FMP Il nuovo soggetto da proteggere

di Hikari_Sengoku
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il nuovo soggetto da proteggere ***
Capitolo 2: *** Terrore, rabbia e sospetto ***
Capitolo 3: *** Una conoscenza... turbolenta ***
Capitolo 4: *** Novitá sul caso Kurojima ***
Capitolo 5: *** Il mistero si infittisce ***
Capitolo 6: *** Chiarimenti e fughe ***
Capitolo 7: *** Si entra in azione! ***
Capitolo 8: *** Nella base nemica ***
Capitolo 9: *** Da svenimento a svenimento ***
Capitolo 10: *** In viaggio! ***
Capitolo 11: *** Tanto, tanto, tanto sangue e tanto, tanto, tanto verde ***
Capitolo 12: *** Fine ***



Capitolo 1
*** Il nuovo soggetto da proteggere ***


FMP Il nuovo soggetto da proteggere


TOC TOC
“Entrate!”
“Sergente maggiore Melissa Mao, Sergente Kurz Weber, Sergente Sousuke Sagara a rapporto!”
“Ecco la missione”
Il Maggiore Kalinin porse ai tre ragazzi la scheda. Accanto alle principali informazioni, una foto.
  NAME: Hikari Isanami Kurojima (Luce Isanami Isola Nera) ADDRESS: 5-50-3 Fujimi, Chofu, Tokyo
 
  GENDER: Female PHYSICAL ATTRIBUTES: Blond short Hair 
  BLOOD TYPE: 0+ HOBBIES: Judo, Rollerblading, Scoutism 
  HEIGHT: 180 cm FAMILY MEMBERS:  
  WEIGHT: 75 Kg Kuma Kurojima (adoptive father deceased) 
  BIRTHDAY: September 2 Nami Kurojima (adoptive mother deceased) 
  NATIONALITY: unknown Ayumi Kurojima (adoptive younger sister deceased) 
   Ise Matsukami (adoptive aunt)
NO ONE OF THE REAL PARENTS ARE KNOWN 


I familiari erano coperti dalla foto. La osservarono insieme. Era stata scattata tre mesi prima, poco dopo la fine dell’anno scolastico. La ragazza era alta, dai capelli biondi e corti e dai luminosi e grandi occhi nocciola, e sorrideva felice. Ai suoi lati, due ragazzi sorridevano con lei. Erano alti quanto lei, ma uno aveva dei bei riccioli biondi con gli occhi azzurro-verdi e una pelle pallida come la neve, mentre l’altro aveva la pelle scura e i capelli e gli occhi color cioccolato fondente. La ragazza stringeva ed era stretta dal primo per la vita, mentre con l’altro braccio stringeva in una presa mortale il collo del secondo ragazzo, che sorrideva imperterrito, nonostante le mani alla gola. I vestiti le fasciavano il corpo ben allenato, mostrando sotto i leggins neri un paio di lunghe e invitanti gambe, a detta del sergente Weber.
 “Somiglianze impressionanti!” fu il primo commento del sergente maggiore Mao.
“Ma perchè i visi dei due ragazzi non sono pixelati?” chiese il sergente Weber.
“Per un semplice motivo: sono morti. Leggete la scheda, ne saprete di più. Le disposizioni sono le stesse della missione precedente con Kaname Chidori. Ora andate a prepararvi. Ah, per voi, sergente Sagara: andrà alla vostra stessa scuola, e l’appartamento non è stato scelto a caso. Ha il permesso di parlarne con l’aiutante esterno, se lo desidera”.
E il sergente Sagara sapeva che per aiutante esterno il Maggiore Kalinin intendeva la stessa Kaname.

I tre tornarono nelle loro stanze nel sottomarino, e si misero a leggere il rapporto. Nella scheda c’erano poche informazioni. Hikari Isanami Kurojima era stata adottata dalla famiglia Kurojima in tenera età, senza conoscerne il luogo di nascita, ed era nota come Whispered. Ai genitori adottivi era stato solo chiesto di mantenerne il nome. Due anni dopo, era nata la sua sorella minore adottiva, Ayumi. In seguito, aveva eseguito a Tokio un percorso di studi regolarmente alto fino al terzo liceo, impegnandosi anche in attività come lo judo, il pattinaggio e lo scoutismo. Tra le note era scritta anche un’elevata forza fisica e velocità, e una passione per manga, anime e musica. Poi, il 10 agosto dell’anno in corso, giorno di San Lorenzo e delle stelle cadenti, la tragedia. Mentre la famiglia andava a festeggiare il ritorno di Hikari da un campo scout insieme ai due ragazzi, uno strano incidente d’auto, che a detta delle telecamere sembrava essere stato causato da qualcosa d’invisibile, ne fa strage. La madre, il padre e la sorellina di Hikari erano morti sul colpo, i due ragazzi, sbalzati dalla macchina, erano scomparsi oltre la visuale della telecamera, e non erano stati più ritrovati. Unica superstite Hikari stessa, che prima che l’auto si fosse schiantata, aveva aperto lo sportello ed era saltata via, a quanto pare illesa.
“Che storia triste! Chissà come si sente adesso…Forse dovremo evitare non solo un omicidio, ma anche un suicidio” Disse Melissa, finita la lettura.
“Credi che la ragazza tornerà a scuola?” Disse Sousuke in tono atono.
“Non ne ho idea. Dipende da come è lei. Mi sembra una persona forte, comunque.”
“Andiamo, ragazzi. Non preoccupiamoci in anticipo, tanto domani la conosceremo. O meglio, Sousuke la conoscerà.” Si introdusse con un occhiolino il Sergente Weber, appoggiato a mo’ di posa alla parete del sottomarino.
“Lo sai, per lui c’è solo Kaname, adesso. È inutile che provi a tentarlo” Melissa gli tirò uno scapellotto, mentre Sousuke continuava ad analizzare il rapporto. Chissà che Whispered era?

Il giorno dopo, erano di ritorno nel loro appartamento. Kaname doveva ancora tornare dal suo viaggio in America per andare a trovare suo padre e sua sorella, quindi l’ambiente era ancora vuoto e pieno di polvere. Al suo ritorno tra tre giorni, Kaname sarebbe venuta ad abitare con loro, con il doppio scopo di protezione e aiuto. Al suo posto, nel suo vecchio appartamento, era venuta ad abitare Hikari. Preparate le attrezzature, presero un binocolo ognuno, e cercarono di individuarla tra le ombre della finestra illuminata dietro le tende dorate. L’ombra di una ragazza si stagliò netta dietro la tenda, per poi uscirne, facendosi in un magico attimo reale, la figura di Hikari. Era la stessa della foto, ma pareva come più alta, più matura, più triste. Gli occhi erano socchiusi, malinconici alla luce della luna, mentre si appoggiava alla balaustra e si sedeva sulla sdraio. Afferrò un libro aperto a faccia in giù per terra, e prese a leggerlo, incrociando le gambe lunghe e muscolose. Indossava dei corti pantaloncini bianchi e una canottiera rosa salmone, eppure sembrava non sentire il freddo, che pure era pungente. Orgoglio e Pregiudizio. Mentre leggeva, le scappò una lacrima. Prese uno scontrino dalla tasca e ce l’infilò, poi lo richiuse di scatto, e tornò in casa chiudendo le finestre.





​Salve a tutti Sono Hikari_Sengoku ed é la prima volta che scrivo su questo fandom. Avverto giá da prima: Le scadenze non saranno regolari, ma per adesso saranno di una settimana!


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Capitolo 2
*** Terrore, rabbia e sospetto ***


Terrore, rabbia e sospetto

La mattina dopo, Hikari sentí distintamente la sveglia trascinarla via dalle braccia di chi aveva amato, e nonostante l'intenso dolore pari allo strapparsi di un arto, ricordó che mai aveva saltato una lezione, ne vi era arrivata in ritardo, e neanche quel giorno l'avrebbe fatto. Meccanicamente, si dedicó alla toilette quotidiana - un paio di spruzzate d'acqua e un pó di sapone, una spruzzata di quel profumo che sua madre e uno dei suoi migliori amici adoravano - e come da un po' di tempo a questa parte, saltó la colazione, prese lo zaino, si ravvió i capelli e aprí la porta. Dall'altra parte, un baldo ventenne sostava sulla porta dirimpetto alla sua, ravviandosi i ricciuti capelli castani, pronto a uscire. Nel fabbricato di fronte, tre altrettanto baldi giovani ascoltavano il saluto mattutino dei due, chi con soverchio interesse, chi perso tra il proprio appartamento ed un'avvenente chioma blu in una foto.
La ragazza sorrise al vanitoso ragazzone sulla porta che le ispirava tanta simpatia. "Buongiorno Mathieu. Come va oggi?"
"Meglio, ora che vi ho vista, Miss Hikari" rispose il giovane con una pesante cadenza francese ed un brillio divertito negli occhi castani.
""Cosí mi lusingate, messere. Stai leggendo qualche romanzo rosa dell'ottocento per caso?" Chiese lei inarcando un sopracciglio.
"Beccato" Un gran sorriso illuminó il volto bonario.
"Ha. Arrivederci, "messere"" salutó lei con un inchino scherzoso.
Dall'altra parte della strada: " Chi é il ragazzo con cui ha parlato?" Chiese Sousuke.
"Uno studente francese in trasferta dalla facoltá di Lingue Orientali di Parigi".
"Uhm"
"Kurz, prendi l'M9 e comincia ad andare. Sousuke, tu dovresti giá..." Ma Sousuke era giá andato.
 Sousuke si diresse alla scuola, seguendo passo passo le mosse di Hikari. Mentre camminava dal lato opposto della strada, attento a non farsi notare, gli tornarono in mente le parole di Melissa: “Forse dovremo evitare anche un suicidio”. Sousuke decise dunque di controllare i possibili sintomi psicofisici di depressione, poiché il suo scopo era che la Whispered rimanesse viva ed illesa. In realtà, al momento la ragazza non dava alcun segno di cedimento, sembrava insondabile. Impassibile, camminava lungo il marciapiede, saettando gli occhi da una parte all'altra della strada, come se fosse stata in cerca di qualcuno. Decise comunque di controllare durante l’arco della giornata. Giunsero alla scuola, e Sousuke, sedendosi al banco, si dedicò all’analisi di Hikari, ovviamente dopo aver preso le solite misure di sicurezza. La vide dunque sedersi al banco ed estrarre un libro. Non ne staccò gli occhi fino al suono della campanella, e nessuno aveva neanche provato ad approcciarla. A malapena una ragazza l’aveva osservata con l’aria condiscendente di chi compatisce il lutto altrui, evidentemente una vecchia amicizia che la ragazza aveva abbandonato.  Sousuke barrò con una v uno dei sintomi depressivi.
- Tendenza all'isolamento, alla solitudine, alla sedentarietà, scarsa cura di sé e autoabbandono con diminuzione dei rapporti sociali e affettivi (sintomi affettivi).
Non era un isolamento completo, certo, ma non sembrava avere vere amicizie. Anzi, sembrava completamente sola, ed era forse questo lo scopo di quella strage di quello che lui sapeva essere un attacco premeditato, ovvero rendere sola la ragazza. Una volta sola, sarebbe stata decisamente più vulnerabile, sia fisicamente che psicologicamente. Avvicinandosi a lei l'aveva notato. La ragazza pareva in preda al terrore piú che alla depressione. Profonde occhiaie solcavano il viso stanco di chi non dorme da giorni, i capelli erano scompigliati e sporchi, il corpo teso all'inverosimile, pronto ad una fuga od una battaglia. Gli occhi erano o innaturalmente fermi o si muovevano disperatamente nelle orbite alla ricerca di qualcosa. Doveva essere uno strascico dell'incidente, oppure nel frattempo era stata vittima di minaccie o tentativi di rapimento, che forse era piú probabile. Notò comunque che durante le ore di lezione la ragazza si era dimostrata gentilissima e assai generosa, aveva aiutato chinque le chiedesse una mano. Nonostante questo, una volta suonata l’ultima campanella, Hikari si rinchiuse di nuovo nel suo silenzio ostinato, riprese tutte le sue cose e se ne andò. Sousuke la seguí fino a casa cercando di non farsi notare. Giunti alle case, Sousuke salí di corsa le scale, salutó Mao,  prese un binocolo e lo puntó sulla casa della ragazza. Pochi secondi dopo, la ragazza, trafelata dalla lunga corsa che aveva fatto per salire le scale, entró e si accasció contro la porta ansimante. Poco dopo si alzó e freneticamente prese a girare nella stanza, forse alla ricerca di qualcosa. Vittoriosa riemerse dal bordo della finestra con in mano un coltellino svizzero ed un contenitore cilindrico di medicine. Lo aprí e si gettó un paio di pillole bianche sul palmo, e poi in bocca.
" Il soggetto sembra in preda al panico. Ha ingerito dei medicinali, forse degli antidepressivi. "
"Buongiorno anche a te Sousuke, com'é andata la missione oggi? A me benissimo, nessuna comunicazione di nessun tipo é giunta ad Hikari nelle ultime ventiquattr'ore, ma prego, parla tu". Rispose sarcastica il sergente maggiore Mao di ritorno dalla cucina con due birre. Un paio di occhi viola fulminarono non visti la schiena del bruno ragazzo.
"Dannazione, ha chiuso le serrande!"
"E ti pareva, mai una volta che si possa vedere una bella ragazza fare il bagno!" Si inserí il sergente Weber scuotendo la bionda chioma e afferrando una delle birre.
"Ma tu pensi solo a quello?" Disse Mao lanciandogli una pantofola.


La mattina seguente la routine si svolse invariata, (depressione,lavaggio e stiraggio mattutino, saluto all'aitante e ottocentescamente romantico vicino, scuola, ecc...) fino al suono dell'ultima campanella. Impassibile, Hikari uscí dall'edificio gettandogli un'occhiata astiosa dagli occhi rossi, gonfi e stanchi, brillanti color nocciola nonostante tutto.
Sousuke raccolse le sue cose e si avviò sulle traccie della ragazza.
“Uruz 7 a Uruz 6. Mi sto dirigendo alla base. Nessuna minaccia in vista”
Davanti a lui, Hikari camminava lenta. Sembrava essere circospetta. Gli occhi saettavano ancora febbrili nel viso che ora pareva molto piú stanco, il passo lento di chi si prepara a combattere. Sousuke continuò a mantenere il profilo basso, fino a quando Hikari non venne trascinata all’interno di un vicolo. Subito Sousuke tirò fuori la pistola e accorse, ma arrivato al vicolo qualcuno lo prese per il bavero e gli puntò un oggetto appuntito metallico allo sterno, schiacciandolo e immobilizzandolo al muro.
“Lo sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato. Chi sei? Perché mi stai seguendo? O forse dovrei dire per chi?” Una voce femminile astiosa gli punse le orecchie. Era Hikari! Ma allora non era stata rapita… L’oggetto metallico gli punse di nuovo il fianco.
“Ti ho fatto una domanda.” Gli occhi nocciola della ragazza lo stavano fulminando. Però che riflessi!
“Sono Sousuke Sagara, e non ti stavo affatto seguendo. Stiamo solo facendo la stessa strada.” Rispose atono. Non doveva spaventarla tentando di ribellarsi. La ragazza era allo stremo delle forze, digiuna e assonnata, farla ragionare sarebbe stata un'impresa difficile.
“Puoi prendere in giro qualcun altro, ma non me. So perché mi stai seguendo. Sono una Whispered, e faccio gola a molti. Ora, prima che ti spacchi la testa, dimmi per chi lavori, così che io sappia il nome del mio nemico, dell’assassino dei miei genitori, di mia sorella e dei miei amici!” La richiesta si tramutò gradualmente in un urlo rabbioso, che si spezzò in un singhiozzo soffocato. La testa si abbassò per un istante, la presa si allentò per un attimo, e Sousuke ne approfittò per ribaltare la situazione. Doveva controllarla in modo da poterle spiegare. Ormai la copertura era andata in fumo. Anzi, si poteva dire che non era mai esistita.
“Uruz 7 a Uruz 6. La copertura è saltata. Richiedo mezzo di trasporto per base operativa.”
Sousuke chiuse il ricetrasmettitore, afferrò il taser e ignorando le urla di ribellione della ragazza e i suoi vigorosi tentativi di liberarsi, glielo pose sul collo. Hikari cadde inerme, e il buio la avvolse.


























Sul marciapiede d'innanzi, un giovane stava al telefono. " La Mithril ha fatto la sua mossa, la ragazza é con loro al momento".
"Bene, avvia il piano F4"
"Ricevuto"
Il telefono si chiuse con uno scatto, l'uomo scomparve silenzioso tra i vicoli.




​Immagino che la rottura della copertura sembri prematura,ma Hikari non é stupida e Sousuke non é il massimo della discrezione. Inoltre Hikari é iperstressata e sospettosa. Che ne pensate? Consigli e critiche sono i benvenuti!


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Capitolo 3
*** Una conoscenza... turbolenta ***


Una conoscenza... Turbolenta

Mi ero subito accorta che quel ragazzo mi seguiva. Chi era? Per chi lavorava? Sapeva chi era l'assassino di chi amavo, o era forse lui venuto a completare il suo lavoro? La vendetta mi scorreva nelle vene al posto del sangue. Ma la colpa era soprattutto mia e dei miei stupidi poteri. Se non fossimo esistiti, nessuno si sarebbe fatto male. Perché hanno ucciso loro che erano innocenti e non me? Forse per un ricatto? Avvolta nei miei cupi pensieri, galleggiavo in un piacevole stato d'incoscienza. Quattro voci irruppero prepotentemente nella mia testa. Sembrava volessero riportarmi alla vita, ma io desideravo rimanere ancora un po' cosí, apatica nella mia incoscienza ovattata. Le voci erano il mio presente, i loro possessori parte del mio futuro...



"Buongiorno! Com'é andata mentre non c'ero? Successo qualcosa? Com'é la nuova missione?" Una voce allegra spezzó la tristezza dei suoi pensieri.

"Buongiorno Kaname. Beh, in realtá abbiamo avuto qualche imprevisto..." Rispose acida una dura voce femminile.

"Perché cosa...? Sousuke. Cosa hai dietro la schiena. Ora." La voce allegra si fece ad un tratto spaventevole e cupa.

" Ehm, niente, cioé, io..." Balbettó un'insicura voce maschile di fronte a lei.

"SOU-SU-KE! Per quale diavolo di motivo la tua missione é svenuta e sta qui?!? Non doveva essere in incognito!?!" La rabbia fuoriusciva a fiotti dalla voce forte della ragazza. Tanto forte che uno strisciante mal di testa cominció a martellarle le tempie, costringendola a svegliarsi.

Aprí lentamente gli occhi. Una nebbia luminosa si diradó lentamente intorno a Sousuke ad a due volti sconosciuti. Due ragazze la fissavano apprensive. Una, piú giovane, aveva lunghi capelli blu e una faccia simpatica. L'altra, ventenne, aveva corti capelli neri e un paio di intensi occhi viola, oltre che a un bel petto prosperoso messo in mostra da una semplice canottiera nera.

" Come va? Tutto bene?" Disse la piú giovane china su di lei. Lentamente, Hikari prese coscienza del proprio corpo. Si trovava legata ad una sedia impagliata, accasciata su se stessa. La stanza era ampia, ma praticamente vuota, se non si vogliono contare qualche apparecchiatura elettronica, un frigo e uno scadente tavolo di compensato. A poco a poco, si ricordó anche come era arrivata lí, e scuotendosi di dosso il torpore, cominció a dimenarsi e a gridare.

"Lasciatemi andare! Lasciatemi andare!" Ruggí di rabbia, torcendo il collo e le membra in un disperato tentativo di ribellione. Sfregó forte le mani sulle corde per allentarle. Insomma faceva il diavolo a quattro: Urlava, imprecava, si dimenava e nessuno sapeva come fare per calmarla. Melissa repentina afferró una siringa dal tavolo e le trafisse il collo, spingendo lo stantuffo fino in fondo. Hikari la morse, ma subito dopo fu scossa da un fremito. Sentí un liquido ghiacciato farsi strada nelle sue vene, ghiacciarle i muscoli, bruciarle le terminazioni nervose, e urló di dolore, mostrando e digrignando subitamente i denti bianchi come perle. Il suo corpo si congelava dolorosamente in preda agli spasmi.

"Perdonaci, ma non sapevamo come calmarti. Stai tranquilla, il liquido che ti é stato iniettato provoca solo una paralisi temporanea, giusto il tempo per spiegarti che siamo qui per aiutarti"

Con voce strascicata e grande sforzo Hikari riuscí ad articolare poche parole. Le sembrava di essere un meccanismo non oliato da giorni, sentiva le articolazioni gemere fino a bloccarsi ed il suo corpo era come sotto anestesia. "Ah... Sí? Bella... Accoglienza" sospiró cercando disperatamente di riprendere fiato. La ragazza piú giovane scoccó un'occhiataccia a Sousuke.

"Ora ti spiegheró tutto, poiché non si puó fare altrimenti. Noi siamo della Mithril, un associazione non governativa volta al mantenimento della giustizia. Operiamo a difesa degli innocenti, sedando ogni conflitto" La donna si erse in tutta la sua statura con fare maestoso, puntando gli occhi duri come l'acciaio in faccia alla ragazza.

" E vi sembra... Operare... A difesa... Degli innocenti... Legarne uno... Ad una sedia... E sedarlo!?!" Rispose lei stentatamente acida.

"Giá, era proprio quello che volevo sapere io." Chiese severa la ragazza avevano chiamato Kaname.

"Ehm... Eri piuttosto fuori controllo. Comprendo che sedarti col taser non sia stata una buona idea, ma rischiavi di mandare a puttane l'intera segretezza dell'associazione Mithril." Rispose conciliante Mao.

"Quindi... Volete... Spiegarmi... Cosa volete... Da me?" L'affanno le paralizzava la mandibola, costringendola a sforzi disumani.

"Vogliamo proteggerti da coloro che vogliono farti del male" Rispose fiero Sousuke.

"Oh... Ma che... Gentili. E cosa... Ne ricavate?"
"La pace mondiale piú duratura del secolo."

"Oh... Ma... Davvero? Beh, grazie per l'interessamento, ma ce la posso... Fare benissimo da sola. Non ho bisogno di voi" Rispose sprezzante. Nonostante l'affanno, sentiva i muscoli scongelarsi lentamente. Non sarebbe rimasta in quella gabbia di pazzi megalomani un secondo di piú.

"Invece si che ne hai bisogno. Sei sola, e sei un obiettivo delle principali organizzazioni belliche mondiali. Non possiamo permettere che le informazioni immagazinate nel tuo corpo finiscano in mano loro" Mao prese il comando. Si appoggió sui braccioli della sedia, puntando gli occhi d'acciaio su Hikari. Ma Kaname non rimase a guardare.

"Ma ti paiono cose da dire? Perdonala, é solo preoccupata." Disse lei scansandola per sciogliere le corde.

"Non rimproverarla. Ha ragione. Non posso permettere che il mondo vada in fumo. Ho promesso che non mi sarei arresa, e non lo faró. Non lasceró che prendano le mie informazioni" Ghignó lei di rimando.

"Comunque, io mi chiamo Kaname. Ti dispiace se ti accompagno a casa appena ho finito con queste corde?  Cosí potró spiegarti un po' meglio ció che vogliono dire questi matti" Disse la blu guardandola negli occhi del suo stesso colore. Sorrise.

Hikari non voleva. L'unica cosa che desiderava era aspettare nel suo covo l'arrivo di chi l'aveva distrutta, per uccidere o per essere uccisa. Nient'altro. Senza loro, in fondo, non era che uno spettro vivente in cerca di vendetta. Ma un alleato sarebbe stato utile, a lei che era disarmata. Non si sarebbe fidata, li avrebbe solo sfruttati, giusto un pochino, per avere ció di cui aveva bisogno per vendicarsi. Poi, sayonara e a mai piú rivederci. Giró il viso dall'altra parte. " Va bene" brontoló.

 "Perfetto, allora andiamo!" Esultó Kaname prendendola per mano. "Noi due faremo un discorsetto piú tardi, sul significato delle parole"incognito" e "gentilezza"" Kaname fulminó Sousuke, che trasalí, dunque uscí dalla porta, trascinandola con lei sul pianerottolo.

"Perdonali. Sono solo un po' agitati, non gli era mai capitato che uno dei protetti li aggredisse a quel modo. Mao non voleva dire quelle cose, era solo preoccupata per te." Le disse la ragazza con tono tranquillo, pacifico.

"Per me, o per le sue preziose informazioni?" Rispose sarcastica lei, strofinandosi i polsi sui segni delle corde.

