Ti presento i miei

di Lory221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Troppo pomposo ***
Capitolo 3: *** Invito alla Villa dei Von Ormstein di Cassel-Felstein ***
Capitolo 4: *** Le coincidenze esistono ***
Capitolo 5: *** Nodi al pettine ***
Capitolo 6: *** Furti, ricatti e oggetti contundenti ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento



Prologo


Sherlock stava provando, inutilmente e faticosamente, a trovare un modo per distrarsi, in quanto non c’era nessun caso interessante da settimane. Cercava disperatamente di non accendere la sigaretta che aveva nascosto dentro il fedele teschio, in modo che John non la trovasse.      

Il dottore aveva fatto sparire ogni riserva segreta del detective, solo quell’unica sigaretta era sopravvissuta ai controlli di John.

Sherlock continuava a rigirarsela tra le dita, da un lato non vedeva l’ora di assaporare il tabacco e la nicotina che gli avrebbero inebriato il cervello, dall’altro lato non voleva innervosire John, che era ancora arrabbiato per la vicenda delle tende che avevano misteriosamente preso fuoco.

Non faceva altro che alzarsi dalla poltrona, andare al teschio, prendere la sigaretta, annusarla e rimetterla a posto. Stava quasi diventando una ginnastica, anche se c’era da dire, che arrivato alla soglia dei 56 anni, non ne aveva bisogno, era ancora scattante e pieno di vita come un tempo.

Solo qualche capello bianco aveva timidamente iniziato a ingrigirgli la chioma, cosa che lo aveva alquanto indispettivo, suscitando l’ilarità del marito, che aveva detto addio alla chioma bionda-castana da molti anni.

Sherlock si era più volte lamentato di non essere affatto l’uomo più vanesio che il dottore avesse mai incontrato, ma ogni tentativo veniva distrutto dalle risposte sarcastiche di John, che lo invitavano a guardare quando erano sexy le sue camicie, quanto erano costosi i suoi abiti e il fatto che la volta che per dispetto gli aveva nascosto il cappotto, costringendolo ad andare sulla scena del crimine con un banale piumino, non gli aveva parlato per tre giorni interi.

Molti tentativi dopo di trovare un’attività che lo distraesse, decise di cedere all’impulso di tirare qualche boccata e si diresse al teschio, per accedere quella dannata sigaretta, quando una voce proveniente dalla porta d’ingresso, gli fece capire che i suoi sensi non erano più attenti come una volta.

« Papà non vuole che fumi, Sherlock! » esclamò Grace, con lo stesso piglio autoritario di sua madre e del capitano Watson. A volte era inquietante come la figlia di John avesse ereditato lo stesso modo di sgridarlo di entrambi i genitori.

« John non c'è e io mi annoio » rispose il detective. Sorrise beffardo, finché non notò in Grace diversi segnali allarmanti.  Era in ansia, continuava a torturarsi le mani, in apprensione, sembrava dovesse dire qualcosa di importante.

Osservò meglio l’espressione della piccola Watson: aveva già visto quello sguardo, a dirla tutta l’aveva anche odiato la prima volta che lo aveva visto, una sera, in un ristorante, quando era appena tornato e John stava per chiedere a Mary di sposarlo. Grace aveva gli stessi occhi del padre, un blu intenso e profondo.

Poi, aveva rivisto quello stesso sguardo tre anni dopo e lo aveva terribilmente amato, perché quella volta, John aveva chiesto a lui di sposarlo. Ovviamente non aveva capito le intenzioni romantiche del futuro marito, non credeva che il buon dottore potesse amarlo tanto da fargli la proposta; invece era successo ed ora aveva un cerchietto d’oro al dito, a testimonianza dell’evento. A volte, anche a distanza di tanti anni, gli dava ancora fastidio la sensazione del gioiello, ma non se lo sarebbe tolto per niente al mondo.

Sherlock sollevò gli occhi verso Grace, che attendeva paziente che Sherlock finisse di fissarla e dedurla. Lo sguardo cupo che sfoggiò il detective, non piacque per niente alla bionda «Hai solo 18 anni, Grace. Il matrimonio può attendere » commentò soltanto, attendendo la sfuriata della ragazza.

« Ecco, lo sapevo, al solito, non posso dirti niente. Mamma me lo aveva detto che non sarei riuscita a sorprendenti »

« Quindi Mary lo sa già e a lei va bene? » rispose il detective, stupito che la madre avesse acconsentito così facilmente.

« Non mi occorre l’approvazione di nessuno »  ribatté piccata « E comunque non ha avuto niente da eccepire » rispose, con tono di sfida.

« D’accordo, quando conosceremo il futuro sposo? » fece soltanto Sherlock, ignorando completamente lo sguardo omicida della piccola Watson, che da emozionata per l’annuncio del matrimonio, sembrava stesse maledicendo il momento che si era ritrovata in famiglia un dottore ex soldato, drogato di adrenalina, una ex sicaria e un detective che si dichiarava sociopatico.

« È per questo che sono qui, per organizzare l’incontro » rispose, cercando di calmarsi « La sua famiglia vuole conoscervi e ti assicuro che Christopher vi piacerà, è perfetto » fece lei, caparbia, senza dare cenno di essere preoccupata dal terzo grado che avrebbe subito il fidanzato.

« Vedremo » rispose Sherlock, scettico.

«Tu sei incontentabile, la tua opinione è relativa! Fosse anche l’uomo migliore del mondo, troveresti un difetto » fece la bionda, prevenendo ogni possibile commento acido.

Sherlock sorrise gentile «Io sono l’unico, in famiglia, che ha sposato l’uomo ideale, per cui la mia opinione è l’unica che conta » rispose e senza rendersi conto si ritrovò a fissare la fede nuziale, che mai nella vita avrebbe pensato di indossare. Grace si intenerì, adorava essere presente quando le difese di Sherlock crollavano. Anche lui si accorse di essere stato troppo romantico e ad alta voce, per cui provò subito ad aggiustare il tiro, cercando di cancellare la frase che aveva precedentemente pronunciato « Insomma, Mary ha sposato quel David e ancora non so perché, John ha sposato me ed è evidente che non sceglie bene le sue compagnie »

Grace rise, come sempre quando Sherlock tentava di mascherare un momento di debolezza in cui esprimeva dei sentimenti, con una battuta sarcastica.

« Comunque, il Granduca di Cassel-Felstein non vede l’ora di incontrarvi » continuò lei, ritornando sull’argomento principale della visita.

Sherlock fissò Grace immobile, registrando l’informazione, sbatté più volte le palpebre e per un attimo sperò di aver sentito male.

« Problemi? » Chiese la ragazza «Ti prego, dimmi che non era coinvolto in qualche tuo vecchio caso » fece preoccupata.

« La madre del tuo Christopher, si chiama Irene? » chiese, sperando si trattasse di un caso molto raro di omonimia o che comunque ci fossero diversi Granduchi di Cassel-Festein, non solo quello che venti anni prima aveva sposato Irene Adler, che all’epoca usava l’identità di Irene Pulver, dato che per tutti, la Donna era morta giustiziata anni prima.

« Sì, la conosci? » chiese Grace, notando il lento sbiancare del detective davanti a quella rivelazione.

Sherlock aprì la bocca un paio di volte, poi scosse il capo e si arrese all’evidenza di dover spiegare a suo marito, perché Irene Adler non era morta come credeva e che aveva avuto un ruolo nel suo salvataggio. « Tuo padre sarà raggiante, è meglio che io prepari un tè, sarà a casa tra poco » commentò soltanto, dirigendosi in cucina.

Grace rimase interdetta, ma era abituata ad avere conversazioni surreali con Sherlock, per cui non disse niente e si mise comoda sulla poltrona rossa, in attesa dell’arrivo del padre.
John varcò la soglia del 221B mezz’ora dopo, trascinando con sé due sacchi della spesa. Entrando, prima sorrise allegro, vedendo la figlia seduta in poltrona intenta a leggere una rivista, poi percepì l’odore di tè e temette le peggiori disgrazie.

« Sherlock, perché stai preparando il tè? » Chiese, facendo irruzione in cucina, guardandosi attorno e cercando di capire cosa avesse combinato Sherlock, per fare un simile, premuroso, gesto.

« Non posso fare qualcosa di carino per il ritorno a casa di mio marito? » rispose innocentemente il detective.

« L’ultima volta che mi hai preparato il tè, poi mi hai annunciato che avevi donato il mio guardaroba alla tua rete dì senzatetto  » sbottò John.

« Continui a tirare in ballo quella storia » rispose Sherlock annoiato, iniziando a versare il tè nelle tazzine.

« Chissà perché » ribatté John, guardandosi attorno e continuando a spostare le cose in giro per l’appartamento, cercando indizi del disastro. Spostò il teschio e finse di ignorare la sigaretta, che avrebbe sequestrato appena fosse rimasto da solo, guardò in direzione di Grace, che rideva delle sventure paterne, sillabandole una richiesta di aiuto, a cui lei rispose con una scrollata di spalle.

« Hai finito?  » Chiese il detective, portando un vassoio con tre tazzine.

John gli lanciò uno sguardo omicida, temendo il peggio  « Grace, ascoltami bene, non sposarti o finirai a girare per casa cercando principi di incendio, come me » fece, credendo di dire qualcosa di spiritoso, ma la ragazza sbiancò, fissando il padre, mentre Sherlock scoppiò in una risatina « Ottimo tempismo, John»

« Cosa? » Fece lui, passando lo sguardo dal marito alla figlia « Grace? »

La bionda gettò la rivista a terra, nervosa  « Sì, ero qui per annunciare le mie nozze, ma con voi non si può fare mai niente di normale »

Sherlock reggeva ancora il vassoio in mano, annuendo distrattamente, come a confermare che con loro non potevano esserci cose ordinarie « Parli con l’uomo che ha interrotto la proposta tra tuo padre e tua madre, resuscitando dal mondo dei morti, normale non è contemplato » commentò Sherlock, passando la tazzina di tè a John, che era rimasto immobile con sguardo ebete. Fissò il tè sotto il suo naso e poi scostò il braccio del marito

« Grace hai 18 anni, non sapevo nemmeno che uscivi con qualcuno, perché vuoi farlo? »

« Ci esco da sei mesi, quanto tempo hai aspettato, tu, per sposare la mamma? »

« Visto com’è finita, non mi prenderei come esempio » Rispose accigliato « Bambina, tu sei intelligente, brillante, perché tanta fretta? » Chiese perplesso, e per un attimo pensò che la figlia fosse incinta; lo sguardo scese verso la pancia, mentre Sherlock cercava di mimargli un "no" con la testa, senza farsi vedere.

« Non sono incinta, papà » rispose arrabbiata «Perché non va bene, mi spieghi? »

« Ok, calmati, questo ragazzo come si chiama, cosa fa nella vita? Non so niente di lui »

« Avevo preparato un discorso, ma non fate altro che interrompermi » fece lei, alzando gli occhi al cielo « Christopher, il mio fidanzato è il figlio del Granduca di Cassel-Felstein. È una storia curiosa, ci siamo incontrati in vacanza studio l’altro anno e poi ci siamo rivisti qui a Londra. Sua madre, Irene, già mi adora e non vedo l’ora di presentarvi i vostri futuri suoceri » fece lei, entusiasta.

Sherlock simulò un colpo di tosse, che attirò lo sguardo di entrambi  « Sì, John, volevo giusto parlarti delle coincidenze della vita »

Il marito lo guardò perplesso, sentendo che presto avrebbe scoperto il motivo del tè.

« Non sono l’unico che ha finto la morte anni fa, ricordi Irene Adler? » fece il detective, reggendo ancora saldamente il vassoio con le tazzine, sperando che la possibile distruzione delle porcellane, avrebbe evitato che John gli saltasse addosso per strangolarlo.

« Come potrei dimenticarla? » Rispose di getto il marito, poi iniziò a unire le informazioni che gli erano state fornite: Irene era il nome della madre del fidanzato di Grace, Sherlock aveva appena insinuato che la Donna avesse finto la sua morte e ora lo fissava preoccupato che gli venisse un infarto.

« Vuoi il tè, adesso? »


***** *****
Angolo autrice:
Mi mancavano le storie comiche, per cui eccomi qui, Ringrazio Evola_Love_Beatles, per avermi dato lo spunto per questa storia, che del film da cui prende il titolo, prende appunto solo il titolo, ma senza il suggerimento non ci sarebbe questo prologo. Spero vi abbia fatto sorridere, grazie a chi leggerà.

