Evil Mirror 2

di Tefnuth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il libero e il prigioniero ***
Capitolo 2: *** Miroir ***
Capitolo 3: *** Contatto ***
Capitolo 4: *** Mano di vetro ***
Capitolo 5: *** Di nuovo Tom ***
Capitolo 6: *** Veritas ***
Capitolo 7: *** Credendo vides ***
Capitolo 8: *** House of Mirrors ***



Capitolo 1
*** Il libero e il prigioniero ***


[Bill]
Erano passati otto anni, da quel giorno in cui si era liberato dallo specchio; otto meravigliosi anni in cui aveva assaporato la vera vita. Amici, viaggi durante le ferie, un lavoro che tutto sommato gli piaceva e che gli permetteva di abitare in un bell’appartamento in Kurfunstenstrasse, in una bella zona di Berlino. Dal giorno della sua liberazione, nessuno si era accorto dello scambio che aveva fatto con Tom, il ragazzo da cui aveva preso le sembianze, nonostante avesse fatto un repentino cambio di look (e per questo aveva dovuto ringraziare la facilità con cui i ragazzi terrestri cambiavano le mode). Avrebbe mentito, se avesse detto che non provava alcun rimorso per quello che aveva, perché Tom gli piaceva molto e gli era simpatico, ma probabilmente non avrebbe intrapreso un’altra strada se fosse tornato indietro. La risposta a tutto la teneva nascosta nel suo cuore.

Erano le otto e mezza del mattino quando iniziò a prepararsi per andare al lavoro, cambiando i pantaloni del pigiama con un paio di jeans grigi aderenti nei punti giusti, e la calda felpa nera con una canotta grigia e una maglia retata sopra. Una sistemata ai capelli, che di recente erano stati portati al biondo naturale (oltre ad essere stati tagliati corti), e l’unica cosa che mancava al suo outfit erano gli accessori e la giacca di pelle. Finalmente era pronto per uscire e affrontare l’aria rinfrescata di Settembre.

Si riteneva fortunato ad aver trovato lavoro presso un’agenzia grafica, perché gli permetteva di esprimere la propria fantasia senza limiti; per non parlare di alcune sue colleghe che, nonostante fossero fidanzate, gli lanciavano sempre sguardi sensuali e provocatori. Di solito le giornate passavano così, lentamente o velocemente a seconda del lavoro che c’era da fare, e a volte il cellulare riceveva qualche messaggio da amici di vecchia data che gli chiedevano di uscire. Era bella la libertà.

[Tom]

Erano passati otto anni ormai, da quel maledetto giorno in cui quello che poteva considerare il suo migliore amico lo aveva tradito e imprigionato in quel mondo di silenzio. Pensava che sarebbe morto, quando aveva visto Bill rompere la superficie dello specchio (quel maledetto specchio) che li aveva fatti incontrare, e invece si era ritrovato vivo e vegeto in quell’oscura dimensione. Era prigioniero. All’inizio si era lasciato prendere dalla disperazione, e aveva lasciato che molte lacrime gli solcassero il viso nel tentativo di scacciar via la paura. Quando anche quelle terminarono, dopo chissà quanto tempo, erano rimasti solo l’odio e il desiderio di vendetta (gli unici due sentimenti che gli avevano permesso di andare avanti). L’unica nota positiva era l’aver scoperto di aver preso il controllo di quel posto, e aveva cercato fin da subito di renderlo il più possibile somigliante alla sua vera casa: la sua camera, sua madre che ogni tanto gli dava il tormento, e la città fuori dall’appartamento sebbene le persone che vi camminavano si ripetevano insistentemente. Niente cambiava in quei volti che vedeva ogni giorno, poiché la sua mente non ricordava abbastanza da poter creare un numero di fantasmi sufficienti da evitare di farlo annoiare; anche sua madre non avrebbe mai potuto mostrare gli anni che in realtà avrebbe dovuto avere. Lui era l’unico ad essere cresciuto, nello stesso modo in cui si era visto nella visione che gli aveva mostrato Bill anni prima, ed era così che lui voleva perché, se solo lo avesse desiderato, avrebbe potuto restare adolescente e vivere in eterno. Una prospettiva che si preferisce evitare quando si è costretti a vivere in una condizione indesiderata, e allora si preferisce aspettare la morte. Le sue giornate non si diversificavano molto le une dalle altre: dopo essersi alzato dal ricordo del suo letto, si vestiva con gli abiti che faceva magicamente apparire dentro all’armadio e “usciva” in città portando a spasso il cane Seth (il suo animale, non l’orrenda bestia di Bill). Era uno dei piccoli accorgimenti che si era creato per non impazzire nella solitudine, come lo erano la palestra e la sala giochi, tuttavia l’opera che, secondo lui, gli era riuscita meglio era la piccola figura esile seduta su una panchina in ferro verniciata di rosso: Bill, o meglio la sua copia, che Tom chiamava affettuosamente Billy o B.

“Ciao!” lo salutò il ragazzino con gli occhi che gli luccicavano. Sebbene fosse anch’egli una creazione di Tom gli era stato permesso, dal suo stesso creatore, di avere una coscienza e di sviluppare una propria personalità.

“Ciao” rispose di rimando Tom, gli faceva sempre uno strano effetto parlare con la copia di chi lo aveva tradito ma per come lo aveva creato non avrebbe avuto problemi.

“Ancora quel muso lungo? Dai è una bellissima giornata, non c’è bisogno di essere tristi” gli disse Bill sganciando un pugno leggero sul braccio di Tom, come faceva ogni volta che lo vedeva triste.

“Sì, è una bella giornata. Vuoi fare una passeggiata con me?” domandò Tom, certo di conoscere già la risposta.

“CERTO!” esclamò Bill facendo anche un piccolo saltello, e con i grandi occhi nocciola che gli brillavano per la felicità.

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Capitolo 2
*** Miroir ***


[Tom]

Le passeggiate con Bill e Seth erano l’unica cosa divertente da fare in quello strano mondo, anche se spesso le gambe del piccolo fantasma non riuscivano a stare al passo. Succedeva di continuo, anche quel giorno, e per questo Tom lo fece invecchiare di qualche anno per permettergli di stargli vicino.

“Ce l’avrei fatta anche da solo” affermò Bill mentre metteva un braccio sulle spalle del fratellone (come lui chiamava Tom) e prendendo, al contempo, il guinzaglio di Seth.

“Certo come no, nanetto” scherzò ridacchiando Tom, che poi diede un buffetto sulla guancia dell’ombra.

“Almeno ti ho fatto ridere” esultò Bill alzando un braccio al cielo.

Solitamente le loro camminate finivano sempre al parco, una zona creata di sana pianta dalla mente di Tom con molte fontane che creavano giochi d’acqua multicolore, e un’ampia area dedicata ai cani. Era lì che al ragazzo piaceva perdere la maggior parte della giornata (un’altra cosa che aveva voluto era stato il normale trascorrere delle ore), e non faceva mai caso a tutte le ombre che gli passavano vicino. Tuttavia quel giorno i fantasmi erano stranamente lenti, nel loro moto, e alcuni persino fermi come se qualcuno avesse spinto il pulsante pausa.

“Salve, figlio del mondo esterno” disse improvvisamente una voce sconosciuta, senza alcun apparente padrone.

“Chi sei? – Domandò Tom, chiamando con la mano a sé il cane e Bill, tornato adolescente. – Mostrati!” ordinò scrutando in giro.

La creatura che apparve era una figura umanoide, con due palle verdi come occhi e fumo blu contenuto in un corpo di vetro
“Vorresti vendicarti su chi ti ha imprigionato?” chiese la presenza con un profondo inchino.

“Chi sei?” ribadì Tom mentre tratteneva il cane che stava ringhiando.

“Miroir, e voglio aiutarti a tornare a casa” si presentò la bizzarra creatura.

“Tom, questo non mi piace” sussurrò Bill visibilmente impaurito dallo sconosciuto; per la prima volta Tom non lo ascoltò.

“Come fai a sapere che non sono di questo mondo?” domandò il ragazzo stringendo la mano della piccola ombra, per dargli coraggio.

“Sono qui da molto prima che arrivassi tu, e conosco ciò che tormenta il tuo cuore. – Miroir prese le sembianze del vero Bill, quello nel mondo reale. – Mediti vendetta contro questo bastardo, e io posso darti una mano” ripetè di nuovo, sottolineando con particolare enfasi il motivo della sua venuta.

[Bill]

“Ci sarà un gran lavoro da fare, oggi. Non voglio vedervi bighellonare” disse il capo ufficio, Mathias, prima che tutti accendessero il computer.

“Si capo!” risposero tutti in coro, anche Bill che dalla sua postazione accanto alla finestra aveva sempre un piacevole modo per svagare un attimo la mente.

Era divertente stare in un ufficio con altre quattordici persone, divise tra maschi e femmine, perché nonostante la serietà che tutti mettevano nel proprio lavoro l’atmosfera era sempre rilassata e viva. Nonostante tutto quella sarebbe stata una giornata “lenta”, se poco prima della pausa pranzo il cellulare di Bill non gli fosse vibrato in tasca, avvertendolo di aver ricevuto un messaggio da Georg.

“Serata Dark stasera, vuoi venire con noi? Ci vediamo davanti al tuo ufficio quando finisci”
“Certo! Ho proprio bisogno di una bella bevuta  ”
scrisse velocemente Bill molto contento dell’invito, in effetti non aveva proprio voglia di cucinare quella sera.

All’uscita dal lavoro, poco dopo le 19.00, Bill trovò Georg e Gustav che già lo aspettavano sotto la tettoia; il cielo si era annuvolato, minacciando pioggia, e dei tre solo Gustav aveva portato l’ombrello.

“Pronto per la soirée, Tom?” domandò Georg a Bill, chiamandolo con il nome della persona che lui pensava di avere davanti.

“E me lo chiedi? – Bill strizzò un occhio. – Spero che siano veloci stasera, ho una fame…”

“Allora muoviamoci, così non rischieremo che ti mangi anche la cameriera” scherzò Gustav incamminandosi.

Il Dark, il localino in cui i tre si riunivano spesso per una tranquilla cenetta, era una pizzeria situata in una stradina secondaria di Berlino. All’interno il tutto era arredato in stile gotico, con le sedie nere rifinite con particolari viola cangianti in blu, le pareti e il soffitto rosso scuro e i lampadari in stile candelabro con pendagli a goccia. Era uno di quei posti in cui era difficile trovare persone che andassero oltre i cinquant’anni, a meno che non fosse gente cui piacesse lo stile.

“Buonasera signori” li salutò l’uomo che, appena dopo la porta, accoglieva i clienti dietro ad uno stretto bancone; a giudicare dal viso avrà avuto quarant’anni, e i baffetti alla Salvador Dalì gli donavano ben poco.

“Buongiorno” salutò a sua volta Georg, prima di dirgli che aveva fatto riservare un tavolo e a che nome.

