Non sarà un'avventura

di Princess_of_Erebor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Soltanto un sogno ***
Capitolo 2: *** Casa Baggins ***
Capitolo 3: *** Il segno ***
Capitolo 4: *** Il sangue dei Tuc ***
Capitolo 5: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 6: *** Una lama al chiarore dell'alba ***
Capitolo 7: *** Imladris ***
Capitolo 8: *** Tempesta sulle Montagne Nebbiose ***
Capitolo 9: *** Questione di fiducia ***
Capitolo 10: *** Verso la libertà ***
Capitolo 11: *** Segreti e rivelazioni ***
Capitolo 12: *** Il sapore dei sogni ***
Capitolo 13: *** L'ombra del dubbio ***
Capitolo 14: *** Il Signore delle Argentee Fonti ***
Capitolo 15: *** La promessa ***
Capitolo 16: *** Una finestra sul passato ***
Capitolo 17: *** Amore fraterno ***



Capitolo 1
*** Soltanto un sogno ***





CAPITOLO I

Soltanto un sogno







May si ritrovò seduta sul letto, tremante, avvolta dall’oscurità.
Aveva il cuore in gola e non poté impedire ad una lacrima di scivolare lungo la guancia accaldata: si sentì una sciocca, in fondo era stato soltanto un sogno.
Di nuovo.
La solita domanda tornò a martellarle in testa: che significava quel sogno?

Accese la piccola lampada a forma di gatto che la guardava – buffa e impassibile – dal comodino, fendendo il buio coi suoi colori ad intermittenza; aveva bisogno di riflettere, tanto per quella notte non avrebbe chiuso occhio. Doveva trattarsi di uno strano scherzo della sua mente ossessionata da “Lo Hobbit”.
“Sono diventata pazza”, pensò, “a forza di leggere il libro e guardare i film. Eppure, non credo che… No, la mia ossessione non potrebbe comunque spiegare lo stesso incubo che mi tormenta ogni notte da più di una settimana".
Rabbrividì e si strinse nelle lenzuola.
In quel sogno, May vedeva se stessa camminare a piedi nudi in un giardino illuminato dalla luna; d’un tratto, il suo sguardo veniva attirato da una statua in pietra dalla forma bizzarra. No, era una piccola fontana elfica. Ecco cos’era: lo Specchio magico di Galadriel! D’istinto, si avvicinava; non poteva farne a meno in realtà, era come se una forza sconosciuta la spingesse in quella direzione. Un po’ esitante, May lanciava un’occhiata sulla superficie della fontana: solo stelle, che si riflettevano sull’acqua scura.
Poi la visione cambiava: immagini inquietanti si susseguivano vorticose dinanzi agli occhi strabiliati della giovane donna. Imponenti montagne e ululati selvaggi… L’occhio minaccioso di una strana creatura, forse un serpente o un drago… Spade e scudi, fuoco e sangue… Figure orribili e grida di battaglia… E poi...
May chiuse gli occhi, soffocando un singhiozzo.
Le ultime immagini mostrate dallo Specchio erano talmente realistiche da bloccarle il respiro. Immagini strazianti a lei, purtroppo, ben note: un giovane corpo senza vita dai biondi capelli al vento, che veniva gettato da un dirupo. Due brillanti occhi scuri che si chiudevano per sempre, sigillati da una disperata lacrima di amore mescolato al dolore. L’ultimo, flebile sorriso di un indomito guerriero all’amico che gli teneva la mano, benedicendola col suo pianto.
A quel punto, May sentiva una voce familiare che pronunciava severa queste parole, chiamandola per nome: “Devi andare!”.
“Gandalf!” gridava sconvolta, svegliandosi di soprassalto.

Dov’è che doveva andare? Cosa doveva fare?
Tanto per cominciare, doveva smetterla di pensare a hobbit, nani e tutto il resto.
Spense la lampada e sprofondò la testa nel cuscino. “Era soltanto un sogno”, sospirò.





















Nota dell'autrice:

Eccola qui: la mia prima storia pubblicata su EFP.
Una storia di battaglie, di speranza, di avventura, di amore, di terrore, di giustizia, di amicizia. Ma definirla così è alquanto sbrigativo, oltre che riduttivo.
Questo è un racconto basato su "Lo Hobbit", libro e film, che narra le vicende di una giovane donna del nostro secolo, una grande appassionata di Tolkien e delle trilogie di Peter Jackson che si ritrova "per magia" nella Terra di Mezzo e... Beh, il resto dovrete scoprirlo voi!
In questo mio progetto, al quale sto lavorando da mesi, sono racchiusi il mio impegno più assoluto; le mie conoscenze; la mia quotidianità; la mia sconfinata ed immensa passione per il mondo fantastico creato dal Professore e, non da ultimo, il mio tempo prezioso.
Confesso che ci sto mettendo tutta l'anima per renderlo un piccolo romanzo degno di essere letto!
Mi auguro di avervi incuriosito quanto basta da indurvi a proseguire con la lettura. Se la mia storia vi intriga e vi emoziona, fatemi avere un vostro parere: per me è davvero importante. Attendo con impazienza le vostre recensioni!
Per concludere: questo racconto è ispirato e dedicato ad un personaggio per me molto, MOLTO speciale.

Claudia








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Capitolo 2
*** Casa Baggins ***





CAPITOLO II

Casa Baggins







Il delicato fruscìo dell’erba profumata che si piegava sotto il peso dei suoi passi, aveva fatto venir voglia a May di togliersi le scarpe da tennis e correre a piedi nudi su per il sentiero che conduceva a Casa Baggins. Era una splendida serata di fine Aprile; il cielo, un maestoso manto scuro puntellato di stelle.
La Contea era un posto incantevole persino di notte, con le lanterne che illuminavano le piccole strade e quelle innumerevoli luci rosse e dorate, che spuntavano dalle finestre tonde delle graziose dimore hobbit scavate in verdi collinette. Regnava un silenzio di pace nell’aria fresca, interrotto solo dal rumore di piatti e posate che giungeva da alcune finestre aperte o dagli usci; una “musica” tipica dell’ora di cena, considerò May. E lei sapeva bene quanto gli hobbit tenessero ai pasti! Dovano essere regolari, frequenti e abbondanti. Sorrise tra sé e sé: “Finalmente un sogno piacevole… Basta incubi sulla Terra di Mezzo!”.
Si rese conto che non stava affatto sognando quando, dopo aver dato due bei colpi – senza pensarci su e senza sapere perché – alla porta rotonda di Casa Baggins, si ritrovò faccia a faccia con Gandalf il Grigio, che non appena la vide inarcò le sopracciglia: “Sei in ritardo”.
Prima che May avesse il tempo di pensare o replicare, era già nel vestibolo; la porta tonda, chiusa alle sue spalle. Lo stregone la fissava coi suoi occhi azzurri e penetranti, che la fecero sentire più piccola di una briciola; egli non proferiva parola, eppure lei lo sentiva. Che strano: era come se Gandalf stesse comunicando col pensiero!
Improvvisamente, May credette di capire: gli incubi, le immagini dolorose e quella voce severa. Realizzò che doveva essere in quel posto, proprio quel giorno… Ma a quale scopo?

La voce de lo hobbit in persona la fece sobbalzare. “Bilbo Baggins, al vostro servizio!”.
Sembrava frastornato e affannato, ma ciò non gli impedì di inchinarsi, con un caldo sorriso stampato sul volto.
May ricambiò l’inchino e il sorriso: “Al vostro servizio e della vostra famiglia!”. Si era accorta di tremare, ma per lo meno aveva il buon senso di mostrarsi educata!

“Sarai infreddolita, mia signora! Lì puoi trovare abiti caldi e puliti. Ci starai un po’ stretta, sai, è roba hobbit (naturalmente era passato al “tu”, il che fece sentire May a suo agio)”. Bilbo indicò una piccola sedia vicino alla porta d’ingresso, ove erano appoggiate giacche, cappotti e altri capi di vestiario.
“Mi perdonerai”, sospirò, “Se non ho di meglio da offrirti… Siamo stati informati del tuo arrivo non più di mezz’ora fa!”.
Siamo? Dunque, Bilbo aveva ospiti! Un vago sospetto si fece strada nella mente di May.

“Ah”, proseguì lo hobbit notando i piedi nudi della giovane ospite, “C’è anche un paio di stivali: credo appartengano ad uno dei nani più giovani, sono stati preparati apposta per te. Coraggio, la cena ti attende!”. Bilbo sorrise di nuovo e May ringraziò.

Mentre lo hobbit si allontanava, la fanciulla fu sopraffatta dall’emozione: aveva appena conosciuto Bilbo!
E nell’altra stanza erano riuniti i nani al completo! Si trovava a Casa Baggins… Che scherzo era mai questo?!
No, tutto ciò non poteva essere reale… Stava ancora sognando, era ovvio! Per accertarsene, non esitò a sollevare con due dita uno spesso strato di pelle dell’avambraccio e stringerlo con tutta la forza che aveva: faceva male!
Dalla sala da pranzo provenivano risate sonore e schiamazzi; May riconobbe le voci dei nani e fu colta dal panico. Non si sentiva pronta ad affrontare tredici paia di occhi fissi su di lei, senza contare quelli di Bilbo e Gandalf… I nani non sapevano nulla sul suo conto, mentre lei conosceva molto o addirittura tutto di loro.
Cosa dire? Come comportarsi?
“Potrei sempre filarmela”, si disse. Sarebbe bastato afferrare la maniglia della porta e fuggire via… Già, ma dove? “Cosa ti viene in mente… May, sei una perfetta idiota!”.

Con indicibile stupore, la giovane si rese conto che il sogno della sua vita si stava magicamente realizzando e provò una paura folle. Si domandava come mai fosse stata catapultata in una realtà immaginaria, benché avesse la netta sensazione che non avrebbe ricevuto alcuna spiegazione da Gandalf, per lo meno non subito. Il suo destino le era ignoto, ma ormai era “in ballo” e doveva ballare. Non intendeva rovinare quel primo incontro con i suoi adorati eroi, perciò tirò un respiro profondo e gettò uno sguardo sulla poltrona.
Si affrettò a scegliere una giacca e raccolse gli stivali: non poteva certo presentarsi scalza o con le scarpe sportive! Il proprietario doveva avere un piede grande il doppio del suo, se non di più, ma per il momento si sarebbe adattata.
Infilò la giacca verde sopra la maglietta e indugiò nell’atrio; il cuore le martellava nel petto e non si sarebbe mossa di un millimetro, se Gandalf non le fosse venuto incontro per condurla nella sala da pranzo. Al suo ingresso, May fu accolta da un silenzio generale: ognuno dei presenti tacque, posando nel piatto la propria porzione di cibo (o ingoiandola intera all’istante, nel caso di Ori) e il proprio boccale di birra sul tavolo, per scrutare la nuova arrivata. Persino Bombur rimase col braccio sospeso a mezz’aria, scordando per un attimo il suo pollo freddo.
Dopo che Gandalf ebbe annunciato la fanciulla, i nani si alzarono in piedi inchinandosi uno dopo l’altro e presentandosi a loro volta… Tutti, tranne Thorin Scudodiquercia. Egli non aveva bisogno di presentarsi. May rivolse un timido sorriso a ciascun nano e un profondo inchino a Thorin, il quale rispose con un lieve cenno del capo.
Bilbo andava e veniva dalla sala da pranzo, borbottando sottovoce; era visibilmente seccato, ma nessuno pareva farci caso.
Il baccano iniziale non tardò a riprendere e May trasse un sospiro: l’attenzione dei nani si era spostata sul cibo, almeno per il momento. Non poteva evitare di sentirsi a disagio, in fondo non è piacevole essere scrutati da cima a fondo in quel modo, specialmente da loro.
Scherzi e scoppi di risa risuonavano tra i commensali, mentre il capo della compagnia consumava il suo pasto in silenzio, seduto a capotavola; egli non ruttava, né gridava, né parlava masticando cibo… Il suo atteggiamento era regale.
Gandalf, seduto accanto a lui, faceva grandi anelli di fumo con la pipa.
La giovane osservava rapita quei personaggi fantastici che ogni giorno, ormai da anni, sognava ad occhi aperti e che finora aveva ammirato solo tramite uno schermo… Era deliziata e una punta di commozione la colse impreparata. In quel mentre, Bofur si alzò per farle posto sulla panca e May sedette tra lui e Dwalin.

“E’ un po’ bassina per essere una donna”, bofonchiò Ori, tracannando il suo terzo boccale di birra da mezzo litro.
“E anche piuttosto magra!”, aggiunse Dori.
“Ve l’aspettavate grassa come Bombur?”, concluse Kili con un ghigno.
Seguì una risata generale. May non era per nulla offesa o infastidita: si sentiva a casa.
Gandalf la guardava di sottecchi: le labbra, curvate in uno scaltro sorriso.

La fanciulla aveva l’impressione di trovarsi in un mondo perfetto: il suo mondo. La Terra di Mezzo le apparteneva da sempre, senza tuttavia poterne far parte; si sentiva come un esiliato che si strugge ogni giorno dal desiderio di rivedere il suo paese natìo. Adesso che era lì, sentiva che niente avrebbe potuto renderla più felice.
Anche se… “No May, adesso non cominciare” si rimproverò, abbassando lo sguardo e giocando nervosamente con le mani. “Non rovinare tutto con le tue sciocche fisse, degne di un’adolescente!”.
Da quando aveva messo piede nella sala da pranzo, ella stava evitando in tutti i modi che i suoi occhi si posassero sull’unico membro della compagnia per il quale aveva un debole: Fili, nipote primogenito di Thorin e fratello maggiore di Kili. Durante le presentazioni, egli si era alzato in piedi subito dopo Balin e gli occhi di May avevano incontrato i suoi, per un attimo; le era mancato il respiro.
In tutta onestà, May non avrebbe saputo dire cosa le piacesse di Fili: se l’indole sensibile, o il suo essere premuroso verso il fratello minore… O ancora la sua innocente caparbietà… C’era purezza nei suoi modi di fare; bontà e dolcezza, nel suo sorriso. Forse era tutto questo insieme, o forse altro. Sapeva soltanto che, se per assurdo avesse potuto scegliere qualcuno da amare nella Terra di Mezzo, sarebbe stato lui.
Seduta alla mensa di Bilbo, May realizzò quanto fosse ridicola la propria infatuazione; rise di sé e alzò lo sguardo. In quell’istante, vide un nano che le porgeva un piatto con formaggio, frutta secca e miele: era Fili.

“Devi perdonarci, mia signora… Noi nani siamo alquanto chiassosi quando sediamo a tavola!” disse, sorridendo gentilmente. “Voglio sperare che questo non smorzi il tuo appetito… Sarai affamata, prendi!”.
May distinse a malapena le parole pronunciate da Fili: i suoi occhi erano fissi su quelli di lui. Oh, quegli occhi! Le ricordavano il blu intenso del mare d’estate e il cielo terso di primavera… E quelle trecce dorate erano raggi di sole accecanti, per occhi non avvezzi alla luce. E quel sorriso... Avrebbe dissipato qualsiasi nuvola di tempesta.
“T-ti ringrazio” balbettò May, afferrando il piatto e arrossendo. Si sentì sprofondare dall’imbarazzo e non riuscì a dire altro.
Fortunatamente per lei, Fili fu distratto da Ori che chiedeva cosa fare del suo piatto.
“Ci penso io, Ori. Dallo a me!”.
Con un’occhiata d’intesa al fratello, il giovane nano improvvisò un balletto lanciando il piatto in direzione di Kili, il quale lo afferrò prontamente intonando il primo verso; Fili cantò il secondo e tutti gli altri si unirono a loro, mentre le posate battevano ritmicamente sul tavolo e i piatti volavano allegramente per la stanza.

Spuntar lame neanche poco
Romper bottiglie e tappi al fuoco
Scheggiar coppe con tutto il resto
Questo Bilbo lo detesta!

May rideva di gusto: quello spettacolo era di un piacere impareggiabile! C’era chi lanciava un piatto e chi lo riprendeva ballando; chi lo faceva scivolare da un capo del tavolo e chi lo recuperava dall’altro; chi lavava e chi asciugava. Il tutto, condito da una frizzante armonia di voci e squisita organizzazione.
Il canto proseguiva tra l’allegria generale e lo sconcerto del povero Bilbo, che tirò un respiro di sollievo solo quando – a canzone terminata – vide le sue amate stoviglie sane e salve.
Poco dopo, Gandalf gli chiese di fare un po’ più di luce e lo hobbit obbedì. Allora i nani sedettero nuovamente attorno al tavolo, assumendo un’aria pensierosa e vagamente inquieta: May capì che era giunto il momento di discutere dei loro piani. Dal lato del tavolo in cui ella sedeva, lanciò una fugace occhiata alla mappa srotolata da Gandalf che conosceva in ogni dettaglio; sentì parlare della Montagna Solitaria, di Smaug il Terribile e della difficoltà nel portare a termine un’impresa che avrebbe richiesto un numero ben maggiore di nani guerrieri. Conoscendo il genere di pericoli che avrebbero presto sfidato, May provò una profonda pena, al punto che avrebbe voluto alzarsi e gridare a tutti di non partire, di tornarsene alle loro dimore sulle Montagne Azzurre e lasciare che la ricchezza del loro popolo restasse sepolta sotto le scaglie del drago.
Ma non poteva. Prima di tutto, essi non sapevano che ella sapeva, a parte Gandalf; inoltre, come avrebbe potuto permettersi di guardare negli occhi il grande Thorin Scudodiquercia e suggerirgli di rinunciare a qualcosa che gli spettava di diritto?

“Saremo pure pochi di numero, ma siamo combattenti! Tutti noi, fino all’ultimo nano!”.

Un pugno deciso battuto sul tavolo scosse May dalle sue riflessioni: la voce era quella di Fili e il suo cuore ebbe un sussulto. Sarebbe diventato un grande Re, se solo… No, non poteva nemmeno pensarci. Le tornò alla mente quel maledetto sogno in cui lo vedeva morire… Un’immagine orribile, che su di lei aveva un effetto simile a quello di una coltellata.
Trattenne le lacrime e si voltò a guardarlo: gli occhi di Fili erano fieri e dolci al tempo stesso. Egli si accorse che lei lo stava osservando e sorrise timidamente. May gli restituì il sorriso, dopodiché – non sapendo da che parte guardare – prese una fetta di formaggio dal piatto e si decise a cenare (o a far finta), benché non avvertisse affatto lo stimolo della fame.
Finché durò il convegno dei nani, May rimase immersa nei propri pensieri. Stava ancora piluccando la cena, quando una voce alla sua destra la fece trasalire.

“Allora, giovane straniera: qual è l’arma da combattimento che preferisci?”.

Thorin aveva preso il posto di Dwalin accanto a lei, sulla panca, e la scrutava con una certa curiosità.
Gli sguardi dei presenti erano tutti puntati sulla fanciulla, ma quello di Thorin era il più penetrante di tutti; impossibile sostenerlo senza sentirsi in soggezione.
May era consapevole del fatto che quanto stava per dire non sarebbe stato gradito, tuttavia le era stata posta una domanda e – volente o nolente – doveva rispondere.

“L’idea di maneggiare una spada non mi dispiace affatto, signore, benché io debba ammettere di non aver mai combattuto in vita mia”.

Thorin corrugò la fronte: “Lo immaginavo”.
May chinò il capo: aveva il viso in fiamme e, per la prima volta quella sera, si sentì fuori posto.

“Gandalf è stato chiaro: avremo bisogno sia della ragazza che del mezzuomo per portare a termine la missione”, intervenne Balin seduto all’altro lato del tavolo, reggendo in mano l’ennesimo boccale di birra.

May sgranò gli occhi: partire in missione? Lei?! Forse avevano inteso male.
Gandalf non aveva minimamente accennato alla cosa. Non che loro due si fossero parlati, in effetti... A proposito, dov’era andato a finire? Lui e Bilbo non erano più nella stanza e May se ne accorgeva solo in quel momento.

“Perciò, caro il mio Thorin, non abbiamo altra scelta che fidarci del nostro stregone… E di lei!”, concluse il Nano dalla barba bianca biforcuta indirizzando un occhiolino a May, che finalmente sorrise.

“Non preoccuparti, zio: posso insegnarle ad usare la spada! E dal momento che lei ha preso in prestito i miei stivali nuovi senza chiedere il permesso, è in debito con me e farà tutto ciò che le ordinerò!”.
La burla di Kili, che in un angolo della stanza fumava tranquillo la sua pipa seduto accanto al fratello, alleviò non di poco la tensione di cui l’aria era satura; il nano rivolse a May un gioviale sorriso rassicurante e lei si sentì davvero in debito con lui.
Le parole di Kili avevano infuso nel suo cuore una strana speranza.

Thorin sembrava messo alle strette. Gettò un’ultima, rapida occhiata alla giovane e sospirò.
“E sia. Dalle il contratto, Balin!”.

Spulciando le prime righe, May notò che era lo stesso tipo di contratto destinato a Bilbo.
“Non sei obbligata a firmarlo”, precisò Balin mentre glielo porgeva, “Né a firmarlo subito. Dormici su, ragazza mia!”.
Con un sorriso bonario il nano si allontanò, seguito da Thorin. May ne approfittò per dirigersi verso l’uscio, col contratto tra le mani: aveva bisogno di pensare. Ma voltato l’angolo del corridoio s’imbatté in Bofur, mentre chiudeva la porta di quello che doveva essere il salotto di Casa Baggins.

“Sai dove sono finiti Bilbo e Gandalf?”, domandò lei.
“Qui dentro. Sono venuto a vedere come sta lo scassinatore”.
“Perché, non si sente bene?”.
“Oh beh, ha avuto un problemino durante la lettura del contratto… E’ svenuto!”.

May si trattenne dal ridere. Sapeva che sarebbe successo, del resto leggere dell’incenerimento da drago sarebbe stato troppo per chiunque.

“Mi dispiace. Si sente meglio, adesso?”.
“Decisamente! Gli ho portato dell’acqua fresca, ora è seduto tranquillo sulla poltrona e sta chiacchierando con Gandalf”.
A May parve di scorgere una certa apprensione nel tono di voce del nano.
“Bofur, va tutto bene?”, azzardò a chiedere.
“Oh, certamente! Suppongo che il mio parlare di fornace con le ali e mucchietto di cenere abbia contribuito al malore del nostro piccolo anfitrione… Mi domando se questo hobbit sia davvero adatto alla missione…”.
“Esiste un solo modo per scoprirlo”.
Bofur annuì dandole un’amichevole pacca sulla spalla, prima di tornare dagli altri.

“E’ proprio un burlone dal cuore tenero”, osservò May.

Si fermò alla fine del corridoio; era sola, finalmente. Aveva appoggiato la schiena contro il muro, pronta a rivedere il contratto, quando un oggetto poco distante catturò la sua attenzione. La riconobbe all’istante: era una delle spade gemelle di Fili, poggiata su un’antica cassapanca di legno insieme ad altre armi. Evidentemente, il giovane nano l’aveva data in custodia al padrone di casa, fino al momento della partenza.
May si inginocchiò per osservarla da vicino; ne sfiorò la lama coi polpastrelli e ne ammirò l’elsa, di ottima fattura nanica. Amava quella spada. E amava il fatto che appartenesse a lui.
Chiuse gli occhi e, con dita tremanti, disegnò i contorni irregolari dell’arma. Vide Fili impugnarne l’elsa; lo vide affondare nel petto del nemico la lama scintillante al sole, spietato e impavido, con la chioma al vento. Ebbe un tuffo al cuore.
Improvvisamente, May sentì destarsi in lei il desiderio di impugnare una spada e avventurarsi sulle alte vette innevate, udire la melodia delle cascate, percepire la voce del vento, attraversare sentieri impervi e visitare paesi sconosciuti.

Lontano su nebbiosi monti gelati
In antri oscuri e desolati

La voce profonda di Thorin che intonava un canto la richiamò alla realtà di Casa Baggins.

Partir dobbiamo, l’alba scortiamo
Per ritrovare gli ori incantati.

I nani presero a cantare, uno dopo l’altro, imitando il loro capo; May tornò sui suoi passi e si fermò sulla soglia del salotto. L’atmosfera era solenne: quelle voci gravi parevano giungere dalle profondità della Montagna Solitaria.
La sua schiena fu percorsa da un brivido e il suo sguardo indugiò su Thorin, in piedi accanto al camino, gli occhi che contemplavano l’oscurità; gli altri formavano un cerchio attorno a lui, chi in piedi, chi seduto. Le candele erano spente, il buio aveva invaso la stanza. L’unica luce era quella del fuoco che, lentamente, andava spegnendosi.

Ruggenti pini sulle vette
Dei venti il pianto nella notte
Il fuoco ardeva, fiamme spargeva
Alberi accesi, torce di luce.






 

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Capitolo 3
*** Il segno ***





CAPITOLO III

Il segno
 





May sedette sul letto: il materasso era comodo, di quelli non troppo soffici su cui amava riposare.
Di dormire, comunque, non c’era verso. Se possibile, era anche più sveglia di quando aveva messo piede nella dimora di Bilbo. Avrebbe voluto gridare, esultare, ballare… Si sentiva scoppiare di felicità. Inondò il cuscino di lacrime e fu costretta a soffocare i singhiozzi, per non disturbare il silenzio.
Casa Baggins dal vivo era leggermente diversa da come l’aveva immaginata, ma diversa in meglio. Tutto, in quel posto, le era familiare: oggetti, suoni, volti. E quella cameretta, così accogliente e arredata con squisito gusto hobbit… Le lenzuola profumavano di cannella!
Si guardò intorno e notò un quadro appeso al muro; si alzò per dare un’occhiata e, alla luce della candela, riconobbe la mappa di Gran Burrone.
“Dovrei fare un ritratto a Bilbo”, pensò. “Farebbe bella mostra di sé, sulla parete del salotto!”.
Sfortunatamente non aveva matite con sé, né fogli di carta… Niente. Avrebbe dovuto fare a meno di comodità e tecnologia per qualche tempo, ma la cosa bella è che non le importava. Avrebbe solo desiderato condividere questa immensa gioia con qualcuno e il pensiero volò ai suoi amici, ormai talmente distanti da sembrare un lontano ricordo… Si domandava se avrebbe mai fatto ritorno nel mondo reale, sebbene qualcosa le dicesse che non sarebbe accaduto tanto presto, almeno non prima dell’adempimento della missione.
Ma qual era il suo ruolo, in questa missione? Non aveva idea di cosa Gandalf si aspettasse da lei.
Non aveva più visto lo stregone da quando egli si era ritirato in salotto con Bilbo, o meglio, l’aveva incrociato nel corridoio mentre lo hobbit la accompagnava in camera, ma soltanto per pochi secondi ed un “buonanotte May” era stata l’unica risposta allo sguardo ansioso che ella gli aveva indirizzato.

La bianca luce della luna penetrava attraverso la finestrella tonda che dava sul laghetto di Lungacque.
May spense la candela con un soffio e si avvicinò al largo davanzale; aprì la finestra, ma la richiuse in fretta a causa di un colpo d’aria fredda che la fece starnutire, quindi infilò la vestaglia che Bilbo le aveva prestato per la notte – un tantino corta, ma non stretta – e suoi occhi vagarono tra le stelle, in cerca di risposte. Sospirò. “Che devo fare?”.
Il contratto che Balin le aveva consegnato era posato sul comodino: doveva firmarlo? C’erano buone probabilità che non avrebbe fatto ritorno, se si fosse unita alla compagnia. L’espressione di Thorin era stata eloquente e le era bastata per capire che il pensiero di lui non differiva dal suo: di quale aiuto poteva essere, una donna che non aveva mai tenuto una spada in mano? Forse avrebbe trovato il modo di difendersi dai pericoli e con un pò di fortuna sarebbe sopravvissuta nelle terre selvagge, ma di fatto non era una guerriera. Sarebbe stata un peso, per sé e per gli altri.
Eppure, quali alternative aveva? Rimanere di guardia a Casa Baggins?
“Domattina Bilbo raggiungerà gli altri ed io farò una bella figura da codarda restando qui!”, pensò.
May si sentiva in trappola: non poteva partire e non poteva nemmeno restare. Avrebbe potuto chiedere a Gandalf di riportarla nel suo mondo, sempre che lui fosse disposto ad aiutarla…
Ma era davvero questo che voleva?

“Aspetterò un segno, qualcosa che mi aiuti a decidere”, si disse. “In fondo, ho tempo fino a domattina per firmare e il consiglio di Balin mi sembra buono. Troppe emozioni, per oggi: se non riesco a dormire, posso sempre riposare!”.
In quel momento, uno strano rumore le fece tendere l’orecchio: sembrava provenire dalla stanza accanto alla sua. Incuriosita, andò alla porta e l’aprì piano per ascoltare. Spinse il naso fuori e le venne da ridere: era uno dei nani che russava, forse più di uno. Stava per rientrare, quando attraverso il buio pesto del corridoio vide una fiammella che avanzava lenta, a pochi passi da lei; chiunque fosse si era senz’altro accorto della sua presenza e voltargli le spalle sarebbe stato scortese.
May sperò che si trattasse di Gandalf… Attese impaziente e finalmente la figura misteriosa di fermò di fronte a lei.

“Mia signora!”.

“Fili…”.

Lui. L’ultima persona che May si aspettava di vedere e l’ultima da cui avrebbe voluto farsi vedere! Aveva indosso una vestaglia hobbit, per non parlare dei capelli in disordine e degli occhi arrossati dal pianto. Sarebbe fuggita, se avesse potuto!

“Che ci fai ancora sveglia? E’ tardi!”.

“Ho provato a dormire, ma i miei occhi non vogliono saperne di chiudersi…”.
Fili la scrutò: alla fioca luce della candela notò che aveva pianto, ma non disse nulla.

“Dovresti comunque metterti a letto e cercare di riposare, mia signora…”.
“Puoi chiamarmi May”.
“Come preferisci, May”.
Il cuore di lei saltò un battito, nel sentire la voce di Fili pronunciare il suo nome.

Egli sorrise. “Giornata lunga, vero May?”.
“Più lunga del solito!” replicò lei, ricambiando il sorriso.
In quell’attimo, un breve gorgoglio risuonò lungo il corridoio e Fili si coprì la bocca con la mano libera, per non lasciarsi sfuggire una risata: lo stomaco di May brontolava impietoso. La povera fanciulla ringraziò il buio che le nascondeva le guance, ora in fiamme; non consumava un pasto decente da ore e all’improvviso si sentì affamata.

“Ti consiglio di mandare giù un boccone, se non vuoi che questi tuoni sveglino Casa Baggins al completo!” disse Fili, ridendo. “Ho un’idea: vieni con me!”.

Attraversarono il buio corridoio, debolmente illuminato dalla candela. May seguiva Fili camminando in punta di piedi e non si chiedeva dove stessero andando; era con lui e non le interessava nient’altro. Passando dal soggiorno ella vide Bilbo, che dormiva beato su un giaciglio di cuscini; le fece tenerezza. Era stata una giornata lunga anche per lui, pensò. Poco distante, due o tre nani respiravano rumorosamente nel sonno, chi su una sedia accanto al camino spento, chi sulla poltrona.
Fili entrò in cucina e posò la candela sul tavolo, prima di mettersi a frugare nella dispensa.
“Dolce o salato? Vediamo… Qui c’è del pasticcio di maiale: una misera porzione, ma suppongo sia meglio di niente… Le uova purtroppo sono terminate, in compenso è rimasta della crostata di mele… Oh, aspetta! Marmellata di lamponi! E caffè! E birra!”.

May sedette al piccolo tavolo, seguendo con lo sguardo ogni movimento di Fili.
“Pasticcio di maiale e crostata, grazie. Niente caffè, per l’amor del cielo… Accetto invece la birra!”.

“Come desideri, mia signor… Ehm… May!”.

Signor May?!”

Erano sul punto di scoppiare a ridere, ma si trattennero; parlavano sottovoce ed entrambi trovavano la situazione alquanto divertente.
“Te la cavi piuttosto bene nel fare le veci del padrone di casa…” bisbigliò May con ironia. “Sarò lieta di non trovarmi nei tuoi panni, quando il povero Bilbo si accorgerà che la sua dispensa è stata definitivamente saccheggiata!”.

“Tu non farai il mio nome, vero?”.

“Questo dipende da te…”.
Era bello scherzare con lui... May avrebbe continuato per tutta la notte.

“Ecco qua: può bastare, per il tuo silenzio?”.

Con un occhiolino, il giovane nano sistemò il cibo in tavola e versò la birra; nel porgere il boccale alla fanciulla, le loro mani si toccarono ed egli la sentì tremare. Un’insolita tenerezza gli riempì il cuore; Fili guardò May negli occhi e gli parve che il tempo si fosse fermato.
Chi era, quella giovane straniera dalla chioma corvina sulla quale indugiava così spesso il suo sguardo?
Una strana creatura che sembrava giunta fin lì cavalcando sulle ali di antiche leggende. Un misterioso essere che riuniva in sé la raffinata fragilità del cristallo e la consistenza della roccia.
Il suo sorriso riluceva come un diamante al sole… I suoi occhi erano come smeraldi incastonati nel cuore della terra… La sua voce soave sembrava custodire i più reconditi segreti del tempo.

Fili ne era incantato.

May abbassò gli occhi, mentre prendeva il boccale dalle mani di lui.
“S-sì, direi che può bastare, grazie!” rispose, rompendo un silenzio che parve interminabile. Non riusciva a reggere lo sguardo di Fili senza avvampare dall’imbarazzo e dall’emozione.
“E tu, come mai ancora in piedi?”. Ritenne opportuno cambiare argomento, prima di addentare il suo pasticcio di carne.

“Oh, sono rotolato giù dal letto grazie ad un calcio sferratomi nel sonno dal mio caro fratellino...”.

May portò una mano alle labbra per trattenere una risata; aveva la sensazione che Fili si stesse burlando di lei per evitare di rispondere alla domanda, ma non le importava.
“Parli seriamente?”.
“Oh, sì! Quand’eravamo piccoli dormivamo sempre insieme e, sai, capitava spesso che lui sferrasse calci durante la notte… Era molto vivace, persino nel sonno!”.
“Un pò ti invidio… Ho sempre desiderato avere un fratello! Sembrate molto uniti, voi due”.
“Lo siamo davvero. Devo ammettere che Kili ha il suo bel caratterino, ma sa come farsi voler bene. Credo che imparerai a conoscerlo, durante il viaggio!”.

Il viaggio.
May l’aveva quasi dimenticato! All’improvviso le tornò in mente il contratto e un’ombra offuscò i suoi pensieri; tacque.
Fili notò il cambiamento. “May, stai bene?”.
”S-sì… Credo di aver bisogno di dormire”.
“Certo… Andiamo, ti accompagno”.

Quando furono di fronte alla porta della camera, May lo ringraziò di nuovo.
“Oh, beh, non potevo lasciarti a pancia vuota per una notte intera! Ora và e riposa: domani ci aspetta una giornata dura. La prima di una lunga serie, suppongo!”. Mentre parlava, Fili la fissava negli occhi e sorrideva.
“Veramente, io…” May distolse lo sguardo e lui capì immediatamente.
“T-tu… Non hai intenzione di venire con noi?”.
“Non… Non ho ancora firmato il contratto”.
Il sorriso di Fili svanì e lei si sentì morire dentro. Cadde un silenzio penoso.

“Capisco”, disse lui infine. “Non temere: la notte ti porterà consiglio e sono certo che saprai prendere la giusta decisione. Buonanotte!”.
“Buonanotte, Fili…”.

La giovane donna rientrò in camera e si buttò sul letto. “Complimenti, May: hai rovinato il tuo primo appuntamento col nano dei tuoi sogni!” si disse, coprendosi il volto con le mani.


-s-s-s-


May aprì gli occhi; non sapeva che ora fosse, ma l’alba era passata da un pezzo, a giudicare dalla luce che inondava la stanza. Quante ore aveva dormito? Quattro, cinque? Forse anche di più.
Sollevò la testa dal cuscino e vide il contratto, piegato sul comodino; le tornò in mente quanto era accaduto poche ore prima e, ancora una volta, provò una fitta di dolore nel cuore. Aveva trascorso dei momenti magici in compagnia di Fili, momenti che avevano contribuito a far luce sulla natura dei suoi reali sentimenti per lui; quella notte, May si era resa conto di provare per Fili qualcosa che andava oltre la sua stessa comprensione. Non riusciva a perdonarsi il fatto di averlo deluso; tutti i nani contavano su di lei per la spedizione, incluso lui.
Già, lui
Improvvisamente, come un raggio di sole che squarcia le nubi nere, May non ebbe più dubbi.
Il segno era arrivato!

Tu devi andare!”… Come un’eco, la voce di Gandalf la raggiunse ed ella finalmente capì il vero significato di quelle parole che l’avevano tormentata per notti e notti: doveva partire per aiutare i nani a rivendicare Erebor. Doveva combattere al fianco di Fili.
Forse, alla fine non avrebbe potuto salvarlo, tuttavia avrebbe tentato. Lo avrebbe difeso in ogni modo possibile… A qualunque costo.

May si alzò: andò al comodino, intinse la penna nel calamaio e firmò il contratto.






 

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Capitolo 4
*** Il sangue dei Tuc ***





CAPITOLO IV

Il sangue dei Tuc






 
“Non l’hai ancora firmato?!”.

May aveva in mano il contratto di Bilbo e lui la fissava con un’aria vagamente colpevole; stavano finendo di fare colazione con quel poco che era rimasto in dispensa. I nani se n’erano andati senza salutarli – per non svegliarli – e avevano riempito i bagagli (e le pance) con tutto ciò che di commestibile erano riusciti a racimolare, così da non dover soffrire la fame nei primi giorni di viaggio.

“Non posso andarmene in questo modo, mia signora… Sono un Baggins di Casa Baggins!” puntualizzò Bilbo, con un certo orgoglio nella voce.

“Soltanto per metà. Dimentichi il sangue dei Tuc che scorre nelle tue vene! Lo spirito d’avventura alberga in te, signor Baggins, che la cosa ti piaccia o meno!”.
Bilbo la guardò sorpreso: quella giovane donna sapeva sul suo conto più di quanto si sarebbe aspettato.
Sebbene May avesse ragione, egli non era disposto a cedere; ci aveva già provato Gandalf a convincerlo, la sera prima, senza risultato alcuno.

“Come vuoi”, concluse May. “Vorrà dire che, se non parti tu, non parto neanch’io”.

La fanciulla posò il contratto sullo scrittoio e, forte del piano che aveva in mente, frugò tra le carte di Bilbo, proprio sotto il naso de lo hobbit; scelse un foglio di cartapecora che le pareva adatto e, intinta la penna nel calamaio, cominciò a disegnare. I suoi occhi si spostavano continuamente dal foglio a Bilbo e viceversa, mentre lo hobbit la osservava con finta aria indifferente, sorseggiando la sua tazza di caffè davanti alla finestra aperta che dava sul giardino.

“Ecco fatto! Tieni!”. May aveva finito.
Bilbo allungò la mano per prendere il foglio e – meraviglia! – si ritrovò ad ammirare una perfetta copia di se stesso. “Per tutte le Foglie di Pianilungone, questo è il più bel ritratto che io abbia mai visto!”, esclamò con stupore. “Dunque è questo il tuo mestiere? Sei un’artista?”.
“Oh… Beh… Sì, qualcosa del genere!”, replicò la giovane con poca convinzione. “Ma non è questo il punto…”.
May prese il ritratto dalle mani de lo hobbit e lo appoggiò sulla mensola del camino, accanto ad un piccolo quadro appeso alla parete.

“Il punto è: lo vedi il ritratto del tuo proprozio? Lui era un Tuc e tu conosci meglio di me le sue gesta, Bilbo. Egli avrebbe potuto benissimo tirarsi indietro, invece cosa fece? Montò a cavallo, andò in battaglia e tornò vincitore! Del resto, se Gandalf ha scelto te per questa missione, una ragione ci sarà… Tutti i nani contano su di te, caro signor Baggins. Sei assolutamente certo che non ti pentirai della tua decisione per il resto dei tuoi giorni?”.

Bilbo sospirò. Guardò nuovamente il ritratto di May, poi quello del suo antenato, e ciò fu sufficiente per ridestare quel coraggio che dormiva in lui da molto, troppo tempo.

“Siamo ancora in tempo per raggiungerli, mia signora?”.
“Naturalmente! Ah, Bilbo…”.
“Sì?”.
“Chiamami May!”.

Prepararono i bagagli in fretta e furia e, prima che avessero il tempo di domandarsi se avevano scordato qualcosa, si ritrovarono a correre giù per il sentiero, alla massima velocità consentita dai loro piedi. Nonostante Bilbo avesse le gambe più corte rispetto a quelle di May, correva più in fretta e la fanciulla gli stava dietro a fatica.

“Hey, dove andate?”, gridò uno hobbit dal largo cappello.
“Non possiamo fermarci, è già tardi!” rispose Bilbo senza voltarsi, sventolando il contratto con la mano.
“Tardi per cosa?”.
“Stiamo partendo per un’avventura!”.





 
 

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Capitolo 5
*** Un nuovo amico ***





CAPITOLO V

Un nuovo amico







May lasciò scivolare dolcemente la mano sul pelo lungo di un bell’esemplare di pony: era nero come la notte scura senza stelle, con un’elegante striscia bianca che, partendo dalla nuca, sfumava in mezzo alle narici. Era stato Kili a portarlo da lei, su ordine di Thorin.
Gandalf e gli altri avevano già percorso un bel tratto di strada quando lei e Bilbo li avevano raggiunti, ansimanti e accaldati; tirava una leggera brezza primaverile, ma era quasi mezzogiorno e il sole picchiava forte.
“Benvenuta nella compagnia di Thorin Scudodiquercia, straniera! Guarda guarda: ci sai fare con gli animali!”. Kili osservava con evidente curiosità May e il pony, il quale strusciava il muso contro la guancia della nuova padrona, quasi volesse darle il benvenuto. Lei pensò di dovergli dare un nome, dal momento che l’avrebbe cavalcato per giorni interi.

“Se fossi in te, non mi affezionerei troppo… E’ solo un animale, senza contare che potrebbe andare smarrito nel corso della spedizione!”.
May alzò gli occhi e vide Thorin che la guardava, seduto sul suo pony color caffellatte: il capo della compagnia aveva indovinato i suoi pensieri e quello sguardo, come il tono della voce, tradiva una leggera disapprovazione.
“Grazie di avermi illuminato, zio! Ho sempre sospettato di essere un animale, ma spero proprio che non mi perderete durante la spedizione!”.
Tutti i nani, eccetto Thorin, esplosero in una risata fragorosa e May fece altrettanto; sentiva che tutti loro avrebbero avuto bisogno delle allegre facezie di Kili nei giorni a venire. La fanciulla montò il suo pony, aiutata dal giovane nano, e si meravigliò di quanto fosse semplice cavalcare; all’inizio si sentì un pò goffa, ma non ci volle molto per accorgersi che le veniva naturale. Lo trovava assolutamente piacevole.

“Quel cavallino ti adora! Hai già deciso come lo chiamerai?”.
Kili trottava al fianco della giovane compagna e sembrava studiarne ogni singolo movimento; quella graziosa straniera, come gli piaceva chiamarla, aveva dei modi singolari che lo facevano sorridere. Un po’ più avanti, Gandalf e Thorin cavalcavano l’uno accanto all’altro, in testa alla fila.
“Chi ti dice che gli darò un nome?”, chiese May di rimando.
“Tutti i cavalieri affibbiano un nome all’animale che montano, sempre che non ne abbia già uno. I meno dotati di fantasia sono soliti optare per hey bello, oppure piccolo, o amico…”, precisò Kili.
“Ma hey bello non è affatto un nome!”, obiettò May con una smorfia.
In quel mentre, un oggetto scuro volò sopra la sua testa per atterrare prontamente tra le mani di Gandalf.
“E quello cos’è?” domandò, rivolgendosi a Kili.
“Un sacchetto di monete”.
“Che significa?”. May naturalmente conosceva la risposta, ma pensò che sarebbe stato divertente sentirla da lui.
“Hum, hanno fatto scommesse…” rispose Kili sogghignando, “Se tu e Bilbo sareste o no ricomparsi. La maggior parte, devo confessarlo, ha puntato sul no”.
“E tu che pensavi?”.
“Kili, avanti! Paga!”. La voce di Nori alle loro spalle giunse con la risposta alla domanda di May.
Lei lanciò un’occhiata di finto biasimo al giovane nano e sorrise con ironia: “Ah è così, dunque!”.
“Non crucciarti, straniera. Qui ci sono alcuni che non hanno dubitato di voi neanche un secondo!”.
Gandalf per esempio, pensò May.
E Fili? Aveva scommesso anche lui? Da quando ella aveva raggiunto la compagnia non gli aveva rivolto nemmeno un’occhiata, presa com’era dal pony e tutto il resto. Si voltò: lo vide cavalcare tranquillo a metà della fila, alla sinistra di Bilbo. Quando si accorse che May gli sorrideva, Fili distolse lo sguardo, senza l’accenno di un sorriso o di un saluto.
Il volto della giovane donna si rabbuiò di colpo: perché tanta freddezza? Poche ore prima avevano riso e scherzato insieme, come se si conoscessero da sempre. Sentiva che tra loro si era creata una strana intimità… Era solo un’impressione? Aveva letto una certa delusione negli occhi di lui, nel momento in cui gli aveva confessato di non aver firmato il contratto; adesso che lei era lì – e sarebbe rimasta con loro fino alla fine – non c’era motivo di non ricambiare uno straccio di sorriso!
“Te la stai prendendo troppo”, si rimproverò. “Magari era semplicemente sovrappensiero!”.

“Etciù!”.
Lo starnuto di Bilbo la fece quasi sobbalzare e May considerò che quella sovrappensiero, dopotutto, era lei: non si era accorta di aver rallentato l’andatura, rimanendo così in fondo alla fila insieme a lo hobbit, che ora le cavalcava accanto. C’era da ridere, nel vederlo così sofferente e impacciato sul suo pony recalcitrante! Avrebbe voluto dargli qualche buon suggerimento ma non disse nulla, per non ferire i suoi sentimenti; del resto, il viaggio era appena iniziato e i consigli potevano aspettare.
“Il crine di cavallo, sai… Mi fa reazione!”. Bilbo tirò su con il naso, frugando nelle tasche.
“Ecco, prendi il mio fazzoletto. Ne porto sempre uno di riserva con me, non si sa mai!”.
May era felice di potergli essere utile. Lo hobbit ringraziò e sorrise: quella fanciulla dai modi gentili sarebbe diventata un’ottima compagna di viaggio.
“Temo che per qualche tempo dovremo fare a meno di comodità quali fazzoletti da taschino e tante altre cose”, sospirò lei pensierosa. “Casa è ormai alle nostre spalle!”.
“A proposito di casa: com’è andato l’incontro clandestino della scorsa notte? Spero che tu e il tuo amico abbiate trovato la mia dispensa di vostro gradimento!”.
Senza attendere risposta, Bilbo cavalcò avanti con un sorrisetto malizioso, lasciando May a bocca aperta e rossa in viso.


-s-s-s-


Il paesaggio era mutato: le verdi e ridenti contrade abitate dai mezzuomini avevano ceduto il posto alle Terre Solitarie, dove – di giorno e di notte – non si scorgeva anima viva.
La compagnia si era accampata in una piccola gola rocciosa nei pressi di Colle Vento e, dopo una cena frugale, si preparava a coricarsi. C’era chi fumava la sua pipa con lo sguardo fisso nel buio; chi contava le stelle, carezzandosi la pancia (più o meno piena); chi sonnecchiava rumorosamente – come Bombur – e chi parlottava coi compagni riuniti attorno al fuoco. Bilbo era troppo irrequieto per prendere sonno mentre Thorin, in piedi e leggermente staccato dal gruppo, fissava con le mani dietro la schiena le cupe colline coperte dagli alberi che si ergevano a poca distanza da loro.
May aveva mangiato un boccone di malavoglia ed ora sedeva in disparte nell’oscurità che l’avvolgeva, con la schiena appoggiata contro la gelida roccia e una coperta che la copriva dal mento ai piedi; era tutta indolenzita dalla cavalcata e si sentiva stanca, benché non abbastanza da riuscire a dormire. Era turbata. Quella sera aveva colto l’occasione per porgere a Fili una ciotola di brodo fumante preparato da lei, ma lui l’aveva presa dalle sue mani senza guardarla negli occhi, ringraziandola appena.
May non nutriva più alcun dubbio sul fatto che Fili la stesse evitando, ma per quanto si sforzasse di formulare ipotesi, proprio non riusciva ad immaginare quale fosse la causa di un tale comportamento.
Era completamente immersa nelle proprie riflessioni quando Kili si avvicinò, sedendosi in terra di fronte a lei.

