Fields of gold

di bluerose95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
 
Emma Swan aveva paura.
Non era una sensazione nuova per lei, ormai erano anni che veniva sballottata da una famiglia affidataria all’altra, ma ogni volta questa sensazione la braccava come un cacciatore braccava la propria preda, tormentandola fino allo sfinimento.
Nella macchina dell’assistente sociale, mentre questa parlava con la donna che l’avrebbe presa in affidamento, Emma si rigirava tra le dita il ciondolo che portava al collo. L’aveva sempre avuto con sé, era un semplice pendente d’argento con al centro un cigno in rilievo. Era per quello che l’avevano chiamata Emma Swan, una stupidaggine, a suo parere, ma almeno aveva un cognome, anche se non era il suo, e non era solo un’altra anonima Emma.
Prese un profondo respiro, affondando sempre di più nella giacca di pelle rossa. Nel Maine faceva freddissimo, più che a Boston o a New York. Aveva con sé solo una valigia con pochi vestiti e uno zaino con le cose dalle quali non amava separarsi, come il suo diario.
Qualcuno tamburellò sul vetro del finestrino e la ragazza sobbalzò, gli occhi sgranati e il cuore che batteva all’impazzata. Quando alzò lo sguardo, vide l’assistente sociale che le faceva cenno di scendere e, dietro di lei, una donna bionda dai profondi occhi azzurri le sorrideva con calore.
Era una bella donna, piuttosto alta e non doveva avere più di quarant’anni, capelli biondi legati in una coda di cavallo ma, soprattutto, un’espressione fiduciosa, diversa da quella che le sua altre famiglie affidatarie le avevano rivolto quando gli era stata presentata. Non che tutte fossero state pessime, solo la maggior parte.
Dopo aver cercato invano di calmare il martellare del proprio cuore, Emma strinse le dita attorno a una spallina dello zaino e scese lentamente dall’auto.
Una zaffata d’aria gelida le scompigliò i capelli e le sue guance si arrossarono mentre si stringeva ancor di più nella giacca di una taglia più grande di lei. Si mordicchiò il labbro inferiore e tenne lo sguardo basso per un istante prima di alzarlo sul volto dolce della donna di cui conosceva solo il nome: Ingrid Frost.
«Emma, questa è Ingrid,» disse l’assistente sociale, Hilary, mentre guardava l’orologio. Emma sapeva che doveva sbrigarsi, doveva assolutamente prendere il prossimo aereo altrimenti sarebbe rimasta nel Maine fino all’indomani, e il lavoro chiamava. «Mi dispiace non avere abbastanza tempo, ma tutto è a norma e penso ti troverai bene qui,» aggiunse, ma entrambe sapevano che, sebbene lo dicesse davanti alla casa di ogni famiglia affidataria, Emma non si era mai sentita davvero a casa.
«È un piacere conoscerti, Emma,» disse Ingrid, tendendole la mano, gli occhi accesi. Dal canto suo, Emma la guardò circospetta prima di tentare di rispondere al suo sorriso con quella che risultò una smorfia. Le strinse la mano, sentendola gelida ma in qualche modo confortevole.
«Tornerò tra tre mesi, Emma, ti prego di fare la brava e ti auguro il meglio,» riprese Hilary mentre scaricava la valigia di Emma e l’appoggiava sul marciapiede, le due frasi estremamente in contrasto messe nella stessa frase.
«Grazie,» borbottò mentre Hilary le stringeva una spalla e saliva sulla macchina presa a nolo, ripartendo con un rombo scoppiettante. Emma non sapeva dove guardare, perciò si perse con lo sguardo sulla trama della valigia, un semplice blu con degli intrecci bianchi che richiamavano le onde del mare.
«Beh, su, coraggio, entriamo, questo freddo entra nelle ossa e presumo tu non ne sia abituata,» disse Ingrid allungando una mano per prendere la sua valigia. Davanti a quel gesto Emma sobbalzò, sorpresa, nessuno l’aveva mai aiutata, non spontaneamente e non fin da subito. Quasi le venne da piangere, ma riuscì a mandare giù il nodo che aveva in gola senza versare nemmeno una lacrima.
Seguì Ingrid lungo il breve vialetto che dal marciapiede portava all’enorme casa in stile vittoriano, completamente azzurra se non per la veranda e gli infissi bianchi. Il giardino era modesto, c’era qualche aiuola con violette e calendule. Era tutto sommato un insieme accogliente, tutti sarebbero stati fieri di chiamarlo casa.
L’entrata era calda e ospitale, ed Emma sentì subito la punta delle dita dei piedi ritornare in vita. Quasi sorrise per quel tepore mentre si guardava attorno. I mobili erano ornati da tovagliette in pizzo sopra i quali erano appoggiati statuette o vasi di fiori, tutto era in armonia e automaticamente si veniva avvolti da una sensazione di calore famigliare. Sul mobile sotto lo specchio rettangolare, c’erano delle foto di quelle che dovevano essere le nipoti Ingrid, Elsa e Anna, e dei loro genitori.
Emma sapeva che, dopo la morte della sorella e del cognato, Ingrid aveva preso in custodia le due ragazze, gemelle, le quali dovevano avere la sua stessa età. Con tutta probabilità, in quel momento erano a scuola, il che per Emma era un bene, voleva conoscere Ingrid con calma, sapere se potesse, in qualche modo, fidarsi di lei.
Da quel che aveva visto finora era tutto perfetto, ed era proprio questo il problema. Ingrid era gentile, più di tutte le sue altre madri affidatarie messe insieme, e non l’aveva trattata con freddezza, tutt’altro, non sembrava nemmeno un obbligo, quanto più un desiderio che si avverava. Emma frenò la propria immaginazione, nonostante le sarebbe piaciuto credere che fosse così era meglio non illudersi.
«Vieni, Emma,» la esortò Ingrid dolcemente, lasciando la valigia accanto alla piccola credenza dell’entrata, «devi essere gelata. Ti va una cioccolata calda?»
Emma sobbalzò davanti a quell’insolita proposta, di norma gli altri genitori affidatari la mandavano nella sua camera a sistemarsi mentre facevano altro, così che non li intralciasse. Si concesse un debole sorriso. «Posso avere un po’ di panna e cannella, per favore?» azzardò incerta, dondolandosi sui talloni, non era sicura di potersi permettere certe confidenze.
Contrariamente a ogni sua previsione, il sorriso sul volto della donna si allargò. «Certamente, anche se devo dire è piuttosto insolito. Cannella, dici? Beh, vale la pena provare,» replicò allegramente precedendola in cucina, guidandola attraverso quella che doveva essere la sala da pranzo.
Tutto profumava di menta, sembrava un qualcosa che spingeva subito a pensare al freddo, tuttavia era pure accogliente, un po’ come il pensiero di starsene in famiglia davanti al caminetto acceso la vigilia di Natale.
La cucina era spaziosa, i mobili bianco neve e completamente immacolati all’inizio diedero quasi fastidio a Emma, ma si limitò a guardarsi attorno in silenzio. C’era ordine, ma era come se tutto fosse fuori posto, come se in quella cucina fosse destinato a regnare il caos. Era comunque un pensiero premuroso quello di aver tentato di riordinare quell’angolo della casa – e forse anche il resto – solo per lei. Non che si sentisse poi così speciale, ma in qualche modo sapeva che era così.
Si sedette allora sulla panca addossata al muro davanti al tavolo della cucina, anch’esso bianco, lo zaino accanto a sé, mentre Ingrid iniziava a preparare la cioccolata. Lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro, una curiosa pendola a forma di castello di ghiaccio, doveva essere molto costoso e non osò immaginare cosa sarebbe successo se il gancio si fosse allentato.
«Anna ed Elsa sono a scuola, quindi abbiamo un po’ di tempo per sistemare le tue cose nella tua nuova camera. Vuoi che ti dia una mano?»
Emma alzò lo sguardo sulla donna e nei suoi occhi vide desiderio di aiutarla, una sensazione che nessun altro aveva mai manifestato nei suoi confronti e si sentì per un attimo spaesata. Era… piacevole, tuttavia, e sentì un nodo in gola mentre, silenziosamente, annuiva. Normalmente avrebbe detto che non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno, ma con Ingrid… con Ingrid era diverso, perché sapeva che voleva davvero aiutarla. Si domandò se, finiti i tre mesi, Ingrid l’avrebbe tenuta con sé.
Una volta che Ingrid ebbe versato la cioccolata in due tazze, ne decorò una con panna e cannella, e l’altra solo con panna, ma con una spruzzata di quella che sembrava menta. E poi era Emma quella che aveva dei gusti strani, eh?
Con un sorriso riconoscente sul volto, benché timido, Emma accettò la tazza di cioccolata, il calore della bevanda la riscaldò fin da subito, le sembrava di essere stata sotterrata nella neve per un’infinità di tempo.
«Se per te va bene, lunedì dovresti iniziare ad andare a scuola anche tu, mi è stato detto che hai perso un paio di lezioni, ma ho visto i tuoi voti e tutto sommato sono sicura che riuscirai a metterti in pari con il programma.»
Emma annuì, nonostante non fosse sempre un modello di ragazza nella vita, a scuola era tutt’altra cosa. Non le piaceva più di tanto studiare, ma si applicava e tentava di stare il più attenta possibile in classe, come se fosse una sorta di redenzione, come se almeno nello studio dimostrasse di essere una brava ragazza.
Ingrid le tese un foglio sul quale era stato stampato l’orario delle sue lezioni. «Ti ho inserita negli stessi corsi delle mie nipoti, ma puoi sempre cambiare, se vuoi…»
«No,» la fermò Emma, a disagio. Non era abituata a tutte quelle premure, anzi, e se anche lo fosse stata, sarebbe stata incapace di ricambiare il gesto, non si sentiva pronta. Forse, col tempo, lo sarebbe stata.
Diede un’occhiata alle varie lezioni, le stesse che aveva sempre frequentato, tranne musica. Si irrigidì appena, sembrava che Ingrid avesse scavato nel suo passato, in tutto ciò che non era stato scritto nei suoi fascicoli, e avesse tirato fuori ciò che più faceva male.
Ingrid, dal canto suo, si accorse dell’espressione di Emma e, dopo aver bevuto un sorso di cioccolata, disse: «Ti ho inserita nella classe di musica perché ognuna di noi ne è appassionata. Io suono il violoncello, Elsa l’arpa e Anna il flauto traverso. Tu hai mai imparato a suonare qualche strumento? »
Emma avrebbe voluto mettersi a urlare, nessuno aveva scoperto il suo piccolo, sporco segreto, né glielo aveva mai sbattuto in faccia a quel modo. Non dava la colpa a Ingrid, anzi, non era proprio colpa di nessuno, tutto era però fin troppo casuale, e a lei non piacevano le sorprese. Tuttavia, inaspettatamente, si ritrovò ad annuire. «Sì, ma… è da molto che non faccio pratica. »
«Fammi indovinare,» disse Ingrid, guardandola con occhi socchiusi da sopra la tazza, studiando il suo volto e poi le sue mani, «violino.»
La ragazza non riuscì a non trattenere un’esclamazione sorpresa e quasi le andò di traverso la cioccolata. Tossicchiò, un po’ di cannella le era finita nel naso. «Come hai fatto?» domandò con un filo di voce mentre Ingrid si allungava a darle dei colpetti forti tra le scapole.
«Le dita di un artista sono diverse, sfiorano tutto con delicatezza, come se fosse la corda di un’arpa o una porcellana preziosa, anche quando stringono qualcosa con forza sono in un qualche modo delicate, attente. Inoltre, tendi a tenere il capo inclinato verso sinistra, una cosa automatica che non ti accorgi nemmeno di fare. Io, per esempio, non mi accorgo quasi mai di tenere le gambe allargate, e quando me ne accorgo, beh, è un po’ imbarazzante, a dire il vero.»
Emma ridacchiò, ma capì dove voleva arrivare, e in qualche modo si sentì felice. Eppure, non poté impedirsi di rattristarsi. Era da molto che non suonava più, da quando Lily l’aveva tradita. Guardò automaticamente il proprio polso, a volte vedeva ancora il fantasma della stella nera che si era disegnata per lei come simbolo della loro amicizia.
Turbata, finì in pochi sorsi la propria cioccolata scottandosi anche la lingua, ma non le importava, quasi non sentiva il dolore.
«Credo sia meglio sistemare le tue cose, ora. Anna ed Elsa sono brave a tenere in ostaggio le persone, soprattutto Anna,» ridacchiò Ingrid con un sorriso dolce pensando alla nipote. Alzò lo sguardo su Emma senza che quel sorriso si spegnesse. «Inoltre, non voglio toccare le tue cose senza il tuo permesso.»
Quel senso di commozione fece quasi male a Emma mentre seguiva Ingrid fuori dalla cucina. Non era abituata a venire trattata con rispetto, e sapeva che non era solo una facciata, Ingrid era davvero amorevole e premurosa, proprio come una vera mamma.
Emma, però, non sapeva come fosse una vera madre, nonostante dentro di sé desiderasse scoprirlo più di qualsiasi altra cosa al mondo e, mentre saliva le scale, si ritrovò a voler scoprire tutto ciò con Ingrid.

