Tempi di Caccia

di ERiCA_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #ARRENDERSI ***
Capitolo 2: *** #LA LUCE ***
Capitolo 3: *** #TUTTO IN ROVINA ***
Capitolo 4: *** #PERCHÉ NO? ***
Capitolo 5: *** #LEI&LUI ***



Capitolo 1
*** #ARRENDERSI ***


Un nuovo viaggio nel personaggio di Remus, in questa raccolta lo vedremo alle prese con la sua oscurità, perchè "Il mondo non è diviso tra persone buone e Mangiamorte! Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ma sta sempre a noi scegliere da che parte schierarci."
Buona lettura ;)
.e.


 

Tempi di Caccia
#ARRENDERSI
 


Trovare la pozione anti-lupo a poco prezzo, di quei tempi, era una vera impresa. Comunque doveva trovarla, doveva assolutamente trovarla, o la luna di questo mese minacciava di essere insopportabile senza. La seconda alternativa alla pozione poteva essere lo sballarsi o l’ubriacarsi – o perfino entrambi – dopo essersi incatenato, ma anche per quello servivano soldi e al momento Remus non ne aveva, come d’altronde la voglia di farlo. Non voleva di nuovo ridursi così, in quello stato pietoso, come ormai faceva da anni, e dover affrontare una giornata allucinante a smaltire la sbornia o la fattanza insieme alla trasformazione.
Rimuginava solo, su una grande spiaggia a sud dell’Inghilterra, mentre teneva stretta una lettera di suo padre Lyall che lo invitava a tornare a casa per il suo compleanno. Peccato che quest’anno il compleanno di suo padre coincidesse proprio con la luna piena. Non ci sarebbe mai andato senza quella maledetta e costosa pozione, non poteva rischiare, non poteva mettere in pericolo chi gli aveva donato la vita.
 
“Perché mi avete abbandonato ragazzi…”. Questa era la domanda più frequente nella mente del lupo, l’indomani sarebbero passati sei anni da quel casino e non riusciva ancora a farsene una ragione. Dopotutto come poteva? Come poteva darsi pace per quello che era successo ai suoi migliori amici?
James e Lily, uccisi a sangue freddo per proteggere loro figlio. Ramoso e sua “Sorella”…
Peter, Codaliscia, massacrato con tanta violenza da farne rimanere solo un dito, assassinato dal Cane…
Il Cane, Felpato, Sirius.
Ogni santa volta i suoi ricordi dei Malandrini, quelle corse notturne, gli scherzi, i sorrisi complici e sbarazzini, venivano colorati e macchiati di sangue, denso e scuro, sporco sangue. Era tutta colpa di Black, li aveva uccisi tutti lui, tutti. Era come essere trafitti da centinaia di lame per centinaia di volte, e ancora, e ancora, e ancora…
«Bastardo Giuda… figlio di un cane… Maledetto…» diceva quelle parole sussurrate a denti stretti, talmente stretti da farle stridere  nella sua bocca. Potevano sembrare una preghiera alle orecchie di molti, ma per chi le abbia mai pronunciate in quel modo sono inconfondibili; sono parole cariche di un odio profondo, viscerale, rabbioso e oscuro, che sanno devastare sia chi le ascolta, sia chi le pronuncia.
 
Le sue dita affondarono lentamente, ma decise, nella sabbia bagnata su cui era seduto. Inesorabili, andavano sempre più giù, come lui, come Remus, sempre più giù. Poi di colpo le chiuse, riunendo nei suoi pugni forti miriadi di granelli sottili, ma qualcosa di doloroso lo obbligò a tirar fuori la mano destra dal suo caldo e umido nascondiglio sabbioso, per portarsela agl’occhi.
Tra le pieghe della grigia pelle della mano scorreva un rivolo incontrollato di sangue, che, svelto, stava raggiungendo il polso e la manica della camicia. Lo risalì con lo sguardo e raggiunse un profondo e netto taglio, dalla quale sbucava un bel pezzo di vetro ambrato.
Il sangue
Riusciva solo a guardarlo fluire, come incantato, estasiato; come se, d’improvviso, si venisse immersi in un sogno, un intenso viaggio onirico che ti avvolge e ti culla, facendoti dimentico dell’universo.
 Era questo il sangue per Lunastorta quando il momento si avvicinava, un richiamo, una necessità, come lo era la luna…
 
Quasi ci fosse una mano dietro la sua nuca, l’istinto lo spinse a raggiungere il palmo con la bocca, la lingua che leccava il rivolo scarlatto, senza farsene scappare una goccia, fino al taglio. Estrasse il vetro e rimase per un po’ a succhiare il suo stesso sangue, come fosse linfa vitale, cibo divino, unica fonte da cui bere per restare in piedi.
Un brivido violento lo scosse, gli influssi lunari dovevano essere davvero molto forti quel mese, più di quanto aveva calcolato. Si rese conto solo dopo qualche minuto che lo stomaco brontolava una particolare fame, il gorgoglio doloroso di nomi innocenti, un rumore profondo e prepotente, risvegliato dall’odore ferroso che gli aveva colmato le narici, per arrivare al cervello, dritto lì, dove la bestia aspettava ogni mese. Era troppo tardi per i rimedi.

Era il 30 ottobre 1987 e Remus John Lupin era un ventisettenne tormentato, ma quella notte sarebbe stato solo il mostro che tutti si aspettavano.
 
Calò il sole sulla spiaggia, il mago rise e sul suo delicato viso si aprì uno squarcio perfido, un ghigno che non gli apparteneva.
I suoi occhi verdi-dorati si chiusero consapevoli.
“Benvenuta notte oscura, la caccia è iniziata”.

