Il Testamento

di GReina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Testamento ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Il Testamento ***


IL TESTAMENTO


Percy decise che quello era un buon giorno per morire: il sole era alto; niente nuvole all'orizzonte e Annabeth accanto a lui era la ciliegina sulla torta. Quella mattina la prima cosa che fece fu scrivere il testamento, Annabeth era entrata nella cabina tre domandandosi come mai il suo ragazzo non fosse a colazione, goloso com'era, e lo trovò seduto alla scrivania che forse veniva usata per la prima volta

“Che stai facendo?” gli chiese sorpresa, Percy non smise di scrivere, ma iniziò a farlo ad alta voce

“...al mio amico Grover. Ad Annabeth lascio le mie collezionabili degli AHS, nella speranza che le custodisca come fossero oro.” a quel punto si fermò, rilesse l'ultima frase e cominciò a correggere “Ad Annabeth lascio le mie collezionabili degli AHS, nella speranza che le custodisca come fossero la vita sulla terra.” guardò il foglio soddisfatto e riprese “Vortice andrà a Tyson, in modo che resti in famiglia, mentre voglio essere seppellito con lo scudo da lui regalatomi.”

“Oh andiamo, Testa d'Alghe, non sarà poi cos-”

“A Jason lascio la mia spillatrice: può amoreggiare con lei ma non voglio saperne niente.” la interruppe parlando più forte “A Nico invece una confezione di bibite gassate, così che possa dissetarsi di qualcosa che non sia acqua, dal momento che non è il suo tipo. Piper può avere il Corno di Minotauro, nel caso sentisse la mancanza della Cornucopia… la forma è quella.” Annabeth si concesse un sorriso, quel melodrammatico del suo ragazzo non si rendeva conto di quanto potesse essere divertente. “Per quanto riguarda Leo, piuttosto che a lui, lascio un estintore ai suoi fratelli - sperando che non debba mai essere usato - e ne procurerò uno anche a Calipso. Hazel avrà il mio set di sapone blu: magari potrà pulire la boccaccia di quel suo cavallo, e Frank i miei occhiali da sole, perché fanno figo.” fece una pausa

“Hai finito?” chiese la bionda

“A Clarisse l'onore di picchiare il mio corpo inerte, dal momento che non ha possibilità di farlo fintanto che sono in vita.” ricominciò “A Reyna chiedo di prendersi cura di Blackjack, confido che lo amerà come ha fatto con Scipio. Blackjack, mio fedele destriero, a te procurerò una grande scorta di ciambelle, e mi assicurerò che non rimanga mai a secco. Il nostro amato coach invece avrà la mia raccolta di Chuck Norris; Chirone può riprendersi tutti i libri di letteratura che mi ha regalato e che non ho letto; al signor D un'immagine di un delfino, per ricordargli che non mi ha trasformato in tale...” fece una pausa di riflessione e poi aggiunse “beccati questo!”

“Non credi di stare esagerando?” si avvicinò Annabeth

“Con la vita che facciamo non si sa mai… e poi non conosci bene mia madre. Credimi, meglio essere preparati.” rilesse velocemente il foglio e riprese a scrivere, Annabeth ruotò gli occhi, rassegnata a dover aspettare ancora

“Al nostro inquietante Oracolo, lascio il mio miglior capolavoro, per rammentarle che sono io il vero artista qui.” la semidea notò l'angolino di un foglio spuntare da sotto quello in cui Percy stava scrivendo e, mentre lui continuava a blaterale sui suoi lasciti, lo sfilò per guardarlo: chiamarlo “capolavoro” le sembrava troppo; definirlo “disegno” era già un complimento. La ragazza aveva già visto disegni del figlio di Poseidone, quando tentava di farlo studiare – iperattivo com'era – non poteva fare a meno di scarabocchiare tutti gli angoli del libro, ma quello era decisamente un passo indietro! Una macchia nera - che probabilmente avrebbe dovuto essere a forma di cavallo - era al centro del foglio, due “ali” spuntavano dal dorso, probabilmente voleva essere un pegaso, ma invece che le piume, esse erano d'acciaio; delle lingue di fuoco sostituivano criniera e coda, e ovviamente non mancava qualche fiamma sputata da bocca e narici. Tutto intorno c'erano nuvole bianche, e il cielo era un miscuglio di tonalità di azzurro.

“Dovrebbe essere Blackjack?” rise lei

“Mi pare ovvio” rispose con un sopracciglio alzato l'altro, di chi crede che il disegno sia chiaro come la luce del sole

“Ah, beh allora è tutto apposto” continuò la ragazza tra le risate

“È un'opera d'arte” controbbattè il semidio offeso, notando il tono ironico dell'altra

“Il miglior disegno che abbia mai visto” gli diede un bacio sulla guancia “ora possiamo andare, Caravaggio?” non aspettò risposta, s'incamminò verso l'uscita della Tre e fortunatamente sentì dei passi che la seguivano.

Prima di prendere il pullman ai piedi della collina, passarono dalla Casa Grande; salutarono Chirone, Rachel, e chiunque fosse a portata di voce. Percy consegnò il suo prezioso testamento e l'ancor più prezioso “capolavoro” a all'Oracolo e, prima di poter vedere la reazione di quest'ultima al contenuto misterioso, erano già ai piedi dell'Athena Pantenon. La semidea le diede una rapida occhiata, prima di voltarle le spalle. Per trovarla aveva rischiato la vita, e a causa di quella stupida statua anche Percy aveva dovuto patire le pene dell'inferno, anzi, del Tartaro. C'era voluto un po' di tempo perché i due semidei si riprendessero dal trauma, ancora oggi ad Annabeth capitavano incubi, e le occhiaie per lei e il suo ragazzo erano diventate un segno distintivo, ma erano insieme, ed era l'unica cosa che contava.

Arrivarono a New York per l'ora di cena, Percy suonò il campanello e attesero per quella che sembrava un'eternità: era la prima volta che il figlio di Poseidone tornava a casa dall'inizio di tutta la faccenda con Gea ed Era; la madre lo aveva quasi creduto morto, era uscita di testa come Annabeth, nei mesi in cui di lui non se ne sapeva nulla. Ora lo rivedeva dopo mesi, aveva un aspetto orribile, per i postumi del Tartaro: dimagrito, con occhiaie, anche il suo sorriso smagliante era affievolito. Per questo avevano aspettato tre settimane prima di farsi vedere.

Ad aprire la porta fu Paul, Percy tirò un sospiro di sollievo. Il patrigno si aprì in un caldo sorriso, uno di quelli che va da un orecchio all'altro

“Sally!” chiamò senza distogliere l'espressione felice dai due semidei “È per te!”.

La signora Jackson impiegò meno di due secondi per arrivare alla porta, ma quando incrociò lo sguardo del figlio si congelò

“Hey, mamma” abbozzò un sorriso preoccupato il ragazzo. La donna iniziò a piangere, si avvicinò alla soglia e abbracciò Percy. Annabeth la guardò con un misto di ammirazione e compassione: sapeva cosa significa non vedere Percy per mesi, soprattutto se alcuni dei quali lo si da per morto. Da settimane la donna sapeva che il figlio era vivo, che era “sano” e al sicuro al Campo Mezzo-Sangue, ma – fosse stata in lei – non avrebbe retto senza vederlo. La bionda sentì il suo ragazzo dire parole rassicuranti all'orecchio della madre, come “Va tutto bene”, “Sono a casa”, “È tutto finito”, ma solo quando Paul le afferrò la spalla si decise a lasciarlo andare.

Salutò calorosamente anche Annabeth, della quale parve accorgersi solo in quell'istante, e li fece accomodare in salotto. Una volta seduti sul divano, non li lasciò più alzare; portò loro quanto più cibo possibile, con un vasto assortimento anche di bibite. Il tutto ovviamente con prevalenza di blu.

Quando il tavolino e i braccioli di poltrone e divano non poterono contenere più piatti e vassoi, si decise a sedersi a sua volta. Volle raccontato per filo e per segno tutta l'estate, nonostante l'avesse già saputa via Iphone. I ragazzi fecero loro il resoconto, saltando le parti più cruenti del viaggio. A fine serata Sally e Paul li mangiavano ancora con gli sguardi, entrambi sapevano che c'era qualcosa che i semidei avevano deciso di non dire, ma non fecero domande. L'uomo preparò il divano-letto per Annabeth, ma Percy insistette per dormirci lui, così che lei potesse dormire più comodamente. Sembrava che la serata si stesse concludendo lì, che le preoccupazioni di Percy fossero solo per maniaci paranoici, ma poi si tolse la felpa restando a maniche corte. Sally smise immediatamente di parlare, tre paia di occhi si voltarono verso di lei. In un primo momento la semidea pensò che avesse visto qualche nuova cicatrice, quindi si girò a guardare il suo ragazzo. Sulle braccia aveva diverse cicatrici, alcune nuove, altre talmente vecchie da essere quasi impercettibili, ma tra i segni rossi e quelli bianchi, ne spiccava uno nero “SPQR NEPTUNE”

“oh-oh” ebbe appena il tempo di dire il ragazzo.


 

Note autrice:
Ciao a tutti!!! E' da tanto che non pubblico qualcosa, ho un paio di long in corso, ma con il quinto anno di liceo non riesco a scrivere molto. Questa fic era stata pensata per la reazione di Sally al tatuaggio, poi mi è venuto in mente del testamento e ho preferito incentrarmi su quello facendola finire l'attimo prima dello sbraito della madre <3 ahaha però chissà, se sono in molti a chiedermi di continuarla nelle recensioni ci faccio un pensierino ;) 
xxx
GReina