“Hey, straniera! C’è una bella fiamma di là, non vuoi venire a scaldarti?”, domandò sorridendo.
“Sto bene qui, grazie!” rispose lei, ricambiando il sorriso. Si era accorta che Fili aveva preso posto davanti al fuoco e avrebbe preferito morire di freddo, piuttosto che andare a sedersi accanto a lui.
“Sicura di stare bene?”.
“Certamente. Sono solo stanca… Capirai che non sono abituata alle lunghe cavalcate!”.
Kili la scrutò per qualche istante, aggrottando le sopracciglia: non era brava a mentire.
“Hum, non mi ritengo un gran conoscitore delle donne, tuttavia sono pronto a scommettere che qualcosa ti preoccupa”.
May chinò il capo, fissando il suolo. Non poteva rivelare a Kili i sentimenti che provava per suo fratello, come non poteva lamentarsi con lui del fatto che Fili non le rivolgeva la parola. Si vide costretta a mentire ancora, ma questa volta lo avrebbe fatto meglio.
“Ebbene, lo confesso: è la missione che mi preoccupa" sospirò, evitando di guardare il suo interlocutore. "Voglio dire, siamo soltanto sedici viaggiatori partiti per rivendicare una Montagna e nessuno di noi ha idea dei pericoli che ci attendono lungo il tragitto, a parte il drago naturalmente. Che accadrà se falliremo? E se alcuni di noi restassero feriti? O peggio…”. May abbassò le palpebre, piegando il capo da un lato. In fin dei conti, non stava mentendo.
“Straniera, adesso ascoltami”. Kili si fece più vicino e posò una mano sulla spalla di lei; parlava sottovoce, e il suo tono era dolce e rassicurante.
“E’ vero, siamo soltanto sedici, ma tra di noi ci sono dei guerrieri che messi insieme valgono quanto un esercito dei Colli Ferrosi!”. Gli occhi del giovane nano brillavano come lance alla luce della luna e May vi lesse tutto l’orgoglio combattivo tipico della sua razza.
“Oltretutto, devi considerare che un esercito vero e proprio non passerebbe inosservato, mentre il nostro è un incarico di grande segretezza. Ci aiuteremo proteggendoci l’un l’altro, vedrai. E non dimenticare che abbiamo zio Thorin come capo della compagnia, per non parlare dello stregone! Andrà tutto bene, devi avere fiducia!”.
May annuì lentamente e un timido sorriso curvò le sue labbra. “Grazie, Kili. Avevo bisogno di sentirmelo dire!”.
“Credo ci sia dell’altro, vediamo se indovino”, riprese lui fissando il cielo. “Hai nostalgia di casa. Gandalf ci ha detto che vieni da una terra molto, molto lontana da qui”.
“Sì, è così. A dire il vero, mi mancano i miei amici. Avrei voluto salutarli uno ad uno prima di partire, ma purtroppo non ce n’è stato il tempo”.
Il sorriso di May scomparve. Kili si morse il labbro: non avrebbe dovuto tirare fuori l’argomento e si affrettò a rimediare. “Oh, ma un giorno non troppo lontano li rivedrai e allora moriranno tutti d’invidia, quando ascolteranno le avventure che gli racconterai! In più, adesso hai dei nuovi amici: pensa che uno è seduto proprio qui, davanti a te!”.
Kili strizzò l’occhio allegramente strappando a May un altro sorriso.
“Temo che noi due potremo essere amici solo quando la smetterai di chiamarmi straniera!” dichiarò lei, in finto tono offeso.
“Se è questo che vuoi, straniera, dovrai prima ridarmi indietro i miei stivali!”, ridacchiò Kili.
“Sono troppo grandi e pesanti per me, perciò te li rendo volentieri!”.

Un grido di qualche strana creatura – probabilmente un uccello – simile ad un lamento stridulo, fece trasalire May. Bilbo scattò in piedi. “C-che cos’era?”.
“Orchi”, mormorò Kili in tono sinistro, volgendosi verso di lui.
“O-orchi?!”. Quella parola bastò per far tremare lo hobbit di paura.
“Sgozzatori. Ce ne sono a dozzine, là fuori… Le Terre Solitarie ne brulicano. Colpiscono nelle ore piccole, quando tutti dormono. Lesti e silenziosi, niente grida: solo tanto sangue!”.
Kili lanciò a May un’occhiata complice, accompagnata da un sorrisetto divertito. Lei rise.
“Lo trovate divertente? Un’incursione notturna degli orchi è uno scherzo, per voi!”.
Thorin era in piedi dinanzi a loro; il suo sguardo era duro, non meno della sua voce.
“Non intendevamo dire niente…” si scusò Kili.
“No, infatti. Non sapete nulla del mondo!”.
“Non fateci caso, ragazzi. Thorin ha più ragione degli altri di odiare gli orchi!”. La voce di Balin fece voltare Kili e May: il nano dalla barba bianca era in piedi alla loro sinistra, il gomito appoggiato alla roccia, e li guardava con affettuosa indulgenza.
Raccontò loro della battaglia contro gli orchi che ebbe luogo tempo addietro nei pressi dei cancelli orientali di Moria, ai piedi delle Montagne Nebbiose; di come egli vide Thorin affrontare da solo l’orco pallido Azog il Profanatore, il quale aveva giurato di sterminare la stirpe di Durin. Thorin brandiva soltanto un ramo di quercia come scudo e vendicò la morte di suo nonno Thrór amputando il braccio sinistro di Azog.

“E allora pensai fra me e me: là c’è uno che potrei seguire. Là c’è uno che potrei chiamare re!”.

A quelle parole, Thorin – che fissava pensoso il cielo, dando le spalle ai compagni – si voltò lentamente; molti dei nani si erano alzati in piedi e fissavano il loro capo in silenzio, con un misto di venerazione e rispetto. Lo sguardo di Thorin incontrò quello di Balin. Vi era una mesta gratitudine, nel sorriso che il principe dei nani rivolgeva al vecchio amico e guerriero: il sorriso di chi ha pagato un prezzo troppo alto per la vittoria del suo popolo.
Per May, fu come vedere Thorin per la prima volta: quasi per incanto, percepì tutta la maestosità del suo essere. Sentì che lo avrebbe seguito persino nella gola del drago, se lui glielo avesse chiesto.
Quella notte, la fanciulla sognò imponenti montagne che lentamente si curvavano in cerchio fino a formare una gigantesca corona, le cui punte si stagliavano nel cielo rosso del tramonto. Era la sua prima notte nelle Terre Selvagge. La bisaccia da viaggio era il suo cuscino.
 





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Capitolo 6
*** Una lama al chiarore dell'alba ***





CAPITOLO VI

Una lama al chiarore dell'alba







“Braccio in alto! Più in alto… Piega il ginocchio! Così!”.

Kili era un maestro di combattimento esemplare, pensò May mentre riprendeva fiato.
Un’ora di addestramento era stata sufficiente per dimostrarle che maneggiare una spada non era per niente facile ed entusiasmante come lo aveva immaginato leggendo libri e guardando film. Aveva dolore dappertutto, ma doveva stringere i denti.
Essendo le armi nei nani troppo pesanti per le braccia di una principiante poco robusta come lei, Thorin aveva pensato bene di farla allenare con la daga di Kili: una spada corta e decisamente più maneggevole. May si asciugò il sudore dalla fronte col dorso della mano; era piovuto quella mattina, c’era umidità nell’aria e il cielo era ancora carico di nubi grigie. Aveva tolto gli stivali per allenarsi; la pioggia li aveva resi ancor più pesanti e scomodi, mentre lei amava la sensazione dell’erba bagnata sotto i piedi nudi.

“E’ inutile, non ha la stoffa della guerriera!”, grugnì Dori rivolto a Nori.
La compagnia si era concessa una sosta per il pranzo. I nani erano intenti chi a cucinare, chi ad alimentare il fuoco, chi ad asciugare indumenti bagnati, senza tuttavia perdere di vista l’esercitazione della giovane compagna.
“Fili, dà il cambio a tuo fratello e concludi la lezione prima che sia pronto da mangiare!”, ordinò Thorin alzandosi in piedi. “Kili, tu occupati dei pony!”.
Entrambi i fratelli annuirono con un cenno del capo e a May sfuggì un sospiro di rassegnazione. Non aveva considerato la possibilità di doversi allenare con lui. Stavolta non aveva scampo: doveva affrontarlo combattendo, tanto con la spada, quanto con il cuore.
Fili si avvicinò senza dire una parola; fece tre passi indietro, sguainò una delle spade gemelle dal fodero appeso alla schiena e si mise in posizione. Non vi era l’ombra di un sorriso sulle labbra serrate; gli occhi, di solito dolci e vispi, erano privi di espressione mentre fissavano quelli di lei come per focalizzare il nemico. L’esercitazione riprese. May era nervosa e pregò che lui non se ne accorgesse, ma fu inutile: un colpo di spada mal parato fece volare in aria la daga e lei lanciò un grido di dolore.

“Si può sapere dove hai la testa? Qui non sono ammesse distrazioni!”.

La compagnia al completo si voltò verso di loro, udendo il grido di May seguito dal tono alterato del suo insegnante. Fili lasciò cadere la spada, corse dalla fanciulla e le prese il polso: lei sentiva le dita che premevano, delicate ma decise, sulla sua pelle. Provò un brivido di emozione, a dispetto dello spavento.
“E’ tutto a posto” disse lui, lasciandole la mano. Il tono di voce era tornato normale, eppure a May parve gelido.
“Non sanguini e non hai nulla di rotto. Spero che quanto è accaduto ti serva di lezione. Le Terre Selvagge non sono per la gente maldestra e ammodo che non sa difendersi!”.
Fili raccolse la spada da terra, la ripose nella guaina e tornò dagli altri senza voltarsi indietro.

May sedette a una certa distanza dal gruppo su una roccia piatta e umida, dove posò il pasto che non aveva alcuna voglia di consumare; le sue spalle erano rivolte alla compagnia e nessuno poteva vedere le lacrime che, scivolando copiose lungo le guance, la facevano sentire una bimbetta debole e capricciosa, nient’affatto degna della missione. L'umiliazione bruciava nel suo petto come una ferita cosparsa di sale, ma questo era niente in confronto alla delusione procuratale dalla condotta di Fili; il nipote primogenito di Thorin non le rivolgeva uno sguardo né una parola dalla notte antecedente alla partenza e, quando lo faceva, era per rimproverarla in un modo aspro e severo che aveva visto sorgere in lei il rimpianto di non essere una combattente.
Il rumore di passi alle sue spalle la fece voltare. Si asciugò in fretta le lacrime e fece posto a Kili, che sedette accanto a lei sulla pietra.
Il nano vide la scodella del pranzo ancora piena e scosse la testa. “Così non va. Devi mangiare qualcosa: l’esercitazione di oggi ha messo a dura prova le tue forze!”.
Per May fu abbastanza: lo sguardo premuroso di lui, la voce carezzevole e quel sorriso accennato che mal celava un’amichevole preoccupazione, videro crollare ogni sua difesa. Le lacrime, che stava cercando non senza difficoltà di trattenere, sgorgarono silenziose dagli occhi rigando le nivee guance.
Kili allungò un braccio e circondò le spalle della giovane donna, attirandola a sé; lei diede libero sfogo a quella miriade di emozioni che non sapeva o non poteva esprimere, piangendo sulla spalla del suo nuovo amico.
“Coraggio, sorellina” sussurrò Kili, la guancia poggiata sul capo di lei. “In fin dei conti non te la cavi male con la spada... Sono certo che, col tempo e con il giusto esercizio, diventerai un’ottima guerriera!”.
May si staccò da lui asciugandosi le lacrime con l’indice e gli rivolse un’occhiata tra il sorpreso e il divertito.
Sorellina?”.
“Preferivi forse straniera?” replicò Kili, alzando le sopracciglia. May non rispose; aveva smesso di piangere. Prese la sua scodella e si decise a sorseggiare il brodo.
“Ebbene sì, tu sei la sorella minore che non ho mai avuto” riprese lui, con un sorriso fanciullesco dipinto sul volto. “Un fratello ce l’ho già e… Oh, a tal proposito, May…”.
Ella rimase col cucchiaio sospeso a mezz’aria; era la prima volta che Kili la chiamava per nome.
“Non badare a mio fratello”, continuò lui facendosi stranamente serio. “E’ stato lo spavento a farlo reagire in quel modo. Per un momento ha temuto che tu fossi ferita e, se ciò fosse accaduto, non se lo sarebbe perdonato tanto facilmente. Tu non lo conosci ancora: Fili è il nano più buono e gentile di questo mondo!”.
May posò il pranzo sulle ginocchia e guardò avanti a sé; il paesaggio era grigio e cupo, ma il solo sentire quel nome – pronunciato da colui che lo conosceva di più – fu come veder spuntare un raggio di sole tra le fronde degli alberi di quella regione desolata.
Senza rendersi conto che stava pensando ad alta voce, mormorò: “Lo so, Fili è un’anima gentile. L’ho capito l’altra notte”.
Kili sgranò gli occhi. “L’altra notte?”.
May avvampò fino alla radice dei capelli. Ormai il danno era fatto, tanto valeva confessare la verità.
Kili ascoltò con avida attenzione il racconto di lei, di come Fili l’aveva incrociata in uno dei corridoi di Casa Baggins e di come l’aveva condotta in cucina, per sfamarla. May scoprì che si sentiva a proprio agio nel parlare con lui e rivelò ogni cosa, sorvolando per quanto possibile sui dettagli.
A racconto terminato, Kili balzò in piedi facendola sussultare. Batté i palmi l’uno contro l’altro ed esclamò con un sorrisetto: “Ora capisco! Sorellina, il mio fratellone ha un debole per te!”.
“C-che cosa?!”.
May avvampò di nuovo. Il cuore prese a batterle furiosamente nel petto, le ginocchia tremarono e la scodella vuota rotolò a terra insieme al cucchiaio.
“Ma certo! Questo spiega tutto!”.
Kili tornò a sedersi accanto a lei; ora la guardava con l’espressione – seria e dolce – tipica del fratello maggiore che si accinge ad impartire un’importante lezione alla sorella minore.
“Sorellina… May, ascoltami: quando abbiamo lasciato la Contea ho notato un cambiamento in Fili. Dal giorno della partenza lo vedo distratto e poco incline allo scherzo; si isola spesso, non si confida con me e risponde alle domande in modo evasivo. Un fatto assai strano. In un primo momento avevo creduto che si trattasse della preoccupazione per la missione, ma in cuor mio sapevo che la causa era un’altra. Conosco mio fratello. A volte sono persino in grado di decifrare i suoi pensieri, proprio come lui fa con me. Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la testa, ma fortunatamente, parlare con te mi ha aperto gli occhi”.
May lo fissava sbigottita, in silenzio.
“Finalmente, tutto acquista un senso!", proseguì Kili. "Mio fratello inizia a provare dei sentimenti per te e si sente confuso. E’ consapevole del fatto che questo viaggio non ammette distrazioni ed è evidente che sta facendo del suo meglio per tenersi – e tenerti – a debita distanza, per quanto le circostanze lo consentono. La sua reazione di poco fa ne è la prova. Fili è sempre stato abile nel celare le proprie emozioni, ma a quanto pare le cose sono cambiate”. Kili sorrise maliziosamente. “Ti conosce da poco e non sa in che modo agire, eppure sente di conoscerti abbastanza da provare qualcosa che lo disarma completamente. Tu appartieni ad una razza diversa, ma vedi, ciò non impedisce ad un nano di innamorarsi di una donna. E quando un nano ama, beh… Lui ama per sempre!”.

May non riusciva a credere di aver udito quelle parole; era paralizzata dallo stupore.
Si sforzò di rispondere, ma nessun suono uscì dalle sue labbra e Kili scambiò quel silenzio prolungato per puro disinteresse nei riguardi del fratello.
“Oh… Che sciocco sono stato! Ho dato per scontato che tu… Perdonami. Probabilmente, nel tuo paese hai già una persona speciale che attende il tuo ritorno”.
“Kili, è tutto a posto. I-io non…”.
“Kili! May! E’ ora di rimettersi in marcia, coraggio!”. La voce squillante di Bofur li richiamò ai doveri della missione.
Il sorriso che il giovane nano rivolse a May prima di tornare dai compagni non mascherava una punta di amarezza e, a vederlo, lei provò una fitta di dolore, tagliente come la lama di un pugnale. Avrebbe voluto gridare a Kili che ricambiava con tutto il cuore i sentimenti del fratello, l’unica persona speciale di cui le importasse veramente.
Si chinò per raccogliere la ciotola col cucchiaio e, rialzandosi, vide Bilbo venirle incontro; egli si fermò davanti a lei senza dire nulla. Sorrise, e i suoi occhi parlarono al posto della voce: “So cosa ti turba. Io sono qui, se hai bisogno di me!”.


-s-s-s-


May gettò un altro pezzo di legna secca sul fuoco; non era stato facile accenderlo, a causa del forte vento che tirava dalle prime ore del meriggio. Alla fine, Oin e Gloin – particolarmente abili in questo genere di lavori – ci erano riusciti e non senza fatica.
Il capo della compagnia aveva scelto come luogo per l’accampamento un piccolo colle dove l’erba era alta e verde, tra le rovine di quella che non molto tempo addietro era stata una modesta fattoria vicino ai boschi.
I nani andavano e venivano, affaccendati; alcuni portavano nuova legna per il fuoco, mentre altri aspettavano che Fili e Kili si occupassero dei loro pony, com’era stato ordinato da Thorin.
May si era di nuovo offerta di cucinare, per la gioia di Bombur, che l’ultima volta aveva preteso una seconda e più abbondante porzione della cena. Quantunque i nani sapessero arrangiarsi col cibo, avevano scoperto che avere una donna nel gruppo era assai utile. Mentre preparava lo stufato, May si guardava attorno con aria assente; era stremata dal lungo cavalcare e, come se ciò non fosse abbastanza, aveva delle valide ragioni per sentirsi inquieta.
Gandalf aveva lasciato la compagnia alcune ore prima, in seguito ad un diverbio avuto in privato col loro capo; lei ne conosceva la ragione, a differenza degli altri, ma la certezza che lo stregone sarebbe tornato non bastava per farla sentire tranquilla.
Sarebbe potuto succedere di tutto, in assenza di lui. E lei sapeva che cosa.
Thorin aveva rifiutato di seguire il consiglio di Gandalf, ovvero lasciare quel posto per raggiungere la Valle di Imladris, dove re Elrond Mezzoelfo li avrebbe aiutati a decifrare la mappa.
Adesso, più che mai, la giovane sentiva il bisogno di interrogare l'impenetrabile stregone. Quello stesso giorno, mentre si preparavano a ripartire dopo il pranzo, lui l’aveva presa in disparte estraendo una piccola spada con fodero dal suo mantello grigio.
“Prendila, è tua: l’ho trovata nella bottega di un fabbro a Brea e ho pensato che fosse adatta ad una piccola donna guerriera”, le aveva detto sorridendo.
“Guerriera?! Gandalf, io non posso… Io non so combattere! Lo hai visto anche tu!”.
“Oh, imparerai!”.
Era la loro prima, vera conversazione da quando May era piombata a Casa Baggins.
“Gandalf…”, ella si era guardata intorno per assicurarsi che i compagni non fossero a portata di voce. “Tu devi spiegarmi cosa ci faccio qui! Come sono arrivata nella Terra di Mezzo? E soprattutto, per quale motivo?”.
Lo stregone aveva corrugato le fitte sopracciglia ingrigite. “Questo non è tempo per le domande!”.
May aveva chinato il capo, scoraggiata.
“Ma quel tempo arriverà, mia giovane amica” aveva continuato lui, addolcendo il tono di voce. “E potresti essere tu stessa a trovare le risposte che cerchi!”.

“May, ti senti bene?”.
La voce di Bilbo la fece voltare, riportandola nel presente. “Certo, mastro Baggins! Sono solo stanca e, a dire il vero, anche un po’ affamata!”.
“Oh, non dirlo a me! Questo profumino mi sta facendo salire l’acquolina in bocca!”. Lo hobbit si sfregò le mani sorridendo all'idea del tanto atteso pasto, ma poco dopo tornò serio e rivolse a May uno sguardo ansioso. “E’ via da parecchio… Credi che tornerà?”.
“E’ uno stregone, fa come gli pare” rispose lei, scrollando le spalle nel tentativo di nascondere la propria inquietudine.
La cena era pronta e May la servì ai compagni. Quando Bilbo ebbe finito di mangiare, la fanciulla riempì due ciotole di stufato chiedendogli di portarle a Fili e Kili, che facevano la guardia ai pony nel bosco. Lo hobbit obbedì e, finalmente, May sedette sotto un albero per consumare il suo pasto. Poco distante sedevano Thorin, Balin e Dwalin i quali, con le ciotole vuote in mano, parlavano a bassa voce senza curarsi di lei; i loro volti contratti tradivano un’aria preoccupata.
“E’ folle! Deve pur esserci qualcuno in grado di farlo!”, borbottò Dwalin col suo consueto tono burbero.
“Sono certo che qualcuno sappia interpretare i segni di questa mappa e darci delle risposte. Il vero problema è trovarlo... Non possiamo attraversare tutta la Terra di Mezzo per andare alla ricerca di qualcuno che non sappiamo chi sia, né dove sia!”. Balin lanciò un’occhiata significativa al fratello, che annuì in segno di approvazione.
“Il vero problema”, interloquì Thorin “è che – con o senza mappa – non potremo entrare ad Erebor, finché ci sarà un drago a sorvegliarla di giorno e di notte. Smaug non conosce la porta nascosta, né può immaginarne l’esistenza, tuttavia ci serve un piano ben studiato se vogliamo riuscire nell’impresa. Questa mappa deve contenere alcune informazioni importanti di cui non siamo a conoscenza. Un segreto, forse…”.
Le considerazioni di Thorin furono interrotte da Fili e Kili, che giunsero trafelati dal loro posto di guardia.
“Troll!”, esclamò Fili senza fiato. “Hanno catturato quasi tutti i pony!”.
“E forse anche Bilbo!”, aggiunse Kili col terrore negli occhi.
“Troll? Dove?”. Thorin scattò in piedi, allarmato.
“Nei boschi!”, ansimò Fili. “Corri, zio!”.
“Prendete le vostre armi”, gridò il capo della compagnia. “Andiamo!”.
May si alzò immediatamente: i suoi peggiori timori si erano infine avverati.
“Tu resta qui!”, le ordinò Thorin; il suo sguardo non ammetteva repliche.
“Ma io…”, protestò lei.
“Niente ma!”.
Mentre Thorin si dirigeva correndo verso il bosco, seguito dagli altri, Fili e Kili erano rimasti indietro e May li oltrepassò accelerando il passo.
“Dove credi di andare? Non hai sentito gli ordini dello zio?”. Fili l’aveva afferrata per un braccio, trattenendola dolcemente ma con fermezza.
“Ora posseggo una spada” si giustificò lei, liberando il braccio e guardandolo con aria di sfida. Sguainò dal fodero appeso alla cintura la lama sfavillante.
“Sì, però non sai usarla”, rettificò Fili.
Non vi era traccia di contrarietà nella sua voce malferma, solo ansia e costernazione; lo sguardo di ghiaccio era scomparso. “May, ti prego, resta qui e non muoverti fino al nostro ritorno!”.
Gli occhi del giovane nano esprimevano una tenera preoccupazione che le trafisse il cuore. May abbassò lentamente la spada, riponendola nel fodero.
“Va bene, resto qui. Andate! Salvate Bilbo!”.

I minuti passavano lenti e a May parvero ore. Quanto tempo era trascorso? Perché tardavano tanto? Come mai Gandalf non si vedeva? Avrebbe già dovuto essere lì per salvarli. Camminare nervosamente avanti e indietro non contribuiva a diminuire l’angoscia; quell’attesa era penosa. Non poteva restare dov’era, mentre i compagni erano in pericolo… Lui era in pericolo. May aveva ancora davanti agli occhi l’espressione stravolta di Fili che la supplicava di non muoversi; se le osservazioni di Kili erano corrette, se davvero nel cuore di suo fratello stavano nascendo dei sentimenti per lei, allora restare con le mani in mano sarebbe stato riprovevole. Meglio disobbedire agli ordini e abbandonare il proprio posto, anziché abbandonare tutti loro.
Mentre rifletteva, la giovane non si era resa conto che i suoi passi l’avevano condotta fin dentro il bosco. Improvvisamente, vide una luce rossa brillare tra gli alberi poco distanti; si avvicinò con circospezione e sbirciò tra i cespugli. Allora li vide: in una radura tre giganteschi, spaventosi troll di montagna seduti attorno al fuoco. Si stavano rivolgendo a Bilbo, con le loro voci raccapriccianti. Lo hobbit era in piedi davanti a loro, legato dentro un sacco con la sola testa fuori. Quattro o cinque nani erano stati legati insieme e giravano lentamente sopra al fuoco. “Nani allo spiedo!”, pensò May con orrore. In un angolo dello spiazzo, pronti per essere cucinati, gli altri nani erano distesi in terra, intrappolati in grossi sacchi alla stessa maniera di Bilbo. Mentre ascoltava la conversazione tra quest’ultimo e i troll, la fanciulla si spinse leggermente in avanti: senza indugio, e senza essere vista, tagliò con la spada le spesse funi che tenevano prigionieri i pony. Si rendeva conto che lasciandoli liberi la compagnia avrebbe dovuto proseguire a piedi, ma che scelta aveva? Si sentiva in dovere di salvare quelle povere bestie da una fine crudele.

“Secondo te che ne facciamo di questi?”, domandò il troll dalla voce cavernosa, indicando i nani. “Li lasciamo andare?”.
“Beh…” rispose Bilbo, lasciando arguire quello che era il proprio pensiero.
“Credi che non so che ti frulla nel cervello? Questo piccolo furetto ci sta prendendo per degli stupidi!” esclamò il troll, furioso. Aveva compreso perfettamente che lo hobbit tentava di distrarli, lasciandogli credere che i nani fossero infestati dai parassiti.
May capì che Bilbo stava disperatamente cercando di guadagnare tempo in attesa dell’alba; i troll, infatti, dovevano tornare sotto terra prima del sorgere del sole, altrimenti i loro corpi si sarebbero tramutati in pietra.
Il troll che aveva scoperto il gioco di Bilbo fece due passi verso di lui, pronto ad afferrarlo, ma May fu più veloce: sguainò la spada e, tenendola ben salda, balzò fuori dai cespugli col cuore che batteva forte.
“Non toccarlo!” gridò, puntando la spada contro il troll che stava per mettere le mani su lo hobbit. “Se oserai sfiorare lui o uno soltanto di questi nani, assaggerai il tocco della mia lama e sarai maledetto!”.
“E quello cos’è?”, chiese uno dei troll seduti.
“Si può cucinare”?, intervenne il secondo.
“Non ti riempirebbe nemmeno la bocca, una volta spellato e disossato!”, sentenziò il terzo.

“May! No!”.
La voce di Fili fece voltare la giovane donna verso l’angolo della radura in cui il nano giaceva priginiero nel suo sacco, insieme agli altri; sembrava disperato.
Noncurante della lama che gli veniva puntata contro, il troll dalla voce profonda approfittò della distrazione di May per allungare le mani verso la nuova preda, ma non fece in tempo.

“L’alba vi prenderà tutti!”.
La voce di Gandalf echeggiò attraverso il bosco: finalmente era arrivato!
I troll si voltarono verso di lui, perplessi. Lo stregone si ergeva in piedi sopra una grossa roccia; la colpì col bastone frantumandola in due parti, permettendo così ai primi raggi del sole di illuminare la radura. La sorpresa dei troll divenne puro terrore: con grida agonizzanti, riparandosi dalla luce con le luride mani, tutti e tre si immobilizzarono e divennero pietra.
I nani esultarono e May tirò un meritato respiro di sollievo.
“Grazie di avermi difeso!” disse Bilbo con un sorriso colmo di gratitudine, mentre la fanciulla usava la spada per aprire il sacco in cui era intrappolato.
“Figurati, scasshobbit!”, rispose lei ridendo. “Sono felice che tutti voi siate salvi! Non ce l’avremmo fatta, senza il nostro stregone!”.
Mentre Gandalf e lo hobbit liberavano i nani sopra al fuoco, May corse dagli altri; slegò Kili per primo, il quale si diede da fare per rimuovere i sacchi dai corpi dei compagni, aiutato da lei.
Quando la giovane liberò Fili, i nani erano già tutti in piedi e festeggiavano la vittoria con grida ed esclamazioni di giubilo.

“Stai bene?” domandò lei, tagliando le corde dai polsi di Fili con tutta la delicatezza possibile.
Egli annuì lentamente, ma non rispose. Quando May ebbe finito, alzò gli occhi su di lui e i loro sguardi si incontrarono. Fili la fissò stordito: era rapito dalla grazia di quell’incantevole piccola donna che, pur non essendo capace di combattere, aveva sfidato il pericolo per proteggere lui e i suoi amici.
Si fece più vicino a lei e i suoi occhi brillarono. L’infinita dolcezza di quello sguardo tolse a May il fiato; le mani tremarono e la spada cadde a terra.
“Fili, m-mi dispiace. Avevo promesso che sarei rimasta dov’ero, però… Vedi, n-non potevo…”, balbettò lei incapace di proseguire, colta da un vago rimorso.
“Tu non hai nulla da rimproverarti”, disse il giovane nano in un sussurro. “Sono io che, invece, devo farti le mie scuse. Non volevo trattarti in quel modo... Temevo di averti ferito con la spada ed ero arrabbiato con me stesso. Perdonami!”.
Fili prese timidamente le mani di May, stringendole tra le sue; la guardò per un lungo istante perdendosi nell’immensità di quegli occhi verdi, mai tanto vicini a lui come in quel momento. Il suo cuore prese a battere con forza e rapidità inaspettate; egli si sentiva nudo, di fronte a lei.
“E’ t-tutto a posto” farfugliò May, arrossendo violentemente.

“Hey, giovane rubacuori! Vieni con noi, o preferisci restare qui con la tua innamorata?”.
Dwalin li guardava divertito con le braccia conserte, mentre gli altri si rimettevano in cammino. Fili e May abbozzarono un sorriso imbarazzato, quindi lei fece un passo indietro liberando le mani dalla presa di lui, raccolse la spada e si voltò per raggiungere la compagnia.
Kili le andò incontro sfoggiando un sorrisetto carico di sottintesi. Si avvicinò bisbigliandole all'orecchio: “Sapevo che avresti ricambiato i sentimenti di mio fratello… Benvenuta in famiglia, sorellina!”.
May si fermò di botto: quelle parole l’avevano colpita come un fulmine. Prima che potesse replicare, il nano era già tornato dai compagni; la fanciulla allungò il passo e, mentre raggiungeva la fine della fila, si accorse di Thorin che la guardava severo. Stava aspettando lei.
“Hai disobbedito agli ordini”, dichiarò. “Bada che non succeda di nuovo!”.










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Capitolo 7
*** Imladris ***





CAPITOLO VII

Imladris



 


May sedette sul soffice materasso, lasciando scorrere le dita sul candido lenzuolo di pura seta. Era il primo letto elfico che ammirava, e il primo vero letto che vedeva dopo giorni di estenuante cammino. La giornata, che volgeva al tramonto, era stata alquanto movimentata…
La compagnia aveva fatto un curioso incontro quella mattina: Radagast il Bruno, membro del Bianco Consiglio della Terra di Mezzo (un ordine che oltre a lui comprendeva Gandalf, Saruman il Bianco e altri due maghi che May non conosceva – e di cui lo stesso Gandalf non rammentava i nomi).
Radagast era un personaggio buffo e stravagante che viaggiava su una slitta trainata da conigli, esperto in arti magiche e amante degli animali; si trovava nel bosco alla ricerca di Gandalf, suo grande amico, quando si era imbattuto nella compagnia di Thorin Scudodiquercia. May sapeva che Radagast aveva delle pessime notizie da comunicare allo stregone; aveva scoperto che la vecchia fortezza di Dol Guldur non era più disabitata in quanto un mago umano, noto come il Negromante, vi aveva stabilito dimora. Ella sapeva altresì che Gandalf, esaminando la lama Morgul che Radagast aveva portato da quel luogo nefando, avrebbe presto realizzato che il Negromante altri non era che Sauron.
Mentre i due maghi parlavano in privato, un po’ distanti dal gruppo, May ne aveva approfittato per accarezzare i coniglietti di Rhosgobel. Avrebbe fatto volentieri un giretto sulla slitta, ma non osava chiedere e in ogni caso non ne avrebbe avuto il tempo: subito dopo erano stati attaccati da un gruppo di orchi a cavallo di mannari ricognitori provenienti dal monte Gundabad. La conversazione tra i due stregoni era stata interrotta. Per la fanciulla non era un mistero che quelle creature malvagie fossero state inviate da Azog il Profanatore, tuttavia aveva ritenuto saggio tacere; non spettava a lei rivelare che l’Orco Pallido era ancora in vita. Thorin era, infatti, convinto che Azog fosse morto in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Nanduhirion, di fronte ai cancelli orientali di Moria. La compagnia era riuscita a respingere l’attacco improvviso uccidendo gli orchi, ma molti altri li inseguivano e Radagast si era offerto di depistarli montando sulla sua slitta, permettendo così a tutti loro di fuggire.
May aveva corso fino a non sentire più forza nelle gambe.
Fili e Kili le erano rimasti accanto, e mentre correvano – l’uno con la spada sguainata e l’altro con l’arco ben saldo nel pugno – si voltavano continuamente per assicurarsi che nessun orco si gettasse su di lei, e che nessuna freccia la colpisse. May era inciampata più volte e quando era caduta, più o meno nel momento in cui gli orchi avevano circondato la compagnia, Gandalf l’aveva immediatamente sollevata in braccio e sistemata al sicuro all’interno di un profondo buco nel terreno, di fronte ad una roccia. La giovane non ricordava di essersi mai sentita tanto sollevata come quando, qualche istante più tardi, aveva visto accanto a lei tutti i compagni sani e salvi, dopo aver ucciso un discreto numero di orchi e mannari.
La cava in cui avevano trovato rifugio era in realtà un passaggio segreto attraverso cui Gandalf li aveva condotti, in modo da raggiungere il prima possibile – e senza ulteriori pericoli – nella Valle di Imladris, o Gran Burrone nel linguaggio corrente. Era lì che ora la compagnia si trovava.
Al loro arrivo, Thorin e i suoi amici non erano sembrati particolarmente contenti di fermarsi lì. Malgrado avessero bisogno di cibo (in abbondanza) e di un letto, non li entusiasmava granché l’idea di ricevere entrambe le cose da gente a loro poco gradita; ormai da tempo, infatti, i nani non erano in buoni rapporti con gli elfi. May era a conoscenza del fatto che Thorin si era opposto con tutte le forze a quella tappa del viaggio, e in parte comprendeva le sue ragioni: quando anni prima Smaug il drago aveva attaccato Erebor, nessun aiuto era giunto dagli elfi e il principe dei nani non aveva mai perdonato il popolo che aveva tradito la sua stirpe. Ad ogni modo, re Elrond era stato così gentile quando aveva detto che avrebbe offerto loro del cibo, che i nani avevano accettato di buon grado: tutto sommato, gli elfi non erano gente cattiva.
 
L’Ultima Casa Accogliente ad est del mare, dimora di re Elrond mezzoelfo, era situata in una Valle Nascosta ai piedi delle Montagne Nebbiose.
Quando May poté ammirarla dal vivo, si sentì parte di un sogno dal quale non avrebbe desiderato svegliarsi. Ogni piccola cosa, in quel regno, infondeva pace e tranquillità; dalla stanza che le era stata assegnata, elegante e sobria, la giovane donna poteva udire la rilassante musica delle cascate. Quando fu stanca di riposare si alzò dal letto e si affacciò sulla veranda a colonne intarsiate di mosaici elfici; guardando in basso vide nel fondo della Valle il fiume Bruinen, che scorreva brioso e limpido nel suo letto roccioso. Respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera che le accarezzava il viso, dopodiché fece un meritato bagno caldo. Gli elfi si erano offerti di lavare i suoi abiti sporchi, con la promessa di restituirli puliti e asciutti prima della partenza; ne avevano sistemati di nuovi nell’armadio, della giusta misura. “Devono appartenere a qualche piccola damigella elfica”, pensò May.
Ne scelse uno dello stesso colore dei suoi occhi: un vestito in velluto leggero e comodo, non troppo ricercato né scollato.
 
“Hey sorellina, sei pronta per…”. Kili irruppe nella stanza come un tornado.
“Kili! Ma insomma, non ti hanno insegnato a bussare?!”.
May era davanti allo specchio e aveva appena infilato il vestito: c’era mancato poco che il nano la vedesse quasi interamente nuda!
“Chiedo… Ehm… venia…” farfugliò il giovane, visibilmente imbarazzato.
“Suvvia, ti perdono… Per questa volta!”. May gli indirizzò una linguaccia impertinente.
“Potrei venire a prenderti con la slitta di Radagast. Allora sì che avrei il tuo perdono completo e immediato!” disse Kili ridendo, mentre lasciava la stanza insieme a lei.
“Mi piacerebbe sapere cosa spinge uno stregone a scegliere dei conigli al posto dei cavalli quale mezzo di trasporto”, s’interrogò May ad alta voce.
“Chi può dirlo. Magari i conigli sanno essere più agili e veloci nel bosco”, commentò lui chiudendo la porta.
Si guardarono negli occhi e una risata sonora pose fine a quella bizzarra conversazione.
 
Kili condusse May attraverso parecchi corridoi, giù per un certo numero di gradini – smarrendo la via ben tre volte – ed infine all’aperto, in un’ampia terrazza che si affacciava sul Bruinen. Mentre la fanciulla scendeva gli ultimi scalini vide Fili, che attendeva il loro arrivo in piedi accanto alla ringhiera.
Lui le andò incontro sorridendo e, quando fu davanti a lei, la guardò estasiato. Gli occhi di May, come l’abito che indossava, gli ricordavano i prati di montagna illuminati dal sole; i folti capelli scuri, mossi da una leggera brezza, incorniciavano un viso minuto dai lineamenti fini e delicati che la facevano assomigliare ad una dama elfica; la carnagione di perla metteva in risalto il rossore che le imporporava le gote; la veste, semplice nella sua eleganza, rivelava una figura esile dalle forme armoniose. Sembrava la piccola principessa di un regno obliato.
 
“Sei… Bellissima!” mormorò Fili prima di abbassare lo sguardo, leggermente rosso in viso.
“Grazie” replicò lei, col cuore che batteva impazzito come se volesse farsi sentire da lui.
In quell’istante Kili, che si era tenuto un po’ indietro, tossì in modo significativo. “Vado a vedere se è pronta la cena: sto morendo di fame!”. Così dicendo, si allontanò verso uno dei portici con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Fili e May si appoggiarono alla ringhiera della terrazza, l’uno accanto all’altra, per godere del magnifico panorama. Le ombre si allungavano nella Valle ai loro piedi, ma le vette dei monti erano ancora illuminate dai raggi del sole. L’aria profumava di fiori appena sbocciati.
Guardandosi intorno, May aveva l’impressione di trovarsi nel magico mondo di un canto elfico, dove il tempo aveva smesso di scorrere; sentiva che quel reame non era stato minimamente sfiorato dal male, sebbene fosse abitato da persone che avevano visto abbastanza inverni da ricordare eventi tragici e tristi.
D’un tratto, Fili si chinò per cogliere una grossa margherita e la porse a lei.
“Re Elrond mi perdonerà, se rubo un fiore per omaggiare la sua ospite” disse, con voce tremante.
Il timido, dolce sorriso che accompagnò quel gesto scosse May fin nel profondo dell’anima; ella sistemò la margherita tra i capelli, dietro l’orecchio, e gli sorrise con tenera gratitudine.
“Attento, rischi di essere rinchiuso nelle segrete degli elfi!”, lo provocò con ironia.
“Sono pronto a correre il rischio”.
Fili la guardò intensamente negli occhi e la fanciulla sentì le guance prendere fuoco. “Rimani calma, May!”, supplicò se stessa mentalmente. Ma le gambe tremavano, mentre sentiva gli occhi del nano dolcemente fissi su di lei. Lasciò vagare lo sguardo nella Valle e all’improvviso fu colta dal desiderio di sapere cosa pensasse Fili di Gran Burrone, un posto così diverso da quello in cui era nato e cresciuto.
“E’ tutto splendido qui, non trovi?” domandò contemplando gli ultimi raggi del sole, che tramontava a occidente.
“Sì, non è affatto male” rispose il giovane, ammirando il paesaggio circostante.
“Stavo pensando… Dev’essere strano, per te, riconquistare una montagna che non hai mai visto”. May esitò, pronunciando quelle parole.
“Oh no, sei in errore!” replicò Fili sorridendo, con una strana luce nello sguardo. “Erebor è dinanzi ai miei occhi ogni giorno, da prima ancora che imparassi a camminare. Non vi ho mai messo piede, è vero, tuttavia posso affermare di conoscerla quasi quanto la mia dimora nelle Montagne Azzurre. Sai, uno dei ricordi più belli della mia infanzia è legato alle storie che lo zio Thorin narrava davanti al fuoco, seduto sulla sua poltrona preferita; mio fratello si accomodava sulle sue ginocchia, mentre io mi accoccolavo ai suoi piedi. Ascoltavamo rapiti i racconti che parlavano della Montagna Solitaria, dei suoi tempi di gloria, delle sue inestimabili ricchezze divenute leggenda… Ciò accadeva quasi ogni sera. Vedi, non ho mai dimorato ad Erebor, eppure Erebor dimora nel mio cuore da sempre. Posso provare a descrivertela, se ti fa piacere!”.
May annuì. Lo guardava affascinata: gli occhi blu profondo del nano scintillavano di fiera gioia velata di commozione.
Mentre Fili parlava, nella mente di lei prendeva forma l’immagine di Erebor come non l’aveva mai vista... Immensi e sontuosi saloni che decantavano il trionfo della ricchezza e delle abilità naniche; imponenti colonne di marmo che, sorgendo da pavimenti dai mille colori, si elevavano verso il cielo, impreziosite da gemme e cristalli il cui scintillio si rifletteva sulle scure pareti lucide; superbe scalinate scolpite nella pietra, che si allungavano fino a sfiorare gli sfavillanti soffitti; maestose stanze dorate che interminabili, una dopo l’altra, conducevano al cuore della montagna.
May provò l’impellente desiderio di visitare quei luoghi: quasi una necessità. Era riuscita a vedere Erebor attraverso gli occhi di Fili ed ora sentiva che avrebbe voluto far parte di quella storia, di quei ricordi.
“Ti chiedo scusa” s’interruppe lui, notando l’espressione assorta della giovane. “Non intendevo annoiarti con le mie chiacchiere”.
“Oh no, al contrario!”, si affrettò a spiegare lei. “Trovo splendido tutto ciò che ho udito. Assolutamente splendido! Credo che potrei ascoltare i tuoi racconti per ore!”.
 
Kili e Dwalin, seduti sotto il portico laterale, osservavano da lontano i due giovani che parlavano e sorridevano.
“Non ricordo di aver mai visto mio fratello così felice”, proferì Kili.
Dwalin gli lanciò un’occhiata pensierosa. “Hum, dubito che lui approverebbe”.
 
La cena fu servita all’estremità ovest della grande terrazza; i menestrelli elfici intrattenevano gli ospiti con le loro soavi melodie che prendevano vita attraverso arpe e flauti, suonati con nobile maestria. L’atmosfera era suggestiva e la tavola assai ricca, eppure i nani non sembravano soddisfatti: troppa roba “verde”, per i loro gusti. Quando Dwalin domandò dove fosse la carne e Ori si lagnò con Dori dell’assenza di patate fritte tra le pietanze, May soffocò una risata che poco dopo esplose incontrollata: Bofur era salito in piedi sul tavolo, intonando una vivace e grottesca canzoncina. Il vino degli elfi gli aveva dato alla testa, pensò. Quanto a lei, si accontentò di assaggiare qualche frutto di Imladris, dolce e succoso. Frattanto, alcuni dei nani – colti da un impeto d’inarrestabile allegria – si divertivano a far volare il cibo, che finiva con l’atterrare inevitabilmente sul pavimento e sulle statue tutt’intorno, con notevole disappunto degli elfi.
Mentre May osservava divertita i compagni, Fili – che sedeva di fronte a lei – le versò dell’idromele, la bevanda preferita dagli elfi; nel porgerle il calice, i suoi occhi indugiarono sul volto della donna, pensando che quel sorriso superava in bellezza tutte le meraviglie della Terra di Mezzo messe insieme.
 
Dopo cena, i nani scelsero un posto tranquillo dove accendere un fuoco per cuocere del vero cibo, come lo definirono mentre gustavano grosse salsicce che avevano fatto un po’ di strada insieme a loro, con le altre provviste. Avevano pianificato di passare lì la notte; le camere che gli erano state offerte dagli elfi non si confacevano alle loro esigenze e abitudini.
May aveva trangugiato la sua porzione di carne e ora sedeva in un angolo con Fili e Kili, osservando i compagni che consumavano il loro pasto; molti di loro non avevano toccato cibo alla mensa di Elrond, sicché erano affamati. Alcuni avevano già acceso le pipe e fumavano tranquilli, chiacchierando e ridendo. Bilbo, Thorin e Balin non erano tra i presenti; Gandalf li aveva condotti da re Elrond, per mostrargli la mappa e discutere dei loro piani. May aveva una mezza idea di alzarsi e fare due passi, quando sentì un liquido caldo solleticarle la gamba: sollevò i lembi del vestito e vide un rivolo di sangue che scorreva dal ginocchio sinistro.
Fili, che le sedeva vicino, balzò in piedi. “Tu sanguini! Perché non ce lo hai detto?!”.
Immediatamente, si inginocchiò davanti a lei per esaminare la ferita.
“L’avevo scordato, ma è solo un piccolo taglio, non preoccuparti! Devo essermelo fatto stamattina, quando sono caduta prima che fossimo circondati dagli orchi”, chiarì May con noncuranza.
Fili sembrò non prestare attenzione alle sue parole; si alzò, andò dagli altri e scambiò con Oin qualche parola sottovoce. Quando tornò, aveva delle bende e una scatolina in mano.
“Anche il più piccolo taglio può infettarsi”, dichiarò con apprensione. Si inginocchiò di nuovo e sfiorò con una mano la gamba nuda di lei, mentre con l’altra disinfettava la ferita servendosi di uno strano unguento marrone; May sentì uno sfarfallio allo stomaco e un calore improvviso invase il suo corpo. La gamba tremò. Fili se ne accorse e si arrestò, alzando gli occhi su di lei.
“Brucia un pochino, ma passerà presto” disse, in un tenero bisbiglio.
Il fuoco scoppiettava allegro, e le fiamme proiettavano sul giovane nano la loro vivida luce che scintillava tra i suoi capelli d’oro; May lo avrebbe ammirato per ore intere, senza stancarsi.
“Hey, guardate: mio fratello è arrossito! Sembra un pomodoro maturo!”. Kili scoppiò in una risata rumorosa che echeggiò per tutto il balcone, imitato dai compagni.
“Suvvia ragazzo, non canzonarlo!” commentò Bofur, senza smettere di ridere. “Non capita tutti i giorni di trovarsi in ginocchio dinanzi ad una bella signora!”. May non sapeva più da che parte guardare; avrebbe volentieri preso Kili per le orecchie, se avesse potuto. Fili le stava fasciando la ferita ed ella notò che, effettivamente, le sue guance si erano tinte d’un certo rossore.
“Ecco fatto!”, disse lui rialzandosi. “Non rimuovere la benda fino a domani sera e non bagnarla, intesi?”.
“Ai tuoi ordini, mio signore!” rispose lei, sorridendogli con affettuosa riconoscenza.
 
