The Sound Of Silence

di KukakuShiba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici - Parte Prima ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici - Parte Seconda ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 21: *** Capitolo Venti - Parte Prima ***
Capitolo 22: *** Capitolo Venti - Parte Seconda ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO UNO
 
“Sii gentile, ogni persona che incontri
sta combattendo una dura battaglia”
 
Ian Mclaren
 
 
 
“A quanto pare avremo dei nuovi vicini” – disse Mary, sbirciando attraverso le tendine gialle della finestra della cucina.
Non ricevendo alcuna risposta, si voltò verso la persona seduta al tavolo, intenta a fare colazione e a leggere il giornale. La donna incrociò le braccia al petto, arricciando le labbra.
“John, mi stai ascoltando?” – chiese lei.
L’uomo alzò lo sguardo, come richiamato all’ordine.
“Cosa?” – bofonchiò lui, la bocca ancora piena dell’ultimo boccone di pancake.
Mary non seppe resistere a quella buffa espressione del marito, e sorrise divertita.
“Ho detto che, a quanto pare, avremo dei nuovi vicini” – ripeté la donna.
“Davvero? I Norman sono riusciti a vendere la casa, anche con questa crisi del mercato immobiliare?” – si stupì l’uomo, alzandosi dalla sedia e raggiungendo la moglie alla finestra - “Eh già, è proprio un furgone dei traslochi quello” – ammise, scostando la tendina.
“Magari nei prossimi giorni potremo far loro visita e dargli il benvenuto nel vicinato. Che ne dici?”
“È un’ottima idea, tesoro” – rispose John, sfiorando le labbra della moglie con un tenero bacio.
“Ruffiano” – sussurrò lei, sorridendo.
“Si è fatto tardi” – constatò lui, dando una rapida occhiata all’orologio – “Devo andare”.
L’uomo fece per uscire dalla cucina, quando fu richiamato dalla moglie.
“John, dimentichi questo” – disse la donna, porgendogli una busta con dentro il pranzo.
“Grazie…come farei senza di te?” – sorrise lui.
“Me lo chiedo anche io” – rispose lei, sardonica – “Buona giornata, tesoro”.
“Buona giornata anche a te”.
Quando l’uomo si chiuse la porta d’ingresso alle spalle, Mary sospirò. Sistemò alcune cose nel lavello, per poi tornare alla finestra ed osservare gli operai, intenti a scaricare grosse scatole e mobilio di vario genere dal furgone.
 
Mary e John Winchester avevano sempre vissuto a Lawrence, cittadina nella contea di Douglas, stato del Kansas.
La casa in cui abitavano era la stessa in cui i due si erano trasferiti, dopo essersi sposati.
La donna ricordava bene quel giorno, quando John le mostrò per la prima volta quella casa. L’aveva costretta a coprirsi gli occhi con una mano per tutto il tempo del tragitto, nonostante le deboli proteste di lei.
“Voglio che sia una sorpresa” – le aveva detto lui.
E per Mary quella fu davvero una bellissima sorpresa.
L’abitazione era piuttosto semplice, ma gradevole alla vista. Costruita su due piani, presentava ampie finestre dai serramenti bianchi. Anche l’esterno era di colore bianco, sebbene consumato dal passare degli anni e dalle intemperie, ed era in netto contrasto con un tetto di tegole color antracite. Al piano terra, tre gradini consentivano l’accesso all’entrata e a un piccolo portico sulla sinistra.
L’interno era spazioso e confortevole. Subito dopo l’ingresso, un breve corridoio conduceva a destra, attraverso un ampio arco, nella cucina, mentre in fondo si allargava in un comodo salotto. Sulla sinistra, invece, in linea d’aria con l’ingresso della cucina, una lunga scala conduceva al piano superiore, dove erano collocate le camere e il bagno.
Erano passati molti anni, ma la donna ricordava ogni singolo momento trascorso in quella casa. Quando lei e John, per risparmiare, tinteggiarono da soli i muri interni, o quando furono portati i primi mobili, o quando, in quella stessa cucina, un paio di anni dopo, Mary confidò al marito di aspettare un bambino.
 
“Ciao, mamma” – disse una voce alle spalle della donna, distogliendola così da quei dolci ricordi.
Mary si voltò e sorrise, vedendo il figlio più piccolo in piedi davanti al tavolo.
“Buon giorno, Sammy” – rispose lei – “Come mai ti sei svegliato così presto?”
“Devo finire i compiti che ci hanno dato per le vacanze” – spiegò il ragazzino, prendendo posto a sedere – “Voglio finirli entro la metà di agosto”.
Mary sorrise di nuovo, mentre posava sul tavolo un piatto con sopra due pancake, e un bicchiere di latte.
“Bravo il mio ometto” – si complimentò la donna, scompigliandogli con una mano i capelli e facendo ridere il figlio.
“E Dean?” – chiese poi la madre.
“Oh, Dean secondo me non li ha neanche iniziati, i compiti. Li farà tutti all’ultimo, come sempre” – rispose piccato Sammy, mentre affondava la forchetta in uno dei pancake.
Mary trattenne a stento una risata.
“Non parlavo dei compiti” – spiegò lei – “Volevo sapere se è sveglio”.
“No, credo che stia ancora dormendo”.
“Scommetto che è rientrato tardi anche ieri sera” – sospirò la donna.
“Gli concedo ancora un paio di ore al massimo, poi però deve alzarsi” – sentenziò poi risoluta Mary.
 
Dean entrò in cucina quasi due ore dopo, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando sonoramente.
“Buon giorno” – biascicò ai presenti.
Sam, una volta finita la colazione, aveva già preso possesso del tavolo con libri e quaderni.
Il fratello maggiore lo osservò, aggrottando la fronte.
“Sammy…ma lo sai che ore sono?” – chiese poi, quasi sofferente a quella visione.
“Forse sei tu che non sai che ore sono, Dean” – ribatté il fratello, senza neanche alzare la testa dal quaderno.
Dean ridacchiò e si sedette al tavolo.
“Buon giorno, mamma” – disse poi rivolto alla donna, dandole un bacio sulla guancia.
“Ciao, tesoro” – rispose lei.
 
“Dean, a che ora sei rientrato ieri sera?” – lo interrogò la madre, mentre il figlio affogava i pancake in una generosa dose di sciroppo d’acero.
“Pofo dofo…”
“Dean, non si parla con la bocca piena” – lo rimproverò subito lei.
Il giovane masticò in fretta, per poi deglutire.
“Poco dopo la mezzanotte” – rispose infine.
Mary sospirò.
“Dean, posso capire che tu sia in vacanza, ma potresti evitare di fare tardi…e soprattutto di farmi preoccupare?” – chiese dolcemente la donna.
“Ok…” – annuì lui, sorridendole.
 
“Ah, c’è una novità. Avremo dei nuovi vicini” – esordì Mary.
Sam alzò lo sguardo dai compiti, incuriosito.
“Saranno sicuramente noiosi come i Norman” – sentenziò Dean.
“Magari, invece, hanno dei figli della vostra età” – tentò lei.
“Ne dubito” – ribatté il figlio maggiore, tra un boccone e l’altro.
 
°°°
 
Più tardi, quella stessa mattina, Mary incaricò Sam e Dean di fare alcune commissioni in centro.
“E non dimenticate di comprare il pane da Wheatfield” – si raccomandò lei.
I due fratelli uscirono di casa e si incamminarono lungo il marciapiede, costeggiando così l’abitazione dei nuovi vicini.
Anch’essa aveva due piani, tuttavia era esteticamente più elegante di quella dei Winchester.
All’esterno, i muri della parte bassa della casa erano impreziositi da grossi blocchi di pietra grigia, e quelle stesse pietre ornavano anche le colonne e la ringhiera dell’ampio porticato. La parte superiore invece era stata dipinta con un tenue azzurro pastello. Il tetto, decisamente spiovente su più lati, riprendeva la stessa tonalità cromatica dei blocchi di pietra.
Quando Sam e Dean si trovarono di fronte alla casa, non poterono non soffermarsi ad osservare il viavai di operari che continuavano ad entrare e ad uscire dall’abitazione. In particolare, l’attenzione di Dean fu catturata dalla presenza sul portico di un giovane con i capelli neri, voltato di spalle. Forse sua madre ci aveva visto giusto. Forse c’erano davvero dei ragazzi della sua età fra i nuovi vicini.
 
Un paio di ore dopo, una volta terminate le commissioni, i due fratelli erano già sulla strada del ritorno.
“Dean?” – chiamò Sam.
“Uhm?”
“Oggi pomeriggio esci con Lisa?”
“A-ah” – annuì Dean.
Sam rimase in silenzio, mentre il sacchetto di Wheatfield batteva sulla sua coscia ad ogni passo.
“Dean?”
“Uhm?”
“Com’è avere una ragazza?”
Dean si fermò, voltandosi verso il fratello, sorpreso.
Anche Sam si fermò, lo sguardo rivolto al marciapiede, mentre con un piede tentava di scalciare qualche sassolino.
“Come mai questa domanda?” – chiese curioso il maggiore.
Il minore alzò il viso e puntò i suoi occhi in quelli del fratello.
Dean schiuse le labbra.
“Oh”.
Sam arrossì.
Il ragazzo lo guardò e non poté fare a meno di sorridere. Il suo fratellino aveva 13 anni e già faceva domande sulle ragazze.
 
La mente di Dean volò a tanti anni prima, quando il padre lo portò in ospedale per conoscere il nuovo arrivato di casa Winchester. Dean non riusciva a stare fermo, tant’era l’eccitazione per l’arrivo del fratellino. A cavalcioni sulle spalle di John guardò curioso tutte le culle presenti al di là del vetro della nursery.
“Papà, dov’è il mio fratellino?” – chiese il bambino, battendo le manine sulle guance del padre.
“È lui” – rispose l’uomo, indicando una culla in seconda fila – “Quello con la copertina gialla”.
E Dean, per vederlo meglio, si era sporto in avanti, appoggiando i palmi delle mani contro il vetro.
E quando Mary e il nascituro furono dimessi dall’ospedale, durante il tragitto verso casa, Dean, seduto sui sedili posteriori dell’Impala, non riusciva a distogliere gli occhi da quel fagottino che sonnecchiava nel seggiolino. Dean aveva solo quattro anni, ma si ricordava bene quel giorno. Era maggio e faceva già piuttosto caldo, anche se Sam era comunque avvolto in quella copertina morbida e di colore giallo.
 
“Come si chiama?” – chiese a colpo sicuro Dean.
“C-chi?” – balbettò imbarazzato Sam.
“Oh, andiamo Sammy…”
Il minore fece dondolare il sacchetto che aveva in mano e sospirò.
“Ruby” – borbottò poi.
Dean sorrise.
“Viene a scuola con te?” – domandò poi.
Sam annuì.
“Siete amici?”
“Sì, credo di sì” – mormorò il più piccolo.
“E lei ti piace, giusto?” – sorrise il maggiore.
“Sì, ma…”
“Ma?” – lo incitò Dean.
“Uff…Dean, come fai a sapere se piaci ad una ragazza?” – sbottò il minore.
Il maggiore fu preso alla sprovvista e per un attimo non riuscì ad articolare una risposta.
“Ecco, vedi Sam…è una cosa un po’ complicata…” – arrancò il ragazzo.
“In che senso?” – chiese il ragazzino, aggrottando la fronte.
“Nel senso che…dipende molto dalle persone, da come sono fatte…ci sono comunque dei segnali, delle piccole cose che te lo fanno capire…” – gesticolò Dean.
“E quali sono questi segnali?” – incalzò Sam.
“Ce ne sono tanti, Sammy…e possono essere diversi da persona a persona”.
“E tu come hai capito di piacere a Lisa?”
Dean fu nuovamente preso in contropiede dalle domande e dalla sete di sapere del fratello.
“Umh, vediamo…da come mi sorrideva, dal modo in cui mi guardava e…” – disse il biondo, umettandosi le labbra.
“E?”
“Da qualcosa di indefinito…che, davvero, non so come spiegarti” – si giustificò il maggiore, sospirando.
Sam annuì, ma non sembrò del tutto convinto.
 
“Senti, hai la possibilità di vedere questa Ruby prima dell’inizio della scuola?” – chiese poi Dean.
Sam rimase in silenzio, pensieroso.
“Forse” – rispose poi.
“Bene. Potresti, che so, chiederle di mangiare un gelato insieme, o…”
“Fare i compiti?” – chiese il minore con slancio, interrompendo l’altro.
Dean sospirò.
“Beh, non è proprio il massimo, ma…per iniziare va bene anche quello” – ammise poi.
Sam sorrise, soddisfatto. Anche Dean sorrise.
“Dai, andiamo. Se facciamo tardi, poi chi la sente la mamma” – disse, scompigliando i capelli del più piccolo con una mano.
Entrambi ripresero a camminare verso casa.
“Dean?”
“Sì?”
“Grazie”.
 
 
Quando i fratelli Winchester furono in prossimità della loro abitazione, il furgone dei traslochi dei nuovi vicini non c’era più.
Dean si soffermò nuovamente con lo sguardo su quella casa. Si accorse ben presto che sul portico era stato sistemato un dondolo e, su quello stesso dondolo, vi era seduto un giovane. Dean ebbe la sensazione che si trattasse della stessa persona vista prima.
“Ehi, Sammy – disse, attirando l’attenzione del minore – “Guarda” – proseguì, indicando con un cenno del capo il portico dei vicini.
Sam si voltò, seguendo le indicazioni del maggiore.
“La mamma aveva ragione. C’è un ragazzo che forse ha la tua età” – disse Sam curioso, alzandosi sulle punte dei piedi per vedere meglio al di là della ringhiera del porticato.
“Ciao!” – salutò Dean, rivolgendosi a quel giovane, senza tuttavia ottenere risposta.
“Ehi, ciao!” – riprovò, avanzando di qualche passo verso la casa e alzando il braccio per attirare meglio l’attenzione dell’altro. Di nuovo, il giovane non rispose, e, ora che si era avvicinato, Dean notò che non aveva neanche sollevato la testa verso di lui.
“Ma cosa…” – mormorò tra sé il maggiore dei Winchester, perplesso.
Rimase immobile a fissare quel giovane per un istante, per poi avanzare nuovamente verso l’abitazione.
“Dai, lascia perdere, Dean. Magari non vuole essere disturbato…” – cercò di dissuaderlo Sam.
Dean si fermò e si voltò verso il fratello. Poi, rivolse un ultimo sguardo alla casa.
“Sì, hai ragione, lasciamo perdere”.
 
°°°
 
“Io esco!” – diede voce Dean dall’ingresso di casa.
Dalla cucina fece capolino Mary.
“Dove vai?” – chiese la donna.
“Mi vedo con Lisa in centro”.
La madre incrociò le braccia al petto, sorridendo maliziosa.
“La conoscerò mai questa Lisa?”
Dean alzò gli occhi al cielo.
“Non fare troppo tardi” – si raccomandò dolcemente lei.
“Sì, sì” – taglio corto il figlio, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Dean si incamminò lungo il marciapiede, con le mani in tasca. Arrivato davanti alla casa dei nuovi vicini si voltò a guardare. Il dondolo sul portico era vuoto. Dean ripensò a quanto successo quella mattina e a quel ragazzo che non l’aveva nemmeno salutato. Anzi, lo aveva proprio ignorato.
“Mi sa che questi sono peggio dei Norman” – borbottò, scrollando le spalle e riprendendo a camminare.
 
Quando Dean giunse alla gelateria Sylas & Maddy, Lisa era già lì che lo aspettava. Il ragazzo si soffermò un attimo a guardarla e sorrise. Era davvero bella.
“Ehi, Lisa” – la richiamò lui.
La giovane si voltò e, accortasi di Dean, gli andò incontro con un sorriso raggiante.
Lisa era una di quelle ragazze che di certo non passava inosservata. I lunghi capelli neri e lisci spiccavano sulla sua pelle olivastra, mentre il suo corpo era snello e minuto. Quel pomeriggio, per l’occasione, indossava una graziosa gonnellina bianca e un top rosa.
“Dean!” – esclamò lei, gettandogli le braccia al collo e baciandolo dolcemente sulle labbra.
Dean ricambiò il bacio, cingendole i fianchi e stringendola a sé.
“È molto che aspetti?” – sussurrò lui.
“No, sono appena arrivata anche io” – rispose lei.
 
La gelateria Sylas & Maddy di Lawrence era piuttosto famosa. Si vantava di produrre gelato artigianale in loco, come fatto in casa, usando ingredienti di prima qualità.
Dean e Lisa entrarono e raggiunsero l’ultimo tavolino in fondo al locale. La giovane appoggiò la borsa sulla sedia, prima di affiancarsi a Dean di fronte al bancone.
“Cosa volete, ragazzi?” – chiese la cameriera.
“Per me un frullato alla fragola” – disse decisa Lisa.
“Ok. E per te?” – domandò poi la donna, rivolgendosi a Dean.
Il ragazzo fissava la lavagna posta dietro il bancone, dove erano riportati i numerosi gusti di gelato disponibili.
“Dean?” – lo richiamò Lisa.
“Sono indeciso” – borbottò lui, continuando a fissare la lavagna.
Dopo qualche secondo, sembrò essere giunto ad una decisione.
“Ok, per me invece un gelato Rock Chocolate” – disse infine, soddisfatto della sua scelta.
“Va bene, sarò subito da voi” – si congedò la cameriera.
Nell’attesa delle loro ordinazioni, i due presero posto a sedere, uno di fronte all’altro.
 
Dean e Lisa frequentavano lo stesso liceo, la Free State High School di Lawrence, e, prima di mettersi insieme, si conoscevano solo di vista. Però, tra i due non erano di certo mancate occhiate più o meno furtive e maliziose in corridoio e davanti ai rispettivi armadietti, sebbene a quei tempi Lisa fosse impegnata con uno dei membri della squadra di basket.
L’attrazione vera e propria scattò nelle ultime due settimane di scuola, prima dell’inizio delle vacanze estive. Un giorno, in un corridoio semi-deserto per la fine delle lezioni, Dean adocchiò la ragazza davanti al suo armadietto, intenta a depositarvi i libri, e si avvicinò con calma. Tuttavia, lei si accorse della presenza dell’altro e indugiò appositamente in quello che stava facendo.
“Lisa Braeden” – esordì Dean, appoggiandosi con una spalla alla fila degli armadietti.
“Come sai il mio nome?” – chiese lei, incurante.
“L’ho sentito in giro” – rispose lui, alzando le spalle.
“Beh, ottimo udito, Dean Winchester”.
Dean la guardò e sorrise.
“E tu invece, come sai il mio nome?” – domandò lui, umettandosi le labbra.
“L’ho sentito in giro” – ribatté lei, maliziosa.
 
“Lisa!”
Una voce femminile, proveniente dal fondo del corridoio, li interruppe, facendoli voltare.
“Muoviti, stiamo per iniziare!” – incitò quella voce.
“Sì, arrivo!” – esclamò Lisa.
La ragazza prese i pom pom dall’armadietto e poi lo richiuse con calma.
“Devo andare. Ci vediamo…” – disse lei piano, superando l’altro e incamminandosi lentamente lungo il corridoio.
“Sai, non ho mai visto delle cheerleader che si allenano” – la richiamò lui.
Lisa si fermò, senza voltarsi, e sorrise.
“Gli allenamenti sono aperti a tutti”.
“Buono a sapersi. Allora…ci vediamo, Lisa”.
“Ci vediamo, Dean” – fece eco lei, allontanandosi.
 
Quello stesso pomeriggio, Lisa, durante gli allenamenti con le altre compagne di squadra, si ritrovò puntati addosso gli occhi verdi di Dean Winchester, seduto sulle gradinate degli spalti della palestra.
 
“Non ci posso credere che questo sarà l’ultimo anno” – esordì Lisa, dopo aver staccato le labbra dalla cannuccia del suo frullato.
“Già” – rispose lui.
“Dopo il 25 agosto, riprendono gli allenamenti delle cheerleader”.
“Con questo caldo?”
“Sì…dobbiamo lavorare alle nuove coreografie”.
Dean arricciò le labbra in un sorrisetto.
“Che c’è?” – chiese Lisa curiosa.
“Non vedo l’ora di rivederti con la divisa, ad agitare quei pom pom” – rispose lui divertito.
“Smettila!” – rise lei.
 
“Hai pensato a cosa farai dopo il liceo?” – domandò la ragazza.
“A dire il vero no” – ammise Dean, tra un cucchiaio di gelato e l’altro.
“Farai domanda per qualche college?”
“Non lo so, non ci ho ancora pensato” – bofonchiò lui con la bocca piena.
 
“Quest’anno c’è il ballo di fine anno” – riprese lei, facendo dondolare la gamba accavallata.
Dean aggrottò la fronte e vide negli occhi della ragazza uno strano luccichio.
“Oh, no, no. Lisa, no” – si affrettò a dire lui, alzando le mani davanti a sé.
“Oh, invece sì, Dean” – lo corresse lei.
Dean si passò una mano sul viso.
“Ok, ma sia chiaro che io non ballo” – puntualizzò il giovane.
“Vedremo” – ribatté Lisa, ridendo.
 
°°°
 
Ormai era agosto inoltrato e una mattina Dean si ritrovò alla scrivania a sostenere uno scontro di sguardi con i compiti che aveva ancora da fare per l’estate. Uno scontro perso in partenza. Come aveva supposto Sam, Dean non aveva neanche iniziato a farli, i compiti. E ora era lì, a fare i conti con tutti quei libri e quaderni.
Il ragazzo sospirò, le braccia incrociate al petto. Diede una rapida occhiata alla lista di fronte a lui.
“E va bene, vediamo cosa abbiamo qui” – disse, raddrizzandosi sulla sedia.
Prendendo in mano la lista, iniziò a leggere ogni singolo punto riportato.
“Inglese. Ok, ce la posso fare” – asserì tra sé.
“Letteratura americana: ‘leggere tre libri a scelta dalla lista, e scrivere una relazione su ciascuno’…seriamente? Tre libri?” – mormorò, contrariato.
Si morse una guancia, battendo nervosamente un piede sul pavimento.
“Andiamo avanti. Costituzione americana: ‘scegliere tra una delle leggi promulgate dall’inizio dell’anno e scrivere una relazione sulle sue applicazioni nello stato del Kansas’ “.
Dean sospirò.
“Matematica: ‘esercizi di ripasso, che coprono tutti gli argomenti svolti durante l’anno scolastico’…oh, andiamo!” – sbottò fuori il giovane, allargando le braccia.
Dean si lasciò andare stancamente sullo schienale della sedia.
Poi, in un gesto di stizza, sollevò leggermente i fianchi e sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans. Fece scorrere un dito sul display e iniziò a scrivere un messaggio.
 
[10:21] – Da Dean a Benny
Amico, dimmi che sei messo meglio di me con tutta questa merda da fare durante l’estate.
 
Lasciò il cellulare sulla scrivania e si alzò, dirigendosi alla finestra. L’imposta era alzata e, nonostante il caldo, entrava una leggera brezza, molto piacevole. Dean si appoggiò con le mani al davanzale. Guardando fuori, il fianco della casa dei vicini era lì, ad una ventina di metri. Una finestra al secondo piano era aperta e le tende erano scostate. All’improvviso, una figura passò davanti a quella finestra, attirando l’attenzione del giovane. Poco dopo, si presentò di nuovo, questa volta soffermandosi. La vibrazione del cellulare sulla scrivania, fece distogliere lo sguardo a Dean per qualche secondo. Quando si voltò nuovamente, la figura alla finestra non c’era già più.
Dean si diresse verso la scrivania, prese il telefono e lesse il messaggio che era appena arrivato.
 
[10:30] – Da Benny a Dean
Direi che siamo sulla stessa barca.
 
Dean alzò gli occhi al cielo.
 
[10:32] – Da Dean a Benny
Non ce la posso fare, sul serio.
 
[10.35] – Da Benny a Dean
Cosa proponi?
 
[10.38] – Da Dean a Benny
 E se unissimo le forze? Magari chiamiamo anche Chuck e la rossa.
 
[10:42] – Da Benny a Dean
Si può fare. Quando?
 
[10:46] – Da Dean a Benny
Oggi pomeriggio può andare? In biblioteca.
 
[10:49] – Da Benny a Dean
Va bene. Io avviso Chuck, tu la rossa.
 
Dean sorrise soddisfatto, e iniziò a digitare sul display.
 
[10:58] – Da Dean a Charlie
Ehi, rossa, abbiamo un problema di compiti qui. Oggi pomeriggio in biblioteca. Sei dei nostri?
 
 
°°°
 
La biblioteca di Lawrence era aperta anche nel mese di agosto, soprattutto per gli universitari, anche se gli orari di apertura erano decisamente più ridotti, rispetto a quelli del periodo invernale.
L’edificio era circondato da un piccolo parco e un breve viale alberato conduceva all’ingresso. L’accesso alla biblioteca vera e propria era consentito da due rampe di scale. Una volta in cima, un lungo corridoio portava a due sale principali: quella di sinistra, la più grande, occupata prevalentemente dagli universitari, e quella di fronte, di dimensioni minori, occupata solitamente dagli studenti selle scuole superiori. Sul lungo corridoio si affacciava un grande soppalco, dove erano collocati quotidiani, periodici, riviste scientifiche e di settore, e dove era possibile avere accesso ai terminali informatici, connessi ad internet, per effettuare ricerche.
Quando Dean entrò nella seconda sala, si guardò intorno. La sala era pressoché deserta e per il ragazzo non fu difficile individuare una figura conosciuta, seduta sul tavolo, con le gambe a ciondoloni, intenta a leggere una rivista.
“Ehi” – salutò Dean, appoggiando malamente lo zaino sul tavolo.
“Ehi” – rispose Benny, alzando gli occhi dal periodico.
“È così che fai i compiti?” – rise l’altro, togliendo la rivista dalle mani dell’amico.
“Ehi, dammi tregua, Dean” – si giustificò Benny – “E poi, non mi sembri proprio nella posizione giusta per giudicare sai? – ribatté infine.
 
Dean Winchester e Benny LaFitte si conoscevano da quando erano bambini. Benny e la sua famiglia abitavano nello stesso isolato dei Winchester, per cui non fu difficile per i due incontrarsi e diventare subito amici. Benny era sempre stato piuttosto carismatico e molto sicuro di sé. E forse fu questo ad affascinare il piccolo Dean. Quando l’amico fu costretto a trasferirsi in un altro quartiere, Dean si sentì smarrito. Con Benny ne avevano combinate davvero di tutti i colori, diventando così, oltre che amici, anche complici. Fortunatamente, grazie alle stesse scuole frequentate, i due riuscirono a tenersi in contatto e a preservare quell’amicizia per gli anni a seguire.
 
“Grazie a Dio, c’è l’aria condizionata” – sbuffò una voce, attirando l’attenzione dei due.
“Ehi, Chuck” – disse Dean.
“Chuck, sei tutto rosso in faccia e stai sudando. Te la sei fatta di corsa fino a qui?” – rise Benny.
“Ah, ah. Molto spiritoso” – ribatté l’altro, accasciandosi su una sedia – “Fa un caldo assurdo, là fuori. Dio, quanto lo odio” – continuò, passandosi una mano sulla fronte accaldata.
 
Dean e Benny conobbero Chuck Shurely al secondo anno di liceo. Un giorno, durante la lezione di costituzione americana, la classe venne suddivisa per sorteggio in gruppi di tre persone, e a ciascun gruppo venne assegnato un progetto. Chuck capitò nello stesso gruppo di Dean e Benny. Fino ad allora, i due ragazzi conoscevano solo di vista quel piccoletto con i capelli ricci.
Chuck si dimostrò essere subito una persona pacata, molto intelligente e delle idee chiare. Con il suo aiuto, il progetto fu un successo. Ma non solo. Il ragazzo si rivelò essere anche simpatico e, più volte, si ritrovò seduto allo stesso tavolo in mensa con Dean e Benny. E così, pian piano, tra di loro nacque un’amicizia, rafforzatasi poi nel corso dei due anni successivi.
Il ragazzo scriveva per il Free Press, il giornale della scuola, e ogni estate svolgeva una specie di stage presso il Dobb’s Journal, un giornale locale di Lawrence, per accumulare crediti extra-scolastici. Il suo sogno, lo ripeteva spesso, era di poter scrivere un giorno per una delle più importanti testate giornalistiche del paese.
 
“Ciao, stronzetti” – squittì una voce.
Ed eccola lì, l’ultimo elemento mancante del gruppo.
“Charlie, ma tu vivi con quel coso in mano?” – chiese Benny, osservando la ragazza intenta a digitare abilmente a due mani sul display del cellulare.
“Questo ‘coso’, come lo chiami tu, è il futuro. Dovreste adeguarvi anche voi…che so, basterebbe anche un profilo Twitter, o anche Facebook, per iniziare” – ribatté lei, senza alzare lo sguardo dal telefono.
“Ehi, io ho un profilo Facebook” – disse risentito Benny.
“Pure io” – gli fece eco Chuck.
“Infatti non stavo parlando di voi, ma del nostro amichetto lì” – disse lei, puntando l’indice contro Dean.
“Non ci penso nemmeno” – asserì convinto l’altro.
 
Charlie Bradbury si trasferì alla Free State High School all’inizio del terzo anno. Come tutti i nuovi arrivati, si ritrovò su di sé gli occhi puntati dell’intera scuola, rimanendo pertanto isolata. A Dean, quel genere di atteggiamento non era mai piaciuto e non lo capiva nemmeno. Cosa c’era di male nell’essere una persona nuova in una scuola?
Fu così che, un giorno, Dean, vedendo la ragazza in piedi in mezzo alla mensa, alla ricerca di un posto dove poter pranzare, la chiamò, alzando un braccio e invitandola a sedersi al tavolo con loro. Charlie si dimostrò timida i primi cinque secondi, per poi esplodere come un vulcano in eruzione. Con la sua parlantina e le sue vaste conoscenze su Guerre Stellari, Harry Potter, Il Signore degli anelli e Trono Di Spade, quella ragazzina dai lunghi capelli rossi e dall’occhio furbetto, conquistò subito le simpatie dei tre ragazzi, soprattutto di Dean.
Charlie era spontanea, sincera e un dannato genio dell’informatica. Non per niente, prima della fine del suo primo anno alla Free State, era già diventata presidente del club di informatica. Era certa che, prima o poi, qualche grossa società di informatica, si sarebbe accorta di lei e delle sue grandi capacità.
“Un giorno, per parlare con me, dovrete prendere appuntamento, stronzetti” – diceva spesso, ridendo.
 
“La cheerleader non c’è?” – domandò la rossa, alzando gli occhi dal cellulare e guardandosi intorno – “Siamo forse troppo plebei per lei?” – azzardò sardonica poi.
“Charlie…” – la ammonì Dean, cercando di essere severo, ma senza riuscirci.
“Ok, ok, scusa…” – ammise lei, alzandole braccia in segno di resa – “Ma, lo sai, è più forte di me” – aggiunse, facendo la linguaccia.
“Comunque no, non c’è” – sospirò rassegnato Dean – “A dire il vero, non gliel’ho neanche chiesto…” – mormorò poi.
Charlie alzò le sopracciglia.
“E come mai?” – chiese lei, sorridendo maliziosa.
“L’ho fatto per te, rossa” – ghignò Dean.
“Ti amo” – sorrise lei.
“Lo so” – disse Dean, sorridendo a sua volta.
 
“Allora, iniziamo a fare questi compiti o no?” – chiese Benny, richiamando così l’attenzione di tutti.
 
°°°
 
I ragazzi rimasero in biblioteca fino alle sei di pomeriggio, orario di chiusura della struttura. Alla fine, erano riusciti a combinare qualcosa, soprattutto grazie all’aiuto di Chuck per quanto riguardava costituzione americana, e a Charlie, per quanto riguardava matematica.
Quando fu in prossimità di casa, Dean, senza rendersene conto, voltò distrattamente lo sguardo verso la casa dei vicini. E quando vide che sul dondolo era seduto lo stesso ragazzo di qualche giorno prima, si fermò.
Dean indugiò un attimo. Non sapeva bene cosa fare. Il fatto che quel ragazzo non l’avesse salutato, e nemmeno guardato in faccia, aveva portato Dean a due conclusioni possibili: o, come suggerito da suo fratello Sam, non voleva essere disturbato, oppure era uno stronzo snob.
Il maggiore dei Winchester decise di verificare una delle due ipotesi e, contemporaneamente, di concedere a quel giovane una seconda possibilità.
“Ehi, ciao!” – gli diede voce Dean, non ottenendo risposta.
Dean si umettò nervosamente le labbra. Guardandosi in giro, iniziò a incamminarsi verso l’abitazione. Quando fu ad un passo dalla ringhiera del portico, si fermò.
Il giovane era seduto sul dondolo, intento a leggere un libro, tenuto aperto sulle gambe.
“Ehi” – lo richiamò Dean, non ottenendo ancora risposta.
“Ehi, dico a te” – ritentò, invano.
“Ma, seriamente?” – borbottò il maggiore dei Winchester.
Stizzito, si diresse verso gli scalini di ingresso e salì sul portico. Non appena fu vicinissimo al ragazzo, allungò una mano e la appoggiò con forza sul libro aperto, facendo sussultare il giovane che, finalmente, alzò lo sguardo verso di lui.
“Ho detto ciao” – sibilò Dean.
 
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti!
Eccomi ancora qui con una nuova storia, una Destiel long ovviamente. Ho lavorato su questa fan fiction per molto tempo e finalmente posso presentarvela. L’idea è nata una domenica mattina, mentre passavo il panno swiffer sulla sala da pranzo di mia madre, e so che questo non vi interessa, ma ci tenevo a dirvelo *ride solo lei*
Non vi nascondo che sono piuttosto in ansia mentre vi scrivo, perché, come avrete capito dall’introduzione, la tematica trattata è davvero particolare e spero di aver fatto un buon lavoro. La pubblicazione dei capitoli avverrà una volta alla settimana, di lunedì. Chi mi conosce e ha già seguito le mie storie, sa bene che scrivo capitoli lunghi, e questo caso non fa eccezione. Perdonatemi, ma a quanto pare non ho il dono della sintesi.
Vorrei ringraziare (anche se siamo arrivati ad un punto in cui i ringraziamenti non sono più sufficienti, seriamente) la mia dolcissima e preziosissima beta MadGirlWithABlueBox. In lei ho trovato prima di tutto un’amica straordinaria, oltre che una beta appassionata ed efficiente, e posso dire che le mie giornate sono migliorate da quando la conosco. E devo ringraziare lei se questa storia può vedere la luce, perché ha continuato, e continua tutt’ora, a spronarmi e ad incitarmi ad andare avanti. Ti lovvo, Juls <3
Un ringraziamento speciale va a SognatriceNotturna e momoko89 per aver letto il capitolo in anteprima e avermi spronato alla pubblicazione. Anche in loro ho trovato delle amiche preziose e davvero degne di tale nome, per cui, davvero, grazie!
E infine vorrei ringraziare tutti gli autori di cui leggo e recensisco storie. Seguirvi per me è un immenso piacere, oltre che un onore, e dalle vostre storie posso solo imparare ad andare avanti e a continuare a scrivere.
Per ora è tutto.
Mi raccomando leggete, recensite se volete, ma soprattutto godetevi la storia!
Alla prossima!
Sara
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Inauguro con questa storia un piccolo angolo di curiosità inerenti ciascun capitolo che verrà pubblicato. Spero che sia di vostro gradimento!
 
1) Wheatfield è una panetteria/pasticceria di Lawrence, molto graziosa e dalle vetrine decisamente invitanti (If you know what I mean).
2) La gelateria Sylas & Maddy di Lawrence è piuttosto famosa e ha un locale davvero carino. Tutto l’arredamento è decisamente colorato e divertente, e vi consiglio di cercare su Google maps e di vederlo con i vostri occhi perché ne vale la pena. Il gelato Rock Chocolate esiste veramente e, secondo me, deve essere una di quelle golosità che ti fanno dire “la vita è bella”. L’ho scelto perché il nome mi sembrava perfetto per uno come Dean.
3) La scuola superiore frequentata da Dean e dai suoi amici, la Free State High School, è una dei tre licei presenti a Lawrence. Il colore della scuola è il verde e il simbolo è un uccello dalle ali infuocate, il Firebird.
4) La biblioteca di Lawrence che trovate descritta qui è basata sulla biblioteca di un paese vicino al mio, ed è un luogo davvero incantevole.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO DUE
 
“Il suono del silenzio
è tutto l’insegnamento
che avrai”
 
“Angeli di Desolazione” – Jack Kerouac
 
 
 
“Ho detto ciao” – sibilò Dean.
Il giovane schiuse le labbra, sorpreso, e guardò Dean con i suoi grandi occhi blu.
La spavalderia di Dean si ridimensionò ben presto di fronte all’incredibile colore di quegli occhi. Ritirò subito la mano, facendo qualche passo indietro, mantenendo però il contatto visivo con l’altro. Non riusciva a distogliere lo sguardo, sembrava come ipnotizzato. Il blu di quelle iridi era quasi magnetico e mutava continuamente in impercettibili sfumature, dando così l’impressione di essere una creatura vivente.
All’improvviso, la porta di ingresso si aprì e ne uscì un ragazzo, più che ventenne, alto, con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Dean si voltò verso di lui, imitato poi anche dal giovane sul dondolo.
Il ragazzo, vedendo Dean, si fermò di colpo, squadrandolo con un’occhiata.
“Ehi” – disse – “E tu sei…?” – chiese poi, socchiudendo gli occhi.
Dean indugiò un attimo prima di rispondere.
“Ciao…sono Dean Winchester, e abito nella casa qui vicino”.
Il ragazzo si prese un attimo per osservare meglio l’altro da capo a piedi.
“Io sono Balth” – disse infine, porgendo la mano a Dean. Poi si voltò verso il giovane sul dondolo e gli sorrise – “Ehi, Cassie, tutto bene?”
Quel giovane iniziò a muovere entrambe le mani sotto l’occhio incredulo di Dean, componendo gesti precisi e allo stesso tempo sinuosi, come se stesse tessendo qualcosa nell’aria. Balth lo osservava attentamente, annuendo di tanto in tanto.
“Va bene” – asserì, e rivolgendosi a Dean – “Mio fratello Cassie-ahia!” – esclamò, dopo aver ricevuto un pugno sul braccio dal giovane – “Mio fratello Castiel si scusa con te per non averti salutato”.
Dean rimase spiazzato. Cosa diamine era appena successo?
Il ragazzo lesse la perplessità negli occhi di Dean e sorrise leggermente.
“Da dove lo hai salutato?” – domandò Balth.
Dean aggrottò la fronte.
“C-cosa?”
“Da dove lo hai salutato?” – ripeté l’altro.
Dean ci pensò un attimo.
“Dal marciapiede…” – rispose poi confuso.
“Ora capisco” – annuì il biondo – “Dean, giusto?”
“Sì…”
“Vedi…mio fratello è affetto da sordità, ed è per quello che non ti ha salutato” – spiegò Balth – “Semplicemente non ti ha sentito” – fece poi una pausa – “Ma se gli parli di fronte e da vicino, lui ti capisce leggendo le labbra” – continuò poi – “Per comunicare invece…” – si interruppe per guardare di sfuggita il fratello – “Usa la lingua dei segni, per chi la conosce” – concluse, seccato.
In quel momento Dean sarebbe voluto sparire. Si era incaponito e, ammettiamolo, anche un po’ stizzito con quel giovane che non rispondeva al suo saluto. E ora che aveva scoperto il motivo, se ne vergognò moltissimo.
Fissò quel ragazzo di nome Castiel, mordendosi un labbro.
“Ok…nessun problema” – disse piano Dean.
Castiel sorrise e, in quel momento, a Dean il cuore sembrò battere più forte nel petto.
“Vi lascio soli ragazzi, devo aiutare a sistemare là dentro” – disse Balthazar, indicando l’interno della casa con un cenno del capo – “È stato un piacere, Dean” – concluse poi, rientrando in casa.
 
Rimasti soli, i due giovani si guardarono. Dean non riusciva a stare fermo. Continuava a spostare nervosamente il peso da una gamba all’altra, mentre Castiel, ancora seduto sul dondolo e con il libro in mano, gli sorrideva. Dean si fece coraggio e abbozzò un sorriso, avvicinandosi all’altro.
“E così…ti chiami Castiel?” – chiese, un po’ titubante.
Il giovane annuì.
“Io mi chiamo Dean” – disse, sollevando poi un braccio in direzione di casa sua – “E abito là”.
Castiel seguì la direzione del suo braccio, per poi annuire di nuovo.
Dean era imbarazzato, molto imbarazzato. Non sapeva proprio cosa dire. I suoi occhi si posarono sul libro che Castiel aveva in mano. Decise di iniziare da lì.
“Cosa leggi?” – domandò.
Il giovane voltò il libro verso Dean, mostrandogli così la copertina.
Dean non era mai stato appassionato di libri. Tuttavia, gli venne spontaneo aggrottare la fronte, perplesso, di fronte a quella copertina.
“Api? Un libro sulle api?”
Castiel annuì, sorridendo.
“Perché le api?”
Castiel abbassò leggermente lo sguardo, sul volto aveva un’espressione quasi mortificata.
Dean si maledisse subito, dandosi mentalmente dello stupido per aver fatto una domanda che richiedesse più di un semplice sì o no con la testa.
“Scusa, io non…” – arrancò Dean, ma Castiel, all’improvviso, si alzò dal dondolo ed entrò in casa.
“Maledizione!” – smozzicò Dean, pestando un piede per terra.
Si guardò attorno, smarrito. Cosa doveva fare? Andarsene? Rimanere? Per fortuna, poco dopo, il giovane fece nuovamente la sua comparsa sul portico, tenendo tra le mani una penna e un block notes.
Dean si sentì sollevato nel vederlo di nuovo.
“Ti prego, scusami, non l’ho fatto apposta, ho parlato così, senza pensare” – sbottò fuori tutto d’un fiato il giovane Winchester, parandosi di fronte all’altro.
Castiel lo fissò, socchiudendo gli occhi e inclinando leggermente il viso. Si diresse poi verso il dondolo, sedendosi. Picchiettò la mano sul posto di fianco a lui, invitando Dean a sedersi.
Dean si avvicinò lentamente e si sedette al suo fianco.
Castiel aprì il taccuino e iniziò a scrivere qualcosa, mentre l’altro lo osservava attentamente. I capelli neri erano un po’ spettinati, il taglio degli zigomi alto, il profilo del naso dritto, le labbra screpolate. Le dita, che impugnavano saldamente la penna, erano lunghe, eleganti e nell’insieme armoniose.
Castiel smise di scrivere e fece vedere il block notes a Dean.
Non c’è bisogno che ti scusi. Mi sono trovato di fronte a queste situazioni molte volte”.
Dean espirò forte nel leggere quella frase.
Per rispondere alla tua domanda di prima, posso dirti che in generale mi piacciono molto gli animali. Per quanto riguarda le api…sono affascinanti. Sono semplici, niente di complicato. Ma, anche se sono semplici, sono comunque efficienti e importanti. Il lavoro che fanno è importante. Danno vita a qualcosa di straordinario”.
“Sai che non ci avevo mai pensato?” – constatò Dean, alzando le sopracciglia, sorpreso.
Castiel sorrise.
“Scrivi bene, sai?” – aggiunse l’altro, guardando meglio la pagina del taccuino.
Grazie”.
“Io, a dire il vero, non leggo molto” – disse un po’ imbarazzato Dean – “Ok, non leggo affatto” – ammise poi – “È già tanto se apro i libri di scuola”.
Castiel rise.
“Quanti anni hai?” – chiese il giovane Winchester.
Diciassette. Tu?
“Anche io. Mia madre ci aveva visto davvero giusto” – mormorò tra sé Dean.
?
“Oh, no, niente, è una cosa che ha detto mia madre qualche mattina fa, quando ha visto il furgone dei traslochi” – liquidò il giovane, con un cenno della mano.
Castiel lo fissò, con aria interrogativa.
Dean sorrise.
“Ha detto che magari i nuovi vicini avevano ragazzi della mia età”.
Aveva ragione”.
“Già”.
All’improvviso dal portone d’ingresso fece nuovamente capolino Balthazar.
“Mi dispiace disturbarvi ragazzi, ma…Cassie, la mamma ha chiesto di te”.
Castiel abbassò le spalle, arricciando le labbra in un impercettibile broncio.
[…]
“Ha detto che ci sono ancora le tue cose negli scatoloni da sistemare in camera, compresi tutti quei libri che hai deciso di portarti dietro nel trasloco”.
[...]
“Sì, ha detto che lo devi fare adesso”.
[…]
“Sono sicuro che Dean lo puoi rivedere anche domani” – lo tranquillizzò il fratello – “Vero, Dean?” – aggiunse poi, rivolgendosi all’altro.
Castiel si voltò verso il giovane, negli occhi blu una speranza in attesa di conferma.
“Sì, certo” – rispose Dean, sorridendo.
Castiel sorrise a sua volta.
“A domani, allora” – disse il giovane Winchester, alzandosi e congedandosi dai due fratelli.
Dean si incamminò verso casa, voltandosi un’ultima volta per salutare i due con un cenno della mano.
“Ti sei scelto proprio un amico carino, Cassie” – ammiccò il ragazzo, guardando poi Dean allontanarsi.
Castiel alzò gli occhi al cielo e mise in malo modo il block notes tra le mani di Balthazar, prima di rientrare in casa.
Il fratello lo aprì e, leggendo, sorrise.
Cretino”.
 
°°°
 
Quando Dean tornò a casa, era ancora parecchio turbato da quanto successo poco prima.
“Ciao, tesoro" – disse Mary, vedendolo entrare in cucina – “Come è andata in biblioteca? Siete riusciti a combinare qualcosa?”
Dean incrociò gli occhi della madre, ma non rispose.
“Dean?” – lo richiamò piano la donna – “È successo qualcosa?” 
Il giovane sospirò e si lasciò cadere su una sedia.
“Ho conosciuto uno dei nuovi vicini” – mormorò poi.
“Davvero?”
“Sì…è un ragazzo della mia età”.
“Oh, bene” – sorrise lei.
“Ma…” – esitò il figlio.
“Ma?” – lo incitò dolcemente la madre.
“Ecco…temo di aver fatto una brutta figura” – disse Dean amaramente.
“Cos’è successo?”
Il giovane raccontò alla madre quanto accaduto, di quel giovane che non rispondeva al suo saluto, di come lui abbia attirato infine la sua attenzione, del fratello che ha spiegato che…
La madre spostò la sedia e prese posto accanto a lui.
“Mi dispiace davvero per quel ragazzo” – sospirò la donna – “Ma, Dean, tu non lo potevi sapere. Sono sicura che anche lui lo abbia capito”.
“Sì, sì…lo ha capito…abbiamo anche parlato un po’…” – ammise con un forte sospiro – “Parlato…” – mormorò poi, abbassando lo sguardo – “Io ho parlato, lui annuiva e scriveva su un block notes”.
“Dean…”
Rimasero un po’ in silenzio.
“Mi ha chiesto se possiamo rivederci domani” – riprese poi il giovane, fissando il vuoto.
“Beh, mi sembra una cosa positiva, no?” – sorrise Mary.
Dean alzò gli occhi e guardò la madre.
“Dici?”
“Sì, ne sono abbastanza sicura” – annuì lei – “Dai, vai a chiamare tuo fratello. Vostro padre è già rientrato dal lavoro e tra poco è pronto in tavola”.
 
°°°
 
Quella sera i nuovi vicini si apprestavano a consumare la cena nella sala da pranzo.
“Ho saputo che oggi hai conosciuto un ragazzo che vive nella casa accanto” – disse il capofamiglia, rivolto a Castiel.
Il ragazzo riservò un’occhiata di finto rimprovero al fratello e poi, rivolto al padre, annuì.
“E come si chiama?”
[...]
“Senti, Castiel” – disse cauto l’uomo – “Ti va di parlarci un po’ di questo Dean…a voce?”.
Il giovane si irrigidì.
[…]
L’uomo esitò.
“Beh, perché sei in grado di parlare…e lo sai”.
Castiel lo guardò duramente, per poi fare cenno di no con il capo.
“Dai, almeno quando siamo a tavola insieme…” – tentò il padre.
Castiel scrollò nuovamente la testa, in un tacito diniego.
“Ti prego, Castiel…” – lo incitò dolcemente l’uomo.
Il giovane batté la forchetta nel piatto e si alzò velocemente dalla sedia, per poi uscire dalla sala da pranzo e sparire sulle scale che portavano al piano superiore.
A tavola calò il silenzio.
Il padre allontanò da sé il piatto, per poi appoggiarsi contro lo schienale della sedia.
 
“E quindi, con questo ragazzo ha comunicato usando un block notes” – sospirò il padre, rivolgendosi a Balthazar.
Il figlio maggiore annuì.
“Io, davvero…” – si interruppe l’uomo, appoggiando poi i gomiti sul tavolo e massaggiandosi una tempia con la mano.
“James…” – lo richiamò piano la moglie – “Lascialo fare…” – disse poi, posando la propria mano su quella del marito.
“Amelia…tu continui a dire di lasciarlo fare, ma…da quando ha perso l’udito ha parlato sempre meno, per poi smettere del tutto. Lui può parlare e non capisco perché si ostini a non farlo”.
 
“Lui…” – continuò l’uomo – “Lui dovrebbe interagire di più con i ragazzi della sua età…e non stare sempre chiuso in casa a leggere…non aveva amici a Pontiac, non ha più voluto andare in nessuna scuola…”
“James…” – sussurrò Amelia.
L’uomo puntò i suoi occhi blu in quelli della moglie.
“Io vorrei solo il meglio per lui…” – mormorò James.
La donna strinse forte la mano del marito nella sua e annuì.
 
Dopo cena Balthazar salì le scale, diretto al piano superiore. Dopo qualche passo lungo il corridoio si trovò di fronte alla camera del fratello. Posò il dito sull’interruttore collocato sul muro, di fianco alla porta della stanza, e attese.
L’interruttore fungeva da campanello luminoso. Era collegato direttamente ad una lampadina posta all’interno della camera, esattamente sopra lo stipite della porta. Il segnale inviato dall’interruttore consentiva alla lampadina di accendersi e pertanto di far sapere a chi era nella stanza che qualcuno era fuori, in attesa di entrare. Una modifica necessaria, data la situazione di Castiel. Anche il campanello di ingresso della casa presentava una modifica analoga.
Dopo qualche secondo la porta si aprì, e Balth si trovò faccia a faccia con il fratello.
Quando lo vide, Castiel rilassò le spalle e inclinò leggermente il viso, facendo poi cenno al maggiore di entrare.
Il minore si sedette sul bordo del letto, mentre il più grande si avvicinò e, prendendo la sedia della scrivania, la spostò di fronte all’altro, prendendo poi posto.
“Ehi” – disse Balthazar, piegandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Castiel sospirò.
“Senti, papà è stato un po’ insistente, è vero, ma lo sai che dice quelle cose per il tuo bene” – iniziò il maggiore.
[…]
“No, Cassie, non è vero che non capisce, lui…” – tentò il fratello.
[…]
“Nessuno ti vuole costringere a fare una cosa che non vuoi fare”.
[…]
“Lo so che tu stai bene così, ma cerca di metterti un attimo nei nostri panni”.
Castiel aggrottò la fronte.
[…]
“Sì, anche nei miei” – sospirò Balth.
[…]
“E fai bene a continuare a pensare che io sia dalla tua parte, perché è così. Però, Cassie, questa situazione a volte…è pesante, capisci?”
Il minore non riuscì a controbattere.
 
“Sai…mi manca” – mormorò il maggiore.
Castiel lo guardò, con fare interrogativo.
“La tua voce” – sussurrò poi.
E subito i ricordi di Balthazar presero forma nella sua mente.
“Quando non facevi altro che seguirmi dappertutto, e non la smettevi di farmi domande su ogni cosa” – sorrise – “Quando mi leggevi i temi che avevi fatto a scuola, o quando volevi che ti aiutassi a imparare le battute per la recita scolastica. E quando, un giorno, mi dicesti che da grande saresti voluto diventare come me…”
Balth sollevò il busto, per poi appoggiarsi allo schienale della sedia.
“Io non voglio sforzarti a fare niente. E neanche papà. Ma voglio che tu capisca che quando lui si comporta così, è solo perché è preoccupato, perché ti vuole bene e farebbe qualsiasi cosa per te. E anche io”.
Castiel rimase seduto sul letto, incapace di rispondere.
Il maggiore si alzò dalla sedia e la rimise al suo posto.
All’improvviso si sentì strattonare leggermente un lembo della maglietta e, quando si voltò, si ritrovò Castiel tra le braccia. Il fratello sorrise, ricambiando l’abbraccio.
“Ehi, non sei un po’ cresciuto per le coccole?” – scherzò poi.
Castiel rise, scrollando la testa.
[…]
“Ti voglio bene anch’io, Cassie”.
 
 
°°°
 
Quella stessa sera, Dean era sdraiato sul suo letto, con le cuffie alle orecchie. Era così preso dai suoi pensieri da non accorgersi che il cd nello stereo aveva smesso di suonare da diversi minuti.
Il display del cellulare accanto a lui si illuminò, richiamando così la sua attenzione. Passò velocemente un dito sullo schermo. Era un messaggio.
 
[21:47] – Da Lisa a Dean
 Ci vediamo domani?
 
Dean fissò il telefono qualche secondo, prima di lasciarlo cadere sul materasso. Non riusciva a smettere di pensare a quanto successo nel pomeriggio. Come poteva una persona non sentire? Come poteva non sentire i rumori o le persone che parlavano, non ascoltare la musica...che razza di vita era?
Dean sentì una fitta lo stomaco.
Quel ragazzo…aveva la sua stessa età. Diciassette anni. Solo diciassette anni. Come riusciva a portare un simile peso sulle spalle? E sorrideva. Quel Castiel sorrideva tanto, anche con gli occhi. Come poteva farlo? Come poteva sopportare tutto quello e continuare a sorridere?
Dean spense la lampadina sul comodino, rimanendo così al buio, solo, con tutte quelle domande senza risposta.
 
°°°
 
Il mattino successivo, Dean si alzò di buon’ora, sotto lo sguardo incredulo della madre e del fratello. Dopo aver fatto colazione, vagò per casa alla ricerca di una finestra dalla quale si potesse vedere il portico dei vicini, invano. Il giorno precedente aveva detto a Castiel che si sarebbero visti l’indomani, ma, in effetti, non avevano specificato un’ora. Dean ci pensò e, alla fine, decise che la cosa migliore da fare fosse andare da lui nel pomeriggio.
 
Quando quel pomeriggio Dean uscì di casa e iniziò a percorrere i metri che lo separavano dall’abitazione del vicino, era un po’ agitato. Gli sudavano le mani e non riusciva a spiegarselo. Tuttavia, quando si accorse che Castiel era in piedi sul portico e lo stava guardando, tutta l’agitazione, così come era arrivata, scivolò via. Fece un saluto con la mano, prima di salire i gradini e trovarsi anch’egli sul portico.
Il moro gli sorrise, e con un cenno del capo, lo invitò a sedersi sul dondolo.
Si sedettero entrambi e Castiel mise subito mano al block notes, iniziando a scrivere.
Sei venuto”.
Dean aggrottò la fronte.
“Certo che sono venuto” – disse – “Pensavi che non sarei venuto?”
Castiel indugiò un attimo, picchiettando la punta della penna sul foglio.
Diciamo che non ci speravo troppo”.
“Perché?” – chiese Dean curioso.
Beh, magari avevi di meglio da fare”.
Il maggiore dei Winchester alzò le sopracciglia e guardò attentamente l’altro.
“Anche se fosse stato così, io ti avevo detto che sarei venuto” – chiarì – “Ed eccomi qua” – concluse.
Castiel sorrise.
 
“Allora, Castiel, da dove vieni?” – chiese Dean.
Pontiac, Illinois”.
“Come mai vi siete trasferiti?”
Per il lavoro di mio padre”.
“Ah, capisco” – annuì l’altro – “Immagino che ti sia dispiaciuto lasciare i tuoi amici” – disse poi piano.
Castiel abbassò lo sguardo, mordendosi un labbro.
“Scusa, forse non dovevo…” – si premurò Dean.
Il moro scosse il capo.
Io non avevo amici dove abitavo prima”.
Dean rilesse quella frase più volte, incredulo.
“Come sarebbe a dire che non avevi amici?” – si stupì il giovane.
Castiel lo guardò negli occhi. I suoi grandi occhi blu assunsero una lieve sfumatura di tristezza, che colpì Dean dritto allo stomaco.
Dean deglutì un paio di volte.
“Beh” – disse tentennando – “Li troverai qui…degli amici intendo” – concluse sorridendo.
Il moro stirò le labbra in un lieve sorriso.
“Se…se ti va, puoi uscire con me e con i miei amici” – propose l’altro – “Sono sicuro che andrete d’accordo. Vedrai, ci divertiremo” – disse deciso.
Castiel annuì.
 
“Senti, è da ieri che volevo chiedertelo…Castiel…è un nome strano…voglio dire…” – gesticolò Dean, imbarazzato.
Castiel sorrise.
Non ti preoccupare. Non sei il primo che me lo chiede”.
Il moro prese un bel respiro e iniziò a scrivere.
Mio padre mi ha detto che Castiel è il nome di un angelo, l’angelo del giovedì. E si dice che protegga le persone nate in quel giorno”.
Dean lesse attentamente.
“Un angelo?” – domandò sorpreso.
Castiel annuì.
Il suffisso -el significa Dio. È presente anche nel nome di molti altri angeli”.
“Chi ti ha dato questo nome?”
L’ha scelto mio padre”.
 
Castiel riprese a scrivere.
A dire il vero, ho scoperto un’altra spiegazione, ed è un po’ diversa”.
“E quale?” – si incuriosì l’altro.
Cassiel, un arcangelo presente nella Cabala. Osserva gli eventi che si svolgono, senza intervenire. Viene chiamato anche angelo delle lacrime, o anche angelo del silenzio. Il suo giorno è il sabato e il suo colore è il nero. Si dice anche che sia l’angelo che si è innamorato di un uomo”.
Dean lesse più volte, soffermandosi su quel ‘angelo del silenzio’.
“Innamorato di un uomo?” – ripeté poi Dean – “Gli angeli possono innamorarsi degli uomini? – chiese poi perplesso – “Cioè, voglio dire…è consentito?”
Castiel alzò le spalle.
Non lo so”.
“E invece il nome di tuo fratello? Anche quello è angelico?” domandò il giovane, divertito.
Il moro rise, prima di scarabocchiare qualcosa sul block notes.
Sembra che anche il nome di Balthazar si trovi nella Cabala. Ma è quello di un demone”.
“Un demone?” – esclamò Dean, scoppiando a ridere – “E che tipo di demone sarebbe?” – chiese, dopo aver ripreso fiato.
Un cacciatore di avventure o un demone seduttore”.
“E tuo fratello è un seduttore?”
Diciamo che ha avuto parecchie ragazze”.
Entrambi scoppiarono a ridere.
 
“Quanti anni ha tuo fratello?”
Venticinque”.
“E cosa fa?”
Sta finendo il college. Facoltà di psicologia”.
“E i tuoi genitori?”
Mio padre è contabile presso un’azienda e mia madre è un’insegnante”.
“Cosa insegna?”
Matematica”.
“Uhu” – fece una smorfia l’altro – “Ti confesso che io e la matematica non andiamo molto d’accordo”.
Castiel sorrise e annuì col capo.
E tu invece? Raccontami qualcosa di te”.
Dean lesse e sorrise.
“Dunque…” – iniziò il giovane, cercando di raccogliere le idee – “Vivo con mia madre, mio padre e mio fratello Sammy”.
“Sammy è più piccolo di me,” – riprese – “Ha tredici anni. Sai, ho come la sensazione che andreste d’accordo voi due”.
Il moro sorrise.
“Mio padre è un meccanico. Lavora con un vecchio amico, in un’officina qui a Lawrence. Mia madre invece è una casalinga. Fa delle crostate favolose, un giorno di questi ti farò assaggiare quella alla ciliegia. È la mia preferita”.
Castiel osservò Dean più da vicino. Aveva i capelli biondo scuro, un po’ più chiari sulle punte, e tagliati corti, i lineamenti del viso erano morbidi e delicati, anche se la linea della mandibola era piuttosto marcata. Inoltre, mentre Dean parlava della sua famiglia, il moro poté vedere risplendere sottili pagliuzze dorate nei suoi occhi verdi, mentre le labbra si schiudevano in piccoli sorrisi e le lentiggini, che aveva sul viso, si facevano più vistose.
 
“Si è fatto tardi, devo tornare a casa” – disse Dean dopo un po’.
Castiel annuì.
Entrambi si alzarono dal dondolo, e il moro accompagnò il biondo fino agli scalini del portico.
Dean fece qualche passo fuori dal porticato, per poi voltarsi e tornare indietro, sotto lo sguardo interrogativo del moro.
“Senti, Castiel” – disse il biondo, umettandosi le labbra – “Hai da fare domattina?”
Castiel alzò le sopracciglia, sorpreso. Poi scrollò la testa.
“Ti…ti andrebbe di fare un giro per Lawrence?” – propose l’altro.
Il moro schiuse le labbra. Rimase immobile, con il taccuino tra le mani, gli occhi blu fissi su Dean.
“Se non ti va, non importa…” – si affrettò a dire il biondo.
Castiel scese qualche gradino e annuì.
Dean sorrise, compiaciuto.
“Passo da te per le nove?” – chiese poi.
Ok, per le nove”.
“Perfetto. A domani, allora” – disse l’altro, salutando con un cenno della mano, subito ricambiato dal moro.
Castiel rimase sul portico ad osservare Dean mentre tornava a casa sua. L’indomani sarebbe stata una giornata diversa dal solito. E su questo Castiel iniziò a provare sensazioni contrastanti.
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti!
Eccoci qui con il secondo capitolo. Finalmente abbiamo fatto la conoscenza di Castiel e abbiamo scoperto qual è l'handicap del ragazzo, anche se, da bravi lettori, avevate già intuito tutto dal precedente aggiornamento.
Il primo incontro tra Dean e Castiel ha quasi del traumatico, ma non poteva essere altrimenti: due mondi così diversi che si incontrano e che, dopo un fraintendimento iniziale, iniziano a confrontarsi. Vorrei inoltre specificare che il simbolo [...] indica la lingua dei segni che viene usata da Castiel. Le cose dette dal giovane sono comunque facilmente comprensibili grazie a quello che viene detto dalla persona con cui il giovane sta colloquiando (padre, madre, fratello).
Abbiamo anche fatto la conoscenza con il resto della famiglia Novak, ed è stato accennato qualcosa su Castiel stesso, e so che a questo punto avete delle domande sul problema del ragazzo dagli occhi blu, ma vi prometto che tutto sarà adeguatamente spiegato più avanti.
Avrete sicuramente notato che anche per i fratelli Novak ho inserito un "brotherly moment", esattamente come per Dean e Sam. Ebbene, questi momenti saranno presenti in tutta la storia, in quanto fondamentali ai fini della trama stessa.
Per ora è tutto.
Mi raccomando, leggete, recensite se volete, e godetevi la storia!
Alla prossima!
Sara
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Non si parla mai di linguaggio dei segni, ma di lingua dei segni: è questo il termine corretto da usare. Esiste una lingua dei segni universale, ma il suo utilizzo è stato relegato solo in incontri internazionali e quindi non ha mai assunto le connotazioni di una vera e propria lingua. Pertanto ogni paese ne ha una propria, e molte sono ufficialmente riconosciute. Ad esempio in Italia c'è la LIS (lingua italiana dei segni), in Spagna la LSE, in Francia la LSF, e così via. Ci sono lingue dei segni anche in Africa e in Oceania. Castiel si esprime attraverso la LSA , lingua dei segni americana, ovviamente. In generale molti elementi sono in comune tra le diverse lingue, come l'alfabeto, ma alcune parole possono essere espresse con una posizione delle mani e delle braccia diverse. Più avanti tornerò sull'argomento, portandovi altre curiosità.
2) L'apprendimento della lingua dei segni è molto complesso e richiede tempo e molta pratica. Solitamente, all'interno di una famiglia con un figlio affetto da sordità, è la madre che la impara prima e meglio, rispetto agli altri membri del contesto familiare, in quanto è quella che passa più tempo con il figlio. 

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO TRE
 
“Prima accetti che le cose non torneranno più come prima
e prima ricominci a vivere”
 
Gary Schartz
 
 
Castiel si svegliò e aprì gli occhi, battendo le palpebre. Una luce filtrava debolmente dalle tende tirate, riflettendosi in un gioco di luci e ombre sulle pareti della stanza. Il ragazzo si girò, mettendosi supino e stropicciandosi gli occhi con le nocche delle mani, per poi fissare intensamente il soffitto. Il primo pensiero del giovane andò a quella mattina e all’impegno che aveva preso il giorno prima con Dean, il vicino di casa.
Castiel aveva accettato subito il suo invito, ma non sapeva il perché. Lui non usciva mai, non voleva uscire. E invece adesso aveva in programma un giro per Lawrence. Il giovane si era quasi pentito di aver accettato, ma la proposta di Dean era stata così improvvisa e così spontanea che, per un attimo, Castiel si dimenticò di tutto, dei suoi problemi, del suo non voler uscire…e persino della sua sordità.
Sospirò e decise di alzarsi, quantomeno per scrollarsi di dosso quei pensieri così contrastanti. Scostò le coperte e si sedette sul bordo del letto, appoggiando i piedi nudi sul pavimento. Fece un bel respiro, si alzò dal letto e uscì dalla camera. Percorse piano il corridoio, per poi scendere con calma le scale, e recarsi così al piano inferiore.
Quando entrò in cucina, trovò il fratello seduto al tavolo, intento a bere un caffè.
“Buon giorno, Cassie”.
[…]
“Dormito bene?”
Castiel annuì. Il giovane si spostò verso gli sportelli della cucina e aprì l’anta della dispensa per prendere i cereali. Dopo avere recuperato una tazza e un cucchiaio, aprì infine il frigorifero e prese il latte.
Una volta seduto al tavolo, il moro chiese al fratello dove fossero i genitori.
“Credo che stiano ancora dormendo. Forse papà si sta già preparando per andare al lavoro” – si interruppe Balth, bevendo un sorso di caffè – “In effetti è piuttosto presto, che ci fai già alzato?”
Il minore si prese qualche secondo prima di rispondere.
[…]
“Tu e Dean andate in giro per Lawrence?” – chiese stupito il maggiore – “Uhm, è una bella idea” – constatò, sorridendo.
Anche Castiel sorrise debolmente.
Il più piccolo iniziò a fare colazione, ma ben presto si ritrovò solo a girare i cereali, ormai zuppi di latte, con il cucchiaio.
“Cassie, tutto bene?” – chiese Balthazar, dopo averlo osservato attentamente con la coda dell’occhio.
Castiel sospirò e scrollò la testa.
“Che succede?” – chiese piano il fratello.
Il giovane indugiò un attimo. Non era sicuro di voler tirare fuori l’argomento, anche se sapeva bene che con il fratello avrebbe potuto parlarne apertamente.
[…]
Balth aggrottò la fronte.
“Perché dici di esserti pentito di aver accettato l’invito di Dean?” – domandò poi.
Castiel abbassò lo sguardo sul tavolo.
[…]
“No, invece è un’ottima idea che tu esca” – ribatté il più grande.
Il fratello appoggiò la tazza sul tavolo e si sporse in avanti.
“Cassie, qual è il problema?”
[…]
Il maggiore dei Novak sospirò.
“State uscendo solo per fare un giro. Perché pensi di poter essere un peso? E, correggimi se sbaglio, ma è stato lui ad invitarti. Se non avesse voluto non te lo avrebbe neanche chiesto, non credi?”
Il minore si morse un labbro.
“Cassie, questo tuo continuo dire di esser un peso per gli altri e di non volere la pietà di nessuno, non porta a niente. A niente di buono, intendo. Così non fai altro che farti del male” – sottolineò Balth.
Castiel agganciò gli occhi del fratello.
“Ti dico questo solo perché ti voglio bene. Esci e goditi questa giornata. E…lascia stare tutto il resto” – lo spronò dolcemente il fratello – “Me lo prometti?” – sorrise poi.
Il minore abbozzò un sorriso e annuì.
 
Dieci minuti più tardi, anche i genitori dei ragazzi fecero la loro comparsa in cucina.
“Buon giorno” – disse James, già pronto per recarsi al lavoro.
“Buon giorno, tesoro” – disse Amelia, baciando Castiel sulla tempia.
Castiel sorrise timidamente. Poi si alzò dalla sedia per riporre la tazza e il cucchiaio nel lavello. Quando si voltò, il padre aveva già preso posto a sedere, mentre la madre iniziava a preparare la colazione. Castiel si avvicinò lentamente a James e posò una mano sul suo braccio, per richiamare la sua attenzione.
L’uomo si voltò, incontrando così gli occhi del figlio che lo guardavano.
“Dimmi, Castiel” – sorrise lui.
Il giovane tentennò sul posto, mordendosi un labbro. Non aveva certo dimenticato il modo in cui la cena si era bruscamente interrotta, due sere prima.
[…]
“Dean ti porta a fare un giro per Lawrence? Davvero?” – chiese James, piacevolmente stupito.
Castiel annuì.
[…]
“Sì, certo che puoi andare” – rispose il padre, un po’ sorpreso – “Divertiti” – disse infine, sorridendo.
Castiel ricambiò il sorriso e uscì dalla cucina per andare in camera a prepararsi.
James lo seguì con lo sguardo, per poi voltarsi e incrociare gli occhi della moglie e infine quelli del figlio maggiore.
“Ho capito bene? Questo ragazzo, Dean, lo ha invitato a fare un giro per la città?” – chiese l’uomo, ancora sorpreso.
“Sì, me lo ha detto poco fa” – confermò Balth.
“E Cassie ha accettato?”
Il ragazzo annuì.
“Come ti è sembrato, Balthe?” – intervenne la madre, nella voce una punta di apprensione.
Balthazar indugiò, rigirandosi la tazza tra le mani. Decise di tenere per sé la conversazione avuta poco prima con il fratello.
“Mi è sembrato contento” – si limitò a dire, infine.
 
Castiel si fece una doccia veloce, per poi tornare in camera a vestirsi. Rimase alcuni minuti a fissare l’armadio aperto davanti a sé, indeciso su cosa indossare. Alla fine optò per una maglietta azzurra e un paio di jeans scuri.
 
Un’ora più tardi, suonarono alla porta.
“Vado io” – disse Balthazar, dirigendosi verso l’ingresso.
Quando aprì la porta, si trovò di fonte il vicino di casa.
“Ciao” – salutò timidamente Dean.
“Ciao, Dean” – sorrise Balth – “Cassie si sta preparando, vado a chiamarlo. Se nel frattempo vuoi entrare…” – disse, tenendo la porta aperta, in un chiaro cenno di invito.
“No, no, va bene così, aspetto qui, grazie”.
“Ok, come vuoi” – disse il ragazzo, prima di sparire all’interno della casa.
Dean passeggiò lungo il portico, con le mani in tasca. Aveva già in mente un sacco di posti da far vedere a Castiel e si ritrovò a sorridere al solo pensiero.
Dei passi sul porticato lo fecero voltare, e si ritrovò di nuovo faccia a faccia con il maggiore dei Novak.
“Mio fratello sta arrivando” – disse l’altro.
“Ok, grazie” – annuì Dean.
Il ragazzo si avvicinò al maggiore dei Winchester e lo fissò negli occhi.
“Senti, Dean…tu non stai facendo tutto questo per pietà, vero?”
Dean percepì una certa durezza nel tono di voce dell’altro.
“Cosa?” – chiese il giovane, colto di sorpresa – “No, assolutamente no” – rispose poi risoluto.
Balthazar sospirò e i suoi occhi azzurri si addolcirono.
“Non volevo offenderti o dubitare di te, ma ho dovuto chiedertelo. Spero che tu possa capirmi” – spiegò – “Mio fratello…è un po’ particolare, e non mi sto riferendo solo alla sordità. Se vuoi essere suo amico, ti chiedo di essere paziente con lui” – riprese poi, con calma.
Dean osservò bene il volto del ragazzo di fronte a sé e vi poté leggere preoccupazione, ma anche tanto, tanto affetto nei confronti del fratello. Dean sorrise. A quanto pare lui e Balth avevano una cosa in comune: erano entrambi fratelli maggiori. Anche Dean provava un grande affetto e un profondo attaccamento per Sammy.
“Va bene” – si limitò a dire il giovane.
“E un’altra cosa, Dean. Non…non illuderlo, per favore. Non diventare suo amico solo perché è una novità, o è estate e non hai altro da fare…per poi sparire” – mormorò Balth.
“Non intendo farlo” – chiarì Dean.
Balthazar sospirò, annuendo piano. Gli occhi di Dean gli sembrarono sinceri.
“Ok, ti ringrazio” – disse poi.
In quel momento Castiel uscì dalla porta d’ingresso, attirando così l’attenzione dei presenti.
“Va bene, ragazzi. Divertitevi e fate i bravi” – disse il maggiore dei Novak, congedandosi da loro.
“Sei pronto?” – sorrise Dean rivolto al moro.
Castiel annuì, sorridendo di rimando.
 
 
°°°
 
Dean e Castiel si incamminarono lungo il marciapiede, diretti verso il centro di Lawrence. Era una bellissima giornata, e il sole era decisamente raggiante per essere solo le nove del mattino. Il quartiere era molto tranquillo, e si sentivano solo il cinguettio degli uccelli sugli alberi e il frinire di qualche cicala.
 
Quando giunsero in prossimità del centro, Castiel si guardò intorno curioso. A dire il vero la cittadina non era al massimo della sua attività, dal momento che era agosto e molte persone erano già partite per le vacanze.
“Allora, come ti sembra? È tanto diversa da Pontiac?” – chiese Dean.
Castiel sorrise, mostrandogli il block notes.
Pontiac è una piccola cittadina, davvero molto piccola”.
“Quindi non c’è niente di interessante?” – domandò un po’ deluso il biondo.
Il moro socchiuse gli occhi e arricciò le labbra. Riprese il taccuino, indugiando un attimo, e poi iniziò a scrivere.
A dire il vero, è famosa per alcune cose. Il museo e la Hall of Fame sulla Route 66, ad esempio”.
Quando Dean lesse, il suo sguardo si illuminò.
“Il museo sulla Route 66? Wow! Deve essere grandioso! Tu ci sei stato?”
Castiel lo guardò incuriosito e divertito allo stesso tempo. In quel momento, Dean gli sembrò un bambino al quale avevano appena regalato un giocattolo nuovo.
Non ci sono mai stato”.
Il biondo aggrottò le sopracciglia.
“Come sarebbe a dire che non ci sei mai stato? Ma è la Mother Road!” – disse Dean, incredulo.
Il moro alzò le spalle, quasi dispiaciuto.
Non mi sono mai interessato a cose del genere”.
Dean sbuffò in una risata.
“Incredibile. Amico, sei incredibile” – disse scrollando la testa – “Dai, andiamo” – sorrise infine.
 
Dopo circa venti minuti di cammino, i due ragazzi giunsero nei pressi di un ampio piazzale, dal quale partiva una lunga strada che terminava di fronte ad un grande edificio.
“Lo vedi quell’edificio laggiù?” – disse Dean, indicando la direzione con il braccio sollevato.
Castiel seguì con lo sguardo la direzione indicata, per poi annuire.
“È la scuola dove vado io, la Free State High School” – spiegò il biondo – “Ma non la voglio rivedere fino a settembre” – borbottò poi.
Il moro rise, coinvolgendo anche l’altro.
È grande”.
“Sì, è vero” – ammise il giovane – “Ci sono così tante aule che rischi quasi di perderti. C’è anche una piscina al coperto, sai?”
“E tu invece, in che scuola ti sei iscritto?” – chiese poi Dean.
Castiel si irrigidì. Avrebbe dovuto aspettarsi una domanda del genere, prima o poi. Indugiò un attimo con la penna a mezz’aria.
Io non vado a scuola”.
Dean fece una smorfia. Era ovvio che Castiel non potesse frequentare una scuola normale. Perché non ci aveva pensato subito?
“Vai in una scuola, ehm…speciale?” – tentò cauto il biondo.
Il moro scrollò la testa.
“Perché?”
Perché no”.
 
Da quel momento, il giro per Lawrence proseguì senza nessun tipo di comunicazione tra i due. Il moro non aveva più scritto nulla sul suo block notes e questo portò Dean, suo malgrado, a non fare altre domande al nuovo vicino. Quella conversazione sulla scuola aveva turbato Castiel e il biondo se ne era reso conto. E sperò vivamente di non aver rovinato quella che poteva essere una piacevole giornata.
 
Mentre camminavano lungo le vie del centro, Castiel venne attratto dalla vetrina di un negozio. Rallentò il passo, guardando ora la vetrina, ora Dean. Era consapevole di non essere stato propriamente amichevole con lui, poco prima. Tuttavia, decise di farsi coraggio e si avvicinò all’altro. Con una mano toccò delicatamente il braccio di Dean, attirando così la sua attenzione.
“Che succede?” – chiese il biondo, voltandosi.
Il moro gli mostrò timidamente il block notes, abbozzando un sorriso.
Possiamo entrare?”
Dean si fece avanti, per osservare meglio la vetrina del negozio. Si trattava di una libreria. E sorrise.
‘Forse questa giornata non è rovinata’ – pensò il giovane.
“Avrei preferito non vedere più libri fino all’inizio della scuola, ma…va bene” – ridacchiò il biondo.
Anche il moro sorrise. E Dean, nel vedere quel sorriso, si ritrovò a provare sollievo.
La libreria era molto grande e dall’aspetto decisamente moderno. Era disposta su due piani e vi si accedeva dal piano terra attraverso due grandi porte scorrevoli di vetro. L’interno era spazioso e molto luminoso.
Dean si guardò in giro, un po’ spaesato. Quello non era decisamente il suo ambiente. Tuttavia, sembrava essere l’habitat naturale di Castiel. Il biondo si soffermò a guardarlo, mentre il moro, a piccoli passi, percorreva uno dei corridoi, con gli occhi blu puntati sugli scaffali. Ogni tanto lo vedeva prendere in mano qualche libro per sfogliarlo o per soffermarsi a leggere la biografia dell’autore sul retro della copertina. Per la seconda volta, nel giro di poco tempo, Dean si ritrovò a sorridere di nuovo.
Il cellulare vibrò nella sua tasca, attirando la sua attenzione. Dean aggrottò la fronte, mentre sfilava il telefono dalla tasca dei jeans. Lesse l’identificativo sul display: Lisa.
“Maledizione” – smozzicò.
Indugiò qualche secondo, per poi sfiorare con un dito lo schermo e rispondere.
“Pronto?”
“Dean!” – trillò la ragazza.
“Ehi, Lisa…”
“Ma che fine hai fatto? Ieri ti ho chiamato diverse volte, ma non mi hai mai risposto” – disse lei, un po’ irritata.
Dean digrignò i denti. Aveva passato tutto il pomeriggio precedente sul portico con Castiel, ignorando il cellulare che vibrava continuamente nella sua tasca. E, alla fine della giornata, aveva semplicemente appoggiato il telefono sul comodino, prima di concedere la rivincita a Sammy in un nuovo videogioco.
Il biondo si passò una mano sulla nuca, cercando di pensare ad una scusa plausibile, una qualsiasi.
“È vero, sì…è che ho dovuto dare una mano a mio padre in officina e probabilmente non ho sentito il telefono” – arrancò lui.
Il giovane percepì Lisa sospirare attraverso la linea.
“Avresti potuto richiamarmi però…” – ribatté lei, delusa.
“Sì, scusa, hai ragione…ma quando sono tornato a casa ero molto stanco e mi sono addormentato sul letto, senza neanche accorgermene”.
“Ah, ok…” – rispose lei, non del tutto convinta – “È che mi sei mancato” – aggiunse poi, addolcendo il tono – “Domani ci vediamo, vero?”
“Sì, domani ci vediamo” – si affrettò a rispondere Dean.
“Va bene, allora a domani”.
“Ok, a domani”.
Dean chiuse la conversazione e sospirò. Si sentì un po’ in colpa per aver detto quella piccola bugia a Lisa. Ma cosa avrebbe potuto dirle? Che aveva preferito rimanere a chiacchierare tutto il pomeriggio con il nuovo vicino? Non che ci fosse stato qualcosa di male, sia chiaro, ma, conoscendo Lisa, l’avrebbe presa sul personale e questa era l’ultima cosa che Dean voleva.
Cercò di cacciare quei pensieri dalla sua mente, mentre riponeva il telefono in tasca e si voltava per tornare da Castiel.
Il biondo si bloccò di colpo. Castiel non c’era più.
Dean fece vagare lo sguardo intorno a sé, ma Castiel non sembrava essere da nessuna parte. Il suo cuore saltò un battito.
“Ma dove…?” – mormorò tra sé.
Il giovane allora si spostò, muovendosi tra gli scaffali e lungo i diversi corridoi, facendo saettare gli occhi in ogni possibile angolo di quel posto. Ad un certo punto fu costretto a fermarsi. Non vedeva Castiel da nessuna parte e iniziò ad agitarsi. Il cuore gli stava scoppiando nel petto. Si maledisse per aver risposto al telefono, per essersi distratto e per aver perso di vista l’altro.
“Calmati, Dean. Calmati” – si ripeté più volte, soffiando fuori aria.
Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Poi li riaprì e, cercando di mantenersi il più lucido possibile, decise di ripercorrere nuovamente la libreria in lungo e in largo, salendo anche al piano superiore. Non appena voltò un angolo si fermò. E lo vide. Castiel era laggiù, vicino ad uno scaffale, intento a sfogliare un libro.
Dean si mise una mano sul petto e sospirò, sollevato.
Il sollievo però si tramutò ben presto in stizza, quasi in rabbia. Con passo deciso, si diresse verso l’altro, mantenendo il contatto visivo. Non appena gli fu vicino allungò una mano e gli strinse un braccio.
“Dove diavolo eri finito?” – disse Dean, la voce più alta di quanto avrebbe voluto.
Castiel si spaventò a quel contatto, facendo cadere a terra il libro che aveva in mano. Guardò l’altro con i suoi grandi occhi blu spalancati, le labbra tremavano leggermente.
Dean si riscosse all’improvviso. Lasciò andare il braccio dell’altro e, lentamente, si inchinò a terra per raccogliere il libro.
“Scusa” – disse il biondo flebile, porgendo il libro al moro.
Castiel guardò il libro indugiando, per poi allungare una mano e prenderlo.
“Mi dispiace” – riprese il giovane – “Io…ad un certo punto non ti ho più visto e ho iniziato a cercarti e …” – si interruppe umettandosi le labbra – “Non ti trovavo” – continuò – “E mi sono spaventato” – concluse, abbassando lo sguardo.
Castiel posò con cura il libro sullo scaffale e prese il block notes dalla tasca posteriore dei jeans, iniziando poi a scrivere.
Sono io che mi devo scusare. Non volevo farti spaventare”.
Dean lesse e sospirò.
Ho seguito uno scaffale e mi sono allontanato, senza accorgermene. Avrei dovuto avvisarti. Mi dispiace”.
Il ragazzo guardò Castiel che abbozzò un sorriso.
“Ok…” – annuì poi.
Rimasero lì, fermi, per qualche secondo. Poi Castiel mise nuovamente mano al block notes.
Vorrei vedere la sezione di narrativa straniera. Vuoi venire con me?
Dean sorrise.
“Va bene”.
 
°°°
 
La mattinata trascorse tranquilla e, ben presto, arrivò l’ora di pranzo.
“Ti va di mangiare fuori?” – propose Dean.
Castiel indugiò, indeciso su cosa fare, e alla fine annuì.
“Sai, conosco un posto fantastico. È a circa mezz’ora di strada a piedi da qui, ma ti assicuro che ne vale la pena”.
Il moro sorrise.
Dopo diversi minuti di cammino, Castiel rallentò il passo, fino a fermarsi completamente. All’improvviso, fu colto da una intensa sensazione sgradevole. Percepì il suo corpo e la sua testa ruotare nello spazio circostante. Si mise una mano davanti alla bocca, preso da una nausea improvvisa. Il cuore iniziò a battere forte nel petto, tanto da sentirlo quasi in gola. Iniziò a sudare e a sentirsi debole.
“Non adesso, ti prego” – pensò il moro, fissando le spalle di Dean.
Dean aveva continuato ad avanzare di qualche metro, prima di accorgersi che l’altro non era più al suo fianco. Si girò di scatto e vide Castiel immobile, in mezzo al marciapiede, che lo fissava con i suoi occhi blu.
“Castiel?” – disse, avvicinandosi al ragazzo – “Tutto bene?” – domandò poi.
Il giovane cercò di annuire, senza successo. Fece per mettere un piede in avanti, ma le gambe cedettero.
Dean scattò in avanti e lo afferrò per le spalle.
“Ehi! Che succede?” – esclamò.
“No, no, no!” – gemette il moro nella sua mente.
Castiel evitò di incrociare gli occhi di Dean e, spostando lo sguardo altrove, riuscì a fatica a focalizzare quello che forse poteva fare al caso suo. Con una mano indicò all’altro una panchina lì vicino.
“Hai bisogno di sederti?” – chiese il giovane.
Castiel annuì debolmente.
“Ok, vieni”.
Dean cinse la vita del ragazzo con un braccio, accompagnandolo lentamente verso la panchina, e aiutandolo poi a sedersi. Si accovacciò di fronte a Castiel e ne cercò lo sguardo.
“Che succede?” – domandò piano il biondo.
Castiel chiuse gli occhi. La nausea era fortissima, sembrava che stesse per vomitare da un momento all’altro, e i battiti accelerati del suo cuore gli facevano pulsare persino le tempie. Si sentì toccare il braccio dalla mano di Dean, e aprì piano gli occhi.
“Castiel, cos’hai? Sei pallido” – disse preoccupato il biondo.
L’altro aprì il taccuino con le mani tremanti e rimase qualche secondo con la penna in mano. A fatica riuscì a scarabocchiare qualcosa.
Mi gira la testa…troppo caldo…
Dean annuì. Si alzò e si sedette sulla panchina accanto al moro.
“In effetti fa davvero caldo oggi, ma è abbastanza normale in questo periodo dell’anno. L’inverno invece è molto freddo, e nevica anche, sai?” – disse Dean sorridendo, cercando di distrarre il ragazzo dal suo malessere.
Castiel stirò le labbra in un sorriso forzato.
Rimasero su quella panchina in silenzio, per diversi minuti.
Pian piano Castiel sentì il suo cuore tornare alla normalità, e la nausea scemare mano a mano che passavano i minuti. Fu allora che riprese in mano il block notes con più decisione.
Posso chiederti un favore?
“Certo, dimmi pure”.
Andresti a comprare una bottiglietta d’acqua?
Dean si guardò intorno, socchiudendo gli occhi.
“Sì, c’è un mini-market in fondo all’isolato”.
Grazie”.
Il biondo si alzò e fece per incamminarsi, quando si fermò, per poi voltarsi.
“Rimani qui, ok? Cioè…volevo dire” – disse mordendosi un labbro – “Farò più in fretta che posso…”
Castiel sorrise e annuì.
Il moro guardò l’altro allontanarsi. Fece un lungo sospiro. Forse non avrebbe dovuto mentire a Dean. Ma cosa avrebbe potuto dirgli? La verità? Magari Dean avrebbe capito. E se invece non avesse capito? O se avesse provato pena per lui? Se alla fine lo avesse considerato solo un peso e basta? No, questo Castiel non lo avrebbe sopportato.
 
Dean fu di ritorno dopo una decina di minuti.
“Eccomi” – esordì, una volta sedutosi sulla panchina – “Acqua fresca per te” – aggiunse poi, porgendo la bottiglietta la moro.
Castiel sorrise e prese la bottiglietta, la aprì e iniziò a bere a piccoli sorsi.
“Va meglio?” – si interessò Dean.
L’altro annuì.
Rimasero seduti sulla panchina ancora un po’, senza dire nulla.
“Castiel” – disse poi Dean – “Se non te la senti, possiamo tornare a casa”.
Castiel scrollò la testa e prese subito il block notes.
No, sto meglio. Possiamo andare a mangiare”.
“Sicuro? Possiamo andare un’altra volta, davvero” – lo tranquillizzò il biondo.
Sicuro”.
Dean sorrise.
“Va bene. Vuoi riposarti ancora un po’?”
No, sono pronto”.
E così dicendo. Castiel si rimise in piedi cauto, facendo poi qualche passo, affiancato da Dean. E insieme si incamminarono nuovamente.
 
“Eccoci arrivati” – disse Dean, mostrando con una mano un locale di fronte a loro.
Castiel alzò gli occhi sull’insegna. Sopra la facciata infatti, incastonata in una rete metallica di fondo, spiccava la scritta al neon “The Casbah”.
“È il locale più famoso, qui a Lawrence” – spiegò Dean – “Spero che ti piacciano gli hamburger” – aggiunse poi.
Il moro annuì, raggiante.
Prima di entrare, Castiel si soffermò a guardare attentamente le due vetrine del locale, e attirò l’attenzione dell’altro, porgendoli il taccuino.
Perché nelle vetrine ci sono due finti dinosauri che mangiano hamburger e patatine?
Il biondo lesse e scoppiò improvvisamente a ridere, coinvolgendo così anche il moro.
 
°°°
 
Quando Dean e Castiel tornarono a casa, erano circa le quattro del pomeriggio. Il sole era ancora alto nel cielo e il caldo era diventato decisamente insopportabile.
Una volta giunti di fronte alla casa del moro, il biondo indugiò un attimo nei saluti.
“Ti andrebbe di venire a casa mia?” – chiese Dean all’improvviso.
Castiel socchiuse le labbra, sorpreso da quell’invito.
“Ti faccio conoscere mio fratello e mia madre” – sorrise il biondo.
Il moro deglutì. La giornata passata con Dean era stata tutto sommato piacevole, ma anche piuttosto stancante. Castiel non usciva mai e quindi non era abituato a stare fuori casa così a lungo. E, soprattutto, l’idea di dover interagire con altre persone, lo metteva fortemente a disagio.
Magari un’altra volta”.
“Ah…ok…” – annuì l’altro, un po’ deluso – “Beh, allora…ci vediamo, Castiel” – aggiunse.
Castiel abbozzò un sorriso e lo salutò con un gesto della mano.
Dean si voltò e si allontanò, incamminandosi verso casa.
Il moro lo osservò un secondo e poi iniziò a percorrere il vialetto. Mentre camminava, si voltò per guardare il biondo. Rallentò il passo fino a fermarsi e strinse forte il block notes nella mano.
 
“Esci e goditi questa giornata. E…lascia stare tutto il resto”
“Me lo prometti?”
 
Tutte le parole, che il fratello gli aveva detto quella mattina, si affacciarono prepotenti nella sua mente.
Il ragazzo sospirò e, dopo un attimo di indecisione, si voltò, ripercorrendo il vialetto di casa. Una volta raggiunto il marciapiede, girò a destra e iniziò a correre.
 
Dean era quasi arrivato a destinazione, quando si sentì toccare la spalla. Si voltò di scatto, colto alla sprovvista.
“Castiel…” – disse – “Che succede?” – aggiunse, allarmato.
L’altro si prese un momento per appuntare qualcosa sul block notes.
Ok”.
Il biondo aggrottò le sopracciglia, confuso.
“Ok, cosa?”
Mi piacerebbe conoscere tua madre e tuo fratello”.
Dean sorrise.
 “Vieni, dai” – disse poi, facendo segno con il capo all’altro di seguirlo.
 
Una volta varcato l’ingresso di casa, Dean si inoltrò verso l’interno, seguito da Castiel, che si guardava timidamente in giro.
“Mamma, siamo tornati” – salutò Dean, affacciandosi in salotto.
La madre era seduta sul divano a guardare la tv. Quando si accorse che, insieme al figlio, vi era che un altro ragazzo, si alzò e li raggiunse.
“Mamma, lui è Castiel, il figlio dei nuovi vicini” – disse Dean, facendo e presentazioni.
“Ciao, Castiel” – sorrise la donna.
Il moro le porse la mano, ricambiato, per poi mostrarle il block notes.
Piacere di conoscerla”.
“Piacere mio” – fece eco lei – “Allora ragazzi, vi siete divertiti?”
Castiel annuì.
“Fa molto caldo oggi, vero? Venite in cucina” – disse la donna, seguita dai due giovani – “Vi va una limonata fresca?” – chiese poi.
“Sì, grazie. Castiel?”
Il moro annuì, sorridendo.
 
“Ecco a voi” – disse Mary, porgendo loro due bicchieri colmi di limonata – “Se ne volete ancora servitevi pure” – concluse, appoggiando la caraffa al centro del tavolo.
“Sammy è a casa?” – chiese Dean, prendendo un sorso di limonata.
“Sì, è di sopra” – annuì la donna – “Dove avete mangiato?” – chiese poi, curiosa.
“Da Casbah” – rispose il figlio.
Mary alzò gli occhi al cielo.
“Dean, con tutti i posti che ci sono, proprio da Casbah?” – lo rimproverò lei, scherzosamente.
“Ma fanno degli hamburger da urlo!” – ribatté il biondo, fintamente risentito.
Castiel rise, sotto lo sguardo incuriosito di Mary.
Anche a me piacciono molto gli hamburger”.
“Oh santo cielo, vi siete proprio trovati voi due” – sospirò lei.
 
°°°
 
Poco più tardi, Dean invitò Castiel al piano di sopra.
“Seguimi” – disse il biondo, facendo strada al moro.
Il ragazzo raggiunse una porta affacciata sul corridoio e bussò.
“Avanti” – fece eco una voce all’interno.
Dean aprì la porta, facendo capolino nella stanza.
“Ehi, Sammy, hai da fare?” – chiese, sorridendo.
Il fratellino alzò gli occhi dal laptop e lo guardò curioso.
“No, perché?”
“Ti volevo far conoscere il nostro nuovo vicino di casa”.
Sam aggrottò la fronte, pensieroso.
“È qui?”
“A-ah” – rispose ghignando il maggiore – “Siamo appena tornati”.
“Ok” – sorrise raggiante Sam.
Dean aprì maggiormente la porta ed entrò seguito da Castiel. Quando lo vide, Sammy scivolò giù dalla sedia della scrivania e si avvicinò.
“Ciao!” – sorrise poi.
Castiel ricambiò con un gesto della mano, sorridendo a sua volta.
Il minore dei Winchester osservò il moro attentamente.
“Sai leggere le labbra?” – chiese poi all’improvviso.
“Sammy!” – lo rimproverò il fratello.
Ma Castiel alzò una mano verso Dean e, ritornando a Sam, rispose annuendo.
“E per comunicare come fai?” – continuò l’altro.
Prima che Dean potesse ribattere, il moro scarabocchiò qualcosa sul block notes e lo mostrò a Sam.
Uso la lingua dei segni con chi la conosce, oppure scrivo su un block notes”.
Il minore sorrise.
“Come si dice Sam nella lingua dei segni?”
Castiel mosse le dita di una mano sola, articolandole in tre brevi gesti.
“Wow…” – sussurrò il ragazzino – “E Dean?”
Dean osservò Castiel mentre componeva il suo nome con la lingua dei segni, sotto lo sguardo curioso di Sam. Rimase sopraffatto da quell’immagine, e dal vedere come il nuovo vicino e il fratello interagissero tra loro come se si conoscessero da sempre.
 
°°°
 
Infine Dean invitò Castiel in camera sua.
“Vieni pure” – disse il biondo, aprendo la porta della stanza e facendo cenno al moro di entrare.
Quando Castiel mise piede nella camera, si guardò intorno. Sulla sinistra vi era un letto, la cui testata era appoggiata contro il muro. Al di là del letto, uno scaffale brulicante di oggetti faceva mostra di sé. Erano presenti numerosi cd, dvd, persino uno stereo, e, impilati in maniera molto ordinata, quelli che il moro riconobbe come vinili. Sulla parete di fronte, a lato dello scaffale, si apriva un’ampia finestra, dalla quale filtravano i raggi del sole pomeridiano. A destra invece, vi era un armadio in noce chiaro, mentre la scrivania, anch’essa in noce chiaro, si trovava sulla stessa parete in cui si apriva la porta.
È una bella camera”.
“Grazie” – disse Dean, il quale, tuttavia, si premurò subito di passare in rassegna la stanza, raccogliendo velocemente diversi vestiti sparsi in giro, per poi ammucchiarli e infilarli nell’armadio con un rapido gesto.
“Scusa il disordine…” – mormorò il giovane, facendo sorridere l’altro.
Il biondo si sedette sul letto e invitò il moro a fare altrettanto.
Tuo fratello è molto simpatico”.
Dean sorrise, compiaciuto.
Ed è anche molto intelligente”.
“Sì, è vero. Te lo avevo detto che voi due sareste andati d’accordo” – ammiccò il giovane.
 
Tu e tua madre vi somigliate molto”.
“Davvero?”
Avete gli stessi occhi”.
E Dean arrossì leggermente.
 
La mano di Castiel toccò leggermente il braccio di Dean, per richiedere attenzione. Il ragazzo mostrò poi il taccuino all’altro.
Ti devo chiedere scusa per oggi”.
Dean lo guardò, con aria interrogativa.
Stamattina, davanti alla tua scuola”.
“Oh” – disse Dean, sorpreso – “Castiel, non c’è bisogno che tu…”
Ma il moro lo interruppe con un gesto della mano.
Io non vado a scuola, neanche in quelle speciali per persone come me. Sono io che non voglio andare. E quindi, la scuola a cui faccio riferimento, mi assegna un tutor che mi fa svolgere il programma scolastico a casa”.
Dean si morse un labbro.
“Perché non vuoi andare neanche in una scuola speciale?” – sussurrò il biondo.
È complicato”.
Dean annuì, pensieroso.
 
“Castiel…ti sei divertito oggi?” – chiese poi Dean, grattandosi una guancia.
Il moro puntò i suoi occhi blu su di lui e annuì.
“Senti…” – tentennò il biondo, sfregandosi le mani sulle gambe – “Tu non esci molto, vero?”
Castiel socchiuse leggermente gli occhi e stirò le labbra.
Da cosa lo hai capito?
Dean abbozzò un sorriso.
“Non mi sei sembrato molto a tuo agio là fuori”.
Castiel incrociò gli occhi del giovane, e poi fece cenno di no con il capo.
“Posso…posso chiederti perché? Cioè, non ti piace o…” – gesticolò Dean, in difficoltà.
L’altro si sistemò meglio sul posto, un po’ a disagio.
Per le persone uscire con me non è facile.”
Castiel sospirò.
Sono molto limitato e questo spesso diventa un problema per loro. Anche se le persone non me lo dicono in faccia, io lo capisco”.
Dean si limitò a leggere e non dire nulla.
 
“La mia proposta è sempre valida” – esordì poi Dean.
Castiel inclinò leggermente il viso.
“Uscire con me e con i miei amici” – spiegò l’altro.
Il moro si rigirò la penna tra le mani, lo sguardo fisso sul pavimento.
Il biondo appoggiò una mano sul braccio dell’altro, richiamandolo.
“Non voglio costringerti. Solo se ti va. E a me farebbe piacere”.
Castiel indugiò un attimo, per poi annuire.
Dean sorrise, soddisfatto.
“I miei amici, lo vedrai, a volte sono un po’ strani, ma sono delle brave persone. E poi ti devo far conoscere la mia ragazza” – ammiccò il biondo.
Castiel sorrise.
Non mi stupisce che tu abbia una ragazza”.
“Davvero? E perché?” – chiese curioso l’altro.
Sembri il tipico ragazzo che piace molto alle ragazze”.
Dean abbozzò un timido sorriso, grattandosi la nuca.
Come si chiama?
“Lisa. Ah, aspetta…guarda” – disse il biondo, sfilando il cellulare dalla tasca e facendo scorrere il dito sul display.
“Ecco” – continuò, mostrando una foto della ragazza.
È molto bella”.
“Già”.
Da quanto tempo state insieme?”
“Dalla fine della scuola”.
 
“Sai, Castiel, adesso che uscirai di più, magari troverai anche tu la ragazza” – aggiunse Dean, sorridendo.
Il moro passò una mano sulla pagina del block notes, lisciandone il foglio.
Io non credo che una ragazza voglia uscire con me”.
Il biondo lo guardò e l’altro sorrise amaramente.
“Perché dici così?” – chiese Dean perplesso.
“Sei simpatico e…ok, non fraintendere eh, ma non sei male fisicamente e i tuoi occhi sono molto…” – arrancò il biondo, schiarendosi poi la voce – “E poi, scommetto che sei anche molto intelligente. Sono sicuro che le ragazze farebbero la fila per uno come te” – concluse tutto di un fiato.
Castiel schiuse leggermente le labbra, spiazzato dalle parole dell’altro.
Sei gentile a dire così, ma credo di non essere esattamente il ragazzo ideale con il quale una ragazza vorrebbe uscire”.
“Non capisco…”
Chi uscirebbe con un sordo?”
A Dean si fermò il respiro quando lesse l’ultima frase. Sollevò lo sguardo e trovò gli occhi blu di Castiel che lo guardavano. In quel blu Dean vi lesse consapevolezza, ma anche tristezza. Rassegnazione, ma anche qualcosa che somigliava alla speranza. E, per un attimo, il biondo si smarrì in quelle contraddizioni.
 
“Io non sono d’accordo” – ribatté poi serio Dean, sostenendo lo sguardo dell’altro.
Castiel sollevò le sopracciglia.
“Tu sei sordo, è vero. Ma…non sei solo questo. Sei sicuramente anche tante altre cose, Castiel. E…” – si interruppe, umettandosi le labbra – “Se qualcuno non se ne rende conto, allora vuol dire che non capisce proprio niente”.
Castiel rimase immobile, con il block notes tra le mani. Era la prima volta che qualcuno gli parlava così. La prima volta che qualcuno gli diceva una cosa del genere. E in quel momento il giovane si ritrovò a pensare che, forse, nel ragazzo di fronte a lui, avrebbe potuto davvero trovare un amico.
 
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti!
Anche questo terzo capitolo ruota attorno ai nostri due protagonisti, i quali, complice questa “gita” nella cittadina in cui vivono, imparano cose nuove l’uno dell’altro. Come avete potuto leggere, non sono mancate di certo le incomprensioni e le omissioni su alcuni argomenti scottanti, diciamo, soprattutto per quanto riguarda Castiel. Il ragazzo presenta numerosi aspetti psicologici (e non) strettamente dipendenti dal suo handicap, e tutti questi aspetti saranno ricorrenti nel corso della storia. Il nostro ragazzo dagli occhi blu ha conosciuto, non senza un po’ di reticenza iniziale, anche Mary e Sam. Il più piccolo dei Winchester è un ragazzino sveglio e ha interagito subito con l’altro in modo quasi naturale, senza evitare l’handicap del nuovo vicino, ma traendone spunto per apprendere cose nuove.
Infine, l’ultima scena ci mostra fino a che punto il rapporto tra Dean e Castiel si sta spingendo, dopo solo tre giorni che si conoscono. E siamo solo all’inizio.
Mi raccomando, leggete, recensite se volete, e godetevi la storia!
Alla prossima!
Sara
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) La Route 66 Association Hall of Fame & Museum è un’associazione di Pontiac, in Illinois, gestita da persone del luogo e che raccoglie tantissimi cimeli, gadget e memorabilia sulla Route 66, la storica “Mother Road” che, con una lunghezza di 3755 km, copriva la distanza tra Chicago (Illinois) e le spiagge di Santa Monica (California).


 
 
2) La Lawrence Free State High School, vista dall'esterno.




3) The Casbah è un locale di Lawrence (ma presente anche in altri stati come catena di ristorazione) molto famoso per i suoi hamburger, ricchi di ingredienti vari e di spezie per tutti i gusti. 




   

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO QUATTRO
 
“Piove sul giusto e piove anche
sull’ingiusto; ma sul giusto di più,
perché l’ingiusto gli ruba
l’ombrello.”
 
Charles Bowen
 
 
Era una calda giornata di metà agosto, quando qualcuno suonò il campanello di casa Winchester.
Mary sollevò lo sguardo sul grande orologio appeso sul muro della cucina. Erano le quattro del pomeriggio. Si asciugò in fretta le mani su uno strofinaccio, prima di dirigersi verso l’ingresso.
Quando aprì la porta, si trovò di fronte una donna: aveva lunghi capelli di colore biondo scuro, raccolti ai lati da un fermacapelli, gli occhi erano di colore verde e la pelle aveva una delicata sfumatura rosa.
“La signora Winchester?” – chiese gentilmente lei.
“Sì, sono io” – rispose Mary.
“È un piacere conoscerla. Io sono Amelia Novak” – disse l’altra, presentandosi.
“Oh, la madre di Castiel…”
La donna annuì, sorridendo.
“Anche per me è un piacere conoscerla, finalmente. Prego, si accomodi pure” – disse Mary, aprendo maggiormente la porta per consentire all’ospite di entrare, e conducendo poi la nuova vicina verso l’interno della casa.
“Posso offrirle qualcosa?” – propose Mary, una volta in cucina.
“Non vorrei disturbare…” – si premurò l’altra.
“Nessun disturbo” – sorrise Mary – “Ci facciamo un bel caffè, le va?”
“Volentieri, grazie”.
La padrona di casa fece accomodare Amelia al tavolo, in attesa che il caffè fosse pronto.
“Allora, mio figlio mi ha detto che venite dall’Illinois. È un bel viaggio fino a qui” – esordì Mary, prendendo due tazze dalla credenza e sistemandole sul tavolo.
“Sì, è stato un bel cambiamento, in effetti” – ammise l’altra.
“Posso chiederle come mai vi siete trasferiti?”
“È stato per il lavoro di mio marito, James. A causa della crisi, l’azienda per cui lavora ha tagliato l’organico della sua sede a Pontiac e ha distribuito le rimanenze in altre sedi. E così siamo capitati qui a Lawrence” – spiegò Amelia.
Mary versò il caffè ormai pronto nelle tazze, allungando poi la zuccheriera verso l’altra donna.
“Mi dispiace” – rispose poi sinceramente – “Questa crisi sembra non finire mai…”
Amelia annuì.
“E lei, invece? Lavora?”
“Sì, sono un’insegnante” – disse la donna, rigirando il caffè con il cucchiaino – “Ho ottenuto il trasferimento in un liceo qui a Lawrence”.
“Davvero? E quale?” – chiese curiosa l’altra, sorseggiando la sua bevanda.
“La Free State High School”.
“È la scuola che frequenta mio figlio, Dean” – sorrise Mary.
Anche Amelia sorrise.
“A proposito di Dean…” – iniziò titubante poi – “Io vorrei ringraziarlo…”
Mary guardò la donna, sorpresa e curiosa allo stesso tempo.
“Sa, per mio figlio Castiel…” – sospirò lei – “Dean è davvero un bravo ragazzo”.
La signora Winchester sbuffò in una risata sotto lo sguardo interrogativo dell’altra donna.
“Mio figlio Dean è disordinato, testone, decisamente troppo vivace a volte” – sentenziò lei, facendo ridere a sua volta Amelia – “Ma, sì…è un bravo ragazzo” – concluse poi, con una punta di orgoglio.
 
“Ho conosciuto Castiel” – riprese poi, poggiando la tazza ormai vuota sul tavolo – “È davvero un ragazzo educato e gentile” – “Oh, come vorrei che il mio Dean imparasse un po’ di buone maniere da lui” – sospirò infine.
Entrambe le donne risero, divertite.
 
“Amelia, possiamo darci del tu?” – chiese dolcemente Mary.
“Certamente”.
Rimasero un po’ in silenzio. Poi la padrona di casa si fece coraggio.
“Senti…posso chiederti di tuo figlio…?” – domandò con cautela – “Voglio dire…è nato con questo problema o…?”
Gli occhi di Amelia si velarono di tristezza, che non sfuggì allo sguardo attento di Mary.
“Scusa, forse è stato troppo maleducato da parte mia farti una domanda così personale…” – intervenne subito la donna.
“No, no, non ti preoccupare…è una cosa che mi chiedono spesso. È che…anche se sono passati diversi anni, fa ancora male” – sussurrò la signora Novak.
 
°°°
 
“Dai, Dean, un’altra partita!” – pigolò Sammy, agitando il controller della consolle.
“Nah, fratellino, rassegnati, non mi batterai mai a quel gioco” – ghignò il biondo.
Sammy sbuffò, lasciandosi cadere sul letto della sua camera e mettendo il broncio.
Dean si avvicinò e gli scompigliò i capelli con una mano.
“Dai, ti concedo un’altra possibilità dopo cena”.
“Davvero?” – chiese Sam, speranzoso.
“Sì…ma vedi di allenarti però” – lo prese il giro il maggiore, mentre usciva dalla camera del fratello.
“Lo vedrai!” – lo sfidò il minore, ridendo.
 
Dean rise a sua volta, scrollando la testa. Percorse il corridoio e iniziò a scendere le scale.
 
“Castiel ha perso l’udito quando aveva undici anni” – disse una voce proveniente dalla cucina.
 
Nel sentire pronunciare il nome di Castiel, Dean si bloccò sul posto, rimanendo immobile sui gradini.
 
Una mattina Castiel si svegliò con un forte mal di testa. Il dolore arrivava a fitte continue e le tempie pulsavano. Cercò di aprire gli occhi, ma persino quel gesto era causa di sofferenza.
Quando la madre entrò in stanza per svegliarlo, il moro mugolò un lamento contro il cuscino, cercando di seppellirsi di più sotto le coperte.
“Cassie, tesoro, che succede?” – chiese Amelia, avvicinandosi al letto.
“Ho mal di testa” – disse flebile il figlio.
La madre posò delicatamente una mano sulla sua fronte.
“Ti fa tanto male?”
Castiel annuì.
Quella mattina, Amelia decise di non mandare il figlio a scuola, e lei stessa si prese un giorno di permesso dal lavoro.
“Riposati e cerca di dormire un po’, ok?” – si raccomandò lei.
Quando fu ora di pranzo, Amelia salì in camera per controllare il figlio.
“Hai dormito un po’?” – chiese la donna.
“No…”
“Ti fa ancora male la testa?”
Castiel annuì piano.
“Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?”
Il moro fece una smorfia.
Amelia preparò qualcosa di leggero, e il figlio riuscì a mangiucchiare qualcosa. Tuttavia, dopo meno di un’ora, il ragazzino dovette correre al bagno, e vomitò tutto. La madre decise di rimetterlo a letto, al caldo.
“Mamma…” – la chiamò Castiel, mentre lei sistemava meglio le coperte – “Ho la nausea”.
“Tesoro, è normale” – sospirò la donna – “Hai appena rimesso quel poco che hai mangiato. Rimani qui al caldo, e vediamo se passa, ok?”
E, così dicendo, si chinò per lasciargli un delicato bacio sulla fronte.
Quando Amelia fu sulla porta della stanza, il figlio la richiamò.
“Mi dà fastidio la luce…puoi chiudere le tende?”
“Certamente” – rispose lei, e con un rapido gesto tirò le tende, accostandole.
 
“Sono scesa al piano inferiore per un paio di ore” – deglutì la donna – “E quando sono risalita Castiel aveva la febbre alta. Chiamai il pediatra e lui mi disse di dargli un antipiretico, ma…” – si interruppe, mordendosi un labbro – “Ma la febbre non scese”.
Fece una piccola pausa.
“Quando, verso sera, mio marito tornò dal lavoro, richiamai il pediatra. Mi disse di provare ancora con l’antipiretico, e che probabilmente si trattava di influenza. La febbre si abbassò un po’, e Castiel si addormentò per qualche ora. Durante la notte però mi accorsi che la febbre era salita di nuovo. Chiamai di nuovo il pediatra e lui mi disse che dovevo avere pazienza e aspettare che l’influenza facesse il suo corso. Mi disse di tenerlo al caldo e di fargli mangiare cose leggere, ma nutrienti, e di usare l’antipiretico quando la febbre saliva troppo” – si prese una pausa – “Il giorno dopo aveva ancora la febbre, e non riusciva a tenere nulla nello stomaco. Fu al terzo giorno che mi resi conto che qualcosa non andava. L’antipiretico non funzionava per niente e la febbre si manteneva alta per tutto il tempo. Lui continuava a lamentarsi, diceva anche che gli faceva male il collo e che non riusciva a muoverlo bene. E poi…verso l’alba del quarto giorno ha iniziato a dire cose senza senso…sembrava confuso…e in alcuni momenti sembrava non riconoscermi neanche…”
Amelia si interruppe, la voce strozzata.
Mary allungò una mano e la posò delicatamente su quella della donna.
“Vuoi che ti porti qualcosa?” – chiese piano.
“Magari…un bicchiere d’acqua…” – rispose Amelia con un filo di voce.
 
Nel frattempo, Dean si era seduto su uno dei gradini della scala, le ginocchia portate al petto e circondate dalle braccia. Appoggiò la testa al muro, mentre una fitta allo stomaco iniziò a tormentarlo.
 
Dopo aver bevuto un sorso d’acqua, Amelia riprese a parlare.
“Lo abbiamo portato subito al pronto soccorso e…dopo neanche mezz’ora dal nostro arrivo, Castiel era già stato ricoverato in terapia intensiva. I dottori mi parlavano, mi facevano domande, ma io non capivo nulla…sapevo solo che mio figlio era dietro quella porta a vetri e io non potevo vederlo”.
 
“Signora Novak, mi ascolti, è importante che lei ci dica esattamente cosa è successo” – disse uno dei medici del reparto.
Amelia era immobile, con una mano posata sulla fronte, mentre le lacrime le offuscavano la vista. James le era accanto, con una mano appoggiata sulla sua schiena.
“Quattro giorni fa si è svegliato con un forte mal di testa” – rispose lei, la voce distorta dai singhiozzi.
“Ha avuto nausea? Vomito?”
“Ha mangiato un po’ il primo giorno, ma l’ha vomitato poco dopo, e ha avuto anche la nausea. E poi non è più riuscito a mangiare nulla”.
“Fino a quanto è salita la febbre?”
“Era sempre molto alta…sui 39,5…e un paio di volte arrivò anche a 40,2…”
“Gli ha dato qualcosa?”
“Il pediatra mi ha detto di dargli un antipiretico, di tenerlo al caldo e le solite cose, e che quasi sicuramente era un’influenza e che dovevamo solo aspettare che passasse e…”
“Ok” – annuì l’uomo, scrivendo velocemente su una cartella clinica.
“Senta, per caso suo figlio ha manifestato altri sintomi, che lei ricordi?”
“No, non mi sembra…” – rispose lei confusa – “Però…” – disse, fissando il vuoto, come per cercare di ricordare – “Sì, mi sembra che una volta mi abbia detto che gli desse fastidio la luce...ah, e si lamentava perché non riusciva bene a muovere bene il collo…”
Il medico si adombrò.
“Capisco” – rispose poi, continuando a scarabocchiare qualcosa sulla cartella.
Amelia si accorse del turbamento dell’uomo.
“Che cosa succede? Che cos’ha mio figlio?” – chiese lei, alzando la voce.
“Ancora non lo sappiamo, signora. Il bambino deve fare altri esami” – disse, appoggiando una mano sulla spalla della donna – “Ora, se mi volete scusare…” – aggiunse poi, congedandosi da loro.
 
“Doveva fare altri esami, dicevano. Ma non ci dissero nient’altro”.
Amelia fece un’altra pausa, prendendo grandi respiri.
“Dopo un’ora, il responsabile del reparto di terapia intensiva ci chiamò a colloquio. Sospettavano che Castiel avesse contratto una forma di meningite. Secondo il medico i sintomi corrispondevano, ma per essere sicuri era necessario fare un esame particolare. E per avere i risultati potevano volerci anche due giorni. Ci chiesero il permesso di poter eseguire l’esame e di iniziare subito con una terapia, perché non c’era tempo da perdere, ed erano già passati troppi giorni da quando erano apparsi i sintomi. Ci dissero che anche noi avremmo dovuto sottoporci a degli esami e che avrebbero anche avvisato la scuola.
Durante l’esame mi fecero entrare per stare vicino a Castiel e tranquillizzarlo. Quando entrai in quella stanza, il mio cuore sembrò fermarsi. Sembrava ancora più piccolo in quel letto e in quella camiciola da ospedale. Così indifeso…”
 
“Ok. Castiel, adesso devi voltarti su un fianco…così, bravo. Ora, porta le ginocchia al petto e, se riesci, porta il collo in avanti” – disse dolcemente un medico.
“Cerchi di tenerlo in questa posizione, è importante” – si raccomandò l’uomo, rivolto ad Amelia, mentre nel frattempo denudava la schiena del bambino.
“Va bene. Ora sentirai un po’ di freddo, è un disinfettante, non farà male” – proseguì lui.
La donna nel frattempo continuava ad accarezzare i capelli del figlio, sussurrando parole di conforto.
“Adesso sentirai un lieve pizzico, è l’anestetico” – avvertì il sanitario, prima di procedere.
Durante la breve manovra, Castiel mugolò qualcosa.
“Shh…amore, adesso passa…” – lo tranquillizzò la donna.
“Sei molto bravo, Castiel. Adesso viene la parte più difficile. Cerca di rimanere fermo il più possibile. Sentirai una forte pressione, ma non durerà molto. Tu cerca di rilassarti e di continuare a respirare, ok?”
Quando l’ago per la rachicentesi fu inserito nello spazio intervertebrale, il ragazzino emise un forte lamento e delle calde lacrime gli rigarono il volto, già fortemente provato dalla febbre alta.
 
“Una volta terminato l’esame, mi fecero tornare in sala d’attesa, dove trovai James ad aspettarmi. Il medico ci disse che i giorni successivi sarebbero stati determinanti…e che dovevamo solo aspettare”.
La donna chiuse gli occhi, sospirando.
“Io…ricordo che iniziai a gridare e…James mi prese per le spalle e mi portò fuori dalla sala d’attesa”.
 
I signori Novak rimasero seduti nella sala d’attesa per un periodo di tempo indecifrabile. Entrambi in silenzio, con gli occhi fissi nel vuoto. Ad un tratto, James si alzò dalla sedia.
“Dove vai?” – sussurrò lei.
L’uomo sospirò.
“Ho bisogno di pensare” – rispose lui, per poi allontanarsi lungo il corridoio.
Amelia lo seguì con lo sguardo. Conosceva bene il marito e sapeva cosa significasse quella frase.
 
Poco dopo, la donna sentì un rumore di passi concitati farsi sempre più vicino. Si voltò appena in tempo per vedere il figlio maggiore dirigersi a grandi passi verso di lei.
“Balth” – sussurrò Amelia, alzandosi in piedi.
“Dov’è?” – chiese agitato il ragazzo, una volta vicino.
“È in terapia intensiva”.
Il giovane soffocò un gemito.
“Voglio vederlo” – disse poi, con voce strozzata.
“Non è possibile, Balth, dobbiamo aspettare” – lo dissuase piano la madre.
“C-cosa? Cosa dobbiamo aspettare?” – chiese confuso il ragazzo, con le lacrime agli occhi.
Il volto di Amelia si contrasse in una smorfia di dolore.
“No…” – mormorò Balthazar, incredulo – “Non può essere…”
La madre strinse a sé il figlio maggiore, il quale scoppiò a piangere, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
“È Cassie, mamma…lui…è Cassie…” – singhiozzò, contro il petto della donna.
Amelia non disse nulla. Continuò a cullare il figlio maggiore, lasciando che si sfogasse.
 
Dopo un paio di ore, non vedendo ancora tornare il marito, la donna decise di raggiungerlo. Quando si trovò di fronte ad una porta di legno scuro, indugiò un attimo. Sospirò e, mettendo mano alla maniglia, l’abbassò. Davanti a lei si presentò un’ampia stanza. James era lì dentro, seduto su una delle panche presenti. Si trattava della cappella dell’ospedale.
La donna si avvicinò e gli mise delicatamente una mano sulla spalla.
L’uomo si voltò, i suoi occhi erano rossi e gonfi. Aveva pianto.
“Posso sedermi accanto a te?” – chiese piano lei.
James annuì.
Si sedettero vicino, le spalle che si toccavano.
“È arrivato Balth” – disse lei – “È sconvolto…”
L’uomo sospirò.
Rimasero così, in silenzio.
“Non riesco a pregare” – disse ad un tratto lui, con voce roca.
La donna prese la mano dell’uomo e la strinse fra le sue.
“James…”
“Non ci riesco…non…sono così arrabbiato…deluso…”
Amelia appoggiò la testa sulla spalla del marito.
“Lo so, James…lo so”.
 
Mary rimase in silenzio ad ascoltare, sentendo il cuore stringersi in una morsa sempre più stretta, mano a mano che Amelia procedeva con il racconto.
“Finalmente, dopo quella che mi sembrò un’eternità, Castiel mostrò segni di ripresa. La terapia stava funzionando e dopo diversi giorni lo dichiararono fuori pericolo. Rimase ancora a lungo in ospedale per completare la terapia, ma sembrava finalmente la fine di un incubo. Potemmo riabbracciarlo e stare con lui…e quando alla fine lo portammo a casa, il mio cuore scoppiò di felicità”.
La donna stirò le labbra in sorriso forzato.
“Ma durò ben poco. Nelle settimane successive, Castiel cominciò a mostrare problemi d’udito. È iniziato tutto da piccole cose…teneva alto il volume della televisione, spesso dovevamo ripetergli le cose più volte, e a scuola fu costretto a spostarsi il più vicino possibile alla cattedra. La cosa sembrò peggiorare mano a mano che passava il tempo e così decidemmo di consultare uno specialista. E fu allora che il mondo ci crollò addosso, di nuovo”.
 
“Dagli esami riscontrati e dal test audiometrico, risulta che Castiel sta progressivamente perdendo l’udito” – disse l’otorinolaringoiatra, consultando la cartella clinica.
Amelia portò una mano davanti alla bocca, cercando di soffocare un lamento.
“Ma…perché?” – chiese James, incredulo.
“È verosimilmente una conseguenza della meningite. Non sono casi poi così infrequenti, anzi. Nel caso di Castiel è stato colpito l’orecchio interno, sede dell’udito, ma anche dell’equilibrio. La parte interessata sta andando incontro ad una degenerazione definita labirinto sclerosi” – spiegò il medico.
“Io…non capisco. In ospedale gli hanno fatto tutti i test possibili prima di dimetterlo, anche il test dell’udito. E poi…tutte queste parole…cosa vogliono dire?” – domandò nuovamente l’uomo.
Il dottore emise un lento sospiro.
“Signor Novak, la meningite che ha avuto suo figlio ha portato a delle conseguenze, purtroppo. E tra queste ve n’è una…che possiamo definirla ‘distruzione’, per capirci meglio, della parte più interna dell’orecchio. È una situazione che non può essere trattata, e che non si può fermare. È destinata ad andare avanti. Mi dispiace, ma…Castiel diventerà sordo”.
 
Il silenzio che calò nella cucina di casa Winchester fu quasi insopportabile.
“E le cose andarono proprio così. Castiel perse completamente l’udito dopo circa due mesi. E da quel momento, la nostra vita non è stata più la stessa. Castiel non è stato più lo stesso…”
Mary deglutì un paio di volte.
“Sono molto dispiaciuta per quello che è successo” – disse poi piano – “Sono una madre anch’io e posso solo immaginare quanto abbiate sofferto…”
Amelia rispose con un sorriso tirato.
“Senti…in che senso dici che Castiel non è stato più lo stesso?” – chiese cauta la padrona di casa.
Amelia sospirò.
“Lui…era un bambino sempre allegro e curioso. Dopo quanto successo…lui è cambiato completamente. È stato costretto a lasciare la scuola. I suoi amici sono venuti a trovarlo per un po’, ma poi, pian piano, non si sono fatti più vedere. E, come se non bastasse, sono arrivati anche i problemi di equilibrio. A volte lui soffre di questi episodi di vertigine, così li ha chiamati il medico. Sono dei momenti che durano poco, ma sono piuttosto forti. Non riesce a camminare o anche solo a reggersi in piedi. Diventa pallido, suda, a volte arriva a vomitare per la forte nausea. Con il tempo, Castiel ci ha fatto l’abitudine, ma…so che per lui è difficile e frustrante”.
 
“Il dottore ci propose l’impianto cocleare, che avrebbe permesso a Castiel di condurre una vita quantomeno normale, ma lui…si rifiutò”.
“Perché?” – domandò Mary.
“Non lo so…non ha mai voluto dirci il perché. Continuava a dire di no. James ha cercato più volte di farlo ragionare, ma l’unica cosa che otteneva era solo di scontrarsi con lui”.
 
“È diventato chiuso, testardo. Non voleva più uscire di casa e passava le sue giornate chiuso in camera. Mio figlio Balthazar sembrava l’unico in grado di poter interagire con lui. Sapeva come prenderlo e Castiel gli è sempre stato molto legato”.
 
“All’inizio la comunicazione era molto difficile. Dovevamo scrivere su un quaderno o su un foglio, così che lui potesse leggere e rispondere a voce…fino a quando si è rifiutato di usare anche quella. Ed è stato allora che imparò pian piano a leggere le labbra e…infine la lingua dei segni. Aveva deciso di escludersi completamente dal mondo esterno. E noi…siamo stati costretti ad adattarci”.
 
Dean si era rannicchiato ancora di più sulle scale. Quando Amelia terminò il racconto, Dean sentì lo stomaco torcersi in una stretta. Nella sua mente riaffiorò l’immagine di Castiel in giro con lui per Lawrence. E il biondo si rese conto che l’amico gli aveva mentito. Quella mattina aveva avuto uno degli episodi citati da Amelia, e non un banale giramento di testa, come invece gli aveva fatto credere lui.
Dean si chiese come fosse Castiel prima dell’accaduto. La madre aveva parlato di amici, del fatto che fosse allegro. Il Castiel che conosceva lui era completamente diverso. Non era migliore o peggiore, era solo diverso.
E Dean si chiese anche come sarebbe stato quel ragazzo se tutto quello non fosse mai accaduto. E se avessero potuto ugualmente diventare amici.
 
La signora Winchester si pentì di aver fatto ad Amelia quella domanda, perché si rese conto che non era stato un bene per la donna raccontare quella storia. Decise quindi di cambiare completamente argomento, e le due finirono col parlare d’altro, scoprendo così di avere parecchie cose in comune.
 
“Si è fatto tardi” – disse Amelia, guardando l’ora – “Sarà meglio che vada” – aggiunse, alzandosi.
“Va bene” – rispose Mary, alzandosi a sua volta per accompagnare la donna alla porta.
Una volta arrivate all’ingresso, Amelia si voltò.
“Ti devo delle scuse. Io…mi sono lasciata andare e tu sei stata così gentile ad ascoltarmi…”
“Non dirlo neanche” – disse dolcemente l’altra.
“Io…credo di aver avuto bisogno di sfogarmi” – ammise la donna – “Con mio marito non ne parliamo spesso e…quando lo facciamo, finisce sempre in una discussione. Dice che sono troppo permissiva con Castiel…”
Mary abbozzò un sorriso.
“Hai fatto bene a sfogarti. E se in futuro ne avessi ancora bisogno, la mia porta sarà sempre aperta. E non sentirti in colpa per essere troppo permissiva con lui. È tuo figlio e hai rischiato di perderlo”.
La signora Winchester si interruppe, per poi riprendere subito dopo.
“Io stessa sono molto permissiva con i miei figli, soprattutto con Dean, lo ammetto. Sam è più tranquillo, mentre Dean è un po’ più vivace e, so che forse a volte dovrei essere più severa con lui, ma…è il mio bambino, anche se ha già diciassette anni…Amelia, loro saranno sempre i nostri bambini”.
La signora Novak annuì e strinse le mani di Mary nelle sue.
“Grazie di tutto” – disse poi, prima di congedarsi e uscire dalla porta di ingresso.
Mary rimase a fissare la porta chiusa per qualche secondo. Quando poi fece per ritornare in cucina, con la cosa dell’occhio vide un’ombra familiare sparire velocemente in cima alle scale.
“Dean…” – sospirò la donna.
 
°°°
 
“Sam, vai a chiamare tuo fratello, è quasi ora di cena” – disse Mary, indaffarata davanti ai fornelli.
“Perché proprio io?” – ribatté il minore, seduto sul divano a guardare la tv.
“Sammy” – lo richiamò la madre.
“E va bene, però la tavola l’apparecchia lui!”.
Sam salì le scale e, quando si trovò di fronte alla camera del fratello, bussò, senza ricevere risposta. Tentò di nuovo, invano. Decise allora di aprire cautamente la porta e di fare capolino nella stanza.
Dean era sdraiato sul letto, girato su un fianco, le spalle rivolte alla porta.
“Dean?” – lo chiamò Sam.
Il fratello non rispose.
Il minore allora si avvicinò al letto.
“Dean, stai dormendo?”
Il giovane si mosse un po’ sul materasso e sospirò.
“No, sono sveglio”.
“La mamma ha detto di scendere, è quasi ora di cena” – lo informò il minore.
Dean indugiò un attimo.
“Non ho fame” – rispose infine.
Sam fu spiazzato da quella risposta. Rimase lì fermo, in piedi, a guardare la schiena del fratello. Quella stessa schiena sulla quale Dean lo aveva portato più volte, quando da piccolo cadeva e si sbucciava le ginocchia. Quella stessa schiena sulla quale Sam aveva pianto, perché le ginocchia sbucciate bruciavano, ma l’orgoglio ancora di più.
“Dean, non stai bene?” – chiese Sammy, nella voce una punta di apprensione.
Il maggiore si schiarì la voce.
“No, sto bene Sammy, non ti preoccupare. È solo che non ho fame” – lo tranquillizzò Dean.
Ma il minore non si convinse. Pur nella sua giovanissima età, Sam intuì che qualcosa non andava, anche se non riusciva ancora a capire cosa.
“Ok” – si limitò a dire, prima di voltarsi e di uscire lentamente dalla camera.
Quando il ragazzino tornò in cucina, la madre lo guardò con aria interrogativa.
“Ha detto che non ha fame” – disse semplicemente lui.
La donna strinse le labbra e annuì.
 
°°°
 
Qualcuno bussò alla porta. Dean non rispose e si rannicchiò ancora di più su un fianco, nascondendo il viso nel cuscino.
La porta si aprì, per poi chiudersi lentamente. Dei passi leggeri si avvicinarono, e qualcuno si sedette sul bordo del letto. Una mano calda e sottile accarezzò i capelli del giovane, facendolo sospirare. Dean sapeva bene di chi si trattava.
“Dean” – lo chiamò piano Mary.
Il biondo si morse un labbro, ma non rispose.
“Dean, guardami” – lo incitò la donna.
Il giovane si mosse leggermente e si voltò verso la donna, guardandola negli occhi.
Mary abbozzò un sorriso.
“Lo so che hai sentito tutto, oggi pomeriggio” – disse piano.
Dean abbassò lo sguardo.
“Dean…”
“Perché?” – chiese il figlio.
“Perché, cosa?”
“Perché gli è successo questo? Perché è stato così sfortunato?” – mormorò Dean.
Mary sospirò.
“Dean, io non so perché accadano queste cose. E sì, hai ragione, Castiel è stato molto sfortunato. Ma…è vivo. Con un grosso handicap, è vero, ma è vivo. E per la sua famiglia questo conta più di qualsiasi altra cosa”.
Dean rimase in silenzio.
 
“È simpatico, sai?” – disse il ragazzo – “È intelligente, e conosce un sacco di cose” – continuò, sorridendo debolmente.
Mary giurò di vedere per un attimo un luccichio negli occhi verdi del figlio, e sorrise.
“E anche fortunato, direi” – aggiunse la donna.
Dean aggrottò la fronte, perplesso.
“Ha trovato un buon amico, a quanto pare” – sorrise lei.
 
°°°
 
Non riuscendo a dormire, quella notte Dean rimase seduto sul letto con il laptop appoggiato sulle gambe. La luminosità dello schermo si infrangeva sul suo volto concentrato. Gli occhi saettavano velocemente da una pagina all’altra del motore di ricerca, soffermandosi quando riconoscevano qualcosa di interessante, qualcosa di importante.
 
Sordità: disfunzione dell’apparato uditivo, che può essere causata da malattia, esposizione eccessiva ai rumori, assunzione di determinati farmaci o antibiotici, lesioni all’orecchio.
 
Sordità acquisita: si presenta durante la vita.
 
Dean si umettò le labbra.
 
Livelli di sordità - a seconda del danno riportato, abbiamo tre livelli: lieve, medio, profondo. In quest’ultimo caso, non di percepiscono nemmeno rumori o suoni di elevata intensità.
 
Sordo oralista: la persona sorda non usa la lingua dei segni, ma usa spesso il labiale.
Sordo segnante: la persona sorda usa spesso la lingua dei segni.
 
Dean socchiuse gli occhi, arricciando le labbra. Castiel leggeva il labiale e comunicava con la lingua dei segni. Però, se voleva, era in grado di parlare, perché era diventato sordo a undici anni. A che categoria apparteneva lui? Dean faceva fatica a capire, ma di una cosa era certo. Castiel era un caso fuori dagli schemi. Castiel era speciale.
 
Meningite: malattia del sistema nervoso centrale, generalmente di origine infettiva, caratterizzata dall’infiammazione delle meningi, le membrane che ricoprono l’encefalo e il midollo spinale.
 
Dean deglutì. Fece scorrere velocemente il dito sul mouse del portatile.
 
Tra le conseguenze più frequenti di una meningite ci sono problemi all’udito.
Sordità permanente.
Altre conseguenze: cecità permanente o menomazione parziale della vista.
Altri effetti: epilessia, paralisi cerebrale, idrocefalo, disturbi comportamentali.
 
Dean chiuse il laptop con uno scatto. Rimase immobile al buio, a fissare il vuoto, respirando pesantemente. Tirò indietro la testa e si appoggiò alla testata del letto. E chiuse gli occhi.
 
