Di nuovo insieme

di Lory221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inverno ***
Capitolo 2: *** Primavera ***
Capitolo 3: *** Estate ***
Capitolo 4: *** Autunno ***



Capitolo 1
*** Inverno ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento

Angolo autrice:
Primo di quattro capitoli dedicati alle quattro stagioni e a quattro diversi sentimenti. Iniziamo con inverno e malinconia, poi arriveranno stagioni più “allegre”.  Ho deciso praticamente di riformulare alcuni pensieri post quarta stagione, già presenti in due mie os, in modo da dargli più consistenza e un happy ending.
Spero vi piaccia e grazie a chi leggerà, un abbraccio!


Inverno


La neve sta cadendo soffice, imbiancando i tetti della mia Baker Street ed io sono come ipnotizzato dal lento e perfetto scendere dei fiocchi.

Mi avvicino alla finestra, rapito da quella danza che mi appare davanti. C’è tanto silenzio e sembra che la neve stia inscenando un numero di ballo soltanto per me, che osservo pensieroso.

E’ sicuramente l’ultima nevicata dell’anno, la primavera si sta avvicinando con tutti i suoi colori e i suoi profumi e soprattutto il suo clima mite, è l’ultima sferzata dell’inverno. Questo clima così silenzioso, questo momento come perso nel tempo, come se improvvisamente l’appartamento fosse stato chiuso dentro una palla di vetro, mi riporta malinconicamente ad un inverno di tanti anni prima, quando complice qualche bicchiere di brandy di troppo, avevo insegnato a John a ballare il valzer, con soltanto la luce del camino ad illuminare le nostre sagome e i nostri volti.

« Ma sta nevicando? »

Avevo quasi dimenticato che John era salito nella sua vecchia camera, credo in un attacco di nostalgia o forse solo per recuperare le cose che non aveva mai avuto la forza di portare via dal 221B.

John e la piccola Rosie vengono a trovarmi sempre più spesso, soprattutto quando si tratta di ascoltare i clienti o di risolvere i casi stando comodamente seduti in poltrona. A dir la verità, noi stiamo comodamente seduti in poltrona, mentre la piccola Watson, degna figlia di John e Mary, gattona per l’appartamento giocando con tutto quello che le capita a tiro. Ho dovuto nascondere buona parte delle mie cose per evitare che si facesse male, rimpiazzati con peluche, palline e pupazzetti.

Fa male quando i Watson vanno via; ogni volta mi ritrovo da solo, a fissare la mia figura nello specchio, circondato dai giocattoli lasciati a terra e da quel leggero profumo di dopobarba che John non ha mai cambiato, anche dopo tanti anni.

« Nevica, incredibile » ripete John sconsolato, avvicinandosi anche lui alla finestra e per un attimo mi sembra di scorgere uno sguardo malinconico diretto verso di me. E’ questione di un secondo, non sono sicuro sia successo davvero, forse voglio soltanto che mi guardi come faceva una volta, quando eravamo soltanto noi due senza tutte le cicatrici che ci portiamo addosso.

«Potreste restare qui, stanotte » Mi trovo a dire senza avere il tempo di riflettere seriamente su quello che sto proponendo «Solo finché non smette di nevicare, non credo che troverete un taxi con questa bufera » aggiungo, mentre la piccola Rosie fa dei versi dal seggiolone che sembrano confermare che la mia è una buona idea.

John sussulta per un attimo, mi guarda alla ricerca di una risposta e poi ritorna a contemplare la danza della neve. Mi piacerebbe poter dire di aver finalmente compreso tutte le sfumature dei sentimenti, che tutto quello che mi è accaduto mi abbia reso “più umano”, ma sono ancora in balia di situazioni che non comprendo. No, forse non mi piacerebbe poter dire questo, almeno non sempre; a volte mi manca filtrare tutto esclusivamente con la logica e la ragione. In ogni caso, la reazione di John mi lascia confuso, soppesa la cosa come se non gli andasse di restare nel nostro vecchio appartamento e non ne capisco del tutto la ragione. Credevo che ormai le cose tra noi fossero sistemate e superate, che fossimo di nuovo il detective con il cappello e il dottore che non è mai tornato dalla guerra, o almeno che questo valesse per lui.

Il silenzio galleggia ancora, pesantemente, nell’appartamento finché John non sussurra un “va bene”, quasi rassegnato,  prima di sparire in cucina per preparare la cena.

Il leggero zoppicare di John, il rumore di piatti e pentole, l’acqua che bolle sul fuoco, sono tutti rumori che sanno di casa e di qualcosa che non c’è più da troppo tempo. Sento l’immediato bisogno di coprirli con qualcosa che mi rilassi e mi porti distante, almeno per un attimo. Non me ne rendo nemmeno conto quando prendo in mano il violino e inizio a suonare una composizione molto malinconia, qualcosa che rappresenta perfettamente il mio attuale stato d’animo, come irrimediabilmente spezzato.

Credevo di aver superato tutto, invece sono qui a lottare per rimettere insieme il mio mondo in frantumi.

