From the beginning

di Lola1991
(/viewuser.php?uid=1003249)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo incontro ***
Capitolo 2: *** Responsabilità ***
Capitolo 3: *** Ospiti della montagna ***
Capitolo 4: *** A caccia di elfi ***
Capitolo 5: *** Una punizione esemplare ***
Capitolo 6: *** Incontro organizzato ***
Capitolo 7: *** Il cugino Dáin ***
Capitolo 8: *** Il passaggio segreto ***
Capitolo 9: *** La prima volta ***
Capitolo 10: *** L'alba di un nuovo giorno ***
Capitolo 11: *** Menzogne e verità ***
Capitolo 12: *** Dirsi addio ***
Capitolo 13: *** Una nuova vita sui Monti Azzurri ***
Capitolo 14: *** Laswynn e Gwáyn ***
Capitolo 15: *** La nascita di Kili ***
Capitolo 16: *** Ritorno al passato ***
Capitolo 17: *** La battaglia di Azanulbizar ***
Capitolo 18: *** L'ordine di Dáin ***
Capitolo 19: *** La delegazione di Cumros ***
Capitolo 20: *** Famiglia ***
Capitolo 21: *** Un nuovo arrivo ***
Capitolo 22: *** La compagnia di Thorin Scudodiquercia ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il primo incontro ***



Il primo incontro
 
Ancora prima di potersi lamentare, gli avevano cacciato quel marmocchio urlante tra le braccia. Sua madre, arrossendo per l’emozione, l’aveva afferrato per i già lunghi capelli scuri, l’aveva fatto sedere con poca grazia e, senza tante cerimonie, gli aveva consegnato la bambina, che in quel momento il giovanissimo Thorin teneva come fosse un piatto di porcellana, che al minimo movimento avrebbe potuto andare in mille pezzi.
 
« Hai visto, Thorin? Lei è Laswynn, e sarà anche tua responsabilità occuparti di lei, quando crescerà! » sibilò estasiata la madre.
Thorin fece una smorfia disgustato, mentre gli adulti presenti nella stanza battevano le mani e sghignazzavano alla vista di quei due.
 
Ma io ho già un fratello e una sorella, ecco cosa avrebbe voluto rispondere. Si morse il labbro, e in quella posizione scomoda, guardò la bambina tra le sue braccia, che per un attimo si era calmata e che iniziava lentamente ad aprire gli occhi in quel nuovissimo mondo.
Le iridi azzurro vivo di Thorin indugiarono per qualche istante su quelle ancora senza colore di Laswynn, mentre la bambina sbadigliava vistosamente e lasciava cadere il braccetto fuori dalla coperta. Dopo qualche breve istante, ecco tuttavia che il neonato prese a urlare più forte di prima, reclamando attenzioni.
 
« Ma non le ho fatto nulla! » esclamò Thorin indignato, guardando la madre e pregando che lo liberasse al più presto da quella situazione scomoda.
« Ha solo fame tesoro, non hai fatto nulla di sbagliato. » sentenziò lei, afferrando la bimba e restituendola alla madre, poco distante.
« Ora va, ci vediamo più tardi ».
 
Thorin non se lo fece ripetere due volte, abbozzò un breve inchino alla madre e agli altri nani, come gli avevano ben insegnato, e corse fuori dalle stanze.
Non gli ci volle molto per scendere le scale; nonostante molti lo salutassero rispettosamente, cercò di velocizzare il passo per raggiungere l’ingresso principale del salone del regno di Erebor, regno che – come spesso gli ricordava suo nonno, re Thr
ór – un giorno sarebbe stato suo per diritto di nascita.
 
La vita del giovane principe Thorin sembrava già decisa da tempo; prendeva già lezioni con i due istitutori assunti dal padre e adorava accompagnare il nonno nelle visite ufficiali, anche se spesso le trovava lunghe e faticose.
 
Nonostante la giovanissima età, Thorin sembrava già essersi fatto carico di un numero considerevole di responsabilità. La prima venne, ovviamente, quando nacque il suo fratellino, Frerin. Suo padre Thrain gli aveva fatto promettere e giurare che lo avrebbe sempre protetto, in qualità di fratello maggiore.
Poco dopo, come se non bastasse, arrivò Dìs, la sua sorellina, sempre attaccata alla gonna della madre e vezzeggiata dal nonno e da tutti i familiari.
A Thorin non piacevano affatto i bambini, soprattutto quando piangevano o si lamentavano. Evitava di restare a lungo con il fratello e la sorella, di cui si occupava, in via principale, sua madre.
 
Per questo si era tanto lamentato quando era stato chiamato e senza nessuna spiegazione si era visto mettere fra le braccia l’ennesimo neonato. Eppure questa volta, per sua fortuna, non si trattava di un’altra sorellina. Laswynn era infatti la primogenita del cugino di secondo grado del padre, e quindi sua lontana parente, seppur alla lontana, cosa di cui Thorin era enormemente grato.
La madre di Laswynn, Heron, sorella di Náin, loro parente dei Colli Ferrosi, era diventata molto amica della madre di Thorin, in seguito che questa venne data in sposa al cugino della madre con il fine di rinsaldare il legame tra i due clan di nani.
Da quando la nana aveva deciso di stabilirsi a Erebor, dimora del marito, Thorin se la trovava sempre tra i piedi, e la situazione di certo non sarebbe migliorata, ora che una nuova neonata faceva parte di quella strana e numerosissima famiglia allargata.
 
Tuttavia Thorin non se ne curò, e in breve il pensiero della bambina fu dimenticato. Era infatti appena giunto all’ingresso principale della città-fortezza, e dal portone aperto poteva vedere la luce del sole di quel caldo pomeriggio d’estate che faceva capolino tra le mura del salone.
« Andiamo fuori a giocare ai soldati? » propose una voce dietro di lui.
« Certo! » rispose immediatamente Thorin, che aveva riconosciuto il suo migliore amico Dwalin.
I due amici corsero a perdifiato fuori dal portone, mentre sorrisi e cenni educati li accompagnavano fuori, verso quella meravigliosa e calda giornata di spensieratezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Responsabilità ***


Gli anni passavano veloci, e gli abitanti del regno di Erebor prosperavano grazie alle grandi ricchezze della montagna. Re Thrór governava il popolo in modo giusto, e l’agiatezza del regno dei nani era rinomata in tutta la Terra di Mezzo.
 
« Aspettami, Thorin! Vai troppo veloce! » urlò la bambina esasperata, cercando di salire velocemente le scale, nonostante le gambe, ancora troppo corte, glielo impedissero.
Thorin roteò gli occhi verso l’alto, sbuffando vistosamente. Nell’ultimo periodo, ovunque andasse e per qualunque motivo, si era ritrovato Laswynn alle spalle, che lo seguiva.
 
Nonostante Thorin fosse oramai troppo grande per quel genere di cose, la piccola Laswynn aveva fatto di lui un modello da seguire, specialmente in seguito alla morte del padre, l’unica figura maschile che avesse mai conosciuto e rispettato.
Thorin accelerò il passo, sperando di essere riuscito finalmente a distanziare di buona misura la bambina, quando improvvisamente avvertì un tonfo, e poco dopo, il lamento della piccola, che iniziò a singhiozzare disperata.
 
Maledicendosi e pensando all’imbarazzo e alle espressioni di scherno che gli avrebbero riservato i compagni se l’avessero visto in quella situazione, tornò indietro e si avvicinò a Laswynn, che cadendo sull’ultimo gradino aveva battuto il mento. Si abbassò e mise in piedi la bambina, constatando che si trattava di un graffio leggero, nonostante stesse già sanguinando.
« Non ti sei fatta niente, non piangere » tentò di consolarla, asciugando in modo un po’ rude le lacrime della bambina con le maniche della casacca.
Laswynn tirò su con il naso e smise di piangere, cercando di trattenere gli ultimi singhiozzi. Thorin la prese per mano e la portò in fondo al corridoio, nel salotto dove sua madre era solita passare i momenti liberi della giornata in compagnia di altre nane.
 
« Cos’è successo alla piccola? » scattò irosa la madre, non appena vide entrare il figlio che per mano trascinava la bambina ancora tremante.
« E’ caduta sulle scale. » rispose scocciato lui, evitando di guardare la madre negli occhi, che aveva preso in braccio la bambina e la stava cullando dolcemente; il suo solito sguardo indagatore seguiva il figlio, sospettoso.
« E’ piccola, lo sai che in questo periodo preferisce stare con te, per quello ti insegue ovunque! » sentenziò fredda, andando a risedersi con la bambina comodamente appoggiata alla spalla.
 
Thorin ne ebbe abbastanza. Aveva cose ben più importanti che dover rincorrere una bambina minuscola in giro per Erebor. Senza degnare di uno sguardo la madre, girò i tacchi furibondo ed uscì dalla stanza. Sarebbe andato dritto dritto all’armeria e avrebbe scelto le armi migliori, le avrebbe lucidate e avrebbe passato lì tutto il pomeriggio, da solo e senza stupide interruzioni.
Sperò, in cuor suo, che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui sarebbe finito nei guai per colpa di quel mostriciattolo, ma si sbagliava di grosso.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ospiti della montagna ***


Ospiti della montagna

Trascorse altro tempo, e Laswynn crebbe velocemente, perdendo le fattezze tipiche della fanciullezza. Aveva lunghi capelli castani, che spesso tentava di legare alla nuca, di modo che non la infastidissero nelle scorribande giornaliere che trascorreva nella fortezza di Erebor. Gli occhi grandi e verde scuro erano svegli e sempre attivi, pronti a cogliere ogni minimo particolare e movimento. Era, come amava sempre ricordarlo lei stessa, il cruccio della madre Heron, che dopo la morte del marito aveva deciso di non risposarsi, e che riponeva in quell’unica figlia tutte le sue speranze.
 
Laswynn non era come le sue coetanee; non amava conversare, suonare o indossare nuovi abiti. Era spesso disordinata e vestiva rigorosamente – o almeno fino a quando sua madre non la obbligava – tuniche comode e pantaloni da uomo. Raramente riusciva a stare ferma in un posto solo, poiché il suo desiderio di esplorare e scoprire la portava sempre in luoghi differenti.
Spesso passava attraverso le fucine, e i minatori e i fabbri, riconoscendo oramai quella chioma scarmigliata passare velocemente, la salutavano con affetto, sorridendo, regalandole di tanto in tanto gemme di poco valore; quando poteva si recava a Dale e osservava i pescatori e i commercianti confluire da ogni dove. Si perdeva nella curiosità dei racconti di luoghi lontani e terre magiche e inesplorate.
 
Non disdegnava la corsa e l’esercizio delle armi; era abbastanza agile e soleva portare con sé l’arco e le frecce che suo padre le aveva lasciato, l’unico bene materiale che la teneva legata a quell’uomo che a stento ricordava e che l’aveva potuta crescere solo per pochissimi anni.
Un giorno, girovagando per i corridoi di Erebor e cercando di nascondersi dalla madre, che per l’ennesima volta aveva tentato di convincerla a indossare un vestito lungo e femminile, vide uno spettacolo che la affascinò moltissimo. Affacciandosi da una terrazza che dava sulla Sala Reale, infatti, scorse un manipolo ordinato di individui ricevuti da Re Thrór. Erano alti e snelli; camminavano dolcemente e elegantemente, quasi come se non toccassero il suolo, ma fossero trasportati da acque invisibili.
Erano elfi.
 
Quello centrale, probabilmente il loro re, aveva lunghi capelli biondissimi, e una corona di bacche e foglie verdissime che gli cingeva la fronte; portava una lunga veste cangiante, che ad ogni movimento pareva gli donasse una luce diversa. I suoi occhi azzurri guardavano nella stessa direzione, mentre il gruppo avanzava, incuranti degli sguardi talvolta malevoli dei nani presenti nella Sala. Il re era circondato da una decina di guardie, scintillanti nella loro splendente armatura dorata e perfettamente in sincronia nei gesti e nei movimenti.
 
Laswynn li osservò incantata, e rimase lì, nascondendosi dietro a quella colonna con gli occhi sgranati, fino a che una guardia le intimò di allontanarsi, poiché si trattava di una riunione privata tra Re Thrór e il Re di Bosco Atro, Re Thranduil. Il rumore che fece la giovane allontanandosi, in quel silenzio tombale, non sfuggì al giovane principe Thorin, che stava composto in piedi accanto al trono del nonno.
 
Il suo sguardò si alzò in cerca della fonte di quel suono e gli occhi si posarono immediatamente su Laswynn, nel momento stesso in cui questa era costretta ad allontanarsi dal grande salone. La smorfia di Thorin rimase impercettibile sul suo volto, poiché non era quello il luogo né tantomeno il momento di prodigarsi in inutili commenti.
Eppure conosceva Laswynn da quando era nata – e purtroppo, a detta sua, fin troppo bene - e di tutte le migliaia di nani presenti a Erebor, lei poteva essere la sola ad intrufolarsi ad una riunione così importante per la sua famiglia.
 
Anche Laswynn, dall’alto, era riuscita a vedere Thorin, ma non se ne era curata affatto. La sua attenzione era rivolta esclusivamente agli elfi e, oltretutto, non nutriva particolari simpatie per il giovane principe, nonostante Heron e la madre del giovane li spronassero spesso a mantenere rapporti “civili”, in qualità di buoni parenti, nonostante la differenza di età e di carattere. 
 
Munita di pazienza, attese nell’ingresso che la riunione fosse sciolta, e in verità non dovette attendere troppo, poiché poco tempo dopo il gruppo di elfi abbandonò il regno di Erebor, senza degnare di uno sguardo gli abitanti della fortezza, che si erano riuniti per osservare gli ospiti.
 
Laswynn li seguì con lo sguardo e desiderò con tutto il cuore di poterli seguire fino a Bosco Atro, e di lasciarsi alle spalle, almeno per poco, le incombenze e la routine della vita a Erebor. Sapeva tuttavia che mai sarebbe stato possibile, e l’entusiasmo si spense, malinconico.
Prima di potersi voltare, una voce parlò poco distante.
 
« Cosa stavi facendo lassù? Sbirciavi il Consiglio? »
Seppe, senza necessità di doversi voltare, che si trattava di Thorin, poiché avrebbe potuto riconoscere quel tono freddo e composto ovunque.
« Erano elfi, Thorin! Elfi di Bosco Atro… non li avevo mai visti prima d’ora! » esclamò lei sgranando gli occhi, mentre il principe la superava a passo svelto.
 
« Spero per te e per tutti noi che non li vedremo mai più » rispose secco, senza guardarla. Camminava a passo veloce, ma Laswynn gli stava dietro, e a nulla serviva l’intonazione tagliente della voce del principe o il fatto che dal suo sguardo fosse quantomeno chiara l’intenzione di chiudere una volta per tutte l’argomento “elfi”.
 
« Cosa facevano ad Erebor? Erano qua per tuo nonno? Sono amici o alleati? »
La raffica di domande sembrava non esaurirsi mai, e Thorin ne fu del tutto scocciato. Non capiva  quale malsano interesse potesse avvicinare Laswynn agli elfi, individui che Thorin aveva imparato a disprezzare fin dalla più tenera età. Avevano oramai percorso due corridoi, ma Laswynn sembrava non voler smettere con le sue curiosità. Arrivò perfino a chiedere al principe di accompagnarla a Bosco Atro, perché voleva, doveva vedere con i suoi occhi le meraviglie del mondo elfico.
 
« Ora smettila, Laswynn » disse Thorin, voltandosi e impedendo alla ragazza di andare oltre. Superava in altezza la ragazza e i suoi occhi azzurri dardeggiavano come fiamme mentre fronteggiava quelli verdi di lei, pieni di curiosità e entusiasmo. « Non ho tempo per queste cose ».
 
« Tu non hai mai tempo per nulla » sussurrò lei, mentre il principe si volta per andarsene. Purtroppo per Laswynn, però, la sua frase fu intercettata dal nano, che si voltò furioso.
Gli occhi ridotti a fessure, si voltò verso la ragazza e sibilò maligno: « Che cosa hai detto? »
 
Laswynn fece spallucce; non aveva paura di Thorin, sapeva bene che non avrebbe potuto farle del male, e poi, come è stato già accennato, non lo sopportava.
« E’ la verità. Non ti diverti mai, sei sempre serio e composto… in realtà non mi ricordo nemmeno quando è stata l’ultima volta che ti ho visto sorridere. Dovresti provare a essere più spontaneo sai… provare l’avventura. »
 
Thorin non disse nulla; avrebbe voluto rispondere, ma le parole gli morirono in gola prima ancora di uscire. Ciò che diceva Laswynn era completamente veritiero: la sua vita era così carica di aspettative e responsabilità che raramente riusciva a godersi davvero un momento di svago o divertimento.
Tuttavia non voleva dare nessuna soddisfazione a quell’ingenua ragazzina. Le lanciò una smorfia e freddamente se ne andò. Laswynn lo guardò allontanarsi e si dispiacque, poiché le sembrò di aver visto un lampo di sofferenza negli occhi del giovane che non riusciva a spiegare.
 
Prima che altri pensieri le affollassero la mente, però, una voce acuta rimbombò poco distante.
« Laswynn, sono secoli che ti cerco! Guarda come sei conciata, e guarda quei capelli! »
Sua madre l’aveva trovata.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** A caccia di elfi ***


A caccia di elfi

Pochi giorni dopo l’incontro ad Erebor con gli elfi silvani, Laswynn dormiva sonni tranquilli nella sua camera, avvolta da un doppio strato di coperte. Nella stanza accanto riposava sua madre, nel grande letto in cui una volta anche suo padre era solito coricarsi.
 
Stava sognando – come sempre – luoghi incantati e verdi prati in cui perdersi, e ripidi dirupi e valli scoscese, quando improvvisamente una presenza vicina la destò da quei pensieri. Aprì gli occhi, e prima ancora di poter mettere a fuoco qualsiasi cosa, una mano forte le premette sulla bocca, intimandole il silenzio.
Terrorizzata, tentò in tutti i modi di divincolarsi e mettere a fuoco l’immagine del suo assalitore, ma quando finalmente ci riuscì, si ritrovò ancora più spaventata di prima.
Era Thorin.
 
Il principe si premette eloquentemente un dito sulla bocca e lasciò libera quella della giovane. Laswynn si mise seduta, ad occhi sgranati, lanciando uno sguardo interrogativo al ragazzo e sperando vivamente che il sonno solitamente pesante della madre fosse tale anche quella notte.
« Che diavolo ci fai tu qui? » sibilò seccata.
« Posso portarti a vedere gli elfi di Bosco Atro » rispose l’altro, con un ghigno.
 
Laswynn non perse nemmeno tempo a chiedere spiegazioni o motivi; con un rapido scatto scese dal letto, appallottolando le coperte sotto le lenzuola, di modo che al buio potessero essere facilmente scambiate per una forma umana. Solo allora si accorse che indossava la tunica corta di lino per la notte, le cui trasparenze certo lasciavano poco all’immaginazione.
Fece segno a Thorin di voltarsi, mentre prendeva i vestiti dalla sedia, indossandoli velocemente.
 
Dal canto suo Thorin era arrossito lievemente, poiché si era accorto dell’indumento notturno della giovane. Le diede il tempo di cambiarsi e si voltò verso il muro, dandole le spalle, mentre il cuore riprendeva gradualmente il suo battito normale.
 
Le parole di Laswynn riguardo alla sua vita monotona e prevedibile  che conduceva a Erebor gli erano risuonate nelle orecchie per giorni, e in nessun modo era riuscito ad allontanare quel pensiero dalla testa.
Doveva fare qualcosa. Doveva dimostrare a sé stesso di essere coraggioso e impavido, proprio come gli eroi che i suoi istitutori insistevano affinché ne studiasse le gesta e le imprese. Ed eccolo lì, nel cuore della notte, insieme a una ragazzina, mentre cercava di eludere la sorveglianza di Erebor per raggiungere un gruppo di elfi arroganti e spocchiosi.
 
Raramente usciva dalla fortezza, se non per accompagnare suo nonno o suo padre o per assistere a riunioni del Consiglio. Tuttavia aveva studiato la struttura della montagna, come parte della sua preparazione, e conosceva meglio di chiunque altro ogni corridoio, ogni scala e ogni possibile uscita verso il mondo esteriore.
Certo, non avrebbe mai pensato di dover utilizzare quelle conoscenze in una situazione del genere, ma sentiva la necessità di doverlo fare…
 
Laswynn si preparò velocemente e si acconciò i capelli sciolti in una lunga treccia. Insieme uscirono dalla camera, cercando in tutti i modi di fare meno rumore possibile. Le torce alle pareti gli consentirono di trovare facilmente la strada e Thorin la percorse con sicurezza.
Ci misero però più del previsto, poiché poco distante dall’uscita laterale era presente una guardia di pattuglia, e dovettero attendere, ben nascosti, che questa se ne andasse, lasciando la zona completamente libera.
 
Premendo con forza, Thorin aprì il passaggio nella parete e tese il braccio per issare Laswynn. Il primo soffio di aria pura e fresca fu un sollievo per entrambi e si sorrisero complici, scendendo velocemente dal lato della montagna.
« E ora? » chiese Laswynn eccitata.
« Prendiamo un pony, le scuderie non sono distanti » rispose Thorin, facendo cenno di seguirlo.
 
Cavalcarono oltrepassando la città di Dale e lasciandosi alle spalle Erebor, l’unico luogo che avessero mai conosciuto in vita loro. Thorin cavalcava con sicurezza e Laswynn sedeva davanti, lasciando che lui avesse il controllo delle briglie, poiché la sua mente era già al mondo degli elfi e all’avventura di quella notte.
Thorin sentiva l’adrenalina scorrere nelle sue vene e fu più volte distratto dal profumo dei capelli di lei, così vicini al suo volto.
Non poté fare a meno di osservarla, sorprendendosi di sé stesso, perché in tutti quegli anni l’aveva vista, certamente, ma quella notte le parve di vederla davvero per la prima volta.
 
Cavalcarono per una buona mezz’ora, fino a quando finalmente scorsero dei fuochi in lontananza, in una radura poco distante.
« Gli elfi si sono riuniti per la festa della luce stellare » spiegò Thorin, rallentando il passo e costeggiando la boscaglia accanto alla radura.
Potevano scorgere, seppure fossero ancora lontani, i begli abiti degli elfi, e udivano chiaramente le melodie che producevano e la musica che alcuni di loro suonavano.
 
Rimasero lì, qualche istante, a cavallo del pony, ad osservare in silenzio quello spettacolo magnifico. Per Thorin era sufficiente osservare gli elfi da lontano e, pur non nutrendo particolari simpatie per loro, rimase comunque affascinato da quello spettacolo; ma Laswynn voleva avvicinarsi a tutti i costi ed osservare meglio che poteva ogni singolo dettaglio e movimento.
« Se costeggiamo il bosco non ci vedranno, avviciniamoci un po’ di più… » propose speranzosa.
« Assolutamente no. Siamo arrivati fino a qui, li abbiamo visti. Faremmo meglio a tornare subito a Erebor prima che sia l’alba e che qualcuno si accorga dei nostri letti vuoti » sentenziò lui contrariato, tirando le redini in senso contrario.
 
Prima che il pony potesse cominciare l’andatura, tuttavia, la ragazza era già scivolata agile dal lato destro e si stava avvicinando furtiva agli alberi del bosco, lo sguardo fisso al gruppo di elfi.
Thorin si maledisse per aver avuto quell’idea idiota e per aver coinvolto una nana così stupida. Per un momento fu indeciso se lasciarla sola e ritornare di corsa a Erebor. Gli venne però in mente, improvvisamente, la frase che anni prima sua madre aveva pronunciato quando gli aveva cacciato tra la braccia Laswynn appena nata.
" … sarà anche tua responsabilità occuparti di lei, quando crescerà! "
 
Lasciò il pony vicino ad un grosso abete e seguì la giovane, che oramai distanziava davvero di poco il gruppo di elfi e che, certamente, si sarebbe fatta scoprire. Laswynn si stava arrampicando in cima ad un albero per osservare meglio la scena e Thorin non ci pensò nemmeno a seguirla. Cercò piuttosto di attirare la sua attenzione e con gesti evidenti le intimò di scendere immediatamente.
Laswynn sembrò non farci assolutamente caso, e raggiunto un ramo abbastanza forte per reggere il suo peso, osservava estasiata quella festa sontuosa e i fulgidi capelli degli elfi che risplendevano intorno al fuoco. Molti avevano con sé strumenti dorati e suonavano dolcissime melodie e canzoni.
 
