Makohon Saga - Le coeur de Paris - Volume 13

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La pioggia ***
Capitolo 2: *** I compiti ***
Capitolo 3: *** La febbre ***
Capitolo 4: *** L'appuntamento ***
Capitolo 5: *** Il puntaspilli ***
Capitolo 6: *** Il limite ***
Capitolo 7: *** L'abito ***
Capitolo 8: *** Il cieco ***
Capitolo 9: *** L'incanto ***
Capitolo 10: *** Il ballo ***
Capitolo 11: *** La confusione ***
Capitolo 12: *** La ferita ***
Capitolo 13: *** Lo stupore ***
Capitolo 14: *** Il gioco ***
Capitolo 15: *** Le lacrime ***
Capitolo 16: *** La notizia ***
Capitolo 17: *** La fiducia ***
Capitolo 18: *** La verità ***
Capitolo 19: *** L'ossigeno ***
Capitolo 20: *** Il mulino ***
Capitolo 21: *** L'ostinazione ***
Capitolo 22: *** La modella ***
Capitolo 23: *** Lo spot ***
Capitolo 24: *** Il rapimento ***
Capitolo 25: *** Le alleate ***
Capitolo 26: *** Le spiegazioni ***
Capitolo 27: *** Lo scandalo ***
Capitolo 28: *** La mamma ***
Capitolo 29: *** La delusione ***
Capitolo 30: *** La convivenza ***
Capitolo 31: *** La squadra ***
Capitolo 32: *** Il cinema ***
Capitolo 33: *** Il pettegolezzo ***
Capitolo 34: *** Le akuma ***
Capitolo 35: *** L'eroe ***
Capitolo 36: *** La storia ***
Capitolo 37: *** La coppia ***
Capitolo 38: *** L'attrice ***
Capitolo 39: *** La notte ***
Capitolo 40: *** Lo scontro ***
Capitolo 41: *** La speranza ***
Capitolo 42: *** Il futuro ***



Capitolo 1
*** La pioggia ***


La pioggia

«Miraculous Ladybug!» disse la giovane eroina lanciando in aria l’ombrello, che aveva appena usato per sconfiggere il nemico, riportando tutto alla normalità.
«Ah Ladybug! Sei fantastica!» esclamò Chloé abbracciandola in un moto di euforia.
La super eroina la allontanò scocciata. 
«Io vado… Arrivederci!» disse poi, uscendo dalla classe di fisica del collège e andando verso l’ingresso dell’edificio. 
«Ladybug, aspetta…!» le urlò dietro il ragazzo biondo, infilato nella sua tutina nera aderente, ma la ragazza era già lontana.
Aveva abbastanza tempo per tornare a casa ancora sotto l’aspetto di Ladybug, e ne voleva approfittare, così poi si sarebbe riposata. Arrivata all’ingresso però si fermò: pioveva.
«Accidenti, mi serviva proprio quell’ombrello…» borbottò, ripensando al Lucky Charm che aveva usato per la battaglia appena vinta.
«Hai bisogno di aiuto, my lady?»
La ragazza si girò e vide Chat Noir aprire un ombrello nero e porgerglielo.
Fece per prenderlo e, nel farlo, gli sfiorò la mano guantata e munita di artigli. Per un attimo all’immagine dell’eroe felino, si era sostituita quella del bel modello Adrien Agreste, ma anche quando si riscosse dalla sua immaginazione e ricominciò a vedere il suo compagno di avventura nella sua tuta di pelle nera, il suo cuore non smetteva di martellarle nel petto.
Perché? Perché tutt’a un tratto trovava Chat Noir… Attraente?!

 

La ragazza prese l’ombrello dalle sue grinfie, la sua mano guantata di rosso aveva un tocco delicato, un tocco che per un’attimo gli ricordò la sua migliore amica.
Il suo cuore batteva furioso. Come poteva una semplice ragazza, di cui non sapeva nulla, farlo sentire così?
I suoi pensieri furono interrotti dalla sua voce sommessa.
«Chat Noir… Non puoi accompagnarmi… Altrimenti…» sembrava non riuscisse a parlare.
«No, no, – disse scuotendo le mani come segno di negazione – io vado a casa mia. Tu prendi pure l’ombrello. Au revoir, my lady!» concluse facendole l’occhiolino, per poi fuggire via sotto la pioggia.

 

Ladybug lo seguì con lo sguardo, finché non lo perse di vista, ma anche dopo rimase qualche secondo come imbambolata. Fu il suono del suo orecchino a riscuoterla dal torpore di qualcosa che non comprendeva ancora. Il tempo di Ladybug stava per scadere.
Tenne saldo l’ombrello che le aveva dato Chat Noir, scese le scale della scuola e con passo svelto attraversò la strada, ritrovandosi così davanti alla panetteria. A quel punto lanciò lo yo-yo verso la ringhiera della veranda, proprio sopra camera sua e si issò.
Solo quando fu al sicuro nella botola che portava nella sua camera, Ladybug chiuse l’ombrello e lo lasciò lì fuori, sotto la tettoia, a scolare l’acqua che aveva accumulato.
Scese la scala e i suoi orecchini esalarono il loro ultimo respiro, gettando fuori un piccolo esserino rosso a pois neri e facendo tornare lei con il suo aspetto normale.
Marinette prese al volo la sua piccola kwami.
«Riposati Tikki… – le sussurrò – Domani mattina facciamo scorpacciata di biscotti.» poi le diede un bacino sulla testolina e la posò nel piccolo giaciglio che aveva costruito apposta per lei molto tempo prima.
Anche lei era stanca e, senza neanche avere la forza di cambiarsi, si buttò sul letto e si addormentò.

 

Chat Noir si gettò dentro la finestra appena in tempo: nel momento in cui i suoi piedi toccarono terra la trasformazione finì e un piccolo gattino nero schizzò fuori dal suo anello, mostrando un Adrien alquanto provato e soprattutto fradicio.
«Mi spieghi com’è possibile che anche i miei vestiti normali sono bagnati? Accidenti!» protestò lui.
«Non ne ho idea… – rispose il piccolo kwami nero – Comunque ora io mi mangio il mio bel pezzo di camembert e me ne vado a dormire.»
«Sì, sì… Ok… – rispose il biondo per poi fare un sonoro starnuto – Maledizione! Spero di non essermi preso qualcosa!» protestò.
Si diresse in bagno e si tolse i vestiti bagnati, per poi gettarsi sotto la doccia, mettendo l’acqua calda. 
Era una sensazione davvero piacevole. Sembrava che tutto il freddo accumulato nel prendere la pioggia, si stesse sciogliendo sotto l’acqua calda e sotto il pensiero che per la prima volta Ladybug era arrossita ad un suo gesto. 
Sì, l’aveva notata: mentre gli stava prendendo l’ombrello dalle mani, era arrossita. Non sapeva perché, ma forse ce l’aveva fatta, forse era riuscito a fare una piccola breccia nel suo cuore.
Chiuse l’acqua della doccia, si asciugò per bene e si mise il suo pigiama verde di lino. Poi con uno sbadiglio, e un’altro starnuto, si mise sotto le coperte e cadde quasi subito tra le braccia di Morfeo.

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Capitolo 2
*** I compiti ***


compiti

«Nino, puoi portare tu i compiti ad Adrien, visto che oggi non c’è?» chiese l’insegnate di letteratura al ragazzo al primo banco.
Il giovane di colore stava per rispondere, quando la sua compagna, proprio dietro di lui gli lanciò una pallina di carta, facendolo voltare.
«Ma insomma Alya, non ci si comporta così in classe!» la riproverò la donna.
«Scusi professoressa, ma volevo ricordare a Nino che lui ha un’impegno!» disse la ragazza dalla pelle scura e gli occhiali, con un’enorme e innocente sorriso.
«Ah sì?» chiese il ragazzo stupito.
«Sì… – lo guardò di sbieco la ragazza – Te ne sei dim–- Potrebbe consegnarglieli Marinette…» propose.
«Che?!» domandò sconvolta la sua compagna di banco.
«Bene Marinette, li affido a te!» disse la professoressa consegnandole un plico di fogli, senza che lei potesse ribattere.
Subito dopo suonò la campanella e la classe pian piano iniziò a svuotarsi.
«Mi dici che ti è saltato in mente? Non posso andare io a consegnare i compiti ad Adrien…» protestò la ragazza.
«Perché no? È la tua occasione Marinette! Fidati della tua amica!» le rispose Alya facendole l’occhiolino, dopodiché prese Nino per un braccio e lo trascinò fuori dall’aula.
Con un sospiro la giovane Dupain-Cheng mise tutto dentro al suo zaino e uscì fuori dall’aula.
Arrivata sul posto la ragazza sbuffò: non riusciva a calmarsi, le sembrava di essere un gladiatore che andava verso la fossa dei leoni.
«Marinette, è tutto il tragitto che sospiri.» le fece notare la piccola kwami rossa, sbucando dalla sua borsetta.
La corvina alzò il dito per suonare al citofono di casa Agreste, ma esso rimase sospeso senza muoversi.
«Oh santa pazienza!» esclamò esasperata la creaturina, subito dopo uscì dalla borsa e premette lei il citofono, tornando poi nel suo nascondiglio.
«Tikki, che hai fatto?» protestò lei.
«Quello che tu non riesci a fare!»
«Sì?» chiese una voce femminile che attirò di nuovo l’attenzione di entrambe.
«Ehm… Sono… Sono Marinette… Una compagna di classe di Adrien… Devo… devo dargli i compiti di oggi…» balbettò Marinette imbarazzatissima.
«Entra pure.» disse la voce e subito dopo il cancello si aprì.


Adrien era seduto sul divano bianco che c’era in camera sua. Stava leggendo un fumetto, uno di quelli americani di supereroi. Plagg sulla sua spalla guardava anche lui le immagini stampate sulle pagine che leggeva il ragazzo. Quando qualcuno bussò alla sua porta.
«Avanti!» disse, mentre apriva la camicia per far nascondere il piccolo kwami nero e gettava il fumetto di fianco a lui.
«Adrien, una tua compagna di classe ti ha portato i compiti.» disse la donna che aveva aperto la porta.
«Marinette! – fece il ragazzo, alzandosi dal divano entusiasta di vedere la sua amica – Grazie Nathalie, puoi andare!» concluse poi rivolgendosi di nuovo alla segretaria di suo padre.
La donna con un cenno uscì dalla stanza, chiudendo la porta.
«I tuoi compiti…» disse Marinette tenendo lo sguardo basso.
«Grazie…» rispose il ragazzo, sfiorandole la mano e facendola diventare ancora più rossa di come già era.
Il biondo ebbe appena il tempo di prendere il blocco di fogli che uno starnuto glieli fece volare di mano.
«Accidenti!» protestò chinandosi a raccoglierli.
Anche la ragazza, si abbassò per dargli una mano.
All’ultimo foglio le loro mani si sfiorarono per la seconda volta, ma questa volta la ragazza non riuscì a fare a meno di alzare lo sguardo sul proprietario di quella mano incrociando un paio di smeraldi e un sorriso splendido.
«Devi scusarmi… È da ieri sera che sto così! Credo di essermi preso un bel raffreddore.»
Si alzarono entrambi.
«Beh allora… Io… Ora hai i compiti… quindi… Torno a cosa… cioè volevo dire a casa…» balbettò come suo solito la ragazza.
«Perché non rimani invece?» chiese il biondo.
«Eh?! Cosa… cioè… Perché?» Marinette era sempre più imbarazzata.
«Mio padre non c’è, Nathalie è stra-impegnata… Non mi dispiacerebbe un po’ di compagnia.» disse con un sorriso.


«Va bene… Certo…» rispose, ancora un po’ stranita.
Non ci credeva ancora: Adrien l’aveva invitata a rimanere con lui. Sembrava un sogno che si realizzava, ma allo stesso tempo non sapeva che fare. Cosa avrebbe detto? Che avrebbero fatto? Avrebbe fatto una figuraccia lo sapeva già.
«Accomodati!» disse indicandole con un gesto della mano il divano dove stava seduto lui prima.
La ragazza andò, con movimenti quasi meccanici, verso il divano e si sedette. Poco dopo il giovane modello la raggiunse, con il suo solito meraviglioso sorriso stampato in volto.
Non riusciva proprio a sostenere il suo sguardo per più di dieci secondi così si voltò e lo sguardo le cadde sul fumetto che il ragazzo stava leggendo prima che entrassero lei e Nathalie.
«Catwoman…?» chiese stupita voltandosi verso il ragazzo.
«Oh… È solo un vecchio fumetto… Non avevo nulla da fare, quindi… – questa volta fu lui ad essere imbarazzato, quindi cercò subito una scappatoia – Che ne dici di vedere un po’ di tv?»
Appena acceso l’apparecchio al plasma, attraverso il telecomando, apparì l’immagine del notiziario.
«Interrompiamo la normale programmazione, per annunciare che un nuovo super cattivo è stato avvistato nei pressi della Tour Eiffel. Si sta scatenando il caos…»
I due ragazzi rimasero paralizzati per un paio di secondi. 


La prima a riprendersi dalla notizia e reagire fu Marinette.
«Ehm… Ti dispiace se uso il bagno?» chiese.
«No no… Fa pure! – rispose il ragazzo – Io mi faccio un pisolino, ho un po’ di mal di testa.»
Appena la ragazza si chiuse la porta scorrevole del bagno alle spalle, Adrien corse verso il suo letto, riempì le coperte di cuscini e chiamò il suo piccolo compagno.
«Vuoi uscire anche con l’influenza?» chiese il micetto.
«È solo un raffreddore… E poi…»
«E poi non puoi lasciare il tuo unico amore ad affrontare i nemici da sola.» concluse la frase il kwami della sfortuna.
Lui sorrise, per poi mettersi in posizione.
«Plagg, trasformami!»

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Capitolo 3
*** La febbre ***


La febbre

Ladybug trascinò il suo compagno per un braccio, tuffandosi dietro una delle siepi di Champs de Mars proprio dietro la Tour Eiffel.
«Credo di avere un piano… – disse lasciandogli la mano e stringendo il telo da mare rosso a pois neri – Ho bisogno che usi il tuo potere. Ma devi farlo solo appena te lo dico io… Ok?» concluse scrutando l’orizzonte dietro al cespuglio, senza però ricevere risposta.
Si voltò di colpo verso il suo compagno.
«Chat Noir, che ti succede?»
Il giovane super eroe ansimava, era pallido e stava tremando vistosamente.
«Tranquilla my lady, sto bene…» iniziò a dire, ma si bloccò.
All’improvviso la ragazza gli aveva scostato i capelli biondi di lato e aveva poggiato le labbra sulla sua fronte, per poi scostarle subito dopo.
«Chat Noir, tu scotti!»
Non sapeva se scottava prima, ma sicuramente in quel momento si sentì bruciare: era sicurissimo di essere arrossito a quel contatto. Ma sebbene sentisse le guance calde, i brividi non sembravano passare. Sfregò le mani guantate sulle braccia, sperando di scaldarsi in qualche modo, poi si rivolse di nuovo alla sua compagna.
«Non c’è tempo, non pensare a me ora. Dimmi solo cosa devo fare.»
La ragazza lo guardò dubbiosa ancora per qualche secondo, poi rispose.
«Devi solo usare il tuo potere sulla cinghia del suo elmetto. in modo che glielo possiamo sfilare.»
«Ok!»
Il nemico si stava finalmente avvicinando. Papillon aveva conferito a quell’uomo il potere di gestire i metalli come voleva grazie ai palmi delle mani che si comportavano come magneti. L’akuma era sicuramente nell’elmetto che era l’unico oggetto che indossava dopo essere uscito dalla fabbrica in cui lavorava, o almeno così aveva detto il suo collega che era scappato dopo la trasformazione. 
Sebbene potesse controllare qualsiasi metallo e avesse attaccato nei pressi della fabbrica, che si trovava proprio vicino alla Tour Effeil, l’uomo stava sempre abbastanza alla larga dal mostro di metallo e Ladybug sapeva il perché: se si fosse avvicinato troppo sarebbe rimasto bloccato, perché la torre di Parigi era troppo pesante e grossa da manovrare.
Prima che si avvicinasse troppo la ragazza sistemò il telo da mare proprio davanti a una trave degli enormi piedi della torre, fissandolo con il suo yo-yo. Poi prese il bastone dalla cintura di Chat Noir e si mise in posizione di combattimento.
Come si aspettava il nemico usò il suo potere per attirare a sé l’arma del gatto nero, ma lei invece di mollare la presa, fece in modo che il bastone si allungasse.
Quando fu nelle mani di entrambi, Ladybug con un forte strattone attirò Magneto versò di sé e spostandosi all’ultimo fece attaccare inesorabilmente le sue mani contro il telo e quindi contro il metallo che c’era oltre.
«Ora Chat Noir!» urlò la ragazza coccinella.
«Cataclisma!» disse con tutte le forze che aveva in corpo il biondo.
Gli bastò passare solo un’unghia della mano destra sulla fascetta che teneva il caschetto per farlo crollare tra le braccia pronte della sua compagna.
Appena lo ebbe tra le mani lo lanciò a terra con tutta la forza che aveva, scheggiandolo. Dalla crepa ne uscì l’akuma nera come la pece.
La ragazza prese subito lo yo-yo e il telo, poi fece il suo solito rito.


Appena sentì le parole della fine, pronunciate dalla sua dolce donzella, Chat Noir si accasciò al suolo stravolto: la stanchezza lo aveva sopraffatto. 
«Chat Noir!» esclamò preoccupata la ragazza, non curandosi affatto del povero operaio che si era ritrovato all’improvviso nel bel mezzo di Champs de Mars.
«Tranquilla my lady. È solo un po’ di febbre.» la rassicurò lui.
«Solo un po’ di febbre? Chat stai tremando!» protestò lei, aiutandolo ad alzarsi.
«Già… Questo succede quando si fa i galantuomini… Ma ne vale la pena.» disse con un sorriso.
Per un attimo la super eroina rimase stupita, poi capì. Il giorno prima Chat Noir le aveva dato il suo ombrello. Questo voleva dire che dovunque abitasse, lui se n’era tornato a casa sua sotto la pioggia.
Non sapeva come chiedergli scusa, come ringraziarlo, non trovava le parole: era come se all’improvviso fosse tornata Marinette.
«Chat Noir io…» lui le mise un dito sulla bocca.
«I nostri Miraculous stanno per esaurirsi, ed io devo tornare a casa. Alla prossima, my lady.» concluse facendole un dolcissimo baciamano e scappando.
Doveva tornare sul serio a casa: non solo perché si sentiva completamente a pezzi, ma anche perché non sapeva quanto avrebbe retto la scusa del sonnellino. Sperando con tutto il cuore che Marinette non fosse ancora uscita dal bagno, in modo che non le mentisse più del dovuto, si fiondò, con le ultime forze che gli rimanevano, verso casa sua.


Marinette uscì dal bagno, Tikki ben nascosta nella sua borsetta che sgranocchiava già i suoi biscotti.
«Scusa se ci ho messo tanto Adrien.» disse e lo vide raggomitolarsi nel letto, come infreddolito.
In effetti anche lei sentiva un po’ troppo freddo. Si voltò e vide che una delle finestre che costituivano la vetrata della camera del ragazzo era aperta.
«Adrien, ma sei impazzito? Così ti prenderai una polmonite!» disse correndo a chiuderla.
Appena la ragazza chiuse bene la finestra, il biondo da sotto le coperte mugugnò il suo nome.
«Sì?» chiese, tornando ad essere un po’ imbarazzata per la situazione.
«Ho freddo!» protestò il ragazzo, sempre con la voce sommessa.
Lei sospirò e un po’ titubante si avvicinò all’amico.
«Hai… Hai bisogno di qualcosa?» domandò al ragazzo, che in quel momento gli stava dando le spalle, ma subito dopo aver scosso la testa, in segno di negazione, si voltò verso di lei, cambiando fianco. 
La ragazza fu trafitta per l’ennesima volta da quegli occhi verdi e sfavillanti e non capì più niente.
«Rimani qui con me ancora un po’?» chiese il biondo con un tono e uno sguardo da cucciolo.
Lei arrossì, ma sorrise e si sedette sul letto vicino a lui.
«Certo. Rimango quanto vuoi Adrien…» rispose.

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Capitolo 4
*** L'appuntamento ***


L' appuntamento

Adrien uscì dalla limousine salutando i suoi due accompagnatori.
Per fortuna durante il fine settimana, ogni manifestazione di raffreddore, febbre o influenza era sparito nel nulla.
Era lunedì, ed era pronto a ricominciare un’altra settimana di scuola e di vita da supereroe, se mai ce ne fosse stato bisogno.
Non era in ritardo, ma davanti all’edificio non c’era già più nessuno. Con passo svelto entrò e si diresse verso l’aula.


“Allora? Com’è andata?” le chiese Alya mentre lei stava tirando già fuori il quaderno di matematica ed il portapenne per la prima lezione.
“Com’è andata, cosa?” chiese confusa lei.
“Ma come cosa? Venerdì… Sei andata a dare i compiti ad…”
Non fece in tempo a finire la frase che il diretto interessato entrò in aula e la ragazza dovette zittirsi.
“Ciao…” disse Adrien un po’ imbarazzato, salutando le due amiche.
L’occhialuta rispose subito al saluto, mentre Marinette semplicemente arrossì e abbasso lo sguardo sul suo quaderno.
“Allora è successo qualcosa…” le sussurrò l’amica all’orecchio.
“No… Non è successo niente…” rispose la corvina, senza avere il tempo di puntualizzare nient’altro, visto che subito dopo entrò la professoressa.
Dopo l’appello, non ci fu più tempo per le chiacchiere.
La lezione passò veloce e tranquilla, come al solito.
Dopo la seconda ora l’insegnante diede i compiti e uscì dall’aula. 
Vista la solita terza ora buca di lunedì, Marinette decise di andare in biblioteca per approfittarne e fare gli ultimi compiti rimasti per la settimana e, magari, iniziare anche quelli appena consegnati.
Aveva già rimesso tutto nel suo zaino e si stava per alzare, quando qualcuno la chiamò.
S’irrigidì nel sentire proprio la sua voce pronunciare il suo nome. 
Si voltò, ed incrociò gli occhi smeraldo del ragazzo di cui era perdutamente innamorata. Non ebbe neanche il coraggio di rivolgergli la parola, e pensare che tre giorni prima era stata un pomeriggio intero con lui.
“Che ne dici se ti offro un caffè?” chiese lui.
A quella domanda, la ragazza rispose con un verso sconvolto, mentre la sua amica, ancora di fianco a lei, si portava la mano alla bocca con uno sguardo entusiasta.
“Sì insomma… Volevo ringraziarti per essere rimasta con me venerdì. Quindi pensavo di offrirti un caffè questo pomeriggio. Ti va?”
Marinette ascoltò fino alla fine la proposta del biondo. Quando le ripeté la domanda non sapeva davvero cosa rispondere e iniziò a balbettare come suo solito. Al suo posto rispose, prontamente, la sua migliore amica.
“Certo che le va!” disse con un’enorme sorriso, per poi fare l’occhiolino a una Marinette completamente paonazza.

 

Erano appena usciti da scuola quando Clohé si tuffò tra le braccia di Adrien, con il suo solito sguardo malizioso e languido.
“Adrienuccio? Come stai? Ho saputo che sei stato male…”
“Sto bene Clohé, grazie.” disse il ragazzo togliendosi dalle spalle il braccio della bionda.
Ad un tratto dall’edificio scolastico uscì lei.
Adrien non l’aveva mai vista così. Era da venerdì pomeriggio che la vedeva in modo diverso. 
La sua timidezza, la sua impacciataggine, il suo sorriso. C’era qualcosa di lei che lo rendeva sempre felice d'incrociare il suo viso, di vederla ridere, di parlare con lei.
Non aveva nessun dubbio sui suoi sentimenti. Il suo amore era ancora rivolto, solo e soltanto, a Ladybug, ma Marinette era diventata una presenza quasi indispensabile nella sua vita. Un’amica su cui sapeva di poter contare sempre. Un dolce sorriso che avrebbe voluto in qualsiasi momento della sua vita.
“Ora scusa, ma ho da fare!” disse liquidando la vecchia amica e avvicinandosi alla corvina.
Nel suo entusiasmo, non poté notare la faccia livida e ricolma d’invidia della giovane Bourgeois.
Arrivato di fianco a lei, la vide arrossire nervosa per poi rivolgergli un paio di parole un po’ sconclusionate.
“Senti… Io non credo… Cioè insomma… Non vorrei… È necessario questo… Non so… Io…”
Il ragazzo la bloccò prima che la sua lingua si attorcigliasse per quanto cercasse di parlare.
“E dai Marinette, è solo un caffè! Conosco un posto fantastico!” 
“Ok…” disse con tono basso lei.
“Allora ci vediamo tra un’ora a casa mia!” sentenziò il giovane modello per poi scappare.

 

I due ragazzi si sedettero in un tavolino del dehor del Café de Flore.
Era uno dei café più famosi di Parigi e anche uno dei più costosi. Si trovava proprio al centro del quartiere di Saint Germain des Prés ed era un locale molto elegante e raffinato. 
Un cameriere vestito di tutto punto si avvicinò al loro tavolo e chiese cosa volessero ordinare.
“Puoi prendere quello che vuoi Marinette.” disse con un gentilissimo sorriso Adrien rivolgendosi proprio a lei.
Ancora imbarazzata per quel semi appuntamento che non si aspettava per niente, la ragazza lanciò un’ultimo sguardo al menù.
“Un café Liégois.” disse poi.
“Io una coppa Flore.” fece eco subito dopo lui.
Poco dopo davanti a loro vennero portati una granatina di caffè con crema di chantilly per Marinette e una coppa di gelato al cioccolato fondente al pistacchio anch’esso con crema chantilly per Adrien.
Con due dolci sorrisi da ammirare, due dolci da gustare e delle dolci chiacchiere per legare. I due amici si dimenticarono dei problemi che solitamente li circondavano.
Forse, anche troppo.

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Capitolo 5
*** Il puntaspilli ***


Il puntaspilli

Nella confusione che si era creata al locale, Marinette aveva perso di vista Adrien.
Il nemico akumatizzato aveva attaccato quel locale all’improvviso ed il panico era rimbalzato da un lato all’altro del Café de Flore, travolgendo anche i due ragazzi che furono costretti a separarsi.
La corvina si maledì con tutta se stessa per aver fatto una sciocchezza madornale soltanto un’ora prima.
«E dai Tikki… Ho un’appuntamento con Adrien… Cosa vuoi mi succeda per un pomeriggio?» e così aveva lasciato il cofanetto con i suoi Miraculous in uno dei cassetti in camera sua, ma non poteva sapere che l’aver scelto di sostituire i suoi fidati orecchini con quelle due eleganti striscioline in argento che le pendevano dai lobi, non era l’unico errore che avesse fatto.
«Tu!» disse la donna akumatizzata indicando proprio la ragazza.
«Io?» chiese lei con tono stupito indicandosi il petto con un dito.
«Per colpa tua il mio vestito è rovinato! Ci ho messo mesi a progettare quel vestito e tu hai preso le ultime stoffe di cui avevo bisogno in merceria. L’unica che le vendeva!»
La ragazza rimase stupita. Scherzava? Possibile che si potesse akumatizzare una persona per una cosa così sciocca? 
«Mi dispiace… Anche io avevo bisogno di quelle stoffe per…»
«Non m’interessano le tue scuse. Adesso pagherai questo affronto.» urlò la donna prendendo un ago dal puntaspilli che aveva al polso. Appena si staccò dal velcro quel piccolo pezzo di ferro diventò grande il quintuplo: era lungo una spanna e spesso un dito. 
La nemica lo scagliò con tutta la forza che aveva in corpo, verso la povera ragazza che, spaventata, si rannicchiò su se stessa chiudendo gli occhi. 
Fu un rumore a farglieli riaprire: un clangore sordo del metallo che sbatte contro altro metallo. Alzò lo sguardo lentamente e vide quello che di solito era il suo compagno. 
Seguì la sua sagoma atletica, con una strana ed inaspettata nota d’interesse. La coda che scendeva come una normalissima cintura in mezzo alle gambe, i glutei sodi stretti nella tutina nera, i muscoli della schiena perfettamente definiti. Finché non arrivò alla testa, incrociando due occhi felini, verdi come l’erba d’estate, dietro alla maschera nera.
«Tutto ok principessa?» chiese con tono galante, tendendole una mano per aiutarla a rialzarsi, che lei afferrò quasi subito, annuendo.


Dopo aver aiutato Marinette ad alzarsi, Chat Noir afferrò di nuovo saldamente la sua arma e rivolse la sua attenzione alla donna di fronte a lui.
«Allora signorina Puntaspilli… Cosa ti purrrta al Café de Flore? Qualche appuntamento galante?» ironizzò il super eroe.
«Sono Couture! E tu non mi devi intralciare!» urlò lanciando un’altro ago ingigantito verso il gatto nero.
Il giovane lo schivò con un balzo felino, portandosi dietro la ragazza che aveva alle spalle.
Ebbe appena il tempo di lasciare l’amica, che un’altro oggetto schizzò nella loro direzione, un rocchetto di filo blu, ingrandito anch’esso.
Il filo si avvolse attorno al suo corpo, bloccandogli le braccia e facendogli cadere il bastone di metallo dalle mani. Poi, con un violento strattone, venne tirato verso l’avversaria.
Era a pochi centimetri dal suo corpo e le sue mani guantate, di un viola acceso, si avvicinavano pericolosamente al suo anello nella mano destra.
D’improvviso però vide la sua arma, che aveva lasciato dietro di sé, sfrecciare di fianco a lui e colpire la donna proprio allo stomaco, facendole lasciare la presa del filo.
Il ragazzo si liberò dalla matassa blu, che ancora lo avvolgeva e fece un balzo all’indietro per allontanarsi di nuovo dalla sarta akumatizzata.
Non fu abbastanza però. Il giovane eroe vestito da gatto nero era stanco e la sua compagna non si faceva ancora vedere, come se non bastasse quel nemico era più veloce di molti altri che avevano affrontato assieme. Ebbe appena il tempo di pensare a questo quando Marinette Dupain-Cheng lo riportò alla realtà.
«Chat Noir, attento!» urlò la ragazza corvina tuffandosi davanti a lui proprio mentre uno dei grossi spilli di Couture lo stava per colpire.


Non sapeva perché l’aveva fatto, forse perché, con tutte le volte che Chat Noir l’aveva protetta, sia sotto le sembianze di Ladybug che sotto quelle di Marinette, almeno una volta voleva ricambiare.
Si era tuffata davanti a lui, non appena vide la punta di metallo dell’ago avvicinarsi pericolosamente al suo compagno di avventure. 
Caddero entrambi a terra e in un attimo sentì un dolore bruciante all’avambraccio destro. Lo spillo l’aveva colpita di striscio, provocandole una ferita superficiale, ma alquanto dolorosa, ma non le importava. Quello spillo era diretto al lato sinistro del petto di Chat Noir e se non fosse intervenuta in tempo, sarebbe morto.
«Marinette… Stai bene?» lo vide chiedere con uno sguardo preoccupato che passava dal suo viso alla sua ferita.
«Sto bene, tranquillo… Ascoltami l’akuma è dentro il puntaspilli, se usi il tuo potere sul suo guanto, puoi prenderlo e romperlo.» suggerì lei con la freddezza che caratterizzava Ladybug.


Per un attimo il gatto nero si bloccò: era la seconda volta che la sua mente sovrapponeva Ladybug a Marinette o viceversa e il cuore gli iniziò a martellare nel petto, come se avesse davanti la sua vera lady.
Ma lei non c’era.
«A quale scopo? Senza Ladybug, non posso purificarla e si riprodurrebbe…» disse con tono quasi malinconico.
«Tu fa quello che ti ho detto. Al resto ci penso io!» disse perentoria Marinette, tirandosi su da terra.
Il ragazzo la guardò per un attimo spaesato poi si alzò deciso e, sollevando la mano con l’anello, evocò il suo potere.
«Cataclisma!»
Con uno scatto repentino, si fiondò verso Couture, afferrandola per il polso sinistro. Sotto la sua stretta ferrea, il guanto viola si sgretolò, lasciando cadere il puntaspilli.
«Lancia!» sentì urlare.
Lo prese e lo lanciò alla corvina che, dopo averlo buttato violentemente sopra un tavolino del café, lo mise sotto un bicchiere di vetro. Appena la piccola Akuma, nera come la pece, uscì dal suo nascondiglio si ritrovò intrappolata.
«Sei un genio!» disse Chat Noir avvicinandosi.
Lei sorrise, fino a che non sentì l’anello del suo compagno protestare con il suo primo suono d’allarme.
«Ora vado a casa, così vedo di medicarmi questa ferita. Tu aspetta qui Ladybug ok? Sono sicura che arriverà.» disse con un’altro sorriso, per poi allontanarsi.
Erano passati ormai quattro minuti, ancora uno e la trasformazione avrebbe finito il suo effetto. Quando la vide.: bella come sempre, appesa al filo di metallo che componeva il suo yo-yo. Era felice di vederla, ma il suo lato sarcastico fu più forte della sua gioia.
«Alla buon ora coccinellina…»
«Perdonami Chat, ma mi sono dovuta attardare in un’altra missione.»
«Come vuoi tu my lady, non discuto.» rispose lui, alzando le mani in segno di resa, poi vide la giovane super eroina sollevare il bicchiere e catturare la farfalla nera.
«Niente più malefatte piccola akuma! Ladybug sconfigge il male!»
Quando la farfalla bianca e pura uscì dal suo yo-yo, la salutò come suo solito.
«E adesso? – chiese Chat Noir – Non hai usato il Lucky Charm, quindi come farai a riportare tutto alla normalità?»
La vide guardarsi intorno dubbiosa, poi i suoi occhi azzurri e splendidi come il mare s’illuminarono di un lampo di genio. Afferrò il bicchiere che aveva trattenuto la piccola farfalla malvagia e lo scaglio verso l’alto.
«Miraculouse Ladybug!» disse.
Milioni di fasci di un rosso intenso avvolsero il Café de Flore riportandolo completamente ordinato e integro.

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Capitolo 6
*** Il limite ***


Il limite

«Ti brucia ancora?» chiese la kwami rossa a pois neri, sbucando dalla sua borsa.
«Un po’… Però è strano, il Lucky Charm non dovrebbe riportare alla normalità tutto ciò che la vittima dell’akuma distrugge?» chiese la ragazza.
«Purtroppo no Marinette…» rispose Tikki.
La ragazza si voltò verso la sua piccola amica, il suo tono le era sembrato strano: un misto di preoccupazione e tristezza. Non l’aveva mai sentita così, tra le due era lei l’ottimista in tutto, d’altronde cosa ci si poteva aspettare dal kwami della fortuna se non positività?
«Tikki… Tutto ok?»
La piccola creatura rossa si riscosse dai suoi pensieri.
«Sì Marinette, tranquilla! - disse con un tono nuovamente deciso e gioioso, sorridendole - Però promettimi che d’ora in poi starai più attenta.»
«Promesso.» le sorrise di ricambio lei, per poi chiudere la borsetta.


Il ragazzo era già seduto al suo banco, appena la vide spuntare dalla porta dell’aula scattò in piedi. Fu un moto involontario, come se qualcosa l’avesse fatto riscuotere da qualsiasi pensiero che qualche momento prima gli fosse passato per la mente.
«Marinette! Come stai?» la ragazza si bloccò nel bel mezzo del suo tragitto dalla porta al suo banco, proprio davanti a lui, arrossendo vistosamente.
«B… bene! E tu come stoi… cioè stai?»
Al ragazzo gli scappò un sorriso, non sapeva il motivo, ma da sempre aveva trovato il suo balbettare e la sua agitazione dolci e innocenti. Eppure il giorno prima, davanti a Chat Noir, si era comportata in modo diverso dal solito: coraggiosa e intraprendente, proprio come Ladybug.
A quel pensiero e al ricordo del pomeriggio prima, lo sguardo verde gli cadde sul suo braccio destro dove una fasciatura bianca spuntava dalla manica della giacca. I suoi occhi ebbero appena il tempo d’intristirsi quando, con un leggero imbarazzo, la ragazza, probabilmente accortasi di dove stava guardando, si coprì l’avambraccio con l’altra mano e andò nel suo posto, proprio alle sue spalle.
Era colpa sua, era solo colpa sua se Marinette era rimasta ferita il giorno prima, avrebbe dovuto difenderla ed invece era stata lei a rischiare la vita per lui. Che razza di supereroe era se si faceva difendere da una ragazza?
Quella ferita al braccio della sua compagna di classe era colpa sua. Era colpa sua se si era ferita. Però… Quella ferita… 
Rimase a rimuginarci tutto il tempo, fino all’arrivo a casa.
«Plagg, è possibile che il Lucky Charm di Ladybug non riporti tutto alla normalità?» chiese il biondo, sdraiato sul suo letto.
Il piccolo kwami della sfortuna ingoiò il suo boccone di formaggio e poi parlò.
«Che io sappia no… Anche se…»
«Anche se?» chiese Adrien alzandosi di colpo e vedendo il suo piccolo compagno con uno sguardo pensieroso, come se stesse cercando di ricordarsi qualcosa.
«…Un paio di volte è successo… Sì ricordo di un paio di volte in cui le cose non tornarono tutte come prima. - disse poi ingoiando un’altro boccone di camembert - Ma non ti devi preoccupare.»
Il ragazzo si sdraiò di nuovo, con lo sguardo ancora più pensieroso e preoccupato di prima. Le parole del suo piccolo amico nero non l’avevano tranquillizzato per niente. Insomma come poteva non preoccuparsi dopo aver saputo che non sempre il potere della sua compagna poteva riportare indietro le distruzioni della vittima di Papillon? Sì, sapeva che se moriva lui, non poteva tornare indietro, una vita era una vita, ma anche una ferita? Eppure un sacco di volte aveva visto tra le vittime degli akumatizzati gente ferita, che però era guarita subito dopo il Lucky Charm. E allora com’era possibile che il giorno prima non aveva funzionato? Perché Marinette non era guarita? 
Quel dubbio lo tormentava e lo faceva arrovellare per trovare una risposta plausibile.


«Tikki, è da stamattina che sei pensierosa… Mi dici cos’hai?» chiese Marinette, posando la penna con cui stava facendo i compiti e prendendo tra le mani la piccola kwami.
«Marinette, devo dirti una cosa… È una cosa importante… Non te l’ho detta prima, perché avevo paura della tua reazione, ma se non te la dico rischio di perdere anche te e non voglio…»
«Perdermi? Come potresti mai perdermi?» domandò la ragazza, non ci stava capendo più nulla.
«Ascoltami, il Lucky Charm ha dei limiti: tutte le ferite umane che ricevete tu e Chat Noir, non sono guaribili.»
«Che cosa?!» chiese la corvina sconvolta.
«È così...»
«Ma cosa intendi per ferite umane?» chiese Marinette, ancora non riusciva a capire.
«Tutto ciò che non dipende dai poteri degli akumatizzati: tagli, graffi, colpi. Tutto ciò che è umano, che non è in qualche modo soprannaturale... Perdonami se non te l’ho detto…» la piccola creaturina scoppiò a piangere.
Marinette non l’aveva mai vista così disperata, era la prima volta che vedeva Tikki così fragile e vulnerabile e quasi le spezzava il cuore.
«Tikki, non importa… - disse con gli occhi lucidi, le faceva davvero male vederla così triste - Non sono più la Marinette che hai incontrato il primo giorno in cui Ladybug è arrivata a Parigi, non ho paura. So qual è il mio dovere e non mi tirerò più indietro.»
«Davvero?» chiese la piccola kwami rossa alzando lo sguardo ancora sconvolto verso la giovane amica.
«Certo! Ti prometto che starò più attenta. Non morirò, vedrai!» disse facendole l’occhiolino.
Aveva capito, non era difficile da comprendere: qualche suo predecessore, qualche altra Ladybug, aveva perso la vita perché aveva sopravvalutato il potere del Lucky Charm e la piccola kwami aveva perso la sua compagna.
Lei non avrebbe fatto lo stesso errore, avrebbe sconfitto Papillon al fianco di Chat Noir rimanendo in vita. Lo faceva per lei, per Tikki, ma anche per se stessa, perché lei aveva ancora tutta la vita davanti e l’avrebbe vissuta fino alla fine.

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Capitolo 7
*** L'abito ***


L'abito

«Perdonami Chat, ho un’appuntamento urgente con un’amica e sono già in ritardo…» sentenziò subito la giovane eroina, già pronta a lanciare il suo yo-yo verso il palazzo più vicino.
«Allora non ti toglierò altro tempo… Alla prossima, my lady.» disse il compagno prendendole la mano non impegnata e poggiando appena le labbra sul guanto rosso della tuta, subito dopo si separarono.
Era davvero in ritardo, tra pochi minuti Alya sarebbe arrivata a casa sua e lei era ancora in giro per Parigi.
Per fortuna non era lontana dalla pasticceria, ci avrebbe messo poco ad arrivare, forse ce l’avrebbe fatta prima che Alya si accorgesse che non era in casa, oppure avrebbe raggiunto camera sua prima che lei arrivasse.
Mentre era proprio sul tetto di fronte al suo, vide l’amica bruna entrare dalla porta di vetro che portava al negozio di suo padre.
Lanciò il suo yo-yo per l’ultima volta, facendolo attorcigliare alla ringhiera del terrazzino sopra camera sua, rilasciò la trasformazione appena toccò terra e fece nascondere Tikki sotto la sua giacca, per poi scendere dalla botola.
Subito, appena entrata nella stanza, sentì i passi decisi della sua amica salire le scale che portavano in camera sua. La botola si aprì e comparve il viso bruno di Alya, con un sorriso carico di aspettative stampato in volto.
«Allora? Dov’è?» chiese ad alta voce, curiosa come non mai richiudendo la botola.
«Shhh! – la rimproverò la corvina – Sei la prima a cui lo faccio vedere…»
La ragazza entusiasta seguì l’amica fino alla scala che portava al soppalco in cui c’era il letto. Proprio davanti ai primi gradini, c’era un manichino adornato da un vestito.
Marinette vide gli occhi color nocciola, dietro gli occhiali dell’amica, illuminarsi estasiati. Spostò il manichino più avanti in modo che Alya potesse anche girarci intorno e vederlo da dietro.
Era un vestito color lampone che aveva in sé l’eleganza di un abito da sera e la modernità dei nuovi tempi. La parte di sopra si stringeva in un corpetto con la scollatura a cuore che copriva in modo perfetto, e per nulla volgare, i seni del manichino. La stoffa del corpetto fasciava la parte davanti e i fianchi, mentre sul retro era un incrocio di fili sottili di stoffa che s’intrecciavano l’uno all’altro creando una rete sul retro bianco del manichino. Il corpetto era separato dalla gonna solo da una fascia rossa che stringeva in vita. La gonna era un piccolo capolavoro: era divisa in due strati. Il primo era composto da una stoffa leggera che circondava la parte superiore, probabilmente su un corpo umano arrivava una spanna sopra le ginocchia. Il secondo, invece, quello sopra, era molto più lungo. Davanti lasciava aperto proprio lo strato sottostante mostrandolo del tutto, la stoffa era più spessa e l’orlo, anch’esso rosso, era sorretto da un ferretto che gli dava una forma ben definita, quella di onde che partendo dal centro della parte anteriore, proprio sotto la fascia, si riunivano dietro alle caviglie.
«Marinette è stupendo!» disse la ragazza ammirata.
La giovane corvina sorrise. Aveva faticato tanto per creare quel vestito, la ferita che ancora le bruciava al braccio destro era uno dei compromessi che si era ritrovata ad affrontare per aver preso in merceria una delle stoffe più pregiate che esistessero a Parigi. Anche il suo salvadanaio aveva subito una grossa perdita, ora era vuoto e chiedeva di essere riempito.


Adrien arrivò a casa. Dopo essersi separato da Ladybug ed essere tornato se stesso, si era fatto una passeggiata per la città. Solo quando Plagg, disperato, e con il suo piccolo stomaco che brontolava, sbucò dalla sua camicia e si lamentò che aveva voglia di formaggio, decise di rientrare.
Si buttò sul letto tutto vestito, mentre il piccolo kwami nero schizzava verso una scatola di camembert sulla scrivania. 
Il giovane Agreste da ormai più di un paio di giorni non pensava ad altro che a quello strano difetto del potere di Ladybug eppure non aveva avuto il coraggio neanche di parlarne con lei. Aveva paura di metterla nel panico se avesse scoperto che il suo ultimo gesto, che faceva di routine durante le loro battaglie, non avesse il potere di riportare tutto alla normalità come credevano entrambi.
Eppure non poteva ignorare una cosa del genere: Marinette era rimasta ferita per quel motivo. Si ricordò dello sguardo imbarazzato e triste che la ragazza aveva assunto quando lui aveva notato la ferita, chissà forse la sua amica era delusa da Ladybug perché non era venuta ad aiutarli e avevano dovuto fare tutto loro, col solo aiuto del suo Cataclisma.
Continuò a rimuginare su questi pensieri, fino a che Morfeo non lo trascinò nel suo mondo, facendolo addormentare, ancora completamente vestito.


La mattina dopo Marinette ed Alya entrarono in classe per ultime. 
Chloé stava distribuendo delle cartoline giallo canarino, consegnandone una ad ogni compagno. Quando le due si sedettero aveva appena consegnato il foglietto ad Adrien.
«Oh guarda… Mi è rimasto solo un’invito alla mia esclusiva festa…» disse, tenendo in mano solo una cartolina e mettendo dietro la schiena le altre.
Adrien si voltò stranito e tutta la classe stava fissando la biondina con aria curiosa e dubbiosa, chiedendosi cosa avesse in mente. L’unica che sembrava non preoccuparsi affatto della situazione era Marinette, che stava ancora tirando fuori i quaderni dal suo zaino.
«Tieni Alya, questo è per te!» sentenziò la figlia del sindaco, facendo passare l’invito giallo proprio sotto al naso di Marinette.
Finalmente, quando l’amica prese il foglio, la ragazza alzò lo sguardo sulla piccola snob e notò la sua aria compiaciuta, forse sperava che il non essere invitata la turbasse, ed effettivamente un po’ le dispiaceva, ma non le avrebbe dato la soddisfazione di uno sguardo triste o amareggiato.
Qualcuno però protestò al suo posto.
«Hey, e a Marinette?!» chiese Alya con sguardo furioso e indagatore allo stesso tempo.
«Già, lo sappiamo benissimo che hai altri inviti dietro la schiena!» le diede manforte Nino.
«Beh ma quelli sono per altre persone, mi spiace ma Marinette non è la benvenuta alla… – Chloé si dovette fermare, perché Adrien le aveva porto di nuovo il suo invito – Che vuol dire?» chiese la bionda dubbiosa.
«Se Marinette non viene allora non vengo nemmeno io…» sentenziò.
Marinette, sentite quelle parole, divenne quasi paonazza: Adrien stava prendendo le sue difese. 
Subito dopo la sua decisione, tutti gli altri compagni di classe dissero la stessa cosa e la corvina ringraziò mentalmente tutti, dal più profondo del cuore. Anche se i suoi occhi erano ancora incantati a guardare chi aveva dato il via a quella piccola protesta.
La giovane Bourgeois sbuffò esasperata.
«E va bene… Tieni… – disse porgendo un’altra cartolina gialla a Marinette – Ma ti avviso, è una festa di classe, quindi non venire vestita come una mozzona, è d’obbligo l’abito da sera.»
«Tranquilla Chloé, il vestito di Marinette ti farà impallidire per quanto sarà perfetto!» la rimbeccò Alya, mentre lei si voltò ad osservarla con uno sguardo di rimprovero.
«Cosa dici?» chiese a bassa voce.
«Andiamo, – le rispose l’amica con lo stesso tono – è la tua occasione per indossare quel capolavoro che hai fatto. Dobbiamo solo trovare le scarpe adatte.»

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Capitolo 8
*** Il cieco ***


Il cieco

«Tikki, trasformami!» disse convinta la ragazza scostandosi i capelli dall’orecchio sinistro, appena trasformata si buttò giù dal balcone, lanciando il filo di metallo del suo yo-yo al comignolo di fronte.
Poco prima aveva visto sul suo computer il notiziario: un nuovo nemico minacciava la città di Parigi. A quanto sembrava l’akumatizzato, attraverso il suo bastone rendeva le sue vittime ceche. Nel servizio la giornalista aveva annunciato che Chat Noir era già sul posto e la giovane Marinette aveva visto il suo compagno combattere contro il nemico ed evitare i suoi raggi. Non l’avrebbe lasciato da solo, non avrebbe fatto lo stesso errore. Chiese, tra sé e sé, con tutto il cuore all’eroe gatto di resistere.
Arrivata sul posto, Chat stava ancora combattendo, allo stesso modo di come l’aveva visto fare poco prima attraverso il monitor. Sembrava talmente preso nel combattimento da non essersi neanche accorto dell’arrivo della ragazza.
«Eccomi, scusa il ritardo…» intervenne, attirando la sua attenzione.
«Vuoi unirti alla festa, my lady?» chiese il ragazzo, continuando a parare i colpi che gli arrivavano dal nemico.
I due stavano combattendo l’uno contro l’altro, bastone contro bastone. Però era strano. Se l’akumatizzato faceva attacchi precisi e convinti, Chat Noir sembrava invece combattere al minimo delle sue capacità, parando solo i colpi che gli arrivavano. Ad ogni attacco il nemico si avvicinava sempre di più all’eroe gatto, finché la sua mano libera non si avvicinò pericolosamente all’anello. 
Ladybug, si sentiva inutile, ma appena vide cosa stava cercando di fare la vittima di Papillon, rimase per poco paralizzata dal terrore. Chat Noir, continuava a combattere, come se niente fosse, possibile che non si fosse accorto che l’uomo gli stava per sfilare l’anello dal dito?
Furono pochi millesimi di secondo, poi la giovane eroina lanciò il suo yo-yo contro la mano del nemico, si lanciò sul suo compagno e lo afferrò alla vita, per poi portarlo di peso su un tetto, aiutandosi sempre con il filo metallico della sua arma.
«Si può sapere che ti è saltato in mente? Ti rendi conto che ti stava per togliere il Miraculous?» chiese furiosa, non appena furono al sicuro sul tetto.
«Ops, credo di non essermene accorto…» disse il giovane, con la sua solita voce innocente e tranquilla.
Ladybug però a quella risposta, finalmente capì.
«Chat Noir tu…»
Il suo sguardo verde era perso nel vuoto, non la guardava negli occhi, mentre parlava con lei.
«È successo poco prima che arrivassi tu.» rispose il ragazzo gatto alla domanda muta della sua compagna e la rabbia le montò in cuore.
«Maledizione Chat! Saresti dovuto scappare ed aspettare che arrivassi appena fosse successo. Se ti avesse preso il Miraculous saresti stato senza poteri.»
«E allora? L’altro giorno ho visto combattere una ragazza senza poteri al mio fianco e t’assicuro che non è stata affatto male.»
Ladybug, a quel complimento, arrossì, per fortuna in quel momento lui non poteva vedere le sue guance che diventavano del colore della sua maschera. Non appena si riprese dall’imbarazzo fece un sospiro e poi parlò.
«Ora tu non ti muovi di qui! Ci penso io al nemico.»


«Ladybug aspetta…» tentò di chiamarla, ma a quanto pareva lei era già andata via.
Maledizione, possibile che fosse così testarda? Faceva tanto la predica, ma ora anche lei era andata a combattere senza di lui. Era davvero… davvero, fantastica. Non c’era niente da fare, qualsiasi cosa facesse quella ragazza lui la trovava sempre meravigliosa. Persino in quel momento, che testardamente si era buttata nella battaglia da sola, non riusciva a pensare male di lei. In fondo lo stava facendo per lui, per aiutarlo.
Avrebbe voluto con tutto il suo cuore andare a darle una mano, ma la sua cecità momentanea gli impediva di muoversi più di tanto. Inoltre si rendeva conto di essere su un tetto e, non sapendo precisamente dove si trovasse, avrebbe anche rischiato di rompersi l’osso del collo cercando di scendere.
Avrebbe almeno voluto capire se Ladybug stesse bene, se la battaglia fosse ricominciata, avrebbe voluto sapere chi stesse avendo la meglio. Cercò di tendere le orecchie, ma il rumore della città attorno era troppo chiassoso, soprattutto dopo che l’akumatizzato aveva reso cieco l’intero quartiere.
Rimase fermo immobile, appollaiato sul tetto, per quella che gli sembrò un’eternità, poi finalmente, tra il caotico rumore di Parigi, riconobbe la voce della sua dolce metà che usava il suo potere.
Passò poco più di un minuto, poi la sentì di nuovo.
«Chat!» a quel richiamo il ragazzo si mise sull’attenti, come fosse un bravo soldatino che fino a quel momento aveva eseguito gli ordini del comandante.
«Ci sono, my lady!» rispose.
«Ho bisogno del tuo aiuto… Ma devi ascoltarmi bene…» sentì la sua voce decisa, interrotta ogni tanto da qualche verso di protesta, probabilmente stava ancora combattendo contro l’uomo.
«Quello che la mia signora comanda!» rispose lui con un semi inchino, sperando che lei lo vedesse.
«Proprio sotto a dove sei tu c’è un cartellone pubblicitario. Devi rompere le giunture che lo tengono attaccato alla parete dell’edificio, e poi saltarci sopra.» disse.
«Sarà fatto… Cataclisma!» urlò il giovane eroe gatto.


Ladybug, vide il suo compagno fare quello che gli aveva chiesto e pregò con tutte le sue forze che andasse come si aspettava e che Chat Noir non si facesse male. 
Lo vide rompere l’enorme insegna di metallo e balzarci sopra, ma poi ovviamente nella caduta del cartellone non seppe più come muoversi. Rimase su per qualche secondo, poi mentre il cartellone andava a incastrarsi proprio nel vicolo, bloccando l’avversario, lui perse l’equilibrio. 
Fu un attimo, la ragazza lanciò il suo yo-yo, avvolgendo il filo metallico intorno alla vita fasciata nella pelle nera della tuta del ragazzo e lo tirò a sé. In pochi secondi se lo ritrovò addosso, sopra di lei, ma almeno era salvo.
«Uuuh, allora ci tieni a me, my lady…» disse il giovane mascherato, sebbene il suo sguardo fosse ancora perso nel vuoto, riusciva sempre a usare quel tono malizioso che la faceva innervosire.
«Non è il momento Chat, ho seriamente bisogno del tuo aiuto. – iniziò aiutandolo ad alzarsi – Dovrai usare il Lucky Charm.»
«Cosa?!» chiese il ragazzo mentre la compagna gli metteva in mano ciò che era comparso poco prima.
«È semplice, io ti dico la posizione in cui devi metterti e la direzione verso cui devi tirare, a quel punto usi la fionda. Al resto ci penso io.» disse decisa la ragazza.
«Ok…» rispose il ragazzo sebbene sembrasse un po’ dubbioso.
Ladybug lo accompagnò in un punto in cui il cartellone si apriva in una fessura verso il vicolo in cui era rimasto bloccato il nemico, dopodiché gli disse da che parte usare la fionda e saltò sul cartellone.


«Ora!» sentì dire dalla voce di Ladybug da lontano.
Chat Noir tirò l’elastico della fionda e fece volare la pallina da qualche parte e, sperando con tutto il cuore che fosse andato tutto bene, trattenne il fiato fino a che non sentì di nuovo la voce dell’eroina.
«Niente più malefatte piccola akuma. Ladybug sconfigge il male!» poi la sentì salutare la farfalla, come al solito e più niente.
Poco dopo era di nuovo vicino a lui, prese dalle sue mani la fionda ed il ragazzo capì che la stava lanciando in aria.
«Miraculous Ladybug!»
Ci mise un po’ a riabituarsi: all’inizio la luce gli ferì gli occhi, quindi li chiuse subito.
«Chat Noir, stai bene?» percepì la sua mano leggera che si poggiava sulla sua spalla.
Aprì lentamente gli occhi e finalmente la vide. Gli sembrava quasi di vederla per la prima volta: bella, stupenda, nella sua tutina aderente rossa a pois neri.
«È bello rivederti, my lady…»
La vide tirare un sospiro di sollievo, rivolgergli un leggero sorriso e poi dargli le spalle per parlare con la vittima dell’akuma.
«Signore si sente bene?» chiese porgendogli una mano per rialzarsi e mettendogli in mano il bastone bianco.
«Grazie signorina, e mi scusi…» rispose l’uomo per poi allontanarsi lentamente battendo il bastone sul cemento per evitare gli ostacoli.
«Probabilmente qualcuno l’avrà trattato male perché era cieco, ecco perché è stato akumatizzato.» disse convinta la ragazza, voltandosi nuovamente verso di lui che però l’ascoltava a malapena, mentre la stava ancora ammirando dalla testa ai piedi.
«Beh, ci vediamo Chat…» lo salutò.
«Aspetta! – disse appena in tempo, prendendola per il polso e facendola voltare con aria interrogativa – Grazie…» aggiunse in un sussurro.
«Chat… Siamo una squadra, tu per me avresti fatto lo stesso.» disse, dopodiché sparì tra i tetti di Parigi.