“Cos’è questo baccano?”.
May si girò e vide che Thorin era tornato, seguito da Balin e Bilbo; aveva un’aria cupa, mentre rispondeva alle domande impazienti dei compagni.
“Elrond è riuscito a leggere la mappa: rune lunari”, spiegò il capo della spedizione a Dwalin, il quale chiedeva come fosse andato l’incontro col re. “Dobbiamo trovare la porta segreta entro il dì di Durin”.
“L’estate sta passando!”, osservò Dwalin preoccupato.
“Abbiamo ancora tempo”, fece notare Balin.
“Tempo? Per cosa?”, domandò Bofur.
“Per trovare l’entrata nascosta”, precisò il nano dalla barba bianca. “Dovremo trovarci esattamente nel posto giusto, al momento giusto. Allora, e solo allora, la porta potrà essere aperta”.
 
Stà accanto alla pietra grigia quando il tordo picchia, e il sole che scende col suo risolutivo raggio nel dì di Durin splenderà sul buco della serratura.
 
Erano queste le parole segrete della mappa. May le conosceva bene; si trattava di rune lunari scritte in nanico antico in una vigilia di mezza estate, circa 200 anni prima, al chiaro di una luna crescente.
La giovane sapeva che il dì di Durin corrispondeva all’inizio dell’anno nuovo per i nani: quando l’ultima luna d’autunno e il primo sole d’inverno fossero apparsi insieme nel cielo, la porta nascosta si sarebbe rivelata.
“Questo vuol dire che non abbiamo tempo da perdere. Lasceremo questo posto non più tardi di domani sera”, annunciò Thorin chiudendo la questione. Sedette vicino al fuoco, ormai quasi spento. “Partiremo non appena farà buio, e lo faremo di nascosto”.
Dwalin lo guardò perplesso.
“Com’era da aspettarsi, gli elfi non incoraggiano la missione e tenteranno di fermarci” riprese Thorin, “Ma noi non lo permetteremo. Gandalf non lo permetterà. Egli mi ha assicurato che li terrà occupati durante la riunione del Consiglio, mentre noi lasceremo la Valle in silenzio e senza dare nell’occhio”.
 
I nani tacquero. Avevano abbastanza informazioni su cui riflettere, ma il tutto poteva essere rimandato all’indomani. Molti di loro – incapaci di tenere gli occhi aperti – estrassero le coperte da viaggio dalle grosse bisacce, mentre alcuni tra i più anziani rimasero svegli ancora un po’, fumando le loro pipe in silenzio.
Dopo aver augurato la buonanotte, May si avviò verso la sua stanza seguita da Bilbo, al quale era stato assegnato un alloggio non lontano dal suo; nemmeno lui era entusiasta all’idea di dormire sul pavimento in pietra del balcone che i nani avevano occupato per la notte.
Era stata una giornata spossante. May aveva ancora dolore alle gambe a causa della lunga corsa mattutina per sfuggire agli orchi; non appena poggiò la testa sul cuscino cadde in un sonno profondo e senza sogni, stringendo in mano la margherita avuta in dono da Fili.
 







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Capitolo 8
*** Tempesta sulle Montagne Nebbiose ***





CAPITOLO VIII

Tempesta sulle Montagne Nebbiose
 




Lasciare Gran Burrone di nascosto risultò piuttosto semplice, sebbene nessun membro della compagnia avesse immaginato di doverlo fare prima del previsto; l’incontro di Gandalf col Consiglio era stato anticipato e, di conseguenza, Thorin e gli altri si erano visti costretti a partire l’indomani mattina di buon’ora. Incrociarono solo un piccolo gruppo di elfi prima di attraversare il ponte sul Bruinen e nessuno prestò loro attenzione; in tal modo, imboccarono rapidamente il sentiero che conduceva alle Montagne Nebbiose. Come promesso, lo stregone aveva tenuto occupato re Elrond ed altri elfi durante la riunione; il suo intento era quello di concedere agli amici il tempo necessario per lasciare la Valle inosservati, così da raggiungerli in seguito.
Quando la compagnia intraprese un sentiero roccioso, troppo stretto per permettere a ciascuno di loro di camminare fianco a fianco senza cadere nel vuoto dal lato destro, Bilbo restò indietro e si voltò a guardare la Valle degli elfi che aveva appena lasciato; May, che camminava dietro di lui, si fermò a sua volta.
“Mi sarei trattenuta volentieri un altro giorno, o un’altra settimana, magari anche un mese” disse, con lo sguardo rivolto a Gran Burrone.
Bilbo colse una vena di nostalgia nella voce della donna, e fu lieto di non essere l’unico della compagnia a rimpiangere quel posto magnifico. “So che vuoi dire. Non sarebbe dispiaciuto neanche a me… Sai, re Elrond mi aveva detto che sarei stato il benvenuto tra loro, se avessi deciso di restare”.
“E’ stato gentile da parte sua, puoi ritenerti fortunato!”. May naturalmente era a conoscenza di quella conversazione avvenuta tra il re degli elfi e lo hobbit, tuttavia si mostrò sorpresa: stava imparando a fingere.
“Tu avresti voluto? Restare a Gran Burrone, intendo”.                            
Bilbo non ebbe il tempo di rispondere; la voce di Thorin li avvertì che erano rimasti troppo indietro.
“Mastro Baggins! May! Vi suggerisco di tenere il passo”.
Stavano per varcare i confini delle Terre Selvagge.
 
 
-s-s-s-
 
 
May procedeva lentamente, facendo attenzione a dove metteva i piedi. La vista da lassù era di una bellezza mozzafiato, ma sfortunatamente non c’era tempo di fermarsi ad ammirare il panorama.
La compagnia aveva seguito un percorso roccioso che saliva sempre più in alto; il sentiero era divenuto pericolosamente stretto e i viaggiatori avanzavano con estrema cautela. Vi era un muro di roccia alla loro sinistra; sulla destra, il nulla. Poco dopo il tramonto, il cielo sopra le loro teste si era coperto di nubi e la pioggia non tardò a manifestarsi sotto forma di scrosci impietosi.
“Ci mancava anche questa!” borbottò Dori spazientito, esprimendo ad alta voce il pensiero di tutti. Con quel temporale, in quel sentiero che consentiva il solo passaggio in fila indiana, era difficile proseguire e impossibile tornare indietro.
“Dobbiamo trovare riparo!” gridò Thorin, in testa alla fila.
Un lampo squarciò il cielo notturno, accompagnato dal ruggito di un tuono.
“Fosse facile!”, pensò May.
La fanciulla arrancava penosamente dietro a Bilbo e davanti a Fili; il cappuccio del mantello non era che un misero riparo dal vento ostile e dalla pioggia battente.
All’improvviso, Dwalin vide qualcosa di scuro volare nel cielo in direzione della compagnia.
“Attenzione!” gridò con tutto il fiato che aveva, subito prima che un enorme masso si schiantasse contro la parete sopra di loro, causando una valanga di roccia. La montagna tremò e, con essa, i cuori della compagnia. May guardò in alto, confusa e spaventata. In quell’attimo, il suo piede scivolò pericolosamente ed ella perse l’equilibrio; sarebbe sprofondata nel baratro ponendo fine ai suoi giorni, se Fili non l’avesse afferrata per la vita attirandola contro di sé, per proteggerla col proprio corpo dai grossi pezzi di roccia che piovevano dall’alto. Per fortuna, molti di questi caddero nell’abisso sotto i loro piedi e nessuno rimase ferito.
 
“Questo non è un temporale! E’ una battaglia fra tuoni!”. La voce di Balin, che indicava un punto lontano davanti a sé, sovrastò il frastuono della tempesta.
“Guardate!”.
 
I viandanti guardarono in su e non credettero ai loro occhi: due giganti animati, fatti di pura roccia, si stagliavano contro l’oscurità lacerata dai lampi. Con immenso stupore, la compagnia li vide staccare grossi macigni dalla montagna come fossero briciole, per lanciarseli a vicenda.
May era impressionata: aveva visto innumerevoli volte quella scena, ma viverla era ben altra cosa!
“Che mi venga un colpo! Le leggende sono vere!” vociò Bofur, stravolto. “Giganti di pietra!”.
In quell’istante, uno dei giganti fu colpito da un masso lanciato dall’altro, e inciampò all’indietro.
“Riparati, stupido!” gridò Thorin a Bofur, che fissava impietrito i due colossi.
Immediatamente, Kili tirò il nano al riparo contro il muro di roccia proprio mentre il gigante si schiantava di schiena sul lato della montagna. Si udì un tremendo scricchiolio.
 
“Fili!”.
 
L’urlo di May fece voltare l’intera compagnia: una crepa si era aperta tra i piedi di Fili, che ora fissava sgomento il terreno sgretolarsi sotto di lui. Non aveva altra scelta che saltare a destra o a sinistra per non cadere nel vuoto, e doveva farlo in fretta.
Per un attimo che sembrò durare un’eternità, il nano rimase con i piedi poggiati su ciascun lato della roccia ormai frantumata in due, mentre l’abisso si allargava sotto di lui.
 
“Fili! No!”.
 
La disperazione che trapelò dalla voce di May fu più forte del terrore che lo paralizzava: Fili spiccò un salto verso la fanciulla, nello stesso momento in cui lei lo afferrava per un braccio attirandolo verso di sé. Tremante, il giovane la strinse forte tra le braccia e, per un meraviglioso istante, entrambi dimenticarono la paura.
Quando si voltò, Fili vide con orrore che suo fratello – dalla parte opposta del sentiero – veniva lentamente trascinato via.
“Kili!” gridò, tendendo invano il braccio verso di lui.
I quindici viaggiatori si trovarono spaventosamente in piedi sulle ginocchia di una delle creature di pietra: metà della compagnia era bloccata sulla gamba destra, l’altra metà sulla sinistra.
La battaglia non accennava a finire.
Ricevendo una testata dall’avversario, uno dei giganti barcollò andando a colpire per la seconda volta il fianco della montagna; la gamba sinistra strusciò sul muro di roccia, permettendo così a Thorin e pochi altri di saltare via e piombare nuovamente sul sentiero.
La parte restante della compagnia era ancora terribilmente sospesa sull’altra gamba del gigante, che questa volta incassò un pugno: la testa si staccò e volò via. La creatura di pietra vacillò, frantumandosi il ginocchio sul sentiero a pochi passi da May, che guardava inorridita; il corpo cadde nel burrone, sbriciolandosi in mille pezzi.
 
“NO!”.
 
Il grido di Thorin lacerò l’aria: Kili e altri compagni si trovavano su quel ginocchio, al momento della collisione.
“Li ha schiacciati! Maledetto!”, urlò Dwalin fuori di sé.
“No! Kili!”. Thorin balzò in avanti sul sentiero roccioso e grande fu il sollievo, quando vide che suo nipote e gli altri erano vivi. Sconvolti, malconci, ma vivi.
“Tutto bene! Sono vivi!” esclamò Balin, correndo in loro aiuto insieme a Fili.
“Dov’è Bilbo?”. Bofur cercava ansiosamente attorno a sé, senza riuscire a vederlo. “Dov’è lo hobbit?”.
“Bilbo!”. May si girò e fece uno scatto in avanti, rischiando di scivolare una seconda volta.
“Resisti!”.
Le mani dello hobbit erano spasmodicamente aggrappate al bordo del sentiero; le gambe penzolavano nel vuoto ed egli stava per mollare la presa, quando la giovane si inginocchiò per allungargli un braccio. Bilbo lo afferrò, terrorizzato, ma nonostante lo sforzo May non fu in grado di tirarlo su, neanche quando Bofur e Ori intervennero in suo aiuto. Ci riuscì Thorin, che saltò agilmente oltre il margine della roccia, calandosi giù quel tanto che bastò per portare Bilbo in salvo; subito dopo scivolò mancando il punto di appoggio, ma fu agguantato al volo da Dwalin, che lo tirò su impedendogli di cadere nel burrone.
“Grazie a Durin!”, disse Dwalin in un sospiro, “Credevo avessimo perso il nostro scassinatore!”.
“Lui si è perso! Fin da quando ha lasciato casa sua” rispose Thorin, lanciando un’occhiata dura a Bilbo.
“Non sarebbe mai dovuto venire! Non c’è per posto per lui, tra noi!”.
May poté leggere la mortificazione sul volto dell’amico e provò pena per lui.
“Dwalin!”. Con un cenno del capo, Thorin invitò il compagno a seguirlo all’interno della caverna che aveva appena scoperto.
“Non badare a ciò che ha detto, non lo pensa realmente. E’ solo sconvolto!”.
May aveva scelto con cura le parole da rivolgere a Bilbo; gli accarezzò la spalla con fare rassicurante e un sorriso incerto increspò le labbra dello hobbit, che annuì prima di seguire i compagni.
 
“Stai bene? Sei ferita?”.
May alzò la testa e vide Fili che la osservava preoccupato. La stava aspettando all’ingresso della caverna; gli altri erano già dentro.
“Sto bene, è solo che…”. Ella abbozzò un sorriso forzato e sospirò. Le parole uscivano a fatica. Vide gli occhi del nano indugiare ansiosi su di lei e un nodo le salì in gola. Avrebbe voluto che le braccia di Fili la stringessero come avevano fatto poco prima, per non lasciarla mai più andare; sentiva il bisogno di liberare le lacrime e annegarle sulla spalla di lui, col viso nascosto tra le sue lunghe trecce dorate.
“Non ho mai provato tanta paura in vita mia!” disse infine, ricacciando indietro le lacrime.
“Lo so”.
La voce di Fili era poco più che un sussurro.
Egli avanzò di qualche passo; gocce d’acqua piovana scivolavano incessanti dal cappuccio fradicio sulla sua fronte. Si fermò davanti a lei. “Grazie… Di avermi salvato” mormorò, esitante.
May sentì gli occhi inumidirsi. Tremava dalla testa ai piedi per l’acqua e il freddo penetrati fin dentro le sue ossa, e poi perché lui era lì – a meno di mezzo metro da lei – intento a fissarla come se… Come se…
No, non era possibile, si disse.
“Oh beh, in questo modo ho saldato il mio debito, considerando che tu mi hai salvata per primo”, scherzò.
“Temo di dover dissentire: tu mi hai salvato ben due volte nel giro di pochi giorni, dunque sono io ad essere in debito con te”.
Le labbra di Fili disegnarono un umile sorriso che scaldò il cuore di May.
“Che fate ancora lì? Muovetevi!”. Nori si era affacciato dalla caverna e li esortava ad entrare; i due obbedirono e, pochi istanti dopo, furono inghiottiti dal buio.
 
 
-s-s-s-
 
 
May si girava e rigirava nella coperta da viaggio, poco meno zuppa dei suoi vestiti.
“Mi beccherò come minimo un raffreddore!” osservò, dopo aver soffocato uno starnuto sul palmo della mano per non svegliare i compagni. Era esausta, tuttavia il sonno era ben lungi dall’arrivare. Le gambe le tremavano ancora dallo spavento, e l’umidità della caverna non era di aiuto. Avrebbe avuto bisogno di scaldarsi un pò prima di riposare – come i suoi amici del resto – ma Thorin aveva proibito a Gloin di accendere il fuoco: le grotte di montagna erano spesso abitate e non era il caso di rischiare, specialmente dopo la recente disavventura. L’intento del capo della compagnia era quello di riprendere il cammino al sorgere del sole, e May sapeva di non poter dire o fare nulla per anticipare la partenza; pur conoscendo il nuovo pericolo che tutti loro avrebbero affrontato di lì a poco, aveva le mani legate. Era terribile sapere senza poter agire.
D’altra parte, era stata lei a fare quella scelta; c’era il suo nome sul contratto avuto da Balin, lo aveva firmato lei di sua spontanea volontà.
Dalla sera in cui era arrivata a Casa Baggins, May non aveva rimpianto neanche per un attimo la sua vecchia vita nel mondo reale. Avrebbe sì desiderato riabbracciare familiari ed amici, e avvertiva forte la mancanza di tutte le comodità moderne a cui era abituata, ma nel profondo del cuore cominciava a sentirsi parte della Terra di Mezzo. Era sempre stato quello il suo posto, il mondo che aveva percorso infinite volte nei propri sogni da sveglia.
Si domandava quale sarebbe stato il suo destino. Si rendeva conto che l’attendevano giorni difficili e probabilmente dolorosi, eppure ciò non intaccava in alcun modo la felicità che provava.
In fondo, c’era lui.
Lui, che ora dormiva a qualche metro di distanza. Alla pallida e unica luce che filtrava dall’entrata della grotta, May poteva scorgere i capelli biondi del giovane risplendere nel buio; egli riposava su un fianco, avviluppato in una coperta di lana che lo copriva dal collo in giù.
La fanciulla chiuse gli occhi: sentiva ancora il calore di Fili, quando lui l’aveva stretta al petto per metterla al riparo dalla valanga rocciosa.
 
Lei amava Fili.
 
Le era bastato incontrarlo, per vedere la propria infatuazione nata nel “vecchio mondo” trasformarsi in un autentico e vivo sentimento d’amore nel “nuovo”.
Sì, lo amava.
Ne aveva preso piena consapevolezza la sera in cui – senza riflettere e senza sapere cosa stesse davvero facendo – si era buttata in mezzo ai troll nel tentativo di salvarlo. Quando aveva udito la voce sconvolta di lui gridare il suo nome, dall’angolo in cui era prigioniero, May aveva provato una terribile stretta al cuore. Chissà se Kili aveva ragione. Chissà se Fili l’amava… Sarebbe stato immensamente bello da credere. E da vivere. Forse era davvero così. O forse, lui la vedeva come una sorella minore da proteggere, nulla di più.
Perché il solo pensiero faceva tanto male?
Era tormentata dal desiderio di sapere quali sentimenti si nascondessero nell'animo di lui. Sentiva che Fili si stava avvicinando a lei, e lo stava facendo in un modo diverso rispetto al fratello; ciononostante, il giovane non diceva nulla e lei si augurava con tutto il cuore di non essergli indifferente. La singolare affinità che li univa era stata notata da tutta la compagnia: scherzi, allusioni e sorrisetti ne erano la dimostrazione.
 
Un leggero stropiccio di passi le fece drizzare le orecchie. May si sollevò sul gomito, giusto in tempo per vedere Bilbo che se la svignava indisturbato, impugnando il suo bastone da viaggio.
“Dove credi di andare?” bisbigliò, alzandosi in piedi.
Bilbo si arrestò immediatamente, prima di girarsi. “Torno a Gran Burrone”, rispose con voce bassa e piatta.
“Non puoi andartene ora, fai parte della compagnia!”.
Il tono di May si era alzato di poco, senza che lei lo volesse. Evitando di fare rumore, ella raggiunse lo hobbit davanti all’ingresso della grotta, dove sulla sinistra sedeva Bofur, addormentato con la schiena appoggiata al muro; era stato vinto dalla stanchezza durante il primo turno di guardia.
“In realtà no. Thorin ha detto che non dovevo venire, lo hai sentito anche tu… E ha ragione”.
Bilbo sembrava fermo sulle sue convinzioni.
“Se tu te ne vai, allora me ne vado anch’io!” ribatté lei, con altrettanta convinzione.
La sola idea di lasciare la compagnia – di lasciare lui – era estremamente dolorosa per May; mettere in atto un tale piano avrebbe richiesto un grande sacrificio, da parte sua. Eppure doveva trattenere Bilbo ad ogni costo e, se questo era l’unico modo, era pronta a rischiare. Se lo hobbit fosse tornato a Gran Burrone, la missione sarebbe miseramente fallita e la gravità delle conseguenze avrebbe assunto proporzioni tali che, solo ad immaginarle, la fanciulla rabbrividì.
Bilbo scosse lentamente la testa, sorridendo con amarezza. “Tu hai degli amici qui, non puoi abbandonarli” disse, guardandola in modo eloquente.
“Sì dà il caso che siano anche tuoi amici, Bilbo. E anche tu sei mio amico. Vedi, noi due siamo i nuovi arrivati, perciò se lascerai la compagnia io ti seguirò!”.
“Ragazzi, che ci fate ancora in piedi?”. Bofur si era appena svegliato e li guardava perplesso.
“Per la mia barba, devo essermi appisolato… Che succede qui?”.
“Bilbo vuole tornare a Gran Burrone ed io lo accompagno, ecco che succede!”, dichiarò May in tono contrariato.
“Ma dico, siete impazziti?! Bilbo, non puoi andartene! Sei uno di noi, adesso. E anche tu, May!” esclamò Bofur sconcertato, alzandosi in piedi. “Avete nostalgia di casa, lo capisco, io…”.
“No! Tu non puoi… Tu non capisci! Nessuno di voi capisce!” si sfogò lo hobbit, alzando leggermente la voce. “Siete nani! Siete abituati a questa vita, a vivere per strada, mai fissarsi in un posto e non appartenere mai a niente!”.
Bofur tacque. May ebbe l’impressione che gli occhi del nano si stessero facendo lucidi.
“No, scusami… Io non…”. Bilbo abbassò la voce e tossì nervosamente; quelle erano parole dure e si era pentito subito di averle pronunciate.
“No, hai ragione” disse Bofur tristemente, voltandosi a guardare i compagni che dormivano. “Non apparteniamo mai a niente”.
Lo hobbit restò in silenzio. Era sinceramente dispiaciuto.
“Vi auguro tutta la fortuna del mondo, ragazzi. Dico davvero!” aggiunse infine Bofur, sorridendo affettuosamente ai due amici. Fu allora che gli cadde l’occhio su una strana luce che s’intravedeva dal fodero della spada elfica di Bilbo.
“Che cos’è?”.
Lo hobbit tirò su l’elsa: tutti e tre videro che la lama emanava una luce blu. Con orrore, ben sapendo cosa stava per accadere, May si precipitò a svegliare i compagni, scuotendoli uno ad uno proprio mentre la terra cominciava a tremare sotto di loro.
“Svegliatevi!” gridò Thorin, che non dormiva e aveva udito la conversazione tra lo hobbit e Bofur. Qualcosa, nelle profondità della montagna, stava tracciando un solco nella sabbia del pavimento della grotta.
“Presto, via di qui!” gridò May a Fili, che la guardava disorientato. Lui allungò una mano verso di lei, ma in quel momento la terra si aprì come una porta e tutti loro scivolarono giù, in un buco profondo.
 









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Capitolo 9
*** Questione di fiducia ***





CAPITOLO IX

Questione di fiducia

 
 



May batté le palpebre e una lacrima salata scivolò giù, sciogliendosi sulle labbra.
Si sentiva male.
Un fetore orrendo invadeva le sue narici e il senso di nausea era insopportabile.
“Devo essere svenuta”, pensò. Era accaduto dopo che i goblin – gli orchi delle Montagne Nebbiose – l’avevano legata ad un alto palo di legno, le corde ben strette attorno ai polsi e alle caviglie. Era stato il loro re a ordinarlo: il Grande Goblin, un orco orripilante, il cui mento consisteva in un lungo lembo di pelle che ballonzolava ad ogni minimo, ripugnante movimento del suo enorme corpo grasso.
L’aveva scelta come ostaggio dopo che la fanciulla, con la forza della disperazione, aveva infilzato il suo primo nemico: un lurido goblin che si era permesso di lasciar scorrere le mani ovunque su di lei, mentre la spingeva in avanti sul ponte mobile di legno. May, disgustata e furiosa, era riuscita ad estrarre la spada dalla guaina e affondarla nel ventre della viscida creatura, prima di spingerla nell’abisso al di sotto del ponte. Stentava a credere di aver ucciso, ma le due frustate alle mani ricevute subito dopo l’avevano convinta di averlo fatto davvero. Tra urla stridule e risate gracchianti che rimbombavano implacabili nel vuoto e nella sua testa, May era stata disarmata e fatta prigioniera davanti al trono prima ancora che i compagni giungessero al cospetto del re, spintonati da un esercito di goblin.
Precipitando nella fessura che si era aperta nella grotta di montagna, i quindici viandanti erano letteralmente atterrati nell’immensa, mostruosa Città dei Goblin. Erano in trappola.
 
Il Grande Goblin li accolse con la sua abominevole canzone di benvenuto, accompagnato dal coro dei suoi ignobili sudditi.
 
Afferra, spacca, piega e schiaccia
Rompi ogni osso delle braccia
Puoi piangere, urlare
Chi ti può aiutar?
Più giù in profondità
E’ degli orchi la città!
 
Quando May riaprì gli occhi, la canzone stava terminando e le sue orecchie stanche udirono questi ultimi versi, quantunque ne avrebbero fatto volentieri a meno. Sollevò la testa dolorante, gettando uno sguardo attorno: innumerevoli ponti di legno sospesi nel vuoto. Fiaccole accese e teschi ovunque. Case costruite sulle pareti di roccia alla maniera degli orchi.
I goblin avevano condotto i nani dinanzi al sovrano, accerchiandoli alla fine del ponte, perquisendoli e disarmandoli uno ad uno, su ordine del re; May poté vedere asce, spade – inclusa la propria – e altre armi ammucchiate ai loro piedi come rifiuti.
“Che cosa ci fate da queste parti, nani?” domandò il Grande Goblin. Nessuno rispose.
Il povero Bofur si sforzò di mettere insieme qualche parola confusa aiutato da Dori, ma il re li zittì, rabbioso: non era disposto ad ascoltare le loro frottole.
“Taci! Basta! Se non vorranno parlare, saremo costretti a farli strillare! Portate qui il maciullatore! Portate qui lo spezza-ossa! Cominciate con la femmina ribelle!”. Puntò il grosso indice contro May.
 
“Non toccatela!”.
 
La fanciulla riconobbe la voce di Fili, mentre due grossi orchi si avvicinavano a lei con un ghigno eccitato sulle loro immonde facce: pregustavano la gioia di usare sulla prigioniera i migliori strumenti di tortura.
Fili lesse il terrore negli occhi di May. Si mosse per raggiungerla, liberandosi dalle grinfie dei goblin, ma Thorin posò una mano sulla sua spalla e lo trattenne, scuotendo la testa.
“Aspetta!” gridò il capo della compagnia facendo qualche passo avanti, rivolgendosi al mostruoso re. I goblin abbassarono le voci e i due orchi che stavano per afferrare May si arrestarono.
“Bene, bene, bene! Guarda chi c’è” disse il Grande Goblin, con un largo sorriso gongolante. “Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thrór, Re sotto la Montagna!”. Fece un inchino cerimonioso e beffardo.
“Oh! Ma dimenticavo: non ce l’hai una montagna. E non sei un re… Il che fa di te un nessuno, in realtà!”.
Thorin lo fissava in silenzio, in piedi davanti a lui, senza reagire alle provocazioni.
 “Conosco qualcuno che pagherebbe un bel prezzo per la tua testa”, riprese il Grande Goblin. “Solo la testa, nient’altro attaccato”.
May lanciò un’occhiata ansiosa al nano e lo stesso fecero i compagni.
“Forse tu sai di chi sto parlando. Un vecchio nemico tuo… Un Orco Pallido, a cavallo di un bianco mannaro”. Thorin non si mosse. “Azog il Profanatore è stato distrutto. Trucidato in battaglia molto tempo fa”, rispose con voce bassa.
“Così credi che i suoi giorni da Profanatore siano finiti, vero?” chiese il Grande Goblin.
Un guizzo di malvagità attraversò i suoi occhi, mentre la bocca si piegava in un ghigno divertito. Si voltò verso un piccolo goblin munito di taccuino e penna, seduto su una curiosa sedia appesa ad una fune attaccata alle pareti della Città. Servendosi di quel sedile mobile, la creatura poteva spostarsi da un luogo all’altro senza muoversi.
“Invia un messaggio all’Orco Pallido. Digli che ho trovato il suo premio!”.
 
May sospirò, dimenticando per un attimo l’orrore che provava. “Adesso lo sa”, pensò. “Thorin sa che Azog è vivo!”. Il suo sguardo si posò sul nano: nessuna emozione trapelava dal quel viso nobile e orgoglioso.
Ma dov’era Gandalf? C’era urgente bisogno di lui. E se questa volta non fosse arrivato in tempo? Ella si sentì mancare, al pensiero. Avrebbe voluto trarre un respiro profondo per calmarsi, ma il suo corpo tremava incontrollato. Le corde erano troppo strette; non sentiva più le mani, né i piedi. Le forze la stavano abbandonando e quando vide le macchine di tortura trascinate dagli orchetti avvicinarsi al ponte, pensò che la fine – sua e dei compagni – era vicina.
E Bilbo? Chissà se aveva già incontrato Gollum… Nessuno dei nani sembrava aver notato la sua assenza. Un pensiero orribile attraversò la mente stravolta di May, facendola rabbrividire: e se lo hobbit fosse stato ucciso dai goblin, o dallo stesso Gollum?
Improvvisamente un urlò rimbombò attraverso la Città, seguito dal rumore di un oggetto metallico; May vide il Grande Goblin, terrorizzato, balzare indietro con gli occhi fissi su Orcrist – la spada di Thorin trovata nella caverna dei troll – che uno degli orchetti aveva sguainato e lasciato cadere.
“Conosco quella spada! E’ la fendi-orchi!” strillò il re. “Squarciateli! Uccideteli tutti!”.
I goblin indietreggiarono atterriti, allontanandosi dalle armi degli intrusi situate a terra.
Si lanciarono all’attacco in preda al panico più assoluto, tirando pugni e usando le fruste sui nani, respingendo con odio spietato il loro disperato tentativo di difesa.
Fili cercò in ogni modo possibile di farsi strada fino al palo dove May era legata, ma gli orchetti gli si gettarono addosso più volte, impedendogli di avanzare. La fanciulla osservava con raccapriccio i compagni, sommersi dai nemici, combattere quella che aveva tutta l’aria di essere una battaglia senza possibilità di salvezza; si sentì un peso inutile e, per la prima volta da quando era partita dalla Contea, rimpianse di essersi unita alla compagnia. Avrebbe desiderato impugnare la spada e morire difendendo gli amici, mentre ora… Poteva solo assistere impotente al loro massacro, prima di esalare l’ultimo respiro.
Per qualche momento nessuno badò a lei, anche se durò poco; tre o quattro goblin urlanti non tardarono ad avvicinarsi al palo facendo schioccare le fruste, proprio mentre il re ordinava di tagliare la testa a Thorin.
May chiuse gli occhi. Non avrebbe sopportato la vista di una simile atrocità.
Ma non vi furono teste mozzate, né altri colpi di frusta: si udì un boato, e la giovane donna si sentì sfiorare da un improvviso vento caldo. Riaprì gli occhi: i goblin erano caduti intorno a lei. I ponti più vicini erano saltati. La Città era avvolta nel silenzio. Ogni cosa restò immobile per qualche istante.
Tutti – alleati e nemici – erano stati abbagliati da un’intensa luce che li aveva scaraventati a terra.
 
“Imbracciate le armi! Combattete!”.
May esultò nell’udire quella voce. “Gandalf!” gridò, fuori di sé dalla gioia.
 
“Combattete!” ripeté lo stregone, facendosi più vicino.
 
I nani si rialzarono in piedi, precipitandosi nel punto in cui i goblin avevano depositato le loro armi; ognuno raccolse la propria e si lanciò sugli aggressori con grida feroci. Teste, braccia e corpi di orchetti volarono nell’aria che odorava di vendetta grazie all’intervento di Glamdring, la spada elfica di Gandalf.
 
“Ecco la tua spada, femmina ribelle!”.
Con un balzo, Kili fu accanto a May e la liberò velocemente dalle corde; un po’ più indietro, Fili faceva ruotare abilmente le spade gemelle per fermare i goblin che tentavano di avvicinarsi al palo.
“Ce ne hai messo di tempo, fratellino!” esclamò la fanciulla, sorridendo debolmente. Aveva appena afferrato la spada che lui le porgeva, felice che non fosse andata perduta, quando sentì l’energia defluire dal suo corpo; si accasciò a terra. In quel momento Fili, infilzati gli ultimi due orchetti che bloccavano il passaggio, fece un salto in avanti e vide il fratello chino sulla giovane compagna che giaceva a terra, immobile.
 
“MAY! NO!”.
 
Il suo cuore si fermò.
Ma fu solo un attimo: May si mosse di nuovo, aprì gli occhi e tornò in piedi, aiutata da Kili. L’urlo straziato di Fili l’aveva lacerata nel profondo, facendo sì che grosse lacrime rigassero le sue guance: sentiva di amarlo disperatamente. Il giovane nano era visibilmente scosso e, mentre correva verso May, non si accorse di tre goblin che lo inseguivano, pronti a gettarsi su di lui. Dwalin e Balin li anticiparono avventandosi su due di essi, ma il terzo riuscì a fuggire e sorprese Fili di spalle, vibrando un pugnale.
“Fili! Attento!”.
Il grido di suo fratello fece voltare di scatto il giovane, salvandogli la vita. La freccia di Kili affondò nel collo dell’orchetto proprio nell’istante in cui il pugnale colpiva Fili di striscio; la fronte del nano sanguinò.
Fu troppo per May. Furibonda, raccolse la spada stringendo l’elsa nel pugno: le forze stavano tornando.
“Ce la fai a camminare?” domandò Fili ansimante, quando fu di fronte a lei.
May annuì con determinazione.
“Temo che non ci toccherà camminare, bensì volare!” disse Kili. “Via!”.
“Di qua! Veloci!” gridò Gandalf. I compagni si riunirono correndo al seguito dello stregone, mentre egli li conduceva lontano dal Grande Goblin attraverso una serie di ponti; combattevano durante la corsa, confidando nel fatto che – se tutto fosse andato per il meglio – si sarebbero presto trovati fuori da quel posto maledetto.
Fili rallentò per afferrare la mano di May, con l’intenzione di proteggere la donna tenendola accanto a sé, ma lei la ritrasse con un gemito: il dolore causato dai colpi di frusta era ancora acuto.
Egli capì e la rassicurò con un breve cenno del capo, quindi si spinse avanti per combattere al fianco di Kili e Thorin, che falciavano goblin a destra e sinistra con le loro spade infuocate, tenendosi il più possibile vicini a Gandalf. May era al sicuro tra Dwalin e Balin, i migliori guerrieri a cui Fili potesse affidarla oltre a suo fratello e suo zio.
“Tagliamo le corde!”, ordinò Thorin.
Senza esitare, i nani obbedirono recidendo le funi di un piccolo ponte poco distante, facendolo sprofondare nel baratro insieme a un bel po’ di goblin che urlavano sopra di esso, intenti a frecciarli.
 
La lunga corsa attraverso la Città – saltando ponti e tagliando corde – fu interrotta dal Grande Goblin, che apparve all’improvviso impedendo alla compagnia di proseguire.
“Pensavi di potermi sfuggire?”. Usò il suo enorme bastone contro Gandalf, che riuscì a schivare i colpi.  “Che intendi fare ora, stregone?”.
Gandalf non perse tempo. Alzò il bastone e colpì il Grande Goblin dritto nell’occhio sinistro, per poi incidere con la spada un taglio orizzontale sulla sua pancia. Il re cadde in ginocchio con le mani premute sullo stomaco e lo stregone ne approfittò per tagliargli la testa. Sfortunatamente, il ponte su cui tutti sostavano era pericolante e non resse il peso morto della massiccia creatura: si spezzò, precipitando lentamente nel buco nero sotto di loro. Quel brusco movimento fece perdere a May l’equilibrio; per un breve, terribile momento il suo corpo si protese in avanti e gli occhi contemplarono l’abisso, finché le mani di Fili non l’afferrarono intorno alla vita, trattenendola saldamente. Il nano spinse la giovane donna contro di sé, accompagnandola nella spaventosa discesa. Una volta atterrata ed ancora tutta intera, May percepì un corpo morbido muoversi appena sotto di lei e riaprendo gli occhi, che aveva tenuti chiusi durante la caduta, vide quelli di Fili a pochi millimetri dai propri; la guancia calda di lui premeva contro la sua. Entrambi respiravano affannosamente. Sarebbe schizzata via in un lampo, se avesse avuto abbastanza energie; invece era sfinita e, peggio ancora, bloccata sotto il peso delle travi in legno del ponte appena crollato, proprio come la maggior parte dei compagni.
Con le braccia ancora avvolte intorno al corpo tremante della fanciulla, Fili la strinse forte a sé, fino a sentirne il battito forsennato del cuore contro il proprio petto. L’avrebbe protetta a qualsiasi costo.
May sentì il calore di lui invadere le sue membra stremate: sollevò appena il capo e si lasciò sfiorare dalla tenerezza di quello sguardo che la paura non era riuscita a spegnere.
Un tonfo li fece sussultare e i loro corpi saltarono leggermente, quando la carcassa del Grande Goblin cadde in cima al ponte spezzato, per fortuna un po’ più a destra rispetto al punto in cui i due si trovavano.
“Gandalf!” gridò Kili da sotto una trave, guardando verso l’alto.
Una schiera di goblin infuriati avanzava a tutta velocità verso di loro, venendo giù dalla parete di roccia.
“Sono troppi, non possiamo combatterli!” esclamò Dwalin, allarmato.
“Una sola cosa ci salverà: la luce!” rispose Gandalf, dirigendosi verso una galleria poco lontana. “Via!”.
Bofur liberò in fretta Fili e May dalle travi che li intrappolavano e, non appena furono tutti in piedi, corsero verso l’uscita.


-s-s-s-
 

May rallentò la corsa prima di fermarsi a riprendere fiato; finalmente era di nuovo all’aria aperta. Trasse un sospiro, sollevata, e lasciò che i raggi del sole calante baciassero i suoi occhi non avvezzi alle tenebre. Ormai lei e i compagni erano al sicuro nel bosco: i goblin non li avrebbero inseguiti alla luce del giorno.
Gandalf si arrestò e, guardandosi intorno, prese a contare uno per uno i membri della compagnia man mano che sopraggiungevano dall’uscita della Città, pronunciando i loro nomi ad alta voce.
Fili si avvicinò a May ed ella vide un rigagnolo di sangue colare dalla tempia sinistra del giovane.
“Sei ferito”, mormorò. Lo sguardo tradiva una tale preoccupazione che il corpo di Fili fu scosso da un brivido: lei si preoccupava per lui!
“Oh, non è nulla” rispose il nano con disinvoltura. “Non fa neanche male!”.
May lo vide sorridere e il suo cuore si strinse, al pensiero che si fosse procurato quella ferita a causa sua. Sarebbe potuta finire molto peggio, se Kili non fosse intervenuto gridando.
“Atterraggio morbido”, commentò Fili con un sorriso lievemente malizioso, alludendo alla caduta di poco prima.
Lei arrossì. “Già. E con questo, fanno ben due salvataggi. Adesso non puoi più affermare di essere in debito con me, ammesso che di debito si potesse parlare!”.
 
“Dov’è Bilbo? Dov’è il nostro hobbit?”.
La domanda di Gandalf colpì May come un lampo nella notte, e non soltanto lei. Come aveva potuto dimenticarsi di Bilbo?!
“Dov’è il nostro hobbit?!?” ripeté lo stregone, alzando la voce. Il silenzio che seguì accrebbe la sua preoccupazione.
“Accidenti al mezzuomo!” imprecò Dwalin. “Ora si è perso?!”.
Senza pronunciare parola, May voltò le spalle ai compagni e cominciò a correre su per il bosco: un’idea era balenata nella sua mente e doveva agire subito.
“Dove stai andando?” le gridò dietro Kili, pronto a seguirla insieme a Fili. “Vuoi perderti anche tu?!”.
“Vado a vedere se Bilbo è nei paraggi. Potrebbe essere ferito, o che so io… Resto a portata di voce!”, rispose lei senza voltarsi.
I due fratelli capirono che era il caso di lasciarla fare e, prima che qualcun altro potesse anche solo tentare di ostacolarla, May era già scomparsa tra gli alberi.
 
Corse a perdifiato in direzione della galleria dalla quale sapeva – o immaginava – che Bilbo sarebbe uscito, dopo essere sfuggito a Gollum. Il suo piano era quello di sorprendere lo hobbit nel preciso momento in cui si fosse tolto l’Unico Anello.
“Lui deve sapere che io so”, si disse. “Soltanto così potrò aiutarlo!”.
Si nascose dietro il tronco di una grossa quercia e attese, sperando con tutte le forze che Bilbo arrivasse sano e salvo e si rendesse visibile. La sorte fu benigna con la fanciulla: poco dopo lo hobbit si materializzò dal nulla a meno di dieci passi da lei, mentre sfilava l’Anello dal dito.
“Bilbo!” esclamò May, fingendosi sconcertata.
Egli sobbalzò. “M-May! C-cosa ci fai qui?!”.
“Cosa ci fai tu, qui!” rispose lei. “Che significa?!” domandò, indicando l’oggetto d’oro che lui aveva appena fatto scivolare in tasca.
“T-tu mi hai visto?”.
“Sarebbe più giusto dire che non ti ho visto, fino a che non sei apparso dal nulla!”.
May era esterrefatta, o almeno così sembrava a Bilbo; egli era stato colto sul fatto e, per quanto la cosa lo seccasse, non aveva altra scelta che raccontare la verità. In fondo, meglio confidarsi con May che con chiunque altro della compagnia: c’era qualcosa, in quella gentile forestiera, che lo faceva sentire a casa.
“Allora, vuoi spiegarmi che succede?” insisté lei, alterando il tono di voce. “Ti sembra il momento di mettersi a giocare con strani gingilli d’oro?!”.
Lo hobbit taceva ostinato, fissando nervosamente le punte dei propri piedi. La sua riluttanza a parlare era sul punto di far perdere a May la pazienza quando egli alzò la testa, guardando la giovane amica dritto negli occhi con una tale risolutezza da farle quasi paura.
“Ebbene, ti racconterò tutto. Sono salvo grazie ad una cosa che ho trovato laggiù, nelle profondità della montagna” disse lentamente, affondando una mano nella tasca del gilet. “Si tratta di…”.
Poteva bastare, per il momento. May aveva ottenuto quello che voleva: la fiducia di Bilbo.
“Va bene così!” lo interruppe rincuorata, sorridendogli dolcemente. “Me lo dirai un’altra volta, ora non c’è tempo per i lunghi racconti. Coraggio, torniamo dagli altri… Sono tutti in pensiero per te!”.
Si avviò, accelerando il passo e precedendo lo hobbit.
“May, aspetta!”.
Ella si fermò di colpo e si girò, guardandolo con aria interrogativa.
“Resterà un segreto tra me e te, non è vero?”.
May strizzò l’occhio in segno di complicità. “Naturalmente. E non vedo l’ora di conoscere i dettagli!”.
 
Avvicinandosi alla zona del bosco in cui aveva lasciato i compagni, May riconobbe la voce di Kili.
“Vi dico che non può essere sgattaiolato via!”.
“Parli come se fosse possibile sgattaiolare via da un posto come quello!”, rispose Gloin.
“Deve aver lasciato la grotta prima che tutti noi piombassimo giù in quell’ignobile Città, altrimenti non si spiega”, osservò Nori.
“E se fosse stato… Ucciso?”, azzardò Dori.
“Vorrei tanto sapere cosa gli è successo!”, disse candidamente Ori.
“Te lo dico io cosa è successo”, s’intromise Thorin. “Mastro Baggins ha visto la sua occasione e l’ha colta. Pensava solo al suo soffice letto e al suo caldo focolare, da quando ha messo piede fuori dalla porta! Non rivedremo mai più il nostro hobbit: è ormai lontano!”. Il suo tono era duro, al pari delle sue parole.
Seguì un silenzio angoscioso. I compagni si scambiarono delle occhiate tristi; erano affezionati allo hobbit e ormai lo consideravano uno di loro.
 
“No, invece!”.
Bilbo spuntò da dietro un albero e gli occhi di tutti si volsero verso di lui. Grande fu la loro sorpresa, poiché nessuno aveva notato che era lì da un po’ insieme a May, e che aveva ascoltato buona parte della conversazione.
“Bilbo Baggins! Non sono mai stato così felice di vedere qualcuno in vita mia!” esclamò Gandalf con immenso sollievo. “Dove l’hai trovato, May?”.
“Non molto lontano da qui, a dire il vero. Credo che il nostro bravo hobbit si fosse perso!” spiegò lei, lieta di condividere la gioia di tutti.
“Bilbo! Ti davamo per scomparso!” disse Kili, incredulo.
“Ma come hai fatto a superare i goblin?”. La domanda formulata da Fili era la stessa che la maggior parte dei nani aveva in mente.
“Già, come?” ripeté Dwalin che, in piedi accanto a Thorin, fissava Bilbo con aria sospettosa.
Lo hobbit si limitò a guardarlo senza rispondere; una risatina nervosa gli uscì dalle labbra, mentre le mani si facevano strada verso le tasche del panciotto.
“Beh, ma che importanza ha?” fece notare Gandalf, al quale non erano sfuggiti gli strani movimenti di Bilbo. “E’ tornato!”.
“Ha importanza. Voglio saperlo!” asserì Thorin. “Come mai sei tornato?” domandò, riferendosi alle parole dello hobbit che aveva udito nella grotta, prima che venissero catturati dai goblin.
“So che dubiti di me”, rispose Bilbo. “Lo so, lo so… Lo hai sempre fatto. E hai ragione, penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri… E la mia poltrona, e il mio giardino. Vedi, quello è il mio posto. E’ casa mia. Perciò sono tornato. Perché… Voi non ce l’avete una casa. Vi è stata portata via. E voglio aiutarvi a riprendervela se posso”.
 
Gli occhi di May si riempirono di lacrime. Il discorso dello hobbit, che lei ben conosceva, non l’aveva mai emozionata tanto come in quel momento. Scrutando i volti dei nani, uno ad uno, la fanciulla ebbe l’impressione che i loro cuori orgogliosi – resi inquieti dal fardello della missione – si schiudessero alla gratitudine e alla fiducia, grazie alle parole di Bilbo. Persino lo sguardo di Thorin si addolcì.
 
Improvvisamente, degli ululati selvaggi provenienti dall’alto alle loro spalle li fecero trasalire. Erano raggelanti.
“Siamo finiti dalla padella…” mormorò Thorin.
“Nella brace!”, terminò Gandalf.
 
“Scappate!”.