°°°
 
Il pomeriggio successivo Dean, di ritorno da un appuntamento con Lisa, intravide Castiel seduto sul dondolo del portico, intento, come sempre, a leggere. Dean si fermò ad osservarlo. Nella mente del biondo presero vita diverse immagini del ragazzo. Lo immaginò insieme agli amici, in ospedale, chiuso in camera, barricato dietro un mutismo volontario. Fece un profondo respiro e decise di raggiungerlo.
Una volta sul portico, Castiel si accorse della presenza dell’altro e gli sorrise, sorpreso.
“Ciao, Cas” – sorrise di rimando il biondo.
Il moro socchiuse gli occhi e inclinò leggermente il viso. Poi mise mano al block notes.
Cas?
“Sì…Cas. Diminutivo di Castiel” – annuì Dean – “Non ti piace?”
È carino”.
Il biondo sorrise, compiaciuto.
Sempre meglio di Cassie”.
Entrambi scoppiarono a ridere.
 
“Senti, Cas” – iniziò Dean, titubante – “Posso chiederti una cosa?”
Castiel annuì.
“Ecco…oltre a…sì, insomma, il fatto di non sentire” – proseguì l’altro, iniziando a balbettare – “E-E’ vero che ogni tanto hai dei problemi d-di equilibrio?”
Il moro aggrottò le sopracciglia.
Perché dici questo?”
“Ecco…ieri tua madre è venuta a casa nostra e…ho sentito che ne parlava con la mia…”
Castiel si irrigidì. La mascella si contrasse e le labbra si stirarono in una linea dura.
“Mi dispiace per quello che ti è successo…” – mormorò il biondo, cercando gli occhi dell’altro.
Quindi, sai tutto?”
Dean annuì.
 
“Allora…è vero? Mi riferisco a queste…vertigini”.
Castiel strinse la mano attorno alla penna, ma non scrisse nulla.
“È successo quella mattina quando eravamo in giro per il centro, vero?”
Il moro emise un forte sospiro e annuì piano.
“Perché non me l’hai detto?” – domandò cauto Dean.
Castiel lo guardò duramente.
Cosa avrei dovuto dirti?
“Beh…” – tentò il biondo.
Cosa?
“Potevi dirmi la verità” – rispose serio Dean.
Castiel sbuffò in una risata amara.
 
“E potevi anche dirmi che sai parlare” – riprese poi con calma il biondo.
Il moro distolse lo sguardo, accigliato.
Non voglio discutere di questo”.
“Perché?”
Perché no”.
“Castiel…”
Ho detto di no!
Mentre scriveva l’ultima lettera, Castiel calcò così tanto la punta della penna sul foglio da squarciarlo. In un impeto di rabbia poi, strinse la penna in un pugno, iniziando così a colpire il block notes più e più volte. Si alzò di scatto e, con violenza, gettò a terra il taccuino, per poi allontanarsi a grandi passi verso la porta di casa.
Dean lo raggiunse rapidamente, afferrandolo per un braccio.
Quando Castiel si voltò e torse il braccio per liberarsi dalla stretta del biondo, Dean vide i suoi occhi blu velati alle lacrime. Il giovane allora mollò la presa, lasciando che Castiel sparisse dentro casa, sbattendo violentemente la porta.
Dean rimase a guardare quella porta chiusa, attonito.
“Cas…” – mormorò tra sé.
Dopo qualche minuto, si voltò e lentamente si diresse verso il dondolo. Si chinò a raccogliere il block notes, insieme ad alcune pagine che si erano staccate. Lo strinse tra le mani, guardando ancora una volta la porta. Poi, sospirando, scese i gradini del portico e, a piccoli passi, si incamminò verso casa.
 
 
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti!
Lo so, questo capitolo è stato un po’ pesante, ok, molto pesante, sotto diversi punti di vista, ma, credetemi, è stato davvero necessario. La storia di Castiel doveva essere raccontata, non si poteva aspettare oltre, anche perché dovevate venire a conoscenza di quello che gli è accaduto per poi comprendere meglio tutto quello che verrà dopo. Ho scelto di far raccontare quanto successo da Amelia, prima di tutto perché Castiel non lo avrebbe mai fatto, e seconda cosa perché nessun altro, meglio di una madre, poteva farlo. Inoltre, mi sono servita di questa alternanza tra presente e passato, che vedrete ricorrere spesso in questa storia, per alleggerire il carico e per mostrare ovviamente la reazione di Dean.
Per quanto riguarda il malessere di Castiel si è scoperto che si tratta di vertigini. Ora, esistono diverse forme di vertigini, classificate in base alle cause, o in base alle strutture lese da cui originano, ma la loro spiegazione è davvero complessa, quindi mi limito a dire che quelle di cui soffre il nostro Castiel sono le tipiche vertigini vestibolari labirintiche, che si accompagnano quasi sempre a disturbi uditivi, appunto. Vengono definite parossistiche, cioè intense, ma di breve durata, e i sintomi possono comprendere tutto quello riportato da Amelia stessa.
Volevo inoltre aggiungere che le definizioni in corsivo, che legge Dean sul pc, provengono principalmente da Wikipedia e motori di ricerca vari, ed è una cosa fatta apposta, dal momento che il ragazzo dispone come unica fonte di possibili informazioni proprio internet e nient’altro.
Vi ho lasciato con una scena un po’ forte, lo so, ma prometto che mi farò perdonare.
Alla prossima!
Sara

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO CINQUE
 
“Straordinario è quello che non ci si aspetta”
 
Marguerite Duras
 

 
“Dean, mi stai ascoltando?” – lo richiamò Lisa.
Dean distolse lo sguardo dal pavimento e si trovò gli occhi della giovane puntati addosso.
Quella mattina i due ragazzi si recarono presso una libreria per consegnare l’ordine di prenotazione dei libri di testo per il nuovo anno scolastico. Erano in fila, in attesa del loro turno.
“Ehi, tutto bene?” – chiese lei, avvicinandosi.
“Sì, sì” – smozzicò Dean.
“Sei sicuro? Se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo” – disse dolcemente la ragazza, stringendo delicatamente una mano sul braccio dell’altro.
 
Erano passati due giorni dalla reazione che Castiel aveva avuto sul portico. Il moro non si era più fatto vedere e non lo si vedeva più neanche seduto sul dondolo. E Dean, dal canto suo, non aveva avuto il coraggio di presentarsi nuovamente a casa sua. Avrebbe voluto farlo, ma tutta quella rabbia mostrata dall’amico lo bloccava.
La notte che seguì al litigio, Dean non era riuscito a dormire, perché, ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva quelli blu di Castiel velati dalle lacrime.
 
“Sì, sono sicuro. Sono solo un po’ stanco” – la rassicurò Dean, stringendola a sé e posando un tenero bacio sulla sua fronte.
“Allora, che ne pensi?” – chiese la ragazza.
“Di cosa?”
“Della mia idea di andare tutti in piscina domenica” – sospirò lei.
“Oh, sì è fantastico!” – annuì lui.
 
“Il prossimo!” – esclamò il commesso al di là del bancone.
“Tocca a noi” – disse Lisa, avanzando.
La ragazza consegnò l’ordine all’uomo. Il commesso fece scorrere velocemente gli occhi sul foglio, per poi scarabocchiarvi qualcosa sopra.
“Cognome?”
“Braeden”.
Nel frattempo, l’attenzione di Dean fu catturata da un piccolo espositore, posto sul bancone, accanto alla cassa. Lo osservò attentamente, mordendosi un labbro.
“Lisa” – disse poi, voltandosi verso la ragazza – “Finisco io qui, aspettami pure fuori”.
“Sicuro?” – chiese lei sorpresa.
“Sì, ti raggiungo subito” – sorrise lui.
Dean la vide allontanarsi e dirigersi verso l’uscita.
“Devi consegnare anche tu?” – lo richiamò il commesso.
“Ah, sì ecco” – disse il biondo, affidando l’ordine all’uomo – “Winchester”.
“Ok, è tutto a posto” – confermò l’altro – “Potete passare dopo il 25. Questi sono i tagliandi per il ritiro”.
“Grazie…ah, un attimo” – disse Dean, facendo cenno all’uomo di attendere.
Allungò una mano verso l’espositore visto prima, prese un oggetto e lo posò sul bancone.
“Prendo questo” – disse infine.
 
°°°
 
La luce ad intermittenza sopra la porta si illuminò. Castiel la vide con la coda dell’occhio, ma decise di ignorarla. Era sdraiato sul letto e stava leggendo, sebbene, a dire il vero, fosse fermo sulla stessa pagina da almeno mezz’ora. Non riusciva proprio a concentrarsi.
La luce continuò ad accendersi, senza interruzione. Il moro chiuse il libro con un tonfo e, sospirando, scese dal letto, dirigendosi verso la porta. Quando la aprì, si trovò di fronte il fratello.
“Stavo invecchiando qua fuori” – sorrise Balthazar.
Castiel lo guardò torvo.
“Posso entrare?” – chiese il ragazzo.
Castiel indugiò un attimo, per poi annuire. Si voltò, allontanandosi dalla porta, e tornò a sdraiarsi sul letto.
Il fratello maggiore si grattò il mento e poi entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Con le mani in tasca, ciondolò per la stanza, guardandosi intorno. Infine, si avvicinò al letto e si sedette sul bordo, prendendosi qualche minuto per osservare il più piccolo.
“Te lo devo dire, Cassie” – iniziò poi – “Mamma e papà sono preoccupati”.
Castiel alzò gli occhi al cielo.
“Volevano venire a parlarti, ma mi sono offerto io. Ringraziami” – continuò il fratello – “Allora, mi dici cosa c’è che non va?” – chiese poi, cercando gli occhi del minore.
[…]
“Cassie, non dirmi che va tutto bene, perché non è vero. Ti conosco. E lo vedo” – ribatté Balthazar – “Sono due giorni che stai chiuso in camera e non esci più neanche sul portico”.
Castiel incrociò le braccia al petto e rivolse lo sguardo verso il muro.
Il fratello sospirò. Appoggiò una mano sul materasso, oltre le gambe del minore e si avvicinò a lui, inclinando il viso.
“C’entra Dean?” – azzardò il più grande.
Castiel abbassò lo sguardo.
“C’entra Dean” – confermò Balthazar – “Cos’è successo? Avete litigato?”
Il minore sospirò.
 
Due giorni prima, dopo aver reagito in quel modo, Castiel si era chiuso nella sua stanza, e non ne era più uscito, nemmeno per cenare. Sdraiato sul letto, ripensò a quanto accaduto.
Nel momento in cui aveva conosciuto Dean, aveva preso la decisione di non dirgli determinate cose, perché la sua condizione di sordo era più che sufficiente, e lui non voleva che il nuovo amico provasse pena per lui, che lo considerasse a lungo andare un peso, o, peggio ancora, che si allontanasse…come avevano fatto tutti gli altri. Purtroppo, questa decisione non era bastata, Dean ormai sapeva tutto, e Castiel si rese conto che la cosa che faceva più male, alla fine, non era tanto il fatto che Dean sapesse, e non erano neanche le domande che il ragazzo gli aveva rivolto, sebbene quel genere di domande lo infastidissero parecchio. La cosa che faceva più male era stata la reazione che lui aveva avuto. Una reazione di cui si era poi amaramente pentito, perché aveva portato a ciò che temeva di più: l’allontanamento di Dean. Questa volta era colpa sua. Questa volta era stato lui ad allontanare.
Gli occhi iniziarono a pungere e ben presto Castiel si ritrovò a singhiozzare contro il cuscino.
 
°°°
 
“Sammy, hai del nastro adesivo da prestarmi?” – chiese quel pomeriggio Dean, affacciandosi nella stanza del fratello.
“A che ti serve?” – chiese il minore, aggrottando la fronte.
“Per tappare la bocca ai fratelli impiccioni” – rispose ghignando Dean.
Sam lo fulminò con lo sguardo e Dean scoppiò a ridere.
“Dai, Sammy…mi serve, davvero” – lo supplicò il maggiore.
Il ragazzino sbuffò e aprì il cassetto della sua scrivania.
“Al volo!” – disse, prima di lanciare il nastro verso il fratello, che lo afferrò senza difficoltà.
“Grazie, fratellino, te lo riporto appena ho finito” – disse poi, ammiccando.
“Ah, Sammy?” – lo richiamò il biondo, prima di andarsene.
“Uhm?”
“Tieniti pronto per domenica”.
“Domenica?”
“A-ah. Piscina” – mimò con le labbra.
Sam spalancò gli occhi, sorpreso.
“Evvai!”
 
Il biondo rientrò nella sua camera e si sedette alla scrivania. Davanti a lui c’era quello che rimaneva del block notes di Castiel. Quel block notes che il moro usava per comunicare con lui. Molte pagine si erano staccate, mentre le ultime presentavano degli squarci o dei buchi e avevano anche delle parti mancanti.
Dean si passò una mano sul viso.
“Va bene, mettiamoci al lavoro” – mormorò tra sé.
 
Gli ci vollero un paio di ore per finire quello che si era prefissato di fare. Alla fine fu soddisfatto del risultato ottenuto, anche se, purtroppo, per alcuni aspetti non aveva potuto fare molto. Iniziò a sfogliare il block notes con cautela, dall’inizio. Gli occhi si soffermarono su frasi o su singole parole scritte dal moro. E Dean si ritrovò, suo malgrado, su un’altalena di emozioni.
 
“Mi piacciono molto gli animali” – “Grazie” – “Sei venuto” – “Io non avevo amici dove abitavo prima” – “Castiel è il nome di un angelo” – “Angelo delle lacrime” – “Angelo del silenzio” – “Possiamo entrare?” – “Sono io che mi devo scusare. Non volevo farti spaventare” – “Mi gira la testa…troppo caldo…” – “Avete gli stessi occhi” – “È complicato” – “Sono molto limitato e questo spesso diventa un problema per loro. Anche se le persone non lo dicono apertamente, io lo capisco” – “Chi uscirebbe con un sordo?” – “Cas?” – “È carino” – “Quindi, sai tutto?”
 
Dean chiuse il block notes e lo appoggiò sulla scrivania. Aprì un cassetto lì vicino e tirò fuori un oggetto. Se lo rigirò tra le mani più e più volte, per poi posarlo accanto al block notes.
 
°°°
 
Un’ora più tardi, Dean si ritrovò a fissare da vicino l’ingresso della casa di Castiel. Era piuttosto agitato e il cuore batteva forte nel petto. Aveva preso la decisione di parlare con l’amico, tuttavia era preoccupato circa una sua possibile reazione. O, peggio ancora, che non lo volesse nemmeno vedere.
Dopo aver suonato il campanello, passarono interminabili secondi, prima che qualcuno aprisse la porta.
Balthazar apparve sulla soglia.
“Ciao, Dean” – sorrise il ragazzo.
“Ciao…” – rispose imbarazzato Dean – “C’è Castiel?”
Il maggiore dei Novak guardò il giovane negli occhi e annuì piano.
“Senti, io…” – iniziò Dean, ma il biondo alzò una mano e lo interruppe.
“Non c’è bisogno che tu dica niente. Sono contento che tu sia qui” – disse l’altro, compiaciuto.
“Entra” – disse poi Balth – “Vado a chiamarlo”.
“Grazie” – disse piano l’altro, inoltrandosi lentamente nell’abitazione.
Mentre aspettava, Dean si guardò intorno. La casa di Castiel era molto bella. L’ingresso era seguito da un lungo corridoio con pavimento in legno, ricoperto da un lungo tappeto finemente arabescato. Sulla destra il giovane poté intravedere una grande sala da pranzo, con al centro un ampio tavolo in legno scuro lucido. Non riusciva a vedere cosa ci fosse in fondo al corridoio, ma ipotizzò la cucina, o il salotto, o magari entrambi. Sulla sinistra, la parete era costeggiata da una lunga scala, delimitata su un lato da una ringhiera in legno bianco.
Dei passi leggeri fecero voltare Dean. Castiel stava scendendo le scale. Il moro incrociò lo sguardo del biondo, e si fermò a qualche gradino di distanza dal corridoio. E da Dean.
“Ciao…” – disse Dean.
Castiel rispose con un cenno della mano.
Rimasero lì, fermi. Nessuno dei due osava muoversi.
Ad un certo punto Dean decise di farsi avanti.
“Ecco, io…ti ho portato una cosa” – disse, mordendosi un labbro.
Allungò un braccio verso l’altro, porgendo due pacchetti che teneva in mano, confezionati in semplice carta da regalo.
Castiel alzò le sopracciglia, per poi tendere una mano e prendere i due pacchetti.
“Aprili” – suggerì piano il biondo.
Il moro scartò il primo pacchetto e schiuse le labbra, stupito. Era un nuovo block notes. La copertina era verde, con delle sfumature gialle. Il ragazzo toccò la superficie liscia della copertina e abbozzò un sorriso. Gli piaceva molto.
“Visto che quello che stavi usando…sì insomma…” – balbettò Dean.
Il biondo sospirò, prendendosi qualche secondo.
“Cas…io non avrei dovuto impicciarmi degli affari tuoi e farti domande così personali…è solo che…io volevo capire…”
“Scusami, Castiel” – aggiunse poi.
Il moro guardò Dean negli occhi, mordendosi un labbro e stringendo l’altro pacchetto nelle mani.
“Puoi aprire anche il secondo, se vuoi” – disse poi l’altro.
Castiel tolse la carta anche al secondo pacchetto e rimase attonito. Si ritrovò tra le mani il block notes che aveva gettato per terra quel famoso pomeriggio. Con le mani tremanti, lo aprì e vide che molte pagine erano state rimesse insieme con del nastro adesivo. Ed era stato Dean. I suoi occhi blu saettarono subito su quelli verdi dell’altro. E sorrise. Dean era lì. Castiel, con il suo comportamento, lo aveva allontanato. Eppure lui era ancora lì.
Con un cenno del capo, il moro invitò l’altro a seguirlo. Salirono le scale e percorsero qualche passo nel corridoio del piano superiore prima di ritrovarsi di fronte ad una porta bianca. Castiel la aprì, facendo così accomodare Dean nella sua stanza.
La camera di Castiel era pressoché delle stesse dimensioni di quella di Dean, ma decisamente più ordinata e meno confusionaria. Sulla parete di sinistra c’era una finestra, adornata con tende di colore blu. Sotto di essa era collocata una scrivania di colore bianco. Dean si avvicinò alla finestra e sbirciò fuori. Da lì poteva vedere una parte di casa sua e, al primo piano, quella che riconobbe come la sua camera.
Il biondo continuò a guardarsi intorno, curioso. Nell’angolo in fondo a sinistra vi era un letto. Sulla parete di fronte invece vi era un’ampia libreria, mentre su quella di destra un grande armadio e una cassettiera, tutti di colore bianco.
Castiel aprì un cassetto della scrivania e vi pose con cura il block notes sistemato da Dean. Poi prese una penna e si sedette sul bordo del letto, invitando l’altro a fare altrettanto.  Si accorse che Dean si era soffermato più volte ad osservare la lampadina sopra la porta. Aprì il taccuino nuovo e iniziò a scrivere.
La lampadina è per farmi sapere se qualcuno sta bussando alla porta della mia stanza”.
Dean schiuse le labbra, annuendo.
 
Grazie”.
Dean abbozzò un sorriso.
Grazie per le tue parole. E per il block notes, è molto bello”.
Dean arrossì leggermente.
“Figurati…” – disse piano.
Userò questo, da oggi in poi. L’altro lo conserverò”.
Dean sorrise e annuì, compiaciuto.
Castiel si fermò a pensare, con gli occhi fissi sul block notes, mentre con la punta della penna picchiettava la superficie del foglio.
Anche io ti devo chiedere scusa”.
Dean lo fissò attentamente.
Ho reagito nel modo sbagliato. È che…
Ma il biondo posò una mano sul braccio del moro, fermandolo.
“No, Cas. Sono io che ho sbagliato”.
Castiel scrollò la testa.
Ma io di più. Mi dispiace”.
Il ragazzo agganciò gli occhi di Dean, e il biondo per un attimo si smarrì.
“Ok…” – disse infine, annuendo.
 
 
°°°
 
“Dai, Cas, non farti pregare” – supplicò Dean, qualche giorno dopo.
Castiel sedeva sul dondolo, mordendosi un labbro e giocando nervosamente con la penna tra le mani.
Per quella domenica, Lisa aveva organizzato una giornata in piscina, ottimo rimedio contro la noia e la morsa del caldo. E Dean aveva subito pensato di invitare anche Castiel.
“Ci saranno anche i miei amici, così finalmente li conosci” – tentò nuovamente il biondo – “E poi ci sarà anche Sam, che conosci già”.
Il moro lo guardò, negli occhi blu una chiara sfumatura di apprensione.
Io non so nuotare”.
L’altro sollevò le sopracciglia, un po’ sorpreso.
“Beh…fa niente” – disse poi – “Puoi stare al sole, in compagnia con noi…non staremo mica a mollo in acqua tutto il tempo”.
Castiel sembrava ancora indeciso.
Dean si accovacciò davanti a lui, cercando i suoi occhi.
“Dimmi qual è il problema” – chiese.
Il ragazzo dagli occhi blu si stropicciò le mani, nervoso.
Non mi piacciono molto i luoghi con tanta gente”.
“Umh…troveremo un posto un po’ in disparte, se vuoi, così staremo tranquilli”.
Castiel indugiò, piegando gli angoli della pagina del block notes tra pollice e indice.
“Ehi, ti prometto che ci divertiremo” – lo rassicurò il biondo.
Il moro sospirò.
E va bene”.
Dean sorrise, soddisfatto.
“Non te ne pentirai, Cas”.
 
°°°
 
La domenica tanto attesa arrivò.
Sam era raggiante. Per strada continuava a saltellare e a camminare all’indietro, sollecitando Dean e Castiel ad aumentare il passo. Non vedeva l’ora di arrivare e di tuffarsi in acqua.
Quando i tre arrivarono all’ingresso della piscina, Benny, Lisa e Charlie li stavano già aspettando.
Lisa andò incontro a Dean, ricercando un abbraccio, subito ricambiato dal biondo.
“Benny!” – disse Sam, correndo incontro al ragazzo.
“Ehi, Sammy” – rispose l’altro, scompigliando con una mano i capelli del ragazzino e ridendo.
“Sei pronto per una sfida sugli scivoli?” – lo incoraggiò poi il ragazzo.
“Oh, sì! – rispose sorridendo Sam.
Dean salutò gli altri, poi si voltò verso Castiel, che si era fermato qualche passo indietro.
“Ehi, Cas, vieni!” – chiamò Dean, facendo cenno al moro di avvicinarsi – “Lei è Lisa”.
“Ciao, Castiel” – sorrise lei.
Il ragazzo si avvicinò e sorrise di rimando, ricambiando il saluto con un gesto della mano.
“E loro sono Benny e Charlie” – aggiunse Dean, indicando gli amici alle sue spalle.
Entrambi i ragazzi sorrisero e salutarono Castiel, il quale rispose timidamente con un sorriso.
“E Chuck?” – chiese poi il biondo, guardandosi intorno perplesso.
“Eccomi!” – ansimò una voce alle loro spalle.
Tutti si voltarono, per vedere Chuck piegato su sé stesso, a riprendere fiato.
“Scusate il ritardo” – annaspò il giovane.
“E lui è Chuck” – disse ridendo Dean, rivolto a Castiel.
Chuck agitò una mano in direzione del moro, che sorrise divertito.
“Ora che ci siamo tutti, che ne dite di entrare?” – propose Benny.
Il gruppo si mosse verso l’ingresso e Dean ne approfittò per affiancarsi a Castiel.
“Tutto bene?” – chiese il biondo.
Il moro annuì, per poi voltarsi di scatto dall’altra parte, colto di sorpresa. La ragazza chiamata Charlie si era avvicinata e, con un sorriso furbetto sulle labbra, lo aveva preso amichevolmente sotto braccio.
 
 
°°°
 
L’Aquatic Center di Lawrence possedeva una grande parte outdoor, appositamente per la stagione estiva. All’ingresso vi erano più casse per pagare il biglietto. Subito dopo i tornelli, una lunga passatoia conduceva ad un enorme spazio immerso nel verde e circondato, lungo tutto il suo perimetro, da maestosi alberi.
Distribuite in modo strategico, vi erano 3 piscine diverse per dimensione e per profondità.
La prima vasca che si incontrava, di forma quadrangolare, era relativamente piccola e decisamente poco profonda. Al centro, una fontana a forma di fungo di colore rosso, riproduceva una piccola cascata. L’utenza era prevalentemente rappresentata da bambini piccoli, spesso in presenza dei genitori.
La seconda vasca, molto più grande e di forma rettangolare, racchiudeva in sé due caratteristiche: la presenza degli scivoli, di forme e colori diversi, e un fondo con profondità graduale.
La terza piscina era più lontana rispetto alle altre due. Era quadrangolare e con una profondità di almeno cinque metri, dal momento che era adibita solo ed esclusivamente ai tuffi. Infatti su di essa si ergevano trampolini di diverse altezze: un metro, tre metri, e la piattaforma in cemento a cinque metri.
 
La giornata prometteva bene, il sole era molto caldo e il cielo azzurro era sgombro da nuvole.
Visto l’orario, il centro non era ancora affollato e i ragazzi riuscirono tranquillamente a trovare un buon posto sul prato, dove sistemare gli zaini e stendere gli asciugamani.
Ben presto, tutti si ritrovarono in costume. Tutti, o quasi.
Castiel non si era ancora tolto i vestiti ed era rimasto un po’ in disparte, indeciso sul da farsi.
Dean si accorse di lui e si avvicinò.
“Cas, non vorrai rimanere vestito tutto il giorno, vero?” – sorrise il biondo.
Il moro si morse un labbro, per poi scrollare la testa. Iniziò quindi a spogliarsi, prima la maglietta e poi i jeans, rimanendo così anche lui in costume.
Dean si soffermò a guardarlo, stupito. Le spalle di Castiel erano larghe e la forma delle scapole ben delineata. Le gambe erano longilinee e toniche, mentre l’addome era piatto, con le ossa iliache in leggera evidenza.
Qualcosa non va?
Dean fu richiamato dal block notes del moro, posto sotto il suo naso.
“No, no...è che…” – disse, umettandosi le labbra – “Non ti facevo così in forma”.
Castiel inclinò il viso, perplesso.
“È un complimento” – sorrise il biondo, dandogli una pacca sulla spalla, prima di allontanarsi e raggiungere Lisa.
Castiel sorrise e seguì Dean con lo sguardo. Le spalle solide, la curvatura della schiena marcata, la linea morbida dell’addome. E, infine, le gambe, con quell’accentuato varismo delle ginocchia.
“Castiel” – lo richiamò Charlie, passandogli una mano davanti agli occhi – “Gli altri stanno andando in acqua, tu che fai?”
Il moro mise mano al taccuino.
Non so nuotare, quindi credo che rimarrò qui”.
“Perfetto” – squittì la rossa – “Ti posso fare compagnia?”
Certo”.
 
Castiel fu piacevolmente stupito dalla rossa. Charlie era davvero piena di energia, e parlava di tutto. Il moro, superato un certo imbarazzo iniziale, iniziò a sentirsi a suo agio con quella ragazza.
Ben presto entrambi scoprirono di avere alcune cose in comunque, come la passione per i libri di Tolkien, o per la saga di Harry Potter. A riguardo, discussero a lungo su quale fosse l’incantesimo migliore e, ovviamente, a quale casa avrebbero voluto appartenere. Charlie, inoltre, fece divertire molto il moro, mostrandogli svariati link e immagini presi dai suoi account di Facebook e Twitter.
 
“Castiel, guarda” – disse ad un certo punto lei – “Ragazze a ore sei” – continuò, indicando un gruppo di ragazze sdraiate sul prato, poco distanti da loro.
Il moro seguì le indicazioni della rossa con lo sguardo.
“Credo che la bionda ti abbia puntato, sai?” – decretò lei, sollevando gli occhiali da sole sulla fronte.
Castiel arrossì leggermente.
“A me piace quella mora. È carina, non trovi?”
Il ragazzo guardò Charlie, socchiudendo gli occhi e inclinando il viso.
“Sì, è quello che stai pensando” – ghignò la rossa.
La bocca del moro si schiuse leggermente, in un’espressione di sorpresa. Poi prese il block notes e vi scarabocchiò qualcosa prima di mostrarlo all’altra.
Approvo. La mora è molto carina”.
Charlie sorrise, e Castiel con lei.
 
°°°
 
Il tempo passò tranquillamente. Charlie e Castiel, alla fine, raggiunsero gli altri presso la piscina con gli scivoli. Dean, Sam, Chuck e Benny facevano a gara a chi arrivasse prima in acqua, mentre Lisa si era soffermata a chiacchierare con alcune compagne della squadra di cheerleader, incontrate lì per caso.
“Ti dispiace se raggiungo i ragazzi per un po’ di brivido sullo scivolo?” – chiese la rossa.
No, vai pure”.
Quando Charlie si allontanò verso la scaletta di accesso agli scivoli, Castiel ne approfittò per sedersi sul bordo vasca e immergere una parte delle gambe in acqua, in cerca di refrigerio.
La luce del sole si rifletteva sulla superficie dell’acqua in scintille abbaglianti, che costrinsero il moro a socchiudere gli occhi. La frescura dell’acqua era piacevole e il ragazzo si ritrovò a ciondolare le gambe, increspando l’acqua e distorcendone così la trasparenza.
Una mano bagnata gli toccò la spalla. Castiel sussultò a quel contatto così fresco e, quando si girò, vide Dean che gli sorrideva.
“Forza, Cas! Andiamo a mangiare”.
 
Dopo pranzo, tutti si distesero al sole e, così, le prime ore del pomeriggio passarono pigramente.
Benny sonnecchiò, mentre Charlie, con le cuffie alle orecchie, muoveva i piedi a tempo di musica. Chuck aveva chiesto a Castiel un parere sull’articolo che aveva scritto per il giornale della scuola, in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico, mostrandoglielo sul cellulare. Lisa e Dean ne approfittarono per scambiarsi coccole e baci sotto il calore dei raggi del sole.
Sam, invece, era seduto su un asciugamano con le gambe incrociate e con il mento appoggiato sul palmo di una mano. Si stava annoiando terribilmente.
“Sam?” – lo chiamò una voce alle spalle.
Il ragazzino si voltò e socchiuse gli occhi per qualche secondo. In piedi di fronte a lui, vi era una ragazzina con lunghi capelli corvini e grandi occhi scuri.
“Ruby?” – mormorò stupito Sam.
La ragazzina gli sorrise e il minore dei Winchester scattò subito in piedi.
“C-cosa fai qui?” – balbettò Sam.
Ruby voltò la testa indietro un istante, per poi tornare a guardare l’altro.
“Sono qui con mia sorella” – rispose lei – “E tu?” – chiese poi, guardando i ragazzi più grandi lì vicino.
“Anche io sono qui con mio fratello…e i suoi amici” – rispose lui, facendo qualche passo in avanti.
“Ruby!” – chiamò una voce da lontano.
La ragazzina si voltò e agitò un braccio in aria.
“Arrivo!”
“Devo andare” – disse poi, visibilmente dispiaciuta.
“Ok…” – annuì deluso Sam.
“Allora…ciao Sam” – lo salutò Ruby, prima di allontanarsi.
“Sì…ciao” – sussurrò l’altro.
 
“Ahia!” – pigolò poi Sam, portandosi una mano dietro la nuca e girandosi di scatto.
“Dean! Ma sei impazzito?” – si lamentò poi, conscio del fatto che il fratello lo avesse appena colpito con uno scappellotto.
“Che faccio io? Tu piuttosto!” – ribatté Dean.
Sam lo guardò, aggrottando la fronte, ancora infastidito.
“Cosa aspetti ad andarle dietro?” – disse il biondo, facendo cenno verso la direzione presa da Ruby poco prima.
Sam arrossì.
“No, io…” – farfugliò il minore.
“Sammy, se non vai subito, ti sfotto qui davanti a tutti” – lo ricattò il maggiore con un ghigno.
“Non puoi farlo!” – squittì l’altro, incredulo e risentito allo stesso tempo.
“Vuoi vedere?” – lo sfidò Dean.
“Ehi, sentite tutti” – disse poi, alzando la voce e attirando l’attenzione degli altri – “A mio fratello piace una sua amica di scuola, ma non ha il coraggio di…”
“E va bene, vado!” – lo interruppe bruscamente Sam, rosso in viso.
Dean rise soddisfatto.
Sam gli rivolse uno sguardo torvo, ma ben presto i suoi occhi si addolcirono. Alla fine l’intervento di suo fratello maggiore era servito a qualcosa.
“Stai attento e fatti vedere ogni tanto” – si raccomandò Dean.
Sammy guardò ancora una volta l’altro, abbozzando un sorriso e annuendo, prima di allontanarsi e di raggiungere la ragazzina di nome Ruby.
Quando Dean si voltò per tornare al suo asciugamano, sentì su di sé gli sguardi di tutti.
“Ma che amore di fratello che sei” – squittì Charlie, facendo ridere gli altri.
“Andate al diavolo” – ribatté lui, nascondendo a fatica un sorriso.
 
 
°°°
 
Più tardi, Dean e Benny decisero di sfidarsi in una gara di tuffi. Gli altri si sedettero sul prato circostante la vasca, a godersi lo spettacolo e gli spruzzi di acqua, e a dare punteggi del tutto casuali e privi di logica.
“Lisa, sei di parte” – asserì Chuck divertito, dopo che la ragazza aveva conferito l’ennesimo punteggio massimo a Dean.
Lei si voltò e gli fece una linguaccia, facendo ridere i presenti.
“Qualcuno vuole un gelato?” – propose Charlie.
“Uh, sì, io!” – rispose subito Chuck.
La rossa toccò la spalla di Castiel, richiamando la sua attenzione.
“Castiel, ti va un gelato?”
Il moro annuì, sorridendo.
“E tu, Lisa?” – chiese ancora la ragazza.
“Oh, no grazie”.
“Ok. Chuck, vieni con me?”
“Arrivo” – disse lui, alzandosi e incamminandosi con l’amica verso il chiosco presente nel centro acquatico.
 
“Oh, guarda un po’ chi c’è” – disse una voce divertita.
A quel richiamo, Lisa si voltò di scatto e si fece subito seria in volto. Castiel notò l’espressione della ragazza e rivolse lo sguardo nella stessa direzione.
In piedi, dietro di loro, c’erano due ragazzi.
“Nick” – disse lei, atona, alzandosi poi in piedi.
“Uhm” – mugugnò lui, alzando lo sguardo verso i trampolini – “E c’è anche quello scoiattolo di Winchester” – asserì poi con un ghigno.
Il ragazzo di nome Nick era piuttosto alto e dal fisico prestante. Aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi.
“State ancora insieme? Deve essere una cosa seria allora…” – sfotté lui.
“Non sono affari tuoi” – sibilò la ragazza.
“Ah, già, è vero…da quando mi hai mollato per quella nullità, niente che ti riguardi è più affare mio…” – disse Nick, mimando un’espressione fintamente dispiaciuta e avvicinandosi.
Nel frattempo, anche Castiel si alzò, attirando così l’attenzione dell’altro.
“E tu chi cazzo sei?” – chiese Nick, squadrando l’altro con un’occhiata.
Il moro fu spiazzato dalle parole aggressive del ragazzo e non riuscì a muoversi.
“Ti ho chiesto chi cazzo sei” – ripeté il ragazzo – “Cosa c’è, non parli la mia lingua? Oppure non hai i coglioni per rispondermi?”
“Piantala Nick!” – ordinò Lisa.
“Oh…è forse amico tuo, Lisa? O di quello scoiattolo del tuo ragazzo?” – chiese lui, continuando a fissare Castiel.
“Nick” – lo richiamò il ragazzo alle sue spalle – “Direi che può bastare. Andiamo”.
Il ragazzo rimase fermo qualche secondo, poi sollevò le mani, in segno di resa.
“E va bene, va bene. Me ne vado. È stato un piacere rivederti, Lisa” – sorrise malizioso lui, senza però distogliere lo sguardo dal moro.
“E tu, ragazzo muto, porta i miei saluti a Winchester” – disse, prima di scattare in avanti e spintonare Castiel.
Il ragazzo non si rese nemmeno conto di quello che accadde e barcollò all’indietro, colto alla sprovvista, cadendo così rovinosamente in acqua.
 
La superficie dell’acqua schiaffeggiò la schiena di Castiel. In pochi secondi, si trovò immerso completamente in quella vasca. L’acqua fredda lo fece sussultare. Per istinto chiuse gli occhi, ma l’impatto era stato improvviso e il ragazzo non aveva fatto in tempo a tapparsi naso e bocca. Bevve quindi parecchia acqua e le cavità nasali iniziarono a bruciare per il contatto con l’acqua clorata. Preso dal panico, iniziò ad agitare convulsamente le braccia, mentre le gambe rimanevano rigide e sembravano non rispondere ai suoi comandi. Pian piano percepì un lieve formicolio al petto, che ben presto si espanse, trasformandosi in una fastidiosa pressione. Cercò di aprire gli occhi, ma peggiorò la situazione. L’acqua era intorpidita dai suoi movimenti, non riusciva a vedere nulla e gli occhi cominciarono a bruciare. La testa iniziò a pulsare, un ronzio prese possesso della sua mente, mentre le braccia cominciavano a fare male e a diventare sempre più pesanti.
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti!
Eccoci qui con un altro capitolo! Nello scorso aggiornamento avevamo lasciato Dean e Castiel alle prese con un confronto che non è finito bene per niente. Da un lato il poco tatto di Dean e dall’altro l’animo ferito di Castiel hanno portato a quell’esplosione di rabbia da parte del ragazzo con gli occhi. I due sono comunque rimasti turbati da quanto successo, e i giorni trascorsi lontani l’uno dall’altro sono serviti ad entrambi per riflettere. Dean ha fatto la prima mossa, presentandosi al nuovo amico con due regali che assumono un significato molto importante. Il block notes è infatti l’unico modo in cui Castiel comunica con lui. Aggiustare quello vecchio è stato un modo per chiedere scusa e per rimediare al proprio errore, e comprarne uno nuovo è stato un modo per proporre all’altro di continuare la loro amicizia. Castiel è pieno di paure e di insicurezze, ma Dean, con il suo gesto, gli ha teso una mano che il moro ha accettato.
La prima uscita di Castiel con Dean e i suoi amici stava proseguendo a gonfie vele, gli altri ragazzi si sono dimostrati molto alla mano e hanno fatto sentire Castiel a suo agio. Purtroppo la comparsa dell’ex di Lisa ha portato scompiglio e un finale per il quale so già che mi state odiando. Forza e coraggio, la storia è ancora lunga! (ahimè)
Alla prossima!
Sara
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
L’Aquatic Center di Lawrence esiste veramente, ma la descrizione del luogo è stata ispirata alla piscina estiva che c’è qui dove abito io e dove andavo spesso quando ero bambina. È un posto molto bello, dove passare una piacevole giornata d’estate in compagnia di amici o familiari. 

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO SEI
 
“Ci vuole un tocco gentile per sfiorare chi soffre. Ed una forte presa per poterlo aiutare.”
 
Paola Felice
 
 
“Nessuno ci fa del male. Siamo noi che ci facciamo del male, perché facciamo cattivo uso del grande potere che abbiamo: il potere di scegliere.”
 
Martin Kole
 
 
 

Due mani salde strinsero i fianchi di Castiel, e il suo corpo all’improvviso si fece più leggero. Qualche secondo dopo, il ragazzo si trovò con la testa fuori dalla superficie dell’acqua, tossendo convulsivamente e cercando contemporaneamente di aprire la bocca per incamerare più aria possibile. Le mani, che gli avevano stretto i fianchi, ora lo abbracciavano completamente, facendo aderire il suo corpo a quello di un’altra persona. Castiel si aggrappò a quel corpo con la poca forza che gli era rimasta, nascondendo il volto su una spalla.
“Cas!” – lo chiamò Dean, ma il biondo si rese subito conto che, in quel modo, il ragazzo non poteva vederlo e quindi nemmeno leggere il labiale. Posò allora una mano sulla nuca dell’altro, spostandola poi sul viso, cercando così di attirare la sua attenzione.
Il moro scostò leggermente la testa dal suo nascondiglio e socchiuse gli occhi. Quando riconobbe l’amico, il viso si contrasse in una smorfia, mentre le labbra iniziarono a muoversi, tuttavia senza emettere alcun suono.
“Ci sono qui io, Cas” – lo rassicurò Dean.
Castiel chiuse gli occhi e nascose nuovamente il volto sulla spalla di Dean.
Quando il biondo raggiunse il bordo vasca, Benny lo aiutò a sollevare Castiel e a portarlo sul prato lì vicino. Dean lo fece sedere dolcemente, chiedendo poi a Lisa di andare a recuperare un asciugamano. Una volta che la ragazza fu di ritorno, il biondo coprì le spalle del moro, ma, rendendosi conto che il ragazzo stava tremando, sistemò meglio l’asciugamano, in modo tale da avvolgerlo completamente.
“Cas, tutto bene?” – chiese ansioso Dean, accovacciandosi davanti a lui.
Il moro non rispose, gli occhi fissi sul prato.
“Cas…” – tentò di nuovo Dean, posando una mano sulla spalla dell’altro.
Castiel alzò lo sguardo, smarrito.
“Ti fa male da qualche parte?”
Il ragazzo indugiò un attimo, per poi scrollare debolmente la testa.
“Riesci a respirare bene?”
Il moro annuì.
Nel frattempo Chuck e Charlie erano tornati dal chiosco e avevano assistito a tutta la scena. La rossa raggiunse subito Castiel, posizionandosi accanto a lui e cercando di tranquillizzarlo.
“Charlie, resta qui con lui per favore” – disse Dean, prima di alzarsi e dirigersi a grandi passi verso Nick.
“Dean…” – tentò lei, invano.
“Cosa credevi di fare? Pezzo di merda!” – ringhiò Dean, avvicinandosi minacciosamente all’altro – “Lui non sa nuotare!”
“Io…non lo sapevo” – tentò di giustificarsi Nick, guardando il moro con la coda dell’occhio e facendo qualche passo indietro con le braccia alzate.
“Se hai dei problemi con me, è con me che devi prendertela!” – disse il biondo, alzando la voce e attirando su di sé gli sguardi delle altre persone lì intorno.
Una mano si appoggiò sul petto di Dean, fermandone l’avanzata. Benny gli si era parato davanti, sul suo volto un’espressione calma ma ferma.
“Dean, basta così. Non ne vale la pena” – disse l’amico.
“Spostati, Benny!” – soffiò fuori il biondo.
Benny rimase immobile, puntando gli occhi azzurri su quelli verdi dell’altro.
“Dean!” – lo richiamò.
Entrambi sostennero l’uno lo sguardo dell’altro per diversi secondi. Poi le spalle di Dean si rilassarono leggermente e il ragazzo annuì piano, umettandosi le labbra.
“Non era nostra intenzione fare del male a qualcuno” – asserì il ragazzo accanto a Nick.
Era alto quasi quanto l’altro, i capelli color biondo cenere, mentre gli occhi presentavano un’anomala sfumatura di grigio.
“Beh, se è davvero così, Michael, la prossima volta ti consiglio di mettere il guinzaglio a quel cane rognoso che ti porti dietro” – sibilò Benny.
“Ehi, come ti per-” – ribatté Nick, prima di essere bloccato sul posto da un solo gesto di Michael.
“Dacci un taglio, Nick” – ordinò il ragazzo – “Ci dispiace per quello che è successo, davvero” – disse rivolto ai presenti – “Io e mio fratello ora ce ne andiamo. Senza rancore, Winchester” – concluse poi con calma, voltandosi e allontanandosi con l’altro subito dopo.
“Senza rancore un cazzo!” – borbotto Dean tra sé.
“Dean!” – lo richiamò Charlie.
Il biondo si voltò, in tempo per vedere la rossa che gli faceva cenno di raggiungere lei e Castiel.
Quando si trovò di fronte al moro, Dean si sedette di fronte a lui.
“Cas…” – disse, abbozzando un sorriso.
“Credo che voglia dire qualcosa ma…” – lo informò Charlie.
“Dov’è il block notes?” – chiese lui, guardandosi intorno.
“Eccolo, è qui” – intervenne Lisa, porgendoglielo.
“Cas, dimmi tutto” – disse il biondo, mettendo il taccuino nelle mani dell’altro.
Le mani di Castiel tremavano e non riuscì a scrivere nulla.
“Aspetta” – disse la rossa, prendendo il suo cellulare e visualizzando la tastiera sul display – “Indicami le lettere di quello che vuoi dire”.
Il ragazzo osservò la tastiera del cellulare e, lentamente, con un dito iniziò ad additare le lettere in successione: C-A-S-A.
“Cas, vuoi tornare a casa?” – domandò Dean.
Castiel annuì. Dean sospirò, dispiaciuto.
“Ok, ce la fai ad alzarti?”
Il ragazzo annuì nuovamente.
“Lisa, andresti a cercare mio fratello, per favore?” – chiese lui, rivolgendosi alla ragazza.
“Sì, vado” – annuì lei.
Aiutato da Charlie e da Chuck, Castiel si diresse insieme a Dean e a Benny verso il posto dove avevano lasciato gli asciugamani e tutte le loro cose. La rossa aiutò il moro a vestirsi, mentre Chuck sistemava la sua roba nello zaino. Nel giro di qualche minuto i due ragazzi furono pronti.
Nel frattempo Sam arrivò di corsa, seguito da Lisa.
“Dean, che succede?”
“Sam, raccogli la tua roba. Torniamo a casa”.
“Ma…” – tentò il minore, prima di venire fulminato con uno sguardo dal maggiore.
“Ok…” – si limitò a dire infine il più piccolo.
“Dean, sei sicuro che non vuoi che veniamo anche noi?” – chiese Charlie.
“No, non vi preoccupate. Restate pure, ci penso io” – la tranquillizzò l’altro.
Quando anche Sam fu pronto, i tre raggiunsero l’uscita.
“Quando arrivate a casa, mandaci un messaggio, ok?” – si raccomandò poi la rossa con Dean, prima di abbracciare il moro e rivolgergli un tenero sorriso.
Infine, dopo essersi congedati dagli altri, Sam, Dean e Castiel intrapresero la strada verso casa.
 
Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Dean preferì non dire nulla, limitandosi a guardare di tanto in tanto l’amico, per assicurarsi che stesse bene. Castiel non mise mano al block notes e camminò accanto al biondo in modo quasi automatico, con gli occhi fissi sul marciapiede davanti a sé. Sammy lanciava occhiate ora all’uno, ora all’altro. Percepì nell’aria una certa tensione e, pertanto, anche lui decise di rimanere in silenzio.
Quando si trovarono di fronte alla porta di ingresso dei Novak, Castiel sgattaiolò dentro senza voltarsi, e sparì su per le scale.
“Cas!” – lo chiamò il biondo, invano.
Dal fondo del corridoio fece capolino Balthazar.
“Ehi, siete già tornati? Allora, vi siete divertiti?” – sorrise il ragazzo – “E…dov’è Cassie?” – chiese poi, guardandosi intorno.
Dean sospirò, guardando l’altro negli occhi.
“È successo qualcosa?” – domandò Bathe, sull’attenti.
Dean non rispose subito, e si limitò a guardare le scale sulle quali si era dileguato l’amico.
“Dean” – lo richiamò l’altro – “Mi devo preoccupare?”
Il maggiore dei Winchester raccontò a Balthazar quanto successo in piscina.
Il ragazzo si mise una mano sulla fronte e sospirò. Il suo volto tradiva una certa preoccupazione. E Dean sentì un peso sul petto crescere sempre di più.
“Mi dispiace” – si rammaricò Dean – “Mi sento in colpa…forse non avrei dovuto insistere…”
“Dean, no. Non è stata colpa tua.” – lo rassicurò l’altro.
Il maggiore dei Novak spostò lo sguardo verso la scala, sospirando nuovamente.
“Andate pure a casa” – disse rivolto ai due Winchester – “Non ti preoccupare, gli parlerò io” – aggiunse infine, guardando Dean.
 
“Dean, cos’è successo?” – chiese piano Sam, mentre entrambi si lasciavano alle spalle la casa dei Novak.
Dean sospirò.
“Un casino, Sammy. È successo un casino…”
 
°°°
 
Una volta entrato in camera, Castiel si chiuse subito la porta alle spalle, e vi si appoggiò con la schiena, sospirando. Rimase lì, fermo, a fissare il vuoto. Nella sua mente, tutte le immagini della giornata trascorsa in piscina insieme a Dean e agli altri, sembravano sbiadite, lontane, quasi irreali. La vista si offuscò un attimo e il ragazzo si rese conto di avere le lacrime agli occhi. Con il dorso della mano le scacciò via malamente. Si allontanò dalla porta e, incurante, lasciò cadere lo zaino a terra. Si portò le mani al viso e si morse un labbro per impedire alle lacrime di continuare a scendere, inutilmente.
 
Poco prima di cena, Castiel uscì dalla sua camera e incrociò il fratello sul corridoio.
“Cassie…” – lo chiamò Balthe.
Il minore rimase fermo, a pochi passi dalla porta della sua stanza.
“Dean mi ha raccontato cosa è successo…ti va di parlarmene?”
Il ragazzo scrollò la testa, per poi muoversi in direzione del maggiore. Gli passò accanto, superandolo e senza incrociare il suo sguardo, per prendere infine le scale e dirigersi al piano inferiore.
Balthazar si passò una mano sul viso e sospirò.
 
°°°
 
“Come sarebbe a dire che non sai come sta?” – trillò Charlie, dall’altra parte della linea.
Dean scostò leggermente il cellulare dall’orecchio, infastidito dall’acuto improvviso dell’amica.
“Te l’ho detto, Charlie. Non lo so…” – ripeté Dean.
“Sei andato a trovarlo, almeno?”
“Certo che sono andato!” – rispose quasi risentito il biondo – “Ma non vuole vedere nessuno…”
Dean sentì la ragazza sospirare attraverso la linea.
“Riprova” – suggerì la rossa, con più calma.
“E tu pensi che non l’abbia fatto? Sono andato a casa sua più volte ma…suo fratello dice che non vuole vedere nessuno…neanche me. Io…”
“Non ci provare neanche” – lo avvertì lei.
“Co…? Ma se non sai neanche cosa volevo dire?” – ribatté lui.
“Oh, come se non ti conoscessi, Dean. Posso sentire da qui cosa sta pensando quella tua testolina” – rispose piccata la ragazza.
Dean rimase in silenzio.
“Non è stata colpa tua” – disse poi Charlie, dolcemente.
“Ma…” – tentò il biondo.
“No, niente ‘ma’. Non è stata colpa tua. E poi, dai, chi poteva immaginare che in piscina ci sarebbe stato anche quel cazzone di Nick?”
Dean abbozzò un sorriso.
 
“Allora, che farai?” – riprese lei.
“Non lo so” – sospirò lui – “Davvero, non lo so…”
 
°°°
 
Dean rimase incerto sul da farsi per diversi giorni. Non aveva nessuna idea di come fare per avvicinare Castiel, e riuscire almeno a parlargli.
 
“Hanno già transennato parte della strada sul lungo fiume, per questo sabato” – esordì una sera a cena John, tra un boccone e l’altro.
“Siamo già alla fine di agosto” – constatò Mary – “Certe volte il tempo sembra quasi volare” – sospirò poi.
“Transennare? Per cosa?” – chiese Sam perplesso, rivolto al padre.
“Per la serata dei fuochi d’artificio” – spiegò l’uomo.
“È vero!” – esclamò il ragazzino – “Dean! Ci sono i fuochi sabato! Andiamo a vederli?” – chiese raggiante il minore.
Dean rimase fermo con la forchetta a mezz’aria. Guardò Sammy e annuì, sorridendo. Aveva trovato la sua idea.
 
°°°
 
“Dean…” – sospirò Balthazar, quando, aprendo la porta di casa, trovò il maggiore dei Winchester di nuovo lì.
“Lo so che non vuole vedere nessuno” – lo bloccò subito Dean – “E so anche che te l’ho già chiesto un sacco di volte, ma devo saperlo. Come sta?”
Balth diede una rapida occhiata dietro di sé, per poi accostare piano la porta alle sue spalle.
“Non lo so…” – ammise il ragazzo, avvilito – “Non vuole parlare neanche con me…”
Dean si morse un labbro.
“È…è forse arrabbiato con me?”
“No. No, Dean, di questo sono sicuro”.
Il giovane annuì piano, poco convinto.
 
“Ok, basta. Sono stufo di questa situazione” – sbottò ad un tratto il maggiore dei Novak – “Vieni, entra” – continuò poi, facendo cenno all’altro di entrare – “Aspettami qui”.
Dean vide il ragazzo salire le scale. Rimase ad aspettare in corridoio e, in quel momento, il biondo giurò di avere un déjà-vu. Dopo qualche minuto, sentì la voce di Balthazar farsi sempre più vicina e distinta.
“Non lo so cosa vuole la mamma, Cassie, mi ha detto solo di venire a chiamarti” – disse atono lui.
Dean alzò lo sguardo verso la scala e vide scendere i due fratelli.
Castiel si accorse della presenza del biondo solo una volta arrivato all’ultimo gradino. Si bloccò e i suoi occhi saettarono prima su quelli di Dean e infine su quelli del fratello. Rivolse a quest’ultimo uno sguardo carico di rancore e di disapprovazione, per avergli teso un tranello.
“Non mi guardare così. Mi hai costretto tu a farlo” – puntualizzò il maggiore, sostenendo lo sguardo del minore. Poi fece qualche passo indietro e, guardando di sfuggita Dean, gli fece l’occhiolino, prima di sparire in cucina.
 
“Ciao, Cas…” – iniziò Dean – “Come stai?”
Castiel non aveva il block notes con sé, così si limitò ad annuire.
“Senti…” – continuò poi l’altro, sfilando un foglio ripiegato dalla tasca posteriore dei jeans e porgendoglielo – “Ti piacerebbe venire?”
Il moro prese in mano quel foglio e lo dispiegò piano. Si trattava di una locandina con il programma per lo spettacolo dei fuochi d’artificio, che si sarebbe tenuto quel sabato, lungo il fiume.
“Li fanno tutti gli anni” – spiegò il biondo – “Sono molto belli, sai?” – sorrise poi.
Castiel scrollò la testa, allungando poi una mano per riconsegnargli il foglio.
Dean non si mosse.
“Perché no?”
L’altro si accigliò. Si voltò verso un mobiletto presente nel corridoio e ne aprì un cassetto, prendendo una penna. Scrisse velocemente qualcosa sul retro del foglio, per poi mostrarlo a Dean.
Non mi piacciono i fuochi d’artificio”.
Dean incurvò le spalle verso il basso, visibilmente deluso. Era sicuro che quella idea avrebbe funzionato, e invece…
“Capisco…ok, non fa niente” – disse il biondo – “Sarà per un’altra volta” – aggiunse poi, stirando le labbra in un sorriso forzato.
Castiel lo fissò, senza rispondere.
“Ok, allora…io vado” – si congedò Dean, salutando l’altro con un gesto della mano.
Il moro fece un passo in avanti per restituirgli il foglio.
“Oh, no, tienilo pure”.
Il ragazzo annuì impercettibilmente.
Quando Dean raggiunse l’ingresso, si voltò nuovamente verso Castiel. Cercò i suoi occhi blu per un attimo. Infine, aprì la porta e se la richiuse alle spalle.
 
Non appena Dean uscì, Balthazar comparve nuovamente in corridoio, raggiungendo il fratello. Con un rapido gesto, sfilò il foglio dalle mani di Castiel e gli diede un’occhiata.
Il moro fece per voltarsi e prendere le scale, ma Balth gli si parò davanti, fermandolo.
“Che cosa vuol dire questo, Cassie?” – chiese duro lui, agitando il foglio davanti agli occhi dell’altro.
Il minore distolse lo sguardo.
“Tu adori i fuochi d’artificio…perché questa bugia?” – insisté il maggiore.
[…]
“Sì, forse non sono affari miei ma-”
Balthazar non riuscì a terminare la frase, perché Castiel lo raggirò di lato, risalendo le scale e raggiungendo rapidamente il piano superiore.
Il maggiore dei Novak sentì la porta della stanza del fratello sbattere, e sbuffò. Decise tuttavia di non demordere. Percorse la scala a grandi passi e, in breve tempo, si fiondò nella camera del minore, sotto lo sguardo torvo di quest’ultimo.
[…]
“No, non ho suonato, è vero. Se lo avessi fatto, mi avresti aperto la porta?” – chiese sarcastico Balth.
[…]
“Voglio sapere perché hai detto quella bugia a Dean!”.
Castiel incrociò le braccia al petto.
“Cassie, non me ne vado da qui finché non mi rispondi!” – ribatté lui.
Il moro sospirò, lasciandosi cadere sul letto.
In quei giorni, aveva ripensato a quanto accaduto in piscina. Al terrore che aveva provato quando l’acqua lo aveva sommerso, all’umiliazione ricevuta da parte di un ragazzo che non conosceva nemmeno…
E poi aveva pensato a Dean, che si era tuffato in acqua per lui, che lo aveva preso e stretto a sé, riportandolo in superficie…che per poco non faceva a botte con quel ragazzo di nome Nick…che ha interrotto la sua giornata con gli amici per accompagnarlo a casa.
Era riconoscente a Dean per tutto questo, davvero, ma nella sua mente non riusciva a non pensare di sentirsi in colpa. Se non avesse accettato l’invito di Dean, l’amico non sarebbe dovuto intervenire, e non si sarebbe scontrato con nessuno, e sarebbe potuto rimanere in piscina con gli amici fino a quando voleva. La parola “peso” illuminava a giorno la sua mente, gettando soffocanti ombre su qualsiasi altro pensiero.
 
“Ti prego, dimmi che non si tratta ancora di questa tua convinzione di essere un peso…” – riprese il fratello, sospirando.
Castiel non rispose.
“Quante volte ancora dovremo fare questo discorso, Cassie? Quante volte, prima che tu ti metta in testa che le tue sono solo fissazioni? Te lo ripeto: se tu fossi un peso per Dean, come dici, credi che sarebbe venuto qui a chiederti di andare a vedere i fuochi d’artificio con lui?”
[…]
“Stronzate! Io l’ho visto, sai? Negli occhi di quel ragazzo c’è tutto tranne che pietà! Quando quel pomeriggio ti ha riaccompagnato a casa, era dispiaciuto, Cassie. Si sentiva persino in colpa per quanto successo…quando sappiamo bene che la colpa è di quel cretino con troppo testosterone in circolo!”
Il moro non si mosse.
“E lo so che l’hai vista…la delusione nel suo sguardo, quando gli hai detto di no per la serata dei fuochi”.
[…]
“Lo pensi veramente? Lui avrà anche i suoi amici con cui andare, ma è comunque venuto qui a chiedertelo”.
Balthazar fece una pausa.
“Cassie, lui è ancora qui. Nonostante il tuo carattere, nonostante il tuo continuo tenere a distanza le persone, nonostante tutto. È sempre qui, torna sempre qui. Questo non ti dice niente? Stai rovinando una cosa bella, Cassie. L’unica cosa bella che ti è capitata dopo…beh, dopo tanto tempo. E per cosa? Per niente!  Vuoi continuare a stare qui in camera a crogiolarti nelle tue convinzioni? Ok, fai pure. Ma questo farà del male solo a te, e basta. Lo so io, e lo sai anche tu”.
Il maggiore si avvicinò al letto e mise tra le mani del minore il foglio del programma dello spettacolo pirotecnico.
“Tocca a te, Cassie. È solo tua la scelta” – concluse infine, prima di voltarsi e uscire dalla camera.
 
 
°°°
 
“Tocca a te, Cassie. È solo tua la scelta”
 
Castiel fissò il soffitto della sua stanza. Era quasi l’alba ed era già sveglio. O sarebbe meglio dire che, in realtà, non aveva dormito affatto. Le parole del fratello continuavano a tormentarlo ogni volta che chiudeva gli occhi. Le vedeva formarsi sulle labbra di Balthazar e prendere vita, acquistando un peso che gravava sul petto come un macigno.
 
Si girò su un fianco, sospirando. I suoi occhi si soffermarono sulla scrivania e sul block notes che vi era appoggiato sopra. Il block notes che gli aveva regalato Dean.
 
“Stai rovinando una cosa bella, Cassie”
 
Scostò le coperte e lentamente scivolò via dal letto. Si avvicinò alla scrivania e toccò il foglio che gli aveva lasciato Dean, il giorno prima.
 
“Lui avrà anche i suoi amici con cui andare, ma è comunque venuto qui a chiedertelo”
 
Si sporse in avanti per tirare le tende e aprire la finestra. L’aria fresca di fine agosto gli accarezzò piacevolmente il viso. Di fronte a lui, vide la finestra della camera di Dean.
 
“Negli occhi di quel ragazzo c’è tutto tranne che pietà”
 
Castiel rimase a guardare quella finestra fino al sorgere del sole.
 
 
°°°
 
 
“Hanno già approvato la tua richiesta di trasferimento al college di Lawrence?” – chiese Amelia, quel pomeriggio.
“Sì, stamattina mi hanno mandato la conferma per email” – rispose Balthe.
Madre e figlio sedevano al tavolo della cucina, uno di fronte all’altro. Il maggiore dei Novak stava dando un’occhiata ad alcuni documenti, rigirandoseli tra le mani.
“Frequenterai solo il primo semestre?”
“L’idea è quella. Dovrei riuscire a dare gli esami che mi mancano entro quel termine” – disse il ragazzo, sospirando.
La madre abbozzò un sorriso.
“Balthe…lo so che questi anni non sono stati facili, tutto quello che è successo e…” – si interruppe – “E so che i tuoi studi ne hanno risentito. Per non parlare del trasferimento qui a Lawrence…”
“Mamma, davvero, non c’è bisogno di…”
“Voglio solo che tu sappia che io e tuo padre siamo molto orgogliosi di te” – disse lei, allungando una mano sul tavolo per ricercare quella del figlio.
“Grazie” – sorrise piano Balthe, stringendo la mano della madre nella sua.
 
Un rumore di passi, proveniente dalle scale, attirò la loro attenzione. Tuttavia, nessuno si presentò in cucina, mentre invece si sentì distintamente il rumore della porta di ingresso aprirsi, per poi richiudersi subito dopo. Amelia e Balthe si scambiarono uno sguardo interrogativo. Il figlio decise di alzarsi e di raggiungere l’ingresso. Quando uscì sul portico, si sporse di poco dalla ringhiera, quel tanto che bastò per vedere il fratello dirigersi verso la casa dei Winchester. Balth sorrise.
A quanto pare, Castiel aveva fatto la sua scelta.
 
°°°
 
Castiel rimase ad osservare la porta d’ingresso della casa di Dean per qualche minuto.
 
“È sempre qui, torna sempre qui. Questo non ti dice niente?”
 
Il moro strinse forte il block notes in una mano e suonò il campanello. Poco dopo, la porta si aprì.
“Cas!” – disse sorpreso Sam.
Castiel sorrise e salutò l’altro con un gesto della mano.
“Come stai?” – chiese subito il ragazzino.
L’altro perse il block notes e iniziò a scrivere.
Bene, grazie. E tu?
“Anche io” – sorrise Sam – “Vieni” – disse poi, aprendo maggiormente la porta, per far entrare il ragazzo.
“Sammy, chi è alla porta? Oh…Castiel!” – sorrise Mary, facendo capolino dalla cucina.
Il minore dei Novak ricambiò il sorriso.
Nel frattempo, Sam aveva già risalito metà scala, prima di fermarsi e chiamare il fratello a gran voce. In attesa di una risposta, il ragazzino si voltò verso Castiel.
“Cas, vieni anche tu a vedere i fuochi d’artificio con noi questo sabato, vero?” – chiese poi, raggiante.
Castiel guardò il minore dei Winchester e il luccichio che aveva negli occhi. E si rese conto che Dean non aveva ancora detto nulla al fratello riguardo il suo rifiuto.
Il moro poi sorrise, annuendo, ricambiato subito dall’altro.
“Dean! E dai, scendi!” – richiamò di nuovo Sam.
Dopo qualche secondo Dean svoltò l’angolo in cima alle scale.
“Sammy, che diav-” – si interruppe, vedendo gli occhi blu di Castiel che lo guardavano dal fondo della scala – “Cas!” – esclamò poi.
Il biondo scese velocemente le scale, senza distogliere lo sguardo dall’altro.
“Ehi” – sorrise, una volta raggiuntolo.
Il moro abbozzò un sorriso. Dean sembrava contento di vederlo e questo lo tranquillizzò un po’.
“Sammy, vieni ad aiutarmi di là?” – intervenne Mary, richiamando l’attenzione del minore.
“Arrivo” – rispose lui – “Ah, Dean! Lo sai che Cas viene a vedere i fuochi d’artificio con noi?” – aggiunse poi sorridendo, prima di raggiungere la madre.
Dean si voltò di scatto verso Castiel.
“È vero?” – domandò sorpreso il biondo.
Il moro annuì, mettendo mano al block notes.
Mi piacerebbe venire a vedere i fuochi d’artificio…se l’invito è ancora valido”.
Dean rise.
“Sì, Cas. L’invito è ancora valido”.
 
“Come stai?” – disse poi Dean, avvicinandosi.
Castiel stirò le labbra in un sorriso forzato e annuì. Il biondo lo guardò attentamente e sospirò.
“Cas, te lo chiedo un’altra volta. Come stai?”
Il moro inclinò leggermente la testa, arricciando le labbra. Guardò l’altro negli occhi, indugiando.
Adesso sto bene ma…mi sono molto spaventato in piscina”.
Dean socchiuse gli occhi, distorcendo il viso in una piccola smorfia.
“Mi dispiace, Cas, io…ti avevo promesso che ci saremo divertiti e invece…” – sospirò poi, portandosi le mani ai fianchi – “Mi sento così in colpa…mi dispiace”.
Castiel scrollò la testa, facendo un passo in avanti, verso l’altro.
Non è colpa tua”.
“Ma io…”
Il moro picchiettò la punta della penna sulla prima frase, ribadendo così il concetto.
 
In questi giorni io…ho pensato molto”.
“A cosa?” – chiese Dean.
A quello che è successo. A te. E a me”.
“A me?” – domandò stupito il biondo.
Castiel annuì, per poi riprendere a scrivere.
Tu hai fatto molto per me. Hai sempre fatto molto, sin dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti”.
Dean rimase in silenzio, spiazzato da quelle parole.
E io…io, invece, ho sbagliato tutto”.
L’altro aggrottò la fronte.
“Cosa hai sbagliato?” – chiese poi, confuso.
Ho frainteso le tue intenzioni. Ho pensato più volte che tu provassi pietà per me, e che questo fosse il motivo per cui mi chiedevi di uscire con te e con i tuoi amici”.
Dean si soffermò con gli occhi sulla parola pietà. Aveva già sentito quella parola…ma quando?
“Pietà? – ripeté il biondo, perplesso.
E fu in quel momento che tutto gli tornò in mente.
 
“Tu non stai facendo tutto questo per pietà, vero?”
 
Quella mattina, prima di portare Castiel in giro per Lawrence. Sul portico di casa Novak. Balthazar.
Dean sentì una fitta al petto. Ora era tutto chiaro. Quelle non erano solo le preoccupazioni di un fratello maggiore. Quelli erano soprattutto i pensieri e le paure di Castiel.
“Cas…” – mormorò Dean – “Io non ho mai provato pietà per te…”
Lo so. Ora lo so”.
Castiel sospirò.
Ho sbagliato. Ho sbagliato a pensarlo e ho sbagliato a crederlo. Mi dispiace”.
Dean agganciò gli occhi blu dell’altro, rimanendo per un attimo in silenzio.
“Perché?” – chiese poi.
Il moro socchiuse gli occhi.
“Perché lo hai pensato?” – insisté il biondo.
Forse perché sono solo uno stupido”.
“No, tu non sei uno stupido. Se lo hai pensato, ci deve essere un motivo. Ho per caso detto o fatto qualcosa che…”
Castiel scrollò la testa.
“E allora cosa? Ripeto: ci deve essere un motivo, se lo hai pensato” – lo incitò l’altro.
Il moro fissò a lungo il block notes, la penna rigirata nervosamente tra le dita della mano.
E fu allora che Dean capì.
“Ti è già successo…vero?” – chiese cauto.
L’altro indugiò un attimo, per poi annuire.
“Quando…quando vivevi a Pontiac?”
Castiel annuì di nuovo.
“I tuoi amici…quelli che poi non si sono fatti più vedere…”
A Dean non servì la risposta di Castiel. La conosceva già.
 
“Hai detto di aver pensato anche a te” – riprese Dean.
Il moro annuì.
“Ti…ti va di dirmi a cosa…” – chiese il biondo, incerto.
Castiel deglutì.
 
“Ma questo farà del male solo a te. Lo so io, e lo sai anche tu”
 
Io mi sento un peso”.
Dean serrò la mascella.
Non posso fare molte cose che gli altri invece fanno. Non posso andare al cinema, non posso andare ad un concerto, neanche fare una telefonata…faccio fatica a seguire una conversazione con più persone, perché non riesco a seguire il labiale di tutti. È stancante leggere le labbra, sai? A fine giornata gli occhi mi fanno male e mi bruciano”.
Dean continuò a leggere, in silenzio.
La persona che mi parla deve essere abbastanza vicina e, a volte, succede che io non riesca a capire subito quello che è stato detto. E quando chiedo di ripetere, lo vedo che…molti si spazientiscono…alcuni forse alzano la voce, come se questo servisse a qualcosa. Allora non chiedo più nulla e faccio finta di aver capito. Ed è in questi momenti…e in molti altri, in cui io mi sento un peso”.
Castiel fece una pausa.
Balthe dice che sono solo mie fissazioni, ma io mi sento così. Non ci posso fare nulla”.
Dean si passò una mano sul viso e si schiarì la voce.
“Ti sei sentito così anche con me?”
Il moro lo guardò negli occhi e annuì. Non avrebbe avuto senso mentire, arrivati a questo punto.
“Quando?”
Quella volta, in libreria. O quando ho avuto le vertigini. In piscina”.
“In piscina?” – fece eco il biondo.
Sì. Quando mi hai tirato fuori dall’acqua, quando hai litigato con quel ragazzo…quando mi hai riaccompagnato a casa”.
“Cas…”
Ho pensato che, se non ci fossi stato io, tu non avresti avuto tutti quei problemi e ti saresti goduto la giornata in piscina con i tuoi amici”.
Dean si passò entrambe le mani sul viso e sospirò. Fece un altro passo in avanti e guardò Castiel negli occhi.
“Cas, tu per me non sei un peso. Non lo sei mai stato. Capito? Mai” – disse risoluto – “E non ho mai provato pietà per te. Io non sono i tuoi amici di Pontiac, Cas” – concluse infine.
Entrambi rimasero in silenzio.
 
“È per questo che non volevi venire a vedere i fuochi, sabato?”
Il moro annuì leggermente.
“E come mai hai cambiato idea?”
Balthe”.
Dean si lasciò scappare un sorriso.
“E sei contento di aver cambiato idea?”
Castiel sorrise e annuì.
 
Quando Castiel uscì dalla casa dei Winchester e si incamminò verso la propria, Dean rimase sul piccolo portico ad osservalo.
“Anche io sono contento che tu abbia cambiato idea, Cas” – sussurrò tra sé.
 
°°°
 
La strada, che costeggiava il fiume, era stata transennata e, quel sabato, costrinse molte persone a lasciare la propria auto in parcheggi improvvisati.
Molta gente aveva già preso posto sul prato adiacente, desiderosa di accaparrarsi una buona postazione per assistere allo spettacolo pirotecnico. L’esibizione si teneva ogni anno, nell’ultima settimana di agosto, e sanciva simbolicamente la fine dell’estate. L’evento era piuttosto conosciuto anche al di fuori della stessa Lawrence, spingendo così molte persone delle cittadine limitrofe e prenderne parte.
Quella sera, oltre a Dean e Castiel, era presente anche il resto della famiglia Winchester e della famiglia Novak. Per John e Mary era ormai un appuntamento consolidato negli anni, mentre per Amelia e per James si trattò di una cosa nuova. Castiel, infatti, aveva raccontato loro di questo evento, e così i due decisero, per una volta, di concedersi una serata di svago.
Dopo le solite raccomandazioni da parte dei genitori, i due ragazzi, con Sam al seguito, si separarono dalle rispettive famiglie per raggiungere gli amici di Dean, mentre gli adulti si soffermarono a scambiare due chiacchiere, in attesa dell’inizio dello spettacolo.
“Dean!” – chiamò una voce.
Il biondo fece vagare lo sguardo fino a quando intravide un braccio alzato, che si agitava in aria.
“Eccoli” – disse, toccando la spalla di Castiel e indicando la direzione con una mano – “Vieni, andiamo”.
Il piccolo gruppo raggiunse un angolo di prato, dove Lisa e gli altri avevano già preso posto. Non appena vide Dean, Lisa gli andò incontro, abbracciandolo. E, contemporaneamente, qualcuno abbracciò anche Castiel, cogliendolo di sorpresa.
“Castiel!” – sorrise Charlie.
Il moro ricambiò il sorriso.
“Come stai?” – chiese poi la ragazza.
Il ragazzo le mostrò il block notes.
Bene”.
“Mi dispiace per quello che è successo in piscina…” – iniziò lei.
Non ti preoccupare. È passata, ormai”.
La rossa sorrise.
“Sono contenta che tu sia venuto” – aggiunse poi, prima di prenderlo sottobraccio e raggiungere gli altri.
Anche io”.
 
Una serie di tre piccoli boati consecutivi attirò l’attenzione di tutti, sollevando un brusìo di assenso: lo spettacolo stava per cominciare. Tutti si affrettarono a sedersi sul prato, pronti a godersi l’evento con gli occhi rivolti al cielo.
“Ehi, Cas! Fammi posto” – disse Dean, appoggiando una mano sulla spalla del moro e sedendosi poi accanto a lui.
All’improvviso, dalla sponda opposta del fiume, abbaglianti luci bluastre si lanciarono a tutta velocità verso l’alto, mutando a poco a poco di colore, ed esplodendo infine come migliaia di stelle cadenti.
In rapida successione, altre luci, dai colori accesi, divergevano dal centro, verso mete precise, brillando fino a raggiungere l’apice, per poi spegnersi lentamente e ad andare a morire nel buio della notte.
Esplosioni, dalle calde tonalità gialle, si allungavano nello spazio circostante in ampi raggi, evaporando infine come tanti piccoli sprazzi di luce.
Lampi colorati si stagliavano contro il cielo scuro, ora intorpidito da una leggera foschia grigiastra, per poi scoppiare in scintille che si disperdevano nell’aria come polvere di stelle. Contemporaneamente, piccole saette dorate si protendevano in alto, desiderose anch’esse di raggiungere il cielo, per poi lasciarsi pigramente cadere nel fiume.
Altre saette arancioni si divincolavano da un punto, ardendo quindi nell’aria, mentre, sotto di esse, il buio della notte e del fiume sembrava prendere fuoco.
Le acque placide del fiume, fedeli come uno specchio tremolante, riflettevano luci e colori, mentre un odore pungente iniziava a saturare l’aria circostante.
Enormi cerchi, disseminati da una miriade di lucine blu, si susseguivano uno dopo l’altro, sovrapponendosi tra loro, rischiarando così a giorno tutta la zona, e richiamando particolari apprezzamenti da parte del pubblico: lo spettacolo pirotecnico era giunto al suo apice.
 
Immersi in quel mondo evanescente di luci e colori, i ragazzi si godettero un piccolo angolo di Paradiso.
Dean si voltò alla sua sinistra, dove, accanto a lui, Castiel era seduto a gambe incrociate, il viso rivolto verso l’alto. Come in un riverbero, le luci illuminavano il volto del moro, giocando con i suoi lineamenti. Ad un tratto il ragazzo sorrise al cielo e Dean rimase fermo, incapace di distogliere lo sguardo, ritrovandosi così a guardare i fuochi d’artificio riflessi negli occhi blu di Castiel.
In quel momento però, il biondo non si accorse di avere su di sé uno sguardo attento e serio.
Era lo sguardo di Lisa.
 
 
 
 
 
- L’Angolo Dell’Autrice Disadattata -
 
Ciao a tutti! Allora? Che ve ne pare? Mi sono fatta un po’ perdonare per il cliffhangher del precedente capitolo? E aspettate di vedere il prossimo uhhuhuuhuh *ride solo lei*
In questo aggiornamento si viene al nocciolo della questione: come si sente Castiel nei confronti del mondo che lo circonda. Il disagio del giovane è principalmente dovuto alla sua sordità, una condizione che lo penalizza tantissimo e che lo ha cambiato nel profondo. Tutto questo (sentirsi un peso, la pietà degli altri e molto altro) sono argomenti che si ripresenteranno anche più avanti nella storia, per ora vi posso dire che abbiamo grattato solo la superficie.
Un passo avanti però è stato fatto da parte del ragazzo, ed è stato confessare tutto a Dean. Il perché abbia scelto proprio lui è una cosa che scopriremo più avanti, assieme ad un’altra cos- *si ferma, perché sta andando troppo oltre*
Importantissimo in questo senso è stato l’intervento del fratello di Castiel, che conosce il più piccolo meglio di chiunque altro, forse persino più dei genitori.
Se qualcuno si sta chiedendo il perché dei fuochi d’artificio, la risposta è semplice: li adoro. Soprattutto quelli di fine estate. Hanno il potere di regalarmi tutta una serie di emozioni che ad essere sincera non so proprio descrivere.
Bene, dire che è tutto. Leggete, fatemi sapere se vi va e soprattutto divertitevi!
Alla prossima!
Sara
PS: Vi lascio un po’ di immagini carine
     
     
 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO SETTE
 
“Nessun gesto di gentilezza, per quanto piccolo, è mai sprecato”
 
Esopo
 
 
“Non ci posso credere di essere ancora qui” – borbottò Dean.
“Dean, sembri un condannato a morte” – rise Benny.
“Perché, non è così?” – ribatté affranto l’amico.
Benny continuò a ridere.
“Dai, coraggio, andiamo” – lo incitò infine, con una pacca sulla spalla.
I due ragazzi si incamminarono verso il grande edificio di fronte a loro.
Di stampo decisamente moderno, la struttura presentava una facciata con ampie vetrate scure, delimitate in disegni geometrici da un’intelaiatura bianca. Al centro, proprio in linea con l’ingresso, una parte del tetto modificava la sua linea in una mezza cupola, anch’essa dotata di vetrate, mentre, sulla destra, un largo muro di mattoncini rossi mostrava una scritta bianca a caratteri cubitali: LAWRENCE FREE STATE HIGH SCHOOL. Era il liceo frequentato da Dean e dai suoi amici. E quello era il primo giorno di scuola, dopo le vacanze estive.
 
All’improvviso, due mani si appoggiarono sulla schiena di entrambi i giovani, cogliendoli di sorpresa e facendoli voltare di scatto.
“Ciao, stronzetti” – squittì Charlie, sorniona.
“Maledizione, Charlie! Mi hai fatto prendere un colpo!” – esclamò Dean, portandosi una mano al petto.
“Suscettibile stamattina, eh?” – sentenziò la rossa, rivolgendosi a Benny e indicando l’altro con un cenno del capo.
Charlie e Benny si guardarono per qualche secondo.
“Primo giorno” – dissero entrambi all’unisono, scoppiando poi a ridere.
“Non siete divertenti” – sibilò Dean, contrariato – “Tu, piuttosto, come fai ad essere così allegra di prima mattina? Proprio oggi, poi…”
Charlie ridacchiò.
“Ho ricevuto una mail dal signor Colvin qualche giorno fa” – disse lei.
Dean e Benny socchiusero gli occhi, con aria interrogativa.
La rossa sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Il signor Colvin si occupa dei club di letteratura” – spiegò la rossa – “E indovinate quale nuovo club verrà fondato quest’anno?” – trillò poi, saltellando sul posto e battendo le mani.
“Ho paura a chiederlo” – mormorò Benny, avvicinandosi a Dean, che annuì di rimando.
“Il club di Tolkien! Ma ci pensate! Un club solo per Tolkien!” – disse Charlie raggiante, allargando le braccia.
Nel frattempo, intorno a loro, il numero degli studenti che si incamminavano verso l’ingresso, era decisamente aumentato.
“Lo sai che sei pazza, vero?” – sorrise Dean, cingendole le spalle con un braccio e lasciandole un bacio sulla tempia.
“È per questo che mi ami” – ribatté lei.
“No, sei tu che ami me” – puntualizzò lui, ridendo.
 
Quando i tre varcarono l’ingresso, l’atrio principale della scuola era ghermito da una folla di studenti, e il loro vociare si disperdeva come un'eco tra le pareti. Nonostante fossero così numerosi, tra di essi si potevano riconoscere volti noti, quelli meno noti, e infine i nuovi arrivati, le matricole, così piccole e spaurite, che si guardavano in giro con un misto di meraviglia, terrore e smarrimento.
“E Chuck?” – chiese Dean, guardandosi in giro.
“È già al giornale” – rispose Charlie, gli occhi abbassati sul display del cellulare – “Mi ha appena mandato un messaggio. Dice che ci becchiamo in mensa per il pranzo”.
 
I tre ragazzi percorsero poi tutto l’atrio e, varcando un secondo ingresso, si ritrovarono nel cortile interno della scuola. Al centro di esso, su un basamento di pietra, si ergeva una statua di colore nero, raffigurante un rapace con le ali spiegate che prendevano fuoco, e con gli artigli sfoderati: era il simbolo della Free State, il Firebird.
“Quell’uccellaccio è insopportabile, lo odio” – borbottò Dean, poco dopo averlo superato.
“Farà così tutto il giorno?” – sussurrò Charlie a Benny.
“Oh, e non hai ancora visto niente” – ghignò in risposta il ragazzo.
 
Una volta arrivati ai corridoi con gli armadietti, i tre amici si soffermarono a chiacchierare.
“Cosa avete alla prima ora?” – domandò Charlie, dando un’occhiata al suo foglio degli orari – “Io biologia, con la Barah”.
“Francese con la Gipson” – ribatté Benny.
“E tu, Dean?” – riprese la rossa.
Dean sospirò.
“Matematica” – bofonchiò poi.
“Con chi?” – domandò l’amico.
“Credo con la Wagner” – rispose piatto il biondo.
“No, la Wagner è andata in pensione a giugno” – asserì la ragazza.
“Cosa?” – esclamò Dean – “Ma questo vuol dire…”
“A-ah. Ci sarà un professore nuovo” – confermò lei.
Dean si passò una mano sul viso.
“Non ce la posso fare” – disse poi, sospirando, mentre gli altri due ridacchiavano.
All’improvviso due braccia sottili strinsero la vita di Dean, abbracciandolo da dietro.
“Ciao, Dean” – sorrise Lisa.
“Ehi” – rispose lui, ricambiando il sorriso e girandosi nel suo abbraccio.
“Ragazzi, io comincio ad andare, devo ancora cercare il mio armadietto e lasciare giù i libri. Ci vediamo a pranzo!” – disse Charlie, salutando con un gesto della mano.
“Anche io devo andare. Ci si becca dopo, amico” – fece eco Benny, dando all’altro una pacca sulla spalla.
“Ok, a dopo!” – confermò il biondo ad entrambi.
 
“Primo giorno, eh?” – disse Lisa, dolcemente.
“Già…”
Dean si scostò leggermente dalla ragazza per guardarla.
“E questa divisa da cheerleader di prima mattina…” – aggiunse, umettandosi le labbra.
“Cosa?” – sussurrò lei, a fior di labbra.
Lui le scostò delicatamente i capelli dietro ad un orecchio, avvicinandosi poi con le labbra.
“Diciamo che mi fa venire in mente un’ora alternativa a quella di matematica…” – disse lui flebile, facendo ridere la ragazza.
“Winchester” – chiamò una voce alle loro spalle.
I due si voltarono e si trovarono di fronte Michael.
Dean si irrigidì, serrando la mascella.
L’altro si accorse della tensione sul volto del biondo.
“Rilassati, non sono qui per litigare” – disse poi, calmo.
“Cosa vuoi?”
“Vorrei scusarmi di persona con il vostro amico per quella volta in piscina” – rispose – “Mio fratello si fa prendere troppo la mano quando c’è di mezzo qualcosa a cui…” – si interruppe, guardando Lisa.
La ragazza abbassò lo sguardo.
“Comunque” – proseguì lui – “Dove posso trovare questo ragazzo?”
Dean osservò l’altro per un istante, mordendosi una guancia.
“Michael, perché vuoi scusarti? Non sei tu quello che ha sbagliato” – sottolineò il biondo.
Il ragazzo ricambiò lo sguardo.
“È vero, ma sono un fratello maggiore. E mi sento responsabile per Nick. Lui è…diciamo che è una persona un po’ particolare”.
“Me ne sono accorto” – disse sardonico Dean – “Comunque Castiel non è qui, non viene in questa scuola” – spiegò poi.
“Castiel?” – gli fece eco l’altro.
“Sì, Castiel. Il ragazzo con il quale vuoi scusarti”.
“Ah, capisco”.
Il suono della campanella attirò la loro attenzione, ponendo fine a quella conversazione.
“Credo che sia ora di andare. Quando vedrai il tuo amico, digli che Michael si scusa per quanto accaduto”.
Dean si morse un labbro.
“Ok” – annuì, infine.
“Ci si vede, Winchester…Lisa” – e, detto questo, si allontanò lungo il corridoio ormai semi deserto.
 
°°°
 
Quando Dean entrò in classe, i suoi compagni avevano già preso posto. Il biondo si sistemò nel primo banco disponibile. Quando sollevò lo sguardo verso la cattedra, si immobilizzò. Un volto noto lo stava osservando divertito. Era la madre di Castiel.
“Questa poi…” – sussurrò tra sé.
La donna gli rivolse un sorriso, prima di schiarirsi la voce, attirando così l’attenzione dell’intera classe.
“Buon giorno a tutti. Mi chiamo Amelia Novak, e da quest’anno sostituirò la professoressa Wagner che, come saprete, è andata in pensione. Questo per voi sarà l’ultimo anno, e non vi nascondo che sarà anche il più difficile. Ma se vi impegnerete, sono sicura che i risultati arriveranno”.
Amelia fece una pausa e aprì il libro di testo.
“E ora vi mostrerò quali saranno gli argomenti che affronteremo…” – iniziò poi a spiegare.
Dean rimase fermo ad osservare la donna, ancora incredulo. La madre di Castiel era la sua nuova insegnante di matematica. E abitava proprio di fianco a lui.
 
A fine lezione, Dean, insieme agli altri studenti, si accingeva a lasciare l’aula, quando fu richiamato da Amelia.
Dean si voltò e vide la donna fargli cenno di avvicinarsi. Il biondo si diresse verso la cattedra, titubante.
“Ciao, Dean” – sorrise Amelia.
“Buon giorno, signora Novak” – balbettò il ragazzo.
“Sei sorpreso di vedermi qui?” – chiese lei, mentre sistemava i libri sulla cattedra.
“Un po’…” – ammise lui.
La donna sorrise nuovamente.
“Ti prego, non essere imbarazzato perché sono la madre di Castiel, nonché tua vicina di casa” – continuò Amelia.
Dean abbozzò un sorriso.
“Però non devi neanche approfittarne, perché so essere piuttosto imparziale, sai?” – precisò lei, sorridendo.
Dean annuì.
“Dai, ora vai o farai tardi alla prossima lezione”.
“Ok…arrivederci” – disse Dean, congedandosi e dirigendosi verso la porta.
“Ah, Dean?” – lo richiamò lei.
Il ragazzo si voltò e incrociò lo sguardo della donna.
“Grazie. Per Castiel, intendo…”
Il biondo sorrise, per poi uscire definitivamente dall’aula.
 
Mentre si recava nella classe successiva, l’attenzione di Dean venne richiamata da un poster, affisso ad una delle bacheche presenti lungo il corridoio. Il biondo si soffermò a leggere attentamente il manifesto, per poi prendere uno dei volantini, lasciati lì a disposizione. Se lo rigirò tra le mani e sorrise, prima di piegarlo e di metterlo in tasca.
 
°°°
 
“Charlie, cos’hai da ridere così tanto?” – chiese Benny, mentre si accingeva ad addentare un sandwich.
Era l’ora di pranzo e i ragazzi si erano ritrovati, come d’accordo, in mensa.
“Castiel mi ha mandato un’immagine divertente” – ridacchiò la rossa – “Guarda” – disse poi, facendo vedere il cellulare all’amico.
Anche Benny iniziò a ridere.
Dean, che in quel momento si stava scambiando tenerezze con Lisa, si voltò di scatto.
“Cas?” – fece poi eco.
“A-ah” – annuì Charlie.
Dean fissò la ragazza, aggrottando la fronte, perplesso.
“Dean, perché mi guardi così?” – chiese lei.
“Io…non ho il numero di Cas” – mormorò lui.
La ragazza alzò le sopracciglia, sorpresa.
“Non sapevo neanche che avesse un cellulare…” – ammise il biondo.
“Ah sì, è una cosa nuova, ce l’ha da un paio di giorni”.
Dean si scostò di poco da Lisa e sollevò i fianchi per sfilare il cellulare dalla tasca dei jeans.
“Passa qui” – disse poi, facendo scorrere il dito sullo schermo.
“Cosa?” – chiese la rossa.
“Come cosa? Il suo numero, no?” – sottolineò il biondo.
 
Nel frattempo, Chuck raggiunse il loro tavolo e, in silenzio, si lasciò cadere su una sedia.
“Ehi Chuck, finalmente. Che fine avevi fatto?” – chiese Benny, di fonte a lui.
Chuck non rispose, limitandosi a guardare il tavolo con aria assorta.
“Ehi, tutto bene?” – domandò Charlie, punzecchiando il braccio del ragazzo con un dito.
Chuck alzò lo sguardo, tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di lui.
“Io…” – iniziò, per poi interrompersi.
“Amico, ci stai facendo preoccupare” – intervenne Dean.
Il ragazzo sospirò.
“Sono stato nominato direttore del giornale scolastico dalla signora Folsom” – mormorò poi.
Tutto il tavolo si ammutolì, per poi esplodere in risate di gioia.
“Chuck, ma è fantastico!” – trillò Charlie.
“D-davvero?” – balbettò lui, voltandosi verso la ragazza.
“Ma certo!” – confermò lei.
“E…e se non ne fossi in grado?” – domandò il ragazzo, rivolto agli amici.
“Chuck, nessuno meglio di te può fare una cosa del genere” – lo tranquillizzò Dean, sorridendo.
“Dean ha ragione” – intervenne Lisa.
Il ragazzo rimase in silenzio un attimo, per poi abbozzare un sorriso.
“Ok…allora” – espirò forte – “Sono il nuovo direttore del giornale scolastico” – concluse, alzando le spalle e sorridendo.
 
°°°
 
Il display del telefono si illuminò, attirando l’attenzione di Castiel. Il moro era in cucina, e si stava preparando il pranzo. Si asciugò le mani su uno strofinaccio, per poi prendere il telefono. Era arrivato un messaggio.
 
[13:07] – Da Numero Sconosciuto a Cas
Sei una continua fonte di sorprese, Cas.
Dean.
 
Castiel schiuse le labbra, sorpreso.
 
[13.08] – Da Cas a Dean
Ciao, Dean.
 
[13:08] – Da Dean a Cas
Non puoi dirmi ‘ciao Dean’ come se nulla fosse, dopo quello che hai fatto.
 
Il moro aggrottò le sopracciglia, perplesso. E anche un po’ confuso, in realtà.
 
[13:10] – Da Cas a Dean
Perché? Cos’ho fatto?
 
[13:11] – Da Dean a Cas
Uno: hai dato il tuo numero a Charlie e non a me.
 
Il ragazzo arricciò le labbra.
 
[13:12] – Da Cas a Dean
Sì, è vero. Ho il cellulare solo da un paio di giorni. E quando mi sono iscritto a Facebook, ho trovato Charlie e ci siamo scambiati i contatti. Scusa, avrei dovuto dartelo subito.
 
Il ragazzo osservò a lungo lo schermo, dopo aver inviato il messaggio. La sua mente volò a due sere prima, quando il padre si era presentato in camera sua.
 
Quando Castiel aprì la porta della sua stanza, si trovò di fronte il padre. Era appena tornato dal lavoro e indossava ancora il completo, e in una mano reggeva un piccolo sacchetto di carta.
“Ciao. Disturbo?” – chiese l’uomo, sorridendo.
Castiel scrollò la testa, ricambiando il sorriso e scostando maggiormente la porta per fare entrare il genitore.
“Ti ho…portato una cosa” – iniziò James, titubante.
Il moro inclinò il viso, con aria interrogativa.
L’uomo si passò il sacchetto di carta tra le mani, indeciso.
“Ecco” – disse infine, mettendolo tra le mani del figlio.
Castiel aprì il sacchetto e schiuse le labbra, sorpreso. Era un cellulare. Alzò lo sguardo e incrociò gli occhi del padre.
“Io…ecco, ho pensato che…” – arrancò James – “Adesso hai degli amici ed esci…quindi ho pensato che in questo modo puoi metterti in contatto con loro…sai, con i messaggi e…tutte quelle cose moderne che usate voi giovani” – aggiunse poi, gesticolando.
Il ragazzo guardò nuovamente nel sacchetto e, mettendovi dentro una mano, ne tirò fuori una scatola. Se la rigirò tra le mani e poi sorrise.
[…]
“Prego” – disse James, ricambiando il sorriso – “Ti piace?”
Il figlio annuì, raggiante.
“Bene” – asserì l’uomo, compiaciuto – “È quasi ora di cena. Vado a cambiarmi. Ci vediamo giù tra poco?”
Il ragazzo annuì nuovamente.
Quando l’uomo mise mano alla maniglia della porta, si sentì toccare un braccio. Si voltò e all’improvviso si trovò Castiel tra le braccia. James sorrise, ricambiando l’abbraccio.
[…]
“Certo, dopo cena guardiamo insieme le istruzioni” – lo rassicurò il padre, ridendo.
 
 
[13:15] – Da Dean a Cas
Uhm…ok, per questa volta sei perdonato.
 
Castiel sorrise.
 
[13.15] – Da Cas a Dean
E due?
 
[13:17] – Da Dean a Cas
Due cosa?
 
[13:17] – Da Cas a Dean
Hai scritto uno, ci deve essere anche un due.
 
[13.18] – Da Dean a Cas
Ah, già.
 
Il moro aspettò una risposta, ma questa non arrivò. Posò il telefono sul tavolo e si sedette per iniziare a pranzare. Poco dopo lo schermo del cellulare si illuminò di nuovo.
 
[13.25] – Da Dean a Cas
Due: tua madre è la mia nuova insegnante di matematica.
 
Castiel posò la forchetta sul piatto e iniziò a ridere. Conosceva bene l’avversione del biondo per tutto ciò che aveva a che fare con i numeri.
 
[13:26] – Da Cas a Dean
Con il lavoro di mia madre io non c’entro nulla.
 
[13.27] – Da Dean a Cas
Sicuro?
 
[13:28] – Da Cas a Dean
Sicuro.
 
[13:31] – Da Cas a Dean
Comunque, voglio farmi perdonare per non averti dato subito il numero.
 
[13.31] – Da Dean a Cas
 E io so già come puoi farlo.
 
Il moro alzò le sopracciglia, sorpreso.
 
[13.32] – Da Cas a Dean
E come?
 
[13:36] – Da Dean a Cas
Mi aiuterai a fare i compiti di matematica.
 
Castiel sorrise, mentre masticava l’ultimo boccone.
 
[13.37] – Da Dean a Cas
Allora, ci stai?
 
[13.38] – Da Cas a Dean
Sì, ci sto.
 
°°°
 
[20.31] – Da Dean a Cas
Cas, tieniti libero per domenica.
 
[20:35] – Da Cas a Dean
Perché?
 
[20:36] – Da Dean a Cas
Sorpresa.
 
°°°
 
Quando, quella domenica, Castiel si trovò davanti allo sportello di una macchina nera, guardò Dean perplesso.
“Che c’è, Cas?” – chiese Dean dalla parte opposta, appoggiato con le braccia alla cappotta dell’auto.
Usiamo una macchina?
“Beh, per dove dobbiamo andare sì, usiamo una macchina” – spiegò il biondo.
Non mi hai ancora detto dove andiamo”.
Dean sorrise, umettandosi le labbra.
“Ti ho detto che è una sorpresa” – sottolineò poi.
Castiel rimase fermo a guardare ora l’amico, ora l’auto, poco convinto.
“Cas, ho la patente. So guidare” – disse divertito Dean – “Dai, sali” – aggiunse, incoraggiando l’altro con un gesto del capo.
Il moro aprì lo sportello e prese posto sul sedile del passeggero. Si guardò intorno, curioso. Era decisamente una vettura diversa da quelle che usavano i suoi genitori. L’odore della pelle impregnava l’aria dell’abitacolo, e i sedili erano morbidi, sebbene la loro superficie manteneva una lieve ruvidezza al tatto.
“Ti piace?” – chiese Dean, voltandosi verso di lui.
È particolare”.
Il biondo sorrise.
“Eccome se lo è. È una Chevrolet Impala del ’67. È di mio padre. L’ha comprata quando frequentava mia madre, sai?”
Il moro sorrise.
E lui te la lascia guidare?
Dean arricciò le labbra.
“Beh, sì…con le solite raccomandazioni” – ammise il ragazzo.
Un flashback riportò la mente di Dean a qualche sera prima.
 
“Papà?” – chiamò Dean, facendo capolino in salotto.
John era seduto sulla poltrona, con una birra in mano, e con l’occhio pigramente incollato al notiziario in tv.
“Uhm?”
“Senti…domenica mi presteresti la macchina?” – chiese il biondo, cauto.
Il padre sembrò risvegliarsi dal suo torpore e si voltò, aggrottando la fronte.
“Dove devi andare?” – chiese, sospettoso.
Dean si morse un labbro.
“In un posto un po’ distante da qui…” – arrancò poi.
“Mm…” – disse l’uomo, osservando attentamente il figlio – “Esci con Lisa?” – aggiunse poi sornione, e nascondendo un sorrisetto dietro un sorso di birra.
“Veramente…” – tentò Dean, schiarendosi la voce.
“Va bene, va bene” – lo interruppe John, con un gesto della mano – “Prendila pure”.
Dean sospirò, sollevato.
“Grazie” – disse sorridendo, per poi voltarsi e uscire dalla stanza.
“Ah, Dean” – lo richiamò il padre – “Guai a te se me la riporti anche con un solo graffio”.
Il ragazzo deglutì un paio di volte. Sapeva quanto il padre tenesse a quella macchina. Come sapeva che quelle parole somigliassero più a delle minacce che a delle raccomandazioni.
“Sì, signore” – si premurò a rispondere, infine.
 
“Sei pronto?” – chiese Dean, girando la chiave nel quadro e accendendo il motore.
Castiel annuì.
L’auto ruggì un paio di volte, sotto lo sguardo compiaciuto del biondo, prima di immettersi in strada e di allontanarsi tranquillamente.
 
°°°
 
Dopo circa un’ora di viaggio (rigorosamente in silenzio, perché Castiel, prima di partire, mostrò all’altro il block notes, dove era appuntato un lapidario “guarda la strada e basta”), Dean svoltò in un ampio piazzale, dal fondo ghiaioso. Parcheggiò la macchina di fronte ad uno steccato di legno e spense il motore.
Castiel spostò lo sguardo dal finestrino al parabrezza, e viceversa.
Dove siamo?”
Dean lesse e rise.
“Vieni, scendiamo e lo vedrai”.
Quando entrambi scesero dall’auto, il biondo ne approfittò per stiracchiarsi e sgranchirsi le gambe.
Il moro, invece, dopo aver richiuso lo sportello, fece qualche passo in avanti, guardandosi intorno. Il piazzale era occupato anche da altre macchine. La ghiaia bianca, grossolana sotto la suola delle scarpe, sembrava quasi brillare alla luce del sole. Di fonte a lui, alberi altissimi mostravano orgogliosi le loro verdi fronde, svettando verso il cielo. Il tempo era quanto di meglio si potesse desiderare. Il sole era caldo e il cielo era azzurro, limpido, pennellato solo da qualche rada nuvola biancastra. L’attenzione del ragazzo venne ben presto catturata dalla presenza di un cartello in legno, poco lontano, che riportava incisa la scritta: PRAIRIE PARK.
Castiel si voltò di scatto verso Dean, che lo aveva osservato per tutto il tempo.
“Benvenuto al Prairie Park” – disse il biondo, ridendo e allargando le braccia.
Il moro sorrise.
“Aspetta, prima di andare devo prendere una cosa” – aggiunse poi, dirigendosi verso il bagagliaio dell’Impala.
Quando lo aprì, Dean tirò fuori un cesto di vimini e una coperta.
Castiel osservò il cesto, con aria interrogativa.
Dean se ne accorse e, a stento, trattenne un sorriso.
“È il nostro pranzo” – ghignò il biondo, mentre richiudeva il bagagliaio.
Castiel scrollò piano la testa, ridendo.
“Dai, andiamo” – lo incitò Dean.
 
I due ragazzi si incamminarono verso un largo sentiero, che si inoltrava tra gli alberi e che li avrebbe condotti all’interno del parco.
Il sentiero non era completamente pianeggiante, ma si alternava in dislivelli, fatti di piccole salite e discese. Una fitta macchia verde, costituita prevalentemente da alberi e piante del sottobosco, costeggiava il percorso su entrambi i lati. In parecchi punti, gli alberi erano così alti da piegare i loro rami verso quelli del lato opposto, arrivando così ad intrecciarsi tra loro e creando un suggestivo tunnel verde, attraverso il quale la luce del sole riusciva a filtrare solo a sprazzi, disegnando abbaglianti giochi di luce sul terreno.
Castiel continuava a guardarsi in giro, con un sorriso sulle labbra. Mano a mano che si inoltravano nel parco, l’aria diventava più fresca sulla pelle ed era satura dell’odore di erba, di muschio e di terreno umido. Il moro inspirò a pieni polmoni. L’aria era piacevole, pulita, quasi rigenerante. Ogni tanto il ragazzo rallentava il passo, passando una mano sulle piante che costeggiavano il sentiero. In alcune, le foglie avevano una consistenza quasi cerea, in altre sembravano così sottili da solleticare il palmo, e, in altre ancora, la ruvidezza delle venature e delle zigrinature grattava gentilmente i polpastrelli delle dita.
Più di una volta, Castiel si chinò a terra per raccogliere qualche ghianda. Le passava da una mano all’altra divertito, per poi farle vedere a Dean.
 
In un certo punto del sentiero, sulla sinistra, si imbatterono in una piccola costruzione in legno. Accanto ad essa, una donna stava parlando con una famiglia, composta da padre, madre e due bambini piccoli.
Quando la famiglia si allontanò, lo sguardo della donna puntò verso i due ragazzi.
“Ciao, e benvenuti al parco. Io sono Kate e questa è per voi” – disse lei sorridendo, e consegnando a Dean una brochure – “Siete già stati qui?” – chiese poi.
“No” – ammise il biondo.
“Fate parte di un gruppo o siete soli?”
“No, siamo solo noi”.
“Ok. Allora, tutte le aree del parco sono accessibili. Nella piccola guida che vi ho dato, c’è una mappa e un elenco delle attività che possono essere svolte. Se volete visitarlo, il centro natura oggi è aperto fino alle 16. Per il resto, divertitevi, ma mi raccomando: il massimo rispetto, soprattutto per la natura che vi circonda. Nella guida ci sono anche una serie di regole da seguire. Non date da mangiare agli animali e usate i cestini messi a disposizione e disseminati per tutto il parco. Ok?”
I ragazzi annuirono e, congedandosi dalla donna, ripresero il cammino lungo il sentiero.
 
Castiel aprì subito la mini guida e iniziò a leggere.
Il Prairie Park era una riserva verde di oltre cento acri, situata a est di Lawrence. La riserva comprendeva zone palustri, boschi, praterie, e persino un lago di cinque acri, il Mary’s Lake. Il parco offriva programmi speciali per le scuole e organizzava persino i campi estivi. Poteva essere visitato da soli o con programmi ricreativi per giovani, adulti e famiglie. Le attività da svolgere erano diverse: birdwatching, canoa, kajaking, tiro con l’arco, e addirittura pesca controllata presso il lago.
La peculiarità del Prairie Park consisteva nel fatto che esso non era solo un semplice parco, ma ospitava anche un centro per il recupero e la salvaguardia della fauna selvatica: il Prairie Park Nature Center.
Gli occhi di Castiel si soffermarono subito su quest’ultimo particolare. Con un passo si avvicinò a Dean e gli toccò il braccio per attirare la sua attenzione. Quando il biondo si voltò, il moro gli mostrò subito la brochure, e con un dito indicò la parte che presentava il centro natura.
Dean prese la mini guida e lesse attentamente.
“Vuoi visitare il centro?” – chiese poi, sorridendo.
Castiel annuì.
“Va bene” – acconsentì il biondo, facendo così sorridere anche il moro.
Dean non lo disse mai apertamente, ma la presenza del centro natura era uno dei motivi principali per cui, il primo giorno di scuola, aveva preso il volantino pubblicitario del parco dalla bacheca. Sapeva che a Castiel piacevano molto gli animali e che, in quel posto, il ragazzo si sarebbe sicuramente divertito.
 
 
°°°
 
Quando arrivarono al centro, i due ragazzi videro che, oltre a loro, erano presenti anche altre persone, soprattutto coppie di adulti e famiglie con bambini. All’ingresso, furono accolti da un ragazzo, poco più grande di loro, che si presentò come Chris e che li guidò attraverso le diverse sezioni del centro.
“In questo centro sono presenti animali selvatici in cattività” – iniziò a spiegare il ragazzo – “Molti di loro sono stati recuperati quando erano feriti, hanno ricevuto le cure necessarie e riabilitati, ma purtroppo non possono essere rilasciati in natura”.
Castiel abbassò le sopracciglia e mostrò il block notes a Chris.
Perché?
“Perché non sarebbero più in grado di vivere in natura”.
Il ragazzo vide il dispiacere sul volto del moro.
“Il centro comunque, ha creato le condizioni migliori per rendere la loro cattività il meno stressante possibile” – aggiunse poi, rassicurando l’altro.
Chris guidò poi i ragazzi verso la sezione esterna, dedicata esclusivamente a rapaci, aquile, falchi e gufi.
Castiel osservò affascinato l’eleganza e la fierezza che questi animali erano ancora in grado di mostrare, nonostante non fossero più liberi in natura. Si soffermò inoltre su ogni loro singolo particolare: il colore degli occhi, la forma del becco, l’aperura alare, la composizione del piumaggio.
Dean gli si avvicinò.
“Ti piacciono?”
Il moro annuì, sorridendo
“Ragazzi, volete vedere l’animale del mese?” – chiese Chris.
“L’animale del mese?” – fece eco il biondo.
“Sì, ogni mese viene scelto un animale. Solitamente è uno degli ultimi arrivati” – spiegò l’altro – “Venite, seguitemi”.
Dean e Castiel si scambiarono uno sguardo e sorrisero, per poi raggiungere la guida.
“Eccolo, è lì” – fece segno il ragazzo, indicando un piccolo recinto di fronte a loro.
Da una piccola buca situata al centro del recinto, fece capolino un simpatico muso baffuto. Castiel schiuse le labbra, sorpreso. Quando l’animale sgusciò fuori dalla tana e fece i primi passi titubante, il moro si accovacciò per osservarlo meglio. Era un furetto.
“È un furetto dai piedi neri” – confermò la guida – “Si chiama Gyrfalcon, e viene dal centro Nazionale per la Protezione dei Furetti Dai Piedi Neri”.
Ben presto, anche il biondo si accovacciò accanto all’amico per osservare la piccola creatura, appoggiando una mano al recinto e sorridendo. E quando si voltò per guardare Castiel, lo sguardo incantato dell’altro gli face battere più veloce il cuore nel petto.
 
Terminata la visita al centro natura, Dean e Castiel ripresero il cammino lungo il sentiero del parco.
Ad un tratto il biondo si portò una mano allo stomaco, arricciando le labbra. Il moro se ne accorse e prese subito il block notes.
Non stai bene?
Dean si morse un labbro.
“No, a dire il vero ho fame…mi brontola lo stomaco” – ammise poi, ridacchiando.
Castiel rise e scrisse qualcosa sul taccuino, per poi mostrarlo all’altro.
Anche io ho fame”.
“Ok” – sorrise Dean – “Cerchiamo un bel prato dove poter mangiare”.
 
Fortunatamente, secondo la mappa, la maggior parte dei prati erano situati poco dopo il centro natura. Dopo essere passati accanto ad un pittoresco campo di girasoli, i due ragazzi trovarono un posto perfetto per pranzare. Il prato scelto aveva una parte esposta al sole e una parte circondata e protetta dagli alberi del bosco, che offrivano ombra.
Dean stese la coperta sull’erba e vi si sedette sopra a gambe incrociate, imitato da Castiel. Il biondo poi, aprì il cesto di vimini e tirò fuori un paio di sandwich, porgendone uno al moro.
Castiel tolse la pellicola protettiva dal panino e lo osservò, perplesso. Prese il block notes e iniziò a scrivere.
Perché questi sandwich hanno i bordi tagliati?
“Mi piacciono così. Mia madre lo sa e me li prepara in questo modo” – spiegò Dean, con la bocca piena.
Castiel rise.
“Prima di ridere, assaggiali” – ribatté il biondo – “Sono con insalata di pollo”.
Il moro diede un primo morso, e iniziò a masticare.
“Allora, come sono?”
Il ragazzo annuì, convinto.
Sono molto buoni”.
“Che ti avevo detto?” – sorrise Dean, compiaciuto.
 
Finito di pranzare, i due ragazzi si godettero un po’ di sole settembrino.
Castiel sedeva con le gambe incrociate e le braccia appoggiate leggermente dietro di sé. Il sole era accecante e così decise di chiudere gli occhi. I raggi del sole scaldavano piacevolmente il suo viso, mentre una leggera brezza si insinuava sotto le maniche della maglietta, regalandogli una sensazione di freschezza.
Ad un tratto, sentì una mano appoggiarsi sul suo ginocchio. Socchiuse gli occhi e contemporaneamente sollevò una mano per portarsela alla fronte, proteggendo così gli occhi dalla luce.
Dean si era seduto di fronte a lui e gli sorrideva. Castiel ricambiò il sorriso. Il biondo osservò l’altro per qualche secondo, e poi fece un gran respiro.
Lentamente, Dean sollevò la mano destra e piegò le dita ad arco, creando così un semicerchio con il pollice.
Successivamente, con il dorso della mano rivolto verso di sé, chiuse le dita sul palmo, accostando lateralmente ad esse il pollice.
Infine, mantenendo la stessa posizione della mano, sollevò leggermente le nocche dell’indice e del medio, rispetto alle altre, facendo poi appoggiare il pollice sul dito medio.
Castiel schiuse le labbra, e per qualche secondo rimase senza fiato.
Dean aveva appena composto la parola CAS con l’alfabeto della lingua dei segni.
Il biondo osservò attentamente il moro, mordendosi una guancia.
“H-ho forse sbagliato qualcosa?” – chiese allora, titubante.
Castiel agganciò gli occhi verdi di Dean. Non si sarebbe mai aspettato una cosa simile. Quel piccolo gesto dell’amico aveva un valore incredibile. E per il moro significò molto. Infine, Castiel sorrise, scrollando la testa.
Era perfetto”.
Dean abbozzò un sorriso, compiaciuto. Con una mano, tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans un foglio e lo mostrò all’altro.
“Ho chiesto a Sammy di stamparlo”.
Il moro lo prese in mano e lo osservò, non potendo poi fare a meno di sorridere. Sopra, vi erano riportate le posizioni delle mani e delle dita nell’alfabeto della lingua dei segni.
“Cas? Mi insegneresti qualche parola? Se ti va…”
Il ragazzo con gli occhi blu guardò Dean e annuì.
 
Sai tutto l’alfabeto?
“Ehm…a dire il vero ho solo imparato il tuo nome…” – ammise Dean, imbarazzato.
Castiel trattenne un sorriso.
Non importa. Per quello hai il foglio che mi hai fatto vedere prima”.
Il biondo annuì.
Iniziamo con parole semplici”.
Il moro alzò una mano e la chiuse a pugno, con il pollice appoggiato sul dito medio. Infine, piegò il polso in avanti, abbassando così il pugno.
Questo è SI”.
Dean cercò di ripetere il movimento, corretto inizialmente dall’altro nella posizione del pollice.
“Così?” – chiese il biondo.
Castiel annuì.
“Sembra che io stia bussando ad una porta” – ghignò Dean, facendo ridere anche Castiel.
Nuovamente, il moro alzò una mano e ruotò il polso, in modo da trovare il pollice verso di sé. Piegò poi le dita di circa novanta gradi, spostando contemporaneamente il pollice sotto di esse, in modo tale che fosse parallelo alle altre dita. Infine, con un piccolo scatto, fece unire pollice e dita.
Questo è NO”.
Dean iniziò a ridere.
“Ah, questo è facile, sembra il becco di una papera” – asserì, ripetendo più volte il gesto e coinvolgendo anche l’amico nella risata.
Castiel si portò una mano aperta appoggiata al petto, per poi muoverla su di esso a cerchio, in senso orario.
Questo invece è PER FAVORE. Lo stesso movimento ma con la mano a pugno è MI DISPIACE”.
Dean sollevò le sopracciglia.
“Sono quasi uguali” – notò lui.
È vero”.
“Come si dice mangiare?”
Castiel piegò le dita della mano e le unì il pollice sotto di esse. Portò poi la mano in questa posizione alla bocca, facendo aderire le labbra alle dita.
“Credo che questo sia appena diventato il mio segno preferito” – ghignò il biondo.
 
°°°
 
“Caspita, è difficile” – sbuffò dopo un po’ Dean, lasciandosi cadere di schiena sul prato, accanto all’altro.
Castiel sorrise debolmente.
Sì, è difficile”.
“Tu come ci sei riuscito?”
Il moro abbassò lo sguardo.
Non avevo molta scelta”.
Dean rimase in silenzio.
“Cas…” – disse poi, sollevandosi a sedere – “Ti prego, non ti arrabbiare per quello che sto per dire, ma…tu avevi una scelta, e ce l’hai ancora…”
Il biondo sospirò, facendosi coraggio.
“Cas, perché non vuoi parlare?” – proseguì poi – “A me lo puoi dire…”
Castiel si morse una guancia, spostando lo sguardo in lontananza. Socchiuse leggermente gli occhi, per poi iniziare a scrivere sul block notes.
Non sento la mia voce”.
Indugiò un attimo per poi proseguire.
Quando parlo non sento quello che dico. Non riesco a calibrare il tono, il volume della voce…ed è terribile…
Il moro fece una smorfia.
Le prime volte che parlavo, dopo essere diventato sordo, urlavo. In molti me lo facevano notare…qualcuno mi prendeva anche in giro. E io mi vergognavo, mi vergognavo tantissimo. E così ho iniziato a parlare il meno possibile, solo lo stretto necessario. Poi ho iniziato a studiare la lingua dei segni e, alla fine, ho smesso di parlare del tutto. Potevo comunicare in un altro modo e ho preferito quello”.
“Chi ti ha insegnato?” – chiese piano Dean.
Un uomo che vive a Pontiac”.
“Capisco…” – annuì il biondo.
Per qualche minuto, nessuno dei due si mosse.
“Ok” – esordì poi il biondo – “Mi sono riposato. Riproviamo?” – chiese infine, sorridendo.
 
°°°
 
Dopo una buona mezz’ora di insegnamento, Dean e Castiel si ritrovarono sdraiati sul prato, a guardare le nuvole. Il sole si era spostato nel cielo, ma la temperatura rimaneva ancora piacevole. Ogni tanto, una folata di vento più allegra e vivace delle altre, scuoteva le fronde degli alberi alle loro spalle, facendo così danzare qualche foglia nell’aria.
Dean si voltò verso Castiel e si accorse che il ragazzo si era addormentato. Rimase ad osservarlo per un po’. Le ciglia lunghe, gli zigomi alti, il profilo dritto del naso, le labbra leggermente screpolate. Il moro le mosse leggermente e Dean ridacchiò.
“Chissà se sta sognando…” – si chiese il biondo.
All’improvviso, Castiel si mosse e si girò su un fianco, appoggiando la testa sulla spalla di Dean.
Il biondo si irrigidì, colto di sorpresa. Sentì il cuore battere più forte nel petto e la gola farsi secca. Si voltò leggermente, intravedendo i capelli neri dell’altro. Il peso della testa del moro era lieve e il calore che emanava piacevole. Ben presto, un profumo gradevole raggiunse il biondo. Un profumo di vaniglia. Dean si voltò un po’ di più e si rese conto che, a profumare di vaniglia, erano proprio i capelli di Castiel. Decise di non muoversi e tornò a guardare il cielo, fino a quando non si rilassò completamente, chiudendo gli occhi e lasciandosi scivolare anche lui nel sonno.
 
Castiel aprì gli occhi, battendo le palpebre. Percepì la testa appoggiata su qualcosa di morbido e caldo. Si stropicciò un occhio con una mano e sospirò. Si sentì avvolto da un buon odore. Un odore forte, simile a quello del bosco, misto ad un odore di fresco e di pulito. Sollevò leggermente gli occhi e mise a fuoco il collo e il mento di Dean. Con uno scatto si allontanò, mettendosi seduto. Osservò il biondo con apprensione, per poi tranquillizzarsi. Dean stava dormendo. Si guardò un po’ intorno, per poi voltarsi nuovamente verso l’amico. Si sporse leggermente verso di lui, soffermandosi con lo sguardo sulle ciglia bionde, sulla linea della mandibola e sulle lentiggini. E sorrise.
“Chissà quante sono” – pensò Castiel.
 
Poco dopo, Dean si mosse e si svegliò, stiracchiando le braccia e sbadigliando sonoramente. Quando si voltò, vide che Castiel, seduto di fianco a lui, gli sorrideva.
E il biondo ricambiò il sorriso.
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Finalmente il momento tanto atteso e pronosticato da molti è arrivato! Dean si avvicina alla lingua dei segni in un modo tutto suo, ripagando così la fiducia che Castiel ha riposto in lui nel precedente aggiornamento, fino al punto in cui il ragazzo dagli occhi risponde alla domanda del biondo, confessando il motivo per cui non vuole parlare. Dean forse non lo comprende appieno, ma il suo gesto è stato molto forte e avrà su di loro un impatto che i due neanche immaginano. Un impatto le cui conseguenze arriveranno a tempo debito…
Anche la gita al parco è stato un gesto molto significativo. Dean ha trovato a scuola questo volantino che pubblicizzava il parco e il suo primo pensiero è stato portarci Castiel…chissà cosa vorrà mai dire? ;)
Questa volta l’angolo è breve, perché la sezione “varie ed eventuali” è molto ricca di immagini, spero che vi piacciano.
Leggete, recensite se volete, magari facendomi sapere cosa ne pensate dell’andamento della storia, ma soprattutto divertitevi!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Vi avevo già accennato alla scuola di Dean, ma vediamola più nel dettaglio.
I cognomi dei professori sono veri, così come la materia che insegnano. E poi sì, esiste davvero un club per Tolkien in quella scuola, gestito dal prof. Colvin, e sono rimasta basita nel scoprirlo. Mi piacerebbe che anche nelle scuole italiane ci fossero più iniziative del genere…

  

 
2) Il Prairie Park esiste veramente, ed è un’immensa distesa verde a circa due ore da Lawrence (per esigenze di trama ho magicamente accorciato le distanze). Quello che avete letto nel capitolo è tutto vero: le attività proposte, il lago, la presenza del centro natura, con gli animali selvatici salvati etc. E ogni mese viene scelto un animale per rappresentare il centro. Quando ho scritto questo capitolo, a giugno, l’animale del mese era questo bellissimo e buffissimo furetto dal nome strano.

        

 
3) Nel capitolo ho cercato di spiegare al meglio come fosse la posizione delle dita e delle mani durante la lezione sulla lingua dei segni che Castiel fa a Dean. Non so se ci sono riuscita, perciò vi lascio qualche immagine così potete farvi un’idea e, perché no, provare come ho fatto io.

         


 

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO OTTO
 
“In ognuno di noi
c’è un altro che non conosciamo”
 
Carl Gustav Jung
 
 
“Che cos’è?” – chiese Lisa, sbirciando incuriosita il foglio che Dean aveva davanti a sé.
Era ora di pranzo ed entrambi erano seduti al tavolo della mensa, insieme gli altri.
“È l’alfabeto della lingua dei segni” – spiegò lui, mostrandole il foglio.
“La lingua dei segni?” – fece eco lei, dando un’occhiata sfuggevole al foglio, per poi tornare a guardare Dean.
“Sì, sto provando ad imparare qualcosa” – sorrise il biondo.
Lisa sollevò le sopracciglia.
“Perché?” – chiese lei, confusa.
“Perché, cosa?” – rispose distrattamente lui, mentre studiava il foglio, concentrandosi sui movimenti delle dita.
“Perché lo stai facendo?” – precisò la ragazza.
Dean sollevò gli occhi dal foglio e la guardò, aggrottando la fronte.
“Non c’è un motivo…ho chiesto a Cas di insegnarmi qualcosa, tutto qui” – rispose, semplicemente – “Guarda, ti faccio vedere come si dice Lisa…” – continuò, sorridendole.
“Tu non hai bisogno di imparare queste cose, Dean” – lo interruppe bruscamente lei – “Tu non sei sordo” – sottolineò infine.
“E allora?” – ribatté Dean – “Uno deve essere per forza sordo per imparare qualche parola della lingua dei segni?”
“Beh, sì!” – sbottò Lisa, a voce alta, interrompendo il vociare la tavolo e attirando così l’attenzione di tutti su di loro.
“Lo pensi veramente, Lisa?” – chiese duramente lui. Gli occhi fissi su di lei.
La ragazza non riuscì a sostenere il peso di quegli occhi e abbassò lo sguardo, rimanendo in silenzio.
Aveva già visto quell’espressione sul volto di Dean, anche se in poche occasioni. Tuttavia, in nessuna di queste lei era coinvolta. Lui non l’aveva mai guardata così. E ora, invece…
Il suono della campanella non riuscì a scuotere nessuno dei due. Pian piano, vennero circondati dallo stridore delle sedie che si spostavano, dal vociare degli studenti che si disperdeva mano a mano che la mensa si svuotava, e dal clangore dei vassoi vuoti, impilati gli uni con gli altri sugli appositi ripiani.
“Ehi, Dean” – lo chiamò Benny, già in piedi e distante dal tavolo.
Dean indugiò un attimo.
“Devo andare, o farò tardi alla prossima lezione” – disse il biondo, alzandosi dalla sedia e raccogliendo le sue cose.
Lisa rimase seduta.
“Nel pomeriggio ho l’allenamento con la squadra, ma…se vuoi dopo possiamo vederci” – disse lei, flebile.
“Mi dispiace, ma non posso. Sono da Cas per fare matematica…ho un test la prossima settimana e sono nella merda” – sospirò lui.
“Capisco…”
Il ragazzo si abbassò verso di lei e le diede un bacio veloce sulla guancia. La ragazza chiuse gli occhi.
“Ci sentiamo più tardi” – mormorò Dean, prima di allontanarsi e raggiungere Benny.
Lisa annuì. Rimase lì, nella mensa ormai vuota, mente Dean usciva dalla porta e scompariva dalla sua vista.
 
°°°
 
“E quelli?” – chiese quel pomeriggio Dean, indicando alcuni libri sulla scrivania di Castiel.
Sono i miei compiti per domani”.
“Cosa? Per domani?” – esclamò il biondo, incredulo.
Il moro annuì.
Ieri ho iniziato il programma scolastico con il nuovo tutor”.
“Ah, sì? E che tipo è?” – domandò l’altro, curioso.
È una donna. Si chiama Naomi”.
Dean ridacchiò.
“È carina, almeno?” – chiese, ammiccando.
Castiel gli sorrise.
Non esattamente”.
“Oddio, non sarà una di quelle vecchie con la dentiera che si muove, vero?” – gesticolò il biondo, con una smorfia sul viso.
Il ragazzo dagli occhi blu rise.
No, non è vecchia e non ha la dentiera”.
Dean ghignò e si avvicinò alla scrivania, prendendo poi uno di quei libri e iniziando a sfogliarlo distrattamente.
“E devi fare tutto questo per domani?” – chiese.
Il moro annuì.
“Non ti invidio per niente, Cas”.
 
Cosa vi ha spiegato mia madre finora?”
“Ehm” – esitò Dean, sfogliando le pagine del libro di testo – “Abbiamo fatto i massimi e i minimi, con il metodo delle derivate” – scandì bene, leggendo il titolo del capitolo.
Con quale metodo?
Dean lo guardò, confuso.
“Perché, esiste più di un metodo?” – borbottò poi, con disappunto.
Castiel annuì.
Esistono due metodi”.
Il biondo si incurvò sulla scrivania e appoggiò lentamente la fronte sul libro, suscitando l’ilarità del moro.
Castiel mise una mano sulla spalla di Dean, per richiamare la sua attenzione.
Dai, ti faccio vedere”.
“Sei un angelo, Cas” – sospirò Dean.
Il ragazzo sorrise.
Beh, il nome c’è...
Il cellulare di Dean iniziò a vibrare sulla scrivania e, contemporaneamente, il display si illuminò. Il biondo lo prese in mano e guardò lo schermo, per poi posarlo nuovamente sulla scrivania, ignorandolo.
Castiel lo osservò, perplesso.
“Ok, allora iniziamo…dal primo metodo?” – chiese Dean.
Il moro indugiò un attimo, prima di annuire e mettere mano al block notes.
Va bene. Allora, il primo metodo si basa sul fatto che nei punti stazionari la tangente è orizzontale, e quindi la derivata deve essere nulla”.
“I punti stazionari sarebbero…?”
I massimi, i minimi e i flessi a tangente orizzontale”.
Dean arricciò le labbra.
Il moro riuscì a fatica a trattenere un sorriso.
Facciamo un esempio. Hai una funzione. Ci sei?
Il biondo annuì.
Devi calcolare per prima cosa la derivata f’(x) e porre f’(x)=0”.
Il telefono di Dean vibrò nuovamente. Il ragazzo si limitò ad osservarlo in silenzio, fino a quando il display si spense da solo.
Tutto bene?
“Sì, sì, tutto ok” – disse l’altro – “Andiamo avanti” – lo esortò poi.
Ok. Con questo metodo, non devi calcolare le derivate successive, devi solo risolvere la disequazione f’(x) >0. Però prima devi aver risolto l’equazione corrispondetene f’(x)=0
“Perché?”
Perché, risolvendo la disequazione, sai che tipo di funzione hai, crescente o decrescente, a seconda di com’è la derivata, positiva o negativa”.
Dean rimase in silenzio qualche istante.
“Aspetta, vediamo se ho capito: la funzione è crescente quando la derivata è positiva, e…decrescente, giusto? Ok, decrescente quando la derivata è negativa” – ripeté poi.
Esatto”.
Il biondo sorrise, soddisfatto.
Il cellulare vibrò nuovamente. Dean sospirò e, dopo un attimo di indecisione, decise di prenderlo in mano. Il display mostrava sempre lo stesso nome: Lisa.
Puoi rispondere, se vuoi”.
Dean lesse il block notes, per poi tornare a guardare lo schermo.
“No, non importa” – asserì, posando il telefono sulla scrivania.
Il moro guardò attentamente il biondo.
Sei sicuro?
L’altro annuì.
“Ok, e adesso come faccio a sapere se si tratta di un punto minimo o massimo o…come si chiamava l’altro?” – chiese Dean, riportando la sua attenzione sul libro.
Castiel esitò un attimo. C’era qualcosa che non andava, anche se non riusciva a capire cosa. Ma, alla fine, decise di non chiedere nulla.
Allora, se la derivata è crescente prima e decrescente poi, hai…
 
Dean sbuffò per l’ennesima volta.
Non ti piace proprio la matematica, eh?
Dean rise, scrollando la testa. Inarcò leggermente la schiena, stiracchiando le braccia.
Castiel lo osservò, divertito.
Ti va una pausa?
Il biondo sollevò le sopracciglia, sorpreso.
“Davvero?” – chiese, quasi incredulo.
Il moro annuì.
Che ne dici di un sandwich al burro di arachidi?
“Oddio, sì!”
 
Finita la merenda, Dean si lasciò cadere soddisfatto sul letto di Castiel. Il moro lo raggiunse con il block notes in mano, e si sedette accanto a lui. Rimasero un po’ in silenzio.
“Cas, mi insegni qualche altra parola?” – chiese ad un tratto il biondo.
Castiel sorrise e annuì. Puntò le mani sul materasso e si lasciò scivolare indietro, verso il centro del letto, mentre contemporaneamente si toglieva le scarpe. Con un gesto della mano, invitò l’altro a fare altrettanto. Entrambi i ragazzi si trovarono così uno di fronte all’altro, seduti sul letto, con le gambe incrociate.
Continuiamo con le parole di base, quelle che si usano di più in una conversazione”.
Dean annuì.
Castiel portò la mano destra al petto, e alzò la sinistra, con il palmo aperto verso l’alto. Spostò poi la mano destra verso la sinistra, facendo quindi combaciare il dorso destro con il palmo sinistro.
Questo è BENE, BUONO”.
Il biondo ripeté più volte il gesto, sotto l’occhio attento del moro.
Per la parola MALE, CATTIVO, il gesto è molto simile, ma la mano destra deve toccare la sinistra facendo combaciare invece i due palmi”.
“Così?” – domandò l’altro, eseguendo lentamente il gesto.
Castiel annuì, sorridendo.
“Sono simili anche questi” – constatò il ragazzo.
Il moro annuì, nuovamente.
Il ragazzo con gli occhi blu alzò una mano, con il solo dito indice puntato verso l’alto, facendolo poi oscillare lateralmente, come se fosse il pendolo di un metronomo.
Questo è DOVE”.
“Inteso come domanda?” – si informò Dean.
Sì, come domanda. Per esempio: DOV’E’ IL BAGNO? Unisci la parola DOVE e la parola BAGNO”.
“E come si dice bagno?”
Castiel alzò di nuovo la mano destra, chiusa in un pugno, con il palmo rivolto verso Dean, ma con il pollice intrappolato tra il dito indice e quello medio.
Dean si umettò le labbra, concentrandosi sui movimenti delle proprie dita, quando si cimentò a ripetere il gesto.
“Non riesco a mettere il pollice tra l’indice e il medio” – ammise, dopo alcuni tentativi andati a vuoto.
Castiel sorrise leggermente e prese la mano del biondo tra le sue. Con calma, il moro riuscì a guidare il pollice di Dean nella posizione corretta.
Ecco, così”.
“G-Grazie…” – sorrise timidamente l’altro.
 
Il moro sollevò entrambe le mani a palmo in su e, facendo leva sui gomiti, le spostò, facendole oscillare verso l’interno e verso l’esterno.
Questo è COSA, QUALE, sempre in forma di domanda. Una frase di base è: QUAL’E’ IL TUO NOME?
Dean annuì, attento.
E anche in questo caso unisci QUALE – TUO – NOME, che hanno gesti distinti”.
Castiel alzò la mano destra, il palmo rivolto verso l’interlocutore.
TUO”.
Il moro poi sollevò nuovamente la mano, puntando solo l’indice verso l’altro.
Anche questo è TUO. Puoi usare uno dei due gesti, è uguale”.
“Ah, ok…”
Castiel sollevò entrambe le mani, la destra più della sinistra, i palmi rivolti verso di sé, e solo il dito indice e medio estesi. La mano destra si abbassò verso la sinistra, fino a che le dita dell’una toccarono quelle dell’altra in maniera perpendicolare, creando così una sorta di croce.
NOME
“Qual è…il tuo…nome” – ripeté Dean, accompagnando alla voce i gesti che l’altro di aveva appena mostrato.
Castiel annuì.
“E per rispondere? Cioè, per dire ‘il mio nome è…’?” – chiese il biondo.
Il concetto è sempre quello: IL MIO NOME – È – il tuo nome composto con le lettere dell’alfabeto”.
“Il mio nome come si dice?”
Lo stesso gesto di prima, ma anticipato da una mano sul tuo petto, per indicare te stesso”.
“E il verbo?”
Il moro alzò la mano destra, mostrando indice e medio divaricati, richiamando il simbolo di vittoria, ma con il pollice portato alla base dello spazio tra le due dita.
Dean si morse un labbro, pensieroso.
“Allora, il mio nome…” – mano sul petto, dita a croce – “è…” – simbolo di vittoria con pollice alla base delle due dita – “Dean”.
Castiel sorrise, malizioso.
Come si dice Dean con l’alfabeto?
L’altro sospirò, arreso.
“In questo momento non me lo ricordo” – ammise, in imbarazzo.
Il moro stirò le labbra in un sorriso.
Per questa volta non importa, ma se vuoi imparare, l’alfabeto è la base e lo devi sapere a memoria”.
“Ok” – annuì il biondo.
 
“Cas, mi insegnerai anche le parolacce?” – chiese Dean, divertito.
Castiel rise, scrollando la testa.
Rassegnati, Dean. Non ti insegnerò le parolacce”.
Piuttosto…vediamo se ti ricordi cosa ti ho insegnato al parco”.
Il biondo aggrottò le sopracciglia.
“Cas, fai le verifiche a sorpresa?”
 
“Come si dice amici?”
Il moro sollevò entrambe le mani, a palmo in giù, all’altezza del petto. Le chiuse poi entrambe a pugno, lasciando in estensione solo gli indici. Avvicinò in seguito le due mani e, prima che le due dita si toccassero, con la leggera rotazione di entrambi i polsi, fece in modo che i due indici si agganciassero tra loro, come due uncini.
Dean osservò attentamente e ripeté il gesto.
“Amici” – asserì poi, facendo sorridere Castiel.
 