Non si accorse subito, concentrata com’era, di un giovanissimo elfo biondo che, alzandosi in piedi, aveva voltato le spalle al gruppo e si stava avvicinando pericolosamente all’albero su cui stava Laswynn. Thorin se ne accorse immediatamente; sapeva fin troppo bene che la vista degli elfi, anche di quelli più giovani, era formidabile anche al buio. Con un salto veloce, afferrò il piede della giovane e riuscì a farla scendere, seppur in modo brusco. Laswynn intravide l’elfo che si avvicinava e capì, assecondando i movimenti del principe. Corsero velocemente verso il pony e fuggirono nella notte, troppo ansanti per parlare, e preoccupati che quel giovane elfo avesse fatto rapporto su quello che aveva visto.
Thorin era furibondo con sé stesso e soprattutto con Laswynn, la cui curiosità poteva averli spinti in un grosso guaio.
 
Arrivarono alle pendici di Erebor che ancora non albeggiava; lasciarono il pony nel recinto, percorsero a rotta di cuffia il lato della montagna fino al passaggio laterale. Thorin entrò per primo, e prese Laswynn per i fianchi mentre questa scendeva a sua volta, richiudendo la porta dietro di sé. Affrettarono il passo e passarono il primo corridoio, e poi un altro ancora.
Subito dopo la terza curva, però, trovarono il passaggio sbarrato da una figura massiccia, stagliata contro l’oscurità.
« Scappatina notturna, stanotte? »
 
Thráin li stava guardando furibondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Una punizione esemplare ***


Una punizione esemplare

Seppero di essere nei guai prima ancora di riconoscere la figura di Thráin. Questo li prese per i gomiti e li trascinò fino alla Sala Grande, davanti al trono in cui sedeva Re Thrór, scarmigliato per essere stato svegliato così presto e per questioni così futili. Vicino a lui stavano in piedi la madre di Thorin e poco distante quella di Laswynn, Heron, il cui sguardo si posò furibondo su quello della figlia.
 
« Volete dirci, di grazia, dove diavolo vi eravate cacciati? » chiese seccato il re, scrutando i due giovani e indugiando in modo particolare sullo sguardo del nipote.
Thorin fece per aprire bocca; nel breve tragitto fino alla Sala aveva pensato a una serie di scuse da rifilare al padre e poi al nonno. Nessuna gli sembrava abbastanza veritiera per giustificare il suo comportamento, ma se avesse avuto fortuna avrebbe quantomeno potuto evitare una punizione esagerata.
 
Laswynn, però, parlò per prima. « E’ stata colpa mia » disse, guardando a testa alta il re e assumendo uno sguardo dispiaciuto.
« Volevo raggiungere il bosco e osservare le celebrazioni degli Elfi silvani di questa notte e mi sarei persa, se non fosse stato per Thorin. Ha cercato di impedirmi di uscire e di riportarmi indietro » affermò cupa, evitando accuratamente di non guardare il principe, che invece la osservava, a metà tra lo sconvolto e il sollevato.
« E da dove sei passata, ragazzina? Il portone principale era sigillato e ci sono guardie che lo controllano ad ogni ora della notte » chiese con cipiglio minaccioso Thráin, premendo forte la mano sul gomito della giovane.
« Dal passaggio dell’Ala Est » affermò lei convinta, tentando di divincolarsi dalla presa.
 
La mente di Thorin lavorava veloce. Laswynn aveva mentito e così facendo aveva assicurato la copertura del passaggio e Thorin stesso; se avesse detto la verità, infatti, sarebbe apparso immediatamente chiaro che era stato il principe a condurla fuori da Erebor, grazie alle sue conoscenze dei passaggi e dei tunnel presenti.
Oltretutto, l’Ala Est era poco sorvegliata e si trovava inoltre non molto distante dalla camera del principe, cosa che avrebbe reso lecito un incontro casuale tra i due giovani.
 
« Se non fosse stato per il principe Thorin non sarei riuscita a tornare indietro. Mi scuso per la mia sfrontataggine, ma se cercate qualcuno da punire, allora quella sono io » continuò Laswynn, tenendo gli occhi fissi sul re ed evitando soprattutto quelli della madre, che era diventata rossa per la rabbia.
 
« Ti assicuro che una punizione ci sarà e in futuro comportamenti del genere non saranno più ammessi; non ti sarà permesso di uscire da Erebor neanche di giorno e confido nel fatto che tua madre sia d’accordo con il mio giudizio ». Re Thrór si alzò dal trono, chiudendo il discorso e la vicenda.
 
« Vattene in camera tua e restaci finché non te lo dico io » sentenziò Thráin al figlio, allontanandolo dalla ragazza, che, nel frattempo, era stata raggiunta dalla madre. Thorin non se lo fece ripetere due volte. Cercò di intercettare lo sguardo di Laswynn, di farle capire che le era enormemente grato per quella menzogna, ma questa aveva lo sguardo basso mentre Heron la trascinava lontano.
Thorin si voltò e si incamminò velocemente verso le sue stanze.
 
Il giorno seguente alla scorribanda notturna, Thorin stava percorrendo i corridoi di Erebor. Suo nonno non gli aveva perdonato la faccenda della sera prima, anche se in parte era stata giustificata dalla menzogna di Laswynn. Il principe era stato costretto a lucidare da solo tutte le asce dell’armeria, ed era lì che si stava dirigendo.
Prima di recarsi al piano superiore, tuttavia, intravide la sagoma della giovane; era seduta scomposta su una panca di legno e stringeva una benda su entrambe le mani.
 
Per un momento pensò di allontanarsi, ma doveva ancora ringraziarla per averlo salvato di fronte a suo nonno, pertanto si avvicinò. Laswynn aveva gli occhi arrossati e si vedeva chiaramente che aveva appena pianto.
Non alzò lo sguardo su Thorin, perché aveva già riconosciuto il suo passo e non avrebbe voluto che lui o nessun’altro, nemmeno la madre, la vedessero in quelle condizioni.
La mano destra tremava mentre fasciava il palmo della sinistra. Thorin non disse nulla e si sedette di fronte a lei. Con delicatezza prese la lunga benda e gentilmente prese a fasciarle prima la mano destra e poi la sinistra, mentre Laswynn chiudeva gli occhi per il dolore. I palmi portavano i chiari segni della bacchetta usata per la punizioni e la pelle era arrossata e lacerata a causa delle continue stoccate.
 
Non c’era bisogno di parole o spiegazioni, perché anche il principe aveva conosciuto la severità e la vergogna delle punizioni naniche; Laswynn non ringraziò il principe per quel gesto ed evitò accuratamente di guardarlo negli occhi. Dal canto suo Thorin osservò per qualche istante il volto della giovane; si mordicchiava le labbra che erano diventate rosse e gonfie, in netto contrasto con il pallore che la contraddistingueva. Asciugò con il pollice l’unica lacrima che si era lasciata sfuggire e che ora le solcava la guancia, quindi si allontanò e si diresse a passo svelto verso l’armeria.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Incontro organizzato ***


Passarono due inverni, e un’epidemia di gola putrida giunse ad Erebor e flagellò molti dei suoi abitanti. Svariate aree della fortezza vennero messe in quarantena e a nessuno fu permesso di entrare o uscire dalla montagna senza il consenso del re.
A nulla parvero servire le cure dei guaritori o le attenzioni riservate ai malati; in poche settimane la malattia colpì molti dei nani anziani e portò via la vita a un numero considerevole di bambini ancora in fasce.
 
Anche la sorella di Thorin, Dìs, sembrò contrarre i primi sintomi della malattia e tutta la famiglia visse attimi di panico, temendo il peggio.
Dìs rimase a letto per molti giorni, incosciente; dormiva male e il sonno era irrequieto. Scottava sempre per la febbre alta e nessuna cura parve funzionare. Thorin osservava da lontano la madre disperata che si affaccendava al letto della sorella, cambiandole continuamente la pezzuola sulla fronte e pregando che la temperatura si abbassasse e che la figlia riprendesse i sensi presto.
 
Anche Heron accorse in aiuto di Dìs e sostituì la madre di Thorin nei vari momenti in cui questa riusciva finalmente a riposare. Passarono i giorni, e la situazione che fino ad allora sembrava disperata iniziò gradualmente a migliorare. Dìs respirava meglio e aveva assunto un colorito più roseo, tanto che il guaritore sentenziò che oramai era fuori pericolo.
Tuttavia ci furono pochi momenti per gioire di quella ripresa, poiché poco dopo che Dìs fu completamente ristabilita, Heron si ammalò dello stesso male e a niente servirono le attenzioni o le cure a lei riservate.
Morì nel giro di pochi giorni e venne sepolta, come richiesto, accanto al marito.
Senza un padre e una madre, Laswynn rimase sola. Era stata accanto a Heron durante tutta la malattia, incurante degli avvertimenti dei guaritori e dei rischi che correva. Pianse molto il giorno del funerale e non volle il conforto di nessuno, poiché mai come in quel momento si sentì sola e abbandonata a sé stessa.
 
Nel periodo seguente alla morte della madre, Laswynn divenne l’ombra di sé stessa. L’entusiasmo sul volto e nei grandi occhi verdi che da sempre l’aveva contraddistinta si affievolì e il suo sorriso si sciolse come neve al primo sole; il viso divenne scarno e nessuno la vide più correre per i corridoi della fortezza o per le fucine in cerca di nuove avventure.
Raramente parlava, e spendeva il suo tempo immersa nei libri, lontana da Erebor, catapultata in un mondo che solo a lei apparteneva.
Thorin la intravide di rado in quel periodo e non riuscì ad avvicinarla. In realtà non ne aveva il coraggio, poiché non avrebbe saputo cosa dire né come comportarsi. Suo nonno e suo padre lo tenevano impegnato costantemente con riunioni e consigli, e nel poco tempo libero che gli rimaneva si dedicava anima e corpo all’esercizio delle armi insieme ai compagni, ed eccelleva agli occhi del re per il suo portamento fiero e l’indole da guerriero che possedeva fin dalla nascita.
 
Era il primogenito e sapeva che un giorno, dopo suo padre, avrebbe occupato il trono di Erebor, e lo stesso avrebbero fatto i suoi figli dopo di lui. Fu così che suo nonno iniziò a parlare di matrimonio e insistette affinché si organizzassero i primi incontri e le prime trattative; Dìs era già stata promessa in sposa a un giovane nano sin dalla prima infanzia, e presto sarebbe stato anche il turno di Frerin.
Il principe ascoltava questi discorsi sentendosi estraneo, come se il matrimonio di cui discutevano con fervore non fosse il suo, ma quello di un altro. Sapeva che comunque non avrebbe avuto voce in capitolo, ed era già stato preparato a questo momento. Il suo compito era assicurare continuità al regno di Erebor, e per questo avrebbe dovuto garantire discendenza alla sua famiglia. Amare o meno la nana che gli avrebbe dato dei figli era, in quel senso, una questione del tutto secondaria.
 
Erano passati molti mesi dalla scorribanda notturna trascorsa con Laswynn, e seppure i loro rapporti si limitavano a brevi cenni del capo nelle rare occasioni in cui si incrociavano a Erebor, Thorin non riusciva a togliersi dalla testa il viso della giovane e il suo sguardo sognante di quella notte.
Doveva ammettere con sé stesso che Laswynn riscuoteva fin troppo successo, e che nel tempo si era fatta bella e flessuosa, e poco importava che il principe ripetesse tra sé e sé che quella era ancora la bambina che lo inseguiva ovunque quando erano più piccoli, e che per molto tempo aveva cercato di allontanare: di notte, prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno, la sua mente andava dritta al volto della nana, ed elencava i particolari del volto che erano ancora lì, ben impressi nella memoria, e quando cercava finalmente di dormire, una parte del suo corpo si faceva dolorosamente vigile e sveglia al posto suo.
 
Ne aveva parlato con Dwalin, che lo conosceva meglio di chiunque altro e l’aveva visto crescere; dall’amico ottenne però ben poche soluzioni, perché dopo avergli confessato i suoi pensieri, quello aveva affermato: « Forse lei ti piace, è per quello che ci pensi sempre. Dovresti parlarle o passare del tempo con lei… la vedo ogni tanto, si allena con l’arco nella zona di addestramento la mattina presto, quando non c’è nessuno ».
 
Thorin ci pensò su e decise che, dopotutto, non aveva nulla da perdere. Attese qualche giorno. Era estate, e una brezza calda soffiava da est; non fu difficile alzarsi presto e recarsi nell’area esterna del castello, dove i giovani nani si dedicavano alle armi e alla preparazione delle battaglie. Come aveva detto Dwalin, Laswynn era già lì, e incoccava una freccia dopo l’altra, mandandole a segno o comunque poco distanti.
Il cuore del giovane principe fece un balzo, perché da molto tempo non aveva avuto l’occasione di osservarla così da vicino, come aveva fatto quella notte sul pony.
Decise che le avrebbe iniziato parlando di quello che stava facendo, perché conosceva bene le cose delle guerra e delle armi.
 
« Sei molto brava »disse brevemente, avvicinandosi di qualche passo.
Laswynn si fermò e abbassò l’arco, voltandosi a sua volta verso il principe.
« Pensavo non ci fosse nessuno a quest’ora » rispose; il suo sguardo era di pietra e non c’era traccia sul suo volto dell’entusiasmo che aveva avuto anni prima, quando aveva visto le celebrazioni degli elfi intorno al fuoco.
Thorin non seppe cosa dire, perché non si aspettava una risposta del genere. Rimase immobile qualche istante, indeciso sul da farsi. Sarebbe potuto tornare indietro e far finta di niente, ma i suoi piedi erano diventati improvvisamente immobili e non riuscì a pensare razionalmente nemmeno per un istante. Laswynn parve accorgersene; ripose la freccia e si rimise l’arco al collo.
 
« Cosa fai qui a quest’ora, principe dei nani? » chiese sospettosa.
« In realtà ti cercavo ». Le parole gli erano uscite prima che potesse pensarle o sceglierle, e si trovò così a confessare il motivo per cui all’alba era già sveglio e vigile.
« Cercavi me? » domandò lei, assumendo un’espressione buffa sul volto.
 
Thorin rimase chiuso in un silenzio nervoso. Non amava trovarsi in difficoltà, ma ogni frase che tentò di pronunciare si arrestò nella sua gola, perché se c’era una cosa che sapeva fin troppo bene era che la presenza di Laswynn lo faceva sentire totalmente fuori controllo.
« In r-realtà mi ha mandato a cercarti mia madre » disse infine, inventandosi una scusa, « Vuole sapere se domani sera parteciperai al ballo e credo parlasse di vestiti o cose così… ». Riprese a respirare normalmente, e ringraziò Mahal di essere riuscito a tirarsi fuori, dopotutto non tanto male, da quella situazione imbarazzante.
« Ti ringrazio, allora. Andrò da tua madre questa mattina». Laswynn fece un piccolo cenno del capo a Thorin, e lo superò, dandogli le spalle.
 
Prima di andare via, però, c’era qualcosa che doveva assolutamente chiedere. Si arrestò a pochi passi dal giovane nano, e, dandogli sempre le spalle, domandò a voce bassa: « E’ vero ciò che dicono? Ti sposerai presto? »
 
Lui non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere e per un momento non seppe cosa dire. Non capiva come un argomento del genere potesse interessare la giovane nana, che per mesi l’aveva evitato quando possibile.
« Si, mio padre e mio nonno stanno cercando di stringere accordi vantaggiosi, le trattative sono ancora in corso… », rispose imbarazzato, osservando la giovane, che finalmente si era voltata e lo guardava negli occhi.
 
« Trattative? Sceglierai la tua compagna di vita in base a vantaggi politici e economici? » chiese lei scettica, schioccando la lingua.
« Si, bhé… così deve essere » replicò lui, alzando le spalle.
Laswynn rimase in silenzio, senza distogliere gli occhi dal nano. Il suo sguardo attento sembrava cercare qualcosa nell’animo del giovane Thorin, che tentò di mantenere una posizione ferma e uno sguardo serio, come gli aveva insegnato il nonno.
« Ti auguro tutta la fortuna del mondo, allora » disse lei, prima di fare un rapido inchino e di allontanarsi, con i capelli castani che ondeggiavano sulle spalle.
Passò qualche minuto prima che Thorin si decise a rientrare; la sua mente era totalmente annebbiata dalla conversazione e gli ci volle tutta la giornata per ritornare in sé.




ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti! Quando ho pubblicato il primo capitolo di questa fanfic mi ero ripromessa di restare non solo anonima, ma del tutto invisibile.

Mi sono ricreduta.
E' la mia primissima fanfiction - cosa che, probabilmente, è molto facile da capire; si tratta di una storia che ho in realtà in parte sognato, ovviamente in maniera molto più semplice.
Vorrei però sapere da chi legge quali sono le prime impressioni. Fa schifo? E' decente? Vi fa vomitare?
Fatemelo sapere, se potete. Mi farebbe davvero molto, molto piacere avere recensioni, che siano positive o negative.
Grazie!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il cugino Dáin ***


« Possiamo andarcene ora, madre? » chiese Frerin, alzando supplichevole lo sguardo verso la donna.
Lui e il fratello Thorin erano stati costretti a provare e indossare gli abiti per la cerimonia che si sarebbe tenuta quella sera, e la madre si era prodigata affinché tutto fosse perfetto.
La casacca blu notte che avrebbe indossato il primogenito aveva bisogno di qualche accorgimento, ma nel complesso sua madre sembrava soddisfatta del lavoro commissionato.
« Non riesco a credere a quanto entrambi siate cresciuti! » esclamò commossa, stritolando il figlio minore, che tentò in tutti i modi di divincolarsi dalla presa, imbarazzato.
« Per Mahal, madre ti prego non ricominciare a piangere! » esclamò divertito Thorin, permettendo alla donna di abbracciare anche lui. In quel momento entrò suo padre, che subito si congratulò con la moglie per il lavoro svolto, ammirando orgoglioso i volti dei suoi figli maschi, così simili a lui per carattere e portamento.
 
Il ballo sarebbe iniziato al calar del sole e Thorin già sperava che finisse alla svelta. Celebrazioni del genere non erano nella sua indole e oltretutto sapeva che suo padre e suo nonno l’avrebbero costretto a conversare tutta sera con nane di rispettabili famiglie, nella speranza che si arrivasse presto alla conclusione di un accordo di matrimonio. Poco prima della festa stava indossando alcuni dei gioielli regali, quando qualcuno bussò alla porta della sua stanza.
Andò ad aprire, sorpreso, e si ritrovò davanti Laswynn, che tra le mani reggeva la parte superiore del suo abito da cerimonia, piegata con cura e pronta per essere indossata.
« Tua madre mi ha chiesto il favore di portarti questo » disse, alzando le mani per mostrare la casacca.
« Ehm, grazie, vieni pure » rispose lui, spostandosi per fare entrare la giovane.
 
Non si accorse immediatamente dell’abito che Laswynn indossava, o del fatto che i suoi capelli, per una volta, ricadevano eleganti e ordinati sulle spalle. Gli ci volle qualche minuto per accorgersi del cambiamento, e molti più minuti per riprendersi dalla sorpresa.
Laswynn parve accorgersene, perché divenne improvvisamente rossa sulle guance – cosa che, oltretutto, fece avvampare ancora di più Thorin – e abbassò lo sguardo a terra. Anche lei, come il principe, trovava assurdo tutto quel cerimoniale e non vedeva l’ora di ritornare alle sue comode brache maschili.
« Potresti aiutarmi? La casacca ha dei bottoni sulle maniche e le tue mani sono molto più delicate delle mie…» propose lui imbarazzato.
Laswynn annuì, senza il coraggio di proferire parola, e come promesso aiutò il principe e chiuse i bottoni della casacca, e si trovò ad ammirare la bellezza del giovane nano, agghindato a festa.
 
Osservandola mentre lo aiutava, Thorin chiuse le mani a pugno per evitare che il tremore venisse notato, e si impose di non perdere la calma. Gli sembrò, per quei pochi attimi, di distaccarsi totalmente dal mondo e non sentì più la pressione o il carico delle responsabilità. Se avesse potuto, avrebbe afferrato il volto di Laswynn e l’avrebbe baciata senza permetterle di allontanarsi o resistergli. Ma tanto in fretta quanto era venuto, quel pensiero sfumò dalla sua mente. Ringraziò la nana per l’aiuto che gli aveva fornito e questa uscì dalla stanza, ancora rossa in volto, senza proferir parola.

La serata procedeva noiosa, più di quanto Thorin avesse immaginato; ricche famiglie di mercanti si susseguivano davanti al re e giovani nane, agghindate con sfarzosi abiti e acconciature, e ammiccavano serene in direzione del giovane principe, il cui sorriso “da cerimonia”, come soleva chiamarlo sua madre, era stato utilizzato fin troppo in una sola notte. Non faceva altro che annuire falsamente e sperare che il tutto finisse il più in fretta possibile.
I suoi occhi cercavano per la sala Laswynn, che pareva fuori luogo quanto lui, e che al momento stava chiacchierando con la sorella Dìs, entrambe vestite con un lungo abito rosso scuro. Gli occhi del principe indugiarono su corpo della ragazza e sul suo volto sorridente, che da così tanto tempo non vedeva e si ritrovò distratto, per l’ennesima volta, da affari che non avrebbero nemmeno dovuto sfiorare la sua mente.
 
Suo nonno e suo padre sembravano molto soddisfatti della riuscita della serata, poiché molti nani rispettabili erano accorsi da ogni dove e tutta Erebor era in festa quella sera.
« Amico, vorrei davvero essere te » sentenziò Dwalin, dando una grossa pacca sulla spalla di Thorin, quando questo ebbe un momento libero per parlare. « Così tante nane tra cui scegliere… »
Thorin quasi si strozzò con il vino che stava bevendo e altre pacche di Dwalin lo aiutarono a riprendere respiro.
 
« Credimi » disse infine « preferirei passarti l’imbarazzo della scelta; a me sembrano tutte identiche e per nulla interessanti… » risposte mesto, appoggiando il bicchiere oramai vuoto.
Dwalin lo guardò stralunato.
« Thorin a te piacciono… le nane, insomma? Voglio dire… » iniziò quello imbarazzato, grattandosi nervosamente la nuca.
« Certo che mi piacciono le nane! » sibilò il principe sconvolto, indeciso se ammazzare o meno il suo migliore amico in quel momento o più tardi, quando nessuno se ne sarebbe accorto.
L’espressione di sollievo sul volto di Dwalin lo fece ridere e anche il volto dell’altro nano parve distendersi.
« La verità è che non riesco a togliermi dalla testa un’altra nana… » confessò Thorin, abbassando la voce per timore che altri lo sentissero.
« Laswynn? Ancora? » chiese Dwalin alzando gli occhi al cielo, mentre il principe annuiva mesto. « Pensavo te la fossi dimenticata una volta per tutte! »
« Lo pensavo anche io… »
 
Thorin venne richiamato dal padre, poiché erano finalmente giunti anche i loro cugini dei Colli Ferrosi, con i quali i rapporti, seppur civili, erano comunque sempre tesi e delicati.
« Ecco il giovane principe Thorin! » esclamò Náin, signore dei Colli Ferrosi, estasiato « Sicuramente ti ricorderai del mio primogenito, tuo cugino Dáin? »
Thorin e Dáin si strinsero la mano; avevano quasi la stessa età, ma la chioma rosso fuoco di Dáin, così simile a quella del padre Náin, risplendeva rispetto a quella corvina del principe di Erebor.
Nain e Thrór parlarono a lungo, circondati dai rispettivi figli e nipoti, mentre la serata intorno a loro procedeva calma. Poi il re chiamò a sé la giovane Laswynn, che si avvicinò silenziosamente al gruppo e fece un rapido inchino ai signori dei Colli Ferrosi.
 
« Quindi questa è figlia di mia sorella Heron? Mia nipote? » domandò Náin battendo le mani e rivolgendo un grande sorriso alla giovane. « Mi dispiace molto per la perdita di tua madre, Laswynn. Ero affezionato a mia sorella, anche se non la vedevo da tempo… ».
Lo sguardo di Laswynn si fece scuro per un momento, ma ringraziò comunque Náin. « Grazie mio signore. Amo pensare che abbia smesso di soffrire e che si sia ricongiunta al mio amato padre, in un posto migliore ».
Náin annuì contento. Lo sguardo di Thorin, tuttavia, era rimasto fisso al giovane Dáin, che guardava Laswynn con fin troppo interesse, senza che questa si curasse affatto del suo sguardo.
 
