E poi scuse, e accuse e scuse, senza ritorno

di 9Pepe4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strofa ***
Capitolo 2: *** Coda ***



Capitolo 1
*** Strofa ***


E poi scuse, e accuse e scuse, senza ritorno

Strofa
    
There once was a time I was sure of the bond
When my hands and my tongue and my thoughts were enough

Prima di tornare in albergo, Han s’infilò in un bar.
Era una bettola sorprendentemente pulita ed ordinata, e molto poco affollata – solo tre alieni in un angolo, ed una ragazza che passava uno straccio bagnato sul bancone. Aveva un’aria assorta, i capelli biondi tenuti indietro da una forcina, e due occhi scuri.
Quando Han le chiese il drink più alcolico che aveva, lo perforò con lo sguardo ma non commentò. Si limitò a scrollare le spalle, e a voltarsi per prendere una bottiglia.
Han la osservò riempirgli il bicchiere di un liquido dorato. «Sicura che sia il più alcolico che hai?»
«Sono sicura che non lo è» ribatté lei, riavvitando il tappo. «Ma il più alcolico che ho non è adatto agli umani. Ti squaglierebbe lo stomaco».
«Uh». Han prese il bicchiere. «Sai cosa? Mi accontenterò».
La ragazza sorrise cortesemente. Era il genere di sorriso che avrebbe potuto fare una figlia davanti alla battuta imbarazzante di suo padre. In effetti, era probabile che Han fosse coetaneo dei suoi genitori. Di certo lei non sembrava molto più vecchia di…
L’uomo tagliò di netto quella linea di pensieri, e si diresse ad un tavolino prima che gli sfuggisse una domanda stupida come sei in contatto con la tua famiglia? o i tuoi genitori lo sanno dove ti trovi?
Si sedette nel posto più lontano dagli altri avventori, e si chiese vagamente quanto doveva sembrare patetico ai loro occhi. Era un uomo dai capelli ingrigiti e il viso segnato, che entrava in un bar a metà del pomeriggio, completamente solo.
Alzò il bicchiere e sorseggiò il proprio drink. La sua prima reazione fu di tossire e battersi la mano libera contro il petto.
D’accordo. Alcolico lo era di certo, ma il secondo sorso andò un pochino meglio. Era arrivato al terzo, quando qualcuno si sedette accanto a lui.
«Ehi».
Han alzò lo sguardo sul nuovo arrivato, un uomo dalla pelle bruna e i capelli che cominciavano ad ingrigire. «Kes» lo salutò, quasi in un borbottio. «Come sapevi che ero qui?»
«Quando mi hai lasciato con Chewbacca ad occuparmi della nave, hai detto che andavi a bere qualcosa. Questo è l’unico bar nei dintorni».
Han si accigliò. Avrebbe decisamente potuto arrivarci da solo. «E Chewie dov’è?»
«A finire di occuparsi della nave» rispose Kes Dameron, pazientemente. «Se la stava cavando meglio senza di me. Sai che non me ne intendo».
«Giusto» disse Han. «Vero».
Per un lungo istante, l’altro uomo lo osservò in silenzio. «Senti, Han» esordì infine, «mi dispiace molto che questa pista non abbia portato a niente».
«Non importa» disse Han, distogliendo lo sguardo.
Gli pizzicavano gli occhi, e sospettava non fosse soltanto colpa dell’alcol.
Kes gli posò una mano sulla spalla in una tacita offerta di conforto. «Non smetteremo di cercarlo».
No. Certo che no.
Han cercò di non pensare al fatto che erano trascorsi due anni interi, ormai. Lui si era rimesso in contatto con persone che aveva conosciuto quando ancora contrabbandava, Leia aveva chiesto l’aiuto di ex membri dell’Alleanza Ribelle. Ogni tanto qualcuno trovava un indizio, una pista, ma si rivelavano sempre dei vicoli ciechi.
A volte, di sera, Han guardava le olo-notizie. Parlavano ancora di Ben – l’opinione ufficiale era che fosse stato rapito, ma era evidente che a questo punto molta gente lo dava per morto.
Trasmettevano anche un ologramma, e per Han era un pugno nello stomaco ogni volta. Ben aveva quattordici, quindici anni al massimo. Non sorrideva, forse perché i capelli non gli coprivano del tutto le orecchie a sventola, ed era impossibile non notare la traccia di pinguedine infantile che ancora gli ammorbidiva il viso.
Inutile dirlo, la sua caduta al Lato Oscuro non era di dominio pubblico.
Lo sapeva Han e lo sapeva Leia, ma non era importante – o almeno, loro cercavano di non pensarci troppo. Han, onestamente, non era neanche sicuro di crederci del tutto. Era molto più verosimile che si fossero sbagliati, che loro figlio non avesse partecipato attivamente all’attacco contro Luke e i suoi apprendisti, che adesso fosse tenuto in ostaggio contro la sua volontà.
Soltanto una cosa era certa: quel che importava era riportarlo a casa. Allora le cose si sarebbero sistemate, in un modo o nell’altro. Prima, però, dovevano trovarlo.
Strappandosi a fatica da quei pensieri, Han si rivolse a Kes. «Tu cosa mi dici? Non ti ho chiesto come va. Come sta Poe?»
A quella domanda, l’espressione preoccupata dell’altro uomo si rilassò in un accenno di sorriso. «Sta bene» rispose lui. «È sempre impegnato con le simulazioni di volo, ultimamente, per cui non lo sento spesso… ma credo sia soddisfatto».