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

Era stato troppo bello per essere vero. Sua madre l'aveva abbracciato; aveva pianto, ma era riuscito a calmarla; Percy non dubitava che si fosse accorta che c'era qualcosa di cui non le voleva parlare, ma non c'era niente di cui preoccuparsi. Aveva ceduto il suo letto ad Annabeth, procurandosi anche dei bei complimenti dalla donna per essere “un galantuomo”, ma poi l'aveva fatto, si era tolto la felpa. Per tutta la sera il semidio aveva sudato come un forsennato: nel piccolo appartamento di New York non potevano permettersi l'aria condizionata, non ancora, eppure il figlio di Poseidone aveva tenuto duro, si era detto che se Sally avesse visto il tatuaggio non si sarebbe dovuto preoccupare di aver scritto il testamento troppo presto. Poi, l'aria di tensione che aleggiava per tutto il salotto si distese e il semidio dimenticò tutto: il Tartaro, Bob, Dameseno, il tatuaggio… aveva visto parecchie volte sua madre arrabbiata: per aver rotto un vaso, per aver risposto male agli adulti, per aver pasticciato di blu tutti i muri, per essersi messo in testa la sua biancheria intima atteggiandosi a supereroe, ma mai prima di allora l'aveva vista più nera.
Aveva iniziato a parlare piano, di quando è troppo arrabbiata anche solo per urlare; con un tic alla mani – come se volesse strangolare qualcosa – aveva chiesto il motivo di quel disegno sul braccio. Percy sollevò d'istinto le mani in segno di resa, tentando di calmarla e farle capire che il motivo era più che giustificabile, ma il gesto la fece probabilmente infuriare di più. Promemoria: non sfoggiare un tatuaggio davanti a una madre infuriata più del necessario; avrebbe dovuto nascondere il braccio dietro la schiena. Quando Sally iniziò a sbraitare contro il figlio, il semidio si sentì tremendamente in colpa: sua madre aveva quest'effetto, i suoi rimproveri non solo ti facevano capire di aver sbagliato, ma ti iniettavano un senso di colpa alcune volte incontenibile, anche se – come in questo caso – la colpa non c'era. 
Alle urla della signora Jackson, tutti i suoni del vicinato parvero sparire, come se tutto il quartiere fosse curioso di sentire cosa Percy avesse combinato. Era successo altre volte, solo il signor Pike si degnava di lamentarsi per il baccano, ma questa volta neanche lui si fece vivo. Quando Paul iniziò a parlarle a Percy sembrò l'uomo più coraggioso del mondo, altro che Crono e Gea, lui stava affrontando Sally Jackson!!
Come risultato a Percy fu negato di uscire di casa dovesse essere la fine del mondo (cosa perfettamente possibile, vista la sua fortuna nell'essere protagonista di Grandi Profezie); avrebbe pulito tutto l'appartamento per un mese e per nulla al mondo gli sarebbe stato cucinato del cibo blu. Quando il patrigno riuscì a portarla in camera da letto, Annabeth scoppiò a ridere
“Ti avevo detto che il testamento non era un'esagerazione” mise il broncio il ragazzo
“guarda il lato positivo” cercò di replicare la bionda piegata in due dalle risate “almeno non ti ha sequestrato Vortice”
“sono sicuro che ci abbia pensato. Fortunatamente mi ricompare sempre in tasca.” crollò sul divano aperto a letto sbuffando
“Suvvia, Testa d'Alghe, vedrai che domani riusciremo a spiegarle perché hai un tatuaggio e potrai mangiare tutto il cibo blu che vorrai” gli fece l'occhiolino
“oh, ma il cibo blu non può mica sfuggirmi” riprese l'altro più alleggerito “in un modo o nell'altro finisce sempre nella mia bocca.”
“Non ne dubitavo.” sorrise lei baciandolo sulle labbra “Buonanotte, Testa d'Alghe”.

Si svegliò di soprassalto nel mezzo della notte, con i nervi a fior di pelle, scattò in piedi sguainando Vortice e in posizione d'attacco. Paul alzò le mani sopra la testa, il figlio di Poseidone dovette prendersi un momento per ricordare dove fosse
“Paul” disse passandosi una mano sugli occhi “mi hai spaventato.” rinfoderò la spada
“Mi dispiace, ero andato a bere quando ho sentito che ti lamentavi” aveva un'espressione preoccupata
“Ah, sì?”
“Continuavi a chiamare un certo Bob...”
“Oh...” ancora quel sogno, anzi, peggio, quel ricordo “sto bene” lo rassicurò vedendogli ancora il viso corrugato
“ti capitano spesso questi incubi?” il semidio valutò se dirgli o no la verità, ma decise che non era il caso, non c'era motivo di farlo preoccupare, non avrebbe potuto fare niente per aiutarlo.
“Non è niente, sto bene” ripeté, ma persino lui si rese conto di quanto falsa dovesse sembrare la sua voce. Il patrigno andò in cucina, aprì il frigo e ne estrasse due birre fredde
“Non dico niente alla mamma se tu fai altrettanto” gli fece con aria complice. Percy accettò volentieri, aveva proprio bisogno di qualcosa di fresco con cui distendere i nervi. Si sedettero sul bordo del letto e per un po' nessuno dei due fiatò.
“Bel tatuaggio, comunque” provò a rompere il giaccio l'uomo “prima non ho avuto modo di dirtelo” rise, e anche Percy non poté fare a meno di sorridere
“già, avrei preferito la scritta POSEIDON, ma l'avevano finita” ci scherzò su
“vedrai che le passerà” continuò l'altro “le ho già parlato, le ho ricordato che non sei il tipo da stupidaggini simili, nonostante quello che i mortali possano pensare” Percy ricordò l'epoca in cui Paul non sapeva del suo vero padre, di quando era convinto che Percy fosse un teppistello espulso da fin troppe scuole per il suo carattere forte
“non è del tatuaggio che mi preoccupo” sospirò il ragazzo. Non sapeva ancora come dire alla madre tutto quello che aveva passato negli ultimi mesi, tutto quello che non era riuscito a dirle la sera prima
“ascolta” lo chiamò il patrigno “non so cosa tu non ci abbia ancora detto, ma è ovvio che qualcosa non va. Ti agiti nel sonno, hai occhiaie sotto gli occhi, e le tue cicatrici sembrano essersi quadruplicate. Non penso che sia tutto per… Gea, giusto?” Percy non rispose, troppo stanco e non ancora pronto per riportare a galla i ricordi del tartaro che già lo assalivano ogni notte. “D'accordo” gli diede una pacca sulla spalla l'uomo finendo la sua bottiglia “chiamami se hai bisogno di qualcosa, va bene?”
“Certo, buonanotte Paul”. Il semidio aspettò che la porta della sua camera da letto si fosse richiusa prima di sprofondare sul materasso, sì, decisamente non era ancora pronto. Si raggomitolò sotto le lenzuola – nonostante il caldo – e cercò di ricacciare quei brutti pensieri il più profondamente possibile. 

Il letto di Percy era decisamente comodo e come se non bastasse aveva il suo odore. Non ricordava da quanto tempo non dormiva così bene, quindi quella mattina era piuttosto di buon umore. Uscì dalla camera del suo ragazzo e raggiunse gli altri al tavolo della cucina: erano già tutti svegli, Paul e Percy chiacchieravano seduti a mangiare, mentre Sally si aggirava per la cucina. Sembrava ancora un po' tesa, ma si era decisamente calmata: c'erano momenti in cui – dimenticandosi di essere arrabbiata – rideva alle battute del figlio. Quando la sentirono arrivare e Percy si girò a salutarla si rese subito conto che lui non era stato fortunato quanto lei: aveva passato un'altra notte in bianco, o gran parte di essa. Gli diede un bacio sulle labbra, sentendolo fragile e stanco lo prolungò, non sapendo come altro aiutarlo. Quando si sedettero per proseguire la colazione si ritrovarono quattro occhi puntati addosso: Paul scambiò uno sguardo d'intesa con Percy, mentre le pupille di Sally sembravano essersi trasformate in due cuori. Solo allora la semidea realizzò che i due avevano solo avuto notizia del loro rapporto, senza che testassero con i loro occhi che era vero.

La colazione trascorse tranquilla, Sally adesso sorrideva saettando lo sguardo da Annabeth a Percy; parlarono del loro primo bacio, del loro ricongiungimento al Campo Giove, e di Roma, dove Percy contro ogni logica non aveva lasciato la mano di Annabeth. La semidea si fermò appena in tempo, guardò il suo ragazzo e minimizzò dicendo che stavano per cadere in un baratro, ma che Jason e Frank li avevano afferrati al volo all'ultimo secondo.
Da allora in poi, Paul non la smetteva di fissare Percy, distoglieva lo sguardo solo quando Sally guardava lui, come se volesse comunicare qualcosa al figliastro, ma non alla madre di questo.
La signora Jackson fu la prima ad alzarsi, era giorno feriale e doveva andare al negozio di dolciumi. Per Paul invece non erano ancora iniziate le lezioni, non aveva riunioni, quindi sarebbe rimasto in casa. Continuava a lanciare occhiate a Percy, Annabeth era sicura che fosse successo qualcosa tra loro, mentre lei dormiva, ma non fece domande. Quella stessa mattina il suo ragazzo le fece visitare il quartiere, alcuni lo salutavano per strada, e anche qualche mostro fece loro visita, non fu difficile per loro sbarazzarsene.
Sally non era ancora tornata quando rientrarono: quella mattina li aveva avvertiti che sarebbe tornata per pranzo, quindi la semidea colse l'occasione per fare una doccia.

Quando Annabeth fu sparita dietro la porta del bagno, Paul sputò quello che dalla colazione si teneva dentro: “Non ci sono riusciti, vero?” Percy sapeva a cosa si riferiva, ma preferì tardare l'imminente discorso
“Non so di cosa tu stia parlando”
“Percy” continuò l'uomo calmo e comprensivo “ripeto quello che ti ho detto questa notte” gli mise una mano sulla spalla “non sei obbligato a dirmelo, ma posso aiutarti” nei suoi occhi si leggeva solo preoccupazione, al semidio doleva il cuore a pensare di doverne aggiungere altra, il patrigno sembrava capirlo. “Figliolo,” Percy adorava sentirsi chiamare così, uscito dalla sua bocca sembrava così naturale, gli faceva credere di essere più normale “io sono qui per te, capito? È a questo che servono i genitori” a Percy scappò un sorriso: genitori, già, Paul era suo padre. Forse non di sangue, ma da quando l'aveva conosciuto c'era sempre stato per lui
“Non sono certo di volerne parlare”
“e questo è normale. Sono sicuro di non potere nemmeno immaginare cosa tu passi ogni estate, ma posso provarci, e sicuramente voglio aiutarti.” fece una pausa “Quel che è passato è passato, Percy. Per quanto orribile che sia. Io non posso cambiare quello che ti è successo, ma posso aiutarti a portarne il peso, almeno in parte.” il figlio di Poseidone era davvero tentato di raccontagli tutto, e lo avrebbe fatto, se non fosse stato per la serratura che scattava. Quando Sally entrò in casa, Paul si affettò ad abbassare la mano. Sicuramente era un buon complice, non voleva che la donna pensasse che qualcosa non andava; entrambi si preoccupavano per lei, il che non poté far altro che convincere ancora di più Percy a confidarsi con quell'uomo.
“Cosa state complottando, voi due?” chiese sorridente posando i sacchi della spesa per terra
“Niente” risposero insieme. Andarono a prendere i sacchetti all'ingresso, mentre la donna continuava il suo interrogatorio. Furono salvati da Annabeth che usciva in accappatoio
“Bentornata, signora Jackson” la salutò sorridente
“Annabeth” si imbronciò l'altra “ti ho detto di chiamarmi Sally!” bene, ora la sua attenzione era incentrata sulla bionda. Finirono di mettere a posto gli ingredienti appena comprati solo per uscirli mezz'ora dopo, quando Paul decise che li avrebbe tutti stupiti con un “pranzetto speciale”. Percy e Annabeth tentarono di aiutare, ma quando gli adulti capirono che non era il loro campo, li mandarono in salotto a rilassarsi, mentre loro pensavano alla cucina.
La notte in bianco cominciava a farsi sentire, probabilmente perché stantia della notte prima ancora. Annabeth che gli accarezzava i capelli non aiutava a mantenerlo sveglio, così – senza neanche accorgersene – si addormentò.