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Capitolo 10
*** Verso la libertà ***





CAPITOLO X

Verso la libertà





 

May correva con gli altri attraverso il bosco alla massima velocità che le gambe ancora deboli le consentivano, quasi dimenticando le recenti sofferenze e la felicità di vedere i compagni riuniti: un gruppo di orchi a cavallo di mannari selvaggi li stava inseguendo, e si avvicinava sempre più. La fanciulla sapeva da dove provenivano e da chi erano guidati. Le cose si stavano mettendo male e mentre fuggiva il suo pensiero andò a Thorin, che un pò più avanti incitava i compagni a scappare, con la spada sguainata.
Le sembrò che gli amici avessero le ali ai piedi, ma nonostante ciò furono presto raggiunti dai primi mannari, il cui attacco fu prontamente respinto con l’ausilio delle armi.
Spade e martelli da guerra roteavano tutt’intorno, quando May agguantò velocemente un lembo della giacca di Bilbo, e trascinò uno hobbit spaventato a morte dietro il tronco di un larice: non si poteva certo dire che in quel punto fossero al sicuro, ma era sempre meglio che sostare inermi nel bel mezzo alla battaglia. Stavano ancora riprendendo fiato, quando un grosso mannaro spalancò le sue fauci spiccando un salto verso di loro.
“Bilbo, attento!” gridò May. Lo hobbit sguainò rapidamente Pungolo, la sua piccola spada elfica, e con mani tremanti la puntò in avanti contro il lupo che gli si gettava addosso: la lama penetrò in profondità nella fronte della bestia che si afflosciò a terra, immobile, ed entrambi furono salvi.
“Ottimo lavoro, scasshobbit!” si congratulò lei, dandogli una pacca sulla spalla. Era la prima volta che Bilbo infilzava un essere vivente.
“May! Bilbo! State bene?”. Fili aveva udito il grido di May ed era accorso immediatamente, dopo aver staccato la testa ad un mannaro ringhiante.
“Tutto bene, grazie al nostro scassinatore!” disse lei, sorridendo a dispetto del terrore.
Il giovane nano aiutò lo hobbit a recuperare la spada estraendola dalla testa del lupo, prima di riprendere la sua corsa accanto a May e ai compagni. Ma non andarono lontano. Raggiungendo la sommità della collina, i viandanti si resero conto che non era possibile proseguire oltre; erano finiti in cima ad una rupe dove non c’era via d’uscita, tranne quella di lanciarsi nel vuoto, sfracellandosi sulle rocce sottostanti.
“Di nuovo in trappola, come temevo!” pensò May. Il panico si era impossessato di lei e di tutti gli altri, ma fortunatamente c’era qualcuno tra loro in grado di pensare lucidamente.
“Salite sugli alberi! Tutti! Forza!” gridò Gandalf, conscio del fatto che i mannari selvaggi non erano in grado di scalare un albero. I nani e Bilbo si affrettarono ad arrampicarsi sui rami, aiutandosi l’un l’altro a salire più in alto possibile, nel minor tempo possibile.
May tentò disperatamente di imitarli, ma le sue mani tremavano e continuava a mancare l’appiglio sui rami più bassi. Ci pensarono Fili e Kili a tirarla su risparmiandole la scalata, e riuscirono appena in tempo: i mannari e gli orchi stavano circondando gli alberi sui quali tutti loro si erano rifugiati.
La giovane donna li udì sghignazzare e ringhiare ferocemente, ma non osò guardare in basso; i suoi occhi vagarono invece verso l’alto come in cerca di un segno incoraggiante, ed ecco che intravide una falena volare via dalle mani di Gandalf, seduto in cima al pino un po’ più su della sua testa.
Era ciò di cui aveva bisogno: lo stregone chiedeva aiuto e lei si augurò che loro, le aquile, arrivassero al più presto. Nel frattempo, due mannari avevano cominciato a saltare contro l’albero, facendone vibrare pericolosamente il tronco. May temette di cadere giù e finire direttamente in pasto ai lupi, ma Fili – seduto sul ramo accanto a lei e Kili – l’afferrò per le spalle portandola al petto, dove la tenne stretta per impedire che precipitasse. Un senso di amorevole protezione e sicurezza avvolse la fanciulla, allontanando per un attimo dal suo cuore tutto lo spavento; abbandonata alle braccia di Fili, May sentiva che avrebbe potuto affrontare qualsiasi nemico, persino l’Orco Pallido.
 
“Azog!” esclamò Thorin, aggrappato ad un ramo poco più in alto.
Confusi, i nani si voltarono verso il loro capo, prima di puntare gli occhi in basso: al chiarore della luna, in mezzo al branco di lupi, May scorse un orco molto più grande e più terrificante degli altri avanzare verso gli alberi. Era particolarmente pallido e montava un mannaro bianco. Lo riconobbe subito.
Il suo corpo tremò e Fili la spinse ancora di più contro di sé. La voce di Azog suonava profonda e agghiacciante, mentre pronunciava parole in una lingua che nessuno comprendeva.
“No, non può essere…”.
Thorin fissava incredulo il nemico, che credeva morto in battaglia ormai da tempo. May strinse i pugni: se solo le fosse stato concesso, avrebbe risparmiato al nano quella dolorosa scoperta.
Quando l’Orco Pallido puntò la mazza contro Thorin, nessun membro della compagnia nutrì più alcun dubbio sul significato delle sue ignote parole: era il loro capo che voleva.
Al segnale di Azog, i mannari si lanciarono con rinnovata ferocia sugli alberi saltando più in alto che potevano, nel tentativo di catturare e uccidere i nani. Il pino sul quale May sedeva divenne sempre più debole a causa dei ripetuti attacchi da parte dei lupi e alla fine si spezzò, crollando sugli altri alberi dove i compagni avevano trovato riparo; i nani furono costretti a spostarsi saltando freneticamente da un albero all’altro, mentre ciascun tronco al quale erano di volta in volta aggrappati si spezzava, per poi cadere su quello a fianco. Infine si ritrovarono tutti insieme sullo stesso albero, il più vicino alla rupe, che sembrava abbastanza resistente da reggere il peso di sedici viaggiatori in difficoltà.
May, che grazie all’aiuto di Fili e Kili era riuscita a non piombare di sotto durante il passaggio da un tronco all’altro, si sorprese a fissare il baratro oltre il dirupo, pregando che quell’albero – l’unico rimasto in piedi – non cedesse alla furia dei mannari. La risata crudele di Azog giunse alle sue orecchie come la più infausta delle minacce e, malgrado le braccia di Fili non l’avessero mollata neppure un istante, la giovane donna sentì la speranza svanire.
In quel momento, Gandalf raccolse una grossa pigna da uno dei rami, la incendiò con la punta del suo bastone nodoso e la scaraventò giù, in mezzo al cerchio dei lupi; subito dopo ne accese un’altra che lanciò a Fili, sotto di lui, prima di fare lo stesso con gli altri.
Una pioggia di pigne incandescenti volò tosto dall’alto per esplodere al suolo in mezzo agli orchi e ai mannari i quali, terrorizzati dal fuoco, arretrarono allontanandosi dall’albero.
La compagnia esultò, sollevata, anche se per pochi attimi: il tronco s’incrinò all’improvviso cedendo al peso di tutti loro e, lentamente, cominciò a calare giù verso il precipizio. Per fortuna si fermò a metà strada rimanendo sospeso nel vuoto, ma le gambe di alcuni dei nani ondeggiavano paurosamente nell’aria, e tutto sembrava perduto. May, angosciosamente aggrappata al tronco con le unghie che – doloranti – iniziavano a spezzarsi, si domandò per quanto tempo avrebbe resistito prima di lasciarsi cadere. Fili, non lontano da lei, si dondolava appeso ad un ramo e cercava in tutti i modi di tirarsi su, per accorrere in suo aiuto.
Fu allora che Thorin si alzò dalla base del tronco a cui era appigliato e, sotto lo sguardo attonito dei compagni, sguainò la sua Orcrist avanzando verso l’Orco Pallido con feroce determinazione; stavolta nessun ramo di quercia gli avrebbe fatto da scudo, ad eccezione di un fiero coraggio.
May lo vide dapprima camminare, poi correre verso Azog e gli altri orchi; non ebbe bisogno di ragionare per capire le sue intenzioni e un senso di orrore le attanagliò il cuore. Non sarebbe rimasta a guardare.
 
“Gandalf!”.
 
Lesto, lo stregone distolse lo sguardo dal nano per rivolgerlo in basso e si accorse di May, che lo guardava con aria disperata. La giovane amica penzolava miseramente da un ramo, tuttavia non era per sé che supplicava aiuto. Egli scrutò i suoi occhi innocenti e decisi: non avrebbe potuto impedirle di fare ciò che intendeva fare. Senza indugio, Gandalf allungò il bastone e lei lo afferrò aggrappandovisi con tutta l’energia che le restava. Quando fu di nuovo coi piedi a terra, May arrancò in direzione di Thorin nel momento in cui Azog si lanciava su di lui a cavallo del suo enorme mannaro; il nano cadde all’indietro e, non appena si rialzò, l’Orco lo colpì sul viso con la sua terribile mazza.
L’urlo lacerante di Balin si mescolò con quello di Fili, il quale sentì il proprio sangue gelarsi nelle vene quando vide May spingersi avanti, andando incontro alla morte.
Il bianco mannaro affondò le zanne affilate nel corpo di Thorin, sollevandolo da terra e ferendolo in profondità. Ma il grande Scudodiquercia era ben lungi dal darsi per vinto: con un abile colpo di spada incise un taglio sul naso della bestia che, inferocita, fece un balzo indietro scagliando il corpo di lui sopra una grossa pietra.
Thorin giacque immobile.
Le grida di dolore dei compagni colpirono May con la violenza di mille lame. Le lacrime, pungenti come rovi, appannarono la vista della fanciulla rendendola quasi cieca, al punto che neanche notò la presenza di Bilbo al suo fianco: lo hobbit, infatti, si era lasciato cautamente scivolare dal tronco per correre in soccorso dei due amici. L’ostinato coraggio di May aveva risvegliato il suo. Con profondo raccapriccio, egli sentì la voce di Azog mormorare quello che doveva essere un ordine rivolto ad un orco, il quale scese dal proprio mannaro e avanzò verso Thorin, apparentemente privo di vita; nell’istante in cui il pugnale veniva alzato sulla testa del nano, lo hobbit impugnò la sua Pungolo e si avventò sul nemico. Entrambi rotolarono a terra. Con gli occhi offuscati dal pianto, improvvisamente May lo vide.
 
“Bilbo!”
 
Svelta, prima che l’orco potesse rendersi conto di quanto stava accadendo, May brandì la spada e si gettò su di lui con un grido di rabbia; la sua lama e quella di Bilbo finirono conficcate nelle viscere della spregevole creatura che, con un rantolo rivoltante, spirò. Lo hobbit sbandò rialzandosi e inciampò all’indietro; si guardò intorno boccheggiante, come smarrito, e quando si rese conto di trovarsi davanti all’Orco Pallido cercò ansioso lo sguardo di May.
Lei, in piedi un po’ più indietro, non badò all’amico; i suoi occhi scintillanti erano puntati su quelli mostruosi di Azog. Non vedeva né percepiva altro, attorno a sé. Dal volto della giovane donna, illuminato dalle fiamme, traspariva un tale spietato desiderio di vendetta che Bilbo, nel vederlo, si chiese cosa ne fosse della dolce e pacifica compagna di viaggio. May non si considerava di certo un’eroina; gli atti coraggiosi preferiva lasciarli ai personaggi dei suoi libri preferiti. Avrebbe dovuto tremare come un ramoscello al vento di fronte ad un simile nemico, invece si ritrovò a sostenere lo sguardo malvagio di Azog senza mostrare il minimo segno di paura, pur provandone molta. In fondo che cos’era la paura, se non mera saggezza di fronte al pericolo?
D’un tratto le ultime, strazianti immagini di quel sogno che a lungo l’aveva tormentata e che ormai sembrava così lontano, apparvero dinanzi ai suoi occhi: un corpo senza vita dai capelli d’oro, che veniva spinto giù da un precipizio… Due vivaci occhi scuri bagnati di lacrime, che si spegnevano per non rivedere più il cielo… L’estremo sorriso di un valoroso sovrano, che mai avrebbe regnato sul suo trono.
L’espressione di May si fece più dura. Ella avanzò di un passo; le gracili mani non tremolavano mentre puntava la spada contro l’Orco Pallido, che la fissava impassibile seduto in groppa al re dei mannari.
 
Tu non toccherai mai più un Durin. Non finché io avrò vita!
 
May aveva udito la propria voce pronunciare ferma e sicura quelle parole, e se ne meravigliò. Il riso sprezzante e disumano di Azog echeggiò nel bosco infuocato come unica risposta, facendo rabbrividire lei e Bilbo.
“Uccideteli!” ordinò il grande Orco, puntando la mazza contro i due piccoli ribelli. Immediatamente, un gruppo di orchi a cavallo di lupi si mosse in direzione delle prede, ma non ebbe il tempo di obbedire: dodici nani sopraggiunsero in mezzo a loro, gridando furibondi. Colpirono, distrussero e squartarono con una brutalità resa ancor più folle dalla disperazione. May gioì nel vedere gli amici salvi e agguerriti; sicuramente era stato Gandalf ad aiutarli, recuperandone uno alla volta dai rami su cui a malapena si reggevano.
“May, via di lì!” gridò Fili, afferrando la fanciulla per il mantello e trascinandola accanto a lui e Kili, lontano dall’incendio che si propagava sull’intera superficie del colle. Allora accadde qualcosa di straordinario: un gruppo di aquile giganti apparve nel cielo che albeggiava. Avevano risposto alla richiesta d’aiuto di Gandalf! May le vide roteare sopra la sua testa, per poi puntare dritto sulla collina e afferrare un gran numero di nemici, scaraventandoli nel burrone. Azog indietreggiò: aveva perso la battaglia.
Mentre la giovane si guardava intorno sbalordita, un’aquila strillò imperiosa e la sollevò non troppo delicatamente da terra, tenendola stretta fra gli artigli fino a lasciarla cadere – oltre la rupe – sul dorso di un’altra aquila in volo, che già ospitava Fili e Kili.
Con la testa che le girava, May si aggrappò saldamente alle folte piume del rapace, benché non esistesse un vero e proprio rischio di precipitare, soprattutto perché le braccia di Fili la stringevano sicure da dietro.
Non riusciva a crederci: stava volando! Volando via dal pericolo e dall’orrore, verso Erebor.
Spalancò gli occhi di fronte alle meraviglie che il paesaggio rivelava alle prime luci dell’alba: l’aquila – preceduta e seguita da altri suoi simili che conducevano in salvo il resto della compagnia – sorvolò imponenti vette innevate, valli ridenti e pianure sconfinate. Il mattino era freddo, ma i raggi del sole appena nato si riflettevano su cascate e ruscelli che, visti da lassù, parvero a May lucenti nastri argentati. Le maestose ali si immersero tra bianche e soffici nuvole, intanto che il mondo scivolava via leggero infondendo nell’aria il fresco profumo di una nuova speranza.
“Thorin!”
La voce di Fili alle sue spalle riportò May alla realtà che quel volo stupefacente le aveva fatto dimenticare. Ella guardò in basso e, ad una certa distanza, credette di scorgere un’aquila senza alcun fardello sul dorso che reggeva fra gli artigli il capo della compagnia. Thorin, comunque, non avrebbe potuto sentire il richiamo del nipote, essendo ancora privo di sensi.
“Tuo zio sta bene”, disse lei voltandosi indietro. “Ne sono certa!”.              
Fili, le bionde trecce al vento, la guardò con occhi sorridenti stringendola con maggior ardore sotto il mantello. Le braccia del nano erano avvolte intorno ai fianchi di May, che si sentì mancare quando lui avvicinò la guancia alla sua, sfiorandola con la corta barba morbida, mentre puntava lo sguardo verso l’orizzonte sconfinato.
 
 
-s-s-s-
 
 
Una ad una, le aquile planarono veloci su una grande roccia a strapiombo sulla quale depositarono i loro passeggeri. Da lassù si godeva di una vista eccezionale, anche se nessuno sembrò farci caso: quando Thorin venne posato a terra, gli occhi di tutti furono ansiosamente fissi su di lui. May trattenne il fiato.
Gandalf corse dal nano e si chinò su di lui; sfiorò con la mano il volto ferito, mormorando sottovoce parole in una lingua sconosciuta.
“Il mezzuomo…” sussurrò Thorin aprendo improvvisamente gli occhi, per la gioia e il sollievo dei compagni.
“Lui sta bene”, rispose Gandalf sorridendo. “Bilbo è qui. E’ salvo!”.
Kili e Dwalin aiutarono il loro capo ad alzarsi, ma egli si scostò bruscamente.
“Tu!”, tuonò rivolgendosi a Bilbo che gli sorrideva timidamente, “cosa credevi di fare?! Ti sei quasi fatto uccidere!”.
Quel tono aspro, che lasciò tutti sorpresi, vide il sorriso scomparire dal volto dello hobbit.
“Non ti avevo detto che saresti stato un peso?” continuò Thorin, avvicinandosi a lui con fare minaccioso, “che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c’è posto per te, tra noi?!”.
May poteva percepire il dispiacere dell’amico: dopo tutto ciò che Bilbo aveva fatto per loro non meritava la durezza di quelle parole, men che meno da lui.
 
“Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia!” concluse Thorin, cingendo lo hobbit nel suo caldo abbraccio.
 
Un gesto significativo, che nessuno si aspettava: il nano aveva finalmente accettato Bilbo nella compagnia.
Gli altri, un po’ in disparte, esultarono compiaciuti mentre lo hobbit – meravigliato e confuso – ricambiava l’abbraccio di Thorin. May si sentì particolarmente fortunata: aveva appena assistito ad una toccante manifestazione di amicizia che, da sola, valeva tutte le fatiche del viaggio. Chiunque fosse il misterioso personaggio che l’aveva voluta nella Terra di Mezzo – Gandalf, probabilmente – a lui andava tutta la sua gratitudine, per averle dato la possibilità di vivere in prima persona la sua storia preferita.
“Scusa se ho dubitato di te” disse Thorin, sciogliendosi dall’abbraccio.
“No, anch’io avrei dubitato di me”, confessò umilmente lo hobbit. “Non sono un eroe, né un guerriero… Neanche uno scassinatore”.
Le aquile volarono via. Fili vide May osservare commossa i due amici parlare, e rimase colpito una volta di più dalla bellezza di quell’animo puro e sensibile. Ma le sorprese non erano ancora finite.
Thorin si girò verso la giovane compagna e si avvicinò, posando le mani sulle sue spalle.
“Gandalf aveva ragione: in te vi è più di quanto le apparenze suggeriscano!” disse, con lo sguardo pieno di riconoscenza. May avrebbe di certo risposto qualcosa di gentile ed appropriato, se lo stupore e l’emozione non l’avessero privata delle parole. Si limitò a ricambiare il sorriso di Thorin, lieta del fatto che l’iniziale diffidenza del nano nei suoi riguardi avesse ceduto il posto ad una inattesa fiducia.
“E’ quelllo che penso che sia?” domandò Bilbo, guardando Thorin che si avvicinava al bordo della sporgenza di roccia; il nano fissava un punto lontano e gli altri lo imitavano.
“Erebor… La Montagna Solitaria. L’ultimo dei grandi regni dei nani della Terra di Mezzo!” illustrò Gandalf.
“Casa nostra!” mormorò Thorin; May non avrebbe saputo descrivere l’emozione che tradiva la sua voce.
Spaziò con lo sguardo e, in lontananza, vide delinearsi i contorni di Erebor. Istintivamente si voltò e i suoi occhi incontrarono quelli di Fili: lui sorrise, e lei provò il desiderio di volare al suo fianco fino alla Montagna Solitaria, in groppa ad un’aquila gigante.
“Un corvo! Gli uccelli stanno tornando alla Montagna!”, gridò Oin.
“Quello, mio caro Oin, è un tordo” lo corresse Gandalf.
“Lo prenderemo come un segno” proferì Thorin, sorridendo fiducioso. “Un buon auspicio!”.
“Hai ragione! Credo proprio che il peggio sia passato!”, considerò Bilbo.
 
“Quanto vorrei che fosse così!”, pensò May; volse gli occhi al cielo e sospirò.


-s-s-s-
 
 
Per quel giorno, i viandanti non proseguirono; le aquile avevano fatto guadagnare loro un bel po’ di vantaggio sugli orchi. Sapevano di essere inseguiti, ma sapevano altresì di essere stremati e, per di più, affamati. Non avevano molto cibo nei pochi bagagli rimasti, tuttavia divisero equamente le razioni, sbuffando insoddisfatti (in special modo i nani). Trovarono rifugio in una piccola grotta ai piedi della collina di pietra; la raggiunsero mediante un sentiero con molti gradini che partiva dal punto in cui le aquile li avevano posati, e che conduceva giù in basso fino al fiume sassoso al di qua dei pascoli. Gandalf spiegò che si trovavano alcune miglia più a nord rispetto al percorso che avrebbero dovuto seguire. La grande roccia sulla quale erano atterrati era stata denominata Carrock da qualcuno che abitava lì vicino; una figura misteriosa della quale lo stregone non volle rivelare nulla, lasciando intendere che probabilmente l’avrebbero incontrata a breve.
May approfittò della sosta per mangiare qualcosa, riposare e lavarsi nelle acque del fiume poco profondo che brillavano al sole. I feriti furono curati e, malgrado la tristezza dovuta alla scarsità di provviste, ci furono canti quella sera. La giovane donna, incoraggiata dai presenti, narrò alcune storie divertenti e curiose ambientate nel suo paese, guardandosi bene dal lasciarsi sfuggire certi dettagli che avrebbero inevitabilmente compromesso la sua delicata posizione; era pur sempre una straniera proveniente da un’altra realtà. Bilbo e i nani ascoltavano incantati ogni singola parola che usciva dalla sua bocca, reggendo in mano le pipe fumanti; alcuni di loro – come Kili, Dori e Ori – si permisero di fare qualche domanda, ma nessuna di queste fu così indiscreta o inopportuna da mettere May in difficoltà.
 
Dopo cena, la fanciulla decise di fare due passi; era immersa nei propri pensieri, quando giunsero alle sue orecchie le voci forti e allegre di due ragazzi che si burlavano l’uno dell’altro.
“Insomma, vuoi smetterla di contorcerti?! A vederti, pare che un ragno ti abbia morsicato sul di dietro!”, inveì Kili. Stava cercando di medicare la ferita sulla fronte del fratello, che sedeva su una bassa pietra vicino all’estremità del guado sassoso del fiume.
“Non è colpa mia, se hai il tocco leggiadro di un troll con l’ernia!” si giustificò Fili, scansandosi con una smorfia di dolore.
Nel vederli, May non poté trattenere una risata.
“Si può sapere che state combinando, voi due?”.
Entrambi si voltarono verso di lei e, nel vederla avvicinarsi, Kili si alzò in piedi.
“Come puoi notare, c’è un essere ingrato tra noi” si lamentò, tra l’infastidito e il divertito.
“Hey sorellina, perché non provi tu? Sono certo che il mio fratellone preferirebbe ricevere le cure dalle tue graziose manine…”. Ridacchiando, Kili porse un piccolo oggetto a May e si allontanò: era la scatolina che Fili aveva usato a Gran Burrone per disinfettarle la sbucciatura al ginocchio.
“Se ti prendo, ragazzaccio!” lo redarguì lei col pensiero; quel brutto birbante era riuscito a metterla in imbarazzo, ed ora Fili la guardava ridendo sotto i baffi dorati, quasi le avesse letto nella mente.
“Vediamo un pò” disse May, fingendo di non sentire il calore che stava salendo alle guance. S’inginocchiò di fronte al nano. La ferita accanto alla tempia era piuttosto profonda, benché non molto grande. Aprì la scatola, affondò l’indice nell’unguento oleoso color nocciola e lo strofinò appena sopra l’occhio sinistro di Fili; nonostante l’estrema delicatezza del gesto, lui si ritrasse con un moto involontario.
“Perdonami!” esclamò lei, dispiaciuta. “Non volevo…”.
“Va tutto bene, è già passato!” si affrettò a rispondere Fili, con un sorriso tranquillizzante. “Non è che un taglio di poca importanza”.
“Una volta, qualcuno mi fece notare che anche il più piccolo taglio può infettarsi”, ribatté May.
Lui colse l’allusione e un sorrisetto gli sfuggì dalle labbra. “Mah, non so fino a che punto questo qualcuno fosse degno di considerazione”.
“Io credo che fosse un nano alquanto saggio!”.
May aveva pronunciato queste parole mentre fasciava la fronte di Fili; stava giusto terminando il lavoro, quando sentì la mano calda di lui posarsi sulla sua, trattenendola dolcemente sulla benda. Quel tocco inaspettato le procurò un brivido che penetrò fino in fondo al suo cuore. Lo guardò: gli occhi ardenti del giovane sfavillavano di un’insolita luce, come due stelle in procinto di stregare la notte. Fili guidò la mano trepidante di lei fino alla propria guancia; le dita della donna scivolarono lentamente lungo la barba rasa e soffice del nano. I loro volti erano vicini… Pericolosamente vicini, per May.
Ma perché non riusciva a muoversi? Era forse impazzita? Aveva deciso di partire per proteggerlo, non per sedurlo! Per un attimo che le era parso fuori dal tempo, May aveva dimenticato il viaggio, la missione…
La ferita di lui.
Il senso di colpa – che fino a quel momento aveva cercato di reprimere – tornò a galla con rinnovato vigore, stringendole lo stomaco in una morsa.
“F-Fili…” balbettò con voce malferma, gli occhi pieni di lacrime, “mi dispiace così tanto! E’ colpa mia se sei ferito. Solo colpa mia! Se io non fossi svenuta, non ti saresti distratto e quel goblin non… Se Kili non avesse gridato, tu saresti…”.
“May!” esclamò Fili, sorpreso e chiaramente allarmato: non sopportava di vederla piangere.
“Come puoi pensare una simile assurdità?!”. Prese il viso di lei tra le mani e la guardò con incontenibile dolcezza: una dolcezza che lei sentiva di non meritare. “Tu non hai colpe, soltanto meriti. Tanti meriti! Lo sai questo?”.
L’unica cosa che May sapeva era che avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e gridargli tutto il suo amore. Prima che potesse fare qualcosa di cui si sarebbe certamente pentita, si alzò in piedi staccandosi in silenzio da lui e tornò dai compagni.
 
 
-s-s-s-


La grotta era troppo piccola per ospitare più di due o tre nani per la notte; Bombur da solo ne aveva praticamente occupato l’entrata e già russava come un mantice quando gli altri fumavano ancora le loro pipe, chi parlando sottovoce, chi osservando la luna. May dovette accontentarsi di srotolare la sua coperta all’aperto, quindi scelse un punto abbastanza comodo del terreno vicino al fiume; aveva deciso che quella sera si sarebbe lasciata cullare dall’incessante, rassicurante musica dell’acqua, fino ad addormentarsi. Aveva bisogno di non pensare. Il suo corpo era scosso da violenti brividi che nemmeno il calore del fuoco era riuscito a placare; sentiva freddo, aveva la testa pesante e ogni tanto dava un colpo di tosse. Tutto ciò che desiderava, era abbandonarsi all’oblio del sonno.
 
Un’immensa scalinata di pietra, comparsa all’improvviso, la vide percorrere uno per volta gli innumerevoli gradini lucidi; chissà dove portavano. Forse al cielo, quantunque fosse buio completo sul soffito sopra la sua testa. Man mano che saliva, May sentiva crescere in lei un’inspiegabile ansia. Accelerò il passo, finché non si accorse di essere finita su un grande pianerottolo che si affacciava su di un vasto salone dalle trionfali colonne dorate; in fondo, una figura solitaria avanzava lenta verso di lei, nella penombra.
 
“Fili!”
 
May aprì lentamente gli occhi. La visione era svanita.
Faceva ancora buio, ma il freddo pungente se n’era andato; ella sentiva ora un gran calore invadere le sue membra e, per un attimo, credette di essere sprofondata di nuovo nel mondo dei sogni.
Si girò appena e vide che Fili era lì. Non accanto a lei, bensì stretto a lei.
Le braccia forti e accoglienti del giovane nano avvolgevano il suo corpo intirizzito facendole da scudo contro il freddo, sopra il cappotto con pelliccia di cui egli si era privato per coprire lei.
Fili era sveglio e l’aveva udita mormorare il suo nome nel sonno. D’istinto, avvicinò il volto a quello della fanciulla: i loro nasi si sfiorarono e lei sentì il respiro caldo di lui carezzarle il viso.
 
“May…”.
 
La voce di Fili era un sussurro appena percettibile. Il suo sguardo, colmo di una tenerezza struggente. May si sentì sciogliere il cuore. Avrebbe desiderato che quel momento durasse in eterno: era al sicuro tra le braccia di colui che amava e non esisteva un altro posto, nel mondo reale o nella Terra di Mezzo, dove si sarebbe sentita più felice.
Si strinse al petto di lui e chiuse gli occhi; attraverso la veste nanica, giungeva chiaro al suo orecchio il rapido battito del cuore di Fili. Egli la strinse più forte, sfiorandole il capo con le labbra; tutto ciò che voleva era farla sentire amata e protetta.
Entrambi si addormentarono così, col sorriso che illuminava i loro volti stanchi nella notte.












Nota dell'autrice:

Con questo capitolo, si chiude il film "Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato". Seguirà "La Desolazione di Smaug": a breve, pubblicherò il primo capitolo. Mi auguro che abbiate gradito la storia fino ad ora. Ringrazio di cuore tutti coloro che mi seguono con interesse, curiosità ed entusiasmo, incoraggiandomi a dare il meglio di me!

Claudia







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Capitolo 11
*** Segreti e rivelazioni ***





CAPITOLO XI

Segreti e rivelazioni






“Sveglia, piccioncini! Se non vi sbrigate, perderete la colazione!”.

La voce spumeggiante di Kili giunse remota come dalle profondità di un sogno, strappando a May un leggero mugolio di protesta: era già ora di alzarsi? Qualcosa stava solleticando il suo naso e, aprendo gli occhi di malavoglia, la fanciulla si deliziò di una ciocca intrecciata di Fili che riempiva tutto il suo campo visivo, come un raggio di sole pronto a cingerla col suo “buongiorno”.
Non avrebbe saputo dire se fosse più bello addormentarsi o svegliarsi stretta al petto di colui che ora la guardava, un po’ assonnato, rivolgendole il più radioso dei sorrisi. Dunque, non aveva sognato: le amorevoli braccia del suo Nano erano ancora avvolte attorno al suo corpo, sopra il cappotto del quale lui si era spogliato per ripararla dal freddo. Quella notte, subito prima di cedere alle lusinghe del sonno, cullata dal battito tumultuoso del cuore di Fili, ella aveva sentito le labbra del giovane carezzarle il capo: quelle stesse labbra che avrebbe desiderato baciare fino a perdere i sensi.
May si scostò da lui ricambiando il sorriso con un certo imbarazzo e si mise a sedere, rossa in viso. Stava albeggiando. Si stiracchiò e rivolse un giocoso sguardo di rimprovero a Kili che, in piedi davanti a loro, li osservava con un sorrisetto malizioso stampato sul volto.
“Se la colazione che ci attende ha la stessa consistenza del nostro ultimo pasto, direi che posso farne a meno!” rispose May, leggermente irritata.
“Hum, vedo che una notte di romanticismo non ha giovato al tuo umore!” osservò Kili, con crescente soddisfazione. Si divertiva troppo a punzecchiarla.
Con un’occhiata furente lei si alzò senza replicare, ma lui non ne aveva ancora abbastanza.
“Beh, una volta che sarete sposati le cose miglioreranno, non c’è da preoccuparsi!”, concluse il monello con un ghigno.
La bisaccia da viaggio di May volò dritta in faccia a Kili, prima che lui avesse terminato la frase.
“Te la sei cercata, fratello!” disse Fili, ridendo di gusto. “Mai provocare una donna!”.
In quel momento, Bilbo giunse trafelato dalla rupe sopra le loro teste, dov’era stato di vedetta.
“Gli orchi!” ansimò, fermandosi in mezzo al cerchio dei compagni. “Si avvicinano! Poche leghe ci separano da loro”. Riprese fiato, per poi continuare. “Ma questa non è la parte peggiore”.
I due fratelli e May, un po’ distanti dagli altri, si voltarono tesi.
“Ci siamo attardati troppo!” dichiarò Balin, scuotendo la testa.
“I mannari ci hanno fiutato?”, volle sapere Dwalin.
“Non ancora, ma lo faranno”, lo ragguagliò Bilbo. “Abbiamo un altro problema”.
 “Ti hanno visto?” domandò Gandalf, facendosi ansioso.
“No, non è questo”.
“Che vi avevo detto? Silenzioso come un topo! Lavoro eccellente, caro il nostro Bilbo!” commentò lo stregone, fiero di avere uno scassinatore nel gruppo.
“Volete darmi ascolto?!” insistette lo hobbit, cercando di richiamare l’attenzione su di sé. I Nani, infatti, avevano cominciato a parlottare fra loro ed egli aveva imparato che, quando cominciavano in quel modo, era difficile interromperli. “Vi sto dicendo che c’è qualcos’altro, là fuori!”.
Di colpo regnò il silenzio, interrotto dalla domanda di Gandalf.
“Quale forma ha assunto? Quella di un orso?”.
Tutti lo guardarono confusi, ignorando a chi o cosa si stesse riferendo; tutti tranne May, che insieme a Fili e Kili aveva raggiunto gli amici davanti all’ingresso della grotta.
“Sì… Sì, ma molto più grosso di un orso” provò a ricordare Bilbo, sorpreso che lo stregone fosse al corrente dell’esistenza di quella bestia.
“Io dico di tornare indietro!” propose Dori, temendo per la propria vita.
“Ed essere travolti da un branco di orchi?”, ribatté Thorin.
“C’è una casa non lontano da qui, dove potremmo trovare rifugio” disse Gandalf voltandosi verso i compagni, dopo aver riflettuto per alcuni istanti dando loro le spalle.
“E’ forse la dimora della figura misteriosa di cui accennavi ieri?” azzardò a chiedere May.
Lo stregone le lanciò un’occhiata acuta da sotto le sopracciglia irsute. “Sì, è così”.
“Di chi è la casa?” s’informò Thorin, accigliato. “Amico o nemico?”.
“Nessuno dei due” replicò Gandalf, lasciandosi sfuggire un sospiro. “Lui ci aiuterà… O ci ucciderà”.
“Che scelta abbiamo?” chiese Scudodiquercia, dando voce al pensiero di ogni compagno. Nessuno di loro avrebbe gradito essere l’ospite e al contempo la preda di un orso infuriato. Tuttavia, dovevano tentare; in fondo, era sempre meno terribile che correre incontro agli orchi.
“Non c’è scelta, a quanto sembra” considerò Dwalin, cupo.
Lui può essere spaventoso quando è in collera, e ahimé va in collera alquanto facilmente”, spiegò Gandalf. “Ma quando è di buon umore, sa essere una persona davvero eccezionale”.
“Lui?”.
“Sì Bilbo, lui” precisò lo stregone. “Il suo nome è Beorn, ed è un mutatore di pelle: a volte assume le sembianze di un grosso orso, altre, di un uomo alto e forte dai capelli lunghi e la barba folta. Dovrete essere molto educati quando vi presenterò, e sappiate che lo farò in maniera graduale: due o tre per volta, non di più. Guardatevi bene dall’infastidirlo, o solo il cielo sa cosa ci aspetta!”.
Improvvisamente, un ringhio non molto distante li fece trasalire. Non c’era tempo da perdere.
 
Si ritrovarono a correre ancora una volta. Attraversarono campi fioriti, un fiumiciattolo e infine una foresta, guidati dallo stregone. Presto, May si rese conto di essere l’unica della compagnia ad avere serie difficoltà nel mantenere la velocità, e non soltanto perché non era abituata alle lunghe corse: si sentiva estremamente debole. Benché fosse estate, il freddo era tornato a tormentarla con brividi intensi e, peggio ancora, faticava a respirare per via dei violenti e ripetuti attacchi di tosse. Fili rallentò l’andatura per rimanerle accanto, ma l’apprensione che May lesse nei suoi occhi non contribuì a farla sentire meglio.
“Ci manca solo che mi ammali!” si disse, sforzandosi di tenere duro.
Nel cuore della foresta, un forte ruggito echeggiò tra gli alberi; l’orso si stava avvicinando, ma nessuno dei fuggiaschi poteva immaginare che la bestia si fosse imbattuta negli stessi orchi che li inseguivano dal giorno precedente. Finalmente, i sedici viandanti arrivarono ad un recinto di alte querce antiche, che ospitava una grande casa di legno nel mezzo.
“Svelti!”, li incitò Gandalf puntando il bastone verso l’ingresso.
L’ultima immagine che May distinse prima di essere risucchiata dal buio più pesto, fu l’enorme pancia grassa di Bombur che ballonzolava su e giù al folle ritmo della corsa del Nano; abbozzò un sorriso divertito, poi non vide né sentì più nulla.
 
 
-s-s-s-
 
 
Aprì gli occhi. Le travi annerite del soffitto erano illuminate da una rossa luce tremolante. Si girò appena: alla sua sinistra, un piccolo fuoco ardeva in un camino posto nella parete di quella che sembrava una stanza di modeste dimensioni. Le fiamme proiettavano strane ombre danzanti sui muri in legno.
Nell’alzarsi a sedere, May affondò le mani su qualcosa di soffice e scoprì di trovarsi su un materasso di paglia, avviluppata in una morbida e ampia coperta di lana.
“Oh, finalmente! Ero sicuro che ti saresti svegliata in tempo per l’ora di cena, furba di una sorellina!”.
“Kili!” esclamò lei, stupefatta. Non si aspettava di vedere l’amico seduto ai piedi del letto; Bilbo era con lui.
“Dove mi trovo? E dove sono tutti?”.
“Sei nella casa di Beorn”, rispose il Nano. “Questo comodo giaciglio l’ha preparato lui, tutto per te. Gandalf sa essere persuasivo, quando vuole: se non siamo stati divorati, è solo merito suo! Gli altri stanno cenando di là, in cucina. Il nostro anfitrione è un tipo gentile, sai… Credo abbia capito che, se pure non siamo suoi amici, non deve considerarci dei nemici”.
“Vuoi dire che avete conosciuto l’orso?” domandò May, sgranando gli occhi.
Kili rise. “Oh no no, è stato l’uomo ad accoglierci in casa, ma andiamo per ordine. Il fatto è che, quando sei svenuta all’improvviso, stavamo correndo verso il cancello e Fili ti ha recuperato immediatamente da terra, prendendoti in braccio; noialtri, nel frattempo, abbiamo quasi sfondato la porta principale prima di barricarci tutti all’interno, per sfuggire alla furia dell’orso che ci inseguiva. C’è mancato poco che ci sbranasse! Per fortuna, dopo un po’ si è calmato e Gandalf si è arrischiato ad uscire per tentare di ragionare con lui, che intanto aveva ripreso le sue sembianze umane. Devo ammetterlo, il nostro stregone ci ha saputo fare: ha lasciato che venissimo fuori allo scoperto due alla volta chiamandoci per nome, per non metterci in pericolo, presentandoci in questa maniera mentre Beorn era intento a spaccare la legna. Ma sei stata tu a fare il resto!”.
“Io?!”.
“Ebbene sì, cara la mia sorellina! Se Beorn non ti avesse vista apparentemente priva di vita tra le braccia di mio fratello, dubito che ci avrebbe offerto ospitalità in casa sua. Gandalf è stato chiaro: avevi urgente bisogno di cure!”.
May emise un sospiro; non sapeva se rammaricarsi per aver fatto preoccupare i compagni, o se rallegrarsi per il lieto fine.
“Siamo stati in pena per te” intervenne Bilbo in tono carezzevole. “Avevi la febbre alta. Come ti senti adesso?”.
“Molto bene, grazie”. Un colpo di tosse smentì la risposta di lei. “Mi rincresce, non era mia intenzione crearvi disagi. Se non altro, ho imparato che la pioggia e il vento non sono l’ideale, per un’apprendista guerriera non avvezza alle escursioni in alta montagna!”.
Kili e Bilbo sorrisero.
“Suppongo che tu abbia appetito! Vado a prenderti qualcosina da mettere sotto i denti, anzi no… Sarà qualcun altro a portarti la cena!”. Kili si alzò e, infilando la porta, si voltò verso l’amica.
“Non mi dispiace che tu sia ammalata” aggiunse, ignorando l’espressione attonita di lei. “Così il mio fratellone potrà prendersi cura di te!”. Strizzò l’occhio e uscì.
“Beh, non ha tutti i torti…” esclamò Bilbo, ridacchiando.
“Hey, scassinatore! Ti ci metti anche tu?!” lo riprese May per metà contrariata, per metà divertita.
“Se ti stai chiedendo dov’è lui, sappi che è rimasto qui a vegliarti per tutto il giorno” proferì lo hobbit, indovinando i pensieri di lei. “Non ti ha lasciata neppure un attimo e Kili lo ha quasi buttato fuori a calci, un pò prima che ti svegliassi, per mandarlo di là a mettere giù un boccone!”.
May tacque, e Bilbo scorse in quegli occhi puri una profonda emozione.
“Non ti chiedo cosa provi per Fili poiché mi è ormai chiaro”, proseguì il signor Baggins facendosi serio. “Ciò che invece voglio domandarti, è: lui sa dei tuoi sentimenti?”.
Lei scosse lievemente il capo.
“Penso che dovresti dirglielo, May. Ha il diritto di sapere. Probabilmente lui immagina, spera ardentemente che tu ricambi il suo affetto, tuttavia dovrebbe averne la conferma dalla tua voce, non credi anche tu?”.
“Lo vorrei, Bilbo… Non puoi neanche immaginare quanto! Ma come posso pensare di fargli una simile rivelazione, senza prima considerare tutte le conseguenze?”.
“Lo so. Sei riluttante all’idea di aprire il tuo cuore, in quanto temi che questo possa rendere Fili vulnerabile. L’ultima cosa che vuoi è esporlo al pericolo e compromettere l’esito della missione. Ti preoccupi per lui come per tutti noi e questo ti fa onore, ma adesso ascolta quanto ti dico: se l’amore che vi unisce è sincero, cosa di cui non dubito, posso assicurarti che non accadrà niente di male. Al contrario, il vostro legame potrebbe addirittura portare qualcosa di inaspettato… Qualcosa di buono!”.
A questo, May non aveva pensato. Tutto ciò che occupava la sua mente, che le premeva sopra ogni altra cosa sin dal giorno della partenza, era l’incolumità di Fili.
“Oh, a proposito di rivelazioni: mio bravo scasshobbit, non penserai che mi sia dimenticata del nostro segreto… Saremo soli ancora per poco, temo, e chissà quanto tempo dovrà passare prima che si ripresenti un’occasione del genere! Coraggio, voglio sapere tutto!”.
Quella ragazzina era piuttosto abile nel cambiare argomento in un batter d’occhio facendo girare la conversazione a proprio vantaggio, pensò Bilbo esitando.
“Suvvia, non farti pregare!” lo incoraggiò May. Non c’era traccia di invadenza nel suo mite sguardo, solo un’amichevole curiosità che alla fine vide lo hobbit sciogliersi e parlare con una tale spontaneità da meravigliare se stesso per primo.
Così, per la prima volta, Bilbo si ritrovò a raccontare per filo e per segno del suo incontro con Gollum e della scoperta dell’Anello. May lo ascoltò con quieta attenzione e, a resoconto terminato, fece del proprio meglio per ostentare uno stupore che non le apparteneva; in realtà, avrebbe voluto mettere in guardia il suo amico da quel pericoloso oggetto magico del quale lui ignorava l’origine e la potenza, ma si rendeva conto che ciò avrebbe significato interferire con gli eventi presenti e futuri, stravolgendone il corso. Si limitò a riflettere per un momento, dopodiché si decise a manifestare quella che le parve la più naturale delle reazioni: una sana incredulità.
“Aspetta, vediamo se ho capito bene” disse, fingendo di riordinare le idee. “Dalla Città dei Goblin, sei piombato in una caverna nel profondo della montagna dove hai incontrato una subdola creatura gorgogliante e affamata, che ti ha sfidato ad una gara d’indovinelli: se fossi stato tu a vincere, lui ti avrebbe mostrato la via d’uscita, altrimenti saresti finito dritto nel suo stomaco vuoto. Eravate in una situazione di perfetta parità quando tu, essendo privo di ulteriori idee, gli hai chiesto cos’avessi in tasca; la creatura ha fornito tre risposte sbagliate e malgrado ne fossi uscito vincitore non ti avrebbe risparmiato, a dispetto della promessa iniziale, se non fossi scomparso dalla sua crudele vista grazie ad un anello precedentemente raccolto da terra e infilato quasi inavvertitamente al dito al momento opportuno. Invisibile com’eri, ti è stato possibile trovare l’uscita senza alcuna difficoltà seguendo il tuo aggressore, il quale credeva di inseguire te. Cosa ho tralasciato?”.
“Nulla”, rispose Bilbo. “E’ tutto”.
“Straordinario… Non c’è che dire!” ammise May. “Storie di questo tipo sembrano uscite fuori direttamente dai libri per bambini e hanno la capacità di lasciarti a bocca spalancata! E’ stata una fortuna inattesa che tu sia riuscito a salvarti grazie ad un semplice, minuscolo oggetto dalle magiche virtù, com’è stata una fortuna per quell’essere che tu non l’abbia infilzato con la tua spada!”.
Lo hobbit fissò la giovane amica con evidente sorpresa, ignaro del fatto che la sua pietà – la pietà dei Baggins – avrebbe cambiato il destino di molti.
“Vedi, Bilbo” continuò lei “in tutta onestà, ritengo che tu abbia compiuto un grande atto di altruismo nei confronti di quell’essere meschino. Che qualcuno meriti di morire oppure no, credo che nessuno di noi abbia il diritto di strapparlo alla vita, a meno che non sia strettamente indispensabile. Hai agito con saggezza, come pochi altri avrebbero fatto al tuo posto!”.
Quelle parole, non elargite a caso, erano il frutto dei preziosi insegnamenti di Gandalf, dei quali May aveva fatto tesoro negli anni. Ma c’era di più. Le era altresì tornata alla mente una lezione del capitano Faramir di Gondor, che recitava: “Non uccido uomo o bestia inutilmente, e mai con piacere”.
Il signor Baggins stentava a credere di aver udito un simile discorso da una giovinetta come colei che lo guardava sorridendo dal suo lettino; improvvisamente si sentì fiero di May, almeno quanto lei lo era di lui.
Dei colpetti leggeri risuonarono all’uscio, facendo voltare i due.
“Qualcuno ha ordinato la cena?”. La testa bionda di Fili fece capolino all’interno e, non appena la vide, lo hobbit si alzò.
“La nostra eroina merita di mangiare tutto ciò che desidera, stasera” asserì con convinzione. “Quanto a me, credo di essermi trattenuto a sufficienza. Guarisci presto, May!”. Bilbo augurò la buonanotte e lasciò la stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
“La cena è in ritardo” protestò May, sforzandosi senza troppo successo di dissimulare la felicità che provava nel vedere Fili. “Cominciavo a pensare che ti fossi dimenticato di me…”.
Lui la guardò accennando un sorriso compiaciuto tra i baffi; adorava quel finto tono stizzito e, se avesse potuto fare a modo suo, si sarebbe lanciato su quella cuccia di fieno per catturare il viso di lei e torturarlo di baci fino al mattino. Posò il calice e il piatto con le cibarie su un tavolino nell’angolo a sinistra del caminetto e si chinò per ravvivare il fuoco, dando le spalle a May.
“Dimenticarmi di te, dici… E tu, che hai passato l’intera giornata a dormire beata senza degnarti di aprire gli occhi un solo secondo, per donare un briciolo di sollievo ad un povero viaggiatore stanco e affranto che non ha smesso di curarti? Vogliamo parlare di te?” replicò Fili, stando al gioco.
“Non mi sento per niente in colpa, se ci tieni a saperlo” confessò May con una piega ironica sulle labbra che lui non poté vedere.
Finito che ebbe di riattizzare la fiamma, il Nano tornò in piedi e si girò verso di lei; sollevò le sopracciglia con fare interrogativo e vagamente provocatorio. Risero entrambi.
“Ammettiamo pure che io mi senta un pochino in colpa per aver approfittato di te, mio malgrado… In che modo posso fare ammenda?” chiese May, con l’aria colpevole di una bimba che ha rubato i biscotti dalla dispensa della mamma.
“Potresti cenare, per esempio”, la illuminò Fili indirizzandole un occhiolino.
“Non ho molta fame, a dire il vero”.
“May, cerca di essere ragionevole: non puoi sperare in una pronta guarigione, se non riempi lo stomaco. Ecco, manda giù questo: è caldo, farà bene alla tua gola!”.
Fili porse alla fanciulla un boccale di latte fumante con miele e lei lo bevve a piccoli sorsi, per poi addentare una spessa fetta di pane e burro dal piatto che lui le aveva poggiato sulle ginocchia con affettuosa sollecitudine. Per invogliarla a mangiare, il giovane si accomodò per terra di fianco al basso letto su cui lei sedeva, illustrandole la cena coi compagni avvenuta nella sala da pranzo di quella che, più che una casa, appariva come una spaziosa stalla ben fornita e accogliente. Le raccontò della rude cortesia del padrone di casa, delle api giganti che svolazzavano dappertutto e dei cavalli dal pelo lucido che con curiosità osservavano gli ospiti dalle finestre, con la promessa che l’indomani – se si fosse sentita meglio – le avrebbe mostrato il giardino, nel quale crescevano dei magnifici fiori di una specie a lui sconosciuta.
May, avida di ogni singola parola, ascoltava affascinata quella voce profonda e gentile che parlava per lei, soltanto per lei. Si sentiva lusingata dalle premure che le riservava il suo principe – come aveva preso a chiamarlo nei più intimi pensieri – e non poteva fare a meno di domandarsi se fosse degna di riceverle. Soprattutto, lui era davvero il suo principe? Lo sarebbe mai diventato, un giorno?
Un improvviso attacco di tosse la piegò in due e il boccale vuoto scivolò giù dal materasso, rotolando sul pavimento. Fili scattò in piedi.
“Che vadano in malora le mie chiacchiere!” disse, affrettandosi a coprire May dopo averla adagiata sul cuscino. “Ho lasciato che ti raffreddassi, non ho scuse!”.
“Non dire sciocchezze, hai fatto per me più di quanto mi fosse dovuto! Stà tranquillo, sto bene” tentò di rassicurarlo lei. Ma gli occhi lucidi e le guance in fiamme dicevano l’esatto contrario.
“Non sembra affatto” mormorò Fili ansioso, poggiando il palmo sulla fronte scottante della donna. Si inginocchiò vicino a lei e le tastò delicatamente il polso minuto; rimase in silenzio per qualche istante, esaminandola con attenzione. Le pulsazioni di May stavano aumentando, e non solo a causa della febbre; era sempre così quando lui si avvicinava o la toccava, pensò la fanciulla mentre respirava a fondo nel tentativo di calmare il battito furioso del cuore.
“La temperatura sta salendo di nuovo”, osservò Fili con un’ombra di inquietudine sul volto. “Ma non temere: presto sarà tutto passato. Una buona dormita non potrà che farti bene!” affermò alla fine, incoraggiante. “Ora è tempo che vada”.
Si era appena voltato, pronto ad alzarsi per lasciar riposare la malata, quando sentì la mano bollente di May afferrare la sua e trattenerla con appassionata energia.
“Fili…”.
La supplichevole dolcezza di quella voce vibrò nell’aria come il più soave e incalzante dei richiami; il cuore di lui, già traboccante di amore, ne fu trafitto. Fili restò in ginocchio di fianco al letto e si chinò leggermente sulla giovane donna, ammaliato dalla muta intensità di quello sguardo che seppe scuotere ogni fibra del suo essere. Se poco prima era stato sul punto di andarsene, adesso sapeva che per l’intera notte non si sarebbe staccato da May: tutto, dentro e fuori di lui, gridava il suo nome. Ogni muscolo, ogni pensiero, ogni respiro era disperatamente, meravigliosamente pieno di lei.
Con la mano di Fili stretta nella sua, May si affannava a cercare le parole migliori per cominciare un discorso importante.
“Voglio dirti una cosa…”. Esordì timidamente – nella speranza di risultare il più semplice e diretta possibile – ma s’interruppe immediatamente, incapace di continuare. Il momento sembrava perfetto, eppure non era quello giusto: voleva davvero confessare a Fili i propri sentimenti distesa com’era su un fitto strato di foraggio, febbricitante?
“Voglio dirti…” ripeté, incerta e nervosa, racimolando il coraggio necessario per esternare almeno una minuscola porzione delle emozioni che agitavano il suo animo.
“E’ stato bello… Essere avvolta dal tuo calore, la scorsa notte…”.
Forse i consigli di Bilbo avevano reso May audace, o forse fu semplicemente l’amore che ardeva in lei a guidarla quando – dopo aver finalmente parlato – portò la mano di Fili al viso, sfiorandone lentamente le dita con le labbra brucianti. Lui chiuse gli occhi: un sospiro lungo e tremante gli uscì dal profondo del petto.
Adagio, il Nano spinse il ginocchio in avanti affondandolo nella paglia e si coricò accanto alla donna, cingendola con un braccio sopra la coperta; nell’avvicinarsi, sfiorò la graziosa guancia cocente col soffio del proprio fiato e, mentre stringeva dolcemente a sé quel corpo squassato da brividi implacabili, sentiva che la vera missione della sua vita sarebbe stata rendere felice colei che amava.
Fili non si mosse fino a che May – spossata – non si abbandonò al sonno con la mano intrecciata alla sua appoggiata sulla bocca dischiusa, il cui tocco squisito ancora aleggiava sulle sue dita frementi. Allora scivolò via cautamente per andare ad aggiungere altra legna sul fuoco; mantenere l’ambiente caldo era di vitale importanza. Alla luce vacillante della nuova fiamma, dopo averle rimboccato le coperte, il giovane rimase immobile come fuori dal tempo a contemplare la dormiente, perso nella candida bellezza del suo volto rilassato; il respiro della fanciulla, fattosi lento e regolare, era in grado di placare le inquietudini che gli eventi più recenti avevano destato in lui.
 