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Capitolo 9
*** L'incanto ***


L'incanto

Quasi tutti gli invitati alla festa di Chloé erano già dentro l’enorme sala del Grand Hotel.
Marinette aveva lanciato un’occhiata a tutti i suoi compagni di classe: erano vestiti tutti con abiti eleganti, mantenendo però il loro stile. In quel momento si trovava insieme ad Alya e Nino.
Lei, indossava un bellissimo abito lungo arancione, che s’intonava perfettamente con la sua pelle bronzea, con uno spacco laterale che si apriva proprio sopra il ginocchio destro, abbinato ad un paio di sandali col tacco e dai cinturini dorati.
Nino, invece, indossava semplicemente uno smoking nero, ma aveva deciso di non abbandonare le sue cuffie, che teneva ancora al collo.
I due amici le stavano facendo i complimenti per il suo vestito color lampone a cui aveva abbinato un paio di scarpe rosse con poco tacco, che si aprivano sul davanti mostrando le dita dei piedi, accuratamente smaltate di un rosa acceso. I suoi capelli, finalmente non erano più pettinati in due codini, ma erano raccolti verso l’alto in un groviglio di trecce, ornati con due fiorellini di ciliegio. Infine una collana di perle rosa, ornava il suo collo.
«Nino, diglielo anche tu che sta benissimo.» disse la ragazza con gli occhiali per incoraggiare l’amica.
«Alya, per favore…» protestò la mora.
«Ha ragione, questo vestito ti sta benissimo… Vedrai che Adrien cadrà ai tuoi piedi.» la rassicurò il giovane dj facendole l’occhiolino.
La ragazza a quel sincero complimento arrossì in modo vistoso, diventando, se possibile, dello stesso colore del suo vestito.
«Ecco che arriva il principe azzurro…» disse l’amica facendola destare da quella sensazione d’imbarazzo, sensazione che aumento quando lui notò il gruppetto di amici e si diresse verso di loro.
Anche non si fosse saputo che era un modello, il suo portamento e la sua disinvoltura, lo rendevano evidente, la ragazza rimase quasi incantata dalla sua eleganza nei movimenti. Indossava uno stupendo smoking bianco, con il colletto nero, che s’intonava con il papillon che aveva al collo. Al taschino della giacca era appuntata una rosa rossa.
Si stava avvicinando deciso verso di loro, con quel suo passo lesto e mostruosamente naturale, ma a pochi passi da loro si fermo, ed iniziò a rallentare incerto, Marinette avrebbe giurato che in quel momento le sue guance stessero andando a fuoco.


Stava raggiungendo i suoi amici, quando lo sguardo si posò sulla ragazza che stava vicino a loro. All’inizio non l’aveva riconosciuta, poi notò il rossore sul suo volto e comprese. Aveva rallentato il passo, troppo incantato da quella visione per riuscire a ragionare lucidamente e ordinare alle gambe di muoversi nel modo corretto.
Il cuore gli iniziò a martellare furioso nel petto e per un attimo si chiese cosa gli stesse succedendo: non si era mai sentito così verso una ragazza che non fosse Ladybug, eppure in quel momento, sebbene il suo cervello fosse confuso, il suo cuore continuava a battere all’impazzata.
Arrivò di fronte a loro, non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso, mentre lei aveva abbassato lo sguardo per l’imbarazzo.
Nino ed Alya lo salutarono e lui si costrinse a voltare lo sguardo verso di loro e ricambiare il saluto.
«Allora? Come va amico?» chiese il ragazzo di colore con un sorriso.
«Tutto ok, voi?» chiese ricambiando quel gesto amichevole.
«Oh benissimo…» rispose Alya per entrambi, dando un bacio sulla guancia al fidanzato e facendolo diventare rosso.
«Alya, non davanti a tutti…» la rimproverò imbarazzato lui, borbottando e al biondo scappò un sorriso divertito.
«Marinette, perché non saluti Adrien?» insistette a quel punto Alya, dandole una leggera gomitata.
La corvina, che aveva tenuto tutto il tempo lo sguardo basso, alzò lentamente gli occhi e lui fu investito di nuovo da quella sensazione di stordimento, incrociando quello sguardo blu come il cielo.
«C-ciao Adrein… ehm Adrien…» si corresse subito, spostando di nuovo lo sguardo da lui.
«Ciao Marinette.» le rispose con un sorriso dolcissimo, cercando un autocontrollo che non riusciva più a trovare.
Non capiva davvero cosa gli stava succedendo, era solo Marinette, la sua migliore amica, la ragazza che stava dietro di lui in classe. Solo e semplicemente Marinette, allora perché si sentiva così?
«Vieni Nino, accompagnami a prendere da bere.» disse Alya prendendo il polso del fidanzato.
«Ma io volevo parlare un po’ con Adr…»
«Adrien è impegnato in questo momento. Muoviti!» insistette lei, trascinandolo via.
«Allora… – iniziò il biondo, non sapendo però cosa dire – Come stai?»
«B-bene… Credo… Cioè, no… insomma, bene… Sì sto bene!»
Adrien notò che la sua interlocutrice non sapeva più dove guardare per evitare d’incrociare il suo sguardo e gli scappò un sorriso. Con Chat non era così timida, chissà perché. 
A quel pensiero la sua mente tornò a quella battaglia che avevano affrontato assieme ed il suo sguardo come al solito cadde sul suo braccio destro. La fasciatura non c’era più, in compenso si notava ancora una lunga striscia rosea che percorreva metà avambraccio.
«Ah ehm… L’altra volta non te ne ho parlato… Io sono…» cercò di dire lei, dopo aver notato il suo sguardo, ma lui la interruppe subito.
«Non devi spiegarmi nulla Marinette, ho visto il notiziario quel giorno quando sono tornato a casa.» mentì in modo sicuro. 
Non aveva molta scelta purtroppo: se le avesse detto che era ancora lì, si sarebbe chiesta per quale motivo non fosse venuto a salvarla e la verità era esclusa dalle possibilità di risposta. Non sapeva neanche se il notiziario avesse parlato della lotta di Chat Noir contro Couture. 
«Ah ok… Beh comunque ora sto bane… cioè volevo dire, bene…» gli rispose lei cercando di tirare un sorriso.
Ad un tratto le luci si spensero e tutta la sala calò nel buio più profondo.
Una nuova sensazione attraversò il ragazzo, una sensazione orribile che gli prendeva la bocca dello stomaco. La sua mano scattò velocemente verso dove sapeva ci fosse Marinette, ed afferrò una delle piccole mani candide della ragazza, stringendola e sentendo la stretta ricambiata, dopo un verso di stupore.
Si vergognava un po’ di quel gesto così debole, ma fu più forte di lui. Aveva vissuto quella stessa sensazione la notte precedente, non riuscendo a dormire tranquillo.
Eppure non era un mistero il suo comportamento, sapeva benissimo da cosa era dovuta la sua agitazione: da quando avevano affrontato l’ultimo nemico ed era rimasto cieco per l’intera battaglia, aveva iniziato ad avere una paura folle del buio. Come se la mancanza di un piccolo spiraglio di luce potesse di nuovo togliergli la vista per sempre.


Un fascio di luce si accese in cima alle scale, illuminando l’ospite della festa. Chloé era vestita di un’elegantissimo abito dorato, che Marinette riconobbe subito come un Agreste. Al pensiero di quel cognome, la ragazza si ricordò che stava ancora stringendo la mano al giovane modello.
I loro occhi s’incrociarono nella penombra che il fascio di luce aveva creato e, nel completo imbarazzo, sciolsero quella presa, voltandosi, ancora un po’ rossi in volto, verso la bionda che stava iniziando a scendere le scale.
Per quanto le desse fastidio ammetterlo, anche lei era bellissima: il vestito di paillettes d’oro le arrivava poco sopra le ginocchia, la scollatura sul petto era morbida, ma alquanto vertiginosa e i suoi capelli biondi erano raccolti in uno chignon alla base della nuca, che lasciava sfuggire qualche ciuffo.
Appena arrivò alla fine della scalinata, il fascio di luce, che l’aveva seguita fino ad allora, si spense, in uno scroscio di applausi, al quale contro voglia si unì anche Marinette, e le luci si riaccesero.
Passò poco e la ragazza fu circondata da amici e parenti, sparendo dalla vista di chi non si era avvicinato a lei. Marinette sospirò, forse un po’ troppo rumorosamente.
«Che succede?» chiese Adrien, la ragazza si era completamente dimenticata di averlo accanto.
«No… È che… Il vestato… cioè il vestito di Chloé è… Sì insomma… Le sta bene ecco…» balbetto come suo solito, maledicendosi per la sua impacciataggine.
«Dici? – chiese il giovane Agreste con tono risoluto – Io credo che quell’abito non sia adatto all’evento. Ha fatto tante storie a te, sul vestirti bene, ma lei sembra pronta ad andare in un locale notturno, solo l’acconciatura la salva.»
La ragazza si stupì di quel commento schietto.
«Ma Adrien quello è…»
«So benissimo che è un vestito disegnato da mio padre. – la interruppe lui – È proprio per questo che dico che non è adatto. Inoltre sono più che sicuro che lo abbia indossato solo perché in quel modo l’avrei notata, ma non le sta affatto bene: è troppo largo ai fianchi e troppo scollato davanti. Il suo fisico è più adatto ad un vestito lungo e aderente, magari con una semplice scollatura a “v”.»
La ragazza rimase sbalordita, doveva aspettarsi che vivendo assieme ad uno stilista famoso, Adrien se ne intedesse molto in ambito di moda, ma non immaginava che potesse essere così preciso.
«Il tuo vestito invece è perfetto. Ha un colore tenue e allo stesso tempo sgargiante, inoltre ti sta a pennello e lascia gran parte del tuo corpo scoperto senza essere per nulla volgare.» concluse, volgendosi verso di lei.
«G-grazie…» mormorò arrossendo di nuovo.
«Dove l’hai preso?» domandò, con il suo solito sorriso.
«Beh… A dirla tutta… Ecco… È… È il mio primo lavoro di sartoria…» rispose, e in un attimo vide lo sguardo verde dell’amico sbarrarsi in un’espressione stupita.
«Vuoi dire che l’hai fatto tu? – chiese, lei non riuscì a rispondere a voce, così fece solo un cenno con la testa – Marinette, è stupendo… Tu hai davvero un talento innato, lo sai?» aggiunse poi, con tono orgoglioso.
«Grazie!» rispose lei, questa volta con tono più deciso.

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Capitolo 10
*** Il ballo ***


Il ballo

Il ragazzo stava ballando ormai da una buona mezz’ora con la sua partner, eppure la sua mente era da tutt’altra parte: non aveva nessuna voglia di ballare con lei. Non è che fosse una brutta ragazza, non poteva assolutamente dirlo, ma se una volta la considerava una grande amica, ora non era più così. Una volta, quando erano davvero amici, lo erano semplicemente perché lui non conosceva nessun altro a parte lei, adesso le cose erano cambiate e lei, da quando aveva conosciuto nuovi amici, si era dimostrata per la persona che era davvero, ossia una ragazzina viziata e snob. 
Nonostante ciò, era stato lui a invitarla a ballare. Subito dopo che tutti gli amici ed i parenti avevano concluso i saluti all’ospite d’onore e lei era rimasta sola, in compagnia solamente della sua migliore amica. Dopo qualche minuto, però, Sabrina fu invitata a ballare da un ragazzotto ben vestito con i capelli corvini, mentre lei era rimasta sola. La sua esuberanza ed il suo sentirsi troppo perfetta per tutte le altre persone che gremivano quella sala, sembrava respingere chiunque, e nessuno osava, o semplicemente voleva, invitarla a ballare.
Mosso da un moto di compassione, aveva così deciso di allontanarsi da Marinette e chiedere alla bionda se avesse voglia di danzare con lui, come si aspettava i suoi occhi s’illuminarono subito, ma non di gioia quanto di bramosia. Anche ora che ballava con lei da parecchio tempo, continuava a sentirsi a disagio proprio per quel motivo: Chloé Bourgeois non lo vedeva con aria amichevole o innamorata, lei lo guardava come un oggetto che voleva avere, un trofeo da esporre al mondo. Anche per questo motivo lo guardava raramente negli occhi, il suo sguardo era sempre intento a incrociare quello degli altri, come a dimostrare loro con chi stava ballando.
Iniziava a chiedersi per quale motivo stesse ballando con lei, perché si meritasse la sua compassione, ma pur non trovando una risposta il pensiero di lasciarla lì da sola gli faceva male.
Non passò che qualche secondo da quel pensiero, che capì che c’era qualcosa che sembrava fare ancora più male della semplice sensazione di un rimorso per una persona che non ti considera affatto, ossia quello per una persona che farebbe di tutto per te, come per il prossimo.
Nei vari volteggi, con cui accompagnava Chloé, incrociò lo sguardo blu cielo di Marinette: uno sguardo triste e malinconico, uno sguardo che chiedeva di essere rassicurato, questo gli diede una fitta al cuore molto più dolorosa. Al volteggio successivo, la ragazza con il vestito color lampone gli dava di nuovo le spalle e si stava riempiendo un bicchiere di succo d’arancia.


Dopo aver riempito il suo bicchiere, la ragazza sospirò.
«È assurdo che balli con lei e non con te!» protestò una voce di fianco a lei, come se avesse letto nei suoi pensieri.
Lo sguardo di Marinette s’incrociò con quello castano di Alya. 
«Perché dovrebbe ballare con me?» chiese abbattuta.
«Come perché? Perché sì! Insomma questo ballo era la tua grande occasione per avvicinarti a lui. Inoltre hai visto che faccia ha fatto quando ti ha visto?»
«Sì, ma Chloé era da sola. Non era giusto nei suoi confronti.»
«E tu ora non sei sola?» protestò anche Alya.
«Ma io posso stare con voi.»
«Oh insomma Marinette… Possibile che tu non voglia ballare con Adrien?»
«Non essere sciocca Alya, non sono venuta qui per deprimermi. La festa è bella, ho ricevuto un sacco di complimenti per il mio vestito e sono assieme ai miei amici. Mi chiedi se in questo momento vorrei che Adrien m’invitasse a ballare? Sai benissimo che la risposta sarebbe affermativa, ma lui adesso è con Chloé quindi…»
«Davvero ci tieni così tanto a ballare con me?» la interruppe una voce alle sue spalle.
La giovane Dupain-Cheng si voltò di scatto: davanti a lei aveva di nuovo il viso sorridente e cordiale del modello, i suoi occhi di un verde splendente la guardavano ancora ammirati, proprio come quando era arrivato.
«A-Adrien, ma tu… Ma Chloé…» ricominciò a balbettare.
«Chloé può sopravvivere senza di me per un po’. Non posso certo stare tutto il tempo con lei.» rispose lui indicandola con un cenno.
«Lei però non sembra molto contenta…» commentò Alya divertita osservando la bionda, in mezzo alla sala, che li stava guardando con aria scocciata e quasi furiosa.
Per un paio di secondi calò il silenzio, poi Adrien ricominciò a parlare.
«Allora? Non hai risposto alla mia domanda.»
«Eh? Domanda…? Cosa… Cioè sì… Insomma io…»
Il ragazzo la tolse dall’imbarazzo, o meglio la fece semplicemente smettere di balbettare, perché l’imbarazzo aumentò a dismisura al suo gesto. Porse la mano destra verso di lei, con il palmo rivolto verso l’alto, mentre la mano sinistra stava dietro la schiena poi, fece un elegante inchino e parlò.
«Mi concede questo ballo, my lady?»
La ragazza paonazza in viso stava già tendendogli la mano, ma alle ultime due parole si bloccò, fermandola a mezz’aria, mentre i suoi occhi azzurri si sbarravano nel più totale stupore.
A quello sguardo il biondo sembrò preoccuparsi.
«Ho forse detto qualcosa che non va?» chiese titubante.
La ragazza scosse la testa, accompagnandola con un mugolio di negazione, poi gli afferrò la mano.
Quelle due parole, pronunciate in quel modo così deciso ed elegante, quelle movenze da galantuomo: per un attimo Adrien le aveva ricordato Chat Noir. 
Ebbe davvero poco tempo per pensare che quell’appellativo lo usava solamente Chat Noir quando si rivolgeva a lei nelle sembianze di Ladybug, perché poi tutte le sue emozioni si persero in una fitta nebbia di beatitudine.


Appena la ragazza poggiò la sua mano, egli chiuse delicatamente le dita attorno ad essa, come se stesse tenendo qualcosa di estremamente fragile. Dopodiché la trascinò verso la zona interna della sala, dove altre coppie ballavano al suono della musica della piccola orchestra che il sindaco aveva assunto per la festa della figlia.
Nel tragitto, mentre teneva la mano a Marinette, pensò a quello che aveva fatto: per un attimo era riuscito a comportarsi come si comportava con la tuta in pelle nera di Chat Noir. La sua timidezza e la sua ansia di apparire sempre perfetto davanti agli altri, come gli aveva insegnato suo padre, erano sparite, per quell’attimo c’era stato solo l’elegante e malizioso felino che si nascondeva nel suo cuore. Quando aveva incrociato gli occhi azzurri ed imbarazzati di Marinette era uscito, senza che lui potesse fare nulla per fermarlo, usando quell’appellativo che di solito usava solo con la sua amata Ladybug.
Si fermò e cercò di rimuovere quei pensieri dalla testa. Ora non c’era Ladybug, per quanto gli sarebbe davvero piaciuto ballare con lei, ora c’era Marinette e sebbene non fosse la sua dolce metà, si sentiva comunque eccitato all’idea di ballare con lei.
Con un veloce movimento del braccio portò la ragazza, ancora rossa in volto e leggermente intimidita, proprio di fronte a lui, sorridendole per rassicurarla. Un sorriso che lei cercò di ricambiare, ma che, nel momento esatto in cui posò la mano destra sulla sua schiena, percependo i fili di stoffa che lasciavano semi scoperta la pelle diafana, lei rabbrividì e divenne ancora più rossa.
Non curandosi di questa nuova forma d’imbarazzo, la spinse delicatamente verso di sé, facendo quasi aderire i loro corpi. A quel punto non c’era più bisogno di gesti o parole: incatenò i suoi occhi azzurri al suo sguardo, quasi potesse impedirle di distogliere gli occhi da lui e poi iniziò a condurre la danza con la sua solita disinvoltura.
Tutta la sala era sparita, per lui c’erano solo loro due, che volteggiavano leggiadri sotto i suoi passi esperti. 
Marinette non era così brava a ballare, non certo come Chloé, che probabilmente aveva avuto più esperienza, eppure l’emozione che provava a danzare con la corvina non poteva essere paragonata a quella di nessun’altra.
Non seppe per quanto danzarono effettivamente, ma di una cosa era certo, avrebbe voluto che quel momento non finisse mai.

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Capitolo 11
*** La confusione ***


La confusione

Il ragazzo si buttò sul letto.
«Possibile che ultimamente non fai altro che sospirare?» chiese Plagg addentando un pezzo di camembert.
«Non è colpa mia Plagg… – protestò lui – È che ultimamente ho troppi pensieri per la testa… È vietato forse?»
«Pensieri, pensieri, pensieri… Voi umani siete troppo complicati…»
«Grazie tante! Sei sempre d’aiuto!» lo rimproverò il biondo girandosi su un fianco e fissando il muro.
Percepì un sospiro e poi vide il suo kwami nero mettersi sul cuscino: non aveva più quel formaggio puzzolente tra le zampe e sembrava guardarlo con affetto, come un gatto che vuole fare le fusa.
«Quali sono questi pensieri che ti arrovellano il cervello?» chiese.
«Lascia stare… Non capiresti, oppure mi prenderesti in giro…»
«Senti ragazzo, vivo da più di cinquemila anni, capisco più di quello che pensi. Avanti parla!» gli ordinò.
Adrien fece un sospiro e poi si mise seduto, a quel punto Plagg si posizionò sul suo ginocchio, assumendo uno sguardo attento.
«Il fatto è che l’altro ieri, alla festa di Chloé, mi sono sentito strano… Io… Credevo di essere innamorato di Ladybug e invece…»
«Oddio non dirmi che ti sei innamorato di Chloé!?» lo fermò il kwami nero sconvolto.
«Ma no! Cosa dici?! Lei non c’entra nulla… – sentì la creatura fare un sospiro di sollievo – Parlo di Marinette… Ultimamente non riesco più a comportarmi normalmente con lei, mi sento sempre in imbarazzo, come se dovessi apparire perfetto, ma non ci riesca. Mi sento…»
«Inappropriato?» cercò di aiutare il piccolo amico.
«Esatto.»
«Posso farti una domanda? – il ragazzo alzò solo gli occhi a quella richiesta, poi il kwami proseguì – Cos’è che ti piace in Ladybug?»
Esitò un po’ prima di rispondere, un po’ per imbarazzo, un po’ per cercare di pensare bene alla risposta che voleva dare.
«È forte, determinata, coraggiosa, sa sempre cosa fare…»
«Questi sono pregi da combattimento Adrien, sono le caratteristiche per una compagna d’armi, non per un’amore…»
«Beh, ma mi piacciono anche i suoi capelli, il suo fisico, i suoi occhi…» il ragazzo si perse per un’attimo nei suoi pensieri, mentre davanti a lui sembrava apparire l’immagine stupenda dell’eroina parigina.
«Ok, ed invece per Marinette cosa provi?» continuò il kwami riportandolo alla realtà.
Il ragazzo dovette riscuotersi dal torpore in cui era caduto pensando a Ladybug, ma in tempo zero si trovò a crollare nell’immaginazione di un’altra ragazza, molto simile, ma completamente diversa nel carattere.
«Marinette è buffa, impacciata, gentile. Ogni volta che la vedo mi sembra quasi che abbia bisogno sempre di me, ma allo stesso tempo anche io credo di aver bisogno di lei. Da quel giorno sotto la pioggia, in cui siamo diventati amici ho compreso che forse è l’unica persona al mondo di cui non posso fare a meno…» si bloccò, il suo kwami lo stava fissando intensamente, sul suo muso era stampato un sorriso felino, degno della malizia di Chat Noir, un sorriso che Adrien comprese benissimo. 

 

Ladybug stava combattendo già da qualche minuto contro il nemico. Questa volta Papillon aveva fatto un lavoro eccellente: la vittima della sua akuma era stata la professoressa di fisica che dopo l’ennesimo compito non svolto da un’intera classe si era fatta prendere dalla rabbia. Ora con un raggio che le partiva dal centro della montatura degli occhiali, costringeva chiunque non stesse facendo nulla a fare compiti di fisica: la gente si fermava, così, in mezzo alla strada ed eseguiva complicatissimi problemi di fisica, scervellandosi per trovare una soluzione.
La ragazza aveva evitato l’ennesimo raggio, quando andò a sbattere contro qualcuno.
«Serve aiuto my lady?»
«Era ora che arrivassi Chat.» disse e il giovane eroe alzò le spalle.
«Per una volta sono stato io ad arrivare in ritardo, devi ammettere che ultimamente quella poco puntuale eri tu.»
«Poco puntuale? Guarda che questo non è un appuntamento!» lo rimproverò lei.
«Ah no? Peccato… Allora potresti concedermene uno.» disse con aria maliziosa lui.
«Ah ah, non ci provare, non è il momento di…»
«Voi due, basta chiacchierare! Studiate!» urlò la professoressa facendo partire un nuovo raggio dagli occhiali.
Chat Noir l’afferrò dalla vita e con un balzo si spostò più in là, in modo da evitare nuovamente il raggio.
«Bando alle ciance my lady, hai qualche brillante idea?»
«Sono più che sicura che l’akuma è nei suoi occhiali, ma non saprei come farglieli togliere, forse dovrei usare il Lucky Charm.»
«Bene tu fa quel che devi fare, io trattengo la prof.» disse tirando fuori la sua arma e schizzando verso la donna.
«Lucky Charm!» urlò subito dopo lei, lanciando il suo yo-yo in aria.
Tra le mani le  caddero un foglio di carta con sopra riportato un complicatissimo problema di fisica e una penna rossa a pois neri.
«Ma stiamo scherzando?» chiese lei sconvolta.
Con un’altro balzo il giovane dall’aspetto felino le fu nuovamente accanto.
«Qual è il problema dolcezza?» chiese tranquillamente.
Lei gli mostrò i suoi oggetti fortunati e, al contrario di ciò che si aspettava, l’eroe fece un sorriso compiaciuto.
«Forse la dobbiamo ripagare con la stessa moneta. – disse rimettendo il suo bastone alla cintura e afferrando foglio e penna dalle sue mani – Aspetta e vedrai, tieni il tuo yo-yo pronto. – disse per poi tornare lentamente verso l’akumatizzata – Professoressa, mi potrebbe aiutare con questo problema?» chiese tranquillamente, mostrandole il foglio.
La donna sembrò per un’attimo stupita da quella richiesta, poi però prese i due oggetti fortunati ed iniziò a ragionare. Durante questa azione, come molti miopi, la donna si sfilò gli occhiali.
«Ora!» urlò Chat.
A quell’ordine, Ladybug fece scattare il suo yo-yo portando via il paio di occhiali dalle mani della donna: appena li ebbe a portata di mano li ruppe a terra facendo uscire la farfalla intrisa di male. Fece il suo solito rito e tutto tornò alla normalità.
«Ben fatto!» dissero entrambi dandosi il pugno.
«Allora my lady? Questo appuntamento?» insistette il giovane eroe riprendendo il discorso di prima.
Il segnale di avviso dello scadere del tempo di Ladybug sembrò quasi rispondere per lei.
«Mi dispiace Chat, devo andare.» disse e stava già per farlo, quando lui la bloccò di nuovo.
«Mi spiace, questa volta non ti faccio andar via se non mi dai una risposta seria. Anche dovessi trasformarti davanti a me.»
La ragazza sospirò, poi sfilò il braccio dalla presa del compagno e aspetto la fatidica domanda.
«Cosa non va in me? Cos’è che non ti piace?»
«Chat, non c’è niente che non va in te. Tu hai il tuo carattere, i tuoi modi di fare e ti assicuro che ti ammiro molto, ti apprezzo e ti ritengo il miglior compagno che possa avere.» era sincera mentre diceva quelle cose e sperava che quella sincerità trapelasse dalla sua espressione e dalle sue parole.
«Ma…?» chiese lui, come se sapesse già che c’era dell’altro.
«Ma il mio ideale di ragazzo è un’altro. Tutto qui.»
Gli orecchini di Ladybug suonarono di nuovo.
«Vai… Prima che ti ritrasformi.» le disse Chat.
Il suo tono di voce era sommesso, l’aveva deluso, ma cosa poteva farci? Nel suo cuore c’era posto solo per Adrien, non avrebbe potuto amare nessun altro in quel modo. Per lei Chat era solo un’amico, un’alleato, non poteva essere nulla di più.
Il giovane eroe le diede le spalle e grazie al suo bastone balzò sul tetto più vicino, per poi sparire.

 

Non sapeva perché era arrivato lì. Appena lasciata Ladybug da sola aveva solo avuto l’istinto di allontanarsi da lei, come se la vicinanza con la giovane eroina gli potesse arrecare ancora più dolore;a solo quando si fermò, si rese conto di dove le sue gambe, o meglio zampe, l’avevano portato.
Vide la giovane Marinette entrare nella panetteria del padre, passando dalla porta di vetro e gli scappò un sorriso. Cosa diavolo gli stava succedendo?
Aiutato dal suo bastone fece l’ultimo balzo per arrivare all’edificio di fronte, per poi posizionarsi vicino alla finestra della stanza della ragazza. Lei si era appena seduta sulla sedia, con aria stanca e forse anche malinconica. 
Fu più istinto felino, che decisione umana, ed il ragazzo cominciò a grattare delicatamente sul vetro, a quel richiamo la vide voltarsi stupita e poi avvicinarsi.
«Chat Noir, che ci fai qui?» chiese dopo avergli aperto la finestra.
«Felice di rivederti principessa.» le sorrise lui, balzando dentro la camera.
«Dico sul serio, che ci fai qui?» chiese un po’ scocciata lei.
Lui le diede le spalle e rispose in modo talmente tranquillo da sembrare quasi apatico.
«Avevo bisogno di parlare con un’amica.»
Il suo sguardo cadde sulla parete sopra la scrivania e per un attimo gli venne un colpo: quelle erano tutte sue foto, quella parete era l’apoteosi di Adrien Agreste.
Era talmente assorto a guardare le sue stesse foto, staccate sicuramente da chissà quali riviste e a capire perché erano lì, che non sentì neanche la domanda che gli aveva rivolto la ragazza.
«Ehi! Vuoi rispondermi o no?!» chiese lei, voltandolo con la mano.
«Come scusa?» fece, tornando in sé.
«Da quando io e te siamo amici?»
«Beh, abbiamo combattuto insieme no?»
«E questo fa di noi degli amici?» chiese ancora lei.
«Credo di sì… È che non ho molte persone con cui parlare, soprattutto con questo aspetto. Sai ogni persona che avvicino mi chiede foto e autografi… – si fermò, pensando che in fin dei conti molta gente lo faceva anche quando aveva il suo aspetto normale – Mentre tu, mi tratti come una persona normale, o quasi.»
La ragazza con un sospiro si sedette sullo scalino che portava al soppalco del letto.
«Quindi? Qual è il problema che assilla l’infallibile Chat Noir?» a quella domanda lui alzò le spalle.
«Non lo so con certezza ed ho paura che non lo scoprirò mai davvero…»
«Non riesco a seguirti. – disse lei – Insomma se non sai qual è il problema come sai di averlo?»
Sospirò e si sedette di fianco a lei sul gradino, continuando a guardare la parete tappezzata di sue fotografie. Poi, dopo vari minuti di assoluto silenzio, parlò.
«Secondo te come si capisce di essere innamorati di qualcuno?» chiese.
La ragazza rimase stupita da quella domanda e ci mise un po’ a rispondere.
«Beh, quando t’innamori è tutto diverso: ti senti strano, confuso, inadeguato. Vorresti passare ogni singolo giorno della tua vita con quella persona, anche se farlo ti mette in imbarazzo…»
La vide perdersi nei suoi pensieri, mentre continuava a parlare, stava sicuramente pensando a qualcuno in particolare. Lei era sicuramente innamorata e sicura dei suoi sentimenti e lui aveva capito bene chi era la persona che la faceva sentire così. Finalmente l’aveva capito.
Si alzò, bloccando così le sue parole.
«È stato bello chiacchierare con te, principessa.» disse facendole un elegantissimo baciamano, dopodiché si diresse verso la finestra.
«Chat Noir, tutto ok?» chiese lei, forse aveva notato il suo cambio repentino di umore.
«Magnificamente! – rispose aprendo le ante e balzando sul davanzale – Adrien Agreste è un ragazzo fortunato ad avere una ragazza stupenda come te ad amarlo.» in un attimo la vide arrossire vistosamente, dopodiché scappò via.

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Capitolo 12
*** La ferita ***


La ferita

«Era da tanto che non facevamo una pattuglia come si deve.» disse Chat Noir non appena si fermarono su un tetto.
«Già… Nel primo periodo ne facevamo una ogni settimana. Forse prendevamo anche troppo sul serio la cosa dei supereroi, visto che era una cosa nuova.» le scappò da ridere, ma dopo pochi secondi di quella spontanea risata si dovette fermare. 
Sentiva lo sguardo penetrante del suo compagno su di sé e l’imbarazzo, che di solito accompagnava i suoi momenti con Adrien, prese il sopravvento. Si voltò lentamente e nel vedere davvero quegli occhi felini, fu sicura di essere diventata rossa quanto la sua maschera.
Appariva serio, fin troppo per i suoi gusti: di solito le rivolgeva sempre sguardi maliziosi o allegri, questa volta sembrava quasi che stesse per rivelarle qualcosa di terribile, o terribilmente difficile da dire. Ricordava solo una volta in cui Chat Noir aveva assunto quello sguardo, durante la battaglia contro Dark Cupido. Al ricordo di quella battaglia l’imbarazzo aumentò. 
Perché? Non si era fatta nessun problema dopo quella battaglia e dopo quel bacio, in fondo l’aveva fatto solo per rompere l’incantesimo su Chat, quindi perché ora, in quel preciso istante, al solo pensiero di aver dato il suo primo bacio a Chat Noir, si sentiva così a disagio? Proprio un paio di giorni prima, nel suo vero aspetto, aveva detto che sentirsi a disagio era una caratteristica delle persone innamorate e lei era innamorata di Adrien, ne era sicura. Eppure, al pensiero di quel bacio, alla vista di quello sguardo serio, si sentiva a disagio; e quell’imbarazzo aumentò e si unì allo stupore quando sentì il giovane super eroe parlare.
«My lady… – cominciò, afferrandole un polso e facendole abbassare lo sguardo per qualche secondo sulle loro mani, per poi tornare a guardarlo negli occhi, come attratta magneticamente a quelle due iridi feline – Non posso più tenermi dentro tutto, è da troppo tempo che lo faccio e se aspetto un minuto di più credo potrei esplodere… – fece un’altra pausa, più lunga della prima, poi dopo un profondo respiro disse le ultime parole – Io ti amo Ladybug.»
Per un attimo la ragazza coccinella credette di aver capito male, poi quando realizzò che ciò che aveva sentito era davvero quello che era stato detto dal suo compagno, sperò di aver capito male. 
Quella confessione sincera e sentita l’aveva colpita al cuore. Eppure non poteva negare che, nonostante i sentimenti un po’ confusi a certi ricordi con l’eroe gatto, il suo cuore apparteneva solo ad Adrien. Come poteva ora rispondere a Chat che il suo amore non era corrisposto?
In teoria lei sperava che quando due giorni prima gli aveva spiegato i suoi sentimenti congedandolo, avesse capito, ma forse lui non voleva sentire ragioni, forse l’amore non voleva sentire ragioni. A quella sua domanda a fior di labbra, rispose lui, senza che lei pronunciasse una singola parola.

 

«Lo so… So benissimo che il mio amore non è ricambiato. Non so se hai già una persona nel cuore, o se ancora stai cercando quello giusto, ma ho capito che non sarò io… Però avevo bisogno di dirtelo.»
Calò il silenzio e, in quel silenzio, si sentì nervoso. Avrebbe preferito sentirla urlare, inveire contro di lui, avrebbe preferito vederla piangere e scappare via, vederla arrossire come era arrossita poco prima che parlasse, ma ciò che stava facendo lo rendeva nervoso. Lo stava fissando, lo stava fissando con uno sguardo colmo di compassione e di dolore, come se con lo sguardo volesse chiedergli scusa del fatto che lei non ricambiasse il suo amore. 
Ad un certo punto, senza più riuscire a reggere quella situazione, ruppe di nuovo il silenzio.
«Ti prego dimmi qualcosa…»
La vide aprire e richiudere la bocca un paio di volte, sempre con quello sguardo colmo di dolore, poi finalmente, con un filo di voce, disse qualcosa.
«Chat io… Mi dispiace… Davvero…»
Vide una lacrima sfuggire al suo controllo e scivolare sulla maschera rossa che le ornava il viso, per poi rigare la guancia. Istintivamente allungò il dito guantato e con l’artiglio la raccolse. Nello sfiorare quella lacrima, tutta l’ansia del momento, tutta la fatica che aveva provato a dire quelle parole, tutto il dolore nel sapere di non essere corrisposto, sparirono all’istante, facendogli tirare fuori il suo miglior sorriso.
«Non piangere coccinellina. So sopravvivere anche senza di te. – disse facendole l’occhiolino – Però ora sai che ovunque andrai, da qualche parte c’è un micio che ti ama.»
Le scappò un sorriso e lui si compiacque di essere riuscito a far spuntare di nuovo quella curva rosea e dolcissima sul volto della sua amata.
«Sciocco di un gatto… Questo lo sapevo già!» lo rimproverò lei stupendolo, ma il suo gesto successivo lo stupì ancora di più.
Si avvicinò a lui e posò le sue labbra sulla sua guancia, lasciandogli una lieve impronta umida. In tempo zero le sue guance divennero incandescenti, come se per un attimo Chat Noir non riuscisse più a controllare le emozioni di Adrien.

 

Lo vide arrossire e per un attimo se ne compiacque, non sapeva perché, ma in quel momento rendere felice quel gatto nero sembrava essere diventata la sua unica priorità, anche se significava tradire per un po’ i suoi sentimenti nei confronti di Adrien.
Quel senso di soddisfazione però, durò molto poco.
In pochi millesimi di secondo vide il voltò di Chat Noir cambiare radicalmente espressione. Nei suoi occhi balenò apprensione ed ansia e, proprio come il giorno in cui si erano baciati per la prima volta, lui la prese per le spalle e fece in modo che si scambiassero le posizioni proteggendola con il suo corpo.
Lo sentì fare un verso di dolore, quando la stella ninja che era sfrecciata verso di loro si conficcò nella tuta nera del suo compagno, all’altezza della spalla destra.
«Chat!» urlò lei.
«Tranquilla, sto bene…» disse alzandosi in piedi, ma si accorse che non era vero: il braccio, la cui spalla era stata colpita, era ciondolante e l’altra sua mano lo teneva stretto, anche il suo sguardo era sofferente.
Si alzò anche lei: dovevano sconfiggere quel nemico, chiunque esso fosse. Tirò fuori il suo yo-yo e vide Chat accanto a lei fare lo stesso prendendo la sua arma con il braccio sano
«Tu lo vedi?» domandò nervosa e subito dopo notò un ghigno sul volto del compagno.
«Considerato cosa ci ha lanciato, Papillon gli deve aver dato i poteri di un ninja, sarà difficile scovarlo… – disse guardandosi intorno, poi all’improvviso il suo ghigno divenne più esteso – Peccato che il nostro akumatizzato non sa che cercare le persone nel buio della notte è la mia specialità!» concluse, per poi lanciare la sua arma con tutta la forza che poteva mettere con un braccio solo.
Si sentì il bastone colpire qualcosa, poi qualcuno gemere di dolore ed infine un tonfo. Il ragazzo felino scattò in avanti, inseguendo la sua arma, e lei dovette seguirlo.
Arrivati sul posto videro il nemico a terra, mezzo tramortito. Era vestito da ninja, in una tuta completamente nera, che gli lasciava scoperti solo gli occhi glaciali, alla cintura aveva una moltitudine di tasche e sulla schiena due foderi di spada, probabilmente contenenti katane affilate.
«Hai idea di dove possa essere l’akuma?» chiese Chat Noir riportandosi il braccio sano a sostenere quello ferito.
«Neanche mezza…» sospirò lei, ma non ebbe il tempo di dire altro che l’uomo si rialzò con un balzo e tirò fuori una katana, puntando proprio su di lei.

 

La spintonò indietro con il braccio destro e percepì una fitta di dolore lancinante trafiggergli nuovamente la spalla, ma non se ne curò. Nello stesso istante recuperò il bastone con il braccio sinistro e parò il colpo.
«Usa il Lucky Charm e speriamo che la tua fortuna ci aiuti anche a capire dove si trovi quella maledetta farfalla.» le disse, parando un’altro colpo.
La sentì acconsentire al suo consiglio e allontanarsi di un po’ da loro, per poi evocare il suo potere.
Intanto lui continuava a combattere contro il ninja, usando al mano sinistra. Stava facendo una fatica immane a far muovere il suo bastone come voleva, se mai avessero sconfitto quel nemico e fosse andato tutto per il meglio, si sarebbe esercitato a tirare di scherma anche con la sinistra, pure se era destrimano.
All’improvviso come se qualcuno gli avesse suggerito di farlo, il nemico estrasse l’altra katana dalla schiena: se prima era svantaggiato, ora era completamente spacciato. Il ninja si buttò di nuovo alla carica e lui a malapena riusciva solo a parere i suoi colpi.
«Ladybug… Muoviti!» protestò, a quel punto, con uno spintone, il nemico lo fece cadere a terra, di schiena. 
Appena la spalla ferita, con ancora conficcata la stella ninja toccò il suolo, facendo in modo che il metallo penetrasse di più nella carne, il ragazzo lanciò un grido involontario.
Subito dopo però, come fosse una visione, vide la sua compagna volare sopra di lui, in una posizione da film e sferrare un calcio in pieno volto al nemico, che seguì l’esempio di Chat Noir, cadendo rovinosamente a terra.
«Stai bene?» chiese lei aiutandolo ad alzarsi.
«Starò bene, quando avremo sconfitto questo maledetto ninja…» disse portandosi nuovamente la mano alla spalla ferita, nonostante la sua tuta nera, iniziava a notare il sangue che colava lungo il braccio, anche attraverso la vista e questa cosa lo preoccupava non poco.
In un attimo, ritornò alla sua battaglia contro Couture e ripensò a Marinette e al fatto che la sua ferita non fosse guarita, e se il gesto finale della sua compagna non avesse funzionato di nuovo.
«So come sconfiggerlo!» sentì pronunciare dalla sua lady, che lo riportò alla realtà.
«Ok… Dimmi cosa devo fare!»
«Tu per ora, nulla… Stai qui e non ti muovere.» sospirò un po’, contrariato, poi con tono mesto rispose.
«Come comanda lei, my lady.»
La vide avvicinarsi verso il nemico e dare il via a una battaglia contro il ninja: le katane furono un problema che sparì quasi subito, non appena la super eroina con un gesto veloce della sua arma, le fece sfuggire di mano al suo possessore e le fece conficcare nel pavimento poco più in là. Dopodiché con un paio di movimenti svelti e precisi, degni di lei, lo immobilizzò a terra, aiutata dal suo oggetto fortunato, mettendosi poi a cavalcioni sulla sua schiena.
«Chat, devi usare il tuo potere sulle katane, una delle due ha l’akuma.»
Senza fare le sue solite pose teatrali, visto che la spalla gli faceva troppo male, il ragazzo evocò il Cataclisma, per poi scattare velocemente verso le due armi e sfiorare il manico di entrambe. Immediatamente da una delle due uscì la piccola farfalla nera.
Vide Ladybug alzarsi da sopra il suo nemico e lanciare lo yo-yo verso di lei, recitando le solite frasi.
Appena liberò la farfalla si allontanò dal nemico che, sebbene fosse ancora con l’aspetto da malvagio, non si muoveva più, come succedeva sempre. Si avvicinò a lui: il suo sguardo era preoccupato e nervoso. Perché? Perché, ora che era tutto finito lo guardava così, di nuovo? 
«Come stai?» gli chiese.
«Quando userai il Lucky Charm, starò meglio.» disse sarcasticamente, sorridendo, ma l’espressione della sua compagna non cambiò, anzi si fece più seria, mentre i suoi orecchini sentenziavano che le mancavano tre minuti alla trasformazione.
«Io… Io non credo che andrà meglio…» disse in un sussurro.
«Perché?» chiese lui stupito e, di nuovo, gli tornò alla mente la ferita di Marinette ed il suo cuore iniziò a martellare furioso nel petto, facendo pulsare di più la ferita.

 

La ragazza non sapeva che fare, se avesse rivelato a Chat Noir ciò che le aveva detto Tikki di sicuro lui avrebbe capito che sotto la maschera di Ladybug si nascondeva Marinette, allo stesso tempo non poteva lasciarlo senza una spiegazione, non ora che era ferito.
Era colpa sua, soltanto colpa sua: se solo non si fosse distratta, si sarebbe accorta del pericolo e l’eroe gatto non si sarebbe ferito per salvarla. Sentì le lacrime uscirle inesorabili dagli occhi, non sarebbe riuscita a trattenerle neanche se avesse voluto. Attraverso di esse vide un’immagine tremolante e appannata del ragazzo mascherato, mentre si preoccupava per lei.
«Perdonami Chat… – sussurrò per poi lanciare l’oggetto fortunato – Miraculous Ladybug!»
Tutto fu avvolto dai soliti fasci di luce e di coccinelle ma, come si aspettava, al suo compagno la ferita non guarì, l’unica cosa che accadde fu la sparizione dell’arma che lo aveva ferito.
Lo vide guardarsi con ansia la spalla e poi tornare a guardare lei , nel suo sguardo vedeva lo stupore e il dubbio, a cui non sapeva rispondere sinceramente, mentre il suo orecchino suonava di nuovo, segnalandole che mancava un minuto.
«Va via my lady…» disse con un sussurro, poggiandosi contro al muro.
La ferita gli doveva fare davvero male e adesso che la stella ninja non ostruiva più il flusso di sangue, questo probabilmente stava uscendo molto più velocemente. 
«Ma io…» sussurrò.
«Va via… o vedrò la tua identità. Io ho ancora abbastanza minuti per andare all’ospedale qua vicino il più velocemente possibile e farmi guarire questa spalla. – non sapeva cosa rispondere, le lacrime continuavano imperterrite a scenderle sul viso – Torna a casa my lady…»

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Capitolo 13
*** Lo stupore ***


Lo stupore

«Chaaaat!» gridò la ragazza, svegliandosi di soprassalto, imperlata di sudore, con il fiato corto e quel nome ancora in bocca, il tutto mentre il cuore batteva impazzito nel petto, come se volesse uscire dalla cassa toracica.
«Marinette, che è successo?» chiese con aria preoccupata il kwami, che in poco tempo le fu accanto.
«Io… – sospirò passandosi una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore – Nulla… Solo un’incubo…» concluse, continuando poi a guardare il vuoto.
Subito dopo la piccola creatura rossa dovette nascondersi perché Sabine Cheng apparì dalla botola che dava sulla camera della figlia e fece capolino con il volto nel soppalco in cui si trovava il letto, rivolgendole la stessa domanda.
La ragazza la congedò con un sorriso e una rassicurazione e, solo quando si sentì la botola chiudersi di nuovo, Tikki uscì nuovamente da sotto le coperte, mentre lei stava ancora pensando all’orrendo incubo che aveva fatto.
«Sei preoccupata per Chat Noir vero?» le chiese, ma lei non rispose a voce, fece solo un cenno di testa. 
All’improvviso vide la creatura pararsi davanti a lei, decisa. 
«Trasformati!»
«Cosa?! Perché?» chiese interdetta la ragazza.
«Così provi a chiamarlo…» le rispose la kwami.
«Per dirgli cosa? Già mi sento abbastanza in colpa per averlo ferito, come se non bastasse se mi chiedesse qualcosa dovrei pure mentirgli.»
«Non dovrai mentirgli, puoi dirgli la verità. Chat Noir non ha mai visto che la ferita che ti sei procurata quel giorno con lui non è guarita con il Lucky Charm. Dopo allora ti ha vista solo il giorno in cui è venuto qui da te, e quel giorno avevi addosso una maglietta a maniche lunghe, no? Inoltre la ferita era già guarita completamente.» la rassicurò la sua piccola amica.
Marinette rimase ferma per qualche minuto, poi prese la sua decisione.
«Tikki, trasformami!» disse decisa, ancora seduta sul suo letto, scostandosi i capelli dall’orecchio.
Subito dopo aver preso le sembianze di Ladybug la ragazza mise mano al suo yo-yo e chiamò il compagno. Perché lo stava facendo? Sicuramente Chat Noir ora era nella sua forma normale, probabilmente stava dormendo, probabilmente ce l’aveva con lei, probabilmente…
«My lady…»
«Ch-chat!»
«Lo sapevo che mi avresti chiamato.» le disse il ragazzo e lei vide il suo sorriso sincero attraverso lo schermo.
«Come… Come stai?»
«Eri preoccupata per me?» chiese con il suo solito tono malizioso, facendola arrossire, sì, stava decisamente meglio.
«Che ne dici se ci vediamo al parco?» chiese l’eroe gatto con fare più gentile.
La giovane eroina guardò un attimo l’orologio: erano le tre, aveva tutto il tempo, inoltre in quel modo avrebbe avuto l’occasione di dire a Chat la verità.
«Va bene, ci vediamo al parco.» disse lei per poi chiudere la chiamata.

 

Atterrò vicino al luogo prestabilito con un balzo: per lui che era abituato a correre sui tetti a quattro zampe, usare solo le gambe era una faticaccia. Entrò nel parco e vide la sua amata seduta sulla panchina che si guardava intorno, nel suo sguardo e nelle sue movenze si vedeva chiara l’agitazione e la preoccupazione.
Le si avvicinò e, quando si voltò dal suo lato, vide il suo sguardo azzurro intenso posarsi sull’imbracatura che aveva al braccio e rattristarsi. 
Il suo cuore sembrò perdere un colpo nel vedere quello sguardo: non voleva vederla soffrire, anche se la sua era solo preoccupazione per lui. Gli faceva male quello sguardo e sapeva che lui stesso aveva sbagliato a dirle di andarsene quel giorno.
Si sedette vicino a lei e tornò a sorridere.
«Le spiace se mi siedo? Sà dopo tutto questo combattere, anche un super eroe ha bisogno di riposare.» disse, ma neanche quello servì a tirarla su di morale, continuava a guardarlo con il dolore negli occhi.
«My lady, – cominciò dopo un lungo sospiro – davvero, sto bene. I dottori hanno detto che devo solo tenere la spalla ferma per una settimana, il tempo che mi possano togliere i punti…» dopo aver detto l’ultima parola si zitti, mordendosi leggermente la lingua, come gli era venuto in mente di dire una cosa del genere?
«Ti hanno messo i punti?» chiese sconvolta la ragazza.
«Sì, ma… Non è niente, davvero, sono solo quattro punti… Sto bene, dico sul serio.» cercò di rimediare lui, ma lei non parlò più, semplicemente abbassò lo sguardo e si fece se possibile ancora più seria.
Solo dopo un paio di minuti, continuando a guardare i suoi piedi gli rivolse di nuovo la parola.

 

«Chat Noir… Credo io ti debba delle spiegazioni.» disse con tono serio lei.
«Spiegazioni?» sentì dire il giovane eroe e lei fece un verso di assenso come risposta, per poi sospirare e riprendere a parlare.
«Ti avviso che anche io questa cosa l’ho scoperta poco tempo fa, ma dopo quello che ti è successo è giusto che tu sia consapevole dei pericoli che entrambi corriamo nel combattere questa battaglia… – fece una pausa e vide con la coda dell’occhio il biondo appoggiarsi meglio alla panchina su cui erano seduti, sentiva il suo sguardo indagatore e curioso addosso – Non volevo dirtelo, non so perché… Forse avevo solo paura che te ne andassi o che capissi prima o poi chi ero, ma mi sono resa conto che facendo così ti ho messo solo in pericolo di vita.»
Si bloccò di nuovo, ma questa volta alzò lo sguardo verso di lui e sentì di nuovo le lacrime che pungevano per uscire dagli occhi, per poi riuscire nel loro intento e iniziare a scendere placide sul volto.
Lui sospirò e si avvicinò a lei, accarezzandole la guancia con la mano guantata di pelle nera, nel tentativo di toglierle dal viso quelle gocce salate.
«My lady, non potrei mai abbandonarti… Qualsiasi cosa mi dirai non cambierà nulla… Non cambierà ciò che provo per te e sicuramente non cambierà il nostro rapporto…» la rassicurò con tono gentile.
Non era da lui comportarsi così: ultimamente sembrava più maturo, come se all’improvviso avesse capito che le battute e il tono malizioso non fossero sempre la cosa giusta da fare, come se il ragazzo che c’era sotto, anche se lei non ne conosceva l’identità, fosse più gentile di quello che appariva con la maschera. Già, chissà chi c’era sotto la maschera, chissà se il detentore del Miraculous della sfortuna aveva un carattere più simile a Chat Noir, oppure come lei, ogni tanto cercava di nascondere il suo vero carattere.
Sospirò, decisa a dire la verità e subito dopo cominciò a parlare. Il suo compagno non la interruppe nemmeno una volta. Spiegò nel dettaglio quello che le aveva detto la sua kwami tempo prima, prendendo appena fiato tra una frase e l’altra, come se fermandosi non sarebbe più riuscita a continuare. Appena concluse il discorso vide il giovane eroe guardarla serio.

 

Il ragazzo trattenne a stento lo stupore, concentrandosi con tutto se stesso in modo da non far apparire sul suo volto la minima espressione mentre sentiva quelle parole. Appena la ragazza finì, la guardò serio solo per pochi secondi, dopodiché le pose la domanda che gli premeva sulle labbra. 
«Quindi solo noi non guariamo da queste ferite?» chiese.
La ragazza annuì e questa volta lo sforzo di trattenere le sue emozioni fu ancora più forte. I dubbi della sua lady erano fondati, lui aveva davvero capito chi si nascondeva sotto la maschera e insieme allo stupore, arrivò il sollievo. 
Ecco perché si sentiva bene in presenza di Marinette, ecco perché i suoi occhi azzurri gli ricordavano tanto quelli di Ladybug, ecco perché ultimamente il suo cuore sembrava sempre in conflitto con se stesso. Lui non aveva mai amato due ragazze diverse, lui aveva amato sempre la stessa persona. Eppure rimase lì, fermo, trattenendo tutti quei sentimenti per sé. 
Non sapeva perché ma non voleva dirglielo, non voleva deluderla, non voleva farle credere che le sue paure erano vere. Lei ci teneva molto più di lui a tenere le loro identità nascoste e in quel modo forse l’avrebbe delusa. L’aveva delusa già abbastanza in quell’ultimo periodo e le aveva dato non poche preoccupazioni, non poteva aggiungerne un’altra.
Però, qualcos’altro gli teneva bloccata la lingua, o meglio, qualcun altro: Chat Noir, il suo lato più esuberante, malizioso e sfacciato, pensava a tutto quello che sarebbe potuto succedere ora che sapeva la vera identità della donna che amava.
Ladybug continuava a guardarlo titubante ed il ragazzo capì che doveva smetterla di stare nei suoi pensieri: la priorità ora era soltanto lei, doveva dimostrarle che le sue paure erano infondate e che lui le sarebbe rimasto accanto sempre.
«My lady… – disse, facendola sobbalzare, come se non si aspettasse che prima o poi lui avrebbe parlato – Quando sono diventato Chat Noir ero euforico di quest’occasione che mi si presentava davanti… E non avrei mai rinunciato ai miei poteri per nulla al mondo… Ho conosciuto te e quella sicurezza è diventata più forte… Non mi farò fermare da quattro punti alla spalla… Non mi farei fermare nemmeno dalla morte per starti accanto…»
«Non dirlo neanche per scherzo!» lo rimproverò lei e lui sorrise, dopodiché le si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte, per poi accarezzarle leggermente la guancia.
«Va a dormire coccinellina… Sei stanca e immagino che, come me, domani avrai scuola.»
Lei annuì e lo salutò con tono mesto, dopodiché si alzarono e lei gli augurò la buonanotte.
«Buonanotte, my lady…»

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Capitolo 14
*** Il gioco ***


Il gioco

«Ehilà bro! Com’è andato il servizio fotografico a Londra?» chiese il suo migliore amico, senza dargli neanche il tempo di sedersi.
«Il servizio…? Oh sì… Bene! Alla grande!» rispose mettendosi al suo posto.
Il giorno dopo che era stato ferito, aveva messo in giro la voce, che era andato a Londra per una settimana, per fare un servizio fotografico, in modo che non dovesse andare a scuola con il braccio ancora inutilizzabile. Inoltre aveva supplicato Nathalie di non dire nulla a suo padre dell’incidente, perché si sarebbe solamente arrabbiato e, visto che lui era davvero all’estero per lavoro, la cosa aveva funzionato. Ora Nathalie ed il Gorilla sapevano che quella sera era caduto su una bottiglia di vetro ferendosi la spalla, i suoi compagni credevano che fosse stato a Londra e suo padre non sapeva nulla dell’accaduto.
«E potremmo vederle queste foto?» chiese Alya dietro di lui, facendolo voltare.
«Ehm, no… Purtroppo la rivista per cui ho lavorato ha voluto tenersi tutti i diritti delle foto, che verranno pubblicate solo nella rivista londinese, non me ne hanno data neanche una copia.»
«Peccato… – protestò la ragazza facendo una smorfia di disappunto, poi i suoi occhi s’illuminarono, guardando oltre le sue spalle – Marinette, guarda chi è tornato da Londra?»
Si girò e si ritrovò davanti la brunetta che, ovviamente, come suo solito, era diventata paonazza, lanciando un’occhiata di rimprovero all’amica. 
«Buongiorno Marinette!» sorrise lui alla ragazza.
«Bengiorno… Cioè Buongiarno… Ehm Buongiorno…» balbettò nervosa.
Mentre, ancora rossa in volto, si sedeva proprio dietro lui, al ragazzo scappò un sorriso divertito, ma non ebbe il tempo di dire o fare altro, perché in quell’istante entrò la professoressa.