« Smettila, per favore »

Quella frase, così perentoria, mi lascia senza fiato. Le mie dita tremano leggermente sull’archetto mentre mi volto, solo per notare lo sguardo triste di John, altro dettaglio che non capisco. Mi sembra sempre che il fantasma di Mary aleggi tra noi; mi ha confessato di averla vista, in un certo senso, per molto tempo, almeno fino a due mesi fa, quando si è deciso a confessare tutto quello che avrebbe voluto dirle in vita.

« Qualcosa non va? » chiedo.

« Stai suonando il valzer del matrimonio, Sherlock! »

Lo guardo stranito « No, John. E’ un valzer ma non è quello »

« Beh è molto simile, per favore suona qualcos’altro »

Mi guardo riflesso nel vetro della finestra e noto un sorriso triste prendere forma sul mio viso. Ho scritto il valzer per il matrimonio con estrema fatica e solo adesso mi rendo conto che non rappresentava l’amore tra John e Mary ma la mia visione dell’evento, la tristezza che mi ha accompagnato per tutta la cerimonia e ciliegina sulla torta, John nemmeno  ricorda la melodia, al punto da confonderla con un’altra.

Appoggio il violino e torno nuovamente a fissare fuori dalla finestra, “It is what it is” mi riaffiora alla mente e alla fine capisco che è questo quello che abbiamo e me lo devo far andare bene così com’è.

Sono talmente preso dai miei pensieri che non mi accorgo nemmeno che John è arrivato alle mie spalle, posso vedere il suo sguardo, malinconico quanto il mio, riflesso nel vetro della finestra.

« Scusami, Sherlock »

« Per cosa? »

« Per tutto. Mi sono reso conto di non averti mai chiesto scusa per averti accusato della morte di Mary, per averti picchiato in obitorio… » la frase resta in sospeso, inconclusa, mentre il respiro di John accelera leggermente. Mi volto, solo per dimostrargli che non c’è biasimo né rancore, non ne ho mai avuto per lui. Ho sempre saputo di non meritarmi la sua amicizia e ho sempre temuto che avrei fatto qualcosa che l’avrebbe rovinata, invece lui è ancora qui, nonostante tutto.

« Non c’è bisogno che ti scusi, non funziona così tra noi » rispondo serio, senza traccia di dubbio nelle mie parole e nel mio sguardo.

« Ti sei scusato più volte quando sei tornato dalla morte, per te le regole valgono diversamente? » chiede sarcastico e poi resta in silenzio, un’altra pausa. Continua a ricordarmi del salto dal tetto, anche in momenti in cui non ci sarebbe il motivo e mi chiedo se l’abbia effettivamente superato del tutto.

« Beh, era un po’ diverso. Dopo due anni le scuse erano d’obbligo » rispondo, accennando un leggero sorriso che sembra rallegrare anche il mio dottore.

John ha una vasta gamma di sorrisi, alcuni più luminosi di altri. Ha un sorriso di cortesia, non falso ma semplicemente educato. Ha un sorriso allegro, quando qualcuno dice una battuta o scherza. Ha un sorriso perfino per quando è arrabbiato, quando trattiene tutta la furia dietro ad un sorriso tirato, reso ancora più glaciale dallo sguardo. Ha un sorriso particolare che rivolge soltanto alla piccola Rosie, quello di un padre felice e orgoglioso e aveva un sorriso che riservava soltanto a me e non l’ho più visto dalla sfortunata avventura che ci ha portato da Charles Augustus Magnussen, se non forse per un attimo, l’ultima volta che ho indossato il cappello per lui.

Eppure, forse è stato soltanto per un secondo, o forse lo voglio talmente tanto che la mia vista è stata ingannata dai miei desideri, ma mi è sembrato di veder riaffiorare in lui quel sorriso luminoso, pensato solamente per me.

« In dispensa avevi solo del riso, dovremo cenare con quello » cambia argomento, come trattenendosi, come se avesse voluto dire altro ma alla fine avesse optato per quella frase « Fortunatamente ho qualche omogeneizzato per Rosie »

« Perfetto, John » rispondo calorosamente, mentre si volta e ritorna in cucina, lasciandomi in mezzo al salotto alla ricerca di risposte a domande che non oso fare.

Qualche ora dopo, quando finalmente Rosie è crollata dal sonno e siamo riusciti a portarla al piano di sopra, ci ritroviamo stranamente rilassati in poltrona, come se il calore del camino stesse sciogliendo il gelo palpabile fino a qualche secondo prima.

John mi sembra distante a volte, soprattutto quando è qui, a Baker Street. Quando il gioco inizia e il campo di battaglia è pronto, ritorna il vecchio Watson leale compagno di avventure, ma quando rimaniamo da soli, sento sempre il peso di qualcosa che resta in sospeso tra noi. A volte vorrei poter soltanto dire qualcosa di stupido che spezzi la tensione, ma negli ultimi tempi mi sembra quasi difficile.

« La signora Hudson sarà felice di preparare la colazione per tre domani mattina » commento, prendendo un sorso del tè preparato con cura da John.

« Felice mi sembra eccessivo, l’ho sentita gridare che non solo non è la nostra governante ma nemmeno la babysitter » scherza, quasi divertito.