«Immagino» disse Han, sforzandosi di contribuire alla conversazione. «Ho sentito delle voci sull’addestramento per la flotta della Nuova Repubblica. Sembra parecchio faticoso».
«Già» annuì Kes, e sospirò. «Qualche volta mi preoccupo, perché so che non ha mai perso il vizio di volare sino allo sfinimento. Ma cerco di fidarmi di lui, di dirmi che conosce i propri limiti».
Han passò le dita sul bordo del proprio bicchiere. «Mi è sempre sembrato un ragazzo ragionevole».
«Questo sì, ma è anche testardo. Se lo incitassi a fare le cose con più calma, non so se mi darebbe retta. In fondo è quello che ha sempre sognato di fare… E sa che Shara sarebbe fiera di lui».
Han alzò la testa. La moglie di Kes, Shara Bey, era stata una pilota per la Ribellione, ed era morta circa sei anni dopo la battaglia di Endor.
«Questo» mormorò Kes, quasi parlando a se stesso, «conta molto per Poe».
Sul momento, Han faticò ad identificare la morsa improvvisa che gli aveva chiuso lo stomaco, poi capì: era dovuta al modo in cui Kes parlava di suo figlio. Con orgoglio, una quieta felicità… E soprattutto la certezza di conoscerlo.
Han non era più sicuro che lui e Leia conoscessero Ben. Quando lui pensava a loro figlio, pensava ad un bambino con la testa tra le nuvole, i cui capricci peggiori facevano tremare gli scaffali e cadere gli oggetti. Pensava ad un bambino che parlava lo Shyriiwook con la stessa naturalezza con cui respirava, e a cui piaceva la neve. Cose del genere.
Ma se lui o sua moglie avessero dovuto parlare del ragazzo che loro figlio era diventato, Han aveva paura che non sarebbero riusciti a dire molto.
Quando Leia aveva sentito il bisogno che Ben imparasse a controllare la Forza, ed era successo fin troppo presto, lo avevano mandato da Luke. E sì, gli avevano fatto visita, e si erano messi in contatto con lui ogni volta che potevano, ma… Ben ce l’aveva con loro, e Han non sapeva quand’era stata l’ultima volta che avevano parlato come si deve. Ricordava un adolescente evasivo, risentito, che solitamente si limitava a mugugnare dei monosillabi.
Gli piaceva ancora disegnare? Gli era passato il terrore dei temporali? Aveva degli amici? Cos’avrebbe voluto fare da grande?
Han strinse il bicchiere sino a farsi sbiancare le nocche, perché non conosceva la risposta a nessuna di quelle domande.
Ripensò al malumore quasi costante di Ben, ai suoi lunghi silenzi. Si era detto che era una fase, che era tutto dovuto all’adolescenza. Adesso poteva solo pensare che suo figlio era completamente, dannatamente infelice – un angolo della sua mente rammentò che il primo impulso di Ben, quando ferito, era sempre stato ferire di rimando. Si sentiva un idiota per non averlo capito prima.
“No, non è vero” si disse, “lo sapevo. È questo il peggio, lo sapevo anche allora”.
Rigirandosi il bicchiere tra le mani, ricordò l’ultima volta che aveva visto Ben. Era stato tramite un’olo-chiamata, e suo figlio aveva l’aria esausta e gli occhi arrossati, come se non dormisse da giorni, o come se avesse pianto di recente.
Per un istante – un breve, singolo istante – Han aveva pensato di chiedergli: Ben, ma tu vuoi tornare a casa?
Se il ragazzo avesse risposto di sì, al diavolo Leia e Luke e persino la Forza. Han sarebbe immediatamente salito sul Millennium Falcon e sarebbe andato a riprendersi suo figlio.
Alla fine, però, non gli aveva chiesto niente. Si era limitato a fare qualche stupida battuta nella speranza di risollevargli il morale, ed aveva… Aveva perso la sua occasione.
Dopo quella chiamata, era diventato più difficile mettersi in contatto, perché sembrava che la linea fosse sempre disturbata… E poi era precipitato tutto. Il lavoro di Luke era andato distrutto, e Ben era scomparso.
Era un ragazzo, pensava Han disperato, era solo un ragazzo. Com’era possibile che fosse andato tutto così storto?
Con un sussulto, tornò al presente, rendendosi conto di essere rimasto in silenzio molto a lungo. Si schiarì la gola, senza guardare Kes.
«D’accordo, allora… Salutami Poe» si sentì dire, fissando il proprio bicchiere.
Da una parte avrebbe voluto svuotarlo in un colpo solo. Dall’altra non aveva più alcuna voglia di bere.
Probabilmente, Kes annuì. «Lo farò» promise. «Tu tienimi informato. Contattami, se posso essere ancora d’aiuto». Mosse la sedia, ma non si alzò. «Ah, di’ a Leia che poi gliene parlerò di persona, ma non credo che entrerò a far parte della Resistenza».
Han aggrottò la fronte. “Della cosa?”
Quando alzò lo sguardo, Kes stiracchiò le labbra in un sorriso di scuse ed aggiunse: «Ho già dato con la Ribellione, penso».
«Certo» si affrettò a dire Han, «sicuro, lo capisco». Fece una pausa. «Che cosa ti ha detto Leia, esattamente?»