“Certo, Kelly. – Chiamò il baffuto, e per magia comparve una delle cameriere, una ragazza con i capelli tinti di viola vestita con un abito gotico nero. – Accompagna i signori al tavolo 10, per favore” le ordinò, e immediatamente il terzetto fu accompagnato ad un tavolino nella stanza attigua.

“Questi sono i menù. – Disse Kelly ai tre porgendo loro le carte, elegantemente rivestite con una sovra-coperta rossa. – Torno tra un paio di minuti per prendere le ordinazioni, intanto se volete posso portarvi da bere”.

“Ci faresti un piacere se ci portassi due bionde, e una bottiglia di acqua naturale” le disse Gustav, che ormai conosceva bene i gusti dei suoi amici. Kelly prese l’ordine e sparì in cucina, per riemergervi poco dopo con in mano le bibite che i ragazzi avevano richiesto, e un piccolo blocchetto prendi appunti su cui scrivere il resto dell’ordinazione: una pizza vegetariana, una ai funghi e una capricciosa.

“Benissimo, se volete altro più tardi basta chiedere” fece ai tre la ragazza, congedandosi temporaneamente con un occhiolino diretto a Gustav. Una decina di minuti più tardi, il lasso di tempo necessario per svuotare una birra e commentare le avance della cameriera, le pizze arrivarono calde e fumanti sul tavolo.

[Tom]

“Concentrati intensamente, pensa a lui” sussurrò Miroir a Tom, mentre poco più in là Billy osservava timoroso la lezione.

“Come se non lo facessi ogni giorno” commentò il ragazzo, poco fiducioso sul buon esito degli insegnamenti.

“Devi volerlo trovare seriamente. Usa l’odio che provi verso di lui, per dar forza al tuo desiderio” consigliò lo spettro al ragazzo.

“Sei sicuro che funzionerà? Lo hai mai fatto tu?” chiese Bill a Miroir, sapeva che la domanda avrebbe irritato lo sconosciuto ma non gli importava.

“Zitto insolente!” lo rimproverò la creatura con il fumo blu che vorticava furiosamente al suo interno, ma questa fu a sua volta ripresa da Tom

“Non parlargli con questo tono!”.

“Sei una strana creatura, figlio del mondo reale, tu che tratti questo fantasma come fosse una persona vera. Gli hai dato perfino una coscienza” disse Miroir guardando storto Bill, il quale gli fece la linguaccia.

“Non sono cose che ti riguardano. Piuttosto, se vuoi che ti dia retta devi mostrarmi che quello che dici sia vero” dichiarò Tom a braccia conserte

“Te l’ho già detto: devi concentrarti intensamente su di lui, e far leva sui tuoi sentimenti” ripetè Miroir.
Tom ci riprovò, pensando intensamente a tutti i momenti trascorsi con Bill e facendo leva sul suo rimorso e il desiderio di vendetta, e a poco a poco gli si aprì davanti un portale. Sulla superficie liquida si rifletteva l’interno di un bagno molto signorile.

“Ci sei riuscito!” esultò Miroir

“Ne sei certo? E’ solo un bagno, lui non lo vedo” osservò Tom.

“Puoi trovarlo attraverso gli specchi dei posti che frequenta. Presto vedrai comparire il suo volto, ne sono sicuro, e allora entrerò io in gioco” affermò la creatura.

[Bill]

“Devo andare un attimo in bagno ragazzi, aspettatemi pure fuori” disse Bill a Georg e Gustav, dopo che ebbero pagato il conto della loro buonissima cena.
Il bagno era un’adeguata continuazione del locale: le stesse pareti rosse, i cubicoli neri laccati e un grande specchio con cornice argentata a motivi arabescati sopra i lavandini. Non c’era nessuno in quel momento, e una volta liberata la vescica Bill si lavò accuratamente le mani col sapone alla lavanda.

“IMPOSTORE” gli disse lo specchio, facendogli prendere un colpo. Aveva riconosciuto quella voce e gli si erano rizzati i peli per la paura.

“Non…non puoi essere tu” sussurrò Bill acquattandosi contro la porta di un cubicolo.

“TRADITORE!” enunciò di nuovo la superficie di vetro (anzi, la creatura al suo interno), da cui poi uscì una mano che, allungandosi, afferrò il braccio del ragazzo con l’intenzione di trascinarlo dentro lo specchio.

“Lasciami” lo implorò Bill lottando contro la presa della mano di cristalli, mentre la distanza tra lui e lo specchio si riduceva; la cosa peggiore era che non poteva urlare per chiamare aiuto, dal momento che nessuno avrebbe potuto vedere la creatura.

“Non è questo il tuo mondo. E’ ora di tornare a casa” continuò la voce dello specchio, ormai la mano di Bill poteva quasi toccarne la superficie.

Preso dalla disperazione con la mano libera il ragazzo sferrò qualche pugno sullo specchio, vicino al punto da cui la mano era fuoriuscita. Colpì una, due, tre volte prima che lo specchio si incrinasse. La mano assalitrice lasciò la presa e si ruppe in mille pezzi che, a contatto con il terreno, sparirono nel nulla. Dopo essersi fasciato la ferita, utilizzando le salviette per asciugarsi le mani e qualche fazzoletto che aveva con sé, Bill uscì di corsa dal bagno tentando di nascondere lo shock appena ricevuto.

“Tutto a posto? Ci hai messo un sacco” gli domandò Georg fuori dalla pizzeria.

“C’era fila, scusatemi” mentì Bill sfoggiando uno dei suoi sorrisi per nascondere la faccia stravolta; nella tasca, tenuta ben nascosta, la mano ferita aveva ripreso a sanguinare. Non avendo alti programmi per quella sera, Georg e Gustav riaccompagnarono l’amico a casa e poi rientrarono anche loro nelle rispettive residenze.

Appena varcata la porta di casa, Bill si rifugiò nel bagno dove, dopo aver accuratamente coperto lo specchio, si sedette per terra, con la schiena appoggiata alla porta (per evitare di sbattere la testa, nel caso fosse svenuto), medicò la mano disinfettando bene la zona prima e bendandola a dovere poi. Non era poi così profonda come sembrava, si trattava solo di alcune escoriazioni e di un paio di frammenti che si erano infilati nelle nocche; non erano necessari i punti.

“Maledizione!” imprecò sbattendo la testa contro la porta, poi sfogò tutta la sua frustrazione in un pianto silenzioso.

[Tom]

“Hai fallito” disse Tom a Miroir dopo aver osservato tutto in prima fila. Accanto a lui Billy osservava la misteriosa creatura con molto timore e diffidenza.
“Era prevedibile: il suo corpo adulto è legato al mondo reale, e poterlo riportare indietro mentre è vigile è quasi impossibile” spiegò Miroir con tono impassibile, per nulla preoccupato.
“E allora che intendi fare? Non mi avrai fatto perdere tutto questo tempo per nulla” chiese Tom infastidito.
“Lo colpiremo nel sonno. – Affermò Miroir. – Ma dovremo farlo nel momento in cui sarà troppo debole per opporre una vera resistenza. Ti ho insegnato a rintracciarlo in ogni luogo, lui lo sa, e presto la sua mente sarà sopraffatta da questo timore. Fidati, quando lo intrappoleremo non potrà più fuggire” e poi lo spettro sparì chissà dove.
“Vuoi davvero fidarti di lui?” domandò Bill, sedendosi a gambe incrociate sul pavimento invisibile della dimensione 0.
“Mi darà la possibilità di tornare a casa, la mia vera casa. – Tom si sedette accanto all’ombra. – Il resto non conta”
“Io non mi fido, non mi fa una bella impressione e poi non credo che faccia tutto questo solo per aiutarti. Secondo me c’è sotto qualcosa” confessò Billy in tono malinconico.
“Hai solo paura che non ci rivedremo più. – Ipotizzò Tom, mal interpretando la tristezza di Bill. – Stai tranquillo, continueremo a vederci e a chiacchierare come sempre”.

 

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Capitolo 3
*** Contatto ***


[Bill]

Non aveva chiuso occhio per tutta la notte, per la paura che il mostro dello specchio potesse tornare a tormentarlo. Da che ne aveva memoria, Miroir era sempre stata una presenza inquietante nella sua vita. Persino dopo che ebbe conosciuto Tom il suo occhio verde era sempre fisso su di loro, su di lui in particolare. Alla fine era scappato per la disperazione e la paura che Miroir potesse usare il suo corpo per fuggire nel mondo reale, e seminare il panico tra la gente, anche se gli era dispiaciuto moltissimo lasciare intrappolato Tom in quel postaccio (anche se, sapeva, Miroir non avrebbe mai potuto alzare un dito su di lui).

“Mi starai odiando a morte, Tom” pensò rigirandosi per l’ennesima volta nel letto, sulle cui lenzuola c’erano alcune macchie di sangue mischiate alle lacrime che aveva versato durante la notte.

Fu una vera sofferenza, dopo il trillo della sveglia, andare davanti allo specchio e osservare, dopo aver tolto la copertura, gli occhi arrossati e le occhiaie. Mettere qualcosa nello stomaco, senza vomitare, fu ancora peggio. Conscio di tutte le domande che gli avrebbero fatto al lavoro, uscì di casa sperando che l’aria pungente del mattino gli desse un’aria meno febbricitante.

“Stai bene? Hai una faccia” gli domandò Ashley, una delle sue colleghe, appena varcata la soglia; la madre di lei era infermiera perciò era perfettamente normale che la ragazza fosse la prima ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava.

“Non ho chiuso occhio, ma sto bene” rispose Bill, non avrebbe mai potuto trovare una scusa accettabile per lo stato in cui era perciò aveva deciso che, almeno questo, poteva raccontarlo.

“Ne sei sicuro? – Insistette la ragazza. – Guarda che, se stai male, ti conviene tornare a casa e riposarti”.

“Ashley, te l’assicuro: sto bene, sono solo un po’ stanco” ribadì Bill prendendo le mani della ragazza tra le sue, dimenticandosi della fasciatura alla mano che attirò subito l’attenzione di lei che subito gli domandò cosa gli fosse successo.

“Sono caduto. – Affermò subito il ragazzo con la prima scusa che gli era venuta in mente. – Ieri sera, per le scale, sono inciampato e ho istintivamente usato la mano come appoggio”.

“E quindi non hai dormito per il dolore” sentenziò Ashley che, alla fine, si arrese anche se promise a Bill che lo avrebbe tenuto d’occhio per tutto il tempo.

Il resto della giornata fu un vero inferno, passato a combattere la sonnolenza e reprimere la voglia di rompere lo specchio del bagno dell’ufficio (tanta era la paura di vedere di nuovo la mano di vetro). Su un fronte almeno aveva il supporto di Ashley e Thomas (un altro collega, fidanzato della ragazza) che, con le loro chiacchiere e la loro apprensione, impedirono alle palpebre di Bill di chiudersi per più di un minuto. Non mangiò nulla per pranzo, nonostante il suo stomaco brontolasse come la risacca in una grotta e il pranzetto della mensa. Il ritorno a casa fu ancora più traumatico, perché il percorso più veloce per rientrare tra le sue quattro mura passava davanti alle vetrine di molti negozi. Una di queste, in particolare, era quella di un antiquariato che aveva esposto, in bella mostra, uno specchio con la cornice d’oro lavorata a volute. Solitamente Bill era abituato a passarci davanti e risistemarsi un po’, ma quel giorno non vi vide riflesso il proprio volto bensì quello di Tom. Era proprio lui, e lo stava guardando dritto negli occhi sorridendo maliziosamente

“Ciao, traditore” lo salutò.

