Wands - È la bacchetta che sceglie il mago di _Qwerty_ (/viewuser.php?uid=136557)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Ninfadora Tonks ***
Capitolo 3: *** Twin wands - Fred e George Weasley ***
Capitolo 4: *** Una bacchetta qualunque - Tom Riddle ***
Capitolo 5: *** Tre bacchette per tre sorelle - Black sisters ***
Capitolo 6: *** Severus Piton ***
Capitolo 7: *** Sybilla Cooman ***
Capitolo 8: *** Luna Lovegood ***
Capitolo 9: *** Neville Paciock ***
Capitolo 10: *** Le dimensioni contano - Hagrid e Dolores Umbridge ***
Capitolo 11: *** Minerva McGranitt ***
Capitolo 12: *** Una bacchetta speciale - Albus Silente (e non solo) ***
Capitolo 13: *** Il demiurgo - Garrick Olivander ***
Capitolo 1 *** Intro ***
Wands intro
Intro
Qualcuno potrebbe pensare che un negozio di bacchette
magiche, sia pure il negozio del celebre Olivander, sia tutto sommato
un negozio come tutti gli altri, dove i clienti entrano, chiedono,
trovano l'oggetto di loro necessità, pagano ed escono. Un
negozio dove c'è la stessa confusione che regna negli altri
negozi, più rumorosi quando c'è più di un cliente
da servire, silenzioso quando ormai è l'ora di chiusura. Ma il
negozio di bacchette di Olivander non è un negozio come tutti
gli altri. Lungo tutto l'anno scolastico, che va da settembre a giugno,
il negozio vive immerso nell'ombra e nella quiete, rotte soltanto da
clienti occasionali: bacchette da sostituire per maghi adulti facili al
duello, evenienza sempre più rara nei democratici tempi moderni,
manutenzione speciale per maghi pasticcioni che hanno lasciato
incautamente la bacchetta alla portata dei bambini piccoli e solo
raramente un primo acquisto per un mago undicenne che non vuole
aspettare, perché appena compiuti gli anni ha ricevuto la
lettera da Hogwarts e ha genitori fin troppo proni ad esaudire i suoi
desideri. Fatte dunque queste eccezioni peraltro diluite lungo i mesi,
per il resto gli unici rumori del negozio sono i passi felpati del
maestro Olivander, il suo delicato aprire e chiudere i cassetti
accompagnato da un borbottio sommesso che solo lui stesso comprende, il
fruscio di un panno incantato che lucida il legno delle bacchette e
degli scaffali alti fin su al soffitto, qualche volta uno schiocco
improvviso di qualche bacchetta irrequieta; e sopra ogni cosa, nella
notte quando tutto è silente davvero, il rumore del legno che
è vivo e si muove, come mille creature e mille respiri che si
sentono uno. Ma la quiete antica che permette il lavoro di Olivander si
rompe nei mesi di luglio ed agosto: sono i mesi in cui i giovani maghi
che devono acquistare la loro prima bacchetta per Hogwarts entrano da
Olivander accompagnati da genitori e fratelli, alcuni dei quali
ricordano con affetto e nostalgia quel giorno in cui loro stessi
comprarono la loro prima e perlopiù ancora attuale bacchetta;
altri, irrimediabilmente Babbani, hanno seguito per filo e per segno le
istruzioni del mago che ha rivelato loro la natura del figlio e ora si
muovono incerti, timorosi in buona parte ma anche sinceramente curiosi
e ammirati, in quello che d'ora in poi sarà parte anche del loro
mondo. Si capisce come un simile affollamento di maghi che entrano a
gruppi uno dopo l'altro negli angusti spazi della bottega non possano
che rompere la quiete: i maghi undicenni non vedono l'ora di trovare la
propria bacchetta ed è assai difficile tenerne a freno
l'entusiasmo! Olivander deve parlare a voce alta per farsi sentire, fa
domande ai nuovi venuti, ricorda il giorno in cui ha venduto la
bacchetta ai genitori, e mentre la conversazione si svolge come un
gomitolo di lana colorata, il metro speciale del signor Olivander
prende misure che sfuggono all'occhio dell'acquirente; mentre l'anziano
mago da un lato annuisce ai clienti, dall'altro pensa già a
quale bacchetta far provare al nuovo mago e si appresta ad aprire
cassetti e scatole di cui conosce con sicurezza il contenuto. Scatole
di bacchette vengono appoggiate aperte sul bancone, i maghetti provano
le bacchette, alcune non fanno niente, altre fischiano, si odono scoppi
e sbuffi luminosi inondano le ombre lunghe fra gli alti scaffali,
mentre nuvole di polvere si alzano e ricadono, inevitabilmente. E in
tutta questa confusione sonora e colorata ogni giovane mago trova la
sua bacchetta, o meglio, come direbbe Olivander stesso, ciascuna
bacchetta sceglie il mago cui apparterrà, finché l'ultima
settimana d'agosto gli impetuosi clienti si diradano, ormai sono tutti
pronti per Hogwarts, e nella piccola bottega di Olivander torna la
quiete, le ombre si allungano di nuovo, la polvere si posa e regna di
nuovo il silenzio, come in un antico tempio in cui l'unico rumore
possibile è lo scricchiolio sommesso del legno, degli alti
scaffali e delle bacchette stesse, che sembrano bisbigliare fra loro e
raccontarsi le storie delle compagne che sono appena partite per
l'avventura nel mondo con il loro nuovo compagno magico.
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Capitolo 2 *** Ninfadora Tonks ***
I.Tonks
I.
“Entriamo,entriamo!”
La pesante porta di ingresso
di Olivander viene spinta e un campanello tintinna sommessamente
mentre entrano una giovane strega e la madre.
“Benvenute, come posso servirvi?”
“Siamo qui per la bacchetta di mia figlia” risponde con gentilezza la strega adulta.
“Oh, sì,
naturalmente. Ad ogni mago e strega la sua bacchetta. Ricordo ognuna
delle bacchette che vendo e ancora di più ricordo chi le compra.
Dieci pollici e tre quarti, ebano, lievemente irregolare, corda di
cuore di drago. Mediamente flessibile, e molto salda. Ricordo bene,
signora…?”
“Ma dovrò
provarle tutte?” domanda all’improvviso la ragazzina, a
metà fra preoccupazione di dover aprire tutti i cassetti degli
scaffali e l’eccitazione di sperimentare finalmente una bacchetta
vera, che non sia quella di papà, con la quale sembra combinare
solo guai.
“No, mia cara signorina
– risponde gentile Olivander spalancando ancora di più i
grandi occhi pallidi – Basta solo allungare il braccio e il mio
fidato metro ci aiuterà a scegliere… Ci vorrà
poco, o forse un poco di più, chissà!” e il metro
da sarto si svolge da solo e inizia a misurare la lunghezza del braccio
della ragazzina, mentre Olivander si avvia fra gli scaffali.
“Ha degli occhi
stranissimi, vero mamma?” commenta rivolta a sua madre,
spalancando gli occhi, che sembrano allargarsi e diventare grandi e
pallidi come quelli del negoziante.
“Non dire sciocchezze, piuttosto sta’ attenta con le mani, il metro si sta come annodando…”
La ragazzina guarda di fronte
a sé e scopre che, non si sa come, il metro ha fatto un nodo
cercando di misurarle la distanza fra gli occhi e adesso si è
allontanato da lei, cercando si sciogliersi da solo e finendo per
assumere nell’aria la figura di un punto interrogativo.
“Signor Olivander, il metro sembra confuso…” inizia la madre.
“Confuso? –
risponde Olivander da dietro uno scaffale – Non preoccupatevi,
riesce sempre a prendere le giuste misure. Anzi, ho già qui un
paio di bacchette adatte da provare”.
“Arrivo!” grida la ragazzina, scattando in avanti verso il fondo del negozio da cui proviene la voce di Olivander.
“Non c’è bisogno, sto…”
Ma la ragazzina è
più veloce di lui e spicca la corsa verso gli scaffali. Corsa
che si interrompe pressoché immediatamente, perché la
ragazzina inciampa da sola e rovina a terra, come risucchiata in una
voragine, con tanto di tonfo sonoro persino sulla moquette del negozio.
“Ti avevo detto di stare attenta!”
“Provi questa –
dice Olivander, per nulla turbato dall’irruenza della giovane
strega, porgendole una bacchetta – Undici pollici, legno di
castagno e piuma di fenice. Nobile e capace”
La ragazzina impugna la bacchetta speranzosa e la agita, ma ne esce soltanto un filo di fumo bianco ben poco incoraggiante.
“No? Allora questa:
dieci pollici e mezzo, nocciolo e tendine di drago. Mediamente
flessibile, malleabile all’allenamento”
Stavolta è quella
giusta, sembrano dire gli occhioni di Olivander all’indirizzo
della giovane acquirente. Ma si sbaglia: la ragazzina agita la
bacchetta e, sì, una magia avviene, peccato che sia il
più poderoso schianto con annesso spostamento d’aria che
si sia mai prodotto nel piccolo negozio polveroso che Olivander
ricordi. Gli scaffali non si muovono di un millimetro, ma si alza una
grossa nuvola di polvere e svariati cassetti si aprono, rovesciando
scatole e le bacchette che contengono.
“Per le mutande di
Merlino! No davvero!” esclama Olivander, anche lui a voce un
po’ più alta del solito. Allora estrae la sua bacchetta e
facendo vento con le mani per scacciare la polvere inizia a bisbigliare
parole sconnesse muovendo la bacchetta con piccoli scatti. Una alla
volta, non senza urti e spintoni fra loro, le scatole con le bacchette
iniziano a tornare al loro posto sugli scaffali.
“Le do una mano” dice la strega adulta estraendo anche lei la bacchetta.
“Non c’è
bisogno, si figuri!” risponde Olivander lievemente imbarazzato ,
ma la donna ha già iniziato la muovere la bacchetta anche lei a
piccoli scatti, senza però bisbigliare incantesimi. Le scatole
con le bacchette si sistemano prontamente e in ordine al loro posto
sugli scaffali, tranne una mezza dozzina che sembrano solo voler fare
capriole in aria.
“Sì, alcune sono
ostinate. Sono di ontano, d’altronde” interviene Olivander,
che alla fine con un colpo secco di bacchetta le spedisce nel giusto
cassetto.
Adesso che tutto è di nuovo in ordine, ancorché precario, Olivander sembra tentennare.
“Mi scusi, non volevo
assolutamente…” tenta allora la ragazzina, ma con
un’inaspettata agilità il vecchio mago sparisce di nuovo
fra gli scaffali alzando una scia di polvere.
“Mamma, ma se ho confuso il metro, con gli occhi, prima, e ora lui non sa…”
La madre guarda la figlia con severità.
“Lo sai che devi stare
attenta. Nessuna magia è un gioco, nemmeno la tua, e tutto ha
delle conseguenze” – ma il volto della donna si rischiara
subito in un bel sorriso – “Ma il signor Olivander
saprà trovare la bacchetta anche ad una pasticciona come
te!”
“Eccomi, non avevo
pensato che anche queste combinazioni…” comincia Olivander
spuntando da dietro un scaffale.
La ragazzina sta per lanciarsi
di nuovo verso il vecchio mago, ma stavolta la madre la trattiene
posandole una mano sulla spalla.
“Ecco, proviamo. Ancora
dieci pollici e mezzo, ancora tendine di drago, ma legno di cipresso.
Inquieta, ma pronta e flessibile.”
Stavolta la ragazzina è
molto meno convinta e i suoi occhi non più spalancati adesso
tradiscono il timore di fare un pasticcio come poco prima.
“Devo agitarla, sì?” chiede facendosi piccola piccola.
Olivander annuisce e arretra di un passo.
Stavolta però non si
sentono schianti, non ci sono spostamenti d’aria o altri
fracassi: in mano alla giovane strega la bacchetta produce una delicata
pioggia di scintille di tutti i colori, in un arcobaleno cangiante che
si rinnova ad ogni movimento del braccio.
La ragazzina non nasconde la
sua gioia e si lascia scappare un grido entusiastico, accompagnandolo a
un altro colpo di bacchetta che però produce scintille solo di
colore rosso, mentre un vago odore di toast bruciato si diffonde nel
negozio.
“Ecco, sì, benissimo, però attenzione, figliola” tossicchia Olivander.
“Ninfadora, attenta, non
è questo il posto per fare esercizio, adesso riponi la bacchetta
nella scatola che ti sta porgendo il signor Olivander e
ringrazia”
“Oh, sì, grazie
mille, signor Olivander” risponde la ragazzina, che non fa
nemmeno caso al fatto che la madre l’abbia chiamata con il suo
nome di battesimo per intero, cosa che detesta e per la quale non manca
mai di protestare sonoramente.
La signora Tonks si avvicina al bancone per pagare.
“Legno di cipresso…” mormora fra sé mentre estrae con eleganza i sette galeoni della bacchetta.
“Sì. La cosa la
turba, signora? Oh io lo so perché, e quello che si dice di chi
possiede una bacchetta di cipresso. Ma fortunatamente i tempi sono
cambiati, le nuvole scure sono scomparse, e nessuno deve pensare che un
mago morirà giovane solo perché vecchie leggende di
fabbricanti di bacchette dicono che molti maghi con una bacchetta di
cipresso l’hanno fatto”.
“E lei non crede nelle leggende dei fabbricanti di bacchette?” chiede seria la donna.
“Io sono vecchio e sono
tante le cose in cui credo e altrettante quelle in cui non credo
più, ma più di tutte credo che anche se è la
bacchetta a scegliere il mago, è il mago a scegliere cosa farci,
perché il destino di nessuno di noi è inciso nel legno
della nostra bacchetta”.
***
Ecco,
così è come mi sono immaginata il momento in cui Tonks
acquista la sua bacchetta! Ho scelto il cipresso prendendo spunto da
quello che si trova su Pottermore, dove si dice che appunto la
tradizione vuole che il mago con tale bacchetta muoia giovane, o che
sarebbe pronto a farlo se necessario...ed è quello che succede a
Tonks, purtroppo, mannaggia alla Rowling! Spero di essere stata il
più IC possibile, anche il prezzo della bacchetta è
quello che paga Harry in HP1.
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Capitolo 3 *** Twin wands - Fred e George Weasley ***
II. Twin wands
II.
“…e per l’ennesima volta, ragazzi, niente scherzi!”
Fred e George annuirono con vigore, scambiandosi un cenno d’intesa non appena il signor Weasley ebbe voltato le spalle.
Finalmente era arrivato il giorno
di comprare la bacchetta: ne avevano parlato per giorni fra loro e con
i fratelli più grandi e ormai non stavano più nella
pelle. Se, come aveva spiegato con dovizia di dettagli Percy, ogni
bacchetta era unica e aveva caratteristiche tali da adattarsi solo al
mago a cui era destinata, in una particolare combinazione di legno,
anima e lunghezza che non ammetteva “doppioni” né
tantomeno copie in serie, per la prima volta da quando erano nati Fred
e George avrebbero avuto qualcosa di diverso fra loro. Percy
però aveva accennato anche al fatto che c’erano esempi
storici di maghi gemelli che avevano bacchette identiche fatte su
misura, ma che in tutti i casi i maghi in questione avevano fatto una
brutta fine o addirittura erano entrati troppo in contatto con la magia
oscura. Non a caso, l’incantesimo Gemini
modificato affinché si autorealizzasse al contatto con uno
specchio adeguatamente incantato aveva fatto sì che i due maghi
gemelli viennesi Max e Franz Gundel si fossero ritrovati circondati da
ulteriori copie di loro stessi inaspettatamente aggressive, e nel
tentativo di fermarle si fossero uccisi a vicenda. O almeno,
così aveva raccontato Percy, anche se ai gemelli Weasley
sembrava solo l’ennesima storiella per rimproverarli per le loro
marachelle magiche, ancora potenziali, peraltro, in assenza di una
bacchetta. Tuttavia, Bill aveva confermato di aver letto anche lui
quella storia in un libro a Hogwarts, ma anche che dovevano stare
tranquilli al momento della scelta della bacchetta, cercando soltanto
di essere se stessi. Così, spenti i timori e i dubbi sulla
possibilità di avere bacchette identiche, avevano passato tutto
il tempo a fantasticare su come avrebbero impiegato per la prima volta
la bacchetta e quale scherzo avrebbero messo su in casa. Ai danni di
Percy, ovviamente.
“Buongiorno, signor
Olivander. Sono qui con i miei figli per le loro bacchette” disse
il signor Weasley sorridendo appena al vecchio artigiano.
“Oh, signor Weasley, come
potrei dimenticare! Grandi bacchette per una grande e numerosa
famiglia!” cantilenò Olivander con un tono ironico
che al signor Weasley non piaceva, ma a cui per tante ragioni era
abituato, dato che anche al lavoro al Ministero non mancavano commenti
sulla numerosità della sua famiglia.
“Dunque due nuovi Weasley
– proseguì Olivander spostando l’attenzione su Fred
e George – E due gemelli per giunta! Ah quante storie potrei
raccontare sui maghi gemelli e le loro bacchette, sui pericoli e le
insidie, ma anche le delizie e il fascino, della dualità
identica…”
“Ce la hanno già
raccontate i nostri fratelli” disse Fred con una smorfia,
replicata all’istante dal fratello.
“I vostri fratelli? Quale di
essi? Beh, dunque, mi rammento, castagno e tendine di drago, dieci
pollici…no, era l’altro…quercia e piuma di fenice,
undici pollici e mezzo… O li sto invertendo? Poi c’era il
terzo, sì sì, carpino e tendine di drago, undici pollici,
quello era molto deciso! E poi…”
“Ehm, signor Olivander,
possiamo passare alle nostre di bacchette? Sappiamo a memoria cosa
hanno i nostri fratelli, e la fenice è di Bill” disse
Geoge non nascondendo impazienza.