Paul insistette per mangiare sul divano, così che Annabeth non dovesse alzarsi e svegliare Percy, addormentatosi su di lei. Sally aveva provato a convincerlo che non c'era motivo di lasciarlo dormire a quell'ora, ma l'uomo non aveva voluto sentire ragioni. La semidea era sempre più convinta che sapesse qualcosa, magari in qualche modo si era svegliato la notte scorsa e aveva scoperto che Percy non era riuscito a dormire. Di conseguenza consumarono il pasto molto silenziosamente, scherzando a bassa voce. Annabeth raccontò loro della prima volta che vide Percy, anche allora “addormentato” per non dire privo di sensi. Caso volle che proprio in quell'istante Percy si svegliò, e la bionda non poté fare a meno di dire
“Quando dormi sbavi” adesso che il ragazzo era sveglio le risate si levarono alte.

Dovettero spiegargli che stavano parlando male di lui perché capisse il motivo di tutte quelle risate. Scoprì anche di avere dormito per poco più di un'ora, Annabeth e Paul sembravano sollevati.
“Avete deciso a che liceo iscrivervi per l'ultimo anno?” chiese d'un tratto il patrigno. L'ultimo anno, Percy non poteva ancora crederci, un anno e poi lui e Annabeth si sarebbero trasferiti a Nuova Roma: niente più mostri! “Le lezioni inizieranno tra qualche settimana, vi conviene scegliere”
“Non mi interessa più di tanto, in realtà” ricevette uno spaventoso sguardo dalla madre “intendevo che qualsiasi scuola va bene” si affrettò a chiarire “Ci sono delle università, a Nuova Roma. Pensavamo di andare lì una volta preso il diploma” spiegò, era la prima volta che ne parlava con la madre.
“E quando avevi intensione di dirmelo?” mise le mani sui fianchi
“Ora?” scoppiarono a ridere
“Avete già scelto la facoltà?”
“Io studierò architettura” rispose la ragazza “mentre Percy...”
“Avranno sicuramente qualcosa che mi interessi.” tagliò corto, c'era ancora un po' di tempo per poter scegliere cosa studiare. “Intanto pensiamo al liceo.” cambiò discorso
“Potresti tornare alla Goode, e Annabeth con te.” suggerì Paul “Così posso tenervi d'occhio.” ammiccò al ragazzo
“È la scuola di Kelli e Tammi, per caso?” chiese la bionda, il semidio rise
“Già, quanti ricordi”
“Kelli e Tammi le cheerleader?” chiese confuso l'uomo. Solo allora Percy ricordò che ai suoi occhi le due studentesse si erano semplicemente ritirate dagli studi.
“Kelli e Tammi le Empuse” chiarì il figlio di Poseidone
“bhe, questo spiega un po' di cose...” altre risate.
Quello stesso pomeriggio Paul andò ad iscrivere i due semidei al nuovo anno scolastico. Le lezioni sarebbero iniziate tra tre settimane e Percy non aveva nessuna fretta.
Neanche quella notte riuscì a dormire, Bob continuava a tornare nei suoi ricordi. Non trovò Paul, ma prese il suo esempio della notte scorsa e si diresse al frigo in cerca di una birra. Stava per aprirla, quando gli venne in mente la scorta di alcol forte di Gabe il puzzone: chissà se era ancora lì. Lo sportello più in alto, dietro la porta della cucina, era pieno di bottiglie. Che quelle fossero o no risalenti a Gabe, poco importava. Il figlio di Poseidone si intendeva poco di alcol, l'unica vera sbronza che aveva avuto era stata con Jason e Thalia, quando questa era passata a trovarli e insistette per portare il suo fratellino a “bere forte” e - in un modo o nell'altro - si era ritrovato incastrato pure lui. Prese la prima che gli capitò a tiro e, senza neanche degnarsi di procurarsi un bicchiere, iniziò a bere.
Bob continuava a tornare; in molti dicevano che l'alcol fa dimenticare, allora perché non funzionava? Al titano si aggiunsero Bianca, morta alla discarica dopo che lui aveva promesso al fratello di proteggerla a qualunque costo; Zoe, caduta per mano del padre Atlante perché lui non era riuscito a fermarlo prima; Beckendorf, saltato in aria con la sua stessa bomba mentre lui si era salvato; e tutti, a uno a uno, i semidei morti nella battaglia di New York che il figlio di Poseidone aveva guidato. Gli venne in mente il tartaro, le arai, Calipso, la sua ragazza morente in un inferno senza fine. Poi, l'effetto dell'alcol iniziò a farsi strada dentro di lui: la mente si appannò e con lei tutti i brutti ricordi. Senza rendersene conto crollò in un sonno senza sogni.



Note autrice:
era iniziata come una one-shot comica ed è diventata una long angst. Ho beccato proprio i due opposti ;) 
Con questa fic voglio evidenziare la figura di Paul e del suo rapporto con Percy. Spero di riuscirci!!! 
Alla prossima!
xxx
GReina

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

Fu il padrigno a trovarlo. Doveva essere mattina presto, la luce che filtrava dalle finestre era ancora velata dall'ombra della notte. L'uomo lo scuoteva con fare insistente, un'espressione preoccupata, forse con anche un pizzico di delusione negli occhi. Solo allora il semidio si rese conto di essere per terra: una bottiglia vuota in mano e un'altra abbandonata sul pavimento. Quando Paul capì che era – più o meno – lucido, lasciò andare la presa dalla sua spalla e raccolse le bottiglie. Invece di dirigersi alla pattumiera della cucina, scavalcò la finestra arrivando sulle scale antincendio e lanciò le bottiglie dall'altra parte del vicolo dove Percy sapeva esserci dei cassonetti.
Con fatica il semidio si issò sul divano-letto stropicciandosi gli occhi. Il mal di testa era atroce; credeva che quella al pub con i fratelli Grace fosse una grossa sbronza, ma si sbagliava.
Il patrigno prese ad armeggiare in cucina, senza dire una parola, offrendo a Percy solo alcuni sbiechi sguardi. Tornò in salotto solo dopo qualche minuto, un bicchiere con uno strano intruglio nelle mani: il colore del contenuto non prometteva bene, l'odore ancora meno. Il figlio di Poseidone fece una smorfia disgustata quando glielo porse
"Il rimedio migliore per un dopo sbronza" spiegò il professore. A Percy veniva da vomitare al solo pensiero, anzi veniva da vomitare da momento in cui la veglia prese il posto del sonno. "Ti conviene rimetterti in sesto" continuò l'uomo afferrando la mano di Percy costringendolo ad afferrare a sua volta il bicchiere "tua madre si sveglierà a momenti, e non voglio che ti veda così." il semidio si costrinse ad ingurgitare tutto l'intruglio preparato dal padrigno. Era peggio di quanto si aspettasse
"Ci sono le uova?" chiese disgustato, con una voce talmente roca che stentò a riconoscerla
"Tra le altre cose" rispose. Quando quello tornò nella stanza accanto per riporre il bicchiere nel lavandino, il semidio provò a seguirlo. Issarsi sul materasso è un conto, camminare un altro. Riuscì a malapena a raggiungere il tavolo da pranzo prima che le gambe cedettero: non si era mai sentito così male, forse solo nel tartaro. Nel frattempo, l'uomo era tornato. Lo afferrò sotto l'ascella aiutandolo a rimanere in piedi "tutto bene?" si preoccupò
"Sono stato peggio" fece un sorriso mesto.
"Percy" continuò l'altro, il tono preoccupato sostituito da quello deciso, pronto a fare una ramanzina al figliastro "un conto è bere una birra in compagnia-"
"lo so" lo interruppe il più giovane "mi dispiace." aggiunse sincero
"Ricordi il nostro discorso dell'altra sera?" tornò il tono preoccupato "Io sono qui, per tua madre come che per te." ci fu un attimo di silenzio, interrotto solo dai primi rumori della città e da qualche piccione appollaiato sul balcone
"Sì" alzò lo sguardo sul patrigno "lo vedo" sorrise, stanco, ma sincero.
Il loro scambio di sguardi fu interrotto da un rumore proveniente dalla stanza di Percy, probabilmente Annabeth si stava svegliando, il che ricordò ai due che anche Sally avrebbe potuto svegliarsi da un momento all'altro.
"Riesci a metterti in piedi?" si premurò l'uomo
"Nessun problema" si alzò barcollante il ragazzo "ma non penso che stare in piedi copra la nottata di ieri" Paul serrò le labbra "qualche brillante idea, prof?"
"Tua madre si lamentava di avere poco colorante blu, ieri, potresti andare a comprarlo."
"A che le serve il colorante blu?" alzò un sopracciglio il semidio "Sono in punizione." provocò le risate dell'uomo
"Conosci tua madre meglio di me, Percy. Dovresti sapere che non può resistere dal cucinarti cibo blu. Vedessi quando non ci sei" gli mise una mano sulla spalla "qualche mattina mi sveglio e trovo la tavola di un solo colore. Non si rende conto neanche lei di mettere il colorante, ormai."
"È molto da lei" rise a sua volta il ragazzo
"piuttosto..." tornò serio l'uomo "pensi di potercela fare?"
"Fare la spesa? Non sarà peggio che salvare il mondo."
"Camminare per strada col tuo odore da semidio e un dopo sbronza da far invidia al più beone di tutta New York" chiarì Paul
"i mostri sono meno attivi, dopo Gea." rispose il figlio di Poseidone passandosi una mano tra i capelli "Mi sono fatto una buona reputazione. Non avrò problemi" affermò
"forse dovrei venire con te"
"no, davvero. Credimi, te lo direi se non ne fossi sicuro. Ho... bisogno di schiarirmi le idee." il patrigno sospirò, sconfitto, e non insistette oltre.

La semidea aprì la porta della camera del suo ragazzo proprio quando quella di ingresso si chiudeva. Andò in cucina dove trovò Paul.
"Buongiorno" la salutò raggiante. Lei ricambiò calorosamente, per quanto il suo tono da appena sveglia permetteva. Accettò volentieri il cappuccino (scoperta italiana) che l'uomo le offrì, concedendosi anche una brioche.
"Percy è uscito?" chiese, notando il letto vuoto e associandolo alla porta d'ingresso che si richiudeva
"Sì, Sally ha finito il colorante blu, ho chiesto a Percy di andare a comprarlo" spiegò. La bionda rise
"mi chiedevo per quanto avrebbe resistito senza cibo blu"
"ti riferisci a Percy o a Sally?"
"Non ho ancora deciso" risero entrambi.
"Di buon umore sin dal mattino" sbucò la donna stropicciandosi gli occhi
"buongiorno!" andò a baciarla Paul "Ti abbiamo svegliata?"
"Non preoccuparti, avevo la sveglia tra due minuti" gli diede un secondo bacio lei "buongiorno, Annabeth"
"buongiorno, signora Jackson" si guadagnò un'occhiataccia "...Sally" si corresse, per ricevere una carezza materna sulla guancia.
"Percy?" fece all'uomo
"Chissà" alzò le spalle lui, complice, con il tono allegro abbastanza da far capire che non era stato rapito da Era o chiamato a salvare il mondo, ma che non lasciava intendere altro. La semidea stava cercando un argomento di cui parlare, quando notò l'anello al dito della donna: era sull'anulare destro, con un piccolo zaffiro a decorarlo. Annabeth rimase a bocca aperta, Sally dovette notarlo, perché si guardò le dita e un meraviglioso sorriso le si stampò in faccia, talmente luminoso da illuminare tutta la stanza
"Ti piace?" le chiese. Annabeth era ancora senza parole, fu interrotta da Paul ancor prima di riuscire a parlare
"Ho chiesto il permesso di sposare Sally a Percy, prima di tutta la faccenda di Gea. Con la scomparsa di Percy e tutto il resto, non trovavo mai il momento giusto per propormi" sorrise "l'ho fatto pochi giorni dopo l'aver saputo che avete salvato il mondo, di nuovo."
"Ma è fantastico!!" scattò in piedi la bionda, finalmente di nuovo con la voce "Percy sa che gliel'hai già chiesto?"
"Volevamo vedere la reazione che avrebbe avuto" rise Sally "dubito che se ne sia accorto."
"Conviene dargli qualche suggerimento, allora" consigliò Annabeth "o potremmo aspettare fino alla prossima apocalisse". Fu allora che si sentì il tintinnio delle chiavi girare nella serratura: quel genio del suo ragazzo era rientrato.