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Capitolo 2
*** Troppo pomposo ***



Troppo pomposo



John fissò più volte Sherlock, poi Grace, poi di nuovo Sherlock, poi cercò con lo sguardo la bottiglia di brandy invecchiato trent’anni, regalata da Mycroft qualche Natale prima, che conservava per occasioni tragiche come quella.

Sherlock appoggiò il vassoio del tè, avvicinandosi al marito con fare guardingo, temendo un occhio nero che si sarebbe sicuramente meritato. Fece per appoggiare una mano sul braccio di John, ma il dottore gli lanciò uno sguardo che significava solo “lasciami in pace o è l’ultima cosa che fai in questa vita”, per cui il detective arretrò, mangiandosi la battuta fuori luogo che avrebbe voluto fare.

Ci aveva messo anni, ma aveva imparato che per calmare John, le battute sarcastiche non erano l’ideale, anzi servivano solo a prendere una testata sul naso.

« Papà? » fece Grace, visibilmente preoccupata dal colorito del padre.

« Tesoro, ti spiace se scendiamo a prendere aria? » rispose lui, senza mai guardare in direzione di Sherlock.

Grace fece un cenno di assenso col capo, mentre si aggrappava al braccio che John le porgeva. Uscendo rivolse un ultimo sguardo al detective, ancora intento a riflettere sul modo corretto di scusarsi, per non aver mai rivelato in vent’anni, di cui quindici da sposati, che Irene Adler, la Donna, l’unica di cui John era stato davvero geloso, era viva e vegeta.

Si grattò la testa sconsolato e  si preparò alla sfuriata, che sarebbe arrivata quando John avrebbe fatto ritorno a casa. Era sicuramente il caso di pulire un po’ l’appartamento o almeno fare finta, se John fosse tornato e lo avesse trovato seduto in poltrona a leggere tranquillo, lo avrebbe ucciso in tredici modi diversi, era meglio che mantenesse un atteggiamento contrito.

Qualche ora di finte pulizie dopo, John ritornò a casa con un passo stanco e infastidito, leggermente più zoppicante del solito. Aprì la porta con rassegnazione ed entrò nell’appartamento, sconsolato. Sherlock prese un bel respiro e si tenne pronto, ogni insulto sarebbe stato meritato, lo sapeva.

Ma nessun grido arrivò, John si limitò ad un incolore “ciao” e si diresse alla sua poltrona. Afferrò il libro che stava leggendo da qualche giorno e ignorò completamente il marito, fermo in piedi al centro del soggiorno, con la scopa in una mano e uno straccio nell’altra.

Il detective si morse un labbro, se aveva scelto il silenzio per punirlo, era la strategia più crudele per lui. Una sfuriata passava subito, il silenzio rassegnato era decisamente più grave.

« John, potremmo parlarne? » fece Sherlock.

« No » rispose secco il dottore « Puoi continuare a fingere di pulire il soggiorno, se ti fa piacere »

« Preferire mi prendessi a pugni » rispose, con un mezzo sorriso.

« Servirebbe a qualcosa? » chiese John, appoggiando il libro sulle ginocchia e guardandolo dritto negli occhi.

Il detective imitò il marito e si sedette anche lui in poltrona, aprì più volte la bocca, per iniziare un discorso di scuse, ma fu subito stroncato da John « Risparmiami la scena madre, so che non ti dispiace davvero » fece tagliente « Hai agito così, perché lei era in pericolo di vita, poi gli anni sono passati e non hai ritenuto rilevante mettermi al corrente. E’ corretto? » chiese il dottore.

Sherlock annuì, anche un po’ spaventato dalla capacità di John di dedurlo.

« Bene, non c’è altro da dire, salvo che mia figlia vuole sposarsi a 18 anni e io passerò le cene di Natale con la mia nuova suocera, ex dominatrice e ex fiamma di mio marito, fantastico! » concluse, alzando di un’ottava il tono di voce, cosa che rallegrò Sherlock perché significava che la sfuriata stava per arrivare.

« Sei il solito melodrammatico. Non era la mia ex fiamma, John. Lo sai benissimo che non c’è stato niente, me lo hai chiesto milioni di volte. In quanto al Natale, non può essere peggio che passarlo con Mycroft o con il marito di Mary » provocò, per farlo scattare.

John lanciò a terra il libro e il detective tirò un sospiro di sollievo, era più facile fare pace dopo che si era sfogato.

« Io melodrammatico? Io? » sbraitò.

« Non urlare, spaventi i vicini » fece, in una perfetta imitazione della signora Hudson « E poi, tu ti sei fatto mezza Londra, ma non sto a saltare per aria ogni volta che qualche tua assurda ex salta fuori dal passato »

« Sherlock, per prima cosa nessuna mia ex è rispuntata dal passato, inoltre erano relazioni superficiali mentre a te, mi risulta, siano interessate solo due persone in tutta la vita, una sono io e l’altra è la Donna »

Il detective trattenne per un attimo di troppo il fiato e John capì che c’era qualcosa che gli stava nascondendo. Terrorizzato di essere la causa dell’infarto di suo marito, Sherlock riprese a respirare ed esalò, a voce appena udibile da orecchio umano, un leggero commento sul punto  « Se proprio vuoi essere preciso, sarebbero tre »

« Come? » chiese John.

« Un mio compagno di Università, siamo usciti tre volte, ma si è fatto prete. Non so, in effetti, se le due cose siano collegate, cioè che abbia preso i voti dopo essere uscito con me » fece, leggero, cercando di strappare un sorriso che non arrivò « Comunque è un prete, per cui non credo tu possa concepirlo come una minaccia »

John strinse i pugni, si alzò in piedi lentamente, come riflettendo sul da farsi, fece un passo verso Sherlock, per prendere a calci almeno una sedia, se non il marito stesso, poi imprecò sottovoce e si diresse in camera « Vado a dormire e sei pregato di accomodarti sul divano, sta notte » gridò sbattendo la porta della stanza.

« Sono solo le 6 » rispose il detective, guardando avvilito l’orologio e temendo che il marito stesse invecchiando precocemente.

John si sedette sul letto, nemmeno il tempo di comporre il numero di Mary, che gli arrivò il primo sms.

Grace mi ha detto che non l’avete presa bene.
Cosa dovrei sapere su questa Irene?
M

E’ una storia lunga, ti spiegherò
Non l’ho presa bene per niente, ha 18 anni!
J

Conviene assecondarla, se le diamo contro, la spingiamo verso di lui.
M

« Fantastico » commentò John, prima di rigirarsi nel letto e tentare di addormentarsi.


**** *****

La mattina dopo, le prime luci dell’alba filtrarono dalle tende, che Sherlock aveva dimenticato di tirare quando si era rassegnato ad addormentarsi sul divano.

La notte era stata popolata da sogni particolarmente infelici, in uno di questi il detective scopriva amaramente che gli ultimi quindici anni erano stati un sogno, viveva nel Sussex tra gli alveari ed era completamente solo.

Si svegliò di soprassalto, biascicando il nome di John. Fortunatamente non era in un cottage ma sul divano, raggomitolato in posizione fetale. Era certo di essersi steso sul divano ancora con i vestiti, ma senza vestaglia; si accorse, invece, di essere al caldo, merito di una coperta di pile che John doveva aver adagiato su di lui, durante la notte. Aprì gli occhi, li sbatté più volte. John era seduto al tavolo, sorseggiava un tè e sembrava stesse leggendo, in maniera quasi maniacale, qualcosa sul tablet.

Il detective cercò di intuire l’umore del marito, forse era ancora arrabbiato o forse no, la coperta di pile era comunque un buon segno. Rimase in silenzio, pensando a una frase brillante per rompere il ghiaccio, quando John, senza dire nessuna parola, si alzò dal tavolo, puntando  in direzione del divano, sempre con lo sguardo fisso sul tablet. Meccanicamente Sherlock si sollevò leggermente per farlo sedere, cosa che John fece, come d’abitudine rodata da anni di matrimonio, e Sherlock riappoggiò la testa sulle ginocchia di John, sorridendo tra sé, per essersi risparmiato un’altra giornata di litigate.

« Non pensare ti abbia perdonato » commentò John « Solo che adesso sono più concentrato su questo Christopher » fece, girando il tablet verso Sherlock e rivelando un giovane ventenne, alto, dal portamento regale, i capelli castani leggermente ricci e gli occhi azzurri.

« Non ti piace? » chiese Sherlock.

John emise un verso di disapprovazione e poi si mise a leggere, con il tono più pomposo che riuscisse ad imitare « Christopher Maximilian Nicholas von Ormstein, figlio di  Wilhelm Gottsreich Sigismond von Ormstein, granduca di Cassel-Felstein, nato a Varsavia, in Polonia, brillante primogenito di una lunga stirpe di nobili, discendenti dai sovrani Boemi,  ha frequentato le migliori scuole del Regno Unito, prima Eton e poi Oxford - già si capisce che è un insopportabile snob » commentò acido.

« Anch’io ho frequentato Eton e Oxford » rispose il detective, in un tentativo di tranquillizzarlo.

« Appunto » lo stroncò John, lanciando comunque un’occhiata divertita « In ogni caso, mi spieghi come una fuggitiva come Irene Adler, sia riuscita a sposarsi con un Granduca e fare ritorno a Londra come niente fosse? » fece, alzando leggermente il tono di voce, ma contrariamente agli occhi in tempesta, sembrava più si stesse preparando a marcare il territorio e non all’ennesima sfuriata contro Sherlock.

« Nessuno è andato a cercarla in Polonia, il Granduca le forniva un’ottima protezione e ora può fare ritorno tranquillamente a Londra perché la maggior parte delle persone che volevano vederla morta, ormai sono passate a miglior vita »

« Mi aveva detto di essere gay » commentò John, tra sé, ricordando una vecchissima conversazione con la cara Irene.

« Non credo si sia sposata per amore. Ti ripeto, il Granduca era la miglior soluzione per stare al sicuro »

« Questo mi rincuora! » commentò John « In ogni caso, vorrei tanto capire perché Grace voglia sposarsi a 18 anni » esalò.

« John, Grace vive da sempre in una famiglia sopra le righe, tu e Mary avete divorziato che aveva tre anni e lei non ha battuto ciglio, noi due ci siamo sposati poco dopo e non ha mai fatto capricci, è sempre stata brava, nei limiti di una bambina che ha ereditato i vostri geni » fece sorridendo « Poi Mary ha sposato David, l’uomo più noioso del mondo, avete messo al corrente Grace, di parte del passato della madre, lei ha letto il tuo blog, ti ha visto finire continuamente sulle prime pagine dei giornali. Non mi sembra tanto strano che voglia una vita ordinaria, con un marito, una casa, figli, un cane, quelle cose da perfetta famiglia dei telefilm »

John incassò il discorso in silenzio, come se per la prima volta si fosse reso conto che nonostante Grace si fosse sempre dimostrata entusiasta per le avventure paterne e non si fosse mai lamentata di niente, poteva non essere quella la sua famiglia ideale, magari avrebbe preferito lui, Mary ed un cane.

« Direi di no » fece il detective, rispondendo ai pensieri di John « meglio due genitori divorziati ma felici. Ti vorrei ricordare che avete passato tre anni a litigare per ogni sciocchezza »

La risposta di John non arrivò, perché fu interrotta dal trillo del campanello di ingresso. Sherlock alzò gli occhi al cielo, distinguendo subito quel tipo di modo di premere il campanello, da tutti gli altri « Ci mancava solo Mycroft ».

Si alzò per andare ad aprire, mentre John ancora fissava il tablet, nell’improbabile tentativo di dedurre tutta la vita di Christopher, da quella minuscola foto postata su wikipedia.

Mycroft entrò in Baker Street,  arricciando il naso, con il consueto disappunto per il disordine e la polvere dell’appartamento. Guardò John, ancora seduto frastornato sul divano, che non dava alcun cenno di interesse all’entrata del cognato « Non commenterò che sei ancora in pigiama, vista la lieta novella che vi è stata data »

« Sai già del matrimonio di Grace? » chiese John, ben sapendo che era una domanda inutile, Mycroft sapeva sempre tutto.