 
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Odiatemi voi che potete xD
Sì, lo so, non dovrei iniziare una nuova storia, non quando ne ho in cantiere altre tremila - non quando non ho passato il mio ultimo esame, poi, ma quella è un'altra storia - non quando non ho ancora fatto colazione, non quando oggi devo andare all'università - perché fare lezione di pomeriggio, perché?! - non quando fuori dalle mie finestre ci sono gli imbianchini che mettono la malta sulla casa.
Okay, non che questa fanfiction sia "appena iniziata" sono piuttosto avanti, e spero di poter continuare anche le altre due mie storie principali - A Little Piece of Heaven e The light that guides you home (questa, se riesco a finire il capitolo, forse lo posto in settimana, ALPOH devo rivedere il capitolo che ho già scritto e finire l'altro, ma spero di aggiornarla presto).
Tornando alla fanfiction, questo capitolo non dice molto, lo so, anche se credo introduca piuttosto bene, anche se non accuratamente, ciò che sente Emma, sentimento che ovviamente esplorerò nei capitoli successivi. Non incontrerete prestissimo Killian - lui ama le entrate a effetto, lo sapete v.v - ma sentirete parlare di lui, e spero che quando accadrà non imbraccerete i fucili xD
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto - avevo pensato di unirlo al secondo, ma ho pensato che sganciare una bomba addosso a Emma per capitolo fosse abbastanza. Il prossimo vedrà protagoniste Anna ed Elsa, quindi preparatevi, l'inverno sta arrivando. Ops.
Ah, capirete anche perché ho dato questo titolo alla storia, le me non lascia mai nulla al caso. Quasi mai. Raramente.
Spero di sentirvi in molti, ora vado a scongelarmi le dita dei piedi che a contatto con le piastrelle si sono ghiacciate - Ingrid, tu camminavi tranquillamente nella tua grotta di ghiaccio a piedi nudi, perché non passi anche a me questo tuo potere?
Un bacio a tutti,
bluerose

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Capitolo 2
 
Il caos iniziò mentre Emma stava riponendo l’ultima camicia di flanella nell’armadio della sua nuova stanza.
Era una camera spaziosa, le pareti di un tenue azzurro con una linea bianca che correva tutt’attorno e al centro della quale erano state dipinte delle onde stilizzate. Il letto era a una piazza e mezza, le coperte turchesi, il bianco tappeto morbido proteggeva parte del parquet e dall’ampia finestra che dava sul giardino filtrava la luce del giorno, grigia per via delle nuvole che oscuravano il sole.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Emma aveva un armadio tutto per sé e persino una cassettiera sopra la quale era stato appeso uno specchio ovale mentre sul ripiano c’erano alcuni soprammobili, tra cui una bottiglietta di vetro con dentro la miniatura di un vascello e due o tre statuette a forma di sirene.
Alle pareti erano stati affissi dei quadri che richiamavano il mare con dipinti a olio di navi pirata e sirene. Emma si era chiesta più volte come mai quella stanza avesse quell’arredamento così particolare, ma non aveva chiesto nulla a Ingrid, temendo di farla arrabbiare.
Ingrid aveva aiutato Emma fino a qualche minuto prima, quando aveva detto che avrebbe aspettato le nipoti così da calmarle. Emma non aveva capito a che cosa si riferisse, ma non appena ebbe sentito il vociare al piano di sotto comprese il significato di quelle parole.
Era strano, eppure sembrava che le due gemelle fossero addirittura contente che lei fosse lì, come se non aspettassero altro. Era… bello, sì, molto bello, Emma poteva dirlo facilmente, ma le era assai difficile crederlo davvero. Nessuno l’aveva mai desiderata, in nessun modo, i suoi veri genitori per primi, e a quel pensiero Emma si sentì quasi cedere le gambe.
Mentre cercava di inghiottire il nodo di dolore che le si era formato in gola, Emma nascose lo zaino in fondo all’armadio, sotto alcuni vestiti. Per quanto pensasse che Anna ed Elsa non avrebbero ficcanasato, lei aveva comunque problemi a fidarsi degli estranei, e loro non facevano eccezione. Nelle case famiglia era difficile nascondere le cose alla gente, tutti si impicciavano degli affari degli altri e la curiosità degli altri le era a volte costata cara.
Si guardò un’ultima volta allo specchio e si sistemò i boccoli biondi, desiderando di essere almeno presentabile nonostante la camicia di flanella nera e rossa e i jeans scuri, ma non aveva niente di meglio da mettere che quei vestiti comodi sebbene poco femminili.
Dopo aver preso diversi respiri profondi, aprì la porta della nuova stanza e si accinse a scendere lentamente le scale. Ingrid le aveva detto che l’avrebbero aspettata in salotto, sempre che se la fosse sentita. Emma aveva apprezzato quella sua premura, ma era anche vero che sarebbe stato da stupidi posticipare quell’inevitabile incontro. Se proprio doveva fare una brutta figura, meglio farla prima di aver dato motivo agli altri di avere dei pregiudizi sul suo conto.
Il salotto era accogliente, in pieno stile vittoriano, e si trovava davanti alle scale, dall’altra parte del corridoio, senza alcuna porta a sperarlo davvero da questo, solo un’entrata simbolica. Le pareti erano tappezzate con carta da parati crema con dei fiori bluette, un enorme tappeto copriva quasi tutto il pavimento dell’immensa stanza. Al centro c’erano due divani l’uno davanti all’altro con in mezzo un basso tavolino da caffè in vetro. C’erano anche due poltrone rivestite dello stesso tessuto a fiori dei divani. Infisso nella parete opposta c’era il camino scoppiettante, sopra la mensola di questo altre foto facevano bella mostra di sé e, appeso al muro, c’era un altro orologio a pendolo. Su un mobile lì vicino, invece, c’erano la televisione, uno stereo e quelle che sembravano console per videogiochi. Due finestre davano sul giardino, e a ogni angolo c’era una pianta ornamentale mentre nella stanza aleggiava il fresco profumo della menta.
«Oh, eccoti qui,» disse calorosamente Ingrid alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi a Emma, stringendole con dolcezza una spalla.
Il cuore di Emma perse dei battiti, nessuno l’aveva mai trattata così, e se anche ci aveva provato non c’era riuscito. Nessuno era mai riuscito a scalfire la corazza di Emma come faceva questa donna.
«Emma, ti presento Anna ed Elsa. Spero possiate diventare ottime amiche,» aggiunse la donna mentre due ragazze diverse come il giorno e la notte si alzavano all’unisono dallo stesso divano.
La più alta aveva i capelli biondi, identici a quelli di sua zia, e luminosi occhi azzurri, sul naso sottile e sulle guance v’era una spruzzata di efelidi dorate, le labbra piegate in un sorriso smagliante che eguagliava quello della sorella dagli occhi verdi come l’erba e dai capelli castano-rossicci acconciati in due trecce che le ricadevano sulle spalle. Le davano un’aria da bambina, insieme alle lentiggini più marcate, perfette per lei.
Emma notò una ciocca bionda nella treccia sinistra, ma non si soffermò a lungo ad ammirare quel dettaglio affascinante perché Anna – la rossa con le trecce, da quanto aveva capito – iniziò a parlare.
«Ciao,» esclamò con una voce dolce ma estremamente esuberante, «io sono Anna, e lei è Elsa, e siamo molto felici che tu sia entrata a far parte di questa famiglia!»
Questo Emma non l’aveva previsto.
Le varie famiglie affidatarie avevano figli, e se anche non ne avevano, c’era sempre qualche bambino adottato prima di lei che le dava il tormento perché non era più al centro dell’attenzione e tentava in vari modi di farla passare dalla parte del torto.
Questo era uno dei motivi per cui Emma aveva problemi a fidarsi, ma anche il motivo principale per cui non rimaneva nella stessa famiglia per più di tre mesi.
Era sempre stato così, all’inizio aveva subito quei maltrattamenti, quei terribili scherzi e quelle ignobili accuse, e poi, col tempo, aveva iniziato a essere lei stessa l’artefice dei suoi trasferimenti: ogni volta che non si sentiva benaccetta faceva di tutto per farsi odiare e per dare una brutta impressione. Aveva iniziato dopo Lily, dopo che l’aveva presa in giro per molto, troppo tempo.
Emma scacciò quei pensieri e si sforzò di sorridere, imbarazzata e incerta su quale maschera indossare. Non voleva dimostrare indifferenza, ma nemmeno completa fiducia. Perciò optò per un sorriso sincero, mantenendo però lo sguardo piuttosto distaccato.
«Uh, grazie,» disse dopo un po’, impacciata, mentre le due si scambiavano un sorriso complice che fece paura a Emma, ma non era una sensazione di vero terrore, quanto più… trepidazione.
«So che sarai stanca e se non vuoi venire non fa niente, ma stasera abbiamo organizzato una delle nostre serate da Granny con i nostri amici e vorremmo che tu venissi. Li incontreresti anche a scuola, ma credo sia meglio conoscerli stasera, così almeno non dovrai sentirti in imbarazzo lunedì. Sempre che ti vada, ovviamente, ma gli altri sono ansiosi di conoscerti e…»
«Anna, così la spaventi,» ridacchiò Elsa scuotendo il capo. «Perdonala,» aggiunse poi rivolta a Emma, che le guardava con occhi confusi e cauti, «è un po’ esuberante, ma è innocua. Comunque, vorremmo davvero che conoscessi i nostri amici, sono simpatici e, come ha detto Anna, non vedono l’ora di incontrarti.»
Emma non sapeva davvero che cosa dire. Era tutto così nuovo per lei che oramai si era abituata alla solita, noiosa e dolorosa routine delle famiglie affidatarie. Non si era mai sentita così, gioiosa ed euforica sotto la maschera di incertezza.
Voleva andare con loro quella sera, farsi degli amici, ma poteva davvero farlo? Poteva permettersi di fidarsi almeno un po’? Beh, forse poteva non fidarsi fin da subito e farsi una propria idea, magari… magari provare e vedere come andava.
Sentì i battiti del proprio cuore accelerare all’inverosimile, troppe sensazioni contrastanti minacciavano di farla crollare. «S-sì,» si ritrovò però a dire, «mi piacerebbe venire con voi. Grazie.»
Mentre Elsa le rivolgeva un sorriso caloroso, Anna si fiondò letteralmente su di lei, abbracciandola con forza, e ne aveva molta più di quanto la sua esile figura suggerisse. «Oh, scusami,» ridacchiò e un debole rossore si diffuse sulle sue guance, evidenziando ancora di più le lentiggini ramate.
«Bene, e ora che abbiamo programmato la serata, credo sia meglio aggiornare Emma su ciò che stiamo facendo a scuola,» propose Elsa, con le braccia incrociate al petto sembrava davvero una professoressa, solo che sorrideva e non appariva affatto austera. «Sempre se ti va bene, Emma,» aggiunse poi, e un lieve rossore si diffuse anche sulle sue guance.
Sopraffatta, Emma non riuscì a dire di no, e si ritrovò persino a sorridere davanti a quelle premure. Non che non ne avesse mai ricevute, ma non ne aveva mai ricevute di così sincere.
 