"Oh, ben svegliate, dolci donzelle" salutò entrando
"buongiorno, tesoro" lo salutò la madre. Le occhiaie di lui fu la prima cosa che la bionda notò. Quella del tartaro era stata senz'altro la loro peggiore esperienza, eppure non sempre la semidea si spiegava l'insonnia del fidanzato: insieme, avevano affrontato la fine del mondo due volte; avevano attraversato gli inferi e, cinque anni dopo, quello che alcuni chiamavano "l'inferno dell'inferno". Avevano visto decine di amici cadere in battaglia; erano stati traditi; usati come marionette; pugnalati, graffiati, morsi. Anche loro erano per metà umani, era ovvio che prima o poi sarebbero crollati, eppure Annabeth era sicura che ci fosse qualcosa in più: Percy, testardo com'era, finiva col prendersi tutta la responsabilità, come se non fossero stati Crono e Gea, titani e giganti a mietere centinaia di vittime mezzosangue, ma lui.
Quando superò la soia di casa, lei era ancora in piedi vicino alla sedia che aveva fatto cadere, tanta era stata la foga nell'alzarsi. Piuttosto che dirgli "Bentornato" "Buongiorno", si buttò tra le sue braccia lasciandogli sfuggire la presa sulla busta della spesa, baciandolo con ferocia, non perché Percy ne avesse bisogno, non solo, ma perché ne aveva bisogno lei: aveva bisogno di assicurarsi che tutto fosse finito, che Gea era solo la terra su cui camminavano e loro stessero davvero gustando una meravigliosa colazione a casa Jackson parlando di matrimonio. Lasciò che le loro lingue si trovassero e si rincorressero, gustò il sapore di Percy, il sapore del mare, il sapore che sapeva di casa, beandosi delle braccia del suo ragazzo che la stringevano e la facevano sentire al sicuro.
"Hey" disse dolcemente lui una volta che si furono staccati, entrambi col fiatone "è tutto apposto?" le scostò una ciocca bionda dal viso
"Dovrei chiederlo io a te" lo scrutò con gli occhi tempesta
"sto bene" le diede un altro bacio, stavolta calmo.

Paul si era avvicinato a prendere la busta, lo sguardo di nuovo complice a fissare Percy, che ricambiò. Sally invece, a poca distanza, era rossa come un peperone, come se non credesse che suo figlio potesse baciare con tanta voracità
"dove sei stato?" disse, cercando di riprendere il colorito naturale
"Al supermercato. Tornando ho deviato per il parco"
"come mai?" chiese la madre alzando un sopracciglio
"Avevo voglia di sgranchirmi le gambe. Sai, l'iperattività e tutto il resto..." disse forse cercando di cambiare discorso e, prima che la donna potesse continuare con l'interrogatorio, Annabeth lo accontentò
"hai visto che bello smalto ha tua madre?" lo sguardo del ragazzo passò dal 'Chi se ne frega' al 'è davvero quello che penso?' al 'Allora l'ha fatto davvero!'. Passarono tutto il resto del pasto a parlare del matrimonio.

Paul gli aveva chiesto il permesso di sposare la madre molti mesi prima. Quando lo fece, Percy quasi si meravigliò che pensasse davvero di dover chiederlo prima a lui. Non che non amasse anche questo lato del patrigno che presto sarebbe stato ufficialmente tale.
Fino alla vista dell'anello il figlio di Poseidone dette per scontato che quei due dovessero stare insieme, come se fossero sposati dalla battaglia contro Crono, quando li aveva visti combattere insieme. Il sorriso che dominava la donna gli fece dimenticare tutto il resto, tutte le scene orribili che dalla sera prima non lo lasciavano in pace se non in overdose di alcol. Era da anni che non vedeva la madre così felice; questo lo fece ingelosire un po', ma quel sentimento sfigurava di fronte alla felicità che provava a sua volta per lei.
"E ovviamente sarà tutto in blu" stava dicendo. Poi guardò timida in direzione di Paul "inizialmente non ne ero sicura, ma..."
"Cosa?" la incitò il figlio
"Sally credeva che mi sarei sentito a disagio. Sai, il blu, Poseidone..." rise "le ho spiegato che non associo il blu a tuo padre, ma solo al colore preferito della donna che amo. Così l'ho convinta" alzò le spalle con il sorriso che si allargava sempre di più.
"Hai già preso il vestito?" chiese Annabeth alla donna
"Ho quello del matrimonio con Gabe, ma è da escludere" fece una smorfia disgustata "pensavo di andare a comprarlo in questi giorni."
"Potrei accompagnarti... se ti va" propose la bionda arrossendo
"che tu venissi con me era scontato, mia cara" le strinse il braccio la donna.
"Bene, voi occupatevi del vestito e di altre cose noiose" si fece avanti Percy "io penso all'addio al celibato."

"Cosa?" chiesero tutti all'unisono
"Bhe, sempre che Paul non abbia già qualcuno che glielo organizzi"
"non ho bisogno di un addio al celibato"
"tutti hanno bisogno di un addio al celibato"
"e si può sapere che ne sei tu, Testa d'Alghe?" Percy parve offeso
"E tu che ne sai di abiti da sposa, Ragazza Saggia? Se la mettiamo così sarebbe più esperto Grover" riuscì a fare mettere il broncio alla bionda
"Perseus Jackson!" cominciò la donna con le mani sui fianchi, ma l'aria era troppo allegra perché il suo nome intero potesse impaurirlo "Sei impossibile" sospirò, abbandonando le braccia lungo il corpo. Tutti risero.

"Allora" Percy si sfregò le mani "prima dell'addio al celibato bisogna decidere la data delle nozze. L'avete già fatto?" era da giorni che Percy non si sentiva così felice e leggero
"Non ancora" rispose la madre

"il luogo, allora"
"neanche" continuò la donna
"perché non la spiaggia?" propose Paul. Sally sembrò pensarci per un momento, il mare le era sempre piaciuto, ma il suo imbarazzo era palpabile
"Sei sicuro?" le venne in soccorso Percy "Una cosa è il blu, ma il mare..."
"mi ricorda mio figlio" alzò le spalle l'uomo "perché non dovrei esserne sicuro?" sui volti di tutti si fece strada un gran sorriso; Sally baciò il suo futuro sposo, mentre Percy dovette lottare contro se stesso per non farsi venire gli occhi lucidi e sembrare una ragazzina
"Vieni, Ragazza Saggia. Lasciamo in pace i due piccioncini" ammiccò al padre.

Andarono in camera di Percy, quella che Annabeth occupava da quando erano giunti a New York. Il letto era disfatto, al Campo Annabeth non era abituata a rifarsi la branda, lo trovava solo una perdita di tempo, pochi, preziosi minuti che nell'insieme le facevano guadagnare tempo prezioso usato per cose ben più importanti che sistemare le lenzuola: allenarsi, studiare, stare con il suo ragazzo, allenarsi, salvare il mondo, allenarsi. Il resto della stanza era in ordine, la semidea non aveva toccato nulla al di fuori dei suoi vestiti, riposti nella piccola valigia che teneva chiusa sotto il letto.
Percy entrò subito dopo di lei, chiudendosi la porta alle spalle; si annusò il collo della maglietta e decise di cambiarla. Le cicatrici del semidio erano aumentate a dismisura, nel tartaro. La bionda ricordava ancora il volto sofferente del suo ragazzo, morente, trafitto da migliaia di maledizioni per mano delle arai. Non importava quante cicatrici prima di allora Percy avesse collezionato, quello stormo di mostri le triplicò. Ora, tutto il suo busto era dominato da tagli, alcuni bianchi altri rosa; la maggior parte ancora arrossati: le maledizioni sono difficili da curare. Annabeth gli si avvicinò prima ancora di rendersene conto. Portò delicatamente una mano all'altezza del tatuaggio e bloccò il braccio di lui in cerca di una maglietta nel cassetto; poi la fece vagare lungo il braccio, arrivando alla spalla; la portò alla schiena, disegnando un ampio cerchio e – quando risalì al collo – venne raggiunta dall'altra. Lo baciò sulla schiena, salendo sempre di più, fino a quando le labbra non raggiunsero le mani. Percy si voltò, il fiato corto, e anche lui prese ad esplorare il suo corpo con le mani: prima, le afferrò i fianchi, la attirò a sé e prese a baciarla sulle labbra, un bacio più forte di quello che la ragazza gli aveva riservato sul collo; poi, le sue dita si inoltrarono sotto la maglietta, sempre più in altro fin quando non raggiunsero il reggiseno, andando anche sotto quello; Annabeth gemette, ma lui non si fermò: lasciò in pace la bocca e prese a baciarle il collo, la clavicola; lasciò una mano a contatto con la sua pelle e portò l'altra a scostarle la maglietta; passò a baciarle anche la spalla appena scoperta. Fuori dalla porta si sentivano rumori, passi che andavano su e giù per la cucina, forse Sally e Paul che sparecchiavano; delle voci parlavano, forse chiamavano loro, ma i semidei non le sentivano, ora c'erano solo loro due. Annabeth afferrò il viso dell'altro e riportò le labbra tra le sue: la sua lingua penetrò nella bocca dell'altro e viceversa, come se fossero fatte per combaciare l'una con l'altra. Il bacio si faceva sempre più forte, sempre più voglioso; le mani di lei passarono sulla nuca del semidio attirandolo verso di sé, come se il suo corpo non avesse ancora abbastanza Percy. Si staccarono solo il tempo necessario per sfilare la maglietta della ragazza da sopra la testa, le mani di Percy non dovevano più combattere contro il tessuto attillato. La strinse alla vita e la issò nei suoi fianchi; avanzò fino al letto dove si lasciò cadere. Annabeth era cavalcioni sopra di lui, ma con un colpo di reni il semidio invertì le posizioni. Prese a guardarla, i suoi occhi verde-mare si persero in quelli grigio-tempesta e sembrò che il tempo si fosse fermato. Tornò a baciarla al collo con i respiri affannosi di entrambi a riempire la stanza, poi fu il suo turno: la bionda si sollevò sui gomiti, ruotò il bacino e si ritrovò sopra il suo ragazzo: iniziò a baciargli i pettorali, tanti, piccoli baci che scendevano verso l'ombelico e le mani con loro, più veloci. Quando arrivarono alla cintura, iniziarono a giocare con essa; la allentarono, permettendo alla semidea di insinuarsi sotto i pantaloni. Percy gemette di piacere, Annabeth continuò ad accarezzare la mezza erezione del semidio da sopra i boxer, i sospiri di lui sempre più irregolari
"Ci sentiranno" riuscì a dire tra un affanno e l'altro, ma la ragazza non lo ascoltò: senza togliere la mano dall'inguine dell'altro risalì con la bocca raggiungendo quella del fidanzato "Annabeth" sospirò quello "non-" non riuscì a finire la frase, la bionda afferrò con più saldezza il suo membro iniziando a far scendere e salire la mano. "i miei genitori... non riuscirò a-" un altro forte gemito
"Percy! Tutto bene?" qualcuno bussava alla porta.
"Sì" la voce di Percy non era per niente ferma, Paul iniziò a maneggiare con la maniglia, che per fortuna era difettosa. Annabeth ritirò la mano e raccolse la maglietta, finita sopra l'armadio. L'erezione di Percy era evidente, quindi la ragazza gli passò un cuscino e l'uomo entrò. Il loro aspetto doveva dire molto: fiato corto, capelli in disordine, Percy mezzo nudo.
"State bene?" chiese l'uomo con sospetto
"Perché non dovremmo?" chiese a sua volta la semidea. L'uomo grugnì
"Bhe, sono venuto a dirvi che abbiamo ospiti. Vi aspetto di là" si allontanò con espressione accigliata, ma ad Annabeth non sfuggì il sorrisetto, un attimo prima che la porta si richiudesse.