“Ragazzi, un po’ di educazione!” esclamò il signor Weasley.
“Oh ma si figuri, hanno
ragione – rispose Olivander tirando fuori il metro da sarto
– Ora ragazzi uno alla volta, un passo avanti verso il
metro”.
I gemelli si scambiarono un’occhiata. Era il momento.
“Prima Fred. E niente scherzi” ribadì il signor Weasley.
Fred avanzò di un passo e
lasciò che il metro iniziasse a volteggiargli intorno, e dopo un
paio di misure il signor Olivander era già andato in cerca di
qualche bacchetta da provare.
“Ma riprenderà le
misure anche a te?” domandò Fred mentre il metro gli
misurava la circonferenza cranica.
“Boh, alla fine siamo uguali fisicamente – rispose George – Ehi metro, guarda che siamo uguali, prova!”
George si mise accanto al fratello e stesse le braccia avanti per invitare il metro ad andare da lui.
“Ragazzi, avevamo detto niente scherzi! La bacchetta è una cosa seria, non dovete fare confusione!”
“Sì papà, ma le
misure sono uguali, non ha senso che…” cominciò
George mentre il metro gli stava prendendo le tre dimensioni
dell’orecchio.
In quello stesso istante sbucò Olivander da dietro uno scaffale.
“Ah, ci siamo messi avanti,
vedo” esclamò, appoggiando qualche scatola sul bancone.
Fred e George non riuscirono a capire se si riferiva a loro o al metro
stesso, ma il vecchio mago afferrò il metro con la mano ossuta e
parve leggere sopra di esso.
“Uhm, vabbè, vediamo
ancora” e sparì ancora fra gli scaffali, per spuntare
subito dopo con altre due scatole.
A quel punto erano ammucchiate sul
bancone una dozzina di scatole e il metro si stava muovendo fra le
gambe dei gemelli, che a un certo punto avevano iniziato ad alzare
all’unisono prima un piede poi l’altro, per fare un
dispetto al metro, che per tutta risposta assestò ad entrambi un
paio di leggere frustate con una delle estremità.
“Bene, ci siamo, alle prove.
Chi di voi è il signor Fred? Provi questa, corniolo e crine di
unicorno, nove pollici e tre quarti, asimmetrica ma brillante”.
I gemelli si guardarono, si
scambiarono un cenno fugace e George provò a fare un passo
avanti. Stava per impugnare la bacchetta, quando Olivander si
avvicinò anch’egli col viso e disse:
“Lei è sicuro di essere Fred?” con sguardo inquisitore.
Un brivido passò sulla schiena dei gemelli, ma fu breve come un temporale estivo e con una risata George rispose:
“Hai visto, è più sveglio lui di tutti! Nemmeno la mamma riesce a distinguerci!”
“Ragazzi, maledizione, un
po’ di serietà! Ci scusi, signor Olivander!”
intervenne prontamente il signor Weasley.
Fred si portò accanto al fratello e prese la bacchetta.
Nel momento stesso in cui la prese in mano, sentì che era quella giusta.
“Ma è
davvero…” cominciò, senza riuscire a trovare
l’aggettivo giusto per descrivere la sensazione. Al posto suo
parlò la bacchetta, per così dire, emettendo un fascio
dorato e scoppiettante come un fuoco pirotecnico.
“Dai, fai provare!” fece George.
Senza pensarci nemmeno, Fred passò la bacchetta al fratello.
“No, ragazzi, così non va bene!” esclamò Olivander sgranando gli occhi.
“Ma anche a me riesce con
questa, guardate!” e nel dirlo George agitò la bacchetta
di Fred facendone uscire altrettante scintille dorate.
“Ma neanche per sogno!”
ribatté Olivander, strappando la bacchetta di mano al ragazzo e
appoggiandola sul bancone.
“Piuttosto questa, drago e
pino, dieci pollici, tutt’altro che…” ma non
finì la frase, perché George gli aveva appena strappato
di mano la bacchetta e iniziato ad agitarla, senza produrne niente.
“Visto?” esclamò trionfante.
“Non ne ha una uguale alla mia per lui?” chiese Fred.
Il signor Olivander era allibito.
Ce n’erano stati di clienti fuori dell’ordinario nel suo
negozio, poteva ben dirlo, ma come quei due gemelli non ne capitavano
da secoli!
“Ragazzi, basta adesso. Ci scusi ancora, signor Olivander” intervenne il signor Weasley.
Olivander scosse il capo e porse un’altra bacchetta a George.
“Ancora pino, dieci pollici, piuma di fenice. Prego”.
George la prese e la agitò,
producendo uno schiocco di tutto rispetto, come uno sparo a salve. I
due gemelli risero di gusto, ma Olivander tolse subito di mano la
bacchetta a George mugugnando.
“Non pino, dunque,
eppure…mmh, metà, ma con…mmh” sollevò
una bacchetta, la osservò e la ripose nella scatola.
Il metro sul bancone si era
riarrotolato un po’ e teneva le due estremità incrociate
come se fossero due manine che riparavano la testa.
“Possibile?”si chiese fra sé Olivander, soppesando una bacchetta.
Poi si voltò e la porse a
George, che la prese senza troppe cerimonie, pronto per
l’ennesima battuta. Ma per una volta rimase senza parole quando
avvertì che la bacchetta, inaspettatamente, era quella giusta.
“Eccola!”
esclamò alla fine, lanciando scintille rosse e arancioni che
ricaddero delicate come fontane luminose.
“Sbalorditivo” disse Olivander, con gli occhi più grandi e pallidi che mai.
Passò qualche secondo prima che si accorgesse dello sguardo interrogativo dei due ragazzi e riprendesse a parlare.
“Se è vero che i
gemelli fanno spesso accadere cose inusuali, beh, non tutto è
inusuale alla stessa maniera… Le vostre bacchette hanno la
stessa lunghezza, sono fatte con legno di corniolo fornito dalla stessa
pianta nello stesso giorno, e possiedono un’anima in crine di
unicorno fornita dalla stessa creatura, ma in due tempi diversi:
l’una quando era un giovane puledro prossimo alla maturità
– e accennò a quella sul bancone – l’altra
quando era ormai un esemplare adulto con un ruolo ben definito nel
branco, secondo solo al capo più anziano”.
“Quindi sono uguali ma non del tutto?” chiese George interessato.
“Beh, in certo senso…”
“Sì dai ha senso – disse Fred – Fammi provare la tua per sentire” e prese la bacchetta di George.
“Ma non fa niente!” disse notando che la bacchetta di George in mano a lui era muta.
“La tua però
funzionava” intervenne allora George, che con uno scatto troppo
rapido per l’anziano mago afferrò la bacchetta di Fred
poggiata sul bancone.
“No, per l’amor del cielo, non iniziate a scambiarvi!”
“Quale ha detto che era quella con l’unicorno giovane?” disse Fred.
“Adesso basta, ragazzi. Avete creato fin troppo caos al signor Olivander. Prendete ognuno la vostra bacchetta, senza scambi” disse il signor Weasley, stavolta con più decisione.
Lo sguardo severo del padre riportò i gemelli all’ordine, almeno sul momento.
Il signor Weasley pagò il
negoziante e i tre uscirono, il signor Weasley col pensiero agli altri
acquisti da fare e i gemelli che bisbigliavano fra loro su cosa
combinare una volta a casa.
“Dobbiamo esercitarci subito
– disse George – magari proviamo a incantare i calzini di
Percy perché gli facciano il solletico!”
“Sì, grande! Oppure
gli incolliamo insieme le pagine del suo nuovo libro di rune!
Però uffa che io non posso usare la tua bacchetta ma tu la mia
sì”.
“Comunque a casa riproviamo lo stesso!”
E giù smorfie malandrine.
Vedendoli uscire, il signor Olivander non aveva nascosto un sospiro di sollievo.
“Di gemelli identici non ce
ne sono molti e ancora meno con un legame come quello. Erano secoli
forse che non si vendevano due bacchette così simili… Sei
stanco, eh? Hai fatto gli straordinari oggi! – disse rivolto al
suo metro magico che ora si era avvolto più strettamente e
faceva ondeggiare una delle due estremità, come a imitare un
gatto che si sistema nella cesta per dormire – Una cosa è
certa: di quelli là sentiremo parlare presto!”
***
Note dell’autore: ecco,
così è come mi sono immaginata la prima bacchetta dei
gemelli. So che l’idea non è il massimo della
creatività, due bacchette identiche in tutto tranne un
dettaglio, ma volevo rendere proprio l’idea di come i due gemelli
siano legati nella maniera più forte possibile, più di
quanto sia mai successo ad altri maghi gemelli della saga (tipo le
sorelle Patil), e come già nelle bacchette ci sia la traccia del
fatto che Fred se ne vada quando è ancora giovanissimo, mentre
George raggiungerà l’età adulta e la
maturità.
Come legno ho scelto il corniolo perché quando ho letto su Pottermore che “Dogwood
wands are quirky and mischievous; they have playful natures and insist
upon partners who can provide them with scope for excitement and fun.” ho pensato subito: sono le bacchette dei gemelli!
Infine, angolo pubblicità:
l’idea dello specchio incantato che produce gemelli di chi lo
tocca viene da una bellissima storia scovata qui su Efp: “Golem” di Ranessa, la trovate fra le mie preferite (scusate non so mettere l’html dei link): andate a leggerla che è un gioiello!
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Capitolo 4 *** Una bacchetta qualunque - Tom Riddle ***
Una bacchetta qualunque - Tom Riddle
IV
Il
signor Olivander era considerato, a torto o a ragione, il miglior
fabbricante di bacchette d’Europa e forse del mondo, ma non era
stato sempre così. Semmai, aveva portato sulle spalle fin da
ragazzo il peso del suo nome, dal momento che la produzione di
bacchette era il vanto della famiglia Olivander dal 382 avanti Cristo,
o almeno così diceva l’insegna sulla porta della bottega.
Che poi si potessero avere notizie fondate sulla famiglia solo
dall’alto Medioevo era solo un dettaglio per storici tediosi,
visto che le bacchette uscite dalle mani sapienti degli Olivander erano
davvero le migliori del proprio tempo e avevano attraversato epoche ed
eventi insieme ai loro possessori. Garrick Olivander aveva appreso il
mestiere da suo padre, che a sua volta lo aveva appreso dal proprio e
così via indietro, aggiungendo ogni giorno un granello di
sapienza e maestria in più. A dire tutta la verità, era
stato suo nonno a insegnargli pressoché tutto quello che sapeva,
era da suo nonno che molto probabilmente aveva ereditato il suo
particolare talento nel riconoscere gli elementi magici per creare le
bacchette, mentre suo padre era stato più che altro un ottimo
commerciante e un valido curatore della fama del negozio. Ma come si
suol dire, certe cose saltano una generazione.
Nel 1938 il signor
Olivander era ancora abbastanza giovane da sentirsi in dovere di
dimostrarsi all’altezza dei suoi predecessori e della sua fama ma
già abbastanza esperto da aver fabbricato molte bacchette
rivelatesi splendidi oggetti di successo per la soddisfazione dei loro
proprietari, quando un mattino entrò nel negozio
l’ennesimo ragazzino per il suo primo acquisto.
“Buongiorno, figliolo, come posso aiutarti?”
“Sono qui per comprare la mia bacchetta magica” rispose il ragazzino con decisione.
“Sei sicuro? Non ci
sono i tuoi genitori?” chiese il signor Olivander notando che
subito dopo il ragazzo non era entrato nessuno e che si guardava
intorno con aria lievemente spaesata.
“No, signore, sono da solo. Devo comprare la bacchetta per la scuola” ripeté deciso.
Olivander lo osservò meglio.
Portava abiti di foggia
Babbana che, per quanto non se ne intendesse di certo, sembravano assai
miseri e portava a tracolla una cartella di pelle con gli angoli tutti
consumati che sembrava stipata all’inverosimile di libri,
pergamene e sacchettini. Era sicuramente uno dei tanti giovani maghi
Nati Babbani di cui la famiglia, irrimediabilmente e ottusamente
Babbana, non vuole nemmeno accettare la natura magica, preferendo
lasciarlo solo nel suo nuovo mondo.
“Guardi, ho qui la
lettera. Sono stato contattato e indirizzato dal professor Silente in
persona” disse il ragazzo iniziando a frugare nella tracolla,
evidentemente convinto che Olivander non gli credesse.
“Ma certo caro!
Vieni avanti e poggia la cartella qui – disse Olivander indicando
il bancone e iniziando a prendere le misure col metro da sarto –
Io mi darò da fare per trovare la tua bacchetta.”
Fece appena in tempo a
notare che quando l’aveva lasciato solo con il metro il ragazzo
non aveva fatto nessun cenno di meraviglia: e pensare che i Nati
Babbani restavano sempre ammirati dal suo metro incantato!
“Come sono fatte le bacchette?” chiese all’improvviso il ragazzo.
“Oh, con che
piacere odo questa domanda! – disse Olivander riemergendo da
dietro uno scaffale – Le bacchette sono fatte di legno ricavato
da varie specie di alberi, ma non alberi qualsiasi, alberi che
producono un buon legno per bacchette, anche se a vederli sembrano
uguali a tutti gli altri. Dentro il rivestimento di legno
c’è l’anima della bacchetta, che può essere
in crine di unicorno, corda di cuore di drago o piuma di fenice.
È la combinazione fra legno, anima e misura che rende unica ogni
bacchetta.”
“Quindi la farà su misura per me? È per questo che il metro mi sta prendendo le misure?”
“No, ti sta
prendendo le misure per far sì che io la trovi fra tutte
queste” e con un gesto del braccio indicò gli alti
scaffali.
“E non posso sceglierla io? La vorrei di drago!” chiese il ragazzo.
“Oh no figliolo! È la bacchetta che sceglie il mago, e…”
“Ma
com’è possibile che lei abbia già la bacchetta per
me se non mi ha mai visto né sa come mi chiamo né
niente?”
“Questa, mio caro,
è una domanda troppo difficile perché io possa
risponderti qui e ora. Piuttosto, prova questa. Undici pollici e tre
quarti, corda di drago – e sorrise incoraggiante – legno di
abete”
Il ragazzo la agitò, con scarsa convinzione.
Non avvenne alcun
fenomeno magico e il ragazzo la restituì a Olivander con
espressione di chi tutto sommato se lo aspettava.
Olivander ripose la bacchetta e ne estrasse un’altra.
“Mr Smithson dice che l’abete è legnaccia per bruciare” commentò il ragazzo.
Olivander si
risentì un attimo, ma subito di prima di rispondere
alcunché pensò che non c’era merito nel rispondere
a stupidi commenti che un qualche stupido Babbano che non sa niente
poteva aver detto davanti al ragazzo.
“Dodici pollici,
piuma di fenice, quercia” e la porse al ragazzo, che questa volta
produsse un debole pop e poi nulla.
“La fenice è
solo un uccello, l’ho letto in un racconto. Posso riprovare col
drago?” domandò ancora il ragazzo.
“La fenice, mio caro, non è solo un uccello:
è una delle creature più difficili da avvicinare di
questo mondo e la sua capacità di rinascita dalle proprie ceneri
sono un fenomeno che ha dell’ultraterreno e che nessuno ha mai
spiegato fino in fondo! – adesso, notò Olivander, il
ragazzo lo ascoltava interessato e attento, quasi come rapito –
Se è vero che nell’immediato unicorno e drago generano
bacchette più performanti, la fenice ha la potenzialità
dello straordinario, ed è anche più difficile da
imprigionare nel legno, tanto che solo due bacchette su dieci sono di
fenice.”
E così dicendo gli porse un’altra bacchetta.
“Dodici pollici e mezzo, legno di tasso, ancora fenice.”
Il ragazzo stava per replicare ancora, ma quando prese la bacchetta le parole gli morirono sulle labbra.
Olivander fece un gran
sorriso: qualunque mago prova una sensazione unica e speciale quando
incontra la sua bacchetta, una sensazione indescrivibile che lascia
senza parole chiunque.
“Visto che l’abbiamo trovata?”
Per la prima volta da quando era entrato, il ragazzo sorrise.
“Ora che hai
trovato la tua bacchetta, devi averne cura, fare un po’ di
manutenzione ogni tanto e usarla con mente e cuore saldi. Sono sette
galeoni” disse Olivander avviandosi verso il bancone.
Il ragazzo sembrava però di nuovo pensieroso.
“Ma il tasso che legno è? È un legno qualunque?”
“Un legno
qualunque? Al contrario, ragazzo mio, è uno dei legni più
rari per fabbricare bacchette! Una bacchetta di tasso non sceglie mai
un mago timoroso e remissivo, tutt’altro. Anche se sentirai dire
che è un legno per maghi oscuri, ricorda sempre che è il
mago che sceglie come usare la sua bacchetta.”
“Quindi non è una bacchetta qualunque?” insisté il ragazzo.
“Nessuna bacchetta
è una bacchetta qualunque, se il mago che la impugna non
è un mago qualunque” rispose Olivander volutamente
allusivo.
Il ragazzo fece una smorfia.
“E ti
piacerà sapere che c’è stata una fenice che ha
fornito soltanto due piume da quando la mia famiglia fabbrica bacchette
e una delle due si trova proprio nella tua bacchetta.”
“E l’altra?” domandò il ragazzo con gli occhi sgranati dalla curiosità.