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Capitolo 2
*** #LA LUCE ***


Tempi di Caccia
#LA LUCE
 



Remus avanzava incerto sulle gambe stanche che, come tutto il suo corpo, erano percorse da spasmi dolorosi e incontrollati. Questa volta era riuscito a salvare i suoi vestiti dalla distruzione fortunatamente, perché non avrebbe potuto comprarne altri, il lavoro era scarso da tempo, ma mai come in quel momento.
Si era trasferito nello Yorkshire da un po’ e, forse, era arrivato il momento di andarsene, magari di nuovo in Spagna…

Raggiunse il portoncino di legno marcito, che segnalava l’ingresso di quella che era diventata “casa sua”, un vecchio casolare con chiari segni di abbandono, affiancato da un fatiscente, ma funzionale alle sue trasformazioni, fienile. Questa volta però era riuscito a fuggire dalla sua tana, si era risvegliato in una caverna nel bosco, nudo e pieno zeppo di ferite sanguinolente su tutte le gambe, le braccia e l’addome. La caccia doveva essere andata male alla bestia, quelli non sembravano suoi morsi… Aveva trovato alcuni suoi vestiti lì – ormai conosceva i luoghi preferiti dove si riparava da vagabondo trasformato –, con  alcuni si era dato una pulita, per poi romperli e farsi delle bende di fortuna, e con gli altri si era coperto.

Fece forza sulla maniglia, ma si rese conto che, anche se la porta era in condizioni critiche, lui doveva esserlo di più; così vi si appoggio di peso con la spalla, provocandosi fitte dolenti su tutta la parte sinistra del corpo. Una volta dentro fu accolto dal fresco e rigenerante buio della stanza, come una dolce e materna carezza sulla sua pelle martoriata e spossata. Fece per chiudere la porta, ma sbiancò vedendo quanto suo sangue la ricoprisse. Si girò verso il mobile più vicino, aprì un cassetto e ne tirò fuori uno straccio bianco, col quale iniziò a togliere le macchine cremisi dalla maniglia, affannandosi.
 
«Sai caro ragazzo, nelle tue attuali condizioni, puoi anche farlo con la magia, nessuno penserà che tu sia uno scansa fatiche.»

Remus sobbalzò al suono inaspettato di quella voce, cadendo quasi a terra dallo spavento. Si appoggiò al muro mentre girava il viso all’uomo sconosciuto in casa sua e… ma poi, sconosciuto…?
«Pro-professor Silente? È lei?» Quella domanda era uscita lieve ed incredula dalle sue labbra, come avesse detto una gigantesca eresia.

«Oh, molto bene Remus! Allora non sei impazzito come temevo!» Albus Silente entrò tranquillo e contento nel cono di luce che si era creato all’ingresso, grazie alla porta aperta. Tirò fuori la bacchetta e ripulì il sangue sul legno, poi si diresse verso il licantropo e gli passò delicatamente un braccio sotto le spalle, aiutandolo a camminare fino ad un grande e scassato divano giallognolo.
 
«Grazie professore… ma lei come…? Cosa, cosa ci fa qui? Come ha fatto a trovarmi?» Remus catturava ogni dettaglio dell’anziano amico, la lunghezza dell’argentea barba, le nuove e profonde rughe sul suo viso magro, le vesti chiare e bordate da tessuti preziosi, quei taglienti e limpidi occhi azzurri. Tutto quello che riusciva a pensare era che Albus Silente rispecchiasse perfettamente un potente fascio di luce, tutto quello che si trovava nelle sue immediate vicinanze brillava come avesse tratto nuova vita dalla presenza di lui.
Forse erano solo impressioni dovute allo spaesamento della trasformazione della notte appena trascorsa, ma il lupo non poté fare a meno di sentirsi leggero e contento. Non si era nemmeno reso conto che Silente stava curando le sue ferite.

«Così, così dovrebbe andar meglio, vero? Cioccolata?» dopo aver tirato fuori dalla lunga tunica una tavoletta di cioccolato gianduia, l’anziano mago fece scontrare le sue iridi cerulee con quelle ancora alterate del licantropo, provocando in quest’ultimo la ricomparsa di antichi ricordi, battaglie, amicizia, speranza, sacrificio, possibilità, dovere, amore…

Nell’attimo di quello scambio di sguardi, Lupin si ritrovò davanti tutta la sua vita, tutto il dolore e la nostalgia delle perdite, tutta la solitudine, la tristezza e lo sdegno per quello che era diventato.
«Professore, mi dispiace… non avrei mai voluto che mi vedesse in questo stato… Scusi.»

«Remus calmati, calma. Non mi sono certo scandalizzato, ci vuole ben altro per farlo ora che ci penso. In fondo sapevo delle tue condizioni e mi scuso io per non essere intervenuto prima, mio caro amico.» il volto del professore si rabbuiò per un momento, facendolo sembrare più vecchio di almeno 100 anni, ma si riprese quasi subito sorridendo all’altro.

«Tuttavia, ora sono qui e anche se trovo il paesaggio dello Yorkshire delizioso, devo pregarti di fare le valigie e trasferirti di nuovo.»
Remus si sistemò meglio sul divano, aiutandosi con uno dei polverosi braccioli e storse la testa, curioso di sapere dove Silente volesse andare a parare con quella frase.

«Vorrei ragazzo mio, che venissi a ricoprire il ruolo di Insegnante in Difesa Contro le Arti Oscure e sap…»
«Non credo di essere la persona più adatta per questo, né la più raccomandabile Albus…»
«… Come dicevo, sappi che un “no” non è contemplato fra le risposte! Avrai sempre garantita la pozione Anti-Lupo, se è questo che ti preoccupa. C’è bisogno di te Remus, è il momento di tornare tra noi!»

Il licantropo chiuse gli occhi stanco, ecco perché se ne era andato. Quel noi pesava come le montagne sulla sua anima, come se ancora avesse un’anima poi. Tsè.
Quel noi significava impegno e controllo, significava fiducia, significava sofferenza.

Impegno e controllo da parte degli altri verso la sua condizione.
Fiducia da ottenere di nuovo e da dare di nuovo.
Sofferenza di tutti, perché i lupi mannari portavano solo morte.
 