“Cas” – indugiò Dean – “C-come si dice ti voglio bene?”
Castiel ebbe un attimo di indecisione. Si morse un labbro e mise mano al taccuino.
TI VOGLIO BENE e TI AMO, sono pressoché sinonimi nella lingua dei segni”. [*]
“Davvero?” – chiese il biondo, sorpreso.
Il moro annuì.
Ci sono due modi per dirlo. Il primo usa le lettere dell’alfabeto e richiede una mano sola”.
Castiel alzò la mano destra, col palmo verso l’interlocutore, e puntando solo l’indice verso l’alto. Poi, in successione, mostrò anche il pollice, ed infine il mignolo.
“Assomigliano a delle corna” – sorrise Dean, divertito.
Anche il moro sorrise.
“E l’altro modo?”
L’altro modo è più complesso. Richiede anche una certa mimica facciale e soprattutto la ripetizione delle parole con il labiale”.
“Perché?”
Castiel guardò un attimo Dean negli occhi.
Perché stai esprimendo un sentimento molto forte ad un’altra persona”.
Dean rimase in silenzio.
Castiel posò il block notes e iniziò. Si portò la mano destra al petto, poi strinse i pugni di entrambe le mani, facendo in seguito incrociare le braccia a livello dei polsi. Avvicinò al cuore questo nuovo gesto creato, per poi scioglierlo in una semplice mano con l’indice puntato verso Dean. Di nuovo, ripeté con calma il gesto, scandendo le parole con il movimento delle labbra.
Dean socchiuse leggermente la bocca, piacevolmente sorpreso.
“È…molto bello” – asserì, piano – “Più bello del primo”.
Il moro abbozzò un sorriso.
“Ti…voglio…bene” – sussurrò il biondo, ripetendo i gesti dell’altro.
Entrambi si guardarono negli occhi, in silenzio.
All’improvviso, la vibrazione del cellulare sulla scrivania fece distogliere lo sguardo di Dean, e Castiel ne seguì automaticamente la direzione. Rimasero così qualche secondo.
Che ne dici di tornare a fare i compiti?
Dean lesse e fece una smorfia.
Devi ancora imparare il secondo metodo”.
“Per forza?” – pigolò il biondo.
Sì, per forza”.
 
°°°
 
Nella penombra della stanza, si sentivano solo fruscio di lenzuola e gemiti non propriamente sommessi. La ragazza, ansimò forte, al culmine del piacere. Nel giro di breve tempo, seguì un gemito roco, incontrollato. Il ragazzo rimase fermo qualche istante, per poi sollevarsi, facendo leva sulle braccia. Si accasciò supino accanto a lei, con le labbra dischiuse e il respiro corto. Poco dopo, scostò le coperte e si mise seduto sul bordo del letto. Si sfilò il preservativo e lo gettò nel cestino lì accanto.
“È stato…wow!” – sospirò forte lei, passandosi una mano tra i capelli.
Dean si voltò verso la giovane, per poi scivolarle accanto, sotto le coperte.
“Ne dubitavi?” – sussurrò lui sulla sua pelle, mentre la ragazza si copriva il seno con il lenzuolo.
“No” – sorrise lei.
Dean ridacchiò.
“Lisa, a che ora hai detto che tornano i tuoi?” – disse il biondo, girandosi meglio su un fianco.
Lei lo osservò, divertita.
“Come mai questa domanda?”
Il ragazzo mugolò qualcosa nel cuscino.
“Dean” – lo richiamò lei.
“Mi chiedevo se avevamo ancora tempo per…”
“Per?”
“Oh, andiamo Lisa, lo sai…”
“Voglio sentirtelo dire” – lo sfidò lei, maliziosa.
Lui si avvicinò e bisbigliò qualcosa nell’orecchio di lei, facendola rabbrividire piacevolmente.
Lisa si morse un labbro, trattenendo a stento un sorriso.
“Uhm…vedremo”.
 
Un breve ronzio sordo fece aprire gli occhi a Lisa. La ragazza batté le palpebre un paio di volte. E sorrise. Di fronte a lei, Dean dormiva a pancia in giù, con il volto mezzo nascosto nel cuscino. Le labbra erano leggermente schiuse e l’espressione del viso rilassata.
La ragazza allungò una mano e gli accarezzò una guancia. Muovendosi lentamente, scivolò fuori dal letto e controllò l’ora sul display del cellulare, per poi iniziare a vestirsi con calma.
Di nuovo, quel ronzio spezzò il silenzio della stanza, attirando l’attenzione della giovane. Lisa percorse la camera con lo sguardo, cercando di capire da dove provenisse quel rumore, ma invano.
Mentre si infilava la maglietta, il ronzio si ripresentò. E fu allora che capì di cosa si trattava. Si avvicinò al letto, a piedi nudi, e si chinò per raccogliere i jeans di Dean, abbandonati sul pavimento. Frugò nelle tasche e ne tirò fuori il cellulare. Lo schermo era ancora illuminato. L’immagine dello sfondo ritraeva lei e il ragazzo, sorridenti. Lisa sorrise. Ricordava bene quella foto. Era stata scattata il giorno del loro primo appuntamento. Ci aveva messo parecchio per convincere Dean a farla. E adesso, eccola lì. La prima cosa che il biondo vedeva quando accedeva al telefono.
L’attenzione della ragazza fu richiamata dall’icona dei messaggi, distogliendola così da quel ricordo. Erano arrivati alcuni messaggi. Lisa osservò per qualche secondo il display, mordendosi un labbro. Rivolse lo sguardo al ragazzo che dormiva nel suo letto, per poi riportarlo sul display. Con un veloce tocco delle dita, aprì l’applicazione dei messaggi.
 
[16:40] – Da Cas a Dean
Com’è andato il test di matematica?
 
[16:42] – Da Cas a Dean
Spero che mia madre non sia stata troppo severa.
 
[17.17] – Da Cas a Dean
Oggi, invece, Naomi ha dato il meglio di sé con i compiti per il week-end.
 
[17.25] – Da Cas a Dean
Devo ancora capire se è lei che è così, o se in qualche modo si diverte a riempirmi di lavoro. Forse non le vado a genio.
 
[17:37] – Da Cas a Dean
Quando torni, passa da me, devo farti vedere una cosa.
 
Lisa aggrottò la fronte. E un guizzo di stizza si impadronì di lei. Rilesse tutti i messaggi e, ogni volta, i suoi occhi si fermavano su quel nome: Cas. Cas, Cas, Cas. Diede un’altra occhiata a Dean, per essere sicura che stesse ancora dormendo. Lentamente poi si voltò, allontanandosi di qualche passo.
Riportò lo sguardo sullo schermo e velocemente scrisse un messaggio.
 
[17:45] – Da Dean a Cas
Castiel, lasciami in pace! Sono con Lisa.
 
E premette invio.
 
“Lisa…” – biascicò una voce alle sue spalle.
La ragazza si voltò di scatto.
Dean si sollevò e si mise seduto, stropicciandosi gli occhi con le nocche delle mani.
“Ciao…” – disse poi, soffocando il saluto in uno sbadiglio.
“Ehi…” – arrancò lei, nascondendo le braccia dietro la schiena.
“Che ore sono?”
“Sono quasi le sei…”
“Umf” – mugolò contrariato lui – “È tardi…e chi la sente mia madre adesso”.
Lisa rimase in silenzio.
Dean si sporse dal letto, per recuperare i boxer dal pavimento. Con un rapido movimento di fianchi, li indossò e scese dal letto, raccogliendo il resto dei vestiti. Mentre tirava su la zip dei jeans, si avvicinò alla ragazza.
“Tutto bene?” – chiese sorridendo e accarezzandole il viso con il dorso della mano.
Lisa annuì, abbozzando un sorriso.
“Che cos’hai lì dietro?” – si incuriosì il biondo, guardandola.
La ragazza si irrigidì, facendo qualche passo indietro.
Dean iniziò a ridere.
“È qualcosa per me?” – azzardò, avanzando verso di lei – “Dai, fammi vedere”.
Lei arretrò nuovamente.
“E dai…” – la incitò lui, sorridendo e solleticandole il fianco, nel tentativo di farla cedere.
Lei tentò si sottrarsi, contorcendosi al quel tocco e facendo così cadere il telefono del ragazzo sul pavimento.
Dean si fermò, aggrottando la fronte.
“È il mio telefono, quello?” – chiese, perplesso.
Lisa abbassò lo sguardo, senza dire nulla.
Il biondo si chinò e raccolse il cellulare, rigirandoselo tra le mani.
“Mi ha chiamato qualcuno? – domandò alla ragazza.
“N-no” – balbettò lei, in risposta.
“Sicura?”
La giovane annuì.
Dean la osservò per qualche secondo e mise mano al telefono, accedendo alla schermata di sblocco. Fece scorrere un dito sul display e subito gli apparve l’applicazione dei messaggi. Con il pollice fece scorrere lo schermo, per poi bloccarsi. I suoi occhi rimasero a fissare il cellulare per qualche istante, per poi saettare subito su Lisa, increduli.
“Che cazzo hai fatto?” – sibilò lui, stringendo forte il telefono in una mano.
La ragazza chiuse gli occhi, cingendo le braccia attorno a sé.
“Perché?” – sputò fuori Dean – “Perché l’hai fatto? Perché hai scritto una cosa così...”
“Così come?” – lo interruppe lei, sfidandolo con lo sguardo.
Dean si morse una guancia.
“Cattiva” – ribatté lui.
Lisa non rispose.
Il biondo si passò una mano sul viso e si scostò da lei per prendere la giacca dalla sedia lì accanto, e si diresse verso la porta. Con un gesto rapido, la ragazza lo raggiunse e gli si parò di fronte, fermandolo.
“Dean…io…non so cosa mi sia preso…scusami” – sussurrò lei, flebile.
Il ragazzo la guardò, umettandosi le labbra.
“Lisa…in questo momento sono molto incazzato, e…” – deglutì – “È meglio che me ne vada, perché altrimenti potrei dire cose che…cose non belle, di cui poi potrei pentirmi”.
“Dean…” – tentò nuovamente lei.
“Fammi…fammi solo sbollire la cosa, ok?”
“Ok…”
Il biondo si spostò leggermente di lato e la superò, sfiorandole la spalla e uscendo definitivamente dalla stanza.
Quando la porta d’ingresso si chiuse con un sonoro tonfo, Lisa si portò le mani al viso e iniziò a piangere.
 
“Cazzo!” – sibilò a denti stretti Dean, una volta uscito.
Si allontanò velocemente, lasciandosi la casa di Lisa alle spalle. Prese il telefono dalla tasca della giacca e scrisse un messaggio.
 
[18:17] – Da Dean a Cas
Cas, il messaggio che hai ricevuto prima non l’ho scritto io.
 
Sospirò e premette invio. Continuò a camminare lungo il marciapiede, scalciando con rabbia ogni sassolino che incontrava. Tenne costantemente d’occhio il telefono, in attesa di una risposta, ma invano.
 
[18:28] – Da Dean a Cas
Ti prego, Cas…credimi.
 
Dopo qualche secondo il cellulare vibrò nella sua mano e il display si illuminò.
 
[18.28] – Da Cas a Dean
Lo so, ti credo, Dean.
 
Il biondo tirò un sospiro di sollievo, mentre il telefono riprese a vibrare nuovamente.
 
[18:29] – Da Cas a Dean
Tu non mi chiami mai Castiel.
 
Dean sbuffò in una risata liberatoria, e si ritrovò a sorridere di fronte allo schermo.
 
°°°
 
Nelle settimane successive, la tensione tra Dean e Lisa non solo non accennò a diminuire, ma si mantenne alta. Ogni minima cosa, anche la più piccola e insignificante, faceva scattare uno dei due, in particolar modo la ragazza. Sempre più spesso, una semplice discussione sfociava in un litigio o, nel migliore dei casi, in un battibecco. E, ben presto, i loro scontri passarono dall’essere strettamente privati, al divenire di dominio pubblico. Davanti agli armadietti, in mensa, o nel cortile della scuola, Dean e Lisa davano spettacolo, attirando l’attenzione e la curiosità degli altri studenti, mentre i pettegolezzi si rincorrevano l’un l’altro come elettricità sui fili dell’alta tensione.
 
“Cosa succede tra te e la cheerleader?” – intervenne un giorno Charlie, mordicchiando distrattamente una patatina.
Aveva appena assistito all’ennesimo scontro tra i due ragazzi, prima che Lisa decidesse di alzarsi e di abbandonare il tavolo della mensa, senza dire una parola.
Dean fece cadere la forchetta sul vassoio e si passò una mano sul viso.
“Non lo so nemmeno io…” – sospirò.
Charlie alzò le sopracciglia, poco convinta.
“Credimi, davvero, non lo so…” – rimarcò lui – “È…non capisco, è nervosa, ha da ridire su tutto, certe volte mi dà così sui nervi che…” – gesticolò, fissando il tavolo.
La ragazza lo osservò, in silenzio.
“Dean…” – tentò lei.
“Non la riconosco più” – la interruppe il biondo, piatto.
La rossa sospirò. La situazione non le piaceva, per niente. E, ben presto, un brutto presentimento si fece strada nella sua mente: c’era aria di tempesta in arrivo.
 
°°°
 
“Io non so più cosa fare” – sospirò la ragazza, seduta sul letto, nella solitudine della sua stanza.
Appoggiò una mano sulle coperte, richiamando alla mente tutte quelle volte in cui lei e Dean avevano fatto sesso sotto quelle lenzuola, compresa l’ultima volta. Soprattutto l’ultima volta.
“Cosa succede, Lisa?” – chiese una voce dall’altro capo del telefono.
“Con Dean…le cose non stanno andando bene” – ammise la giovane.
“Mmf”
“Bela…” – tentò di ammonirla Lisa, sapendo già dove l’amica volesse andare a parare.
Bela Talbot era la ragazza più popolare della scuola. Capitano delle cheerleader, ed eletta più volte reginetta del ballo di fine anno, la ragazza vantava una certa reputazione, sia per il numero di cuori infranti, sia per le favolose feste che ospitava nella sua casa, alla periferia di Lawrence.
“Oh, Lisa, lo sai come la pensavo, quando hai mollato Nick per metterti con Winchester”.
“Dean è migliore di Nick” – asserì la ragazza.
“La pensi ancora così? Voglio dire…Nick era pazzo di te, Lisa. E lo è ancora adesso, lo sai. Potresti dire lo stesso di Dean?”
“Sì, lui era…”
“Era?” – la interruppe Bela – “E adesso? Lo è anche adesso?” – incalzò poi.
“Non lo so…” – sospirò Lisa, affranta.
 
“So io cosa ci vuole” – intervenne Bela, divertita.
“Cosa?”
“Una bella festa”.
“Una festa?” – fece eco l’altra, confusa – “Per cosa?”
“Come per cosa? Tesoro, tra poco è Halloween!”
 
°°°
 
“Ahio!” – pigolò Dean, massaggiandosi la mano.
“Ti avevo avvertito” – disse Mary, risoluta.
“Ma mamma…” – tentò il giovane.
Sammy, lì vicino, iniziò a ridere.
“Non fare lo spiritoso, Samuel, perché ti ho visto prima, sai?” – lo richiamò la donna.
Il minore spalancò gli occhi, sorpreso.
“Mamma, come puoi pretendere di tenere lì quel coso, e non farci nemmeno avvicinare?” – borbottò il maggiore.
Mancavano un paio di settimane ad Halloween e, come tutti gli anni, Mary aveva iniziato ad addobbare la casa a tema. Le piaceva molto creare a mano le decorazioni, e aveva dato inizio a quella che ormai era diventata una tradizione mentre Dean cresceva nel suo grembo. Ma la cosa che più attendeva con impazienza, erano le due zucche che il marito le portava a casa ogni anno, già intagliate da lui stesso. La donna aggiungeva una candela accesa in ciascuna di esse, per poi posizionarle sui gradini dell’ingresso. La signora Winchester dava il via ai preparativi diversi giorni prima della festività effettiva, compreso un grande cesto, riempito di dolcetti e leccornie varie, che lasciava sul tavolo del salotto. Cesto che, ogni volta, attirava i figli, come il miele con le api.
“Questi sono i dolcetti per i bambini del quartiere che verranno a bussare alla nostra porta, Dean” – spiegò la madre, per l’ennesima volta.
“Ne ho solo preso qualcuno, il cesto è pieno!” – insisté il biondo.
“Se continui così, non rimarrà pieno ancora per molto” – ribatté lei – “E ora forza, voi due, a lavarsi le mani. Tra poco si cena”.
 
“Allora, progetti per Halloween?” – intervenne John a tavola, mentre versava un cucchiaio di patate nel piatto.
“Io sono ad una festa” – rispose Dean con la bocca piena, guadagnandosi così un’occhiataccia dalla madre.
“Ah, sì? Dove?” – domandò l’uomo.
“Dai Talbot”.
“Umf…boriosi” – bofonchiò il padre, con la bocca piena, guadagnandosi così anch’egli un’occhiataccia da parte della moglie.
 
“Ehm” – esordì Sam, appoggiando la forchetta nel piatto – “Anche io sono stato invitato ad una festa”.
Tutti i presenti si voltarono verso il più piccolo di casa.
“Ma non mi dire…” – sorrise Dean, sornione.
“Davvero, tesoro? E a quale festa?” – gli chiese dolcemente Mary.
Sam abbassò lo sguardo, stropicciando i lembi del tovagliolo con le mani.
“È…una mia compagna di classe ci ha invitati a casa sua” – balbettò.
Il fratello maggiore faticò a nascondere un sorriso.
“E come si chiama questa tua compagna?” – domandò il padre.
Sammy esitò un attimo.
“Ruby” – smozzicò – “Posso andare?” – si affrettò poi a chiedere, rivolto ai genitori.
John e Mary si scambiarono una veloce occhiata di intesa.
“I genitori di questa Ruby saranno in casa?” – chiese la donna.
Sam annuì.
“Va bene, allora. Magari può portarti Dean, mentre va alla sua festa, no?” – asserì l’uomo, riferendosi al maggiore.
Dean guardò il fratello e i suoi occhioni da cucciolo bastonato che tirava fuori in queste occasioni.
“Certo” – sorrise. Allungandosi e scompigliando i capelli del minore con una mano.
 
°°°
 
“Ok, qui ho finito” – disse la donna, posizionando l’ultimo spillo – “Adesso lo puoi togliere, ma fai piano perché è ancora imbastito”.
“Come sto?” – chiese Dean, raggiante, allargando le braccia e girando su sé stesso.
Sam e Castiel erano seduti sul divano ed entrambi alzarono il pollice in alto, in segno di approvazione.
Il biondo si svestì lentamente, affidando poi alla madre quello che sarebbe stato il suo costume per Halloween. Il costume di Capitan America.
Anche questo faceva parte della tradizione, per la donna. Mary adorava creare e cucire personalmente i costumi per i propri figli. Nel corso degli anni, aveva dato vita a Batman, Robin, Zorro, un pirata, Superman, un lottatore di wrestling, uno zombie e molti altri personaggi.
“Castiel, forza, tocca a te” – disse la signora Winchester, facendo segno al ragazzo di raggiungerla.
Dean aveva chiesto alla madre di fare un costume anche per lui, e la donna ne fu subito entusiasta.
Il moro si irrigidì e guardò Dean, smarrito.
“Cas, è Halloween, devi avere un costume” – spiegò Dean, mentre si rivestiva.
Il ragazzo indugiò un attimo.
Io non conosco questa Bela”.
“Non importa. Ha detto che potevo portare chi volevo. Non vuoi venire alla festa?”
Ma io…
“Dai Cas, guarda” – disse il biondo, mostrandogli un foglio – “Che ne dici di questo? Secondo me è perfetto”.
Il moro osservò il foglio, alzando le sopracciglia.
Non so chi sia”.
Dean ridacchiò e si ripromise, prima o poi, di arricchire le conoscenze cinematografiche dell’amico.
“È Bucky. Era il migliore amico di Capitan America” – spiegò poi.
Era?
“È una lunga storia. Te la spiego dopo”.
Castiel prese il foglio e si alzò dal divano, per poi raggiungere Mary, riluttante.
“Dai, togliti i vestiti, così prendo le misure” – esordì la donna.
Castiel rimase fermo e abbassò lo sguardo. L’idea si doversi spogliare di fronte alla signora Winchester lo imbarazzava tantissimo.
Mary se ne accorse e gli si avvicinò, sorridendo.
“Castiel, non ti devi vergognare con me. Ho cresciuto due figli maschi” – lo tranquillizzò.
Il ragazzo abbozzò un sorriso.
“E, a dire il vero, Dean valeva per due”.
“Mamma!” – la rimproverò il maggiore dal divano.
Mary rise e Castiel con lei.
 
 
°°°
 
 
“Sammy, muoviti o facciamo tardi!” – gridò Dean dalla porta di ingresso.
“Arrivo!” – rispose il minore, scendendo dalle scale, mentre un lungo mantello rosso svolazzava leggero dalle sue spalle.
Il biondo osservò il fratello, divertito.
“Che c’è?” – chiese Sam, corrugando la fronte.
“Nah, niente. Dai, andiamo grande Thor” – incitò il maggiore, sorridendo.
“E lo scudo?” – domandò il minore.
Dean si voltò, facendo mostra dell’accessorio più importante del suo costume.
“Wow…posso toccarlo?”
“Certo”.
Sam lo accarezzò con la punta delle dita, per poi battervi sopra le nocche delle mani.
“Sembra quello vero” – ridacchiò.
“Già, papà ha fatto un gran bel lavoro” – sorrise il biondo – “E il martello?”
Il minore glielo porse, orgoglioso.
Il maggiore lo prese tra le mani e lo soppesò.
“È pesante…ehi tigre, ce la fai a tenerlo in mano?” – chiese poi, sardonico, guadagnandosi un’occhiata torva da parte del fratello.
 
I due uscirono di casa e percorsero il marciapiede, fino alla casa di Castiel.
“E Ruby, da cosa sarà vestita?” – chiese Dean, ammiccando.
“Non me l’ha voluto dire. Ha detto che sarà una sorpresa” – ammise Sam, mentre il maggiore cercò di sopprimere un sorriso malizioso.
Una volta di fronte all’ingresso di casa Novak, suonarono il campanello. Quando la porta si aprì, i due fratelli si trovarono di fronte Castiel, nel suo costume da Bucky.
“Wow, Cas! Stai benissimo!” – esordì Sam, stupito.
Il moro gli sorrise in risposta, per poi guardare Dean.
Il biondo era lì, fermo davanti alla porta, con le labbra leggermente socchiuse. Il costume di Bucky aderiva perfettamente al corpo dell’amico, delineando la linea stretta della vita e la tonicità delle spalle, delle braccia e delle gambe. E quegli occhi blu…
“Dean?” – lo richiamò Sam.
Il maggiore si riscosse dai suoi pensieri.
“Hai visto il braccio? È perfetto!” – esclamò il più piccolo, entusiasta – “Riesci a muoverlo bene?” – chiese poi rivolto al ragazzo con gli occhi blu.
Castiel alzò il braccio e lo piegò diverse volte, lasciando Sam a bocca aperta.
Anche il braccio artificiale del costume di Bucky era stato creato dalle mani sapienti di John Winchester, durante i ritagli di tempo in officina, su richiesta di Dean. Essendo una cosa da indossare e da tenere per tutto il tempo, a differenza dello scudo e del martello, era stato fatto in alluminio, un materiale molto leggero e ben adatto alla lavorazione. Indossarlo era piuttosto facile, e si fissava con chiusure sistemate appositamente per trovarsi nella parte interna del braccio e quindi non visibili. A livello del gomito John era stato costretto a lasciare uno spazio, affinché Castiel potesse muovere l’articolazione liberamente. Anche il polso è stato lasciato libero, mentre la mano sarebbe stata coperta da un guanto nero. Il tutto poi era stato completato con una mano di vernice color argento, come base, e perfezionato con il disegno di una stella a cinque punte, di colore rosso, sulla parte alta del braccio.
“Dean, ci sei?” – lo richiamò nuovamente il minore.
“S-stai benissimo, Cas…” – arrancò il maggiore, abbozzando un sorriso.
Castiel si portò una mano al mento, per poi allontanarla in avanti e verso il basso, mimando un grazie con le labbra.
 
“Uhm…chi abbiamo qui?” – intervenne una voce alle spalle di Castiel.
Balthazar fece capolino dalla porta, affiancandosi al fratello.
“Oh, un fortissimo Thor, vedo…” – aggiunse, sorridendo a Sam – “E…” – continuò, guardando ora Dean, ora Castiel – “Steve e Bucky. Ma tu guarda…” – constatò infine, stringendo le labbra in un sorriso malizioso.
 
Dopo aver lasciato Sam a casa di Ruby, con la promessa di passarlo a prendere ad una determinata ora, Dean e Castiel giunsero finalmente a casa Talbot. O, sarebbe meglio dire, a villa Talbot.
La casa di Bela era veramente enorme. Un grosso cancello in ferro battuto dava l’accesso ad un lungo vialetto, costeggiato da piccoli faretti che, al calar della sera, ne illuminavano il percorso. Intorno alla casa, il giardino si estendeva fino a perdersi nell’oscurità.
Castiel si guardò intorno, a disagio.
Dean lo notò e posò una mano sulla spalla del moro.
“Lo so, ha fatto lo stesso effetto anche a me, la prima volta” – lo tranquillizzò, sorridendo.
 
Poco dopo aver suonato il campanello, la porta si aprì, mostrando la padrona di casa avvolta in un aderentissimo costume di Catwoman.
“Winchester” – sorrise Bela, mettendosi una mano sul fianco.
Lo sguardo della ragazza passò in rassegna la figura di Dean.
“O dovrei dire Capitano…?” – ammiccò poi.
“Ciao, Bela” – le rispose il biondo, in un sorriso forzato.
“E tu sei…?” – chiese la ragazza, inclinando leggermente il viso e guardando Castiel.
“Lui è Castiel, un mio amico” – spiegò velocemente Dean – “Cas, lei è Bela” – aggiunse poi, voltandosi verso l’altro.
Il moro tirò fuori il block notes e vi scrisse velocemente qualcosa.
Piacere di conoscerti. E grazie per avermi invitato alla tua festa”.
Bela lesse il block notes e alzò le sopracciglia.
“P-prego, non c’è di che” – rispose lei, un po’ confusa – “Ma non state lì sulla porta! Entrate, la festa è dentro che vi aspetta” – aggiunge poi, ricomponendosi.
 
L’atmosfera che accolse i due ragazzi, non appena varcato l’ingresso, fu stupefacente. La casa era stata decorata con festoni e addobbi, tutti rigorosamente di colore arancione e nero, in linea con il tema della festa. C’erano parecchie persone, forse più di quanto la stessa casa ne potesse contenere. Un impianto stereo, di tutto rispetto, pompava musica attraverso le casse, mentre il vociare degli invitati si rincorreva da una parte all’altra della casa. Un lungo tavolo, vicino ad una delle finestre principali, offriva un grande varietà di cibo e di bevande, compresi anche diversi alcolici.
“Oh mio dio!” – squittì una voce, poco distante da loro.
Dean si girò, appena in tempo per vedere Charlie e gli altri venir loro incontro. Con una mano toccò il braccio di Castiel e indicò all’amico la direzione, facendo così sorridere il moro.
“Siete bellissimi!” – trillò di nuovo la rossa, per poi stringere entrambi in un grande abbraccio.
“Donna pirata, eh?” – constatò Dean, dopo averla osservata.
“Le migliori” – ammiccò lei.
“Ehi, Benny” – sorrise il biondo – “Non ti stancherai mai di questo costume da vampiro, uh?”
“Che ci vuoi fare amico, mi piacciono i classici” – fece spallucce l’altro.
“Non inizierai a brillare al sole, vero?” – chiese Dean, preoccupato.
“Piuttosto mi faccio tagliare la testa” – rispose Benny, con una smorfia.
“E…Chuck? Da cosa diavolo sei vestito?” – domandò Dean, osservando l’amico – “E quella cosa che hai in testa è…una pianta?”
Chuck sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Il ragazzo indossava una lunga tunica bianca, a maniche corte, fermata in vita con una corda color oro. I piedi calzavano dei sandali rudimentali, mentre il capo era cinto da una corona d’alloro.
Castiel richiamò l’attenzione del biondo, porgendogli il block notes.
Chuck è vestito da Zeus”.
“Zeus?” – fece eco l’altro.
Sì, è il padre degli dei. Secondo la mitologia greca è il dio più potente ed è a capo di tutti gli altri dei”.
“Oh, grazie al cielo ci sei tu, Castiel” – sospirò Chuck, alzando un braccio e minacciando scherzosamente Dean con la sua folgore di cartone.
 
“Ehm, Dean” – lo richiamò Charlie, schiarendosi la voce – “Credo che qualcuno ti stia cercando” – disse, accennando appena oltre le spalle di lui.
Il biondo si voltò e, poco distante, vide Lisa che lo stava guardando. Lisa indossava un vestito da…diavoletto. Un diavoletto decisamente molto, molto sexy. Un tubino, di colore rosso, a spalline strette, scendeva aderente fino alla vita, per poi allargarsi a poco a poco, e terminare con un orlo di pizzo tutto fronzoli. Da dietro le spalle, facevano capolino due piccole ali da diavoletto, anch’esse rosse, ricavate da un tulle imbrigliato in una solida impalcatura di velluto. I lunghi capelli neri erano sciolti e le ricadevano sulle spalle, e contrastavano con l’immancabile cerchietto rosso, sormontato da due piccole corna.
Dean le sorrise e si avvicinò.
“Ehi” – disse, cingendole i fianchi con le mani – “Sei bellissima”.
Il biondo si avvicinò alle sue labbra per un bacio, ma la ragazza si scostò leggermente, fissandolo negli occhi.
“Perché c’è anche Castiel?” – chiese bruscamente lei.
Dean la guardò con aria interrogativa.
“Bela ha detto che potevamo portare chi volevamo” – si giustificò Dean.
“Certo…” – ribatté lei, sarcastica.
“Lisa, cosa c’è che non va?”
La ragazza sospirò.
“Niente, va tutto bene” – rispose, piatta.
 
La festa procedeva a gonfie vele, come tutte quelle che si erano tenute a casa Talbot. Bela sapeva sempre come creare l’atmosfera giusta, quale musica scegliere e, soprattutto, quali persone invitare.
Lisa monopolizzò l’attenzione di Dean per gran parte del tempo. Al biondo questo non dispiacque affatto, anzi. Ultimamente, tutto quell’attrito tra loro, non aveva fatto altro che allontanarli. Per cui, il ragazzo non protestò di certo, quando lei lo condusse in un angolo della casa e lo baciò con passione. Dean ricambiò con altrettanto trasporto, mettendole una mano sulla nuca e inclinandole il viso per approfondire il contatto, mentre con l’altra mano la teneva stretta a sé.
“Sei davvero bellissima, stasera” – soffiò sulle labbra di lei.
Lisa strofinò leggermente il naso contro quello del biondo, sorridendo.
“Vieni” – bisbigliò poi al suo orecchio, mentre con una mano lo accompagnava sulla rampa di scale che portava al piano superiore.
“Cos’hai in mente, diavoletto?” – ghignò Dean, ottenendo in cambio un sorriso malizioso da parte della ragazza.
Il biondo diede un’ultima occhiata al piano inferiore e si fermò all’improvviso.
“Aspetta” – disse, bloccando Lisa.
“Che succede?”
Dean teneva lo sguardo fisso in un punto preciso del soggiorno. Un punto in cui c’era Castiel…e Nick. Il ragazzo si era avvicinato al moro e gli stava rivolgendo la parola.
Il biondo fece per sciogliere la stretta dalla mano di Lisa, ma lei lo trattenne.
“Dean” – lo richiamò.
Il ragazzo distolse lo sguardo dai due ragazzi e si girò verso di lei.
“Dai, vieni” – lo esortò la ragazza, per poi condurlo al piano di sopra.
Dean la seguì, poco convinto. Vedere Nick avvicinarsi a Castiel non gli era piaciuto affatto. Si ricordava fin troppo bene di quanto successo in piscina, e, sebbene Michael si fosse scusato due volte per il comportamento del fratello, al biondo non era di certo passata. Tuttavia accanto al ragazzo con gli occhi blu c’era Charlie, che era sempre rimasta con lui, e poco lontano anche Benny, e questo lo convinse a seguire Lisa sulle scale.
 
In un’anonima stanza, Dean si trovò disteso su un letto, mentre Lisa, ancora avvolta nel suo provocante costume, era a cavalcioni sopra di lui, dispensando sensuali carezze e baci infuocati.
“Che succede, Dean?” – sospirò ad un tratto la ragazza, notando con disappunto la poca partecipazione dell’altro.
Il biondo si morse un labbro.
“Forse dovremo tornare alla festa” – mormorò.
“Perché?” – domandò lei, accigliandosi.
“Sono…” – sospirò lui – “Ho visto Nick che si avvicinava a Cas…”
“E allora?”
“E allora…sono preoccupato” – ammise lui.
“Preoccupato?” – fece eco lei.
“Beh, dopo quello che è successo in piscina…”
“Dean è successo tempo fa. E poi, non lo mangia mica”.
“Lo so, ma…non mi piace”.
Lisa si alzò di scatto e scese dal letto. Allungò una mano sul comodino e accese una lampada.
“Io non ti riconosco più!” – esclamò all’improvviso lei, allargando le braccia.
Dean la guardò, con aria interrogativa.
“Non sei il Dean che ho conosciuto!”.
“Lisa, ma cosa…” – mormorò lui, confuso, mettendosi seduto sul bordo del letto.
“Da quando c’è di mezzo quel sordo tu sei cambiato!” – continuò la ragazza.
Dean si irrigidì.
“Lisa, quel ‘sordo’ ha un nome!” – sibilò.
“E va bene!” – sbuffò lei, irritata e alzando gli occhi al cielo – “Da quando c’è di mezzo quel Castiel, tu sei cambiato! Va bene così?” – chiese poi, sardonica.
Il biondo sospirò e si alzò dal letto, avvicinandosi alla ragazza.
“Lisa…per caso sei gelosa?” – tentò di sdrammatizzare lui, con un sorriso.
“E se così fosse?” – ribatté lei, dura.
Il ragazzo sbuffò in una piccola risata.
“Lisa…” – tentò lui, facendosi più vicino.
“Posso capire che ti faccia pena, Dean, ma tu non sei la sua balia!” – sbottò la giovane.
Il biondo fece un passo indietro e agganciò gli occhi di lei, incredulo. Rimase fermo per qualche secondo, mentre, dentro di lui, sentì un calore salire dallo stomaco e infuocargli il viso.
“Che cazzo stai dicendo?” – disse poi, la voce più alta di un’ottava.
“Quello che ho detto!” – lo sfidò lei.
“Stammi bene a sentire, Lisa! Io non provo pena per Castiel! Io e lui siamo amici! E non sono la sua balia! Castiel non ne ha bisogno, perché è in grado di badare a sé stesso!” – gridò lui.
Dean si passò una mano sul viso e scrollò la testa.
“E sai che ti dico, Lisa? Lui sarà anche quel sordo, come hai detto tu” – si interruppe – “Ma rimane comunque una persona migliore di te!”.
Indietreggiò ancora di qualche passo, per poi voltarsi e dirigersi verso la porta. Uscì dalla stanza e scese velocemente le scale. Una volta al piano inferiore si bloccò. Tutti gli occhi delle persone presenti erano puntati su di lui. Nell’aria c’era un silenzio quasi surreale, interrotto soltanto da un lieve brusio di voci sommesse. Dean si rese contro ben presto che dovevano aver sentito lui e Lisa gridare e litigare. Deglutì un paio di volte e, abbassando lo sguardo, cominciò a farsi strada per raggiungere l’uscita.
“Ehi, amico, tutto bene?” – gli si affiancò una voce bassa.
Il biondo alzò gli occhi e incontrò quelli azzurri di Benny, che lo guardava preoccupato.
“S-sì” – smozzicò.
E poi, oltre le spalle dell’amico, lo vide. Castiel era vicino a Charlie e…stava bene. Castiel stava bene. Dean si sentì quasi sollevato. Il moro lo stava osservando con aria interrogativa e il biondo provò di nuovo sollievo, al pensiero che il ragazzo non avesse capito cosa fosse appena successo.
“Devo andarmene da qui” – mormorò, rivolto a Benny – “Puoi…potresti portare a casa Cas, dopo la festa? Per favore…”
Benny lo osservò attentamente, e annuì.
“Grazie…” – bisbigliò l’altro, per poi superare l’amico e arrivare alla porta di ingresso.
“Se esci da quella porta, tra noi è finita, Dean”.
La voce di Lisa gli arrivò alle spalle, come una frustata sulla schiena. La ragazza lo aveva raggiunto e ora era lì, a pochi metri da lui, con le braccia incrociate al petto.
Dean appoggiò la mano sulla maniglia, serrò le palpebre e sospirò. Infine aprì la porta, e se la richiuse alle spalle.
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
E buon Halloween! Vi giuro che la coincidenza tra i fatti narrati in questo capitolo e il giorno della pubblicazione del capitolo stesso è solo puramente casuale :D
Spero che questo aggiornamento vi sia piaciuto e che, questa volta, il cliffhanger sia stato di vostro gradimento, visto che ha portato a un qualcosa che tutti voi aspettavate con impazienza: una frattura nel rapporto tra Dean e Lisa. Chissà come andrà a finire…In ogni caso fatemi pure sapere cosa ne pensate o le vostre impressioni su questo punto della storia. Su, su, coraggio, fatevi avanti!
Devo assolutamente ringraziare la mia beta MadGirlWithABluBox, per avermi aiutato con i costumi di Halloween da far indossare ai diversi personaggi, soprattutto quelli di Dean e Castiel. Io sono proprio negata in queste cose. Non la ringrazio invece per avermi dato una nuova ship per cui soffrire, la Stucky, appunto. È proprio una badperson, ma questo lo sapete già xD
Bene, è tutto. Vi lascio alla sezione “varie ed eventuali”, dove troverete delle cose carine, tra cui un video meraviglioso che vi consiglio caldamente di vedere, perché è molto istruttivo. Qui, infatti, ritroverete le parole della lingua dei segni che Castiel insegna a Dean in camera sua.
Leggete, recensite se volete e divertitevi!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Ecco qui il video: https://www.youtube.com/watch?v=c8WIr61r1Do
[*] Vi ricordo che la lingua dei segni che usa Castiel è la LSA (Lingua dei segni americana), quindi è ovvio che, come nella lingua parlata, i termini che corrispondono ai nostri TI AMO e TI VOGLIO BENE sono espressi dal semplice I LOVE YOU, che pertanto può assumere un significato piuttosto che l’altro, a seconda del contesto dove viene inserito.
Il gesto per questa espressione è questo, primo modo e secondo modo:


 
Amici, invece, è così:
 

 
2) Un paio di fan art, così per gradire
 
      
 


 

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO NOVE
 

“Sopporta, cuore”
 Omero
 
 
Il brusio di voci sommesse crebbe di intensità, non appena la porta di ingresso di casa Talbot si chiuse.
“Hai visto che roba?” – “Povera Lisa…” – “Ma quindi si sono mollati?” – “Winchester ha un’altra?” – “Che figura di merda…” – “Oddio, e adesso?” – “Questo vuol dire che Dean è libero? Ho speranze, secondo te?” – “Che coglione…lasciarsi scappare una come Lisa” – “Guarda, la Talbot è incazzata nera…”
Un battito di mani catturò l’attenzione di tutti, riportando il silenzio nella stanza.
“Coraggio, gente! È Halloween e la parola d’ordine è divertirsi!” – esclamò Bela, riprendendo il controllo della situazione.
Con un rapido gesto la ragazza fece ripartire lo stereo, e la musica, ben presto, rianimò la festa, distraendo così gli invitati da ciò che era appena successo.
 
“Cazzo…” – sibilò Charlie tra i denti, scambiandosi da lontano un’occhiata con Benny.
La rossa di sentì toccare il braccio e si voltò. Di fianco a lei, Castiel la guardava, preoccupato. Gli occhi blu del moro si erano velati di una sfumatura che la ragazza non seppe definire.
Cos’è successo?”
Charlie lesse il block notes e si morse un labbro.
Perché Dean è andato via?
“Castiel…” – tentò lei.
Non si sente bene?
“No, no…lui sta bene, almeno…è che…” – balbettò la rossa, non riuscendo a trovare le parole giuste.
Cosa ha detto Lisa? Non sono riuscito a leggere il labiale, ero troppo distante”.
“Ok…” – sospirò lei – “Ecco…credo che Dean e Lisa si siano appena lasciati” – spiegò poi, con calma.
Castiel contrasse le labbra e chiuse il block notes. Rimase fermo per qualche istante, poi si voltò e si incamminò verso la porta d’ingresso della casa.
“Aspetta, Castiel! Dove vai?” – lo richiamò Charlie, seguendolo e prendendogli un braccio.
Il moro si voltò e corrugò leggermente la fronte.
La rossa lo guardò attentamente, e capì.
“Vuoi seguirlo, vero?” – aggiunse poi.
Il ragazzo annuì.
Lei sorrise appena e lasciò la presa sul suo braccio.
“Va bene. Vai” – asserì lei, incitandolo con un gesto del capo.
Castiel le sorrise e la salutò con la mano, prima di scomparire dietro la porta.
“Dove va?” – chiese Benny, avvicinandosi alla ragazza e rivolgendo uno sguardo verso l’ingresso.
Charlie sospirò.
“Secondo te?”
 
Il freddo di fine ottobre colpì in pieno il volto di Castiel, facendolo rabbrividire per un attimo. Iniziò a percorrere il vialetto, arrivando fino al grosso cancello. Una volta superatolo, tuttavia, si bloccò. Era venuto lì con Dean e… si vergognò ad ammetterlo, ma non ricordava dove il biondo avesse lasciato la macchina. E subito un pensiero gli balenò in mente. E se Dean se ne fosse già andato? Se lui non fosse uscito in tempo dalla casa per raggiungerlo? Il moro mise una mano in tasca, tirò fuori il cellulare e iniziò a scrivere un messaggio. Nel frattempo, aveva deciso di prendere una direzione e si stava incamminando in quel senso. Finito di scrivere il messaggio, rimise il telefono in tasca e aumentò il passo. Il suo respiro caldo si infrangeva contro l’aria fredda, creando evanescenti nuvole di condensa.
Ad un tratto si fermò, lo sguardo fisso in un punto. La luce di un lampione, poco distante, illuminava una figura appoggiata alla portiera di una macchina. Era Dean.
 
Dean sentì il telefono vibrare nella sua tasca, ma decise di ignorarlo. Poco dopo, udì un rumore di passi avvicinarsi e alzò lo sguardo. Dall’oscurità, una sagoma prese forma sotto la luce del lampione lì vicino.
“Cas…” – sussurrò.
Castiel si avvicinò e gli sorrise.
“Cas, non era necessario che mi seguissi” – sospirò il biondo – “Perché non sei rimasto alla festa con gli altri?”
Il moro scrollò la testa e agganciò gli occhi dell’altro. Portò una mano, stretta in un pugno, al petto e la mosse in cerchio su di esso.
Dean riconobbe quel gesto, e il suo significato: mi dispiace. Stirò le labbra in un sorriso forzato.
Castiel fece un passo in avanti e si appoggiò alla portiera, accanto all’amico. Rimasero così, per diverso tempo.
 
“Ho visto che Nick ti ha rivolto la parola alla festa…è successo qualcosa?” – chiese Dean, schiarendosi la voce.
L’altro scrollò la testa.
“Cosa voleva?”
Mi ha chiesto scusa per avermi spinto in acqua, quel giorno in piscina”.
“Ah…capisco”.
 
“Devo passare a prendere Sam” – esordì Dean dopo un po’, scostandosi dalla macchina.
Castiel lo imitò e i due si trovarono uno di fronte all’altro.
“Sei sicuro di non voler tornare alla festa?” – chiese il biondo.
Il moro annuì, convinto.
“Va bene…andiamo, allora”.
Dean salì in macchina e attese che l’altro chiudesse la portiera, prima di inserire la chiave nel quadro di accensione. Un tocco sul braccio lo fece voltare. Castiel gli stava mostrando il block notes.
Sei triste?
Il ragazzo sospirò e, alzando lo sguardo, fissò gli occhi blu dell’altro.
“Cas, promettimi una cosa. Non cambiare mai”.
Il moro lo guardò, con aria interrogativa.
“Non cambiare mai” – ripeté il biondo.
Castiel sostenne lo sguardo di Dean, e poi annuì.
 
 
°°°
 
 
“Ti rendi conto? Era vestita da Vedova Nera!” – disse raggiante Sam.
Il giorno dopo, di buon’ora, il più piccolo dei Winchester si era fiondato, ancora in pigiama, nella camera del fratello. Dean aveva mugolato qualcosa che assomigliava vagamente ad un “Sammy, ma sai che ore sono?”, e anche ad un “Fammi dormire, ti prego”. Tuttavia, quando il minore era salito sul suo letto e aveva iniziato a raccontargli entusiasta della festa a casa di Ruby, il biondo aveva dovuto arrendersi e prestargli attenzione.
“Oh, Dean! Dovevi vederla! Il costume era perfetto, e aveva anche una parrucca!”
Gli occhi di Sam brillarono, al solo ricordo del costume che l’amica aveva scelto per la festa di Halloween.
“Era più bella dell’originale…” – sussurrò il ragazzino.
Dean alzò le sopracciglia.
“Sammy, sono sicuro che Ruby fosse molto carina nei panni di Vedova Nera, ma…Scarlett Johansson è pur sempre Scarlett Johansson” – sottolineò.
Il fratello arrossì leggermente.
“Per me, lei era più bella…” – borbottò, abbassando lo sguardo e guardandosi le mani.
Il biondo trattenne a stento un sorriso.
“E a lei lo hai detto?” – chiese il maggiore.
“Cosa?”
“Che era più bella di Scarlett Johansson” – ripeté Dean.
“Co-? Certo che no!” – ribatté il minore, imbarazzato.
“Peccato”.
Sam guardò l’altro, con aria interrogativa.
“A lei avrebbe fatto molto piacere” – spiegò il biondo.
Sam arricciò le labbra e socchiuse gli occhi.
Il maggiore lo notò e si incuriosì.
“Sam?” – lo richiamò.
Il minore indugiò.
“Non le ho detto che era più bella di Scarlett Johansson, però…”
“Però?”
“Le ho detto che era molto bella” – mormorò il più piccolo.
“E lei?”
“Lei…m-mi ha ringraziato e…mi ha dato un bacio s-sulla guancia” – balbettò Sam, arrossendo definitivamente.
Dean passò una mano sui capelli del fratello, scompigliandoli.
“E bravo, tigre!” – disse, ridendo.
 
“E la tua festa? Com’era vestita Lisa?” – chiese curioso Sam.
Dean si irrigidì e indugiò un attimo.
“È…è andata bene…Lisa era vestita da diavoletto…” – arrancò il maggiore, cercando di nascondere il proprio disagio all’altro.
Dean non aveva certo dimenticato quanto successo la sera prima. Tuttavia, la domanda del fratello era arrivata improvvisa, come uno schiaffo in pieno volto, e cogliendolo del tutto impreparato.
“Dean?” – lo richiamò il minore.
“Uhm?”
“Il tuo costume è piaciuto? E quello di Cas?”
“Sì, sì, sono piaciuti molto” – si affrettò a rispondere il biondo.
“Anche il mio è piaciuto molto, sai? Soprattutto il martello. Tutti volevano tenerlo in mano” – rise compiaciuto il più piccolo.
Dean abbozzò un sorriso.
 
Qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” – dissero i fratelli, all’unisono.
Dalla porta fece capolino Mary, con un sorriso.
“Siete svegli, vedo”.
“Sì, stavo raccontando a Dean della festa di ieri” – sorrise di rimando il più piccolo.
“Ti va di raccontarlo anche a me? Magari davanti a dei pancake appena fatti…” – lo lusingò la donna.
“Oh, sì!” – acconsentì subito Sam, saltando giù dal letto del fratello e raggiungendo la madre alla porta.
“Dean, tu non vieni?” – domandò lei.
“Sì, tra un attimo arrivo” – annuì il maggiore, stirando le labbra in un sorriso.
 
Quando rimase solo nella stanza, Dean si passò una mano sul viso e sospirò. Si voltò verso il comodino e, allungando un braccio, prese il telefono. Sbloccò il display con un dito e vide che erano arrivati alcuni messaggi. Rimase a fissare lo schermo, titubante. Dopo qualche secondo decise di aprire l’applicazione.
 
[00:20] – Da Benny a Dean
Ehi, mi dispiace…se hai bisogno di qualsiasi cosa, conta pure su me.
 
[00:21] – Da Charlie a Dean
Stai bene? Ti prego, se hai bisogno, chiamami.
 
[00:31] – Da Chuck a Dean
Io non ho parole, davvero…mi dispiace molto.
 
[00:43] – Da Charlie a Dean
Dean, fammi sapere come stai. Sono preoccupata.
 
Dean chiuse l’applicazione e abbandonò il telefono sul comodino.
Per i successivi due giorni, ricevette chiamate, messaggi, persino una mail (da parte di Charlie, ovviamente). Ma il biondo non rispose a nessuno.
 
 
°°°
 
 
“Credo che la Talbot voglia incenerirti con uno sguardo” – constatò Charlie, durante la pausa pranzo, dopo aver visto Bela rivolgere uno sguardo torvo al loro tavolo.
Com’era prevedibile, il ritorno a scuola, dopo quanto successo ad Halloween, non fu facile per Dean. Il dramma d’amore di qualche sera prima aveva già fatto il giro del liceo. Lungo i corridoi, in classe, ovunque fosse, il ragazzo poteva sentire su di sé gli occhi di tutti. Fortunatamente, la popolazione studentesca della Free High mostrava una certa eterogeneità sull’argomento. C’era quella parte di studenti che patteggiava per Lisa, quella che invece sosteneva Dean, una quota di indecisi, una piccola parte di quelli che non sapevano bene cosa fosse successo, in quanto non presenti alla festa, e anche di quelli a cui non importava affatto.
“Beh, era abbastanza prevedibile. Lisa è sua amica, oltre a far parte della squadra di cheerleader” – intervenne Chuck, mentre si rigirava una lattina di Pepsi tra le mani.
“E tu credi che a Bela interessi qualcosa di Lisa? Oh, ma andiamo! A lei importa solo della festa, che ha rischiato di essere rovinata” – ribatté lei.
Dean era seduto al tavolo, con lo sguardo assente. Un lieve tocco sul gomito richiamò la sua attenzione e lo fece voltare.
“Ehi” – disse Benny, piano.
Il biondo si limitò a guardare l’amico, in silenzio.
“So che questo è un brutto momento, ma…io sono qui. Noi siamo qui, Dean…se ne vuoi parlare…”
Sia subito dopo la festa, che nei giorni successivi, nessuno era riuscito a mettersi in contatto con Dean. Avevano mandato messaggi, chiamato, ma invano. Il ragazzo non aveva mai risposto. E, anche se adesso sedeva lì con loro in mensa, gli amici non riuscivano ad interagire con lui.
“Non c’è niente di cui parlare, Benny” – rispose Dean, amaramente.
“Dean…” – tentò l’altro.
Il ragazzo si alzò dalla sedia e prese lo zaino. Accennò ad un gesto di saluto con la mano, per poi allontanarsi, sotto lo sguardo preoccupato degli altri.
 
“E adesso?” – chiese Chuck, guardando ora Benny, ora Charlie.
La rossa posò gli occhi sul pranzo lasciato intatto da Dean, e fece una smorfia.
“Non lo so, Chuck…” – ammise affranto il ragazzo.
“Io sì, invece” – intervenne subito Charlie, seria.
La ragazza prese in mano il cellulare e iniziò a scrivere velocemente un messaggio.
“E cioè?” – chiese Benny, grattandosi il mento.
“Castiel” – disse semplicemente lei – “Sperando che abbia più fortuna di noi” – sospirò infine.
 
 
°°°
 
 
Quel pomeriggio qualcuno suonò il campanello di casa Winchester.
Quando Mary aprì la porta, si trovò di fronte un volto conosciuto.
“Castiel, che sorpresa!” – gli sorrise la donna, scostando maggiormente la porta per farlo accomodare.
Il moro ricambiò il saluto con un sorriso e con un gesto della mano.
“Togliti pure la giacca e appendila qui” – disse lei, mostrandogli l’appendiabiti a muro lì vicino – “Comincia a fare davvero freddo, eh?”
Il ragazzo annuì, mentre si toglieva i guanti e la sciarpa, per poi infilarli nelle tasche della giacca.
“E questo?” – chiese curiosa la signora Winchester, guardando il contenitore di plastica nelle mani di Castiel.
Il moro sollevò il coperchio del contenitore e ne mostrò il contenuto alla donna.
Mary schiuse le labbra, piacevolmente sorpresa, e sorrise.
“Vado a chiamare Dean” – aggiunse poi.
Castiel scrollò a testa e tirò fuori il block notes. Affidò un attimo il contenitore alla donna, mentre lui scarabocchiava qualcosa.
Vado io da lui. Posso?
“Certo” – annuì Mary, sorridendo – “È in camera sua, vai pure”.
Il ragazzo sorrise a sua volta e, riprendendo il contenitore dalle mani di lei, iniziò a salire le scale.
Quando si trovò di fronte alla stanza di Dean, indugiò un attimo. Non sapeva bene se bussare o meno. La buona educazione suggeriva la prima opzione, ma…Castiel non avrebbe sentito la risposta della persona al di là della porta. Rimase ancora qualche secondo a pensare, e poi sospirò. Mise una mano nella tasca dei jeans e tirò fuori il cellulare.
 
[16:12] – Da Cas a Dean
Toc Toc.
 
E premette invio.
 
[16:13] – Da Dean a Cas
?
 
[16:13] – Da Cas a Dean
Credo che qualcuno stia bussando alla porta della tua stanza.
 
[16.14] – Da Dean a Cas
Non capisco…
 
Castiel rise.
 
[16:15] – Da Cas a Dean
Aprimi, Dean. Sono qui fuori.
 
Dopo qualche secondo, la porta si spalancò all’improvviso, e i due ragazzi si trovarono uno di fronte all’altro.
“Cas…” – mormorò Dean.
Castiel sorrise e mise di nuovo mano al telefono, sotto lo sguardo interrogativo dell’altro.
 
[16:17] – Da Cas a Dean
Posso entrare?
 
Dean sentì il cellulare vibrare nella sua mano e lo guardò. Sollevò poi lo sguardo verso il moro e abbozzò un sorriso.
“Certo, entra pure”.
Il biondo indossava un paio di pantaloni grigi di una tuta e una maglietta nera a maniche lunghe.
Castiel lo vide avvicinarsi al letto e sdraiarvisi sopra. Dean si mise comodo, con la schiena appoggiata ad uno dei cuscini e le gambe distese. Picchiettò una mano sul materasso, invitando l’altro a raggiungerlo.
Il moro si avvicinò e si sedette sul bordo del letto.
“Mettiti comodo anche tu, Cas” – lo esortò Dean.
Il ragazzo acconsentì, si tolse le scarpe e di distese accanto all’amico.
“Che cos’è quello?” – chiese il biondo, adocchiando il contenitore di plastica nelle mani del moro.
Castiel appoggiò delicatamente il contenitore sulle gambe dell’altro. Poi prese il block notes e iniziò a scrivere.
Ti ho portato una cosa”.
“Per me?” – domandò sorpreso l’altro.
Il ragazzo dagli occhi blu annuì.
Dean osservò attentamente il contenitore e, con cautela, sollevò il coperchio. Quando vide il contenuto, schiuse le labbra e si voltò subito a guardare Castiel.
“Ma questa è…” – mormorò, incredulo.
Castiel sorrise e annuì.
Il biondo avvicinò il contenitore al viso e chiuse gli occhi, inspirando leggermente.
“Che buon profumo…ed è ancora calda” – constatò, con un sorriso sulle labbra.
Sì, l’ho tolta dal forno poco fa”.
“C-cosa? L’hai tolta dal…tu? Cas, mi stai dicendo che questa crostata l’hai fatta tu?” – chiese l’altro, allibito.
Il moro annuì.
Dean rimase incantato di fronte a quella meraviglia che aveva tra le mani. Era perfetta. La forma precisa, la doratura dell’impasto della giusta tonalità, e il profumo così invitante, quasi avvolgente.
“Non dovevi, Cas…grazie” – balbettò il ragazzo, imbarazzato.
Purtroppo avevo in casa solo le mele. E l’ho fatta con quelle. So che non è la tua preferita, ma spero che ti piaccia lo stesso”.
“Lo scopriamo subito” – asserì Dean, sorridendo e tirando fuori dal contenitore due forchette di plastica e porgendone una al moro.
 
“Dio mio, Cas, è buonissima!” – bofonchiò Dean, con la bocca piena.
Castiel sorrise, divertito.
Davvero?
“Sulle crostate non mento mai” – sottolineò il biondo, con la forchetta ancora a mezz’aria.
Castiel prese un boccone del dolce e se lo portò alla bocca, per poi assaporarlo.
Sì, direi che è venuta bene”.
“E così sai anche cucinare, uh?”
Sono a casa da solo per la maggior parte del giorno e ho imparato ad arrangiarmi”.
“Allora saprò chi chiamare”.
Il moro lo guardò, con aria interrogativa.
“Perché di sicuro morirei di fame, se fossi da solo. Non so cucinare neanche un uovo” – ammise l’altro, sorridendo sornione.
Entrambi scoppiarono a ridere.
 
I due ragazzi continuarono a mangiare la crostata, con calma e in silenzio. Silenzio interrotto ogni tanto da qualche mugolio di apprezzamento del biondo.
Ad un tratto, Castiel sollevò leggermente i fianchi e sfilò il cellulare dalla tasca. Fece scorrere il dito sullo schermo un paio di volte e poi lo mostrò a Dean.
“Chi è?” – domandò il biondo, aggrottando la fronte.
È Naomi”.
“Cos-? Naomi?” – ripeté l’altro.
Il moro annuì, ridendo.
L’ho scattata oggi, di nascosto”.
Dean si soffermò a guardare la foto della donna. Il corpo era rigidamente composto in un completo color grigio, mentre i capelli erano raccolti in un minimale chignon. Il volto traspariva durezza, austerità, mentre i suoi occhi sembravano capaci di scavare nella mente di una persona.
“È decisamente inquietante” – confermò il biondo.
Vero?
 
Una volta finita la crostata, Dean e Castiel rimasero distesi sul letto, in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo un po’, il moro prese il block notes, vi appuntò sopra qualcosa e lo appoggiò sulle gambe del biondo.
Come stai?
Dean si morse un labbro e, voltandosi verso l’altro, abbozzò un sorriso.
Castiel riprese in mano il taccuino, per poi mostrarglielo di nuovo, dopo qualche secondo.
La verità”.
Dean sospirò.
 
“Mi manca” – mormorò, guardandosi le mani.
Castiel rimase immobile a guardare l’altro.
Il viso di Dean sembrava stanco e gli occhi erano visibilmente cerchiati. Con tutta probabilità, il ragazzo non riusciva a dormire bene, o addirittura non dormiva affatto.
Il moro avvertì una fitta al petto. Non si sarebbe mai aspettato di vedere Dean in quello stato e, pertanto, non era preparato. Per lui il biondo era una persona forte, determinata, sicura di sé. Ma adesso, il ragazzo sembrava così fragile. Dean stava soffrendo. E la fitta al petto di Castiel aumentò di intensità.
“Sai” – riprese piano l’altro – “Volevo chiamarla” – ammise – “Più volte ho preso in mano il telefono e …” – si interruppe – “Ma alla fine mi sono imposto di non farlo”.
Dean si portò l’indice e il pollice alla radice del naso, stringendo leggermente e strizzando gli occhi. Sentì di nuovo il block notes sulle gambe.
Io non so niente di queste cose, ma…credo che tutto questo sia normale”.
Il biondo sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi blu del moro. Erano così limpidi, sinceri. E fu in quel momento che Dean ebbe la certezza che Castiel avrebbe mantenuto la promessa. Che non sarebbe cambiato mai.
“Cas, perché sei venuto?”
Ero preoccupato. E lo sono anche gli altri”.
“Gli altri, eh?” – sospirò il giovane.
Castiel annuì.
“Non sono stato molto socievole ultimamente, uh?” – chiese conferma Dean – “È che…” – tentò poi, gesticolando con le mani e cercando di trovare le parole adatte.
Volevi stare da solo”.
Il biondo chiuse gli occhi e annuì.
 
“Quella sera” – riprese Dean – “Quando sono tornato a casa…l’unica cosa che volevo fare era gridare. Gridare e spaccare tutto”.
E l’hai fatto?
L’altro scrollò la testa. Si allungò verso il comodino vicino e prese il cellulare. Con un rapido gesto, sbloccò lo schermo e lo fissò.
“Devo ancora abituarmi” – borbottò.
Castiel lo osservò, con aria interrogativa.
“La foto” – spiegò il biondo, mostrando il display all’altro – “L’immagine di sfondo che avevo prima era una foto mia e di…” – si interruppe.
“L’abbiamo…” – si schiarì la voce – “L’abbiamo fatta la prima volta che siamo usciti insieme” – continuò – “L’ho tenuta per qualche giorno, ma…non riuscivo più a guardarla. E così…l’ho tolta.”
 
Dean, perché tu e Lisa vi siete lasciati?
Il biondo sospirò. Avrebbe dovuto aspettarsi una domanda simile da Castiel, prima o poi. E si rese conto di non essere in grado di rispondergli, perché, a dire la verità, in fondo non lo sapeva nemmeno lui.
“Io…non lo so” – ammise, passandosi una mano sul viso – “Ultimamente litigavamo spesso. E c’erano dei momenti in cui non la riconoscevo più. Sembrava così diversa dalla ragazza che avevo conosciuto…o che credevo di conoscere. Ho pensato che fosse solo un periodo così, e che, prima o poi, tutto sarebbe tornato come prima. E invece…”
Abbassò lo sguardo e serrò la mascella.
“Quella sera, in macchina…mi hai chiesto se ero triste” – disse poi, sollevando gli occhi e guardando Castiel.
Il ragazzo annuì.
“Credo di esserlo stato…almeno all’inizio” – ammise – “Ora invece…sono deluso. E…continuo a chiedermi se ho sbagliato qualcosa…”
Dean indugiò, stropicciandosi i lembi della maglietta con le mani.
“Io stavo bene con lei” – riprese – “Ho avuto altre ragazze, è vero, ma…nessuna è stata come lei. E con nessuna è durata così tanto…”
 
Il biondo si sistemò meglio sul letto, sentendosi all’improvviso un po’ a disagio.
“È…è la prima ragazza con cui ho fatto sesso…”
Castiel agganciò gli occhi di Dean.
Io credo che Lisa avrà sempre un posto speciale nel tuo cuore”.
Dean schiuse le labbra.
È stata una persona importante per te. È stata la ragazza con la quale sei stato per più tempo, e…quella con cui hai fatto l’amore la prima volta”.
Il moro indugiò un attimo, facendo dondolare la penna tra indice e pollice.
Con lei hai avuto le tue prime volte più importanti, Dean”.
Il biondo rimase ad osservare il block notes e a rileggere più volte quell’ultima frase.
“Cas…”
Castiel gli sorrise.
Dean sospirò e appoggiò delicatamente la testa sulla spalla del moro. Si portò le dita della mano destra al mento e poi le allontanò in avanti e verso il basso, facendo leva sul gomito. Grazie.
 
 
°°°
 
 
Dean era ancora avvolto nel suo bozzolo caldo fatto di coperte, quando fu svegliato dal rumore di qualcosa che colpì la finestra della sua stanza. Socchiuse gli occhi, controvoglia, e si accorse che una luce rischiarava la camera in maniera anomala. Rivolse un’occhiata alla finestra, per constatare che le tende erano chiuse. Nuovamente, qualcosa batté contro i vetri della finestra. Il biondo aggrottò le sopracciglia, ancora prigioniero di una tiepida sonnolenza.
“Dean!”
La voce che gli giunse alle orecchie era lontana, ovattata, ma il ragazzo la riconobbe subito: era quella di suo fratello.
“Svegliati, Dean!”
Il biondo scostò leggermente le coperte e sospirò. Batté le palpebre un paio di volte e si svegliò completamente. Di nuovo, un rumore sordo, simile ad un tonfo, colpì la finestra.
“E dai, Dean!”
Il maggiore dei Winchester si mise seduto, borbottando qualcosa e stropicciandosi gli occhi con le nocche delle mani. Abbandonò, con un certo disappunto, il calore delle coperte e scese dal letto, rabbrividendo subito per la differenza di temperatura. Si avvicinò alla finestra, sbadigliando sonoramente e grattandosi la pancia. Quando scostò le tende, una forte luce lo costrinse a strizzare gli occhi.
“Ma cosa…?”
E poi lo vide. Di fronte a lui era tutto bianco. I tetti delle case, le strade, i giardini. Aprì la finestra e fu investito subito da una ventata di aria gelida che gli fece pizzicare gli occhi. E sorrise. Mancavano pochi giorni al Ringraziamento e a Lawrence era arrivata la neve.
 
“Finalmente!” – gridò una voce, sotto di lui.
Il ragazzo abbassò lo sguardo e si sporse leggermente dal davanzale. Sam lo stava osservando dal prato di fronte alla casa, con un cipiglio divertito e con in mano quella che sembrava essere una palla di neve.
“Sammy, ma cosa…” – tentò il maggiore, prima di vedersi arrivare in faccia una palla di neve, che riuscì a schivare all’ultimo momento.
“Sam, questa me la paghi!” – lo minacciò Dean.
Il minore iniziò a ridere.
“Forza, Dean! Scendi e vediamo che sai fare!” – rimbeccò Sam.
“Oh, ti pentirai di avermi sfidato, piccoletto! Aspettami lì che scendo!” – ribatté l’altro, puntando il dito contro il fratello e cercando di nascondere un ghigno.
Il ragazzo richiuse la finestra e si diresse verso l’armadio. Si vestì in fretta e si precipitò fuori dalla stanza, scendendo rapidamente le scale e sgusciando fuori dalla porta di casa.
Una volta sul portico, si soffermò a guardare quella distesa di bianco. Era tutto così chiaro, limpido, silenzioso. Doveva aver nevicato parecchio durante la notte, perché molte macchine, parcheggiate lungo i vialetti delle case vicine, lasciavano intravedere solamente le ruote.
All’improvviso, qualcosa di freddo e di umido lo colpì in pieno sul collo, facendolo sussultare.
“Sammy, il collo non vale!” – trillò Dean, cercando di scrollarsi di dosso la neve.
“Non ci sono regole quando si gioca a palle di neve” – ridacchiò Sam, prima di iniziare a correre, inseguito dal fratello maggiore.
 
“Chi sarà a quest’ora?” – chiese James, sollevando lo sguardo dalla propria colazione, dopo aver sentito il campanello di casa suonare – “Di sabato, poi…”
La famiglia Novak era seduta al tavolo della cucina, intenta a consumare il primo pasto della giornata.
Amelia fece per alzarsi, ma una mano le si posò delicatamente su una spalla.
“Vado io, tesoro” – intervenne il marito, sorridendo.
La donna annuì, ricambiando il sorriso.
L’uomo si alzò dalla sedia e, uscendo dalla cucina, si incamminò lungo il corridoio fino all’ingresso.
“Dean” – disse sorpreso James, dopo aver aperto la porta.
“Buon giorno, signor Novak, scusi il disturbo…c’è Cas?”
“Cas?” – fece eco l’uomo.
“Ehm…Castiel” – si corresse subito il biondo, schiarendosi la voce.
James sorrise, divertito.
“Ehi, Cas!” – esclamò Dean, puntando lo sguardo oltre le spalle dell’uomo di fronte a lui.
A quelle parole, James si voltò, in tempo per vedere il figlio dietro di sé.
“Eccolo qui” – disse poi.
Castiel guardò ora il padre, ora Dean, inclinando leggermente il viso, con aria interrogativa.
“Dean ti cercava” – spiegò l’uomo.
Il moro annuì, per poi puntare gli occhi sul biondo e sorridere.
“Cas, vieni a lanciare palle di neve con me e Sam?” – chiese raggiante il ragazzo.
Castiel schiuse le labbra e si voltò verso il padre.
L’uomo sorrise e con un gesto del capo, lo incitò ad andare.
“Ma non prendere freddo” – si raccomandò James, prima di congedarsi e rientrare in casa.
 
Quando Castiel fu pronto, uscì sul portico e si fermò, guardandosi intorno. Il riverbero della luce sul candore della neve costrinse il moro a socchiudere leggermente gli occhi. L’aria era fredda e pizzicava le guance, che ben presto si arrossarono. Inspirò a fondo, facendo poi una smorfia, perché l’aria gelida gli graffiò le cavità nasali, inumidendogli gli occhi.
“Copriti bene, Cas, fa davvero freddo” – intervenne Dean, mentre gli sistemava meglio la scarpa al collo – “I guanti li hai?”
Il moro annuì.
“Ok, mettili allora. Dov’è il berretto?”
Il ragazzo lo sfilò dalla tasca della giacca, insieme ad un paio di guanti.
“Dammi qua” – disse il biondo, prendendogli il berretto dalle mani e calcandoglielo sulla testa, fin quasi a coprire gli occhi – “Così va bene” – concluse, sorridendo.
Castiel osservò l’altro e con un gesto indicò il suo abbigliamento. Dean non indossava né la sciarpa né un berretto, ma solo una giacca pesante e un paio di guanti.
Il biondo si guardò un attimo e poi capì.
“Nah, sto bene così. E poi io non mi ammalo mai” – lo tranquillizzò.
Il moro sorrise.
“Andiamo, dai”.
 
“Ehi, non vale!” – si lamentò Dean, dopo essere riuscito a schivare l’ennesima palla di neve.
Castiel e Sam, a qualche metro di distanza, ridevano di gusto.
“Siete due contro uno!” – continuò il biondo – “Cas, credevo che fossimo amici! E tu Sammy, ti ricordo che sono tuo fratello!”
Il minore rise più forte e spalancò le braccia, per poi lasciarsi cadere all’indietro e atterrare sulla neve morbida.
Dean si avvicinò, sorridendo.
Sam iniziò a muovere le braccia su e giù e a divaricare le gambe più volte, disegnando così un angelo di neve con il proprio corpo.
“Dai, Dean, fallo anche tu!” – lo esortò il più piccolo, ridacchiando.
“Sam, non ho più due anni…” – tentò, ma fu interrotto da una palla di neve che lo colpì alla sprovvista in pieno viso.
“Cas!” – lo richiamò il biondo.
Il moro rise e, allargando le braccia, si lasciò cadere sulla neve vicino a Sam, dando poi vita anche lui ad un angelo di neve.
Dean alzò gli occhi al cielo e si arrese.
“E va bene, va bene, arrivo!”
 
 
°°°
 
C’è qualcosa che non va?
Castiel mise il block notes sotto gli occhi di Dean.
Il biondo sussultò un attimo, richiamato da quel gesto.
Era un pigro pomeriggio di inizio dicembre e, come ormai di consuetudine, i due ragazzi si erano ritrovati per fare i compiti insieme. Quella volta erano a casa di Dean, nella sua camera.
Nel corso del pomeriggio, Castiel aveva lanciato frequenti occhiate all’altro. Era preoccupato. Dean sembrava assente, distratto, e spesso il moro lo aveva sorpreso a fissare il vuoto davanti a sé, con il mento mollemente appoggiato sul palmo della mano. In un paio di occasioni lo aveva addirittura sorpreso con gli occhi chiusi.
Dean sollevò gli occhi dal block notes per incontrare quelli del moro.
“No, no, va tutto bene, Cas” – disse Dean, abbozzando un sorriso.
L’altro lo guardò, poco convinto, e riprese in mano il block notes, per annotarvi velocemente qualcosa.
Non mi sembra”.
“Cas, davvero, non c’è niente che non va” – sospirò il biondo.
Castiel posò la penna sulla scrivania e incrociò le braccia al petto, rivolgendo all’altro uno sguardo corrucciato.
“Cas…”
Il moro sollevò un sopracciglio, in attesa di una spiegazione.
Dean si lasciò andare stancamente contro lo schienale della sedia.
“E va bene…mi sento stanco” – ammise, stropicciandosi gli occhi con le mani.
Castiel sorrise leggermente.
“E…ho anche freddo” – aggiunse, tirando le maniche del maglione sulle mani. “In questa stanza si gela. Cas, tu non hai freddo?” – chiese poi.
Il moro inclinò leggermente il viso e scrollò la testa. Si prese qualche secondo per osservare l’altro più attentamente. Poi si sporse in avanti, avvicinando il suo viso a quello di Dean.
“Cas, cosa…” – biascicò il biondo, portando leggermente la testa all’indietro.
Il ragazzo dagli occhi blu si ritrasse e prese il block notes.
Hai gli occhi arrossati”.
Dean aggrottò la fronte.
“Davvero?”
Castiel annuì.
E anche le guance sono un po’ arrossate”.
Il biondo riuscì a malapena a leggere l’ultima frase, quando si trovò una mano del moro appoggiata delicatamente sulla fronte. Sembrava incredibile, ma la mano di Castiel era fresca e confortevole. Dean provò un piacevole sollievo a quel tocco e si ritrovò a chiudere gli occhi.
Quando Castiel tolse la mano, Dean schiuse le palpebre a fatica e vide di fronte a sé lo sguardo preoccupato dell’altro.
Credo che tu abbia la febbre”.
Il biondo alzò le sopracciglia.
“Cosa? Nah, non è possibile, Cas. Te l’ho detto, io non mi ammalo mai” – disse, cercando di sdrammatizzare.
Castiel si alzò dalla sedia e si diresse verso l’armadio, sotto lo sguardo interrogativo dell’altro. Aprì un paio di ante, prima di trovare quello che cercava. Quando si voltò per tornare alla scrivania, teneva fra le mani una coperta in pile.
“Cas…” – tentò il biondo, quando il ragazzo gli fu vicino.
Il moro spiegò la coperta e la appoggiò sulle spalle di Dean, sistemandola al meglio in modo da avvolgerlo completamente.
“Cas, stai esagerando” – insisté il ragazzo, cercando di togliersi la coperta di dosso.
Le mani del moro si bloccarono sulle spalle dell’altro e strinsero la presa.
Dean sollevò lo sguardo e vide Castiel scrollare la testa.
“Ok, ok, va bene…” – si arrese.
Castiel prese in mano il block notes e lo mostrò all’altro.
Vado a chiamare tua madre”.
“Cos- no! Cas, lascia stare, davvero, non è niente” – pigolò il biondo, invano.
L’altro si era già allontanato e aveva già aperto la porta della camera.
Dean sbuffò, ma ben presto si lasciò coccolare dal tepore di quella coperta.
 
Quando Castiel fu di ritorno, Mary era con lui.
“Dean” – lo richiamò la donna, vedendo il figlio chino sulla scrivania e con la testa nascosta tra le braccia.
Il ragazzo sollevò di poco lo sguardo, socchiudendo gli occhi.
“Mamma…” – mormorò, mentre la madre gli tastava la fronte con il dorso della mano.
“Dean, hai la febbre” – sospirò lei.
Mary si voltò verso Castiel, rimasto in disparte.
“Avevi ragione, Castiel. Ha la febbre” – confermò la donna.
Il moro guardò Dean e le labbra si contrassero in una smorfia.
“Gli hai messo tu questa coperta addosso?” – chiese lei, sorpresa.
Il ragazzo annuì, per poi mostrarle il block notes.
Diceva di avere freddo”.
La signora Winchester lo osservò un attimo, e sorrise.
“Dean” – disse, rivolgendosi al figlio – “Su, è meglio che tu vada a letto” – lo incitò poi, posandogli una mano sulla schiena.
Il biondo mugolò qualcosa.
“No, fila a letto, Dean” – ribatté la donna, aiutandolo ad alzarsi e accompagnandolo verso il letto.
Mary scostò le coperte e fece stendere il figlio, per coprirlo bene.
“Vuoi anche questa coperta?” – chiese lei, indicando quella che gli aveva appena tolto dalle spalle.
Dean annuì leggermente.
“Va bene. Vado a recuperare un termometro, e vedo se abbiamo anche un antipiretico, non si sa mai” – disse la donna – “Tu stai qui al caldo e cerca di riposare un po’, ok?” – si raccomandò, prima di allontanarsi dalla stanza.
 
Castiel si avvicinò lentamente al letto, stringendo il block notes tra le mani.
Dean socchiuse le palpebre e lo vide lì, in piedi, accanto al comodino.
“Cas…” – biascicò il biondo.
Il moro fece un passo in avanti e incontrò lo sguardo dell’altro.
“Come si dice essere malati nella lingua dei segni?”
Il ragazzo abbozzò un sorriso. Unì il pollice e l’indice di ciascuna mano, puntando la sinistra al petto e la destra alla tempia.
“Che razza di gesto è?” – borbottò Dean, mentre chiudeva gli occhi.
Castiel sorrise, scrollando la testa.
Mary fu di ritorno nel giro di qualche minuto. Si avvicinò al letto e accarezzò la testa del figlio, chiamandolo.
“Mettiti il termometro e intanto prendi questa” – disse poi, porgendogli una compressa e un bicchiere di acqua.
Dean si sollevò leggermente sui gomiti, a fatica, aiutato dalla madre. Si mise una compressa in bocca e la mandò giù con un sorso d’acqua.
“È amara” – borbottò, con una smorfia sul viso, per poi lasciar ricadere la testa sul cuscino e chiudendo nuovamente gli occhi.
“Fa sempre così, quando deve prendere delle medicine” – sorrise Mary, rivolta a Castiel.
Il moro ricambiò il sorriso.
“Vado in cucina a preparargli qualcosa di leggero, se dovesse avere fame, più tardi” – disse la donna, per poi allontanarsi.
Una mano si posò piano sul suo braccio e lei si voltò. Alle sue spalle Castiel le stava mostrando il block notes.
Posso rimanere?
La donna si soffermò su quella frase e sorrise.
“Ma certo che puoi rimanere, Castiel”.
Il moro sorrise e annuì.
 
Quando Mary uscì dalla stanza e fece per chiudere la porta, indugiò un attimo, soffermandosi a guardare.
Castiel aveva preso una sedia dalla scrivania e l’aveva posizionata accanto al letto. Poi si sedette e rimase lì, ad osservare Dean, che nel frattempo si era addormentato.
La signora Winchester chiuse piano la porta e, mentre percorreva il corridoio per scendere al piano di sotto, ripensò a quanto appena visto e non poté fare a meno di sorridere.
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Santo cielo, siamo già al capitolo nove! Mi sembra ieri di aver iniziato la pubblicazione di questa storia!
In questo aggiornamento vediamo Dean alle prese con il dopo-Lisa, un momento indubbiamente difficile per il ragazzo. Per fortuna può contare sull’affetto dei suoi amici e soprattutto sulla presenza di Castiel. E questi momenti, che i due passano insieme anche in questo capitolo, rafforzano ulteriormente il loro rapporto di amicizia, gettando le basi per qualcosa di più (si spera).
È un capitolo pieno di fluff questo, godetevelo perché non so per quanto durerà eh eh eh! E fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima! Sara
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Questa settimana non c’è niente da spiegare, ma vi lascio delle fan art. Le prime due le ho trovate questa settimana e ci tenevo particolarmente a metterle. Peccato non sapere chi le abbia fatte!

   

          

     

 

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO DIECI
 
“Tutto il mio vagare, dunque,
era un cammino verso di te”
 
Herman Hesse
 


 
“Mary?” – la richiamò una voce.
La donna alzò lo sguardo e incrociò gli occhi del marito che la stavano fissando.
John le si avvicinò e si sedette sul divano accanto a lei.
“Va tutto bene?” – chiese lui, prendendo una mano della donna tra le sue.
Mary sorrise e annuì.
“Mi ero un attimo persa nei ricordi” – sospirò lei, portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio con le dita, e osservando il grande albero, ancora da addobbare, vicino alla finestra.
Dean e Sam erano intenti a frugare all’interno di alcuni scatoloni, creando forse più confusione che altro.
“Ricordi?” – fece eco l’uomo.
Mary si voltò verso di lui e sorrise.
“Il Natale di diciotto anni fa”.
Il marito schiuse le labbra, sorpreso. E poi, abbassando lo sguardo, sorrise anche lui.
 
“Oh, John, è bellissimo!” – esclamò Mary, portandosi entrambe le mani al viso per lo stupore.
John si voltò e si passò una mano sulla fronte, sbuffando soddisfatto. Aveva appena portato in casa un grosso abete e, non senza difficoltà, era riuscito a collocarlo in salotto, accanto alla finestra. Era il primo albero che lui e la moglie si erano potuti permettere di comprare, da quando si erano sposati. Con la casa da sistemare e i con soldi che lui guadagnava, non avevano potuto concedersi spese extra. Tuttavia, quell’anno, avevano deciso di fare uno strappo alla regola. Quell’anno era speciale.
Con un sorriso sulle labbra, l’uomo si avvicinò alla donna e le si affiancò, cingendole le spalle con un braccio.
“Ti piace?”
“Sì, John, è stupendo” – rispose lei.
“E aspetta di vederlo tutto decorato e con le luci accese”.
“Ho già in mente un sacco di cose” – ammise lei, raggiante, iniziando a spiegare al marito i suoi progetti per la decorazione.
“E poi voglio mettere un angelo sulla cima e…”
“Ehi, ehi, calma” – la interruppe dolcemente l’uomo, posandole una mano sul pancione – “Non voglio che tu faccia troppi sforzi”.
“Io sto bene…e anche lei” – lo rassicurò la donna, ricercando la mano di lui con la sua.
“O lui” – sottolineò John, sorridendo.
“Già…o lui” – sorrise anche lei.
“Allora, per il nome…”
Mary sospirò e il suo sorriso si fece più debole.
“Se fosse una femmina, mi piacerebbe chiamarla come mia madre” – sussurrò poi.
L’uomo la strinse di più a sé e posò le sue labbra sulla sua tempia.
“Mi manca molto…tutti e due…mi mancano molto”.
“Lo so, tesoro, lo so…”
 
“Mamma, questo va sulla cima, vero?”
La voce di Dean destò entrambi i genitori da quel ricordo. Il maggiore era in piedi di fronte a loro e teneva in mano una decorazione a forma di angelo. La donna posò gli occhi su quell’oggetto e sorrise. Era una decorazione piuttosto semplice, ma a Mary era piaciuta subito. Un angelo tutto bianco, con le ali spiegate, e che teneva in mano una piccola stella dorata.
“Sì, tesoro, va sulla cima. Mettilo lì da parte, poi ci penso io”.
Il ragazzo annuì e si allontanò, per raggiungere il fratello ed aiutarlo con un altro scatolone.
La madre rimase ad osservarlo per qualche secondo.
“Sta crescendo così in fretta. Tra poco più di un mese compirà diciotto anni” – disse, mentre stringeva un lembo del grembiule tra le mani.
“Già…” – concordò il marito, accanto a lei.
 
“Dean?” – lo chiamò Sam.
“Uhm?” – rispose il fratello, sollevando lo sguardo da quel groviglio di fili e luci che aveva tra le mani.
“Hai già pensato a cosa regalare a mamma e papà?”
Il biondo sospirò, riportando l’attenzione a quel nodo che si era formato tra i fili e che non ne voleva proprio sapere di sciogliersi.
“No, non ancora” – ammise.
“Dean, mancano solo due settimane a Natale!” – lo rimproverò il minore.
“Lo so, lo so” – rispose, sbuffando – “E tu, invece, che mi dici? Hai in mente qualcosa?”
Il più piccolo annuì, mentre spostava uno scatolone vuoto, accatastandolo vicino agli altri.
Dean alzò le sopracciglia.
“Davvero?”
“Sì, devo solo comprali”.
“E cosa gli regalerai, allora?” – chiese il maggiore, curioso.
Sam incrociò gli occhi dell’altro e ghignò.
“Segreto”.
“E dai, Sammy, dimmelo!”
 
“Io…volevo fare un regalo a Ruby” – disse titubante Sam, rigirandosi una pallina rossa tra le mani.
Dean lo guardò con la coda dell’occhio e sorrise.
“Ma non so cosa…” – aggiunse sospirando il più piccolo.
“Prova a pensare a cosa le piace. Che so, se ha qualche hobby, qualche interesse, cose così” – suggerì il più grande.
Sam rimase un attimo in silenzio, perso nei suoi pensieri.
“E tu, invece? Cosa regalerai a Lisa?” – chiese poi.
Dean sussultò a quella domanda, perdendo la presa su un filo colorato e facendolo cadere a terra.
“Dean?” – lo richiamò il minore.
Il ragazzo si chinò piano e raccolse il filo. Se lo rigirò tra le mani, mordendosi un labbro.
“Sam” – iniziò, schiarendosi un po’ la voce – “Io…non farò un regalo di Natale a Lisa”.
“E perché?” – chiese l’altro, aggrottando la fronte.
“Ecco, vedi Sammy…” – arrancò Dean, stringendo il filo tra le dita – “Io e Lisa non stiamo più insieme” – mormorò infine.
“Cosa?!” – trillò il minore.
“Shhh! Sammy, non gridare!” – lo rimproverò a bassa voce il biondo, guardandosi intorno con circospezione.
“Ma…perché? E quando è successo?” – incalzò l’altro.
Dean gettò malamente il filo sul tavolino lì accanto e si passò una mano sul viso.
“È…è successo ad Halloween” – borbottò poi.
“Ad Halloween?” – fece eco il più piccolo.
Il maggiore chiuse gli occhi e annuì.
“E me lo dici solo adesso?” – esclamò l’altro, risentito.
“Shh! Sam! Ti ho già detto di non gridare!”
Sam sospirò e puntò i suoi occhi su quelli di Dean.
“Perché?”
“P-perché cosa?”
“Come cosa? Perché vi siete lasciati, no?” – insisté il più piccolo.
“Chi si è lasciato?”
Una voce alle loro spalle li fece sussultare. Si voltarono entrambi contemporaneamente e videro la madre in piedi, di fronte a loro. Teneva tra le mani la decorazione a forma di angelo.
Dean distolse velocemente lo sguardo e lo posò altrove.
La donna guardò entrambi, con aria interrogativa.
“Cosa succede?” – chiese poi, invano.
Nessuno dei due figli diede cenno di voler rispondere.
Mary sospirò, accarezzando con le dita l’oggetto che aveva in mano.
“Allora, qualcuno di voi mi dice cosa succede? – tentò di nuovo la donna, dolcemente.
“Io e Lisa ci siamo lasciati” – sussurrò Dean, spostando il peso del suo corpo da una gamba all’altra.
“Oh” – si lasciò sfuggire la donna, dispiaciuta – “E quando… “
“Ad Halloween” – la interruppe bruscamente il maggiore.
“Ma…”
“Sì, lo so, è passato un po’ di tempo e non ve l’avevo ancora detto. Mi dispiace, ok?” – la interruppe di nuovo il biondo, gesticolando con le mani, spazientito.
“Dean…”
“È che…”
“Dean!” – lo richiamò lei.
Il figlio si morse un labbro e abbassò lo sguardo.
Mary fece un passo in avanti e si avvicinò a lui.
“Mi dispiace” – esordì piano lei.
La donna si scostò leggermente e appoggiò la decorazione sul mobile lì accanto.
“Guardami, Dean” – gli disse poi.
Dean sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi della madre.
“Stai bene?” – chiese lei, dolcemente.
Il ragazzo deglutì e annuì un paio di volte.
Mary sorrise e, allargando le braccia, strinse il figlio a sé, abbracciandolo.
“Posso abbracciarti, vero?” – chiese lei, con una punta di ironia nella voce – “O sei diventato troppo grande?”
Dean non rispose, ma ricambiò l’abbraccio, artigliando le mani sul maglione di lei.
 
 
°°°
 
 
Castiel chiuse la manopola dell’acqua e aprì l’anta scorrevole del box doccia. Mise i piedi sul nudo pavimento, iniziando ben presto a gocciolare. Allungò una mano e afferrò un asciugamano. Tamponò velocemente il corpo, soffermandosi sui capelli, che frizionò con decisione. Infine, si avvolse l’asciugamano attorno alla vita e, con cautela, si avvicinò al lavello. Fece scivolare una mano sullo specchio, togliendo la condensa che vi si era formata. Si soffermò sul suo riflesso e sospirò. Portò una mano al collo e lo massaggiò delicatamente, deglutendo un paio di volte e tirando le labbra in una smorfia. Gli faceva male la gola, ma, d’altronde, avrebbe dovuto aspettarselo. Indugiò ancora un attimo, per poi uscire dal bagno e raggiungere la sua camera. Si vestì, indossando un paio di jeans e un maglione scuro, e, dopo aver dato un’altra frizionata ai capelli, tornò nel bagno. Abbandonò l’asciugamano nella cesta della biancheria e poi si avvicinò al mobiletto lì accanto, aprendo un cassetto e tirandone fuori una boccetta di collirio. Con un gesto rapido ne sfilò il tappo, tirò indietro la testa e lasciò cadere un paio di gocce del liquido in entrambi gli occhi.
Quando uscì dal bagno, strizzava ancora le palpebre. Quella giornata era stata piuttosto impegnativa. Naomi aveva deciso di aggiungere tre ore pomeridiane a quelle della mattina, sostenendo che fossero indietro con il programma scolastico. E seguire il labiale della donna per tutto quel tempo, aveva fatto stancare ben presto gli occhi del moro.
Castiel si incamminò lungo il corridoio e prese le scale per scendere al piano inferiore. Quando entrò in salotto, la madre si voltò e gli sorrise.
“Allora, ti piace?” – chiese Amelia, dopo aver sistemato l’ultima decorazione sul loro albero di Natale.
Il figlio sorrise, raggiante, e annuì. Il ragazzo si avvicinò e con i polpastrelli delle dita sfiorò una decorazione di color argento, impreziosita da un fine disegno brillantato.
La madre gli posò una mano sul braccio, attirando così la sua attenzione.
“Grazie, per avermi aiutato a decorarlo” – disse lei, ricevendo in cambio un altro sorriso dal moro – “Lo accendiamo?” – chiese poi.
[…]
“Papà ha appena chiamato. Dice che farà tardi anche stasera. Sai, la contabilità di fine anno…” – sospirò la donna.
[…]
“Tuo fratello non è ancora rientrato”.
“E invece eccomi qui” – la interruppe Balthazar, entrando nella stanza, sorridendo.
Amelia si voltò e ricambiò il sorriso, imitata da Castiel.
“Allora, l’albero è finito?” – chiese il ragazzo, abbandonando la borsa a tracolla sul divano e avvicinandosi alla madre e al fratello.
“Sì, io e Cassie stavamo giusto per accenderlo. Ti va di unirti a noi?”
“Certo” – sorrise il maggiore.
Amelia si allontanò dai due ragazzi e si diresse verso il lato opposto dell’albero. Si chinò e iniziò a trafficare con le spine di collegamento. Quando premette l’interruttore, un tripudio di lucine colorate avvolse completamente l’albero. Le decorazioni brillarono di luce riflessa, dando luogo ad un caleidoscopio di colori senza fine.
“È bellissimo, mamma” – disse il maggiore, cingendole la spalla con un braccio.
“Grazie” – sorrise la donna – “È merito anche di tuo fratello, sai? Non sarei riuscita a fare tutto senza il suo aiuto”.
La madre e il figlio rivolsero lo sguardo a Castiel. Il ragazzo era in piedi, vicino all’albero, e con una mano cercava di catturare il riverbero di qualche luce, che sulla sua pelle assumeva sfumature indefinite. Amelia e Balthazar lo videro sorridere. Entrambi si scambiarono una rapida occhiata e sorrisero anche loro.
 
“Vado a preparare la cena” – esordì dopo qualche minuto la donna – “Anche se credo che stasera saremo solo noi tre a tavola. Vostro padre rientrerà tardi” – aggiunse, rivolta al maggiore.
“Ok, allora io vado a farmi una doccia” – sospirò il ragazzo, riprendendo la tracolla dal divano.
Castiel, nel frattempo, si era seduto in un angolo del divano, a gambe incrociate e con un libro aperto appoggiato sopra. Si portò una mano alla gola, deglutendo con una leggera smorfia sul viso.
Un tocco sulla spalla attirò la sua attenzione. Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi del fratello che lo guardavano.
“Cassie, tutto bene?” – chiese Balthazar.
Il moro indugiò un attimo e poi annuì.
“Sicuro?”
Il minore annuì di nuovo, abbozzando un sorriso.
“Ok” – sorrise l’altro, prima di voltarsi e allontanarsi.
Castiel lo seguì con lo sguardo, finché non lo vide sparire dietro la porta del salotto. Riportò gli occhi sul libro e si toccò ancora il collo con la mano. E sospirò.
 
James aprì la porta di casa e se la richiuse subito alle spalle. Il tepore che lo accolse lo fece sospirare. Appoggiò la ventiquattr’ore a terra, iniziò a togliersi i guanti e la sciarpa e, infine, sfilò dalle spalle il trench, riponendo poi il tutto nell’armadio posto lungo il corridoio, dopo l’ingresso. Si inoltrò nella casa, agganciando due dita alla cravatta, allentandola. Fece capolino in cucina e vide sul tavolo quella che doveva essere la sua cena, adeguatamente ricoperta con un piatto. Sospirò di nuovo e guardò l’ora sul display del microonde, con un certo disappunto: le 21:47.
Ad un tratto, la sua attenzione fu catturata da un tiepido bagliore che proveniva dal salotto. Indugiò un attimo, per poi percorrere l’ultimo tratto di corridoio e ritrovarsi nella stanza. Il salotto era al buio, tuttavia le sue pareti erano rischiarate dalle luci dell’albero, che nell’oscurità brillavano con maggiore intensità. L’uomo sorrise.
“Sei tornato” – disse flebile una voce.
James si voltò leggermente e vide la moglie seduta sul divano, le braccia abbandonate in grembo e lo sguardo perso in quel gioco di luci e colori.
“Mi dispiace aver fatto così tardi” – mormorò lui, avvicinandosi e sedendosi sul divano, accanto a lei.
Amelia appoggiò la testa sulla spalla del marito, ricercando un contatto. L’uomo le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé, posandole un delicato bacio tra i capelli. Rimasero in silenzio.
 
“Amelia, va tutto bene?” – esordì ad un tratto il marito, dopo aver adocchiato un bicchiere di vino mezzo vuoto sul tavolino di fronte.
James aveva visto la moglie bere fuori dai pasti solo in una occasione. E fu quando Castiel diventò sordo.
“Credo di essermi lasciata sopraffare dai ricordi” – ammise lei, interrompendo così il flusso di pensieri di lui.
L’uomo sospirò.
“Ogni volta che guardo un albero di Natale, non posso fare a meno di pensare a…” – si interruppe lei.
“Amelia…”
“Quell’anno…non ha voluto decorare l’albero con me” – continuò – “E non voleva nemmeno scartare i regali, la mattina di Natale…”
La donna si strinse di più contro il corpo dell’uomo.
“Sai, stasera abbiamo acceso le luci dell’albero prima di cena e lui…ha sorriso. Dovevi vederlo come sorrideva, James. Era da tanto che…”
James le posò una mano tra i capelli, facendo scorrere le lunghe ciocche tra le dita.
“Quando ci siamo trasferiti qui qualche mese fa, lo ammetto, io…non ero affatto contenta. A Pontiac avevamo fatto così tanta fatica per raggiungere un equilibrio, dopo quello che era successo…e io avevo paura. Una nuova città, una scuola diversa per me, un cambio di college per Balthe…un altro tutor per Castiel…lasciare i nostri amici. E invece…sto cominciando a pensare che sia stata la cosa migliore che ci sia capitata, soprattutto per Cassie…è così sereno, sorride di più, ed è andato persino ad una festa di Halloween”.
“Avevo paura anch’io” – ammise l’uomo – “E mi sentivo terribilmente in colpa, perché alla fine ci stavamo trasferendo per via del mio lavoro…”
“Non è stata colpa tua, se l’azienda ha ridotto il personale…”
“Lo so, ma mi sento responsabile per la mia famiglia”.
Amelia sollevò lo sguardo e ricercò gli occhi del marito.
“Stiamo bene, James. Io ho un lavoro, Balthe sta terminando i suoi studi, e Castiel…c’è qualcosa di diverso in lui, qualcosa di luminoso…” – lo tranquillizzò lei, sorridendo.
Anche James sorrise e posò teneramente le labbra sulla fronte di lei. Amelia si lasciò cullare da quel tocco e dall’abbraccio protettivo del marito.
 

°°°

 
I marciapiedi brulicavano di gente. Mancava una settimana al Natale e nel centro di Lawrence le persone si affannavano nella corsa ai regali natalizi. In quel periodo dell’anno la città cambiava completamente aspetto, soprattutto al calar della sera. Le vetrine dei negozi erano illuminate a giorno e sembravano trasmettere un senso di calore, in netto contrasto con la rigida temperatura esterna. Fili di luci dorate si estendevano da una parte all’altra delle strade, intrecciandosi al centro per creare disegni decorativi sospesi nell’aria. Ad ogni isolato, un uomo vestito di rosso e con la barba bianca, perfettamente calato nella parte, scuoteva un campanellino, intonando canzoni natalizie, sotto gli sguardi meravigliati dei bambini. Dalle panetterie e dalle pasticcerie giungevano dolci fragranze, di tutti i tipi e per tutti i gusti.
“Cas, che ne dici di questo?” – chiese Dean, mostrando un vinile all’amico.
Il biondo aveva chiesto a Castiel di accompagnarlo a cercare un regalo per i genitori. E, dopo aver girovagato, lo aveva letteralmente trascinato in un negozio di musica.
Il moro osservò l’oggetto nelle mani di Dean, inclinando leggermente la testa, con aria interrogativa.
“È un album dei Beatles” – spiegò l’altro – “Li conosci, vero?”
Castiel annuì. Prese in mano il block notes e vi appuntò qualcosa.
Pensi che a tua madre possa piacere?
“Beh, sì lei adora i Beatles. E poi, In quest’album, c’è ‘Hey Jude’. È la sua canzone preferita” – asserì Dean, sorridendo.
Il moro osservò il viso dell’altro e sorrise. Lo aveva già notato in passato: quando parlava della sua famiglia, Dean sembrava illuminarsi.
In questo caso, mi sembra perfetto”.
 
“Cas, tu hai già comprato tutti i regali?” – chiese Dean.
Dopo aver pagato il vinile, erano usciti dal negozio e si erano mescolati in mezzo alla moltitudine di persone che invadevano il marciapiede, attardandosi tra una vetrina e l’altra.
Castiel annuì.
“Io devo ancora comprare il regalo per mio padre” – sbuffò il biondo.
Hai qualche idea?
“Veramente no” – ammise l’altro – “Ma mi inventerò qualcosa” – aggiunse, ridendo.
Dean sentì una mano strattonargli delicatamente la manica della giacca. Quando si voltò, vide gli occhi blu di Castiel che lo stavano guardando.
“Che c’è, Cas?” – chiese curioso.
Il moro rivolse il suo sguardo altrove e, sollevando un braccio, puntò l’indice della mano verso una direzione.
Dean seguì quella direzione con gli occhi. Nella grande piazza antistante, numerose transenne delimitavano un ampio spazio rettangolare, illuminato da quattro potenti fari, collocati a ciascun angolo. Una piccola folla di persone ne circondava il perimetro, mentre lì accanto svettava imponente un grosso abete, decorato in maniera sfarzosa.
Dean si voltò di nuovo verso Castiel e sorrise, raggiante. Con una mano afferrò il polso del moro e si incamminò a grandi passi verso quella direzione. Quando furono nelle vicinanze, il biondo cercò di farsi spazio tra le numerose persone presenti, senza mollare la presa sul polso dell’altro, che, a fatica, riusciva a stargli dietro. Nel momento in cui raggiunse le transenne, Dean si fermò e trascinò delicatamente Castiel accanto a sé. Il moro rischiò quasi di inciampare sui suoi stessi passi, ma riuscì ad evitarlo, portando una mano in avanti e appoggiandosi ad una delle transenne. Quando alzò lo sguardo, schiuse le labbra, sorpreso. Quella che aveva davanti agli occhi era una pista per il pattinaggio su ghiaccio, appositamente improvvisata per il periodo natalizio.
Dean gli passò una mano di fronte al viso, catturando la sua attenzione.
“Ti piace?” – chiese, ridendo.
Castiel annuì, sorridendo di rimando.
“Ti va se domani veniamo qui a farci una pattinata?”
Il sorriso del moro si spense leggermente.
Non so pattinare”.
“Oh” – si limitò a dire il biondo, visibilmente deluso.
Castiel si affettò a scarabocchiare qualcosa sul block notes e a mostrarlo all’altro.
Possiamo venire lo stesso. Io ti guarderò da qui”.
Dean finì di leggere e sorrise.
“Ho un’idea migliore” – asserì – “Veniamo qui domani e io ti insegno a pattinare”.
Castiel scrollò la testa.
No, non mi sembra giusto. Perderesti solo del tempo per starmi dietro e non ti divertiresti”.
“Cas, non accetterò un ‘no’ come risposta” – ribatté il biondo.
Il moro alzò gli occhi al cielo.
E va bene”.
 

°°°
 

Non sono sicuro di voler fare questa cosa”.
Come stabilito il giorno precedente, i due ragazzi erano tornati in quella piazza con l’intenzione di passare un pomeriggio divertente e diverso dal solito. O, almeno, questa era l’idea di Dean. Castiel, invece, pur avendo ceduto alla proposta del biondo, continuava ad essere titubante a riguardo.
Il moro era seduto su una delle panchine disposte lungo i lati della pista di pattinaggio. Aveva appena indossato i pattini, aiutato da Dean, che ora si trovava in piedi, di fronte a lui. Anche Dean era già pronto ed era decisamente più a suo agio rispetto all’altro.
“Dean, che fate? Noi iniziamo ad andare”.
La voce di Sam fece voltare il biondo.
“Sì, sì, arriviamo. Ci vediamo in pista” – rispose il maggiore, ammiccando.
Il minore rispose con un gesto della mano e si allontanò per raggiungere una delle entrate di accesso alla pista. Subito dietro di lui, una graziosa ragazzina dai lunghi capelli neri lo seguiva.
Dean sorrise. Quando il giorno prima aveva proposto al fratello di andare a pattinare con lui e Castiel, Sam non se lo fece ripetere due volte e contattò subito Ruby. Lei accettò volentieri l’invito e si accordarono per incontrarsi nella piazza ad una determinata ora.
“Cas” – sospirò Dean, dopo essersi nuovamente voltato verso di lui.
Castiel lo guardò dal basso, con le spalle incurvate e due grandi occhi carichi di apprensione.
Dean tese le braccia e gli porse le mani, in un tacito invito.
Il moro guardò le mani del biondo, mordendosi un labbro, indeciso, per poi tornare a guardare l’altro.
“Ti fidi di me?” – chiese il ragazzo.
Castiel annuì, allungando poi le mani verso l’amico. Dean le strinse subito tra le sue in una presa salda e, facendo leva, lo aiutò ad alzarsi in piedi. Castiel iniziò subito a barcollare, non riuscendo a trovare la postura giusta. Guardò il biondo con occhi spalancati e scrollò la testa più volte.
“Ci sono io, Cas” – disse Dean, sorridendo e stringendo maggiormente le mani dell’altro nelle sue.
Il moro indugiò un attimo, deglutendo un paio di volte, e, alla fine, annuì.
Con calma, si avvicinarono ad una delle entrate e Dean fu il primo ad entrare sulla pista. Non appena Castiel mise un piede sulla superficie ghiacciata, la situazione sembrò peggiorare. Le gambe tremavano e i piedi facevano fatica a mantenere la posizione. Sembrava che, da un momento all’altro, le caviglie si potessero piegare di lato, in una posizione anatomicamente inaccettabile. Guardò nuovamente Dean, abbassando le sopracciglia.
“Coraggio, dai” – gli sorrise il biondo, ponendosi di fronte a lui e iniziando a scivolare con naturalezza all’ indietro, senza lasciare le mani dell’altro.
Dean pattinava bene. Aveva quei movimenti delle gambe e delle anche così sciolti, naturali. Castiel, invece, era rigido, ogni muscolo teso fino allo spasmo.
All’improvviso, Dean si fermò, allentando leggermente la presa sulle mani di Castiel che, preso dal panico, le strinse ancora di più.
“Cas, aspetta, fammi togliere i guanti. Così non ho abbastanza presa” – sorrise – “Toglili anche tu” – aggiunse, prendendo l’iniziativa e aiutandolo a sfilarli dalle dita, mettendoseli poi in tasca. Riprese le mani del moro tra le sue, e sorrise.
“Così va meglio, no?”
Castiel abbozzò un sorriso e annuì. Le mani di Dean erano calde e la loro presa forte trasmetteva al moro una certa sicurezza.
“Dai, continuiamo” – lo esortò il biondo, riprendendo a scivolare all’indietro.
 
“Un passo per volta. Fai scivolare un piede e poi l’altro, e piega un po’ le ginocchia. E non stare troppo dritto con la schiena” – spiegò Dean, mano a mano che procedevano lungo il bordo della pista.
Castiel annuì, abbassando poi lo sguardo.
Il biondo strinse due volte una delle mani del moro, per attirare la sua attenzione.
“E non guardarti i piedi” – sorrise.
L’altro fece una piccola smorfia di disappunto.
Ogni tanto, Castiel puntava per sbaglio la lama dei pattini sul ghiaccio e inciampava in avanti, ma Dean era sempre pronto a tenerlo per le mani e, qualche volta, a prenderlo per la vita. Mano a mano che passava il tempo, la tensione per non saper pattinare scivolò via da Castiel e il ragazzo cominciò ad acquisire maggiore scioltezza nei movimenti e, infine, a sorridere.
All’improvviso, Dean lasciò lentamente le mani dell’altro e scivolò via, allontanandosi di qualche metro, per poi fermarsi.
Castiel rimase immobile e lo guardò con il terrore negli occhi.
“Dai, raggiungimi” – disse Dean, accompagnando le parole con un gesto della mano.
Castiel scrollò la testa.
Il biondo tese le braccia verso l’altro e piegò le dita delle mani, come ulteriore incitamento.
Il moro si morse un labbro e iniziò a muovere un piede in avanti, scivolando di poco sul ghiaccio e concentrandosi sulla figura di Dean come meta finale. Quando fu abbastanza vicino, tese le braccia e ricercò le mani dell’altro, che risposero prontamente, afferrandolo.
“Eccoti qui” – sorrise Dean.
Anche Castiel sorrise.
“Vuoi provare ancora?”
L’altro socchiuse gli occhi un attimo, pensieroso. E infine annuì.
 
La luce del giorno cominciò ben presto a lasciare il posto al buio e l’aria si fece ancora più fredda. I fari della pista di pattinaggio si accesero e la superficie del ghiaccio iniziò a brillare. Il numero delle persone che occupava la pista, o che semplicemente si erano soffermate lungo il suo perimetro, aumentarono sensibilmente.
Dean e Castiel erano seduti su una delle panchine, intenti a togliersi i pattini.
“Dean” – disse Sam, avvicinandosi al fratello – “Posso rimanere ancora un po’?” – aggiunse, facendo un lieve cenno della testa a Ruby, che lo aspettava all’entrata della pista.
“Ok, ma non fare tardi, lo sai che poi la mamma si preoccupa” – rispose il maggiore – “Ah, Sammy?” – lo richiamò poi – “Stai attento per strada, quando torni a casa”.
Il minore annuì e salutò i due con un gesto della mano, prima di allontanarsi e raggiungere Ruby.
Castiel guardò il biondo e rise.
“Che c’è?” – chiese l’altro, con aria interrogativa.
Sai, mi ricordi Balthe”.
Dean alzò le sopracciglia, perplesso.
Quando ero piccolo era sempre apprensivo con me”.
“Io non sono apprensivo!” – si risentì il biondo.
Castiel gli lanciò un’occhiata sardonica.
L’altro sbuffò e alzò gli occhi al cielo, facendo nuovamente ridere il moro.
Castiel si sistemò meglio la sciarpa e si strinse nella giacca.
“Hai freddo?” – chiese Dean.
Il moro annuì.
“Vuoi tornare a casa?”
L’altro arricciò le labbra e scrollò la testa, poi prese il block notes e scrisse velocemente qualcosa.
Ti va una cioccolata calda? Offro io, per ringraziarti della lezione di oggi”.
 
Quando i due ragazzi entrarono da Milton, furono accolti da un piacevole tepore e da un miscuglio di fragranze molto gradevoli. Milton era una famosa caffetteria di Lawrence, e Dean sosteneva che lì si poteva bere la cioccolata calda più buona che avesse mai assaggiato. La caffetteria era piuttosto piena di gente, ma i due riuscirono a trovare un piccolo posto per sedersi, nell’angolo in fondo al locale.
“Ciao ragazzi, cosa vi porto?” – chiese una cameriera, avvicinandosi al tavolo.
“Due cioccolate calde” – disse Dean – “Ah, una con la panna montata e la cannella” – aggiunse poi.
Castiel guardò il biondo, con aria interrogativa, mentre la cameriera si allontanava.
“Aspetta e vedrai” – sorrise l’altro.
 
Una volta che le loro ordinazioni furono sul tavolo, Castiel fissò perplesso la cioccolata di Dean. La panna montata, screziata da una spolverata di cannella, strabordava letteralmente dalla tazza. Dean vi affondò il cucchiaino, per poi portarselo alla bocca, socchiudendo gli occhi e umettandosi le labbra.
“Cas, non guardarmi così. So a cosa stai pensando, ma ti assicuro che è buonissima” – asserì il biondo.
Il moro aggrottò la fronte, poco convinto.
L’altro affondò nuovamente il cucchiaino nella tazza e lo porse a Castiel.
“Assaggia” – disse poi.
Castiel sussultò leggermente, colto alla sprovvista.
“Dai, non ti uccide mica” – lo incitò Dean, con un cenno del capo.
Il moro si sporse leggermente in avanti e schiuse le labbra, permettendo all’altro di imboccarlo. Si prese qualche secondo per assaporare quel dolce miscuglio, leccandosi poi le labbra e annuendo soddisfatto.
“Te l’avevo detto” – rise Dean.
 
Dean mise le mani in tasca e si strinse a sé, rabbrividendo. Lui e Castiel erano appena usciti dalla caffetteria, e la differenza di temperatura si fece subito sentire. Il marciapiede era affollato e le persone si accalcavano davanti alle vetrine dei negozi, rallentando così il passaggio. Castiel si soffermò un attimo per indossare i guanti, quando qualcuno lo urtò, spingendolo in avanti e facendogli perdere l’equilibrio.
Dean lo prese per la vita e lo strinse a sé, impedendogli di cadere.
“Ehi! Potresti anche chiedere scusa!” – gridò allo sconosciuto, prima che quest’ultimo sparisse, inglobato dalla folla di persone – “Ma tu guarda…” – borbottò – “Tutto bene?” – chiese infine, rivolto al moro.
Castiel annuì.
“Dai, andiamo” – lo esortò Dean, prendendo la mano di Castiel e stringendola nella sua.
 
 
°°°
 

“Ehi, Cassie, dove vai?”
Castiel stava prendendo la giacca, quando una mano toccò la sua spalla. Si voltò e incrociò gli occhi del fratello.
[…]
“Sì, avevo vagamente intuito che stessi uscendo” – rispose Balthazar, ridendo – “È solo che…è la vigilia di Natale e tra poco sarà buio” – spiegò.
Il minore si morse un labbro, indugiando.
“E quello?” chiese poi curioso l’altro, puntando gli occhi sull’oggetto che Castiel teneva in mano.
Era un pacchetto, confezionato con carta da regalo di colore blu e un nastro argentato.
Il ragazzo strinse la mano attorno a quell’oggetto.
[…]
Il maggiore sorrise, malizioso.
“Un regalo per Dean…” – disse, grattandosi il mento – “E cosa gli hai regalato?”
Castiel si irrigidì e distolse lo sguardo, rigirandosi il pacchetto tra le mani.
Balthazar mise una mano sul braccio dell’altro, richiamandone l’attenzione.
“Se non me lo vuoi dire, non importa” – sorrise – “Qualunque cosa sia, sono sicuro che a Dean piacerà”.
Il moro rispose timidamente al sorriso e annuì.
Una volta indossata la giacca e la sciarpa, prese con sé anche il berretto e i guanti. Con un gesto della mano salutò il fratello e si diresse verso la porta d’ingresso.
Dopo essersi chiuso il portone alle spalle, scese i gradini del portico e si incamminò lungo il vialetto. All’improvviso si fermò e sorrise. Dean gli stava venendo incontro.
 
“Cas?” – disse Dean, sorpreso, quando si trovò di fronte Castiel.
Il moro sorrise e alzò la mano, in un gesto di saluto.
“Sono…ecco, stavo venendo da te” – spiegò il biondo, un po’ imbarazzato.
L’altro sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans e iniziò a digitare qualcosa sul display, per poi mostrarlo a Dean.
Anche io stavo venendo da te”.
Il biondo sorrise, divertito da quella coincidenza, mentre il suo cuore si era messo inspiegabilmente a fare le capriole nel suo petto.
“Cas, perché usi il telefono? Dov’è il block notes?” – chiese poi, aggrottando la fronte.
Il moro si prese qualche secondo, prima di rispondere.
L’ho dimenticato a casa”.
“Ah, ok…” – annuì l’altro.
 
“Ehm…ti ho portato questo” – disse Dean, porgendo un sacchetto di colore rosso al moro – “Buon Natale, Cas”.
Castiel sorrise e prese il sacchetto dalle mani del biondo.
Grazie”.
“Figurati…aprilo, dai” – lo esortò l’altro.
Il ragazzo sciolse il fiocco dorato che chiudeva il sacchetto e diede una sbirciata dentro. Era un libro. Quando lo prese in mano, ne accarezzò la copertina rilegata e lesse il titolo: ‘I grandi mammiferi africani’. Lo aprì e ne sfogliò le pagine, soffermandosi di tanto in tanto su una di esse.
È bellissimo! Grazie!
Il biondo sorrise, compiaciuto.
“È…è quel libro che stavi guardando in libreria”.
Castiel lo guardò, inclinando leggermente la testa.
“Quella volta che…ti ho portato a vedere la città” – spiegò Dean – “E ti ho perso di vista, in quel negozio…”
Il moro schiuse le labbra, sorpreso.
Sì, me lo ricordo…
“Ho dato un’occhiata alla tua libreria in camera e ho visto che non lo avevi. E allora…” – si affrettò a dire l’altro.
Castiel sorrise.
Mi piace molto, davvero. Grazie”.
 
Anche io ho qualcosa per te”.
Castiel mise una mano nella tasca della giacca e ne tirò fuori il pacchetto, mostrandolo all’altro.
Dean lo prese e se lo rigirò tra le mani, ridendo.
“Posso aprirlo?”
Certo”.
Una volta tolta la carta regalo, il biondo fissò l’oggetto nella sua mano.
“È il tuo block notes” – asserì, perplesso.
Il moro annuì.
“Cas, non capisco…perché mi hai regalato il tuo block notes?” – chiese l’altro, confuso.
Castiel deglutì un paio di volte. Chiuse gli occhi, sospirando, per poi riaprirli.
“A me non servirà più”.
A Dean si mozzò il respiro in gola.
La voce di Castiel.
Una voce bassa e incerta, un po’ roca, a tratti graffiante. Eppure, era anche calda, così calda che il biondo sentì una vampata salirgli dal petto fino al volto, infiammandogli le guance.
Vide Castiel sorridergli timidamente e guardarlo con i suoi grandi occhi blu.
“Buon Natale, Dean”.
E fu allora che Dean posò le sue labbra su quelle di Castiel.
 
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
FINALMENTE QUEI DUE CE L’HANNO FATTA! Sto sudando…una faticaccia per arrivare fin qui che non vi dico!
Allora, possiamo dire galeotto fu il Natale, giusto? Direi proprio di sì! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, tanto quanto è piaciuto a me scriverlo ^^
Come avete visto, il capitolo ruota attorno al parallelismo tra l’atmosfera natalizia a casa Winchester e quella a casa Novak, con richiami inevitabili al passato di entrambe le famiglie e alla luce dei cambiamenti avvenuti nel presente. Ovviamente non potevano mancare altre scene di fluff quotidiano, come quella della pista di pattinaggio o della cioccolata, a rafforzo ulteriore del rapporto sempre più stretto che c’è tra i due ragazzi.
La parte finale è sicuramente quella più importante, perché racchiude tantissimi aspetti che verranno poi trattati in maniera adeguata nei prossimi capitoli. Il regalo che Castiel ha fatto a Dean è davvero speciale, e le conseguenze, ma soprattutto i motivi, di questo gesto non tarderanno ad arrivare.
Sapete, questo capitolo, visto il tema trattato, doveva essere pubblicato proprio in pieno periodo natalizio, in modo da coinvolgere maggiormente il lettore. Ma purtroppo, causa di forza maggiore, non è stato così. Spero che possiate assaporare ugualmente, anche se con largo anticipo sui tempi, la magia del Natale e tutto quello che porta con sé.
Bene, e ora la domanda che tutti voi vi state facendo in questo momento: cosa accadrà nel prossimo capitolo? Chissà…rimanete in contatto e lo saprete! ;)
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Fan art per tutti!
Prima di tutto ieri ho trovato questa, che era perfetta per il precedente capitolo…peccato non averla vista al momento giusto, ma vabbè, meglio tardi che mai! 



Per questo capitolo invece ne ho trovate tantissime, ne metto solo alcune, ma potete divertirvi andando a cercarne altre!

                                 


                  
 

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici - Parte Prima ***


 



Fanart di Naenihl

 
 CAPITOLO UNDICI – PARTE PRIMA
 
“Ogni problema ha tre soluzioni:
la mia soluzione, la tua soluzione
e la soluzione giusta”
 
Platone
 
 

 
“Dean mi ha baciato”.
Mancavano un paio di giorni alla fine dell’anno. Castiel era seduto ad un tavolo, in una caffetteria. Di fronte a lui una cioccolata calda. E Charlie.
 
I giorni successivi al bacio di Dean furono piuttosto difficili per il ragazzo. Non riusciva a capire cosa fosse successo né il motivo di quel gesto. Un attimo prima si stavano scambiando i regali, e un attimo dopo…
Quello era stato il suo primo bacio. Nonostante l’adolescenza passata in completo isolamento, Castiel aveva fantasticato su questo più volte. Si era chiesto come sarebbe stato e, soprattutto, con chi. Tra l’altro, nella sua immaginazione si era sempre visto accanto ad una ragazza, e non aveva mai contemplato un’idea, diciamo, alternativa. E invece la sua prima esperienza era stata improvvisa, inaspettata…e con un ragazzo. E non con un ragazzo qualsiasi. Tutto ciò aveva colto il giovane impreparato, così impreparato da non riuscire a muovere un solo passo verso l’altro o a dire qualcosa, sebbene avesse voluto fare almeno una delle due cose. In più, la cosa che forse lo aveva spiazzato più di tutte era stato il fatto che il bacio di Dean gli era piaciuto.
C’erano altre cose che Castiel non riusciva a spiegarsi: il modo in cui Dean lo aveva guardato, il perché poi non avesse detto nulla e se ne fosse andato, ma, soprattutto, l’assenza di Dean nei giorni seguenti.
Castiel tenne d’occhio il telefono con la speranza di vedere un messaggio di Dean, invano. In più occasioni fu sul punto di scrivergli, ma alla fine decise di non farlo, perché aveva paura che Dean non gli avrebbe risposto.
Fu in una di queste volte che Castiel prese una decisione. Scorrendo la rubrica del cellulare, la sua attenzione si focalizzò sul nome precedente a quello di Dean: Charlie. Il ragazzo valutò attentamente la possibilità di parlare con lei. In fondo, Charlie era la persona con la quale Castiel avesse legato di più, a parte Dean. D’altronde, cos’altro poteva fare? A parte l’amica, rimanevano i suoi genitori, da escludere a priori, e Balthazar. In effetti il forte legame con il fratello lo aveva spinto più volte a confidarsi con lui, ma non era sicuro di volergli raccontare una cosa del genere.
Alla fine Castiel contattò Charlie, chiedendole di vedersi. Quando si incontrarono, di fronte al locale, Castiel si prese un attimo, indeciso se usare la voce o ricorrere al block notes che aveva portato con sé. Nel momento in cui decise di salutare l’amica a voce, seppe di aver fatto la cosa giusta. Charlie rimase sbigottita nel sentirlo parlare e, dopo lo smarrimento iniziale, la sua felicità fu incontenibile. La prima cosa che fece fu abbracciarlo, un abbraccio nel quale Castiel poté sentire il sincero affetto che la ragazza provava nei suoi confronti. Dopodiché la giovane diede il via ad una serie di domande che investirono in pieno l’altro e a cui Castiel cercò di rispondere, valutando un’attenta risposta per alcune di esse: il perché di questa decisione, quando fosse successo, come si fosse sentito e, soprattutto, perché non lo avesse fatto prima, visto che la sua voce era così bella e profonda.
 
“Dean?” – disse Charlie, dopo aver allontanato il cucchiaino dalla bocca.
Il moro abbassò lo sguardo e annuì.
“Quel Dean? Il nostro Dean?” – ripeté lei, cauta.
“Sì…”
La mente di Castiel fu proiettata prepotentemente a quel pomeriggio, quando lui e Dean si scambiarono i regali di Natale. E quando il biondo, dopo aver sentito la sua voce, si era avvicinato all’improvviso e l’aveva baciato. Castiel giurò di poter sentire ancora il tocco dell’altro sulle sue labbra, il calore del suo respiro, il sapore della sua pelle. Il giovane era stato colto alla sprovvista e, in un primo momento, era rimasto con gli occhi aperti, per poi chiuderli lentamente, sopraffatto da quelle sensazioni che, a palpebre serrate, sembravano addirittura amplificate.
Charlie fece schioccare la lingua.
“Beh…questo sì che è interessante” – sorrise maliziosa.
Il ragazzo inclinò leggermente il viso, con aria interrogativa.
“Quindi tu e Dean…” – proseguì lei, ignorando l’espressione dell’altro.
“Io e Dean cosa?” – chiese lui, confuso.
“Oh, andiamo Castiel! A me puoi dirlo…” – pigolò la rossa.
Il moro guardò l’amica con occhi smarriti.
“State insieme?” – tentò la ragazza, sorridendo sorniona.
Castiel schiuse leggermente le labbra.
“Io…non lo so” – ammise poi.
“Come non lo sai?”
“Non ho più rivisto Dean da quel giorno…”
 
Quella notte, Castiel non riuscì a dormire. Sdraiato nel suo letto, al buio, continuava a pensare a quanto successo nel pomeriggio. Si portò un dito alle labbra e le accarezzò lievemente. Il peso che aveva sul petto sembrò scivolare via per un momento, ma, ben presto, tornò a farsi sentire, più forte di prima.
Dopo il bacio, Dean lo aveva guardato in un modo che Castiel non seppe interpretare. Incredulità? Smarrimento? Paura? Il ragazzo non lo sapeva. E poi Dean, senza dire nulla, se n’era andato, semplicemente. Gli aveva voltato le spalle e si era incamminato svelto verso casa, lasciando Castiel solo.
Le dita scivolarono dalle sue labbra e la mano cadde stanca sul petto.
“Dean…”
 
L’indomani mattina Castiel si fece forza e si alzò. Raggiunse la sua famiglia per la colazione e poi si unì ad essa per lo scambio dei regali. Il ragazzo decise di mascherare il suo turbamento dietro ad un sorriso, perché non voleva far preoccupare i suoi cari, non in quel giorno di festa. E anche perché voleva evitare domande alle quali non avrebbe saputo rispondere.
Tuttavia, in certi momenti, alcune immagini esplodevano all’improvviso nella sua mente, accecandola come un flash e impedendole di reagire. Gli occhi verdi di Dean che lo guardavano, le sue lentiggini così vicine da poterle contare, la sua schiena mentre si allontanava. E i pensieri, liberi da ogni costrizione, affollavano la sua testa, uno più prepotente dell’altro. Perché Dean aveva reagito così? Cosa voleva dire quel bacio? E perché poi il biondo se n’era andato senza dire una parola? E, infine, lui e Dean potevano ancora considerarsi amici, o sarebbe cambiato tutto?
Al solo pensiero, Castiel non riusciva a respirare. Dean si era fatto strada nel suo mondo di solitudine e silenzio, e lo aveva preso per mano. E ora, anche solo l’idea di non vederlo più, di non essere più suo amico, di perderlo, gli stringeva la gola, soffocandolo. Ed era in questi momenti che Castiel perdeva il contatto con la realtà.
Una mano si posò delicatamente sul suo braccio. Castiel si ritrovò davanti agli occhi un piatto ancora pieno. Il pranzo di Natale. Batté due volte le palpebre e sollevò lo sguardo.
Balthazar lo osservava con apprensione.
“Cassie, stai bene? Sei pallido…”
Il minore sussultò e fece saettare gli occhi sul padre e la madre, seduti di fronte a lui, che avevano smesso di mangiare e lo guardavano preoccupati.
Castiel fu colto dal panico.
La decisione che aveva preso, e cioè quella di parlare a Dean, non era stata per niente facile, e ci aveva ripensato più e più volte. L’idea di usare di nuovo la voce lo angosciava, perché sapeva cosa si provava nel parlare e non sentire quello che diceva. Era consapevole di ciò che avrebbe provato nel momento in cui lo avrebbe fatto, e così era stato. Eppure, farlo davanti a Dean e vedere il suo viso stupito, aveva un po’ mitigato quell’orrenda sensazione, e in un primo momento Castiel era stato felice di averlo fatto. Ma quando Dean se n’era andato, lasciandolo solo e senza dire nulla, la delusione che Castiel aveva provato era stata talmente forte da marchiarlo nel profondo. Non era così che aveva immaginato quel momento, non era così che dovevano andare le cose.
Castiel si chiese se non avesse sbagliato a scegliere Dean per una cosa così intima e personale, anziché la sua famiglia. E ora, di fronte agli sguardi preoccupati dei suoi cari, l’idea di aver sbagliato, di aver preferito un’altra persona ai genitori e al fratello, non fece altro che schiacciarlo, aggravando così il senso di colpa che provava nei loro confronti. Quello che il giovane non aveva fatto, però, era stato mettersi nei panni di Dean. Castiel infatti si era concentrato solo sul bacio e sul fatto che Dean se ne fosse andato, non facendosi più vedere, e non aveva affatto presupposto che la sua voce e il gesto di Dean, così come il suo successivo allontanamento, potessero essere in qualche modo connessi, o addirittura uno la conseguenza dell’altro.
“Tesoro, cos’hai? Non hai toccato nulla…” – disse Amelia, riferendosi al pasto lasciato intatto, di fronte al ragazzo.
Preso in contropiede, il giovane indugiò un attimo, stringendo con forza la posata che aveva in mano. Deglutì un paio di volte e incrociò lo sguardo del fratello.
“Sto bene” – disse infine.
Gli occhi del maggiore si spalancarono e le labbra si schiusero tremanti, in un’espressione di muto stupore.
Il giovane abbozzò un sorriso e si voltò verso i genitori. Amelia lasciò cadere la forchetta nel piatto e si coprì la bocca con entrambe le mani, mentre gli occhi divennero ben presto lucidi. La donna si alzò subito dalla sedia e, superato il tavolo, si avvicinò al più piccolo.
“Tesoro mio…” – disse flebile lei, incorniciando il viso del figlio con le mani e accarezzandone le guance con i pollici.
Castiel sorrise e la madre lo strinse in un abbraccio.
Un rumore attirò l’attenzione di Amelia e Balthazar. James si era alzato dalla sedia e li guardava, le spalle ricurve e le braccia abbandonate lungo i fianchi.
“Scusate, io…” – mormorò, abbassando lo sguardo.
L’uomo si allontanò dal tavolo e, senza aggiungere altro, uscì dalla sala da pranzo.
“James…” – lo richiamò la donna.
“Mamma” – intervenne Castiel – “Vado io”.
 
James accese la lampadina sul comodino e si lasciò cadere stancamente sul letto. La luce accarezzava gentilmente i suoi lineamenti, proiettando una pallida ombra sul pavimento. L’uomo si chinò in avanti e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, coprendosi il viso con le mani.
Quando sentì il rumore della porta che si apriva alle sue spalle, si irrigidì.
“Amelia, adesso scendo…” – esordì lui, schiarendosi la voce.
“Papà…”
La voce del figlio fece sussultare l’uomo e lo colse impreparato. Il padre rimase immobile, girato di spalle, mentre gli occhi iniziarono a pungere e il respiro a farsi più pesante. Dopo qualche secondo, con la coda dell’occhio, vide Castiel avvicinarsi e sedersi accanto a lui.
Entrambi rimasero così, per un po’ di tempo.
 
“Mi dispiace” – disse Castiel, interrompendo il silenzio.
James si voltò e incontrò gli occhi blu del figlio che lo guardavano.
“Non…non devi” – sospirò forte l’uomo – “Sono io che mi devo scusare…per tutte le volte che ho insistito per farti parlare. È che io…” – si interruppe, le parole soffocate in un gemito.
“Lo so”.
Il padre sollevò una mano e la posò sulla testa del minore, per poi accarezzargli piano i capelli.
“Mi è mancata la tua voce, sai?” – mormorò.
“So anche questo…” – asserì il figlio, sorridendo.
 
“Papà?”
“Dimmi”.
“Ti voglio bene”.
“Ti voglio bene anch’io, Castiel”.
 
“Cosa?” – esclamò Charlie, appoggiando le mani sul tavolino.
Il moro si sistemò meglio sulla sedia, sentendosi a disagio.
“Lui…non si è più fatto vedere”.
La ragazza incurvò le spalle, lasciando cadere le mani sul grembo. Sospirò e chiuse gli occhi. In quel momento avrebbe voluto strozzare Dean con le sue mani.
Dopo qualche secondo, si decise ad interrompere il pesante silenzio che si era creato.
“Da quanti giorni non lo vedi?”
“Quattro”.
“Non ti ha mandato neanche un messaggio?”
Castiel scrollò la testa.
“Maledizione, Dean!” – borbottò la rossa, tra sé.
 
“Charlie” – la richiamò Castiel – “Cosa…sì, insomma…” – farfugliò, stropicciandosi le mani – “Perché Dean mi ha baciato?”
La ragazza sollevò le sopracciglia, sorpresa.
“Beh, questo devi dirmelo tu” – rispose lei, dolcemente.
“Io…”
Charlie puntò i gomiti sul tavolino e appoggiò il mento su entrambi i palmi delle mani, sorridendo.
“Com’è successo?” – chiese – “Sai…dove eravate, cosa stavate facendo prima di…” – precisò poi, facendo dondolare la testa.
Castiel si morse un labbro, indugiando.
“Era la vigilia di Natale…”
“Uh, romantico…” – ridacchiò la rossa, interrompendo l’altro.
Il moro aggrottò la fronte.
“Ok, ok, scusa. Non volevo interromperti. Vai avanti” – lo incitò lei, gesticolando con la mano.
“Ci stavamo scambiando i regali…e, dopo avergli dato il mio, lui…”
“Ah, sì? E cosa gli hai regalato?” – domandò la giovane, curiosa.
Il ragazzo non rispose.
“E dai, Castiel! Non fare il misterioso…” – lo spronò Charlie.
“Il mio block notes…”
“Il tuo block notes?” – fece eco la rossa, perplessa.
“Sì, e poi…gli ho detto ‘Buon Natale’…”
La ragazza arricciò le labbra e socchiuse gli occhi, pensierosa.
“Castiel, perché hai regalato a Dean il tu-” – si interruppe all’improvviso, scossa da un brivido.
“Oh-Mio-Dio” – esclamò poi, scandendo ogni singola parola.
La rossa fissò l’amico di fronte a lei, incredula.
“La prima persona con cui hai parlato è stato lui…” – mormorò poi – “Le tue prime parole…sono state per Dean…”
La giovane rimase con le labbra socchiuse e arretrò lentamente, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.
Castiel non rispose, ma si limitò a guardare l’amica con i suoi grandi occhi blu.
 
 
°°°
 
 
Nei giorni successivi alla vigilia di Natale, Dean fu tormentato da quello che aveva fatto. Non riusciva a credere di aver baciato un altro ragazzo, e non un ragazzo qualsiasi. Continuava a chiedersi cosa diavolo gli fosse passato per la mente in quel momento. E più ci pensava, più le uniche cose che ricordava erano solo la voce di Castiel e lui che si dirigeva verso casa senza voltarsi, perché, se lo avesse fatto, quel bacio sarebbe diventato reale. In quell’istante tutto quello che riuscì a fare fu di scappare…da quel bacio, da Castiel e da sé stesso.
Dean cercò di convincersi che tutto ciò non fosse mai accaduto, ma troppo spesso il ricordo lo spingeva in un angolo, costringendolo a chiudere gli occhi e a tapparsi le orecchie, per non sentire la voce di Castiel e per non vedere i suoi occhi blu che lo guardavano. E, più di ogni altra cosa, cercò di respingere l’idea che il bacio non era stato affatto male, anzi…era stato strano, diverso, certo, ma oltremodo piacevole.
Nell’arco delle giornate, Dean controllò il suo cellulare il meno possibile. Ogni volta che lo prendeva in mano e sbloccava lo schermo, era terrorizzato dall’idea di vedere un messaggio di Castiel.
Mano a mano che passava il tempo, la tensione crebbe in maniera esponenziale e spesso il giovane non riuscì a contenere il suo nervosismo, riversandolo pertanto su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Un giorno Dean esplose, prendendosela persino con il fratello per una sciocchezza, e fu allora che il ragazzo capì di non poter più andare avanti così e che doveva parlarne con qualcuno. Seduto sul bordo del letto, nella sua stanza, fissò a lungo il nome di Benny sul display del cellulare. Lui e Benny si conoscevano da tantissimi anni. Erano praticamente cresciuti insieme e si era sempre fidato di lui. Eppure, l’idea di parlare di una cosa del genere con il suo migliore amico non era poi così allettante. Come sarebbe riuscito a dirgli di aver baciato un ragazzo? E, soprattutto, come avrebbe reagito Benny? Come lo avrebbe giudicato? E ancora, lo avrebbe poi guardato con occhi diversi o non sarebbe cambiato nulla? Ma, d’altronde, che alternative aveva? A dire il vero, c’era stato un momento in cui Dean pensò di parlarne con Sam, pensiero che ricacciò subito. Sammy non avrebbe capito, ma non perché fosse stupido, anzi. Il fratellino di Dean più volte aveva dimostrato un’intelligenza e un acume superiori ai ragazzini della sua età, ma in questo specifico caso, a Dean serviva il parere di una persona più adulta, diciamo.
Dean fu sul punto di lasciar perdere, ma il bisogno di una figura amica che lo ascoltasse e che potesse magari aiutarlo fu più forte di tutto il resto. E così decise di contattare Benny.
 