Ma in quell’istante
la porta del negozio si spalancò ed entrò un mago
corpulento e rumoroso seguito da un gruppetto di altri tre o quattro.
“Garrick Olivander!” chiamò il tale.
“Signor Diggory!
Quale piacere! Come posso servirla?” esclamò Olivander
avvicinandosi subito al mago corpulento che la aveva chiamato,
dimenticandosi completamente del ragazzo.
“Ho qui il mio
figlio più giovane per la sua bacchetta, e poi vorrei sottoporti
una bacchetta da esaminare, se non…”
“Ma certo! Prego, prego!”
Il ragazzo indugiò
un attimo, poi estrasse un sacchetto dalla cartella, contò sette
galeoni e li lasciò impilati sul bancone, cercando a malapena di
fare un cenno al signor Olivander.
“Oh, giusto, caro,
a posto così – disse il signor Olivander
all’indirizzo del ragazzo che stava uscendo dal negozio, non
appena notò il soldi lasciati con cura sul bancone – E in
bocca al lupo per Hogwarts! Diventa un grande mago!”
Il ragazzo uscì, sorridendo appena.
Quelli erano maghi qualunque.
***
Qui
le cose si fanno un po’ più difficili, affrontando uno dei
personaggi principali come Tom Riddle. Ho cercato di essere fedele a
come viene descritto soprattutto negli ultimi capitoli della saga,
immaginando che anche da giovanissimo avesse già questo
desiderio di emergere e di essere speciale e questo fastidio verso
ciò che è ordinario. Dov’è
l’altra piuma lo scoprirà a sue spese tanti anni dopo, ma
forse meglio così, no?
Olivander invece è ancora
giovane, artigiano esperto ma uomo giovane, e stavolta non ci prende
più di tanto su quello che pensa essere il futuro del giovane
mago che ha davanti.
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Capitolo 5 *** Tre bacchette per tre sorelle - Black sisters ***
Tre bacchette per tre sorelle - Black sisters
V
Il signor Olivander non si considerava affatto un uomo servile. Un
osservatore disattento avrebbe giudicato eccessivamente zuccherose le
sue premure verso i clienti, ma c’era da dire che fabbricare
bacchette era tutto fuorché redditizio: i sette galeoni del
prezzo coprivano a malapena quanto lui pagava per la materia prima, che
non sempre poteva essere ottenuta gratuitamente o col baratto in
natura, e quando era in attivo copriva le spese di manutenzione
generale del negozio. Nessuno dei maghi cui forniva il loro prezioso
strumento era realmente consapevole del fatto che per quella che era la
sua abilità, la sua maestria, il suo talento di artigiano non
c’era prezzo possibile. Checché ne dicessero certi altri
sedicenti fabbricanti di bacchette sparsi in ogni dove, il suo era un
mestiere in perdita, per definizione. Per cui, quando un cliente,
magari un mago facoltoso di antico lignaggio, entrava per chiedere
servizi aggiuntivi e pagava conformemente, non c’era da fare
tanto i superiori ma anzi accogliere con gioia l’occasione.
Era un assolato mattino di luglio quando nel negozio entrò un
mago dall’aria austera, seguito da tre ragazze di età
variabile fra gli undici e i quindici anni. La somiglianza fra due di
loro e il padre non lasciava spazio a dubbi di sorta sul legame di
sangue, mentre la terza, la minore, pallida e bionda, sembrava una
completa estranea.
“Signor Black, quale piacere!” esclamò Olivander con
un tono leggermente più stridulo del dovuto accogliendo i
clienti.
“Salve, Olivander – iniziò il signor Black, per
nulla addolcito dall’accoglienza – Mia figlia minore deve
comprare la sua bacchetta, ma dobbiamo sottoporle anche una questione.
Mia figlia maggiore Bellatrix ha riscontrato dei problemi con la sua
bacchetta durante l’anno, problemi del tipo che la bacchetta non
le risponde come dovrebbe durante l’esecuzione di incantesimi di
una certa portata, in situazioni di allenamento al duello per esempio,
ed è fuori discussione che possa essere dovuto ad una sua
incapacità. La bacchetta deve tornare performante come lo era
fino a non molti mesi fa, Olivander” spiegò il signor
Black, estremamente assertivo.
“Ci mancherebbe altro! Farò tutto il necessario per
risolvere questa incresciosa circostanza! Vuole cominciare proprio da
questo? O prima la signorina trova la sua bacchetta?” chiese
sorridendo alla ragazzina più piccola.
“Dalla mia, che domande!” disse Bellatrix con tono perentorio.
Olivander aveva già fatto il gesto di chiederle la bacchetta da visionare, quando il signor Black intervenne.
“No, Bellatrix, prima Cissy!” e sorrise inaspettatamente dolce alla figlia minore.
Olivander cambiò subito registro e si rivolse alla Black più piccola.
“Prego, cara, avvicinati! Lascia che il mio metro prenda qualche misura e cominciamo!”
Narcissa fece un passo avanti, con un cenno d’intesa verso la
sorella Andromeda, mentre Bellatrix si lasciava andare ad uno sbuffo di
impazienza di nascosto al padre.
“Non ci metterà molto, vero?” domandò Narcissa mentre Olivander consultava il metro.
“Con me ci mise pochissimo. Solo un tentativo a vuoto” disse Bellatrix.
Ricordava alla perfezione il giorno in cui aveva comprato la sua
bacchetta. Era andata con suo padre, che aveva acconsentito a far
venire anche Andromeda, mentre Narcissa era rimasta a casa essendo
ancora davvero troppo piccola. Un paio di misure e zac!
Olivander era riapparso con un paio di bacchette, anche lui certo di
avere in mano quella giusta. La prima che aveva provato era di quercia
e drago ed era risultata troppo esplosiva in mano a lei, poi mentre
Olivander gliene porgeva una in mogano le era caduto l’occhio su
un’altra bacchetta che l’artigiano aveva portato da
provare. Era leggermente ricurva e sembrava come soffrire, costretta
nella sua scatola dritta.
“Posso provare quella?” aveva chiesto senza esitazione.
“Quella? Ah, certo, ma in seconda battuta, prima direi…”
“È anche storta” aveva sentito dire ad Andromeda due passi dietro a lei.
Ma senza prestare ascolto né alla sorella né a Olivander
aveva afferrato la bacchetta ricurva dalla scatola e aveva sentito che
era sua.
“Mia!” aveva gridato sventolandola davanti al signor Olivander con una smorfia di esultanza e trionfo.
“Dodici pollici e mezzo, legno di noce, ricurvo, sì, e
contorto come l’albero antico e possente da cui proviene, corda
di cuore di drago, tuttavia rigida” aveva spiegato Olivander.
Ed era stata una bacchetta perfetta, almeno fino ad allora:
nell’ultimo anno a scuola aveva provato incantesimi oltre il suo
livello e si esercitava a duello di nascosto con altri compagni
Serpeverde, non mancando di attaccare nel finesettimana qualche
Mezzosangue di altre Case, eppure a volte la bacchetta falliva,
imprevedibilmente. Se negli incantesimi sugli oggetti forse poteva
essere vero che aveva bisogno di altro esercizio, non così nei
duelli: solo studenti più anziani e avanzati l’avevano
battuta negli anni e fallire di fronte a traditori del sangue era
inconcepibile!
“Olmo e fenice, dieci pollici, rigida ma non troppo” disse
Olivander porgendo una bacchetta a Narcissa e facendo ridestare
Bellatrix dai suoi pensieri.
La ragazzina la agitò senza alcun risultato.
“Oh, nessuna preoccupazione mia cara! – disse subito
Olivander vedendo l’espressione delusa – quasi nessuno la
trova al primo colpo.”
“Ancora, dieci pollici e mezzo, legno di ciliegio e corda di
cuore di drago. Non vorrei suonare eccessivo, ma è una bacchetta
stupenda!”
Narcissa intercettò di sfuggita lo sguardo voglioso della
sorella maggiore: come una volta le aveva detto Andromeda, Bellatrix
considerava il legno di noce della sua bacchetta tutto sommato alquanto
ordinario e quando lei stessa aveva comprato la sua bacchetta in legno
di ebano, decisamente più prestigioso, non aveva nascosto una
punta d’invidia. Invidia inutile, peraltro, diceva Andromeda a
Narcissa, perché poi nella pratica di tutti i giorni a scuola
lei doveva mettere costantemente tutto il suo impegno per far riuscire
gli incantesimi come voleva con la sua lussuosa bacchetta scura, mentre
Bellatrix apparentemente imparava tutto senza troppa difficoltà
e quando era concentrata sembrava davvero che la bacchetta fosse il
prolungamento del suo braccio e della sua volontà.
Dalla bacchetta di ciliegio uscì soltanto un mogio filo di fumo
e Olivander la riprese in mano velocemente, soppesandola insieme ad
un'altra e parlottando da solo.
“Però ci siamo quasi…”
Le sorelle si guardarono l’un l’altra, incerte.
“Allora questa, ancora drago, dieci pollici e mezzo, legno di
cedro, piacevolmente flessibile. Come vede è molto luminosa,
molto bella e…”
E nel momento in cui Narcissa la prese in mano sentì che era quella giusta.
“Ed è anche quella giusta! Come vi dicevo, c’eravamo
vicini!” disse Olivander sorridendo in risposta al sorriso
entusiasta della Black più piccola.
“Cedro? Come i canditi!” commentò Bellatrix.
“Bellatrix, sei pregata di tenere per te la tua opinione, quando
non richiesta. Avrai modo di confrontarti con le tue sorelle a casa, in
modo consono” la riprese il padre.
“Oh, beh, in effetti non è un legno da tutti i giorni, mi
lasci dire. È una bacchetta che cerca e trova spesso perspicacia
e un forte senso di fedeltà ai legami…accoppiato al
drago, poi, direi che dobbiamo aspettarci delle belle sorprese da
questa signorina!” disse Olivander divertito.
Narcissa arrossì visibilmente e Andromeda si trattenne a stento dal ridere.
“Sì, ok, però ora sistemiamo la mia bacchetta” fece Bellatrix per nulla sorridente.
“Certamente, vediamo” disse Olivander prendendo subito la bacchetta di noce.
“Mmh..fa regolarmente manutenzione?” chiese il vecchio artigiano.
“Beh, insomma, ogni tanto controllo, la punta e le schegge,
quella roba lì…” cominciò Bellatrix
improvvisamente presa in contropiede.
Andromeda ridacchiò silenziosamente.
“E i problemi sono sorti come?” chiese Olivander.
“Beh, a un certo punto, dopo un duello – Olivander
spalancò gli occhi – ma a scuola, per esercizio – si
affrettò ad aggiungere Bellatrix – semplicemente gli
incantesimi non venivano più come dovevano. Fatture che avevo
già eseguito più volte con successo, intendo. La mia
bacchetta non aveva mai fallito, non così” concluse, con
una nota di sincera preoccupazione nella voce.
“E in quel duello era stata disarmata dal suo sfidante?”
La Black grande arrossì appena.
“Erano comunque solo per esercizio” ripeté, rigida.
“E lei confida molto nella sua bacchetta, non è vero?”
“Certo! E non voglio cambiarla!”
Olivander sorrise con fare paterno.
“Nella sua domanda c’è già anche la risposta,
se uno si ferma a riflettere. Lei confida molto nella sua bacchetta e
la sua bacchetta confida molto in lei: l’una dall’altra
imparate e alimentate la vostra forza. Tutte le bacchette lo fanno, ma
il noce ha una sensibilità molto spiccata per questo, peraltro.
E come tutte le bacchette, obbedisce alla legge antica per cui una
bacchetta sconfitta in duello, sia pure per esercizio, si sottomette a
chi l’ha sconfitta… Oh, non per sempre, sia mai, –
aggiunse in fretta Olivander, vedendo la furia montare sul volto della
giovane – ma adesso la bacchetta ha bisogno di un po’ di
tempo, di nuove conferme sul campo, di fiducia. E lei ha fiducia nella
sua bacchetta, no?”
“È solo un modo per dire che è colpa mia?”
disse Bellatrix alzando la voce, trattenendosi dal fare altro solo per
la presenza del padre.
“Le bacchette hanno un rapporto strano col concetto di colpa e
responsabilità, perché essa, di solito, è nelle
mani dei mago che la usa” rispose Olivander senza perdere il suo
aplomb.
“Beh, ma potrebbe comunque aver subito qualche danno” insisté Bellatrix.
“Certamente. Pochi minuti per verificare” e si sedette su
una minuscola sedia bassa, sotto alla quale era nascosto un piccolo
cesto da cui Olivander tirò fuori un piccolo oggetto luccicante,
vagamente simile a una lima o un temperino.
Armeggiò un poco con la bacchetta, da cui ogni tanto uscivano
scintille e fili di fumo, e poi la restituì alla proprietaria
dopo averla lucidata con un panno apparentemente logoro.
“Alterazioni da utilizzo frequente, in effetti. Mi raccomando la manutenzione” e sorrise incoraggiante.
Bellatrix riprese la bacchetta per nulla convinta e lanciò un’occhiata torva al vecchio artigiano.
“Beh, allora possiamo andare” mugugnò.
“Mi scusi, signor Olivander – intervenne improvvisamente
Andromeda – Potrebbe controllare anche la mia
bacchetta?”
Bellatrix alzò gli occhi al cielo.
“Certo, cara!”
“Se non è disturbo, grazie. Io non ho problemi di duelli,
solo, così per sicurezza” e cercò lo sguardo del
padre, che sorrise approvando la gentilezza della figlia.
“Fa manutenzione?” chiese Olivander
“Sì, beh, controllo la punta, la superficie e i
nodi… Poi le infossature, una mia compagna mi ha spiegato che
bisogna…” ma Olivander le fece cenno che non c’era
bisogno di spiegare oltre.
“Direi che è tutto a posto, anche le infossature.
Solo una bella lucidata ed è come nuova, perché è
tenuta molto bene”
“Bene, grazie mille.”
“Ottimo, quant’è?” chiese infine il signor Black.
“Sette galeoni la bacchetta nuova della signorina – sorrise
nuovamente a Narcissa – Facciamo dieci per tutto il
servizio” e sfoderò il suo miglior sorriso a trentadue
denti.
Il signor Black non nascose una smorfia: trovava il prezzo certamente
eccessivo, ma Olivander non fece una piega e mantenne saldo il suo
sorrisone.
Quando furono usciti, tirò un sospiro di sollievo e si lasciò andare anche ad un’imprecazione.
Per il negozio e le sue bacchette, questo e altro.
***
Dunque dunque: ho pensato che
fosse il caso di riunire le sorelle Black in un unico capitolo,
perché altrimenti sarei stata troppo dispersiva (e a corto di
idee, ammettiamolo!), presentando comunque le tre bacchette. Mi piaceva
l’idea che fossero tutte di drago, a significare comunque la
somiglianza nella forza di carattere delle tre sorelle, con legni
diversi che ne declinano la meglio le caratteristiche: il noce potente
e inquieto di Bellatrix è già in HP; per Andromeda ho
scelto l’ebano che come riporta Pottermore “l’ebano
è più felice nelle mani di coloro che hanno il coraggio
di essere se stessi” ed è proprio quello che farà
Andromeda, andando contro la sua famiglia e seguendo il suo cuore e la
sua coscienza (sì, avrei pure in un file una long su Andromeda e
altri della sua generazione, ma chissà); mentre per Narcissa il
cedro, di cui Olivander dice che “non vorrebbe incrociare un mago
con bacchetta di cedro i cui cari siano in pericolo” e mi ha
fatto pensare che in fondo alla fine della storia in HP6 e 7 Narcissa
non vuole altro che proteggere suo figlio.
Stavolta la difficoltà
principale è stata caratterizzare le sorelle Black alla loro
rispettiva età: Bellatrix probabilmente è già
interessata a magie oscure, ma non può dirlo e a quindici anni
io la immagino come la classica ragazza bulla che vuole sempre vincere
e avere ragione, non mancando di riversare commenti negativi su quanto
di positivo si vede negli altri, insomma, quel tipo di persona tossica
che tutti abbiamo incontrato (autobiografismo a palate, anche qui) e
che anche nella storia vuole passare avanti agli altri, sorelle
comprese. Spero che non abbia sacrificato troppo la parte dedicata alle
bacchette delle altre e che alla fine l’insieme risulti
bilanciato, let me know!
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Capitolo 6 *** Severus Piton ***
VI. Severus Piton
VI
Così, il grande giorno
era arrivato: quel pomeriggio sarebbe finalmente andato con sua madre a
Diagon Alley a comprare tutto l’occorrente per Hogwarts, prima
cosa su tutte la bacchetta. Finalmente avrebbe messo piede in quello
che era il mondo magico, il mondo di sua madre e che sarebbe diventato
per sempre anche il suo. Quando era arrivata la lettera –
perché sua madre lo aveva adeguatamente istruito su tutto
ciò che doveva sapere su Hogwarts e sulla magia, senza mai
nascondere la sua natura – suo padre aveva dato in escandescenze,
più del solito.
“Lo sapevo che era uno di quelli come te!” aveva berciato lanciando un bicchiere contro sua madre.
Quelli come te, con tutto il
disprezzo e l’ignoranza che le parole potevano esprimere. Eppure
era suo padre. Avrebbe dovuto comunque essere contento per lui. Persino
quei completi Babbani dei genitori di Lily avevano compreso la
situazione, pur dopo un momento di naturale smarrimento e
incredulità, ed erano pronti a sostenere gli studi della figlia
a Hogwarts. Avrebbe tanto voluto andare a Diagon Alley con Lily: lei e
i suoi genitori avrebbero avuto ovviamente qualche difficoltà ad
ambientarsi e a trovare le cose, ma poteva essere un’occasione
per sua madre per dare loro una mano, sentirsi finalmente utile e
creare un legame fra le loro famiglie.