 

Le lezioni passarono in fretta, ma prima che gli studenti abbandonassero l’aula, la professoressa li fermò.
«Queste due settimane la nostra scuola collabora con l’accademia La Fémis nella realizzazione del progetto “Film in foto”. Il progetto verrà svolto in coppia, ed ogni coppia dovrà scegliere un film e rappresentarlo in un album fotografico di un minimo di quindici fotografie. Le coppie sono già state scelte, in modo che non nascano litigi, mentre il film lo dovrete riferire entro domani mattina.»
Tutti i ragazzi furono euforici di questa notizia: l’accademia La Fémis era la più famosa scuola di cinema che esisteva a Parigi e partecipare ad un loro progetto era una cosa di grande prestigio. La stessa Marinette era estasiata da quella notizia, mille idee le attraversarono la testa: avrebbe potuto creare dei costumi di un qualche film, oppure creare delle bambole, oppure…
Dovette bloccare i suoi pensieri, quando Alya le diede una gomitata. Si voltò verso di lei interrogativa, ma la risposta non venne dalla sua amica, bensì dal ragazzo che stava davanti a lei.
«Wow Marinette, siamo in gruppo assieme!» si voltò verso Adrien, diventando per l’ennesima volta paonazza.
Cosa? Era in coppia con Adrien?! Nel suo cervello sembrò esserci un’esplosione nucleare. All’improvviso le mille idee che aveva avuto poco prima erano sparite, o meglio erano erano state offuscate da un unico pensiero: lei e il ragazzo di cui era innamorata, ad organizzare un progetto del genere. Subito dopo che quel pensiero sfiorò la sua mente e la inondò iniziò, come al solito, a volare con la fantasia. Era la sua occasione, avrebbero scelto un film romantico, avrebbero fatto delle foto assieme, lui si sarebbe innamorato di lei, si sarebbero sposati ed avrebbero vissuto insieme per sempre.
In tutti questi pensieri la professoressa aveva finito di elencare tutte le coppie dei progetti ed i ragazzi stavano uscendo dall’aula. 
Marinette si riscosse solo quando una mano bianca come il latte e con le unghie ben curate smaltate di giallo, sbatté proprio sul suo banco. Conosceva già la persona a cui apparteneva quella mano, ma alzò comunque lo sguardo verso l’alto, incrociando gli occhi di ghiaccio della figlia del sindaco: era furiosa.
«Dupain-Cheng, com’è che tu ultimamente hai tutte le fortune di questo mondo?» le chiese.
«Non le ho scelte io le coppie, Chloé.» rispose la ragazza rimettendo i suoi quaderni dentro lo zaino.
«Non m’importa proprio nulla di chi ha scelto le coppie, non hai nessun diritto di lavorare con Adrien! Non sei alla sua altezza! Lui…»
«Chloé smettila!» non era stata lei a parlare, ma il giovane modello. 
Entrambe le ragazze si voltarono verso di lui, ma se Marinette rimase solamente stupita che il ragazzo la stesse difendendo per l’ennesima volta, la bionda tentò di ribattere.
«Ma io…»
«No Chloé, nessun “ma”, devi smetterla di trattare male Marinette. Non c’è nient’altro da aggiungere.» la bloccò di nuovo lui.
Dopo aver detto ciò afferrò il polso di Marinette, facendola arrossire di nuovo, e la trascinò via, fuori dalla classe. Uscirono dalla scuola in quel modo: con il suo polso ancora avvolto nelle sue dita. Sentiva il calore del suo tocco, un calore che inspiegabilmente era riflesso pure sulle sue guance. Adrien la stava toccando, anzi le stava quasi tenendo la mano e lo stava facendo da più di mezzo minuto. Appena usciti dall’edificio, le lasciò il polso.
«Non ascoltare quello che ti dice, mi fa piacere fare il lavoro con te, Marinette.» le disse con un sorriso.
«Anche a me fa piacere.» rispose lei, stupendosi di aver detto una frase di senso compiuto davanti ad Adrien. 
«Allora, che film scegliamo?» chiese lui continuando a sorriderle.
«Ah… ehm… Non lo so… Io… Potremmo…» iniziò a balbettare.
Le erano venute un milione di idee appena era stato annunciato il progetto ed ora vuoto totale, non solo non riusciva a spiccicare parola, ma ogni idea che le era venuta prima le sembrava inadatta.
«Beh tranquilla… Facciamo così, oggi buttiamo giù un po’ di idee e poi domani mattina arriviamo prima a scuola e decidiamo quale delle varie proposte fare, che ne dici? – a quella sua domanda rispose con un cenno imbarazzato – Ok, allora ci vediamo domani. Ciao!» la salutò.
«Sì, a domani.»

 

«Che intenzioni hai?» domandò il piccolo kwami nero buttando giù un’altro pezzo di camembert.
«Diciamo che voglio vedere quanto Marinette è innamorata di Adrien…» rispose con un sorriso divertito il ragazzo, finendo di scrivere la sua lista di film da proporre per il progetto.
«Non ti seguo…»
«Beh insomma, io ci ho messo un po’ a capire se preferivo Marinette o Ladybug… E anche se fortunatamente poi ho avuto la risposta alle mie domande, sono stato indeciso per parecchio tempo.»
«E allora?» chiese ancora Plagg prendendo un’altro pezzo di quel formaggio puzzolente.
«Dopo quello che è successo la settimana scorsa, sono arrivato alla conclusione che lei prova qualcosa anche per Chat, pure se lo nega, quindi se Chat fosse più insistente con il suo lato timido, ossia quello di Marinette, e non con quello più duro di Ladybug, magari cede.» il suo sorriso diventava sempre più esteso.
Nella sua testa stava pianificando già tutto: ormai il dolce e timido Adrien sembrava essersi messo da parte, lasciando completamente la furbizia e la malizia del giovane eroe parigino.
«E come le spiegherai il fatto che Chat è innamorato di Ladybug? Lei lo sa.»
«Esatto. Lei conosce bene Chat, sa benissimo che lui non si fa nessuno scrupolo a flirtare con altre ragazze pure se il suo cuore appartiene solo a Ladybug: non dimenticarti che ho già flirtato con lei con la maschera nera, durante il combattimento contro Illustrator.»
«Bah… Fa quel che vuoi… A me non importa…»
Il piccolo kwami stava per prendere l’ultimo pezzo di forma di camembert, quando fu risucchiato dal richiamo del ragazzo e dal suo anello.

 

Marinette era seduta alla scrivania, con la penna in mano ed un foglio davanti. Aveva scritto solo due titoli Indiana Jones e 007, ma nessuno dei due la convinceva più di tanto o meglio, li aveva scelti solamente con il pensiero di vedere Adrien con addosso i vestiti del famoso archeologo e della spia londinese.
Stava mordicchiando il tappino della penna con fare nervoso, mentre Tikki sgranocchiava un biscotto sulla sua spalla, quando un rumore a lei conosciuto le arrivò alle orecchie.
Si voltò e vide Chat Noir grattare alla sua finestra, come aveva fatto parecchi giorni prima. Tikki si nascose subito in un cassetto socchiuso e la ragazza si diresse verso la finestra per aprire al giovane.
Appena la finestra gli fu aperta, fece un balzo dentro la stanza.
«Di nuovo qui Chat?» chiese lei cercando di mantenere un tono irritato, notando che non aveva più il braccio appeso al collo: ciò voleva dire che la spalla era guarita.
«Avevo voglia di vedere la mia dolce principessa. – disse facendole l’occhiolino, poi si allontanò da lei per avvicinarsi alla scrivania – Che stavi facendo?» chiese, per poi leggere a voce alta il foglio che la ragazza stava cercando di riempire con delle idee decenti.
«Non sono affari tuoi! Sono cose di scuola.» protestò lei, strappandoglielo di mano e mettendolo in un angolo.
«Oh andiamo… Magari posso darti una mano…» le rispose lui, facendola sospirare, ma sì, in fondo che male ci poteva essere a farsi aiutare nell’idea di un bel film.
«Si tratta di un progetto a coppie, dobbiamo creare un album fotografico di un film specifico.» spiegò brevemente.
«Ah… Tipo un book, come quello che fanno i fotografi… Tipo quelli che fa il tuo fidanzato…» disse Chat Noir in tono tranquillo come fosse soprappensiero.
«Adrien non è il mio fidanzato!» protestò Marinette diventando rossa, mentre lo vide sorridere malizioso.
«Oh andiamo principessa.... Non sai proprio mentire, se non è il tuo fidanzato comunque ti piace e a giudicare dalla tua faccia si direbbe che è anche il tuo compagno di progetto.» concluse ghignando.
Ecco lo sapeva, non doveva dirglielo, ora quel gattaccio avrebbe iniziato a prenderla il giro per tutto il tempo. Forse non avrebbe dovuto farlo entrare, magari a quest’ora le sarebbero venute altre idee.
«Sai, sono un po’ invidioso…» continuò lui, come se non si fosse accorto della sua irritazione.
«Invidioso?» si voltò stupita, ed improvvisamente arrossì nel vederlo così vicino a lei.
«Beh, il giovane Agreste avrà l’occasione di starti vicino in questo progetto…» la sua voce era un sussurro lieve sulla sua pelle, che le diede  i brividi.
Sentì le ginocchia tremare e con un veloce gesto del braccio lo spintonò lontano da lei.
«Ma tu non stai con Ladybug?» chiese, cercando di essere il più maliziosa possibile, imitando lo sguardo dell’eroe che si trovava davanti, lui però alzò le spalle con fare innocente.
«A dirla tutta no… A quanto pare lei non ricambia i miei sentimenti…» rispose, tornando a guardarsi attorno, come se fosse un’argomento poco interessante per i suoi gusti.
«Ma davvero?» chiese lei incrociando le braccia.
«Esatto… Mi ha dato un bel due di picché… Quindi perché pensare a lei?»
Il finto disinteresse che manifestava, la divertiva troppo: sapeva benissimo che in quel momento stava mentendo, quasi spontaneamente le si formò un sorriso compiaciuto sul viso.

 

Un sorriso che non sfuggì al giovane eroe che, con un balzo felino, le fu di fronte e l’afferrò per la vita, facendo poi un’altro salto fino al letto e facendoglielo sparire immediatamente. In un attimo il viso della ragazza si era trasformato in una maschera di terrore, non un terrore di pericolo, più di paura del non sapere cosa stesse succedendo. Quell’espressione non fece altro che aumentare i suoi istinti felini, quegli istinti che Chat Noir fremeva dal mostrare al mondo intero, ma soprattutto alla ragazza che aveva davanti.
La bloccò sul materasso, mettendosi cavalcioni su di lei, per poi avvicinare la bocca al suo orecchio destro e sussurrarle due parole con tutta la sensualità che potevano avere quelle due parole.
«Mouline Rouge…»
«Cosa?!» la sua voce era stato un sospiro, come se il solo sussurrarle nell’orecchio l’avesse fatta gemere. 
Si alzò di nuovo, facendo leva sulle mani poggiate sulle coperte rosa del letto, per vedere di nuovo il suo volto: quello sguardo impaurito non era sparito, anzi forse si era intensificato, come se ora non solo non sapesse le sue intenzioni, ma non riuscisse nemmeno a comprendere le emozioni che la stavano confondendo.
La spalla destra iniziava a dolergli per lo sforzo di reggere il peso del suo busto, così decise di sollevare il braccio e usarlo per un’altro scopo. 
«Immagina… - continuò con quella voce suadente - te e Adrien… Nei panni di Satine e Christian…»
Il suo guanto artigliato si avvicinò ai suoi capelli, sciogliendole uno dei codini e lasciando che i capelli corvini si spandessero confusi sul cuscino. Lei gemette di nuovo, come se volesse parlare ma non trovasse le parole.
«Voi due… Insieme… A rappresentare la passione del film più romantico di tutti i tempi… Non sai quanto vorrei essere al suo posto durante quelle fotografie…»
«Chat…» disse in un soffiò.
Non resisteva più, lo si vedeva dal suo sguardo confuso, dalle sue labbra tremanti che si trattenevano dal pretendere di essere baciate, lo si percepiva dalle sue gambe che si muovevano leggermente, come a cercare di trattenere la sensazione ormonale che lui le stava suscitando.
All’improvviso decise che era abbastanza: l’aveva cotta al punto giusto ed ora doveva solo aspettare che le sue avance facessero il loro effetto.
Si issò all’improvviso e con molta nonchalance scese dal letto.
«Purtroppo non sono lui, giusto? – domandò, usando di nuovo il suo tono normale di voce, malizioso, ma allo stesso tempo ironico, mentre la ragazza, ancora un po’ spaesata, si mise seduta sul letto – Comunque pensaci alla mia idea, sono sicuro che al tuo Adrien non dispiacerebbe, sempre meglio che vestirsi da Bond. Insomma, credo che nei suoi servizi indossi roba del genere in continuazione.» concluse.
«Ok...» rispose a mezza voce Marinette, si vedeva che era ancora stranita da quello che era appena accaduto.
«Beh, puurincipessa, ti lascio al tuo progetto. – disse prendendole la mano e baciandogliela lievemente – Au revoir!»
Dopodiché scappò via dalla finestra e, aiutato dal suo bastone, saltò da un tetto all’altro per tornare a casa sua, mentre nel suo cuore il giovane Adrien Agreste si faceva di nuovo strada, chiedendosi se avesse fatto la cosa giusta o se fosse stato troppo scorretto nei confronti del suo unico amore.

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Capitolo 15
*** Le lacrime ***


Le lacrime

Adrien la fece accomodare nella sua camera. Gli sembrava intimidita ed effettivamente, al pensiero dell’ultima volta che erano rimasti insieme, anche lui era imbarazzato, sopratutto ora che sapeva che Marinette era la ragazza di cui era innamorato da sempre.
Entrambi poggiarono gli zaini vicino alla rampa da skate nella sua camera.
«Allora, da dove cominciamo?» domandò, gettandosi sulla sua sedia bianca e facendola ruotare due volte.
Lei si avvicinò a lui pian piano ancora intimorita. Com’era bella quando si comportava così, come aveva fatto ad essere così cieco nei suoi confronti, come aveva fatto a non accorgersi delle somiglianze inconfondibili tra Ladybug e la ragazza che si trovava davanti a lui in quel momento. Più di una volta la super eroina si era ritrovata davanti ad Adrien e si era sempre comportata come ora si stava comportando Marinette.
«Beh io… Non lo so… Cioè… Tu sei l’esperto in queste case… cose…» balbettò, facendolo sorridere.
«Veramente no, io solitamente vengo chiamato dal fotografo e poso. Tutto il lavoro che c’è dietro diciamo che lo posso dedurre. – si fermò un attimo, leccandosi le labbra e tentando di riordinare le idee – Vieni.» aggiunse, indicandole una sedia di fianco a lui.
Lei si sedette in punta come se fosse pronta a scattare in qualsiasi momento, mentre lui prendeva un foglio di carta e una penna.
«Allora, innanzi tutto dobbiamo pensare alle foto che vogliamo fare e magari fare dei bozzetti, anche stupidi o con solo scritte. – disse segnando sul foglio il primo punto – Poi dobbiamo scegliere e preparare i costumi…»

 

Lo guardava fare quell’elenco, mentre glielo esponeva a voce e, sebbene stesse capendo abbastanza quello che stava dicendo, la sua mente era come incantata nel sentire quella voce dolce e melodica, nel vedere quelle stupende labbra muoversi sinuosamente, nel seguire quelle mani che gentili tenevano la penna che scriveva sul foglio bianco riempiendolo di numeri e parole.
«A proposito, tu hai un lenzuolo verde a casa?» chiese all’improvviso, facendola rinsavire da quello stato di estasi.
«Un lenzuolo… Sì… Credo di sì… Devo chiedere a mia momma… cioè mamma.» rispose lei, tornando ad arrossire.
«Ok, perché ci sarà utile se non troviamo delle scenografie adatte, anche se essendo a Parigi, credo sia difficile.» disse con una risatina sommessa.
Era bellissimo quando rideva: le ricordava il loro primo incontro, quando era scoppiato a ridere perché lei si era chiusa l’ombrello addosso, una ragazza normale si sarebbe offesa, magari arrabbiata, invece lei aveva semplicemente trovato quella risata stupenda e contagiosa. Era anche grazie a quella risata che si era innamorata di lui.
Avevano appena finito l’elenco di cose da fare e si erano divisi i compiti, quando all’improvviso la porta della stanza esplose in mille pezzi.
Marinette non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di quello che accadeva che il ragazzo l’aveva già buttata a terra per proteggerla dalle schegge che erano schizzate ovunque, mentre dalla porta apparve una donna. 
Era sicuramente Nathalie, la segretaria della famiglia Agreste: il suo ciuffo rosso sui capelli neri si era esteso e i suoi capelli sempre legati in una crocchia sembravano essere più lucenti, indossava una tuta viola scuro e i suoi occhiali avevano una nuova montatura, scarlatta e spessa, quasi a formare una maschera.

 

Adrien non aveva fatto in tempo ad alzarsi e a vedere chi, alle sue spalle, avesse sfasciato la porta della sua camera che sentì una mano afferragli il braccio e tirarlo su brutalmente.
«Adrien!» urlò Marinette.
Vide nel suo sguardo la preoccupazione di chi non sa che fare e capiva perfettamente cosa le passava per la testa: doveva scappare facendo la figura della debole, per poi tornare trasformata? O doveva trasformarsi rivelando a lui la propria identità? Non ebbe tempo di pensare ad altro perché la voce di Nathalie parlò proprio alle sue spalle.
«Tuo padre ha bisogno di una lezione…» disse e, all’improvviso, la sua spalla destra gli diede una fitta: la donna gli stava storcendo il braccio e, visto che era a conoscenza della sua ferita, ne stava approfittando.
Senza riuscire a trattenersi, fece un verso di dolore, portandosi la mano libera sulla clavicola.
«Adrien!» fece nuovamente la ragazza.
«Va via Marinette…» disse con mezza voce, ma si bloccò emettendo un’altro grido di dolore, al movimento brusco che gli fece fare la segretaria akumatizzata, ma la ragazza rimase lì: immobile, terrorizzata, impaurita e incapace di agire.
Doveva prendere una decisione per sbloccare la situazione. Se Marinette non si fosse mossa, nessuno dei due si sarebbe potuto trasformare e allora non ci sarebbe stato nessun eroe a risolvere la situazione.
«Marinette vai! Devi avvisare Ladybug e Chat Noir… Muoviti!» disse quasi urlandole in faccia.

 

La mora a quell’ultimo urlo disperato del modello biondo rinsavì. 
Aveva ragione, non poteva rimanere lì, Chat Noir non poteva sapere cosa stava succedendo, visto che probabilmente nessun notiziario ne aveva ancora parlato ed era lei l’unica che poteva intervenire. Si alzò in piedi e corse via, urlando al ragazzo di tenere duro

La donna akumatizzata non la degnò neanche di uno sguardo, come se fosse troppo intenta a torturare Adrien.
Doveva sbrigarsi, il suo Adrien non avrebbe retto a lungo. Inoltre sembrava che in qualche modo la loro nemica fosse riuscita infliggergli un dolore più acuto del normale, visti i suoi lamenti. 
Allo stesso tempo però non poteva solamente girare l’angolo appena uscita dalla porta e trasformarsi in casa Agreste, avrebbe dovuto far credere di essere lontana, o quanto meno che venisse da fuori. Si lanciò fuori dal grosso portone della villa e quando fu sicura che non ci fosse nessuno, aprì la sua borsetta.
La piccola kwami rossa schizzò fuori, il suo sguardo era preoccupato quanto quello della padrona.
«Sono pronta!» disse con la sua vocina decisa.
«Tikki trasformami!»

 

Il dolore era diventato oramai indescrivibile, se non fosse stato sicuro di quello che il dottore gli aveva detto, sul fatto che dopo aver tolto i punti era tornato tutto alla normalità, il ragazzo avrebbe giurato che prima o poi la sua carne si sarebbe lacerata di nuovo, riaprendo la ferita. Due lacrime gli stavano rigando il viso per il male, mentre con tutte le forze cercava di liberarsi dalla presa di Nathalie che lo teneva ancora per il braccio destro con una mano e per la vita con l’altra: lo stava trascinando a forza fuori da camera sua e lui stava puntando i piedi per non farsi portare in un luogo in cui poi Ladybug non l’avrebbe trovato.
All’improvviso la vide, alzò lo sguardo e i suoi occhi ancora un po’ annebbiati dal dolore e dalle lacrime videro quell’incantevole ragazza infilata nella sua tutina aderente e rossa a pois neri entrare dalla finestra. Una visione, e per un attimo credette davvero che se la stesse immaginando, che fosse un’allucinazione dovuta al dolore e alla disperazione, ma la ragazza, inveendo contro la donna che lo teneva bloccato, lanciò la sua arma, che probabilmente la colpì, perché mollo subito la presa su di lui, portandosi le mani al volto.
Adrien si allontanò velocemente, aiutato subito dalla giovane eroina, che lo sostenne, aiutandolo ad alzarsi per bene. I loro sguardi s’incrociarono e il giovane modello ebbe appena il tempo di ammirare quegli occhi azzurri come il cielo per qualche secondo, che lei un po’ rossa in volto lo scostò velocemente.
La segretaria si era ripresa dal colpo subito e, senza pensare, si era scagliata furiosa verso la corvina dalla maschera rossa.
«Mettiti al sicuro!» gli ordinò lei, facendo roteare davanti a sé il suo yo-yo.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e tenendosi ancora la spalla dolorante, si diresse verso il bagno che c’era in camera sua. Appena chiusa alle sue spalle la porta scorrevole, il kwami gatto uscì dalla sua camicia: il suo musetto, solitamente sempre saccente e sbruffone, sembrava invece essere preoccupato.
«Adrien, la tua spalla…» disse, ma fu subito interrotto dal suo padrone.
«Sto bene! – disse asciugandosi le lacrime dal volto – Ora andiamo ad aiutare Ladybug! Plagg trasformami!»

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Capitolo 16
*** La notizia ***


La notizia

«Ma sei sicura?!» domandò dubbioso il ragazzo cercando di trattenere la donna con il suo bastone.
«Fidati di me Chat, ti ho forse mai deluso?» le rispose la ragazza in tuta rossa ammiccando verso di lui.
Gli venne da ridere al pensiero che fosse così sicura e spigliata con l’eroe in nero, ma quando poi si trovava davanti al vero lui non sapeva mai cosa fare. Scosse quel pensiero dalla testa, allontanandosi dalla segretaria con un balzo e, nello stesso istante, Ladybug lanciò il suo yo-yo per immobilizzarla.
«Cataclisma!» gridò, evocando il suo potere, ma senza sollevare il braccio che ancora gli doleva terribilmente.
Subito dopo tornò alla carica, poggiando i suoi artigli sul petto della donna. Come intuito detto la sua lady, qualcosa bloccò la sua mano prima di arrivare alla tuta viola: una specie di armatura invisibile che le dava quella forza mostruosa che, appena fu toccata dalla sua mano distruttiva, si frantumò in mille pezzi, tornando visibile e facendo uscire l’akuma. 
Ladybug lasciò andare la donna e lanciò il suo yo-yo verso la farfalla nera, purificandola.
Dopo che tutto tornò alla normalità si avvicinò a Nathalie, con aria un po’ preoccupata: in fin dei conti era l’unica che si prendeva davvero cura di lui, molto più di quanto facesse suo padre.
«Tutto ok, signorina? – disse con fare gentile e come al solito molto galante, porgendole il braccio sinistro per aiutarla ad alzarsi, mentre la donna rispondeva con un verso confuso, portandosi una mano alla testa – Vada a riposarsi, al resto ci pensiamo noi.» le suggerì poi, accompagnandola fuori dalla stanza, mentre con la coda dell’occhio vedeva già la sua compagna che si dirigeva verso la porta scorrevole del bagno, pronta, come suo solito, a bussare nella speranza di avere notizie di Adrien.

 

Stava bussando ormai da più di un minuto e cominciava davvero ad essere preoccupata. Ormai le mancavano solo due puntini neri ai suoi orecchini e non poteva farsi vedere mentre tornava normale, ma non se ne sarebbe andata finché non avesse saputo che Adrien era sano e salvo.
Stava per aprire la porta, quando invece fu aperta dall’altro lato. Davanti a lei apparve il ragazzo, sembrava affannato e si teneva ancora la mano sulla spalla, ma stava bene.
«Scusa se non ti ho risposto subito…» disse lui, anche la sua voce sembrava di nuovo normale, un po’ stanca, ma normale: il solito tono rassicurante e aggraziato che lo caratterizzava.
«Non importa, l’importante è che stai bene…» fece lei bloccandosi per poi guardare il punto in cui ancora si stava tenendo.
«Tranquilla, non è niente, domani sarà già passato.»
«Bene, allora io vado.» disse lei quando il suo orecchino suonò nuovamente, avvisandola che le mancava solo un minuto.
Stava già per uscire dalla finestra quando la voce del ragazzo la bloccò di nuovo.
«Ladybug, aspetta! – si bloccò e si girò verso di lui – Conosci Marinette?» domandò e per un attimo quello sguardo verde era diventato intenso, quasi malizioso, per un attimo aveva creduto che il suo segreto fosse stato scoperto e dovette controllare la voce, per rispondere in modo tranquillo.
«Perché?» chiese, senza dare una risposta affermativa o negativa, nel tentativo di non tradirsi.
«Ha lasciato qui la sua cartella, ed io non la rivedrò fino a domani a scuola... Se potessi riportargliela.» rispose lui con tono innocente, indicando lo zaino rosa.
La ragazza si sentì sollevata da quella risposta e, rispondendo in modo affermativo, prese il suo zaino e usci dalla finestra.

 

«È una notizia stupenda Nathalie!» disse il ragazzo entusiasta.
Erano nella camera della segretaria: era una stanza molto semplice e spartana, caratterizzata dai toni del grigio e del bianco. La donna era seduta sul suo letto, mentre lui era su una sedia.
«Sì forse, ma suo padre non mi lascerà mai fare una cosa simile. Gliel’ho già chiesto e non è sembrato molto contento.» disse la donna.
«Ci penso io. Sono abbastanza grande per cavarmela da solo e anche lui potrà fare a meno di una segretaria per un po’ di tempo durante la giornata.» le sorrise lui dolcemente.
«Davvero?» chiese la donna, arrossendo a quel suo gesto altruista.
«Certo. Tanto è una cosa che richiede tempo, no? In due o tre mesi saprò convincerlo e sapremo organizzarci al meglio tutti insieme.»
«Grazie mille signorino Adrien, siete davvero un ragazzo d’oro.» disse la donna alzandosi e lui fece altrettanto, per poi uscire con lei dalla stanza.
«Questo ed altro per te Nathalie, ma devi promettermi che appena lo prenderai me lo farai conoscere.» concluse il ragazzo con un tono forse un po’ troppo euforico.
La donna gli rispose affermativamente, dopodiché si separarono.
Era davvero contento di quella notizia: il pensiero che Nathalie volesse adottare un bambino lo rendeva stranamente emozionato, non solo perché finalmente lei sarebbe stata un po’ più felice, ma anche perché sarebbe stato come avere un fratellino più piccolo con cui giocare e parlare. 
Convincere suo padre sapeva che non sarebbe stato un grosso problema, insomma effettivamente lui era severo, ma ormai lo conosceva bene, come conosceva bene le leve per farlo cedere e sapeva esattamente come fargli accettare la scelta della segretaria.

 

Marinette si buttò sulla chaise-longue esausta. Tra il combattimento contro Nathalie e la preoccupazione per Adrien, si era completamente prosciugata.
Si accorse ben presto che la giornata per lei non era finita, quando avvertì un rumore ormai alquanto conosciuto, provenire dalla finestra. Alzò lo sguardo dal cuscino e vide Chat Noir, appollaiato come suo solito, che la salutava.
Con un sforzo e un verso di protesta, si alzò e andò ad aprire l’anta di vetro che separava l’eroe in nero dalla sua stanza. Appena gli fu possibile entrare, fece un balzo a piè pari dentro la camera, per poi afferrare una mano della ragazza e baciarla delicatamente.
«Buonasera purrincipessa!» la salutò, mentre lei scostava quasi immediatamente la mano, irritata.
«Chat, capisco che mi consideri un’amica, ma ultimamente stai esagerando. Ho la mia vita io!» protestò, ma lui sembrò non curarsi di quel rimprovero, anzi sorrise, come se avesse semplicemente risposto al suo saluto.
«È stata una giornata stancante.» disse sedendosi tranquillamente sulla sedia della scrivania.
«Non fare finta di non ascoltarmi.» lo rimbeccò lei, mettendosi le mani sui fianchi e avvicinandosi a lui.
«E tu non fare finta di non essere contenta che io sia qui.» le rispose lui a tono, con quel suo solito sorriso divertito.
«Cosa?! Io… Tu… Ma che…?!» d’improvviso non trovava più le parole, era diventata sicuramente rossa come un peperone, mentre la rabbia le saliva velocemente. 
Lei contenta per lui: sì certo. Però, effettivamente, non poteva mentire a se stessa. Era stata spesso preoccupata per il suo compagno di avventure, soprattutto nell’ultimo periodo e non le dispiaceva affatto che il giovane felino avesse fatto amicizia anche con la sua vera lei, ma tra l’apprezzare ogni tanto la sua presenza e l’essere contenta di vederlo un giorno sì e l’altro no nella sua stanza c’era un’abisso.
«Allora fanciulla… – fece lui ignorando i suoi balbettii furiosi – Come va con il tuo principe azzurro? Avete scelto il progetto?»
La ragazza sospirò, rassegnandosi all’evidenza e lasciando penzolare le braccia lungo i fianchi.
«Ci siamo già divisi i compiti... Prima che la sua segretaria c’interrompesse…» gli rispose.
«Ah già. Problema risolto a proposito.» disse lui facendole l’occhiolino.
«… Gra-Grazie…» l’aveva presa alla sprovvista, non aveva pensato al fatto che lui era stato a combattere con lei, ovviamente, e che quindi sapeva bene la situazione.
Quei pensieri però durarono poco, perché la mano artigliata di Chat si avvolse sul suo polso tirandola e facendola sedere sulle sue gambe.
«Hai seguito il mio consiglio quindi?» chiese usando di nuovo quel tono sensuale che la fece sobbalzare.
«S-sì… L’abbiamo scelto assieme… Ed io… Io disegnerò i vestiti per le foto…» subito dopo che finì quella frase mezza balbettata, lui fece un verso eccitato, che la fece innervosire ancora di più.
«Giurami che potrò vederti quando sarai vestita da Satine…» proseguì lui ignorando il fatto che la ragazza era sempre più irrigidita sulle sue gambe.

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Capitolo 17
*** La fiducia ***


La fiducia

La ragazza era in ginocchio, seduta sui talloni, quella posizione era alquanto scomoda e, nonostante il cuscino rosso che separava le sue gambe dal pavimento, le ginocchia le facevano male. Non era da tanto che era seduta lì, ma forse perché quel giorno era più nervosa del solito, il fastidio era insopportabile.
Per questo motivo fu sollevata, quando si alzò in piedi, abbandonando il duro pavimento in legno, se non per poggiarvi i piedi.
«Allora tornerò domani con Chat Noir.» disse sorridendo all’anziano cinese con la camicia rossa a fiori.
«Siete una squadra, ricordatelo. Non devono esistere segreti tra voi, soprattutto sui vostri nemici!» le disse lui mettendo mano sul bastone e alzandosi a sua volta, lasciando la ragazza un po’ stupita da quel consiglio.
«Anche la nostra identità? Insomma io sapevo che le nostre identità dovevano rimanere segrete…» disse, precisando la sua domanda.
L’uomo le sorrise benevolo, come se comprendesse bene il suo dubbio, dopodiché si avvicinò a lei, con il suo passo lento e tranquillo, e le poggio una mano sulla spalla. Era più basso di lei e per fare quel gesto dovette allungare il braccio.
«Mia cara ragazza, quel segreto è solo tuo: sta a te decidere se dirglielo o no. La tua identità da super eroina deve rimanere segreta per il bene di chi difendi e perché molti non capirebbero la tua responsabilità. Chat Noir ha i tuoi stessi segreti e le tue stesse responsabilità, quindi può comprendere. Sei tu che devi decidere se porre la tua fiducia in lui o no.» disse accompagnandola alla porta.
Non sapendo cosa rispondere, si congedò dall’anziano con un saluto educato, per poi uscire dal centro massaggi, ma quelle parole le sconvolsero i pensieri. Avrebbe potuto confidarsi davvero con Chat Noir? Il maestro Fu lo conosceva bene? Sapeva della sua sfrontatezza, della sua impulsività, della sua indole a prendere tutto alla leggera? Beh, se gli aveva dato il Miraculous doveva sapere qualcosa di lui che lei non sapeva. Insomma lo stesso Chat Noir l’aveva sempre difesa, sia quando era Ladybug, che quando era rimasta Marinette. Si era ferito per lei, ed era sicura che l’avrebbe rifatto per salvarle la vita, anche a costo di rischiare la sua. Forse meritava la sua piena fiducia.
Eppure qualcosa la frenava ancora: l’eroe in nero aveva iniziato a fare avance a Marinette, forse perché respinto da Ladybug o forse perché nella sua indole. Come l’avrebbe presa scoprendo che l’eroina in rosso e Marinette erano la stessa persona?

 

Il ragazzo sospirò esausto sedendosi sulla panchina, finalmente aveva finito il servizio fotografico.
Gli occhi chiusi, le braccia appoggiate alla spalliera e il vento tra i capelli. Se lo meritava un po’ di relax, dopo una mattinata intera di lavoro, una mattinata che avrebbe potuto passare in compagnia di Marinette e pensare al progetto scolastico. Invece no: quella stessa mattina Nathalie era arrivata in sala da pranzo, durante la sua colazione, ricordandogli che quel giorno aveva il servizio fotografico per la rivista Vogue, e tutti i suoi piani della giornata saltarono.
Lo staff stava smantellando il set che era stato montato al parco, sentiva ancora il vociare delle persone che sistemavano tutto nel furgone, finché i toni non si fecero più accessi all’improvviso. 
Adrien aprì gli occhi di colpo, tanto che ci mise un po’ a mettere a fuoco. 
Qualcuno aveva versato l’enorme trousse della truccatrice, che aveva iniziato ad inveire contro i poveri assistenti del fotografo.
Il giovane modello si alzò dirigendosi sul luogo dove poco prima stava posando per l’obbiettivo, per dare una mano a Michelle a raccogliere ciò che era sopravvissuto alla caduta, quando qualcosa gli passò vicino all’orecchio sinistro superandolo.
Il ragazzo riconobbe subito l’essere: una farfalla nera, dall’aura viola che stava volando proprio nella direzione della sua truccatrice.
«Michelle!» urlò, ma fu troppo tardi, la piccola farfalla si posò su un pennello da contouring che stava raccogliendo ed in poco tempo, la donna fu avvolta da un’aura nera che la trasformò in un nuovo nemico.
Imprecando fra i denti il ragazzo si allontanò, per poi nascondersi dietro un’albero e scostare la camicia dal petto.
«Plagg, dobbiamo intervenire, subito!» disse, quando la testolina nera del kwami apparve.
«Se proprio dobbiamo…» fece lui con tono rassegnato.
«Plagg, trasformami!» disse deciso il ragazzo.

 

Si era trasformata per arrivare in fretta a casa, ma non avrebbe mai pensato che prima ancora di atterrare sul suo terrazzino, il suo yo-yo avrebbe suonato.
«Chat che succede?» chiese vedendo dallo schermo il volto mascherato del suo partner.
«Avrei bisogno di un aiutino al parco, che ne dici di fare un salto coccinellina?» domandò lui con il suo solito tono tranquillo.
La ragazza sospirò, poi rispose affermativamente e chiuse la chiamata, facendo dietrofront e dirigendosi verso il parco.
Quando arrivò, Chat stava evitando e parando colpi a distanza di quella che sembrava il nemico. Era una donna con uno strano vestito di un rosso acceso e con il viso bianco truccato perfettamente, in mano teneva un’enorme pennello per il trucco.
Atterrò vicino al compagno e chiese subito cosa stesse succedendo, anche se la situazione era evidente.
«Credo sia la truccatrice di Adrien Agreste, fino a poco fa stavano facendo un servizio qui al parco.» disse evitando un altro colpo, intanto lei aveva tirato di nuovo fuori la sua arma, facendola roteare.
«Dov’è adesso Adrien?» chiese guardandosi intorno nervosa.
«Non c’è. – rispose velocemente lui – L’ho visto andare via poco fa… È una mia impressione o ultimamente ti preoccupi troppo per Agreste junior?» chiese con il suo solito tono malizioso e a quella domanda Ladybug si sentì avvampare, sicura che le sue guance fossero diventate dello stesso colore della sua maschera.
«Invece di dire cretinate, perché non me la tieni impegnata mentre uso il Lucky Charm?»
«Agli ordini!» rispose, per poi avvicinarsi alla donna akumatizzata, lasciandola indietro.
Rimase qualche momento a guardare il corpo sinuoso del ragazzo gatto combattere contro il nemico, mentre quella maledetta sensazione di attrazione le attraversò nuovamente la testa. Appena se ne accorse scosse il capo, tra l’imbarazzo ed il disgusto per i suoi stessi sentimenti.
«Lucky Charm!» urlò subito dopo, lanciando lo yo-yo in aria e in un attimo tra le sue mani cadde una lattina di soda.

 

«Chat, spostati!» sentì urlare dalla sua lady e lui obbedì, senza discutere, facendo un balzo e allontanadosi da Michelle appena in tempo per non essere bagnato da uno schizzo di soda.
Ladybug aveva in mano il Lucky Charm, una lattina che probabilmente poco prima aveva agitato, e stava finendo di spruzzare il contenuto proprio in faccia alla truccatrice: questa, alterata, aveva mollato il suo pennello e si era portata le mani al volto.
Il giovane, approfittando dell’occasione, si lanciò sull’arma, per poi afferrarla e lanciarla alla compagna. 
La vide prendere al volo il pennello per il trucco e sbatterlo violentemente a terra, spezzandolo. Da esso uscì la stessa farfalla nera che poco prima gli era passata accanto, ebbe appena il tempo di seguirla con lo sguardo per un paio di secondi, non di più, che la sua compagna la catturò, purificandola.
«Ciao ciao, farfallina!» disse facendola uscire di nuovo, questa volta bianca e candida.
Subito dopo la vide lanciare la lattina, ormai vuota al cielo, urlando quelle due parole magiche.
«Miraculous Ladybug!»
Era davvero una magia per lui: ogni gesto, ogni movimento, ogni parola. Il corpo sinuoso avvolto nella tuta rossa che si fletteva, le labbra chiare che emettevano quei suoni melodiosi, i capelli corvini che ondeggiavano un po’ nei loro codini. Tutto in lei, in quei suoi gesti, lo eccitava, lo faceva sentire bene, sin dal primo giorno che l’aveva vista farlo. Non si sarebbe stancato mai di vederla fare quei gesti, mai. Era follemente innamorato di lei ed ogni giorno che passava ne era sempre più sicuro.
Il suo anello segnalò che gli mancavano solo due minuti: aveva usato il Cataclisma prima che arrivasse Ladybug ed ora doveva scappare.
«Mi sa che il mio tempo sta per finire, ci vediamo alla prossima my lady.» la salutò, tirando fuori la sua arma che stava già per allungare, in modo da balzare oltre il cancello del parco, quando la sua voce lo fermò.
«Chat Noir aspetta! – si voltò di nuovo verso di lei, aspettando che proseguisse – Domani pomeriggio, alle 15, fatti trovare qui!» disse lei tutto d’un fiato.
Rimase per un attimo stupito, poi si avvicinò a lei con tono galante.
«Vuoi stare sola con me, my lady?» gli uscì di getto.
«Scemo! – lo rimproverò allontanandolo con la mano – Non è un appuntamento! Forse abbiamo informazioni su Papillon e, possibilmente, vorrei parlarne con te.» disse decisa, tirando fuori anche lei la sua arma.
«Bene, allora domani alle 15! Au revoir, my lady!» concluse per poi fuggire via, mentre il suo Miraculous suonava l’ultimo minuto disponibile.

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Capitolo 18
*** La verità ***


La verità

Chat Noir guardava il libro che l’anziano aveva in mano, come se stesse vedendo un fantasma: quel libro, quel grosso volume dall’aria antica, lo conosceva bene. Era il libro che lui stesso aveva rubato dalla cassaforte di suo padre, lo stesso libro che aveva perso il giorno che lui e Ladybug avevano affrontato Volpina, circa un mese prima.
L’anziano continuava a parlare dicendo di come Ladybug glielo aveva portato, di come l’aveva studiato, spiegò loro che si tramandava di custode in custode, e che quando era arrivato a lui, l’aveva custodito come tutti i suoi predecessori, ma che quando arrivò a Parigi lo perse, per via di uno scambio di bagagli.
Riconosceva perfettamente anche l’anziano cinese che parlava: lo stesso che aveva soccorso davanti a scuola il giorno che era diventato l’eroe di Parigi, quello stesso uomo che ora stava parlando a lui e a Ladybug, dicendo che i Miraculous non erano solo tre, ma addirittura sette e che due dei tre li aveva ancora lui, quello della Volpe, quello dell’Ape e quello della Tartaruga, mentre loro avevano, appunto, l’anello del Gatto e gli orecchini della Coccinella, i più forti in assoluto e Papillon aveva sicuramente quello della Farfalla.
«E l’ultimo?» chiese la sua lady, di fianco a lui.
«Il Miraculous del Pavone è sparito da anni ormai. L’avevo dato a una giovane donna molto speciale, ma penso che ormai sia andato perduto. Non ho idea di dove sia…» a quelle parole, nella sua mente, si stagliò l’immagine dell’interno della cassaforte di suo padre: un’oggetto, oltre al libro, aveva attirato la sua attenzione, sebbene non l’avesse toccato, una spilla semicircolare formata da petali d’oro con al centro una pietra opaca azzurra, una spilla che sembrava proprio la coda di un pavone. 
No, era ridicolo. Perché suo padre avrebbe dovuto avere il Miraculous del Pavone? Forse per lo stesso motivo per cui aveva quel libro?
Il vecchio custode continuò a parlare, dicendo loro che ormai con quell’indizio erano più vicini allo sconfiggere Papillon.
«…ma come ho detto a Ladybug, per essere una squadra, dovete comportarvi come una squadra.»
«Cioè?» chiese Chat Noir, confuso.
«Non crediate che non vi abbia osservato in questi mesi. Non mi sono mai pentito della scelta che ho fatto, siete le persone più adatte ad avere i poteri che avete: avete subito riconosciuto i vostri kwami come alleati, vi siete comportati in modo giusto e leale con tutti e, anche davanti alle avversità, avete saputo tirar fuori la grinta e combattere. Avete sempre collaborato in modo eccellente e avete trovato un’alleato l’uno nell’altro eppure ora che vi vedo qui, davanti a me, l’uno di fianco all’altro, noto la tensione tra di voi. Non parlo solo del segreto delle vostre identità, ma anche di qualcosa che forse non sono tenuto a sapere, ma l’acqua di un fiume non può scorrere bene se delle rocce ostacolano il suo corso.»
Entrambi rimasero seduti in silenzio per parecchi minuti a quelle parole, tanto da far diventare la situazione alquanto imbarazzante. Non reggeva più quel momento di stasi quasi surreale così si alzò di colpo con un balzo felino.
«Beh, immagino che non abbiamo più nulla da dirci.» disse porgendo poi la mano artigliata alla ragazza dal costume rosso.
La vide guardarlo intimorita, quelle parole dovevano aver scosso anche lei. Le sorrise, per rassicurarla e lei, ricambiando il sorriso, afferrò la sua mano, per poi alzarsi.

 

Erano usciti da poco dal centro massaggi del maestro Fu.
Si sentiva ancora particolarmente confusa: le ultime parole che il custode aveva detto loro le ronzavano ancora in testa insistenti. Era vero che tra loro c’era tensione soprattutto in quell’ultimo periodo, non sapeva perché, forse perché Chat aveva iniziato a frequentare anche la ragazza dietro la maschera, forse perché iniziava ad essere insicura dei suoi sentimenti verso l’eroe gatto o forse perché si rendeva conto che permettere a Chat Noir di flirtare con Marinette era come permettergli di farlo con Ladybug. Quale diritto aveva lei di respingerlo con il costume rosso, anche dopo la confessione che gli aveva fatto così apertamente la sera in cui era stato ferito, e poi accettare le sue avance da ragazza normale? Era come mentirgli, come mentirgli più del solito.
«My lady, è tutto ok... – la sorprese lui, si stavano ancora tenendo per mano – Può essere vero quello che ha detto il maestro Miyagi, ma ciò non cambia il fatto che siamo una squadra fantastica!» disse facendole l’occhiolino.
«Non è quello Chat… – disse lei un po’ titubante – È che… Fu ha ragione… Io e te condividiamo gli stessi segreti e le stesse responsabilità e… Ed io sto tradendo la tua fiducia in me… Perché vedi, io… Io sono…» non riusciva a trovare le parole, la voce le tremava e sentiva un nodo alla gola farsi sempre più grande. 
Ad un tratto sentì il ragazzo sospirare e alzò lo sguardo su di lui.
«Non devi dirmi nulla Marinette…» disse, questa volta era lui ad avere lo sguardo basso, anche se lo alzò subito dopo, come a cercare di comprendere la sua reazione.
Per un attimo non afferrò ciò che l’eroe nero aveva detto, poi realizzò. Il suo sguardo azzurro lo osservava completamente sconvolto.
«Tu… tu mi hai… Tu sai…» di nuovo le parole sembravano non voler uscire dalla sua bocca, ma questa volta ciò che provava non era più sconforto.
«Lo so da quando mi hai rivelato che il Lucky Charm non può guarire solo le nostre ferite.» chiarì l’eroe biondo.
La rabbia prese possesso di ogni fibra del suo corpo e con un gesto nervoso lasciò la mano del compagno, per poi urlare furiosa, come se non potesse fare altro che sfogarsi.
«Tu lo sapevi! Che stupida che sono! Ed io che mi preoccupavo per te! Che credevo che cercavi di dimenticare Ladybug con Marinette! Non volevo spezzarti il cuore un’altra volta! Non volevo farti soffrire! E tu invece stavi solo giocando! Ti stavi approfittando della verità!»
«No… No… Non è vero… Quel che provo per te non è un gioco, non lo è mai stato… Io…»
«Stai zitto! Sapevi che ero innamorata di Adrien, l’hai scoperto da solo. Eppure hai continuato a prendermi in giro! Non hai pensato ai miei sentimenti?! E come se non bastasse, appena hai capito che senza maschera cedevo, hai pensato bene di approfittarne! Mi fai schifo!»
«My lady… ti prego… Io…»
Vedeva il dolore e l’afflizione nel suo sguardo dietro la maschera nera, ma non le importava: quel volto da cucciolo non avrebbe funzionato, non più, non quella volta.
«Basta scuse Chat. Forse Fu aveva ragione… Non possiamo essere una squadra!» disse, poi tirò fuori il suo yo-yo e andò via, prima che lui potesse dire qualcos’altro.

 

«Io lo sapevo che non era una buona idea…» disse la creatura nera, ingurgitando un pezzo di camembert più grande di lui.
«Aaaah… Sta zitto Plagg!» protesto il ragazzo buttandosi sul letto.
In quel momento gli sembrava che il suo corpo pesasse un quintale, non sapeva se fosse per il senso di colpa o per la tristezza. Aveva deluso la sua lady, aveva deluso Marinette, ma sopratutto aveva deluso la ragazza che amava. Come gli era saltato in mente di giocare al gatto in calore con Marinette? Come aveva anche solo pensato che potesse comportarsi in quel modo così ignobile con lei? Come aveva creduto che lei avesse accettato la sua omissione della verità?
Era stato uno stupido, un grandissimo stupido. Non solo si sentiva deluso da se stesso, ma ora era anche insicuro del futuro. Come avrebbe affrontato le prossime battaglie al fianco di Ladybug? Come sarebbe riuscito a lavorare con Marinette all’album, sapendo che stava mentendo ancora? Avrebbe dovuto dirle la verità? E se dicendole tutto, anche la sua vera identità, avesse iniziato ad odiare anche Adrien e non solo Chat?
Non c’era nulla da fare, era propio nei guai fino al collo. Come avrebbe riconquistato la fiducia della persona che amava?

 

Marinette prese il cuscino che c’era sulla chaise-longue e lo lanciò furiosa contro il muro.
«Stupido gattaccio!! Stupido maledettissimo gattaccio!!» urlò furiosa.
«Marinette calmati… Non è così grave…» cerco di tranquillizzarla il suo kwami volandole vicino.
«Ma non capisci Tikki? Io… Io…» non riuscì proseguire, all’improvviso le lacrime tornarono persistenti a pungerle gli occhi e non riuscì a trattenerle.
Cadde in ginocchio, portandosi le mani al viso.
«So benissimo cosa provi Marinette… – le sussurrò la piccola creatura rossa accarezzandole la guancia con le sue piccole zampette – Ti stavi innamorando di Chat, ma anche se non conosciamo la sua identità, sono sicura che non è un cattivo ragazzo e non ti farebbe soffrire solo per il gusto di farlo.»
Era vero, ma come poteva perdonarlo. Come poteva perdonare una bugia del genere? Lui conosceva la sua vera identità e non solo non le aveva detto nulla, ma si era comportato da amico con lei e le aveva fatto avance fino a farla innamorare, nonostante sapesse che le piaceva Adrien Agreste. L’aveva ingannata. Come poteva perdonarlo per questo? Forse avrebbe dovuto farlo, ma non ci riusciva, non ora.

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Capitolo 19
*** L'ossigeno ***


L' ossigeno

Chat Noir balzò dentro l’edificio da una finestra aperta. La sala era una delle tante dell’Aquarium de Paris, per la precisione quella dei pesci tropicali.
Ladybug stava già combattendo contro il nemico akumatizzato: un uomo con un costume che lo faceva sembrare un’incrocio tra un’uomo e un pesce, in mano aveva un secchio in metallo, uno di quelli che si usano per tenere i pesci da dare ai delfini o agli squali.
Il nemico stava per attaccare la ragazza coccinella e lui si gettò tra i due, parando lo schizzo d’acqua con il bastone, uno spruzzo con una pressione mostruosa sparato proprio dal secchiello.
«Mi spiace pesciolino, ma la festa è finita!» disse quando il getto finì, poi allungò il bastone e lo colpì alla caviglia, facendolo cadere a terra, in modo che potesse parlare un’attimo con lei.
«Allora, my lady, che cosa…?» non ebbe il tempo di finire la domanda che la compagna gli rispose risoluta.
«Sicuramente l’akuma è nel secchiello dobbiamo toglierglielo di mano.» fece, fredda come il ghiaccio, era da cinque giorni che la situazione era così. 
Non che tutti e cinque i giorni fosse stato con lei, ma nelle due battaglie dei giorni precedenti, la ragazza aveva avuto sempre la stessa reazione distaccata che aveva in quel momento. Era come se per lei, non fosse altro che una spalla, un aiuto di cui poteva anche fare a meno. 
Ovviamente non si era più sognato di andare a trovarla a casa e come se non bastasse, anche quando la incontrava per il progetto, con l’aspetto di Adrien, lei non era glaciale, ma lui si sentiva a disagio. Stare con lei, sapendo che era infuriata con la parte di lui che non conosceva lo faceva sentire malissimo.
Per tutti e cinque i giorni la tentazione di dirle la verità era sempre stata fortissima, ma poi un po’ per paura della sua reazione, un po’ perché non voleva deluderla ancora di più, non lo faceva. Più di una volta si era morso, letteralmente, la lingua per trattenersi dal pronunciare qualsiasi parola, frase o considerazione che avrebbe potuto svelarle la sua identità.
Lei però non aveva accennato a quella discussione mai, in tutti e cinque i giorni né con Chat, né con Adrien: rimaneva solamente fredda e distaccata con il primo e timida ed impacciata con il secondo.
«Mi stai ascoltando o no?» domandò scocciata.
«Certo che sì. Dimmi come agire.» gli rispose lui, sorridendole e sperando come sempre di essere ricambiato, ma non accadde neanche quella volta.
«Tienilo occupato mentre io uso il Lucky Charm e vedo di finirla in fretta.»


«Agli ordini!» le rispose lui con un’altro sorriso, per poi mettere mano alla sua arma e darle le spalle.
Nel suo cuore, da ormai cinque giorni, regnavano sentimenti contrastanti. Da un lato voleva perdonare Chat, in fondo lui era innamorato davvero di Ladybug e lei lo sapeva bene, quindi forse nello scoprirlo si era solo comportato nel modo più scontato che gli fosse venuto in mente, tentare un’altro modo di conquistarla. Dall’altro però l’idea che lui sapeva che a lei piaceva un’altra persona, la assillava e le impediva di perdonarlo e di comportarsi in modo diverso in sua presenza. Come se non bastasse i tentativi di Chat di riallacciare i rapporti e di farsi perdonare, la intenerivano e la infastidivano allo stesso tempo.
Non aveva più idea di cosa doveva fare: doveva perdonarlo oppure no? Si domandava, mentre lui continuava a combattere.
Rimase quei pochi secondi ad osservare i suoi muscoli tendersi e contrarsi sotto la tuta in pelle nera e, subito, quella sensazione di calore le inondò tutto il corpo. Scosse la testa scocciata da quei pensieri, la priorità era la battaglia. Quello che doveva o non doveva fare con Chat, l’avrebbe deciso dopo.
«Lucky Charm!» urlò lanciando la sua arma in aria, subito dopo tra le sue mani apparve una bottiglia di plastica vuota, con l’etichetta rossa a pallini neri.
La ragazza guardò la bottiglia dubbiosa, cos’avrebbe dovuto farci con quella? Stava per iniziare a guardarsi introno quando Chat Noir si lanciò su di lei.
«Ladybug, attenta!» subito dopo quell’urlo un turbine d’acqua li colpì, un turbine che questa volta non era partito dal secchio dell’uomo, ma dalle vasche della stanza.
A quanto pareva il potere che gli aveva fornito Papillon comprendeva anche il controllare l’acqua intorno a lui e quindi aveva deciso bene di aumentare l’acqua nelle vasche e fare in modo che per via della pressione rompesse i vetri.


In poco tempo la stanza si era riempita d’acqua.
L’eroe nero, fu sballottato dalla corrente, come probabilmente stava capitando alla sua compagna che, purtroppo, aveva perso di vista nel turbinio dell’acqua.
Quando il flusso si fu calmato, salì a galla: l’akumatizzato sembrava essere sparito nel nulla, forse aspettava che loro uscissero per prendere i loro gioielli, però anche qualcun altro era sparito.
«Ladybug? - chiese a mezza voce, guardandosi intorno - Ladybug!» iniziò a urlare, mentre l’ansia gli invase il corpo, gli sembrava quasi gli mancasse il respiro, ed il cuore iniziò a battergli all’impazzata.
Urlò il suo nome cinque volte, prima di accorgersi di qualcosa di rosso e nero poco più in là, che galleggiava. Con poche bracciate raggiunse l’oggetto in questione: era una bottiglia di plastica vuota, probabilmente il Lucky Charm che era uscito a Ladybug prima che la battaglia prendesse quell’orribile piega.
In poco tempo si rese conto che se quella bottiglia era lì e la sua compagna non c’era, voleva dire solo una cosa. Scosse la testa, cercando di far svanire quei pensieri spaventosi, subito dopo tolse il tappo dalla bottiglia e la tappò con il palmo della mano, dopodiché prese un grosso respirò e si rituffò in acqua. 
Non ci mise molto a scovarla: il suo vestito rosso spiccava nei colori tenui della stanza inondata. Era rimasta bloccata da una delle strutture dell’acquario, e stava cercando in tutti modi di liberarsi da quella presa, che stava diventando mortale. Nuotò il più velocemente possibile verso di lei sperando di arrivare in tempo.