Náin e Laswynn continuarono a conversare e Thorin venne portato dal padre a fare la conoscenza di altre famiglie. La serata si protrasse ancora a lungo ed era quasi notte fonda quando gli ultimi ospiti si allontanarono finalmente da Erebor.
Stanco ed inebriato da tutto il vino che aveva bevuto – e decisamente ubriaco – il giovane Thorin si trascinò verso le sue stanze, quando due voci attirarono la sua attenzione.
Voltò l’angolo del corridoio in silenzio e riconobbe immediatamente la massiccia figura di Dáin, suo cugino, intento a parlare con quella che senza dubbio era Laswynn. C’era qualcosa di strano nel tono e nella voce della giovane nana e un lampo di malizia e avidità che rendevano Dáin quasi spaventoso… se non addirittura folle.
Laswynn stava cercando di congedarsi e tentava di mantenere una certa distanza dal nano, ma quello sembrava insistere affinché la giovane restasse in sua compagnia ancora un po’.
« Sei molto gentile Dáin, ma davvero sono stanca, preferisco andare a coricarmi… »
aveva detto, sorridendo e facendo un breve inchino.
« E’ ancora presto. Non conosco questa fortezza e forse tu potresti mostrarmi i suoi segreti… in fondo siamo cugini e passare del tempo insieme non ci farebbe male », insisteva lui, avvicinandosi pericolosamente a Laswynn.
La nana non sapeva più cosa rispondere o fare, e lo sguardo di spavento che le lesse in volto fece muovere Thorin nella loro direzione, proprio mentre Dáin afferrava il braccio di Laswynn saldamente.
« Dáin » disse calmo, mostrandosi alla luce. « E’ tardi e tuo padre ha già raggiunto le camere che vi ospiteranno. Ti starà cercando, dovresti andare. »
 
Dáin lo guardò malevolo, ma lasciò immediatamente il braccio di Laswynn, allontanandosi di qualche passo.
« Buona notte allora, a entrambi » aveva risposto freddo, superando il corridoio a passo svelto.
Laswynn e Thorin rimasero dov’erano per qualche istante, indecisi sul da farsi. Poi la giovane parve rinsavire e si ricompose, passando di fianco al principe. Non disse nulla, e di certo lui non si aspettava un ringraziamento, ma un cenno o un rapido sorriso l’avrebbero quanto meno gratificato per essere intervenuto.
« Aspetta » sibilò; si accorse che Laswynn si era fermata, pur dandogli ancora le spalle. « Che cosa voleva Dáin da te? »
« Voleva che gli mostrassi Erebor, tutto qui » rispose lei a bassa voce.
« Devi stare attenta. E’ stato stupido venire qui da sola con lui » disse Thorin, cercando di tenere un tono normale di voce e di concentrarsi, nonostante il vino gli andasse ancora alla testa.
« E’ lui che mi ha seguito, io stavo andando dritta in camera mia, principe Thorin » rispose Laswynn secca, voltandosi e incrociando gli occhi del nano.
« Smettila di chiamarmi principe ».
« Non è forse quello che sei? ».
 
Thorin non riusciva a pensare razionalmente. La testa gli diceva di andarsene, e di corsa, verso la sicurezza delle sue camere, ma qualcos’altro, complice il vino, si era svegliato in lui. Non sapeva come fosse successo, ma con due rapide falcate aveva raggiunto Laswynn e prima che lei potesse anche solo capire e protestare per quel gesto, le aveva preso il mento fra le mani e l’aveva baciata con forza.
Non fu un bacio dolce; non ci fu nulla di romantico in quel gesto, dettato solo dal desiderio e dall’ardore del momento.
Le labbra di Thorin premettero insistenti su quelle di Laswynn e le costrinsero ad aprirsi, affinché la sua lingua vi potesse entrare.
 
Sentiva il corpo di Laswynn attaccato al suo e poteva percepirne ogni forma; era inebriato, come lo era stato quella notte, dal profumo dei suoi capelli e ben presto smise di formulare qualsiasi pensiero logico. La baciò avidamente, senza sosta, ma non gli bastava; le afferrò la nuca con un movimento brusco, premendo forte il proprio bacino contro quello di lei. Quel gesto parve non piacere a Laswynn, che tentò di divincolarsi e sfuggì alla presa del nano.
Thorin la osservò confuso. Era rossa in volto e aveva le labbra gonfie, ma negli occhi vi era uno sguardo che il principe interpretò in solo modo: disprezzo.
« Sei ubriaco Thorin; riesco a sentire perfino a distanza l’odore del vino » disse lei, serrando le braccia al petto.
 
Il nano non seppe cosa rispondere; tentava di riprendere fiato e resistette all’impulso di riafferrare la ragazza e di costringerla con forza a continuare quello che avevano iniziato.
Si ricompose e disse: « Non l’ho fatto perché sono ubriaco, l’ho fatto perché volevo farlo ».
« E quello che voglio io non ti interessa, vero? Sei così abituato ad avere tutto quello che desideri, principe Thorin, da dimenticarti di chi ti sta intorno. Sei tale e quale a Dáin », sibilò lei fredda e infuriata, voltandosi e correndo via, lasciando Thorin solo e ferito nel corridoio deserto.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il passaggio segreto ***


Cinque giorni dopo, la delegazione dei Colli Ferrosi lasciò Erebor. Náin e Thrór si salutarono cordiali e Thorin strinse la mano al cugino Dáin, serrando appena la presa quando si accorse che quello stava guardando maliziosamente Laswynn, accorsa per salutare il parente prima di congedarsi.
Lei e Thorin non si erano rivolti parola dal giorno della festa e entrambi avevano fatto in modo di non incontrarsi, la prima perché era ancora furiosa per il comportamento del nano, il secondo perché non aveva idea della ragione per cui Laswynn prima aveva risposto al bacio e poi l’aveva allontanato.
 
Le giornate passarono tranquille ad Erebor, e il giovane principe dei nani riprese la routine di consigli e riunioni, seguendo il nonno nei suoi compiti da re e tenendosi occupato il più possibile.
Molto tardi, una sera, Thorin stava rientrando nelle sue stanze: era restato in piedi a lungo, poiché aveva lavorato per molte ore sulla costruzione di nuove armi nella fucina della montagna. Sovrappensiero, decise di prendere una scorciatoia, la stessa che anni prima aveva utilizzato per recarsi al passaggio che aveva consentito a lui e Laswynn di raggiungere gli elfi.
 
Il ricordo lo fece sorridere appena, poiché molte cose erano cambiate da allora. Sentì un leggero rumore provenire da destra e si guardò intorno, sospettoso. Percorse piano il corridoio, facendo saettare gli occhi in varie direzioni. Sarebbe stato bizzarro incontrare qualcuno a quell’ora della notte, ma non del tutto improbabile. Attese qualche istante, girò l’angolo e si scontrò con qualcuno. Riconobbe dapprima il profumo e successivamente la sagoma, resa visibile dalle torce appese ai muri. Era Laswynn.
Indossava i suoi soliti vestiti di maschio e il cappuccio che teneva sulla testa era scivolato, mostrando chiaramente il suo volto. Scontrandosi con Thorin era scivolata maldestra, e le frecce contenute nelle faretra erano sparse per terra intorno alla giovane. Lei sgranò gli occhi quando riconobbe la figura del principe, ma lui le fece cenno di tacere, sperando che il rumore provocato non avesse attirato nessuna guardia.
Quando non percepì altri suoni oltre ai loro respiri, si rivolse direttamente a Laswynn: « Dove diavolo eri a quest’ora? »
La giovane cercava di riprendere fiato e raccoglieva piano le frecce da terra. « Non riuscivo a dormire e ho usato il passaggio per uscire a prendere una boccata d’aria ».
 
Thorin alzò un sopracciglio; era dubbioso, ma decise di crederle. Certo, era bizzarro che fosse uscita a prendere una boccata d’aria armata di tutto punto, ma conosceva Laswynn abbastanza bene per giustificare molte delle sue stranezze.
 
Quando si mosse, si accorse di un’ultima freccia sfuggita, che gli era finita proprio sotto il piede. Si abbassò per riprenderla, mentre la giovane nana tratteneva il fiato, impaurita. Solo quando ebbe la freccia tra le mani Thorin ne comprese il motivo, insieme a molte altre cose.
« E’ una freccia elfica » disse semplicemente, osservando l’oggetto tra le sue mani.
Laswynn rimase in silenzio, aspettando da un momento all’altro che l’ira e le domande di Thorin si riversassero su di lei.
« Come sei venuta in possesso di queste frecce? Non ne abbiamo qui, ad Erebor » continuò lui, guardando dritto negli occhi la giovane, sentendo montare gradualmente la collera dentro di sé.
« Mi è stata data » rispose lei a bassa voce.
« Da chi? Dagli elfi? »
Laswynn deglutì. Non avrebbe avuto senso negare e Thorin era fin troppo sveglio per credere a qualsiasi altra cosa. Tremante annuì e Thorin scagliò la freccia a terra, disgustato.
« Ti rendi conto di quello che hai fatto? Stai fraternizzando con gli elfi, con il nemico! » sbraitò lui, incurante dei rumori che stava creando nel silenzio della notte.
 
La nana fece due passi indietro. Non aveva mai visto Thorin perdere così il controllo e ne ebbe paura. Eppure trovò il coraggio di fronteggiarlo, perché sapeva che lui disprezzava gli elfi senza nessun apparente motivo.
« Tu non sai niente. Galioth mi ha solo dato delle frecce da utilizzare qu… »
« Galioth? E’ il tuo amichetto? »
« Ora smettila Thorin. Si, Galioth è mio amico, e si, è un elfo silvano ».
Thorin sembrò scegliere le parole con cura, resistendo all’impulso di trascinare la giovane per i capelli fino al cospetto del re, che sicuramente l’avrebbe fatta ragionare con metodi molto più violenti.
« Da quanto tempo va avanti questa storia? » domandò tentando di calmare il tono di voce.
« Da molte lune », rispose lei, evitando il suo sguardo.
« QUANTE? »
« Da quando mi hai portato dagli elfi silvani la prima volta; era Galioth che mi aveva visto sull’albero, quella notte. Sono ritornata il mese dopo, e quello dopo ancora fino ad oggi, e siamo diventati buoni amici ».
 
Il giovane principe non riusciva a credere alle proprie orecchie. Non sapeva cosa fare né tantomeno cosa pensare, perché tutto di quella vicenda gli pareva totalmente assurdo e inverosimile. Prendendo coraggio, osò porre la domanda che fin dall’inizio gli era balenata per la testa.
« Sei innamorata di lui? Di questo… elfo? »
Laswynn mantenne lo sguardo fermo, e fissò i suoi occhi in quelli azzurri del principe.
« No, io e Galioth siamo solo ottimi amici; non lo amo, dovresti saperlo », rispose serena.
 
Thorin avvampò e il suo cuore sospirò di sollievo. Non fece caso allo sguardo eloquente di Laswynn e, una volta accertatosi del fatto che non vi fossero sentimenti tra lei e quel dannato elfo, riprese ad occuparsi della questione più importante, ovvero che la giovane aveva disobbedito agli ordini del nonno e era scappata lontano da Erebor ad ogni luna.
« Non dovrai mai più rivederlo, intesi? Niente più fughe notturne. Domani chiuderò il passaggio io stesso ».
 
Per Laswynn fu come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Aveva sperato che Thorin capisse l’importanza che aveva per lei quel passaggio e tutte le possibilità che gli offriva, o che almeno ci provasse.
« Non puoi farmi questo, Thorin, ti prego. Galioth è l’unico amico che ho! » chiese supplichevole, mentre i grandi occhi verdi le si riempirono di lacrime.
Thorin non poteva assolutamente sopportare quella vista, ma la rabbia prese il sopravvento.
« Mi hai sentito; dammi l’arco e le frecce ».
Afferrò l’arco che portava al braccio e con uno strattone tentò di prenderlo con sé. Laswynn oppose resistenza e, senza controllarsi, il nano strattonò più forte, spezzando il legno fragile dell’arma, di netto.
Il tempo sembrò fermarsi, mentre le due metà dell’arco cadevano a terra con un tonfo sordo.
 
« Era di mio padre » sussurrò Laswynn sconvolta, mentre nuove lacrime le rigavano le guance. « Era di mio padre », ripeté, mentre Thorin la guardava con occhi sgranati, senza sapere come comportarsi.
Tentò di formulare delle scuse, ma dalla bocca gli uscirono solo bisbigli incomprensibili.
La giovane lo spinse via con forza e si allontanò singhiozzando, lasciando dietro di sé la sensazione inconfondibile che precede un profondo senso di colpa.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La prima volta ***



Piccolo avvertimento: capitolo con tematiche leggermente erotiche.
Ci tengo anche a fare una precisazione: non ci sarà nessuna gravidanza accidentale o programmata, sicuramente non in questo capitolo. Mi piace pensare che a contraccezione fossero più svegli di noi, a quell'epoca^^.



 
*


Thorin non dormì quella notte, e nemmeno quella successiva: gli rimase bene impressa nella mente la sorda accusa della giovane nana e le sue guance rigate di lacrime. Non chiuse il passaggio, come aveva promesso, e passò molto tempo nella fucina. Aveva chiesto consiglio ai migliori nani per la costruzione di un nuovo arco, e quelli, ben contenti, avevano condiviso il proprio sapere con il principe.
Gli ci vollero quattro giorni e molte ore senza sonno per completare il lavoro, ma alla fine ne fu abbastanza soddisfatto.
 
Aveva usato le estremità dell’arco del padre di Laswynn, integrandole come meglio poteva nella nuova struttura, e vi aveva aggiunto anche una gemma delicata color smeraldo, che aveva scelto personalmente dalle miniere della montagna. Decise che avrebbe consegnato l’arco a Laswynn di persona, e si convinse ad aggiungere delle scuse, perché sentiva che nemmeno la disobbedienza della giovane avrebbe potuto giustificare il suo comportamento di quella sera.
 
Avvolse l’arma in una stoffa delicata e se la mise sotto braccio, percorrendo nervosamente il corridoio che l’avrebbe portato fino alla camera di Laswynn. Bussò due volte, battendo un piede impaziente nel corridoio.
Sentì dei passi avvicinarsi e Laswynn gli aprì. Portava i lunghi capelli castani sciolti e indossava finalmente un abito femminile. Non disse nulla quando vide Thorin; si limitò a fare un breve inchino e lo fece entrare, chiudendo poi la porta dietro di sé.
Il principe si guardò intorno nervoso, e decise di dire tutto quello che si era preparato, e di farlo in fretta.
« Volevo scusarmi per il mio comportamento dell’altra sera. Ecco, non ci sono giustificazioni e… » prese fiato « so quando ci tenevi all’arco di tuo padre; spero che questo possa fare al caso tuo ».
 
Allungò le braccia e le mise il pacchetto tra le mani. Laswynn ancora non dava segno di voler parlare, e afferrò tremante il dono del nano, scartando il suo involucro con delicatezza.
Trattenne il fiato. L’arco che si ritrovò tra le mani era magnifico, certo non perfetto, ma vi riconobbe le estremità di quello del padre e la pietra conficcata nella parte posteriore. Fece scorrere le dita sull’impugnatura liscia e ne rimase estasiata.
 
Thorin la osservava nervoso, temendo che l’arco non le piacesse, o peggio, che potesse tirarglielo dietro da un momento all’altro.
« Thorin è… davvero b-bellissimo » sussurrò lei commossa, senza distogliere lo sguardo dall’arco che teneva ancora saldamente tra le mani.
Thorin sorrise appena, ma il cuore gli batteva forte nel petto quando vide gli occhi riempirsi di sorpresa.
Il regalo era stato chiaramente gradito. Le fece un breve cenno del capo e si diresse velocemente verso la porta. Aveva appena afferrato la maniglia, quando la voce di Laswynn richiamò la sua attenzione: « Thorin ».
 
Un sussulto. Aveva chiamato il suo nome dolcemente, a bassa voce, come se gli stesse svelando un segreto. Thorin rimase immobile, allontanando la mano dalla maniglia, senza il coraggio di voltarsi.
« Resta », aggiunse Laswynn, « Per favore ».
Era troppo. Thorin si voltò precipitosamente e la vide in piedi, di fronte al grande letto; l’arco era appoggiato sulla cassapanca, e Laswynn tremava, nonostante tentasse di mantenere lo sguardo fisso negli occhi del principe, arrossendo appena.
Rimasero in silenzio, fissandosi, per qualche breve istante.
 
Poi, come comandati da fili invisibili, si attirarono l’uno verso l’altra; Laswynn fece scorrere le mani lungo le braccia di Thorin, raggiungendo le spalle. Si guardarono negli occhi, entrambi emozionati, terrorizzati, respirando profondamente.
Non resistettero a lungo, e Thorin la baciò. L’urgenza di quel contatto rese il bacio passionale, famelico e forte; le labbra di entrambi si dischiusero all’istante mentre le lingue cozzavano l’una contro l’altra, esplorandosi a vicenda.
Le mani di Thorin stringevano possessive la nuca di Laswynn, e successivamente scesero verso i suoi fianchi. Non avrebbe resistito ancora per molto: ogni singola fibra del suo corpo lo invitava a dare sfogo selvaggiamente a quella passione così a lungo taciuta. Gli sembrò di impazzire, inebriato com’era da tutte quelle sensazioni.
 
La fece voltare e prese ad armeggiare con il nastro posteriore, così meticolosamente agganciato alle asole del vestito di lei. Le baciò il collo nudo, mentre le dita scorrevano veloci e rudi, e toglievano quell’ultimo impedimento, mostrando le prime parti della schiena nuda e della sua pelle così bianca e soffice che mai prima d’ora aveva potuto vedere veramente.
Il nastro cadde a terra silenzioso, e Thorin fece scorrere la mano sulla schiena nuda di Laswynn, che rabbrividì appena al contatto con la pelle fredda. Lasciò cadere ai piedi della giovane il vestito e mentre lei si voltava, uscendo dall’abito, Thorin la guardò nuda e avvampò.
 
Lei lo prese per mano e lo condusse al letto. Si sedette, e puntellandosi coi gomiti, si sistemò al centro del materasso, mentre lui le si poneva sopra, ancora vestito di tutto punto. Laswynn prese a levargli dapprima la casacca, sospirando ad ogni bottone, mentre gli occhi di lui non smettevano nemmeno per un istante di vagare sul corpo di lei, in ammirazione.
Ben presto anche gli indumenti del principe furono lanciati a terra e Thorin la baciò, impaziente. Scese sul collo, e la lingua tracciò un percorso invisibile fino ai suoi seni, e poi ancora più giù, nel luogo più segreto. Le gambe di Laswynn erano serrate, e Thorin la guardò negli occhi. Le sorrise, rassicurandola, e con una mano le aprì le ginocchia, mentre l’altra si avventurava nel luogo del suoi desiderio.
Laswynn tremava, ma sapeva che si sarebbe potuta fidare.
 
Dal canto suo, Thorin non riusciva più a controllarsi. Sentiva la necessità di prenderla, immediatamente. Avvicinò il bacino a quello di lei e con la mano le aprì nuovamente le ginocchia, che la giovane nana stava cercando di richiudere in un gesto di protezione.
La baciò dolcemente, perdendosi nei suoi grandi occhi, che ora lo osservavano spalancati. Sapeva che aveva paura, riusciva a percepire il suo timore. Ma non le avrebbe fatto male, perché sapeva che fare del male a lei era come fare del male a sé stesso.
Lentamente, si sdraiò su di lei, posizionandosi come meglio poteva; una mano le cingeva il fianco, mentre l’altra sosteneva il peso del suo corpo, serrata contro la superficie morbida del letto. Entrò in lei, cercando di controllarsi e di non lasciarsi andare al puro e semplice desiderio animale; la voleva a tutti i costi, ma i suoi occhi serrati per il dolore a causa di quel primo contatto lo fecero rallentare. Laswynn si mordeva il labbro inferiore, perché si sentiva lacerare dentro, un fuoco che ardeva di passione e sofferenza allo stesso tempo.
 
Iniziò ad abituarsi a quella sensazione e gradualmente distese le mani, che fino ad ora erano rimaste chiuse a pugno; i muscoli della schiena e delle gambe si rilassarono, e il bruciore lasciò gradualmente posto al piacere. Aprì gli occhi e incrociò lo sguardo di Thorin, che la osservava, come in attesa di una sorta di approvazione. Gli sorrise dolcemente, e lui affondò ancora di più dentro di lei, vittorioso. Le spinte si fecero più audaci e più veloci, mentre l’aria diventava satura di gemiti e di sospiri. La mano di Thorin scese più in basso, sollevando la coscia di lei, in modo che aderisse meglio al suo bacino, e continuò ad affondare prepotentemente in quell’abisso di piacere.
 
Sapeva che il culmine era vicino, e si allungò meglio sul corpo della giovane, poggiando la sua fronte contro quella di Laswynn, baciandole le tempie e spostandosi vicino al suo orecchio, sentendo i sospiri di lei così vicini che credette di impazzire.
« Thorin… » sussurrò lei con voce roca, stringendo più forte le mani sulla sua schiena.
Per Thorin fu decisamente troppo. Aumentò il ritmo delle spinte, mentre le sue mani premevano avide sulle cosce di Laswynn. Si riversò in lei con un ultimo colpo, lasciandosi andare a un gemito basso e prolungato, affondando la testa nei capelli della giovane nana, incapace di pensare razionalmente o di compiere il benché minimo movimento.
Respirando ancora affannosamente, si staccò dal corpo di Laswynn e si sdraiò al suo fianco, entrambi in silenzio, col cuore carico di emozione e la testa annebbiata da mille questioni. Laswynn si girò sul fianco, congiungendo entrambe le mani sotto il volto, e osservò il profilo di Thorin, il cui respiro sembrava stesse tornando alla normalità. Anche lui la guardò, timoroso di quale sarebbe stata la sua reazione questa volta, e si tranquillizzò del tutto quando la vide sorridere.
Una mano salì ad accarezzarle la guancia, e in breve si addormentarono beati.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** L'alba di un nuovo giorno ***


 
Thorin si svegliò con le prime luci dell’alba, e si guardò intorno confuso. Il ricordo della notte precedente si fece strada in maniera prepotente nella sua testa, e suo malgrado si sentì arrossire. Si mise a sedere e guardò la figura di Laswynn: dormiva tranquillamente, girata verso di lui, con i lunghi capelli disordinati che le ricadevano sulle spalle nude.
Rimase ad osservarla qualche istante, senza volerla svegliare, cercando in tutti i modi di imprimere quell’immagine nella sua testa una volta per tutte. Si alzò delicatamente dal letto, senza far rumore, raccogliendo i vestiti da terra. Quando fu completamente rivestito, si avvicinò un’uiltima volta al corpo di lei e le posò un bacio sulla fronte.
Poi uscì dalla camera e si diresse alle sue stanze.
 
Quando si sveglio, qualche ora più tardi, Laswynn allungò un braccio ad occhi chiusi, ma trovò il letto vuoto. Per un momento si convinse di aver solo sognato ciò che era successo con il giovane nano, ma si accorse ben presto della forma inequivocabile del corpo di Thorin sul cuscino accanto a lei. Sorrise e arrossì, ripercorrendo mentalmente ogni carezza e ogni bacio.
Si sentiva leggera, diversa, in qualche modo addirittura cambiata. Si sistemò e tento di acconciare la lunga chioma, prima di affrontare quella nuova, diversissima giornata.
 
Nessuno dei due sapeva come avrebbero dovuto comportarsi, dopo quella notte. Non potevano immaginare quali cambiamenti avrebbe portato quella nuova situazione, o se affatto ce ne sarebbero stati. Laswynn temeva che tutto rimanesse come prima, prima di quella sera, e allo stesso tempo aveva paura del futuro. Era a conoscenza che niente di ufficiale poteva esserci tra lei e il principe Thorin, e tuttavia sperava in cuor suo che altre notti come quella precedente andassero a ripetersi.
Rimase sovrappensiero tutto il giorno; le ore trascorsero tranquille, e la giornata volgeva al termine quando Laswynn si ritirò nella sua stanza, un libro in mano che era riuscita a sottrarre dalla biblioteca della fortezza. Si guardò intorno, in cerca di qualche segno visibile e tangibile che tra lei e il principe dei nani qualcosa era davvero successo, e sorrise quando rivide l’arco che Thorin le aveva donato.
 
Spense con un soffio la candela poggiata sul comodino, e si coricò. Era già molto tardi e si convinse che dopotutto avrebbe rivisto il nano il giorno dopo, o quando questo sarebbe stato libero dagli impegni e dalle riunioni a cui suo nonno lo obbligava ad assistere. Chiuse gli occhi, pregando di prendere sonno velocemente, quando udì chiaramente qualcuno bussare alla sua porta.
 
Il cuore le balzò in gola, e si alzò tremante. Thorin era davanti alla sua camera e il sorriso gli illuminò il volto quando la vide. Chiuse in fretta la porta dietro di sé, e corse a baciare la giovane nana, carezzando ogni centimetro del suo corpo e beandosi di quel contatto fisico e di quel momento.
Sapeva che prima avrebbero almeno dovuto parlare, ma il bisogno di entrambi superava di gran lunga qualsiasi inutile chiacchera. La veste notturna di Laswynn divenne presto un indumento inutile, e la stesse fine toccò all’abbigliamento di Thorin.
 