“Buonanotte, mia piccola guerriera!” bisbigliò Fili teneramente; accostò le labbra alla fronte di lei e vi depose un bacio lieve come l’aria, quasi a non voler sciupare il più prezioso dei tesori.
 
 
-s-s-s-
 
 
May si svegliò sorprendentemente piena di energie e si domandò che ora fosse; il freddo e la stanchezza se n’erano andati, lasciando il posto ad una fame da lupi. Persino la tosse era quasi del tutto sparita, grazie all’effetto benefico del latte caldo mescolato col miele. Si era giusto sollevata a sedere con una mezza idea di correre alla finestra e spalancare le imposte, quando si accorse di una mano posata sulla sua sopra il cuscino di fieno. Il bagliore di un fuocherello che perdurava scoppiettante nel camino le mostrò una folta e lunga chioma sparsa sulla coltre di lana: riluceva nella semioscurità come oro puro.
Fili dormiva sereno, la guancia contro la gamba di May che di fronte ad una tale, tenera visione, non seppe resistere e affondò le dita bramose tra i capelli di lui, carezzandoli piano in preda ad un irrefrenabile istinto. Sarebbe rimasta così a lungo, se Kili non avesse fatto allegramente irruzione nella stanza scordandosi di bussare come il suo solito, facendola sobbalzare; reggeva in mano una brocca piena d’acqua che andò a posare sul tavolo, vicino ad una bacinella in ceramica. Aprì la finestra fischiettando rumorosamente.
“Buongiorno, bei piccioncini! Ho forse interrotto qualcosa?”.
“Sì… Il mio sonno!” si lamentò Fili, sbadigliando. “Ma insomma, ti pare il caso di fare tutto questo chiasso di prima mattina?!”.
“Se ti affretti, caro il mio fratellone, troverai la colazione in tavola. Ma se fai tardi, dovrai accontentarti di avanzi e briciole!”. May scoppiò a ridere: la minaccia di Kili non suonava molto seria.
“Fa sempre così?” chiese, rivolta a Fili.
“Ovviamente può fare molto peggio!” ammise quest’ultimo, con un ghigno tanto spiritoso quanto complice.
“Ecco! Vai a fare del bene ai fratelli maggiori!” brontolò scherzosamente Kili, uscendo.
Di nuovo soli, Fili e May si guardarono negli occhi e sorrisero.
“Vedo che la febbre è passata” mormorò lui, sollevato.
“Già”, confermò lei. “Sono pronta per un giretto nei dintorni e, perché no, per riprendere gli allenamenti con la daga, se avremo tempo a sufficienza”.
Fili rise. “Sicura di volere me come maestro? Dimentichi com’è finita l’ultima volta…”.
“E tu dimentichi che dopo l’ultima volta ho infilzato un goblin e un orco!” obiettò May fieramente.
Lui annuì con orgoglio. “Va bene guerriera, più tardi vedremo il da farsi. Adesso sbrighiamoci, o sul serio troveremo soltanto briciole ad attenderci!”.
Aveva quasi oltrepassato la porta, quando lei lo portò a voltarsi.
“Fili!”.
Il blu intenso di quegli occhi colpì May come un fulmine e un’ondata di calore invase il suo corpo.
“… Grazie!”.
Egli non rispose, ma un sorriso dolcissimo si sostituì alle parole che avrebbe voluto pronunciare.


-s-s-s-
 
 
Lavata e rinfrescata alla bell’e meglio, May si unì agli altri nel locale adiacente a quello in cui aveva passato la notte: una grande sala sorretta da colonne fatte di tronchi d’albero, con un ampio camino al centro, acceso, nonostante la stagione. Il pavimento era composto da paglia e, qui e là, una pecorella o una gallina passeggiavano indisturbate tra i commensali. Prendendo posto sulla bassa ed enorme tavola rustica, la giovane vide spuntare il muso di un bellissimo pony bianco e nero dalla finestra che dava sul cortile, e si sentì in pace col mondo.
Al suo ingresso fu accolta da esclamazioni di gioia, fischi e battiti di mani; i compagni sembravano talmente contenti di rivederla, per giunta in salute, che soltanto allora ella realizzò quanto fosse affezionata a ciascuno di loro. Fili le fece posto vicino a lui sulla panca di legno; May sedette tra il Nano e Kili, mentre il suo anfitrione – impegnato a servire la colazione – la osservava con curiosità, studiandone ogni minimo movimento. Era un omone dall’aspetto burbero, alto e grosso, lunghi capelli scuri, fitta barba, braccia e gambe nude; i suoi modi non erano tra i più eleganti che ci si potesse aspettare, eppure si poteva scorgere una buona dose di bontà e gentilezza nello sguardo accigliato.
“Costui sarebbe quindi Beorn?” sussurrò May a Kili, una volta che il padrone di casa le ebbe dato le spalle; era sensato mostrare un minimo di sorpresa, pensò, sorseggiando il suo primo boccale di latte fresco di giornata.
“Proprio lui in carne ed ossa, o forse dovrei dire in pelo ed ossa” replicò Kili sottovoce. “Stanotte l'ho visto aggirarsi per la casa, e non in forma umana!”.
Beorn era l’ultimo dei mutatori di pelle e detestava gli orchi più dei Nani: Azog il Profanatore aveva sterminato quasi tutti i suoi familiari, alcuni dei quali li aveva resi schiavi, torturandoli per puro divertimento. Quando seppe che i suoi ospiti avevano intenzione di raggiungere la Montagna Solitaria prima degli ultimi giorni d’autunno e che avrebbero attraversato Bosco Atro prendendo la via elfica, li mise in guardia sugli elfi silvani – che reputava meno saggi e più pericolosi rispetto ai loro parenti – e sulla forza oscura che gravava su quella foresta, ma soprattutto li avvisò della presenza degli orchi, di cui quelle terre brulicavano.
Circa due ore più tardi i viandanti si rimisero in viaggio, con disappunto di May, che avrebbe voluto trattenersi ancora un po’ per riprendere gli allenamenti e visitare la fattoria. Beorn, dopo aver scambiato qualche parola in privato con Gandalf, gli aveva suggerito di proseguire, finché ci fosse stata la luce.
Aveva inoltre riempito di cibo i bagagli dei Nani e prestato loro dei pony, che li portarono in sella fino all’entrata della foresta, dove furono lasciati liberi di tornare dal padrone, com’era stato pattuito. Il bosco nel quale la compagnia era in procinto di addentrarsi non aveva un bell’aspetto; secondo Gandalf, l’unica maniera di aggirarlo era recarsi duecento miglia a nord o quattrocento a sud. Il tempo incombeva inesorabile su di loro e la scelta fu obbligata dalla necessità di spingersi avanti, ma c’era di peggio: lo stregone se ne stava andando. C’erano questioni urgenti da risolvere, questioni di importanza vitale che non potevano aspettare. Quando ebbe informato i compagni della sua risoluzione ne furono tutti costernati, in special modo Bilbo; May lo vide parlare in disparte con Gandalf e capì che era sul punto di rivelargli dell’Anello, ma alla fine lo hobbit ci ripensò e lei sentì gravare su di sé il peso di una certa responsabilità, essendo l’unica della compagnia a conoscere e custodire un segreto di tale portata.
 
“Vi aspetterò allo spiazzo prima delle pendici di Erebor. Tenete la mappa e la chiave al sicuro!”, ordinò lo stregone. “Non entrate in quella Montagna senza di me!”. Ma le raccomandazioni non erano finite.
”C’è un ruscello nel bosco che contiene un oscuro incantesimo: non toccate quell’acqua!”, li avvertì ancora. “Attraversatelo sul ponte di pietra. La stessa aria della foresta è pesante, crea illusioni… Tenterà di entrarvi nella mente e sviarvi dalla strada. Dovete restare sul sentiero, non lasciatelo. Se lo fate, non lo ritroverete mai più! Qualunque cosa accada, restate sul sentiero!” gridò infine, galoppando via come una freccia nel vento.
 
“Coraggio, dobbiamo raggiungere la Montagna prima che il sole cali su dì di Durin!”. La voce sicura di Thorin incitò i compagni a proseguire oltrepassando la porta degli elfi, dalla quale partiva il sentiero. May fece un passo ma subito dopo si voltò, fermandosi a guardare Gandalf che scompariva nel verde all’orizzonte. A differenza degli altri, ella sapeva che la loro guida era stata costretta a lasciarli per indagare sulla faccenda del Negromante di Dol Guldur, ciononostante, si rese conto di provare una cocente delusione: lo stregone se n’era andato senza un consiglio, senza un cenno, senza una parola per lei.
”Stavolta lui non verrà in nostro aiuto. Ora siamo soli!” pensò, sospirando rassegnata.












Nota dell'autrice:

Con questo capitolo, si apre il film "Lo Hobbit - La Desolazione di Smaug". Spero vivamente che continuerete a seguire la mia storia come avete fatto fino ad oggi: il vostro entusiasmo e il vostro interesse sono la linfa vitale della mia ispirazione! Grazie di cuore a tutti voi!

Claudia






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Capitolo 12
*** Il sapore dei sogni ***





CAPITOLO XII

Il sapore dei sogni







I quindici viandanti procedevano in fila indiana. I grossi tronchi d’albero, che parevano diventare sempre più alti e più fitti intorno a loro, impedivano alla luce di filtrare sullo stretto sentiero attraverso Bosco Atro. Il silenzio era tale che il rumore dei passi che calpestavano le foglie secche suonava alle loro orecchie come un tonfo sordo. L’aria divenne presto pesante, al pari delle teste dei compagni, che ad ogni passo si domandavano quanto sarebbe durato un simile supplizio; avevano l’impressione che gli alberi li stessero osservando con una certa malevolenza e quella sensazione di disagio non li abbandonò per l’intera giornata di cammino. Quando si fermarono per la notte – in uno spiazzo circolare pieno di radici contorte che sbucavano dal terreno – erano tutti esausti, di cattivo umore e poco inclini alla conversazione. Consumarono una ridotta porzione del cibo avuto in dono da Beorn, preparandosi per una notte buia e meno confortevole del solito. Benché facesse caldo avrebbero gradito una bella fiamma, più per risollevare gli animi con un po’ di luce che per scaldare le membra. Tuttavia evitarono di accendere il fuoco, consci dei rischi che correvano: la foresta appariva ostile e temevano di peggiorare la situazione, attirando insetti ed altre possibili creature malvagie che vivevano in quel posto tetro.
May dispiegò la coperta e si coricò su un fianco; avrebbe preferito dormire a pancia in su, come faceva ogni volta in cui si sentiva irrequieta, ma le fu impossibile assumere quella posizione, per via delle radici nodose dei tronchi secolari che affondavano nella sua schiena. Provò a chiudere gli occhi e rilassarsi, senza alcun risultato; aveva ragione a detestare quel posto più di ogni altro membro del gruppo, essendo l’unica a conoscerne le reali insidie. Stava considerando l’idea di alzarsi e fare compagnia a Kili, al quale spettava il primo turno di guardia, quando uno scricchiolio di foglie calpestate alle sue spalle la fece sussultare: voltandosi con uno scatto saltò in piedi e, d’istinto, tese le mani in avanti nell’atto di difendersi, facendo quasi arrivare un pugno in faccia a Fili, che lo parò prontamente col braccio.
“Che mi venga un colpo! Sei tu?!” esclamò May, abbassando la guardia.
“Più o meno. Sono un Nano contuso”, rispose lui con una punta di sarcasmo.
Lei scoppiò in una risata. “Ti chiedo scusa. Temevo che fosse qualcun altro… O qualcos’altro. Questa foresta non mi piace per niente, non posso fare a meno di rimanere vigile!”.
Fili annuì.
“So che vuoi dire, ma credo che dovresti riposare, o almeno provarci: domani ci attende un’altra lunga passeggiata qui dentro… Se tutto va bene!”.
“Grazie di avermelo ricordato!” ribatté May, sbuffando. “Tu, piuttosto, eri venuto a dirmi qualcosa?”.
“Io, beh… Forse" dichiarò lui, fissandola con intensità.
La fanciulla si fece ansiosa; non riusciva ad immaginare cosa lo avesse spinto da lei a quell’ora in cui tutti (o quasi) dormivano. Doveva trattarsi di una questione impellente.
“Fili, va tutto bene?”.
“Sì, certo. Mi chiedevo se, dopo aver passato le ultime due notti accanto a me, tu fossi pronta a ricevere ancora un po’ del mio calore…”.
May fu grata all’oscurità – non troppo fitta – che celava agli occhi di lui le sue guance, ora in fiamme. Avrebbe gridato “sì” con tutto l’ardore del suo cuore innamorato, se un improvviso pudore non si fosse impadronito di lei.
“Vedo che sta diventando un’abitudine” replicò, sorridendo imbarazzata.
“Una piacevole abitudine”, puntualizzò Fili. “Ebbene, confesso che ho deciso di dormire insieme a te ogni notte, fino alla fine della missione”. Si avvicinò a lei con un sorrisetto audace che fece arrossire May ancora di più, provocandole un brivido lungo la spina dorsale. La donna sapeva che il Nano non si stava burlando di lei.
“Beh, se è questo quello che vuoi…” disse infine, in un sussurro.
Si distese nuovamente a terra e si arrese alle braccia di Fili, che l’avvolsero dolcemente da dietro sotto la coperta; con il petto del giovane contro la sua schiena e il respiro di lui tra i capelli, May si sentiva al sicuro e si addormentò quasi subito, le labbra curvate in un sorriso felice.
 
 
-s-s-s-
 
 
La compagnia si rimise in marcia di buon’ora. Gli animi non si erano alleggeriti durante la notte e nessuno consumò la colazione con vero appetito, tranne Fili e May; uscire il prima possibile da quel luogo oscuro costituiva la priorità, l’unico pensiero che invadeva le menti stanche dei viaggiatori. Finalmente, il ponte elfico menzionato da Gandalf apparve davanti a loro: era crollato e, per attraversare il ruscello dall’aspetto malsano senza toccare le acque incantate, furono costretti ad arrampicarsi su grossi rami intricati e saltare sulla riva opposta. Si guardarono intorno speranzosi, ma imboccando di nuovo il sentiero la situazione non accennava a migliorare. L'aria si era fatta irrespirabile e pronunciare una semplice parola richiedeva uno sforzo non da poco. Gli alberi, sempre più scuri e minacciosi, sembravano decisi a ostruire il passaggio ostacolando la marcia. Molti dei Nani camminavano senza guardare dove mettevano i piedi, finendo con l’inciampare ad ogni passo, che diventava più faticoso del precedente. Un’inspiegabile sonnolenza li colse tutti, dal primo all’ultimo.
May sentiva la testa girare come se fosse ubriaca e, più di una volta, Fili dovette sorreggerla per evitare che cadesse bocconi.
D’un tratto Thorin, in testa alla fila, si arrestò: pareva disorientato.
“Perché ci siamo fermati?” domandò Kili, andando a sbattere contro la schiena dello zio.
“Il sentiero… E’ scomparso!” disse Thorin, sospirando scoraggiato. “Avanti! Dobbiamo trovare il sentiero!”, gridò.
 
May si lasciò cadere sul tappeto di foglie appoggiando la schiena contro un gigantesco tronco e Bilbo sedette sfinito vicino a lei; gli altri, intanto, si davano da fare per cercare la via.
“Questo posto è pieno di ragnatele!” notò il signor Baggins, infilando la mano in una di queste.
La fanciulla finse di non aver udito; ben sapendo cosa sarebbe accaduto di lì a poco, era determinata a cambiare argomento mettendo da parte i ragni.
“Come mai non gliel’hai detto?”, chiese a bruciapelo.
“Detto cosa? A chi?”.
“Della cosa che hai trovato… A Gandalf. Ieri ti ho sentito parlare con lui, non volendo”.
L’espressione stupita e lievemente infastidita dello Hobbit non servì a far pentire May di essersi spinta oltre.
“Ecco, non saprei. Stavo per dirglielo, in realtà. Forse non l’ho fatto per…”. La mano destra di Bilbo scivolò lentamente nella tasca del panciotto, in cerca di qualcosa. “Per non trattenerlo con questioni di poca importanza che potevano essere rimandate”.
Quella spiegazione avrebbe potuto convincere qualcun altro, ma non May. Lei sapeva che la vera ragione per cui lo Hobbit aveva taciuto il suo segreto allo stregone era molto meno nobile: l’influenza dell’Anello cominciava ad avere i suoi effetti su Bilbo, il quale stava scoprendo un innaturale attaccamento verso quell’oggetto magico dotato di una volontà propria.
 
“Non ricordo questo posto!” borbottò Balin, confuso. “Io non riconosco niente!”.
“Dev’essere qui… Non può essere sparito!” vociò Dori, angosciato.
“A meno che qualcuno non l’abbia spostato…”, rifletté Dwalin ad alta voce.
“Come se fosse possibile spostare un sentiero!” osservò Nori.
“Ma non capite? Stiamo girando in tondo, ci siamo persi!” sbottò Bilbo spazientito, alzandosi in piedi.
“Non ci siamo persi”, lo corresse Thorin. “Ci dirigiamo ad Est”.
“Ma da quale parte è l’Est? Abbiamo perso il sole!”, si lagnò Bofur.
“Ora basta!”gridò Thorin, esasperato. “Dico a tutti: siamo osservati!” concluse, in un bisbiglio.
 
“Dobbiamo trovare il sole. Lasciatemi salire in cima!” si offrì Bilbo, indicando un grosso albero: “In tal modo sapremo da che parte andare!”.
Guardando lo Hobbit che si arrampicava su per i rami, May si sentì perduta; si avvicinò a Fili, senza sapere se lo faceva per essere protetta da lui o per proteggerlo. Conosceva il pericolo che incombeva su di loro, e il senso d’inquietudine che gravava su di lei da quando era entrata in quell’abominevole bosco sfociò in puro terrore, non appena si udì un rumore sospetto: alzando lo sguardo, ella vide agitarsi le fronde degli alberi circostanti. Peccato non ci fosse vento. Immediatamente, i compagni sguainarono le armi; Kili tese l’arco e Fili si parò di fronte a May dandole le spalle, pronto a farle da scudo. Prima che la donna potesse aprire bocca o tentare un qualsiasi movimento, si ritrovò circondata da un esercito di mostruosi ragni giganti; con profondo orrore, li vide sollevare da terra gli amici – uno ad uno – dopo averli arrotolati come salami in grandi e raccapriccianti ragnatele.
 
 
-s-s-s-
 
 
May si svegliò immersa nelle tenebre. Non aveva la benché minima idea di quanto tempo fosse trascorso dal momento in cui aveva sentito un pungiglione colpirla alla schiena; tutto ciò che ricordava era un dolore lancinante, e poi buio assoluto. Riaprendo gli occhi, che le mostravano lo stesso buio ostinato, sentì le ciglia sfiorare qualcosa di vischioso e non ebbe bisogno di riflettere, per capire che si trovava intrappolata all’interno di una robusta ragnatela. Provò a muovere braccia e gambe, ma i muscoli le dolevano a tal punto da farle dubitare di averli utilizzati negli ultimi anni; si sentiva terribilmente debole e stanca. Un lezzo nauseabondo riempiva le sue narici facendola respirare a fatica. Il veleno dei ragni l’aveva colpita duramente. A dispetto della sofferenza, il suo pensiero volò ai compagni; avrebbe dato qualunque cosa per rivederli sani e salvi… Per rivedere lui. Rimpiangeva di non avergli rivelato i propri sentimenti quando ne aveva avuto l’occasione.
“Se uscirò viva di qui gli parlerò, magari durante una delle prossime notti che passerò con lui”, si disse. Sorrise al ricordo delle intenzioni espresse da Fili, e in quell’istante l’oscurità parve diradarsi.
Se solo Bilbo non fosse stato catturato… Se fosse riuscito ad indossare l’Anello in tempo per liberare lei e gli altri!
All’improvviso, May si sentì precipitare nel vuoto alla massima velocità e capì che qualcuno aveva tagliato i fili ai quali era appeso il fagotto che la conteneva; un grido soffocato le sfuggì nell’attimo in cui urtava qualcosa, probabilmente il terreno, quantunque si sarebbe aspettata un atterraggio più duro. Percepì diverse mani che armeggiavano frenetiche con la ragnatela che l’avvolgeva, finché l’aria fresca non le riempì inaspettatamente i polmoni: era libera! Si alzò barcollando, meravigliandosi di riuscire a muoversi in perfetta autonomia. Fili e Dwalin, che l’avevano tirata fuori, le sorrisero aiutandola a togliere i residui di ragnatela da braccia e capelli; gli altri Nani erano attorno a lei, intenti anche loro a scrollarsi di dosso quella robaccia. Stavano tutti bene e, notando l’assenza dello Hobbit, May intuì che – proprio come aveva immaginato e sperato – era stato lui a recidere i fili di ciascun bozzolo.
“Grazie a Durin sei salva!” mormorò Fili, quando tutta la sporcizia fu eliminata dai vestiti della fanciulla.
Colta da un impeto di tenera gratitudine, fuori di sé dalla gioia di rivederlo, May gettò le braccia al collo del giovane, nascondendo il viso tra le sue trecce d’oro; lo strinse più forte che poté mentre Fili ricambiava l’abbraccio, sorpreso e raggiante.
“Dov’è lo scassinatore?” esclamò Thorin, accorgendosi che lo Hobbit mancava. “Bilbo!” chiamò a squarciagola.
“Sono quassù!”, rispose una voce dall’alto.
In quel momento, i ragni sopraggiunsero in gran numero da ogni lato del bosco e da ogni albero, circondando la compagnia; i Nani, tuttavia, non furono colti impreparati e si lanciarono all’attacco, amputando zampe e infilzando corpi. May sguainò la spada tenendosi il più possibile vicina a Fili; si stava giusto domandando di quale utilità potesse essere agli altri, quando vide un ragno particolarmente ripugnante afferrare il povero Kili, bloccandolo con le zampe e impedendogli di usare la spada. Senza lasciare alla creatura il tempo di osare nuove mosse e prima che qualcuno potesse intervenire al suo posto, la donna balzò in avanti e trafisse l’occhio sinistro del ragno, il quale si divincolò mollando la presa; Kili si voltò e lo colpì nella pancia, uccidendolo con un sol fendente.
“Ottimo lavoro sorellina!”, si congratulò il Nano.
“Via! Adesso!” Thorin si mosse per fare strada.
May estrasse in fretta la spada dalla carcassa del ragno, la ripose nella guaina e si mise a correre al seguito degli amici, che non andarono lontano: un piccolo esercito di Elfi Silvani li aveva accerchiati, puntando le frecce contro di loro.
“Non credere che non ti uccida, Nano” disse una voce limpida, rivolgendosi a Thorin: “Lo farei con piacere!”.
La fanciulla sbirciò oltre le spalle di Ori e riconobbe il principe Legolas, figlio del Re di Bosco Atro.
“Perquisiteli!” ordinò un’altra voce, stavolta femminile, prima che altre voci ripetessero il medesimo ordine in lingua elfica. May non dovette voltarsi per sapere chi era stato a parlare: Tauriel, capo delle guardie del Re. La trovò decisamente più affascinante dal vivo, così come lo era Legolas; era strano per lei trovarsi davanti quei due personaggi, tanto discussi e tanto amati nel mondo reale. Per quanto la riguardava, lei non nutriva una particolare simpatia per l’una o per l’altro, sebbene li considerasse due guerrieri valorosi.
Fili fece un passo verso May, ma fu fermato da una guardia che lo ispezionò scrupolosamente da cima a fondo sottraendogli tutte le armi che aveva con sé, fino all’ultimo pugnale che il Nano teneva ben nascosto nel cappotto. Ai compagni toccò lo stesso trattamento e, una volta perquisiti, ricevettero l’ordine di seguire gli Elfi, dai quali furono spinti in avanti verso una sorte che si prospettava assai sfavorevole.
 
La Città degli Elfi era situata a poche miglia dai confini orientali di Bosco Atro in un’immensa caverna scavata nel fianco di un declivio scosceso, che si inoltrava profondamente sotto terra. Altre piccole, numerose caverne si aprivano sulle pareti, ma niente a che vedere con le dimore degli orchi: i saloni degli Elfi Silvani erano più luminosi e più puliti. Inoltre, vantavano una raffinatezza senza eguali.
Dopo aver attraversato uno stretto ponte sotto il quale l’acqua scorreva turbinosa e fragorosa, i viandanti – scortati dalle guardie – giunsero al Portale del Re. Mentre i battenti si chiudevano rumorosamente alle loro spalle, May si augurò che Bilbo fosse riuscito a sgattaiolare dentro, invisibile; soltanto lui, infatti, avrebbe potuto tirarli fuori dal grosso guaio in cui si erano cacciati. Sempre che i ragni non l’avessero catturato, o peggio… A questo la giovane non poteva pensare senza rabbrividire. Alzò la testa e, malgrado lo sconforto, si lasciò incantare dalla magia della Città, che aveva l’aspetto di un enorme albero con scalinate, sale e ponti tutt’intorno; in ogni dettaglio, anche il più insignificante, si percepiva l’amore degli Elfi per la natura e i boschi. May ne era colpita. Quel posto le ricordava Gran Burrone, con la differenza che nel reame di Re Thranduil lei e i suoi amici non erano attesi, né benvenuti. Le guardie marciarono lungo una serie di gallerie illuminate da torce appese al muro e, infine, condussero i Nani nelle segrete del regno, dove li rinchiusero per ordine del sovrano.
 
 
-s-s-s-
 
 
May venne spinta con poca delicatezza dentro una cella che uno degli Elfi chiuse subito a chiave. Non appena le guardie si furono allontanate, la prigioniera poggiò la fronte contro una delle fredde sbarre di cui era fatta la porta, stringendola con rabbia tra le mani. Le veniva da piangere. E adesso? Non le restava che attendere l’arrivo di Bilbo, se mai si fosse fatto vivo per salvarli. E se lo Hobbit non ce l’avesse fatta ad introdursi lì dentro? Se avesse smarrito l’Anello nella foresta, durante la lotta contro i ragni?
“Devo smetterla di torturarmi con questi pensieri inutili”, si rimproverò tra sé e sé. Gettò un’occhiata oltre le sbarre e, alla fioca luce delle lampade che rischiaravano il corridoio vuoto, May notò che non c’erano altre celle lì intorno. Con un sospiro, si girò per osservare quella che le era stata assegnata: si presentava come una prigione spoglia e stretta, ma facendo qualche passo si accorse che stranamente si sviluppava in lunghezza. Quasi lanciò un grido, quando intravide un’ombra muoversi verso di lei dall’altra estremità della cella buia; una voce echeggiò attraverso quello spazio angusto e la donna trasalì.
“May! Quale fortuna inaspettata!”.
“Fili?!”.
L’inconfondibile sorriso del Nano e le sue braccia forti che la stringevano a sé bastarono a convincere May che non era preda di allucinazioni; la speranza, che credeva svanita, si ridestò nel suo cuore.
“Ma com’è possibile?” chiese, sciogliendosi timidamente dall’abbraccio. “Pensavo che non fosse previsto più di un prigioniero per ciascuna cella!”.
“Pare non sia proprio così”, rispose Fili. “Mentre mi portavano qui, ho visto che rinchiudevano Dori e Ori assieme… Gente strana, questi Elfi. Oh, che sbadato! Non ho fatto gli onori di casa”, continuò con fare burlone, “Benvenuta nella mia nuova dimora! Ti offrirei una fetta di torta, ma sai come siamo fatti noi Nani, l’ho mangiata tutta…”.
Il suono delle loro calde risate ruppe la fredda quiete che li opprimeva; mai le mura di quel carcere erano state testimoni di giocosità e vivacità, prima d’allora.
Improvvisamente la voce di Thorin, proveniente da uno dei piani superiori, li raggiunse adirata e tonante, rimbombando per il pianerottolo; gridava parole in lingua nanica.
“Che significa?” domandò May fingendo di non capire, pur sapendo cosa stava succedendo.
“E’ il nostro idioma”, spiegò Fili. “E ciò che ha detto non lascia presagire nulla di buono” sospirò, rabbuiandosi di colpo.
“Ho paura che mio zio abbia rifiutato l’aiuto del Re degli Elfi. Un accordo, credo”.
May si passò le mani tra i capelli; non sopportava la situazione in cui si era ficcata. Si era illusa di poter sostenere il peso della missione con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato, tuttavia cominciava a sentirsi stanca e inadeguata. Avrebbe volentieri gridato per dare sfogo alla sua frustrazione, se Fili non fosse stato presente: prima i troll, poi i giganti di pietra, i goblin, e ancora gli orchi, i ragni, ora persino gli Elfi… E la parte peggiore non era ancora arrivata!
“Il dì di Durin si avvicina” disse, camminando nervosamente avanti e indietro. “Come faremo ad uscire di qui? E dov’è finito Bilbo? L’abbiamo perso di nuovo e chissà se lo rivedremo…”.
Fili avvertì la disperazione in lei e ne fu addolorato.
“Sono certo che Bilbo sta bene e che lo riavremo presto con noi! E’ uno scassinatore all’altezza del suo titolo, se la caverà!” la rassicurò lui, facendosi più vicino. “Quanto a noialtri, ce ne andremo di qui in qualche modo. Te lo prometto!”. Il suo tono era tanto persuasivo quanto affettuoso, ciononostante May lo ascoltava a malapena; l'apparente calma del giovane non contribuiva a diminuire la sua smania di libertà.
Perché Fili non si ribellava? Perché doveva sempre mostrarsi così dannatamente composto e tollerante?
“Vorrei che fosse davvero come dici…” replicò lei, mirando il riverbero delle torce al di là delle sbarre.
Fili poggiò le mani sulle spalle minute della donna e, con dolcezza, la costrinse a voltarsi.
“May, guardami: agitarsi non serve a niente. Per quanto può valere ti ho fatto una promessa, ed ho intenzione di mantenerla”.
Lei chinò il capo; non era in grado di reggere quello sguardo fiducioso e penetrante.
“Tu non ti fidi di me”.
“Cosa?! Fili, come puoi pensare questo?”.
“Mi sembra evidente”.
Le mani di Fili scivolarono via dalle spalle su cui erano amorevolmente posate e lui si allontanò fissando il pavimento, andando a rifugiarsi nell’angolo più buio. La delusione che trapelava dalla sua voce ebbe su May l’effetto di una lama arroventata conficcata nel torace; se il Nano avesse manifestato rabbia nei suoi confronti, lei non avrebbe provato un dolore maggiore.
“Come potrei non fidarmi di colui che amo?!” gridò, tra le lacrime che inarrestabili avevano preso a solcarle il volto.
 
Silenzio.
 
“Fili, non capisci?! Io… Io ti amo!”.                                                                   
 
Silenzio.
 
Il cuore di May batteva con una tale furia da farle sospettare che lui potesse udirlo. La giovane si rese conto che quello non era esattamente il momento né il luogo più romantico per dichiararsi, ma ormai era tardi per tornare indietro. Dal fondo della cella Fili non camminò, bensì fece un unico grande salto per raggiungerla, quasi si aspettasse di vederla scomparire da un istante all’altro, risucchiata dall’oscurità insieme con quelle parole che per tanto tempo aveva sognato di sentire da lei. Prese con delicatezza il viso di May tra le mani e, carezzando con i pollici le guance arrossate dal pianto, premette le sue labbra contro quelle della fanciulla.
Un lungo, avvolgente e meraviglioso bacio, dapprima dolce per poi divenire carico di passione, nel quale Fili riversò tutto il desiderio che provava per lei. Un ardente desiderio alimentato da un sentimento puro e profondo che non avrebbe più saputo tacere. Avidamente, lentamente, assaporò quelle suadenti labbra. Non sapeva saziarsene. L’avrebbe baciata per ore, per giorni interi, fino a consumarsi la bocca. Il sapore di lei lo stordiva. Era estasiato.
Il corpo di May fu pervaso da mille brividi che sapevano di beatitudine. La donna si era lasciata rapire dall’ebbrezza di quel bacio tenero e sensuale, che ricambiò con tutta la dolcezza e il fervore di cui era capace. Aveva chiuso gli occhi, il tempo si era arrestato. Le proprie difese, crollate. La volontà, paralizzata. La ragione, preda di un’improvvisa foga dei sensi. Quando si fermarono per riprendere fiato, i due innamorati si persero l’uno negli occhi dell’altra per un attimo che parve infinito. Lui scostò delicatamente una ciocca ribelle dalla fronte accaldata di lei, e vide brillare nelle sue pupille una strana luce: il riflesso di un mite turbamento del cuore.
“Ti amo anch’io, May. Con tutto me stesso!”, sussurrò Fili con voce tremante.
“Ti amo dall’istante in cui il mio sguardo si è posato per la prima volta su di te a Casa Baggins. Se solo sapessi quante volte ho sognato questo momento… Con quanta impazienza l’ho atteso! Temevo che non sarebbe mai giunto! Mi struggevo in silenzio ogni giorno, ogni minuto dal desiderio di parlarti, di sapere… Ho creduto di impazzire!”.
Si chinò leggermente in avanti e appoggiò la fronte contro quella di lei; i due si guardarono e sorrisero, travolti da una gioia che non avevano mai conosciuto. Si trovavano rinchiusi all’interno di una prigione, eppure – per la prima volta nelle loro vite –  si sentivano veramente liberi. May non riusciva a crederci: lui l’amava. L’amava davvero! Sfiorò con la punta delle dita quei baffi intrecciati che adorava; le girava la testa e sarebbe caduta, se Fili non l’avesse tenuta fermamente stretta a sé.
“Lascia che ti copra col mio cappotto” bisbigliò lui, guardandola con apprensione. “Stai tremando!”.
“N-non ho freddo. Sei tu…” balbettò May, arrossendo.
Allora Fili prese quelle mani candide tra le sue e le portò al petto, premendole sulla veste: May sentì il cuore del giovane martellare violentemente contro il suo palmo, come se volesse schizzargli via dal corpo per essere afferrato.
“Sei tu…”, ripeté Fili in un sussurro dolcissimo.
La fanciulla strinse le mani di lui nelle proprie e, adagio, le scostò dal quel petto ansante per portarle al viso; ne sfiorò il dorso con le labbra, più e più volte. Lo fece con movimenti così lenti e teneri che Fili, folle d’amore, lasciò scivolare una mano dietro la sua nuca e con l’altra, poggiata nell'incavo della sua schiena, la spinse contro si sé per esplorarne la bocca con crescente sensualità, lasciandola senza respiro. Era impossibile staccarsi da lei; era inebriato dal suo profumo, intenso e irresistibile. La baciò ancora, profondamente. E ancora.
May si abbandonò contro di lui, lasciandosi trasportare dalla passione che – implacabile – ardeva già in lei.
Il mondo si era dissolto. Esistevano soltanto loro due: le labbra unite, i corpi avvinghiati, i cuori esultanti. Loro due soltanto. Almeno, così credevano.
 
“C-chiedo scusa… Mi rincresce interrompervi”, disse una vocina familiare oltre la porta. “Io… Vorrei liberarvi!”.
“Bilbo!” gridò May, al culmine della felicità.
“Shhh… Non farti sentire, per carità! Ci sono guardie in giro!”, mormorò lo Hobbit gettando uno sguardo inquieto dietro di sé. Girò le chiavi nella serratura e i due prigionieri balzarono fuori.










 

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Capitolo 13
*** L'ombra del dubbio ***





CAPITOLO XIII

L'ombra del dubbio





 
 
“Che ti avevo detto?” disse Fili, tirando un respiro di sollievo. “Il nostro amico è uno scassinatore esperto!”.
Si rivolgeva a May e parlava in tono sommesso, anche se avrebbe voluto gridare e saltare, euforico com’era. Prese la fanciulla per mano, sorridendole radioso: lei gli aveva dichiarato il suo amore e lui si considerava l’essere più fortunato della Terra di Mezzo. Sentiva il cuore scoppiargli di gioia.
“Aspettatemi qui, vado a liberare gli altri!”.
Così dicendo, Bilbo si allontanò rapidamente e con circospezione dal corridoio. Quando fu certo di non essere visto infilò l’Anello al dito e scomparve, dirigendosi verso i piani superiori; era l’unico modo per evitare le sentinelle elfiche. Ritornò pochi minuti dopo, seguito da dodici prigionieri dall’espressione trionfante. Alla vista di Fili e May che si tenevano la mano, Kili non poté trattenere una risatina compiaciuta; non ebbe bisogno di chiedere cosa fosse successo, poiché lo lesse negli occhi di entrambi, e un’affettuosa pacca sulla spalla del fratello maggiore rappresentò la sua sincera benedizione.
“Adesso che si fa?” domandò Dwalin, impaziente di abbandonare quel posto.
“Seguitemi!”, ordinò Bilbo. “Mi raccomando: siate veloci e silenziosi!”.
Li condusse giù per un certo numero di scale, fino a raggiungere le cantine; nell’ampio locale in cui si intrufolarono c’era un forte odore di vino. Due guardie russavano beatamente con la fronte appoggiata ad un tavolo, sopra il quale bicchieri e bottiglie vuote lasciavano dedurre che anche gli Elfi si ubriacavano, di tanto in tanto. Decine di botti vuote erano allineate sul pavimento e impilate l’una sull’altra; molte apparivano grandi abbastanza da contenere un Nano ciascuna. Sulla sinistra, una grossa botola di quercia – ora chiusa – si apriva per mezzo di una leva.
“Da questa parte!” indicò Bilbo, oltrepassando le guardie dormienti con passi lenti e felpati.
“Non ci credo, siamo nelle cantine!” bisbigliò Kili, innervosito e già pronto a tornare indietro.
“Dovevi portarci fuori, non ancora più all’interno!”, protestò Bofur.
“So quello che faccio!” rispose lo Hobbit, alquanto seccato. “Se non avete fiducia in me siete liberi di rientrare nelle vostre fresche celle, ma in quel caso tenete a mente che lo scassinatore non verrà di nuovo a liberarvi e, una volta che vi avrà rinchiuso, vi lascerà là dentro ad arrovellarvi il cervello finché non avrete elucubrato un piano migliore per tirarvi fuori da soli!”.
I Nani ammutolirono; non avevano mai visto Bilbo tanto risoluto. Si fermarono dinanzi alle botti, in attesa di ricevere ulteriori istruzioni.
“Entrate nei barili, presto!” sussurrò lo Hobbit, in preda all’ansia. Tutti lo guardarono confusi e Dwalin gli andò incontro accigliato.
“Sei impazzito?! Ci troveranno!” ringhiò.
“Non è così, te l’assicuro. Vi prego, dovete fidarvi di me!” li supplicò Bilbo.
“Ascoltate: dobbiamo fidarci del nostro scasshobbit! Non ci ha deluso finora, si è anzi dimostrato un compagno esemplare comportandosi meglio di quanto avrebbero fatto molti di noi. Dunque, il minimo che possiamo fare per ringraziarlo è affidarci a lui, non credete?”.
Tutti si voltarono verso quella voce innocente e decisa: a parlare era stata May, che nel frattempo aveva pensato bene di dare il buon esempio ficcandosi in un barile disposto in orizzontale, dal quale ora li fissava con aria di rimprovero. Lo Hobbit le sorrise con fiera gratitudine, ma gli altri – non ancora convinti e nient’affatto soddisfatti del piano – cercarono lo sguardo di Thorin, fermo su quello implorante dello scassinatore.
“Fate come dice!” intimò sottovoce il capo della spedizione, scambiandosi un cenno d’intesa con May e Bilbo. Ai Nani non rimase che obbedire. S’infilarono velocemente nelle botti; tutti tranne Fili, che invece si chinò su uno dei barili nella prima fila in basso.
“Non provare a fuggire via da me, perché ti troverò ovunque andrai”, disse il Nano in un sussurro. May colse la giocosa malizia delle sue parole e ne fu deliziata.
“A dire il vero vorrei fuggire non da te, bensì con te…” replicò, ammiccando.
Colpito dall’inaspettata audacia della giovane donna, Fili avvicinò il volto al suo, sfiorandone le morbide labbra con una dolcezza tale da farla tremare. Fu un bacio breve, interrotto dal severo richiamo dello zio che – sporgendo la testa oltre la botte – vide il nipote indugiare.
“Fili! Svelto!”.
Thorin non si era preoccupato di celare il suo disappunto, e a May venne da chiedersi se lo indispettiva di più il fatto che il parente si attardasse, o che l’avesse sorpreso a scambiarsi effusioni con lei.
“Benedetto ragazzo!” grugnì Dwalin rivolto a Fili, che si affrettava a prendere il proprio posto, “ti sembra il momento di mettersi ad amoreggiare?!”.
“Bilbo, che dobbiamo fare?” chiese Bofur, irrequieto.
“Trattenete il fiato!” fu la perentoria risposta, di cui i Nani afferrarono il significato non appena lo Hobbit tirò la leva: la botola di legno su cui poggiavano i barili si aprì lentamente verso il basso e i compagni piombarono nelle acque sotto di loro.
 
Bilbo li seguì poco dopo, lanciandosi goffamente nel fiume per poi cercare un appiglio nel barile di Bombur, il più vicino a lui.
“Complimenti, mastro Baggins!” esclamò Thorin, che come gli altri aveva iniziato a pagaiare con l’ausilio delle mani, facendosi strada attraverso la buia galleria che conduceva al cuore della collina. A May toccò fare altrettanto; non le piaceva remare e per sua fortuna non dovette continuare a lungo, poiché una corrente improvvisa e turbinosa la spinse in avanti. Ma sentendo il ruscello scrosciare sempre più forte tra le rocce, intuì che stava per fare un bel volo e provò il desiderio di riprendere a vogare.
“Tenetevi forte!” urlò Thorin, preparandosi a precipitare dalla cascata che li accoglieva spumeggiante. May si aggrappò convulsamente al bordo della botte; durante il salto mantenne serrati occhi e bocca (o almeno ci provò) e, riemergendo dall’acqua gelida, tossì. Respirava a fatica, bisognosa di aria. Non era allenata a trattenere il respiro per più di qualche secondo. In quel momento, i fuggiaschi udirono un corno suonare: era un chiaro segnale d’allarme ed essi sapevano che proveniva dalle caverne appena lasciate. Guardando avanti, scorsero quattro guardie in cima al tetto roccioso di una chiusa – sovente aperta per via del traffico che passava in ambedue le direzioni – in grado di sbarrare il corso d’acqua. Una leva collocata su quel piccolo “ponte” di roccia fu tempestivamente tirata da un Elfo all’approssimarsi dei barili e per i  prigionieri non ci fu scampo: il cancello si chiuse con fragore. Avanzare fu impossibile.
“No!”. Il grido di Thorin lacerò l’aria e dal fondo della fila May era sul punto di fargli eco, udendo il tintinnio delle spade elfiche sguainate all’unisono. Non osò alzare lo sguardo. La sua botte andò ad urtare quelle di Nori e Bombur, che si erano arrestate sotto l’arco scontrandosi con altre botti, ed ecco che la fanciulla si ritrovò anch’essa a galleggiare da ferma, bloccata a qualche metro dall’inferriata. Il corpo senza vita di una guardia cadde improvvisamente dall’alto colpendo il suo barile di striscio e, come veniva trascinato via dal moto del fiume, ella vide una freccia conficcata nella schiena dello sventurato. Inorridì, consapevole del fatto che lei e gli amici rischiavano di fare la medesima fine: gli orchi dai quali stavano scappando avevano teso loro un’imboscata e li trovarono disarmati. Senza darle la possibilità di tentare qualche disperata manovra difensiva, un orco si tuffò di fronte a May afferrando l’orlo del barile con una mano, inclinandolo, mentre con l’altra sollevava il pugnale, pronto a tagliarle il collo. Fortunatamente la lama di un altro pugnale, dalle magiche e potenti virtù, venne piantata nell’immonda carne della creatura dall’unico membro della compagnia che recava ancora un’arma con sé.
“Bilbo!” disse May con un filo di voce sorridendo allo Hobbit, che ora si reggeva alla sua botte. Fili era rimasto immobile ad osservare la scena, incapace di riaversi dal terrore; se non fosse stato per lo scassinatore, l’avrebbe persa. Era accaduto talmente in fretta che gli era mancato il tempo di agire. Si trovava troppo distante da lei, maledettamente incastrato e per di più sprovvisto di spada. Gli Elfi Silvani avevano confiscato ogni singola arma posseduta dai Nani, i quali, per combattere gli orchi che si gettavano nel ruscello, dovettero servirsi unicamente dei propri pugni e di tronchetti d’albero pescati sulla superficie dell’acqua. May approfittò della confusione per sgusciare fuori dalla botte, che lasciò nelle mani di uno Hobbit sconvolto, e correre in aiuto di Kili; vedendolo salire di corsa i gradini che portavano al ponticello e indovinandone le intenzioni, la giovane aveva provato un senso di orrore. Forse non sarebbe riuscita ad evitargli il peggio, tuttavia doveva rischiare. Era il suo migliore amico e il fratello minore di colui che amava; inoltre, egli si stava adoperando per salvarli e lei non poteva permettere che gli accadesse qualcosa. Con un balzo gli fu accanto, porgendogli una spada nemica raccolta ai piedi degli scalini. Lui la impugnò senza indugio e staccò ferocemente braccia e teste intorno a sé, proteggendo l’amica dagli orchi che sopraggiungevano sempre più numerosi. Ma fu inutile.
 