Il suo orecchino aveva emesso il primo suono di allarme, quando lei aveva ormai perso tutte le forze per lottare contro l’enorme struttura che la teneva inchiodata al fondo della sala, inoltre ormai non riusciva più a trattenere il fiato: i suoi polmoni pretendevano aria, che purtroppo là sotto non aveva.
Quando era giunta ormai al limite, vide una chioma bionda apparire nel suo campo visivo e capì subito che era Chat, quando riconobbe anche gli occhi felini verdi.
Le poso subito qualcosa sulle labbra e lei aprì la bocca inalando aria, mentre i suoi occhi azzurri sgranarono nel notare che l’oggetto che le stava dando ossigeno era il suo Lucky Charm. Prese la bottiglia con una mano, mentre il suo compagno le sorrideva e, subito dopo, tirava su il braccio mentre sua mano si ricopriva di essenza nera, dopodiché, usando il suo potere, poggiò la stessa mano sulla struttura che la teneva bloccata.
Essa iniziò a creparsi e poi andò in frantumi rendendola finalmente libera. Lasciò andare la bottiglia, che ormai non le dava più abbastanza aria e prese fiato per risalire a galla.
Fece due bracciate quando si accorse che Chat non era dietro di lei. Si voltò e lo vide vicino alla struttura in frantumi, la sua bocca era aperta, ciò voleva dire che aveva perso tutto l’ossigeno che aveva in corpo e non era riuscito dal trattenersi.
Tornò da lui e, senza nemmeno aver bisogno di pensare a cosa dovesse fare, lo attirò a se legando le sue labbra alle sue, per poi aprire la bocca e passargli un po’ dell’ossigeno che aveva accumulato grazie al suo intervento.
Lo vide riprendersi e guardarla sbigottito. Subito dopo quello sguardo stupito, il rossore lambì le guance di entrambi che si staccarono immediatamente, poi, tenendolo ancora per il braccio, risalì verso la superficie dell’acqua.


Finalmente potevano di nuovo respirare normalmente: quando l’aria pura e piena d’ossigeno gli riempì i polmoni, il ragazzo si sentì finalmente bene.
Di fianco a lui Ladybug gli teneva ancora la mano e stava guardando imbarazzata la superficie dell’acqua. Finché il suo orecchino non suonò attirando l’attenzione di entrambi.
«My lady, ti mancano solo tre minuti.» disse preoccupato.
«Muoviamoci. Ora che abbiamo usato i nostri poteri, dovremmo battere Acquarius con le nostre sole forze!» disse decisa la ragazza, per poi lanciare lo yo-yo contro la grata di un condotto di areazione della sala e tirare per toglierla.

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Capitolo 20
*** Il mulino ***


Il mulino

«Miraculous Ladybug!» disse la ragazza coccinella lanciando la bottiglietta di plastica in aria e, con quel semplice gesto, le vasche dell’Acquarium si ripararono, l’acqua tornò al suo posto e i pesci ricominciarono a nuotare tranquilli.
Entrambi erano a solo un minuto dalla trasformazione: il suo orecchino iniziò a lampeggiare. A quel punto, di solito, scappava via, prima che Chat Noir potesse vederla con il suo vero aspetto, ma che senso aveva farlo ormai? 
Si sentiva le gambe pesanti, un macigno sullo stomaco, la bocca impastata, la mente confusa e il cuore gonfio di lacrime. 
Il gioiello esalò il suo ultimo respiro e lei fu avvolta dal solito bagliore rosso, facendo schizzare via Tikki dall’orecchino, che s’infilò subito nella borsa, come se non avesse voluto vedere quella situazione.
Lei rimase impassibile anche in quel momento, mentre sentiva lo sguardo di Chat Noir addosso, eppure non riusciva ad alzare gli occhi: si sentiva a disagio, come se provare a parlare e dirgli che l’aveva perdonato le costasse una fatica immensa.
Come se non bastasse, il pensiero di averlo baciato per la seconda volta continuava a tormentarla e la metteva ancora più a disagio. Era vero l’aveva fatto per salvarlo, di nuovo, ma al contrario di quella volta contro Dark Cupido, in cui lei non provava ancora assolutamente nulla per l’eroe nero, ora le cose erano diverse.
Strinse il pugno e si prese di coraggio.
«Va via Chat! Prima che anche il tuo Miraculous si esaurisca…» lo disse senza rabbia o delusione nel tono, perché in fondo non era più né arrabbiata né delusa, lo disse con il tono tranquillo e dolce di chi sa che sta dicendo la cosa giusta e che si rende conto di aver ritrovato un’alleato.
Ma la risposta di Chat la stupì.
«No! - esclamò con tono deciso e perentorio, tanto che le fece alzare lo sguardo su di lui - Se io conosco la tua identità, è giusto che tu conosca la mia… Non m’importa cosa accadrà, non importa se mi odierai per sempre o mi perdonerai. Io voglio che tu sappia, perché è giusto così… C’è un motivo per cui ho fatto quelle cose, per cui ho giocato coi tuoi sentimenti. Lo so, ho sbagliato, ma avevo davvero un motivo per farlo… Io so cosa provo, l’ho sempre saputo… È da quando ti incontrai per la prima volta che so, dentro di me, che saresti stata la persona più importante della mia vita… E non sto parlando del primo incontro con una super eroina impacciata che non sapeva usare bene la sua arma e mi è piombata addosso… No… Io…»


La trasformazione finì e pian piano avvolto dalla luce nera del suo potere, la tuta in pelle lasciò il posto al suo vero aspetto.
«Io sto parlando del primo incontro con la mia compagna di classe, che balbetta ogni volta che le rivolgo la parola. - la vide sgranare gli occhi azzurri colmi di stupore, per poi vedere la sua bocca muoversi nel pronunciare il suo nome, sebbene non avesse emesso alcun suono - Giuro che non ti mentirò mai più… principessa.» disse, chiamandola apposta con l’appellativo che usava quando era Chat, ma continuando a utilizzare il suo tono molto più dolce.
Subito dopo quelle parole, vide il suo labbro inferiore tremare ed i suoi occhi riempirsi di lacrime. Non ebbe neanche il tempo di dirle qualcosa per consolarla che lei si buttò tra le sua braccia, singhiozzando.


Le palpebre sul suo viso delicato si aprirono scoprendo i suoi due sfavillanti zaffiri e in quello stesso istante il giovane eroe nero sospirò sollevato nel vederla riprendersi.
Si portò la mano agli occhi e percepì qualcosa di ruvido, come se avesse pianto e le lacrime le si fossero seccate sul viso. Lacrime. 
All’improvviso si ricordò cosa era successo e, ancora più confusa, cercò di sollevarsi, ma Chat Noir posò entrambe le mani sulle sue spalle, costringendola a letto. il suo letto. Sì, ora lo riconosceva: quello era il soppalco della sua stanza, quelle dove si trovava erano le sue coperte e la testa era poggiata sul suo cuscino.
«Cosa è successo?» chiese con la voce impastata.
«Dopo che hai scoperto chi ero… Sei scoppiata a piangere e… poi sei svenuta… Mi hai fatto prendere un colpo sai?» disse Chat con tono preoccupato
Era davvero strano vederlo così in ansia. Però era vero: l’ultima cosa che ricordava era di essersi buttata tra le braccia di Adrien, in preda a talmente tante emozioni da non riuscire più a contenerle e all’improvviso non ricordava più nulla.
«Mi… mi hai portata tu fino a casa?» chiese nervosa.
Stava parlando con Adrien, non poteva crederci, per tutto quel tempo Adrien era stato innamorato di lei e lei che aveva fatto, aveva respinto le sue avance, quando in realtà era l’unica cosa che avrebbe voluto al mondo.
Il ragazzo le rispose con un cenno di testa.
«Per fortuna avevo un pezzo di camembert in tasca, così Plagg mi ha potuto trasformare di nuovo…»
«Camembert?!» chiese dubbiosa la ragazza.
«Oh sì… Il mio kwmai va matto per il formaggio dall’odore pestilenziale… Il tuo no?»
«No… Tikki, mangia biscotti al cioccolato…»
«Accidenti che fortuna…» protestò l’eroe nero, facendo il broncio.
Quella smorfia fece scoppiare a ridere la ragazza. Come aveva fatto a non accorgersi che sotto la maschera nera dell’eroe gatto c’era il viso dolce e delicato del suo modello preferito.
Lo vide sorridere, un sorriso dolce e stupendo.
«Beh… - disse tirandosi su e balzando sul primo scalino - Ci vediamo a scuola! - continuò facendole un occhiolino che la fece arrossire vistosamente - E ricordati che domani abbiamo un servizio fotografico da fare!» concluse scendendo e uscendo dalla finestra.
La ragazza si affacciò dal soppalco, per vederlo allontanarsi sui tetti parigini. Era vero, il giorno dopo avrebbero scattato le foto per il progetto scolastico: al solo pensiero di cosa l’aspettasse, il suo viso avvampò per l’ennesima volta.


Un capannello di persone si era radunato a Boulevard de Clichy di fronte Moulin Rouge. La notizia che il famoso Adrien Agreste avrebbe scattato delle foto davanti al famoso locale scarlatto, era girata velocemente. 
Il ragazzo scostò leggermente la tenda del camerino provvisorio che aveva fatto installare in strada, ne avevano uno per ciascuno.
«Maledizione quanti sono…» protestò nervoso.
«Non poteva sperare che la cosa rimanesse segreta, ha assunto i fotografi, ha fatto chiudere una parte di una delle vie più frequentate di Parigi…» gli rispose la sua truccatrice dando gli ultimi ritocchi al suo viso.
«Sì, ma doveva essere solo un progetto scolastico e invece…»
«Quando siete pronti, potete uscire!» sentenziò una voce da fuori con un forte accento italiano.
Il ragazzo fece un grosso respiro, si sistemò meglio il frac nero e uscì dal camerino.
Era teso come una corda di violino: mai gli era successo di essere così nervoso. Sentiva tutti gli sguardi dei passanti addosso, come mai prima d’ora, sentiva i loro bisbigli eccitati, come fossero cani che fissavano una succulenta bistecca.
Poi la vide e tutta l’ansia, i bisbigli, gli sguardi, le stesse persone, volarono via: per lui c’era solo lei. Lei, con il cilindro nero ornato d’argento sui capelli corvini sciolti che le cadevano sulle spalle scoperte. Lei, con il busto coperto dal body di paillettes argentate, che le lasciava completamente scoperte le gambe toniche, frutto delle passeggiate sui tetti sotto le sembianze di Ladybug, fasciate solo da un’elegante calzamaglia semitrasparente. Lei, coi suoi delicati piedi che calzavano due eleganti decollete nere.
Era perfetta. Persino il suo imbarazzo, che le tingeva le guance di quel delicato rosso, s’intonava perfettamente al resto del vestito.
S’incrociarono a metà dello spazio che avrebbero utilizzato come set, proprio davanti al grosso mulino rosso.
«Bene… Adrien, mettile un braccio attorno alla vita…» disse loro il fotografo.
Non se lo fece ripetere due volte e allungò il braccio destro per poi premerla contro il suo corpo e vederla arrossire immediatamente.
A quella nuova nota d’imbarazzo non resistette più, si avvicinò al suo viso e con quella voce suadente e roca che di solito usava solo quando era Chat Noir le soffio nell’orecchio.
«Avevo ragione… Sei mostruosamente sexy, vestita così…»

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Capitolo 21
*** L'ostinazione ***


L' ostinazione

Marinette raggiunse la sua migliore amica all’ingresso della scuola.
«Ehilà ragazza! Allora quest’album?» le chiese subito Alya appena le fu vicina, a quella domanda la ragazza arrossì, ripensando a due giorni prima, quando aveva avuto il servizio fotografico con Adrien.
«Ehm… Non lo so… Lo doveva portare Adrien oggi…» disse sempre paonazza, tirando dritto e costringendo l’amica a inseguirla.
«Ho sentito che il tuo principe azzurro ha fatto chiudere una parte di Boulevard de Clichy per fare le foto…» insistette la mora, seguendola in classe.
«Beh sì… Abbiamo deciso di fare Moulin Rouge… Quindi…»
«Ottima scelta ragazza!» si complimentò facendole l’occhiolino e dandole una leggera gomitata al fianco.
«Sì… Davvero ottima…» rispose lei, sedendosi nel suo posto.
In realtà non era stata affatto una sua idea, fosse stato per lei avrebbero fatto foto vestiti da spie o da esploratori. Già, l’idea non era stata sua, ma di Chat Noir: era stato lui a suggerirle cosa fare e l’aveva fatto per provocarla e conquistarla, tanto che allora quel comportamento l’aveva fatta arrabbiare. Invece ora, ora che sapeva tutto, ora che aveva capito…
All’improvviso entrò e i suoi pensieri si zittirono, fu come se per un attimo il suo cervello si fosse spento. Rimase incantata a guardarlo entrare, con la sua chioma bionda e sfolgorante, e il viso completamente rilassato mentre rideva assieme a Nino, almeno credeva fosse Nino, visto che non aveva occhi se non per lui.
Durò qualche secondo, non di più, perché quando il ragazzo, con quel sorriso splendido e quello sguardo di smeraldo, si voltò verso di lei, abbassò subito il volto imbarazzata.


La giornata scolastica passò abbastanza in fretta. Il loro album fu particolarmente apprezzato dalla professoressa, che avrebbe consegnato tutti i progetti il giorno successivo all’accademia Le Fémis. 
Però qualcosa in quella giornata stonava: Marinette, proprio dietro di lui, non gli aveva rivolto la parola nemmeno una volta, neanche un piccolo sguardo, un accenno di sorriso, nulla. Si era voltato più volte chiedendole qualcosa, complimentandosi con lei per l’ottimo lavoro che avevano fatto. Niente, il vuoto più totale. 
Dopo l’ennesimo segno di mutismo, persino Nino si rivolse a lui, preoccupato.
«Hey bro… È successo qualcosa con Marinette?» chiese a bassa voce.
«Non lo so…» rispose.
In realtà lo sapeva bene, sapeva perché Marinette ce l’aveva con lui, anche se non riusciva a tollerarlo. Sì, era così: quando gli aveva rivelato la sua vera identità le aveva anche detto che non importava cosa sarebbe successo, ma era una bugia, gli importava eccome e quell’ostinazione nell’ignorarlo lo irritava non poco. Anche perché sapeva benissimo i sentimenti che la sua compagna di classe provava per lui e che in quel momento, per puro e semplice orgoglio, stava reprimendo dentro di sé.
La campanella della fine delle lezioni mattutine trillò furiosa. 
Era la sua occasione, non le avrebbe permesso di scappare via. Fino al giorno prima sembrava si fossero chiariti, che tutto fosse tornato normale e invece Marinette sembrava aver riversato la sua fredda indifferenza da Chat Noir ad Adrien.
Si stava già alzando, quando Chloé Bourgeois gli si parò davanti bloccandogli il passaggio.
«Ehi Adrien, cosa…» iniziò lei, ma tutto quello che disse dopo non lo sentì, pur avendola a neanche un metro da lui.
Seguì con lo sguardo la corvina, che aveva afferrato Alya per il braccio e la stava trascinando fuori dalla classe.
«Ma mi stai ascoltando?!» protestò la bionda, sventolandogli la mano davanti al viso.
«Eh…? - chiese voltandosi per un attimo verso di lei - Scusa Chloé devo fare una cosa… - dopodiché le poggiò la mano sulla spalla e la scostò - Marinette!» la chiamò inseguendola.


«Guarda che il tuo principe azzurro ti sta chiamando…» fece Alya, girandosi verso Adrien che stava scendendo i due gradini dell’aula.
«Non m’importa…» ma non ebbe il tempo di dire nient’altro perché una mano l’afferrò per il polso e lei dovette voltarsi.
«Mi dici cosa ti prende?» chiese il biondo davanti a lei.
«Adrien, non abbiamo nulla da dirci!» esclamò lei, forse con voce un po’ troppo stridula, tanto che attirò l’attenzione del resto dei loro compagni di classe che si voltarono tutti verso di loro.
Eppure ad Adrien sembrava non interessare, perché non mollò la presa sul suo polso e continuò a guardarla fisso.
«Credevo ci fossimo chiariti, no? L’altro giorno a casa tua…»
«Adrien, non qui ti prego…» protestò ancora lei, cercando di liberarsi dalla sua presa.
«No, è proprio qui e ora che dobbiamo chiarire…» sembrava quasi furioso, non sembrava riconoscerlo più.
«Adrien…»
«Dimmelo chiaro e tondo, perché mi stai evitando?» domandò, mentre i suoi occhi si facevano incerti, come se temessero la risposta, ma il problema era che lei non sapeva cosa rispondere.
«Adrien io…» non ebbe il tempo di dire nient’altro. 
Il ragazzo l’aveva spinta alla ringhiera che si affacciava sul cortile interno della scuola, proprio fuori dall’aula e con alcuni gesti veloci, senza alcun pudore, la baciò.
La ragazza rimase con gli occhi spalancati dallo stupore per qualche secondo poi, mentre una lacrima le scivolava sulla guancia destra, chiuse gli occhi e ricambiò quel bacio.
Percepiva la mano destra di Adrien premere la sua sinistra contro la ringhiera, mentre l’altra s’inerpicava tra i suoi capelli. Sentiva, quasi in lontananza, gli applausi entusiasti dei loro compagni di classe, a cui quasi sicuramente non stava partecipando Chloé. Assaporava, finalmente, le labbra morbide e carnose di Adrien, che per la prima volta, si modellavano alle sue facendole provare emozioni talmente intense da fermarle il cuore.
Dopo quella che a lei sembrò un’eternità, lui la lasciò andare e si allontanò, continuando però a puntarle quegli occhi di smeraldo addosso.
«Non ti permetterò più di scappare via da me… Non ora che ti ho ritrovata…» disse in un soffio che probabilmente sentirono solo Marinette e Alya, che era a pochi metri da loro.
Le scappò un sorriso. Cosa diavolo stava facendo? Perché stava scappando dall’unico ragazzo da cui voleva attenzioni? Aveva ragione lui: allontanarsi non aveva più senso. 
Era queslla la barriera che il maestro Fu aveva visto tra di loro: non le loro identità nascoste, non le piccole menzogne tra di loro, ma la loro incapacità di comprendere i sentimenti che provavano l’uno per l’altra. Quei sentimenti che li avevano uniti fin da subito, che avevano permesso a lei di essere indecisa tra Chat Noir e Adrien e a quel bellissimo ragazzo biondo davanti a lei di non sapere chi scegliere tra lei ed il suo alter ego rosso. Ma ora, ora che sapevano tutto, perché negare a se stessa la possibilità di esprimere appieno quei sentimenti? 
Come al solito Chat Noir, o meglio Adrien, era stato più coraggioso di lei e aveva fatto il primo passo, davanti a tutta la classe. Sì, ora tutti sapevano che si amavano: tutta la classe, compresa Chloé Bourgeois che la guardava livida di rabbia, quasi come se le stesse per uscire il fumo dalle orecchie. Ma sì, che le importava: che sapessero, che tutto il mondo sapesse che lei, Marinette Dupain-Cheng, amava Adrien Agreste.
Gli sorrise di nuovo, poi gli prese la mano e lo portò via con se.
«Poi ti spiego…» disse rivolgendosi ad una Alya, ancora sconvolta.


I due entrarono nella panetteria Dupain-Cheng, ancora mano nella mano.
«Buongiorno Marinette!» la salutò suo padre, che subito dopo notò anche la presenza del ragazzo.
«Buongiorno, signor Dupain.» lo salutò con un ampio sorriso lui, un sorriso che fu ricambiato quasi immediatamente.
«Adrien, è sempre bello vederti qui!» disse entusiasta l’omone.
Adrien vide Marinette diventare paonazza e, pur continuando a tenerlo per mano, schizzò via, trascinandolo sul retro del negozio per portarlo in casa. 
Passando vicino al padre della ragazza, sussurrò un grazie divertito, che Tom ricambiò con un semplice sorriso e un biscotto alla cannella che il ragazzo accettò molto volentieri.
Aveva appena addentato quel gustoso insieme di farina, burro, zucchero, uova e cannella, quando varcarono la soglia di casa e il ragazzo notò che Sabine, la madre di Marinette, probabilmente non era in casa. 
«Mi dici perché mi hai portato a casa tua?» domandò finalmente il ragazzo, dopo aver mandato giù l’ultimo, dolcissimo, boccone del biscotto.
«Perché dobbiamo parlare di cose serie...» rispose Marinette, senza guardarlo in faccia e iniziando a salire le scale.
Le loro mani erano ancora intrecciate e si sciolsero solo quando entrambi varcarono la botola che portava alla camera della ragazza.
Quella camera, quanti ricordi lì dentro, forse da Adrien ci era stato solo un paio di volte, non di più, ma nell’ultimo periodo Chat era entrato spesso in quella stanza in cui il rosa e le sue foto spiccavano su tutto il resto. Le sue foto: rimase lì ad ammirarle, ancora stranito, nonostante ormai sapesse tutto da un po’.
«Allora…» disse Marinette, con voce più acuta del normale, come se volesse attirare la sua attenzione in modo che evitasse di guardare ciò che la metteva decisamente in imbarazzo. Lui si voltò verso di lei con uno dei suoi sorrisi smaglianti, uno di quelli che di solito le rivolgeva solo quando indossava la maschera nera.

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Capitolo 22
*** La modella ***


La modella

«Chat Noir!» a quel richiamo si fermò all’istante, guardandosi attorno, per poi vedere colei che l’aveva chiamato: si trovava proprio sul marciapiede sotto di lui.
Con un balzo scese dal tetto su cui si trovava, con la sua solita eleganza e un tocco di esibizionismo, facendo un tuffo carpiato, prima di atterrare a pie pari davanti alla ragazza.
L’aveva riconosciuta già dal tetto: Angelie Fontaine, una delle più famose modelle adolescenti, praticamente la sua versione femminile. Era capitato che alcune volte avessero fatto qualche servizio assieme.
Quella ragazza era la prova vivente che, quando vuole, la natura è migliore dei più grandi scultori che esistano al mondo.
Il corpo snello e perfetto con fianchi e seno ben definiti per una ragazza della sua età, non troppo prosperosi, ma nemmeno piatta. Il viso delicato, come se fosse uscita da un quadro appena dipinto, incorniciato da una chioma corvina e leggermente mossa che cadeva sulle spalle ed infine quegli occhi tra il grigio e l’azzurro che sembrano quasi creati apposta per far innamorare all’istante le persone.
«Cosa posso fare per lei, dolce fanciulla?» chiese l’eroe in nero con un elegante inchino.
Quando rialzò lo sguardo la vide arrossire, un qualcosa che la stupì: non aveva mai visto quella ragazza in imbarazzo, era sempre stata molto fredda e professionale.
«Potresti farmi un’autografo?» chiese prendendo dalla sua pochette in pelle nera, una penna ed un taccuino.
Il biondo acconsentì con un sorriso, prendendo entrambi gli oggetti e scrivendo con la sua elegante calligrafia il nome dell’eroe gatto.
«Sei fantastico! Non hai nulla da invidiare a Ladybug, sai?» gli disse, mentre lui le restituì il taccuino firmato e la penna.
«Beh, io non potrei fare nulla senza di lei, siamo una squadra a tutti gli effetti.» disse lui con molta tranquillità.
Si rendeva conto che adesso parlare della sua partner lo rendeva ancora più felice di una volta: nella sua voce non c’era più solo ammirazione, ma anche un tono di orgoglio, era orgoglioso di essere ufficialmente fidanzato con l’eroina di Parigi ed era orgoglioso della sua Marinette.
A quel nome si ricordò del suo appuntamento, maledizione si era fermato e adesso era ancora più in ritardo di prima.
«Ehm... scusami ma devo proprio andare!» disse facendo un balzo verso il balcone più vicino.
«Ma come… Io…» iniziò a dire la giovane modella, ma lui non le diede tempo di ribattere.
«Alla prossima, madmoiselle!» le urlò prima di fare un’altro salto e ricominciare la sua corsa sui tetti parigini.


Marinette stava sistemando di nuovo le sue bambole di pezza nel cesto che aveva di fianco alla scrivania, quando alle sue spalle sentì dei rumori.
«Sei in ritardo! - disse senza voltarsi - Manon è già andata via!»
Sentì il rumore di qualcuno che atterrava sul parquet in legno della sua camera e subito dopo lo sentì parlare.
«Accidenti, ed io che ero già pronto per un’entrata ad effetto…» a quelle parole si voltò e lo vide mentre si stava avvicinando lentamente a lei.
«Voleva anche chiederti scusa per averti usato come marionetta quando era stata akumatizzata.» puntualizzò, alzandosi.
«Pazienza, sarà per la prossima volta.» fece lui alzando le spalle.
La ragazza sospirò per poi andare alla scrivania ed accendere il suo computer.
«I tuoi?» chiese l’eroe in nero alle sue spalle.
«Sono usciti a fare compere qualche minuto fa.»
A quella sua affermazione il ragazzo dietro di lei fece un verso compiaciuto, subito dopo non riuscì più a capire niente, perché lui le aveva messo le mani sui fianchi ed aveva avvicinato la sua bocca al suo orecchio.
«Quindi siamo soli…» le sussurrò.
In un attimo, un brivido la percorse dalla testa ai piedi e fu sicura che anche lui aveva percepito l’effetto che le aveva fatto, anzi era proprio quello che voleva. Le sue guance diventarono del colore della sua stanza e dovette poggiare le mani sulla scrivania per non cadere tra le sue braccia, visto che le sue gambe non volevano più saperne di sostenerla.
«Ch-Chat non mi pa… Non mi pare il momento…» disse.
«Ah, ora balbetti anche con me, coccinellina? Ed io che pensavo fosse solo una prerogativa di Adrien.» continuò a sussurrargli all’orecchio facendola rabbrividire di nuovo.
A quel punto non resistette più, doveva smetterla. Si voltò di colpo con l’intento di dirgliene quattro, ma lo sguardo felino dell’eroe mascherato le fece bloccare tutte le parole in gola: la sua bocca era rimase aperta, pronta per parlare, ma senza che uscisse alcun suono da essa. Mentre lui continuava a guardarla con un sorriso più che compiaciuto, ma allo stesso tempo dolce, un sorriso che non aveva mai visto sul volto dell’eroe mascherato, ma molte volte in quello del modello parigino.
«Tu non hai idea di quanto tu sia stupenda per me.» disse, alzando la mano guantata e accarezzandole la guancia con il dorso.
La ragazza rimase stupita da quell’improvviso cambio di comportamento. Quegli occhi verdi, dalle pupille sottili come quelle dei gatti, la guardavano con un aria completamente ammaliata e dolce, come se lei fosse la sua unica fonte di vita.
«Chat…»
All’improvviso il notiziario sul computer, partì, senza nessun preavviso: per sbaglio, poggiandosi alla tastiera, aveva aperto internet. 
«Un nuovo cattivo sta minacciando Parigi, la polizia è già sul posto, ma sembra non riescano a prendere in mano la situazione, aspettiamo la notizia dell’arrivo dei nostri due eroi.» a quella notizia, Tikki uscì dalla giacca della ragazza.
«Marinette, dobbiamo andare!»
La ragazza fece un cenno deciso con la testa, poi si voltò verso Chat Noir che fece un passo indietro, per lasciarla libera di muoversi.
«Tikki, trasformami!»


Era la prima volta che la vedeva trasformarsi e il suo cuore batteva talmente forte che sembrava volesse uscirgli dal petto. Era la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua: l’eleganza e la grazia con cui si muoveva, la perfezione con cui la tuta si adattava perfettamente al suo corpo, sostituendosi ai suoi vestiti. L’eroina a pois lo dovette richiamare due volte per farlo tornare in sé.
«Chat! Ti vuoi dare una mossa?»
«Subito, my lady!» disse per poi seguirla fuori dalla finestra.
In breve tempo, arrivarono sul luogo. L’akumatizzato era un netturbino, che obbligava chiunque passasse nelle vicinanze a ripulire la città da qualsiasi cosa ci fosse per terra.
«Beh, forse potremmo lasciarlo fare.» disse ironico lui, guardando la situazione ridicola che si era creata.
«Non è il momento di fare gli spiritosi Chat!» lo rimproverò lei tirando fuori il suo yo-yo e facendolo roteare.
Anche il combattimento durò molto poco, l’eroe nero non aveva nemmeno avuto bisogno di usare il suo potere che la farfalla bianca era uscita dall’arma della sua amata, accompagnata dal suo solito saluto.
«Beh, anche questa è fatta!» disse la ragazza con un sorriso.
A quella frase lui non resistette più, la prese per il polso e l’attirò a sé, in modo che le loro labbra s’incrociassero. Aveva avuto appena il tempo di assaporare la sua bocca, che lei si staccò, bruscamente da lui, rossa in volto.
«Non qui Chat, tra poco scadrà la mia trasformazione!» disse nell’imbarazzo assoluto.
Lui non disse nulla e, continuando a tenerla per il polso, la portò in un posto più nascosto. Quando furono riparati da qualsiasi sguardo indiscreto, si riavvicinò a lei bloccandola al muro e baciandola. Questa volta lei non fece nessuna piega, anzi rispose al suo bacio, proprio com’era successo a scuola tre giorni prima. Sentiva le sua bocca seguire i suoi movimenti e dopo poco sentì le sue mani sfiorargli il collo e i capelli, mentre la trasformazione finiva, facendo tornare Marinette, solo a quel punto si staccò da lei.
«Lei non ha la minima idea di quanto io l’abbia aspettata, signorina Dupain-Cheng!» disse, usando nuovamente quel tono dolce e completamente innamorato, che stupiva anche lui.


Marinette arrivò davanti all’ingresso della pasticceria, aveva già poggiato la mano sulla porta, quando una sensazione strana la fece irrigidire.
«Che succede Marinette?» chiese Tikki, facendo appena capolino dalla sua giacca.
«Non lo so, ho come l’impressione che qualcuno mi stia osservando…» rispose guardandosi attorno.
Nonostante tutto però la via era completamente vuota e le persone più vicine erano nel parco, qualche metro più in là.
«Sarà stata solo un’impressione.» concluse poi alzando le spalle e spingendo la porta della boulangerie per entrare.
Arrivata in camera sua, si sedette sulla sedia stravolta.
«Accidenti che giornata!» protestò stanca, rimanendo per qualche secondo a guardare il soffitto.
«Marinette, non dovevi studiare?» le chiese Tikki sedendosi sulla scrivania e sgranocchiando uno dei due biscotti al cioccolato che la ragazza le aveva preso al piano di sotto.
La corvina con un sospiro esasperato si rimise dritta sulla sedia e spingendosi con le gambe, si avvicinò al computer.
Il notiziario stava ancora andando da quando l’aveva lasciato acceso prima di partire con Chat Noir da quella stanza, ora sul monitor stava apparendo proprio il viso seducente del giovane modello parigino e la ragazza rialzò il volume.
«Tra due giorni Adrien Agreste parteciperà al videoclip pubblicitario della nuova linea del marchio Agreste, al suo fianco ci sarà la famosa modella Angelie Fontaine, scelta appositamente per posare e vestire i capi della collezione femminile.»
«Accidenti, lei sì che è bella!» disse con tono d’invidia Marinette, guardando la modella salutarla dallo schermo del computer.
«Sì, ma Adrien ama te. - la consolò Tikki - Insomma hai visto come ti guardava oggi?» a quel ricordo la ragazza arrossì nuovamente.
«Eccome se l’ho visto… Sembrava… Sembrava quasi…» il suoi occhi si persero nella miriade di fotografie che ritraevano il biondo.
«Terra chiama Marinette… I compiti!» disse Tikki riportandola in sé.
«Giusto, i compiti!» disse lei dandosi due schiaffetti sulle guance e mettendosi a lavoro.

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Capitolo 23
*** Lo spot ***


Lo spot

«Marinette sei sicura? Insomma io...»
«Adrien, ho letto il copione, stai tranquillo!» lo rassicurò lei, con uno dei suoi migliori sorrisi, mentre entravano negli studi televisivi.
«Ok... Forse sono io... Insomma è la prima volta che faccio una cosa del genere... Quando si tratta di fotografie o di sfilate è diverso insomma, non mi sento così... Così...» lo bloccò, afferrandogli la mano.
«Adrien sarai fantastico come sempre! E molto probabilmente, appena questo spot sarà disponibile online sarò la prima a scaricarlo e me lo vedrò ogni giorno.» disse con tono ironico, ma entrambi sapevano benissimo che sarebbe stato sul serio così.
«Oh Marinette, sei la fan più invasata che un ragazzo possa avere!» esclamò, scoppiando a ridere e facendola arrossire, subito dopo, però, mise il broncio.
«No, ma grazie...»
«Ehi, guarda che era un complimento... Insomma quale ragazzo può vantarsi di avere come fidanzata la sua fan numero uno?» cercò subito di spiegarsi lui, ma questo non fece altro che peggiorare la situazione.
La corvina a quelle parole iniziò a sentire il sangue salirgli alle guance e mandargliele completamente a fuoco, era sicura di essere diventata paonazza.
«Fi-fi... Fidan...»
«Sì coccinellina, fidanzata... Insomma dopo due baci e sentimenti corrisposti, cosa potremmo essere se non fidanzati?»
«Ma... Ma... Tu... Io...» niente, non riusciva più a parlare, il suo balbettio sembrava averle bloccato non solo la bocca, ma anche il cervello.
Adrien le stava dicendo che loro due erano fidanzati. Possibile che dopo una settimana e mezza da quel bacio a scuola davanti a tutti, lei non avesse dato questa cosa per scontata? Lei era fidanzata con Adrien Agreste, lei. Nella sua mente apparve per un'attivo il volto compiaciuto di Alya “Un altro passo verso il tuo sogno, ragazza!”
«Marinette tutto ok?» le chiese il biondo riportandola alla realtà.
«Uhm?? Sì, sì, tutto ok... Ora vediamo di trovare lo studio televisivo giusto, prima di perderci qui dentro.»
«Tranquilla, siamo arrivati.» la rassicurò lui aprendo la porta antincendio che aveva la targa con il numero tre.


Il ragazzo era seduto sulla panchina, le gambe, fasciate in un paio di jeans, erano accavallate mentre di sopra indossava una maglia a maniche lunghe bianca e uno smanicato nero, molto aderente, con il cappuccio e la cerniera aperta per metà. Le braccia erano poggiate alla spalliera della panchina e aveva l’aria rilassata o almeno era questa l’apparenza. 
Dentro di sé si sentiva nervoso: mai gli era successo di sentirsi così. Sentiva addosso lo sguardo serio e carico di aspettative del regista, l’obbiettivo della telecamera che lo inquadrava dalla testa ai piedi, probabilmente ritraendolo in un bel primo piano, e poi tutti i tecnici dentro lo studio che lo guardavano. In quel momento gli sembrava tutto minaccioso, tutto tranne lei, a cui aveva rubato un bacio sulle labbra, prima di salire assieme ad Angelie sul vero e proprio set. Lei era il suo raggio di sole in quei volti glaciali ed ora gli stava sorridendo, guardandolo ammirata, mentre lui sfoggiava come al solito tutta la sua naturalezza nel fare quello che era abituato a fare sin da bambino, indossare. Perché era questo che faceva un modello: pavoneggiarsi davanti all’obbiettivo attraverso pose plastiche e gesti lenti e calibrati. Era quello che doveva fare, rilassarsi e fare quello che sapeva fare meglio.
Angelie entrò nel set, con la sua solita grazia e perfezione, i capelli neri che ondeggiavano leggeri mentre camminava. Anche lei indossava un paio di jeans skinny, mentre sopra portava una camicetta tartan a quadri neri e bianchi, annodata poco sopra l’ombelico, in modo da lasciarle il ventre appena visibile.
Come ordinato dal regista, alla sua entrata, Adrien girò leggermente il volto verso di lei, mantenendo lo sguardo disinteressato. Per fortuna, nonostante la bellezza assoluta di Angelie, per lui era facile rimanere indifferente a quella figura aggraziata, probabilmente se al posto di quella modella perfetta ci fosse stata Marinette, non sarebbe stato così semplice.
La corvina si avvicinò alla panchina in cui era seduto e lui voltò di nuovo il viso verso l’obbiettivo, ignorandola completamente, senza muovere neanche un muscolo del resto del corpo. Si mise proprio dietro di lui facendo scivolare le braccia lungo la spalliera della panchina, fino a che il suo viso non fu esattamente alla destra di quello di Adrien.
Lui non la vedeva, ma a quel punto lei avrebbe dovuto muovere le labbra fingendo di parlare, continuando a guardare in camera, ma lei parlò sul serio. Un sussurro leggero, che gli arrivò appena percettibile al timpano.
«Una gran bella ragazza, eh?» disse.
Il biondo dovette sforzarsi parecchio per continuare ad apparire impassibile a quella frase, una frase glaciale e con una velata punta di ironia, come se lei sapesse qualcosa di Marinette che lui non conosceva. Ma com’era possibile? Non solo Angelie e Marinette non si erano mai incontrate, ma soprattutto non avevano nulla in comune.
Non ebbe però tempo di pensare ad altro. Ora era sul set, doveva continuare la scena è ignorare qualsiasi sospetto: esatto, erano solo sospetti. Magari, invece, lei non sapeva nulla e aveva fatto solo un complimento a Marinette, magari li aveva visti baciarsi, o l’aveva visto fissarla durante la scena e così aveva deciso di farle quel complimento.
Ora doveva pensare solo alla sua interpretazione per la pubblicità, altrimenti avrebbe dovuto ripetere quella semplice scena tremila volte e già gli pesava ripeterla quelle due tre volte per permettere al regista di avere tutte le inquadrature migliori. 
Si voltò, incrociando così quegli occhi grigi e freddi, talmente sensuali da far cadere qualsiasi ragazzo ai suoi piedi. Nonostante non provasse nulla per lei, persino lui si sentiva a disagio nell’incrociare quello sguardo ad una distanza così ravvicinata, ma ciò che lo rendeva ancora più nervoso era ciò che doveva fare in quel momento.
Allungò la mano destra sulla sua guancia sinistra e si avvicinò a lei lentamente, fino a che le loro labbra non si toccarono. Era strano, non si sentiva affatto eccitato o felice nel baciarla, ma non poteva certo dire che era una brutta sensazione. Quello che non riusciva a sopportare era il pensiero che Marinette, quella che lui ormai considerava la sua fidanzata, era a pochi metri da loro e lo stava vedendo baciare un’altra. Che fosse un bacio finto o no, a lui questo lo metteva a disagio, anche se lei aveva accettato la cosa tranquillamente.


Marinette se ne stava proprio dietro la sedia del regista e guardava attentamente la scena che si era creata sul set allestito in modo da rappresentare una panchina sul lungo Senna. Su quella panchina, l’unico ragazzo che le avesse mai fatto battere il cuore, stava baciando la ragazza più bella di tutta Parigi. 
Eppure in quel momento nel suo cuore, come nella sua mente, non c’era odio, gelosia, disagio o altro. No, affatto, nella sua testa c’era solo un pensiero: Adrien, quel biondo da paura sul palchetto allestito negli studi televisivi, le aveva detto che erano fidanzati e poco le importava che si stava baciando con un’altra per una stupida pubblicità, sapeva che non c’era sentimento in quello che faceva, lo vedeva da quanta poca passione ci metteva, lo vedeva dallo sguardo completamente perso che le aveva rivolto fino a che non si era dovuto voltare verso la sua compagna di set e lo vide da come riprese a guardarla quando il regista urlo “Stop!” con quello sguardo afflitto.
Lo stesso sguardo e la stessa afflizione che le rivolse alla fine di tutto, quando le riprese finirono e i due modelli furono congedati dal regista.
«Marinette, davvero non ti è dispiaciuto?» continuava a chiedere con tono agitato, facendola sospirare spazientita.
«Adrien non è nulla... Insomma sì, è normale che sia stata per un’attimo gelosa che tu baciassi una modella strafiga, ma...» all’improvviso si zitti e divenne rossa in volto.
«Ma... Cosa...? - cercò di farle continuare lui, prima di accorgersi che la ragazza aveva assunto quel colore - Ma cosa, my lady?» continuò poi con un tono più malizioso e il sorrisino irritante di Chat Noir sulle labbra.
«Ma... Ma io... Io po-posso riceverli qu-quando voglio, quei... quei... ba-ba-ba... Oh ma insomma!!» protestò, arrabbiandosi con se stessa e con i suoi insensati balbettii.
«Oh sì, cara la mia principessa, tu puoi avere tutti i baci che vuoi da me.» le disse lui, capendo cosa intendesse dire.
Dopo aver detto quelle parole con un movimento veloce la face girare verso di lui, tanto che si sentì scaraventare contro il suo petto solido, fasciato solo da una maglietta blu scuro e mitigato da quasi un’anno di salti sui tetti parigini nelle sembianze di Chat Noir. Alzò lo sguardo, incrociando quello smeraldino del ragazzo, sentì le sue mani forti e allo stesso tempo delicate posarsi una sulla parte bassa della sua schiena, per sospingerla ancora di più verso di lui e l’altra proprio dietro la sua nuca, in modo da accompagnare il suo volto sempre più vicino, finché non si baciarono. 
Per l’ennesima volta, nello sfiorare le sue labbra e nell’assaporarne il sapore, Marinette avvertì una scossa che le percorse tutto il corpo, un brivido che la faceva rinascere ogni volta, come se attraverso quel bacio tornasse in vita, come se Adrien la ossigenasse solo con le sue labbra e con i suoi baci.

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Capitolo 24
*** Il rapimento ***


Il rapimento

Il palmo della sua mano stava sorreggendo il suo viso visibilmente annoiato.
«Signorino Adrien, mi sta ascoltando?» domandò un po’ irritata Nathalie.
«Sì Nathalie... È che, dopo lo spot non ho più avuto tregua… Sono tre giorni che va avanti così. Non ho neanche il tempo di fare i compiti e dire che non è una cosa a cui tengo.» rispose il biondo, sempre con quell’aria annoiata, in realtà il suo pensiero era ben lontano dai compiti, sarebbe volentieri stato a casa Dupain-Cheng con la sua Marinette.
«Purtroppo i suoi impegni lavorativi vengono prima di quelli scolastici, suo padre l’aveva avvisata che sarebbe stato difficile quando ha deciso di cominciare la scuola.» disse la donna aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Lo so è che…» all’improvviso si bloccò, alla porta, alle spalle della segretaria di suo padre, Plagg gesticolava nervoso. 
«Cosa sta guardando?» chiese Nathalie voltandosi.
«Niente.» rispose di fretta il ragazzo, ma per fortuna il piccolo kwami nero si era già nascosto.
La donna si voltò di nuovo verso di lui, sistemandosi nuovamente gli occhiali, mentre lui si alzava dal tavolo.
«Signorino Adrien, non può ignorare i suoi impegni.»
«Tranquilla Nathalie, sta sera alle diciotto, ho afferrato, ma ho il pomeriggio per riposarmi giusto? Quindi se non ti dispiace ora vado.» disse congedandola e uscendo dalla porta.
Appena fuori prese il kwami da un’orecchio e lo portò fino in camera sua, tra i lamenti nervosi della povera creatura. Lo lasciò solo quando furono nell’enorme camera, con la porta chiusa, al sicuro da occhi e orecchie indiscrete.
«Ti pare il modo di trattare un essere di cinquemila di anni, piccolo ingrato?» protestò Plagg, massaggiandosi l’orecchio che il ragazzo aveva usato come guinzaglio.
«Stavi per farti scoprire! Come ti è saltato in mente di uscire dalla stanza e andartene in giro per casa? Scommetto che è per il tuo stupido formaggio!» rispose irritato il ragazzo.
«Vedi che non capisci niente? Pensi che sarei venuto fino da te per del camembert? Non che non lo farei… Ma non è questo il problema.» i suoi occhi felini lo guardavano con tono di rimprovero, come se avesse seriamente fatto qualcosa di sbagliato.
«Allora qual è il problema? Non ho tutto il pomeriggio, alle diciotto ho un appuntamento con gli stilisti per i vestiti della nuova stagione e…»
«Credo che gli stilisti possano aspettare! L’amore della tua vita è nei guai!»
A quelle parole il cuore gli sembrò fermarsi, sgranò gli occhi color smeraldo, con ancora la minima speranza che avesse capito male quelle parole.
«Co-come, è nei guai?»
«Non posso saperlo con precisione… Noi kwami quando siamo attivi abbiamo come una connessione tra di noi, un sesto senso che ci collega agli altri kwami attivi… E in questo momento non percepisco più Tikki…» cercò di spiegare l’esserino.
«Vuoi dire che…»
«Che qualcuno ha tolto gli orecchini a Marinette… O nel peggiore dei casi lei…»
«Non dirlo!» lo bloccò Adrien prima che potesse sentire un’altra parola.
Aveva il fiato grosso, come se avesse appena finito una maratona, la testa confusa e il cuore che batteva a mille. Ci fu qualche secondo di assoluto silenzio: in cui il ragazzo percepiva solo il suo respiro affannato e la sua ansia crescere sempre di più. No, non poteva starsene lì con le mani in mano, non poteva rimanere lì, con il pensiero che Marinette, la sua Marinette era probabilmente da qualche parte in pericolo.
«Muoviamoci!»
«Per andare dove? Non sai nemmeno dove si trova…»
«Andiamo a casa sua, da qualche parte dovrò pur cominciare… Plagg trasformami!»


Marinette era seduta sull’elegante moquette di quella stanza lussuosa. Non fosse per il fatto che aveva polsi e caviglie legate, si sarebbe goduta la bellezza di quella camera da letto in cui si trovava.
La moquette bianca ricopriva tutto il pavimento, mentre l’arredamento era color legno chiaro molto lavorato con un design particolare che rendeva tutti i mobili abbinati. Il lampadario era anch’esso molto elegante, con tre bracci e tre lampadine ad ogni estremità di essi e dei bellissimi cristalli azzurri a contornarle, in modo che facessero milioni di riflessi sulle pareti.
Era ormai da una buona mezz’ora lì, a forza di tentare di liberarsi le bruciavano i polsi e vedeva chiaramente che erano completamente scorticati dalla corda.
Sentiva le lacrime continuare a pungerle gli occhi per voler uscire, ma fino a quel momento non ne aveva versata nemmeno una, mai, neanche quando la persona che l’aveva rapita le aveva tolto gli orecchini e Tikki le aveva raccomandato di stare attenta prima di sparire. 
Ora il suo miraculous era sul comò proprio di fronte a lei, solo qualche metro più in là, ma lei non riusciva ad alzarsi legata in quel modo e anche se l’avesse raggiunto, non sarebbe riuscita a indossarlo.
Era la fine, non avrebbe mai creduto che una cosa del genere potesse succedere, ma era successa. Papillon aveva vinto, ancora poco e avrebbe ottenuto quello che voleva. Questa volta aveva scelto la persona giusta da akumatizzare e non solo: le aveva anche conferito i poteri giusti per contrastarla. Se ripensava a come era stata catturata, le saliva la rabbia, come aveva potuto cascare in un trucco così stupido.
Nel suo cuore sperava ancora nel suo compagno: si continuava a ripetere che Chat Noir avrebbe risolto tutto, che sarebbe venuto a liberarla, che l’avrebbe sconfitta, ma ogni volta che quella speranza illuminava i suoi pensieri la verità gli sfrecciava davanti come un treno ad alta velocità che investe senza dare il tempo di spostarsi dai binari: era vero Chat Noir sarebbe venuto, sarebbe venuto rischiando la vita per lei e se la persona che l’aveva rapita continuava ad essere scaltra come quando aveva ingannato lei, allora non ci sarebbe stata speranza nemmeno per lui. Se Chat Noir fosse venuto a salvarla, Papillon avrebbe avuto entrambi i miraculous.
Presa dalla rabbia di quel pensiero, ricominciava a muovere i polsi nel tentativo di liberarsi, non ottenendo come al solito nessuno risultato.
«Sai dovresti smetterla di farti del male, mia cara.» Marinette alzò lo sguardo colmo di odio nel sentire quella voce, se avesse potuto le avrebbe dato fuoco con il solo sguardo, eppure tutto quell’odio si scioglieva in quei penetranti occhi grigi.


Atterrò a pie’ pari sul parquet della camera con la sua solita eleganza, ma nonostante i suoi movimenti mostrassero come al solito calma e grazia, il suo sguardo trasmetteva tutt’altro. I suoi occhi felini si guardavano attorno tra il timoroso e l’ansioso, come se avessero paura di vedere cose di cui poi si sarebbe pentito, oppure di farsi sfuggire un dettaglio importante che gli avrebbe permesso di capire cosa fosse successo a Marinette.
Poi ad un tratto lo vide, o meglio la punta metallizzata del suo piede la toccò e lui abbassò lo sguardo, notandolo: era un foglio, un pezzo di carta piegato in quattro. Si chinò per raccoglierlo e appena fu di nuovo eretto lo aprì lentamente. Il cuore sembrava martellargli nel petto furioso: sapeva che qualsiasi cosa avesse letto o visto lì, o l’avrebbe lasciato ancora più in confusione di prima oppure gli avrebbe fatto scoprire qualcosa di terribile.
Il suoi occhi scorsero velocemente quelle parole, mentre il battito stava accelerando assieme al respiro. Appena finito di leggere dovette accartocciare il foglio nel pugno guantato e chiudere gli occhi.
Era da ormai tre anni che non gli veniva un’attacco d’asma e dopo tutto quel tempo gli sembrava di essersi quasi dimenticato cosa si provasse. L’ultima volta che era successo era stato in compagnia di Chloé, ed era stata proprio la bionda a tranquillizzarlo. Ora però non c’era nessuno a calmarlo e soprattutto, dopo ben tre anni, non aveva certo dietro la bomboletta per l’ossigeno. Doveva calmarsi: non sarebbe servito a niente un supereroe in ansia con problemi d’asma. Marinette aveva bisogno di lui, doveva pensare a lei, era lei la priorità assoluta.
Non appena il respiro tornò regolare, riaprì gli occhi e spianò il foglio controllando di nuovo l’indirizzo segnato sopra, poi lo piegò e se lo mise in tasca, uscendo di nuovo dalla finestra.
«Tranquilla my lady, sto arrivando!»


Era di nuovo sola in quella camera. Ormai non sentiva più i polsi e il punto sulla nuca, dove era stata colpita dalla persona che l’aveva rapita per tramortirla, aveva ricominciato a pulsare e a dolere fastidiosamente. Fino a che non sentì quella voce.
«Principessa…» era stato un soffio, quasi un rantolo di vento, ma nel sentirlo ebbe un tuffo al cuore e si voltò verso la finestra, vedendolo.
Era arrivato, finalmente era arrivato a salvarla. Lo vide lì, sul davanzale della camera, nella sua tuta nera in pelle, riusciva a leggere la preoccupazione nei suoi occhi, era preoccupato per lei. I capelli scompigliati, il fiato grosso, tutto annunciava che si era precipitato lì. Non sapeva come aveva fatto a trovarla, ma era arrivato.
«Chat!» disse con le lacrime che tentavano di nuovo di uscirle dagli occhi.
Lui scese agilmente sulla moquette senza, ovviamente, fare nessun rumore e si avvicinò a lei.
«Sono qui Marinette, sono qui…» disse accarezzandole la guancia.
Percepì la pelle nera del suo guanto sfiorarle il viso e le sembrò improvvisamente di essere al sicuro, ma non era così, sapeva che non era così. Finché entrambi non fossero usciti sani e salvi da quella stanza nessuno di loro due era al sicuro. 
All’improvviso si ricordò di Tikki, la sua Tikki, la sua piccola amica. 
«Chat! I miei orecchini…» disse in un soffio e subito dopo vide il suo sguardo spostarsi verso il suo lobo destro.
«Sono sul comò…» continuò indicando il mobile alle spalle dell’eroe nero.
Il ragazzo fece un cenno con la testa e si voltò per poi andare verso l’arredo.


Allungò la mano verso gli orecchini, stava per prenderli quando all’improvviso sentì un rumore riconoscibilissimo.
«Io non lo farei se fossi in te…»
Si voltò lentamente, la mano ancora sospesa sopra i due monili, e la vide, stava tenendo quell’infernale aggeggio di metallo contro il suo viso. Non sembrava akumatizzata: niente costume, niente maschera, nessuno oggetto che potesse contenere l’akuma, nulla, solo lei.
«Angelie Fontaine…»
«Felice di rivederti, minoù!»

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Capitolo 25
*** Le alleate ***


Le alleate

«Te lo ripeto Angelie, non è come pensi tu...» disse il giovane supereroe con aria ormai disperata.
Era passata più di mezz'ora da quando era arrivato. Appena la ragazza era comparsa alle sue spalle con la pistola, aveva reagito ed era riuscito a togliergliela di mano, ma lei con uno schiocco di dita l'aveva fatta sparire e nella sua mano aveva fatto apparire un'altra arma. Aveva continuato così, cambiando armi, cambiando aspetto: a quanto pareva il potere che le aveva donato Papillon con la sua akuma era quello della metamorfosi. 
«Ah no? – chiese lei divertita e ironica – Allora fermiamoci un attimo e parliamone che ne dici?» a quelle parole la ragazza si avvicinò a Marinette e si sedette di fianco a lei, avvolgendole il braccio attorno alle spalle.
Chat Noir la vide rabbrividire a quel contatto, come se avesse avuto paura, e strinse nervoso il suo bastone, guardando la scena, impotente, sapeva che se avesse fatto una qualsiasi mossa la modella avrebbe potuto fare del male alla ragazza.
«Non la toccare...» sibilò irritato.
«Non vuoi proprio capire vero? La tua cara fidanzatina ti tradisce...» le disse lei con un tono dolce e freddo allo stesso tempo, accarezzando la guancia di Marinette, che tentò di scostarsi.
«Non è così... Marinette non lo farebbe mai!» continuava a stringere la sua arma, tanto da sentire male alla mano.
«Ma tesoro, io l'ho vista con i miei occhi... Tre giorni fa era sul set del mio spot era a sbaciucchiarsi con Agreste junior. Vero dolcezza?»
La vide scostarsi di nuovo da lei, che continuava a starle vicino e poi guardarlo con uno sguardo dispiaciuto. Lo sapevano: sapevano entrambi che la loro relazione sarebbe stata complicata eppure, almeno lui, non avrebbe mai pensato che quelle complicazioni sarebbero arrivate così in fretta.
Rimase fermo, immobile, non sapeva come rispondere. Se avesse detto la verità avrebbe rischiato di svelare anche a Papillon la sua identità, allo stesso tempo non poteva negarla, Angelie Fontaine era proprio lì, quando lui aveva baciato Marinette senza maschera.

 

«È vero! – disse decisa e sentì lo sguardo di entrambi fissarla – È vero Chat! Io sto con Adrien Agreste...»
«Visto, che ti dicevo?» fece lei con aria soddisfatta, alzandosi e allontanandosi un po'.
Chat Noir invece la stava ancora guardando: i suoi occhi felini, verdi come lo smeraldo, stavano incrociando i suoi e lei sentiva il cuore batterle furioso nel petto.
«Sì... Sono innamorata di lui... Lo sono da tanto ormai... Da quel giorno che mi offrì il suo ombrello davanti a scuola... Quel suo sguardo gentile, quella sua risata spontanea, mi hanno colpito... Amo i suoi occhi verdi i suoi capelli biondi il suo viso da angelo... Penso di non aver mai provato nulla del genere per un'altro ragazzo...»
Probabilmente non si era mai aperta così tanto, nemmeno con Alya, o con se stessa, ma nel vedere quello sguardo disperato e commosso mentre andava avanti a parlare, le parole le erano uscite quasi da sole, come se solamente con quelle potesse tranquillizzarlo, rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene. Perché alla fine era quello il suo compito, era quello il compito di Ladybug, sostenere il suo gatto nero, qualsiasi cosa fosse successa.
«Marinette...» lo sentì dire con un soffio.
Gli sorrise e in quel momento non ci fu più niente e nessuno: solo loro due. Persino il dolore ai polsi e alle caviglie era sparito, per un'attimo si era dimenticata anche della modella, che poco più in là li stava guardando innervosita.
«Ok, basta... Sei un po' troppo sdolcinata per i miei gusti...» disse irritata Angelie, facendola tornare alla realtà.
Subito dopo quell'avvertimento la ragazza percepì un dolore lancinante al collo, dopo di ché fu tutto buio. L'ultima cosa che vide fu Chat Noir che urlava il suo nome.

