Wands - È la bacchetta che sceglie il mago

di _Qwerty_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Ninfadora Tonks ***
Capitolo 3: *** Twin wands - Fred e George Weasley ***
Capitolo 4: *** Una bacchetta qualunque - Tom Riddle ***
Capitolo 5: *** Tre bacchette per tre sorelle - Black sisters ***
Capitolo 6: *** Severus Piton ***
Capitolo 7: *** Sybilla Cooman ***
Capitolo 8: *** Luna Lovegood ***
Capitolo 9: *** Neville Paciock ***
Capitolo 10: *** Le dimensioni contano - Hagrid e Dolores Umbridge ***
Capitolo 11: *** Minerva McGranitt ***
Capitolo 12: *** Una bacchetta speciale - Albus Silente (e non solo) ***
Capitolo 13: *** Il demiurgo - Garrick Olivander ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Wands intro

Intro



Qualcuno potrebbe pensare che un negozio di bacchette magiche, sia pure il negozio del celebre Olivander, sia tutto sommato un negozio come tutti gli altri, dove i clienti entrano, chiedono, trovano l'oggetto di loro necessità, pagano ed escono. Un negozio dove c'è la stessa confusione che regna negli altri negozi, più rumorosi quando c'è più di un cliente da servire, silenzioso quando ormai è l'ora di chiusura. Ma il negozio di bacchette di Olivander non è un negozio come tutti gli altri. Lungo tutto l'anno scolastico, che va da settembre a giugno, il negozio vive immerso nell'ombra e nella quiete, rotte soltanto da clienti occasionali: bacchette da sostituire per maghi adulti facili al duello, evenienza sempre più rara nei democratici tempi moderni, manutenzione speciale per maghi pasticcioni che hanno lasciato incautamente la bacchetta alla portata dei bambini piccoli e solo raramente un primo acquisto per un mago undicenne che non vuole aspettare, perché appena compiuti gli anni ha ricevuto la lettera da Hogwarts e ha genitori fin troppo proni ad esaudire i suoi desideri. Fatte dunque queste eccezioni peraltro diluite lungo i mesi, per il resto gli unici rumori del negozio sono i passi felpati del maestro Olivander, il suo delicato aprire e chiudere i cassetti accompagnato da un borbottio sommesso che solo lui stesso comprende, il fruscio di un panno incantato che lucida il legno delle bacchette e degli scaffali alti fin su al soffitto, qualche volta uno schiocco improvviso di qualche bacchetta irrequieta; e sopra ogni cosa, nella notte quando tutto è silente davvero, il rumore del legno che è vivo e si muove, come mille creature e mille respiri che si sentono uno. Ma la quiete antica che permette il lavoro di Olivander si rompe nei mesi di luglio ed agosto: sono i mesi in cui i giovani maghi che devono acquistare la loro prima bacchetta per Hogwarts entrano da Olivander accompagnati da genitori e  fratelli, alcuni dei quali ricordano con affetto e nostalgia quel giorno in cui loro stessi comprarono la loro prima e perlopiù ancora attuale bacchetta; altri, irrimediabilmente Babbani, hanno seguito per filo e per segno le istruzioni del mago che ha rivelato loro la natura del figlio e ora si muovono incerti, timorosi in buona parte ma anche sinceramente curiosi e ammirati, in quello che d'ora in poi sarà parte anche del loro mondo. Si capisce come un simile affollamento di maghi che entrano a gruppi uno dopo l'altro negli angusti spazi della bottega non possano che rompere la quiete: i maghi undicenni non vedono l'ora di trovare la propria bacchetta ed è assai difficile tenerne a freno l'entusiasmo! Olivander deve parlare a voce alta per farsi sentire, fa domande ai nuovi venuti, ricorda il giorno in cui ha venduto la bacchetta ai genitori, e mentre la conversazione si svolge come un gomitolo di lana colorata, il metro speciale del signor Olivander prende misure che sfuggono all'occhio dell'acquirente; mentre l'anziano mago da un lato annuisce ai clienti, dall'altro pensa già a quale bacchetta far provare al nuovo mago e si appresta ad aprire cassetti e scatole di cui conosce con sicurezza il contenuto. Scatole di bacchette vengono appoggiate aperte sul bancone, i maghetti provano le bacchette, alcune non fanno niente, altre fischiano, si odono scoppi e sbuffi luminosi inondano le ombre lunghe fra gli alti scaffali, mentre nuvole di polvere si alzano e ricadono, inevitabilmente. E in tutta questa confusione sonora e colorata ogni giovane mago trova la sua bacchetta, o meglio, come direbbe Olivander stesso, ciascuna bacchetta sceglie il mago cui apparterrà, finché l'ultima settimana d'agosto gli impetuosi clienti si diradano, ormai sono tutti pronti per Hogwarts, e nella piccola bottega di Olivander torna la quiete, le ombre si allungano di nuovo, la polvere si posa e regna di nuovo il silenzio, come in un antico tempio in cui l'unico rumore possibile è lo scricchiolio sommesso del legno, degli alti scaffali e delle bacchette stesse, che sembrano bisbigliare fra loro e raccontarsi le storie delle compagne che sono appena partite per l'avventura nel mondo con il loro nuovo compagno magico.

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Capitolo 2
*** Ninfadora Tonks ***


I.Tonks

I.




“Entriamo,entriamo!”

La pesante porta di ingresso di Olivander  viene spinta e un campanello tintinna sommessamente mentre entrano una giovane strega e la madre.
“Benvenute, come posso servirvi?”
“Siamo qui per la bacchetta di mia figlia” risponde con gentilezza la strega adulta.
“Oh, sì, naturalmente. Ad ogni mago e strega la sua bacchetta. Ricordo ognuna delle bacchette che vendo e ancora di più ricordo chi le compra. Dieci pollici e tre quarti, ebano, lievemente irregolare, corda di cuore di drago. Mediamente flessibile, e molto salda. Ricordo bene, signora…?”
“Ma dovrò provarle tutte?” domanda all’improvviso la ragazzina, a metà fra preoccupazione di dover aprire tutti i cassetti degli scaffali e l’eccitazione di sperimentare finalmente una bacchetta vera, che non sia quella di papà, con la quale sembra combinare solo guai.
“No, mia cara signorina – risponde gentile Olivander spalancando ancora di più i grandi occhi pallidi – Basta solo allungare il braccio e il mio fidato metro ci aiuterà a scegliere… Ci vorrà poco, o forse un poco di più, chissà!” e il metro da sarto si svolge da solo e inizia a misurare la lunghezza del braccio della ragazzina, mentre Olivander si avvia fra gli scaffali.
“Ha degli occhi stranissimi, vero mamma?” commenta rivolta a sua madre, spalancando gli occhi, che sembrano allargarsi e diventare grandi e pallidi come quelli del negoziante.
“Non dire sciocchezze, piuttosto sta’ attenta con le mani, il metro si sta come annodando…”
La ragazzina guarda di fronte a sé e scopre che, non si sa come, il metro ha fatto un nodo cercando di misurarle la distanza fra gli occhi e adesso si è allontanato da lei, cercando si sciogliersi da solo e finendo per assumere nell’aria la figura di un punto interrogativo.
“Signor Olivander, il metro sembra confuso…” inizia la madre.
“Confuso? – risponde Olivander da dietro uno scaffale – Non preoccupatevi, riesce sempre a prendere le giuste misure. Anzi, ho già qui un paio di bacchette adatte da provare”.
“Arrivo!” grida la ragazzina, scattando in avanti verso il fondo del negozio da cui proviene la voce di Olivander.
“Non c’è bisogno, sto…”
Ma la ragazzina è più veloce di lui e spicca la corsa verso gli scaffali. Corsa che si interrompe pressoché immediatamente, perché la ragazzina inciampa da sola e rovina a terra, come risucchiata in una voragine, con tanto di tonfo sonoro persino sulla moquette del negozio.
“Ti avevo detto di stare attenta!”
“Provi questa – dice Olivander, per nulla turbato dall’irruenza della giovane strega, porgendole una bacchetta – Undici pollici, legno di castagno e piuma di fenice. Nobile e capace”
La ragazzina impugna la bacchetta speranzosa e la agita, ma ne esce soltanto un filo di fumo bianco ben poco incoraggiante.
“No? Allora questa: dieci pollici e mezzo, nocciolo e tendine di drago. Mediamente flessibile, malleabile all’allenamento”
Stavolta è quella giusta, sembrano dire gli occhioni di Olivander all’indirizzo della giovane acquirente. Ma si sbaglia: la ragazzina agita la bacchetta e, sì, una magia avviene, peccato che sia il più poderoso schianto con annesso spostamento d’aria che si sia mai prodotto nel piccolo negozio polveroso che Olivander ricordi. Gli scaffali non si muovono di un millimetro, ma si alza una grossa nuvola di polvere e svariati cassetti si aprono, rovesciando scatole e le bacchette che contengono.
“Per le mutande di Merlino! No davvero!” esclama Olivander, anche lui a voce un po’ più alta del solito. Allora estrae la sua bacchetta e facendo vento con le mani per scacciare la polvere inizia a bisbigliare parole sconnesse muovendo la bacchetta con piccoli scatti. Una alla volta, non senza urti e spintoni fra loro, le scatole con le bacchette iniziano a tornare al loro posto sugli scaffali.
“Le do una mano” dice la strega adulta estraendo anche lei la bacchetta.
“Non c’è bisogno, si figuri!” risponde Olivander lievemente imbarazzato , ma la donna ha già iniziato la muovere la bacchetta anche lei a piccoli scatti, senza però bisbigliare incantesimi. Le scatole con le bacchette si sistemano prontamente e in ordine al loro posto sugli scaffali, tranne una mezza dozzina che sembrano solo voler fare capriole in aria.
“Sì, alcune sono ostinate. Sono di ontano, d’altronde” interviene Olivander, che alla fine con un colpo secco di bacchetta le spedisce nel giusto cassetto.
Adesso che tutto è di nuovo in ordine, ancorché precario, Olivander sembra tentennare.
“Mi scusi, non volevo assolutamente…” tenta allora la ragazzina, ma con un’inaspettata agilità il vecchio mago sparisce di nuovo fra gli scaffali alzando una scia di polvere.
“Mamma, ma se ho confuso il metro, con gli occhi, prima, e ora lui non sa…”
La madre  guarda la figlia con severità.
“Lo sai che devi stare attenta. Nessuna magia è un gioco, nemmeno la tua, e tutto ha delle conseguenze” – ma il volto della donna si rischiara subito in un bel sorriso – “Ma il signor Olivander saprà trovare la bacchetta anche ad una pasticciona come te!”
“Eccomi, non avevo pensato che anche queste combinazioni…” comincia Olivander spuntando da dietro un scaffale.
La ragazzina sta per lanciarsi di nuovo verso il vecchio mago, ma stavolta la madre la trattiene posandole una mano sulla spalla.
“Ecco, proviamo. Ancora dieci pollici e mezzo, ancora tendine di drago, ma legno di cipresso. Inquieta, ma pronta e flessibile.”
Stavolta la ragazzina è molto meno convinta e i suoi occhi non più spalancati adesso tradiscono il timore di fare un pasticcio come poco prima.
“Devo agitarla, sì?” chiede facendosi piccola piccola.
Olivander annuisce e arretra di un passo.
Stavolta però non si sentono schianti, non ci sono spostamenti d’aria o altri fracassi: in mano alla giovane strega la bacchetta produce una delicata pioggia di scintille di tutti i colori, in un arcobaleno cangiante che si rinnova ad ogni movimento del braccio.
La ragazzina non nasconde la sua gioia e si lascia scappare un grido entusiastico, accompagnandolo a un altro colpo di bacchetta che però produce scintille solo di colore rosso, mentre un vago odore di toast bruciato si diffonde nel negozio.
“Ecco, sì, benissimo, però attenzione, figliola” tossicchia Olivander.
“Ninfadora, attenta, non è questo il posto per fare esercizio, adesso riponi la bacchetta nella scatola che ti sta porgendo il signor Olivander e ringrazia”
“Oh, sì, grazie mille, signor Olivander” risponde la ragazzina, che non fa nemmeno caso al fatto che la madre l’abbia chiamata con il suo nome di battesimo per intero, cosa che detesta e per la quale non manca mai di protestare sonoramente.
La signora Tonks si avvicina al bancone per pagare.
“Legno di cipresso…” mormora fra sé mentre estrae con eleganza i sette galeoni della bacchetta.
“Sì. La cosa la turba, signora? Oh io lo so perché, e quello che si dice di chi possiede una bacchetta di cipresso. Ma fortunatamente i tempi sono cambiati, le nuvole scure sono scomparse, e nessuno deve pensare che un mago morirà giovane solo perché vecchie leggende di fabbricanti di bacchette dicono che molti maghi con una bacchetta di cipresso l’hanno fatto”.
“E lei non crede nelle leggende dei fabbricanti di bacchette?” chiede seria la donna.
“Io sono vecchio e sono tante le cose in cui credo e altrettante quelle in cui non credo più, ma più di tutte credo che anche se è la bacchetta a scegliere il mago, è il mago a scegliere cosa farci, perché il destino di nessuno di noi è inciso nel legno della nostra bacchetta”.

***

Ecco, così è come mi sono immaginata il momento in cui Tonks acquista la sua bacchetta! Ho scelto il cipresso prendendo spunto da quello che si trova su Pottermore, dove si dice che appunto la tradizione vuole che il mago con tale bacchetta muoia giovane, o che sarebbe pronto a farlo se necessario...ed è quello che succede a Tonks, purtroppo, mannaggia alla Rowling! Spero di essere stata il più IC possibile, anche il prezzo della bacchetta è quello che paga Harry in HP1.



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Capitolo 3
*** Twin wands - Fred e George Weasley ***


II. Twin wands

II. 