Caddero insieme sul letto, ripercorrendo i movimenti della sera prima, ma questa volta con meno timore e meno imbarazzo, perché era stata necessaria una notte sola perché i loro corpi si abituassero l’uno all’altro. Si esplorarono a vicenda in un turbinio di emozioni e sensazioni, vecchie e nuove, finché raggiunsero l’apice del piacere e si guardarono negli occhi, ridendo per quell’incontro così intenso da lasciarli completamente senza fiato.
 
« Ho aspettato tutto il giorno questo momento… pensavo che non sarei mai riuscito a liberarmi » ammise Thorin, sdraiato accanto a Laswynn, un braccio piegato dietro la schiena e l’altro che solleticava dolcemente la schiena della giovane, accucciata sul fianco accanto a lui.
« Sono molto contenta che tu ti sia liberato » soffiò lei nel suo orecchio, mentre le dita creavano linee immaginarie sul petto nudo di lui.
« Thorin » aggiunse Laswynn, cercando il suo sguardo nervosamente, « forse dovremmo parlare di… di questo, ecco ».
Il nano la guardò. « Hai ragione » disse infine, dopo aver pensato qualche istante. « Ma non so spiegarmi nulla di quello che è successo… di quello che ci è successo ».
Anche Laswynn rimase in silenzio, soppesando quelle parole.
« Tu mi piaci, Thorin. Forse mi sei sempre piaciuto, ma non l’avevo realizzato prima di qualche tempo fa. Pensavo fossi lontano da me... »
« Anche tu mi piaci, e lo sai. Mi piaci da molto tempo, solo che non avevo il coraggio di agire. Non sei più la bambina che mi inseguiva per i corridoi di Erebor, tempo fa. »
 
Laswynn rise, e lo stesso fece Thorin. Si strinsero più forte, guardandosi negli occhi.
« Non voglio pensare al futuro… sappiamo bene entrambi che non ne esiste uno per noi due » disse lei, abbassando la testa e appoggiandola sulla spalla di lui. « Godiamoci il momento. La vita è breve, non voglio sprecarla a pormi domande e a arrovellarmi su dubbi inutili ».
Thorin le posò un leggero bacio sulla nuca, assaporando il profumo dei capelli, come fosse aria pura. « E sia. Godiamoci il momento. Anzi… perché non cominciamo ora? ». Laswynn gli sorrise maliziosa, e lui continuò ad accarezzarle la schiena, e fu un beato oblio, mentre in entrambi saliva impetuosa una nuova ondata di passione, che li spinse in una nuova danza, e che li lasciò stanchi, ma felici, ancora uno accanto all’altra.
 
Quando fu quasi l’alba, Thorin lasciò la camera di Laswynn, come era successo appena il giorno prima. Questa volta la giovane lo guardò cambiarsi, e gli baciò le mani quando fu il momento di congedarsi, stringendone una e appoggiandovi la guancia.
 
« Tornerai da me stanotte? » chiese raggiante, guardandolo negli occhi.
« E tu mi aspetterai? » disse lui, perdendosi nel mare verde dei suoi.
« Io ti aspetterò sempre. »
« E io tornerò sempre da te. »

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Menzogne e verità ***


I giorni passarono calmi e tranquilli ad Erebor, e Thorin e Laswynn continuarono a incontrarsi di nascosto e ad amarsi, senza poter veramente mostrarsi agli altri, perché sapevano che se così fosse stato, allora tutto sarebbe finito.
Solo Dwalin e Dìs conoscevano il loro segreto, e inaspettatamente li confortarono, e decisero di aiutarli. Thorin era ben grato alla sorella e al migliore amico, e non gli sfuggirono gli sguardi di intesa e le occhiate dolci che quei due si scambiavano.
 
Ogni sera Thorin si congedava dai parenti e di dirigeva verso le sue stanze; attendeva pazientemente che ci fosse abbastanza silenzio da pensare che gli altri stessero dormendo, e poi percorreva i corridoi che lo separavano dalla camera di Laswynn, che pronta lo attendeva raggiante.
Utilizzarono cauti il passaggio che per la prima volta aveva visto la loro fuga notturna, e si persero nei boschi che circondavano la montagna, e fecero l’amore al chiaro di luna, nascosti dalle fronde degli alberi.
Laswynn continuò a vedere gli elfi; Thorin non avrebbe potuto - ora che i suoi sentimenti erano così forti - toglierle il conforto di Galioth, e tuttavia non si sentiva pronto a fare la sua conoscenza, per quanto lei insistesse.
Quelle notti, quando Laswynn usciva di soppiatto dalla fortezza, Thorin la aspettava ansioso, e quando la vedeva rientrare, sorridente, si lasciava andare al sollievo di poterla riavere tra le sue braccia.
 
Entrambi sapevano che quegli incontri non sarebbero potuti durare all’infinito, e tuttavia evitavano di pensarci. Ma ogni giorno la preoccupazione di Laswynn correva ad un possibile matrimonio combinato del giovane Thorin, e ne attendeva timorosa l’annuncio ufficiale.
Il matrimonio tuttavia era l’ultimo dei pensieri del giovane principe, poiché la sua attenzione fu rivolta a re Thrór, il cui comportamento destava molte preoccupazioni tra i famigliari e i sudditi più vicini; il suo attaccamento per le ricchezze e i gioielli della montagna, da sempre molto forte, era notevolmente peggiorato nel tempo. La malattia dell’oro, se così si poteva chiamare, l’aveva cambiato, e passava la maggior parte delle sue giornate rinchiuso, insieme ai suoi tesori, immerso in quel luccichio sfavillante.
Fu il figlio Thráin ad accollarsi il peso delle responsabilità regali, e organizzò al posto del padre riunioni e Consigli. Lo stesso fece Thorin, la cui presenza era oramai ritenuta fondamentale per qualsiasi evento.
 
*
 
Arrivò una nuova estate, e un vento caldo e piacevole soffiava nei giardini e tra le fronte che circoscrivevano la montagna di Erebor. Fu una di quelle rare occasioni in cui Thorin poté prendere un momento libero dalle sue responsabilità e godersi, come gli altri nani della fortezza, quel caldo sole estivo.
Passeggiava fuori dal portone principale, salutando educatamente con un cenno del capo gli altri abitanti di Erebor; raggiunse Dìs, sua sorella, che si trovava poco distante insieme a Laswynn, e i tre si misero a chiacchierare. Non poteva fare a mano di sorridere, vedendo il sole riflettersi sui capelli della giovane nana che amava, che risplendevano dorati come un fiamma viva.
Anche Dwalin li raggiunse, e vide il suo stesso sorriso nascere sul volto di Dìs, così simile al suo, quando anche l’amico si unì a loro. Thorin si allontanò di qualche passo, lasciandoli soli, e passeggiò accanto a Laswynn, desideroso di poterla anche solo sfiorare o prendere per mano, ma consapevole di non poterlo fare.
 
Thráin li osservava. Si trovava sui bastioni esterni della fortezza, e lo sguardo seguì dapprima la figlia, e si posò poi sul primogenito, poco distante. Aveva notato, da qualche luna, un atteggiamento diverso nel giovane nano; era sempre stato serio e riservato, ma in quel periodo aveva intravisto nei suoi occhi una luce diversa, uno spirito più leggero che non sapeva a cosa imputare.
Era in compagnia della figlia di Heron, Laswynn. I due stavano conversando tranquillamente, ma qualcosa nelle occhiate che si scambiavano diede da pensare a Thráin. C’era un che di bizzarro nei loro sorrisi, una complicità che non sapeva spiegarsi… Un gesto, in particolare, lo rese sospettoso: prima di allontanarsi, richiamato dal giovane Dwalin, Thorin aveva alzato la mano e accarezzato la guancia della giovane, velocemente.
 
Thráin rifletté, e quel momento spiato dall’altro gli rimase molto impresso nella testa anche nei giorni successivi, tanto che decise di parlarne con la moglie.
« Non credi che Thorin si stia comportando in modo strano, ultimamente? » aveva chiesto noncurante, prima di infilarsi sotto le coperte del letto coniugale.
« Strano? Cosa intendi dire? » rispose lei, cercando il suo sguardo.
« Diverso… Ha sempre la testa tra le nuvole, sorride tra sé e sé… Si distrae facilmente… », elencò lui pensoso, guardando il soffitto.
« E’ ancora così giovane, Thráin. Non aspettarti che si comporti già da re. L’hai caricato di responsabilità da quando era molto piccolo… Sono sicura che non c’è niente che non va ».
La moglie si girò sul fianco e spense la candela, facendo piombare la camera nell’oscurità. Thráin non chiuse gli occhi; la sua testa macchinava veloce, poiché non si spiegava il comportamento diverso del figlio, né tantomeno voleva seguire il consiglio della moglie, ovvero quello di lasciare perdere. Avrebbe scoperto la verità, a costo di seguire il figlio e interrogarlo di persona.
 
L’occasione gli si presentò ben presto senza averla cercata. Non riusciva a dormire quella sera: suo padre Thrór aveva passato l’ennesima giornata chiuso insieme all’oro, nella stanze inferiori di Erebor, rifiutando di parlare con chiunque e tenendo stretta tra le mani l’Arkengemma. Si alzò dal letto, indossò degli abiti più pesanti ed uscì dalla sua stanza.
Era inutile rimanere coricato con mille pensieri per la testa, quando avrebbe potuto fare qualcosa di più produttivo. Camminava tranquillamente, ripercorrendo quei corridoi che conosceva a memoria, quando lo vide.
Riconobbe la capigliatura scura e l’andatura del figlio; non era molto distante. Camminava in fretta, senza far rumore, e la testa si spostava a destra e sinistra, come se non volesse farsi vedere da nessuno.
Thráin resistette alla tentazioni di chiamarlo e chiedergli spiegazioni, e decise di seguirlo senza farsi notare.
 
Non stava prendendo la direzione che lo avrebbe portato alle sale principali, ma si dirigeva nell’Ala Ovest. Lo seguì per vari corridoi, chiedendosi se stesse semplicemente passeggiando, forse per prendere sonno, quando finalmente si arrestò. Thráin si nascose dietro la parete d’angolo e attese; per qualche minuto il figlio rimase immobile, fino a quando dei rumori attirarono l’attenzione. Solo quando vide il passaggio aprirsi, capì dove si trovava. Dall’apertura della roccia uscì Laswynn, vestita di tutto punto, con tanto di arco e faretra, e non appena entrò Thorin le si avvicinò e la afferrò per i fianchi, posandola dolcemente a terra.
Chiuse il passaggio senza far rumore; gli occhi di Thráin si sgranarono per la sorpresa quando vide i due baciarsi, e capì che quella non era certo la prima volta.
Li seguì, col respiro affannoso, e li vide entrare nella camera che sapeva fosse quella di Laswynn, mano nella mano.
 
Una parte di lui, quella più furiosa e impulsiva, lo stava spingendo a buttare giù la porta e separare i due con forza, ma resistette. Non poteva certo permettere che la cosa continuasse, ma aveva bisogno di ragionare e escogitare un piano ben pensato.
Ancora in collera, ritornò nel corridoio principale, mentre mille idee si facevano strada nella sua testa.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Dirsi addio ***


Nei giorni successivi Thráin rimase distratto; la moglie e i figli se ne accorsero, ma preferirono non chiedere nulla. Tutti erano a conoscenza dello strano comportamento di re Thrór, e imputavano l’atteggiamento del nano a quella situazione particolare.
Thráin tuttavia, dopo aver scoperto il vero motivo del cambiamento del figlio e dopo qualche breve attimo di esitazione, sapeva cosa fare. Aveva in mente un piano, e fece di tutto affinché funzionasse alla perfezione.
 
Era notte fonda quando decise di metterlo in atto. Si alzò senza far rumore per non svegliare la moglie, e prese la stessa direzione che suo figlio Thorin percorreva oramai da molte lune.
Lui era già rientrato, e Thráin aveva convinto una guardia a fare rapporto, in caso il principe fosse uscito dalle sue stanze. Quando ebbe via libera, si diresse verso l’abitazione di Laswynn e bussò forte alla porta.
Per un momento pensò che anche lei stesse dormendo, ma dopo qualche istante udì una risatina e dei passi. Prima ancora di aprire la porta e guardare negli occhi il suo ospite, aveva esclamato: « E’ tardissimo! Cosa ci fai ancora qui? ».
Pensava fosse Thorin.
 
Aprì piano la porta, e il sorriso entusiasta che aveva sul volto si spense immediatamente, non appena vide quello furioso di Thráin. In panico, tentò di spingerlo fuori e di richiudere la porta, ma Thráin era più forte, e con uno strattone l’allontanò, chiudendo il battente dietro di sé.
Laswynn boccheggiò. Gli occhi di Thráin, di un azzurro così simile a quelli del figlio, eppure allo stesso tempo così diversi e freddi, la fissavano colmi di collera. In qualche modo la giovane seppe che il nano era a conoscenza del loro segreto, e rimase paralizzata, incapace di fare o dire qualsiasi cosa.
« Così ti vedi di nascosto con mio figlio? » domandò lui infine, facendo grandi passi nella stanza.
Laswynn deglutì, ma tentò di mantenere lo sguardo fisso sul nano. Non aveva nessun senso negare, quindi non rispose e rimase in silenzio, cosa che Thráin interpretò chiaramente come un cenno di assenso.
Camminò ancora, mentre Laswynn indietreggiava tremante. Il nano sembrava pensare con cura alle parole da dire, e quando infine parlò, queste furono come di disprezzo e risentimento.
 
« Pensavi di riuscire a farcela? Pensavi che ti avremmo permesso di diventare la moglie di Thorin, futuro re sotto la montagna? No… Non mi sei mai piaciuta, stupida ragazzina. Il solo motivo per cui vivi ancora a Erebor è perché mia moglie ha avuto pietà di tua madre e di te, dopo la morte di tuo padre. Se fosse stato per me, ti avrei rispedita dai tuoi parenti sui Colli Ferrosi. » Rise, notando che le sue parole avevano fatto effetto.
« Tu e Thorin non starete mai insieme, non ti permetterò di portarmelo via. Se mai si sposerà, sarà con una nana molto più in alto di te. Non sei niente per lui. Pensi davvero che se dovesse scegliere tra te e il trono di Erebor, sceglierebbe ancora te? »
 
Laswynn lo guardò, con gli occhi pieni di lacrime, ma decisa un’ultima volta a difendere i sentimenti che provava per il giovane principe.
« Non mi interessa del trono di Erebor, io lo amo! » urlò disperata, mentre nuova collera si riversava negli occhi di Thráin.
« No, tu farai come ti dico » disse minaccioso, puntando il dito contro la giovane. « Quando ho scoperto di te e di mio figlio, non ho perso tempo. Ho inviato una lettera a Náin e ai tuoi parenti dei Colli Ferrosi, e pochi giorni fa ho finalmente ricevuto la risposta. La famiglia di tua madre ti accoglierà e si occuperà della tua educazione; tra un anno o due probabilmente ti faranno sposare ad un nano della tua stessa casa, e Thorin ti dimenticherà ».
 
Laswynn non credette alle proprie orecchie; il panico e il dolore si fecero strada prepotenti nel suo cuore, e si trovò suo malgrado protagonista di un incubo reale, ben peggiore di tutte le sue aspettative.
« Partirai domani mattina, all’alba. Ti consiglio di iniziare a fare i bagagli, una guardia ti scorterà fino a metà strada, e Náin manderà qualcuno per il resto del tragitto. »
 
Thráin vide la giovane davanti a sé piangere in silenzio, incapace di parlare. Aveva posato entrambe le mani sul petto, e le gambe avevano ceduto, tanto che si era seduta sulla cassapanca di fronte al letto, respirando affannosamente.  
« Non tenterai di contattare Thorin, mi assicurerò che tutte le missive personali passino sotto il mio controllo. Non tenterai di avvisarlo stanotte né domani mattina, prima della tua partenza. Se lo farai, in qualsiasi modo – e ti assicurò che ne verrò al corrente – sarà Thorin a pagare il prezzo più alto… » lasciò in sospeso la frase, facendo un ghigno malevolo.
« Gli chiederò di scegliere tra te e il trono di Erebor. »
 
Laswynn trattenne il fiato, e alzò finalmente lo sguardo, carica di disprezzo contro Thráin.
« Odi così tanto tuo figlio da volerlo vedere infelice? »
« Al contrario. Non sarà mai felice con te. Il suo posto è in questa montagna, lui è l’erede di Durin, e niente lo distrarrà, nemmeno una donna. Pensi davvero che sceglierebbe te? »
Lei non seppe cosa rispondere. Thorin non avrebbe mai rinunciato al trono di Erebor, era il destino per cui era nato e per il quale era stato preparato fin dalla nascita, e nemmeno Laswynn glielo avrebbe mai permesso. Nuove lacrime le solcarono le guance, mentre Thráin si avvicinava all’uscita della camera.
« Fai i bagagli », disse infine, « All’alba qualcuno verrà a prenderti ». Senza degnarla di uno sguardo, uscì.
 
Laswynn si lasciò cadere tremante sul morbido letto, e fu scossa da singhiozzi. Non gli restava che qualche ora, e dopo aver cacciato alla rinfusa le poche cose che possedeva, si diresse precipitosamente verso lo scrittoio, e immerse il calamaio nell’inchiostro.
Non sarebbe riuscita ad avvisare Thorin di persona, o nemmeno a dirgli addio. Eppure doveva fare un ultimo, disperato tentativo.
Scrisse qualche breve riga a Thorin, sapendo di non poter entrare nei dettagli o dirgli tutta la verità; era consapevole del fatto che lui non si sarebbe mai arreso al suo completo silenzio, e voleva permettere almeno a uno dei due di mettere l’anima in pace e continuare con la propria vita, per quanto vuota e infelice.
 
Non sapeva come avrebbe potuto recapitargli la lettera, e ci pensò a lungo, prima di  trovare una soluzione. Piegò il biglietto minuziosamente; poi prese una delle frecce elfiche che Galioth le aveva dato, e tentò diverse volte di incastrare il biglietto nella parte superiore della freccia, riuscendoci dopo svariati tentativi e imprecazioni. Nascose quindi la freccia sotto il letto, nascondendola bene vicino alla base, sperando in cuor suo che Thorin la vedesse.
Sarebbe stato estremamente difficile, ma non aveva altra scelta.
 
All’alba, come aveva detto Thráin, una guardia bussò alla sua porta e prese la sua borsa. Laswynn si mise l’arco al collo, e lasciò la fortezza piangendo, quel posto in cui così tante volte si era sentita sola, ma che era, in realtà, l’unica casa che avesse mai conosciuto.
Si girò più volte mentre saliva sul pony, e continuò a farlo anche quando questo prese a marciare. Una verità amara si fece strada nel suo cuore, e si ritrovò a pensare a tutte quelle volte in cui, da bambina, aveva sperato di poter lasciare Erebor e vivere nuove avventure in terre sconosciute; eppure quella mattina avrebbe dato qualsiasi cosa per poter ritornare sui suoi passi e raggiungere la montagna e rivedere Thorin un’ultima volta.
 
                                                    *
 
Nella sua camera, Thorin si svegliò di soprassalto. Aveva dormito male quella notte, in preda a vari incubi e movimenti agitati. Attese qualche istante, prima di alzarsi completamente. La luce nella camera indicava che l’alba era passata oramai da un pezzo, e il principe se la prese comoda, cambiandosi lentamente e cercando di recuperare le forze per una nuova giornata.
Come ogni mattina, il viso di Laswynn le apparse nitido nella mente, e già pensava a quando l’avrebbe rivista e quando finalmente avrebbe potuto toccarla e baciarla.
 
Afferrò una delle mele appoggiate sullo scrittoio e uscì, salutando rispettosamente i nani presenti nel corridoio, di passaggio. Nella Sala Grande trovò suo padre intento a consultare dei documenti, e gli si affiancò curioso. Di suo nonno non v’era traccia e senza chiederlo seppe che si trovava nella stanza del tesoro.
Per tutto il giorno, tra un impegno e un altro, cercò la sagoma di Laswynn, ma non la trovò. Pensò fosse in biblioteca o sul campo di addestramento, ma quando chiese notizie a Dwalin – che passava, anche quando non doveva, la maggior parte del suo tempo in quella zona – lui disse che quel giorno non l’aveva vista affatto.
 
Ebbe paura, per un momento, ma poi pensò che forse non si erano semplicemente incrociati, o che quel giorno non si sentisse bene, e avesse preferito restare nella sua camera per riposare. Si tranquillizzò, ripromettendosi di recarsi dalla giovane non appena avrebbe potuto, e la giornata continuò tranquillamente.

Fu sua sorella Dìs a dirglielo. Lo trovò nelle fucine, intento ad affilare la lama di una vecchia ascia, circondato da altri nani impegnati quanto lui. Thorin si mise un po’ ad accorgersi della sorella, preso com’era da quel lavoro meticoloso. Quando infine i suoi occhi incrociarono i suoi, ebbe paura. Dìs tremava e aveva lo sguardo inequivocabile di chi porta cattive notizie.
La raggiunse velocemente, strofinandosi le mani nel tentativo di pulirle.
« Dìs? Cos’è successo? » chiese preoccupato.
Lei si morse il labbro; aveva gli occhi pieni di lacrime. « Laswynn » disse, mentre Thorin tratteneva il respiro, « se n’è andata ».
 
La realtà di quella frase lo colpì dapprima lentamente, e poi all’improvviso. La verità era scritta chiara sul volto della sorella, e lui non perse tempo a chiedere spiegazioni. Lasciò cadere a terra lo straccio che aveva usato per pulirsi le mani nere, e superò Dìs velocemente, diretto all’ala superiore della fortezza. Non sentì i richiami insistenti della sorella, né i commenti e le occhiate curiose dei nani che quasi investì nella sua corsa.
Si trovò davanti a quella camera che per molti mesi aveva rappresentato per lui la felicità e un porto sicuro in cui nascondersi. Bussò con entrambi i pugni, urlando il nome della nana, non curandosi se il rumore avrebbe attirato qualcuno. Non ottenne nessuna risposta, e la porta era chiusa a chiave. Tentò di buttarla giù con il peso, caricando con la spalla, e ci riuscì, senza nemmeno sentire dolore fisico, perché, per quanto non volesse assolutamente crederci, il silenzio di quella camera era una conferma più che chiara.
 
La stanza era deserta; regnava una calma assoluta. Il letto era vuoto, senza coperte, e il solito disordine di vestiti e frecce era del sparito. Sembrava a tutti gli effetti una camera abbandonata.
Smise di respirare. Non poteva essere vero, Laswynn non se ne sarebbe mai andata senza dirgli addio, senza dargli una spiegazione. Doveva essere successo qualcosa, doveva essere tutto uno scherzo, uno stupidissimo scherzo a sue spese. Si fece strada fuori dalla camera, ripercorrendo senza fiato altri corridoi e altre scale, fino a che giunse nel salotto della madre, che era intenta a leggere un libro accanto al fuoco.
Si alzò immediatamente quando lo vide sulla soglia, pallido e tremante.
« Dov’è Laswynn? » chiese lui, interrompendo qualsiasi domanda non c’entrasse con l’argomento.
La madre non rispose, e abbassò lo sguardo. Si risedette stanca sulla poltrona, evitando ancora accuratamente di guardare il figlio negli occhi. Una lacrima solitaria le solcò la guancia.
« Dov’è madre? Dov’è andata? » continuò lui, inginocchiandosi di fronte a lei, costringendola a guardarlo e a dirgli la verità.
Sua madre alzò finalmente il volto, posando i suoi occhi in quelli del figlio.
« E’ andata a vivere dalla famiglia di sua madre, sui Colli Ferrosi », ammise infine, piangendo silenziosamente.
 