 "Dai, andiamo, ti accompagno a casa" disse lei prendendola per mano e portandola giú per le scale.
Giunte giú, subito Kaname si diresse verso la sua casa. "Come fai a sapere dove abito?" Chiese Hikari sospettosa.

"Prima in quell'appartamento ci abitavo io. Ma parlami un po' di te"

Dopo un quarto d'ora passato sotto casa di Hikari, Kaname era a malapena riuscita ad estorcerle un paio di monosillabi, mentre lei aveva dato il via ad una lunga disquisizione sulla Mithril e sui suoi scopi. Non era neanche riuscita a capire come avesse fatto a sapere di essere una Whispered. Tutto ció che riguardava la ragazza dopo l'incidente era avvolto nel mistero, e lei sembrava avvilupparcisi volontariamente, chiudendosi a riccio e sviando il discorso, senza effettivamente dire nulla di sè.

In realtá, Hikari non aveva affatto bisogno di tutti quei discorsi. L'aveva capito sin dall'arrivo di Kaname. Una ragazza del genere era l'onestá in persona. Non avrebbe mai potuto stare con dei terroristi cosí allegramente. Inoltre aveva le sue informazioni, e sapeva perfettamente cos'era la Mithril. Quella ragazza peró era cosí insistente, sembrava volesse assolutamente entrare nella sua vita, forzare l'entrata, che alla fine sarebbe stata costretta a cederle. Non doveva permetterlo, si doveva fermare prima. Kaname era impossibile! Se lei non cedeva con le buone, partiva con una lagna lunghissima sul fatto che non poteva fare tutto da sola, che loro c'erano sempre, ecc..., che per caritá, tutte belle parole giuste, sicuramente in altri frangenti le avrebbe dette anche lei, peró... In realtá era che Kaname aveva ragione e che lei non sapeva rispondere, o forse era troppo stanca per farlo e non voleva neanche provare a cambiare qualcosa. Che senso aveva risvegliare i buoni pensieri, se non c'era nessuno per cui viverli?

Persa nei propri pensieri, aveva bellamente ignorato Kaname.
"Hei, mi stai ascoltando? Ti ho chiesto se posso venire su a prendere le mie vecchie cose, quelle scartoffie in cima all'armadio, ricordi?"

"Oh, si, certo, sali" Si risveglió lei improvvisamente.
Subito Hikari si diresse alle scale.

 "Perché non prendi l'ascensore?"

"É rotto".


Quindici minuti dopo, le risate di Hikari accoglievano l'arrivo di Kaname esausta, che si trascinava sugli scalini con la lingua di fuori e gli occhi bassi come un mulo, e i lunghi capelli blu grondanti sudore che spazzavano il pavimento.

"Ma come, non ce la fai? Tu, la grande Kaname Chidori..."disse Hikari squadrandola con finta sufficienza, con la voce che trasudava amaro sarcasmo.

"Sono... Un po'... Fuori allenamento, tutto qui. Dammi un paio di giorni e..." Rispose lei ansimante, con le mani sulle ginocchia.

"Oh, sisi, immagino..." Ghignó.
"Mi stai prendendo in giro?" Rispose squadrandola da sotto i capelli.

"Ma va?"

"Brutta...!" Kaname la attaccó con una battaglia di solletico. Entrambe risero sfinite sul pianerottolo alla fine delle ostilitá. 1* punto debole di Hikari: Il solletico! Si appuntó mentalmente Kaname, osservando l'espressione vagamente rinfrancata della compagna sulle occhiaie scure e le guance scavate. Infine, Hikari si ricordó di dover aprire la porta. Prese le chiavi, fece scattare la serratura e...

Un magnifico ragazzo a torso nudo alle prese con i fornelli si mostró agli occhi sorpresi di Hikari ed a quelli scioccati di Kaname. Quella Hikari scontrosa, vendicativa, depressa e piena di rancore aveva dunque un fidanzato?!?! Pensó Kaname con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. Ed era pure bello, con quei muscoli, i tratti marcati, la mascella crudemente delineata... Stop! Insomma, lei aveva Sousuke, no?
"Mathieu, cosa ci fai qui? Hai sbagliato appartamento per caso?" Ironia, portami via! Kaname alzó gli occhi al cielo.
"Ma come, non posso preparare la cena alla mia dirimpettaia preferita?" La aduló lui con un sorriso smagliante alla Mentadent e lo sguardo da cucciolo implorante.
"E anche l'unica. Abbassa quella torcia e rispondi alla mia domanda" gli sorrise bonariamente.
"Beh, di solito non esci mai se non il giovedí, e quando rientri sei piú triste di un cagnolino sbattuto per strada. Cosí ho pensato che dato che non rientravi, doveva essere successo qualcosa, e mi sono detto: "Tiriamo su il morale alla piccola stellina triste che é tanto buona con me" ed eccomi qui." Rispose lui dandosi un tono da fratello maggiore mentre le scompigliava i capelli.
"Come hai fatto ad entrare?" Hikari incroció le braccia sul petto.
"Hai lasciato la porta aperta stamattina" rispose tranquillo lui fissandola di sottecchi dai fornelli, con uno sguardo strano che la infastidí.



 Beh, di una cosa Hikari era certa. La porta quella mattina era chiusa.



 


Come é questo capitolo? In realtá, sono un po' insicura sui dialoghi e alcune parti. É soltanto un capitolo di transizione, peró... Forse lo modificheró leggermente nei prossimi giorni, ma la trama principale non verrá intaccata. Voglio tastare un po' il terreno, mi comporteró di conseguenza a ció che mi potrebbe essere criticato cercando una soluzione espressiva migliore. Un racconto cresce attraverso le critiche. Recensite. Ringrazio chi ha messo questa storia fra le seguite e chi ha recensito i precedenti capitoli. Grazie infinite!


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Capitolo 4
*** Novitá sul caso Kurojima ***



Novitá sul caso Kurojima

"Allora, non mi presenti la tua amichetta?" Chiese il tipo guardandole le gambe scoperte e confrontandole con quelle coperte dai jeans di Kaname.
"Non c'é nessuno da presentare qui. Kaname se ne sta andando, ed anche tu" rispose acida prendendo dalle sue mani la cucchiaiola e puntandogliela contro con fare minaccioso. Poi si giró rivolgendosi a Kaname : "Perdonami, ma al momento credo di non essere in vena per una chiacchierata tra ragazze. Prendi le tue cose e tornatene dal tuo fidanzato, ci vediamo domani a scuola" Kaname quieta quieta andó all'armadio nell'altra stanza, ma poi si nascose dietro lo stipite della porta, aguzzando l'orecchio.
"Scusami anche tu, ma non mi vanno neanche le cenette romantiche stasera, quindi tó, prenditi la tua bella frittata, le verdure cotte, e tornatene di lá. Forza su!" Gli impiattó ció che aveva cucinato, glielo mise fra le mani e lo spinse verso la porta, ma il ragazzo non demorse e l'afferró per un braccio, cosa che non le piacque per niente.
"Dai, stellina, volevo solo tirarti su il morale, perché mi tratti cosí male?" Disse lui mettendo su un tenero broncio. Per un attimo, Hikari pensó di aver fatto sul serio un errore di valutazione, che Mathieu la volesse davvero aiutare, ma poi scosse la testa e si riprese, divincolandosi dalla stretta vigorosa. Il suo alito puzzava vagamente di alcool.
"Scusami, ma oggi mi hanno trattenuta a scuola senza motivo per tutto il pomeriggio e sono nervosa. Ci vediamo domattina, ok? Ciao" Detto questo, lo spinse veementemente fuori dalla porta, sbattendola e mimando un calcio appena l'ebbe chiusa.
"Tirarmi su il morale, ma a chi vuol darla a bere!" Brontoló sbuffando e dirigendosi verso i fornelli con lo straccio per pulire. Per colpa della bravata di quei deficenti tra l'altro, non si era ancora tolta quella ridicola divisa scolastica.
"Kaname, ora puoi uscire da dietro la porta, tranquilla, Mathieu se n'é andato!"
"eh, scusami ma mi era caduta una cosa..." Si scusó nervosa Kaname. Hikari alzó le spalle, scacciando una mosca invisibile con la mano.
"Nessun problema. Ora va, gli altri ti staranno aspettando" disse Hikari alzando gli occhi dal piano cucina sporco d'uovo e puntandoli su di lei, seria come la morte.
"Ok, ci vediamo domani allora" pigoló lei.
Con la mano appoggiata alla maniglia peró, Kaname si giró ancora. "Per curiositá, che c'é fra te e Mathieu?"
" Siamo solo vicini di casa. Ed ora va, prima che ti tiri una scarpa!" Rispose l'altra afferrando scherzosamente una  delle scarpe da ginnastica nere che portava ai piedi.
La porta si chiuse sbattendo. Hikari rimase qualche secondo a fissare la porta, come ipnotizzata, prima di rendersi conto che il cielo nel frattempo era diventato scuro, e dove prima la stanza era illuminata, tutto giacesse in una cupa penombra. A quel punto sbatté lo straccio sul ripiano ormai immacolato e sbottó in un "Baaaah!", prima di dondolare fino al letto ancora sfatto da giorni. Vi si buttó sopra a faccia in giú, nascondendo il viso nelle lenzuola, con gli occhi vuoti e spalancati. Immobile, apatica, restó per minuti interi in quella posizione, poi chiuse le braccia intorno alla testa e inarcó la schiena, chiudendo il lenzuolo nei pugni. Tremó nel sentire l'assenza di loro. Il dolore la scosse, di nuovo, a ondate regolari, ma lei non lo sentiva. Pure la vista tremava, scossa da quel terremoto doloroso. Visi di chi non c'era piú traballavano di fronte ai suoi occhi, infrangendosi come lastre di vetro ad ogni scossa, confondendosi fra loro, in un mescolio di capelli biondi, neri e castani, in una vorticante visione infinita. Eppure, non era ancora crollata. Non aveva piú piú pianto da allora. Non ci credeva. Loro non potevano essersene andati, no, loro erano ancora lí, con lei... Traballante, si alzó e si portó di fronte allo specchio. Un mostro sfatto comparve davanti ai suoi occhi in tutta la sua cupa miseria. In quello specchio vide riflessi due abissi nocciola di rimorsi e rimpianti, chiusi nella loro spirale interminabile di sensi di colpa, vuoti. Vide due occhi cerchiati, incavati nella pelle pallida, capelli sporchi e disordinati, una pelle arida e secca, le ossa della clavicola sporgenti come non erano mai state. Non riconoscendosi, si portó una mano alla guancia, tendendola verso il basso. Ma soprattutto, vide un enorme vuoto al centro del suo petto. Istintivamente, vi portó il palmo aperto a tastarlo, non trovandovi nessun buco. Deglutí, lasciando la bocca socchiusa. Il vuoto nei suoi occhi la inghiottí. Nuovamente si buttó sul letto supina. Immobile, fissó supina il suffitto fino alla mattina seguente, tastandosi di tanto in tanto il petto per capire dove fosse il buco da dove era fuggito il dolore insieme agli altri sentimenti. Il vuoto la divorava, paradossalmente piú doloroso di qualsiasi dolore.




Apatia. Fuga involontaria della coscienza dal dolore certo che non vogliamo affrontare.




Nel frattempo, Kaname era tornata a casa. Aperta la porta, salutó tutti e si diresse al tavolo dove i due stavano confabulando.
"Cosa combinate?" Chiese. La cacciata del vicino di casa di Hikari aveva completamente cancellato i suoi propositi di rimprovero per Sousuke, e vedere i due (Kurz a quanto pare non era ancora tornato) tutti concentrati sui loro binocoli l'aveva incuriosita.
"Controlliamo la situazione. Com'é andata da Kurojima?" Chiese Mao senza abbandonare l'aggeggio.
Kaname si sedette a cavalcioni della sedia. "Non sono riuscita a farmi dire niente. Quella ragazza é piú chiusa di un riccio! In compenso, ho ricavato informazioni dal suo vicino di casa, tale Mathieu. Si era introdotto nell'appartamento di Hikari per prepararle la cena. La cosa piú interessante é che prima che lei lo cacciasse in malo modo, lui ha accennato al fatto che Hikari esca solo di giovedí, e che ritorni a casa piú triste del solito"
"Come ti é parso il tipo?" Chiese stavolta Sousuke. Da quando era entrata, nessuno dei due le aveva rivolto lo sguardo.
" Il francese? Beh, in realtá parecchio invadente, ma ho visto di peggio" disse ricordando un tentato furto di mutande.
Entrambi si girarono finalmente verso di lei. "Secondo te, dove potrebbe andare Kurojima tutti i giovedí?" Chiese perplessa Mao. "A quanto hai detto, esce solo in quei giorni, e ritorna piú triste del solito. Non credo vada a fare una gita di piacere. Magari va al cimitero. Sbaglio, o il dieci agosto era giovedí?" rifletté pensierosa la mora.
"Dovremmo seguirla. Magari si é infilata in brutti giri. Le persone disperate possono fare di tutto" rispose sullo stesso tono Sousuke.
"Hai ragione. A proposito, che giorno é oggi?" Chiese Kaname guardando il calendario emergente da uno dei suoi pacchi.
"Martedí. Abbiamo un giorno intero per preparare la sortita" Rispose Mao imponendosi col suo fisico sugli astanti.
"Bene. Ci serviranno fucili, bombe a mano, fumogeni e lacrimogeni in gran quantitá..." Subito Sousuke prese a fare un lungo elenco delle armi secondo lui necessarie ad un pedinamento.
"SOUSUKE!" Inveirono entrambe le ragazze contro il povero soldato.
"Ma Kaname, hai detto tu stessa che Kurojima potrebbe essersi infilata in brutti giri! Bisogna premunirsi!" Si scusó lui non capendo cosa avessero da ridire.
Le due ragazze tramutate in belve dai denti aguzzi e gli occhi di fuoco stavano per divorarlo, quando...
"Cucú! Buonasera ragazzi, interrompo qualcosa?"
... Un cecchino libertino dalla bionda capigliatura ed i cerulei occhi entró gaiamente nell'appartamento. Esatto, Kurz era tempestivamente arrivato, salvando la vita, e forse qualcosa in piú, al sergente Sagara.
"Kurz, hai trovato qualcosa con l'M9?" Chiese stupita Mao, notando l'oggetto non ben identificato, avvolto da un panno nelle mani del sergente.
"Beh, ho pensato di farmi un giretto sul luogo del delitto, stamattina, mentre loro erano a scuola. Nel rapporto c'era scritto che l'incidente era stato causato da qualcosa d'invisibile, vero? Non cosí tanto allora" disse aprendo con fare teatrale il panno, mostrando un contorto pezzo di lamiera chiara.
Mao si avvicinó: "é un pezzo di M9 di ultimo livello! Questo" disse indicando il numero di fabbrica inciso su quello che doveva essere un pezzo di collo "é il numero dato ai robot da combattimento di ultima generazione!"
"Si, ma chi ci dice che abbia a che fare con l'incidente? Ultimamente ci sono stati diversi scontri a Tokio" obbiettó Kaname.
"Nessuno in quella zona, si tratta di una via periferica senza nome, praticamente sconosciuta" rispose pronto Kurz sedendosi al tavolo e posando l'oggetto.
Kaname assunse un'espressione stupita "Questo significa..."
"... Che chi insegue Kurojima é ricco e potente per potersi permettere un M9  di ultimo livello <> per uccidere dei civili" concluse Sousuke.
"Bisogna stare attenti. Kurz, da domani evita i giretti, mantieni l'allerta e tieniti pronto ad ogni evenienza col tuo M9. Sousuke, non devi perderla mai di vista, é chiaro? Ne va della sua vita" disse Mao puntando i suoi occhi violetti in quelli castani di Sousuke. Poi si giró verso Kaname: "Ti affido Sousuke, ok? Fa in modo che non crei casini con il soggetto" disse riferendosi alle basse capacitá diplomatiche del soldato.
"He, he, ceeerto!" Rispose lei grattandosi la testa.


Eee il capitolo di oggi finisce qui! Chi si nasconde dietro l'assassinio del 10 agosto? Un grazie a LightOrDarkness per le recensioni, alla prossima settimana! Sono andata bene?


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Capitolo 5
*** Il mistero si infittisce ***


Il mistero si infittisce

Il giorno dopo una zombie profumata di verbena fuoriuscí dall'appartamento di Hikari in tutta la sua decadenza. Non ebbe nemmeno il tempo di uscire del tutto che il vicino invadente del giorno prima la investí con tutta la sua bellezza mattutina ed il suo famigerato sorriso alla Mentadent. Un borbottio che doveva essere uno "sparisci" emerse con voce da oltretomba dalle labbra di Hikari.
 "Che cosa?"
"Ho detto "sparisci"" ribadí lei con lo stesso tono e dirigendosi a passo di bradipo depresso all'ascensore, che non era affatto rotto.
"E dai stellina, volevo solo farti una sorpresa!" Piagnucoló lui prendendola per il polso.
"Si certo, facendo effrazione in casa mia ubriaco fradicio proponendomi di "tirarmi su il morale!" Ma per chi mi hai presa?" Rispose lei furibonda, con gli occhi che parean fulmini e l'espressione contrariata.
"Ma stella, lo sai che non intendevo questo su, permettimi di scusarmi!" Piagnucoló ancora lui resistendo ai suoi tentativi di divincolarsi.
"E come, di grazia?" Sputó acida lei.
"Ti invito a cena da me stasera"
"Te lo puoi scordare" ringhió lei strattonando via finalmente il suo polso da quella presa ferrea e dileguandosi infine lungo le scale.
"La giornata non poteva cominciare peggio!" Pensó Hikari buttandosi in strada, e notando quasi simultaneamente una coppia di liceali di sua conoscenza pedinarla con noncuranza.
"Ragazzi, vi ho visto! É inutile che vi nascondiate dietro un paio di occhiali da sole, siete facilmente riconoscibili lo stesso!" Urló Hikari spaventandoli.
"Andiamo bene" borbottó poi fra se e se.

In cima al palazzo di fronte alla scuola, una sagoma grigia si confondeva nell'atmosfera inquinata di Tokio. Attraverso il rilevatore di calore, uno sguardo cupo e penetrante osservava la sagoma colorata in rosso di una ragazza dietro la vetrata dell'edificio. Rimase a contemplarla diversi minuti, prima di spostare lo sguardo sui suoi accompagnatori.
"Un M9? Sul serio?" Rise divertito l'uomo prima di accostare il telefono all'orecchio.
"Ci sono novitá, agente Whisdian?" Una voce gracchiante, sicuramente modificata, fuoriuscí dall'apparecchio nuovo di zecca.
"Niente di nuovo per il momento. La sorveglianza si fa piú stretta." Rispose l'uomo osservando il guidatore dell'M9  invisibile.
"E tu aggirala. Ne sei capace, no? Sai qual'é il tuo scopo"
"Si, lo so. Ho registrato le frequenze radio. Si prepara qualcosa, e sento nell'aria che non é niente di buono" Persino l'aria era immobile.
"Perfetto. Appena si scatenerá la tempesta, attiva la fase 2 del piano, e quando le acque si saranno calmate, portala da noi"
"Ricevuto"

Sei ore dopo, i tre riemersero naufraghi dall'apparato scolastico, ma solo uno era destinato ad essere salvato da una zattera extralusso. Un bolide nero, una Jaguar xj, sostava acceso davanti all'ingresso,  con il finestrino abbassato per permettere al guidatore di vedere chi passava.
"Ehi, bambolina! Ti va di farti un giro sul mio bolide?" Chiese in tono strascicato il tipo alla guida, sbattendo leggermente la bottiglia semivuota sulla carrozzeria con fare allusivo.
"Mathieu! Che cazzo ci fai qui? Sei ancora ubriaco?" Lo aggredí lei avvicinandosi all'auto. Non aveva nè la voglia nè il tempo di stare appresso ad un cretino, ossessivo tra l'altro. La stava perseguitando, per caso?  Subito Sousuke e Kaname la seguirono, pronti ad intervenire. Quel tipo cominciava a non piacergli affatto.
"E dai stellina che ti ho fatto? Non dirmi che non vuoi un passaggio" rispose lui sfiorandole i fianchi con due dita.  Lei gli sbatté a terra la bottiglia, che si frantumó al suolo in una pozzanghera trasparente. "No che non lo voglio il tuo passaggio! Mi hai stancato, Mathieu. Se non la finisci di perseguitarmi, ti denuncio! Che cavolo ti é preso, me lo spieghi? Com'é che hai preso ad ubriacarti?" Urló Hikari fuori di se. Giá era distrutta per conto  suo, ci mancava solo questa.
Contemporaneamente Mathieu uscí dall'abitacolo e, chiuso lo sportello,  le si paró di fronte. "Smettila di urlare, mi fai venire il mal di testa. Non farti pregare e vieni con me!" Le ringhió attirandola per i polsi verso di se. Sousuke non attese oltre e senza darle il tempo di divincolarsi, si intromise tra i due, immobilizando il ragazzo con il muso contro il cofano e puntandogli una pistola alla tempia. I muscoli di Mathieu guizzarono allenati, ma lui non si oppose. "Hai finito, individuo sospetto! Se oserai un'altra volta avvicinarti a Kurojima, ne risponderanno te e la tua famiglia, sono stato chiaro?" Gli urló nelle orecchie Sousuke. Hikari, appoggiata alla carrozzeria nera brillante, venne spinta per sbaglio dal gomito di Sousuke dentro al finestrino. "Un binocolo?" Disse fra se e se afferrando l'oggetto dal sedile passeggiero. Era piú lungo di quanto li ricordasse, e guardandoci dentro vide solo giallo e arancione, in un mescolio sfocato. Doveva essere un caleidoscopio non messo a fuoco.
"Ehi Kurojima, che devo farci con questo? Credi abbia imparato la lezione?" La voce di Sousuke la riscosse dai suoi pensieri.
"Eh? Si, si, lascialo andare" rispose distratta, per poi fulminare Mathieu. " E tu. Non farti piú vedere. Prendi il tuo  ^bolide^ e sparisci" gli ringhió minacciosamente mentre lo prendeva per il dietro del colletto e lo ributtava nella macchina. Mathieu le mandó un'ultima occhiata astiosa, prima di dileguarsi a velocitá folle nella via, sollevando una gran nuvola di polvere.
"Credi che si fará rivedere?" Le chiese Kaname.
"No, non credo, e comunque non mi interessa. Se mai dovesse tornare alla carica, saró io stessa a cacciarlo. E non gli piacerá" concluse Hikari cacciandosi le mani nelle tasche e incamminandosi verso casa. Le nuvole si addensavano lentamente sulle loro teste, oscurando il sole. In quell'atmosfera cupa, i tre ragazzi raggiunsero le loro case, preparandosi ognuno a modo suo alla giornata che li aspettava.