«Non credo che verrò… Non voglio trattenerla oltre, la mia risposta non cambierà. Quindi, la prego mi lasci solo… grazie per avermi aiutato prima e scusi per il tempo che ha perso con me questa mattina.»

Silente mise su una smorfia triste e senza dire una parola si voltò dando le spalle a Remus e si diresse verso la porta ancora aperta. Rientrò in quel cono di luce, brillando come non mai. Mise un piede fuori. Il busto oltrepassò le mura della casa. Anche l’atro piede stava per toccare il suolo, ma poi il vecchio mago parlò di nuovo.

«È un peccato che tu non venga a conoscere Harry, caro Remus. Sai è uguale a loro… si, direi un mix perfetto tra Malandrini e la Evans… » Un rumoroso respiro sfuggì dalle labbra del giovane, aveva la sua attenzione.

«È un peccato davvero, quel ragazzo avrebbe bisogno di un alleato, soprattutto ora. Sai cosa si dice in giro, no? Si dice che lui sia fuggito, potrebbe rappresentare un pericolo…»
 
Poche frasi. Poche frasi che avevano colpito sia il lupo che l’uomo. Sapeva che si trattava di un subdolo giochetto del professore, per dargli una motivazione e raggiungere il suo scopo, ma non gli importava troppo.
Stava di nuovo scivolando nel baratro dei suoi ricordi, dei suoi pensieri, delle sue emozioni…
Gli occhi si aprirono fino a spalancarsi, le pupille si dilatarono, riempiendosi di scintille color rubino, i sensi  si acuivano. La pelle venne scossa da mille brividi, il cuore saltava battiti, per poi recuperarli tutti insieme, veloci e dolorosi. Piccole e insolenti scariche elettriche lo percorrevano.
L’emozione che provava era indescrivibile, perversa, semplice e contorta, piacevole e spiacevole, inutile frenarla, l’istinto prendeva di nuovo il sopravvento.

Nella sua mente si formarono enormi tre parole,
“SEI MORTO BLACK. SEI MORTO BLACK. SEI MORTO BLACK”

E poi altre tre,
“VIA ALLA CACCIA.”
 
Eppure il suo corpo si irrigidì, un barlume di lucidità, la voglia di lottare contro sé stesso. Il respiro tornava a regolarizzarsi, i pensieri a turbinargli per la testa. “Sta calmo, sta calmo idiota… pensa… pensa…”.
 
La bestia, però, aveva già deciso la sentenza: Vendetta.
 
«Quando inizio?»
«Il primo di Settembre naturalmente, Professor Lupin.» La soddisfazione. Il secondo piede a terra. Pop.

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Capitolo 3
*** #TUTTO IN ROVINA ***


Tempi di Caccia
#TUTTO IN ROVINA
 
 
Correre, ora doveva solo correre.
Correre, schivare gli alberi e correre.
La luce del primo mattino iniziava a perforare le fitte fronde della foresta.
Doveva correre, correre, correre, cercare un riparo e correre.
L’alba sorgeva e il licantropo si indeboliva, non era riuscito a trovare nemmeno un buco dove nascondersi.
Correre finché poteva, correre oltre la stanchezza, correre oltre la debolezza, correre oltre tutto, solo correre.
Ma la luce del sole non perdona i maledetti e la bestia iniziava a rimpicciolirsi, a cambiare forma.
 
In uno sbattere di ciglia Remus riprese lucidità, alzò la testa e si ritrovò accucciato in una grande piazzola illuminata fra gli altissimi alberi. I flash della notte prima facevano capolino nella sua mente in modo caotico, disordinato, pauroso.
Ricordava l’abbraccio di Sirius, ricordava due occhi nerissimi, ricordava una figura ritrovata e poi ricordava le emozioni di Harry, il sangue di Ron, la forza di Hermione.
C’entrava la Stamberga in tutto quel delirio di ricordi e la luna, improvvisa, lattea luna… perché?
Perché ricordava solo degli stralci? Cosa diamine era successo la notte prima, era riuscito a catturare Black? Ma chi era l’altro… chi?
Quanta confusione, poi c’era rabbia, poi felicità assoluta.
 
La trasformazione ancora non accennava ad abbandonare totalmente il corpo dell’uomo, il licantropo lottava dentro di lui, ma la luna era passata.
Tirò lentamente su il viso e si guardò attorno, l’alba rendeva ogni cosa magica nella foresta, anche i granelli di polvere che si posavano placidi sulle sue lunghe ciglia castane. Era nella foresta, come c’era arrivato lì? Perché questa trasformazione era stata così intensa da gettarlo in uno stato di confusione simile?
 
Poi una fastidioso turbinio di idee gli iniziò ad affollare la mente. Amava il suo modo veloce e deduttivo di pensare, ma non in quel momento.
“Mi sono trasformato ed è stato violento, a quanto pare… un effetto così può essere dato solo quando si interrompe bruscamente la pozione… perché diamine non ho preso la pozione ieri sera? Ma se io non ho preso la pozione e mi trovavo con i ragazzi ieri…………… oddio… cosa ho fatto?”
 
La testa gli cadde tra le mani sporche di terra e sangue e la sua disperazione esplose in lacrime, gemiti e mugolii, poi in urla strazianti e, grazie all’ultimo barlume di bestia, in un ululato agghiacciante, tanto era carico di sofferenza.
Il cuore batteva forte nei timpani, il sangue fluiva inesorabile dalle ferite sparse su petto e schiena, gli occhi erano stretti talmente forti da creare un buio impenetrabile perfino al fiume di lacrime che spingeva per continuare ad uscire.
Li aveva sicuramente uccisi, aveva ucciso quei poveri ragazzi… aveva ucciso Harry, aveva sbranato il figlio di James e Lily.
 