 

«Marinette!» urlò gettandosi verso di lei.
Appena le fu vicino, s'inginocchiò e la sollevò dalla moquette bianca tenendola tra le braccia, continuando a sussurrare il suo nome, per poi scostarle i capelli corvini e bagnati di sudore dalla fronte e accarezzarle il viso delicatamente.
Sentì la presenza oppressiva della sua collega dietro di sé, ma non gli importava.
«Andiamo Chat... Dimenticati di lei...» disse avvolgendogli le braccia attorno al collo e prendendolo da dietro, proprio come aveva fatto tre giorni prima per lo spot con Adrien.
A quel gesto sentì un brivido percorrergli la schiena, un brivido che portava con sé milioni di sensazioni ed emozioni. Si sentiva imbarazzato per la vicinanza della modella, disgustato dalle sue avance insistenti e soprattutto si sentiva furioso. 
Quella ragazza aveva fatto del male a Marinette, la sua Marinette. L'aveva ingannata, rapita, legata, separata dal suo kwami rubandole gli orecchini, minacciata, infamata e poi fatta svenire con quel maledetto teser che probabilmente aveva già fatto sparire. Ed ora, come se nulla fosse, aveva anche il coraggio di dirgli di dimenticarsi di lei, con quella voce sensuale e innocente al tempo stesso.
Non ci vedette più, in un attimo tutta la sua frustrazione che aveva in corpo si trasformò in rabbia. Adagiò cautamente la mora a terra e diede un calcio deciso alla ragazza, scaraventandola contro l'armadio dalla parte opposta della stanza.
«Adesso basta Angelie... Hai superato il limite... Cataclisma!» l'ultima parola la urlò, alzando come al solito il suo braccio destro.
Vide il volto della ragazza atterrirsi come se avesse capito cosa stava per succedere, finalmente vedeva la paura nei suoi occhi. Poi una mano lo bloccò.
«Non farlo Chat! Non abbassarti al suo livello!»
Si voltò e per un'attimo non credette a ciò che vide.
«Li...?» tentò di dire, ma fu bloccato subito dalla ragazza che con l'altra mano libera gli tappò la bocca.
«Maledizione gattaccio, non spifferare la mia identità ai quattro venti! – lo rimproverò irritata – Ora fai il bravo bimbo e usa il tuo Cataclisma su un'oggetto qualsiasi.» concluse lasciandolo andare.
Lui la stava guardando ancora stranito, non riusciva a capacitarsi di come lei fosse lì e soprattutto non capiva per quale motivo era lì, tanto più vestita a quel modo.
«Terra chiama Chat Noir! Accidenti sembra che hai visto un fantasma! – disse lei sventolandogli la mano davanti agli occhi e mentre lui tornava in sé, lei gli porgeva una boccetta presa dal comò – Tieni, rompi questa!»
«Stai scherzando? Quel profumo è uno Chanel N°5 originale, hai idea di quanto costa!?» protesto la giovane modella rialzandosi.
«Non fare un solo passo o ti faccio secca, ragazza!» la minacciò con la sua arma, solo in quel momento Chat Noir notò che non era più il flauto che usava quando era akumatizzata, bensì una frusta arancione. 
«Volpina, per una volta smettila!» irruppe un'altra voce.
Il ragazzo si voltò di scatto, accorgendosi solo in quel momento di un'altra figura, chinata vicino a Marinette, che dopo il rimprovero rivolto alla ragazza in tuta arancione si alzò e si voltò verso di lui.
Indossava una tuta di un giallo accesso, con tre linee nere all'altezza del petto e un pellicciotto al collo. I suoi capelli rossi erano legati e raccolti in uno stretto chignon, tenuto da un pettine dorato e davanti agli occhi indossava una maschera nera, con dei decori gialli che mostrava solo un'accenno di un paio di occhi verde acqua.
«Chat Noir, per favore, fai quello che ti ha detto Volpina e poi prendi la tua ragazza, dobbiamo andarcene da qui.» disse con un sorriso l'eroina in giallo.
«Non crederete che vi faccia andare via...» sbottò la modella irritata da quell'interruzione.
La ragazza la linciò con lo sguardo e lei si ammutolì, quasi intimorita, subito dopo tese la mano verso di lei.
«Honeyshock!» disse e in un'attimo la modella si afflosciò come addormentata, tanto che la ragazza dovette prenderla al volo.
«Cosa... Come?!» cercò di chiedere Chat Noir che aveva appena usato il suo potere sulla boccetta del costosissimo profumo.
«L'ho solo mandata a nanna e durerà solo finché io non mi ritrasformerò, quindi abbiamo solo cinque minuti.»
Il ragazzo annuì e prese Marinette, ancora svenuta, tra le braccia, mentre Volpina afferrava i suoi orecchini dal comò. Subito dopo uscirono tutti e tre dalla camera mezza distrutta della giovane modella.
«Ma come facciamo per l'akuma?» chiese l'eroe in nero mentre saltavano da un tetto all'altro.
«Con Ladybug fuori combattimento non si può fare molto, inoltre non sappiamo nemmeno dove si trova la sua akuma, conviene aspettare, tanto non avendola liberata è difficile che si riproduca.» rispose la rossa.
«Dove stiamo andando?» chiese ancora Chat Noir.
«A casa nostra micetto!» gli rispose Volpina facendogli l'occhiolino.
«Veramente è casa mia...» ribatté l'altra, scuotendo leggermente la testa.

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Capitolo 26
*** Le spiegazioni ***


Le spiegazioni

Qualcuno la stava chiamando: non era un urlo o una voce troppo alta, erano dei sussurri. Qualcuno stava continuando a sussurrare il suo nome, come quando sua madre cercava di svegliarla dolcemente i giorni in cui doveva andare a scuola e non sentiva la sveglia. Forse era sua madre, no, quella era una voce maschile, sì, riconosceva quella voce.
Cercando di aprire gli occhi mugugnò il suo nome, nel tentativo di rispondere a quel richiamo.
«Sono qui Marinette.» le rispose lui con un tono dolce e più sollevato rispetto a quando la stava chiamando.
Finalmente riuscì ad aprire gli occhi e, nonostante il fastidio che le provocava la luce, dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre, lo vide.
Vide quegli occhi smeraldo osservarla attenti con un espressione tra il rassicurante ed il preoccupato, anche il suo volto mostrava le stesse emozioni, il viso rigido, tirato e ancora nervoso, ma con un sorriso dolcissimo e sollevato.
Tentò di alzarsi e mettendole una mano dietro la schiena, il ragazzo l'aiutò a farlo.
«Come ti senti?» chiese mantenendo quel tono dolce e basso.
«Bene, credo... – si portò la mano destra agli occhi per stropicciarseli – Insomma non credo di...» si bloccò facendo un piccolo verso di dolore.
Mentre si stropicciava gli occhi, all'improvviso, aveva percepito una fitta bruciante al polso: non era un dolore insopportabile o ingestibile, ma abbastanza fastidioso da farla sentire fragile. Si guardò il polso e vide che era fasciato, come d'altronde lo era anche il sinistro.
«Marinette perdonami! – disse il giovane modello facendole alzare lo sguardo su di lui – È colpa mia se...»
«Tu non c'entri nulla Adrien! – lo interruppe lei, prima che si prendesse le colpe di qualcosa che non aveva fatto – Non è colpa di nessuno.»
«Ma io...»
«La miseria quanto sei melodrammatico gattaccio!» intervenne una voce conosciuta.
Solo in quel momento si rese conto che il letto in cui era sdraiata fino a poco prima non era il suo, che la stanza in cui si trovava non era la sua. Dove si trovava?
Si voltò verso la proprietaria di quella voce, con aria stupita e anche preoccupata, mentre sapeva già d'incrociare un paio di occhi verdi, non un verde lucente come quello che caratterizzava gli occhi del suo ragazzo, ma un verde più scuro, quasi ingiallito.
«Lila tu...?» chiese sconvolta, mentre vedeva Adrien guardare la stessa ragazza con sguardo offeso, ma per niente preoccupato, come se l'unico problema fosse stato il fatto che l'avesse insultato.
«Ben svegliata Mari!» la salutò, con un sorriso che appariva tutto tranne che sincero, ma che non sembrava nemmeno forzato o in qualche modo malvagio.
«Mari?» chiese di nuovo lei, scioccata da quel sorriso e da quel soprannome.
«In Italia vanno molto di moda i diminutivi dei nomi, mi piace chiamarti Mari... Ti scoccia?» chiese buttandosi sul divano rosso che si trovava a qualche metro dal letto, dal lato opposto, nella zona giorno.
«Io... No... Però... Io non... Non capisco... Tu...» non sapeva che dire, non trovava le parole, era come se lo stupore e la confusione le avessero mangiate tutte.
«Ora ti spiegheremo tutto Marinette. – disse un'altra ragazza, entrando nella camera – Anzi, vi spiegheremo tutto.» disse volgendosi poi anche ad Adrien.

 

Si sedette più comodamente sul letto, mettendosi proprio di fianco a lei e, con un gesto lento e delicato, le prese la mano, intrecciando le dita alle sue, che subito ricambiarono la presa.
Intanto anche la rossa si era seduta sul divano, proprio di fianco all'amica.
«Credo che conosciate Lila ovviamente, quindi non penso ci sia bisogno che ve la presenti. Io invece mi chiamo Jinnifer Thompson. Ci siamo conosciute parecchi anni fa, quando eravamo bambine, eravamo amiche di penna.»
«Amiche di penna?» chiese dubbioso Adrien.
«Esatto! – rispose Lila – In Italia, alle elementari, per far imparare agli studenti bene l'inglese, s'inizia ad inviare lettere a una persona all'incirca della stessa età che vive in Inghilterra, l'amico di penna. A me è capitato l'indirizzo di Jinny.»
«Esatto. Non vi sto a raccontare tutta la nostra infanzia, non penso v'interessi, vi basti sapere che siamo diventate inseparabili, seppur a distanza. Così, quando Lila si dovette trasferire qui a Parigi con i suoi, decisi di venire a trovarla e presi questo appartamento e spesso lei viene a dormire qui.»
«Insomma vi siete viste per la prima volta qui a Parigi?» chiese Marinette, stupita e ammirata della profonda amicizia che sembrava legare le due ragazze.
«Beh non proprio, ci siamo comunque viste in video-chat per un sacco di tempo, ma dal vivo sì, qui a Parigi tre mesi e mezzo fa.» specificò l'inglese.
«Ma com'è che avete i Miraculous?» chiese il biondo.
«Ora ci arriviamo gattaccio!» gli rispose a tono l'italiana, venendo ricambiata con uno sguardo irritato.
«Lila...» la rimproverò l'amica e a quel richiamo la vide sbuffare, per poi rivolgersi di nuovo a lui.
«Ok... Scusami...» gli disse, sebbene non sembrasse molto convinta.
«So bene cosa è successo con Lila, me lo raccontò quando, tornata in sé, venne a casa con il finto ciondolo della volpe: mi disse che sebbene non si ricordasse perfettamente cosa vi aveva fatto, si ricordava di cosa aveva provato. So quanto può sembrare insopportabile...»
«Ehi!» protestò lei guardandola male.
«...ma se imparate a conoscerla scoprirete che è una ragazza fenomenale!» continuò sorridendole.
«Siete davvero legate.» fece entusiasta Marinette.
«Sì parecchio. – le rispose con tono dolce la rossa – Comunque oltre a raccontarmi quello che le era successo mi raccontò anche del libro che riguardava i super eroi e comprendemmo che c'era seriamente qualcosa sotto a questa storia degli eroi. Passammo più di un mese a cercare informazioni sui Miraculous, sulle loro origini, sulle loro capacità, ma a parte qualche leggenda antica non trovammo nulla. Poi un giorno, tipo qualche settimana fa, mentre ero in giro, ho incontrato una signora che mi ha chiesto se potevo accompagnarla al centro massaggi Fu e, visto che comunque stavo andando nella stessa direzione, non mi feci problemi ad aiutarla. Dopo averla lasciata davanti all'edificio stavo per andarmene, quando vi vidi uscire proprio dal centro. Di certo era strano vedere Ladybug e Chat Noir uscire da un luogo del genere, insomma certamente non avevate bisogno di massaggi. Assistetti alla vostra litigata, sebbene da lontano, vi assicuro che allora non sentii assolutamente nulla di quello che vi diceste, ma capii che c'era qualcosa di davvero serio lì dentro, se vi aveva fatti mettere l'uno contro l'altra.»
Adrien ascoltava il racconto con attenzione e per un'attimo, al ricordo di quella sua confessione e del modo furioso con cui aveva reagito Ladybug, gli si strinse il cuore. 
Come se avesse capito esattamente cosa gli passasse per la testa o come se provasse le sue stesse emozioni, la ragazza di fianco a lui strinse ancora più forte la sua mano, tanto da fargli dolere le nocche, ma non gli importava. Quella era la prova dei loro sentimenti, con quel gesto lei gli stava dicendo che si fidava di lui, che si pentiva di quella sfuriata. Lui quindi ricambiò la stretta, con l'intento di prometterle la più assoluta verità e farle capire che non c'era bisogno di scusarsi e che ormai era tutto passato. Riusciva a percepire tutto questo in quell'unico, piccolo, gesto che per lui, però, in quel momento, rappresentava l'intero universo.
«Quando tornò a casa mi raccontò tutto. – proseguì Lila – E iniziammo a credere che quel Fu c'entrasse qualcosa con i Miraculous. Però non potevamo certo irrompere lì e chiederglieli: saremmo sembrate invadenti, se non delle persone al servizio di Papillon, così cambiammo strategia. Iniziammo a seguire voi: sapevamo che era sbagliato, – disse subito, non appena vide gli sguardi stupiti dei due – e vi chiediamo sinceramente scusa per esserci impicciate della vostra vita privata per questo lasso di tempo, ma era l'unico modo che avevamo per capire.»
«Vedemmo il vostro legame tornare, il vostro amore nascere... – ricominciò Jinnifer – e poi, circa quattro giorni fa, scoprimmo che c'era qualcun altro che vi stava seguendo: Angelie Fontaine era sempre alle vostre calcagna, come un'ombra, soprattutto con Marinette. Capimmo che c'era qualcosa che non andava quando iniziammo a vederla parlare apparentemente da sola e decidemmo che non era più tempo di esitare: se una possibile akumatizzata, aveva scoperto le vostre identità qualcuno sarebbe dovuto intervenire.»
«Così tre giorni fa siamo andate da Fu e gli abbiamo raccontato tutto: i pedinamenti, le cose che avevamo scoperto e soprattutto i nostri sospetti su quella bambolina da rivista. Lui ci ha risposto con un qualche detto cinese o non so e poi ci ha dato i Miraculous. In questi tre giorni ci siamo allenate ad usarli per i fatti nostri e, visto che non c'erano akumatizzati, siamo state libere di girare un po' per Parigi, stando attente a non farci vedere troppo e senza incontrarvi. Fino ad oggi...» concluse Lila, indicando i due ragazzi che erano seduti sul letto ancora sconvolti.
«Quindi il maestro vi avrebbe dato i Miraculous dell'Ape e della Volpe, così?» chiese stupito lui.
«Esatto. Ha detto che il solo fatto di esserci preoccupate per voi, valeva la nostra buona condotta e dimostrava che il nostro spirito è chiaro e limpido, quindi ci ha dato i Miraculous.»
«Sul fatto che lo spirito di Lila sia chiaro e limpido ho qualche dubbio.» sbottò il biondo che ricevette immediatamente uno sguardo furioso dall'italiana e una gomitata dalla sua fidanzata di fianco a lui.
«Beh, – intervenne dopo vari minuti di silenzio Marinette – direi che adesso siamo una squadra.»
Il suo sguardo s'incantò su quel bellissimo e dolce sorriso che lei stava rivolgendo a tutti e tre, come se la sua gioia e la sua felicità per aver incontrato due nuove compagne d'avventure, contagiasse anche lui.
«Puoi ben dirlo dolcezza!» le fece l'occhiolino Lila.
«Quindi sarò l'unico uomo con tre donne? – sbuffò lui divertito – Speriamo che quel periodo non vi venga a tutte e tre nello stesso momento o sarò spacciato.» a quelle ultime parole ricevette un cuscino in piena faccia da Lila, ormai stufa delle sue battutine.

 

Atterrarono sul parquet di camera sua, o meglio, lui atterrò. Lei era avvinghiata alle sue spalle, con le braccia intorno al suo collo e le gambe che gli circondavano la vita. Appena furono dentro il ragazzo si chinò un po' per farla scendere meglio e lei finalmente toccò il suolo.
«Ripeto che avrei potuto tornare a casa anche da sola.» disse lei, risistemandosi la maglia che si era un po' alzata.
«E rinunciare al piacere di stare sulle mie spalle?» chiese l'eroe nero con il suo solito tono malizioso.
Arrossì, sicuramente stava arrossendo, ma gli rispose comunque a tono.
«Oh beh, non è che le tue spalle siano tutto questo granché.» disse con tono parecchio ironico.
Lui la squadrò per qualche secondo, facendo un verso pensieroso.
«Non sei brava a mentire principessa.»
Lei scosse la testa divertita e si diresse verso la scrivania.
«Ah... Quasi stavo per dimenticare... – riprese a parlare Chat Noir, facendola voltare nuovamente verso di lui – Questi credo siano tuoi.»
Allungò la mano e il guanto artigliato dell'eroe gatto le poggiò sopra un paio di orecchini: i suoi orecchini. Li strinse nel pugno, portandoseli al petto, come se avesse finalmente trovato un pezzo della sua anima.
«Grazie» sussurrò con gli occhi lucidi e lui le sorrise, per poi ordinare al suo kwami di farlo tornare normale.
Quando davanti a lei non ci fu più Chat Noir, ma Adrien, aprì nuovamente la mano e guardò ancora per qualche secondo quegli orecchini rossi a pois neri, per poi indossarli.
Appena entrambi furono ben ancorati nei suoi lobi, davanti a loro apparì la piccola kwami rossa.
«Marinette!» esclamò la creatura, fiondandosi verso la sua portatrice e sfregandosi sollevata contro la sua guancia, mentre lei allungava le mani per coccolarla e tenerla ancora un po' vicino al suo viso.
«Oh Tikki, non sai quanta paura ho avuto di perderti...»
Il kwami si staccò e le guardò i polsi ancora fasciati, con aria preoccupata.
«Non è niente tranquilla, passeranno in fretta.» le sorrise dolcemente.
«Maledetta coccinella, mi hai fatto prendere un colpo sai?» irruppe una voce, che fece ricordare a Marinette e rendere conto a Tikki, che non erano sole.
La kwami si voltò incrociando lo sguardo verde del suo simile.
«Ah, allora ti preoccupi ancora per me?» chiese con aria scettica.
«Ma che razza di domande sono? Certo che mi preoccupo per te. Non ho fatto quella promessa millenni fa, per non mantenerla.» sbuffò Plagg irritato.
«Che promessa?» chiese Adrien curioso.
Effettivamente anche lei stava per chiederlo, si era sempre chiesta quale fosse il passato dei loro kwami, come avevano vissuto prima d'incontrare loro, com'erano nati, ma a quella domanda Tikki arrossì, quel poco che si poteva notare dal colore della sua pelle cremisi, mentre il kwami nero rispose irritato.
«Non sono affari tuoi, ragazzino!»
Dopo quella discussione i due kwami si misero a parlare sul giaciglio di Tikki e lei si sedette con un verso stanco sulla chaise-longue.
«Stanca, my lady?» chiese Adrien sedendosi di fianco a lei.
«Un po'... È stata davvero una giornata assurda...» rispose, buttandosi verso di lui e appoggiandosi con la testa alle sue gambe.
A quel suo gesto lo vide arrossire per qualche secondo, poi però gli si dipinse in volto un bellissimo sorriso, quello stesso sorriso che sfoggiava per i suoi servizi fotografici e che l'aveva conquistata.
«Come ho fatto senza di te per tutto questo tempo?» le chiese lui, allungando una mano e spostandole un po' la frangia corvina dalla fronte.
«Mmm... Non lo so... Ti annoiavi... Insomma io sono splendida!» disse con aria divertita, imitandolo e facendolo scoppiare in una fragorosa risata, la stessa risata spontanea del giorno in cui lei si era innamorata di lui.
«Devo ammettere che stai migliorando coccinellina, ma per arrivare al mio livello ti devi allenare ancora.»
«Oh sicuramente, caro Narciso.» rispose lei alzandosi e dandogli uno schiocco scherzoso sulla fronte, poi entrambi scoppiarono a ridere di nuovo.

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Capitolo 27
*** Lo scandalo ***


Lo scandalo

«Marinette!» si sentì chiamare dal piano di sotto, da una voce parecchio riconoscibile.
Ebbe appena il tempo di guardare un'attimo verso la scala che portava al soppalco e al balcone, che dalla botola di sotto sbucò il volto della sua migliore amica e subito dopo la sua mano che sventolava qualcosa.
«Guarda un po' cos'ho?» disse ancora Alya, cantilenando la frase, mettendole la rivista che teneva in mano sotto il naso, nel vederla la ragazza rimase sconvolta: sulla copertina, in bella vista, c'era una foto di lei e Adrien vestiti da Satine e Christian davanti al Moulin Rouge e, con un enorme titolo in giallo, vi era scritto Il giovane Agreste ha trovato l'amore.
Marinette diventò paonazza. Era sulla copertina di Closer, era seriamente sulla copertina di una rivista. Non solo, la rivista parlava della sua relazione con Adrien.
«Vai a pagina venti.» le suggerì l'amica occhialuta, ridendo dell'imbarazzo dell'amica.
Lei iniziò a sfogliare lentamente le pagine, come se avesse seriamente paura di cosa avrebbe visto. Arrivata a pagina venti lanciò un gridolino, tra lo stupito e l'indignato: assieme all'articolo, campeggiavano altre due foto, una con lo stesso soggetto di quella in copertina, sebbene con un'altra inquadratura e un'altra posa, l'altra con loro due che si baciavano nel set dello spot televisivo che avevano girato Adrien e Angelie.
Care fan, follemente innamorate del giovane modello parigino Adrien Agreste, rassegnatevi. Il vostro idolo ha finalmente trovato l'anima gemella...
La ragazza chiuse la rivista di colpo, paonazza, non volendo più leggere una parola. Sapeva già cosa avrebbe letto, i giornalisti sapevano essere crudeli delle volte. Sicuramente c'era scritto che era una ragazza comune, sconosciuta, che Adrien sul set già la tradiva con Angelie per via dei baci appassionati che doveva darle e magari si chiedevano pure come lei sopportasse questa cosa, o se ne fosse davvero al corrente e così via.
«Guarda che non è così terribile l'articolo.» la rassicurò l'amica, come se le avesse letto nel pensiero.
«Non importa... Però... Sono su una rivista!» disse mentre realizzava e le si illuminavano gli occhi.
«Con il tuo principe azzurro! Ora tutto il mondo saprà che lui è tuo!» la incoraggiò la mora facendole l'occhiolino.

 

«Plagg non so se è una buona idea...» sussurrò il biondo nervosamente.
«Andiamo, andrà tutto bene. Insomma non vi eravate messi d'accordo che avresti dovuto recuperarlo per accertarsi che fosse quello vero?»
«Sì, però...» non ebbe il tempo di ribattere che il piccolo kwami nero sparì per un'attimo attraverso la parete di metallo, per poi aprire da dentro la cassaforte e mostrando il suo contenuto ad Adrien. 
Era di nuovo lì, dopo poco più tre mesi dall'ultima volta. Considerato che suo padre non aveva parlato nemmeno una volta della sparizione del libro, forse non l'aveva più riaperta.
Quello scaffale, lo stesso in cui aveva trovato il libro, era qualcosa di arcano e incomprensibile, che allo stesso tempo sembrava attirarlo come una calamita, soprattutto per la foto di sua madre che lo guardava con quegli occhi molto simili ai suoi e con quel sorriso rassicurante che ormai riusciva a vedere e riconoscere solo in Marinette. Di fianco ad essa c'era una guida del Tibet e anche quella si chiese perché fosse lì e non i libreria, come mai proprio il Tibet. Spostò lo sguardo sull'oggetto di suo interesse, quello per cui era entrato nell'ufficio di suo padre. 
Il giorno prima ne aveva parlato alle ragazze, dicendo che non ne era sicuro, ma che era possibile che il Miraculous perduto del pavone fosse proprio quello, e subito Lila gli aveva detto che doveva recuperarlo.
Afferrò la spilla e se la mise in tasca e mentre lo faceva, lo sguardo gli cadde su un'altro oggetto su quello scaffale: un foglio di carta piegato in due. Stava per allungare la mano, quando sentì la voce di suo padre urlare dal corridoio.
«Non m'importa come, ma fallo. Voglio parlare con quel giornalista e con chi ha scattato le foto. Si pentiranno di aver fatto di testa loro.»
A quegli urli che si avvicinavano Plagg si lanciò sotto la camicia del suo portatore, mentre il ragazzo chiudeva di colpo la cassaforte, poco prima che Gabriel Agreste entrò nella stanza.
«Adrien... – disse scrutandolo per un attimo, come se cercasse di capire dal suo sguardo cosa ci facesse lì, poi si rassegnò da quel sondaggio – Proprio te stavo cercando.»
«Perché?» chiese Adrien nervoso, pregando che non avesse capito qualcosa.
L'uomo lanciò sulla scrivania una rivista e il ragazzo si avvicinò per vederla, appena arrivò abbastanza vicino da vedere i soggetti in copertina sgranò gli occhi, sconvolto.
«Quando pensavi di dirmi una cosa del genere?» chiese con aria quasi irritata.
«Ma papà, sai come sono i giornalisti... Quelle foto le abbiamo fatte per il pro...» non ebbe il tempo di finire di formulare quella scusa, che suo padre aprì la rivista, mostrando la pagina dell'articolo in cui campeggiava la foto di lui e Marinette che si baciavano.
Rassegnato dal non poter negare nulla, fece un sospiro e rispose al padre.
«Non stiamo insieme da molto, poco più di una settimana.»
Suo padre continuava a guardarlo con aria severa, attraverso gli occhiali dalla montatura rossa. Per un attimo ebbe paura della sua reazione: se si era irritato il giorno del suo compleanno, criticando le sue compagnie alla sfacciataggine di Nino, cos'avrebbe detto di Marinette?
«Ricordati che il lavoro viene prima di tutto.» disse solamente, per poi sedersi alla scrivania e non calcolarlo più.
«Sì, papà...» rispose lui con un sospiro, per poi uscire dall'ufficio.

 

Appena entrata in aula in compagnia di Alya, le sembrò quasi di essere a uno spettacolo con lei come attrazione principale: all'improvviso si erano zittiti tutti e la stavano fissando.
«Ho paura che abbiano visto tutti quell'articolo su Closer, sai?» le disse Alya.
Abbassò lo sguardo e tirò dritta verso il suo posto. Maledizione, lo sapeva che sarebbe finita male. Anche quando si sedette continuava a sentire gli sguardi incombenti di tutta la classe, finché, come si aspettava, accadde la solita storia. Quella mano, smaltata di giallo, ormai conosciuta, sbatté prepotente sul suo banco.
«Sei patetica!» le disse la voce irritante della bionda facendole alzare lo sguardo, con aria scocciata e superiore.
«Non m'interessano le tue scenate di gelosia Chloé, non sono stata io a cercare questo.» le rispose con tono pacato e quasi annoiato.
«Ah no? Chi ha baciato Adrien davanti a tutta la classe? Chi ha scelto un tema così volgare per il progetto di cinema? Non so neanche come abbiate fatto a vincere con quelle foto oscene.»
A quelle ultime parole, la sua compagna di banco si alzò furibonda.
«Ora basta, piccola bionda viziata, hai superato il limite...!» ma lei la bloccò con un semplice gesto della mano, continuando ad essere tranquilla e pacata, lasciando per qualche secondo l'aula in completo silenzio, proprio mentre l'altro diretto interessato entrava nell'aula e rimaneva stupito dalla situazione.
Marinette lo vide con la coda dell'occhio, ma né lei né Chloé sembravano curarsi effettivamente di lui in quel momento, tanto che la bionda riprese a protestare, con quella sua voce stridula.
«Tu non hai nessuno diritto di stare con lui! Non lo conosci per niente! Fino all'inizio dell'anno scorso non sapevi nemmeno chi fosse, mentre io gli sono stata vicino fino ad allora, io ero la sua migliore amica, io so cose di lui che tu non conosci.»
«Probabilmente sì, ma una persona si conosce man mano che la si frequenta ed io conosco abbastanza di lui da volergli stare accanto.» disse tranquillamente continuando a seguire con la coda dell'occhio il biondo che stava salendo il primo scalone.
«La stessa cosa vale per me.» disse lui, facendo girare di scatto la bionda che lo guardò sconvolta, ma lui non aveva occhi se non per Marinette.
Posò la tracolla grigia sul banco e si rivolse a tutta la classe.
«Sì stiamo assieme. È successo proprio dopo quel bacio qui a scuola. Abbiamo tante cose in comune e ci troviamo bene l'uno con l'altra. Vi abituerete a noi, come vi siete abituati ad Alya e Nino. Non sono un'automa solo perché sono un modello. Qui in classe con voi sono solo Adrien, lo stesso Adrien che conoscevi tu Chloé... – continuò volgendosi finalmente alla bionda e incrociando i suoi occhi di ghiaccio – e mi stupisce che tu non capisca quanto mi sento bene ora. Proprio tu, che mi conosci più di chiunque altro qui dentro.»
Per un'attimo Marinette provò una fitta di gelosia, nel vedere con quale trasporto diceva quelle ultime parole alla figlia del sindaco, mentre lei si zittì e se ne tornò al suo posto, proprio mentre la professoressa Bustier entrava in aula.
Adrien ebbe appena il tempo di voltarsi nuovamente verso di lei per lasciarle un dolcissimo sorriso che lei ricambiò con uno appena accennato, per poi darle la schiena e sedersi al banco. 
Perché si sentiva così? Per quale motivo sentiva quell'orribile sensazione di gelosia? Non era stata gelosa di Angelie che l'aveva baciato ed era gelosa di Chloé. Era perché semplicemente era Chloé o perché era seriamente gelosa del loro rapporto? Un rapporto che riguardava la loro infanzia, momenti e ricordi di cui lei non faceva parte e non avrebbe potuto intervenire mai.

 

Balzò come suo solito nella stanza con una certa eleganza, ormai la ragazza aveva imparato a tenere la finestra aperta apposta per lui, a meno che non facesse relativamente freddo, ma vista la stagione era un po' impossibile.
«Ciao Chat...» lo salutò lei, senza neanche voltarsi o semplicemente alzare lo sguardo da ciò che stava facendo.
Offeso il ragazzo si diresse verso di lei, per poi cingerle le spalle.
«È così che si saluta il proprio fidanzato?» chiese, con il solito tono malizioso, sperando di ottenere un certo effetto sulla ragazza.
Lei arrossì vistosamente e lui sorrise compiaciuto, ma nonostante quel rossore continuava a non distogliere lo sguardo da ciò che stava facendo e solo in quel momento Adrien posò lo sguardo sul suo lavoro.
Era il disegno di un vestito, o meglio di un out-fit molto casual che comprendeva un paio di shorts a palloncino un crop-top incrociato all'altezza del petto e una giacca a chiodo, che sicuramente sarebbe stata di pelle.
«Non è da te questo vestiario coccinellina...» commentò il ragazzo, mentre lei si mangiucchiava la matita, intenta a pensare come migliorare il disegno.
«Chi ha detto che è per me?» rispose lei con ancora quel tono freddo.
Questa volta non ci sarebbe passato sopra, si staccò da lei e con una spinta, fece girare la sedia, in modo che si trovasse di fronte a lui.
«Mi dici che ti prende?» chiese.
«Niente... Perché?» chiese lei, sembrava seriamente stupita da quella domanda.
«Non lo so... A malapena mi saluti, rispondi come se fossi un automa.» rispose lui irritato.
«Perdonami... È che questa cosa della guardia mi snerva... Insomma è proprio necessaria?»
«My lady, – disse l'eroe nero prendendole la mano, inginocchiandosi e baciandogliela delicatamente – lo sai che è per la tua sicurezza. Angelie sa della tua identità e non è stata deakumatizzata, quindi è possibile che l'abbia rivelato a Papillon e se è così...»
«Sì lo so... Sono in pericolo... Ma ho sempre Tikki, no? Insomma posso trasformarmi, non posso certo cascare nello stesso trucco due volte.»
Lui la fissò per qualche secondo, era stupenda quando assumeva quell'aria coraggiosa.
«Io mi fido di te stellina, – disse prendendola un po' in giro – ma fallo per me ok?» concluse lasciandole la mano e facendole l'occhiolino.
Sospirò e si girò nuovamente verso la scrivania.
«E poi... C'è un'altra cosa...» disse a mezza voce, come se sperasse che lui non la sentisse, senza ricordarsi che il suo udito da trasformato era molto più sviluppato.
«Sarebbe?» chiese poggiando semplicemente le mani sulle sue spalle e iniziando a massaggiarle lentamente.
Lei buttò la testa all'indietro, incontrando il suo petto e facendo in modo d'incrociare gli occhi con i suoi, ma appena accadde li chiuse.
«Riguarda quello che ha detto Chloé... Sta mattina... – il ragazzo rimase zitto, continuando a muovere le mani e aspettando che lei continuasse – Non so perché, ma... Quello che mi ha detto mi ha fatto male... Insomma di solito i suoi insulti non mi toccano, non mi hanno mai toccato, ma stamattina... – fece un'altra pausa, sempre tenendo gli occhi chiusi – È vero, io non conosco nulla di te. Insomma so del tuo segreto da supereroe, ma poi sono soltanto una fan sfegatata che appende tue foto al muro, come se fossi il suo idolo.»
Si sporse verso di lei e le baciò la fronte.
«My lady, tu sai cose di me che nessuno sa, ti assicuro che Adrien è davvero lui solo quando sta con te. Sì, forse io e Chloé abbiamo vissuto l'infanzia assieme, ma io con il tempo sono cresciuto e se c'è una cosa che so è che non ho bisogno di nasconderti nulla.»
«Cioè?» chiese lei, aprendo gli occhi di colpo e per un attimo fu folgorato da quel blu oceano, poi rispose.
«Puoi farmi tutte le domande che vuoi coccinellina, se mi prometti che io potrò fare altrettanto, così potremo conoscerci meglio, seriamente.» sorrise divertito.
Lei alzò di nuovo la testa e si voltò verso di lui con tutta la sedia.
«Ok... Allora da domani in poi abbiamo una domanda a testa al giorno, a cui l'altro deve rispondere... Che ne dici?» chiese felice lei, sembrava quasi una bambina davanti a un negozio pieno di dolci.
«Occhio coccinellina, potrei chiederti cose piccanti a cui dovresti rispondermi...» le disse alzandole il mento con il dito artigliato.
«Ma io non ho segreti di quel genere, gattino...» lo provocò lei.

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Capitolo 28
*** La mamma ***


La mamma

«Allora?» chiese l'italiana di fianco a lui, con tono impaziente.
«Sì... È decisamente il Miraculous del Pavone. – sentenziò l'anziano continuando a rigirarsi il cimelio tra le mani – Perciò era nella cassaforte di tuo padre?» chiese poi volgendosi verso di lui, facendolo sobbalzare, dopodiché annuì mesto.
«Maestro Fu, ha qualche spiegazione del come sia finito lì?» chiese Ladybug che era al suo fianco, dal lato opposto di dove stava Volpina.
«Beh, io credevo fosse andato perduto, ma ciò non vuol dire che mi stupisce il fatto che fosse in casa Agreste...» rispose con tono tranquillo, porgendo la spilla a forma di coda di pavone al suo kwami che l'andò a posizionare dentro lo scrigno.
«Perché? Cosa c'entra con la mia famiglia?» chiese di getto.
Per quale motivo si sentiva così nervoso? Era strano, come se percepisse l'arrivo di una tempesta, come se sapesse già che qualcosa dopo quella spiegazione sarebbe cambiata, che qualcosa l'avrebbe scosso nel profondo, scombussolandogli completamente la vita, allo stesso modo o ancora di più di come era stata scombussolata con l'arrivo di Plagg.
«Perché apparteneva a Monique Boyer...»
Ed eccola la verità sconvolgente, quel semplice nome arrivò alle sue orecchie come un treno investendogli il cervello e mandandolo completamente confusione.
«Mamma...» disse a mezza voce mentre percepiva le tre eroine voltare i loro sguardi su di lui, il suo sguardo felino, però, era ancora fisso sul maestro.
«Una ragazza intraprendente tua madre. – continuò lui, dopo poco – Aveva solo diciannove anni quando venne da me: aveva studiato da anni i Miraculous e la loro creazione, quando arrivò qui conosceva già molto, molto di più di quanto avete scoperto voi due. – disse volgendosi alle due neo-eroine – Mi chiese di darle un potere per intraprendere il viaggio verso il luogo in cui sono nati i Miraculous e i kwami...»
«Il Tibet.» disse d'impulso lui, ricordandosi la guida nella cassaforte di suo padre.
«Esatto.» rispose l'anziano.
«E lei gliel'ha dato?» chiese stupita l'eroina arancione.
«Come d'altronde l'ho dato a voi due, cara signorina Rossi.» le disse con un tono tra l'ironico e l'affettuoso.
«Ed è riuscita a scoprire qualcosa?» questa volta era stata JBee a parlare.
«Oh sì... Rimase in Tibet un anno intero e quando tornò aveva scoperto molto. Aveva appena vent'anni quando conobbe tuo padre, Adrien. – continuò, rivolgendosi di nuovo a lui – Si conobbero all'università, facendo lo stesso corso di moda all'Istituto Marangoni e già alla fine dell'anno universitario si sposarono, c'ero anche io quel giorno. Tua madre aveva dedicato un posto speciale nella sua vita per me, mi considerava come un'amico e non l'ho mai ringraziata abbastanza, persino quando nascesti tu, ti portò qui. Ti voleva molte bene, non hai idea della gioia che vedevo nei suoi occhi quando ti teneva in braccio, era come se avesse tra le mani la sua stessa vita.»
Sentì le lacrime pungergli gli occhi ed uscire imperterrite scivolando sulla maschera e poi sulle guance, subito dopo sentì il toccò leggero della mano di Ladybug che si poggiava sul suo pugno chiuso e lui d'istinto senza nemmeno pensarci, voltò il palmo verso di essa e gliela strinse. Intanto il maestro Fu, continuava il suo discorso.
«Cinque anni fa, venne da me dicendo che aveva scoperto il vero segreto dei Miraculous e che sarebbe tornata in Tibet per dare le ultime conferme alle sue ipotesi. Non seppi mai se partì con il monile del pavone o no, ma da quel giorno nessuno la vide più. I giornali parlarono per mesi dello scandalo: di come Monique Agreste avesse lasciato figlio e marito per partire chissà dove, di come la compagnia Agreste avesse perso una delle sue migliori modelle. Credo che nessuno abbia più saputo nulla di lei da allora, penso che nemmeno tuo padre seppe perché se n'era andata.» concluse l'uomo guardandolo con affetto.
Si sbagliava, suo padre sapeva, sapeva tutto, altrimenti per quale motivo teneva una guida del Tibet assieme alla foto di sua madre e al suo Miraculous? Lui sapeva tutto e non gli aveva detto niente facendogli credere che sua madre l'avesse abbandonato, che se ne fosse andata perché non stava più bene con loro. Invece, non era così: lei se n'era andata per uno scopo più grande e se non era tornata voleva dire che qualcosa l'aveva trattenuta lì, ma cosa?

 

Stava seduta sulla sedia girevole in pelle bianca che stava davanti al maxi schermo della sua stanza, mentre lo continuava a fissare: era sdraiato sul letto, immobile. Più volte aveva tentato di rivolgergli la parola, di spronarlo a sfogarsi, a parlare, ma nulla. Tutto quello che diceva o era inutile o le sembrava talmente banale che avrebbe preferito non dirlo.
Lo vedeva lì, inespressivo, pensieroso, sapeva esattamente cosa gli stava passando per la testa: probabilmente erano le stesse cose che passano in testa a lei, con la particolarità che era lui che aveva perso una madre, era lui che aveva scoperto la verità ed era lui che aveva un padre che gli stava nascondendo qualcosa.
«Ora basta moccioso! Sei ridicolo!» lo rimproverò il piccolo gatto nero, mollando il suo triangolino di camembert sulla scrivania e iniziando a volare verso il suo padrone.
«Plagg...!» lo rimproverò la kwami rossa cercando d'inseguirlo.
«No Tikki... – disse irritato il felino, voltandosi verso la sua simile – È assurdo che si comporti così.»
«È soltanto scosso, lascialo stare, gli passerà.»
«Senti lo conosco meglio di chiunque altro qua dentro, è da quasi un anno che sopporto le sue paranoie e sono stufo di vederlo comportarsi come un'automa appena c'è un problema...» a quell'ultima protesta del kwami nero, ad Adrien scappò un verso stizzito, tra il riso ironico e il sospiro.
Marinette si voltò di nuovo verso di lui e lo vide mettersi seduto.
«Adrien stai bene?» chiese nuovamente, cercando di essere gentile, non sapeva nemmeno se avvicinarsi a lui.
«Ho la domanda del giorno Marinette...» disse con tono piatto continuando a fissare le sue ginocchia.
«Eh...? Sì... D-dimmi...» rispose lei presa alla sprovvista.
«Cosa ti ha spinto a fidarti di Tikki e diventare una super eroina?» chiese.
A quella domanda rimase paralizzata: nella sua testa tornò il terrore di ciò che aveva combinato la prima volta che aveva indossato gli orecchini, di come si era arresa e di come avrebbe voluto lasciare il suo Miraculous ad Alya.
«Io... Ero terrorizzata...» disse, e subito vide gli occhi verde smeraldo posarsi su di lei stupiti.
Rimase qualche secondo in silenzio, sentendo il calore inondarle le guance a quello sguardo profondo che sembrava sondarle l'anima, come volesse chiederle perché, senza usare le parole.
«Sono sempre stata maldestra, impacciata... Ero sicura di non avere la stoffa dell'eroina. Poi, dopo il danno che ho fatto con Ivan e Cuore di Pietra, mi sembrava di aver avuto la conferma, nonostante Tikki m'incoraggiasse, avevo paura di deluderla di nuovo e il giorno stesso mi tolsi gli orecchini, convinta che non li avrei più indossati...»
«Cosa?!» il ragazzo sembrava sempre più sconvolto.
Imperterrita, ignorò lo stupore del giovane modello e continuò il suo racconto, tenendo però gli occhi bassi.
«Volevo darli ad Alya... Lei era sempre così entusiasta dei super eroi che sicuramente avrebbe fatto un lavoro migliore del mio... Anche quando tornai ad essere Ladybug, ci tornai solo perché vedevo te ed Alya in pericolo, ma non ero convinta di quel che facevo... Non era la fiducia in Tikki quella che mi mancava, ma la fiducia in me... Eppure...» si bloccò, non sapendo se continuare o no.
«Eppure...?» chiese il biondo sempre più curioso, girandosi con tutto il corpo verso la scrivania, ma rimanendo sul letto, con le gambe incrociate.
«Eppure... Quello stesso giorno, dopo l'ennesima frecciata da parte del capitano Roger che mi ricordò di aver combinato solo danni... Qualcuno mi sostenne.»

 

La vide alzare lo sguardo verso di lui, uno sguardo mostruosamente espressivo, talmente penetrante che per un attimo gli sembrò che il suo cuore si fosse fermato, per poi cominciare a battere all'impazzata.
«Un micio pieno di sé, ma mostruosamente leale, mi mise le mani sulle spalle e mi disse che ce l'avremmo fatta e che mi dovevo fidare di lui...» continuò, mentre si alzava dalla sedia e si avvicinava al letto.
Si mise di fianco a lui, per poi poggiare la testa sul suo petto. Lui era completamente in stato confusionale, non si aspettava davvero una risposta del genere. Aveva fatto quella domanda perché in quel momento si sentiva un'idiota, incapace di fare qualsiasi cosa, incapace di ritrovare sua madre, incapace di comprendere le menzogne di suo padre, incapace di sopportare i rimproveri del suo kwami. Voleva sentirsi compreso, voleva sentirsi dire dalla sua lady coraggiosa che lei non aveva mai avuto paura, che come lui appena scoperta la possibilità di dare una svolta alla sua vita e al mondo, si era buttata a capofitto nell'avventura: elettrizzata dai suoi nuovi poteri, invece non era così.
Aveva completamente rimosso quell'episodio, si ricordava dei momenti in cui la vedeva bella e decisa, ma si era dimenticato di quel momento di sconforto in cui stava per arrendersi proprio davanti a lui.
«... e da quel giorno mi fidai di lui... Sempre...» concluse lei accucciandosi di più sul suo petto, facendogli spuntare un leggero sorriso, subito dopo azlò la mano per accarezzarle i capelli.
«Continua a farlo coccinellina. Ti giuro che finché ti fiderai di me, nessuno potrà mai farti del male e saremo imbattibili.» disse, finalmente di nuovo sollevato.
La gioia però durò davvero pochi secondi perché all'improvviso Nathalie sbucò dall'angolo, chiamandolo e facendo sobbalzare entrambi.
«Signorino Adrien, mi duole disturbarla, ma suo padre vuole parlarle.» disse guardando con aria insospettita e un po' superiore la ragazza, ancora tra le sue braccia.
«Oh, sì... Subito. – disse staccandosi dalla corvina e tirandosi su – Torno subito...» concluse poi, dandole un lieve bacio sulla fronte e vedendola arrossire, dopodiché seguì la segretaria fuori dalla sua stessa camera, che lo condusse nella sala da pranzo.
Suo padre era seduto al tavolo, con di fronte parecchi book fotografici e riviste. Lavorava spesso in sala da pranzo, quando doveva visionare gli abiti, diceva che c'era più luce e che riusciva ad abbinare meglio i colori.
«Volevi vedermi papà?» chiese il biondo attirando l'attenzione del padre.
Lo vide alzare lo sguardo e rimanere solo per qualche secondo in silenzio, poi parlò e in un attimo il mondo gli crollò di nuovo addosso.
«Hai aperto la cassaforte nel mio ufficio, Adrien?»
Non seppe cosa rispondere, si voltò verso Nathalie, ma era impassibile, tornò di nuovo verso suo padre e il suo sguardo severo di ghiaccio lo colpì come un pugno in faccia.
«Io...» iniziò, ma nessun'altra parola uscì dalla sua bocca.
«Adrien rispondi!» lo rimproverò di nuovo suo padre alzando la voce.
All'improvviso sentì la rabbia percorrergli tutto il corpo fino ad arrivare alla bocca e uscire, ma non con tono alto e furioso, piuttosto indignato e deluso.
«Sì, l'ho fatto... E lo rifarei... Da quando è sparita mamma non ne hai più voluto parlare, ma io ne ho bisogno... Sapere di lei, sentirne parlare, mi fa star bene... Non riesci proprio a capirlo?»
«Dove sono il libro e la spilla?» chiese nuovamente suo padre, come se non avesse sentito nulla di quello che aveva appena detto.
«Ma mi hai sentito?» protestò irritato da quel comportamento, ma si pentì subito della sua sfrontatezza, a suo padre bastò sbattere la mano sul tavolo per far sobbalzare, sia lui che la segretaria.
«Adrien dove sono le cose che erano in cassaforte?»
E adesso? Cosa doveva rispondere? Non poteva certo dire che entrambi gli oggetti erano dal maestro Fu. Suo padre poteva sapere, come poteva non sapere di cosa era seriamente accaduto a sua madre e di cosa rappresentassero quel libro e quella spilla: in entrambi i casi non poteva certo rivelargli la verità.

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Capitolo 29
*** La delusione ***


La delusione

I due Agreste, padre e figlio stavano discutendo ormai da parecchi minuti, senza che nessuno dei due ottenesse risposta alle proprie domande. Adrien continuava a chiedere la verità su sua madre, ricevendo solo risposte vaghe del padre: che non era il momento di parlarne, che saperlo non sarebbe servito a niente. Mentre Gabriel continuava a chiedere al figlio dove fossero gli oggetti spariti, ricevendo solo risposte offese da bambino viziato: che non avrebbe parlato se non avesse ottenuto le risposte che voleva.
Persino Nathalie se n’era andata, congedata da Gabriel all’ennesima protesta di Adrien, con l’ordine di preparare i book per le presentazioni dei giorni successivi.
Poi, all’improvviso qualcuno interruppe quella, ormai penosa, discussione.
«Perché non dice la verità a suo figlio, signor Agreste?» sentì quella voce sovrastare le loro e riconoscendola si volto, stupendosi di quello che vide.
Alle sue spalle le sue tre compagne, le tre eroine con le tute che ricordavano i colori del fuoco, lo stesso fuoco che divampava dai loro sguardi decisi, stavano tenendo ferma Angelie Fontaine.
«Ladybug, cosa…?» cercò di chiederle Adrien, ma la confusione era ancora più grande, si voltò di nuovo verso il padre, che era rimasto freddo e impassibile, come se quell’avvertimento non l’avesse toccato per niente.
«È inutile che fa il finto tonto, la sua bambolina ha cantato come un’usignolo!» lo minacciò Volpina.
Angelie si liberò strattonando le ragazze e passò davanti a lui, guardandolo con aria di sfida, per poi affiancarsi a suo padre.
«Papà cosa succede?» chiese titubante.
Non aveva alcun motivo di fare quella domanda, perché la verità si stava insinuando lentamente nella sua mente, come un serpente velenoso. Quella domanda era la piccola speranza, a cui non credeva per niente, che tutto quello a cui stava pensando in quel momento potesse essere una bugia.
«Nooroo…» disse semplicemente suo padre, come se volesse chiamare qualcuno e, a quella parola sconosciuta, una creaturina lilla sbucò dall’interno della sua giacca. 
Non ci volle una scienza per comprendere che quello era un kwami, però era strano: aveva l’aria mogia e frustrata, come se fosse costretto a fare quel che faceva.
«Sì, Gabriel?» chiese con tono servile.
«Abbiamo tutti e quattro gli eroi davanti a noi, ma soprattutto abbiamo a portata di mano i Miraculous del Gatto e della Coccinella.»
Quelle parole, sebbene non fossero rivolte a lui, lo ferirono come non avevano mai fatto, ma prima che potesse proferire parola e sputargli in faccia tutta la sua frustrazione e delusione per quello che gli stava facendo, qualcuno lo precedette.
«Come osi trattare Nooroo così? Tu non hai nessun diritto di trattare mio fratello così! Nessuno! Sei solo uno stupido essere umano… Brutto…!»
Adrien dovette afferrare il suo kwami e tenerlo stretto in mano, prima che andasse dritto e spedito verso suo padre. 
«Plagg, per favore, calmati…» cercò di dire, ma in realtà provava la sua stessa rabbia ed il suo stesso dolore.
«Calmarmi? Ti rendi conto o no che fino a questo momento abbiamo lottato contro tuo padre?» sbottò il piccolo gatto nero, voltandosi furioso verso il proprio padrone.
«Lo so bene.» disse riversando lo stesso odio nello sguardo che stava rivolgendo a Gabriel Agreste, che continuava a rimanere impassibile.
«Sì, è vero, - cominciò a parlare l’uomo, con una calma e una freddezza degna di lui - sono Papillon. Ho sempre cercato di ottenere i vostri Miraculous, ma è tutto per una giusta causa.»
«Giusta causa? Hai messo nel terrore l’intera città per quasi un anno!»
«Tua madre è sparita in Tibet per colpa di questi stupidi gioielli!» disse stringendo la spilla che aveva al collo: a quel gesto il piccolo kwami violaceo a forma di farfalla, fece una smorfia di dolore, accompagnata da un piccolo gemito.
«Nooroo!» urlò preoccupato il piccolo gatto nero, ancora intrappolato nel suo pugno.
Voleva rispondere, ma di nuovo qualcuno parlò al posto suo: una voce dolce, decisa, una voce che amava alla follia, come la persona che la possedeva.
«Sua moglie non avrebbe voluto che lei si comportasse così per vendetta, sua moglie avrebbe voluto che lei continuasse a vivere, ad aspettarla nonostante tutto, a prendersi cura del figlio a cui avete dato vita assieme.» concluse affiancandolo e lanciandogli un leggero sorriso, che non poté fare a meno di ricambiare.


«Io mi sono sempre preso cura di Adrien! Lui era al sicuro, finché non ha conosciuto te!» disse l’uomo indicandola con rabbia.
«Non dare la colpa a lei, per le cose che non sai controllare! Io non sono una tua proprietà e mamma non mi avrebbe mai serrato in casa come hai fatto tu per quattro anni!» sbraitò Adrien, di fianco a lei.
Era evidentemente arrabbiato, ma lei che lo conosceva bene, vedeva anche tanta delusione e dolore: nella sua voce, nei suoi sguardi e nei suoi gesti. Il suo Adrien stava soffrendo e lei non sapeva come aiutarlo.
«Ora basta! - sentenziò Gabriel Agreste - Non ho tempo da perdere con dei bambini! Nooroo, trasformami!» disse.
In quello stesso istante il kwami viola venne risucchiato dalla spilla e subito dopo fu avvolto da una miriade di farfalle, quando esse sparirono al posto del grande stilista parigino si trovava il terrore di tutta la città, nella sua elegante tenuta nera, completamente diversa dalle tutine aderenti che indossavano i giovani eroi.
«Angelie, prendi i loro Miraculous!» ordinò con tono autoritario e la mora scostò i capelli per poi passare le mani davanti al volto e diventare un grosso serpente, grande quanto era lei da umana.
«Non li avrai! La mamma ha lottato per difendere i Miraculous, i kwami e il potere che nascondo e tu non lo userai per vendicarla o per trovarla…» disse deciso, per poi lasciare il piccolo kwami nero e ordinagli di trasformarlo.
Lo vide trasformarsi di fianco a lei e, come accadeva negli ultimi tempi quando lo vedeva tramutarsi da Adrien a Chat Noir, rimase quasi incantata da quei gesti decisi e virili che caratterizzavano la sua trasformazione, subito dopo si mise in posizione di battaglia, ma lei lo bloccò.
«Non ne vale la pena, Chat!» cercò di calmarlo.
«Ascolta la tua amica Adrien, consegnatemi i gioielli, senza fare resistenza inutile.» disse tranquillamente il portatore del Miraculous della Farfalla, mentre il serpente di fianco a lui continuava a sibilare, pronto ad attaccare.
«Mai!» urlò il biondo tirando fuori il bastone dal suo fianco, la stessa cosa fece lei mettendo mano al suo yo-yo, nello stesso momento le altre due eroine li affiancarono: Volpina stringendo la sua frusta arancione e JBee che invece teneva il braccio destro, perfettamente armato, verso il serpente. Ladybug aveva visto poco prima la sua compagna usare quell’arma, sparava miele appiccicoso che bloccava il nemico.
«Cosa pensate di fare, dopo che ci avrete sconfitto? - chiese ancora Papillon - Adrien vivi qui, pensi che le cose cambieranno? Otterrò quell’anello che tu lo voglia o no!»
«Mi rifiuto di vivere ancora con te. Tu non sei mio padre, mio padre non mi avrebbe mai fatto questo, non avrebbe mai fatto questo al ricordo della mamma!» sentenziò lui, i suoi toni si erano calmati un po’, ma Marinette percepiva ancora il dolore nella sua voce.
«JBee, il tuo potere!» disse subito.
L’eroina dai capelli rossi, allora, alzò anche l’altro braccio e puntandoli verso l’uomo e il serpente usò il suo potere.
«Honeyshock!» urlò, subito dopo entrambi caddero a terra svenuti e Angelie riprese le sue normali sembianze.
«Muoviamoci! - disse Chat - Abbiamo cinque minuti per raccogliere la mia roba e andarcene da qui?»
«Raccogliere la tua roba? Scusa poi dove vai?» chiese lei.
«Beh è un gatto, può sempre fare il randagio e vivere sotto un ponte!» disse l’eroina arancione, che subito dopo ricevette una gomitata dalla sua amica.
«Verrò a dormire da te, ovvio!» disse invece il gatto nero, ignorando completamente la battuta della volpe.
«Co… cosa? Da me? Ma io… Ma-ma…» all’improvviso fu sicura che il suo volto era diventato dello stesso colore della sua maschera.
«Uuuhh, qui le cose si fanno serie! A quando il matrimonio?» chiese Volpina divertita.
A quelle parole sentì il sangue inondarle ancora di più le guance, non riuscendo a proferire neanche una parola.
«Ma-matrimonio?»
Alzò lo sguardo stupito, era la prima volta che vedeva Chat Noir paonazzo, con Adrien era capitato alcune volte, rare, ma era successo, però vedere Chat Noir rosso in volto era qualcosa di davvero incredibile.
«Ragazzi, non vorrei interrompere i vostri sogni amorosi, ma abbiamo quattro minuti, dovremmo muoverci!» sentenziò l’eroina dell’ape sentendo il primo avviso del suo pettine.