“Ora vediamo” aveva detto sua madre sottovoce quando lui glielo aveva proposto, per poi fare finta di nulla.
Lui ne aveva parlato a Lily e
anche lei pensava che fosse un’ottima idea, così avevano
scelto loro un giorno che andasse bene ai signori Evans.
“Sì, sì, va bene” aveva detto sua madre all’inizio.
Poi suo padre aveva avuto un
nuovo accesso di rabbia, le aveva urlato contro sempre le stesse cose,
che lei voleva fregarlo, immischiarsi con quegli altri spocchiosi degli
Evans al di là del parco per piantarlo in asso e altre
imbecillità. Così l’appuntamento era saltato, Lily
e i suoi se l’erano cavata da soli con le poche istruzioni che
avevano e lui l’aveva rivista un’unica volta per scusarsi.
Menomale che lei aveva capito che era stata tutta colpa di suo padre e
non era arrabbiata. Gli aveva mostrato la sua splendida bacchetta di
salice e unicorno e già si esercitava negli incantesimi
più elementari delle prime pagine del Manuale degli Incantesimi,
volume primo.
“Piuttosto spicciati a prendere anche tu la bacchetta!” aveva detto ridendo.
Così, eccolo qua finalmente, il negozio di Olivander, l’artigiano delle bacchette che aveva nominato sua madre.
“S-salve, siamo qui per la bacchetta di mio figlio…” aveva iniziato timidamente sua madre una volta dentro.
Qui
papà non può urlarti nulla, parla forte! Anzi, sai cosa,
mamma, stasera gli facciamo un bell’incantesimo per farlo stare
zitto!, avrebbe detto a sua madre, ma si trattenne. Già
un paio di volte aveva accennato a sua madre che poteva usare la sua
magia per difendersi e lei si era limitata a scuotere la testa. Una
volta addirittura aveva detto davanti a suo padre che lei poteva
affatturarlo quando voleva e quindi la smettesse di urlare. Nessun
incantesimo uscì dalla bacchetta di sua madre per proteggerlo
dalla fila di ceffoni che prese quella sera.
Ma adesso avrebbe avuto lui
una bacchetta e tutto sarebbe cambiato. Sua madre teneva rigorosamente
nascosti un sacco di vecchi libri di incantesimi e pozioni e lui li
aveva già letti tutti, più e più volte. La sera
chiedeva a sua madre di spiegargli le poche cose che di volta in volta
non aveva capito e lei non mancava mai di spiegare quanto poteva, oltre
che istruirlo su Hogwarts, sulle Case, la storia dei fondatori,
l’ordine politico e le leggi della comunità magica. Quei
rari giorni in cui suo padre era sobrio e andava a lavorare, sempre in
posti diversi e per poco tempo ogni volta, sua madre usava la magia in
casa e preparava pozioni. Adorava preparare pozioni e aveva già
studiato un sacco riguardo agli ingredienti più disparati.
Quanto alla bacchetta, beh, mancava solo quella ormai.
“Dunque, dunque…chi abbiamo qui?” chiese il signor Olivander.
Stava per rispondere, quando Olivander con un gran sorriso prese il metro e iniziò a misurare.
“Avremo un bel daffare, mio caro!”
Il metro gli volteggiò
intorno a lungo e misurò di tutto, circonferenza della testa,
distanza fra gli occhi, lunghezza e larghezza del naso, persino la
circonferenza del dito mignolo della mano sinistra.
“Allora, allora…” borbottava Olivander.
“Proviamo, mogano e corda di cuore di drago, undici pollici, poderosa a dir poco” e gli porse una bacchetta.
La prese in mano, ma non avvenne nulla.
“No? Beh, ovvio! Allora, questa, ontano e crine di unicorno, undici pollici e un quarto, mediamente flessibile.”
Nulla di fatto.
“Ancora no? Mmh…”
Guardò sua madre, interrogativo, ma lei non fece nessuna espressione.
“Vediamo… Ciliegio e fenice, undici pollici, flessibile e delicata.”
La bacchetta produsse solo un esile filo di fumo.
“Ma davvero?” Olivander scosse il capo.
“C-c’è qualche problema?” chiese sua madre.
“Oh, no, non si preoccupi! Si vede che suo figlio è un mago difficile!” e ridacchiò.
Non c’era nulla da ridere, pensava.
Il vecchio artigiano
tornò con un’altra bracciata di scatole. Ebbe come
l’impressione che in realtà anche lui fosse in
difficoltà e non volesse ammetterlo. Certo, se non trovavano la
bacchetta giusta era un bel problema. Come altrimenti poteva
procurarsela? Avrebbe potuto usare quella di sua madre, con cui a volte
aveva prodotto qualche incantesimo discreto, rigorosamente di nascosto,
non solo a suo padre, ma anche da lei. Questo però avrebbe
significato che lei avrebbe dovuto procurarsene un’altra e non
è che le loro tasche fossero ripiene di galeoni.
Guardò Olivander dritto negli occhi.
“Lei è sicuro che la mia bacchetta è qui?”
“Di sicuro, a questo
mondo, figliolo, ci sono solo due cose, la morte e l’oro della
Gringott. Ma ho buone ragioni per ritenere che, sì, la tua
bacchetta è qui fra queste” e gliene porse un’altra,
che non produsse nulla.
“Non tiglio, quindi? Siamo sicuri?” chiese Olivander, non si capiva bene se a lui, a se stesso o alla bacchetta.
Mantenne saldo il suo sguardo
sul vecchio artigiano, che alla fine si risolse a pescare
un’altra bacchetta da un’altra scatola.
“Salice e drago, undici pollici.”
Anche la bacchetta di Lily era di salice. In quell’istante, sperò ardentemente che quella fosse quella giusta.
Si concentrò al massimo e…niente, il solito inutile filo di fumo.
Olivander stava per
riprendergliela di mano, quando ebbe un’idea. Forse doveva
eseguire un incantesimo e dimostrare che andava bene.
“Aguamenti!”
disse con decisione. Uno scroscio d’acqua di tutto rispetto
uscì dalla bacchetta, del tutto simile a quanto sapeva fare sua
madre.
“Ha visto? Direi che va
bene questa” rispose soddisfatto al signor Olivander, sul viso
del quale era apparso un sorriso incerto, che non seppe interpretare se
era commiserazione o tristezza.
“Vedi, figliolo, un mago
mediamente dotato, e ancora di più un mago molto dotato, come tu
sembri essere – continuò nonostante la sua smorfia –
è capace di eseguire incantesimi ordinari con qualunque
bacchetta. Ma solo una è la sua
bacchetta e spero che sarai abbastanza onesto, nei confronti di te
stesso prima ancora che nei miei, da ammettere che questa non è
la tua bacchetta.”
Dentro di sé sapeva che
Olivander aveva ragione, perché in effetti aveva avuto una
strana sensazione pronunciando l’incantesimo, come se stesse
facendo uno sforzo non necessario con la testa. Sostenne comunque lo
sguardo del vecchio mago senza cenni di remissione nel restituirgli la
bacchetta di salice.
“Bene, andiamo avanti.”
Provò non meno di un’altra mezza dozzina di bacchette, senza risultato, e non fece più alcun commento.
Sua madre sembrava avere gli occhi incollati al pavimento.
All’improvviso, poi, la trovò.
“Questa” disse soltanto.
“Oh, sì,
decisamente – disse Olivander sorridendo, mentre dalla bacchetta
uscivano nuvole di fumo delicato e denso, come un fluido a metà
fra liquido e gassoso, di un argento mercuriale – undici pollici,
e una combinazione di tutto rispetto, legno di biancospino e piuma di
fenice, la vita e la morte, la fine e la rinascita, con una
rigidità insolita…che dire, adesso il tuo cammino inizia
davvero, ragazzo.”
In quel momento, un gran senso
di sollievo lo investì, ma si guardò bene dal fare
qualunque espressione o commento.
Sua madre parve ridestarsi
dall’apatia in cui era avvolta, pagò maldestramente
Olivander ringraziando per la pazienza e borbottando qualcosa sui libri
ancora da comprare.
Ma lui pensava
già a Hogwarts, pensava a quante cose avrebbe fatto con quella
bacchetta insieme a Lily e a come sarebbe diventato un grande mago,
capace di quanto né sua madre né l’ironia
stucchevole di Olivander avrebbero mai immaginato. Il cammino iniziava
davvero.
***
Eccoci qua: Piton, un
personaggione! Dirò una cosa forse insolita nel fandom: non mi
piace molto scrivere di Piton, lo trovo un personaggio talmente
difficile e già così caratterizzato che sento un senso di
estraneità quando mi capita di scrivere qualcosa che lo
riguardi. Qui ho cercato di essere il più fedele possibile a
quanto ci viene mostrato di lui nei ricordi iniziali che Harry
raccoglie mentre Piton sta morendo, quelli riferiti alla sua amicizia
infantile con Lily e l’attesa di andare a Hogwarts. Anche il
fatto che la madre sia una strega ma subisca le violenze domestiche del
marito Babbano mi sembrava un passaggio da rispettare e approfondire:
troppo facile immaginare che la magia risolva tutto, perché per
certi disagi psicologici non c’è magia che tenga! Per la
bacchetta ho poi voluto inserire delle similitudini con quella di
Harry: la lunghezza e la fenice, mentre per il legno ho scelto il
biancospino, di cui su Pottermore si dice che si addice a maghi la cui
natura sia conflittuale, capaci della guarigione e della maledizione, e
si trovino in un periodo di agitazione interiore, insomma, il
maiunagioia della vita di Piton.
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Capitolo 7 *** Sybilla Cooman ***
VI. Sybilla Cooman
VII
Esistono molte leggende sulle bacchette e sui loro fabbricanti,
sugli alberi da cui si ricava il legno e sulle creature che possono
fornire l’anima di una bacchetta, e il signor Olivander riteneva
la maggior parte di esse niente più che chiacchiere
superstiziose per maghi ignoranti. Forse, nell’antico,
c’era del vero in quello che le leggende suggerivano, ma era una
verità sottile, evanescente, che atteneva alla profondità
della magia della natura, non certo un dato di fatto comprovato come
quelli che si trovano nei manuali per pozioni domestiche, e men che
meno da prendere alla lettera. Eppure ogni tanto capitavano clienti
fortemente convinti di dover possedere una bacchetta fatta di un certo
legno perché secondo loro si adattava a loro doti e
qualità reali o presunte, quando invece l’incontro di un
mago con la sua bacchetta per definizione ha qualcosa di imprevedibile,
qualcosa che sconfessa le aspettative di entrambi e, anche per lui che
ormai aveva così grande esperienza, qualcosa che sfuggiva
necessariamente alla comprensione umana.
Un episodio del genere avvenne il 21 marzo del 1970, quando nella
bottega di Olivander entrò un mago dai lunghi capelli rossi
arruffati seguito da una bambina magra e pallida, con enormi occhiali
di corno dalle lenti spesse.
“Buongiorno, egregio Olivander!” salutò il mago con voce suadente.
“Buongiorno, signori, come posso esservi utile?”
“Siamo qui per la bacchetta di mia figlia Sybilla, in questo
giorno propizio, quale solo il solstizio della primavera può
essere per mia figlia, che ha compiuto i fatidici undici anni dieci
giorni e un dì fa, e con la protezione degli astri
oggi…”
“Ah, sì, sì, certo – interruppe subito
Olivander – Prego, cara, avanza e alza le braccia” e svolse
il metro.
“Lei forse non sa, esimio Olivander, e ciò potrebbe
causare nocumento nella ricerca della pregiata bacchetta della mia
bambina, che io sono, e mia figlia di conseguenza è, nientemeno
che nipote della mai abbastanza onorata Veggente Cassandra Cooman, la
quale possedeva una rara e preziosa bacchetta di tiglio.”
“Ah, sì, deve avergliela fabbricata il mio bisnonno.
Parliamo di almeno tre generazioni fa, no?” disse Olivander.
Era il classico esempio di cliente che vuole un oggetto ricercato e
prezioso a tutti i costi, solo in virtù del nome che porta,
quando invece le bacchette cercano e apprezzano tutt’altro.
“Ritengo quindi che mia figlia abbia una bacchetta di tiglio.
È la prima bambina che nasce in famiglia dai tempi dei miei
nonni e di certo avrà in sé il dono della Vista quale
eredità di sangue!” disse con ardore il mago scuotendo i
capelli rossi, Olivander notò, non esattamente appena lavati.
Ma non diciamo scempiaggini,
avrebbe voluto rispondere Olivander, ma fece appello a tutta la sua
educazione e cortesia per non lasciarsi sfuggire neanche uno sbuffo di
fastidio.
“Vediamo subito” disse conciliante, consultando subito il metro.
Si avviò quindi a prendere alcune bacchette.
“Nove pollici, ippocastano e crine di unicorno, dolcemente flessibile.”
La ragazzina impugnò titubante la bacchetta, senza alcun effetto.
“Ma no, Olivander, abbiamo detto tiglio! Oppure legno di melo, il
legno di coloro che parlano le lingue delle creature subacquee, quali
noi in Cornovaglia spesso incrociamo sulle coste nelle notti di bassa
marea!” continuò il signor Cooman.
Sì, certo, poi l’alloro
che è il legno della gloria, la vite che ha assorbito i segreti
degli antichi druidi e l’abete dei sopravvissuti alla
morte… Ma mi faccia il piacere, si cacci la bacchetta su
per…
“Signor Cooman, ricordo male o la sua bacchetta è in legno
di noce? E non ha mai sentito il bisogno di una bacchetta diversa,
no?”
“Al contrario, la mia bacchetta è perfetta, infatti dal
mallo di noce ho spesso estratto arcane notizie
dall’aldilà!”
Merlino mi aiuti!
Olivander conosceva vagamente la storia di Cassandra Cooman e dei suoi
disgraziati discendenti. La donna era davvero una Veggente: consapevole
del suo dono, aveva cercato di metterlo al servizio di chi le chiedeva
aiuto, anche spostandosi in varie città d’Europa per far
conoscere le sue capacità, poi si era sposata con questo Cooman
dalle origini incerte della Cornovaglia e aveva avuto un solo figlio,
cui aveva messo il profetico nome di Tiresias, con la speranza di
trasmettergli il Dono. Purtroppo per lei, il figlio non aveva nessuna
particolare Vista, se non quella per i galeoni che si potevano fare con
il nome e il credito di sua madre, cosa che evidentemente gli aveva
insegnato Cooman padre. Si era barcamenato imbrogliando la gente e
spostandosi da una città all’altra ogni volta che veniva
scoperto, tornando ogni tanto in Cornovaglia dove aveva la casa di
famiglia, e aveva avuto almeno l’onestà di chiamare il
figlio con un meno impegnativo Albert, il mago dai capelli scarmigliati
che ora aveva di fronte, che si guadagnava da vivere scrivendo oroscopi
sulla Gazzetta del Profeta.
“Sto avendo una sensazione negativa in questo momento, stimato Olivander!” rincarò il signor Cooman.
“Signor Cooman, la prego, lasci fare a me!” disse Olivander trattenendo a fatica la stizza.
Si voltò per prendere un’altra bacchetta e notò
che, in effetti, fra quelle che aveva selezionato seguendo le misure
prese dal metro, ce n’era una di tiglio e unicorno.
“Ecco qua: tiglio e crine di unicorno, nove pollici e tre quarti” disse con un gran sorriso.
Prima che Sybilla potesse solo toccarla, il padre esclamò:
“Su, figliola, questa è una bacchetta degna della tua
ascendenza! Esegui l’incantesimo che abbiamo a lungo
provato!”
Sybilla deglutì e agitò la bacchetta, con una certa sicurezza.
“Wingardium leviooosa!” disse con voce inaspettatamente profonda per una ragazzina così esile.
Un paio di scatole scivolarono per terra dal bancone.
“Ottimo! La magia si manifesta! Ora solo un po’ di
esercizio! Riprova, tesoro! E ricorda, è agitare e
colpire!”
Prima che la ragazzina aprisse bocca, Olivander fece per prenderle la bacchetta di mano.
“Cosa fa, Olivander? – esclamò il signor Cooman
– Deve solo fare pratica, ma è la sua bacchetta!”
“Non credo proprio! – ribatté Olivander, deciso a
prendere in mano la situazione – E tu, mia cara, sai che ho
ragione” concluse rivolto alla ragazzina.
Sybilla però arricciò il naso e fece un passo indietro
per allontanarsi da Olivander, poi alzò il braccio con la
bacchetta e provò ancora.
“Wingardium leviooosa!”
Altre due scatole caddero dal bancone e il metro magico scivolò
dalla parte opposta, per poi riemergere facendo un rumore come un
sibilo rabbioso.
“Ben fatto, tesoro!” berciò Cooman padre.
Olivander strinse i pugni e trasse un profondo respiro.
“Signori miei, è mia opinione di rinomato artigiano di
bacchette che questa qui presente non sia la bacchetta giusta.
Tuttavia, vi chiedo una cortesia: la signorina provi tutte le bacchette
che ho qui sul bancone. Sono soltanto quattro e se nessuna di esse si
rivelerà migliore, acquisterete la bacchetta di tiglio.”
“E che follia è mai questa?” disse il signor Cooman.
Follia è quella di Cuffe che ti paga per scrivere merda sul Profeta, ciarlatano!
“Oh, diciamo così, solo un interesse accademico di un
artigiano che ha ancora molto da imparare dai clienti che entrano nella
sua bottega” rispose invece mellifluo.