 

Note autore:

Ebbene sì, aggiornerò - se tutto va bene - ogni due settimane.

Comincio col dire che nel file word che ho nel pc il primo capitolo è di 20 pagine e lo sto dividendo per pubblicare. Quindi scusatemi se la fine di ogni capitolo non è proprio "da fine".
Per quanto riguarda la scena finale: è la prima situazione semi-sessuale che scrivo. Quindi spero di averlo fatto bene :P direi che nella vita quotidiana di due ragazzi che stanno insieme e si amano ai livelli della Percabeth un po' di tensione sessuale ci deve essere.

Dal prossimo capitolo in poi, ve lo anticipo, Percy inizierà a stare meglio, quindi piano piano il rapporto tra Percy e Paul si sposterà dalla sofferenza del primo per il Tartaro alla felicità di entrambi per il matrimonio. Vediamo cosa ne viene fuori... sto avendo qualche difficoltà con gli ultimi capitoli, ma non demordo!!!

Detto questo spero di vedervi anche al prossimo e che la storia non vi deluda!!!

xxx
GReina

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 
CAPITOLO 3

C'era mancato davvero poco. Cosa avrebbe pensato Paul di lui? Tatuaggi, alcol, e ora anche sesso? Quando la porta si richiuse dietro il patrigno, i semidei scoppiarono in una sonora risata; Annabeth aveva i capelli scompigliati e nella fretta aveva indossato la maglietta alla rovescia. Invece di dirglielo, gliela sfilò una seconda volta e poi la aiutò a rimetterla
“Ho cercato di dirti che ci avrebbero sentito” iniziò il ragazzo
“chi dice che ci hanno sentito? Paul ha detto che ci sono ospiti”
“il che è anche peggio” risero entrambi
“Chi pensi che sarà?” chiese la semidea passando a Percy la prima maglietta che trovò nel cassetto
“Chiunque sia lo odio per principio.”

Quando si lasciarono la camera da letto alle spalle, Percy sperò di avere un aspetto decente. Seguirono il suono delle voci fino al salotto, dove il divano era ancora aperto a letto. Seduti su due sedie prese dal tavolo della cucina, c'erano Sally e Paul, mentre accomodati ai piedi del materasso trovarono l'occhialuto figlio di Giove e la sua ragazza.
“Bro!” Percy prese a correre verso l'amico, che si alzò una volta sentita la voce del figlio di Poseidone “Che ci fate qui?” si abbracciarono
“Veniamo dal Campo Giove” spiegò quello mentre salutava Annabeth, appena liberatasi dall'abbraccio di Piper, “abbiamo pensato di passare a salutare”
“avete fatto bene” rispose la bionda raggiante
“Com'è l'atmosfera lì? Frank se la cava bene come pretore?” si informò Percy
“Più di quanto mi aspettassi! Dovresti vederlo, bro, ci sa davvero fare!”

“Hazel, invece?” chiese Annabeth
“Le mancate molto” le rispose l'altra ragazza “vi manda un bacio, e spera di rivedervi presto”
“se ne pentirà quando andremo all'università a Nuova Roma. Si può sopportare Percy durante una guerra, ma…” lasciò la frase in sospeso
“la prendo come un'offesa, Ragazza Saggia” mise il broncio il semidio dando vita a un coro di risate.
Il figlio di Poseidone non si era neanche accorto che sua madre aveva lasciato la sedia fin quando non rientrò con un vassoio di meravigliosi e croccanti biscotti blu. Percy scostò Jason e Annabeth, facendosi spazio tra di loro, ormai solo un ostacolo tra lui e il suo mondo
“Oh, tesori miei, quanto mi siete mancati” disse con la bava che colava giù dalla bocca. Stava per prenderne uno quando la madre scostò il vassoio. Il ragazzo la guardò stralunato
“Che cos'hai intenzione di fare, tesoro? Sei in punizione, ricordi? Niente cibo blu.” a Percy cadde il mondo davanti
“Ma mamma” riuscì solo a dire “i biscotti...” altre risate
“Che cos'ha fatto, questa volta?” chiese Jason ridendo
“Guarda che è tutta colpa tua e del tuo Campo” si imbronciò – se possibile – ancora di più il figlio di Poseidone “mia madre non ha preso bene la faccenda del tatuaggio” spiegò di fronte agli sguardi interrogativi degli ospiti
“troverai un fantastico testamento ad attenderti, al Campo Mezzo-Sangue” raccontò Annabeth “Percy l'ha scritto in caso Sally l'avesse ucciso” risero ancora
“Sarebbe stato meglio che proibirmi il cibo blu” ribatté il semidio passando anche lui a ridere.

Sally dovette insistere fino a mettersi davanti l'ingresso per convincere i nuovi arrivati a rimanere per pranzo. Come condizione, Piper aveva imposto di aiutare in cucina e, sebbene ci fosse riuscita quando i due cercarono di andarsene prima di mangiare, la donna non poté nulla contro la lingua ammaliatrice. Annabeth decise di lasciare gli uomini ai loro momenti di amicizia virile, mentre apparecchiavano, e si unì alle donne.
Piper stava raccontando di quando per la prima volta temette che Percy e Jason si sarebbero ammazzati tra loro, a bordo dell'Argo II, quando entrambi stavano per sedersi a capotavola; di quando le sue paure furono a un passo dal realizzarsi al campo di grano e quando – invece – come una cosa sola avevano dominato vento e acqua, salvando tutto l'equipaggio.
Da quando la guerra era finita, quei due erano più uniti che mai, così come lo erano con Nico. I tre erano riusciti a convincere Chirone a farli mangiare insieme, d'altronde, magiare soli a tre tavoli diversi avrebbe fatto annoiare chiunque, per semidei iperattivi, poi…
Percy era stato fondamentale per non fare cadere Jason in depressione, quando erano ancora convinti della morte di Leo, e Jason continuava a tirare su di morale Percy quando aveva le sue crisi post-tartaro, come Piper faceva con lei.
Sally non si risparmiò, con l'aiuto delle ragazze, riuscì a cucinare ogni tipo di prelibatezza, alla quale ovviamente non mancò qualche accenno di colore blu.
Come era di consueto, a casa Jackson, il pasto fu consumato con aria di festa: Jason e Piper raccontarono delle novità a Nuova Roma; del nuovo augure, decisamente più simpatico del precedente (difficile non esserlo), che nonostante tutto era compianto come il resto delle vittime cadute in guerra. Dissero che in molti ancora non credevano del miracoloso ritorno di Leo e della sua nuova fiamma e di come, non appena misero piede al Campo, i due furono assaliti dai più scettici che li bombardarono di domande. Hazel stava velocemente salendo di rango, Piper disse che avrebbe potuto farlo ancora più in fretta, ma che lei si ostinava a rifiutare la promozione due volte su tre perché convinta di essere premiata grazie al grado del suo ragazzo. Frank – dal canto suo – se la cavava più che bene: se prima alcuni lo deridevano o erano contrari al suo titolo in quanto più giovane della maggior parte dei soldati, adesso era ammirato in ogni parte del Campo. La voce che Pegaso avesse nominato Reyna “amica dei cavalli” si era sparsa in un tutta America e ora erano migliaia i cavalli alati accorsi al suo fianco; erano state costruite stalle in quantità, tanto che Terminus fu costretto a spostare di qualche chilometro il confine, il che non gli fece molto piacere.
Annabeth vagò con la mente in quella città dove aveva purtroppo avuto poco tempo di stare; alle colonne, alle case, alle università. Quando Percy le disse del futuro che aveva pensato per loro in quel posto, lei si era sentita tradita: il Campo Mezzo-Sangue era la sua casa, come poteva il suo ragazzo dirle di trasferirsi in quello romano? Ora, però, rideva a quel pensiero: il Campo Giove era casa sua tanto quanto lo era quello Mezzo-Sangue.
Quando arrivò il dolce, a Percy fu concesso un assaggio di ciambella blu – tra i ringhi della madre – il che lo fece sorridere per il resto della giornata. Il figlio di Poseidone si accontentava con poco.
Quando sua madre si convinse a lasciargli prendere una piccolissima parte di dolce blu, Percy capì che quella era una buona giornata: Jason era passato a trovarlo, a differenza di Grover che impegnato com'era forse si dimenticava anche di mangiare. Anche Jace era impegnato però, no? Il semidio scacciò subito quel pensiero dalla testa: Grover era il suo migliore amico! O lo era il figlio di Giove? 
Annabeth sembrava trovarsi bene con i suoi genitori e, ora che c'era anche Piper, sembrava al settimo cielo. E poi, ovviamente, c'era stata quella mattina, in camera. Lui e la bionda non si erano mai spinti così oltre, avevano ancora solo diciassette anni e, tra la guerra, l'amnesia e tutto il resto, non avevano mai avuto un attimo di vera e propria privacy. Cercò di allontanare anche quel ricordo dalla mente, non voleva arrossire, o peggio. Pensò al matrimonio imminente: sua madre aveva insistito perché il figlio invitasse qualche amico: “i tuoi amici sono parte della famiglia” aveva detto. Riunire più di tre semidei era considerato pericoloso in occasioni normali, certo, loro erano abbastanza abili: potevano stare in cinque e non avere difficoltà contro i mostri, ma poteva davvero rischiare di rovinare le nozze dei sogni della madre per il fantastico profumo dei suoi amici?
Il semidio dovette aver scritto la parola “Matrimonio” in fronte, perché anche al patrigno venne in mente l'argomento:
“e ovviamente voi due dovete venire” stava dicendo. Percy quasi sputò l'acqua che stava ingoiando
“Sei sicuro, Paul? Quattro semidei sono-”
“Sicuro” rispose deciso
“Ma se i mostri-” tentò ancora Percy
“Sapremo affrontarli” gli fece l'occhiolino
“Saremo felicissimi di venire alle vostre nozze” rispose questa volta Piper “e che i mostri ci provino soltanto a rovinare i festeggiamenti” batté il pugno sul palmo dell'altra mano
“Anche Nico dovrebbe venire” disse a sorpresa Sally“tu, lui e Jason vi siete molto attaccati in questi ultimi mesi, da quanto mi raccontate.” continuò “Vorrei conoscerlo.”
“L'hai già visto una volta, tanto per la cronaca, e poi Will non lo lascerà andare” rispose tra il divertito e lo sconfitto
“che venga anche lui, allora” propose raggiante la madre
“sei semidei in spiaggia!?” Percy era stralunato “È troppo pericoloso! Ci sarà tutta la famiglia di Paul, e anche i vostri amici!”
“Non eravate in sette, sull'Argo II?” ricordò l'uomo
“Era diverso” si difese l'altro “lì eravamo per aria o per mare, gli elementi naturali di me e Jace, ma-”
“allora la spiaggia è perfetta!” concluse Paul, in un tono allegro, ma che chiudeva definitivamente la discussione.
Percy, Annabeth, Jason, Piper, Nico e Will a un matrimonio. Il solo pensare al figlio di Ade in smoking valeva il rischio: Percy non vedeva l'ora.