“…e per l’ennesima volta, ragazzi, niente scherzi!”
Fred e George annuirono con vigore, scambiandosi un cenno d’intesa non appena il signor Weasley ebbe voltato le spalle.
Finalmente era arrivato il giorno di comprare la bacchetta: ne avevano parlato per giorni fra loro e con i fratelli più grandi e ormai non stavano più nella pelle. Se, come aveva spiegato con dovizia di dettagli Percy, ogni bacchetta era unica e aveva caratteristiche tali da adattarsi solo al mago a cui era destinata, in una particolare combinazione di legno, anima e lunghezza che non ammetteva “doppioni” né tantomeno copie in serie, per la prima volta da quando erano nati Fred e George avrebbero avuto qualcosa di diverso fra loro. Percy però aveva accennato anche al fatto che c’erano esempi storici di maghi gemelli che avevano bacchette identiche fatte su misura, ma che in tutti i casi i maghi in questione avevano fatto una brutta fine o addirittura erano entrati troppo in contatto con la magia oscura. Non a caso, l’incantesimo Gemini modificato affinché si autorealizzasse al contatto con uno specchio adeguatamente incantato aveva fatto sì che i due maghi gemelli viennesi Max e Franz Gundel si fossero ritrovati circondati da ulteriori copie di loro stessi inaspettatamente aggressive, e nel tentativo di fermarle si fossero uccisi a vicenda. O almeno, così aveva raccontato Percy, anche se ai gemelli Weasley sembrava solo l’ennesima storiella per rimproverarli per le loro marachelle magiche, ancora potenziali, peraltro, in assenza di una bacchetta. Tuttavia, Bill aveva confermato di aver letto anche lui quella storia in un libro a Hogwarts, ma anche che dovevano stare tranquilli al momento della scelta della bacchetta, cercando soltanto di essere se stessi. Così, spenti i timori e i dubbi sulla possibilità di avere bacchette identiche, avevano passato tutto il tempo a fantasticare su come avrebbero impiegato per la prima volta la bacchetta e quale scherzo avrebbero messo su in casa. Ai danni di Percy, ovviamente.
“Buongiorno, signor Olivander. Sono qui con i miei figli per le loro bacchette” disse il signor Weasley sorridendo appena al vecchio artigiano.
“Oh, signor Weasley, come potrei dimenticare! Grandi bacchette per una grande e numerosa famiglia!” cantilenò Olivander  con un tono ironico che al signor Weasley non piaceva, ma a cui per tante ragioni era abituato, dato che anche al lavoro al Ministero non mancavano commenti sulla numerosità della sua famiglia.
“Dunque due nuovi Weasley – proseguì Olivander spostando l’attenzione su Fred e George – E due gemelli per giunta! Ah quante storie potrei raccontare sui maghi gemelli e le loro bacchette, sui pericoli e le insidie, ma anche le delizie e il fascino, della dualità identica…”
“Ce la hanno già raccontate i nostri fratelli” disse Fred con una smorfia, replicata all’istante dal fratello.
“I vostri fratelli? Quale di essi? Beh, dunque, mi rammento, castagno e tendine di drago, dieci pollici…no, era l’altro…quercia e piuma di fenice, undici pollici e mezzo… O li sto invertendo? Poi c’era il terzo, sì sì, carpino e tendine di drago, undici pollici, quello era molto deciso! E poi…”
“Ehm, signor Olivander, possiamo passare alle nostre di bacchette? Sappiamo a memoria cosa hanno i nostri fratelli, e la fenice è di Bill” disse Geoge non nascondendo impazienza.
“Ragazzi, un po’ di educazione!” esclamò il signor Weasley.
“Oh ma si figuri, hanno ragione – rispose Olivander tirando fuori il metro da sarto – Ora ragazzi uno alla volta, un passo avanti verso il metro”.
I gemelli si scambiarono un’occhiata. Era il momento.
“Prima Fred. E niente scherzi” ribadì il signor Weasley.
Fred avanzò di un passo e lasciò che il metro iniziasse a volteggiargli intorno, e dopo un paio di misure il signor Olivander era già andato in cerca di qualche bacchetta da provare.
“Ma riprenderà le misure anche a te?” domandò Fred mentre il metro gli misurava la circonferenza cranica.
“Boh, alla fine siamo uguali fisicamente – rispose George – Ehi metro, guarda che siamo uguali, prova!”
George si mise accanto al fratello e stesse le braccia avanti per invitare il metro ad andare da lui.
“Ragazzi, avevamo detto niente scherzi! La bacchetta è una cosa seria, non dovete fare confusione!”
“Sì papà, ma le misure sono uguali, non ha senso che…” cominciò George mentre il metro gli stava prendendo le tre dimensioni dell’orecchio.
In quello stesso istante sbucò Olivander da dietro uno scaffale.
“Ah, ci siamo messi avanti, vedo” esclamò, appoggiando qualche scatola sul bancone. Fred e George non riuscirono a capire se si riferiva a loro o al metro stesso, ma il vecchio mago afferrò il metro con la mano ossuta e parve leggere sopra di esso.
“Uhm, vabbè, vediamo ancora” e sparì ancora fra gli scaffali, per spuntare subito dopo con altre due scatole.
A quel punto erano ammucchiate sul bancone una dozzina di scatole e il metro si stava muovendo fra le gambe dei gemelli, che a un certo punto avevano iniziato ad alzare all’unisono prima un piede  poi l’altro, per fare un dispetto al metro, che per tutta risposta assestò ad entrambi un paio di leggere frustate con una delle estremità.
“Bene, ci siamo, alle prove. Chi di voi è il signor Fred? Provi questa, corniolo e crine di unicorno, nove pollici e tre quarti, asimmetrica ma brillante”.
I gemelli si guardarono, si scambiarono un cenno fugace e George provò a fare un passo avanti. Stava per impugnare la bacchetta, quando Olivander si avvicinò anch’egli col viso e disse:
“Lei è sicuro di essere Fred?” con sguardo inquisitore.
Un brivido passò sulla schiena dei gemelli, ma fu breve come un temporale estivo e con una risata George rispose:
“Hai visto, è più sveglio lui di tutti! Nemmeno la mamma riesce a distinguerci!”
“Ragazzi, maledizione, un po’ di serietà! Ci scusi, signor Olivander!” intervenne prontamente il signor Weasley.
Fred si portò accanto al fratello e prese la bacchetta.
Nel momento stesso in cui la prese in mano, sentì che era quella giusta.
“Ma è davvero…” cominciò, senza riuscire a trovare l’aggettivo giusto per descrivere la sensazione. Al posto suo parlò la bacchetta, per così dire, emettendo un fascio dorato e scoppiettante come un fuoco pirotecnico.
“Dai, fai provare!” fece George.
Senza pensarci nemmeno, Fred passò la bacchetta al fratello.
“No, ragazzi, così non va bene!” esclamò Olivander sgranando gli occhi.
“Ma anche a me riesce con questa, guardate!” e nel dirlo George agitò la bacchetta di Fred facendone uscire altrettante scintille dorate.
“Ma neanche per sogno!” ribatté Olivander, strappando la bacchetta di mano al ragazzo e appoggiandola sul bancone.
“Piuttosto questa, drago e pino, dieci pollici, tutt’altro che…” ma non finì la frase, perché George gli aveva appena strappato di mano la bacchetta e iniziato ad agitarla, senza produrne niente.
“Visto?” esclamò trionfante.
“Non ne ha una uguale alla mia per lui?” chiese Fred.
Il signor Olivander era allibito. Ce n’erano stati di clienti fuori dell’ordinario nel suo negozio, poteva ben dirlo, ma come quei due gemelli non ne capitavano da secoli!
“Ragazzi, basta adesso. Ci scusi ancora, signor Olivander” intervenne il signor Weasley.
Olivander scosse il capo e porse un’altra bacchetta a George.
“Ancora pino, dieci pollici, piuma di fenice. Prego”.
George la prese e la agitò, producendo uno schiocco di tutto rispetto, come uno sparo a salve. I due gemelli risero di gusto, ma Olivander tolse subito di mano la bacchetta a George mugugnando.
“Non pino, dunque, eppure…mmh, metà, ma con…mmh” sollevò una bacchetta, la osservò e la ripose nella scatola.
Il metro sul bancone si era riarrotolato un po’ e teneva le due estremità incrociate come se fossero due manine che riparavano la testa.
“Possibile?”si chiese fra sé Olivander, soppesando una bacchetta.
Poi si voltò e la porse a George, che la prese senza troppe cerimonie, pronto per l’ennesima battuta. Ma per una volta rimase senza parole quando avvertì che la bacchetta, inaspettatamente, era quella giusta.
“Eccola!” esclamò alla fine, lanciando scintille rosse e arancioni che ricaddero delicate come fontane luminose.
“Sbalorditivo” disse Olivander, con gli occhi più grandi e pallidi che mai.
Passò qualche secondo prima che si accorgesse dello sguardo interrogativo dei due ragazzi e riprendesse a parlare.
“Se è vero che i gemelli fanno spesso accadere cose inusuali, beh, non tutto è inusuale alla stessa maniera… Le vostre bacchette hanno la stessa lunghezza, sono fatte con legno di corniolo fornito dalla stessa pianta nello stesso giorno, e possiedono un’anima in crine di unicorno fornita dalla stessa creatura, ma in due tempi diversi: l’una quando era un giovane puledro prossimo alla maturità – e accennò a quella sul bancone – l’altra quando era ormai un esemplare adulto con un ruolo ben definito nel branco, secondo solo al capo più anziano”.
“Quindi sono uguali ma non del tutto?” chiese George interessato.
“Beh, in certo senso…”
“Sì dai ha senso – disse Fred – Fammi provare la tua per sentire” e prese la bacchetta di George.
“Ma non fa niente!” disse notando che la bacchetta di George in mano a lui era muta.
“La tua però funzionava” intervenne allora George, che con uno scatto troppo rapido per l’anziano mago afferrò la bacchetta di Fred poggiata sul bancone.
“No, per l’amor del cielo, non iniziate a scambiarvi!”
“Quale ha detto che era quella con l’unicorno giovane?” disse Fred.
“Adesso basta, ragazzi. Avete creato fin troppo caos al signor Olivander. Prendete ognuno la vostra bacchetta, senza scambi” disse il signor Weasley, stavolta con più decisione.
Lo sguardo severo del padre riportò i gemelli all’ordine, almeno sul momento.
Il signor Weasley pagò il negoziante e i tre uscirono, il signor Weasley col pensiero agli altri acquisti da fare e i gemelli che bisbigliavano fra loro su cosa combinare una volta a casa.
“Dobbiamo esercitarci subito – disse George – magari proviamo a incantare i calzini di Percy perché gli facciano il solletico!”
“Sì, grande! Oppure gli incolliamo insieme le pagine del suo nuovo libro di rune! Però uffa che io non posso usare la tua bacchetta ma tu la mia sì”.
“Comunque a casa riproviamo lo stesso!”
E giù smorfie malandrine.
Vedendoli uscire, il signor Olivander non aveva nascosto un sospiro di sollievo.
“Di gemelli identici non ce ne sono molti e ancora meno con un legame come quello. Erano secoli forse che non si vendevano due bacchette così simili… Sei stanco, eh? Hai fatto gli straordinari oggi! – disse rivolto al suo metro magico che ora si era avvolto più strettamente e faceva ondeggiare una delle due estremità, come a imitare un gatto che si sistema nella cesta per dormire – Una cosa è certa: di quelli là sentiremo parlare presto!”

***

Note dell’autore: ecco, così è come mi sono immaginata la prima bacchetta dei gemelli. So che l’idea non è il massimo della creatività, due bacchette identiche in tutto tranne un dettaglio, ma volevo rendere proprio l’idea di come i due gemelli siano legati nella maniera più forte possibile, più di quanto sia mai successo ad altri maghi gemelli della saga (tipo le sorelle Patil), e come già nelle bacchette ci sia la traccia del fatto che Fred se ne vada quando è ancora giovanissimo, mentre George raggiungerà l’età adulta e la maturità.
Come legno ho scelto il corniolo perché quando ho letto su Pottermore che “Dogwood wands are quirky and mischievous; they have playful natures and insist upon partners who can provide them with scope for excitement and fun.” ho pensato subito: sono le bacchette dei gemelli!
Infine, angolo pubblicità: l’idea dello specchio incantato che produce gemelli di chi lo tocca viene da una bellissima storia scovata qui su Efp: “Golem” di Ranessa, la trovate fra le mie preferite (scusate non so mettere l’html dei link): andate a leggerla che è un gioiello!

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Capitolo 4
*** Una bacchetta qualunque - Tom Riddle ***


Una bacchetta qualunque - Tom Riddle

IV

Il signor Olivander era considerato, a torto o a ragione, il miglior fabbricante di bacchette d’Europa e forse del mondo, ma non era stato sempre così. Semmai, aveva portato sulle spalle fin da ragazzo il peso del suo nome, dal momento che la produzione di bacchette era il vanto della famiglia Olivander dal 382 avanti Cristo, o almeno così diceva l’insegna sulla porta della bottega. Che poi si potessero avere notizie fondate sulla famiglia solo dall’alto Medioevo era solo un dettaglio per storici tediosi, visto che le bacchette uscite dalle mani sapienti degli Olivander erano davvero le migliori del proprio tempo e avevano attraversato epoche ed eventi insieme ai loro possessori. Garrick Olivander aveva appreso il mestiere da suo padre, che a sua volta lo aveva appreso dal proprio e così via indietro, aggiungendo ogni giorno un granello di sapienza e maestria in più. A dire tutta la verità, era stato suo nonno a insegnargli pressoché tutto quello che sapeva, era da suo nonno che molto probabilmente aveva ereditato il suo particolare talento nel riconoscere gli elementi magici per creare le bacchette, mentre suo padre era stato più che altro un ottimo commerciante e un valido curatore della fama del negozio. Ma come si suol dire, certe cose saltano una generazione.
Nel 1938 il signor Olivander era ancora abbastanza giovane da sentirsi in dovere di dimostrarsi all’altezza dei suoi predecessori e della sua fama ma già abbastanza esperto da aver fabbricato molte bacchette rivelatesi splendidi oggetti di successo per la soddisfazione dei loro proprietari, quando un mattino entrò nel negozio l’ennesimo ragazzino per il suo primo acquisto.
“Buongiorno, figliolo, come posso aiutarti?”
“Sono qui per comprare la mia bacchetta magica” rispose il ragazzino con decisione.
“Sei sicuro? Non ci sono i tuoi genitori?” chiese il signor Olivander notando che subito dopo il ragazzo non era entrato nessuno e che si guardava intorno con aria lievemente spaesata.
“No, signore, sono da solo. Devo comprare la bacchetta per la scuola” ripeté deciso.
Olivander lo osservò meglio.
Portava abiti di foggia Babbana che, per quanto non se ne intendesse di certo, sembravano assai miseri e portava a tracolla una cartella di pelle con gli angoli tutti consumati che sembrava stipata all’inverosimile di libri, pergamene e sacchettini. Era sicuramente uno dei tanti giovani maghi Nati Babbani di cui la famiglia, irrimediabilmente e ottusamente Babbana, non vuole nemmeno accettare la natura magica, preferendo lasciarlo solo nel suo nuovo mondo.
“Guardi, ho qui la lettera. Sono stato contattato e indirizzato dal professor Silente in persona” disse il ragazzo iniziando a frugare nella tracolla, evidentemente convinto che Olivander non gli credesse.
“Ma certo caro! Vieni avanti e poggia la cartella qui – disse Olivander indicando il bancone e iniziando a prendere le misure col metro da sarto – Io mi darò da fare per trovare la tua bacchetta.”
Fece appena in tempo a notare che quando l’aveva lasciato solo con il metro il ragazzo non aveva fatto nessun cenno di meraviglia: e pensare che i Nati Babbani restavano sempre ammirati dal suo metro incantato!
“Come sono fatte le bacchette?” chiese all’improvviso il ragazzo.
“Oh, con che piacere odo questa domanda! – disse Olivander riemergendo da dietro uno scaffale – Le bacchette sono fatte di legno ricavato da varie specie di alberi, ma non alberi qualsiasi, alberi che producono un buon legno per bacchette, anche se a vederli sembrano uguali a tutti gli altri. Dentro il rivestimento di legno c’è l’anima della bacchetta, che può essere in crine di unicorno, corda di cuore di drago o piuma di fenice. È la combinazione fra legno, anima e misura che rende unica ogni bacchetta.”
“Quindi la farà su misura per me? È per questo che il metro mi sta prendendo le misure?”
“No, ti sta prendendo le misure per far sì che io la trovi fra tutte queste” e con un gesto del braccio indicò gli alti scaffali.
“E non posso sceglierla io? La vorrei di drago!” chiese il ragazzo.
“Oh no figliolo! È la bacchetta che sceglie il mago, e…”
“Ma com’è possibile che lei abbia già la bacchetta per me se non mi ha mai visto né sa come mi chiamo né niente?”
“Questa, mio caro, è una domanda troppo difficile perché io possa risponderti qui e ora. Piuttosto, prova questa. Undici pollici e tre quarti, corda di drago – e sorrise incoraggiante – legno di abete”
Il ragazzo la agitò, con scarsa convinzione.
Non avvenne alcun fenomeno magico e il ragazzo la restituì a Olivander con espressione di chi tutto sommato se lo aspettava.
Olivander ripose la bacchetta e ne estrasse un’altra.
“Mr Smithson dice che l’abete è legnaccia per bruciare” commentò il ragazzo.
Olivander si risentì un attimo, ma subito di prima di rispondere alcunché pensò che non c’era merito nel rispondere a stupidi commenti che un qualche stupido Babbano che non sa niente poteva aver detto davanti al ragazzo.
“Dodici pollici, piuma di fenice, quercia” e la porse al ragazzo, che questa volta produsse un debole pop e poi nulla.
“La fenice è solo un uccello, l’ho letto in un racconto. Posso riprovare col drago?” domandò ancora il ragazzo.
“La fenice, mio caro, non è solo un uccello: è una delle creature più difficili da avvicinare di questo mondo e la sua capacità di rinascita dalle proprie ceneri sono un fenomeno che ha dell’ultraterreno e che nessuno ha mai spiegato fino in fondo! – adesso, notò Olivander, il ragazzo lo ascoltava interessato e attento, quasi come rapito – Se è vero che nell’immediato unicorno e drago generano bacchette più performanti, la fenice ha la potenzialità dello straordinario, ed è anche più difficile da imprigionare nel legno, tanto che solo due bacchette su dieci sono di fenice.”
E così dicendo gli porse un’altra bacchetta.
“Dodici pollici e mezzo, legno di tasso, ancora fenice.”
Il ragazzo stava per replicare ancora, ma quando prese la bacchetta le parole gli morirono sulle labbra.
Olivander fece un gran sorriso: qualunque mago prova una sensazione unica e speciale quando incontra la sua bacchetta, una sensazione indescrivibile che lascia senza parole chiunque.
“Visto che l’abbiamo trovata?”
Per la prima volta da quando era entrato, il ragazzo sorrise.
“Ora che hai trovato la tua bacchetta, devi averne cura, fare un po’ di manutenzione ogni tanto e usarla con mente e cuore saldi. Sono sette galeoni” disse Olivander avviandosi verso il bancone.
Il ragazzo sembrava però di nuovo pensieroso.
“Ma il tasso che legno è? È un legno qualunque?”
“Un legno qualunque? Al contrario, ragazzo mio, è uno dei legni più rari per fabbricare bacchette! Una bacchetta di tasso non sceglie mai un mago timoroso e remissivo, tutt’altro. Anche se sentirai dire che è un legno per maghi oscuri, ricorda sempre che è il mago che sceglie come usare la sua bacchetta.”
“Quindi non è una bacchetta qualunque?” insisté il ragazzo.
“Nessuna bacchetta è una bacchetta qualunque, se il mago che la impugna non è un mago qualunque” rispose Olivander volutamente allusivo.
Il ragazzo fece una smorfia.
“E ti piacerà sapere che c’è stata una fenice che ha fornito soltanto due piume da quando la mia famiglia fabbrica bacchette e una delle due si trova proprio nella tua bacchetta.”
“E l’altra?” domandò il ragazzo con gli occhi sgranati dalla curiosità.
Ma in quell’istante la porta del negozio si spalancò ed entrò un mago corpulento e rumoroso seguito da un gruppetto di altri tre o quattro.
“Garrick Olivander!” chiamò il tale.
“Signor Diggory! Quale piacere! Come posso servirla?” esclamò Olivander avvicinandosi subito al mago corpulento che la aveva chiamato, dimenticandosi completamente del ragazzo.
“Ho qui il mio figlio più giovane per la sua bacchetta, e poi vorrei sottoporti una bacchetta da esaminare, se non…”
“Ma certo! Prego, prego!”
Il ragazzo indugiò un attimo, poi estrasse un sacchetto dalla cartella, contò sette galeoni e li lasciò impilati sul bancone, cercando a malapena di fare un cenno al signor Olivander.
“Oh, giusto, caro, a posto così – disse il signor Olivander all’indirizzo del ragazzo che stava uscendo dal negozio, non appena notò il soldi lasciati con cura sul bancone – E in bocca al lupo per Hogwarts! Diventa un grande mago!”
Il ragazzo uscì, sorridendo appena.
Quelli erano maghi qualunque.