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Capitolo 30
*** La convivenza ***


La convivenza

«Il fatto è che suo padre è stato akumatizzato e, a quanto pare, Ladybug e Chat Noir attualmente sono impegnati, quindi per proteggerlo ho pensato di farlo stare qui per un po’.» disse la ragazza ai genitori.
Gli venne quasi da ridere nel vederla: era partita tutta decisa con quella spiegazione, ma poi man mano che andava avanti con la storia le sue guance si coloravano e la sua voce calava. Era davvero bella quando era imbarazzata e intimidita.
Quella storia se l’erano inventata nel tragitto verso la boulangerie assieme alle altre due eroine, in modo che i genitori di Marinette potessero credergli.
«Ma certo che puoi dormire qui Adrien!» rispose subito entusiasta Sabine Cheng, rivolgendosi direttamente a lui e regalandogli un bellissimo sorriso: era certo, la bellezza e la delicatezza dei lineamenti, Marinette, li aveva presi dalla madre.
«Grazie mille!» disse chinando il capo.
«Mi spiace solo che non avrai un vero e proprio letto in cui riposarti.» continuò la cinese con un’aria un po’ di spiaciuta.
«Oh, non si preoccupi signora Cheng, il divano andrà più che bene.» rispose tranquillamente.
«Divano? No, no, assolutamente: perché farti dormire nel divano, la chaise-longue in camera di Marinette è molto più comoda.»
«Cosa?!» vide la sua ragazza impallidire all’improvviso e poi arrossarsi di nuovo, chissà cosa passava nella sua testa in quel momento. 
Anche lui effettivamente a quella notizia iniziò a sentirsi a disagio: l’idea di dormire nella stessa stanza con lei lo eccitava parecchio, ma allo stesso tempo lo rendeva nervoso e, in quel disagio, le parole di Volpina, quelle che aveva detto a casa sua, gli rimbombarono nella testa come una campana che non voleva smettere di suonare. Cosa gli stava succedendo? Da quando qualcosa lo rendeva imbarazzato? Insomma era successo sì, ma da quando era diventato Chat Noir aveva imparato a controllare le sue emozioni, soprattutto quel genere di emozioni, eppure non poteva fare a meno di sentire il cuore martellargli nel petto.


«Ecco qua!» disse la cinese poggiando un lenzuolo, una coperta leggera e un cuscino già con la federa, sopra la chaise-longue, per poi scomparire di nuovo dalla botola e lasciarli soli.
Intanto Adrien poggiò il borsone, che aveva riempito con l’indispensabile prima di scappare da casa, proprio lì vicino.
«Dove sono finite tutte le mie foto?» chiese con un tono da finto offeso, notando la parete sopra la scrivania completamente vuota, facendole scappare un riso divertito, mentre si chinava sulla borsa.
«Tranquillo, non le ho buttate. - cominciò mentre apriva la cerniera del borsone, per far uscire i due kwami - È che volevo mettere…»
«Plagg smettila di giocarci!» sbottò la creatura rossa attirando l’attenzione di entrambi i ragazzi.
La prima a vedere cosa stava succedendo, ovviamente, fu Marinette che era proprio lì, chinata sopra di loro: il kwami gatto stava saltellando sopra un piccolo tubo di plastica, ricurvo nella parte finale. La ragazza lo afferrò tra le dita, facendo cadere il kwami sui vestiti ben piegati dentro la sacca nera.
Guardò quel tubo accigliata, non perché non sapesse cos’era, insomma l’aveva visto un sacco di volte in TV in qualche film. Quello che la stupiva era il perché si trovasse dentro quella borsa.
Alzò il suo sguardo dubbioso verso il biondo che stava guardando nervosamente la sua mano, quando però si accorse del suo sguardo azzurro addosso, si avvicinò a lei e, togliendole l’oggetto dalla mano, le sorrise ficcandoselo in tasca.
«Allora… Facciamo il letto?» chiese prendendo il lenzuolo che Sabine aveva portato su.
La ragazza si alzò per poi prendere due lembi dello stesso pezzo di stoffa bianca e stenderlo su quel letto improvvisato.
Non ci misero molto e dopo aver sistemato tutto si sedettero entrambi sul loro lavoro.
«Beh è il mio turno… - cominciò Marinette, prendendo il ragazzo alla sprovvista e, vedendolo voltarsi stupito, chiarì subito il dubbio che gli leggeva negli occhi - Ho io la domanda del giorno per te…»
A quell’affermazione lo vide sospirare, come se sapesse già quale sarebbe stata la domanda e sicuramente pensava bene, ma a lei non importava, se dovevano condividere tutto voleva dire tutto.
«Spara!» disse con un’altro sospiro.
«Per quale motivo avevi un’inalatore nella borsa?» domandò subito dopo, tutto d’un fiato.
Lui rimase un po’ zitto, poi tirò fuori l’oggetto dalla tasca, osservandolo quasi con uno sguardo di odio.
«Fino a tre anni fa, ho sofferto d’asma per attacchi di panico. Mi sembrava una vita che non usavo più questa maledetta cosa.» le ultime parole quasi le sibilò, stringendo con rabbia il piccolo tubo.
«Ed ora? Perché usi il passato? È tornato?» chiese lei, non sapeva cosa dire.
«L’altro giorno… quando Angelie ti ha rapita… Io ero qui e… ho trovato la sua lettera… Avevo paura… Avevo paura che… che…» nonostante stesse iniziando a respirare affannosamente e male, lanciò il tubo contro il muro, furioso.
«Calmati Adrien. - lo rassicurò lei avvolgendo entrambe le braccia attorno al suo corpo e facendo in modo che si avvicinasse ancora di più a lei - Sono qui, ti prometto che andrà tutto bene…» a quelle parole il ragazzo scoppiò a piangere, finalmente stava buttando fuori tutto il dolore accumulato in chissà quanti anni. 
Marinette percepì una fitta al cuore nel vederlo in quelle condizioni: un cucciolo abbandonato, ecco cos’era. Continuò ad accarezzarlo dolcemente baciandolo lievemente sui capelli biondi.
«Risolveremo tutto, promesso. Vedrai che ce la faremo, noi insieme riusciremo a fare tutto.» concluse rassicurandolo, mentre lanciava un occhiata ai due kwami che facendo capolino dalla borsa guardavano entrambi la scena con occhi pieni di tristezza e commozione.


«Marinette, Adrien se non vi svegliate arriverete tardi a scuola!» disse una voce dolce dal piano di sotto.
La ragazza mugugnò qualcosa di sconnesso, mentre lui in realtà era già sveglio da una buona mezz’ora ed era già vestito.
La sera prima erano stati svegli fino agli tardi a parlare: avevano rotto la regola della domanda al giorno e si erano raccontati tante di quelle cose, che adesso era come se si conoscessero da tutta una vita. Adrien aveva scoperto che Marinette aveva paura dei tuoni e che nella loro battaglia contro Tempestosa aveva lottato con tutta se stessa per non fargli notare che era terrorizzata. Lui le aveva raccontato invece, che da quando avevano affrontato il Cieco, aveva iniziato ad aver paura del buio assoluto. Si erano raccontati ricordi di quando erano bambini e Marinette gli aveva mostrato alcune foto di quando era piccolina. Aveva insistito per prenderne una in cui indossava un bellissimo vestito rosa da principessa, promettendole che gliene avrebbe dato una sua appena fosse stato possibile.
Quando entrambi furono talmente stanchi da non riuscire quasi a tenere gli occhi aperti, Marinette salì nel soppalco come uno zombie, ed entrambi si misero sotto le coperte augurandosi la buonanotte. In quelle lenzuola che odoravano di pulito si era addormentato profondamente ed aveva dormito, finalmente, tranquillo.
Vide Marinette scendere: indossava lo stesso pigiama della sera prima, un pantaloncino fucsia e una canottierina bianca che le copriva appena la pancia.
«Buongiorno dolcezza!» la salutò lui con sorriso.
Marinette, probabilmente non ricordandosi che lui era lì, si era voltata di botto, arrossendo vistosamente, per poi cominciare a balbettare.
«A… Ad… Adr…» all’improvviso mise male il piede su uno dei gradini e probabilmente si sarebbe rotta l’osso del collo se lui con uno scatto, tipico del supereroe nero, non si fosse lanciato a prenderla.
«Maledizione Marinette, stai attenta a dove metti i piedi.» protestò, guardandola intensamente.
«Scusa…» disse scostandosi da lui, ancora rossa in volto, dopodiché prese dei vestiti dal suo armadio e disse ad Adrien di scendere, mentre lei sarebbe andata a lavarsi e cambiarsi.
Poco dopo uscirono dalla boulangerie con un croissant a testa in una mano e quella dell’altro nell’altra.
«Questa poi… Com’è che siete usciti tutti e due da casa di Marinette?» chiese Alya, mentre i due davano gli ultimi bocconi alla brioche, a quella domanda la bruna arrossì, così toccò a lui rispondere.
«Por un po’ durmerò du loei…»
«Tesoro, non lo sai che non si parla con la bocca piena? - lo rimproverò mentre lui ingoiava il boccone - Comunque questo l’avevo capito, mi chiedevo solo perché… Insomma state insieme da poco più di una settimana e già dormite nella stessa casa, mi sembra un po’ esagerato.» disse tutto d’un fiato la castana, aggiustandosi gli occhiali.
«Suo padre è stato akumatizzato e né Ladybug né Chat Noir si sono fatti vedere, quindi abbiamo pensato che sarebbe stato meglio…»
«Oh, a proposito di Ladybug e Chat Noir… Hai visto la foto che ho postato qualche giorno fa sul Ladyblog?» chiese, con gli occhi che le brillavano per l’eccitazione.
«Quale foto?» chiese dubbiosa la sua compagna, la voce sembrava tremarle e probabilmente Alya pensava che fosse euforica quanto lei, ma in realtà Adrien sapeva che era per l’agitazione e la paura di essere scoperta.
La mora prese il cellulare e dopo aver digitato qualcosa mostrò la foto ad entrambi: per fortuna era scattata da parecchio lontano, ma si vedevano distintamente tre figure, una nera, una arancione e una gialla che balzavano sui tetti di un quartiere di Parigi.
«Guarda, Chat Noir sembra avere in braccio qualcuno, magari è Ladybug, ecco perché non si fanno più vedere, è stata ferita e poi ci sono quelle altre due eroine, almeno credo siano femmine. Forse sono in mezzo a qualcosa di grosso…»
Era una macchinetta. Come diavolo si spegneva? Continuò a parlare finché non arrivarono in classe, mentre Marinette l’ascoltava interessata, sviandole le idee se nelle sue congetture si avvicinava troppo alla verità. 


La giornata scolastica passò in fretta e i due uscirono dalla scuola salutando Alya e Nino proprio in cima alle scale.
«Adrienuccio, che ne dici se andiamo a fare shopping oggi?» chiese Chloé saltando addosso al biondo, facendolo quasi cadere.
«Mi spiace Chloé, ma non posso… Io…» si voltò verso di lei chiedendole aiuto con gli occhi e per un’attimo le scappò da ridere.
«Dobbiamo andare da mio zio Fu, Jinnifer mi ha appena mandato un messaggio: dice che è importante.» disse avvicinandosi a loro.
Cercò di rimanere seria, visto che il messaggio era vero, ma la visione di Adrien tra le grinfie laccate di giallo della piccola e viziata figlia del sindaco, la faceva troppo ridere e pensare che probabilmente qualche giorno prima sarebbe morta d’invidia per una scena del genere.
«Oh sì, certo… Lo zio Fu! Scusa Chloé, devo proprio andare.» disse lui, staccandosi dalla bionda che sbuffò scocciata e si allontanò.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e lei scoppiò finalmente a ridere, non riuscendo più a trattenersi.
«Cos’hai da ridere, insettina?» le si rivolse lui con tono offeso.
«Nulla… nulla… - disse lei, cercando di calmarsi e tornare a respirare normalmente, poi però qualcosa la fece smettere all’improvviso di ridere, anzi proprio di sorridere - Adrien, ma quella non è la tua limousine?» chiese indicando la lunga auto bianca che stava svoltando proprio in quel momento nella via.
«Oh cavolo, ha mandato Nathalie a prendermi. Corri!» la incitò, prendendola poi per il polso e iniziando a correre.

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Capitolo 31
*** La squadra ***


La squadra

Adrien stava continuando a fissare il ragazzo, come se potesse bruciarlo solo con gli occhi e sicuramente lui sentiva quello sguardo furioso addosso, perché teneva il viso basso, o forse era solo la sua timidezza.
Come diavolo era venuto in mente a Fu di scegliere quell’incapace piattola come possessore del Miraculous di sua madre? Avrebbe accettato tutti, tutti, persino Chloé, ma non lui, non lui che, appena entrato nella stanza in cui si trovavano tutti, assieme al nuovo possessore del Miraculous della tartaruga, aveva salutato Marinette con quel suo sorriso da ebete.
Pensava forse non se ne fosse accorto: di tutti gli sguardi speranzosi, dispiaciuti e quasi supplichevoli che aveva mandato loro in classe da quando avevano annunciato a tutti la loro relazione? Sapeva benissimo cosa quel “pel di carota” provasse per la sua ragazza. Esatto, era sua, se si sarebbe azzardato ad avvicinarsi a lei in un modo diverso da quello di un’alleato l’avrebbe preso a pugni.
All’improvviso, mentre continuava a fissarlo furioso, ricevette una gomitata da lei che lo fece voltare, vedendola rimproverarlo con lo sguardo. Fantastico, ci mancava solo che lo difendesse.
«Immagino che ora vogliate parlare un po’ per conoscervi e conoscere i vostri kwami.» disse Fu alzandosi e uscendo dalla stanza.
In un’attimo calò l’assoluto silenzio, nessuno sapeva cosa dire o cosa fare e l’imbarazzo regnava sovrano.
«Beh, visto che nessuno parla comincerò io. Qualcuno mi conosce già e qualcun altro no. - disse la ragazza dai capelli rossi, accarezzandosi la treccia che partiva dalla nuca sorreggendo il pettine dell’Ape - Mi chiamo Jinnifer, sono inglese e possiedo il Miraculous dell’ape, lui è Spott.» continuò facendo uscire il suo kwami dalla borsetta.
«Aaaah, finalmente! Si soffocava là dentro. Jin ti prego togli quel lucidalabbra dalla tua borsa, a forza di sentire odore di fragole mi stava venendo la nausea!» protestò l’esserino giallo e nero, appena uscito dal nascondiglio.
«Spoooott!!» esclamò il kwami nero, tuffandosi fuori dalla camicia di Adrien e lanciandosi tra le braccia dell’altra creatura.
«Oh Plagg, quanto tempo è passato?»
«Dal Sessantotto, credo.» intervenne la kwami rossa sbucando dalla borsa.
«Ciao Tikki!» esclamò sempre più entusiasta l’esserino giallo.
«Bonjour, arraffa patatine.» ricambiò lei, mentre il kwami dell’ape arrossiva, per l’appellativo appena ricevuto.
«Beh come sospettavo i nostri kwami si conoscono.» sentenziò Marinette guardando i tre piccoletti concludere la conversazione.
«Già, ma la domanda è… Va bene Tian e Na… Nathe…»
«Nathaniel!» le suggerì il diretto interessato.
«Sì, Nathaniel… Va bene loro due che non hanno indossato il Miraculous, quindi i kwami sono ancora intrappolati, ma… - dopodiché l’italiana aprì la sua borsa e ci guardò dentro - Holly, mi spieghi perché non vuoi uscire?»
«Non voglio e basta!» protestò una vocina da dentro la borsa.
«Ah, ci risiamo…» si lamentò Plagg che per tutta risposta ricevette un colpo dalla sua compagna rossa, che poi si diresse verso la portatrice del Miraculous della Volpe.
«Lila, posso..?» chiese educatamente.
«Certo!» rispose lei tranquillamente, aprendo di più la sua borsa.
Per qualche secondo si sentì bisbigliare, poi da essa ne uscì Tikki, che teneva per la zampa una kwami volpe con due orecchiette arancioni, gli occhi di un viola sfavillante e una coda che aveva l’aria di essere morbidissima.
«Com’è carina!» esclamò Marinette incantata da quel piccolo essere.
«Holly, tutto ok?» chiese il kwami dell’ape guardandola divertito.
Lei rispose solo con un cenno di testa continuando a fissare, invece, Plagg.
«Smettila di guardarmi così!» protestò lui.
La kwami arancione allora distolse lo sguardo e si concentrò su altro.
«Non ci ho capito nulla ma penso tocchi a me: io sono Volpina, o attualmente Lila, vengo dall’Italia e possiedo il Miraculous della Volpe!» disse mostrando il pendente che aveva al collo.
«Noi due penso non abbiamo bisogno di presentazioni, giusto my lady?» disse Adrien con un sorriso malizioso avvolgendo un braccio attorno alle spalle di Marinette che subito divenne rossa come un peperone.
«No… Noi due… saimo… cioè siamo… LadyNoir e ChatBug, cioè volevo dire…» nello stesso momento, mentre Marinette era concentrata a blaterare parole senza senso, lui lanciò uno sguardo di sfida al rosso che continuava a fissarli nervosamente.
«E voi? Potete presentarvi indossando i vostri Miraculous. - intervenne Lila sorridendo ai due nuovi arrivati - così li conosciamo e li conoscete anche voi.»
«Io Wayzz l’ho già conosciuto. - intervenne subito il cinese mettendosi il bracciale al polso - Si è presentato a me, prima che mio nonno Fu se lo togliesse.»
«Un momento… Tu sei il nipote di Myagi?» chiese Adrien stupito.
Il ragazzo rispose con un cenno di testa, mentre il piccolo kwami della tartaruga faceva la sua apparizione.
«È bello rivederti Wayzz!» disse il kwami della volpe con un sorriso gentile.
«Il piacere è reciproco Holly.» disse la creatura verde avvicinandosi al gruppo che si era creato al centro del cerchio formato dai ragazzi e sorridendo a tutti.
«Sì sono il nipote di Fu, - continuò il giovane cinese - e sono in Francia da ormai sei anni, anche se vivevo a Marsiglia fino a una settimana fa. È stato il nonno a chiamarmi, dicendomi che aveva bisogno di me, ed eccomi qui.»
«E tu?» chiese Jinnifer cercando di essere cortese con Nathaniel che era ancora a disagio.
«Beh ecco io… Non so se questa cosa fa per me… Insomma io non sono un supereroe.» commentò a mezza voce, ma tutti l’avevano sentito.
«Ah sciocchezze, se Fu ti ha scelto ci sarà un motivo!» lo incoraggiò l’italiana.
«È vero Nathaniel. Sai anche io credevo di non essere adatta quando trovai gli orecchini di Ladybug e invece guardami ora.» insistette Marinette regalandogli un meraviglioso sorriso, un sorriso che fece diventare ancora più paonazzo il rosso, ma anche verde d’invidia Adrien.
«O… Ok… Mi chiamo Nathaniel e vado in classe con Marinette e Adrien…»
«Sì, sì, molto interessante… Ora indossa quella spilla che devo fare un discorsetto a quel pennuto da strapazzo!» lo incitò Plagg incrociando le zampette davanti al petto.
«Plagg, smettila! Sono passati quasi quarant’anni!» lo rimproverò Tikki.
«Potrebbero esserne passati cento, nessuno può provare a…» non finì la frase, perché con un po’ di fatica il ragazzo aveva indossato la spilla sulla sua maglia verde pastello e dopo un’intensa luce blu era apparso il piccolo kwami pavone, con una bellissima coda colorata - Penn! Brutto idiota!» sbraitò Plagg non appena lo vide.
«Oh mamma!» urlò l’esserino blu nascondendosi sotto il braccio del suo possessore.
Il biondo dovette afferrare il piccolo gatto nero tra le dita, perché altrimenti sarebbe stato capace di saltare in faccia a un già fin troppo spaventato Nathaniel, non che la cosa gli sarebbe dispiaciuta, ma non voleva passare troppo dalla parte del torto.
«Si può sapere che ti prende, piccola peste?» chiese rivolto al suo kwami.
«Cosa mi prende? Mi prende che quel maledetto ingrato ci ha provato con la mia donna! Quando ci consideravamo fratelli!» urlò il piccolo gatto furioso.
«Tsè… Ha parlato quello che ha spezzato il cuore alla sua migliore amica!» ribatté il piccolo kwami blu, uscendo dal suo nascondiglio e prendendolo in giro.
«Ora basta! - urlò Tikki - Potremmo smetterla per una volta di litigare come se avessimo cinque anni? Qui la cosa è seria! Nooroo ha bisogno di noi e voi ve ne state a litigare come se non fosse successo niente.»
La stanza si zittì, sia umani che kwami comprendevano la gravità della situazione. Gabriel Agreste, il padre di Adrien, stava usando il piccolo kwami della farfalla per akumatizzare Parigi, nel tentativo di ottenere i Miraculous del Gatto e della Coccinella, o forse tutti e la cosa peggiore era che Nooroo non poteva opporsi al volere del suo portatore, nonostante non condividesse le sue idee.


«A che pensi, my lady?» chiese Adrien abbracciandola, entrambi sdraiati sul letto della ragazza.
«Lui sa la mia vera identità, sa che siamo qui e se venisse a riprenderti? Se ci prendesse i Miraculous?» chiese, la voce sembrava tremarle.
«Ehi, andrà tutto bene, ok? Tutto bene… Vedrai che presto finirà tutto.» disse lui tentando di rassicurarla.ù
In realtà anche lui era preoccupato quanto lei, era solo la seconda notte che dormiva fuori casa, ma nonostante fosse con lei e fosse sicuro del fatto che non sarebbe voluto stare con nessun altro, si sentiva a disagio. Come se fosse chiuso in gabbia impossibilitato dal fuggire, perché altrimenti l’avrebbero braccato cose ben peggiori. 
«Adrien…» sussurrò lei chiudendo gli occhi.
«Mh..?»
«Rimani qui con me a dormire stanotte?» chiese.
Il ragazzo abbassò stupito lo sguardo su di lei e la vide paonazza.
«Tutto il tempo che vuoi, principessa!» le sussurrò lui, per poi baciarle la fronte e stringerla ancora di più tra le sue braccia.

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Capitolo 32
*** Il cinema ***


Il cinema

«Soui sucura?»
«Adrien, potresti smetterla di mangiare con la bocca piena?» lo rimproverò la mora al suo fianco, mentre, come succedeva ormai da quasi una settimana, attendevano che scattasse il verde per attraversare la strada e dirigersi all’ingresso della Dupoun.
Dall’altro lato li attendevano Alya e Nino, che li stavano salutando agitando le mani. Marinette ricambiò il saluto dei due amici, mentre il biondo ingoiava il boccone.
«Scusa... Dicevo, sei sicura?»
Lei abbassò il braccio, che aveva usato per salutare e fece un cenno con la testa per rispondere a lui.
«Me l’ha detto Lila ieri pomeriggio, quando ci siamo sentite.» puntualizzò, spiegando la sua breve risposta.
«E da quando tu e la volpe siete amiche per la pelle?» chiese Adrien pulendosi gli angoli della bocca con il pollice e l’indice, per poi mettere la mano in tasca.
«Non siamo amiche per la pelle Adrien, siamo alleate, dovresti imparare questa parola, visto che ti comporti così anche con Nathaniel.»
Scattò il verde e i due iniziarono ad attraversare la strada.
«Per me sei tu l’unica alleata di cui mi fido, my lady.» rispose facendole l’occhiolino.
La ragazza sospirò esasperata: più passava il tempo più notava che il vero Adrien non era affatto il semplice ragazzo gentile e di classe che immaginava, ma piuttosto era un incrocio tra quello e Chat Noir. Il problema era che spesso il caratterino sfrontato e orgoglioso di Chat Noir ancora la irritava, eppure in fondo, sapeva bene che amava anche questo suo lato, non per nulla si era innamorata anche di Chat prima ancora di scoprire che erano entrambi la stessa persona.
I due raggiunsero gli amici al limitare della scalinata che li avrebbe portati a scuola.
«Allora piccioncini come va la convivenza?» chiese Alya con il suo solito tono malizioso e divertito allo stesso tempo.
«Alya per favore, non ricominciare…» rispose scocciata la corvina, superando gli amici e salendo le scale.


«Ma che le hai fatto?» gli chiese Nino, stupito del comportamento della ragazza.
«Ah tranquillo, è solo un brutto periodo. Insomma è bello stare insieme tutto il giorno, ma le cose a casa da me non sembrano migliorare e siamo entrambi un po’ preoccupati, tutto qui.» rispose il biondo con un’alzata di spalle, iniziando a salire gli scalini coi due amici.
«E come se non bastasse Chat Noir e Ladybug sembrano spariti da quasi una settimana. - attaccò Alya pensierosa - È strano, non ci hanno mai messo così tanto ad intervenire.»
«Magari non sono soltanto gli eroi di Parigi e sono da qualche altra parte a salvare qualcun altro, in fondo, nonostante il padre di Adrien sia stato akumatizzato, non ha fatto danni fino ad ora, perciò magari non se ne sono neanche accorti.» rispose il fidanzato.
«È possibile. In fondo noi lo sappiamo solo perché ce l’hanno detto Adrien e Marinette, ma ancora non si è visto in giro. Però anche questo è strano, che piano avrà in mente Papillon nello sfruttare il signor Agreste in questo modo?» disse pensierosa la ragazza strofinandosi il mento.
Lui li stava ascoltando discutere di ciò che accadeva a casa sua senza dire niente, era come se si fossero dimenticati che lui fosse lì presente.
Il pensiero di quello che era accaduto cinque giorni prima ancora lo infastidiva. Non riusciva a capacitarsene: suo padre, nonostante il suo lato severo e intransigente era una delle pochissime persone di cui si era fidato sempre. Invece no, la sua fiducia era stata mal riposta, suo padre era Papillon: quell’uomo perfido che oscurava i cuori delle persone per ottenere il suo Miraculous e quello di Ladybug. 
Un sacco di volte, prima di addormentarsi sulla chaise-long in camera della sua fidanzata, aveva rimuginato sulle motivazioni e sui sentimenti che poteva provare suo padre dopo l’abbandono di sua madre, ma non trovava mai una giustificazione adatta per tutto quello. Insomma, anche lui era rimasto dispiaciuto, anche lui si era sentito abbandonato e affranto, ma di certo non aveva alimentato quella frustrazione sfruttando Plagg per qualcosa di malvagio. No, non poteva perdonare suo padre.
«Adrien stai bene?» la voce della sua dolce metà lo riportò alla realtà. 
Senza rendersene conto aveva raggiunto l’ingresso dell’aula, Marinette si era avvicinata lui ed ora lo stava guardando preoccupata.
«Sì, sì, tutto ok.» rispose, riscuotendosi e andando verso il suo posto.
Durante la lezione cercò di dimenticare quei brutti pensieri, aveva un piano per il pomeriggio e vista la notizia che Lila aveva dato a Marinette, sul fatto che suo padre sembrava fosse partito per un viaggio di affari, lui poteva stare tranquillo che non sarebbe accaduto nulla per almeno un paio di giorni. In fondo era ovvio, nonostante fosse Papillon, suo padre non poteva certo abbandonare la maison per troppo tempo.


Le lezioni mattutine passarono più lente di quanto si aspettasse: era stata tutto il tempo a prendere appunti e si sentiva spossata. Sapeva però che quella stanchezza non dipendeva affatto dallo spiegare della professoressa Bustier, ma dal fatto che ormai da una settimana a quella parte dormiva male. La notte si ritrovava, la maggior parte del tempo sveglia a cercare una soluzione per sconfiggere definitivamente Papillon, senza fare del male a Gabriel Agreste, ma nemmeno Tikki aveva la vaga idea di cosa fare. Come se non bastasse sentiva Adrien, al piano di sotto della sua stanza rigirarsi nervoso nella chaise-long, probabilmente perché nemmeno lui riusciva a dormire.
L’unica volta che avevano dormito entrambi bene era stata la volta in cui erano rimasti insieme nel suo letto, la sera dell’ultima riunione da Fu, ma il risveglio il giorno dopo era stato talmente imbarazzante per Marinette, che non ebbe più il coraggio di invitare il ragazzo a rimanere con lei.
Perciò quando la campanella suonò, decretando la fine delle ore mattutine, la ragazza tirò un sospiro di sollievo.
«Allora mangiamo insieme per pranzo?» chiese Nino, voltandosi indietro verso di loro.
«Perché no? Possiamo andare al Café de Flore, ho sentito che fanno le insalate migliori di tutta Parigi.» propose Adrien, che aveva finito di sistemare la sua borsa e si era voltato a sua volta verso le ragazze.
«A-al Café de-de Flore?» chiese sconvolta la ragazza sentendosi avvampare.
«Uuuh, la piccola e balbettante Marinette è tornata, credevo non l’avrei più sentita.» scherzò Alya divertita.
La corvina la linciò con lo sguardo, per poi cercare di riprendere un tono normale di voce, anche se le costava parecchia fatica e sentiva ancora quel fastidioso calore alle guance.
«P-perché proprio lì? I-insomma, mio padre fa degli ottimi panini…» cercò di convincerli, ma sinceramente, nemmeno lei si sarebbe convinta se qualcuno le avesse parlato così.
«Dai offro io!» sorrise Adrien, mettendole un braccio attorno alle spalle e scortandola fuori dall’aula, seguiti dagli altri due.
«M-ma…» tentò di protestare ancora, ma Nino parlò prima di lei.
«Non capisco, quale problema c’è ad andare al Café de Flore?»
Alya, a quella domanda fece un verso esasperato.
«Proprio non ci arrivi testa di rapa? È stato il luogo del primo appuntamento di questi due piccioncini.»
«Non era un appuntamento…!» protestò lei, sempre più rossa.
«Oh sì che lo era…» puntualizzò con tono malizioso il biondo di fianco a lei, stringendola di più.
«Cosa? Ma se neanche ti piacevo allora?» chiese sconvolta lei, ormai sicura di essere un pomodoro ambulante.
«E chi te lo dice? Per quanto ne sai tu, potrei essere stato innamorato di te dal primo giorno che ci siamo incontrati.» le sorrise facendole l’occhiolino.
«Mentre le mettevi la gomma da masticare nella sedia?» chiese dubbiosa Alya.
«Ehi, non sono stato io! Io stavo cercando di toglierla!» protestò Adrien con il suo miglior faccino imbronciato, mentre il gruppo usciva dalla scuola e iniziava a scendere le scale: alla vista di quella faccia, tutto l’imbarazzo sparì e scoppiò a ridere divertita.
«Ti faccio così ridere, my lady?» chiese lui volgendosi di nuovo verso la fidanzata.
«Quando fai quel musetto da gattino offeso? Sì decisamente!» lo prese in giro lei, continuando a ridere.
«Ma guarda che teneri questi due.» commentò divertita Alya.


«Senti Marinette, che ne dici di andare al cinema, visto che non abbiamo lezioni pomeridiane?» chiese, non appena si furono separati da Alya e Nino, dopo il pranzo.
«Al cinema?» chiese Marinette stupita, voltandosi verso di lui.
«Beh insomma, non abbiamo mai avuto un appuntamento come si deve da quando stiamo insieme e sai quanto ci tengo ad essere il tuo principe azzurro purrrfetto.»
Dalla bocca della ragazza uscì quella risata cristallina che lui adorava, poi arrivò la risposta.
«Per me sei sempre perfetto, anche quando fai lo sborone, caro il mio micetto. Comunque sì, vengo volentieri al cinema con te.» concluse, prendendogli la mano.
Ricambiò la stretta appena sentì le sue dita delicate sfiorargli il palmo, per poi girare a sinistra e dirigersi verso il Cinéma le Saint Germain des Prés che era proprio a due passi dal Café de Flore.
«Che andiamo a vedere di bello?» chiese Marinette con tono curioso.
«Oh, lo vedrai.»
Entrarono nel multisala e la prima cosa che attirò l’attenzione di entrambi fu una locandina parecchio grande, con sopra scritto a caratteri eleganti L’accademia La Fémis, in collaborazione con i vincitori della Dupoun presenta: Mouline Rouge ma al posto di Nichole Kidman ed Ewan McGregor, vestiti da Satine e Christian, c’erano loro due.
Il ragazzo si voltò soddisfatto verso di lei e la vide arrossire.
«Ma, ma…» tentò di dire lei. 
«L’ho scoperto ieri girando su internet. Tranquilla il film è quello originale, ma ne valeva la pena no?»
La ragazza annuì, ancora rossa in volto.


Mai avrebbe pensato che un giorno sarebbe andata al cinema con Adrien Agreste, mai avrebbe pensato di incrociare la sua mano nel cesto dei popcorn e preferire tenere strette le sue dita invece di buttarsi i chicchi di grano turco scoppiati in bocca, mai avrebbe pensato di vedere quello che riteneva uno dei film più romantici che avesse mai visto al suo fianco.
Ma la cosa che la lasciò completamente senza fiato fu quando, mentre Christian cantava a Satine “Your song”, lui avvicinò la bocca al suo orecchio e disse quelle parole, intonandole perfettamente nel suo sussurro.
«How wonderful life is while you’re in the world…»

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Capitolo 33
*** Il pettegolezzo ***


Il pettegolezzo

Adrien, dopo aver letto i due nomi di fianco alla porta ed essersi assicurato che era l’appartamento giusto, suonò il campanello, in meno di qualche secondo arrivò ad aprirgli Lila.
«Era ora gattaccio, sei l’ultimo!» lo accolse con il suo solito tono superiore, scostandosi per farlo entrare.
«Dovevo finire di aiutare Nino nei compiti di fisica.» rispose risoluto, tentando d’ignorare l’irritazione che gli dava quel modo di rivolgersi della ragazza.
Ciò che però non poté assolutamente ignorare fu ciò che vide appena entrato nell’appartamento. La porta dava direttamente in un grosso ingresso living completamente in legno e pelle rossa e sui due divani vi erano seduti tutti, eccetto loro due.
Quel maledetto pel di carota stava raccontando il suo appuntamento con Marinette quando era stato akumatizzato diventando Illustrator e, come se non bastasse, teneva il braccio avvolto alle spalle di lei come se nulla fosse.
Immediatamente sentì la rabbia ribollirgli in corpo, una rabbia che non lo faceva ragionare. Prese un lungo respiro e si avvicinò al gruppo, seguito da Lila, mettendosi poi esattamente in mezzo ai due e separandoli. 
«Bonjour, my lady!» disse, quasi spintonando Nathaniel e volgendosi verso di lei con il suo miglior sorriso, uno di quelli da modello mozzafiato. 
«B-Buongiarno… Buongerno… Buongiorno…» cercò di rispondere lei arrossendo completamente.
Subito dopo sentì una risata di scherno alle sue spalle e voltandosi vide la portatrice del Miraculous della Volpe sedersi sul bracciolo del divano, vicino al rosso.
«Guarda un po’, il nostro micetto è geloso.» lo prese in giro lei, poggiando un braccio sulla spalla del ragazzo di fianco a lei, facendo arrossire anche lui che assunse la stessa tonalità dei suoi capelli. 
«Non sono geloso!» ribatté subito lui.
«Lila, smettila, per favore.» la rimproverò la giovane inglese.
«Che ho detto di male? Era una battuta innocente. Insomma, sicuramente anche questo damerino biondo, avrà regalato degli appuntamenti romantici alla sua bella.» quelle parole sembrarono colpirlo come un treno in corsa e, all’improvviso, arrivò una nuova sensazione, una sensazione che non aveva mai provato nella sua vita; si sentiva inadeguato, inferiore, lui, il giovane modello più bello di Parigi si sentiva in quel modo. 
Che appuntamento aveva regalato lui a Marinette da quando stavano insieme? Un banale cinema e un giro sul set di una pubblicità in cui lui doveva baciare un’altra. Mentre quello scarabocchia fogli, l’aveva portata a navigare sulla Senna, con una musica romantica di sottofondo e la cattedrale di Notre Dame come vista. Che razza di fidanzato era? Come se non bastasse, sentiva ancora lo sguardo di tutti addosso, come se dovesse confessare quella mancanza in quel preciso istante.
«Beh, non siamo qui per parlare di appuntamenti… - sentenziò Marinette di fianco a lui, dopo essersi schiarita la voce, rompendo quel silenzio glaciale che l’aveva messo in soggezione - È importante che troviamo un modo per agire.» il ragazzo la ringraziò con lo sguardo e lei semplicemente gli sorrise di rimando.
«Marinette ha ragione!» esclamò l’esserino rosso uscendo dalla borsa della sua padrona.
«Un attimo, in realtà io prima volevo sapere una cosa…» intervenne il portatore della tartaruga e, per un attimo, Adrien sudò freddo: possibile che anche lui avesse quel carattere terribilmente curioso e impiccione e si divertisse un mondo a tormentarlo? 
«Sarebbe?» gli chiese Jinnifer con curiosità.
«Insomma dovremmo conoscere un po’ i nostri kwami, no? È vero che ci siamo presentati una settimana fa, ma non sappiamo nulla dei nostri poteri… Inoltre vorrei capire perché il kwami di Adrien e quello di Nathaniel si stavano per scannare…» disse, trattenendo una risata nell’ultima frase.
«Te lo dico io perché! - urlò Plagg uscendo di colpo dalla camicia del ragazzo - Perché è un maledettissimo idiota ecco perché!»
«Plagg per favore… Datti un contegno! - lo rimproverò Tikki per poi rivolgersi con un sorriso al giovane cinese - È presto detto: nel ’68, ossia l’ultima volta che ci siamo ritrovati tutti e sette, Penn…»
«L’ha baciata! Maledetto traditore!» urlò di nuovo il piccolo gatto nero, linciando con lo sguardo il kwami blu che se ne stava tranquillo sulla spalla del suo portatore.
«Plagg, ti dispiace farmi finire? - sospirò Tikki scocciata - Dicevo, Penn mi ha baciata e, dato che questo signorino qui è geloso, si è arrabbiato.»
«Neanche avessi fatto chissà che cosa… Era solo un bacetto!» commentò Penn, facendo un’alzatina di spalle.
«Te lo do io il bacetto!» sbraitò Plagg e Adrien dovette fermalo dal buttarsi addosso al kwami del pavone.
«E quello che diceva il kwami di Jinny?» chiese Lila, che sembrava ancora più curiosa di Tian.
«Oh beh, sempre in quel periodo Holly aveva chiesto a Plagg se avesse voglia di passare un po’ di tempo con lei, ma lui l’ha palesemente ignorata.»
«Insomma alla fine è sempre colpa tua!» rise a quel punto Adrien, guardando il suo kwami, che teneva ancora tra le dita.
«Non è vero!» protestò il piccolo gatto.
«Però non capisco. - intervenne Marinette - L’altro giorno Plagg ha chiamato Nooroo “fratello” ed ora scopro che tu e lui avete una relazione…?»
«Beh noi siamo nati tutti assieme ed è per questo che ci consideriamo tutti fratelli, come una grande famiglia, ma non c’è nessun legame di sangue tra di noi, quindi è normale che nascano determinati sentimenti.» le rispose Tikki sorridente.
«Tranne per Tikki e Plagg - intervenne Spott, mettendosi una patatina in bocca - Loro sono dustenatu a sture…»
«Spott ingoia!» lo rimproverò la sua portatrice e lui fece come richiesto, per poi riprendere la frase dall’inizio.
«Loro sono destinati a stare insieme, per via dei poteri opposti, come d’altronde sono desinati a stare insieme i loro portatori!» a quell’ultima affermazione il biondo vide arrossire la sua ragazza e gli scappò un sorriso divertito.
«Vogliamo pensare alle cose serie adesso?» intervenne Wayzz.
«Sì, forse è meglio!» concordò Marinette, riprendendosi dall’imbarazzo.


Non ebbe nemmeno il tempo di dire qualcos’altro che la terra sembrò tremare per un paio di secondi, accompagnata da un suono sordo come di qualcosa che si schianta al suolo e poi un ruggito.
Tutto il gruppo si precipitò alla finestra più vicina dell’appartamento per vedere cosa avesse provocato quel frastuono.
«Cuore di Pietra?» sentì dire dalla voce di Adrien di fianco a lei con una nota di stupore, lo stesso stupore che stava provando lei.
«Chi è Cuore di Pietra?» chiese dubbiosa la rossa guardando quel gigante di roccia girare l’angolo.
«Lui è…» stava per rispondere Marinette, ma fu di nuovo bloccata.
Una ragazza con un vestito viola, una maschera nera e i capelli bianchi e neri raccolti in due code, era appena atterrata nel tetto del palazzo di fronte a quello dove si trovavano loro e stava sollevando quello che sembrava un ombrello.
«Tempestosa… Ma che diavolo sta succedendo?!» chiese ancora più sconvolto e confuso il giovane modello, ma lei non aveva nessuna risposta da dargli.
«Non è possibile…» sentì poi sussurrare la sua kwami, un sussurro che in realtà avevano sentito tutti, tanto che l’intero gruppo si voltò verso di lei.
«Che succede Tikki?» chiese Marinette, dando voce alla domanda che tutti avevano sulla punta della lingua.
«È impossibile… Papillon non può liberare più di un akuma alla volta: insomma l’akuma è il suo potere speciale, può farlo solo una volta a trasformazione.»
«Magari ha akumatizzato solo una persona, come quando è successo per la Burattinaia…» commentò il biondo, ma a quella sua proposta la kwami rispose scuotendo la testa con disappunto.
«No Adrien, sento distintamente trentaquattro akuma, sparse per tutta Parigi?»
«Trentaquattro?» chiese sconvolto Tian.
«Praticamente sono, quasi tutti quelli che abbiamo sconfitto…» commentò Adrien, tra il pensieroso e il disperato.
«Se togliamo Lila e Nathaniel che sono qui e mio zio che è tornato in Cina… Sì, probabilmente sono tutti!» gli rispose Marinette.
«Beh, - intervenne l’italiana allontanandosi dalla finestra - direi che è ora di entrare in azione. Holly trasformami!» disse e, poco dopo, fu imitata dagli altri cinque.

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Capitolo 34
*** Le akuma ***


Le akuma

I suoi nuovi compagni le avevano appena spiegato i loro poteri speciali e lei stava valutando come agire. Prima di tutto doveva cercare di recuperare e purificare più akuma possibili, fino a far tornare normali tutti. In quel momento, gli unici che si vedevano, erano Cuore di Pietra e Tempestosa, ma gli altri non sapeva affatto dove fossero, come li avrebbe trovati se fossero stati sparsi per tutta Parigi?
«Etciù!»
«Che ti succede micetto… Hai preso troppo freddo?» domandò Volpina con il suo solito tono ironico, ma lei capì subito: se Chat Noir iniziava a starnutire voleva dire solo un cosa e a dare una conferma ai suoi pensieri vide due piccioni planare verso il tetto di fianco a loro.
«Allora… Chat, guida Volpina da Mr. Piccione, quando sarete lì lei userà il suo potere e tu gli strapperai il fischietto dal collo. Pavon, tu e JBee andrete da Cuore di Pietra, dovrai usare il tuo potere per fargli aprire la mano e dovete prendere l’oggetto che tiene stretto. TartaTitan ed io ci occupiamo di Tempestosa. Non rompete nessun oggetto, portateli qui in modo che possa catturare subito le akuma liberate.»
Appena finì di parlare si separarono tutti e lei rimase con il giovane che indossava la tuta color verde smeraldo che metteva in risalto il suo fisico slanciato, decorato con due spalline più scure che somigliavano a dei gusci di tartaruga, esattamente come l’arma che portava alla schiena. Il viso era coperto da una fascia verde scuro legata dietro al capo e i capelli corti e neri erano più arruffati di quando il ragazzo era nel suo normale aspetto.
«Datemi i vostri Miraculous!» urlò Tempestosa sollevando l’ombrello.
Il ragazzo con un movimento velocissimo, prese lo scudo che aveva dietro la schiena e si mise di fianco a lei, proteggendo entrambi dal fulmine che stava per colpirli, per poi rivolgerlo verso la giovane akumatizzata e restituendogli l’attacco appena inviato. La giovane però evitò quell’attacco e con un movimento veloce provocò un’altra serie di fulmini e tuoni. 
Ladybug a quell’attacco ebbe un brivido, mentre sentiva il cuore che le dava l’impressione di voler uscirle dal petto per la paura. Durò pochissimo, poi scosse la testa e strinse la sua arma: non era più una bambina, doveva smetterla di avere paura dei tuoni come quando era piccola e correva sotto le coperte del lettone tra i suoi genitori. Aveva già affrontato Tempestosa e il suo potere una volta e poteva rifarlo.
«TartaTitan punta alle gambe!» disse decisa e lui fece come richiesto, capendo esattamente cosa intendesse. 
Lanciò il suo scudo verso le gambe dell’akumatizzata che perse l’equilibrio, a quel punto Ladybug fece altrettanto con il suo yo-yo, puntando però all’ombrello, per poi strapparglielo dalle mani, mentre il suo compagno la prendeva al volo evitando così che si facesse del male cadendo da quell’altezza.


«Fox Fog!» gridò decisa la ragazza, facendo roteare la sua frusta attorno a sé.
In un attimo la piazza si riempì di una nebbiolina arancione che impediva la visuale a chiunque, tranne a lui: la sua vista da gatto, infatti, gli permetteva di vedere anche in quel momento.
Cercando di trattenere lo starnuto che gli pizzicava il naso, si arrampicò sul balcone più vicino per poi balzare addosso all’uomo che si trovava sopra uno stormo di piccioni. Gli strappò dal collo il fischietto e, con una piroetta, riatterrò sul marciapiede. Dopodiché afferrò la mano di Volpina e la trascinò via, prima che il potere della sua nebbia sparisse e l’uomo piccione potesse vederli e seguirli.
Solo quando fu sicuro di averlo seminato, in un vicolo più protetto le lasciò la mano e si volse verso di lei.
«Bene ora ti de…» le parole gli si bloccarono in bocca per lo stupore: l’eroina arancione aveva le guance arrossate e sembrava non riuscire più a reggere il suo sguardo, anche se, appena si accorse che lui la stava fissando, tornò scontrosa come al solito.
«Beh? Che hai da fissare, gattaccio?!»
«Eri tu che mi fissavi e che… Oh non mi dire…!» disse all’improvviso lui con quel tono malizioso che quando era Chat Noir gli veniva incredibilmente bene.
«Cosa?» chiese lei, ancora con quel tono di voce scocciato, anche se questa volta sembrava esserci una nota di timore.
«Non mi dire che la cara Lila è ancora cotta del bell’Agreste!» disse guardandola con quell’aria superiore di chi aveva capito tutto.
«Ma anche no!» gli rispose subito lei, sebbene le sue guance la tradivano, colorandosi di nuovo.
«Ah ah… Come no…» la prese in giro lui.
«Smettila gattaccio! Oppure la tua signora dovrà fare a meno del suo tesoruccio. A forza di provocarmi un giorno o l’altro ti faccio fuori!» disse con tono ostile, e all’ultima parola la sua trasformazione finì.
La ragazza fu avvolta dall’aura arancione e la piccola kwami volpe schizzò via dal pendente, per poi cadere tra le mani pronte della sua portatrice.
«Ok, - disse Chat Noir alzando le mani - la smetto. Però non puoi negare i fatti, insomma tu… - si zittì quando lei, prendendo un chicco d’uva dalla tasca e porgendolo a Holly, lo fulminò con lo sguardo - Sto zitto!» concluse poi.


«Ecco qua.» fece Chat Noir, consegnandole il fischietto. 
Lei lo lanciò a terra, rompendolo, e quando ne uscì la piccola farfalla nera, la purificò.
«Bene! Fuori tre!» confermò rimettendosi l’arma alla vita.
«Sì, ne mancano ancora trentuno… Dov’è pel di carota?» domandò l’eroe nero vedendo che era l’unico a mancare all’appello.
«Sta ricaricando il suo kwami e arriva. - gli rispose l’eroina ape - Eccolo!» concluse indicando l’eroe blu che si avvicinava al gruppo. 
Era l’unico che non aveva una tuta in lattice o in pelle come quella di Chat, ma di velluto, come a rappresentare il piumaggio del pavone, indossava anche un mantello che partiva dalle spalle e si legava alle dita, in modo che potesse aprirlo, decorato con la tipica fantasia della coda del pavone, mentre una normale mascherina blu gli copriva gli occhi. 
«Ok, ricominciamo! Dobbiamo trovare gli altri akumatizzati, quindi ci divideremo di nuovo.» disse lei rivolta a tutti.
«Basta che non mi mandi di nuovo con questo maledetto gattaccio, perché non lo digerisco più!» protestò Volpina.
«Bene… - rispose lei dopo un sospiro - JBee e TartaTitan andate a nord, Volpina e Pavon ad ovest, mentre Chat ed io andremo ad est. Cercate di raccogliere più oggetti possibili, se non sapete dove si trova l’akuma chiamateci attraverso la vostra arma!» disse dopodiché si separarono nuovamente.


Ormai aveva l’impressione di combattere da ore. Appena concludevano con un cattivo ecco che se ne presentava un’altro, il ragazzo aveva perso il conto ormai. Quanti ne mancavano? Quanti ne avevano fatti gli altri gruppi? Ogni tanto il suo bastone e lo yo-yo di Ladybug suonavano e, a seconda di chi era impegnato, l’altro rispondeva e dava consigli su dove si trovasse l’akuma. Altre volte s’incrociavano con un gruppo che lasciava gli oggetti a loro e a Ladybug toccava purificare tutte le akuma mentre lui doveva pensare da solo al nemico. Aveva usato il Cataclisma già tre volte e all’ultima detrasformazione Plagg si era lamentato di essere stanco, nonostante mangiasse ogni volta il suo triangolo di formaggio puzzolente.
«Guarda che sono io che faccio tutta la fatica, tu mi dai il potere e basta!» protestò lui asciugandosi il sudore dalla fronte, per poi sporgersi dal vicolo e vedere come se la cavasse la sua compagna da sola.
«Non scherzare moccioso, senza di me non saresti niente! Mi stanco quanto te sai?»
«Sì sì… Come vuoi.» rispose lui tornando a guardare il suo kwmai che si ricaricava di nuova energia.
«Chaaaaaat!» sentì all’improvviso.
Si voltò di colpo e, nel momento esatto in cui vide Marinette bloccata davanti ad Animan tramutato in pantera, sentì il cuore accelerare i battiti e martellare nel petto prepotentemente, per il panico.
«Plagg, trasformami!» disse senza pensarci.
Il kwami lasciò la presa dal triangolo di camembert, mentre veniva risucchiato dall’anello del giovane modello che, non appena ottenne di nuovo la sua tuta e la sua maschera da eroe iniziò a correre il più velocemente possibile. 
Vedeva Marinette che stava indietreggiando, mentre la belva nera avanzava sinuosa e ringhiante verso di lei. Era a metà strada quando la ragazza si trovò con le spalle al muro.
«Marinette!» urlò disperato, mentre Animan alzava la zampa nel tentativo di ferirla.
«Voodamirror!» si sentì urlare e qualcosa di blu sfrecciò tra la ragazza e l’akumatizzato.
Poco dopo l’oggetto venne raggiunto da Pavon che si affiancò a loro, afferrando lo specchio, dopodiché si mise a quattro zampe iniziando a ringhiare contro la bestia, mentre lei faceva lo stesso, poi si sedette e di nuovo lei fece altrettanto. A quel punto, Volpina li raggiunse e tolse il bracciale dalla zampa della pantera che sembrava quasi docile e mansueta, imitando gli stessi movimenti che faceva il giovane eroe blu.
Finalmente arrivò anche lui e, ignorando tutto il resto, si diresse verso la fidanzata, che per la paura si era accasciata a terra.
«Marinette, stai bene?» chiese aiutandola ad alzarsi.
«Sì, credo di sì… - bisbigliò appena, poi si rivolse al ragazzo pavone dall’altro lato - Grazie Pavon.» fece, dedicandogli un dolce sorriso.
Il ragazzo sentì una fitta al cuore, come se qualcuno l’avesse pugnalato dritto nel petto: di nuovo quel ragazzo mingherlino e sparuto l’aveva surclassato e aveva ottenuto l’apprezzamento di Marinette, mentre lui era rimasto in disparte.
Si riscosse da quei pensieri solo quando la voce dolce e squillante di Tikki disse due semplici parole.
«Sono pronta!» a quell'affermazione, la ragazza vicino a lui annuì.
«Tikki, trasformami!»

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Capitolo 35
*** L'eroe ***


L’ eroe

«Mi ci voleva proprio una bella doccia, dopo quasi una giornata intera di battaglie… - sospirò la ragazza, rientrando in camera sua - E pensare che ci mancano ancora cinque akuma da catturare… Insomma come…»
«Cos’è quello?» chiese lui, ignorando completamente il suo discorso, mentre continuava a fissare con astio l’unico foglio ormai appeso sopra la sua scrivania.
«Oh quello? Siamo noi! La nostra squadra! Me l’ha dato Nathaniel ieri.» rispose tranquillamente lei con un sorriso, ma a quella risposta il ragazzo si alzò di colpo dalla chaise-long con un verso scocciato e si diresse verso le scale - Adrien che succede?» chiese allora stupita.
«Ecco ci risiamo! - attaccò il kwami nero assaporando la sua ricompensa per il duro lavoro - Dovresti fare i conti con la tua gelosia ragazzino!»
«Gelosia?» fece Marinette, che ancora non aveva capito nulla.
«Tu dovresti essere l’ultimo a parlare Plagg…» lo rimproverò il kwami rosso, mordicchiando anche lei il suo biscotto.
Anche la piccola creatura nera fece un verso di stizza, poi mollò il triangolino di formaggio sulla scrivania e fluttuò fino al biondo che era arrivato quasi alla sommità delle scale.
«Ehi moccioso! Guarda che dico sul serio, tu…»
«Zitto!» sussurrò appena, scacciando poi il kwami con un movimento rapido del dito medio contrapposto al pollice.
«Adrien! - urlò con un tono stupito e di rimprovero lei, mentre il piccolo gatto schizzava via verso il basso - Tutto ok, Plagg?» chiese preoccupata non appena lo prese al volo, controllandogli il musetto.
«Sei un grandissimo idiota!» sbraitò lui al suo portatore, che però era già sparito, probabilmente si trovava nella terrazzina.
«Plagg non trattarlo così male. Insomma in fondo anche tu ti arrabbiasti per quel bacio.» disse con tono tranquillo Tikki, avvicinandosi a lui.
«Ancora non capisco…» disse Marinette dubbiosa.
Che stava succedendo? Perché tutt’un tratto Adrien si stava comportando in quel modo? Insomma aveva sempre mostrato un certo astio per Lila e Nathaniel, ma non era la prima volta in quella giornata che si comportava in quel modo.
«Va a parargli, ha bisogno di te ora.» le sorrise la sua kwami, prendendo per la zampina il suo simile e trascinandolo via, di nuovo verso la scrivania.
Rimase per un attimo a guardare i due spiriti discutere, poi con un po’ di timore iniziò a salire la rampa di scale che portava al suo letto e alla finestra che si affacciava su di esso.
Spinse contro l’anta a vetro, aprendola. Il giovane modello era lì: bello e aitante, le mani in tasca in una delle sue classiche pose plastiche. Nonostante non stesse posando per nessuno lui teneva sempre quella postura perfetta, in controluce per via del tramonto.
La ragazza rimase lì a fissarlo senza riuscire a parlare o a muoversi, riusciva solo a guardarlo, tenendo lo sguardo fisso sul fisico perfetto che le dava le spalle.
«Cosa ci trovi in me?» chiese all’improvviso il ragazzo.
«Eh?» sobbalzò lei, tornando in sé, per poi fare un verso di dolore quando l’anta della finestra, che aveva mollato per distrazione, le sbatté in testa.
Il ragazzo si voltò di colpo, mentre lei tirava bene su il vetro e si massaggiava il capo sul punto dolorante.
«Accidenti Marinette, sei un disastro!» la rimproverò lui, avvicinandosi e porgendole una mano per aiutarla ad uscire completamente dalla botola.
Nell’uscire inciampò, cadendo rovinosamente tra le sue braccia che però la sostennero senza nessun problema, facendolo indietreggiare solo un po’. Si raddrizzò e lentamente alzò il capo verso di lui, per poi incrociare quei magnetici occhi verdi.
«Ti piaccio per quello che sono, vero? Intendo, per via di ciò che faccio, come Chlo…»
«Non ti azzardare a paragonarmi a Chloé o non ti parlerò mai più!» lo minacciò lei allontanandosi un po’, in modo da vederlo meglio.
«Allora rispondi: cosa ci trovi in me? Nemmeno mi conoscevi prima… Per quale motivo stai con me.»
«Perché sei il mio eroe!» rispose semplicemente, senza aver bisogno di pensare a una qualsiasi altra risposta.
Vide lo stupore dipingersi sul suo volto perfetto.
«Tu…»
Non finì perché all’improvviso lo spintonò via, per poi spostarsi anche lei dal lato opposto, mentre in mezzo a loro passò una bolla verde.
 