“Lasciami in pace” sibilò Bill a denti stretti, cercando di non farsi vedere da nessuno dei passanti, fingendo di star guardando gli oggetti esposti; ogni suo neurone gli stava gridando di scappare, ma se lo avesse fatto qualcuno lo avrebbe di certo creduto per matto. Restava lì solo per la vetrina che lo divideva dallo specchio.

“Goditi le tue ultime ore che ti restano” lo minacciò il ragazzo nello specchio, dietro di lui Billy osservava tutta la scena.

“Ti ho detto che devi lasciarmi stare!” ripetè Bill prima di tirarsi il cappuccio della felpa sulla testa e di allontanarsi a gran velocità dalla vetrina, e dallo specchio, approfittando di un momento in cui non passava nessuno. Percorse il resto del percorso che lo separava da casa con lo sguardo ben fisso sul marciapiede, scontrandosi anche con un paio di passanti. Poi finalmente rientrò nell’appartamento, con il cuore in gola e il fiato corto.

[Tom]

“Ah ah ah! Hai visto come è scappato con la coda tra le gambe? Peccato però, avrei voluto presentarvi a dovere” domandò Tom al suo giovane inquilino, tra una risata e l’altra; erano seduti sul letto della camera del ragazzo, e davanti a loro lo stesso portale che Tom aveva usato per contattare Bill gli stava riproponendo la scena, come un registratore.

“Direi che l’hai spaventato, e non poco” rispose la piccola copia mentre si sedeva a terra, lasciando però intendere che non era poi così d’accordo con quello che il suo creatore aveva appena fatto.

“Sbaglio, o noto un tono di critica nelle tue parole?” chiese Tom al suo inquilino.

“Nessuna critica, sospetto piuttosto: non so perché, ma sento che c’è qualcosa che non quadra in tutto questo”.

“Naaaah, rilassati. – Suggerì Tom a Billy, accarezzandogli i capelli. – Ti ho già detto che non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti”.

“Tu lasciami il beneficio del dubbio” ribatté seriosa la copia giocando con le frange del tappeto.

“Quanto siamo seri. – Osservò Tom, avvicinandosi al fantasma. – Non riesco a capire perché la cosa ti disturbi tanto; eppure ti ho già detto che non ci separeremo mai veramente”.

“Non ho paura per quello, ma per ciò che potrebbe capitarti se qualcosa non dovesse andare secondo i piani. – Billy si appoggiò a Tom. – Non voglio che ti faccia del male”.

Mosso dalle parole dello spettro, il ragazzo non potè astenersi dall’abbracciarlo e dal dirgli

“Non mi succederà niente, te lo prometto. Neanch’io mi fido ciecamente di Miroir, ma è l’unico che sa come riportarmi a casa e devo fare per forza quello che dice”.

“Questo mi solleva un po’, ma ti tengo d’occhio” affermò Billy prima di saltare addosso al suo creatore.
Lontano da loro, in un altro punto di quel mondo, Miroir osservava i due e meditava.

“Ci siamo quasi, ma devo assolutamente tenere d’occhio quel piccolo fantasma”.


[Bill]
Domani vieni a fare un giro con noi? Ci vediamo davanti all’Hard Rock e passiamo una sana giornata tra uomini”
Gli scrisse Georg la sera stessa, poco dopo le nove; avrebbe potuto inviargli il messaggio anche più tardi perché Bill, già lo sapeva, era sicuro che avrebbe passato un’altra notte insonne (era già stato un miracolo che avesse mangiato).
Va bene, ditemi l’ora e ci sarò”
Rispose senza esitazione.
“Sono un masochista” si disse dopo aver inviato il messaggio: avrebbe trascorso un’intera giornata passando davanti alle vetrine dei negozi e non solo, davanti agli specchi dei camerini e dei bar. Troppe superfici che potevano riflettere la sua immagine, troppe possibilità per Tom di prenderlo alla sprovvista. Qualche minuto più tardi arrivò un altro messaggio di Georg
“Alle 10.00”.
Avrebbe ancora potuto disdire tutto, inventandosi una qualunque scusa o un qualsiasi impegno, e invece
“A domani allora"
Fu la sua risposta.
“Un vero e proprio masochista, ci manca solo che mi faccia sculacciare e ho fatto bingo” si ripetè ridendo, ma solo per non piangere di nuovo.

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Capitolo 4
*** Mano di vetro ***


[Bill]

La notte tra il venerdì e il sabato Bill si concesse tre sole ore di sonno, svegliandosi in tempo per sentire le nuvole iniziare a riversare su Berlino l’acqua che contenevano.

“Oltre il danno, la beffa” pensò, odiava la pioggia e le nuvole che coprivano il bel cielo azzurro. Ogni volta che il tempo era nuvoloso il suo umore ne risentiva, ed era difficile che si sentisse felice. Si alzò dal letto caldo, e di nuovo si costrinse a fare colazione (non voleva svenire davanti a Georg e Gustav) prima di medicarsi la ferita e prepararsi. Tutto questo senza mai sostare per più di cinque minuti davanti a uno degli specchi che aveva in casa.

[Tom]

“Non avremmo potuto prenderlo durante il sonno? – Chiese Tom a Miroir mentre osservava, attraverso uno specchio, il suo rivale prepararsi per uscire. – Si era addormentato”.

“Aveva la guardia troppo alta, e ci sarebbe sfuggito di nuovo. Deve essere allo stremo, te lo ripeto” spiegò Miroir con il classico tono da insegnante.

“Sicuro di sapere quello che fai?” domandò Billy allo spettro.

“Mi sembra di averti già risposto su questo punto, fantoccio”.

“E a me sembra di averti già detto, che non voglio che tu gli parli a quel modo. Sono stato chiaro?” si intromise Tom, a difesa della piccola ombra.

[Bill]

“Accidenti alla maledetta pioggia” si lamentò Gustav, mentre cercava di salvare la sua borsa a tracolla dall’acqua. Lui e Georg si erano accorti subito della fasciatura che Bill aveva la mano, e quando gli chiesero cosa fosse successo il ragazzo gli aveva rifilato la stessa scusa che aveva dato ad Ashley.

“Non dovrebbe durare a lungo. – Disse Georg, che aveva visto le previsioni meteo quella stessa mattina prima di uscire di casa. – Ma, per evitarci il fastidio, potremmo andare da Alexa”.

“Buona idea” esclamò Bill, un po’ a malincuore.

Alexa era un grande centro commerciale in Alexanderplatz, la prima piazza che poteva visitare un turista appena uscito dalla stazione e che offriva la vista della Fernsehturm, della Fontana dell’amicizia e dell’Orologio del mondo; per non parlare poi dell’altro centro commerciale che stava dall’altra parte della piazza (la Galleria Kaufhof), e dei negozi dirimpettai oppure dello spettacolo delle persone che facevano base jumping dalla cima dell’hotel Park Inn by Radisson Alexanderplatz. Il centro commerciale era un ottimo posto dove poter passare una giornata uggiosa come quella: negozi di marche internazionali e filiali di alto profilo, e un piano dedicato alla ristorazione e persino una palestra. Una volta parcheggiata l’auto, e districatisi tra la folla di berlinesi e turisti che oltrepassavano la piazza, i tre entrarono nel lussuoso centro commerciale.

“Orbene, io ve lo dico già ragazzi: passeremo molto tempo da Adidas” affermò con decisione Georg, che non vedeva l’ora di provare la nuova collezione di scarpe e tute della famosa marca.

“L’importante è che ci sia da sedersi, poi ci possiamo stare anche tutta la giornata” ribatté Gustav sorridente. Bill si limitò a sogghignare.

Onde evitare di dover veramente passare l’intera giornata in un solo negozio, prima di passare da Adidas i ragazzi decisero che prima avrebbero fatto un intero giro di perlustrazione; solo una volta finito quello avrebbero aperto il portafoglio. Dopo la tensione iniziale, nella testa di Bill si affermò la convinzione che niente avrebbe dovuto rovinare l’uscita con gli amici, perciò si costrinse a non pensare a Miroir. Non fu poi così difficile perché le continue battute di Gustav, e il comportamento giocoso di Georg, lo aiutarono veramente a distogliere la testa dal pericolo imminente. Così, dopo una fermata obbligatoria in gioielleria, per prendere l’ennesimo anello, si divertì con Georg a fare il modello quando entrarono da Adidas.

[Tom]

“E’ una cosa incredibile: io lo minaccio, e lui si fa un giro con i miei amici. Ha pure il coraggio di divertirsi, e lo sa che lo sto guardando” imprecò Tom facendo avanti e indietro per la stanza. Sul letto, sdraiato con le mani sulla pancia, Billy guardava l’ira del suo creatore.

“Maledetto bastardo! Lo strozzerei se ce l’avessi tra le mani” disse Tom senza smettere di camminare con il passo molto pesante.

“Forse sta solo facendo finta. – Intervenì Billy. – In fondo è con i suoi…i TUOI amici, e loro non sanno nulla”.

“Se sta fingendo è un ottimo attore. Non vedo l’ora di poterlo affrontare faccia a faccia”

“Non finché lui non cederà” gli ricordò la copia, questo fece venire un’idea a Tom

“Allora premerò sull’acceleratore”.

[Bill]

“E’ proprio vero, quello che dicono: fare shopping stanca” osservò Georg, seduto con gli altri ad uno dei tavolini del piano ristorazione. Dopo una lunga tornata di compere, avevano deciso di mangiare una cosa veloce al McDonald e ora stavano riprendendo le forze al loro tavolo.

“Sicuro di non essere stanco per la vecchiaia?” scherzò Bill, era la sua prima e vera battuta della giornata.

“Finalmente riconosco la tua lingua. Pensavo che te l’avesse morsa un gatto” ribatté Gustav contento.

“Sai che sono meteo-patico, e mi ci vuole un po’ per carburare” rispose sorridente Bill mentre giocava con la cannuccia dell’aranciata. Avrebbe continuato a sorridere, se non avesse visto il riflesso di Tom, non il suo, nello specchio della colonna accanto. Di nuovo gli tornarono i brividi, e il cuore riprese a battere velocemente.

“Qualcosa non va, Tom?” gli domandò Gustav, dovette ripeterlo un paio di volte perché Bill era così terrorizzato da quel riflesso che si era completamente estraniato dal mondo.

“Tutto bene, grazie” girò un istante la testa, per rispondere all’amico, poi riportò lo sguardo sullo specchio: Tom non c’era più.

“Che ne dite se andiamo al Kaufhof? Sono stufo di stare seduto qua” propose Georg, seguito a ruota da Gustav. Bill non potè dire di no.

