveva uno sguardo gentile ed un tono educato, ma il portamento fiero e coraggioso di chi nella vita doveva aver visto il peggio delle persone senza però aver mai smesso di credere nel bene che l’umanità possedeva. Nonostante ciò questo non significava che le faccende umane non lo toccassero, anzi: era la persona più vicina a Fudou, il quale era anche il suo detective ed agente migliore. I due erano sempre assieme e qualcuno aveva pure iniziato a vociferare di un possibile rapporto tra i due, ma niente di troppo serio. Niente che i due si potessero realmente permettere.
Non mi stupii quindi delle profonde occhiaie del comandante, né dei suoi occhi gonfi, ma evitai di sottolinearlo. Non era il caso.
“Ci vediamo stasera alle diciannove in punto di fronte al numero nove di Yaesu” disse Fubuki, facendo l’occhiolino ed interrompendo il filo dei miei pensieri.
“Certamente”
Sarebbe stata una giornata davvero faticosa.

 

Tornai a casa quando era ormai pomeriggio inoltrato, supponendo - anzi sperando - che Kidou dovesse già essere a casa, ma al suo posto trovai qualcun altro.
“Comandante Fubuki?” Rimasi in piedi sull’uscio di casa mentre guardavo la persona prima citata rigidamente seduta sulla poltrona di Kidou: quest’ultimo non sarebbe stato molto contento se l’avesse visto, odiava chi provava a sedersi là; era sua e di nessun altro.
“Per quanto la cosa sia inquietante … sono molto più preoccupato per la tua incolumità: Kidou potrebbe ucciderti” il mio interlocutore ridacchiò a questa mia affermazione e poi si tolse quella che doveva essere una parrucca.
“Sono io” fece una breve pausa “imbecille”.
“Io sono davvero confuso: da quanto tempo indossi un parrucchino, Fubuki?”
Il diretto interessato girò gli occhi al cielo ed accavallò le gambe: “Sono Kidou” disse infine con voce acida.
Ah.
“Ah”
“Mi sono travestito da Shirou per andare a parlare con le persone più vicine a Fudou: in fondo entrambi avevano le stesse conoscenze, perciò…”
“Hai gli occhi cerulei?”
“ … ho pensato che fosse la cosa migliore da fare” continuò lui ignorandomi.
“Hai gli occhi cerulei?”
Non ho gli occhi cerulei Shindou, dannazione” sussurrò con voce scocciata: non sopportava quando lo interrompevo con commenti, a detta sua, “stupidi e privi di interesse”.
“Oh però bella forma- cioè, begli occhi”
“Stai abbassando il quoziente intellettivo di tutto il quartiere, per favore” oh era arrossito, arrossiva sempre quando riceveva complimenti; nonostante la parlantina acida. Lo vidi alzarsi ed andare velocemente in bagno, tornando poco dopo senza più travestimento e con gli occhiali scuri di nuovo sul volto.
“Scoperto qualcosa di interessante?” era meglio cambiare argomento: quando facevo qualcosa che lo indispettiva o comunque non gli andava bene, spesso era capace di non parlarmi anche per giorni. Non credo dipendesse da una presa di posizione, più da un fattore imbarazzo: nonostante non volesse ammetterlo, potevo dire con certezza che Kidou in realtà si sentisse molto condizionato dalle attenzioni alla propria persona, forse perché comunque non era solito riceverne tante; era un uomo solitario.
“Alibi. Kazemaru stava guardando un film in salotto, Someoka teneva lezioni private di italiano ed Afuro Terumi … beh, lui è attualmente in viaggio” non sembrava molto soddisfatto.
“Insomma, un buco nell’acqua”
“Già”
“Già” ripetei io di rimando, mentre lo osservavo sedersi sulla poltrona e prendere la tazzina di tè - che si doveva essere precedentemente preparato - dal tavolino.
“Ne hai fatto un po’ anche per me?” mi andai a sdraiare sul divano, incrociando le dita delle mani tra di loro e poggiandole sul mio addome.
“No, non sapevo quando saresti tornato ed avevo voglia di qualcosa di veloce, perciò ho semplicemente riscaldato l’acqua al microonde”
“Tu che compi un tale atto di scelleratezza? Devi esserti davvero stancato stamattina”
“Ho tenuto un naso finto per ore. Hai idea di quanto sia difficile respirare con quel coso?”
“No e non ho intenzione di saperlo”
“Meglio”
Chiusi gli occhi e ridacchiai: per quanto pesante potesse essere la vita con quel pazzoide cinico ed asociale, non potevo dire di desiderare nient’altro. Riusciva sempre ad aggiungere un po’ di brio alla mie giornate.
“Alle sette dobbiamo essere al numero nove di Yaesu, il comandante ci aspetta lì” sussurrai, immerso nella calma di quel momento. “Ora ti racconto il perché e la lunga giornata che ho avuto anche io, ma sinceramente fino d’allora vorrei fare qualcos’altro, giusto per distrarmi un pò”.
Alla mia richiesta il mio coinquilino sorrise maliziosamente e si leccò il labbro inferiore.
Ho io un’idea