“May! Kili!”.
 
Il grido angoscioso di Fili giunse alle loro orecchie nello stesso istante in cui la freccia sibilante dell’orco Bolg, figlio di Azog, penetrava nella gamba destra di Kili, a lato del ginocchio. Il Nano cadde all’indietro e la speranza sembrò l’ombra di un soave ricordo, finché l’arrivo di Legolas – seguito da una decina di Elfi guerrieri – non capovolse la situazione. Le frecce piovvero impazzite in ogni dove, per affondare nel petto o nel collo delle malvagie creature. May si accovacciò sul ferito per soccorrerlo, ma non era sola: Fili l’aveva raggiunta.
“Presto!” li sollecitò Kili, facendo uno sforzo per rialzarsi. I due annuirono e si buttarono sulla leva da lui indicata, tirandola con tutta la forza che avevano: grida ed esclamazioni di vittoria furono udite in tutto il colle quando finalmente il cancello si aprì, cigolando. Con movimenti rapidi e delicati, Fili aiutò il fratello a mettersi in piedi guidandolo verso il barile che lo attendeva dabbasso; Kili vi saltò immediatamente dentro, ma nell’impatto la lunga freccia piantata nella gamba si spezzò e un’estremità schizzò via, procurandogli un dolore acuto. La punta, invece, rimase penosamente conficcata nel ginocchio. May lo sentì grugnire proprio nell’attimo in cui Fili la prendeva saldamente tra le braccia per tuffarsi dal tetto della chiusa; provò pena per il suo “fratellino” e si dolse di non avergli potuto risparmiare quella sofferenza. Ma non c’era tempo per pensare: la botte stava galleggiando via e il suo innamorato le diede una mano ad entrarvi, prima di recuperare la propria. La corrente era impetuosa e nel corso della fuga May, sballottata da ogni parte come una pallina da golf, ingoiò accidentalmente una gran quantità d’acqua. Decine di frecce provenienti da ambo le rive saettarono in direzione dei fuggitivi, ma nessuna di queste arrivò a colpire il bersaglio e, grazie all’intervento degli Elfi arcieri, gli ultimi orchi rimasti furono sterminati. Infine, la compagnia approdò su una spiaggia acciottolata situata sulla riva settentrionale del Fiume Selva (così veniva difatti chiamato), che in quel punto aveva scavato un ampio golfo.
 
 
-s-s-s-


“Sto bene” disse Kili, sforzandosi di apparire rassicurante, “non è niente!”.
Aveva estratto la punta della freccia dalla gamba servendosi di un panno umido e a May, che lo osservava con la fronte aggrottata, non erano sfuggiti i denti serrati in una smorfia di dolore.
“Non è vero”, lo smentì prontamente lei in tono di bonario rimprovero.
“Stai tranquilla sorellina, ti assicuro che ora va molto meglio! E tu, fratellone”, proseguì rivolgendosi a Fili, che in ginocchio davanti a lui esaminava la ferita, “tu non hai nulla da dire alla nostra intrepida guerriera?”. Al fratello maggiore bastò un’occhiata per capire che Kili voleva restare solo, quindi si allontanò portando May con sé. La fanciulla sentiva un freddo cane e starnutiva a più non posso; dopo averla aiutata a strizzare bene gli abiti fradici, Fili l’abbracciò sfregandole schiena e braccia con le mani per scaldarla quanto più poteva, sebbene lui non fosse meno bagnato di lei.
“E’ molto bello ciò che hai fatto oggi per Kili”, le mormorò all’orecchio. “So che sei coraggiosa, ma devi promettermi che d’ora in avanti agirai con maggiore prudenza. Sei troppo preziosa per me, se ti capitasse qualcosa io… Io…”. Piegò il capo da un lato e chiuse gli occhi stringendola forte, come per impedire che qualcuno la portasse via.
“Oh no, tu non devi pensare queste cose!” lo riprese dolcemente May, accarezzandogli i contorni del viso con l’indice. “Non potrà capitarmi nulla di male, finché tu sarai al mio fianco”.
Fili non si aspettava una risposta simile. La sua voce tremò: “Resterò al tuo fianco finché tu lo vorrai!”.
May sorrise come solo una donna innamorata può fare e lui la baciò teneramente, ignorando gli sguardi niente affatto stupiti dei presenti.
“Qui ci scappa un bel nanetto prima o poi, ve lo dico io!” disse Bofur, ridendo sommessamente.
“O un cucciolo d’uomo”, rifletté Ori.
“O entrambi in un sol colpo”, concluse il sagace Nori.
I Nani esplosero in una sonora e grassa risata; tutti, eccetto Thorin.
“Fili! Vieni con me!”.
Il giovane obbedì con una certa riluttanza al comando dello zio e con un sospiro si staccò dalla sua amata che, confusa, lo guardò allontanarsi verso la sponda del fiume. I due parenti parlavano a bassa voce con la schiena rivolta al gruppo e May ebbe la sgradevole sensazione che Thorin stesse indirizzando al nipote dure parole di biasimo. Si rammaricò di aver messo Fili in difficoltà gettandogli le braccia al collo davanti agli altri. Non era quello il momento di lasciarsi andare, ma lo aveva fatto senza riflettere, spinta dalla felicità di poter poggiare nuovamente i piedi su di un terreno solido e di riavere il suo amore vicino a sé. La missione esigeva una vigile concentrazione e May si era appena ripromessa di evitare altri errori del genere in futuro, quando Fili tornò; aveva un’aria infastidita e abbattuta, ma sorrideva. Fu allora che un terribile dubbio si affacciò alla sua mente, oscurandone la luce: Thorin avrebbe mai approvato la loro unione? In fondo Fili era l’erede al trono di Durin e, se fosse sopravvissuto alla missione, sarebbe diventato Re dopo di lui. Pertanto, era molto probabile che lo zio avesse dei progetti ben precisi sul nipote primogenito, tra cui un matrimonio sapientemente organizzato con una Nana di alto rango, degna del titolo di “Regina”.
“Come potrei dare torto a Thorin?” si disse, con la morte nel cuore. “Nemmeno io, al suo posto, acconsentirei alle nozze tra un Nano di origine nobile e un’anonima ragazza povera, per giunta appartenente alla stirpe degli Uomini. Cosa gli potrei offrire? E soprattutto, cosa ho nella testa?! Gli ho solo dato un bacio e sto già pensando di sposarlo!”.
 
“May, ti senti bene?”.
Fili la scrutava con ansia: l’aveva vista impallidire e poi arrossire di colpo.
“S-sì, sono solo infreddolita e avrei bisogno di…”.
 
“Coraggio, dobbiamo proseguire!”.
May fu interrotta da Thorin, che passandole davanti lasciò scorrere lo sguardo arcigno su di lei, facendola sentire a disagio; si era impegnata con tutte le forze per guadagnarsi la sua fiducia, e non sopportava l’idea che lui cominciasse a considerarla una piccola irresponsabile.
“Kili è ferito, bisogna fasciargli la gamba!” si oppose Fili, mentre correva dal fratello.                     
“Abbiamo un branco di orchi alle calcagna, continuiamo a muoverci!” ribatté lo zio, irremovibile.
“Verso dove?” chiese Balin, pur prevedendo la risposta.
“La Montagna… Ci siamo quasi!”, lo informò il signor Baggins.
“Un lago si trova tra noi e quella Montagna, non c’è modo di attraversarlo!”, gli fece notare Balin.
“Ci gireremo intorno!”, considerò Bilbo con irragionevole ottimismo.
“Gli orchi ci piomberanno addosso, sicuro come la luce del sole!” contestò Dwalin. “Non abbiamo armi per difenderci!”.
“Fasciategli la gamba!” comandò Thorin. “Avete due minuti”.
Fili e May si misero all’opera e applicarono un bendaggio provvisorio sulla ferita di Kili, impiegando la metà del tempo che avevano a disposizione.
Un rumore di passi sui ciottoli li fece voltare: un uomo dall’aria minacciosa era in piedi alle loro spalle e puntava il suo arco contro l’ignaro Ori che, seduto sulla riva, svuotava gli stivali dai residui di acqua. Lesto come un fulmine, Dwalin si parò dinanzi al compagno impugnando un ramoscello sul quale si conficcò subito una freccia. Poi fu la volta di Kili: si sbrigò a raccogliere un sasso da terra, ma prima che potesse scagliarlo contro l’arciere gli scivolò di mano, colpito da una seconda freccia.
“Fatelo di nuovo e siete morti!” disse il tipo misterioso, tendendo l’arco e mirando all’intera compagnia.
Balin azzardò qualche passo verso di lui, con le mani alzate e bene in vista. “Scusami, ma… Sei di Pontelagolungo, se non vado errato. Quella tua chiatta…” indicò l’imbarcazione poco distante, “non sarebbe possibile noleggiarla, per caso?”.
“Può darsi” rispose l’uomo, abbassando l’arco senza smettere di scrutare a fondo gli stranieri. Quando fu sicuro di potersi fidare abbastanza, incoraggiò Balin a seguirlo con un cenno del capo e gli altri si mossero al suo seguito, propensi ad assecondare il tacito piano del Nano.
“Cosa ti fa pensare che vi aiuterò?” domandò l’arciere, mentre caricava uno alla volta i quindici barili vuoti sulla chiatta.
“Quegli stivali hanno visto giorni migliori, come quel cappotto” replicò Balin, con la sicurezza di chi sa di aver colpito nel segno.
Il chiattaiolo continuò a sollevare le botti per sistemarle sul barcone; non sembrava interessato all’offerta.
“Sospetto che tu abbia delle bocche da sfamare” si arrischiò ad insistere il Nano dalla barba bianca biforcuta. “Quanti bambini?”.
“Un maschio e due femmine”.
“E tua moglie, immagino che sia una bellezza!” seguitò Balin, tentando la via della lusinga.
L’uomo si arrestò all’improvviso, reggendo un barile tra le mani. Lo sguardo, fisso in un punto oltre il fiume, sembrò spegnersi per un lungo istante; stava rievocando un lontano e penoso ricordo.
“Sì, lo era”, disse a voce bassa.
Le più dolorose corde del suo cuore erano state urtate dall’inconsapevole Balin, che tosto gli porse le proprie scuse. L’espressione di Bard – quello era infatti il nome del chiattaiolo – sapeva di cordoglio e May, nel vederla, non poté reprimere una fitta di compassione che subito dopo cedette il posto ad un puro sdegno, causato dall’indelicatezza manifestata da un insofferente Dwalin.
“Adesso basta! Bando alle ciance!”.
“Perché tanta fretta?”, chiese Bard.
“Perché ti interessa?”, chiese Dwalin di rimando.
“Vorrei sapere chi siete e che cosa ci fate in queste terre”.
“Siamo dei semplici mercanti delle Montagne Azzurre, in viaggio per vedere i nostri parenti sui Colli Ferrosi” mentì astutamente Balin, al quale era stata rivolta la domanda.
“Semplici mercanti, tu dici?”. L’uomo – che non credette ad una sola parola – si voltò verso May, inarcando le nere sopracciglia. “E cosa ci fa una donna in mezzo a tredici mercanti e un Mezzuomo?”.
“I miei affari mi appartengono, signore” rispose la fanciulla, per nulla intimidita dal ghigno ironico del nuovo personaggio (a lei ben noto) che la fissava con occhi penetranti.
“Ci occorrono cibo, provviste, armi…” intervenne Thorin facendosi avanti, spostando l’attenzione dell’arciere su di lui. “Puoi aiutarci?”.
“So da dove sono arrivati questi barili” affermò Bard, strofinando una mano sul legno di una botte. “Non so che affari avevate con gli Elfi, ma non credo sia finita bene. Si entra a Pontelagolungo solo col permesso del Governatore, tutte le sue ricchezze vengono dagli scambi col Reame Boscoso: ti metterebbe ai ferri, prima di rischiare l’ira di Re Thranduil!”.
Thorin bisbigliò a Balin di offrire una cifra più alta al chiattaiolo, che si preparava a partire.
“Scommetto che ci sono altri modi per entrare non visti!”, incalzò Balin.
“Certo”, convenne Bard, “ma per quello vi ci vorrebbe un contrabbandiere!”.
“Per il quale pagheremmo il doppio” dichiarò il Nano, risolvendo la questione.
 
 
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May distingueva a malapena i contorni del paesaggio circostante, sebbene non vi fosse granché da vedere, oltre al lago che si stendeva a perdita d’occhio. Si era alzata una nebbia fitta e opprimente, che non contribuiva a migliorare l’umore cupo dei passeggeri a bordo della chiatta guidata da Bard. Alcuni fra questi, Dwalin per primo, borbottavano insoddisfatti ostentando una scarsa fiducia nei riguardi dell’arciere, che chiaramente non rientrava nelle loro simpatie.
“Non ci deve piacere per forza, dobbiamo soltanto pagarlo” chiarì giudiziosamente Balin, raccogliendo le monete d’oro da consegnare al chiattaiolo.
May sedeva davanti a Fili. Le braccia del giovane cingevano la sua esile vita da dietro; il mento di lui poggiava sulla sua spalla ed ella avvertiva sulla schiena il calore emanato dal possente torace del Nano. Un sorriso gioioso splendeva sul suo volto: aveva l’amore del suo Principe! Ad un tratto, Fili le raccolse i capelli con una mano per posarle un lieve bacio sul lato del collo, cogliendola di sorpresa; il tocco di quelle soffici labbra e il respiro caldo di lui sulla sua pelle nuda scatenarono una serie di brividi lungo tutto il suo corpo.
“La smetti di tormentarmi?”, mormorò May con una risatina ironica e nervosa mentre faceva del proprio meglio per tenere a bada un’improvvisa esplosione di emozioni, lottando contro il violento istinto di dare libero sfogo ad una passione che reputava del tutto inappropriata, in presenza dei compagni.
“Lo farò quando tu smetterai di tormentare i miei occhi con la tua bellezza…” le sussurrò Fili all’orecchio, in un tono che le fece correre un nuovo brivido caldo sulla pelle. La donna tremò e lui la strinse al petto, felicemente consapevole di essere la causa di quei fremiti.
Kili sedeva silenzioso accanto a loro, la testa appoggiata contro una botte, lo sguardo fisso a terra. Sembrava assente.
“Come ti senti?” domandò May, sorridendogli affettuosamente.
“Bene sorellina, non preoccuparti” replicò lui con un sussulto, abbozzando un sorriso non proprio convincente. Allora la fanciulla lasciò le mani calde di Fili per afferrare quelle gelide di Kili, stringendole dolcemente: si era accorta di un rivolo di sangue che gocciolava dalla fasciatura intorno alla gamba del Nano e provò ad immaginare quanto grande fosse il dolore causato da una tale piaga. Il suo amico doveva soffrire molto.
“Non temere, fratellino: quando scenderemo di qui penseremo al tuo ginocchio e ti assicuro che guarirai in un batter d’occhio!” promise, rassicurante. Ma la reazione di lui la lasciò interdetta.
“Ho detto che sto bene e che non devi preoccuparti per me!” ribadì Kili, indispettito. Liberò bruscamente le mani dalla stretta di lei e si alzò per andare a sedersi dalla parte opposta della chiatta. May avrebbe voluto seguirlo ma Fili, intuendone le intenzioni, la trattenne con ferma delicatezza nel suo abbraccio, scuotendo il capo.
“Lascialo andare, gli passerà” disse con sicurezza. “Non ce l’ha con te. Lo conosco, ha soltanto bisogno di rimanere un po’ da solo. Ha una brutta ferita e la prima cosa che faremo una volta arrivati in Città sarà pulirla, disinfettarla e fasciarla per bene!”.
May annuì, poiché quello era anche il suo piano. Sospirò pensierosa – conscia di ciò che attendeva il povero Kili – e affondò il viso tra i capelli d’oro del suo innamorato, abbandonandosi a lui. Eppure, le incessanti carezze di Fili non bastarono a tranquillizzarla: improvvisamente aveva percepito un non so che di diverso in lui. Sollevò lo sguardo ansioso e, in quelle iridi blu cielo che la contemplavano come fosse la più grande meraviglia mai esistita, scorse un’ombra che li offuscava. Magari il giovane era semplicemente in pena per la salute di Kili, tuttavia sarebbe stata pronta a giurare che ci fosse dell’altro. E lei doveva andare a fondo, a costo di mordersi la lingua dopo aver parlato.
“Ho l’impressione che qualcosa ti turbi” incominciò senza preamboli, cercando di nascondere l’agitazione che le attanagliava lo stomaco. “Se si tratta di tuo…”.
“Oh no, mio fratello non c’entra” la interruppe Fili, anticipandola. “Presto ci occuperemo di lui e sono certo che guarirà completamente. Quanto a me, non potrei stare meglio! E il merito è tuo, mia piccola guerriera!”. Tracciò con l’indice i contorni delle labbra di lei; lo fece con tutta la grazia e la dolcezza del suo animo gentile, come se le sue mani stessero accogliendo la più delicata e sacra delle creature.
“E’ solo che…” proseguì incerto evitando di guardarla negli occhi, “avrei bisogno di parlarti. E’ m-molto importante e n-non posso farlo qui”.
May sentì la Terra di Mezzo crollarle miseramente addosso. Aveva imparato a conoscerlo: Fili balbettava quando era nervoso e quel nervosismo non prometteva nulla di buono. Per quanto si sforzasse di trovare una spiegazione, proprio non riusciva a capire. Cosa poteva avere, lui, di così impellente da dire che non le avesse già detto nella cella in cui si era dichiarato? Era successo qualcosa, nel fattempo? In un baleno la risposta arrivò e la colse tutt’altro che impreparata, portandole un nome: Thorin. I suoi timori si erano infine rivelati fondati. Era ovvio! Lo zio aveva proibito al nipote di fidanzarsi con lei mettendolo di fronte ai suoi doveri di futuro sovrano, nonché membro di una compagnia che si stava dando da fare per riconquistare il proprio regno. Però… Se il suo Principe aveva intenzione di obbedire a Thorin, come mai continuava a dimostrarsi tanto affettuoso? Forse stava racimolando il coraggio per lasciarla. E se, invece, avesse deciso di rinunciare alla corona per stare con lei? No, una scelta del genere sarebbe stata follia pura, come forse lo erano le sue congetture dettate dalla paura di perdere l’unica persona che avesse mai amato.
“Forza, ragazzi! Kili, Fili, Dori, Bifur… Mancate giusto voi, svuotate le tasche!”.
Fu Balin a riportare May coi piedi per terra, mentre Fili e gli altri “debitori” gli  lanciavano i loro sacchetti pieni.
“Io metto dieci monete in più, visto che la nostra guerriera non ha denaro con sé!” annunciò Kili, sorridendo a May; era il suo modo di scusarsi per il comportamento di poco prima e lei gliene fu profondamente grata.
“Hum, sì ma… C’è un problema: ci mancano dieci monete” osservò Balin, dopo aver contato e ricontato il denaro su un piccolo tavolo.
“Glóin! Avanti, dacci quello che hai!”, ordinò Thorin con le braccia incrociate sul petto.
“Non guardate me!” gridò l’ostinato e taccagno Glóin, scuotendo l’indice per enfatizzare il discorso. “Io sono stato dissanguato da quest’avventura! E cosa ho ottenuto dal mio investimento?! Nient’altro che miseria… E dolore… E…”.
Avrebbe arricchito l’elenco con una serie di scuse per evitare il pagamento, ma tacque di colpo, vedendo i compagni alzarsi in piedi con lo sguardo fisso in un punto lontano e la bocca spalancata dallo stupore: la nebbia che li avvolgeva, diradandosi poco a poco, aveva scoperto un paesaggio che mostrava i contorni della Montagna Solitaria, ora straordinariamente vicina.
“Per la mia barba… Prendi! Prendi tutto quanto!” esclamò Glóin scosso, mettendo il suo sacchetto di monete nella mano di Balin.
May imitò gli altri e si alzò, trattenendo il fiato. Fili l’aveva attirata a sé ed ella percepì in lui una commossa emozione che, unita alla vista di Erebor, andò a smuovere le più profonde fibre del suo cuore di donna. Per un attimo fu sopraffatta dal solenne, trepidante desiderio di percorrere i maestosi saloni un tempo abitati dagli eroici antenati del suo amato, al quale non era stato finora concesso di mettere piede in quel regno che gli apparteneva di diritto.
Ma fu solo un attimo: una gelida folata di vento la strinse nella sua morsa e, come in un sogno, May vide le migliori speranze dissolversi nella nebbia. Si ricordò del drago che dormiva sotto la Montagna, dell’occhiata dura di Thorin, del misterioso discorso che il suo Nano le avrebbe fatto a breve. Era riuscita a conquistare il cuore di Fili e, nello stesso tempo, aveva realizzato con sgomento che il suo rischiava di rivelarsi - per una serie di ragioni – un amore impossibile.
 







 

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Capitolo 14
*** Il Signore delle Argentee Fonti ***





CAPITOLO XIV

Il Signore delle Argentee Fonti







“Qualcuno può dirmi che sta facendo?” chiese Dwalin sommessamente, dall’interno di una botte.
“Parla con qualcuno” rispose Bilbo nello stesso tono di voce, sbirciando attraverso il piccolo foro di una botte adiacente in cui era nascosto.
“E che succede?”.
“Sta puntando il dito verso di noi!”.
May avvertiva chiaramente la tensione dei compagni. A differenza sua, essi ignoravano cos’avesse in mente Bard che, arrestando la chiatta nei pressi del porto della Città, aveva ordinato loro di intrufolarsi velocemente nei barili vuoti e aspettare, con la raccomandazione di non fare rumore. Aveva preteso il pagamento anticipato, cosa che non garbò affatto ai Nani, sempre più sospettosi nei suoi riguardi ad eccezione dello Hobbit. Tuttavia non avevano scelta e furono costretti a concedere nuova fiducia al chiattaiolo, quando lui accennò vagamente ad un piano per farli entrare a Pontelagolungo eludendo la sorveglianza delle guardie, senza però specificare di quale piano si trattasse.
“Ora si stringono la mano!” riferì ancora Bilbo, vedendo Bard allungare il braccio verso il suo interlocutore.
“Cosa?!” domandò Thorin, trattenendosi dal gridare.
“Che canaglia!” esclamò Dwalin incollerito, “ci ha traditi!”.
“E lo ha fatto per bene!” interloquì Kili, rincarando la dose.
“Io non credo, ragazzi! E’ un tipo onesto, vi dico”. May aveva ritenuto opportuno rassicurarli – conoscendo la lealtà dell’uomo che aveva in mano il loro denaro – ma non poté aggiungere altro, poiché un rumore proveniente dall’alto la zittì all’istante, rammentandole cosa sarebbe accaduto in quella parte del viaggio: una strana “valanga” si abbatté all’improvviso dentro ciascun barile a cominciare dal suo ed ella si ritrovò sepolta sotto un mucchio di pesci morti.
“Tu guarda cosa mi tocca sopportare per riconquistare una Montagna che neanche mi appartiene!” disse tra sé e sé, disgustata da quella puzza tremenda che pareva contaminare persino i suoi pensieri; non sarebbe stato facile scrollarsela di dosso, una volta fuori di lì. L’unico aspetto incoraggiante della situazione consisteva nel sapere che il piano di Bard per entrare a Pontelagolungo era ben studiato: coi soldi (o parte di questi) avuti dai quindici stranieri, egli aveva comperato il pesce per riempire le botti e tenerli così ben nascosti. La chiatta riprese a muoversi lentamente; si avvicinava all’ingresso della Città. Un calcio vibrato dal chiattaiolo contro uno dei barili fece soffocare a May una risata: Dwalin, o forse Kili, si stava agitando un po’ troppo nel suo nascondiglio, imprecando malamente.
“Silenzio!”, intimò Bard, “siamo alla barriera per il pedaggio”.
Fermò l’imbarcazione e andò incontro ad un certo Percy, a cui consegnò i documenti per la consueta ispezione delle merci. Le voci dei due, che scambiavano qualche parola circa il freddo e la voglia di casa, giungevano ovattate eppur distinte alle orecchie attente di May; ma la voce di un terzo uomo le fece digrignare i denti dalla rabbia. Le carte erano regolari e Bard avrebbe proseguito senza intoppi se non fosse stato per lui, Alfrid, il fedele consigliere del Governatore di Pontelagolungo: un uomo opportunista, codardo, crudele e arrogante. In sostanza, riuniva in sé i difetti peggiori. La fanciulla lo detestava e, sentendolo definire “illegale” la merce sulla chiatta, arrivò a considerarlo più viscido e insopportabile del pesce che la ricopriva fin sopra i capelli.
“Svuotate i barili fuori dalla barca!” ordinò Alfrid, palesemente determinato ad ostacolare l’onesto concittadino; Bard, infatti, era odiato tanto da lui quanto dal Governatore, il quale lo riteneva un personaggio scomodo, responsabile dell’insofferenza che gli abitanti di Pontelagolungo nutrivano nei suoi confronti. Diverse paia di mani si mossero per obbedire agli ordini e una di queste afferrò la botte di May inclinandola da un lato; il panico s’impossessò di lei mentre i primi pesci cominciavano a scivolare fuori per poi cadere in acqua.
“Non possono scoprirci! Non è così che deve andare!”, pensò la giovane mordendosi le labbra fino a farle sanguinare. Ma la fortuna si dimostrò ancora una volta dalla parte della compagnia: Alfrid gridò “fermi!” e la botte tornò repentinamente in posizione eretta. May, sospirando rilassata, capì che l’arciere aveva avuto la meglio sul subdolo consigliere.
“Sempre il campione del popolo, eh Bard?” mormorò quest’ultimo, sprezzante. “Il protettore della gente comune. Avrai anche il loro favore come chiattaiolo, ma non durerà!”.
“Sei tu che non durerai, finché continuerai a comportarti come un infido verme”, rifletté May con una smorfia.
Percy diede l’ordine di alzare la chiusa e il barcone ripartì con grande sollievo degli intrusi, che udirono Alfrid rivolgersi di nuovo all’arciere prima di voltargli le spalle.
“Il Governatore ti tiene sott’occhio, farai bene a ricordartelo. Noi sappiamo dove vivi!”.
“E’ una piccola Città”, replicò Bard remando, “tutti sanno dove vivono tutti!”.
 
Pontelagolungo, situata a Sud della Montagna Solitaria, era una Città degli Uomini costruita su palafitte in legno poste sul Lago Lungo. Grazie alla sua posizione favorevole, era divenuta un centro dedicato al commercio di alimenti, oro e altri materiali; gli abitanti, tramite il Fiume Selva, commerciavano soprattutto con gli Elfi Silvani di Bosco Atro.
May stava incominciando ad abituarsi al nauseante odore del pesce quando Bard vuotò i barili uno dopo l’altro, liberando lei e gli amici. D’un tratto si ritrovò a pancia in su e chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l’aria fresca del mattino; riaprendoli vide Fili chino su di lei, sorridente, pronto ad afferrarle le mani per tirarla su. Era ricoperta da capo a piedi di viscere dei pesci e si vergognò delle sue condizioni indecenti, benché lui non fosse conciato meglio. Ad ogni modo, lo sguardo ammirato e sognante che il suo Principe le rivolse bastò a scacciare via l’imbarazzo e May si sentì la donna più affascinante di tutti i mondi che conosceva, persino in quello stato.
“Stai sanguinando dalla bocca!” notò lui teso, lasciando scorrere due dita sulle labbra di lei. “Come ti sei procurata questa ferita?”.
“Oh non badarci, mi sono morsa le…”.
“Seguitemi!” disse Bard, interrompendo la conversazione tra i due, “statemi vicino, testa bassa e muovetevi!”.
May obbedì preceduta dagli altri, con la mano di Fili nella propria. Attraversando la Città finse di non vedere le occhiate sospette e indiscrete, talune addirittura malevole, provenienti dai cittadini che incrociavano lungo il tragitto scelto dalla loro guida al fine di evitare le guardie. Svoltato un angolo, un giovincello corse verso di loro ed ella riconobbe Bain, il figlio maggiore di Bard.
“Pà! La nostra casa è sorvegliata!”.
 
 
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I Nani osservavano perplessi il buco sopra le loro teste dal quale sarebbero passati; si trovavano sotto casa di Bard, pronti (o quasi) a mettere in atto un piano che lui stesso aveva ideato per farli entrare in casa senza essere scoperti.
“Oh, per piacere! Non possiamo farlo davvero…”, si lamentò Kili. L’acqua del Lago sul quale erano costruite le abitazioni gli arrivava al petto – per non parlare del povero Bilbo, che l’aveva alla gola – e non appariva convinto, né contento, di procedere. May si accorse che il pallore sul volto del Nano si faceva via via più marcato e la preoccupazione per lui rimpiazzò il senso di disgusto che provava all’idea di… No, non poteva nemmeno pensarci senza avvertire il voltastomaco.
“Non possiamo farlo Kili, dobbiamo!” rispose decisa, nell’esatto momento in cui udiva battere tre colpi dall’alto: era il segnale di via libera di Bain. Fu Dwalin and andare per primo; si aggrappò ad uno dei pali di legno e si arrampicò, mugugnando qualcosa di incomprensibile, fino a fare la sua apparizione nella dimora del chiattaiolo, sbucando fuori dal bagno. Quindi Fili prese May per i fianchi e la sollevò per aiutarla a salire attraverso il buco; giunta a destinazione, ella seguì Dwalin su per le scale e d’improvviso due ragazzine dagli occhietti vispi e intelligenti le si presentarono davanti.
“Pà, perché un Nano e una donna escono dal nostro gabinetto?!” domandò la maggiore, allibita.
“Ci porteranno fortuna?” aggiunse la figlia minore di Bard, una bimba sugli otto anni.
May si avvicinò a lei e approfittando della confusione creata dai Nani – che uno per uno si introducevano rumorosamente nella stanza –  le rivolse la parola sorridendo.
“Ti porteremo fortuna se lo desideri”.
Lo stupore e l’eccitazione della bambina si tramutarono in una candida diffidenza.
“Tu chi sei?”, fu la sua legittima domanda.
“Il mio nome è May ed ora proverò ad indovinare il tuo. Vediamo… Tu devi essere Tilda”.
La piccola batté le mani e un gridolino di sorpresa le scappò di bocca. “Come hai fatto?!”.
“Ho dei poteri magici” asserì May in tono importante, “ma non dirlo a nessuno”, soggiunse sottovoce con fare complice. “Sarà il nostro segreto!”.
Tilda annuì guardandola con ammirazione, dopodiché la prese per mano trascinandola in un angolo; aprì una cassapanca e ne trasse due graziose bambole di stoffa.
“Ti presento le mie migliori amiche: Mila e Sami. Sono gemelle, sai?”.
May le studiò con femminile curiosità, riscontrando quanto diverse fossero dai giocattoli del suo mondo ormai lontano, finché non sentì una mano cingerle con dolcezza il fianco sinistro.
“Ci sai fare coi bambini… Una ragione in più per amarti!”.
Fili aveva accostato le labbra al suo orecchio per sussurrarle quelle parole con voce flautata, facendola sobbalzare; il suo cuore saltò un battito, per poi riprendere a pulsare più forte e più in fretta del consueto.
“Sigrid, Tilda: i nostri ospiti hanno bisogno di vestiti. Coraggio!”.
Le ragazzine ubbidirono al padre e corsero ad aprire un vecchio armadio, dal quale tirarono fuori una montagna di indumenti asciutti e puliti – di vari tessuti e misure – che consegnarono ai nuovi arrivati, completamente fradici ed intirizziti. May, preso posto accanto al focolare, guardava gli altri togliersi i vestiti bagnati per indossare i nuovi, chiedendosi come avrebbe fatto lei a cambiarsi dinanzi a tutti, una donna in mezzo ad un gruppo di signori. Si guardò attorno battendo i denti. Non era certa che la casa di Bard contasse altri locali oltre al gabinetto al piano inferiore, in ogni caso le fu risparmiato l’incomodo di esporre il problema: Sigrid, che era una giovinetta sveglia, sembrò leggerle nel pensiero e si offrì di accompagnarla in uno stanzino attiguo, una sorta di ripostiglio la cui entrata era situata nella parete dietro l’armadio.
“Come mai la nostra guerriera non si cambia qui con noi?” ridacchiò Kili, vedendo l’amica allontanarsi.
“Donne…”, commentò un ammiccante e brioso Bofur.
May udì le loro risate dopo che Sigrid se ne fu andata – con la raccomandazione di chiamarla se avesse avuto bisogno di qualcosa – ma nel giro di pochi attimi la porticina si aprì e Fili s’introdusse nel ripostiglio senza chiedere il permesso.
“C-cosa ci fai tu qui?!” domandò la fanciulla sussultando, “non sai che devo cambiarmi d’abito?”. Il tono di voce si era fatto leggermente più alto, ma lui non ci badò.
“Certo che lo so” rispose Fili pacatamente, chiudendo la porta dietro di sé. “Sono venuto a portarti la camicetta che hai dimenticato sulla sedia vicino al fuoco”.
May prese la camicia pulita e lo ringraziò fissando il pavimento. Si sentiva a disagio per la reazione esagerata, tuttavia era troppo nervosa per scusarsi; sapendo del discorso importante che il giovane avrebbe presto affrontato, non sopportava l’idea di restare sola con lui. Era pressoché sicura di doversi preparare al peggio, sicché avrebbe preferito continuare a rimandare quel momento tanto temuto e fingere che niente stava per cambiare tra loro. Avrebbe volentieri liberato tutte le lacrime invisibili in cui annegavano le sue speranze di vivere una vita felice col Nano che amava.
Ma quel giorno, in quello stanzino, decise di farsi forza e porre fine al tormento.
“Ora che siamo s-soltanto noi due potresti… Approfittarne p-per dirmi ciò che devi… Dirmi…” farfugliò con angoscia. “Non so se ci saranno altre occasioni…”.
Fili sorrise, impudente e malizioso. “Se devo essere sincero, preferisco approfittare di questa occasione per fare altro”.
Sollevò il mento di lei con l’indice per costringerla a guardarlo e l’attirò a sé, sfiorandole le labbra con le proprie. May sentì le membra vibrare al comando irruente di quel bacio che, per un interminabile istante, le fece scordare chi era e da dove veniva. Quando infine si staccò da lui, compiendo uno sforzo quasi sovrumano, aveva il fiato corto e la mente annebbiata.
“Penso che adesso dovresti…” disse Fili, ansimante.
“Cambiarmi?” terminò May.
Lui assentì.
“Allora tu dovresti…” riprese lei, col respiro ancora affannoso.
“Voltarmi? Subito!”.
Fili si girò garbatamente di spalle per consentire alla sua innamorata di sfilarsi i vestiti bagnati e sostituirli con quelli asciutti.
“Fatto. Grazie!” mormorò May col volto in fiamme, sistemandosi la cintura sopra la camicia di lana decisamente troppo grande per lei. Per smorzare l’imbarazzo che si era venuto a creare, ella ruppe il silenzio riformulando la fatidica domanda.
“Dunque, perché ora non mi accenni di quella co…”.
Fili non le concesse mezza parola in più: avido di lei, catturò di nuovo le sue labbra e le loro bocche s’incontrarono in un bacio più impetuoso del precedente, nel quale tenerezza e passione si fondevano in un’unica, ardente emozione. May si lasciò condurre dai seducenti movimenti dell’amato, ritrovandosi inaspettatamente con la schiena contro il muro. Il suo corpo fremeva incontrollato, mentre spingeva prepotente contro quello di lui; i suoi sensi impazziti bramavano disperatamente il calore e il sapore del suo Principe. Desiderava un contatto ancora maggiore. Non sapeva resistergli. Non voleva.
“Ti amo come un pazzo…” bisbigliò Fili con voce roca e passionale, nascondendo il viso nel collo di lei.
La porta si aprì con un tonfo secco e assordante, facendoli schizzare come molle.
“May, sei pronta?”.
Tilda era ferma sulla soglia e li guardava confusa; i due innamorati si staccarono in un batter d’occhio l’uno dall’altra, sorridendole goffamente.
“Prontissima. Andiamo!”, dichiarò May ostentando sicurezza; aveva bisogno di recuperare il suo abituale autocontrollo. Porse la mano alla bambina che, afferrandola festosa e saltellante come un coniglietto, si sentì libera di manifestare la sua infantile curiosità.
“Lui è il tuo sposo?” chiese ingenuamente indicando Fili che, precedendole fuori dallo sgabuzzino, tornava dagli altri.
“Ehm… S-sì, può darsi” balbettò la donna, alzando gli occhi al cielo con fare ironico.
 
 
-s-s-s-
 
 
“Faceva molto caldo di là, non è vero sorellina?” le sussurrò Kili all’orecchio, alludendo al vivo rossore di cui si erano tinte le gote di lei. May però non rispose; aveva ripreso il suo posto davanti al fuoco e non si curò della burlesca irriverenza dell’amico, seduto accanto a lei. Era immersa in pensieri angosciosi che riguardavano proprio lui. L’aspetto del suo fratellino le piaceva sempre meno e per di più nessuno, in quella stanza, sospettava la gravità della sua ferita; nessuno sembrava accorgersi delle sue sofferenze. Sarebbe voluta uscire a cercare la Foglia di Re, l’unica erba medicinale in grado di salvare Kili; sapeva che l’avrebbe trovata nel recinto dei maiali, in cortile. Ma come giustificare un’azione del genere senza essere scambiata per pazza? Giusto Oin – il medico della compagnia – avrebbe potuto prestarle ascolto, fino ad un certo punto però. Non le restava quindi che attendere Tauriel; prima o poi sarebbe venuta a salvarlo. Ma sarebbe davvero giunta fin lì? E chi avrebbe guarito il suo amico, se l’Elfa non si fosse fatta vedere? May non sapeva più cosa aspettarsi; dopotutto, la storia si stava confermando piuttosto diversa da quella che lei conosceva. Doveva ancora una volta assistere impotente agli eventi?
La conversazione che si stava svolgendo tra il capo della compagnia e il padrone di casa la costrinse, almeno per il momento, ad abbandonare le proprie considerazioni.
“Se la mira degli Uomini fosse andata a segno, molte cose sarebbero cambiate” mormorò Thorin assorto, con una punta di amarezza. May lo vide contemplare qualcosa oltre la finestra e capì che aveva avvistato la “Lancia del Vento”: una balista montata su una torre vedetta collocata al centro della Città, ideata in passato dai Nani di Erebor per difendersi dagli attacchi del drago.
“Parli come se ci fossi stato” esclamò Bard, sorpreso.
“I Nani conoscono il racconto”, precisò Thorin.
“Allora saprai che Girion colpì il drago!”, s’intromise Bain con fervore. “Gli allentò una squama sotto l’ala destra… Ancora un colpo e avrebbe ucciso la bestia!”.
Dwalin rise beffardo. “Quella è una favola, giovanotto. Niente di più!”.
Tutti in quella stanza, ad eccezione di Bilbo, conoscevano la leggenda del Signore di Dale che molti anni prima aveva opposto l’ultima resistenza contro Smaug e che, prima di scagliare l’ultima freccia, era stato annientato dal fuoco dello stesso; tuttavia, Balin si lanciò in una dettagliata descrizione dei fatti e May – con Tilda sulle ginocchia – si mostrò interessata, come pure lo Hobbit, finché Scudodiquercia non chiuse l’argomento richiamando l’attenzione sulla questione principale.
“Hai preso il nostro denaro, dove sono le armi?”.
Bard ordinò loro di aspettare e imboccò le scale che portavano al bagno.
“Domani comincia l’ultimo giorno d’autunno” disse Thorin ai compagni che, alzatisi in piedi, attendevano il ritorno del loro anfitrione.
“Il dì di Durin comincia dopodomani”, comunicò Balin. “Dobbiamo raggiungere la Montagna prima di allora!”.
“E se non ci riusciamo?” dubitò Kili, “se falliamo a trovare la porta prima di quel momento? Allora…”.
“L’impresa sarà stata inutile” dedusse Fili, pensieroso.
“Questo non succederà, ne ho la certezza!”, intervenne May d’istinto. Tutti i presenti si voltarono stupiti verso di lei e l’occhiata di Thorin che diceva “cosa ne puoi sapere, tu?” le valse come risposta. Si sentì sciocca e avventata, ma il ritorno di Bard la distolse dalle sue sconsolate riflessioni.
Le armi, che il chiattaiolo espose sul tavolo srotolando il fagotto di cuoio in cui erano avvolte, non soddisfecero minimamente le esigenze degli ospiti, i quali non esitarono ad esprimere la loro indignazione di fronte a quegli strani attrezzi poco maneggevoli; nonostante Bard avesse assicurato che per la difesa personale sarebbero stati più utili di niente, i Nani si sentirono presi in giro. Ma di armi migliori forgiate in ferro ne avrebbero trovate soltanto nell’armeria del posto e, date le circostanze, l’unica scelta era adattarsi. In fondo, si erano arrangiati con meno. Balin propose a Thorin di accettare l’offerta e togliere il disturbo, ma Bard gli sbatté in faccia la realtà.
“Non andrete da nessuna parte. Spie sorvegliano questa casa, e forse ogni molo e banchina della Città”, li avvertì. “Attenderete il calare della notte!”.
Detto ciò, uscì svelto come se lo attendesse una faccenda urgente da sbrigare e May sapeva quale: l’uomo avrebbe chiesto al figlio di trattenere gli stranieri in casa il più a lungo possibile, per poi correre a cercare qualcosa. Udendo il nome di Thorin pronunciato da Balin, il chiattaiolo era infatti stato colto da un sospetto che a breve avrebbe trovato conferma in un vecchio arazzo raffigurante l’albero genealogico della stirpe di Durin, scovato da qualche parte in Città. Così, Bard non avrebbe più avuto dubbi sull’identità di Scudodiquercia e sul motivo del suo arrivo a Pontelagolungo. L’antica profezia rischiava di avversarsi: "Il Signore delle Argentee Fonti, il Re delle Rocce Scavate, il Re che sta sotto il Monte riavrà le cose a lui strappate, e la campana suonerà di allegrezza quando il Re della Montagna tornerà; ma tutto si disferà con tristezza, e il Lago brillerà e brucerà”.
 
Un leggero grugnito spazzò via quei pensieri dalla mente affollata di May, facendola voltare di scatto: si era quasi dimenticata di Kili, che ora sedeva in un angolo nella semioscurità, dando le spalle ai compagni. Quando Tilda fu scivolata via dalle sue ginocchia per andare a dormire, May si avvicinò a lui, e Fili sopraggiunse un attimo dopo; lo videro afferrare febbrilmente la gamba e soffocare un grido di dolore, mentre improvvisava una fasciatura nuova con un lungo pezzo di stoffa pulito fornitogli dalla brava Sigrid.
“La ferita aveva bisogno di essere medicata, perché devi sempre fare di testa tua?!” lo rimproverò il fratello maggiore, già pronto a chiamare Oin, che intanto fumava placido la sua pipa seduto sulla panca vicino al caminetto acceso.
“Questa non è una ferita tale da destare preoccupazioni, perciò ti conviene lasciare in pace il nostro medico” replicò Kili, irritato. “E ti prego di abbassare la voce: sei fastidioso come uno sputo nell’orecchio!”.
Fili aprì la bocca per ribattere, ma Thorin pose fine a quello che stava manifestamente diventando un battibecco tra fratelli.
“Fili, Kili, May, muovetevi: è ora di andare!”.
 
 
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Lesti e silenziosi, i quindici forestieri sgusciarono via dalla casa di Bard per dirigersi verso l’armeria. L’oscurità del crepuscolo li celava alla vista degli abitanti di Pontelagolungo, sebbene nessuno di questi si trovasse in giro a quell’ora, salvo le guardie che sorvegliavano le strade. Thorin aveva ordinato di arraffare le armi e puntare dritti alla Montagna, un’impresa più rischiosa di quanto egli non avesse considerato, pensò May, che strofinandosi gli occhi e sbadigliando assonnata guardava intorno a sé, domandandosi quanto tempo sarebbe trascorso prima di essere catturati. Con la schiena rivolta al muro, immobile e muta, attendeva angosciosamente il ritorno di una buona metà dei compagni, intrufolatisi nell’armeria attraverso una finestra aperta; per saltare all’interno si erano serviti degli amici restanti che, impilati gli uni sugli altri, avevano fatto da scala agli scassinatori. Il piano procedette nel migliore dei modi, fino a che un rumore tremendo non avvisò May che si era verificato quanto temeva: Kili era inciampato mentre scendeva dalle scale interne portando in braccio un bel mucchietto di armi, troppe per lui. Immediatamente apparve un gruppo di guardie: i Nani che aspettavano fuori dall’edificio si ritrovarono in trappola, allo stesso modo degli altri bloccati dentro.
“Ci risiamo!” sbuffò May, noncurante della spada che le veniva puntata alla gola.
 