Oltrepassata la moltitudine di gente che stava nella piazza, i ragazzi entrarono dalla porta che dava sul piano dedicato alla profumeria, alla gioielleria e, un poco più in là, alla gastronomia. Salite le scale mobili, il trio giunse sul piano dedicato all’uomo dove, era naturale, c’erano molti specchi.

“Come mi sta?” domandò Gustav riferendosi alla giacca da smoking blu scuro che stava provando: di lì a qualche mese ci sarebbe stato il matrimonio della sorella e lui avrebbe fatto il testimone.

“Il modello non è male, ma il colore non mi convince molto” affermò Georg, che avrebbe preferito il grigio o il nero. Bill non disse niente perché il suo sguardo era stato rapito dal riflesso nello specchio: Tom era tornato a sostituirsi alla sua immagine, e lo stava sfidando con lo sguardo.

“Ehi, Tom. – Gustav gli schioccò le dita davanti agli occhi, per risvegliarlo dall’incantesimo in cui era caduto. – Torna con noi”.

“C…come? – Bill si accorse che l’amico stava aspettando una risposta. – Ah, sì ha ragione Georg” rispose, ma Georg e Gustav capirono subito che non aveva neanche visto la giacca.

“Che hai? E’ da prima che hai una faccia da morto. Sei sicuro di stare bene? Ti fa male la mano, per caso?” domandò il moro

“N…no, non è questo. – Rispose Bill, con lo sguardo perso negli occhi del rivale, senza accorgersi che il suo respiro era pericolosamente accelerato. – Devo solo andare un attimo in bagno” ma non appena si fu alzato, dopo aver dato un ultimo sguardo a Tom, la testa iniziò a girargli e le gambe gli cedettero. Il suo corpo perse ogni singolo grammo di energia che era rimasta, e immediatamente Georg e Gustav accorsero per impedirgli di sbattere la testa per terra.

“Tu stai bene come un pesce in una padella bollente. – Commentò Georg mentre rimetteva l’amico sul pouf. – E’ meglio che ti riportiamo a casa”.

“NO! – Ribatté deciso Bill. – Sto bene, devo solo riprendermi un attimo”

“Prova a dire un’altra volta che stai bene, e ti giuro che ti do un pugno” affermò Gustav mimando pure il gesto.

Usciti di tutta fretta dal Kaufhof, Georg e Gustav accompagnarono l’amico fin dentro casa; lo fecero sdraiare sul divano e gli portarono un bicchiere di acqua e zucchero.

“A piccoli sorsi” si raccomandò il moro sedendosi.

“Grazie. – Bill bevve un sorso. – Ma sto bene, ora: è stato un calo di pressione” si giustificò.

“O un attacco di nervi? – Replicò Gustav. – E’ da stamani che hai gli occhi arrossati, per non parlare del fatto che per ben due volte ti ho sentito respirare troppo velocemente”.

“Bhè…in effetti è un paio di giorni che non dormo, credo di essere un po’ stressato” confessò Bill bevendo un altro sorso d’acqua, l’ultimo.

“Ecco svelato l’arcano! – Esclamò Georg prendendo il bicchiere vuoto. – E quanto pensavi di poter continuare? Non sei un vampiro”.

“Avresti dovuto dircelo immediatamente: avremmo trovato una soluzione” aggiunse Gustav di rimprovero.

“Mi dispiace, non pensavo di arrivare a questi punti. Non vi ho detto niente perché speravo, con oggi, di rilassarmi un pò” mentì Bill, solo per evitare di dare un dispiacere agli amici.

“Lo spero. – Si augurò il moro. – Tu però stasera ti riposi, e DORMI! Se non ti riesce, ci chiami subito e si chiama d’urgenza un medico. Non mi interessa se è domenica!”

“Giusto! In un modo o nell’altro tornerai ad essere il bell’addormentato” aggiunse Gustav.

[Tom]

“Visto? Bastava solo una piccola spinta” disse Tom a Billy, tronfio per quello che era riuscito a fare, ma a rispondergli fu Miroir e non la piccola copia

“Sì, sei stato bravo”.

“Che dici? Ora è abbastanza stremato perché tu lo possa riportare qui, da me? Sai, non vedo l’ora di dirgliene quattro prima di tornare a casa” domandò il ragazzo all’essere di vetro.

“Penso…che potremmo provare. Dobbiamo solo aspettare il momento giusto” rispose Miroir, preparandosi per la sera.

[Bill]

Nonostante gli avvertimenti degli amici, quella notte Bill provò a restare nuovamente sveglio, guardandosi un intera maratone di una serie tv poliziesca, ma per quanto ci provasse le palpebre gli ricadevano sempre sugli occhi perciò dovette arrendersi al fatto che il suo corpo necessitava di sonno. Assicuratosi che ogni specchio fosse completamente coperto, si ritirò in camera da letto dove il sonno gli cadde addosso non appena ebbe appoggiato la testa sul morbido cuscino. A fargli compagnia il rintocco dell’orologio e la pioggia che aveva ricominciato a cadere.

L’inizio della tragedia.

Una mano di vetro trasparente e blu, la mano di Miroir, uscì dallo specchio del bagno rompendo la carta che la copriva. Allungandosi, serpeggiò fino alla camera di Bill dove il ragazzo dormiva completamente rapito dal dio del sonno, e gli afferrò con forza la mano che era rimasta fuori dalle coperte. Svegliatosi di soprassalto, il ragazzo cercò di nuovo di fare resistenza, ma il corpo e la mente erano troppo esausti per offrire una reale opposizione. Mentre percorreva quei pochi metri che avrebbero messo fine alla sua felicità, sentì nelle orecchie la terribile risata di Miroir; prima che la sua pelle toccasse la superficie viscosa dello specchio, attraversandola.

Ci fu una luce accecante, e poi il nulla.

Quando la vista tornò a fuoco, i suoi occhi videro un vuoto tutto nero, illuminato da una luce sconosciuta, e le sbarre di una gabbia. Di un’altra cosa si accorse, ossia di essere tornato bambino e di non riuscire a cambiare aspetto né di far sparire la prigione.

“Ti piace la tua nuova casa?” si sentì domandare. Era Tom, e accanto a lui la sua copia che lo guardava incuriosito.

“Un po’ freddo. - Replicò il ragazzo scorbutico. – E quello?” domandò indicando l’altro con la testa.

“Ti piace? Io lo chiamo Billy, ed è stato la mia unica compagnia per tutti questi anni” rispose Tom, stringendo a sé lo spettro.

“Ti mancavo così tanto?” chiese Bill

“Tu mi hai rovinato la vita! Mi hai ingannato, usato e gettato via come un pezzo di carta straccia. Io ti consideravo un fratello, e tu mi hai fatto questo! – Affermò Tom. – TI ODIO”.

“Non mi sembra che te la sia cavata tanto male, a vedere questo sgorbietto” replicò Bill ad alta voce.

“Ho dovuto farlo per sopravvivere, per non impazzire! Tu invece te ne sei andato in giro a vivere la MIA vita. Sei un essere spregevole”

“E allora perché non mi hai ucciso subito? Perché ti sei limitato a farmi tornare bambino? Non ne hai avuto il fegato” dichiarò il prigioniero.

“Volevo guardarti in faccia e farti sapere quello che provo per te”

“Solo questo? Potevi mandarmi una lettera”.

“Bastardo schifoso. -  Tom si avventò contro la gabbia. – Marcirai qua dentro, e mi vedrai mentre mi riprendo la mia vita. Voglio che tu soffra come mai prima d’ora”.

“E ALLORA VAI! VAI E FAMMI VEDERE! Non star qua a fare uno stupido monologo” gridò Bill.

“Tranquillo, ora me ne vado. Posso, Miroir?” domandò il ragazzo alla creatura, che per tutto il tempo era rimasta nel buio ad osservare. D’istinto il prigioniero si acquattò contro la gabbia.

“Adesso sì, e se vuoi vedere il tuo piccolo spettro basterà che lo chiami allo specchio. Ti avverto: il tuo aspetto sarà quello che aveva lui nel mondo reale. Per quanto riguarda il resto, saranno i suoi ricordi a dirti quello che devi fare” rispose la creatura aprendo il portale che dava sul mondo reale.

“Grazie per l’aiuto. – Disse Tom, che poi si rivolse a Billy. – Parleremo ogni volta che potrò, te lo prometto. Tu pensa solo a tenermi d’occhio il traditore”.

“Lo farò, conta pure su di me” promise Billy.

Confortato dalle parole del piccolo spettro, Tom attraversò in tutta sicurezza il portale che si richiuse dietro alle sue spalle.

“Puoi anche andare, per il momento. – Disse Miroir a Billy. – Vorrei parlare, da solo, con il nostro ospite”.

“Come desideri” obbedì accondiscendente la copia, in fondo Tom non gli aveva detto di non lasciare Bill solo con Miroir.

Quando se ne fu andato, l’essere fece sparire la gabbia che teneva prigioniero il ragazzo

“Ora che siamo soli, possiamo iniziare a pareggiare i conti”.
 

​Nota autrice: Bhe? Che cose ne pensate, per il momento? Onestamente mi preoccupa un pò non aver ancora ricevuto nessuna recensione. Che sia poi positiva o negativa, non ha importanza. Prossimo aggiornamento a breve.

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Capitolo 5
*** Di nuovo Tom ***


[Tom]

Quando finalmente si svegliò dopo il suo ritorno al mondo reale, i ricordi di Bill lo assalirono come un maremoto costringendolo a sedersi sul pavimento di quella che, ora lo sapeva, era l’attuale casa del suo alter ego. Come già gli aveva accennato Miroir, il suo aspetto era quello che aveva assunto Bill, anche se gli dava una strana sensazione vedersi coi capelli tagliati a quel modo, e i vestiti che non avrebbe mai scelto. Il prezzo della libertà.

“Chissà che giorno è?” si chiese, dal momento che lo scorrere del tempo nel mondo dello specchio, in ogni modo, era diverso da quello del mondo reale.
Si diresse al calendario, uno di quelli piccoli da usare come soprammobile, dove potè constatare che era Settembre. Ma questo non gli diceva niente sul giorno.

Domenica.

Gli suggerì una vocina nella testa, domenica 30 Settembre per essere precisi.

“Domenica, eh? Bhè almeno ho un giorno per potermi ambientare” si disse dandosi un’occhiata intorno. Dovette ammettere che era un bell’appartamento, oltre ad essere ben arredato,

Bzz, bzz fece il cellulare sul comodino della camera. Lo prese in mano, era uno smartphone nero con cover universale a libro color rosso, e vide sul display che era arrivato un messaggio. Per poterlo sbloccare serviva conoscere la password.
0483

Velocemente il dito compose il numero, e il cellulare aprì il suo scrigno dei tesori.
Come stai, hai dormito?”
gli aveva scritto Georg sul gruppo whatsapp, e immediatamente nella mente di Tom si materializzò il ricordo di quello che era accaduto il pomeriggio precedente, tra quella stesse mura.
Ha funzionato la strigliata?”
 aggiunse Gustav, anche lui in linea.
“Mi sono svegliato un paio di volte, ma posso dire di aver dormito
 
 scrisse Tom, aggiungendo l’emoji che dormiva.
“Queste sono belle notizie! Ora vedi di riposare

Si raccomandò Georg, e Gustav a seguire
“Ha ragione. Se non ti riposi la prossima volta che ci vedremo farai scappare le ragazze con la tua brutta faccia xD”.
 