Thorin la fissò sconvolta. Sapeva che sua madre non stava mentendo, ma una parte di lui voleva combattere contro quella novità, contro quella terribile decisione. Uscì correndo dalla stanza, su per i corridoi di Erebor. Si diresse direttamente alla scuderia, scelse un pony e ne riempì velocemente le bisacce.
Si sarebbe diretto ai Colli Ferrosi e avrebbe discusso con la famiglia di Laswynn; se si fossero opposti, l’avrebbe presa e riportata ad Erebor. Dopotutto era l’erede al trono di Durin, doveva pur contare qualcosa.
Stava montando in sella quando suo padre entrò nelle scuderie.
Il suo guardo era tranquillo e sereno, e Thorin lo guardò disperato, cercando aiuto.
« Mi dispiace padre, ma devo partire » disse infine, mentre Thr
áin lo osservava, “Devo recarmi ai Colli Ferrosi per…”
« Non tornerà indietro » lo interruppe il padre, congiungendo le mani.
Thorin lo guardò perplesso.
« Laswynn è venuta da me, qualche giorno fa » continuò Thr
áin, mentre il figlio lo ascoltava immobile, il respiro affannoso. « Mi ha chiesto il permesso di andare a vivere con la famiglia della madre. Ha detto di avere il desiderio di lasciare Erebor e di continuare la sua vita altrove. »
« No… ». Non poteva credere a quelle parole. Sapeva del desiderio di avventura di Laswynn, ma pensava che l’avesse abbandonato, per stare con lui.
« Non ha voluto sentire ragioni. E’ partita questa mattina, all’alba. Non tornerà. La sua vita non è qui, ad Erebor. »
 
Il dolore si fece strada prepotente nel cuore di Thorin. E così era vero, se n’era andata per sempre.
Ma lui aveva bisogno di guardarla negli occhi un’ultima volta; aveva bisogno di una spiegazione.

« Devo andare, devo vederla… io… »
La mano di Thr
áin si serrò stretta sul braccio del figlio, allontanandolo dalla sella del pony.
« No, Thorin. Non puoi andare. I tuoi obblighi qui ad Erebor sono più importanti » disse serio, mentre il suo viso si metteva immediatamente in collera. « Il tuo posto è qui con noi. Laswynn ha fatto la sua scelta, non tornerà indietro. Ti impedirò di andare a cercarla, se devo. »
Non seppe quanto tempo passò, da quando suo padre lasciò le scuderie. Tutto gli sembrava estraneo, lontano, mostruoso. Non riusciva a pensare a niente che non fosse Laswynn, a quanto si sentisse ferito per il fatto che se ne fosse andata, senza degnarlo di una spiegazione, senza averlo preparato a quel momento.
Dopo quelle che gli parvero ore, si trascinò per le scale, e raggiunse un’ultima volta la camera della giovane nana. La porta era ancora sfondata, come l’aveva lasciata lui, quello stesso giorno.

Ebbe una reazione violenta, e buttò a terra le poche cose rimaste sullo scrittoio. Il calamaio cadde con un tonfo, lasciando una grande macchia scusa sul tappeto vicino a letto. Thorin si lasciò cadere a terra, incapace di fare qualsiasi altra cosa, e pianse in silenzio.
Poi raccolse lentamente ciò che era caduto, e si abbassò sotto il letto, dove la boccetta oramai vuota era rotolata. Si accorse che una delle frecce di Laswynn era per terra, e la afferrò velocemente, stringendola tra le mani.
Solo quando la ebbe vicino agli occhi si accorse del pezzo di pergamena che era stato minuziosamente incastrato all’estremità della stessa, e tremante lo sfilò, aprendolo e riconoscendo immediatamente la calligrafia di Laswynn.
 
Carissimo Thorin,
Se hai trovato questo biglietto, mi conosci meglio di quanto credo.
Ti prego, non odiarmi. Un giorno forse ci rivedremo e sarò in grado di spiegarti le vere ragioni che mi hanno spinta a lasciare Erebor.
Non dimenticherò mai i momenti che abbiamo condiviso, ma tu devi andare avanti: so già per certo che sarai un ottimo re sotto la montagna, e un giorno, chissà, un ottimo marito e padre.
Ti auguro ogni bene,
tua Laswynn
 
Thorin si girò e rigirò il biglietto tra le mani, cercando disperatamente qualche altra parola o nuove righe di conforto. Non gli restava altro da fare che arrendersi all’evidenza, e fu quello che face, trascinandosi col cuore pesante lontano da quella stanza, portando con sé la freccia elfica e il biglietto, due oggetti che avrebbe conservato fino alla fine dei suoi giorni.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Una nuova vita sui Monti Azzurri ***


Diversi anni dopo, il regno di Erebor terminò a causa di Smaug. Dei messaggeri vennero inviati da Náin, sui Colli Ferrosi, e tutta la corte si strinse nella sofferenza, poiché molte vite furono portate via dal drago.
Náin aveva convocato Laswynn personalmente: lei era cresciuta tra le mura della fortezza e più di tutti avrebbe compianto i morti causati da Smaug. Non riuscì a nascondere la maschera di dolore, quando lei si presentò. Aveva imparato, nel tempo, ad affezionarsi a sua nipote, per quanto riservata e triste le era sembrata i primi mesi.
Quando le comunicò la notizia, la vide impallidire; i grandi occhi verdi si sgranarono e per qualche minuto non riuscì a dire nulla. Quando infine lo fece, chiese della sorte del re e della sua famiglia.
« Sono vivi, sono riusciti a scappare sui Monti Azzurri », l’aveva rassicurata Náin, tenendole una mano.
« Anche il principe Thorin? » aveva chiesto lei, tremante.
« Anche il principe Thorin ».
 
Laswynn sospirò a lungo. Per un attimo aveva temuto il peggio; soffrì comunque moltissimo, poiché riusciva ad immaginare il dolore di quel popolo, che in fondo al cuore considerava ancora il suo popolo, costretto a lasciare la montagna e tutte le sue ricchezze.
« Domani invierò alcuni dei miei uomini con cibo, scorte e armi. Qualsiasi cosa possa aiutarli in questo difficile momento ».
« Fammi partire con loro! » aveva esclamato Laswynn, stringendo con più forza le mani dello zio nelle sue. « Potrei essere utile; sono brava con le erbe e ho curato molti nani qui, sui Colli Ferrosi ».
Náin la guardò incerto. C’era un improvviso fervore nei suoi occhi, che prima d’ora non aveva mai visto.
« Laswynn… lo sai che non sono io la persona a cui devi chiedere il permesso », aveva risposto Náin, abbassando lo sguardo dispiaciuto, mentre una lacrima solitaria solcava la guancia della giovane nana.
 
***
 
Sugli Ered Luin, Thorin e i suoi uomini cercavano di cavarsela come meglio potevano. In breve tempo erano riusciti a costruire piccole abitazioni sicure per gli abitanti scampati da Erebor, che avevano deciso di seguirli. Il principe e altri nani si davano da fare come meglio potevano, lavorando nei villaggi degli uomini, e seppure vi fosse ancora molta sofferenza e malinconia, la vita procedeva senza sosta.
Furono grati quando arrivarono gli aiuti dai parenti dei Colli Ferrosi: cibo, indumenti e poco denaro avevano fatto la differenza in cui primi momenti così difficili.
Finalmente era giunta l’estate, e un piacevole vento caldo soffiava tra le tende e le fronde che circondavano la zona scelta dai nani, mentre i bambini si rincorrevano e giocavano, godendosi la temperatura calda.
Thorin era nella sua tenda, intento a controllare alcuni documenti. I viveri erano ancora scarsi, ma sarebbero durati fino all’autunno, forse anche un po’ più avanti. Si innervosì moltissimo quando qualcuno venne a chiamarlo, perché aveva espressamente chiesto di non essere disturbato.
 
Era Balin. Gli disse che un visitatore proveniente dai Colli Ferrosi desiderava vederlo, in privato. Chiunque fosse, Thorin non aveva tempo, e chiese a Balin di comunicare a quell’ospite sconosciuto che avrebbe dovuto attendere fino a che il principe si fosse liberato.
« Che ritorni più tardi, se è tanto importante, ora non ho tempo per nessuno ».
« E’ questo che sono, quindi? Nessuno? »
 
Thorin rimase paralizzato, ancora piegato sulle sue carte, con le spalle rivolte all’entrata della tenda. Non ebbe bisogno di voltarsi, perché avrebbe potuto riconoscere quella voce tra mille. Gli ci volle tutto il coraggio del mondo per muoversi, e quando vide Laswynn il suo cuore perse un battito.
Non ricordava quanto tempo fosse trascorso, ma nel vederla lì, dopo tutto quello che successo, a Thorin sembrò di tornare al passato. Era bella, forse ancora più di quanto ricordava, più seria e meno spensierata… più matura.
Nessuno dei due disse niente per molto tempo, e non si accorsero di Balin che, imbarazzato, aveva lasciato silenziosamente la tenda.
 
Laswynn fece un passo in avanti, timorosa, e subito Thorin retrocedette. Ferita, abbassò lo sguardo, senza sapere come comportarsi. Non c’era traccia in lui del giovane principe di cui si era innamorata, anni prima; le sofferenze avevano cambiato il suo sguardo, che si era fatto più duro e triste. Le bastò guardarlo negli occhi, però, per ritrovarsi ancora una volta, e ricordare ciò che era stato tra di loro.
« Thorin… »
« Cosa ci fai tu qui? »
Lei deglutì. Non si aspettava certo che tutto fosse sistemato, o che lui l’avrebbe accolta a braccia aperte, ma la freddezza con cui le si rivolse le lasciò l’amaro in bocca, e si spiegò parlando brevemente.
« Non potevo non venire dopo tutto quello che è successo… lo so che sono passate molte lune, e credimi, ho cercato di venire prima ma… »
« Ma, cosa? » esclamò lui furibondo, dandole le spalle e serrando i pugni così stretti al tavolo che quasi lo spezzò.
« Ho dovuto chiedere il permesso, Thorin. E’ stato difficile ».
Thorin rise sprezzante. « Il permesso? » chiese scettico, « di chi? ».
 
Ma Laswynn non poté rispondere, perché in quel momento un bambino biondissimo di circa quattro anni fece irruzione nella tenda, brandendo con sé una spada giocattolo e facendo un gran baccano.
« FILI! » tuonò Thorin, « Quante volte devo ripeterti che non puoi entrare qui? »
Laswynn lo guardò meravigliata afferrare il bambino e alzarlo da terra, mentre quello gli batteva violentemente la spada sulla schiena nel tentativo di divincolarsi.
« Lui è tuo f… » iniziò a chiedere, senza fiato, quando un’altra voce li interruppe.
« Fili?! Dove ti sei cacciato questa volta? »
Era Dìs; camminava a fatica, a causa del pancione di dimensioni notevoli ben visibile da sotto il vestito. Guardò spaventata il figlio che cercava di tirare i capelli a Thorin, e lo sguardo si fece ancora più sgomento quando gli occhi si posarono su Laswynn.
 
« Laswynn? Qu-quando sei arrivata? Non posso crederci! » aveva esclamato contenta, serrando la giovane in un abbraccio impacciato.
« Poco meno di un’ora fa » aveva risposto lei, ricambiando il saluto, soddisfatta che almeno un membro della famiglia fosse contento di vederla. « Dìs, è tuo figlio? »
« Si, lui è Fili, e come puoi vedere è un terremoto. Prego Mahal che il prossimo sia una femmina! ».
Thorin alzò gli occhi al cielo per quell’ennesima intrusione e per l’affetto che Dìs stava dimostrando a Laswynn, come se il loro fosse un incontro estremamente piacevole.
« Vieni Fili, lascia in pace tuo zio! » esclamò la donna, prendendo per mano il bambino biondo che docile docile – dopo aver sferzato un altro colpo di spada alla gamba dello zio – seguì la madre prendendola per mano.
 
Laswynn li seguì con lo sguardo, fino a che sparirono. « Non sapevo che Dìs avesse un figlio… » aveva commentato, guardando immobile l’uscita della tenda.
« E come potevi saperlo? Non sei neanche venuta al suo matrimonio » aveva risposto lui furioso, sedendosi dietro lo scrittoio.
Laswynn rimase in silenzio, abbassando lo sguardo triste. Thorin la guardava, furibondo, pronto a esplodere di collera. « Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui » disse infine, congiungendo le mani davanti a sé.
La giovane parve ridestarsi dai suoi pensieri, e lo guardò negli occhi.
« Siamo venuti a portare altro cibo, e indumenti. Sui Colli Ferrosi ho studiato le erbe e i metodi di guarigione, e mi pare di capire che abbiate bisogno di qualcuno che vi aiuti, specialmente una levatrice… a Dìs non deve mancare molto ».
« Siamo? Non dirmi che mio cugino Dáin ti ha accompagnata… »
« Sarei venuta da sola piuttosto che con Dáin, e lo sai bene. Mi ha accompagnata mio marito » disse infine, evitando accuratamente lo sguardo del nano.
Thorin non la guardava, ma qualcosa nel modo in cui serrava i pugni le fece comprendere che aveva ben capito. Continuò a parlare velocemente, attendendo una sua reazione.
« All’inizio era contrario; ha acconsentito che venissi qui a condizione di potermi accompagnare ».
 
« Lui dov’è? » domandò Thorin, osservando un punto imprecisato sul suo scrittoio, cercando di contenere la collera.
« Stava aiutando gli altri nani a scaricare le provviste, credo… »
Thorin finalmente si alzò e si avvicinò all’uscita, senza degnare di uno sguardo Laswynn, che ora lo fissava sconvolta per essere trattata in quel modo.
« Thorin! » lo richiamò, « Lasciami restare… potrei esservi utile, davvero! »
Lui si fermò, una mano già posata sull’uscita della tenda. « Ti prego, ringrazia Náin per le provviste e l’aiuto… ma il tuo posto non è qui. Hai fatto un lungo viaggio, e stasera potrai restare. Ma domani mattina dovrai andartene… » si voltò, freddo. « E porterai tuo marito via con te ».
Laswynn rimase immobile, sola, al centro della tenda. Si era aspettata una reazione del genere, ma fino all’ultimo aveva sperato che Thorin cambiasse idea, o che comunque le consentisse di restare… se non per lui, almeno per aiutare la gente di Erebor.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Laswynn e Gwáyn ***


Quel giorno Thorin lavorò duramente nella fucina e non volle parlare o essere disturbato da nessuno. La visita inaspettata a indesiderata di Laswynn l’aveva scosso in maniera piuttosto violenta, e la sorpresa era stata resa ancora più negativa quando aveva scoperto che non solo era sposata, ma che suo marito si trovava lì in quel momento.
Batté con più forza contro il ferro rovente, e ancora e ancora, finché non ebbe più rabbia da sfogare. Si lavò velocemente e raggiunse la tenda dove cenava usualmente con Dwalin, Balin, la sorella Dìs, suo marito Vili e il piccolo Fili.
 
Quando entrò tutti erano già seduti intorno alla grande tavola, e non si accorse subito di Laswynn che – come scoprì più tardi – era stata insistentemente invitata dalla sorella.
Anche Dwalin le lanciava numerose occhiate sospettose, ma lo sguardo di Thorin si fermò sul nano seduto accanto alla giovane, che capì essere immediatamente il marito. Era biondo e massiccio, con grandi occhi cristallini e braccia muscolose. Sembrava essere molto più vecchio di Laswynn. Sorrideva e chiacchierava con Vili, altrettanto biondo, mentre il piccolo Fili, in braccio a Laswynn, veniva imboccato pazientemente dalla madre.
 
Thorin rimase in piedi, attendendo che tutti si fossero accorti della sua figura. Se avesse saputo della presenza di ospiti, sarebbe andato dritto a dormire, considerando anche il fatto che la fame sembrava miracolosamente sparita.
Rimase impassibile quando il nano biondo accanto a Laswynn si alzò, nel silenzio generale, e venne verso di lui. I due si squadrarono per qualche secondo, prima che quello allungasse la sua mano in un gesto cordiale. Thorin la strinse, senza sorridere, mentre il nano si presentava.
« Laswynn mi ha parlato molto di te. Il mio nome è Gwáyn » aveva detto, prima di andare a risedersi accanto alla moglie.
 
Thorin prese posto e iniziò a mangiare, troppo occupato nei suoi pensieri per poter conversare, annuendo ogni tanto come se fosse davvero in ascolto.
Non gli sfuggì lo sguardo nervoso di Laswynn, che spesso si posava sul suo volto, o i gesti possessivi del marito, che le cingeva il fianco o le accarezzava la mano posata sul tavolo. Avrebbe pagato tutto quel poco che possedeva per scappare dalla tavola e non dover assistere a uno spettacolo simile.
Quando Fili si addormentò ciondolante dritto nel piatto della madre, tutti si congedarono. Vili aveva trovato una sistemazione per Laswynn e Gw
áyn, e Thorin fu più che contento di vederli allontanarsi, lasciandolo finalmente solo.
 
Come temeva, non riuscì a prendere sonno quella notte. Il volto di Laswynn e la mani veloci di Gw
áyn gli balenavano nella testa ogni volta che provava a chiudere gli occhi, e ben presto si arrese. Si alzò e decise di prendere una boccata d’aria. Lungo il villaggio bruciavano le fiamme di numerosi focolari, e Thorin vi passò accanto, percependo il calore del fuoco e respirando a fondo.
 
La vide poco lontano, voltata di schiena. Probabilmente non era lui l’unico sonnambulo di quella notte. Per un attimo pensò di voltarsi e allontanarsi senza farsi vedere, ma Laswynn si voltò e lo intravide nell'ombra. Gli sorrise imbarazzata e Thorin le si avvicinò.
« Non riesci a dormire? » chiese titubante, ponendosi al suo fianco.
« Non riesco mai ad abituarmi a letti e posti nuovi » rispose lei, sorridendo tristemente.
Thorin la osservò all'ombra del fuoco, stupendosi ancora una volta di quanto poco fosse cambiata, e di quanto ancora – per quanto volesse negarlo – erano forti le sensazioni che gli trasmetteva.
 
« Gw
áyn sembra un nano… a posto » aveva detto, cercando una sua reazione.
Lei annuì, senza aggiungere altro.
« Da quanto sei sposata? »
« Da circa quattro anni, se tieni conto dell’anno di corteggiamento e delle lunghe trattative che Náin ha iniziato per farmelo sposare… Gw
áyn è spesso via di casa, quindi passo molto tempo da sola, ma sono la guaritrice ufficiale, e mi porta via molto tempo. »
Il sorriso che si dipinse sul suo volto non mascherò totalmente la maschera di sofferenza che Thorin riuscì a intravedere, e osò porre la domanda di cui temeva con tutto sé stesso la risposta.
« Lui è… buono con te? »
Laswynn si strinse nelle spalle. « Si, Gw
áyn è buono con me. All’inizio non ne volevo sapere di sposarmi, ma Náin ha insistito… Non ho avuto molta scelta, e credo che Gwáyn si fosse abbastanza spazientito. E’ stata dura i primi tempi, ma credo che mi ami molto, e che anche mi sono affezionata a lui, nel tempo. »
Così era stato un matrimonio combinato, e lei non lo amava. Thorin tentò di scacciare quel pensiero, mentre il cuore perdeva un battito e una sensazione simile al sollievo avanzava prepotente dentro di sé.
 
« Avete figli? » chiese dopo qualche istante, stringendo i pugni.
Gli occhi di Laswynn si riempirono improvvisamente di lacrime, mentre girava la testa guardando in un’altra direzione.
« Ho concepito un figlio l’anno scorso » ammise dopo una lunga pausa, cercando di trattenere altre lacrime. « Non so com’è successo, ma l’ho perso due mesi prima della nascita. Era un maschio ».
Thorin non seppe cosa fare. Dopo tutti quegli anni vederla piangere gli risultava ancora insopportabile…
 
« Non ho visto Thráin, dov’è tuo padre? E tuo nonno? » chiese lei infine, cercando in tutti i modi di cambiare argomento.
« Sono qui, nell’accampamento, ma non escono molto. Credo che la perdita di Erebor sia stato un colpo troppo duro per entrambi. Da quando mia madre è morta, poi, mio padre ha iniziato a stare male… credo che abbia perso la testa. »
« Mi dispiace molto per tua madre. Le ero molto affezionata ».
Rimasero in silenzio ancora qualche istante, osservando il cielo scuro.
 
E poi lei disse finalmente ciò che entrambi stavano attendendo.
« Thorin… mi dispiace di essere piombata qui così, all’improvviso. Non ne avevo alcun diritto… »
« No, hai ragione, non ne avevi. »
« Dovevo vederti, capisci? Era l’ultima occasione! »
« Se non te ne fossi andata da Erebor, non avresti avuto bisogno di un’occasione del genere! Avresti potuto vedermi ogni singolo giorno! Ci saremmo potuti sposare! ».
Thorin si trovò a sbraitare, all’improvviso, perché la collera che fino a quella notte aveva cercato di controllare esplose come una belva feroce.
Laswynn lo guardava immobile; non si era allontanata quando lui le aveva urlato a pochi centimetri dal volto e i suoi occhi erano rimasti fissi in quelli di Thorin.
« Non sarebbe cambiato nulla se fossi restata. Non avremmo potuto mai stare insieme, lo sai bene. » Aveva risposto infine, abbassando lo sguardo a terra, tremante. « Tu dovevi diventare re di Erebor, non c’era posto per me nella tua vita ».
« Che senso avrebbe avuto diventare re sotto la montagna senza te al mio fianco? » aveva sussurrato lui, dandole le spalle.
 
Laswynn non resistette più; le parole di Thorin e la sua voce disperata le pesavano come un macigno sul cuore, e si allontanò dal nano. Prima che potesse andarsene, però, questo le afferrò un braccio, senza voltarsi.
« Perché te ne sei andata? » chiese ancora, stringendo i denti.
Lei sospirò, guardando ancora dritto davanti a sé, cercando di allentare la presa del nano.
« Devi parlare con tuo padre Thr
áin. Lui ha tutte le risposte di cui hai bisogno ».
Lo lasciò lì, sbigottito, una mano ancora ferma ad afferrare il nulla, mentre lei raggiungeva il marito nella notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** La nascita di Kili ***


 
Laswynn e Gwáyn non partirono il giorno successivo, né quello dopo ancora. Un violento temporale si era abbattuto sui Monti Azzurri, rendendo le strade impervie e la visibilità pressoché nulla.
Dìs insistette perché Laswynn restasse con loro, insieme al marito, e passò molto tempo con la giovane nana, mentre Vili andava a caccia con Gw
áyn. L’aiuto di Laswynn si dimostrò utile come aveva annunciato, perché sugli Ered Luin il clima estivo non mitigava le temperature basse, e molti nani si ammalavano con frequenza.
Thorin la evitò, tenendosi occupato e lavorando per molte ore nella fucina del villaggio degli uomini. Raramente si incrociavano, ma quando succedeva, e la vedeva accompagnata dal marito, i suoi occhi si posavano automaticamente sulle mani di Gw
áyn, sempre strette al fianco di Laswynn, come per impedirle di scappare.
 
Le sue parole riguardo a Thr
áin gli ronzavano nella testa ogni secondo, e si convinse ad andare dal padre. Quando Laswynn aveva lasciato Erebor, Thráin era stato l’unico a fornirgli una spiegazione veritiera, e per quanto dubitasse poco del nano, sapeva che c’erano ancora cose che non gli aveva detto.
Tre giorni dopo l’arrivo di Laswynn si decise finalmente a fare visita al padre. Quando arrivò, il guaritore che si occupava di loro gli disse che suo nonno dormiva, ma che Thr
áin era sveglio e poteva riceverlo.
Thorin entrò; suo padre era seduto comodamente, lo sguardo perso nel vuoto, e non c’era niente nei suoi occhi che gli ricordasse il nano fiero, autoritario e forte che una volta comandava a Erebor. Non sembrò accorgersi della presenza del figlio, che gli si sedette di fronte, sorridendo dolcemente, mentre prendeva le mani tra le sue.
 
« Come stai oggi, padre? » chiese Thorin, cercando i suoi occhi.
Lui finalmente si voltò e gli sorrise, sereno, annuendo senza rispondere. Decise di non perdere tempo, e di porre subito la domanda per la quale era venuto.
« Padre… ti ricordi di Laswynn, la figlia di Heron? »
Thr
áin rimase pensoso qualche istante, e annuì una seconda volta.
« Ha lasciato Erebor qualche tempo fa; ti ricordi il motivo? »
« Sui Colli Ferrosi. E’ andata a vivere sui Colli Ferrosi » esclamò lui, stringendo più forti le mani del figlio nelle sue. « N
áin… Náin l’aveva presa con sé! Dov’è tua madre, Thorin? Ho fame, non mangia con me oggi? »
 
Thorin gli accarezzò la guancia, malinconico. Da quando era morta, Thr
áin parlava spesso come se sua madre fosse ancora presente, come se fosse ancora viva. Si congedò: la breve conversazione e il divagare del padre gli avevano fatto chiaramente capire che non avrebbe ottenuto nessuna spiegazione riguardo alla decisione di Laswynn di lasciare Erebor, se mai ce ne fosse stata una.
Si alzò e salutò il padre, avvicinandosi all’uscita dell’alloggio, quando lui parlò di nuovo.
« L’ho cacciata dalla montagna. Non mi piaceva quella nana… Ho mandato un messaggero a N
áin e l’ho pregato di portarsela via » aveva detto Thráin, guardando il soffitto concentrato, come se stesse raccontando una vicenda buffa accaduta poco prima.
« Pianse quando glielo dissi. Non voleva andare via. Ma io l’ho obbligata, oh si! L’ho obbligata eccome! » batté le mani contento, fissando il figlio in procinto di andarsene.
 