«Eppure le fa piacere occuparsi di Rosie »

Bevo un altro sorso di tè, cercando di non perdermi nell’illusione di John nuovamente in Baker Street, immersi nella nostra routine. Niente sa più di noi due che essere seduti nelle nostre poltrone, davanti al caminetto con una tazza di tè in mano. Eppure, a volte, ho la sensazione che non abbiamo mai parlato davvero di cose personali; tante volte ho sperato accadesse come nel mio palazzo mentale, solo noi due, da uomo a uomo, ma sono sempre stato il primo a evitare questo genere di conversazioni e di certo non le ho mai incoraggiate.  
« Sai, delle volte sono nel mio appartamento, circondato da mobili che mi rendo conto di non aver scelto io ma che piacevano a Mary e mi sento come un estraneo a casa mia » mi confessa ad un tratto, probabilmente il suo sguardo aveva vagato in giro per il 221B ed era arrivato a questa particolare conclusione.

« Potresti prendere altri mobili »

«Anche qui non ho scelto niente, erano tutti mobili della signora Hudson, ma non ho mai avuto questa sensazione » Continua con il suo pensiero, come se la mia interruzione non ci fosse mai stata e in fin dei conti, credo non stia parlando davvero di mobili.

« Cosa intendi? »

« Non lo so, onestamente »  mi confida e per un attimo mi regala davvero il sorriso di John Watson, migliore amico, coinquilino, blogger.
Questo strano discorso mi aiuta comunque a prendere coscienza di qualcosa che forse avrei dovuto capire prima: Baker Street era un porto sicuro per John, il luogo dove aveva messo da parte l’insoddisfazione di essere tornato dalla guerra per abituarsi alla vita civile,  dove, spero, si sentisse a casa e poi rapidamente è diventato un luogo tetro, dove aleggiava ancora il mio spirito, dove Mary ha confessato di avergli mentito, dove era così difficile tornare per ammettere che alla fine, anche lui era umano.

« E’ per questo che non ti piace stare qui? Ti senti in colpa verso… i tuoi mobili? »

John sorride di nuovo, anzi accenna quasi ad una risata « In un certo senso »

Restiamo qualche minuto in silenzio, prima che John si sieda sul bordo della poltrona e protenda la schiena verso di me, come per avvicinarsi e per dirmi qualcosa di intimo forse, sicuramente qualcosa di importante che non poteva pronunciare nella posizione rilassata in cui si trovava.

« E’ un nuovo inizio, Sherlock? »

« Uno dei tanti »

« Non dire così, non credo di poter reggere il dovermi reinventare di nuovo, ancora una volta »

Capisco davvero cosa voglia dire, ho dovuto reinventarmi più volte negli ultimi anni, cercando sempre di accettare le cose come venivano.

Mi porto anch’io sul bordo della poltrona e allungo  una mano, tremante, in modo da poter prima sfiorare con le dita la mano di John, col desiderio di prenderla, come a infondergli un qualche coraggio, una rassicurazione sul futuro. Sembra sciocco ma sono davvero preoccupato che all’ultimo la sposti, che mi dica che non posso in alcun modo promettergli niente, che ho già fallito in passato; invece non si muove e attende che la mia mano si chiuda sulla sua.

E’ un nuovo inizio e presto sarà primavera.

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Capitolo 2
*** Primavera ***



Primavera


Il suono di una risata e una leggera brezza, quel tanto che basta per scompigliarti i capelli e spostare qualche ciuffo lontano dagli occhi.

Ti guardo ma non so esattamente cosa sto vedendo, come dici sempre tu:  “guardo ma non osservo”.

C’è un Sole tiepido oggi, ma già si avverte l’aria di cambiamento, della nuova stagione che prepotentemente vuole occupare il posto del gelido inverno e riempire di suoni e colori le nostre vite.

Non ti ho mai detto quanto amo il tuo sorriso. Esce così raramente, forse solo per me, forse non ci ho mai pensato davvero, eppure eccolo lì, ogni volta che volgi lo sguardo verso il tuo blogger.

C’è un nuovo profumo nell’aria, che stia già spuntando qualche fiore?  Mi sembra di attendere questa primavera da sempre. E’ così raro, noi due a passeggiare per Londra senza un caso, senza fretta, senza una meta, con il solo scopo di approfittare del tepore che ha sostituito la pioggia, per dare finalmente a Rosie la possibilità di uscire a respirare l’aria di aprile.

Ma è solo una scusa, no? L’hai notato anche tu che il “Potete fermarvi a dormire qui per una notte” sta diventando un’abitudine. “E’ tardi… sei stanco…Rosie si è addormentata, perché svegliarla? Restate qui. Potresti lasciare qualche vestito per quando vi fermate… ho trovato dei maglioni che avevi lasciato nell’appartamento” Ormai non dobbiamo nemmeno più usare pretesti, Baker Street sta tornando ad essere casa mia, solo non sono sicuro di dove ci stia portando tutto questo.

Nascondi le mani nel cappotto aperto, fa caldo ma hai comunque il bavero alzato. La mia regina del melodramma, il mio bello e misterioso, il mio posh boy. In quanti assurdi modi ti ho chiamato?