Non era passato molto tempo, da quando erano arrivati su quel pianeta.
Per essere precisi, vi si erano recati quando avevano iniziato a circolare delle voci sul fatto che un ragazzo dell’età di Ben, un ragazzo che corrispondeva anche alla sua descrizione, era stato visto nei dintorni.
Avevano chiesto l’aiuto di Kes perché sapevano che era già stato sul pianeta e che lo conosceva bene, così come conosceva alcuni dei suoi abitanti.
Non avevano una sistemazione particolarmente lussuosa: era la stanza di un albergo, pulita ed ordinata ma molto semplice.
Un letto matrimoniale, uno specchio a muro, una sedia ed una cassapanca; più o meno era tutto qui.
Kes aveva preso un’altra camera, mentre Chewbacca preferiva dormire sull’astronave.
Han percorse la stanza a grandi passi, entrando un paio di volte anche nel bagno, poi si accomodò bruscamente sulla sedia.
Si sfilò la giacca scura e la drappeggiò sullo schienale, quindi prese a tamburellarsi le dita sulle gambe.
Leia sarebbe dovuta rientrare a momenti. Mentre nei giorni precedenti aveva partecipato alle ricerche, oggi era andata ad incontrare un’assistente che doveva riferirle cosa stava succedendo in Senato in sua assenza.
Era molto preoccupata a causa dei resti dell’Impero; temeva potessero trasformarsi in una nuova minaccia.
“Sembra più preoccupata per la Nuova Repubblica che per suo figlio”.
Han cercò di soffocare quel pensiero, ma alla luce di quanto aveva appena scoperto… Non gli sembrava poi così ingiustificato.
Quando la porta si aprì con un sibilo, lui ebbe un piccolo sussulto. Leia entrò nella stanza, e gli scoccò una breve occhiata – molto breve, come se guardandolo troppo a lungo avrebbe potuto farsi male.
Era vestita in modo semplice, e i suoi capelli erano intrecciati ed avvolti attorno alla sua testa, come una corona.
Non disse nulla, passandogli davanti per raggiungere lo specchio accanto al letto ed iniziando a disfare la propria acconciatura.
In modo forse irrazionale, Han provò un barlume di rabbia. «Non mi chiedi nemmeno com’è andata?»
Leia si soffermò a guardarlo nello specchio. «Se fosse andata bene me lo avresti detto subito» gli disse, «o sbaglio?»
Han non rispose. Non si sbagliava.
«Allora?» domandò Leia. «Lo avete trovato?» Dal suo tono stanco, era chiaro che non si faceva illusioni.
«No. Abbiamo trovato il ragazzo di cui parlavano. Non era lui».
Era solo un nativo di Coruscant che stava visitando alcuni pianeti. Il suo comportamento schivo aveva insospettito gli abitanti, ma alla fin fine era solo un po’ timido.
La donna annuì appena, srotolando la prima treccia e cominciando a disfarla.
Han guardò i loro riflessi nello specchio. Non sapeva se gli anni – soprattutto gli ultimi – fossero stati gentili con loro, ma Leia era ancora bella. Era sempre così bella.
«Ho parlato con Kes» le disse Han, improvvisamente. «Mi ha detto che stai organizzando una Resistenza, o qualcosa di simile».
Leia non interruppe nemmeno il proprio lavoro. «È vero» convenne.
«Perché io non ne sapevo niente?»
Lei si passò le dita tra i capelli. «Te l’avrei detto» affermò, iniziando a disfare la treccia successiva. «Ti voglio con noi, naturalmente».