« Ovviamente e direi che capita proprio a fagiolo » commentò, sfilando una cartellina dalla borsa, destando non poca curiosità in Sherlock e un misto di apprensione in John « Siamo abbastanza convinti, e per siamo intendo io e l’MI6, che la vostra vecchia conoscenza, abbia commesso diversi furti in giro per l’Europa, ai danni di uomini molto importanti » fece allungano i documenti a Sherlock.

« Stiamo parlando di Irene Adler? » chiese John « La mia futura suocera, dovremmo indagare di nuovo su di lei? » chiese, certo che non ne sarebbe uscito vivo da tutta la vicenda « Perché dovrebbe fare dei furti, è ricca » commentò.

« Probabilmente si annoia » commentò distrattamente Sherlock, leggendo il fascicolo.

« Su con la vita, John. Se arrestiamo Irene, non dovrai sopportarla come suocera » commentò Mycroft, con un sorrisetto indisponente.

Watson sospirò forte e poi andò a cercare la bottiglia di brandy che sognava  dal giorno prima, il gioco era iniziato nella maniera più strana.


Angolo autrice
Grazie a tutti per aver prontamente letto, recensito, inserito in qualche categoria, questa commediola estiva ;) questo capitolo ha preso una piega molto più fluff di quanto mi aspettassi :-p
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Invito alla Villa dei Von Ormstein di Cassel-Felstein ***



Invito alla Villa dei Von Ormstein di Cassel-Felstein
 



John si fissava allo specchio, scrutando ogni piccola ruga, segno di anni di avventure e preoccupazioni, chiedendosi se anche Irene sarebbe sembrata invecchiata dall’ultima volta che l’avevano vista. No, probabilmente la sua futura suocera aveva venduto l’anima al diavolo ed ora c’era un dipinto che invecchiava al suo posto.

Normalmente non stava davanti allo specchio più di due minuti, cinque se doveva farsi la barba. Quella mattina erano già venti minuti di agonia. Si pettinava i capelli in avanti, poi di parte, poi indietro, poi sbuffava e assottigliava lo sguardo, immaginando l'espressione che avrebbe rivolto alla Donna, appena l’avrebbe incontrata.

Era stato fissato un pranzo presso la villa dei Von Ormstein, dove avrebbero incontrato i futuri suoceri e il famoso Christopher. Per John, l'evento era diventato un pensiero ossessivo, non aveva nemmeno ascoltato le elucubrazioni di Sherlock sui furti che avrebbe commesso Irene.

Uscì dal bagno sconsolato, con addosso il miglior maglione che aveva, che Sherlock gli aveva regalato dopo aver dato via tutto il suo guardaroba alla rete di senzatetto. John era ancora convinto che fosse un messaggio subliminale, un modo per dirgli “ti amo, ma è ora che compri dei nuovi maglioni”, ma non era mai riuscito ad estorcergli questa verità.

Quando entrò in salotto trovò Sherlock, elegantissimo nel suo solito completo nero, con una camicia porpora appena comprata che a John ricordava una vecchia camicia del marito, su cui aveva tanto fantasticato nei primi mesi di coabitazione. E non si trattava di fantasie innocenti. Era sicuro che chiunque lo avesse visto con quella camicia avesse fatto dei pensieri da censurare, sia donne che uomini.

« Tu non vieni con quella camicia! » sbraitò John, con un tono solenne che non ammetteva repliche.

« Scusa? » chiese Sherlock perplesso, abbassando lo sguardo sull’indumento.

« Ho detto... » iniziò spazientito « Che non vieni con quella camicia provocante! Metti una normale, bianca, una di quelle vecchie che ormai è un po’ sformata »

« Non ho camicie sformate » protestò il detective « E ho scelto questa appositamente per fare bella figura con i pomposi »

Sherlock aveva deciso di chiamarli così i futuri suoceri, “pomposi”, perché era il termine che John aveva usato più volte per descrivere i Von Ormstein di Cassel-Felstein e sembrava il modo più appropriato per etichettarli, anche se Grace non ne sarebbe stata felice.

« Niente giacca, allora. Ti presto un mio maglione! »

« John, smettila! Ti stai rendendo ridicolo »

« Hai tre secondi per togliertela o lo farò io » fece avvicinandosi, serio.

Sherlock sorrise, malizioso « Dici che abbiamo tempo per questo gioco, capitano? »

John boccheggiò un attimo, per l’improvviso cambio di registro verbale. Non scoprirono mai se le cose sarebbero diventate roventi, perché Mary e Grace bussarono forte alla porta. Le due avevano la chiave del portone ma sapevano che non era il caso di entrare improvvisamente nel soggiorno. Un’unica volta Mary lo aveva fatto e aveva visto più parti di Sherlock, di quelle che avrebbe voluto vedere.

« Siamo vestiti, potete entrare » gridò John, ancora in imbarazzo per quell’unica volta che erano stati beccati in pose compromettenti dall’ex moglie.

Nonostante non volesse darlo a vedere,  anche Mary era preoccupata per l’incontro con i futuri suoceri. John aveva dettagliatamente descritto ogni secondo che aveva passato con l’insopportabile Irene Adler e Mary, che all’inizio rideva per la gelosia dell’ex marito, aveva finito per essere davvero preoccupata.

Sua figlia, di diciotto anni, non solo voleva sposarsi, ma aveva scelto una suocera che si poteva definire “pericolosa”. Forse lei non era la persona adatta a commentare il passato turbolento di qualcuno, ma si trattava della sua Grace, il discorso era molto diverso.

Inoltre, nonostante non fosse il tipo da competizione tra donne, cominciava a trovare fastidioso tutte le volte che la figlia nominava la futura suocera, descrivendola come una donna perfetta. Per cui, alla fine, anche Mary aveva optato per il miglior look del suo guardaroba. Non si sarebbe fatta mettere in ombra da Irene Adler.

« Dov’è David? » chiese John, dopo aver abbracciato Grace.

« Ci aspetta in auto, sai che non va molto d’accordo con Sherlock » rispose la ragazza, lanciando una divertita un’occhiataccia di rimprovero al detective. « Comunque, siete nervosi? » chiese Grace « Non vi ho mai visto così ben vestiti »

Sherlock fece spallucce, mentre John continuava ad osservare infastidito la camicia che indossava il marito. Forse era ancora in tempo per prendere una tazza di caffè e rovesciargliela accidentalmente addosso.

«Credo che tuo padre » intervenne il detective « sia più preoccupato che Irene si presenti con lo stesso look che aveva quando l’abbiamo incontrata la prima volta » buttò lì, con noncuranza.

Mary, vedendo lo sguardo omicida di John, soffocò una risatina, mentre il dottore strinse i pugni, contò mentalmente fino a dieci e poi sfoggiò il miglior finto sorriso che avesse a disposizione « Spero che per un pranzo si presenterà più coperta »

« A proposito » intervenne la figlia, incoraggiata dallo sguardo della madre che la invitava a dire quello che aveva nascosto fino a quel momento, per evitare scenate «In realtà vorrebbero che passassimo tutto il week-end nella loro villa. Tutti assieme » sottolineò « Per cui buttate qualcosa in valigia » concluse, con una voce che tentava di essere entusiasta ma temeva reazioni scomposte.

John non riuscì a dire niente, perché Sherlock lo prese per un braccio e lo trascinò nella loro camera « Arriviamo subito! » fece, mentre percorrevano il corridoio.

« Non opporti, John. Così possiamo indagare sui furti di Irene » iniziò concitato, appena chiuse la porta della camera.

« Tu ti rendi conto che nel momento in cui smetterò di contare mentalmente fino a dieci, prenderò a pugni qualcuno? Io non voglio passare il week-end con loro » fece esasperato.

« Normalmente nemmeno io, ma avremo libero accesso alla casa. E’ perfetto! »

John si sedette sul letto, non riuscendo a vedere il lato positivo della vicenda.

« Ok, metto una t-shirt  » fece il detective, iniziando a togliersi e la camicia e indossando una t-shirt bianca con delle scritte nere, che John non aveva mai visto in vita sua « Contento? Va bene come compromesso? Metto comunque la giacca sopra però »

Il dottore non sapeva se ridere, abbracciarlo, prenderlo a pugni perché pensava che un cambio di abito risolvesse ogni cosa, ma rinunciò ad ogni azione e si diresse scoraggiato a fare le valige per il week end.

Mezz’ora dopo erano tutti in auto, diretti alla Villa della famiglia Von Ormstein di Cassel-Felstein. David era talmente nervoso dell’evento e dell’improbabile quintetto, che aveva mancato un semaforo e due precedenze, prendendosi ovviamente gli insulti di Sherlock, che a sua volta era stato rimproverato da Mary per l’inutile mancanza di tatto. Solo John e Grace si guardavano con un cenno di reciproca comprensione, ben consci che non sarebbe stato un viaggio tranquillo.

« Sembri una rock star » fece Mary, osservando l’improbabile look di Sherlock «Se ti mettessi anche gli occhiali da sole, saresti perfetto »

John prima sorrise, orgoglioso del marito e di quanto fosse sempre bello, in ogni occasione, con ogni look, anche dopo tanti anni. Poi pensò che non c’era verso che Irene lo potesse trovare meno irresistibile. Stava tamburellando le dita sul ginocchio, quando Sherlock gli afferrò la mano e scosse il capo, in una muta conferma che si stava comportando da idiota geloso.

Quando l’auto imboccò l’ultima curva, prima di raggiungere il luogo che il gps evidenziava sullo schermo, tutto si sarebbero aspettati, tranne lo spettacolo che si presentò davanti. Un enorme parco, che si estendeva anche dietro allaVilla, di una maestosità che poteva gareggiare con la tenuta estiva della Regina.

John e Mary strabuzzarono gli occhi, a David cadde leggermente la mascella, mentre Sherlock emise un flebile verso di disapprovazione « Pomposi » commentò, senza farsi impressionare.

Parcheggiarono l’auto, con l'aiuto di un maggiordomo che sembrava essersi materializzato dal nulla. David e Mary erano ancora frastornati dallo spettacolo della villa, mentre Sherlock e John, in maniera più pragmatica scesero dal veicolo, pronti per andare in battaglia, quando il portone d’ingresso della Villa si aprì ed uscì il futuro marito in persona.

Effettivamente era un bel ragazzo, pensò Mary, anche se era ancora stupita di quanto poco fosse vero che le figlie cercavano qualcuno che assomigliasse al padre. Di John, almeno nell’aspetto, quel Christopher non aveva proprio niente.

Grace gli corse incontro radiosa, mentre John prendeva un profondo respiro e si incamminava con gli altri in direzione della coppietta felice.

Un’altra figura uscì dal portone, una donna che definire bella era dire poco. Nonostante avesse anche lei raggiunto i cinquant’anni, era bella come un tempo: Irene Adler era semplicemente perfetta.

« Ora capisco perché sei tanto geloso » sussurrò Mary.

« Già, il bisturi fa miracoli » commentò acido il dottore, non potendo credere che lui fosse pieno di rughe, mentre lei fosse rimasta splendida come un tempo.

La Donna superò Christopher e la figlia, e puntò dritto verso i quattro arrivati. Senza nemmeno accorgersene, John aveva fatto un passo laterale,  per stare appiccicato a Sherlock il più possibile. Irene notò ogni vibrazione e sorrise divertita « Questo è il modo più strano di rincontrarci » esordì « Non conosco ancora la madre di Grace, però » aggiunse, allungano una mano verso Mary, che la strinse senza dare segno di titubanza.

« Abbiamo tanto di cui parlare, sono contenta che resterete per tutto il week end » commentò, soprattutto rivolta a John, come se sapesse che il dottore era teso come una molla pronta a scattare. John avrebbe voluto ribattere che doveva tenere le sue lunghe unghie smaltate lontano da Sherlock, ma sarebbe sembrata una risposta insensata, anche se le immagini di lei che baciava la guancia di lui, continuavano a riproporsi nella sua testa come in un loop infinito.

Christopher e Grace raggiunsero il gruppetto e la ragazza, senza mai staccare il braccio dal “pomposo”, presentò il futuro marito alla famiglia.

Era decisamente aristocratico, non poteva dirsi il contrario. Apparentemente educato e gentile, strinse le mani di tutti e li invitò ad entrare, in modo che il maggiordomo potesse mostrare le stanza di ognuno.

« Grace mi ha raccontato tutto di voi » fece Christopher, non sapendo che quello che la ragazza poteva dire era solo la punta dell’iceberg della sua famiglia.