Quel giorno, tutto pareva attendere in una cupa aspettativa. Il cielo era scuro come pece, e poco dopo la sveglia una pioggia fitta e malinconica, di quelle che rigano i vetri e annebbiano gli occhi come lacrime, prese a cadere a goccie calde e pesanti. Hikari alzandosi mise nel portafoglio un biglietto dell'autobus e uscí, seguita a ruota da Kaname e Sousuke, che notando il suo malumore rimasero a distanza di sicurezza. Al posto dei libri, Sousuke non aveva accettato compromessi su questo punto, entrambi tenevano negli zaini due corde, un arpione, un coltellino svizzero e un binocolo, e in quello del ragazzo un fucile e qualche fumogeno. Usciti da scuola, l'atmosfera era rimasta invariata. Una cappa di mistero e sospetto avvolgeva la ragazza che, indifferente, si trascinava sotto l'ombrello scuro verso la stazione dell'autobus. Prima di  entrarvi, prese la penna per scrivere un appunto.  Sousuke ricevette una chiamata da Kurz sul telefonino. Strano, avevano i ricetrasmettitori, perché chiamarlo al telefono?
"Ragazzi, c'é un problema! Il ricetrasmettitore dell'M9 e il cavo video sono andati in tilt, sono costretto a tornare alla base questo pomeriggio per resettarlo. Pensate di farcela da soli?"
"Certo Kurz. Non c'é bisogno di preoccuparsi. La seguiremo noi. Tu va e risistema in fretta l'M9. Ci sentiamo piú tardi" Sousuke chiuse la telefonata e lo disse a Kaname. I due seguirono in silenzio Hikari, che rimase indifferente a loro per tutto il viaggio, fissando malinconicamente il paesaggio rigato di pioggia fuori dal finestrino. "Anche quel giorno pioveva" sussurró a se stessa piú triste che mai. La sua espessione era piú cupa del cielo, e intimoriva chiunque provasse ad avvicinarla, lasciando vuoto il posto accanto a lei, nell'autobus stranamente silenzioso ai loro orecchi.
Nè il tempo, nè l'umore di Hikari si modificarono affatto durante l'arco della giornata, anzi. Sembrava piú depressa del solito, mentre abbandonava la mensa scolastica prima del tempo. Uscí nella strada inondata di pioggia senza l'ombrello. Quasi a volerlo fare a posta, portava una maglietta a mezze maniche e dei pantaloni della tuta cosí grigi da uniformarsi all'atmosfera cupa di quel giorno. Attendeva a schiena curva l'autobus, lasciando i capelli biondi e fradici colarle sugli occhi. Teneva lo sguardo basso e lasciava che la pioggia e il freddo le scivolasse a dosso con indifferenza, il tutto rendendola una sagoma invisibile in quella grigia e triste giornata. Persino l'euforia di Kaname per il pedinamento si era sciolta come neve al sole nel sentire tutta quella cupa tetraggine.  Hikari salí sull'autobus, e immobile attese accanto al finestrino. Sospiró. Quei due non avevano proprio idea su che cosa fosse la moderazione. Scese due fermate prima, eclissandosi tra i vicoli per depistarli, ma non erano loro il problema maggiore. Qualcun'altro la stava seguendo, vedeva la sua sagoma muoversi sui tetti. Si infiló in un sottopassaggio, poi in un vicolo, infine in una viuzza che sfociava in aperta campagna, ma continuavano a starle alle costole. Vedeva i suoi due compagni fare capolino dagli angoli delle strade. Si mise a correre per seminarli, infilandosi in un vicolo cieco. Un tombino era aperto, proprio accanto al muro di confine. Vi si buttó dentro il piú in fretta possibile, ma entrando batté la schiena. Arrivata al fondo, si diresse a colpo sicuro nella direzione della campagna.  Si immerse senza remore nella mota maleodorante che le impastava i piedi, e si incamminó a passo spedito, ignorando bellamente le pareti trasudanti sudiciume della fogna. Arrivata alla fognatura della Via, si fermó. Un pezzo di lamiera era legato da uno straccio rosso ad una tubatura vicino ad un tombino, mentre attaccato a quello a fianco ce n'era un altro legato da uno straccetto bianco. Un sorriso sarcastico le piegó le labbra, mentre si dirigeva verso il primo tombino. Quello straccio era impregnato di sangue.
Finalmente all'aria aperta, respiró a pieni polmoni l'aria umida di quel pomeriggio di pioggia. Sorpresa si guardó intorno. Era arrivata! Si trovava alla pista di pattinaggio vicino all'ospedale in rovina. I ricordi, aiutati dalla pioggia, la avvolsero. Si ricordó trascinarsi lontano dall'incidente durante il caldo temporale estivo. Si ricordó di essersi spinta fino ad una passante che sostava di fronte al vecchio ospedale. Un giovane viso di donna la accolse nella nebbia dei suoi ricordi... Quando la nebbia si diradó, il viso che aveva sognato fece capolino per un attimo dalla finestra della vecchia casetta dei pattini, facendole segno di entrare. Due, anzi tre paia di occhi, contrariamente alla volontá di non essere seguita di Hikari, fissavano la scena dai palazzi circostanti, attraverso i binocoli. Sousuke si mise in contatto con Mao: "Uruz 2, dacci la frequenza della cimice sulla tuta di Kurojima" "Ricevuto". Dopo pochi secondi di gracchiante silenzio, un paio di voci fuoriuscirono debolmente dagli apparecchi acustici dei due ragazzi.
"Ciao Hikari. Come va? Novitá? Sei tutta bagnata!" Disse la donna, che aveva a prima vista una faccia dolce e simpatica, con occhi castano scuro e lunghi capelli castani semiraccolti sulla nuca.
"Signora Rangetsu. Sono felice di vederla" rispose la ragazza. Le tre spie guardarono la scena attraverso la finestra opaca della casetta, in cui c'erano solo scaffali impolverati, due vecchie sedie impagliate e una cassetta del pronto soccorso.
"Signora... La Mithril mi ha messo alle costole quattro agenti. Crede che stia per accadere qualcosa di brutto?" Le chiese Hikari a bruciapelo.
"Peró, complimenti per averlo scoperto! Puoi stare tranquilla: Nel caso in cui dovessi sapere qualcosa sarai la prima a saperlo" La rassicuró la donna.
"Come sta suo marito?"
"Bene, ha tanto lavoro da fare! L'esercito non lo lascia un attimo tranquillo" rispose la donna mentre rovistava nella cassetta.
"Gli porga i miei saluti" Il silenzio caló per qualche secondo mentre la donna finiva di rovistare.
"Bene. Ora siediti a cavalcioni sulla sedia, spogliati e fammi vedere le tue ferite" Hikari subito ubbidí, dandole le spalle, mentre la donna si sedeva sull'altra sedia. Ma di quali ferite stava parlando?!
Hikari si tolse la maglia informe e grigia, rimanendo in canottiera. Macchie irregolari di un rosso-brunastro coloravano il tessuto, ormai inservibile, mentre dal bordo della canottiera spuntava una fasciatura che si prolungava fino alla base del collo, anch'essa lercia. "Oh, oh! Qualcuno non ha seguito le mie istruzioni! Ti avevo detto di non strafare, e tu guarda cos'hai combinato! Vediamo in che condizioni stanno. Non dovevi fare tutta questa strada sotto la pioggia. Potevi portarti un ombrello!" Disse lei guardando lo straccetto sporco con aria di rimprovero. "Non é stata la pioggia, ho sbattuto contro il bordo del tombino." Ecco perché c'erano quelle macchie di sangue nelle fogne che abbiamo seguito! Pensó Kaname. Delicatamente, la donna afferró il bordo della canottiera e cominció a sollevarlo. Hikari rimase straordinariamente impassibile. Con un suono vischioso di sangue rappreso, la canottiera si sollevó, mostrando una fasciatura di cui a malspena si capiva il colore originale, tant'era pregna di siero e sangue, tendendo da un giallino malato ad un rosso vivo, che si gonfiava e si alzava purulenta in alcune zone, mentre in altre sembrava essersi incollata alla pelle col sangue. Il tutto, Sousuke poteva immaginarlo, emanava un puzzo di carne aperta, siero e sangue molto pesante per chi non c'era abituato, ma la donna non parve farvi caso. Doveva essere preparata. "Ma guarda che casino che hai combinato! Aspetta, che ti risistemo io. Dovresti stare piú attenta peró, e non trascurarti solo perché non lo senti!" Hikari annuí soltanto, indifferente. Lentamente la donna taglió la garza con un bisturi, lasciando cadere le bende a terra. Quando ebbe finito, agli occhi dei ragazzi apparve uno spettacolo raccapricciante: La schiena di Hikari era ricoperta di sangue, che fuoriusciva da lunghe ferite simili a frustate che ricoprivano interamente la sua schiena. I bordi delle ferite, tutte di diversa lunghezza, erano rialzati e gonfi, probabilmente infettati, e la carne aperta trasudava liquidi. Il pavimento si riempí di sangue, ma Hikari non aveva alcuna reazione, sembrava non sentire nulla. I due ragazzi fissarono lo spettacolo inorriditi. Che diavolo le era successo, e chi era quella donna?
 




Ed eccomi di ritorno con il capitolo piú depresso di questa storia. Giuro, non ne faccio piú così! Forse solo il prossimo... Ringrazio ancora LightorDarkness per aver recensito questa storia, e per avermi fatto notare gli errori di battitura. Alla prossima settimana!
P.S. Saró in route scout fino al nove, quindi non aggiorneró perlomeno fino al 12. Auguratemi buona fortuna!


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Capitolo 6
*** Chiarimenti e fughe ***


Chiarimenti e fughe

La porta della casupola si spalancò con un tonfo, sollevando una gran nuvola di polvere. "Che sta succedendo qui?" Urló Kaname irrompendo nella stanza, seguita da Sousuke armato di pistola. Hikari e la donna li fissarono a metá tra il sorpreso e lo scocciato.
"Forse questo lo dovrei chiedere io a voi. Che ci fate qui?" Rispose sorpresa Hikari.
"Per tua informazione, loro sono qui per proteggerti. Perché fuggi da noi? E cosa sono quelle ferite?" Rispose mezzo-isterica Kaname indicandole col palmo della mano. "Esattamente quello che hai detto. Ferite. E la signora me le sta curando, tutto qui. Devo aggiungere altro?" Disse la ragazza fissandola con astio. A quel punto intervenne la signora Rangetsu: "Ragazzi, calmatevi. Non c'é bisogno di agitarsi tanto. Adesso sedetevi, vi spiegheremo tutto quanto" disse alzandosi dalla sedia. Hikari la brució con lo sguardo. "Che cosa?"
"Hai capito benissimo, cara. Mentre medico il disastro che hai combinato, tu gli spiegherai tutto" La signora continuó a muoversi intorno alla ragazza, e, dopo aver ricucito le ferite, si stava apprestando a fasciarle. Per stringerle, le spinse un piede sulla schiena, usandolo come perno. I due ragazzi sgranarono gli occhi.
"Ma non senti dolore?" Disse Kaname. Hikari non aveva emesso un grido, ne modificato la sua espressione, durante l'intera operazione. Statuaria, e fedele al suo ruolo, non rispose nemmeno. La signora sbuffó, e rispose al suo posto: "No, non sente dolore, ma non é una bella cosa. Quando l'ho incontrata, si trascinava agonizzante dal luogo dell'incidente. Io sono medico e l'ho aiutata" La signora prese fiato tirando le fasce.
" E allora perché il suo nome non é in nessun registro d'ospedale? Queste ferite non si risolvono con un po' d'acqua ossigenata ed un cerotto" si intromise Sousuke. La signora rispose continuando a vorticare instancabilmente intorno ad Hikari.
" Beh, dovete sapere che mio marito" la donna si torse l'anello con un brillante castone verde che portava al dito "é un ufficiale dell'esercito giapponese, ed in quanto tale sono a conoscenza della Black Technology. Mi é capitato di avere sottomano Whispered non ancora in grado di gestire il proprio potere proprie conoscenze. Hikari era in stato di shock, shock che aveva risvegliato le sue conoscenze. Il mix la stava facendo impazzire. Cosí l'ho sedata e medicata in segreto. Ma..." Hikari la bloccó con un gesto della mano, mentre con l'altra si coprí l'occhio destro. Ghignando, rispose: " Ma io ho abusato di antidolorifici, che mi hanno bruciato i recettori sensoriali del dolore nel cervello" Vide l'espressione sconcertata dei due, e soprattutto di Kaname e continuó: "Come, non lo sai? Per avere miglior accesso alle nostre informazioni, chi ce l'ha inserite ha abbassato le nostre difese cerebrali. Se hai provato farmaci per il mal di testa mi hai giá capito" Il suo ghigno non si spense, anzi, si contorse ancora di piú. Kaname rifletté: "É vero, mi é sempre bastato un quarto di pillola"
La signora aveva ormai fasciato tutto il petto e l'addome, fino all'attaccatura del collo, lasciando libere le braccia. La ragazza si rimise la sua maglia grigia. "É cosí. Siete piú sensibili a psicofarmaci e droghe. Questo vi rende anche molto piú vulnerabili alla dipendenza, e molto piú facili da controllare. Hikari ha superato la fase di dipendenza da antidolorifici perché abusandone ha letteralmente bruciato la sua capacitá di sentire il dolore. E non é affatto bello. Il dolore ci avverte del pericolo imminente..." Venne di nuovo bloccata. "Cosí mi fai sembrare un mostro drogato! Io non ho bisogno del dolore, perché non ho nessun pericolo di cui aver paura!" Disse Hikari alzandosi in piedi, infervorata. "Smettila di parlare cosí!" Gridó Kaname fuori di se. "Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Credi che loro sarebbero felici se tu sprecassi la seconda possibilitá che ti hanno dato in questo modo? Guardati! Sei una drogata che pensa solo alla vendetta, e questo non é la cosa peggiore, perché stai rendendo inutile la loro morte!"
Il secco suono di uno schiaffo risuonó nello stretto ambiente. Hikari, che respirava profondamente, aveva percosso Kaname con uno schiaffo in pieno volto, che l'aveva costretta a piegare il viso da un lato e a ripiegarlo sulla spalla. Il pugno sinistro di Hikari era trattenuto da Sousuke, che non aveva peró potuto bloccare lo schiaffo. Entrambe rimasero immobili, con lo sguardo cupo coperto dai capelli. "Come osi?" Sibiló la ragazza. "Come osi?" Sibiló piú forte. "Siete solo capaci di dire belle parole. Oh, si, avete tutta la ragione del mondo, ma cosa volete saperne di me, di cosa provo, del dolore che non riesco a sentire, delle lacrime che non riesco a versare? Come vi sentireste a sapere che siete voi la causa della morte di chi piú amate?" Le ringhió in un rabbioso crescendo.
"I-io... Non lo so" ammise infine Kaname, senza alzare gli occhi dal pavimento.
"E allora non ti permettere di giudicare senza conoscere!" Le urló di nuovo contro, tentando nuovamente di aggredirla, trattenuta fortunatamente da Sousuke. Biascicó ringhiando qualche imprecazione a mezza voce. Infine, ancora mezzo tremante di rabbia, con la testa bassa si divincoló dalla presa di Sousuke, afferró la felpa della tuta e uscí dalla casetta mormorando uno strozzato "Mi scusi, signora Rangetsu" e sbattendo la porta.


Dopo qualche interminabile secondo di silenzio, i due si scusarono con la signora e uscirono di corsa per raggiungere la ragazza.


La donna sorrise, sperando che andasse tutto bene, mentre riponeva i suoi strumenti nella valigetta. Finito ció, si affacció al vetro sporco della finestra. I suoi occhi, di un caldo castano scuro, si illuminarono improvvisamente di una luce verde. Alle sue spalle, una voce cupa parló, mentre l'anello al suo dito pulsava a ritmo.
"Salve signora Hitomi Rangetsu. O forse dovrei chiamarvi vedova Rangetsu?"
La donna abbassó lo sguardo e strinse i pugni. "Salve, Lav"
"Come sta andando nel settore 2814b?"
"La chiave sará pronta entro un paio di mesi. Il pericolo sta per essere neutralizzato. Ti basti questo, puoi andare."
Una mano artigliata, buia e fumosa si posó sulla sua spalla. "Come siamo scortesi oggi. Hai litigato con tuo marito, per caso?" Una cupa risata risuonó nell'ambiente vuoto. La punta delle dita della donna si illuminó di una tenue luce verde. La signora poggió la mano su quella nera e fumosa sulla sua spalla, che sfrigoló e lasció la presa.
"Ho detto: Puoi andare"
"Come desideri"
Quando si giró, la donna fece in tempo a vedere solo un lampo verde che spariva.



Hikari camminava lenta sotto la pioggia, col cappuccio della felpa tirato sopra la testa, che a malapena faceva scorgere un paio di ciocche bionde ed un'espressione cupa. Sopra il frastuono della pioggia, due persone correvano dietro di lei, cercando di raggiungerla nella strada ampia e semideserta.
"Hikari, fermati! Sul serio, mi dispiace, so che per te é difficile..." Kaname ansava dietro di lei, infreddolita nella corta uniforme scolastica. Dietro di lei, Sousuke la osservava con lo sguardo fermo e serio che gli si confaceva, invitandola a fermarsi.
"Tranquilla, va tutto bene" La ragazza si fermó, rimanendo a testa bassa. I due rimasero dietro di lei, insicuri su cosa fare.
"Sicura?" Chiese Kaname con voce tremante. "Si, sicura. Ora, andiamo a casa." E si reincamminó con i due a fianco verso casa.
Mentre camminavano, Kaname non resistette e parló: "Hei, scusami. Avrei dovuto capire come ti sentivi, invece ti ho accusato, ho aumentato la colpa che ti sei posta sulle spalle. Peró devi permettermi di avvicinarmi, altrimenti io non potró mai sapere quando fermarmi, capisci?"
"Lo so, ma... Non me la sento. Scusami, ma é proprio impossibile per me al momento. É normale che tu abbia reagito cosí, anch'io una volta l'avrei fatto. Non é sbagliato, anzi, ma devi capire che giudicare una persona senza conoscere é una cosa che... Non andrebbe fatta"
Il silenzio scese di nuovo sul gruppo.
Mentre passeggiavano sotto la pioggia (erano lontani da casa, correre non avrebbe avuto senso) notarono un gruppo di ragazzi mezzo ubriachi cantare canzoni tristi. Dovevano essere universitari. Erano tutti vestiti scuri, e non avevano l'ombrello, ma sembravano divertirsi un mondo. Un'altro ragazzo si uní a loro. Portava un cappellino verde e bianco... Il tutto appariva un'immagine molto malinconica. Una tristezza senza un chiaro motivo l'invase.
Una donna con un poncho trasparente ed un ombrello scuro chiuso al suo fianco andava nella direzione opposta alla loro. Hikari al vederla trasalí. Come! Proprio adesso! Ormai non poteva piú sfuggirle. Fece segno ai due compagni di andare avanti, poi ciondoló a testa bassa fino alla donna in poncho, sotto gli occhi stupefatti degli altri due, che si erano semplicemente arrestati qualche metro prima.
"Salve, zia Ise." Proferí la ragazza in tono mesto quando era ormai ad un metro di distanza da lei. Sousuke immediatamente ricordó il dossier. Quella donna non era altri che la sorella del padre adottivo di Hikari! Sotto il poncho si intravedevano lunghi boccoli neri, acconciati ordinatamente fino a metá spalla, un viso squadrato e tratti pesantemente marcati.
La donna inveí contro la ragazza, tirandole un forte schiaffo: "É cosí che si saluta tua zia? Dovresti essere solo che riconoscente che non ti abbia giá sbattuta per strada, e non ti credere che lo faccia per un qualche affetto verso di te. É solo in onore alla memoria dei tuoi genitori, che ti amavano come se tu fossi veramente loro figlia. Non ti meriti questo titolo, che dovrebbe unicamente spettare alla mia povera Ayumi, mio piccolo tesoro, come mi manca!" Fece una breve pausa per riprendere fiato e riprese: "Io gliel'avevo detto che gli avresti provocato solo guai, ma loro no, non mi hanno voluto ascoltare! Se volevano compagnia, potevano prendersi un cane! Sei stata la causa della loro morte, tu e i tuoi capricci! Il mio povero fratello!" Hikari cadde in ginocchio a quelle parole. Lei lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva! Quelle stesse accuse rimbombavano nella sua testa ormai da mesi. "Avete ragione" espiró in tono sofferente "buttatemi fuori di casa, colpitemi, uccidetemi, non merito che questo. Ho ucciso io mamma e papá, io ho ucciso Ayumi, io ho ucciso Daiki e Sho!" La zia tiró su forte col naso, e alzó l'ombrello sopra la testa, pronta a colpire. I due ragazzi, a qualche metro di distanza, fissavano la scena attoniti. L'ombrello ricadde sulla schiena e sulle spalle piú e piú volte, con forza inaudita. "Tutto questo non li riporterá indietro" singhiozzó la zia tra un colpo e l'altro. I colpi impietosi si susseguirono finché la maglia grigia della ragazza non si riempí di lunghe strisce di sangue. Kaname e Sousuke non indugiarono oltre, e accorsero a fermare la donna, bloccandole le braccia. "Cosa volete voi? Lasciatemi andare!" Sbraitó la donna.
"Lasciatela!" Tuonó Hikari, ancora in ginocchio. "Lasciatela" sospiró ancora. La pioggia assomigliava a lacrime mentre le rigava le guance. "Non vedete che ha ragione?" Contestó alzandosi in piedi. "Scusa, zia Ise. Io vado a casa" e si allontanó a passo di marcia, lasciandoli indietro con la signora sbraitante.
"NO, DI NUOVO!" Esclamarono insieme i due ragazzi, alle prese con la donna in piena crisi isterica.
"Ise! Che stavi facendo?" Urló un uomo sulla sessantina da un portone.
"Caro..." La donna lo guardó spaesata, mentre lui la raggiungeva. "Andiamo a casa" le disse dolcemente lui prendendola per le spalle. Li ringrazió e insieme tornarono al portone, che si richiuse dietro di loro con uno scatto.
"É di nuovo scappata!" Si dissero entrambi esasperati, prendendo la strada per casa.


Che ritardo terribile! Mi dispiace averci messo tanto ad aggiornare, ma ho avuto un po' da fare negli ultimi tempi. Non so, forse le fughe sono troppe e soprattutto la seconda mi sembra un po' artefatta, compreso il litigio, peró era necessario alla storia purtroppo. Alla prossima, Hikari_Sengoku


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Capitolo 7
*** Si entra in azione! ***


Si entra in azione!


1,2,1,2... A passo di marcia, sotto la pioggia, Hikari sembrava piú un militare che una ragazza. In realtá non é che sapesse bene cosa fare, si era sentita sotto pressione ed era fuggita, punto. Ma adesso? Che fare? Andare dai ragazzi, o tornare da sola fregandosene? Cavolo, si sarebbe dovuta cambiare le bende un'altra volta!
Un urlo improvviso la riscosse dai suoi pensieri. Tre isolati piú in lá, due persone lottavano sulla soglia di un portone. Una era sicuramente una ragazza. Era bassa e formosa, e la persona con cui stava lottando tentava continuamente di palparla. Hikari subito accorse per fermare l'uomo, che portava un... Cappellino a spicchi bianchi e verdi! Era il ragazzo di prima! E la ragazza che stava tentando di violentare era veramente bella. Hikari era ormai vicina, e sentí dire a lui con tono piuttosto alto: "Se non potró avere lei, avró te al suo posto!". A quel punto, lei decise di intervenire. Avvicinandosi, i lunghi capelli castano chiaro di lei le frustarono il viso mentre la ragazza si divincolava.
"Lasciala andare! Ora!" Hikari picchió forte sulle mani del ragazzo, che stringeva le braccia della ragazza fino a farle male, dododiché la afferró per la vita e la spostó sulle scale. Lei fuggí su, lasciando sul pavimento un giacchetto stracciato, mostrando i tatuaggi che aveva sulle braccia. Hikari si giró verso il mostro pronta a combattere, ma subito inorridí. Sotto il cappellino c'era il viso di Mathieu, deformato da una smorfia crudele. Lui approfittó della sorpresa per tirarle un pugno allo stomaco. Lei si piegó, ma senza fermarsi lo afferró per la spalla e la manica e girandosi se lo caricó sulle spalle e lo lanció addosso al muro. Quello da terra la afferró per i piedi e la fece cadere, poi si buttó sopra di lei, tirandola su e bloccandola col corpo contro il muro. "Adesso non fai piú la dura, eh?" Le alitó in faccia Mathieu. "Disse la voce bianca" rispose lei tirandogli una ginocchiata alle parti basse. Quello si ritiró e lei ne approfittó per afferrarlo di nuovo allo stesso modo, e sollevandolo e andandogli di fianco, lo squilibró, alzó la gamba e la abbatté su quella dell'avversario, facendolo cadere. Subito si gettó su di lui, tenendo il suo collo col braccio destro, e il suo braccio destro con il sinistro, stringendoglisi contro perché non potesse liberarsi. Ma con il braccio sinistro libero Mathieu rovistó nel giubotto di pelle della ragazza coi tatuaggi e prese una pistola! Puntandogliela alla schiena disse: "Il gioco é finito. Lasciami andare, tesoro". Lei, con una smorfia di disgusto dipinta sul volto, lentamente lo lasció e si alzó in piedi. Anche lui si alzó, e nel momento in cui lo stava facendo, la ragazza ne approfittó per tirargli un calcio alla mano, che non molló la pistola, ma lasció partire un colpo, che la ferí di striscio al fianco. La maglia grigia si coloró di altro sangue. Nel frattempo, Mathieu si era alzato, e vedendola aveva digrignato i denti:"Lo sai, mi piacciono le ragazze focose. Avremo molto tempo per conoscerci meglio, madamigella" disse puntandogli la pistola alla gola e spingendola nel seminterrato. La spinse dentro e con la pistola in mano la costrinse ad indietreggiare vicino all'unica sedia del locale altrimenti vuoto. Una grata di metallo era saldata alle pareti come uno di quegli esercizi ginnici scolastici. Mathieu la legó per le mani ad una sbarra, non curandosi delle sue urla e delle sue lamentele. Hikari scalciava, tirava, spingeva, imprecava, ma era tutto inutile. Con una pistola puntata contro era difficile ribellarsi direttamente. Mathieu senza degnarla di uno sguardo si mise in piedi sulla sedia, fissando il panorama fuori dalla finestra. Perplessa, Hikari si mise a calciare le gambe della sedia, ma il ragazzo le puntó di nuovo la pistola contro: "Ora smettila. Non ho tempo per i giochetti". Poi sembró ripensarci e si abbassó al suo livello visivo. "Ho bisogno che tu stia in silenzio per un po'. Non voglio farti del male. Me lo faresti questo favore?" Le chiese con fare gentile ed il suo solito sorriso sulle labbra. Hikari lo guardó, ma non riusciva comunque a capire. Che cosa stava succedendo? Che cosa voleva Mathieu? Ma prima che lei potesse sputargli qualche risposta caustica, un suono lungo e basso le perforó la mente, e lei credette di vedere un enorme velivolo scuro, pieno di piccoli puntini dorati, sorvolare la cittá lentamente. Anzi, piú che una visione, le parve una sensazione potente dentro di lei, come se qualcosa stesse reagendo alla sua presenza. Hikari rovesció la testa e gli occhi all'indietro...