Il mago guardò sua figlia, che alzò le spalle e disse soltanto con tono teatrale:
“Papà, tu sai che coloro che hanno il Dono non vengono mai
creduti dagli altri: è la nostra maledizione!” e tese la
mano a Olivander.
Provò una dopo l’altra le bacchette rimaste sul bancone,
tentando ogni volta di eseguire l’incantesimo di Levitazione e
ogni volta riuscendo a malapena a muovere di qualche centimetro una
scatola.
Arrivata alla penultima, invece, l’incantesimo le riuscì
perfettamente, con le due scatole che galleggiavano delicatamente a
mezz’aria.
Questa volta l’esclamazione di stupore fu sincera e incontestabile.
“Direi che questa bacchetta, di nocciolo, con crine di unicorno,
lunga nove pollici e mezzo, mediamente flessibile, è migliore di
quella di tiglio” disse Olivander non nascondendo la
soddisfazione.
Il padre era sconcertato e la ragazzina sembrava indecisa se assumere un’espressione contenta o imbronciata.
Cooman padre stava per aprire bocca, ma Olivander lo precedette:
“Quale bacchetta preferisci, cara? Quella di tiglio o questa di nocciolo?”
“Questa di nocciolo” rispose Sybilla in un soffio.
“Ben detto, figliola” rispose l’artigiano con un gran sorriso.
***
Ecco
qua! Dopo il capitolo maiunagioia di Piton facciamoci due risate con
Sybilla Cooman e il suo bizzarro genitore: premetto che non sono molto
mio agio nello scrivere scene divertenti (e non so se questa qua lo sua
davvero), ma spero di aver dato un senso di leggerezza senza eccessi.
La bacchetta è quella già scelta dalla Rowling per la
Cooman (vedi potterwikia) e io mi sono immaginata basandomi su quanto
sappiamo di lei che tutta la storia della Vista e della celebre
bisnonna veggente le sia stata inculcata fin da piccola, facendo
sì che lei un po’ ci credesse davvero e un po’ se ne
approfittasse con malizia, e in queste cose il confine è quanto
mai labile. Olivander invece qui mostra tutta la sua abilità non
solo di artigiano ma anche di autocontrollo e gestione della situazione
con i clienti insopportabili e direi che si merita un sacco di
complimenti!
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Capitolo 8 *** Luna Lovegood ***
VII. Luna Lovegood
VIII
Se c’è una cosa
che le bacchette hanno in comune con i loro fabbricanti, è senza
dubbio la pazienza. Pazienza occorre al sapiente artigiano per
raccogliere il legno dell’albero giusto nel tempo giusto,
riuscendo a trarre il massimo della magia naturale che la pianta
possiede senza però derubarla; pazienza è necessaria per
avvicinarsi alle creature che forniscono l’anima della bacchetta
senza fare e farsi del male, siano esse un mite ma schivo unicorno, una
fenice ritrosa ma non per questo innocua, o ancora un drago che pur
vivendo in una riserva del Ministero obbedisce comunque al suo istinto
primordiale. Creare una bacchetta è un’avventura sia nel
mondo, per la raccolta del materiale che la costituisce, sia in se
stessi, perché la mano del fabbricante esperto aggiunge una
stabilità e un equilibrio che un appassionato della domenica
difficilmente raggiungerebbe. Creare una bacchetta, diceva il nonno del
signor Olivander quando lui non aveva ancora l’età per
andare a Hogwarts, è fare una scommessa sul futuro,
perché creare qualcosa che forse resterà a prendere
polvere in negozio per svariati anni è al contempo fare e
ricevere una promessa da uno sconosciuto, e occorre che chi crea la
bacchetta non perda mai la fiducia che quella promessa venga mantenuta.
Tuttavia, la gran parte delle
bacchette fabbricate da un singolo membro della famiglia Olivander
veniva venduta nel giro della stessa generazione del fabbricante, o al
più dal figlio, ed erano veramente una quota minoritaria le
bacchette che restavano più di trenta anni invendute, chiuse
nella loro scatolina sullo scaffale. Ancora più rari erano poi
gli esempi di bacchette che restavano ad aspettare per
cinquant’anni o più, e Olivander conosceva a memoria la
storia delle bacchette, per così dire, storiche, quelle
cioè che aspettavano in negozio da un secolo o quasi. Per
questo, ogni volta che una bacchetta di vecchia creazione trovava il
suo mago o la sua strega era per Olivander un giorno di gioia, la
conferma della bontà del suo lavoro e di quello degli avi da cui
discendeva, il compimento della promessa che qualcuno aveva fatto tanto
tempo prima.
“Buongiorno!” disse un mago dalla voce sognante.
Un mago di media altezza
dall’aria trasognata con i capelli lisci e brizzolati e la veste
color indaco ornata da strane rune dorate accompagnava una ragazzina
bionda con la stessa aria trasognata.
Olivander fece mente locale e riconobbe nell’uomo Xenophilus Lovegood, il direttore e editore de Il Cavillo,
una rivista bislacca piena di interviste a soggetti improbabili e
reportage su creature della cui esistenza era razionale dubitare,
tuttavia non priva talvolta di qualche intuizione tecnica o politica
meritevole di approfondimento.
“Salve signor Lovegood!
È dunque venuto il momento della bacchetta di sua figlia!”
disse sorridendo alla ragazzina, che per tutta risposta chiese se era
vero che oltre a creare bacchette allevava Asticelli.
“Allevare Asticelli?” ripeté, preso alla sprovvista.
Poi si udirono nel negozio alcuni
scoppi, apparentemente provenienti dallo scaffale più lontano,
nelle profondità del negozio note solo al signor Olivander.
Il rumore attirò l’attenzione di tutti e tre e il signor Olivander aggrottò le sopracciglia.
“Potrebbero essere
Sfaragumeni! – esclamò la ragazzina a un tratto –
Presto, corra a versare dell’acquavite sugli scaffali o le
faranno scoppiare tutto!”
“Eh?”
Olivander restò a bocca
aperta. Doveva pensare che nel negozio fosse appostata una delle tante
creature fantasiose di cui spesso parlava il giornale del signor
Lovegood.
“Sembrano Vermicoli, ma si
nutrono delle proprietà del legno facendolo scoppiare a poco a
poco fino a mandare tutto a fuoco! Solo liquidi su base alcolica
possono placarli e indurli a smettere di scoppiettare, finché
non avrà bonificato l’ambiente con un’adeguata
pozione, che io stesso mi offro di fornirle” spiegò
prontamente il signor Lovegood.
Si sentì distintamente un altro scoppio, come se qualcosa stesse disperatamente cercando di uscire da dove era rinchiuso.
Il signor Olivander riprese subito in mano la situazione.
“Beh, dopo controllerò. Prima troviamo la bacchetta per la signorina, direi.”
“Ma gli Sfaragumeni scoppiano velocemente se sono in gruppo!” disse la ragazzina.
“Oh, le assicuro che non ci vorrà molto. Stenda le braccia, così.”
Svolse il metro, che iniziò a prendere le sue misure.
Olivander si soffermò un
attimo a guardare la ragazzina prima di addentrarsi tra gli scaffali.
In genere se un bambino è nato in una famiglia di maghi non si
stupisce più di tanto nel vedere un oggetto stregato che fa
qualcosa intorno a lui, ma dalla sua esperienza sapeva che il contatto
così ravvicinato col suo metro riusciva a incuriosire anche i
più smaliziati maghetti purosangue. Così, era rimasto un
attimo sorpreso nel vedere come invece la ragazzina sembrasse
perfettamente a suo agio col metro svolazzante attorno, tanto che a un
certo punto sembrava invitarlo lei stessa e suggerirgli dove misurare.
Si avvicinò alla giovane cliente e prese un capo del metro,
mentre la ragazzina cercava visibilmente di spiare cosa c’era
scritto sopra.
“Mmh, già. Sì,
sì, vediamo” e si avviò sicuro verso uno scaffale a
metà del negozio.
Quando tornò con due bacchette da provare, vide una scena che poche volte aveva visto accadere.
Il metro aveva ripreso a prendere
delle misure, ma a un certo punto, con una naturalezza che lui stesso
non aveva quando suo padre e suo nonno lo avevano iniziato, ancora
bambino, all’arte di fabbricare bacchette, la ragazzina prese il
metro e delicatamente lo voltò per leggere la misura che aveva
appena preso. E la cosa più inaudita fu che il metro non si
ritrasse frustando l’aria, come faceva ogni volta che un cliente
cercava di toccarlo, ma si lasciò afferrare e muovere, seppur
con una certa rigidità che solo il suo occhio ormai esperto
poteva percepire.
“Luna, forse non dovresti
prenderlo, è uno strumento di lavoro del signor Olivander”
intervenne il signor Lovegood.
“Non si legge bene…
ventuno virgola quattro più tre quarti, e…è
scritto piccolissimo!” disse la ragazzina, non senza una punta di
delusione.
Senza accorgersene, Olivander sorrise.
Si avvicinò e prese il metro, che sembrò rilassarsi.
“Oh, beh, immaginavo – disse sorridendo ancora – Arrivo subito” e sparì dietro uno scaffale.
“Faccia attenzione agli Sfaragumeni!” gridò Luna.
Nessuno a parte lui e i suoi avi
prima di lui avevano mai visto cosa c’era nel negozio al di
là del bancone e della piccola consolle che conteneva gli
strumenti per la manutenzione, perché un primo e ben tenuto alto
scaffale pieno di scatole di bacchette e cassetti nella parte bassa
nascondevano ai clienti la vista di quanto c’era dietro.
“È come il sancta sanctorum
di un tempio. Vuol dire la parte dove possono accedere solo i
sacerdoti, gli iniziati. Confesso che mi piacerebbe essere uno di
essi” aveva osservato qualche anno prima un mago a cui a suo
tempo aveva venduto la sua bacchetta.
Era un giovane Nato Babbano e
quando l’aveva rincontrato tanti anni dopo gli aveva chiesto, con
sfacciataggine e delicatezza allo stesso tempo, se poteva diventare un
suo apprendista. Gli aveva rifiutato questa possibilità,
perché il mestiere si tramanda di padre in figlio, e c’era
qualcosa nel sangue della sua famiglia che non poteva essere
sostituito. Lui però non aveva figli naturali, il tempo era
passato e a volte si chiedeva se non avesse sbagliato a chiudere la
porta a quel giovane mago di talento, che di sicuro aveva colto molto
più di quanto lui aveva immaginato sul momento.
Olivander si diresse con passo
sicuro verso uno degli scaffali in fondo alla stanza, dove la luce
della lampada principale del negozio arrivava a fatica.
“Lumos” sussurrò alzando la sua bacchetta.
E mentre nel fascio di luce emesso
dalla punta della bacchetta impalpabili spirali di polvere danzavano al
ritmo del suo respiro, scorse una ad una le scatole più vecchie,
finché uno scoppiettio impaziente richiamò la sua
attenzione.
“Oh, eccoti”
bisbigliò alla scatola, prendendola e spolverandola fino a far
apparire la data scritta sul dorso del coperchio.
Spense la bacchetta e tornò dai clienti, notando che il metro fluttuava a mezz’aria, in evidente attesa.
“Ho dovuto recuperare una
bacchetta di fabbricazione un po’ datata, ma siamo pronti”
disse appoggiando la scatola polverosa accanto alle altre due.
“Prima però proviamo
questa: dieci pollici, legno di salice, anima in crine di
unicorno” disse prendendo una delle prime bacchette che aveva
portato, ignorando volutamente il metro che invece si era piegato a
indicare la scatola più polverosa.
Luna Lovegood prese la bacchetta e la agitò, facendo uscire solo un filo di fumo.
“Molto bene. Allora questa: ontano e piuma di fenice, dieci pollici e un quarto.”
Il metro stava ancora indicando con ostinazione la scatola polverosa.
La bacchetta di ontano non produsse nulla e finalmente Olivander porse a Luna la bacchetta estratta dall’ultima scatola.
“Dieci pollici e un quarto, crine di unicorno, legno di vite. Esile, ma incredibilmente resistente.”
Come aveva immaginato, era la bacchetta giusta.
“Si tratta di una bacchetta
fabbricata nel lontano 1877 dal mio bisnonno e a quanto pare stava
aspettando proprio lei” concluse sorridendo a sua volta.
“Ma non sarà danneggiata dagli Sfaragumeni?” domandò Luna accigliandosi lievemente.
“Oh, non credo proprio mia
cara. Gli scoppi che sentivamo erano frutto dell’entusiasmo della
bacchetta alla sensazione di stare trovando finalmente il proprio
legittimo proprietario. È un fenomeno che a volte avviene con il
legno di vite, e con maghi e streghe di una natura affine. Direi che
per aver aspettato tutti questi anni, deve essere sicuramente una
bacchetta molto paziente.”
“Oh” disse soltanto Luna.
“Stia comunque attento, gli
Sfaragumeni si moltiplicano velocemente!” disse il signor
Lovegood, iniziando a tirar fuori da una delle molte tasche della veste
i galeoni per pagare.
“Farò un accurato controllo degli ambienti” rispose Olivander conciliante.
“Ma se la bacchetta si rompe?
Cioè, magari a fare un esperimento succede un incidente?”
disse all’improvviso Luna, tuttavia senza preoccupazione nella
voce, con lo stesso tono di chi chiede come abbonarsi allo stadio per
seguire la propria squadra di Quidditch.
“Rompere la bacchetta?
È molto improbabile, per quanto ovviamente le cautele sono
quelle dettate dal buon senso… – iniziò Olivander,
preso alla sprovvista – Ma non dovete temere che la bacchetta sia
più fragile perché di vecchia fabbricazione: le bacchette
sono tutte nuove, anche quando sono vecchie” concluse
rassicurante.
La ragazzina sembrava però pensierosa.
“E comunque, se dovesse mai
succedere una cosa del genere, fra uno o fra dieci anni, potrà
sempre tornare qui per trovare una nuova bacchetta e chissà,
magari potrebbe anche partecipare lei stessa alla sua
realizzazione.”
La ragazzina sorrise entusiasta e
ringraziò il signor Olivander, sorridendo anche in direzione del
metro arrotolato mollemente sul bancone, che non mancò di
agitare una delle estremità a mo’ di saluto.
***
Allora, penso si capisca che
Luna è uno dei miei personaggi preferiti: una ragazza
estremamente sensibile ma anche forte e decisa a difendere le proprie
convinzioni, che come spesso accade diviene oggetto di chiacchiere e
scherzi antipatici (quelli che le nascondono le scarpe a scuola si
meriterebbero un giretto da soli nella foresta, a riflettere un
po’!). Nel mio headcanon Luna dopo Hogwarts per un po’
aiuta Olivander, che non ha dimenticato il tempo passato insieme
prigionieri dei Mangiamorte a casa Malfoy, e impara molto sulla
fabbricazione delle bacchette, anche se poi seguirà il compagno
naturalista nipote di Newt Scamandro. Per questo mi è piaciuto
immaginare che Olivander noti subito che la giovane strega che ha
davanti ha qualcosa di speciale, come dimostra l’affinità
col metro incantato, e che sia in qualche modo destinata a una
bacchetta speciale. In HP7 Luna riceve un’altra bacchetta fatta
su misura dopo che lei e Olivander sono fuggiti grazie a Harry e Dobby
e chissà che anche in quel caso Olivander non abbia qualcosa da
raccontarci al riguardo.
Infine, gli Sfaragumeni: Vermicoli
che scoppiano appunto, una delle innumerevoli creature fantastiche come
i Nargilli e i Ricciocorni Schiattosi che popolano la mente di Luna e
che devono il loro nome alla mia mancanza di fantasia, perché,
banalmente, spharageomai in greco classico vuol dire scoppiettare.
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Capitolo 9 *** Neville Paciock ***
VIII. Neville Paciock
IX
Garrick Olivander ormai era vecchio e sapeva riconoscere quando le cose
si mettevano male. Alla fine, Silente aveva avuto ragione. Aveva detto
che Lui sarebbe tornato, e Lui era tornato. Crederci all’inizio
non era stato facile, ma, a ben vedere, soltanto perché i
più desideravano che non fosse vero. Eppure, da quando la
notizia dell’incidente al Torneo Tremaghi si era diffusa, con
annessa dichiarazione di Silente e controreplica del Ministero, un vago
senso di apprensione aveva cominciato a insinuarsi in lui, giorno dopo
giorno più pressante, a dispetto delle rassicurazioni della
stampa ufficiale. Anche i clienti erano incerti: molti ostentavano
tranquillità, ma era una maschera che si tradiva da sola. Quanto
ai Nati Babbani, non potevano intuire nulla, ma se provavano per caso
un senso di paura irrazionale non si poteva dargli torto. Poi
c’era stata l’evasione di massa da Azkaban, e uno
stillicidio di incidenti che solo uno sciocco avrebbe derubricato a
comune delinquenza. Infine, i Mangiamorte al Ministero, gli scontri e
finalmente la verità: Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era
tornato.