 
Hagrid correva pesante tra gli alberi, quell’ululato sembrava proprio… ma non poteva essere, non poteva proprio essere.
Il mezzo gigante correva a perdifiato, sondando quanta più foresta potesse, poi il cuore si fermò davanti alla scena che gli si parò davanti, le guance esangui e gli occhi increduli.
«Professor Lupin? Professor Lupin… Oddio Remus…»
Lo raggiunse in pochi larghi passi e gli mise una mano sulla spalla e una sulla testa.
«Remus alzati, va tutto bene… i ragazzi stanno bene! Tu e Piton avete fatto un gran lavoro ieri sera! Professore mi sente?»
 
Remus aprì gli occhi e la luce gli trafisse le pupille ancora spropositatamente allargate , mentre il rosso lupesco lasciava il posto al verde umano. «I… I… I ragazzi… loro st-stanno bene?»
«Certo… si. Professore la riporto al castello.»
Il sospiro di sollievo che tirò Remus gli tolse tutta l’aria dai polmoni, tutta la rimanente forza dai muscoli e dalle ossa, tutta la lucidità dal cervello. Si lasciò andare, sorridendo, con le lacrime che si seccavano sulle sue guance rilassate. Hagrid lo sorresse e lo prese tra le braccia dirigendosi svelto verso il castello.
 
Non aveva fatto del male ai ragazzi, questo era l’importante, solo questo. La caccia era stata un fiasco per la bestia e lui se ne beava.
Il sonno sopraggiunse e portò chiarezza al mago… vide la Mappa del Malandrino con i nomi di Harry, Ron, Hermione, Peter e Sirius; vide il tunnel della Stamberga Strillante, poi Harry con la bacchetta contro un terrorizzato Sirius; l’abbraccio con suo “fratello”; le grida di Hermione «No! Harry, non credergli, ha aiutato Black ad entrare nel castello, anche lui ti vuole morto… è un Lupo Mannaro!»; Minus-Crosta che si dimenava ferendo Ron; la storia dei Malandrini ad Hogwarts e il brutto scherzo tirato a Severus; il Mantello dell’Invisibilità che scivolava ai piedi di Piton, i suoi occhi neri scossi dall’eccitazione della scoperta;  «Sono curioso di vedere come la prenderà Silente… era convinto che tu fossi innocuo, sai, Lupin… un Lupo Mannaro addomesticato…»; il viso di Sirus svuotato di ogni colore, una preghiera a Piton «Tu… tu devi ascoltarmi. Il topo… guarda il topo… »; Harry che andava a bloccare la porta, le funi che tiravano, «LEI È PATETICO! SOLO PERCHÉ A SCUOLA LA PRENDEVANO IN GIRO NON HA NEMMENO INTEZIONE DI ASCOLTARE… »; tre grida  «Expelliarmus!»; la fotografia della Gazzetta del Profetta sventolava sui loro nasi, i Weasley sorridevano davanti alle piramidi d’Egitto, Crosta-Minus lì con loro; la parte più grossa ritrovata fu un dito, dodici anni, l’aiuto di Grattastinchi;  «NON È VERO! ERA IL LORO CUSTODE SEGRETO! L’HA DETTO PRIMA CHE ARRIVASSE LEI! HA DETTO CHE LI HA UCCISI!», «Harry… è come se li avessi uccisi…»; uno scambio di segreti; i ricordi di Sirius; una luce bianca e una blu, Minus costretto a mostrarsi; suppliche e verità; la fuga di Sirius da Azkaban; un sorriso sul volto di Felpato, «Lo uccidiamo insieme?»; «Harry, James non mi avrebbe voluto morto… James avrebbe capito, Harry… avrebbe avuto pietà di me… »; Peter sbattuto indietro, la rabbia che montava nei due ex-Malandrini, «E ALLORA AVRESTI DOVUTO MORIRE! MEGLIO MORIRE CHE TRADIRE I TUOI AMICI! NOI PER TE LO AVREMMO FATTO!»; Harry che corre e si mette tra le bacchette e quell’essere; portavano Minus fuori dalla Stamberga, legato al suo polso destro e al sinistro di Ron; i prati illuminati dalle luci del castello... E poi una nuvola passò; «CORRETE!».
 
Si svegliò di soprassalto nella sua stanza ad Hogwarts, Madama Chips gli stava bagnando la fronte con uno straccio fresco e gli sorrideva debolmente.
Si passò una mano sul viso e si schiarì la voce. «Poppy, da quanto sono qui?»
«Direi da un paio d’ore Remus… è ancora molto presto riposati… »
«Devo parlare con Silente, Poppy… ti prego chiamalo…»
«Non credo possa venire caro, ci sono stati dei problemi con la cattura di ieri sera di Black!»
 
Lupin fece vagare i suoi occhi fino al magnifico soffitto affrescato della sua stanza, colori chiari e scuri si contorcevano alla sua vista, era andato tutto in rovina.
Lui aveva di nuovo la colpa di tutto, aveva mandato tutto il lavoro fatto la notte prima a farsi fottere. Avevano dimostrato l’innocenza di Sirius, Harry poteva finalmente lasciare quella orrenda famiglia babbana, Piton forse avrebbe capito i fraintendimenti del passato… Tutto in rovina, tutto cancellato a causa sua.
 
Quindi la caccia della bestia era andata a buon fine…
Tutto, era riuscita a rovinare tutto, di nuovo e, probabilmente, lo avrebbe fatto ancora.
 
 

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Capitolo 4
*** #PERCHÉ NO? ***


Ragazzi ho pubblicato di getto...eventuali errori comunicatemeli...buona lettura!
.e.

 

Tempi di Caccia
#PERCHÉ NO?
 

Ancora nessuna notizia e le stelle iniziavano a trapuntare il cielo.
Erano sicuramente entrati ormai, il labirinto era pronto e pullulante di belle bestiacce a quanto gli aveva raccontato Hagrid.
Pura follia, ecco cos’era, follia. Far partecipare Harry a quella assurda competizione era follia. Lo pensava anche ora, anche durante lo svolgimento dell’ultima prova.
 