Si voltò verso la ringhiera e vide il suo migliore amico nel suo vestito a palloncini che li guardava con sguardo freddo e impassibile dal tetto opposto.
«Nino? Ma… lo Sparabolle l’abbiamo già deakumatizzato!» disse confuso.
«È colpa della Burattinaia, ricordati che lei può animare chiunque.» gli spiegò, per poi affacciarsi alla botola e chiamare i due kwami.
«Ma dove le prende le bambole, insomma tu…»
«Anche Couture è tra quelli che dobbiamo ancora deakumatizzare.» le rispose lei mentre le due creaturine sbucavano dalla finestra.
«Che succede?» chiese Plagg.
«Non abbiamo finito di lavorare! Tikki, trasformami!» disse e in un attimo la vide trasformarsi davanti ai suoi occhi, come ormai capitava spesso. 
Appena fu nella sua tuta attillata a pois si rivolse a lui.
«Chiama gli altri, dì loro che dobbiamo assolutamente finire oggi, anche a costo di fare nottata, altrimenti non ci daranno tregua. Poi raggiungetemi.»
Fece per scavalcare la ringhiera della terrazza, ma lui la bloccò, afferrandole il braccio.
«Fa attenzione…» riuscì solo a dire.
Lei gli sorrise dolcemente e per un attimo gli sembrò quasi gli mancasse il respiro. Da quando avevano iniziato a fargli quell’effetto i suoi sguardi? Da quando aveva iniziato a sentirsi completamente distrutto al pensiero di perderla? Sì, l’aveva sempre amata o meglio, aveva sempre avuto quella cotta per Ladybug, poi per Marinette, ma ultimamente, era cambiato tutto. Forse da quando tutto gli era crollato addosso, da allora lei era diventata la sua colonna, forse per questo se avesse perso anche lei…
«Ci vediamo tra poco, gattino.» disse riportandolo alla realtà, per poi dargli un bacio sulla guancia e lanciare lo yo-yo verso il comignolo di fronte, fuggendo via.
Fece un lungo sospiro, dopodiché si rivolse al kwami nero, che lo guardava con aria severa, tenendo le zampette incrociate.
«Plagg, perdonami per prima…» disse a mezza voce, sentendosi improvvisamente in colpa per quello che aveva fatto.
Il gatto rispose con uno sbuffo, poi lo trafisse con i suoi occhi felini.
«Ho sbagliato anche io, avrei dovuto comprendere i tuoi sentimenti… - a quelle scuse il ragazzo sorrise sollevato - Ma azzardati un’altra volta a colpirmi e ti strapperò i capelli uno per uno!» concluse poi, facendolo scoppiare in una leggera risata.
«Basta scherzare, abbiamo da lavorare… Plagg, trasformami!» appena si ritrovò nei panni di Chat Noir prese il cellulare dal tavolino di fianco a lui e mandò un messaggio alla chat di gruppo che avevano creato per comunicare.


Stava ancora cercando di prendere la bacchetta dalle mani akumatizzate di Manon, quando iniziarono a raggiungerla. Il primo, ovviamente, fu Chat, che l’affiancò, affrontando di nuovo Mr Piccione. Poi arrivarono man mano gli altri.
Alla notizia che i portatori dei Miraculous erano tutti lì, anche gli ultimi akumatizzati, si stavano radunando. Tutti tranne Angelie che, come al solito, sembrava non volersi far vedere.
Senza che lei avesse bisogno di dire nulla, i suoi compagni si spartirono i nemici e lei poté continuare a concentrarsi sulla ragazzina che aveva di fronte. 
Finalmente, senza il peso dello Sparabolle, che le aveva lanciato fino a prima le sue sfere rosse nel tentativo di colpirla, e che ora era tenuto impegnato da TartaTitan, poteva combattere uno contro uno con la bambina. Questa stava per tirare fuori un’altra bambola, ma lei fu più veloce e lanciò la sua arma verso la bacchetta, strappandogliela dalle mani. La spezzò e da essa ne uscì l’akuma che immediatamente fu purificata dai suoi movimenti veloci. 
«Fuori una!» disse sollevata, vedendo tornare normali tutti gli eroi trasformati sotto l’effetto del potere della bambina.
Ebbe appena il tempo di voltarsi verso l’eroe nero che in un attimo si rese conto di cosa sarebbe successo: lui si era voltato verso di lei, non appena Mr. Piccione era tornato normale, ma alle sue spalle, poco più in là, un’altra akuma stava puntando la sua arma proprio nella sua direzione. Non avrebbe permesso che riaccadesse, non di nuovo, non dopo tutto il dolore che gli aveva procurato. 
«Chat!» lo vide voltarsi verso di lei, mentre gli si stava lanciando addosso per proteggerlo dal colpo, poi all’improvviso fu tutto buio e non vide più nulla.
«Ladybug, cosa…? - lo sentì rimanere zitto per qualche secondo, probabilmente si stava rendendo conto di cosa era successo - Perché l’hai fatto…? Io…»
«Ehi, tranquillo. - disse lei cercando di alleviare la preoccupazione dell’eroe, che riusciva a percepire anche solo dalla voce - Sto bene. Ho solo bisogno che per un attimo diventi i miei occhi, ok?»
Lo sentì fare un respiro profondo, poi sentì la sua presa salda sul braccio, per aiutarla a sollevarsi.
«Ok, dimmi cosa vuoi sapere.» le chiese, poteva sentire il soffio delle sue parole addosso e subito si sentì avvampare all’idea di averlo così vicino.
«Dave… Dove sono gli oltri… altri… Dove sono gli altri?» disse cercando di trattenere la balbuzie: non era certo quello il momento per farsi prendere dall’imbarazzo.
Lo sentì ridere di fianco a lei e gli diede una gomitata allo sterno per farlo smettere.
«Ok, ok… - disse lui smettendo di ridere - Volpina e Pavon sono dall’altro lato del parco, oltre la fontana: stanno combattendo contro Couture. JBee è andata ad accompagnare Manon a casa, mentre TartaTitan è appena andato contro il Cieco.»
«Dov’è Alya?» chiese lei rimanendo immobile e cercando di ragionare.
«Intendi Lady WiFi? Si trova sulla struttura della fontana e sembra ci stia solo osservando, almeno per ora…»
«Ok… E Kim?»
«L’ho perso di vista, ma credo stia cercando di seguire JBee.»
«Bene, vai da Volpina e Pavon, aiutali usando il Cataclisma sul guanto di Couture come l’ultima volta.» disse con il tono più freddo e razionale possibile.
«Stai scherzando? E dovrei lasciarti qui da sola con Lady WiFi pronta a metterti in pausa e toglierti il Miraculous senza che tu te ne accorga?»
«Per un minuto credo di sapermela cavare: sono le undici di sera e a parte i rumori delle nostre battaglie non c’è molto disturbo, riuscirò ad evitare i suoi segnali. Appena finisci torni qui con il puntaspilli.»
Lo sentì sospirare di nuovo, per poi invocare il suo potere e allontanarsi dal suo fianco.
«TartaTitan, - urlò appena fu sola - cerca di prendergli il bastone, l’akuma è lì dentro!»


Chat Noir si lanciò verso la donna, ma questa senza nessuna esitazione evitò la sua mano artigliata, facendolo ruzzolare a terra.
«Maledizione!» imprecò, per poi guardarsi la mano, per fortuna il suo potere era ancora attivo.
«Serve aiuto micio?» gli chiese ironica Lila.
«Bloccala!» rispose lui alzandosi e ignorando la provocazione.
In quel momento non gli importava assolutamente nulla di cosa gli stava dicendo Lila. Si trovava lì, ma la sua mente era qualche metro più avanti, come il suo cuore. Lanciò uno sguardo all’eroina vestita di rosso, oltre la fontana, che stava evitando ad occhi chiusi i segnali di Lady WiFi. Come sospettava, stava solo aspettando di averla da sola.
Si voltò di nuovo verso i suoi compagni e vide che Volpina aveva attorcigliato la sua frusta, attorno al corpo di Couture, a quel punto a lui bastò avvicinarsi e sfiorarle il guanto, per poi sfilargli il punta spilli dal polso. Proprio in quel momento JBee atterrò di fianco a lui.
«La ragazzina è al sicuro, ma quella specie di uccello non la smette di seguirmi.» disse la rossa, indicando Dark Cupido proprio sopra le loro teste.
«L’akuma è nella spilla che ha al petto, occhio a non farvi colpire dalle sue frecce perché altrimenti inizierete ad odiare tutte le persone che amate.» spiegò velocemente Chat Noir, per poi scappare e dare man forte alla sua amata.
Arrivato al fianco di Ladybug con due veloci balzi, la scostò velocemente aiutandola ad evitare un “pausa” lanciato dalla cattiva coi poteri telefonici. 
«Ecco il puntaspilli, qui ci penso io ora!» disse consegnandole l’oggetto nelle mani guantate di rosso e tirando fuori il suo bastone.
Lo allungò facendo poi inciampare la ragazza dai capelli castano scuro. Lei però senza esitare lanciò un’altro “pausa” che evitò per un pelo saltando di lato, proprio come un vero felino.
Ci mise non poco a toglierle quel maledetto cellulare dalle mani e più di una volta rischiò di essere bloccato dai suoi segnali, ma poi finalmente ci riuscì. L’aveva messa alle strette, con le spalle alla fontana, e gli bastò un movimento deciso per farla cadere dentro la vasca piena d’acqua.
La ragazza urlò dalla disperazione, quando si rese conto che il suo cellulare, ormai completamente bagnato, era inutilizzabile. 
«Mi perdoni signorina, ma questo è mio... E comunque fa male stare troppo tempo sullo smartphone!» le disse lui, raccogliendo il cellulare dalla fontana.
A quel punto si voltò verso gli eroi della tartaruga e della coccinella che avevano sconfitto il Cieco e si avvicinò a loro, posando come al solito il telefono nelle mani della sua lady.
Lei con un dolce sorriso, rivolto però all’assoluto nulla, lo gettò a terra, per poi catturare l’akuma e purificarla, mentre proprio in quel momento, lui si detrasformò.
«Finito il tempo?» domandò lei.
«Sì, ma ci metto nulla a ricaricarmi.» disse, cercando in tasca il solito pezzo di camembert da dare al suo kwami.
«Chi manca?» chiese ancora lei.
«Solo Dark Cupido: Volpina, Pavon e JBee se ne stanno occupando.» rispose l’eroe verde al posto suo.
«Allora aiutiamoli. Tu vai a ritrasformati, prima che Alya ti veda senza maschera, io intanto vedo se riesco a fare qualcosa - rispose lei, per poi invocare il suo potere, proprio mentre lui si allontanava un attimo - Lucky Charm!»


Qualcosa le cadde tra le mani. Lo tastò per un po’ finché non capì cos’erano: un paio di forbici, era facile riconoscerle anche al tatto. Sorrise, mentre percepiva Chat Noir tornare al suo fianco: sapeva benissimo come usarle anche senza vedere gli indizi che di solito le dava il suo potere.
«Volpina, cerca di farlo scendere!» ordinò.
«E come?» chiese la voce, dal tipico accento italiano, di Lila.
«Usa la frusta! Prendilo dalla caviglia e tiralo giù!»
«Va bene!» sentì di risposta.
«Chat, riesci a portarmi dove sono loro? Non vorrei farmi un bagno nella fontana.» disse ridendo alla sua stessa battuta.
«Ogni cosa per te, principessa!» le rispose lui, dopodiché si sentì sollevare da terra e, premuta al suo petto, con le braccia sotto il suo corpo, si mossero.
«Pavon, fallo stare fermo!» ordinò ancora, appena i suoi piedi toccarono nuovamente il suolo.
«Voodamirror! - sentì dire, proprio di fianco a lei - È fermo.» confermò poco dopo.
«Indicatemi dove si trova la cinghia della faretra.»
Sentì un tocco delicato prenderle la mano e poggiarlo al petto possente di Kim: quello era sicuramente Adrien, riusciva a percepirlo, come se solo il suo tocco potesse farla sentire così leggera. Appena seppe l’esatta posizione della fascia che legava la spilla a petto dell’akumatizzatto la strattonò per poi tagliarla con le forbici.
Sentì la spilla cadere a terra e frantumarsi. I suoi compagni erano ammutoliti, talmente in silenzio che sentì lo sbattere d’ali della piccola akuma nera che usciva dall’oggetto nel tentativo di scappare. Prese lo yo-yo dal fianco e, con i soliti movimenti leggiadri, la catturò per poi liberarla bianca e pura.
«Miraculous Ladybug!» disse lanciando le forbici in aria.
Dopo pochissimi secondi riacquistò la vista: si guardò le mani, sbattendo un po’ le palpebre, finché non riconobbe gli esatti lineamenti di esse, senza sfocature o tremolii.
«My lady?» chiese Chat Noir di fronte a lei.
Alzò lo sguardo e si perse in quegli occhi verdi e felini, per poi buttarsi tra le sue braccia, senza pensare a nient’altro.
«Ce l’abbiamo fatta!» urlò l’eroe tartaruga euforico, seguito poi da tutti gli altri.


Si congedarono di nuovo, questa volta sicuri che non si sarebbero rivisti, almeno fino a domenica, quando poi sarebbero dovuti andare da Fu per pianificare come agire.
Il ragazzo si detrasformò appena toccò il parquet della camera di Marinette, e vide lei fare lo stesso subito dopo.
«Vuoi sapere il vero motivo del perché ho tolto le tue foto dalle pareti? - chiese lei, prendendolo alla sprovvista, ma poi non attese la sua risposta per continuare, sedendosi sulla chaise-long che ormai fungeva da suo letto e facendogli segno di raggiungerla - Perché non davano giustizia a quello che sei. Gli altri, il resto di Parigi, ti conosce solo come Adrien Agreste, il modello di punta della maison Agreste, quel bel ragazzo che era raffigurato in quelle foto. - si sedette anche lui, sempre in religioso silenzio - Io invece conosco un’altra persona, una persona che forse nemmeno Chloé Bourgeois conosce: un ragazzo spigliato, malizioso e conquistatore, ma anche determinato, leale e coraggioso; un ragazzo che nonostante io lo respingessi, non ha mai negato i suoi sentimenti e ha insistito finché non ho ceduto; un ragazzo che non ci ha pensato due volte a ferirsi per proteggermi e che mi è sempre stato vicino nonostante tutto.»
Rimase zitto, non sapendo cosa rispondere: quella ragazza riusciva sempre a stupirlo. La sua semplicità, la sua onestà, ogni volta lo sconvolgevano.
«Come farei senza di te, my lady?» le disse solo, dopo lunghi secondi di silenzio.
«Non devi pensarci… Perché io ci sarò sempre.» gli rispose lei, per poi allungarsi verso di lui.
In un attimo sentì le sue labbra vellutate, poggiarsi sulle sue e tutto gli sembrò assolutamente perfetto.

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Capitolo 36
*** La storia ***


La storia

«Avete visto il mio LadyBlog?» chiese entusiasta la mora, mentre il quartetto passeggiava affiancando la Senna.
«Parli di quell'articolo chilometrico riguardante l'apparizione dei sei eroi di Parigi? A metà ho chiuso!» disse Adrien, continuando a camminare con le mani in tasca e l'aria disinvolta.
«Sei sempre il solito! – sbuffò scocciata Alya guardandolo male, poi si rivolse con sguardo dolce e carico di aspettative verso la sua migliore amica – Tu Marinette?»
«Letto tutto... Anche se non ho capito come fai a dire che Chat Noir e Ladybug stiano assieme...» disse cercando di trattenere il rossore sulle guance, mentre Adrien le lanciava un'occhiata divertita.
«Andiamo è chiaro come il sole... Quei due se la sono sempre intesa parecchio e poi hai visto il video? Come Chat Noir si comportava nei confronti di Ladybug? E come lei, contrariamente al solito, non cercasse di allontanarlo?» insistette l'occhialuta con il suo solito tono entusiasta.
«Forse si è accorta che non può fare a meno di lui e che sono perfetti per stare insieme!» le diede manforte il modello biondo, togliendo una mano dalla tasca e avvolgendola attorno alle spalle della giovane franco-cinese che aveva abbassato lo sguardo per non mostrare le sue emozioni.
«Sarà... Ma la comparsa di tutti questi eroi secondo voi è normale? Insomma non ci bastavano loro due?» chiese Nino che fino a quel momento era rimasto zitto.
«Beh considerato quello che è successo l'altro giorno, penso sia più che normale... Come pensi avrebbero fatto Ladybug e Chat Noir a combattere ben più di trenta akumatizzati? – puntualizzò la sua fidanzata – Più che altro mi chiedo come sia possibile che fino ad ora non li avessimo mai visti. Insomma come sono nati? C'è qualcuno che distribuisce poteri?»
«Tutte domande a cui non avremo mai risposta! – sentenziò Adrien – Perché non cambiamo discorso?»
Così, con un po' di riluttanza da parte di Alya, il quartetto iniziò a parlare dell'imminente arrivo delle vacanze estive e dell'inizio, finalmente, del liceo per l'anno successivo.
Passarono quasi tutto il pomeriggio assieme, finché i due ragazzi dalla pelle scura non si congedarono, lasciando gli altri due soli.
«Allora my lady, dove andiamo di bello?» chiese Adrien, accostandosi nuovamente alla fidanzata e mettendole una mano sul fianco che in un attimo, come suo solito, arrossì vistosamente, ma per evitare di balbettare si schiarì un attimo la voce e allontanò di poco il ragazzo da sé.
«Da Fu... Ti sei dimenticato in che situazione siamo? Angelie akumatizzata? Tuo padre che vuole i nostri Miraculous? Nooroo in pericolo?» lo rimproverò decisa.
«Sè... – rispose lui scocciato – Cerco di dimenticare questi dettagli almeno quando sono Adrien.» continuò poi, abbassando lo sguardo, come se all'improvviso tutto il peso di quella situazione gli fosse ripiombato addosso.
«Ehi, ti ho fatto una promessa no? – ribatté nuovamente lei, cercando di risollevargli il morale – Ti avevo detto che risolveremo tutto ed è quello che faremo. Ormai siamo in sei contro due, non hanno possibilità contro di noi!» disse facendogli l'occhiolino. Il ragazzo sorrise, dopodiché, prendendola completamente alla sprovvista, la avvolse in un abbraccio.
«Non so davvero come farei senza di te.» le sussurrò all'orecchio, facendole imporporare di nuovo le guance.

 

I ragazzi erano seduti tutti quanti sul tatami della stanza principale del centro massaggi. 
«Maestro Fu dobbiamo agire, non possiamo più rimanere con le mani in mano. Insomma ha distribuito tutti i Miraculous per questo no?» chiese Lila decisa, rivolgendosi all'anziano cinese.
«Sì sì... – borbottò l'uomo guardando ognuno – Ho dovuto aspettare.»
«Aspettare cosa?» chiese stupita da quella piccola affermazione la giovane inglese, dando voce agli sguardi un po' confusi degli altri suoi compagni.
«Che diventaste una squadra, che accantonaste i vostri problemi e imparaste a conoscervi meglio e direi che, dopo quello che è accaduto l'altro giorno, è più che ovvio che non ho sbagliato a scegliere voi sei!»
«Quindi adesso?» chiese Tian rivolgendosi al nonno.
«Adesso dovete sapere chi andrete ad affrontare...»
«In che senso? Forse lei non lo ricorda, ma noi conosciamo già l'identità di Papillon, gliene abbiamo parlato... È Gabriel Agreste, il padre di Adrien!» puntualizzò l'italiana.
«No non lo è... Almeno non più...» a parlare non era stato Fu, ma qualcun altro, una voce femminile. 
La donna che possedeva quella voce sbucò dalla porta laterale che dava sulla stanza e, appena vide quel volto e quella figura, ad Adrien mancò il fiato. Il cuore iniziò a martellargli in petto furioso, talmente forte che gli sembrava quasi non avesse mai battuto sino a quel momento.
Quegli occhi verdi che riflettevano i suoi, la chioma bionda poggiata sulla spalla destra e un bellissimo sorriso. 
In pochi secondi sentì le lacrime rigargli le guance e bagnargli il viso, mentre con la coda dell'occhio vide Marinette guardarlo, poco dopo percepì la sua spinta sulla schiena, come a fargli segno di alzarsi. Lui non se lo fece ripetere e, senza nessun ritegno, si buttò tra le braccia di quella stupenda donna che gli era mancata così tanto.

 

Passarono vari minuti prima che Adrien si staccasse dalla donna. Marinette guardava la scena commossa: poteva solamente immaginare cosa stesse provando in quel momento il suo Adrien e non era l'unica felice di quegli attimi. 
Nessuno di loro sembrava essere annoiato o a disagio, nel vedere quella scena, nel sentire i singhiozzi sommessi di quel ragazzo che si era sempre mostrato duro, forte, con la battuta sempre pronta. Tutti comprendevano quanto dolore avesse provato all'assenza di quella donna, tutti comprendevano quanta gioia doveva avergli colmato il cuore nel rivedere la donna che gli aveva dato la vita e che l'aveva accudito sin da piccolo.
Appena il giovane modello, con gli occhi rossi per il pianto si stacco dall'abbraccio materno, la donna gli sorrise di nuovo, asciugandogli le ultime lacrime rimaste.
«Non parto più Adrien, te lo prometto!» disse, e lui fece un cenno di testa, tirando su col naso, per poi rivolgersi ai suoi compagni.
«Scusatemi...» pronunciò non sapendo che altro dire.
«E di cosa scusa? È tua madre! È giusto che sia andata così.» gli rispose prontamente Nathaniel, e Marinette vide un nota di stupore dipingersi sul volto del suo ragazzo, che intanto si era seduto di fianco a lei.
«Bene! – intervenne Lila rompendo di nuovo il silenzio – Ora vediamo se riusciamo a ricomporre la famiglia Agreste come si deve, così prepariamo il matrimonio a questi due piccioncini!» a quell'ultima affermazione sia lei che il biondo al suo fianco arrossirono vistosamente.
Fu Jinnifer a riportarli alla realtà, ricominciando a trovare il filo del discorso abbandonato con l'arrivo di Monique.
«Cosa intendeva con il fatto che Papillon non è più suo marito?» chiese, rivolgendosi alla donna. Lei si sedette di fianco all'anziano cinese e poi, dopo aver guardato quei giovani uno per uno, iniziò a parlare.
«È ora che sappiate la vera storia dei vostri kwami: come sono nati, perché sono nati e cosa sta succedendo in questo momento.» a quella breve frase tutte le piccole creature uscirono dai loro, inutili, nascondigli e si poggiarono comodi sulle spalle dei loro portatori.
Marinette accarezzò dolcemente la testolina di Tikki, mentre notava Penn salutare con la zampetta blu la sua ex portatrice.

 

«Tutto è nato quasi cinquemila anni fa, durante la dinastia Shamshi-Adad I del popolo degli Assiri. In quel popolo, conosciuto dai molti solo come uno dei tanti popoli della Mezzaluna Fertile dell'antichità, vi fu uno sciamano di nome Makohon. Egli aveva un potere sconvolgente, nascosto ai più: non era qualcosa che veniva da lui, un qualcosa di innato, lui aveva solo la capacità di possedere e plasmare il vero potere della natura.
Fin dall'antichità, dal periodo in cui viveva, si rese conto che il mondo, la terra, la natura, insomma tutto ciò che lo circondava, non sarebbe mai stato in perfetto equilibrio, che l'equilibrio lo si può creare solo se ci sono persone che combattono per esso e queste persone non potevano essere semplici uomini o almeno non sempre.
Perciò decise di usare la sua capacità e di usare il suo potere per creare qualcosa che aiutasse l'uomo a superare questi momenti. Andò in Tibet: un viaggio che gli costò fatica, anche perché a quel tempo nessuno conosceva quei luoghi. Lui cercava un posto tranquillo e isolato, dove meditare e prendersi il suo tempo per riuscire nel suo intento. 
Impiegò anni di studi e fatiche. Tutto quello che voleva fare, che doveva fare, non era scritto su un libro, nessuno poteva insegnarglielo: lui era l'unico al mondo con quel potere immenso, con la capacità di comprendere ogni creatura vivente e non, ogni oggetto in natura e dargli un significato vero, un'anima. 
Quando ormai aveva raggiunto una più che veneranda età riuscì a carpire quel segreto che bramava da tempo, così forgiò sette oggetti, facili da portare addosso e vi mise dentro alcuni spiriti di animali, per la precisione decise sette spiriti particolari. 
La volpe, caratterizzata dalla furbizia e dall'esuberanza: avrebbe avuto il potere dell'occultamento, da qui la FoxFog. Il pavone, caratterizzato dalla bellezza e dall'eleganza: con il potere dell'incanto, quindi il potere del VoodaMirror. La tartaruga, tipico simbolo di saggezza e accuratezza: diede vita al potere della protezione ed ovviamente il potere del GreenShield è più che logico. La farfalla simbolo della leggiadria e dell'alleanza: a cui affidò il potere della riproduzione per questo il suo potere è il MakeHero, ossia il creare akuma per risvegliare altri eroi. L'ape, caratterizzata da lavoro e l'impegno: rappresentante la forza di volontà, talmente forte da usare l'HoneyShock per addormentare chi non regge il confronto. Ed infine il gatto nero e la coccinella, rispettivamente simboli della distruzione e della creazione, della sfortuna e della fortuna, due opposti che si attraggono sempre e che danno equilibrio al mondo intero.»
Ogni volta che Monique presentava il loro potere i kwami s'impettivano, come orgogliosi di sentir parlare così bene di loro.
«Ma se sono stati creati per dei buoni scopi allora perché suo marito usa Nooroo in quel modo?» chiese Tian mentre la donna aveva fatto una pausa.
«Ora capirete... Quando me ne andai, fu per cercare di comprendere la vera origine dei kwami e cosa significasse la loro esistenza: non potevo chiederlo semplicemente a loro, perché loro non avrebbero saputo dirmelo. Insomma, loro possono sapere il loro compito, ma non potevano sapere per quale motivo Makohon li avesse creati. Forse questo mio gesto non fu comprensibile da parte di Gabriel ed arrivò al punto di odiare così tanto i Miraculous e i kwami da voler sfruttare Nooroo, che per sua sfortuna era apparso a lui, per ottenere il potere di farmi tornare indietro, non pensando che sarebbe stato inutile. Ciò che è accaduto poi però, è qualcosa che va oltre il padre di Adrien.»
«Cioè?» chiese Lila sempre più curiosa di quella storia.
«Lo sciamano creò i Miraculous, diede loro vita, diede loro un'anima, diede loro un potere immenso, un potere quasi assoluto e da essi nacquero i kwami. Questi oggetti sacri passarono di mano in mano, di custode in custode, di eroe in eroe, fino ad arrivare ai giorni nostri. Però anche lui, Makohon rimase in vita per millenni, non in carne ed ossa, ma sotto forma di spirito della natura, di essenza unica, quell'essenza che era riuscito a studiare. Si era trasformato in uno spirito, una specie di kwami.»
«Che cosa!? Un kwami?!» lo stupore del figlio la fece per un attimo sorridere.
«Non propriamente una creatura come quelle dei Miraculous, ma sì, anche lui era diventato uno spirito: per sopravvivere e seguire le sue creature ovunque andassero. Sebbene lui non avesse bisogno di un'oggetto che custodisse il suo potere: lui era umano, non era stato creato dal nulla, perciò prendeva possesso delle persone, o meglio si faceva ospitare da esse, senza nuocere a nessuno.»
«Ho come l'impressione ci sia un ma, alla fine di questa storia...» disse tranquillamente Nathaniel, spostandosi un po' il ciuffo dalla fronte.
«Makohon si rese conto che tutti potevano usare il potere che lui stesso aveva creato, mentre lui veniva ignorato e rimaneva sempre in disparte, dimenticato da tutti. Non so con esattezza cosa accadde coi vecchi portatori, se già allora fosse intervenuto, ma nel momento in cui ha visto crollare Gabriel davanti alla mia sparizione, dopo averlo visto cercare disperatamente di prendervi i Miraculous un paio di volte, decise di prendere possesso non solo del suo corpo, ma anche della sua mente. 
Per questo vi ho detto che non state combattendo con il vero Papillon: quello non è Gabriel Agreste, quello è Makohon in persona!»

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Capitolo 37
*** La coppia ***


La coppia

Marinette attraversò la strada con aria svogliata, arrivando alle scale davanti all'ingresso della Dupont. Si guardò alle spalle un'altra volta, sperando di vedere la chioma bionda di Adrien arrivare da qualche parte, ma nulla.
Il giorno prima, dopo l'incontro con gli altri eroi in cui era ricomparsa Monique Agreste, lui era giustamente rimasto con la madre, anzi era stata lei a suggerirglielo, dicendogli che poi l'avrebbe aspettato a casa. Lui aveva accettato e, quando si erano separati, a momenti neanche l'aveva salutata. Rimase ad aspettarlo fino alle tre di notte, ma lui non arrivò e intanto le parole che Lila aveva detto, mentre rientravano a casa il pomeriggio prima, continuavano a ronzarle in testa. 
«Fidati mi è successo... Non è affatto bello provare gelosia per la madre del tuo lui, ma succederà...»
Era davvero gelosa della madre di Adrien? Per quale motivo? Insomma era giusto che passasse del tempo con lei, non la vedeva da cinque anni, avrebbe fatto la stessa cosa se per tutto quel lasso di tempo non avesse potuto vedere uno dei suoi genitori.
Entrò in classe quasi senza rendersene conto: Alya era già al suo posto che stava parlando con il fidanzato seduto nel banco davanti, appena la vide entrare la salutò entusiasta e lei ricambiò appena.
«Come mai oggi non sei con il tuo fidanzatino? Finalmente Ladybug ha deakumatizzato suo padre?» chiese, mentre lei si sedeva.
«Non lo so.» rispose con tono svogliato.
«Ehi, si può sapere che ti prende?» chiese usando un tono un po' più dolce e accostandosi all'amica.
«È tutto ok Alya, sono solo un po' stanca: ho dormito poco stanotte, tutto qui.»
«Sì ma...» tentò di ricominciare lei, ma fu interrotta.
«Buongiorno ragazzi!» Marinette riconobbe la voce, ma non alzò nemmeno lo sguardo, mentre gli altri due lo salutavano.
«Come stai bro?» chiese Nino battendo il pugno scuro su quello dell'amico.
«Una meraviglia, credo di non essere mai stato così bene da anni!» rispose entusiasta lui.
«Senti un po' dolcezza... – intervenne Alya facendolo girare – Mi spieghi perché tu sei al settimo cielo mentre Marinette sembra finita sotto terra? Che le hai fatto?!» disse guardandolo di sbieco come a volergli far confessare a forza qualcosa.
La ragazza sentì lo sguardo stupito di Adrien posarsi su di lei e, con molta calma, tirò su il volto e gli sorrise: mai aveva fatto un sorriso più falso di quello. Poi si voltò nuovamente verso l'amica cercando di difendere il biondo.
«Alya, Adrien non c'entra nulla, te l'ho detto è solo una giornata così...» mentì.
Si chiese se stava sul serio mentendo o no: continuava a ripetersi che non era colpa di Adrien che era giusto così, ma le parole di Lila non smettevano di ronzarle in testa facendola sentire a disagio. Insomma nessuno aveva impedito ad Adrien di stare con la madre, ma avrebbe potuto almeno salutarla o quanto meno mandarle un messaggio dicendo che non sarebbe tornato.

 

Di nuovo, per tutto il periodo delle lezioni, Marinette non gli rivolse la parola: gli sembrò di essere tornato a quasi un mese prima, quando lei era ancora furiosa per il fatto che lui avesse scoperto la verità sulla sua identità segreta senza dirle niente. Però questa volta più che arrabbiata sembrava afflitta, come se volesse parlargli, ma non ci riuscisse. La domanda di Alya era più che lecita: che cosa le aveva fatto? Per quale motivo si stava comportando così con lui?
Decise che non appena le lezioni fossero finite glielo avrebbe chiesto, anche a costo di bloccarla come l'ultima volta. Quelle maledette ore di lezione però sembravano non passare mai e, ogni volta che si girava, vedere il suo volto così abbattuto lo intristiva ancora di più.
Quando finalmente la campanella decretò la fine delle lezioni lui si affrettò a sistemare, pensando che la ragazza tentasse di scappare come suo solito, quando non voleva parlare con lui. Invece non accadde, rimase tranquillamente seduta al banco, finendo di correggere i suoi appunti di storia.
In quello stesso momento Chloé si avvicinò a lui, civettando.
«Adrien, com'è andata la cena di ieri con tua madre? Spero che fosse tutto di vostro gusto.»
Il ragazzo rimase per un'attimo interdetto, neanche fosse stata lei a cucinare i piatti che erano stati serviti loro la sera prima all'hotel di suo padre.
«Sì Chloé, tutto ottimo.» rispose distrattamente, continuando a lanciare occhiate a Marinette, che ora stava iniziando a ritirare la sua roba.
«Cosa? Tua madre è tornata?! Quando?!» chiese Alya curiosa a voce troppo alta. Tutta la classe si voltò verso di lui, tutti tranne Marinette e Nathaniel che già stava scendendo le scale dell'aula.
«Beh ecco...» aveva cominciato a dire, poi si bloccò vedendo la mora sfrecciare di fianco al rosso e uscire con lui.
«Allora?» chiese Alyx sporgendosi dal suo posto.
«Maledizione!» sussurrò lui e senza nemmeno degnare di una risposta tutti i suoi compagni, che magari stavano aspettando una sua spiegazione, si alzò e, prendendo la borsa, uscì di corsa dall'aula.

 

Marinette stava scendendo già le scale dell'ingresso alla Dupont e quando sentì Adrien chiamarla, accelerò il passo: non voleva parlagli, non perché fosse arrabbiata con lui, anzi era più arrabbiata con se stessa per quei suoi stupidi dubbi. Non avrebbe saputo che dirgli o anche solo come spiegargli quello che provava.
«Sei Marinette vero?»
Alzò lo sguardo, trovandosi di fronte una bella donna, infilata in un elegante tailleur nero, sopra una camicetta bianca, in testa, sui capelli biondi, portava un cappello a larga falda che le dava un'aria ancora più elegante: conosceva bene quel completo, era un Agreste originale. La donna si tolse i larghi occhiali da sole e lei fu investita da quegli sfavillanti occhi smeraldini a cui non era mai riuscita a resistere.
«Sai ieri Adrien mi ha parlato molto di te.»
«Di me?» chiese stupita lei.
«Sì sì, non smetteva di parlare di te, praticamente ti ha elogiato tutta la sera. Devi essere davvero una ragazza speciale se Adrien è rimasto così colpito da te.»
La ragazza arrossì nervosa, davvero Adrien aveva parlato tutto il tempo di lei a sua madre?
«Marinette, devi... Mamma che ci fai qui?» domandò il ragazzo, che aveva raggiunto le due.
«Ero venuta a prenderti, ma direi che sei in ottima compagnia... – rispose la madre facendo ad entrambi l'occhiolino – Ci vediamo un'altro giorno, ok?»
«Sì, certo.» rispose il biondo tranquillamente.
«Mi raccomando Marinette, prenditi cura del mio bambino.» le sorrise dolcemente, facendola arrossire ancora di più.
«Mamma...!» protestò il biondo, mentre la donna si allontanava lasciandoli soli.

 

Vide la madre allontanarsi e poi svoltare l'angolo, dopodiché si rivolse alla fidanzata che, ancora rossa in volto, si stava guardando i piedi.
«Marinette è tutto ok?» chiese, facendole alzare lo sguardo su di lui e notando che il suo viso era di nuovo radioso.
«Tutto ok.» rispose sorridendogli.
«Che cosa è successo? Io prima non...» non poté continuare la frase, perché lei si era buttata tra le sue braccia e gli aveva stampato un lungo bacio sulle labbra.
Il ragazzo all'inizio rimase stupito da quella reazione così improvvisa, ma dopo pochi secondi di smarrimento, avvolse le braccia attorno alla vita della ragazza e ricambiò voglioso quel bacio. Quando si staccarono la sua voce fu quasi un sussurro.
«Perdonami Adrien...»
«Per cosa?» chiese lui con un sorriso divertito, continuando a tenerla stretta a sé.
«Io... Io ho dubitato di te... Ho avuto paura che col ritorno di tua madre mi avresti dimenticata... Io... Mi sono comportata da stupida...»
Lui sorrise di nuovo, sempre con quell'aria divertita in viso: finalmente capiva quella freddezza nei suoi confronti. Conosceva abbastanza bene la ragazza da sapere che non gli aveva parlato tutto il giorno non perché fosse arrabbiata con lui, ma perché si vergognava della sua stessa gelosia nei confronti di sua madre.
Le baciò il naso delicatamente.
«Principessa, per quanto mia madre mi possa essere mancata in cinque anni, tu sei il mio presente...» le disse con tono dolce, facendo finalmente sorridere anche lei.
«Aaaah! Finalmente vi siete chiariti! Allora che era successo?» chiese Alya che stava scendendo gli ultimi gradini in pietra, con a fianco Nino.
«Alya, ti prego... Per una volta potresti lasciarli in pace? – la rimproverò il fidanzato trascinandola via – Ci vediamo domani bro!» concluse salutando il biondo.
«A domani Nino!» ricambiò lui voltandosi verso i due che si allontanavano, senza però staccarsi neanche un secondo da Marinette, che teneva ancora saldamente avvinghiata a lui.
Tornò sui suoi occhi color dell'oceano che lo guardavano con devozione, solo a quel punto si allontanò un po' da lei, per poi alzare il braccio e accarezzarle la guancia delicatamente.
«...e chissà, forse, spero, sarai anche il mio futuro.» a quell'affermazione vide la mora prima impallidire e poi diventare improvvisamente paonazza.
«Adrien... Ma... ma... Ora... Tu... Noi... Insomma noi...»
Lui scoppiò a ridere divertito, poi le afferrò la mano e voltò lo sguardo verso la strada.
«Forza principessa, torniamo a casa: sono sicuro che tuo padre ha fatto una delle sue fantastiche quiche, me lo sento.» disse cambiando completamente discorso e pregustando già quella buonissima torta salata di pasta brisè farcita con uova e pancetta.
La sentì sospirare alle sue spalle, mentre la trascinava dall'altra parte della strada sul marciapiede opposto, per arrivare all'ingresso della boulangerie. Arrivati davanti alle porte di vetro, però, lo bloccò con un mezzo strattone: non violento, leggero e delicato come lei. Lui si voltò per guardarla e lei si avvicinò semplicemente a lui, stampandogli un dolcissimo bacio sulla guancia.
«Grazie gattino, di tutto...» concluse con un dolce sorriso.
Lui ricambio quell'espressione, piegando l'angolo della bocca in una smorfia più maliziosa, dopodiché sfilò la mano dalla sua e con un profondo inchino, dettato dallo Chat Noir che c'era in lui, le rispose.
«Tutto per te, my lady!»

 

«Allora? Com'era questa volta?» chiese suo padre, rivolgendosi al biondo di fianco a lei, che si stava pulendo elegantemente le labbra con il tovagliolo.
«Assolutamente fenomenale Tom, quell'aggiunta di erba cipollina dà un tocco di classe.»
Vide suo padre sorridere compiaciuto, pulendosi anche lui i baffi con il tovagliolo nel tentativo di togliere le briciole che si erano impigliate in quel groviglio di peli.
«Sì, davvero buona papà, ma adesso io e Adrien dobbiamo studiare, altrimenti la Bustier ci uccide.» disse lei alzandosi e prendendolo per il polso, per poi trascinarlo su per le scale, verso camera sua.
Appena arrivati al piano superiore la ragazza chiuse la botola sospirando, mentre lui la guardava ancora stranito.
«Non abbiamo compiti di storia noi... Perché hai detto quella bugia ai tuoi?» domandò, tra il curioso e lo stupito.
«Avevo voglia di stare un po' tranquilla e da sola con...» non ebbe il tempo di finire la frase che lui le era già saltato addosso facendole lanciare un gridolino di sorpresa.
«E così la mia coccinellina ha anche un lato oscuro, eh?» disse guardandola con occhi maliziosi e posizionando la mano destra nell'incavo più basso della sua schiena.
«Non... Non intandevo... Non intendevo quallo... quello...» borbottò lei nervosamente.
«Ah davvero? Perché a me pareva che stessi per dire che volevi stare da sola con me...» la rimbeccò lui, non mollando la presa su di lei, anzi avvicinandosi ancora di più al suo viso, che stava diventando sempre più rosso.
«Io intendevo per par... parlare... Non certo per fare qu... qu... quello che hai in tosta... testa tu...»
«E dimmi dolcezza, come fai a sapere cosa ho in testa io?» la provocò ancora.
Lei non riuscì a rispondere subito, dovette fare un grosso respiro e un'enorme sforzo per riuscire a rispondergli seriamente e con almeno un tentativo di rimprovero nella voce.
«Posso vedere chiaromente... chiaramente il tuo sguardo da gatto in calore, Adrien!» concluse allontanandolo un po' e facendolo sorridere ancora più maliziosamente.
«Non capisco quale sia il problema nell'essere eccitati in presenza della propria fidanzata, soprattutto se la si vede spesso dentro una tutina attillata come quella che indossa una certa coccinellina che conosco...» rispose e Marinette fu percorsa da un brivido mentre le mani di lui percorrevano tutta la lunghezza dei suoi fianchi.
«Vuoi placare l'ormone ragazzino? Se continui così la farai svenire!» lo rimproverò una voce e poco dopo il kwami nero uscì fuori dalla borsa di scuola del ragazzo, poggiata su un lato della stanza.
«Accidenti Plagg, sei capace di rovinare i momenti migliori!» protestò Adrien arrendendosi e mollando la presa su Marinette.
«Ma quali momenti migliori... Mi è salito il vomito... Anzi... Se mai un giorno capiterà che fate le vostre cose orripilanti da esseri umani avvisatemi che vedrò di non esserci!»
A quel pensiero Marinette divenne praticamente bordeaux.
«Co... cosa... Lui... Sta... sta...»
«Ecco hai visto? Me l'hai mandata in tilt! Tranquilla Marinette, so che non è il momento, calmati.» le disse lui dolcemente accompagnandola sulla chaise-long e facendola sedere.
«Plagg sei sempre il solito idiota!» lo rimproverò la kwami rossa, uscendo anche lei dallo zainetto della sua portatrice.
«Odio le effusioni degli esseri umani e lo sai bene. Ricordi con Juliette e Arno? Stavano in continuazione in quel letto... Al pensiero ho ancora i brividi!» disse tremando con aria disgustata.
«Scusa ma voi state insieme giusto?» chiese Adrien curioso, mentre Marinette di fianco a lui ascoltava in silenzio, cercando di riprendersi dallo shock di pochi secondi prima.
«Certo Adrien... Insomma siamo nati entrambi assieme, con tutti gli altri, e ci consideriamo una famiglia, ma noi abbiamo avuto un'attrazione speciale l'uno per l'altra.» gli rispose educatamente la piccola creatura rossa.
«E a parte i baci come vi dimostrate reciproco affetto?» chiese ancora il biondo sempre più curioso.
«Scambiandoci le nostre energie. Vedi noi siamo come il Tao cinese, siamo lo Yin e lo Yang, ognuno di noi ha una forza particolare e quando dimostriamo il nostro affetto all'altro gli passiamo la nostra energia, così per quel lasso di tempo io percepisco la forza bruta della distruzione e lui il sollievo della creazione.» spiegò, sempre con quel tono pacato e tranquillo, come se stesse raccontando la cosa più semplice e scontata al mondo.
Il ragazzo rimase per qualche secondo zitto poi sorrise divertito.
«Quindi vuol dire che c'è qualche possibilità di non vedere Plagg costantemente insopportabile!»
«Ehi marmocchio! Rimangiatelo!» lo minacciò il kwami nero.
«Plagg, smettila...» disse Tikki bloccando il compagno, per poi scoppiare a ridere assieme ai due ragazzi, mentre la piccola creatura nera li scrutava con sguardo tagliente.

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Capitolo 38
*** L'attrice ***


L’ attrice

«È una mia impressione o ci stanno fissando tutti?... Intendo... più del solito...» disse Marinette sotto voce, provando un brivido lungo la schiena.
«Sì, effettivamente mi sento un tantino a disagio... Ed è davvero difficile che mi succeda...» confermò il biondo, mentre salivano le scale che portavano alla loro aula.
Non ebbero nemmeno il tempo di entrare che Alya spiegò subito la situazione.
«Ah eccoli qua i due piccioncini sempre al centro dell'attenzione: ormai a Parigi fate più notizie voi due di Ladybug e Chat Noir.» disse divertita.
«Si può sapere che succede?» chiese Adrien nervoso mettendosi a sedere.
«Non lo so, dovresti dirmelo tu... Online c'è un video in cui Angelie Fontaine dice che l'hai tradita con la signorina qui di fianco a me.» disse indicando con il pollice proprio lei, che si era appena seduta.
«Cosa?!» esclamarono quasi all'unisono.
La ragazza con un sospiro tirò fuori il telefono e, dopo neanche un minuto, fece partire un video che mostrò a entrambi. Sul piccolo schermino del cellulare c'era Angelie e sembrava sul punto di piangere, una voce fuori campo le chiese di raccontare tutto e lei cominciò a parlare.
«Noi... Noi stavamo insieme ormai da qualche mese... Ci siamo conosciuti per un servizio fotografico, suo padre mi aveva chiamato per promuovere la linea giovanile assieme a lui... E... e... ci siamo subito innamorati... Almeno questo è quello che mi ha fatto credere... – si fermò per qualche istante, come se stesse cercando con tutte le forze di trattenere le lacrime – Andavamo d'accordo, mi aveva persino confessato i suoi sentimenti e poi... Il giorno in cui dovevamo vederci sul set per registrare la pubblicità dell'ultima linea, qualche settimana fa... Lui... Lui è venuto con quella ragazza... Come se niente fosse... Ha avuto anche il coraggio di baciarla davanti ai miei occhi... Non ha avuto nemmeno il fegato di lasciarmi come un vero uomo...»
La voce esterna chiese se era arrabbiata con lui per quel motivo.
«Delusa... Non arrabbiata... No... Come potrei essere arrabbiata con il mio Adrien... Di sicuro è colpa di quella ragazza... quella Mari-qualcosa... Sicuramente era una di quelle fan invasate ed è riuscita ad abbindolarlo... Come se non bastasse, da quando la frequenta è scappato di casa...»
Di nuovo la voce fuori campo chiese se voleva fare un'appello e a quella richiesta la ragazza guardò fisso in camera, con gli occhi grigi lucidi e la voce che tremava.
«Adrien... Torna a casa... Se non vuoi farlo per me, fallo per tuo padre... È a pezzi... Ti prego...»
Dopo queste ultime parole il video finì, lasciando entrambi i ragazzi a fissare lo schermo nero, allibiti da ciò che avevano appena visto.
«Allora?» chiese conferma Alya ad un Adrien che era rimasto completamente senza parole.
«Io non posso credere che sia arrivata a...» il ragazzo non riuscì a finire di parlare perché all'improvviso Nathaniel entrò di corsa nell'aula, con un po' di fiatone e si rivolse preoccupato e pallido a loro due.
«Abbiamo un problema...» disse.
«Come se non ne avessimo abbastanza.» commentò Marinette irritata.
«Nadja Chamak è fuori dal liceo e sta cercando te. – disse rivolgendosi ad Adrien – Chloé l'ha bloccata comportandosi da diva come al solito, ma sono certo che si farà convincere per portarla qui.» disse velocemente.
«Ok, basta! – disse afferrando il braccio di Marinette e trascinandola via – Muoviti Nathaniel, dobbiamo parlare!» continuò facendo segno anche al rosso di seguirlo.
«Ma... ehi! E noi?» chiese Alya, parlando di se stessa e Nino, ma non ricevette risposta.
Quando Marinette lanciò un'ultimo sguardo ai due, chiedendo in labiale scusa all'amica, vide lei guardarla tra il sospettoso e il dispiaciuto.

 

Li trascinò al piano inferiore il più di soppiatto possibile, fino a che non arrivarono agli spogliatoi maschili, che a quell'ora erano completamente vuoti e si chiuse la porta alle spalle.
«Avvisa le ragazze, dobbiamo chiudere questa faccenda, adesso!» disse furioso, rivolto alla fidanzata. Non voleva usare quel tono con lei, ma era più forte di lui: quella situazione stava iniziando davvero a innervosirlo.
Già faceva fatica, nonostante tutto, a dormire tutti i giorni fuori casa, figurarsi se doveva anche sentirsi in colpa, mentre in realtà sapeva che nessuno lì dentro ormai teneva a lui. Insomma gli piaceva dormire nella stessa camera di Marinette, alcune volte, poche, anche nello stesso letto, a passare tanto tempo con lei. Però gli mancava anche camera sua, i servizi fotografici, il suo guardaroba, la sua frenetica vita da modello. Si sentiva incompleto e Angelie Fontaine gliel'aveva solo ricordato.
«A dirla tutta, credo che Lila e Jinnifer ci raggiungeranno presto...» disse il rosso di fianco a lui, mentre la sua carnagione chiara si tingeva un po' dello stesso colore dei suoi capelli.
«Cioè?» chiese lui stupito.
«Beh ero al telefono con Lila poco fa, quando... Quando ho visto i giornalisti fuori, quindi gliel'ho detto e mi ha risposto che ci avrebbe raggiunto.» spiegò sempre più rosso in volto.
«Al telefono con... Ehi che mi sono perso? Non è che c'è del tenero tra te e la volpe?» chiese divertito Adrien, facendo riemergere il suo sottile umorismo.
«Adrien, non mi sembra il momento.» lo rimproverò Marinette, prendendo poi il cellulare dalla tasca e iniziando a digitare, per poi portarselo all'orecchio.
«Cosa fai?»
«Chiamo Tian... – pochi secondi dopo – Tian, sono Marinette, abbiamo un problema... Esatto, ci vediamo sulla terrazza di casa mia. Occhio a non farti vedere dai giornalisti. Ok a dopo. – chiuse la chiamata e si rivolse di nuovo al compagno – Nathaniel, manda un messaggio a Lila e dalle lo stesso luogo di ritrovo.»
Lui annuì, facendo come richiesto, mentre Adrien era rimasto incantato nel vederla dare ordini in modo così autoritario da mettergli quasi i brividi e rimase così anche quando, invocando il suo kwami, si trasformò nell'eroina a pois, con la sua solita e incredibile eleganza. Appena fu nella sua aderentissima tuta da super eroina, le afferrò il polso guantato e l'attirò verso di se per baciarla appassionatamente.
Quando si staccarono, vide che lei aveva assunto lo stesso colore della maschera e gli scappò un sorriso.
«Può anche continuare a recitare la parte della ragazza tradita... Io dimostrerò al mondo intero che amo solo te.» le disse a fior di labbra, mentre poggiava la fronte contro la sua e la vedeva sorridere imbarazzata.
«Penn trasformami...» sussurrò Nathaniel, come se non volesse rovinare quel momento tra loro due.
Dopo aver sentito quelle parole, Adrien si ricordò che anche lui doveva ancora trasformarsi: quindi si staccò da lei, facendo due passi indietro e anche lui invocò Plagg per diventare Chat Noir.

 

Erano ormai da una decina di minuti, tutti e sei sul terrazzino di casa sua, cercando una strategia per fare in modo di far uscire Angelie allo scoperto e purificare la sua akuma, che oltretutto non sapevano nemmeno dove fosse, e da un po' era caduto il silenzio, si sentiva solo il mormorio concitato dei giornalisti, ancora davanti alla Dupont nel tentativo di entrare nell'edificio per intervistare Adrien.
«Ladybug, hai detto che può cambiare forma giusto?» chiese Pavon, rompendo il silenzio.
«Sì esatto, purché abbia visto almeno una volta quello che vuole avere in mano o quello in cui si vuole trasformare.» rispose risoluta lei.
«Ma assume tutte le sue caratteristiche?» chiese ancora l'eroe blu.
«Non lo so... Perché?» iniziava a non capire tutte quelle domande del compagno.
«Perché Chat Noir sembra stare benissimo, nonostante quel piccione sia qui sul tuo terrazzo da quando abbiamo cominciato parlare...» tutti si voltarono verso il volatile indicato dal ragazzo e subito dopo questo volò via, scendendo in picchiata e prendendo sembianze umane non appena toccò terra.
«Muoviamoci!» disse perentoria Ladybug, mentre lei sorrideva a loro con un'aria di sfida, per poi attraversare la strada. Scesero tutti dal terrazzo, l'uno dopo l'altro, mentre lei era già di fronte alla scuola e si stava dirigendo verso il capannello di gente che stava ancora in cima alle scale. Qualcuno si volse verso di lei mentre i sei supereroi si fermarono dall'altro lato della strada, cercando di capire cosa stesse cercando di fare.
«Ehi, ma quella non è Angelie Fontaine?» disse il ragazzo che l'aveva notata e tutti si voltarono verso di lei, raggiungendola, compresi i giornalisti.
«Signorina Fontaine come mai è qui?» chiese Nadja, piazzandole il microfono davanti.
«Io... Voglio... Voglio parlare con Adrien. Devo dirgli la verità...» disse tirando fuori due lacrime.
«Quale verità?» chiese di nuovo la giornalista dai capelli violetti.
«Quella! – disse la giovane modella, indicando il gruppo di supereroi dall'altra parte della strada – Ho visto i supereroi di Parigi scendere poco fa dal terrazzo della casa della sua nuova fidanzata... Adrien, anzi no, tutta Parigi deve sapere che oramai i supereroi non fanno più il bene della città...»
I sei ragazzi, che erano rimasti stupiti ancora di fronte alla boulangerie, stavano per intervenire quando furono bloccati da un altro intervento.
«Sei una bugiarda!» all'improvviso Alya uscì dall'ingresso della scuola e scese le scale con aria decisa.
«Oh non ci credo...» sussurrò Ladybug preoccupata di che piega stava prendendo la situazione.
«Devi smetterla di raccontare bugie! Ladybug, Chat Noir e tutti loro ci proteggono sempre: qualche giorno fa c'è stata un'infestazione di akuma e se non fosse stato per loro io a quest'ora ero ancora Lady Wi-Fi.» disse risoluta la ragazza con gli occhiali, mentre Nadja Chamak si metteva da parte in modo che il suo cameraman potesse inquadrare entrambe le parti.
«Parli di quei Ladybug e Chat Noir? – chiese la modella, il suo viso distorto da una smorfia di odio e disperazione – Quella Ladybug che snobba chiunque dice di essere sua fan o cerca di farsela amica? Com'è successo alla figlia del sindaco Chloé Bourgeois o a Lila Rossi, che sono entrambe finite akumatizzate?»
«Beh questo è perché...» cercò d'intervenire la mora, ma l'altra la interruppe di nuovo.
«E poi stranamente la fantastica Ladybug concede interviste solo a te... Ti sei mai chiesta il perché?» d'improvviso qualcuno la bloccò, Marinette non si era nemmeno accorta che Chat Noir aveva attraversato la strada, allontanandosi dal posto di fianco a lei.
«Ora basta Angelie!» disse con un tono talmente freddo e serio, da mettere i brividi persino all'eroina in rosso.
«Chat...» fece lei, con le lacrime agli occhi e questa volta nessuno poté capire se fossero vere o no.
«Questa battaglia è tra noi... Basta media, basta infangare il nome di persone che non c'entrano nulla: non hai nessun diritto di nominarli.» disse, mantenendo quel tono serio, ma cercando di renderlo meno duro.
Lei con uno strattone si liberò dalla sua presa e lo guardò con odio.
«Provateci pure, provate pure a purificare la mia akuma. Se lo farete vi dimostrerete al mondo per quello che siete davvero...»
Lei, che aveva raggiunto l'eroe nero, affiancandolo di nuovo, la guardò accigliata, cercando di capire.
«Senti ochetta, parli un po' troppo per i miei gusti...» la prese in giro Volpina, che assieme al resto del gruppo, aveva attraversato la strada.
«Avanti... – disse la ragazza allargando le braccia e piazzandosi davanti al gruppo di super eroi, mentre tutti li stavano guardando – Ora, davanti a tutta Parigi, purificate l'akuma che si trova nel mio cuore!»
Ladybug sgranò gli occhi sconvolta: com'era possibile che un akuma entrare dentro una persona ed oscurare il suo cuore, com'era stato possibile e soprattutto, come avrebbe potuto purificare la farfalla maligna se si trovava dentro di lei. Lei di solito non doveva fare altro che rompere l'oggetto e far uscire l'akuma per poi purificarla, ma non poteva certo distruggere il suo cuore, non poteva di certo ucciderla.
La vide sorridere soddisfatta dell'effetto che aveva avuto su di lei.
«Stai bluffando!» sentì urlare dietro di lei TartaTitan, facendo scoppiare a ridere la giovane modella.
«E perché dovrei bluffare? Non ho nulla in mano, dove pensate che sia. Sono stata akumatizzata perché ero innamorata di Chat Noir, ma tu... – disse puntando con furia il dito verso l'eroina a pois – Tu me l'hai preso e quando pensavo di aver scoperto il tuo punto debole, tu ti sei dimostrata invece per la perfettina che sei. L'akuma ha semplicemente risanato il mio cuore spezzato. Io non sono come tutti voi falliti che presi dalla disperazione si sono fatti sopraffare da Papillon, io ho accettato il suo sostegno, io so cosa voglio: voglio dimostrare al mondo che siete voi i bugiardi. Siete solo un branco di ragazzini che si atteggiano a fare gli eroi.»
Il silenzio piombò in quella via per qualche secondo, poi riprese a parlare, con più calma.
«Avete una scelta da fare, eroi di Parigi, sconfiggere Papillon deakumatizzando il suo ultimo cavaliere o lasciare che tutta la città vi veda come un branco di vigliacchi. Uccidermi o scappare con la coda fra le gambe.»
«Sono stufo! – disse Chat Noir, di nuovo con quel tono fuori di sé – Cata...»
«No! – lo bloccò la sua compagna, fermando il braccio – Non ci abbasseremo al tuo livello Angelie! Noi non uccidiamo nessuno: è l'akuma che ti fa parlare così, non sei tu. Sei arrabbiata, ferita e nonostante tu dica che non è così, è Papillon che ti sta controllando. – lei sorrise divertita, come se si aspettasse quella risposta dall'eroina, ma questa continuò – Però hai ragione: siamo scappati per troppo tempo. È ormai quasi un'anno che Chat Noir ed io abbiamo fatto una promessa a Parigi e la dobbiamo mantenere... Papillon, – disse rivolgendosi alla telecamera – so che ci stai ascoltando. Domani pomeriggio, al Parc des Princes, avrà luogo l'ultima sfida. Non ci tireremo più indietro.»