La verità si fece strada lentamente nell’animo di Thorin, così come la collera e la sofferenza. Non avrebbe avuto senso litigare con il padre o attaccarlo, ora che si trovava in quello stato. Fece cenno al nano che si occupava di lui e del nonno e si allontanò dalla tenda, troppo sconvolto per pensare a qualsiasi cosa.
E così alla fine Laswynn aveva ragione, suo padre gli avrebbe dato delle risposte… Meditando tra sé e sé, Thorin si allontanò dal villaggio. Aveva bisogno di stare da solo e di metabolizzare la cosa.
Fece ritorno solo a notte tarda, quando tutti si erano già coricati, e scivolò presto in un sonno agitato e irrequieto.
 
*
 
Il mattino dopo si svegliò di buon’ora e si diresse alla fucine per lavorare, seguito da altri nani. Sulla strada aveva visto Gw
áyn, in compagnia di Vili, dirigersi a caccia per l’ennesima volta. I due sembravano andare molto d’accordo, e la cosa non piacque a Thorin. Per quanto fosse determinato a odiarlo, tuttavia, doveva ammettere che i modi gentili di quel nano riscuotevano fin troppo successo.
Tornò solo a tardo pomeriggio, imbronciato e stanco per il duro lavoro. Non aveva ancora avuto il coraggio di dire a Laswynn che aveva scoperto la verità parlando con suo padre, e non era nemmeno sicuro di volerlo fare.
 
La vide poco distante: teneva dolcemente Fili sollevato, in modo che potesse dare la mela che teneva tra le mani al pony di fronte a sé. Per un attimo Thorin rimase a osservarli, perdendosi nei ricordi di molto tempo prima. Passò del tempo a controllare delle carte e a riposarsi, quando Dwalin fece irruzione nella sua tenda, ruzzolando.
« Cosa diavolo succede ora? » aveva esclamato Thorin, alzandosi in piedi allarmato.
« Dìs! » aveva risposto quell’altro senza fiato, « Sta per partorire! »
 
Thorin lo scansò velocemente e si precipitò dalla sorella. Dìs era sdraiata e digrignava i denti sofferente, in preda ai dolori, tenendosi con entrambe le mani l’addome. Laswynn era accanto a lei e le stringeva la mano, incoraggiandola con parole basse.
Guardò Thorin quando entrò, senza abbandonare la mano di Dìs.
« Come sta? » chiese lui, cercando di sovrastare le urla della sorella.
« Ha avuto contrazioni tutto il giorno, ma ora sono aumentate. Credo che questo bambino abbia fretta di uscire » rispose Laswynn, sorridendo dolcemente e ridendo tra sé e sé per l’espressione impacciata di Thorin.
 
« Dov’è Vili? » ansimava Dìs, cercando una risposta dal fratello.
« E’ a caccia con Gw
áyn! Non torneranno prima di qualche ora! »
« Dìs, ascoltami », Laswynn le prese il volto tra le mani, voltandola verso di sé. « Vili tornerà tra poco, ma ora devi concentrarti sul bambino, intesi? »
Dìs annuì e tentò di calmarsi e di respirare profondamente. Laswynn lasciò la sua mano e si alzò, avvicinandosi a Thorin.
« Mi serve qualcuno che mi aiuti; fai venire una nana del villaggio e fai portare coperte pulite e acqua calda, ci serviranno. Ho lasciato Fili a Balin, controlla che stia bene… VAI! » urlò esasperata quando Thorin rimase immobile sulla soglia della camera.
 
Il travaglio si protrasse fino a notte fonda; Vili era tornato e attendeva nervosamente fuori dalla stanza della moglie, in compagnia di Thorin e di Gw
áyn, che li aveva raggiunti. Nessuno dei tre sembrava avere voglia di conversare, e si guardavano timorosi e imbarazzati non appena sentivano Dìs urlare.
Poco dopo l’alba, parecchi secondi di silenzio li fecero trattennere il fiato. Poi, chiaro e cristallino, udirono il vagito di un neonato.
Si guardarono sorridendo, mentre Vili prorompeva in una sorta di risata a metà tra l’isterico e il sollevato; Gw
áyn gli diede forti pacche sulla spalla e sentenziò che per festeggiare sarebbe andato a cercare almeno dieci pinte di birra; Thorin lo abbracciò, specchiandosi nei suoi occhi lucidi e emozionati.
 
Dopo qualche istante la porta della camera si aprì e ne uscì Laswynn, stanca in volto ma sorridente; tra le braccia teneva avvolto in una coperta candida un bambino minuscolo, che dormiva beato.
Guardò Vili raggiante e glielo porse delicatamente, risistemando la coperta in modo che fosse comodo.
« E’ un maschietto! »
Vili guardava il bambino estasiato; gli accarezzava la manina, e sembrava del tutto incapace di chiedere o dire qualsiasi cosa.
« Come sta Dìs? » domandò infine Thorin, cercando lo sguardo di Laswynn.
« Bene, è stata molto brava… tra qualche minuto potrete entrare a vederla ».
 
Dìs li accolse in camera stremata, ma felice. Vili la raggiunse tenendo il bambino tra le braccia, e si sedette accanto alla moglie sul letto, senza staccare gli occhi dal neonato. Dei passi affrettati poco distanti annunciarono l’arrivo di altri ospiti, e la faccina curiosa di Fili fece capolino nella stanza, mentre Balin lo raggiungeva ansante, tenendosi una mano sul cuore.
Allo sguardo stupito e divertito di Thorin, rispose: « E’ stato sveglio praticamente tutta notte… Non so dove trovi tutte queste energie! ». Laswynn rise, e accompagnò per mano il piccolo Fili verso i genitori, che lo guardavano raggianti.
« Fili, vieni a conoscere il tuo fratellino Kili ».
 
Thorin e Laswynn rimasero sull’uscio della stanza, osservando il piccolo Fili guardare sospettoso il fratello, ridendo delle sue espressioni buffe. Si sorrisero, e Laswynn lasciò scivolare la sua mano in quella di Thorin, che gliela strinse, emozionato e grato per quella felicità e quella sensazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Ritorno al passato ***


Questo capitolo è molto, molto corto, per quanto sia importante per la storia in sé. Della trama in interessa - come forse si è già capito - raccontare solo i momenti condivisi dai due protagonisti, senza soffermarmi a lungo su altre vicende (come l'attacco di Smaug, per esempio), che rimarranno, appunto, marginali. 
E' una storia che fin dall'inizio ho concepito in questo modo, con salti temporali e con uno zoom diretto a Thorin e Laswynn.
Spero non sia di difficile lettura per questo motivo.



Quella stessa settimana, come da tradizione, venne organizzata una celebrazione per l’arrivo di Kili, terzo in linea di successione al trono di Durin. Dìs si era totalmente ripresa dal parto, e sedeva tranquilla con il neonato in braccio, mentre svariati nani si avvicinavano per congratularsi di persona.
Dopo tutte le sofferenze e il dolore, quella nuova vita sembrava aver portato con sé un’ondata di speranza, e tutti sorrisero e si rallegrarono quella sera. La birra scorreva a fiumi e dopo vari canti e balli molti furono decisamente troppo ubriachi per continuare.
Laswynn guardò suo marito Gwáyn, seduto alla tavolata, e rise tra sé; aveva bevuto molto, e la testa gli ciondolava pericolosamente a destra e a sinistra. Gli si avvicinò dolcemente e lo prese per un braccio, cercando di alzarlo e di riaccompagnarlo in camera, dove sicuramente sarebbe caduto in un sonno profondo.
 
Il peso di Gwáyn era però troppo per Laswynn sola, e accorgendosi delle sue difficoltà Thorin le si avvicinò, e suo malgrado afferrò il nano ubriaco per l’altro lato, aiutando la giovane a trascinarlo verso le loro stanze.
Gwáyn non fece altro che bofonchiare cose senza senso, mentre le palpebre scendevano e si riaprivano velocemente; Laswynn e Thorin risero di quella situazione, e, quando finalmente aprirono la porta della camera, lo trascinarono a letto, stendendolo supino e sistemandolo come meglio potevano.
Thorin lasciò che Laswynn si occupasse del marito e lo svestisse; socchiuse la porta e rimase ad osservarla dallo spiraglio rimasto aperto. Avrebbe pagato qualsiasi cosa per essere al posto di Gwáyn e per essere curato amorevolmente da quelle mani…
 
Gwáyn russava pesantemente, e dopo aver piegato con cura i vestiti del marito, Laswynn uscì dalla stanza. Era tardi, ma non aveva molto sonno. Tutti gli abitanti di Ered Luin sembravano tuttavia convinti del contrario, perché un grande silenzio regnava nel villaggio. Laswynn scese le scale in silenzio, e tentò di trattenere le risate quando intravide Dwalin addormentato sulla tavolata, con la mano destra ancora stretta al boccale di birra.
 
Si accorse allora che anche Thorin era sveglio, e i loro sguardi si posarono divertiti sul nano semi-svenuto.
Thorin le fece cenno di seguirla e entrambi uscirono all’aria aperta, muovendo qualche passo e godendosi quella calma apparente.
« Ho parlato con Thráin » disse infine Thorin, rompendo il silenzio che si era creato. Laswynn lo guardò sgranando gli occhi, senza dire una parola.
« Mi ha detto tutta la verità » aggiunse, cercando la mano della giovane che tentava invano di nascondere le lacrime. « Laswynn i-io non avrei mai immaginato… Perché non me l’hai detto? Perché non hai cercato di contattarmi? »
Laswynn lo guardò tremante, avvicinandosi di qualche passo. « Me lo ha fatto giurare. Ha detto che ti avrebbe fatto scegliere tra me e il trono di Erebor! »
 
La sofferenza e la collera che entrambi provavano era troppa; per anni la loro relazione era stata ostacolata, erano stati divisi, costretti a dimenticarsi, a cancellarsi. Si guardarono a lungo, seri in volto, ognuno perso negli occhi dell’altro.
Thorin le si avvicinò. « Non ti ho mai dimenticata » disse senza scomporsi.
E Laswynn lo baciò, all’improvviso, premendo le labbra sulle sue, che conosceva e ricordava così bene. Thorin le afferrò il volto con entrambe le mani, e solo quando nessuno dei due ebbe più fiato, si staccò. La prese per mano e la condusse verso la sua stanza, nel silenzio tombale di quell’abitazione, mentre tutti dormivano inconsapevoli di ciò che stava accadendo.
 
Quella notte si amarono ancora una volta come era successo anni prima. La rabbia si mescolò alla passione, la frustrazione al desiderio, e in pochi istanti Laswynn e Thorin si trovarono nudi nel letto di lui. Le loro mani percorrevano audaci strade conosciute, risalendo e scendendo tremanti, premendo luoghi sensibili. Lui si perdette nei gemiti di lei e baciò ogni centimetro del suo corpo, pregando che quel momento non finisse mai.
Laswynn gli si mise sopra, a cavalcioni, perché sapeva che non avrebbe resistito a lungo: aveva bisogno di sentirlo dentro di sé. E quando finalmente lui entrò in lei, fu come uno scoppio di fiamme e di emozioni, e Thorin si sentì morire mentre la osservava muoversi su di lui, mentre inarcava la schiena e stringeva le mani sulle sue ginocchia, gli occhi chiusi e i capelli che le cadevano morbidi sulle spalle.
Raggiunsero il culmine insieme, e Laswynn rotolò sul suo fianco, gli occhi ancora chiusi e la bocca spalancata in cerca di ossigeno.
 
Thorin rimase ad osservarla a lungo, e la sua mano corse ad accarezzarle la guancia, e lei gliela prese e la baciò. Rimasero in silenzio una accanto all’altro, fino a quando Laswynn si alzò e si rivestì. Lo guardò dolcemente, abbassandosi per un ultimo bacio, prima di lasciare la camera da letto.
Si diresse alla sua stanza, senza far rumore; Gwáyn dormiva ancora profondamente, nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato quella stessa sera. Laswynn fece il giro del letto e si coricò, tirandosi la coperta fin sopra il mento. Quando avvertì il peso del suo corpo, Gwáyn emise un grugnito e mise il braccio sul fianco di lei, tirandola più forte a sé, e dormirono così fino a quando giunse il mattino.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La battaglia di Azanulbizar ***


 
Thorin e Laswynn non riuscirono, come avevano sperato ritrovandosi, di passare altro tempo insieme, disposti e consapevoli di dover nascondere quella relazione.  Appena un mese dopo quella notte, infatti, i nani dei Monti Azzurri partirono alla volta delle miniere di Moria, a combattere contro gli orchi responsabili di aver profanato i loro luoghi sacri.
 
Gwáyn partì con i Durin dei Monti Azzurri, poiché sapeva che si sarebbe ricongiunto ai suoi parenti dei Colli Ferrosi sul campo di battaglia, e oltretutto doveva ammettere che la famiglia di Thorin e gli abitanti del villaggio lo avevano accolto come un fratello, e nel tempo si era molto affezionato a loro.
 
A Laswynn si spezzò il cuore quando, il giorno della partenza, vide Dìs in lacrime trascinare lontano da Vili il piccolo Fili, che voleva seguire il padre a tutti i costi. Lei baciò Gwáyn sulla fronte, stringendogli la mano e augurandogli buona fortuna, sorridendo del suo cipiglio fiero anche quando andava in guerra. Cercò lo sguardo di Thorin, e nei suoi occhi vide riflesso tutto l’amore che provava, e non ci fu bisogno di altre parole: il loro fu un tacito addio.
Era consapevole che chiedere loro di non partire sarebbe stato del tutto inutile, se non addirittura controproducente: se c’era una cosa che Laswynn sapeva bene, era che l’orgoglio dei nani e il loro attaccamento a ciò che consideravano una ‘loro proprietà’ li avrebbe condotti a testa alta fino alla morte.
 
Così si avvicinò a Dìs e le strinse il braccio, mentre l’esercito partiva al suono di trombe e tamburi.
 
*
 
Alla vigilia della battaglia, l’esercito dei nani si stava riposando intorno al fuoco. Thorin sedeva su un ramo vicino al focolare e fumava dalla lunga pipa, lo sguardo perso nei mille pensieri che gli frullavano nella testa. Vide suo padre e suo nonno in lontananza, e si chiese se avesse fatto bene ad acconsentire che fossero lì, dopo tutto quello che avevano passato…
Gwáyn gli si avvicinò con una ciotola di minestra calda e gliela porse in silenzio. Thorin lo ringraziò con un cenno del capo e prese a mangiare, mentre il nano biondo gli si sedeva accanto.
« I nostri guerrieri sono valorosi… sono certo che quegli sporchi orchi saranno sconfitti! » aveva esclamato Gwáyn, perdendosi nel fuoco.
Thorin rimase in silenzio. La presenza del nano lo metteva a disagio, e andava molto più d’accordo con Vili che con lui.
« Desideri tornare sui Colli Ferrosi? » aveva chiesto infine, posando a terra la scodella ancora fumante.
« Non fraintendermi, mi sono trovato bene tra i Monti Azzurri, ma i Colli Ferrosi sono la mia casa. Quando faremo rientro da questa battaglia prenderò Laswynn e torneremo finalmente alla nostra dimora! », aveva risposto Gwáyn, mostrandosi entusiasta alla sola idea, « Ho intenzione di continuare la mia vita nella pace e nella tranquillità ».
 
« Laswynn è felice sui Colli Ferrosi? » domandò ancora Thorin, evitando lo sguardo del nano accanto a sé. « Io l’ho vista crescere e le sono affezionato come ad una sorella… », si affrettò ad aggiungere quando gli parve che lo sguardo del vicino si fece sospettoso.
« Mi ricordo quanto arrivò la prima volta. Non parlava con nessuno ed era sempre molto triste… credo abbia sofferto molto. E’ una brava moglie e si prende cura di me, e io le sono grato per questo. Prego Mahal che al mio ritorno mi dia finalmente un figlio ».
Gwáyn si alzò, stiracchiandosi.
« Credo che proverò a dormire qualche ora. Buona notte, Thorin ».
Thorin lo salutò con un breve cenno del capo e continuò a fumare la sua pipa, fissando incantato le fiamme ardenti del focolare.
 
*
 
Morte. Morte e distruzione.
Corpi martoriati ovunque, migliaia di feriti. Famiglie e vite distrutte.
Thorin camminava tra i cadaveri senza fiato, inorridito alla vista di tanta morte e di tanta sofferenza. La battaglia si era conclusa, ma il costo di vite era stato altissimo. Aveva perso suo nonno, suo fratello, suo cognato Vili. Suo padre era fuggito, o fatto prigioniero. Non riusciva a pensare ad altro.
Non riusciva a spiegarsi tanto dolore.
Vide suo cugino Dáin piangere sul corpo del vecchio padre, caduto in battaglia per mano di Azog il Profanatore. Vide Dwalin e Balin abbracciarsi in lacrime, vide i sopravvissuti disperati correre tra i cadaveri, in cerca di parenti e amici.
Si accasciò accanto al corpo del fratello, ancora così giovane, caduto alla sua primissima battaglia, eppure così fiero e valoroso, anche nella morte. Pianse a lungo sul suo volto, alzando il busto del nano e stringendolo a sé.

Non si accorse, nel suo cieco dolore, di un movimento alle sue spalle, e fu solo quando finalmente si voltò che ne ebbe certezza.
Non riuscì a ricordare con precisione cosa fosse accaduto; vide un orco alzarsi con fatica e la sua mano afferrare la grande scure posata accanto a un cadavere poco distante; lo vide avventarsi contro di lui, e poco prima che l’arma potesse colpirlo in pieno, il mondo divenne scuro. Vi fu una breve lotta e un grido, e Thorin trattenne il respiro quando la grande scure si abbatté turbinando sul nano che gli si era parato davanti nel tentativo di difenderlo. Thorin non vide il colpo, ma sentì chiaro e forte il suono dell’arma che affondava mentre la figura davanti a sé stramazzava senza un gemito. Lui si alzò velocemente, ancora confuso, e conficcò la spada nel torace dell’orco già ferito, che morì in pochi secondi.
 
Poi guardò meglio il nano che l’aveva salvato. Era Gwáyn.
Stava riversato a terra, supino, una macchia scura che si allargava veloce sul petto. Thorin gli prese la testa tra le mani, sconvolto da quel gesto e grato al tempo stesso di potersi trovare ancora vivo. Un rivolo di sangue scendeva dalla bocca del nano, ma respirava ancora. I suoi occhi chiari erano appannati e distanti, ma cercò di parlare nonostante l'evidente dolore che stava provando.
« Thorin… » sputò ancora sangue, girando la testa di lato. « P-promettimi… P-prenditi cura di Laswynn. P-proteggila… Dille che la am-m... ». Le ultime parole si spensero nella bocca di Gwáyn e gli occhi si immobilizzarono ad osservare il cielo, l’ultimo brandello di vita scivolato via per sempre.
 
*
 
Fu Dìs la prima a vederli tornare e subito capì che qualcosa non andava. Cercò tra i soldati la chioma fulva del marito, ma non riuscì a distinguerla. Riconobbe il fratello e lo guardò avvicinarsi, immobile per la paura.
Le si parò davanti, scendendo dal pony che cavalcava. Non disse nulla; quando le fu davanti, le consegnò con mani tremanti l’arco di Vili, e Dìs capì. Pianse sulla spalla del fratello, che la circondò teneramente.
I morti della battaglia di Azanulbizar erano stati troppi, e molti dei cadaveri erano stati bruciati. Thorin pianse a sua volta nelle braccia della sorella, i soli rimasti della allora numerosa famiglia, e non si accorse di Laswynn che scendeva le scale, con in braccio il piccolo Fili.
Appoggiò il bambino dormiente su una poltrona accanto al focolare, e si avvicinò ai due.
« Dov’è Gwáyn? » chiese in un sussurro, gli occhi sgranati fissi in quelli del nano.
Thorin scosse la testa, incapace di formulare una risposta verbale a quella domanda, e Laswynn si portò una mano alla bocca inorridita. Uscì di casa correndo, facendosi largo tra i sopravvissuti stanchi e addolorati, urlando a gran voce il nome del marito.
Né Thorin né Dìs riuscirono a quantificare il tempo che passarono in silenzio, seduti uno accanto all’altro in lacrime, il piccolo Kili che riposava nella sua cesta poco distante, a fissare il corpo di Fili beato, i lunghi capelli biondi che gli nascondevano il viso. Sapevano che una volta svegliato, la sua vita non sarebbe stata più la stessa.
Laswynn non fece ritorno per molte ore, ma Thorin non andò a cercarla: aveva bisogno di restare da sola con il suo dolore.
 
Un breve colpo di tosse li fece trasalire, e Dìs posò lo sguardo sul corpo del figlio maggiore, che si stava svegliando stropicciandosi gli occhi.
« Amad… » chiese con la voce impastata, cercando di sedersi.
« Sono qui Fili… » rispose Dìs, cercando a tutti i costi di trattenere le lacrime e di sorridere.
Il bambino si sedette composto e i suoi occhi si posarono immediatamente sullo zio, riempendosi di gioia.
« Zio! » esclamò contento, saltandogli sulle ginocchia. « Dov’è Adad? »
Thorin cercò disperato lo sguardo della sorella, incapace di dire qualsiasi cosa, gli occhi cristallini del nipote puntati addosso come due torce.
« Fili… Adad non tornerà. » disse infine lei, prendendo il bambino in braccio.
Fili non disse nulla, ma parve capire la verità; guardò serio negli occhi della madre e le si accucciò contro il petto, mentre Dìs gli carezzava dolcemente i lunghi capelli biondi, così simili a quelli del padre, piangendo silenziosamente.
 
Nessuno mangiò quella sera e nessuno parlò. Poco dopo il tramonto, Dìs andò a coricarsi con i figli e Thorin rimase sulla stessa poltrona, fissando il fuoco immobile, come lo era stato per diverse ore.
La sua famiglia era totalmente distrutta. Fili e Kili sarebbero cresciuti senza un padre, senza uno zio, senza un nonno... Dìs sarebbe invecchiata senza il marito accanto, avendo solo il fratello come unico conforto. Dopo tutte le sofferenze causate da Smaug, l’esito della battaglia sembrò a Thorin una nuova e più profonda accoltellata nel cuore.
Preso com’era da questi pensieri cupi, non si accorse di Laswynn che era rientrata, e che ora lo fissava immobile accanto alla poltrona. Lentamente i suoi occhi si posarono in quelli della giovane. Era pallida e tremante; le mani stringevano convulsamente un piccolo oggetto luccicante. Si avvicinò alla poltrona, inginocchiandosi di fronte a Thorin, che subito le afferrò le mani. Erano fredde come il ghiaccio. Le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le asciugò una lacrima solitaria che le solcava la guancia, ma quella spostò il volto per evitare di essere toccata.
Aprì le mani tremante mostrandogli l’oggetto che conservava. « E’ la spilla del mantello di Gwáyn, me l’hanno restituita… Gliel’avevo donata il giorno del nostro matrimonio, apparteneva a mia madre. Gli dissi che lo avrebbe protetto… ».
Nuove lacrime le solcarono il volto, mentre appoggiava stanca la testa sulle ginocchia di Thorin.
« Ha sofferto? » chiese dopo un istante, tremando e respirando affannosamente.
« E’ caduto combattendo valorosamente per il proprio popolo. E’ morto da guerriero », rispose lui, consapevole che quella non era la risposta alla domanda che gli era stata posta.
« Mi mancherà… io non l’ho mai amato, e credo che lui abbia sempre saputo che il mio cuore non gli sarebbe mai appartenuto… eppure mi ha presa con sé e mi ha protetta, in tutti questi anni. »
 
Dopo qualche minuto Laswynn parve ricomporsi e portò le sue mani sul volto del nano, avvicinandolo a sé.
« Mi dispiace Thorin. Mi hanno detto di tuo nonno e di Frerin, e ho saputo anche della morte di Vili. Vorrei che le cose fossero andate diversamente… ».
Thorin le baciò le mani dolcemente e la trascinò verso di sé, abbracciandola. Aveva bisogno di sentirla vicina, di sentire che qualcosa di buono esisteva ancora nella sua vita, che non tutto era perduto.
Laswynn si perse in quell’abbraccio, carezzando dolcemente la spalla di lui, inebriata dal suo profumo e dalla sua pelle.
 
« Tu non sai… q-quanto ho temuto per la tua vita... Ma sei qui. Sei tornato da me, ancora una volta » disse lei infine, appoggiando la sua fronte contro quella del nano.
« Te l’avevo promesso anni fa. Se tu mi avessi aspettato, io sarei tornato sempre da te ».