Kaname cadde in ginocchio improvvisamente in mezzo alla strada. Stavano cercando Hikari, quando all'improvviso una visione l'aveva pervasa completamente, svuotandola. "Kaname stai bene?" "Stanno arrivando!" Gridó a Sousuke che le era subito corso affianco. "Chi?"
"Non lo so... Ma é di sicuro qualcuno che possiede la Black Technology! Sta per sorvolare la cittá!"
"Provo a contattare Kurz, chiedo se puó venire a prenderci"
"E Hikari?"
 "Abbiamo il microchip. Appena saremo sul M9 sapremo dove si trova"

"Ehi, stai bene?" Dalla nebbia che la aveva avvolta fuoriuscí una voce bassa ed un volto... Mathieu! Hikari alzó gli occhi alla finestra. Presto quello sarebbe stato fra i posti piú sicuri, ma Kaname e Sousuke erano ancora per strada!
"Togliti da lí!" Gli urló lei tirando un altro calcio alla sedia. Tentó di nuovo di divincolarsi. Il tipo la afferró per le spalle: "Mi spieghi che sta succedendo?" "Non te lo posso spiegare, devi fidarti! Allontanati dalle finestre e slegami!" Un basso mormorio le stava invadendo la mente, sempre piú insistente. Voci che le suggerivano formule matematiche complesse stavano lentamente prendendo il sopravvento, ed il mormorio stava aumentando di intensitá. Non una, ma tante piccole luci dorate le esplodevano davanti agli occhi. All'improvviso perse conoscenza, e si ritrovó a vagare all'interno del velivolo. Andava a velocitá folle, e vide in un lampo una decina di AS dotati di Lambda Driver pronti per essere lasciati cadere sul centro abitato. Ancora piú in profonditá, una cella che emanava una forte energia, probabilmente il centro di controllo, che era occupato da qualcuno... All'improvviso Hikari si ritrovó catapultata indietro nel seminterrato. Mathieu la guardava preoccupatissimo, e la chiamava, ma le sembrava di stare sott'acqua insieme a delle sirene che le cantavano nelle orecchie, stava impazzendo! Improvvisamente una voce emerse piú forte delle altre. Era la voce di Kaname: "Hikari, ci sei? Riesci a sentirmi?" "Si, ti sento" Rispose lei stancamente. "Hai visto quello che ho visto io, per caso?" "Se hai visto un enorme velivolo che sorvolava Tokio con tanto di robottoni giganti al seguito interiora comprese, allora si" "Dove sei?" "In un seminterrato a pochi isolati da dove ci siamo lasciati, voi?" "Lá vicino, tra poco Kurz ci raggiunge con l'M9" "Perfetto, mi é venuta un'idea"
"

"Vicecolonnello, richiediamo immediatamente il lancio dell'Arbalest! É una situazione di massima emergenza, un velivolo da guerra sta sorvolando la capitale" Urló Melissa Mao nel microfono. Sousuke, Kaname e Hikari stavano per strada, ottimi bersagli per qualsiasi genere di attacco terroristico! E a quanto ne sapeva, i nemici possedevano i Lambda Driver.
"Si tranquillizzi Tenente Maggiore Mao. Il Colonnello Testarossa ha giá dato disposizioni per il lancio dell'M9 denominato Arbalest" rispose con il suo solito flemma sdegnoso il Vicecolonnello del De Danaan. Come se fosse mai riuscito a impedire un colpo di testa del Colonnello!

"Hai capito bene?" Chiese Hikari una volta finito di spiegare. "Questo piano é folle, rischieremo la vita! Ma se é l'unico modo, sono pronta" Rispose Kaname.
La voce si affievolí fino a sparire in quel mare di sussurrii confusi.
Ancora intontita, urló: "Mi vuoi liberare adesso? Guarda dalla finestra e dimmi se vale la pena tenermi ancora legata qui". Mathieu obbedí, e
trasalí quando guardó fuori dalla finestra, poi si affrettó a slegarla. Quando lei peró volle uscire, le si paró davanti. "Non ti posso permettere di uscire mi dispiace" le disse tutto d'un fiato. Allora la ragazza lo prese per i baveri e gli urló in faccia: "La vuoi piantare? Io devo uscire da qui, che tu lo voglia o meno non m'importa!". Poi peró abbassó lo sguardo e vide un simbolo sul giacchetto. Era un disco di gomma cucito approssimativamente sul bavero, su cui spiccava un airone in volo su una via di stelle puntanti verso est. Hikari quasi scoppió a piangere.
"Invece dovrebbe importarti" Disse lui piano mentre lei gli lasciava il bavero.
Stava quasi per scoppiare. Com'era possibile, no! Perché proprio adesso? Ma non aveva tempo. Mentre lo attaccava, gli singhiozzó uno strozzato "Perdonami". Poi lo afferró per la spalla sinistra e la manica destra, poi con la destra lo sollevó, mentre colla gamba sinistra gli spazzó il piede destro, e tenendolo lo fece cadere di nuovo. Quando fu a terra, velocissima gli bloccó le gambe con le sue, e pesandogli sopra gli frugó in tasca, prendendogli uno spago con tre chiavi di diverse lunghezze. Poi fuggí di gran carriera, spingendo contro la porta e chiudendolo dentro al secondo tentativo. Poi uscí in strada correndo. Sopra di lei incombeva il maestoso velivolo, che stava aprendo i boccaporti, bocche demoniache vomitanti mostri d'acciaio guidati dalla volontá dell'uomo. Il mormorio andava intensificandosi ad ogni AS che veniva acceso, e presto sarebbe stato insostenibile. Il prino AS ricadde pesantemente a terra, crepando un tetto che per fortuna non cedette. A seguito, tutti gli altri planarono sulle strade e sui palazzi, ma nessuno di loro attaccó. Non ne scesero che tre, ma erano piú che sufficenti per scatenare il panico. Sembravano cercare qualcosa. Ogni volta che si avvicinavano ad un umano, sulla loro fronte si illuminava un disco luminoso azzurro. Poi questo si spegneva e l'AS li abbandonava, chi nelle case scoperchiate, chi in stato di shock per strada. La confusione era palpabile, ma ad Hikari sembrava di stare in una vasca piena d'acqua. I rumori le arrivavano ovattati, la vista dei robot e delle persone urlanti non la toccava. Le sembrava di avere dentro un mare in bonaccia.  All'improvviso, due ultimi AS atterrarono di fianco al velivolo, che si stava abbassando e sfiorava le antenne sopra i palazzi.  Era l'Arbalest, in tutta la sua magnificenza, ed un altro M9 scuro. In mano portavano Kaname e Kurz nella sua tuta da tiratore scelto. Mentre l'Arbalest li copriva con uno scudo integrale, l'M9 sparó due cavi d'acciaio in uno dei boccaporti, mentre con dei ganci motorizzati i due vi si catapultavano dentro. Ora toccava a lei! Era ancora lontana peró dal luogo dell'azione. Come avrebbe fatto ad arrivarci? Dal lato dove stava lei, intanto, un terzo AS di terza generazione si era avvicinato. Mentre tutti gli AS erano impegnati nella ricerca o con l'Arbalest, nessuno faceva caso a quel catorcio, che tra l'altro si nascondeva pure dietro un palazzo. "Mordred" scritto in caratteri di sangue sulla fiancata dimostrava a pieno titolo che il pilota di quell'AS era un codardo, e non si vergognava di esserlo. Anche lui sparó due cavi d'acciaio, ma nessuno vi si arrampicó. Sembravano attendere lei. Cosí salí sulla scala d'emergenza del palazzo dietro cui si nascondeva, e salita su vide un uomo vestito di nero, col volto coperto da un passamontagna e gli occhiali da sole. Appeso alle spalle teneva un mitragliatore. La stava fissando. Le sembrava quasi che ondeggiasse ad un certo punto, prima che una scarica di mitraglia non spezzasse l'incantesimo. Dal palazzo a fianco, quello di Mathieu, qualcuno li stava coprendo. Era la ragazza coi tatuaggi! Il tipo col passamontagna chiamó Hikari con un gesto, e insieme si avvinghiarono alle corde, cominciando ad arrampicarsi. Una gamba dell'uomo pendeva inerte dalla corda, forse era stato ferito. Lentamente, coperti dai mitragliatori dell'AS e della ragazza e dal diversivo dell'Arbalest, i due si arrampicarono. Hikari era veloce e non aveva problemi, ma la sua schiena non era dello stesso parere, infatti le ferite aperte avevano cominciato a colare copiosamente. La maglia era rossa ormai, ed il sangue scorreva a rivoli lungo le gambe. Il tizio di fianco a lei continuava a trascinare la gamba, e nonostante tutto stava solo un paio di metri dietro a lei, e continuava a fissarla. Chi erano quei tipi? Che avevano a che fare con Mathieu ed il simbolo sul giacchetto? Confusione aggiunta a confusione, il suo pensiero era un groviglio informe di determinazione mista a speranza immersa in un mare di voci martellanti. Finalmente, dopo una scalata interminabile, arrivarono al boccaporto, che oscillava tra la presa dei cavi d'acciaio e l'ordine di richiudersi. Hikari arrivó prima e tese la mano al compagno, che si issó, emettendo un verso stridulo, chiaramente modificato: "Grazie". Si trovavano nella base di lancio. Un tombino nell'angolo superiore portava verso l'interno. I due si issarono fuori. Superato un breve corridoio le voci si intensificarono notevolmente, tanto da destabilizzarla. L'altro appoggiato al muro le posó una mano sulla spalla: "Ehi, stai bene? Sembri un colabrodo. T i posso portare io, se vuoi." Disse con quella stridula vocina robotizzata. "Colla gamba che ti ritrovi? "rispose lei preoccupata "Ah, perché tu invece stai meglio" ribatté lui sarcastico.
"Dove senti le voci piú forti?" Chiese lui.
"Eh?" E adesso che c'entra?
"Dobbiamo andare  al centro, no? Dove senti le voci piú forti?" Se l'aveva deciso lui. Aveva ragione tra l'altro.
Indicó il corridoio di sinistra: "Di lá".

Dal lato sinistro del velivolo, Kaname e Kurz stavano cercando i sistemi di controllo centrali per disattivare gli AS. L'uno armato di un mitragliatore, l'altra solo del suo ventaglio, si stavano avventurando nei corridoi deserti. Piú il tempo passava, piú Kaname si sentiva debole. Le voci incessanti la stavano torturando, ma lei continuava a camminare in silenzio. Stranamente, il velivolo era vuoto. Non c'era traccia di traffico umano, solo grandi stanze vuote.
"La comune struttura dei velivoli impone che le sale di controllo si trovino sulla punta. Dovremo cominciare le ricerche da lí" disse Kurz.
"D'accordo, andiamo" rispose Kaname.
Bastarono pochi passi. Anzi neanche quelli, prima che Kurz approfittasse della situazione per tentare di palparla. Una bella vena pulsante fece la sua comparsa sulla fronte di Kaname.

Dall'altra parte del velivolo,  un boato come di un'esplosione fece rimbombare le pareti di metallo. Hikari rabbrividí. Che cosa poteva essere successo a Kaname?
Straordinariamente, l'intero velivolo risultava vuoto. Il suo nuovo compagno di giochi insisteva per controllare ogni angolo col mitragliatore, ma non ce n'era bisogno. Ormai in prossimitá del centro, sentirono dei passi andare nella direzione opposta alla loro. Sentí una scarica di mitraglia, dei lamenti, e poi un urlo che somigliava a qualcosa come: "Lo vedi cosa hai combinato, brutto maniaco? Che mal di testa!". Hikari sospiró. Quei due stavano pure troppo bene! Peró di guardie ce n'erano veramente poche!

In seguito al tentato omicidio di Kurz da parte di Kaname, i due avevano sentito dei passi, cosí si erano nascosti dietro l'angolo, ed all'arrivare delle due guardie Kurz aveva puntato alle gambe, imbavagliandoli subito dopo. "Ma sono dei bambini!" Esclamó Kaname. Erano infatti due ragazzi govanissimi. Non avrebbero avuto piú di tredici anni, e stavano lí con un mitra in mano ed una divisa blu ormai lorda di sangue. Dovevano essere fratelli, perché avevano rntrambi i capelli rossicci e gli occhi azzurri. "Uccidici" mormoró il piú grande a terra. Era rimasto con la faccia premuta contro il pavimento.
"No. Potete cercarvi una vita migliore di questa merda da mercenari." Gli rispose Kurz dopo avergli fasciato alla buona le gambe.
"Ti prego. Per noi non puó esserci soluzione migliore" Continuó l'altro.
"C'é sempre qualcosa di meglio" disse Kurz allontanandosi e portando con se Kaname. I due ragazzini scossero la testa sconsolati.
Appena girato l'angolo Kaname chiese: "Staranno bene quei due?"
"Non ho leso arterie od organi vitali. Con un po' di voglia di vivere e una buona fasciatura se la dovrebbero cavare tranquillamente" rispose lui serio.
"Secondo te continueranno ad essere mercenari?" Kaname era preoccupata per loro. Cosa ne sarebbe stato di quei bambini soldato?
"Temo che la loro situazione sia piú complessa di quel che sembra." La serietá di Kurz non tendeva a svanire. A metá di quel corridoio c'era finalmente la sala di controllo.

Nel frattempo, poco piú avanti, i nostri eroi avevano trovato il Centro. L'uomo in nero l'aveva preceduta, e prima che lei potesse vederlo aveva avvolto il corpo di un uomo steso in quella che sembrava la bara di Biancaneve in un telo nero e coperto il volto con un passamontagna. Cosa poteva avere di cosí raccapricciante da non poter essere visto da lei?
"É morto?" Chiese lei esitante.
"No" rispose secco l'altro. Poi lo prese in braccio e fece per portarlo fuori. Poi si giró e le disse: "Hai cinque minuti per prendere il controllo del velivolo prima che cominci a precipitare. Una volta che gli hai dato la rotta, lui andrá da solo. Devi sbrigarti. Entro dieci minuti assumerá una velocitá che noi non potremo eguagliare, quindi una volta datagli la rotta dovrai immediatamente tornare indietro. A sinistra o a destra o io o i tuoi amici saremo lí per prenderti" e se ne andó.
Appena Hikari entró nella sala, le voci si spensero. Chiuse gli occhi e lasció che il suo corpo diventasse il velivolo, ed il velivolo il suo corpo, ed il suo corpo pulsó, orientandosi da solo fuori Tokio. Quella era la direzione da seguire, ne era certa! Inarcó la testa all'indietro, ed il velivolo partí. In quella sensazione di beatitudine quasi dimenticó perché fosse lí, finché ai suoi occhi cominciarono a sfuggire i dettagli. Stava correndo! No! Si sveglió di soprassalto ed immediatamente spinse forte contro il coperchio. La bara si aprí, e lei mezzo intontita uscí dalla sala e corse via.
 



Ed ecco qua il nuovo capitolo! Che é praticamente un combattimento continuo inframmezzato a tante novitá, una corsa dietro l'altra e sangue, tanto sangue. In ordine di apparizione, per chi lo volesse sapere, ecco le tecniche di Hikari, tutte appartenenti al Judo: Una semplificazione dell' Hippon Seoi Nage, O soto gari, Hon Kesa Gatame, Okuri Ashi Barai, ed un accenno di Tate Shio Gatame. Di sicuro non interesserá a nessuno ma vabé, per maggiori informazioni si chieda pure a me. Che altro devo dire... Beh, spero sia piaciuto, insomma qualcosa d'interessante c'é. E finalmente é finito l'angolo depressione ed é cominciata l'azione, oltre che la scuola! Alla prossima, Hikari_Sengoku


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Capitolo 8
*** Nella base nemica ***


Nella base nemica

Dopo la partenza dei tre baldi avventurieri, l’intera casa era tornata al silenzio, e ogni gruppo si era diviso per fare i propri porci comodi. Daiki e Sho si erano stravaccati nella sala di controllo, Miranda e Mathieu è facile immaginare cosa stessero facendo, e gli altri li seguivano a ruota nei loro interessi singoli. In particolare, Kurz aveva approfittato della tregua per farsi una bella doccia, e ancora grondante d’acqua si era buttato a peso morto sul letto, allagando le coperte. Sebbene fosse coperto solo da un misero asciugamano di medio-piccole dimensioni, Kurz come era naturale non sembrava provare un briciolo d’imbarazzo. Anzi, ne provava talmente poco che il fluire dei suoi pensieri non si interruppe ne rallentó nemmeno per un istante, e Kurz tra le altre cose si chiese se non fosse stato meglio provarlo quell’imbarazzo, piuttosto che subire quel tormento violetto che erano gli occhi di Melissa. Ed era anche strano che fossero solo gli occhi. Avrebbe potuto passarci sopra se avesse voluto solamente il suo splendido corpo, ma era impossibile ignorare l’attrazione fatale di quei fanali, il folle desiderio di stringerla in un casto abbraccio con le dita infilate nei suoi corti capelli pece. Era la quasi castitá dei suoi pensieri più intimi nei suoi confronti a confonderlo, quel bisogno interno di vederla rispettata e di rispettarla, quasi avesse temuto di spezzarla. Poi, da quando la tensione nei confronti di Sousuke si era allentata per merito di quell’angelo dai capelli blu, quei momenti vuoti, di inoperositá, sembravano inseguirlo. In fondo, prima di lei, Sousuke era un soldato dagli occhi straodinari, ma incapace di vivere, ed era stato suo compito riportarlo nella realtá. Ora che però non ce ne era più bisogno, quel copione cominciava a stargli stretto. Voleva fare di più, dire di più, ma non aveva il coraggio di strapparlo, di dividersi dal destino che lo voleva tombeur de femme impenitente fino alla fine. Che bestia! Avrebbe dovuto pensarci prima di innamorarsi di quei fari viola! Ma c’era mai stato veramente un prima? Ma in fondo, cosa importava? Una volta finita quella missione, avrebbe chiesto il trasferimento  al Colonnello Testarossa. Perché rovinare quelle belle guancie con delle lacrime? Sapeva che sarebbe finita cosí, quindi tanto valeva salvarla prima che lui le facesse male.
Stanco di quei discorsi insensati, Kurz si alzò per andarsi a vestire, quando la porta si aprí sul secondo atto. Melissa Mao impose la sua presenza nella stanza in un modo che a Kurz, appena reduce di una dura battaglia, parve quasi animalesco. Sembrava una di quelle fiere che studiano la preda girandogli intorno con fiero sguardo e atteggiamento pieno di sicurtá, imponendogli una sorta di silenzio guardingo e feroce. Contrariamente al loro solito scambio di battute, i due continuarono a fissarsi l’un l’altro con sguardo di sfida, mentre lei si dirigeva ad aprire l’alta finestra da prigione. Non la raggiunse, e prima che potesse fare qualsiasi cosa, Kurz le fu vicino con una sedia. “Lascia, faccio io”. Mao non ritrasse subito le mani, sfiorando le braccia di Kurz, e pur questa semplice cosa provocò ad entrambi un profondo brivido. Le pupille si dilatarono, il nero desiderio che divorava ogni cosa, ed era una dolce oscuritá in cui erano risucchiati ormai da anni, in ogni singolo sfioramento, in ogni singolo sguardo, legacci di infernale lussuria, tentazione demoniaca per entrambi. Ma tutto finí troppo presto, lasciandoli spaventati e consci del fatto di essere soli. Deglutirono entrambi, soffocati dall’attrazione reciproca, le labbra socchiuse. La luce li accarezzava fluida, per poi posarsi delicatamente su uno dei due letti grigi dietro di loro. Mao fu la prima a distogliere lo sguardo, dedicandosi con foga al riordinare la stanza. “Voi maschi lasciate sempre un porcile!”. Kurz sospirò, schivando alla buona un paio di scarpe che lei gli aveva lanciato per ripicca. “E rivestiti!” borbottò poi lei fissandolo quasi gli stesse rimproverando una malefatta, come se avesse attentato alla sua stabilitá morale. Ed era alla fine un po’ cosí che Mao si sentiva, incerta e insicura di voler andare oltre, timorosa del male che ne sarebbe potuto venire, non certo imbarazzata da un paio di pettorali nudi. Kurz, sentendosi quasi come se si stesse muovendo in una melassa densa e pastosa, si mosse verso di lei, e dopo un tempo che gli parve infinito, le afferrò le braccia e la girò verso di lui. 
In quell’esatto istante, il ricevitore gracchiò e Mathieu irruppe nella stanza gridando: “Svelti, sono stati rapiti!”.
 
Esattamente un quarto d’ora prima infatti, Mathieu e Miranda passavano davanti alla sala di controllo, quando sentirono una fragorosa risata,  e spinti dalla curiositá avevano accostato l’orecchio alla porta. Ecco più o meno ciò che intesero:
“Hahaha! Dovresti prendere un diploma da massaggiatore, lo sai vero?”
“Oh, no, guarda che quella che me lo ha insegnato è stata Hik. Me lo ha fatto un pomeriggio che studiavamo insieme, e lo sai come sono io, no? Per farmi concentrare come al solito mi ha preso a pugni, poi ha provato a farmi rilassare”
“Con questo massaggio? Me lo immagino: Avrá insistito cosí tanto da spezzarti le clavicole”
“No, in realtá credo volesse farsi perdonare per le botte che mi aveva dato prima”
Per un po' il silenzio fu rotto solo da qualche sporadica risata e battute di poco conto. I due stavano per andarsene, quando sentirono qualcosa di interessante. Peccato che i ragazzi dall’altra parte della porta avessero cominciato a sussurrare, avrebbero perso meno parole. 
“… Lo sai, vero?”
“No, dai Sho non dire cosí…”
“… Con lei?”
“Ne avremo bisogno entrambi, lo sai”
Il silenzio calò pesante.
“Forse lei può farlo…”
 Finché  un lieve bip continuo non allarmò tutti i presenti. 
“Che diavolo sta succedendo?”
“Li stanno portando via!”
Il ricetrasmettitore gracchiò con la voce di Sousuke: “Richiedo rinforzi celeri. Livello di pericolo elevato.  Siamo…” Un tonfo improvviso zittí la voce, ma si continuarono a sentire per un po’ il rumore della battaglia dall’altra parte. Si susseguirono degli spari, poi il silenzio.
“Bisogna avvertire gli altri, subito!” Urlò Sho spalancando la porta, e trovandosi di fronte i due colpevoli immobili.
“Beh, avete sentito, no? Cosa state aspettando? Andate!” sbottò infine.
I due schizzarono via in un lampo.
 