Sei stranamente silenzioso, ogni tanto mi accorgo che sbirci da sopra il bavero;  forse stai cercando di capirmi ma lo so che per te è difficile, potresti dedurre quello che uno sconosciuto incontrato per strada ha mangiato la sera prima ma non sarai mai in grado di capire cosa si nasconde e si agita dentro di me, non finché non riuscirò ad accettalo io per primo.

« Vuoi che andiamo a Regent’s park? Rosie potrà guardare i cigni » mi chiedi ad un tratto, con una voce di un’ottava più alta del solito. Che anche l’irreprensibile Sherlock Holmes senta lo sbocciare di qualcosa?

Arriviamo al parco e la temperatura è quasi anomala per il periodo, sento sempre più tepore, ma forse non è soltanto una questione atmosferica. Ci sono molte persone sedute sulle panchine o sulle sdraio, tanti turisti incantati dai nostri giardini e dalla maestosità dei nostri salici piangenti. Non avevo mai apprezzato quanto potesse essere rilassante passeggiare nel parco e quanto sia affascinante il lento, impercettibile movimento del laghetto, sferzato da questa brezza primaverile.

E’ buffo come uno possa vivere tanto tempo in una città e non si soffermi su tanti dettagli, così come è strano vivere per anni con una persona e pensare costantemente di non conoscerla davvero.

Conosci un tizio, affascinante ma completamente pazzo. E’ brusco, arrogante, viziato, si autoproclama sociopatico iperattivo, consulente investigativo, macchina senza cuore, eppure negli anni scopri che non è così come ti aveva fatto intendere, che un cuore lo ha ma è ben nascosto da tutti, perché ha troppa paura di essere ferito.  Scopri che è pronto ad ogni sacrificio per le persone a cui tiene.
Per me, John Watson… e questo cosa mi dice del tuo cuore?

« Hai uno sguardo strano » affermi, passandomi la mano davanti alla faccia. Probabilmente avevo l’espressione di uno che ti fissava imbambolato (o incantato?).

« Lo sai, sono più lento di te a elaborare le cose »

« Di cosa stiamo parlando? » mi chiedi, ma ho l’impressione che tu conosca la risposta. Lo vedo da come tremi leggermente, da tutta la tua postura rigida (Preoccupato? Terrorizzato?), come se stessi per spezzarti da un momento all’altro, eppure hai resistito a così tanti colpi e ti sei sempre rialzato, perché temi così tanto quello che potrei dire?

« Mi sono trasferito a Baker Street? »

Vedo che deglutisci come se avessi un groppo fermo in gola e sposti lo sguardo lontano da me, verso una coppia di cigni che nuota verso il ponticello in legno. Era in un documentario della BBC che raccontavano come i cigni restassero assieme per la vita e quando uno moriva anche l’altro si lasciava morire per il dolore?

Siamo forse come una coppia di cigni Sherlock? Mi piacerebbe davvero chiederti questo, ma vedo che stai ancora riflettendo su tutte le possibili implicazioni di una stupida domanda come “mi sono trasferito a Baker Street?”

« Sherlock, smettila di pensare. O è sì o è no »

« Dovresti saperlo da te » rispondi leggermente sconvolto dalla rudezza delle mie parole.

« A volte sei esasperante. Tutto qui »

Mi guardi offeso, non ti è chiaro perché stiamo litigando ma io lo so, troppi sentimenti repressi alla fine esplodono.

Continui a fissarmi perplesso, quei tuoi occhi chiari che mescolano i colori del cielo con quelli del lago potrebbero lasciarmi senza fiato, ma ormai siamo in ballo e a questo punto voglio ballare.

« Sono tornato a vivere a Baker Street » confermo, rispondendo alla mia stessa domanda

Non dici niente ma sorridi e io mi calmo ogni volta, quando il tuo sguardo sfuggente si rilassa e la bocca si apre in un meraviglioso sorriso che sembra trasformarti in un’altra persona. Come vorrei che tutti ti conoscessero e ti vedessero come ti conosco e vedo io, l’uomo oltre il mito.

Mi importa come sei realmente, non mi interessa le sciocchezze della cronaca giornalistica e rido ogni volta che mi accusi di dipingerti come un eroe. Per me lo sei, mi hai salvato in tutti i modi possibili.

Al contempo, però, vorrei tenerti solo per me, lontano da tutto, in un mondo creato solo per noi, senza ingerenze esterne, senza il pazzo di turno che sembra aspettare soltanto di poterci rovinare la vita.

Che io stia finalmente accettando quello che temevo da tempo? Sono innamorato di Sherlock Holmes?

« Sì, John » mormori, lasciandomi sbigottito ed io capisco soltanto qualche secondo dopo che non mi hai letto nel pensiero ma stai rispondendo alla mia domanda, sono tornato a vivere a Baker Street.

« Questo cosa significa per te? » chiedo, perché finalmente vorrei chiarezza, io che per primo mi sto nascondendo in attesa di una tua mossa. Sono solo l’ordinario John Watson che non ha il coraggio di rischiare tutto se stesso perché ha troppa paura di stare male. Ho sofferto troppo, un rifiuto mi manderebbe in pezzi.