Per Diagon Alley la prima conseguenza era stata lo spopolamento: molti
fra i negozi storici avevano chiuso, il personale era stato allontanato
da un giorno all’altro e i proprietari erano spariti senza
lasciare traccia. Il signor Olivander li capiva benissimo. Dopo quello
che era successo la volta precedente, chiunque era in pericolo e questa
volta le persone avrebbero cercato di mettersi al sicuro il prima
possibile, proprio perché si sapeva di cosa erano capaci il
Signore Oscuro e i suoi adepti. Sulle prime aveva pensato di fare lo
stesso, ma nel momento stesso in cui si era immaginato il negozio
chiuso aveva respinto l’idea: il suo era il più antico
negozio della comunità, un punto di riferimento per tutti, e non
era giusto che nuove generazioni di maghi dovessero fare affidamento su
fabbricanti mediocri per le loro bacchette, così come non era
giusto arrendersi alla paura. Tuttavia, quella stessa risolutezza
svanì in pochi giorni. Mentre spolverava gli scaffali in attesa
di clienti, si ritrovava a pensare che se Lui era tornato, era tornato
dalle braccia della Morte: e chi torna dalle braccia della Morte non
può che essere ancora più temibile della Morte stessa.
Cosa aveva fatto? Cosa era in grado di fare, adesso? Cosa avrebbe
fatto, adesso, per ottenere quello che voleva? Quell’uomo, se
ancora uomo poteva dirsi, aveva attraversato il confine ultimo della
magia, aveva mostrato un tempo una passione smisurata per la conoscenza
dei segreti più profondi della magia – questo non poteva
negarlo, e in certo senso sapeva cosa significava, ambire alla
profondità, al dominio dell’essenza magica. Ma aveva
rivolto questa sua passione nel compiere il male, ecco qual era la
differenza: le cose che aveva fatto il Signore Oscuro erano terribili
ma grandi, grandi ma terribili. E lui sapeva che adesso poteva essere
soltanto peggio.
Con la mente a queste penose riflessioni, non sentì nemmeno suonare il campanello del negozio.
“Signor Olivander? È qui?” chiamò una voce gracchiante di donna.
“Eccomi!”
Corse fino al bancone e vide i clienti del giorno: un’anziana
signora in carne con un grosso avvoltoio impagliato sul cappello che
riconobbe come la signora Paciock, una rispettabile strega purosangue
della sua generazione, seguita da un giovanotto dall’aria
impacciata che doveva essere il nipote, il quale se non ricordava male
era stato addirittura partecipe allo scontro al ministero con Potter
stesso, all’inizio dell’estate.
“Signora Paciock! Qual buon vento vi porta? Come posso servirvi?”
“Un vento funesto sta spirando, caro il mio Olivander –
ribatté la donna – Siamo qua perché mio nipote
Neville ha bisogno di una bacchetta nuova. Infatti, ha danneggiato la
sua durante lo scontro con quelle canaglie al Ministero qualche
settimana fa, l’avrà letto sul Profeta, no?”
“Certamente! Un episodio di grave pericolo!”
“Già, ma il mio ragazzo si è fatto valere. Direi
che ha tutto il potenziale per diventare bravo come suo padre con la
bacchetta, sempre che ne abbia una dignitosa” rispose la signora
Paciock, senza nascondere l’orgoglio per il nipote, che
abbozzò appena un sorriso.
“Naturalmente!” disse Olivander iniziando a svolgere il metro, visibilmente a disagio.
Ma la signora Paciock non aveva intenzione di lasciarlo in pace.
“Si preparano tempi difficili, Olivander. Noi siamo vecchi e
dovremmo saperlo più di chiunque altro. Abbiamo visto cosa
è successo allora, cosa Lui ha fatto allora, e dobbiamo aiutare
chi ha paura adesso, perché non sa. O meglio, perché non
immagina davvero cosa può accadere” continuò la
donna in tono grave.
“Eh, sì, infatti…” bofonchiò
Olivander, sperando che la donna prima o poi troncasse il discorso da
sola.
“Lei è uno dei pochi che è rimasto aperto, vedo.
È la cosa giusta” commentò dopo poco con decisione.
Il signor Olivander stava per andare a prendere due scatole di bacchette, ma non riuscì a non rispondere.
“A dire il vero, sto cercando di riflettere oggettivamente sulle
mie condizioni di sicurezza e su quali provvedimenti adottare, nessuna
idea esclusa.”
“Condizioni di sicurezza? Nessuno è davvero al sicuro,
Olivander, e lei lo sa. Ma sono le azioni che qualificano un uomo, e
ancora di più le azioni nelle situazioni di pericolo”
ribatté la strega, facendo dondolare pericolosamente
l’avvoltoio sul cappello.
“Non posso che essere d’accordo. Tuttavia, non tutti
nascono dotati della stessa indole decisa – la signora Paciock
aggrottò le sopracciglia – Non tutti sono come lei, o come
suo figlio. È bene essere franchi: tante volte uno da sé
il coraggio non se lo può dare.”
La signora Paciock stava per ribattere, ma il signor Olivander la anticipò porgendo una bacchetta al nipote.
“Peccio, tredici pollici e crine di unicorno, molto flessibile.”
Neville agitò la bacchetta incerto, senza produrre fenomeni magici.
“No, quindi? Allora abete e crine di unicorno, sempre tredici pollici, più compatta.”
“Abete? Avrei da raccontargliene una su una bacchetta di abete
che ha venduto anni fa ad una mia lontana parente” disse
l’anziana strega, stavolta con un sorriso.
“Credo di sapere a cosa si riferisce – rispose Olivander
sorridendo di rimando – Ma, se mi permette, quella sua parente
non è poi così lontana” concluse sornione.
“Oh, beh, d’altronde nessuno sceglie che parenti avere,
è evidente. Da entrambe le parti” ribatté la strega.
Il nipote guardò la nonna con aria interrogativa, probabilmente
chiedendosi a che parente e a che storia faceva riferimento.
“Neville, caro, non stare impalato, prova la bacchetta!” lo riprese subito la nonna.
Il ragazzo agitò la bacchetta, che produsse solo un risucchio d’aria.
“Vedi che non va bene? Posala e prova quella là” disse indicando un’altra scatola, con fare spiccio.
Olivander intervenne.
“Ci penso io stesso, signora. Per inciso, non la facevo
così appassionata di bacchette. O forse è un vizio di
famiglia” disse con aria allusiva.
“Lei ha la lingua troppo sciolta, Olivander, glielo hanno mai
detto? – rispose la signora Paciock cogliendo la provocazione
– E di questi tempi farebbe bene a stare ancora più
attento, perché le bacchette sono da che mondo è mondo un
argomento delicato e, come dire, fin troppo appassionante per certi
tipi di maghi” concluse facendosi più seria.
Il signor Olivander stava per rispondere, quando prese la parola Neville.
“Mi scusi, ma direi che questa bacchetta va bene” disse
Neville agitando la bacchetta estratta dalla terza scatola e producendo
delicate scintille colorate, richiamando così l’attenzione
dei due maghi anziani.
“Oh, sì, figliolo, decisamente. Una bella bacchetta di
ciliegio, tredici pollici e crine di unicorno, di quanto mai pregevole
fattura” e sorrise al ragazzo, che sorrise a sua volta arrossendo
appena.
“Bene, e anche questa è fatta. Andiamo Neville, paga il
signor Olivander e vediamo di comprare tutto quello che ci resta alla
svelta. Mi parlavi di un atlante di Erbologia illustrato, vero? L’Erbario di Gottinga,
si chiamava, vero? Chissà se al Ghirigoro tengono certi
libri…certo, se tuo nonno Archibald non avesse fatto marcire
mezza biblioteca di casa per far riprodurre funghi inutili! E poi mi
chiedo da chi hai preso!”
“Si direbbe che buon sangue non mente, cara signora
Paciock” commentò il signor Olivander mettendo a posto i
galeoni che Neville gli porgeva nel piccolo forziere che serviva da
cassa del negozio.
“Proprio il commento che poteva fare lei, caro il mio Olivander” ribatté l’anziana strega.
“Ma non è il caso di prendersela più per certe
cose, di questi tempi. Piuttosto, faccia attenzione: le bacchette sono
importanti, per tutti” concluse seria.
“Mai quanto i maghi e le streghe che le usano, tuttavia” rispose Olivander.
“Certo. E quanto coloro che sanno fabbricarle.”
***
Eccoci
qua: sempre sull’onda della malinconia dell’episodio
precedente, ho voluto immaginare il momento in cui Neville finalmente
ottiene una bacchetta che sia davvero sua, e non quella di suo padre,
che aveva usato nei primi anni a Hogwarts (chissà che non fosse
anche quello un fattore determinante i suoi scarsi successi
scolastici…). Siamo all’inizio di HP6, c’è
stato lo scontro coi Mangiamorte al Ministero, che ormai ha ammesso il
ritorno di Voldemort e il fatto che la situazione sia fuori controllo,
e ho preso spunto proprio da alcune scene all’inizio di HP6, dove
si dice che Diagon Alley si sta spopolando, tutti hanno paura e
Olivander stesso ha chiuso. Neville dice anche a Harry che la sua
è una delle ultime bacchette acquistate nel negozio, che ha
chiuso in circostanze misteriose. Nel capitolo effettivamente le
bacchette e Neville stesso hanno poco risalto, perché mi sono
concentrato sulle riflessioni di Olivander: di lui in realtà
sappiamo ben poco, la Rowling ci dice soltanto che viene preso dai
Mangiamorte e che rivela a Voldemort che la bacchetta di sambuco
è opera di Gregorovitch, ma non sappiamo molto della sua vita.
Io lo immagino come un mago molto abile, che sa riconoscere il fascino
che la magia oscura sa esercitare, che conosce le convinzioni dei maghi
purosangue, poiché lo è anche lui, e che molto umanamente
non riesce a schierarsi subito, perché la paura e
l’istinto di conservazione prevalgono. Insomma, spero di poter
approfondire questo personaggio in vari episodi, proprio perché
alla fine la Rowling ci ha lasciato abbastanza carta bianca! Quanto
alla signora Paciock, invece, nel mio headcanon appartiene di nascita
ad una famiglia purosangue incline sebbene non dedita alla magia oscura
e che, una volta prese le distanze sposando il signor Paciock (che io
immagino appassionato erbologo pasticcione come il nipote), preferisce
non essere associata a certi parenti. La confidenza che ha con
Olivander è dovuta semplicemente al fatto che appartengono alla
stessa generazione e conoscono un sacco di persone in comune, come
è facile immaginare in una comunità ristretta di maghi
purosangue. Anche l’episodio della bacchetta di abete farebbe
parte di una mia idea di longfic con altri personaggi, ma
chissà, meglio non strafare per ora!
Infine, va da sé che la battuta “uno da sé il
coraggio non se lo può dare” non è mia, ma è
in bocca a don Abbondio ne I Promessi Sposi, dell’amore-odio di tutti noi, il caro vecchio paraculo ma non troppo Manzoni.
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Capitolo 10 *** Le dimensioni contano - Hagrid e Dolores Umbridge ***
IX. Hagrid e Dolores Umbridge
X
Una delle prime cose che un aspirante fabbricante di bacchette deve
imparare è che in quest’arte antica e misteriosa non ci
sono dogmi. Ci sono indicazioni dettate dal buon senso, tradizioni
venerabili, acquisizioni consolidate dalla pratica secolare e
inevitabili tecnicismi che assicurano uniformità e sicurezza, ma
non dogmi. Ad esempio, non è un dogma che la lunghezza della
bacchetta sia legata alla statura del mago che la impugnerà. Al
contrario, la maggior parte dei maghi e streghe di bassa statura
possiedono bacchette di lunghezza media o medio-lunga, perlopiù
nello stesso range dei maghi di alta statura. E questo perché
l’altezza e la conformazione fisica del mago sono solo uno degli
elementi che occorre misurare per pensare e scegliere una bacchetta,
sulla scorta di complessi calcoli e teoremi per destreggiarsi fra i
quali occorre che l’aspirante fabbricante di bacchette sia ben
preparato in Aritmanzia, o almeno sia un brillante autodidatta.
Tuttavia, non basta saper risolvere tutti i Logogrammi e gli Arcani
contenuti in Numerologia avanzatissima
per saper decidere una misura, tagliare il legno e sapere che
sì, quella è la lunghezza giusta per quella bacchetta di
quel legno e con quell’anima, e soprattutto per quel mago che
entrerà domani o fra venti anni nel negozio. A volte bisogna
immaginare che ci sono bacchette insolitamente corte o insolitamente
lunghe e accettare che la statura fisica non c’entra nulla. A
volte bisogna immaginare che un mago sia non solo un mago, ma che la
sua natura imponga un surplus di legno e di lunghezza alla bacchetta;
altre volte, sempre meno possibile, si spera, è necessario
accettare che sia la statura morale a influenzare irrimediabilmente al
ribasso la foggia della bacchetta.
Un paio di questi esempi si erano realizzati nella bottega del signor
Olivander nei primi anni Quaranta, l’uno a distanza di pochi anni
dall’altro.
Quella mattina, quando il campanello all’ingresso del negozio suonò, il signor Olivander rimase senza fiato.
“Salve, siamo qui per la bacchetta per il mio ragazzo!” esordì un ometto minuscolo dalla voce gentile.
Il suo “ragazzo” era alto almeno il doppio di lui, con le
spalle larghe almeno quattro volte ed enormi piedi calzati da stivali
che non avrebbero sfigurato come bauletti da viaggio. Il giovane, che
nell’insieme sembrava un bambino pacioccone colpito da un
incantesimo di Ingrandimento riuscito tutto sommato non male, sorrise
impacciato.
Si trattava evidentemente di un Mezzogigante. Olivander non
riuscì a trattenere una smorfia di disgusto all’idea che
la presenza di quel ragazzo in questo mondo implicava, ma di fronte
alle occhiate imbarazzate dei due si rese conto di quanto fossero in
difficoltà e andò subito al punto.
“Benone, qui cerchiamo una bacchetta grande per un mago
grande!” e si avvicinò al ragazzo col metro svolto in
mano, iniziando a misurare proprio dalle spalle.
Il ragazzo era più alto anche di lui e vedendo che il signor
Olivander si tendeva in punta di piedi per misurargli le spalle fece
per abbassarsi piegando le ginocchia.
“Oh, non importa figliolo, lui sa come fare!” disse
Olivander sorridendo, lievemente teso, e lasciando il metro libero di
misurare da solo.
“Spero che ci sia una bacchetta anche per il mio Rubeus! Sa,
è stata una così grande sorpresa sapere che poteva andare
ad Hogwarts! Avevo sempre pensato che, insomma, dato che siamo,
così, nel senso, che è, come, dire,
diverso…” cominciò il mago schiarendosi la voce a
fatica.
“Non si preoccupi, qui ci sono bacchette per tutti, di tutte le taglie!”
Olivander afferrò il metro e lesse.
“Oh, bene, allora così” e si avviò veloce fra gli scaffali.
Il ragazzo si sporse per vedere dove stava andando il fabbricante di
bacchette, appoggiandosi al bancone, che scricchiolò sonoramente.
“Attento, non ti appoggiare, si rompe!” bisbigliò il padre.
“Scusa, papà, hai ragione” rispose il ragazzo ad occhi bassi.
Olivander tornò con alcune scatole.
Era convinto che avrebbe piazzato quel giorno una splendida bacchetta
in legno di melo e crine di unicorno, lunga quattordici pollici e tre
quarti, praticamente al limite dell’usuale lunghezza delle
bacchette, a riprova del fatto che la statura fisica contava sì,
ma solo un piccola parte, perché la facevano da padrone altre
qualità, che risiedevano in quel caso nel legno di melo.
Porse la bacchetta al ragazzo, spiegandogli come era fatta e senza nascondere l’entusiasmo.
Il giovane agitò la bacchetta in maniera fin troppo sgraziata e non produsse fenomeni magici.
Un’espressione di sincera delusione si dipinse sul volto del ragazzo, ma mai quanto quella sul volto del signor Olivander.
“Ah, no?” chiese rivolto un po’ alla bacchetta un po’ a se stesso.
Poi si girò a guardare le bacchette nelle scatole sul bancone,
guardò ancora il ragazzo, poi di nuovo le bacchette, poi riprese
il metro, lo girò e rigirò più volte e lo rimise
al lavoro sulle spalle del ragazzo.
Tempo pochi secondi, riprese il metro e lesse di nuovo.
“Un pollice sia, allora!” borbottò fra sé e
si avviò di nuovo fra gli scaffali, portando via anche le
bacchette che prima aveva portato da provare.
“Perché le porta via? Non posso avere più la bacchetta?” domandò il ragazzo con voce strozzata.
“Non dire stupidaggini, figliolo” rispose la voce di Olivander da dietro gli scaffali.
Quando ricomparve aveva con sé una sola scatola che conteneva una bacchetta molto lunga.
“Ecco qua: legno di quercia, crine di unicorno, sedici pollici generosi.”
Il giovane Hagrid agitò la bacchetta rischiando di colpire in
faccia il signor Olivander, che si scansò prontamente e sorrise
soddisfatto nel vedere che la bacchetta era quella giusta.
Ora anche il ragazzo sorrideva estasiato.
“Hai visto papà? Senti che forza!”
“Beh, dobbiamo dire che stavolta le dimensioni hanno fatto la differenza!” commentò bonario Olivander.
In quel caso, infatti, la natura di gigante del ragazzo,
ancorché parziale, aveva avuto un ruolo predominante nella
scelta della bacchetta, anche se, Olivander sapeva, in realtà
non erano soltanto l’altezza fisica e le grosse dimensioni a fare
la differenza, quanto piuttosto che in quel giovane mago dalle forme
sgraziate c’era una quota di magia non umana che necessitava una
bacchetta dalla struttura più robusta, un po’ fuori
dall’ordinario agli occhi dei più, ma non così
tanto a quelli di un artigiano esperto.
Un caso simile, ma dalla direzione opposta, avvenne pochi anni dopo,
quando a comprare la prima bacchetta entrarono un mago dall’aria
dimessa con la figlia, una bambina dalla faccia tonda interamente
vestita di abiti color ciliegia, con un fiocco in testa dello stesso
colore della veste.