Se ne stava sdraiato sull’erba di un verde prato poco distante da quella che una volta era stata casa sua e dei suoi genitori. Un odore di fiori lo raggiunse e dalla sua intensità seppe che la trasformazione era vicina, ma non era quello a preoccuparlo.
Erano un paio di settimane che non si sentiva tranquillo e parlare con Sirius non lo aveva certo fatto sentire meglio. Certo, sapere che Harry si era preparato a dovere per la terza prova era confortante, ma c’era qualcosa di storto nell’aria… poteva sentirlo, ne sentiva la vibrazioni. Qualcosa sarebbe accaduto e Remus sperava con tutto il cuore che fosse qualcosa di buono, ma il suo istinto raramente sbagliava.
 
Le stelle colmarono l’azzurro scuro del cielo come fossero tanti meravigliosi diamanti sulla tiara di una principessa, il respiro si faceva man mano più corto.
La bestia stava lentamente mangiando l’uomo, la luna riflessa sulle pupille sempre più nere, come larghe voragini sull’anima.
Si alzò e si diresse verso il boschetto poco distante, tranquillo e rassegnato da anni a quella piaga che non lo avrebbe mai abbandonato, alla piaga che rovinava ogni parte della sua vita, sempre.
 
Raggiunse la base di un nodoso e largo albero, le cui radici uscivano indisciplinate dal terreno formando un oscuro nido di legno morente. Si tolse i vestiti e cercò la posizione più comoda per prepararsi alla trasformazione. Lanciò diversi incantesimi protettivi e un paio in grado di renderlo invisibile a chiunque e aspettò.
Ormai era un anno che prendeva la pozione, era riuscito a pagarla con i soldi dell’anno da professore e con qualche aiuto da parte di Silente. La bestia era mansueta ed era quindi possibile affrontarla senza catene ed altri dolorosi rimedi, rimanendo lì, in un guscio magico nel buio verde dei boschi.
 
Prima di perdere la lucidità un brivido gli percorse la schiena facendogli drizzare tutti i peli lupeschi appena spuntati; stava andando male, qualcosa di brutto stava accadendo e lui era inerme, preda designata di un destino terribile, prigioniero di se stesso.
 
 
Scoccarono le tre, lo capì dal suono delle campane della vicina chiesa.
“Mundungus avvertito, la signora Figg anche… manca solo Lunastorta… andiamo.”
Sirius si smaterializzò dietro ad una grande fontana poco distante dal nuovo appartamento di Remus, si tramutò in cane ed iniziò a strisciare nell’ombra fino alla fatiscente palazzina. Il cancelletto e il portone erano aperti, come tutte le volte che era stato lì. Riprese sembianze umane e salì veloce le tre rampe di scale, lo stantio fetore di cucinato che impregnava le vecchie pareti gli riempì le narici, provocandogli un conato che represse con tutta la forza.
La porta di casa Lupin era ben chiusa e da sotto non trapelavano le solite, flebili luci delle candele profumate al mughetto che Remus lasciava accese per la puzza dell’edificio. “Strano” pensò Sirius, “Perché non è in casa…?”. Poi una falena gli sfiorò leggerissima la mano e il mago la seguì con lo sguardo come rapito. Volò verso l’alto, verso una finestrella a cui era attaccato il suo destino, una lampada elettrica. La falena ingenuamente posò il suo delicato corpo su quel luminescente e affascinante blu e, in un attimo, rimase folgorata, cadendo inerme sul sudicio pavimento, ma l’uomo non se ne accorse. Il suo sguardo rimase puntato verso la lanternina sporca e incrostata di cadaveri, o meglio, rimase puntato poco oltre quel cimitero portatile. Sirius fissava l’enorme e bella luna piena che rischiarava la notte stellata. “Questa non ci voleva… come ho fatto a dimenticarlo?!”.
 
Sbuffò e digrignò nervoso i denti, poi Pop.
 
 
Erano da poco passate le quattro di notte e quella che era stata Villa Felicity era fredda e deserta. Di Remus non c’era ombra…
Sirius iniziò a pensare al peggio, “Dove poteva essersi cacciato? Il licantropo era riuscito ad uscire?”. Poi però rifletté e si convinse che con la pozione anti-lupo che Remus ormai assumeva da quasi un anno non poteva essere andato chissà dove…
Tornò cane ed uscì dalla villetta, iniziando ad aggirarsi per il grande ed incolto giardino, un enorme ammasso di macerie di una vita felice, un horror.
 
Trovò una traccia, la traccia dell’odore del lupo, debolissima… ma c’era.
Iniziò a seguirla, stando attento a rimanere più nascosto possibile, arrivò così al limitare del bosco poco distante. Entrò nel buio, facendosi guidare solo dal suo naso, da quell’odore familiare, un odore che sapeva di ricordi, di corse sfrenate, di avventure, di libertà, ma anche di rabbia, di sconforto, di incidenti. L’odore del passato che tanto gli mancava.
 
Arrivò alle basi di un antico e morente albero, l’odore era intenso, Remus doveva essere lì intorno.
L'alba iniziava ad avvicinarsi mentre l’odore mutava, ma lui dov’era?! Il grosso cane iniziava a spazientirsi, girava nei pressi dell’albero senza darsi pace, l’odore continuava a cambiare, l’uomo stava tornando, la bestia stava sparendo.
Le tiepide luci del primo sole iniziarono a pervadere il buio.
 
«Felpato…» la voce dell’amico era debole, ma intorno a lui non c’era nessuno. «Felpato sono qui…» gli incantesimi decaddero e la sagoma del licantropo apparve tra le radici del grande albero.
Sirius tornò umano e andò ad aiutare Remus. Lo coprì come meglio poteva e guidato dalla sua voce fioca trovò i vestiti.
«Ho una tavoletta di cioccolato nella giacca, passamela…»
«Come ti senti?»
«Come se un grosso masso mi avesse schiacciato per ore…»
Le dimensioni del corpo si facevano sempre più umane, la voce si rischiarava…
«Porto pessime notizie fratello… È tornato, Lui è tornato…»
«Chi è tornato? Cosa dici?»
«Voldemort, Voldemort è tornato Rem…»
«Non è possibile Sir…»
Sirius lo aiutò a mettersi seduto, il corpo ancora ricoperto di ispidi peli, il viso ancora in parte lupesco.
Gli raccontò tutto, la terza prova, il cimitero, la rinascita del Signore Oscuro, la chiamata dei Mangiamorte, Diggory morto, le bacchette gemelle e quello strano incanto, Harry ferito, il falso Moody, l’opposizione di Caramell… tutto.
 