 
La prima cosa che Hikari sentí fu lo stridere di rotelle sul pavimento sotto di lei. Lentamente, concentrandosi, l’odore di pioggia e quello di una forte acqua di colonia le punsero il naso. Sforzandosi molto, tentò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano cosí pesanti, e poi non sentiva più il suo corpo. Non riusciva a muoverlo. Dovevano averla pesantemente sedata per ottenere questo effetto. Era veramente una situazione da incubo, avrebbe voluto urlare,  muoversi, ma era come bloccata dentro un sarcofago. Ad un certo punto riuscí ad aprire la bocca e gemette. Quella situazione la stava uccidendo. Lentamente però, il peso si sciolse e lei con fatica aprí gli occhi, poi li spalancò per rimanere sveglia. Sopra di lei, che era stesa su una barella, incombevano due loschi figuri in camice bianco, entrambi con una maschera antigas sul volto. Non sembravano essersi accorti che si era svegliata, cosí socchiuse al minimo gli occhi. I piedi e poi le gambe cominciarono a formicolarle, seguite dalle braccia. Dopo pochi minuti, il corpo era completamente libero e lei completamente lucida e pronta all’attacco. I due, di cui uno era chiaramente una donna, si erano fermati davanti ad un capannone militare, e lo stavano aprendo con le chiavi. L’uomo si era tolto la maschera, mostrando il volto scuro del suo assalitore. Hikari ne approfittò, e si buttò di getto giù dalla barella, picchiando malamente fronte e naso, poi si rialzò spingendo  con tutto il suo peso contro l’uomo, gettandolo con forza contro la parete. L’uomo tentò di spingerla via, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa lei gli afferrò il braccio tendendolo, e facendo forza sull’articolazione verso il basso, gliela spezzò con uno schiocco. L’uomo urlò di dolore, e lei ne approfittò per afferrare la pistola che sporgeva da sotto il camice dell’uomo. Il fischio di diverse pallottole sfrecciò nell’aria, e due la colpirono di striscio, ferendola sotto lo sterno e sulla schiena, strappando le sue bende che subito si intrisero di sangue, pendendo fuori dalla camicetta rosa ormai strappata anch’essa. Hikari lo ignorò con facilitá e afferrato da dietro il collo dell’uomo in modo da strangolarlo, se ne fece scudo puntandogli la pistola alla tempia. “Getta la pistola o lo ammazzo!” urlò con una voce che non le parve la sua. La donna obbedí prontamente, e la pistola cadde a terra con un rumore metallico. L’uomo, che ansimava dal dolore, si portò la mano in tasca, ma lei non ci badò, mentre quello estraeva un diapason cristallino di un tenue colore rosato. Lo face vibrare, e nella testa di Hikari si scatenò l’inferno. Stava scoppiando! Tenendosi la testa fra le mani, fuggí. Scappò finché il rumore nella sua testa non si placò in un leggero dolore. Allora, sfinita, si accasciò sotto un pergolato di metallo. L’odore di pulito proveniente dalla casupola affianco le fece comprendere di essere finita nella lavanderia. Afferrò un lenzuolo nel quale si nascose e si accoccolò, in attesa che una buona idea facesse capolino. Stava calando la notte e  le temperature scendevano rapidamente. Sapeva che era solo questione di tempo prima che la ritrovassero, e dunque l’unico modo per salvarsi era cercare una scappatoia od un alleato. Non potendo contare sulla prima (quel campo sembrava più che ben protetto dal filo spinato elettrificato e dal muro liscio alto tre metri), doveva basarsi sulla seconda. Non sapeva se Sousuke e Kaname fossero stati presi con lei, ma se lo erano stati, forse loro erano la sua unica ancora di salvezza. Inoltre, ristabilire le comunicazioni col quartier generale poteva essere essenziale alla riuscita del piano, e l’unico ricetrasmittore radio che lei sapeva esserci nelle vicinanze era sul velivolo nemico. Quella sarebbe stata la sua prima meta. Rabbrividí dal freddo, decisa a non passare la notte lí. Era vestita leggera, e le temperature in quel periodo scendevano anche sotto lo zero la notte. Si alzò e entrando nella casupola raccolse due giacchette militari, dei calzoni elasticizzati ed un cappelletto, ma oltre a questo c’era ben poco da raccogliere. Una pioggia fredda e fitta cominciò a cadere. Indossate entrambe le giacchette, il cappello ed i calzoni sopra i jeans, stava per uscire, quando sentí dei passi metallici…
 
 
Kaname si svegliò, un po’ stordita, in una stanza dalle lunghe pareti di metallo. O meglio, nel mezzo di un corridoio nel velivolo. Si accorse di avere i piedi e le mani legate dietro la schiena, nonché del nastro telato sulla bocca. Il sapore dell’adesivo era disgustoso. Affianco a sé trovò Sousuke ancora in stato d’incoscienza, con un grosso bernoccolo che palesava la sua violacea presenza tra i capelli mori. Cominciò a scuoterlo con forza perché si svegliasse. Non c’era nessuna guardia in giro. Stava cominciando a preoccuparsi, quando il ragazzo mugugnò qualcosa, prima di sbattere gli occhi confuso. Gli ci volle un po’ prima di rendersi conto della situazione, poi con le mani legate si strappò una siringa proiettile dal fianco. L’hanno sedato quindi, pensò Kaname, certo, altrimenti non si spiega come abbia fatto a perdere con tutto l’armamentario che si porta dietro. Sousuke attirò la sua attenzione e le indicò le punte delle scarpe con insistenza. Kaname si avvicinò e notò le punte di due lame spuntare dalla suola. Con attenzione, strappò il nastro telato e ne afferrò una fra i denti, tirando.  La lama si rivelò un sottile coltellaccio da pescatore dallo stretto manico d’osso brunito. Kaname lo lasciò tra le mani di Sousuke, che rivoltandolo velocemente sulla punta delle dita tranciò le corde che gli legavano le mani. In silenzio, anche le mani di Kaname e i piedi di entrambi vennero liberati, si strapparono poi i nastri dalla bocca. Stavano per allontanarsi, quando dei passi pesanti rimbombarono nei corridoi. I due ragazzi si inginocchiarono velocemente, nascondendo braccia e gambe libere. Purtroppo, non avevano più armi con loro, gli erano state recquisite, e se il nemico fosse stato armato, l’esito non era garantito. All’estremitá del corridoio i due ragazzini che Kaname e Kurz avevano ferito tempo prima entrarono con passo sincronizzato. Ma piú si avvicinavano, piú Kaname rabbrividiva dall’orrore. Quei bambini non erano che i fantasmi di loro stessi. I loro visi erano stanchi, i loro occhi viaggiavano continuamente tra uno stato d’incoscienza e uno di estrema eccitazione. La loro espressione, tutto il loro corpo era attraversato da continui spasmi nervosi simili a quelli di chi fa uso di droghe. Kaname ricordava di averli feriti alle gambe quella volta, ma oltre alle fasciature che spuntavano dall’orlo dei pantaloni, i due sembravano ignorare la loro condizione. Le mani si stringevano convulse intorno alle mitragliatrici, il loro passo era incerto. Il piú piccolo si addossò alla parete, il piú grande lo seguí spianando la mitragliatrice tremebonda. Sousuke dubitava riuscisse a mirare effettivamente a qualcosa, tremando in quel modo. Ma in fondo a lui non interessava chi colpire, ma fare in modo che colpendo entambi non fossero in grado di uscire da lí. Ma Sousuke, al contrario loro, mirava benissimo da un cosí corto raggio d’azione. Con le mani nascoste lateralmente dietro la schiena, lanciò il coltellaccio sotto la clavicola sinistra del più grande, tranciando la tracolla della mitragliatrice. Il ragazzino urlò di dolore, tentando di strapparsi il coltello. Il più piccolo si svegliò e cominciò a sparare a caso. Kaname si accucciò prontamente al suolo, mentre Sousuke afferrava il secondo coltellaccio e trafiggeva il piú piccolo sotto la clavicola destra attaccandolo alla parete. Il ragazzino svenne sul colpo, mentre il sangue colava copioso lungo i vestiti. Anche Sousuke non ne era uscito indenne, una pallottola l’aveva colpito di striscio sul collo, bagnando di sangue scuro la camicia bianca che portava. Il ragazzo non se ne curò sul momento. Strappò il coltello dal corpo del più grande, gli prese la mitragliatrice e, dopo aver estratto il caricatore, la spezzò. Il ragazzino ansimava dolorosamente arpionandosi la ferita, e Sousuke usò il giubotto del bambino per fasciargliela stretta. Il ragazzino lo fissò coi grandi occhi cerulei e stanchi, con una sola domanda negli occhi: Perché? Sousuke lo fissò a sua volta, incerto. Non sapeva cosa dire, non aveva mai fatto una cosa del genere prima. Curare un suo nemico. Non sapeva neanche lui perché l’aveva fatto. Forse era stata la certezza dello sguardo di Kaname dietro di lui. Infine, distolse lo sguardo e si dedicò al bambino piú piccolo. Prese la sua mitragliatrice e se la mise a tracolla, poi staccò il coltello e fasciò anche la sua ferita. Entrambi i bimbi si accasciarono a terra. Sousuke non li legò, era sicuro che non li avrebbero seguiti. Dietro di lui, Kaname era in piedi, e accorse appena vide il fiore rosso  sulla camicia. Repentina, si strappò una manica della maglia grigia che portava e gli bloccò l’emorragia.
“Ecco ora va meglio” disse sorridendogli debolmente mentre si staccava da lui.
“Andiamo, Kaname” disse dopo un po’ il ragazzo prendendola per mano. I due guadagnarono presto l’uscita.
 
Hikari si nascose tra le pareti della casupola. Dall’altra parte, sentí l’M9 avanzare ancora verso la lavanderia ed aprire lo sportello del pilota. Dei passi insicuri si mossero ancora verso di lei. La ragazza si guardò intorno, ma era nella lavanderia, non c’era nessuna arma lí  dentro! Cercando di vedere qualcosa, si buttò dietro la porta semichiusa, sbirciando dallo spioncino. Con la coda dell’occhio vide una figura umana farsi strada sotto la pioggia battente. Una debole voce la chiamò: “Kurojima! Kurojima!” sussurrò. Era il pilota del Mordred! Aveva riconosciuto quei brillanti occhi, verdi e perennemente impauriti. Non gli aveva mai chiesto come si chiamasse… Hikari corse fuori sotto la pioggia.
“Ehi, tu, Come-ti-chiami! Sono qui!” sussurrò a sua volta.
Il ragazzo parve sollevato. “Vieni, recuperiamo gli altri e andiamocene” le disse prendendola per il polso e portandola di fronte al Mordred. Con un balzo entrò nell’M9 e le disse: “Sali sulla mano!”, mentre rigirava quest’ultima davanti a lei. Hikari si arrampicò sul collo del robot mentre lo sportello si richiudeva. La pioggia battente le impediva la visuale oltre i cento metri, e continuava a caderle sugli occhi. Era giá completamente bagnata, e le mani viscide scivolavano sulle maniglie metalliche del portello. Le uniche cose salde erano i suoi piedi, che lei aveva bloccato nelle scanalature della corazza di metallo verniciato. Il Mordred cominciò la marcia, passando rasente il muro, ma non passarono cinque minuti prima che il fracasso attirasse tre uomini in tuta militare lí vicino. Il Mordred afferrò il suo mitra, ma i tre, più veloci, avevano giá aperto il fuoco sulle giunture in gomma del vecchio M9. In breve, il robot si accasció a terra, colando sangue bianco dai fori di proiettile. Hikari si affrettò ad aprire il portello del pilota. Due lampi verdi saettarono veloci. Il ragazzo era vivo! Semiesanime, ma vivo.  Ma non lo sarebbe rimasto a lungo se non si fosse inventata qualcosa.  Si chinò sul giovane, e mentre con la testa di lato controllava i soldati, gli sussurrò:”Ehi, tu! Come ti chiami?”.
“Mi chiamo… Francis” rispose quello insicuro. Era impanicato, non sapeva cosa fare, e lei se ne accorse. Era troppo vivo!
“Senti, tu fingiti morto,  poi gli altri ti verranno a recuperare, ok? Ci penso io” L’altro non obiettò nemmeno. La ragazza si immaginava almeno una debole opposizione, ma il tipo non aveva nemmeno reagito. Aveva semplicemente chiuso gli occhi e si era abbandonato sul sedile, tra gli schermi fumanti.
“Ammazza che stronzo” sibilò fra i denti. “E io che sto pure a salvarlo!”
I soldati avevano raggiunto l’M9, e intimarono la resa ai due ragazzi. Uno teneva il braccio al collo. Hikari si chinò ancora di piú, come se lo stesse piangendo. Poi gridò: “Ma non capite?! È morto!”, poi continuò a gemere, abbracciando Francis e tirandolo su in una posizione piú comoda. Continuò a simulare il pianto sul petto del ragazzo, nascondendo il ritmico sollevamento del torace dovuto al respiro. Francis, da ottimo attore, aveva riverso la testa all’indietro, lasciando che la luna illuminasse col suo biancore cadaverico la pelle giá pallida. La scena era drammatica. I capelli castani e boccoluti del ragazzo pendevano inerti sul viso, i tratti delicati affascinavano i  soldati. La bocca piccola e socchiusa, gli occhi europei dalle palpebre sottili, il naso longilineo… parve agli astanti una bellezza eterea e senza tempo, e i tre ne rimasero interdetti per qualche tempo. Hikari ne approfittò. Si tolse le due giacchette per ricoprirvi il corpo (nascondendo la mancanza di ferite), poi cominciò a scuotere la testa, con i capelli che ondeggiavano, bagnati, sul volto del ragazzo. Cominciò a urlare disperatamente, a contorcersi, quasi si strappò gli occhi a forza di serrarli con i palmi aperti delle mani, spinti fin nelle orbite. Si graffiò il viso ed il petto, come le antiche prefiche. Uno dei soldati, quello col braccio al collo,  si arrampicò sul robot, alzando una mano per calmarla. Era il dottore dalla pelle scura.
“Ehi, ragazza, calmati. È triste, lo so, ma devi venire con noi” disse con un accento indefinito, tirandola per un braccio. Lei si strinse al bordo di lamiera, ferendosi la mano, strappò il braccio dalla presa, gridò: “No! Lasciatemi qui!”, appena l’uomo si fu ritratto si gettò quasi nell’abitacolo, afferrando una pistola d’ordinanza all’interno. I tre soldati, di cui uno era la donna di prima, la tirarono dai piedi, lei si aggrappò strenuamente al bordo. Si puntò la pistola alla tempia. “Non avvicinatevi o sparo!”. Dopo un attimo di silenzio, singhiozzó: “Lasciatelo qui, in pace, ed io verrò con voi, senza oppormi, senza fare storie. Lasciate. Solo. Che resti. In pace.” La pioggia batteva. “È morto ormai! Che ve ne fareste di un corpo morto?!” urlò. 
I tre confabularono fra loro per lunghi attimi. Infine, il dottore si fece avanti e disse: “D’accordo. Ora scendi”. Hikari scese, accettando l’aiuto dell’uomo, ma appena posati i piedi a terra, lui e la donna  la afferrarono per le braccia e le spinsero il collo verso il basso, uno da ogni lato, come le bestie da soma sotto il giogo. Il terzo uomo si allontanò velocemente, avvisando i compagni “Vado a preparare il laboratorio” esordí con una voce molto bassa.
I due la portarono cosí per diversi metri, prima di fermarsi di fronte ad un capannone alla sua sinistra. La porta era socchiusa, e le lampade sbadigliavano uno spettrale lucore verde sul pavimento metallico e freddo. I due le legarono le mani, la spinsero dentro e chiusero la porta blindata, lasciandola sola con il terzo uomo. Era alto, un po’ curvo dentro il camice, portava lunghe ciocche grigie ai lati del volto e gli occhi scuri infossati nelle orbite, la barba lunga e non curata.  All’improvviso, girò il braccio, puntandole la pistola contro.
“Facciamoci a capire. Tu adesso starai buona buona e mi lascierai fare il mio lavoro in santa pace, chiaro?”




Ohilà salve! Mi scuso per il ritardo, ho avuto alcuni problemi a pubblicare, ma farò fioretto e lavorerò più veloce la prossima volta (pare vero!). Questa è la scena madre, quella che mi è venuta in mente per prima quando ho deciso di cominciare a scrivere, credo sia la mia preferita, anche se non so se l'ho resa bene.  In realtà ho avuto un paio di indecisioni sul quasi bacio di Mao e Kurz e sull'incontro di Kaname e Sousuke con i due fratelli.... ma spero di aver reso l'idea, anche se non so quanto si attengano agli originali! Ringrazio LightorDarkness, fenris e KitsuneAkuma per aver recensito e tutti coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, le preferite o le ricordate, Grazie! Spero di aver risolto, almeno in parte, le perplessità. Buona Fine e Buon Principio, e Buon Natale, anche se in ritardo!



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Capitolo 9
*** Da svenimento a svenimento ***


Da svenimento a svenimento

Bastarono pochi metri perché la sua vista cominciasse ad ondeggiare furiosamente e ad annebbiarsi. Doveva aver perso troppo sangue. Non sentiva piú nulla, e lentamente stava perdendo anche la vista e la sensibilitá agli arti. Stava svenendo. Aggrappandosi alle mura di metallo, barcolló in avanti, non sapendo bene dove andasse. Ad un certo punto, un baratro luminoso si aprí sotto di lei, che ci cadde dentro e svenne del tutto.


Quando Hikari si risveglió, si rese conto di trovarsi in una stanza d'ospedale, e non morta sul pavimento del velivolo. O peggio, spiaccicata al suolo. Abbassó lo sguardo, e si vede completamente bendata dalla vita in su, spalle comprese. Aveva una flebo ed una sacca per la trasfusione di fianco, attaccati mediante aghi al suo braccio sinistro. Ai suoi lati, due gruppi di cani rabbiosi si confrontavano... O meglio, Sousuke, Mao, Kaname e Kurz da un lato, e i suoi nuovi compagni di gioco con Mathieu al seguito dall'altro, si fissavano in cagnesco dai bordi del suo letto. Erano talmente presi dalle reciproche antipatie da non essersi accorti che si era svegliata, cosí ebbe tutto il tempo per guardarli con calma.
Seduto SUL letto, di fianco alla sua testa, il tizio col passamontagna fissava a turno lei ed il letto di fianco al suo, coperto dall'uomo stesso alla sua visuale. Poco piú giú, la ragazza coi tatuaggi era tutta presa da i ragazzi vicino a lei, cosí che Hikari poté ammirarne con tutta tranquillitá i lineamenti marcati senza essere volgari, il naso elegante e la bocca rosea e carnosa, le ciglia lunghe e nere e gli occhi dello stesso colore dei capelli. I tatuaggi erano ghirigori senza senso, che le ricoprivano interamente le braccia. Mathieu pareva scazzato, mentre il ragazzo in fondo - un bellissimo ragazzo dal viso angelico, con spauriti occhi verdi acqua - era piú spaventato che altro. Doveva essere il pilota del Mordred, l'unico della compagnia che non aveva visto.
"Ti sei svegliata, finalmente!" Disse la squillante voce di Kaname.
"Era l'ora" commentó sarcastica la ragazza castana.
"Kurojima, questi tizi hanno insistito per rimanere a "monitorare" la situazione. Grazie all'intervento combinato loro e della Mithril nessuno sa che voi siete qui, e le vostre cartelle cliniche sono top secret. Puoi gentilmente dichiarare loro di non correre piú alcun pericolo? Temo che non se ne andranno finché non lo avranno sentito con le loro stesse orecchie" sbuffó Mao infastidita. Quei tipi non le piacevano. Per niente.
Purtroppo Hikari era di parere contrario. "Tanto per cominciare, non voglio che se ne vadano." Ghigni di trionfo fecero la loro comparsa. "Mi devono spiegare troppe cose. In secondo luogo, a che voi ti stai riferendo?"
"A quello lí" rispose lapidaria Mao indicando il letto a fianco al suo, che lei non poteva vedere. Era irritata. Parecchio.
"Che fine hanno fatto gli AS nemici?" Chiese.
"Si sono dispersi, li ho allontanati io dal centro di controllo, ma torneranno, molto presto" rispose Kaname.
Nel frattempo, la castana aveva preso a far moine a Kurz, che aveva cominciato a sbavare. La ragazza aveva ancheggiato fino a lui, strusciandocisi contro come una gatta. Lo guardava languida, gli sbatteva gli occhioni (e non solo quelli) in faccia...
Gli stava porgendo le labbra, quando Mathieu l'aveva richiamata all'ordine: "Miranda!"
"Ma tesoruccio, ci stavo solo giocando! Lo sai che amo solo te! E poi tu devi chiamarmi solo Mira. Sono solo Mira per te" rispose lei tutta carina, quando lui la attiró a se e la bació, e con gusto anche!
"Potreste anche risparmiarci lo spettacolino, sapete?" Disse Kaname, mentre Mao risvegliava il suo sottoposto con un pugno.
Hikari si alzó a sedere. Le era parso di sentire dei passi concitati in corridoio. Pochi secondi dopo, la dottoressa Rangetsu fece la sua comparsa dalla porta della stanza. "Hikari! Ma come ti sei conciata! Guarda come sei ridotta!" Disse sedendosi dall'altra parte del letto. "Che é successo?"
"Mi hanno attaccata, signora Rangetsu. La pregherei per la sua incolumitá di abbandonare al piú presto ogni velleitá di curarmi" disse nel tono piú freddo che riuscí a trovare.
"Ma tesoro..." Tentó la donna.
"Staró bene, glielo giuro." Rispose Hikari prendendole le mani. Sentí una schicchera quando sfioró con le dita il castone verde dell'anello della donna. Strinse con forza quelle dita morbide e lunghe, guardandola intensamente negli occhi perché capisse.
Dopo istanti di silenzio infinito, la dottoressa le pose dolcemente una mano sulla testa: "Ciao, cara", le diede un bacio in fronte e se ne andó. Mentre tutti assistevano alla scena in silenzio, l'uomo in nero ne aveva approfittato per cambiare la flebo ormai vuota.
"Quanto tempo ho dormito?" Chiese Hikari confusa. "Un paio di giorni. Aspettavamo che ti svegliassi per portarti al nostro quartier generale" le rispose Mathieu. Un vago senso di stordimento la avvolgeva.
"E voi avete accettato supinamente la situazione?" Chiese confusa. Da quando li conosceva, non l'avevano mai lasciata in pace, nemmeno per un secondo!
"Ehm, anche noi saremo con te. Siamo in loro balia al momento" Rispose Kurz, che pure sembrava tranquillo.
" Ci stanno impedendo di avere rapporti col quartier generale" finí Mao.
"Cooome? Peercheé?" Strascicó Hikari, sempre piú stanca. Rispose l'uomo in nero: "Dovete perdonarci, Milady, ma questo affare é molto piú grande di voi. Avete la nostra parola d'onore che non vi sará torto un capello, e che le comunicazioni verranno riprese appena il problema sará risolto"
Hikari sentí bofonchiare qualcuno: "La nostra parola d'onore..." Ma prima che potesse anche solo sentire la fine della frase, si era addormentata.


"La ragazza si é ripresa, ed é pronta per l'operazione" disse la donna al telefono.
"Perfetto. Due giorni e verremo a prenderla. Ben fatto, rafiki. Ci sentiamo presto"
"A presto" la telefonata si concluse con uno scatto, l'ennesimo.
"Mi dispiace, piccola" pensó la donna.



"Sicuro di sentirti bene? Non vorrei che ricadessi"
"Sto bene. E sai che dobbiamo farlo. Non lo vedi quanto ha sofferto in questi mesi? Sola come un cane, hai visto com'é magra? E le ferite? Non é giusto continuare a giocare ai paladini mascherati con lei."
"Hai ragione, peró... Cosí sará piú difficile proteggerla"
"Gli amici sono sempre stati i punti deboli ed i punti di forza di ognuno, ed é l'ora che anche noi ci rassegnamo a questo"
"Sei diventato piú profondo, sai? Di solito ero io quello che pensava."
"Ah-ah. Ha parlato il genio"


Hikari aprí gli occhi diverse volte, prima di svegliarsi del tutto. La vista era ancora mezzo offuscata, ma percepí chiaramente di stare in una stanza buia, senza finestre. Una lama di luce entrava dalla porta socchiusa. Sulla parete di fronte al suo letto, solitario inquilino della stanza insieme al comodino, era disegnato un enorme cerchio di vernice bianca. Al suo interno, troneggiava il simbolo che lei aveva visto sul giacchetto di Mathieu. Hikari si alzó dal letto e si avvicinó al graffito, spolverando con la mano la testa dell'airone.
Fu cosí che la trovarono Sousuke e Kaname aprendo la porta. Immobile come probabilmente era da molto, sembrava una statua. Una statua piangente. Lungo le gote, strie salate scavavano solchi invisibili. Gli occhi brillavano di lacrime, mentre accarezzava teneramente il graffito sulla parete.
"Hikari, ci sono due persone che vorrebbero parlarti" le disse Kaname.
"Chi?" Chiese lei asciugandodi le guancie con la manica.
"Noi" una voce maschile, dolce, non troppo bassa raggiunse le orecchie incredule di Hikari. Una voce conosciuta, anzi! Una voce amata, che temeva non avrebbe piú sentito. Hikari credette di avere le allucinazioni! La porta si spalancó. Davanti a lei l'uomo ancora incappucciato, appoggiandosi ad un bastone, sorreggeva al suo fianco un giovane prostrato dalla malattia, dai lucidi capelli castani e la barba lunga di qualche giorno. Il ragazzo si sfiló il passamontagna, mostrando i capelli d'oro e gli occhi color del cielo: "Hik, non ci riconosci piú?" Disse guardandola negli occhi. Non ci sono parole per descrivere la felicitá di quel momento. In un battito d'ali, Hikari si era trasformata. Aveva corso loro incontro come una pazza, con lacrime di gioia li aveva stretti, con un sorriso cosí vero! Era talmente felice! I suoi occhi brillavano mentre rideva, di una risata cosí bella che tutti se ne innamorarono. "Siete voi! Siete davvero voi! Sono cosí felice!" Esclamó, stringendoli ancora. Niente poteva rendere quella felicitá a parole. Le era scoppiata dentro una bomba di felicitá, sentiva di star per esplodere! Non poteva essere!
"Che ti é successo, Sho? Perché sei cosí deperito? Daiki, perché zoppichi? E soprattutto, che fine avevate fatto? Mi avete fatto morire di dolore, stupidi cretini! Dovete raccontarmi un sacco di cose!" Li sgridó ancora appesa ai loro colli.
"Hik, mi stai soffocando!" Disse Sho con voce roca. Il ragazzo era terribilmente magro e debole. Nonostante i muscoli sviluppatissimi, non riusciva a reggersi in piedi. Aveva il volto scavato. Sembrava terribilmente malato.
"Che ne dici di parlarne tutti insieme davanti ad una calda tazza di thè? Ti racconteremo tutto, promesso" disse Daiki stringendola a se col braccio libero.
"D'accordo, andiamo" disse lei sorreggendo Sho dall'altro lato. Insieme si allontanarono.
Kaname e Sousuke rimasero lí, osservando i tre amici allontanarsi insieme parlottando. Sousuke pensó che doveva essere bello avere degli amici cosí. "Guarda che anche noi siamo cosí. Un po' meno melodrammatici, ma siamo cosí." Gli disse Kaname. "L'ho detto ad alta voce ?" "Si!"