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** L'ordine di Dáin ***



I morti della battaglia furono celebrati e pianti quella stessa settimana; i feriti erano ancora molti, e Laswynn, insieme agli altri guaritori, si diede da fare per tentare di migliorare la situazione. Non aveva mai visto ferite inferte con così tanta crudeltà; la sofferenza e il dolore erano palpabili ovunque nel villaggio e sul volto dei suoi abitanti.
Thorin divenne, a tutti gli effetti, la sola e unica guida di quel popolo ferito, e si affaccendò come meglio poté. Si addossò il compito di diventare la figura di riferimento dei suoi nipoti, rimasti orfani del padre, e l’appoggio morale di sua sorella Dìs, che mai si riprese totalmente dalla morte del marito.
 
Anche Laswynn prese sotto custodia i bambini, perché gli occhi tristi di Fili gli ricordavano fin troppo bene i suoi, quando aveva perso il padre ancora bambina, a Erebor.
Quando aveva tempo e il clima lo permetteva, prendeva con sé il piccolo Fili e cavalcava con lui a limitare del villaggio, facendogli scoprire cose e posti nuovi, ridendo con lui dei suoi occhi curiosi e del suo spirito avventuriero. Riconobbe molto di sé stessa in quel bambino e il suo affetto riempì il vuoto lasciato dal figlio che non aveva mai avuto e dallo stesso Gwáyn.
 
Ogni sera Laswynn attendeva Thorin insieme a Dìs e ai bambini, e spesso anche in compagnia di Dwalin e Balin, anch’essi sopravvissuti alla battaglia. Mangiavano insieme, e lei e Thorin condividevano lo stesso letto. Laswynn si sentiva spesso in colpa quando ripensava al marito, ma non riusciva a passare del tempo separata da Thorin, ora che l’aveva ritrovato e aveva rischiato di perderlo una seconda volta.
Le capitava, nel corso della notte, di svegliarsi improvvisamente per controllare che lui fosse ancora accanto a lei, che tutto fosse reale e che lui fosse vivo e stesse bene.
Per quanto avesse sofferto per la morte di Gwáyn, la compagnia di Thorin era per lei la cura contro il dolore, ed entrambi trassero sollievo dalla reciproca presenza e i momenti in cui erano separati divennero per i due difficilmente sopportabili.
 
Quelle sere - quando rincasava molto tardi a causa dei compiti e degli affari del villaggio - Thorin rientrava silenziosamente nella sua stanza e gli si riempiva il cuore quando vedeva la giovane addormentata, una mano posata sul suo cuscino, come in attesa. Fare l’amore con lei cancellava il dolore e la sofferenza che provava, e si sentiva vivo, dopo tanta morte e cordoglio.
 
La quiete si ristabilì gradualmente e a fatica; la vita proseguì come prima, con più consapevolezza e coscienza. Quando furono passate tre lune dalla battaglia di Azanulbizar, tuttavia, Laswynn ricevette notizie che non le piacquero affatto e si affrettò ad avvisare Thorin.
Lui era appena rientrato da una giornata trascorsa nelle fucine del villaggio degli uomini e stava per fare un bagno, quando vide la giovane nana entrare di corsa con in mano una pergamena.
« Ti aggiungi a me per un bagno caldo? » chiese subito con tono malizioso, attirandola a sé con un braccio.
« Mi piacerebbe, Thorin, ma abbiamo un problema più grande! »
Thorin la guardò preoccupato, ascoltandola con attenzione; Laswynn gli mise davanti al naso la lettera e lo invitò a leggere.
« Ho ricevuto un messaggio da Dáin… richiede la mia presenza sui Colli Ferrosi! » spiegò parlando velocemente, mentre quello terminava di leggere.
« E perché mai mio cugino pensa di poter ordinare… » sottolineò la parola, mostrandogliela sulla lettera infuriato « la tua presenza? »
« Dimentichi che lui è anche mio cugino. Gwáyn è morto e io sono rimasta vedova. Teoricamente una nana appartiene alla famiglia del marito, ma Gwáyn non ha parenti in vita, e quindi non mi rimane che Dáin… pensa di potermi reclamare in qualità di parente più prossimo » digrignò i denti furiosa, ponendosi le mani sul fianco.
« Vuole sposarti? » domandò Thorin con una smorfia, gettando a terra la lettera come se potesse contaminarlo.
« No, Dáin è già sposato e credimi, ho visto come tratta le donne… Preferirei uccidermi piuttosto che diventare una delle sue amanti! Tuttavia potrebbe combinare un altro matrimonio vantaggioso con uno dei suoi, che non sono poi così meglio di lui… »
Thorin si sedette stanco sul bordo del letto, la mente che macchinava velocemente. Prese Laswynn per i fianchi e la trascinò verso di sé, facendola accomodare sulle sue ginocchia e carezzandole il volto.
« Invia una lettera a Dáin domani stesso. La legge nanica prevede almeno dieci anni di vedovanza, prima che tu sia ricostretta a sposarti o a seguire gli ordini di qualcun altro… Chiedi di poter restare qui in qualità di guaritrice, non credo che potrà obiettare. »
Laswynn ricambiò il suo sguardo, affondando il viso nei suoi capelli scuri.
« E dopo i dieci anni di vedovanza? » domandò con un sussurro, prefigurandosi tremante il marito che Dáin le avrebbe affibbiato anche solo per farle un dispetto, se avesse potuto.
« Ti sposerai con me », rispose lui con semplicità, stringendola più forte a sé.
 
Laswynn alzò immediatamente la testa e lo guardò dritto negli occhi, la bocca spalancata per lo stupore.
« C-cosa? »
« Non permetterò a qualcun altro di averti e di prenderti in moglie; non voglio perderti una seconda volta, ora che ci siamo ritrovati. Non lo diremo a Dáin… ma appena scadrà il termine della vedovanza, diventerò tuo marito. Io voglio passare con te ogni giorno, ogni momento, ogni secondo della mia vita o di ciò che ne rimane. Io ti amo, gáldhiem**. Sposami. »
Laswynn non riuscì a rispondere, ma un sorriso eloquente le si allargò sul volto pallido e gli occhi verdi si riempirono di emozione.
« Cosa mi rispondi? » incalzò Thorin, sorridendo a sua volta, leggermente imbarazzato, « Vuoi diventare mia moglie? »
« Assolutamente si! » esclamò allora lei, stritolandolo con più forza, mentre quello rideva contento.
 
« Ora, che ne dici di riparlare di quel bagno caldo? ». Questa volta non ci fu affatto bisogno di una risposta verbale.

Non riuscirono mai ad ammirare lo sguardo infuriato di Dáin quando ricevette la risposta di Laswynn, nella quale, non molto carinamente, lei sottolineava il fatto che per dieci anni lui non avrebbe affatto potuto avanzare pretese su di lei, e che per quell’arco di tempo – che a lui andasse bene oppure no – avrebbe disposto da sola della sua persona, e sarebbe rimasta sugli Ered Luin in qualità di guaritrice.




** 'Shining head'

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** La delegazione di Cumros ***


Quelli furono anni lieti e tranquilli, intervallati dai brevi viaggi di Thorin, che non si arrese mai del tutto alla scomparsa del padre; per quanto Laswynn odiasse quel nano che li aveva separati, decise di accompagnarlo, e lei e Thorin viaggiarono insieme per terre lontane e sconosciute, in cerca di qualcosa che però non trovarono mai.
Nel villaggio che oramai consideravano casa loro, Fili e Kili crescevano forti e curiosi, e riempivano il vuoto lasciato tempo prima dal padre. Dopo la morte di Vili, Fili – nonostante la tenera età – aveva assunto il ruolo di capo famiglia, e nel tempo era diventato più serio e taciturno. La spensieratezza che aveva contraddistinto i suoi primi anni di vita, tuttavia, ritrovò forza in Kili, bruno e snello come Dìs, che spesso si cacciava nei guai con grande disappunto dello zio e della madre.
 
I dieci anni di vedovanza passarono, e qualche settimana prima della ricorrenza della battaglia di Azanublizar e della morte di Gwáyn, Thorin raggiunse Laswynn nella loro camera, dove questa era intenta a preparare un decotto di erbe.
 
« Ho chiesto alla sarta di prenderti le misure per confezionarti un nuovo abito » disse tranquillamente, sedendosi sul lato del letto e guardandola sorridente.
« Perché dovrei aver bisogno di un nuovo vestito? » chiese lei, distrattamente, presa com’era dal taglio meticoloso delle foglie che aveva sparse sul tavolo.
« Per il nostro matrimonio! ».
Laswynn finalmente si fermò e si girò verso Thorin, imbronciato per la sua mancanza di interesse.
« Per Mahal… Sono già passati dieci anni! » aveva esclamato lei infine, asciugandosi le mani nel grembiule e sedendosi accanto al nano.
« Hai cambiato idea? Non vuoi più sposarmi? » domandò lui imbarazzato, grattandosi la nuca.
« Certo che lo voglio ancora, sciocco. E’ solo che questi anni sono volati… Ed è così bello che non mi sembra reale ».
Thorin la baciò dolcemente, poggiando la sua fronte su quella di Laswynn.
« E’ reale, credimi. Tra due settimane a partire da oggi, sarai mia moglie ».
Lei sorrise, circondandolo in un abbraccio.
« EHI! Aspetta un attimo! » esclamò, staccandosi improvvisamente da Thorin, « Di che colore dovrei scegliere il vestito? »
Lui alzò gli occhi al cielo, divertito. Di tutta quella vicenda, il colore dell’abito nuziale non era certo la cosa più importante…
 
*
 
La cerimonia venne programmata la sera successiva alle celebrazioni per ricordare i morti della battaglia, e solo pochissimi nani ne vennero a conoscenza. Thorin e Laswynn speravano che in quei dieci anni Dáin avesse accantonato l’idea di riportare la nana con sé sui Colli Ferrosi, ma lo conoscevano abbastanza bene da nutrire dei dubbi; se fosse venuto a conoscenza del matrimonio da altri prima del tempo, avrebbe potuto impedirlo.
 
Thorin indossava una casacca blu splendente e i gioielli del re; nervoso e serio come d’altronde era spesso, si avvicinò a Balin, che avrebbe celebrato quell’unione, all’inizio del bosco; accanto a lui i giovanissimi Fili e Kili sorridevano divertiti, burlandosi dello zio e del rossore che gli colorava le guance. Un fuoco basso splendeva poco distante e molte fiaccole erano state disposte lateralmente, creando una sorta di percorso di luce.
Balin lo guardò con dolcezza, e disse: « Vai nel cerchio; chiama la tua sposa e lei verrà ».
Seguendo la tradizione nanica, lo sposo si portò al centro del cerchio degli invitati, eretto e composto. Per qualche momento indugiò; poi si schiarì la voce, voltandosi verso la direzione da cui era venuto.
« Laswynn! Laswynn! Laswynn! », gridò con voce chiara e carica di un desiderio che echeggiò attraverso tutti i mondi.
 
Per qualche istante tutto tacque; poi, improvvisamente, giunse una musica lontana, un insieme di suoni che invitava alla danza e faceva rallegrare il cuore.
Laswynn si fece avanti, camminando lentamente col suo abito semplice e candido, incoronata di biancospino; oltrepassò l’inizio del cerchio e venne verso Thorin, sorridendogli dolcemente.
« Mi hai chiamata, mio amato, e sono qui » sussurrò, ponendosi al suo fianco.
Entrambi si voltarono verso Balin, spalla contro spalla, in attesa che la loro unione venisse suggellata.
 
Fili e Kili fecero un gran baccano quando infine il matrimonio si concluse, e a nulla servirono gli ammonimenti e gli sguardi rabbiosi della madre. Entusiasti, si precipitarono ad abbracciare e baciare Laswynn, mentre Dwalin dava pacche affettuose sulla schiena dell’amico. Festeggiarono e bevvero molto quella sera, felici e sereni come non lo erano stati per molto tempo, e quando finalmente marito e moglie raggiunsero la loro camera, Thorin tolse la corona di biancospino dalla testa di Laswynn, e mentre lei lo conduceva al letto nuziale, pensò che, dopotutto, non c’era davvero modo migliore per rendere omaggio ai cari perduti in un giorno così importante.
La guardò estasiato, prendendole i fianchi delicatamente.
« Ti prometto che quando sarò di nuovo re di Erebor, ti renderò mia regina... »
Lei gli cinse il collo, bloccando le sue parole con un sorriso: « Tu sei il mio amore e sei stato il mio re da quanto ti ho conosciuto; il mio cuore ti apparterrà finché avrò vita e oltre, a Erebor o in capo al mondo ».
 
*
 
Si svegliarono insieme il mattino dopo, quando l’alba era venuta e passata oramai da un pezzo, destati da molti rumori e voci nel cortile. Laswynn si sollevò immediatamente a sedere, buttandosi la lunga chioma disordinata all’indietro; fece per alzarsi, quando il braccio di Thorin, ancora con gli occhi chiusi, la trattenne.
« Rimani qui. Nessuno ci disturberà oggi ».
« No », rispose lei, seria in volto. « C’è qualcosa che non va ».
 
Entrambi si rivestirono velocemente, e Thorin scese per primo, affacciandosi sulla grande sala semi-deserta; Laswynn lo raggiunse scendendo le scale di corsa, cercando di rendersi quanto meno presentabile.
« Aspetta qui » le sussurrò Thorin, guardandola serio in volto e arrestando la sua corsa poco prima dell’ingresso del salone. Lei annuì tremante, stringendogli forte la mano.
Dalla finestra riconobbero entrambi lo stendardo della casa di Náin; gli ospiti non erano più di dieci, ma di Dáin non v’era traccia. Al suo posto, un nano corpulento, con una lunga barba scura, dirigeva la fila; Thorin incontrò il suo sguardo sprezzante e risentito, mentre questo faceva il suo ingresso nella casa.
« E’ Cumros! » le sussurrò Laswynn all’orecchio, ancora nascosta ai piedi della scala. « Era il luogotenente di Náin sui Colli Ferrosi… ».
 
Lo sguardò di Cumros si spostò ai vari angoli dell’abitazione, in attesa di qualcuno che potesse accoglierlo. Quando finalmente intravide Thorin, che aveva mosso qualche passo nella sala, il nano sorrise sprezzante e gli si rivolse direttamente.
« Salute a te Thorin, figlio di Thráin. La mia delegazione ha fatto un lungo viaggio fino ai Monti Azzurri. Veniamo in nome di Dáin, signore dei Colli Ferrosi: siamo qui per reclamare la presenza della moglie del defunto Gwáyn, figlio di Gárin; il nostro signore Dáin richiede che sua cugina sia ricondotta sui Colli Ferrosi, così come conviene », disse risoluto, cercando di mantenere un tono calmo.
« La nana di cui parli è già stata reclamata » rispose tranquillamente Thorin, mentre dietro di sé Laswynn tremava.
« Cosa vorresti dire? » incalzò l’altro, digrignando i denti.
« E’ la mia sposa, ora ».
 
Balin entrò di corsa in quello stesso momento, scansando le guardie dei Colli Ferrosi e brandendo il contratto matrimoniale firmato la sera prima. Cumros spalancò gli occhi, prendendo il pezzo di carta e leggendolo. Per qualche secondo non disse nulla, poi si voltò verso Thorin, alzando un pugno.
« Il matrimonio è contro la legge! Non è ancora terminato il periodo di vedovanza. »
Thorin si avvicinò di qualche passo, con fare minaccioso.
« Gwáyn è caduto nella battaglia di Azanulbizar, esattamente dieci anni fa. Il matrimonio è stato celebrato ieri notte, due giorni dopo la ricorrenza. Ti basta, come conferma della mia buona fede? ».
 
Cumros buttò a terra il contratto furente, spostando lo sguardo furibondo da Thorin a Balin, proprio lì accanto.
« Come faccio a sapere che non l’hai costretta? Dov’è la donna? Dov’è Laswynn? ».
 
Thorin fece per rispondere, ma venne interrotto da Laswynn stessa, che dal suo nascondiglio fece qualche passo, mostrandosi alla compagnia dei Colli Ferrosi.
« Ti porgo i miei saluti, Cumros, figlio di Caros. Come vedi sono qui di fronte a te, e sto bene. Ti prego, riferisci queste parole a mio cugino Dáin: non appartengo più ai Colli Ferrosi adesso. La mia vita è qui, con il mio sposo ». Prese la mano di Thorin, che immediatamente le cinse un fianco.
 
Cumros rimase in silenzio qualche istante, lo sguardo a metà tra lo sconvolto e il disgustato. Fece un cenno freddo alle sue guardie, e insieme si allontanarono dal villaggio, furiosi ma consapevoli di non poter fare nulla di più.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Famiglia ***


Era una bella giornata primaverile, la prima dopo molte settimane di freddo gelido e di forti venti. Laswynn si era recata nei prati accanto al villaggio, per la sua passeggiata quotidiana.
La testa le girava e un fremito corse in tutto il corpo, seguito da una fortissima ondata di nausea. Dopo qualche esitazione e nuove scosse di malore, decise di far ritorno a casa, accanto al fuoco, temendo di essersi ammalata e di aver preso freddo.
Thorin si era diretto molto presto alle fucine, e Laswynn si stese sul letto vuoto. Dormì a lungo e profondamente; quando si svegliò, tuttavia, fu assalita da una nuova ondata di nausea e uscì barcollando nel cortile, dove vomitò. Quando rialzò la testa, si trovò accanto Dìs, che le portò indietro i capelli e le asciugò la fronte. La fece rientrare e accomodare su una sedia poco distante dal fuoco. Era ancora molto pallida e, nonostante avesse dormito molto, cerchi scuri le circondavano gli occhi.
Dìs le avvicinò una coppa di vino.
« No, non la voglio. Mi farà vomitare di nuovo! ».
« Bevi » insistette Dìs, con tono dolce, « e sforzati di mangiare qualche tozzo di pane. Ti farà bene, nelle tue condizioni ».
Laswynn la guardò con occhi sbarrati, buttando giù a piccoli sorsi e controvoglia il vino che le aveva messo tra le mani.
« Non dirmi che non l’avevi ancora capito ».
La giovane nana rimase immobile, osservando la cognata sorridente davanti a sé. Mentalmente rifletté: la luna era cambiata già due volte, e non aveva avuto i suoi corsi. La consapevolezza la inondò all’improvviso, ed ebbe molta paura.
« Non temere, Laswynn. E’ una notizia meravigliosa! » esclamò Dìs, abbracciandola.
« Ho già perso un figlio prima ancora che nascesse, Dìs… se dovessi perdere anche questo, ne morirei… ».
« Sono sicura che Mahal proteggerà questo bambino fino alla nascita e anche oltre… dopotutto, è l’erede di Durin! ».
 
*
 
Laswynn attese qualche giorno prima di comunicare la notizia a Thorin. Il timore iniziale aveva lasciato lentamente il posto alla gioia, e la sera si ritrovava ad accarezzare il proprio ventre ancora piatto, sussurrando dolci parole nella speranza che – in un modo o in altro – fossero udite.
 
Thorin rientrò tardi quella sera, e fu stupito di vedere la moglie ancora sveglia, intenta a districare i capelli dall’elaborata treccia che aveva portato tutto il giorno. Le si avvicinò e le posò un bacio sulla spalla nuda, prima di avvicinarsi alla cassapanca e togliersi i vestiti.
Laswynn si voltò verso di lui sorridente, senza smettere di pettinarsi.
« Com’è andata la giornata? »
Lui lasciò cadere i pantaloni a terra, calciandoli poco distanti in malo modo.
« Bene » risposte, calmo. « Fili e Kili mi hanno fatto impazzire... Sempre in giro a combinare guai. In effetti mi ricordano qualcuno che una volta faceva lo stesso, a Erebor! », esclamò con una strizzatina d’occhio.
Laswynn rise, poggiando il pettine e alzandosi.
« Saranno anche due pesti, ma io so per certo che li ami molto… » disse lei, ponendosi di fronte al nano e aiutandolo a levare la casacca.
« Si è vero. Li amo molto. » ammise Thorin, guardando la moglie e meravigliandosi ancora una volta delle sensazioni che provava quando le stava accanto.
 
« Bhè, spero che ti avanzi un po’ d’amore… » continuò Laswynn, piegando meticolosamente l’abito del marito e appoggiandolo sulla sedia poco distante.
« Cosa? » chiese distrattamente lui, togliendosi l’anello.
Laswynn sorrise ancora e afferrò le mani del nano, che la guardava confusa. Poi, lentamente, dolcemente, le fece appoggiare sul suo ventre, attendendo che capisse.
A Thorin servirono molti minuti; la consapevolezza di quella notizia si fece strada gradualmente sul suo volto, facendolo dapprima impallidire e poi sorridere euforico.
« Attendo un figlio » confermò Laswynn, rispondendo alla tacita domanda degli occhi di lui.
La prese in braccio sollevandola da terra e le fece fare una piroetta tra le sue braccia, mentre questa rideva ad alta voce.
« Un figlio… un figlio » ripeteva lui con gli occhi sbarrati, incapace di spiegarsi quanta gioia il suo cuore potesse contenere in quel momento.
« Si, e ti assicuro che è già un gran birbante, considerando che da tre giorni a questa parte mi ha fatto vomitare qualsiasi cosa io abbia ingerito… ».
Ma Thorin non la ascoltava, perché quel giorno gli sarebbe rimasto impresso nella memoria fino alla fine della sua vita: il momento in cui scoprì la felicità vera.
 
Prima di coricarsi accanto alla moglie le pose una mano sul ventre piatto, eppure così pieno di vita, e sussurrò dolci parole.
« Vivrai una lunga vita felice e spensierata. Non vedo l’ora di conoscerti ». E si addormentò così, una mano sull’addome di Laswynn e bellissime immagini già impresse nelle sua mente.
 
**
Qualche mese più tardi
 
« Thorin datti una calmata, il bambino non arriverà certo la prossima settimana! » sbottò secca Laswynn, mettendo alla rinfusa qualche abito nella sacca del marito.
Avevano ricevuto altre voci riguardo a dove si trovasse Thráin in quel momento, e la giovane nana – seppure molto incinta – aveva convinto il marito a partire per l’ennesimo viaggio alla ricerca del padre.
« E se invece decidesse di nascere? » rispose lui, afferrandole il braccio preoccupato.
« Allora vorrà dire che avrai un buon motivo per tornare presto a casa da me! »
Thorin la guardò malinconico, abbassando lo sguardo. Laswynn gli prese il volto tra le mani, sorridendogli dolcemente: « Thorin, devi partire. Se questa volta le voci sono vere, potresti trovare davvero tuo padre! Non ti puoi permettere di lasciar perdere! ».
Era fin troppo vero, e Thorin lo sapeva… eppure fino a quel momento le notizie sulla sorte di Thráin si erano sempre rivelate infondate, e non voleva allontanarsi ora che la moglie era così prossima al parto.
Aprì la bocca per ribattere, ma lei parlò prima: « Vai. Io starò bene. Noi staremo bene! ».
Thorin rispose finalmente al suo sorriso, baciandole dolcemente la bocca.
 
*
 
« Staremo via dieci giorni al massimo! »
« Fate attenzione! » aveva supplicato Laswynn, osservando il marito e il giovane Fili salire sui rispettivi pony. Anche Dìs era accorsa a salutarli, infilando nelle loro bisacce altri viveri.
« Dov’è Kili? » chiese perplesso Fili, sistemandosi meglio in groppa all’animale.
« E’ ancora immusonito… » rispose la madre, inclinando il volto con disappunto.
Thorin non aveva voluto che Kili partisse, ritenendo che fosse troppo inesperto per un viaggio del genere e per le condizioni in cui avrebbero trovato Thráin… se fossero riusciti a rintracciarlo.
Finalmente i due partirono e Dìs prese la mano di Laswynn, che le appoggiò la testa sulla spalla.
« Siamo ancora io e te » aveva affermato tristemente, stringendola più forte.
 
*
 
Laswynn leggeva tranquilla un libro vicino al focolare, facendo scorrere ogni tanto lo sguardo fuori dalla finestra, godendosi i raggi di quel debole sole d’inverno. La notte prima aveva nevicato copiosamente, e le strade del villaggio erano candide e immacolate. Si alzò delicatamente, premendosi una mano contro l’addome gonfio, e aprì appena la finestra per godersi un po’ di aria fresca.
 