Han si schiacciò le mani tra le ginocchia. «Oh, quindi me l’avresti detto perché pensavi di reclutarmi, non perché sono tuo marito».
Stavolta, Leia si girò verso di lui, l’acconciatura disfatta a metà. «Che cosa ti prende?»
«Che cosa mi prende?» ripeté Han, incredulo, per poi assumere uno sguardo cupo. «Non mi piace che tu mi abbia tenuto all’oscuro».
«Hai ragione, non avrei dovuto» ammise Leia, dopo un istante di silenzio. «Ma è ancora tutto confuso, e incerto, e…» Si bloccò e lo guardò con più attenzione. «Non è per questo che sei arrabbiato».
Han provò quasi l’assurdo impulso di mettersi a ridere. «Davvero? Perché, non sarebbe una buona ragione?»
«Sei molto arrabbiato» rimarcò Leia.
Aveva ragione, naturalmente. Han distolse gli occhi, cercando di trattenersi… Non ce la fece, e tornò a guardarla.
«Lo hai usato come scusa» la accusò, in tono a stento controllato.
Lo shock balenò nello sguardo di Leia. «Che cosa?»
«Toglimi una curiosità» riprese lui, alzandosi in piedi, «da quanto tempo hai in mente di fondare questa tua Resistenza?»
Leia si accigliò. «Non lo so. Da quando ho visto che il Primo Ordine è una minaccia tangibile, e che la Nuova Repubblica non sembra intenzionata a prendere i provvedimenti necessari».
«Sì?» chiese Han, più tagliente di quanto avrebbe voluto. «Non ce l’avevi già in mente quando hai iniziato a rimetterti in contatto coi tuoi vecchi amici della Ribellione, quelli che avrebbero dovuto aiutarti a trovare tuo figlio?»
Per un istante, Leia lo fissò come raggelata.
Han vide con chiarezza il cambiamento nei suoi occhi, la vide ripensare alle sue parole di poco prima – lo hai usato come scusa – ed essere colta da una furia improvvisa.
Fu quasi come tornare indietro di anni, alla base su Hoth, mentre il viso di Leia si faceva duro ed impenetrabile.
«Vattene» gli sibilò lei, gelida.
Quando Han non reagì subito, Leia si diresse ad aprire la porta, e si voltò di nuovo a guardarlo.
«Fuori di qui».
Han serrò i pugni. Pensò che gli occhi di Leia, quegli occhi colmi di rabbia, avrebbero potuto riempirsi di lacrime, e desiderò quasi rimangiarsi le proprie accuse… Era un sospetto che lo rodeva, certo, ma credeva veramente che questo fosse stato l’obiettivo di Leia sin dal principio? Che avesse radunato i suoi vecchi amici non perché voleva un aiuto nelle ricerche, ma per trovare alleati per la sua nuova guerra?
Forse no, ma al momento ricordava solo tutte le ore che Leia aveva trascorso al lavoro anziché a casa, e la biasimava quasi quanto biasimava se stesso. E in ogni caso, era troppo infuriato per ritrattare.
«Agli ordini, vostra grazia» la schernì, strappando la propria giacca dallo schienale della sedia e dirigendosi alla porta.
Passò vicinissimo a Leia, ma non la guardò nemmeno di sfuggita.
Senza fermarsi ad aspettare che la porta si chiudesse alle sue spalle, imboccò le scale a passo spedito. Arrivò sino al livello interrato, e a quel punto si lasciò cadere a sedere sull’ultimo gradino.
Si nascose il viso tra le mani, e pianse.