Dean non riusciva a stare fermo sulla sedia. Continuava a far ballare un piede su e giù, mentre gli occhi saettavano veloci su quelli della persona seduta di fronte a lui, per poi posarsi nuovamente sul tavolino tra di loro.
“Amico, stiamo facendo notte qui” – disse Benny.
Dean si passò una mano sul viso.
“Benny, dammi tregua. Non è facile…”
“Cosa non è facile?”
Il biondo si morse un labbro.
“Dean, mi hai letteralmente trascinato fuori casa e fatto venire qui perché hai detto che dovevi assolutamente parlarmi”.
“Lo so…” – mormorò l’altro.
“E allora?”
Dean chiuse gli occhi. La sua mente reclamò con forza le sensazioni provate quel pomeriggio, quando la voce di Castiel lo aveva raggiunto e lo aveva avvolto in una delicata bolla di sapone, cullandolo ed estraniandolo dal mondo esterno. Quando quella stessa voce, lo aveva poi spinto verso l’altro, alla ricerca delle sue labbra calde, soffici e che sapevano di buono. Quando, nel momento stesso in cui lo aveva baciato, il cuore sembrò esplodergli nel petto, mentre il suo profumo di vaniglia gli ubriacava la mente.
Dean sospirò, e si coprì gli occhi con le mani.
“Ho baciato Castiel” – disse poi, tutto di un fiato.
Il ragazzo stirò le labbra, preparandosi alla reazione che avrebbe avuto l’amico. Ma dalla bocca di Benny non uscì una parola.
Dean scostò un dito della mano, creando così uno spazio per vedervi attraverso.
Benny era immobile, di fronte a lui.
“N-non…non dici niente?” – chiese cauto Dean.
“Cosa dovrei dire?”
“Beh…non so…qualcosa…”
Benny incrociò le braccia al petto.
“Non posso certo dire di essere sorpreso…non del tutto, almeno”.
Dean tolse entrambe le mani dal viso, raddrizzando la schiena.
“Come sarebbe a dire che non sei sorpreso?” – disse poi, aggrottando la fronte.
“Vuol dire che in un certo senso lo sospettavo…anche se non ne ero sicuro”.
“Tu lo sosp…cosa…non eri sicuro?” – ripeté confuso il biondo.
“Sì, insomma...che tu e Castiel…”
“Che io e Cas cosa?”
Benny sospirò.
“Dean, da quando c’è Castiel tu…sei sempre stato molto attento con lui. Sei…come posso spiegarlo?” – disse, gesticolando con le mani.
“Beh, è un mio amico…” – intervenne Dean, alzando le spalle.
“Anche io sono un tuo amico” – asserì l’altro – “Ma lui…è un su un piano diverso”.
“Quale piano?” – chiese il biondo – “Benny, spiegati perché non capisco cosa vuoi dire…”
Il ragazzo si passò una mano sul viso.
“Lui…viene prima di tutto e di tutti, anche di te. Sai…non me ne ero accorto all’inizio, ma ora che ci penso…” – si interruppe, pizzicandosi il mento – “Adesso riesco a vederlo…quando sei con lui, come sorridi, come lo guardi...come ti muovi quando siete insieme…”
“P-Perché, come…?”
“Come se intorno a te non esistesse nient’altro…non so se mi hai capito…”
Il biondo abbassò lo sguardo sul tavolino e si morse l’interno della guancia. Rimase in silenzio per qualche secondo.
“Io non…non mi sono mai accorto di tutto questo…” – mormorò poi.
 
 “Però…” – proseguì, umettandosi le labbra – “Cas è un ragazzo…” – sottolineò piano.
“Sì, Dean, credo di essermi accorto anche io che Castiel è un ragazzo, grazie” – ribatté sardonico l’amico – “Ma questo non cambia le cose”.
“Come sarebbe a dire che ‘non cambia le cose’? Cambia tutto invece!” – esclamò l’altro, sporgendosi in avanti – “Benny, a me piacciono le ragazze. Ragazze. Femmine. Tette. Hai presente?”
“Lo so che ti piacciono le ragazze…ma so anche che hai baciato Castiel” – puntualizzò Benny.
Dean si morse un labbro, incapace di rispondere.
 
“E tutto questo quando sarebbe successo?” – riprese il ragazzo.
“La vigilia di Natale…”
“E lui? Voglio dire…cosa ha fatto?” – proseguì l’amico – “Quando lo hai baciato intendo”.
Il biondo socchiuse leggermente gli occhi.
“Si è tirato indietro o…” – aggiunse l’altro, muovendo una mano in aria, per sollecitare Dean a rispondere.
Dean non aprì bocca e si limitò a guardare Benny negli occhi. Il verde cangiante delle iridi di Dean diede a Benny la conferma che cercava.
“Oddio…” – mormorò piano, coprendosi gli occhi con una mano – “Lui c’è stato…”
 
“E quindi, avete parlato?” – continuò, schiarendosi la voce – “Cosa…sì, insomma…cosa vi siete detti?”
Dean chiuse gli occhi e deglutì un paio di volte.
“Dean?” – lo incitò Benny.
Il biondo riaprì gli occhi e incrociò quelli azzurri dell’altro.
“Io…” – sussurrò – “Io non ho più rivisto Cas…”
L’amico arricciò le labbra, pensieroso, mentre Dean si stropicciò le mani, imbarazzato.
“No…è che io non sono più andato da lui…”
 
“Dean!” – esclamò Mary, dopo aver acceso la luce della cucina – “Cosa ci fai qui, seduto al buio?”
Dean si coprì gli occhi con una mano, infastidito per la luminosità improvvisa. Dopo qualche secondo, fece scivolare via le dita e batté più volte le palpebre, lasciando agli occhi il tempo di abituarsi.
“Mi hai fatto prendere un colpo” – proseguì lei, dirigendosi verso il lavello.
“Scusa” – mormorò lui.
“Lascia stare” – sospirò la donna, aprendo il rubinetto e riempiendo un bicchiere d’acqua.
Mary si avvicinò al tavolo, scostò una sedia e prese posto, accanto al ragazzo.
“Come mai sei ancora in piedi a quest’ora? Non riesci a dormire?”
“No” – rispose piatto il biondo.
La madre osservò il figlio, in silenzio, rigirandosi il bicchiere tra le mani.
“Dean”
“Umh?”
“Stai bene?”
“Sì, sì, sto bene” – rispose lui, gli occhi fissi nel vuoto.
E invece Dean non stava bene, per niente. Quella sera non provò neanche a mettersi a letto. Continuò a muoversi, in giro per la camera, in cerca di qualcosa che lo tenesse impegnato, che occupasse la sua mente, che tenesse a bada i suoi pensieri. Si mise le cuffie alle orecchie e ascoltò un po’ di musica, con l’intento di assordare tutti quei pensieri. Poi, temporeggiò davanti al computer, sperando di perdersi nel web. Iniziò persino a riordinare la stanza, cercando di focalizzare la sua attenzione su tutto ciò che gli capitava tra le mani. Ma niente sembrava funzionare, non a lungo, almeno. Ogni cosa che vedeva, sentiva o toccava, gli ricordava Castiel: la pazienza con la quale il moro gli spiegava la matematica, la timidezza con la quale il ragazzo entrò per la prima volta in camera sua e la curiosità con la quale si guardò poi in giro. L’attenzione e la cura con le quali l’altro gli insegnava la lingua dei segni. Gli occhi blu di Castiel che fissavano i movimenti delle sue labbra, trasformandoli poi in parole nella sua testa. Il sorriso che nasceva spontaneo sul suo viso ogni volta che Dean faceva una battuta. La voce di Castiel che…
Castiel.
Quel Castiel che lui aveva baciato e che poi si era lasciato alle spalle, dopo essere scappato via.
Dean sentì una morsa allo stomaco e fece una smorfia.
“Dean” – lo richiamò Mary.
Il ragazzo sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi della madre.
La donna sostenne quello sguardo per un po’, e poi sospirò.
“Vai a letto, e cerca di dormire” – disse lei, dolcemente – “Lo sai che tuo fratello si sveglia presto la mattina di Natale” – aggiunse poi, sorridendo.
“Ok…” – rispose lui, abbozzando un sorriso e alzandosi dalla sedia.
Mary lo imitò e gli si avvicinò.
“Buona notte, tesoro” – disse, lasciandogli un tenero bacio sulla fronte.
“Buona notte, mamma”.
 
Dean rientrò nella sua camera e si lasciò la porta alle spalle. Chiuse gli occhi per un istante e poi li riaprì. Il suo sguardo cadde subito sul comodino accanto al letto, e sul block notes che vi era appoggiato sopra. Il block notes di Castiel. Il ragazzo si avvicinò al letto e si lasciò cadere sul materasso. Allungò una mano e prese il taccuino. Con le dita ne accarezzò la superficie liscia, indugiando sui particolari del disegno stampato sopra. Infine, lo avvicinò al viso e ne inspirò forte l’odore.
“Cas…”
 
 
“Si può sapere cos’hai?” – sbottò Sam, all’improvviso.
Il ragazzino aveva passato le ultime due ore, dopo il pranzo natalizio, a sfidare il fratello ad un videogioco. Tuttavia, Dean non sembrò essere molto partecipe, e la dimostrazione fu data dal fatto che il suo personaggio continuava a morire, anche nei livelli più semplici.
“Di cosa stai parlando, Sam?” – disse noncurante il maggiore, appoggiandosi contro i cuscini del divano.
“Oh, andiamo Dean!” – esclamò il minore, alzandosi in piedi e allargando le braccia – “Non ti ho mai battuto a questo gioco e adesso è la terza volta di fila che vinco!”
Dean sentì un nodo alla gola e serrò la mascella. Lo aveva fatto di nuovo. Aveva permesso che il flusso di pensieri lo portasse via, lontano dalla realtà che lo circondava. Si passò una mano sul viso, cercando di guadagnare tempo per poter trovare una valida risposta.
“Ti sarai allenato” – lo lusingò il biondo, sperando di poter sviare il discorso.
“Non più di te” – ribatté il più piccolo, intenzionato a non mollare.
Il più grande rimase in silenzio. Sam lo fissò, in attesa di una risposta, invano.
“Dean…” – tentò poi.
“Dai, continuiamo” – lo interruppe bruscamente l’altro, agitando il joystick nella sua mano.
Il minore sospirò, affranto, e, lentamente, tornò a sedersi accanto al fratello.
“Ok…”
 
“Aspetta un attimo…” – disse Benny, aggrottando la fronte – “Non sei più andato da lui?”
Dean abbassò lo sguardo e scrollò la testa.
“Cazzo, Dean!” – lo rimproverò l’amico.
Il biondo si passò una mano sul viso.
“Lo so, ho fatto una cazzata…” – iniziò poi.
“Una grande cazzata” – sottolineò l’altro, interrompendolo.
“Oh, andiamo Benny! Cosa dovevo fare? Presentarmi davanti a lui e parlare del più e del meno come se niente fosse?” – sputò fuori il ragazzo – “Non…” – indugiò – “Non avrei saputo neanche cosa dirgli…”
“Se avessi avuto la decenza di farlo, magari ti sarebbe venuto in mente” – azzardò Benny.
Dean si coprì il viso con entrambe le mani e sospirò.
“Amico, tu e Castiel dovete parlare” – disse poi, perentorio.
Dean lasciò scivolare lentamente le mani dal viso e guardò l’amico con occhi stanchi, senza dire nulla.
“Dico sul serio Dean. Dovete chiarire questa cosa” – aggiunse ancora – “Non potete rimanere così”.
Il biondo non rispose, di nuovo. Arretrò e si appoggiò contro lo schienale della sedia. Giocò un po’ con le dita delle mani, per poi rivolgere lo sguardo fuori dalla finestra lì accanto.
Benny lo osservò attentamente e riconobbe un senso di disagio nell’amico. Gli occhi che cercavano risposte nel vuoto, la mascella serrata, l’impercettibile movimento della gola. Dean sembrava uno di quei cuccioli smarriti che la natura mette alla prova, dopo l’allontanamento della madre.
“Dean?” – lo richiamò l’amico – “Perché hai baciato Castiel?”
Il biondo spezzò il contatto visivo con il nulla e incrociò lo sguardo dell’altro.
“Io…non lo so”.
Benny sospirò.
“Beh, forse dovresti scoprirlo, non trovi?”
 
 
°°°
 
 
[16:40] – Da Benny a Charlie
Rossa, abbiamo un problema.
 
Benny premette invio e rimise il cellulare in tasca. Si strinse nella giacca, rabbrividendo, e si incamminò verso casa. Sebbene, durante la conversazione avuta poco prima con Dean non lo avesse dato a vedere, il ragazzo era preoccupato per l’amico. Conosceva Dean da quando erano bambini ed era pertanto in grado di classificare ogni sfumatura del suo carattere. Dean era un ragazzo forte, deciso, sicuro di sé…ma non quando si trattava di sentimenti. In questo frangente il biondo dimostrava una certa debolezza. Non riusciva a gestire quello che provava, come quando si rese conto, diverse settimane dopo il loro primo appuntamento, che stare con Lisa gli piaceva, gli piaceva davvero. O come quando, da bambino, strinse forte i pugni, trattenendo le lacrime, nel momento in cui Benny gli disse che si sarebbe trasferito dall’altra parte di Lawrence.
Il giovane sorrise a quel ricordo, per poi tornare a concentrarsi sul presente. Dean e Castiel. Benny avrebbe davvero voluto aiutare Dean, mostrargli quale fosse la via giusta da seguire, ma non poteva. Dean doveva trovare da solo la propria strada, perché solo così sarebbe venuto a patti con i propri sentimenti.
 
Charlie sentì il telefono vibrare e lo sfilò dalla tasca dei jeans. Fece scorrere velocemente il dito sul display e si concentrò su di esso.
“Ciao, Benny”.
La voce di Castiel distolse l’attenzione della ragazza dallo schermo del cellulare. Charlie sollevò lo sguardo, in tempo per vedere Benny sul marciapiede, fermo di fronte a loro.
Il ragazzo non sapeva chi guardare. I suoi occhi saettarono ora sulla rossa ora su Castiel, per poi fermarsi definitivamente su quest’ultimo. Il moro si rese conto dello stupore e dello sguardo interrogativo dell’altro, e sorrise.
“Sei rimasto senza parole anche tu, vedo” – disse Charlie, divertita.
“Come…cioè…” – arrancò l’altro, mantenendo il contatto visivo con Castiel – “Da quando tu…?”
Castiel si irrigidì leggermente. Con la coda dell’occhio, vide l’amica accanto a lui stirare le labbra e rivolgere lo sguardo altrove. Cercò di riprendere il controllo della situazione e tornò a guardare Benny.
“Da Natale” – rispose semplicemente.
“Ah, capisco” – annuì l’amico – “È…wow, questa sì che è una sorpresa!” – sbuffò poi, in un sorriso.
Il giovane sorrise di rimando.
“È strano però…Dean non mi ha detto nulla…” – riprese il ragazzo, pensieroso.
Il sorriso scomparve dal volto di Castiel, lasciando il posto ad un’espressione indecifrabile. Benny se ne accorse e lo osservò attentamente. Non conosceva bene l’altro, non come Dean, eppure si rese conto che qualcosa non andava, che qualcosa in quell’espressione era sbagliata. Tuttavia, non seppe dire cosa.
“Castiel, io devo tornare a casa” – intervenne Charlie, dopo aver toccato il braccio del ragazzo per attirare la sua attenzione.
Castiel incrociò per qualche istante gli occhi fin troppo eloquenti dell’amica e poi annuì.
“Sì, anche io stavo tornando a casa” – le fece eco Benny.
Poco prima di salutarsi, Benny ricercò l’attenzione di Castiel.
“È bello sentire la tua voce, davvero” – disse, sorridendo.
Anche il moro sorrise.
“Grazie”.
Benny si voltò poi verso Charlie e alzò le sopracciglia, con la speranza che lei capisse. Il ragazzo si chiese se l’amica avesse già letto il messaggio che le aveva inviato poco prima. La giovane arricciò le labbra e batté le palpebre un paio di volte, dando quindi all’altro la risposta che cercava.
 
Benny si lasciò alle spalle i due amici e proseguì il cammino verso casa. Si mise le mani in tasca e ripensò a quanto successo poco prima. Scrollò la testa e sorrise. Sentire la voce di Castiel era stata davvero una sorpresa e Benny era sinceramente contento per il ragazzo, tanto da lasciar passare in secondo piano la faccenda del bacio tra Dean e Castiel.
E a proposito di Dean…come aveva fatto l’amico a dimenticarsi di dirgli una cosa del genere?
Dean.
Benny si fermò di colpo, in mezzo al marciapiede. Alcune persone lo urtarono per sbaglio, ma lui non si mosse, incurante.
 
“E tutto questo quando sarebbe successo?”
“La vigilia di Natale…”
 
“Da quando tu…?”
“Da Natale”
 
“È strano però…Dean non mi ha detto nulla…”
 
 
La consapevolezza colse il ragazzo di sorpresa, come acqua ghiacciata in pieno volto. Benny si girò di scatto, ricercando con gli occhi le figure di Charlie e Castiel, ormai lontane. Deglutì un paio di volte, per poi passarsi una mano sul volto.
“Oh, cazzo…” – mormorò tra sé.
Il cellulare vibrò nella sua tasca.
 
[17:01] – Da Charlie a Benny.
Sì, ed è anche bello grosso. E si chiama Dean Winchester.
 
 
°°°
 
 
I fiocchi di neve cadevano leggeri, come polvere bianca, posandosi poi pigramente su tutto ciò che incontravano. Mancava un giorno alla fine dell’anno e a Lawrence aveva ripreso a nevicare.
Castiel era seduto sul davanzale della finestra del salotto, con lo sguardo perso oltre la trasparenza dei vetri. Il cielo grigio filtrava una luce color avorio, in netto contrasto con il candore della neve. A Castiel piaceva la neve. Era una di quelle poche cose che gli permetteva di sentirsi normale, di essere uguale agli altri. La neve cadeva, danzava nell’aria e si depositava per terra, in silenzio. Nessuno poteva sentire il rumore della neve. Non era come la pioggia che invece picchiettava contro i vetri delle finestre o contro il parabrezza delle auto, e che scrosciava sui tetti delle case, quando scendeva dal cielo con una certa intensità. La neve era diversa. Era come le nuvole bianche, sospese nel cielo azzurro di una giornata estiva. Anch’esse si muovevano silenziose, mutando la loro forma in maniera impercettibile.
L’attenzione di Castiel fu catturata dalla figura di Balthazar, che si era seduto accanto a lui sul davanzale e che gli sorrideva.
“Ehi” – esordì il maggiore.
“Ehi” – fece eco il più piccolo, abbozzando un sorriso.
“E questo?” – chiese il fratello, prendendo in mano un libro appoggiato lì vicino.
Castiel si prese un momento, prima di rispondere.
“Me lo ha regato Dean per Natale”.
“È molto bello” – constatò l’altro, sfogliando le pagine.
“Sì…” – mormorò il minore.
Balthazar chiuse il libro e lo ripose delicatamente dove lo aveva trovato. Unì entrambe le mani, intrecciando le dita, e le lasciò abbandonate tra le gambe. Indugiò un attimo, guardandosi intorno, per poi tornare con lo sguardo sul fratello.
“Cosa c’è, Cassie?”
Castiel incrociò per un attimo gli occhi azzurri del maggiore e scrollò la testa.
“Cassie” – sospirò il più grande – “Puoi darla a bere a mamma e papà, ma non a me”.
Il minore si morse un labbro, abbassando lo sguardo e rimanendo in silenzio.
“Allora?” – insisté l’altro, ricercando la sua attenzione.
“Dean…” – iniziò titubante il più piccolo, per poi interrompersi.
“Dean?” – ripeté il maggiore, incitandolo a continuare.
“Dean mi ha baciato”.
Balthazar alzò le sopracciglia e schiuse leggermente le labbra.
“Oh” – si limitò a dire.
Tra i due fratelli calò il silenzio, scandito solo da alcuni rumori sordi provenienti dalla cucina e dall’intermittenza delle luci sull’albero di Natale lì vicino.
“Quando è successo?” – riprese poi.
“La vigilia di Natale”.
“E…in che occasione…?”
“Dopo avergli dato il mio regalo” – sospirò il minore.
Balth si portò una mano al mento, arricciando le labbra, pensieroso.
“Dopo avergli dato il tuo regalo?”
“Sì”.
Il maggiore indugiò un attimo.
“Cassie…cosa hai regalato a Dean?” – chiese poi, cauto.
Castiel guardò negli occhi il fratello. Era riuscito ad evitare di rispondere a quella domanda già una volta, ma ora non poteva più farlo. Il senso di colpa iniziò a crescere in lui, intrappolandolo in una morsa dolorosa. Sapeva che quello che stava per dire avrebbe ferito il fratello e la sua famiglia. Quella famiglia che gli era sempre stata accanto, che lo aveva assecondato, pur con qualche rimostranza, quando decise di non parlare, e che aveva imparato la lingua dei segni. Quella stessa famiglia che lo amava in maniera incondizionata e che avrebbe fatto di tutto pur di vederlo felice.
“La mia voce”.
A quelle parole Balth sussultò. Lentamente gettò lo sguardo nel vuoto e rimase immobile, senza dire nulla.
Castiel vide il dispiacere e la delusione dipinti sul volto del fratello…nell’azzurro dei suoi occhi, nelle sottili pieghe ai lati delle palpebre, nella linea delle labbra.
“Mi dispiace…”
Il maggiore si riscosse leggermente e, con calma, si passò una mano sul viso.
“Avrei preferito che fossimo io e i nostri genitori a sentire la tua voce per primi, dopo tutto questo tempo…” – fece una pausa – “Ma…alla fine, credo che vada bene anche così…”
 
“Quindi” – si schiarì poi la gola – “Dean ha ricevuto il tuo regalo e ti ha baciato. È andata così?”
Castiel annuì.
“E dopo il bacio, cos’è successo?” – proseguì l’altro. – “Perché è successo qualcosa, vero?” – chiese poi, sicuro.
“Se n’è andato…e non l’ho più rivisto”.
Balthazar aggrottò la fronte.
“Fammi capire…non lo hai più visto da quel giorno? Non ti ha mandato nessun messaggio, niente?”
Castiel osservò il fratello e notò i lineamenti contratti del suo viso.
“Balth…” – tentò.
“Che figlio di puttana!” – smozzicò il maggiore, alzandosi poi in piedi.
“Balthe!” – lo rimproverò il moro.
“Oh no, Cassie! Non provare neanche a difenderlo!” – ribatté duro l’altro, puntando l’indice contro il minore.
“Non lo sto difendendo!” – si risentì il più piccolo.
Balthazar agganciò gli occhi del fratello.
“No, è vero, non lo stai difendendo…” – ammise poi – “Però sono giorni che stai di merda per lui, non negarlo…per uno che neanche se lo merita!”
“Non dire così, tu non lo conosci, lui è…”
“Adesso sì che lo stai difendendo!” – lo interruppe bruscamente l’altro.
Il maggiore lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
“Non se lo meritava…non se lo meritava per niente…” – proseguì, piano.
“Balth…”
“Lui…non ha minimamente idea dell’enorme regalo che gli hai fatto…” – mormorò poi.
Il fratello riservò al minore un ultimo sguardo, colmo di amarezza, per poi voltarsi e allontanarsi.
“Balthe, aspetta!” – lo richiamò il più piccolo, invano.
Il maggiore era già scomparso dietro la porta del salotto. Castiel fissò a lungo quel punto, finché le lacrime iniziarono a pungere. A quel punto, distolse lo sguardo e si portò i palmi delle mani sugli occhi.
“Maledizione…”
 
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Finalmente sappiamo cosa è successo dopo il famigerato bacio avvenuto alla fine del capitolo precedente. Cosa ne pensate? Vi aspettavate la reazione di Dean? E se no, cosa avevate pensato? (Ok, troppe domande) Fatemi sapere, sono curiosa di sentire le vostre idee e i vostri punti di vista!
Ci tengo a dire che questo capitolo e il successivo sono stati molto difficili e impegnativi da scrivere. La loro stesura ha richiesto tempo e, anche una volta ultimati, è stato necessario riprenderli più e più volte per potergli dare la forma voluta. E confesso che ci sono stati dei momenti in cui mi sono scoraggiata parecchio, perché temevo di non riuscire a superare questo scoglio e di arenarmi con la storia.
MA PER FORTUNA avevo accanto a me (anche se purtroppo fisicamente lontana) la mia beta MadGirlWithABluBox, che ha supervisionato, letto e riletto questa parte, e mi ha tenuto per mano, guidato e soprattutto spronato a non abbattermi e ad affrontare con calma il tutto. Quindi, davvero, grazie mille Juls. Ti lovvo! <3
Vorrei infine fare una piccola precisazione. La reazione di Balthazar al bacio tra il fratello e Dean qui sembra mancare, ma semplicemente perché è stata offuscata dalla rabbia per il comportamento di Dean e dalla delusione per la questione della voce del fratello. Ovviamente ci sarà spazio anche per questo aspetto nei prossimi capitoli.
Bene, direi che è tutto.
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Un po’ di fan art.

Baci, baci baci!  
                  


Ce la faranno questi due? Chissà…

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo Undici - Parte Seconda ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO UNDICI – PARTE SECONDA
 
“Il peggior tradimento che potete fare a voi stessi
è non fare ciò per cui vi brillano gli occhi”
 
Sconosciuto
 
 


“Ciao, stronzetto”.
Una chioma rossa fece capolino dalla porta. Dean era sdraiato sul suo letto, con le mani pigramente abbandonate sull’addome e lo sguardo fisso sul soffitto della stanza.
“Charlie…” – mormorò il giovane, visibilmente sorpreso – “E tu che diavolo ci fai qui?” – chiese poi, mettendosi a sedere.
La ragazza inarcò un sopracciglio.
“È così che si accolgono gli amici, Dean?” – ribatté, piccata.
Dean si morse un labbro e le rivolse uno sguardo mortificato.
“Allora, mi fai entrare?”
“Sì, sì…vieni pure” – la invitò Dean, con un gesto della mano, mentre appoggiava i piedi sul pavimento.
L’amica si richiuse la porta alle spalle e fece qualche passo verso il centro della camera, guardandosi intorno, curiosa.
Dean rimase seduto sul letto, con le spalle ricurve e lo sguardo abbassato.
Nessuno dei due proferì parola per qualche minuto.
“Charlie, lo so perché sei qui” – esordì Dean, a voce bassa.
“Davvero?” – rispose la ragazza, mettendosi di fronte a lui e incrociando le braccia al petto.
“Oh, andiamo, non sei mai venuta a casa mia…” – disse l’altro, alzando gli occhi su di lei.
La giovane arricciò le labbra, ma non si scompose.
“Touché” – si limitò a dire.
“È stato Benny, vero?” – sospirò il ragazzo – “Te l’ha detto lui?”
“No, è stato Castiel”.
A quel nome Dean sussultò.
“C-Cas?” – balbettò – “L’hai visto?”
“Sì, l’ho visto. Mi ha contattata perché aveva bisogno di parlare con qualcuno” – asserì l’altra, con voce dura.
Il biondo distolse lo sguardo.
“Dean, si può sapere che diavolo combini?”
Il giovane si piegò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e portandosi una mano sulla fronte.
“Ti prego, Charlie, non ti ci mettere anche tu…” – si lamentò, flebile.
“Oh no, tu adesso mi rispondi, stronzetto, perché questa volta l’hai combinata davvero grossa” – sibilò lei, contrita.
Dean chiuse gli occhi, non riuscendo a reggere lo sguardo accusatorio dell’amica.
“Sto aspettando” – lo richiamò l’altra, invano.
Il ragazzo rimase con gli occhi chiusi, mentre un dolore sordo gli cresceva velocemente nel petto, opprimendolo.
“Lui si fidava di te”.
Le parole di Charlie arrivarono come uno schiaffo a mano aperta in pieno viso.
 
“Cas, ti fidi di me?”
 
“Ti ha regalato il suo block notes…”
Altre parole lo colpirono, con l’intensità di un pugno allo stomaco, capace di mettere in ginocchio una persona.
 
“A me non servirà più”
 
“Ti ha affidato la cosa più importante che ha…”
 
“Non sento la mia voce”
 
Le lettere mute lo ferirono, come solo un urlo straziante sa fare.
Lentamente, Dean si sollevò e si passò una mano sul viso, riaprendo gli occhi e incrociando lo sguardo di Charlie.
“Lui…” – mormorò poi – “…come sta?”
“Adesso vuoi sapere come sta? Davvero, Dean?” – chiese lei, sardonica.
“Charlie…” – la supplicò lui.
“Come vuoi che stia, Dean!” – esclamò la rossa, allargando le braccia – “È spaventato, confuso, e…” – s’interruppe.
“E…?”
“Crede che tu e lui non siate più amici…”
 
“Io non sono i tuoi amici di Pontiac, Cas”
 
Dean strinse le labbra in una smorfia.
“Te le ha dette lui queste cose?” – sussurrò, abbassando lo sguardo sulle proprie mani.
“Non c’è stato bisogno” – sospirò la ragazza – “Era abbastanza evidente…”
 
“Ho rovinato tutto…”
Charlie osservò l’amico seduto sul letto, con lo sguardo perso nelle proprie paure e nelle proprie incertezze. Gli occhi della giovane si addolcirono, così come i lineamenti del suo viso. La ragazza fece qualche passo in avanti e si sedette sul bordo del letto accanto a lui.
“Ehi” – lo richiamò, dandogli un colpetto con la spalla.
Il ragazzo si voltò e incrociò il suo sguardo.
“Non so cosa fare…” – bisbigliò, in un soffio.
Charlie abbozzò un sorriso e appoggiò la testa sulla spalla dell’altro.
Rimasero così per un po’, senza dire nulla.
 
“Devi parlare con lui” – esordì lei, rompendo il silenzio.
“Non vorrà più vedermi…”
“Questo non lo puoi sapere”.
“Io…cosa dovrei dirgli?”
“Beh, prima di tutto dovresti chiarire cosa provi per lui, no?”
Dean schiuse le labbra per dire qualcosa, ma non lo fece.
“Dean” – tentò lei, sollevando la testa – “Cosa provi per Castiel?”
“Non lo so…” – mormorò, dopo un attimo di esitazione.
“Devi trovare una risposta”.
“E come?” – chiese lui, amaramente.
Charlie sospirò e, con un rapido gesto delle dita, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Dean, ti piace Benny?”
“Che razza di domanda è questa?” – ribatté il biondo, aggrottando la fronte.
“Rispondi e basta” – lo esortò l’altra.
“Beh, sì, è un mio amico…ci conosciamo da quando eravamo bambini”.
“E se non fosse tuo amico? Ti piacerebbe lo stesso?”
Dean indugiò un attimo, mordicchiandosi l’interno della guancia.
“Io…credo di no” – rispose infine.
“E Castiel?” – continuò l’altra.
Il ragazzo sospirò.
“Anche Cas è un mio amico…”
“Ma?”
“Ma…è diverso”.
“In che modo?”
“È Cas…” – spiegò semplicemente lui – “È simpatico, intelligente e mi trovo bene con lui…”
Mentre parlava, Dean aveva lo sguardo perso nel vuoto e una luce particolare negli occhi, mentre la bocca si schiudeva in piccoli sorrisi.
“Ed è anche un bel ragazzo” – aggiunse Charlie, sorniona.
Dean si passò una mano sulla nuca, arrossendo visibilmente ed accentuando così le lentiggini sul viso.
“In questo momento dovresti guardarti allo specchio, sai?” – ridacchiò l’amica, divertita, strappandogli un sorriso.
“Ma allora ti piace?” – tagliò corto lei.
Il biondo si prese un momento, ma poi non disse nulla.
“E Castiel ti piace come ti piace Benny, cioè come amico?”
Dean non rispose e si limitò ad abbassare lo sguardo.
Charlie abbozzò un sorriso.
“Mettiamola così” – riprese lei, con calma – “Porteresti Benny al parco per un pic-nic?”
Il giovane sollevò la testa di scatto e schiuse leggermente le labbra.
 
“Non mi hai ancora detto dove andiamo”
“Ti ho detto che è una sorpresa”
 
Deglutì un paio di volte.
“Direi di no…”
“E Castiel?”
Il ragazzo si morse l’interno della guancia, senza rispondere.
“Dean?”
“Ecco…a dire il vero io e Cas siamo andati a fare un pic-nic…”
Charlie sollevò le sopracciglia, sorpresa.
“Davvero?”
Dean annuì, imbarazzato.
“E quando?”
“Una domenica, dopo l’inizio della scuola…”
“E dove siete stati?”
“Al Prairie Park”.
“Così lontano?” – ribatté lei, stupita – “Perché siete andati fino a lì? Ci sono dei parchi più vicini…”
“A…a Castiel piacciono molto gli animali e lì c’è un centro natura e…sì insomma…” – spiegò Dean, gesticolando con una mano.
Charlie strinse le labbra, trattenendo un sorriso.
“Uscite insieme spesso, voi due?” – domandò poi.
Dean si umettò le labbra, pensandoci un attimo.
“Beh, sì…prima di Natale siamo andati a comprare il regalo per mia madre” – iniziò – “Ah, e poi siamo andati a pattinare…” – continuò, sorridendo – “Ma Cas non sa pattinare ed era terrorizzato, dovevi vederlo” – aggiunse, incrociando gli occhi della ragazza.
Charlie rispose allo sguardo, con aria maliziosa.
“Che c’è?” – chiese lui.
“No, niente…” – rispose lei.
 
“Sceglieresti il costume di Halloween da far indossare a Benny?”
“E questo che c’entra?”
“Beh, se non ricordo male, sei stato tu a decidere da cosa si dovesse vestire Castiel…e hai fatto fare il suo costume a tua madre”.
“Dovevamo andare ad una festa, aveva bisogno di un costume” – si giustificò l’altro, alzando le spalle.
“Sì, ma poteva sceglierlo lui…comprarlo o farselo fare da sua mamma” – sottolineò la ragazza, gesticolando con le mani.
 
“Dai, Cas, guarda. Che ne dici di questo?
“Non so chi sia”
 
Dean arricciò le labbra, perplesso.
“Senza contare che, tra tutti i travestimenti, hai scelto quello di Bucky” – precisò lei.
 
“È Bucky. Era il migliore amico di Capitan America”
“Era?”
“È una lunga storia. Te lo spiego dopo”
 
“Era il miglior amico di Capitan America, mi sembrava azzeccato…”
“Uhm, lo sai come la penso su quei due…”
“Charlie…” – l’ammonì lui, con un’occhiata – “Ancora con questa storia? Con quella…come diavolo si chiama?”
“Stucky” – precisò lei.
“Vabbè, quella cosa lì. Steve e Bucky sono solo amici”.
“Sì, come ti pare…” – sospirò la giovane, liquidandolo con un cenno della mano.
 
“Dì un po’” – proseguì Charlie – “Come mai stai imparando la lingua dei segni?”
 
“Cas? Mi insegneresti qualche parola? Se ti va…”
“Cavoli è difficile”
“Tu come ci sei riuscito?”
“Non avevo molta scelta”
 
“Non c’è un motivo…ho chiesto a Cas di ins…”
 
“Non c’è un motivo…ho chiesto a Cas di insegnarmi qualcosa. Guarda, ti faccio vedere come si dice Lisa…”
“Tu non hai bisogno di imparare queste cose, Dean”
“Tu non sei sordo”
 
A Dean si mozzò il fiato in gola. Lentamente, si passò entrambe le mani sul viso.
“Lisa…” – sussurrò.
“Lisa?” – fece eco Charlie – “Che c’entra Lisa?”
“C-cosa?” – mormorò lui, ridestandosi dai suoi pensieri.
“Hai nominato Lisa” – gli fece notare l’amica.
“Ah…” – arrancò Dean – “No, niente…”
“Dean” – lo richiamò lei – “Perché hai nominato Lisa?”
Il ragazzo si umettò le labbra.
“Non è niente, lascia stare…”
“No, non lascio stare” – lo interruppe lei.
Dean socchiuse gli occhi e li fece vagare altrove, temporeggiando.
 
Charlie sentì una domanda solleticargli la punta della lingua, e, di fronte all’esitazione dell’amico, decise di lasciarsi guidare dall’istinto.
“Dean, so che in questo momento non c’entra niente ma…cos’è successo quella sera con Lisa?” – chiese infine.
Il biondo serrò la mascella.
 
“Io non ti riconosco più!”
“Da quando c’è di mezzo quel sordo tu sei cambiato!”
“Posso capire che ti faccia pena, Dean, ma tu non sei la sua balia!”
 
“Lei…ha detto delle cose su Cas, e io…” – tentennò lui.
“Quali cose?” – chiese lei, aggrottando la fronte.
“Lo…lo ha offeso…per la sordità, per…” – si interruppe il giovane, gesticolando con le mani.
“E tu?”
“Io…” – arrancò lui – “Non ce l’ho fatta...non potevo più starla ad ascoltare mentre diceva quelle cose…” – si prese un attimo, sospirando pesantemente – “Mi ha detto che non sono la sua balia, ti rendi conto?”
Charlie rimase in silenzio.
“Io…io sto con lui perché mi va e non per…” – deglutì – “…perché mi fa pena…mi ha detto anche questo, sai?”
Charlie rimase ad osservarlo, soffermandosi a pensare. Quando Dean e Lisa si erano lasciati, lui non aveva mai detto esplicitamente il motivo, pertanto Charlie si era sempre chiesta cosa fosse successo tra loro. E ora, di fronte all’ammissione dell’altro, si rese conto che l’amico aveva troncato con Lisa proprio perché lei aveva parlato di Castiel in quel modo, e questo gli aveva dato fastidio.
“Dean?” – riprese dopo un po’ – “Allora è per questo che vi siete lasciati? Perché lei lo ha offeso?”
 
[17:45] – Da Dean (Lisa) a Castiel
Castiel, lasciami in pace! Sono con Lisa
 
Dean rimase in silenzio.
“Sai, Dean, io credo che tu sappia perché hai baciato Castiel” – iniziò cauta la giovane.
Dean sollevò lo sguardo su di lei, scrutandola con i suoi occhi verdi.
“Andiamo, è evidente che hai lasciato Lisa per lui” – sottolineò lei – “Perché lui ti piace…anche se forse in quel momento non te n’eri ancora accorto…”
Il ragazzo continuò a guardare l’amica con gli occhi smarriti.
“Dean” – insisté la ragazza – “Cosa provi quando vedi Castiel?”
Dean non disse nulla.
Charlie alzò una mano e l’appoggiò sul petto dell’altro, cercando il suo sguardo.
“Ok, ti avviso che sto per dire qualcosa di smielato, ma tu devi starmi a sentire lo stesso” – si raccomandò la giovane – “Quando lo vedi, ti batte forte il cuore?” – sussurrò poi.
Lui non rispose, ma si limitò ad agganciare gli occhi dell’amica, prendendo un profondo respiro.
“E quando hai sentito la sua voce? Sai dirmi cos’è successo?” – continuò dolcemente lei.
 
“A me non servirà più”
“Buon Natale, Dean”
 
Il giovane rimase di nuovo in silenzio. Sentire la voce di Castiel era stato qualcosa di indescrivibile, e in cuor suo aveva aspettato da tanto quel momento. Il suono che era uscito dalle labbra del ragazzo con gli occhi blu aveva avuto sul biondo un effetto pari a quello del canto di una sirena. L’unica cosa che Dean ricordava era che non era riuscito a rimanere fermo, come se qualcuno stesse tirando per lui i fili delle sue azioni e del suo destino. Quella voce aveva avuto il potere di attirarlo verso Castiel e, quando gli fu vicino, aveva messo a fuoco per lui la realtà, facendo sbocciare sensazioni mai provate finora. E in quell’istante, Dean si era reso conto che Castiel era la cosa più bella che avesse mai visto nella sua giovane esistenza, e che desiderava toccarlo, baciarlo e farlo suo.
In quel momento Dean si rese conto che, forse, anche Castiel teneva a lui in modo particolare, se aveva deciso di usare la sua voce e di parlargli.
A quel pensiero il ragazzo sorrise timidamente, e, di fronte allo sguardo così eloquente dell’amico, anche Charlie sorrise.
“Beh, credo che tu abbia la tua risposta, Dean”.
 

°°°
 

L’aria gelida della sera colpì Dean in pieno viso, facendolo rabbrividire. Si sistemò meglio la giacca e infilò le mani in tasca, prima di scendere i gradini del portico e lasciarsi la propria casa alle spalle. Era buio e mancavano poche ore alla fine dell’anno, eppure nel quartiere regnava un silenzio quasi surreale. La neve non aveva smesso di cadere e di imbiancare tutto, diventando così protagonista assoluta del paesaggio. Gli alberi spogli, pennellati sui rami da sottili linee biancastre, assumevano una parvenza quasi spettrale, alimentata dal gioco di luci e ombre dei lampioni lì vicino. La luce degli stessi lampioni proiettava tenui bagliori, capaci però di far luccicare la superficie candida sottostante.
Dean avanzava con cautela, facendo attenzione a dove mettesse i piedi. Il marciapiede presentava una pallida scia già calpestata, in netto contrasto con la parte immacolata che correva ai suoi lati. Il ragazzo si guardò intorno. Non c’era nessuno in giro, mentre, invece, calde luci domestiche si affacciavano timide alle finestre delle case. Le uniche cose che facevano compagnia al giovane Winchester erano il rumore della neve che scricchiolava sotto la suola delle scarpe e i battiti del suo cuore. Dean puntò gli occhi sull’abitazione di fronte a lui e il cuore sembrò esplodergli nel petto. Lo poteva sentire vibrare fino in gola e pulsare sulle tempie, mentre respirava a bocca aperta, dando così vita ad una condensa evanescente. Quando arrivò davanti al portico, si fermò. Le mani non avevano smesso di tremare un solo istante da quando era uscito di casa. Eppure, le guance scottavano, quasi volessero contrapporsi alla rigida temperatura esterna, e questa contraddizione lo stava facendo impazzire. Una luce giallognola, proveniente dalla finestra lì accanto, si rifletteva debolmente sul pavimento del portico e sul dondolo.
 
“E così…ti chiami Castiel”
“Sei venuto”
“Cas?”
“È carino”
 
Dean inspirò a fondo e salì i gradini del portico. Quando si trovò di fronte alla porta di ingresso dei Novak, indugiò un attimo con le dita sul campanello, per poi suonare.
 
“La lampadina è per farmi sapere se qualcuno sta bussando alla porta della mia stanza”
 
La porta si aprì e Dean fu raggiunto da un dolce tepore che, per un attimo, lo fece rilassare. Ma durò ben poco. Sulla soglia comparve la figura di Balthazar.
Il biondo giurò di aver visto l’altro irrigidirsi, nel momento in cui lo vide.
“Balth…”
Il maggiore dei Novak inarcò un sopracciglio.
“Che c’è, Dean? Ti aspettavi forse di vedere un fratello diverso?”
Il tono di voce di Balthazar era affilato come la lama di un rasoio e fendeva l’aria senza pietà.
“N-no…io…” – balbettò Dean, preso in contropiede.
“Sai, quello che hai baciato alla vigilia di Natale” – infierì l’altro.
A Dean si fermò il respiro.
“Senti, io…”
“Vattene”.
Il giovane sentì una morsa stringergli la gola e arrancò, cercando di ricomporsi.
“Devo parlare con Cas…”
“Oh no, tu con mio fratello non parli, non dopo quello che hai fatto” – sibilò Balth.
“Ti prego, devo vederlo…”
“Devi vederlo?” – ripeté il ragazzo, alzando il tono – “Devi? Davvero, Dean? Beh, direi che hai avuto diverse occasioni per vederlo, eppure ti presenti qui solo ora”.
“Balth…”
“Dovevi pensarci prima”.
“Lo so, è che…”
“Tu non sai un bel niente!” – esclamò l’altro – “Niente!”
La voce di Balthazar si tinse delle sfumature della rabbia, della paura e del dolore. Dean poteva sentirle arrivare fino a lui e alimentare così il suo senso di colpa che provava nei confronti di Castiel.
“Lui ti ha parlato, Dean!” – continuò – “Ti ha parlato! Prima ancora di me e dei nostri genitori! Sono anni che Cassie non dice una parola, e poi arrivi tu e…”
L’azzurro degli occhi di Balthazar si frammentò, come tanti frattali di ghiaccio.
“E tu te ne sei andato, maledizione! L’hai lasciato da solo! Come credi che mi debba sentire, eh? Come credi che mi debba sentire, quando la prima persona con cui mio fratello ha parlato dopo tanto tempo non si è più fatta vedere?!”
Il silenzio calò su di loro, improvviso, aggravando la distanza emotiva che già li separava.
“Ti prego…fammi parlare con lui…”
“No…non ti permetterò di fargli ancora del male” – concluse amaramente Balth, per poi indietreggiare e chiudere la porta in faccia all’altro.
Dean si ritrovò da solo, sul portico, senza più quel tepore. Intorno a lui solo buio, e un freddo che gli penetrò fin dentro alle ossa.
 
 
°°°
 

Quando Balthazar si voltò, vide la figura di Castiel in fondo al corridoio, che lo guardava con aria interrogativa.
Negli ultimi due giorni, il rapporto tra i due fratelli era sensibilmente cambiato, ed era stato caratterizzato solo da sguardi sfuggenti e parole di cortesia.
“Chi era?” – chiese il minore, quando l’altro si avvicinò a lui.
“Nessuno” – liquidò il più grande.
Castiel osservò il fratello e annuì, poco convinto.
“La mamma mi ha appena mandato un messaggio…dice che sono arrivati dai nonni e che torneranno a casa dopodomani” – aggiunse poi.
“Ok” – si limitò a rispondere il maggiore, per poi superare il moro, senza incrociare il suo sguardo.
Castiel rimase fermo per qualche istante, con il cellulare stretto tra le mani, mentre una strana sensazione si impadroniva di lui. Il giovane guardò di sfuggita la porta di ingresso e quella sensazione divenne più acuta. All’improvviso si voltò e raggiunse il fratello in salotto.
“Balthe” – lo richiamò il più piccolo.
Balthazar indugiò un attimo, e infine si voltò, evitando nuovamente di guardare l’altro negli occhi.
E in quel momento la sensazione esplose prepotente: Castiel capì che il fratello gli aveva appena mentito.
“Chi era alla porta?” – chiese, con una punta di apprensione nella voce, quasi temesse di conoscere la riposta.
Il maggiore rimase in silenzio.
“Balth!”
“Era Dean”.
Castiel sussultò.
“D-Dean?” – ripeté, incredulo.
“Sì”.
“C-Cosa voleva?”
“Cercava te”.
Per qualche istante, il giovane rimase spiazzato da quelle parole.
“Perché non mi hai chiamato?” – chiese poi, contrito.
Il fratello non rispose, ma si limitò a sostenere lo sguardo dell’altro.
“Balthe, rispondimi!”
“Cosa volevi che facessi, Cassie? Che lo facessi entrare in casa come se niente fosse? Non si è fatto vedere né sentire per giorni!” – sbottò fuori il più grande.
“Cosa gli hai detto?” – domandò il minore, ignorando le sue parole.
“Di andarsene”.
“Co…Perché?”
“E me lo chiedi anche? Ti ha ferito, e magari ora pensava di sistemare tutto con qualche scusa? Beh, si sbaglia di grosso!”
“Non spettava a te deciderlo!”
Balthazar socchiuse leggermente gli occhi e puntò quelli blu del fratello.
“Non ci posso credere…vuoi perdonarlo?” – mormorò poi.
Castiel si morse un labbro.
“Non lo so…ma devo dargli una possibilità per spiegarsi”.
“Devi o vuoi?”
Il più piccolo sospirò.
“Entrambe le cose”.
 
 
°°°
 

Castiel si lasciò la porta di ingresso alle spalle. Con una mano chiuse la zip della giacca fino al colletto, mentre con l’altra stringeva il berretto e la sciarpa. Fece per scendere i gradini del portico, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Si voltò di scatto e il suo cuore saltò di un battito.
 
“Io mi chiamo Dean”
“Anche se non fosse stato così, io ti avevo detto che sarei venuto. Ed eccomi qua”
“Sì…Cas. Diminutivo di Castiel? Non ti piace?”
 
“Dean…”
Il giovane Winchester era seduto sul dondolo e lo stava guardando. Dopo qualche secondo, si alzò e si avvicinò al moro. Senza dire nulla, prese la sciarpa e il berretto dalla mano di Castiel e iniziò a sistemarli sul ragazzo.
 
“Copriti bene, Cas, fa davvero freddo”
 
“Ti ho già detto che devi coprirti bene” – disse poi, dopo aver finito.
“Dean…”
“Andiamo”.
E con un cenno del capo invitò l’altro a seguirlo.
 
I fiocchi di neve continuavano a cadere dal cielo senza sosta. Castiel si guardò intorno, cercando di riconoscere il posto in cui lui e Dean si erano fermati. Il luogo era illuminato a fatica dai pochi lampioni presenti e la neve ricopriva ogni cosa, lasciando intravedere ben poco. Il terreno era stato più volte calpestato da piccole orme, che si raccoglievano più numerose attorno ad esili strutture di legno e di metallo. Sprazzi di colore facevano capolino laddove la neve non aveva attecchito. Si trattava di un parco giochi per bambini.
Dean riprese a camminare e Castiel, dopo un attimo di esitazione, lo seguì. Un piccolo pupazzo di neve, abbozzato al meglio, con occhi fatti di sassi e rami secchi, trovati chissà dove, al posto delle braccia, era stato messo a guardia di uno scivolo lì vicino.
Il biondo si fermò di fronte a due altalene e prese posto su una di esse, puntando i piedi per terra e lasciandosi dondolare leggermente.
Castiel rimase in piedi, davanti a lui.
“Tuo fratello mi odia” – disse l’altro, sollevando lo sguardo.
Il moro sospirò.
“No, non ti odia, lui è…”
“Preoccupato per te” – lo interruppe Dean.
Il ragazzo dagli occhi blu annuì.
“Lo capisco…avrei fatto lo stesso se si fosse trattato di Sammy…”
Dean fece una pausa e strinse le mani attorno alle catene dell’altalena, rese fredde e umide dalla neve.
“Comunque avrebbe ragione ad odiarmi. Sono…sono stato proprio uno stronzo ad andarmene così…e a non farmi più vedere…”
Castiel non disse nulla.
“E faresti bene ad odiarmi anche tu…” – concluse il biondo, abbassando lo sguardo.
Castiel osservò l’altro attentamente.
Le sue labbra erano pallide e un po’ socchiuse.
 
“Assaggia”
 
Le ciglia vibravano in maniera impercettibile, ogni volta che batteva le palpebre.
 
“Non ti trovavo e mi sono spaventato”
 
Le lentiggini sul viso non si vedevano, ma il ragazzo sapeva che c’erano.
 
“Chissà quante sono”
 
Le mani stringevano a pugno le catene, tanto da far sbiancare le nocche.
 
“Ecco…ti ho portato una cosa”
“Ci sono qui io, Cas”
“…cas…”
“Ti fidi di me?”
 
Castiel sentì un nodo stringergli la gola. Finora non se n’era reso conto, accecato da tutto quello che era successo e dal timore che, dopo quel bacio, niente sarebbe stato più come prima: Dean gli era mancato…gli era mancato tantissimo.
Il moro fece qualche passo verso l’altalena vicina e, dopo averla ripulita dalla neve, vi si sedé sopra.
“Io non ti odio”.
Dean si girò verso di lui e incontrò due occhi blu che lo guardavano.
“Non potrei mai odiarti…”
“Cas…”
 
“Posso chiederti una cosa?” – disse Dean.
Castiel annuì.
“Io…sono stato la prima persona con cui hai parlato dopo anni, vero?”
Il giovane esitò un attimo.
“Sì…” – ammise poi.
“Perché? Voglio dire...perché proprio io?”
Castiel abbassò lo sguardo e si stropicciò le mani.
Dopo essere diventato sordo, l’uso della voce divenne una questione spinosa per il ragazzo. Ogni volta che Castiel parlava, il non sentire quello che diceva creava in lui un vuoto terribile. Se non sentire i suoni e i rumori era già di per sé orribile, non sentire la propria voce era terrificante. Era come se una parte di lui fosse distaccata, impossibile da raggiungere, ed era una parte importante, che lo rendeva quello che era.
E dal momento che lui non poteva raggiungerla, aveva scelto Dean per farlo al posto suo. E questo perché, da quando Dean era entrato nella sua vita, era come se il suo mondo avesse vibrato dolcemente, facendogli riscoprire sensazioni che non avrebbe mai più creduto di provare.
“Tu sei diverso”.
Dean spalancò gli occhi e deglutì un paio di volte.
“Tu non sei come tutti gli altri, e so che ti sembrerà strano ma…sei stata l’unica persona che mi ha fatto stare bene dopo tanto tempo”.
Dean rimase senza parole, non sapeva proprio cosa dire. In quei giorni si era chiesto più volte perché Castiel avesse scelto di donare a lui la sua voce. E adesso che conosceva la risposta, si sentì lusingato, per quelle parole…e per quel gesto. Ma, in cuor suo, Dean riteneva di non aver fatto nulla di speciale per Castiel. Gli era stato amico sin dal primo momento in cui si erano conosciuti, per Dean era stata una cosa spontanea. E anche perché quel pomeriggio, sul portico di casa Novak, Castiel aveva colpito Dean in un modo che neanche lui riusciva a capire.
Dean schiuse le labbra per dire qualcosa, ma Castiel lo anticipò.
“Anche io devo chiederti una cosa…una cosa che devo sapere”.
Il ragazzo dagli occhi blu si prese un momento, senza distogliere lo sguardo dal biondo.
“Perché? Perché mi hai baciato, Dean?”
Dean sospirò.
“Secondo te?”
Castiel si morse un labbro, indugiando.
“Voglio che tu me lo dica”.
Dean si umettò le labbra e annuì. Si sollevò e si rimise in piedi, portandosi poi di fronte all’altro.
“Ti ricordi quando sei venuto a casa mia, la prima volta?” – iniziò.
Il giovane socchiuse gli occhi e annuì.
“Ti…ti avevo detto che uscendo di più magari avresti trovato anche tu una ragazza…” – proseguì il biondo.
“Sì, ricordo…”
Dean prese un profondo respiro.
“Hai trovato un ragazzo…se vuoi…”
Castiel schiuse la bocca e le labbra iniziarono a tremare.
L’altro allungò un braccio e gli porse la mano.
“Ti fidi ancora di me, Cas?”
Il moro guardò la mano del giovane e annuì, ricercandola poi con la sua.
Dean lo aiutò ad alzarsi in piedi e lo attirò a sé, sorridendogli.
Castiel si trovò così vicino al ragazzo da poterne sentire il respiro caldo e riuscire a contare le sue lentiggini, proprio come quel giorno. La sua gola si fece improvvisamente secca, mentre il cuore iniziò a galoppare, impazzito. Puntò le mani sul petto dell’altro e si scostò leggermente.
“Sei…sei sicuro?”
“Sì” – sorrise Dean.
“Io…non sono come le altre persone, lo sai, io…”
“Non ti azzardare a dire quello che stavi per dire”.
“Ma…”
“Smettila”.
“Lasciami parlare!” – sbottò fuori il moro.
Dean rimase spiazzato ed esitò un attimo.
“Ok…” – mormorò poi.
“Io…noi non potremo andare al cinema o ad un concerto…guardare la tv, ascoltare musica…neanche parlare al telefono…”
Castiel si prese una pausa.
“Con me non potrai far niente di tutto questo. E…io non voglio che tu…”
“Non mi importa” – lo interruppe l’altro.
“Dici così adesso, ma dopo?”
“Anche dopo”.
“Dean…”
Dean artigliò le mani sulla sciarpa di Castiel, avvicinandolo di più a sé.
“Tu sei Cas. Cas e nient’altro, ok?” – disse, umettandosi le labbra – “E vuoi sapere una cosa? …mi piaci. Mi piaci molto…”
 
“Tu sei sordo, è vero. Ma…non sei solo questo. Sei sicuramente tante altre cose, Castiel. E…se qualcuno non se ne rende conto, allora vuol dire che non capisce proprio niente”
 
Castiel fu travolto dal verde degli occhi di Dean che lo guardavano, e sorrise. Dean era davvero diverso e, in quell’istante, Castiel non solo capì di non aver affatto sbagliato a donargli la propria voce, ma anche che, per lui, quel ragazzo era diventato così importante da non poterne più fare a meno.
“Anche…anche tu mi piaci molto, Dean”.
Il giovane ricambiò il sorriso.
“Cas…io ti devo chiedere scusa…” – disse subito dopo.
Il ragazzo dagli occhi blu inclinò leggermente il viso, con aria interrogativa.
“Per come me ne sono andato quella sera…” – proseguì Dean – “Quando…quando ti ho baciato, io non…non sapevo perché l’avessi fatto, o almeno così credevo, ma adesso…adesso lo so”.
“Posso?” – chiese poi, avvicinando le labbra a quelle del moro.
Castiel annuì, e poi si lasciò andare, chiudendo gli occhi.
Le labbra di Dean erano leggermente fredde, ma ben presto si intiepidirono. Il loro tocco assomigliava ad una morbida carezza…delicata, leggera, eppure così intensa e travolgente. Il ragazzo si ritrovò completamente avvolto dall’essenza di Dean, dall’odore della sua pelle…quell’odore di bosco, di fresco e di pulito che aveva già sentito in altre occasioni.
Qualcosa di umido e vellutato lambì piano il suo labbro superiore. Castiel sussultò, spalancando gli occhi.
Il biondo si scostò un po’ e ridacchiò.
“Esistono tanti tipi di bacio, sai?”
Il moro abbassò lo sguardo, visibilmente imbarazzato, e si sentì a disagio…perché per lui era la prima volta. Era tutto nuovo…essere così vicini ad un’altra persona, toccarla in quel modo. Ogni cosa era un’incognita, largamente amplificata dalla sua inesperienza. E, a volte, faceva paura.
Dean posò una mano sulla guancia dell’altro, richiamandone così l’attenzione.
“Non devi avere paura” – disse sorridendo, prima di cercare nuovamente le sue labbra.
Castiel sospirò a quel contatto e lasciò che il biondo succhiasse delicatamente le sue labbra, con calma, schiudendole e permettendo così alla sua lingua di incontrare timidamente la propria, e ai loro sapori di diventare una cosa sola.
 
 
                                                                                                                       


°°°
 

Castiel varcò l’ingresso e chiuse la porta. Fece qualche passo e si fermò di fronte all’armadio del corridoio. Con un rapido gesto della mano si tolse il berretto dalla testa, sistemandosi i capelli come meglio poté, mentre con l’altra allentò il nodo della sciarpa, per poi sfilarla dal collo. Puntò un piede davanti all’altro e si levò le scarpe, accorgendosi poi con disappunto che l’orlo dei jeans era zuppo per via della neve, e stava inumidendo anche le calze. Fece per sfilarsi la giacca, quando una luce si accese, illuminando il corridoio e facendolo sussultare. Si voltò di scatto e vide il fratello ai piedi delle scale, con la mano ancora appoggiata all’interruttore. Indossava una maglietta grigia e un paio di pantaloni dello stesso colore, e sul viso aveva un’espressione stanca.
“È tardi…” – mormorò.
Castiel lo osservò, ma non rispose. La serata trascorsa con Dean era stata così intensa da far perdere al giovane la cognizione del tempo.
“Mi stavo preoccupando…” – aggiunse il maggiore.
“Ero con Dean”.
“Sì, l’avevo immaginato…” – annuì l’altro.
Castiel finì di togliersi la giacca e di riporla nell’armadio.
Balthazar fece qualche passo verso di lui.
“Allora…avete parlato?”
Il moro esitò un attimo e poi annuì.
“E come è andata?”
“Lo vuoi veramente sapere?” – ribatté il minore, alzando un sopracciglio.
Il più grande si passò una mano sul viso.
“Certo che lo voglio sapere, Cassie…” – sospirò poi.
“È…è andata bene” – si limitò a dire il più piccolo.
Balthe sorrise leggermente.
Entrambi rimasero in silenzio, per qualche istante.
“Senti, Cassie…” – iniziò il maggiore.
“Non importa” – lo interruppe l’altro, alzando una mano.
“No, lasciami spiegare…” – tentò il più grande.
“Balth, non ce n’è bisogno…”
“Ti prego…”
Castiel incrociò gli occhi del fratello e annuì.
“Ho esagerato” – iniziò Balth – “Non avrei…non avrei dovuto comportarmi così…con te e con Dean, è che…”
“Lo so che eri arrabbiato, e non solo con Dean, ma anche con me…” – lo interruppe Castiel – “Mi dispiace, io non volevo ferirti e non volevo ferire neanche mamma e papà…”
Balthazar chiuse gli occhi un attimo, per poi riaprirli subito dopo.
“È che aspettavo quel momento da tanto sai?” – disse il maggiore, con voce incrinata.
Il più piccolo schiuse le labbra.
“Non…non mi sono mai arreso al fatto che tu non volessi più parlare. Continuavo a sperare che, prima o poi, tu avresti ripreso a farlo…”
Castiel non riuscì a rispondere.
“E devo ringraziare Dean per questo…” – concluse infine l’altro.
Balthazar si prese un momento di pausa, prima di riprendere.
“Da quando lo hai conosciuto, sei cambiato…lui…lui è arrivato dove né io né i nostri genitori siamo mai arrivati…”
“Balth…”
“Sono un po’ geloso, sai?” – ammise il più grande, abbozzando un sorriso.
Anche Castiel sorrise timidamente.
Balthazar fece un altro passo verso il fratello.
“Lo sai che ti voglio bene, vero?”
“Sì, lo so…ti voglio bene anche io”.
“Vieni qui” – disse il maggiore, stringendo poi il più piccolo in un abbraccio.
Il giovane ricambiò e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalle braccia del fratello.
“Ah, dimenticavo” – lo richiamò Balth, scostandosi leggermente – “Buon anno, Cassie”.
Il minore sorrise.
“Buon anno anche a te, Balthe”.
 
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Allora, che ne pensate di questa svolta? Siete contenti? Spero proprio di sì…
Come avete letto, Dean ha faticato parecchio nel rendersi conto di quello che prova per Castiel, e l’intervento di Charlie, che lo ha guidato passo per passo, è stato determinante in questo senso. A Dean serviva la spinta necessaria per fare ammettere alla sua testa quello che, invece, il corpo e il cuore avevano capito da tempo, e cioè che Castiel gli piace sul serio.
L’incontro con Balthazar ha messo in serio pericolo l’intenzione di Dean di chiarire con il ragazzo dagli occhi blu, ma per fortuna sembra che il destino voglia davvero dare una mano a questi due. La reazione del maggiore dei Novak forse è stata un po’ forte, e scorretta sotto certi aspetti, ma è stata tutta in funzione dell’affetto che prova per il minore. E Castiel, dopo un risentimento iniziale, lo ha capito, e i due si sono riappacificati.
Bene bene, il capitolo si conclude con tranquillità, senza cliffhanger ansiogeni, e chissà cosa combineranno Dean e Castiel, alla luce dei sentimenti che ora sanno di provare l’uno per l’altro. Già, chissà…
Di nuovo, ci tengo a ringraziare la mia preziosissima beta, MadGirlWithABluBox, per il supporto datomi nella stesura di questo capitolo, così difficile da affrontare e da trattare, al pari del precedente. Se ripenso a quante volte lo abbiamo letto e rivisto, mi sento quasi male…ma questa è un’altra storia ;)
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Nei precedenti capitoli mi sono dimenticata di dirvi che la caffetteria Milton, dove Dean e Castiel hanno bevuto la cioccolata dopo aver pattinato, esiste veramente a Lawrence. Vi lascio un paio di foto, per curiosità.

      


2) Fan art, fan art e ancora fan art!

                                          

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodici ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO DODICI
 
“Spesso succede che quella che si credeva
essere la vetta, era solo l’ennesimo gradino”
 
Seneca
 
 

Le vacanze di Natale passarono in fretta e, ben presto, fu tempo di tornare sui banchi di scuola.
“Allora? Hai parlato con Castiel?” – squittì Charlie, appoggiando la borsa sul tavolo della mensa e sedendosi accanto a Dean.
“Charlie, maledizione!” – la richiamò il biondo, colto di sorpresa.
“Oh, quante storie” – lo liquidò lei, con un gesto della mano e alzando gli occhi al cielo – “Piantala, e sputa il rospo”.
Dean fece finta di nulla, con la speranza che la ragazza lasciasse perdere, invano.
“Dean, se non dici qualcosa ti darò il tormento per tutto il giorno” – lo avvisò la ragazza – “E sai che sono benissimo in grado di farlo”.
A quella minaccia, il biondo sospirò, arrendendosi.
“Sì, sì, ci ho parlato, ok?”
“Davvero?” – sorrise la giovane – “E com’è andata? Dai, voglio sapere tutto!” – disse poi, incapace di trattenere il suo entusiasmo.
“Cosa? Assolutamente no!” – ribatté lui, perentorio, per poi tornare a concentrarsi sul pranzo.
Benny, seduto lì vicino, soffocò una risata dietro ad un sorso di Coca-Cola.
Charlie socchiuse gli occhi e fulminò entrambi con uno sguardo.
“Oh, scommetto che tu sai tutto” – sibilò la ragazza, rivolta a Benny.
Il ragazzo posò la lattina sul tavolo e poi alzò le mani, limitandosi a dimostrare così la propria estraneità ai fatti.
“E tu” – continuò la rossa, guardando Dean e punzecchiandogli il braccio con un dito – “Ti ricordo che, se non fosse stato per me, saresti ancora lì a girare in tondo”.
“Perché Dean dovrebbe girare in tondo?” – chiese Chuck, con aria interrogativa, mentre prendeva posto a sedere davanti a loro.
Il tavolo si zittì all’improvviso. Benny e Charlie guardarono Dean, in attesa. Il ragazzo puntò gli occhi su Chuck e indugiò un attimo, stringendo la forchetta a mezz’aria e facendo schioccare la lingua.
“Ecco…”
“Lui e Castiel si sono messi insieme” – intervenne Charlie, interrompendo l’altro.
“Grazie tante” – borbottò Dean, sarcastico, voltandosi verso di lei.
“Ma allora è vero?!” – trillò lei, riportando la sua attenzione su Dean.
Il giovane Winchester sbuffò sonoramente.
Nel frattempo Chuck era rimasto con le mani ancora appoggiate ai bordi del vassoio e con gli occhi chiari puntati su Dean.
“Uhm…non male” – iniziò, pensieroso – “Potrei scriverci un libro” – disse poi, sorridendo malizioso.
“Non ti azzardare” – ribatté Dean, puntando l’indice contro l’altro.
“O anche un bell’articolo” – continuò il ragazzo, ignorando l’avvertimento del biondo.
“Amico, dacci un taglio” – lo minacciò il biondo.
Chuck non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, subito imitato da Benny e Charlie. Dean, invece, si limitò a sbuffare di nuovo e ad alzare gli occhi al cielo.
 
“Allora, come sta andando?” – riprese Charlie dopo un po’, appoggiando i gomiti sul tavolo e avvicinandosi a Dean.
“Charlie…” – iniziò il ragazzo.
“E dai, Dean! Cosa ti costa dirmi qualcosa?” – pigolò lei, visibilmente delusa.
Il biondo guardò la ragazza e arricciò le labbra, valutando il da farsi.
“Sta andando bene” – mormorò poi.
“Davvero?” – squittì lei, schiudendo le labbra in un sorriso radioso.
“Sì, davvero…”
Dean ripensò a quella sera, e sorrise.
Non appena tornato a casa, si era sdraiato sul letto e aveva scambiato parecchi messaggi con Castiel, ma, anche dopo avergli augurato la buona notte, non era riuscito ad addormentarsi subito, tanto era eccitato.
Il muro che tratteneva i sentimenti e le emozioni di Dean si era disgregato e tutto quello che lui provava per il ragazzo si era riversato con una forza devastante sulla sua quotidianità. All’inizio, Dean credeva che stare con un ragazzo sarebbe stato diverso, anche se non aveva idea in che modo, e questo lo aveva un po’ spaventato, vista la sua inesperienza in questo campo. Mano a mano che i giorni passavano, però, Dean si era reso conto che stare con Castiel gli veniva naturale. Trascorrere il tempo con lui, toccarlo, baciarlo, erano tutte cose che il ragazzo faceva spontaneamente, quasi senza pensare, come se le avesse sempre fatte.
I giorni successivi alla sera di Capodanno, infatti, erano stati pieni solo di Castiel. I due giovani si davano appuntamento ad una certa ora, e spesso Dean usciva di casa un po’ prima, scoprendo poi che Castiel aveva fatto altrettanto e che gli stava venendo incontro lungo il marciapiede. Cercavano di passare più tempo possibile insieme: sulla pista di pattinaggio, dove Dean ne approfittava per stringere le mani dell’altro senza dare nell’occhio; da Milton, dove il biondo rideva ogni volta che Castiel ordinava una cioccolata con panna e cannella, come la sua; al parco giochi, dove entrambi potevano lasciarsi andare, quando non c’era nessuno nei dintorni. Rimanevano insieme fino al sopraggiungere del buio e, a volte, anche oltre.
Quando la scuola aveva ripreso, dopo le vacanze, il tempo da trascorrere insieme si era fatto più limitato, ma questo non aveva scoraggiato di certo i due ragazzi, soprattutto Dean. Il giovane Winchester, con la scusa dei compiti, andava a casa di Castiel ogni giorno, dopo la scuola. I genitori del moro non rientravano mai prima di sera e, pertanto, lui e Castiel potevano stare da soli, lontano da occhi indiscreti, e godersi un po’ di libertà in pace. E su questo proposito, infatti, i due ragazzi si erano confrontati, arrivando a pendere una decisione comune.
 
“Cas…” – esordì Dean, un giorno – “Questa cosa, tra me e te…tu pensi che dovremmo dirla a qualcuno? Cioè, a parte Charlie e gli altri intendo…”
Castiel esitò un attimo, mordendosi un labbro.
“Balth lo sa…” – disse infine.
“Davvero? Sa…tutto? Sì, insomma, che…”
“Sì...”
“Ok…” – sospirò il biondo, passandosi una mano sul viso – “Credo che adesso tuo fratello vorrà ammazzarmi sul serio”.
Castiel rise e strinse la mano di Dean nella sua.
“No, non ti ammazzerà. Anzi…credo che sia contento…”
“Sicuro?”
“Sì, sicuro”.
 
“Tu…vuoi dirlo a qualcuno?” – proseguì poi il ragazzo con gli occhi blu.
Dean rimane in silenzio, volgendo lo sguardo altrove e mordicchiandosi la guancia
“A dire il vero no…” – disse poi, riportando l’attenzione sull’altro – “Cioè, è che non…non saprei come spiegarla…” – gesticolò, a disagio – “E…ho paura che non capirebbero…”
Entrambi rimasero in silenzio per qualche secondo.
“E mio padre…” – continuò Dean, interrompendosi subito e facendo una smorfia – “Non ci voglio nemmeno pensare…”
Dean cercò gli occhi blu di Castiel, che risposero sostenendo lo sguardo.
“Cas, ti prego, dì qualcosa anche tu” – lo esortò Dean, con una punta di apprensione nella voce.
Il moro inspirò profondamente.
“Neanche io saprei come spiegarla” – ammise poi – “Forse…dovremo aspettare…”
Dean rimase ad osservare Castiel, valutando le sue parole, e alla fine annuì.
“Ok, allora…aspettiamo”.
 
 
 
°°°
 
 
Balthazar uscì dalla propria camera, frizionandosi i capelli con un asciugamano. Fece capolino nel bagno per gettare l’asciugamano nella cesta dei panni sporchi, dopodiché percorse il corridoio, fino alla porta della stanza del fratello. Premette l’interruttore e rimase in attesa. Dopo qualche secondo la porta si aprì e Castiel, vedendolo, gli sorrise, facendogli cenno di entrare.
“Ehi” – disse il maggiore, facendo qualche passo dentro la camera – “Tutto bene?”
Il più piccolo annuì.
“Ah, ok…” – disse l’altro, indugiando un attimo – “Ho visto che, dopo cena, sei letteralmente scappato qui sopra…”
“Ho ancora dei compiti da finire per domani”.
Balth alzò le sopracciglia.
“Hai ancora dei compiti da fare…” – ripeté, prendendosi poi un secondo per dare un’occhiata al suo orologio – “A quest’ora? Cassie, sono le dieci passate…”
Castiel si morse un labbro e rimase in silenzio.
Il fratello socchiuse gli occhi e osservò l’altro.
“Uhm, fammi indovinare…sei stato con Dean oggi pomeriggio?” – tentò, pizzicandosi il mento.
“Sì…” – ammise il minore.
“E scommetto che avete fatto altro…” – ghignò Balth.
Castiel non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo e ad arrossire.
Il maggiore posò una mano sulle spalle del più piccolo, richiamando così la sua attenzione.
“Cassie, so come vanno queste cose, sono stato adolescente anche io, sai? È normale” – disse sorridendo, cercando di tranquillizzare l’altro.
Un ronzio, proveniente dalla scrivania, fece voltare Balthazar. Il cellulare di Castiel aveva vibrato due volte, per poi smettere, rimanendo con lo schermo illuminato. Il fratello tornò a guardare l’altro, con aria interrogativa.
“È Dean” – spiegò il minore – “Ci stavamo scambiando dei messaggi…”
Il più grande rise.
“Beh, immagino che con Dean stia andando bene, allora…”
Castiel incrociò gli occhi azzurri di Balth.
“Sì…”
Il ragazzo si lasciò poi andare ai ricordi.
La sera dell’ultimo dell’anno, nella sua camera, Castiel aveva sorriso al display del telefono, leggendo i messaggi di Dean. Aveva fatto poi fatica a prendere sonno perché, se da un lato il tempo trascorso con Dean era stato bellissimo, dall’altro il ragazzo temeva che si trattasse solo di un sogno, e che tutto quello sarebbe svanito, una volta arrivate le prime luci dell’alba. Quando, il giorno dopo, aveva visto Dean venirgli incontro sul marciapiede, con un sorriso sulle labbra, aveva sentito dentro di sé un calore, capace di sciogliere tutte le paure e le preoccupazioni della notte precedente.
Castiel non aveva mai avuto una ragazza, o un ragazzo, quindi per lui stare con una persona era una cosa completamente nuova, sconosciuta. E questo gli aveva fatto paura, all’inizio, perché non aveva la più pallida idea di cosa fare. Ma poi era rimasto sorpreso nel rendersi conto che, stare insieme a Dean, era una cosa semplice. Il suo corpo si muoveva da solo quando era con lui, rispondeva d’istinto alle attenzioni dell’altro, lo cercava, anche solo per intrecciare le dita con le sue o per sentire il calore della sua vicinanza.
Nei giorni a seguire, Dean era stato l’orologio che aveva scandito la giornata di Castiel. Ogni minuto che lo separava dall’appuntamento con Dean sembrava non passare mai, non facendo altro che aumentare il desiderio di stare con lui. E, quando erano insieme, le ore passate con Dean non sembravano mai abbastanza. Sulla pista di pattinaggio, il ragazzo si affidava completamente all’altro, soprattutto quando il biondo lo stringeva a sé, per impedirgli di cadere. Nel locale di Milton, seduto di fronte lui, Castiel sorrideva nel vedere Dean bere la sua cioccolata, sporcandosi ogni volta gli angoli della bocca. E al parco, lontano da occhi indiscreti, Dean si faceva più esuberante, baciandolo con un certo trasporto, e questo spiazzava Castiel. Sebbene il moro stesse acquisendo maggiore sicurezza in fatto di baci, Dean riusciva a sorprenderlo ogni volta con qualcosa di nuovo: baci sul collo, braccia che lo avvolgevano, il corpo di Dean appiccicato al suo…E Castiel, certe volte, non sapeva bene cosa fare, come reagire…e dove mettere le mani.
 “Ehi” – lo richiamò il maggiore – “Ti va se scambiamo due parole?”
Il più piccolo annuì e con un gesto del capo invitò il fratello a sedersi sul letto. Quando entrambi furono l’uno accanto all’altro, Balth si voltò leggermente e guardò il minore.
“Sai, Cassie…all’inizio, quando mi hai detto di Dean, ammetto di essere rimasto un po’ sorpreso…”
Castiel abbozzò un sorriso.
“Non pensavo che ti potessero piacere i ragazzi…” – proseguì cauto Balthe.
Il giovane aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito.
“Non fraintendermi” – si affrettò a dire l’altro – “Sono contento che tu abbia trovato una persona speciale, e non mi importa di che sesso sia, è solo che…è strano, perché quando portavo a casa qualche ragazza, eri davvero curioso” – sorrise, al ricordo – “Oltre al fatto che, quando se ne andavano, mi tempestavi di domande” – concluse, malizioso.
“Tante domande per tante ragazze” – ribatté piccato Castiel.
“Cassie, così mi offendi” – si difese Balth, portandosi la mano al petto, con fare teatrale.
Entrambi scoppiarono a ridere.
 
Balthe si prese un momento, per poi proseguire.
“Volevo dirti che anche se non ho esperienza diretta con un ragazzo, so cosa vuol dire stare insieme ad una persona…e se hai qualche dubbio o semplicemente vuoi parlare, puoi chiedermi qualsiasi cosa” – indugiò – “Anche sul…sesso” – concluse infine.
Castiel spalancò gli occhi e arrossì visibilmente.
“Ok, ok, forse per questo è un po’ presto” – ridacchiò il maggiore, di fronte alla reazione del più piccolo – “Ma quando avrai bisogno, io sarò sempre qui, ok?”
Castiel sorrise timidamente.
“Ok…”
 
“Dean ti piace molto, vero?” – riprese il maggiore dopo un po’.
Castiel si morse un labbro e annuì.
“Bene, sono contento per te, fratellino”.
 
 
°°°
 
 
“Dean…” – sospirò Castiel.
Dean sorrise sulla pelle dell’altro e poi sollevò lo sguardo, per incrociare gli occhi del giovane che lo guardavano con finto rimprovero.
I due ragazzi si trovavano nella camera di Castiel, seduti alla scrivania, per fare i compiti. O, almeno, questo era l’obiettivo iniziale, perché Dean, dopo circa un’ora, aveva impunemente abbandonato le sue buone intenzioni e ricercato invece un contatto con il moro, fatto di teneri abbracci e soffici baci sul collo.
“Dean” – riprese il ragazzo – “Devi ancor finire questo esercizio”.
Il biondo alzò gli cocchi al cielo, sbuffando.
“Cas, non possiamo fare una pausa?” – pigolò poi.
“Abbiamo appena iniziato” – disse l’altro, alzando un sopracciglio – “Domani hai il test”.
“Lo so, lo so, non ricordarmelo…” – borbottò il giovane, affranto.
Castiel sorrise.
“E non posso permettere che tu prenda un’insufficienza” – disse poi, giocherellando con la penna tra le dita.
Dean lo guardò, con aria interrogativa.
“Se mia madre dovesse darti un’insufficienza, potresti decidere di non stare più con me” – spiegò infine, sorridendo.
“Uhm” – disse pensieroso Dean – “Quindi…io e te stiamo insieme?” – chiese, gesticolando con una mano per indicare entrambi.
Castiel rimase immobile, con i suoi grandi occhi blu puntati sull’altro.
“S-sì…” – arrancò poi – “P-perché? Tu e io non…? Io credevo che…” – esitò, nella voce una chiara sfumatura di apprensione.
Dean rise, divertito.
“Cas, rilassati…stavo scherzando”.
“Dean!” – lo rimproverò il moro, risentito.
Il biondo ridacchiò e si avvicinò al giovane, stringendolo di più tra le braccia e appoggiando la fronte sulla sua.
Castiel tenne il broncio per qualche secondo, per poi chiudere gli occhi e sospirare sotto le attenzioni del suo ragazzo.
 
“Allora, che ne pensi? Ti piace la mia idea di fare una festa per il mio compleanno?”
Castiel arricciò le labbra, perplesso.
“E dove vorresti farla?”
“A casa mia” – rispose il biondo, alzando le spalle – “Anche se devo ancora chiedere il permesso ai miei”.
“Credi che te lo daranno?”
“Cercherò di essere il più convincente possibile…magari potrei farmi aiutare da Sam”.
Il moro lo guardò, confuso.
“Sai, Sammy ha questo modo di fare, quando deve chiedere qualcosa…” – sorrise l’altro – “Mostra quegli occhi da cucciolo bastonato che si ritrova, ed è praticamente impossibile dirgli di no…”
Castiel ricambiò il sorriso.
“Dean?” – lo richiamò Castiel, dopo un po’.
“Umh?”
“Stavo…stavo pensando al tuo regalo…” – esitò il moro – “Sì, insomma…c’è qualcosa che ti piacerebbe?”
“Beh, direi che il tuo regalo di Natale vale anche per tutti i prossimi compleanni…”
Castiel schiuse le labbra in un leggero sorriso.
“Quello…era un’altra cosa…”
Dean rimase in silenzio, pensieroso.
“A dire il vero…c’è una cosa che mi piacerebbe ricevere da te” – disse infine.
“Cosa?” – domandò l’altro curioso, sorridendo e inclinando leggermente il viso.
“Per dirla tutta, non si tratta di un regalo vero e proprio”.
Castiel corrugò la fronte.
Dean indugiò un attimo, umettandosi le labbra, e alla fine si fece coraggio.
“Io…vorrei che tu venissi alla festa”.
Il moro si irrigidì, quel tanto che bastò per esser notato dall’altro.
“Io…” – tentennò – “Vuoi che venga anche io?”
“Sì, certo…te lo avrei chiesto comunque come amico…e poi adesso stiamo insieme, no?” – riprese poi, sorridendo e ricercando gli occhi blu del giovane.
Castiel ricambiò lo sguardo del biondo. Poi si avvicinò al suo viso, strofinando piano la punta del naso contro la sua.
“Sì, stiamo insieme…”
 
“Allora, verrai?”
“Dean…” – tentò Castiel.
Il ragazzo poté vedere gli occhi blu di Castiel pieni di smarrimento e indecisione.
“Cas” – iniziò il biondo – “Lo so che non ti piace stare con tante persone e che per te è difficile…ma vorrei davvero che tu venissi alla festa. Non sarebbe la stessa cosa senza di te…”
Castiel abbassò lo sguardo e deglutì un paio di volte.
“Lo puoi fare per me? Verresti alla festa per me?” – incalzò l’altro, dolcemente, posando una mano sul suo collo e richiamando così la sua attenzione.
Castiel chiuse gli occhi, per poi riaprirli subito dopo, e sospirò.
“Sì, verrò alla festa per te”.
 
°°°
 
Una sera, dopo aver finito i compiti ed essersi fatto una doccia, Dean scese al piano inferiore e fece capolino dalla porta del salotto. Mary e John stavano guardando la televisione. Dean li osservò con attenzione, mordendosi un labbro. Mancavano meno di due settimane al suo compleanno, e il ragazzo non aveva ancora trovato il coraggio di parlare con i suoi genitori in merito alla festa. La cosa che più lo spaventava, e che pertanto lo frenava, era un possibile diniego da parte del padre. John non era molto amante di queste cose, Dean lo sapeva bene, e teneva particolarmente alla sua casa e alla sua privacy. Al contrario, Mary sembrava molto più aperta e disponibile. Però Dean sapeva anche che, a discapito delle apparenze, la donna aveva un certo ascendente sul marito, e fu proprio su di lei che il giovane ripose le sue speranze.
“Dean, tesoro, cosa fai lì in piedi sulla porta?” – lo richiamò Mary, ridestandolo dai suoi pensieri.
Dean fu colto di sorpresa e, per un momento, fu sul punto di rinunciare, ma il sorriso che gli rivolse la madre gli diede la forza di entrare nella stanza e di perseguire il suo scopo.
“Ehm” – iniziò, umettandosi le labbra – “Vorrei parlarvi”.
John, sprofondato nella poltrona, abbassò il volume della televisione con il telecomando e sollevò lo sguardo. Lui e la donna si scambiarono una veloce occhiata interrogativa.
“Va bene” – annuì lei, voltandosi verso il figlio.
“Ecco…” – tentennò il biondo, spostando il peso del corpo da un piede all’altro – “Tra poco sarà il mio compleanno…”
“Sì, tesoro, lo sappiamo” – sorrise teneramente Mary.
“E io…vorrei fare una festa” – farfugliò lui – “Se mi darete il permesso” – si affrettò poi a dire.
“Una festa?”
“Sì…”
“Uhm…e dove vorresti fare questa festa?” – intervenne il padre.
Dean aprì la bocca, ma la richiuse subito.
“Dean?” – lo chiamò la madre.
“Ehm…qui”.
La donna schiuse le labbra e si voltò verso il marito. John guardò prima la moglie e poi il figlio. Indugiò un attimo, tamburellando l’indice sul telecomando.
“Io e tua madre ne parleremo, e ti faremo sapere” – si limitò poi a dire.
Dean annuì.
“C’è qualcos’altro?” – domandò l’uomo, vedendo ancora il ragazzo fermo di fronte a loro.
“No, no. Allora…io vado” – disse il giovane, facendo cenno con il capo verso la porta – “Buona notte”.
“Buona notte” – fecero eco i genitori.
 
“Allora, cosa facciamo?” – sospirò la donna, dopo aver visto il figlio uscire dal salotto.
John bofonchiò qualcosa di incomprensibile, mentre alzava nuovamente il volume della televisione.
“John” – lo richiamò dolcemente lei.
“Ne dobbiamo parlare adesso?” – chiese lui, affranto.
“Sì”.
L’uomo si passò una mano sul viso e si sedette meglio sulla poltrona.
“Ok” – asserì poi.
La moglie lo guardò un attimo.
“Sai, stavo pensando che dovremmo dargli il permesso per questa festa” – iniziò poi, cauta.
“Mary” – disse il marito, espirando forte – “Lo sai che non mi piacciono molto queste cose…”
“Sì, lo so” – tentò lei – “Ma per una volta possiamo anche farlo. Dean sembra tenerci molto…”
John rimase in silenzio, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le dita delle mani intrecciate tra di loro. Dopo un po’, sempre senza dire una parola, si alzò dalla poltrona e si diresse in cucina. Mary lo seguì con lo sguardo e lo vide aprire il frigorifero, per poi chinarsi leggermente. L’uomo richiuse l’anta del frigorifero e tornò in salotto, con una birra tra le mani. Si lasciò andare nuovamente sulla poltrona e, con un rapido movimento di polso, svitò il tappo della bottiglia e ne prese subito un sorso.
“E va bene” – sospirò – “Ma sia chiaro che ci saranno delle regole” – precisò poi.
Mary annuì e sorrise, soddisfatta.
 
“Allora, per quella cosa di cui ti avevo parlato…cosa ne pensi?” – chiese il marito, giocherellando con l’etichetta della bottiglia.
La donna inclinò leggermente il viso e sorrise.
“Penso che sia una bella idea. E sono d’accordo, se sei sempre deciso a farlo…”
“Sì, tra l’altro Bobby ha già trovato una valida alternativa”.
Mary si prese un attimo per guardare l’altro, e poi si spostò di poco sul divano, avvicinandosi e posando delicatamente la mano su quella dell’uomo.
“John, sei sicuro? So che ci tieni molto, e se non te la senti non importa” – sussurrò.
Lui incrociò gli occhi della moglie per qualche istante, e infine sorrise, stringendo poi la sua mano con la propria.
“Sì, sono sicuro”.
 
°°°
 
Il giorno seguente, dopo cena, i coniugi Winchester chiesero a Dean di trattenersi un attimo in cucina con loro.
“Siediti, Dean” – disse John, indicando con un cenno del capo la sedia. Il figlio prese posto di fronte a lui e, poco dopo, Mary li raggiunse.
John si sporse leggermente in avanti, puntando i gomiti sul tavolo.
“Io e tua madre abbiamo parlato, e abbiamo deciso di darti il permesso per la festa” – iniziò il padre.
Dean schiuse le labbra.
“Davvero?” – chiese poi, facendo saettare gli occhi sulla donna, alla ricerca di un’ulteriore conferma.
“Sì, tesoro” – sorrise lei, subito ricambiata dal figlio.
“Però, il fatto che tu abbia il nostro permesso non significa che puoi fare quello che vuoi” – precisò subito l’uomo.
Dean annuì.
“Prima di tutto, niente alcolici. Non devo ricordarti che, per legge, non si beve prima dei ventun anni, vero Dean?”
“Sì, lo so”.
“Bene. Seconda cosa: niente musica a tutto volume e nessuno a scorrazzare davanti casa o sul retro. L’ultima cosa che voglio è vedere piombare qui la polizia perché qualche vicino si è lamentato per il casino che fate”.
“Ok…”
“Mi raccomando, Dean. Non voglio cazzate in casa mia, intesi?”
“Sì, signore”.
Mary rimase in silenzio per tutto il tempo, riservando ogni tanto qualche occhiata complice al figlio e trattenendo a stento un sorriso.
 
°°°
 
Il momento tanto atteso da Dean arrivò. I giorni precedenti furono piuttosto concitati, perché pensare a tutti preparativi per una festa non era affatto facile. Fortunatamente Mary era ben preparata anche in questo. In fondo era stata lei l’artefice di tutte le feste di compleanno di Sam e Dean, sin da quando erano nati. Nel caso specifico di questa occasione, Mary si sbizzarrì a preparare diverse leccornie, a creare gli addobbi, e lavorò sodo per sistemare al meglio la casa, spostando qualche mobile e creando così maggiore spazio a disposizione degli invitati.
La donna era in cucina, intenta a fare un resoconto generale di tutto quello che aveva preparato e ad assicurarsi di non aver dimenticato nulla.
“Mary” – la richiamò John.
La moglie si voltò e sorrise al marito. L’uomo fece cenno all’altra di seguirlo in salotto e lei annuì.
“Sam, dov’è tuo fratello?” – chiese il padre, vedendo il minore sul divano, intento a sgranocchiare del popcorn.
“È su, a prepararsi”.
“Lo andresti a chiamare, per favore?”
“Ok” – disse Sammy, alzandosi e sparendo su per le scale.
Dopo un paio di minuti Dean entrò in salotto, con i capelli ancora umidi per la doccia.
“Che succede?” – domandò il giovane, vedendo i genitori in piedi di fronte al divano.
“Questo è per te” – iniziò John, porgendo al ragazzo una piccola scatola rettangolare di colore nero.
Dean sollevò le sopracciglia, sorpreso. Prese la scatolina e se la rigirò tra le mani, guardando poi la madre e il padre con aria interrogativa. Il sorriso che gli rivolse la madre lo incitò ad aprirla. E quando lo fece, il giovane schiuse le labbra e rimase immobile. Dentro alla scatola c’erano delle chiavi, la cui forma e colore erano inconfondibili, perché il biondo se l’era trovate in mano diverse volte: erano le chiavi dell’Impala.
Dean fece scattare lo sguardo sul padre.
“È tua” – disse l’uomo, abbozzando un sorriso.
Il maggiore tornò a guardare le chiavi, per poi riportare gli occhi sui genitori.
“Ma papà, tu come…”
“Non ti preoccupare…Bobby mi ha procurato una buona occasione”.
Dean abbassò lo sguardo e deglutì un paio di volte.
“Io…non so cosa dire” – mormorò – “Grazie…”
John fece un passo in avanti e abbracciò il figlio, che ricambiò, sorridendo contro il petto del padre.
“Trattala bene, mi raccomando. Non farmi pentire di avertela data” – si raccomandò l’uomo, sciogliendo l’abbraccio.
“Sì, signore” – sorrise di nuovo il giovane, per poi rivolgersi alla madre e ricercare un abbraccio anche con lei.
 
 
°°°
 
 
“Dean, stiamo uscendo!” – lo richiamò Mary dal corridoio davanti all’ingresso.
Il figlio maggiore fece capolino dal salotto, in tempo per vedere i genitori indossare i cappotti.
“Mamma…” – disse, osservando la donna, piacevolmente stupito – “Stai benissimo…”
Mary si voltò verso il figlio e sorrise. Indossava una camicetta bianca di seta con maniche a sbuffo e una gonna di raso nera aderente, fino al ginocchio. I capelli erano stati raccolti e sul petto spiccava un chiama-angeli argentato, che tintinnava leggermente ad ogni movimento della donna.
“Ti sei anche truccata…” – osservò il più grande.
“Beh, non capita spesso che tuo padre mi porti a cena fuori, e ne ho approfittato” – disse lei, ridendo.
“Dove andate?” – chiese Dean.
“Al 715 Restaurant” – intervenne John.
“Quello sulla Massachusetts Street?”
“Sì”.
Dean fece un fischio di approvazione. Il 715 Restaurant era uno dei migliori ristoranti di Lawrence.
“Papà ti sei messo la cravatta?” – aggiunse poi, alzando le sopracciglia.
L’uomo bofonchiò qualcosa e Mary rise.
“È stata un’impresa convincerlo” – sottolineò lei – “Ok, sono pronta possiamo andare” – disse, rivolta al marito – “Ah, e Sam?” – aggiunse, tornando a guardare il figlio.
“È di là” – rispose il biondo, facendo un cenno della testa.
“Allora, mi raccomando, fate i bravi. E dai un occhio a tuo fratello durante la festa. Ah, e…”
“Sì, sì, lo so” – sbuffò Dean, alzando gli occhi al cielo.
La madre gli rivolse un sguardo di finto rimprovero e poi lo abbracciò.
“Divertiti, tesoro” – gli sussurrò, facendolo sorridere.
“Riesci a camminare con quelle cose ai piedi?” – disse lui, sciogliendo l’abbraccio e osservando i tacchi alti che la donna indossava per l’occasione.
“Sopravvivrò” – rispose lei, ammiccando.
 
 
°°°
 
 
Castiel si tolse la giacca e si guardò intorno, incuriosito e meravigliato allo stesso tempo. Era arrivato a casa Winchester con un’ora di anticipo rispetto all’inizio della festa, come richiesto da Dean.
“Ti piace?” – chiese il biondo.
Castiel gli sorrise e annuì.
“È molto bello. È stata tua madre?”
“Sì, ha fatto tutto lei”.
Il ragazzo dagli occhi blu fece vagare lo sguardo sulla stanza. Mary si era data da fare, ricreando un’atmosfera di festa in tutta la casa. Un paio di tavoli, messi vicini e sistemati davanti al camino spento, presentavano uno squisito assortimento di cibo, di piatti di plastica e di tovaglioli. Lì accanto, lo stereo che Dean teneva solitamente in camera, era stato trasferito per l’occasione su un tavolino basso, posizionato in un angolo del salotto. Proprio sopra al camino, attaccato al muro, un lungo striscione riportava la scritta ‘Happy Birthday’, vivacemente decorata con diversi colori per ciascuna lettera. Altri addobbi, costituiti prevalentemente da palloncini, erano stati sistemati in modo strategico per tutta la casa. In cucina, il tavolo rotondo, dove i Winchester erano soliti consumare i loro pasti, era stato abbellito con una tovaglia verde, e su di esso facevano bella mostra diverse bibite e bicchieri di plastica colorati, impilati gli uni sugli altri,
“Ehi! Anche io ho fatto la mia parte!” – intervenne Sam, facendo capolino proprio dalla cucina – “Ciao, Cas!” – sorrise poi il ragazzino.
“Ciao, Sam” – sorrise Castiel, salutando l’altro con un gesto della mano.
“E sentiamo, tu cosa avresti fatto?” – chiese Dean, ridacchiando.
“Ho aiutato la mamma a gonfiare i palloncini” – ribatté risentito il più piccolo.
“Ok, ok” – ghignò il maggiore, scompigliandogli i capelli con una mano.
“Piantala, Dean!” – borbottò Sam, sottraendosi allo scherzo del fratello e risistemandosi i capelli.
All’improvviso il suono del campanello attirò l’attenzione dei due fratelli.
“Dev’essere Ruby!” – esclamò entusiasta Sam, allontanandosi dai due.
Dean lo seguì con lo sguardo, poi si voltò e strinse il polso di Castiel con la mano.
“Vieni, andiamo su un attimo” – aggiunse, indicando il piano di sopra con un cenno della testa.
 
“Finalmente” – sospirò il biondo, chiudendosi la porta della propria stanza alle spalle e cingendo la vita di Castiel con le braccia.
Il moro sorrise e portò le mani sul collo dell’altro, avvicinandosi poi alle sue labbra e baciandolo. Dean ricambiò subito e inclinò il viso, approfondendo il contatto. Castiel sapeva di buono, sapeva sempre di buono, ma Dean rimaneva ogni volta stupito, come se fosse la prima volta.
“Grazie per essere qui” – ansimò il giovane Winchester, scostandosi leggermente dal giovane.
Castiel non rispose, ma si limitò a sorridere e a guardarlo negli occhi, mentre con i polpastrelli giocherellava sulla sua nuca, dove i capelli erano più corti.
“Ah, ho una sorpresa” – disse Dean.
“Una sorpresa?”
“A-ah. Guarda” – disse l’altro allontanandosi e mettendosi una mano in tasca, per poi tirare fuori delle chiavi e mostrarle al ragazzo.
“Cosa sono?” – chiese Castiel, con aria interrogativa.
“Sono le chiavi dell’Impala” – spiegò il biondo.
Castiel socchiuse gli occhi, confuso.
“È mia. Me l’hanno regalata i miei per il compleanno!”
Il moro spalancò la bocca per lo stupore.
“È bellissimo, Dean!” – aggiunse poi, lasciandosi trascinare dall’entusiasmo dell’altro.
“Già! E…adesso abbiamo un posto tutto nostro” – sorrise malizioso il giovane.
“Per fare cosa?” – ribatté il ragazzo dagli occhi blu, stando al gioco.
“Quello che vogliamo, Cas…tutto quello che vogliamo”.
 
Un paio di ore più tardi, la festa entrò nel vivo. Gli invitati continuavano ad arrivare e ad aggiungersi alle persone già presenti. Ben presto, casa Winchester si riempì di brusii sempre più accesi e di buona musica, accuratamente selezionata dal festeggiato.
“Auguri, stronzetto!” – esordì Charlie, quando varcò la soglia di ingresso.
“Grazie!” – sorrise Dean, avvolgendo l’amica in un tenero abbraccio.
“Ehi, Dean!” – lo richiamò Benny, alle spalle della ragazza – “Buon compleanno, amico!”
“Ehi!” – rise il biondo, abbracciando anche l’altro – “Grazie, Benny!”.
“Per me niente abbraccio?” – chiese Chuck dietro di loro.
“Vieni qua!” – rise Dean, abbracciando anche lui.
“Amico, ma quanta gente hai invitato?” – domandò Benny, voltandosi e osservando la casa piena di gente.
“Umh…forse la cosa mi è un po’ sfuggita di mano” – ammise il ragazzo, grattandosi la nuca.
“Solo un po’?” – domandò l’amico, ghignando.
“Oh, fottiti, Benny!”.
 
La festa proseguiva a gonfie vele: buon cibo, buona musica e, soprattutto, le persone si stavano divertendo.
Castiel strinse le dita attorno al suo bicchiere di plastica, reso ben presto umido e scivoloso dalla condensa della bibita fresca. Dean gli aveva appena presentato due compagni di scuola: Victor, un giovane di colore, alto e dallo sguardo furbo, e Garth, un ragazzo magro, con i capelli a scodella e che continuava a gesticolare con una mano, facendo delle buffe scenette. Poco dopo, al gruppetto si unirono anche Ash, un tipo dall’acconciatura curiosa e particolare, e Jody, una ragazza tutto pepe e dai capelli corti.
“Hai invitato anche Becky Rosen?” – sussurrò velocemente Charlie alle spalle dell’amico.
“Dovevo un favore a Chuck” – rise Dean, alzando le spalle.
Anche la giovane ghignò in risposta, prima di allontanarsi.
Qualcuno chiamò Dean ad alta voce, attirando così l’attenzione del ragazzo. Il biondo vide il braccio alzato di Benny che lo incitava a raggiungerlo, e sollevò un braccio a sua volta, in segno di risposta, per poi allontanarsi.
“Non ti ho mai visto a scuola” – esordì Victor, rivolgendosi a Castiel – “Vai alla Lawrence High School?[1]” – chiese poi.
Castiel si irrigidì e strinse di più le dita attorno al bicchiere, fin quasi a piegarlo. Indugiò un attimo, pensando a come rispondere. Cosa avrebbe dovuto dire? La verità? E cioè che lui non andava a scuola? E se gli avessero chiesto il motivo? Avrebbe dovuto raccontare loro che…
Da quando Castiel aveva iniziato a parlare di nuovo, le persone con le quali il ragazzo interagiva non si rendevano conto del suo handicap, e al giovane andava bene così, perché gli dava la tranquillità necessaria per stare in mezzo agli altri, senza sentirsi eccessivamente a disagio. Castiel era consapevole che non avrebbe potuto nascondere il suo problema per sempre, ma, finché ci riusciva, non doveva sopportare gli sguardi di compassione delle persone intorno a lui.
“Sì” – mentì poi.
“E come hai conosciuto Dean?”
“Abito nella casa qui accanto”.
“Ah, capisco” – annuì l’altro, prendendo un sorso dal suo bicchiere – “Voi leoni[2] ci avete stracciato all’ultima partita, eh?” – sorrise poi.
Castiel non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire quel ragazzo, ma continuò a fingere.
“È vero…”
“Nah, lascialo perdere” – intervenne Jody, dando una piccola spinta a Victor – “Questo qui è fissato con il football” – aggiunse poi ridendo, e coinvolgendo anche gli altri.
Il moro si irrigidì ulteriormente. Jody si era leggermente voltata, e lui non era riuscito a leggere il labiale della ragazza. Per un istante avrebbe voluto chiederle di ripetere, ma un secondo dopo decise di non farlo. Non poteva…non voleva. E così finse, di nuovo, lasciandosi coinvolgere dalla risata dei ragazzi, senza neanche conoscerne il motivo.
“Scusate, vedo se Dean ha bisogno di una mano” – si affrettò a dire subito dopo, desideroso di togliersi da quell’impaccio.
Si allontanò così dal gruppo e cercò Dean con gli occhi, tra tutte quelle persone. Quando lo vide, dall’altra parte della stanza, sorrise. Fece un passo per andare da lui, ma si bloccò. Dean stava chiacchierando e ridendo animatamente con altri suoi coetanei. Castiel lo osservò a lungo, combattendo contro l’impulso di andare da lui. Era la festa di Dean, il suo compleanno, e lui…l’ultima cosa che voleva era di sembrare un pulcino spaurito bisognoso di cure e di essere un peso per il suo ragazzo. Fece vagare lo sguardo altrove. Intravide Charlie, accanto alla porta della cucina, a stretto contatto con un’altra ragazza, mentre Chuck, poco più in là, gesticolava e rideva con una biondina. Castiel si guardò in giro. Accanto a lui molte persone parlavano, ma il giovane non riusciva a seguire bene i vari discorsi. Le loro labbra, infatti, si muovevano in fretta, non consentendo a Castiel di concentrarsi. Si interrompevano, schiudendosi in un sorriso, o semplicemente si voltavano, sparendo così dalla vista. Altre persone, poco lontano, ballavano ad un ritmo muto. Attorno a lui solo tanta confusione…e silenzio. E questa antitesi strideva così forte nella sua testa da far male. Castiel si sentì ben presto a disagio e fuori luogo. Più volte venne urtato per sbaglio dai ragazzi che gli passavano vicino, e questo non fece altro che aumentare il suo senso di disagio. Cosa ci faceva lui in mezzo a tutte quelle persone? Cosa poteva mai fare uno come lui? Castiel si sentì inutile, ancora una volta, esattamente come quando diventò sordo. Non era cambiato nulla…non sarebbe mai cambiato nulla. Il ragazzo dagli occhi blu abbassò lo sguardo e strinse forte il bicchiere che aveva in mano, piegandolo del tutto e rovesciando parte del suo contenuto sul pavimento.
 
“Ehi, Sammy” – esordì Dean, entrando in cucina.
Il fratellino di Dean era seduto sul bancone della cucina, in compagnia della graziosa Ruby.
“Vi state divertendo?”
“Sì, e grazie per avermi invitato” – rispose la ragazzina, sorridendo.
“Figurati” – disse il più grande, ricambiando il sorriso e allungando una mano per scompigliare i capelli di Sam.
Il minore riuscì ad anticipare la sua mossa e si scostò leggermente, guardandolo torvo e facendo così ghignare l’altro.
“Hai visto Cas?” – riprese il maggiore.
“No, non l’ho visto”.
“Ah, ok…se lo vedi, digli che lo sto cercando”.
“Ok”
 
“È un po’ che volevo chiedertelo” – disse Ruby, non appena vide Dean allontanarsi – “Quel tipo con gli occhi blu che sta sempre insieme a tuo fratello…è il suo ragazzo?”
Sam stava prendendo un sorso della sua bibita, ma lo risputò subito fuori, colto di sorpresa.
“Cos-? No!” – tossicchiò, pulendosi la bocca con il dorso della mano – “È il nostro vicino di casa”.
Ruby annuì, pensierosa, rigirandosi il proprio bicchiere tra le mani.
“Uhm…sei sicuro?” – riprese poi.
“Certo che sono sicuro!” – ribatté Sam, un po’ risentito dalle insinuazioni dell’amica – “La saprei una cosa del genere, non trovi?”.
Entrambi rimasero in silenzio per qualche secondo.
“Tra l’altro, credo che Dean abbia una ragazza, perché ultimamente è sempre fuori” – aggiunse il giovane.
La ragazzina lo guardò, con aria interrogativa.
“Ha fatto così anche con Lisa, la ragazza che aveva prima” – spiegò lui.
Ruby iniziò a ridere, subito imitata dal giovane Winchester.
 
“Charlie, hai visto Cas?” – gridò Dean all’orecchio dell’amica, per sovrastare il volume della musica.
La ragazza scrollò la testa.
“Se lo vedi, gli dici che lo sto cercando?” – disse di nuovo a voce alta, avvicinandosi a lei e mettendo una mano sulla sua spalla.
“Ok!”
Dean diede poi le spalle alla giovane e si umettò le labbra. Con gli occhi passò in rassegna la stanza, alla ricerca di Castiel. Era già la seconda volta che controllava. Lì non c’era, in cucina nemmeno. Sam e Charlie non l’avevano visto, e lo stesso Dean lo aveva perso di vista da una buona mezz’ora. Si passò una mano sul viso e sospirò. Victor gli aveva detto che si era allontanato da loro per vedere se lui aveva bisogno di una mano, ma Castiel non era mai andato da Dean. Il biondo iniziò a preoccuparsi. Aveva chiesto al suo ragazzo di essere presente alla festa, come regalo di compleanno, pur sapendo quanto lui si trovasse a disagio per via del suo problema. Dean voleva che Castiel si divertisse come tutti, che facesse amicizia con altri ragazzi, che ridesse con gli altri come rideva quando era con lui. Con la coda dell’occhio intravide l’armadio che fungeva da guardaroba, lungo il corridoio. Facendosi strada tra le persone, lo raggiunse e aprì le due ante. Passò velocemente in rassegna tutte le giacche presenti e riconobbe quella del moro, concludendo quindi che il giovane era ancora in casa. Per scrupolo, però, aprì la porta d’ingresso e sbirciò fuori, trovando solo il portico deserto. Quando si richiuse la porta alle spalle, la sua attenzione fu catturata dalle scale che conducevano al piano superiore. Si morse l’interno della guancia, esitando un attimo. In effetti quello era l’unico luogo della casa che non aveva ancora controllato. Quindi si mosse, deciso, e iniziò a salire i gradini. Una volta giunto in cima, percorse il corridoio fino al bagno. La porta del locale era socchiusa e dentro c’era solo buio.  Dean fece una smorfia di disappunto e tornò indietro, verso le scale. All’improvviso si fermò e si voltò di scatto verso la porta accanto a lui: quella della sua stanza. Allungò una mano e girò piano la maniglia. Quando fece capolino nella camera, lo vide. Castiel era sdraiato sul suo letto, rannicchiato su un fianco.
“Cas…” – sussurrò Dean, sospirando.
Il ragazzo entrò definitivamente in camera e si avvicinò al letto. Castiel aveva gli occhi chiusi e una mano, stretta in un pugno, appoggiata sopra il cuscino, davanti al viso. Dean si sedette sul bordo, facendo attenzione a non far molleggiare troppo il materasso. Si soffermò a guardare l’altro e sentì una fitta al petto. Poi puntò una mano sul letto, oltre il corpo del giovane, e, chinandosi, lo baciò sulla fronte. A quel tocco Castiel si mosse leggermente, socchiudendo gli occhi e battendo le palpebre.
“Dean…” – mormorò con voce roca, incrociando il verde delle iridi di Dean.
“Ehi” – sorrise piano il biondo, guardandolo dall’alto – “Ti stavo cercando…”
“Scusa…” – farfugliò il moro, stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani.
“Cas, cosa fai qui? Perché non sei giù alla festa?”
Castiel abbassò lo sguardo e non rispose. Ripensò a quanto successo: la difficoltà ad interagire con gli altri, la confusione, il disagio, il sentirsi solo, pur essendo in mezzo a tutte quelle persone. Castiel era scappato, letteralmente, e si era rifugiato nella stanza di Dean, l’unico posto della casa che gli dava sicurezza. Lì dentro c’era così tanto di Dean, che, per un attimo, al ragazzo sembrò di averlo vicino. Si era seduto sul letto e aveva posato una mano sulla coperta, accarezzandola con la punta delle dita. E alla fine, si era semplicemente sdraiato, appoggiando la testa sul cuscino e inspirando profondamente l’odore dell’altro, per poi chiudere gli occhi e addormentarsi.
“Cas” – lo richiamò Dean, posando una mano sulla sua spalla – “Stai bene?”
Il moro esitò un attimo e poi annuì.
“Cas” – lo riprese l’altro, sapendo che il ragazzo gli stava mentendo.
Castiel incrociò lo sguardo di Dean, ma non rispose subito.
“Scusa…” – disse poi – “Io non riuscivo più a…”
“Perché non sei venuto da me?”
“Io…non volevo darti fastidio…”
La fitta al petto di Dean aumentò sensibilmente.
“Mi dispiace…”
Castiel corrugò la fronte, confuso.
“Non…” – tentennò il biondo, umettandosi le labbra – “Non avrei dovuto chiederti una cosa così difficile…”
“Dean…”
“È che…io ti volevo qui, con me. Sono stato egoista…”
Castiel allungò un braccio e accarezzò la guancia dell’altro con il dorso della mano.
“Non è stata colpa tua. Sono io che ho accettato di venire…e lo rifarei”.
“Cas…”
“Se tu me lo chiedessi, io lo rifarei...per te”.
Dean si chinò di nuovo su di lui e lo baciò sulle labbra.
“Grazie”.
Il moro inclinò leggermente il viso.
“Per essere venuto alla festa…per avermi fatto il regalo più bello”.
Castiel sorrise e portò le mani sulla schiena dell’altro, attirandolo a sé e baciandolo a sua volta.
 
“Dean, sei qu-…oh, mio Dio!” – trillò Charlie, dopo essere entrata nella camera e aver visto i due ragazzi sul letto – “Non ho visto nulla, giuro!” – aggiunse in fretta, coprendosi gli occhi con una mano.
“Charlie…” – sospirò Dean, sollevandosi e allontanandosi malvolentieri dal corpo di Castiel.
La ragazza socchiuse un occhio e li spiò attraverso uno spazio tra due dita.
“Ah, ma siete vestiti” – constatò lei.
“Sembri delusa” – sottolineò lui.
“Uhm, sì, forse un po’…”
“Charlie!”
“Ok, ok, scherzavo!” – squittì la rossa, agitando le mani davanti a sé.
Dean scrollò la testa, rassegnato, e iniziò a ridere piano.
“Cosa fate qui?” – continuò la giovane – “Dai, Dean, è il momento della torta, e devi ancora aprire i regali!”
“Sì, sì, vai avanti, adesso arrivo” – la rassicurò il biondo, con un gesto del capo.
Charlie sparì dietro la porta e Dean sospirò.
“Puoi rimanere qui, se non te la senti di tornare giù…” – disse poi, voltandosi verso il moro.
Castiel scrollò la testa.
“No, vengo con te”.
“Sei sicuro?”
“Sì”.
“Ok” – sorrise Dean, alzandosi in piedi – “Andiamo?” – aggiunse, allungando una mano verso l’altro.
Castiel afferrò quella mano con la sua e ricambiò il sorriso.
“Sì, andiamo”.
 
°°°
 
“Hanno suonato alla porta” – disse Naomi, all’improvviso, interrompendo così la spiegazione.
Castiel schiuse le labbra, sorpreso. Sbirciò l’ora sul display del cellulare, lì accanto. Erano solo le due di pomeriggio di un pigro giovedì di inizio febbraio, e si trovavano nel bel mezzo della trattazione del poema ‘Il Paradiso perduto’, di John Milton. Castiel posò la penna sul foglio, fitto di appunti, e si alzò. Uscì dalla sala da pranzo e percorse il corridoio fino alla porta di ingresso, riservando una veloce occhiata alla luce intermittente della lampadina sul muro lì accanto. Non fece in tempo ad aprire la porta, che qualcuno sgattaiolò dentro, gettando a terra uno zaino, e lo strinse in un vigoroso abbraccio, per poi chiudere la porta con un calcio.
“Dean!” – esclamò il moro, stupito – “Cosa ci fai qui a quest’ora?”
“Ho bigiato la lezione di storia del pomeriggio” – ridacchiò l’altro, per poi ricercare la pelle di Castiel con le labbra.
“Dean...” – lo rimproverò debolmente Castiel, ad un passo dal cedere alle attenzioni del ragazzo.
“E dai, Cas…” – mugolò il biondo, sollevando lo sguardo – “È solo storia. E poi cosa diavolo c’è da dire ancora sulla Guerra Civile?”
Castiel alzò gli occhi al cielo e fece per sospirare, ma Dean fu più veloce e catturò quel sospiro, premendo le labbra conto le sue. Il giovane dagli occhi blu si arrese definitivamente e schiuse la bocca, accogliendo la lingua di Dean che, impaziente, ricercò la sua.
“Aspetta…” – ansimò poi Castiel, aggrappandosi alle spalle dell’altro con entrambe le mani.
Dean rise e si scostò leggermente, rimanendo poi immobile, come pietrificato. Il sorriso scomparve subito dalle sue labbra e la mascella si serrò, mentre i suoi occhi fissavano un punto oltre le spalle di Castiel. Il moro si accorse del repentino cambiamento del biondo e si voltò, irrigidendosi a sua volta. Sulla soglia della sala da pranzo Naomi li osservava, stretta in un classico tailleur color grigio perla, e con le braccia incrociate al petto. La donna non disse nulla, ma le sue labbra sottili e il taglio severo degli occhi parlarono per lei, in una muta nota di disapprovazione. Dean cercò di ricomporsi, lasciando la presa su Castiel e allontanandosi da lui di qualche passo. Castiel si prese un momento, deglutendo un paio di volte.
“Ne ho ancora per un’ora” – esordì poi, rivolto a Dean. – “Aspettami di sopra”.
Dean incrociò i suoi occhi blu e annuì. Si chinò e raccolse lo zaino da terra, se lo mise su una spalla e si diresse verso le scale. Tenne lo sguardo basso per tutto il tempo, schiacciato da quella sgradevole sensazione data dalla sola presenza di Naomi.
 
Quando la lezione terminò e Naomi uscì da casa Novak, Castiel salì di corsa le scale e raggiunse la sua stanza. Quando entrò, vide Dean sdraiato sul suo letto, con le braccia conserte.
“Ehi” – disse Dean, mettendosi seduto non appena vide il moro.
Castiel gli sorrise e lo raggiunse.
“Maledizione, Cas…scusa, io non ho proprio pensato che lei fosse ancora qui” – si affrettò a dire il biondo, visibilmente affranto.
“Non ti preoccupare”.
“Non lo andrà a dire ai tuoi, vero?” – chiese agitato il giovane.
“No, non credo” – lo rassicurò Castiel – “Non è poi cattiva come sembra, sai?”
“Seriamente?” – ribatté Dean, alzando un sopracciglio – “Credevo volesse uccidermi…”
Castiel rise e si avvicinò al bordo del letto, puntando poi un ginocchio sul materasso e sporgendosi verso l’altro.
“Non glielo avrei mai permesso” – decretò, allungando poi una mano e posandola delicatamente sul suo volto.
 
°°°
 
“Dean, sei sicuro di voler continuare?” – chiese Castiel, guardando l’altro.
“Sì, sì…è solo che è da tanto che non lo facciamo e credo di aver dimenticato molte cose” – ammise Dean, sospirando.
Castiel sorrise. Era un venerdì pomeriggio e lui e Dean si trovavano nella camera del biondo, seduti sul letto, uno di fronte all’altro. Durante una pausa dallo studio, Dean aveva chiesto al moro di riprendere le loro lezioni sulla lingua dei segni. Da quando i due ragazzi si erano messi insieme, questa loro piccola abitudine si era interrotta, probabilmente perché entrambi erano troppo presi l’uno dall’altro. Ma Dean ci teneva, si era impegnato tanto per imparare le parole che Castiel gli aveva insegnato finora. Certo, l’apprendimento della lingua dei segni non era facile, per niente. Alla difficoltà di associare ciascuna lettera dell’alfabeto ad una posizione precisa della mano e delle dita, si aggiungeva quella delle diverse parole, i cui gesti corrispondenti richiedevano l’uso di entrambe le mani e potevano essere molto simili tra di loro, tanto da confonderli, o completamente distanti, da non riuscire a ricollegarli mentalmente in alcun modo alla parola a cui si riferivano.
“Ok, quindi SAPERE è così?” – domandò Dean, portandosi la mano destra alla tempia e picchiettandovi sopra con le dita.
“Sì”.
“Umh” – bofonchiò il biondo, pensieroso – “C’è un’altra parola che si fa con le dita sulla tempia, o sbaglio?”
Castiel non rispose, ma osservò l’altro attentamente. Dean aveva gli occhi abbassati sulle mani e le labbra strette in un’espressione concentrata. Castiel si mosse d’istinto. Appoggiò una mano sul materasso e fece leva, spingendosi in avanti e cogliendo di sorpresa il giovane con un bacio. Dopo qualche secondo, Dean sorrise nel bacio e ricambiò, approfondendolo. Mise una mano tra i capelli del moro, accarezzandoli, mentre invece le dita di Castiel si artigliarono sul suo petto, stringendosi attorno ad un lembo della sua maglietta. Il bacio aumentò subito d’intensità. Le loro lingue si cercavano e si trovavano, per poi respingersi e ricercarsi nuovamente. Il respiro dell’uno diventava quello dell’altro, le salive si mischiavano e i loro sapori si confondevano.
All’improvviso la porta della stanza si aprì.
“Dean, mi presti il…”
Le parole morirono sulle labbra del giovane Sam Winchester, mentre tutto intorno a lui si fermò, come se fosse congelato nel tempo e nello spazio.
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Con questo capitolo si apre la seconda parte della storia, che si concluderà con la fine della fic stessa. Come avete visto, in questo aggiornamento abbiamo avuto un assaggio delle tematiche che verranno trattate prossimamente, in maniera più o meno approfondita. Una di queste, già vista nei primi capitoli, è il problema di Castiel, che rimane sempre, anche dopo essersi messo con Dean. E questo aspetto verrà ripreso più avanti e in più occasioni, come è giusto che sia.
Avete potuto vedere, inoltre, la reazione “ritardata” di Balthazar al fatto che il fratello si sia messo con un altro ragazzo. Come vi avevo accennato due capitoli fa, la rabbia e la delusione per il comportamento di Dean, avevano offuscato la questione, che viene poi ripresa qui, in maniera comunque tranquilla…in fondo Balth è sempre stato abbastanza aperto in situazioni simili.
La scena finale, con Sam che entra in stanza e che becca quei due a baciarsi, è piuttosto infida, lo riconosco, ma è stato fatto tutto per uno scopo ben preciso.
Bene, direi che è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
[1] La Lawrence High School è l’altro liceo presente a Lawrence.
[2] La mascotte di questo liceo è il leone, ecco il perché della battuta di Victor.
 
E, come sempre, fan art!


                                           

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredici ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO TREDICI
 
“La più alta espressione dell’empatia
è nell’accettare e non giudicare”
 
Carl Rogers
 
 

Un silenzio quasi surreale calò nella stanza. Nessuno dei presenti disse nulla per un periodo di tempo quasi indecifrabile, avendo timore persino di respirare.
Sam rimase completamente immobile sulla porta, con la mano ancora appoggiata alla maniglia. Il ragazzino batté più volte le palpebre, come a volersi sincerare di quello che aveva appena visto, e come a voler cancellare dalla sua mente l’immagine di Dean e Castiel che si baciavano sul letto. Il cuore gli batteva forte nel petto, come un tamburo sordo, mentre il suo corpo era combattuto tra rimanere lì e scappare via.
“Sammy…” – sussurrò Dean.
A quelle parole, il minore sembrò ridestarsi dal suo torpore. Dean lo stava guardando, con il terrore negli occhi, imitato da Castiel. La sua mano stringeva ancora la maglietta dell’altro tra le dita.
Sam deglutì un paio di volte e indietreggiò di un passo, per poi voltarsi di scatto e uscire dalla stanza correndo.
“Cazzo!” – sbottò fuori Dean, scendendo velocemente dal letto.
Il biondo raggiunse in fretta il corridoio, in tempo per sentire la porta della camera del fratello sbattere violentemente. A grandi passi la raggiunse e cercò di girare il pomello della maniglia, invano. Il più piccolo aveva fatto scattare la serratura e Dean fu colto dal panico.
“Sam!” – esclamò, battendo le nocche della mano contro il legno della porta.
Rimase qualche secondo in attesa di una risposta, inutilmente.
“Apri, Sam!” – lo incitò a voce alta, tentando nuovamente di girare la maniglia.
“No! Vattene!”
La voce del minore arrivò ovattata dall’interno della stanza, eppure ebbe un’intensità tale da colpire Dean allo stomaco. Smarrito e frastornato, Dean appoggiò la fronte alla porta e chiuse gli occhi, mentre con il palmo della mano ne accarezzava piano la superficie.
“Ti prego, Sammy…lasciami spiegare” – lo supplicò, con voce flebile.
Il silenzio che seguì fece serrare la mascella al ragazzo e contrarre le labbra in una smorfia di dolore.
Poi una mano si posò delicatamente sulla sua schiena. Dean socchiuse le palpebre e si voltò leggermente:
Castiel era lì, in piedi accanto a lui, e lo guardava con i suoi grandi occhi blu. Il moro si limitò a guardarlo e non disse nulla.
“Mi ha detto di andare via…” – sussurrò il biondo.
Castiel si morse un labbro e abbassò lo sguardo. In quel momento si sentì terribilmente in colpa per essere stato il primo a prendere l’iniziativa e baciare Dean. Indugiò un attimo per poi fare un passo in avanti verso l’altro. Allungò una mano e prese quella di Dean, facendo intrecciare le loro dita.
“Andiamo” – mormorò.
Dean si allontanò di qualche passo dalla porta, senza però smettere di guardarla. In cuor suo avrebbe aspettato lì fuori per ore, se questo fosse bastato per vedere Sam e avere la possibilità di parlare con lui.
“Dean” – lo richiamò Castiel.
Dean si voltò e guardò l’altro. Socchiuse le labbra, ma non disse nulla. In quel momento gli riusciva difficile persino respirare, perciò esitò ancora qualche istante, e alla fine annuì, lasciandosi portare via dal ragazzo con gli occhi blu.
 

°°°
 

La prima volta che Dean rivide Sam fu quella stessa sera a tavola. Il più grande non riuscì a mangiare nulla, sotto lo sguardo sbalordito e allo stesso tempo preoccupato di John e Mary. Ogni tanto riservava un’occhiata fugace al fratello, nella speranza che lui ricambiasse. E, invece, il più piccolo tenne lo sguardo sul suo piatto per tutto il tempo e finì la sua cena in silenzio. Poi, come di consueto, aiutò la madre a sparecchiare e, infine, lasciò la cucina per salire in camera sua.
“Avete litigato, voi due?” – chiese Mary, bloccando così il figlio maggiore sulla soglia della porta e impedendogli di raggiungere il minore come avrebbe voluto.
“No, no, va tutto bene” – la liquidò Dean, con un gesto della mano e abbozzando un sorriso, sotto lo sguardo per nulla convinto della donna.
Il ragazzo fece i gradini della scala a due a due e, quando giunse in cima, vide da lontano il fratello vicino alla porta della sua camera.
“Sam” – lo chiamò.
Sammy ebbe un lieve sussulto e aumentò il passo, senza nemmeno voltarsi.
“Aspetta, Sam!” – disse Dean, invano.
Il ragazzino, infatti, aveva già chiuso malamente la porta della stanza.
“Sammy…” – mormorò il biondo, immobile, in mezzo al corridoio e con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Rimase lì per qualche secondo, come se fosse frastornato. In seguito raggiunse lentamente la porta della propria camera, l’aprì e se la richiuse alle spalle. Si appoggiò ad essa con la schiena e, pian piano, si lasciò scivolare fino a ritrovarsi seduto. Con le braccia cinse le gambe, per poi nascondere il viso tra le ginocchia.
 
Sam, nel buio della sua stanza, si avvicinò a tentoni al comodino, di fianco al letto, e accese la lampada. Si lasciò cadere sul letto a braccia aperte, facendo molleggiare il materasso. Fissò il soffitto per molto tempo, mentre la sua testa sembrava sul punto di scoppiare. Ancora non riusciva a credere a quello che aveva visto. Suo fratello e Castiel…suo fratello. Dean, quel Dean che fino a novembre stava insieme a Lisa; quello di cui Sam ammirava la facilità con cui sapeva avvicinarsi alle ragazze; quello stesso Dean a cui lui aveva chiesto consigli su come comportarsi con Ruby; quello stesso Dean che lui ha visto baciare Castiel. Cosa c’era tra loro due? Sam non lo sapeva e, a dire il vero, al momento non gli importava. L’unica cosa certa era quel bacio…quelle mani tra i capelli di Castiel, quella lingua che scivolava via dalla bocca dell’altro, con naturalezza, come se lo avessero fatto da sempre. Sam digrignò i denti. Quell’immagine strideva in modo doloroso con quella autentica del fratello che Sam si era creata nella sua mente. Si era fidato di lui, di tutto quello che gli aveva detto, e invece adesso, ai suoi occhi, Dean appariva solo come un bugiardo…chissà se poi era vero che era stato con Lisa. Il più piccolo dei Winchester iniziò a dubitare di tutto quello che conosceva, arrivando a non capire più cosa fosse vero e cosa invece una mera bugia. E un senso di oppressione al petto lo colpì con un’intensità tale da schiacciarlo. Si sentì tradito da Dean, e questa cosa non poteva assolutamente accettarla.
 
Nei giorni successivi, il rapporto tra Dean e Sam si ridusse ai minimi termini. L’unico momento, in cui a Dean era concesso di stare nella stessa stanza con il fratello, era a cena. Tuttavia, non poteva parlare con lui, neanche accennare un banale discorso, perché, se Sammy non gli avesse risposto, ciò avrebbe attirato l’attenzione dei genitori e Dean si sarebbe trovato ancora più in difficoltà. Per il resto della giornata, Sam, una volta tornato a casa da scuola, si chiudeva nella sua camera fino a sera. Al mattino, Dean scendeva per fare colazione, accorgendosi poi che il fratello aveva già finito ed era uscito per andare a prendere l’autobus, senza aspettarlo come invece faceva sempre.
In un paio di occasioni Dean riuscì ad avvicinare il fratello, quel tanto che bastò per parlargli. Ma, alla fine, a conti fatti, era meglio se ciò non fosse accaduto.
 
“Sam, aspetta” – disse Dean, superandolo e parandosi davanti alla porta d’ingresso.
Era mattina, Sam si era alzato presto e stava uscendo per andare a scuola. Il minore socchiuse gli occhi e guardò torvo l’altro.
“Ehi” – riprese Dean, flebile, umettandosi le labbra – “S-se mi aspetti prendiamo la macchina e ti accompagno fino a scuola…”
Sam esitò un attimo, prima di rispondere.
“Prendo l’autobus” – disse poi, lapidario.
“E dai, Sammy, ci metto poco, il tempo di vestirmi e…”
“Ti ho già detto che prendo l’autobus” – ripeté l’altro, perentorio.
Dean incrociò gli occhi verdi del più piccolo. Molti dicevano che loro due avevano gli stessi occhi, ma non era vero. Il taglio era leggermente diverso, mentre le iridi, viste da vicino, avevano due tonalità di verde differenti. Dean era sempre riuscito a capire cosa passasse per la mente del fratello attraverso i suoi occhi. Erano così trasparenti, sinceri, privi di malizia. Sam era un libro aperto per Dean. Ma, in quel momento, gli occhi del suo fratellino lo guardavano con una durezza che il maggiore non gli aveva mai visto. E in quegli occhi Dean non riuscì ad intravedere nient’altro.
Il biondo deglutì un paio di volte, sgomento.
“Sam…”
Il minore strinse la mano attorno alla spallina dello zaino e all’improvviso si voltò, allontanandosi velocemente e dirigendosi verso la cucina. Dean rimase spiazzato da quella mossa e, in un primo momento, non capì. Fu solo quando sentì il rumore di una porta chiudersi, che si rese conto che Sam era uscito dalla porta sul retro.
 
“Si può sapere cosa avete voi due?” – esordì Mary una sera a cena.
La donna posò la forchetta nel piatto e guardò ora Dean, ora Sam, in attesa.
“Che succede?” – chiese John, puntando gli occhi sulla moglie e smettendo di mangiare.
Mary non rispose, ma continuò ad osservare i due giovani. Dean smise quasi di respirare. Deglutì a fatica il boccone che aveva in bocca e fece scattare lo sguardo sul fratello.
Nel frattempo, Sam aveva alzato gli occhi dal piatto.
“Niente” – si limitò poi a dire.
“Faccio fatica a crederlo, sai, Sam?” – ribatté la madre – “Dean?” – aggiunse, voltandosi in direzione del maggiore.
Dean fu preso in contropiede e, per un attimo, annaspò, non riuscendo a dire nulla.
“Davvero, mamma, non c’è niente”.
Le parole di Sam arrivarono improvvise, salvando il maggiore da quell’impaccio. Dean osservò il fratello, che, questa volta, ricambiò lo sguardo.
La donna non sembrò molto convinta e fu allora che Sam intervenne ancora.
“Ehm, a proposito, Dean” – esordì, schiarendosi la voce – “Non riesco a superare un livello di quel videogioco che ho scaricato…dopo cena ti faccio vedere”.
Dean schiuse le labbra, stupito.
“O-Ok, va bene…” – rispose, abbozzando un sorriso.
Sam tornò a mangiare, e così anche Dean. Mary si soffermò su di loro per qualche istante, infine si arrese e riprese a cenare anche lei.
 
“Sam” – lo chiamò Dean, subito dopo cena, lungo il corridoio dell’anticamera.
Il fratello si girò verso di lui, senza dire nulla.
“G-Grazie…per prima, intendo” – continuò il biondo.
“Non mi ringraziare, non l’ho fatto di certo per te”.
Quelle parole colpirono il maggiore come uno schiaffo in pieno viso. Subito dopo, Sam gli voltò le spalle e sparì su per le scale. Dean rimase lì, da solo e in silenzio, ad accusare il colpo.
 

°°°
 

“Dean…” – ansimò Castiel – “A-Aspetta…”
Dean fece scivolare la mano sotto al maglione dell’altro, carezzandone la pelle morbida e calda.
In quei giorni, anche il rapporto tra Dean e Castiel subì un cambiamento: ogni volta che si vedevano a casa del moro, Dean era di poche parole e preferiva di gran lunga far parlare il suo corpo. A nulla servivano i tentativi di Castiel di chiedere come andassero le cose tra lui e Sam, perché il ragazzo eludeva le domande, liquidandole con languidi baci da levare il respiro, sospiri sul collo, e mani che si muovevano sapienti, raggiungendo posti finora mai toccati. Castiel rimaneva spiazzato, non riusciva a capire cosa fosse preso a Dean, né il perché del suo comportamento. Non che quelle attenzioni gli dispiacessero, anzi, ma, in alcuni momenti, tutto diventava così intenso da non riuscire più a gestirlo, e l’idea di lasciarsi semplicemente andare e di perdere volontariamente il controllo faceva troppa paura.
Castiel non poteva muoversi, Dean era semi sdraiato su di lui, mentre le labbra indugiavano in sonori baci sul suo collo.
“Dean…” – lo richiamò il giovane.
Dean interruppe il suo lavoro e sollevò il viso, ma solo per ricercare la bocca di Castiel. La sua lingua scivolò vogliosa tra le labbra del moro, alla ricerca della compagna. La mano sotto al maglione si mosse avida risalendo velocemente fino al petto.
Castiel mugolò qualcosa nel bacio e, per qualche secondo, riuscì a staccarsi, in tempo per afferrare il polso di Dean con una mano.
“No” – riuscì a dire in un fiato.
Il biondo lo guardò, socchiudendo gli occhi.
“C-cosa?”
Il moro si morse un labbro.
“Perché fai così?”
“Così, come?” – chiese Dean, sollevandosi di poco.
“Lo sai”.
“Che c’è, non ti piace quello che stiamo facendo?” – ribatté duro l’altro.
Castiel schiuse le labbra, sorpreso dalla reazione del ragazzo.
“Non ho detto questo…”
“E allora cosa?” – incalzò il biondo.
Il giovane Novak spalancò gli occhi e lo guardò, stranito e confuso. Non aveva mai visto Dean in quello stato. L’altro se ne accorse e serrò la mascella. Chiuse gli occhi e deglutì un paio di volte. Quando li riaprì i suoi occhi si erano addolciti, tornando ad essere quelli che Castiel conosceva.
“Scusa…” – mormorò.
Castiel gli accarezzò una guancia con la punta delle dita.
“Dean, parlami…”
“Cas…” – protestò debolmente Dean.
“Io sono qui, puoi dirmi tutto, lo sai…”
Il ragazzo sospirò e si sollevò del tutto, sdraiandosi poi supino accanto all’altro. Castiel si mise seduto, voltandosi leggermente verso di lui. Il biondo fissò il vuoto per qualche istante e poi iniziò a parlare.
Quei giorni erano stati terribili. Il gelo che c’era tra lui e Sam gli aveva lasciato dentro un senso di vuoto e di solitudine. Ogni volta che il fratello non ricambiava un suo sguardo, ogni volta che ignorava le sue parole, era un duro colpo per lui. E i colpi continuavano ad arrivare, uno dopo l’altro, senza tregua, senza lasciargli il tempo di alzare la guardia. Ma, forse, Dean non voleva difendersi. Forse tutto quello se l’era meritato, come giusta punizione per aver tradito la fiducia di Sam…e della sua famiglia. E così, aveva continuato ad incassare, in modo stoico, senza un lamento, perché Dean, a quel punto, riteneva di non avere nemmeno il diritto di lamentarsi. Era tutta colpa sua se erano arrivati a quel punto, solo sua.
“Non so cosa fare, Cas…” – mormorò, cercando gli occhi blu dell’altro.
Castiel sospirò e passò dolcemente una mano tra i suoi capelli. Dean chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella sensazione.
Il biondo non lo poteva sapere, ma anche Castiel si sentiva in colpa, nei suoi confronti e in quelli di Sam. Non avrebbe dovuto coinvolgere l’altro in un bacio così appassionato a casa sua, perché lì c’erano la madre e il fratello di Dean, a differenza, invece, di casa Novak, nella quale erano sempre da soli. E Castiel si era molto affezionato al piccolo Sam, aveva legato parecchio con lui, e ora gli sembrava di avergli mentito, di averlo in un certo senso tradito.
“Se vuoi, parlerò io con Sam” – disse Castiel.
Dean riaprì gli occhi e abbozzò un sorriso.
“No, non…non voglio che ci vada di mezzo anche tu”.
“Dean, sono già coinvolto…”
Il biondo si morse un labbro.
“Dean?” – lo richiamò Castiel – “Ti fidi di me?”
Il giovane Winchester guardò gli occhi blu dell’altro e annuì, perdendosi poi nella profondità che essi trasmettevano.
 