Gli ospiti di Bard, ormai prigionieri, furono trascinati in uno spiazzo davanti ad un’abitazione più grande rispetto alle altre; il Governatore in persona – seguito dal devoto Alfrid – ne uscì seccato e infreddolito, chiedendo spiegazioni alle guardie. Nel frattempo, una discreta folla di curiosi si era radunata attorno alla scena: cittadini vecchi e giovani, uomini, donne e bambini che bisbigliavano fra loro osservando May, Bilbo e i Nani con meraviglia. Le voci su di un possibile adempimento della profezia della gente di Durin avevano fatto rapidamente il giro della Città.
“Sorpresi a rubare armi… Nemici dello Stato, eh?” esclamò il Governatore, in piedi in cima alle scale dell'ingresso. Vedendolo dal vivo, May provò un senso di repulsione: si presentava come un uomo grasso dai lunghi – e certamente non folti – capelli unti, l’aria ottusa e l’espressione avida, ma questo era niente in confronto ad Alfrid, un individuo dall’aspetto raccapricciante con un paio di spesse sopracciglia nere che si univano per formare un’unica linea sulla fronte. Egli non esitò ad alzare la testa, di solito tenuta bassa, e vomitare addosso ai ladri tutto il suo disprezzo.
“Frena quella lingua!” lo zittì Dwalin facendo un passo avanti, sempre pronto a prendere le difese del suo capo. “Tu non sai con chi parli. Lui non è un criminale qualunque. Lui è Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thrór!”.
La folla, il cui cicaleccio si era bruscamente interrotto non appena il Signore della Città aveva messo il naso fuori dalla porta, ricominciò a parlare in tono sommesso.
“Noi siamo i Nani di Erebor” proclamò Thorin con fierezza, posando una mano sulla spalla di Dwalin. “Siamo venuti a reclamare la nostra terra natìa!”.
Il Governatore lo fissava a bocca aperta, incredulo e sbigottito.
May cercò lo sguardo di Fili, che come lei aveva le mani di una guardia ben salde sulle spalle. Lui sorrise, rassicurante, e in quel mentre qualcosa di piccolo e bianco si posò sul suo baffo sinistro. Entrambi guardarono in alto: i primi fiocchi di neve della stagione cadevano giù per dare il benvenuto alla compagnia.
“Ricordo questa Città al tempo della sua grandezza” disse Thorin, avanzando verso il centro del piazzale. “Flotte di navi attraccate al porto, colme di sete e gemme preziose… Questa non era una Città abbandonata sul Lago, questo era il centro di tutto il commercio del Nord!”.
I cittadini annuirono, riconoscendo la veridicità di quelle memorie.
“Io garantirei il ritorno di quei giorni” seguitò Scudodiquercia voltandosi verso il Governatore, “riaccenderei le grandi fornaci dei Nani, e farei fluire benessere e ricchezza di nuovo dalle sale di Erebor!”.
Gli abitanti di Pontelagolungo esultarono, ma c’era qualcuno tra loro che non condivideva lo stesso entusiasmo. May, per esempio. E non solo lei.
“Morte! Ecco che cosa ci porterai!”, disse una voce.
Il popolo tacque. Bard si fece largo tra le guardie fermandosi dinanzi a Thorin. “Fuoco di drago e rovina. Se risveglierai quella bestia, distruggerai tutti noi!”.
“Potete dare ascolto a questo oppositore, ma io vi prometto una cosa”, insistette Thorin. “Se riusciremo, tutti condivideranno le ricchezze della Montagna. Avrete abbastanza oro” – gridò – “per ricostruire Esgaroth per dieci volte almeno!”.
I cittadini esultarono una seconda volta.
“Perché dovremmo crederti sulla parola?” domandò Alfrid, placando l’euforia generale. “Noi non sappiamo niente di te… Chi può garantire per la tua onestà?”.
Il silenzio che seguì fu rotto da una timida vocina.
“Io!” proferì Bilbo, alzando incerto la mano come uno scolaretto che richiama l’attenzione del maestro su di sé. “Garantirò per lui. Ho viaggiato a lungo con questi Nani, affrontando gravi pericoli. E se Thorin Scudodiquercia dà la sua parola, la manterrà!”.
May vide una commossa riconoscenza brillare negli occhi del capo della compagnia, che ora sorrideva allo Hobbit.
“Tutti voi, ascoltatemi!” gridò Bard infuriato, rivolgendosi alla gente che aveva ripreso a gioire. “Dovete ascoltarmi! Avete dimenticato quello che è successo a Dale?! Dimenticato quelli che sono morti nella tempesta di fuoco?! E per quale motivo? La cieca ambizione di un Re della Montagna, così preso dall’avidità da non riuscire a vedere oltre il proprio desiderio!”.
“Suvvia!” gracchiò il Governatore, “non dobbiamo essere troppo frettolosi a dare la colpa! Non dimentichiamo che è stato Girion, Signore di Dale, tuo antenato, che fallì nell’uccidere la bestia!”. Puntò il grasso dito contro il chiattaiolo.
“E’ vero, signore. Tutti conosciamo la storia”, interloquì Alfrid, “freccia dopo freccia ha scoccato, ognuna ha mancato il bersaglio”.
Thorin guardò sorpreso il discendente di Girion che si muoveva minaccioso verso di lui.
“Non hai alcun diritto, alcun diritto a entrare in quella Montagna!”, mormorò Bard.
“Io sono l’unico ad averlo”, rispose Thorin con orgoglio. “Mi rivolgo al Governatore degli Uomini del Lago”, continuò. “Vuoi vedere la profezia realizzata? Vuoi condividere la grande ricchezza del nostro popolo?”.
Un lungo silenzio cadde su di loro.
“Cosa rispondi?”, incalzò Scudodiquercia.
Infine, il Governatore spalancò le braccia e la folla impazzì: “Io dico a te, benvenuto! Benvenuto, tre volte benvenuto, Re sotto la Montagna!”.
 
 
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Tilda saltellò battendo le mani, entusiasta.
“Sembri una principessa!”.
May le indirizzò un sorriso affettuoso e guardò avanti a sé: l’alto e stretto specchio le rimandava l’immagine di una ragazza molto diversa da quella che, mesi addietro, si era magicamente ritrovata nella Terra di Mezzo. Appariva sciupata e stanca. La sua magrezza, già pronunciata, di quel passo sarebbe diventata eccessiva; ma nelle pupille sfavillava una beatitudine che nessuno specchio le aveva mai rivelato. Si rendeva conto di non essere pronta a rinunciare al Nano dei suoi sogni, a colui che le aveva insegnato ad amare... Eppure, sentiva di doversi separare da lui. Era determinata a farsi da parte. Non lo avrebbe messo in difficoltà con Thorin, non avrebbe intralciato i progetti che lo zio aveva su di lui. Che diritto aveva, lei, di rovinare il futuro dell’erede al trono di Durin? In fin dei conti, la decisione era stata presa prima di lasciare la Contea: avrebbe fatto il possibile per salvare Fili. Era partita per questo, il resto non aveva importanza. Se entrambi fossero riusciti a restare in vita – che lei fosse tornata nel vecchio mondo oppure no (un altro dubbio che l’assillava, questo) – avrebbe dovuto accettare di vivere lontana dal suo amore. Una scelta dolorosa, certo. Ma la felicità e il benessere di Fili valevano molto più dei propri.
“May, qualcosa non va?”.
La voce di Sigrid la scosse da quei ragionamenti, rammentandole che si trovava in casa di Bard. Immaginando che lui fosse fuori, May ne aveva approfittato per chiedere aiuto alla figlia maggiore: un’ora più tardi si sarebbero tenuti dei festeggiamenti in Città e lei sapeva bene che l’evento richiedeva un abbigliamento adeguato. Dopo essersi tolta tutta la sporcizia di dosso grazie ad una degna lavata, aveva indossato l’elegante abito rosso che Sigrid aveva recuperato da un grosso baule polveroso; stranamente le calzava alla perfezione, benché la scollatura profonda mettesse in risalto le forme che di solito teneva nascoste. I capelli, legati dietro la nuca con un nastro dello stesso colore del vestito, erano finalmente puliti e in ordine.
“Va tutto benissimo! Stavo pensando che questo abito sembra realizzato apposta per me”, replicò May sorridendo con gratitudine.
“Apparteneva a mia madre” disse Sigrid, con un’ombra di tristezza negli occhi vivaci. “Avrà avuto più o meno la tua età quando lo ebbe in dono da mia nonna, la sarta più in gamba del paese. E guarda che combinazione” – proseguì spensieratamente – “ora scopriamo che tu hai le sue stesse misure!”.
La moglie di Bard doveva essere stata snella e ben proporzionata da giovane, considerò May mentre si aggiustava la lunga gonna davanti allo specchio.
“Beh… Avrete notato che, pur essendo una donna, la mia altezza è pari a quella di un Nano!”.
Tutte e tre esplosero in un’unica, tonante risata che fece tremare i vetri delle finestre.
“Per questo sposerai il biondino con le trecce sui baffi?”, la interrogò innocentemente Tilda. “Perché lui è alto quanto te?”.
“Io… C-che cosa…?”. May avvampò in viso e la giudiziosa Sigrid le risparmiò la seccatura di cambiare discorso.
“Tilda! Quante volte ti ho detto di non rivolgere domande inopportune agli ospiti?!”.
La bimba chinò il capo, mortificata.
May le passò amabilmente una mano tra i capelli. “Su, non fare così piccolina: le tue migliori amiche Mila e Sami non vogliono vederti triste!”.
Con un salto e un sorriso spumeggiante, Tilda si gettò tra le braccia della donna che quasi cadde all’indietro, inciampando nel vestito. Sigrid rise. In quel momento la porta si aprì e Bain comparve sulla soglia.
“Cosa ci fa lei qui?” chiese, lievemente alterato. L’occhiata che aveva rivolto alla sorella era stata inequivocabile per May, che si sentì in dovere di chiarire la propria posizione.
“E’ colpa mia”, confessò umilmente ma risolutamente, “sono stata io a venire, avevo bisogno di aiuto e Sigrid me l’ha concesso”.
“Se nostro padre rientra e ti trova qui, le cose non si metteranno bene per noi… E neanche per te!” l’avvertì il ragazzo, addolcendo il tono.
“Stavo giusto per andarmene”, lo rassicurò lei. Quindi ringraziò Sigrid promettendo che sarebbe tornata presto a restituire l’abito e, dopo aver dato un ultimo abbraccio a Tilda, si affrettò ad uscire.
 
 
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Le voci profonde e allegre dei Nani risuonavano nel salone della principale locanda di Pontelagolungo dove si tenevano i festeggiamenti predisposti dal Governatore in persona, a cui era stato assegnato il posto d’onore nella lunga tavola imbandita con ogni genere di prelibatezza. Il vino scorreva come fosse acqua tra gli invitati e l’odore della carne arrostita si diffondeva appetitoso nell’aria, mescolandosi al fumo della legna che ardeva nell’enorme camino.
May mangiò di gusto fino a sentirsi esplodere la pancia; erano mesi che non gustava appieno il buon cibo degli Uomini e si alzò solo quando un frizzante Bofur la trascinò a ballare al centro della sala, dando una bella scrollata alla sonnolenza che si stava impossessando di lei.
“Il ballo non rientra tra le mie abilità, e poi non mi piace nemmeno!”, protestò debolmente la fanciulla mentre il Nano la incoraggiava a muovere le gambe al ritmo dei violini, scatenando l’ilarità dei compagni che dal tavolo osservavano i due ballerini mangiando, sorseggiando bevande o fumando pipe.
“Coraggio, ragazza! Non essere timida!”, gridò Balin alzando il suo boccale di birra.
I Nani sghignazzavano, incuriositi e divertiti da quello strambo spettacolo. Thorin, invece, non guardava. Non rideva. Bilbo se ne accorse e sospirò, meditabondo.
“Vediamo se con lui te la cavi meglio”. Così Bofur sfidò May curvando le sopracciglia con fare allusivo, per affidarla ad un nuovo ballerino: Fili si era avvicinato silenziosamente a loro, pronto a reclamare il suo turno.
“Stasera sei più bella che mai!”, sussurrò il giovane non appena fu rimasto solo con la sua dama in mezzo alle danze. “Cioè, tu sei già bellissima, è solo che… Stasera…” – arrossì violentemente, abbassando lo sguardo – “Ecco, intendo dire che…”.
“Smettila di farfugliare e invitami a ballare!” lo interruppe lei provocante, senza riuscire a staccare gli occhi da lui. L’oro intrecciato di quella chioma dominava sfolgorante sulla nuova armatura ricevuta in dono dal Governatore, tuttavia non era soltanto questo; c’era qualcosa, nel suo Principe, che lo rendeva più attraente del solito. Qualcosa che le sfuggiva e che non avrebbe saputo spiegare.
“Ragazzina impertinente!” disse Fili, sfoggiando un sorrisetto ardito. “Meriteresti che ti baciassi proprio qui, in presenza di tutti!”. Accostò il volto a quello della donna, poggiando le mani sui suoi esili fianchi. Ma le labbra non si mossero. L’espressione si era fatta inspiegabilmente tesa e nervosa; all’improvviso, egli parve distante.
“May, io… Devi venire con me!”.
May si lasciò prendere per mano e condurre fuori dalla stanza attraverso un lungo corridoio illuminato a giorno, fino a che non si trovò di fronte ad una rampa di scale in legno, che Fili prese a salire.
“Si può sapere dove mi stai portando?! Cosa vuoi fare?” si permise di domandare lei, fermandosi di botto. Sentiva il cuore in gola e il battito le rimbombava impazzito nella testa. Il momento della verità era arrivato.
 
“Non so bene dove sto andando”, rispose Fili, “ma so esattamente cosa voglio fare!”.


















Nota dell'autrice:

Rieccomi! Sì, lo so che anche questa volta vi ho lasciato col fiato sospeso, ma sappiate che non è tutta colpa della sottoscritta: il vero responsabile è il mio Fili, che non si sa cos’abbia in mente… Confesso che il suo comportamento lascia perplessa anche me!
Ci tengo a ringraziare tutti i lettori più affezionati che non perdono un solo capitolo, lasciando commenti meravigliosi che mi toccano nel profondo…
GRAZIE di cuore! Le vostre emozioni sono anche le mie e scrivere per voi è un onore!
Inoltre, un “grazie” speciale a chi ha aggiunto la mia storia alle preferite e seguite, e naturalmente a quei lettori che mi seguono in silenzio: siete veramente tanti, più di quanto avrei immaginato! Se il mio racconto vi incuriosisce o vi regala qualche emozione, mi farebbe molto piacere conoscere le vostre opinioni. Suvvia, scrivete: non siate timidi! :)
Infine, voglio informarvi che il prossimo capitolo uscirà tra la fine di Agosto e i primi di Settembre.
Dopodiché pubblicherò non più ogni 2, bensì ogni 3-4 settimane, impegni permettendo.
Per concludere: Fili, May ed io cogliamo l’occasione per augurare a tutti voi un buon Ferragosto e delle fantastiche vacanze!
Divertitevi e rilassatevi, che Durin sia con voi! Un abbraccio infinito,

Claudia








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Capitolo 15
*** La promessa ***





CAPITOLO XV

La promessa






 
Con la mano di Fili che stringeva la sua, May continuava a salire le scale della locanda chiedendosi dove lui la stesse portando. Arrivati al primo piano, il Nano aveva aperto e subito richiuso un paio di porte, come in cerca di qualcosa che non trovava; pareva agitato e ciò non fece che aumentare l’ansia di lei, la quale, pur aspettandosi un discorso tutt’altro che piacevole, non riusciva a capire che bisogno ci fosse di allontanarsi tanto. Dopotutto, per parlare da soli sarebbe bastato il corridoio al pianterreno. Indubbiamente no, non era lo stesso Fili di sempre quello che la trascinò senza una parola fino al secondo piano, per poi aprire un’ultima porta che dava all’esterno.
“Qui può andare” disse, come parlando a se stesso.
May, sempre più perplessa e preoccupata, lo seguì varcando la soglia; scese due gradini di un piccolo balcone, e lo spettacolo che si presentò alla sua vista le mozzò il respiro.
La Città era avvolta nel silenzio. Lenti fiocchi di neve, festosi come bambini e soffici come batuffoli di cotone, fluttuavano leggeri nell’aria gelida per posarsi ovunque intorno a lei, rendendo ovattata ogni cosa. Le luci delle lanterne si riflettevano sul sottile manto bianco che ricopriva le strade e le banchine. In quell’atmosfera magica e surreale, la giovane donna ebbe la sensazione di trovarsi all’interno di una fiaba. Rabbrividì, e Fili si tolse il mantello foderato di pelliccia per avvolgerlo attorno alle sue spalle.
“Questo ti proteggerà dal freddo”, mormorò sorridendo.
May, tuttavia, non sorrise. Le adorabili premure del suo Principe non avevano alcun effetto su di lei, in quel momento.
“Fili, spiegami perché mi hai portato fin qui”.
Lui alzò lo sguardo verso l’orizzonte di un paesaggio confuso, fissando un punto alla propria sinistra. Lei lo imitò e – con sua grande sorpresa – intravide  i contorni di Erebor, più scuri della notte, ad una distanza che le parve incredibilmente vicina.
“La vedi quella Montagna? Attende il mio arrivo da quando ero in fasce”, disse Fili. Si era fatto stranamente serio e nei suoi occhi riluceva indomito il bagliore della nostalgia di un tempo mai vissuto.
“In tutti questi anni ho creduto che Erebor fosse la mia legittima dimora, l’unico posto in cui poter mettere radici. Invece, ora… Ora scopro che casa mia sei tu, amor mio!”.
Fili afferrò le mani di May per stringerle dolcemente tra le sue che, tanto gelide quanto sudate, tremavano fuori da ogni controllo; la voce era rotta da un’emozione palpitante che penetrò nella pelle della fanciulla, attraversandola con un violento brivido.
“May, io ti amo” sussurrò Fili, “più del mio stesso sangue. Non so spiegarti il sentimento immenso e profondo che provo e neanche cercherò di descriverlo, poiché non sono un poeta e comunque non sarebbe sufficiente a rendere l’idea. L’unica cosa che so è che, dopo averti incontrato, ho finalmente compreso il senso e lo scopo della mia esistenza: sono venuto al mondo per amarti, proteggerti e starti accanto sino al mio ultimo respiro”.
Portò le mani di lei al petto. “Sappi che io vivo per donarti questo mio cuore che ti appartiene da sempre e per sempre: spero che vorrai custodirlo come un tesoro prezioso. Mia piccola May, permettimi di renderti felice come tu rendi felice me… Tu sei tutto ciò che non avrei mai osato sognare! Sei lo scrigno, incantato e incantevole, che racchiude la mia anima. Tutte le ricchezze e le meraviglie della Terra di Mezzo non sono niente, se paragonate allo splendore accecante del tuo sorriso. Un solo attimo vissuto con te vale una vita intera ed io non intendo perdere un singolo giorno, un singolo palpito di te… Di noi!”.
Ebbe bisogno di respirare a fondo per proseguire.
“Per questo mi renderesti ancora più felice se…”. Deglutì nervosamente, e il cuore di lei saltò un battito.
“May, vuoi sposarmi e vivere ad Erebor insieme a me, come mia Principessa e moglie?”.
In quegli occhi verdi e fieri, penetranti come lame, Fili scorse lo scintillio di una lacrima. Eppure nessun movimento, nessuna parola, nessun gesto seguirono la sua proposta d’amore.
“Naturalmente dovremo prima riconquistarla, Erebor” riprese, ansioso e un po’ allarmato dal silenzio della donna. “E se falliremo nell’impresa io vorrò sposarti ugualmente, questo è ovvio, cioè voglio dire che…”.
Le labbra tenere e seducenti di May che si posavano sulle sue lo zittirono, ponendo fine ad inutili vaneggiamenti.
“Sì, sì e ancora sì! Certo che voglio sposarti!” gridò lei, con le braccia intorno al collo di lui e il cuore traboccante di gioia. “Non c’è niente al mondo che io desideri di più! Fili, io ti amo follemente e voglio essere tua… Tua per sempre!”.
Si abbandonò al suo sposo che, raggiante, la strinse forte a sé baciandola con vorace passione. Né l’uno né l’altra avevano mai immaginato di poter provare una simile, sconvolgente felicità; si sentivano leggeri come se stessero volando in alto nel cielo d’inverno, la cui immensità non era che un misero puntino in confronto al loro amore.
“Fili!”.                                                                         
Una voce profonda e alterata li fece trasalire. Si voltarono verso la porta: Thorin era in piedi sui gradini del balcone e non sembrava affatto contento di trovarli lì, per di più avvinghiati.
Ma i due innamorati non si sciolsero dall’abbraccio. Erano promessi, ora. May fu la prima a tornare coi piedi per terra; come risvegliandosi di soprassalto da uno splendido sogno, vide chi aveva davanti e di colpo le tornò alla mente la conversazione “segreta” avvenuta giorni addietro tra zio e nipote, le cui conseguenze aveva immaginato e temuto fino a quella sera. Trasse un sospiro: si sentiva ridicola per essere giunta a conclusioni affrettate. Fili le aveva chiesto di sposarlo… SPOSARLO! Non aveva dunque alcuna intenzione di allontanarsi da lei, né tantomeno di metterla in guardia su presunte proibizioni da parte del parente.
“Domattina partiremo di buon’ora”, annunciò quest’ultimo, “farai bene a trovarti pronto”.
“Stavo giusto andando a dormire” rispose Fili pacato, senza badare al tono contrariato dello zio.
Perché Thorin si era rivolto al nipote ignorando lei, come se non fosse stata presente? E per quale motivo, prima di girarsi ed andarsene, le aveva lanciato un’occhiata carica di disprezzo? No, stavolta non si era trattato di un’impressione, e May era pronta a scommettere che la cosa non fosse sfuggita nemmeno al suo Nano.

“Buonanotte, mia adorata Principessa” disse Fili in un bisbiglio. Si trovavano nel corridoio al primo piano.
La locanda non disponeva di un numero sufficiente di camere, pertanto ciascun ospite era costretto a dividere la propria insieme ad altri due compagni. May si dispiaceva di doversi separare dal suo amato fino al mattino, benché non vedesse l’ora di correre nella stanza che era stata assegnata a lei, Bilbo e Bombur, per ragguagliare lo Hobbit sulle ultime, grandiose novità. Ammesso che l’amico fosse ancora sveglio.
“Buonanotte a te, mio Principe”, mormorò prima di ricambiare il lungo, tenero bacio di Fili. Sarebbe stata pronta persino a morire tra le sue braccia forti e sicure, col petto premuto contro il suo.
“Si è fatto tardi, dovremmo metterci a letto tutti e due”, osservò May quando si fu scostata a fatica da lui.
“C-cioè…”, precisò balbettando, “n-non intendevo nello stesso letto, beninteso, tu nel mio ed io nel tu… Oh povera me, che diamine sto farneticando?!”.
La risata divertita di Fili la fece diventare più rossa di quanto già non fosse; sentiva le guance prendere fuoco dalla vergogna e sarebbe corsa a nascondersi il più lontano possibile da lui, se avesse potuto.
“Beh, presto diventerai mia moglie e dovrai dividere il letto con me… Ti suggerisco di abituarti all’idea”, le sussurrò maliziosamente Fili all’orecchio, lasciandola senza parole e col cuore in tumulto.
 
 
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“Suppongo che Thorin sia all’oscuro della proposta di matrimonio, sebbene ci sia da aspettarsi che non tarderà a scoprirlo” rifletté Bilbo, seduto sul letto. “Lui è un po’ come Gandalf: sa sempre tutto!”.
May passeggiava su e giù per la stanza, pensosa; al suo ritorno aveva trovato lo Hobbit sveglio e ne aveva approfittato per renderlo partecipe della sua gioia, esponendogli in aggiunta tutti i dubbi che l’assillavano.
“Credi davvero che quel giorno, al fiume, Thorin si sia lasciato sfuggire l’occasione per rimproverare il nipote primogenito?”, domandò May. “Nessuno sa cosa si sono detti quei due, ma sono più che sicura di una cosa: il nostro capo ha ordinato a Fili di tenersi lontano da me. Il sospetto che avevo è divenuto certezza proprio questa sera… Avresti dovuto vedere in che modo mi ha guardato!”.
Si lasciò cadere sul materasso, coprendosi il viso con le mani.
“Che cosa ho fatto?”, sospirò. “Non voglio essere la causa di una discordia che non esisteva prima del mio arrivo! Fili non lo merita. E neppure Thorin!”.
“Non dovresti torturarti in questa maniera. Se Fili ha deciso di sposarti, ha le sue buone ragioni che lo zio dovrà accettare”, la rassicurò Bilbo affettuosamente. “Ma qualora Thorin si mostrasse deciso ad ostacolare la vostra unione, sono convinto che il tuo Nano ti sposerebbe comunque. E’ un giovanotto testardo!”.
May assentì sorridendo, prima che un’ombra tornasse ad oscurare i suoi pensieri; a preoccuparla non era la questione del matrimonio, bensì il rapporto tra Fili e Thorin. Per quanto lo Hobbit avesse ragione, egli non conosceva Thorin così bene quanto lo conosceva lei, almeno non ancora; se la storia avesse seguito il corso che la donna sapeva – e che non si augurava – il povero signor Baggins si sarebbe presto reso conto che, in quanto a testardaggine, Scudodiquercia non aveva nulla da invidiare al nipote.
“Ho paura che Thorin sappia più di quanto noi supponiamo”, considerò May, “e Fili rischia di ritrovarsi nei guai proprio nel momento cruciale della missione. Questo non deve accadere ed io farò tutto ciò che è in mio potere per impedirlo!”.
Bilbo si limitò ad annuire; la stanchezza lo stava vincendo, e la giovane amica si sentì in colpa per averlo trattenuto oltre l’orario in cui di solito si coricavano i Mezzuomini della Contea. In quel preciso istante, Bombur rotolò giù dal letto con un tonfo assordante e i due compagni di stanza corsero da lui, allarmatissimi: nel constatare che il corpulento Nano russava più forte di prima, a terra supino come se nulla fosse, Bilbo e May soffocarono una risatina dimenticando lo spavento.
“E’ già tanto che non abbia sfondato il pavimento!”, sogghignò lei.


-s-s-s-


L’alba era vicina, allorché la compagnia si preparava a lasciare Pontelagolungo per raggiungere Erebor; ma quel giorno il sole non si sarebbe levato nel cielo plumbeo. May osservava le nubi addensarsi sulla cima della Montagna e si chiedeva se non fossero un cattivo presagio. La magia della sera precedente dormiva sotto una leggera coltre di neve, la stessa che pareva essere caduta solo per lei e Fili, affinché il momento della reciproca promessa d’amore fosse solenne ed indimenticabile.
“Quel faccino triste e assorto non si addice alla futura consorte di mio fratello”.
Kili aveva sistemato le armi sulla barca ed ora scrutava la fanciulla con aria riflessiva.
“Buongiorno, fratellino!” esclamò May, nascondendo dietro un largo sorriso tutta la preoccupazione per la salute dell’amico, che andava via via peggiorando. Ma il sorriso che era spuntato sul volto esausto e spento di lui risultava più forzato del proprio; le si strinse il cuore. Era rimasto ben poco del Nano vigoroso e allegro col quale aveva condiviso tante avventure. Gli occhi cerchiati di nero, ormai non più ridenti, avevano perso la loro consueta lucentezza e un’ombra li attraversava; il viso appariva cereo, come quello di chi – gradualmente ma inesorabilmente – si prepara a congedarsi dal mondo dei mortali.
Vederlo soffrire così era insopportabile.
“Te lo dissi già una volta e sono ben lieto di ripetermi: benvenuta in famiglia!”, disse festosamente lui.
“Vedo che hai saputo!”.
“Mi ha informato Fili poco fa. Ce l’avete fatta finalmente, piccioncini! Vieni qui, sorellina mia!”.
Mentre si lasciava abbracciare, May non poté fare a meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato di Kili. Lo avrebbero lasciato partire in quelle condizioni? Chi l’avrebbe curato, ad Erebor?
Si sciolse dalla stretta di lui e fece un passo indietro.
“Come ti senti?” chiese, non senza esitazione, prevedendo sia la risposta che la reazione alla sua domanda.
“Sto bene. Non dovrei, forse?” replicò il Nano, aggrottando la fronte.
“Oh sì certo, volevo solo accertarmi che la tua gamba fosse guarita a dovere e che tu…”.
“Sono un guerriero capace, non un bimbo indifeso! Ferite come quella che hai visto sono bazzecole, per me”.
Kili aveva smesso di sorridere; afferrato un bagaglio da terra e voltato le spalle all’amica, si accingeva a riprendere il suo lavoro insieme agli altri, caricando provviste e armi sulla barca – messa gentilmente a disposizione dal Governatore – che li avrebbe condotti sulla riva al di sotto della Montagna Solitaria. May era dispiaciuta, benché non sorpresa: viaggiando insieme a lui si era accorta di quanto il nipote secondogenito di Thorin fosse orgoglioso e, per quanto lei ci sperasse, sapeva che convincerlo ad accettare il suo aiuto non sarebbe stata impresa facile.
“Sei pronta, mia Principessa?”.
Fili aveva depositato alcuni bagagli sulla barca e May, presa com’era dalle proprie riflessioni, si rese conto solo allora che lui la stava guardando.
“Assolutamente pronta!”, mentì. Nonostante quella mattina avesse sbrigato tutto ciò che doveva, ella non era mentalmente preparata ad affrontare la successiva parte del viaggio. Aveva tante cose per la testa, troppe ne erano accadute di recente, anche se alcune inaspettatamente piacevoli. Ad un tratto si sentì arrossire come un papavero, immaginando se stessa in veste da sposa; nel giorno più importante della sua vita le sarebbe piaciuto indossare un abito simile a quello della sera prima, magari di un colore più tenue.
“E’ un peccato che tu non possa portare con te quel magnifico vestito”, disse Fili con un occhiolino, “trovo che renda piena giustizia alla tua straordinaria bellezza!”.
Di straordinario, pensò May, c’era soprattutto l’intuito di lui, che sempre più spesso dava l’impressione di saper leggere nella sua mente; esisteva una sintonia perfetta tra loro e lei non finiva mai di stupirsene.
“Purtroppo, trattandosi di un prestito, ho dovuto restituirlo a Sigrid” spiegò la donna, arrossendo di nuovo. Non si sarebbe mai abituata ai complimenti del suo Principe. “Recarmi dalla ragazza è stata la prima cosa che ho fatto stamane. Tu, dormiglione, non eri ancora pronto quando sono tornata per aspettarvi tutti all’ingresso della locanda! Capirai che non potevo lasciare la Città senza salutare quelle care persone che hanno fatto tanto per noi... Non me lo sarei perdonato! Mentre bussavo alla loro porta, avevo paura che sarei stata accolta da un padrone di casa furibondo; invece, quando Bard mi ha visto, ha preso il vestito che gli porgevo senza aprire bocca. Mi è sembrato stanco, credo per via della notte insonne, e anche preoccupato. Gli ho chiesto di salutarmi le sue bambine e il suo figliolo, prima di voltarmi ed andarmene. Comunque, devo ammettere che i nuovi indumenti sono particolarmente comodi e caldi, specie i pantaloni e gli stivali avuti in dono dal nostro chiattaiolo… Immagino si sia pentito del gesto, come pure di averci ospitato in casa sua!”.
“E’ assai probabile”, convenne Fili. “Quanto al vestito, pazienza. Ti prometto che ad Erebor avrai un guardaroba ricco e superbo, degno di una Regina!”.
Gli occhi di May si illuminarono. Non era tanto l’idea degli abiti sontuosi ad emozionarla, quanto il fatto che lui l’avrebbe ammirata e desiderata come sua sposa.
“Lo sapete che siamo a corto di uno?”, li informò Bilbo. “Dov’è finito Bofur?”.
“Se non è qui lo lasciamo indietro!” replicò Thorin, secco. Aveva fretta e non era disposto ad aspettare i ritardatari.
“Per trovare la porta prima del calare del sole non possiamo rischiare ulteriori ritardi” lo assecondò Balin, camminando spedito dietro di lui.
C’era chi sventolava fazzoletti dalle finestre aperte e chi gridava augurando loro buon viaggio e buona fortuna seduto su una barca, o in piedi sulla terraferma. Tutta Pontelagolungo, eccetto Bard e i suoi figli, era lì fuori per salutare gli stranieri.
I Nani, lo Hobbit e la donna, scortati dalle guardie, si avviarono per prendere posto sulla barca. May, col fiato sospeso, restò indietro a guardare aspettandosi il peggio.
“Tu no” disse Thorin a Kili, fermandolo con una mano sul petto per impedirgli di unirsi agli altri. “Dobbiamo andare veloci, ci rallenteresti”.
“Ma di che parli? Io vengo con voi!” rispose il giovane, il cui volto si faceva sempre più pallido.
“Non ora”.
“Io ci sarò quando quella porta sarà aperta! Quando scorgeremo le sale dei nostri padri, Thorin!”.
“Kili”, mormorò dolcemente lo zio posando la mano sulla nuca del nipote, “resta qui. Riposa. Ci raggiungi quando guarisci!”.
Kili ammutolì, affranto. La delusione gli paralizzava la lingua. Suo malgrado, si rendeva conto che Thorin aveva ragione: se fosse andato con loro, si sarebbe dimostrato un inutile fardello. Non era in grado di affrontare il pericolo e aiutare i compagni ridotto in quello stato.
“Io resto con il ragazzo”, s’intromise Oin scendendo dall’imbarcazione, “il mio dovere è stare con i feriti!”.
“Anch’io resto con lui”.
Fili, già a bordo, si voltò meravigliato: a parlare era stata la sua May che, con un braccio intorno alle spalle di Kili, incoraggiava il malato a tornare indietro, aiutata da Oin. Allora, il Principe dalla chioma dorata rivolse a Thorin l’occhiata più dura che la dolcezza del suo animo poté concedergli; la voce, che sovrastava il baccano della folla, sapeva di giovanile indignazione e pungente amarezza.
“Zio! Siamo cresciuti con le storie della Montagna, storie che tu ci hai raccontato. Non gli puoi togliere questo!”.
“Fili!”. Il richiamo del fratello minore venne del tutto ignorato dal maggiore.
“Lo porterò in braccio se devo!” insistette Fili, la cui ammirevole determinazione frammista ad amore fraterno colpì May con la violenza di un pugno allo stomaco. Ella dovette fare appello a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere.
Ma Thorin non poteva lasciarsi intenerire, quantunque per lui non fosse meno difficile.
“Un giorno diventerai Re e capirai”, sentenziò imperterrito. “Non possiamo rischiare la riuscita di questa impresa per un solo Nano, neanche se è un parente”.
Fili non avrebbe ascoltato altro; saltò giù dalla barca e fu afferrato per un braccio dallo zio.
“Fili, non essere sciocco. Il tuo posto è nella compagnia!”.
“Il mio posto è con mio fratello!”.
“E con May, dico bene?”.
La fanciulla ebbe un sussulto: la notizia del suo fidanzamento era dunque giunta alle orecchie di Thorin!
“Torno tra un attimo”, disse a Kili che la guardava confuso, quindi raggiunse Fili e si fermò di fronte a lui.
May era pienamente consapevole di quanto stava per fare. A dire il vero, sapeva da giorni che lo avrebbe fatto. Eppure, ciò non le impedì di sorprendersi nell’udire la propria voce pronunciare quelle parole.
“Fili, adesso ascoltami senza interrompermi. Thorin dice il vero: un giorno sarai incoronato Re dopo di lui e tu, più di chiunque altro, hai il diritto e il dovere di essere presente nel momento in cui la porta di Erebor verrà aperta. Tu devi partire!”.
“Sei impazzita? Non andrò da nessuna parte senza di te e senza mio fratello!”.
“Di questo non devi preoccuparti: Oin ed io sapremo prenderci cura di Kili meglio di quanto faresti tu. E’ una promessa. Quanto a me, ormai so badare a me stessa. Te ne supplico, sii ragionevole! Pensa e agisci da futuro sovrano, anziché da ragazzo ostinato!”.
“May, io non…”.
“Fili, va’!”.
“Prima che io ti trattenga”, avrebbe voluto aggiungere. Invece concluse, respingendo le lacrime: “Se sei così testardo da non volerlo fare per te stesso, fallo almeno per tuo zio. Glielo devi. E per Kili… E anche per me!”.
Fili chinò lo sguardo, lasciando trapelare una rassegnazione che non era nella sua indole; quando lo sollevò di nuovo chiese un minuto a Thorin, che acconsentì con riluttanza.
“C’è una cosa che devo fare prima di andare” sussurrò a May, con la voce strozzata in gola e gli occhi colmi di un amore nel quale la giovane donna avrebbe potuto perdersi e mai più ritrovarsi. Il Nano scelse una ciocca dai capelli dell’amata e la intrecciò con dita agili e delicate, poi sfilò un piccolo fermacapelli in metallo pregiato da una delle sue trecce dorate per chiudere quella corvina di lei.
“Ecco fatto! Ora siamo fidanzati a tutti gli effetti” esclamò Fili, soddisfatto del proprio lavoro.
“Io non ho nulla da darti, tranne il mio cuore e la mia anima” mormorò la fanciulla, palesemente commossa. “Ma desidero essere tua e far parte del tuo mondo”.
“May, il mio mondo sei tu”, rispose lui in un tenero bisbiglio.
Dirle “addio” era troppo doloroso; nondimeno sorrideva, mentre la teneva stretta a sé come se non volesse mai più staccarsi da lei. Doveva pensare che quello sarebbe stato soltanto un “arrivederci”.
“Ci rivedremo presto, May. Ti amo!”.
“Lo so. Ti amo anch’io, Fili!”.
“Che Durin ti protegga. Sii prudente!”.
“Non sono io quella che sta andando a trovare un drago…”.
Risero. E le loro mani, lentamente, si lasciarono.
 
“L’ho sempre detto che l’amore è la più sgradevole delle noie!” borbottò Dori, incurvando le labbra in una smorfia di disgusto.
“Questo spiega come mai non sei riuscito a trovarti uno straccio di moglie!” lo rimbeccò Glóin, asciutto.
“Poveri ragazzi!…” disse il buon Balin a voce bassa, osservando col groppo in gola i due innamorati che si allontanavano l’uno dall’altra. May lo udì e tosto si girò verso i compagni per salutarli con la mano, facendo uno sforzo per sorridere; in quell’attimo, il suo sguardo incrociò quello di Thorin e lui le rivolse un lieve cenno del capo. Era forse un ringraziamento?
Fili e Kili si scambiarono un veloce abbraccio e lei… Lei chiuse gli occhi.
 
Per la seconda volta da quando aveva lasciato Casa Baggins, May desiderò di non essersi mai unita alla compagnia. In fondo, di quale aiuto era stata fino a quel momento? Era partita per cercare di salvare il suo Nano prediletto, ma non aveva riflettuto a fondo sulle reali difficoltà di una tale, disperata impresa. Se come temeva avesse fallito, il suo Fili non sarebbe sopravvissuto e mai avrebbe regnato sul trono di Erebor.
Ma se pure il terribile finale della storia che conosceva si fosse rivelato diverso, a quale destino sarebbe andata incontro? Se com’era probabile Thorin si fosse opposto al matrimonio del nipote, come avrebbe potuto, lei, far cambiare idea al Re di Erebor? Sempre che fosse rimasta in vita e le venisse concesso di restare in quel mondo: come vi era inspiegabilmente entrata, altrettanto inspiegabilmente sarebbe infatti potuta uscirne. Si era fidanzata con Fili e stava sognando un futuro con lui senza nemmeno considerare che avrebbe potuto non averlo, un futuro nella Terra di Mezzo. A pensarci bene, non le era mai stato del tutto chiaro il suo ruolo nella missione e, ora più che all’inizio, si domandava perché Gandalf l’avesse coinvolta in un’avventura ben al di sopra delle proprie possibilità. Quanto avrebbe voluto parlare con lo Stregone! Sarebbe mai riuscita a rivederlo? Soprattutto, sarebbe mai riuscita a riabbracciare il suo Principe?

Le trombe squillarono un’ultima volta. Il discorso di commiato improvvisato dal Governatore era appena terminato, quando la barca si mosse sul canale. Fili e May si guardavano ancora, ma nessuno dei due sorrideva più.








 









Nota dell'autrice:

Carissimi amici e lettori: come molti di voi sapranno, gli Hobbit della Contea avevano l’abitudine di fare dei regali agli altri il giorno del proprio compleanno: un’usanza che ho sempre reputato curiosa e che, in questo giorno particolare, intendo rispettare.
Oggi infatti è la mia festa e ho voluto cogliere l’occasione per regalarvi un capitolo della mia storia, ma non uno qualsiasi: questo è un capitolo molto importante e sono ansiosa di sapere cosa ne pensate!
Come di consueto, ringrazio tutti coloro che hanno dedicato e/o dedicheranno parte del loro tempo prezioso alla lettura del mio racconto. Un “grazie” immenso va inoltre a tutti i miei seguaci, vecchi e nuovi, che oltre a leggere hanno la pazienza e la bontà di scrivere i loro commenti, enormemente apprezzati!
A voi invece, lettori silenziosi che avete aggiunto la mia storia alle preferite e vi siete iscritti al sito per seguirla, rivolgo un ringraziamento speciale: mi piacerebbe molto conoscere le vostre opinioni, pertanto vi invito a rompere il silenzio e lasciare le vostre recensioni! :) Sarebbe un favoloso regalo di compleanno!
Non vi nascondo che ogni singola riga da voi spesa per comunicarmi un’emozione, o una parola d’incoraggiamento, sanno essere d’importanza vitale, in quanto mi forniscono l’ispirazione per la stesura di un intero capitolo, spingendomi a dare il meglio di me in questo piccolo progetto nel quale sto mettendo l’anima.
Infine, vi informo che il prossimo capitolo uscirà verso la metà/fine di Settembre e vi annuncio che sarà diverso dagli altri: un capitolo di transizione un po’ particolare, come non ne avrete di nuovo in futuro. Spero tanto che gradirete! Che la saggezza e la forza di Durin vi accompagni ad ogni passo. Vi abbraccio forte,

Claudia








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Capitolo 16
*** Una finestra sul passato ***





CAPITOLO XVI

Una finestra sul passato






Quattro settimane prima della partenza da Casa Baggins
Nel mondo reale
 
 
 
E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara;
amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.

Franz Kafka

 
 
 
Una gentile brezza primaverile soffiava attraverso i capelli color carbone di una giovane donna, lasciandoli danzare dolcemente sulle spalle avvolte in un vecchio scialle di lana che profumava d’infanzia. La finestra aperta dava sul giardino di una casetta ospitata in un delizioso quartiere residenziale immerso nel verde; vivaci e ridenti margherite ricoprivano il prato, sbocciate subito prima di congedare un inverno che pareva restìo a ritirarsi. L’aria del primo pomeriggio era fredda, ma il sole splendeva alto e incandescente nel cielo terso di fine Marzo, inondando di luce dorata le montagne in lontananza, maestose protagoniste di un panorama incantevole. Ma colei che sedeva accanto alla finestra della sua camera al secondo piano, con in mano il quaderno in cui era solita appuntare versi e citazioni, alzava solo di tanto in tanto lo sguardo sulle semplici meraviglie che la circondavano. Non ne era mai sazia, in verità, tuttavia quella vista le rammentava qualcosa di piacevolmente doloroso: un mondo fantastico del quale avvertiva prepotente il richiamo in ogni momento e in ogni cosa, intorno a sé.
In quella Terra inesistente – conosciuta e amata attraverso i libri del suo scrittore preferito, e contemplata grazie alle trilogie cinematografiche che adorava – ella non aveva mai messo piede; eppure la calpestava tutti i giorni, ormai da anni, nei suoi sogni da sveglia. Sentiva che quella realtà immaginaria le apparteneva, lo sentiva come il sangue che scorreva rapido nelle sue vene al desiderio struggente di trovarsi lì. La sua vita assomigliava ad un penoso ed impietoso esilio. Una dolce, malinconica nostalgia pulsava all’unisono col suo cuore profondamente innamorato di una patria che non avrebbe mai conosciuto, e che mai l’avrebbe conosciuta.
 
Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.
 
May aveva letto e riletto quella frase, quando finalmente si decise a trascriverla. Ne era tremendamente affascinata, poiché sembrava scritta di suo pugno. Pur non figurando tra i suoi autori preferiti, Kafka racchiudeva in un tale concetto tutto il sentimento che lei provava per una persona speciale: un lui che faceva parte di quel mondo irraggiungibile. Si era data della sciocca per mesi, dall’istante in cui aveva realizzato di essersi invaghita di un personaggio che poteva ammirare solo tramite uno schermo. Ad ogni modo, col tempo aveva imparato ad accettare questa cosa – la più ridicola ed al contempo la più curiosa che le fosse mai capitata – senza evitare di torturarsi con domande destinate a rimanere prive di una risposta plausibile e soddisfacente.
In un primo momento, confusa e lievemente spaventata da un’infatuazione che sconfinava nell’assurdo, May si era astenuta dal guardare i tre film “incriminati” come soleva fare nei fine settimana, e non solo: smise di collezionare immagini a tema reperite su internet e si trattenne dal rileggere ancora una volta “Lo Hobbit”, per rendersi conto dopo qualche tempo (diciamo pure dopo qualche giorno) che tanto impegno non era valso a nulla, se non a farle battere il cuore con maggior violenza quando i pensieri tornavano a convergere in un’unica ed irresistibile direzione: lui. Il suo Fili.
Così aveva realizzato che – non senza sacrificio – poteva evitare di guardarlo, di cercarlo, di pensarlo, forse; ma non di “sentirlo”. E per quanto ci rimuginasse sopra, non riusciva a spiegarsi tutto questo. Non si dava pace. Era arrivata al punto di considerarsi irrimediabilmente pazza.
“Sono solo un’acerba ragazzina impaziente di uscire da un’adolescenza che mi va stretta”, si ripeteva. Ma la verità era che le bastava pensare a Fili per sorridere.
Lui rappresentava il suo inseparabile coltello dalla lama teneramente affilata che la fanciulla utilizzava per intaccare le pareti del suo universo personale. Allo stesso modo in cui i Nani amavano scavare a fondo nelle rocce alla ricerca di tesori, così May amava allargare e perlustrare i sentieri della sua abissale interiorità.

 
Far over the Misty Mountains rise
Leave us standing upon the height
What was before, we see once more
Is our kingdom, a distant light.