Nella sala del thé, nel tipico stile cinese tanto amato da Daiki, c'era un basso tavolinetto, due divanetti ed uno scarno mobilio in tono con le pareti ricoperte di tessuto color carta da zucchero. Il pavimento nero era ricoperto da un lucido tappeto azzurro di stuoia colorata. Quando vi arrivarono, Daiki andó a prendere il thè, mentre Hikari fece stendere Sho, che le era parso tremendamente instabile, sul divano con la testa sulle sue gambe. Hikari attendeva con impaziente silenzio, accarezzando i capelli di Sho. Si sono allungati, pensó Cosa vi é successo, ragazzi? Il ragazzo invece la guardava con un misto di nostalgia e tenerezza. Ti spiegheremo tutto. Ci saremo noi d'ora in poi, non soffrirai piú. Poco dopo Daiki tornó col servizio da thè sul carrello. Dopo aver chiuso le tende azzurre alle finestre, si sedette di fronte a loro, lasciando il bastone nero, dal pomo d'argento a forma di testa di drago, al suo fianco. Gli occhietti azzurri della creatura riverberarono. Mentre Daiki versava il thè, Sho disse con voce roca: "Ti abbiamo fatto soffrire, vero Hik? Lo vedo: Sei cosí magra, hai incisa sul volto la traccia del lutto, i segni di chi é morto dentro. Mi dispiace. Avrei voluto..." Un forte dolore lo colse alla testa, costringendolo a smettere.
"Non ti affaticare, Sho. Ti sei giá sforzato troppo alzandoti. Racconteró tutto io" disse Daiki posandogli una mano sul braccio per rassicurarlo. Hikari rimase sorpresa. Di solito, era Daiki quello profondo, e Sho quello che si occupava di lui. Sembrava tutto invertito, adesso. Impressionata, chiese: "Che vi é successo? Chi lo ha ridotto cosí?". Daiki si versó il thé, e dopo un breve sorso rispose spiegandole che poco tempo prima una famosa associazione, l'Amalgam, si era sciolta per la morte del capo, e le varie unitá si erano disperse. In particolare, una di loro era dedita alla ricerca delle origini della Black Technology. Per poter mandare avanti le loro ricerche, gli scienziati avevano bisogno di soggetti Whispered, sia per gli esperimenti, che come Centro della loro base operativa volante, il velivolo che lei aveva visto. Questi scienziati, dopo lunghe ricerche, erano riusciti a risalire all'anima comune di ogni potere, la Scintilla di Prometeo. Prometeo é il nome fittizio che avevano dato a colui che aveva donato questo potere agli uomini. Una volta isolatala, avevano creato un macchinario capace di trovare la massima concentrazione di questo potere iniziale, chiave per sfruttare i poteri giá presenti al meglio, ed ottenere l'accesso al mondo da cui questo potere proviene, scoprendo in lei questa chiave.
Mentre Daiki spiegava, Hikari accarezzava i capelli di Sho, facendogli un delicato massaggio alle tempie. I polpastrelli lasciavano una scia verde sulla pelle abbronzata, che svaniva dopo poco. Sho era teso dal dolore, ma contrariamente al solito, non si dimenava, nè gridava. Soprattutto, sembrava ancora se stesso.
Daiki continuó a spiegarle. Quando questa unitá si era divisa per prenderla, lei eri giá partita. Attirata dalle tracce di energia che gli aveva lasciato addosso, metá della squadra gli era stata mandata contro. Grazie ad un colpo di fortuna, erano riusciti a prendere il controllo della mezza unitá che gli era venuta contro. Ovviamente, la parte rimanente, il cervello dell'operazione, non si era arresa, e aveva ritentato. "Tu sai com'é andata a finire. Ci hanno attaccati il 10 agosto. A causa di quell'incidente, la tua famiglia é morta, e tu sei rimasta ferita. Noi non siamo morti. Sbalzati dalla macchina, siamo stati recuperati dal gruppo. Io sono stato ferito alla gamba destra in quell'occasione" disse Daiki scoprendo sotto l'aderente pantalone nero una lunga cicatrice frastagliata, simile a quelle che lei aveva sulla schiena, che saliva dalla stretta caviglia fin su a metá coscia, stridendo col colorito pallido del ragazzo. Hikari adagió delicatamente la testa di Sho, che di era addormentato, sul cuscino, e si lasció cadere per terra. Sfioró la cicatrice con la punta delle dita.
"Ma non ti fa male?"
"Cosa?" Chiese Hikari spiazzata.
"Cadere in quel modo. Io con questa gamba mi ammazzo, tu tra un po' diventi Tarzan!" O cavolo. E ora cosa avrebbe fatto? Mica poteva dirglielo, insomma! Non voleva passare per debole, per drogata! Ma tanto prima o poi sarebbero venuti a saperlo dalle analisi, quindi tanto valeva che glielo dicesse lei. Non gli aveva mai detto una bugia, non avrebbe cominciato certo oggi.
Nel frattempo, Daiki la scrutava coi suoi occhi limpidi, osservandola mordersi le labbra, come faceva quando era nervosa, e stringere la federa del divano. Cosa doveva dirgli di cosí difficile?
"Ehm, vedi, io il dolore non lo sento piú" Pigoló.
"Come sarebbe a dire non lo senti piú?" Rispose lui confuso.
"Che non provo piú dolore. Mi sono... Bruciata questa capacitá." Disse Hikari guardando in terra. Si sentiva un verme.
"Come hai fatto?" Chiese stupito.
"Beh, diciamo che ho preso un po' troppi analgesici" Disse lei girandosi contro il divano. Di sicuro Daiki aveva capito. Adesso l'avrebbe disprezzata, l'avrebbe lasciata di nuovo. L'aveva deluso... Il silenzio caló, inabissando il suo spirito.
Era finita.
"Una volta" disse atono all'improvviso dietro le sue spalle, "ti mordevi le labbra a sangue. Dicevi che il dolore ti rischiarava le idee, che era una delle cose che rende vivi"
"Mi dispiace, ti ho deluso!" Disse lei stringendosi al divano. Altri minuti passarono, mentre lei mordeva la federa e lui la fissava in silenzio.
Alla fine decise. La prese per il polso, sentendo il suo bisogno di un contatto umano, dopo tanto tempo. "Ehi, va tutto bene, non preoccuparti. Raccontami" Era vero, Hikari era sempre stata un pilastro morale e vederle confutare ció che aveva sempre strenuamente difeso con tanta facilitá l'aveva deluso molto. Poi peró aveva pensato che lei ne aveva passate tante. Aveva creduto di aver perso tutto, era rimasta ferita, insomma chiunque sarebbe crollato dopo aver visto la sua vita rivoltarsi come un calzino. Hikari, si rese conto, era spezzata, come il bordo frastagliato di un vetro. Era tagliente, ma anche tagliata. Stavolta era lei ad aver bisogno di lui dopo tanto tempo. Con delicatezza la fece sedere con lui sul divano, mettendole un braccio intorno alle spalle e uno intorno alla vita la strinse a se, col volto contro il suo petto.
Con voce tremante, Hikari cominció a raccontare: "Quando... Quando voi ve ne siete andati, io ero distrutta. Avevo la schiena tranciata da mille pezzi di lamiera, e vagavo scioccata e prossima al dissanguamento. Non mi ero resa conto di ció che era successo. Ricordo solo il dolore intenso, il sangue per terra, ma é tutto cosí nebuloso... All'improvviso la mia mente si é come estraniata, ha cominciato a viaggiare in un universo mai visto. Ho visto una forte luce verde, ed una miriade di informazioni che mi entravano in testa, mi facevano impazzire... Un incubo. É cosí che mi ha trovato la dottoressa Rangetsu, praticamente fatta in mezzo alla strada, con un colabrodo al posto della schiena." Il sarcasmo trasudava a fiotti dalle sue parole, e lí finalmente Daiki la riconobbe, la sua amica guerriera.
"Per due settimane non ho fatto che urlare, come una codarda. Ho urlato per assordare il dolore che sentivo, fuori e dentro, per non vedere la realtá. Ho urlato talmente forte che la dottoressa é stata costretta a sedarmi pesantemente, tanto che non ho potuto piú farne a meno. Io tutto quel dolore non lo volevo, non lo volevo, e avrei fatto di tutto per farlo sparire, meglio ancora adesso che potevo farlo senza sforzo! Per fuggire dal dolore, sono diventata ció che piú rifuggivo, ció che piú odiavo, solo per non sentire le vostre voci, l'odio che mi faceva impazzire. Sono stati mesi d'inferno, mesi di pazzia pura, di odio contro tutti, il mondo, me stessa... Ero sull'orlo della follia..." Si interruppe singhiozzando. Daiki attese, accarezzandole piano la testa, accettando lentamente i fatti, assorbendo dentro di se quella consapevolezza, conscio della sua scelta: Non l'avrebbe piú lasciata. Ne lei l'avrebbe mai fatto.
"Era l'ora" Le disse quando si fu calmata.
"Di cosa?"
"Che piangessi. Sapevo che non l'avevi ancora fatto"
"Ah. E come mai?" Chiese lei staccandosi.
"Hik, io ti conosco. E so anche che sei cosí stupida da non voler piangere perché non accetti la realtá. Non mentirmi." Rispose posandole una mano sulla testa. Hikari si sentí tremendamente in colpa, fissando i limpidi occhi del suo migliore amico.
"Ma ora ce l'hai fatta. L'hai accettato. Per te é l'ora di cominciare ad andare avanti. Sei pronta, andiamo?" Le disse dolcemente.
"Dove?" Chiese lei, imbambolata. Lui rise.
"Verso il futuro. Peró se preferisci una meta piú immediata, c'é la barella in corridoio!" Disse il ragazzo indicando l'amico ancora addormentato sul divanetto basso.
Sbuffó. "Vado, vado! Pigrone" rispose tornando poco dopo. "Io lo prendo per i piedi, tu per le spalle" affermó Daiki alzandosi col bastone, per poi abbandonarlo poco dopo in favore delle appendici sopra citate.
"Al mio tre. Uno, due, tre!" Esclamó Hikari tutto d'un fiato.

Durante il tragitto, i due parlarono del piú e del meno, ricadendo infine nell'argomento Sho: "Senti, mi dici una cosa: Come hai fatto prima a calmarlo cosí velocemente? Di solito, cimette una vita a ristabilirsi dalle sue crisi violente"
"Ho sfruttato la Scintilla. Sho é stato utilizzato dal gruppo perché é "portatore sano" della Black Technology. In poche parole, ha una leggera predisposizione a contenere informazioni di quel genere, capacitá che lo rende particolarmente sensibile ai possessori completi del potere. É un'ottimo motore di ricerca. Lo sfruttamento del suo potere peró causa il sovraccarico delle cellule neuronali. Io ho semplicemente smaltito parte di quel sovraccarico."
"Che paroloni!" La scherní Daiki.
"Non sono io ad usare paroloni. Sei tu che sei ignorante!" Lo derise lei.
"Ah, si? Adesso vediamo chi é l'ignorante!" Rise lui assalendola.
"No, no, ti prego! Lo sai che soffro il solletico!" Pregó lei ridendo a crepapelle.
"Potete fare un po' meno casino? Qui c'é qualcuno che cerca di dormire!" Si lamentó una voce roca dal lettino.
"Sho! Ma allora non stavi dormendo!" Esclamó Hikari.
"Ma dai! E come faccio, con voi che gridate come dannati?"
"Brutto...!" Disse lei tirandogli uno dei cuscini della barella in faccia. Risero.


Tre giorni dopo il clima era molto piú disteso nel quartier generale. I due gruppi si erano creati due bolle isolate in cui ognuno faceva ció che preferiva ignorandosi. Il gruppo della Mithril era passato dalla reclusione ringhiosa ad una ringhiosa convivenza semi-pacifica, grazie all'intervento di due controllori dell'ordine d'eccezione: Kaname e Hikari, che tra una ventagliata da una parte ed un pugno dall'altra erano riusciti ad instaurare un clima quasi casalingo.
Dall'altro lato, la maggior parte del gruppo preferiva ignorare bellamente gli altri, eccezion fatta per Miranda (che adorava stuzzicare Kurz, puntualmente rimesso al suo posto dalle donne e da Mathieu, che era gelosissimo), Daiki e Sho. Quella mattina fuori c'era un bel sole, e Mathieu aprendo il frigorifero l'aveva trovato deserto, cosí avevano prontamente deciso di comune accordo che sarebbero state le donne a fare la spesa ("Brutti maschilisti! Screanzati!" E chi piú ne ha piú ne metta). E altrettanto prontamente, Miranda e Mao avevano gentilmente declinato l'invito ("Io fare la spesa? Giammai") accampando scuse dalla dubbia veridicitá, lasciando l'ingrato compito ai due mastini da guardia, che per fortuna non avevano protestato oltre. Sousuke si era subito proposto volontario.
"Ok, ragazze, ecco la lista della spesa. Mi raccomando, non strafate!" Disse Daiki porgendogli la lista.
"Si mammina!" Lo scherní Hikari.
"Non prendermi in giro! Su, ora andate"
"Aspettate! Datemi un attimo il braccio" urló Sho scapicollandosi (per quanto glielo permettesse la sedia a rotelle) lungo il corridoio.
"Il braccio? Perché?" Chiese Kaname.
Sho si alzó in piedi, brandendo una siringa dall'aspetto alquanto minaccioso. Sousuke subito si allarmó: "Cosa vuoi fare?" Gli ringhió aggredendolo.
"Sergente Sagara, puó stare tranquillo. É solo un ricetrasmettitore iniettabile, controlli pure!"
Infatti, Sousuke non trovó nulla ispezionando la siringa, lasciando un borbottoso lasciapassare a Sho, che con un gesto veloce afferró prima il polso di Hikari, poi quello di Kaname e infine quello di Sagara, iniettandogli il dispositivo emanante una fievole luce.
"Ok, noi andiamo!" Esclamarono le ragazze.
"E i soldi?" Chiese Sho.
"Ce l'ho!" Sorrise Hikari vittoriosa sventolando il portafoglio del ragazzo.
"Brutta ladra! Dopo facciamo i conti!" Le inveí contro.
"Credici!" Gli urló lei di rimando dalla porta.


Arrivati alla porta del centro commerciale, due piccoli mendicanti cenciosi li fissarono astiosi per breve tempo coi loro brillanti occhi cerulei. Hikari vide due ciocche rossiccie spuntare dai loro cappellini calcati in testa, e sorrise dando loro una banconota. Poi entrarono, e la ragazza si dimenticó di loro.


Mezz'oretta dopo, i tre erano finiti per caso nel reparto profumi del centro commerciale, alla ricerca dell'essenza preferita di Hikari, apparentemente introvabile. Le ragazze avevano mandato Sousuke a fare la spesa al loro posto, impegnate nello smanettare tra i vari profumi. Mentre si stavano divertendo fra le varie boccette e boccettine, un uomo dalla pelle scura e due penetranti occhi neri si avvicinó a loro, sfoggiando un impeccabile completo bianco, strofinandosi il naso con un fazzoletto di candida tela.
"Mi perdoni signorina, ma ho il raffreddore e volevo regalare un profumo alla mia fidanzata. Mi potrebbe dare un suo parere su questo profumo?" Le chiese con voce nasale l'uomo avvicinandole al naso un secondo fazzoletto. Hikari inspiró profondamente e... Svenne.








​Ed ecco, dopo mesi e mesi di silenzio, l'ottavo capitolo! Mi scuso per il terribile, spaventoso, orripilante ritardo, ma proprio non ci sono riuscita a metterlo prima. Avevo molte indecisioni soprattutto sul dialogo fra Daiki e Hikari. Melenso, melenso, melenso, e non credo sia migliorato molto. Un capitolo di passaggio fra due scene d'azione. Odio far svenire i miei personaggi, ma non sapevo proprio come metterla! Ringrazio LightoDarkness e fenris per aver commentato e Kitsune_akuma per averla messa fra le seguite e le preferite. Prossimo capitolo: Forse fra un paio di settimane!


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Capitolo 10
*** In viaggio! ***


In viaggio!