***


Qui le cose si fanno un po’ più difficili, affrontando uno dei personaggi principali come Tom Riddle. Ho cercato di essere fedele a come viene descritto soprattutto negli ultimi capitoli della saga, immaginando che anche da giovanissimo avesse già questo desiderio di emergere e di essere speciale e questo fastidio verso ciò che è ordinario.  Dov’è l’altra piuma lo scoprirà a sue spese tanti anni dopo, ma forse meglio così, no?
Olivander invece è ancora giovane, artigiano esperto ma uomo giovane, e stavolta non ci prende più di tanto su quello che pensa essere il futuro del giovane mago che ha davanti.

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Capitolo 5
*** Tre bacchette per tre sorelle - Black sisters ***


Tre bacchette per tre sorelle - Black sisters

V


Il signor Olivander non si considerava affatto un uomo servile. Un osservatore disattento avrebbe giudicato eccessivamente zuccherose le sue premure verso i clienti, ma c’era da dire che fabbricare bacchette era tutto fuorché redditizio: i sette galeoni del prezzo coprivano a malapena quanto lui pagava per la materia prima, che non sempre poteva essere ottenuta gratuitamente o col baratto in natura, e quando era in attivo copriva le spese di manutenzione generale del negozio. Nessuno dei maghi cui forniva il loro prezioso strumento era realmente consapevole del fatto che per quella che era la sua abilità, la sua maestria, il suo talento di artigiano non c’era prezzo possibile. Checché ne dicessero certi altri sedicenti fabbricanti di bacchette sparsi in ogni dove, il suo era un mestiere in perdita, per definizione. Per cui, quando un cliente, magari un mago facoltoso di antico lignaggio, entrava per chiedere servizi aggiuntivi e pagava conformemente, non c’era da fare tanto i superiori ma anzi accogliere con gioia l’occasione.
Era un assolato mattino di luglio quando nel negozio entrò un mago dall’aria austera, seguito da tre ragazze di età variabile fra gli undici e i quindici anni. La somiglianza fra due di loro e il padre non lasciava spazio a dubbi di sorta sul legame di sangue, mentre la terza, la minore, pallida e bionda, sembrava una completa estranea.
“Signor Black, quale piacere!” esclamò Olivander con un tono leggermente più stridulo del dovuto accogliendo i clienti.
“Salve, Olivander – iniziò il signor Black, per nulla addolcito dall’accoglienza – Mia figlia minore deve comprare la sua bacchetta, ma dobbiamo sottoporle anche una questione. Mia figlia maggiore Bellatrix ha riscontrato dei problemi con la sua bacchetta durante l’anno, problemi del tipo che la bacchetta non le risponde come dovrebbe durante l’esecuzione di incantesimi di una certa portata, in situazioni di allenamento al duello per esempio, ed è fuori discussione che possa essere dovuto ad una sua incapacità. La bacchetta deve tornare performante come lo era fino a non molti mesi fa, Olivander” spiegò il signor Black, estremamente assertivo.
“Ci mancherebbe altro! Farò tutto il necessario per risolvere questa incresciosa circostanza! Vuole cominciare proprio da questo? O prima la signorina trova la sua bacchetta?” chiese sorridendo alla ragazzina più piccola.
“Dalla mia, che domande!” disse Bellatrix con tono perentorio.
Olivander aveva già fatto il gesto di chiederle la bacchetta da visionare, quando il signor Black intervenne.
“No, Bellatrix, prima Cissy!” e sorrise inaspettatamente dolce alla figlia minore.
Olivander cambiò subito registro e si rivolse alla Black più piccola.
“Prego, cara, avvicinati! Lascia che il mio metro prenda qualche misura e cominciamo!”
Narcissa fece un passo avanti, con un cenno d’intesa verso la sorella Andromeda, mentre Bellatrix si lasciava andare ad uno sbuffo di impazienza di nascosto al padre.
“Non ci metterà molto, vero?” domandò Narcissa mentre Olivander consultava il metro.
“Con me ci mise pochissimo. Solo un tentativo a vuoto” disse Bellatrix.
Ricordava alla perfezione il giorno in cui aveva comprato la sua bacchetta. Era andata con suo padre, che aveva acconsentito a far venire anche Andromeda, mentre Narcissa era rimasta a casa essendo ancora davvero troppo piccola. Un paio di misure e zac! Olivander era riapparso con un paio di bacchette, anche lui certo di avere in mano quella giusta. La prima che aveva provato era di quercia e drago ed era risultata troppo esplosiva in mano a lei, poi mentre Olivander gliene porgeva una in mogano le era caduto l’occhio su un’altra bacchetta che l’artigiano aveva portato da provare. Era leggermente ricurva e sembrava come soffrire, costretta nella sua scatola dritta.
“Posso provare quella?” aveva chiesto senza esitazione.
“Quella? Ah, certo, ma in seconda battuta, prima direi…”
“È anche storta” aveva sentito dire ad Andromeda due passi dietro a lei.
Ma senza prestare ascolto né alla sorella né a Olivander aveva afferrato la bacchetta ricurva dalla scatola e aveva sentito che era sua.
“Mia!” aveva gridato sventolandola davanti al signor Olivander con una smorfia di esultanza e trionfo.
“Dodici pollici e mezzo, legno di noce, ricurvo, sì, e contorto come l’albero antico e possente da cui proviene, corda di cuore di drago, tuttavia rigida” aveva spiegato Olivander.
Ed era stata una bacchetta perfetta, almeno fino ad allora: nell’ultimo anno a scuola aveva provato incantesimi oltre il suo livello e si esercitava a duello di nascosto con altri compagni Serpeverde, non mancando di attaccare nel finesettimana qualche Mezzosangue di altre Case, eppure a volte la bacchetta falliva, imprevedibilmente. Se negli incantesimi sugli oggetti forse poteva essere vero che aveva bisogno di altro esercizio, non così nei duelli: solo studenti più anziani e avanzati l’avevano battuta negli anni e fallire di fronte a traditori del sangue era inconcepibile!
“Olmo e fenice, dieci pollici, rigida ma non troppo” disse Olivander porgendo una bacchetta a Narcissa e facendo ridestare Bellatrix dai suoi pensieri.
La ragazzina la agitò senza alcun risultato.
“Oh, nessuna preoccupazione mia cara! – disse subito Olivander vedendo l’espressione delusa – quasi nessuno la trova al primo colpo.”
“Ancora, dieci pollici e mezzo, legno di ciliegio e corda di cuore di drago. Non vorrei suonare eccessivo, ma è una bacchetta stupenda!”
Narcissa intercettò di sfuggita lo sguardo voglioso della sorella maggiore: come una volta le aveva detto Andromeda, Bellatrix considerava il legno di noce della sua bacchetta tutto sommato alquanto ordinario e quando lei stessa aveva comprato la sua bacchetta in legno di ebano, decisamente più prestigioso, non aveva nascosto una punta d’invidia. Invidia inutile, peraltro, diceva Andromeda a Narcissa, perché poi nella pratica di tutti i giorni a scuola lei doveva mettere costantemente tutto il suo impegno per far riuscire gli incantesimi come voleva con la sua lussuosa bacchetta scura, mentre Bellatrix apparentemente imparava tutto senza troppa difficoltà e quando era concentrata sembrava davvero che la bacchetta fosse il prolungamento del suo braccio e della sua volontà.
Dalla bacchetta di ciliegio uscì soltanto un mogio filo di fumo e Olivander la riprese in mano velocemente, soppesandola insieme ad un'altra e parlottando da solo.
“Però ci siamo quasi…”
Le sorelle si guardarono l’un l’altra, incerte.
“Allora questa, ancora drago, dieci pollici e mezzo, legno di cedro, piacevolmente flessibile. Come vede è molto luminosa, molto bella e…”
E nel momento in cui Narcissa la prese in mano sentì che era quella giusta.
“Ed è anche quella giusta! Come vi dicevo, c’eravamo vicini!” disse Olivander sorridendo in risposta al sorriso entusiasta della Black più piccola.
“Cedro? Come i canditi!” commentò Bellatrix.
“Bellatrix, sei pregata di tenere per te la tua opinione, quando non richiesta. Avrai modo di confrontarti con le tue sorelle a casa, in modo consono” la riprese il padre.
“Oh, beh, in effetti non è un legno da tutti i giorni, mi lasci dire. È una bacchetta che cerca e trova spesso perspicacia e un forte senso di fedeltà ai legami…accoppiato al drago, poi, direi che dobbiamo aspettarci delle belle sorprese da questa signorina!” disse Olivander divertito.
Narcissa arrossì visibilmente e Andromeda si trattenne a stento dal ridere.
“Sì, ok, però ora sistemiamo la mia bacchetta” fece Bellatrix per nulla sorridente.
“Certamente, vediamo” disse Olivander prendendo subito la bacchetta di noce.
“Mmh..fa regolarmente manutenzione?” chiese il vecchio artigiano.
“Beh, insomma, ogni tanto controllo, la punta e le schegge, quella roba lì…” cominciò Bellatrix improvvisamente presa in contropiede.
Andromeda ridacchiò silenziosamente.
“E i problemi sono sorti come?” chiese Olivander.
“Beh, a un certo punto, dopo un duello – Olivander spalancò gli occhi – ma a scuola, per esercizio – si affrettò ad aggiungere Bellatrix – semplicemente gli incantesimi non venivano più come dovevano. Fatture che avevo già eseguito più volte con successo, intendo. La mia bacchetta non aveva mai fallito, non così” concluse, con una nota di sincera preoccupazione nella voce.
“E in quel duello era stata disarmata dal suo sfidante?”
La Black grande arrossì appena.
“Erano comunque solo per esercizio” ripeté, rigida.
“E lei confida molto nella sua bacchetta, non è vero?”
“Certo! E non voglio cambiarla!”
Olivander sorrise con fare paterno.
“Nella sua domanda c’è già anche la risposta, se uno si ferma a riflettere. Lei confida molto nella sua bacchetta e la sua bacchetta confida molto in lei: l’una dall’altra imparate e alimentate la vostra forza. Tutte le bacchette lo fanno, ma il noce ha una sensibilità molto spiccata per questo, peraltro. E come tutte le bacchette, obbedisce alla legge antica per cui una bacchetta sconfitta in duello, sia pure per esercizio, si sottomette a chi l’ha sconfitta… Oh, non per sempre, sia mai, – aggiunse in fretta Olivander, vedendo la furia montare sul volto della giovane – ma adesso la bacchetta ha bisogno di un po’ di tempo, di nuove conferme sul campo, di fiducia. E lei ha fiducia nella sua bacchetta, no?”
“È solo un modo per dire che è colpa mia?” disse Bellatrix alzando la voce, trattenendosi dal fare altro solo per la presenza del padre.
“Le bacchette hanno un rapporto strano col concetto di colpa e responsabilità, perché essa, di solito, è nelle mani dei mago che la usa” rispose Olivander senza perdere il suo aplomb.
“Beh, ma potrebbe comunque aver subito qualche danno” insisté Bellatrix.
“Certamente. Pochi minuti per verificare” e si sedette su una minuscola sedia bassa, sotto alla quale era nascosto un piccolo cesto da cui Olivander tirò fuori un piccolo oggetto luccicante, vagamente simile a una lima o un temperino.
Armeggiò un poco con la bacchetta, da cui ogni tanto uscivano scintille e fili di fumo, e poi la restituì alla proprietaria dopo averla lucidata con un panno apparentemente logoro.
“Alterazioni da utilizzo frequente, in effetti. Mi raccomando la manutenzione” e sorrise incoraggiante.
Bellatrix riprese la bacchetta per nulla convinta e lanciò un’occhiata torva al vecchio artigiano.
“Beh, allora possiamo andare” mugugnò.
“Mi scusi, signor Olivander – intervenne improvvisamente Andromeda  – Potrebbe controllare anche la mia bacchetta?”
Bellatrix alzò gli occhi al cielo.
“Certo, cara!”
“Se non è disturbo, grazie. Io non ho problemi di duelli, solo, così per sicurezza” e cercò lo sguardo del padre, che sorrise approvando la gentilezza della figlia.
“Fa manutenzione?” chiese Olivander
“Sì, beh, controllo la punta, la superficie e i nodi… Poi le infossature, una mia compagna mi ha spiegato che bisogna…” ma Olivander le fece cenno che non c’era bisogno di spiegare oltre.
“Direi che è tutto a posto, anche le infossature.  Solo una bella lucidata ed è come nuova, perché è tenuta molto bene”
“Bene, grazie mille.”
“Ottimo, quant’è?” chiese infine il signor Black.
“Sette galeoni la bacchetta nuova della signorina – sorrise nuovamente a Narcissa – Facciamo dieci per tutto il servizio” e sfoderò il suo miglior sorriso a trentadue denti.
Il signor Black non nascose una smorfia: trovava il prezzo certamente eccessivo, ma Olivander non fece una piega e mantenne saldo il suo sorrisone.
Quando furono usciti, tirò un sospiro di sollievo e si lasciò andare anche ad un’imprecazione.
Per il negozio e le sue bacchette, questo e altro.


***

Dunque dunque: ho pensato che fosse il caso di riunire le sorelle Black in un unico capitolo, perché altrimenti sarei stata troppo dispersiva (e a corto di idee, ammettiamolo!), presentando comunque le tre bacchette. Mi piaceva l’idea che fossero tutte di drago, a significare comunque la somiglianza nella forza di carattere delle tre sorelle, con legni diversi che ne declinano la meglio le caratteristiche: il noce potente e inquieto di Bellatrix è già in HP; per Andromeda ho scelto l’ebano che come riporta Pottermore “l’ebano è più felice nelle mani di coloro che hanno il coraggio di essere se stessi” ed è proprio quello che farà Andromeda, andando contro la sua famiglia e seguendo il suo cuore e la sua coscienza (sì, avrei pure in un file una long su Andromeda e altri della sua generazione, ma chissà); mentre per Narcissa il cedro, di cui Olivander dice che “non vorrebbe incrociare un mago con bacchetta di cedro i cui cari siano in pericolo” e mi ha fatto pensare che in fondo alla fine della storia in HP6 e 7 Narcissa non vuole altro che proteggere suo figlio.
Stavolta la difficoltà principale è stata caratterizzare le sorelle Black alla loro rispettiva età: Bellatrix probabilmente è già interessata a magie oscure, ma non può dirlo e a quindici anni io la immagino come la classica ragazza bulla che vuole sempre vincere e avere ragione, non mancando di riversare commenti negativi su quanto di positivo si vede negli altri, insomma, quel tipo di persona tossica che tutti abbiamo incontrato (autobiografismo a palate, anche qui) e che anche nella storia vuole passare avanti agli altri, sorelle comprese. Spero che non abbia sacrificato troppo la parte dedicata alle bacchette delle altre e che alla fine l’insieme risulti bilanciato, let me know!