« Significa che siamo pronti per quel nuovo inizio di cui parlavamo, John. Fino ad ora abbiamo solo cercato di non frantumarci a vicenda » rispondi, facendomi capire che sei sempre un passo avanti a me, come se ci fossero dei dubbi.

« Quando Sherlock Holmes è diventato così saggio? »

« Non lo sono, ci provo. Sei tu la mia guida, io cerco solo di fare del mio meglio »

Mi congeli su quella panchina, sento che potrei scoppiare a piangere, ancora, di nuovo e tu mi abbracceresti, forse senza capire, confondendo il mio dolore per essere così inadeguato con quello per le perdite subite. Alla fine la smetto di essere quella persona che non riconosco più, l’uomo che si nasconde dietro un risentimento ormai morto, piuttosto che affrontare i suoi demoni e allungo una mano verso di te per stringerla dolcemente fino ad intrecciare le dita. Se parlassimo, sarebbe tutto più facile, ma perché essere così banali? Non lo siamo mai, vero?

Sei nervoso, le mani tremano, cerchi con lo sguardo una via di fuga, lo vuoi ma al contempo non credi di farcela. Ti conosco Sherlock Holmes ma sta volta non ti permetterò di gettarti nel vuoto senza di me. Ho paura quanto te, ma sono qui.

Stai ancora fissando le nostre dita intrecciate quando senti che il mio viso è a pochi centimetri dal tuo, i nostri respiri sono quasi sincronizzati mentre quella dolce brezza primaverile che ci ha accompagnato per tutta la giornata, ci accarezza le guance, soave, come ad incoraggiarci.

Finalmente ti giri verso di me, occhi negli occhi e improvvisamente tutto sembra avere senso. E’ solo una frazione di secondo, non mi dai il tempo di perdermi nel tuo azzurro perché subito richiudi gli occhi e inclini leggermente il viso, in un timido invito che attende la mia mossa.

Labbra su labbra, delicate, impacciate come non mi capitava dal liceo, come se fosse un nuovo primo bacio; lento, curioso, perché non hai mai baciato qualcuno davvero e adesso mi hai tutto per te, finalmente.

Potrei restare così per sempre, con te che mi abbracci, appoggi la testa sulla mia spalla e respiri profondamente. Forse stai trattenendo una lacrima mentre ricambio l’abbraccio in modo da non lasciarti più andare via.

«Ultimo nuovo inizio, Sherlock. Non ne voglio altri » ti sussurro nell’orecchio, ma non so se mi stai ascoltando o se sei perso nel tuo Palazzo Mentale, confuso e spaventato.

« Sei sempre stato il mio unico inizio, John. Posso ricominciare mille volte con te » mormori a tua volta e a me basta così, per il momento. Quel qualcosa che ci bloccava si è finalmente schiuso e ora che siamo arrivati a questo punto non voglio più fermarmi, “it is what it is”, ed è meraviglioso.

***** * *****


 
Angolo autrice:
Ciao a tutti e un grazie enorme a chi ha letto, recensito, messo la storia in qualche categoria. E’ un periodo strano per il fandom su efp, io per prima leggo poco e scrivo ancora meno ma è sempre un piacere tornare in questi lidi.
Un abbraccio, alla prossima!


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Capitolo 3
*** Estate ***


Estate

Uno spiraglio di luce attraversa le tende di una Baker Street assonnata; non le abbiamo chiuse bene ieri sera ed ora siamo come magicamente illuminati dal sole delle 8. Mi muovo appena, facendo attenzione a non svegliarti ma il materasso si sposta sotto il peso del mio corpo. Le lenzuola ci coprono a stento, fa troppo caldo in questa torrida estate.

 Ti giri appena, alla ricerca di me. Non riusciamo a stare staccati nemmeno quando la temperatura è tanto alta da presupporre che preferiresti una doccia gelata piuttosto che il contatto della mia pelle bollente. Siamo come due poli opposti di una calamita, la vita non ha fatto che separarci, eppure siamo sempre ritornati assieme, attratti inesorabilmente l’uno dall’altro.

Lo so che mi cerchi, perché lo faccio anch’io, costantemente; anche adesso mi accosto ancora un po’, perché tu possa abbracciarmi più agevolmente, stando ben attento a non trascinarti fuori dal tuo sogno.

Fai un verso buffo, forse mi sono avvicinato troppo e come al solito i miei ricci ti hanno fatto il solletico.

John Watson, unico mio punto fisso in un’epoca di cambiamenti (1).

« Da quanto sei sveglio? » mi chiedi, aprendo lentamente gli occhi.

« Qualche minuto » sorrido, ora che tutto mi sembra così perfetto sorrido molto più spesso; Mycroft sostiene che mi verranno le rughe attorno alla bocca se continuo a manifestare in maniera così plateale la mia felicità. Cosa sono dei segni sul viso se non il racconto delle nostre vite? Sul corpo porto cicatrici profonde che non andranno più via, ricordi di qualcosa di tragico a volte, come il segno del foro d’entrata di un proiettile e va bene così, ogni percorso alla fine mi ha portato qui.