 

Sudoku. Mi aveva fatto giocare a sudoku tutto il pomeriggio: com’era possibile che non ne avesse mai abbastanza di attività mentali?
Eravamo appena arrivati all’abitazione di Giulio Acuto, quando il comandante ci venne incontro con un sorriso sulle labbra: “Siete arrivati”
“Scusa il ritardo” dissi io mentre mi voltavo a guardare il mio coinquilino “qualcuno ha voluto necessariamente finire il suo sudoku. Ti assicuro che quando vuole sa essere più che puntuale” più di me, mi ritrovai a pensare mentre pronunciavo quelle ultime parole con tono accusatorio.
Il diretto interessato scrollò le spalle ed emise un mugolio di disinteresse totale verso il mio rimprovero. Saccente.
“Siete proprio carini”
“Eh?” rispondemmo in coro io e Kidou.
“Niente, niente” Fubuki ridacchiò e si avviò verso l’entrata della casa, aprendo la porta e cominciando a salire le scale verso la camera del precedente proprietario, seguito subito dopo da noi. L’abitazione era di modeste dimensioni e fatiscente, le pareti erano arricchite da una vistosa carta da parati in stile classico ed erano presenti numerosi oggetti senza alcuna apparente utilità se non quella di riempire il vuoto lasciato dai molti mobili mancanti e di rendere un pò più estetiche le camere. Sembrava un luogo abbandonato dal tempo.
“È morto una settimana fa ma il corpo è stato ritrovato ieri: la madre ha chiamato allarmata dicendo che non riceveva sue notizie da giorni, ed ora eccoci qua.” mentre parlava il detective aveva iniziato a girare per la stanza, esaminando vari oggetti dopo essersi messo un paio di guanti con pochi gesti eleganti. Fubuki invece si era messo alla ricerca di impronte digitali, così io decisi di guardare in scoperta di eventuali prove, stando però attento a toccare lo stretto necessario.
“Le morti causate dalle stufe a pellet sono parecchio diffuse ultimamente: basta dimenticarla accesa con la finestra chiusa per rischiare la morte mentre si dorme” sentii un brivido salirmi lungo la schiena al pensiero che potesse essere così semplice cancellare una vita da questo mondo, anche non intenzionalmente.
“Oh” mi inginocchiai a terra ed abbassai il busto, notando lo scintillio di un metallo sotto la scrivania “Quello è un archibugio o sbaglio?” chiesi voltando verso Kidou, il quale mi affiancò prontamente, prendendo poi l’arma ed esponendola alla luce.
“Sì, è definitivamente l’arma che stavamo cercando. Basterà verificare il foro del proiettile con la canna per capire se evidentemente si tratta di questa; ma non credo ci siano altre possibilità”
Fubuki non si era però avvicinato, continuando a spargere polvere di alluminio su un angolo della finestra. “C’è un’impronta” esclamò infine, prendendo del nastro adesivo nero dalla borsa a tracolla che si era portato ed asportando la prova, chiudendola poi in un contenitore da laboratorio.
Il detective lo raggiunse porgendogli l’arma e lui controllò che ci fossero impronte anche su questa: niente.
“Questa non ci voleva”
“Abbiamo comunque una pista, ci basterà decodificare l’impronta sulla finestra, no?” Dissi io, mentre guardavo fuori da quella in cerca di eventuali telecamere: di questi tempi ne era molto diffuso l’uso, ma Acuto non doveva essere molto abbiente ed infatti non ve ne era neanche l’ombra.
Fubuki annuì alla mia positiva affermazione e sollevò la prova di fronte ai propri occhi: “la porterò oggi stesso al laboratorio e domattina vi farò sapere il responso”



 

Angolo dell’autrice:
Salve a tutti giovani inazumiani! Riecco qua un nuovo
capitolo di questa storia. Spero vivamente vi piaccia
nonostante i vaghi accenni ad una coppia non
propriamente canonica quale la FudoFubu: anche se
comunque non sono totalmente crack, ma non sono
neanche tra i più ecco… graditi, nonostante io li ami
davvero tanto insieme. Peccato che Fudou è morto ahah
Già. Come al solito mi ritiro a pubblicare le mie storie in
tarda serata ed al momento ho la capacità intellettiva di
un pinguino - per restare in tema - perciò non credo
che questo Angolino si rivelerà poi così utile, ma posso
suggerire che molte cose che potrebbero esser date per
scontate è bene invece porle sotto occhio attento.
Spero vi abbia intrigata e vi lascio al vostro proseguimento
di giornata! (e non di nottata, salvo che non siate come me.)

P.S. non so perché continuo a pubblicare capitoli così brevi.

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