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Capitolo 6
*** Severus Piton ***


VI. Severus Piton

VI


Così, il grande giorno era arrivato: quel pomeriggio sarebbe finalmente andato con sua madre a Diagon Alley a comprare tutto l’occorrente per Hogwarts, prima cosa su tutte la bacchetta. Finalmente avrebbe messo piede in quello che era il mondo magico, il mondo di sua madre e che sarebbe diventato per sempre anche il suo. Quando era arrivata la lettera – perché sua madre lo aveva adeguatamente istruito su tutto ciò che doveva sapere su Hogwarts e sulla magia, senza mai nascondere la sua natura – suo padre aveva dato in escandescenze, più del solito.
“Lo sapevo che era uno di quelli come te!” aveva berciato lanciando un bicchiere contro sua madre.
Quelli come te, con tutto il disprezzo e l’ignoranza che le parole potevano esprimere. Eppure era suo padre. Avrebbe dovuto comunque essere contento per lui. Persino quei completi Babbani dei genitori di Lily avevano compreso la situazione, pur dopo un momento di naturale smarrimento e incredulità, ed erano pronti a sostenere gli studi della figlia a Hogwarts. Avrebbe tanto voluto andare a Diagon Alley con Lily: lei e i suoi genitori avrebbero avuto ovviamente qualche difficoltà ad ambientarsi e a trovare le cose, ma poteva essere un’occasione per sua madre per dare loro una mano, sentirsi finalmente utile e creare un legame fra le loro famiglie.
“Ora vediamo” aveva detto sua madre sottovoce quando lui glielo aveva proposto, per poi fare finta di nulla.
Lui ne aveva parlato a Lily e anche lei pensava che fosse un’ottima idea, così avevano scelto loro un giorno che andasse bene ai signori Evans.
“Sì, sì, va bene” aveva detto sua madre all’inizio.
Poi suo padre aveva avuto un nuovo accesso di rabbia, le aveva urlato contro sempre le stesse cose, che lei voleva fregarlo, immischiarsi con quegli altri spocchiosi degli Evans al di là del parco per piantarlo in asso e altre imbecillità. Così l’appuntamento era saltato, Lily e i suoi se l’erano cavata da soli con le poche istruzioni che avevano e lui l’aveva rivista un’unica volta per scusarsi. Menomale che lei aveva capito che era stata tutta colpa di suo padre e non era arrabbiata. Gli aveva mostrato la sua splendida bacchetta di salice e unicorno e già si esercitava negli incantesimi più elementari delle prime pagine del Manuale degli Incantesimi, volume primo.
“Piuttosto spicciati a prendere anche tu la bacchetta!” aveva detto ridendo.
Così, eccolo qua finalmente, il negozio di Olivander, l’artigiano delle bacchette che aveva nominato sua madre.
“S-salve, siamo qui per la bacchetta di mio figlio…” aveva iniziato timidamente sua madre una volta dentro.
Qui papà non può urlarti nulla, parla forte! Anzi, sai cosa, mamma, stasera gli facciamo un bell’incantesimo per farlo stare zitto!, avrebbe detto a sua madre, ma si trattenne. Già un paio di volte aveva accennato a sua madre che poteva usare la sua magia per difendersi e lei si era limitata a scuotere la testa. Una volta addirittura aveva detto davanti a suo padre che lei poteva affatturarlo quando voleva e quindi la smettesse di urlare. Nessun incantesimo uscì dalla bacchetta di sua madre per proteggerlo dalla fila di ceffoni che prese quella sera.
Ma adesso avrebbe avuto lui una bacchetta e tutto sarebbe cambiato. Sua madre teneva rigorosamente nascosti un sacco di vecchi libri di incantesimi e pozioni e lui li aveva già letti tutti, più e più volte. La sera chiedeva a sua madre di spiegargli le poche cose che di volta in volta non aveva capito e lei non mancava mai di spiegare quanto poteva, oltre che istruirlo su Hogwarts, sulle Case, la storia dei fondatori, l’ordine politico e le leggi della comunità magica. Quei rari giorni in cui suo padre era sobrio e andava a lavorare, sempre in posti diversi e per poco tempo ogni volta, sua madre usava la magia in casa e preparava pozioni. Adorava preparare pozioni e aveva già studiato un sacco riguardo agli ingredienti più disparati. Quanto alla bacchetta, beh, mancava solo quella ormai.
“Dunque, dunque…chi abbiamo qui?” chiese il signor Olivander.
Stava per rispondere, quando Olivander con un gran sorriso prese il metro e iniziò a misurare.
“Avremo un bel daffare, mio caro!”
Il metro gli volteggiò intorno a lungo e misurò di tutto, circonferenza della testa, distanza fra gli occhi, lunghezza e larghezza del naso, persino la circonferenza del dito mignolo della mano sinistra.
“Allora, allora…” borbottava Olivander.
“Proviamo, mogano e corda di cuore di drago, undici pollici, poderosa a dir poco” e gli porse una bacchetta.
La prese in mano, ma non avvenne nulla.
“No? Beh, ovvio! Allora, questa, ontano e crine di unicorno, undici pollici e un quarto, mediamente flessibile.”
Nulla di fatto.
“Ancora no? Mmh…”
Guardò sua madre, interrogativo, ma lei non fece nessuna espressione.
“Vediamo… Ciliegio e fenice, undici pollici, flessibile e delicata.”
La bacchetta produsse solo un esile filo di fumo.
“Ma davvero?” Olivander scosse il capo.
“C-c’è qualche problema?” chiese sua madre.
“Oh, no, non si preoccupi! Si vede che suo figlio è un mago difficile!” e ridacchiò.
Non c’era nulla da ridere, pensava.
Il vecchio artigiano tornò con un’altra bracciata di scatole. Ebbe come l’impressione che in realtà anche lui fosse in difficoltà e non volesse ammetterlo. Certo, se non trovavano la bacchetta giusta era un bel problema. Come altrimenti poteva procurarsela? Avrebbe potuto usare quella di sua madre, con cui a volte aveva prodotto qualche incantesimo discreto, rigorosamente di nascosto, non solo a suo padre, ma anche da lei. Questo però avrebbe significato che lei avrebbe dovuto procurarsene un’altra e non è che le loro tasche fossero ripiene di galeoni.
Guardò Olivander dritto negli occhi.
“Lei è sicuro che la mia bacchetta è qui?”
“Di sicuro, a questo mondo, figliolo, ci sono solo due cose, la morte e l’oro della Gringott. Ma ho buone ragioni per ritenere che, sì, la tua bacchetta è qui fra queste” e gliene porse un’altra, che non produsse nulla.
“Non tiglio, quindi? Siamo sicuri?” chiese Olivander, non si capiva bene se a lui, a se stesso o alla bacchetta.
Mantenne saldo il suo sguardo sul vecchio artigiano, che alla fine si risolse a pescare un’altra bacchetta da un’altra scatola.
“Salice e drago, undici pollici.”
Anche la bacchetta di Lily era di salice. In quell’istante, sperò ardentemente che quella fosse quella giusta.
Si concentrò al massimo e…niente, il solito inutile filo di fumo.
Olivander stava per riprendergliela di mano, quando ebbe un’idea. Forse doveva eseguire un incantesimo e dimostrare che andava bene.
Aguamenti!” disse con decisione. Uno scroscio d’acqua di tutto rispetto uscì dalla bacchetta, del tutto simile a quanto sapeva fare sua madre.
“Ha visto? Direi che va bene questa” rispose soddisfatto al signor Olivander, sul viso del quale era apparso un sorriso incerto, che non seppe interpretare se era commiserazione o tristezza.
“Vedi, figliolo, un mago mediamente dotato, e ancora di più un mago molto dotato, come tu sembri essere – continuò nonostante la sua smorfia – è capace di eseguire incantesimi ordinari con qualunque bacchetta. Ma solo una è la sua bacchetta e spero che sarai abbastanza onesto, nei confronti di te stesso prima ancora che nei miei, da ammettere che questa non è la tua bacchetta.”
Dentro di sé sapeva che Olivander aveva ragione, perché in effetti aveva avuto una strana sensazione pronunciando l’incantesimo, come se stesse facendo uno sforzo non necessario con la testa. Sostenne comunque lo sguardo del vecchio mago senza cenni di remissione nel restituirgli la bacchetta di salice.
“Bene, andiamo avanti.”
Provò non meno di un’altra mezza dozzina di bacchette, senza risultato, e non fece più alcun commento.
Sua madre sembrava avere gli occhi incollati al pavimento.
All’improvviso, poi, la trovò.
“Questa” disse soltanto.
“Oh, sì, decisamente – disse Olivander sorridendo, mentre dalla bacchetta uscivano nuvole di fumo delicato e denso, come un fluido a metà fra liquido e gassoso, di un argento mercuriale – undici pollici, e una combinazione di tutto rispetto, legno di biancospino e piuma di fenice, la vita e la morte, la fine e la rinascita, con una rigidità insolita…che dire, adesso il tuo cammino inizia davvero, ragazzo.”
In quel momento, un gran senso di sollievo lo investì, ma si guardò bene dal fare qualunque espressione o commento.
Sua madre parve ridestarsi dall’apatia in cui era avvolta, pagò maldestramente Olivander ringraziando per la pazienza e borbottando qualcosa sui libri ancora da comprare.
Ma lui pensava già a Hogwarts, pensava a quante cose avrebbe fatto con quella bacchetta insieme a Lily e a come sarebbe diventato un grande mago, capace di quanto né sua madre né l’ironia stucchevole di Olivander avrebbero mai immaginato. Il cammino iniziava davvero.

***

Eccoci qua: Piton, un personaggione! Dirò una cosa forse insolita nel fandom: non mi piace molto scrivere di Piton, lo trovo un personaggio talmente difficile e già così caratterizzato che sento un senso di estraneità quando mi capita di scrivere qualcosa che lo riguardi. Qui ho cercato di essere il più fedele possibile a quanto ci viene mostrato di lui nei ricordi iniziali che Harry raccoglie mentre Piton sta morendo, quelli riferiti alla sua amicizia infantile con Lily e l’attesa di andare a Hogwarts. Anche il fatto che la madre sia una strega ma subisca le violenze domestiche del marito Babbano mi sembrava un passaggio da rispettare e approfondire: troppo facile immaginare che la magia risolva tutto, perché per certi disagi psicologici non c’è magia che tenga! Per la bacchetta ho poi voluto inserire delle similitudini con quella di Harry: la lunghezza e la fenice, mentre per il legno ho scelto il biancospino, di cui su Pottermore si dice che si addice a maghi la cui natura sia conflittuale, capaci della guarigione e della maledizione, e si trovino in un periodo di agitazione interiore, insomma, il maiunagioia della vita di Piton.

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Capitolo 7
*** Sybilla Cooman ***


VI. Sybilla Cooman
VII


Esistono molte leggende sulle bacchette e sui loro fabbricanti, sugli alberi da cui si ricava il legno e sulle creature che possono fornire l’anima di una bacchetta, e il signor Olivander riteneva la maggior parte di esse niente più che chiacchiere superstiziose per maghi ignoranti. Forse, nell’antico, c’era del vero in quello che le leggende suggerivano, ma era una verità sottile, evanescente, che atteneva alla profondità della magia della natura, non certo un dato di fatto comprovato come quelli che si trovano nei manuali per pozioni domestiche, e men che meno da prendere alla lettera. Eppure ogni tanto capitavano clienti fortemente convinti di dover possedere una bacchetta fatta di un certo legno perché secondo loro si adattava a loro doti e qualità reali o presunte, quando invece l’incontro di un mago con la sua bacchetta per definizione ha qualcosa di imprevedibile, qualcosa che sconfessa le aspettative di entrambi e, anche per lui che ormai aveva così grande esperienza, qualcosa che sfuggiva necessariamente alla comprensione umana.
Un episodio del genere avvenne il 21 marzo del 1970, quando nella bottega di Olivander entrò un mago dai lunghi capelli rossi arruffati seguito da una bambina magra e pallida, con enormi occhiali di corno dalle lenti spesse.
“Buongiorno, egregio Olivander!” salutò il mago con voce suadente.
“Buongiorno, signori, come posso esservi utile?”
“Siamo qui per la bacchetta di mia figlia Sybilla, in questo giorno propizio, quale solo il solstizio della primavera può essere per mia figlia, che ha compiuto i fatidici undici anni dieci giorni e un dì fa, e con la protezione degli astri oggi…”
“Ah, sì, sì, certo – interruppe subito Olivander – Prego, cara, avanza e alza le braccia” e svolse il metro.
“Lei forse non sa, esimio Olivander, e ciò potrebbe causare nocumento nella ricerca della pregiata bacchetta della mia bambina, che io sono, e mia figlia di conseguenza è, nientemeno che nipote della mai abbastanza onorata Veggente Cassandra Cooman, la quale possedeva una rara e preziosa bacchetta di tiglio.”
“Ah, sì, deve avergliela fabbricata il mio bisnonno. Parliamo di almeno tre generazioni fa, no?” disse Olivander.
Era il classico esempio di cliente che vuole un oggetto ricercato e prezioso a tutti i costi, solo in virtù del nome che porta, quando invece le bacchette cercano e apprezzano tutt’altro.
“Ritengo quindi che mia figlia abbia una bacchetta di tiglio. È la prima bambina che nasce in famiglia dai tempi dei miei nonni e di certo avrà in sé il dono della Vista quale eredità di sangue!” disse con ardore il mago scuotendo i capelli rossi, Olivander notò, non esattamente appena lavati.
Ma non diciamo scempiaggini, avrebbe voluto rispondere Olivander, ma fece appello a tutta la sua educazione e cortesia per non lasciarsi sfuggire neanche uno sbuffo di fastidio.
“Vediamo subito” disse conciliante, consultando subito il metro.
Si avviò quindi a prendere alcune bacchette.
“Nove pollici, ippocastano e crine di unicorno, dolcemente flessibile.”
La ragazzina impugnò titubante la bacchetta, senza alcun effetto.
“Ma no, Olivander, abbiamo detto tiglio! Oppure legno di melo, il legno di coloro che parlano le lingue delle creature subacquee, quali noi in Cornovaglia spesso incrociamo sulle coste nelle notti di bassa marea!” continuò il signor Cooman.
Sì, certo, poi l’alloro che è il legno della gloria, la vite che ha assorbito i segreti degli antichi druidi e l’abete dei sopravvissuti alla morte… Ma mi faccia il piacere, si cacci la bacchetta su per…
“Signor Cooman, ricordo male o la sua bacchetta è in legno di noce? E non ha mai sentito il bisogno di una bacchetta diversa, no?”
“Al contrario, la mia bacchetta è perfetta, infatti dal mallo di noce ho spesso estratto arcane notizie dall’aldilà!”
Merlino mi aiuti!
Olivander conosceva vagamente la storia di Cassandra Cooman e dei suoi disgraziati discendenti. La donna era davvero una Veggente: consapevole del suo dono, aveva cercato di metterlo al servizio di chi le chiedeva aiuto, anche spostandosi in varie città d’Europa per far conoscere le sue capacità, poi si era sposata con questo Cooman dalle origini incerte della Cornovaglia e aveva avuto un solo figlio, cui aveva messo il profetico nome di Tiresias, con la speranza di trasmettergli il Dono. Purtroppo per lei, il figlio non aveva nessuna particolare Vista, se non quella per i galeoni che si potevano fare con il nome e il credito di sua madre, cosa che evidentemente gli aveva insegnato Cooman padre. Si era barcamenato imbrogliando la gente e spostandosi da una città all’altra ogni volta che veniva scoperto, tornando ogni tanto in Cornovaglia dove aveva la casa di famiglia, e aveva avuto almeno l’onestà di chiamare il figlio con un meno impegnativo Albert, il mago dai capelli scarmigliati che ora aveva di fronte, che si guadagnava da vivere scrivendo oroscopi sulla Gazzetta del Profeta.
“Sto avendo una sensazione negativa in questo momento, stimato Olivander!” rincarò il signor Cooman.
“Signor Cooman, la prego, lasci fare a me!” disse Olivander trattenendo a fatica la stizza.
Si voltò per prendere un’altra bacchetta e notò che, in effetti, fra quelle che aveva selezionato seguendo le misure prese dal metro, ce n’era una di tiglio e unicorno.
“Ecco qua: tiglio e crine di unicorno, nove pollici e tre quarti” disse con un gran sorriso.
Prima che Sybilla potesse solo toccarla, il padre esclamò:
“Su, figliola, questa è una bacchetta degna della tua ascendenza! Esegui l’incantesimo che abbiamo a lungo provato!”
Sybilla deglutì e agitò la bacchetta, con una certa sicurezza.
Wingardium leviooosa!” disse con voce inaspettatamente profonda per una ragazzina così esile.
Un paio di scatole scivolarono per terra dal bancone.
“Ottimo! La magia si manifesta! Ora solo un po’ di esercizio! Riprova, tesoro! E ricorda, è agitare e colpire!”
Prima che la ragazzina aprisse bocca, Olivander fece per prenderle la bacchetta di mano.
“Cosa fa, Olivander? – esclamò il signor Cooman – Deve solo fare pratica, ma è la sua bacchetta!”
“Non credo proprio! – ribatté Olivander, deciso a prendere in mano la situazione – E tu, mia cara, sai che ho ragione” concluse rivolto alla ragazzina.
Sybilla però arricciò il naso e fece un passo indietro per allontanarsi da Olivander, poi alzò il braccio con la bacchetta e provò ancora.
Wingardium leviooosa!”
Altre due scatole caddero dal bancone e il metro magico scivolò dalla parte opposta, per poi riemergere facendo un rumore come un sibilo rabbioso.
“Ben fatto, tesoro!” berciò Cooman padre.
Olivander strinse i pugni e trasse un profondo respiro.
“Signori miei, è mia opinione di rinomato artigiano di bacchette che questa qui presente non sia la bacchetta giusta. Tuttavia, vi chiedo una cortesia: la signorina provi tutte le bacchette che ho qui sul bancone. Sono soltanto quattro e se nessuna di esse si rivelerà migliore, acquisterete la bacchetta di tiglio.”
“E che follia è mai questa?” disse il signor Cooman.
Follia è quella di Cuffe che ti paga per scrivere merda sul Profeta, ciarlatano!
“Oh, diciamo così, solo un interesse accademico di un artigiano che ha ancora molto da imparare dai clienti che entrano nella sua bottega” rispose invece mellifluo.
Il mago guardò sua figlia, che alzò le spalle e disse soltanto con tono teatrale:
“Papà, tu sai che coloro che hanno il Dono non vengono mai creduti dagli altri: è la nostra maledizione!” e tese la mano a Olivander.
Provò una dopo l’altra le bacchette rimaste sul bancone, tentando ogni volta di eseguire l’incantesimo di Levitazione e ogni volta riuscendo a malapena a muovere di qualche centimetro una scatola.
Arrivata alla penultima, invece, l’incantesimo le riuscì perfettamente, con le due scatole che galleggiavano delicatamente a mezz’aria.
Questa volta l’esclamazione di stupore fu sincera e incontestabile.
“Direi che questa bacchetta, di nocciolo, con crine di unicorno, lunga nove pollici e mezzo, mediamente flessibile, è migliore di quella di tiglio” disse Olivander non nascondendo la soddisfazione.
Il padre era sconcertato e la ragazzina sembrava indecisa se assumere un’espressione contenta o imbronciata.
Cooman padre stava per aprire bocca, ma Olivander lo precedette:
“Quale bacchetta preferisci, cara? Quella di tiglio o questa di nocciolo?”
“Questa di nocciolo” rispose Sybilla in un soffio.
“Ben detto, figliola” rispose l’artigiano con un gran sorriso.