Mary sorrise « Ha parlato molto anche di te. Ci ha detto frequenti Oxford »

« Già, anche se trovo la facoltà di Economia poco stimolante » commentò, quasi annoiato « Siete stati in qualche bel posto? » chiese, rivolto a Mary e David, che si guardarono perplessi, mentre John studiava quella conversazione come una terribile sensazione di dejà vu.

« Come scusa? » chiese David perplesso.

« Ho notato che la vostra auto ha del fango recente sulle ruote. In centro Londra, dove abitate, non piove da giorni e non potete aver incontrato fango lungo la strada per venire qui, è tutta perfettamente asfaltata. Inoltre, è fango recente ma non fresco, per cui deve essere di ieri. Da questo ho dedotto che siete stati fuori città »

John e Mary lo fissarono attoniti, mentre Grace raggiante gli schioccava un bacio sulla guancia « Non è meraviglioso? »

Irene sorrideva, ma un occhio attento avrebbe notato che era un sorriso tirato, quasi preoccupato.

Sherlock non ascoltò la maggior parte degli inutili convenevoli, ma cominciò a porre l’attenzione su ogni dettaglio che potesse riguardare i furti o altre attività sospette di Irene. Non avrebbe mai ammesso apertamente quanto teneva alla piccola Watson, ma Grace era già abbastanza in pericolo come figlia di Mary “ex sicaria” Morstan e John “assistente e marito di sociopatico” Watson, non era il caso che si aggiungesse anche qualche losco affare di Irene.

Irene e Christopher non fornivano alcun dettaglio apparente, per cui focalizzò la sua attenzione sulla casa alla ricerca di qualche indizio o qualcosa che sembrasse fuori posto.

Se fosse stato un po’ più attento a quello che accadeva accanto a lui, avrebbe notato che Mary aveva confabulato qualcosa nell’orecchio di John, che era quasi saltato per aria, gelando l’ex moglie sul posto.

« Sherlock e Irene non sono stati assieme » sussurrò John, cercando di tenere il tono di voce appena udibile all’orecchio umano. Fortunatamente Irene era distratta da un’improbabile conversazione con David.

« Me lo hai già detto, John. Solo che non ti sembra di notare qualcosa di familiare in quel Christopher? Ha venti anni, coincide col periodo in cui Sherlock l’ha salvata dalla morte »

« Non è suo figlio, Mary. Non hanno fatto sesso » ribatté, alzando leggermente il tono.

« Certo, perché lui non ti ha mai mentito, vero? »

John si bloccò sul posto e si mise a osservare tutte le similitudini fisiche tra il marito e quel Christopher. Ok avevano entrambi gli zigomi alti, carnagione chiara, occhi azzurri e un’aria snob. Ma del resto, era così anche Irene.

Però era saccente, indisponente, annoiato e c’era quella deduzione, che aveva fatto per stupirli. Per un attimo aveva temuto che avrebbe concluso chiedendogli in prestito il cellulare. Fissò Christopher e poi Sherlock, come un ping-pong, finché non gli venne un senso di nausea.

Prima la figlia che annunciava il matrimonio, poi la scoperta di diventare parente della Adler e adesso il dubbio che il futuro genero fosse il figlio illegittimo di suo marito.

Lo stomaco di John stava iniziando a contorcersi in maniera preoccupante.

« Stai bene? » fece ad un tratto il detective, notando che John era sbiancato al punto che era un tutt’uno con la parete bianca dell’ingresso. Tutti furono attirati dall’improvviso recupero del dono della parola di Sherlock, per poi osservare Watson preoccupati.

« Deve essere il caldo, vi spiace se mi siedo un attimo? » chiese John, evitando di fissare nella direzione di chiunque dei presenti.

« Certo » fece Irene « Vi faccio subito accompagnare nella vostra stanza »

John percorse ogni gradino verso la camera che era stata preparata per lui e Sherlock, impressionato da quanto poco fosse rimasto sconvolto ogni volta che qualcuno aveva tentato di ucciderli, ogni volta che era rimasto ferito o che qualche pazzo aveva minacciato le cose più turpi nei loro confronti, ma di come gli franasse la terra sotto i piedi ogni volta che si trattava della sua relazione con Sherlock.

Quando finalmente rimasero soli, John si sedette sul letto, continuando a chiedersi cosa sarebbe stato peggio: fare l’ennesimo terzo grado su Irene al marito o tenersi il dubbio.

« John, cosa ti è preso? » fece Sherlock.

Watson scosse il capo e optò per la terza ipotesi, fare a modo suo.

« Niente, deve essere l’età. Non reggo più certe emozioni » commentò, dando le spalle al marito per estrarre il cellulare.

Sherlock aveva capito perfettamente che c’era sotto qualcosa, ma sapeva anche che mettergli pressione gli avrebbe solo fatto alzare la guardia, mentre aspettare gli avrebbe concesso di dedurre ogni cosa, senza problemi, per cui decise di aprire la valigia ed iniziare a riporre gli indumenti per il loro indimenticabile week-end.

John non sapeva se essere sollevato del fatto che Sherlock non stesse badando a lui, perché temeva che il suo mutismo stesse nascondendo a sua volta qualcosa.

Aveva bisogno di risposte, il prima possibile. Digitò un messaggio, che avrebbe cancellato dalla memoria del telefono appena inviato, prima che lo smartphone finisse nelle mani del detective.

Ciao Molly, se ti mando due campioni di capelli, puoi estrarre il DNA  e dirmi l’eventuale parentela?
JW

Lo rimise in tasca, meditando su come avrebbe fatto a staccare un capello dalla testa del suo futuro genero, senza dare nell'occhio.


****** ******
Angolo autrice

Vi chiedo scusa, sono orribilmente in ritardo. Questo succede quando si scrivono tre storie (mea culpa, non ho il senso della misura) e soprattutto lo si fa in agosto.
Grazie della pazienza,
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Le coincidenze esistono ***



Le coincidenze esistono


Il detective era immerso nel suo palazzo mentale, dove stavano vorticosamente girando tutte le informazioni che Mycroft gli aveva fornito. Doveva trovare il modo per trovarsi da solo con il maggiordomo e le cameriere, in modo da interrogarli su tutte le piccolezze della famiglia Von Ormstein, che nessuno tranne il personale fidato, conosceva.
 
Era in quei momenti che ringraziava di avere il suo palazzo mentale, dove isolarsi dalla noia degli incontri sociali, ma soprattutto ringraziava di avere un marito che era anche il suo collega e che comprendeva perfettamente quando doveva lasciarlo in silenzio a pensare.

« Sherlock, hai qualcosa tra i capelli » fece John, allungando il braccio con una rapidità che spiazzò anche il detective, completamente assorto nei suoi pensieri.

Erano stati chiamati per fare un brunch nel parco della villa e qualche convenevole e fastidioso - almeno per John - scambio di battute dopo, erano rimasti soltanto loro due, seduti al tavolo, mentre gli altri passeggiavano o semplicemente prendevano il sole. A John ricordava un quadro impressionista che aveva visto tempo prima, dove erano ritratte una serie di persone in un bosco, vicino al lago, intente a consumare un pic-nic. Doveva trasmettere serenità, ma a lui aveva donato una certa inquietudine. L’immagine era statica, era un pic-nic, ma sembravano tutti in attesa di qualcosa. Ecco, si sentiva proprio in quel modo,  fermo, in attesa di qualcosa che doveva accadere.

Il matrimonio? Le analisi del capello del probabile figlio segreto di Sherlock? I furti di cui era sospettata Irene? Ogni ipotesi lo portava lontano dalla tranquillità che credeva di aver conquistato. Aveva appena  strappato un capello dalla testa del marito per poter inviare il campione a Molly e doveva recuperarne un altro da Christopher, per poterli confrontare.

« La prossima volta potresti essere più delicato? » fece Sherlock, massaggiandosi il punto dove John aveva strappato la sua preziosa chioma.

Il dottore fece spallucce e nascose il capello in una bustina che aveva in tasca, soddisfatto di aver portato a termine la metà del suo piano.

Sherlock scosse il capo, confidando che prima o dopo il marito avrebbe smesso di comportarsi come Steve Martin ne “Il padre della sposa” e avrebbe accettato il fatto che Grace stava per sposarsi e ne era convinta.

Lo scuotere il capo, come gesto di dissenso nei confronti di John, causò un movimento ondulatorio della chioma di Sherlock, che spezzò per un attimo il flusso di pensieri cospiratori del dottore; alla luce di mezzogiorno, con i capelli che ondeggiavano al vento e quella maglietta che gli dava un aspetto di bello e dannato, John non poté che sentirsi un idiota.

La sua gelosia era immotivata, erano sposati da tanti anni, non c’era davvero motivo per temere che sarebbe scoppiata nuovamente la passione tra Sherlock e Irene, né che il detective gli avesse mentito. Anche la storia di Christopher, iniziava a guardarla con altri occhi. D’accordo, aveva gli occhi chiari, gli zigomi alti e i capelli ricci, ma questa descrizione si adattava alla maggior parte del rango snob del popolo britannico, anche se lui, in effetti, aveva origini nell’Europa dell’Est. Inoltre, non aveva ancora incontrato il padre, che magari era la copia esatta di Sherlock. Forse Irene aveva cercato qualcuno che somigliasse al detective, un po’ come aveva fatto Molly, anni prima, con Tom.

Christopher aveva fatto una deduzione brillante davanti a tutti, per mettersi in mostra, ma John era abbastanza sicuro che Sherlock non fosse l’unico al mondo capace in quell’ambito e che non fosse necessario avere metà dei geni del marito per fare deduzioni.

A ben pensare Mycroft era ancora più bravo di Sherlock, magari era lui il padre segreto del ragazzo. Scoppiò a ridere da solo, subito ricomponendosi, appena in tempo per non essere preso per pazzo da Grace e Christopher che si stavano avvicinando con aria allegra.

Presero posto accanto a loro, mentre John gettava a terra il capello del marito, più rilassato, perché aveva smesso di comportarsi da idiota e aveva abbandonato l’improbabile idea che Christopher fosse figlio di Sherlock.

« Papà, stai meglio adesso? Ero molto preoccupata » chiese la ragazza, allungando una mano per prendere quella di John.

« Sì, grazie. Scusate per prima »

Sherlock accanto a lui emise un leggero sbuffo e John non capì se era infastidito dalle chiacchiere o dal suo comportamento.

« Non abbiamo avuto modo di parlare di come vi siete fidanzati » fece John, cercando di simulare interesse e felicità per la scelta della figlia. Non poté non constatare che Christopher non era poi così uguale a Sherlock come era sembrato all’inizio. Gli occhi erano più tondi rispetto a quelli del detective, gli zigomi meno evidenti. Forse era tutto nella sua testa.

« Beh, ci siamo incontrati in una escape room. Io e miei amici dovevamo appena entrare mentre lui stava uscendo. Era rimasto dentro circa 20 minuti » rispose lei, entusiasta e ammirata.

« Banale » commentò Christopher e a John venne un brivido.

« Concordo » intervenne inaspettatamente Sherlock « Noi abbiamo risolto gli indovinelli in 10 minuti, dovrebbero avvisare che non sono per persone intelligenti » fece, aspettandosi un commento da John, che non arrivò.

« Vero » confermò, invece, Christopher.

Al dottore cadde leggermente la mascella. Si accorse che aveva stretto i pugni mentre una serie di immagini di Sherlock e Irene continuavano a passargli nella testa. Al diavolo il buonsenso, doveva venire a capo di quel problema.

Grace e il fidanzato avevano continuato a chiacchierare amabilmente e Sherlock, inspiegabilmente - almeno per John - sembrava dargli corda. Il dottore era talmente sprofondato nei suoi pensieri più cupi, che non si accorse nemmeno che Mary li aveva raggiunti e aveva scherzosamente rapito i due fidanzati, per iniziare a parlare con la futura suocera dei preparativi delle nozze.

« John, so che sei preoccupato per il matrimonio, ma sei stato scortese » fece Sherlock, scrutandolo.

« Giuro che non credevo sarebbe arrivato il giorno in cui tu lo avresti detto a me » rispose massaggiandosi la testa.

« Potevi dire qualcosa, Cristopher penserà che tu abbia qualche problema di demenza senile »

« Ti importa cosa pensa Christopher? » sbottò John, con voce eccessivamente alta.

« Ti importa di Grace? » ribatté il detective, perplesso dalla reazione.