Note:
Okay, io non volevo scrivere questa cosa, dato che c’è il 99% di probabilità che venga smontata dai prossimi film. Ma ehi, pare che la chiamata dell’angst sia troppo forte.
Probabilmente ho pensato troppo al fatto che in alcuni momenti del Risveglio della Forza Han e Leia mi ricordano tanto com’erano prima, e a quanto la cosa sia dolorosamente azzeccata.
(Comunque faccio sempre in tempo ad eliminare tutto, se pensate sia per il meglio.)
Il titolo è un verso della canzone “Hotel Supramonte” di Fabrizio De André, mentre la citazione in corsivo viene da “Between” di Vienna Teng. Non posso ascoltarla senza pensare ad Han e Leia dopo la caduta di Ben.
BONUS:

Era la prima volta che lo vedeva adulto.
E dopo avervi resi partecipi di tutta questa gioia, me ne vado~
Ah, a meno che non ci siano imprevisti, pubblicherò la seconda (e ultima) parte sabato prossimo, il 25 di febbraio.

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Capitolo 2
*** Coda ***


Coda

We are the same but our life moves along
And the third one between replaces what once was love

Qualche mese più tardi, Leia rinunciò alla sua carica in Senato. Era riuscita a racimolare alcuni fondi, e la prima base della Resistenza venne stabilita su un pianeta montuoso dell’Orlo Mediano.
Inizialmente, i suoi membri erano tutti veterani dell’Alleanza Ribelle, ma poco a poco iniziò ad aggiungersi linfa nuova.
Nella sala di controllo, circondato da olo-mappe e schemi tattici, Han guardò Leia parlare ai suoi piloti, ed ebbe di nuovo la sensazione di essere tornato indietro nel tempo.
Sua moglie aveva trovato una nuova causa in cui immergersi anima e corpo, e la vera differenza sembrava essere il fatto che non la chiamavano più principessa, bensì generale.
Han si sentiva fuori luogo, e le giovani reclute che sbarravano gli occhi alla sua vista non aiutavano certo a diminuire il disagio.
Ma lui cercava di passarci sopra, di aiutare come poteva.
Partecipava a missioni di ricognizione, e otteneva informazioni dai suoi vecchi colleghi di contrabbando.
Ogni tanto, si allontanava per cercare Ben, Chewbacca sempre al fianco. Il Wookie era più fiducioso di lui – a volte, quando Han avrebbe solo voluto accasciarsi in un angolo, il suo imponente co-pilota gli assestava una pacca sulla spalla e gli diceva di non perdere la speranza, che avrebbero presto ritrovato il cucciolo.
Leia si univa a loro solo raramente, ma al proprio rientro Han la trovava sempre ad aspettarlo.
Lei non gli chiedeva mai niente, perché le bastava uno sguardo al suo viso per capire che le ricerche erano state ancora una volta infruttuose, e a quel punto gli dava le spalle con un respiro tremulo e tornava a svolgere il proprio dovere.
Poi, quasi un paio d’anni più tardi, si trovarono entrambi nella sala di controllo.
Erano un po’ in disparte rispetto al resto dei presenti, ma i loro occhi come quelli di tutti gli altri erano puntati sull’olo-tavolo al centro della stanza.
Un’informatrice della Resistenza – una donna dalla pelle bronzea e i capelli neri che era stata una programmatrice piuttosto famosa – era riuscita ad infiltrare un droide-spia su uno dei mondi del Primo Ordine, e di lì a poco avrebbero dovuto ricevere le sue riprese in diretta. Inutile dirlo, i capi erano molto impazienti di vedere quegli olo-filmati.
L’Ammiraglio Ackbar teneva gli occhi bulbosi fissi sulla consolle, mentre le sue mani palmate volavano sui pulsanti, stabilendo il contatto.
Han lo osservò un istante, avvertendo un vuoto allo stomaco al ricordo del Mon Calamari che si offriva come baby-sitter per Ben, poi spostò lo sguardo su Leia. Quest’ultima era dritta ed impassibile, i capelli raccolti attorno al capo, e nonostante tutto Han riuscì a vedere l’urgenza nei suoi occhi.
Persino lui si rendeva conto dell’importanza di quelle riprese. Se contenevano prove del fatto che il Primo Ordine stava violando le clausole della Concordanza – un documento firmato dalla Repubblica e dai resti sconfitti dell’Impero dopo la battaglia decisiva su Jakku – avrebbero potuto presentarli in Senato, e finalmente obbligare la Nuova Repubblica a passare all’azione.
Con qualche scarica elettrostatica, le prime immagini iniziarono ad arrivare, e il silenzio cadde nella stanza. Era la ripresa di un cortile deserto – poco a poco, cominciarono ad arrivare degli uomini, camminando in file ordinate.
Dopo qualche minuto, Leia cominciò a scuotere la testa. «Questi filmati non ci saranno di molta utilità».
«Davvero?» non poté fare a meno di chiedere Han, incredulo. «Il Primo Ordine ha un dannato esercito».
Era piuttosto sicuro che cose come avere una forza armata violassero decisamente i termini stabiliti dalla Concordanza.
Sua moglie non si girò a guardarlo, e fu il Maggiore Ematt – un vecchio amico di Leia, che in passato aveva aiutato a trovare delle basi per la Ribellione – a rispondere alla sua osservazione, senza peraltro staccare gli occhi dallo schermo. «Non c’è traccia di un’arma».
«Già» convenne seriamente l’Ammiraglio Statura. «Senza dubbio, i Senatori più restii ad ammettere la minaccia dichiareranno che stiamo guardando un corso di fitness, o qualcosa del genere, e che in ogni caso non è proibito che la gente del Primo Ordine si tenga in forma».
Han assottigliò le labbra. Ecco, questo era uno dei motivi per cui non gli era mai piaciuta la politica.
«Senza contare» gracchiò l’Ammiraglio Ackbar, «tutte le polemiche che nasceranno sul modo in cui abbiamo ottenuto queste riprese in primo luogo».