“Tranquilli, mi farò bello bello”
Rispose Tom prima di salutare gli amici. Il mondo esterno lo aspettava.

Il resto della giornata lo passò a girare per Berlino, proprio la città in cui sognava di lavorare sin da quando era piccolo. Camminando per le strade il ragazzo constatò, nonostante non avesse mai visitato la città prima, di conoscere a memoria ogni singolo angolino. Con i suoi occhi vide anche i posti che aveva frequentato Bill: i negozi,i bar, perfino le panchine. Già, le panchine, proprio come quelle su cui Billy lo aspettava sempre nell’altro mondo.

“Billy” pensò in un improvviso moto di nostalgia, avrebbe voluto chiamarlo appena rientrato in casa tuttavia quando rientrò nell’appartamento erano già passate le undici di sera e, nonostante Billy fosse un’ombra, a Tom era sembrato maleducato svegliarlo.

L’indomani il ragazzo si recò al lavoro, raggiungendolo con estrema facilità grazie ai ricordi di Bill. Sempre grazie a quelli, la sua mente visualizzò tutto quello che avrebbe dovuto fare per svolgere il suo compito.
“Per fortuna” pensò mentre le sue dita scorrevano veloci sulla tastiera del pc.

“Vedo che sei in forma oggi” gli disse una ragazza

“Ciao…Ashley. – La salutò usando il nome che gli aveva suggerito la testa. – Si, ora sto molto meglio: ho approfittato del weekend per riposarmi”.

“E la mano, come va?” gli chiese la ragazza, ricordando a Tom dell’unico elemento che aveva trascurato sin dal momento in cui era tornato.

“Ormai è quasi guarita. – Rispose il ragazzo in automatico, percependo in quel momento il lieve pizzicore. – Non devo neanche più bendarla” aggiunse mostrando la mano sulla quale, in effetti, quasi non si notavano più i segni che gli avevano lasciato i frammenti di vetro.

“Sono proprio contenta! Mi raccomando però: stai più attento una prossima volta” lo ammonì lei prima di tornare al suo posto di lavoro.

Poi fu la volta del cellulare, che vibrò forte nella tasca dei pantaloni facendolo quasi trasalire (non era più abituato ad avere un cellulare): era un messaggio da parte di Gustav, che gli chiedeva se per quella sera aveva voglia di cenare con loro. La risposta affermativa del ragazzo, con tanto di tre emoji felici, arrivò subito dopo.

“Ti vedo proprio bene! – Affermò Georg quando Tom uscì dal lavoro. – Non si direbbe che hai passato due notti in bianco”.

“Questo perché non sono stato io, quello che non ha dormito” pensò il ragazzo, prima di rispondere che aveva usato tutta la domenica per ricaricare appieno le batterie.

“E menomale: non avrei sopportato di vederti ancora con quel muso” disse Gustav, mentre si avviavano.

Per il resto della serata, passata in un elegante ristorante, Tom si prese ogni singolo momento di silenzio tra sé e i suoi amici per osservarli a dovere: erano cambiati molto, come del resto lo era lui (anzi, Bill), ma ancora preservavano lo spirito che li aveva fatto avvicinare a loro. Al termine di tutto, dopo una buonissima cena a base di pesce, il ragazzo rientrò a casa. Erano già le nove e mezza, ma dal momento che era troppo felice per finire la giornata sul divano, andò diretto in camera e invocò il nome di Billy davanti allo specchio nuovo, comprato il giorno prima.

“Ciao! – Lo salutò la copia apparendo sulla superficie, i suoi occhi brillavano di felicità. – Era ora che mi chiamassi, qui è una noia senza di te”.

“Ti avevo promesso che saremmo rimasti sempre in contatto. Mi spiace di non averti chiamato già ieri, ma sono rientrato troppo tardi e non volevo svegliarti” si giustificò Tom.

“Sono uno spettro, non ha importanza se dormo o no! – Lo criticò Billy. – Dai dimmi com’è il mondo di fuori”.
Su richiesta di Billy, Tom fece un resoconto preciso di quelle 48 ore che erano appena passate: raccontò di Berlino, descrivendola in ogni suo anfratto; del lavoro, e delle persone che erano con lui; di Georg e Gustav, decantandoli come non aveva mai fatto con nessun altro.

“Oh, ci sono tante cose da fare nel tuo mondo. Mi piacerebbe vederle, qualche volta” desiderò Billy, pur sapendo che non avrebbe mai potuto.

“Troverò il modo, vedrai. – Promise Tom, pensando che magari avrebbe potuto prendere uno specchietto da viaggio e portarlo con sé. Poi decise di chiedere di Bill. – Come sta il nostro prigioniero?”.

“In realtà, non lo so: da quando te ne sei andato, Miroir ha detto di voler restare solo con lui e ancora non ha lasciato quella dimensione” confessò la piccola copia, con un po’ di vergogna per paura che il suo creatore si arrabbiasse.

“Davvero? Strano. – Disse il ragazzo, ma vedendo l’imbarazzo dell’amico cercò subito di rassicurarlo. – Non preoccuparti, non è poi così importante. Se Miroir vuole restare da solo con lui, lascialo fare. Solo, per favore, quando è da solo dacci un’occhiata”.
“Ci proverò, ma non ti garantisco nulla”

“Grazie, ma stai attento a non metterti nei guai. Non voglio che tu abbia dei problemi solo perché ti ho chiesto di vedere il traditore” si raccomandò Tom, prima di dare la buonanotte a Billy.

[Billy]

“Sarà davvero un problema, se quello non si decide a lasciar da solo Bill” pensò la piccola copia mentre si dirigeva verso la camera del suo creatore. In teoria, con la partenza del suo occupante, era una dimensione inutile e Miroir aveva suggerito di cancellarla però la piccola copia aveva insistito per poterla usare come propria stanza privata. Alla fine era stato accontentato. Fu mentre stava oltrepassando il portale che dava sulla stanza, che con la coda dell’occhio vide la strana figura di Miroir lasciare la dimensione in cui era rinchiuso Bill. Grato dell’occasione, il ragazzino sgattaiolò nel portale.

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Capitolo 6
*** Veritas ***


[Billy]

“M…ma tu, tu chi sei?” chiese Billy all’abitante della gabbia, perché la persona che ora stava nella prigione non era la stessa che aveva visto due giorni prima. Era una creatura umanoide molto simile a Miroir, certamente più grande del Bill adolescente che aveva conosciuto, con il corpo in puro cristallo iridescente. Peccato che quella pietra preziosa fosse incrinata in più punti.

“Non mi riconosci? – Chiese la creatura. – Sono la stessa persona che hai conosciuto due giorni fa” la sua voce risuonò famigliare al piccolo spettro.

“Bill? – Esclamò Billy avvicinandosi alle sbarre della prigione. – Com’è possibile?”.

“Questo è il mio vero volto, a parte le crepe: queste sono ciò che resta del bentornato di Miroir” spiegò Bill sedendosi davanti alla sua copia.

“Ti ha picchiato così forte? Questo non era assolutamente nei patti!” ricordò Billy adirandosi un poco.

“Si è vendicato per quello che gli ho combinato, qualche anno fa. Voleva solo questo”.

“Cosa avresti fatto, scusa?” domandò lo spettro.

“Sono scappato da qui, e ho rovinato tutti i piani che aveva progettato per seminare il terrore nel mondo. Ha aiutato Tom solo per arrivare a me. Mi dispiace, veramente tanto, per aver messo nei guai il nostro comune amico ma ho dovuto farlo. So già quello che mi succederà, che morirò, ma in fondo me lo merito” raccontò Bill.

“Perché dici questo, sacrificare la tua vita per lui?” chiese la copia, ora molto preoccupata.

“Perché l’ho sempre considerato come un fratello. E’ stato lui a darmi il nome, l’unico che abbia mai avuto, e non ha avuto paura di me quando mi sono mostrato. Gli ho fatto un torto, e ora devo pagare”.

“Devo informare Tom! Lui deve sapere” dichiarò Billy, già con i piedi rivolti verso l’uscita. Bill lo fermò subito, trattenendolo per la giacca

“Lascialo fuori da questa storia. – Gli disse. – Lui non deve sapere più niente di me” il suo tono era severo e gli occhi di vetro imploranti.

“Vuoi davvero finire così? Se, come dici, hai fatto tutto questo solo per fermare Miroir lui deve sapere. Ti sta odiando per un’ingiustizia” replicò la copia.

“Promettimi che lui non saprà niente. GIURA!” ordinò Bill. Il piccolo spettro annuì, anche se nella sua immaginazione stava incrociando le dita.

“Ora devo andare. – Affermò, cosicché il prigioniero lasciasse la sua giacca. – Verrò a trovarti spesso, e mi racconterai del mondo esterno” promise prima di andarsene.

“Spero che Tom non ti abbia fatto troppo simile a me. – Pensò Bill nella solitudine della sua prigione. – O temo che non ci rivedremo mai più”.

[Tom]

“SVEGLIATI TOM! Devo assolutamente farti vedere una cosa” gridò Billy bussando da dietro la superficie di vetro dello specchio, con tanta forza che quasi sembrava volerlo rompere.

“Che c’è?” domandò Tom svegliandosi con gli occhi pesanti, un po’ irritato per essere stato destato in piena notte.

“Devi assolutamente vedere una cosa” ripetè il piccolo fantasma, scalpitando e guardandosi attorno allo stesso tempo.

Senza accendere la luce della camera, e rischiando di inciampare un paio di volte sulle proprie scarpe, Tom si avvicinò allo specchio

“Cosa vuoi farmi vedere, con così tanta urgenza?” chiese.

“Lo spirito che ti ha aiutato a tornare a casa, non è quello che sembra. Lo ha fatto solo perché voleva vendicarsi di Bill” dichiarò il piccolo spettro, stando ben attento a non parlare a voce troppo alta.

“E allora? Gli sta bene. – Rispose Tom di botto. – Adesso ognuno sta dove deve stare”.

“Forse cambierai idea, quando ti farò vedere cosa gli ha fatto” affermò Billy poco prima di scostarsi leggermente e far apparire, sulla superficie dello specchio, la figura rinchiusa nella dimensione prigione.

Tom si aspettava di vedere il corpo del rivale riverso sul pavimento, in lacrime, e invece c’era una strana creatura umanoide con la pelle di cristallo e senza caratteristiche fisionomiche; senza alcun pelo superfluo (non aveva neanche i capelli), e senza dei veri occhi, assomigliava moltissimo ad una bambola su cui ancora non erano stati dipinti i tratti facciali. Sembrava appartenesse alla stessa specie di Miroir.

“E chi sarebbe quello? Non è Bill” esclamò Tom, non riconoscendo l’ex amico in quella figura addormentata.