John si chiuse nelle spalle, era un incubo. Perché la sua perfetta figlia voleva sposare un rampollo snob, figlio di Irene Adler?

E soprattutto, perché era tanto simile a Sherlock? Si maledisse della decisione di liberarsi del capello del marito, per cui senza tante cerimonie, finse di togliergli qualcos’altro dalla chioma e ne recuperò un altro.

« La pianti? »

« Non è colpa mia se ti si impigliano le cose nei capelli, c’è troppo vento e ci sono troppe foglie in questo parco »

Sherlock fece per ribattere, ma qualcosa attirò la sua attenzione e John ne approfittò per dileguarsi. Erano tutti in giardino, per cui recuperare un capello di Cristopher dalla sua camera non sarebbe stato particolarmente difficile. Non avrebbe dovuto fingere qualche strano motivo per salire al piano di sopra e curiosare, instillando vari dubbi nel resto della famiglia allargata. In ogni caso doveva evitare che Sherlock fosse in giro:  mister deduzione prima o dopo avrebbe capito che John stava tramando qualcosa.

Entrò nella casa, a passo svelto, cercando di non farsi vedere dai vari maggiordomi dei pomposi, mimetizzandosi con gli arazzi, i vasi cinesi e degli orribili suppellettili che solo dei ricchi, noiosi snob avrebbero comprato.

Salì le scale e si infilò nella camera di Cristopher. Tirò un sospiro di sollievo quando vide che nella stanza non c’erano teschi né dita mozzate. Anzi, tutto era molto in ordine, diversamente dalle abitudini del marito.

Spostò delicatamente il lenzuolo e subito gli cadde lo sguardo su un capello leggermente ondulato. Era fatta, aveva il campione di cui aveva bisogno e presto avrebbe avuto conferma o - come sperava - la smentita sulla paternità del ragazzo.

Nascose il capello in tasca, quando sentì degli scricchiolii proveniente dalla scala. Qualcuno stava salendo. Percepì le risate tipiche di due innamorati molto giovani. Non era semplicemente qualcuno, erano Grace e Christopher, che con ogni probabilità si stavano dirigendo proprio nella camera dove era penetrato per il suo raid anti figli segreti.

Sentì un’ondata di panico, doveva inventare un’ottima e valida scusa, al volo, per giustificare la sua presenza nella stanza. Oppure poteva decidere di nascondersi velocemente sotto il letto. L’irragionevolezza prevalse e rotolò velocemente sotto il letto a due piazze.

Grace e Christopher entrarono, in un susseguirsi di rumori di baci e risate. John cercò di rifugiarsi nella propria soffitta mentale per non sentire quello che in ogni caso non sarebbe successo, perché a costo di essere buttato fuori dalla villa, non sarebbe rimasto sotto il letto mentre la figlia faceva sesso.

Prese il cellulare e digitò velocemente un sms per l’unica persona che non avrebbe fatto domande e deduzioni e soprattutto non avrebbe ignorato il cellulare.

Circa due minuti dopo quella persona bussò alla porta e John poté sentire il rumore di due diciottenni che saltavano per aria, come quando si veniva sorpresi dai genitori.

Si ricomposero velocemente e uscirono dalla stanza, chiudendosi la porta dietro di loro. John li sentì parlare con Mary; non aveva idea di quale scusa si fosse inventata per farli uscire, ma non sembrava volessero muoversi da davanti la porta. Strisciò da sotto il letto, pensando che dopotutto era John Watson, ex Quinto Fucilieri di Nothumberland, ne aveva superate tante, per cui uscire dalla finestra e calarsi fino al piano terra, non era una cosa così folle.

Aprì piano la finestra, scavalcò il cornicione, ringraziando che la camera non fosse sul lato dove si trovavano gli altri, che a quel punto erano David, e soprattutto Sherlock e Irene, cosa che non mancò di infastidire il dottore, e iniziò a calarsi  verso il basso.

La struttura antica, fortunatamente, aveva diversi appigli e una pianta rampicante che facilitava la discesa. Quando era a pochi metri da terra, con lo sguardo attento a dove metteva i piedi più che a tutto quello che accadeva attorno a lui, sentì il rumore inconfondibile di qualcuno che si schiariva la voce.

La sorpresa gli fece mancare l’appiglio e cadde all’indietro, mentre il grido “attento” lo accompagnava nella discesa.

Si ritrovò disteso su qualcosa di morbido, che si rivelò essere il corpo dell’autore della distrazione che lo aveva fatto precipitare a terra.

« Sherlock? »

John si voltò, per vedere Sherlock che lo rotolava via in malo modo, per poi massaggiarsi le braccia.

« Cosa stavi facendo, John? »

« Tu, piuttosto, pensavi di prendermi in braccio come un supereroe? »

« Scusa se cercavo di rimediare al tuo momento Steve Martin » rispose stizzito.

« Cosa? »

« Stai dando di matto, come il protagonista de “Il padre della sposa”, quando si aggira per la villa dei futuri suoceri facendosi i fatti loro; solo che lui, almeno, era caduto in piscina »

John scoppiò a ridere, ringraziando che Sherlock avesse trovato quella giustificazione per il suo comportamento bizzarro, perché se il test fosse stato negativo, come John auspicava, il detective non avrebbe mai dovuto sapere che aveva dubitato di lui.

« Indagare sulla famiglia di Christopher, comunque, è una buona idea » commentò Sherlock, rimettendosi in piedi e aiutando il marito a fare altrettanto « Spero che presto conosceremo il sig. Pomposo, perché per il momento non ho scoperto niente di utile per l’indagine di Mycroft »

John sospirò, pensando all’indagine per Mycroft che avrebbe portato all’arresto della sua futura suocera o del suocero o magari di tutta la famiglia.

Con che faccia avrebbe guardato Grace, se fosse accaduto?

« Sarà meglio ritornare dagli altri, prima che inizino a sospettare qualcosa » fece il detective, mentre John lo seguiva come un’anima in pena.

Quando tornarono nel parco, John notò l’espressione di scherno di Mary, che sicuramente lo avrebbe torturato per sapere cosa ci faceva nella stanza di Christopher e non gli sembrava per niente una buona idea mettere al corrente qualcun altro della sua impresa.

Avrebbe tenuto fede alla teoria di Sherlock, che stava cercando informazioni su suo genero, certo che era abbastanza credibile.

Era pronto ad affrontare l’imbarazzante conversazione con la moglie, quando notò che un altro uomo si era aggiunto al gruppetto.

Alto, biondo, loro coetaneo, non poteva essere Pomposo senior, che sapeva esser più in là con gli anni. Mentre si avvicinavano, Sherlock sembrava rallentare il passo, fino a inchiodarsi in mezzo al giardino.

Aveva un’espressione indecifrabile, né quella da “quanto sono intelligente” né quella da “non capisco, odio non capire”.

« Tutto bene? Hai già dedotto che quello in realtà è il ladro? » chiese John, sperando che l’indagine fosse già finita.

« Ti ricordi quando ho detto che chi non crede nelle coincidenze, deve avere una vita noiosa? » fece Sherlock, rilassandosi leggermente.

« Sì »

« Ecco, la nostra vita non è noiosa per niente. Qualche giorno fa ti ho detto che in passato ero uscito con un mio compagno di università che poi si è fatto prete, ricordi? Ecco quello è lui » rispose, indicando il biondo, con la stessa tranquillità con cui avrebbe commentato il cambio di clima.

John credette fosse una battuta, ma la faccia di Sherlock non era per niente divertita. Lo fissò ancora, sperando che sarebbe scoppiato a ridere, dandogli dell’idiota per averci creduto, ma l’espressione non mutava.

« Stai scherzando? Dimmi che non accadrà che il tuo ex, ora prete, sposerà mia figlia con il figlio della tua ex »

« Non sono l’ex di nessuno, John. E’ solo una serie di strane coincidenze su cui farsi una risata » commentò, cercando di fargli abbassare la voce.

« Non hai idea di quanto lo trovi divertente » rispose sarcastico.

«Comunque è un prete, non sarai geloso anche di lui, spero! »

John alzò gli occhi al cielo, perché era molto prossimo a correre nella villa e gettare a terra tutti i vasi cinesi, giusto per avere una valvola di sfogo « Sherlock, lo sai che i preti anglicani non hanno l’obbligo di celibato? »

« Oh, esiste una differenza? Lo avrò rimosso » commentò, senza scomporsi, mettendosi le mani in tasca e riprendendo a camminare.

« Bene, andiamo a presentarci al tuo ex »


***** *****

Angolo autrice:
Wow, non posso che ringraziarvi perchè non mi aspettavo tanto enrtusiasmo per questa storia. Sperando che resti sempre all'altezza delle aspettative vi abbraccio e vi aspetto al prossimo capitolo.

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Capitolo 5
*** Nodi al pettine ***



Nodi al pettine


Biondo, aveva 56 anni come Sherlock eppure sfoggiava una perfetta chioma bionda che ondeggiava al vento come il principe azzurro di Shrek.

John aveva assottigliato lo sguardo e non poteva fare a meno di pensare che quel tizio avrebbe potuto essere basso, appesantito dagli anni e calvo, invece era alto, biondo e dimostrava meno anni di quelli che aveva.

John, invece, aveva i capelli quasi del tutto bianchi, restava sempre una testa in meno di Sherlock come altezza e le sue rughe dimostravano tutti gli anni che aveva. La storia stava diventando un incubo ogni minuto, sapeva che non c’era nessun motivo di essere geloso del primo ragazzo che aveva osato uscire con Sherlock, che non c’era motivo di essere infastidito dal fatto di non essere stato il primo biondo della vita del detective, che era altamente infantile pensare di sfidarlo a rugby per placcare quel damerino, e chi se ne importava se era un prete anglicano, eppure era geloso, infastidito e voleva placcarlo.

Più avanzava più stringeva lo sguardo, serrava i pugni e calcava ogni passo fino a raggiungere il gruppetto.

Quando il biondo, che Sherlock aveva sussurrato a John chiamarsi Victor, allargò il sorriso sfoggiando una perfetta dentatura da divo di Hollywood e si avvicinò a Sherlock abbracciandolo, a John cadde la mascella, per la decima volta da quando Grace aveva annunciato il proprio matrimonio.

« Sherl, quanto tempo! » affermò Victor, in maniera gioviale « Che look da rock star! »

La scena aveva un ché di comico, vista dagli occhi degli altri presenti che fissavano il prete anglicano abbracciare il detective, mentre quest’ultimo si divincolava imbarazzato come una trota appena pescata. Ma non per John, non c’era niente di comico, lui aveva visto soltanto due braccia che stringevano suo marito e una voce fastidiosa che chiamava il moro con un nomignolo che non gli era permesso usare.

Quando finalmente il detective riuscì a svicolarsi dall’abbraccio e a sistemarsi il vestito, era pronto per presentare l’uomo a John, ma il dottore non gli diede il tempo e con piglio autoritario allungò il braccio, ponendosi tra Sherlock e Victor « Piacere, sono John Watson, padre della sposa e marito di Sherlock » affermò come se avesse appena ordinato di invadere un paese limitrofo, calcando la parola marito.

« Padre Victor ci stava giusto raccontando di aver conosciuto Sherlock all’Università » fece Mary, lanciando un’occhiata divertita a John.

Victor strinse la mano al dottore con una certa forza, come in una silenziosa sfida, o almeno così volle vederla John, che mantenne lo sguardo fisso sul nuovo arrivato, finché Irene non invitò tutti ad entrare per parlare di altri dettagli inerenti al matrimonio.

Sherlock lanciò uno sguardo sconvolto al marito, per l’ennesima scenata immotivata, scuotendo anche il capo in disapprovazione.

John non cambiò espressione, di certo non si sentiva in colpa, avrebbe mandato al diavolo tutti molto volentieri e non potevano considerarlo esagerato se era infastidito da tutta la situazione.

John affrettò il passo e praticamente corse dietro Irene: era stufo di tutto e voleva stare lontano da Victor, dalla figlia che lo aveva trascinato in questa folle situazione, da Christopher che se avesse affermato ancora una volta quanto era annoiato lo avrebbe preso a schiaffi, da Mary che non faceva altro che deriderlo e da Sherlock  che col suo fare sfuggente non lo stava rassicurando. Stava esagerando? Sì. Stava sragionando? Sì, ma non era nei suoi piani del week end tutto quello che stava accadendo e un momento di solitudine poteva solo giovargli.