°°°
 

“Non mangi?” – chiese Ruby.
La ragazzina aveva appena preso posto a sedere di fronte a Sam, in mensa. Era l’ora di pranzo e, attorno a loro, il chiacchiericcio degli altri ragazzini era piuttosto intenso.
Sam sollevò lo sguardo e incontrò i grandi occhi scuri di Ruby che lo guardavano. Quando riportò gli occhi sul suo vassoio, constatò che non aveva ancora toccato cibo.
Anche durante le ore di lezione, Sam non riusciva a smettere di pensare a tutto quello che era successo con Dean. L’immagine di lui e Castiel, seduti su quel letto, si ripresentava prepotentemente nella sua testa e doveva fare uno sforzo enorme per scacciarla via. Come se non bastasse, avere a che fare con il fratello tutti i giorni tormentava il giovane Winchester: da una parte, il ragazzino voleva rifuggire ogni possibile contatto con lui, e si era messo anche d’impegno per riuscirci; dall’altra, però, continuare ad evitare ed ignorare il maggiore era stancante e oltremodo difficile. Sì, perché, in alcuni momenti, una parte di Sam si chiedeva cosa diavolo stesse facendo e se fosse giusto trattare Dean in quel modo. Questi momenti, però, duravano come un battito di ciglia, perché la parte di Sam (che si sentiva tradita e delusa dal fratello) reclamava subito a gran voce le sue ragioni. Dean aveva mentito, a lui e ai loro genitori, e adesso non poteva pretendere di essere trattato diversamente. Era solo colpa sua se erano arrivati a quel punto, solo sua.
“Sam?” – lo richiamò Ruby.
La voce della ragazzina lo distolse da tutti quei pensieri. Sam accennò un sorriso tirato e prese una forchetta dal vassoio, per poi puntarla nel cibo, prendendo così un boccone e portandoselo alla bocca, iniziando poi a masticarlo svogliatamente.
“C’è qualcosa che non va?”
Il ragazzino tornò a guardare l’amica e subito scrollò la testa.
Subito dopo il fatto, Sam fu così preso a rinnegare l’accaduto, da non rendersi conto che tutto quello lo stava divorando dall’interno. Mano a mano che passavano i giorni, il giovane si sentì via via più inquieto, e si rese conto di non riuscire più a sopportare quella condizione. Sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno, ma, allo stesso tempo, soffocava questa necessità, prima di tutto perché non aveva la più pallida idea di quale persona prendere in considerazione per questo, e poi perché, a dirla tutta, Sam si vergognava. Cosa avrebbero pensato di Dean? E cosa avrebbero pensato di lui?
“Bugiardo” – asserì la giovane.
Sam sussultò, preso in contropiede, e strinse i pugni sul tavolo. Ruby aveva ragione: era un bugiardo. Non era vero che non c’era niente che non andava, non era vero che stava bene. Era stanco, affranto, deluso…e non ce la faceva più.
 
“Quel tipo con gli occhi blu che sta sempre insieme a tuo fratello…è il suo ragazzo?”
 
“Tu…” – iniziò, con voce flebile – “Tu come l’hai capito?”
Ruby lo guardò, con aria interrogativa.
“Di mio fratello” – precisò lui – “E…di Castiel”.
La ragazzina schiuse le labbra, in un’espressione di stupore.
“Cosa…” – tentò di nuovo Sam – “Perché tu lo hai capito e io no?”
“Sam…”
“Rispondimi”.
Ruby inclinò il viso e sospirò.
“Non lo so come l’ho capito…l’ho capito e basta”.
“Che vuol dire che l’hai capito e basta? Non ha senso…”
La giovane si sistemò meglio sulla sedia e appoggiò i gomiti sul tavolo.
“Davvero, Sam, io…li ho incontrati poche volte e, non so, mi hanno dato quest’impressione…”
Sam rimase in silenzio. Com’era possibile che suo fratello e Castiel avessero dato quell’impressione a Ruby e non a lui? Che Sam fosse stato così cieco da non vedere e da non accorgersi di nulla? Che, in fondo, un po’ di colpa l’avesse anche lui? I pensieri incalzarono uno dopo l’altro, implacabili, instancabili. E il giovane Winchester si ritrovò con sempre più domande e nessuna risposta.
 

°°°
 

“Dean, aspettami in camera” – disse Castiel, in piedi di fronte alla stanza del biondo.
I due ragazzi avevano deciso di affrontare la questione di Sam quel pomeriggio.
“Ma, Cas…” – tentò Dean.
“Dean” – lo richiamò l’altro.
“O-Ok…” – annuì il giovane.
Dean vide il suo ragazzo dirigersi verso la camera di Sam. Solo quando Cas si fermò davanti alla porta e gli rivolse un ultimo sguardo, si decise ad entrare nella propria stanza.
Castiel prese un profondo respiro, allungò una mano e bussò alla porta.
“Sam? Sono Castiel. Possiamo parlare?” – si interruppe un attimo – “Solo io e te”.
Dopo diversi secondi, la porta si socchiuse e Castiel vide gli occhi del più piccolo dei Winchester guardarlo con un’aria mista tra lo stupore e la diffidenza.
Castiel abbozzò un sorriso.
Sam esitò, e poi aprì di più la porta. Diede una rapida occhiata in giro, per poi tornare a guardare l’altro.
“Solo tu” – disse infine.
“Solo io” – confermò il moro.
Entrambi rimasero in silenzio, senza muoversi.
“Posso entrare?” – chiese Castiel.
Sam annuì e scostò leggermente la porta per permettere all’amico di entrare, richiudendola subito dopo. Si diresse verso il letto e si sedette sul bordo, abbassando lo sguardo e stropicciandosi le mani. La visita di Castiel era stata improvvisa e totalmente imprevista. Mai e poi mai si sarebbe aspettato che il ragazzo che suo fratello stava baciando quella volta, si sarebbe presentato lì, chiedendogli di parlare. Ma, in fondo, Sam non aveva nulla contro quel ragazzo…certo, non poteva nascondere di essere rimasto in parte deluso anche da lui, ma Castiel non viveva sotto il suo stesso tetto, non era suo fratello.
Castiel rimase in piedi ad osservare il ragazzino per un po’, dopodiché decise di avvicinarsi.
“Posso sedermi?”
Sam annuì con il capo e il moro prese posto accanto a lui, rimanendo in silenzio e aspettando che fosse l’altro a parlare per primo. Non voleva assolutamente sforzarlo a fare qualcosa che non voleva, per cui gli lasciò tutto il tempo che gli serviva.
 
“Tu e…” – esordì dopo un po’ Sam, alzando lo sguardo sull’altro. “Tu e Dean cosa siete?”
“Tu cosa credi che siamo?”
Il ragazzino scrutò gli occhi blu di Castiel.
“Vi siete baciati”.
Castiel annuì.
“State insieme?” – chiese Sam.
“Sì, io e Dean stiamo insieme”.
Il giovane Winchester indugiò un attimo.
“Come…come un ragazzo e una ragazza?” – domandò poi.
“Sì, come un ragazzo e una ragazza” – confermò l’altro.
“Da quanto tempo?”
Castiel si prese qualche secondo prima di rispondere.
“Dalla sera dell’ultimo dell’anno”.
Sam spalancò gli occhi.
“Sono quasi due mesi…” – mormorò.
“Sì…”
Il ragazzino distolse lo sguardo, riportandolo sulle proprie mani. Sentì la rabbia montare velocemente. Dean e Castiel stavano insieme da quasi due mesi e lui non si era davvero accorto di nulla?
 
“Tra l’altro, credo che Dean abbia una ragazza, perché ultimamente è sempre fuori”
“Ha fatto così anche con Lisa, la ragazza che aveva prima”
 
Sam si voltò di scatto verso Castiel che lo guardava con apprensione.
“Balthazar lo sa?” – chiese all’improvviso il più piccolo.
“Sì”.
“Come lo ha scoperto?”
“Gliel’ho detto io…”
Sam alzò le sopracciglia, sorpreso.
“Tu?”
Castiel annuì.
“Perché gliel’hai detto? – domandò l’altro.
Il ragazzo dagli occhi blu ripensò a quanto successo durante le vacanze di Natale e sospirò.
“Perché avevo bisogno di parlare con qualcuno…”
Sam incrociò gli occhi di Castiel, in silenzio, e poi annuì.
Entrambi non proferirono parola per qualche minuto.
Il ragazzino si ritrovò a pensare. Castiel aveva avuto il bisogno di parlare con qualcuno, e questo Sam lo capiva, perché lui stesso, in quei giorni, aveva provato la medesima cosa. Castiel aveva parlato con il proprio fratello e il giovane Winchester comprendeva anche questo. Ma, allora, anche Dean aveva sentito la necessità di parlare con qualcuno? E, se sì, con chi? E perché a lui non aveva detto nulla?
 
“Perché…” – esordì poi – “Perché, invece, a me Dean non ha detto niente?”
Castiel si morse un labbro.
“Vedi, Sam…per Dean, e anche per me, non è stato facile accettare tutto questo…non è stata una cosa immediata, c’è voluto un po’ di tempo…e quando è iniziato tutto quanto, abbiamo deciso di aspettare, prima di dire come stavano le cose tra noi…”
Sam lo ascoltò, senza intervenire.
“Io credo…” – continuò il moro – “Io credo che Dean non ti abbia detto nulla perché voleva proteggerti…e anche perché non voleva deluderti”.
Il ragazzino aggrottò la fronte, perplesso.
“Come sai queste cose? Te le ha dette lui?”
“No…sono cose che farebbe un fratello maggiore. Balth si comporta così con me di continuo…è per questo che lo so”.
Sam sentì le lacrime pungergli gli occhi e posò lo sguardo altrove. Le cose stavano veramente così? Dean lo avrebbe davvero protetto, non dicendogli nulla? Dean…il fratello maggiore che in quei giorni aveva fatto di tutto per avvicinarlo e parlargli, anche subendo in silenzio l’astio dell’altro; quel fratello maggiore che Sam, invece, aveva trattato come un appestato, tenendolo a distanza. Il più piccolo sentì un dolore sordo crescere nel petto.
 
“Come…come farò a dirlo agli altri? Cioè…” – disse Sam, gesticolando con le mani – “Quando anche gli altri lo verranno a sapere, io cosa…? Come la spiego una cosa del genere?”
“Tu non devi fare nulla…” – rispose l’altro – “Io credo che quando Dean si sentirà pronto, lo dirà anche agli altri…e così anch’io…”
“Ma lui è…” – si interruppe il ragazzino, non riuscendo a proseguire.
“Lui è Dean…è sempre stato Dean, e lo è anche adesso. Non è cambiato da quando l’ho conosciuto”.
Sam guardò Castiel, con sgomento, mentre il dolore nel petto cresceva di intensità.
“E, soprattutto, non è cambiato da quando lo conosci tu”.
Una lacrima sfuggì lungo le guance del piccolo Sammy, subito asciugata con il dorso della mano dal giovane. Sam si alzò dal letto e si avvicinò al comodino. Prese in mano una cornice che vi era appoggiata sopra e la osservò in silenzio. Dentro vi era una foto di lui e Dean, di alcuni anni fa. Sam vide il volto sorridente del fratello e le lacrime ripresero a scendere, infrangendosi contro il vetro della cornice. Castiel aveva ragione…Dean era sempre Dean. Era sempre lo stesso fratello che lo aveva portato sulla schiena quando si era sbucciato le ginocchia; che gli aveva ceduto il suo gelato quando Sam aveva fatto cadere distrattamente il suo a terra; con il quale organizzava delle vere e proprie sfide ai videogiochi; che gli dava consigli sulle ragazze; che lo aspettava all’uscita di scuola per tornare a casa insieme…era Dean, il suo Dean. Il dolore nel petto si fece insostenibile. Era il dolore della colpa e della consapevolezza di aver ripagato l’affetto di suo fratello solo con diffidenza e rancore.
Sam ripose la cornice sul comodino e si passò entrambe le mani sugli occhi un paio di volte, per poi voltarsi verso Castiel.
“Cas...tu…tu credi che Dean voglia ancora parlarmi dopo tutto quello che gli ho fatto?”
Castiel guardò gli occhi ancora umidi dell’altro e si alzò, avvicinandosi a lui.
“Tuo fratello ti vuole molto bene. Non importa cosa tu abbia detto o fatto…lui te ne vorrà sempre”.
Sam fece un passo in avanti e abbracciò il ragazzo.
Castiel, in un primo istante, fu colto alla sprovvista, ma poi posò delicatamente una mano sulla sua schiena e sorrise.
“Cas” – disse il più piccolo, scostandosi leggermente – “Grazie”.
 
 
°°°
 

Dean era seduto sul bordo del letto, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il viso nascosto tra le mani. Era già passata mezz’ora da quando Castiel era andato a parlare con Sam e non era ancora tornato.
Dean sospirò pesantemente. Aveva sbagliato tutto. Avrebbe dovuto dire a Sam di lui e Castiel, e non lasciare che il fratello lo scoprisse in quel modo. Ma, ormai, le cose erano andate così e non si poteva più tornare indietro. Dean si chiese cosa Sam avrebbe pensato di lui da quel momento in avanti. Anche se le cose si fossero sistemate tra di loro, il biondo temeva che il minore non si sarebbe più fidato di lui e che lo avrebbe guardato con occhi diversi. Ma, d’altronde, cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva andare contro quello che provava per Castiel, contro quello che era. Ci aveva messo così tanto a capire cosa fosse per lui quel ragazzo dagli occhi blu e, quando era successo, era stato una specie di liberazione, come tornare a respirare dopo una lunga apnea, così intensa tanto da chiedersi perché non lo avesse fatto prima.
“Dean!”
Un grido proveniente dal corridoio destò bruscamente Dean dai suoi pensieri. Il ragazzo si mise subito in piedi e si diresse a grandi passi verso la porta, aprendola e affacciandosi sul corridoio.
“Dean!”
Il biondo si voltò e quello che vide gli mozzò il respiro. Castiel era a terra, sdraiato su un fianco, mentre Sam era inginocchiato accanto a lui.
“Cas…”
“Dean!” – lo richiamò il fratello, con voce strozzata.
Il maggiore scattò in avanti, raggiungendoli subito, e si accovacciò accanto a Castiel. Posò una mano sulla spalla del moro e delicatamente lo voltò. Con un braccio gli cinse la vita, attirandolo a sé e facendogli posare la testa sul suo petto.
“Cos’è successo?” – chiese Dean, alzando lo sguardo su Sam.
Il minore continuava fissare Castiel con le labbra tremanti e gli occhi lucidi.
“Sam!” – lo richiamò il fratello.
“N-Non lo so…” – balbettò il più piccolo – “Stavamo uscendo dalla camera e ...”
“E cosa?” – incalzò il più grande.
“E…Cas si è fermato all’improvviso e…ha teso un braccio verso il muro, ma…non ci è arrivato, e poi è caduto…” – singhiozzò l’altro.
Dean guardò Castiel. Il ragazzo dagli occhi blu aveva il respiro in affanno, le palpebre erano serrate e le labbra erano tese in una smorfia. Dean posò una mano sul suo petto e sentì il suo cuore battere veloce.
“Che cos’ha, Dean?” – chiese il minore, ormai in lacrime.
Il biondo strinse l’altro più a sé e iniziò ad accarezzargli i capelli, dolcemente.
“Sono vertigini”.
“Vertigini?” – fece eco Sam, tirando su con il naso.
“Sì, è una cosa che gli succede a volte, è per via della…” – spiegò Dean, indicandosi l’orecchio con un rapido gesto.
“Dobbiamo chiamare qualcuno? Deve andare in ospedale?” – chiese concitato il fratello.
“No, no, è una cosa che passa, non dura molto” – cercò di tranquillizzarlo il maggiore.
Castiel mosse una mano e, a fatica, dopo qualche tentativo, afferrò la maglia di Dean. Socchiuse le palpebre e incrociò gli occhi verdi di Dean, che lo guardavano.
“Ehi, Cas…”
Il moro strinse leggermente la maglia dell’altro tra le dita. All’improvviso sussultò ed ebbe un conato di vomito. Dean gli scostò la testa e lo fece voltare di poco, sostenendolo sempre con le braccia. Castiel ebbe un secondo conato e, questa volta, vomitò sul pavimento.
“Sam, vai in bagno a prendere un asciugamano e bagnalo un po’ sotto l’acqua”.
Il minore si alzò di scatto e si allontanò. Quando fu di ritorno, diede al fratello l’asciugamano, che Dean tamponò prima sulla fronte e poi sulle labbra del moro.
Castiel socchiuse nuovamente gli occhi. Il respiro era ancora pesante, ma sembrava stesse tornando alla normalità.
“Cas, come va? Sta passando?” – chiese Dean, agganciando il suo sguardo.
Il ragazzo annuì debolmente. Dean lo riportò nella posizione di prima, stringendolo nuovamente a sé, mentre l’altro nascose il viso sul suo petto e sospirò forte.
 
“Che cosa succede?” – chiese una voce allarmata alle loro spalle – “Ho sentito gridare…”
Dean e Sam si voltarono, in tempo per vedere la madre avvicinarsi con fare concitato.
“Castiel!” – esclamò Mary, affrettando il passo, dopo aver visto il ragazzo steso a terra, tra le braccia del figlio.
“Mamma…”
“Cos’è successo, Dean? Sta male?” – incalzò lei.
“Ha avuto una vertigine, ma sta passando” – la tranquillizzò Dean.
“Sei sicuro?” – insisté la donna.
“Sì, sì, sono sicuro. È…è già successo”.
La signora Winchester si chinò verso il giovane e con una mano gli accarezzò i capelli. Poi si alzò e si diresse verso il ripostiglio, tornando un paio di minuti dopo con un secchio ed uno straccio.
“Mamma, lascia stare, lo faccio io dopo…”
“Non dire sciocchezze, Dean. Tu stai lì con lui” – rispose Mary, iniziando a pulire il pavimento – “Forse dovremmo chiamare i suoi genitori? – chiese poi, sollevando lo sguardo.
“No, te l’ho detto, sta già passando” – rispose il figlio.
Come per confermare le parole di Dean, Castiel si mosse e sollevò leggermente la testa.
“Dean…”
“Ehi…” – gli sorrise il biondo.
Con la coda dell’occhio, il ragazzo vide Mary in piedi, accanto a sé.
“Signora Winchester…”
La donna si chinò, appoggiando il proprio peso sui talloni.
“Castiel” – sorrise lei – “Come stai?”
Il ragazzo annuì, stirando le labbra in un leggero sorriso, sorriso che ben presto scomparve quando vide le condizioni del pavimento dietro la donna.
“Io…mi dispiace, non volevo…” – disse, sgranando gli occhi.
“Shh, non ti preoccupare” – lo rassicurò lei – “L’importante è che tu stia bene”.
Il moro annuì.
Quando Mary si rimise in piedi e si spostò per terminare il lavoro, Sam comparve nel campo visivo di Castiel. Il giovane era poco lontano, con le braccia strette lungo i fianchi e con lo sguardo fisso su di lui.
“Sam…”
A quelle parole il minore dei Winchester iniziò a singhiozzare di nuovo, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano.
Castiel vide Mary avvicinarsi al più piccolo e abbracciarlo, accarezzandogli la testa e confortandolo con parole che però il ragazzo non riuscì a leggere sulle labbra della donna, perché troppo distante.
Castiel si voltò verso Dean, agitandosi tra le sue braccia.
“Dean, perché Sam sta piangendo?”
Il biondo abbozzò un sorriso.
“Credo che si sia spaventato. Ti ha visto cadere, e non sapeva cosa stesse succedendo” – spiegò con calma.
Il giovane si morse un labbro.
“È colpa mia…” – mormorò.
“Cas, come può essere colpa tua?” – sospirò Dean.
Castiel si soffermò un attimo a guardare l’altro negli occhi, ma non disse nulla.
Dean si avvicinò e posò le labbra sulla sua fronte, mentre il ragazzo dagli occhi blu chiuse le palpebre a quel tocco e sospirò nel calore delle sue braccia.
I due giovani, però, non si accorsero che, in quel preciso istante, Mary li stava osservando.
 

°°°
 

“Dean, sto bene”.
Una volta che il malessere di Castiel passò completamente, Dean cercò di convincere l’altro a sdraiarsi sul suo letto e a riposarsi un po’, invano.
“Non ho bisogno di riposarmi” – protestò il moro, seduto sul materasso.
Dean era in piedi, di fronte a lui.
“Lo so, ma…” – esitò, umettandosi le labbra – “È stata un po’ forte questa…”
Castiel si irrigidì e serrò la mascella.
“Voglio dire…” – gesticolò il biondo – “Non ti avevo mai visto cadere finora…”
Il ragazzo dagli occhi blu abbassò lo sguardo e si morse un labbro, ripensando a quanto successo prima. Appena uscito dalla camera di Sam, la vertigine lo aveva colto alla sprovvista, come sempre. Castiel era abituato, le aveva da anni e sapeva gestirle…almeno finché era a casa propria. Ma, fuori casa, era tutta un’altra storia. Castiel se ne rese conto poco dopo aver perso l’udito, quando ancora cercava di condurre una vita il più normale possibile. Le persone che erano con lui, e che non conoscevano questo aspetto della sua problematica, non sapevano cosa gli stava succedendo. Si allarmavano, continuavano a scuoterlo, arrivando a chiamare l’ambulanza in alcuni casi. E lui, in quei momenti, non riusciva a comunicare con loro. Stava male, i suoi movimenti erano scoordinati e teneva gli occhi chiusi per tutto il tempo, perché questo un po’ lo aiutava. Non riusciva a parlare, la nausea era troppo forte. Si vergognava di farsi vedere così, si sentiva in colpa per costringere le persone ad occuparsi di lui e, quando tutto finiva, l’unica cosa che voleva era sparire, così da non vedere il modo in cui gli altri lo guardavano.
Quando smise completamente di uscire, gestire questi malesseri fu più semplice. I genitori e il fratello sapevano quale fosse il problema e come comportarsi, sebbene Castiel, a volte, arrivò a sentirsi un peso anche per la sua stessa famiglia.
E poi era arrivato Dean. Escludendo quella volta in giro per Lawrence, per il resto Dean imparò subito come comportarsi in questi casi. E, finché era con lui anche fuori casa, Castiel non si sentiva a disagio durante questi episodi. Dean non faceva domande, agiva e basta. Però, da quando stavano insieme, Castiel aveva notato un impercettibile cambiamento nel modo di fare del suo ragazzo. Vedeva Dean più apprensivo e, quello che gli aveva appena detto, ne era la conferma. E così Castiel si sentì doppiamente in colpa, per aver fatto spaventare il piccolo Sam e Mary e per aver fatto preoccupare Dean.
“Cas?” – lo richiamò l’altro, mettendogli una mano sulla spalla, per richiamare la sua attenzione.
Castiel sollevò lo sguardo e trovò gli occhi verdi di Dean che lo guardavano, preoccupati.
“Stai bene?” – aggiunse il ragazzo, corrugando la fronte.
Il giovane si sentì stringere la gola. Deglutì un paio di volte e poi annuì.
“Ok…io scendo un attimo giù in cucina, vuoi qualcosa?” – chiese Dean.
Il ragazzo dagli occhi blu scrollò la testa.
“Ok, torno subito” – disse l’altro, per poi voltarsi e dirigersi verso la porta.
Quando questa si chiuse Castiel la fissò per qualche istante, poi abbassò le palpebre e sospirò.
 
“Come sta?” – domandò Sam.
Non appena uscì dalla porta della sua stanza, Dean vide il fratello in piedi, di fronte a lui, che lo aspettava. Il ragazzo schiuse le labbra, sorpreso. Erano giorni che Sam non gli rivolgeva la parola, non spontaneamente, almeno.
“Sta bene, Sammy, non ti preoccupare” – rispose il maggiore, abbozzano un sorriso.
Il più piccolo annuì e abbassò lo sguardo.
Entrambi rimasero uno di fonte all’altro, in silenzio, poi, all’improvviso, Sam fece un passo in avanti e Dean se lo ritrovò tra le braccia.
“Sam…”
Il minore strinse di più l’abbraccio, nascondendo il viso contro il petto del fratello.
“Mi dispiace…” – mormorò, flebile.
Dean chiuse gli occhi e lo abbracciò a sua volta. Tutto il dolore, la paura e la preoccupazione provati in quei giorni, evaporarono sotto il calore di quell’abbraccio.
“Sono che io che mi devo scusare, Sammy” – disse il più grande – “Dovevo dirti subito come stavano le cose…ho sbagliato”.
Sam mugolò qualcosa di incomprensibile e Dean sorrise, stringendolo di più a sé e scompigliandogli i capelli con una mano.
 
 
°°°
 

“Sei sicuro di non voler rimanere ancora un po’?” – chiese Dean, lungo il corridoio davanti all’ingresso.
Castiel si stava sistemando la sciarpa attorno al collo.
“Devo tornare a casa, Dean” – rispose l’altro – “E poi ti ho già detto che sto bene”.
“Ok…” – annuì il biondo.
Quando il ragazzo con gli occhi blu finì di prepararsi, gli sorrise.
“Ci vediamo domani”.
Dean si umettò le labbra e si voltò, dando una rapida occhiata dietro di sé. Poi tornò a guardare Castiel e gli lasciò un fugace bacio sulle labbra.
“A domani” – sussurrò.
Castiel aprì la porta per uscire, ma Dean lo richiamò toccandogli un braccio.
“Posso…” – esitò – “Posso chiederti come hai fatto?”
Il giovane corrugò la fronte, con aria interrogativa.
“Sam…” – spiegò l’altro – “Cosa gli hai detto?” – chiese poi, curioso.
Castiel sorrise.
“Niente…aveva solo bisogno di parlare con qualcuno che non fossi tu”.
Dean inarcò un sopracciglio, perplesso.
“Qualcuno che fosse un fratello minore, come lui” – spiegò il moro.
Il biondo schiuse le labbra. Era incredibile, Castiel aveva capito qual era la cosa giusta da fare.
“Beh, ha funzionato” – sorrise poi – “Grazie…”
Anche Castiel sorrise.
“Ah, aspetta” – disse Dean, voltandosi e dirigendosi verso l’armadio lì vicino.
Aprì un’anta e prese la giacca, tenendola poi in mano. Il ragazzo dagli occhi blu lo guardò, incuriosito.
“Ti accompagno a casa” – disse Dean, quando tornò da lui.
Castiel socchiuse gli occhi e lo fissò, mentre il sorriso spariva dalle sue labbra.
“Posso tornare a casa da solo”.
“Ma…”
“Dean, non sono un invalido”.
Quelle parole furono per Dean una doccia fredda. Il giovane osservò l’altro, attentamente. Gli angoli delle palpebre erano leggermente contratti, le labbra chiuse in una linea dura, mentre la fronte presentava delle piccole rughe d’espressione.
“Lo so che non lo sei…” – tentò Dean.
“Ma ti stai comportando come se lo fossi” – ribatté Castiel.
“Cas, non è vero, io…”
“Smettila, ok?”
Dean rimase in silenzio, incapace di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Era rimasto completamente spiazzato dalla reazione del ragazzo. Non capiva cosa fosse successo. Un attimo prima Castiel sorrideva e adesso invece…Dean si chiese se avesse involontariamente detto o fatto qualcosa di sbagliato, ma, sul momento, non gli venne in mente nulla.
“Cas, mi dispiace, io…”
“Devo andare” – lo interruppe bruscamente l’altro.
Dean deglutì un paio di volte e cercò gli occhi blu di Castiel. Li fissò intensamente, alla ricerca di un indizio o di un dettaglio che potesse fargli capire cosa diamine stava succedendo, invano.
“O-Ok…” – annuì infine.
Castiel si voltò e si incamminò verso casa. Dean lo vide allontanarsi e, all’improvviso, iniziò a sentire freddo. Strinse le dita sulla giacca che aveva ancora in mano ed espirò forte.
“Cas…”
 
 
 


 
~ L’Angolo Dell’autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Prima di tutto devo dire una cosa importantissima. Come avrete notato, all’inizio del capitolo c’è un banner molto bello, di cui è riportato il nome dell’autrice. Questa ragazza ha fatto una fan art, dopo aver letto la storia, e me l’ha mandata. E voglio assolutamente ringraziarla anche qui perché ha fatto una cosa bellissima, io davvero sono rimasta sorpresa e commossa, perché non me l’aspettavo proprio. Grazie Naenihl, hai disegnato Dean e Castiel proprio come li avevo immaginati io! Sei stata bravissima!
Vorrei anche ringraziare Sognatrice Notturna per avermi aiutato ad inserire il banner dal punto di vista tecnico, tattico e strategico ^^
Ma veniamo a noi e a questo aggiornamento. La questione “Sam” ha occupato gran parte del capitolo, dal momento che era una cosa abbastanza importante da affrontare. Per scrivere questo capitolo mi sono affidata a delle ricerche in campo piscologico e a delle testimonianze, che mi hanno anche insegnato molto. Da quello che ho letto, c’è una certa differenza nella percezione e nella reazione che potrebbe avere un fratello/sorella (nello scoprire l’omosessualità o bisessualità dell’altro) e quella di un genitore. Il genitore imposta molto spesso la questione sul fatto che essa sia “giusta o sbagliata”, catalogandola così in uno dei due schemi predefiniti. Tralasciando le motivazioni che portano un genitore ad affermare che si tratta di qualcosa di sbagliato, è necessario sottolineare invece che anche il genitore che “la prende bene”, in realtà è pieno di dubbi, di domande, ma soprattutto di paura per il proprio figlio che sarà costretto ad affrontare la società, non sempre accondiscendente di fronte a queste cose. Per quanto riguarda il legame tra fratelli, invece, l’aspetto principale riguarda proprio il rapporto di fiducia tra le due parti che viene in un certo senso tradito, nel momento in cui uno dei due scopre le preferenze sessuali dell’altro. In più si aggiunge anche la preoccupazione di non sapere cosa dire agli altri, e cosa rispondere ad eventuali domande sull'argomento. Inoltre, sembra che il tutto dipenda anche molto dall’età del soggetto. Più giovane è l’età, più ci si concentra sul fatto che l’altro abbia nascosto una cosa simile, e sul fatto che la “nuova” immagine del fratello/sorella contrasta nettamente con quella a cui si è abituati. Ed è proprio quello che è successo a Sam. Per fortuna, grazie al fatto di aver parlato con Castiel, Sam ha trovato le risposte alle sue domande ed è arrivato ad una conclusione che in realtà albergava già nel suo cuore, ma che non riusciva a vedere, accecato com’era da tutto quel rancore.
Bene, bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se è finito in un modo non propriamente ideale…chissà cosa succederà ancora…
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Fan art per tutti!

                 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordici ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO QUATTORDICI
 
“Ogni impulso che soffochiamo
ci avvelena l’esistenza”
 
Oscar Wilde
 

 
Dean si trovava di fronte alla porta di ingresso di casa Novak. Era lì fermo, in piedi, da almeno cinque minuti, e ancora non si era deciso a suonare il campanello. Si morse l’interno della guancia, indugiando ulteriormente.
Il giorno prima Castiel se n’era andato da casa sua in un modo che aveva lasciato il giovane Winchester smarrito e confuso. La reazione del ragazzo dagli occhi blu era stata del tutto inaspettata e priva di senso. Quella stessa sera, chiuso nella sua stanza, Dean aveva ripensato alle parole di Castiel e soprattutto all’espressione del suo viso. Il giovane gli aveva detto di non essere un invalido, ma Dean non aveva mai pensato una cosa simile di lui, nemmeno per un secondo. E allora perché parlare in quel modo? La cosa che, forse, aveva fatto più male a Dean era stata quell’accusa, neanche troppo velata, di comportarsi come se l’altro lo fosse, un invalido. Il biondo riteneva di non aver fatto nulla di sbagliato o di offensivo, in questo senso, nei suoi confronti…voleva solo accompagnarlo a casa. A dire il vero, però, Dean non poteva negare che una piccola parte di lui era rimasta un po’ scombussolata dal malessere di Castiel, e forse si era mostrato più apprensivo del solito…ma, in fondo, cosa c’era di male nel preoccuparsi per la persona a cui si tiene?
Dean sospirò e mise una mano nella tasca dei jeans, tirando fuori il cellulare. Controllò l’ora sul display, erano già passate le tre di pomeriggio, quindi Castiel era solo in casa. Dean diede un’occhiata anche alla casella dei messaggi. Di solito lui e il ragazzo si scambiavano diversi sms prima di andare a dormire, ma la sera precedente non ne aveva ricevuto nessuno. Dean rimise in tasca il telefono, prese un bel respiro e suonò il campanello.
Quando la porta si aprì, Dean si trovò davanti un Castiel sorridente.
“Ehi…” – disse, esitando.
Castiel continuò a sorridergli, aprendo di più la porta e facendo cenno con il capo di entrare.
Una volta nel corridoio, il ragazzo superò Dean, dirigendosi verso la sala da pranzo.
“Prendo i libri e andiamo di sopra” – disse poi, voltandosi verso l’altro.
“O-Ok…”
Dean lo vide sparire nella stanza e si umettò le labbra. Si sarebbe aspettato di tutto, tranne che vedere Castiel sereno, come se nulla fosse. Forse per il giovane era stato solo un episodio e basta, da dimenticare e mettere da parte. O forse non ne voleva più parlare, semplicemente. O magari preferiva non affrontare affatto l’argomento. Dean non sapeva proprio cosa pensare, ma, dal momento che Castiel sembrava tranquillo, decise di non fare nessun accenno a quanto successo il giorno prima.
“Dean?”
A quel richiamo, Dean batté le palpebre due volte, ridestandosi dai suoi pensieri. Di fronte a lui Castiel lo guardava, perplesso.
“C-Cosa?” – arrancò Dean.
“Tutto bene?” – chiese l’altro, avvicinandosi.
“Sì, sì” – si affrettò a dire lui, abbozzando un sorriso.
Castiel ricambiò il sorriso.
“Possiamo andare” – disse, mostrando i libri che aveva in mano e girandosi in direzione delle scale.
All’improvviso il moro si sentì toccare una spalla e, quando si voltò, si ritrovò tra le braccia di Dean.
“Dean, che suc-”
Castiel non riuscì a finire la frase, perché Dean aveva catturato le sue labbra in bacio impetuoso, che divenne subito languido e sensuale.
“E questo per cos’era?” – ansimò il giovane, dopo che si separarono per riprendere fiato.
Dean sorrise, malizioso.
“Non ti avevo ancora salutato per bene…”
 

°°°
 

“Che c’è?” – chiese Dean, sfiorando la mano di Castiel con la sua.
Era venerdì sera e il centro di Lawrence si era riempito di gente in cerca di divertimento. I due ragazzi erano appena scesi dalla macchina e avevano fatto qualche metro a piedi lungo il marciapiede affollato, per poi trovarsi di fronte ad un locale. Castiel si era fermato davanti all’ingresso, con il naso all’insù, sotto lo sguardo incuriosito di Dean. Gli occhi del giovane stavano osservando l’insegna che spiccava sulla facciata dell’edifico: The Casbah.
Il ragazzo dagli occhi blu sorrise.
“Mi sono ricordato di quando siamo venuti qui la prima volta”.
Dean schiuse le labbra, sorpreso, e poi sorrise a sua volta.
“È vero…ma non ci sono più i dinosauri in vetrina”.
Castiel scoppiò a ridere, imitato dall’altro.
“Dai, entriamo, gli altri saranno già dentro” – lo esortò Dean, con un gesto del capo.
Quando i due giovani misero piede nel locale, furono investiti da un delizioso profumino che fece venir loro l’acquolina in bocca.
“Eccoli, sono là in fondo” – disse Dean, indicando a Castiel un tavolo dove Chuck, Benny e Charlie li stavano aspettando.
“Finalmente!” – squittì la ragazza, quando li vide avvicinarsi.
“Amico, qui stiamo morendo di fame. Dove diavolo eravate finiti?” – borbottò Benny, accanto a lei.
Dean si morse un labbro, esitando, mentre Castiel abbassò lo sguardo, visibilmente imbarazzato.
Erano usciti in perfetto orario, ma per strada c’era stato una specie di contrattempo. Per essere più precisi, Dean, durante il tragitto, aveva improvvisamente accostato l’Impala sul lato della carreggiata e aveva ricercato avidamente le labbra di Castiel, dando così vita ad una serie di baci infuocati da togliere il respiro.
Benny socchiuse gli occhi e li osservò attentamente, per poi passarsi una mano sul viso, avendo intuito qualcosa.
“Ok, come non detto, non lo voglio sapere” – disse, alzando le braccia e facendo ridere gli altri.
 
“Cosa vi porto, ragazzi?” – chiese una cameriera, avvicinandosi al loro tavolo.
“Per me un hamburger normale” – disse Chuck, senza neanche aver aperto il menù.
La ragazza annuì e segnò l’ordinazione sul palmare.
“Uhm…per me un Fire” – asserì Charlie.
“Io prendo un Kobe” – disse Benny, subito dopo.
La cameriera puntò lo sguardo su Dean e Castiel, rimanendo in attesa.
“Io vorrei un Black and Blue”.
Dean era concentrato sul menù, quando, di fianco a lui, Castiel ordinò il suo hamburger. Il biondo si voltò verso l’altro, aggrottando la fronte. Tornò a guardare la lista, cercando il panino che Castiel aveva scelto. Quando lo trovò e lesse gli ingredienti, si girò di nuovo verso il ragazzo e sorrise.
“Deve essere buono, poi me lo fai assaggiare?”
Anche Castiel sorrise e annuì.
“Dean, manchi solo tu” – fece notare Benny.
L’amico borbottò qualcosa e riportò gli occhi sul menù. Dopo un attimo di indecisione fece la sua scelta.
“Un Barnyard Bash” – disse infine.
“Ok” – disse la ragazza – “Il tempo di farli e ve li porto” – aggiunse poi, stampando l’ordine e mettendolo sul tavolo.
 
“Idee per le vacanze di primavera?” – chiese Charlie, sgranocchiando una patatina.
“Umh” – bofonchiò Benny, prima di ingoiare il boccone – “Non so se i miei mi danno i soldi”.
“Stavo pensando ad un posto tranquillo, magari in mezzo alla natura…” – intervenne Chuck.
“Amico, così ti perdi tutto il divertimento!” – ribatté Benny, quasi risentito.
Chuck alzò gli occhi al cielo e sbuffò, sotto lo sguardo divertito della ragazza.
“Diglielo anche tu, Dean” – infierì ancora l’altro.
Il biondo ridacchiò, per poi prendere un sorso di coca-cola.
“E se andassimo nel Grand Canyon?” – disse poi, facendo schioccare la lingua.
Benny smise di masticare e lo guardò torvo.
“A due ore da lì c’è Las Vegas” – aggiunse Dean.
L’amico riprese a masticare lentamente, continuando a fissarlo negli occhi.
“Adesso sì che ragioniamo!” – esclamò, facendo ridere tutti.
Dean si voltò verso Castiel, e vide il ragazzo sbocconcellare il suo hamburger. Gli diede un colpetto con il gomito, per richiamare la sua attenzione.
Castiel si voltò e incrociò gli occhi dell’altro.
“Ehi” – sorrise piano Dean – “Non ti piace?” – chiese, indicando il piatto di Castiel.
“No, no, è buono” – rispose lui, abbozzando un sorriso e abbassando nuovamente lo sguardo.
Dean si umettò le labbra e lo osservò per un po’. Conosceva Castiel da diverso tempo ormai, e capiva quando qualcosa non andava. Diede un altro colpetto, facendo così voltare il giovane.
“Tutto bene?”
Il moro annuì.
“Sicuro?”
“Sì, sì”.
Dean incrociò i suoi occhi blu, mantenendo il contatto visivo per diversi secondi.
“Ok…” – sospirò poi, poco convinto.
Castiel tornò a guardare il suo panino e si morse un labbro. Si rigirò l’ultimo pezzo di hamburger tra le dita, per poi lasciarlo cadere nel piatto e pulirsi le mani con il tovagliolo. Gli era passata la fame. Succedeva sempre così, ogni volta che uscivano a mangiare fuori. In questi momenti il ragazzo si sentiva ancora più a disagio e isolato, perché, mentre mangiava, non poteva seguire bene il labiale degli altri. E così, le conversazioni si riducevano a frasi spezzate, parole mancate e risate non comprese, finché lui si stancava e smetteva del tutto di seguirle. Ovviamente gli altri non ne avevano di certo colpa, e quindi Castiel si limitava a non dire nulla la maggior parte del tempo e, soprattutto, a non chiedere di ripetere, perché avrebbe dovuto farlo in continuazione e sarebbe stato ancora più frustrante e umiliante. Era al tavolo con altre persone, ma in realtà era come se fosse da solo, non c’era differenza.
 
“Oh mio Dio!” – trillò Charlie, con gli occhi puntati sul display del cellulare.
“Che succede?” – chiese Benny di fianco a lei, avvicinandosi per sbriciare meglio.
“Non ci posso credere” – squittì lei, sorridendo.
“Ti decidi a parlare, sì o no?” – la incitò Chuck.
“Ok, ok” – disse lei, sedendosi meglio sulla sedia e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio con le dita. – “Al Liberty Hall la prossima settimana trasmetteranno tutti i film Marvel”.
“Davvero?” – domandò Dean, piacevolmente sorpreso.
“A-ah” – rispose lei, facendo scorrere un dito sullo schermo del telefono – “Lo fanno in previsione del nuovo film che deve uscire”.
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, concentrandosi sul display.
“Che dite, andiamo?” – propose entusiasta, guardando gli altri.
“Per me va bene” – disse Benny.
“Sì, anche per me” – fece eco Chuck.
“Che ne pensi, Dean? Potremmo…” – domandò la rossa, per poi interrompersi bruscamente.
Dean aveva lo sguardo abbassato, mentre, invece, Castiel la stava guardando.
“Oddio…” – sussultò lei, mettendosi una mano davanti alla bocca – “Castiel, scusa io…” – iniziò poi a farfugliare, agitata – “Che stupida che sono, l’ho detto così, senza pensare, davvero, non volevo…”
“Non importa” – la tranquillizzò Castiel, abbozzando un sorriso.
Charlie si morse un labbro e guardò Dean, mortificata. L’amico accennò ad un sorriso comprensivo. Aveva capito che la giovane non l’aveva fatto di proposito, e che la sua domanda era stata spontanea, quasi istintiva.
Chuck e Benny si scambiarono un’occhiata veloce, imbarazzati, e per qualche secondo il tavolo rimase in silenzio.
“È una bella idea, dovreste andare” – intervenne Castiel, all’improvviso, sotto lo sguardo meravigliato di tutti – “Anche tu, Dean” – aggiunse, rivolgendosi all’altro.
Dean guardò il ragazzo dagli occhi blu accanto a lui, che gli sorrideva, e un nodo gli strinse la gola. Non voleva uscire senza di lui, e soprattutto non voleva andare al cinema, se questo significava lasciarlo a casa da solo.
“Ma…”
“Vai pure, non c’è nessun problema” – continuò a sorridergli il moro.
Dean esitò, perdendosi in quel sorriso, e alla fine annuì.
“O-ok…” – si schiarì la voce Charlie – “Fammi sapere per venerdì prossimo, c’è il primo film di Capitan America quella sera”.
“Va bene…”
 
L’Impala scivolava tranquilla per le strade del centro. Fuori dal finestrino le luci e i colori della notte scorrevano veloci, perdendosi poi nel buio. Ogni tanto i fari delle macchine, che provenivano dal senso opposto, illuminavano a giorno l’abitacolo per qualche secondo. All’improvviso la macchina deviò a destra ed entrò nel parcheggio di un mini-market aperto ventiquattro ore su ventiquattro, per poi fermarsi.
“Perché ci siamo fermati?” – chiese Castiel, guardandosi intorno e girandosi infine verso Dean.
Il ragazzo spense il motore e si sistemò meglio sul sedile, in modo da poter guardare l’altro in viso. Si morse l’interno della guancia, indugiando un attimo.
“Dean?” – lo richiamò Castiel.
“Io non andrò al cinema venerdì prossimo” – esordì il biondo.
Il ragazzo dagli occhi blu corrugò le sopracciglia, perplesso.
“Perché?”
“Perché no”.
“Dean” – lo rimproverò l’altro.
Il giovane chiuse gli occhi ed espirò forte.
“Non…” – deglutì – “Non voglio lasciarti a casa da solo…”
Castiel schiuse le labbra, sorpreso.
“Dean, davvero, non ti devi preoccupare per me” – tentò di persuaderlo – “Vai e divertiti”.
“No, non posso” – ribatté Dean.
“Sì che puoi”.
“Ma non voglio”.
“È il film di Capitan America, e a te piace molto”.
“Non mi interessa, e poi l’ho già visto”.
Castiel incrociò gli occhi verdi di Dean e, da come lo guardava, capì che l’altro non sarebbe andato veramente al cinema con gli altri, per non lasciarlo solo. Il giovane si sentì in colpa. Non voleva che il suo ragazzo fosse limitato a causa sua e che rinunciasse alle cose che gli piacevano, solo per non escluderlo. Non avrebbe sopportato di essere un peso per lui, non in questo modo.
“Allora verrò anche io” – disse poi, risoluto.
“C-cosa?”
“Verrò anche io al cinema, con te”.
“No, non se ne parla”.
“Perché no?”
“Come perché, Cas…tu come…voglio dire…” – gesticolò Dean.
“Guarderò le immagini e proverò a leggere il labiale” – spiegò Castiel – “Ogni tanto lo faccio quando i miei guardano la televisione”.
Dean prese la mano del moro e la strinse nella sua.
“Cas, non posso chiederti una cosa del genere”.
“Non me la stai chiedendo tu, l’ho decisa io”.
Dean abbassò lo sguardo e non disse nulla.
 
“Sei sicuro di volerlo fare?” – chiese il biondo, dopo un po’.
“Sì, sono sicuro” – rispose l’altro.
“Ok…” – annuì Dean, per poi sorridere leggermente e sporgersi in avanti, lasciando un delicato bacio sulle labbra di Castiel.
Anche il ragazzo dagli occhi blu sorrise e ricambiò il bacio.
“Finalmente posso farti vedere Capitan America” – ridacchiò Dean.
“E anche Bucky” – aggiunse Castiel, divertito.
“Sì, anche Bucky…” – ripeté l’altro, avvicinandosi di nuovo alle labbra di Castiel.
 

°°°
 

Il suono della campanella richiamò gli studenti della Free State, che si affrettarono a raggiungere le loro classi per l’ultima ora di lezione.
Dean, insieme ad altri ritardatari come lui, era ancora alle prese con i libri da prendere nell’armadietto. Quando chiuse l’anta, si sorprese nel trovare lì accanto Charlie.
“Ehi” – sorrise lui.
La ragazza non rispose, ma abbassò lo sguardo, mordendosi un labbro.
Dean la guardò, perplesso.
“Che succede?” – chiese, dolcemente.
“Mi dispiace, Dean…” – mormorò lei.
“Per cosa?”
“Benny me l’ha detto”.
“Detto, cosa?” – domandò l’altro, confuso.
“Di Castiel…” – spiegò la giovane – “Del fatto che verrà anche lui al cinema stasera…”
“Oh…” – si limitò a dire il biondo, annuendo piano.
“Maledizione, sono stata così stupida, come ho fatto a non pensare che…” – gesticolò Charlie – “Davvero io…mi dispiace, non…è che io parlo troppo, ecco perché…”
“Ehi, ehi, calma” – intervenne Dean, prendendola per le spalle e cercando di calmare i suoi sproloqui – “Non è colpa tua” – la tranquillizzò.
“Ma…”
“Non è colpa tua” – ripeté lui.
Dean la lasciò andare e sospirò.
“Qui l’unico che ha colpa sono io” – proseguì poi.
Charlie lo guardò, con aria interrogativa.
Il ragazzo si morse l’interno della guancia, e fissò il vuoto.
“Dean?” – lo richiamò lei.
“Gli ho detto che non sarei andato al cinema” – ammise il biondo.
La giovane socchiuse gli occhi, cercando di capire.
“Perché non volevo lasciarlo a casa da solo…” – farfugliò l’altro.
La ragazza schiuse le labbra in un muto stupore, per poi sorridere leggermente, maliziosa.
“Charlie…” – l’ammonì lui, debolmente.
“Beh, hai detto una cosa molto bella, Dean…” – si giustificò lei, scrollando le spalle.
“Dici?”
La rossa annuì.
“E allora perché ho come l’impressione che abbia avuto un effetto contrario?” – sospirò Dean, allargando le braccia.
Charlie rimase in silenzio e guardò l’amico, comprensiva.
“Non…” – esitò il giovane – “Non fraintendermi…io sono contento che venga anche lui, ma…” – si interruppe, non riuscendo ad andare avanti.
“Dean” – si intromise la ragazza – “Io credo che Castiel sappia cosa stia facendo e non ti devi preoccupare per questo”.
“Come fai a dirmi di non preoccuparmi?” – sbottò fuori Dean – “Lui è…” – si fermò un istante – “Per lui è già difficile anche solo uscire e stare insieme ad altre persone e…e non voglio che si senta a disagio o in difficoltà per questa cosa del cinema”.
La giovane fece un passo in avanti e ricercò i suoi occhi.
“Sai a cos’altro credo?” – sorrise – “Credo che Castiel sia davvero fortunato ad avere una persona che tiene così tanto a lui”.
Dean strinse le labbra e si grattò la nuca, visibilmente imbarazzato.
“Winchester! Bradbury!” – tuonò una voce poco lontana, interrompendoli.
Un uomo li osservava dal fondo del corridoio, vicino alla porta aperta di un’aula.
“Volete degnarci della vostra presenza in classe?” – domandò poi, sardonico.
I due si guardarono di sfuggita, alzando le spalle e ridacchiando in maniera sommessa.
“Sì, signore!” – risposero poi all’unisono, affrettando il passo verso la classe.
 
 
°°°
 
 
L’atrio del Liberty Hall era illuminato da due preziosi lampadari, la cui luce si rifletteva sui muri bianchi, rendendo così l’ambiente molto luminoso. Castiel si guardò intorno, curioso. Il locale era piuttosto elegante, con decori in rilievo sulle pareti e un fine mosaico sul pavimento. Poco dopo l’ingresso, due rampe di scale conducevano al piano superiore, dove si trovava l’accesso alla sala.
“Cas” – lo richiamò Dean, toccandogli un braccio.
Castiel voltò verso di lui e gli sorrise.
“Cas, so che te l’ho già chiesto, ma…sei davvero sicuro? Possiamo andare da un’altra parte, se vuoi…”
Il ragazzo inclinò leggermente il viso, continuando a sorridere.
“Sì, Dean sono sicuro, non ti preoccupare”.
Dean si prese un secondo per osservarlo meglio.
“Ok…saliamo, dai” – disse poi, indicando la scala davanti a loro.
Il Liberty Hall era sia un cinema che un teatro, e l’unica sala presente era molto grande. Le poltrone, di colore rosso, si estendevano su più file, suddivise in gruppi da un corrimano color oro, mentre i muri laterali mostravano dipinti dai colori accesi e suggestivi. Il soffitto, a cassettoni, presentava decorazioni sgargianti che richiamavano il tema dei pianeti e delle costellazioni.
Dean scese alcuni gradini, seguito da Castiel, e poi proseguì lungo una fila di poltrone fino a raggiungere gli altri che avevano già preso posto. I due ragazzi si sedettero, e dopo qualche minuto, le luci della sala calarono di intensità per tre volte consecutive, per poi spegnersi del tutto, annunciando così l’inizio dello spettacolo.
 
Durante la prima mezz’ora del film, Dean continuava a guardare Castiel con la coda dell’occhio. Era preoccupato per il ragazzo, perché, nonostante lui gli avesse ripetuto più volte di essere sicuro, Dean era certo che quella situazione lo avrebbe messo in difficoltà, e non voleva vederlo così, come era successo alla sua festa di compleanno, quando il giovane si era rifugiato nella sua camera. Dean ripensò alle parole di Charlie. Era vero, Castiel sembrava sicuro di quello che stava facendo, ma questo non tranquillizzava il biondo, per niente. Quando Castiel gli disse che sarebbe venuto anche lui al cinema, Dean aveva provato emozioni contrastanti. Da un lato era davvero felice, perché poteva condividere qualcosa che gli piaceva con il suo ragazzo. Dall’altro lato, però, Dean non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Non avrebbe dovuto dire niente, quella sera, in macchina…si sarebbe dovuto limitare a non andare al cinema e basta. In questo modo non avrebbe spinto indirettamente l’altro a venire e a trovarsi in questa situazione.
Dean allungò una mano e ricercò quella di Castiel, appoggiata sul bracciolo della poltrona, per poi stringerla delicatamente. Il ragazzo dagli occhi blu si voltò e Dean vide il suo sorriso, illuminato a sprazzi dal riverbero del grande schermo. E quando la mano del giovane ricambiò la stretta, Dean si rilassò un po’ e si concentrò sul film.
 
Le immagini scorrevano sullo schermo, a volte lente e a volte così veloci da diventare caotiche. Ed era proprio in questi momenti che il disappunto di Castiel cresceva. Le scene da combattimento erano forse le più facili da seguire, ma alla fine tutto diventava un miscuglio indefinito di eventi. Seguire il labiale degli attori era dannatamente difficile, se non impossibile. Era riuscito a captare qualche parola qua e là e a leggere qualche frase grazie ad alcuni sottotitoli, ma ben presto si era stancato e quindi si era limitato a fissare lo schermo. Castiel sapeva benissimo che sarebbe andata a finire così, come era consapevole di aver detto una bugia a Dean sul fatto che ogni tanto guardava la tv con i suoi genitori.
Qualcosa di caldo e morbido toccò la sua mano. Castiel vide la mano di Dean che stringeva piano la sua, e questo gli diede un po’ di coraggio. Aveva fatto tutto questo per Dean e avrebbe portato a termine quello che si era prefissato di fare, non importava come. Il ragazzo dagli occhi blu si voltò verso l’altro e gli sorrise, ricambiando.
 
Quando lo schermo divenne buio e, subito dopo, le luci della sala si accesero, Castiel si guardò in giro. Molte persone si erano alzate in piedi, rimanendo comunque accanto ai propri posti, mentre altre, invece, si dirigevano fuori dalla sala, approfittando della pausa. Il giovane si sentì toccare a spalla e si voltò, sollevando il viso, in tempo per vedere Dean, in piedi accanto a lui, sorridergli.
“Cas, vado un attimo in bagno” – lo avvisò l’altro.
Il moro annuì, per poi sollevarsi leggermente e far passare il giovane davanti a sé. Seguì con lo sguardo la schiena di Dean che si allontanava e, quando il biondo scomparve oltre l’uscita, sospirò.
Di nuovo, una mano gli toccò il braccio, e lui si girò in quella direzione.
“Ehi” – sorrise Charlie, che nel frattempo aveva scalato di un posto, occupando quello di Dean, accanto a lui.
Castiel ricambiò il sorriso.
“Tutto ok?” – chiese lei.
Il ragazzo annuì.
“Castiel, io non sono Dean…puoi dirmi la verità, se vuoi” – tentò la rossa, sospirando.
Il giovane esitò un attimo, prima di rispondere. Apprezzava davvero l’interesse dell’amica, in fondo Charlie si era sempre mostrata gentile e sincera con lui, e il giovane infatti aveva chiesto consiglio proprio a lei, quando Dean lo aveva baciato la vigilia di Natale. Ma Castiel aveva fatto tutto quello affinché Dean non rinunciasse ad andare al cinema con gli amici, e ora non poteva certo tirarsi indietro, raccontando la verità, e cioè che non riusciva a seguire il film e che si sentiva frustrato e a disagio, perché non se lo sarebbe perdonato.
“Va tutto bene, Charlie, davvero”.
La ragazza annuì, poco convinta. Poi puntò gli occhi oltre le spalle dell’amico e sorrise. Castiel seguì la direzione del suo sguardo e si voltò. Dean era tornato e si stava avvicinando a loro. Nel frattempo, Charlie scivolò nuovamente al suo posto, permettendo così al biondo di sedersi nel proprio.
“Ehi” – disse poi Dean, mettendosi un po’ di traverso con il busto e guardando l’altro.
“Ehi” – sorrise Castiel.
“Tutto bene?”
“Sì”.
“Allora, ti piace il film?” – chiese il giovane, indicando lo schermo un cenno della testa.
“Sì”.
“Hai visto Bucky?”
“Sì, ma…è diverso dalla foto che mi hai fatto vedere ad Halloween…”
Dean ridacchiò, divertito.
“Beh, la foto che hai visto era presa dal secondo film” – spiegò poi.
Castiel annuì.
Le luci della sala sfarfallarono ad intermittenza per tre volte di fila e poi si spensero completamente, mentre sullo schermo venivano nuovamente proiettate le immagini del film. Dean strinse ancora la mano di Castiel nella sua, ricambiato dall’altro. Il ragazzo dagli occhi blu, però, sentì un leggero fastidio allo stomaco. Non avrebbe voluto mentire a Charlie e soprattutto a Dean, ma non aveva avuto altra scelta. Non poteva dir loro la verità, perché ciò avrebbe reso il suo fallimento reale. Sì, fallimento, perché di quello si trattava, alla fine. Castiel non voleva essere un peso per Dean e non voleva limitarlo, decidendo così di fare con lui quelle cose che un normale udente farebbe senza problemi, come andare al cinema appunto. Ma questo per il giovane risultò molto difficile e proprio per questo motivo arrivò a fallire nel suo intento.
Cercò di concentrarsi sulle scene del film, ma ben presto dovette rinunciare. Stare lì seduto a vedere una cosa, senza capire nulla, era frustrante e non faceva altro che alimentare il peso del suo fallimento. Castiel si rese conto di quanto assurda e patetica fosse stata la sua decisione, e di quanto ridicolo fosse apparso agli occhi degli altri, perché, andiamo, un sordo che va al cinema a vedere un film sembra l’inizio di una barzelletta. Il giovane fu sopraffatto da una serie di emozioni: colpa nei confronti di Dean, per avergli mentito e per essere un peso per lui; amarezza, per il suo insuccesso; rabbia, per non essere come tutti gli altri. Tutte queste sensazioni ingaggiarono tra loro una lotta estenuante, generando conflitti capaci di mandare in tilt il cervello. Castiel iniziò a sentirsi irrequieto e chiuse gli occhi, per isolare meglio quella situazione dal mondo esterno, e per cercare di ridimensionare e riportare all’ordine le emozioni in gioco, invano. La mano di Dean, che stringeva la sua, iniziò a scottare, sotto il peso della colpa. E, all’improvviso, Castiel si trovò a sgattaiolare via lungo la fila di poltrone, fino a guadagnare uno dei corridoi e dirigersi a grandi passi verso l’uscita.
La luce dello spazio, che si trovava oltre l’uscita, contrastava con il buio della sala e il ragazzo fu costretto a chiudere un attimo gli occhi. Dopo aver battuto le palpebre più volte ed essersi abituato al cambio di luminosità, si guardò in giro. A pochi metri di distanza, sulla destra, c’erano i bagni. Castiel si diresse verso una di quelle porte e l’aprì, entrando. Una volta dentro, si richiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò contro con la schiena. La sua attenzione cadde sulla propria immagine, riflessa nello specchio di fronte. Castiel si allontanò dalla porta e si diresse verso lo specchio, soffermandosi sul suo riflesso. Se possibile, in quel momento si sentì ancora più patetico. Irritato, distolse lo sguardo e aprì il rubinetto del lavandino, facendo scorrere l’acqua e bagnandosi i polsi. L’acqua fredda sembrò placare tutte quelle sensazioni, congelandole sul posto e arginando così la loro violenza. Decise allora di sciacquarsi il viso più volte, per poi asciugarlo con della carta presa dal dispenser attaccato al muro, lì vicino. Dopo aver gettato la carta nel cestino, tornò a guardare la propria immagine allo specchio e sospirò. Sembrava essersi calmato, e così decise di riprovare e tornare nella sala.
Quando aprì la porta del bagno per uscire, trovò Dean ad aspettarlo. Era lì, in piedi, con le mani nelle tasche dei jeans e con un’espressione sul viso che Castiel fece fatica ad interpretare.
“Dean…”
“Stai bene?” – chiese il biondo, avvicinandosi.
Castiel indietreggiò di un passo. Non voleva farsi vedere così dal suo ragazzo, non voleva rendere evidente agli occhi di lui il suo fallimento.
“S-sì” – rispose, esitante.
“Smettila di raccontarmi palle” – sibilò Dean.
Castiel si morse un labbro e abbassò lo sguardo. Dean fece ancora qualche passo, fino a trovarsi di fronte a lui. Castiel tenne lo sguardo basso, guardandosi le scarpe. Due dita gentili gli sfiorarono il mento, costringendolo delicatamente a sollevare il viso e a specchiarsi negli occhi verdi di Dean.
“Cos’è successo là dentro?” – domandò Dean, indicando la sala con un cenno della testa.
Castiel deglutì un paio di volte, ma non rispose.
“Cas?” – lo richiamò l’altro.
“Io…” – tentò il moro, non riuscendo poi a proseguire.
Dean lo osservò attentamente e sospirò. Le sue paure e le sue preoccupazioni per il ragazzo divennero certezze, e il senso di colpa di Dean tornò a farsi sentire, prepotente. Non avrebbe dovuto permettere a Castiel di venire al cinema, di sacrificarsi così per lui. Senza dire nulla, il giovane prese la mano di Castiel nella sua, facendo intrecciare le loro dita.
“Usciamo da qui”.
“Dean…” – tentò debolmente Castiel – “Il film non è finito…”
“Non mi interessa il film, mi interessi tu” – ribatté Dean.
Castiel rimase in silenzio. Le parole di Dean, pur essendo così belle e piene di significato, non fecero altro che amplificare il senso di colpa e il fallimento del ragazzo. Anche questa volta Castiel dovette arrendersi: era stato sconfitto dalla situazione e soprattutto da sé stesso. Strinse le dita tra quelle di Dean e annuì, affranto.
I due scesero le scale mano nella mano e si diressero verso l’uscita, in silenzio. Nell’animo di Castiel, però, quello fu l’inizio di qualcosa che cominciò inesorabilmente a scavare e a farsi spazio dentro di lui.
 
 
°°°
 
 
“E questo cos’è?” – chiese Dean.
Il ragazzo era appena entrato nella camera di Castiel e aveva appoggiato lo zaino a terra, quando vide un quaderno aperto sulla scrivania. Lo prese in mano e iniziò a sfogliarlo, distrattamente.
“No, non guardare…” – disse Castiel, tentando di togliere il quaderno dalle mani dell’altro.
Dean, però, fu più veloce e si scansò leggermente, ridendo.
“Dai, fammi vedere!”
“Dean, davvero, non…” – lo pregò l’altro, avanzando ancora verso di lui.
Il biondo fece ancora un paio di passi indietro, con gli occhi fissi sul quaderno e poi si fermò, alzando le sopracciglia e schiudendo le labbra. Le pagine del quaderno erano fitte di parole scritte e il giovane si soffermò su qualche frase, umettandosi le labbra.
“Ma questa…” – mormorò poi, incredulo – “È una storia…”
Dean sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi blu di Castiel.
“L’hai scritta tu?”
Castiel si morse un labbro, ma non rispose.
“Cas?”
“Sì…” – ammise l’altro, sospirando.
“Di che parla?”
“È una storia di fantasia” – rispose il moro, scrollando le spalle – “Sai, magie, incantesimi…draghi”.
“Draghi?” – ripeté Dean, sorpreso.
“Sì…”
“Uhm…” – mugolò il biondo, tornando a sfogliare il quaderno – “Hai mai pensato di fare lo scrittore?”
Castiel si avvicinò a Dean e prese il quaderno dalle sue mani, chiudendolo poi in un cassetto della scrivania.
“Ho pensato di fare tante cose” – disse, amaramente – “Ma niente va come noi vorremmo”.
Dean rimase immobile, schiacciato dalle parole dell’altro.
“Beh…” – arrancò – “Secondo me saresti bravo…più di me sicuramente” – gesticolò, con lo scopo di stemperare la pesantezza di quelle parole.
Castiel inclinò il viso, con aria interrogativa.
“Io sono più per i lavori manuali” – spiegò il biondo, abbozzando un sorriso.
Anche Castiel sorrise.
“Lo so”.
Dean aggrottò la fronte, perplesso.
“Il block notes lo hai aggiustato bene” – aggiunse il moro.
Il ragazzo schiuse la bocca, stupito.
“Te lo ricordi?” – domandò, quasi incredulo.
“Sì”.
“Ce l’hai ancora?”
“Certo”.
Dean fece un passo verso l’altro e posò le mani sui suoi fianchi, avvicinando poi il viso e appropriandosi delle sue labbra. Castiel strinse le dita sulle braccia di Dean e ricambiò il bacio.
“Ti va uno spuntino?” – chiese poi, scostandosi un po’.
“Sì, grazie”.
“Ok, vado a prepararlo”.
“Va bene”.
Castiel uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta. Dean fece per mettersi sul letto, quando l’occhio cadde sul cassetto della scrivania nel quale il suo ragazzo aveva riposto il quaderno. Il giovane si morse l’interno della guancia, indugiando. Diede una rapida occhiata all’ingresso della camera e poi tornò a guardare di nuovo quel cassetto, umettandosi le labbra. Il corpo si mosse da solo e Dean si trovò ancora a sfogliare il quaderno di prima, divertito. Il biondo non era amante della lettura, ma quella storia, scritta da Castiel, lo incuriosiva, e non poco. Ad un tratto la sua attenzione fu catturata da un altro quaderno, presente nel cassetto. Dean allungò una mano e lo prese, rendendosi poi conto che al di sotto di esso ve n’era un altro, e un altro ancora. Il cassetto era pieno di quaderni che Dean prese uno per uno, aprendoli e accorgendosi che ciascuno conteneva una storia diversa. Inoltre, la prima pagina di ogni quaderno riportava una data. Il cuore di Dean sembrò saltare un battito, quando lesse la data segnata su uno di essi: era di un anno prima, quando il ragazzo dagli occhi blu viveva ancora a Pontiac. Velocemente controllò anche gli altri quaderni. Le date andavano a ritroso nel tempo, arrivando anche a tre, quattro anni prima.
 
Io non avevo amici dove abitavo prima
“I suoi amici sono venuti a trovarlo per un po’, ma poi, pian piano, non si sono fatti più vedere”
 
Con le mani che tremavano Dean rimise i quaderni al loro posto, chiudendo poi il cassetto. Si avvicinò al letto e si lasciò cadere pesantemente sul materasso, fissando il vuoto davanti a sé. Dean prese coscienza di quanto appena visto, e si sentì come se qualcuno gli avesse tirato un pugno nello stomaco. Tutti quei quaderni, quelle storie, quelle date…era così che Castiel aveva trascorso il suo tempo libero, da solo.
Dean si era chiesto più volte che tipo di vita avesse fatto Castiel a Pontiac, ma non aveva mai osato domandarglielo direttamente. Lui stesso gli aveva detto di non avere amici laggiù, e il racconto di Amelia lo aveva confermato. Ma allora, cosa aveva fatto tutto il tempo? Parte della giornata sarà stata sicuramente occupata dalle lezioni con il tutor scolastico, ma il resto? E i week-end?
Dean posò lo sguardo su quel cassetto: adesso aveva la sua risposta. Il biondo non fece fatica ad immaginare l’altro, chiuso nella sua stanza e seduto alla scrivania, intento a creare storie di fantasia, le uniche a tenergli compagnia. Ma un conto era immaginarlo e un conto era prendere atto che tutto quello era vero. Mentre Dean trascorreva spensierato gli anni della sua giovinezza, a centinaia di chilometri da lui un ragazzo passava le giornate nel suo mondo di solitudine e silenzio. Dean sentì una rabbia crescere nel petto e infiammargli il viso: rabbia contro quegli amici che avevano escluso Castiel dalla loro vita; rabbia contro la malattia che lo aveva privato di una vita normale; rabbia contro chi, lassù, aveva permesso tutto questo. In quel momento Dean desiderò con tutto sé stesso di avere una macchina del tempo, per poter tornare nel passato e impedire ogni cosa…o anche solo stringere Castiel a sé e dirgli che non era solo.
“Dean?”
La voce di Castiel distolse Dean da quei pensieri che lo stavano opprimendo. Il ragazzo batté le palpebre due volte, mettendo a fuoco la figura dell’altro che aveva appoggiato un vassoio sulla scrivania e che lo stava guardando con aria interrogativa. Castiel: il suo ragazzo, la persona a cui lui teneva moltissimo, il suo Cas. Con uno scatto Dean si alzò dal letto e gli andò incontro, per poi abbracciarlo. Lo strinse a sé, cingendogli la vita con un braccio, mentre l’altra mano era appoggiata sulla nuca.
“Dean?” – ripeté Castiel, contro la pelle del suo collo.
Dean lo strinse di più a sé e chiuse gli occhi. E pur sapendo che in quel modo l’altro non avrebbe potuto sentirlo, volle lo stesso dare voce al suo cuore.
“Non sei più solo, Cas…”
 
 
°°°
 
 
Dean aprì la portiera dell’Impala e vi salì, infilando le chiavi nel quadro, mentre aspettava che Castiel prendesse posto accanto a lui. Era domenica sera e i due ragazzi stavano tornando a casa, dopo aver trascorso una serata al bowling con gli altri. Per l’occasione si erano uniti a loro anche Victor, Garth, Jody, Ash e, su invito di Chuck, anche Becky Rosen.
Castiel si allacciò la cintura di sicurezza e si abbandonò contro il sedile, guardando davanti a sé, oltre il parabrezza. Quando il motore si accese, avvertì una leggera vibrazione, per poi vedere la macchina muoversi e immettersi in strada. Castiel ripensò alle ore trascorse con Dean e gli altri ragazzi: era stata una serata terribile. Per tutto il tempo la sua mente fu stordita dalla confusione silenziosa che c’era intorno a lui: i tabelloni luminosi, collocati sopra ogni postazione, si accendevano in brevi animazioni colorate; le palle da bowling scivolavano senza rumore sul parquet lucido, raggiungendo i birilli in uno scontro muto; nelle postazioni vicine, alcuni appassionati gridavano la loro gioia silenziosa per uno strike, saltellando sul posto.
Come se non bastasse, i continui spostamenti degli amici gli impedivano di leggere il loro labiale e di comprendere quindi cosa dicevano. Sebbene questo fosse un aspetto al quale il ragazzo era abituato, esso continuava ugualmente ad essere fonte di frustrazione e di disagio, e lo spingeva, suo malgrado, a rimanere in disparte, in silenzio.
Con il tempo, aveva imparato a conoscere Charlie, Chuck e Benny e a sopperire alle loro voci, che non poteva sentire, osservando e cercando di interpretare la mimica del corpo e dell’espressione del viso. Ma con le persone che non conosceva era impensabile. La mancanza del tono e del timbro della voce, in questi casi, si faceva enormemente sentire, e Castiel non riusciva a comprendere quando gli altri esprimevano emozioni basilari come tristezza, rabbia, felicità, scherzo, scherno. Il ragazzo dagli occhi blu era abituato anche a questo, ma nell’ultimo periodo qualcosa in lui era cambiato. Non sapeva cosa fosse esattamente, lo percepiva come un qualcosa di irrequieto che formicolava piano nella sua mente, come una leggera increspatura nel blu dei suoi occhi, quando vedeva la sua immagine riflessa, come impercettibili incrinature nella profondità del suo animo.
Un movimento di Dean attirò la sua attenzione, richiamandolo alla realtà. Il ragazzo aveva girato una manopola della radio con le dita. Castiel si voltò verso l’altro e lo guardò. Dean teneva entrambe le mani sul volante, tamburellando i pollici sulla sua superficie, mentre le sue labbra si muovevano, chiudendosi e schiudendosi: Dean stava cantando.
All’improvviso, quel qualcosa, a cui Castiel non era ancora riuscito a dare un nome, iniziò a ribollire in lui, dapprima pigro e poi via via sempre più irruento. E fu lì che Castiel lo riconobbe; ne riconobbe il calore, l’aggressività, la forza, l’impulsività e la violenza. Si trattava di un desiderio che lui credeva ormai sopito nel tempo: il desiderio di sentire.
Poco dopo esser diventato sordo, Castiel aveva provato di tutto per inseguire la normalità che aveva perso, invano. Tutti i suoi sogni e le sue aspettative per il futuro gli erano state precluse, persino avere degli amici. Il desiderio di sentire i suoni, i rumori e le parole era bruciante, lo attanagliava con rabbia, andando a scontrarsi però con la dura realtà, e lasciando Castiel ogni volta sempre più sofferente. Eppure, quando gli avevano proposto l’impianto cocleare, Castiel non aveva voluto farlo. Lui stesso era rimasto sorpreso del suo rifiuto, ma ben presto le cose si erano fatte più chiare: aveva paura. La meningite lo aveva privato dell’udito, rendendolo una persona diversa da quella che era prima. E fare l’impianto gli avrebbe sì consentito di tornare a sentire e di avvicinarsi alla normalità agognata, ma lo avrebbe anche trasformato in un’altra persona, diversa da quella attuale e soprattutto diversa da quella che era prima della malattia. Quel Castiel, allegro e curioso, non sarebbe più tornato, perché ormai apparteneva al passato. E così Castiel si era ritrovato ad essere terrorizzato all’idea di cambiare ancora e di fare un passo avanti e, dal momento che non poteva tornare indietro, si era limitato a stare fermo lì dov’era e a soffrire per la sua condizione. Ma la sofferenza era stata tale che, ad un certo punto, la sua mente aveva messo in atto una vera e propria strategia difensiva: soffocare quel desiderio, fonte solo di dolore, e seppellirlo sotto una coltre di negazione. In questo modo, il ragazzino si era autoconvinto che quel desiderio non gli appartenesse e lo aveva confinato in un angolo della sua mente, perché la sua intensità lo stava soffocando e consumando dentro.
Non avendo avuto contatti con i suoi coetanei durante l’adolescenza, Castiel era riuscito a tenere segregato il desiderio con una certa facilità. Ma le cose erano cambiate quando aveva conosciuto Dean. All’inizio il giovane non se ne era reso nemmeno conto, ma a poco a poco, mese dopo mese, Dean era stato come un vento che soffiava su braci credute ormai spente, e invece ancora vive sotto strati di cenere grigia. E così, quel desiderio si era animato ed era tornato ad acquistare un’intensità via via maggiore, che era cresciuta ancora quando lui e Dean si erano messi insieme.
E ora lì, in quella macchina, di fronte alle parole mute dell’altro, quel desiderio assunse una forma definitiva, sprigionandosi con la forza di un vulcano dormiente, in eruzione dopo decenni. E Castiel si accorse che non si trattava di sentire e basta, ma di sentire la voce di Dean, di associare un suono a quelle labbra e a quegli occhi verdi. Il ragazzo dagli occhi blu scrutò la sua anima e vide con sconcerto che tale desiderio si era infiltrato anche in tutti gli altri aspetti della sua vita, diventando così incontenibile e rendendo Castiel incapace di tenerlo a bada…o, forse, lui non era più disposto a farlo. Con amarezza, Castiel si rese conto che, alla fine, quel desiderio non se n’era mai andato, ma era stato uno spettatore silenzioso della sua vita in tutti quegli anni, per poi decidere di intervenire ed uscire allo scoperto, stravolgendo ogni cosa e cambiando le carte in tavola.
Castiel sentì gli occhi pungere e si voltò dall’altra parte, puntando lo sguardo fuori dal finestrino e serrando le dita delle mani in un pugno.
 
Dean continuava a spiare l’altro di nascosto, alternando momenti in cui guardava la strada, ad altri, fugaci, in cui lo osservava con la coda dell’occhio. Dopo la disastrosa serata al cinema, Dean aveva provato a dissuadere l’altro dal voler ancora andare in determinati posti, ma Castiel aveva continuato ad insistere, e quella sera non aveva fatto eccezione. Dean però aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Durante il tempo passato al bowling, si era accorto del progressivo isolamento dell’altro, e aveva provato a stargli vicino e a coinvolgerlo di più, ma i risultati erano stati scarsi. A dire il vero, il biondo dovette ammettere con sé stesso che, da diverso tempo, qualcosa era cambiato. Ultimamente Castiel era strano, più silenzioso, sempre più spesso perso nei suoi pensieri. E quando Dean gli chiedeva cosa c’era che non andava, l’altro si limitava a rispondere “Va tutto bene, Dean”. Ma Dean aveva l’impressione che, con quella risposta, Castiel cercasse di convincere più sé stesso che gli altri, ed era in queste situazioni che il ragazzo si sentiva impotente e non sapeva cosa fare. Non voleva continuare a tempestarlo di domande, ma non poteva neanche negare di essere preoccupato.
Dean si umettò le labbra, continuando a picchiettare le dita sul volante, a ritmo di musica, indeciso sul da farsi.
“Oh, al diavolo” – borbottò poi, togliendo una mano dal volante e toccando il braccio del moro.
“Che succede, Cas?” – disse, non appena il giovane si voltò verso di lui.
Castiel esitò un attimo e poi distolse lo sguardo, tornando a guardare fuori dal finestrino.
“Niente” – rispose, infine.
Dean serrò la mascella e riportò gli occhi sulla strada, stringendo le dita sul volante così forte, da far sbiancare le nocche.
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Eccoci qui con un nuovo capitolo. Nel precedente avevamo lasciato (ok, ok, io ho lasciato) un po’ di gelo tra Dean e Castiel, che a quanto pare si è risolto in un nulla di fatto. A quanto pare. Tuttavia i problemi non sono mica finiti (e mai finiranno), e vediamo i due alle prese con altri aspetti dell’essere una coppia, nei quali uno dei due è non udente. Situazioni semplici, anche banali, come mangiare in compagnia, possono riservare dei risvolti importanti, ai quali non si pensa.
In questo aggiornamento viene aperta una piccola finestra sulla vita di Castiel a Pontiac, e su come il ragazzo abbia trascorso il suo tempo dopo essere diventato sordo. Piangevo senza ritegno quando ho scritto la scena, lo ammetto…
E infine, viene presentato un aspetto di vitale importanza ai fini della storia stessa: il rapporto di Castiel con la sua sordità. Erano stati piccoli cenni nei capitoli inziali, cenni che, già a partire da questo aggiornamento, troveranno ampio spazio per essere affrontati e trattati. Non ci resta che aspettare e vedere…
Prima di lasciarvi, volevo aggiungere che il prossimo aggiornamento avverrà in maniera regolare, anche se cade in un lunedì festivo. Ne approfitto tra l’altro per augurare a tutti buon Natale, con la speranza che possiate passare questi giorni di festa in pace e serenità.
Bene, direi che è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate dell'andamento della storia, intanto io vi lascio con un paio di curiosità e l’angolo delle fan art!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) “The Casbah” è lo stesso fast food dove Dean portò a mangiare Castiel nel terzo capitolo, durante la loro prima gita a Lawrence. È famoso per i suoi hamburger “da urlo”, come riferito da Dean. I panini che hanno ordinato i ragazzi esistono veramente e si trovano nel menù. L’assegnazione del ‘Fire’’ e del ‘Black and Blue’ rispettivamente per Charlie e Castiel sono voluti, e la scelta è avvenuta perché richiamavano uno o due aspetti fisici.
Se volete farvi venire l’acquolina in bocca, ecco qui http://www.burgerstandrestaurants.com/menu/

    
 


2) Il Liberty Hall è un teatro, adibito anche a cinema e a luogo per i concerti. Ho scelto questo, al posto dell’altro cinema di Lawrence, perché mi ispirava di più per una rassegna di film.
 
      
 

 
3) Fan art, fan art, fan art!
 
           


 

 


 

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindici ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO QUINDICI
 
"É quel mare che ho dentro
che mi crea forti tempeste"
 
Victor Hugo
 
 


Dean si strinse nella giacca, rabbrividendo leggermente.
Era un sabato pomeriggio di fine marzo e a Lawrence la primavera sembrava ancora lontana. Dean e Castiel stavano passeggiando lungo la Massachusetts Street, soffermandosi di tanto in tanto davanti alla vetrina di qualche negozio.
“Quand'è il compleanno di Sam?” – chiese Castiel.
“Il due maggio” – rispose Dean.
“Dean, manca ancora più di un mese” – gli fece notare l'altro.
“Lo so...” – sospirò il biondo – “È che non so mai cosa regalargli e alla fine mi riduco sempre all'ultimo momento...”
Castiel sorrise.
I due ragazzi proseguirono lungo il marciapiede, scansando qualche passante. La giornata non era certo delle migliori. Il sole, pallido e spento, faticava a mostrarsi attraverso una sottile coltre di nubi grigie.
Mentre Dean sbirciava nella vetrina di un negozio di musica, l'attenzione di Castiel fu attratta da una piccola folla di persone che si erano fermate poco lontano, all'angolo di un incrocio. A quella distanza, il giovane non riuscì a vedere cosa avesse attratto tutte quelle persone, e così, spinto dalla curiosità, si allontanò da Dean e si avvicinò in quella direzione. Una volta lì, si alzò sulle punte dei piedi per cercare di intravedere qualcosa, invano. Decise allora di farsi gentilmente spazio tra la folla, finché non si ritrovò in un piccolo spazio, delimitato proprio dalla gente stessa. Al centro di quello spazio un ragazzo stava suonando il violino. Castiel schiuse le labbra, sorpreso. Si guardò intorno e intravide i volti delle persone, tutte con gli occhi puntati su quel ragazzo. Il moro tornò a guardare l'altro, soffermandosi sul suo aspetto. Le ciocche lunghe dei capelli scuri gli cadevano disordinate sulla fronte e sulle tempie. Indossava un maglione nero, con le maniche tirate fino ai gomiti e un paio di jeans logori. L'aspetto un po' trasandato di quel ragazzo strideva con la lucentezza e l'eleganza dello strumento che teneva in mano, ma al tempo stesso l'insieme risultava armonioso e accattivante. L'artista di strada si muoveva fluido, pur rimanendo nel suo spazio personale. Il viso, inclinato e adagiato sul poggia mento, era concentrato e lasciava trasparire la passione che quel giovane metteva in quello che faceva.
Le dita scivolavano abili sulla tastiera, mentre il polso dell'altra mano accompagnava delicatamente l'archetto sulle corde. E il tutto, per Castiel, avveniva nel più completo silenzio.
 
Un tocco gentile fece voltare Castiel. Di fianco a lui Dean lo guardava, negli occhi verdi una leggera sfumatura di apprensione.
“Cas, almeno avvisami quando ti allontani” – lo rimproverò, dolcemente.
Castiel non rispose e si girò verso il musicista.
“È bravo?” – chiese dopo un po', con lo sguardo sempre fisso sull'altro.
Dean fu colto alla sprovvista da quella domanda ed esitò un attimo.
Il ragazzo dagli occhi blu si voltò di nuovo verso di lui.
“È bravo?” – ripeté, indicando l'artista di strada con un cenno del capo.
Dean diede un'occhiata rapida a quel musicista e si umettò le labbra.
“Non lo so, non me ne intendo...” – ammise – “Però...” – aggiunse, guardandosi in giro – “Credo di sì, visto che tutte queste persone si sono fermate per ascoltarlo”.
Castiel annuì e meditò sulle parole di Dean. La gente si era fermata ad ascoltare quel giovane, perché erano stati attratti dalla melodia del suo violino. Una melodia che li aveva chiamati da lontano, che li aveva raggiunti, ma che invece non era arrivata a Castiel, perché quelle note si erano infrante in mille pezzi contro il muro della sua sordità.
Il desiderio di sentire ormai scorreva nelle sue vene, pompato dai battiti del suo cuore, raggiungendo ogni parte del suo corpo e bruciando ogni tappa al suo passaggio. E Castiel lo lasciò fare, lasciò che si impadronisse di lui, che prendesse il sopravvento. E dentro di lui quel desiderio urlava, sopraffacendo tutti gli altri pensieri, e la sua eco risuonava nella mente del giovane, assordandola e rendendola incapace di reagire. E faceva male, faceva dannatamente male.
Castiel batté le palpebre un paio di volte e si accorse che le persone intorno a loro stavano scemando e, guardando il ragazzo con il violino, si rese conto che l'esibizione era finita. Fece qualche passo in avanti, avvicinandosi all'altro, mentre con una mano frugava nella tasca dei jeans. Quando fu vicino alla custodia dello strumento, appoggiata a terra e lasciata volontariamente aperta per accogliere la generosità dei passanti, si chinò leggermente in avanti e lasciò cadere un paio di dollari. Nel momento in cui sollevò la testa, si accorse che il ragazzo lo stava guardando e gli sorrideva. Castiel ricambiò, abbozzando un sorriso.
“Ti è piaciuto?” – chiese il musicista.
Il giovane si morse un labbro.
“Non lo so...” – rispose.
L'artista di strada alzò le sopracciglia e sbuffò in una risata.
“Sai, sei il primo che mi dà una risposta del genere”.
“Mi dispiace...” – disse il moro – “Non posso dirti se mi è piaciuto o no perché…non l'ho sentito”.
Le parole gli uscirono così, animandosi di vita propria dentro di lui e scappando via veloci, come cavalli selvaggi in una prateria. E Castiel non ne fu stupito, perché quello era uno dei tanti modi con cui il desiderio aveva deciso di prendere il sopravvento su di lui, privandolo di ogni controllo razionale.
Il ragazzo di fronte a lui aggrottò le sopracciglia, confuso.
“In che senso non l’hai sentito?”.
Castiel lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, sospirando piano.
Era stanco, stanco di tutto, e si lasciò trascinare dall'impeto del desiderio come un tronco d'albero si abbandona alla corrente del fiume.
“Io sono sordo”.
Il musicista spalancò gli occhi e sussultò a quelle parole, incapace di dire qualcosa.
Castiel stiro le labbra in un’espressione che ricordava lontanamente un sorriso e, senza giungere altro, si voltò, per poi allontanarsi a piccoli passi.
 
Dean aveva assistito alla scena e rimase immobile sul posto, inchiodato da quello che aveva sentito. Dentro di lui si agitò qualcosa, sotto forma di tremolanti cerchi concentrici sulla superficie di uno stagno, e che non fece altro che amplificare la sua preoccupazione per Castiel. Ormai ne era certo, qualcosa non andava. Il ticchettio dell'orologio che scandiva la loro quotidianità saltava il ritmo sempre più spesso, rallentando e incespicando, a volte fermandosi per poi ripartire, lento. Dean avvertì un presentimento, una sensazione, non propriamente reale, ancora astratta, dai colori non definiti e dai contorni sfuocati. Ma lui riusciva ad avvertirne il peso, che aumentava impercettibilmente giorno dopo giorno. Castiel era più distante e Dean lo percepiva dal calore che il ragazzo dagli occhi blu portava via con sé. E più il biondo si affannava per aggiungerlo, avvicinandosi di un passo, più l'altro si allontanava nella stessa misura.
“Ehi, amico”.
La voce del musicista ridestò Dean dai suoi pensieri.
“Mi dispiace, io non potevo immaginare che...”
“Non ti preoccupare” – lo tranquillizzò Dean.
Il ragazzo annuì, imbarazzato. Dopo qualche secondo di situazione, si accovacciò sui talloni, davanti alla custodia aperta del violino, dove ripose con cura lo strumento e l'archetto. Con un rapido gesto chiuse il coperchio e lo bloccò, per poi prendere la custodia tra le braccia e sollevarsi.
“Scusa ancora...” – disse, prima di salutarlo e di andare via.
Dean rimase lì, sul marciapiede, con lo sguardo fisso sulla schiena di Castiel che si faceva via via sempre più lontana. A Dean sembrò di scorgere un alone biancastro attorno alla sua figura, come se facesse parte del giovane stesso, una sorta di sua estensione. Dean non sapeva cosa fosse, ma di una cosa era certo: non gli piaceva, per niente. Si passò una mano sul viso e sospirò, per poi incamminarsi e raggiungere il ragazzo dagli occhi blu.
 
 
°°°
 
 
Dean mugolò di piacere nella bocca di Castiel, mentre le sue mani stringevano saldamente i fianchi dell’altro.
Quel pomeriggio, come d’abitudine, Dean si era fermato a casa di Castiel per fare i compiti, ma il moro, che di solito insisteva per fare prima i propri doveri di studente, lo aveva sorpreso con una mossa del tutto inaspettata. Infatti, appena entrati nella camera, il ragazzo dagli occhi blu aveva incorniciato il viso del biondo con entrambe le mani e lo aveva baciato con trasporto. Dopo essersi separato da lui per bisogno d’aria, lo aveva preso per mano e lo aveva condotto verso il letto, dove lo aveva fatto sdraiare supino. Infine lo aveva raggiunto e si era messo delicatamente a cavalcioni sopra di lui, per poi chinarsi e riprendere a baciarlo.
Dean era sopraffatto dal buon sapore di Castiel, come sempre, e si lasciò andare più che volentieri alle attenzioni del suo ragazzo. Il peso dell’altro era leggero sopra di lui, eppure era anche così eccitante.
La lingua di Castiel scivolò via dalla sua bocca, facendo subito sentire la sua mancanza. Dean socchiuse le palpebre e incrociò lo sguardo dell’altro. I bellissimi occhi blu di Castiel lo stavano guardando, carichi di desiderio.
“Cas…” – ansimò Dean.
Castiel vide il proprio nome formarsi sulle labbra di Dean, e sorrise leggermente. Al giovane piaceva quando l’altro pronunciava il suo nome. Gli piaceva vedere la sua bocca muoversi e soprattutto vedere un luccichio particolare nei suoi occhi, talmente particolare che Castiel sapeva riconoscere il momento in cui Dean chiamava il suo nome, anche solo guardando il verde delle sue iridi.
Ultimamente, però, tutto quello sembrava non bastargli più. C’era sempre uno spazio vuoto, che reclamava di essere riempito; una sagoma bianca, dai contorni neri, che necessitava di essere colorata; un posto buio che aveva bisogno di luce intorno a sé, per definirsi tale. Castiel sapeva benissimo cosa mancava, ciò che avrebbe completato il tutto, quello che avrebbe reso reale il suo nome sulle labbra di Dean: la sua voce.
Castiel si sollevò di poco e sfiorò le labbra di Dean con la punta delle dita.
“Dillo ancora” – mormorò.
Dean corrugò la fronte.
“Cosa?”
“Il mio nome”.
Il biondo sorrise.
“Cas”.
Castiel sentì il fiato caldo di Dean accarezzargli i polpastrelli e si morse un labbro. Non bastava.
Il giovane si chinò di nuovo, avvicinando la punta del naso alla bocca dell’altro.
“Un’altra volta” – disse.
Dean indugiò un attimo.
“Cas…”
Il ragazzo dagli occhi blu respirò a fondo l’odore dell’altro, che gli scaldò dolcemente il petto, dissipandosi però troppo rapidamente. Castiel fece una smorfia. No, non era abbastanza.
“Ancora una”.
“Che succede?” – chiese Dean, accarezzando piano la schiena del moro.
“Ti prego, ancora una volta” – sussurrò Castiel.
Il giovane Winchester lo guardò e si perse nel blu dei suoi occhi.
“Ca-”
Castiel catturò il suo nome dalle labbra di Dean con un bacio, iniziando a succhiarle teneramente. Un sapore dolce, a tratti zuccherino, lo deliziò, ma solo per un breve istante. Non era sufficiente.
Il giovane si scostò e incrociò lo sguardo dell’altro, che lo osservava con aria interrogativa. Il desiderio di sentire, di sentire la voce di Dean, sembrava come un vortice nero dentro di lui, capace di risucchiare tutto, e che niente, nemmeno gli altri sensi, riuscivano quantomeno a saziare. Quello spazio vuoto non sarebbe mai stato riempito, quella sagoma bianca sarebbe rimasta tale, quel posto buio non avrebbe mai preso consapevolezza di sé. Il nome di Castiel non avrebbe mai ricevuto il soffio della vita sulle labbra di Dean.
Castiel si sollevò definitivamente e scivolò indietro con le ginocchia, arrivando a sdraiarsi sopra Dean e ad appoggiare la testa sul suo petto. Rimase lì così, come se fosse in attesa di qualcosa. Infine chiuse gli occhi e sospirò, mentre l’amarezza dilagava in lui, intorpidendogli l’animo: non riusciva nemmeno a sentire i battiti del suo cuore.
 
 
°°°
 
 
L’Impala si fermò davanti ad un muretto e, poco dopo, il motore si spense. Castiel fu il primo a scendere dalla macchina e a raggiungere il marciapiede. Di fonte a lui, un lungo viale conduceva ad un edificio, le cui luci interne trasparivano dalle grandi vetrate, facendo così spiccare la costruzione nel buio della notte. Una mano gentile toccò il suo braccio e lui si voltò. Dean lo aveva raggiunto e gli stava sorridendo.
“Andiamo” – disse, indicandogli la direzione con un cenno del capo.
I due giovani si incamminarono verso l’edificio, imitati da molti altri ragazzi intorno a loro, da soli o in piccoli gruppi. Castiel continuò a guardarsi intorno e a sorridere, incuriosito, finché la sua attenzione fu catturata da una grande scritta che spiccava sulla facciata laterale della costruzione: LAWRENCE FREE STATE HIGH SCHOOL.
Era un venerdì sera e nella palestra della scuola di Dean si sarebbe svolta una partita di basket tra il liceo ospitante e quello della Lawrence High School, partita che avrebbe deciso l’accesso alle semifinali del torneo scolastico della contea.
Dean spiò Castiel con la coda dell’occhio e sospirò, ripensando alla conversazione avuta qualche giorno prima.
 
“Cas, sei sicuro di voler andare?” – chiese Dean.
“Sì” – rispose l’altro.
“Ma…” – tentò il biondo, umettandosi le labbra – “È solo una partita…e tu non segui neanche lo sport”.
“È vero ma…voglio andarci lo stesso” – ammise Castiel, guardandolo con i suoi grandi occhi blu.
Dean si passò una mano sul viso e sospirò.
Da quando Castiel aveva saputo che quel venerdì si sarebbe tenuta una partita di basket nella sua scuola, Dean non aveva avuto un attimo di tregua. Castiel aveva continuato a chiedergli di andare insieme a tutti gli altri e Dean aveva provato a persuaderlo diversamente, ma senza successo. Non è che Dean non volesse che il suo ragazzo andasse a vedere la partita, ma non poteva neanche nascondere di essere preoccupato. La serata al cinema non era affatto andata bene, Dean se lo ricordava, eccome. E il biondo aveva intuito che le uscite successive non erano state piacevoli per Castiel, anche se il moro non aveva fatto trapelare nulla, non come al cinema almeno. E tutto ciò era accaduto nonostante Dean si fosse sempre impegnato al massimo per non mettere l’altro in una situazione di disagio.
Pertanto Dean temeva che una partita in una scuola, con tutta quella gente che ci sarebbe stata, non fosse esattamente il genere di situazioni adatte per Castiel.
“Cas” – riprovò, cercando di avere più tatto possibile – “Ci saranno tante persone, lo sai questo, vero?”
Il moro si morse un labbro e annuì piano.
“E ci sarà parecchia confusione, e non credo che tu possa sentirti a tuo agio…”
Castiel incrociò gli occhi verdi di Dean.
“Tu…non vuoi che io vada?”
“Cos-No! Non ho detto questo, Cas!” – si affrettò a ribattere Dean – “È che…”
Dean abbassò le spalle, sospirando pesantemente.
“Sono solo preoccupato per te…” – concluse.
Castiel abbassò lo sguardo, senza dire nulla.
Dean osservò l’altro attentamente, e poi si avvicinò, stringendolo a sé.
Rimasero così, abbracciati, senza dire nulla.
“Vuoi davvero andare a vedere la partita?” – chiese poi, scostandosi e cercando gli occhi blu dell’altro.
Castiel rispose al suo sguardo e annuì.
“Posso chiederti perché?” – domandò ancora.
“Io…” – esitò il moro.
“Avanti, Cas, sputa il rospo” – lo spronò Dean.
“Mi…mi piacerebbe vedere la tua scuola…” – farfugliò Castiel, visibilmente imbarazzato.
Dean sollevò le sopracciglia.
“Davvero?”
“Sì…”
“Beh, se la metti così…” – ponderò il biondo – “Ma promettimi che appena qualcosa non va me lo dici, ok?”
“Ok…”
 
Le porte dell’ingresso erano aperte, permettendo così agli studenti e agli esterni di accedere più facilmente all’edificio.
Appena varcata la soglia, Castiel si fermò in mezzo all’atrio e sgranò gli occhi, stupito. Lo spazio in cui si trovavano era davvero molto grande, e sulla sinistra c’erano numerosi tavoli con sedie, a disposizione degli studenti. Il giovane percorse con lo sguardo le colonne, dislocate ovunque e ne seguì la forma fino al soffitto, dalla peculiare forma che richiamava quella di una mezza cupola. Nell’atrio si erano soffermate numerose persone, intente a chiacchierare tra di loro, mentre altre, invece, si disperdevano verso l’interno della scuola.
“Non…” – disse Castiel, voltandosi verso Dean – “Non credevo che fosse così grande”.
“Ed è solo l’atrio” – ridacchiò Dean – “Devi vedere il resto. Ma questo te lo avevo già detto”.
Castiel lo guardò, con aria interrogativa.
“Sei già venuto qui” – spiegò Dean, continuando a sorridere.
Il ragazzo dagli occhi blu aggrottò la fronte.
“Cioè…” – gesticolò il biondo – “Non proprio qui” – precisò, facendo cenno con l’indice intorno a lui – “Ma avevi già visto la scuola da fuori”.
Dean lesse la perplessità sul volto dell’altro e rise.
“Dai, Cas! non ti ricordi? La prima volta che ti ho fatto vedere Lawrence…”
Castiel schiuse le labbra.
 
“E tu invece, in che scuola ti sei iscritto?”
“Io non vado a scuola”.
“Vai in una scuola, ehm…speciale?” – tentò cauto il biondo.
“Perché?”
“Perché no”
 
“Perché non vuoi andare neanche in una scuola speciale?”
“È complicato”
 
 
“Cas” – lo richiamò Dean, toccandogli una spalla.
Castiel batté le palpebre un paio di volte e incrociò gli occhi verdi dell’altro.
“C’è qualcosa che non va?” – chiese Dean.
Il giovane scrollò la testa e sorrise.
“Ok…” – annuì Dean, prima di controllare l’orologio che aveva al polso – “Manca poco all’inizio della partita, sbrighiamoci o non troveremo posto”.
 
Dopo essere entrati nella parte più interna dell’edificio, Dean e Castiel si ritrovarono a seguire un lungo corridoio che li avrebbe condotti verso la palestra. Il pavimento del corridoio appariva lucido sotto il riflesso delle lampade al neon. Lungo le pareti, file di armadietti si estendevano fino a perdita d’occhio, interrotti in alcuni punti dalla porta di qualche aula. All’improvviso Castiel rallentò il passo, fino a fermarsi completamente. La sua attenzione era stata catturata da una porta lì vicina che, a differenza di tutte le altre incontrate finora, era chiusa. Sulla sua superficie liscia vi era affissa una targhetta nera, sulla quale era riportata una scritta bianca in stampatello: UFFICIO DEL PRESIDE.
Castiel rimase lì, immobile, a fissare quella scritta, mentre il cuore saltò un battito.
 
Castiel continuava a fissare la scritta sulla porta di fronte a lui: UFFICIO DEL PRESIDE.
Era seduto su una delle sedie lì vicino, con le gambe che ciondolavano pigramente, sfiorando ogni tanto il pavimento con la punta delle scarpe.
Quel giorno entrambi i genitori erano venuti a prenderlo a scuola, ma prima di tornare a casa, si erano soffermati nell’ufficio della preside.
Castiel si guardò in giro. Lungo il corridoio non c’era più nessuno, dal momento che le lezioni erano già finite. E, in ogni caso, anche se ci fosse stato qualcuno, Castiel non lo avrebbe sentito, dal momento che la sua sordità era arrivata ad un livello tale da non sentire più neanche la voce di chi gli parlava.
All’improvviso la porta dell’ufficio si aprì e ne uscirono James e Amelia. La donna aveva il volto teso e gli occhi lucidi. Quando vide il figlio cercò di ricomporsi e si sforzò di sorridere. Castiel rispose al sorriso e scivolò giù dalla sedia, raggiungendo i genitori. La madre si chinò e lo strinse forte in un abbraccio, per poi prendergli la mano e accompagnarlo di nuovo verso le sedie lì vicino. La donna si sedette e, con un gesto della mano, invitò Castiel a fare altrettanto. Infine, prese un quaderno e una penna dalla borsa e iniziò a scrivere.
Cassie, dobbiamo parlare di una cosa importante”.
Castiel osservò il foglio, ma non disse nulla. Aveva intuito di cosa la madre volesse parlare. D’altronde se n’era reso conto anche lui, già da diverso tempo: non poteva più continuare ad andare a scuola. I suoi occhi blu si persero nel vuoto, mentre un senso di oppressione si impadronì di lui. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi, ma aveva preferito non pensarci, aveva scelto di negare l’evidenza perché faceva troppo male e lui ne era terrorizzato. Il giovane deglutì, sgomento. Cosa sarebbe successo d’ora in poi? Se non poteva andare a scuola, cosa avrebbe fatto allora? Cosa ne sarebbe stato di tutti i suoi sogni e desideri? Quello che prima appariva come un futuro dalle infinite possibilità, ora sembrava una foschia densa, impenetrabile e disarmante.
Una mano gentile gli sfiorò la guancia. Castiel sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi di Amelia.
“Non voglio” – disse infine.
La donna scambiò una rapida occhiata con il marito lì vicino e sospirò piano, cercando di raccogliere tutto il coraggio necessario per affrontare quella situazione. Mise di nuovo mano al quaderno, ma la voce di Castiel la interruppe.
“Io non voglio andarmene! Voglio rimanere qui! Voglio continuare a venire a scuola!”
La donna si morse un labbro e serrò le palpebre.
Cassie, non è più possibile, mi dispiace”.
“No!” – gridò lui, prima di saltare giù dalla sedia e correre via.
Il ragazzino continuò a correre, mentre le lacrime si affacciarono prepotenti, pizzicando gli occhi. Era consapevole che scappare in quel modo non sarebbe servito a niente, ma in quel momento fu l’unica cosa che riuscì a fare: fuggire da quella situazione, dalla realtà…da sé stesso.
Castiel era quasi arrivato in fondo al corridoio, con la vista ormai offuscata dalle lacrime e con il respiro corto per via di quel senso di oppressione che non voleva lasciarlo. All’improvviso si sentì trattenere per un braccio e si voltò di scatto: il padre lo aveva raggiunto.
“No!” – gridò, cercando di divincolarsi dalla presa del genitore, inutilmente.
James gli mise una mano sulla spalla e cercò di avvicinalo a sé, ma il giovane oppose resistenza.
“Non voglio!” – gridò nuovamente, con la forza della disperazione.
Con un gesto più deciso, James gli circondò le spalle con un braccio e lo attirò completamente a sé.
“Ti prego, papà! Voglio rimanere qui!” – lo supplicò Castiel, con la voce ormai rotta dal pianto e artigliando le dita sulla camicia dell’uomo.
James lo abbracciò, facendogli posare la testa sul suo petto, e gli accarezzò dolcemente la schiena, senza dire nulla.
“Ti prego…” – tentò debolmente Castiel un’ultima volta, prima di arrendersi ai singhiozzi e di abbandonarsi completamente al pianto tra le braccia del padre.
 
Castiel deglutì un paio di volte e, per un attimo, sentì di nuovo quel terribile senso di oppressione attanagliarlo. Gli occhi iniziarono a pungere e lui non riusciva a muoversi. Strinse i pugni lungo i fianchi e serrò le palpebre, cercando di non lasciarsi sopraffare da quelle immagini che erano esplose nella sua mente. Non avrebbe voluto rivivere quel ricordo, non un’altra volta. In tutti quegli anni, quell’episodio, insieme a molti altri dopo di esso, era stato ostracizzato e relegato in un angolo buio della sua memoria. Ricordare faceva dannatamente male e così Castiel si era imposto di non farlo. A volte, però, quel ricordo fuggiva dal suo esilio forzato e tornava a picchiare, con la stessa intensità delle prime volte.
Qualcosa gli toccò il braccio e Castiel riaprì gli occhi. Di fronte a lui, Dean lo osservava, preoccupato. Le immagini di quel ricordo evaporarono, come per magia, tornando alla loro prigione, mentre quel senso di oppressione mollò la presa, facendolo sospirare di sollievo.
“Cos’hai?” – chiese Dean.
Castiel schiuse le labbra, ma non rispose.
“Stai…stai piangendo?” – domandò ancora l’altro, vedendo i suoi occhi lucidi e iniziando così ad agitarsi.
Castiel sussultò e si passò velocemente il dorso della mano sugli occhi, abbozzando un sorriso.
“No, no” – si affrettò a dire – “Mi bruciano un po’ gli occhi, tutto qui…”
Dean lo osservò attentamente.
“Sei sicuro?”
Il moro continuò a sorridere e annuì.
“Ok…” – disse il giovane Winchester, per niente convinto. – “Benny ci sta aspettando in palestra con gli altri e ci ha tenuto i posti. Dai, andiamo” – aggiunse poi, incitando il ragazzo dagli occhi blu a seguirlo.
 
“Ehi, Winchester!”.
Una voce, proveniente dal fondo del corridoio, fece voltare Dean, imitato poco dopo anche da Castiel.
Un ragazzo li stava raggiungendo, di corsa.
“Ehi, Victor!” – salutò Dean, avanzando di qualche passo per andargli incontro.
Il giovane ricambiò il sorriso e, una volta vicino, salutò Castiel con un cenno della mano.
“Allora” – sbuffò, cercando di riprendere fiato – “Che dici, ce la faremo stasera?” – chiese a Dean, riferendosi alla partita che si sarebbe svolta di lì a poco.
“Non lo so, amico” – ammise il biondo – “Voglio dire, hanno vinto le ultime tre partire e sono belli carichi”.
“Già…” – constatò l’altro – “Ma, ehi, oggi Nick sarà in squadra”.
“Davvero?”
“Sì, l’allenatore lo ha fatto rientrare, dopo avergli fatto saltare un incontro” – spiegò Victor – “Diamine, è tanto bravo quanto cazzone quello lì!”
Dean scoppiò a ridere, imitato dal giovane.
“E tu che mi dici?” – disse poi, rivolgendosi a Castiel – “Sei qui per tifare per i leoni? Sai, non credevo che fossi un tipo da sport”.
Castiel si irrigidì e serrò la mascella.
Era passato diverso tempo e se n’era completamente dimenticato. Quando aveva conosciuto Victor, alla festa di compleanno di Dean, gli aveva fatto credere di frequentare la Lawrence High School, per evitare il nodoso problema del suo non andare in nessuna scuola. In seguito, comunque, le occasioni per rivedere Victor erano state pochissime e pertanto Castiel non ci aveva più pensato, come non aveva più pensato di dirlo a Dean. Infatti il biondo guardò ora lui ora l’altro, con aria confusa.
“Non capis-”
“No, non seguo la squadra” – si affrettò a dire il moro, interrompendo Dean.
“E come mai sei qui?” – domandò Victor.
Castiel esitò un attimo.
“Volevo vedere il liceo di Dean”.
“Stai pensando di trasferirti?” – ridacchiò Victor, dando al ragazzo una pacca sulla spalla.
“Victor!”
A quel richiamo il ragazzo si voltò, in tempo per vedere una mano amica agitarsi in aria: era Jody.
“Devo andare” – si scusò, tornando a guardare i due – “Ci vediamo dentro” – aggiunse infine, facendo cenno con il capo verso la palestra, per poi allontanarsi.
Castiel abbassò lo sguardo. Sentì la mano di Dean toccare il suo braccio e, dopo qualche secondo, si decise a sollevare le palpebre.
“Mi spieghi cosa significa tutto questo?” – chiese l’altro, gesticolando con la mano verso la direzione presa da Victor.
Castiel incrociò le iridi di Dean e si morse un labbro, indugiando.
“Cas?” – lo richiamò il biondo.
Il ragazzo dagli occhi blu sospirò.
“Victor crede che io frequenti la Lawrence High School” – disse infine.
“La Lawrence High School?” – ripeté Dean, aggrottando la fronte.
Il giovane annuì.
“Perché? Cioè, non capisco…”
“È una lunga storia” – rispose l’altro, visibilmente a disagio.
Dean osservò il suo ragazzo, mordendosi l’interno della guancia.
“Vieni” – disse poi, prendendolo per un polso.
Dean si spostò di qualche metro, seguito da Castiel, per poi girare l’angolo e infilarsi di sfuggita in un’aula vuota, chiudendosi poi la porta alle spalle.
“Dimmi tutto” – esordì, infine.
“È…è successo alla tua festa di compleanno” – iniziò Castiel, titubante.
“Alla mia festa?” – fece eco Dean.
“Sì” – annuì l’altro – “Stavamo parlando e ha detto di non avermi mai visto a scuola e poi…” – si interruppe, arricciando le labbra.
“E poi?”
“E poi mi ha chiesto se andavo alla Lawrence High School e io…” – si fermò, non riuscendo più ad andare avanti.
“Non hai voluto dirgli la verità” – proseguì Dean per lui.
Castiel guardò gli occhi di Dean per qualche secondo e poi annuì.
“Ho capito…” – disse l’altro, avvicinandosi e accarezzandogli la guancia con il dorso della mano.
“Mi dispiace, Dean, io…”
“Ehi, ehi, non importa, davvero” – lo rassicurò il biondo, mettendogli un braccio attorno alla vita e attirandolo a sé – “Anzi, sai che ti dico? L’idea che tu vada in un altro liceo è divertente” – sorrise.
Castiel stirò le labbra in un sorriso amaro.
“Anche se preferirei che tu venissi a scuola qui” – aggiunse l’altro.
Il ragazzo dagli occhi blu alzò le sopracciglia, sorpreso.
“Davvero?”
“Sì”.
“P-Perché?”
“Come perché, Cas? E lo chiedi anche?”
Il moro lo guardò, con aria interrogativa.
“Per fare questo” – spiegò Dean, prima di baciarlo e di stringerlo di più a sé.
Castiel mugolò qualcosa e rispose al bacio, artigliando la giacca di Dean tra le dita. Il contatto si fece subito più approfondito e il desiderio l’uno per l’altro brillò come un fuoco d’artificio. Castiel fu costretto ad indietreggiare di fronte all’impeto con cui Dean lo stava baciando, fino a quando la sua schiena non toccò la porta dell’aula. Dean appoggiò una mano contro la superficie di legno, mentre le sue labbra indugiavano languide sul collo di Castiel. Il ragazzo dagli occhi blu strinse i capelli del biondo tra le dita e chiuse le palpebre, sospirando.
 
“Anche se preferirei che tu venissi a scuola qui”
 
Le parole di Dean si ripetevano come un’eco senza fine, vibrando dolorosamente nella sua mente. Perché? Perché quelle parole, così belle, facevano anche tanto male? Fu nel momento in cui riaprì gli occhi che ebbe la sua risposta: lui avrebbe voluto davvero andare nella stessa scuola di Dean, stare con lui e con tutti gli altri…avrebbe voluto essere un ragazzo normale. Ma non poteva, lui non era come gli altri, aveva dei limiti, dei grossi limiti, e per quanto si sforzasse di dimostrare il contrario, le cose non cambiavano.
Castiel tese le labbra in una smorfia.
“Dean?” – lo richiamò.
Il biondo si scostò leggermente e incontrò il suo sguardo.
“Che succede?” – chiese.
Castiel gli accarezzò la nuca, rimanendo in silenzio.
 
“Anche se preferirei che tu venissi a scuola qui”
 
Il moro si morse un labbro, cercando di allontanare quel senso di delusione che lo aveva pervaso.
“Niente” – sospirò infine – “Credo però che sia ora di andare”.
Dean farfugliò il suo disappunto e annuì.
“Ma non finisce qui” – sorrise poi, malizioso – “Continueremo più tardi, in macchina” – sussurrò infine, cercando le labbra dell’altro un’ultima volta.
 
Quando varcarono la soglia della palestra, Castiel fu quasi accecato e stordito dal tripudio di immagini e colori in movimento. Il parquet lucido del capo da gioco spiccava in mezzo alle gradinate laterali, ghermite di studenti e adulti. I membri di entrambe le squadre scivolavano fluidi, mentre rivedevano nel dettaglio gli schemi di attacco e di difesa nella propria metà campo, riscaldando così la mente e il corpo in previsione dell’incontro. Lungo i lati corti della palestra, decine di pom pom venivano agitati in aria dall’entusiasmo delle cheerleader. I muri della palestra erano decorati da manifesti di ogni genere, mentre sopra le porte e al centro del campo il disegno della mascotte del liceo reclamava la sua supremazia sul proprio territorio.
Castiel rimase fermo sulla porta, spiazzato da tutta quella confusione silenziosa, eppure così assordante. Una mano lo prese per il polso, e il calore e la sicurezza del suo tocco lo aiutarono a concentrarsi su una cosa sola: Dean. Il biondo era di fianco a lui e gli sorrideva, invitandolo poi a seguirlo con un cenno del capo. Castiel rispose timidamente al sorriso e annuì. I due ragazzi si fecero largo tra la moltitudine di persone che erano venute alla partita. Molti, non avendo trovato posto a sedere, rimasero in piedi, lungo gli scalini delle gradinate. Altri ancora, invece, si arrangiarono, sedendosi per terra davanti alla prima fila.
“Dean!”
Il ragazzo socchiuse gli occhi e si guardò intorno, cercando di focalizzare la provenienza della voce che lo aveva chiamato in mezzo a tutto quel frastuono. Ad un tratto una mano sollevata in aria venne in suo aiuto: Benny gli stava indicando la direzione. Dean si voltò leggermente, per assicurarsi che Castiel fosse dietro di lui e, quando vide i suoi occhi blu, gli mise una mano sulla schiena, facendolo avanzare di fronte a lui e accompagnandolo lungo le file delle gradinate.
“Ehi, ragazzi” – disse loro Benny, quando si avvicinarono – “Venite, sedetevi qui” – continuò, togliendo la propria giacca, utilizzata come segnale per occupare i due sedili accanto a lui.
Una volta preso posto, Castiel si tolse il giubbino, appoggiandolo poi sulle gambe e, infine, si sporse timidamente in avanti per salutare con una mano anche Chuck e Charlie, seduti di fianco a Benny.
“Allora? Ti piace la nostra scuola?” – disse Charlie, piegandosi in avanti e facendo capolino con la sua chioma rossa.
Castiel socchiuse gli occhi e si irrigidì leggermente. Non aveva capito cosa avesse detto l’amica, in quanto un po’ troppo distante da lui. Castiel si morse un labbro e abbassò lo sguardo. All’improvviso si trovò di fronte gli occhi furbi della giovane, che si era alzata dal suo posto e si era accovacciata davanti a lui, sorridendogli.
“Ti piace la nostra scuola?” – ripeté.
Castiel provò gratitudine nei confronti della ragazza, che, a quanto pare, si era resa conto del fatto che lui non avesse compreso il suo labiale e aveva pertanto deciso di avvicinarsi. Contemporaneamente però Castiel avvertì anche il peso di quel gesto, che non fece altro che alimentare la sua sensazione di disagio e di frustrazione che provava sempre quando era insieme ad altre persone.
“Sì” – rispose, infine – “È molto bella”.
Charlie sorrise, per poi voltarsi di scatto, come richiamata da qualcosa. La ragazza tornò a guardare l’altro, con un’espressione raggiante.
“Sta iniziando!” – esclamò, per poi sollevarsi e tornare al proprio posto.
Castiel raddrizzò la schiena e sbirciò il campo sotto di lui. I giocatori avevano occupato la propria posizione e i loro sguardi erano puntati sul pallone arancione che l’arbitro teneva in mano. Ad un tratto il pallone fu lanciato in alto, dando così inizio alla partita.
 
Il tabellone luminoso scandiva il passare del tempo. La partita era iniziata da solo dieci minuti, ma a Castiel parve un’eternità. Il ragazzo era rimasto seduto ad osservare pigramente i giocatori muoversi da una parte all’altra del campo. Sinceramente non stava seguendo affatto l’andamento dell’incontro, né tantomeno gli interessava chi fosse in vantaggio, dal momento che l’unico motivo, per cui aveva tanto insistito per venire a vedere la partita, era proprio quello di vedere la scuola di Dean. Castiel non si stupì nemmeno di questo. Da quando si era trasferito a Lawrence, non gli era mai importato di vedere la scuola che frequentava Dean, nonché quella in cui lavorava la madre. Ma da quando il suo desiderio di sentire si era risvegliato e aveva iniziato a gridare dentro di lui, molti altri desideri, finora nascosti, risposero a quel grido con un’eco insistente, quasi come un mantra. E tra di essi vi era anche il voler vedere come fosse fatta una scuola superiore, dal momento che lui non ne aveva mai vista una. Ma Castiel forse era stato troppo ingenuo nell’assecondare questo suo desiderio e non aveva tenuto conto che il suo voler sentire avrebbe potuto giocare sporco, infierendo su di lui, sebbene il giovane fosse ormai completamente sotto il suo controllo. Da quando aveva messo piede nell’edificio, infatti, i ricordi erano stati liberati dai loro luoghi di prigionia e lasciati correre, liberi di accanirsi su di lui.
Castiel strinse le dita attorno al denim del giubbino. Avrebbe voluto andare via, subito dopo essere rimasto paralizzato davanti l'ufficio del preside, ma quando aveva visto la preoccupazione negli occhi di Dean, in lui si era riacceso il senso di colpa nei suoi confronti, sufficiente a contrastare l’onda d’urto dei ricordi, respingendoli, e a dargli la forza per rimanere. Al momento era l’unica arma che possedeva, anche se era consapevole che fosse un’arma a doppio taglio, e sebbene non sapesse neanche lui quanto avrebbe potuto resistere sotto i colpi implacabili del suo passato. Ma, d’altronde, aveva insistito così tanto per venire e ora non poteva di certo tirarsi indietro, perché non lo avrebbe sopportato. Non avrebbe sopportato un altro fallimento, come quella volta al cinema.
Castiel sospirò, guardandosi in giro. Le persone intorno a lui manifestavano il loro entusiasmo per la partita, gesticolando o alzandosi addirittura in piedi. All’improvviso una mano calda si appoggiò sulla sua, facendolo voltare di scatto.
“Tutto ok?” – chiese Dean.
Il giovane sorrise debolmente e annuì.
“Ti stai annoiando, vero?” – domandò ancora l’altro.
“Un po’…” – ammise Castiel, esitando un attimo.
“Vuoi andare a casa?”
“No, no”.
“Sicuro?”
“Sì, sono sicuro”.
Dean sospirò.
“Va bene, ma se vuoi andare a casa o c’è qualcosa che non va, dimmelo, ok?”
“Ok…”
Il biondo riservò a Castiel un’ultima occhiata e infine abbozzò un sorriso, per poi tornare a guardare la partita.
Castiel si soffermò qualche secondo a guardare il profilo di Dean: la linea della fronte, il taglio degli occhi, il contorno delle labbra…poteva resistere, doveva resistere. Strinse la giacca tra le dita con più vigore e rivolse gli occhi altrove.
All’improvviso il cellulare vibrò contro il suo fianco, attirando la sua attenzione. Il giovane sfilò il telefono dalla tasca dei jeans e fece scorrere il dito sul display, sbloccando così lo schermo, per poi sollevare le sopracciglia, sorpreso: era arrivata una richiesta d’amicizia su Facebook. Incuriosito, aprì la notifica, per poi raggelarsi subito sul posto.
Si trattava di Hannah.
 
 
 


 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
E buon Santo Stefano! Spero che abbiate passato il Natale con serenità, accanto alle persone amate e che abbiate anche mangiato tante cose buone (d’altronde la bocca vuole la sua parte).
Come potete vedere in questo capitolo, una volta che il desiderio di Castiel si è risvegliato, esso ha preso prepotentemente in mano il controllo della vita del ragazzo, riflettendosi su molteplici aspetti. Voler sentire il suono di un violino per strada, la voce di Dean che pronuncia il suo nome, o la curiosità di vedere come è fatta una scuola superiore, sono tutte situazioni indice di un rincorrere la normalità di cui Castiel sente la mancanza. La sordità ha segnato la vita di Castiel in più ambiti, che verranno proprio a galla in questa serata nel liceo di Dean. La scuola è uno di questi e il suo doverla abbandonare è stato un vero e proprio trauma per il ragazzo, e le motivazioni sono anche facilmente intuibili, anche se troveranno comunque spiegazione nei prossimi capitoli.
Questi capitoli che vi appresterete a leggere, compreso l’attuale, sono piuttosto impegnativi, lo riconosco, perché in essi viene espressa tutta la complicata psicologia di Castiel. E a tal proposito, mi piacerebbe sentire le vostre opinioni, o i vostri punti di vista a riguardo, e cosa vi aspettate da questa introspezione, nonché da questo finale un po’ misterioso.
Il prossimo aggiornamento cadrà già nel 2017, quindi ne approfitto per farvi gli auguri di buon anno nuovo! Bene, direi che è tutto, vi lascio all’angolo “varie ed eventuali”.
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) L’idea del violinista di strada mi è venuta così, all’improvviso, ma per il suo character design mi sono basata su un personaggio apparso in una stagione della serie tv “Queer as Folk” (se non la conoscete, rimediate subito, fidatevi). Vi lascio un’immagine così vi fate un’idea.



2) Vi ricordo che i licei principali di Lawrence sono due, la Free State (dove vanno Dean e i suoi amici, e che ha come simbolo un uccello dalle ali infuocate) e la Lawrence High School che ha invece come mascotte il leone. E’ per farvi comprendere la battuta di Victor ^^
 
3) Fan art!


                              

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedici ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO SEDICI
 
Le persone non vogliono ascoltare la verità
perché non vogliono vedere le proprie illusioni distrutte
 
Friedrich Nietzsche
 
 
 

La mano di Castiel iniziò a tremare e lui, per riflesso, strinse le dita sul cellulare per avere maggiore presa. Il cuore gli si fermò in gola, per poi riprendere a battere velocemente. Continuò a fissare quel nome sul display per minuti interi, fino a quando gli occhi iniziarono a bruciare e le lettere si accavallarono l’una all’altra, confondendosi tra loro e permettendo ad alcune immagini, appartenenti al passato, di esplodere per pochi secondi nella sua mente.
Castiel batté più volte le palpebre, accecato da quella sensazione, e strinse ancora più forte il cellulare che aveva in mano, fino a far sbiancare le nocche, e continuando a fissare lo schermo, soffermandosi sulla foto di Hannah. Guardando quell’immagine, Castiel fece un salto indietro nel tempo, a quando frequentava le scuole elementari e Hannah era una sua compagna di classe, nonché amica d’infanzia. Con una punta di nostalgia Castiel notò che la ragazza non era cambiata affatto. I suoi capelli castani erano più lunghi, era vero, ma c’era ancora quella buffa frangetta che le ricopriva tutta la fronte. Gli occhi, invece, di quel colore non ben definito, erano proprio come Castiel se li ricordava.
Perché? In fondo, Hannah era solamente un'altra persona che si era allontanata, come tutti gli altri, quando era diventato sordo. E allora, per quale motivo la ragazza gli aveva chiesto l’amicizia, visto che aveva rifiutato la sua anni prima?  E soprattutto perché adesso, dal momento che tra loro vi erano diversi anni di silenzio e un numero considerevole di chilometri a separarli?
Castiel si voltò e guardò Dean e gli altri, seduti accanto a lui.
Dean.
Quando lo aveva conosciuto, durante il loro burrascoso incontro sul portico di casa Novak, Dean era apparso subito diverso da tutti quelli con cui Castiel aveva avuto a che fare. Il giovane Winchester si era fermato a parlare con lui, e il giorno dopo era tornato, come aveva promesso. Gli aveva fatto tante domande ed era sembrato davvero interessato a quello che Castiel rispondeva, scrivendo sul block notes. E quando gli aveva fatto conoscere i suoi amici, Castiel si era reso conto, con stupore, che anche loro erano diversi.
Il moro tornò a guardare lo schermo del cellulare. Perché loro erano così diversi? Perché loro, che in fondo non lo conoscevano nemmeno, erano stati capaci di superare il suo handicap come se niente fosse? E perché invece Hannah e tutti gli altri, che lo conoscevano da quando erano piccoli, non erano stati capaci di farlo? Castiel non capiva, forse perché era troppo coinvolto e non riusciva a vedere la cosa con obbiettività: il punto centrale, che sfuggiva al ragazzo, era la differenza d'età tra gli amici che aveva trovato a Lawrence e quelli di Pontiac. D'altronde Castiel aveva undici anni quando era diventato sordo, e a quell'età, si sa, i bambini sono molto volubili, alcuni direbbero anche un po' stupidi, e purtroppo spesso non si rendono conto delle conseguenze che hanno le loro azioni o le loro parole. Dean e gli altri invece avevano un'età diversa, in un certo senso legata ancora alla spensieratezza tipica dell'infanzia, ma che contemporaneamente risente dell'influenza dell'età adulta.
Purtroppo, però, il ragazzo dagli occhi blu era stato ferito dal comportamento di quelli che riteneva i suoi amici, e questa ferita non se n'era mai andata, anzi, era diventata parte di lui. E non importava che lui avesse cercato di nasconderla per tutto questo tempo, perché in ogni momento, e ora più che mai, poteva comunque sentirla. Castiel la sentiva pulsare e bruciare, come se fosse viva. Ne poteva toccare i bordi taglienti, arrossati, che scottavano. E faceva male, faceva così male che il ragazzo avrebbe voluto scappare lontano, pur di non sentire quel dolore.
Castiel serrò la mascella e iniziò ad agitarsi. Schiuse le labbra e iniziò a respirare a bocca aperta. Era arrivato al limite.
Lentamente si voltò verso Dean.
 
“Ma promettimi che appena qualcosa non va me lo dici, ok?”
 
Cosa doveva fare? Doveva dirglielo? E cosa avrebbe potuto dirgli? Castiel era certo che, se ne avesse parlato con Dean, il biondo avrebbe capito. Eppure qualcosa gli impediva di farlo: Castiel non voleva che il suo passato interferisse con il suo presente. E il suo presente era Dean. Inoltre, se avesse deciso di dirglielo, cosa sarebbe successo? Quasi sicuramente Dean si sarebbe preoccupato e lo avrebbe portato via da lì, come quella volta al cinema. Di nuovo, quel senso di colpa nei confronti di Dean si riaccese. Non poteva fargli questo, non un’altra volta. Doveva resistere, ma prima di tutto cercare di riprendere il controllo delle sue emozioni, anche se non sapeva affatto come fare. L'unica cosa che sapeva era che doveva allontanarsi da lì.
“Dean…”
Il biondo si girò e incrociò il suo sguardo, sorridendo.
“Vado un attimo in bagno…”
“Ok. Aspetta, vengo con te” – rispose l’altro, alzandosi in piedi.
“No, non è necessario” – si affrettò a ribattere il moro – “Vado da solo”.
“Sei sicuro?” – domandò Dean.
“Sì, sono sicuro” – lo rassicurò Castiel – “Torno subito”.
Dean si soffermò a guardalo per qualche secondo e poi annuì, rimettendosi seduto.
Castiel stirò le labbra in un sorriso forzato e si alzò, per poi allontanarsi.
Dean lo seguì con gli occhi per tutto il tempo, finché Castiel non scomparve tra la folla di persone che occupavano le gradinate.
 
Appena uscito dalla palestra, Castiel si guardò in giro. I corridoi erano deserti, fatta eccezione per un inserviente, che stava svuotando un cestino poco più in là. Castiel si incamminò verso la direzione opposta, senza una meta precisa, mentre gli occhi diventavano lucidi. Cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva a fermare quell’ondata di emozioni che lo stava sopraffacendo? Il ragazzo aumentò il passo, continuando a seguire il corridoio, sebbene non sapesse nemmeno dove si trovasse. Forse aveva sbagliato. Forse avrebbe dovuto permettere a Dean di venire con lui, e non solo per avere accanto una persona che conoscesse l'edificio. Dean lo avrebbe preso per mano, lo avrebbe abbracciato e tranquillizzato. E forse tutto sarebbe passato, tutto sarebbe stato più facile. Ma a quale prezzo? Dean si sarebbe concentrato unicamente su di lui, rinunciando così alla partita e ad una piacevole serata in compagnia dei loro amici.
Peso.
Castiel strinse i pugni e proseguì. All'improvviso, con la coda dell'occhio, vide la porta del bagno e, senza pensarci, la aprì, richiudendosela poi alle spalle.
 
“Dean?”
A quel richiamo, il giovane Winchester si voltò e vide Benny che lo guardava.
“Amico, si può sapere dove diavolo stai guardando?”
Dean strinse le labbra, indugiando.
Da quando Castiel era uscito dalla palestra, un paio di minuti prima, Dean non era riuscito a concentrarsi sulla partita, e più volte si era girato verso la direzione in cui aveva visto sparire il ragazzo dagli occhi blu. Era preoccupato per Castiel. Sapeva che il moro era solo andato in bagno, ma Dean sentiva il bisogno di sapere che stesse bene, che non si sentisse a disagio, di stargli vicino. Riconosceva che il suo atteggiamento era oltremodo esagerato, ma non riusciva a farne a meno, soprattutto dopo quell'episodio del cinema. Ed era talmente perso nei suoi pensieri da non accorgersi che, intorno a lui, le persone si erano alzate in piedi, approfittando della pausa tra il primo e secondo periodo della partita, per fare altro.
“Scusa, mi ero distratto...dicevi?”
Benny si soffermò a osservare l'altro per qualche secondo e poi riprese a parlare.
“Dicevo, hai visto il rimbalzo che ha preso Michael? È stata una fortuna che sia riuscito a smarcare il…”
Benny continuò a parlare dei momenti più emozionanti della partita, mentre i pensieri di Dean, invece, continuarono a vagare, alla ricerca del suo ragazzo con gli occhi blu.
 
 
°°°
 

Castiel rimase davanti allo specchio del bagno per un periodo di tempo indecifrabile, limitandosi a guardare il suo riflesso. La sua mente era ancora soffocata dai ricordi, che giocavano ad alimentarsi a vicenda. Le immagini infatti, venendo a galla, trascinavano con loro altre immagini, le quali a loro volta richiamavano altre istantanee del passato, e così via, in un crudele circolo vizioso.
Castiel sospirò e si concentrò sul sé stesso nello specchio. Erano passati diversi anni e lui era cresciuto, eppure la vicinanza emotiva con quei ricordi era tale da poterli quasi toccare con mano, e lui non riusciva ad impedirlo. Pertanto, a Castiel non rimaneva altro che guardare, impotente, mentre le sue ferite lo consumavano e il passato si faceva beffa del suo presente e di lui.
Il giovane riservò un'ultima occhiata al proprio riflesso, quasi volesse scusarsi, come a voler dire 'mi dispiace, ma non posso fare niente'. Infine distolse lo sguardo, e uscì.
 