Per qualche istante, un silenzio frustrato ed abbattuto regnò sulla sala, poi Leia riprese parola.
«Continuiamo a guardare» disse in tono calmo, quasi regale.
Han guardò il suo profilo determinato e pensò a quelle volte in cui lei gli aveva parlato della Regina Breha Organa, di come sapeva mantenere la calma durante una crisi, di come sapeva infondere forza con la sua sola presenza. Leia poteva anche essere più impaziente e più rapida all’ira, ma era davvero figlia di sua madre.
In un altro tempo, Han si sarebbe annotato di tenere a mente quel pensiero per comunicarglielo più tardi. Adesso, però… Era strano. Era come se fosse un’osservazione troppo intima, come se lui non si sentisse in diritto di rivolgerla a Leia.
«Forse non ci serviranno per convincere la Nuova Repubblica, ma potrebbero comunque fornire delle informazioni utili».
Ci fu un brusio d’assenso. «Potremmo anche esaminare il loro stile di combattimento».
Ripresero la visione, e Han incrociò le braccia contro il petto. Non gli era mai piaciuto starsene con le mani in mano, e di questi tempi gli piaceva ancor meno. Odiava i momenti in cui niente attutiva il dolore per l’assenza di suo figlio.
Proprio mentre iniziava a contemplare l’idea di andarsene, le immagini cambiarono un po’.
Ci fu qualche sbalzo, probabilmente segno che il droide-spia si stava spostando per non farsi notare, poi fece la sua comparsa un giovanotto pallido dai capelli biondo-rossiccio, che camminava tra le file di uomini e sembrava sovrintenderne gli allenamenti.
Han aggrottò la fronte. Aveva un ché di familiare…
Il Maggiore Ematt emise un respiro sorpreso. «Ma quello è…?»
L’Ammiraglio Statura annuì gravemente. «Il figlio di Brendol Hux? Penso proprio di sì. Qual era il suo nome…?»
«Armitage» suggerì qualcun altro. «Armitage Hux».
Ah. Dunque si spiegava la familiarità. In passato, Han aveva avuto a che fare con Brendol Hux, il comandante dell’Accademia Imperiale di Arkanis. Non era stato un piacere.
E poi, nell’ultimo pezzo di olo-filmato, sopraggiunse anche un uomo vestito di nero, con una maschera a coprirgli il volto.
Leia emise un ansito, ma Han quasi non se ne accorse – era impegnato a reprimere un brivido, mentre gli tornava alla mente l’ultimo uomo mascherato con cui aveva avuto a che fare.
Pensò alle voci giunte ultimamente alla Resistenza, su un misterioso combattente che operava al di fuori dei ranghi… Jedi Killer, lo chiamavano. Il più delle loro spie, a dire il vero, pensava che non esistesse davvero, che fosse soltanto uno spauracchio usato dagli ufficiali del Primo Ordine per tenere in riga i sottoposti. Possibile che si sbagliassero, che si trattasse proprio di lui?
Cogliendo qualche bisbiglio dagli altri presenti, Han capì di non essere il solo a nutrire quel sospetto.
Da parte sua, Leia sembrava stranamente pallida, gli occhi ingigantiti puntati sull’ologramma tremolante. All'improvviso barcollò, ed afferrò il braccio di Han per reggersi in piedi.
«Ben» sussurrò. «Ben».
Han s’irrigidì, e i suoi occhi tornarono sull’olo-filmato, mentre le orecchie gli si tappavano e il respiro gli si bloccava in gola.
Non poteva essere lui. Era impossibile che fosse lui.
Ma la sua testa gli diceva il contrario, anche perché sarebbe stato sciocco non fidarsi dell’istinto di Leia, del legame che aveva sempre condiviso con Ben. Se c’era qualcuno in grado di riconoscerlo col viso coperto, ad anni luce di distanza, era proprio lei.
Vagamente consapevole che sua moglie gli stava ancora stritolando il braccio, Han si rese conto di una cosa. Quell’uomo mascherato… quell’uomo… camminava esattamente come Leia. Schiena dritta, ampie falcate, un’aura di determinazione che spingeva gli altri a stare alla larga.
Doveva essere lui.
Per un istante, mentre il suo corpo assorbiva quell’idea, la sola cosa che Han provò fu un sollievo devastante che rischiò di fargli cedere le ginocchia.
“È vivo” pensò, inghiottendo una boccata d’aria. “È vivo”.
Per una frazione di secondo, incrociò gli occhi scuri di Leia mentre l’olo-filmato si interrompeva abbastanza bruscamente. La fine della trasmissione non fu una sorpresa: il droide era programmato per inviare loro due ore di filmato e poi cambiare postazione per diminuire il rischio che qualcuno lo notasse.
Ci fu un istante di silenzio, poi Leia rivolse l’attenzione al resto del gruppo e disse, con voce innaturalmente incrinata: «Scusatemi».
Se ne andò subito, e Han la imitò poco dopo, ma anziché seguirla all’esterno si recò nei loro alloggi. Gli tremavano le mani, e non riusciva a stare in piedi.
Quando Leia rientrò, a notte inoltrata, lo trovò seduto in un angolo e gli disse una sola cosa: «Adesso sappiamo dov’è. Possiamo… Possiamo organizzare la sua estrazione. Possiamo raggiungerlo».
E oh, la speranza. Strideva nelle crepe della sua voce, le riempiva gli occhi, sembrava sanguinare dalla sua figura minuta.
Quella notte non riuscirono a dormire, e anche se non parlarono più di tanto Han la tenne tra le braccia sino al mattino.
Gli era mancato averla così vicino, realizzò. Per quanto continuassero a condividere lo stesso letto, infatti, ultimamente si erano sempre coricati mantenendo una certa distanza tra loro – uno spazio abbastanza largo da accogliere un bambino.
Respirando l’aroma sottile dei capelli di Leia, Han cercò di non pensare alla maschera di Ben, al fatto che il sangue di Darth Vader gli scorreva nelle vene.