Remus puntò i suoi occhi in quelli dell’amico che sussultò appena, dovevano essere ancora alterati… «Non è vero… non può esserci riuscito…» la voce ancora fioca, colorita dall’incredulità, dalla forza di non credere. Si infilò la camicia, ma la lasciò sbottonata, il petto ancora parzialmente rigonfio non gli permetteva ancora di abbottonarla.
«Non mi credi? Ti dico che è tutto vero, diavolo, Remus! È tornato!»
«Non urlare idiota! Ripetimi com’è andata…» il fosco ringhio che usciva dalle labbra del licantropo era eloquente.
«Non ti ripeto nulla! Cazzo Remus, Harry poteva morire ti dico! La sua gamba era… era… e il taglio sul suo braccio Rem, il taglio fatto da quello schifoso Ratto. Spero che muoia di una morte orribile, ha ferito Harry. Dovevamo ucciderlo noi, quella maledetta notte!»
La rabbia e la disperazione che emana Sirius raggiunse tutti i sensi di Remus, il lupo che ancora era in lotta per non addormentarsi gorgogliava in lui, facendosi spazio per trovare una accesso, una via di luce.
 
«Devi credermi!» urlava Sirius e, con uno scatto rapido, si avventò sul colletto della camicia di Remus facendogli sbattere la testa contro il duro tronco dell’albero.
Mossa sbagliata.
 
Un secondo.
La bestia prese forza da quel gesto brusco. Remus si alzò senza apparente fatica, prese l’amico per il collo e ribaltò le posizioni, tenendo il corpo di Sirius premuto ciondoloni sulla corteccia umida di rugiada.
Remus tornò a respirare corto, i lunghi denti ancora presenti scintillavano come di luce propria, gli occhi carichi di lugubri sprazzi rosso fuoco squadravano l’altro uomo con un'ira innata, animale.
«Ora come sta Harry…?»
«Per Merlino Rem! Lasciami!»
«COME-STA-IL-RAGAZZO?!»
«Meglio… meglio… lo… sta curando… Chips… Madama Chips… Sto soffocando…»
Allentò la presa, infastidito dai tentativi dell'amico di liberarsi. Il tutto però senza lasciarlo scendere dalla trappola che era le sue logore mani unghiate.

«Stammi a sentire… lupacchiotto. Già… già te lo dissi tanto tempo fa… È cominciata fratello… la caccia, caro… Lunastorta è ricominciata. Voldemort… è tornato… L’Ordine è stato chiamato… Sei pronto a tornare in caccia per la luce… lupacchiotto?» faticava a parlare, ma nei chiari occhi grigi di Sirius il fuoco ardeva, la battaglia era davvero alle porte. Serietà e malizia si mescolavano in quel tornado di gelo e fuliggine.
 
La bestia urlava e sbraitava in lui, forte e determinata come mai prima d’ora, assetata di sangue.
Pochi secondi dopo il suo ringhio si propagò in ogni angolo del bosco.
«E perché no? Ci sono Felpato, siamo pronti per la caccia.»

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Capitolo 5
*** #LEI&LUI ***


Grazie... Grazie a chi è arrivato fin qui... Grazie a chi a tenuto duro insieme a me e Remus per questi cinque brevi momenti difficili.
Grazie soprattutto a
inzaghina che segue ogni mia storia, commentandola e scambiando con me impressioni ed idee.
Grazie anche alla tua ff inzaghina, che mi ha dato spesso la giusta ispirazione! Andate a trovare questa ragazza, ff:
"Promesse da mantenere".
Non so quando, ma spero di tornare presto a scrivere del nostro adorato lupo; questo è un arrivederci Rem!
Godetevi il capitolo...
.erica.


 
Tempi di Caccia
#LEI&LUI
 
Erano le cinque del pomeriggio. Se ne accorse soltanto perché la vecchia sveglia sul comodino trillò molesta interrompendo il suo stato apatico di dormiveglia.
Si rigirò  disordinatamente e, con la delicatezza di un enorme tricheco, allungò il braccio agguantando  l’orologio per poi farlo andare in mille pezzi contro il muro.
Era irritato, arrabbiato, contrariato e lo era da tre lune piene. Tre, perché tre mesi prima Silente gli aveva chiesto un favore, gli aveva chiesto di sospendere la pozione. Non riusciva a capire cosa volesse ottenere il vecchio preside, ma si fidava di lui.
Si fidava oltre il nervosismo.
Si fidava oltre le ferite.
Si fidava oltre i dolori.
Si fidava oltre la rabbia.
Si fidava oltre l’abbattimento.
 
E così erano tre mesi che il lupo risorgeva in tutta la sua forza, debilitandolo al limite, rendendolo violento e irascibile. A tutto questo poi bisognava aggiungere le missioni con l’Ordine… anche se ultimamente quelle erano tutt’altro che fastidiose. Ultimamente c’era Ninfadora.
Quella ragazza era diventata il centro dei suoi pensieri, anche e soprattutto quando si trovava in situazioni critiche, come in quel momento. I ricordi delle ultime ronde con la metamorfomagus riuscivano ad alleggerirlo e dargli conforto per superare meglio i momenti prima della trasformazione.
Ninfadora era simpatica, divertente, carica di gioia e voglia di vivere. Era ingiusta quella guerra, soprattutto per i ragazzi come lei. Una guerra che proprio non gli apparteneva e che non era giusto combattessero.
 