«E in letteratura siamo arrivati a Poe,» concluse Anna. Si era disfatta le trecce e ora i suoi capelli ondulati le ricadevano sulle spalle, arricciandosi sul tappeto della nuova stanza di Emma sul quale si era distesa.
Erano lì dentro da ore, chine sui libri, avevano iniziato con chimica e matematica – facendosi ovviamente distrarre dai pettegolezzi sui vari professori – per poi passare a francese e storia, e finire con letteratura.
Era un programma fitto e impegnativo, ma fortunatamente Emma aveva avuto dei buoni insegnanti e una forte voglia di imparare nonostante venisse costantemente denigrata e definita una stupida. Nessuno dei suoi genitori affidatari si era mai completamente interessato alla sua rendita scolastica e questo l’aveva sempre addolorata, era una delle cose in cui eccelleva a differenza degli altri orfani e nessuno le riconosceva questo merito. Né che le riconoscessero molto altro, in realtà.
Sorrise, però, quando le dissero che erano arrivati a Poe. Ricordava ancora la propria copia, una di quelle vecchie dalle pagine ingiallite che aveva letto sotto le lenzuola di notte con l’aiuto di una torcia che però aveva dovuto lasciare nella casa in cui aveva vissuto cinque anni prima. I racconti di Poe non erano proprio indicati per una ragazza di dodici anni, ma a Emma non importava, a lei erano piaciuti eccome, e ricordava i suoi preferiti quasi nel dettaglio.
«Oddio,» esclamò Anna, «conosco quello sguardo! Non dirmi che piace anche a te!»
Emma si ritrovò a ridacchiare sommessamente. «Che c’è di male? I suoi racconti sono bellissimi,» affermò alzando appena il mento, scherzando come se fosse la cosa più normale della terra, come se ci fosse abituata da sempre.
«Allora andrai d’accordo con Ruby e Regina, anche a loro piacciono tutti quei racconti macabri.» Anna fece una smorfia divertita, e il sorriso di Emma si allargò ancora di più, contenta di sentire che non era l’unica stramba a cui piacevano le storie dell’orrore.
Elsa ridacchiò, guardando bonariamente la sorella. «Su, che sotto sotto piacciono anche a te,» la blandì facendole l’occhiolino. Era distesa sul letto a pancia in giù i gomiti appoggiati accanto alle ginocchia di Emma, che invece sedeva a gambe incrociate e con la schiena appoggiata al muro.
«Ehi, niente horror per me, solo avventura, come Jules Verne. Lui è un grande,» replicò Anna con occhi sognanti. Poi scoccò un’occhiata maliziosa alla sorella. «E a Liam che cosa piace, sorellina?»
Le guance di Elsa si tinsero di un rosso acceso mentre abbassava lo sguardo sulla trama del copriletto. «Come potrei saperlo?» borbottò a bassa voce, ma Emma intuì che invece lo sapeva eccome.
«Quindi ti piace questo Liam,» azzardò, sperando di non sembrare troppo invadente. Alla risata di Anna si sentì sollevata, aveva posto la domanda giusta.
«Se le piace? Gli muore dietro, lo ama dalla quinta elementare, credo, o dalla quarta, non saprei, in pratica da quando l’ha aiutata a costruire il suo pupazzo di neve a scuola. Io ero a casa con l’influenza, quel giorno, ed Elsa non voleva nemmeno andare, sapeva che senza di me sarebbe stato un disastro, e invece… Invece ha incontrato il vero amore!»
Emma scoppiò a ridere come mai aveva riso in tutta la sua vita. Fu una tale sorpresa per lei che per un momento rimase basita, colpita dalla sua stessa reazione, ma non riuscì a smettere di ridere fino a quando Elsa non le lanciò un cuscino che la centrò in pieno volto. «Scusa, Elsa,» disse ancora scossa dai singulti, «ma è troppo divertente. Perché non glielo hai mai detto?»
«Perché siamo amici, solo amici.»
«Buoni amici, ottimi amici, praticamente inseparabili,» aggiunse Anna con un ghigno. «Quel Natale ti aveva persino regalato un pupazzo di neve di peluche. E ce l’ha ancora, sai Emma? Ci dorme la notte, sognando che sia Liam…» aggiunse rivolta a Emma prima che un cuscino colpisse anche lei.
«Non insultare Olaf!» esclamò Elsa, le guance più rosse di prima, scatenando un altro scroscio di risate. «E comunque siamo solo amici.»
Emma sapeva che stava mentendo, o che almeno per lei non era così. «E se lui provasse lo stesso per te?» domandò mordicchiandosi il labbro inferiore. Non voleva darle false speranze, ma capiva ciò che stava passando, Elsa voleva sentirsi amata da Liam, così come Emma voleva sentirsi amata da una vera famiglia, ma nessuna delle due aveva finora ottenuto nulla di più che un’amicizia. Anzi, Emma nemmeno quella.
Anna sbuffò, sollevando appena la frangetta. «È quello che continuo a ripeterle io, ma non vuole ascoltarmi. Forse dovrei parlare io con Liam,» aggiunse infine, scoccando un’occhiataccia a Elsa.
«No!» esclamò questa, sollevandosi e mettendosi a sedere, minacciando di strozzare Anna se anche solo ci avesse provato.
Anna la ignorò. «Vedrai coi tuoi occhi stasera, Emma, poi dovrai darmi una mano. Questi due si amano, lo sanno, eppure sono così cocciuti…»
«Parla per te, Miss Voglio-Sposare-Hans-Anche-Se-Lo-Conosco-Da-Due-Ore!»
Il volto di Anna diventò viola dalla rabbia. «Non osare, Elsa! Sono stata una stupida, ma lui ha ingannato anche te!»
Emma oramai non ci capiva più nulla, spostava lo sguardo da Anna a Elsa e ascoltava attentamente il loro battibecco. Si stavano rinfacciando la propria cocciutaggine, eppure Elsa aveva toccato un tasto dolente, perché Anna sembrava davvero, davvero arrabbiata.
«Se Kristoff non vi avesse fermati tu ora non saresti qui!»
«Gli devo tutto, lo so! Non serve che tu me lo ribadisca ogni volta che dico qualcosa che non ti fa piacere!»
«Ehi!» esclamò allora Emma, impedendo loro di aggiungere qualcosa di cui poi si sarebbero amaramente pentite. Le due la guardarono infastidite, ma a Emma non importava, più tardi l’avrebbero ringraziata. «Raccontatemi, uh, dei vostri amici, non vorrei fare brutta figura, sapete, dire la cosa sbagliata.»
La tempesta sembrava passata, e Anna si mise a sedere a gambe incrociate, pronta a spettegolare su tutti. «Allora, ci sono David e Mary Margaret, la coppietta felice e appiccicosa come il caramello, con loro puoi parlare di tutto, ma non nominare i bambini o David ti uccide, Mary Margaret ne vorrebbe uno appena finito il liceo, anzi, ne vorrebbe più d’uno. Poi c’è Regina, e non toccare l’argomento genitori con lei, e nemmeno l’argomento figli, ho sentito che non può averne, o almeno così sembra, e la cosa l’ha fatta disperare molto. Con Ruby puoi parlare di tutto, ma non del sceriffo Graham. »
«Ma non è illegale?» domandò Emma basita. Anna ne parlava con nonchalance, come se non ci fosse nulla di male.
Elsa scosse il capo. «Non è quel tipo di relazione, anche se credo per un periodo sia stato così. È più qualcosa di platonico, lei ha l’anello di fidanzamento infilato in una catenina che porta sempre al collo. Si amano, e lui non è molto più grande di noi, ha solo ventiquattro anni, e poi le ha salvato il culo un bel po’ di volte, e da allora tenta di limitarsi con gli abiti succinti. In effetti,» aggiunse ridacchiando, «da quando si sono fidanzati sembra si sia fatta suora.»
«Già, e poi deve aspettare solo altri sei mesi per poter ufficializzare la cosa, quando anche lei sarà maggiorenne,» continuò Anna, sognante, «ma torniamo a noi. Chi altro c’è? Ah, sì, Robin, ovviamente, il fidanzato di Regina, anche con lui puoi parlare di tutto, così come con Neal. Uh, anzi, a pensarci meglio, non parlare di sua madre, né tantomeno di Killian. A proposito, stasera viene? »
Elsa scosse il capo. «No, Liam ha detto che ha la febbre, ed è meglio così, dato che Neal ha confermato che veniva.» Dopo aver lanciato uno sguardo a una confusa Emma, si affrettò ad aggiungere: «Killian è il fratello di Liam, ma tra lui e Neal non corre buon sangue. Vedi… Killian ha una storia con Milah, la madre di Neal.»
Gli occhi di Emma si spalancarono per la sorpresa, le sembrava quasi di essere finita in Beautiful, e la cosa non le piaceva neanche un po’. «E non l’ha ancora ucciso?» domandò senza pensarci, era davvero sorpresa.
Anna scosse il capo. «No, ma ci ha provato. Gli ha fratturato un paio di costole, ma a lui è andata peggio, Killian gli ha rotto il naso e una gamba, e l’ha quasi strozzato la volta dopo. Neal ha lasciato correre, più o meno, ma è meglio non metterli nella stanza, e nemmeno cercare di mettersi fra loro.»
«E suo padre?» domandò Emma strabuzzando gli occhi, era troppo curiosa, e quella storia l’affascinava in un qualche modo. Si era addirittura protesa in avanti per sentire meglio.
«Il signor Gold non lo sa, Neal è stato abbastanza saggio da non dirgli nulla, anche se sono sicura muoia dalla voglia di farlo solo per veder soffrire Killian. Neal sa che se dicesse qualcosa sarebbe sua madre a rimetterci. Credo che Gold non sospetti nulla, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Se lo venisse a sapere, Killian farebbe una brutta fine.» Anna sospirò sconsolata, evidentemente addolorata da quella prospettiva.
Emma aveva capito immediatamente che cosa intendeva Anna con “brutta fine”: se il figlio l’aveva picchiato così pesantemente, il padre avrebbe fatto decisamente di peggio.
Con un sospiro sconsolato, tentò di riportare l’argomento su un sentiero più sicuro. «Quindi sarà presente la coppietta felice, la donna ombrosa, la ragazza a cui piace andare contro la legge, il ragazzo normale, un altro ragazzo più o meno normale, l’amore della vita di Elsa ma non suo fratello. Ho dimenticato qualcuno? »
«No,» rispose Anna battendo le mani e guadagnandosi un’occhiataccia da Elsa, ma questa non disse nulla. «Stasera ti renderai conto di che cosa sto parlando. Elsa è cotta di Liam, e lui di lei.»
«Aspetta, Kristoff non viene?» intervenne Elsa.
Anna scosse il capo. «È impegnato al rifugio, ha trovato una renna ferita. E non chiedermi come ha fatto a trovarne una qui nel Maine, non ne ho la più pallida idea.»
Quindi Kristoff doveva essere il ragazzo di Anna, o così sembrava, Emma oramai non ci capiva più nulla. Tuttavia quei pettegolezzi la facevano sentire parte del loro mondo, era molto più di quanto avesse mai avuto nelle famiglie precedenti. Nessuno l’aveva coinvolta così tanto, e si sentì stringere il cuore da una sensazione che non era in grado di classificare, ma sapeva con certezza che era positiva, e ciò le fece estremamente paura.
Ma, mentre guardava le due gemelle parlare animatamente fra loro e si sentiva coinvolgere nella discussione come se fosse la cosa più normale della terra, la paura si affievolì, lasciandole dentro solo una sensazione di pura gioia.
Per quanto temesse che tutto quello fosse solo momentaneo, lo desiderava con tutta se stessa più di qualsiasi altra cosa avesse mai desiderato in vita sua.