Quando Piper e Jason andarono via, la casa sembrò piombare nel silenzio. Alla semidea aveva fatto piacere rivedere l'amica, sembrava capire tutto! Era stato imbarazzante, infatti, quando rimaste sole le chiese se Percy aveva allungato le mani. Dire che aveva preso lei l'iniziativa fece scoppiare a ridere la figlia di Afrodite che, per tutta risposta, le batté il cinque. Sapere invece che erano stati interrotti dal loro arrivo la fece infuriare “è stato meglio così” l'aveva consolata “sinceramente non so quanto oltre ci saremmo spinti, e se Sally ci avesse sentito...” non riuscì a continuare, ma il colorito che aveva assunto riassumeva il suo pensiero.
Piper diceva sempre che odiava fare shopping, ed era così – come Annabeth –, ma quando venne a sapere che la donna e la semidea sarebbero andate a cercare un vestito da sposa a giorni, insistette per unirsi a loro. Sally accolse la ragazza con un largo sorriso, con la promessa di chiamarla via Iphone per quando sarebbero andate in centro.
Al momento dei saluti, Percy volle accompagnare gli amici al parco vicino al palazzo, dove due pegasi li aspettavano. Durante il tragitto, Annabeth e Piper si tennero in disparte rispetto ai ragazzi che camminavano qualche passo avanti a loro. La bionda non aveva idea di cosa stessero parlando, sembravano molto seri e la curiosità cresceva. Quale figlia di Atena la sua mente iniziò ad elaborare quante più teorie; quando Jason mise una mano sulla spalla del suo ragazzo capì che era Percy quello ad essere confortato: era sempre così, una volta uno, una l'altro, si tiravano su di morale, che fosse per un combattimento andato male, la perdita di un oggetto personale, fino a un lutto. Rimasero a distanza anche una volta raggiunti i due cavalli alati; i due ragazzi si salutarono con un abbraccio e qualche pacca sulla schiena. Prima di lasciare andare Percy, Jason strinse più forte la presa sul braccio dell'amico, come a ricordargli che era lì per lui. Le due semidee si avvicinarono solo una volta che quel momento di bromance finì
“Teniamoci in contatto, d'accordo?” l'abbracciò Piper
“Ti conviene” rispose lei “tu sarai figlia della dea della bellezza, ma mia madre è la dea della guerra” continuò senza sciogliere l'abbraccio “fatti sentire o te ne
pentirai” concluse passando a salutare Jason.

Davvero non capiva come il figlio di Giove riuscisse a farlo. Percy non era un ragazzo chiuso, anzi, tendeva ad aprirsi facilmente. Eppure, dopo quell'estate, stentava a confidarsi con qualcuno. Annabeth riusciva bene a tirarlo su di morale, lo ascoltava e per un momento gli faceva davvero credere che la morte di Bob e di tutti gli altri, non fosse colpa sua. Poi, però, lei andava via – per la notte, qualche allenamento, o anche solo per mangiare – e il senso di colpa tornava. Con Jason era diverso. Mentre con la sua ragazza parlava di sua spontanea volontà, quando vedeva l'amico era sempre deciso a non deprimersi e soprattutto non deprimere lui con i suoi problemi; alla fine di ogni conversazione, però, non poteva far altro che chiedersi come il figlio di Giove riuscisse a farlo. Come riusciva a farlo parlare? Come si ritrovavano sempre a parlare della guerra, delle morti e del tartaro? Durante quei momenti, il figlio di Poseidone entrava come in ipnosi, neanche fosse la lingua ammaliatrice o un figlio di Ipno a farlo. Quando – di tanto in tanto – Annabeth gli chiedeva di cosa avessero parlato lui e Jason, non sapeva rispondere, in qualche modo non ricordava le parole che l'amico usava per tirarlo su, eppure funzionava e, per qualche tempo, Percy non si sentiva tutto il peso del mondo sulle spalle.

Vederlo andare via, come ormai era solito fare, lo straziava ogni volta. Non era solo un buon confidente, stare con lui lo divertiva e, cosa più importante, trovava un degno avversario. Da mesi, ormai, al Campo Mezzo-Sangue non trovava semidei capaci di tenergli testa con la spada. Il figlio di Poseidone e quello di Giove, invece, passavano intere giornate nell'arena, in cerca di un vincitore. Purtroppo la maggior parte dei combattimenti finiva in parità: si puntavano le armi alla gola nello stesso istante, si disarmavano a vicenda o – più frequentemente – crollavano a terra stremati per la lunghezza del duello. Tutti, nel campo greco come in quello romano, chiedevano a gran voce quegli scontri, arrivando a scommettere sull'esito. Purtroppo per Dakota, che puntava sempre su Jason, le vittorie di Percy ammontavano 11-3 e il semidio non perdeva occasione di vantarsene.
“Che c'è?” chiese Annabeth felice notando il sorriso del ragazzo

“Pensavo ai duelli tra me e Jace” lei rise
“A quanto ammonta il punteggio?”
“11 a 3 per me… credo. Non che io tenga il conto” mentì
“oh, sono sicura che non lo fai.” lo baciò sulla guancia “Come ti senti, oggi?” cercò di chiederlo con disinvoltura, ma si capiva che era preoccupata. Sapeva che il momento migliore per chiederglielo era quello subito dopo la conversazione con Jason.
“Bene, penso” rispose incerto “Jason sa come prendermi” abbozzò un sorriso. Annabeth sembrò voler parlare, ma – forse per la paura di rovinare i progressi fatti dal figlio di Giove – decise di tacere. “Non dormo bene da un po'” continuò Percy, sentendosi un po' in colpa a dare più confidenza all'amico che alla ragazza che amava “mi vengono in mente tutte le persone che non ho salvato, e tutti i modi in cui invece avrei potuto farlo” si passò una mano tra capelli
“Percy” gli mise una mano sulla spalla “io… non so più come dirtelo.” era esasperata, arrabbiata con se stessa per non trovare le parole giuste, parole che un figlio di Giove riusciva a trovare “Se non ci fossi stato tu avremmo perso la guerra” disse poi
“Questo non puoi saperlo”
“lo so, invece” si mise davanti a lui costringendolo a guardarla negli occhi “sei il miglior semidio che io abbia mai conosciuto” continuò “il tuo difetto fatale è pensare troppo agli altri. Sei talmente altruista che questo è il tuo peggior difetto” fece una pausa “e l'essere altruista è un pregio” concluse. Percy sorrise
“Stai forse cercando di dire che sono perfetto?” si mise in una posa teatrale. Lei non rispose subito, si prese un momento per guardarlo, sorridendo
“Sto dicendo che sei il migliore di tutti noi. E non lo dico solo perché ti amo, puoi chiederlo a chiunque, in entrambi i Campi. Ti risponderebbe così persino Clarisse.” il figlio di Poseidone alzò le spalle
“Clarisse si è addolcita grazie a Chris”
“Clarisse si è addolcita quando ha capito di che stoffa sei fatto” gli diede un leggero pugno sul braccio “Sono seria, Percy. Non pensare nemmeno di sentirti in colpa. L'ha detto anche mia madre, ricordi? Non è colpa tua se ti ha sanguinato il naso.”
“È colpa mia se Bob è rimasto lì sotto” si buttò seduto sull'erba sospirando; Annabeth rimase in piedi
“Vogliamo davvero metterla così?” aveva le mani sui fianchi “Se Bob è stato risucchiato da Tartaro è solo colpa mia” Percy alzò di scatto la testa, arrabbiato “sarei morta nella caduta, se tu non mi avessi seguita. Bob non sarebbe mai accorso in nostro soccorso e-”
“Non dirlo neanche per scherzo!” il semidio scattò in piedi, sguardo furente e pugni serrati
“Neanche tu, allora” rispose l'altra, calma “non dire neanche per scherzo che la morte di Bob e Damaseno è colpa tua; che gli anni di prigionia di Calipso sono colpa tua; che tutti i semidei caduti in battaglia l'hanno fatto solo per te.” aveva il tono duro, ma lo sguardo dolce, il che fece addolcire anche Percy
“Se fossi stato più-”
nessuno avrebbe fatto meglio di te, Percy!” non lo lasciò finire “La prima grande profezia diceva che un semidio figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi avrebbe dovuto salvare o distruggere l'Olimpo. Thalia ha lasciato tutta la responsabilità su di te, entrando a far parte delle Cacciatrici. E indovina un po'? Hai salvato il mondo! La seconda invece recitava che sette mezzosangue dovevano sconfiggere Gea, e l'abbiamo fatto! Tutti insieme. Sei un essere umano anche tu, cos'altro avresti potuto fare?” il ragazzo tornò a sedersi, e lei lo seguì
“è solo che” iniziò Percy “non faccio altro che pensare che io sono qui, mentre loro...” non riuscì a finire la frase
“va tutto bene” lo abbracciò la bionda “va tutto bene” ripeté sentendo stringere la presa dal ragazzo.
 