La bestia spesso riusciva a prendere il sopravvento anche su quei pensieri e la ragazza non era più solo divertente e carina, ma assumeva altre sfumature. Ogni suo sguardo diventava seducente, la sua bocca irresistibile, la sua pelle più morbida, la sua carne così invitante…
Remus però scacciava quelle idee, in fondo non erano davvero le sue, erano del mostro, non sue… Non potevano esserlo... No?
E poi proprio non poteva avvicinarsi a lei, era la cuginetta di Sirius... l’aveva anche vista una volta da ragazzo, quando con James era andato da Felpato a casa dei Tonks un’estate. Lei aveva lunghi capelli arcobaleno racconti in una coda disordinata, una larga salopette di jeans, una magliettina chiara e i piedi scalzi. Correva dietro ad una farfalla creata da Sirius sul piccolo prato davanti alla porta d’ingresso, ridendo sdentata a più non posso. Avrà avuto al massimo quattro anni. Era così tenera…
 
Erano le cinque del pomeriggio e Villa Felicity stava lentamente perdendo nitidezza, immergendosi nell’oscurità delle prime ombre notturne. Perché diavolo si era dimenticato di togliere la sveglia? Dopotutto prendere la pozione non era più una sua prerogativa.
Odiava la clausura a cui si costringeva quei giorni prima della trasformazione, ormai si era abituato a stare a Grimmauld Place col suo migliore amico, lì si sentiva felice, così come non lo era da molto tempo. Anche la luna piena lì era diversa, oltre agli effetti calmanti dell’Anti-Lupo, con lui c’era Sirius.
Il lupo ed il cane passavano quella notte insieme… ed era più facile così, un po’ come ritrovare dei barlumi sfocati dei momenti ad Hogwarts.
Ed invece ora era rilegato lì, nella casa dove si aggiravano cattivi gli spettri della sua infanzia, come macchie d’inchiostro nere sulla sua anima.
Non poteva rimanere al quartier generale durante quei giorni… Avevano tentato certo, ma era stato un disastro, un completo, quasi mortale, disastro.
 
Indugiò sdraiato per un tempo indefinito, denso di sentimenti odiosi e di fame.
Fame perché preferiva soffrire la sua pena nel peggiore dei modi; se lui soffriva anche il lupo doveva soffrire, ed affamarlo gli sembrava un buon compromesso.
Si alzò ed iniziò ad aggirarsi per le stanze della casa, facendosi guidare dal suo fiuto e dai suoi sensi alla ricerca di cibo, per poi riprendersi e tornare a letto più sconfortato di prima.
 
Arrivarono le otto e, con loro, il momento di scendere un’altra volta nell’umida cantina della villetta, incatenarsi ed aspettare.
Aspettare che le sue ossa si spezzassero, la sua pelle si lacerasse, nuovi denti bucassero le sue gengive, gli artigli facessero cadere le sue unghie prendendo il loro posto, gli ispidi peli, come miriadi di aghi, gli graffiassero ed irritassero ogni centimetro di pelle.
Aprì la porta che conduceva al seminterrato  e la tetra, familiare, scala gli si parò davanti. Accese la luce, chiuse la porta ed iniziò la sua penosa discesa all’inferno.
 
Chiuse gli occhi e subito le immagini dell’amica auror gli affollarono la mente, quella bella e spontanea risata le orecchie, il profumo della sua pelle il naso. Il suo odore era riuscito a sentirlo una volta, quando, inciampando comicamente nel tappeto del corridoio, dopo aver urtato quell’ingombrante e orrendo porta ombrelli, gli era caduta tutta arruffata tra le braccia.
Sorrise Remus e la sua discesa continuava scalino dopo scalino, lentamente.
 
Poi la vide stanca buttarsi su una scassata poltrona alla Tana, attivando uno degli “Spara-Peti” che i gemelli avevano disseminato ovunque. Il viso le si colorò di un rosso fuoco mentre imprecava contro la poltrona e distruggeva il dispositivo. Poi imbronciata si risedette e l’ultimo rumoraccio sbilenco tuonò da sotto il suo sedere, seguì un momento di silenzio imbarazzato, rotto poco dopo dalla sua risata contagiosa e capace di ubriacarti di vita.
Un altro scalino, una bocconata di umidità.
 
Poi la vide duellare. Quel fuoco dentro, quello sguardo concentrato ed insieme magnetico, il suo corpo che schivava preciso gli incantesimi che le venivano lanciati addosso, un sorrisetto beffardo che le faceva risaltare gli zigomi. Cadde, ma si rialzò subito, una ragazza fatta di pura energia.
Toccò il pavimento della cantina e il sorriso scomparve, la realtà gli si buttò addosso gelata e angosciante. Si spogliò, rimanendo in mutande con i brividi che, meschini, gli percorrevano braccia e gambe, sigillò la sua bacchetta in modo che il lupo non potesse prenderla ed iniziò a legarsi forte le caviglie.
 
D’un tratto si bloccò, col suo udito sempre più fino captò dei rumori al piano superiore. Dei passi veloci, come in corsa, urgenti e pesanti in particolar modo per sentirsi dal soffitto rinforzato della cantina…
Non poteva essere… no, era stato proibito a tutti di raggiungerlo, anche in casi gravissimi…
 
«Remus? Lupin… Lupin? So che ci sei… dai Remus! Sono Tonks!» la voce della ragazza arrivò ovattata, ma chiara e allarmante alle orecchie del lupo.
Remus si drizzò sulla schiena, sentendo aprirsi una voragine nel suo stomaco. Aveva portato qualcosa da mangiare… poteva sentirne l’odore dolce anche da lì sotto. "Stupida ragazzina..."
 