“Eccoci qua, pronti, stenda le braccia, così” disse svolgendo il metro.
La ragazzina si mise subito sull’attenti, rigida, col mento in
alto e al signor Olivander dava l’impressione che stesse
stirandosi il più possibile con la schiena per sembrare
più alta.
Il metro intanto misurava alacremente e, come qualche volta succedeva, sembrava metterci più del solito.
Dopo un po’, Olivander prese il metro e consultò.
“Spero proprio di avere una bacchetta di drago, ho letto molto al
riguardo e penso che sarebbe il mio elemento” disse la ragazzina
con una vocetta acuta.
“Oh, beh, ricordate sempre signori che è la bacchetta che sceglie il mago” rispose Olivander gentilmente.
La prima bacchetta che fece provare alla ragazzina era di noce, con
corda di cuore di drago, di nove pollici e mezzo. Aveva tutta
l’aria di essere quella giusta, ma ne uscì solo un esile
filo di fumo.
La seconda, mogano e unicorno, sempre nove pollici e mezzo, addirittura non produsse nulla.
La terza, nove pollici esatti, di corniolo e drago, a fatica produsse uno sputacchio di scintille.
La ragazzina stava ancora davanti a lui, impettita, con un sorriso
stranamente immobile sul volto, probabilmente in attesa che lui le
desse la soluzione, trovando la bacchetta giusta.
“Possiamo riprendere qualche misura?” tentò Olivander con un sorriso stirato.
Il padre stava per rispondere e aveva abbozzato un sorriso, ma la figlia fu più veloce.
“Sì, ma spero bene che stavolta siano giuste. Io di certo non posso sbagliare nulla a stare ferma!”
Olivander pensò che un po’ di educazione in più non
sarebbe guastata, ma era concentrato sul dilemma che le bacchette e il
metro gli stavano ponendo.
Il metro misurava e la ragazzina stava ancora impettita, col sorriso
fisso e rigido. Il padre era inespressivo. Olivander prese il metro e
aggrottò le ciglia.
“Dovrebbe cercare di non falsare le misure” disse poi alla ragazzina in tono neutro.
“Io non falso niente, magari il metro non è buono o lei non ci vede bene!”
Questa volta il padre intervenne.
“Dolores, cribbio, un po’ di educazione! Che modi sono!
Chiedi scusa al signor Olivander e segui le sue istruzioni!”
“Mi scusi, signor Olivander” disse subito la ragazzina,
come una scimmietta ammaestrata, con voce neutra e lo stesso sorriso
fisso in faccia, senza la minima traccia di sincerità.
“Si figuri. Tentiamo lo stesso” rispose Olivander,
irrigidendosi appena. Si avviò a prendere altre bacchette e
tornò con tre scatole.
“Ippocastano, corda di cuore di drago, otto pollici e mezzo, flessibile.”
Era una bacchetta decisamente corta per gli standard usuali, ma anche lui era incuriosito dal fenomeno.
“No?” disse rivolto alla ragazzina che agitava senza convinzione la bacchetta muta.
“No, direi” commentò lei con la vocetta neutra e il
sorriso fisso, che ora a Olivander sembrava inquietante, come quello di
una bambola stregata per spaventare i bambini troppo curiosi.
“Allora questa, ancora drago, ancora otto pollici e mezzo, legno di peccio.”
Ma nell’istante stesso in cui le porse la bacchetta, seppe che
era inutile, perché quella giusta era l’ultima.
Il tempo di vedergliela in mano e la riprese.
“Questa: ancora drago, legno di betulla, otto pollici appena.”
Qualunque cosa stesse per dire la ragazzina le morì sulle labbra
e finalmente il sorriso rigido scomparve per lasciare spazio ad
un’espressione di sincero stupore.
“Hai visto l’abbiamo trovata, tesoro?” disse il padre.
La ragazzina sorrise di nuovo e squittì un neutro e formale
“grazie” all’indirizzo del signor Olivander.
Mentre il padre tirava fuori i galeoni per pagare, la ragazzina si
fermò e guardò il signor Olivander in modo penetrante.
“Ma la bacchetta è così corta perché io non sono ancora molto alta?”
“In un certo modo, l’altezza c’entra sempre, per cui,
per dire, una bacchetta di tredici pollici non poteva andare bene, ma
questo non toglie nulla alle potenzialità della bacchetta e
della strega che la impugna: tutte le bacchette sono valide e forti, se
tale è il mago o la strega che la usa” rispose
incoraggiante.
Allora non ebbe cuore di dirle quello che invece quella misura
insolitamente ridotta indicava e che il metro e la sua esperienza di
artigiano avevano intuito: e cioè che qualcosa mancava
irrimediabilmente in quella giovane strega, non tanto nella sua
potenzialità magica, quanto forse nello spirito. Ma
d’altro canto poteva pure sbagliarsi: la ragazzina poteva trovare
ad Hogwarts la sua strada, vincere il senso di inferiorità che
sembrava imbrigliarla e diventare una strega brillante capace di
mettere al servizio della comunità il suo talento.
Adesso però gli anni erano passati e Olivander aveva visto chi e
cosa era diventata quella ragazzina col fiocco color ciliegia e il
sorriso rigido e non sapeva se complimentarsi con se stesso per la
perspicacia o cedere al pessimismo, pensando che se è vero che
la bacchetta non sbaglia mai a scegliere il mago, talvolta anche le
cosiddette superstizioni hanno del vero, e quando tale vero si
manifesta, non è mai un buon segno.
***
Doppia bacchetta stavolta, per due
personaggi diametralmente opposti, dentro e fuori: Hagrid mezzogigante
dal cuore grande come la sua persona, e Dolores Umbridge, piccola e di
vedute ristrette dentro e fuori, che cerca di essere sempre quello che
non è.
E Olivander ogni giorno si confronta
con le bacchette stesse: non cede alle superstizioni, perché non
esistono dogmi, ma qualche volta deve riconoscere che la ragione,
intesa come può intenderla un mago, qualche volta non basta, e
bisogna ascoltare anche i segnali più inusuali.
A dire il vero, il capitolo non mi convince moltissimo, quindi le recensioni sono ancora più gradite.
Infine, comunicazione di servizio: molto probabilmente Wands
si prende una pausa, nel senso che non aggiornerò tutti i sabati
come fatto finora, sia per impegni ma anche e soprattutto perché
ho iniziato a scrivere altro. Se siete interessati, stay tuned!
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Capitolo 11 *** Minerva McGranitt ***
X. Minerva McGranitt
XI
Una delle prime cose che il signor Olivander
aveva imparato da suo nonno era che costruire una bacchetta non
è come preparare una pozione: non c’è una
procedura, una ricetta, non ci sono manuali e volumi di teoria e
dissertazioni che possono aiutare l’aspirante artigiano. Alcuni
elementi non legheranno mai fra loro, e la volta che lo faranno
sarà per caso, per una combinazione irripetibile che, ricercata
con ardimento successivamente, non si presenterà più, se
non fra cinquanta o cento anni. Altri elementi sono fatti per stare
assieme, ma questo non garantisce la riuscita della bacchetta, quando
la mano che li unisce ha fretta, è stanca, ha troppa fiducia in
sé stessa o troppo poca. E poi bisogna tenere in conto
l’elemento più importante: il mago. La bacchetta lo
sceglie, perché la bacchetta sa, più di Olivander stesso,
o meglio, sa diversamente, cosa cercare e di cosa fare a meno.
Un mattino della tiepida estate del 1947 entrarono nel negozio una strega con la figlia.
“Buongiorno, signor Olivander. Siamo qui per la
bacchetta di mia figlia Minerva. Alla fine, il giorno è
giunto” disse la donna, con un marcatissimo accento scozzese.
“Benvenute, signore – iniziò il signor
Olivander – Minerva, quale nome impegnativo!” disse rivolto
alla ragazzina, già abbastanza alta per la sua età, con i
capelli corvini raccolti in una crocchia ordinata e abiti Babbani
modesti ma ben stirati.
“Tutti i nomi sono impegnativi, secondo me,
perché li ha già portati qualcuno prima di noi”
ripose prontamente.
“Un ottimo punto di vista, direi. Stenda le braccia, così prendiamo qualche misura.”
La ragazza rimase in posizione seguendo il metro con lo sguardo, voltandosi ogni tanto e sorridendo entusiasta alla madre.
D’altronde, quello era il suo primo vero ingresso nel
mondo magico, il mondo di sua madre, il mondo che doveva
necessariamente restare celato a tutti i loro conoscenti e a tutti i
fedeli della chiesa presbiteriana di cui suo padre era il pastore, nel
loro piccolo villaggio nelle Highlands. Un’impresa non da poco,
visto che lei sapeva provocare fenomeni magici fin da piccolissima e
adesso anche i suoi fratelli facevano i conti con la necessità
di tenere nascoste le loro capacità, ad esempio alla scuola
della chiesa e durante le scampagnate con gli amici. Su questo sua
madre era sempre stata categorica: la magia deve restare nascosta, per
legge e per necessità, e anche se suo padre aveva compreso la
loro natura non dovevano venir meno alla segretezza con gli altri
Babbani. Sapeva che aveva ragione, ma era davvero frustrante e da
quando aveva ricevuto la lettera per Hogwarts ancora di più, per
questo non vedeva l’ora di essere là ed essere libera di
fare magie.
“Eccoci, fra queste c’è la bacchetta che
stiamo cercando – disse Olivander – Provi questa, nove
pollici e mezzo, legno di faggio, corda di cuore di drago. Una
bacchetta decisa per una strega molto dotata.”
Minerva prese la bacchetta e la agitò, cercando di
eseguire l’incantesimo di Levitazione che tante volte aveva
provato e dominato, da sola, senza bacchetta, con la sola forza della
mente, con risultati alterni e tanta fatica.
La scatola vuota verso cui aveva rivolto l’incantesimo
volò di scatto verso il soffitto e ripiombò a terra con
fracasso.
La ragazza fece un passo indietro, stupita ma attenta a cosa avrebbe detto il signor Olivander.
“Un po’ troppo, direi – il fabbricante
ridacchiò – Allora questa, nove pollici e tre quarti,
ancora drago, legno di mogano, perfetta per la trasfigurazione.”
Minerva prese la seconda bacchetta ed eseguì ancora l’incantesimo, se possibile con maggiore concentrazione.
Questa volta la scatola salì in aria con minore impeto
e rimase fluttuante a mezz’aria, mentre la giovane strega la
fissava con attenzione.
“Molto bene, tesoro! – disse la madre – Anche la nonna aveva una bacchetta di mogano!”
Minerva sorrise e lasciò andare la scatola, che ricadde sul bancone con un tonfo più lieve.
“Non sei contenta, Minerva?” chiese la madre, vedendo la figlia ferma e pensierosa.
“È solo che me lo immaginavo diverso, madre.
Immaginavo che avrei sentito qualcosa, qualcosa di più”
rispose, leggermente incerta.
“E immaginava bene – la interruppe Olivander
– Quella che tiene in mano è una bellissima bacchetta, di
un legno adeguato alle abilità che albergano nella giovane
strega che ho davanti, di una misura appropriata e con un nucleo donato
da un poderoso drago della specie Ungaro Spinato. Non mi stupisce che
lei riesca ad eseguire correttamente incantesimi e con un controllo
notevole per la sua età. Ma come dice lei stessa, manca
qualcosa. La maturità di un mago o di una strega si vede anche
da questo.”
La ragazza trattenne il respiro un attimo, per poi rivolgersi all’artigiano.
“Intende dire che devo cercare un’altra bacchetta? Ad ogni modo, mi fido del suo giudizio.”
Olivander fece un ampio sorriso.
“Proprio così. Ma non sarà una ricerca
lunga, perché aver provato prima la bacchetta di mogano è
stato solo un caso dovuto all’ordine casuale delle scatole. Ecco
qui, nove pollici e mezzo, ancora drago, legno di abete. Anche questa
molto adatta alla trasfigurazione, e con una certa resilienza,
com’è proprio dell’abete.”
Minerva afferrò la bacchetta di legno chiaro che
Olivander le stava porgendo e nell’istante in cui il legno
toccò il palmo della sua mano sentì che era finalmente la
sua bacchetta, che lo era davvero.
Sorrise di rimando all’artigiano e mosse il braccio con eleganza.
“Wingardium Leviosa!”
disse con voce limpida, e la scatola vuota salì in aria con
grazia, senza alcuna fatica, restando fluttuante a mezz’aria,
anche quando Minerva smise di guardarla e di tenere alta la bacchetta.
“Molto bene! – fece il signor Olivander –
Inutile dire che, da quello che vedo, dobbiamo aspettarci grandi cose
da lei!” concluse rivolto alla ragazzina, che rimase seria, ma
comunque sorridente.
“Beh, menomale ci siamo soffermati un attimo! –
commentò la madre – Magari avrebbe avuto una buona
riuscita anche l’altra, ma presto immagino che sarebbero sorti
dei problemi.”
“Infatti. Sicuramente sua figlia avrebbe fatto ottime
cose anche con l’altra bacchetta, ma solo una era ed è
quella giusta. Sa, a volte si presenta lo stesso problema quando un
mago chiede una bacchetta su misura, da creare da zero. Uno studia a
lungo, prepara tutto, pensa tutto, si mette all’opera e crede che
ormai tutto torni, tutti i pezzi siano a posto e non ci siano altre
possibilità che l’oggetto che sta fra le sue mani sia
quello giusto. Ma le bacchette sanno, quando i maghi invece intuiscono
soltanto.”
***
NdA: cucù!
Rieccomi con Olivander e le sue bacchette! Cosa pensate di questa
Minerva McGranitt undicenne? Ho preso spunto da quello che ha scritto
la Rowling di lei su Pottermore, bacchetta compresa, e quello che
più volevo far risaltare è la maturità della
ragazza, nonostante le capacità magiche già ben evidenti
(tra l’altro, ho sempre immaginato la McGranitt giovane come una
Hermione ante litteram).
Infine, comunicazione di servizio: Wands
è prossimo alla conclusione, mancano forse un paio di bacchette,
e poi FORSE, ma molto FORSE, si parte con qualcos’altro.
Recensite e ditemi la vostra!
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Capitolo 12 *** Una bacchetta speciale - Albus Silente (e non solo) ***
XI. Albus Silente
XI
“Nonno, posso chiederti un aiuto? Stavo studiando i tuoi appunti
e c’è una questione che non riesco a capire.”
“Dimmi, figliolo, sono qui apposta” rispose pacato Gerbold Olivander.
“Sono arrivato alla parte
in cui parli dei tuoi esperimenti costruttivi con altri nuclei che non
siano drago, unicorno e fenice e dove descrivi delle bacchette altrui
che hai studiato. Riesco ad afferrare perché la cenere e il
guscio di un uovo di Aswinder siano instabili in qualunque combinazione
di legno, ma perché i capelli di Veela e il pelo di Camuflone
non possono andare? È vero, la loro magia ha molto più
dell’inafferrabile e dell’ambiguo rispetto alla
solidità trasparente dell’unicorno o alla magmatica forza
del drago, ma la fenice allora? Non è forse fuggevole come
l’incanto di una Veela ed evanescente come la figura del
Camuflone?”
“Osservazioni corrette,
Garrick. Tuttavia, ho imparato nel tempo che la Veela ha troppo
dell’umano per piegarsi a divenire cuore di una bacchetta, che
è comunque uno strumento dell’essere umano: come tu dici,
è fuggevole, volubile e umorale, direi io, proprio come gli
esseri umani. Il pelo del Camuflone viene già impiegato per
tessere mantelli dell’invisibilità e onestamente non mi
fido ad usare come anima di una bacchetta un’entità che
abbia come sua peculiare natura quella di rendersi invisibile, senza
ragione alcuna. La fenice, invece, per quanto schiva e difficile da
avvicinare, ha nella sua natura il perpetuo rinnovarsi e, nel suo
morire e rinascere, dà prova di grande persistenza in questo
mondo.”
“Però tu scrivi che esistono bacchette la cui anima è in tendine di Dissennatore o crine di Thestral!”
“Leggi meglio, ragazzo.
Io scrivo che vi sono nel corso della storia notizie più o meno
fondate di una bacchetta con tendine di Dissennatore fabbricata nel
Cinquecento da un artigiano italiano, bacchetta che tuttavia nessuno ha
mai visto davvero, la cui storia si sovrappone e si mescola con quella
della celebre Stecca della Morte, sulla quale io sospendo il giudizio.
Una bacchetta con crine di Thestral invece ho veduto e toccato davvero
con mano quando studiavo a Praga: era stata fabbricata da un artigiano
dell’Est Europa di nome Gregorovitch, ambizioso e abile, attento
alla materia magica ma forse anche troppo facilmente influenzabile.
Devi sapere che l’Europa centrale e l’Italia stessa hanno
una grande tradizione di sperimentatori con la materia magica e per
tutto il secolo scorso la ricerca nell’uso del crine di cavalli
alati di varie razze ha avuto un grande sviluppo, al pari di quella sui
draghi. Ma un conto è prendere il crine di un Etone o di un
Granio, molto diffuso in Germania ad esempio, o anche di un Ippogrifo,
e un conto è il Thestral, per vedere ed avvicinare il quale,
dovresti sapere…”
“Sì, bisogna aver
assistito alla morte di qualcuno. Per questo è considerato una
creatura infausta. Ma tu nonno dici sempre che non bisogna credere alle
superstizioni” ribatté il nipote prontamente.