 
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Ed ecco a voi Anna ed Elsa v.v Io personalmente le adoro, e le vorrei ancora nello show. E vorrei anche la FrozenJewel aka il pairing Liam/Elsa, davvero, li vedo benissimo assieme *ç*
Poi vabbé, di FrozenJewel ne avrete a volontà in questa fanfiction e... Sto zitta perché ne ho iniziate tante altre e ho quattro esami da dare ♥ Scusate se rompo con gli esami, ma purtroppo devo darli, quindi dovrete sopportarmi.
Come avrete capito, nemmeno nel prossimo capitolo vedrete Killian, ma incontrerete Liam, quindi potete mettere via torce e forconi. È anche vero che Killian ama le entrate a effetto e io non potevo farne una adatta a lui.
Prima che mi linciate, la tresca con Milah sarà decisamente utile ai fini della trama - e non temete, io non farò mai passare Milah per la buona di turno. Odio quel personaggio forse quasi più di Rumple o Neal, non perché stava con Killian, ma proprio come personaggio e sono pure contenta della fine che ha fatto senza nemmeno vedere Killian. No, non sono cattiva, affatto v.v
Se qualcuno è preoccupato per la mano sinistra di Killian, avviso i miei cari lettori che, a meno che non si tratti di un Killian/Hook o che la mia musa non decida altrimenti, Killian non perderà mai l'altra mano. Possibili fratture/incidenti/disastri, ma mai tali da perderla.
Beh, ora vado a studiare, spero di sentirvi in molti :3
blue