Quando Castiel uscì dal bagno, fu colto alla sprovvista dalla moltitudine di persone presenti nel corridoio. Il giovane esitó un attimo e poi controllò l'ora sul cellulare, arrivando alla conclusione che il motivo di tutta quella confusione fosse la pausa tra il primo e il secondo periodo della partita. Contemporaneamente però, si rese conto di essere stato via più del necessario e il suo pensiero volò a Dean. Doveva ritornare in palestra al più presto, altrimenti Dean avrebbe iniziato a preoccuparsi.
Castiel si incamminò nella stessa direzione dalla quale era venuto, ma la sua attenzione veniva costantemente catturata dalle persone intorno a lui. I ragazzi chiacchieravano tra loro, lungo le file di armadietti presenti, gesticolando ogni tanto con le mani. Erano gesti semplici, se presi singolarmente, ma che invece, nell'insieme, davano vita ad un ritmo caotico e frenetico, che sembrava incalzare sempre più. Le immagini cominciarono ad oscillare, quasi ipnotiche, strappando Castiel alla realtà e costringendolo a fermarsi, per poi trascinarlo nelle buie secrete della sua memoria.
Castiel si ritrovò proiettato a quel giorno in cui i suoi genitori lo portarono per la prima volta a vedere una scuola speciale. Il giovane ricordava bene la luce del sole, così forte da fargli socchiudergli gli occhi, e il calore della mano di Amelia, che lui stringeva forte nella propria. Un'altra cosa che gli era rimasta ben impressa, erano stati i ragazzini nello spazio verde di fronte a lui, che si intrattenevano sulle panchine con altri coetanei, gesticolando con le mani e con le braccia in maniera quasi febbrile. Tutte quelle mani che si agitavano lo avevano confuso e disorientato, aumentando il suo disappunto. Infatti, Castiel non si era dimostrato per niente entusiasta di essere lì, e, sebbene fosse una scuola, questo non aveva di certo migliorato le cose, anzi, se possibile, le aveva peggiorate. Il fatto che si trattasse di una struttura speciale per sordomuti in qualche modo lo aveva ferito. Sapeva benissimo di non poter più tornare in una scuola normale ma...una scuola speciale? Era quello che gli sarebbe aspettato d'ora in avanti?
Castiel abbassò lo sguardo sulle proprie mani, muovendo le dita. In quegli anni, fare i conti con la sua sordità non era stato affatto facile, se non impossibile. C'erano stati forti scontri, come il rifiuto di andare in una scuola speciale, e compromessi, come accettare la proposta di quell’uomo di imparare la lingua dei segni. Ma alla fine, non si era mai giunti ad una pace definitiva, o quantomeno ad una tregua duratura. E questo era dovuto al fatto che Castiel non voleva essere diverso, avere dei limiti, o dover rinunciare al futuro che aveva immaginato. Perché Castiel non aveva mai accettato la sua sordità. E con tutta probabilità, non l'avrebbe mai fatto.
Castiel fu travolto da un'ondata di emozioni che, questa volta, lo sommerse completamente. Rabbia, delusione, amarezza, paura…tristezza. E senza neanche rendersene conto, si ritrovò a correre lungo il corridoio, allontanandosi dalla palestra, e da Dean.
 
Castiel corse, senza neanche rendersi conto di dove stesse andando, e continuò a farlo, finché ad un tratto fu costretto a fermarsi: il corridoio era arrivato ad un punto cieco. Rimase a fissare il muro davanti a sé, cercando di riprendere fiato. In cuor suo si era illuso ancora una volta di poter scappare da quell’armata di ricordi ed emozioni che lo avevano assalito. Si era illuso di poter scappare da sé stesso, da quello che era, ma aveva fallito. Di nuovo. Con un peso nel petto si voltò e osservò il punto dal quale era arrivato, facendo una smorfia. Era consapevole di dover tornare da Dean, ma non poteva farlo, non in quelle condizioni. Il ragazzo dagli occhi blu si sentì in trappola e gli occhi iniziarono a pungere. Distolse lo sguardo dal corridoio e si appoggiò al muro con la schiena, serrando le palpebre e lasciandosi poi scivolare, fino a sedersi per terra. Portò le gambe al petto, cingendole con le braccia, e nascose il viso tra le ginocchia, iniziando infine a singhiozzare.
 
Dean continuava a far ballare il piede su e giù, mentre si mordicchiava nervosamente l'interno della guancia, fissando il vuoto. La partita aveva ripreso da alcuni minuti, ma a lui non importava. Castiel era via da più di un quarto d'ora e Dean aveva iniziato a agitarsi. E più si girava ad osservare il posto vuoto accanto al suo, più la sua agitazione cresceva. Dove diavolo era finito? Possibile che ci mettesse così tanto solo per andare al bagno?
Dean sollevò leggermente i fianchi e sfilò il cellulare dalla tasca, controllando se ci fossero messaggi da parte di Castiel, invano. Il biondo chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso, per poi riaprirli. Con un rapido movimento del pollice sbloccò lo schermo e iniziò a digitare rapido sul display.
 
[22:10] – Da Dean a Cas
Dove sei?
 
Dean tenne il cellulare con entrambe le mani, con la speranza di sentire una vibrazione da un momento all'altro, di ricevere una risposta da parte del suo ragazzo. Ma più il tempo passava e più quella speranza si assottigliava, tendendo in modo spasmodico le corde della sua, già evidente, preoccupazione. E se gli fosse successo qualcosa o si fosse sentito male? O peggio, se fosse stato preso di mira da qualcuno? Il suo piede ballò su e giù in maniera quasi nevrile, fino a raggiungere il limite, oltre il quale non sarebbe stato più in grado di contenere l’agitazione di Dean. All'improvviso il ragazzo scattò in piedi, come una molla, sotto lo sguardo interrogativo degli amici di fianco a lui.
“Ehi, amico, che succede?” – chiese Benny, guardandolo dal basso.
Dean strinse il cellulare nella mano, ma non rispose.
“Dean?” – lo richiamò l'altro.
“Devo andare” – asserì il giovane, prima di voltarsi e allontanarsi.
“Co-Ehi! Dove vai? Dean!” – esclamò Benny, alzandosi anche lui in piedi e allegando le braccia – “Ma che diavolo...”
Il ragazzo si voltò verso Charlie e Chuck, alzando le spalle, confuso.
“Dove sta andando?” – chiese Chuck, allungando il collo e seguendo la figura di Dean che scendeva le scale delle gradinate.
“Non lo so…” – ammise Benny, sospirando.
“Uhm…non mi piace” – intervenne Charlie, lasciando il suo posto e incamminandosi verso la direzione presa dall’amico.
Dopo qualche secondo, anche Chuck si alzò e la seguì, senza dire nulla.
“Ehi, ma che diavolo avete tutti quanti?” – borbottò Benny, ormai rimasto solo, prima di scrollare la testa e raggiungere anche lui gli altri.
                                                    
 
°°°
 
 
Una mano delicata e sottile si appoggiò sulla sua spalla di Castiel. A quel contatto, il giovane sussultò leggermente e riemerse dal suo nascondiglio, sollevando lo sguardo e schiudendo poi le labbra, sorpreso. Di fronte a lui due grandi occhi scuri lo stavano osservando, con una sfumatura di stupore e preoccupazione fusi insieme.
“Lisa…” – mormorò Castiel.
Lisa, quella sera, era nella palestra in veste di cheerleader, per sostenere la squadra insieme alle altre compagne. Come tutti gli altri, aveva approfittato della pausa tra il secondo e il terzo periodo della partita per andare in bagno e darsi una rinfrescata. Tuttavia, complice anche la lunga fila ai bagni, si era attardata parecchio nel ritornare verso la palestra. E mentre percorreva il corridoio ormai deserto, era stata distratta da una leggera eco, proveniente da uno dei corridoi laterali. Inizialmente, pensava che fosse frutto della sua immaginazione, o il rumore delle caldaie poco distanti, ma poi quell’eco si era fatto sentire di nuovo. La ragazza aveva indugiato un attimo sul posto e alla fine, incuriosita, aveva provato a seguire quel suono. Mano a mano che sentiva quell’eco più vicino, si era resa conto che assomigliava sempre più ad un lamento, come se qualcuno stesse piangendo. E quando aveva imboccato un piccolo corridoio alla sua destra, aveva visto in lontananza la figura di una persona rannicchiata e appoggiata contro il muro. Più volte l’aveva chiamata, ma senza ottenere risposta. Così, aveva deciso di avvicinarsi, per poi scoprire con stupore di conoscere bene quella persona: si trattava di Castiel.
La ragazza schiuse la bocca, spiazzata dalla realtà che si trovò davanti e di cui non era a conoscenza fino a quel momento: Castiel stava parlando.
Lisa sapeva che Castiel poteva parlare, se voleva, ma nei mesi in cui lei faceva ancora parte della vita di Dean, il ragazzo dagli occhi blu non aveva mai proferito parola e si era espresso sempre e solo attraverso il block notes.
“Tu…” – balbettò la giovane, imbarazzata.
Castiel la osservò, ma non disse nulla, limitandosi ad annuire.
“È.… è una cosa bella” – aggiunse poi, sorridendo leggermente.
Il ragazzo non riuscì a ricambiare il sorriso e annuì di nuovo.
Lisa si soffermò sull'altro, sospirando leggermente. Non si sarebbe mai aspettata di trovare Castiel lì, nella scuola. E dovette ammettere che, vederlo, richiamò in lei sgradevoli ricordi: la festa di Halloween, le sue grida, le parole di Dean, la porta di casa Talbot che si chiudeva, ponendo così fine alla sua storia con il giovane Winchester. Per i primi tempi, Lisa aveva odiato Castiel, aveva nutrito del rancore per quel ragazzo che era apparso all'improvviso nella loro vita, sconvolgendo così la loro realtà, e lo aveva ritenuto l'unico responsabile della sua rottura con Dean. E questo, per un po', aveva aiutato la giovane, lenendo le ferite del suo cuore. Ma, in seguito, tanto odio e rancore erano via via scomparsi, lasciando solo la consapevolezza che, in verità, la colpa di quanto successo non era di nessuno: né di Castiel, né di Dean, e nemmeno sua. Probabilmente era una cosa che doveva succedere e basta, o forse lei e Dean semplicemente non erano destinati a stare insieme, ma solo ad incrociare le loro strade e fare una parte del cammino della vita insieme. E ora che Castiel era lì di fronte a lei, con gli occhi visibilmente segnati dal pianto, Lisa si vergognó dei sentimenti negativi provati per lui.
“Sei qui con Dean?” – chiese la cheerleader, richiamando di nuovo l'attenzione dell'altro.
“Sì...”
“E lui dov'è?”
Castiel esitó, abbassando lo sguardo. Aveva detto al suo ragazzo che sarebbe tornato subito e invece i suoi ricordi e le sue emozioni lo avevano trascinato via, lontano, e lui non era riuscito ad opporsi. Da quanto tempo era via? Quanto tempo era passato da quando aveva lasciato la palestra? E Dean come aveva reagito, non vedendolo tornare? Il moro fece una smorfia. Dean doveva essere sicuramente preoccupato, e questo non fece altro che alimentare il senso di colpa di Castiel nei suoi confronti. Odiava far preoccupare Dean, gli pesava terribilmente, perché sentiva di limitare fortemente il suo ragazzo. Ogni volta che Dean lo seguiva sempre, affiancandolo e standogli vicino, era come se Dean camminasse su linee già tracciate, che ruotavano attorno alla figura di Castiel, e dalle quali il biondo non poteva discostarsi. E tutto ciò faceva male al ragazzo con gli occhi blu, perché in questo modo era come se Dean fosse prigioniero nella gabbia della sua sordità, insieme a lui.
“Castiel?” – lo chiamò Lisa, toccandolo di nuovo e facendogli sollevare lo sguardo – “Dov'è Dean?” – chiese ancora.
“In palestra...” – mormorò l'altro.
“Ok...” – annuì lei, prendendosi una pausa, per poi proseguire – “Castiel, stai bene? Perché sei qui da solo? Dean lo sa che sei qui?”
Il giovane non rispose e nascose di nuovo il viso tra le ginocchia.
La ragazza indugiò un attimo. Aveva capito che qualcosa non andava, già subito dopo aver incrociato i suoi occhi. Inoltre, il fatto che Dean non fosse lì era davvero strano. Lisa si guardò in giro, indecisa. Cosa doveva fare? Non poteva di certo andarsene e tornare dalle proprie compagne come se nulla fosse, lasciando l'altro lì da solo, e soprattutto in quelle condizioni. La giovane sospirò, affranta, perché in quel momento l'unica soluzione possibile era di avvisare Dean. In tutti quei mesi lei e Dean non si erano più rivolti la parola, e quando si incrociavano nei corridoi si limitavano ad ignorarsi a vicenda. Pertanto, l'idea di trovarsi faccia a faccia con lui e di dovergli parlare, non era proprio una cosa che Lisa avrebbe desiderato fare. Ma, d'altronde, non aveva alternative. Certo, se avesse avuto ancora il suo numero, avrebbe potuto chiamarlo, evitando così di esporsi tanto, ma lo aveva cancellato poco dopo la loro separazione.
La ragazza indugiò un attimo sul da farsi, ma poi si decise e raccolse i pom pom che aveva appoggiato lì a terra, poco prima.
“Castiel” – lo avvisò, attirando la sua attenzione – “Aspettami qui, torno subito”.
 
“Maledizione!” – smozzicò Dean, sbattendo la porta del bagno.
Dopo essere uscito dalla palestra, Dean aveva setacciato tutti i corridoi limitrofi in cerca di Castiel. Fortunatamente, dal momento che la partita aveva ripreso, non c'era quasi più nessuno in giro e questo aveva facilitato la ricerca. Insieme agli altri, che avevano deciso di seguirlo, aveva anche controllato nei vari bagni dislocati in quell'ala della scuola, invano. Castiel non si trovava da nessuna parte, sembrava scomparso.
“Dean” – tentò Charlie, subito dietro di lui – “Vedrai che sarà qui in giro, non ti dev-”
“Non dirmi che non mi devo preoccupare, cazzo!” – ringhiò il giovane, voltandosi verso di lei e facendo così indietreggiare l'amica di un passo, spaventata dalla sua reazione.
Dean la superò, continuando a muoversi nervosamente su e giù per quel tratto di corridoio, come un animale in gabbia.
“Non lo troviamo da nessuna parte, e non risponde ai miei messaggi! Dove cazzo è finito?!” – sbraitò ancora, gesticolando.
“Dean” – lo richiamò Benny.
“Lo sapevo! Lo sapevo che dovevo andare con lui!” – continuò Dean, ignorando il giovane – “Non dovevo lasciarlo andare da solo!”
“Ehi, amico” – riprovò Benny, intercettando i suoi movimenti e parandosi di fronte a lui.
“Non dovevo accettare di portalo qui! Ma lui ha insistito e continuava a dire di voler venire, maledizione!” – proseguì il biondo, ormai perso nei suoi sproloqui.
“Ehi!” – esclamò Benny, afferrandolo per le spalle e costringendolo a fermarsi.
“Cosa vuoi?!” – sbottò Dean, infastidito dall’intromissione dell'altro.
“Datti una calmata, Dean!” – ribatté Benny – “Perché così non sei di aiuto a nessuno!”
“Che cazzo nei vuoi sap-”
“Lo so che sei preoccupato!” – lo interruppe l'amico, perentorio – “E lo siamo anche noi, credimi” – continuò, abbassando il tono.
Dean incrociò gli occhi chiari di Benny e, dopo qualche secondo, sentí la rabbia e l'agitazione mollare un po' la presa su di lui, permettendogli così di essere più lucido.
“Io...” – mormorò, abbassando lo sguardo, mortificato per aver inveito così contro di lui.
“Ragioniamo un attimo” – disse Benny, lasciando andare la presa sulle spalle di Dean – “Deve essere ancora nella scuola, per forza”.
Il ragazzo si grattò il mento, pensando al da farsi.
“Ok” – continuò – “Propongo di dividerci. Chuck, tu controlla i corridoi vicino alla mensa, io andrò verso la zona della biblioteca. E voi due” – aggiunse, rivolgendosi a Dean e Charlie – “Controllate il corridoio vicino alle caldaie”.
“Ok” – annuì la ragazza.
Benny fece per muoversi, ma poi si fermò, avvicinandosi alla rossa.
“Ehi, tienilo d'occhio” – le sussurrò, facendo cenno col capo in direzione di Dean, per poi allontanarsi insieme a Chuck.
Charlie li seguì con lo sguardo, fino a vederli sparire dietro l'angolo, e poi si voltò verso Dean.
Il ragazzo era vicino al muro, girato di spalle e con le mani abbandonate lungo i fianchi. La giovane sospirò e gli si avvicinò.
“Ehi” – disse dolcemente, mettendosi di fronte a lui.
Dean non rispose e tenne lo sguardo basso.
“Dean” – lo richiamò lei.
Il giovane alzò piano il viso e incrociò gli occhi dell'amica, che gli sorrise dolcemente.
“Mi dispiace…” – mormorò lui – “Per prima...io non...”
“Shh, non ti preoccupare” – lo tranquillizzò Charlie, accarezzandoli un braccio.
I due rimasero in silenzio per un po'.
“Coraggio” – spronò lei – “Andiamo a controllare dove ci ha detto Benny”.
“Ok...”
Entrambi si mossero, con Dean davanti, incamminandosi lungo il corridoio, ma quando il giovane girò a sinistra, si scontrò malamente contro qualcosa. O, per meglio dire, contro qualcuno.
“Ma che diavolo…” – borbottò Dean, ancora stordito, prima di bloccarsi completamente, di fronte alla persona che si trovava davanti a lui.
“Lisa…” – sussurrò, incredulo.
La ragazza lo guardò, altrettanto sorpresa.
“Dean…”
I due si guardarono, senza aggiungere altro, visibilmente imbarazzati per quell’incontro improvviso e del tutto imprevisto.
“Dean” – lo richiamò Charlie, di fianco a lui.
“Sì…” – annuì l’altro, schiarendosi la voce – “Scusa, Lisa, ma devo andare…”
“Un attimo, Dean, io ti stav-”
“Mi dispiace, ma non è il momento” – la liquidò lui, superandola.
“Aspetta, Dean! Devo dirti una cosa!” – tentò di richiamarlo lei, inseguendolo.
“Adesso non posso!” – ribatté il biondo, aumentando il passo.
“Si tratta di Castiel!” – sbottò fuori l’altra.
Dean si fermò di colpo e si girò verso Lisa, pallido in volto.
“Cas?”
“Sì…”
“Lo hai visto?” – si affrettò a chiedere Dean.
“Sì, prim-”
“Dov’è?” – la interruppe lui, facendo un passo in avanti.
“L’ho visto e-”
“Lisa, ti prego, dimmi dov’è!”.
La giovane scrutò le iridi verdi del ragazzo e una strana sensazione la colpì, che lei poi identificò in un misto di amarezza e nostalgia.
“Seguimi” – sospirò infine, muovendosi e incitando gli altri due a seguirla.
 
I tre ragazzi percorsero un tratto di corridoio deserto, accompagnati solo dal rumore dei loro passi concitati. Lisa girò a destra, guidando Dean e Charlie, dietro di lei. Ad un tratto la cheerleader si fermò, imitata dagli altri due.
“Eccolo” – disse solamente, indicando con una mano alzata un punto fisso davanti a loro.
Dean fece un passo in avanti e, nella penombra, vide una figura a terra, appoggiata contro il muro.
“Cas!” – esclamò Dean, prima di raggiungerlo.
Mano a mano che si avvicinava a Castiel, Dean sentì il suo cuore quasi esplodergli nel petto. Lo aveva trovato, finalmente, e questo aveva lenito la sua agitazione, ma non per molto. Nel vedere il suo ragazzo lì, seduto a terra e con il volto nascosto tra le ginocchia, la sua preoccupazione raggiunse di nuovo picchi martellanti, che pulsavano nella sua testa, in sincronia con i battiti del suo cuore. Cos’era successo? Perché era lì, lontano dalla zona della palestra? Si era forse sentito male? E se sì, perché non lo aveva avvisato?
Quando gli fu vicino, si accovacciò di fronte a lui. Fece per toccarlo con una mano, ma si bloccò, quasi temesse di vederlo sparire davanti ai suoi occhi, se lo avesse fatto. Strinse la mano in pugno e si morse un labbro.
“Cos’è successo?” – chiese, voltandosi verso Lisa, che nel frattempo si era avvicinata, insieme a Charlie.
“Non lo so…”
“Non ti ha detto niente?” – domandò l’altro.
“No…ho provato a chiedergli perché fosse qui, ma non mi ha risposto…”
Dean serrò la mascella, deglutendo un paio di volte e poi annuì. Tornò a guardare l’altro e sospirò, cercando di raccogliere tutto il suo coraggio. Dolcemente posò la mano sulla spalla di Castiel, sentendolo sussultare impercettibilmente sotto il suo tocco. Poco dopo, il viso di Castiel si sollevò e Dean strinse le labbra. Gli occhi blu di Castiel erano gonfi e lucidi per il pianto, mentre i suoi lineamenti sembravano sbattuti.
“Ehi…” – disse Dean, sforzandosi di sorridere, senza successo.
Il moro abbassò lo sguardo, distogliendolo così da quello dell’altro.
Dean si inginocchiò completamente e gli prese il viso con entrambe le mani, costringendolo a guardarlo.
“Cos’è successo?” – chiese poi.
Castiel incrociò gli occhi verdi di Dean, e le labbra tremarono leggermente.
“M-mi dispiace…” – mormorò.
E fu lì che Dean capì cosa era successo, o almeno così credeva. All’improvviso una scintilla di rabbia brillò dentro di lui, infiammandogli le viscere e risalendo fino al petto. Temeva che sarebbe andata a finire così, e aveva provato anche a farlo capire a Castiel, sebbene in maniera velata, per non offenderlo. Ma Castiel aveva insistito, e Dean davvero non capiva il perché il moro continuasse imperterrito a voler affrontare situazioni che lo mettevano in grossa difficoltà. Cosa voleva dimostrare? Che poteva fare anche lui tutto quello che facevano gli altri? Perché? Dean non voleva che Castiel si sforzasse così, che si mettesse costantemente alla prova, e questo perché, al di là degli evidenti fallimenti del giovane, a Dean non importava. Non gli importava di andare al cinema con lui o ad una stupida partita scolastica. A lui interessava solo stare con Castiel e soprattutto che il suo ragazzo stesse bene. Per Dean, Castiel andava bene così com’era e non doveva dimostrare niente a nessuno.
“Dean…”
La voce di Castiel lo ridestò dai suoi pensieri, in tempo per trovarsi il ragazzo tra le braccia. Il giovane nascose il volto nell’incavo del collo del biondo, e Dean poté sentire il suo respiro caldo sulla pelle. Quel senso di stizza e di rabbia che il ragazzo provava, sembrò così affievolirsi, senza tuttavia sparire del tutto.
“Portami a casa…” – mormorò Castiel.
Il cuore di Dean si strinse in maniera quasi dolorosa. In quel momento Castiel gli sembrò così fragile tra le sue braccia, che Dean temette si potesse rompere da un momento all’altro. Non sopportava di vederlo così, perché in quei momenti Dean si sentiva impotente. D’istinto lo strinse a sé, offrendogli il suo calore e la sua vicinanza, le uniche cose che poteva dargli.
“Ci sono qui io, Cas…” – sussurrò, conscio comunque del fatto che l’altro non potesse sentirlo.
 
Lisa si morse un labbro di fronte a quella scena, e il suo senso di colpa per aver covato così tanto rancore nei confronti di Castiel si presentò ancora, più forte.
“S-sta bene?” – chiese, con un filo di apprensione nella voce.
Dean sollevò lo sguardo verso di lei.
“Sì…non ti preoccupare”.
“Ok…” – disse la giovane, indugiando – “Allora…è meglio che torni in palestra, mi stanno aspettando” – aggiunse poi, facendo un cenno con il capo in direzione del corridoio.
Dean continuò a guardarla e annuì.
La ragazza distolse lo sguardo e si voltò, iniziando ad allontanarsi.
“Lisa” – la richiamò piano Charlie, facendola voltare nuovamente – “Grazie…” – aggiunse poi, abbozzando un sorriso.
Lisa incrociò i suoi occhi per un istante e poi annuì. Infine si voltò definitivamente e sparì nella penombra del corridoio.
 
 
°°°
 
 
Dean continuò a camminare lungo il corridoio, tenendo saldamente la mano di Castiel nella sua, e ignorando gli sguardi curiosi delle poche persone che incontravano. In quel momento l’unica cosa che gli interessava era di portare via Castiel da quel maledetto posto, e non gli importava se d’ora in avanti a scuola avrebbero sparlato di lui.
Dopo averlo trovato, Dean era rimasto vicino al suo ragazzo, tenendolo tra le braccia per diverso tempo. Quando Castiel si era scostato leggermente, il biondo lo aveva aiutato ad alzarsi e, senza dire nulla, lo aveva preso per mano, per poi incamminarsi verso l’uscita della scuola. Charlie li aveva seguiti fino ad un certo punto, mentre si affrettava ad avvisare Chuck e Benny tramite messaggio. La ragazza, però, aveva intuito una specie di tensione, proveniente soprattutto da Dean. Il giovane infatti aveva continuato a camminare in silenzio, ignorando persino le deboli parole che Castiel gli aveva rivolto. Pertanto Charlie aveva deciso di salutarli e di lasciarli da soli.
 
Mentre camminava di fianco a Dean, Castiel lo guardò con la coda dell’occhio e si morse un labbro. Dean era arrabbiato, e Castiel lo aveva compreso dalla forza con cui l’altro gli stringeva la mano e dal fatto che non si era voltato verso di lui neanche una volta, nemmeno quando aveva cercato di parlargli.
I due ragazzi seguirono il corridoio, fino ad arrivare al cortile interno e poi nell’atrio. Una volta lì, Castiel tentò debolmente di rompere il contatto con lui, senza riuscirci, perché Dean aveva risposto rafforzando la presa.
“Dean…” – lo richiamò, inutilmente.
Il moro esitò un attimo e poi riprovò.
“Dean?”
“Che vuoi?” – rispose brusco l’altro, dopo essersi fermato e girato.
Castiel si irrigidì.
“Io…” – tentennò – “Mi dispiace…”
“Ti dispiace?” – ripeté Dean, sardonico – “Seriamente, Cas?! E per cosa ti dispiace?! Per il fatto di essere sparito, facendomi spaventare a morte? O per aver insistito di venire qui, quando sapevi benissimo che poteva finire così?”
Castiel spalancò gli occhi e schiuse le labbra. I lineamenti di Dean erano contratti e i suoi occhi verdi duri come pietre.
Da quando avevano lasciato quel corridoio, infatti, la rabbia di Dean aveva ripreso a bruciargli dentro, ardente e scoppiettante, senza che il giovane riuscisse a placarla, o, forse, non voleva farlo. Tutta la paura, l’agitazione e la preoccupazione provata per Castiel non erano sparite, in realtà, ma si erano trasformate in energia, che alimentava la sua rabbia.
Castiel non riuscì a reggere il peso di quello sguardo e, soprattutto, il peso della colpa nei confronti di Dean.
Il biondo riprese a camminare, tenendo l’altro sempre per mano, e dirigendosi verso l’uscita. Proseguirono così, in silenzio, fino a raggiungere la macchina. Dean mollò la presa su Castiel e si diresse verso il posto guida.
“Mi dispiace, davvero…” – disse Castiel, alle sue spalle.
A quelle parole, Dean si voltò di scatto.
“Smettila e sali in macchina!” – ringhiò poi, alzando un braccio e indicandogli il lato del passeggero.
Castiel lo osservò con i suoi grandi occhi blu, e poi lentamente si diresse verso lo sportello dell’Impala, lo aprì e salì in macchina.
Dean raggirò il cofano e raggiunse l’altro lato. Dopo essere entrato nell’abitacolo, mise in moto e partì bruscamente, lasciando che lo stridore delle gomme sull’asfalto gridasse al posto suo.
 
 
 
 



 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti! E buon anno nuovo!
Bene bene, eccoci qui con un nuovo aggiornamento. Il mistero attorno a questa fantomatica Hannah è stato svelato. Non è apparsa fisicamente e non ha messo i bastoni tra le ruote ai nostri due protagonisti, come molti di voi temevano, ma indubbiamente il suo ritorno dal passato di Castiel è stato sufficiente per sconvolgere l’animo già turbato del ragazzo. Come avete visto, questa serata nella scuola di Dean è stata disastrosa, perché non ha fatto altro che portare a galla spiacevoli ricordi, ricordi che hanno abbracciato diversi aspetti della vita del giovane: scuola, amici e, ovviamente, la sordità. Ricordi dai quali Castiel non riesce a sganciarsi, trovando quindi nella fuga e nel nascondersi un rifugio.
Lisa fa la sua apparizione a sorpresa (ve l’aspettavate?), ma è una Lisa completamente diversa da quella che avevamo lasciato a casa Talbot, nel capitolo 8 (mi sembra così distante >.<). Ho voluto dare un motivo di riscatto a questa ragazza, e fare in modo che la rottura con Dean sia stata per lei motivo di riflessione e di crescita personale. In fondo, anche se brutte, le esperienze e i problemi servono anche a questo.
Nel capitolo vediamo finalmente anche una reazione da parte di Dean, portata all’estremo. Dean ovviamente non si è arrabbiato solo per questo episodio. Diciamo che la sua rabbia si è accumulata nel vedere che l’altro si ostina a fare cose che lo mettono in difficoltà e nelle quali arriva quasi sempre a fallire. Dean sembra non capire l’ostinazione di Castiel, e questo perché a lui il suo ragazzo con gli occhi blu va bene così, e non è necessario che cambi. Dall’altro lato, invece, Castiel si sente quasi in dovere di sopperire alla sua sordità, un peso che lui porta, ma che non vuole che a portarlo sia anche Dean. È sicuramente una situazione molto complessa, che vede i due a confronto, e che spero di aver presentato in modo chiaro. Oltretutto questo capitolo è stato abbastanza difficile da scrivere, e di nuovo devo ringraziare la mia beta per la sua presenza e supporto costanti.
Direi che è tutto, fatemi sapere qualcosa a riguardo, se vi va ;)
La sezione “varie ed eventuali” questa settimana ospiterà solo le fan art, godetevele!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Fan art!

                                        

 

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciassette ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO DISCIASSETTE
 
Date parole al vostro dolore,
altrimenti il vostro cuore si spezza
 
William Shakespeare
 
 

 
Dean parcheggiò l’Impala davanti al garage di casa e spense il motore, senza però scendere dalla macchina.
Il viaggio di ritorno dalla scuola era stato silenzioso. Dean aveva tenuto gli occhi incollati alla strada per tutto il tempo. Durante il tragitto, la sua rabbia aveva oscillato come un pendolo, sfiancando la sua mente. La preoccupazione per Castiel che non tornava e il panico che lo aveva assalito, quando non sapeva dove fosse, lo avevano pungolato, portandolo ogni volta sul punto esplodere. La figura di Castiel rannicchiato, i suoi occhi blu sciupati dal pianto e la sua voce rotta, invece, lo avevano richiamato indietro.
E anche lì, nell’abitacolo, Dean era in balìa di emozioni contrastanti, alternando momenti in cui avrebbe voluto solo girarsi verso l’altro e gridargli contro, ad altri in cui avrebbe voluto abbracciarlo e basta, senza dire nulla.
Rimase così, indeciso sul da farsi, per diversi minuti. In seguito si passò una mano sul viso e, sospirando, aprì la portiera e scese dalla macchina.
 
Castiel aveva guardato fuori dal finestrino per tutto il tempo del percorso verso casa. Poco prima di uscire dalla scuola, gli occhi di Dean lo avevano guardato duramente, amplificando così il senso di colpa che il giovane provava nei suoi confronti, perché Dean non solo si era preoccupato, ma si era anche arrabbiato. Castiel era consapevole di aver sbagliato e che avrebbe dovuto dire all’altro che qualcosa non andava, prima che fosse troppo tardi. Ma la sensazione di sentirsi un peso per il suo ragazzo era stata troppo forte, e così si era imposto di gestire la situazione da solo, sbagliando pertanto due volte.
Castiel tenne lo sguardo fisso sulle proprie mani, per timore di incrociare quello di Dean. E quando Dean uscì dall’abitacolo, esitò un attimo, per poi imitarlo.
 
I due ragazzi percorsero il marciapiede, fianco a fianco, senza proferire parola. Una volta arrivati davanti a casa Novak, Castiel indugiò. Non voleva che la serata si concludesse in quel modo e, soprattutto, non voleva che le cose tra lui e Dean rimanessero così. Pertanto, prima di salire i gradini del portico, si girò, cercando gli occhi verdi dell’altro.
Dean rispose allo sguardo, senza dire nulla. Il ragazzo era ancora combattuto, perso nell’indecisione di non sapere cosa fare. Una cosa però la sapeva: non poteva andarsene, senza prima aver parlato con lui.
Di fronte al silenzio di Dean, Castiel si voltò e, con lo stomaco stretto in una morsa, si diresse verso la porta d’ingresso. All’improvviso, una mano calda gli prese il polso, attirando la sua attenzione e costringendolo a girarsi di nuovo.
“Stai bene?” – chiese Dean.
Castiel schiuse le labbra, esitando.
“Sì…” – rispose infine.
Il biondo si prese un momento, mordicchiandosi l’interno della guancia.
“Ma a scuola non stavi bene…”
Castiel abbassò lo sguardo e scrollò la testa.
“Cas?” – lo richiamò Dean, cercando le dita dell’altro con le proprie e intrecciandole insieme – “Perché non me l’hai detto?”
“Dean…” – tentò il ragazzo
“Ti avevo detto di dirmi se qualcosa non andava” – lo interruppe il giovane.
Castiel si morse un labbro.
“Perché non l’hai fatto?” – insisté l’altro.
“Mi dispiace…”
“Lo hai già detto, ma io voglio sapere il perché” – ribatté Dean – “Perché sei sparito così, invece di venire da me? Mi hai fatto spaventare a morte!”
Castiel distolse lo sguardo e non rispose. Con la mente, ripercorse tutto quello che era successo poche ore prima, e si rese conto di non sapere nemmeno da dove iniziare. Era stato tutto così intenso da poterne sentire ancora gli effetti, sebbene ora fosse lì, davanti a casa, e al sicuro, con Dean.
Quello che il giovane aveva passato, nel corso degli ultimi anni, lo aveva devastato a tal punto da non avere parole per esprimerlo. Sapeva di poterne parlare con Dean, di potergli confidare quello che non aveva mai detto neanche alla sua famiglia, ma, contemporaneamente, l’idea di farlo gli toglieva l’aria dai polmoni e lo soffocava. Forse non era ancora pronto, forse aveva bisogno di più tempo. O forse aveva semplicemente paura, perché riportare a galla tutto quanto, avrebbe fatto dannatamente male e lui non era sicuro di poterlo sopportare.
Dean rimase ad osservare l’altro, soffermandosi con lo sguardo sulla sua mascella tesa, sugli occhi blu che evitavano di incrociare i suoi, sulle labbra increspate in una linea serrata. Castiel era in difficoltà e Dean se ne accorse. Il biondo si sentì improvvisamente in colpa nei confronti del ragazzo, perché l’ultima cosa che voleva era metterlo a disagio. Però Dean voleva anche capire cosa fosse successo, cosa avesse spinto l’altro a comportarsi in quel modo. Il giovane Winchester si prese un attimo per pensare e, infine, giunse ad una conclusione, l’unica possibile in quel momento: il benessere di Castiel aveva la priorità e lui avrebbe fatto di tutto per far sentire l’altro a suo agio. Dean strinse di più le dita tra quelle di Castiel e si avvicinò a lui, posandogli delicatamente una mano sulla guancia.
Castiel chiuse gli occhi e sospirò leggermente sotto il suo tocco. E quando sollevò le palpebre, vide Dean, di fronte a lui, che gli sorrideva.
“Io sarò qui” – disse Dean, accarezzandogli lo zigomo con il pollice – “Quando…quando vorrai parlarmene, io sarò pronto ad ascoltarti”.
I lineamenti del viso di Castiel si rilassarono un po’ e il giovane schiuse di poco le labbra.
“Ma…” – proseguì l’altro – “Promettimi che lo farai…”
Castiel non disse nulla, limitandosi a guardarlo con i suoi grandi occhi blu.
“Promettimi che, quando sarai pronto, me lo dirai” – insisté l’altro – “E che questa volta manterrai la promessa”.
Castiel rimase a guardarlo ancora qualche secondo. Infine sollevò una mano e coprì dolcemente quella di Dean sul suo volto, godendo del suo calore.
“Sì, te lo prometto…”
 
 
°°°
 
 
Gli occhi di Dean erano puntati contro il soffitto, mentre le sue dita giocherellavano piano con i capelli di Castiel.
Erano passate due settimane da quel venerdì e i due giovani avevano continuato a fare quello che facevano tutti i giorni, come se nulla fosse. Ogni pomeriggio Dean, di ritorno da scuola, si fermava a casa dell’altro per fare i compiti e solitamente il pomeriggio passato insieme si concludeva con dolci coccole sul letto. In quei giorni Dean aveva tenuto fede a quanto si era ripromesso di fare quella sera, sul portico di casa Novak: far star bene il ragazzo dagli occhi blu. E così, da allora, non erano mancati baci, carezze e attenzioni, che Castiel ricambiava con la stessa intensità e con lo stesso trasporto.
Quel pomeriggio, tuttavia, in un momento di tranquillità, Castiel si era addormentato e ora sonnecchiava con la testa appoggiata sul petto del biondo. Inizialmente Dean era rimasto un po’ perplesso, ma poi, sentendo il giovane così rilassato, aveva deciso di lasciarlo fare e di non disturbarlo.
Dean ne approfittò per far vagare la mente, cullato dal respiro regolare di Castiel, in sincronia con il suo. Il giovane Winchester aveva deciso di aspettare che il suo ragazzo si confidasse con lui e che gli dicesse cosa fosse accaduto quella sera a scuola. Ed era quello che aveva fatto, se non fosse che, più passava il tempo, più la speranza che Castiel parlasse diventava flebile. A dire il vero, in alcuni momenti, Dean avrebbe voluto tirare fuori l’argomento e ricordare all’altro la promessa fatta, ma poi aveva preferito lasciare le cose come stavano e concedergli ancora un po’ di tempo. Castiel gli aveva fatto una promessa e Dean aveva deciso di dargli fiducia.
All’improvviso Castiel si mosse leggermente, mugolando qualcosa di incomprensibile contro la maglietta di Dean. Batté le palpebre un paio di volte e poi sollevò di poco la testa, incontrando così gli occhi verdi di Dean che lo osservavano.
“Mi sono addormentato…?” – biascicò il ragazzo, con la voce ancora impastata dal sonno.
“Sì” – sorrise Dean.
“Scusa…” – borbottò Castiel, stropicciandosi l’occhio con le nocche della mano.
“Non ti preoccupare” – lo tranquillizzò il biondo, accarezzandogli dolcemente la schiena.
“È che…” – sospirò l’altro – “Oggi Naomi ha parlato tanto e mi sono stancato…”
Dean non rispose e si limitò a guardarlo. Castiel non si lamentava mai, ma Dean sapeva che per lui era difficile seguire il labiale per tanto tempo. E proprio per questo, Dean si era domandato più volte perché il ragazzo non avesse scelto una via più semplice e non frequentasse una scuola speciale. Il giovane glielo aveva chiesto una volta, ma la risposta di Castiel era stata piuttosto enigmatica.
 
“È complicato”
 
Pertanto, Dean aveva catalogato l’argomento scuola come fosse tabù, e aveva deciso di non chiedere nulla a Castiel per non turbarlo, mantenendo questa decisione anche dopo che si erano messi insieme. In verità, però, Dean aveva sentito spesso la domanda bruciargli in gola, pizzicargli la punta della lingua, in un accanito tentativo di prendere forma sulle sue labbra. In un certo senso si sentiva in diritto di sapere, di conoscere meglio il passato dell’altro, soprattutto da quando condividevano un forte sentimento reciproco. Castiel sapeva tutto di Dean: delle sue scorribande in giro per il quartiere con Benny, quando erano bambini; di quando il padre lo aveva messo per la prima volta la volante dell’impala; o di quante volte lui e Sam erano finiti nei pasticci per aver combinato un guaio in casa. Dean, invece, non conosceva molto dell’altro e, per quanto riguardava quello che gli era successo, lo aveva appreso solo dal racconto di Amelia, perché Castiel non aveva mai detto nulla.
“Cas” – disse all’improvviso.
“Dimmi”.
Dean esitò, umettandosi le labbra.
“Posso farti una domanda?”
“Sì, certo…”
“Promettimi di non arrabbiarti, però…”
Il ragazzo dagli occhi blu corrugò la fronte, confuso.
“È una cosa che ti ho già chiesto…” – iniziò il biondo, cauto – “Poco dopo che ci siamo conosciuti…”
Castiel inclinò leggermente il viso, con aria interrogativa.
“Mi avevi detto che non vai in una scuola speciale perché è complicato…” – disse Dean, tutto d’un fiato.
Dean sentì il corpo di Castiel irrigidirsi tra le sue braccia e, d’istinto, aumentò l’intensità delle carezze sulla sua schiena.
“Voglio dire…” – si affrettò poi a dire – “Non sarebbe più facile per te frequentarne una? Sai, seguire le lezioni e…tutto il resto” – continuò, gesticolando.
Castiel distolse lo sguardo e appoggiò la testa contro il petto dell’altro, senza rispondere.
Dean serrò la mascella, pentendosi subito di avergli fatto quella domanda.
Castiel chiuse gli occhi e sospirò forte.
Nelle ultime settimane il giovane aveva sentito in modo particolare la vicinanza dell’altro. Dean lo aveva riempito di attenzioni e premure e, soprattutto, non aveva più chiesto nulla riguardo quel famoso venerdì sera. Tuttavia, il giovane Winchester gli aveva fatto intendere che prima o poi avrebbero dovuto parlarne e che, quando sarebbe accaduto, lui sarebbe stato pronto ad ascoltarlo. Dean gli aveva dato tempo, fiducia e gli era stato accanto, rispettando la sua scelta di non parlare di quanto successo a scuola, non subito almeno. Castiel era consapevole che, prima o poi, avrebbe dovuto dirglielo, ma la decisione di farlo non arrivava mai, o forse Castiel aveva bisogno solo di una piccola spinta, di un tocco gentile che lo spronasse a fare un passo avanti, di una mano tesa, pronta a stringere la sua.
Castiel riaprì gli occhi e puntò il mento contro il petto di Dean, incrociando il suo sguardo apprensivo.
“Credo che sia arrivato il momento di mantenere la promessa che ti ho fatto…”
Dean spalancò gli occhi e socchiuse le labbra, visibilmente sorpreso. Non si sarebbe mai aspettato che la situazione potesse prendere una piega simile.
“E…” – esitò il moro – “Quello che ti devo dire ha a che fare anche con la tua domanda…”
Il biondo aggrottò le sopracciglia, perplesso.
Castiel si prese una pausa e puntò gli occhi altrove, mentre Dean continuava ad accarezzarlo.
“Quando eravamo nella tua scuola…” – iniziò Castiel, dopo un po’ – “Io ho ricordato alcune cose…” – proseguì, tornando a guardare l’altro.
“Ricordato?” – fece eco Dean.
Castiel annuì.
“Io…” – continuò poi – “Mi sono ricordato di…” – si interruppe, non riuscendo a proseguire.
Il giovane serrò le palpebre e prese un profondo respiro. Era difficile, così difficile da fare quasi male.
“Di quando sono diventato sordo…” – riuscì a dire infine, sollevando di nuovo le palpebre.
Questa volta fu Dean ad irrigidirsi, spiazzato dalle parole dell’altro. Di fronte alle confessioni di Castiel, Dean si sentì smarrito e incapace di reagire. Non disse nulla, limitandosi ad annuire, incitando così l’altro a proseguire.
“Sai…la sordità non è stata improvvisa” – riprese Castiel – “È stata una cosa graduale, anche se…più veloce di quanto avessi voluto. E ad un certo punto…ho dovuto lasciare la scuola…”
Castiel deglutì un paio di volte.
“Mentre camminavamo per andare in palestra, ho visto l’ufficio del preside e…i ricordi mi sono comparsi davanti all’improvviso. Era…era come se stessi vivendo ancora quel giorno…”
“Quale giorno?” – si sforzò di chiedere Dean.
“Il giorno in cui i miei genitori hanno deciso il mio ritiro dalla scuola…”
Il volto di Castiel era teso e Dean sentì lo sgomento crescere dentro di lui.
“Io non volevo andarmene” – disse amaramente il moro – “Ma non potevo più continuare…ed è stato terribile…uno dei giorni più brutti della mia vita…” – ammise, con voce spezzata.
Dean strinse di più a sé il ragazzo con gli occhi blu, cercando di contrastare l’angoscia che provava in quel momento.
Rimasero così, stretti l’uno all’altro, per un po’ di tempo.
“Quando sei uscito dalla palestra, non…non dovevi andare in bagno, vero?” – domandò Dean, cercando l’attenzione dell’altro.
Castiel si morse un labbro e scrollò la testa.
“Cos’è successo, allora?” – chiese ancora il biondo.
“Altri ricordi…” – sospirò il giovane Novak – “Io…non riuscivo a fermarli, arrivavano uno dopo l’altro e io… non ce l’ho più fatta”.
“Altri ricordi di scuola?”
“Anche…”
Il giovane fece una pausa.
“Sono stato in una scuola speciale, una volta…”
“Davvero?”
“Sì, solo per un giorno. Mia madre e mio padre mi hanno portato a vederla, ma…” – si interruppe, facendo una smorfia di disappunto.
“Ma?”
“Non volevo stare lì…non volevo andare in una scuola speciale”.
“Perché?”
Castiel sfiorò la maglietta di Dean con i polpastrelli delle dita, prendendosi del tempo per rispondere.
“Perché non volevo essere diverso…” – disse poi, quasi in un sussurro – “E andare in quella scuola…avrebbe significato accettare di esserlo…”
Dean fu travolto da quelle parole e non riuscì a dire nulla. Il giovane Winchester si rese conto di quanto dolore dovesse esserci dentro quel ragazzo con gli occhi blu e, soprattutto, di cosa avesse passato quella sera nella scuola, quando quei ricordi erano riaffiorati dalla sua memoria. A quel pensiero Dean sentì una fitta al petto, e nella sua mente gli sembrò di rivedere Castiel in quel corridoio, a lottare da solo contro il proprio dolore. E la fitta al petto aumentò d’intensità nel momento in cui si chiese il perché non gli avesse detto nulla, o non fosse subito andato da lui, come invece gli aveva chiesto di fare.
“Perché?” – esordì allora il biondo.
Castiel socchiuse leggermente gli occhi.
“Perché non mi hai detto nulla?” – riprese l’altro.
Il moro aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse subito.
“Ti ho chiesto più volte se stavi bene e mi hai detto sempre di sì” – incalzò Dean – “Mi hai detto una bugia…”
Castiel sentì la colpa nei confronti dell’altro montare dentro di lui.
“Mi dispiace…”
“Lo so che ti dispiace, ma…” – sospirò pesantemente il giovane – “Cas, perché non sei venuto da me? Perché non mi hai detto niente?”
Castiel abbassò lo sguardo, per poi risollevarlo, poco dopo.
“Cosa avresti fatto?” – chiese.
“Non capisco…”
“Cosa avresti fatto…se te lo avessi detto?”
“Beh…” – rimuginò Dean – “Non so, avrei fatto qualcosa, ti avrei port-”
Il ragazzo si interruppe, di fronte allo sguardo fin troppo eloquente dell’altro.
“Oh…” – aggiunse poi, schiudendo la bocca.
Dean sentì la fitta al petto espandersi, e prendere possesso del suo stomaco, insieme alla consapevolezza del perché Castiel non gli avesse detto nulla quella sera. Da un lato Dean avrebbe dovuto aspettarselo, ma dall’altro il giovane era convinto che quel problema appartenesse al passato, o che comunque non lo riguardasse direttamente, dal momento che lui stesso era stato molto chiaro su questo argomento.
 
“Cas, tu per me non sei un peso. Non lo sei mai stato. Capito? Mai”
 
“Credevo che avessimo chiarito questa storia di sentirti un peso tempo fa” – sottolineò.
Castiel si morse un labbro, ma non rispose. Non riusciva a non sentirsi così, non riusciva a spiegare il perché si sentisse così, perché il timore di essere un peso per gli altri gli annebbiava la mente, manipolando le sue azioni e oscurando tutti gli altri pensieri. Non riusciva ad evitarlo, era come se fosse talmente radicato in lui da non riuscire ad allontanarlo senza strappare via anche una parte di sé stesso.
“Io…” – tentò, senza poi riuscire ad andare avanti.
Dean vide l’altro di nuovo in difficoltà, come quella sera davanti al portico. E si sentì ancora con le mani legate, impotente di fronte a quello che provava il suo ragazzo. L’unica cosa che poteva fare era continuare a rassicurarlo.
“Ehi” – esordì, accarezzandogli la guancia con la punta delle dita – “Te l’ho già detto una volta e te lo ripeto anche adesso, e se vuoi continuerò a ripeterlo finché non ti convincerai”.
 Castiel lo guardò.
“Tu non sei un peso, ok?”
Il moro fece per aprire bocca, ma l’altro lo interruppe prima ancora che potesse parlare.
“Come faccio a fartelo capire?” – si lamentò Dean.
Castiel sospirò pesantemente. Non è che non capisse quello che Dean gli diceva, ma la convinzione di essere un peso per gli altri, e soprattutto per Dean, era quasi soffocante e lui non era in grado di contrastarla. E più il giovane cercava di lottare, più essa si faceva beffa di lui.
Dean si mosse leggermente, sollevando i fianchi e sfilando il telefono dalla tasca dei jeans. Digitò velocemente qualcosa sul display, sotto lo sguardo interrogativo dell’altro. All’improvviso Castiel avvertì una vibrazione contro la gamba e corrugò la fronte. Si scostò dal biondo, girandosi su un lato e prendendo il telefono dalla tasca. Quando sbloccò lo schermo, i suoi occhi si spalancarono e saettarono subito su quelli di Dean.
 
[17:40] – Da Dean a Cas
Non sei un peso. Sei solo Cas. Il mio Cas.
 
“Quando penserai di essere un peso per me, prendi il telefono e leggi questo messaggio” – sorrise Dean.
Castiel rimase immobile ad osservare l’altro.
“Me lo prometti?” – riprese il biondo.
Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso e annuì.
 
 
°°°
 
 
Castiel si chiuse la porta d’ingresso alle spalle e scese i gradini del portico. L’aria tiepida di inizio aprile era piacevole sulla pelle e portava con sé un odore particolare, dolce, delicato. Quel tipico odore che fa assaporare l’arrivo dell’estate, ma che contemporaneamente non fa dimenticare l’inverno appena passato. Il ragazzo diede una rapida occhiata al cielo. Sebbene fosse già buio, si potevano ancora intravedere delle impercettibili striature viola sulla linea dell’orizzonte, segno inequivocabile che le giornate si stavano allungando. Il giovane percorse il vialetto, con il sguardo rivolto verso la casa accanto, e sorrise. Poco più in là Dean lo stava aspettando, appoggiato allo sportello dell’Impala. Quando fu abbastanza vicino, Castiel notò che l’altro aveva gli occhi abbassati sul display del cellulare, mentre i lineamenti erano marcati dal gioco di ombre creato dalla luminosità dello schermo.
“Ciao, Dean” – esordì, attirando così la sua attenzione.
“Ehi” – sorrise il biondo, sollevando il viso.
Il ragazzo dagli occhi blu sorrise di rimando.
“Sei pronto?” – chiese Dean, scostandosi dalla portiera e infilando il telefono nella tasca dei jeans.
“Sì” – annuì il moro – “Dove andiamo?”
“Sorpresa”.
Castiel inclinò leggermente il viso e poi scrollò la testa, ridendo.
“L’ultima volta che me lo hai detto, siamo finiti in un parco lontano da qui” – disse.
Dean ridacchiò, avvicinandosi.
“Non è proprio un parco, ma…” – aggiunse, mordendosi poi un labbro per non svelare di più.
Castiel socchiuse gli occhi, cercando di indovinare cosa intendesse l’altro, invano.
“Vengono anche gli altri?” – domandò poi.
“Ehm…no” – rispose Dean, esitando.
“Perché?”
Il giovane Winchester spostò il suo peso da un piede all’altro, indugiando.
“Dean?”
“Ecco…avevo programmato di starcene un po’ soli, io e te…” – ammise, sfiorando la mano dell’altro con la punta delle dita.
Castiel schiuse le labbra, sorpreso, e poi sorrise dolcemente, ricambiando il tocco di Dean.
“Va bene…”
A quelle parole Dean arrossì leggermente, per poi scostarsi di poco e aprire la portiera dal lato del passeggero, invitando Castiel a salire con un cenno del capo. Il giovane si accomodò sul sedile e, quando lo sportello si chiuse, seguì con lo sguardo la figura di Dean che aggirava il cofano dell’auto, per poi raggiungerlo nell’abitacolo. Il biondo inserì le chiavi nel quadro e accese il motore. Prima di partire, però, allungò una mano e prese quella di Castiel nella sua, stringendola teneramente. Non lo aveva fatto prima perché erano troppo vicini a casa e qualcuno avrebbe potuto vederli. A volte questo aspetto della loro relazione pesava a Dean, perché avrebbe voluto tenere per mano l’altro ogni volta che lo desiderava, non importava dove fossero, e invece si doveva trattenere. E questo era anche uno dei motivi per cui, ultimamente, preferiva stare da solo con il suo ragazzo, chiuso nel bozzolo protettivo delle loro stanze o ricercando un po’ più di intimità sui sedili posteriori dell’Impala, lontano dallo sguardo indiscreto del mondo che li circondava.
“Dean?” – lo richiamò Castiel, distogliendolo dai suoi pensieri – “Va tutto bene?”
Il ragazzo incrociò gli occhi di Castiel e per qualche secondo si perse nel loro blu. Infine sorrise e annuì.
“Andiamo” – disse poi, puntando la macchina verso la strada e guidandola verso il luogo prescelto per la serata.
 
Castiel si guardò intorno curioso, cercando di scorgere qualcosa al di là del parabrezza, inutilmente. Dean aveva fermato l’Impala di fronte ad una recinzione, oltre la quale il buio sembrava inghiottire ogni cosa. In lontananza alcune luci brillavano timidamente nell’oscurità, mentre un lampione lì accanto rischiarava debolmente l’abitacolo.
“Dove siamo?” – chiese il giovane, voltandosi verso l’altro.
Dean prese il cellulare e sbloccò lo schermo, accentuando così la luminosità dell’abitacolo.
“Siamo vicini al fiume” – spiegò il biondo, sorridendo.
“È…è molto buio…” – disse Castiel, esitando.
“Che c’è, Cas? Non mi dire che hai paura del buio” – sghignazzò Dean.
Castiel corrugò la fronte, risentito.
Dean continuò a ridacchiare e rimise il telefono in tasca. In seguito si sollevò, per poi scavalcare il sedile anteriore e lasciarsi andare pigramente su quelli posteriori.
Il moro si voltò leggermente e rimase a guardarlo. I suoi occhi blu erano più scuri nella penombra, ma non perdevano quel magnetismo che Dean aveva imparato a conoscere quando li aveva incrociati la prima volta, sul portico di casa Novak.
“Non mi raggiungi?” – sorrise malizioso Dean, incitando l’altro con un cenno della mano.
Castiel cercò di trattenere un sorriso, invano. Fece leva con una mano e scavalcò anche lui il sedile, per poi andare a sedersi accanto a Dean. Il giovane Winchester non perse tempo e ricercò subito le labbra di Castiel, accarezzandole dolcemente con le sue, per poi mordicchiarle teneramente. Castiel si fece più vicino e appoggiò una mano sul petto del ragazzo, sospirando. Dean lo strinse a sé, approfondendo il bacio, e i due giovani si lasciarono andare, perdendosi l’uno nelle attenzioni dell’altro. Ad un tratto Castiel si mosse, senza interrompere il contatto, e si mise a cavalcioni sull’altro, che si abbandonò contro lo schienale. Le dita di Dean si strinsero attorno alla vita di Castiel, per poi ricercare abili l’orlo della maglietta e scivolare sulla sua pelle calda e morbida, facendolo sussultare leggermente. Il ragazzo dagli occhi blu accarezzò a palmo aperto il collo del biondo, mentre i loro respiri si infrangevano tra di loro, diventando una cosa sola.
“Dean…” – ansimò Castiel sulle sue labbra, scostandosi leggermente – “Il tuo telefono…”
“C-cosa…?” – mormorò Dean, stordito da quell’onda di passione che li aveva travolti.
“Il tuo telefono…” – ripeté il moro – “…sta vibrando contro la mia gamba…”
“Oh…” – si limitò a dire Dean.
Il giovane sollevò leggermente il fianco, aiutato da Castiel che gli lasciò lo spazio per muoversi, e sfilò il telefono dalla tasca. Il display luminoso si frappose tra loro due, spezzando quell’intimità che invece era stata facilitata e spronata dalla penombra.
Dean rimase qualche secondo a fissare lo schermo, con lo sguardo serio. Poi batté due volte le palpebre e rimise il cellulare al suo posto, rivolgendo infine la sua completa attenzione a Castiel.
I due giovani ripresero a baciarsi con più intensità di prima, ricercando di continuo il calore e il sapore dell’altro. Il tocco delle labbra di Dean si posò lieve sul collo di Castiel, che inclinò di poco la testa per permettere al suo ragazzo di continuare.
“Dean” – sospirò forte il moro – “Il telefono…”
Il giovane Winchester continuò a baciare e a succhiare la pelle del suo collo come se nulla fosse. Castiel lo richiamò un paio di volte, senza successo.
“Dean” – tentò ancora, allontanandosi in maniera decisa e incrociando il suo sguardo.
Dean alzò gli occhi al cielo e sbuffò, per poi prendere svogliatamente il telefono dalla tasca e guardare il display. Fece scorrere il dito sullo schermo, mordicchiandosi una guancia.
“C’è qualcosa che non va?” – chiese Castiel, vedendo l’altro indugiare.
Dean sollevò lo sguardo ed esitò un attimo.
“No, no” – si affrettò poi a dire, portandosi in avanti e lasciando andare il cellulare sul sedile anteriore.
E quando ricercò gli occhi di blu di Castiel con i suoi, sorrise.
“Allora…dove eravamo rimasti?”
 
 
°°°
 
 
“Dean, smettila di rubarmi le patatine” – disse Castiel, socchiudendo gli occhi e rivolgendo al ragazzo di fronte a lui un’aria di finto rimprovero.
Il giovane Winchester cercò di nascondere il suo ghigno divertito con le dita della mano, mentre mordicchiava una patatina, impunemente rubata all’altro.
Era sabato sera e i due ragazzi si trovavano da Rudy per mangiare una pizza. Una volta arrivati al locale, Castiel aveva sperato di trovare anche Charlie e gli altri, ma era rimasto deluso perché Dean gli aveva detto che sarebbero stati solo loro due da soli. Il moro aveva provato a mascherare la sua delusione, senza successo. Non che gli dispiacesse stare da solo con Dean, anzi, ma erano già due settimane che non vedeva gli altri. Dean poteva stare con loro tutti i giorni, a scuola, mentre Castiel aveva la possibilità di incontrarli solo durante i week-end. E dalla sera della partita, nel liceo del biondo, erano usciti con loro solo un paio di volte.
“Devi imparare a condividere, Cas” – ridacchiò Dean, sporgendosi in avanti e prendendo un’altra patatina dal piatto di Castiel.
“E tu devi imparare a farti bastare il tuo cibo” – ribatté piccato l’altro, per poi cedere di fronte all’espressione sfacciata di Dean e ridere a sua volta.
All’improvviso, l’attenzione di Castiel fu catturata dal display illuminato del cellulare appoggiato sul tavolo, accanto a lui.
Il giovane si pulì le mani con il tovagliolo, per poi allontanare il piatto con due dita.
“Dai, finiscile pure” – sorrise a Dean, prima di prendere il telefono e sbloccare lo schermo.
Castiel socchiuse leggermente gli occhi, mentre apriva l’applicazione dei messaggi.
 
[21:43] – Da Charlie a Castiel
Avete finito di fare i piccioncini solitari, voi due?
 
Castiel corrugò la fronte, perplesso. Rilesse il messaggio una seconda volta, cercando di comprendere il significato, invano.
 
[21:44] – Da Castiel a Charlie
In che senso? Non capisco…
 
[21:44] – Da Charlie a Castiel
Nel senso che tu e Dean siete completamente spariti dalla circolazione. Non siete scappati a Las Vegas per sposarvi, vero?
 
Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso, ma contemporaneamente sentì la perplessità crescere, di fronte all’affermazione dell’amica.
 
[21:45] – Da Castiel a Charlie
Non siamo spariti dalla circolazione…e ti assicuro che non siamo fuggiti a Las Vegas.
 
[21:45] – Da Charlie a Castiel
Beh, meno male! Anche perché non ve lo avrei mai perdonato ;)
 
[21:46] – Da Charlie a Castiel
Comunque, è vero che siete spariti dalla circolazione, non vi fate vedere da quasi due settimane e mi manchi :(
 
Castiel sorrise teneramente davanti al display.
 
[21:47] – Da Castiel a Charlie
Anche tu mi manchi, ma non è vero che io e Dean non ci siamo fatti vedere, voi avete avuto altri impegni.
 
Castiel sollevò le palpebre e si soffermò a guardare Dean, intento a finire le patatine, con una soddisfazione dipinta sul viso che fece divertire il moro. Il cellulare vibrò di nuovo nella sua mano.
 
[21:49] – Da Charlie a Cas
Quali impegni?
 
Castiel picchiettò l’indice sul bordo del telefono, indugiando.
 
[21:52] – Da Castiel a Charlie
Lo scorso venerdì Benny doveva rimanere a casa a badare al fratello più piccolo e Chuck doveva uscire con Becky, mentre sabato tu eri ad un raduno di cosplay.
 
[21:52] – Da Charlie a Castiel
Non ero a nessun raduno di cosplay, sabato scorso.
 
[22:53] – Da Charlie a Castiel
E io Benny, Chuck e Becky siamo andati al bowling venerdì, ma Dean mi ha detto che avevate altri programmi…
 
Castiel sollevò le sopracciglia, sorpreso. Le parole dell’amica lo colsero impreparato. Strinse leggermente le labbra, facendo mente locale. Forse si era confuso, eppure si ricordava che Dean quella sera gli aveva detto che…
Dean.
Castiel puntò gli occhi su Dean e, quando il biondo incrociò per caso il suo sguardo, sorrise. Il ragazzo dagli occhi blu esitò un attimo e ricambiò il sorriso, per poi tornare a concentrarsi sullo schermo e sull’ultimo messaggio di Charlie. Quanto detto dall’amica, strideva con quello che gli aveva detto Dean e il giovane si sentì un po’ confuso. Castiel si prese un momento per pensare. Charlie non aveva motivo di dire una cosa invece che un’altra, ma nemmeno Dean. E allora perché questa incongruenza? Il moro indugiò ancora un attimo e poi digitò qualcosa sullo schermo.
 
[21:56] – Da Castiel a Charlie
E sabato?
 
Dopo aver inviato il messaggio, il giovane restò in attesa di una risposta, che però non arrivò subito. All’improvviso qualcosa gli sfiorò il dorso della mano e lui sussultò leggermente. Di fronte a lui Dean lo guardava, con aria interrogativa.
“Tutto bene, Cas?”
“Sì”.
“Ok…ehm, vuoi il dolce?”
“No, grazie” – rispose il moro, agitando una mano davanti a sé.
“Io invece ho proprio voglia di una bella crostata” – sorrise sornione l’altro – “Vado a vedere se ce l’hanno” – aggiunse, alzandosi in piedi.
“Ok” – annuì Castiel, per poi seguire la figura del giovane che si allontanava dal tavolo.
Castiel vide il suo ragazzo avvicinarsi al bancone e parlare con una cameriera. Poteva vedere le sue spalle, la sua nuca, le sue mani che gesticolavano. E si ritrovò di nuovo a sorridere.
La vibrazione del telefono gli solleticò il palmo, distraendolo.
 
[22:04] – Da Charlie a Castiel
Sabato c’era lo street food in centro, ma stessa storia…avrò inviato a Dean quasi mille messaggi per convincervi a venire, ma non c’è stato niente da fare…a quanto pare ti vuole tenere tutto per sé ;)
 
[22:05] – Da Charlie a Castiel
E due week end fa c’era la fiera di primavera ed è strano che non siate venuti, perché da quando lo conosco Dean non ne ha mai persa una.
 
Castiel aggrottò la fronte, perplesso. Se possibile, la sua confusione crebbe davanti a quelle parole. Perché Charlie stava dicendo delle cose completamente diverse da quelle che lui conosceva? Davvero l’amica aveva chiesto a Dean di raggiungere lei e gli altri? E se così fosse stato, perché lui non ne sapeva niente? E perché Dean non gli aveva nemmeno accennato questa fiera? L’unica cosa che Castiel sapeva era che Dean gli aveva detto che sarebbero stati solo loro due, esattamente come la settimana precedente, esattamente come quella stessa sera… Cosa stava succedendo?
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dal ritorno di Dean, che si sedette nuovamente al tavolo per gustare la fetta di crostata che aveva portato con sé. Castiel si soffermò a guardarlo, indeciso sul da farsi.
“Dean” – lo richiamò infine, sistemandosi meglio sulla sedia – “Charlie mi ha mandato un messaggio”.
Il giovane Winchester sollevò gli occhi dal piatto e smise di masticare per qualche secondo, per poi riprendere lentamente.
“Dice che ultimamente non ci siamo fatti vedere” – proseguì il moro – “Ma tu mi avevi detto che loro avevano altri impegni” – aggiunse ricercando gli occhi dell’altro.
Dean rispose allo sguardo, ma non disse nulla.
“E invece lei dice che non è vero” – sottolineò ancora il ragazzo dagli occhi blu.
Dean distolse lo sguardo e giocherellò con la forchetta nell’impasto della crostata.
Di fronte alla reticenza del biondo, Castiel sentì la delusione farsi strada in lui, mentre la consapevolezza che Dean gli avesse mentito prese pian piano forma nella sua mente. Perché? Perché Dean gli aveva detto una bugia? Perché dirgli che gli altri non sarebbero usciti con loro, quando invece non era vero?
“Dean” – lo richiamò di nuovo – “Perché mi ha detto una cosa così?”
Dean evitò ancora di guardarlo, mordicchiandosi una guancia.
Castiel sospirò. L’atteggiamento di Dean non aiutava, anzi, se possibile, contribuiva solo ad alimentare le sue domande. Il ragazzo, allora, si sforzò di pensare a cosa avesse spinto l’altro a non dirgli la verità e a tenergli nascoste quelle cose. Castiel si morse il labbro, riportando la sua attenzione sul display del cellulare.
 
…a quanto pare ti vuole tenere tutto per sé ;)
 
I suoi occhi tornarono rapidi su Dean. Possibile che…
 
“Ecco…avevo programmato di starcene un po’ soli, io e te…”
 
Castiel schiuse le labbra, sorpreso. Era davvero così? Davvero Dean si era inventato tutte quelle scuse per passare più tempo da solo con lui? A quel pensiero, Castiel sentì un lieve tepore nel petto e abbozzò un sorriso.
“Se volevi stare da solo con me, bastava dirlo” – disse piano, sorridendo.
Dean sollevò la testa di scatto e lo guardò, attonito.
“Non c’era bisogno di fare tutto questo” – continuò l’altro, dolcemente – “Ti sei perso anche la fiera”.
Il giovane Winchester serrò la mascella e strinse forte la forchetta nella mano.
“Potevamo andarci insieme...” – aggiunse Castiel, continuando a sorridere.
Dean impallidì, mentre i suoi occhi vagavano disperati nel vuoto, come se fossero alla ricerca di qualcosa, e Castiel se ne accorse.
Di fronte al repentino cambiamento del suo ragazzo, il sorriso di Castiel si affievolì fino a scomparire e il giovane osservò l’altro con aria interrogativa, mentre una strana sensazione sembrò intorpidire lo spazio attorno a lui.
 
“E due week end fa c’era la fiera di primavera…”
 
Quella percezione continuò a gravitargli intorno, iniziando a tamburellare, dapprima con tonfi sordi e lontani, e poi via via più vicini e distinti.
 
“…ed è strano che non siate venuti…”
 
La sensazione continuò ad avanzare, a stringersi intorno a lui, e Castiel la sentì quasi come una presenza buia e opprimente dietro di sé, così vicina da sentire il suo fiato gelido sul collo, facendolo rabbrividire.
 
“…perché da quando lo conosco Dean non ne ha mai persa una.”
 
Un sibilo gli attraversò il cervello, facendogli stringere i denti, mentre la sensazione si era appoggiata sulla sua spalla, gravandone il peso, e invitandolo a voltarsi.
Castiel deglutì un paio di volte.
“A meno che...tu non volevi che andassimo insieme…”
La sensazione lo strattonò violentemente, costringendolo a girarsi e a vedere in faccia la realtà.
“Non volevi che ci andassi anche io…”
 
“Ecco…avevo programmato di starcene un po’ soli, io e te…”
 
“…che andassi in un posto con tanta gente…”
Dean serrò le palpebre, mentre i lineamenti del volto si tesero dolorosamente.
Castiel spalancò gli occhi, quasi inorridito di fronte alla muta ammissione dell’altro. In quel momento, tutta la situazione si tinse di una luce diversa, statica e soffocante, che si rifletté subito come un’ombra densa e opprimente nella mente del ragazzo. La sensazione che aveva attanagliato Castiel poco prima, si dissolse come per magia, lasciando il posto ad un dolore sordo, che il ragazzo poteva sentire sulla propria pelle, nell’aria che respirava, nella profondità del suo essere. Il giovane chiuse gli occhi, disgustato da quella nuova sensazione che era peggiore persino della precedente, perché assumeva i contorni dolorosi della consapevolezza: in quelle ultime settimane, Dean aveva evitato in tutti i modi situazioni che avrebbero potuto metterlo in difficoltà, e lo aveva fatto rifiutandosi di uscire con gli altri.
Castiel si sentì ferito dal comportamento di Dean, perché, per quanto fossero buone le sue intenzioni, il ragazzo, così facendo, lo aveva fatto sentire davvero un peso.
 
[17:40] – Da Dean a Cas
Non sei un peso. Sei solo Cas. Il mio Cas.
 
All’improvviso, Castiel sentì riemergere a galla il senso di colpa nei confronti di Dean, che lo schiacciò, immobilizzandolo e amplificando il dolore che imperversava in lui. Dean aveva rinunciato ad uscire con gli amici, sacrificando quello che gli piaceva fare, come quella fiera di cui Castiel non sapeva nulla, per non metterlo in difficoltà, per non farlo sentire a disagio…per non ripetere quello che era successo al cinema e nella scuola.
Una mano si posò delicatamente sopra la sua, richiamandolo. Castiel fece saettare i suoi occhi su quelli di Dean, che lo guardavano terrorizzati.
“Cas…”
Le labbra di Castiel iniziarono a tremare, e con uno scatto il giovane ritrasse la mano.
“C-come hai potuto farlo?” – disse, con voce incrinata – “Tu…come?!” – continuò, alzando la voce e attirando l’attenzione di sguardi curiosi intorno a loro.
“Cas, ti prego…” – tentò Dean, allungando di nuovo la mano sul tavolo in cerca di quella dell’altro.
Ma Castiel non gliene diede il tempo, perché scattò in piedi, dirigendosi poi verso l’uscita del locale, senza neanche incrociare lo sguardo di Dean.
“Cas!” – lo richiamò il biondo, invano – “Cazzo!” – smozzicò, alzandosi dalla sedia.
Con un gesto rapido prese il portafoglio dalla tasca dei jeans e ne tirò fuori qualche banconota, per poi abbandonarla velocemente sul tavolo, ed allontanarsi. Quando uscì dalla pizzeria, Dean si guardò in giro, alla ricerca del ragazzo con gli occhi blu, finché non lo vide camminare lungo il marciapiede, poco più in là. Con uno scatto si mise a correre e, quando lo raggiunse, lo prese per un braccio, facendolo così voltare.
A quel tocco, Castiel si divincolò malamente, per poi rimanere fermo, di fronte a Dean.
“Cas, aspetta, parl-”
Castiel distolse bruscamente lo sguardo, prima che Dean potesse finire di parlare.
“-liamone un attimo…” – continuò Dean, pur vedendo che l’altro si stava rifiutando di leggere il suo labiale.
Davanti a quell’atteggiamento, il biondo provò un moto di stizza improvviso e allungò una mano, prendendo il suo mento con due dita e costringendolo così a guardarlo.
“Ascoltami quando ti parlo!” – ringhiò.
Di fronte a quelle parole, il volto di Castiel si tese, allibito, mentre il blu dei suoi occhi divenne dolorosamente lucido. Il giovane allontanò bruscamente la mano di Dean, spingendo poi via il ragazzo, con la forza della disperazione.
“Giusto…perché io posso farlo, vero, Dean?” – ribatté, sardonico.
Dean serrò la mascella e strizzò le palpebre per un attimo.
“Dannazione, Cas! Lo sai che non intendevo dire questo, è che…” – disse esasperato, facendo cadere stancamente le mani lungo i fianchi – “Ti prego, Cas…”
Castiel gli riservò un’ultima occhiata colma di risentimento, per poi voltarsi e allontanarsi in fretta, mettendo più distanza possibile tra lui e il giovane Winchester.
 
 
°°°
 
 
Il mondo fuori dal finestrino scorreva tranquillo, con una calma e una noncuranza che stridevano con il caos emotivo che invece albergava nel cuore e nella mente di Castiel. Il giovane era sprofondato nel sedile del passeggero, mentre i suoi occhi blu erano persi in un vuoto indistinto davanti a sé.
 
“Potevamo andarci insieme...”
“…ed è strano che non siate venuti…”
“A meno che...tu non volevi che andassimo insieme…”
 
Castiel chiuse gli occhi, lasciando che la vibrazione del motore lo cullasse e gli desse un po’ di pace e di respiro, invano.
 
“Ascoltami quando ti parlo!”
 
Il ragazzo spalancò di nuovo gli occhi, mentre le lacrime iniziarono a pungere e a spingere prepotentemente per uscire. All’improvviso, qualcosa gli toccò il braccio e lui si girò, incrociando lo sguardo di Balthazar, seduto al posto di guida. Il bagliore rossastro del semaforo davanti a loro, si rifletté nell’azzurro dei suoi occhi e sui lineamenti del suo viso, accentuando la sua preoccupazione.
“Stai bene?” – chiese il maggiore.
Castiel esitò e infine annuì, poco convinto.
“Cassie…” – sospirò l’altro – “Lo sai, vero, che in questo momento la tua faccia dice il contrario?”
Il più piccolo si morse il labbro e non rispose.
“Si può sapere cos’è successo?” – chiese Balthe – “E non rispondermi ‘niente’, perché è la volta buona che mi arrabbio”.
“Davvero, non è successo niente” – rispose piatto il minore.
“Sì, certo…” – disse il più grande, con una punta di sarcasmo – “Quindi il fatto che tu stasera sia uscito con Dean e che stia tornando a casa con me è tutto normale?”
Castiel non disse nulla.
“O il messaggio che mi hai mandato, nel quale mi pregavi di venirti a prendere?” – incalzò il maggiore.
Il giovane fece una smorfia, ma non proferì parola.
Una sfumatura verde riempì l’abitacolo, costringendo l’auto a ripartire e lasciando cadere il discorso nel vuoto.
 
Balthazar si chiuse la porta alle spalle e appoggiò le chiavi dell’auto sul mobile accanto all’ingresso. Con la coda dell’occhio vide il fratello dirigersi verso le scale, diretto al piano di sopra. Allungò un passo e lo raggiunse, posando una mano sulla sua spalla e richiamando così la sua attenzione.
“Se non mi vuoi dire quello che è successo non importa, ma…io sono qui se hai bisogno, ok?” – disse, ricercando i suoi occhi.
Castiel sostenne il suo sguardo per qualche istante e poi annuì.
Balth abbozzò un sorriso e tolse la mano dalla spalla dell’altro, lasciando che il più piccolo si allontanasse, sparendo sulle scale.
 
Castiel fece qualche passo nella sua stanza, e si lasciò andare stancamente sul letto, appoggiando la testa contro il cuscino. L’odore di Dean sulla federa riempì l’aria nei suoi polmoni, sopraffacendolo. Dean. In quel momento il nome del giovane Winchester era al centro del turbinio di emozioni che sferzava in lui, un punto dal quale partivano scosse che scuotevano le poche certezze del suo mondo. Come aveva potuto fargli questo? Come aveva potuto ferirlo in quel modo? Tenerlo lontano dal mondo circostante, come se fosse una cosa fragile, ma soprattutto…facendolo sentire un peso, un fardello da portarsi dietro.
 
[17:40] – Da Dean a Cas
Non sei un peso. Sei solo Cas. Il mio Cas.
 
Una scintilla di rabbia si accese con fervore, infiammando facilmente i suoi sentimenti, già fortemente provati da quanto successo quella sera. Sollevò leggermente il fianco e sfilò il telefono dalla tasca, sbloccando poi lo schermo con un rapido gesto.
 

[17:40] – Da Dean a Cas
Non sei un peso. Sei solo Cas. Il mio Cas.
 
Castiel si soffermò a guardare il display, mentre la sua mente veniva soffocata dalla combustione che ardeva ormai dentro di lui. Fece scorrere un dito e digitò qualcosa, per poi abbandonare il cellulare sul materasso e affondare il viso contro il cuscino.
 
Messaggio cancellato.
 
 
 
 
 
 
 
 


~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Il confronto tra Dean e Castiel che tutti aspettavamo è arrivato e, in un primo momento, ha sortito un buon effetto, avvicinando i due ancora di più. In seguito, però, Dean ha oltrepassato una linea di confine, oltre la quale non avrebbe dovuto spingersi. Di certo, l’ha fatto con tutte le buone intenzioni possibili, mosso anche dalla preoccupazione per Castiel, dopo aver assistito agli episodi del cinema e della scuola. Tuttavia, il suo non aver agito alla luce del sole, ha fatto in modo di farlo passare subito dalla parte del torto. Per quanto riguarda Castiel, invece, la sua reazione è abbastanza forte, ma è proprio dettata dal fatto che, il modo di gire di Dean, ha amplificato il suo sentirsi un peso per lui.
Alla fine, si è venuta a creare una situazione difficile, aggravata da quel “ascoltami”, scappato così, senza cattiveria, che però è riuscito a rendere ancora più netto il divario che si stava creando tra loro.
E adesso cosa succederà? Chissà…in ogni caso, raccontatemi le vostre impressioni, sono curiosa di sapere cosa ne pensate!
Vi lascio al consueto angolo “varie ed eventuali”.
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Il fiume che attraversa una parte di Lawrence è il Kansas River, conosciuto anche con il nomignolo Kaw. Questo nome deriva dalla popolazione nativa americana che viveva nel MidWest degli Stati Uniti (i Kaw o Kanza, ai quali sono stati affibbiati altri nomi, come “People of the South wind” o anche “People of water”).

   


2) Rudy è una pizzeria di Lawrence, situata lungo la Massachusetts Street, un lungo viale pieno di negozi e ristoranti. E’ sulla stessa via del 705 Restaurant (dove John e Mary hanno cenato durante la festa di compleanno di Dean) e il Liberty Hall (cinema).

      


3) Fan art!


                                        

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciotto ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO DICIOTTO
 
Mi fa male il cuore – dice.
Tutto ciò che ami ti fa soffrire, è una regola
 
Margaret Mazzantini
 
 
 
 
L’Impala scivolava veloce sulla strada, mentre l’asfalto spariva rapido sotto le sue ruote. La musica ad alto volume riempiva l’abitacolo, pressandolo. Dean strinse le dita sul volante e spinse ulteriormente il piede sull’acceleratore, portando l’indicatore del tachimetro oltre il limite usuale.
 
 “C-come hai potuto farlo?”
 
Il biondo serrò la mascella, quasi volesse bloccare il flusso di pensieri che aveva inondato la sua mente, annegandola. I suoi occhi saettarono per un istante sul sedile vuoto accanto al suo. Per un attimo gli sembrò di vedere la figura di Castiel che gli sorrideva, di sentire il suono della sua voce, di percepire il suo odore e questa fugace illusione sfuocò la realtà davanti a lui, riportando la sua mente a poco prima, su quel marciapiede.
 
Dean non riusciva a muoversi. Di fronte a lui, Castiel si stava allontanando e più il ragazzo metteva distanza tra di loro, più il suo corpo rimaneva immobile. All’improvviso, qualcuno lo urtò per sbaglio, scuotendolo da quel torpore che lo stava imprigionando e incitandolo a fare un passo avanti. Dean si mosse e iniziò a correre, senza distogliere lo sguardo da Castiel, mentre i battiti del suo cuore scandivano i metri che lo speravano da lui. Quando fu abbastanza vicino, strinse le dita sul suo braccio, facendolo così voltare.
Il ragazzo dagli occhi blu sussultò a quel tocco e socchiuse le labbra, per poi stringerle in una linea serrata non appena vide Dean.
“Lasciami!” – sbottò, cercando di sottrarsi alla presa dell’altro.
“No!”
“Ho detto lasciami!”
“No, non ti lascio! Non ti lascio finché non mi…” – si interruppe, cercando di calmarsi – “Finché non mi lasci spiegare…”
“Cosa c’è da spiegare?” – ribatté il moro.
Ti prego…” – insisté Dean, cercando i suoi occhi.
Castiel rispose al suo sguardo e smise di opporre resistenza.
Dean allentò la presa, senza però togliere la mano dal suo braccio.
“Mi hai mentito” – disse Castiel.
“Cas, io non…”
“E se fosse stato solo perché volevi rimanere da solo con me, io lo avrei anche accettato, ti avrei perdonato, ma…”
“Lo so, ho sbagliato, ma io l’ho fatto per te…”
“Davvero, Dean? L’hai fatto per me? O l’hai fatto per te?”
“Sei ingiusto se dici una cosa così” – si risentì il biondo – “Dannazione, certo che l'ho fatto per te, Cas! Perché non voglio che tu stia male! Lo capisci questo? Se ti succedesse qualcosa, io…”
“Tu cosa, Dean?” – lo interruppe l’altro.
Castiel esitò un attimo, prima di proseguire.
“Io lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Te l'avevo detto fin dall'inizio... Per questo quella sera di Capodanno ti ho chiesto se ne eri sicuro, perché non volevo che tu rinunciassi a qualcosa per me…perché ogni volta che lo fai io mi sento un peso…”
“Ma come te lo devo dire che tu non sei un pes-”
“Se non lo capisci non abbiamo più niente da dirci”.
Dean spalancò gli occhi, colpito da quelle parole.
“Non…non stai dicendo sul serio…Cas?”
L’attenzione di Dean, però, fu interrotta da un’auto blu che accostò lì vicino e da un ragazzo biondo che, poco dopo, scese dal lato del guidatore.
Dean lo riconobbe e aggrottò la fronte.
“Cosa ci fa qui tuo fratello qui?” – chiese poi, guardando di nuovo il giovane.
Castiel si girò verso la macchina e fece un cenno a Balth.
“L’ho chiamato io” – rispose.
“Tu?” – domandò sorpreso Dean – “P-perché?”
Castiel distolse lo sguardo e non rispose.
“Cas?”
Il ragazzo dagli occhi blu si voltò e raggiunse l’auto, aprì la portiera e si sedette sul sedile del passeggero, richiudendo poi lo sportello e fissando la strada davanti a sé.
Dean fece saettare lo sguardo prima su Castiel e poi su Balthe. Il maggiore dei Novak indugiò un attimo e ricambiò lo sguardo, confuso, prima di risalire in macchina. E quando l’auto ripartì, Dean la vide allontanarsi, rimanendo da solo su quel marciapiede.
 
Il suono di un clacson gli fece bruscamente riportare gli occhi sulla strada. Dean fu accecato per un istante dai fari di una vettura e sterzò d’istinto, facendo slittare le ruote dell’Impala sull’asfalto e cercando di rimetterla in carreggiata, riuscendoci per un pelo. Le dita si strinsero ancora di più sul volante, fino a far sbiancare le nocche, mentre respirava rumorosamente.
Dean era consapevole di non aver agito correttamente nei confronti del suo ragazzo, ma ciò che lo aveva animato e spinto fino al punto di mentire all’altro, erano stati il suo desiderio di proteggerlo e di farlo star bene. L’immagine del volto sofferente di Castiel, quella sera a scuola, era ancora vivo nella sua mente e pungolava come una vecchia ferita di guerra. Si era ripromesso che avrebbe fatto di tutto pur di non rivedere una cosa simile, che non avrebbe permesso a niente e a nessuno di turbare ancora quegli occhi blu. Perché per lui Castiel veniva prima di tutto e tutti, persino di sé stesso. Eppure, quella sera, era stato proprio lui a turbare quegli occhi.
 
“Se non lo capisci non abbiamo più niente da dirci”
 
Dean abbassò le palpebre un istante, per poi sollevarle subito dopo, annaspando nella rete di bugie che lui stesso aveva tessuto. Una rete che doveva tenerli al sicuro, ma che ora, invece, li stava stritolando. Tolse una mano dal volante e raggiunse la manopola della radio, alzando ancora il volume, mentre il piede sull’acceleratore incitava la macchina ad andare sempre più veloce.
 
 
°°°
 
 
“Ehi, amico, non lo mangi quello?” – chiese Benny, richiamando Dean, con un tocco del gomito.
Dean sussultò leggermente, battendo le palpebre.
“Uhm?” – bofonchiò.
“Non lo mangi?” – domandò di nuovo l’altro, indicando qualcosa nel vassoio di Dean con un gesto del capo.
“Ah…no, prendilo pure” – rispose piatto il biondo, allontanando il vassoio da sé.
Benny esitò un attimo, soffermandosi ad osservare l’amico, per poi avvicinare piano il vassoio a sé e scambiare uno sguardo di intesa con Charlie, che sedeva di fronte a loro al tavolo della mensa.
“Dean?” – intervenne la ragazza.
“Uhm?”
“È tutto ok?”
Dean incrociò per qualche secondo gli occhi della giovane e annuì impercettibilmente, prima di abbassare lo sguardo sulle proprie mani.
“Sì, sì, tutto ok”.
Erano passati tre giorni da quel sabato sera, e da quando Dean aveva visto Castiel l’ultima volta. Dopo essere tornato a casa, Dean si era trascinato fino in camera sua, e quella notte il suo sonno era stato tormentato dagli occhi blu di Castiel che lo guardavano con rancore e dalla sua voce che amplificava il suo sbaglio. Nei giorni successivi, la mancanza di Castiel si era fatta sentire in modo pesante e Dean ne era rimasto sopraffatto. Più volte si era ritrovato il telefono in mano, deciso a mandargli un messaggio, ma alla fine aveva sempre prevalso il timore che l’altro non rispondesse, facendolo così desistere dal suo proposito. Dean aveva provato anche a recarsi da lui, ma non era mai riuscito ad andare oltre i gradini del portico, perché l’idea di vedere riflessa la propria colpa nel blu dei suoi occhi lo angosciava. Eppure, tutta questa paura stonava in maniera evidente con il suo desiderio di vedere l’altro, di sapere che stesse bene, mettendo così Dean in una posizione difficile. E più passava il tempo, più diventava complicato prendere una decisione.
“Ehi, ragazzi” – salutò Chuck, avvicinandosi al tavolo.
“Ehi, Chuck, dov’eri finito? Ti aspettavamo per pranzo” – chiese Benny.
“Mi hanno trattenuto al giornale” – si scusò l’altro – “Con il ballo studentesco che si avvicina mi stanno facendo impazzire…”
“Non ti invidio per niente, amico” – replicò Benny.
“Ah, prima che me ne dimentichi…” – disse Chuck, aprendo lo zaino – “Mio padre ha alcuni biglietti per il luna park, vi va di andare una di queste sere? La compagnia rimarrà qui a Lawrence solo fino a domenica”.
“Io ci sto” – rispose prontamente Charlie, alzando una mano.
“Conta anche me” – fece eco Benny.
“Ok” – annuì Chuck – “E tu, Dean?” – domandò poi, guardando il biondo.
Dean mantenne lo sguardo basso e non rispose.
“Dean?” – lo richiamò l’amico, attirando la sua attenzione.
Il giovane Winchester sollevò stancamente le palpebre.
“C-cosa?”
“Tu e Castiel venite al luna park?”
Dean schiuse le labbra, ma non disse nulla.
“Certo che vengono” – intervenne Charlie, sorridendo poi all’amico – “Questa volta non vi permetterò di fare i piccioncini solitari” – aggiunse, minacciandolo scherzosamente con un dito.
Il ragazzo si irrigidì e serrò la mascella.
Il suono della campanella spezzò il relax degli studenti in mensa, suscitando borbottii di dissenso.
“Uff, mi ero appena seduto…” – si lamentò Chuck, sbuffando e lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.
Dean si alzò in piedi e prese lo zaino, per poi voltarsi e allontanarsi dal tavolo, in silenzio.
“Ehi, Dean!” – lo richiamò Benny.
Il giovane Winchester si girò, con un’espressione assente, e incontrò i volti degli amici che lo guardavano, in attesa di una sua reazione.
“Ci vediamo all’uscita?” – chiese l’altro, dopo qualche secondo.
Dean non rispose, ma si limitò ad annuire e ad incamminarsi verso l’uscita della mensa.
 
“Si può sapere che diavolo ha?” – sbottò fuori Charlie – “Benny?”
“Non lo so…” – ammise l’altro, sospirando.
“Non ti ha detto niente?” – insisté la giovane.
Il ragazzo scrollò la testa, sconsolato.
“Hai provato a parlargli?” – intervenne Chuck.
“Sì, ma lo sai com’è fatto…più insisto e più lui sta zitto”.
Charlie si prese un momento, mordicchiandosi nervosamente l’unghia del pollice.
“Voi pensate che possa avere a che fare con Castiel?” – domandò poi.
Gli altri due sollevarono le sopracciglia, perplessi.
“Ma cosa dici?” – chiese Benny.
La ragazza indugiò un attimo, con lo sguardo fisso davanti a sé.
“Non lo so…è che…” – spiegò lei, gesticolando – “Prima, quando Chuck ha nominato Castiel, ha fatto una faccia…sembrava triste, non so...”
“Tu credi che abbiano litigato?” – chiese Chuck.
“No, forse litigato no, però…” – sbuffò la giovane – “Ho come l’impressione che ci sia qualcosa che non va…”
Charlie ricercò con gli occhi l’uscita della mensa e poi sfilò il cellulare dalla tasca, con decisione.
“Cos’hai intenzione di fare?” – domandò Benny.
“Voglio vedere una cosa” – si limitò a rispondere lei, digitando qualcosa sullo schermo.
 
[13:17] – Da Charlie a Castiel
Una di queste sere andiamo al luna park. Tu e Dean ci sarete, vero?
 
 
 
Dean strinse il libro tra le mani e sospirò. Era fermo da qualche minuto di fronte al proprio armadietto aperto, ma non si era ancora deciso a chiuderlo e ad andare in classe per le lezioni del pomeriggio.
La prima ora prevedeva matematica e, all’idea di stare nella stessa aula con la madre di Castiel, Dean si sentì quasi mancare il respiro.
 
“Se non lo capisci non abbiamo più niente da dirci”
 
Il giovane deglutì un paio di volte e rimise il libro nell’armadietto, per poi chiudere l’anta e sussultare di fronte alla figura che si era avvicinata in silenzio, senza che lui se ne accorgesse.
“Ehi, stronzetto” – sorrise dolcemente Charlie.
“Ehi…”
La giovane lo guardò negli occhi per un istante.
“Sei piuttosto silenzioso in questi giorni” – esordì poi, senza giri di parole.
Dean si mordicchiò l’interno della guancia, in silenzio.
“Va tutto bene?” – continuò lei.
“Sì…”
“Sei sicuro?”
“Sì, sono sicuro…”
“Sai, Dean, con quella faccia da funerale non sei per niente credibile”– ribatté la rossa.
Dean non replicò, ma si limitò a distogliere lo sguardo.
“Dean…”
“Scusa, devo andare” – smozzicò lui, mettendosi lo zaino su una spalla e superando l’amica.
“Dean, aspetta” – lo richiamò lei, toccandogli il braccio.
La ragazza lo scrutò per un istante e poi si fece coraggio.
“Con…con Castiel va tutto bene?” – chiese infine.
Dean spalancò gli occhi, preso in contropiede, e strinse le dita sulla spallina dello zaino.
“Sì…”
“Uhm, ok…” – annuì l’amica, poco convinta – “Quindi verrete al luna park?”
Il giovane si morse un labbro, indeciso su cosa rispondere. Cosa avrebbe dovuto dire? Che sarebbero andati? E in che modo, visto che non vedeva né parlava con il suo ragazzo da tre giorni? Avrebbe dovuto contattarlo? Forse sarebbe stato il pretesto giusto per avvicinarlo… E se, invece, Castiel non volesse parlare con lui?
 
“Se non lo capisci non abbiamo più niente da dirci”
 
Dean sentì una fitta al petto, e strinse le palpebre.
“Dean?”
Il giovane Winchester sollevò le palpebre e incontrò gli occhi di Charlie che lo guardavano, preoccupati.
E in quel momento, l’unica cosa che fu in grado di fare fu scappare, e mentire…all’amica e a sé stesso.
“Sì, ci saremo…”
 
 
°°°
 
 
Il display del cellulare si illuminò, attirando l’attenzione di Castiel. Il ragazzo rimase immobile, a fissare lo schermo che si spense poco dopo, lasciando il posto ad una lucina lampeggiante di colore verde. Fece per allungare una mano, ma si bloccò, ritirandola subito, come se si fosse scottato. Da quando era tornato a casa, quel sabato sera, era la prima volta che riceveva un messaggio e, in quel preciso istante, l’unica persona che gli venne in mente fu Dean.
Gli ultimi giorni erano stati dolorosamente difficili per Castiel. Alla rabbia e all’incredulità provate per quello che Dean aveva fatto, era subentrato ben presto un senso di vuoto e di delusione, che lo aveva accompagnato per tutto il tempo. Nonostante si sentisse ancora ferito dal suo comportamento, la mancanza di Dean era stata tale da venirne sopraffatto. E più questa antitesi strideva, più il giovane non sapeva cosa fare. Era consapevole che prima o poi avrebbe dovuto rivedere Dean, ma in cuor suo non si sentiva ancora pronto, perché nel momento in cui pensava di poterlo affrontare, qualcosa dentro di lui scattava, spostando il peso del suo cuore verso il rancore nei confronti dell’altro, allontanando così anche solo l’idea di avvicinarsi a lui.
Castiel strinse le dita sulla penna che teneva in mano e tornò a guardare il libro davanti a sé, provando a concentrarsi, invano. Dopo qualche minuto, lasciò cadere la penna sul tavolo e si alzò, dirigendosi in cucina. Aprì l’anta del frigorifero, per poi richiuderla subito dopo. Indugiò un po’, appoggiato al bancone e guardandosi in giro, come se fosse alla ricerca di un suggerimento o di una risposta ai suoi pensieri. Infine, tornò lentamente in sala da pranzo e si avvicinò al tavolo. Con cautela, allungò una mano e prese il telefono, rigirandoselo tra le mani. Chiuse gli occhi, facendo una smorfia, come se quella mossa fosse fisicamente dolorosa. Fece un profondo respiro e alla fine sbloccò lo schermo con un gesto del dito, riaprendo gli occhi e trovando il coraggio di guardare.
 
[13:17] – Da Charlie a Castiel
Una di queste sere andiamo al luna park. Tu e Dean ci sarete, vero?
 
Il cuore di Castiel cominciò a battere furiosamente nel petto. Si era aspettato di vedere il nome di Dean, ma non questo. Rilesse più volte il messaggio, come a volersene sincerare, e all’improvviso si rese conto della situazione.
 
Tu e Dean ci sarete, vero?
 
A giudicare dalle parole usate da Charlie, era evidente che l’amica fosse all’oscuro di quanto successo con Dean, ma Castiel non se ne stupì più di tanto. Conosceva Dean, e sapeva benissimo che non era tipo da andare a confidarsi con gli altri così facilmente. La cosa che invece lo colpì fu proprio il fatto che la ragazza gli avesse mandato un messaggio simile. Lui e Charlie si scrivevano spesso, era vero, ma quando dovevano uscire con tutti gli altri, era sempre Dean che faceva da intermediario, e questo Castiel lo sapeva fin troppo bene.
 
“…avrò inviato a Dean quasi mille messaggi per convincervi a venire,
ma non c’è stato niente da fare…”
 
Castiel batté le palpebre un paio di volte. Perché Charlie gli aveva mandato un messaggio simile? E Dean lo sapeva? O forse no? O magari, era stato proprio lui a suggerire all’amica di fare in questo modo, con la speranza di poter far pace? Ma se fosse stato veramente così, perché non dirglielo direttamente? E se invece Dean non avesse voluto dirgli niente? Se avesse voluto tenerlo all’oscuro, come d’altronde aveva già fatto nelle ultime settimane?
 
“A meno che...tu non volevi che andassimo insieme…”
 
Quell’ultimo pensiero prese vita propria e si accese nella sua mente, accecando tutto il resto. Il ragazzo strinse le dita attorno al cellulare, mentre la rabbia riprese a scoppiettare dentro di lui, come quella sera. Dean lo stava facendo di nuovo, lo stava facendo ancora sentire un peso.
Castiel serrò la mascella. Questa volta non glielo avrebbe permesso, e non importava quanto gli sarebbe costato. Sarebbe andato anche senza di lui, pur di dimostrare all’altro che era benissimo in grado di badare a sé stesso, e che Dean non aveva alcun bisogno di fare rinunce per lui.
 
[13:42] – Da Castiel a Charlie
Sì, ci saremo.
 
 
°°°
 
 
Dean chiuse la portiera dell’Impala e si guardò in giro, per nulla entusiasta. La serata stabilita per andare al luna park era arrivata, anche se Dean aveva sperato fino all’ultimo che venisse rimandata o, meglio ancora, annullata. Erano trascorsi altri due giorni senza che lui riuscisse a vedere o a parlare con Castiel. All’inizio aveva pensato che la serata al luna park potesse essere un ottimo espediente per avvicinare il ragazzo dagli occhi blu e azzerare la distanza emotiva che li separava. Ma, alla fine, il timore di una qualsiasi reazione negativa da parte dell’altro, aveva avuto la meglio. E così ora Dean si trovava lì, di fronte all’ingresso del luna park, da solo. A dire il vero, aveva anche pensato di non presentarsi nemmeno e di inventarsi una qualsiasi scusa plausibile, ma in fondo sapeva che non avrebbe potuto evitare di uscire con gli altri per sempre. Tuttavia, anche essere lì per conto suo presentava un grosso inconveniente: l’assenza di Castiel. Cosa avrebbe detto agli altri? Avrebbe dovuto mentire, ricadendo di nuovo nella spirale di bugie che lo aveva portato alla situazione in cui era? O doveva dire la verità, accettando però il terzo grado che gli avrebbe sicuramente rifilato Charlie?
Dean sollevò gli occhi verso il cielo e sospirò. In lontananza, sottili striature rossastre davano il loro addio alla giornata appena trascorsa, accogliendo invece sfumature bluastre, ombrate però da inquietanti macchie nere che minacciavano una possibile pioggia. Di fronte al giovane, un tappeto di luci e colori sgargianti brillava nella penombra della sera, incurante delle minacce provenienti dal cielo.
Dean tornò a guardare davanti a sé e si passò una mano sul viso. Infine, si fece coraggio e si incamminò verso l’ingresso.
 
Dean percorse il tragitto che lo separava dall’entrata del luna park con lo sguardo basso. Intorno a lui, l’aria tiepida si intorpidiva di suoni e di odori, che si facevano via via più distinti mano a mano che avanzava, ma Dean quasi non se ne accorse. In quel momento, il giovane Winchester si sentiva solo, sebbene fosse circondato da tante altre persone che stavano incamminando nella sua stessa direzione. Essere lì senza Castiel era una sensazione strana, quasi soffocante. Da quando si erano messi insieme, il moro era sempre stato accanto a lui ogni volta che uscivano e, in quel momento, Dean avvertì la mancanza dell’altro come se fosse stato privato di una parte di sé. E faceva male, faceva dannatamente male.
“Dean!”
Una voce richiamò la sua attenzione, facendogli sollevare lo sguardo. Qualche metro più in là, Charlie stava agitando un braccio per aria, indicandogli la direzione. Accanto a lui c’erano già Benny, Chuck, una biondina che doveva essere Becky Rosen, e…
Dean si fermò di colpo, con il cuore in gola. Vicino agli altri c’era un’altra persona, la cui figura era pressoché inconfondibile per lui. La linea del corpo, i capelli neri e, nonostante fosse forse troppo distante, Dean giurò di poterlo vedere…il blu magnetico degli occhi. Era Castiel.
Cosa faceva lì? E come era venuto a sapere della serata? Forse Charlie…?
D’un tratto, quella strana sensazione di non averlo accanto sparì, lasciando il posto ad una bolla che cullò dolcemente Dean con il suo tepore. Castiel era lì, poco lontano da lui, e a Dean non importava chi lo avesse avvisato, perché l’unica cosa che voleva fare in quel preciso istante era di colmare lo spazio tra di loro e raggiungerlo, per poi stringerlo a sé e non lasciarlo mai più.
Spinto da quel pungente desiderio, Dean riprese a camminare con più decisione, mentre il cuore gli martellava le tempie e la vista sfuocava i contorni per concentrarsi solo ed unicamente su Castiel.
“Era ora, Dean!” – esordì Benny, quando l’altro fu vicino – “Credevamo che non venissi più!”
Dean non sentì neanche le parole dell’amico, perso com’era a cercare con uno sguardo gli occhi blu di Castiel, che risposero. Dean voleva avvicinarsi di più, toccarlo, sentire il calore della sua pelle sotto le dita, inspirare a fondo il suo odore e assaporare il suo sapore sulle labbra, ma qualcosa lo bloccava, qualcosa che aveva il retrogusto sgradevole della paura. Dean temeva che Castiel non ricambiasse o, peggio ancora, che si ribellasse, sottraendosi al suo tocco. E questa eventualità gli tolse completamente le forze, bloccando la sua volontà e impedendogli di proseguire oltre.
Dean strinse i pugni lungo i fianchi e si umettò le labbra, senza distogliere lo sguardo da Castiel.
“C-ciao…” – disse poi, esitando.
Castiel sostenne lo sguardo per qualche secondo.
“Ciao...” – rispose, infine.
Tra i due giovani calò di nuovo il silenzio, scandito solo da fugaci occhiate rivolte l’uno all’altro.
“Ok…” – si schiarì la voce Charlie – “Adesso che ci siamo tutti, possiamo entrare, che ne dite?”
“Ok, andiamo” – rispose Benny, facendo poi cenno alla rossa di avvicinarsi e di allontanarsi di proposito da Dean e Castiel.
Castiel fece per seguirla, quando fu trattenuto delicatamente da una mano calda che strinse la propria. Il moro si voltò e incontrò gli occhi verdi di Dean, che lo scrutavano, come se chiedessero il permesso per stare così vicino a lui. Il blu di Castiel si addolcì leggermente, perché in fondo il colore di quelle iridi era ciò che più gli era mancato del ragazzo.
“Sei…sei venuto” – disse Dean un po’ sorpreso.
A quelle parole, Castiel si irrigidì impercettibilmente e ritrasse la mano, sottraendola al tocco dell’altro.
Perché Dean gli stava dicendo una cosa simile? Aveva forse fatto bene a pensare che l’altro non volesse dirgli niente, tenendolo così all’oscuro?
“Che c’è, è un problema che sia venuto anche io?”
Dean spalancò gli occhi, schiacciato dalle parole del giovane di fronte a lui.
“Certo che no…”
“Davvero, Dean? Quindi me lo avresti detto?”
“Cosa?”
“Di stasera”.
Dean schiuse le labbra, esitando.
“Certo che te lo avrei detto…” – sospirò poi.
“Ma non l’hai fatto” – replicò l’altro.
Il biondo serrò la mascella, stizzito.
“E come potevo? Ti ricordi come mi hai piantato su quel marciapiede sabato sera? Mi hai detto che non avevamo più niente da dirci”.
“E tu ricordi il motivo?”
Dean si morse un labbro, preso in contropiede.
“Cas…” – iniziò – “Quello che ho fat-”
“Lasciamo perdere” – lo interruppe bruscamente Castiel, alzando una mano davanti a sé – “Non ne voglio parlare, non stasera”.
 
Poco distante, Charlie stava osservando i due giovani, con le braccia incrociate al petto e un’espressione preoccupata sul volto.
“Lo sapevo che c’era qualcosa che non andava tra quei due” – smozzicò – “Hai visto la faccia di Dean? Sembrava avesse visto un fantasma!”
“Chissà cos’è successo…” – mormorò Benny, grattandosi il mento, e guardando in direzione dell’amico.
“Lo vorrei sapere anche io…” – sospirò lei – “Castiel non ti ha detto niente quando è arrivato qui senza Dean?”
“No…”
“E tu non glielo hai chiesto?”
“No, ho preferito non immischiarmi. Non come qualcuno…” – rispose Benny, rivolgendo all’amica uno sguardo fin troppo eloquente.
“Ehi!” – si risentì la giovane – “Io mi preoccupo!”
Il ragazzo le riservò un’altra occhiata carica di significato.
“Oh, andiamo!” Ma li hai visti?” – borbottò sottovoce lei, facendo un cenno verso i due – “Quando si sono incontrati sembravano due estranei!”
“Sì, come questi due” – disse sardonico l’altro, indicando con il pollice Chuck e Rose che si scambiavano tenerezze di fianco a lui.
“E quel ‘ciao’…così freddo e distaccato” – proseguì la ragazza, ignorando le parole di lui – “Dio, ho sentito il mio cuore spezzarsi” – sentenziò, portandosi una mano al petto.
Benny alzò un sopracciglio e la guardò, perplesso.
“Che c’è?” – domandò lei, sulla difensiva – “Sono sensibile io!”
Benny sbuffò in una risata e scrollò la testa.
“Dai, vai a recuperare quei due, altrimenti qui facciamo notte”.
 
 
°°°
 
 
“Maledizione…” – smozzicò Dean, raddrizzando la schiena e appoggiando il fucile ad aria compressa sul bancone dello stand. Era la terza volta di fila che la sua mira andava a vuoto, mancando completamente il bersaglio.
Dopo essere entrati al luna park, i ragazzi si erano sbizzarriti nel girovagare qua e là, prima di decidere quale attrazione provare per prima. Dopo qualche sosta presso alcuni chioschi, Chuck e Becky avevano optato per il “tunnel dell’amore”, su insistenza di quest’ultima, galvanizzata all’idea di provare quell’attrazione. Chuck, dal canto suo, non era riuscito a dire di no, di fronte all’esuberanza mostrata dalla giovane, e quindi accettò. Il restante gruppo, invece, aveva continuato il suo giro e comprato qualche leccornia da gustare. Infine, si era fermato allo stand per il tiro a segno, davanti al quale Benny aveva sfidato Dean. Era una cosa che i due giovani facevano tutti gli anni e, dal momento che quella sera il giovane Winchester non sembrava essere molto partecipe, Benny aveva pensato di coinvolgerlo in questo modo. Ma l’idea di Benny, a quanto pare, era servita solo per porre l’accento sulla scarsa partecipazione di Dean, rendendo così manifesta anche la sua distrazione.
“Ok, tocca a me” – intervenne Benny – “Guarda e impara, Dean” – ridacchiò poi, mettendosi in posizione.
Benny imbracciò il fucile e dopo qualche secondo premette il dito sul grilletto, lasciando che il colpo centrasse il bersaglio, facendolo così cadere.
Dean cercò di concentrarsi sul turno dell’amico, invano. Ben presto, infatti, la sua attenzione venne nuovamente catturata da Castiel, poco distante da lui. Il ragazzo dagli occhi blu stava scambiando qualche parola con Charlie, mentre finiva di mangiare una frittella che la giovane gli aveva offerto poco prima.
Da quando si erano scambiati quelle poche parole, così cariche di tensione, Dean non lo aveva perso di vista un solo istante, come se continuare a guardarlo servisse a placare almeno un po’ la preoccupazione che aveva nei suoi confronti. Perché era di questo che si trattava: Dean era preoccupato per Castiel. Dall’inizio della serata, il numero dei visitatori del luna park era aumentato sensibilmente, tanto che, in alcuni punti, era difficile persino muoversi. Dean si era chiesto più volte se Castiel stesse bene, se il fatto di essere in mezzo a così tanta gente non lo facesse sentire a disagio, come accadeva spesso. E, al solo pensiero, Dean non riusciva a stare fermo. Avrebbe voluto fare di più, avvicinarsi, magari chiedendo direttamente all’altro se si sentisse bene o se ci fosse qualcosa che non andava. Ed era proprio in quei momenti che, rimanere solo ad osservarlo, sembrava non essere sufficiente, e così il suo corpo agiva d’istinto, per sopperire a questa mancanza. Infatti il ragazzo si era ritrovato spesso a seguire i movimenti di Castiel, in alcune occasioni ad anticiparli persino, fino a quando non si rendeva conto di sfiorare il suo spazio personale. E, a quel punto, faceva un passo indietro, per paura di una sua possibile reazione.
“Smettila di fare quella faccia, sembri un cane bastonato” – lo richiamò Benny, di fianco a lui.
Il biondo si voltò, incrociando gli occhi azzurri dell’amico, e poi distolse lo sguardo, abbassandolo.
“Ehi” – disse l’altro, riportando l’attenzione di Dean su di sé – “Mi dici che succede?” – chiese più dolcemente, facendo un cenno del capo in direzione di Castiel.
Dean indugiò un attimo, passandosi una mano sul viso, e infine scrollò la testa.
“Niente” – smozzicò, avvicinandosi a Benny e prendendo il fucile dalle sue mani, per poi posizionarsi dietro al bancone e puntare verso il bersaglio.
 
“Castiel” – disse Charlie, agitando piano una mano di fronte agli occhi blu dell’altro per attirare la sua attenzione.
Castiel sussultò leggermente di fronte a quel gesto e batté le palpebre due volte, incrociando così lo sguardo dell’amica.
“Va tutto bene?” – chiese lei.
Castiel esitò, rigirandosi tra le mani la frittella che, poco prima, l’amica gli aveva offerto.
“Sì…” – rispose, infine.
Charlie lo osservò per qualche secondo e arricciò le labbra, annuendo, poco convinta.
Castiel abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con l’impasto della frittella.
Da quando aveva messo piede nel luna park, il suo disagio si era presentato puntuale come al solito, ed era cresciuto mano a mano che il tempo passava. Inizialmente il ragazzo aveva cercato di distrarsi, guardandosi in giro, ma si era reso conto, ben presto, che questo non faceva altro che aumentare il suo senso di disagio e di frustrazione. Intorno a lui, le persone si spostavano, parlavano tra di loro, ridevano e gesticolavano nel più assoluto silenzio. Le giostre e le diverse attrazioni si muovevano con velocità diverse, generando ancora più caos e confusione. Le luci e i colori sfarfallavano in maniera febbrile nel buio della sera, confondendosi tra di loro e sintonizzandosi con i diversi odori presenti nell’aria, dando così vita ad un ambiente talmente sovraccarico di stimoli che Castiel ne era rimasto sopraffatto. Più volte il ragazzo aveva distolto lo sguardo, per isolarsi anche visivamente da tutto quello. Ma la vista, e Castiel lo sapeva bene, è un senso di vitale importanza per una persona affetta da sordità, perché ad essa viene affidato tutto ciò che riguarda la comunicazione, la comprensione e la localizzazione di sé nello spazio circostante. Il giovane, infatti, era stato costretto a sforzarsi e a seguire quantomeno gli spostamenti degli altri ragazzi, per non perderli di vista e rimanere così indietro. In diverse occasioni, il suo senso di smarrimento in mezzo a tutto quel caos, lo aveva spinto a cercare con gli occhi la figura di Dean. La presenza del biondo, in un certo senso, lo aiutava, anche se, allo stesso modo, era essa stessa motivo di difficoltà. Perché, nel momento stesso in cui Castiel aveva accettato di andare al luna park, lo aveva fatto per dimostrare all’altro che sapeva badare a sé stesso e che pertanto non era necessario che Dean facesse delle rinunce per lui. Ma quando, nei momenti più difficili, si era aggrappato all’immagine di Dean, Castiel si era sentito come se stesse tradendo il suo proposito e fallendo così nel suo intento iniziale, e cioè di essere in grado di stare in mezzo a così tante persone. Inoltre, Castiel aveva percepito spesso lo sguardo di Dean su di sé e, proprio per questo, aveva deciso di stringere i denti e di resistere, limitandosi quindi a stare accanto a Charlie e cercando di non dare troppo nell’occhio, e di non lasciar trapelare nulla della tempesta di emozioni contrastanti che infuriava in lui, per non dare all’altro la possibilità di capire che qualcosa non andava.
All’improvviso qualcosa sfiorò il suo braccio, facendogli sollevare lo sguardo.
“Vuoi assaggiare?” – chiese la giovane, sorridendo e porgendogli dello zucchero filato.
Il ragazzo abbozzò un sorriso e annuì, per poi prendere delicatamente un fiocco di zucchero filato tra le dita e portarselo alla bocca.
“È buono, vero?” – domandò la rossa.
“Sì” – confermò Castiel, facendo indugiare un polpastrello sulle labbra.
“Allora” – riprese lei – “Ti va di provare qualche giostra?”
“Quale?”
“Quella che vuoi” – disse la ragazza, scrollando le spalle.
Il moro schiuse le labbra, esitando.
“Io non…non saprei” – disse poi, guardandosi in giro.
Dopo qualche secondo i suoi occhi si posarono sull’immensa struttura, dall’elegante figura geometrica, che si ergeva in lontananza: la ruota panoramica. Castiel si soffermò a guardarla, cercando di inquadrare qualche dettaglio. Era decisamente maestosa e capace di dominare la scena, facendo passare tutto il resto in secondo piano. Sottili strisce fluorescenti correvano ad intermittenza lungo tutte le sue linee, esplodendo di tanto in tanto in un gioco brillante di luci e colori, dalle forme più disparate, reso ancora più prezioso dal cielo buio che faceva da cornice.
Quando si voltò di nuovo verso Charlie, Castiel si accorse che la ragazza lo stava osservando, con aria maliziosa.
“La ruota panoramica, eh?” – disse lei, trattenendo un sorriso.
Castiel socchiuse gli occhi e inclinò leggermente il viso.
“Uhm, potrebbe essere un’idea” – continuò l’altra – “Perché non vai con lui?” – lo esortò poi, indicando Dean con un cenno del capo.
Castiel si morse un labbro, evitando di rispondere.
A dire la verità, non appena il ragazzo aveva visto la ruota panoramica, il suo primo pensiero era stato proprio quello di andarci con Dean. Ma, di nuovo, il giovane era rimasto bloccato dal proprio conflitto interiore, che oscillava in lui senza sosta. Una parte di sé, infatti, avrebbe voluto farlo, avrebbe voluto approfittare di quel momento per stare vicino a Dean, perché sarebbe stato l’unico modo per mitigare il suo disagio e tranquillizzarsi, senza dover andare appositamente da Dean e fallire così nello scopo che si era prefissato. Un’altra parte di lui, invece, respingeva quell’idea, a causa della tensione che c’era ancora tra loro. Castiel desiderava la vicinanza del suo ragazzo, ma contemporaneamente la temeva. Una volta lassù, da soli e sospesi nel vuoto, cosa sarebbe successo? Di cosa avrebbero parlato, dopo tutto quello che si erano detti?
Di fronte al silenzio dell’amico, Charlie sospirò, affranta.
Sin da quando aveva visto Dean in quelle condizioni a scuola, aveva capito che c’era qualcosa che non andava e il suo intuito l’aveva portata ad ipotizzare che, in qualche modo, c’entrasse Castiel. Ed era stato proprio per questo motivo che aveva deciso di mandare quel messaggio al ragazzo con gli occhi blu.
In quel momento Charlie si rese conto di averci visto giusto. Il fatto che Dean e Castiel si fossero presentati ognuno per i fatti suoi, la freddezza nelle poche parole che si sono scambiati, la distanza che mantenevano l’uno dall’altro…tutto portava ad un’unica conclusione: tra i due ragazzi c’erano dei problemi.
Charlie si sentì molto dispiaciuta, perché voleva loro molto bene e ci teneva particolarmente. Pertanto, decise di intervenire e di prendere in mano la situazione, con la speranza di farli riavvicinare e si girò di sfuggita verso Dean e Benny, sotto lo sguardo interrogativo di Castiel.
“Dai, vieni” – disse poi, incitandolo a seguirla.
 
“Ehi, stronzetti” – disse Charlie, facendo voltare Dean e Benny.
“Che succede?” – intervenne subito il biondo, con una leggera apprensione nella voce e puntando subito gli occhi su Castiel.
La ragazza sollevò le sopracciglia, sospesa.
“N-niente, non è successo niente” – rispose lei – “Avete finito qui?” – disse poi, alzandosi in punta di piedi e sbirciando oltre le spalle dei due ragazzi.
“Sì, direi di sì” – disse Benny – “A meno che Dean non voglia un’altra rivincita”.
Dean si limitò a scuotere il capo.
“Ok, allora che ne dite di provare qualche giostra? Castiel vorrebbe andare sulla ruota panoramica”.
“Cosa? No!” – disse perentorio Dean, continuando a guardare Castiel.
Il moro spalancò gli occhi e schiuse leggermente la bocca.
“Perché no?” – domandò Charlie, confusa, guardando ora l’uno ora l’altro.
“Tu non sali su quell’aggeggio” – proseguì Dean, sempre rivolto al giovane e ignorando la domanda dell’amica.
Le labbra di Castiel si strinsero in una linea dura e il ragazzo serrò entrambe le mani in un pugno.
“Dean, ma cosa…” – tentò Charlie.
“E questo chi lo decide? Tu?” – ribatté Castiel, interrompendola.
“Beh, sì!”
“Davvero, Dean? Quindi quello che voglio io non conta più niente?”
Dean serrò la mascella, preso in contropiede.
“Non ho detto questo…”
“E invece sì, Dean, hai detto proprio questo”.
Il giovane Winchester serrò le palpebre per qualche istante, per poi riaprirle e fare un profondo respiro.
“Io…io preferirei che tu non salissi sulla ruota” – disse poi, addolcendo sia il tono che i lineamenti del viso, e facendo un passo in avanti verso l’altro.
“Perché?” – chiese il moro.
Dean si prese del tempo per rispondere e cercò gli occhi di Castiel, nella speranza che il ragazzo capisse, in modo da non doverlo dire di fronte a tutti, ma invano.
“Perché…potresti stare male…” – mormorò, infine.
Il blu delle iridi di Castiel si increspò leggermente e Dean se ne accorse.
“Me lo hai detto tu che alcune situazioni possono…sì, insomma…” – si affrettò a spiegare, gesticolando con una mano.
Castiel distolse lo sguardo, colpito dalla veridicità di quelle parole. Il giovane sapeva che la possibilità di avere una vertigine su una giostra era maggiore, ma quando aveva visto la ruota panoramica, quel problema era come scivolato via dalla sua mente, passando così in secondo piano. Quello che aveva detto Dean, però, lo aveva riportato prepotentemente alla sua attenzione e questo infastidì il ragazzo dagli occhi blu, perché esso rappresentava per lui l’ennesimo ostacolo. Castiel sentì la rabbia e la frustrazione agitarsi dentro di sé. Non poteva arrendersi così, e lasciare che questa cosa rendesse vana tutta la fatica fatta finora. Non voleva. E non gli importava cosa sarebbe successo, sarebbe salito su quella giostra a qualsiasi costo e lo avrebbe fatto senza Dean.
Il giovane tornò a guardare Dean, con un’espressione ferma.
“Non accadrà” – si limitò a dire.
“Cas…”
“Non succederà niente” – ribadì l’altro.
Il biondo sollevò gli occhi al cielo e sbuffò forte.
“Perché fai così?”
“Così, come?” – si risentì Castiel.
“Perché devi essere così testardo? Cosa stai cercando di dimostrare?”
“Niente”.
“A me sembra di sì, invece”.
“Io voglio andare sulla ruota e basta” – replicò il giovane – “E non ho bisogno del tuo permesso per farlo”.
“Ok, ok…” – si arrese Dean, sollevando le mani davanti a sé – “Se proprio vuoi andare, va bene…ma verrò anche io, salirai con me”.
“No”.
“Come sarebbe a dire no?”
“Non c’è bisogno che venga anche tu, so badare a me stesso”.
“E così tu non staresti dimostrando niente, eh?”
“Ti ho già detto che non sto cercando di dimostrare niente”.
“E allora perché non vuoi che venga anche io con te?”
“Perché posso benissimo andarci da solo!” – sbottò fuori Castiel, alzando la voce.
Dean serrò la mascella e lo guardò duramente.
“Sai che c’è, Cas? Vai pure! Ma se poi succede qualcosa non venire a piangere da me!” – ringhiò, puntando l’indice contro l’altro.
“Ehi, ehi, calma!” – intervenne ad un tratto Charlie, frapponendosi tra i due.
Fino a quel momento, la giovane e Benny erano rimasti in disparte, per lasciar spazio agli altri due, ma le cose erano precipitate al punto tale da convincere la ragazza a fare qualcosa.
“Facciamo così” – esordì poi – “Vengo io con te sulla ruota panoramica, se vuoi” – disse, rivolta a Castiel – “E se dovesse succedere qualcosa ti chiamo, ok?” – proseguì, in direzione di Dean.
Dean fece saettare gli occhi prima su Charlie e poi su Castiel.
“Ma sono sicurissima che non succederà nulla” – si affrettò ad aggiungere lei, per tranquillizzarlo.
Nessuno dei due ragazzi proferì parola, e la tensione tra loro non accennava a diminuire. Charlie, in evidente difficoltà, rivolse a Benny uno sguardo eloquente, che supplicava l’amico di darle una mano.
“Anche io sono sicuro che non succederà nulla” – si fece avanti il ragazzo, mettendo una mano sulla spalla di Dean.
“Allora, siamo d’accordo?” – chiese Charlie cauta, valutando le espressioni dei due.
“Sì, sì, voi andate pure” – rispose Benny, liquidando così la questione.
“Ok, ci vediamo dopo” – replicò lei, allontanandosi poi con Castiel al suo fianco.
Benny li osservò, mentre sparivano tra la folla, sospirando forte. Quando si voltò, vide lo sguardo di Dean smarrito nel vuoto, e si passò una mano sul viso.
“Ok, amico…io e te, invece, ci facciamo un giro”.          
 
 
°°°
 
 
“Ti piace?” – chiese Charlie, sorridendo dolcemente.
Castiel si appoggiò alla barra di metallo davanti a sé con entrambe le mani, percependone la freddezza al tatto, e si sporse leggermente. Mentre la cabina della ruota panoramica si alzava pigramente, sotto di essa il mondo di luci e colori del luna park si allontanava, facendosi via via sempre più piccolo e assumendo quasi le sembianze di un microcosmo.
Castiel scrutò la folla di persone sottostante, che diventava sempre più indistinta. I suoi occhi saettavano qua e là, come se fossero alla ricerca di qualcosa. Il ragazzo era consapevole di cosa stesse cercando, anche se una parte di sé lo negava. La discussione che aveva avuto poco prima con Dean aveva dato un ulteriore scossone alle sue certezze e lo aveva portato a fare un altro passo indietro, aumentando così la distanza emotiva tra lui e il suo ragazzo.
Il giovane si morse un labbro e strinse le dita sulla barra.
All’improvviso, una mano delicata si appoggiò piano sulla sua, facendolo voltare.
“È tutto ok?” – chiese Charlie.
“Sì…”
La ragazza osservò l’altro, pensierosa. Da quando si erano allontanati dagli altri, Castiel non aveva detto più nulla, ma la giovane sapeva che lo scontro, al quale aveva assistito, aveva seriamente turbato l’amico. Charlie ne poteva vedere i segni sul suo volto, nell’espressione dei suoi lineamenti, nella linea serrata delle labbra, nel blu dei suoi occhi divenuto leggermente lucido.
“Castiel” – lo richiamò lei – “Ti va se parliamo un po’?”
Il ragazzo esitò un attimo di fronte a quella richiesta, ma alla fine annuì.
“Ok, so che non sono affari miei, ma…” – iniziò la rossa, portandosi con due dita una ciocca di capelli dietro l’orecchio – “Cosa succede tra te e Dean?”
Castiel serrò la mascella, irrigidendosi. Cosa avrebbe dovuto dire? La verità? Per lui Charlie era sempre stata una persona speciale, e sapeva di poter parlare liberamente con lei di ogni cosa, ma…era giusto coinvolgerla in quel modo?
Il giovane si prese un attimo e poi scrollò la testa.
“Oh, andiamo, Castiel!” – lo rimproverò dolcemente lei – “Non sono mica stupida. Si vede lontano un miglio che c’è qualcosa che non va”.
Castiel fece per aprire bocca e dire qualcosa, ma fu subito interrotto dall’altra.
“E poi non puoi pretendere che io ti creda, dopo aver visto la scena di poco fa” – incalzò la giovane.
Castiel abbassò lo sguardo, senza dire nulla.
Charlie sospirò leggermente, di fronte alla reticenza dell’altro.
“Ehi” – lo richiamò, toccandogli un braccio – “Qualsiasi cosa sia successa, non può essere così terribile” – lo rassicurò poi, abbozzando un sorriso.
Lui incrociò i suoi occhi, ma non rispose.
“Oddio” – riprese lei, aggrottando la fronte, in preda al dubbio – “È così terribile? Non ti ha tradito, vero? Perché giuro che se ha fatto una cosa simile, io-”
“Dean…” – iniziò Castiel, interrompendo così lo sproloquio dell’amica – “Si comporta come…come se…” – si fermò, non riuscendo ad andare avanti.
“Come se?” – fece eco l’altra, incoraggiandolo a continuare.
Il ragazzo dagli occhi blu fece un profondo respiro.
“Come se fossi una cosa fragile…”
La giovane schiuse leggermente le labbra, sorpresa.
“Uhm, e sai dirmi in che modo lo fa?” – chiese poi, cauta.
“È…si preoccupa…sempre, di continuo. Non fa altro che…” – gesticolò l’altro.
Charlie abbozzò un sorriso.
“Beh, questo non mi stupisce”.
Castiel inclinò leggermente il viso, con aria interrogativa.
La rossa sbuffò in una piccola risata.
“È così tipico di Dean” – spiegò poi.
Castiel non riuscì a rispondere, consapevole che quanto detto dall’amica fosse vero.
“Dean tiene molto a te, è normale che si preoccupi…”
“Lo so, ma…” – sospirò il moro.
“C’è dell’altro, vero?” – chiese lei, a colpo sicuro.
Il giovane deglutì un paio di volte e annuì.
Charlie rimase in attesa, lasciando all’altro tutto il tempo di cui aveva bisogno.
“Lui…” – iniziò Castiel, stropicciandosi le mani, visibilmente a disagio – “Lui rinuncia a delle cose, per me…”
La ragazza aggrottò la fronte.
“Cioè?”
Castiel si lasciò andare lentamente contro lo schienale del seggiolino sul quale era seduto insieme a Charlie, e puntò lo sguardo davanti a sé. L’altezza che avevano raggiunto con la giostra, consentiva loro di vedere la cittadina di Lawrence da una prospettiva diversa, al punto tale da rendere quel posto quasi irriconoscibile. Un tiepido soffio di vento li accarezzò, sostituendosi al silenzio che si era creato in quel momento.
“Dopo quello che è successo alla partita nella vostra scuola…lui si inventava qualche scusa per non uscire con voi e per fare in modo che fossimo quasi sempre io e lui da soli”.
Charlie trattenne il respiro per qualche secondo, stupita.
“D-davvero?”
“Sì…”
“Oh…”
“Non so cosa vi dicesse, ma a me diceva che avevate degli impegni...anche se non era vero” – aggiunse Castiel.
La ragazza fece una lieve smorfia di disappunto.
“E tu come…cioè, come lo hai scoperto?”
“Una sera, per caso…”
“Ah…”
“Ti ricordi quel messaggio che mi hai mandato? Quello dove mi chiedevi se io e lui fossimo scappati a Las Vegas?”
“Sì, ricordo…”
“È partito tutto da lì…” – mormorò il giovane, giocherellando con le dita delle mani.
“Oddio…” – sussurrò lei, mettendosi le mani sul viso – “Mi dispiace, io non lo sapevo, ti prego, credimi, io non-”
“Non è colpa tua, Charlie” – la interruppe Castiel – “Tu non hai fatto niente. È lui che mi ha mentito…”
Charlie si prese un momento, per riordinare i pensieri.
“Quindi, quando dici che Dean rinuncia a delle cose per te…intendi dire che rinuncia ad uscire con noi?” – chiese poi.
“Sì…”
“E perché lo farebbe?”
“Lui vuole evitare tutti quei posti che…” – esitò l’altro, con voce incrinata – “…che possono mettermi a disagio…”
Charlie non disse nulla e si limitò a guardare l’amico.
“Beh, anche questo è tipico di Dean” – disse poi, dolcemente.
“Ma io non voglio che lo faccia” – ribatté il giovane – “Quando fa così io…” – si fermò incapace di proseguire.
“Tu, cosa?” – lo incitò lei, piano.
Castiel distolse lo sguardo, socchiudendo leggermente gli occhi.
“Io mi sento un peso per lui…” – mormorò in seguito, flebile.
“No, no, ehi” – intervenne la giovane, prendendogli la mano e stringendola nella propria – “Tu non sei un peso per Dean. Non sei un peso per nessuno, chiaro?”
“E invece sì…”
“No Castiel, non è così. Credimi” – replicò lei, decisa – “Ok, ammetto che Dean ha sbagliato a fare le cose senza dirti niente e a mentirti, ma sono sicura che lo ha fatto per te, perché tu sei molto importante per lui…”
Charlie si prese una pausa, sospirando.
“In fondo l’amore è proprio questo, no?” – proseguì poi.
Castiel la guardò, confuso.
È mettere il bene di qualcun altro prima del tuo” – spiegò lei.
Gli occhi blu di Castiel si spalancarono, mentre le labbra si schiusero, tremanti.
Charlie sorrise dolcemente, per poi scrollare piano la testa.
“Oddio, non posso crederci di aver citato Frozen” – ammise, incredula.
Castiel le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Lascia stare” – liquidò lei, con un gesto della mano.
Ad un tratto, un lieve scossone della cabina attirò la loro attenzione. Charlie si guardò un attimo intorno, per poi tornare a guardare di nuovo l’altro, un po’ delusa.
“Beh? È già finito il giro?”
 
 
°°°
 
 
“Tieni” – disse Benny, porgendo a Dean una Coca Cola.
“Grazie…” – mormorò Dean, prendendo la lattina e rigirandosela tra le mani.
Benny si sedette accanto a lui, sulla prima panchina libera che i giovani avevano trovato, e iniziò a frugare dentro ad un sacchetto.
Dopo essersi separati da Charlie e da Castiel, Benny aveva trascinato l’altro a fare un giro e, alla fine, i due si erano fermati presso un chiosco, per comprare degli hot dog.
“Per te” – disse ancora Benny, togliendo un panino ancora caldo dal sacchetto e mostrandolo al biondo.
“No, grazie…” – tentò Dean.
“Amico, mangia questo hot dog e basta” – replicò Benny, perentorio.
Dean sospirò e accettò l’offerta del giovane, iniziando a masticare svogliatamente.
I due rimasero in silenzio, fino a quando Benny non terminò il suo panino.
“Ok” – esordì allora, pulendosi le mani con un tovagliolo e accartocciando il sacchetto, ormai vuoto – “Avanti, sputa il rospo”.
Il biondo abbassò lo sguardo, deglutendo a fatica il boccone.
“Dean” – lo richiamò l’altro.
“Benny…” – protestò debolmente Dean.
“Non ce ne andiamo di qui finché non mi dici cosa sta succedendo” – minacciò l’amico.
Dean si voltò, incrociando gli occhi azzurri del ragazzo che lo stavano guardando. Fece per aprire bocca, come per dire qualcosa, ma poi la richiuse subito.
“Tu e Castiel avete litigato?” – domandò allora Benny, con calma – “Voglio dire…prima di stasera” – precisò.
Dean indugiò un attimo e infine annuì.
“Cos’hai combinato?”
“Perché dai per scontato che sia colpa mia?” – si risentì l’altro.
“Perché ti conosco” – sorrise piano l’amico.
Dean distolse lo sguardo.
“Allora?” – lo incitò il ragazzo.
Il giovane Winchester si passò una mano sul viso.
“Ho…ho fatto una cosa” – ammise poi.
“Lo sapevo”.
“Benny” – lo ammonì Dean.
“Dai, vai avanti”.
Dean prese un profondo respiro prima di proseguire.
“Ho nascosto delle cose a Cas…”
“Quali cose?”
“Ogni…ogni volta che uscivamo…facevo in modo che fossimo solo io e lui…”
“Beh, non mi sembra una cosa così terribile…”
“Ma lui mi chiedeva di voi, e io…” – si interruppe – “Io gli dicevo che voi avevate altri impegni, anche …anche se non era vero…”
Benny corrugò la fronte, perplesso.
“Perché?”
“Perché così potevo portare Cas in posti tranquilli…e lui non era costretto a stare in mezzo a tante persone”.
Davanti a quell’ammissione, Benny si posò una mano sugli occhi.
“Cazzo, Dean…”
“Lo so, ho sbagliato, ma l’ho fatto per lui…” – si affrettò a dire l’altro – “Dopo quella volta a scuola io…”
Dean si zittì, incapace di proseguire.
Benny si soffermò a guardare l’amico e sopirò.
“Dean” – lo richiamò – “Castiel non è un bambino, sa quello che fa. E tu sei troppo apprensivo, devi lasciarlo fare”.
“Come posso lasciarlo fare? Ti sei dimenticato cos’è successo a scuola?”
“No, ma-”
“Lui non è come noi!”
“Non lo hai detto veramente…”
“Ma è così, Benny! Lui è diverso!” – esclamò Dean, agitandosi sul posto – “Ha dei limiti, ma non vuole ammetterlo! E ogni volta sembra che voglia mettersi alla prova per dimostrare chissà cosa! Lo hai visto anche tu prima, per la ruota panoramica?”
“Dean…”
“Non fraintendermi, a me…a me lui va bene così, è sempre andato bene così e glielo continuo a dire, ma lui ha la testa dura e…”
“Secondo te perché si comporta così?”
“Lui…lui continua a dire di essere un peso per me, ma non lo è, non lo è mai stato…e gliel’ho ripetuto un sacco di volte, maledizione!” – rispose Dean, guardandosi le mani.
 