***

Ecco qua! Dopo il capitolo maiunagioia di Piton facciamoci due risate con Sybilla Cooman e il suo bizzarro genitore: premetto che non sono molto mio agio nello scrivere scene divertenti (e non so se questa qua lo sua davvero), ma spero di aver dato un senso di leggerezza senza eccessi. La bacchetta è quella già scelta dalla Rowling per la Cooman (vedi potterwikia) e io mi sono immaginata basandomi su quanto sappiamo di lei che tutta la storia della Vista e della celebre bisnonna veggente le sia stata inculcata fin da piccola, facendo sì che lei un po’ ci credesse davvero e un po’ se ne approfittasse con malizia, e in queste cose il confine è quanto mai labile. Olivander invece qui mostra tutta la sua abilità non solo di artigiano ma anche di autocontrollo e gestione della situazione con i clienti insopportabili e direi che si merita un sacco di complimenti!

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Capitolo 8
*** Luna Lovegood ***


VII. Luna Lovegood
VIII


Se c’è una cosa che le bacchette hanno in comune con i loro fabbricanti, è senza dubbio la pazienza. Pazienza occorre al sapiente artigiano per raccogliere il legno dell’albero giusto nel tempo giusto, riuscendo a trarre il massimo della magia naturale che la pianta possiede senza però derubarla; pazienza è necessaria per avvicinarsi alle creature che forniscono l’anima della bacchetta senza fare e farsi del male, siano esse un mite ma schivo unicorno, una fenice ritrosa ma non per questo innocua, o ancora un drago che pur vivendo in una riserva del Ministero obbedisce comunque al suo istinto primordiale. Creare una bacchetta è un’avventura sia nel mondo, per la raccolta del materiale che la costituisce, sia in se stessi, perché la mano del fabbricante esperto aggiunge una stabilità e un equilibrio che un appassionato della domenica difficilmente raggiungerebbe. Creare una bacchetta, diceva il nonno del signor Olivander quando lui non aveva ancora l’età per andare a Hogwarts, è fare una scommessa sul futuro, perché creare qualcosa che forse resterà a prendere polvere in negozio per svariati anni è al contempo fare e ricevere una promessa da uno sconosciuto, e occorre che chi crea la bacchetta non perda mai la fiducia che quella promessa venga mantenuta.
Tuttavia, la gran parte delle bacchette fabbricate da un singolo membro della famiglia Olivander veniva venduta nel giro della stessa generazione del fabbricante, o al più dal figlio, ed erano veramente una quota minoritaria le bacchette che restavano più di trenta anni invendute, chiuse nella loro scatolina sullo scaffale. Ancora più rari erano poi gli esempi di bacchette che restavano ad aspettare per cinquant’anni o più, e Olivander conosceva a memoria la storia delle bacchette, per così dire, storiche, quelle cioè che aspettavano in negozio da un secolo o quasi. Per questo, ogni volta che una bacchetta di vecchia creazione trovava il suo mago o la sua strega era per Olivander un giorno di gioia, la conferma della bontà del suo lavoro e di quello degli avi da cui discendeva, il compimento della promessa che qualcuno aveva fatto tanto tempo prima.
“Buongiorno!” disse un mago dalla voce sognante.
Un mago di media altezza dall’aria trasognata con i capelli lisci e brizzolati e la veste color indaco ornata da strane rune dorate accompagnava una ragazzina bionda con la stessa aria trasognata.
Olivander fece mente locale e riconobbe nell’uomo Xenophilus Lovegood, il direttore e editore de Il Cavillo, una rivista bislacca piena di interviste a soggetti improbabili e reportage su creature della cui esistenza era razionale dubitare, tuttavia non priva talvolta di qualche intuizione tecnica o politica meritevole di approfondimento.
“Salve signor Lovegood! È dunque venuto il momento della bacchetta di sua figlia!” disse sorridendo alla ragazzina, che per tutta risposta chiese se era vero che oltre a creare bacchette allevava Asticelli.
“Allevare Asticelli?” ripeté, preso alla sprovvista.
Poi si udirono nel negozio alcuni scoppi, apparentemente provenienti dallo scaffale più lontano, nelle profondità del negozio note solo al signor Olivander.
Il rumore attirò l’attenzione di tutti e tre e il signor Olivander aggrottò le sopracciglia.
“Potrebbero essere Sfaragumeni! – esclamò la ragazzina a un tratto – Presto, corra a versare dell’acquavite sugli scaffali o le faranno scoppiare tutto!”
“Eh?”
Olivander restò a bocca aperta. Doveva pensare che nel negozio fosse appostata una delle tante creature fantasiose di cui spesso parlava il giornale del signor Lovegood.
“Sembrano Vermicoli, ma si nutrono delle proprietà del legno facendolo scoppiare a poco a poco fino a mandare tutto a fuoco! Solo liquidi su base alcolica possono placarli e indurli a smettere di scoppiettare, finché non avrà bonificato l’ambiente con un’adeguata pozione, che io stesso mi offro di fornirle” spiegò prontamente il signor Lovegood.
Si sentì distintamente un altro scoppio, come se qualcosa stesse disperatamente cercando di uscire da dove era rinchiuso.
Il signor Olivander riprese subito in mano la situazione.
“Beh, dopo controllerò. Prima troviamo la bacchetta per la signorina, direi.”
“Ma gli Sfaragumeni scoppiano velocemente se sono in gruppo!” disse la ragazzina.
“Oh, le assicuro che non ci vorrà molto. Stenda le braccia, così.”
Svolse il metro, che iniziò a prendere le sue misure.
Olivander si soffermò un attimo a guardare la ragazzina prima di addentrarsi tra gli scaffali. In genere se un bambino è nato in una famiglia di maghi non si stupisce più di tanto nel vedere un oggetto stregato che fa qualcosa intorno a lui, ma dalla sua esperienza sapeva che il contatto così ravvicinato col suo metro riusciva a incuriosire anche i più smaliziati maghetti purosangue. Così, era rimasto un attimo sorpreso nel vedere come invece la ragazzina sembrasse perfettamente a suo agio col metro svolazzante attorno, tanto che a un certo punto sembrava invitarlo lei stessa e suggerirgli dove misurare. Si avvicinò alla giovane cliente e prese un capo del metro, mentre la ragazzina cercava visibilmente di spiare cosa c’era scritto sopra.
“Mmh, già. Sì, sì, vediamo” e si avviò sicuro verso uno scaffale a metà del negozio.
Quando tornò con due bacchette da provare, vide una scena che poche volte aveva visto accadere.
Il metro aveva ripreso a prendere delle misure, ma a un certo punto, con una naturalezza che lui stesso non aveva quando suo padre e suo nonno lo avevano iniziato, ancora bambino, all’arte di fabbricare bacchette, la ragazzina prese il metro e delicatamente lo voltò per leggere la misura che aveva appena preso. E la cosa più inaudita fu che il metro non si ritrasse frustando l’aria, come faceva ogni volta che un cliente cercava di toccarlo, ma si lasciò afferrare e muovere, seppur con una certa rigidità che solo il suo occhio ormai esperto poteva percepire.
“Luna, forse non dovresti prenderlo, è uno strumento di lavoro del signor Olivander” intervenne il signor Lovegood.
“Non si legge bene… ventuno virgola quattro più tre quarti, e…è scritto piccolissimo!” disse la ragazzina, non senza una punta di delusione.
Senza accorgersene, Olivander sorrise.
Si avvicinò e prese il metro, che sembrò rilassarsi.
“Oh, beh, immaginavo – disse sorridendo ancora – Arrivo subito” e sparì dietro uno scaffale.
“Faccia attenzione agli Sfaragumeni!” gridò Luna.
Nessuno a parte lui e i suoi avi prima di lui avevano mai visto cosa c’era nel negozio al di là del bancone e della piccola consolle che conteneva gli strumenti per la manutenzione, perché un primo e ben tenuto alto scaffale pieno di scatole di bacchette e cassetti nella parte bassa nascondevano ai clienti la vista di quanto c’era dietro.
“È come il sancta sanctorum di un tempio. Vuol dire la parte dove possono accedere solo i sacerdoti, gli iniziati. Confesso che mi piacerebbe essere uno di essi” aveva osservato qualche anno prima un mago a cui a suo tempo aveva venduto la sua bacchetta.
Era un giovane Nato Babbano e quando l’aveva rincontrato tanti anni dopo gli aveva chiesto, con sfacciataggine e delicatezza allo stesso tempo, se poteva diventare un suo apprendista. Gli aveva rifiutato questa possibilità, perché il mestiere si tramanda di padre in figlio, e c’era qualcosa nel sangue della sua famiglia che non poteva essere sostituito. Lui però non aveva figli naturali, il tempo era passato e a volte si chiedeva se non avesse sbagliato a chiudere la porta a quel giovane mago di talento, che di sicuro aveva colto molto più di quanto lui aveva immaginato sul momento.
Olivander si diresse con passo sicuro verso uno degli scaffali in fondo alla stanza, dove la luce della lampada principale del negozio arrivava a fatica.
Lumos” sussurrò alzando la sua bacchetta.
E mentre nel fascio di luce emesso dalla punta della bacchetta impalpabili spirali di polvere danzavano al ritmo del suo respiro, scorse una ad una le scatole più vecchie, finché uno scoppiettio impaziente richiamò la sua attenzione.
“Oh, eccoti” bisbigliò alla scatola, prendendola e spolverandola fino a far apparire la data scritta sul dorso del coperchio.
Spense la bacchetta e tornò dai clienti, notando che il metro fluttuava a mezz’aria, in evidente attesa.
“Ho dovuto recuperare una bacchetta di fabbricazione un po’ datata, ma siamo pronti” disse appoggiando la scatola polverosa accanto alle altre due.
“Prima però proviamo questa: dieci pollici, legno di salice, anima in crine di unicorno” disse prendendo una delle prime bacchette che aveva portato, ignorando volutamente il metro che invece si era piegato a indicare la scatola più polverosa.
Luna Lovegood prese la bacchetta e la agitò, facendo uscire solo un filo di fumo.
“Molto bene. Allora questa: ontano e piuma di fenice, dieci pollici e un quarto.”
Il metro stava ancora indicando con ostinazione la scatola polverosa.
La bacchetta di ontano non produsse nulla e finalmente Olivander porse a Luna la bacchetta estratta dall’ultima scatola.
“Dieci pollici e un quarto, crine di unicorno, legno di vite. Esile, ma incredibilmente resistente.”
Come aveva immaginato, era la bacchetta giusta.
“Si tratta di una bacchetta fabbricata nel lontano 1877 dal mio bisnonno e a quanto pare stava aspettando proprio lei” concluse sorridendo a sua volta.
“Ma non sarà danneggiata dagli Sfaragumeni?” domandò Luna accigliandosi lievemente.
“Oh, non credo proprio mia cara. Gli scoppi che sentivamo erano frutto dell’entusiasmo della bacchetta alla sensazione di stare trovando finalmente il proprio legittimo proprietario. È un fenomeno che a volte avviene con il legno di vite, e con maghi e streghe di una natura affine. Direi che per aver aspettato tutti questi anni, deve essere sicuramente una bacchetta molto paziente.”
“Oh” disse soltanto Luna.
“Stia comunque attento, gli Sfaragumeni si moltiplicano velocemente!” disse il signor Lovegood, iniziando a tirar fuori da una delle molte tasche della veste i galeoni per pagare.
“Farò un accurato controllo degli ambienti” rispose Olivander conciliante.
“Ma se la bacchetta si rompe? Cioè, magari a fare un esperimento succede un incidente?” disse all’improvviso Luna, tuttavia senza preoccupazione nella voce, con lo stesso tono di chi chiede come abbonarsi allo stadio per seguire la propria squadra di Quidditch.
“Rompere la bacchetta? È molto improbabile, per quanto ovviamente le cautele sono quelle dettate dal buon senso… – iniziò Olivander, preso alla sprovvista – Ma non dovete temere che la bacchetta sia più fragile perché di vecchia fabbricazione: le bacchette sono tutte nuove, anche quando sono vecchie” concluse rassicurante.
La ragazzina sembrava però pensierosa.
“E comunque, se dovesse mai succedere una cosa del genere, fra uno o fra dieci anni, potrà sempre tornare qui per trovare una nuova bacchetta e chissà, magari potrebbe anche partecipare lei stessa alla sua realizzazione.”
La ragazzina sorrise entusiasta e ringraziò il signor Olivander, sorridendo anche in direzione del metro arrotolato mollemente sul bancone, che non mancò di agitare una delle estremità a mo’ di saluto.

***

Allora, penso si capisca che Luna è uno dei miei personaggi preferiti: una ragazza estremamente sensibile ma anche forte e decisa a difendere le proprie convinzioni, che come spesso accade diviene oggetto di chiacchiere e scherzi antipatici (quelli che le nascondono le scarpe a scuola si meriterebbero un giretto da soli nella foresta, a riflettere un po’!). Nel mio headcanon Luna dopo Hogwarts per un po’ aiuta Olivander, che non ha dimenticato il tempo passato insieme prigionieri dei Mangiamorte a casa Malfoy, e impara molto sulla fabbricazione delle bacchette, anche se poi seguirà il compagno naturalista nipote di Newt Scamandro. Per questo mi è piaciuto immaginare che Olivander noti subito che la giovane strega che ha davanti ha qualcosa di speciale, come dimostra l’affinità col metro incantato, e che sia in qualche modo destinata a una bacchetta speciale. In HP7 Luna riceve un’altra bacchetta fatta su misura dopo che lei e Olivander sono fuggiti grazie a Harry e Dobby e chissà che anche in quel caso Olivander non abbia qualcosa da raccontarci al riguardo.
Infine, gli Sfaragumeni: Vermicoli che scoppiano appunto, una delle innumerevoli creature fantastiche come i Nargilli e i Ricciocorni Schiattosi che popolano la mente di Luna e che devono il loro nome alla mia mancanza di fantasia, perché, banalmente, spharageomai in greco classico vuol dire scoppiettare.