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



Capitolo 3
 
Emma rimpiangeva di non essersi messa addosso nulla di più pesante – anzi, di non avere nulla di più pesante – della sua giacca di pelle rossa, nonostante avesse indossato una maglia a maniche lunghe sotto il maglione di lana crema a collo alto. Il resto del suo vestiario consisteva in canotte, magliette e camicie di flanella, non dei costosi giubbotti imbottiti che avrebbero potuto tenerla al caldo.
Camminava lungo uno dei marciapiedi di Storybrooke a braccetto con Anna ed Elsa, e rideva felice nonostante la brezza fredda che penetrava la giacca di pelle, arrossandole le guance e rendendole le dita delle mani insensibili.
Dopo aver cenato – Ingrid per l’occasione aveva ordinato pizza, la più buona che Emma avesse mai mangiato – e le aveva lasciate andare da Granny, assicurandosi che tornassero prima delle undici, nonostante non sembrasse poi così tanto preoccupata. Si fidava di loro, Emma lo aveva capito, e questo includeva anche lei. Non si era mai sentita così, ed era troppo per un giorno solo, aveva paura di svegliarsi e di ritrovarsi in uno qualsiasi di quei stretti letti in cui aveva dormito precedentemente, niente coperte pesanti, solo un lembo di stoffa strappato e male rattoppato.
«Qual è il tuo dolce preferito, Emma?» domandò Elsa. Era vestita poco quanto Emma, ma non sembrava infreddolita, anzi, sembrava che il freddo fosse casa sua per quanto potesse sembrare assurdo.
Emma esitò, a dire il vero non lo sapeva nemmeno lei. «Mi piace la cioccolata, più o meno in ogni sua forma, ma non ho un dolce particolare. Il tuo?»
«Crostata meringata al limone, assolutamente, mentre Anna adora i brownie.»
«Granny però fa dei dolci pazzeschi,» s’intromise Anna, «li mangerei tutti se potessi!»
Elsa scoppiò a ridere. «Vero, come quella volta che hai ordinato tutti i dolci sul menu. Li ha mangiati tutti,» raccontò rivolgendosi a Emma, che l’ascoltò divertita, «e poi è stata tutta la notte in bagno.»
Anna rabbrividì al ricordo, stringendosi maggiormente a Emma. «Devo aver vomitato anche l’anima quella volta, ma ciò non mi ha tenuta distante dai dolci.»
«Nulla può farlo,» convenne Emma con un cenno del capo. Anche lei adorava i dolci, i pochi che aveva assaggiato, perlomeno; le case famiglia non erano luogo per i dolci, non si poteva nemmeno avere il tempo di assaporarli che un altro dei bambini te li rubava dal piatto. Non c’era “dolcetto o scherzetto” ad Halloween, non c’erano cenoni di Natale o di Capodanno, né tavole imbandite per il Ringraziamento o per i compleanni, solo avanzi che non avrebbero sfamato nemmeno una pulce.
Arrivarono davanti a una tavola calda, la luce al neon dell’insegna recitava “Granny’s” e le veneziane erano abbassate, ma dietro di esse si scorgeva la luce accesa. Anche da fuori aveva un che di confortevole e, quando entrarono, il calore che le avvolse fu in grado di spazzare via il gelo dell’esterno.
L’interno era semplice, tavolini, sedie e divanetti lungo la parete, un lungo bancone e, addossata all’altra parete, una serie di scaffali sopra i quali erano stati riposti gli alcolici. Sul fondo della stanza, prima di un corridoio, c’era un jukebox che al momento stava mandando qualcosa degli anni Ottanta che però Emma non era in grado di riconoscere.
«Finalmente, ragazze, siete in ritardo,» esclamò un ragazzo dai capelli ricci e scuri, penetranti occhi azzurri e un sorriso contagioso sulle labbra, avvicinandosi a loro. Era alto, molto più di loro, anche più di Elsa, e subito Emma la sentì rilassarsi accanto a sé. Trattenne un ghigno, ora capiva che cosa intendeva Anna. «Oh, tu devi essere Emma,» continuò lui, tendendole la mano, «io sono Liam Jones, ho sentito molto parlare di te.»
Emma non poté fare altro che arcuare un sopracciglio. Le avevano detto solo due settimane prima – il giorno del suo diciassettesimo compleanno – che avrebbe dovuto trasferirsi nel Maine, e su di lei non c’era molto da dire. Tuttavia si costrinse a non rispondere acidamente, pensando soprattutto che anche lei aveva sentito molto parlare di lui. Sfilò la mano da sotto il braccio di Elsa e strinse quella di Liam, la presa di lui salda mentre le dita di lei la ricambiavano con altrettanta forza. «È un piacere conoscerti, Liam.»
Lui sorrise nel sentire le dita di Emma conficcarglisi nella carne. «Vieni, ti presento agli altri,» disse dopo aver sciolto la presa, un ghigno sardonico aveva sostituito il sorriso di prima, ma non era comunque temibile, Emma non prevedeva alcuno scherzo da parte sua, non come era successo in passato.
Si era quasi ritrovata in una situazione alla Carrie quando l’avevano invitata al ballo di fine anno quando era una matricola a Boston, ma fortunatamente aveva scampato l’umiliazione – e la conseguente carneficina.
Liam l’accompagnò al tavolo addossato al muro sul fondo della sala, vicino al juekbox, al quale era stato affiancato un altro tavolo e delle sedie per dare posto a tutti e dove altre persone stavano chiacchierando animatamente, ma si zittirono quando Emma li raggiunse, esitante dietro il ragazzo.
«Ragazzi, questa è Emma Swan,» la presentò solennemente, scostandosi appena per lasciarle spazio, invitandola ad avvicinarsi. «Immagino che Anna ti abbia già parlato di noi, non sa tenere a freno la lingua,» sghignazzò ricevendo una gomitata nelle costole dalla diretta interessata, cosa che fece ridere tutti, compresa Emma. «Quelli in fondo sono David e Robin, poi ci sono Mary Margaret e Regina, Ruby e Neal.»
Un coro di saluti si levò dal tavolo, tutti guardavano Emma trepidanti, come se fossero davvero contenti che lei fosse lì. Si sentì rassicurata e un po’ intimidita, nessuno si era mai mostrato così aperto con lei. Quella giornata sembrava essere continuamente piena di sorprese. Piacevoli sorprese, tuttavia.
Ruby si alzò e l’abbracciò – anzi, la stritolò – e le schioccò un bacio sulla guancia, lasciandole l’impronta del rossetto addosso. «Vieni con me e dimmi che cosa vuoi come dolce,» disse trascinandola verso il banco dei dolci. C’erano torte di tutti i tipi, e dei piatti disposti sul marmo, in attesa di essere riempiti.
Emma guardò i dolci, divorandoli con lo sguardo proprio come faceva quando passava davanti alle vetrine delle pasticcerie, ricordandosi ogni volta con una stretta al cuore che non aveva i soldi per comprare tutto quello che era esposto. C’era di tutto, o quasi, e il profumo che emanavano era buonissimo.
Ruby aveva iniziato a riempire i piatti, canticchiando a ritmo della canzone che faceva da sottofondo alla serata. «Allora, abbiamo crostata di mele, la preferita di Regina, brownies, cheesecake alla menta, crostata ai frutti di bosco, torta al caffè, torta al cioccolato, una red velvet, torta di zucca…» Ruby le lanciò uno sguardo divertito vedendola sgranare gli occhi davanti a tutte quelle prelibatezze. «Avrai il tempo di assaggiarli tutti, fidati, e anche quelli che non sono qui. Se vuoi un consiglio, per festeggiare non c’è cosa migliore del cioccolato. E non lo sto dicendo perché è l’unica che ho fatto io.»
Con un sogghigno, Emma annuì. «La torta al cioccolato andrà benissimo,» disse ammirando comunque le altre, soprattutto le decorazioni singolari, sulla red velvet c’era un lupo in pasta di zucchero rossa, e la frolla della crostata ai frutti di bosco era stata modellata fino a formare la testa di un lupo ululante invece che le solite strisce.
«Da bere? Niente alcolici, o la nonna non mi permetterà più di fare le nostre riunioni segrete. Però non sembri il tipo che si dà all’alcool, no, sono i maschi che devo tenere a bada, soprattutto Killian, ha una sottospecie di assuefazione da rum,» borbottò Ruby mentre sistemava i piatti su due vassoi e decorava i brownies di Anna con panna e granella di nocciole.
«Niente alcolici, promesso, solo una cioccolata calda, con panna e cannella, se possibile,» rispose Emma seguendo Ruby verso il tavolo.
«Panna e cannella? Beh, non sarà mai peggio di panna e menta, dico bene Robin?»
Il diretto interessato guardò Ruby con un ghigno mentre lei gli metteva sotto il naso un’abbondante fetta di cheesecake alla menta. «Cos’hai contro la menta non lo so, ma è fantastica.»
Mary Margaret alzò gli occhi al cielo. «È perché una volta è stata male dopo aver mangiato tre tavolette di cioccolata con la menta,» rivelò guadagnandosi un’occhiataccia da Ruby che per ripicca riportò indietro il suo dolce, la crostata ai frutti di bosco. «Oh, andiamo, Red, dovresti prendere esempio da Anna, lei i dolci non li ha abbandonati.»
«E mai lo farò!» promise Anna, facendo ridere tutti, compresa Emma, che si era seduta accanto a Mary Margaret nel posto lasciato libero da Ruby.
«Tu devi ancora dirmi come fai a mangiare così tanto e a non ingrassare nemmeno di un etto,» l’accusò Regina, che non aveva nulla da invidiare ad Anna con i suoi capelli neri e lunghi, le labbra carnose e gli occhi castano scuro. Aveva una cicatrice sul labbro superiore, ma se possibile ciò la rendeva ancora più sensuale.
«Secondo me brucia le calorie parlando,» intervenne Liam, seduto tra Anna ed Elsa. Dopo essersi guadagnato un finto sguardo rabbioso da Anna, le scompigliò i capelli con affetto, come se fosse una sottospecie di fratello maggiore.
«D’accordo, d’accordo, c’è una cosa importante da chiedere a Emma,» li interruppe David, guardandola con gli occhi appena socchiusi. Tutti si zittirono, guardandola chi divertito e chi esasperato. Regina alzò gli occhi al cielo, ma non poté nascondere il proprio sorrisino divertito. «Squadra di basket preferita?»
Oh, quello era facile. Emma sogghignò, capendo che avevano scommesso su di lei. Almeno non hanno scommesso chi riesce a portarmi a letto prima fra di loro. «I giocatori vincono le partite, le squadre vincono i titoli
Robin scoppiò a ridere mentre Neal scuoteva il capo, amareggiato, imitato da David. «Andiamo, ragazzi, sapevate anche voi che sarebbe andata a finire così!»
«Ero sicuro che preferisse i Bulls,» borbottò Neal allungando venti dollari a Robin, che li prese e li annusò come se fossero la cosa più profumata del mondo. Fece lo stesso con i soldi di David, prima di infilarseli nella tasca interna della giacca di pelle.
«Solo perché sono più alti in classifica, scommetto,» ribatté Emma con un sorrisino sornione, dando così il colpo di grazia ai due che abbassarono gli sguardi, colpiti e affondati. «I Celtics comunque non sono messi male, sono pur sempre a metà.»
«Certo che siete strani,» disse Regina scuotendo il capo, «e dire che anche voi due tifate i Celtics.»
«Ah, lascia stare, Regina, ringraziali perché pagheranno per il nostro prossimo appuntamento,» la punzecchiò Robin attorcigliandosi una ciocca di capelli corvini della ragazza al dito. Lei arrossì appena, affondando la forchetta nella crostata di mele. Robin alzò la tazza di cioccolata calda con panna e menta che Ruby gli aveva appena posato davanti. «Voglio brindare a Emma, al fatto che sia qui e ringraziarla per avermi fatto intascare quaranta bigliettoni,» disse solennemente, sembrava quasi un leone orgoglioso, nonostante negli occhi avesse lo sguardo furbo di una volpe.
Emma alzò a sua volta la tazza di cioccolata calda e la fece tintinnare contro quella di Robin, e ben presto gli altri si unirono a loro al centro della tavola, chi con caffè e chi con Coca-Cola. «A Emma,» esclamarono tutti all’unisono, e le sembrò quasi di essere in un sogno.
Bevve un sorso di cioccolata, facendo attenzione che la cannella non le finisse nel naso. Mentre ascoltava distrattamente Mary Margaret parlare di tiro con l’arco, Emma osservò discretamente Elsa e Liam parlare fra loro, lei teneva il capo inclinato mentre lo guardava con sguardo letteralmente adorante e lui faceva lo stesso, talvolta scivolando anche a osservarle le labbra prima di affrettarsi a tornare a guardarla negli occhi. Sembravano l’uno il centro dell’altro, quando lei si muoveva, lui si muoveva, e viceversa, come se fossero collegati da un filo invisibile ma resistente.
Emma incrociò lo sguardo d’intesa di Anna. Ora capiva davvero che cosa intendeva quando diceva che erano pazzi l’uno dell’altra.
Le labbra di Anna articolarono la parola “piano”, ed Emma capì che presto sarebbe stata inevitabilmente coinvolta in un sotterfugio amoroso. Annuì con un cenno del capo e un sorriso mentre assaggiava la torta al cioccolato di Ruby. Deliziosa era dire poco, si scioglieva in bocca ed Emma avrebbe voluto portarsela tutta a casa. Tentò di mangiare piano, consapevole che avrebbe scaturito perplessità da parte degli altri se l’avesse finita in meno di tre minuti. Nessuno ti porterà via nulla, Emma. Almeno non stasera.
«Ehi, Emma,» la chiamò David, tendendole una moneta, «battesimo del fuoco, scegli la prossima canzone.»
Aggrottando le sopracciglia, Emma afferrò la moneta e si alzò, passando tra la sedia di Liam e quella di Anna. Si diresse al jukebox, rigirandosi la moneta fra le dita mentre studiava le varie canzoni disponibili. Ne valutò un paio, escludendo quelle che non le piacevano e quelle che non conosceva, finendo per scegliere Kind of magic dei Queen.
Si volse impacciata verso gli altri, le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni e i denti che affondavano nel labbro inferiore, gioendo internamente quando David si alzò con un salto, indicandola con il braccio teso. «It’s a kind of magic!» esclamò con voce stridula, imitando alla bell’e meglio quella di Freddie Mercury.
Sollevata, Emma fece un mezzo inchino, ghignando, prima di tornare al proprio posto, pronta a finire il suo dolce. Era un modo nuovo e divertente di passare la serata, invece che rimanere rinchiusa nella sua camera tutto il tempo e sperando che qualcun altro dei ragazzi non venisse a tormentarla o che uno dei genitori affidatari non avesse alzato troppo il gomito e decidesse di prendersela con lei.
Notò Neal arricciare il naso mentre sorseggiava il suo caffè, al che non poté trattenersi da arcuare un sopracciglio. «Non ti piacciono i Queen?» domandò in tono quasi accusatorio, le labbra comunque tese in un sorriso.
Lui alzò gli occhi castani su di lei. Erano caldi, penetranti, sembravano cioccolato fuso, oppure caffè, ma c’era qualcosa che non le piaceva in quel luccichio sinistro. Lui si limitò a scrollare le spalle. «Non sono tra i miei gruppi preferiti,» si giustificò, guardandola con sfida.
Robin scoppiò a ridere, le labbra appena sporche di cheesecake verde menta. «Dice così perché al suo battesimo del fuoco è stato bocciato. Insomma, chi mette le canzoni degli anni Cinquanta?»
Neal sbuffò, scrollando il capo. «Ti ho detto che ho sbagliato bottone, non sono abituato a quei cosi,» borbottò in sua difesa, guadagnandosi una risata di scherno da parte di Robin.
«Certo, certo, come no,» replicò questi, rilassandosi contro lo schienale del divanetto, «tuo padre ha un negozio di antiquariato e non ne hai mai visto uno? Continua a ripetertelo, Neal.»
Tutti gli altri scoppiarono a ridere, ma Emma non lo fece, sentiva di non doverlo fare, perciò si limitò a bere un sorso di cioccolata calda. Notò però gli occhi di Liam allarmati mentre guardava di sfuggita Neal, le dita strette con forza attorno alla forchetta.
Elsa, accorgendosi della tensione dell’amico, tentò di cambiare l’argomento, ed Emma fu quasi certa di vedere la mano di lei appoggiarsi sul ginocchio di lui come per calmarlo o trattenerlo, oppure entrambe le cose.
Doveva c’entrare in un qualche modo suo fratello, Emma ne era sicura, ma non disse nulla, quelle poche ore che aveva passato a Storybrooke erano solo i primi episodi della soap opera in cui era finita. Trattenne una smorfia al pensiero; non aveva assolutamente voglia di far parte di quella storia, ma qualcosa le diceva che era troppo tardi.
E, che lo volesse o meno, presto anche lei si sarebbe ritrovata a giocare un ruolo importante in quella fitta rete di sotterfugi.