“E’ proprio lui, invece. – Lo contraddì il ragazzino nello specchio. – Ha ripreso la sua forma originaria dopo che Miroir lo ha picchiato a sangue. Tu non puoi vederlo, da lì, ma ha molte crepe sul corpo. Vuole ucciderlo”.

Tom represse lo stupore, e cercò di non dare peso alla stretta allo stomaco che lo aveva assalito

“Cosa vuoi che me ne importi?” dichiarò facendo l’indifferente, anche se sentiva che si stava preoccupando per il prigioniero-

“Io non posso far niente, per aiutarlo, ma tu puoi” continuò Billy, mentre nella piccola immagine della prigione Tom potè vedere la creatura che si ridestava.

“Anche se fosse veramente lui, perché dovrei aiutarlo? Per quale motivo dovrei andare in soccorso di una persona che mi ha imprigionato?” chiese Tom adirato, anche se la preoccupazione non era del tutto sparita.

“Non lo avrebbe mai fatto, se non fosse stato costretto. – Affermò Billy, cercando di far capire che c’era ben altro dietro quello che stava dicendo, anche se non poteva parlarne apertamente. – E poi…so che tu gli hai voluto bene, come un fratello, e lo stesso vale per lui”.

“Che stai facendo? – Esclamò la creatura di vetro, accortasi di essere osservata. – Sei impazzito? Ti ucciderà”.

Un rumore di passi, non troppo lontano, fece scuotere il mondo dello specchio e Billy interruppe il collegamento con Tom, che tornò a vedere la sua sola immagine riflessa.

[Billy]

“Sapevo che ci avresti provato. – Affermò Miroir entrando nella camera di Billy. – Aspettavo solo il momento buono”.

“Lo hai ingannato! Doveva sapere” lo accusò il giovane, puntandogli il dito contro.

“Moccioso impiccione. – Miroir afferrò Billy per il collo. – Ormai è troppo tardi”.

“Lasciami! Se io muoio…” balbettò la piccola copia con la poca aria che aveva nei polmoni.

“Cosa succederà? Il tuo creatore non può più fa nulla, per fermarmi. Non avrebbe mai potuto far nulla” affermò Miroir, stringendo sempre più la presa sul collo del piccolo fantasma. La sua mano era così forte che gli bastarono pochi istanti, per ucciderlo, e il corpo di Billy si frantumò in una miriade di pezzi di vetro.

[Bill]

“Proprio quello che temevo” sussurrò Bill dopo aver assistito, dalla sua prigione, alla morte della sua copia.

“EHI TU! – Tuonò Miroir apparendo all’interno della cella. – Ti sei fatto aiutare dalla tua copia, eh? Volevi chiamare il tuo amichetto” i suoi occhi verdi erano rossi di rabbia.

“Ha fatto tutto da solo. – Dichiarò Bill rintanandosi nell’angolino della sua prigione. – Ma stai tranquillo, lui non verrà: mi odia” rispose con una punta di soddisfazione, e per questo venne ripagato con uno schiaffo in faccia che lo fece stramazzare a terra.

“Anche se venisse, sarebbe solo una mosca in più da schiacciare”.

“E a che servirebbe? – Chiese Bill senza alzarsi, per evitare un nuovo attacco. – Sono qui adesso, no? Puoi uccidermi nel modo che ti piace di più”.

“Ucciderti e basta, non mi darebbe alcuna soddisfazione. – Affermò Miroir, fuoriuscendo dalla cella proprio come un fantasma. – Voglio vederti mentre ti distruggi nel vedere la mia opera. Anche se non posso usare te, ci saranno altri sciocchi da sfruttare”.

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Capitolo 7
*** Credendo vides ***


[Tom]

“Billy? – Aveva chiamato Tom quando si era interrotto il collegamento. – Dove sei?”. Nessuno gli aveva risposto.

Una volta constatato che, per quella sera, la loro chiacchierata poteva dirsi conclusa, Tom ritornò sotto al caldo tepore della sua coperta. Quella che seguì, tuttavia, non fu una piacevole dormita: il ragazzo si rigirò più volte nel letto, combattendo tra il pensiero che fosse successo qualcosa all’amico e quello che, invece, gli diceva che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Infine arrivò il nuovo giorno, che lo salutò facendo capolino dalle tende con i suoi giovani e flebili raggi.

Uscito dalle coperte, il ragazzo provò nuovamente a chiamare il piccolo amico che, però, non si presentò. Tentò allora di chiamare Miroir, la cui immagine occupò la superficie visibile dello specchio. A lui chiese dove fosse Billy e, soprattutto, se stesse bene.

“Sta dormendo, nella tua stanza. – Dichiarò lo spettro di fumo blu. – Ieri sera, dopo la vostra chiacchierata, ha parlato molto con il nostro prigioniero. Era molto stanco, quando l’ho mandato a dormire” era molto tranquillo, senza il minimo segnale di nervosismo.

“Bene, grazie per il pensiero. – Lo ringraziò Tom, prima di domandargli un’altra cosa. – C’è qualcosa che devi dirmi, a proposito di Bill?”.

“Assolutamente niente: è tutto come dovrebbe essere” rispose Miroir, prima di sparire nel nulla senza nemmeno salutare.

Per nulla rincuorato da ciò che gli era stato detto, Tom si recò al lavoro. Non fu una giornata piacevole, dal momento che il suo pensiero era rivolto ad altri mondi. Rifiutò persino un invito a cena da parte di Georg e Gustav, per potersi precipitare a casa il prima possibile dopo essersi inventato una scusa per staccare prima.

“BILLY! BILLY! Rispondi. - Chiamò a gran voce sin dall’entrata, ma del piccolo spettro nemmeno l’ombra. – Fammi vedere che ci sei, ti prego”.

Niente.

Conscio del fatto che sarebbe stato inutile chiamare nuovamente Miroir, Tom decise di punto in bianco di attraversare nuovamente lo specchio e rientrare nel luogo da dove era venuto. Sembrava che non fosse cambiato nulla dal giorno della sua partenza, ad eccezione di un piccolo portale di nuova creazione. Trascurato quel nuovo elemento, Tom puntò come una lancia alla sua vecchia camera. L’orribile visione che lo colse gli vece venire i conati di vomito: il corpo di Billy, completamente ridotto in pezzi, era riverso a terra in una posizione innaturale; i frammenti più piccoli del suo corpicino erano sparsi dappertutto. La testa, l’unico elemento che Miroir aveva ricomposto, era appoggiata sul cuscino con lo sguardo verso l’entrata.

“B…Billy” piagnucolò il ragazzo avvicinandosi, non riusciva a dire altre parole a quegli occhi vitrei.

Atterrito da quella vista, Tom ricompose sul letto (come meglio potè) il corpo del suo giovane amico. Poi, con grande rammarico, lasciò quella tomba e ne cancellò l’entrata. Solo una cosa restava da fare: indagare sulla sua morte ingiusta.
Incurante del fatto che Miroir ancora non si era visto, Tom varcò la soglia del nuovo portale trovandovi dentro la creatura che Billy gli aveva mostrato. Lo trovò rinchiuso in una cella, senza pareti né soffitto, con sbarre di cui non si vedeva l’inizio né la fine, e con il corpo tutto incrinato. Quando i loro sguardi si incrociarono, la creatura lo guardò con un misto di sorpresa e paura.

“Che ci fai qui? – Domandò il prigioniero. - Miroir ti ha detto che potevi divertirti anche tu?”.

“Sei veramente tu, Bill?” chiese Tom accucciandosi, senza curarsi della domanda cui non aveva dato risposta.

“Ancora non ci credi? – Bill avvicinò il proprio viso, che tanto somigliava a una maschera da tragedia greca, alle sbarre. – Eppure mi sembra che la mia copia ci avesse presentati. A proposito, hai visto i suoi resti?”.

“Appena sono entrato, povera creatura. Però, ancora, non capisco il perché…” disse Tom.

“Perché quando sono scappato, ho infranto i piani di Miroir. A causa del mio legame con te, qualcuno del mondo reale, avevo la possibilità di uscire da qui. Lui avrebbe voluto impossessarsi del mio corpo, e prendere il mio posto, ma a uno come lui non dovrebbe nemmeno essere permesso di esistere. Sono fuggito, per paura si, e mi dispiace di averti lasciato in questo pasticcio. L’unica consolazione che avevo, era la consapevolezza che non avrebbe potuto farti del male” spiegò Bill, con il volto tra due sbarre e gli occhi di vetro che esprimevano una profonda sincerità.

“Non mi sembrava che ti preoccupassi per me, l’ultima volta che ci siamo parlati” osservò Tom, ricordando i toni di conflitto che avevano usato entrambi l’ultima volta.

“Volevo solo assicurarmi che tu ti scordassi di me, e che vivessi veramente felice” affermò la creatura di vetro.
Dopo anni, Tom sentì di potersi fidare nuovamente dell’amico, e riconobbe che l’averlo imprigionato era stata un’azione ingiusta. Si alzò, e con un pensiero fece sparire le sbarre.

“Cosa fai?” domandò Bill, restando in ginocchio.

“Voglio fidarmi di te. Voglio credere che hai fatto tutto questo per un fine superiore. Voglio fidarmi dell’amico che avevo anni fa. – Affermò Tom, avanzando una mano per sollecitare l’ex prigioniero ad alzarsi. – E’ ora che faccia un bel discorsetto con Miroir, ma tu di sicuro non devi restare qui un secondo di più”.

“M…ma” tentò di ribattere Bill, ma l’improvvisa comparsa di una nube blu lo costrinse a chiudere la bocca.

Entrambi chiusero gli occhi, che già avevano iniziato a lacrimare.

“Non saresti dovuto tornare!” tuonò la voce di Miroir.

 
​Nota autrice: dato che nel prossimo capitolo, l'ultimo, i ragazzi saranno insieme non scriverò da quale punto di vista stiamo vivendo il racconto. Perdonatemi della "cortezza" del capitolo, ma l'ho fatto per poter raccogliere tutti gli eventi importanti senza dover pensare a come interromperli. Alla prossima!

 

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Capitolo 8
*** House of Mirrors ***


“Mi hai ingannato!” affermò Tom, puntando l’indice destro, dritto come un fuso, contro Miroir.

“Non mi sembra che fossi tenuto a dirti quali fossero le mie ragioni” rispose semplicemente lo spettro di vetro; al suo interno la nube bluastra aveva assunto un’insolita sfumatura rosso-viola, che si mostrava in piccoli lampi.

“Invece si, visto quello che sono venuto a sapere” replicò Tom.

“Lascialo andare. – S’intromise Bill, interponendosi tra l’amico e il nemico. – Volevi me, e ora sono qui”.

“Non posso farlo: ha firmato la sua condanna quando ha rimesso piede qua dentro” ribatté lo spettro, nella cui mano si stava materializzando una sfera di cristallo.