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Capitolo 9
*** Neville Paciock ***


VIII. Neville Paciock

IX


Garrick Olivander ormai era vecchio e sapeva riconoscere quando le cose si mettevano male. Alla fine, Silente aveva avuto ragione. Aveva detto che Lui sarebbe tornato, e Lui era tornato. Crederci all’inizio non era stato facile, ma, a ben vedere, soltanto perché i più desideravano che non fosse vero. Eppure, da quando la notizia dell’incidente al Torneo Tremaghi si era diffusa, con annessa dichiarazione di Silente e controreplica del Ministero, un vago senso di apprensione aveva cominciato a insinuarsi in lui, giorno dopo giorno più pressante, a dispetto delle rassicurazioni della stampa ufficiale. Anche i clienti erano incerti: molti ostentavano tranquillità, ma era una maschera che si tradiva da sola. Quanto ai Nati Babbani, non potevano intuire nulla, ma se provavano per caso un senso di paura irrazionale non si poteva dargli torto. Poi c’era stata l’evasione di massa da Azkaban, e uno stillicidio di incidenti che solo uno sciocco avrebbe derubricato a comune delinquenza. Infine, i Mangiamorte al Ministero, gli scontri e finalmente la verità: Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era tornato.
Per Diagon Alley la prima conseguenza era stata lo spopolamento: molti fra i negozi storici avevano chiuso, il personale era stato allontanato da un giorno all’altro e i proprietari erano spariti senza lasciare traccia. Il signor Olivander li capiva benissimo. Dopo quello che era successo la volta precedente, chiunque era in pericolo e questa volta le persone avrebbero cercato di mettersi al sicuro il prima possibile, proprio perché si sapeva di cosa erano capaci il Signore Oscuro e i suoi adepti. Sulle prime aveva pensato di fare lo stesso, ma nel momento stesso in cui si era immaginato il negozio chiuso aveva respinto l’idea: il suo era il più antico negozio della comunità, un punto di riferimento per tutti, e non era giusto che nuove generazioni di maghi dovessero fare affidamento su fabbricanti mediocri per le loro bacchette, così come non era giusto arrendersi alla paura. Tuttavia, quella stessa risolutezza svanì in pochi giorni. Mentre spolverava gli scaffali in attesa di clienti, si ritrovava a pensare che se Lui era tornato, era tornato dalle braccia della Morte: e chi torna dalle braccia della Morte non può che essere ancora più temibile della Morte stessa. Cosa aveva fatto? Cosa era in grado di fare, adesso? Cosa avrebbe fatto, adesso, per ottenere quello che voleva? Quell’uomo, se ancora uomo poteva dirsi, aveva attraversato il confine ultimo della magia, aveva mostrato un tempo una passione smisurata per la conoscenza dei segreti più profondi della magia – questo non poteva negarlo, e in certo senso sapeva cosa significava, ambire alla profondità, al dominio dell’essenza magica. Ma aveva rivolto questa sua passione nel compiere il male, ecco qual era la differenza: le cose che aveva fatto il Signore Oscuro erano terribili ma grandi, grandi ma terribili. E lui sapeva che adesso poteva essere soltanto peggio.
Con la mente a queste penose riflessioni, non sentì nemmeno suonare il campanello del negozio.
“Signor Olivander? È qui?” chiamò una voce gracchiante di donna.
“Eccomi!”
Corse fino al bancone e vide i clienti del giorno: un’anziana signora in carne con un grosso avvoltoio impagliato sul cappello che riconobbe come la signora Paciock, una rispettabile strega purosangue della sua generazione, seguita da un giovanotto dall’aria impacciata che doveva essere il nipote, il quale se non ricordava male era stato addirittura partecipe allo scontro al ministero con Potter stesso, all’inizio dell’estate.
“Signora Paciock! Qual buon vento vi porta? Come posso servirvi?”
“Un vento funesto sta spirando, caro il mio Olivander – ribatté la donna – Siamo qua perché mio nipote Neville ha bisogno di una bacchetta nuova. Infatti, ha danneggiato la sua durante lo scontro con quelle canaglie al Ministero qualche settimana fa, l’avrà letto sul Profeta, no?”
“Certamente! Un episodio di grave pericolo!”
“Già, ma il mio ragazzo si è fatto valere. Direi che ha tutto il potenziale per diventare bravo come suo padre con la bacchetta, sempre che ne abbia una dignitosa” rispose la signora Paciock, senza nascondere l’orgoglio per il nipote, che abbozzò appena un sorriso.
“Naturalmente!” disse Olivander iniziando a svolgere il metro, visibilmente a disagio.
Ma la signora Paciock non aveva intenzione di lasciarlo in pace.
“Si preparano tempi difficili, Olivander. Noi siamo vecchi e dovremmo saperlo più di chiunque altro. Abbiamo visto cosa è successo allora, cosa Lui ha fatto allora, e dobbiamo aiutare chi ha paura adesso, perché non sa. O meglio, perché non immagina davvero cosa può accadere” continuò la donna in tono grave.
“Eh, sì, infatti…” bofonchiò Olivander, sperando che la donna prima o poi troncasse il discorso da sola.
“Lei è uno dei pochi che è rimasto aperto, vedo. È la cosa giusta” commentò dopo poco con decisione.
Il signor Olivander stava per andare a prendere due scatole di bacchette, ma non riuscì a non rispondere.
“A dire il vero, sto cercando di riflettere oggettivamente sulle mie condizioni di sicurezza e su quali provvedimenti adottare, nessuna idea esclusa.”
“Condizioni di sicurezza? Nessuno è davvero al sicuro, Olivander, e lei lo sa. Ma sono le azioni che qualificano un uomo, e ancora di più le azioni nelle situazioni di pericolo” ribatté la strega, facendo dondolare pericolosamente l’avvoltoio sul cappello.
“Non posso che essere d’accordo. Tuttavia, non tutti nascono dotati della stessa indole decisa – la signora Paciock aggrottò le sopracciglia – Non tutti sono come lei, o come suo figlio. È bene essere franchi: tante volte uno da sé il coraggio non se lo può dare.”
La signora Paciock stava per ribattere, ma il signor Olivander la anticipò porgendo una bacchetta al nipote.
“Peccio, tredici pollici e crine di unicorno, molto flessibile.”
Neville agitò la bacchetta incerto, senza produrre fenomeni magici.
“No, quindi? Allora abete e crine di unicorno, sempre tredici pollici, più compatta.”
“Abete? Avrei da raccontargliene una su una bacchetta di abete che ha venduto anni fa ad una mia lontana parente” disse l’anziana strega, stavolta con un sorriso.
“Credo di sapere a cosa si riferisce – rispose Olivander sorridendo di rimando – Ma, se mi permette, quella sua parente non è poi così lontana” concluse sornione.
“Oh, beh, d’altronde nessuno sceglie che parenti avere, è evidente. Da entrambe le parti” ribatté la strega.
Il nipote guardò la nonna con aria interrogativa, probabilmente chiedendosi a che parente e a che storia faceva riferimento.
“Neville, caro, non stare impalato, prova la bacchetta!” lo riprese subito la nonna.
Il ragazzo agitò la bacchetta, che produsse solo un risucchio d’aria.
“Vedi che non va bene? Posala e prova quella là” disse indicando un’altra scatola, con fare spiccio.
Olivander intervenne.
“Ci penso io stesso, signora. Per inciso, non la facevo così appassionata di bacchette. O forse è un vizio di famiglia” disse con aria allusiva.
“Lei ha la lingua troppo sciolta, Olivander, glielo hanno mai detto? – rispose la signora Paciock cogliendo la provocazione – E di questi tempi farebbe bene a stare ancora più attento, perché le bacchette sono da che mondo è mondo un argomento delicato e, come dire, fin troppo appassionante per certi tipi di maghi” concluse facendosi più seria.
Il signor Olivander stava per rispondere, quando prese la parola Neville.
“Mi scusi, ma direi che questa bacchetta va bene” disse Neville agitando la bacchetta estratta dalla terza scatola e producendo delicate scintille colorate, richiamando così l’attenzione dei due maghi anziani.
“Oh, sì, figliolo, decisamente. Una bella bacchetta di ciliegio, tredici pollici e crine di unicorno, di quanto mai pregevole fattura” e sorrise al ragazzo, che sorrise a sua volta arrossendo appena.
“Bene, e anche questa è fatta. Andiamo Neville, paga il signor Olivander e vediamo di comprare tutto quello che ci resta alla svelta. Mi parlavi di un atlante di Erbologia illustrato, vero? L’Erbario di Gottinga, si chiamava, vero? Chissà se al Ghirigoro tengono certi libri…certo, se tuo nonno Archibald non avesse fatto marcire mezza biblioteca di casa per far riprodurre funghi inutili! E poi mi chiedo da chi hai preso!”
“Si direbbe che buon sangue non mente, cara signora Paciock” commentò il signor Olivander mettendo a posto i galeoni che Neville gli porgeva nel piccolo forziere che serviva da cassa del negozio.
“Proprio il commento che poteva fare lei, caro il mio Olivander” ribatté l’anziana strega.
“Ma non è il caso di prendersela più per certe cose, di questi tempi. Piuttosto, faccia attenzione: le bacchette sono importanti, per tutti” concluse seria.
“Mai quanto i maghi e le streghe che le usano, tuttavia” rispose Olivander.
“Certo. E quanto coloro che sanno fabbricarle.”


***

Eccoci qua: sempre sull’onda della malinconia dell’episodio precedente, ho voluto immaginare il momento in cui Neville finalmente ottiene una bacchetta che sia davvero sua, e non quella di suo padre, che aveva usato nei primi anni a Hogwarts (chissà che non fosse anche quello un fattore determinante i suoi scarsi successi scolastici…). Siamo all’inizio di HP6, c’è stato lo scontro coi Mangiamorte al Ministero, che ormai ha ammesso il ritorno di Voldemort e il fatto che la situazione sia fuori controllo, e ho preso spunto proprio da alcune scene all’inizio di HP6, dove si dice che Diagon Alley si sta spopolando, tutti hanno paura e Olivander stesso ha chiuso. Neville dice anche a Harry che la sua è una delle ultime bacchette acquistate nel negozio, che ha chiuso in circostanze misteriose. Nel capitolo effettivamente le bacchette e Neville stesso hanno poco risalto, perché mi sono concentrato sulle riflessioni di Olivander: di lui in realtà sappiamo ben poco, la Rowling ci dice soltanto che viene preso dai Mangiamorte e che rivela a Voldemort che la bacchetta di sambuco è opera di Gregorovitch, ma non sappiamo molto della sua vita. Io lo immagino come un mago molto abile, che sa riconoscere il fascino che la magia oscura sa esercitare, che conosce le convinzioni dei maghi purosangue, poiché lo è anche lui, e che molto umanamente non riesce a schierarsi subito, perché la paura e l’istinto di conservazione prevalgono. Insomma, spero di poter approfondire questo personaggio in vari episodi, proprio perché alla fine la Rowling ci ha lasciato abbastanza carta bianca! Quanto alla signora Paciock, invece, nel mio headcanon appartiene di nascita ad una famiglia purosangue incline sebbene non dedita alla magia oscura e che, una volta prese le distanze sposando il signor Paciock (che io immagino appassionato erbologo pasticcione come il nipote), preferisce non essere associata a certi parenti. La confidenza che ha con Olivander è dovuta semplicemente al fatto che appartengono alla stessa generazione e conoscono un sacco di persone in comune, come è facile immaginare in una comunità ristretta di maghi purosangue. Anche l’episodio della bacchetta di abete farebbe parte di una mia idea di longfic con altri personaggi, ma chissà, meglio non strafare per ora!
Infine, va da sé che la battuta “uno da sé il coraggio non se lo può dare” non è mia, ma è in bocca a don Abbondio ne I Promessi Sposi, dell’amore-odio di tutti noi, il caro vecchio paraculo ma non troppo Manzoni.

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Capitolo 10
*** Le dimensioni contano - Hagrid e Dolores Umbridge ***


IX. Hagrid e Dolores Umbridge

X


Una delle prime cose che un aspirante fabbricante di bacchette deve imparare è che in quest’arte antica e misteriosa non ci sono dogmi. Ci sono indicazioni dettate dal buon senso, tradizioni venerabili, acquisizioni consolidate dalla pratica secolare e inevitabili tecnicismi che assicurano uniformità e sicurezza, ma non dogmi. Ad esempio, non è un dogma che la lunghezza della bacchetta sia legata alla statura del mago che la impugnerà. Al contrario, la maggior parte dei maghi e streghe di bassa statura possiedono bacchette di lunghezza media o medio-lunga, perlopiù nello stesso range dei maghi di alta statura. E questo perché l’altezza e la conformazione fisica del mago sono solo uno degli elementi che occorre misurare per pensare e scegliere una bacchetta, sulla scorta di complessi calcoli e teoremi per destreggiarsi fra i quali occorre che l’aspirante fabbricante di bacchette sia ben preparato in Aritmanzia, o almeno sia un brillante autodidatta. Tuttavia, non basta saper risolvere tutti i Logogrammi e gli Arcani contenuti in Numerologia avanzatissima per saper decidere una misura, tagliare il legno e sapere che sì, quella è la lunghezza giusta per quella bacchetta di quel legno e con quell’anima, e soprattutto per quel mago che entrerà domani o fra venti anni nel negozio. A volte bisogna immaginare che ci sono bacchette insolitamente corte o insolitamente lunghe e accettare che la statura fisica non c’entra nulla. A volte bisogna immaginare che un mago sia non solo un mago, ma che la sua natura imponga un surplus di legno e di lunghezza alla bacchetta; altre volte, sempre meno possibile, si spera, è necessario accettare che sia la statura morale a influenzare irrimediabilmente al ribasso la foggia della bacchetta.
Un paio di questi esempi si erano realizzati nella bottega del signor Olivander nei primi anni Quaranta, l’uno a distanza di pochi anni dall’altro.
Quella mattina, quando il campanello all’ingresso del negozio suonò, il signor Olivander rimase senza fiato.
“Salve, siamo qui per la bacchetta per il mio ragazzo!” esordì un ometto minuscolo dalla voce gentile.
Il suo “ragazzo” era alto almeno il doppio di lui, con le spalle larghe almeno quattro volte ed enormi piedi calzati da stivali che non avrebbero sfigurato come bauletti da viaggio. Il giovane, che nell’insieme sembrava un bambino pacioccone colpito da un incantesimo di Ingrandimento riuscito tutto sommato non male, sorrise impacciato.
Si trattava evidentemente di un Mezzogigante. Olivander non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto all’idea che la presenza di quel ragazzo in questo mondo implicava, ma di fronte alle occhiate imbarazzate dei due si rese conto di quanto fossero in difficoltà e andò subito al punto.
“Benone, qui cerchiamo una bacchetta grande per un mago grande!” e si avvicinò al ragazzo col metro svolto in mano, iniziando a misurare proprio dalle spalle.
Il ragazzo era più alto anche di lui e vedendo che il signor Olivander si tendeva in punta di piedi per misurargli le spalle fece per abbassarsi piegando le ginocchia.
“Oh, non importa figliolo, lui sa come fare!” disse Olivander sorridendo, lievemente teso, e lasciando il metro libero di misurare da solo.
“Spero che ci sia una bacchetta anche per il mio Rubeus! Sa, è stata una così grande sorpresa sapere che poteva andare ad Hogwarts! Avevo sempre pensato che, insomma, dato che siamo, così, nel senso, che è, come, dire, diverso…” cominciò il mago schiarendosi la voce a fatica.
“Non si preoccupi, qui ci sono bacchette per tutti, di tutte le taglie!”
Olivander afferrò il metro e lesse.
“Oh, bene, allora così” e si avviò veloce fra gli scaffali.
Il ragazzo si sporse per vedere dove stava andando il fabbricante di bacchette, appoggiandosi al bancone, che scricchiolò sonoramente.
“Attento, non ti appoggiare, si rompe!” bisbigliò il padre.
“Scusa, papà, hai ragione” rispose il ragazzo ad occhi bassi.
Olivander tornò con alcune scatole.
Era convinto che avrebbe piazzato quel giorno una splendida bacchetta in legno di melo e crine di unicorno, lunga quattordici pollici e tre quarti, praticamente al limite dell’usuale lunghezza delle bacchette, a riprova del fatto che la statura fisica contava sì, ma solo un piccola parte, perché la facevano da padrone altre qualità, che risiedevano in quel caso nel legno di melo.
Porse la bacchetta al ragazzo, spiegandogli come era fatta e senza nascondere l’entusiasmo.
Il giovane agitò la bacchetta in maniera fin troppo sgraziata e non produsse fenomeni magici.
Un’espressione di sincera delusione si dipinse sul volto del ragazzo, ma mai quanto quella sul volto del signor Olivander.
“Ah, no?” chiese rivolto un po’ alla bacchetta un po’ a se stesso.
Poi si girò a guardare le bacchette nelle scatole sul bancone, guardò ancora il ragazzo, poi di nuovo le bacchette, poi riprese il metro, lo girò e rigirò più volte e lo rimise al lavoro sulle spalle del ragazzo.
Tempo pochi secondi, riprese il metro e lesse di nuovo.
“Un pollice sia, allora!” borbottò fra sé e si avviò di nuovo fra gli scaffali, portando via anche le bacchette che prima aveva portato da provare.
“Perché le porta via? Non posso avere più la bacchetta?” domandò il ragazzo con voce strozzata.
“Non dire stupidaggini, figliolo” rispose la voce di Olivander da dietro gli scaffali.
Quando ricomparve aveva con sé una sola scatola che conteneva una bacchetta molto lunga.
“Ecco qua: legno di quercia, crine di unicorno, sedici pollici generosi.”
Il giovane Hagrid agitò la bacchetta rischiando di colpire in faccia il signor Olivander, che si scansò prontamente e sorrise soddisfatto nel vedere che la bacchetta era quella giusta.
Ora anche il ragazzo sorrideva estasiato.
“Hai visto papà? Senti che forza!”
“Beh, dobbiamo dire che stavolta le dimensioni hanno fatto la differenza!” commentò bonario Olivander.
In quel caso, infatti, la natura di gigante del ragazzo, ancorché parziale, aveva avuto un ruolo predominante nella scelta della bacchetta, anche se, Olivander sapeva, in realtà non erano soltanto l’altezza fisica e le grosse dimensioni a fare la differenza, quanto piuttosto che in quel giovane mago dalle forme sgraziate c’era una quota di magia non umana che necessitava una bacchetta dalla struttura più robusta, un po’ fuori dall’ordinario agli occhi dei più, ma non così tanto a quelli di un artigiano esperto.
Un caso simile, ma dalla direzione opposta, avvenne pochi anni dopo, quando a comprare la prima bacchetta entrarono un mago dall’aria dimessa con la figlia, una bambina dalla faccia tonda interamente vestita di abiti color ciliegia, con un fiocco in testa dello stesso colore della veste.
“Eccoci qua, pronti, stenda le braccia, così” disse svolgendo il metro.
La ragazzina si mise subito sull’attenti, rigida, col mento in alto e al signor Olivander dava l’impressione che stesse stirandosi il più possibile con la schiena per sembrare più alta.
Il metro intanto misurava alacremente e, come qualche volta succedeva, sembrava metterci più del solito.
Dopo un po’, Olivander prese il metro e consultò.
“Spero proprio di avere una bacchetta di drago, ho letto molto al riguardo e penso che sarebbe il mio elemento” disse la ragazzina con una vocetta acuta.
“Oh, beh, ricordate sempre signori che è la bacchetta che sceglie il mago” rispose Olivander gentilmente.
La prima bacchetta che fece provare alla ragazzina era di noce, con corda di cuore di drago, di nove pollici e mezzo. Aveva tutta l’aria di essere quella giusta, ma ne uscì solo un esile filo di fumo.
La seconda, mogano e unicorno, sempre nove pollici e mezzo, addirittura non produsse nulla.
La terza, nove pollici esatti, di corniolo e drago, a fatica produsse uno sputacchio di scintille.
La ragazzina stava ancora davanti a lui, impettita, con un sorriso stranamente immobile sul volto, probabilmente in attesa che lui le desse la soluzione, trovando la bacchetta giusta.
“Possiamo riprendere qualche misura?” tentò Olivander con un sorriso stirato.
Il padre stava per rispondere e aveva abbozzato un sorriso, ma la figlia fu più veloce.
“Sì, ma spero bene che stavolta siano giuste. Io di certo non posso sbagliare nulla a stare ferma!”
Olivander pensò che un po’ di educazione in più non sarebbe guastata, ma era concentrato sul dilemma che le bacchette e il metro gli stavano ponendo.
Il metro misurava e la ragazzina stava ancora impettita, col sorriso fisso e rigido. Il padre era inespressivo. Olivander prese il metro e aggrottò le ciglia.
“Dovrebbe cercare di non falsare le misure” disse poi alla ragazzina in tono neutro.
“Io non falso niente, magari il metro non è buono o lei non ci vede bene!”
Questa volta il padre intervenne.
“Dolores, cribbio, un po’ di educazione! Che modi sono! Chiedi scusa al signor Olivander e segui le sue istruzioni!”
“Mi scusi, signor Olivander” disse subito la ragazzina, come una scimmietta ammaestrata, con voce neutra e lo stesso sorriso fisso in faccia, senza la minima traccia di sincerità.
“Si figuri. Tentiamo lo stesso” rispose Olivander, irrigidendosi appena. Si avviò a prendere altre bacchette e tornò con tre scatole.
“Ippocastano, corda di cuore di drago, otto pollici e mezzo, flessibile.”
Era una bacchetta decisamente corta per gli standard usuali, ma anche lui era incuriosito dal fenomeno.
“No?” disse rivolto alla ragazzina che agitava senza convinzione la bacchetta muta.
“No, direi” commentò lei con la vocetta neutra e il sorriso fisso, che ora a Olivander sembrava inquietante, come quello di una bambola stregata per spaventare i bambini troppo curiosi.
“Allora questa, ancora drago, ancora otto pollici e mezzo, legno di peccio.”
Ma nell’istante stesso in cui le porse la bacchetta, seppe che era inutile, perché quella giusta era l’ultima.
Il tempo di vedergliela in mano e la riprese.
“Questa: ancora drago, legno di betulla, otto pollici appena.”
Qualunque cosa stesse per dire la ragazzina le morì sulle labbra e finalmente il sorriso rigido scomparve per lasciare spazio ad un’espressione  di sincero stupore.
“Hai visto l’abbiamo trovata, tesoro?” disse il padre.
La ragazzina sorrise di nuovo e squittì un neutro e formale “grazie” all’indirizzo del signor Olivander.
Mentre il padre tirava fuori i galeoni per pagare, la ragazzina si fermò e guardò il signor Olivander in modo penetrante.
“Ma la bacchetta è così corta perché io non sono ancora molto alta?”
“In un certo modo, l’altezza c’entra sempre, per cui, per dire, una bacchetta di tredici pollici non poteva andare bene, ma questo non toglie nulla alle potenzialità della bacchetta e della strega che la impugna: tutte le bacchette sono valide e forti, se tale è il mago o la strega che la usa” rispose incoraggiante.
Allora non ebbe cuore di dirle quello che invece quella misura insolitamente ridotta indicava e che il metro e la sua esperienza di artigiano avevano intuito: e cioè che qualcosa mancava irrimediabilmente in quella giovane strega, non tanto nella sua potenzialità magica, quanto forse nello spirito. Ma d’altro canto poteva pure sbagliarsi: la ragazzina poteva trovare ad Hogwarts la sua strada, vincere il senso di inferiorità che sembrava imbrigliarla e diventare una strega brillante capace di mettere al servizio della comunità il suo talento.
Adesso però gli anni erano passati e Olivander aveva visto chi e cosa era diventata quella ragazzina col fiocco color ciliegia e il sorriso rigido e non sapeva se complimentarsi con se stesso per la perspicacia o cedere al pessimismo, pensando che se è vero che la bacchetta non sbaglia mai a scegliere il mago, talvolta anche le cosiddette superstizioni hanno del vero, e quando tale vero si manifesta, non è mai un buon segno.