 
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Sono una persona orribile, lo so, e mi dispiace. Evidentemente, ci è voluto un finale schifoso come quello dela 6x10 - si salva poco e nulla di questo episodio - per farmi postare questo breve capitolo.
Mi dispiace che non vediate Killian, ma magari riesco a inserire presto un altro capitolo - solo perché è già scritto, dato che ho sempre esami da dare, sia a dicembre che a gennaio. E devo trovarmi il prof per la tesi, quindi addio mondo, insomma ç-ç
Però potete perdonarmi con questo nuovo banner, vero? Ringrazio captain-kitten per l'edit dei CS che si abbracciano che le ho fregato e spero tipo di non beccarmi mai una segnalazione (anche perché un'americana non si legge di certo le fanfiction italiane quando invece le italiane leggono quelle in inglese, so), che è decisamente più figo di quello di prima v.v
Spero di aggiornare presto, forse addirittura in settimana se scienza delle finanze si fa comprendere dal mio cervello, però non faccio promesse. Forse, invece, sotto Natale, riuscirò ad aggiornare per bene - ancora, niente promesse, a gennaio ho altri due esami!
Ringrazio tutti coloro che leggono questa fanfiction. Sarà uno slow burn, probabilmente - facciamo sicuramente - e vi terrò attaccati per molto tempo, ma spero ne varrà la pena, alla fine.
Grazie mille ancora,
blue