“Dean” – riprese Benny, dopo un po’ – “Io credo che tu debba dare più fiducia a Castiel. Con questo non sto dicendo che devi smettere di preoccuparti per lui, è solo che…dagli più spazio, lascia che faccia certe cose, anche se sai che per lui è difficile. E se alla fine non dovesse farcela, tu sei comunque lì, sei presente. Se tu sei il primo a non avere fiducia in lui, come fa lui ad averne in sé stesso?”
Dean abbassò le spalle, visibilmente affranto.
“Io voglio solo che lui stia bene…” – sussurrò poi, con lo sguardo perso nel vuoto.
I due ragazzi rimasero in silenzio per un po’, lasciando che il mondo intorno a loro scivolasse via piano, insieme al trascorrere del tempo.
“Ehi” – lo richiamò Benny ad un certo punto, alzandosi dalla panchina.
“Uhm?”
“Sono tornati”.
 
“Allora, com’è andata?” – chiese Benny, non appena Charlie e Castiel furono vicini.
“Uhm” – rispose lei, alzando le spalle – “È durato troppo poco per i miei gusti”.
Benny ridacchiò piano.
“E tu che dici, Castiel? Ti è piaciuto?” – domandò poi.
Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso e annuì.
Benny lanciò un’occhiata a Dean, di fianco a lui, aspettando che anche l’amico dicesse qualcosa, invano.
Dean aveva lo sguardo fisso su Castiel, con un’espressione che Benny conosceva bene. E, per questo, il ragazzo incrociò velocemente gli occhi di Charlie, scambiandosi con lei uno sguardo d’intesa.
All’improvviso Dean fece un passo in avanti verso Castiel, scrutandolo attentamente. Le labbra del ragazzo erano un po’ pallide, mentre i suoi occhi blu evitavano di incontrare quelli di Dean. Dean sentì una sensazione nel petto, come se il suo corpo avesse già intuito qualcosa che alla sua mente ancora sfuggiva.
“Che cos’hai?” – chiese dopo un po’, ricercando l’attenzione dell’altro.
Il moro incrociò le iridi verdi di Dean per un istante.
“N-niente”.
“Sei sicuro?” – incalzò l’altro.
“Sì…”
Dean non replicò, ma si limitò ad osservarlo, poco convinto.
“È successo qualcosa?” – domandò poi.
Castiel scrollò la testa, guardando l’altro con decisione.
Dean sostenne lo sguardo, umettandosi le labbra.
“È successo qualcosa?” – ripeté ancora, questa volta rivolto a Charlie.
“No, non è successo niente” – lo tranquillizzò lei.
“Davvero? Me lo assicuri?” – ribatté il biondo, incalzandola.
La giovane indugiò un attimo, guardando Castiel con la coda dell’occhio.
“Charlie” – la richiamò Dean – “C’è qualcosa che mi devi dire?”
La rossa batté due volte le palpebre, prendendo tempo.
“No…” – disse infine.
“Perché lo stai chiedendo anche a lei?” – intervenne Castiel, accigliandosi.
“Perché ho come l’impressione che tu non mi stia dicendo la verità”.
“Ma io ti sto dicendo la verità” – replicò l’altro, duramente.
“Davvero?” – chiese Dean, sollevando un sopracciglio.
Le labbra di Castiel si mossero leggermente, senza emettere alcun suono.
Di fronte a quella inconsapevole e muta ammissione, Dean sentì la rabbia accendersi in piccole scintille.
“Sei proprio sicura di non dovermi dire niente?” – proseguì, in direzione di Charlie.
“Io non…” – disse debolmente lei.
“Non ti deve dire niente perché non c’è niente da dire!” – sputò fuori Castiel, parandosi di fronte a Dean.
Dean digrignò i denti, infastidito dalla reticenza del moro.
“Adesso sei tu quello che mente?”
Castiel serrò le mani in un pugno, preso in contropiede.
“Hai avuto una vertigine, vero?” – infierì il biondo, sicuro.
Il ragazzo dagli occhi blu distolse lo sguardo, d’istinto.
“Dimmelo!” – lo sollecitò Dean.
“Dean…” – lo richiamò Charlie, dietro di lui.
“Che c’è, adesso vuoi parlare?” – sibilò Dean verso di lei – “Sbaglio, o avevi detto che mi avresti chiamato, se fosse successo qualcosa?”
“Dean, io…”
“Vi siete messi d’accordo per non dirmelo, voi due, eh?” – sputò fuori il giovane Winchester con rabbia, indicandoli con un gesto della mano.
“Lei non c’entra nulla, le ho chiesto io di non dire niente!” – ribatté Castiel, a voce alta.
Dean si voltò di scatto verso il ragazzo dagli occhi blu, mentre la rabbia ormai ardeva viva, annebbiando i suoi pensieri.
“Perché?” – chiese poi.
Castiel non disse nulla.
“Rispondimi, dannazione!” – ringhiò Dean.
“Perché sapevo che avresti reagito così!” – gridò l’altro – “Sapevo che ti saresti arrabbiato e non-” – si interruppe, senza proseguire.
“Certo che sono incazzato! Ti avevo detto di non andare, perché sapevo che sarebbe andata a finire così, ma tu non mi hai dato retta, e questi sono i risultati!”
“Beh, bravo Dean, avevi ragione ancora una volta” – replicò sottile l’altro, battendo lentamente le mani in un sardonico applauso.
“Qui la ragione non c’entra un cazzo! Lo sai che te l’ho detto perché ero preoccupato!”
“Oh, credimi, lo so benissimo. Tu non fai altro!”
“Ti dà così tanto fastidio che mi preoccupi per te?” – domandò il biondo, risentito.
“Sì!” – sbottò fuori Castiel, per poi bloccarsi e impallidire, rendendosi conto di quanto appena detto – “No, cioè…” – farfugliò, in difficoltà – “È che…la devi smettere di fare così ogni volta” – concluse, esasperato.
Dean serrò la mascella.
“Come puoi pretendere che io smetta di preoccuparmi per te? Io mi sento responsabile per te, anche nei confronti della tua famiglia!”
Castiel trattenne il respiro per un attimo.
“D-della mia famiglia?” – ripeté poi, incredulo.
“Sì, Cas! Loro si fidano di me! Sono tranquilli quando esci con me!”
Castiel spalancò gli occhi, quasi inorridito.
“Io non ho bisogno di una balia per uscire, Dean!”
“Ma io non sono una balia! Sono il tuo ragazzo! E come tuo ragazzo ho il sacrosanto diritto di preoccuparmi per te!”
“E io non voglio che tu lo faccia! Sono in grado di badare a me stesso!”
“Non mi sembra!”
Castiel percepì un dolore al petto improvviso e fece inconsapevolmente un passo indietro, mentre gli occhi iniziavano a pungere. In preda all’angoscia, si guardò intorno, per rendersi conto che molte persone si erano fermate, richiamate dalle loro grida. Il giovane fece un altro passo indietro e poi si voltò, pronto ad allontanarsi da tutto e da tutti, soprattutto da Dean. All’improvviso, si sentì trattenuto da una mano e si voltò.
“Dove credi di andare?” – disse Dean, guardandolo duramente negli occhi.
“Lasciami!” – esclamò l’altro, opponendo resistenza.
“No, tu adesso vieni con me” – asserì Dean, perentorio, prima di trascinarlo via con un brusco gesto, incurante delle proteste dell’altro.
“Dean!” – lo richiamò Charlie.
“Lasciali stare” – intervenne Benny, accanto a lei.
“Ma…” – tentò la giovane, visibilmente preoccupata.
“È meglio così, credimi” – la rassicurò l’amico – “Forse è la volta buona che si chiariscono”.
La ragazza tornò a guardare gli altri due, ormai lontani, e sospirò, affranta.
“Forza” – la incoraggiò Benny, mettendole un braccio attorno alle spalle – “Andiamo a recuperare Chuck e Becky”.
 
“Ho detto lasciami, Dean!”
Castiel continuò a ribellarsi a quella improvvisa presa di posizione di Dean, cercando di divincolarsi dalla sua mano che gli stringeva il polso, quantomeno di fermarsi, puntando i piedi per terra. Tuttavia, nessuno dei suoi tentativi sortì l’effetto sperato. La stretta di Dean era forte e decisa, e non accennava minimamente a cedere.
Dean continuò a camminare, senza mai voltarsi e incurante delle proteste di Castiel, fino a lasciarsi definitivamente alle spalle la confusione luccicante e colorata del luna park.
Ad un tratto, i due ragazzi si trovarono su un grande prato, rischiarato debolmente di riflesso dalle luci delle attrazioni, in lontananza. Intorno a loro non c’era nessuno e l’aria sembrava più fresca. Ad un certo punto, Dean si fermò e si voltò, strattonando l’altro verso di lui e stringendolo a sé in un abbraccio impetuoso.
Castiel si ritrovò tra le braccia di Dean senza neanche rendersene conto e, in un primo momento, non riuscì neanche a muoversi. Percepire il tocco, il calore e l’odore di Dean, dopo tutti quei giorni si separazione, fu come un’onda che lo sommerse completamente. Ma dopo l’impatto iniziale, quell’onda di emozioni si ritirò piano, facendo sì che la mente riprendesse il controllo del suo corpo e del proprio cuore.
“S-smettila…” – protestò.
Dean rispose stringendolo ancora di più a sé.
“L-lasciami andare…” – tentò di nuovo l’altro.
Il biondo si sostò leggermente e Castiel puntò i palmi contro il suo petto per allontanarlo ulteriormente e mettere più distanza tra loro, ma Dean gli prese il viso tra le mani, costringendolo così a guardarlo negli occhi.
Castiel scrutò le iridi verdi di Dean, rendendosi conto che non erano più dure e piene di rabbia come poco prima, ma che erano tornate calde e gentili come quelle che aveva sempre conosciuto.
“Mi dispiace…” – disse piano Dean.
Castiel schiuse leggermente le labbra, sorpreso.
“Mi dispiace di averti mentito…” – proseguì il biondo – “Ho sbagliato, lo so, ma se l’ho fatto è stato proprio per evitare tutto questo” – si affrettò ad aggiungere.
Dean fece scivolare via le proprie mani dal viso di Castiel, facendole ricadere lungo i fianchi.
“Cas, tu…tu devi renderti conto che non sei come gli altri, e devi accettarlo” – disse poi.
Dean si prese un momento, prima di andare avanti.
“Io l’ho fatto, sin da quando ti ho conosciuto…e soprattutto da quando ho deciso di stare insieme a te…”
Il moro non disse nulla.
“E cerco di prendermi cura di te come posso, ma…” – esitò Dean, umettandosi le labbra – “Tu non me lo permetti…”
Castiel continuò a guardare l’altro, in silenzio.
“Ogni volta che voglio aiutarti, tu…tu pensi di essere un peso per me. Lo so che lo pensi sempre. Ma quello a cui invece non pensi è che se io faccio tutto questo, è solo…è solo perché ti amo”.
Il cuore di Castiel saltò un battito.
 
“ti amo”
 
Quelle parole pronunciate da Dean presero forma nella mente di Castiel, per poi esplodere e diffondersi in tutto il suo corpo. Castiel le sentì scorrere dentro di sé, calde e travolgenti; le percepì pulsare sotto i polpastrelli delle dita, all’unisono con i battiti del suo cuore; le avvertì sprigionare un tepore delicato e appagante. All’improvviso il giovane si sentì leggero, come se fosse stato sciolto da un qualcosa che lo teneva ancorato a terra. I colori intorno a lui, sebbene smorzati dal buio della sera, divennero quasi più nitidi, come se un filtro, di cui non si era mai accorto, si fosse dissolto, permettendogli così di vedere tutto in maniera più chiara. I lineamenti del volto di Dean si fecero più definiti, portando alla luce dettagli che finora Castiel non aveva notato.
Il ragazzo dagli occhi blu incrociò lo sguardo dell’altro. Dean era lì, di fronte a lui, che lo guardava. E gli aveva appena detto che lo amava. Castiel sorrise dentro di sé, mentre un desiderio risaliva rapido dalla profondità della sua anima, affrettandosi a condensarsi nella sua gola, per poi spingere prepotentemente sulle sue labbra, smanioso di uscire. era il desiderio di ricambiare, di dire a Dean quello che provava, di confessargli che anche lui lo amava.
Castiel schiuse le labbra, pronto a liberare il suo sentimento e a donarlo all’altro.
 
“In fondo l’amore è proprio questo, no?”
 
Castiel sentì stringere la gola, mentre il suo desiderio iniziava a intorpidirsi impercettibilmente.
 
“È mettere il bene di qualcun altro prima del tuo”
 
Il giovane richiuse le labbra, e il dubbio si insinuò sottile, imbrigliando quel desiderio nei suoi confini e lasciando che perdesse pian piano la sua forza.
Cosa sarebbe successo se avesse detto a Dean che anche lui lo amava? Castiel era certo che l’altro ne avrebbe gioito, ma…sarebbe stato giusto dirglielo?
 
“È mettere il bene di qualcun altro prima del tuo”
 
Se avesse detto a Dean quello che provava per lui, avrebbe fatto il suo bene? In questo modo, avrebbe messo il bene di Dean prima del proprio? O piuttosto, avrebbe legato il giovane a sé ancora di più, confinandolo nella sua vita limitata? E ancora, cosa avrebbe comportato per Dean continuare a stare con lui? In cuor suo, Castiel conosceva le risposte a quelle domande, ma in quel momento la sua mente si rifiutava di vederle, inibita dalle conseguenze che esse avrebbero avuto sulla sua vita e su quella di Dean. Il giovane guardò di fronte a sé e vide Dean che lo osservava, con una sfumatura di aspettativa e disperazione fuse insieme al verde dei suoi occhi.
Castiel smise di respirare e fece un passo indietro.
“Mi dispiace…” – sussurrò flebile, per poi voltarsi e allontanarsi, consapevole del fatto che Dean lo stesse chiamando, anche se lui non riusciva a sentirlo.
 
 
 
 
 

 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Lo so, lo so, ultimamente l’andamento della storia si è fatto pesante e questo capitolo ha ulteriormente aggravato la mano. Non è stato facile per me scriverlo, ci ho impiegato parecchio, ma per fortuna ho avuto il supporto della mia beta (Juls <3 ).
Volevo farvi sapere che sto soffrendo esattamente come voi nel vedere come le cose tra Dean e Castiel abbiano preso una piega per niente piacevole e come ogni tentativo per aggiustare il tutto non faccia altro che peggiorare la situazione…nemmeno quel “ti amo”, quelle due parole che molti di voi aspettavano con impazienza. Comunque la storia è in corso e mancano pochi capitoli alla fine, forza e coraggio!
Mi piacerebbe conoscere le vostre impressioni in merito a come si stanno svolgendo i fatti, magari anche spiegandomi cosa avreste fatto voi in un frangente simile. Sono curiosa di vedere più punti di vista a riguardo ^^
Ah, quasi dimenticavo…per il luna park mi sono ispirata a varie immagini trovate su internet, soprattutto per la ruota panoramica. E ovviamente, la citazione di Frozen è quella che Olaf dice ad Anna ;)
Vi lascio con l’angolo delle fan art!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Fan art!

                            

 

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannove ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO DICIANNOVE
 
Dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto:
sorridere e piangere,
rinascere e morire.
Oppure, fermarti e tremarci dentro, come se fosse l’ultimo
 
Charles Bukowsky
 
 
 
 
“Hai intenzione di rimanere qui a guardarlo ancora per molto?” – disse Benny, affiancandosi a Charlie, all’inizio del corridoio.
“Maledizione, Benny!” – sussultò a voce bassa la giovane, mettendosi una mano sul petto.
“Che c’è?” – domandò lui, come se nulla fosse.
“Mi hai fatto prendere un colpo!” – lo rimproverò lei – “Smettila di comparire così alle spalle delle persone!”
Benny la guardò, ridacchiando.
“Nervosetta, eh?” – la pungolò poi.
“No”.
“Oh, andiamo…” – disse lui – “È da quando sei arrivata che ti guardi in giro, come se avessi paura di vedere qualcosa…o qualcuno” – specificò, indicando con un gesto del capo gli armadietti lungo il corridoio.
Alcuni metri più in là, Dean stava sistemando dei libri nel suo zaino.
La rossa sospirò pesantemente, facendo una smorfia.
“Credo che voglia uccidermi” – pigolò piano, stringendo la spallina della tracolla tra le dita.
Benny alzò gli occhi al cielo.
“Non ti vuole uccidere” – la tranquillizzò.
“E invece sì” – ribatté lei, affranta – “Per colpa mia lui e Castiel si sono messi a litigare, per poi sparire chissà dove e non tornare più…”
La giovane riportò la mente alla sera prima, quando tra Dean e Castiel si era accesa un’animata discussione, che si era poi bruscamente interrotta nel momento stesso in cui Dean aveva preso l’altro per un braccio e lo aveva portato via con sé. In seguito, non vedendoli più tornare, la ragazza aveva provato a contattarli, ma invano.
“Charlie, non è colpa tua” – puntualizzò lui, richiamandola dai suoi pensieri.
“Ho sbagliato…non avrei dovuto portare Castiel sulla ruota panoramica…e ho anche mentito a Dean sulla vertigine che ha avuto…” – insisté la ragazza.
“Beh, da quello che mi ha detto Dean, è probabile che Castiel ci sarebbe salito comunque, anche senza di te” – ribadì l’altro – “Charlie, quei due avevano già dei problemi, tu non c’entri nulla”.
“Ma mi sento in colpa…” – mormorò lei, mordendosi un labbro.
“Lo so, ma non devi, davvero” – disse Benny – “Dai, andiamo” – la incoraggiò poi, invitandola a seguirlo e a raggiungere Dean.
 
“Ehi, amico” – disse Benny, una volta avvicinatosi a Dean.
Il biondo si voltò un istante verso i due, per poi distogliere lo sguardo e tornare a sistemare i libri nello zaino, prendendoli dall’armadietto aperto di fronte a lui.
Benny si scambiò un’occhiata veloce con Charlie, di fianco a lui.
“Che cos’hai alla prima ora?” – domandò poi, col chiaro intento di tastare il terreno prima di fare domande inopportune.
Dean smise di fare quello che stava facendo per un attimo, come se stesse pensando alla risposta da dare.
“Storia, credo…” – mormorò infine.
“Ah, ok…”
Benny non disse più nulla e si limitò ad osservare l’amico, sospirando.
Il giovane Winchester chiuse l’antina dell’armadietto e si voltò iniziando ad allontanarsi, senza nessun cenno di saluto.
“Dean?” – lo richiamò Benny, d’istinto.
Dean si fermò, ma senza voltarsi, come se fosse indeciso su cosa fare. Dopo qualche secondo si girò piano.
“Che c’è?” – domandò, piatto.
“Ci vediamo in mensa per l’ora di pranzo?”
Il ragazzo rimase a guardare l’altro per qualche secondo, anche se Benny giurò di vedere i suoi occhi persi nel vuoto.
“Non lo so…” – rispose, per poi voltarsi di nuovo e dileguarsi lungo il corridoio.
 
Nei giorni seguenti, Dean si isolò sempre di più, sotto l’occhio attento e preoccupato di amici e familiari.
Durante le cene a casa Winchester, Mary non mancava di esternare la sua apprensione per il comportamento del giovane. Il figlio maggiore, infatti, non solo era di poche parole a tavola, ma addirittura lasciava gran parte della cena nel piatto e, cosa ancora più strana, aveva rifiutato la sua crostata preferita in più di un’occasione.
A scuola, la situazione non era certo delle migliori. Charlie e Benny, con l’aiuto e la complicità di Chuck, facevano in modo di cercare il più possibile un contatto con lui, ma Dean non rendeva loro le cose facili, per niente. Spesso non si presentava nemmeno a mensa e a nulla valevano i loro sforzi di chiamarlo o mandargli dei messaggi o, ancora, di fermarlo lungo i corridoi, quando lo incontravano. Dean era silenzioso e sfuggente, come l’acqua che scivola tra le dita di una mano. E l’unica cosa che i ragazzi potevano fare era rimanere a guardare, impotenti.
 
Dean chiuse la portiera dell’Impala e strinse le chiavi in un pugno, rimanendo a fissare un punto indistinto oltre il parabrezza, di fronte a lui. Le lezioni erano finite da un po’ e il parcheggio della scuola era deserto. Il biondo sprofondò nel sedile del guidatore e portò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi.
Negli ultimi giorni aveva preso l’abitudine di rimanere nell’edificio scolastico oltre l’orario consueto e di lasciare che la moltitudine di studenti scemasse a poco a poco, prima di uscire anche lui e rifugiarsi in macchina, dove poi trascorreva la maggior parte del pomeriggio. Spesso rimaneva seduto in macchina per ore, ad ascoltare musica. A volte, invece, vagava semplicemente per le strade di Lawrence finché, stanco di girare a vuoto, accostava l’Impala presso l’entrata di qualche parco, dove rimaneva fino all’ora di cena. In un certo senso, la tranquillità di quei momenti lo cullava, dandogli l’illusione di stare bene, anche se in realtà non era affatto così.
 
“mi dispiace”
 
Dean spalancò gli occhi e chiuse le labbra, come se gli mancasse l’aria. La sola immagine di Castiel che gli voltava le spalle, e che si allontanava da lui, scottava esattamente con la stessa intensità di quella sera. Ma la cosa che faceva più male, che bruciava in un modo insopportabile, erano state proprio quelle due parole pronunciate dal ragazzo con gli occhi blu.
 
“mi dispiace”
 
Cosa voleva dire? Perché Castiel lo aveva detto? Era una risposta al suo ti amo? O era stato solo un modo per guadagnare tempo? Ma tempo per cosa? E perché avrebbe dovuto farlo? Forse Castiel non ricambiava? Non lo amava? Quel pensiero lo schiacciò con forza, impedendogli di respirare. Com’era possibile che Cas non ricambiasse? Eppure, Dean era sicuro che anche l’altro provasse il suo stesso sentimento per lui, che il suo amore fosse corrisposto. Tuttavia, questa sua certezza si era infranta senza pietà contro il muro della realtà: Castiel non aveva risposto al suo ti amo con la sola e unica parola che avrebbe immortalato quel momento, rendendolo pura magia.
All’improvviso, un cigolio lo fece sussultare, facendolo voltare, in tempo per vedere Benny entrare nell’abitacolo e prendere posto sul sedile del passeggero.
“Ma che diavolo…”
Un nuovo cigolio giunse alle spalle, attirando la sua attenzione su Charlie e Chuck che, a quanto pare, si erano già accomodati sui sedili posteriori. Dean fece scattare gli occhi su Benny, mentre la rabbia montava dentro di lui per quell’irruzione non prevista e soprattutto non desiderata.
“Beh, e questo cosa significa?” – chiese duramente.
“Non lo so, Dean, dimmelo tu” – ribatté Benny, sostenendo il suo sguardo, con calma.
“Benny, non sto scherzando”.
“Nemmeno io”.
Dean ricambiò lo sguardo.
“Al diavolo” – smozzicò, mettendo mano alla maniglia dello sportello, per aprirlo.
“Non ti azzardare a scendere dalla macchina!” – lo richiamò Benny, trattenendolo per un braccio.
“Si può sapere cosa diavolo volete?”  ringhiò il biondo, rivolgendosi anche agli altri due, con un’occhiata fugace attraverso lo specchietto retrovisore.
“Vogliamo che parli un po’ con noi” – rispose Charlie.
“Non ho proprio niente da dire”.
“Io invece credo di sì” – replicò Benny.
“Ah, sì? E sentiamo, perché dovrei parlare con voi?” – sibilò l’altro, sardonico.
“Perché è evidente che ne hai bisogno”.
Dean serrò la mascella e distolse lo sguardo, cercando di fuggire da quella situazione almeno con gli occhi.
“Andiamo, Dean! Sono giorni che te stai per i fatti tuoi ed eviti tutto e tutti, soprattutto noi. E non credere che non sappiamo il motivo”.
Benny attese che l’altro dicesse qualcosa, invano.
“Cos’è successo quella sera, dopo che tu e Castiel vi siete allontanati?” – disse poi, decidendo di andare subito al nocciolo della questione.
Dean non rispose, ostinandosi a guardare altrove.
“Dean, confidati con noi” – lo sollecitò dolcemente la ragazza.
Il giovane Winchester si passò una mano sul viso e si sistemò meglio sul sedile, visibilmente a disagio.
“Non mi va di parlarne” – smozzicò poi.
“E invece dovresti” – intervenne Chuck, finora rimasto in silenzio – “Magari possiamo aiutarti”.
Il ragazzo strinse le palpebre, per poi sollevarle piano, come se quel piccolo movimento fosse motivo di un dolore intenso.
“Non credo che possiate farlo” – sussurrò infine.
Il silenzio calò improvviso nell’abitacolo, imponendosi in maniera prepotente tra gli occupanti.
“In…in che senso?” – chiese flebile Charlie dopo un po’, con una punta di apprensione nella voce – “Cos’è successo?”
Dean indugiò, guardandosi le mani, indeciso se confessare tutto oppure no. Certo, avrebbe potuto non dire nulla e continuare a tenersi tutto dentro, ma a cosa sarebbe servito? Di certo non avrebbe cambiato quello che era successo. Anzi, se possibile, tutti i pensieri che lo avevano tormentato non avrebbero fatto altro che scavare dentro di lui ancora di più.
Dean indugiò ancora e poi sospirò forte.
“Io…non lo so, non so più niente…” – mormorò.
“Hai parlato con Castiel?” – domandò Benny.
Il biondo annuì impercettibilmente.
“E…?” – continuò l’altro, incitandolo ad andare avanti.
“E lui…se n’è andato”.
Benny aggrottò la fronte, perplesso, e fece per dire qualcosa, ma Charlie lo anticipò.
“Come sarebbe a dire che se n’è andato? Perché? Cioè, voglio dire…cosa gli hai detto?” –
Dean si irrigidì e strinse le mani in un pugno.
“Io…” – arrancò, deglutendo rumorosamente – “Gli ho detto delle cose, gli ho chiesto scusa per avergli mentito…”
“Non capisco…se gli hai chiesto scusa, perché se ne sarebbe andato?” – riuscì a dire Benny.
“Forse era ancora arrabbiato…” – suggerì Chuck.
“Uhm, però è strano…andarsene così…” – intervenne Charlie, pensierosa – “Hai parlato di cose” – proseguì poi, mimando le virgolette con le dita – “Quali cose?”
Dean si prese un momento, chiedendosi se fosse il caso di rivelare proprio tutto. Una parte di lui non voleva farlo, forse perché si vergognava o forse perché non avrebbe sopportato la compassione dei suoi amici. Un’altra parte, invece, sapeva bene che gli altri non avrebbero mollato così facilmente e che, alla fine, lo avrebbero costretto comunque a confessare tutto.
Il ragazzo abbassò le spalle, affranto.
“Io…” – iniziò, attirando l’attenzione degli altri su di sé – “Gli ho detto che lo amo…”
I tre ragazzi spalancarono gli occhi e, mentre Charlie soffocava un gridolino mettendosi entrambe le mani sulla bocca, Benny e Chuck si guardarono con un misto di terrore e di meraviglia insieme.
“Oddio, Dean!” – squittì la giovane – “Ma è bellissimo!”
L’entusiasmo della giovane, però, fu subito raggelato dal velo di dolore che intravide negli occhi di Dean, riflessi nello specchietto retrovisore.
“Oh” – si lasciò sfuggire lei – “Oddio, non dirmelo…” – pigolò poi, incredula – “Non può essersene andato per questo…”
Dean non proferì parola e questa muta ammissione fu più che sufficiente per i ragazzi.
“Non…non ti ha detto niente? Prima di andarsene, intendo” – riprese Benny, con cautela.
Il giovane Winchester fece una smorfia.
“Ha detto che gli dispiaceva…”
“E nient’altro?”
Dean scrollò la testa, piano.
“Cazzo…” – smozzicò l’altro.
“Beh, ma magari ti ha detto così perché in quel momento non sapeva cosa dire” – si intromise Charlie.
“Charlie…” – la richiamò Chuck.
“Che c’è? Ci deve essere per forza una spiegazione, non è da lui andarsene in questo modo, Castiel non è così” – replicò la giovane.
“Sì, però…” – tentò il ragazzo.
“Magari Castiel voleva ricambiare, ma era ancora arrabbiato per la litigata che avevano appena avuto, o forse-”
“Charlie” – la interruppe Benny.
“Oh, insomma!” – sbottò lei, risentita – “Potrebbe essere benissimo andata così!”
“Non dico che non sia possibile, ma…” – disse Chuck.
“…rimane il fatto che Castiel non ha ricambiato” – concluse Benny per lui.
 
“Cos’hai intenzione di fare?” – domandò Benny, dopo un po’.
Dean sospirò pesantemente.
“Non lo so…” – ammise poi.
“Vai da lui” – suggerì Charlie – “Provaci ancora, dagli un’altra possibilità. Non lasciare le cose così, ti prego…”
Dean sollevò gli occhi e incontrò quelli dell’amica, che lo guardavano, supplichevoli.
All’improvviso il cellulare vibrò contro la sua gamba. Il giovane sollevò leggermente i fianchi e sfilò il telefono dalla tasca dei jeans. E quando sbloccò lo schermo, smise quasi di respirare: era un messaggio di Castiel.
 
 
°°°
 
 
Castiel si alzò dalla sedia e posò la tazza, ancora piena di cereali, sul bancone della cucina, accanto al lavello, per poi uscire dalla stanza e dirigersi sulle scale, senza dire una parola.
Amelia lo seguì con lo sguardo e sospirò.
“Cos’ha?” – chiese, rivolgendosi al figlio maggiore seduto a tavola, accanto a lei.
Balth guardò di sfuggita prima la tazza di cereali sul bancone e poi le scale, ma non rispose.
Da quando era andato a prendere Castiel, quel sabato sera, Balthazar aveva tenuto d’occhio il fratello. Aveva capito subito che qualcosa non andava e, il fatto che Cassie si fosse rifiutato più volte di confidarsi con lui, non faceva altro che alimentare la sua preoccupazione per il più piccolo. In un certo senso, il maggiore aveva intuito che, in tutto questo, Dean doveva c’entrare qualcosa. E questa teoria era stata confermata la sera prima, quando Castiel gli aveva chiesto di accompagnarlo al luna park, e di farsi poi venire a prendere. Richiesta più unica che rara, dal momento che, quando il minore usciva, lo faceva sempre e solo con Dean.
“Balthe” – lo richiamò Amelia.
Il ragazzo incrociò gli occhi della madre che lo guardavano, in attesa.
“Non lo so” – ammise.
“Non ti ha detto nulla?” – incalzò lei.
Balth scollò la testa, mentre il senso di colpa gli intorpidiva il petto. Sebbene avesse una teoria per il comportamento del fratello, di certo non poteva dirlo ai genitori, e questo metteva a disagio il più grande perché, in quel modo, era costretto a mentire.
“Non capisco…” – riprese la donna – “È da qualche giorno che mi sembra turbato…”
“Hai provato a parlare con lui?” – intervenne James.
“Sì, ma…mi risponde sempre che non ha niente. È per questo che speravo che avesse detto qualcosa almeno a te” – disse lei, rivolgendosi al maggiore.
“No, mi dispiace…” – rispose Balthazar.
“Magari è solo stanco, in fondo non manca molto al diploma” – tentò il padre – “Come sta andando con le lezioni? Naomi ti ha detto qualcosa?”
Amelia scrollò la testa.
“Lei dice che va tutto bene, che Cassie si impegna e che ottiene ottimi punteggi ai test”.
Per qualche istante nessuno dei tre disse nulla.
“Sono preoccupata…” – ammise infine la donna.
“Lo so, tesoro, lo so” – disse James, posando delicatamente una mano su quella della moglie – “Ma non saltiamo a strane conclusioni. Aspettiamo ancora un po’ e vediamo. E se questa cosa dovesse andare avanti, allora interverremo, ok?” – la tranquillizzò poi.
La donna incrociò gli occhi blu dell’altro, ricambiando la stretta, e annuì, poco convinta.
 
Nei giorni successivi, la preoccupazione di Amelia per il figlio più piccolo non si placò affatto, anzi, se possibile, crebbe di intensità, alimentata dall’atteggiamento stesso di Castiel. Il giovane, infatti, parlava solo lo stretto necessario, e mai spontaneamente. Inoltre, la madre lo sorprese più volte con lo sguardo perso nel vuoto e questo fu doloroso per lei. Infatti, oltre alla difficoltà di comunicazione fisica con lui, si era aggiunta anche quella emotiva, che Amelia conosceva fin troppo bene, dal momento che aveva lottato contro di essa sin da quando Castiel era diventato sordo. E come se questo non bastasse, ad aggravare la situazione e a rendere la donna ancora più inquieta, era il fatto che nemmeno il figlio maggiore riusciva a creare un contatto con lui, e questo era strano perché, in un modo o nell’altro, con Castiel, Balthazar riusciva sempre ad arrivare dove né lei né James riuscivano.
 
Castiel aprì il cassetto della scrivania e prese il block notes, rigirandoselo poi tra le mani. Con il pollice ne percorse l’altezza, percependo la ruvidezza dello spessore delle pagine sul polpastrello. Con cautela lo aprì, vincendo con dolcezza la resistenza che alcune pagine offrivano. I suoi occhi blu si persero nella moltitudine di frasi e di parole, messe nero su bianco dalla sua grafia.
Negli ultimi giorni, per Castiel quello era diventato una specie di rito, durante il quale il giovane soppesava sulla bilancia del suo cuore i pensieri e le emozioni che contrastavano in lui.
Castiel fece scorrere l’indice sul nastro adesivo che teneva ancorato un foglio al successivo, e che riportava, impresso nella sua memoria, il nome di chi lo aveva usato per quel lavoro: Dean.
 
“ti amo”
 
Castiel chiuse gli occhi, mentre il cuore batteva veloce, vibrando in ogni angolo del suo corpo e della sua mente. Anche a distanza di giorni, quelle parole non avevano perso l’intensità di quella sera. Ormai facevano parte di lui, e Castiel le sentiva ogni volta infrangersi contro il suo animo, come le onde del mare che, instancabili, si infrangono sugli scogli. Ed era proprio in quei momenti che il ragazzo desiderava con tutto sé stesso abbandonarsi ad esse, lasciare che lo guidassero, fino a raggiungere il cuore di Dean e toccarlo con il proprio. In quegli istanti, Castiel sentiva il suo corpo fremere di impazienza, pronto a correre fuori casa e ad andare da Dean, per dirgli tutto di un fiato che anche lui provava lo stesso sentimento, che anche lui lo amava.
 
“mi dispiace”
 
Castiel sentì il corpo irrigidirsi, come se un impietoso e freddo interruttore avesse bruscamente spento tutto, fermando ogni cosa.
Perché aveva detto quelle parole? Perché se n’era andato? Ma, soprattutto, perché non aveva ricambiato l’amore che Dean gli aveva donato con il proprio?
Ancora una volta, come quella sera, in cuor suo Castiel conosceva la risposta a quelle domande, ma, di nuovo, l’entità delle conseguenze che avrebbero avuto sulla sua vita e su quella di Dean rendeva momentaneamente cieca la sua mente.
Se avesse detto a Dean che anche lui lo amava, cosa sarebbe successo? Indubbiamente, la loro relazione avrebbe fatto un salto di qualità, raggiungendo un livello superiore, nel quale entrambi sarebbero stati legati l’uno all’altro in maniera ancora più stretta. E questo che impatto avrebbe avuto sulle loro vite? Per Dean, rimanere accanto a Castiel, avrebbe comportato continuare a muoversi lungo il perimetro invisibile della sua sordità. I limiti che Castiel aveva si sarebbero estesi all’altro ancora di più, e di questo il ragazzo con gli occhi blu era certo, perché fino a quel momento, fino a quel ti amo, era stato così, e non poteva che essere così anche dopo. L’idea di incatenare ulteriormente il suo ragazzo nel proprio mondo e di impedirgli di vivere appieno la sua vita, costringendolo a fare delle rinunce per lui, sarebbe stata una sensazione opprimente e insopportabile per Castiel. E il suo sentirsi un peso per Dean avrebbe raggiunto livelli di concretizzazione laceranti.
 
“È mettere il bene di qualcun altro prima del tuo”
 
No, non poteva fare questo a Dean, non poteva essere così egoista. Dean aveva infinite possibilità davanti a sé e doveva prenderle in considerazione tutte, e il giovane Winchester avrebbe potuto farlo solo se…solo se fosse stato libero.
Castiel sentì una fitta al cuore, come se qualcosa lo avesse trapassato da parte a parte, pungente, implacabile, e con un’intensità tale da soffocarlo.
Lui senza Dean.
Quel pensiero, terribile e angosciante, scavò percorsi dolorosi, torturandolo e tormentandolo, fino a togliergli il respiro. Cosa sarebbe successo se Dean non fosse stato più al suo fianco? Quella mano che teneva la sua, sin da quando il biondo era entrato nel suo mondo di solitudine e silenzio, non ci sarebbe più stata, lasciando dietro di sé solo il ricordo del suo calore; quella sfumatura di verde dei suoi occhi, che dominava la tavolozza dei colori di Castiel, sarebbe scivolato via, concedendo a qualche piccola traccia di restare, a memoria del suo passaggio; quel profumo di bosco e di pulito, che riempiva la sua aria, si sarebbe dissolto, perdendosi per sempre.
 
“È mettere il bene di qualcun altro prima del tuo”
 
E Dean? Cosa avrebbe fatto senza Castiel? Il giovane non poteva negare di essere una persona importante per l’altro, e questo Dean glielo aveva dimostrato in ogni modo possibile, anche durante il duro scontro che avevano avuto al luna park.
 
“Se io faccio tutto questo è solo…è solo perché ti amo”
 
Castiel aprì gli occhi, mentre calde lacrime scendevano lungo il viso, brucianti di consapevolezza, la consapevolezza del fatto che l’amore di Dean non era tanto in quelle parole, bensì in tutto quello che il giovane Winchester aveva fatto e che continuava a fare per lui: nello stargli sempre vicino, nel suo continuo preoccuparsi, nelle rinunce che faceva.
Come poteva fargli una cosa simile? Come poteva ricambiare il suo amore con la sofferenza che avrebbe comportato la sua assenza nella vita di Dean?
 
“È mettere il bene di qualcun altro prima del tuo”
 
Qual era il bene di Dean? Qual era il vero bene, quello più giusto per lui?
Castiel lasciò andare la bilancia del suo cuore, permettendole così di esprimere liberamente il proprio giudizio, in accordo con le ragioni della mente.
Dean avrebbe sofferto per la sua mancanza, era vero, ma rimanere legato a Castiel, a lungo andare, sarebbe stato peggio. Il dolore per la sua assenza sarebbe stato forte, certo, ma con il tempo si sarebbe affievolito, fino a lasciare solo un tiepido torpore. Dean avrebbe vissuto appieno tutte le possibilità che il suo futuro gli avrebbe offerto e, magari, avrebbe incontrato qualcun’altro, con il quale sarebbe stato felice.
 
“È mettere il bene di qualcun altro prima del tuo”
 
Era questo il bene più giusto per Dean, e Castiel glielo avrebbe dato. Avrebbe messo il bene di Dean prima del suo. E questo sarebbe stato il suo modo di dimostrargli il proprio amore…il suo modo di dirgli ti amo.
Castiel si asciugò le lacrime con il dorso della mano e prese il cellulare dalla tasca dei jeans. Le dita tremavano, mentre digitava qualcosa sullo schermo, come se il suo corpo si stesse ribellando a quella situazione. Infine, ripose il telefono sulla scrivania, per poi portarsi le mani al viso e a iniziare a piangere di nuovo, in silenzio.
 
[17:45] Da Castiel a Dean
Dobbiamo parlare. Vediamoci al solito parco, tra mezz’ora
 
 
°°°
 
 
Dean si rigirò nervosamente il telefono tra le mani, guardandosi intorno con aria familiare. Si trovava nel parco vicino a casa, lo stesso parco in cui lui e Castiel erano soliti andare subito dopo essersi messi insieme. Lo stesso posto in cui era cominciata la loro storia. Gli occhi di Dean si persero a guardare un’altalena lì vicino, e il petto del giovane si scaldò teneramente, al ricordo di quella sera di Capodanno, quando lui e Castiel si erano dati il bacio che aveva dato inizio alla loro relazione. Nonostante fossero passati già quattro mesi, a Dean sembrava ancora di vedere il bianco della neve che copriva il terreno e le giostre; di sentire il suo cuore battere all’impazzata; di vedere gli occhi blu di Castiel che lo guardavano.
Dean sospirò pesantemente, per poi riportare la sua attenzione sul cellulare. Con un gesto del pollice sbloccò lo schermo, accedendo rapidamente all’applicazione dei messaggi e rileggendo ancora una volta l’ultimo che era arrivato.
 
[17:45] – Da Cas a Dean
Dobbiamo parlare. Vediamoci al solito parco, tra mezz’ora
 
Dean si morse un labbro.
 
Dobbiamo parlare.
 
Nel momento stesso in cui aveva visto il nome del suo ragazzo sul mittente del messaggio, Dean aveva sentito l’aria scivolargli via dai polmoni, senza però farvi ritorno. All’improvviso, tutto intorno a lui era diventato sfuocato e i rumori sembravano quasi scomparsi. Ma quando aveva letto quelle parole, l’aria aveva preso di nuovo possesso del suo petto, con forza, scuotendolo violentemente e facendogli riprendere contatto con la realtà.
 
Dobbiamo parlare.
 
Dean aveva sentito un senso di inquietudine accarezzarlo in maniera per nulla rassicurante, mentre un gelido presagio soffiava tra i suoi pensieri, già turbati da quel ti amo che non aveva ricevuto la risposta sperata.
Il giovane Winchester diede uno sguardo fugace all’orologio, per poi passarsi una mano sul viso. Era arrivato lì con un po’ di anticipo, non sapendo neanche lui come. L’unica cosa che ricordava con chiarezza era di aver liquidato in fretta Benny e gli altri, e di aver acceso il motore dell’Impala, per poi ritrovarsi lì, seduto sulla panchina. E per tutto il tempo, quel senso di inquietudine era rimasto con lui, facendosi sempre più pressante.
“Dean”.
A quel richiamo, Dean scattò in piedi, voltandosi e trattenendo il fiato. Di fronte a lui, Castiel lo stava guardando. In quell’istante, il blu dei suoi occhi sembrò sciogliere il turbamento che pervadeva Dean. Castiel era lì, a pochi passi da lui, e per Dean questo era più importante di qualsiasi altra cosa.
“Cas…”
Castiel si avvicinò, scandendo i passi con cautela, come se stesse cercando di imprimere il proprio controllo ai movimenti del suo corpo. Quando fu a poca distanza da Dean si fermò, incrociando le iridi verdi dell’altro.
Il biondo sostenne fermamente lo sguardo, come se ne valesse della sua vita, come se anche un solo battito di ciglia potesse far scomparire Castiel dalla sua vista.
“Ti…ti ho fatto venire qui perché ti devo parlare” – esordì il moro, spezzando il gravoso silenzio che si era formato tra loro.
Dean spostò il peso del corpo da un piede all’altro, mentre l’inquietudine riprendeva a stuzzicarlo.
“Sì…ho letto il messaggio” – riuscì a dire – “D-di…di cosa volevi parlarmi?” – chiese poi, pentendosene però subito dopo. Infatti, sebbene da una parte Dean volesse sapere, dall’altra aveva paura, come se avesse intuito a cosa sarebbe andato incontro e cercasse pertanto di evitarlo il più possibile.
Castiel indugiò un attimo.
“Di noi” – disse infine.
Dean sentì il terreno sotto di sé liquefarsi, assumendo una forma infida, che iniziò a richiamarlo a sé, artigliandosi alle sue caviglie e facendolo sprofondare lentamente. Il ragazzo deglutì un paio di volte, mentre l’angoscia si prendeva gioco di lui in maniera quasi dispotica.
“D-di noi?” – ripeté, quasi senza fiato.
Il ragazzo dagli occhi blu annuì.
“Quando…” – iniziò poi, esitando per un attimo – “Quando ci siamo messi insieme, io ti avevo detto che con me non avresti potuto fare molte cose…”
“E io ti ho risposto che non mi interessava” – ribatté prontamente l’altro, cercando di ignorare il proprio corpo inchiodato a terra.
“Lo so…ma più passa il tempo e più mi rendo conto che tu con me sei limitato…e che lo sarai sempre”.
“Io non mi sento limitato”.
“Dici così, ma questo non cambia il fatto che tu lo sia” – replicò il moro – “Ma non lo vedi, Dean? Quante rinunce hai fatto per me?”
“Le ho fatte perché volevo farle, per te. Amare qualcuno vuol dire anche questo”.
Di fronte a quelle parole Castiel rabbrividì.
“Non è mi è mai pesato” – continuò Dean.
“Ma pesa a me” – rispose l’altro, sviando accuratamente il discorso da quanto detto prima dal biondo.
Castiel abbassò lo sguardo, facendo una smorfia e combattendo contro l’impulso di fermarsi. Da quando aveva visto Dean, la sua determinazione aveva vacillato pericolosamente. In un certo senso Castiel se l’era aspettato, ma…era difficile, era dannatamente difficile.
“Dean, io non voglio questo. Non voglio che tu paghi il prezzo del mio non sentire”.
Dean sussultò, avvertendo la terra aggrapparsi a lui e risalire fino alle gambe, strattonandolo verso il basso.
“Non lo posso permettere” – continuò il giovane – “Non posso più lasciare che ti sacrifichi in questo modo per me”.
Il biondo serrò la mascella e strinse le mani in un pugno, lungo i fianchi, mentre il respiro si faceva più corto.
“Cas, che cazzo stai dicendo?” – sibilò, cercando di sganciarsi da quella forza che lo teneva prigioniero e facendo un passo avanti.
Castiel si prese un momento, mentre il blu dei suoi occhi diventava dolorosamente lucido.
“Sto dicendo che ti lascio andare, Dean…”
Dean spalancò gli occhi e all’improvviso tutto intorno a lui sembrò sparire, lasciando il posto ad una voragine, nella quale il ragazzo si rese conto di precipitare, senza che lui potesse fare nulla.
N-no…no, no, no!
La mente di Dean iniziò ad annaspare, ribellandosi alla caduta e cercando intorno a sé un appiglio immaginario.
“Quindi siamo arrivati a questo?” – trovò la forza di dire – “Vuoi lasciarmi dopo tutto quello che abbiamo passato insieme? Dopo tutto quello che ho fatto per te?” – iniziò a gridare, in preda alla disperazione – “Fantastico!”
Le labbra di Castiel tremarono, di fronte alla reazione dell’altro, mentre la sua mente riviveva passo dopo passo tutto quello che Dean aveva fatto per lui da quando si erano conosciuti: l’impegno e la pazienza con i quali l’altro lo aveva convinto a mettere piede fuori casa; la semplicità con cui gli aveva presentato i suoi amici; la mano che gli aveva teso quando gli aveva chiesto di insegnargli la lingua dei segni…la determinazione di farlo stare bene in ogni momento passato insieme.
“Io ho apprezzato tutto quello che hai fatto per me…”
“No, non è vero! Altrimenti ti renderesti conto delle stronzate che stai dicendo!”
“Ma non lo capisci che con me non sei libero?” – tentò il ragazzo – “È…è meglio così, credimi…”
“È così che butti via tutto quanto? Con un è meglio così? Sai che ti dico?” – continuò poi Dean – “È meglio così un cazzo! Tu non lasci andare un bel niente! E io non te lo permetterò, non vado da nessuna parte, chiaro?” – ringhiò, puntando un indice contro l’altro.
“No, Dean, tu non-”
“Troveremo un modo, insieme” – lo interruppe il biondo, facendo un altro passo verso di lui.
“Smettila!” – gridò il moro, esasperato.
Dean si ammutolì, davanti alla reazione del ragazzo.
Castiel sospirò pesantemente, facendo cadere le braccia lungo i fianchi.
“Io non ce la faccio più…”
Dean rimase ad osservarlo, in silenzio, mentre ormai il suo precipitare era diventato solo un’angosciante attesa dell’impatto finale. Ma nonostante ciò, in quel momento il giovane sentì il bisogno di sapere, di chiedere all’altro il perché non avesse risposto al suo ti amo. Tuttavia Dean non ebbe il coraggio di avanzare quella pretesa, non in maniera diretta almeno, perché ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi era già di per sé una conferma ai suoi timori.
“Dimmi una cosa” – disse, umettandosi le labbra – “Ti importa di me?”
Castiel spalancò gli occhi, preso in contropiede. Davvero Dean gli stava chiedendo una cosa smile?
“Certo che mi importa di te…sto facendo questo proprio per te”.
“No, lo stai facendo per te stesso. A me va bene tutto questo, così come siamo adesso. Ho deciso di prendermi cura di te tempo fa e non c’è stata una volta che mi sia sentito schiacciato da questa scelta… mai”.
Dean fece una pausa, per poi riprendere.
“Quindi non sono io il problema. Non dipende da me”.
“Infatti non dipende da te…” – disse Castiel – “Sono io che non voglio che continui a farlo”.
Il silenzio si insinuò tra di loro, esasperando la distanza emotiva che cresceva di minuto in minuto.
“Non se ne andrà mai, vero?” – mormorò Dean, dopo un po’.
Castiel incrociò i suoi occhi verdi.
“Questa cosa di sentirti un peso” – specificò l’altro.
Il moro distolse lo sguardo un attimo.
“No…”
Tra i due giovani calò di nuovo il silenzio, mentre il sole iniziava impercettibilmente a infuocare l’orizzonte con strisce rossastre, e a nutrire le ombre sul terreno. Dean si passò una mano sul viso e scrollò piano la testa. Lentamente, indietreggiò e si sedette sulla panchina, per poi abbassare lo sguardo a terra, mentre Castiel continuava a guardarlo.
Il ragazzo dagli occhi blu rimase immobile. Il suo corpo stava chiaramente opponendo resistenza a quello che invece la sua mente gli stava ordinando di fare: scappare, allontanarsi da lì e da Dean, prima che anche solo un’altra parola dell’altro potesse vanificare per magia la decisione che aveva faticosamente preso. Il giovane si morse un labbro, con la speranza che quello stimolo fosse sufficiente ad allentare la costrizione di cui era prigioniero.
Ora o mai più.
“Mi dispiace, Dean” – riuscì a dire, limitandosi a percepire le parole formarsi sulle sue labbra, come se fossero state pronunciate da qualcun altro e non da lui.
“Oh, ma fottiti, Cas!” – smozzicò il biondo tra i denti, tenendo la testa bassa.
Castiel attese che l’altro dicesse qualcosa, senza sapere che in realtà qualcosa era stato detto, ma che lui purtroppo non era riuscito a comprendere, per via della posizione delle labbra di Dean. E così Castiel capì che Dean non voleva più parlargli, e in cuor suo gli riconobbe quel diritto. Il ragazzo dagli occhi blu indietreggiò di un passo, per poi voltarsi e iniziare a camminare, facendo violenza sulle proprie gambe che sembravano incollate a terra, in un ultimo ed estremo tentativo di resistenza.
Nel momento in cui Castiel si allontanò, Dean sentì uno squarcio dentro di sé, come se l’aria gli fosse stata strappata dal petto con violenza, mentre i dettagli intorno a lui iniziarono ad appannarsi, distorcendosi in modo fluido. Era arrivato. Era arrivato alla fine della caduta e quello era l’impatto finale: disastroso, crudele e senza ritorno. Dean si trovò completamente stordito e isolato dalla realtà, ma nonostante questo i battiti del suo cuore tamburellavano dentro di lui, pompando forza motrice al suo corpo e incitandolo a muoversi. Dean si alzò e fece uno scatto in avanti, proseguendo alla cieca, finché all’improvviso non sentì il corpo di Castiel tra le sue braccia, e la sua schiena contro il proprio petto. Il giovane Winchester strinse l’altro a sé con la forza della disperazione, nascondendo il viso sulla spalla dell’altro. L’odore vanigliato di Castiel gli penetrò violentemente le narici, oscillando tra l’essere contemporaneamente una cura e un supplizio, perché quell’odore così familiare, che lui amava e di cui non poteva fare a meno, era lo stesso che in quel momento gli stava togliendo ossigeno, uccidendolo.
“Ho bisogno di te…”
Le parole risalirono la gola, graffianti e dolci allo stesso tempo, ma con un retrogusto amaro e torbido, perché Dean era consapevole che Castiel non potesse sentirle.
Castiel avvertì il corpo di Dean contro il suo, ancorandolo e mettendo a dura prova il suo intento. Il respiro tiepido dell’altro sulla sua spalla e il suo odore di bosco e di pulito, ormai inconfondibile, lo avvolgevano nelle loro spire. Dean era caldo e lo stringeva forte, e per un secondo Castiel fu sul punto di cedere, di abbandonarsi a lui, di dirgli che lo amava e che in realtà avrebbe voluto rimanere con lui per sempre. Il giovane chiuse gli occhi e sollevò una mano, avvicinandola a quella di Dean, sul suo petto. Ad un tratto però si bloccò, ritraendola, come scottato, e riaprì gli occhi. Doveva resistere, a tutti i costi. Doveva farlo, per il bene di Dean.
“Non rendere tutto più difficile…”
Castiel si rigirò nell’abbraccio dell’altro, per poi incontrare i suoi occhi.
“Cas, ti prego…”
“È finita, Dean”.
Il giovane Winchester sentì dentro di sé qualcosa tendersi, per poi rompersi con uno schiocco. La rabbia e la frustrazione che aveva provato fino a quel momento si dispersero, lasciando il posto ad una calma sottile, irreale, che faceva paura. Fortemente provato da quella sensazione, Dean strinse ancora di più Castiel a sé, non volendo lasciarlo andare.
Castiel si divincolò da lui, facendo leva con una mano e spingendolo via.
“È finita!”
La stretta di Dean si allentò in maniera dolorosa, scivolando via piano, insieme al suo calore e al suo odore.
Castiel fece un passo indietro e poi un altro, per poi girarsi e allontanarsi definitivamente, mentre la scia che ancora lo legava a Dean si assottigliava sempre di più, producendo spasmi e fitte insopportabili. E in quel momento, Castiel si rese conto che tale legame non sarebbe mai arrivato a dissolversi completamente, non finché avrebbe serbato dentro di sé l’amore che provava per Dean.
Dean rimase immobile, circondato dalle rovine del suo mondo crollato in pezzi. Intorno a lui i colori erano scomparsi, lasciando il loro posto a statiche sfumature di grigio. L’aria si era fatta anonima e completamente priva di odori, mente il gelo prendeva possesso della sua mente e del suo cuore. Il giovane si guardò intorno con sguardo assente e vide solo desolazione. Castiel non faceva più parte della sua vita e, in quel momento, Dean desiderò solo una cosa: chiudere gli occhi e non provare più nulla.
 
 
 

 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti…
Prima di tutto vi prego di non odiarmi. L’andamento degli eventi è stato messo appunto proprio per arrivare a questo momento. Momento che, per quanto terribile, rappresenta un punto focale della storia, ed era assolutamente necessario, credetemi.
Ho sofferto molto nello scrivere questo capitolo, perché continuavo a piangere e non riuscivo ad andare avanti, e anche adesso non riesco a finire di leggerlo senza versare una lacrima.
Un’altra cosa che vorrei chiedervi è di non odiare Castiel. Per quanto la sua decisione sia ampiamente discutibile, quello che ha fatto lo ha fatto per amore di Dean, anche se il biondo non la pensa affatto così. Le due visioni dei ragazzi sono agli antipodi: per Dean le rinunce fatte sono un segno d’amore, per Castiel invece rappresentano un peso, che il moro non è più disposto a far gravare su Dean. Da qui, la sua decisione finale, presa a discapito della sua stessa felicità.
Il prossimo capitolo è venuto fuori più lungo del previsto e pertanto sono stata costretta a dividerlo in due parti, quindi la storia si è allungata di un altro capitolo, e di un’altra settimana.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questo momento critico, e avrei piacere anche a leggere di qualche vostra teoria sugli sviluppi successivi, quindi date libero sfogo alla mente…e sì, accetterò anche gli insulti che, arrivati a questo punto, credo proprio di essermi meritata.
Vi lascio all’angolo delle fan art, questa volta ho messo delle vignette divertenti, con la speranza di mitigare la vostra (nostra) tristezza.
Alla prossima!
Sara
 
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~

                  
          

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Capitolo 21
*** Capitolo Venti - Parte Prima ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO VENTI - PARTE PRIMA
 
“Esiste una rabbia
che non ha niente a che vedere
con la cattiveria. È il ruggito
di chi sta proteggendo
le proprie fragilità”
 
Paola Felice
 
 
 
 
Tre settimane dopo
 
Un rumore di passi riecheggiò per il corridoio, facendo sollevare lo sguardo a Dean. Il giovane era seduto su una sedia, accanto alla porta dell’ufficio del preside. Quando Dean riconobbe la persona che si stava avvicinando, serrò la mascella: era Mary. La donna si fermò di fronte a lui, riservandogli uno sguardo che Dean non seppe interpretare appieno. I lineamenti di lei erano tesi e la bocca era stirata in una linea dura, ma i suoi occhi, invece, riflettevano preoccupazione e apprensione. Dean non riuscì a sostenere a lungo quello sguardo e, ben presto, spostò la sua attenzione altrove.
All’improvviso, la porta lì accanto si aprì.
“Signora Winchester?” – chiese un uomo, facendo capolino dall’ufficio.
Mary batté due volte le palpebre, interrompendo così il contatto visivo sul figlio.
“Sì, sono io” – rispose poi.
“Prego, si accomodi” – disse lui, scostando di più la porta e facendosi da parte, con un chiaro invito alla donna di entrare.
Il rumore della porta che si chiuse, si disperse nel corridoio come una pesante sentenza. Il giovane Winchester si lasciò andare contro lo schienale della sedia, per poi appoggiare la testa al muro e chiudere gli occhi, sospirando.
 
“Mi dici cosa accidenti ti è saltato in testa?” – chiese Mary, fermandosi appena fuori l’uscita dell’edificio scolastico e girandosi verso Dean, subito dietro di lei.
Il colloquio con il preside era durato circa mezz’ora, al termine della quale la donna era uscita dall’ufficio e, senza dire una parola, si era incamminata lungo il corridoio, seguita dal figlio.
Dean strinse le dita attorno alla spallina dello zaino e non rispose.
“Dean, rispondimi” – lo incitò lei.
Il giovane abbassò lo sguardo, ma rimase in silenzio.
“Come ti è venuto in mente?” – incalzò ancora l’altra – “Picchiare un altro studente!” – aggiunse, per poi guardarsi furtivamente in giro, rendendosi conto di aver alzato la voce.
Il ragazzo continuò a non dire nulla.
“Mi hai molto deluso, Dean” – concluse lei, duramente.
A quelle parole Dean serrò le palpebre e fece una smorfia.
Mary rimase ad osservarlo per qualche secondo e poi sospirò piano.
“Ehi” – disse, smorzando il tono – “Fammi vedere”.
La donna posò due dita gentili sotto il mento del figlio, sollevandolo di poco. Con uno sguardo attento e amorevole allo stesso tempo, esaminò lo zigomo sinistro del ragazzo, che aveva già assunto un tenue color bluastro.
“Ti fa male?” – chiese infine.
“No…” – smozzicò lui, sottraendosi poi al tocco della madre.
“Quando arriveremo a casa, ti darò del ghiaccio da metterci sopra” – disse lei.
Mary si prese un attimo, come per raccogliere i pensieri.
“Dean” – continuò poi – “Cosa ti sta succedendo?”
Il giovane Winchester incrociò gli occhi dell’altra, che lo scrutavano, in attesa di una risposta.
“Niente” – si limitò a dire.
“Per l’amore del cielo, Dean, credi che io sia stupida?” – sbuffò la donna – “Credi veramente che io non mi si accorta che c’è qualcosa che non va? In queste ultime settimane sei intrattabile e scontroso, persino con Sam. Stai sempre chiuso in camera e a tavola non dici mai una parola. E come se non bastasse, adesso vengo a sapere che hai fatto a botte con un altro ragazzo! Quando…” – si interruppe un secondo, per riprendere il controllo – “Quando ho ricevuto la telefonata del preside non ci volevo credere…continuavo a ripetermi che doveva trattarsi di un errore, che tu non avresti mai potuto fare una cosa simile. E invece…” – si fermò ancora – “Senza contare che il signor Graber mi ha anche riferito che i tuoi voti sono peggiorati”.
Dean spostò lo sguardo sul piazzale deserto di fianco a loro.
“Allora?” – lo richiamò lei – “Vuoi ancora dirmi che non ti sta succedendo niente?”
Il biondo fissò un punto indistinto di fronte a sé, senza rispondere.
Mary sospirò, affranta.
“Sai, Dean, anche se sono tua madre, mi piacerebbe che ti confidassi con me, che mi dicessi cosa ti sta passando per la testa”.
La donna si rigirò tra le mani le chiavi dell’Impala, che si era fatta consegnare dal figlio poco prima.
“Sono solo preoccupata per te” – mormorò poi.
La signora Winchester si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, rimanendo in silenzio per qualche secondo.
“Dai” – si arrese infine – “Torniamo a casa”.
 
Il paesaggio di Lawrence scorreva placido e impenetrabile al di là del finestrino. Dean era seduto sul sedile del passeggero, con la fronte appoggiata contro il vetro. Il biondo chiuse gli occhi, per estraniarsi da quel mondo che continuava ad andare avanti, come se nulla fosse. Dean odiava quel mondo, provava del risentimento nei suoi confronti, perché il suo mondo, invece, la sua vita si erano fermati quel pomeriggio, quando Castiel gli aveva detto che tra loro era finita.
Il giovane Winchester non si ricordava nemmeno come fosse riuscito a tornare a casa quel giorno. E nei giorni successivi, Dean aveva vissuto in un limbo, tessuto personalmente dal suo senso di negazione per quanto accaduto. La sua mente e il suo corpo si erano rifiutati categoricamente di affrontare la realtà, la sua realtà senza Castiel. Dean si era circondato di un velo, capace di filtrare il mondo per lui. Tutto intorno al ragazzo scorreva come al rallentatore, senza colori, senza suoni o rumori. Tutto era indistinto, intangibile, statico. Eppure, il giovane stava bene in quel bozzolo protettivo, senza vita ed emozioni, certo, ma anche senza dolore. Si sentiva cullato e al sicuro, ed era esattamente come aveva desiderato quel pomeriggio, dopo l’addio di Castiel: non sentire più nulla. Nonostante tutto, però, Dean non aveva fatto i conti con la realtà, forte, ostinata e aggressiva. La realtà picchiava duro, distorcendo il suo rifugio e facendolo tremare pericolosamente come una bolla di sapone pronta a scoppiare, graffiava e si artigliava agli intrecci di quel velo, tirando i fili e creando piccole brecce, attraverso le quali insinuarsi. Gli attacchi che Dean subiva erano subdoli, si verificavano sotto forma di contatti brevi, ma abbastanza intensi da scuoterlo. E portavano tutti il nome di Castiel. Ben presto, tutto ciò che era legato al ragazzo con gli occhi blu, era diventato un nemico da cui difendersi e da cui scappare, il più lontano possibile. Dean era frastornato: gli sembrava di vedere Castiel ovunque, soprattutto nei volti delle persone che incontrava; scorgeva il blu magnetico dei suoi occhi in dettagli fugaci; era certo di sentire il suono della sua voce nella propria testa e di percepire un sottile profumo di vaniglia accarezzare l’aria. Più di una volta era stato quasi sul punto di impazzire. E quando ormai il suo bozzolo protettivo era stato ridotto in brandelli, Dean si era sentito minacciato da quel mondo e da quella realtà che lui aveva cercato deliberatamente di chiudere fuori, e aveva reagito con l’unica arma che gli era rimasta: la rabbia. D’improvviso, tutto era cambiato, tutto si era fatto più acceso. Dean era diventato un nervo scoperto. Ogni sensazione gli arrivava ingigantita, ogni stimolo giungeva amplificato fino all’inverosimile, facendo scattare la sua collera. Ogni cosa sembrava un valido pretesto per uno scatto di nervi, per una risposta scontrosa, per una reazione violenta. E situazioni di questo genere non avevano fatto altro che aumentare nell’ultima settimana. Nessuno era stato risparmiato dalla sua stizza. Lo stesso Sam, ad esempio, era stato aggredito verbalmente in malo modo dal fratello, solo perché aveva pronunciato il nome di Castiel. In quell’episodio, Dean si era reso conto di aver esagerato, soprattutto dopo aver visto l’espressione confusa e terrorizzata al tempo stesso di Sammy. La colpa non era di Sam, Dean ne era consapevole, anche perché il minore non sapeva nulla di quanto successo, dal momento che Dean non ne aveva fatto parola con nessuno. Eppure, quando aveva sentito il nome del ragazzo dagli occhi blu, per Dean era stato come se qualcuno lo stesse marchiando a fuoco sulla pelle, facendogli perdere la ragione e portandolo quasi oltre la linea di confine, che separava il giustificabile dall’ingiustificabile. Linea che, però, il giovane Winchester aveva superato quella stessa mattina, quando si era ritrovato a fare a botte con un altro ragazzo nel cortile della scuola. A dire la verità, Dean non si ricordava neanche il motivo che lo aveva spinto a tanto. Forse era stato uno scherno o una parola di troppo, o anche una semplice occhiata mal interpretata. In ogni caso, qualsiasi fosse stato il pretesto che aveva innescato tutto quanto, esso aveva subito fatto presa su di lui, facendolo infiammare e reagire in quel modo. E il risultato era stato uno zigomo dolorante, le nocche della mano destra che facevano male e l’intervento del preside.
Il cellulare vibrò contro la sua gamba, sfalsando così la linea dei suoi pensieri ed interrompendola. Dean si scostò dal finestrino e prese il telefono dalla tasca, per poi sbloccare lo schermo.
 
[12:06] – Da Benny a Dean
Com’è andata? Chiamami appena puoi.
 
Dean tornò a guardare oltre il vetro e serrò la mano in un pugno, facendo una smorfia. Infine, chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sul dolore alla mano, per non sentire invece quello del suo cuore, che lo stava lacerando dentro.
 
 
°°°
 
 
Benny rimise il cellulare in tasca e appoggiò la schiena contro gli armadietti alle sue spalle, sospirando. La reazione che Dean aveva avuto in cortile, un paio di ore prima, lo aveva un po’ spaventato, anche se in fondo sapeva che sarebbe successa una cosa simile, prima o poi. In quelle ultime settimane, Dean sembrava un concentrato di rabbia, pronto ad esplodere da un momento all’altro e a travolgere tutto. Sebbene Dean non avesse detto una parola su quanto successo con Castiel, Benny lo aveva facilmente intuito. Il ragazzo conosceva l’amico da tanto tempo e per lui il giovane Winchester era come un libro aperto, soprattutto quando si trattava di sentimenti. Benny sapeva anche che, in momenti come questi, Dean doveva essere lasciato in pace, consentendo solo al tempo di intervenire nell’evoluzione delle sue emozioni. Tuttavia, il giovane doveva ammettere che quella situazione non era lontanamente paragonabile a nessuna affrontata finora, neanche a quella con Lisa. E questo, in un certo senso, lo preoccupava, perché era consapevole che per Dean non sarebbe stato affatto facile uscirne.
“Hai saputo qualcosa?”
La voce di Charlie, accanto a lui, lo richiamò alla realtà.
“Gli ho appena mandato un messaggio, ma non so neanche se mi risponderà”.
La ragazza strinse le braccia attorno a sé e si morse un labbro.
“Benny, dobbiamo fare qualcosa”.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
“Per l’ennesima volta: no” – disse, perentorio.
“Ma non può andare avanti così! Hai visto anche tu cosa è successo oggi!” – ribatté lei.
Benny si passò una mano sul viso.
“Sì, l’ho visto…”
“E allora? Cosa stiamo aspettando? Che succeda qualcosa di peggio?” – incalzò l’altra – “Tra l’altro non so neanche come finirà questa storia, sta rischiando grosso, te ne rendi conto?”
“Sì, me ne rendo conto”.
“E come fai a star lì senza far niente?”
“Charlie” – la richiamò lui – “Ti ho già detto che Dean ha bisogno di spazio, deve sfogare da solo questa cosa”.
“Ma-”
“E l’unica cosa che possiamo fare è stargli vicino e basta, senza essere invadenti e so-”
“Ma io-”
“E soprattutto senza chiedergli nulla” – concluse l’altro, troncando sul nascere ogni tentativo della ragazza.
Charlie mise il broncio, frustrata da quella situazione.
Benny la osservò per un attimo.
“Ehi, rossa” – disse, portando l’attenzione di lei su di sé – “Lo so che sei preoccupata. E lo sono anche io, credimi. Ma in questo momento è la cosa migliore che possiamo fare per lui”.
Lei indugiò, dondolandosi leggermente sul posto.
“Ok…” – borbottò poi.
 
“E Castiel? Ti ha risposto?” – chiese lui, dopo un po’.
“No…gli ho mandato non so quanti messaggi, ma non mi ha mai risposto…” – ammise lei, affranta.
“Cazzo, che casino…”
Il suono della campanella spezzò la quiete del corridoio, incitando gli studenti presenti a raggiungere le varie classi.
“Dai, andiamo” – disse Benny, cingendo le spalle dell’amica con un braccio e dirigendosi con lei verso la propria aula.
 
 
°°°
 
 
“Sospeso!”
La voce di John sembrò ancora più grave tra le mura della cucina.
Dean era seduto su una sedia con gli occhi abbassati sulle proprie mani. Mary, invece, era appoggiata contro il bancone della cucina, alle spalle del marito.
Subito dopo cena, i signori Winchester avevano fatto in modo di rimanere soli con il figlio maggiore, per parlare con lui. A dire il vero, la donna, in cuor suo, avrebbe voluto evitare quel momento, magari nascondendo a John l’accaduto. Tuttavia, sapeva bene di non poterlo fare; prima di tutto per rispetto nei confronti dell’uomo, e poi anche per Dean. Ciò che era accaduto, proprio per la sua gravità, avrebbe potuto essere un’occasione per parlare con il ragazzo, per comprendere il motivo del suo comportamento nell’ultimo periodo. Purtroppo, a complicare la situazione, si era aggiunta la decisione presa dal direttore scolastico, e che era stata comunicata tramite telefono qualche ora prima: Dean era stato sospeso per tre giorni. La decisione, a quanto detto dal signor Graber, era stata presa con difficoltà, perché, sebbene Dean avesse sempre avuto una buona condotta a scuola, quell’episodio di cui era stato protagonista non poteva passare inosservato, e soprattutto senza provvedimenti.
“Non ci posso credere!” – sputò fuori John – “Sospeso!”
L’uomo si passò una mano sul viso.
“Ne hai fatte di cazzate, Dean, ma questa…” – si interruppe, gesticolando con una mano – “Questa le supera tutte!”
Dean tenne lo sguardo basso, senza dire nulla.
“Si può sapere a cosa diavolo stavi pensando?” – continuò il padre, con gli occhi puntati sul figlio.
Il ragazzo non si mosse.
“Te lo dico io a cosa stavi pensando!” – ringhiò l’uomo – “A niente!”
Per qualche secondo, quelle parole rimasero imprigionate nel silenzio che seguì.
“Ti rendi conto che questa storia poteva finire peggio, vero?” – riprese John, smorzando il tono – “I genitori di quel ragazzo potevano anche denunciarti. E hai rischiato di non arrivare al diploma e di mandare a puttane tutta la fatica che hai fatto in questi anni”.
L’uomo fissò il giovane in attesa di una risposta.
“Dean” – lo richiamò – “Sto parlando con te”.
Dean sollevò la testa, incrociando per un istante lo sguardo del padre.
“Te ne rendi conto, o no?”
Il ragazzo annuì debolmente.
John si mise le mani sui fianchi, prendendosi del tempo.
“Come prima cosa, scordati di passare i giorni della sospensione a casa, senza fare nulla” – riprese poi, picchiettando due dita sul tavolo per richiamare l’attenzione del figlio – “Andrai da Bobby e lavorerai nella rimessa. Ti porterò io al mattino e ti verrò a prendere alla sera. E quando tornerai a scuola, le cose cambieranno. Dopo le lezioni ti voglio subito a casa. E studierai sodo per recuperare quei pessimi voti che hai preso. Niente uscite durante i week-end, niente tv e niente videogiochi”.
L’uomo fece una pausa.
“E niente macchina” – concluse infine.
Dean non disse nulla.
“Hai capito, Dean?”
Il ragazzo esitò un attimo e poi annuì.
Mary fece un passo in avanti e toccò la schiena del marito con una mano, facendolo così voltare verso di lei. La donna gli rivolse uno sguardo d’intesa, accompagnato da un impercettibile gesto del capo. L’uomo annuì leggermente, ed entrambi si avvicinarono al tavolo, per poi sedersi di fronte al figlio.
“Dean” – esordì lui, appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita delle mani – “Cosa ti sta succedendo?”
Il giovane serrò la mascella, con lo sguardo perso nel vuoto.
“È successo qualcosa?” – tentò il padre – “Qualcosa che magari non ci vuoi dire?”
Dean rimase in silenzio.
“Hai dei problemi a scuola, magari con qualche professore, o qualche studente? O sei preoccupato perché ancora non sai cosa fare dopo il diploma?” – riprovò l’altro.
“Tesoro, vogliamo solo capire” – intervenne flebile Mary, per la prima volta – “Hai litigato con qualche tuo amico? Non so, Benny magari…”
Il ragazzo non proferì parola.
La donna esitò un attimo, umettandosi le labbra.
“C’è…c’è forse di mezzo una ragazza?”
Dean fece scattare lo sguardo sulla madre, per poi distoglierlo dopo qualche secondo e lasciarlo vagare nel nulla, disperato.
Mary schiuse la bocca, sorpresa dalla reazione che era riuscita a suscitare nel figlio.
“Teso-”
“Una ragazza?” – la interruppe bruscamente John, rivolgendosi al ragazzo.
“John, aspetta…” – tentò la moglie.
“Seriamente, Dean?” – proseguì lui, ignorando le parole di lei.
Dean rimase con gli occhi fissi su un punto indistinto e non disse nulla.
John scrollò piano la testa, sbuffando in un sorriso sardonico.
“Mi stai dicendo che hai fatto tutto questo casino perché hai il cuore spezzato?” – infierì lui.
“John” – lo ammonì la donna, riservandogli uno sguardo di rimprovero.
“No, Mary, è ridicolo” – replicò l’altro – “Si sta comportando come un ragazzino”.
Gli occhi di Dean saettarono subito sulla figura del padre, mentre i lineamenti del viso si tendevano duramente.
“Io non sono un ragazzino” – sibilò, a denti stretti.
“E invece è proprio quello che sei” – ribatté l’uomo – “Un ragazzino tutto preso dai suoi problemi di cuore e che non usa il cervello quando dovrebbe”.
Dean serrò le mani in un pugno, mentre le tempie iniziavano a pulsare, scandendo la rabbia che cominciava a ribollire di nuovo dentro di lui.
“Stai zitto…” – ringhiò.
John si irrigidì.
“Come hai detto?” – lo sfidò.
“Ho detto di stare zitto!” – sbottò fuori Dean.
“Dean, stai attento a come parli” – lo avvisò l’uomo, alzando a sua volta la voce e puntandogli contro un dito.
“John…” – intervenne Mary, con una chiara sfumatura di apprensione nella voce.
“Adesso basta” – disse lui, incurante del richiamo della donna – “Sono stufo del tuo atteggiamento”.
“E io sono stufo di sentirti dire cazzate sul mio conto!” – urlò Dean, battendo i pugni sul tavolo.
“Dean, stai superando il limite!”
“Tu non sai niente di me! Niente! Di quello che sono, di quello che sto passando! Non sai un cazzo!”
“Non ti permetto di parlarmi così!” – gridò il padre.
“Beh, sai che c’è? Vaffanculo!”
Dean scattò in piedi, e uscì velocemente dalla cucina.
In un primo momento, John rimase immobile sul posto, incapace di muoversi. Le parole che gli aveva appena rivolto il figlio, lo avevano colpito e stordito al punto tale da fargli perdere per un secondo il contatto con la realtà. Una volta ripresosi, però, la reazione dell’uomo non tardò ad arrivare.
“Dove credi di andare?” – lo richiamò John– “Non ho finito con te!”
L’uomo si alzò di scatto dalla sedia, subito imitato dalla moglie, e lo seguì.
“Dean!”
Quando John mise piede nel corridoio, vide il figlio prendere le chiavi della macchina dal mobile lì accanto e dirigersi a grandi passi verso l’ingresso.
“Non azzardarti ad uscire da quella porta!” – urlò, fermandosi un attimo.
Dean ignorò la voce del padre e aprì la porta, varcandone poi la soglia.
“Maledizione, Dean! Torna subito qui!”
L’uomo riprese a seguirlo, ma quando arrivò sul portico, l’Impala stava già uscendo dal vialetto in retromarcia, per poi immettersi in strada e ripartire con uno stridore di gomme, che riecheggiò nel silenzio della sera come il grido di un animale ferito.
“John!”
La voce di Mary, che giunse alle spalle dell’uomo, lo fece voltare. Gli occhi della donna era lucidi e il volto reso teso dall’evidente preoccupazione.
“Ti prego, vagli dietro…non lasciarlo andare via così…”
John esitò un attimo, di fronte alla richiesta della moglie, e infine tornò a guardare la strada, in tempo per vedere i fanali di coda rossi dell’Impala sparire dietro l’angolo.
 
 
°°°
 

La strada scorreva rapida, illuminata solo per un istante dai fari dell’Impala, per poi scivolare via e tornare di nuovo prigioniera del buio. Dean strinse le dita sul volante, come se si stesse aggrappando disperatamente a qualcosa per non essere trascinato via. Attraverso il finestrino aperto, l’aria s’intrufolava nell’abitacolo. Dean la sentiva bisbigliare nelle orecchie, la percepiva scivolare sulle labbra, tra le ciglia, lungo la nuca, garantendogli quel minimo di lucidità necessaria per continuare a guidare.
Lo scontro che aveva avuto con John, poco prima, non aveva fatto altro che pungolare quel nervo scoperto che Dean era diventato, pompando la sua rabbia in circolo e spingendolo oltre il limite. In modo particolare, le parole del padre erano state come benzina sul fuoco, come un dito che indugia sadicamente su una ferita aperta e dolorante, e lo avevano fatto esplodere, permettendo così alla sua rabbia di dilagare senza controllo dentro di lui.
Dean sentì le tempie pulsare, così forte da assordarlo. Come aveva potuto John dire quelle cose? Come aveva anche solo osato sminuire così la sofferenza che lui provava? Cosa sapeva lui delle macerie in cui si era ridotto il suo mondo da quando Castiel lo aveva lasciato?
Castiel.
Dean strinse ancora di più le dita, fino a far sbiancare le nocche. Erano quelli i momenti più difficili, quando il nome di Castiel esplodeva nella sua mente come un fuoco d’artificio, proiettando immagini vivide, pescate tra i ricordi. E la difficoltà principale consisteva proprio nel fatto che gli unici ricordi che si presentavano erano quelli più recenti e, pertanto, quelli più brutti e sofferti: il blu dei suoi occhi, carico di rancore per avergli mentito; la figura di Castiel che gli voltava le spalle e che si allontanava, dopo aver risposto al suo ti amo con un mi dispiace; il movimento increspato delle sue labbra quando gli aveva detto è finita. Quelle immagini non facevano altro che alimentare il rancore e la rabbia che Dean provava per Castiel, dando, come unico risultato, quello di rendere il solo pensare a lui un divieto assoluto, e il nome di Castiel una specie di tabù. Ma non era solo il nome del ragazzo ad essere ostracizzato. Infatti, in quei rari momenti di quiete in cui la rabbia si limitava a ribollire sommessamente, una piccola parte di Dean sfidava tale proibizione e provava a pensare a lui, perché voleva farlo, perché ne aveva bisogno, ma senza riuscirci. E allora si spingeva a cercarlo nella memoria, tra i ricordi di quei mesi passati insieme, inutilmente però, perché era come se il tempo trascorso con lui fosse sfuocato, rivestito da una patina torbida, come se non lo ricordasse chiaramente. Gli sfuggivano i dettagli dei luoghi, delle cose fatte, del giusto colore dei suoi occhi o dei suoi capelli. In quegli istanti, Dean si sentiva perso e sconfortato, perché aveva come l’impressione che, tutto ciò che lui era stato con Castiel, stesse scomparendo, come la sabbia che scivola via tra le dita, nonostante si cerchi di trattenerla in un pugno.
Lui.
Dean sentì un nodo stringergli la gola, incrementando il suo bisogno di aria. Succedeva così, ogni volta che i riflettori si spostavano su di sé, ricalcando i suoi chiaroscuri. Nonostante la rabbia e il rancore lo spingessero di continuo ad incolpare Castiel per la fine della loro relazione, quella piccola parte di Dean, la stessa che scandagliava il pozzo dei ricordi, continuava a chiedersi se, in fondo, fosse anche un po’ colpa sua. Ripercorrendo a ritroso tutto quello che era successo, laddove la memoria glielo permetteva, cercava di individuare qualche indizio, magari sotto forma si sbavatura, che avrebbe deviato il corso degli eventi verso un’altra strada. E le domande nascevano spontanee, giungendo ad ondate e incalzate dal fatto di non ottenere risposta. Forse avrebbe dovuto insistere di più e convincere Castiel a cambiare idea sulla sua decisione di lasciarlo? O, magari, avrebbe dovuto impegnarsi maggiormente quella sera al luna park, e non lasciare che la stizza lo portasse a dire quelle cose? Sicuramente, non avrebbe dovuto mentirgli e agire alle sue spalle, come invece aveva fatto. E se, invece, avrebbe dovuto approcciarsi al ragazzo con gli occhi blu in un modo diverso sin dall’inizio? Ma come? Dean si era avvicinato a Castiel, mosso da nient’altro che il suo istinto. Era stato proprio l’istinto che aveva guidato il suo corpo verso il portico di casa Novak, quel pomeriggio; che lo aveva poi portato più e più volte a ricercare la compagnia del giovane; che in seguito lo aveva spinto goffamente a baciarlo la prima volta; e che, infine, aveva fatto in modo che tutto, in Dean, fosse in funzione di Castiel.
 
“se io ho fatto tutto questo è solo perché ti amo”
 
L’aria abbandonò definitivamente i suoi polmoni e l’immagine della strada davanti a lui iniziò a sfarfallare. Le braccia di Dean si tesero in uno spasmo e il giovane sterzò bruscamente. L’Impala sobbalzò in malo modo, percorrendo ancora qualche metro con un leggero tremolio, per poi fermarsi di colpo.
Dean tenne le mani sul volante, respirando a bocca aperta e incamerando più aria possibile, che era tornata prepotente, così come se n’era andata. Il suo petto si alzava e si abbassava, mentre il cuore tamburellava così forte da stordirlo. Dean rimase immobile, finché il suo respiro si fece più regolare e il cuore rallentò la sua corsa. E fu in quel momento che il giovane batté più volte le palpebre, mettendo a fuoco la realtà intorno a lui. Il ragazzo fece scivolare piano le mani dal volante e contemporaneamente si guardò in giro, smarrito. Oltre i finestrini dell’Impala, l’oscurità aveva la meglio e solo la luce dei fari riusciva a ferire il buio, diradandolo in uno spiraglio. Dean concentrò la sua attenzione in quel varco luminoso e si rese conto di trovarsi di fronte ad una fitta macchia verde con numerosi alberi, le cui chiome andavano a morire nel nero della notte. Lì accanto, un cartello di legno riportava incisa una scritta.
Dean avvertì uno scatto dentro di sé, improvviso, secco, deciso, simile a quello di una serratura che si apre. Un click dal rumore preciso, definito, senza strascichi, capace però di dividere l’animo tra l’inquietudine e l’aspettativa per quello che seguirà dopo. La mano del giovane Winchester si mosse da sola, aprendo lo sportello, e il ragazzo uscì dall’abitacolo, ritrovandosi a fare qualche passo malfermo sulle proprie gambe. Dean si fermò di fronte al cartello, con le braccia lungo i fianchi.
 
 
“Non mi hai ancora detto dove andiamo”
“Ti ho detto che è una sorpresa”
 
Un gorgoglìo lieve risalì dalle profondità della memoria, liberandosi sulla superficie in cerchi concentrici.
 
“Dove siamo?”
“Vieni, scendiamo e vedrai”
 
Un altro gorgoglìo, più forte, increspò la superficie, seguito poi senza sosta da altri, via via sempre più intensi. Dean allungò una mano e con le dita ricalcò la scritta sul cartello, tastando con i polpastrelli la ferita del legno inciso.
 
“Benvenuto al Prairie Park”
 
All’improvviso la mente di Dean fu sopraffatta da un’ondata spumeggiante di immagini, che si presentarono a lui nitide e in tutta la loro chiarezza.
Ed eccolo lì, il tempo trascorso con Castiel, quei mesi passati insieme. I ricordi legati al ragazzo con gli occhi blu non erano scomparsi, come invece quella piccola parte di Dean temeva, ma erano stati rinchiusi in qualche posto, custoditi gelosamente, perché troppo preziosi. In quel momento, però, Dean si sentì confuso. Perché prima non riusciva ad avere accesso a quelle memorie? E perché, invece, ora erano loro ad andare incontro a lui, regalandogli dettagli di Castiel che sorrideva, o che inclinava il viso in quel modo particolare quando non capiva qualcosa, o ancora che lo guardava con intensità tale da farlo perdere nel blu dei suoi occhi?
Castiel.
Dean rimase in attesa, pronto ad assistere alla sua rabbia che interveniva, facendo rispettare il divieto imposto e ponendo fine a tutto quello, ma non avvenne nulla. E in quel momento il giovane Winchester si accorse che tutta la sua rabbia era improvvisamente scomparsa. Quella grande parte di lui, così forte da sembrare invincibile, quella stessa parte che aveva preso il comando nelle ultime settimane e che si era assunta la responsabilità di proteggerlo dal suo dolore, era semplicemente andata via. Ciò che era rimasto, invece, era quella piccola parte di Dean, quella che rincorreva affannosamente i ricordi, quella che sondava sé stesso, quella che contravveniva al divieto…quella che sentiva la mancanza di Castiel.
Dean avvertì il peso di quella nuova consapevolezza e le sue gambe cedettero, facendolo cadere in ginocchio sulla ghiaia, con le spalle ricurve. Gli occhi iniziarono a pungere e la vista ad offuscarsi. Ben presto calde lacrime, le prime da quello straziante pomeriggio in cui Castiel gli aveva detto addio, scesero lungo il viso, gridando quello che lui non riusciva a dire a voce: Castiel gli mancava con un’intensità da togliere il fiato. Vinto da quella realtà, Dean si portò le mani al viso, stringendole in un pugno, e si abbandonò al pianto, sussurrando tra i singhiozzi il nome di Castiel.
 
 
°°°
 
Dean trascinò i piedi sui gradini del portico, per poi trovarsi di fronte alla porta d’ingresso della propria casa. Intorno a lui, un silenzio ovattato cullava le ultime ore di sonno del quartiere. L’aria di metà maggio accarezzava piano la pelle, mentre il chiarore purpureo del cielo all’orizzonte prometteva una giornata serena.
Dean diede un’altra occhiata all’orologio, l’ennesima da quando aveva lasciato il Prairie Park: erano già passate le cinque del mattino. Il giovane Winchester si passò una mano sul viso, sospirando rumorosamente.
Il modo in cui se n’era andato la sera precedente e le parole che aveva rivolto al padre, si erano ripresentati in tutta la loro gravità nel momento in cui Dean era tornato in sé. Dopo aver dato sfogo al pianto, infatti, il ragazzo era rientrato nell’abitacolo dell’Impala, dove era rimasto per diverse ore, spossato da tutte quelle emozioni di cui era stato succube. Cullato dall’oscurità che lo circondava, Dean aveva oscillato tra la determinazione di riavere Castiel nella sua vita e la rassegnazione di averlo perso per sempre. Infine, nel momento in cui aveva ripreso contatto con la realtà, si era reso conto delle conseguenze del suo gesto. Quando aveva ripreso possesso del cellulare, gettato malamente sui sedili posteriori in uno scatto di nervi, vi aveva trovato numerose chiamate perse da parte del padre e altrettanti messaggi da parte di Mary, che lo supplicavano di tornare a casa o, quantomeno, di contattarla per farle sapere che stava bene. E così, con il peso della colpa per aver fatto preoccupare la madre, Dean si era deciso a far ritorno a casa. Tuttavia, durante il tragitto, non erano mancati dei momenti in cui Dean si interrogava sulla situazione che avrebbe trovato a casa, in particolar modo sulla reazione del padre. John teneva particolarmente alla disciplina e al rispetto, e il giovane in quella sera aveva infranto in un colpo solo la maggior parte delle regole dell’uomo.
Dean si mordicchiò l’interno della guancia, esitando. Avrebbe voluto prendersi ancora del tempo, per prepararsi alla sfuriata che John gli avrebbe sicuramente fatto, ma in cuor suo sapeva bene che più rimandava l’inevitabile, peggio era, e che, in verità, nulla lo avrebbe preparato alla reazione del padre.
Dean appoggiò la mano alla maniglia, soffermandosi su di essa per qualche istante e infine aprì la porta. Un silenzio quasi surreale lo accolse, in sintonia con la penombra del corridoio e delle stanze vicine. All’improvviso, però, un rumore sordo screziò la tranquillità della casa e dalla cucina uscirono John e Mary. Dean si immobilizzò, trattenendo il fiato.
“Dean!”
Richiamato da quella voce, Dean si voltò di scatto, in tempo per vedere Sam scendere di corsa le scale e venirgli incontro, per poi abbracciarlo con impeto.
“Dove sei stato? Stai bene?”
Sam lo guardava dal basso, in attesa di una risposta. La voce incrinata del minore e il verde lucido dei suoi occhi, non fecero altro che rimarcare la colpa che Dean provava nei confronti della sua famiglia per essersene andato in quel modo. In quel momento, infatti, il più grande intuì che il fratello dovesse aver atteso il suo ritorno, con ansia e preoccupazione.
Ed era vero. La sera precedente, il più piccolo dei Winchester, era stato mandato in camera sua, dal momento che i genitori dovevano parlare con Dean. Il ragazzino, però, preoccupato per quanto successo al fratello quella mattina, aveva disubbidito ed era uscito dalla sua stanza, per poi rannicchiarsi in cima alle scale e rimanere in ascolto. Quando la voce del fratello si era fatta più alta, rimbeccata da quella autorevole del padre, il cuore di Sam aveva iniziato a battere forte. E, infine, nel momento in cui aveva intravisto il maggiore percorrere il corridoio, per poi uscire dalla porta d’ingresso, la paura si era impadronita di lui, al punto tale da spingerlo a rifugiarsi in camera. Per tutta la notte, Sam era rimasto sveglio ad ascoltare i vari rumori che si rincorrevano per casa: la voce concitata della madre, la porta principale che si apriva e chiudeva continuamente, la macchina del padre che più volte era partita dal vialetto di casa, per poi farvi ritorno dopo un po’. Ma, in mezzo a tutto questo, c’era solo una cosa che Sammy avrebbe voluto sentire, ed era il motore dell’Impala, che avrebbe reso certo il ritorno del fratello.
Dean stirò le labbra in un sorriso lieve.
“Sto bene, Sammy” – aggiunse poi, scompigliando piano i capelli dell’altro con una mano.
“Sam, vai in camera tua”.
La voce di John arrivò calma, ma ferma.
“Ma, papà…” – tentò il minore, girandosi verso l’uomo.
“Ho detto vai in camera tua”.
Sam si voltò di nuovo verso il fratello, con un’espressione angosciata sul viso.
Dean fece un cenno del capo in direzione del piano di sopra, incitando così il più piccolo ad obbedire al genitore.
Sam esitò un attimo e infine annuì. Il ragazzino si avviò malvolentieri sulle scale, continuando a girarsi verso Dean, fino a scomparire in cima.
Dean rimase immobile, a pochi passi da John e Mary che lo guardavano, in silenzio. Il ragazzo ricambiò lo sguardo, soffermandosi su quello della madre, che aveva gli occhi e i lineamenti segnati da una notte passata in piedi, a preoccuparsi di dove fosse il figlio. Il senso di colpa lo pungolò nuovamente, facendogli spostare l’attenzione altrove.
“Dove sei stato?” – chiese John, con la stessa voce ferma di prima.
Dean sussultò leggermente e fece per aprire bocca, ma la richiuse subito, senza dire nulla.
“Ti ho cercato dappertutto” – disse ancora l’uomo, avvicinandosi a lui.
Il giovane Winchester arretrò di poco.
“Ti abbiamo chiamato molte volte, ma tu non hai mai risposto”.
John era ormai ad un passo da lui, e Dean ne avvertiva la presenza, forte e schiacciante. D’istinto serrò le palpebre, ma, all’improvviso, sentì un calore avvolgerlo e, quando riaprì gli occhi, si rese conto di essere tra le braccia del padre.
“Mi hai fatto morire di paura…” – lo sentì mormorare.
Dean sentì un nodo stringergli la gola.
“Credevo che ti fosse successo qualcosa…”
Di fronte a quelle parole, il senso di colpa del ragazzo esplose, sopraffacendolo. Gli occhi iniziarono a pungere e le sue mani si aggrapparono alla maglietta dell’uomo, stringendone la stoffa tra le dita.
“Mi dispiace…”
 
 
 
 




~ L’angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Come vi avevo accennato settimana scorsa, questo capitolo avrebbe dovuto essere unico, ma la sua lunghezza, nonché la pesantezza della tematica trattata, era tale da decidere, in accordo con la beta, di dividerlo in due parti. Tuttavia sia gli avvenimenti che avete letto qui, sia quelli del prossimo capitolo (interamente dedicato a Castiel) si svolgono in un’unica giornata, che è la stessa, quindi le due letture vanno in parallelo.
In questa metà vediamo la situazione di Dean dopo tre settimane dalla rottura con Castiel, in modo particolare come il ragazzo passa dallo stato di negazione a quello della rabbia, per poi approdare a quello della contrattazione/depressione.
La reazione che ha avuto John, di fronte alla possibilità che il comportamento di Dean fosse frutto di un problema di cuore, è stata fatta apposta, per sottolineare come spesso i genitori di adolescenti tendano a sminuire e denigrare i problemi dei ragazzi, confrontandoli (sbagliando) con quelli del mondo degli adulti. È vero che in questa età si tende ad ingigantire ed esasperare tutto, ma è anche vero che il disagio e la sofferenza che provano i ragazzi è autentica, e come tale va rispettata. Ovviamente, anche la reazione finale dell’uomo è stata scelta di proposito, in antitesi con quella di partenza, per richiamare il fatto che, di fronte alla fuga di un figlio, per il genitore l’unica cosa che conta è che il ragazzo ritorni a casa incolume, indipendentemente dagli scontri che ci sono stati.
Durante il suo girovagare in macchina, Dean finisce al Prairie Park, proprio quel parco dove aveva portato Castiel per un pic-nic, quando erano ancora amici, e dove il biondo aveva chiesto all’altro di insegnarli qualcosa sulla lingua dei segni. È un luogo importante per il loro rapporto, perché aveva segnato un avvicinamento considerevole tra i due, e cementato la fiducia che Castiel riponeva in Dean. Ed è in questo posto che tutti i ricordi belli riemergono, e in cui Dean avverte finalmente la mancanza di Castiel in tutta la sua intensità.
Bene direi che è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, se avete dubbi o domande, pensieri idee, tutto quanto ^^
Alla prossima!
Sara
 
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Il signor Graber è veramente l’attuale preside della Free State High School di Lawrence. Spero che non si offenda per essere stato partecipe, a sua insaputa, della sospensione di Dean Winchester xD
 
2) Al posto delle solite fan art, in questo aggiornamento vi delizio con delle immagini di Jensen Ackles da giovane xD (l'ultima è tratta proprio da Supernatural)

                 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo Venti - Parte Seconda ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO VENTI - PARTE SECONDA
 
“A un cuore in pezzi
nessuno si avvicini,
senza l’alto privilegio
di aver sofferto altrettanto”
 
Sillabe di seta – Emily Dickinson
 
 
 
 
Tre settimane dopo
 
Amelia si chiuse la porta di ingresso alle spalle e avanzò lungo il corridoio.
“Balth” – chiamò poi.
“Sono qui!”
La voce del figlio maggiore guidò la donna verso il salotto.
“Ehi” – disse lui, quando la madre fece capolino nella stanza.
“Ciao, tesoro” – fece eco lei, avvicinandosi al divano dove era seduto il ragazzo – “Come va?” – aggiunse, facendo un cenno del capo in direzione del piano di sopra.
Il più grande scrollò piano le spalle.
“Il solito” – rispose.
“Ha mangiato qualcosa?”
“Sì, un po’ di cereali, quando si è svegliato”.
“Ok” – sospirò Amelia, guardando di sfuggita l’orologio – “Magari più tardi gli preparo qualcosa”.
Balthazar si alzò dal divano e prese la tracolla, mettendosela sulla spalla.
“Devo andare, o farò tardi per il tirocinio”.
“Va bene…” – annuì la madre – “Ah, Balth” – lo richiamò poi – “Grazie…per esser rimasto qui con tuo fratello…” – proseguì, indugiando – “…è che non volevo lasciarlo a casa da solo…”
Balthazar abbozzò un sorriso.
“Non devi neanche dirlo”.
“Lo so che sei molto impegnato e che ti sto chiedendo tanto…”
“Non ti preoccupare” – la tranquillizzò lui – “Ho detto al responsabile che avevo bisogno di qualche ora libera e gli ho anche spiegato il motivo, e lui ha capito”.
“Mi dispiace…” – mormorò lei, con voce incrinata.
“No, no, mamma” – intervenne il figlio, facendo un passo avanti e stringendo la madre in un tenero abbraccio – “È tutto a posto, davvero”.
La donna chiuse gli occhi e sospirò forte.
“Non so più cosa fare con lui…”
Balth si scostò leggermente e incrociò gli occhi di Amelia.
“Stasera proverò a parlargli di nuovo, se vuoi” – propose.
La donna si morse un labbro, esitando, e infine annuì.
“D’accordo, allora” – disse lui, rivolgendo all’altra un sorriso – “Ci vediamo più tardi”.
Amelia annuì di nuovo e salutò il ragazzo con un cenno della mano. Quando la porta d’ingresso si chiuse, la donna si trovò da sola, nel silenzio più assoluto della casa. Rimane ancora qualche minuto in salotto, come per raccogliere le forze. Infine, si diresse verso le scale e salì al piano di sopra.
 
La signora Novak indugiò di fronte alla camera di Castiel.
In quelle ultime settimane, la preoccupazione della donna per il figlio più piccolo si era ingigantita a dismisura. Il comportamento assunto da Castiel, infatti, aveva stravolto completamente e inspiegabilmente quei pochi punti fermi che la famiglia Novak aveva raggiunto faticosamente in tutti quegli anni. La prima certezza a crollare era stata l’istruzione del ragazzo. Da un giorno all’altro, infatti, Castiel si era rifiutato di fare lezione con Naomi. Inizialmente, Amelia credeva che si trattasse di un capriccio momentaneo, magari dettato dalla stanchezza in previsione del diploma, come le aveva suggerito tempo addietro il marito. Ma la situazione era andata avanti, e il diniego di Castiel, di fronte all’argomento scuola, era diventato definitivo: non voleva più continuare. A nulla erano valsi gli sforzi dei genitori di fargli cambiare idea. Castiel sembrava un muro di gomma e ogni loro tentativo veniva continuamente respinto. Una volta sopraggiunta la sordità, l’istruzione di Castiel era stato un punto dolente per Amelia e James. Dopo essere stati costretti a ritirare il figlio dalla scuola che frequentava, infatti, si erano trovati in difficoltà, dal momento che il più piccolo non aveva intenzione di frequentare una scuola speciale. Quella del tutor, pertanto, era apparsa come una soluzione ideale, visto che andava incontro alle esigenze di entrambe le parti, Castiel da un lato e i genitori dall’altro. Ma ora che anche questa opzione era venuta meno, i signori Novak si trovavano smarriti e senza alternative. Come se non bastasse, Castiel aveva smesso completamente di uscire di casa. Quella di venire a contatto con il mondo esterno e con altre persone, era stata una conquista recente da parte del ragazzo con gli occhi blu, e di cui Amelia e James erano stati felici. Vederlo interagire con ragazzi della sua età era stato per loro motivo di gioia e di sollievo. E la donna sapeva che il merito di tutto era stato del figlio dei vicini, Dean. Quel ragazzo era stata una benedizione per i signori Novak. Aveva offerto a Castiel un’amicizia sincera, coinvolgendolo in tante cose e facendogli conoscere altre persone. Ma quando Castiel aveva ripreso ad isolarsi e a passare la maggior parte del tempo chiuso nella sua camera, alla donna era sembrato di rivivere un incubo. In un primo momento, Amelia si era chiesta se l’atteggiamento del figlio avesse qualcosa a che fare proprio con Dean. Più volte aveva domandato a Castiel se ci fosse stato un litigio o un’incomprensione tra di loro, ma il ragazzo scuoteva il capo o evitava addirittura di rispondere. Non volendosi arrendere di fronte alla reticenza del figlio più piccolo, Amelia aveva deciso di tentare un’altra strada: parlare con Dean, chiedergli se conoscesse il motivo dell’improvviso isolamento di Castiel o se, in qualche modo, il ragazzo gli avesse confidato qualcosa che lo turbava. Tuttavia, anche su questo fronte, la donna aveva incontrato non poche difficoltà. In quel periodo, infatti, il giovane Winchester non era mai presente alle sue lezioni, e, quando lo incontrava nei corridoi, il ragazzo era sfuggente, quasi come se volesse evitarla. E questo aveva portato la donna a farsi sempre più domande, senza però ottenere risposte. Inoltre, c’era un’altra questione che aveva turbato la famiglia, e non poco…
La donna scrollò la testa, per liberarsi da quei pensieri che la stavano opprimendo, e che avevano reso la sua vita particolarmente difficile nelle ultime settimane. Amelia guardò di sfuggita il pulsante accanto alla porta, indecisa su cosa fare. Anche se avesse attivato il segnale luminoso nella stanza di Castiel, il ragazzo non sarebbe mai venuto ad aprire la porta spontaneamente.
Amelia fece un sospiro e girò la maniglia, socchiudendo la porta e facendo capolino nella camera.
Castiel era sdraiato sul letto e sembrava avere gli occhi chiusi.
La donna si avvicinò e, con una mano, gli accarezzò dolcemente i capelli, facendolo sussultare e aprire gli occhi contemporaneamente.
“Ehi” – sorrise lei – “Stavi dormendo?”
Il ragazzo scrollò la testa e si sollevò leggermente.
“Tuo fratello è andato al tirocinio” – lo informò la madre, sedendosi sul bordo del letto.
Il più piccolo annuì, sovrappensiero.
La donna si soffermò un attimo sui lineamenti dell’altro e sul blu increspato dei suoi occhi.
“Cassie” – lo richiamò lei, toccandolo – “Stavo pensando…che ne diresti di uscire un po’ oggi pomeriggio? Ho il resto della giornata libera, potremo fare una passeggiata…”
Castiel fece segno di no con il capo.
“Perché no? C’è un bel sole fuori, è un peccato rimanere chiusi in casa…” – lo incitò l’altra.
[…]
La donna si sentì stringere il petto. Eccola lì l’altra questione che aveva gettato lei e il resto della famiglia nella confusione e nello sconforto più totale: Castiel aveva smesso di usare la voce e aveva ripreso a comunicare con la lingua dei segni. I Novak avevano trascorso interi anni in quella situazione, era vero, eppure, tornare indietro, dopo aver sentito di nuovo la voce di Castiel, era stato tremendo, come se fosse stata la prima volta.
“Lo so che non hai voglia, ma una volta fuori sono sicura che cambieresti idea…”
Castiel scrollò di nuovo la testa.
Amelia sospirò, affranta.
All’improvviso, un ronzio ovattato attirò la sua attenzione. La donna si guardò in giro un attimo, per poi posare gli occhi sul comodino lì accanto. Incuriosita, aprì il cassetto e vide il cellulare di Castiel con lo schermo illuminato.
“Credo che ti sia arrivato un messaggio” – disse lei, toccandolo con una mano e indicando il comodino con un cenno del capo.
Il ragazzo guardò di sfuggita il cassetto, ma non si mosse.
“Non vuoi vedere chi è?” – lo incitò Amelia.
Il giovane fece cenno di no.
Amelia sentì crescere la frustrazione dentro di sé. Non solo Castiel non voleva vedere nessuno, ma non era neanche intenzionato a mantenere contatti a distanza. Perché? La donna non capiva, non riusciva a comprendere il motivo di un cambiamento così improvviso.
Amelia si prese un momento e poi guardò il figlio, pensierosa.
“Sai…” – iniziò – “Oggi è successa una cosa a scuola…”
Castiel si limitò a fissare la madre, dando segno di non essere particolarmente interessato a quello che lei aveva da dire.
Amelia si stropicciò le mani, indecisa se continuare o meno. In un certo senso, era quasi sicura che, proseguendo, avrebbe attirato l’attenzione dell’altro, ma contemporaneamente, temeva di turbarlo.
“Riguarda Dean…” – trovò la forza di andare avanti.
Una luce brillò nel blu degli occhi del giovane e Amelia se ne accorse, incoraggiandola così a proseguire.
“Ho…ho saputo che lui e un altro studente si sono picchiati nel cortile della scuola…”
Castiel spalancò gli occhi, mentre un chiaro turbamento ne velava le iridi, offuscando la luce di prima.
Le mani del ragazzo si mossero piano, incerte.
[…]
“Non so cosa sia successo di preciso…”
[…]
“Credo che stia bene. Per fortuna qualcuno è intervenuto subito”.
Il giovane abbassò lo sguardo e serrò le labbra.
“Cassie” – lo richiamò lei, toccandogli un braccio – “Potresti andare a trovarlo e vedere come sta, che ne dici?”
Castiel deglutì un paio di volte e scrollò forte la testa.
“Sono sicura che a Dean farebbe piacere”.
Il ragazzo scosse ancora il capo.
“Ok, come vuoi…” – sospirò forte lei.
 
“Tesoro, vorrei che tu parlassi con me. Vorrei che mi dicessi cosa c’è che non va…”
Il figlio incrociò gli occhi dell’altra, ma non rispose.
“Io e tuo padre siamo preoccupati, e anche Balth”.
Castiel si morse un labbro e distolse lo sguardo.
La madre posò delicatamente due dita sulla guancia dell’altro, richiamandone così l’attenzione.
“Vogliamo solo aiutarti…”
Il giovane schiuse leggermente la bocca, per poi serrarla in un’espressione amareggiata.
[…]
I lineamenti di Amelia si tesero dolorosamente.
“P-perché dici che non possiamo farlo? Lascia almeno che ci proviamo…”
Il ragazzo dagli occhi blu si lasciò andare stancamente contro il cuscino e abbassò le palpebre.
Di fronte alla chiusura emotiva del figlio più piccolo, Amelia sentì l’impotenza dilagare dentro di sé. Ben presto le lacrime iniziarono a pungere, e lei fu costretta a rivolgere lo sguardo altrove. In seguito allungò una mano e accarezzò piano i capelli del ragazzo che, a quel tocco, socchiuse leggermente gli occhi.
“Se hai bisogno di qualcosa, io sono in cucina, ok?”
Il giovane annuì debolmente, per poi chiudere di nuovo gli occhi.
Amelia si alzò dal letto e si diresse verso la porta, girandosi verso il figlio un’ultima volta, prima di uscire del tutto dalla stanza. E quando si ritrovò da sola nel corridoio, le lacrime iniziarono a scendere prepotenti, senza che lei riuscisse a fermarle.
 
Castiel rimase sdraiato sul letto, con gli occhi chiusi, scandendo il tempo che passava con i battiti del suo cuore, come se stesse aspettando qualcosa.
Era così che trascorreva gran parte della sua giornata: in attesa. E nelle ultime settimane non aveva fatto altro. Da quando aveva posto fine alla sua relazione con Dean, Castiel aveva aspettato con pazienza che il suo desiderio di sentire (insieme a tutto ciò che comportava) si affievolisse, che tornasse a dormire come aveva fatto prima di conoscere Dean. Tuttavia, quel desiderio non si era placato, anzi, se possibile, sembrava ancora più forte e aggressivo di prima. Castiel non era ingenuo, in realtà sapeva benissimo che una cosa simile non sarebbe mai potuta accadere, e questo perché lui non era più la persona di prima. Castiel non era più il ragazzo che abitava a Pontiac, il suo incontro con Dean lo aveva cambiato, lo aveva trasformato al punto tale che per il giovane era ormai impossibile tornare indietro. Dean era entrato dentro di lui, modificando gli ingranaggi del suo animo e conferendo loro un ritmo e un movimento nuovi, del tutto diversi.
Ma allora perché farlo? Perché aspettare una cosa che si sa già che non accadrà? La verità era che Castiel si era aggrappato con tutto sé stesso a questa illusione, a questa vana attesa, per non pensare all’unica cosa che continuava a tormentarlo e a straziarlo in modo insopportabile: la mancanza di Dean.
Quando stava ponderando la decisione di lasciare andare il giovane Winchester, Castiel aveva provato ad immaginare la sua vita senza di lui, e il solo pensiero era stato insostenibile. E purtroppo, la realtà era stata anche peggio, amplificata fino all’esasperazione da tutti gli stimoli esterni che raggiungevano il giovane. L’assenza di Dean era ovunque intorno a lui: nei piccoli regali che il biondo gli aveva fatto e che Castiel custodiva gelosamente; nella sedia vuota della scrivania, dove Dean preferiva indugiare in baci, anziché fare i compiti; nel block notes aggiustato, che adesso il moro teneva sempre accanto a sé; nell’odore dell’altro sulla federa del cuscino, che sembrava resistere, sbiadendo solo un istante quando veniva lavata; in quello stesso letto dove era sdraiato e che, senza Dean, sembrava più grande, e più vuoto. Castiel aveva immaginato che sarebbe stato difficile, ma quello che forse non si era aspettato era quanto. Lasciare Dean era stato come una bomba che, esplodendo, aveva dato vita ad un’onda d’urto, capace di spazzare via tutto quanto in un battito di ciglia. All’improvviso niente nella vita di Castiel aveva più senso: le lezioni con Naomi, l’imminente diploma, nemmeno l’amicizia con Charlie, che continuava a tempestarlo di messaggi a cui lui non rispondeva, e infine…l’uso della voce. Quest’ultimo aspetto della vita di Castiel era strettamente legato al giovane Winchester. Il ragazzo dagli occhi blu, infatti, aveva affidato a Dean quella parte di sé che non riusciva a raggiungere, affinché l’altro lo facesse per lui. Ma da quando Dean non faceva più parte della sua vita, per il giovane l’uso della voce non aveva più significato. Castiel non sentiva quello che diceva a parole, ma poteva farlo con la lingua dei segni: vedeva le sue mani, i gesti del suo corpo…sentiva quello che diceva con la vista, e quello gli bastava.
Ma c’era un’altra cosa, con la quale Castiel non aveva fatto i conti e che, invece, si era presentata in tutta la sua crudeltà, infierendo su di lui in modo impietoso: il pentimento. Castiel si era pentito della sua scelta appena tornato a casa, quel pomeriggio stesso in cui aveva lasciato Dean. Il suo corpo tremava, faceva fatica a reggersi in piedi, si sentiva soffocare e non riusciva ad impedire alle lacrime di scendere. E i giorni successivi non erano stati da meno. Ogni volta che chiudeva le palpebre, vedeva il modo in cui Dean lo aveva guardato, la disperazione con la quale si era opposto alla sua decisione. Di notte, non riusciva a dormire e la nausea lo costringeva a digiunare spesso. Tutto, in lui, si stava ribellando a quell’allontanamento forzato, a quell’addio non voluto, e lo stava punendo, nel peggior modo possibile. Persino allo specchio, il suo riflesso puntava un dito accusatorio contro di lui, per quello che aveva fatto. E Castiel provava a difendersi, inutilmente, continuando a ripetere a sé stesso di avere fatto tutto quanto per Dean, per il suo bene.
 
“Riguarda Dean…”
“…lui e un altro studente si sono picchiati…”
 
Castiel spalancò gli occhi, mentre una lacrima sfuggiva via, andando a morire lungo la sua guancia.
Sebbene avesse cercato di non darlo a vedere, quello che gli aveva riferito la madre su Dean, lo aveva profondamente turbato. Nelle ultime settimane non era passato un minuto, senza che Castiel si fosse chiesto cosa stesse facendo Dean, come si sentisse. E la sola idea che l’altro stesse passando anche solo la metà di quello che stava passando lui, lo preoccupava, al punto di annientarlo. Castiel riconosceva di essere un ipocrita nel preoccuparsi delle condizioni di Dean, quando lui stesso era responsabile proprio di quella situazione, ma non poteva farci nulla, era più forte di lui. Il senso di colpa nei confronti di Dean, per averlo fatto soffrire, per avergli detto quelle cose, era già lacerante di per sé. Ma adesso, di fronte a quell’episodio che vedeva coinvolto l’altro, davanti alla possibilità di esser causa anche di questo, lo era ancora di più.
Era stata davvero colpa sua se Dean aveva picchiato quel ragazzo?
Castiel si sentì schiacciato da questa responsabilità, mentre un senso di smarrimento e confusione dilagava nel suo animo. Possibile che, nonostante non fosse più nella vita di Dean, Castiel gli creava ancora problemi? Ma allora, se fosse davvero così, a cosa era servito tutto quello che aveva fatto? A cos’era servito mettere il bene di Dean prima del proprio?
Castiel si girò su un fianco, iniziando a singhiozzare e coprendosi gli occhi con le mani, per non vedere quella nuova realtà che gli si era parata di fronte e con la quale avrebbe dovuto ben presto fare i conti.
 
 
°°°
 
 
“Amelia?”
A quel richiamo la donna batté le palpebre due volte e sollevò lo sguardo. James era fermo di fronte a lei che la osservava, preoccupato.
La famiglia Novak aveva appena finito di cenare. Durante la cena, James si era soffermato più volte a guardare la moglie, sorprendendola spesso con lo sguardo assente o mentre muoveva distrattamente la forchetta nel piatto. Contemporaneamente, l’uomo aveva riservato anche un’occhiata fugace al figlio maggiore, seduto a tavola con loro, e al posto vuoto di Castiel, che anche quella sera si era rifiutato di uscire dalla sua stanza per mangiare.
“Eri silenziosa, a cena” – disse lui – “E non hai mangiato molto” – continuò, indicando con un gesto del capo il cibo avanzato nel piatto della donna.
Amelia incrociò per un istante gli occhi del marito.
“Non è niente…” – tentò lei, abbozzando un sorriso tirato e continuando a sparecchiare la tavola.
L’uomo sospirò e fece un passo in avanti, per poi prendere le posate che la donna teneva in mano e posarle di nuovo sul tavolo.
“Guardami” – disse.
La moglie incontrò di nuovo gli occhi di James.
“Questa cosa di nostro figlio ti sta sfinendo…”
Amelia esitò un attimo.
“Non so più cosa fare…” – ammise poi, flebile.
Per qualche secondo, entrambi rimasero in silenzio.
“Oggi ho provato a parlare di nuovo con lui” – disse lei, poco dopo – “Gli ho proposto di uscire con me, ma non ha voluto…”
“Gli ho anche detto di quello che è successo a scuola oggi” – riprese – “Sai, per cercare di scuoterlo un po’…” – spiegò, gesticolando.
“Perché, cos’è successo?” – domandò l’uomo, aggrottando la fronte.
“Dean…lui e un altro ragazzo si sono picchiati nel cortile della scuola”.
James schiuse le labbra, sorpreso.
“Davvero?”
La donna annuì.
“Il motivo?”
“Non si sa…”
“E Cassie? Cos’ha detto?”
“Non ha detto molto, ma si vedeva che era preoccupato…e così gli ho suggerito di andare a trovarlo. Speravo che magari in questo modo…e invece niente”.
Amelia abbassò lo sguardo e fece una smorfia.
L’uomo la guardò attentamente e capì che c’era dell’altro.
“E poi?” – chiese, incoraggiandola a proseguire.
La donna posò lo sguardo sul tavolo e accarezzò la tovaglia con la punta delle dita, prendendosi del tempo.
“Io…” – esitò un attimo – “L’ho pregato di parlare con me, di dirmi cosa c’è che non va…”
“E lui?”
Lei non rispose.
“Amelia?”
La donna chiuse gli occhi un istante, per poi aprirli subito dopo, incrociando quelli del marito.
“Mi ha detto che non possiamo aiutarlo…”
 
“Perché?” – domandò lei dopo un po’, cercando una risposta nel volto di lui – “Perché dice che non possiamo aiutarlo?”
James sospirò piano.
“Non lo so…”
“Mi sembra di rivivere un incubo” – sussurrò l’altra, con voce incrinata.
“Amelia…” – tentò l’uomo, cingendole le spalle con un braccio e attirandola a sé.
La donna appoggiò la fronte contro il petto del marito e chiuse gli occhi, soffocando un gemito.
“Si sta isolando di nuovo, come quando…” – si interruppe, non riuscendo ad andare avanti.
James le accarezzò dolcemente i capelli, cullandola.
Sebbene il signor Novak fosse fuori casa per gran parte della giornata, veniva comunque tenuto aggiornato dalla moglie sulla situazione del figlio più piccolo, situazione che sembrava peggiorare di giorno in giorno. Tuttavia, proprio perché non riusciva ad essere più presente, l’uomo si sentiva in colpa e impotente di fronte a quello che stava accadendo. E questi sentimenti si erano fusi con la preoccupazione per Castiel, al punto tale da non riuscire più a distinguerli. Nonostante tutto, però, James aveva deciso di non lasciarsi prendere dallo sconforto e di mostrarsi forte, per la sua famiglia, e soprattutto per Amelia.
“Perché?” – chiese la moglie, iniziando a singhiozzare ed interrompendo così i suoi pensieri – “Perché ci sta succedendo tutto questo?”
James non rispose, ma strinse di più la donna a sé.
“Cosa abbiamo fatto di male per meritarcelo?” – gemette lei, prima di abbandonarsi al pianto tra le braccia del marito.
Colpito da quelle parole, l’uomo serrò le palpebre un istante, per poi riaprirle. E fu in quel momento che i suoi occhi blu incontrarono quelli azzurri di Balthazar, che li stava osservando appena fuori dalla sala da pranzo.
 
 
°°°
 
 
Balthazar salì l’ultimo gradino della scala e percorse il corridoio, fino a fermarsi di fronte alla camera di Castiel, mentre dentro di lui si agitavano sentimenti contrastanti.
Quella mattina aveva promesso alla madre che avrebbe parlato di nuovo con il fratello, sebbene, a dire il vero, avesse ormai esaurito le strategie di approccio al più piccolo. Durante i suoi tentativi di dialogo con Castiel, in quelle settimane, Balth aveva tirato fuori il nome di Dean più volte, in quanto aveva intuito da tempo che l’improvviso cambiamento del fratello avesse a che fare con lui. E ogni volta, con i suoi dinieghi e i suoi rifiuti di parlare di Dean, Castiel non faceva altro che confermare la sua teoria. Nonostante questo, però, il maggiore avrebbe scelto ancora questa mossa, perché era convinto che, facendo leva sulla figura del giovane Winchester, prima o poi avrebbe portato il fratello al punto tale di confidarsi con lui. Ed era questa la sua intenzione, se non fosse che, quanto visto poco prima in sala da pranzo, aveva fatto nascere in lui una scintilla di rabbia. Quello che la madre e il padre si erano detti, e le lacrime della donna, lo avevano spinto a provare del risentimento nei confronti del minore. Lui e la sua famiglia erano sempre stati vicini a Castiel, lo avevano supportato in tutto, dal voler comunicare solo con la lingua dei segni, al non voler frequentare una scuola speciale. E ora, di fonte alla loro preoccupazione, davanti alla mano che gli stavano tendendo, lui aveva risposto con un rifiuto. Balth conosceva Castiel, sapeva quanto potesse essere testardo e quanto fosse difficile arrivare a lui e, soprattutto, sapeva quanto il fratello soffrisse la sua condizione, e proprio per questo era sempre stato paziente con lui. Ma nell’ultimo periodo, il comportamento di Castiel non aveva fatto altro che sfiancare e ferire la sua famiglia, in particolar modo la madre. E la scena a cui aveva assistito poco prima era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Balth fissò per un istante la porta della stanza, immaginandovi oltre la figura di Castiel, chiuso nel suo ostinato isolamento. In quel momento, il maggiore dei Novak trovò la sua risoluzione: avrebbe parlato con il fratello, certo, ma lo avrebbe affrontato in modo diverso. Un modo che, sicuramente, all’altro non sarebbe affatto piaciuto, ma che rappresentava l’unica possibilità che Balth aveva per ottenere qualcosa da lui.
Balthazar prese un profondo respiro e aprì la porta, entrando in camera. Castiel era sdraiato sul letto, voltato di spalle. Il maggiore si soffermò a guardarlo e, per un attimo, la sua risolutezza vacillò. Quello che stava per fare sarebbe stato difficile per lui, visto il profondo attaccamento che provava per il più piccolo, e non avrebbe mai voluto arrivare a questo punto, ma doveva farlo, proprio per l’affetto che nutriva nei suoi confronti.
Balth si avvicinò al letto e posò una mano sulla spalla del fratello che, a quel tocco, sussultò, girandosi di scatto.
“Non volevo spaventarti” – si scusò il più grande.
Castiel scrollò la testa e puntò le mani sul materasso, mettendosi poi seduto sul bordo del letto, con i piedi appoggiati a terra.
Balth indugiò un po’ prima di parlare.
“Perché non eri a cena con noi stasera?” – chiese infine.
Castiel batté le palpebre un paio di volte, un po’ sorpreso dalla domanda, visto che era certo di aver detto il motivo alla madre.
[…]
“Non avevi fame, certo…” – annuì piano Balth, come se stesse soppesando la risposa dell’altro – “Ultimamente succede spesso”.
Castiel lo guardò, corrugando leggermente la fronte.
“Vuoi forse negarlo?”
Il minore esitò un istante e poi fece cenno di no con il capo.
Ad un tratto, l’attenzione di Balthazar venne catturata da un oggetto sul letto, accanto al cuscino, che il ragazzo riconobbe come un block notes.
“Cosa stavi facendo?”
[…]
“Niente…” – ripeté il più grande – “Anche questo succede spesso” – sottolineò poi.
Castiel si irrigidì leggermente e fissò il fratello, socchiudendo gli occhi e senza rispondere.
Balthazar vide la reazione dell’altro, ma non si scompose.
“Quindi…hai intenzione di continuare così ancora per molto?” – domandò, invece.
Il ragazzo dagli occhi blu serrò le labbra in una linea dura.
“Non credi che sia ora di smetterla con questo atteggiamento?” – infierì il maggiore.
Le mani di Castiel si mossero veloci.
[…]
“Sai benissimo di cosa sto parlando, Cassie”.
Il minore distolse lo sguardo.
Balth fece un passo in avanti e si chinò di poco verso di lui, catturandone di nuovo l’attenzione.
“Tu non ti rendi conto di cosa succede fuori da questa stanza, vero?”
Castiel non si mosse.
“No, come potresti…a te non interessano gli altri, conti solo tu, non è così?”
Il più piccolo strinse le mani in un pugno e scattò in piedi, trovandosi così faccia a faccia col fratello.
[…]
“Sto dicendo la verità” – replicò l’altro, fronteggiandolo con calma.
Castiel guardò Balth duramente.
[…]
Il più grande scrollò piano la testa e stirò le labbra in una linea amara.
“È così che speri di risolvere il problema? Cacciandomi dalla stanza?”
[…]
“Voglio che tu ti renda conto che, dietro a quella porta, hai un padre e una madre che ti amano tantissimo e che farebbero qualsiasi cosa per te”.
[…]
“E invece no, non lo sai”.
Balth fece una pausa.
“La mamma stava piangendo poco fa”.
Il minore spalancò gli occhi e schiuse le labbra, mentre i suoi lineamenti si tendevano dolorosamente.
“Lei e papà sono molto preoccupati, perché non capiscono cosa ti stia succedendo” – continuò l’altro – “E lo sono anch’io”.
D’istinto, Castiel rivolse lo sguardo altrove, schiacciato dal senso di colpa che lo assalì improvvisamente.
Balth gli toccò la spalla, richiamandolo.
“Hai detto alla mamma che non possiamo aiutarti”.
Il più piccolo non rispose.
“Quindi questo significa che c’è un problema” – insisté il maggiore.
Castiel rimase fermo.
“Maledizione, Cassie! Smettila di fare l’egoista!” – sbottò il più grande, allargando le braccia.
Gli occhi di Castiel saettarono rapidi sul fratello, guardandolo torvo.
[…]
“Sì, egoista. Hai capito bene”.
[…]
“Sì che lo sei!” – ribatté l’altro, puntandogli un dito contro – “Questa famiglia si è fatta in quattro per te! Ti abbiamo sempre accontentato in tutto! E tu invece che fai? Non solo te ne freghi di noi, ma ci chiudi anche fuori!”
Castiel aggrottò la fronte.
[…]
“Davvero, Cassie?” – replicò sardonico il maggiore – “E allora come lo chiameresti quello che stai facendo? Te ne stai chiuso tutto il giorno in camera, a malapena ti vediamo a tavola, non parli più con noi…per non parlare della tua assurda decisione di smettere di studiare!”
Il giovane alzò le mani, per controbattere, ma fu subito interrotto dal fratello.
“E che mi dici di Dean, eh?”
Castiel si irrigidì, esitando un attimo sul posto, e poi fece per voltarsi, ma Balth lo trattenne per un braccio.
“Hai chiuso fuori anche lui?”
Le labbra del più piccolo tremarono leggermente.
Balth se ne accorse e trattene il fiato, per un istante. Nonostante avesse intuito che il giovane Winchester c’entrasse qualcosa con quello che stava accadendo a Castiel, in realtà non sapeva bene in che modo. Pertanto, la muta ammissione del fratello lo colse un po’ impreparato.
“Non ci posso credere…” – mormorò – “Lo hai fatto davvero?”
Castiel spostò lo sguardo altrove.
“Perché?” – lo richiamò, stringendo la presa sul suo braccio.
Il minore tentò di sottrarsi al tocco del più grande, ma Balth glielo impedì.
“Rispondimi, Cassie!”
Castiel si dimenò malamente, riuscendo a liberarsi.
[…]
Quelle parole pungolarono Balthazar, alimentando la sua rabbia.
“E invece sono affari miei!” – tuonò in risposta – “Sono affari di tutti noi, dal momento che ti stai comportando così!”
Balth fece una pausa, per riprendere il controllo.
“Ma non lo capisci che il tuo atteggiamento non fa altro che ferire mamma e papà? Non ti rendi conto che in questo modo tutta la famiglia ne risente? Credi davvero di essere l’unico a soffrire?”
Castiel fece un passo indietro, per poi socchiudere di poco gli occhi e riservare al più grande uno sguardo risentito. Le braccia si alzarono rapide, come una freccia scoccata da un arco teso fino allo spasmo.
[…]
Questa volta fu il turno di Balth di rimanere in silenzio e di soppesare il dolore che traspariva dai gesti del fratello.
“È vero, io non so niente” – disse dopo un po’ – “Non so niente perché tu non parli con noi, non ci dici quello che ti sta succedendo”.
Balth avanzò di un passo, ricercando gli occhi blu del minore con i propri.
“Parla con me, Cassie. Lascia almeno che io provi a capire”.
Castiel si strinse a sé e scrollò la testa.
“Perché no?” – insisté il più grande.
[…]
“In che senso non cambierebbe nulla? Spiegami” – incalzò l’altro.
Il più piccolo fece una smorfia, spazientito.
[…]
“Continui a dire che non possiamo aiutarti. Ma non ci dici in cosa non possiamo farlo” – sottolineò Balth.
Balth vide un’increspatura nelle iridi blu dell’altro e in quell’istante seppe di aver trovato un punto su cui poter far leva per scuotere il fratello. Pertanto strinse i denti e andò avanti, anche se tutto quello stava facendo del male anche a lui.
“Dimmi cosa ti sta succedendo”.
Castiel fece cenno di no col capo e indietreggiò di poco.
Balth azzerò di nuovo la distanza tra loro, deciso a non lasciargli la possibilità di sottrarsi alle sue domande.
“Cassie, non puoi continuare così, e lo sai anche tu! Tutto questo tuo rifiuto di affrontare le cose non ti porterà da nessuna parte!”
Il giovane serrò le labbra e si portò i palmi delle mani sugli occhi.
Di fronte alla continua reticenza del più piccolo, il maggiore alzò le braccia e strinse le dita sui suoi polsi, forzando le mani ad abbandonare il viso.
“Smettila di essere così testardo!”
Castiel fece leva per divincolarsi dalla presa del fratello, ma Balth lo trattenne in modo fermo.
“Non ti lascio andare se prima non mi dici cosa ti succede!”
“IO VOGLIO SENTIRE DI NUOVO!”
La voce di Castiel graffiò l’aria, ferendola.
Balth spalancò gli occhi, colpito da quelle parole, rese ancora più esasperate dal suono incrinato che uscì dalle sue labbra. Improvvisamente, le forze lo abbandonarono, svuotandolo completamente e costringendolo a mollare la presa sui polsi del fratello, mentre il suo sguardo cadeva nel vuoto.
“Sei contento adesso?!”
Il richiamo di Castiel riportò il maggiore alla realtà.
“È questo che volevi sapere, no?”
Balth incrociò gli occhi dell’altro. Il blu delle sue iridi sembrava un mare in tempesta, rabbioso certo, ma anche carico di dolore, per essere così succube del volere del cielo.
Il maggiore schiuse la bocca, senza però mettere alcun suono.
“Allora, puoi farlo?” – domandò il più piccolo, incalzandolo.
“Cassie…”
“Puoi fare in modo che io senta di nuovo?”
Il rancore e la sofferenza di Castiel colarono da ogni lettera pronunciata, dilagando tra i due fratelli. Balth si sentì impotente di fronte a tutto quello e abbassò lo sguardo.
“Balth…”
La voce di Amelia riecheggiò nella stanza, facendo girare di scatto Balthazar.
Sia la madre che il padre erano sulla porta, che li guardavano, e dai loro volti smarriti e confusi Balth capì che avevano sentito tutto.
Il maggiore si soffermò sugli occhi della donna, ancora segnati dal pianto di prima.
“Mamma…”
Amelia fece qualche passo dentro la camera, imitata dall’uomo, per poi fermarsi davanti ai figli.
“Tesoro…” – iniziò incerta, rivolgendosi al più piccolo – “È…è vero quello che hai detto?”
Castiel non disse nulla.
La donna fece un passo verso di lui.
“È questo che ti turba tanto?”
Il ragazzo deglutì un paio di volte, sgomento.
La madre sospirò piano, di fronte a quella muta amissione.
“Da quando tu…?” – si interruppe, cogliendo la risposta nello sguardo del figlio.
“Perché non ne hai mai parlato con noi?” – riprese poi.
Il minore incrociò gli occhi di lei, ma non rispose.
“Te lo sei tenuto dentro per tutto questo tempo…” – continuò l’altra – “Avresti dovuto dircelo…”
“Non sarebbe servito a niente”.
Amelia rimase spiazzata dalla risposta amara del giovane.
“Perché dici così?” – tentò poi – “Non è vero, noi-”
“Non avreste capito” – la interruppe bruscamente il minore.
“Cassie…” – intervenne il padre – “Sappiamo quanto sia difficile per te-”
“E invece no!”
Castiel strinse i pugni lungo i fianchi.
“Voi non sapete niente!”
I genitori e il fratello rimasero in silenzio, immobilizzati dalla reazione del ragazzo.
“Non avete la minima idea di quello che provo io! Non potete immaginare cosa voglia dire svegliarsi la mattina e non sentire nulla intorno a me, nulla!”
Il ragazzo allargò le braccia, disperato.
“Non sapete cosa voglia dire continuare a guardare le labbra degli altri, con il terrore di non capire quello che dicono e di dover chiedere di ripetere! E ogni volta che mangio con qualcuno non riesco a seguire la conversazione, perché non posso fare entrambe le cose!”
“Non capite cosa provo, quando non mi rendo nemmeno conto di quello che succede perché non sento nessun rumore! Le macchine che passano, se qualcuno sta suonando il campanello di casa, o…che ne so, il rumore della pioggia!”
“Come credete che ci si senta ad essere così isolati da tutto e da tutti, eh?”
Con uno scatto, Castiel si portò una mano alla testa, picchiettando poi sulla tempia con due dita.
“Io qui dentro sono completamente solo!”
Le grida di Castiel si dispersero nella stanza come un’eco doloroso, che incatenò gli altri in una spirale di dolore, rendendoli impotenti e incapaci di fare o dire qualsiasi cosa.
“Non posso vivere come gli altri, non posso fare le cose che fanno tutti! Non so nemmeno che futuro potrei avere! E non-”
Le parole gli morirono sulle labbra, soffocate da un nodo che gli strinse la gola e dalle lacrime che iniziarono a cadere. Castiel si coprì con le mani e iniziò a singhiozzare, lasciando che la disperazione prendesse il posto della rabbia.
“Non riesco neanche a ricambiare il suo amore…”
Nessuno dei presenti riuscì a muoversi o a parlare per un periodo di tempo incalcolabile. Gli occhi di tutti erano puntati sulla figura dei Castiel, mentre il loro animo era in sintonia con la sofferenza del ragazzo.
Il primo ad intervenire fu Balthazar, che si avvicinò al fratello e, con cautela, lo strinse a sé.
Castiel si abbandonò alle braccia dell’altro, piangendo più forte.
Il maggiore ricercò l’attenzione dei genitori con lo sguardo, e fece un lieve cenno del capo in direzione della porta, chiedendo implicitamente loro di lasciarlo solo con Castiel.
James annuì e posò una mano sulla schiena della moglie.
“Amelia” – la richiamò in un sussurro.
La donna si voltò, con gli occhi persi nel vuoto.
“Andiamo” – la incitò dolcemente lui, cingendole poi le spalle e accompagnandola fuori dalla stanza.
 