 
«Remus rispondi dai! Ti ho portato qualcosa… non puoi affamarti così! Dannazione rispondi, è ancora presto per la trasformazione…» Dora passava veloce da stanza a stanza cercando il licantropo, ma senza successo.
La villetta verteva in una situazione terribile, i mobili erano coperti da sporchi teli bianchi e pulviscolo, fitte ragnatele decoravano lampadari e mura, la carta da parati del salotto era logora e bucata e, nei punti dove le termiti avevano avuto la meglio, penzolava tetra mossa la freddo venticello invernale. Le finestre erano sprangate da vecchie assi di legno e le porte cigolavano minacciose, l’aria che si respirava lì dentro era la stessa che inondava i racconti del terrore.
Trovò la camera dove sicuramente alloggiava l’amico, era un po’ più pulita, tappezzata  comunque di polverose fotografie in movimento e sbiaditi stemmi di Grifondoro. Addossato sotto l’ennesima finestra chiusa c’era un letto singolo rifatto alla bell’e meglio. Dei pezzi di un orologio riempivano il pavimento di mattonelle chiare. In un angolo una piccola e rattoppata valigia chiudeva un quadro fatto di tristezza e malessere.
 
Un forte senso di angoscia la pervase quando, da sotto i suoi piedi, arrivarono dei cupi rumori soffocati.
“È in cantina…”
Prese coraggio e strinse più forte la busta che aveva in mano. Seguì i lamentii sbattendo ovunque, fino ad arrivare ad una porta ben chiusa. Bussò.
«Remus sei li sotto? Aprimi… ti ho portato una cosa.»
Un ringhio più forte la raggiunse facendole venire la pelle d’oca.
«Sappi che entrerò comunque, non farmi sfondare la porta!»
Nessuno rispose e Ninfadora perse la pazienza, non ricordò bene come fece a forzare la serratura, ma in pochi attimi aveva percorso le anguste scale e raggiunto il seminterrato.
L’umidità la avvolse nelle sue spire fredde, ma non fu quella a farle gelare il sangue nelle vene.
Remus era davanti a lei, incatenato come il più pericoloso criminale sulla faccia della terra, le braccia aperte bloccate all’altezza dei polsi con due spesse manette d’argento collegate a grosse catene attaccate al muro, anche le gambe erano aperte e bloccate sulle caviglie. Il busto era immobilizzato da una massiccia banda di metallo luccicante che lo faceva aderire alla parete.
La testa del lupo ricadeva ciondoloni sul petto snello e nudo, attraversato da miriadi di bianche cicatrici, così come il resto del corpo.
 
«Perché sei venuta qui? È stato proibito a tutti.» la profondità della voce dell’uomo le procurò un tuffo al cuore, ancora la testa era rivolta in basso.
«So-sono, sono…Remus Io… ti ho portato una cosa…» la ragazza faceva vagare il suo sguardo sul licantropo e d’un tratto si sentì accaldata. Anche così Remus era bello, anche legato aveva un fascino particolare e irresistibile, era proprio cotta ormai…
Stette così tanto a guardarlo, da non accorgersi che la stava guardando, che aveva alzato la testa e posato i suoi occhi rosso rubino su di lei. Quando finalmente li incontrò non riuscì a controllare un sussulto di paura.
 
Remus sospirò gravemente e con la poca limpidezza che gli era rimasta riprese a parlare.
«Devi andartene Ninfadora. Non sarà un bello spettacolo.
È pericoloso. Sono pericoloso.
DEVI ANDARTENE VIA!» alzò improvvisamente la voce e la ragazza fece un passo indietro. L’istinto lo stava torturando, voleva raggiungerla e toccarla, farla sua in  ogni modo, voleva sentirne le urla, voleva vedere il suo sangue scorrere libero. “Ma che diavolo dico..?!”
«Vattene SUBITO!»
«Ti ho portato una torta al cioccolato e…»
La trasformazione stava iniziando, i muscoli tremavano, la testa non riusciva a stare ferma per il dolore, scattava nevrotica da una parte all’altra. «Va VIAAA!»
Voleva urlare di scappare, ma la bestia non gli lasciava più il privilegio della parola, lunghi ululati e latrati sostituirono la voce.
 
Ninfadora guardava immobile, reggendosi forte al corrimano consumato della scala, le unghie piantate nel legno. Studiò la trasformazione, la guardò attentamente nonostante l’orrore le invocasse di girare il viso, ne registrò tutti i cambiamenti e le sofferenze. Rimase ferma fino alla fine, fin quando di Remus non c’era più traccia, fin quando davanti a lei trovò il lupo mannaro, la bestia, che la guardava con occhi spiritati, affamati ed omicidi. Si muoveva appena, bloccato com’era al muro, ma faceva comunque paura ed impressione.
 
Lentamente posò a terra il dolce e si tolse lo spesso e colorato giubbino, le scarpe e la sciarpa. Il mostro ringhiava forte e voglioso verso di lei, ma decise di rimanere calma, doveva farlo. Quella notte Remus non sarebbe rimasto solo, non poteva sopportarne nemmeno il pensiero.
Si mise davanti al lupo e ai suoi canini, chiuse gli occhi ed iniziò a trasformarsi.
Per lei cambiare i connotati corporei non era doloroso, così finse, cercando di non fare alterare ulteriormente quella bestia.
Finse gli spasmi.
Finse l’angoscia.
Finse di provare il dolore più intenso.
La bestia doveva credere che anche lei fosse maledetta, così da fidarsi.
 
Pochi istanti dopo aprì gli occhi, trovando il lupo davanti a lei a guardarla con occhi diversi, curiosi.
Senza troppe cerimonie la ragazza ululò, liberandosi come di un peso sul cuore.
Al suo, si aggiunse un secondo ululato e lei sorrise vittoriosa. Quello era un primo passo verso Remus, quella notte poteva significare molto.
Da quella luna piena in poi avrebbero potuto cacciare insieme.
 
Lo pensava davvero Dora nella sua felicità… peccato che la bestia era ancora troppo forte per dare a Remus la gioia del ricordo di quel regalo il giorno dopo.
 
Tuttavia rimasero ad ululare alla luna piena per tutta la notte, forse un giorno avrebbero davvero cacciato insieme.
Come in quella favola babbana…
Lei, la bella, e Lui, la bestia.

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