“Certamente, ma le
superstizioni diventano tali quando limitano la nostra conoscenza e la
nostra possibilità di agire nel mondo per il bene, non quando
rappresentano l’unica traccia di una consapevolezza remota,
l’unica prova dell’esistenza di un limite che l’uomo
non deve valicare. Come direbbe tua nonna parlando dei suoi coetanei
Babbani, molti danni hanno fatto all’umanità coloro che
hanno ucciso in nome di Dio, ma altrettanti ne faranno quelli che
diranno che Dio è morto.”
“Continuo a non capire,
ma ci penserò su. Allo stesso modo però in cui tu non
approvi il crine di Thestral, approvi l’uso del legno di sambuco,
eppure anch’esso è associato strettamente alla morte nella
tradizione, poiché si dice che la Stecca della Morte sia in
sambuco. E lo era anche la bacchetta che descrivi!”
“Proprio così, ma
la differenza esiste: la magia arcana del Thestral è reale, e
può essere sperimentata da ciascun mago, mentre la fama triste
del sambuco è solo frutto di storie che si rincorrono nei
secoli, e nessuno ha mai dimostrato che una bacchetta di sambuco porta
sventure a chi la usa, semmai, la difficoltà nel lavorare il
legno scoraggia la maggior parte dei fabbricanti, con Gregorovitch
eccezione a ciò. Tuttavia, il suo orgoglio nel mostrare la
bacchetta prodigio dell’arte, crine di Thestral e sambuco, mi
appare adesso dopo tanti anni un eccesso pericoloso, in un tempo
com’era allora pieno di rivolgimenti politici e sociali. Non so
se quella bacchetta abbia mai trovato un proprietario o se, come spero,
sia rimasta soltanto un oggetto di pregio utile a incrementare la fama
di Gregorovitch e di conseguenza i suoi guadagni.”
Il giovane Garrick Olivander sembrava pensieroso.
“Posso però
raccontarti una storia su un’altra bacchetta di sambuco che ho
venduto non tantissimi anni fa, ad un mago che si sta rivelando un uomo
di scienza e di cultura, che tanto può portare
all’avanzamento delle conoscenze della comunità, a riprova
che le superstizioni vanno vagliate di volta in volta.”
“Sì, racconta!”
“Un mattino sul finire
del secolo scorso entrarono in negozio una strega col figlio. Non
avevano nulla di particolare in sé, ma dopo pochi istanti dal
loro ingresso li riconobbi come gli incolpevoli protagonisti di una
storia di cronaca giudiziaria che tanto aveva fatto clamore nei mesi
precedenti nella comunità. La donna si chiamava Kendra Silente e
il marito era in quel momento ad Azkaban a scontare la condanna per
l’omicidio di alcuni ragazzi Babbani che, a detta sua, avevano
fatto del male alla figlia minore, una bambina affetta da non si sa che
oscura malattia. Tutta la famiglia, la loro casa, il giardino in cui si
era consumata la tragedia, tutto quanto era apparso sul Profeta con
dovizia di dettagli. La donna poi doveva essersi trasferita in un altro
villaggio, ma di certo il trauma suo e dei figli doveva essere ancora
vivo e profondo, e non c’era da biasimarla se si mostrava dura e
di poche parole, quando incontrava degli estranei. Il figlio
primogenito che allora doveva iniziare Hogwarts era un ragazzo biondo,
con limpidi occhi azzurri, e somigliava molto alla madre fisicamente,
ma con una straordinaria leggerezza nei tratti. Ricordo che provammo
numerose bacchette, ciascuna nel suo peculiare, e il ragazzo seppe
produrre fenomeni magici di diversa entità e controllo,
finché non incontrò la sua bacchetta, una bacchetta di
sambuco lunga dieci pollici e tre quarti, irrimediabilmente asimmetrica
nella foggia, con la piuma di una fenice che io sapevo ormai
definitivamente spentasi nella sua ultima cenere. Un insieme di
infausti segni, mi parve allora. E come se mi leggesse nel pensiero, la
donna commentò che davvero non c’era fine alla miseria. Il
ragazzo invece forse allora non aveva le conoscenze per capire i nostri
riferimenti, e disse soltanto che sapeva bene che è la bacchetta
a scegliere il mago, e che avrebbe fatto del suo meglio con quella che
gli era toccata, qualunque cosa ciò portasse. Come vedi, nessun
destino è inciso nel legno della bacchetta, ma sta al mago e
alla strega approfondire la propria e l’altrui natura, e volgerla
al bene.”
***
NdA: capitolo un
po’ diverso dal solito, in cui ho voluto immaginare quale sia
stata la bacchetta di Silente prima della celebre bacchetta di sambuco
che vince in duello a Grindelwald e ho pensato che fin
dall’inizio fosse destinato ad una bacchetta particolare, che
già lasciasse intravedere un destino di grandezza, ma non un
destino già preordinato, ma un destino che lui costruisce da
solo, con la sua abilità e la sua coscienza di uomo.
Considerando l’età del personaggio, ho pensato che sia
stato il nonno del signor Olivander a vendergli la bacchetta e che la
usi come esempio nell’istruzione del nipote come suo erede
artigiano nei primi del ‘900 (facendo il conto che Olivander ha
una trentina di anni quando vende la bacchetta a Tom Riddle).
Penso si intuisca che l’epoca a cavallo fra Otto e Novecento, il tempo di Marx, di Nietzsche, dell’Austria felix
e della fine degli imperi mi affascina un sacco (da qui anche
l’idea della nonna di Olivander, una strega Nata Babbana colta e
consapevole del tempo che stanno vivendo i Babbani contemporanei) e mi
piace immaginare che la bacchetta di sambuco made in Gregorovitch sia
stata concepita in quel tempo pieno di rivolgimenti…e qui mi
rivolgo alla cara Elsinor che mi riempie di gioia con le sue
recensioni: dato che scriverai ancora di Grindelwald magari potresti
anche mostrare come giunge in possesso dell’oggetto in questione
e non solo (sto lanciando molti sassi senza neanche nascondere tanto la
mano eh eh)…in ogni modo, sono solo idee vaganti!
Infine, disclaimer: tutte le creature citate non sono mie, ma vengono dal libro Animali fantastici!
Di mia invenzione è invece la bacchetta col tendine di
Dissennatore, che forse ricomparirà anche in una storia futura,
almeno di nome!
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Capitolo 13 *** Il demiurgo - Garrick Olivander ***
XII. Olivander
XII
Ci aveva pensato
tutto il giorno e tutta la notte. E anche il giorno prima, e quello
prima ancora, da quando era entrato nell’anno dei suoi undici
anni. Ma finché la lettera non era arrivata, in famiglia nessuno
aveva fatto parola. Poi una mattina di aprile la lettera era arrivata,
a lui ultimo figlio di un’antichissima famiglia di maghi dal
sangue potente come al più anonimo dei Nati Babbani. Nessuno si
era sorpreso, ovviamente, e tutti avevano festeggiato, ma ancora
nessuna parola, e non sarebbe stato lui a rompere il silenzio. Solo suo
padre, alla fine della giornata, gli aveva finalmente parlato.
“Da domani iniziamo a
lavorare sul serio sulla tua bacchetta. Ho già fatto tante cose,
tanti progetti, e credo di essere vicino al risultato.”
Garrick Olivander aveva sorriso a suo padre, pieno di gioia.
Anche l’erede della più antica famiglia di artigiani di bacchette doveva avere la sua, e che fosse sua soltanto.
Ma nel corso dei giorni
successivi si era insinuata in lui un’inquietudine di cui non
sapeva spiegare la ragione. Piano piano avevano preso forma alcuni
pensieri ricorrenti: era davvero possibile che suo padre fabbricasse
per lui una bacchetta su misura, da zero? Suo nonno ripeteva spesso che
creare una bacchetta su misura per un mago che ti sta di fronte
è la cosa più difficile, mentre è molto più
semplice farlo per un mago che non vedi, che non conosci ancora, per un
mago in potenza, come diceva
sua nonna. Cosa che andava contro il senso comune, perché
dovrebbe essere più facile fare qualcosa per qualcuno che hai
davanti che per uno sconosciuto, no?
E poi: la sua bacchetta sarebbe
stata speciale solo perché era un Olivander? O alla fine avrebbe
pescato una bacchetta dalle molte sistemate nelle loro scatoline sugli
scaffali? Voleva che fosse speciale, ma si sentiva anche in colpa nel
pensarlo. Qualunque bacchetta è speciale, se tale è il
mago che la impugna, sentiva dire da che aveva memoria. Però da
quello che studiava già da quando aveva imparato a leggere e
scrivere per prepararsi al suo futuro di artigiano, c’erano legno
e legno, e se c’erano cento bacchette di quercia o di nocciolo e
solo un paio di tasso o di agrifoglio una ragione ci doveva essere.
E infine, la cosa più
importante: non c’era qualcosa di profondamente stonato,
dissonante, incongruente, nel fatto che suo padre o suo nonno,
artigiani di bacchette, fabbricasse una bacchetta per lui, suo figlio o
nipote, sangue del suo sangue? Non sarebbe stato più giusto che
la sua bacchetta provenisse da un’altra mano, una mano che non
avesse con lui un tale legame?
Ma tutte quelle riflessioni se le era tenute per sé, per tanti giorni, prima e dopo l’arrivo della lettera.
Intanto maggio era quasi finito
e suo padre non sembrava avere ancora ultimato la sua bacchetta. Stava
meno in negozio e lavorava a lungo nel laboratorio sul retro, senza
dire una parola. Suo nonno Gerbold lavorava nello stesso modo di
sempre, ogni tanto alzava gli occhi sul figlio e sorrideva. Lui intanto
spolverava il bancone e faceva pratica col metro incantato, che non
mancava di ribellarsi.
“A volte frusta ancora
me, figuriamoci se non frusta te adesso, che sei ancora così
giovane!” gli aveva detto suo padre una volta.
Sapeva che doveva ancora
studiare tantissimo prima di poter gestire quello strumento così
antico e carico di magia, eppure aveva sperato di riuscire a carpire
qualcosa dalle proprie misure, prese alla meglio con faticosi tentativi.
Un pomeriggio suo padre lo chiamò nel retrobottega e gli disse che aveva pronte delle bacchette per lui.
“Ecco qui, nocciolo e drago, undici pollici e un quarto.”
Garrick Olivander provò la bacchetta, ma non produsse nulla.
Suo padre si accigliò lievemente, ma gli porse un’altra bacchetta, di acero e unicorno.
Un altro fiasco.
La terza era di mogano e unicorno, e produsse uno scoppio simile a un lamento.
“C’è qualcosa che non torna” borbottò suo padre.
Suo nonno dava loro le spalle, chino a limare un pezzo di legno, ma Garrick ebbe la sensazione che stesse sorridendo.
Poi suo padre riprese il metro,
fece altre misure, parlottò tra sé e gli disse che
avrebbero riprovato il giorno dopo con alcune bacchette già
pronte.
Stava per aggiungere qualcos’altro, ma suonò il campanello, ad indicare che un cliente era entrato.
Erano un uomo con sua figlia e
Garrick spiò da dietro uno scaffale la ragazzina trovare senza
difficoltà la sua bacchetta, di olmo e unicorno.
“Sa, quest’anno
anche mio figlio va a Hogwarts! – iniziò suo padre –
Garrick, saluta una compagna di classe!” lo apostrofò
facendolo uscire dal suo nascondiglio.
Aveva preso l’odiosa
abitudine di presentarlo a tutti i nuovi maghi, convinto che dovesse
subito impegnarsi nel fare amicizie.
Salutò con un cenno e anche il padre della ragazzina incitò la figlia a fare lo stesso.
“Ethelred, hai visto, oggi hai già conosciuto anche un compagno di scuola!”
La ragazzina fece un cenno svogliato, così simile al suo.
Gli stava già antipatica, a pelle.
Quella sera faticò a
prendere sonno e si svegliò nel cuore della notte. Mosso da una
sensazione che non riusciva a spiegarsi, si alzò e
sgattaiolò al piano di sotto, facendo attenzione a non fare
rumore, diretto al retro del negozio.
Aprì piano la porta in legno pesante e restò pietrificato dalla sorpresa.
Suo nonno era al lavoro ad un piccolo tavolo, da cui qualcosa sprizzava scintille.
“Vedo che non sono il solo ad essere sveglio e in cerca di qualcosa” commentò il vecchio.
Garrick Olivander si avvicinò, titubante.
“Sì, nonno, ero irrequieto a letto. Pensavo alla mia bacchetta” disse d’un fiato.
“Lo immaginavo –
rispose Gerbold Olivander ridacchiando – Anche tuo padre è
sveglio nel letto, ma è troppo orgoglioso per scendere
giù.”
“Ho paura che papà non sia in grado di fare la bacchetta per me” cominciò il giovane Olivander.
“E perché pensi questo?”
“Non lo so, ma sento che
è così, che non va bene che sia lui a farmi la bacchetta.
Papà può creare la bacchetta per tutti i miei futuri
compagni di scuola, compresa quella musona che è entrata oggi,
ma non per me.”
“Anche a me non fece una
grande impressione tua nonna, il primo giorno di scuola”
osservò distrattamente Gerbold Olivander.
Il nipote si fermò un
attimo a chiedersi cosa c’entrasse quell’osservazione, ma
il legno grezzo sparso sul tavolo attirò la sua attenzione.
“Chissà se sarò mai in grado io, nonno” considerò, con voce atona.
“Oh sì che sarai
in grado, più di me e di tuo padre messi insieme. Non ne ho il
minimo dubbio” rispose l’anziano.
Il ragazzo sospirò, pensieroso.
“La sensibilità e
l’inquietudine sono un requisito fondamentale per questo
mestiere, e anche tuo padre non ne è ancora del tutto
consapevole. È perfettamente normale che il pensiero della tua
bacchetta ti crei un dibattimento interiore, perché tu stai per
diventare al contempo colui che crea e colui che distrugge: colui che
crea, perché imparerai e dominerai quest’arte che offre a
ogni mago il prolungamento della mano e della mente, l’oggetto
più intimo e importante per ciascuno di noi, e colui che
distrugge, perché la magia si consuma insieme alla vita che la
percorre e ogni bacchetta si spegne col suo mago, dopo una vita in cui
si è arricchita e approfondita, e solo gli sciocchi credono di
poter far ereditare ai propri figli la propria bacchetta, e se stessi
attraverso di essa. Tu, come tuo padre e come me prima di lui, sei il
demiurgo, come direbbe la nonna, sei il punto dove il cerchio si chiude
e dove il cerchio si riapre.”
“E la mia bacchetta quindi?”
“La tua bacchetta
è qui da qualche parte, fabbricata di sicuro molto tempo fa,
quando tu non eri nei pensieri nemmeno di tua madre,
probabilmente.”
“E la troveremo presto?”
“Stanotte stessa, se vuoi” rispose l’anziano artigiano, allusivo.
Gli occhi chiari di Garrick Olivander si spalancarono di entusiasmo.
“Papà ci rimarrà male…” iniziò, poco convinto.
“No, non credo, tuo padre sa come vanno certe cose, solo che a volte se ne dimentica.”
“Sì” disse soltanto il ragazzo.
“Bene, chiudi gli occhi
– disse il nonno svolgendo il metro – Per te sarà
più facile se non vedi.”
Garrick Olivander tenne gli
occhi chiusi per tutto il tempo che sentì il metro volteggiargli
intorno e anche oltre, quando il nonno tornò con alcune scatole.
“Faggio e fenice, dodici pollici” disse il nonno indicandogli la prima scatola.
“Cosa dovrei sentire?” chiese prima di prenderla, ad occhi aperti.
“Ognuno sente cose diverse. Dimmelo tu. Non è nemmeno detto che sia questa” rispose Gerbold Olivander.
Il giovane Olivander la prese in mano e, con sua sorpresa, non sentì niente.
“Non sento niente, come
oggi pomeriggio. Non è che, appunto, non funziona se io, siccome
so che tu, e papà, cioè, non possiamo…” ma
il nonno lo interruppe con lo sguardo.
Provò un’altra bacchetta, senza successo.
“Ancora, chiudi gli occhi e, per una volta, non pensare, ma abbi fiducia” disse Gerbold Olivander.
“Ma io ho fiducia in te!” ribatté il nipote.
“Fiducia in te stesso. Chiudi gli occhi.”
Garrick Olivander chiuse gli
occhi e provò via via qualche altra bacchetta che il nonno gli
porgeva, chiedendogli cosa sentiva.
Aveva perso il conto di quante ne aveva provate.
“Cosa senti?” chiese ancora una volta il vecchio artigiano.
“Sento il calore del
caminetto. Sento il profumo del legno. Sento l’estate, e il volo
ad ali spiegate del drago libero sui prati verdi e le brughiere. Sento
il sorriso di mamma e l’ironia della nonna. Sento il campanello
del negozio e i sussurri della notte.”
“Undici pollici e tre quarti, legno di carpino, corda di cuore di drago. Visto che l’abbiamo trovata?”
Garrick Olivander aprì gli occhi.
“È perfetta, nonno.”
***
NdA: FINE! Wands si chiude qui, con una bacchetta che doveva per forza essere l’ultima, quella di Olivander stesso.
Postilla: io sono una capra in
filosofia, ho vaghi ricordi del liceo che tengo ben stretti, ma non
sono un’addetta ai lavori e i riferimenti filosofici in questa
storia non sono da prendere troppo sul serio, ma come suggestioni di
una profondità che ci sfugge e che secondo me ben si addice al
personaggio e al suo compito.
Ecco, anche se è tutto
finito non è una scusa per non recensire, quindi commentate e
fatemi sapere cosa ne pensate!
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