« Chiudi immediatamente la finestra! Vuoi trasformarci tutti in pezzi di ghiaccio? ». Laswynn alzò gli occhi al cielo, voltandosi verso Dwalin, appena entrato nell’abitazione.
« Volevo soltanto prendere un po’ d’aria! » rispose lei scocciata, ritornando accanto al fuoco. « Mi manca sentire il calore del sole sulla pelle! ».
Dwalin la guardò perplesso, osservandola mentre prendeva posto.
« Cosa ci fai qui, Dwalin? Dìs ti ha mandato a controllarmi? »
Lui fece finta di nulla, con un’alzata di spalle. Da quando Thorin era partito con Fili – appena tre giorni prima – non aveva mai passato un momento da sola e tutti la osservavano come se potesse svenire e partorire da un momento all’altro.
Dwalin rimase in piedi accanto al fuoco, fingendo di interessarsi agli oggetti e ai libri presenti nella casa. Laswynn ghignò tra sé: quel nano era senza dubbio la persona meno indicata per controllare la salute sua e quella del bambino, perché ogni qualvolta qualcuno affrontava l’argomento “parto”, diventava immediatamente rosso in volto e farfugliava cose indistinte su appuntamenti imminenti e asce da lucidare.
« Mi duole molto la schiena » affermò lei dopo un momento, alzandosi dalla poltrona, « sono rimasta seduta troppo a lungo ». Prese a camminare avanti e indietro, premendosi le mani sui reni. Dwalin la osservò attento, pronto a intervenire in caso di necessità.
 
Poi, all’improvviso Laswynn si piegò, come colpita da un crampo. Respirò a fondo e tornò in piedi, sforzandosi di sorridere. Dwalin le corse incontro e le prese immediatamente il gomito.
« Non è niente, non è niente… » disse incerta, continuando a camminare.
Lo sguardò del nano indugiò terrorizzato sulla nana, e la sua smorfia peggiorò quando vide la gonna di lei macchiarsi di scuro.
« Cosa…? » domandò senza fiato, mentre Laswynn si immobilizzava.
« Dwalin… credo di essere in travaglio! ».
 
Il nano rimase immobile dove si trovava, impacciato e troppo impaurito per fare o dire qualsiasi cosa.
« Aiutami a sedermi… » disse lei infine, aggrappandosi con più forza al braccio di lui. « Corri ad avvisare Dìs, è al villaggio degli uomini… Dwalin… fai in fretta! ».
Dwalin non se lo fece ripetere due volte, e corse a perdifiato lungo la strada che conduceva al villaggio, sperando di trovare Dìs il più presto possibile. Quando tornò con la donna, trovarono Laswynn ancora in piedi, intenta a camminare avanti e indietro, il volto contratto a causa del dolore. Dìs e Dwalin la aiutarono a salire le scale e a raggiungere la camera da letto.
La cognata le fece indossare una tunica più larga e le sciolse i capelli, poiché per tradizione la partoriente non doveva avere addosso nulla di legato o intrecciato.
« Vieni, continua a camminare con me. Dwalin, cerca Roud, è la levatrice… dille di venire il prima possibile! »
 
Le ore si trascinarono lente, e in breve giunse la notte. Laswynn era così stanca che si reggeva a stento, ma Dìs insistette affinché continuasse a camminare e a stare in piedi per velocizzare il travaglio.
« Sono così stanca… » ripeteva lei, la fronte madida di sudore e i capelli appiccicati al volto pallido.
Dìs le stringeva la mano infondendole coraggio, mentre la levatrice preparava le fasce per il nascituro.
 
Poco dopo l’alba, quando videro aumentare il dolore e quando la nana non poté più camminare, la fecero stendere supina sul letto. Dìs la sostenne e la sentì sussultare e singhiozzare ad ogni contrazione; chiamò spesso il nome di Thorin, piangendo disperata.
Poi, con un ultimo terribile urlo, Laswynn si lasciò cadere all’indietro; nella stanza c’era un acre tanfo di sangue, e la levatrice teneva tra le mani un esserino minuscolo e grinzoso che si divincolava piangendo a pieni polmoni.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Un nuovo arrivo ***


Il bambino venne lavato e fasciato, e la levatrice fece bere a Laswynn un decotto di miele ed erbe. Dopo aver visto e tenuto il figlio, ora riposava tranquillamente a letto, mentre Dìs teneva tra le braccia il nipote.
Si perse ad ammirare quel visetto roseo e gli scostò la coperta per ammirare i pochi capelli bagnati e di colore chiaro che gli ricoprivano la testa… pianse silenziosamente, ripensando all’emozione che aveva provato quando erano nati i suoi figli.
 
*
 
Thorin e Fili tornarono, come avevano promesso, il decimo giorno dalla loro partenza. Infreddoliti a causa della neve che aveva continuato a scendere copiosa, e immusoniti per un’impresa che chiaramente non aveva dato risultati, si trascinarono per le strade del villaggio coperti dai pesanti mantelli da viaggio.
Dìs uscì di casa per accoglierli, e quando furono vicini corse ad abbracciarli; seppur dispiaciuta di non vedere la figura del padre, fu comunque ben lieta di poter stringere a sé il figlio e il fratello. Oltretutto, li attendeva con ottime notizie.
« Dov’è Laswynn? » domandò Thorin perplesso, smontando dal pony. Dìs non rispose, ma un sorriso eloquente le si allargò sul volto. Fili trattenne il fiato, mentre Thorin si faceva largo ruzzolando tra i due, dirigendosi verso casa. Salì i gradini velocemente e aprì la porta della propria camera, il cuore che batteva all’impazzata.
 
Laswynn giaceva addormentata nel grande letto; sul suo volto era dipinta un’espressione talmente serena da pensare che stesse sognando immagini meravigliose. Lo sguardo di Thorin indugiò per qualche istante sul corpo della moglie, così diverso da quando l’aveva lasciato, appena dieci giorni prima.
E poi, finalmente, le iridi azzurre si posarono sulla culla, e il suo cuore si fermò del tutto.
 
Dapprima vide un leggero movimento e un piccolo piedino si alzò, facendo sollevare la coperta candida che lo avvolgeva. Thorin trattenne il fiato avvicinandosi. Dunque era lì, finalmente… suo figlio.
Era sveglio, e gli occhi di quel colore ancora non definito fissavano un punto distante del soffitto, mentre le manine si agitavano velocemente. Thorin lo contemplò in adorazione: aveva i colori chiari di Laswynn e riconobbe immediatamente la forma delle labbra come quella della moglie.
Tutto gli sembrò, in quegli istanti, totalmente senza forma. Eppure era felice.
Affondò una mano tra le coperte e il piccolo gliela afferrò, aggrappandosi al suo indice.
« Sono qui », disse semplicemente Thorin.
 
Destata dal rumore dei passi e dalla voce del marito, Laswynn si svegliò. I suoi occhi cercarono immediatamente il figlio accanto a sé, e poi indugiarono su Thorin, che rispose dolcemente al suo sguardo.
« Thorin! » esclamò, e scoppiò in lacrime. Lo vide arrossire, dondolandosi impacciato da un piede all’altro. Poi si chinò a baciarle la fronte, mettendosi al suo fianco, mentre lei si sedeva e si asciugava gli occhi.
« Mi spiace » disse Laswynn, con voce tremante, « Piango così facilmente, in questi giorni. »
Thorin le strinse la mano, mentre lei sorrideva.
 
« Notizie di Thráin? » domandò con un sussurro Laswynn, con cipiglio preoccupato. Lui scosse il capo, deluso.
Ma in quel momento, felice com’era, neanche il pensiero del padre disperso riuscì a scalfire il suo umore.
« Quando è nato? » chiese infine, ammirando il corpicino del figlio.
« Sei giorni fa. Il travaglio è durato una giornata intera… » rispose lei, con una smorfia, « Poco ci è mancato che partorissi con solo Dwalin accanto ».
« COSA? »
« Calmo, calmo… alla fine è andato tutto per il meglio. Io sto bene e anche il piccolo è sano ».
Laswynn si sporse dal letto e delicatamente sollevò il figlio, prendendolo tra le braccia.
« Non sarei dovuto partire, ti ho lasciata sola… mi dispiace », iniziò Thorin serio, carezzando i capelli della moglie.
« Shhh… dovevi partire, Thorin. E credimi, forse è stato meglio che non fossi fisicamente presente al travaglio. Avrei potuto strozzarti, letteralmente ».
Thorin rise sereno insieme alla moglie.
 
« Vuoi prenderlo in braccio? »
Lui la guardò spaventato. « E’ da molto tempo che non tengo in braccio un neonato… ».
« Hai tenuto in braccio me, una volta. E Fili e Kili. Lui non potrà essere tanto peggio… » propose lei incoraggiante, passandogli il bambino con delicatezza.
Per quanto Thorin avesse temuto, in quel momento tenere tra le braccia suo figlio gli sembrò la cosa più naturale del mondo. Si alzò e fece qualche passo, mentre il piccolo prendeva a tormentargli una delle lunghe trecce scure. Mentre gli occhi chiari del bambino incontravano quelli del padre e sembravano fissarlo con attenzione, Thorin lo cinse con le braccia in un gesto protettivo. La durezza aveva abbandonato improvvisamente i lineamenti del suo volto: era concentrato totalmente sul piccolo, e Laswynn pensò che mai prima d’ora l’aveva visto così raggiante.
 
« Ha già un nome? » chiese lui infine, guardando la moglie.
« Non ancora, aspettavo il tuo ritorno. Ma avrei un’idea… », prese fiato, « che ne dici di Frerin? ».
Thorin guardò la moglie, e poi ancora il figlio. Ammirò quell’esserino perfetto, perdendosi ancora una volta in mille dettagli, e per un attimo gli sembrò di riavere tra le braccia Laswynn appena nata. Un nodo gli si formò in gola al pensiero del fratello perduto: quel bambino avrebbe sicuramente onorato la sua memoria… Frerin era un nome perfetto.
« Frerin…» sussurrò dolcemente.

« FRERIN?! NON LO AVETE CHIAMATO KILI?! », tuonò la voce del nipote da fuori la porta socchiusa, dove chiaramente era rimasto in ascolto.
Thorin alzò gli occhi al cielo esasperato, mentre la testa bruna di Kili – seguita a breve distanza da quella bionda del fratello – faceva capolino nella stanza.
« Pensavamo sceglieste uno dei nostri nomi… in fondo è nostro cugino! » esclamarono quelli indignati, avvicinandosi allo zio.
« Oh bhè… » aggiunse Fili, pensoso, « Vorrà dire che sarà per il prossimo! ».
« IL PROSSIMO? » urlò furiosa Laswynn, scaraventando il cuscino contro il giovane nano.
 
Dopo tutto quegli anni, aveva ancora un’ottima mira.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** La compagnia di Thorin Scudodiquercia ***


La nascita del piccolo Frerin portò molta gioia tra i membri della comunità dei nani; molti lo chiamavano già erede di Erebor, e lo vezzeggiavano con doni e attenzioni.
Quando Laswynn era particolarmente stanca e il bambino non la faceva dormire – cosa che, per altro, capitava spesso – erano numerose le persone che accorrevano in suo aiuto, e in primis Dìs, seguita dai nipoti, che nel tempo si affezionarono moltissimo al cuginetto.
 
L’arrivo di un figlio ammorbidì la corazza di Thorin e diede nuova luce al suo volto e ai suoi occhi; dopo moltissime sofferenze, gli sembrò finalmente di godersi la pace tanto agognata. L’amore che nutriva per Laswynn sembrava addirittura triplicato dalla nascita di Frerin, e amava passare ogni minuto del suo tempo in loro compagnia.
La notizia dell’esistenza di un nuovo un erede al casato di Durin arrivò fino ai Colli Ferrosi; Dáin non si congratulò per la nascita di Frerin, ma Thorin non se ne curò: gli bastava sapere che il bambino era al sicuro con la madre e il padre, e con i parenti che gli volevano bene e che avevano gioito del suo arrivo.
 
Laswynn vedeva gli occhi del marito riempirsi di luce quando incontrava lo sguardo del figlio, ancora troppo piccolo per interagire veramente col padre; sentiva che quei due erano connessi da un legame fortissimo e indistruttibile.
Tuttavia capiva che a Thorin mancava ancora qualcosa: aveva una famiglia, ma non una vera casa, la stessa che fin dalla nascita gli era stata promessa e per la quale era stato preparato: il regno di Erebor.
Lo capiva quando lo osservava allenare i nipoti alle armi, con forza e tenacia, preparandoli a riprendersi la montagna; lo intuiva quando raccontava storie al figlio, facendolo addormentare, sulla grandezza e sulle ricchezze custodite nelle profondità della fortezza.
 
Fu così che a soli due anni dalla nascita di Frerin una compagnia di tredici nani decise di intraprendere un viaggio lontano dai Monti Azzurri alla conquista del regno perduto di Erebor.
Quando Thorin le comunicò la notizia, Laswynn non si oppose né urlò: si sentiva immensamente lontana. In cuor suo sapeva che quel momento sarebbe arrivato, eppure aveva sperato, fino all’ultimo, che l’arrivo del piccolo avesse allontanato Thorin da quell’ossessione. Ma Thorin doveva riconquistare il trono che gli spettava di diritto, soprattutto ora che aveva un figlio a succedergli. Era il sogno di una vita.
 
Quel giorno, e molti giorni a venire, quando apprese la notizia, ripensò a una frase che sua madre aveva pronunciato quando lei era ancora una bambina; ricordando il padre defunto, le aveva spiegato che perdere una persona cara era come sentire un corvo che dilaniava il cuore, e Laswynn aveva immaginato che fosse soltanto un’espressione poetica. Ma ora capiva che era la semplice verità, perché la sofferenza che provava al pensiero di separarsi dal marito era straziante come se il becco di un corvo le stesse davvero trafiggendo l’animo.
 
Dìs tentò di fermarli, inveendo contro il fratello e supplicandolo di non portare con sé i suoi due figli, ancora troppo giovani – secondo lei – per partecipare a una spedizione del genere. Ma Fili e Kili erano fin troppo simili a Thorin, e per nulla al mondo si sarebbero fatti scappare un’occasione del genere.
 
Qualche giorno prima della partenza, Thorin si recò dalla sorella, ancora furiosa per quella situazione.
Le prese le mani e le disse:
« Dìs, so che sei in collera con me. Ti prometto che non accadrà nulla ai tuoi figli, sai quanto li amo. Ma devi giurarmi una cosa…». Il suo volto si fece più serio, le mani serrate su quelle della nana.
« Se dovesse succedermi qualcosa, se non dovessi tornare, assicurati che Laswynn e Frerin siano al sicuro. Fai in modo che, anche senza di me, sia riconosciuto come legittimo erede; preparalo alle responsabilità del trono di Durin ».
Dìs annuì piangendo, carezzando il volto del fratello, addossandosi l’ennesima responsabilità che la vita le aveva riservato.
 
La compagnia partì i primi giorni di primavera, appesantita dalle armi e dalle provviste, salutata dal villaggio intero. Thorin si avvicinò un’ultima volta alla moglie, che piangeva in silenzio.
« Non piangere gáldhiem, ti prego »  le disse dolcemente, abbassandosi per posare un ultimo bacio sulla fronte del figlio, che dormiva beato.
« Torna da noi » rispose lei in un sussurro disperato, stringendogli la mano, prima di vederlo allontanarsi un’altra volta, sperando in cuor suo che quella fosse davvero l’ultima.
 
Laswynn rimase a fissarli a lungo, finché la sagoma dell’ultima ascia sparì all’orizzonte. Desiderò con tutta sé stessa di poterli seguire, ma il pianto del figlio, che proprio in quel momento si era svegliato e reclamava cibo, la riportò in fretta alla realtà. Il destino di una moglie e di una madre non era quello di andare in guerra o di partecipare a ricerche in terre lontane, e lei aveva imparato dolorosamente quella lezione molto tempo addietro.
Quella sera pregò Mahal di poter rivedere Thorin, e fece lo stesso per molte sere a venire, sdraiata da sola in quel letto che sapeva solo parzialmente di famiglia.
Nei giorni che seguirono il sole fulgido di primavera si nascose dietro cieli piangenti, come se la stagione avesse deciso di non trasformarsi nell’estate. I cieli piangevano, il cuore di Laswynn piangeva, e niente sembrava migliorare la situazione.
 
Poi, poco dopo la fine dell’autunno, a quasi un anno di distanza dalla partenza del gruppo, Laswynn e Dìs vennero finalmente a sapere ciò che era accaduto ai membri della compagnia di Thorin Scudodiquercia. 


Angolo autrice
Eccomi! Un piccolo messaggio solo per comunicare che ci sarà ancora un solo ultimo capitolo, ovvero l'epilogo della storia.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, all'inizio non ne ero molto convinta...
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Epilogo ***


PARLA FRERIN: Credo che il mio primo vero ricordo sia stata l’incoronazione di mio padre e di mia madre, come Re e Regina di Erebor. Mia madre mi raccontò che io non ero nato sotto la montagna, ma in un villaggio sui lontani Monti Azzurri; tuttavia io non ho memoria di altro che dei saloni dorati e della pietra che circonda la fortezza.
Quando ero piccolo, mio padre passava molto tempo con me; mia madre era sempre al centro del suo cuore, e quando tornava da uno dei suoi viaggi, lei indossava i suoi abiti più belli e lo attendeva raggiante, e lui portava in dono qualche giocattolo per me e qualche gioiello per lei.
Le cose cambiarono quando arrivò mio fratello Gwáyn. Quell’esserino roseo strillava e stava attaccato al seno di mia madre, e lei pretendeva che io gli volessi bene. Eppure lui era così diverso da me: io con i capelli chiari, e i suoi scuri come la notte… Mio padre lo chiamava Lon-dubh, perché la sua chioma nera e lucida ricordava il piumaggio di un merlo. Appena lo ebbe svezzato, mia madre me l’affidò dicendo:
« E’ il tuo fratellino e devi avere cura di lui ».
In verità io l’avrei gettato volentieri dai bastioni della montagna perché mia madre fosse di nuovo tutta mia.
Ma dopo Gwáyn arrivarono altri neonati, un maschio, Alun, e due femmine, Eriu e Morud, e per quel che riesco a ricordare c’è sempre stato un bambino dagli occhi azzurri attaccato alle gonne di mia madre.
 
Partecipai al matrimonio dei miei cugini, figli di mia zia Dìs, ai quali ero molto affezionato, e insegnai io stesso l’arte del combattimento e tutto ciò che conosco ai figli e alle figlie che vennero dopo di loro.
La vita sotto la montagna procedeva tranquilla e i nani di Erebor rinsaldarono il legame perduto con gli elfi silvani di Bosco Atro, con i quali avevano combattuto tempo prima nella battaglia alle pendici della fortezza contro un nemico comune, che nelle leggende chiamano Azog il Profanatore.
 
Non mi ero mai davvero avvicinato agli elfi, ma quando ero ancora molto giovane il mio fratellino Alun ebbe un incidente cadendo da un cavallo che non avrebbe dovuto montare. Ricordo quando lo portarono nella stanza dei miei genitori, bianco e inerme; mia madre non si allontanò da lui neppure per un istante. Non volle che il bambino fosse visitato da nessuno dei guaritori reali, e lei stessa, pur essendo esperta di erbe e rimedi, non osò toccarlo.
Quella sera, quando mio fratello ancora non si era risvegliato e non dava segni di miglioramento, ricordo di aver sentito i miei genitori discutere. Mia madre insisteva affinché fosse chiamato un elfo di sua conoscenza per vedere il bambino, e mio padre finalmente accettò.
Galioth era alto e fulvo, come la sua stirpe. Arrivò il mattino successivo all’incidente, serio e composto.
Quando mi vide fuori dalla stanza dei miei genitori, dove Alun giaceva, mi si rivolse con fermezza.
« Sei Frerin? »
Per un attimo boccheggiai. All’epoca avevo appena dodici anni, e per quanto fossi abituato a essere trattato come conviene a un principe, lo sguardo freddo e impenetrabile di Galioth mi mise a disagio. Serrai i pugni e alzai lo sguardo, ma prima che potessi rispondere, lui mi anticipò.
« Sei uguale a tua madre. Dimmi, com’è avvenuto l’incidente? »
« Mio fratello è audace e vuole montare cavalli troppo veloci e forti; senza che nessuno se ne accorgesse, ha montato uno stallone delle scuderie e quello lo ha disarcionato ».
« Conducimi subito da lui ».
 
Nella stanza c’era un silenzio di morte; mia madre, pallidissima, stava inginocchiata accanto al letto di mio fratello, come una statua. Sussultò quando riconobbe la presenza dell’elfo, mentre mio padre rimase nascosto nell’ombra, le braccia serrate e lo sguardo duro. Osservai la scena dalla porta.
Galioth scostò le coperte e osservò con attenzione i lividi che deturpavano il corpo di Alun.
« Ha tossito sangue? »
« No, il sangue che ha perso è stato causato dalla caduta di un dente ».
Aveva un grosso livido sulla tempia, e con delicatezza Galioth gli scostò i capelli biondi, stendendo le mani sulla testa del bambino; poi gli pizzicò la coscia energicamente, e Alun gemette nel sonno.
Mio padre protestò furente: « Così gli farai male! »
« Sto cercando di scoprire se vivrà o morirà, e credimi, vivrà ».
Sussurrò qualche breve parola nella lingua elfica, e per un attimo mi parve che le sue mani rifulgessero di luce.
« Deve stare tranquillo e non ingerire altro che acqua o brodo per due o tre giorni. Tornerà vispo e energico come prima. »
Mia madre gli sorrise mestamente e si ributtò in ginocchio accanto al corpo di mio fratello, mentre Galioth si allontanava a grandi passi fuori dalla stanza.
 
Non avevo mai assistito all’arte magica degli elfi, e ne rimasi molto stupito. Mio padre cominciò a fidarsi davvero del loro potere e della loro sapienza quando, dopo qualche giorno, il mio fratellino riprese le forze e tornò a giocare con me e le mie sorelle, e ancora oggi Galioth, così immutato dal tempo, è un mio consigliere e grande amico.
 
La mia infanzia fu diversa da quella dei miei coetanei. Ero destinato dalla nascita al trono di Durin, e mio padre mi preparò ben presto alla diplomazia e alla conoscenza dei nani, mentre Dwalin, che ho sempre chiamato 'zio', mi insegnò l’arte della battaglia e a maneggiare spada e ascia.
Quando anche la più piccola delle mie due sorelle fu data in sposa e io fui abbastanza grande, mio padre abdicò in mio favore, e io diventai il nuovo re sotto la montagna, ed è quello che sono ancora oggi.
 
 *
 
La pace regna qui ad Erebor; il popolo mi reputa un sovrano buono e giusto, ed ora al mio fianco ho anche una moglie, che mi ha elargito una bella figlia dai capelli biondi.

Nel mondo degli uomini le maree del potere cambiano velocemente. Per noi le stagioni della razza umana arrivano e passano nell’arco di pochi istanti, ma a volte qualcosa in esse attrae la nostra attenzione.
La minaccia di una nuova oscurità cade ora impetuosa su tutta la Terra di Mezzo e sui suoi abitanti. A Erebor sono giunte voci dell’anello di Isildur, il cui potere oscuro potrebbe alterare per sempre le sorti del mondo.
 
Ma questa è un’altra storia.
 
 
 
 
 

 
ECCOCI!
Non riesco quasi a crederci… l’ultimo capitolo è stato pubblicato! Sono insieme triste e felice, una strana sensazione.
Qualche breve dettaglio sulla storia, i personaggi e i loro nomi:
  • ERIU è il nome antico dato dagli Iceni all’Irlanda / Ed è anche il nome di una dea irlandese
  • ALUN è un personaggio del ciclo arturiano, padre di Cunyn Cof e Dyfur, cavalieri di Artù
  • Lon-dubh è antico gaelico irlandese e significa “merlo”
 
Come già accennato in alcune risposte, per molti degli episodi mi sono ispirata alle storie raccontate nei quattro libri del ciclo di Avalon di Marion Zimmer Bradley, e in particolare:
  • La scena della guarigione di Alun da parte di Galioth (guarigione di Gwydion da parte della Dama del Lago);
  • Il matrimonio tra Thorin e Laswynn si ispira al rito celebrato in occasione della festività di Beltane (non era un matrimonio, ma la consacrazione del Re dell’anno);
  • L’incipit iniziale del racconto di Frerin, ispirato alla gioventù di Morgana la Fata;
  • Il parto di Laswynn, ispirato alla nascita di Mordred.
 
 
Con questo è tutto. Un piccolo breve ringraziamento a ThorinOakenshield che ad ogni capitolo mi ha lasciato una recensione, a LaViaggiatrice e a Leila91, che hanno fatto lo stesso. Se non fosse stato per le vostre recensioni e soprattutto incoraggiamenti, dubito che avrei continuato la storia… quindi, davvero, GRAZIE!
 
PS: sto scrivendo una sorta di spin-off sulla vita di Eriu. Spero di riuscire a terminarla prima che l’ispirazione mi abbandoni.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3643559