Percependo il pericolo imminente Bill si voltò verso Tom, lo abbracciò e gli sussurrò all’orecchio di pensare al cielo. In seguito ali di vetro comparvero sulla sua schiena, ed entrambi si librarono in aria in un cielo che, poco alla volta, si formava dinanzi a loro sostituendo il vuoto.
“C…com’è?” balbettò Tom mentre si teneva ben stretto all’angelo di cristallo.

“Non ho più controllo su questo posto, ma se mi concentro bene posso ancora modificare il mio corpo. E’ un grosso dispendio di energie, ma non ho avuto altre idee” spiegò Bill sbattendo con forza le sue ali, per andare il più veloce possibile.

Kyaaaaaaah.

Le nuvole sotto di loro tuonarono, e poi si aprirono sputando una sfera che esplose in una miriade di frammenti non lontano dal duo. Alcuni spilli colpirono le ali di Bill, frantumandole, e i ragazzi precipitarono nel vuoto. Prontamente Tom fece comparire il caldo mare in cui caddero e, subito dopo, l’asciutta terraferma (sebbene fosse solo uno scoglio immerso nel vuoto, e non la spiaggia morbida che il ragazzo si era immaginato). Per Tom la caduta aveva comportato solo un temporaneo disorientamento; Bill invece ne era uscito fortemente provato (le incrinature si erano infittite) e non riusciva ad alzarsi.

“Come stai? – Chiese Tom all’amico. – Dimmi qualcosa!”

“Scappa! Esci da qui e rompi lo specchio” sussurrò Bill nel frattempo che l’altro lo aiutava a sedersi.

“Non ti lascio qui, da solo, un’altra volta” replicò immediatamente Tom.

“Piantatela con questi discorsetti. – Li interruppe Miroir, atterrando con la gigantesca forma di un orribile spettro la cui parte superiore era uno scheletro, coperto da un mantello in cui si intravedevano molti volti. – Mi state facendo venire il voltastomaco”.

“Perché?” gli domandò Tom, cercando di prendersi il tempo necessario a trovare un modo per uscire da quella situazione.

“Perché lui era l’unico a poter uscire da qui” rispose Miroir riprendendo la forma umanoide.

“Che vuoi dire?” balbettò Bill, tanto stanco da doversi sorreggere all’amico per restare in piedi.

“Tantissimi anni fa eri proprio come il tuo amico: un ragazzino del mondo reale. L’unico figlio di due genitori che non andavano mai d’accordo. E’ stato facilissimo, per me, avvicinarti e farti credere che fossi un amico. Ah, ricordo ancora quei tempi, quando eri così disperato da passare gran parte delle giornate insieme a me. Ma, come la tua copia, avevi capito che c’era qualcos’altro sotto le mie gentilezze. Per questo ti imprigionai e cancellai la tua memoria, rendendoti una creatura di questo mondo; anche se i tuoi natali ti davano la possibilità di andartene quando ti pareva” spiegò lo spettro fingendo di rimirarsi le unghie delle dita.

“TU MENTI! NON E’ VERO!” sbottò Bill in preda ad un attacco isterico.

“Vero come l’aria che respiri. Se non fossi nato nel mondo reale, ti saresti disintegrato appena uscito da qui. Avrei voluto usare il tuo corpo per andarmene, ma tu sei scappato prima. Il resto è storia”.

Bill si inginocchiò, cercando di sopperire la sensazione di vuoto che stava provando in quel momento

“I…io” balbettò stringendo la mano a Tom, il quale cercò di dargli conforto stringendolo a se.

“Se quello che dici è vero, perché non hai fatto lo stesso con me?” domandò poi a Miroir.

“Tu hai creato un legame con Bill, non con me, per questo non sarei mai riuscito a riservarti lo stesso trattamento né ad usarti come tramite. L’unica cosa che mi sono potuto permettere, purtroppo, è stato di assicurarmi che tu non trovassi un modo per scappare prima che mi mostrassi. Il resto è stato semplice: due paroline e sei andato dove volevo io” ridacchiò Miroir.

“Qui sarà meglio andarsene” pensò Tom, e prima ancora che Miroir potesse dire qualche altra parola, fece apparire dietro di sé un portale. Trascinando Bill ci si infilò dentro, rinchiudendolo ancor prima di potervi creare un mondo al suo interno.

“Credete di poter scappare? – Sussurrò Miroir, rimasto solo sullo scoglio. – Gli darò qualche minuto per riordinare le idee, dopodiché moriranno entrambi”.
Nel frattempo, nella stanza vacua che Tom aveva creato su due piedi mentre attraversava il portale…

“La situazione sta andando di male in peggio. – Affermò Tom, in piedi contro una parete; aveva fatto sì che quella dimensione fosse nascosta da altre, tuttavia sapeva che non avevano molto tempo. – Dobbiamo trovare una soluzione, tu sai niente che ci possa essere utile?” domandò a Bill il quale era seduto per terra, con le ginocchia al petto e lo sguardo perso nel vuoto. Non sembrava che lo avesse sentito.

“Bill? – Tom si avvicinò all’amico. – Ti prego, ho bisogno che mi aiuti” lo supplicò posando le mani sulle sue spalle.

“Non so proprio niente. – Esordì il ragazzo di cristallo a voce alta. – Non ho nemmeno idea di chi sia io”.

“Io lo so: sei il mio amico anzi…mio fratello. Il resto non mi importa. Però adesso ho proprio bisogno che tuti concentri, e che mi aiuti a metter su un piano” ripetè Tom sedendosi vicino a Bill.

“Per far che? E’ praticamente immortale” affermò il ragazzo di vetro, sconsolato e arrendevole.

“E se provassimo a farlo uscire? Praticamente l’ha detto prima: non sopravvivrebbe” ipotizzò Tom, che di perdere le speranze proprio non ne aveva voglia.

“Non è stupido: chiuderà ogni passaggio, e ci impedirà di farne di nuovi” osservò l’altro.

“Ah maledizione, hai perfettamente ragione”.

“Te l’ho detto, non c’è nulla da fare”.

“Sono sicuro che ci sia un modo, dobbiamo solo analizzare la situazione e trovare il possibile punto debole di Miroir” sostenne Tom mettendosi una mano tra i capelli.

“Quale punto debole? – Sbottò nuovamente Bill. – Ha rischiato solo quando mi ha…” si bloccò di colpo.

“Ti ha? Avanti”

“Mi ha cancellato la memoria, e mi ha tenuto in vita, ma avrebbe potuto fin da subito impossessarsi del mio corpo. Forse c’è un motivo valido” suppose il ragazzo di cristallo, sembrava che l’idea gli avesse ridato un po’ di fiducia.

“In effetti non è stata una bella mossa. – Concordò Tom, poi la mente gli si illuminò – E se tu avessi trovato un modo per distruggerlo? Magari nemmeno lui sa come potrebbe morire, e vorrebbe scoprirlo. Ecco la spiegazione: sperava che tu lo portassi alla soluzione, anche inconsciamente”.

“Un po’ difficile, visto che non ho alcun ricordo di com’ero prima” dichiarò Bill meditabondo.

“Dove stavi, quando non eri con me? – Gli domandò Tom. – C’era un posto dove passavi il tempo, da solo?”.

Illuminato da chissà quale spirito, Bill si alzò di scatto, prese per mano Tom e lo condusse attraverso un piccolo portale che portò entrambi in una stanza che il ragazzo del mondo reale non aveva mai visto. Non era molto grande, né aveva un particolare stile, piuttosto sembrava un luogo in cui collezionare diversi oggetti di epoche diverse (una in particolare). A una delle estremità, un letto a baldacchino con l’intelaiatura in legno scuro e le tendine bianche, che faceva coppia con le travi sul…soffitto?

“Che posto è, questo?” chiese Tom guardandosi intorno.

“La mia…stanza privata. – Rispose Bill, titubante perché non sapeva se definire quel luogo una camera da letto oppure no. – Non l’ho creata io, l’ho semplicemente trovata in uno di quei giorni in cui non stavo facendo niente. Non è un granché, non lo è mai stata, ma dopo che ho scoperto che Miroir non poteva entrarci…”

“Hai pensato bene di usarla come rifugio. – Continuò Tom anticipando l’amico. – Visto quello che fa, può darsi che l’abbia creata tu nella tua…vita precedente”. Gli scocciava aver detto quelle ultime due parole, ma non gli era venuto in mente altro.

“Se questo è vero, e se veramente avevo trovato il modo per liberarmi di lui, credo che questo sia l’unico posto in cui potremo trovare delle risposte” ipotizzò il ragazzo di cristallo, mettendosi subito a cercare nell’ammasso di oggetti che aveva accumulato per anni (chissà quanti poi).

Non fu un’impresa facile muoversi tra tutte quelle cianfrusaglie, sembrava quasi che fosse scoppiata una bomba in un negozio di souvenir, e più di una volta Tom si fece male ad una mano; Bill invece, nonostante gli anni passati lontano da casa, si muoveva molto più agilmente anche se continuava a muoversi come se volesse imitare la fibrina che tiene insieme le piastrine (d’altronde era l’unico metodo per evitare che la roba gli cadesse sulla testa). Fu per sopprimere una risata alla nascita, nel vedere quella scena, che Tom guardò sotto al letto dove notò una piccola discrepanza nella tarsia del pavimento.

“C’è qualcosa, qui sotto al letto” esclamò richiamando l’attenzione dell’amico.

Mettendo insieme le loro forze, i due spostarono il pesante pezzo d’arredamento, così che alla luce di una lampada fatta apparire lì a bella apposta si potesse vedere la parte difettata del pavimento: un’evidente incongruenza, come se qualcuno avesse tagliato di netto una parte della pavimentazione.
“Non me ne sono mai reso conto” affermò Bill avvicinando istintivamente la mano a quello che, poi, si dimostrò essere uno specchio che rivelò la propria identità solo quando la mano del ragazzo di cristallo ci finì dentro.

“Questo sì, che è interessante” commentò Tom.

“E’ un portale piccolo: ne sento le pareti con le dita. – Dichiarò Bill, scrutando un po’ fino a che la sua mano non afferrò quello che vi era contenuto all’interno. – C’è qualcosa” aggiunse tirando fuori un piccolo quaderno, con la copertina in pelle rossa e le pagine tutte ingiallite.

Con il respiro affannato per l’ansia, Bill aprì il fragile libricino ed iniziò a sfogliarlo. Su quelle pagine, consunte dagli anni, c’erano appuntati antichi ricordi della vita precedente di Bill: la solitudine causata dalla difficile situazione famigliare; il desiderio di non essere figlio unico; la conoscenza e il rapporto con Miroir, fino alla nascita del sospetto che non tutto fosse come sembrava. Nelle ultime pagine, c’era la triste e ultima dedica dell’umano Bill.
“Quella che pensavo fosse una presenza amichevole, si è rivelata una presenza oscura. Quanto sono stato ingenuo, a fidarmi di uno come lui. Non so cosa voglia, ma da tempo ho compreso che tutto quello che ha fatto doveva solo allontanarmi ancora di più dai mii genitori. Ho il presentimento che, perfino adesso mentre sto scrivendo nella mia camera, mi stia osservando. A nulla è valso infrangere lo specchio che ci ha fatti conoscere: lui è tornato con quello che lo ha seguito. Devo trovare un posto dove lui non possa entrare, per potervi nascondere anche questo diario. In esso c’è il segreto su come distruggere quell’entità, e dal momento che di sicuro non sarò io a porvi fine, spero lo faccia un’altra anima buona e più scaltra di me. Se solo non fossi stato così avido nel voler avere una compagnia; se non fossi stato solo.”
 