Hikari digrignò i denti. Immaginò in che modo potesse disarmarlo senza l’ausilio delle braccia, sapendo che per loro era meglio mantenerla magari non illesa, ma viva. Mentre l’uomo riapriva la bocca per parlare, lo caricò di di testa, mozzandogli il respiro, quello di riflesso sparò, colpendo il pavimento metallico dietro di lei. Prima che fosse in grado di reagire, Hikari gli rovinò addosso, ma quello la rovesciò con facilitá. Il rumore del pugno vicino alla sua testa rimbombò nel piccolo ambiente, mentre le ferite sul petto e sulla schiena si riaprivano con uno schiocco di sangue rappreso dentro le bende sfilacciate. Hikari pensò che Mao avrebbe commentato il suo come talento per le missioni suicide. L’uomo torreggiava su di lei con tanto di schifosa bava alla bocca: “Parli un’altra lingua per caso, bambolina?” Hikari gli sputò sul faccione sudato. “Forse non sono stato abbastanza chiaro: Stai buona o i tuoi amici vengono  sgozzati come maiali” ghignò il tipo mostrandole una foto sgranata sul cellulare: Due ragazzi, di cui uno pesto e l’altra con una vistosa chioma blu erano ritratti svenuti in una posa alquanto scomoda, con mani e piedi legati, e la bocca tappata con del nastro. La ragazza si arrese. L’uomo si alzò, e facendolo la trascinò con se, spingendola in un angolo. “Spogliati, e mettiti questa. Anche le bende” disse lanciandole una di quelle tuniche verdine da ospedale. Hikari si apprestò, ma vedendo che l’uomo non si girava, gli disse: “Mi sto spogliando”, l’uomo rispose “Non mi imbarazzo, tranquilla. Procedi pure” puntandole di nuovo l’arma contro. La ragazza il più velocemente possibile si spogliò del doppio strato di pantaloni e della camicetta ormai inservibile. Si coprí con la tunica e sciolse le bende strappate, lasciando che cadessero a terra in un groviglio sanguinolento e maleodorante. Il sangue, finora arrestato all’altezza del bacino, cominciò a scorrere di nuovo, sporcando con lunghe strisciate la veste e le gambe. Dopo poco il liquido caldo colava sulle dita e poi ai suoi piedi, mentre lei legava dietro il collo la tunichetta. L’uomo, con una smorfia di disgusto, afferrò quell’obbrobbrio per il gomito ancora pulito e la spinse all’interno di un cilindro -una bara- di vetro e metallo. L’impatto fu tanto forte da mozzarle il fiato, ma lei non si oppose. Si lasciò trascinare, il freddo che le mordeva la pelle. L’uomo si avvicinò con una lunga siringa, che inserí nel collo. Spinse lo stantuffo e ritirò la siringa, ne afferrò un’altra e la riversò nelle sue vene. Le sciolse le mani. In breve tempo, una forte nausea le montò dentro, e la testa e l’aria intorno a lei cominciarono a pulsare. “Perdonami, bambolina, ma non ho molto tempo.” Le sussurrò l’uomo ponendole una mano sulla testa come per rassicurarla. “Ti fará un po’ male, ma non ti preoccupare, ci sarò io qui con te. Tu chiamami ed io verrò, d’accordo bambina mia?” Hikari, stordita, lo fissò stranita. Negli occhi di quell’uomo era comparsa l’ombra di una tenerezza straniante. Sembrava vedesse qualcun altro al suo posto. “C’è il tuo papá qui con te, non hai nulla da temere. Ora dormi, figlia  mia” finí posandole un umido bacio sulla fronte. Hikari era troppo nauseata per rispondere. L’uomo le mise un visore sugli occhi. Sentí la bara richiudersi sopra di lei. Il visore si accese ed un turbinio di immagini caleidoscopiche tridimensionali si versarono nella sua mente ad un ritmo furioso. Allo stesso tempo, lancinanti fitte le trapassarono il cervello, nentre spasmi muscolari le attraversarono il corpo. La sofferenza era immensa. Bruciare i recettori del dolore non le aveva precluso la possibilitá del dolore mentale e muscolare, miseriaccia! Il cuore prese a battere all’impazzata, Hikari entrò in piena crisi di soffocamento, non riusciva a respirare, aveva i polmoni chiusi, l’aria non entrava! La bocca si spalancò in un grido muto, i muscoli erano contratti allo stremo, la pelle tesa sulle braccia e sulle dita scheletriche e tese ad artiglio, volevano raggiungere il vetro ma erano bloccate. Le gambe si agitavano instancabilmente, la schiena si arcuava nello spasmo… L’uomo sorrise tra le lacrime, accarezzando il vetro con tenerezza, mentre sul display del computer venivano elencate lunghe striscie di dati. La ragazza cominciò a battere sul vetro, a graffiarlo, ansimando un faticoso “basta”. Il dolore era insostenibile, il petto sembrava non fosse abbastanza ampio per contenerlo, si tendeva, bruciava, la nausea era imperante, il dolore alla testa insopportabile. Quelle immagini, non le sosteneva più! Doveva, doveva…
Uno squillo perforò il silenzio ovattato. L’uomo rispose.
“ Si. Si, d’accordo, mi sbrigherò, aumenterò la dose. Non ti preoccupare. Vieni qui a controllare allora!” Berciò chiudendo il telefono.
Si avvicinò a lei, tremante, schiuse la bara e le tolse delicatamente il visore. Gli occhi nocciola,  momentaneamente ciechi, si spalancarono sul soffitto metallico. Hikari, se ancora poteva definirsi tale, vomitò anche l’anima sul pavimento del laboratorio. L’essere le si accostò con gentilezza, sorreggendola per le spalle, tenendole i capelli mentre rigettava. “Scusami, piccoletta. Durerá poco, te lo prometto.” Stavolta, le siringhe la trafissero sulla coscia, e l’effetto fu quasi immediato. Prima che potesse avere reazioni più violente, le rimise il visore e richiuse la bara. Hikari si scatenò, mentre il fuoco bruciava nelle sue vene. Batteva, urlava, si agitava. Durò pochi secondi, prima di svenire.
Negli attimi infiniti prima di addormentarsi del tutto, Hikari si svegliò diverse volte. Il dolore montava ad ondate. Gemeva. La prima volta, sentî qualcuno di ruvido estrarla dalla bara e stringerla a sé, senza toglierle il visore dagli occhi. Ogni volta che si svegliava, si sentiva cullare fra le calde braccia di qualcuno che la consolava sussurrando parole a lei incomprensibili. Ogni volta che gemeva, quelle braccia la stringevano più forte, con disperazione. Il sogno si confuse alla realtá, e sentí il viso liscio di suo padre strusciarsi contro il suo, mentre giocavano insieme, sentí la sua risata contorcersi in un eco di lamiere. Lo abbracciò forte. L’uomo si sentí morire, quando la sua bimba sussurrò la parola “Papá”. Quando si svegliò di nuovo, vicino a lei c’era un leggero profumo di gelsomini. “Mamma!” La mamma si avvicinò, percepí il profumo farsi più intenso in mezzo all’odore penetrante del sangue e del muco. “Povero tesoro…” la accarezzò, mentre parlava ancora, ma il dolore la sommerse, e Hikari ricadde nel sonno definitivamente.
Nel frattempo, Kaname e Sousuke, che erano usciti dal velivolo, avevano incontrato il Mordred. Sousuke era salito  sull’armatura e si era accertato velocemente della sanitá del pilota, che era semplicemente svenuto, e scansandolo si era appropriato dei sistemi di comunicazione. La frequenza era giá impostata. “Qui sergente Sagara. Mi ricevete?”
“Si, Sousuke, stiamo arrivando.” Urlò Mao da lontano.” State tutti bene?” chiese la voce ansiosa di Sho Akenomyousei.
“Io e Chidori stiamo bene, ma non abbiamo notizie di Kurojima” Kaname lo raggiunse sul bordo dell’alloggiamento.
“Dannazione” imprecò la voce. “Sousuke, prendete Francis con voi, distruggete il Mordred e dirigetevi seguendo il muro verso sinistra, c’è il cancello. Aspettateci lí” La comunicazione si interruppe.
“Bene, muoviamoci” concluse Sagara invitando silenziosamente Kaname ad uscire. La ragazza si chinò su Francis e lo scosse: “Ehi, sveglia, tu! Svegliati! Il tipo mugolò, e Kaname non attese, lo afferrò per un braccio e lo trascinò con lei fuori dal mucchio di metallo.
Dopo pochi, brevi comandi sul display, Sousuke li seguí correndo. “Allontanatevi!” gridò prima di gettarsi sopra Kaname. L’esplosione illuminò violentemente i dintorni. Il Mordred si era auto-distrutto, e Francis era sconvolto. Sembrava star lí lí per piangere. Si rialzarono e trascinandosi dietro lo spaventatissimo ragazzo, che si era deciso per il mutismo, raggiunsero il cancello e si nascosero nella portineria, sfondata precedentemente con un paio di colpi ben assestati.
Dopo pochi, lunghissimi minuti, un furgoncino corazzato si piazzò a diversi metri dal cancello. Miranda e Kurz uscirono alla chetichella con una confezione argentata ognuno. Velocemente, attaccarono una sorta di plastilina grigiastra (del plastico, sicuramente) ai cardini del cancello, ci infilarono dei cavi e facendogli segno di allontanarsi, tornarono all’auto. I tre corsero via. Pochi secondi dopo il cancello esplose in una nuvola di polvere e ferraglia, liberando il passaggio per il furgone, che entrò di gran carriera.
“Montate su!” gridò Mao dal finestrino del guidatore. I tre salirono dal retro, trovando la banda al completo in piedi dietro ai posti davanti, eccettuata Miranda alla mitragliatrice. L’interno era imbottito per attutire gli scossoni ed i suoni.
Diversi incroci dopo, Daiki con il localizzatore in mano, fece fermare il furgone davanti ad un capannone. Un ronzio meccanico proveniva dalle mura anonime.
“Daiki, Sousuke, Mathieu e Kurz, voi verrete con me. Miranda, tu ci coprirai all’uscita. Melissa, rimani pronta alla partenza, d’accordo? Gli altri aspettino in silenzio” chiese Sho.
“è solo una tregua momentanea, sappiatelo.” Puntualizzò Mao con le mani sul volante.
I ragazzi si accostarono alla porta, cercando di percepire la situazione all’interno. Sentirono brevi bisbiglii, poi una frase a voce più alta: “Povero tesoro, crede che io sia la sua mamma!”. Rimasero scioccati.
Si prepararono all’attacco e spianando le armi spalancarono la porta. Non erano preparati a quella vista. Un uomo dai lunghi capelli grigi cullava fra le braccia il corpo inerte di Hikari grondante sangue, mosso continuamente da spasmi. La dottoressa Rangetsu accarezzava dolcemente la guancia della ragazza. Il leggero rombo di un motore si sentiva dietro la porta di fondo. La donna si girò e li vide, e approfittando del loro turbamento afferrò l’uomo ed una chiavetta e corse con lui verso la porta di fondo. Il corpo della ragazza scivolò vischioso dalle ginocchia del tipo, scomponendosi sul pavimento. I due fuggirono dietro una barriera trasparente, ma un proiettile spaccò il cuore dell’uomo. La donna aprí la porta e sparí. Gli spari di Kurz la seguirono, ma si infransero contro la barriera di vetro anti-proiettile. Un motore partí a tutta andata dietro la porta, il silenzio ricadde. Sho si accucciò vicino a Hikari e le strappò il visore, mostrando gli occhi sgranati e ciechi. La prese fra le braccia, cercando in qualche modo di controllarne il movimento spasmodico del petto ed il battito impazzito del cuore. Il fondo della cassa di metallo e vetro era ricoperto di sangue, Hikari stessa era completamente ricoperta di quel liquido caldo e alieno. Fu Mathieu il primo a riprendersi dallo shock, e afferrato il corpo dalle braccia di Sho, corse alla macchina.
“Recuperate il cadavere!” ordinò Sho. Sousuke e Kurz obbedirono e lo trasportarono dentro. Gli altri li seguirono a ruota.
Vedendo la mala parata, Kaname si affrettò a fare spazio e recuperò la cassetta del pronto soccorso. Mathieu depose Hikari con la schiena contro la parete imbottita.
“Parti!” gridò Daiki dal fondo. Il furgone corse via e in poco furono fuori. Kaname si affrettò a serrare le ferite, ma era come tentare di turare la falla del Titanic con la carta igienica. Gli altri buttarono il corpo in una cassa per munizioni.  Hikari era pallidissima per il sangue perso, e continuava a subire gli spasmi e la tachicardia con gli occhi spalancati nel vuoto. Sho, spaventato, le chiuse gli occhi. Daiki afferrò una cinghia di cuoio e disse: “Kaname, aprile la bocca!”. Kaname fece forza sull’articolazione perché Daiki potesse infilarci la cinghia. I denti si richiusero di scatto. Francis, ripresosi dallo shock, si avvicinò e strinse con forza le bende per bloccare l’emorragia. Mentre tentava il primo soccorso, Mao e Miranda si informarono: “Che diavolo è successo lí dentro?”
“Non so cosa le stessero facendo, l’abbiamo trovata cosí, in balia di quei bastardi . Il fatto più grave è che insieme a lei e ad un altro tipo c’era la dottoressa Rangetsu” esclamò Sho.
Kaname tirò il fiato. “Cavolo”
“Giá. Non siamo riusciti a fermarli, ma ne abbiamo ucciso uno” disse indicando il corpo nella cassa. “Forse potrebbe essere il capo”
“Non lo é. Almeno non del tutto. A capo dell’unitá c’erano lui, il dottor Ousmane ed una donna sempre in missione in copertura. Probabilmente proprio la dottoressa di cui parlate” rispose Mathieu. Daiki e Sho lo guardarono perplessi: Non avevano mai parlato della loro ex-unità prima, forse per una sorta di fedeltá tardiva.
“Che c’è? La prioritá è sempre stellina qui dietro, no?” ribatté lui.
“Stellina?” berciò Miranda dal sedile passeggiero, con la mitragliatrice puntata.
“Su, non te la prendere, Mira. È solo un soprannome” rispose lui scompigliandole i capelli.
“Come l’avete trovata?” chiese Kaname china vicino a Francis.
“I due dottori l’avevano tirata fuori da un cilindro di vetro. Il maschio la teneva sulle ginocchia, con un visore tridimensionale sugli occhi” rispose Kurz.
“Credo di sapere cosa stessero facendo.” Esordí Kaname, ricordando il gelido fondo di una bara di metallo e vetro e l’impressione della sua testa che scoppiava di dolore. “Lo stavano facendo anche a me. Serve a…” si concentrò per ricordare le parole di quella dottoressa abbastanza stronza “…verificare ed estorcere le nostre informazioni come Whispered. Su di lei devono aver esagerato col farmaco. Avevano molta fretta, probabilmente.”
“Maledetti!” imprecò Daiki, infilandosi le dita tra i capelli.
“Il processo non era terminato” tuonò Sousuke.
“Che significa?”
“Significa che non hanno tutte le informazioni”
“Se davvero Hikari è quello che è, anche la più piccola informazione è fatale.” Daiki e Sho si scambiarono un’occhiata veloce. “Agenti della Mithril, abbiamo bisogno del vostro aiuto. Comtattate il vostro quartier generale per far localizzare quel velivolo, vi prego!” Li scongiurò il biondo.
“Ho fatto di meglio” rispose il sergente, “ho attaccato una cimice al vano del carrello. Ora basterá chiedere le semplici coordinate.”
“Grazie infinite. Appena arrivati alla base vi ridaremo i comunicatori, e sarete liberi di andare, a patto che non ostacoliate l’inseguimento” riprese il moro.
“Potremmo ostacolarvi una volta liberi”
“Mi voglio fidare. So che farete la scelta giusta” disse Sho fissandolo negli occhi con sguardo penetrante.
“Anche se fosse, Kurojima verrá con noi, senza fare storie” si introdusse Mao.
Daiki la guardò male. “Se solo ci provaste, credo che potreste dire addio alla vostra libertá. Non vi conviene. Lei resta con noi”
“Ci stai minacciando, per caso?”  Rispose lei fermando il veicolo e estraendo la pistola che le avevano ridato ad inizio operazione. “Non siamo più in vostra balia”. Miranda non attese per puntarle contro la mitragliatrice.
Kurz si intromise fra le due: “Ragioniamo ragazzi, forse possiamo trovare un accordo senza scannarci o accannare la missione”.
La tensione era palpabile, quando Kaname gridò: “Smettetela subito! Non vi rendete conto della situazione?”
Il veicolo si rimise in moto e la discussione fu rimandata.
Durante il silenzioso tragitto, Kaname si accostò a Sousuke, chiedendogli: “Ehi, Sousuke, cosa hai intenzione di fare?”
“Dovremmo riprendere Kurojima ed il controllo della missione” affermò il sergente.
“Ma? Dimmi che c’è un ma ti prego” Lo scongiurò Kaname.
“Ma” le concesse il ragazzo, “considerato l’antefatto, personalmente ritengo sarebbe più umano cercare un accordo con loro e permetterne la convivenza”
“Temo che soprattutto Mao sarebbe contraria, ma finché Hikari non può avere voce in capitolo, credo che questa sia la soluzione migliore” ammise pensierosa Kaname.
“Chiederemo disposizioni al quatier generale, in ogni caso” concluse Sousuke chiudendo la conversazione.
Una volta tornati, il clima dentro la base era temporalesco. Mentre ad Hikari venivano somministrati dei sedativi, Mao, Kurz, Sousuke, Sho e Daiki si riunirono in sala controllo per discutere. Kurz prima di entrare afferrò il polso di Mao, ma lei si divincolò: “Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, non è il momento” ringhiò.
“Non credi che dovremmo contattare il quartier generale?”
“Credo anch’io sia l’opzione migliore, ma dobbiamo prima vedere come reagiscono” concluse imboccando l’entrata. Appena la porta si fu chiusa, Daiki esordí dicendo: “Cerchiamo di esere diplomatici, ragazzi”
“Hikari rimane con noi” tuonò Sho. Daiki lo guardò male.
“Se ci lasciate contattare il quartier generale, ne disporremo con loro” chiese Kurz.
“Volentieri, ma vi terremo sotto controllo. Non vogliamo avere M9 qui sotto, quindi per precauzione ci collegheremo alla vostra frequenza” rispose Sho attaccandosi un auricolare.
“Procedete” disse Daiki lanciandogli il comunicatore. Mao lo afferrò al volo e cliccò il tasto per attivare la comunicazione. Prima che avesse avuto il tempo di attaccare il dispositivo all’orecchio, la voce di Teletha Testarossa irruppe gridando: “Sergente maggiore Mao, siete voi?”
“Si, sono io Colonnello”
“Sia lodato il Cielo, state tutti bene? Temevamo il peggio”
Melissa rassicurò il colonnello sulla loro sanitá e spiegò brevemente la situazione. Quando ebbe finito, fu il maggiore Kalinin a rispondere, e con poche parole precise li istruí sul da farsi, imponendo la collaborazione reciproca a patto del passaggio di informazioni col quartier generale. Poi si agganciò al localizzatore del gruppo inviando il segnale. La chiamata si concluse con tanti saluti dell’intero De Danaan, e lo scioglimento della tensione nella sala, che si allargò di sospiri.
“Quindi, ora che si fa?” chiese Kurz.
“Si parte all’inseguimento, mi pare ovvio” rispose Sho.
“Chiamo di nuovo il quartier generale per farci dare un qualche velivolo” disse Melissa smanettando col comunicatore. Daiki si fece avanti e le abbassò le mani con la sua: “Non preoccuparti, ci pensiamo noi” le disse fissandola negli occhi. Poi si girò e mentre si dirigeva fuori dalla sala, cominciò a spiegare: “Il gruppo sta andando verso l’Europa centrale. Se le mie supposizioni sono esatte, abbiamo meno di dodici ore per raggiungerli.:
“Spiegaci”
“Hikari possiede una conoscenza Whispered che sta alla base di tutte le altre, chiamata Scintilla di Prometeo. È un legame con coloro che hanno fondato la Black Technology. Chi ne entra in possesso, ha un contatto diretto con chi ha inventato questa – seppur magnifica – spaventevole macchina di distruzione di massa. Non oso immaginare cos’altro potrebbe accadere, se queste creature ci dessero qualche altra arma per scannarci fra di noi. “ Mentre diceva tutto questo, aveva preso una cassetta di sicurezza, e apertala aveva afferrato qualche mazzetta.
“Vado a prendere Hikari” disse Sho spostandosi sulla sedia a rotelle.
“Prendete le vostre cose, si parte” concluse Daiki partendo a sua volta.
“Non che ci sia molto da prendere” sentenziò Mao stirando le sopracciglia.
“E il cadavere?” chiese Miranda.
“Ce ne occuperemo al ritorno”

Dieci ore dopo, con due ore di ritardo rispetto al velivolo, erano tutti in volo su di un piccolo aereoplano da trasporto. Alla cloche c’era Francis, accanto a lui Kurz. Dietro di loro, appoggiati alle pareti, tutti gli altri si fissavano, chi ansiosamente, chi tentando di rassicurare la propria controparte che non aveva bisogno di essere consolata (Kaname si era infatti imposta nell’aereo con pugno di ferro, nonostante le rimostranze. Sousuke avrebbe potuto immobilizzarla, ma in fondo era felice che lei fosse lí, tanto che ormai conoscevano le forze del nemico), e infine c’era chi dormiva beatamente in piedi ignorando il modo intero. Hikari dormiva raggomitolata in posizione fetale su dei cuscini. Aveva superato brillantemente la crisi, ma stava ancora rimettendosi dalle varie ferite ed emorragie. Purtroppo, la spedizione non poteva farsi senza di lei, anche se Sho avrebbe voluto chiuderla in casa, al sicuro, e buttare via la chiave.
“Stanno atterrando” dichiarò Kurz.
“Dove?” chiese Daiki ansiogeno.
“A Ginevra, zona Ovest, quertieri a scopo di ricerca dell’ex-CERN”
“Ex?” chiese Kaname confusa.
“Le basi scientifiche in Europa e nel resto del mondo stanno rapidamente diminuendo a causa della guerriglia continua. I conflitti non sono solo un problema dei popoli medio-asiatici, da quando sono comparsi gli Whispered” si introdusse Mao.
“Capisco” bisbigliò Kaname imbarazzata.
“Che cosa faranno?”, “Non ne ho idea”, “Ma non eri tu quello con le teorie?”, e via dicendo divennero la discussione principale del giorno.
“Ragazzi, mettiamoci l’anima in pace, lo scopriremo quando saremo arrivati!” sbottò Kurz alzondosi dal sedile e buttandosi tra uno scatolone pieno d’armi ed uno di plastico incellofanato. “Svegliatemi fra un paio d’ore”
Neanche avesse premuto un interruttore, tutti, ad uno ad uno, si addormentarono, esclusi Sousuke e Francis, per ovvie ragioni.





Ed ecco qua, un capitolo che mi é piaciuto tantissimo scrivere all'inizio, ma che poi non ho fatto altro che trascinarmi. Il prossimo sará il penultimo! E sará a dir poco grandioso. Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e che hanno apprezzato in tanti e variopinti modi! Saluti, Hikari_Sengoku


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Capitolo 11
*** Tanto, tanto, tanto sangue e tanto, tanto, tanto verde ***


Tanto, tanto, tanto sangue e tanto, tanto, tanto verde


Due ore dopo, tutti, eccetto Francis, si strofinavano gli occhi fuori dall’aereo, fissando lo scenario semi-apocalittico di fronte a loro. I palazzi che un tempo erano stati orgoglio e vanto di un popolo, ora dormivano, con le palpebre di vetro divelte e le teste scoperchiate rivolte al sole freddo e novembrino. Gli ambienti erano vuoti e desolati, le pareti spoglie, per terra polvere, macerie ed immondizia. Lo spettacolo non era dei migliori. Presto videro delle luci baluginare in un angolo. Armati di tutto punto, si diressero veloci nei pressi di quell’enorme casermone metallico. Veloci per quanto potevano esserlo con due carozzelle al seguito.
“Al diavolo!” sbottò Hikari alzandosi di botto. “Posso camminare benissimo da sola!”
“Hik, rimettiti seduta subito. Non sei nelle condizioni…” ribatté Daiki dirigendosi a grandi passi minacciosi verso di lei.
“Di fare cosa? Di essere di una qualsiasi utilitá? Perché diavolo mi avete portato se dovevo rallentarvi?” berciò Hikari.
“Non ci stai rallentando. Abbiamo bisogno di te per chiudere definitivamente la questione.” Cercò di blandirla. Hikari lo fissò, certa che stesse mentendo. C’era qualcosa di molto più complesso dietro a quel “risolvere la questione”, ne era sicura.
“Ragazzi, mi dispiace disturbare il vostro diverbio, ma avremmo qualcosa di più urgente da fare” si introdusse Mathieu, indicando con un gesto del mento la pattuglia della Mithril e Miranda giá dietro l’enorme portone di lamiera, chiuso. Si accodarono a loro, ascoltando gli strascichi di una conversazione dietro la parete sottile.
“Non ho intenzione di fare la stessa fine di Al! Puoi scordartelo, non rimango qui un secondo di più!” esclamò la versione isterica della dottoressa Rangetsu.
“Ma rafiki, abbiamo quasi finito, manca cosí poco! Vuoi davvero mollare tutto adesso?” le chiese la voce acuta, dolce ed esitante del dottor Ousmane.
“Siamo andati troppo oltre. Questa… cosa è troppo pericolosa” gridò più forte “io mi ritiro, e faresti bene a fare lo stesso!”
“Ma il capo ci ha chiesto…” tentò ancora l’uomo.
“Gauron è morto, Oscar, svegliati!” esclamò la donna spalancando la porticina intagliata nel portone più grande. La trascinarono insieme dietro la parete, senza che lei emettesse un fiato. “Ora lei ci spiegherá tutto, dottoressa Rangetsu!” esclamò Sousuke.
“Che cosa sta succedendo lì dentro?” la interrogò Daiki.
“Calmatevi ragazzi, ho intenzione di spiegarvi tutto, non vi agitate” prese tempo lei.
“Cosa volete sapere?”
“Cosa stavate facendo lì dentro, tutto ciò che sai” le richiese con aria intimidatoria Daiki.
“Cercavamo di aprirci un contatto con Prometeo attraverso le informazioni rubate. Non sto a spiegarvi i dettagli, solo attraverso l’acceleratore di particelle lí dentro ci saremmo potuti creare un varco tra le pieghe nell’universo” spiegò brevemente la donna, “ma quel processo non è sicuro al cento per cento, manca qualcosa, per questo sono fuggita. Dobbiamo allontanarci, e in fretta.” Concluse dando il via ad una gara di sguardi. Dopo una serie di menti annuenti, il gruppo si allontanò di due capannoni, tanto quanto la dottoressa ritenesse sicuro, ovviamente tenendola con loro. Sousuke di corsa buttò un minivideo ricetrasmettitore, poi li raggiunse. Non ebbero il tempo di chiedersi nulla, quando un forte boato vibrò nell’aria, accompagnato da un inquietante luce verde che si impresse sul terreno come una xilografia. Contrariamente alle previsioni, l’esplosione non provocò danni evidenti. Mao tirò fuori un dispositivo in grado di controllare la radioattivitá nell’aria, ma questa si rivelò nulla. Sousuke controllò la videocamera, e anche l’interno sembrava illeso e silenzioso. Alla fine, si decisero per andare a controllare, armati di tute antiradiazioni e maschere antigas. Si trovarono in una specie di larga anticamera vuota, di fronte alla quale si trovava un’enorme parete metallica alta fino al soffitto, imbardata con tubi di diverso colore e cavi d’acciaio. Una sottile scaletta di metallo portava ad una piccola piattaforma sospesa, sopra la quale c’era un’interfaccia. Dal pavimento della piattaforma pendeva riverso il cadavere di Oscar Ousmane, ad una prima occhiata illeso.
“Che cosa è successo qui?” sussurrò Sho addossato alla parete, quasi temesse di svegliare i morti.
“La videocamera che ho lanciato all’interno rivela soltanto una forte luminositá dai toni verdi, nient’altro.” Dichiarò Sousuke.
“E del dottor Ousmane?” chiese Kaname.
“L’inquadratura non lo comprende, ma la sua mano pende dal pavimento subito dopo l’esplosione. L’ipotesi del suicidio è esclusa”
Il gruppo si sparpagliò nell’atrio, incerto sul da farsi. Mathieu tratteneva ancora la dottoressa con le braccia dietro la schiena.
“Io so che cosa manca” esordí con voce atona Hikari dalla piattaforma. La dottoressa sorrise mentre la ragazza digitava come in trance file di codici sulla tastiera. Daiki gridò “No!” scapicollandosi sulla scaletta. Prima che potesse arrivare in cima, delle… braccia verdi lo afferrarono per i piedi, costringendolo a terra! La stessa cosa accadde a tutti gli altri: Mani verdi strangolarono Kaname, che cadde a terra tentando di liberarsi, Sousuke accorse, e dei chiodi ugualmente verdi si piantarono nei suoi piedi. Sho, che era accorso ad aiutare i compagni, si ritrovò inchiodato al muro da dei pugnali, indovinate, verdi. Miranda tentò la fuga, ma i suoi piedi erano come ancorati al pavimento, e la mitragliatrice sulle sue spalle sparò tutti i suoi colpi. Tutte le armi da fuoco la seguirono. Kurz e Melissa provarono a lanciare i loro coltelli contro la donna, ma quelli si rivoltarono contro di loro, per fortuna senza colpirli, ma quando tentarono di raggiungerla un’enorme mano li schiacciò a terra. Mathieu vide gli occhi della dottoressa ed il castone del suo anello illuminarsi di quello stesso lucore verde, prima che le corde che le legavano i polsi si bruciassero autonomamente, ed il suo corpo venisse ricoperto da una tuta attillata verde scuro, con al centro del petto l’orma rilucente di un cerchio compreso tra due segmenti paralleli. Il ragazzo tentò di fermarla, ma questa emanò una nube gassosa. In breve tempo, tutto ciò che era verde si dissolse, trasformandosi in una poltiglia appiccicosa che ancorò tutti al terreno, come se la forza di gravitá fosse aumentata di colpo. Con un gesto teatrale, la donna alzò il pugno destro, dove l’anello emanò un sottile raggio color smeraldo, che colpí l’acceleratore. Mentre l’apparecchio aumentava esponenzialmente il ritmo, tanto da assordarli tutti, Hikari scese con passo calmo. Si posizionò di fronte l’immensa parete vibrante, e spalancò le braccia, in attesa. Sousuke, che era il più vicino, strisciò fino a lei con una lentezza esasperante. La dottoressa schiacciò col braccio libero la testa invisibile di un barbaro, curvando le dita, ed improvvisamente la presa di quella sorta di collante si intensificò. Sousuke allungò faticosamente il braccio ed afferrò l’orlo della tuta di Hikari. Lei non si girò, si tolse anzi quasi strappandola, la tuta gialla e la maschera, lasciandole cadere ai suoi piedi. Un forte vento si alzò nell’ambiente chiuso, seguito da una sorta di terremoto. Prima l’aria si distorse, concentrandosi in un unico punto, poi l’immagine dietro quel muro aereo cominciò a dissolversi dal centro, lasciando spazio a bagliori siderali fulminei. Nel giro di pochi secondi, filamenti verdi emersero dalla pelle cadaverica di Hikari, dai polsi, dalle caviglie, da tutto il corpo una quantitá inusitata di questi fili entrarono nel varco. Il vento aumentò d’intensitá, trascinando con se tutto ciò che non era ancorato al suolo. La presa di quella gravitá densa ed appiccicosa si intensificò sui corpi dei ragazzi, che a fatica si girarono sul dorso per vedere cosa stesse succedendo. La figura in controluce di Hikari galleggiava sospesa in una forte luce verde, che non gli permetteva di vedere oltre.
“Sei arrivata finalmente, dottoressa Rangetsu” esordí la voce cupa di Lav.
“Eccomi Lav. Ho completato la mia missione, ora chiama i Guardiani” rispose la donna fissando il suo sguardo nella sagoma indefinita che copriva la luce dell’Universo. Una debole luce verde brillava al centro di quella creatura. “Come desideri” La dottoressa Rangetsu si stupí, quando la fumosa creatura si spostò, lasciando passare un Guardiano. Ebbe l’impressione che stesse ghignando.
Hitomi Rangetsu non aveva mai visto un Guardiano dal vivo, poiché vivevano in un universo parallelo diverso dal suo. Si presentò davanti a lei una creatura molto bassa, dall’enorme testa ricoperta di squamosa pelle blu. Il gigantesco encefalo era ricoperto da una sottile peluria biancastra che terminava appena sopra il livello degli occhietti piccoli e neri, posti sopra il naso schiacciato e la minuscola cavitá orale, un buco nero spalancato perennemente sul mondo. Una voce bassissima si diffuse nell’ambiente, senza alcun origine apparente.
“In seguito agli avvenimenti accaduti nel settore 2814b, riteniamo l’esperimento Black Technology, secondo la dicitura terrestre, fallito, ed ordiniamo, sotto deliberazione dell’intero Consiglio all’unanimitá, il ritiro di tutte le conoscenze acquisite a causa di ciò dal genere umano. Riconosciamo inoltre alla Lanterna Verde di questo settore, Hitomi Rangetsu, la perfetta riuscita di questa missione. Procediamo dunque al ritiro”
La donna dal suo angolo vide la mano del Guardiano emanare una luce bluastra. Nello stesso istante, Kaname e Sho persero conoscenza. Le iridi sotto le palpebre socchiuse avevano virato dal caldo castano ad una fredda luce azzurrina. Nello stesso momento, il corpo di Hikari cominciò a deteriorarsi. In mezzo agli spasmi dolorosi, vecchie e nuove ferite si aprivano a distesa per tutto il corpo. Era come vedere uno di quei video ad altissima velocitá. La pelle si piagava, si squamava e si staccava, pendendo dalle dita e dai gomiti. Il sanngue eruppe dalla bocca, dalle orecchie, dal naso. Il Guardiano strinse le dita a pugno, spegnendo la luce, mentre il corpo cominciava a fumare. Hitomi temette che la stesse uccidendo, tanto da lanciarsi in volo a fianco della ragazza.
“Avevi giurato che l’avresti lasciata vivere!” urlò lanciando una sfera di energia luminosa contro il mostro fumoso.
“È impossibile che ciò possa accadere” ribatté il Guardiano.
Quando la donna tentò di protestare, con un gesto della mano la scaraventò contro la parete. Mathieu trasalí nel vedere l’enorme buco fumante al centro del suo addome. Hitomi Rangetsu era morta sul colpo, senza un grido. D’improvviso, ciò che manteneva tutti col viso premuto per terra si sciolse, lasciandoli liberi. L’anello verde al dito della donna brillò un’ultima volta, prima di volteggiare elegantemente nella mano del Guardiano. Un forte boato accompagnò la chiusura del portale, cancellando le ultime parole della stramba creatura. Come tutto era iniziato, finí, spezzando infine le corde che tenevano sospesa Hikari a tre metri da terra, lasciandola ricadere nel suo stesso sangue.
“Richiesto mezzo di soccorso immediato a Ginevra, ex-CERN.” Spezzò il silenzio la voce attonita di Melissa Mao, mentre tutt’intorno gli altri si risvegliavano da quella sorta di trance.