Il respiro di Castiel veniva interrotto ogni tanto da un singhiozzo che scuoteva il ragazzo, facendolo sussultare per un istante.
Dopo che i genitori erano usciti dalla camera, Balth aveva guidato il più piccolo, facendolo sedere sul bordo del letto e cullandolo in un abbraccio, finché il pianto del giovane non era andato via via scemando.
Castiel si mosse leggermente tra le braccia del fratello, per poi scostarsi piano e sciogliere il contatto con l’altro.
“Va meglio?” – chiese Balth, cercando la sua attenzione.
Il minore si limitò a guardarlo e non rispose.
Balthazar osservò Castiel per qualche secondo, soffermandosi sugli occhi sciupati dalle lacrime e sui lineamenti sbattuti del viso. Sebbene una parte di lui fosse sollevata per lo sfogo del fratello, un’altra parte, invece, soffriva terribilmente. Nonostante conoscesse la difficoltà dell’altro a convivere con il suo handicap, tuttavia non aveva immaginato quanta rabbia, frustrazione e dolore si fossero accumulati in lui in tutti questi anni. E il fatto che Castiel non si fosse mai confidato con lui, faceva male. In quel momento, però, Balth si sentì anche un po’ in colpa per non essere riuscito a captare dei segnali o qualsiasi altro indizio che avrebbe potuto rivelargli lo stato d’animo del più piccolo.
Balth fece un profondo respiro.
“Cassie” – lo richiamò – “Mi dispiace…”
Castiel incrociò i suoi occhi con quelli del maggiore, ma non disse nulla.
“Io…” – indugiò un attimo il più grande – “Io non immaginavo che tu…” – si interruppe, non riuscendo a trovare le parole adatte.
“Anche se…avrei dovuto capirlo” – riprese poco dopo.
Castiel abbassò lo sguardo sulle proprie mani e rimase in silenzio.
Balthazar si prese un momento per riflettere.
Quando aveva deciso di parlare con il fratello, usando un approccio più duro, lo aveva fatto con lo scopo di scuoterlo un po’. Tuttavia, non si sarebbe mai aspettato un risultato simile. Un risultato che poteva essere sfruttato a vantaggio di Castiel, per il suo bene. Certo, doveva essere cauto, ma le possibilità di riuscita erano incoraggianti, soprattutto perché ora le difese emotive del fratello erano notevolmente abbassate.
Il maggiore allungò una mano e toccò la spalla dell’altro, che sollevò lo sguardo verso di lui.
“Sai…avevi ragione” – esordì poi, con calma.
Castiel inclinò di poco il viso, con aria interrogativa.
“Io non posso farti sentire di nuovo…” – spiegò il più grande.
Il ragazzo deglutì rumorosamente.
“Ma tu potresti…” – continuò l’altro.
Castiel aggrottò la fronte, perplesso.
“E…” – proseguì Balth, senza perdere di vista il volto del fratello – “Non è vero che tu non puoi vivere come gli altri…”
Il minore socchiuse gli occhi, confuso.
“La verità è che non vuoi…” – concluse Balth.
Lo sguardo di Castiel si adombrò e il suo corpo si irrigidì.
“Voglio dire” – intervenne subito il maggiore, alzando una mano – “Tu hai una possibilità”.
Castiel rimase immobile, a fissarlo.
Balthazar sospirò piano.
“Cassie, tu hai una possibilità, l’hai sempre avuta, ma per qualche motivo non hai mai voluto prenderla in considerazione”.
Il giovane si morse un labbro, ora conscio di dove il fratello volesse andare a parare.
“Sto parlando dell’impianto cocleare”.
D’istinto, Castiel portò lo sguardo altrove.
“Cassie” – lo richiamò Balth – “Perché non hai mai voluto fare l’impianto?”
Il ragazzo dagli occhi blu fissò un punto indistinto oltre le spalle del fratello. Balthazar si rese conto di aver incontrato un grosso ostacolo sulla strada che portava all’animo di Castiel, ma decise di non arrendersi subito e di lasciare al minore tutto il tempo di cui aveva bisogno.
“Ho paura…” – mormorò all’improvviso Castiel.
Il maggiore trattenne il fiato, di fronte a quelle parole.
“Hai…hai paura dell’intervento?” – chiese poi.
Castiel abbassò le palpebre e scrollò la testa.
“Hai paura che potrebbe non funzionare?”
Il più piccolo fece una smorfia.
“Anche…”
“E cos’altro?” – lo sollecitò dolcemente Balth.
Castiel fece vagare lo sguardo sulla stanza, cercando di raccogliere il coraggio di dire quello che finora non aveva mai detto a nessuno, nemmeno a Dean. In seguito, riportò la sua attenzione sugli occhi azzurri del fratello, che lo guardavano, in attesa.
“Ho paura di cambiare…” – riuscì infine a dire.
 
“È normale aver paura di cambiare” – disse Balth, dopo un po’.
“Io…” – tentennò il minore – “Vorrei tornare ad essere la persona che ero prima, ma…non posso farlo”.
Il più grande indugiò.
“No, non puoi…e devi accettarlo”.
Castiel si morse un labbro.
“Ma c’è qualcos’altro che puoi fare” – continuò Balth – “Se vuoi”.
Il più piccolo guardò l’altro, in attesa.
“Puoi provare a superare la paura”.
 
“Non so cosa fare…” – mormorò Castiel.
Balth sollevò una mano e accarezzò dolcemente la testa del fratello.
“Vorrei poterti dire cosa fare, ma…” – sospirò piano – “Te l’ho già detto una volta, Cassie…la scelta è solo tua”.
Castiel abbassò lo sguardo, ma Balth gli prese il viso tra le mani, riportando i suoi occhi su di sé e abbozzando un sorriso.
“Ma voglio che tu sappia che, qualsiasi cosa deciderai di fare, io e i nostri genitori saremo qui per aiutarti…”
 
“Prima…” – esitò Balth – “Hai detto di non riuscire a ricambiare il suo amore…”
Castiel stirò le labbra e poi annuì piano.
“Cos’è successo con Dean?”
Il ragazzo rimase in silenzio per poi voltarsi leggermente e prendere il block notes che era sul letto, vicino al cuscino. Con i polpastrelli ne accarezzò la copertina e i bordi, arrivando in seguito a fogliarne lentamente le pagine.
“L’ho lasciato andare…” – sussurrò.
Il maggiore sospirò, affranto.
“Cassie…”
Castiel chiuse il block notes e lo strinse tra le mani.
“Lui…” – indugiò – “Lui mi ha sempre detto che la mia sordità non è un problema e che io vado bene così come sono”.
Il minore fece una pausa, come se stesse raccogliendo le forze per andare avanti.
Balth rimase in attesa, senza dire nulla.
“Ma sono io che non…” – riuscì a dire, senza però proseguire.
“…sei tu che non ti vai bene così come sei, giusto?” – lo aiutò Balth.
Castiel incrociò gli occhi del fratello e fece cenno di sì con la testa.
 
“Sai, Cassie, io credo che una parte di te sappia già cosa deve fare”.
Castiel inclinò leggermente il viso, con aria interrogativa.
“Ed è proprio la stessa parte di te che non si accetta così com’è” – continuò l’altro.
Il ragazzo dagli occhi blu strinse la bocca e non rispose.
“Prova a pensarci” – lo incitò dolcemente il fratello – “Questo tuo voler sentire di nuovo, questo tuo non accettarti così come sei adesso…” – si interruppe, gesticolando – “Non potrebbe essere un valido motivo per provare a superare quella paura, per provare a sfruttare quella possibilità?”
Il giovane schiuse le labbra e per un attimo fece vagare gli occhi nel vuoto.
Balthazar alzò entrambe le braccia, tenendo le mani a mezz’aria.
“Quella parte di te che vuol sentire” – disse, muovendo la mano sinistra – “Potrebbe andare incontro a quella che ha paura” – proseguì, spostandola verso la mano destra – “E sfruttare insieme la possibilità che hai” – concluse, congiungendo entrambe le mani e incrociando le dita tra loro.
Il giovane seguì attentamente i gesti del maggiore e si morse un labbro.
 
“E Dean? Cos’hai intenzione di fare con lui?” – chiese Balth, dopo un po’.
Castiel si sistemò meglio sul bordo del letto, a disagio.
“Io…”
“Prova ad andare da lui” – suggerì l’altro – “Parlagli, spiegagli come ti senti, come hai fatto con noi”.
Castiel spalancò gli occhi, sgomento.
“No” – disse poi, risoluto.
“Perché no?”
Il più piccolo non rispose.
“Cassie?”
“Non…non posso fare una cosa simile. Non posso andare da lui come se niente fosse, non dopo quello che gli ho fatto”.
Balth fece un profondo respiro.
“Cassie, è evidente che ti sei pentito di averlo lasciato, e non ci sarebbe niente di male ad ammetterlo e a tornare sui tuoi passi”.
Il minore si stropicciò le mani, mentre un nodo gli stringeva la gola.
“Non mi perdonerebbe mai” – sussurrò, con un lieve tremolio nella voce.
“Non lo puoi sapere, se non ci provi” – replicò il più grande – “E, a dirla tutta, tu sottovaluti Dean. Quel ragazzo non si è mai fermato di fronte a niente, nemmeno davanti alla tua sordità. E tu questo lo sai”.
Balth vide i lineamenti del fratello tendersi dolorosamente.
“Ehi” – gli disse, appoggiando una mano sulla sua – “Prenditi del tempo per pensarci, ma promettimi che lo farai davvero”.
Castiel incontrò lo sguardo del maggiore e abbassò le palpebre. Infine, annuì debolmente, per poi sporgersi in avanti e appoggiare la fronte contro la spalla del fratello, sospirando stancamente.
 
 
°°°
 
 
“Come sta?”
Balthazar alzò lo sguardo, per poi incontrare quello del padre, in piedi lungo il corridoio. Il maggiore si chiuse la porta della camera di Castiel alle spalle e si avvicinò all’uomo.
“Si è addormentato” – disse.
James annuì piano.
“La mamma?” – chiese il figlio.
“Sta riposando” – rispose l’altro, facendo un cenno del capo in direzione della propria stanza.
“E lei come sta?”
L’uomo fece una smorfia.
“È provata…” – ammise.
Balth non riuscì a dire nulla.
“Sai” – continuò il padre – “Lei è stata più vicina a Cassie di quanto non lo siamo stati io e te. Ha smesso di lavorare per stare con lui quando è diventato sordo e io so che per lei è stato difficile”.
James fece una pausa.
“Avrei voluto aiutarla di più…”
“Papà…”
“Lei c’è sempre stata, in tutti questi anni. Ha sempre sopportato tutto, ma questo…” – si interruppe, gesticolando in direzione della stanza del minore – “Questo l’ha sconvolta…quelle cose che Castiel ha detto, quello che si è tenuto dentro per tutto questo tempo. Non mi sarei mai aspettato una cosa simile…”
“Nemmeno io…” – fece eco Balth.
 
“Lui…” – esordì il padre, dopo un po’ – “Ha detto che non riesce a ricambiare il suo amore…”
Balth si irrigidì, trattenendo il fiato.
“Castiel…” – esitò James – “Castiel sta frequentando qualcuno?” – domandò l’uomo.
Il maggiore nicchiò, indeciso su cosa dire. Ovviamente non poteva negarlo, dal momento che lo stesso Castiel lo aveva fatto intendere con le sue parole. Tuttavia, non poteva neanche dire di più e scendere nei particolari, visto che non spettava a lui riferire ai genitori la natura della relazione del fratello.
“Sì…” – si limitò infine ad ammettere.
Balthazar colse un sottile dispiacere sul viso del padre.
“Mi dispiace non avervi detto nulla” – si affrettò poi a dire – “Ma si è confidato con me e io-”
“Non ti preoccupare” – lo interruppe dolcemente l’altro – “Sono contento che ne abbia parlato almeno con te” – ammise – “E, a dire il vero, neanche Cassie ha mai fatto la spia sulle ragazze che frequentavi tu” – aggiunse, stirando le labbra in un sorriso.
Il maggiore abbozzò un sorriso a sua volta.
 
“Balth” – lo richiamò James – “Cosa dobbiamo fare adesso?”
Il figlio guardò la camera del fratello con la coda dell’occhio. Una parte di lui avrebbe voluto fare di più, avrebbe voluto convincere l’altro a fare quella che sapeva essere la scelta più adatta per lui. Ma un’altra parte invece era convinta che, prendere una decisione da solo, fosse il punto chiave del processo di crescita del fratello.
Con questi pensieri, Balth tornò a guardare l’uomo.
“Dobbiamo solo aspettare”.
 
 
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Come avete visto, il nostro Castiel non se la passa meglio di Dean, anzi. Dopo aver posto fine alla sua relazione con il giovane Winchester, Castiel entra in uno stato di regressione, nel quale si isola in maniera ostinata (da buon testardo qual è). Il suo atteggiamento sconvolge la famiglia Novak, soprattutto la madre, che richiama alla memoria i primi tempi dopo l’insorgenza della sordità. In Balthazar, invece, il comportamento del fratello fa scattare la decisione di affrontare l’altro in maniera più dura, rispetto a quanto fatto finora, con lo scopo di scuoterlo dal suo torpore e di farlo reagire. E l’obbiettivo viene centrato in pieno quando Castiel si sfoga davanti ai genitori a al maggiore, buttando fuori tutto, ma proprio tutto.
E ora, cosa accadrà? Cosa deciderà di fare Castiel? Lo vedremo nel prossimo ed ultimo (sto già piangendo al solo pensiero >.< ) capitolo, prima dell’epilogo finale. A tal proposito, devo informarvi che il capitolo è ancora in fase di stesura e revisione, e magari riesco a completarlo in tempo per il prossimo aggiornamento, ma c’è una buona probabilità che questo non avvenga. Tuttavia voglio tranquillizzarvi: la storia verrà completata, assolutamente. L’unica cosa è che questo potrebbe non avvenire in tempi regolari, come invece è stato finora.
Bene, questo è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, mi raccomando!
Alla prossima!
Sara

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventuno ***


 



Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO VENTUNO
 
“Nulla è permanente,
tranne che il cambiamento”
 
Eraclito
 
 
 
“Allora, chi presenta il caso?”
Un ragazzo alzò la mano, facendo a gara con altri coetanei accanto a lui, per farsi notare di più.
“Tu” – disse l’uomo che aveva posto la domanda, indicandolo con un cenno del capo.
Il ragazzo sorrise soddisfatto, sotto lo sguardo astioso degli altri, per poi abbassare gli occhi sul proprio palmare e schiarirsi la voce.
“Castiel Novak, maschio, diciassette anni. Affetto da sordità bilaterale profonda dall’età di undici anni, a seguito di una meningite di natura infettiva. È qui per applicazione chirurgica dell’impianto cocleare. La TAC e la risonanza magnetica non hanno mostrato alterazioni significative che possano impedire l’intervento. All’esame generale il paziente versa in buono stato di salute, l’emocromo e il profilo biochimico sono nella norma”.
“Molto bene” – annuì l’uomo, prima di voltarsi leggermente.
“Allora, Castiel” – proseguì poi, sorridendo – “Come ti ho spiegato nell’ultima visita, l’intervento è diviso in due parti: il fissaggio del ricevitore sull’osso temporale e l’inserimento degli elettrodi a livello del timpano”.
Castiel era seduto sul letto della sua camera d’ospedale, con lo sguardo fisso sull’uomo di fronte a lui. Amelia e James erano in piedi, accanto al figlio. Castiel annuì, puntando poi gli occhi sulle persone che si trovavano alle spalle del chirurgo. Erano cinque ragazzi, più o meno coetanei di Balth, intenti a prendere appunti sui loro palmari.
Il dottore si accorse della perplessità sul volto del suo giovane paziente e sorrise ancora. Si avvicinò al letto, richiamando così la sua attenzione.
“Sono innocui” – disse, facendo un cenno dietro di lui.
Castiel abbozzò un sorriso.
“Sono i miei specializzandi” – spiegò l’uomo – “E uno di loro mi assisterà durante l’intervento”.
Il ragazzo dagli occhi blu riservò un ultimo sguardo a quei ragazzi e annuì di nuovo.
“Mi scusi, dottore” – intervenne Amelia – “Durante la visita ci aveva parlato di alcuni problemi…”
“Sì, è vero” – ammise il medico – “E riguardavano il livello di ossificazione del labirinto, ma dalla TAC abbiamo visto che non dovrebbero esserci problemi per l’infissione degli elettrodi”.
“Quanto durerà l’intervento?” – chiese la donna, pur consapevole di aver già fatto quella domanda più volte in quelle ultime settimane.
“Circa tre ore”.
Amelia trattenne piano il respiro.
“E lui…” – esitò poi – “Quando potrà…”
“Castiel rimarrà qui in ospedale per almeno tre giorni dopo l’intervento. E una volta dimesso dovrà fare dei controlli, per valutare la guarigione della ferita chirurgica” – disse il medico – “Ci vedremo spesso” – aggiunse, sorridendo al ragazzo.
Castiel ricambiò il sorriso.
“E se tutto procede bene, attiveremo l’impianto dopo due o tre settimane” – continuò l’altro – “Castiel dovrà sottoporsi a delle sessioni, così l’apparecchio potrà essere attivato in modo graduale e su tutti i canali. Ma questo lo vedremo più avanti, per ora concentriamoci su una cosa per volta”.
“Ho capito, grazie…” – annuì Amelia.
“Bene, se non ci sono altre domande, vado a continuare il mio giro visite” – disse l’uomo – “Ci vediamo domattina, Castiel”.
Il medico fece per andarsene, ma poi si girò di nuovo verso il ragazzo, tornando sui suoi passi.
“Ah, mi sono raccomandato con le infermiere di farti un bel taglio” – aggiunse scherzoso, indicando i capelli del giovane con un dito.
Castiel si portò una mano dietro l’orecchio e sorrise timidamente.
 
“James”.
Terminato il colloquio con il chirurgo, James era uscito dalla stanza dove il figlio era ricoverato da quella mattina. La moglie, invece, era rimasta ancora qualche minuto con Castiel. Quando la donna era uscita dalla camera, aveva visto il marito nella grande sala d’attesa antistante, con una spalla appoggiata al muro e le braccia incrociate al petto.
Al richiamo di Amelia, l’uomo alzò lo sguardo.
“Non hai detto nulla, là dentro” – disse lei, avvicinandosi.
James la guardò con i suoi occhi blu, così simili a quelli di Castiel, e rimase in silenzio.
“James” – lo richiamò la donna, preoccupata.
“Scusa” – mormorò lui – “È che…sta accadendo tutto così in fretta”.
Lo sguardo dell’uomo si perse nel vuoto, mentre la sua memoria richiamava alla mente tutto quello che era accaduto nelle ultime settimane.
Nei giorni seguenti al suo sfogo di quella sera, l’atteggiamento di Castiel aveva subito un cambiamento. Il ragazzo, infatti, si era pian piano riavvicinato alla sua famiglia, dapprima con piccoli gesti, come sedersi a tavola con loro durante i pasti, e poi con un coinvolgimento nella vita familiare via via maggiore. I genitori e il fratello avevano stabilito, di comune accordo, di mantenere un comportamento del tutto normale di fronte al ragazzo, lasciando che fosse sempre lui a fare la prima mossa, e ad andare loro incontro. Nell’animo, però, tutti provavano un sollievo e una soddisfazione incredibile nel vedere l’altro tornare a fare la maggior parte delle cose che faceva prima. Castiel, infatti, aveva deciso di riprendere le lezioni con Naomi e di recuperare il tempo perso, in previsione dell’imminente diploma. Inoltre, aveva accettato di uscire qualche volta con il fratello e, in alcune occasioni particolari, anche con la madre. Ma, indubbiamente, il momento di maggiore impatto emotivo per la famiglia Novak era stato quando, un giorno, Castiel aveva confidato ai genitori e al fratello di voler fare l’impianto cocleare, chiedendo il loro aiuto. Richiesta che, tra l’altro, aveva scaldato il cuore di tutti, soprattutto quello di Amelia. Nelle settimane successive, Castiel e i signori Novak avevano consultato uno specialista, che aveva fornito loro tutte le indicazioni del caso, spiegando quali sarebbero state le fasi da affrontare e rispondendo alle domande del ragazzo. In seguito, Castiel si era dovuto sottoporre ad una serie di esami, per verificare la sua idoneità all’intervento. Una volta appurato che fosse tutto nella norma, era stato fissato il giorno dell’operazione.
Amelia sospirò piano.
“Non fraintendermi” – intervenne subito James – “Sono contento che abbia deciso di farlo, e che abbia voluto il nostro aiuto, ma…” – si interruppe lui.
La donna posò una mano sul suo braccio, accarezzandolo dolcemente.
“Ho paura…” – ammise l’uomo, flebile.
Amelia si avvicinò di più e abbracciò il marito, che la strinse a sé, nascondendo il viso sulla sua spalla.
“Lo so, tesoro” – mormorò lei – “Ho paura anch’io…”
 
 
°°°
 
 
Dean era sdraiato sul letto, con le braccia incrociate al petto e con gli occhi fissi sul soffitto. Uno spicchio di luce faceva capolino tra le tende della finestra e si allungava sull’intonaco bianco, colorandolo di un tenue arancione. Il pomeriggio volgeva al termine, dando così il suo addio ad un’altra giornata.
Da quando aveva fatto ritorno a casa, dopo la notte trascorsa fuori, i giorni del giovane Winchester erano stati scanditi da una rigida routine, messa appunto dai genitori. Infatti, dopo la bravata del figlio, John e Mary avevano stabilito una specie di punizione, fatta di regole da seguire e rispettare, sia fuori che dentro casa. E questo perché, sebbene il ritorno del figlio incolume fosse stato per loro una fonte di sollievo, nonché la fine di un incubo durato più di otto ore, i due ritenevano che il ragazzo dovesse comunque riflettere sul suo comportamento.
Nelle settimane successive, l’atteggiamento di Dean si era sensibilmente modificato. A quei giorni in cui il ragazzo non riusciva a contenere la sua rabbia, infatti, erano seguiti momenti in cui si mostrava apatico e chiuso nei suoi pensieri. La mancanza di Castiel era una presenza costante nella sua quotidianità, con la differenza che, se prima era una fonte di dolore, da cacciare via il più lontano possibile, adesso invece era quasi una compagnia, seppur malinconica e triste.
Dean batté le palpebre, richiamato da un rumore secco e improvviso, che spezzò la quiete intorno a lui.
“Avanti” – disse, resosi conto che qualcuno aveva bussato alla porta della camera.
Un viso conosciuto fece capolino dalla porta socchiusa.
“Disturbo?” – chiese dolcemente Mary.
“No” – rispose Dean, mettendosi seduto.
La donna entrò nella stanza e si avvicinò al letto, soffermandosi a guardare il figlio, senza dire nulla.
“Posso?” – disse poi, facendo un cenno del capo verso il materasso.
Il ragazzo annuì, spostandosi di lato per lasciare alla madre lo spazio per sedersi. Mary prese posto sul bordo e si guardò distrattamente in giro.
“Hai finito i compiti?” – domandò.
“Sì…”
La signora Winchester indugiò, portandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie e sospirando piano.
“Dean” – lo richiamò.
Il figlio incrociò i suoi occhi, in attesa.
“Vorrei parlare un po’ con te” – continuò lei.
Il ragazzo si limitò ad osservarla e ad annuire, rimanendo in silenzio.
Mary ricambiò il suo sguardo, prendendosi ancora un momento.
“Ho visto Castiel l’altro giorno” – esordì poi.
Dean spalancò gli occhi, mentre il viso perdeva rapidamente colore.
“Stava salendo in macchina con i suoi genitori” – continuò lei.
Il ragazzo sentì improvvisamente la gola secca e deglutì, a vuoto.
Mary posò una mano sulle lenzuola, lasciando che le dita giocassero con le piccole pieghe del tessuto.
“Sai, quando l’ho visto, ho pensato che è da parecchio che non viene qui” – proseguì.
Dean aprì la bocca, per poi richiuderla subito, incapace di articolare qualsiasi cosa che assomigliasse vagamente a delle parole.
La madre si sistemò meglio sul materasso, ruotando leggermente il busto, in modo da incontrare facilmente il volto del figlio con il proprio.
“Dean, guarda che lo so”.
Gli occhi del giovane Winchester si spalancarono ancora di più e il ragazzo trattenne il fiato, mentre il cuore correva così veloce che, per un momento, sembrò uscire dal petto. Per qualche istante la sua mente fu soffocata da una miriade di domande che si rincorrevano tra loro, generando una confusione tale da stordirlo. Perché la madre aveva tirato fuori il nome di Castiel, così, all’improvviso? E cosa voleva dire con quel lo so? Cosa sapeva, esattamente? Che Castiel era il motivo per cui si trovava in quello stato da settimane? E se sì, a cosa si riferiva, di preciso? A quella parvenza di semplice amicizia, che lui e il moro avevano fatto credere a tutti, oppure a qualcos’altro? Davvero Mary aveva capito? E come? Forse lei aveva parlato con Castiel e lui le aveva riferito tutto? Impossibile, Castiel non lo avrebbe mai fatto. Tra l’altro, la madre lo aveva visto…come le era sembrato? Stava bene? E dove st-
“Dean”.
“C-cosa?”
La voce uscì dalla sua gola più stridula di quanto avesse voluto, come se si stesse arrampicando su una superficie simile al vetro, per poi scivolare giù miseramente.
“Lo so” – ripeté Mary – “Di te e Castiel”.
Dean sentì lo stomaco contorcersi in una morsa e artigliò le lenzuola tra le dita, cercando di mantenere il controllo della situazione. D’istinto si umettò le labbra, cercando di guadagnare tempo, ma più rimaneva in silenzio, più era difficile controbattere in maniera valida.
“I-In che senso?” – disse infine, non riuscendo a trovare di meglio.
Mary sospirò.
“Hai capito benissimo in che senso”.
Il ragazzo distolse lo sguardo, facendolo vagare nel vuoto, terrorizzato. Cosa doveva fare? Negare? La madre sembrava così sicura…in che modo avrebbe potuto farla ricredere? O, invece, avrebbe dovuto ammettere tutto? Ma lei come l’avrebbe presa? A guardarla così Mary non sembrava turbata o in preda a qualche emozione particolare…ma poi? Se lo avesse ammesso, cosa sarebbe successo? La donna lo avrebbe detto anche al padre?
Improvvisamente, Dean si sentì sopraffatto al solo pensiero di dover affrontare tutto quello, come se la rottura con Castiel e la mancanza del ragazzo con gli occhi blu non lo avessero debilitato abbastanza. Dean percepì le poche forze rimaste abbandonarlo completamente, lasciandolo svuotato e incapace di reagire. E fu in quel momento che, semplicemente, si arrese.
“Come l’hai capito?” – mormorò, flebile
Mary socchiuse di poco gli occhi e arricciò le labbra, trattenendo un sorriso.
“Diciamo che lo sospettavo da un po’”.
Dean aggrottò la fronte, perplesso. In tutti quei mesi passati insieme, lui e Castiel erano stati molto attenti a non dare troppo nell’occhio, almeno quando erano insieme nelle rispettive case, soprattutto dopo essere stati scoperti in quel modo da Sam. Pertanto in quel momento Dean non riusciva a capacitarsi come la donna avesse potuto anche solo sospettarlo.
La signora Winchester lesse la confusione nei lineamenti del figlio e allargò il sorriso.
“Ho visto come ti guardava” – spiegò allora – “E come lo guardavi tu”.
Dean schiuse leggermente la bocca.
“Il modo in cui vi sorridevate” – continuò lei, spostando gli occhi sullo spazio circostante, come se quel gesto l’aiutasse a ricordare – “E il modo in cui stavate vicini”.
Dean abbassò lo sguardo, stropicciandosi le mani, a disagio. Le parole della madre si trasformarono in piccoli flash nella sua mente, che pungolarono il suo animo già fortemente provato.
“E poi c’è stata quella volta” – aggiunse la donna.
Il ragazzo fece scattare lo sguardo sulla madre, colpito da quell’affermazione.
“Q-quale volta?”
“Quando Castiel ha avuto una vertigine, qui a casa nostra”.
Dean corrugò le sopracciglia.
“E tu lo hai baciato sulla fronte” – sorrise lei.
Dean fu investito da un calore improvviso, che lo fece arrossire. Ricordava bene quella volta: l’agitazione provata per aver visto l’altro a terra; il modo in cui lo aveva stretto a sé, in attesa che la vertigine passasse; le sue labbra che si posavano sulla fronte di Castiel in un gesto amorevole e così spontaneo, da fargli dimenticare persino la presenza della madre.
“A dire il vero, però, non ne ero così sicura” – continuò Mary, richiamandolo dai suoi pensieri – “Credo di averlo capito per davvero solo quella sera, quando…” – esitò – “Quando ti ho chiesto se c’era di mezzo una ragazza…”
Dean rimase in silenzio.
“Non so come spiegarlo” – gesticolò lei – “Mi hai guardato in un modo che…” – sospirò stancamente.
Il ragazzo si limitò ad ascoltare, senza dire nulla.
“E quando ho visto Castiel, l’altro giorno…ho avuto la conferma che cercavo”.
 
“Mi dispiace” – sussurrò Dean, tenendo lo sguardo basso.
Mary inclinò leggermente il viso.
“Per cosa?” – domandò poi.
“Io…” – tentennò il giovane – “Non sapevo di…voglio dire” – farfugliò – “Con un altro ragazzo…”
“Dean” – intervenne lei, vedendo l’altro in difficoltà – “Non ti devi scusare di nulla”.
Dean osservò la madre, stranito.
“Non nego di essere rimasta sorpresa” – ammise la donna – “Sì, insomma…sei stato con Lisa, e prima di lei hai avuto altre ragazze…e non ho mai pensato che…” – fece una pausa – “Che ti piacessero anche i ragazzi…”
Dean si mordicchiò l’interno della guancia, incrociando gli occhi della madre.
“Ti…ti dà fastidio?” – chiese, con un filo di voce.
“Oh cielo, Dean” – sospirò lei – “Certo che no”.
Il ragazzo fece per dire qualcosa, ma si fermò.
Mary rimase ad osservarlo, in attesa.
“E papà?” – riuscì poi a dire l’altro, quasi in un sussurro.
“Papà, cosa?”
“Lo sa?”
“No, credo di no”.
Dean abbassò un po’ le sopracciglia.
“Glielo dirai?”
La madre batté le palpebre un paio di volte.
“Non spetta a me farlo”.
 
“Cos’è successo con Castiel?” – chiese Mary, dopo un po’.
Dean serrò le palpebre, nel vano tentativo di sfuggire a quella domanda, ma soprattutto a quel ricordo, ancora troppo vivido e doloroso.
Ad un tratto, un tocco lieve e tiepido gli fece aprire gli occhi. Mary aveva posato una mano sulla sua guancia e lo stava guardando, incitandolo silenziosamente a lasciarsi andare e a confidarsi con lei.
Dean ricambiò lo sguardo e dopo qualche secondo rilassò le spalle, in un sospiro che sapeva di rassegnazione.
In seguito, Dean raccontò alla madre di quei mesi passati con Castiel, sorvolando sui dettagli troppo intimi e personali, e concentrandosi invece sull’andamento della loro storia, soprattutto sul lento declino dell’ultimo periodo, prima della fine.
Mary rimase ad ascoltare il figlio senza dire nulla, nemmeno quando il ragazzo si prendeva delle pause, consapevole del fatto che quei silenzi servissero a Dean per raccogliere i pensieri e andare avanti.
“Mi dispiace” – disse infine, quando l’altro terminò di parlare.
Dean si passò una mano sul viso e annuì leggermente.
Per qualche minuto nessuno dei due proferì parola, lasciando così che la quiete della stanza cullasse e proteggesse quella connessione emotiva che si era creata tra loro.
“Posso farti una domanda?” – chiese poi la donna, quasi sottovoce, come se temesse di far scoppiare quel momento, fragile e delicato come una bolla di sapone.
Dean incrociò gli occhi di lei e fece un lieve cenno del capo.
“Tu credi che sia finita davvero?”
Le parole della madre arrivarono come uno schiaffo su una pelle già arrossata e sensibile, amplificando così il dolore già esistente. Dean fece una smorfia, visibilmente infastidito.
“Beh, mi ha lasciato” – sibilò, calcando il tono sulle ultime parole.
“Sì, lo so, ma mi chiedevo se non ci fosse ancora la possibilità di par-”
“Mi ha lasciato” – ripeté lui, sovrapponendo la sua voce a quella di lei – “Mi ha lasciato, nonostante io abbia fatto tutto per lui” – proseguì, con una sottile venatura di rancore nel tono – “Perché a me non è mai importato che fosse sordo, a me piace così com’è, e gliel’ho dimostrato non so quante volte, ma lu-”
“Lo so, tesoro, lo so” – lo interruppe Mary, prendendo le sue mani nelle proprie.
La donna strinse piano le labbra.
“Sai, credo che per Castiel sia stato molto difficile prendere questa decisione” – disse.
Dean si umettò le labbra.
“E non oso immaginare quanto deve essere dura per lui vivere con il suo problema ogni giorno, e continuare a scontrarsi con cose che gli ricordano sempre il suo handicap” – continuò lei.
“Lo so”.
“Lo sai per certo?”
Dean si morse un labbro.
“Hai mai provato a metterti nei suoi panni?”
Il ragazzo abbassò lo sguardo, a disagio. Lo aveva fatto, una volta sola, il giorno stesso in cui lo aveva conosciuto. Ma non c’era riuscito, non completamente almeno.
“Dean” – lo richiamò la madre – “Non è un rimprovero” – lo rassicurò – “È che…se certe cose non le provi sulla tua pelle, non puoi capire davvero”.
Dean sollevò lo sguardo e Mary poté vedere una leggera increspatura nel verde dei suoi occhi.
“Poteva dirmelo…” – smozzicò lui – “O poteva provare a spiegarmelo…”
“Tesoro” – sospirò lei – “Non è facile dire certe cose, perché si ha paura di quello che l’altra persona possa pensare”.
La donna fece una pausa.
“Soprattutto se questa persona è quella che amiamo”.
Dean rimase in silenzio, incapace di replicare.
Mary aspettò un attimo, prima di sporgersi in avanti e posare le labbra sulla fronte del figlio. Infine, si alzò dal letto e uscì dalla stanza, senza dire nulla.
E quando la porta si chiuse, Dean serrò le palpebre, lasciando che la mente si perdesse nei suoi pensieri.
 
Quella notte, Dean fece uno strano sogno.
Era la vigilia di Natale e la madre gli aveva affidato il compito di porre la decorazione a forma di angelo, alla quale lei teneva molto, sulla cima del loro albero. Dean era rimasto sorpreso di fronte alla richiesta della donna, perché solitamente era sempre stata lei a farlo. Ma un’altra cosa aveva colpito il giovane Winchester. Quando si era ritrovato tra le mani la decorazione, infatti, Dean si era reso conto che era diversa da quella che aveva sempre visto. E nel momento in cui l’aveva avvicinata al viso per osservarla meglio, Dean ne aveva compreso il motivo: quello che teneva in mano era sì un piccolo angelo, ma con i capelli neri e gli occhi blu.
 
 
°°°
 

Castiel fece scorrere il dito sul display del cellulare, soffermandosi sulle immagini. Ogni tanto pizzicava lo schermo con i polpastrelli, ingrandendo così il dettaglio di una figura.
I genitori erano rimasti con lui fino alle prime ore della sera, per poi tornare a casa. Una volta rimasto solo, nella sua camera d’ospedale, Castiel aveva sentito l’inquietudine crescere dentro di lui. Ben presto quella sensazione lo aveva spinto a scendere dal letto e ad avvicinarsi alla finestra, per poi scostare le veneziane e guardare la cittadina di Lawrence che veniva cullata dal buio, al di là del vetro. In seguito, aveva provato ad ingannare tale sensazione leggendo un libro che aveva portato con sé, ma invano, dal momento che non riusciva a concentrarsi. Infine, non sapendo più cosa fare, aveva preso in mano il telefono e iniziato a spulciare la galleria delle immagini. Le foto presenti erano quasi tutte di lui e di Dean: al parco, sulla pista di pattinaggio, nell’Impala, nelle rispettive camere, in giro con i gli amici. E in quel momento, Castiel aveva sentito l’inquietudine farsi meno pressante, come se la sola immagine di Dean sullo schermo la tenesse a distanza, facendogli da scudo.
Castiel indugiò sulla figura di Dean, ritratto mentre era appoggiato al cofano dell’Impala. Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso, al ricordo di quando aveva scattato quella foto.
All’improvviso un tocco leggero lo fece sussultare, costringendolo ad alzare la testa di scatto.
“Non riesci a dormire?” – chiese la donna di fronte a lui.
Il giovane batté le palpebre, realizzando un secondo dopo che si trattava di un’infermiera.
“No…” – ammise poi.
La donna sorrise, comprensiva.
“Dovresti riposare, domani è una giornata importante” – disse dolcemente.
Castiel si morse un labbro e abbassò gli occhi.
“Sei preoccupato per domani?” – chiese lei, richiamandolo con un altro tocco.
Il giovane incrociò i suoi occhi, esitando un attimo, e infine annuì.
“È normale, è pur sempre un intervento” – lo tranquillizzò lei.
 
“È un tuo amico?” – domandò poi, guardando di sfuggita la foto di Dean sullo schermo del telefono.
Castiel oscurò il display con un gesto rapido.
“Sì…”
“Sarà contento per l’impianto” – sorrise lei.
Il ragazzo strinse forte il cellulare tra le mani.
“A dire il vero non lo sa…”
L’infermiera corrugò la fronte, perplessa.
“Non gliel’hai detto?”
“No…”
“E come mai?”
Castiel schiuse le labbra, ma non riuscì a dire nulla.
La donna lo osservò per un po’, in silenzio, notando il disagio trasparire dai suoi lineamenti.
“Va bene” – disse infine – “Coraggio, è tardi ed è ora di dormire”.
Il giovane annuì e appoggiò il telefono sul comodino, sistemandosi meglio sul letto.
“Buona notte, allora. E se hai bisogno di qualcosa, chiamami pure, ok?” – disse lei, indicando con l’indice il pulsante sulla sponda del letto, per poi spegnere la luce e uscire dalla camera.
Castiel rimase da solo, a fissare il vuoto nel buio, con i suoi pensieri.
L’indomani la sua vita sarebbe cambiata di nuovo, esattamente come era cambiata anni addietro dopo la malattia, con la differenza che, in quest’ultimo caso, il ragazzo non aveva potuto scegliere.
La decisione di fare l’intervento aveva richiesto tempo, ed era arrivata dopo una travagliata riflessione.
Quando si era svegliato, il giorno seguente allo sfogo, Castiel non era riuscito a capacitarsi di aver finalmente dato voce al suo desiderio di sentire. In tutti quegli anni non aveva mai fatto parola con la sua famiglia di quello che provava. E dopo averlo fatto, dopo aver lasciato fuoriuscire tutto come un fiume in piena, dentro di lui non era rimasto più nulla. Si era sentito completamente svuotato, ma stranamente quella sensazione non era stata per niente spiacevole, anzi. Tutta la rabbia e la frustrazione, che erano state fomentate da quel desiderio, erano scomparse, lasciando una quiete quasi surreale. E in questa tranquillità, Castiel era riuscito a vedere i danni che il caos e la confusione, così caratteristici del suo desiderio, avevano lasciato al loro passaggio: la rinuncia alla scuola e al diploma, l’aver tenuto a distanza e ferito la sua famiglia, l’aver allontanato Dean… Le parole che il fratello gli aveva rivolto la sera prima avevano fatto presa su di lui, facendo emergere prepotentemente un senso di colpa nei confronti dei genitori, soprattutto della madre. Senso di colpa che lo aveva costretto a rimanere nella sua camera per tutto il giorno, ma che, alla fine, lo aveva anche spinto ad uscirne verso sera. Quando si era timidamente affacciato in sala da pranzo, il ragazzo aveva incontrato lo sguardo della madre, che gli aveva sorriso, come se niente fosse. E in quell’istante, Castiel aveva intravisto l’amore che la sua famiglia provava per lui, nonostante il suo atteggiamento l’avesse fatta soffrire, nonostante lui l’avesse accusata di non capire come si sentiva. In realtà, Castiel sapeva che la sua famiglia lo amava, da sempre, ma aveva lasciato che la sua sordità gli impedisse di vedere l’entità di quell’amore e di capirlo a fondo, proprio come aveva fatto con l’amore che Dean gli aveva sempre dimostrato. E questo perché era proprio Castiel il primo a non amarsi.
Nei giorni successivi, quella nuova consapevolezza gli aveva tenuto compagnia, insieme a quello che il fratello gli aveva detto. Ogni volta che poteva, Castiel rifletteva su sé stesso, focalizzando la sua attenzione su tutti gli aspetti che facevano parte di lui e che contribuivano a renderlo quello che era: il suo non amarsi, il suo non accettarsi così com’era, il desiderio di sentire, la sua paura. Tutte queste parti avevano le loro ragioni e le reclamavano a gran voce e, inizialmente, per Castiel era stato impossibile anche il solo pensare di metterle d’accordo tra loro, come gli aveva suggerito Balth. In mezzo a tutto questo, il pensiero di Dean era sempre presente. Castiel aveva promesso al fratello che avrebbe pensato a cosa fare e, in effetti, il ragazzo dagli occhi blu non aveva fatto altro. Castiel si era domandato più volte se fosse giusto tornare da Dean, come se niente fosse, dopo tutto quello che gli aveva fatto, ma la possibilità di riavere Dean di nuovo nella sua vita scalpitava dentro di lui, sollecitandolo ad andare dall’altro e chiedergli di tornare a stare insieme. Contemporaneamente, però, qualcosa lo bloccava: la paura. Una paura che si rifletteva, in egual misura, nelle due possibili conseguenze che la decisone di andare da Dean avrebbe comportato.
Cosa sarebbe successo, se Dean non lo avesse perdonato? Castiel sapeva di averlo ferito, e tanto. Aveva visto trasparire il suo dolore dalle parole che si erano formate sulle sue labbra, nel verde dei suoi occhi, e lo aveva percepito dalla tensione del suo corpo in quell’ultimo abbraccio. E sapeva che non si sarebbe mai dato pace per questo, riconoscendo quindi a Dean il diritto di rifiutare la sua richiesta, sebbene questo per Castiel avrebbe significato vivere nel rimorso e nel rimpianto di averlo perso per sempre.
Cosa sarebbe successo, invece, se Dean lo avesse perdonato, riprendendolo con sé? Castiel ne sarebbe stato felice e sicuramente anche Dean e, per i primi tempi, entrambi sarebbero stati totalmente presi l’uno dall’altro, spinti a colmare la mancanza reciproca che si era accumulata dopo il loro allontanamento. Ma poi? Sarebbero riusciti a far funzionare le cose? O invece, andando avanti, sarebbero pian piano caduti nelle vecchie abitudini e nei soliti errori? Ogni volta che Castiel si spingeva con il pensiero fino a questo punto, si fermava, lasciando che fosse la consapevolezza di non amarsi, che lo seguiva in questi momenti di riflessione, a prenderlo per mano e a mostrargli la strada. Non poteva tornare da Dean, non così com’era, perché farlo avrebbe significato continuare a non vedere e a non capire l’amore che il giovane Winchester provava per lui. Per poterlo fare, per poter accettare e godere appieno dell’amore di Dean, insieme a quello della sua famiglia, Castiel doveva prima imparare ad amare se stesso: doveva accettarsi per quello che era, e cioè un ragazzo colpito da una grave malattia, le cui conseguenze lo avevano segnato per sempre; doveva scendere a patti con l’idea che non avrebbe ma potuto tornare ad essere la persona di prima; ma doveva anche riconoscere che, volendo, avrebbe potuto avvicinarsi anche di poco alla normalità tanto agognata, soddisfando in parte il suo desiderio di sentire di nuovo e migliorando la sua vita.
E così, partendo da qui, Castiel aveva fatto piccoli passi, attraverso i quali era riuscito pian piano a prendere in considerazione ogni singola parte di sé e ad intrecciarla con le altre, persino la paura, costruendo così il cammino che lo aveva portato, infine, a decidere di fare qualcosa per sé, in una concreta dimostrazione della sua volontà di amarsi di più: l’intervento per l’impianto cocleare.
Castiel sospirò, girandosi su un fianco. Per qualche secondo osservò il comodino lì vicino, esitando, e poi allungò il braccio, prendendo il telefono. Con un rapido gesto, sbloccò lo schermo, strizzando le palpebre di fronte alla luminosità del display, per poi accedere alla galleria delle foto. Ne selezionò una di lui e Dean insieme e l’aprì, rimanendo a fissarla a lungo. Infine, socchiuse gli occhi, scivolando piano nel sonno.
 
Quella notte, Castiel sognò di sentire una voce che lo chiamava e che ripeteva il suo nome più e più volte. Il ragazzo non capiva da dove provenisse quella voce, né tantomeno sapeva a chi appartenesse, ma al solo pensiero che potesse essere quella di Dean, il suo cuore aveva iniziato a battere forte.
 
 
°°°
 
 
“Ci siamo, allora” – disse Balthazar, stringendo la mano del fratello.
La luce del mattino filtrava attraverso le veneziane, confondendosi con quella artificiale della stanza d’ospedale. Castiel era sdraiato sul letto, in attesa che gli infermieri venissero a prenderlo da un momento all’altro, per portarlo nella sala premedicazione e dare così inizio all’intervento. Il maggiore aveva chiesto ai genitori di rimanere solo con il più piccolo, e si era seduto sul bordo del letto, prendendosi un attimo prima di parlare.
Castiel ricambiò la stretta e sorrise.
“Sì”.
“Sono contento che tu abbia deciso di fare qualcosa” – disse Balth, accennando ad un sorriso – “E a dire il vero speravo che tu decidessi di fare questo” – aggiunse, abbassando lo sguardo.
Castiel osservò attentamente il maggiore, un po’ confuso. Le parole che il fratello gli aveva appena rivolto, stridevano con i lineamenti tesi del suo volto e con la stretta della sua mano, che si era fatta più salda, come se l’altro avesse paura di lasciarla.
“Balth” – lo richiamò il minore.
Il più grande sollevò piano le palpebre.
“Che succede?” – chiese il ragazzo con gli occhi blu.
Balth incrociò il suo sguardo per un secondo e sospirò.
“Ho paura…” – ammise infine.
Castiel schiuse le labbra, un po’ sorpreso.
“L’ultima volta che sei stato in un ospedale tu…”
“Balth…”
“Ho rischiato di perdere il mio fratellino” – disse il maggiore, mentre le labbra tremavano leggermente e gli occhi diventavano lucidi.
Castiel si sistemò meglio sul letto, mettendosi seduto, e strinse forte la mano dell’altro.
“Non vado da nessuna parte, Balthe” – lo rassicurò.
Balthazar si passò la mano libera sul viso.
“Guai a te se…” – tentò, non riuscendo poi a proseguire.
Il più piccolo si sporse in avanti e abbracciò il fratello, che si lasciò andare, appoggiando la testa sulla spalla dell’altro.
“È strano” – disse poi Balthe, scostandosi leggermente e guardando negli occhi il più piccolo.
“Cosa?” – domandò Castiel, inclinando il viso.
“Per una volta sei tu a consolare me”.
Castiel batté le palpebre un paio di volte, e poi sorrise.
 
“E per quanto riguarda Dean?” – riprese Balth, dopo un po’ – “Hai deciso cosa fare?”
Castiel abbassò lo sguardo, senza rispondere.
Il fratello posò una mano sulla sua guancia, richiamandolo.
“Ci hai almeno pensato come mi avevi promesso?”
Castiel annuì.
“E cosa hai deciso?”
Il silenzio del più piccolo fu eloquente.
Il maggiore sospirò.
“Cassie, perché ho l’impressione che questo non sia veramente quello che vuoi?”
Il ragazzo dagli occhi blu non disse nulla.
“Cas-”
“Io vorrei sentire la voce di Dean” – disse all’improvviso l’altro, interrompendolo.
Balth si limitò a guardarlo, in attesa.
“Vorrei sentire quando dice il mio nome, e non leggerlo sulle sue labbra e basta”.
Castiel fece una pausa.
“Ma...non posso farlo” – continuò – “Non adesso”.
 
“È solo che…” – farfugliò poi, stringendo le lenzuola tra le dita – “È solo che mi manca…”
Balth fece per dire qualcosa, ma fu distratto da un rumore alle sue spalle.
“Siamo pronti” – disse un infermiere, entrando nella stanza e trascinando con sé un letto su ruote, aiutato da un collega.
Balthe si rimise in piedi, spostandosi, per permettere ai due di fare il loro lavoro.
L’uomo che era entrato per primo abbassò le sponde del letto e aiutò Castiel a spostarsi nell’altro. Prese poi una cuffia di cotone azzurra dalla tasca e gliela fece indossare, mentre il secondo uomo regolava l’inclinazione dello schienale.
Castiel si sdraiò sul letto, appoggiando la testa sul cuscino.
Balth si avvicinò, prendendo nuovamente la mano del più piccolo.
Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso.
“Ci vediamo più tardi”.
“Ok…” – rispose l’altro, sforzandosi di ricambiare il sorriso.
I due infermieri iniziarono a spostare il letto verso l’uscita della camera.
Balthazar, invece, tenne la mano del fratello fino all’ultimo, per poi lasciarla andare.
 
 
°°°
 
 
Le veneziane della stanza erano socchiuse, in modo da lasciare l’ambiente in una quieta penombra.
Castiel si mosse lievemente sul letto, mugolando un lamento.
Finita l’operazione, il ragazzo era stato portato in sala risveglio e, dopo un po’, nella sua camera. Il medico aveva detto ai signori Novak che probabilmente il giovane avrebbe sonnecchiato per il resto della giornata, smaltendo così l’anestesia a poco a poco.
Amelia era in piedi accanto al letto e scostò con le dita una ciocca di capelli, sfuggita al bendaggio, dalla fronte del figlio, sorridendo leggermente. James, invece, si era offerto di andare a prender un caffè per lui e la moglie.
“Come va?” – chiese Balhtazar, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
“Ogni tanto si lamenta” – rispose lei, senza distogliere gli occhi dal più piccolo.
Il maggiore annuì in silenzio e si sedette sulla poltroncina lì accanto, digitando qualcosa sullo schermo del cellulare.
Castiel si mosse ancora, facendo frusciare le coperte, mentre le labbra si aprivano per poi chiudersi di nuovo in borbottii sommessi.
“D-Dean…”
Balthazar sollevò il viso di scatto e, per qualche secondo, rimase sena respiro. Guardò la madre, cercando di intravedere una reazione sul suo volto, ma Amelia continuò ad accarezzare la fronte di Castiel, come se nulla fosse. Il più grande indugiò con gli occhi sulla madre ancora un attimo, per poi tornare a guardare il display del telefono.
La stanza rimase nel silenzio più assoluto per qualche minuto.
“È lui, vero?” – chiese Amelia, all’improvviso.
Il maggiore di irrigidì, esitando nel rispondere.
“C-Chi?”
“Dean” – disse semplicemente lei – “È di lui che stava parlando quella sera, vero?”
Blathazar deglutì un paio di volte.
La donna sollevò leggermente il viso, incontrando quello dell’altro.
“Quando ha detto che non riesce a ricambiare il suo amore” – continuò.
Il ragazzo si sistemò meglio sulla poltroncina, a disagio.
“Balth” – lo richiamò lei, sospirando – “Non mi metterò a fare una scenata, se è di questo che hai paura”.
“Mamma…”
“Voglio…” – si interruppe la donna – “Voglio solo saperlo.”
Il più grande indugiò, rigirandosi il cellulare tra le mani.
“Sì…” – ammise infine.
 
“Cos’è successo con Dean?” – chiese lei.
Balthazar si grattò piano la nuca.
“È complicato…”
La donna tornò a guardare il più piccolo.
“Possiamo fare qualcosa?”
“Non lo so…”
Amelia accarezzò la guancia di Castiel con il dorso della mano.
“Vorrei solo che fosse felice…”
Il maggiore si soffermò a guardare il fratello che dormiva, stirando le labbra.
“Anche io…”
 
 
°°°
 
 
Come da previsione, Castiel rimase ricoverato in ospedale per tre giorni. Durante la degenza, passò il tempo leggendo qualche libro che il fratello gli aveva portato da casa o facendo delle passeggiate con la madre, nel parco sul retro dell’ospedale. Il pensiero di Dean era sempre presente, tutto il giorno, diventando però più intenso alla sera, quando Castiel si ritrovava a guardare le foto di lui e del biondo sul cellulare, e a sospirare.
Dopo le dimissioni, le giornate di Castiel furono scandite da una pigra quotidianità, fatta di lezioni con Naomi, compiti da svolgere e test da preparare, e controlli in ospedale.
Durante questo periodo, l’animo di Castiel fu sopraffatto da tutta una serie di emozioni e sentimenti che imperversavano in lui, e che venivano amplificate dall’attesa. Il giorno dell’attivazione dell’impianto, infatti, sembrava non arrivare mai, e a Castiel, quelle due settimane che lo separavano dalla possibilità di sentire di nuovo, parvero un’eternità. Il che, in effetti, sembrò strano persino a lui. In fondo, due settimane erano un’inezia, se paragonate a tutti quegli anni passati a rifiutare l’intervento e covare il desiderio di normalità. Senza rendersene conto, Castiel esorcizzò l’attesa iniziando a fantasticare con la mente su cosa sarebbe successo quel giorno. Le speranze e le aspettative per quel momento sembravano un’altalena, capace sì di spingerlo verso un rassicurante ottimismo, ma anche in grado di farlo scivolare nell’incertezza e nella negatività. E quando ciò accadeva, la paura si faceva strada in lui, artigliandolo e graffiandolo con dubbi pungenti. E se non avesse funzionato? Se quello fatto finora fosse stato tutto inutile? Cosa avrebbe fatto? E soprattutto, sarebbe riuscito a superarlo?
 
Castiel si guardò in giro, incuriosito e intimidito allo stesso tempo. Si trovava in una stanza, seduto su una comoda sedia. Di fronte a lui, un uomo era concentrato davanti al monitor del laptop, mentre muoveva le dita sulla tastiera.
Il giorno dell’attivazione era finalmente arrivato. La notte precedente il ragazzo aveva faticato a prendere sonno e, al mattino, l’agitazione si era fatta sentire, prepotente, stringendogli lo stomaco e impedendogli persino di fare colazione.
L’uomo smise di picchiettare sui tasti e si voltò, sorridendo.
“Ci siamo quasi” – disse.
Castiel ricambiò il sorriso e annuì.
Amelia era seduta lì vicino, accanto al figlio. Per la prima sessione di attivazione avevano consigliato la presenza di una, al massimo due persone accanto al paziente.
“Ok, prima di iniziare devo spiegarti alcune cose” – disse il tecnico – “L’obbiettivo di oggi è trovare un livello di volume che sia per te confortevole, così possiamo impostare il programma sonoro”.
Castiel annuì di nuovo.
“Ovviamente il volume può essere modificato nel tempo” – specificò l’altro.
Il giovane fece un cenno di sì col capo.
“Allora, quando accenderò l’impianto, quello che sentirai dipenderà da diverse cose. Nel tuo caso soprattutto dal tempo che è passato da quando sei diventato sordo fino ad oggi” – continuò l’uomo – “Quindi potrai anche non sentire dei veri e propri suoni, ma solo rumori confusi e indistinti”.
Castiel abbassò le sopracciglia, visibilmente deluso.
“Non ti preoccupare” – sorrise l’uomo – “È normale, il tuo cervello è stato privato di suoni per moltissimo tempo e deve imparare di nuovo ad identificare i singoli suoni che provengono dall’ambiente circostante. Bisogna solo avere pazienza e vedrai che con il tempo tutto inizierà ad avere un senso”.
Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso.
“Sai, alcune persone riconoscono il parlato fin da subito e, anche in questi casi, possono percepirlo un po’ meccanico, quasi artificiale, oppure sentirlo esattamente come se lo ricordavano. Ogni persona è a sé e possiamo dire con certezza cosa sentirà solo dopo l’attivazione”.
“Ok…”
Il tecnico si voltò e aprì un cassetto della scrivania, prendendo un libretto.
“Questo è per te” – disse, consegnandolo a Castiel – “Ti ho già spiegato come indossare il processore e come caricare le batterie con il kit che ti ho dato prima, ma se sei in difficoltà leggi questa guida, almeno per i primi tempi. Poi ti verrà naturale farlo. E ricordati di tenerlo acceso durante la maggior parte delle ore in cui sei sveglio, mentre dovrai proprio spegnerlo quando dormi e quando sei in acqua”.
“Grazie” – rispose il giovane, prendendo in mano il libretto.
“Hai uno smartphone?” – chiese poi il tecnico.
“Sì”.
“Perfetto, dopo l’attivazione ti farò scaricare l’applicazione che ti servirà per alzare o abbassare il volume a tuo piacimento”.
“Va bene”.
“Credo di averti detto tutto, direi che possiamo cominciare” – disse l’altro, sorridendo e rivolgendo uno sguardo ad Amelia.
La donna ricambiò il sorriso, emozionata ma allo stesso tempo spaventata, perché tutto questo avrebbe cambiato la vita del figlio e la loro, di nuovo, anche se questa volta in meglio.
Il tecnico accese il processore, connettendolo al sistema di programmazione del suo computer per poi posizionare l’antenna sull’impianto. Infine, rivolse la sua attenzione sul monitor, digitando qualcosa sulla tastiera.
“Ok, ho impostato il volume ad una frequenza di base. Riesci a sentire qualcosa?”
Castiel socchiuse gli occhi, inclinando leggermente la testa, per poi scrollarla, facendo cenno di no.
“E così?” – riprese l’altro, dopo qualche secondo.
Il giovane rimase in attesa e, all’improvviso, spalancò gli occhi.
Da quell’espressione, il tecnico capì che erano sulla strada giusta, e sorrise.
“Castiel, dimmi cosa senti” – disse dolcemente lui.
Il ragazzo guardò l’altro e schiuse le labbra. Aveva sentito un rumore molto simile ad un bip e subito dopo un suono. Ma non era un suono nitido, anzi, decisamente disturbato, eppure Castiel l’aveva sentito e lo aveva ricondotto alla voce dell’uomo di fronte a lui.
“Io…” – iniziò, per poi interrompersi subito.
Il suono della sua voce gli arrivò preceduto da una vibrazione leggera e accompagnato da picchi acuti che ne sfalsarono la comprensione. Castiel serrò le palpebre per qualche secondo, facendo una smorfia, per poi sollevarle, sgomento.
“È tutto confuso…” – mormorò, portandosi una mano alla tempia – “È come se tutto si ripetesse di continuo, ancora e ancora”.
“È una cosa normale, Castiel. Siamo solo all’inizio” – spiegò il tecnico.
Castiel digrignò i denti, cercando di concentrarsi sui movimenti delle labbra dell’uomo, ma era dannatamente difficile. La voce dell’altro arrivava acuta, quasi lacerante, per poi distorcersi, come se fosse una lama che entrava nella testa, anzi, come se fosse una lama che nasceva direttamente nel suo cervello. Il ragazzo dagli occhi blu si sistemò meglio sulla sedia, visibilmente agitato.
“Non riesco a capire nulla, c’è solo rumore e basta…mi sembra di impazzire”.
“Castiel, non ti preoccupare” – intervenne l’uomo, rassicurandolo – “Ti ho già detto che è una cosa normale e che è successa a molti altri miei pazienti. Dobbiamo riscrivere il tuo vocabolario sonoro, e lo faremo insieme, ad ogni seduta, ok?”
Il giovane abbassò le spalle, affranto. Non si aspettava di certo di sentire tutto e subito, e nemmeno nel migliore dei modi, ma neanche questa specie di giungla che continuava ad urlare nella sua testa. Tuttavia, Castiel decise di non farsi prendere dallo sconforto e di porre fiducia nel tecnico e in quello che gli aveva detto.
L’uomo fece poi un cenno ad Amelia, invitando la donna a parlare e a far sentire la propria voce al figlio. Lei esitò un attimo, stropicciandosi nervosamente le mani. Aveva atteso questo momento per tanto, troppo tempo, perdendo a poco a poco la speranza con il passare degli anni. E in quell’istante si sentì smarrita, al punto tale da non sapere neanche cosa dire. Perciò decise di chiudere gli occhi e di fare un profondo respiro, per poi riaprirli.
“Castiel” – disse infine.
Il ragazzo dagli occhi blu inclinò leggermente il viso, stringendo gli angoli delle palpebre. Ciò che riuscì a percepire fu solo quello che la donna emise nella prima frazione di secondo, sotto forma di uno sfrigolio continuo, che degradava sempre più verso l’alto, e poi più nulla.
Castiel serrò le mani in un pugno, cercando di non scoraggiarsi. Recuperare la sua memoria uditiva era una questione di tempo e l’unica cosa che poteva fare era armarsi di tanta pazienza e andare avanti.
Infine, rivolse un lieve sorriso alla madre.
“Continua a parlare”.
 
 
°°°
 

“Dean, mi stai ascoltando?” – lo richiamò Benny.
Le lezioni erano appena finite e gli studenti della Free State si accalcavano verso l’uscita della scuola, accompagnati da un vociare che si rincorreva per i corridoi, per poi disperdersi chissà dove.
Dean e Benny, con al seguito Charlie e Chuck, avevano appena attraversato il cortile interno e si stavano dirigendo verso l’atrio principale.
“Uhm?” – mugugnò il biondo, distratto.
Benny si voltò leggermente, guardando di sfuggita Charlie, intenta a digitare qualcosa sul cellulare.
“Parlavo di venerdì sera. Vieni a vedere la partita?” – riprese Benny.
“No, non credo” – rispose piatto l’altro.
“Sei ancora in punizione?”
“Sì”.
“E non puoi chiedere un permesso ai tuoi? È la semifinale, se vinciamo ques-”
“Non mi interessa” – lo liquidò Dean, scrollando le spalle.
Benny tacque, grattandosi il mento e girandosi di nuovo verso Charlie che, stavolta, rispose al suo sguardo.
“Ok, come vuoi, amico”.
I ragazzi percorsero l’atrio e uscirono definitivamente dall’edificio scolastico, ritrovandosi così nel piazzale antistante.
All’improvviso Dean si fermò, costringendo anche gli altri a fare altrettanto. Il ragazzo rimase immobile, con lo sguardo fisso su un punto davanti a sé. A pochi metri di distanza un altro ragazzo, con le mani in tasca, si guardava in giro, come se fosse alla ricerca di qualcuno. Il giovane Winchester serrò la mascella, stringendo la mano sulla spallina dello zaino. E nel momento stesso in cui Dean realizzò chi fosse, l’altro incrociò i suoi occhi: era Balthazar.
Il maggiore dei Novak si mosse, avanzando verso di lui. Istintivamente, Dean arretrò di un passo, come se fosse pronto a scappare da un momento all’altro da Balthazar e da tutti i ricordi che inconsciamente si portava dietro.
“Dean” – lo richiamò Balth, una volta vicino.
“Che vuoi?” – sibilò Dean, rendendosi poi conto di quanto sua risposta fosse risultata più aggressiva di quanto volesse.
L’altro rimase in silenzio, limitandosi a guardarlo negli occhi.
“Ho bisogno di parlarti” – disse poi.
Dean si umettò le labbra.
“Di cosa?”
“Di mio fratello”.
Dean si irrigidì.
“Perché?”
Balthazar non rispose.
“Io e tuo fratello non stiamo più insieme” – sottolineò Dean, sentendo il dolore vibrare dentro di lui ad ogni parola pronunciata.
“Sì, lo so” – sospirò l’altro, per poi fare una pausa.
“E so anche che si è pentito” – continuò.
Dean si sentì scuotere leggermente da un fremito, di cui il ragazzo riconobbe subito l’origine. Era la parte di lui che sentiva la mancanza di Castiel e che, al solo sentire quelle parole, aveva iniziato a sfarfallare dolcemente. Quel fremito però durò quanto un battito di ciglia, subito soffocato da un sottile velo di tensione, che si era presentato nel momento in cui aveva visto Balthazar.
“Te l’ho ha detto lui?”
“Non ce n’è stato bisogno”.
Dean si mordicchiò l’interno della guancia, prendendosi del tempo. La tensione che stava crescendo dentro di lui lo sollecitava ad andarsene e ad allontanarsi da quella situazione. Ma la parte che sentiva la mancanza di Castiel, invece, lo richiamava, pregandolo di rimanere.
“Balth, che ci fai qui? Cosa vuoi?”
Balth guardò di sfuggita i ragazzi alle spalle di Dean, per poi tornare a incrociare lo sguardo dell’altro.
“Vorrei che tu incontrassi mio fratello”.
Dean spalancò gli occhi, in un’espressione di sorpresa e terrore allo stesso tempo.
“Vorrei che voi due parlaste e che tu gli dessi un’altra possibilità” – aggiunse Balth.
Il cuore di Dean cominciò a galoppare forte nel petto, riverberando fino alle tempie, che iniziarono a pulsare in sincrono. Di contro, il ragazzo strinse la mano in un pugno, per tenere a freno quella folle corsa.
“Perché dovrei farlo?” – domandò.
“Perché lo vuoi anche tu”.
Il giovane Winchester lo guardò, adombrandosi.
“E questo chi lo dice, tu?” – replicò.
“Mi stai dicendo che non è vero?” – ribatté l’altro.
Dean serrò la mascella e distolse lo sguardo.
“Perché non è venuto lui?” – smozzicò, tenendo lo sguardo altrove – “Se davvero si è pentito”.
Baltahazar esitò, passandosi una mano sulla nuca.
“Perché lui non sa niente” – ammise.
Gli occhi di Dean saettarono di nuovo verso di lui.
“È una mia iniziativa” – aggiunse l’altro.
Dean fissò il maggiore dei Novak per qualche istante, immobile.
“Fammi capire bene” – disse poi – “Tu sei venuto qui, a chiedermi di incontrare tuo fratello e di dargli un’altra possibilità, ma lui non ne sa niente”.
“Sì, è così”.
Dean scrollò piano la testa, sbuffando in una risata amara.
“E cosa ti fa pensare che lui voglia questo?”
“Perché conosco mio fratello”.
Dean deglutì rumorosamente, lasciando che i suoi occhi vagassero nel vuoto. Dentro di lui, la tensione e la mancanza di Castiel facevano a gara per prevalere l’una sull’altra, senza risultati, perché la lotta indugiava in un concitato testa a testa, e sembrava che nessuna delle due parti volesse mollare. Dean si sentì schiacciato tra questi estremi, al punto tale da non capire più nulla.
 
“È finita, Dean”
 
La tensione avanzò, prepotente, rifilando una disonesta stoccata all’avversaria, facendola così cadere in ginocchio.
 
“È finita!”
 
Il colpo fatale arrivò, secco, sibilando come una frustata. Dean percepì qualcosa scivolare verso il basso, al punto tale da non sentirla più, mentre la tensione si diramava, prendendo possesso di tutto il suo corpo e la sua mente.
“No”.
La voce uscì dalla sua bocca, tesa, quasi con un spasmo, come se fosse rimasta incastrata in gola e avesse dovuto graffiarne le pareti per venire fuori.
“Dean…” – tentò Balth, invano.
Il giovane Winchester, infatti, si voltò di scatto e fece per allontanarsi, ma Benny gli si parò di fronte, bloccandolo. Dean incrociò lo sguardo dell’amico e corrugò la fonte, confuso, mentre Benny ricambiava il suo sguardo, rimanendo fermo. Il biondo fece un altro tentativo, spostandosi un po’ di lato, con l’intento di superare l’altro, ma di nuovo Benny scivolò verso di lui, impedendogli di avanzare.
“Ma che diavolo…” – smozzicò Dean, provando a spingersi ancora in avanti, invano.
Dean si passò una mano sul viso, nervoso.
“Benny, spostati”.
“No”.
Il ragazzo serrò la mascella, di fronte a quel diniego.
“Benny” – lo ammonì poi.
L’amico scrollò la testa.
“Maledizione, Benny! Lasciami passare!”
“No, Dean, non ti lascio passare” – rispose il giovane, per poi riservare un’occhiata fugace al fratello di Castiel – “Devi ascoltare quello che Balthazar ha da dirti”.
Dean sollevò le sopracciglia.
“Non può dirmi niente di quello che so già” – disse, facendo poi un passo in avanti, con lo scopo di cogliere di sorpresa l’altro.
Benny però non si lasciò ingannare e si mosse a sua volta, bloccandogli il passaggio.
“Oh, al diavolo!” – ringhiò in risposta Dean, girandosi bruscamente, per tentare un’altra via di fuga.
Tuttavia, il ragazzo fu costretto a fermarsi, di fronte ad un’altra persona che gli sbarrava la strada: Chuck.
“Seriamente?” – sibilò, rivolgendo uno sguardo minaccioso all’amico.
Chuck non rispose, limitandosi a guardarlo.
Dean fece schioccare la lingua, seccato per quel chiaro tentativo di sfida. Poi si voltò lentamente verso Charlie, incrociando i suoi occhi.
“Mi vuoi fermare anche tu?” – chiese, avanzando di un passo.
La ragazza vacillò per un istante.
“Sì, se è necessario” – rispose poi, risoluta.
Il giovane Winchester scrollò la testa, stizzito.
“Cosa diavolo vuol dire questo?” – soffiò, guardando gli amici uno ad uno.
“Dean, ti prego, Balth deve dirti una cosa importante” – tentò Charlie.
Il biondo aggrottò la fronte.
“E tu che ne sai di cosa mi deve dire?”
Charlie fissò un punto indistinto oltre le spalle di Dean e si morse un labbro.
Dean seguì la direzione del suo sguardo, fino ad incrociare quello di Balthazar. E in quel momento la consapevolezza lo colpì, come uno schiaffo inaspettato. Il ragazzo rimase stordito un istante, ma la tensione recuperò subito terreno, riprendendo ben presto il comando.
Con uno scatto tornò a guardare Charlie, risentito.
“Voi eravate d’accordo con lui” – disse, digrignando i denti.
“Dean…”
“Sapevate che sarebbe venuto oggi” – continuò il ragazzo, ignorando il richiamo di lei.
“E non mi avete detto niente” – proseguì, puntando gli occhi su Benny.
“Sono stato io” – intervenne Balth – “Ho chiesto io di non dirti niente”.
Dean fece saettare lo sguardo su di lui.
“Tu?” – domandò, stranito.
“Sì” – rispose l’altro – “Ho preso il numero di Charlie dal telefono di Cassie, e l’ho contattata”.
“Perché?” – chiese Dean, infastidito – “Non potevi venire da me e basta?”
In un primo momento Balth non rispose.
“Ci avevo pensato, a dire il vero” – ammise poi – “Ma sapevo che non avrebbe funzionato”.
Dean non si mosse e si limitò a fissarlo negli occhi.
“Tutto questo è ridicolo” – smozzicò in seguito, passandosi una mano sul viso.
“Dean, ascoltami, devo dir-”
“No!” – sbottò il biondo, alzando una mano verso di lui – “Non voglio nemmeno ascoltarti! Non ho intenzione di stare qui a-”
Lo ha fatto, Dean!” – lo interruppe Balth, sovrastando la sua voce.
Il giovane Winchester batté due volte le palpebre, preso in contropiede da quelle parole per lui prive di significato, e poi schiuse le labbra, come per dire qualcosa, ma senza riuscirvi.
Balthazar lesse la confusione nei suoi lineamenti contratti e nella sua postura rigida, come se il ragazzo fosse imprigionato nel dilemma di chiedere qualcosa oppure no. Il maggiore dei Novak ne approfittò e fece un passo verso di lui.
“Mio fratello ha fatto l’intervento per l’impianto cocleare”.
Il giovane Winchester smise di respirare per qualche secondo. All’improvviso, tutto intorno a lui divenne sfuocato, mentre ogni percezione sembrava allontanarsi, diventando sempre più distante e lasciando il ragazzo solo con i suoi pensieri. Era vero quello che aveva detto Balthazar? Davvero Castiel si era sottoposto all’intervento? Ma com’era possibile? Dean sapeva che, pur avendone avuto la possibilità, Castiel si era sempre rifiutato di farlo, e da quando lo conosceva il moro non aveva mai accennato alla volontà di compiere un passo simile. Ad un tratto, nella mente di Dean presero forma immagini del ragazzo con gli occhi blu in un letto d’ospedale e quella sola fantasia fu capace quasi di annientarlo.
“Dean”.
La voce di Balthazar lo richiamò prepotentemente alla realtà, restituendogli le percezioni tutte insieme. Dean incrociò il suo sguardo, senza dire nulla.
“Ha funzionato, Cassie può sentire di nuovo”.
Dean continuò a guardarlo, incapace di parlare.
Balth sospirò, piano.
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”.
Il biondo spalancò gli occhi.
“P-per me?” – riuscì a dire.
Balth annuì.
“Ne dubitavi, forse?” – chiese poi, abbozzando un sorriso.
 
“Tu sei diverso”
 
Dean deglutì a fatica. No, non ne dubitava. Più volte, in passato, Castiel si era spinto a fare cose incredibili per lui, partendo dall’usare nuovamente la propria voce, fino al mettere costantemente alla prova i limiti del proprio handicap, pur di non essere un peso per lui.
 
“A me non è mai pesato”
“Ma pesa a me”
 
Dean strinse i pugni, come se cercasse di appigliarsi a qualcosa, per non lasciarsi trascinare di nuovo con la mente a quel giorno, quando Castiel aveva deciso di porre fine alla loro storia. A Dean sembrò di respirare la stessa aria, di percepire i medesimi raggi di sole sulla pelle, di sentire ancora la voce di Castiel giustificare quell’assurda decisione…
 
“Ti importa di me?”
 
…di avvertire quel bruciante bisogno di sapere cosa l’altro provasse veramente per lui.
 
“…sto facendo questo proprio per te”
 
La risposta che gli aveva dato Castiel non lo aveva soddisfatto per niente; anzi, se possibile, lo aveva indisposto ancora di più, portandolo ad accusare l’altro di farlo solo per sé stesso.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Dean sapeva che Balth gli aveva detto la verità, tuttavia le sue parole stridevano con la realtà dei fatti, quella realtà con cui Dean si era ritrovato a fare i conti in ogni momento da quel terribile giorno: Castiel lo aveva lasciato, e Dean non faceva più parte della sua vita. E allora perché? Perché arrivare a decidere di sottoporsi ad un intervento per lui, nonostante non stessero più insieme?
 
“ti amo”
“mi dispiace”
 
Dean serrò la mascella, irrigidendosi. Che diavolo di senso aveva, dal momento che, tra l’altro, Castiel non aveva neanche ricambiato i suoi sentimenti?
 
“…sto facendo questo proprio per te”
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Dean era disorientato, non riusciva a seguire il filo dei suoi pensieri e questo perché la sua mente non riusciva a processare tutti gli elementi in suo possesso, secondo la propria logica.
Il giovane Winchester tornò a guardare Balthazar come se, facendolo, lo aiutasse a trovare una risposta alle sue domande.
Balth ricambiò lo sguardo, studiando l’altro e interpretando il suo silenzio come la giusta reazione a quella notizia così importante. Dean era visibilmente scosso, e questo era comprensibile. Tuttavia il maggiore dei Novak riuscì anche ad intravedere altro nella confusione e nello smarrimento con cui Dean lo guardava. E in quel momento Balthazar capì fino a che punto Castiel avesse tagliato fuori Dean. Balth indugiò, indeciso se rivelare a Dean quello che aveva sempre albergato nell’animo del fratello e che aveva visto la luce solo da poco. Per un attimo, la determinazione di Balthazar vacillò, di fronte alle possibili conseguenze che quella confessione avrebbe portato, ma arrivati a quel punto, se voleva davvero avere un minimo di possibilità di riuscire nel suo intento, avrebbe dovuto giocarsi tutto.
“Castiel voleva sentire di nuovo”.
Le parole di Balthazar schioccarono nell’aria, raggiungendo Dean e insinuandosi dentro di lui, sotto la sua pelle, nei suoi polmoni, nella sua testa, e ferendolo in ogni modo possibile. Castiel voleva sentire di nuovo. E questo Dean non lo sapeva. Certo, avrebbe dovuto immaginarlo, ma in ogni caso Castiel non glielo aveva mai detto.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Se veramente Castiel lo aveva fatto per lui, perché non dirglielo? Perché non provare neanche a parlarne con lui? Perché, invece, lo aveva lasciato, non prendendo nemmeno in considerazione l’idea di affrontare la cosa insieme?
 
“Poteva dirmelo…”
“O poteva provare a spiegarmelo…”
 
Dean era consapevole che il moro non parlasse facilmente della propria sordità e, quello che aveva appreso, lo sapeva perché aveva messo Castiel alle strette. Eppure, nonostante tutto, il ragazzo dagli occhi blu era riuscito a tenerlo all’oscuro di una cosa così importante. Perché?
 
“ti amo”
“mi dispiace”
 
Dean sentì una fitta al petto, che gli tolse il respiro. Forse era proprio per questo che non l’aveva mai fatto. Dal momento che non ricambiava i suoi sentimenti, non aveva ritenuto necessario confidargli il suo desiderio di voler sentire di nuovo.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Di nuovo, perché? Perché farlo per lui? Castiel non lo amava, quindi tutto ciò non aveva senso.
Dean spostò il peso del corpo da un piede all’altro, iniziando ad innervosirsi.
Balthazar continuò a guardarlo, dispiaciuto per l’impatto che le sue parole avevano avuto sul giovane, e una piccola parte di lui maledì mentalmente la cocciutaggine del fratello, perché non aveva fatto altro che rendere le cose più difficili.
“Sai” – disse allora, cercando di mitigare la situazione – “Castiel mi ha detto che vuole sentire la tua voce”.
In quell’istante, qualcosa dentro Dean esplose, generando un calore che risalì dalle viscere per poi espandersi nel petto e arrampicarsi fino alla gola, stringendola forte e facendolo annaspare. Il ragazzo non riusciva più a pensare, la sua mente era un groviglio di pensieri senza capo né coda, che si intrecciavano e si stringevano tra loro, soffocandolo. Dean perse rapidamente il controllo del proprio corpo, che si mosse d’istinto, spingendolo a voltarsi e ad allontanarsi di qualche passo da Balth. Quando si trovò di fronte Benny, Dean si fermò, rimanendo immobile e con gli occhi persi nel vuoto. A Benny bastò una manciata di secondi per capire che Dean era in difficoltà e che costringerlo a stare lì non avrebbe portato a niente. Pertanto, si scostò leggermente di lato, lasciandogli libero il passaggio. Dean si mosse e, senza dire nulla, riprese a camminare, allontanandosi definitivamente.
“Benny!” – lo ammonì Charlie, allargando le braccia – “Eravamo d’accordo di non lasciarlo andare via!”
Benny osservò di sfuggita la ragazza che lo guardava con la fronte aggrottata e poi si voltò verso la direzione intrapresa da Dean, sospirando.
“Ci penso io” – si limitò a dire, prima di allontanarsi a sua volta e seguire l’amico.
 
“Mi dispiace” – pigolò Charlie, attirando l’attenzione di Balthazar – “Credevo davvero che avrebbe funzionato”.
Il maggiore dei Novak abbozzò un sorriso.
“Non ti preoccupare” – la tranquillizzò – “Almeno sono riuscito a dirgli la cosa più importante”.
Charlie sbuffò piano.
“Certe volte Dean è così testardo…”
Balthazar allargò il sorriso.
“Beh, Cassie non è da meno”.
La giovane si morse un labbro.
“Come sta?” – chiese, flebile.
Balth si pizzicò il mento con le dita.
“Sta bene” – rispose – “Anche se…” – esitò, guardando il punto in cui era scomparso Dean – “…potrebbe stare meglio”.
 
“Grazie” – disse Balth – “Per tutto quello che avete fatto e per avermi aiutato”.
Charlie si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrise timidamente.
“Figurati…spero solo che sia servito a qualcosa”.
“Lo spero anche io”.
 
“Ah, Charlie…” – la richiamò l’altro.
“Uhm…?”
“Sei un’ottima amica. Quel testone di mio fratello è davvero fortunato. E anche Dean”.
 
 
°°°
 
“Dean!”
Benny aumentò il passo, deciso a raggiungere l’amico che, di fronte a lui, continuava ad ignorare i suoi richiami e a mettere più distanza possibile tra loro. Con la coda dell’occhio Benny intravide il parcheggio della scuola poco distante e l’Impala, che spiccava sul piazzale, in quanto una delle poche macchine rimaste. Doveva affrettarsi o Dean sarebbe salito in macchina, andandosene, e allora sì che sarebbe stato impossibile raggiungerlo. Con uno scatto Benny iniziò a correre, coprendo così i metri che lo speravano da Dean. Quando fu abbastanza vicino, allungò un braccio e afferrò la spalla dell’altro. Dean non si voltò nemmeno, anzi, cerco di opporre resistenza e di divincolarsi dalla presa di Benny.
“Dean!”
Il giovane Winchester non rispose e continuò ad avanzare, trascinando l’amico con sé.
“Dean, fermati!”
“Lasciami stare!” – ringhiò in risposta il biondo.
Benny usò più forza, trattenendo il ragazzo quel tanto che bastò per superarlo del tutto e pararsi di fronte a lui, fermandolo.
“Cazzo, Dean, fermati un attimo!”
“Si può sapere cosa diavolo vuoi?” – sputò fuori l’altro, facendo un passo minaccioso in avanti – “Non ti è bastato incastrarmi lì con Balth e farmi fare la figura del coglione?”
“Non hai fatto la figura del coglione” – replicò deciso Benny.
“Sì, certo, come no!”
“E non mi scuserò per aver cercato di aiutarti” – precisò l’amico.
Dean distolse lo sguardo, portandolo altrove.
Per qualche secondo nessuno dei due proferì parola.
“Dai” – sospirò Benny, rompendo il silenzio che si era creato tra loro – “Vieni con me”.
 
“Perché siamo qui?” – chiese Dean, infastidito.
I due ragazzi erano seduti ad un tavolino, uno di fronte all’altro, mentre intorno a loro il locale in cui si trovavano era tranquillo e immerso in una piacevole quiete, cullata da una leggera musica in filodiffusione.
Dopo averlo raggiunto e avergli detto di seguirlo, Benny aveva letteralmente trascinato Dean in una caffetteria, vincendo la resistenza di quest’ultimo, che aveva provato ad opporsi in tutti i modi all’iniziativa dell’amico.
Dall’incontro con Balthazar, infatti, Dean era uscito spossato e con uno stato d’animo che nemmeno lui riusciva a classificare. Troppe emozioni vorticavano dentro di lui, senza che il ragazzo riuscisse a tenerle a bada. Pertanto, l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era tornare a casa e chiudersi in camera, lontano da tutto e da tutti.
“Ti va una crostata?” – disse Benny, sfogliando il menù e ignorando completamente la domanda dell’altro.
“Mi prendi per il culo?” – sputò fuori Dean, risentito.
Benny sollevò gli occhi, incrociando quelli del biondo.
“No”.
A quella risposta, Dean si alzò di scatto facendo strisciare rumorosamente la sedia contro il pavimento.
“Dean” – sospirò Benny, posando il menù sul tavolo – “Siediti”.
Il ragazzo rimase in piedi, a fissare l’amico.
“Dean” – lo richiamò di nuovo l’altro, accompagnando le parole con un gesto del capo in direzione della sedia.
Dean si mordicchiò l’interno della guancia e alzò gli occhi al cielo, sbuffando, per poi lasciarsi cadere malamente sul proprio posto.
“Voglio sapere perché siamo qui” – disse, incrociando le braccia al petto.
Benny si scostò piano dal tavolo fino a toccare lo schienale della sedia con le spalle.
“Per parlare un po’”.
“Non c’è niente di cui parlare” – ribatté prontamente Dean.
Benny allungò una mano sul tavolo e iniziò a picchiettare distrattamente l’indice sulla superficie.
“Non ti ricordi che posto è questo?” – chiese poi, sollevando lo sguardo verso l’amico.
“Dovrei?” – replicò l’altro.
“Beh, sì”.
Dean socchiuse gli occhi, in attesa.
Benny trattenne a stento un piccolo sorriso.
“È qui che mi hai detto di aver baciato Castiel, la prima volta”.
Dean spalancò gli occhi e schiuse le labbra, mentre le braccia scivolavano piano, sciogliendosi dal loro incrocio e cadendo stancamente sulle gambe. Il giovane Winchester esitò un attimo e poi si guardò in giro, smarrito.
“Sai, avevi quella faccia lì anche l’altra volta…”
Dean incrociò lo sguardo dell’amico, per poi abbassarlo.
“Perché anche quella volta non sapevi cosa fare” – continuò l’altro.
Il biondo rimase con lo sguardo abbassato, giocherellando nervosamente con le dita.
Benny lo osservò per qualche istante, e poi si sistemò meglio sulla sedia, avvicinandosi e appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Anche se in realtà questa volta non c’è poi molto da pensarci su”.
Dean sollevò le palpebre e aggrottò la fronte, con aria interrogativa.
“Voglio dire” – aggiunse Benny – “Tu sei ancora innamorato di Castiel, giusto?”
Il giovane si umettò le labbra, esitando, e infine annuì.
“E vorresti tornare con lui” – affermò l’altro, sicuro.
Dean deglutì rumorosamente. La parte di lui che sentiva la mancanza di Castiel fece una capriola al solo pensiero, ma Dean cercò di ignorarne gli effetti.
“N-no”.
Benny sollevò le sopracciglia, facendo chiaramente intendere che non ci credeva affatto.
Il giovane Winchester si mordicchiò una guancia.
“Non lo so”.
“Dean” – lo riprese l’altro.
“Ok, ok” – disse, sollevando le braccia – “Sì. Contento?”
Benny arricciò le labbra in un ghigno compiaciuto.
“Beh, amico, la fortuna è dalla tua parte. Puoi farlo”.
Dean distolse lo sguardo, facendolo vagare nel vuoto, risentito per la troppa semplicità con cui Benny vedeva la situazione. Benny si limitò a guardarlo. Era certo che Dean avesse qualcosa da dire, ma non voleva forzarlo e così decise di aspettare e di rispettare i suoi tempi.
“Lui mi ha lasciato” – mormorò Dean, all’improvviso, con aria assente.
Benny si grattò il mento, prendendosi un momento.
“È vero” – rispose infine – “Ma è anche vero che si è pentito di averlo fatto”.
“Hai sentito quello che ha detto suo fratello, no?” – disse ancora, dopo una pausa.
Dean si mosse sulla sedia, visibilmente a disagio, senza dire nulla.
“Non sei contento che Castiel possa sentire di nuovo?”
“Certo che sono contento” – replicò il biondo, risentito per l’insinuazione dell’altro.
“E allora?”
“È che…” – si interruppe l'altro, facendo ballare nervosamente il piede su e giù – “Non capisco…”
“Cosa non capisci?”
“Tutto quanto... visto che mi ha lasciato, perché suo fratello dice che lo ha fatto per me?”
“Dea-”
“Che senso ha? Tra l'altro, lui non mi ha neanche mai detto di voler sentire di nuovo!”
“Quindi è questo il problema?”
“Sì!” – rispose deciso – “No…” – farfugliò poi, in difficoltà.
Benny si portò una mano sul viso, sicuro che ci fosse dell’altro e così decise di intervenire.
“Dean” – lo richiamò – “Avanti, sputa il rospo. Qual è il problema?”
Dean serrò la mascella, indurendo i lineamenti del viso, per poi incontrare gli occhi azzurri dell’amico.
“Non ha risposto al mio ti amo” – sussurrò, flebile.
Benny sollevò le sopracciglia, sorpreso. Infine sospirò, sorridendogli.
“E tu credi che questo adesso abbia importanza?”
Il biondo lo guardò, confuso e smarrito allo stesso tempo.
“Cazzo, Dean, ma ti rendi conto di quello che ha fatto Castiel? Un intervento è…è una cosa grossa” – gesticolò il ragazzo – “Quando Charlie me lo ha detto non ci potevo credere” – ammise – “E lo ha fatto per te, perché vuole sentire la tua voce. Questo non ti dice niente?”
Benny fece una pausa.
“Se questo non è un ti amo, non so proprio cosa sia”.
Le labbra di Dean tremarono leggermente.
“Ehi” – riprese l’altro – “Lo so che quando Castiel ti ha lasciato, per te è stato un inferno, e lo è anche adesso…”
Il biondo fece una smorfia, distogliendo lo sguardo.
“Ma ora hai la possibilità di buttarti tutto quanto alle spalle e di tornare di nuovo con lui”.
Il giovane Winchester non rispose.
“Dean, non lasciare che il tuo stupido orgoglio ti impedisca di avere quello che vuoi veramente”.
Dean serrò le palpebre e sollevò le braccia, piegandosi leggermente in avanti, per poi portarsi le mani al viso e coprirsi gli occhi.
Benny rimase a guardarlo, in silenzio. Ormai aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per far capire all’amico quale fosse la direzione giusta da prendere. E da lì in avanti la decisione, se intraprendere quella direzione e meno, sarebbe dipesa solo ed esclusivamente da Dean.
 
 
°°°
 

Dean si chiuse la porta della sua camera alle spalle, abbandonando malamente lo zaino a terra, per poi trascinarsi fino al letto e lasciarsi cadere sul materasso.
 
“Mio fratello ha fatto l’intervento per l’impianto cocleare”
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Il ragazzo chiuse gli occhi, sospirando stancamente.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Dean fece una smorfia e affondò il viso contro le lenzuola, mugolando un lamento. Da quando aveva lasciato la caffetteria, le parole che Balthazar gli aveva detto continuavano a tormentarlo, senza dargli un attimo di tregua.
 
“Castiel voleva sentire di nuovo”
 
Dean artigliò la stoffa delle lenzuola, stringendola forte tra le dita.
 
“Castiel mi ha detto che vuole sentire la tua voce”
 
Il giovane rotolò sul fianco e con un colpo di reni si mise seduto, sbuffando. All’improvviso, con la coda dell’occhio, vide il cassetto del comodino lì di fianco e si mordicchiò l’interno della guancia.
 
“Ha funzionato, Cassie può sentire di nuovo”
 
Dean si passò una mano sul viso e si allungò, quel tanto che bastava per aprire il cassetto e tirarne fuori un oggetto. Il ragazzo se lo rigirò tra le dita con delicatezza, come se stesse maneggiando qualcosa di prezioso. E in un certo senso era così, perché quello che aveva tra le mani era il block notes di Castiel, anzi no, la voce di Castiel, che il ragazzo dagli occhi blu aveva deciso di donargli a Natale.
 
“E non oso immaginare quanto deve essere dura per lui vivere con il suo problema ogni giorno…”
 
Dean socchiuse le palpebre per un istante.
 
“Poteva dirmelo…”
“O poteva provare a spiegarmelo…”
 
Il giovane serrò le dita attorno al block notes, dimenticandosi per un attimo il suo valore.
 
“Non è facile dire certe cose, perché sia ha paura di quello che l’altra persona possa pensare”
“Soprattutto se questa persona è quella che amiamo”
 
Dean rilasciò la tensione, accarezzando la copertina del taccuino.
 
“Tu sei diverso”
 
Un dolce tepore scaldò il petto del ragazzo, facendogli chiudere gli occhi e permettendogli così di cullarlo.
 
“…sto facendo questo proprio per te”
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
“Cazzo, Dean, ma ti rendi conto di quello che ha fatto Castiel?”
“Castiel mi ha detto che vuole sentire la tua voce”
“E lo ha fatto per te, perché vuole sentire la tua voce. Questo non ti dice niente?”
“Se questo non è un ti amo, non so proprio cosa sia”
 
Dean riaprì gli occhi e schiuse le labbra. Eccolo lì il filo dei suoi pensieri che lui non riusciva a seguire e che provava a rincorrere ostinatamente con la logica della mente, quando invece avrebbe dovuto farlo con quella del cuore, per avere la risposta che cercava. E in quel momento, di fronte a quella risposta Dean non poté fare a meno di sorridere, mentre la parte di lui che sentiva la mancanza di Castiel vibrò dolcemente, soddisfatta di essere stata finalmente ascoltata.
 
 
°°°


“Siamo arrivati” – disse Balthazar, spegnendo il motore dell’auto.
“Ripetimi perché siamo qui” – replicò Dean, senza distogliere lo sguardo dal finestrino.
Al di là del vetro, una composizione di edifici in mattoncini rossi si estendeva per un lungo tratto, abbracciata da un ampio parcheggio, suddiviso in settori. Numerosi cartelli, disseminati lungo tutto il perimetro, riportavano le indicazioni sulla direzione da intraprendere, in base alle esigenze dell’utenza. Gli occhi di Dean si soffermarono su un cartello lì vicino e sulla scritta bianca che spiccava ancora di più, sotto la luce del sole: LAWRENCE MEMORIAL HOSPITAL.
“Te l’ho già detto, Dean. Mio fratello ha una seduta con il tecnico tra poco. Di solito ci siamo io o mia madre con lui, ma oggi ci sarai tu” – spiegò Balth, dando una rapida occhiata all’orologio – “E se non ci sbrighiamo, rischiamo di fare tardi” – aggiunse poi, mettendo mano alla maniglia dello sportello per aprirlo.
“Ok, ma perché devo vederlo proprio qui?” – lo richiamò Dean, girandosi verso di lui – “Voglio dire, non era più semplice, chessò, incontrarlo a casa vostra?”
Balth si grattò piano la nuca.
“È vero, ma…questa è stata un’idea di Charlie” – ammise.
Dean corrugò la fronte.
“Co-Charlie? Che c’entra Charlie?”
“Mi ha praticamente supplicato di fare questa cosa” – si giustificò l’altro, con un’alzata di spalle.
Dean si passò una mano sul viso, scrollando poi la testa. Ora ci si metteva pure Charlie a complicare le cose, come se quello che stava per fare non fosse già abbastanza difficile.
Dopo aver fatto chiarezza dentro di sé, infatti, Dean aveva accettato la proposta di Balthe di rivedere Castiel e di parlare con lui, con lo scopo di concedere alla loro storia un’altra possibilità. Pertanto, il giovane Winchester si era messo in contatto con Charlie, dal momento che lei era già in possesso del numero di Balthazar. Tuttavia, Dean non avrebbe mai pensato che l’amica si spingesse al punto tale da addirittura organizzare questo incontro, o forse avrebbe dovuto immaginarlo, dato che la capacità di impicciarsi in cose non sue della giovane era pari solo alla sua esuberanza.
Dean accennò un lieve sorriso pensando a lei. Era un’impicciona, era vero, ma era tutto merito suo se Dean era riuscito a capire cosa provasse per Castiel, dopo averlo baciato la prima volta.
“Devo ammettere però che in questo modo l’effetto sorpresa è assicurato” – disse Balthe, interrompendo i pensieri di Dean – “Cassie non crederà ai suoi occhi quando ti vedrà”.
Dean si irrigidì, distogliendo lo sguardo e portandolo davanti a sé, oltre il parabrezza.
Da quando aveva deciso di compiere quel passo, non c’era stato un solo momento in cui Dean non fosse stato pungolato dai dubbi e dalle incertezze. Come l’avrebbe presa Cas? Dal momento che non sapeva nulla, come avrebbe reagito? Sarebbe stato contento oppure no? Lo avrebbe voluto lì? O lo avrebbe allontanato?
E lui, invece? Come avrebbe reagito nel vedere il ragazzo dagli occhi blu, dopo tutto quel tempo? A dire il vero, una parte di lui fremeva, non vedeva l’ora di incontrarlo e voleva solo scendere dalla macchina e iniziare a correre per raggiungerlo prima possibile. Un’altra parte, però, voleva rimanere lì nell’abitacolo e aspettare, perché la paura di rivedere il viso dell’altro, i suoi occhi, e di sentire la sua voce era tanta. Dean aveva immaginato molte volte di rivederlo, di stringerlo di nuovo a sé, di baciarlo…e di non lasciarlo andare via mai più. Ma ora, di fronte alla concreta possibilità di farlo per davvero, il timore si era insinuato in lui, sottile, sussurrando subdolamente, quel tanto che bastava per farlo vacillare.
“Dean?” – lo richiamò Balth – “Che succede?”
Dean non si mosse e tenne lo sguardo oltre il vetro, sull’edificio di fronte a loro. Lì dentro c’era Cas e in quel momento il biondo lo sentiva vicino più che mai. E questo era strano, perché Castiel abitava a pochi metri di distanza da lui, ma da quando lo aveva lasciato, quel poco spazio tra le loro case era stato sufficiente affinché Dean sentisse l’altro ancora più lontano.
“E se non mi volesse vedere?” – mormorò poi.
Il maggiore dei Novak sospirò.
“Questo è impossibile” – disse – “E lo sai anche tu”.
Dean si umettò le labbra.
“Ne sei sicuro?”
“Sì, ne sono sicuro”.
“E se si arrabbiasse perché non sapeva niente?”
“Non credo che lo farà”.
Dean inarcò un sopracciglio, dubbioso.
“L’ultima volta che ho nascosto qualcosa a tuo fratello non mi ha parlato per giorni”.
Balth sorrise leggermente.
“Correrò il rischio”.
 
Un suono metallico anticipò l’apertura delle porte dell’ascensore, segnalando così l’arrivo al piano scelto. Dean seguì Balthazar lungo il corridoio, guardandosi intorno, curioso e stranito allo stesso tempo. Il corridoio era pressoché deserto e i loro passi riecheggiavano nella quiete di quel momento. Quando arrivarono in uno spazio più ampio, Dean intravide Amelia, seduta su una delle sedie a disposizione, e si irrigidì, rallentando il passo. Sapeva che anche lei era lì, ma in un certo senso vederla direttamente lo destabilizzava.
La donna sollevò lo sguardo dalla rivista che stava leggendo e sorrise, per poi alzarsi e venir loro incontro.
“È già dentro?” – chiese il figlio, facendo un cenno del capo in direzione di una porta lì vicino.
“Sì, è appena entrato” – confermò lei.
“Hai parlato con il tecnico?”
“Sì, l’ho già avvisato, non c’è nessun problema” – lo rassicurò l’altra.
“Dean” – sorrise poi la donna, in direzione del giovane.
Il ragazzo deglutì a fatica.
“S-salve…”
All’improvviso Amelia fece un passo in avanti verso di lui e lo abbracciò. Dean trattenne il respiro, impreparato ad un gesto simile, mentre il cuore batteva talmente forte che per un attimo ebbe paura che l’altra lo sentisse.
“Grazie” – mormorò la donna, sciogliendo l’abbraccio – “Per essere qui…e per tutto quanto”.
Dean non riuscì a dire nulla, spiazzato dalle parole della donna e si limitò ad annuire.
“Dean” – lo richiamò Balth – “Sei pronto?”
Il biondo diede un’occhiata alla porta lì accanto, umettandosi le labbra.
“Sì”.
 
Dean osservò la porta davanti a sé, l’ultimo ostacolo che lo separava da Castiel. Il suo cuore era ormai completamente fuori controllo e martellava ad un ritmo tale da stordirlo. Il giovane alzò una mano, puntando le nocche contro la superficie della porta, esitando un attimo. Chiuse gli occhi, facendo un profondo respiro, e infine si decise a bussare.
“Avanti” – rispose una voce dall’interno.
Dean abbassò la maniglia e socchiuse la porta. La stanza era piuttosto piccola e semplice, con una scrivania come unico mobilio che spiccava al centro. E poi Dean lo vide. Castiel. Il giovane era seduto vicino alla scrivania e lo stava guardando con un’espressione che l’altro non seppe interpretare. All’improvviso, tutto intorno a Dean sparì e rimase solo il ragazzo dagli occhi blu, solo lui. Il giovane Winchester sentì le dita fremere all’unisono con i battiti del suo cuore: Cas, il suo Cas, era lì a pochi passi.
“Tu devi essere Dean” – disse l’uomo seduto alla scrivania, davanti ad un laptop aperto.
Dean batté due volte le palpebre, richiamato bruscamente alla realtà e incrociò lo sguardo del tecnico, per poi annuire.
“Vieni, siediti” – lo invitò l’altro, mostrandogli un posto a sedere davanti a quello occupato da Castiel – “Stavamo per iniziare”.
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò, sedendosi con cautela, mentre Castiel continuava a guardarlo. Quando Dean si trovò faccia a faccia con lui, si soffermò sui suoi occhi, meravigliandosi del loro blu, come la prima volta che li aveva visti. Il suo sguardo scivolò poi sulle sue labbra, che Dean aveva assaggiato infinite volte, stupendosi sempre del loro sapore. E infine la sua attenzione venne catturata dalle sue mani, così vicine che a Dean sarebbe bastato allungare le proprie per prenderle e stringerle nelle sue, in quel gesto così intimo e familiare che aveva imparato ad apprezzare sin dall’inizio della loro storia.
Castiel non riusciva a distogliere gli occhi da Dean, mentre il suo cuore era sul punto di impazzire.
Nello stesso momento in cui lo aveva visto varcare la soglia della stanza, Castiel aveva smesso di respirare e il suo corpo aveva iniziato a tremare, scuotendolo nel profondo. Perché Dean era lì? E come sapeva dove trovarlo? Ma allora, se era lì, voleva dire che sapeva tutto? E chi glielo aveva riferito? La madre? O forse...Balth. Il nome del fratello aveva attraversato la sua mente come una meteora, lasciando dietro di sé una scia di incredulità e di ammirazione: Balth lo stava aiutando, ancora una volta. Ma allora, se Dean era lì, cosa significava? Che lo aveva perdonato? O era venuto solo in veste di amico? Castiel aveva seguito poi Dean con lo sguardo, mentre l’altro si avvicinava e prendeva posto davanti a lui. E quando se l’era trovato di fronte, tutte le domande che gli affollavano la mente erano impallidite, fino a sbiadire completamente e a perdersi via. Dean era lì ed era reale. Non era una delle tante foto su cui si soffermava più volte nell’arco della giornata per lenire la sua mancanza. Era vero, i suoi occhi verdi erano veri, così come le sue lentiggini, su cui Castiel aveva indugiato spesso, o la curvatura della mascella, che aveva accarezzato con la punta delle dita ogni volta che ne aveva avuto l’occasione. Dean era lì e se solo avesse allungato un braccio, avrebbe potuto toccarlo, sentire il suo calore, per poi perdersi tra le sue braccia e abbandonarsi completamente a lui.
“Possiamo iniziare, se volete”.
Le parole del tecnico si frapposero tra loro, rompendo quel silenzio statico che si era venuto a creare.
“Dean” – lo richiamò l’uomo, attirando la sua attenzione – “A te l’onore” – disse poi, incitandolo a dire qualcosa.
Dean schiuse le labbra e tornò a guardare Castiel. C’erano tante cose che avrebbe voluto dirgli e a cui aveva pensato da quando aveva deciso di incontrarlo. Ma in quel momento Dean non riusciva a trovare niente, o quantomeno nulla che ritenesse valido per quell’istante. Sarebbe stata la prima volta che Castiel avrebbe sentito la sua voce e Dean voleva che fosse speciale. Il giovane Winchester si umettò le labbra, in difficoltà. Cosa poteva dirgli? Ciao? Come stai? Ehi, Cas? Cosa?
 
“Dillo ancora”
“Cosa?”
“Il mio nome”
 
Dean sentì il cuore sfarfallare e sorrise timidamente.
“Cas…”
Castiel spalancò gli occhi. La voce di Dean gli arrivò bassa, come se stesse risalendo da un luogo lontano e profondo, ma era anche calda, confortevole, rassicurante. Il ragazzo aveva ancora difficoltà nel distinguere una vocale da una consonante, tuttavia a lui non importava, perché l’unica cosa che contava in quel momento era la voce di Dean. All’improvviso quello spazio vuoto, che percepiva dentro di sé, si riempì e quella sagoma bianca, che faceva parte di lui, rifletté migliaia di colori…il nome di Castiel ricevette il soffio della vita sulle labbra di Dean. Gli occhi di Castiel si inumidirono velocemente e il ragazzo lasciò che le lacrime gli rigassero il viso. Finalmente riusciva ad associare un suono a quelle iridi verdi. Finalmente poteva sentire la voce del ragazzo di cui era innamorato.
Infine, Castiel sorrise.
“Ciao, Dean”.
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Ed eccoci qui! Finalmente sono riuscita a completare il capitolo finale e a pubblicarlo! *sta piangendo*
Vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare, ma la stesura del capitolo mi ha fatto un po’ penare. Tra l’altro è risultato più lungo di quanto mi aspettassi, ma l’idea di dividerlo in due parti era impensabile.
Come avete letto Castiel, dopo una travagliata riflessione su sé stesso, è giunto alla decisione di fare l’impianto cocleare e in questa decisione la figura di Dean è stato indubbiamente un elemento determinante. Come determinante è stato l’intervento di Balthazar, che ha agito in prima persona per smuovere un po’ le cose tra quei due. Incredibili sono stati anche Charlie, Chuck e soprattutto Benny, che si è impegnato per far capire a quel testone di Dean cosa fosse importante. L’atteggiamento di Dean di fronte alla richiesta di Balthazar può essere sembrata contraddittoria, visto quanto ha sofferto la separazione da Castiel. Ma è proprio perché ha sofferto così tanto che in lui è scattato una specie di rifiuto, che gli impediva di vedere come stavano realmente le cose, e cioè che Castiel lo ama e glielo ha dimostrato a modo suo.
Per quanto riguarda l'impianto cocleare volevo specificare alcune cose. Prima di tutto non è un orecchio nuovo, pertanto l'entità del suono non sarà mai come quella che percepisce un orecchio. Un'altra cosa è che l'infissione dell'impianto richiede un intervento molto invasivo e che purtroppo non sempre dà i risultati sperati, perchè potrebbe anche non funzionare. Ovviamente per motivi narrativi ho scelto la prima opzione, ma è bene ricordarsi che non tutte le persone sono fortunate come Castiel. Infine ci tenevo a dire che tutte le sensazioni percepite da Castiel durante l'attivazione dell'impianto sono vere, in quanto testimonianze dirette di adulti che hanno potuto sperimentare questa esperienza.
E che dire di queste madri che hanno intuito tutto, anche se ognuna con tempi diversi...
Allora, che ne pensate? Vi è piaciuto? Non vi è piaciuto? E la parte finale? Ditemi tutto, sono curiosa di conoscere le vostre reazioni a riguardo! Vi ricordo che è previsto un epilogo, ancora in fase di scrittura, ma sono a buon punto, quindi dovrei riuscire a pubblicarlo regolarmente lunedì prossimo *ora se l’è tirata, se lo sente*
Bene bene, questo è tutto! Vi lascio con l’angolo fan art!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Fan art everywhere!

                                                          


                                            


 

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


 



Fanart di Naenihl

 
EPILOGO
 
“E se diventi farfalla
nessuno pensa a ciò che è stato
quando strisciavi per terra
e non volevi le ali
 
Alda Merini
 
 
 
 
“Sono vivo?” – chiese Dean.
Castiel ridacchiò, appoggiando la fronte contro il petto dell’altro e spostò la mano sul suo fianco, per poi pizzicargli leggermente la pelle.
“Stupido” – borbottò.
Dean si contorse, cercando di sottrarsi al suo tocco, e rise a sua volta.
“Sei riuscito a sentirlo?”
Castiel riportò la mano sul torace del biondo, all’altezza del cuore.
“Sì…”
I due ragazzi erano sdraiati su un prato, abbracciati l’uno all’altro e cullati dalla penombra che le chiome degli alberi offrivano loro. Un dolce tepore accarezzava gentilmente l’aria, impregnata di un odore pulito, fresco, quasi inebriante. Non era la prima volta che Dean e Castiel tornavano in quel luogo, il Prairie Park. Da quando avevano ripreso a frequentarsi, infatti, i due giovani avevano eletto inconsciamente quel parco come un posto speciale, dove trascorrere il tempo da soli, lontano da tutto e da tutti. E in effetti, nelle ultime due settimane, non avevano fatto altro che sfruttare ogni momento disponibile per stare insieme e per perdersi l’uno nelle attenzioni dell’altro, lasciando che il contatto fisico fosse quasi l’unico modo di comunicare. Tuttavia, entrambi erano consapevoli che i baci e le carezze che si scambiavano non avrebbero potuto sopperire ancora per molto a quelle parole che ristagnavano, incastrate tra di loro, e che avrebbero dovuto trovare voce al più presto, per evitare che corrodessero di nuovo la loro storia.
“Mi piace questo posto” – disse Castiel, inspirando profondamente.
“Sì, anche a me” – rispose l’altro, stringendolo di più a sé.
Dean accarezzò piano i capelli di Castiel, soffermandosi con le dita laddove erano più corti per via della rasatura effettuata poco prima dell’intervento.
“Stanno ricrescendo”.
Castiel sorrise piano e annuì.
Dean indugiò ancora su quella corta peluria, disegnando cerchi immaginari con un polpastrello, mentre il suo sguardo seguiva pigramente le nuvole bianche sospese nel cielo azzurro sopra di loro. In quei momenti di silenzio, quando la conversazione cadeva nel vuoto, Dean provava sentimenti contrastanti. Quella quiete era capace di essere rassicurante e preoccupante allo stesso tempo, perché da un lato dava una sensazione di serenità, dall’altro invece si caricava di una staticità fastidiosa, che spingeva per essere risolta. E Dean era conscio di cosa avrebbe potuto smuovere quella stasi, tuttavia non trovava mai il coraggio per agire il quel senso. Da quando lui e Castiel si erano ritrovati, infatti, Dean avrebbe voluto fare mille domande all’altro, ma aveva osato porne solo qualcuna, e nemmeno troppo mirata. Riavere Castiel nella sua vita sembrava un sogno ad occhi aperti e, in un certo senso, Dean temeva che una parola sbagliata o di troppo potesse porre fine a quel sogno. Nonostante tutto, però, il giovane Winchester sapeva di non poter rimandare a lungo e che, prima o poi, avrebbero dovuto parlare: di quello che era successo, dell’intervento…e di loro.
Dean si prese un momento, umettandosi le labbra.
“Come stanno andando le sedute?” – chiese ad un tratto, stupito lui stesso dalla facilità con cui la domanda era venuta fuori.
Castiel si mosse leggermente contro il suo fianco e puntò il mento contro il petto dell’altro. Lo osservò per quelli che a Dean parvero infiniti istanti e poi abbozzò un sorriso.
“Vanno un po’ a rilento” – ammise.
Dean deglutì a vuoto.
“È…è normale?”
“Sì…il tecnico ha detto che devo avere solo pazienza”.
Il giovane Winchester annuì piano.
Il ragazzo con gli occhi blu dondolò la testa, scandendo così i secondi che passavano.
“Vuoi venire con me alla prossima seduta?” – disse all’improvviso.
Il biondo schiuse le labbra, sorpreso da quella proposta. L’unica volta che aveva assistito ad una seduta di Castiel era stata proprio quando aveva deciso di incontrarlo.
“P-posso?”
“Certo” – sorrise l’altro – “Sei già venuto, sai già come funziona”.
Dean ricambiò il sorriso.
“Sì, mi piacerebbe”.
Il silenzio che seguì incoraggiò ulteriormente Dean, spingendolo ad approfittare della connessione emotiva che si era venuta a creare tra di loro e del modo in cui Castiel sembrava predisposto a parlare.
“Cas?” – lo richiamò.
“Uhm?”
“Cosa si prova a …” – esitò Dean – “Voglio dire…il modo in cui senti adesso è diverso da quando…? Sì, insomma…”
Castiel arricciò le labbra, pensieroso.
“Sì” – confermò infine – “È completamente diverso”.
“In che modo?”
Il moro fece leva su un braccio e si mise seduto, imitato da Dean.
“È diverso il modo con cui arriva il suono” – disse – “È come se... come se si formasse direttamente nella testa” – gesticolò con una mano – “È difficile da spiegare”.
Castiel fece una pausa.
“Faccio ancora fatica a distinguere i singoli suoni” – riprese – “Si somigliano tutti”.
Dean non disse nulla, limitandosi a guardarlo.
Castiel fece vagare lo sguardo su un punto indistinto oltre le spalle dell’altro.
“E quando qualcuno mi parla, devo ancora leggere il labiale” – continuò, riportando l’attenzione su di lui.
“Ma…” – esitò Dean – “Sei contento di averlo fatto, giusto?”
Castiel batté due volte le palpebre e annuì.
“Era quello che volevi, no?”
Il moro inclinò leggermente il viso.
“Sentire di nuovo” – specificò Dean.
Castiel schiuse le labbra.
“Come lo sai?”
Dean si passò una mano sulla nuca, un po’ imbarazzato.
“Me lo ha detto tuo fratello”.
Il ragazzo con gli occhi blu abbassò lo sguardo e sospirò piano.
“Sì, era quello che volevo” – disse poi, risollevando lo sguardo.
Dean si sentì improvvisamente in difficoltà. Castiel si stava aprendo con lui, anche se con una certa fatica che il biondo vedeva trasparire dai suoi lineamenti tesi. E Dean non sapeva esattamente come gestire questo momento, perché da una parte era proprio quello che voleva ottenere e ne era felice, ma dall’altra ne era terrorizzato.
“Non me lo avevi mai detto”.
Le parole vennero fuori spontanee, come se a pronunciarle fosse stato qualcun altro e non lui. Dean trattenne il fiato, dopo averle sentite, in bilico tra l’essersi pentito e il sentirsi sollevato di averle dette.
“Cioè, avrei dovuto immaginarlo” – si affrettò ad aggiungere – “È solo che…”
Castiel si morse un labbro.
“A dire il vero non lo sapevo nemmeno io”.
Dean aggrottò la fronte, perplesso.
“Nel senso che…” – gesticolò l’altro – “Dopo tutti questi anni io credevo di non volerlo più, che mi fosse passata e invece…”
“E invece?”
“E invece quella volta tu hai iniziato a cantare e io…non so, ho iniziato a sentire questa cosa…”
“Quale volta?”
Castiel espirò forte, abbassando le spalle.
“Eravamo in macchina…stavamo tornando dal bowling”.
Dean sollevò le sopracciglia, facendo mente locale, per poi essere quasi abbagliato da quel ricordo che si ripresentò velato da una nuova consapevolezza.
“Ora capisco…” – mormorò.
Castiel strinse gli angoli delle palpebre.
“Il perché eri strano in quel periodo” – spiegò l’altro.
Il ragazzo dagli occhi blu deglutì piano.
“Te n’eri accorto?”
“Che c’era qualche cosa che non andava?” – sottolineò Dean, abbozzando un sorriso – “Sì, me n’ero accorto”.
Il biondo fece una pausa e osservò Castiel. La connessione emotiva che si era creata tra di loro era diventata ormai una corrente dalla portata ampia, e in quel momento Dean decise di farsi semplicemente trasportare da essa.
“Ma tu continuavi a dire che andava tutto bene”.
Castiel fece una piccola smorfia.
“Avrei voluto che tu me lo dicessi” – lo rimproverò dolcemente Dean.
“Non l’avevo mai detto a nessuno…”
“Beh, è proprio per questo che avresti dovuto dirmelo”.
Castiel lo guardò, con il viso teso in un’espressione mortificata.
“Mi dispiace…” – sussurrò.
Dean percepì qualcosa sciogliersi dentro di sé, generando un calore che gli scaldò il petto.
“Lo so” – sospirò – “È solo che…potevamo parlarne, magari ti avrei aiutato…”
Il giovane Winchester si interruppe, passandosi una mano sul viso.
“Avrei potuto essere lì con te…” – farfugliò – “Il giorno dell’intervento…”
Castiel socchiuse la bocca e incrociò gli occhi di Dean, perdendosi nel verde delle sue iridi. In seguito abbassò lo sguardo.
“Ma tu eri lì con me” – disse poi flebile, accarezzando delicatamente le dita dell’altro con le proprie.
Dean corrugò piano la fronte, con aria interrogativa.
Castiel sollevò le palpebre e sorrise timidamente.
“La sera prima dell’intervento io…avevo paura” – ammise – “E allora ho guardato una tua foto”.
Il ragazzo dagli occhi blu agganciò l’indice di Dean con il proprio, stringendolo piano.
“E mi sembrava di averti vicino”.
Dean sentì il calore risalire improvvisamente fino alle guance, che iniziarono quasi a scottare.
“Mi mancavi” – mormorò Castiel.
Dean fu travolto completamente da quel calore e si lasciò andare, ricambiando la carezza del giovane.
“Mi mancavi anche tu” – fece eco.
Per qualche istante nessuno dei due disse nulla, lasciando che quelle parole rimanessero sospese tra di loro.
Castiel si soffermò con lo sguardo sul ragazzo di fronte a sé. Nonostante lui lo avesse allontanato, Dean era ritornato nella sua vita, superando qualsiasi sua immaginazione e contravvenendo a tutte quelle paure sul fatto che non lo avrebbe mai perdonato per ciò che aveva fatto. Dean era lì, Castiel lo aveva ferito, ma Dean era ancora lì e gli aveva dato un’altra possibilità, e questa volta Castiel era deciso a non rovinare tutto con le proprie mani.
“Dean” – lo richiamò, attirando la sua attenzione.
Il biondo incrociò i suoi occhi, in attesa. E in quell’istante Castiel seppe che era arrivato il momento. Dean aveva appena fatto un passo in avanti, tendendogli una mano invisibile, come in realtà aveva sempre fatto sin da quando lo aveva conosciuto, e ora toccava a Castiel farlo. Era il suo turno di andargli incontro e di aprirsi con lui, nel modo in cui avrebbe voluto, ma che il suo non amarsi gli aveva impedito di fare.
Il moro tentennò, muovendo impercettibilmente le labbra.
“Quello che ho fatto…” – disse, quasi in un sussurro – “Le cose che ti ho detto…” – s’interruppe, facendo una lieve smorfia – “Io…credevo davvero di fare la cosa giusta”.
Dean sentì i battiti del suo cuore accelerare in maniera vertiginosa.
Castiel serrò le palpebre per un attimo.
“Ma mi sbagliavo”.
Il giovane Winchester rimase in silenzio, completamente stordito da quello che stava accadendo. Il ragazzo dagli occhi blu stava facendo la sua parte, contribuendo insieme a lui a dissipare la staticità di quei silenzi.
Castiel giocherellò nervosamente con le loro dita intrecciate.
“Ho sbagliato…” – mormorò con un sottile incrinatura nella voce – “Sono stato così stupido…”
Dean sentì quel senso di stordimento scivolare via piano, lasciando il posto ad una domanda che cominciò a grattargli la gola, reclamando di uscire fuori.
“È vero che ti eri pentito?” – chiese ad un tratto.
Castiel lo guardò, contraendo leggermente gli angoli della bocca.
“Te lo ha detto Balth, vero?”
Dean si passò la lingua sul labbro inferiore, senza distogliere lo sguardo dall’altro, e annuì.
Il ragazzo dagli occhi blu sospirò stancamente.
“Sì, è vero”.
Il giovane Winchester avvertì un fremito, che lo fece irrigidire impercettibilmente.
“Perché?” – domandò.
Castiel lo osservò, in silenzio.
“Se ti eri pentito, perché non sei venuto a dirmelo?” – lo incalzò il biondo.
Castiel non disse nulla.
“Cas?” – lo richiamò l’altro.
“Come potevo farlo?” – replicò piano il moro, gesticolando con la mano libera – “Dopo tutto quello che ti avevo detto, io…”
Il ragazzo fece una pausa, prendendosi del tempo.
“Avevo paura” – confessò – “Che non mi avresti perdonato…che non avresti più voluto vedermi”.
Dean percepì un nodo stringergli la gola e deglutì rumorosamente. La paura di Castiel in un certo senso era giustificata e Dean dovette riconoscere che, se il giovane fosse tornato da lui, con tutta probabilità la sua reazione sarebbe stata dettata in gran parte dal rancore nei suoi confronti.
“D-davvero hai pensato che non volessi vederti?”
Castiel distolse lo sguardo un attimo, esitando.
“È solo per questo?” – lo sollecitò Dean, vedendo la sua espressione – “O c’è dell’altro?”
Il ragazzo dagli occhi blu fece vagare lo sguardo, come se stesse raccogliendo i pensieri.
“Avevo paura di tornare con te” – mormorò poi.
Dean rimase a guardarlo, in silenzio.
“Temevo che non sarebbe cambiato nulla” – continuò l’altro – “Che avremmo continuato a…” – si interruppe, portando l’attenzione alle loro dita intrecciate – “Non finché io…”
Castiel si fermò ancora, serrando la mano libera in un pugno.
“Ho capito che non potevo continuare ad andare avanti così e che dovevo fare qualcosa…”
“E allora hai deciso di fare l’intervento…” – concluse Dean per lui.
Castiel sollevò le palpebre, incrociando i suoi gli occhi, e annuì.
“Dean, mi dispiace…” – disse subito dopo, stringendo la presa sulle loro dita – “Io non avrei mai voluto farti del male…”
Dean sentì un dolce dolore alla bocca dello stomaco. In realtà aveva perdonato Castiel nel momento stesso in cui aveva compreso cosa avesse fatto e il suo significato. Tuttavia, quello che Castiel aveva detto ebbe comunque un effetto incredibile, capace di far sbiadire le cicatrici del suo cuore. Il giovane Winchester sorrise internamente, quando la voce di Castiel lo richiamò.
“E quella sera alla luna park, io avrei voluto dirti che…” – farfugliò il ragazzo – “Ma non…”
Dean spalancò gli occhi, preso in contropiede. Non si aspettava che Castiel si sarebbe spinto così lontano e tutto in una volta sola. All’improvviso Dean percepì una nota di agitazione dentro di sé. Forse tutto era troppo per loro, in fondo era la prima volta che affrontavano il discorso e, ora che lo scoglio iniziale era stato superato, potevano tranquillamente procedere per gradi. Pertanto, Dean si sentì in dovere di intervenire e di tranquillizzare il suo ragazzo.
“Cas, va bene così, non dev-”
“No” – lo interruppe il moro, scrollando la testa.
“Cas…”
“Ti prego” – replicò il giovane, guardandolo negli occhi – “Ho bisogno di farlo, ho bisogno di dirti che…”
Castiel prese un profondo respiro e chiuse le palpebre, per poi aprirle di nuovo.
“Io…” – iniziò, portandosi la mano destra al petto.
Subito dopo strinse i pugni di entrambe le mani, facendo in seguito incrociare le braccia a livello dei polsi e avvicinando il gesto creato all’altezza del cuore.
“…ti…”
Infine sciolse il tutto in una semplice mano con l’indice puntato verso Dean.
“…amo”.
Dean smise di respirare. Castiel gli aveva appena detto ti amo con la lingua dei segni, accompagnando i gesti con la sua voce. E anche in questo caso, sebbene Castiel gli avesse già dimostrato il suo amore con tutto quello che aveva fatto, quei gesti e quelle parole toccarono l’animo di Dean, facendolo vibrare dolcemente.
 
“Ci sono due modi per dirlo…”
“E l’altro modo?”
“…richiede una certa mimica facciale e soprattutto la ripetizione con il labiale”
“Perché?”
“Perché stai esprimendo un sentimento molto forte per un’altra persona”
 
Dean sorrise e lentamente rispose a quelle parole tanto agognate, accompagnandole a sua volta con i gesti della lingua dei segni.
“Ti amo anch’io”.
Le labbra di Castiel tremarono visibilmente. Dean gli aveva già detto che lo amava e Castiel ricordava bene cosa avesse provato, e l’effetto che quelle parole avevano avuto su di lui. Ma questa volta era diverso. Questa volta il ti amo di Dean lo aveva raggiunto in ogni modo possibile, arrivando a farlo sentire finalmente completo e facendo in modo che il suono della sua voce rendesse quel momento semplicemente unico.
Castiel ricambiò il sorriso e si sporse leggermente in avanti per cercare le labbra di Dean e richiedere un bacio, subito concesso dall’altro. Un bacio che entrambi i ragazzi percepirono diverso da tutti quelli che si erano scambiati fino ad ora. La sensazione era familiare, così come il calore e il sapore, ma allo stesso tempo era nuova e impreziosita da qualcosa di sconosciuto e bellissimo, alla quale i due giovani si abbandonarono completamente. Intorno a loro un sussurro di vento si intrufolò tra le fonde degli alberi, facendole frusciare piano e consentendo così a qualche audace raggio di sole di filtrarvi attraverso e di essere testimone di quel magico momento.
 
“Domani c’è la cerimonia di diploma” – disse Dean, prendendo la mano di Castiel e stringendola nella sua – “Verrai a vedermi, vero?”
“Me lo hai già chiesto mille volte” – lo punzecchiò l’altro.
Dean fece una smorfia e Castiel rise, divertito.
“Ci sarò” – confermò il moro.
Dean sorrise e circondò la vita dell’altro con un braccio, attirandolo a sé e facendolo sdraiare nuovamente con lui sul morbido prato. Castiel rise, aggrappandosi alle sue braccia e nascondendo il viso sulla sua spalla.
“Allora, batte forte?” – chiese Dean, portandosi una mano all’altezza del cuore.
Castiel appoggiò la testa sul petto di Dean e chiuse gli occhi, concentrandosi su quella vibrazione che solleticava sotto di lui, per poi sospirare.
“Sì, batte forte…”
 
 
°°°
 
 
“Come diavolo si indossa questo coso?” – borbottò Dean, rigirandosi il tocco di raso verde tra le mani.
“Forse così?” – chiese Benny, accanto a lui, e mostrandogli il modo in cui aveva sistemato il copricapo.
Di fronte a loro, Charlie alzò gli occhi al cielo, sospirando.
“Siete senza speranza voi due” – disse poi, avvicinandosi e aiutando gli amici ad indossare il tocco in modo corretto.
“Ecco” – aggiunse una volta finito e facendo un passo indietro, per ammirare il risultato del suo intervento – “Ora siete perfetti”.
I tre ragazzi, insieme a molti altri studenti della Free State, si trovavano in una grande sala allestita appositamente per la vestizione in previsione della cerimonia di diploma, che si sarebbe tenuta di lì a poco. Un chiacchiericcio continuo, accompagnato da un febbricitante viavai di persone, scandiva i minuti che separavano i ragazzi da quel momento tanto atteso, che avrebbe posto fine ad un periodo della loro vita e, allo stesso tempo, aperto le porte ad un altro.
Dean si guardò in giro, socchiudendo gli occhi.
“Dov’è Chuck?” – domandò poi, rivolgendosi agli altri due.
“L’ho visto poco prima che si disperava in quell’angolo” – rispose Charlie, indicando un punto della stanza con un cenno del capo.
Dean aggrottò la fronte, perplesso.
“È preoccupato per il discorso” – spiegò lei.
“Andrà benissimo” – replicò Dean, scrollando le spalle.
La ragazza lo guardò, inclinando leggermente il viso e trattenendo a stento un ghigno.
“Che c’è?” – chiese lui, abbassando poi lo sguardo e lisciandosi la toga con le mani, come per controllare che fosse tutto in ordine.
All’improvviso, qualcosa gli coprì gli occhi, cogliendolo di sorpresa. D’istinto si portò le mani al viso, fino a rendersi conto che erano altre mani ad impedirgli di vedere.
“Ma che diavolo…” – smozzicò, girandosi di scatto e sottraendosi così a quella situazione.
“Ciao, Dean”.
Dean batté due volte le palpebre, incredulo di fronte a quello che si trovò davanti.
“Cas!” – esclamò sorpreso, per poi arretrare di poco e squadrare l’altro da capo a piedi – “Perché indossi la toga?” – chiese, aggrottando la fronte.
Castiel sorrise e scambiò un’occhiata di intesa con Charlie.
“Perché devo ritirare il mio diploma”.
Dean corrugò la fronte ancora di più.
“Il tuo diploma?” – ripeté, confuso.
Il moro continuò a sorridere e annuì.
“Anche se ho svolto il programma a casa, posso partecipare alla cerimonia di consegna del diploma in una scuola vera” – spiegò – “E ho chiesto a mia madre di farla qui”.
Dean spalancò gli occhi, completamente preda dello stupore.
“Q-qui?” – riuscì a dire.
“Sì”.
“Ma…” – esitò il biondo – “Non mi hai detto nulla…”
Castiel allargò il sorriso.
“Volevo farti una sorpresa”.
Di fronte a quelle parole, i lineamenti di Dean si distesero e il ragazzo sorrise a sua volta, facendo poi un passo in avanti.
“Beh, ci sei riuscito” – disse, prima di prendere il viso di Castiel tra le mani e posare dolcemente le proprie labbra sulle sue.
“D-Dean…” – farfugliò il moro allarmato, cercando di allontanarsi e guardando con la coda del occhio intorno a loro – “Ci guardano tutti…”
“Lasciali fare, non m’interessa” – replicò incurante l’altro, per poi catturare ancora le sue labbra in un bacio appassionato.
Castiel mugolò qualcosa in protesta, ma alla fine cedette, schiudendo la bocca e accogliendo il sapore e il calore di Dean.
“Prendetevi una stanza” – li ammonì scherzosamente Benny, facendo ridere Dean e costringendolo a separarsi da Castiel, per riprendere fiato.
All’improvviso, un battito di mani attirò l’attenzione di tutti, smorzando così il cicalio generale.
“La cerimonia inizierà tra qualche minuto” – disse l’uomo che si era appena affacciato alla porta – “Chi è già pronto vada a prendere posto, e ricordatevi l’ordine che vi è stato assegnato”.
Gli studenti completarono alla svelta i preparativi e si affrettarono verso l’uscita della sala.
“Ehi, ragazzi, è ora di andare!” – esclamò Charlie, già sulla porta accanto a Benny, e girandosi verso gli altri due.
“Sì, arriviamo!” – rispose Dean, incrociando lo sguardo di lei, per poi tornare a guardare Castiel.
Castiel fece per voltarsi, quando Dean gli prese il braccio con la mano, costringendolo a fermarsi.
“Aspetta…”
Il ragazzo rimase a guardarlo, in attesa.
Dean lasciò la presa e rispose al suo sguardo, esitando.
“Dean?” – lo richiamò Castiel – “Che succede?” – chiese poi, con aria interrogativa.
Il giovane Winchester si umettò le labbra, prendendo tempo.
“Voglio dirlo a mio padre” – disse ad un tratto.
Castiel inclinò il viso, confuso.
“Di noi” – specificò il biondo.
La bocca di Castiel si aprì in un’espressione di muto stupore.
“S-sei sicuro?”
Dean inspirò piano, per poi espirare profondamente.
“Sì, ne sono sicuro”.
“Ma-”
“Sei troppo importante per me” – lo interruppe l’altro – “Fai parte della mia vita, di quello che sono…e lo deve sapere”.
Castiel sentì un lieve calore arrossargli le guance, lusingato da quello che Dean aveva appena detto. E quando vide la risoluzione nei suoi occhi, capì che Dean era determinato a farlo e che lui non poteva fare altro che sostenerlo nella sua decisione.
“Va bene” – annuì poi.
In seguito Dean porse una mano all’altro, che l’afferrò senza esitazione con la propria, facendo intrecciare le loro dita.
“Sei pronto?” – chiese infine.
“Sì, sono pronto”.
I due giovani si scambiarono un sorriso d’intesa e si incamminarono verso l’uscita, mano nella mano. Oltre quella soglia, il futuro li attendeva e loro gli sarebbero andati incontro, insieme.
 
 

 
FINE
 
 
 
 
 


 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
È FINITAAAAAAAAAAAAA!!!
Finalmente, dopo tanto penare, siamo giunti alla fine di questa storia. Se devo essere sincera, in questo momento provo sentimenti contrastanti. Da una parte sto versando fiumi di lacrime, al pensiero di lasciare andare questi due. Vorrei continuare a seguirli, a proteggerli e a mostrare loro la strada. Esattamente come era successo con la precedente long, ho creato questi personaggi con tanto amore e mi sono affezionata a loro in maniera incredibile. So che sembra che stia esagerando, ma è quello che sento. Dall’altra parte però, sono felice di essere arrivata fino in fondo, così come sono consapevole che è necessario lasciare andare i nostri pulcini per la loro strada. Dean e Castiel sono di nuovo insieme e affronteranno quello che il futuro riserverà loro, forti anche del prezioso e profondo sentimento che li lega l’uno all’altro.
Mi sembra ieri di aver iniziato a scrivere questa storia, ma in realtà è quasi un anno che ci sto dietro. Nella sua realizzazione ci ho messo tutta me stessa: il mio impegno, le mie esperienze, la mia gioia, la mia tristezza, il mio amore. E non avete idea di quanto mi abbia reso felice il modo in cui questa storia sia stata accolta. A dire il vero non me l’aspettavo, data la tematica e il rating poco attrattivo diciamo. E invece ho visto con quanto entusiasmo e passione tutti voi l’avete seguita, fantasticando su come sarebbe proseguita, come molti di voi ne abbiano tratto un esempio ed un insegnamento, e con quanta pazienza avete sopportato i capitoli più duri e difficili, sostenendo Dean e Castiel fino all’ultimo con immenso affetto. E non posso far altro che abbracciarvi virtualmente uno per uno e dirvi grazie di tutto.
Ma un ringraziamento più che speciale, anche se non sarà mai abbastanza, va alla mia dolcissima (quando non morde xD) beta, nonché grande amica Julsss_. Non c’è modo di descrivere la pazienza con cui mi ha accompagnato e supportato durante tutta la stesura della storia, la dedizione con cui betava ogni singolo capitolo (nonostante io abbia tentato più volte di ucciderla con un numero spropositato di pagine word), il trasporto e lo slancio con i quali partecipava all’ideazione delle scene e la saggezza con la quale mi guidava nei momenti di maggiore difficoltà. Grazie, soulmate.
Un sentito ringraziamento va anche a momoko89 e SognatriceNotturna per aver creduto in questa storia sin dall’inizio e per aver vissuto insieme a me quest’avventura. Grazie, ragazze. See you next level!
Direi che è tutto, “The Sound Of Silence” finisce qui. Tuttavia, vi invito a non perdere d’occhio la home del sito, perché magari potrebbe saltare fuori qualcosa…chissà…
Vi lascio con l’angolo delle fan art, pieno di fluffosità, come premio per avermi seguito fin qui!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Fan art!

                                                                       

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