Alla fine la piccola autocritica era accompagnata dalla firma del suo autore: William.

“Quindi ti chiamavi William. – Commentò Tom. – E’ un bel nome”.

“Non c’è tempo, ora. – Ribatté Bill sfogliando avanti e indietro le altre pagine del diario. – Dove diavolo HA…HO scritto la soluzione” andava così veloce che un paio di pagine si strapparono (per loro fortuna non erano rilevanti).

“Con calma, o romperai tutto e addio salvezza” esclamò Tom prendendo il diario dalle mani dell’amico. Sfogliando, molto lentamente, trovò un disegno nascosto sotto la copertina. Aveva trovato ciò che cercavano.

“Non è rischioso? – Osservò Bill interrogativo. – E se peggiorassimo tutto? In fondo l’ho scritto quando ero piccolo” domandò mentre un piccolo terremoto li avvertì che Miroir si stava avvicinando.

“E’ possibile, ma non abbiamo alternativa. E poi, se eri anche solo la metà di come sei adesso, confido nella riuscita del piano” affermò Tom riponendo il diario dove era stato trovato.

“Allora troviamo un diversivo, perché ci vorrà del tempo” suggerì il ragazzo di cristallo.

I due lasciarono quella dimensione, e quando alcuni istanti più tardi Miroir riuscì a fare irruzione trovò una copia di se stesso. Stava immobile, al centro della stanza, e sembrava proprio che fosse lì per infastidirlo.

“Tsè. Hanno una bella faccia tosta, a pensare che un simile pupazzo possa fermarmi. – Si disse lo spettro avanzando verso il fantoccio. – Devo ammettere, però che l’idea di questo piccolo luogo non era male”.

Si era già immaginato che avrebbe distrutto quella ridicola imitazione con un sol soffio, tuttavia quando fu lì per trafiggerlo con la mano questo si animò e parò il colpo. Immediatamente dopo, il falso Miroir sferrò un calcio frontale che fece indietreggiare l’avversario. Miroir si dovette prendere alcuni secondi, per riaversi dal colpo subito (mai avrebbe pensato che un fantoccio potesse fargli male) e ricambiò il gesto con una sfera di cristallo. La copia modificò la struttura del proprio braccio, in modo da creare uno scudo, ma la potenza del colpo dell’originale frantumò la sua difesa e, di conseguenza, chi vi stava dietro.
Il fantoccio aveva terminato il suo compito.

“Stupidi stratagemmi del genere non possono fermare uno come me” enunciò fiero Miroir, proprio mentre il suo sguardo si posava sul portale che Bill e Tom avevano lasciato, volontariamente, in bella vista.

Lo oltrepassò, e si ritrovò in una dimensione tutta buia. L’unica fonte di illuminazione era il cono di luce sotto cui stavano i ragazzi.

“Avete finito di scappare, coniglietti? Inizio ad essere stanco dei vostri capriccetti” disse loro lo spettro avanzando di alcuni passi.

“E’ finita per te, mostro!” esclamò deciso Bill.

Infastidito dalla determinazione del ragazzo, Miroir balzò in avanti con la stessa indole di un grande felino, tuttavia quando le sue braccia colpirono i ragazzi questi svanirono nel nulla. Erano solo degli ologrammi ben fatti.

“Non dovevate farmela pagare? – Domandò lo spettro. – Non mi sembra che vi stia riuscendo bene”.

“La pagherai, eccome se lo farai” rispose Bill, anzi uno dei suoi ologrammi che avevano circondato lo spettro e che poi si trasformarono in specchi.

“E questa, che roba è?” si chiese la presenza oscura, che cominciava veramente ad avere paura.

Da uno degli specchi, si dipartì un fascio di luce che colpì Miroir in pieno petto e atterrò sullo specchio alle sue spalle colpendo anche il suo riflesso. Un secondo fascio, da un altro specchio, fece la medesima cosa, poi il terzo e via via tutti quanti.

“STUPIDI MOCCIOSI. – Imprecò Miroir. – Ora vi faccio vedere io” disse, ma quando provò a muoversi scoprì di non poterlo fare.

“Ora non fai più il gradasso, eh?” gli disse Tom, il vero Tom in mezzo a due specchi. In mano aveva una mazza da baseball.

“E’ il momento di saldare il tuo debito” aggiunse Bill, dietro a Miroir. Anche lui aveva una mazza in mano.

“E come farete? – Chiese lo spettro, sogghignando per nascondere il suo timore. – Per ora siete riusciti solo a bloccarmi”.

“Così” affermò Bill prima di rompere uno degli specchi con la mazza.

Nell’istante in cui il vetro si incrinò, e i pezzi ricaddero a terra, Miroir sentì una profonda fitta nel petto: nel punto di congiunzione dei fasci di luce, si era aperta una grossa incrinatura da cui usciva il fumo che costituiva l’interno del suo corpo.

“Aspetta, non ha visto bene. – Dichiarò Tom giocando. – Ora glielo faccio rivedere io” e ruppe uno dei due specchi vicino a lui.

Un’altra incrinatura, questa volta Miroir urlò e iniziò a chiedere pietà.

“Non ne avrai, come non ne hai avuta per tutte le tue vittime” esclamarono insieme i ragazzi, continuando a rompere gli specchi.

Quando tutte le superfici riflettenti furono infrante, Miroir non esisteva più.


“Ci siamo riusciti! – Esultò Tom, alzando le braccia al cielo. – E’ CREPATO!”.

“E’ finita, per sempre” concordò Bill mentre, col piede, spostava gli ultimi resti di Miroir: inutili pezzi di vetro cui, ormai, era stata sottratta ogni forza vitale.

“Adesso possiamo tornare a casa” affermò il ragazzo del mondo reale. Eppure, nonostante la gioia del momento, notò il velo di tristezza che si era posato sul volto di Bill tanto che gli chiese quale fosse il problema.

“Tu puoi tornare. – Precisò il ragazzo di cristallo. – Io no, non così” si stava riferendo al suo attuale aspetto, decisamente non umano.

“Ma che stai dicendo? – Domandò Tom afferrando le spalle dell’amico. – Non puoi restare qui: tu sei come me!”.

“Lo ero. – Lo corresse Bill. - Ho perso il mio aspetto umano, da molto tempo”.

Tom sorrise, perché aveva già pensato ad una soluzione per quell’imprevisto.
“Se è un volto che ti serve, puoi prendere il mio: sarai il mio gemello. – Affermò deciso. – Inoltre, visto che ora sono io ad avere il pieno controllo di questo posto, lo distruggerò per sempre”.

“Ma come spiegheremo agli altri…” il ragazzo di cristallo stava ripensando ai suoi amici, agli amici di Tom.

“CHISSENEFREGA, degli altri. – Sbottò il ragazzo del mondo reale, allargando le braccia. – Troverò qualcosa da dire, ma tu qua dentro non ci resti. Non è giusto per te…né per me”.

Bill non rispose, e si limitò ad annuire.

“Forza fratellino, andiamo” disse Tom, prendendo la mano dell’amico; un piccolo gesto che, seppur insignificante, diede sicurezza al ragazzo di cristallo.
Tenendosi per mano ritornarono alla dimensione 0, dove era ricomparso il portale per il mondo esterno.

“Vai prima tu” disse Tom a Bill spingendolo, con la mano dietro alla sua schiena, verso lo specchio.

“Ne sei sicuro? Forse sarebbe meglio farlo insieme” propose il ragazzo di cristallo, mentre già toccava con mano la superficie liquida.

“Voglio accertarmi che il mio piano funzioni”.

Obbediente e fiducioso, Bill oltrepassò il varco. Nel limbo tra i due mondi, sentì la voce di Tom che diceva
“Lui ritornerà umano, e sarà il mio gemello. Non sarà mai più legato a questo mondo”.
 
Arrivato nel mondo reale, nella sua camera, Bill constatò di aver ripreso l’aspetto che aveva ereditato da Tom: non era più fatto di cristallo, ma di carne e sangue.

“Ora tocca a me” pensò Tom, prima di girare le spalle al varco e gridare al vuoto la frase che avrebbe distrutto quell’universo parallelo.

“Non ho più bisogno di te! Sparisci per sempre” era una cosa che aveva letto nel diario di William, che aveva scoperto che quel mondo era richiamato dalle anime delle persone che provano un disperato bisogno.

Accertatosi che la dimensione degli inganni iniziasse ad implodere su se stessa, crepandosi, Tom si gettò nel portale. Ricadde sul pavimento, ai piedi di Bill che guardava incredulo la sua vecchia casa che spariva. Adesso era veramente finita.

“Grazie, grazie davvero” esclamò l’ex prigioniero stringendo Tom in un fortissimo abbraccio; aveva iniziato a piangere a dirotto, ma non gliene importava. Nemmeno si era accorto che l’amico, mentre era ancora nell’altra dimensione, aveva modificato alcuni particolari che non gli piacevano del suo look: i capelli, che da corti e biondi erano diventati neri e raccolti in lunghi cornraws; i dilatatori ai lobi delle orecchie.

“Ora viene il difficile: mostrarci al mondo” ridacchiò Tom.

“Io avrei un’idea” suggerì il biondo.

[Georg e Gustav]

Coff, COFF.
Aveva rischiato di soffocare bevendo l’acqua, Georg, una volta visto l’ultimo aggiornamento di stato sul profilo facebook di Tom: una foto di lui, con un altro ragazzo. Erano due perfette gocce d’acqua, eccetto per i capelli. L’intestazione dell’immagine era molto esplicita, e non lasciava dubbi sul fatto che fosse reale:
Zwillingsbruder
 
Gustav invece, che era seduto accanto al moro, aveva versato tutto il suo caffè sul tavolino e aveva la stessa faccia di un’emoji stravolta.
C’erano già stati alcuni commenti, a quel post, tutti di colleghi di lavoro di Tom:

“Chi diavolo è quello?” avevano scritto i più.

Anche Georg scrisse il proprio commento, inviando poi la stessa frase come messaggio su whatsapp
“Che storia è questa?”
 
“Ci devi raccontare qualcosa?”
Aggiunse Gustav.

La risposta di Tom arrivò pochi minuti dopo, e fu tutt’altro che esplicativa
“Una storia di quelle che, se potete crederci senza giudicarmi un matto, è proprio da raccontare”.
 
​Nota autrice: Tadann, la storia finisce qua. Mi auguro che vi siate divertiti a leggerla, anche se non è molto lunga. Ringrazio la lettrice che, per prima, mi ha scritto delle bellissime recensioni. Per i nuovi arrivati, come faccio sempre: se vi è piaciuta questo racconto, magari potreste andare a leggere le altre mie fan fic. Alla prossima ;)
 
 
 
 

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