Solitudine che durò il tempo di essere preso per un braccio da Irene « Dottor Watson, non sarai nuovamente geloso senza motivo? » fece lei, sempre affascinante nonostante avesse ormai raggiunto il mezzo secolo.

« Chiedo scusa? »

 « Guardiamoci negli occhi » fece lei, ridendo.

« Non sono dell’umore » rispose, scansandosi.

« Dottor Watson, penso che vent’anni fa ho fatto di tutto per farti capire quanto tu e Sherlock eravate fatti per stare assieme, mancava solo un disegnino. Pensi che tenterei di portartelo via, adesso, con mio figlio che sta per sposare tua figlia? » chiese, apparentemente seria.

A John mancava soltanto di essere l’oggetto dell’ironia della Donna « Non avresti comunque possibilità » rispose lui secco.

« Bene, sono contenta di sentirtelo dire »

John la fissò stranito, ma non capì perché ne fosse contenta.

Dietro di loro, parecchi metri più indietro, Sherlock e Mary camminavano fianco a fianco in silenzio, finché il detective non lo ruppe in maniera inaspettata, borbottando qualcosa di incomprensibile.

« Non ho capito cosa hai detto, Sherlock »

« Non ti sembra che Christopher assomigli a qualcuno che conosciamo? » chiese lui, che evidentemente studiava Christopher da un po’ di tempo.

Mary scoppiò a ridere « Direi proprio di sì, assomiglia a qualcuno che conosciamo »

Il detective rimase sorpreso, ma non era strano che avesse notato anche lei qualcosa che stonava, sapeva quanto fosse sveglia Mary ed anzi, ci contava « Tu hai capito chi? C’è qualcosa, ma non capisco cosa »

« Sherlock è uguale a te! » commentò lei, godendosi la faccia stupita del detective, che si fermò sul posto. Ripensò a tutte le follie delle ultime ore, dal malore improvviso del marito, ai capelli strappati, a John che si calava dalla stanza di Christopher.

« Dimmi che John non sta facendo il matto perché pensa questo! »

« E’ identico a te. Capelli, occhi, zigomi.. »

« Non sarebbero fatti tuoi, ma per chiarezza e per la millesima volta, non ho fatto sesso con Irene. Inoltre, Christopher ha capelli, colore degli occhi e zigomi di Irene. Voi avete deciso di seguire una teoria e vedete solo le cose che vi si adattano, ma non notate che ha il viso più tondo e la forma degli occhi molto diversi dai miei. La bocca nemmeno lontanamente somiglia alla mia, ha le labbra sottili e non ha preso nemmeno da Irene, per cui ha la bocca del padre. Avete ragione che il padre non è Pomposo Senior, perché le date non coincidono, lei lo ha conosciuto che evidentemente era già in cinta, ma non sono io il padre »

Mary si sentì leggermente in colpa « Però le date coincidevano con il tuo salvataggio, quando siete rimasti soli » affermò incerta.

« L’ho salvata e messa sul primo aereo per l’Europa, io ne ho preso un altro per Londra. Però hai ragione, il padre deve essere qualcuno che frequentava in quel periodo »

« Poi, parla come te, perennemente annoiato » continuò lei, per giustificare l’avergli attribuito una paternità non sua.

Sherlock sembrò molto colpito dall’ultima affermazione, la bionda poteva vedere che gli ingranaggi del cervello del detective erano in piena attività. Come uno schiaffo la verità colpì Sherlock, mentre davanti a sé vorticavano diverse immagini del molto possibile padre del ragazzo.

 « Grazie, Mary. Se mi vuoi scusare, devo andare a fare sentire in colpa John » si congedò Sherlock, mentre l’ex signora Watson si mordeva un labbro, non sapendo se essere più preoccupata per la deduzione di Sherlock o più in colpa per aver rivelato i dubbi di John, che lei stessa aveva instillato.

Il detective camminò a passo svelto per raggiungere Irene e John, che sembrava stessero ancora bisticciando sulla gelosia immotivata di John e sugli ammiccamenti per niente involontari di Irene nei confronti di Sherlock. Il moro superò John senza degnarlo di uno sguardo, cose che il marito non mancò di notare, senza però comprendere il motivo dell’improvviso astio, e prese Irene per un braccio « Dobbiamo parlare » affermò soltanto.

Watson notò l’impercettibile panico che aveva attraversato gli occhi di Irene e l’evidente fastidio in quelli di Sherlock. Per un attimo pensò che avesse capito che c’era effettivamente lei, dietro ai furti su cui erano stati chiamati ad indagare, ma questo non avrebbe giustificato lo sguardo gelido che gli aveva riservato.

Doveva esserci dell’altro e lo capì subito, quando voltandosi vide lo sguardo pensieroso di Mary. Sherlock doveva aver colto tutti gli indizi e sapeva quello che lui stava cercando di scoprire, per forza, era Sherlock Holmes, era ovvio che avrebbe capito le sue macchinazioni per scoprire la paternità di Christopher. Gliela avrebbe fatta pagare, ne era certo. Avrebbe tenuto il muso, sicuramente, avrebbe avuto pretese assurde per qualche giorno e poi tutto sarebbe ritornato a posto; avrebbe, però, continuato a rimembrare quella storia in ogni occasione, ricordandogli di quella volta che non si era fidato di lui. La gelosia era momentaneamente scomparsa, soppiantata dal senso di colpa per non essersi fidato.
Allungò il collo, per vedere quello che si stavano dicendo Sherlock e Irene,  ma vedeva solo lo sguardo indagatore del marito e la nuca della Adler, che sembrava voltata in una direzione diversa rispetto a quella del detective.

Cercò di spostarsi, ma Sherlock lo intercettò con lo sguardo e si trovò ad arrossire come se fosse ancora un bambino e fosse stato sorpreso dai genitori nel commettere una marachella.

Grace si avvicinò piano al padre, aggrappandosi a lui come se sentisse il bisogno di essere rassicurata.

« Papà, va tutto bene? Mi sembri davvero fuori fase »

« Tesoro, possiamo parlare un attimo? »

« Certo, vieni facciamo due passi » suggerì lei.

Uscirono nuovamente all’aperto, a John non sembrava di aver fatto altro da quando erano arrivati alla villa, se non entrare ed uscire, e si sedettero su una panchina, una delle tante che circondava quell’enorme villa. Watson ancora faticava a capire cosa la figlia ci trovasse in Christopher e in quelle persone, così distanti dalla realtà in cui era abituata a vivere la famiglia allargata Watson.

« Grace, lo sai ti voglio bene e mi basta che tu sia felice » esordì lui, non potendo più trattenersi, né assecondare il piano di Mary di non contraddire la figlia perché l’avrebbe solo spinta verso il futuro sposo.

« Ma? » chiese lei, irrigidendosi.

« Ma sei sicura di quello che stai facendo? Questa gente che non c’entra niente con noi: Christopher che è così, non so come definirlo, snob? E poi, hai solo diciotto anni, tutta la vita davanti, perché tanta fretta? »

« Se qualcuno ti avesse detto la stessa cosa di Sherlock, avresti desistito? Sono sicura che avresti detto che è un gran rompiscatole, ma che è la persona migliore del mondo » rispose calma, come avrebbe fatto Mary per tranquillizzarlo e in quello John poté notare quanto le assomigliasse.

« Grace, non è nemmeno paragonabile la mia storia con la tua, non è stata l’euforia del momento a farci sposare, abbiamo dovuto soffrire parecchio per arrivare al matrimonio »

« Solo perché tutta la tua vita è stata un gran casino costernata da varie scelte sbagliate, non significa che lo sarà anche la mia » rispose alzando il tono di un’ottava « Se fossi stato un po’ più coraggioso e onesto con te stesso, avresti sposato Sherlock già la prima notte che lo hai incontrato, io sono diversa da te e dalla mamma, non voglio una vita adrenalinica, voglio una vita normale »

John incassò il colpo, si sentì addolorato da quello che si nascondeva dietro l’ultima affermazione. Sherlock aveva ragione, come sempre: Grace sognava la famiglia felice con casa, figli e un cane in giardino e lui non aveva idea di come fosse quel tipo di vita. Sua figlia era sicuramente più saggia di lui e più matura di una ragazza della sua età. Cercò di abbozzare un principio di scuse, ma Grace abbandonò la panchina per correre dentro alla villa.

John odiava sempre di più quel posto, ogni secondo che passava. Rimase seduto su quella panchina per un tempo indefinito, non trovando il coraggio di ritornare dentro per affrontare la figlia e il marito. Come si era cacciato in quella girandola di problemi? Non poteva dare tutta la colpa ad Irene Adler, si era tuffato nei pasticci da solo.

Qualche sospiro dopo, Sherlock apparve accanto a lui, silenzioso come sempre, al punto che John aveva a malapena sentito il rumore del marito che si sedeva sulla panchina.

« Giornataccia, eh? » ironizzò il detective.

« Scusami » rispose, allungando una mano verso il detective, che lui prontamente strinse.

« Mi stai dicendo che smetterai di comportarti da squilibrato? » chiese Sherlock, sfoggiando un atteggiamento stranamente tranquillo, per niente arrabbiato, cosa che preoccupò ulteriormente John. Aveva forse dedotto qualcosa di peggio, che lo avrebbe sconvolto, pertanto cercava di non calcare la mano?

Il dottore cercò di mantenere la calma, di giustificarsi, in attesa delle novità  « Si tratta di mia figlia e di te, siete entrambi coinvolti e io sragiono, non è tanto strano per me »

« John… »

« Dico davvero, lo so, esagero, la mia gelosia è irrazionale e la mia preoccupazione per Grace è… »

« Paterna e più che sensata. Mentre, non credermi è piuttosto offensivo. Christopher non può essere mio figlio perché non sono stato con Irene. Strapparmi i capelli per il test del DNA è stato anche fastidioso. Detto questo, hai un capello di pomposo Jr.? » affermò senza mai riprendere fiato.

« Sì, perché? » chiese John, perplesso dallo strano atteggiamento di Sherlock.

« Ottimo, Mycroft dovrebbe avere un qualche campione con cui confrontare quello di Christopher »

John esibì la sua classica espressione infastidita di quando il detective aveva capito tutto mentre lui era ancora fermo a molti indizi prima « Cosa mi sono perso? »

« Avevi ragione, non è figlio di Pomposo Sr., e dalla reazione di Irene alle mie domande sono certo di sapere di chi è. Ma viste le possibili implicazioni, sarà meglio essere certi al cento per cento » rispose, rendendo John ancora più confuso.

« Di chi stiamo parlando? Lo conosco? »

« Lo hai visto in almeno due occasioni. Tre anzi, ma si spacciava per qualcun altro »

« Chi, Sherlock? »

« Qualcuno che era tremendamente annoiato, almeno quanto me »

John era certo che non sarebbe sopravvissuto al week end.


**** ****
Angolo autrice:
Ciao a tutti e grazie come sempre per essere arrivati fino a qui, in questa storia senza stress...almeno per me, per John è abbastanza stressato :-D
Chiudiamo per un po' con la gelosia di John, spero la storia sia sempre piacevole :)
Alla prossima e buona visione de L'abominevole sposa su Paramount :)

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Capitolo 6
*** Furti, ricatti e oggetti contundenti ***


Signore e signori, visto che questa storia manca su questi schermi da qualche mese (mea culpa) credo sia necessario un breve riassunto delle puntate precedenti. Sperando siate ancora tutt* qui in trepidante attesa di scoprire cosa succederà ancora al povero John, un abbraccio grande e BENVENUTI AL CAPITOLO FINALE (ma non temete, ci sarà un epilogo)

Previously on “Ti presento i miei”
Grace, la figlia appena diciottenne di John e Mary, annuncia non solo di volersi sposare ma che il futuro marito altri non è che il figlio di Irene Adler. Come se non bastasse, Mycroft comunica a Sherlock e John che la Donna probabilmente è coinvolta in una serie di furti e un invito a pranzo nella villa di famiglia si rivela un’ottima occasione per indagare. Almeno per Sherlock lo è, per John è solo un modo per mettere alla prova i propri nervi incontrando prima Irene, poi un quasi ex di Sherlock e alla fine scoprendo un’amara verità: Christopher, il futuro sposo, ha un padre segreto e inaspettato.