***

Doppia bacchetta stavolta, per due personaggi diametralmente opposti, dentro e fuori: Hagrid mezzogigante dal cuore grande come la sua persona, e Dolores Umbridge, piccola e di vedute ristrette dentro e fuori, che cerca di essere sempre quello che non è.
E Olivander ogni giorno si confronta con le bacchette stesse: non cede alle superstizioni, perché non esistono dogmi, ma qualche volta deve riconoscere che la ragione, intesa come può intenderla un mago, qualche volta non basta, e bisogna ascoltare anche i segnali più inusuali.
A dire il vero, il capitolo non mi convince moltissimo, quindi le recensioni sono ancora più gradite.
Infine, comunicazione di servizio: molto probabilmente Wands si prende una pausa, nel senso che non aggiornerò tutti i sabati come fatto finora, sia per impegni ma anche e soprattutto perché ho iniziato a scrivere altro. Se siete interessati, stay tuned!

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Capitolo 11
*** Minerva McGranitt ***


X. Minerva McGranitt

XI


Una delle prime cose che il signor Olivander aveva imparato da suo nonno era che costruire una bacchetta non è come preparare una pozione: non c’è una procedura, una ricetta, non ci sono manuali e volumi di teoria e dissertazioni che possono aiutare l’aspirante artigiano. Alcuni elementi non legheranno mai fra loro, e la volta che lo faranno sarà per caso, per una combinazione irripetibile che, ricercata con ardimento successivamente, non si presenterà più, se non fra cinquanta o cento anni. Altri elementi sono fatti per stare assieme, ma questo non garantisce la riuscita della bacchetta, quando la mano che li unisce ha fretta, è stanca, ha troppa fiducia in sé stessa o troppo poca. E poi bisogna tenere in conto l’elemento più importante: il mago. La bacchetta lo sceglie, perché la bacchetta sa, più di Olivander stesso, o meglio, sa diversamente, cosa cercare e di cosa fare a meno.
Un mattino della tiepida estate del 1947 entrarono nel negozio una strega con la figlia.
“Buongiorno, signor Olivander. Siamo qui per la bacchetta di mia figlia Minerva. Alla fine, il giorno è giunto” disse la donna, con un marcatissimo accento scozzese.
“Benvenute, signore – iniziò il signor Olivander – Minerva, quale nome impegnativo!” disse rivolto alla ragazzina, già abbastanza alta per la sua età, con i capelli corvini raccolti in una crocchia ordinata e abiti Babbani modesti ma ben stirati.
“Tutti i nomi sono impegnativi, secondo me, perché li ha già portati qualcuno prima di noi” ripose prontamente.
“Un ottimo punto di vista, direi. Stenda le braccia, così prendiamo qualche misura.”
La ragazza rimase in posizione seguendo il metro con lo sguardo, voltandosi ogni tanto e sorridendo entusiasta alla madre.
D’altronde, quello era il suo primo vero ingresso nel mondo magico, il mondo di sua madre, il mondo che doveva necessariamente restare celato a tutti i loro conoscenti e a tutti i fedeli della chiesa presbiteriana di cui suo padre era il pastore, nel loro piccolo villaggio nelle Highlands. Un’impresa non da poco, visto che lei sapeva provocare fenomeni magici fin da piccolissima e adesso anche i suoi fratelli facevano i conti con la necessità di tenere nascoste le loro capacità, ad esempio alla scuola della chiesa e durante le scampagnate con gli amici. Su questo sua madre era sempre stata categorica: la magia deve restare nascosta, per legge e per necessità, e anche se suo padre aveva compreso la loro natura non dovevano venir meno alla segretezza con gli altri Babbani. Sapeva che aveva ragione, ma era davvero frustrante e da quando aveva ricevuto la lettera per Hogwarts ancora di più, per questo non vedeva l’ora di essere là ed essere libera di fare magie.
“Eccoci, fra queste c’è la bacchetta che stiamo cercando – disse Olivander – Provi questa, nove pollici e mezzo, legno di faggio, corda di cuore di drago. Una bacchetta decisa per una strega molto dotata.”
Minerva prese la bacchetta e la agitò, cercando di eseguire l’incantesimo di Levitazione che tante volte aveva provato e dominato, da sola, senza bacchetta, con la sola forza della mente, con risultati alterni e tanta fatica.
La scatola vuota verso cui aveva rivolto l’incantesimo volò di scatto verso il soffitto e ripiombò a terra con fracasso.
La ragazza fece un passo indietro, stupita ma attenta a cosa avrebbe detto il signor Olivander.
“Un po’ troppo, direi – il fabbricante ridacchiò – Allora questa, nove pollici e tre quarti, ancora drago, legno di mogano, perfetta per la trasfigurazione.”
Minerva prese la seconda bacchetta ed eseguì ancora l’incantesimo, se possibile con maggiore concentrazione.
Questa volta la scatola salì in aria con minore impeto e rimase fluttuante a mezz’aria, mentre la giovane strega la fissava con attenzione.
“Molto bene, tesoro! – disse la madre – Anche la nonna aveva una bacchetta di mogano!”
Minerva sorrise e lasciò andare la scatola, che ricadde sul bancone con un tonfo più lieve.
“Non sei contenta, Minerva?” chiese la madre, vedendo la figlia ferma e pensierosa.
“È solo che me lo immaginavo diverso, madre. Immaginavo che avrei sentito qualcosa, qualcosa di più” rispose, leggermente incerta.
“E immaginava bene – la interruppe Olivander – Quella che tiene in mano è una bellissima bacchetta, di un legno adeguato alle abilità che albergano nella giovane strega che ho davanti, di una misura appropriata e con un nucleo donato da un poderoso drago della specie Ungaro Spinato. Non mi stupisce che lei riesca ad eseguire correttamente incantesimi e con un controllo notevole per la sua età. Ma come dice lei stessa, manca qualcosa. La maturità di un mago o di una strega si vede anche da questo.”
La ragazza trattenne il respiro un attimo, per poi rivolgersi all’artigiano.
“Intende dire che devo cercare un’altra bacchetta? Ad ogni modo, mi fido del suo giudizio.”
Olivander fece un ampio sorriso.
“Proprio così. Ma non sarà una ricerca lunga, perché aver provato prima la bacchetta di mogano è stato solo un caso dovuto all’ordine casuale delle scatole. Ecco qui, nove pollici e mezzo, ancora drago, legno di abete. Anche questa molto adatta alla trasfigurazione, e con una certa resilienza, com’è proprio dell’abete.”
Minerva afferrò la bacchetta di legno chiaro che Olivander le stava porgendo e nell’istante in cui il legno toccò il palmo della sua mano sentì che era finalmente la sua bacchetta, che lo era davvero.
Sorrise di rimando all’artigiano e mosse il braccio con eleganza.
Wingardium Leviosa!” disse con voce limpida, e la scatola vuota salì in aria con grazia, senza alcuna fatica, restando fluttuante a mezz’aria, anche quando Minerva smise di guardarla e di tenere alta la bacchetta.
“Molto bene! – fece il signor Olivander – Inutile dire che, da quello che vedo, dobbiamo aspettarci grandi cose da lei!” concluse rivolto alla ragazzina, che rimase seria, ma comunque sorridente.
“Beh, menomale ci siamo soffermati un attimo! – commentò la madre – Magari avrebbe avuto una buona riuscita anche l’altra, ma presto immagino che sarebbero sorti dei problemi.”
“Infatti. Sicuramente sua figlia avrebbe fatto ottime cose anche con l’altra bacchetta, ma solo una era ed è quella giusta. Sa, a volte si presenta lo stesso problema quando un mago chiede una bacchetta su misura, da creare da zero. Uno studia a lungo, prepara tutto, pensa tutto, si mette all’opera e crede che ormai tutto torni, tutti i pezzi siano a posto e non ci siano altre possibilità che l’oggetto che sta fra le sue mani sia quello giusto. Ma le bacchette sanno, quando i maghi invece intuiscono soltanto.”


***

NdA: cucù! Rieccomi con Olivander e le sue bacchette! Cosa pensate di questa Minerva McGranitt undicenne? Ho preso spunto da quello che ha scritto la Rowling di lei su Pottermore, bacchetta compresa, e quello che più volevo far risaltare è la maturità della ragazza, nonostante le capacità magiche già ben evidenti (tra l’altro, ho sempre immaginato la McGranitt giovane come una Hermione ante litteram).
Infine, comunicazione di servizio: Wands è prossimo alla conclusione, mancano forse un paio di bacchette, e poi FORSE, ma molto FORSE, si parte con qualcos’altro. Recensite e ditemi la vostra!

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Capitolo 12
*** Una bacchetta speciale - Albus Silente (e non solo) ***


XI. Albus Silente

XI


“Nonno, posso chiederti un aiuto? Stavo studiando i tuoi appunti e c’è una questione che non riesco a capire.”