L’estrazione non poteva essere una cosa immediata, naturalmente. Un’operazione del genere in territorio nemico andava pianificata nei dettagli.
Via via che raccoglievano informazioni, però, il progetto sembrava farsi sempre più impossibile.
Alcune spie tornarono con l’identità dell’uomo mascherato: Kylo Ren, uno dei Cavalieri di Ren, braccio destro del Leader Supremo del Primo Ordine. Gli erano attribuite numerose uccisioni, nonché alcuni interrogatori a cui nessuno sembrava in grado di resistere.
Han rilesse quei rapporti sino alla nausea, sino a saperli a memoria.
In precedenza, l’idea che suo figlio fosse passato al Lato Oscuro e si fosse rivoltato contro Luke gli era sembrata assurda, delirante… Ad ogni nuova informazione, però, pareva farsi sempre meno illogica.
Quando Leia gli disse che non sarebbe stato possibile tentare l’estrazione entro breve, lui non provò disappunto, ma amarezza. Rassegnazione.
Le motivazioni erano perfettamente ragionevoli. Una spedizione nel cuore del Primo Ordine era altamente rischiosa, senza contare che la posizione di Kylo Ren era incredibilmente difficile da determinare. Sembrava fosse sempre in movimento, e molte delle sue missioni erano sconosciute persino ai suoi alleati.
Le sue missioni, i suoi alleati… Han faticava a metabolizzare quell’idea. In qualche modo, tutto si stava facendo più concreto.
Suo figlio lavorava attivamente all’interno del Primo Ordine. Aveva ucciso per loro. Da quel che ne sapeva lui, uccideva per loro ogni giorno.
Ammorbidendosi appena, Leia aveva anche aggiunto che l’occasione di recuperarlo si sarebbe presentata, prima o poi, ed era lampante quanto ci credesse.
Al di là delle sue parole, aveva richiesto che la vera identità di Kylo Ren non fosse resa di dominio pubblico. Han non era un esperto in queste cose, ma capiva che lei stava cercando di diminuire al massimo le conseguenze che Ben si sarebbe ritrovato ad affrontare in futuro.
Ora come ora, sapevano di lui solo ai livelli più alti della Resistenza. In questo modo, se mai fossero riusciti ad estrarlo con successo, avrebbero patteggiato in privato e con maggior facilità.
Ben avrebbe potuto fornire informazioni sul Primo Ordine, e in cambio la punizione per i suoi crimini non sarebbe stata troppo drastica. Forse qualche anno di reclusione, e di certo alcuni mesi di sorveglianza per accertarsi che non facesse il doppiogioco, ma alla fine sarebbe stato libero. Sano e salvo, con loro. Sarebbero tornati ad essere una famiglia.
Era un’idea molto bella, ma… Al contrario di sua moglie, Han faticava molto a crederci.
Leia aveva detto che prima o poi si sarebbe presentata l’occasione giusta.
Prima o poi. A lui sembrava già troppo tardi.
Quella sera, Chewbacca venne nei suoi alloggi, e lo trovò seduto sul letto con una mano sul viso. Tra le proprie dita, Han vide il suo vecchio amico avvicinarsi, sedersi di fianco a lui – facendo ondeggiare pericolosamente il materasso – e lo sentì posargli una mano pelosa sul capo.
Chewbacca emise un brontolio consolatorio, ma Han scosse la testa.
«No, amico» gli disse, con voce strangolata. «Non troveremo il cucciolo. Non tornerà mai più».
Fu strano e doloroso, come se dirlo espressamente avesse trasformato quel fatto in una realtà innegabile.
Quella sera, Leia non venne a letto, probabilmente impegnata ad organizzare qualche missione, ed Han si sentì inusualmente grato. Aveva bisogno di stare da solo.
Inizialmente, a dire il vero, non provò niente di particolare. Si sentiva stranamente distaccato, quasi quell’uomo che aveva appena capito di non poter riavere suo figlio non avesse niente a che vedere con lui.
Dopo qualche ora, però, iniziò a sentirsi soffocare, mentre il cuore gli si contraeva nel petto come se faticasse a funzionare. Continuava ad avere accelerate improvvise, e per un istante Han si domandò se era il caso di fare un salto in infermeria.
Poi dovette piegarsi in due, le braccia serrate contro le costole, perché davvero, non riusciva… a respirare…
Dopo qualche tentativo, trovò il modo di raddrizzarsi, e si diresse in bagno a passi malfermi. Non aveva mangiato quasi niente, quel giorno, eppure il suo stomaco trovò comunque qualcosa di cui liberarsi.
Quando i conati si calmarono, l’uomo rimase seduto sul pavimento freddo. Esausto e spossato, pensò ad una bottiglia di rum corelliano che si era ritrovato tra le mani circa un anno prima – il regalo di alcune reclute, dei giovani estatici al pensiero di lavorare al fianco di leggende come Han Solo e Leia Organa.
Un tempo, anche Ben era stato orgoglioso che i suoi genitori fossero eroi di guerra.
Nonostante il tremore del suo stomaco, Han trovava che la prospettiva di ubriacarsi fosse a dir poco allettante. Purtroppo, aveva già regalato quella bottiglia a Lando, e al momento non era decisamente nelle condizioni di andare a cercarne un’altra.
Si trascinò a letto, invece, dove giacque a faccia in giù sul materasso, lottando per trarre un respiro dopo l’altro, stringendo le coperte tanto forte da farsi sbiancare le nocche.
Avrebbe voluto alzarsi, muoversi, rompere qualcosa, ma non ne aveva le forze. Sapeva solo che suo figlio gli era definitivamente scivolato via dalle dita, e che faceva più male di qualsiasi cosa avesse mai provato.
Il mattino successivo, pallido come uno spettro, eliminò tutti i dati delle ricerche condotte sino a quel momento. Niente di tutto quello avrebbe potuto aiutarlo, in fondo.