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Capitolo 39
*** La notte ***


La notte

Era stanca, talmente stanca che ormai le sembrava quasi di non riuscire più a sentirsi braccia e gambe. Papillon era di fronte a lei e ancora, nonostante anche lui mostrasse stanchezza attraverso il respiro affannato e il sudore che gli imperlava il piccolo pezzo di viso scoperto, manteneva quel ghigno perfido e sicuro che sembrava prosciugarle tutte le speranze.
«Papà, smettila... Ti prego...» supplicò l'eroe nero di fianco a lei.
L'uomo però non rispose, se fino a qualche giorno prima c'era anche solo un barlume di speranza che il signor Agreste reagisse al tentativo di controllo da parte del misterioso e potente sciamano, ora sembrava non essercene più.
«Chat è inutile... Dobbiamo agire! – disse Volpina alle loro spalle che finalmente sembrava aver messo al tappeto la giovane modella akumatizzata – Abbiamo solo un'occasione.»
Lei annuì ed evoco il Lucky Charm, ma non appena l'oggetto in questione cadde fra le sue mani, successe l'irreparabile. Angelie si era rialzata e scostando brutalmente l'eroina arancione da davanti lanciò un coltello proprio nella sua direzione.
«Ladybug!» urlò l'eroe gatto, per poi lanciarsi davanti a lei.
Quando il coltello si fermò, nonostante non l'avesse ferita, sentì lo stesso il dolore: un dolore straziante e insopportabile, mentre vedeva il biondo afflosciarsi, privo di forze. Mollò subito l'oggetto fortunato, facendolo cadere a terra con un tonfo, per poi prendere tra le braccia il suo compagno.
«Chat... ti prego no... – disse con le lacrime agli occhi – Chat...»
«Andrà tutto bene Marinette... – rispose con un sussurro lui – Devi solo sconfiggere Makohon e avremo vinto...» finita quella frase i suoi occhi si spensero pian piano e con le ultime forze che gli rimasero chiuse le palpebre, riservandole fino alla fine le sue attenzioni.
«Adrieeeeeeeeen!»

 

Era sdraiato sul suo letto provvisorio, senza riuscire a dormire o riposarsi: i suoi occhi erano fissi sul soffitto, mentre il suono continuo della pioggia che batteva sui vetri delle finestre accompagnava quel suo momento d'insonnia. 
Non era agitazione quella che lo teneva sveglio, né tanto meno preoccupazione per la battaglia, no; sembrava più un senso di angoscia come se sapesse che pur vincendo, qualcosa sarebbe andato storto. Cercò di togliersi quei pensieri negativi dalla testa, ma all'improvviso, dal soppalco sentì urlare il suo nome.
Subito, scattò come una molla, senza chiedersi come né perché e si precipitò in prossimità delle scale: la vide lì, seduta sul suo letto, tremante, con il fiato grosso, madida di sudore e con le lacrime agli occhi. Non ebbe il tempo di chiederle niente che la vide sussurrare il suo nome presa dai brividi e dai singhiozzi, mentre cercava di spiegare qualcosa a mezza voce.
«Adrien... Tu... tu eri... eri... Ed io... Io mi... Non...»
La raggiunse, risalendo tutte le scale e sedendosi sul materasso, di fronte a lei.
«Non è successo niente... Sono qui... – la strinse tra le braccia e sentì che stava ancora piangendo – Sono vivo, my lady, sono qui...» concluse.
Sapeva benissimo cosa aveva sognato, lo immaginava, perché era la stessa paura folle che attanagliava anche lui.
Pian piano i singhiozzi della bruna diminuirono e lui poté stringerla di più a sé: sentiva la sua maglia fradicia di sudore che si contrapponeva alla sua.
«Marinette, così ti prenderai un'accidente. – disse staccandosi un po' – Devi cambiarti la maglietta.»
Lei annuì titubante, diventando un po' rossa, ma lui senza dire nulla si voltò dall'altro lato dandole la possibilità di spogliarsi senza imbarazzo. Nonostante la pioggia battente, sentì distintamente la ragazza sfilarsi la maglia e lui fece lo stesso.
«Ad... Adrien che...?» chiese lei con il suo solito balbettio che gli fece scappare un sorriso.
«Non puoi certo restare senza maglia.» rispose lui, per poi togliersi del tutto l'indumento e metterlo di fianco a sé, in modo che lei lo potesse prendere e indossarlo.
Calò il silenzio per qualche secondo, poi percepì la sua mano delicata sfiorargli un punto della schiena: quel punto sensibile che, ora che la pioggia estiva scendeva, gli doleva un poco, come gli doleva il ricordo di come si era procurato quella ferita.
«Non voglio che riaccada... – la sentì sussurrare e lui non seppe come risponderle, poi lei si avvicinò, abbracciandolo da dietro – Ti prego, giurami che non accadrà domani...» lo supplicò.
Percepiva distintamente le sue mani sfiorargli i pettorali e le sue braccia avvolgergli i fianchi, sentiva la sua pelle nuda combaciare perfettamente con la sua schiena. Bastò solo quel tocco per fargli percepire il sangue colorargli le guance, l'immagine di Marinette, a torso nudo, poggiata a lui gli si parò davanti, imbarazzandolo. Chiuse gli occhi cercando di calmarsi, dopodiché alzò la mano verso la sua, intrecciando le loro dita.
«Te lo prometto Marinette... – disse in un soffio – Hai la mia parola che domani, andrà tutto bene.»
Continuò a stringerle la mano, sperando che quella sua stessa promessa potesse avverarsi senza nessun problema, ma ancora sentiva la morbidezza delle sue curve sulla schiena e questo lo distraeva.
Passarono ancora qualche secondo così, poi lei si staccò, sciogliendosi dalla presa e Adrien tirò un sospiro di sollievo. Non che gli dispiacesse la sensazione, ma i suoi istinti da quindicenne, a quella situazione, si stavano facendo sentire e sapeva bene che non era assolutamente il momento. La sentì infilarsi la maglia e si sorprese a pensare e sperare che il suo dolce profumo potesse rimanere per tanto, impregnato nell'indumento.
Finalmente si voltò e poté di nuovo guardarla: era rossa in volto, probabilmente perché anche lei si era accorta di cosa aveva fatto, e guardava in basso, verso le sue gambe, coperte dal lenzuolo e dalla trapunta leggera.

 

Lo vide allungare la mano verso di lei e sfiorarle la guancia, poi le scostò una ciocca di capelli, ancora un po' umida per il sudore, dalla fronte e si avvicinò a lei, posando le sue labbra sulla sua pelle, concedendole così la sensazione di quel dolce bacio sulla fronte.
«Ora dormi, principessa...» disse, per poi aiutarla a sdraiarsi di nuovo.
Le stava rimboccando le coperte, quando decise che nemmeno quella notte, anzi soprattutto quella notte, era pronta a dormire da sola.
«Resti con me?» chiese con un filo di voce, tanto che ebbe paura che, con il forte battere della pioggia, non l'avesse sentita. Invece lui, senza farselo ripetere, scostò le coperte e ci si infilò sotto, per poi accomodarsi di fianco a lei.
Appena fu sdraiato si accucciò al suo petto, nudo e sodo, poggiando la testa nell'incavo della gola, percependo lui darle un'altro bacio sui capelli e poi poggiare il mento proprio dove l'aveva sfiorata con le labbra.
Si strinse ancora di più a lui, nella speranza che la sensazione orribile di quell'incubo sparisse e non tornasse ad assillarla nemmeno nel sonno. Lui ricambiò, stringendola di più tra le braccia.
Poco dopo si addormentarono entrambi. Rassicurati dal respiro l'uno dell'altra e dal calore dei reciproci corpi, promettendosi silenziosamente che nessuno li avrebbe separati mai più.

 

Il giorno dopo, la coppia si svegliò con le prime luci del mattino di una bella giornata di sole, che filtravano dalla finestrella che dava sulla terrazza. Il primo ad aprire gli occhi fu Adrien che, vedendo la ragazza ancora ancorata al sé, le diede un leggero bacio sulla guancia.
La vide mugugnare qualcosa, staccarsi da lui, stropicciarsi gli occhi infastidita e poi mettersi in piedi, stiracchiandosi. Lui invece rimase sdraiato, il gomito poggiato sul cuscino, mentre con la mano sosteneva la testa: una delle tipiche posture che i fotografi gli facevano assumere quando faceva un servizio. Continuò ad osservarla, divertito, finché lei nuovamente lucida non si accorse che c'era anche lui. Nel vederlo lì, nel suo letto, sdraiato a quel modo e ancora a petto nudo, arrossì vistosamente e la luce mattutina mostrava perfettamente le sue guance imporporate, facendolo sorridere ancora di più.
«Ad... Adrien tu... Tu...» cercò di dire senza però nessun risultato.
«Come mai così imbarazzata, my lady? – chiese lui, assumendo uno dei suoi migliori sguardi maliziosi – Eppure stanotte mi hai abbracciato, completamente nuda...» disse non riuscendo a resistere all'istinto di stuzzicarla.
«Adrien!» urlò lei, arrossendo ancora più vistosamente e stringendosi le braccia al petto, come se fosse nuda anche in quel momento.
A quel rimprovero fece una risatina divertita, dopodiché assunse di nuovo l'espressione più dolce che riusciva a fare e si tirò su, mettendosi anche lui seduto.
«Buongiorno principessa.» disse per poi sfiorargli le labbra con le sue.
«Buon... Boungiarno... Buongiorno...»
Appena ricevette la sua risposta balbettata, si allontanò e scese le scale, sempre con quell'aria tranquilla. Sentiva lo sguardo di Marinette seguire ogni suo movimento e arrivato al fondo della rampa, senza voltarsi, ripartì alla carica.
«Smettila di guardarmi il sedere, my lady, non è carino.» la punzecchiò di nuovo.
«Cosa?! No... Io...»
Lui scoppiò a ridere e dopo aver sentito un brontolio irritato da parte sua, gli arrivò un cuscino sulla nuca. Sì voltò prendendolo al volo, senza mai perdere quella sua aria divertita, poi glielo lanciò a sua volta e chiese di poter andare per primo a lavarsi.
«Sì... Va bene.» confermò lei.
«A meno che tu non voglia fare la doccia con me...» sorrise poggiandosi al muro con aria maliziosa.
«Adrien, la vuoi smettere?! Per favore!» protestò lei, coprendosi con il cuscino ricevuto poco prima.
Si sorprese che non avesse fatto nemmeno un'errore di pronuncia, ma senza controbattere ancora, si voltò e uscì dalla camera, non prima però, di aver dato il buongiorno ai due piccoli kwami che si erano alzati da poco e si trovavano ancora sul piccolo cuscino che si trovava nel cassetto aperto della scrivania.

 

Appena furono entrambi vestiti e presentabili, si diressero al piano di sotto per fare colazione.
«Buongiorno Sabine!» disse entusiasta il ragazzo di fianco a lei, rispondendo al saluto di sua madre. Subito dopo anche lei, arrivata al fondo delle scale, la salutò dandole un bacio sulla guancia.
«Ha chiamato il preside, – disse Sabine porgendo a entrambi i ragazzi, che si erano seduti al tavolo, un bicchiere di latte – dice che oggi a causa della sfida degli eroi di Parigi contro Papillon le scuole sono chiuse, per sicurezza.»
A quella frase calò il silenzio, mentre un brivido le percorse la schiena: aveva quasi dimenticato che quel pomeriggio avrebbero avuto la resa dei conti contro Papillon, no peggio, contro Makohon. Nonostante il giorno prima avessero escogitato un piano perfetto al centro massaggi di Fu e si fossero fatti spiegare tutto il possibile da Monique Agreste, questo non la rassicurava per niente. Il futuro dei suoi compagni, dei kwami, dei Miraculous, del padre di Adrien e dell'intera popolazione di Parigi era sulle sue spalle e si sentiva crollare sotto tutta quella responsabilità.
Lo sguardo di Marinette si posò su quello smeraldino di fronte a lei: nessuna goccia di paura o di ansia storpiava quel suo volto perfetto. La guardava con un sorriso e degli occhi rassicuranti, come a volerle dire, di nuovo, che sarebbe andato tutto bene, che lui le sarebbe rimasto accanto fino alla fine, che si fidava ciecamente di lei e delle sue capacità.
La magia in quel momento si sciolse, quando suo padre entrò dalla porta d'ingresso con il grembiule infarinato e un piattino in mano.
«Oh Tom, grazie al cielo... Pensavo ti fossi dimenticato di me!» lo osannò il biondo, seguendo con lo sguardo il contenuto del piatto che pian piano si avvicinava a lui.
«Come potrei dimenticarmi del mio estimatore migliore?» rispose l'omone divertito, poggiando poi il piattino davanti a loro.
Adrien afferrò il croissant deciso e gli diede un generoso morso, a quel gesto vorace la ragazza scoppiò in una leggera risata.
«A volte penso che ami più la cucina di mio padre, che me.» disse ancora divertita prendendo il suo cornetto dal piatto.
«My lady, tu cucini meravigliosamente: la tua torta di mele dell'altro giorno era fenomenale!» si complimentò lui dando un'altro morso e finendo di sorseggiare il latte.
«Beh io torno a lavoro. – disse l'uomo rivolgendosi a entrambi – Poi, visto che non dovete andare a scuola, potreste venire a darmi una mano coi clienti.»
«Volentieri Tom... Ma non questo pomeriggio, questa fanciulla ed io abbiamo un impegno.» rispose sorridente il ragazzo.
«Bene, allora vi aspetto sotto.»

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Capitolo 40
*** Lo scontro ***


Lo scontro

«Mi spiace Alya, davvero non posso venire... Sì lo so, ma... Va bene, stai attenta ok? Ciao.»
La ragazza chiuse la chiamata con un sospiro, infilando poi il cellulare nella giacca, appesa lì vicino.
«Non sei riuscita a convincerla vero?» chiese Chat Noir, avvicinandosi a lei.
«Ma che... È come parlare a un mulo... "Ma Marinette è lo scontro finale! Non puoi perdertelo... È la nostra unica occasione per vedere gli eroi di Parigi al completo che combattono!" – disse cercando d'imitare la voce della sua amica – Quanto vorrei non aver proposto questa cosa ieri mattina...» concluse l'eroina coccinella, sospirando nuovamente.
Le mise una mano sulla spalla e con un dolce sorriso, riportò la sua attenzione a lui.
«Andrà tutto bene my lady, te lo prometto.»
«Senti che baccano? Ma credono di essere a una partita di calcio per caso?» disse la giovane in tuta arancione, sbuffando.
«È inutile arrabbiarsi ora, dovevamo aspettarcelo che, dopo un annuncio pubblico come quello di ieri lo stadio si sarebbe riempito di gente.» commentò JBee, che era seduta comodamente su una panchina dello spogliatoio, che era stato fornito loro dai proprietari dello stadio.
«Beh guardiamo il lato positivo... È uno stadio pieno di gente che tifa per noi!» disse divertito Tian, nel suo costume verde, con quella sua solita battuta pronta.
«Vorrei sapere come fai ad essere sempre così calmo e contento tu?!» lo riproverò, ancora più innervosita la ragazza volpe.
«È l'indole della tartaruga cara Volpina: calma, sicurezza e pace interiore.» le rispose lui facendole l'occhiolino.
«Smettila di prendermi in giro!» sbraitò l'italiana, ma subito dopo il giovane eroe pavone le poggio una mano sulla spalla.
«Lila, non ha senso litigare fra noi. Forse ha ragione Tian, dovremmo cercare di calmarci tutti.» disse con quel suo solito tono pacato e un po' intimidito.
«Non mi dire che nemmeno tu sei nervoso perché non ci credo.» gli rispose a tono lei, che non riusciva proprio a trattenersi dal dire tutto ciò che le passava per la testa.
«Certo che sono nervoso, ma ho fiducia in Penn e in tutti voi. Siamo in sei contro due, non possiamo perdere.» rispose nuovamente il ragazzo dai capelli color del pomodoro sorridendo dolcemente alla compagna.
«Ben detto pel di carota! – intervenne l'eroe gatto, raggiungendo con due passi il centro dello spogliatoio – Siamo i migliori e nessuno potrà batterci finché siamo uniti!» concluse allungando la mano munita di artigli e mostrando il dorso.
La prima mano ad aggiungersi alla sua fu quella guantata di rosso della sua compagna, che gli rivolse uno sguardo gentile, poi pian piano si aggiunsero anche le altre tre e alla fine, incoraggiata dagli sguardi di tutti, con uno sbuffo anche Volpina si alzò dal suo posto, per poi poggiare la sua mano su quelle di tutti gli altri.
«Siamo gli eroi di Parigi! Fu, i nostri kwami, la stessa essenza della natura, hanno scelto noi per proteggere la città delle luci da Papillon. Abbiamo il compito di salvare Angelie e Gabriel, di liberare Nooroo e di proteggere tutti gli abitanti della capitale della Francia. Ho fiducia in ognuno di voi, ragazzi!» disse la giovane di fianco a lui, incrociando i suoi occhi cobalto con quelli di tutti i suoi compagni, che ricambiavano con altrettanti sguardi ammirati e decisi.
«Siamo con te, Ladybug!» intervenne Monique Agreste, che fino a quel momento era stata in un'angolo dello spogliatoio a guardare quei giovani eroi in preda alle loro emozioni, ed ora si era avvicinata a loro mettendo le mani una sulla spalla dell'eroina in rosso e l'altra su quella di suo figlio, nel suo costume da gatto nero.
Subito dopo entrò l'anziano cinese nello spogliatoio: era stanco e sudato, ma aveva un'aria alquanto soddisfatta.
«Fatto! – disse subito, facendo voltare l'intero gruppo verso di lui – Tutti gli spalti sono protetti da una barriera che impedirà a qualsiasi attacco, sia vostro che loro, di colpire la gente che è venuta a vedere. La farò cessare di funzionare, solo quando vi vedrò rientrare tutti dentro questo spogliatoio.»
«Grazie nonno!» disse TartaTitan con un sorriso.
«Mi sa che è ora di andare...» commentò, invece, Pavon.
L'eroe nero a quel punto si voltò verso la figura alle sue spalle abbracciandola.
«Quando tornerò saremo di nuovo una famiglia, te lo prometto mamma!» disse, stringendo il più possibile la donna che tanto gli somigliava.
«Ne sono sicura, Adrien...»
I sei eroi si raggrupparono all'ingresso del tunnel che li avrebbe portati al campo dello stadio.
«Bene, il piano rimane quello che abbiamo deciso ieri: chiunque userà il suo potere, passati quattro minuti dovrà tornare qui, ricaricare il suo kwami e tornare allo stadio. Papillon non potrà akumatizzare nessuno, il vostro obbiettivo quindi è neutralizzare Angelie senza farle del male, a lui ci pensiamo io e Chat. Dopo che sarò riuscita a separare Makohon dal signor Agreste, lo purificherò e avremo concluso la battaglia.» disse Ladybug con quel suo solito sguardo deciso.
Lui stava guardando ammirato: mai come in quel momento era convinto della sua scelta, mai come in quel momento era sicuro che quella ragazza coraggiosa e fiera, fosse la persona che avrebbe voluto accanto per sempre. Forse, come gli aveva detto Plagg spesso, era semplicemente destino, ma non gli importava: lui l'amava davvero.
Quando arrivò alla fine del suo discorso, tutti annuirono silenziosamente, nessuno aveva il coraggio di dimostrare più sicurezza di quella che aveva dimostrato lei, non tanto perché era comunque lei il capo della squadra, ma più perché le parole dell'ex portatrice del Miraculous del Pavone, dette il giorno prima, ancora premevano sui loro animi, in particolare sul suo. Sentiva ancora la voce di sua madre, mentre si rivolgeva a Marinette che si trovava di fianco a lui.
«Dovrai purificare l'anima dello sciamano, ma devi stare attenta, perché non è come purificare un'akuma, se consumi completamente l'energia di Tikki, non possiamo sapere cosa potrebbe succedere.»
Sentiva il cuore martellargli più forte del normale e stava pregando con tutto se stesso che fosse andato tutto per il meglio.

 

Il gruppo uscì e per qualche secondo la luce del sole alto ferì loro gli occhi, mentre urla di giubilio li circondavano.
Quando le ritornò la vista, qualche secondo dopo, la prima cosa che vide fu Alya sugli spalti, in prima fila, che esultava con il cellulare in mano.
«Forza Ladybug, sei tutti noi!» la sentì urlare entusiasta.
Lo stadio era davvero quasi pieno, tutta Parigi si era riversata lì, per assistere alla loro vittoria o alla loro sconfitta.
Scorrendo lo sguardo su quel mare di gente vide anche i suoi genitori e il cuore le sembrò fermarsi per un attimo. Perché erano lì? Perché anche loro? E se tutto fosse finito quel giorno e se si fosse detrasformata davanti a tutti, o non fosse riuscita a...
I suoi terribili film mentali furono bloccati dalla forte presa di Chat Noir, che le aveva afferrato la mano e gliela stava stringendo.
«Te l'ho detto my lady... Andrà tutto bene, ce la faremo.» la ragazza ebbe appena il tempo di rivolgere il suo sguardo a quello felino del supereroe di fianco a lei, che il boato di giubilo si trasformò in fischi e grida furiose.
Il gruppo si voltò, notando i loro unici due avversari fare il loro ingresso nel campo verde dello stadio. Angelie camminava con la sua solita eleganza, indossando semplicemente un paio di jeans e una maglietta lilla, mentre Papillon era in completo viola e quella maschera che gli copriva quasi completamente il volto.
L'eroe nero di fianco a lei fece un grosso respiro, come se stesse cercando di trovare quel coraggio, che nemmeno lui aveva e che gli serviva per affrontare suo padre. Dopodiché tirò fuori il suo bastone di metallo, tenendolo stretto tra le mani.
Ben presto tutti gli eroi afferrarono saldamente le loro armi in mano e anche lei, tolse il suo yo-yo dal fianco lasciandolo penzolare un po' a terra. Non era una partita di calcio, non ci sarebbe stato nessun fischio d'inizio, nessun gong a dare il via alla battaglia e questo lei lo sapeva bene. Iniziò a far roteare la sua arma per qualche secondo, dopodiché si scagliò decisa contro l'uomo, mentre sentiva distintamente gli altri seguirla in quell'attacco, sebbene fosse lei quella in prima linea.
Prima che potesse raggiungere il nemico, la giovane modella le si parò davanti e con un semplice movimento delle braccia si tramutò in un enorme orso bruno. La ragazza evitò una zampata per un pelo, dopodiché vide Chat Noir affiancarla e colpire la testa dell'animale con il suo bastone. A quel colpo l'orso tornò ad avere fattezze umane e la ragazza, un po' intontita ebbe appena il tempo di passarsi una mano sulla testa, che Volpina le fu addosso, cercando di intrappolarla con la sua frusta.
La ragazza fece un balzo indietro e poi, con un nuovo movimento delle braccia, si tramutò in un farfalla bianca. A quella trasformazione l'eroina arancione emise uno sbuffo divertito.
«Pessima scelta, dolcezza...!» ma non ebbe il tempo di dire altro, perché subito dopo Papillon, sbatté il suo bastone per terra e altre centinaia di farfalle bianche, identiche a quella in cui si era tramutata la modella, comparvero e si librarono in volo, facendo perdere le tracce di Angelie.
«Non distraetevi! – disse Ladybug, cercando di scacciare quegli insetti candidi che le si paravano davanti e mantenendo lo sguardo su Papillon, senza perderlo di vista – Se vuole attaccarci dovrà cambiare forma per forza!»
Si stava avvicinando sempre di più a Papillon. In quello sciame bianco aveva perso di vista i suoi compagni, ma non importava: il suo obbiettivo doveva essere solo il portatore del Miraculous della Farfalla, era di lui che si doveva occupare, prima avrebbe agito e prima sarebbe finita quella battaglia che ormai durava quasi da un anno.
Arrivata di fronte a lui questi ghignò, come se si aspettasse la sua unica presenza, fece un veloce gesto e all'improvviso diventò la giovane modella con in mano un'affilata katana. Ladybug indietreggiò evitando un fendente, poi un'altro. Stava indietreggiando sempre di più, schivando ogni colpo che la modella cercava di infliggerle. Non poteva continuare ad evitare i suoi colpi e basta, si rendeva conto che andando avanti in quel modo si sarebbe solamente stancata prima del dovuto. Doveva trovare Papillon: era quello il suo obbiettivo, ma lo sciame di farfalle non era diminuito e ancora le ostruiva la visuale su ciò che la circondava, inoltre la ragazza sembrava non volerle dare tregua.
All'improvviso una decina di farfalle si ammassarono davanti il suo volto, coprendole completamente la visuale, poco dopo da esse apparì la lama della katana, senza aver potuto prevedere la mossa, la giovane eroina stava per essere colpita in pieno volto, quando il bastone di metallo di Chat Noir bloccò la lama, subito dopo un proiettile giallo, compatto e appiccicoso, grande quanto una mela colpì l'akumatizzata, facendola voltare furiosa.
La ragazza coccinella vide JBee sorridere divertita e dopo averle fatto l'occhiolino, puntò nuovamente la sua arma alla nemica per colpirla con un nuovo proiettile di quello che sembrava miele denso.
«Vieni. – disse l'eroe nero prendendola per mano – JBee e Volpina se la possono cavare, noi dobbiamo trovare mio padre.» concluse, mentre lei vedeva la giovane eroina arancione raggiungere la compagna.

 

Era agitata, lo sentiva: riusciva a percepirlo dal suo modo di fare, dai suoi movimenti. Non era più la Ladybug forte e sicura che conosceva, o meglio lo era, ma solo perché riusciva a mascherare bene la sua paura, che lui però vedeva benissimo. Ovviamente poteva immaginare il motivo di quel nervosismo, nonostante potesse mostrare tutto il coraggio del mondo, ora stava combattendo seriamente, davanti alla città intera e, se non fosse andato tutto liscio, avrebbe perso molte più cose di quante ne avrebbe potute perdere quasi un'anno prima, quando aveva giurato a tutta Parigi e a Papillon che l'avrebbe sconfitto. Lui, si sentiva allo stesso identico modo, nonostante non avesse il ruolo da leader sulle spalle.
Strinse forte la mano della sua dolce metà, come a volerla rassicurare del fatto che avrebbe condiviso con lei anche quel peso e quelle paure.
All'improvviso tutte le farfalle sparirono, esattamente come erano apparse. Un brusio eccitato attraversò tutto lo stadio, probabilmente anche il pubblico fino a quel momento aveva avuto la visuale ostruita da tutti quegli insetti. Poco più in là i due videro i loro quattro compagni intenti nella loro battaglia contro Angelie, attualmente trasformata in un lupo. Nonostante fossero in quattro contro una, l'akumatizzata sembrava cavarsela egregiamente, riuscendo a tenere a bada tutti e quattro. Di suo padre, però, neanche l'ombra.
«Ladybug, attenta!» urlò Alya dagli spalti.
Chat Noir ebbe appena il tempo di voltarsi e strattonare la sua compagna evitando così che l'affondo del nemico la colpisse in pieno ferendola di un colpo mortale.
L'uomo si risollevò tranquillamente dal suo affondo, la mano sinistra ancora dietro la schiena e il suo bastone che adesso aveva una lama al posto del legno.
«La sua arma era uno stocco, non un bastone...» disse lei, facendogli notare poco più in là la custodia in legno che prima copriva la parte metallica dell'arma.
«Accidenti, questa non ci voleva.» imprecò il giovane afferrando saldamente il bastone.
«Perché? Non dirmi che pure tuo padre...»
«Sì my lady, anche mio padre praticava la scherma da giovane, e se ti può interessare è una delle due persone che non ho mai battuto in vita mia.» concluse parando al pelo una stoccata con la sua arma.
«Ok... Tu devi solo pensare a disarmarlo... Al resto ci penso io...» disse iniziando a guardarsi intorno.
Stava sicuramente cercando di farsi venire un'idea, aveva lo stesso sguardo guardingo che assumeva quando doveva capire come usare il suo Lucky Charm, il problema è che in quel momento della battaglia non poteva assolutamente usare il suo potere, perché in quel modo avrebbe tolto più efficacia alla purificazione dell'anima.
Nonostante tutto, tra un'affondo e l'altro, tra una parata e l'altra, l'eroe gatto pregò con tutto se stesso che alla compagna venisse in fretta un'idea: perché era sicuro che non sarebbe riuscito a durare molto in quel duello contro il padre.

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Capitolo 41
*** La speranza ***


La speranza

Non erano passati che pochi minuti, quando finalmente si alzò nuovamente in piedi: abbandonando quella posizione rannicchiata che aveva assunto per ragionare ed ergendosi impettita, per poi alzare la voce e farsi sentire così da tutti i suoi compagni.
«JBee usa il tuo potere contro Angelie, TartaTitan tu vieni ad aiutare Chat! Dopodiché venite tutti qui e resistete due minuti senza di me!»
Dopo aver dato quei brevi ordini chiuse gli occhi rimanendo ferma immobile, come le aveva spiegato Monique: concentrò tutta la sua energia lungo il filo del suo yo-yo, era una cosa che solitamente faceva in automatico senza pensarci troppo, quando doveva purificare un akuma, subito dopo averla catturata. Questa volta però era diverso e doveva accumulare molta più energia. 
Passati i due minuti, la ragazza aprì gli occhi. Per un’attimo la sua vista fu annebbiata, per il troppo tempo con le palpebre abbassate, ma appena si fu abituata nuovamente alla luce che la circondava, riuscì a mettere a fuoco i suoi compagni nelle loro tute sgargianti e colorate, che stavano combattendo tutti e cinque contro Papillon, ognuno a modo suo. 
La ragazza in giallo stava usando la sua arma per lanciare sfere di appiccicoso e dorato miele, che però il nemico evitava facilmente, facendo in modo che imbrattasse solamente il campo di erba sintetica. L’eroe verde cercava di parare il più possibile delle stoccate di Papillon, mentre Chat Noir ribatteva con il suo bastone che però non poteva ferire, al contrario dell’arma del padre. Pavon e Volpina, invece, stavano tentando di distrarre il nemico inutilmente, mentre ogni tanto davano un occhiata alla giovane modella accasciata a terra poco più in là.
Fece un grosso respiro, mentre la sua arma riluceva di una luce rosso vivo.
«Sono pronta!» urlò, iniziando a far roteare lo yo-yo.
A quel suo avviso si spostarono tutti e lei si lanciò veloce verso la sua nemesi: sì, ora lo sapeva, mentre correva verso di lui, in quei pochi metri che li separavano, si rendeva conto che era sempre stato così. Fin da quando l’aveva sfidato quasi un anno prima, fin da quando aveva giurato a tutti gli abitanti di Parigi che li avrebbe protetti: era lei la vera rivale di Papillon, non Chat Noir e nemmeno gli altri suoi compagni, solo lei.
Arrivata di fronte a lui lo yo-yo si aprì emanando la solita luce candida, quasi in contemporanea dall’uomo di fronte a lei in completo viola, uscì pian piano un’aura nera, come del fumo che fuoriusciva da tutto il corpo e veniva risucchiato dall’arma rossa.
Durò un paio di minuti, Ladybug sentì il pettine dell’eroina dell’ape decretare il suo ultimo minuto di autonomia, quando l’energia negativa smise di uscire dal corpo di Gabriel Agreste, ancora nei panni della più grande minaccia di Parigi. 
Appena vide che non c’era più nulla da purificare, sentì le forze abbandonarla all’improvviso. Le sue gambe tremarono per pochi secondi, per poi cedere e il buio la avvolse completamente, mentre sentiva il suo compagno urlare il suo nome da eroina.


«Ladybug!» urlò correndo a soccorrerla.
Un aura rossa iniziò ad avvolgere la ragazza a partire dai suoi piedi.
«Volpina!» sentì gridare dalla voce dell’altra ragazza del gruppo.
«FoxFog!» disse l’eroina arancione, così facendo la solita nebbia arancione si espanse in tutto lo stadio impendendo la vista al pubblico: mentre sia Ladybug che JBee riprendevano le loro sembianze.
Lui prese Marinette in braccio, mentre con la coda dell’occhio vide Pavon, Volpina e Jinnifer che sostenevano un’intontito Papillon, mentre anche lui si stava detrasformando e poco più in là TartaTitan stava facendo la stessa cosa con Angelie che finito l’effetto sia del potere del Miraculous dell’Ape che di quello della Farfalla si era ripresa.
Rientrarono negli spogliatoi tornando tutti alle loro sembianze, facendo schizzare via dai loro Miraculous le piccole creature.
Non riuscì nemmeno a gioire nel vedere l’assoluto stupore negli occhi di ghiaccio di suo padre, mentre incrociava lo sguardo di quella donna che credeva perduta per sempre e subito dopo lei si buttava con le lacrime agli occhi sul suo petto. 
La sua attenzione era completamente rivolta su quel corpo inerme che stava tra le sue braccia. La poggiò delicatamente su una delle panche e iniziò a chiamarla dolcemente, ma nonostante quel richiamo lei non si mosse di un millimetro. L’unico suo movimento era quello lieve del suo petto che si alzava e abbassava, ma era talmente lento e impercettibile che a momenti sembrava non respirasse.
Si chinò su di lei e le scostò una ciocca di capelli da davanti il viso. Il suo cuore sembrava avesse smesso di battere per l’ansia che stava provando in quel momento, non sapeva nemmeno come ancora riuscisse a controllare il suo respiro, come non gli fosse venuto nuovamente un attacco di panico, seguito da quella maledetta asma. Forse era perché era troppo concentrato su quel viso pallido, imperlato di sudore, nella speranza che le sue palpebre si aprissero per mostrare le iridi color del cielo e confermagli che stava bene, che era andato tutto per il meglio.
Sentiva lo sguardo preoccupato e commosso di tutti addosso, ma a lui non importava, voleva solo che si risvegliasse.
All’improvviso accadde qualcosa: tutti e sette i kwami si avvicinarono al corpo inerme di lei e poggiarono le minuscole zampette sulla sua fronte. Era quasi una magia, una magia antica che incantava. I sette kwami in un ordine preciso erano disposti in modo da formare uno spettro di colori ed emanavano luce.
«Marinette, ce la puoi fare, c’è ancora energia in te…» sussurrò Tikki che era la prima della schiera di piccoli spiriti.
Adrien stava lì a guardare, mentre stringeva la mano della ragazza, nella speranza che prima o poi ricambiasse quella presa.
Pian piano le sette luci, ad una ad una, si spensero e i kwami si allontanarono. Passò poco tempo, ma al giovane modello sembrò un’eternità, poi la ragazza emise un mugolio infastidito e il suo cuore iniziò ad accelerare per l’emozione, si avvicinò a lei di nuovo, sussurrando ancora il suo nome. A quel richiamo lei pian piano aprì gli occhi.
Quando finalmente vide di nuovo quei due bellissimi zaffiri accesi e pieni di vita, anche se un po’ confusi, sentì le lacrime rigargli il viso. 
«Ci… Ci siamo riusciti?» chiese lei portandosi una mano alla testa e tentando di mettersi seduta, facendo leva sulle braccia.
Lui, senza pensarci un momento di più, la prese per le spalle e la tirò a sé, iniziando a non riuscire più a trattenere nessuna lacrima.
«Sì my lady… Ci sei riuscita!»
Sentì la ragazza rimanere un’attimo interdetta da quel suo gesto improvviso per poi ricambiare subito quell’abbraccio, mentre attorno a lui tutti gli altri tiravano un sospiro di sollievo e sorridevano contenti.


Rimase per un buon paio di minuti abbracciata a lui: sentiva pian piano i muscoli della sua schiena sciogliersi tra le sue braccia. Chissà per quanto tempo era stata svenuta e quanto l’avesse seriamente fatto preoccupare. Quando constatò che era abbastanza tranquillo, si staccò da lui regalandogli un dolce sorriso, che ricambiò sollevato.
Solo a quel punto, quando ebbe la conferma che stava bene e che nessun attacco di asma l’aveva tormentato, si rivolse al resto delle persone che c’erano lì in quello spogliatoio.
«Devo ringraziarvi ragazzi, non ce l’avrei mai fatta senza di voi.» disse rivolgendo un altro sorriso ad ognuno degli altri ragazzi che avevano combattuto poco prima al suo fianco.
«Siamo stati grandi!» disse entusiasta la rossa con un tono finalmente allegro e sollevato che rispecchiava un po’ i sentimenti di tutti.
«Siamo stati una vera squadra! Spero davvero che ci sarà un’altra occasione per combattere insieme…» intervenne Nathaniel, avvolgendo un braccio attorno alle spalle della giovane italiana. 
«Oh questo è certo! - intervenne Fu - Lo spirito di Makohon ora è purificato, però non vuol dire che non verrà di nuovo corrotto: da quando il suo lato umano e debole si è risvegliato, sentimenti come l’invidia e la voglia di un potere che ha creato lui lo tormenteranno sempre, e presto potrà ricadere nel baratro e trovare un’altra persona da sfruttare.» concluse guardando il signor Agreste, che stava tenendo tra le braccia la moglie, come se avesse paura che fuggisse di nuovo.
Questa, quando lo sguardo di tutti si fermò su di loro, gli diede una gomitata allo sterno. Lui le lanciò una breve occhiata e poi, rivolgendosi a Marinette e al figlio che le stava accanto, parlò.
«Dovete scusarmi, davvero... I danni che ho provocato sono imperdonabili e probabilmente se mi fossi comportato da persona adulta tutto questo non sarebbe successo.» disse con il suo solito tono serio e autoritario, ma nonostante tutto si vedeva che era davvero dispiaciuto.
«Non deve scusarsi signor Agreste. - gli rispose lei tranquilla - È vero ci ha dato del filo da torcere e non è stato facile liberarla dal suo dolore e dallo sciamano, ma senza di lei non saremmo mai arrivati a questo punto. Se siamo una squadra, se abbiamo trovato nuovi amici, se io finalmente sono riuscita ad avvicinarmi ad Adrien: questo lo dobbiamo tutto a lei , sfidandoci ha tirato fuori il meglio di noi, ci ha fatto crescere e maturare e ci ha insegnato cosa significa lottare.» vide lo sguardo di ghiaccio dell’uomo illuminarsi a quelle parole e se ne compiacque.
«Sì, ma non farlo mai più, chiaro? - intervenne Adrien - Se la mamma sparisce di nuovo la si cerca di contattare o si denuncia la scomparsa come fanno tutte le persone normali, non si prendono Miraculous a caso per poi usare i loro poteri e diventare dei super-cattivi.»
Scoppiarono tutti a ridere alla battuta innocente del biondo e Monique Agreste, staccandosi un attimo dal marito, si avvicinò a lui.
«Non sparirò… Altrimenti chi bada a te, piccola peste?» gli disse con tono divertito scompigliandogli i capelli dorati.
«Beh mamma, credo che per cinque anni non me la sia cavata tanto male, non fosse per papà che non mi voleva far uscire di casa neanche per ritirare la posta dalla buca delle lettere.»
Un’altra risata inondò lo spogliatoio, mentre Gabriel incrociava le braccia e guardava con uno sguardo di rimprovero il figlio.
A quel punto Marinette si accorse anche di lei: era seduta in un angolo dello spogliatoio in silenzio con un aria completamente spaesata e triste.
Si alzò, decisa a raggiungerla, ma appena le sue gambe dovettero tenere tutto il suo peso iniziarono a tremare e cedettero, nonostante Adrien le fu subito a fianco, sostenendola.
«My lady sei ancora debole, non dovresti…»
«Ce la faccio, ce la faccio.» lo tranquillizzò lei, per poi staccarsi nuovamente dalla sua presa e andando con passo malfermo verso la ragazza.
Sentiva gli sguardi di tutti addosso, ma vedeva solo il suo: quegli occhi grigi che la guardavano stupiti e supplichevoli allo stesso tempo. Si chinò davanti a lei, poggiando le ginocchia sul pavimento.
«Angelie, come ti senti?» le chiese con tono preoccupato, ma anche il più rassicurante possibile.
«Io… Mi spiace, davvero… Non so cosa mi sia preso… Ero gelosa di te Marinette…» borbottò, facendola sorridere dall’imbarazzo.
«Di me? Seriamente? Angelie tu sei una modella: sei una delle ragazze più belle che io conosca, ogni ragazza vorrebbe essere come te. - a quelle parole la vide sorridere, un sorriso tirato, ma si vedeva che era sincero - Nessuno ti dà la colpa per quello che è successo. Come ha detto il maestro Fu, ognuno può provare emozioni e sentimenti più meschini o meno puri, a me è successo una marea di volte, l’importante è accorgersi dei propri errori.»
Il sorriso della ragazza si fece più ampio.
«Sei davvero una ragazza fantastica Ladybug! Ora capisco perché Adrien si sia innamorato di te. - dette quelle parole si alzò in piedi, aiutandola a fare altrettanto - Vi chiedo davvero scusa, per tutto ciò che ho causato e giuro che non rivelerò mai il vostro segreto.» mentre la giovane modella dai capelli corvini diceva quelle parole, Marinette notò il piccolo kwami della farfalla sussurrare qualcosa a quello che fino a quel momento era stato il suo portatore. A quel punto lui, con un cenno di testa, si staccò la spilla dal foulard che portava al collo e si avvicinò a loro.
«Sono sicuro che non lo farai!» disse quando fu proprio di fronte alla ragazza, porgendogli il Miraculous.
I suoi occhi sgranarono su quella spilla: il suo sguardo passò da essa allo sguardo dell’uomo a quello violetto di Nooroo che svolazzava di fianco a lui sorridente e poi all’anziano cinese poco più in là che con un semplice cenno di testa le diede la conferma. La sua mano bianca e candida, afferrò la spilla per poi guardarla con attenzione.
«Benvenuta in squadra Angelie!» le sorrise lei.


Subito dopo la consegna del Miraculous alla sua collega, se si poteva chiamare così, nello spogliatoio ci fu un po’ di traffico: dovevano iniziare a raccogliere la loro roba e uscire dallo stadio. Il ragazzo si alzò, raggiungendo la sua amata di fianco alla modella. Solo quando tutti furono pronti ad uscire, l'anziano cinese parlò.
«Ricordatevi ragazzi… Voi non siete solo degli eroi con poteri speciali. Ognuno di voi è stato scelto per un motivo: perché la vostra essenza, il vostro io, chiamava a gran voce questi spiriti che ora vi stanno accanto. - il biondo lanciò uno sguardo al piccolo gatto che si era poggiato sulla sua spalla e che lo guardava soddisfatto e orgoglioso - Voi non siete solo i protettori di Parigi, siete la speranza del mondo.»

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Capitolo 42
*** Il futuro ***


Il futuro

Atterrò con la sua solita leggiadria, tanto silenziosamente che nemmeno la ragazza seduta alla scrivania l’aveva sentito. Rimase qualche secondo ad ammirarla, come ammaliato da quella figura tutta concentrata, sotto la luce artificiale della lampada da tavolo che illuminava solo quella zona della stanza, mentre mordicchiava la matita che aveva in mano.
Dopodiché si avvicinò, con lo stesso passo lento e felpato, in modo che non si accorgesse di lui. Era così assorto nell’osservarla che non si rese conto dello scatolone per terra: il suo piede sinistro sbatté contro di esso, facendolo ruzzolare sul pavimento e creando un gran trambusto.
A quella confusione la ragazza saltò in aria e si voltò verso di lui.
«Chat, mi hai fatto prendere un colpo!» lo rimproverò.
«Non è colpa mia… Sei tu che metti scatole in mezzo ai piedi.» protesto stizzito il ragazzo rimanendo seduto dove era caduto.
«Si dà il caso che quella sia la stoffa che ho comprato ieri e non sapevo dove metterla.» rispose lei, volgendo di nuovo la sua attenzione a ciò che stava facendo poco prima.
«Nuovo vestito?» chiese curioso lui, rimanendo però seduto e togliendosi solo l’anello in modo che Plagg fosse libero di raggiungere la sua compagna nel solito giaciglio in cui lei se ne stava tranquillamente distesa.
«Una cosa del genere…» commentò lei concentrata.
«Posso vedere?» 
«No micetto… Piuttosto che ci fai qui a quest’ora?» gli chiese dando altri brevi tratti al foglio che aveva di fronte.
«I miei hanno deciso di recuperare la loro lontananza e sinceramente non ci tengo a non dormire la notte.» rispose lui poggiando la schiena sulla scatola e mettendo le mani dietro la nuca per stare più comodo.
«Adrien, - attaccò con tono di rimprovero lei facendo voltare di nuovo la sedia verso di lui - vivi in una villa enorme, non puoi sentire i tuoi che… che… beh hai capito…» disse voltandosi di nuovo rossa in volto.
Lui sorrise divertito per poi alzarsi ed avvicinarsi a lei, cingendole le braccia attorno alle spalle.
«Oh ti prego dimmi che indosserai questa felpa un giorno…»
«Adrien ti avevo detto che…» non le fece finire la frase, perché tirò la sedia girevole lontano dalla scrivania di qualche metro.
«Per oggi basta lavoro… Ho voglia di stare con te.» le disse facendo il giro attorno a lei e mettendoglisi proprio di fronte, porgendole la mano per farla alzare.
La ragazza con un sospiro accettò l’aiuto per poi andare alla scrivania e poggiare la matita che le era rimasta in mano, poi si voltò di nuovo verso di lui e per un’attimo rimase come abbagliato dal suo sguardo.
«Ti fidi di me?» gli chiese, con quella voce dolce e rassicurante.
«Sempre, my lady.» confermò lui e, a quella risposta, la ragazza spense la luce della scrivania, facendoli cadere entrambi nel buio più assoluto.
In poco tempo sentì il panico prendere il sopravvento, attorno a lui non riusciva più a percepire con precisione tutto e questo, come al solito, lo fece sentire a disagio.
«Tranquillo, sono qui.» le sussurrò all’orecchio la sua voce e subito dopo la mano delicata che sfiorava la sua.
A quei gesti fu come ritrovare la pace: non riusciva ancora a distinguere perfettamente la sua sagoma, ma era come se la vedesse perfettamente, come se fosse lei la sua luce.
Lo tirò leggermente per il braccio e poi lo fece sedere sulla chaise-long, quella che fino a due notti prima era stata il suo letto per più di una settimana.


Appena furono seduti, l’uno vicino all’altra, Adrien buttò la testa sulle sue gambe mettendosi comodo, a quel suo gesto le scappò un sorriso divertito. Rimasero qualche minuto in silenzio, mentre lei con le dita giocava con i suoi capelli biondi, spostandoli da un lato all’altro della fronte.
Guardava quel viso rilassato e tranquillo, con gli occhi chiusi, ripensando a quanta fatica aveva fatto per fare in modo che lui la notasse, non sapendo che già lui la cercava. Già, anche lui aveva dovuto faticare per conquistarla, perché lei continuava a respingerlo. Forse se avesse saputo fin da subito che Chat Noir era il suo Adrien, sarebbe stato tutto più facile per entrambi, eppure qualcosa le diceva che era giusto che fosse andata così: la loro alleanza che cresceva con il tempo speso a combattere l’uno di fianco all’altra; la loro semplice e sincera amicizia da compagni di classe; il loro primo e inconsapevole bacio e un’amore che era sbocciato pian piano col tempo. Sì, pian piano: perché sebbene lei si fosse invaghita di Adrien quel giorno sotto la pioggia, ora si rendeva conto che solo dopo aver scoperto anche dell’altra sua identità aveva imparato ad amarlo e apprezzarlo sul serio, proprio come gli aveva confessato qualche giorno prima, dopo la battaglia contro tutti gli akumatizzati.
«Senti Adrien… - disse, quasi d’istinto e lui le rispose con un verso interrogativo, continuando però a tenere gli occhi chiusi - Tu invece?”» chiese.
«Io cosa?»
«Tu cosa ci trovi in me?» specificò e in quel momento lui, finalmente, aprì gli occhi e, anche nella semi oscurità, fu per un attimo abbagliata da quei due smeraldi stupendi e da un sorriso dolce, ma allo stesso tempo attraente che si dipinse sul suo viso.
«La prima volta che ti vidi in quella tutina, tutta impacciata nell’usare il tuo yo-yo capii subito che c’era qualcosa di speciale in te. Non eri bravissima, come non lo ero io, eravamo alle prime armi e tu sembravi spaurita e lo mostravi molto più di me. Poi qualche giorno dopo ti ho visto sotto la Tour Eiffel urlare il tuo coraggio a tutta Parigi e lì è stato come un colpo di fulmine. Non sapevo perché, ma quella tua determinazione mi aveva fatto capire che chiunque ci fosse stata sotto la maschera aveva tutta la mia stima e che non potevo amare nessun’altra.» raccontò tutto con estrema disinvoltura, come se ripensare a quei momenti fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Ma io non sono Ladybug… Io sono…»
«Molto più insicura, ma altrettanto coraggiosa; molto più timida, ma sai anche tirare fuori il tuo lato spiritoso quando vuoi; molto meno disinteressata tanto da non riuscire a controllare le tue emozioni, ma quando vuoi sai concentrarti sull’obbiettivo… Però alla fine, sei sempre tu Marinette, tu sei entrambe ed io trovo speciali tutte e due.»
«Adrien…» sussurrò come a volerlo ringraziare, mentre sorrideva, commossa da quelle parole.
«Quando correvo dietro a Ladybug, non mi sono mai reso conto di ciò che avevo a fianco, eppure non mi sei stata mai indifferente, mai. Non avrei tentato di chiederti scusa quel giorno altrimenti: insomma forse cercavo solamente di farmi nuovi amici, ma mi resi subito conto, di nuovo, di quanto fossi speciale. Nell’ultimo periodo sono anche arrivato a tormentarmi su chi dovessi scegliere tra le due te.»
«E menomale che vi siete detti le vostre identità in un modo o nell’altro, perché non l’avrei sopportato un momento di più!» protesto Plagg dal suo giaciglio.
I due lo ignorarono, mentre sentivano Tikki che, cercando di tenere la voce bassa, lo rimproverava dicendogli di lasciarli in pace.


Passarono un bel po’ di tempo a chiacchierare in quel modo, rivangando ricordi e momenti passati insieme, di cui si rendevano conto solo in quel momento di aver vissuto davvero, nel segreto delle loro identità. Quando lui, con la testa ancora appoggiata sulle sue gambe, la vide fare uno sbadiglio: era un gesto delicato e controllato, degno di lei, ma era evidente che era stanca.
Si tirò su, mettendosi di nuovo seduto al suo fianco.
«Forza principessa, è ora di andare a letto.»
Lei rispose con un cenno di testa e si fece aiutare a tirarsi su.
«Torni a casa adesso?» chiese Marinette raggiungendo le scale che portavano al soppalco.
«Mmm… Io pensavo di dormire assieme…» disse seguendola e vedendola arrossire vistosamente, per poi sentirla ricominciare a balbettare come al solito. 
«Come… Cosa… Cioè io… Insieme nel mio letto, come… Tu…»
«Oh andiamo Marinette, l’abbiamo fatto un sacco di volte la settimana scorsa.» protestò lui cercando di tranquillizzarla e mettendole la mano sulla spalla.
«Sì ma le altre volte… La… la situozione… La situazione era divarsa… divarsa… era diversa.»
«Appunto. È molto meglio farlo ora, che siamo tranquilli, senza più nessuna preoccupazione o nessun problema che ci assilla.»
Ci mise due buoni minuti a convincerla e quando finalmente si arrese, finendo anche di biascicare parole sconnesse, entrambi salirono le scale e si sistemarono sotto le lenzuola.
«Sai Marinette… - disse abbracciandola - Non avrei mai creduto di poterlo dire a soli quindici anni, ma il futuro non mi è mai sembrato così definito e vicino.»
«Tu, io, un atelier tutto nostro, magari sotto la mason Agreste, e la vita da super eroi.» sussurrò lei, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Proprio così, my lady.»



Angolo dell'autrice:
Eh sì, carissimi lettori... Abbiamo concluso!
"Le coeur de Paris" si conclude qui.
Ma non vi preoccupate, come sa già qualcuno di voi, seguirò la scia di un'altra autrice molto seguita in questo fandom, e creerò una vera e propria saga intorno a questa fanfiction (e ben presto arriverà anche un seguito, sebbene prima voglio pensare ad altre storie riguardanti la saga). Perciò spero continuerete a seguirmi e spero di continuare a stupirvi e farvi innamorare dei miei portatori, tanto quanto siamo tutti innamorati di quelli di Echocide ;)
Concludo ringraziando tutti quanti. Tutti voi lettori che mi avete seguito, sostenuto e incoraggiato. Tutti coloro che hanno recensito, che hanno messo semplicemente un mi piace nel post di Facebook dopo aver letto il capitolo o che addirittura hanno aggiunto questa storia tra le preferite.
Grazie davvero e ci vediamo alla prossima storia.

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