« E’ la prima volta nelle ultime settimane che ti svegli prima di me » risponde John e quando parla di ultime settimane intende da quando dormiamo assieme. E’ vero, ho un sonno stranamente “umano” da un po’ di tempo, forse sto invecchiando o forse sono soltanto abbastanza in pace per godermi anche le pause della mia vita frenetica.

« Fa esageratamente caldo » commento un po’ petulante.

« Lo so » ma non si stacca da me e sembra quasi voglia rimettersi a dormire « Sai a cosa sto pensando? »

« Che dovremmo comprare un condizionatore? » ride ed è come un solletico sul mio collo.

« No, che ci meritiamo una vacanza »

So cosa intende: è estate, fa caldo, le persone vanno in posti dove possono passare la giornata distesi sui lettini sotto l’ombrellone o immersi nell’acqua finché non arriva la sera. Fino a qualche mese fa non avrei potuto pensare a un passatempo più tedioso di “riposarsi” al mare, con il rumore delle chiacchiere, la sabbia che entra dappertutto e la noia a farmi compagnia, ma adesso è diverso, è un nuovo inizio.

Gli accarezzo la schiena mentre immagino quanto potrebbe essere bello baciare John al tramonto, a piedi scalzi sulla sabbia, con i colori variopinti di un sole che poeticamente sembra immergersi nel mare. Sarebbe davvero così tragico passare due settimane sotto ad un ombrellone, senza altri problemi se non godermi John? La prospettiva mi fa sorridere e nulla sfugge all’occhio attento del mio blogger.

« Lo pensi anche tu? Abbandoniamo Londra a turisti e topi d’appartamento e andiamo al mare? Ho in mente alcune isole della Sicilia, dove potremmo rifugiarci » la butta lì ma vedo che tentenna, sa che non è esattamente la mia idea di vacanza, anzi a dirla tutta non ho mai avuto una vera e propria idea di vacanza. Sembra così lontano ora l’aereo per il Marocco all’inseguimento di Mary ed io a chiedermi perché continuassi a farmi del male cercando di tenere insieme la famiglia Watson fino a quel punto.

I miei occhi devono essere diventati più tristi e le labbra più strette, perché John si solleva appena per osservarmi meglio e cercare di dedurmi, ormai sto diventando quasi trasparente per lui e nemmeno questo sembra spaventarmi, non voglio più essere il sociopatico che droga il caffè per fare esperimenti, né quello che pensa di dover fare sempre tutto da solo lasciando indietro gli altri.

« Se non ti va, fa niente » commenta, quasi preoccupato di avermi messo in crisi.

« Mi piacerebbe invece, quando vorresti partire? »

«  Ci conviene approfittare finché la signora Hudson è a casa e può tenere Rosie »

« Credevo venisse con noi » affermo perplesso.

« Hai mai portato una bambina di nemmeno un anno in aereo, al mare… ? Avremo tempo per portarla con noi »

Sorrido, pensando alla piccola Rosie con i suoi ciuffetti di capelli che un giorno diventeranno lunghi e affascinanti e noi  saremo tentati di usare le telecamere di Mycroft per controllare ogni sua mossa, ma quei giorni fortunatamente sono ancora lontani.

« Sono felice » esclamo, improvvisamente, una constatazione o un’epifania, non ne sono del tutto sicuro.

« Lo sono anch’io, Sherlock. Spero solo che tu lo sia davvero e che non ti stia autoconvincendo per adattarti a una vita che forse non volevi »

Sono ancora sconvolto dall’enorme progresso che abbiamo fatto in termini di comunicazione, una volta avrebbe tenuto per sé questo pensiero, ora lo butta fuori, stando ancora ben stretto a me e controllando di tanto in tano il mio battito che accelera ogni volta che mi sento esposto, come ora.

« Come puoi pensarlo? »

« Precedenti esperienze matrimoniali. Io non riuscivo ad adattarmi alla vita civile e a tutte le convenzioni sociali che prevede un matrimonio, come cene da amici e altre amenità.  Mary, invece, non riusciva a scappare dal suo passato e sappiamo tutti com’è finita »

Non c’è più una goccia di rancore o malinconia nelle sue parole, non so se lo ha superato del tutto e non so se lo farà mai ma il fatto che sembra stia parlando di qualcosa molto lontano da noi mi scalda il cuore; il terrore di vivere costantemente con il fantasma di Mary era diventato un tarlo e spesso mi sono chiesto se quando sembrava apparentemente fissare il vuoto stesse in realtà dialogando con lei. Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli se dopo la caduta dal Bart’s vedesse anche me. Se ha convissuto per due anni con il mio fantasma che faceva commenti inopportuni sulla sua vita. Fa ancora male, ma sono sicuro che è molto prossimo ad essere tutto archiviato in una stanza inutilizzata del mio palazzo mentale, dove ho rinchiuso le cose a cui non voglio più pensare.

« Noi non siamo così, John. Non siamo due spiriti in fermento che cercano di adattarsi alla vita ordinaria. Viviamo come prima, solo con dei miglioramenti. Non mi sto sforzando, it is what it is, non credi? »

John sorride e nonostante il caldo lo sento muoversi finché non lo ritrovo sopra di me con un sorrisetto che è tutto un programma, faccia a faccia, occhi negli occhi. Inizia a baciarmi lievemente sulle labbra, come una carezza e una promessa prima di scendere sul collo, petto, seguendo tutta la linea degli addominali, prima di risalire nuovamente.