Nei giorni che seguirono, setacciò l’astronave alla ricerca delle cose di Ben – trovò una giacca blu, una coperta mangiucchiata, qualche giocattolo ed un datapad – e le ammassò in un angolo degli alloggi nella base della Resistenza.
Non aveva cuore di gettarle, ma non riusciva a sopportare di averle sotto gli occhi.
Leia le notò per forza – fu lei a chiuderle nella cassapanca nell’angolo, lisciando la giacca e la coperta quasi con reverenza – ma non commentò. Si parlavano sempre meno, ormai.
Dal canto suo, Han iniziò a trovare la sua permanenza alla base sempre più soffocante. Lui non era come Leia, non era nato per questo lavoro.
A volte faticava a mettere insieme un rapporto come si deve, oppure perdeva il filo del discorso durante un incontro tattico, o sentiva di sbagliare qualcosa durante una missione… Se un tempo aveva tentato di non curarsene troppo, adesso la cosa gli risultava insopportabile.
Quegli errori non facevano altro che ricordargli che aveva fallito nella cosa più importante della sua vita. Aveva sbagliato, aveva sbagliato, si era ripromesso che avrebbe fatto del suo meglio ma aveva sbagliato tutto.
Cominciò ad allontanarsi dalla base sempre più spesso, e la metà delle volte non lasciava nemmeno detto dove stava andando.
Fu quello che scatenò la sua lite decisiva con Leia, un mese più tardi.
Lei avrebbe voluto affidargli una ricognizione, ma Han non ne era stato informato e se n’era andato. Al suo rientro, Leia lo convocò e lo aggredì con parole brusche.
Han si arrabbiò, e la cosa degenerò rapidamente.
Lui le sbatté in faccia che era stata sua, la decisione di fare addestrare Ben, di mandarlo via…
«Pensavo fosse la cosa migliore!»
«Oh, sì, e infatti è andata molto bene, vero?»
Leia serrò le labbra in una linea sottile, e lo rimbrottò per tutte le volte che se n’era andato, e in cambio lui le ricordò le sue innumerevoli assenze per lavoro.
Si rinfacciarono mancanze ed errori risalenti ad anni prima, cose che avevano già chiarito e per le quali si erano già perdonati in passato.
Avevano sempre avuto discussioni frequenti, ma mai cosi. Mai così. I loro litigi, di solito, li portavano a tirar fuori i problemi e a trovare una soluzione.
Qui, adesso, non stavano cercando nessun rimedio. Sembrava stessero soltanto facendo a gara per ferirsi a vicenda.
Han pensò alla Forza, la dannata, maledettissima Forza. Se Leia non fosse stata sensibile alla Forza, se non avesse trasmesso quel talento al loro bambino… Niente di tutto questo sarebbe successo. Ben sarebbe stato al sicuro.
Gli ci volle un momento, per realizzare che covava quei pensieri da qualche tempo, ormai. Che una parte di lui – e si odiava per questo, oh quanto si odiava – dava a Leia la colpa di quanto era successo.
Riuscì a non dirglielo, però. Almeno questo, riuscì a non dirglielo.
Nonostante tutto, era lucido quanto bastava per sapere che non se lo sarebbe mai perdonato.
Avrebbe tanto voluto che la vergogna fosse abbastanza forte da impedirgli di dire anche altre cose, ma a quanto pareva non era così.
Pur sapendo che era ingiusto ed egoista, accusò Leia di averlo trascinato in una guerra senza nemmeno chiedergli se era quello che voleva.
«Soltanto la causa è importante, per te, giusto?»
Fu come dirle di nuovo, in tono piatto: lo hai usato come scusa.
«Se per te è un tale sacrificio» ribatté Leia, freddamente, «perché non te ne vai?»
Per una frazione di secondo, Han tentennò, preso in contropiede, ma poi… «Va bene, me ne vado!» scattò.
Senza darle il tempo di replicare, uscì dalla stanza a passi furiosi. Se si aspettava che lei lo seguisse, rimase deluso. Impiegò più tempo del necessario a raccogliere le proprie cose dai loro alloggi, la rabbia che sbolliva pian piano, ma Leia non si fece vedere. Han aspettò per ore, poi scosse la testa e contattò Chewbacca per dirgli di raggiungerlo nell’hangar. «Ce ne andiamo».
Per tutto il tempo, una parte di lui si aspettò di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, che gli impedisse di partire, che lo obbligasse a tornare sui propri passi.
Un po’ come un ragazzo di Tatooine disperso su un pianeta di ghiaccio.
Ma il ragazzo di Tatooine era scomparso, così come era scomparso Ben, e quando Leia si fece vedere sulla pista fu solo per ricordargli che la base era segreta, che lui non doveva svelarne la collocazione a nessuno.
Si guardarono per qualche istante senza trovare appigli, a separarli solo tre passi che all’improvviso parevano una distanza incolmabile.
Han avrebbe voluto salutarla in qualche modo, ma alla fine si limitò a gettarsi la propria sacca su una spalla e ad imboccare la rampa della nave.
Mentre lui e Chewbacca decollavano, pensò che adesso Leia non avrebbe avuto qualcuno a ricordarle costantemente cosa aveva perso. Pensò alle proprie riflessioni più ingiuste, e si disse che probabilmente questa era la soluzione migliore per tutti.
Più si allontanava, più era semplice smettere di pensare a Ben, più gli sembrava di poter respirare liberamente.
Si passò una mano sugli occhi, ma non riusciva nemmeno a piangere.














Note:
Come nello scorso capitolo, la citazione in corsivo viene da Between di Vienna Teng.
Giusto per la cronaca: non credo che al tempo di TFA Han incolpi ancora Leia in qualche modo (probabilmente scriverò una OS al riguardo, mmm) ma non riuscivo a togliermi dalla testa che un pensiero simile potesse averlo sfiorato almeno una volta. Sto male.
E niente, spero che questo epilogo non sia un disastro completo. Siete liberi di tirarmi tutti i pomodori che volete.

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