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
Capitolo 4
 
Emma non aveva paura. Non molta, almeno. Aveva superato il fine settimana indenne, e ora doveva affrontare un altro ostacolo che aveva sempre temuto: il primo giorno di scuola.
Aveva tutto ciò che le occorreva, disponeva di tutte le informazioni necessarie – e anche non – ma, soprattutto, per quanto ancora stentasse a crederci, aveva qualcuno su cui contare; non era più la ragazza nuova e sola che si ritrovava in un angolo, presa in giro e additata da tutti perché nemmeno i suoi genitori l’avevano voluta.
«Coraggio, non permetteremo che ti mangino,» tentò di rallegrarla Anna, i capelli raccolti in una crocchia ordinata. All’inizio Emma non l’aveva notato, ma fra i capelli ramati della ragazza spiccava una ciocca bionda che ricordava i capelli della sorella e della zia. Le stava bene ed era particolare, come lei.
«Certo, come no, al massimo mi strapperanno il cuore dal petto e lo stritoleranno davanti ai miei occhi. Nulla di cui dovermi preoccupare, no?»
Anna le diede una gomitata giocosa tra le costole. «Non essere così pessimista, Emma, non sono dei mostri. A parte il professor Gold e la preside, ovviamente, loro sì potrebbero essere capaci di una cosa del genere.»
Emma guardò sorpresa Anna, gli occhi verdi sgranati. «Gold insegna qui? Ma…» Non finì la frase, non serviva, poiché Anna stava annuendo, confusa sul perché non le avevano dato quell’informazione cruciale, anche se molto probabilmente c’entrava la storia di Killian. «Dio, quel ragazzo o è davvero stupido o vuole una morte prematura, che lo rende ancora più stupido.»
«Sì, e più va avanti con questa storia, più dolorosa sarà la sua fine.» Le tre ragazze si volsero a guardare Liam che, dietro di loro, aveva sentito tutto. Quando abbassò lo sguardo su Emma, rossa in volto per l’imbarazzo, però, l’espressione corrucciata era sparita dal suo volto e aveva lasciato posto a un sorriso leggermente tirato. «Vedo che Anna non è stata in grado di tenere a freno la lingua.»
«Ehi, perché pensi sia stata proprio io?» esclamò indignata Anna, il rossore sulle sue guance le metteva in risalto le lentiggini.
Liam ridacchiò attirandola in un abbraccio e strofinandole le nocche contro la tempia. «Perché sei una pettegola, ecco perché,» disse schioccandole un bacio sulla fronte, proprio come se fosse suo fratello. Il sorriso si affievolì mentre riportava lo sguardo serio su Emma e si grattava dietro l’orecchio, a disagio. «Io, uh… vorrei chiederti se puoi tenere per te questa faccenda.»
«Certo,» rispose Emma alzando un angolo della bocca nel tentativo di essere incoraggiante, «non mi sognerei mai di farne parola con nessuno.» Non disse che non era solita farsi gli affari degli altri, né che quella storia non aveva nulla a che fare con lei, si limitò solamente a rasserenarlo un poco, per quello che poteva fare, almeno.
«Allora coraggio,» disse Liam appoggiandole le mani sulle spalle e sospingendola verso l’entrata, prendendola alla sprovvista. La presa di Liam era salda e non prevedeva alcuna via di fuga; qualcosa disse a Emma che le avrebbe fatto varcare quella porta anche a costo di caricarsela sulle spalle.
«A proposito di Killian,» disse Anna gustandosi la scena di Emma depredata della propria libertà d’azione, «dov’è?»
Alzando gli occhi al cielo, Liam scosse il capo. «Non ne ho la più pallida idea, però ha dormito a casa,» borbottò mentre continuava a sospingere Emma verso la bassa rampa che portava all’entrata.
«Dovresti mettergli un chip, almeno sapresti dove si trova se dovesse mettersi nei guai.»
«Non è un cane, Anna,» disse Elsa con un sorriso divertito mentre entravano nell’atrio, un corridoio dalle pareti beige lungo le quali erano state sistemate due file di armadietti, le lampade al neon sfarfallavano un poco, ma nonostante tutto non era un brutto ambiente – fatta eccezione per la puzza di ammoniaca che fece arricciare il naso a tutti.
«E non hai ancora sentito la mensa,» gemette disgustata Anna all’orecchio di Emma, rabbrividendo teatralmente. La ragazza riportò lo sguardo sulla sorella. «Lo so, anche se a volte fa gli occhi da cucciolo bastonato. È solo che sembra un ramingo, sai com’è, mi meraviglia il fatto che non se ne sia già andato per conto suo a girare il mondo.»
«Non tutto quel ch'è oro brilla, né gli erranti sono perduti,» borbottò Emma senza pensarci due volte, citando Tolkien e guadagnandosi un’occhiata divertita dai tre che l’accompagnavano, le mani di Liam ancora sulle sue spalle nonostante avessero già percorso metà del corridoio. Era una presa piacevole, confortante, che le piaceva sentire addosso nonostante non ci fosse affatto abituata. Si sentì comunque arrossire sotto quegli sguardi, grata che non la giudicassero quando altri l’avrebbero sicuramente presa in giro.
«Beh, la sua Arwen il nostro Aragorn l’ha già trovata, a quanto pare,» continuò Anna dirigendosi verso il proprio armadietto, casualmente proprio accanto a quello assegnato a Emma.
«Spero proprio di no,» sibilò Liam liberando Emma dalla propria presa mentre si dirigeva verso il proprio armadietto, poco distante dai loro.
Anna sorrise tristemente, voleva tenere la cosa sul ridere, era l’unico modo che aveva per tentare di far dimenticare a Liam ciò che stava facendo suo fratello. «Beh, lei somiglia molto ad Arwen,» replicò con una scrollata di spalle mentre apriva l’armadietto dal quale volarono fuori un paio di piume.
Emma arcuò le sopracciglia. «Spero che tu non abbia la carcassa di un qualche uccello lì dentro,» non poté trattenersi dal dire shockata mentre l’altra cercava disperatamente di non fare ulteriori disastri e Liam ed Elsa scoppiavano a ridere.
«No, è solo il progetto per il corso d’arte, dobbiamo fare delle decorazioni per il Ringraziamento e Kristoff mi ha gentilmente prestato delle piume di tacchino che ha trovato al rifugio. Non ha maltrattato quei poveri animali, eh,» spiegò Anna, rossa in volto e questa volta non per il freddo.
Da quello che le avevano detto, Kristoff era il ragazzo di Anna che però Emma non aveva ancora avuto l’occasione di conoscere. Quel giorno avrebbe rimediato alla cosa, ma la “luce degli occhi” – come l’aveva definito Elsa – di Anna non si era ancora fatta vedere.
Elsa scosse il capo, la lunga treccia che le accarezzava la schiena a ogni movimento. «Dì che lo hai obbligato a darti quelle piume,» sogghignò, anche lei aveva preso i propri libri e, dopo che Emma ebbe aperto il proprio armadietto ed ebbe sistemato i propri libri, si diressero verso l’aula di inglese.
Con un gesto vago della mano, Anna liquidò il discorso. «Comunque, Emma sarebbe una bellissima Galadriel,» disse guardando la ragazza in questione con occhio critico, probabilmente cercando di immaginarla con un vestito in stile medioevale e le orecchie a punta.
Emma si fermò davanti alla porta dell’aula, un suono quasi indignato le uscì dalla bocca. «Io non voglio fare la nonna di Arwen, per quanto Cate Blanchett sia bellissima,» esclamò arricciando il naso, pensando di quale Arwen stessero parlando.
«Galadriel è la nonna di Arwen?» domandarono Anna e Liam all’unisono, gli occhi sgranati dalla sorpresa mentre cercavano di ricordare se nel film fosse mai stato detto.
Alzando gli occhi al cielo, Emma annuì, non molti sapevano di quella faccenda, e persino lei ne era rimasta sorpresa.
«La signorina Swan ha ragione,» disse una voce dietro di loro, facendoli sobbalzare. Si trattava di Archibald Hopper, il professore di inglese, che sorrideva apertamente mentre si toglieva gli occhiali per pulirli. Era il migliore tra i professori, il più simpatico e semplice, e aveva il dono speciale di riuscire a capire i propri studenti, quasi come se leggesse loro nel pensiero. Di tanto in tanto si prestava anche a psicologo quando qualche studente ne aveva bisogno, cosa che però capitava sempre più raramente.
Emma non si chiese come facesse a sapere chi fosse, era ovvio che in una cittadina così piccola non dovessero mai esserci grandi arrivi, e poi Ingrid le aveva detto che aveva già sistemato le cose con la scuola e con i vari professori, quindi non c’era da sorprendersi.
Infilandosi nuovamente gli occhiali tondi e spingendoli sul naso, il professor Hopper tentò di assumere un’espressione imperiosa e indicò loro con il braccio l’aula. «Su, voglio scambiare qualche parola con la signorina Swan e poi voglio vedere che progressi avete fatto con Poe.»

 