Sono già completamente perso nell’estasi quando inizia a spingere e il mio mondo, come al solito, si riduce a silenzio e incapacità di pensare. Tutto è calma e tutto è eccitazione, luce e buio, e alla fine tutto diventa io e John e niente altro ha importanza.

Sono felice e per una volta il resto non conta.

***** * *****
(1)Una parafrasi delle immortali parole di A.C.Doyle

Angolo autrice
Ciao a tutti e grazie per essere arrivati fino a qui. Questo capitolo è un po’ più corto degli altri e ammetto è stato il più difficile da scrivere, cosa che mi stava anche infastidendo :-D Spero ne sia comunque uscito un bel capitolo e che abbia trasmesso quello che volevo.
Ci ritroviamo per l’autunno, il capitolo finale
Un abbraccio

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Capitolo 4
*** Autunno ***


Autunno


Il colore rosso delle foglie è qualcosa di suggestivo. Uno dei tanti, piacevoli, avvertimenti che ormai l’estate ha fatto posto all’autunno e gli alberi stanno acquistando un fascino diverso, prima dell’inevitabile inverno. Risate in lontananza, gruppetti di bambini stanno giocando con quelle stesse foglie che ormai sono cadute a terra ed un leggero sorriso velato da malinconia mi segna il volto, mentre mi accingo a raccogliere qualche ciocco da gettare nel caminetto.

Il Sussex non è mai così vivo come in autunno. Sono tanti anni ormai che si ripete questo momento quasi magico, quando le giornate iniziano tristemente ad accorciarsi, lasciando però dei colori così vividi da amare tremendamente questo momento, nonostante la bella stagione sia ormai un ricordo.

Non mi manca Londra, credevo di non poter vivere in nessun altro luogo, o almeno così mi aveva detto una volta un amico; invece eccomi qui con i miei acciacchi a preoccuparmi della legna da ardere. Ma quell’amico, in fondo, aveva ragione. All'epoca non avevo alcun motivo di abbandonare Londra e poi ho incontrato il motivo per cui l’avrei lasciata senza rimpianti. Quaranta anni dopo eccoci qui, il detective con il cappello e il suoi aiutante, pensionati nel Sussex, relegati a leggende della Londra di un tempo.

Ultimi sprazzi di luce di una giornata che volge al crepuscolo ed ecco che in lontananza scorgo un’alta figura che riconoscerei tra mille, anche senza i miei fidati occhiali. Sherlock ha mantenuto sempre la stessa andatura veloce, forse appena un po’ rallentata e la postura elegante. Sarà sempre il mio posh boy con la chioma ormai argento al vento.

Aspetto che quell’ombra mi raggiunga, con il consueto sorriso sul volto di qualcuno che torna piacevolmente a casa dopo aver incontrato in paese uno dei tanti ispettori di Scotland Yard che viene a chiedere qualche suggerimento per i casi difficili.

Povero il mio Sherlock, quanto ti manca tutto questo? Non fai che ripetermi che hai sempre preferito risolvere i casi senza muoverti da Baker Street, ma lo sappiamo entrambi che non era così. Era il brivido della caccia, tu ed io contro il resto del mondo. Ora che ci penso, forse era davvero questo che ti faceva alzare dal divano, tu ed io e altro non contava.

Hanno scritto delle biografie non autorizzate su di noi, che ora giacciono strappate nel camino: “ottime per fare un falò”, hai commentato prima di usarle per riscaldarci la sera ed io sono scoppiato a ridere come sempre. Giornalisti che hanno cercato di intervistarci, insultati dalle tue solite buone maniere, hanno provato a ricostruire le nostre vite ma nessuno ha davvero capito chi eravamo veramente.

Nessuno saprà mai che tutto è iniziato un giorno al Bart’s  grazie ad un cellulare, che ci siamo rincorsi per anni prima di pronunciare un sì che ci avrebbe legato per sempre.  

Mi guardi perplesso quando entri nel nostro giardino, ancora non comprendi che mi perdo ad ammirarti, rapito dalla tua figura come un tempo. Sostieni che con la vecchiaia sono diventato più riflessivo e più silenzioso. Di solito ribatto che non ero io quello che parlava a raffica e tutto finisce in una schermaglia da vecchia coppia sposata.

« Rosie passerà domani con Dan e i bambini » comunico, entusiasta di vedere i nipoti con mia figlia e mio genero « Mi ha chiesto di ricordarti che hanno solo otto  e sei anni e non sono ancora pronti a sentire storie di suore senza testa »

« A lei piacevano a quell'età e poi si sarebbero perfettamente adattate al clima di Halloween »

« Non è ancora Halloween! » rispondo con gli occhi al cielo.

« Allora perché hai comprato le zucche? Non mi ricordo mai quando cade quella festa. Quindi ho comprato questi dolci per niente? » mi chiede offrendomi un sacchetto aperto pieno di biscotti.

« Quanti ne hai mangiati per strada? »

« Solo due, mamma » risponde petulante e scherzosamente lo spingo dentro casa, ormai si sta facendo buio.