Nota autrice:

Ok, urgono delle spiegazioni: 
1.-il rapporto Percy/Jason
sì, lo so, nel canon i personaggi non sono tipi da usare l'espressione "bro", ma il fatto è che Grover non si vede praticamente più, e Percy ha troppe cose e problemi per la testa per non avere un migliore amico. In molti diranno che - insomma - Percy ha Grover e Jason ha Leo, ma - come ho già detto - Grover non si vede per niente, e Leo è in giro per il mondo con Calipso. In questo capitolo si vede Percy un po' in lotta con sé stesso ad ammettere che Jace (sì, un soprannome usato solo da lui ci stava) ha surclassato Grover e - devo ammettere - in questo ci ho messo un po' di mio. Per 14 anni ho avuto la stessa migliore amica, poi ci siamo allontanate e ho conosciuto due ragazze stupende che sicuramente l'hanno superata. Ci ho messo davvero molto ad ammettermelo e a perdonarmi.

2.-il fatto che Percy riesca a parlare meglio con Jason che con Annabeth

di nuovo colpevole. Sono del parere che gli amici vengano prima di qualsiasi cosa. I bro vengono prima della ragazza e le sis prima del ragazzo. Però c'è da dire che Annabeth non è solo la ragazza di Percy: è anche la sua migliore amica! Sono stati nella friendzone per quattro libri prima di diventare canon. Quindi ho accennato al fatto che Percy ami parlare con Jason, ma Annabeth per lui non la batte nessuno.

Bene, è tutto. Per pubblicare oggi me la sono vista con le stelle. Tra una settimana ho due esami quindi non mi dedicherò per nulla alla scrittura. Spero che per giorno 16 avrò scritto un altro paio di capitoli per non ridurmi a dover scrivere e pubblicare immediatamente.

A presto!!
xxx
GReina

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Waaah lo so! In ritardo di una settimana. Perdonate, ma sono stata malissimo in questi giorni T.T
(senza contare che devo preparare ancora 600 pagine in 13 giorni c:)

Mi farò perdonare!!!

CAPITOLO 4

Ok, neanche Annabeth era male. Quando tornarono a casa, il figlio di Poseidone si sentiva più leggero. Quasi dimenticò che Paul li aveva quasi beccati a letto, disordinati, sudati e con il fiatone (senza contare che Percy doveva essere rosso come non mai). Dimenticò anche che il patrigno si era giurato di dover parlare con il semidio del suo recente comportamento e quasi si stupì essere svegliato dal rumore dei suoi passi nel bel mezzo della notte.
“Dormivi?” chiese quando Percy si sollevò sui gomiti
“Sì, ma a quanto pare non così profondamente”
“mi dispiace averti svegliato” accese la luce del bagno tenendo la porta aperta per avere un minimo di visibilità
“non preoccuparti” intanto l'uomo si avviava alla cucina. Prese due birre dal frigo, come l'altra volta e – come l'altra volta – si sedette sul letto accanto al figliastro. Percy stava per afferrare la bottiglia che l'altro gli porgeva, prima che questo ritraesse la mano
“capisci la differenza tra bere da solo e bere con me, giusto? Con questa birra non ti sto dicendo che devi bere ogni volta che rimani sveglio la notte” lo sguardo era duro, autoritario, eppure faceva sentire bene il ragazzo. Il figlio di Poseidone indugiò ancora un momento, poi allungò la mano e afferrò la bottiglia
“sì, hai la mia parola. Se dovessi ritrovarmi nello stesso stato di ieri...” stava per promettere che non avrebbe bevuto, ma ci ripensò “bhe, ti chiamerò per una bevuta notturna” rise, con la certezza di essere ribeccato dall'uomo che invece gli diede una pacca sulla spalla
“Bravo.” gli disse “Se ti dovessi sentire giù di morale, prima di prendere la bottiglia chiama me. La prenderò io per te” abbozzò un sorriso. “Hai intenzione di raccontarmi cosa è successo in questi mesi? O devo tirarti le parole fuori di bocca?” chiese dopo un lungo silenzio. Percy si passò la mano che non reggeva la birra tra i capelli, sospirando
“È difficile parlarne” disse poi, prendendo un sorso dalla bottiglia
“è per questo che devi farlo” seguì qualche secondo di silenzio
“è come hai detto tu, l'altro giorno, prima che mamma rientrasse in casa” si decise a parlare il semidio “quando Annabeth stava per cadere in quel baratro, e io l'ho afferrata… Jace e Frank non sono riusciti a fare altrettanto.” prese un altro sorso, non alzando lo sguardo
“dove finiva quel baratro?”
“Tartaro” rispose secco. Sapeva che Paul aveva iniziato a studiare un po' di miti da quando aveva saputo del padre di Percy. Il ragazzo si girò a fissare il patrigno e gli sembrò quasi di vedere gli ingranaggi del cervello lavorare
“Tartaro è… la personificazione del male, non è così?” alzò lo sguardo a sua volta, non capendo come il figliastro potesse essere caduto addosso ad una divinità.
“Sì, infatti”
“ma allora come-”
“Tartaro è un dio primordiale” lo anticipò il ragazzo “è come Gea: lei è la terra, mentre Tartaro, si potrebbe dire l'inferno di tutti i mostri. È dove finiscono una volta che vengono polverizzati. Non possono essere uccisi, quindi tornarono nel tartaro dove aspettano di rigenerarsi” Paul scosse la testa, esasperato. Probabilmente aveva rinunciato a capirci qualcosa
“Come avete fatto a sopravvivere alla caduta?” chiese allora
“Il Cogito” ripose l'altro
“il fiume della pena?” su questo era preparato. Il semidio annuì
“L'acqua aveva l'effetto opposto su di me. Invece di darmi energie sembrava risucchiarmele. Se non fosse stata per Annabeth sarei morto annegato”
“il colmo per un figlio di Poseidone” Percy sorrise ricordando quante volte, quell'estate, era stato vicino al morire affogato
“Siamo arrivati sulla riva per puro miracolo” continuò “l'aria era talmente pesante che non si riusciva a respirare” ricordò e continuò a farlo raccontando tutto al patrigno, non tralasciando nessun particolare, aprendosi su quell'argomento come non aveva ancora fatto con nessuno se non con Annabeth, nemmeno con Jason. Raccontò delle empuse; del regno di Nyx; della nebbia della morte; della dea Akhlys e di come Annabeth l'avesse bloccato dall'ucciderla a sangue freddo, di come fosse stato vicino dallo scendere allo stesso livello di quei mostri; poi delle arai e le loro maledizioni, di come Annabeth avesse vagato cieca verso un burrone e di quanto si fosse sentito debole, inutile e impotente ogni volta che provava ad afferrarla e lei come un ologramma appariva più lontano. Quello, capì, era stato il momento più orribile della sua vita. Aveva sorretto il peso del cielo e perso cari compagni, ma sentirsi inerme e dover assistere alla camminata verso la morte della persona che più amava al mondo le superava tutte. Si era ritrovato a supplicare l’intervento di Bob: l’amico che si era sentito tradito una volta ricordato il suo primo incontro con Percy. Arrivò a parlare di lui, di Damaseno, e poi di Tartaro in persona e dell'ascensore che con il suo maledettissimo pulsante decretò la morte del titano e del gigante.
Non lottò contro le lacrime quando il ricordo di tutti i suoi fallimenti le portò. Permise loro di scorrere sulle guance lasciando che Paul gliele asciugasse con le sue pacche sulle spalle e gli abbracci. Il semidio adorò quando l'uomo lo strinse a se senza dire una parola, conscio che quello che serviva al ragazzo era solo una spalla su cui sfogarsi e non parole di consolazione. Premette la faccia contro la maglietta del padre e rimasero così per quelle che sembrarono delle ore.

Annabeth aveva sentito Percy piangere, quella notte. Lo conosceva da quando avevano entrambi undici anni e – nonostante la tremenda vita che erano costretti ad affrontare ogni giorno – il suo ragazzo non aveva mai versato una lacrima. Si erano immersi nel Cogito, letteralmente il fiume del tormento, e neppure quello l’aveva piegato a tal punto. Sapeva che se c’era una cosa che potesse avere quell’effetto sul ragazzo quello era il tartaro. D’altronde, come biasimarlo? Ricordava come fosse ieri il giorno in cui – scoperta tutta la faccenda di suo cugino Magnus – avesse provato a raccontargli gli eventi dell’Italia con voce ferma. Non era neppure arrivata alla parte in cui lei e Percy erano caduti nel baratro, prima di scoppiare in lacrime.
Provò l’incontrollabile impulso di spalancare la porta e fiondarsi in salotto ad abbracciare il corvino, ma qualcosa la frenava: vedeva piangere Percy per la prima volta e adesso si rendeva conto che probabilmente in diverse situazioni, in passato, il semidio era stato vicino a farlo, eppure si era sempre trattenuto. Ora capiva che lo faceva per lei e per tutti i mezzo-sangue: non voleva apparire debole e per questo si teneva tutto dentro. Si sentì d’un tratto triste e inutile, avrebbe tanto voluto che il ragazzo che amava si sentisse libero di piangere sulla sua spalla, ma era troppo occupato ad essere la sua roccia per far sì che lei lo fosse per lui.
Aprì piano la porta che iniziò a cigolare tremendamente forte comparata al silenzio della notte rotto solo dai singhiozzi del figlio di Poseidone. Cercò Percy con lo sguardo; la luce del bagno era accesa e la sua porta socchiusa così che un tenue bagliore inondasse il piccolo locale. Percy e Paul erano seduti in bilico sul letto, il primo con la testa sulla spalla dell’altro che gli accarezzava la schiena con pacche paterne. La bionda si ritrasse, sperando che nessuno dei due l’avesse sentita. Ogni fibra del suo corpo le urlava di raggiungerli; di baciare Percy; di dirgli che andava tutto bene; di fargli sentire che era con lui, che erano insieme. Ma avrebbe davvero fatto bene al ragazzo? Si portò una mano in faccia e la trovò bagnata. Probabilmente no, avrebbe fatto più bene a lei che a lui. Fece un passo indietro e chiuse la porta. Si infilò sotto le lenzuola e provò a distrarsi: pensò al sedicesimo compleanno di Percy (al bacio, e non alla battaglia), a quando aveva ritrovato il suo ragazzo al Campo Giove e poi quando lui aveva ritrovato lei a Roma, ma ad ogni immagine si sovrapponevano i singhiozzi che seppur smozzati dalla porta chiusa e dalla spalla di Paul riecheggiavano come amplificati cento volte nella sua testa. Si mise le mani alle orecchie sperando di non scoppiare, avrebbe voluto urlare e far smettere quel rumore che sembrava ricordarle arrogantemente che per lui non poteva fare niente, mentre lui per lei faceva tutto.
Quella sembrò essere la notte più lunga della vita della semidea, chiusa in stanza con le mani legate era peggio di una notte intera a combattere contro Crono con il quale sapeva come comportarsi e – quando i primi uccelli si fecero sentire fuori dalla finestra e i primi raggi di sole si infiltrarono tra le persiane – fu ben felice di uscire da quella gabbia di ricordi.
I due uomini della casa erano in cucina cercando di impressionare le altre due con una colazione con i fiocchi. Quando la videro uscire dalla camera la salutarono silenziosamente per non svegliare Sally. Sui loro visi non c’era niente che suggerisse la nottata prima e Annabeth non avrebbe sospettato nulla se non si fosse svegliata e non avesse visto con i propri occhi che Percy si era sfogato con Paul. Si chiese se l’uomo fosse andato a dormire dopo aver parlato con il figliastro o se, piuttosto, fossero stati entrambi svegli tutta la notte.
Era ancora presto e, non avendo altro da fare, cercò di aiutare ai fornelli. Paul dava istruzioni ai semidei che tra sbattere le uova, montare la panna e misurare i giusti millilitri di latte stavano perdendo la testa. L’uomo stentava a credere che i due adolescenti capaci di maneggiare qualsiasi arma mortale entrassero nel panico davanti a un paio di pentole, ma – con la consueta calma che dovrebbe avere ogni professore del liceo – riuscì a far combinare qualcosa ai mezzo-sangue. Il fracasso delle pentole e le imprecazioni di Percy non bastarono a disturbare il sonno di Sally, ma quando il suo ragazzo si ritrovò pieno di farina dalla testa ai piedi, la bionda non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Paul era dietro di lei e scuoteva il capo nascondendo il sorriso dietro il face palm; Percy, di fronte a lei, aveva messo su il broncio per come lo stavano deridendo e, prima che la figlia di Atena se ne accorgesse, le lanciò addosso tutto il contenuto della bustina di colorante blu in polvere. Quando interruppe le risa per lanciare al suo ragazzo uno sguardo di odio, quello raggelò. Solo le risate di Paul che crescevano convinsero Percy di non stare per morire sotto gli occhi grigio-tempesta e in breve tempo tutti vennero contagiati.