Cap. 6 - Furti, ricatti e oggetti contundenti

John non era sicuro se fossero passati secondi, minuti od ore da quando avevano abbandonato la panchina nel parco e si erano chiusi in camera a riflettere. Il bisogno di Sherlock di pensare era naturalmente diverso da quello del marito, cosa che si evinceva già da come si erano sistemati nella stanza. Sherlock era seduto sul letto, schiena alla testiera gambe incrociate e sguardo acuto, mentre John era gettato scompostamente di traverso sul materasso, fissando il soffitto alla ricerca di un’imperfezione nella pittura che lo distraesse dagli ultimi nefasti pensieri.

« Il figlio di Moriarty » ripeté il dottore ancora una volta, quasi una litania.

« Ripeterlo all’infinito non farà cambiare la situazione »

John si alzò di scatto, sorprendendo anche lo stesso Sherlock, che quasi si appiattì contro la testiera dallo stupore.

« E se fosse un suo piano? Se Christopher sapesse di essere figlio di Moriarty e stesse cercando un modo per vendicare la sua morte? » Il pensiero galleggiò in aria, pesante come l’affermazione che il dottore aveva sputato fuori.

« Ammetto di averlo pensato anch’io, ma onestamente non mi sembra abbia la stessa indole di Moriarty »

« Sherlock, ti ricordi Jim l’informatico o Richard Brooks? Ti sembravano pericolosi? Pensaci, quale piano migliore per vendicarsi che corteggiare nostra figlia e attirarci tutti qui? » affermò concitato.

“Nostra figlia”, accadeva ogni tanto che John si riferisse a Grace così, come se fosse figlia di lui e Sherlock, e il detective continuava a trovarla sempre una cosa per cui emozionarsi. Non aveva mai raccontato a John i sentimenti contrastanti che lo avevano invaso la prima volta che aveva visto  la neonata in braccio a Mary, un misto di malinconia e tristezza per l’evento che credeva avrebbe allontanato definitivamente il suo grande amore, condito  al contempo dalla felicità per John, a cui augurava tutto il meglio.

Sherlock era stato troppo offuscato dai sentimenti per John per notare che anche il dottore era pervaso di allegria e amarezza. Fortunatamente Grac enon aveva mai incolpato il detective di niente, nonostante Sherlock fosse stato, suo malgrado, la causa della separazione dei genitori. Ne avrebbe avuto tutto il diritto, invece aveva sempre voluto bene al folle marito del padre e lui non poteva che esserne grato e riconoscente. L’avrebbe protetta in ogni caso, perché aveva promesso che ci sarebbe stato per tutti e tre, perché era la figlia di John e questo contava più di ogni altra cosa, ma l’affetto naturale che aveva per lei aveva consolidato ancora di più il rapporto.

« John, condivido la tua preoccupazione ma dobbiamo essere cauti. Se entriamo in salotto e puntiamo il dito contro di lui senza motivo, Grace davvero non ci parlerà più » affermò il detective.

« Cosa proponi? »

« Andiamo a cena e mantenendo la calma poniamo qualche domanda »

« Sai, credo di non avere più l’età per questo genere di cose » affermò sconsolato il dottor Watson, prima di ricevere un inaspettato abbraccio consolatorio.

« Ne abbiamo passate di peggio » rispose il detective stringendo più forte il marito. Gli abbracci non arrivavano spesso, per questo quando accadeva era ancora più prezioso. Rimasero così qualche secondo, prima di decidere che era ora di entrare in azione.

Scescero le scale in maniera molto differente, Sherlock era concentrato e lucido, attento e pronto, mentre John trascinava una gamba davanti all’altra, mani in tasca e uno sbuffo ogni tre gradini.

« John, ho un’idea » affermò improvvisamente il detective « Chiamo Mycroft e chiedo conferma, tu vai a fare quello che si fa di solito agli eventi sociali »

« Chiacchierare? » Rispose John ma Sherlock stava già cercando il nome del fratello nella rubrica del telefono agitando la mano davanti al marito, come a fargli capire di annoiare qualcun altro.

John scosse il capo e si appoggiò stancamente alla parete dietro di lui. Alzò lo sguardo verso l’alto, attirato dalla luminosità del gigantesco lampadario d’ingresso e quando riportò lo sguardo in basso si trovò davanti Victor, con la sua chioma bionda e il sorriso Hollywoodiano.

« Vorrei conoscere meglio il padre della sposa » fece l’uomo, cordialmente. John cercò di rilassarsi, forse stava esagerando nel vedere nemici ovunque e non era tanto strano che volesse conoscerlo, d’altronde avrebbe celebrato il matrimonio.

« Certo, mi spiace di essere stato un po’ assente in realtà »

« Problemi? » chiese, con un tono che ebbe la capacità di innervosire nuovamente John.

« Problemi di coppia, intendo » aggiunse Victor e John provò a far finta di non aver sentito, perché non aveva motivo di sentirsi minacciato né di farsi manipolare da un pastore anglicano ma forse mettere le cose in chiaro lo avrebbe fatto sentire meglio.

« Hai mai letto il mio blog, Victor? Se lo avessi letto sapresti che non esistono problemi di coppia tra me e Sherlock. Litighiamo, Sherlock mette il muso e io sbatto la porta, poi uno dei due dice qualcosa di buffo o fa qualcosa di carino o semplicemente c’è un nuovo caso e un nuovo psicopatico minaccia Londra e tutto torna al suo posto, come una normale coppia, per cui vai a ondeggiare la chioma da un’altra parte » concluse, con un’espressione che il detective avrebbe definito Watsonesca.

Si allontanò, felice di aver detto in faccia a qualcuno quello che pensava, finalmente, senza dover fingere che tutto andasse bene. Si diresse verso il corridoio dove era sparito il marito, quando intravide un’ombra che si aggirava furtiva. Si nascose velocemente in una nicchia accanto a una delle armature che arredava la villa dei Von Ormstein. Non si trattava di Sherlock, avrebbe riconosciuto la sua ombra tra mille, pertanto l’unico presente in casa che avesse la corporatura per essere il proprietario di quell’ombra era proprio Christopher, suo futuro genero e figlio del diabolico Jim Moriarty.

Vide il ragazzo uscire da una camera e percorrere il corridoio, sembrava avesse qualcosa in mano ma dalla distanza dove si trovava non era certo di che cosa fosse, fatto che gli fece ricordare la litania del marito che lo invitava ad andare dall’oculista.

Sherlock uscì distrattamente da una camera, con il cellulare ancora in mano e lo sguardo perso tipico di quando rifletteva su qualcosa e quello che John vide, o almeno credette di aver visto, fu Victor che alzava un braccio con quel qualcosa in mano che poteva essere un oggetto contundente e si preparava a colpire il detective. Fu un attimo, John si avventò senza pensarci contro il genero, colpì il braccio e lo bloccò contro il muro.

Solo dopo notò lo sguardo terrorizzato del ragazzo, le braccia di Sherlock che lo trascinavano indietro, il cellulare del marito che era volato per aria e il presunto oggetto contundente a terra.

Sherlock si chinò a raccogliere la scatola portasigarette di Christopher e la pose al ragazzo « Scusa, John ha qualche problema con i fumatori » esordì Sherlock e John, che si sentiva l’essere più stupido dell’universo, quasi scoppiò a ridere « Comunque non dovresti fumare di nascosto, tua madre sa che fumi e anche Grace » aggiunse il detective, facendosi serio.
Christopher fissò entrambi spaesato, prese il portasigarette e ritornò velocemente da dove era venuto.

« John, eviterò di dirti quanto le tue azioni stiano superando ogni limite di follia »

« Credevo volesse pugnalarti »

« Con un portasigarette? » chiese spazientito.

« Credevo fosse un coltello. Lo so, devo mettermi gli occhiali. Così sembrerò un vecchio nerd » commentò, senza guardare il marito e sperando che Cristopher non fosse corso da Grace a raccontare l’ultima stramberia del padre pazzo.

***** * *****

Qualche ora dopo erano nuovamente riuniti con il resto della famiglia, seduti a cena attorno ad un tavolo imbandito come mai era capitato di vedere ai coniugi Holmes Watson. La sfortuna volle però che nessuno dei due avesse particolarmente fame, anzi soprattutto lo stomaco del dottore era chiuso come mai gli era capitato nella vita. Continuava a passare nervosamente in rassegna gli ospiti, cercando un indizio, qualunque cosa che confermasse la sua teoria sulle cattive intenzioni di Christopher. Nonostante le convinzioni di John, il ragazzo sembrava davvero non  nascondere alcun lato oscuro.

« John, non hai toccato l’antipasto e tra poco arriverà il primo » sussurrò Mary al suo fianco « Addirittura Sherlock si è sforzato di mandare giù qualcosa. Pensa a Grace per favore »

« Fidati, ci penso »

« Mi spiegate cosa succede? »

John balbettò qualcosa che l’ex moglie comprese subito essere una scusa mal costruita che nascondeva una preoccupante bugia; se nessuno aveva voluto metterla al corrente c'era qualcosa che non andava.

« Stavo pensando » esordì Irene Adler, mordendosi un labbro con un certo nervosismo del tutto inaspettato, spiazzando anche Sherlock che improvvisamente fu molto interessato da quello che la Donna avrebbe rivelato « Che forse dovremmo essere tutti più onesti e ammettere che tutti crediamo che questo matrimonio sia decisamente affrettato»

« Cosa? » chiese Christopher, guardando la madre come se la vedesse per la prima volta.

Sherlock, John, Mary, David e anche padre Victor si fissarono perplessi, finché il padre della sposa non ruppe il silenzio  « Non credevo lo avrei mai detto ma sono d’accordo con Irene »

« John » tuonò Mary, cercando un inutile appoggio in Sherlock che si era completamente isolato dalla conversazione e stava cercando di dedurre il perché la Donna avesse fatto quella scelta, cosa fosse cambiato nelle ultime ore che l’avesse portata a una simile riconsiderazione dell’imminente matrimonio del figlio.

Si erano parlati, lei doveva aver capito che lui sapeva, che aveva intuito la vera paternità di Christopher, ma non aveva alcun interesse a spiattellarlo in giro. Sapeva che lui non avrebbe parlato. Sherlock si ritrovò a chiedersi se la Donna avesse paura di John, non era esattamente la persona più discreta del mondo, eppure per amore avrebbe taciuto. Si era tenuto per sé quello che Mycroft gli aveva detto di Irene e altrettanto avrebbe fatto per il bene di Grace. Era successo qualcos’altro, qualcosa di peggio.

Qualche imbarazzato minuto di silenzio dopo, Grace si alzò da tavola con un cipiglio che a Sherlock ricordò in maniera terrificante la peggior espressione di John quando era prossimo a mollare un pugno in faccia a qualcuno: posa rigida, pugni chiusi e un finto sorriso che celava fiumi di rabbia che a breve si sarebbe scatenata « Sapevo che sarebbe stato complicato » esordì la ragazza « Ma non credevo così complicato. Mamma, lo pensi anche tu? Anche per te è un errore? »

Mary aprì la bocca alla ricerca di parole che non arrivarono e per Grace sembrò essere davvero troppo. Fece per andarsene ma notò con la coda dell’occhio l’espressione risoluta di Sherlock « Grace, siediti per favore » fece lui, alzandosi a sua volta e iniziando a passeggiare teatralmente per la stanza.

« Le carte stanno venendo voltate rapidamente, se mi permettete questa analogia con il poker. Solo che ognuno sta giocando un gioco diverso » affermò, mentre digitava velocemente un sms per Lestrade.

« Cosa sta succedendo? » chiese padre Victor, sentendosi un’incomoda presenza in quella che sembrava già essere una riunione di famiglia.

« Leggi il mio blog » affermò John, volutamente provocatorio « E’ il momento della verità » commentò sorridendo complice a Sherlock e preparandosi alla parlantina veloce del marito.

« Iniziamo voltando le nostre carte, mie e di John. Il fidanzamento tra Grace e Christopher è caduto a fagiolo per i piani di mio fratello. Quando si dice la coincidenza, Mycroft stava indagando su dei furti e aveva dei motivi per credere che Irene Adler ne fosse la responsabile. Ci è andato vicino. Ho chiamato Mycroft e chiesto di controllare non solo gli spostamenti di Irene ma anche degli altri membri della famiglia» fece, continuando a passeggiare per mantenere vivo l’interesse.