 
La voce di Neil Finn risuonò vivace e solenne tra le pareti della stanza immersa nel silenzio. May fece un balzo sulla sedia: concentrata com’era nella lettura, aveva dimenticato lo smartphone acceso sulla scrivania. Spesso lo teneva spento, mentre scriveva o faceva qualcosa di impegnativo che richiedeva la sua più totale attenzione.
Fu quasi tentata dal farlo squillare ancora un po’, per il puro gusto di ascoltare quella favolosa canzone che aveva impostato come suoneria e di cui non si stancava mai; ma non appena vide chi la stava chiamando, la giovane si affrettò a rispondere.
“Hey, caramella! Dovresti essere già qui!”.
Si divertiva a chiamare così la sua migliore amica, per via del fatto che Micky – questo era il suo nome – amava tenere i capelli castani raccolti in due corte codine che a May ricordavano le caramelle incartate. Erano due coetanee dai caratteri diversi, sostanzialmente opposti, eppur legate da una solida amicizia.
“Sono già qui!”, rispose una voce squillante proveniente dal corridoio.
May sfiorò col pollice il tasto virtuale di fine chiamata sul touch screen e si alzò per andare ad aprire la porta, quindi si trovò di fronte due sagaci occhi marroni che la guardavano con finta aria di sufficienza.
“Che ci fai qui fuori?” domandò la padrona di casa, incapace di decidere se si sentiva più divertita o infastidita dal comportamento insensato della sua ospite. “Immagino che ti abbia fatto salire mia madre. Potevi entrare senza telefonare, lo sai che ti aspettavo”.
“E perdermi il gusto di interrompere la tua attività preferita facendoti squillare l’odiato telefonino?” replicò Micky in tono stanco, sfilandosi lo zaino dalle spalle per lasciarlo cadere sul parquet in rovere.
“Tanto valeva bussare!” ribatté May, sfoggiando la più genuina delle linguacce.
“Bussare? Figurarsi! Un altro buon elemento da aggiungere alla lista delle tue stranezze!” commentò Micky, che senza fare complimenti si era tolta le Converse per distendersi sul letto.
May scosse la testa e, guardandola di sottecchi, capì all’istante che la sua “caramella” era di malumore.
“L’interrogazione di latino è andata benone… Qual è il problema, stavolta?” s’informò, inarcando le nere sopracciglia sottili per poi sedersi sulla moderna poltrona girevole.
Micky ruotò lo sguardo dal soffitto alla compagna di banco.
“E me lo chiedi?”. Il suo tono era sorpreso, quasi indispettito. “Ricordi che giorno è oggi?”.
“Vediamo… Il compleanno del tuo Roby?”.
“Ottima memoria, cara May!”.
“E dunque?”.
“E dunque proprio oggi, a distanza di una settimana dalla nostra rottura, l’ho beccato con quella vipera del quarto B!”. Micky stava praticamente urlando, ma non se ne curava. “Li ho visti scendere poco fa dallo scooter davanti alla gelateria vicino alla fontana, in centro. Capisci?! Il bastardo non ha perso tempo! Si è buttato tra le braccia della ex ragazza, per farsi mettere di nuovo il guinzaglio!”.
Afferrò il cuscino ricamato che faceva bella mostra di sé sul letto dell’amica e lo scagliò con forza spietata contro la libreria bianco frassinato.
“Beh, è stato lui a lasciarti” osservò May, mantenendo la calma nella speranza di arginare la collera dirompente di Micky, della quale era stata suo malgrado testimone infinite volte. “Dovevi aspettartelo”.
“Come avrei potuto aspettarmi una cosa del genere?! Tre mesi… Tre mesi da sogno, fin quando lui non è venuto a dirmi che non era più innamorato di me!”.
“Hai considerato che, magari, il vostro non era vero amore?”.
Gli occhi di Micky, ardenti di collera, si volsero verso colei che aveva osato mettere in discussione i suoi sentimenti nei confronti del primo ed unico uomo che avesse mai amato.
“Tu… Topastra di biblioteca che non sei altro, cosa puoi saperne tu del vero amore?!”.
“Niente”, ammise candidamente May in un tono di voce pacato – vagamente indifferente – che non contribuì a raffreddare lo spirito geloso ed iracondo della compagna. “Ma siamo realiste: se io ho molto da imparare sull’amore, tu, amica mia, hai altrettanto da apprendere sul conto degli uomini”.
“Stai forse insinuando che Roby mi ha presa in giro?”.
“Dico solo che, se fosse stato del tutto sincero con te sin dall’inizio, adesso non saresti qui a disperarti”.
Seguì un silenzio piuttosto lungo che May ritenne opportuno non infrangere, dopodiché Micky si alzò di scatto dal letto per gettarle le braccia al collo facendola quasi cadere dalla sedia rotante, che scivolò fino alla parete opposta andando a sbattere contro l’armadio a specchi.
“Hai ragione! Che stupida sono stata!”, singhiozzò l’innamorata infelice sulla spalla della sua confidente, che ricambiò affettuosamente l’abbraccio. “Tu lo sapevi! L’hai sempre saputo che Roby non era il ragazzo giusto per me! Per questo mi ripetevi che non ti piaceva… Ed io, che ho scambiato la tua disapprovazione per invidia… Ti chiedo scusa!”.
“Suvvia, caramella scema! Non c’è bisogno di scusarsi!”, la rassicurò May stampandole un bacio sulla guancia dove scorrevano grosse lacrime. “Comunque, la prossima volta che ti innamorerai di qualcuno, ti conviene mantenere gli occhi aperti e prestare ascolto alle parole di una “topastra di biblioteca” che non ne saprà granché dell’amore, ma che in compenso ti vuole un gran bene!”.
Micky si liberò dall’abbraccio e corse ad aprire lo zaino, da cui trasse un foglietto bianco che porse a May.
“Anch’io ti voglio bene e, per dimostrartelo, intendo congratularmi con te!” disse, con un sorriso compiaciuto carico di sottintesi.
“Che significa?” domandò May, afferrando perplessa la pagina piegata in quattro.
“Guarda tu stessa!”.
La fanciulla non se lo fece ripetere due volte e, quando ebbe dispiegato il foglio, rimase di sasso di fronte alla brutta copia di alcuni versi incerti che aveva buttato giù il giorno precedente durante l’ora di storia, fingendo di prendere appunti.
“Q-questo dove lo hai trovato?” balbettò, sforzandosi invano di celare il proprio smarrimento dietro un sorriso stiracchiato. Nessuno avrebbe dovuto leggere quelle righe, tantomeno la sua migliore amica.
“Probabilmente ti è scivolato da sotto il banco, poiché l’ho raccolto da terra vicino alla tua sedia”, spiegò Micky allegramente, certa di averle fatto un favore. “La campanella era appena suonata e tu avevi già imboccato le scale, perciò ho preferito piegarlo e riporlo al sicuro nello zaino, anziché rompermi le gambe per rincorrerti. Volevo consegnartelo una volta fuori, ma poi me ne sono completamente dimenticata. Però… Non sembri contenta” aggiunse, con una punta di delusione che la portò ad arricciare le labbra in una leggera smorfia.
“Ma cosa vai a pensare, sciocca di una caramella! Mi fa piacere che tu abbia recuperato questa paginetta” si affrettò a replicare May con scarsa convinzione, facendo ruotare la poltrona per posare il piccolo componimento sulla scrivania, accanto alla lampada rossa che rischiarava le sue notti insonni passate a scrivere o a studiare. “A dire il vero l’avevo cercata in mezzo ai libri, non avendo idea di dove fosse finita. In ogni modo, se pure l’avessi persa, non mi sarebbe importato granché: sono le solite sciocchezze che mi diverto a scribacchiare in classe”, chiarì con affettata disinvoltura alzandosi in piedi. “Ora però dovremmo finirla con le chiacchiere: i compiti ci attendono!”.
Si chinò per tirare fuori i libri dallo zaino, ma la voce tremava al pari delle mani. Micky se ne accorse e, quantunque sapesse di avere a che fare con una testarda dal carattere riservato, lasciò che un’audace curiosità avesse la meglio su un’eccepibile discrezione.
“Coraggio May, so tenere i segreti! Se ogni tanto me ne confessi uno, non ti mordo mica! Smettila di fingere con me: lo so che quei versi li hai scritti pensando al biondino!”.
“Q-quale biondino?”.
May arrossì furiosamente, imbarazzata ed irritata. Conosceva l’invadenza della compagna e sapeva gestirla, tuttavia la tollerava a malapena e mai come in quel momento le era parsa tanto inopportuna.
“Mi riferisco al biondino del quinto C! Come se non lo sapessi”, precisò Micky guardandola in modo eloquente. “Per questo volevo congratularmi con te: finalmente ti sei degnata di ricambiare il suo interesse! Hai messo fine alle sofferenze di quel povero disgraziato! Non ne potevo più di vedere i suoi occhioni azzurri che ti fissavano, incantati e disperati, tutte le volte in cui passavi accanto a lui in corridoio senza neanche accorgerti della sua presenza! Mi faceva una gran pena. Avanti, non farti pregare: raccontami tutto!”, proseguì in tono confidenziale e complice, sedendosi sul bordo del letto con le gambe accavallate e le mani intrecciate attorno al ginocchio. “Ti ha già chiesto di uscire? Vi siete scambiati i numeri?”.
May alzò gli occhi al cielo, spazientita. “, me l’ha chiesto”, la ragguagliò con fare asciutto sistemando i libri e i quaderni sullo scrittoio, “e no, il mio numero di telefono non l’ha avuto. Non ho alcuna intenzione di frequentarlo e gliel’ho detto chiaramente”.
Micky balzò dal letto: la sua espressione era mutata da avidamente interessata ad indignata.
“Si può sapere che ti è saltato in mente?! Va bene che sei una delle ragazze più corteggiate del liceo, ma ti pare il caso di metterti a fare la preziosa?”.
“Lo vuoi capire che quello lì non mi interessa? Non mi è mai interessato e, in ogni caso, qui sei tu quella che gioca a fare la preziosa, con lo studio però. E non ti rendi conto che stai scherzando col fuoco! Vedi di fare un piacere ad entrambe e torna a sederti: domani abbiamo un importante compito in classe e, sinceramente, non mi va di rischiare un’insufficienza per colpa delle tue chiacchiere inutili!”.
“Non posso crederci”, mormorò Micky quasi parlando a se stessa, come se non avesse udito le ultime parole di May, “che senso ha scrivere poesie per qualcuno che non ti piace?”.
S’interruppe di colpo, folgorata da un folle sospetto.
“A meno che…” riprese esitante, voltandosi lentamente verso l’amica, “a meno che quelle poesie non fossero dedicate a qualcun altro! Oh no, aspetta: non dirmi che pensi ancora a quel Nano biondo de “Lo Hobbit!”.
 
Ecco, l’aveva detto. L’aveva di nuovo chiamato “quel Nano”, ben sapendo quanto la cosa la infastidisse. May strinse la penna nel pugno con una forza tale da poterla spezzare. Micky non aveva il diritto di riferisi a lui come ad un Nano qualunque: Fili era il suo Nano!
Era verso di lui che correva il suo pensiero, mentre ascoltava le canzoni che le accarezzavano l’anima; “quel Nano” era l’eroe dei suoi sogni proibiti, l’unico in grado di tingerle le gote di un acceso rossore tutte le volte in cui ella concedeva un frammento di libertà ad una sfrenata immaginazione; era il volto di lui che compariva davanti ai suoi occhi mentre camminava distratta fra la gente; e la sera nel letto, prima di abbandonarsi al sonno, stringeva il cuscino sotto la sua guancia sognando che fosse il petto di Fili.
Lui, il sole che illuminava e scaldava le sue giornate, dalle più allegre alle più cupe. Lui, la sua intima forza, la sua tenera ossessione e la sua gioia incondizionata, limpida sorgente di un insolito dolore.


Allora, proprio perché provo un tormento indescrivibile, sento quanto l'amo.

 
Le tornava spesso in mente quel passo tratto da “Le affinità elettive” di Goethe, un libro che l’aveva fatta sbadigliare all’infinito; una semplice frase che rispecchiava in pieno la sua condizione interiore.
Riusciva a vederlo ed a percepirlo ovunque, il suo Principe nanico dagli occhi blu, giacché lui viveva nella parte più profonda e nascosta di sé. Per qualche misteriosa ragione, aveva la sensazione di conoscerlo da tempo immemore.
Fili era divenuto una “presenza” costante nella sua realtà di tutti i giorni; un incomparabile ed indispensabile rifugio; la più soave delle fantasie; un’emozione ininterrotta e sempre nuova che l’accompagnava ad ogni passo.
Dal giorno in cui aveva confessato a se stessa di non poter fare a meno di lui e della Terra di Mezzo, May si era accorta di quanto il mondo le apparisse diverso. Era stato come svegliarsi da un pesante sonno durato anni. Suoni, colori, movimenti… Le pareva di percepirli per la prima volta, nella sua giovane vita. Ogni piccola cosa odorava di fresco e aveva il sapore dell’armonia.
Ora, May non si limitava a vedere distrattamente: ora scrutava con curiosità ed attenzione. Non si accontentava più di esistere, bensì di vivere. Persino l’immagine di sé riflessa nello specchio le mostrava due occhi scintillanti di una squisita consapevolezza dal risvolto amaro: stava imparando a godere dei capolavori della sua terra, ma non avrebbe mai ammirato quelli della Terra in cui avrebbe desiderato vivere.
Come spiegare tutto questo a Micky?
May si era trovata più volte sul punto di confidarsi con lei, ma alla fine aveva rinunciato, scegliendo di tenere per sé il suo segreto. Non le importava essere giudicata: ciò che la spingeva a tacere era il fatto che parlare di Fili e della Terra di Mezzo avrebbe significato mettere a nudo il suo cuore, e non poteva permettere che ciò accadesse. Il suo mondo era troppo importante e prezioso per essere “presentato” con leggerezza ad un altro mondo incapace di comprendere, la cui principale prerogativa consisteva nel fregiarsi della propria superficialità.
 
“Se anche fosse?” chiese May, dal cui volto traspariva la più completa ed innocente naturalezza. “Se fosse davvero quel Nano la fonte della mia ispirazione?”.
“Che diamine stai dicendo? Non puoi parlare sul serio!”, esclamò Micky sgranando gli occhi color nocciola, che divennero più grandi di quanto già non fossero.
May non rispose. Distolse lo sguardo, che andò a posarsi sul poster di Fili appeso alla parete di fianco alla libreria. In fondo, lei per prima non riusciva a spiegarsi il perché di un amore tanto ardente quanto impossibile; di conseguenza, non poteva pretendere che Micky – o chiunque altro – non ne fosse sconcertato.
“May, siamo realiste: tu sei la studentessa più brillante della classe ed una delle migliori in tutto l’istituto! Non vorrai indurmi a dubitare della tua intelligenza…”.
“Cosa vuoi che ti dica: il mio discernimento è intrappolato e sepolto sotto la pancia del drago, tra le ricchezze ed i tesori inesplorati della Montagna Solitaria!”.
Così dicendo, May proruppe in una risata argentina che scosse ulteriormente i nervi già tesi di Micky.
“Ma quella non è la vita vera! Qui stiamo parlando di qualcuno che non esiste!” fece notare quest’ultima, accalorandosi.
“Hai ragione, caramella. Personaggi di fantasia come Fili non esistono, bensì vivono: nell’immaginazione e nei cuori degli autori o dei registi che li creano, così come in quelli di coloro che sono in grado di amarli senza riserve”.
“May, non ti riconosco davvero più. E’ inaccettabile che una persona in gamba come te abbia smarrito il lume della ragione a causa di uno stupido libro e di un film ancor più insignificante!”.
“Quello stupido libro, come tu lo definisci, figura tra i maggiori capolavori della letteratura mondiale. Ma non è questo il punto. Dovresti sapere che i libri vantano da sempre un potere unico al mondo: quello di farti viaggiare con la mente e con l’anima regalandoti emozioni uniche, tali da poter superare in intensità ed importanza le migliori esperienze di un viaggio fisico” ribatté May, sicura ed inflessibile. “Finché la penserai in questo modo, amica mia, ti precluderai la possibilità di arricchire il tuo bagaglio spirituale, oltre a quello culturale!”.
“Non mi interessa, grazie”, decretò Micky aspramente, “ne ho già abbastanza dei libri scolastici! Ed in quanto al bagaglio spirituale, non rientra nei miei programmi ritirarmi in convento. Comunque sia, resto del parere che rinunciare ad una persona in carne ed ossa per amarne una irreale è una scelta puerile e dissennata!”.
“Forse è come dici tu” convenne May, “ciononostante, la penso diversamente. Se devo frequentare un ragazzo qualunque soltanto perché è carino, dolce ed attratto da me, preferisco consumarmi d’amore per un Nano che mi fa sentire viva. Fili non sarà reale, ma le emozioni che lui suscita in me lo sono eccome!”.
“Lasciamo perdere questo discorso. A quanto sembra, discutere con te è una battaglia persa in partenza ed oggi non ho proprio voglia di arrabbiarmi!” concluse Micky, aprendo finalmente lo zaino per prendere i libri. “Lo studio ci attende. La Terra di Mezzo non esiste, ma il compito in classe di domani è un fatto tristemente concreto!” sbuffò infine, riprendendo il suo posto sul letto.
 
“La Terra di Mezzo non esiste”, ripeté May tra sé e sé aprendo il grosso dizionario, “e forse sto davvero impazzendo. Ma per raggiungerla, per raggiungere lui, darei tutto ciò che ho… Persino quello che non ho!”.
Un’improvvisa raffica di vento sollevò il foglio di carta che custodiva i suoi versi, ormai non più segreti, facendolo volare sul pavimento come una colomba colpita da una freccia.
May lo raccolse e sorrise, nel rileggere la prima riga.

 
Scrivere di te è come intingere il pennello nell’infinito.



 

















Nota dell'autrice:

Bentornati, amici vecchi e nuovi!
Immagino che vi aspettavate un altro tipo di capitolo e che attendevate con ansia il seguito della storia, ma stavolta ho voluto sorprendervi! :)
Questa, ovviamente, non è l’unica ragione che mi ha portato a scrivere qualcosa di diverso dal solito. In verità, ho ritenuto opportuno “mettere in pausa” per un attimo la situazione delicata in cui si trova la nostra protagonista, per poi riprenderla nel diciassettesimo.
Inoltre, e soprattutto, volevo un capitolo che vedesse il lettore “spiare” il passato più recente di May come attraverso il buco di una serratura: un frammento di passato che oso definire indispensabile per intuire il misterioso arrivo – o forse dovrei dire “la chiamata” – della nostra fanciulla nella Terra dei suoi sogni.
Colgo anche oggi l’occasione per ringraziare coloro che hanno aggiunto alle preferite/seguite la mia storia, e tutti i nuovi recensori: siete sempre più numerosi ed io sono strafelice di leggere le vostre opinioni!
Per quanto riguarda invece i lettori che non amano ciò che scrivo e che si ostinano a farmelo presente pubblicamente, rivolgo questo avviso: se la mia storia non vi piace, passate oltre. Nessuno vi obbliga a seguirla, specie se poi dimostrate di non capirla e di leggerla in maniera superficiale tanto per il gusto di criticare.
Un ringraziamento speciale va inoltre alla mia carissima amica Mihaela per aver creato l’immagine sovrastante, che include il ritratto di May realizzato da me.
Vi abbraccio forte, amici e seguaci! Che il sorriso di Durin vegli sempre sul vostro cammino!

Claudia









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Capitolo 17
*** Amore fraterno ***





CAPITOLO XVII

Amore fraterno






 
“Non puoi proprio fare niente?” domandò piano Bofur, con una nota di disperazione nella voce. Il suo pensiero ostinatamente ottimista si ribellava all’idea che Kili potesse non sopravvivere, benché le atroci e incessanti sofferenze del Nano lasciassero presagire ben poco di incoraggiante.
“Ci servono erbe. Qualcosa per fargli scendere la febbre” rispose Oin, il medico della compagnia, mentre finiva di pulire la ferita del giovane: non appariva profonda, né estesa, tuttavia aveva un brutto aspetto.
“Vado a vedere cosa ho di là” disse Bard, dirigendosi verso il tavolo.
May, intanto, faceva del suo meglio per nascondere la preoccupazione che l’attanagliava, rendendosi utile come poteva; aiutata dalla solerte Sigrid, riempiva e vuotava bacinelle d’acqua calda e fredda, bagnava stracci e rivolgeva parole rassicuranti a Kili, adagiato sul letto tra morbidi cuscini. Era disposta a tutto pur di salvare il suo amico più caro. Senza contare che aveva fatto una promessa al suo Principe; chissà cosa avrebbe detto Fili, vedendo il fratello così ridotto… Se non altro era riuscita a risparmiargli questa pena tremenda, incitandolo a partire per Erebor.

“Resisti, fratellino!” mormorò d’un tratto chinandosi su Kili, “andrà tutto bene, te lo prometto!”.
Gli carezzò la fronte madida di sudore e contratta da un dolore che la fanciulla non osava neanche immaginare. “Ora corro a prenderti la medicina” soggiunse in tono fiducioso, fingendo di non vedere tre paia di occhi che si spalancavano stupiti verso di lei. Soltanto Oin – che senza il suo utilissimo corno acustico avvicinato all’orecchio non poteva udire rumori di modesta entità e voci sommesse – rimase col capo chino sulla gamba del malato, continuando a studiarne la piaga con silente angoscia.
“Di quale medicina parli?” si arrischiò a domandare Bofur, restio a credere che la donna con cui a lungo aveva viaggiato vantasse insospettate conoscenze da speziale.
May schiuse le labbra per dare una risposta, ma la voce allegra e squillante di Tilda glielo impedì.
“May! Sei tornata!”.
La bimba era appena rientrata, seguita da Bain; reggeva in mano una grossa pagnotta di forma rotonda. Vedendo il volto teso della nuova amica, la figlia minore di Bard intuì che qualcosa non andava.
“Che succede?” chiese smarrita, “pà, perché quel Nano è disteso sul nostro letto?”.
“Non ora, figliola”, la interruppe dolcemente suo padre. La piccola si allontanò a testa bassa, in silenzio. Allora May la raggiunse in cucina, col pretesto di chiederle delle pezze pulite che quelle manine volenterose le procurarono immediatamente; sebbene non le fosse del tutto chiaro cosa stesse accadendo, la bambina era felice di poter essere d’aiuto in qualche modo.
May era convinta che quella famiglia fosse benedetta dal cielo. Era stato un vero miracolo che Bard avesse accettato di accogliere tutti loro in casa una seconda volta. Quando, pochi minuti prima, ella aveva bussato con foga alla porta del chiattaiolo per chiedere asilo, lui si era rifiutato di farla entrare, dichiarando di aver chiuso con i Nani; ma testarda e disperata com’era, la straniera si era buttata sulla porta che il padrone di casa stava chiudendo in malo modo, per trattenerla con tutte le forze che ancora la sostenevano. Aveva implorato aiuto per Kili e, dopo qualche istante di esitazione, Bard – che in fondo era un uomo dal cuore nobile e generoso – si era lasciato persuadere.
“Ci tengo a ringraziarti, anche a nome dei miei amici” disse May, guardando negli occhi il suo anfitrione dopo aver strizzato il canovaccio, pronta ad uscire per cercare l’erba destinata a Kili. “Non ci hai voltato le spalle nel momento di maggior bisogno, pur sapendo che la nostra presenza avrebbe potuto procurarti dei guai. Ti siamo debitori, Bard. Quando il Governatore ci ha intimato di andarcene, credendo che il nostro compagno avesse contratto una malattia contagiosa, ho temuto che nessuno in questa Città ci avrebbe dato una mano”.
Il chiattaiolo sollevò le nere sopracciglia con un movimento che esprimeva comprensione mista a disprezzo.
“Ti aspettavi qualcosa di diverso da quell’uomo?” mugugnò, senza smettere di rovistare tra i vari contenitori in vetro che riempivano quasi tutta la superficie del tavolo.
“Vediamo: ho erba Morella… Matricale…”.
“Non mi servono a nulla!” protestò Oin, che si preparava a disinfettare la ferita di Kili. “Non hai qualche…”.
Foglia di Re!” lo anticipò May quasi gridando, col fare irrequieto e sbrigativo di chi ha premura di agire. “E’ l’unica in grado di guarirlo!”, decretò con ferrea sicurezza.
“Per la barba di Durin!” esclamò il Nano, fissandola con stupore da sotto le folte sopracciglia grigie, “e tu come fai a conoscere la Foglia di Re? La utilizzate nel vostro paese?”.
“A dire il vero, ho sfogliato alcuni libri che ne parlavano” mentì lei, evitando di approfondire i dettagli.
“Ma è un’erbaccia” interloquì Bard, non meno sorpreso di Oin, “la diamo ai maiali!”.
“Maiali? Erbaccia? Bene!” proferì Bofur, sentendo un barlume di speranza riaccendersi nel petto. “Non ti muovere!” ordinò poi a Kili, prima di avviarsi verso l’uscita.
“Fà in fretta!”, gli intimò May; era già passato troppo tempo e ne sarebbe trascorso dell’altro.
“Farò in un baleno” replicò lui, infilando l’uscio.

“Si sente in colpa per aver perso la barca ed essere rimasto indietro”, osservò la fanciulla con un occhiolino d’intesa rivolto a Kili. “Suppongo che la prossima volta, se mai ci sarà, il nostro Bofur ci penserà parecchio prima di addormentarsi ubriaco sotto il tavolo di una locanda!”.
Il suo intento era quello di distrarre il “fratellino” sofferente, in previsione di ciò che lo attendeva. Oin si preparava a depurare la ferita e con un cenno chiese l’intervento di Bard, il quale si allontanò dal tavolo per sistemarsi di fianco al letto. Doveva tenere Kili il più fermo possibile, con le mani ben salde sulle sue spalle.
Il giovane sorrise debolmente alle parole scherzose della compagna, ma un attimo dopo si dimenò selvaggiamente, cacciando un grido di dolore. May ne fu straziata.
“Coraggio fratellino” sussurrò, posando con mano malferma un panno imbevuto di acqua fredda sulla fronte bollente di lui. “Tra poco sarà tutto finito!”.
La punta dell’arma era stata estratta dallo stesso Kili sulla riva del Fiume Selva, ma la ferita era infetta e il veleno si era ormai fatto strada nel sangue del Nano, colpito da una freccia Morgul. May – ed ora lo stesso Oin – sapeva perfettamente che, se Bofur non fosse tornato in tempo con la Foglia di Re, il suo amico sarebbe sprofondato in un sonno agitato e tormentato da sogni oscuri; un sonno al quale non sarebbe seguito alcun risveglio.
“La febbre non accenna a calare” mormorò Oin sempre più preoccupato, non appena ebbe terminato di disinfettare al meglio la lesione.
Kili, al culmine della sofferenza, gemette dibattendosi furiosamente tra i cuscini.
“Perché sta così male?” domandò Bard allarmato, “sembra peggiorare di minuto in minuto…”.
“E’ l’effetto del veleno Morgul” spiegò May, affondando lo strofinaccio nella bacinella.
L’uomo sgranò tanto d’occhi ed era sul punto di replicare, quando la casa tremò. Bain e Tilda, che preparavano la cena in cucina insieme alla sorella, videro la polvere cadere dalle travi del soffitto e finire direttamente nelle scodelle. Per un istante, nessuno si mosse.
“Pà!” esclamò Sigrid, impaurita.
Bain corse alla finestra. “Viene dalla Montagna!” affermò, manifestamente agitato.
“Stiamo per morire, pà?” domandò Tilda a suo padre.
Gli occhi di May si fecero lucidi. I penosi, persistenti lamenti di Kili che riempivano l’aria viziata della stanza e i volti spaventati di quei poveri ragazzi indifesi, l’avevano svuotata di ogni energia. Avrebbe voluto dire o fare qualcosa per confortare la piccola, ma sentiva le labbra serrate ed ogni singolo muscolo del proprio corpo si rifiutava di ubbidire ai comandi del cervello; uno schiacciante senso di impotenza paralizzava la sua capacità di ragionare e di muoversi.
“No, tesoro. Non stiamo per morire” replicò Bard, con gli occhi velati di quelle lacrime che soltanto l’amore paterno può generare.
“Il drago ci ucciderà!” insistette Tilda, come se non avesse udito le parole del genitore. Quella vocina innocente spezzò il cuore di tutti i presenti. Ma suo padre non sarebbe rimasto inerme ad attendere passivamente l’arrivo delle fiamme: allungò il braccio per afferrare una strana lancia appesa ad una trave del soffitto, tra posate e utensili vari.
“Non se lo uccido io prima” dichiarò, con un lampo di fiera determinazione nello sguardo.
Osservandola con attenzione, May la riconobbe: quella era una delle frecce nere forgiate anni addietro dai Nani di Erebor! Poiché Bard discendeva in linea diretta da Girion Signore di Dale, era naturale che avesse ereditato una tale arma, l’ultima rimasta del suo genere, nonché l’unica capace di abbattere il drago.
“Bain, vieni con me: ho bisogno del tuo aiuto!”.
Il ragazzo – un po’ confuso – obbedì al comando del padre, il quale, una volta affidate le figlie a May ed Oin, imboccò la porta ed uscì, seguito dal figlio.
“Dove stanno andando?” s’informò Sigrid, alquanto perplessa.
“Alla Lancia del Vento Nanica”, rispose May. Tilda corse da lei, nascondendo il visino turbato nel suo petto.


-s-s-s-


Il vento sibilava una nenia spettrale, ululando come un agghiacciante esercito di lupi pronti ad attaccare. May arrancava faticosamente sullo stretto sentiero fangoso, reso quasi impraticabile dalla pioggia battente. Guardando innanzi a sé, distinse a pochi metri due viandanti che procedevano fianco a fianco seguendo il suo medesimo percorso, senza mai fermarsi o girarsi. Le parve d’intravedere una chioma color del grano alla sua sinistra, quindi affrettò il passo per accorciare la distanza che la separava dalla figura, fino a realizzare che quei capelli non appartenevano al suo Fili, come aveva creduto a prima vista: osservati da dietro apparivano lisci e non vi erano fermagli, solo una lunga treccia sottile. Inoltre non erano coperti da un cappuccio, fatto piuttosto strano dato il maltempo. Ma furono l’altezza e il portamento eretto del personaggio a convincere May che si trattava di un Elfo. Il soggetto sulla destra, di poco più basso, era invece avvolto in un ampio mantello scuro con cappuccio e procedeva più lentamente, curvo come sotto il peso degli anni. Di punto in bianco, un rumore roboante simile ad un tuono squarciò l’aria e May, guardando in alto, vide un essere gigantesco dalle ali di pipistrello vorticare nel cielo sopra la sua testa, per poi puntare dritto su di lei. In quell’attimo, lo sconosciuto col mantello si voltò e una luce abbagliante la sollevò da terra facendola volare all’indietro.
“Smaug!”.

Si svegliò con un sussulto. Impiegò qualche secondo per capire dove si trovava; si era addormentata, sfinita dall’ansia e dalla preoccupazione, con la fronte appoggiata sul dorso della mano destra, il gomito affondato nel materasso su cui giaceva Kili. Sollevò il capo: l’immagine del giovane tormentato da un male crescente la ricondusse ad una realtà che andava assomigliando sempre più ad un incubo. Ed era un incubo ben peggiore di quello da cui si era appena destata. Il corpo del Nano era scosso da violenti e ripetuti spasmi che sul cuore di May avevano l’effetto di impietosi terremoti; ogni nuovo lamento era simile ad un colpo di frusta sferrato contro l’anima già devastata della fanciulla. Se solo le fosse stato concesso, ella avrebbe estirpato il veleno dalle vene del compagno per trasferirlo sulle proprie; sarebbe stato meglio che assistere impotente ad un tale, doloroso spettacolo. In quel momento si rese conto di quanto profondo fosse il suo amore per Kili: un legame fraterno e casto, il loro, ma era pur sempre amore. Oltre ad essere l’amico più caro che avesse mai avuto, egli rappresentava il fratello che aveva sempre desiderato. Non poteva lasciarlo morire. Con quale coraggio avrebbe guardato Fili dritto negli occhi, qualora non fosse riuscita a salvarlo? Sarebbe morta anche lei, di un lacerante rimorso che l’avrebbe perseguitata in eterno.

“May, ti senti bene?”.
Gli occhi premurosi di Sigrid erano fissi su di lei, mentre le porgeva una bevanda calda.
“S-sì, credo di aver fatto un brutto sogno”.
Si sentiva una sciocca per aver ceduto al richiamo del sonno, ma pensò che una tazza di caffè bollente l’avrebbe aiutata a tirarsi un po’ su. Bevve a piccoli sorsi indugiando con lo sguardo su Kili, le cui condizioni di salute sembravano peggiorate.
“Si può sapere quanto ho dormito? Perché non mi avete svegliato?!” ritenne opportuno domandare, leggermente infastidita, benché ce l’avesse più con se stessa che con chiunque altro.
“Avrai sonnecchiato al massimo un quarto d’ora. Ti abbiamo lasciato riposare perché eri esausta, ragazza mia!”, disse una voce maschile proveniente dalla cucina.
“Bofur!” gridò May, sollevata. “Dov’è la Foglia di Re?”, chiese ansiosa.
Il Nano indicò due mazzetti di un’erba riccia che Oin stava separando, pronto ad intervenire sulla gamba dello sventurato combattente.
“Sbrighiamoci!” esclamò lei, alzandosi per sistemare i cuscini dietro la testa di Kili; lo fece con estrema delicatezza e il ferito non percepì alcun movimento sotto di sé.
May aveva un motivo in più rispetto agli altri di temere lo scorrere del tempo: il crudele Bolg e gli altri orchi superstiti erano sulle loro tracce, e lei sapeva che sarebbero sopraggiunti da un minuto all’altro. Non aveva idea di come avrebbero fatto due Nani disarmati, due ragazzine e una donna a respingerne l’attacco – non era proprio così che andava la storia “originale” da lei amata – ma poi considerò che questa era, assurdamente, una faccenda secondaria in confronto all’imminente arrivo del drago, il cui unico scopo era quello di ridurre l’ignara Città in cenere. Di Tauriel non vi era traccia e chissà se sarebbe mai giunta. Ora che la speranza di un intervento elfico andava affievolendosi, c’era da augurarsi che Oin fosse davvero capace di guarire Kili con le sue sole mani; non le restava che affidarsi a lui.

La porta si spalancò e si richiuse in fretta, facendola sobbalzare: Bain era rientrato, trafelato. Aveva fatto una corsa fino a casa e rispose alle insistenti domande delle sorelle solo dopo aver ripreso fiato. Raccontò che le guardie cittadine avevano inseguito lui e suo padre per un lungo tratto di strada e che, ad un certo punto, Bard gli aveva ordinato di fuggire. Così i due si erano separati.
“Vogliono catturare il mio pà?!”, piagnucolò Tilda.
Le notizie riportate da Bain confermarono i sospetti di May: il chiattaiolo sarebbe stato presto arrestato per puro capriccio del Governatore. Com’era da aspettarsi, le cose stavano andando di male in peggio. La fanciulla aprì la bocca con l’intenzione di spendere qualche parola per rassicurare Tilda, ma un rumore di passi pesanti e frettolosi proveniente dall’alto la raggelò. Gli occhi di tutti si volsero in su e, improvvisamente, due orchi fecero irruzione in casa: uno sfondò il fragile tetto atterrando su una cassapanca, e l’altro passò dall’ingresso principale. Oin lanciò addosso a quest’ultimo tazze, bicchieri e tutto ciò che aveva sotto mano; Bain, invece, sollevò uno dei tavolini scaraventandolo contro l’orco caduto dal soffitto, mentre Bofur si gettava su un terzo e nuovo arrivato che stava per attaccare Tilda. Poco dopo ne giunsero altri due. Non appena May riuscì a riaversi dallo spavento quel tanto che bastava per muoversi, spinse le ragazzine al riparo sotto il grande tavolo di legno, dopodiché sfoderò dall’elsa appesa alla larga cintura un lungo pugnale scelto dall’armeria: un dono del primo cittadino, lo stesso che ora stava trascinando dietro le sbarre l’unico abitante meritevole di Pontelagolungo. Nel frattempo, un orco aveva sorpreso la donna alle spalle e la sua lama sarebbe penetrata nella schiena della poveretta, se Bofur non lo avesse fermato spaccandogli due piatti in testa. In quel mentre, Tilda strillò con tutta la forza che aveva in corpo e May si tuffò immediatamente sotto il tavolo, affondando il pugnale nel dorso della lurida mano che cercava di afferrare Sigrid. Il nemico si ritrasse con un grido stridulo, per poi cadere a terra morto: Oin gli aveva tagliato il collo servendosi di un largo coltello da cucina. Si erano liberati di un avversario, ma molti altri li stavano circondando. Troppi per loro. Ad un tratto, un altro grido sovrastò il tumulto e a May si ghiacciò il sangue, poiché aveva riconosciuto la voce di Kili. Strisciando sotto l’unica panca rimasta in piedi, ella vide un orco più ripugnante degli altri afferrare il Nano per la gamba ferita, tirandolo giù dal letto; era piombato dal buco nel soffitto e, adocchiata una preda tutta sola, era partito all’attacco. Kili cadde sul pavimento con un gemito e in quel preciso momento una freccia sibilò nell’aria saettando verso l’orco, che stava per conficcare il pugnale nel cuore del giovane. Quell’orco altri non era che Bolg, figlio di Azog: aveva già tentato di uccidere Kili al Fiume Selva. La feroce creatura alzò la testa e si accorse dell’arrivo di un nuovo nemico, stavolta armato; esitò, e la freccia elfica s’immerse fulminea nel suo collo prima che la sudicia lama sfiorasse il petto del Nano.
“Legolas!” esclamò May con un filo di voce, rincuorata alla vista di quella figura agile e scattante che falciava orchi a destra e sinistra. Non poté fare a meno di domandarsi come mai il Principe di Bosco Atro fosse giunto fin lì da solo e senza rinforzi; di Tauriel, o di altri Elfi guerrieri, non vi era l’ombra. La storia che lei conosceva si stava rivelando diversa sotto svariati aspetti e questo era un pensiero che, per qualche curiosa ragione, la incoraggiava. In fin dei conti, che senso aveva porsi tante domande? Legolas aveva abbattuto colui che per ben due volte aveva cercato di abbattere il suo fratellino, e che ci avrebbe riprovato ancora in futuro, se la freccia elfica non fosse andata a segno. Questo le bastò, giacché stava a significare una cosa soltanto: se Kili era destinato a perire a Collecorvo, almeno non sarebbe caduto per mano di Bolg.
Prese coraggio e, stringendo la sua piccola arma nel pugno, approfittò dello scompiglio creato dall’inattesa apparizione dell’Elfo per sgusciare da sotto il sedile in legno. Corse in aiuto di Kili, piegato in due sul pavimento; con un balzo fu ai piedi del letto e si chinò su di lui.

“May!” gridò Bofur, estraendo il coltello dalla gola di un orco.

Una grossa mano dalle unghie affilate come artigli aveva afferrato la fanciulla per i capelli. Il pugnale scivolò dalle esili dita per cadere al suolo, ma Kili lo raccolse prontamente e con immenso sforzo si sollevò, facendo leva sul ginocchio sano per piantare l’arma nelle viscere dell’orco, impedendo così che l’amica venisse decapitata. Un istante dopo, una freccia affondò nel collo dell’orrendo essere, che tuttavia era già morto. May, stravolta dal terrore, recuperò Kili – boccheggiante – da terra e lo adagiò sul lato del letto ancora intatto aiutata da Bain, che nel frattempo aveva abbandonato il suo rifugio sicuro nel ripostiglio dietro l’armadio, dove si era nascosto assieme alle sorelle dopo l'arrivo dell'Elfo.
“Li avete uccisi tutti!” proruppe il ragazzo, visibilmente impressionato.
I pochi orchi rimasti erano stati sterminati senza difficoltà da Legolas, Bofur ed Oin; gli altri avevano pensato bene di darsi alla fuga. Di colpo, un silenzio tombale piombò sulla casa come l’ombra di un infausto presagio. Intanto, Kili aveva ripreso a gridare dal dolore, contorcendosi sopra il lenzuolo intriso di sudore.
“Forza, fratellino! Tu devi combattere!” mormorò May tra i singhiozzi, curva sul volto esangue e contratto di lui. “Dov’è la Foglia di Re?!” gridò agli altri, preda di un’improvvisa rabbia resa ancor più mordace dalla disperazione, “non vedete che sta morendo?!”.
Sconvolto, Bofur si precipitò al capezzale del malato, mentre Oin si guardava intorno con angoscia senza riuscire a scorgere l’erba medicinale in mezzo a tanto disordine. Sigrid, finalmente sbucata dal suo nascondiglio, gli diede una mano e insieme frugarono disperatamente in ogni dove calpestando carcasse di orchi, noncuranti del sangue dall’odore nauseabondo che tingeva di un abominevole rosso scuro le loro mani. Tilda, inorridita alla vista di quello spettacolo terrificante, si rannicchiò in un angolo stringendo tra le braccia una delle sue vecchie bambole, ripescata da un cesto in vimini nello sgabuzzino.
Athelas!” sussurrò all’improvviso Legolas, chinandosi a raccogliere un mazzetto d’erba dalle foglie sottili incastrato sotto una sedia rovesciata. Osservò con curiosità quel piccolo fascio che reggeva in mano e le sue labbra si curvarono lievemente verso l’alto. May, che si era voltata verso di lui sentendolo pronunciare la parola del linguaggio Sindarin corrispondente alla Foglia di Re, colse in quel sorriso accennato la dolce sorpresa e il nostalgico piacere di chi, vagando in terra straniera, s’imbatte in qualcosa di familiare che evoca il ricordo del proprio paese lontano.
“Tu!”, esclamò May come colpita da un fulmine, “tu puoi farlo!”.
Oin e Bofur sussultarono all’unisono; stentavano a riconoscere la compagna con cui avevano condiviso pene e vittorie negli ultimi mesi. Non era la nuova spada e neppure il nuovo abbigliamento a renderla diversa: quella piccola donna sembrava meno insicura e più saggia. L’amore l’aveva resa più vulnerabile e, al tempo stesso, più coraggiosa di quanto non fosse mai stata.
“Tu…”, ripeté lei, “tu puoi salvare Kili!” concluse con voce tremula, puntando lo sguardo implorante su Legolas. “Lui mi ha salvato la vita più volte ed ora che intendo ricambiare non ne sono in grado. Ti prego di farlo al mio posto: guariscilo!”.
L’Elfo non disse nulla. Distolse gli occhi imperturbabili da quelli supplichevoli della fanciulla e, senza neppure degnare Kili di un’occhiata, si guardò rapidamente attorno; allungò la mano per prendere da un ripiano una ciotola vuota e la posò sul banco della cucina, usando le dita per spezzettarvi dentro la Foglia di Re in assoluto silenzio. Pareva concentrato. May tacque: si sentiva sospesa tra la speranza e il timore.
“Spostatelo da lì!” intimò freddamente Legolas ai Nani, senza alzare il capo dalla scodella.
Kili fu subito sollevato dal letto semidistrutto e sistemato su un tavolo di legno, che Sigrid aveva sollecitamente rimesso in piedi. Le forze erano in procinto di abbandonare il corpo del giovane, il quale aveva smesso di agitarsi; adesso fissava con occhi vacui e incolori la sua sorellina terrorizzata che, china su di lui, gli teneva la mano sforzandosi di sorridere.
“Tenetelo giù!”, ordinò l’Elfo. Tutti si affrettarono ad obbedire: Bain si collocò seduta stante ad un’estremità del tavolo tenendo Kili per le spalle, aiutato da Sigrid e persino da Tilda, che aveva lasciato la sua bambola per affiancare i fratelli. I due Nani si piazzarono invece ai lati del malato.
“E’ mio dovere precisare che non sono un guaritore”, li avvertì Legolas avvicinandosi con la ciotola in mano, “tuttavia farò quello che posso”.
Bofur si scambiò un’occhiata perplessa con Oin, ma non proferì parola alcuna; si rendeva conto che manifestare apertamente la propria diffidenza sarebbe stato fuori luogo, dato che quell’Elfo rappresentava l’unica possibilità di salvezza per Kili. Quando Legolas strofinò l’impasto ricavato dalla Foglia di Re sulla ferita, il Nano lanciò un grido acuto e scalciò, dimenandosi violentemente con tutte le energie che gli erano rimaste. Fecero fatica a tenerlo fermo, malgrado fossero in cinque. Frattanto, May stringeva forte la mano dell’amico nella sua e ascoltava appena le parole in Lingua Elfica che il Principe di Bosco Atro recitava ad alta voce, con ambedue le mani posate sul ginocchio di Kili.
“Devi resistere, fratellino!” bisbigliò dolcemente la donna, carezzando la fronte sudata e scottante di lui. “Presto varcheremo la porta di Erebor e riabbracceremo il nostro amato Fili, che ci attende con impazienza… Saremo a casa! Finalmente percorreremo insieme i vasti saloni dell’antico reame, tra colonne tempestate di gemme ed imponenti scalinate in pietra lucida… Mi perderò là dentro, un’infinità di volte, e tu mi verrai sempre a cercare per ricordarmi che sono un disastro! Ci pensi, fratellino? Tu e Fili mi racconterete tutte le storie che parlano della Montagna Solitaria, le stesse che vostro zio vi narrava quando eravate piccoli… E poi tu…”.
Il nodo alla gola cresceva ad ogni parola e May lottò per trattenere il pianto.
“Tu…”, proseguì infine con voce soffocata dai singhiozzi, “mi prenderai in giro perché… Perché non so parlare il Khuzdul e faccio fatica ad apprenderlo… E il giorno in cui sposerò tuo fratello vedrai Thorin suonare la sua arpa dorata per noi… Mi trascinerai a ballare e, sorridendo felice, mi dirai ancora una volta: benvenuta in famiglia, sorellina!”.
Una lacrima fuggì dalle nere ciglia di May per posarsi sulla guancia pallida di Kili: una semplice, minuscola goccia che racchiudeva in sé l’infinita tenerezza di un sentimento d’amicizia puro come un torrente di montagna e solido come il Mithril. Fu allora che il Nano smise a poco a poco di divincolarsi; il respiro si fece lento e regolare. Tutti, ad eccezione di Legolas, trattennero il fiato.
“Non può essere lui… Lui è… Molto lontano…”, disse Kili in un lieve sussurro stanco. Gli occhi socchiusi, fissi su un punto del soffitto, tremolarono e si chiusero di nuovo; era stremato.
Bofur ed Oin (quest’ultimo col suo immancabile cornetto acustico posizionato nell’orecchio) lo guardarono per metà sollevati e per metà confusi: di chi stava parlando? Chi era lontano? Probabilmente, quel povero ragazzo era vittima di un’allucinazione. Dal canto suo, May non si affannò a cercare il senso di quelle strane parole; si voltò invece verso Legolas, che fasciava la gamba del ferito, interrogandolo ansiosamente con lo sguardo.
“Si riprenderà”, sentenziò brevemente il Principe elfico con voce cristallina e distaccata, ricambiando appena l’occhiata di lei. Divisa fra la gioia e l’incredulità, incapace di controllarsi ulteriormente, May diede libero sfogo alle lacrime. Sfiorò la fronte di Kili con un bacio e in quell’istante lui riaprì gli occhi: erano tornati limpidi e vivaci.
“Sorellina, perché piangi?” domandò, voltando lentamente il capo verso di lei sopra il cuscino di noci.
“Perché mi mancano le tue canzonature” replicò May, sorridendo nel modo scaltro ed infantile che piaceva a lui. Kili le restituì il sorriso stringendole la mano, prima di abbassare le palpebre e cadere in un sonno pacifico e profondo.

Chissà chi era il “lui” della visione… Una figura familiare eppur fisicamente distante, stando ai sussurri del Nano. “Probabilmente si tratta di Fili”, disse May tra sé e sé, senza rimuginarci troppo sopra; non era il caso di dare peso ai vaneggiamenti di un guerriero che era stato ad un passo dalla morte, pronto ad oltrepassare i confini del mondo dei viventi per raggiungere le aule di Mandos nelle Terre Immortali, sempre che alle anime dei Nani fosse concesso di attendere lì il loro fato, come avveniva per gli Elfi.
Ma si era davvero trattato dell’effetto di una febbre delirante? May non ci avrebbe scommesso. La sensazione che dietro il sogno di Kili si celasse un’enigmatica verità non l’abbandonò per tutta la sera.













 
Nota dell'autrice:

Rieccomi da voi, recensori e amici affezionati! Siete sempre più numerosi e non potrei esserne più felice!
Col capitolo 17 si chiude il film “Lo Hobbit - La Desolazione di Smaug”. Alcuni di voi si staranno chiedendo come mai ho scelto Legolas per guarire Kili, dunque ritengo doveroso spiegarvi le mie motivazioni: per quel che mi riguarda non disdegno il personaggio di Tauriel, ma in tutta onestà trovo che la sua presenza stoni un po’ nel contesto originale della storia, per quanto l’amore nascente tra lei e Kili possa risultare interessante (e, ahimé, non è questo il mio caso).
Dunque, ho deciso di citare l’Elfa guerriera (capitolo 12) e fare in modo che “esistesse” nella mia opera, semplicemente perché May ripercorre le varie tappe della sua trilogia preferita; se nel film c’è Tauriel, ho pensato che fosse coerente lasciarla. Ma non me la sono sentita di attribuirle un ruolo rilevante e/o pari a quello assegnatole da Peter Jackson: da grande amante di Tolkien quale sono, ho preferito mantenermi il più fedele possibile al racconto originale e, benché nel libro “Lo Hobbit” non compaia neppure Legolas, per lo meno ho fatto in modo che Kili fosse guarito da un personaggio creato dal Professore, in segno di profondo rispetto nei suoi riguardi.
Sono pronta a scommettere che molti di voi non approveranno la mia scelta, ragion per cui mi scuso con tutti i fans di Tauriel: non era mia intenzione deludervi, tuttavia confido nella vostra comprensione. In fondo, questa è la mia storia e ho voluto concedere ampio spazio a ciò che la fantasia e la passione mi suggerivano.


Ed ora veniamo alla notizia vera e propria: la mia “avventura” su EFP si conclude qui, almeno per il momento. Ma niente “musi lunghi”, visto che non ho alcuna intenzione di sparire! :D Ho, infatti, ben altri progetti per voi!
Sono lieta di annunciarvi che ho creato un sito web dedicato alla mia piccola opera, che non mi aspettavo riscuotesse tanto successo tra gli appassionati del genere. Mi avete fatto dono di ben 300 recensioni, grazie alle quali avete fatto entrare la mia storia nella classifica delle 40 fanfiction più popolari della categoria del sito! Per non parlare del numero strabiliante di visualizzazioni, non meno importanti delle recensioni stesse, dal momento che sono in molti a leggere senza lasciare commenti (una scelta che tra l’altro comprendo e rispetto). Cosa potrei desiderare di più? Avervi come ospiti in un sito tutto mio!
Tutti coloro che sono interessati a leggere il seguito del mio racconto, potranno seguirmi qui:

www.storiedaerebor.it

Chi vorrà continuare a recensire – sempre dal prossimo capitolo che uscirà a fine Dicembre - potrà farlo iscrivendosi al sito, per poi fare il login e lasciare il suo commento. Attualmente il sito risulta in costruzione, sarà ufficialmente attivo da domenica 5 Novembre. Per ragioni di tempo pubblicherò ogni 8 settimane, salvo imprevisti.
Vi aspetto in “Storie da Erebor” numerosi e frizzanti, proprio come lo siete qui!
Vi abbraccio forte, lettori e amici! Grazie del vostro prezioso supporto, del vostro entusiasmo e della vostra stima incondizionata! Senza di voi, non sarei arrivata tanto lontano! Siete MERAVIGLIOSI, dal primo all’ultimo! Grazie di TUTTO!

Claudia




 

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