Quello stesso pomeriggio, aveva deciso la signora Jackson durante la colazione, la semidea e la donna avrebbero chiamato Piper per avventurarsi alla ricerca dell’abito da sposa.
L’amica arrivò tempestiva e in men che non si dica erano nel centro di New York a bere lo champagne e mangiare gli assaggi di torta nuziale che il negozio offriva.
Annabeth odiava andare per negozi: stare ore ai camerini solo per sgomentarsi guardando forme e prezzo. Era solita usare solo jeans (sempre lo stesso paio) e magliette, e finiva per andare nei centri commerciali solo quando le alternative erano due: o girava come una stracciona con abiti scoloriti e strappati o usciva in pigiama. Era tremendamente felice di accompagnare Sally in quella caccia sfrenata, si era proposta lei, ed era ancora più felice che con loro ci fosse la sua migliore amica, ma fu anche tremendamente lieta che la futura sposa scelse di uscire alle cinque del pomeriggio e non prima.
Erano al terzo vestito, ma nessuno di questi aveva soddisfatto le ragazze, men che meno la donna. La commessa – con quell’aria alla Drew Tanaka che tanto piaceva ad Annabeth – continuava a portare gli abiti più insignificanti e “non degni della vetrina”. Quando anche solo tentarono di chiedere riguardo un certo vestito messo in mostra al centro del negozio, quella rise di gusto dicendo che le tasche di tutte e tre messe insieme non erano abbastanza larghe per permetterselo. Eh sì, Annabeth amava le persone come lei. Sally sembrava aver perso un po’ dell’entusiasmo con cui era uscita e la bionda dovette frenare l’amica dall’usare la lingua ammaliatrice sulla commessa (non che non fosse curiosa di cosa le avrebbe fatto fare). Visti gli occhi furenti delle due semidee, la donna provò a celare l’amarezza e – senza darsi per vinta – prese il prossimo vestito. Questa volta aveva la parte davanti corta, poco più giù delle ginocchia, e quella dietro che arrivava alla caviglie, mentre le maniche erano a palloncino. Sally uscì dal camerino solo per far fare due risate alle ragazze, ma – ovviamente – fu bocciato al primo passo. Passarono quelle che ad Annabeth parvero settimane prima di essere più o meno soddisfatte e uscire finalmente da quell’inferno.
Uscendo di casa, quel pomeriggio, avevano lasciato Percy e Paul alla playstation con la loro parola che quello stesso giorno anche loro sarebbero andati a cercare il vestito dello sposo. Quando rincasarono, però, li trovarono sul letto tornato divano con due joystick in mano. Quanto invidiava gli abiti maschili e la loro semplicità. La figlia di Atena avrebbe scommesso che i due fossero entrati in negozio, avessero acchiappato il primo smoking e fossero schizzati via per tornare alla playstation.
Chiusa la porta, dietro di loro, gli uomini parvero accorgersi a stento della loro presenza e – alla terza volta – si degnarono di ricambiare il saluto con qualche cenno distratto mentre si contorcevano inspiegabilmente davanti alla console, come se le azioni dei loro avatar non dipendessero solo dai tasti quanto più dal movimento del joystick.
Nessuna delle due parti rivelò anche un solo dettaglio del vestito dell’altra e – tra la curiosità e il divertimento – finirono la cena che, si scoprì, avevano già preparato gli uomini.

Erano le nove di sera e gli adulti si rintanarono in camera. A Percy sembrò un po’ presto per coricarsi, ma non volle indugiare oltre sul pensiero di Paul e sua madre a letto a non dormire.
I giorni passati con i genitori erano i più tranquilli e spensierati che i due semidei potessero sperare, ma la madre non si era certo dimenticata della punizione data al figlio, quindi il semidio fu costretto a fare i piatti. Annabeth aspettò che Sally si chiudesse la porta alle spalle per proporre il suo aiuto in cucina, e Percy sospettò che non volesse che la donna iniziasse a fare complimenti insistendo che non era necessario. Senza neanche aspettare una risposta da parte del suo ragazzo, la bionda afferrò una pezza e iniziò ad asciugare le stoviglie che Percy aveva già insaponato e sciacquato.
“Stai bene?” gli chiese d’un tratto. Il figlio di Poseidone si aspettava quella domanda, e annuì
“Ieri sera mi hai sentito?” come lui, limitò la risposta a un cenno di capo “Mi ha fatto bene parlarne con Paul, immagino. Tu come stai?” Percy conosceva la risposta: nessuno si riprende completamente da un’esperienza così, ma lei era forte, era più forte di lui, doveva solo capirlo.
“Non sempre riesco a dormire” rispose quella “ogni volta che mi torna in mente, io-” le si incrinò la voce
“Lo so.” la interruppe. Non c’era bisogno che si sforzasse di spiegargli cosa le accadeva
“Però…” continuò “c’è solo questo. Bob, Damaseno, le arai e quella orrenda sensazione. E poi quando ti hanno lasciato morente e io non potevo fare nulla. Tutto di quel posto è stato orribile. Ma c’è solo questo.”
“Non capisco che intendi.” chiuse l’acqua del rubinetto e si tolse i guanti da cucina. Lei posò la pezza e si sedette al tavolo lì accanto spingendo il ragazzo a fare lo stesso.
“Per te non è lo stesso.” affermò “Abbiamo rispedito Atlante a reggere il peso del mondo, eppure sembra che sei tu a portarlo sulle spalle” fece una pausa mentre gli occhi le diventavano lucidi “e io non ho idea di come aiutarti” non riuscì più a trattenere le lacrime “perché non lasci che ti aiuti, Percy. Ti prego io- non so che cosa fare. La cosa che desidero di più è poterti aiutare, ma non posso farlo se non me lo permetti!” i singhiozzi che crescevano “Per favore io- io sono la tua ragazza” abbozzò un sorriso “io ti amo, Testa d’Alghe, non sapere come aiutarti mi distrugge, è la cosa più brutta che ci sia!” Percy si sentì uno straccio. Come aveva fatto a non vederlo? Come aveva fatto a non rendersi conto che quello che stava facendo passare ad Annabeth era esattamente quello che le arai avevano fatto passare a lui? Vedere la figlia di Atena avanzare verso il baratro e non poterla fermare, vederla in quello stato e sapere di non poter fare nulla, l’aveva segnato talmente tanto da non poterlo descrivere a parole. Quella consapevolezza di essere inerme e inutile davanti a fatti che inevitabilmente sarebbero andati avanti; quella voglia maniacale di voler urlare al tempo di fermarsi e concedergli anche un solo secondo per capire cosa fare; chi supplicare perché potesse prendere il posto della persona senza la quale la propria non sarebbe vita, non l’avrebbe augurata neanche al peggiore di tutti i suoi nemici.
Tanta fu la foga nel lanciarsi su di lei che la sedia cadde alle sue spalle producendo un rumore che si dilatò in tutto l’appartamento interrompendo qualsiasi altro suono. Ora neanche il viso di Percy era totalmente asciutto eppure – tornando a guardarla negli occhi – anche Annabeth poté capire che stava bene, e questa volta, nonostante il suo concetto di serenità non fosse lo stesso dai tempi in cui non aveva mai visto una guerra, la bionda riuscì a crederci. Le asciugò le lacrime e quel discorso sfumò come tutta la tristezza e il peso che assillava i giovani da troppo tempo, con il tacito accordo di dirsi tutto l’un l’altra da adesso e per sempre. Erano forti: non avrebbero mai dimenticato il tartaro, ormai quei ricordi erano parte di loro, ma l’avrebbero superato insieme, ora più che mai. Sdraiati sul letto della camera singola Percy se lo promise: un giorno, cascasse il mondo, avrebbe sposato quella ragazza.

 

Note autrice:
Ok, aiuto. Ho pubblicato tutto quello che avevo scritto. Quindi arrivano le settimane di ansia e terrore spinte dalla consapevolezza di dover scrivere in tempo. Ma niente panico, ho abbastanza idee. 

Rileggendo la fanfic per pubblicarla mi rendo conto anche io di cose di cui non mi ero accorta mentre scrivevo. In questo caso la differenza di comportamento che Percy rivela di persona in persona: non vuole dire nulla del tartaro alla madre per non farla preoccupare; con Annabeth si confida apertamente permettendo l'uno all'altra di consolarsi a vicenda; con Jason stenta a farlo, ma l'amico ha un effetto forte su di lui e alla fine non può che cedere. Fin'ora però non si era mai lasciato andare completamente, è deciso a mostrarsi forte, ma capisce che con Paul non ce n'è bisogno. Per lo stesso discorso delle note del capitolo successivo, qui con Annabeth c'è un passo in più: è l'amore della sua vita e direi che ci sta che si senta una pezza una volta resosi conto di quello che le sta facendo passare.

Per quanto riguarda Annabeth che racconta tutto a Magnus, ok, è un minispoiler di Magnus Chase - il martello di Thor... ma, beh, è proprio una frase: Magnus che si ricorda come sua cugina abbia pianto raccontandogli degli eventi di Roma. Spero non vi abbia fatto arrabbiare ahahah in tal caso pardon!

Ci vediamo, se tutto va bene, tra due settimane!

A presto!!
xxx

GReina

 

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