Il fastidioso ululato dell’ambulanza ed il ronzio dell’elicottero furono le prime cose che Kaname fu in grado di percepire. Il sole la stava accecando. Ricordava una forte luce blu e poi il nulla. Si strofinò gli occhi prima di parlare con una voce roca e gracchiante.
“Cosa è successo?” chiese guardandosi intorno. Era stesa su una barella, alla sua destra Mao, Kurz e Souzsuke le sorridevano, chi più chi meno.
“Kaname, ti sei svegliata” ammise con sollievo Sousuke.
“Abbiamo chiamato i mezzi di soccorso della Mithril, la situazione era drastica” rispose Mao al posto suo, notando il turbamento dell’amico.
“Perché? Cosa è successo mentre ero svenuta?” domandò allarmata la ragazza.
“Guarda tu stessa” le disse Kurz, stringendo per un istante la mano di Melissa, che però ne approfittò per passargli un braccio dietro al collo. Mentre i due si stringevano, Kaname osservò. Vide per prima cosa due corpi coperti da un lenzuolo bianco che svolazzava, subito dietro due barelle correvano in un’ambulanza, seguite a ruota dagli sguardi preoccupati che si scambiavano il gruppo di Daiki. Il ragazzo sembrava essere invecchiato di vent’anni in un sol colpo, tanto era chino sul suo bastone, mentre inseguiva con lo sguardo i suoi due migliori amici andare in ospedale. Dietro di lui seguivano Mathieu, Miranda e Francis, che si stringevano intorno al loro capo con premura. Daiki fece un segno e quelli, appropriatisi di una vettura partirono, il tutto nel giro di due minuti. Mentre lei era assorta nella contemplazione del creato, Mao le piazzò quasi a tradimento uno schermo fra le mani. Lei lo guardò perplessa, osservando le luci vivaci che si susseguivano sul monitor.
“Cosa… dovrei farci?” chiese lei.
“Ah, non lo so, dovresti dircelo tu” le rispose la mora sorridente.
“Non capisco”
“È un sollievo sentirtelo dire, Kaname Chidori” si intromise una voce.
“Maggiore Kalinin!” esclamarono i tre soldati mettendosi sull’attenti.
“Riposo. Devi sapere che quello che hai in mano è un test. E tu l’hai fallito su tutti i fronti” disse con cipiglio severo il maggiore.
“E cosa c’è di bello in tutto ciò?” domandò Kaname vedendo i sorrisi sui volti dei suoi compagni.
“Significa che non sei più una Whispered” rispose l’uomo sorridendole a sua volta.
”Per niente? È tutto finito?”chiese allibbita Kaname.
“È tutto finito, ed il Colonnello Testarossa potrá confermarvelo” Seguirono ringraziamenti e convenevoli.
Kaname sorrise solare mentre stringeva la mano del Maggiore, per poi correre da Sousuke: “Hai sentito? Non sono più una Whispered!” gli urlò afferrandolo per le spalle.








So che é un capitolo cortissimo, in teoria l'idea era di fare un lungo capitolo finale, ma sarebbe venuto veramente troppo lungo, cosí l'ho spezzato. Ebbene, questo é il penultimo capitolo, so che alcuni saranno un po' delusi per la mancanza della battaglia finale, ma le sorprese non sono ancora finite, anche se non a questi livelli. Forse ho torturato troppo la mia protagonista... Datemi la vostra opinione: Vi piacerebbe avere il dietro le quinte di diversi personaggi?
Grazie per chi ha recensito i capitoli precedenti con tanta pazienza, la prossima storia sará migliore, e meno tragica probabilmente. Alla prossima,
. Hikari_Sengoku


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Capitolo 12
*** Fine ***


Quel giorno l’aria era più limpida del solito al Centro Grandi Ustionati di Tokyo, notò Kaname. Era  passato quasi un mese dallo scontro, ma Hikari non si era ancora svegliata. I ragazzi si davano spesso il cambio per venire a trovarla, ma era difficile per tutti vederla in quel letto d’ospedale, così a poco a poco erano rimasti  solo lei, Daiki ed il gruppo della Mithril più sporadicamente. Entrando nel corridoio, un forte tanfo di disinfettante la investí e le pizzicò il naso, ricordandole i pochi mesi passati al cappezzale di sua madre prima che morisse, ma ormai vi era abituata e scacciò il ricordo. Da quando veniva lí, era diventata un’abitudine raccontarle delle storie, e quel giorno gliene aveva portata una particolarmente interessante. Prima di entrare le fecero indossare guanti, mascherina, tunica e cuffia sterilizzata. Si sedette di fianco a lei, evitando accuratamente di incappare con lo sguardo sulle bende e sulla maschera di tela blu che portava sul volto. Hikari Kurojima era stata ricoverata in ospedale in condizioni gravissime. Aveva subito gravi lesioni interne e perso Il 75% della sua pelle, e da quando era stata ricoverata il suo cuore aveva smesso due volte di battere, la possibilità che sopravvivesse era del 20%. Kaname strinse le labbra, scacciando il pensiero della terribile diagnosi, e cominciò a parlare:
“Ehi, Hikari, Ti ho portato una storia interessante oggi, lo sai? Sousuke mi ha permesso di portarti i dossier sul tuo caso. Ho trovato un sacco di storie interessanti, vuoi che te le racconti?” Come al solito non ebbe risposta.
“ Lo prenderò per un sì. Ti racconto solo le cose più interessanti, d’accordo? Partiamo dal primo. Alí Amer, nato in T……stan il 3 agosto 1971. Era un promettente ricercatore in ambito biochimico. All’etá di 30 anni compí un viaggio in Grecia durante il quale conobbe sua moglie. Due anni dopo naque loro una figlia, Alessandra. Purtroppo anche lei era una Whispered. Avrebbe avuto la nostra stessa età, se fosse sopravvissuta. Qui dicono che era troppo piccola per gestire il risveglio del suo potere, e che è morta per questo quando aveva otto anni. Guarda, è lei” disse estraendo una foto sbiadita, macchiata di sangue. Nella foto c’era una piccola bambina sorridente, dai lunghi capelli chiarissimi, gli occhi grandi tra il grigio e l’azzurro e la pelle abbronzata, davanti ad una sagoma femminile. “L’hanno trovata sul suo corpo. La moglie seguí la figlia poco dopo, e lui rimase solo. È stato in questo periodo che é entrato nell’Amalgam. Il resto lo sappiamo”. Scartabellò ancora tra i dossier, finché non trovò: “Oscar Ousmane, giovane ricercatore in ambito bionanotecnologico, nato il 12 settembre 1984 in un villaggio dell’Africa centrale. Rapito in tenera etá, allevato ed istruito dal criminale pluriomicida Gauron, fedelissimo alla sua causa.” Il foglio si accartocciò nelle mani di Kaname, per poi finire in mille coriandoli sul pavimento. “Anche da morto, anche da morto!” esclamò con rabbia la ragazza. Si calmò poco dopo, ascoltando il lieve bip delle macchine. Per un attimo il rumore della rabbia lo aveva cancellato. “Andiamo avanti, ti va?” tremolò la sua voce sospirando. “Hitomi Harada, vedova dell’ufficiale dell’esercito giapponese Chojiro Rangetsu, pediatra, nata il 20 aprile 1980 a Tokyo. Non c’è scritto praticamente nulla. La sua vita è normalissima fino alla morte del marito. Strano, non trovi?” ma girandosi Kaname vide solo l’immobile maschera di tela azzurra e le candide bende che avvolgevano la sua amica.
“Parlare da soli è avvilente…” L’ora che passò con Hikari continuò a trascinarsi lentamente. Le raccontò dei due bambini dai capelli rossicci, che loro avevano fatto riunire alla madre durante il ricovero in ospedale. I piccoli si trovavano nell’Amalgam per pagare le cure della madre malata, poi la donna era guarita ma gli interessi erano aumentati a dismisura, e i bambini erano rimasti invischiati sempre di più. Poi finí le storie. Quando se ne andò, girandosi un’ultima volta le parve di aver vegliato un cadavere.
 
 
Daiki quella mattina era particolarmente agitato. Anzi era proprio disperato. Per giorni si era diviso fra due ospedali, sperando nel miglioramento dei suoi amici, ma le ultime parole di uno di loro l’avevano distrutto. Ormai era deciso, e lui non poteva fare più nulla. Era passato un mese e mezzo, un mese e mezzo di agonia. Era corso da lei sapendo che sarebbe rimasto senza risposta, che lei era lí, ma era come se non ci fosse. Lui non era uno che piangeva. Fece il tragitto fino alla stanza quasi senza accorgersene. 
“ Hik, È successa una cosa terribile! Sho sta peggiorando…” Ma la sua voce si spense nel vederla lì, immobile. Non la toccava niente. Non rispondeva. Lei non poteva rispondergli. Lo realizzò di nuovo per l’ennesimo giorno di fila. E stette in silenzio. Lui non credeva nelle favole. 
 
“E cosi, domani ti operano di nuovo.” Constatò Mathieu. Era la terza volta che la veniva a trovare. “Mi dispiace. Non sará bello dopo. Miranda, guarda che non ti morde, vieni avanti” la chiamò. Erano venuti insieme, lui, Miranda e Francis, prima che venisse operata di nuovo, anche se aveva praticamente dovuto costringere la ragazza a venire con loro. Mathieu si strofinò le lunghe cicatrici che gli attraversavano verticalmente l’interno degli avambracci, sovrappensiero. “Sará difficile, lo so. Vorrai suicidarti. Ma devi resistere. Sempre. Me l’hai insegnato tu, stellina” disse scuotendole il braccio inerte.
“Hai finito con i sentimentalismi? Mi fai venire il voltastomaco” si intromise la voce acida di Miranda.
“Oh, insomma, io sto qui che cerco di riabilitare la mia immagine di molestatore alcolizzato, ci metto tutti i sentimenti, e mi devo sentir dire queste cose?” ribatté lui piccato.
“Tesoro” rispose lei avvicinandosi sinuosa, “tu sei fin troppo dolce con stellina. Vogliamo darci un taglio? Non ho intenzione di passare la mattinata con un ex-aspirante suicida, un’ameba umana e una zombie carbonizzata, senza offesa, fa pure abbastanza schifo. Quindi, per favore, dimentichiamo le tragedie drammatiche del nostro passato,” disse esasperando il tono patetico “ e torniamo all’aria aperta, ti va?” disse strusciandosi addosso a lui.
Mathieu la guardò malissimo, ma alla fine si alzò e si congedò: “Au revoir, stellina” disse tenendo gli occhi fissi sui suoi avambracci scoperti, poi si allontanò con Miranda e Francis. “Bye bye!” sorrise la ragazza.
 
Quando si svegliò, la prima cosa che sentí fu la pressione di un tessuto elastico sul viso. Aprí gli occhi, e si rese conto di trovarsi in una luminosa camera d’ospedale, e di non potersi muovere per quanto l’avevano imbacuccata nelle bende. La gola riarsa non voleva saperne di esprimere un qualsiasi suono, non poteva chiamare nessuno. Era mattina presto, e da quello che poteva vedere, la stanza era deserta. Attaccato all’indice della mano sinistra, il rilevatore di pressione aveva cominciato a borbottare impazzito. Nel giro di pochi secondi, la stanza si riempí di medici ed infermiere, che le facevano domande, le puntavano fastidiose lucette negli occhi, la scuotevano… le montò la nausea. Era sola, in una stanza d’ospedale, senza i suoi amici, e quei medici la stavano rivoltando come un calzino. Finalmente, una mano caritatevole le porse un bicchiere. Mentre sorbiva uno sciroppo, sentí un gran trambusto provenire dai corridoi, come una massa di bufali impazziti. Daiki fece il suo trionfale ingresso nella stanza, stravolto ed affannato. Hikari lo osservò bene: Notò il viso sciupato, le occhiaie pronunciate, gli occhi rossi, e soprattutto i capelli scompigliati. Era un’immagine rara ed inquietante. Era magrissimo, avvolto nei vestiti che prima gli erano aderenti, la barba più lunga del solito ed insolitamente non curata. Nel suo viso però si leggeva un immenso sollievo.
“Hik” ansimò, “ti sei svegliata!”. Lo vide fermare un dottore per chiedergli qualcosa, poi intristirsi e sorridere. Aspettò che i dottori si dileguassero nei corridoi prima di sedersi al suo fianco, distendendo la gamba “difettosa”, come la chiamava lui. 
“Allora, come ti senti?” disse prendendole delicatamente la mano martoriata.
“Come mi dovrei sentire, secondo te?” rispose con la voce roca e strozzata dal poco utilizzo. La nausea non accennava a diminuire, e nonostante la sua percezione del dolore inesistente, sentiva un malessere diffuso un po’ovunque, oltre all’impellente bisogno di grattarsi sotto le bende ed alla voglia di strapparsi quella maschera sul viso.
“Giusto, domanda stupida. Vuoi che faccia qualcosa?” le chiese premuroso.
“Passami l’acqua, per favore” Daiki le porse il bicchiere alle labbra riarse.
“Quanto tempo sono stata incosciente?” gli chiese stancamente.
“Quasi tre mesi” rispose lui accarezzando delicatamente la pelle innestata. Non la guardava in faccia, ma si disse che era dovuto al suo pessimo aspetto in quel momento.
“Oh. Cosa è successo?” gli chiese fissandolo oltre la barriera azzurra della maschera. Daiki alzò gli occhi apprensivi su di lei. Le iridi azzurrine, quasi verdi, rilucevano sotto uno strato di lacrime. Hikari si spaventò.
“Daiki. Dimmelo” ordinò perentoria con la sua voce bassa e roca. Il ragazzo si strofinò gli occhi con la manica, poi, col labbro tremulo cominciò a parlare:
“Sho ha...” Sospirò dolorosamente, nello strenuo tentativo di trattenere le lacrime, stringendosi le ginocchia al petto, come i bambini piccoli.
“Sho ha…?” lo incitò lei, mentre l’apprensione saliva. “Mi stai spaventando. Mi dici cosa è successo?” Lo spavento era chiaramente udibile nella sua voce.
“… ha mollato!” quasi lo urlò, impastando la bocca contorta in una smorfia di dolore con le lacrime. “Non ce l’ha fatta, ha fallito, non c’è riuscito, è morto! È morto…” singhiozzò nascondendo il viso fra le ginocchia. Sotto la maschera azzurra di Hikari, calde lacrime rigarono il volto immobile.
“Come… com’è successo?” si uní ai singhiozzi del suo migliore amico.
“Lo sapevo. Sapevo che poteva non farcela. Da quando l’hanno preso non era più lo stesso. Poi dopo lo Scontro ha cominciato a stare sempre peggio. Sembrava che con te avessimo trovato una cura, ma tu non c’eri, dannazione! Da allora ogni cosa è andata a scatafascio. Lui si stava spegnendo lentamente col culo attaccato a quel lettino d’ospedale, mentre tu subivi un infarto dopo l’altro. Stavate morendo, ed io non potevo fare niente!” urlò alla fine, accompagnato dai singhiozzi disperati di Hikari. “Pochi giorni prima, Sho me l’ha detto. Ti avrebbe salvato. E l’ha fatto” disse ingoiando le lacrime.
Hikari immobile, con gli occhi chiusi sussurrava stridula una serie di “no” ossessivi. Dopo qualche secondo chiese con la voce nasale, impastata di muco e lacrime: “Come ha fatto? Come mi ha salvato?!”
 
 
Quando Kaname e gli altri arrivarono, l’ospedale era in fermento. Il gruppo era appena arrivato di fronte alla stanza, quando un urlo disperato provenne dalla porta chiusa. Si accatastarono tutti intorno alla stretta finestrella carceraria, guardando il triste spettacolo. Hikari, scossa dei singhiozzi, tentava disperatamente di strapparsi le bende che le avvolgevano il petto con le mani arrossate di sangue e le unghie spezzate. Riuscí a strapparne un frammento, rivelando l’inizio di una cicatrice chirurgica in mezzo al petto. Prima che potesse continuare la sua opera, Daiki si gettò sulle sue mani, implorandola di fermarsi.
“Gliel’ha detto” concluse Kaname, vedendoli abbandonarsi entrambi ad un pianto liberatorio, l’uno sul petto dell’altra. Poi si girò verso i compagni: “Torniamo a casa”. 
“Perché?” chiese Kurz.
“Saremmo solo degli intrusi” rispose lapidaria, afferrando i due ragazzi per le braccia e costringendoli ad uscire con lei.
 
 
 
 
Dopo due anni dalla fine della nostra storia, Hikari era stata finalmente dimessa. Col tempo, i due amici avevano superato insieme i rispettivi problemi e sensi di colpa, ma questa è tutta un’altra storia. Ciò che ora ci preme raccontare, caro lettore, è come questo terribile, lungo racconto si sia concluso con un nuovo inizio. Dopo una lunga terapia, Hikari poteva finalmente uscire dall’ospedale sulle quattro ruote di una sedia a rotelle semipermanente. Quel bellissimo giorno poi, sarebbe stato allietato dalla gradita visita di Kaname e Sousuke, che si erano finalmente diplomati e avevano deciso di andare a convivere stabilmente, senza la perenne minaccia dei poteri Whispered. Quando i due arrivarono, Kaname poté finalmente vedere il nuovo volto di Hikari, un po’ gonfio, con qualche cicatrice violacea sui bordi, la pelle un tantino butterata… però era il suo viso. Daiki la accompagnava come al solito al suo fianco, lasciandole il completo controllo del mezzo. I quattro ragazzi si salutarono festanti.
“Come va la vita, da quelle parti?” chiese Daiki.
“Oh, da noi tutto bene, ci si barcamena. Io a breve darò l’esame per entrare in polizia, Sousuke continuerá la sua carriera alla Mithril…” cominciò a raccontare Kaname.
“Come va con Kurz e Melissa?” chiese Hikari interessata. 
“Al momento si trovano in missione in Russia” si intromise Sousuke..
“Insieme?”
“Insieme” confermò Kaname. Un silenzio imbarazzante calò sovrano.
“Allora… partite” disse insicura Kaname.
“Si, troppi ricordi” affermò lapidaria Hikari, scurendosi per un attimo.
“Andremo un po’ in giro per il mondo, Cina, Africa, Indonesia, Europa…” sproloquiò Daiki nel tentativo di schivare la minaccia del malumore di Hikari, stringendole affettuosamente le spalle. Lei si girò sorridendogli solare. Kaname aveva come il sospetto che non fosse un sorriso qualsiasi, quello che lei gli aveva riservato.
“Allora è un arrivederci”
“Un’arrivederci, certamente.” Rispose Daiki sorridendo. Le due ragazze si abbracciarono strette, mentre i ragazzi si salutavano con un’insicura stretta di mano. Hikari osò, ed abbracciò il giovane moro, aggiungendo un “comportati bene, e non far impazzire Kaname, d’accordo? E tu cerca di essere meno severa” rivolgendosi infine a Kaname. Anche Daiki e la giovane dai capelli blu si scambiarono una stretta di mano. Ormai i saluti erano fatti, e non rimaneva loro che andare.
 



Ed è su queste poche pagine conclusive che si chiude il nostro racconto, lasciando probabilmente i lettori basiti su ciò che potrebbe sembrare la fretta di un autore che si è stancato della sua storia, ma in realtá frutto di settimane di scervellamenti. Dovete sapere infatti che sebbene la storia non meriti, ho preferito risolvere comunque le situazioni sospese. Sappiate che Sho era condannato sin dall’inizio, e che sono conscia del fatto che le ultime recensioni di questa storia saranno un inno al mio evidente desiderio di torturare la mia povera protagonista. È probabile che per un po’ dopo la fine di questa storia io mi diletti con qualche one-shot, prima di cominciare una nuova long, riesumando i miei propositi di scrivere qualcosa di leggibile, con un maggiore approfondimento dei personaggi, senza troppe torture e con un filo logico evidente. Al momento sto decidendo quale fandom strappare alla normalitá. Spero comunque di aver fatto cosa gradita e ringrazio tutti coloro che hanno letto, seguito, preferito, recensito questa storia dal profondo del mio cuore, coltivando la speranza che continuiate a farlo anche in futuro. Infinitamente grata,
                                                                                                                                                                   Hikari_Sengoku



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