« Ora passiamo alle carte di Irene. Ha compiuto dei furti perché è sotto ricatto ma sarebbe stato il caso che madre e figlio avessero avuto una conversazione perché tutto questo caos poteva essere evitato, vero Cristopher? » chiese al ragazzo, che si spostò nervosamente sulla sedia.  « C’è qualcuno che conosce la verità e Irene teme che il figlio non sarebbe in grado di digerirla. Peccato che lui ne sia già al corrente » Affermò, notando lo sgomento sul volto di Irene « E’ piuttosto logico. Ho studiato i furti e non potevano essere commessi da una persona sola, anche Critopher è sotto ricatto, è evidente » aggiunse, fissando il ragazzo, prima di riprendere il discorso.

« Ma veniamo al ricattatore. Deve aver saputo di questo incontro. Non abbiamo ancora avuto modo di conoscere Pomposo senior. Emh, scusate, volevo dire il Granduca  » si corresse, quasi saltellando « La cosa buffa è che anche lui viene ricattato. Siete ricattati in tre e non lo sapete. Tutti e tre avete commesso dei furti nella paura che qualcuno di voi potesse essere ferito dalla verità. Irene e il Granduca temevano per il figlio e Christopher per il padre »

« Di quale ricatto stiamo parlando? » chiese Grace, con voce ferma.

« Christopher è il figlio di Jim Moriarty » rispose Sherlock semplicemente.

Irene allungò una mano verso il figlio, temendo che Sherlock si stesse sbagliando e che lui non ne fosse al corrente, ma il figlio sorrise rassicurante e ricambiò la carezza della madre.

Grace e Mary si fissarono smarrite « Quindi il ricattatore chi sarebbe? » chiese la ragazza, cominciando a credere di non conoscere così bene il futuro sposo come credeva.

« Come ho già detto è qualcuno che sa di questo evento ed è riuscito a recapitare un messaggio ad Irene, avvisandola che doveva far saltare il matrimonio perché io sono un pericolo per i suoi affari, perché era ovvio che sarei arrivato alla verità » fece senza modestia « E’ un uomo scaltro, usa una famiglia nobile per compiere dei furti di oggetti e documenti che poi rivende al miglior offerente. Ovviamente nessuno di loro sa chi sia, non lo hanno visto in faccia, ricevono delle buste conteneti dei messaggi. O meglio, non sanno di averlo visto, eppure è qualcuno che per lavoro sa tutto della loro famiglia: silenzioso, rassicurante, conosce i segreti e non dovrebbe rivelarli ed è qui tra noi » concluse con una pausa ricca di pathos.

Tutti si voltarono verso Victor.

« Ma no, non vedete che è un idiota, non può essere il ricattatore » affermò Sherlock, sconsolato dalla lentezza dei presenti.

« Chi, allora? » chiese John spazientito.

« Il maggiordomo »

Scese un irreale silenzio, attonito, finché tutti scoppiarono a ridere, stupendo Sherlock che si aspettava i soliti complimenti per essere arrivato così brillantemente alla soluzione.

« Il maggiordomo? Il cliché dei libri gialli? » fece John, beandosi dell’espressione oltraggiata del marito.

« E’ un luogo comune che si è diffuso senza motivo, dato che sono pochissimi i libri gialli in cui il colpevole è effettivamente il maggiordomo » rispose serio Sherlock, ma l’ilarità non smise finché le sirene di Scotland Yard annunciarono che era arrivato l’ispettore Lestrade per arrestare il colpevole.


**** * ****

Sherlock e John erano usciti in giardino per controllare che Scotland Yard non si facesse scappare il ricattatore e per dare modo ad Irene e Cristopher di chiarirsi e al resto della famiglia di riprendersi dalla rivelazione.

« Bellissimo non trovi? » chiese improvvisamente Sherlock, fissando il cielo stellato sopra le loro teste, così perfetto lontano dalle luci della città.

John sorrise leggermente guardando prima lui, l’unico “bellissimo” della sua vita e poi il cielo « Grace ha ragione, se lo ama andrà tutto bene, non è troppo presto. Entrambi hanno strambe famiglie alle spalle ed entrambi cercheranno di creare una famiglia normale »

« Lo pensi davvero? »

« Inizio a credere che certe occasioni bisogna coglierle quando è il momento o si potrebbe rimpiangerlo per sempre »

« Hai dei rimpianti, John? »

Il marito lo prese per mano con un sorriso finalmente rilassato « Solo di non averti conosciuto a diciotto anni »

« Ho fatto esplodere un’aula del College a diciotto anni »

John scoppiò a ridere, sentendosi così idiota e così fortunato.

« Quindi torniamo nella villa e diamo il nostro felice assenso al matrimonio? » chiese Sherlock, tenendolo sempre stretto per la mano.

« Direi di sì »


***** *****
Angolo autrice
Eccociiii, scusate davvero per la lunga pausa ma non mi sarei mai perdonata di lasciare una long senza un finale. Spero ci sarete ancora tutti per l’epilogo e che non siate stati travolti dalle deduzioni di Sherlock :-D
Alla prossima, un abbraccio grande!

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Capitolo 7
*** Epilogo ***




Epilogo


Sherlock e John scesero dal taxi in una Londra nebbiosa e quasi deserta ma sempre spettacolare. In lontananza il rintocco dell’orologio del Big Ben ricordò loro che era già l’una di notte. Esausti, come se avessero  inseguito un criminale per tutta la città, entrarono adagio a Baker Street, con una leggera malinconia ogni volta che cadeva l’occhio sulla porta della signora Hudson che mancava da quell’appartamento ormai da otto anni e che aveva fatto loro l’immenso dono di lasciargli in eredità l’amato 221B.

Uno dopo l’altro salirono i diciassette gradini che li separavano dal loro appartamento e quando finalmente misero piede nel salotto, John sprofondò nella poltrona con l’intenzione di non alzarsi più, almeno per le successive dodici ore.

« Ti verrà mal di schiena se ti addormenti lì » commentò Sherlock, prendendo a sua volta posto nell’accogliente poltrona di fronte a suo marito.

« E’ stato il giorno più lungo della mia vita, non mi sentivo così dalla guerra » affermò, sistemandosi più comodamente e cercando, finalmente, di rilassarsi.

« Esagerato! » commentò soltanto il detective.

« Dico davvero, nessuna nostra avventura mi ha sfiancato come oggi »

« Non eri così stanco nemmeno in luna di miele, quando abbiamo passato venti ore di seguito a fare sesso? » chiese innocentemente il detective, sorridendo malizioso.

« Sono troppo stanco, Sherlock. Ricordami queste cose domani, magari davanti a un bicchiere di brandy »

I due rimasero in silenzio per un po’, finché John non alzò gli occhi per accorgersi che il marito, che fino a poco prima lo stava deridendo, era crollato addormentato sulla poltrona. John fece per alzarsi e andare a prendere una coperta perché stesse al caldo, quando il trillo del cellulare lo fece sobbalzare dalla sorpresa.

« Chi cavolo è? » chiese Sherlock, svegliandosi di soprassalto.

Il marito girò il display verso di lui « Mike Stamford. Dice che ha mandato un suo paziente qui da noi. Un caso interessante »

Sherlock divenne immediatamente pensieroso e assunse un’espressione imperscrutabile, come se quell’sms avesse avuto il dono di fargli riaffiorare un pensiero che covava da qualche tempo.

John che non aveva alcuna idea di cosa passasse per la testa del marito, stava per chiedergli su cosa stesse riflettendo e se avesse già capito qualcosa del caso solo sulla base dell’sms, quando  il detective esordì con una frase che lo spiazzò « Sai, verrà il giorno in cui dovremo rivedere le nostre priorità »

« Cosa intendi? »

« Mi piacerebbe poter correre per sempre per Londra, evitare pallottole, esplosioni, noi due contro il resto del Mondo ma verrà il giorno che qualcuno non più intelligente di noi ma semplicemente più giovane e atletico ci metterà all’angolo. Vorrei evitarlo, magari avremo un o una nipote di cui occuparci e da educare, stando attenti che non abbia preso qualche tratto dal nonno sbagliato »

« Era appena riuscito a dimenticare Moriarty ed ecco che rischio di trovarmi un nipote che mi fissa come lui. Avrò gli incubi tutta la notte » rispose un po’ infelice, ma Sherlock sapeva che se riusciva a scherzarci sopra voleva dire che le preoccupazioni stavano in parte passando.

« Tranquillo, lo indirizzeremo verso un lavoro ordinario, tipo il capostazione » affermò il detective sbadigliando ed entrambi scoppiarono a ridere.

Nonostante tutto il trambusto della giornata appena trascorsa, le cose erano finite per il meglio. Mycroft aveva deciso di chiudere un occhio sui furti della famiglia del Granduca, dato che erano stati messi in atto sotto ricatto. Grace aveva deciso di perdonare Christopher con una facilità che a Sherlock ricordò molto l’incredibile capacità di John di passare sopra alle cose, salvo tirarle in ballo ogni volta che stavano litigando. Naturalmente l’eccesso di emozioni della giornata aveva fatto propendere per il ritorno a casa di tutti quanti, senza continuare il week-end nella villa. Troppe cose erano successe e dovevano essere digerite, ma di una cosa ormai erano tutti certi: Grace e Christopher si sarebbero sposati e alla fine ne erano anche felici.

« Parlavi sul serio prima? Davvero mediti di andare in pensione? Di appendere il cappello al chiodo? » chiese ad un tratto John, anche lui pensieroso su quello che gli avrebbe riservato il futuro. Non si era mai soffermato a come sarebbe stata la loro vita senza i casi, aveva sempre pensato che Sherlock non avrebbe mai smesso, che anche con il bastone avrebbe seguito qualche psicopatico in giro per Londra, che nemmeno lui sarebbe riuscito a trattenerlo a casa.

« Potremo seguire casi meno movimentati, tutto qui. Poi c’è sempre quel cottage nel Sussex che ci aspetta, quello che ci ha lasciato quel cliente apicoltore per ringraziarci  »

Sorrisero prima di sentire l’inconfondibile bussata di un cliente.

« Non abbiamo chiuso la porta d’ingresso? » fece John.

« Evidentemente no, deve essere il paziente di Mike » rispose mettendosi seduto composto « E’ aperto » gridò allo sconosciuto.

Fece il suo ingresso un uomo con un abbigliamento sobrio, giovane, non oltre i 25 anni con un viso dai lineamenti marcati. Era pallidissimo, come in preda ad una forte agitazione e aveva una mano avvolta in un fazzoletto tutto insanguinato.

« Ingegnere, dov’è il suo pollice? » chiese Sherlock, facendosi serio e attirando così l’attenzione di John su due particolari: la professione dell’uomo e il fatto che quel fazzoletto nascondeva una gravissima ferita, non un semplice taglio.

« E’ rimasto dove mi è stato tagliato » rispose a fatica l’uomo.

« Sembra interessante, si accomodi mentre il dottor Watson le medica la ferita » rispose Sherlock rivolgendo uno sguardo complice a John che si era già alzato per prendere tutto l’occorrente per occuparsi del giovane.

« E tutto quello che avevi detto due secondi fa? I casi troppo movimentati, l’età… » iniziò ad elencare il marito.

« Non ho detto subito, la pensione può aspettare, John. Il gioco è iniziato »


T H E  E N D


Angolo autrice
Ciao a tutti e grazie, grazie, grazie a chi ha letto e soprattutto a chi ha portato pazienza e seguito la storia fino alla fine, nonostante lo hiatus.
E' un piccolo epilogo, una chiusura che funge anche per me da momento catartico per aver finalmente buttato alle spalle il momento di blocco creativo dovuto alla quarta stagione (o almeno lo spero), L’arrivo del giovane alla fine della storia è una citazione da “L’avventura del pollice dell’ingegnere” ovviamente dei racconti di Sherlock Holmes. Volevo chiudere in un modo che desse un’idea di Sherlock e John molto canonici, sia rispetto alla serie che rispetto ai romanzi, spero vi sia piaciuto. Non so se qualcuno si aspettava più particolari su Grace e famiglia, per me al centro della storia ci sono sempre stati John e Sherlock e con loro volevo concludere.
Un grazie particolare, in rigoroso ordine alfabetico, a Alwais, Blablia87, calock_morgenloki, Chappy_, CreepyDoll, Emerenziano, Evola_love_Beatles,fefi97,  idasg93, Koa, Melapple, Mikimac e tooflooffy_99 per tutte le recensioni, siete fantastiche!!!
Un abbraccio e spero a presto

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