Trenta o ottant’anni che importa? Sono innamorato di te come il primo giorno. Ancora adesso, quando la tua figura si avvicina allo scoppiettare della fiamma e il calore avvolge il tuo volto, sento un tremito che non mi lascia staccare gli occhi da te. Niente di più bello da guardare in una frizzante serata d’autunno, seduto nella mia poltrona, la stessa poltrona di Baker Street che hai fatto trasportare fino a qui. Non so quante volte l’hai fatta rivestire, sistemare, eppure non hai mai voluto cambiarla, vecchio testone!

Negli anni mi hanno chiesto come mai ho fatto la folle scelta di sposare proprio te, di rinunciare a tutto proprio per te, che in pubblico non mi hai mai baciato se non la prima volta su una panchina, mai chiamato con vezzeggiativi da coppie, che spesso mi hai trascinato in giro per il mondo a risolvere casi, scordando ricorrenze importanti. Eppure la risposta era proprio davanti ai loro occhi; c’è chi crede che la felicità sia uguale per tutti, non pensa a quanto siano diverse le persone e le loro relazioni. Mi hai salvato in tutti i modi possibili, ti sei sacrificato in tutti i modi possibili e c’era chi ancora vedeva in te il sociopatico egoista che non poteva rendermi felice. Cosa avrebbero detto se ti avessero visto abbracciarmi teneramente, prepararmi la colazione, comporre una brano soltanto per me? Conservare una vecchia poltrona che rappresenta la mia presenza nella tua vita?

Troppo superficiale pensare che chi urla continuamente i propri sentimenti sia più innamorato di chi invece non li esprime ma li dimostra con i gesti.

Sono un vecchio romantico, dopotutto e ho tanti di quei bei ricordi dei miei anni con te che mi dispiace che nel blog si possa leggere soltanto di avventure e non di tutto quello che c’era dietro. Ma tu non avresti mai voluto che i nostri sentimenti fossero esposti in piazza e a me andava bene così, ti volevo per me e sapevo com’eri davvero: qualcosa da custodire gelosamente.

« Ho fatto un sogno » mi annunci, trascinando la poltrona più vicino alla mia « C’eravamo noi due, ma eravamo bambini e risolvevamo un caso, uno strano mistero che implicava una setta segreta »

« Sembra interessante »

« Chissà, magari nella prossima vita »

Mi spiazzi « Sherlock Holmes che crede nella rinascita dell’anima? Interessante »

« Ne parla la filosofia orientale, ne parlavano i greci. Non è tanto strano. Non credo in fatti irragionevoli come inferno e paradiso e arcangeli che suonano l’arpa sulle nuvole, ma condivido il pensiero che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Forse vale anche per il concetto dell’anima »

« Mi sembrava più romantica l’idea che ci incontrassimo in un’altra vita, ma ok. Va bene anche il tentativo di spiegazione scientifica »

Sorridi prima di rivolgermi uno di quegli sguardi a cui non ho mai imparato a resistere « Lo sai che non ti libererai di me in nessuna vita, vero? »

« Sono più che felice di avere l’anima di Sherlock Holmes alle calcagna » nel dirlo mi commuovo come il vecchio romantico che sono, mentre allunghi una mano per stringere la mia.

« Ho visto il post che hai scritto mentre ero via »

« Quello protetto da password che Rosie dovrà pubblicare solo quando non ci saremo più? »

« “It is what it is, ed era tutto quello che volevo” già il titolo mi ha fatto capire che sarebbe stato qualcosa di strappalacrime » commenti fintamente sarcastico, perché lo vedo che sei emozionato e per nulla indifferente.

« Lo so come la pensi, ma non voglio che la gente creda e si tramandi le cose sbagliate su di te. Sei molto più del detective leggendario, il supremo paladino della legge della nostra generazione (1). Sarai sempre il migliore, il più saggio e l’unica persona che abbia mai amato davvero.

Hai gli occhi lucidi, non è la prima volta che ti dico queste parole, anzi sarà l’ennesima ma ti fa sempre lo stesso effetto, come se temessi che io nel tempo possa cambiare idea e uscire dal tuo sogno ad occhi aperti.

« Beh, spero davvero che Rosie debbia adempiere a questa tua richiesta il più tardi possibile » rispondi con la voce ancora rotta e per me equivale a un “ti amo anch’io”.

It is what it is e non potevamo davvero sperare di meglio.



THE END



(1) A.C.Doyle - Il problema finale

Angolo autrice:
Sono triste come per tutte le storie che finiscono :(
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui, spero abbiate apprezzato questo ultimo viaggio nelle emozioni (e nel tempo).
Scusate se non sono ancora riuscita a rispondere a tutte le recensioni, cerco di rimediare il più presto possibile.
Intanto, un grazie particolare a (in rigoroso ordine alfabetico): AintAfraidToDie, Blablia87,  CreepyDoll, emerenziano, Hotaru_Tomoe, Koa_, lisbon, mikimac, Night_Angel, SusyCherry, xX_Eli_Sev_Xx per tutte le recensioni, mi avete emozionato.
Un abbraccio grande!!!

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