“Dimmi, figliolo, sono qui apposta” rispose pacato Gerbold Olivander.
“Sono arrivato alla parte in cui parli dei tuoi esperimenti costruttivi con altri nuclei che non siano drago, unicorno e fenice e dove descrivi delle bacchette altrui che hai studiato. Riesco ad afferrare perché la cenere e il guscio di un uovo di Aswinder siano instabili in qualunque combinazione di legno, ma perché i capelli di Veela e il pelo di Camuflone non possono andare? È vero, la loro magia ha molto più dell’inafferrabile e dell’ambiguo rispetto alla solidità trasparente dell’unicorno o alla magmatica forza del drago, ma la fenice allora? Non è forse fuggevole come l’incanto di una Veela ed evanescente come la figura del Camuflone?”
“Osservazioni corrette, Garrick. Tuttavia, ho imparato nel tempo che la Veela ha troppo dell’umano per piegarsi a divenire cuore di una bacchetta, che è comunque uno strumento dell’essere umano: come tu dici, è fuggevole, volubile e umorale, direi io, proprio come gli esseri umani. Il pelo del Camuflone viene già impiegato per tessere mantelli dell’invisibilità e onestamente non mi fido ad usare come anima di una bacchetta un’entità che abbia come sua peculiare natura quella di rendersi invisibile, senza ragione alcuna. La fenice, invece, per quanto schiva e difficile da avvicinare, ha nella sua natura il perpetuo rinnovarsi e, nel suo morire e rinascere, dà prova di grande persistenza in questo mondo.”
“Però tu scrivi che esistono bacchette la cui anima è in tendine di Dissennatore o crine di Thestral!”
“Leggi meglio, ragazzo. Io scrivo che vi sono nel corso della storia notizie più o meno fondate di una bacchetta con tendine di Dissennatore fabbricata nel Cinquecento da un artigiano italiano, bacchetta che tuttavia nessuno ha mai visto davvero, la cui storia si sovrappone e si mescola con quella della celebre Stecca della Morte, sulla quale io sospendo il giudizio. Una bacchetta con crine di Thestral invece ho veduto e toccato davvero con mano quando studiavo a Praga: era stata fabbricata da un artigiano dell’Est Europa di nome Gregorovitch, ambizioso e abile, attento alla materia magica ma forse anche troppo facilmente influenzabile. Devi sapere che l’Europa centrale e l’Italia stessa hanno una grande tradizione di sperimentatori con la materia magica e per tutto il secolo scorso la ricerca nell’uso del crine di cavalli alati di varie razze ha avuto un grande sviluppo, al pari di quella sui draghi. Ma un conto è prendere il crine di un Etone o di un Granio, molto diffuso in Germania ad esempio, o anche di un Ippogrifo, e un conto è il Thestral, per vedere ed avvicinare il quale, dovresti sapere…”
“Sì, bisogna aver assistito alla morte di qualcuno. Per questo è considerato una creatura infausta. Ma tu nonno dici sempre che non bisogna credere alle superstizioni” ribatté il nipote prontamente.
“Certamente, ma le superstizioni diventano tali quando limitano la nostra conoscenza e la nostra possibilità di agire nel mondo per il bene, non quando rappresentano l’unica traccia di una consapevolezza remota, l’unica prova dell’esistenza di un limite che l’uomo non deve valicare. Come direbbe tua nonna parlando dei suoi coetanei Babbani, molti danni hanno fatto all’umanità coloro che hanno ucciso in nome di Dio, ma altrettanti ne faranno quelli che diranno che Dio è morto.”
“Continuo a non capire, ma ci penserò su. Allo stesso modo però in cui tu non approvi il crine di Thestral, approvi l’uso del legno di sambuco, eppure anch’esso è associato strettamente alla morte nella tradizione, poiché si dice che la Stecca della Morte sia in sambuco. E lo era anche la bacchetta che descrivi!”
“Proprio così, ma la differenza esiste: la magia arcana del Thestral è reale, e può essere sperimentata da ciascun mago, mentre la fama triste del sambuco è solo frutto di storie che si rincorrono nei secoli, e nessuno ha mai dimostrato che una bacchetta di sambuco porta sventure a chi la usa, semmai, la difficoltà nel lavorare il legno scoraggia la maggior parte dei fabbricanti, con Gregorovitch eccezione a ciò. Tuttavia, il suo orgoglio nel mostrare la bacchetta prodigio dell’arte, crine di Thestral e sambuco, mi appare adesso dopo tanti anni un eccesso pericoloso, in un tempo com’era allora pieno di rivolgimenti politici e sociali. Non so se quella bacchetta abbia mai trovato un proprietario o se, come spero, sia rimasta soltanto un oggetto di pregio utile a incrementare la fama di Gregorovitch e di conseguenza i suoi guadagni.”
Il giovane Garrick Olivander sembrava pensieroso.
“Posso però raccontarti una storia su un’altra bacchetta di sambuco che ho venduto non tantissimi anni fa, ad un mago che si sta rivelando un uomo di scienza e di cultura, che tanto può portare all’avanzamento delle conoscenze della comunità, a riprova che le superstizioni vanno vagliate di volta in volta.”
“Sì, racconta!”
“Un mattino sul finire del secolo scorso entrarono in negozio una strega col figlio. Non avevano nulla di particolare in sé, ma dopo pochi istanti dal loro ingresso li riconobbi come gli incolpevoli protagonisti di una storia di cronaca giudiziaria che tanto aveva fatto clamore nei mesi precedenti nella comunità. La donna si chiamava Kendra Silente e il marito era in quel momento ad Azkaban a scontare la condanna per l’omicidio di alcuni ragazzi Babbani che, a detta sua, avevano fatto del male alla figlia minore, una bambina affetta da non si sa che oscura malattia. Tutta la famiglia, la loro casa, il giardino in cui si era consumata la tragedia, tutto quanto era apparso sul Profeta con dovizia di dettagli. La donna poi doveva essersi trasferita in un altro villaggio, ma di certo il trauma suo e dei figli doveva essere ancora vivo e profondo, e non c’era da biasimarla se si mostrava dura e di poche parole, quando incontrava degli estranei. Il figlio primogenito che allora doveva iniziare Hogwarts era un ragazzo biondo, con limpidi occhi azzurri, e somigliava molto alla madre fisicamente, ma con una straordinaria leggerezza nei tratti. Ricordo che provammo numerose bacchette, ciascuna nel suo peculiare, e il ragazzo seppe produrre fenomeni magici di diversa entità e controllo, finché non incontrò la sua bacchetta, una bacchetta di sambuco lunga dieci pollici e tre quarti, irrimediabilmente asimmetrica nella foggia, con la piuma di una fenice che io sapevo ormai definitivamente spentasi nella sua ultima cenere. Un insieme di infausti segni, mi parve allora. E come se mi leggesse nel pensiero, la donna commentò che davvero non c’era fine alla miseria. Il ragazzo invece forse allora non aveva le conoscenze per capire i nostri riferimenti, e disse soltanto che sapeva bene che è la bacchetta a scegliere il mago, e che avrebbe fatto del suo meglio con quella che gli era toccata, qualunque cosa ciò portasse. Come vedi, nessun destino è inciso nel legno della bacchetta, ma sta al mago e alla strega approfondire la propria e l’altrui natura, e volgerla al bene.”


***

NdA: capitolo un po’ diverso dal solito, in cui ho voluto immaginare quale sia stata la bacchetta di Silente prima della celebre bacchetta di sambuco che vince in duello a Grindelwald e ho pensato che fin dall’inizio fosse destinato ad una bacchetta particolare, che già lasciasse intravedere un destino di grandezza, ma non un destino già preordinato, ma un destino che lui costruisce da solo, con la sua abilità e la sua coscienza di uomo. Considerando l’età del personaggio, ho pensato che sia stato il nonno del signor Olivander a vendergli la bacchetta e che la usi come esempio nell’istruzione del nipote come suo erede artigiano nei primi del ‘900 (facendo il conto che Olivander ha una trentina di anni quando vende la bacchetta a Tom Riddle).
Penso si intuisca che l’epoca a cavallo fra Otto e Novecento, il tempo di Marx, di Nietzsche, dell’Austria felix e della fine degli imperi mi affascina un sacco (da qui anche l’idea della nonna di Olivander, una strega Nata Babbana colta e consapevole del tempo che stanno vivendo i Babbani contemporanei) e mi piace immaginare che la bacchetta di sambuco made in Gregorovitch sia stata concepita in quel tempo pieno di rivolgimenti…e qui mi rivolgo alla cara Elsinor che mi riempie di gioia con le sue recensioni: dato che scriverai ancora di Grindelwald magari potresti anche mostrare come giunge in possesso dell’oggetto in questione e non solo (sto lanciando molti sassi senza neanche nascondere tanto la mano eh eh)…in ogni modo, sono solo idee vaganti!
Infine, disclaimer: tutte le creature citate non sono mie, ma vengono dal libro Animali fantastici! Di mia invenzione è invece la bacchetta col tendine di Dissennatore, che forse ricomparirà anche in una storia futura, almeno di nome!

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Capitolo 13
*** Il demiurgo - Garrick Olivander ***


XII. Olivander

XII


Ci aveva pensato tutto il giorno e tutta la notte. E anche il giorno prima, e quello prima ancora, da quando era entrato nell’anno dei suoi undici anni. Ma finché la lettera non era arrivata, in famiglia nessuno aveva fatto parola. Poi una mattina di aprile la lettera era arrivata, a lui ultimo figlio di un’antichissima famiglia di maghi dal sangue potente come al più anonimo dei Nati Babbani. Nessuno si era sorpreso, ovviamente, e tutti avevano festeggiato, ma ancora nessuna parola, e non sarebbe stato lui a rompere il silenzio. Solo suo padre, alla fine della giornata, gli aveva finalmente parlato.
“Da domani iniziamo a lavorare sul serio sulla tua bacchetta. Ho già fatto tante cose, tanti progetti, e credo di essere vicino al risultato.”
Garrick Olivander aveva sorriso a suo padre, pieno di gioia.
Anche l’erede della più antica famiglia di artigiani di bacchette doveva avere la sua, e che fosse sua soltanto.
Ma nel corso dei giorni successivi si era insinuata in lui un’inquietudine di cui non sapeva spiegare la ragione. Piano piano avevano preso forma alcuni pensieri ricorrenti: era davvero possibile che suo padre fabbricasse per lui una bacchetta su misura, da zero? Suo nonno ripeteva spesso che creare una bacchetta su misura per un mago che ti sta di fronte è la cosa più difficile, mentre è molto più semplice farlo per un mago che non vedi, che non conosci ancora, per un mago in potenza, come diceva sua nonna. Cosa che andava contro il senso comune, perché dovrebbe essere più facile fare qualcosa per qualcuno che hai davanti che per uno sconosciuto, no?
E poi: la sua bacchetta sarebbe stata speciale solo perché era un Olivander? O alla fine avrebbe pescato una bacchetta dalle molte sistemate nelle loro scatoline sugli scaffali? Voleva che fosse speciale, ma si sentiva anche in colpa nel pensarlo. Qualunque bacchetta è speciale, se tale è il mago che la impugna, sentiva dire da che aveva memoria. Però da quello che studiava già da quando aveva imparato a leggere e scrivere per prepararsi al suo futuro di artigiano, c’erano legno e legno, e se c’erano cento bacchette di quercia o di nocciolo e solo un paio di tasso o di agrifoglio una ragione ci doveva essere.
E infine, la cosa più importante: non c’era qualcosa di profondamente stonato, dissonante, incongruente, nel fatto che suo padre o suo nonno, artigiani di bacchette, fabbricasse una bacchetta per lui, suo figlio o nipote, sangue del suo sangue? Non sarebbe stato più giusto che la sua bacchetta provenisse da un’altra mano, una mano che non avesse con lui un tale legame?
Ma tutte quelle riflessioni se le era tenute per sé, per tanti giorni, prima e dopo l’arrivo della lettera.
Intanto maggio era quasi finito e suo padre non sembrava avere ancora ultimato la sua bacchetta. Stava meno in negozio e lavorava a lungo nel laboratorio sul retro, senza dire una parola. Suo nonno Gerbold lavorava nello stesso modo di sempre, ogni tanto alzava gli occhi sul figlio e sorrideva. Lui intanto spolverava il bancone e faceva pratica col metro incantato, che non mancava di ribellarsi.
“A volte frusta ancora me, figuriamoci se non frusta te adesso, che sei ancora così giovane!” gli aveva detto suo padre una volta.
Sapeva che doveva ancora studiare tantissimo prima di poter gestire quello strumento così antico e carico di magia, eppure aveva sperato di riuscire a carpire qualcosa dalle proprie misure, prese alla meglio con faticosi tentativi.
Un pomeriggio suo padre lo chiamò nel retrobottega e gli disse che aveva pronte delle bacchette per lui.
“Ecco qui, nocciolo e drago, undici pollici e un quarto.”
Garrick Olivander provò la bacchetta, ma non produsse nulla.
Suo padre si accigliò lievemente, ma gli porse un’altra bacchetta, di acero e unicorno.
Un altro fiasco.
La terza era di mogano e unicorno, e produsse uno scoppio simile a un lamento.
“C’è qualcosa che non torna” borbottò suo padre.
Suo nonno dava loro le spalle, chino a limare un pezzo di legno, ma Garrick ebbe la sensazione che stesse sorridendo.
Poi suo padre riprese il metro, fece altre misure, parlottò tra sé e gli disse che avrebbero riprovato il giorno dopo con alcune bacchette già pronte.
Stava per aggiungere qualcos’altro, ma suonò il campanello, ad indicare che un cliente era entrato.
Erano un uomo con sua figlia e Garrick spiò da dietro uno scaffale la ragazzina trovare senza difficoltà la sua bacchetta, di olmo e unicorno.
“Sa, quest’anno anche mio figlio va a Hogwarts! – iniziò suo padre – Garrick, saluta una compagna di classe!” lo apostrofò facendolo uscire dal suo nascondiglio.
Aveva preso l’odiosa abitudine di presentarlo a tutti i nuovi maghi, convinto che dovesse subito impegnarsi nel fare amicizie.
Salutò con un cenno e anche il padre della ragazzina incitò la figlia a fare lo stesso.
“Ethelred, hai visto, oggi hai già conosciuto anche un compagno di scuola!”
La ragazzina fece un cenno svogliato, così simile al suo.
Gli stava già antipatica, a pelle.
Quella sera faticò a prendere sonno e si svegliò nel cuore della notte. Mosso da una sensazione che non riusciva a spiegarsi, si alzò e sgattaiolò al piano di sotto, facendo attenzione a non fare rumore, diretto al retro del negozio.
Aprì piano la porta in legno pesante e restò pietrificato dalla sorpresa.
Suo nonno era al lavoro ad un piccolo tavolo, da cui qualcosa sprizzava scintille.
“Vedo che non sono il solo ad essere sveglio e in cerca di qualcosa” commentò il vecchio.
Garrick Olivander si avvicinò, titubante.
“Sì, nonno, ero irrequieto a letto. Pensavo alla mia bacchetta” disse d’un fiato.
“Lo immaginavo – rispose Gerbold Olivander ridacchiando – Anche tuo padre è sveglio nel letto, ma è troppo orgoglioso per scendere giù.”
“Ho paura che papà non sia in grado di fare la bacchetta per me” cominciò il giovane Olivander.
“E perché pensi questo?”
“Non lo so, ma sento che è così, che non va bene che sia lui a farmi la bacchetta. Papà può creare la bacchetta per tutti i miei futuri compagni di scuola, compresa quella musona che è entrata oggi, ma non per me.”
“Anche a me non fece una grande impressione tua nonna, il primo giorno di scuola” osservò distrattamente Gerbold Olivander.
Il nipote si fermò un attimo a chiedersi cosa c’entrasse quell’osservazione, ma il legno grezzo sparso sul tavolo attirò la sua attenzione.
“Chissà se sarò mai in grado io, nonno” considerò, con voce atona.
“Oh sì che sarai in grado, più di me e di tuo padre messi insieme. Non ne ho il minimo dubbio” rispose l’anziano.
Il ragazzo sospirò, pensieroso.
“La sensibilità e l’inquietudine sono un requisito fondamentale per questo mestiere, e anche tuo padre non ne è ancora del tutto consapevole. È perfettamente normale che il pensiero della tua bacchetta ti crei un dibattimento interiore, perché tu stai per diventare al contempo colui che crea e colui che distrugge: colui che crea, perché imparerai e dominerai quest’arte che offre a ogni mago il prolungamento della mano e della mente, l’oggetto più intimo e importante per ciascuno di noi, e colui che distrugge, perché la magia si consuma insieme alla vita che la percorre e ogni bacchetta si spegne col suo mago, dopo una vita in cui si è arricchita e approfondita, e solo gli sciocchi credono di poter far ereditare ai propri figli la propria bacchetta, e se stessi attraverso di essa. Tu, come tuo padre e come me prima di lui, sei il demiurgo, come direbbe la nonna, sei il punto dove il cerchio si chiude e dove il cerchio si riapre.”
“E la mia bacchetta quindi?”
“La tua bacchetta è qui da qualche parte, fabbricata di sicuro molto tempo fa, quando tu non eri nei pensieri nemmeno di tua madre, probabilmente.”
“E la troveremo presto?”
“Stanotte stessa, se vuoi” rispose l’anziano artigiano, allusivo.
Gli occhi chiari di Garrick Olivander si spalancarono di entusiasmo.
“Papà ci rimarrà male…” iniziò, poco convinto.
“No, non credo, tuo padre sa come vanno certe cose, solo che a volte se ne dimentica.”
“Sì” disse soltanto il ragazzo.
“Bene, chiudi gli occhi – disse il nonno svolgendo il metro – Per te sarà più facile se non vedi.”
Garrick Olivander tenne gli occhi chiusi per tutto il tempo che sentì il metro volteggiargli intorno e anche oltre, quando il nonno tornò con alcune scatole.
“Faggio e fenice, dodici pollici” disse il nonno indicandogli la prima scatola.
“Cosa dovrei sentire?” chiese prima di prenderla, ad occhi aperti.
“Ognuno sente cose diverse. Dimmelo tu. Non è nemmeno detto che sia questa” rispose Gerbold Olivander.
Il giovane Olivander la prese in mano e, con sua sorpresa, non sentì niente.
“Non sento niente, come oggi pomeriggio. Non è che, appunto, non funziona se io, siccome so che tu, e papà, cioè, non possiamo…” ma il nonno lo interruppe con lo sguardo.
Provò un’altra bacchetta, senza successo.
“Ancora, chiudi gli occhi e, per una volta, non pensare, ma abbi fiducia” disse Gerbold Olivander.
“Ma io ho fiducia in te!” ribatté il nipote.
“Fiducia in te stesso. Chiudi gli occhi.”
Garrick Olivander chiuse gli occhi e provò via via qualche altra bacchetta che il nonno gli porgeva, chiedendogli cosa sentiva.
Aveva perso il conto di quante ne aveva provate.
“Cosa senti?” chiese ancora una volta il vecchio artigiano.
“Sento il calore del caminetto. Sento il profumo del legno. Sento l’estate, e il volo ad ali spiegate del drago libero sui prati verdi e le brughiere. Sento il sorriso di mamma e l’ironia della nonna. Sento il campanello del negozio e i sussurri della notte.”
“Undici pollici e tre quarti, legno di carpino, corda di cuore di drago. Visto che l’abbiamo trovata?”
Garrick Olivander aprì gli occhi.
“È perfetta, nonno.”


***


NdA: FINE! Wands si chiude qui, con una bacchetta che doveva per forza essere l’ultima, quella di Olivander stesso.
Postilla: io sono una capra in filosofia, ho vaghi ricordi del liceo che tengo ben stretti, ma non sono un’addetta ai lavori e i riferimenti filosofici in questa storia non sono da prendere troppo sul serio, ma come suggestioni di una profondità che ci sfugge e che secondo me ben si addice al personaggio e al suo compito.
Ecco, anche se è tutto finito non è una scusa per non recensire, quindi commentate e fatemi sapere cosa ne pensate!

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