Emma era distrutta, le sembrava di essere stata investita diverse volte da un treno in corsa. Era stanca, le facevano male le gambe e le sembrava di non aver mai smesso di parlare, si sentiva la lingua molle e dubitava di riuscire a sopravvivere all’ultima, terribile ora di lezione.
Assieme al professor Hopper aveva istruito l’intera classe sulle varie relazioni elfiche e non presenti ne Il Signore degli Anelli, stupendo tutti quanti – metà di loro aveva solo visto il film e in pochi nemmeno quello – e aveva davvero perso la cognizione del tempo.
Poi era stato il turno di matematica, e lì aveva parlato poco, ma la signorina Cecaelia le aveva fatto il terzo grado, e a Emma era parso che godesse della sua non proprio perfetta preparazione in matematica, una delle materie che odiava di più.
Niente poi l’aveva preparata alla lezione di francese, quando aveva dovuto parlare quasi per tutta l’ora in francese su argomenti che andavano da domande inerenti al programma alla sua vita personale, sulla quale però non si era sbottonata e, fortunatamente, Elsa era intervenuta in sua difesa, sviando l’attenzione della signorina Page. Quest’ultima le ricordava fin troppo Pam di True Blood, ma cascasse il Cielo non avrebbe mai osato dirglielo in faccia.
La giornata era passata velocemente, ma tutti i professori l’avevano fatta parlare, chiedendole dove fosse arrivata con il programma, ma nessuno l’aveva messa in eccessivo imbarazzo – a parte la signorina Page.
E ora si trovavano tutti quanti – insieme a David, Mary Margaret, Regina, Robin, Ruby e Neal – seduti comodamente nell’aula di musica mentre aspettavano che arrivasse Gold.
L’unico però visibilmente preoccupato per qualcosa era Liam: suo fratello non si era fatto vedere, e dubitava che sarebbe venuto all’ultima ora solo per fare un dispetto a Gold, ma con Killian Jones niente era mai certo.
«Sai che ti chiederà di cantare, vero Emma?» disse a un tratto Regina, le labbra contratte in una smorfia al ricordo di quando Gold le aveva ordinato di cantare una canzone che, ovviamente, non aveva mai sentito e che si era rivelata essere nientemeno che un’opera lirica.
Emma gemette, chiudendo gli occhi con forza.
L’ultima cosa che voleva era mettersi in ridicolo davanti a tutti, e sembrava che a momenti non avrebbe avuto altra scelta. Non che non sapesse cantare, però si vergognava, era forse l’unica cosa che non voleva fare davanti agli altri, oltre che abbassare quelle mura che col tempo aveva innalzato attorno a sé.
«Puoi sempre suonare,» replicò Ruby con una scrollata di spalle. Quel giorno indossava una camicetta nera con una cravattina rossa e una minigonna dello stesso colore, calze nere e stivali rossi, sembrava quasi un bastoncino di zucchero rosso e nero – fragola e liquirizia come le caramelle che mangiava in continuazione.
Tutti, grazie ad Anna, sapevano che suonava il violino, ma solo Emma sapeva a quali dolorosi ricordi la riportava quello strumento. Ricordava ancora perfettamente quali canzoni aveva suonato duettando con Lily fino a notte fonda nel garage insonorizzato della casa famiglia in cui stavano all’epoca.
E poi lei l’aveva tradita, rigettandola in pasto agli squali del sistema affidatario, togliendole l’ultima speranza di avere una famiglia che le volesse bene, perché a nessuno interessava una sedicenne e tutti i guai che questa aveva combinato.
Fino a ora, disse una vocina nella sua mente, ma la scacciò scuotendo appena il capo mentre fissava le proprie dita intrecciate sul banco.
«Eccolo che arriva,» sussurrò Anna sistemandosi sulla sedia e tentando di mettere in ordine la frangetta ramata che, spettinata, la faceva quasi sembrare a un porcospino.
Nella classe entrò un uomo magro dal volto sottile e affilato, piccoli occhi scuri e penetranti, labbra sottili contratte in una smorfia e capelli lunghi fin quasi alle spalle, lisci e stopposi, come se gli avessero messo in testa la paglia di una di quelle scope vecchie. Indossava un abito elegante, probabilmente fatto su misura, completo scuro e camicia blu notte, il tutto completato da una cravatta nera con un fermacravatta d’oro. Emma notò fin da subito che zoppicava e si teneva appoggiato a un bastone da passeggio, sebbene mantenesse comunque un’aria elegante e sicura di sé, forse fin troppo.
Gli occhi di Gold saettarono su Emma una volta che si fu appoggiato alla cattedra, ammirando la platea di studenti davanti a sé, ed Emma si sentì percorrere da mille brividi gelidi sotto quello sguardo inquisitore. Un debole sorriso, più simile a un ghigno, si fece strada sul volto di Gold.
«Ah, lei deve essere Emma Swan, che nome incantevole.»
Emma aggrottò appena le sopracciglia, confusa da quelle parole. Dubitava fosse un complimento, ma non riusciva a capire che cosa volesse insinuare Gold con quella frase. «Grazie,» mormorò senza abbassare lo sguardo, le spalle dritte in un atteggiamento composto e stoico.
«Credo che i suoi amici le abbiano già detto che cosa le avrei chiesto di fare, tutti loro hanno dovuto passare il mio, come dire, esame iniziale,» continuò Gold in tono mellifluo, ed Emma lo immaginò dire quelle parole mentre teneva un gatto in braccio e lo accarezzava lentamente.
Esitante, Emma annuì, domandandosi che cosa le avrebbe chiesto di cantare. Forse dirgli che sapeva suonare non era poi un’idea così cattiva, no?
«Signor Gold, credo che invece le piacerebbe sentirla suonare. Emma ha delle dita magiche,» intervenne Anna, facendo sussultare Emma, che si volse a guardarla a metà tra il riconoscente e il risentito.
Gold fece schioccare la lingua, come deluso, ma annuì lentamente. «Certo, perché no? Che cosa suona, signorina Swan?»
«Il violino, signore,» rispose Emma umettandosi le labbra mentre sentiva l’adrenalina sprigionarsi in tutto il corpo, una sensazione d’euforia che da tempo non provava più; sembrava che uno stormo di farfalle le volasse nello stomaco, scaldandola da dentro come un fuoco.
Con un gesto della mano, Gold la invitò a prendere il violino dall’apposita custodia nella sezione degli strumenti ad arco vicino a una grande arpa intarsiata e tirata a lucido. Emma si alzò, riluttante, le sembrava di star facendo la camminata della vergogna davanti all’intera classe mentre si dirigeva verso la custodia nera.
Il violino era fresco di ceratura dato l’odore intenso che le arrivò al naso, anche se non era uno Stradivari doveva essere comunque perfetto in quanto a suono, Emma aveva capito perfettamente che Gold non era il tipo che dava qualcosa per scontato. A parte sua moglie, pensò sarcastica mentre afferrava delicatamente archetto e violino e si portava accanto al pianoforte, sul piccolo spazio della pedana rialzata che le avrebbe permesso fluidità nei movimenti.
Stava per aprire bocca quando si sentì del fracasso provenire dalla porta della classe, dalla quale entrò con nonchalance un ragazzo alto, i capelli neri come l’inchiostro rigorosamente spettinati e un accenno di barba sulle guance arrossate, un netto contrasto con la carnagione nivea ma assolutamente affascinante. Sorrideva, un sorriso pieno di strafottenza, un’aria di sfida gli accendeva gli occhi. Cristo, Emma non aveva mai visto degli occhi così blu, brillanti come zaffiri al sole e profondi come oceani. Si sentì tremare le ginocchia per un istante.
«Signor Jones, a cosa devo il piacere?» sibilò Gold senza degnarlo di uno sguardo, concentrato sulla reazione di Emma, che era riuscita a mantenere il proprio contegno nonostante la vista che Killian Jones le offriva.
Scrollando le spalle coperte da una giacca di pelle e una camicia blu notte a cui aveva slacciato i primi due bottoni, il ragazzo rispose: «La preside ha voluto parlarmi del mio rendimento scolastico, tutto qui.»
Emma sapeva che stava mentendo, ma non stava a lei mettere in dubbio le sue parole davanti all’intera classe. Oltretutto, sembrava che anche Gold sapesse che stava mentendo, e il problema era che, se davvero era a conoscenza di tutta la faccenda o anche se lo sospettava e basta, perché era così calmo? Tentò di non pensare al peggio, ma un brivido le corse involontariamente lungo la spina dorsale mentre cercava disperatamente di scacciare dalla sua mente l’immagine del cadavere del ragazzo che aveva davanti.
Killian, con un sorriso malizioso, si diresse verso Emma, afferrandola per i fianchi e facendola trasalire. «Quello è il mio posto, tesoro,» disse spostandola appena per poter passare e andare a sedersi al pianoforte.
Il volto di Emma era niveo, tutto il sangue era defluito dalle sue guance per poi rifluirvi violentemente, incendiandole la pelle; il tocco di Killian sembrava averla marchiata, sentiva ancora la leggera pressione delle sue dita anche attraverso il maglione pesante e la canotta. Un momento, l’aveva appena chiamata tesoro? Scosse leggermente il capo e si volse verso Gold che, impaziente, stava aspettando che lei cominciasse.
«Che cosa devo suonare?» domandò mordicchiandosi il labbro inferiore. Non aveva idea di che cosa volesse quell’uomo, né era certa che le piacesse il modo in cui la guardava fin da quando era entrata in classe.
«Mi sorprenda.»
Quelle due parole la fecero trasalire appena, era ovvio che dovesse improvvisare. Era una fortuna che nello zaino che aveva nascosto nell’armadio, oltre al proprio diario e a un paio di effetti personali avesse anche vari spartiti musicali che di tanto in tanto guardava con nostalgia.
Scostò quindi i capelli dalla spalla sinistra per poi appoggiarvi il violino, facendo una piccola smorfia nel sentire la mentoniera, da quando aveva iniziato a suonare non l’aveva mai usata, né quella né un fazzoletto, le piaceva sentire il contatto con lo strumento e le vibrazioni della musica diffondersi in tutto il corpo.
Dopo aver preso un respiro profondo, appoggiò l’archetto sulle corde e iniziò a suonare, gli occhi socchiusi mentre vedeva le note scivolarle davanti alle palpebre come se fossero capaci di prendere vita.
Sentiva su di sé gli occhi di tutti, probabilmente perché non era una canzone classica, ma era l’adattamento per violino di Shut up and dance dei Walk The Moon, l’ultimo di una lunga serie di arrangiamenti che lei e Lily avevano trovato e suonato assieme.
Sentì distintamente quando qualcuno iniziò a scandire il ritmo sul banco con quelle che sembravano delle bacchette da batteria, e quasi sorrise continuando a suonare. Le sembrava di non aver mai smesso, di non aver mai permesso a Lily di portarle via anche la musica, l’unica fonte di gioia che le rimaneva dopo aver dovuto dire addio all’idea di avere una famiglia.
Quasi trasalì, rovinando tutto, nel sentire il pianoforte, ma riuscì a non farsi sopraffare dalle emozioni. Sapeva che Lily non poteva essere lì, sapeva che lei cominciava sempre prima di lei, sapeva che Lily non aveva un tocco così delicato nonostante la musica fosse decisa e movimentata.
Improvvisò qualche accordo, consapevole degli occhi di Gold su di sé e sul fatto che anche chi stava suonando con lei improvvisava, rendendo il tutto straordinariamente e stranamente perfetto, qualcuno si mise anche a canticchiare sottovoce
Non era sicura che quello fosse ciò che Gold voleva e quando aprì gli occhi ne ebbe la conferma dal suo sguardo corrucciato, ma non smise di suonare, non fin quando non ebbe finito, l’ultima nota che si diffondeva vibrante nell’aria.
Con sorpresa di Emma, tutto eruppero in un fragoroso applauso, alcuni fecero anche dei fischi di apprezzamento, e lei si trattenne dal fare un inchino scherzoso, gli occhi fissi in quelli duri di Gold che disapprovavano altamente tutto ciò che aveva fatto da quando era entrato in classe nonostante il contegno sul suo volto.
«Uhm, non male,» commentò infine Gold dopo che la classe ebbe finito di comportarsi come un branco di scimmie, «anche se pensavo mi avrebbe suonato qualcosa di più classico, e non una qualunque canzone da quattro soldi.»
Lei arcuò le sopracciglia. Davvero? La prossima volta ti suono la Carmen, vecchiaccio, pensò, mordendosi la lingua per impedirsi di pronunciare quelle fatali parole. Si limitò quindi a stringersi nelle spalle e ad andare a riporre il violino nella propria custodia prima che il suo autocontrollo svanisse e distruggesse lo strumento in testa a Gold.
Mentre tornava indietro e il professore iniziava a spiegare che avrebbero dovuto preparare il concerto di Natale – nonostante mancasse più di un mese e mezzo – Emma incrociò lo sguardo di Killian.
Quegli occhi blu avrebbero dovuto essere dichiarati illegali e il suo cuore, per quanto non le piacesse, sembrò sobbalzarle nel petto mentre lui le strizzava l’occhio.
Forse non riusciva a capire il modo in cui lo faceva, ma capiva perfettamente perché tentava in tutti i modi di far perdere la pazienza a quel dannato professore. Tuttavia, non poteva fare a meno di preoccuparsi di come sarebbe andata a finire la faccenda, perché il suo istinto le diceva che quella storia avrebbe avuto un epilogo orribile per tutti quanti.
 
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Okay, beh, avete avuto il primo incontro e, sinceramente, non è questo granché, lo so. Forse vi aspettavate qualcosa di epico, ma così era sempre stato ideato e mi sembrava carino, almeno un po' v.v
Ebbene sì, Gold insegna musica - sarebbe stato fin troppo facile, ah? - e Killian è sempre lì che tenta di farlo infuriare. Non dico altro in merito alla faccenda, ma il prossimo sarà uno spettacolo, davvero.
(Poi dall'ultimo spoiler di Old Drunk Hook che in viso è identico ad Aragorn boh, io non sapevo nemmeno che ci sarebbe stato quando ho scritto questa fic, perciò mi fa tanto strano lmao)
Spero vi sia piaciuto, per quanto sia relativamente semplice e non dica molto della trama, però forse rivela qualcosa sul passato di Emma piuttosto importante v.v
Per vostra informazione, questa è la cover suonata da Emma; ne ho cercate tantissime e questa è quella più bella *ç*
Alla prossima,
blue

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